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BIBLIOTECA
DELL

ECONOMIISTA
PRIMIA SERIE.

TRATTATI COMPLESSIVI.

Vol. III.

TRATTATI ITALIANI DEL SECOL0 VVIII.

GENOVESI, VERRI, BECCARIA, FILANGIERI, ORTES.

TORINO)

cuGINI PoMBA E conr. EbIToni-LIBRAI.


S52
TIPOGRAFIA SOCIALE DI A. POKS E COMI'
ANTONIO GENOVESI .

LEZIONI DI ECONOMIA CIVILE,


ED OPUSCOLI.

PIETRO VERRI,

MEDITAZIONI SULL'ECONOMIA POLITICA.

CESARE RECCARIA,

ELEMENTI DI ECONOMIA PUBBLICA.

GAETANO FILANGIERI ,

DELLE LEGGI POLITICHE ED ECONOMICHE.

GIAMMARIA ORTES,

DELL'ECONOMIA NAZIONALE.

OS*
./:*v(**\4

TORINO
CUGINI POMBA E COMP. EDITORI-LIBRAI.

1852

B773874
PREFAZIONE. v- 3
.. f ' I

RAGGUAGLIO BIOGRAFICO E CRITICO


SUGLI AUTORI CONTENUTI NEL PRESENTE VOLUME,

dei. Prof. Francesco Ferrara.

SOMMARIO.

I. Genovesi, sua vita, sue opere. II. Beccaria, Verri. III. Filangieri, Ortes. IV. Col-
bertismo de'primi tre; liberismo di Filangieri. V. Loro idee sulla libert economica
all'interno. Concello dello Stato. VI. Difetto di nozioni elementari. VII. In che
consista il merito d'idee larghe e complesse, a loro attribuito, e negato a Smith.
Vili. Digressione sulla priorit degli Economisti italiani; Randini; Serra: risposta al
prof. Mancini. IX. Supposta priorit di Beccaria sulla Divisione del lavoro; parti
colarit degne di notarsi in Verri. X. Ortes; stranezza del suo sistema. XI. Esa
gerazioni da evitarsi nel giudicare il merito degli Economisti italiani.

I.

La pi antica fra le cattedre di Economia in Italia, ed una delle


pi antiche in Europa, quella di Napoli, dovuta alla generosit d'un
privato, e dalla quale promanano le Lezioni del Gf.noyf.si, die occupano
le prime pagine di questo volume.
Avanti del 1754, in cui fu fondala, non pare che in alcun luogo
esistesse una scuola esclusivamente consacrata ad insegnare il mecca
nismo con cui il giuoco delle ricchezze sociali avvenga nel mondo. In
Edimburgo soltanto, Hutcheson da lungo tempo, e poi Smith, avevano
incorporato lo studio de' fenomeni economici nel loro corso di Filo
sofia morale; ed era cos quasi per incidenza che i problemi della ric
chezza entravano fra le materie del pubblico insegnamento, in una
sola citt d'Europa.
Ma dalle varie opere, e generali e speciali, gi date alla luce, e
dalle gravissime quistioni agitatesi per pi che 200 anni in Inghil
terra, per circa mezzo secolo in Francia, era nata anche in Italia tuta
tal quale eccitazione d'illuminati intelletti, che si tnoslravan disposti
a mutare in que' nuovi temi le pedanterie peripatetiche e teologiche,
le quali avevano da lungo tempo formato la vecchia lebbra delle nostre
scuole, ed alle quali il clero , pi che le autorit temporali, sentiva
quanto giovasse il tenersi fermamente attaccalo. Malgrado ogni resi
VI FERRARA

stenza, un'infima elaborazione nella societ italiana avveniva; un'Eco


nomia politica diventava dappertutto un bisogno; e come sorgevano
gli Stewart e gli Smith in Inghilterra, in Francia i Quesnay ed i
Turgot, cos l'Italia che avea cominciato dal dare i pi antichi libri
sulla Moneta, dovette finalmente offerire i suoi primi Trattati sulla
nuova scienza, ed ebbe quasi in un tempo a Napoli, ed a Milano, i
suoi professori di grido.
Genovesi fu l'uno di questi spiriti indipendenti. Prete per dome
stiche convenienze, molto pi che per divina ispirazione; filosofo e
ragionatore pi di quanto si potesse concedere ad un teologo, in Na
poli, alla met del secolo XVIII; inviso alla parte elevata del clero,
di cui non approvava le dovizie e non adorava la dignit;inviso ai
monaci e preti delle scuole, l'ignoranza de'quali serviva di fondo
oscuro alla splendida fama di questo prete novatore, che, evitando
quanto potesse il latino, appoggiandosi sopra argomenti ribelli alle
strette forme del sillogismo, citando autori inglesi e francesi, pronun
ziando con labbro ugualmente impassibile la verit della Bibbia ed il
passo dello scrittore eretico, era pur nondimeno frequentato con entu
siasmo da un'avida giovent, ascoltato attentamente da uomini adulti,
reputato da tutti, da taluni temuto, al segno che, mentre un concilio
di teologi, lungamente deliberando, lo trovava colpevole di non meno
che dieci proposizioni eterodosse, non fu possibile che la Corte si deci
desse a perseguitarlo, e si trov invece un cardinale ostinato a difen
derlo: questo era Genovesi, quando una speciale opportunit lo tolse
alle lotte canoniche e lo condusse all'insegnamento delle materie eco
nomiche.
Viveva a Napoli di quei tempi un cittadino toscano, Bartolomeo
Intieri, stabilitovi fin dalla sua prima et; una volta semplice cultore e
professore di matematiche elementari; poi gerente de' beni di casa Cor
sini; pi tardi anche de'fondi Mediceiche allora la Corte Toscana posse
deva in Napoli; e per la sua costante assiduit di lavoro ed integrit
di costumi, fattosi poco a poco uomo tanto dovizioso, quanto parecchie
ingegnose invenzioni meccaniche ed un animo aperto ai pi generosi
sentimenti d'umanit lo avevano generalmente elevato nella stima degli
uomini.
L'ingegno di Genovesi e le tribolazioni che gli studi teologici gli
avevan fruttati, lo misero naturalmente alla conoscenza dell'Intieri ,
la quale ben presto divenne intimit d'amicizia.
In tempi di esacerbate dispute clericali, cio che suole costantemente
distinguere il raro senno d'un uomo la tendenza a sprezzarle, per ri
volgere sopra argomenti di utilit pi diretta e mondana le parole e le
forze, che la moltitudine invece tenderebbe a dissipare in contese sco
lastiche, nelle quali la religione vera del cuore pu bens smarrire
PREFAZIONE. VII

molta parie della sua purit, ma non havvi esempio in cui abbia mai
latto un acquisto o riportato un trionfo essa non pi di quello che
la causa dell'incivilimento vi possa realmente ottenere.
La mente d'Intieri, avvezza a star sempre rivolta verso dell'utile,
era molto preoccupata da questa necessit d'imprimere una nuova di
rezione agli studi napoletani, e distrarre la giovent dal pericolo delle
infingardaggini nelle quali sarebbe andata a finire, continuando a dar
tanto peso alle quistioni di privilegi e soperchierie clericali; e la fre
quenza delle conversazioni che ne tenne con Genovesi (1), f' sorgere
finalmente il disegno di fondare in Napoli una Cattedra di Cwnmerco,
elemento, dicea l'Intieri, dal quale, dopo la stampa, i secoli moderni
ripetono la loro indubitata superiorit sugli antichi, e dal quale dovr
dipendere l'avvenire del genere umano.
11 progetto fu presentato al Governo. Intieri offeriva di dotare la
nuova Cattedra con uno stipendio di 300 ducali all'anno, e vi poneva
per condizioni : che l'Ab. Genovesi ne fosse il primo titolare che
dopo lui il professore si nominasse a concorso pubblico che in
nessun caso si potesse nominare un religioso di qualunque ordine
clic l'insegnamento dovesse esser fatto in italiano.
I patti, se non duri in se stessi, erano arditi. Un marchese Bran-
cone , segretario di Slato , cinto da' sanfedisti dell'epoca, tent ogni
sforzo perch si rigettasse l'offerta; ma essa piacque invece a due altri
membri del Gabinetto, il marchese Fogliani e il duca di Sorada ; i
quali, per l'influenza che esercitavano in Corte, ottennero la sanzione
sovrana al progetto dell'Intieri, e risparmiarono dice il biografo
del Genovesi quella nuova vergogna alla nazione .
La scuola fu aperta ai " novembre del 1754 (2). Un numeroso
uditorio vi accorse, tuttoch scrivea Genovesi al suo amico De
Sanctis non si fosse fatto invito. Parl un ora, non solo senza aver
nulla mandato a memoria, ma senza aver niente scritto di quello che
disse : con tutto ci, il discorso fu ricevuto con applauso .... (3) .
Secondo l'uso de' tompi, Genovesi cominci l'indomani a dettare
a' giovani le sue lezioni; ed egli stesso racconta esser sembrato una
meraviglia il sentire per la prima volla un professore a parlare in Ita
liano dalla sua cathedra. Da tanto stupore si avvide che bisognava
incominciare d?t' pregi della lingua italiana , e urtare di fronte
il pregiudizio delle scuole d'Italia : particolarit che bene notare,

(1) Si pu vedere alla pag. TAO di questo volume la gratitudine che Genovesi serbava!
verso P Intieri , dell' avere da lui ricevute le prime e le pi belle cognizioni di questa
scienza ecc. .
(2) un errore del Custodi , copiato dal Bianchini , I' averla riportato a dieci uiui
dopo. 17(ii.
(Ti) Leti. fm.p. di Genovesi, toni. II. pag. 199.
Vili FERRARA

perch il lettore di Genovesi possa agevolmente indovinare il motivo,


da cui trailo egli s spesso a fare delle piccole digressioni, intorno
alla colpa clic hanno gli Italiani nel tenere in pochissima stima la loro
lingua.
La mia scuola soggiunge nella medesima lettera stata
sempre piena in guisa, che molti non hanno in essa trovato luogo:
ma la maggior parte sono uditori di barba, e di varii ceti. Gli scriventi
sono circa 100. 1 giovani non ancora intendono queste materie, e dove
non si oda citar Giustiniano o Galeno, non troppo sentono del gusto.
Ma si vuole andar avanti con coraggio : si ha da rompere questo ghiac
cio. Gran moto nato da queste lezioni nella citt, e tutti i ceti do
mandano de' libri d'Economia ... (1) .
Scorsero, per altro, dieci anni, prima che Genovesi si decidesse a
pubblicare le sue Lezioni. ben da credere che in quell'intervallo
egli fu intento a compiere il suo tirocinio economico. La lettura dei
suoi varii scritti, se si fa in ordine cronologico, rivela dapprima una
grande incertezza ne' suoi principii, e mostra ch'essi si venivano mano
mano modificando ed armonizzando a misura che progrediva il suo
studio.
Cominci dal 1757 a tentare la pubblicit, dando fuori la tradu
zione, alquanto libera, di due opere inglesi.
La prima, // Tesoro del Commercio inglese, di Tommaso Mun,
una delle pi precoci produzioni della scienza moderna; perch, quan
tunque l'edizione pi conosciuta porti la data del 1664 , vi ha ben
ragione di credere che sia stata scritta sin dal 1623 ; e basta leggerla,
anche nel modo in cui fu tradotta, o fatla tradurre, dal Genovesi, per
vedere com'egli, in quel primo suo tirocinio, procedeva tentoni nella
scelta de' libri, da' quali gli convenisse attingere i principii della
scienza a cui rivolgeva la sua attenzione.
L'altra opera quella del Cary, e la sua scelta mostra gi in Ge
novesi una maggiore maturit di cognizioni economiche. Cary aveva
gi scritto sin dal 1696 una prima porzione di quello che fu poi al
l'epoca appunto di Genovesi, un Discorso sul commercio ed altre
materie ad esso relative (2). Ad una tal quale attrattiva che natu
ralmente questo libro doveva esercitare sui suoi contemporanei, per la
copia de' fatti che conteneva, si aggiunse la maggiore pubblicit da
tagli in Francia, ove fu tradotto nel 1755, molto ampliato, e reso ben
pi interessante che l'originale (5).

(1) Sul movimento che si determinava a quell'epoca verso gli sludii economici, si veda
pure alla pag. 310 di questo volume.
() Londra 174S. Un voi. in-8'.
(3j In francese gli fu dato il litol di Saggio sitilo stalo del Commercio d'Inghilterra.
Due voi. in picc. 8'. Ho gi detto nel Itugguaglio sui (isiocrali che questa traduzione
PREFAZIONE. IX

Forse questa prima pubblicazione decise la scuola economica del


professore napoletano. Le sue teorie emanarono tulle dal sistema mer
cantile, che allora, come nell'opera del Cary, era gi entralo nella sua
terza fase, di sistema protettore. Genovesi se ne imbevve; ma fdosofo
e ragionatore com'era, trov spesso un urto tra i suoi principii gene
rali e le teorie del Bruisti merchant ; ed il lettore delle sue lezioni si
pu facilmente accorgere d'una specie di lolla sordamente impegnala
tra la rettitudine del suo intelletto, che lo spingeva a proclamare li
bert e giustizia, e i gretti calcoli del protezionismo che assumono
l'ardua impresa di far credere agli uomini che le esagerate dogane,
violazione palpabile d'ogni idea di libert e di giustizia, si potessero
convertire in sorgente di prosperit lotta nella quale pur nondimeno
il pregiudizio comune definitivamente la vinse sull'intelletto del profes
sore.
Genovesi, si lasci compromettere da' suoi primi lavori economici.
Offr all'Italia l'opera del Cary come una prova sufficiente della bont
del sistema doganale. La Storia di Gio. Cary fa vedere le cure e le
diligenze degli Inglesi per aumentare la lana, la canapa, il lino, i cuoi,
i metalli, per avere della seta ed altre tali materie prime, e per ri
durre a perfezione le manifatture di tali , materie : questo il suo
concetto, ripetuto di continuo, applicato dapprima alle condizioni del
Regno di Napoli, ne' suoi comentarii all'opera del Cary, e poi tra
sfuso nelle sue lezioni (1).
Questi comentarii e la fama delle sue lezioni lasciarono una grave

fu fatta da Butel-Dumont, ma coll'assistenza di Gournny, il ceppo della scuola fisiocra-


tica ('] Genovesi modific ancora il frontispizio dell'opera, chiamandola Storia del com
mercio della Gran Bretagna, titolo alquanto pretenzioso, quantunque il libro sia vera
mente ricco di peculiari notizie, specialmente sulla parte legislativa, che formerebbero
buona porzione de' materiali servibili a una Storia del commercio inglese. Probabilmente
vi Ini su questo libro un piccolo equivoco bibliografico di M'Culloch (Litterature of poi.
Ec). La prima pubblicazione del Cary (1696) portava il titolo: An Essay on the state of
England in relation to its trade. Una seconda edizione fu fatta nel 1713 dall'autore, che
era un reputato mercante di Bristol; ma quella del ITI*) sotto il titolo di Discorso, fu
fatta da Tommaso Obone che cerc di adattarla al tempo in cui la produceva, senza
molto dilungarsi dal testo; ed su questa che fu eseguita la traduzione di Butel-
Dumont-
(1) Noi, oltre alle Lezioni, diamo in questo volume il Ragionamento sul commer
cio il Ragionamento sull'uso delle grandi ricchezze il Ragionamento sulle
manifatture il Ragionamento sullo spirito della pubblica economia e i dodici
squarci che furono dal Custodi pubblicati come Digressioni economiche .
Tutti questi lavori fecero parte, in origine, del Comentario a Cary ; ma un solo fu dal
l' autore incorporato nella seconda edizione delle sue Lezioni, come avvertiamo alla
pag. 277.
Non abbiamo creduto di comprendervi il Ragionamento sull'Agricoltura , n quello
Sul vero fine delle Lettere . Il primo, che del 1764, ha uno scopo molto pratico e
relativo al tempo ed al luogo in cui fu scritto, n, quanto ai principii, contiene una me
noma idea che non si trovi abbondantemente esposta e nelle Lezioni, e nelle Digres
sioni. Il secondo del 1753, prima ancora che Genovesi fosse un economista, e rappre
senta, per cosi dire, la sua conversione dagli studii sacri ai profani.
(') Tomo I delta Bibl. dell' Econom., pa. ZV. a.
FERRARA

impressione nel pubblico, ed assicurarono la riputazione dell'Ai). Ge


novesi. Di fuori, si ambiva la sua corrispondenza e si citavano come
autorit le sue massime. Ogni distinto straniero che capitasse a Napoli
non ne sarebbe partito senza avere ascollato qualcuna delle sue lezioni ;
la visita del principe di Brunswich fu notata con segni palpabili di
gran gelosia (1); ho avuto scriveva egli stesso sin dal 1 758 al suo
amico De Sanclis r un'amenissima conversazione col sig. Dangeul,
gentiluomo di camera del re di Francia , ed autore del famoso libro
liemarques sur les avantages et les dsavantayes des Angais et dm
Francai* par rapport au commerce, che io ho citato con quella lode che
gli si dee (2). Ei fu a ringraziarmi. un uomo di a fi anni . . . vero
patriota, n invaso de' pregiudizii francesi: ci che mi pare un vero mi
racolo .... Egli ha letto le mie note, e mi ha fatta l'obbligante con
fessione di essere in tutto e per lutto de' miei sentimenti ... .
Nel paese ancora, la riputazione del suo nome si veniva di giorno
in giorno consolidando. Era il momento in cui il Governo napoletano
volgeva verso un primo inizio di riforme ; e un po' di favore conce
duto dall'alto al talento, bast per rendere FAI). Genovesi universal
mente apprezzato, e rintuzzare almeno, se estinguere non era possibile,
le antiche ire del partito pretesco.
L'anno 176'*, in seguito ad una scarsa raccolta di cereali, fu anno di
fierissima carestia nel regno di Napoli. 11 male venne dalla natura, il
Governo lo accrebbe. Fissando un minimo ai prezzi, accennando nomi
d'accaparratori, mandando appositi magistrati in provincia a cercare
monopolisti introvabili, mut la penuria in assoluta mancanza di viveri,
determin sommosse e assassinii, e sparse la disperazione nel popolo.
Calmale, per importazioni dall'estero, le angoscie di quella crise, si
pens all'avvenire. Vi fu un barlume di senno nella Reggenza che le
permise di riconoscere come, se, malgrado lo stretto reggime d'an
nona da lungo tempo adottalo, erasi potuto subire la dura prova di
una scarsezza le cui vittime sfuggivano al calcolo, molto pi un reggi
me di libert, inaugurato opportunamente, avrebbe impedito il ritorno
d'una calamit cos dolorosa. Ma l'opinione del pubblico era profon
damente falsata ; e bisognava prender le mosse dall'agire sopra di essa,
propagando i sani principi! che, gi divulgati dalla scuola francese, ed
illustrali dall'esempio vivo e dagli scritti ufficiali di Turgot, cominciavano

(1) Ci clic le hanno scritto per riguardo a S. A. R. il Principe di Brunswich , egli


vero. Ei volle onorare colla sua presenza la sola mia cattedra . Lettera a Cesare
Belcore, 17GC>.
(2) Quest'opera fu pubblicatane! 1754 a Parigi, ma come traduzione dall' inglese di
un cav. J. Nickolls; ed sotto questo pseudonimo che si trova spesso citata: lo stesso
Carli, che pure era lauto bene informato degli scrittori coutemporanei, non pare avere
avuto il sospetto che appartenesse al DangcuT (Carli, Sui Rilanci lece. Voi. XXI della
Kacc. Custodi, p. 527}.
PREFAZIONE. XI

ad insinuarsi nel giudizio delle classi pi illuminate in Europa. Allora


s'era appena desiala a Parigi quella viva controversia sul commercio dei
grani, nella quale l'Ab. Galiani spese per una pessima causa tutto il
brio del suo spirilo ; ma v'era un'opera sul Reggime del commercio dei
grani giustamente reputata come un capolavoro di logica, di sapere
economico, e fino di eleganza d'espressione (1). 11 Governo napolitano si
avvis di farla tradurre ; e l'Ab. Genovesi, i cui principii restrittivi
avevano d'altronde serbato un'eccezione per il commercio de' grani e
delle materie grezze, specialmente trattandosi, com'era il caso di Napoli,
d'un paese essenzialmente agricola, fu incaricato di stenderne la pnv
fazione, nella quale riconferm le idee largamente gi svolte nelle sue
lezioni e nella massima parte dei suoi lavori economici.
Anzi non disse tutto, e si doleva di non poterlo. Qui per ordine
della Corte si traduce per istamparsi la Polke desgrains, con un saggio
sull'agricoltura del medesimo autore. Mi hanno fallo l'onore di co
mandarmi di aggiungervi qualche cosa relativamente al nostro regno.
Quel che vorrei dire per noi posso. Per la maggior parte i contadini
del Regno non hanno terreno proprio. La massima parte de' fondi
andata in mano de' frati e continua ad andarci a precipizio. Sicch il
pi de' contadini fatica per ingrassare le budella de' frali .... Non so
che occhi si abbiano i nostri baroni ; fra poco essi co' loro vassalli
saranno tutti addicli glebee de' frati .... (Lettera a Leon. Cortese,
1 settembre 1764).
La stampa delle Lezioni, fatta appunto allora, accrebbe sempre pi
la fama dell'A., al segno, che nel 1766 fu dal Governo invitato a
varie conferenze tenutesi, tanto per avvisare ai mezzi di rimediare
alle monete calanti di Roma , quanto per dare un parere sopra un
trattato di commercio che proponevasi dalla corte di Francia.
Il suo principio si era che ne' trattati non si voglion chiedere pi
di due cose : libert di trafficare ed accomodamento di tariffa (2) ;
quindi non esit a rispondere che:
Per quelle nazioni, le quali non hanno commercio marittimo
n navigazione, non pu riuscire che dannevole ogni trattato di com
mercio : elleno sono legate senza legare ; perci vogliono esser aperte
ed accessibili a tutte le altre; solo quelle che possono legare possono
utilmente contrarre. Donde ne segue che il Regno di Napoli deve es
sere in pace con tutte le nazioni, e non aver trattati di commercio

(1) Quest' opera di Claudio Herbert. Noi l' abbiamo accennata come una delle pi
importanti pubblicazioni che sieno apparse prima degli Economisti. (V. il voi. I. della
nostra Bibl. pag. xix). Smith la chiama opera elegante. Turgot, nell'elogio di
Gouroay, la cita come un completo lavoro nel suo genere. M' Cullocli la giudica ec
cellente solfo tutti i riguardi [fAlter, e Disc, pretini, a Smith). Blam|ui l'ha dimenticala
nella sua Bibliografia.
(2j Lezioni. Vedi appresso, pag. 118.
YI FERRARA

con nessuna, finch non abbia sufficiente marina da sostener la navi


gazione (1).
Un altro segno del conto in cui gi tenevasi alla Corte l'ingegno
e il sapere del Genovesi fu l'incarico di compilare un progetto di
riordinamento degli studi dopo la cacciata de' gesuiti nel 1767. ll
Galanti, suo affezionato discepolo, ha raccolto fra le sue carte i fran
tumi del suo progetto, di cui si mise in opera quel tanto che i tempi
permettevano .
Ma quello fu lavoro incompiuto, e fu l'ultimo: perch da cinque
anni un mal di cuore lo minacciava, ed accresciutosi, e presa la forma
d'idropisia del torace, in settembre del 1769 lo spense, in et d'anni
57 non ancora compiuti.
Di lui economista, diremo meglio qui appresso; ci che unani
memente si concede al suo nome la vastit de' suoi studi, la forza
del ragionamento, l'indipendenza del carattere, e l'amore sincero al
suo paese, che per lui era l'Italia; l'Italia di cui ricordava sempre
le due grandi epoche gi passate, e ne agognava una terza nell'av
venire.
Genovesi, senz'essere un intelletto creatore, fu una mente esatta
di sua natura, e copiosamente nudrita di buoni studi; e coll'instan
cabile attivit che distinse la sua non lunga carriera, e per le perse
cuzioni di cui fu segno nel miglior periodo della sua esistenza, e per
la nuova vita che comunic all'ardore della giovent de' suoi tempi,
pu dirglisi meritato il titolo che Giuseppe Pecchio gli d, di redentore
delle menti italiane.
La casta del basso clero lo perseguit sino al limitare del suo se
polcro; ed il Galanti ci ha conservata la serie delle proposizioni che
un insulso domenicano, per nome Mamachio, da Roma, quando in Na
poli la mutata politica pi nol permise, and ripescando e contorcendo,
per farne sorgere il concetto d'un uomo profondamente nemico alla
Religione ed allo Stato.
Ad un secolo di distanza, possiamo giudicarne con tutta la calma
di un'imparziale ragione. Genovesi era , all'incontro, sinceramente
religioso, e sinceramente pieno di amore verso i suoi simili ed il suo
paese. Era tanto amico al progresso delle sorti umane, tanto attaccato
alla pacifica conservazione dell'ordine, quanto franco avversario d'ogni
maniera d'usurpazioni e di abusi. Nelle quistioni di domini e privilegi,
tra Stato e Chiesa, fu senza dubbio aperto nemico a tutte le esagerate
pretensioni, con le quali i falsi amici della Chiesa hanno profonda
mente sconvolto la purit e la tranquillit della fede cattolica. Ma in ve
rit, se egli ha una colpa, quella di avere accordato anche nelle sue

(1) Galanti, Elogio, pag. 164, Custodi, Notizie, pag. 15.


PntFAZlONK. Xlll

lezioni, sino al finire della sua vita, un'attenzione qualunque a queste


decrepite dispule, destinate unicamente oramai ad alimentare il torpore
dello spirito umano, e radicare l'equivoco con cui la gloria de' cieli si
vorrebbe confondere colla corte del Valicano. La scienza delle ricchezze
non saprebbe occuparsene ; e Genovesi , se fosse vissuto un secolo
dopo, o le avrebbe riguardate con occhio di profondo disprezzo, o si
sarebbe astenuto di professare l'Economia.

11.

Nell'anno stesso in cui l'Italia perdeva, all'una delle sue estremila,


l'economista napoletano, una seconda cattedra di Economia si fondava
all'estremo opposto, in Milano, sotto gli auspicii d'un nome che, nel
fiore degli anni, era gi l'ammirazione di tutto il mondo civile.
Caterina II, colpita dall'impressione che il libro De' delitti e delle
pene avea destata in Francia ed in Germania , fece richiedere di
Bkecaria, offerendogli in Russia una posizioue conveniente. Ma Maria
Teresa aveva allora un ministro , a cui il lasciar partire un uomo
assai fornito di sapere ed assai avvezzo a pensare non solo sembrava
una perdita per il paese, ma avrebbe fatto poco onore a tutto il mi
nistero che si facesse prevenire dagli esteri nella stima dovuta agli
ingegni .
Beccaria dunque rimase in patria; una cattedra di Scienza Came
rale fu fondata nelle scuole palatine a Milano ; il giovine pubblicista ,
gi celebre , ne fu nominato professore ; le sue lezioni cominciarono
nel 9 gennaio 1769; e son quelle appunto che, ora comprese in questo
volume , per lungo tempo circolarono manoscritte in Italia , e furono
per la prima volta nel 1804 stampale nella Raccolta del Custodi (1).
Come economista, Beccaria aveva gi fatto le sue prime prove sin
dal 1762. Un argomento che allora preoccupava gli abitanti dell'alta
Italia era la continua disparizione di certe monete, e l'affluenza di certe
altre. Questo, che ai nostri tempi sarebbe appena soggetto di qualche
secondaria misura amministrativa , allora sembr un tema della pi
viva importanza ; e da un lato correvano nel volgo de' pensatori le pi
strane opinioni sulle cause e sui rimedii di un tanto disordine, dall'altro

(1) Il Custodi si servito di un esemplare fatto trascrivere dall'autore medesimo per


portarlo seco in un viaggio ebe fece pi tardi a Parigi. Ho usato, dice l'Editore, la
possibile attenzione a correggere i molti errori del copista e le pi sensibili tra le abi
tuali negligenze di stile dell'Autore : non oso presumere di aver sempre colto nel vero .
La prolusione al corso del 1709 fu l'unica parte che Beccaria inand sin d'allora alle
stampe. Sebbene, in grazia del nonio dell'A., fosse stala subito volta in francese (Discount
sur le Commerce et l'adminislralion publique; trad. par Ant. Compare!, Lausanne et
Paris), per, come ben dice M'Culloch, indegno dell'Autore e dell'argomento a cui ser
viva d' introduzione, un poverissimo lavoro, [UH. of poi. Ec). Il Custodi l'ha fatto
seguire agli Elementi ; noi, nel bisogno di spazio, non ne abbiamo imitato l'esempio.
XIV FERRAKA

il meno a cui si pensasse era di farne, come dovevasi, rimontare la


causa sino all'intrusione dell'Autorit, la quale, pretendendo di aver
lissalo con le sue tariffe il valore delle diverse monete straniere che
circolavano in Lombardia , si era ingannata ne' suoi calcoli , ed avea
generato quel traffico del comprare e vender monete , che tanto tor
mentava l'imaginazione de' popoli.
Beccaria, giovinolto com'era, scrisse un sensato opuscolo Del di
sordine e de' rimedi delle monete nello Stato di Milano , nel quale , ap
poggiandosi sulle idee di Locke, e valendosi delle cifre di Carli, ridusse
a poche e nitide proposizioni l'argomento che, nel principio del secolo,
erasi tanto discusso in Francia ; e con due accurate tabelle prov che
la tariffa conteneva enormi errori di calcolo , tanto nella valutazione
isolata delle diverse monete , quanto nelle valutazioni relative delle
monete di diverso metallo, per poi dedurne il bisogno di riformare la
tariffa e soprattutto di creare un apposito magistrato, che, vegliando
alle successive variazioni della circolazione europea, proponesse in av
venire le mutazioni di taritfa che potrebbero occorrere.
Quell'opuscolo , come bene da imaginare , fu subito oppugnalo
da un Marchese Campani (1); ma la sua debolissima critica servi di
opportunit a far sorgere un nuovo cultore delle scienze economiche
nel Milanese, che poi sal ad una fama , sempre minore di quella che
meritassero i suoi lavori e i suoi alti.
Era giovine anch' egli , uscito dalle caserme del reggimento Cle
rici ; era l' uno de' tre Vebri , legati dalla pi cordiale amicizia con
Beccaria, ed alle cui premure noto che il mondo fu debitore del
libro De' Delitti e delle Pene, il quale , senza la loro importunila, mai
forse non si sarebbe prodotto dalla naturale indolenza del suo immor
tale autore (2).
Nel Dialogo , fra Simplicio e Fronimo , sul disordine delle monete
nello Stato di Milano, stampato a Lucca in quell'anno medesimo, I'.
Verri rese ancora pi chiari gli aforismi di Beccaria, e diede un passo
di pi. Perch, invece d'insistere sulla correzione delle tariffe, e sulla
creazione di un apposito magistrato, os discreditare l'importanza del
l'avere monete coniate ad una zecca nazionale. Lasciamo batter mo
neta, diceva, alle nazioni che hanno miniere e grande commercio ma
rittimo, noi, abitatori di un piccolo Stato mediterraneo senza miniere,
pensiamo ad accomodare le nostre parlile del commercio, a diminuire le

(\) Riflessioni in punto di ragione sopra il libro intitolato de' Disordini e de'rirutdii
della Moneta.
(2) uomo pregevolissimo per le qualit s del cuore che della meDte, ed il pi caro
amico che io mi abbia. Parmi di provare per lui quello slesso entusiasmo d'amicizia, che
Montaigne per Stefano di La Boelic. Egli mi ha fatto animo a scrivere : a lui vo'debitore
di non aver gettato al fuoco il manoscritto de1Delitti, ch'egli ebbe la compiacenza di tra
scrivere di propria mano . Beccaria all'abate Morellet.
PREFAZIONE. XV

importazioni, ad accrescere l'esportazione, ad animare l'industria ecc. .


Queste parole compendiano l' Economia politica di Verri e del suo
tempo , in Italia. Si trova ripetuto sempre lo stesso concetto sino agli
ultimi de' suoi lavori. Ma allora esso era l'occupazione sua favorita ,
che gli apr la carriera delle pubbliche cariche.
l Custodi ha distesamente raccontato questo tratto della sua vita.
Verri , assediato dal timor panico della passivit ed attivit del com
mercio , era con indefessa fatica riuscito a compilare un Bilancio del
commercio Lombardo : dal quale sarebbe risultato un eccesso d' impor
tazioni sulle esportazioni , per la somma di non meno che 9 milioni di
lire ; e questo lavoro lo aveva condotto a scrivere alcune pregevoli Con
siderazioni stillo stato del Commercio di Milano. Il Bilancio stampato in
pochissime copie e non divulgato , die' luogo ad una Lettera critica ,
nella quale invece si volle provare che il commercio dello Stato di Mi
lano presentava un' attivit di molti milioni . Le Considerazioni mano
scritte furono dall'Autore spedite in Vienna al ministro Kaunitz.
L'affare sembr gravissimo. Il ministro scrisse una lettera al conte
di Firmian , nella quale si doleva da un lato , perch il dotto cava
lieri; , di cui per altro gli piaceva l'ingegno e la scelta che avea fallo
de' suoi studii, si fosse lasciato inconsideratamente condurre dal fcrvor
giovanile a convertir colla stampa in oggetto di compatimento ci che ,
prodotto in iscritto alla sola Giunta ed al Governo, gli avrebbe fatto del
l'onore, se non altro per l'idea e per il piano di eseguirla ; e dall'altro
lato, riconosceva come unico rimedio la necessit di purificare il fatto,
accertare il vero stato attivo e passivo del commercio milanese, affin
ch, rimosse le esagerazioni, si potesse conoscere da guai parte pendea
la bilancia .
In quel momento erasi creata una Giunta di ministri con l'incarico
di regolare i nuovi capitoli dell'appalto e la tariffa de' dazj ; i quali, dal
1750 in poi, sotto il nome di Ferma generale, si trovavano dati in fitto
ad una Compagnia di Bergamaschi , che ne avevan ritratto un guada
gno di 100 mila zecchini all'anno. Il conte Verri fu nominato Consi
gliere presso quella Giunta con voto deliberativo, e al tempo medesimo
ebbe lo speciale incarico di compilare , insieme ad un suo collega , il
nuovo ed esatto Bilancio del commercio.
Questa operazione fu compiuta in 18 mesi. Nel secolo xvi, dice,
egli medesimo, l'uguale lavoro non si seppe compirlo che in 50 anni,
e nel 1752, disperando di farne un'opera in ogni sua parte compiuta,
si limit a' capi principali di mercanzia. Ora si tratt di svolgere e spo
gliare 2200 libri, tradurre in semplici e costanti denominazioni le merci
tutte, con tutta la variet di nomi, di misure e di pesi, e registrandole
in 60 nuovi libri che servissero di documento alle cifre. In fine , l'o
pera fu eseguita; a' 50 ottobre del 1765 ne fu falla presentazione al
XVI FKRIUBA

Governo : lo prime cifre del conle Verri ne riusciron corrette ; la pas


sivit, da 9 milioni, scese a poco pi che 1 '(^ ; e l'autore vi premise
una Relazione, nella quale la necessit de' bilanci di commercio, le ne
nia che sia possibile trarne, le pratiche difficolt che presentano, i me
todi che convenisse adottare ne' lavori avvenire , sono esposti con una
sagacit e precisione da disgradarne ogni moderno statistico (1).
Verri era inoltre gi noto nel mondo letterario come 1' uno tra i
fondatori del giornale 11 Caff, al quale collaborarono per due anni
e suo fratello Alessandro, e Beccaria. Era un giornale nel genere dello
Spettatore ; tutti i suoi biografi dicono che ne emul il merito, e Zim-
mermann lo dichiara superiore. La quistione non ha importanza per
noi. I due articoli economici di P. Verri, che pi vi si distinguono,
sono le Considerazioni sul lusso , e gli Elementi del commercio. Furono
ristampati anch'essi dal Custodi, e il lettore potrebbe ricorrere a quella
edizione se si volesse convincere che son di poca importanza.
Le Meditazioni sulF Economia politica, che fan parte di questo vo
lume, apparvero nel 1771 ; ed meraviglioso a vederle pubblicate in
quell' epoca, allorch si riflette alla moltitudine delle occupazioni di cui
il conte Verri si trov sopraccaricato negli anni anteriori , ed alla dili
genza con cui vi attese.
dovuta all' energia delle sue rimostranze l' abolizione totale della
Ferma de' Bergamaschi nel 1770, che cinque anni prima era stata gi
convertita in Ferma mista , cio in un appalto nel quale lo Stato rima
neva interessato per un terzo.
Da membro del Supremo Consiglio di Economia specie di
dicastero, come oggi direbbesi, d'Agricoltura e Commercio, allora
creato ebbe l' incarico di liquidare e classificare tutti que' rami di
finanza , che si trovavano alienati , o dati in cauzione , a monti e ban
chi pubblici , o a famiglie private : e quest' opera, che per il corso di
nove anni era sempre rimasta allo stato di semplice desiderio, in poco
meno d'un anno fu compiuta da Verri.
Alla caduta de' fermieri che, secondo le parole di un dispaccio im
periale, succhiavano il sangue de' Milanesi e Mantovani , fu pure Verri
P incaricato di metter su un nuovo sistema di amministrazione della
finanza , e lo fece con una di quelle decise volont che accorciano di
qualche secolo il processo delle riforme amministrative. Questo forse
tra i suoi atti, benemeriti tutti, quello su cui la Lombardia serba alla
sua memoria una pi viva gratitudine. L'importanza del beneficio,
che Verri con quest'opera ha reso alla sua patria , risulter maggiore
dal riflettere allo stato delle finanze di quel tempo. La daziaria era

(1) Il Bilancio e le parli pi importanti della delazione preliminare sono stati pubbli
cati nella raccolta del Custodi, e nelle opere dell'A. (ediz. Silvestri, Milano 1818>).
PBEFAZIONB. Wil

allora divisa in allreltante giurisdizioni, quante erano le provincie ohe


componevano il ducato di Milano, e in ciascuna giurisdizione si esigeva
un dazio. Perci la circolazione del commercio era ad ogni Irallo vin
colata , e perfino kO erano talvolta i pagamenti , cui soggiaceva una
sola merce. Era tanto mal calcolata la tariffa, che in pi di 300 casi i
rappresentanti la Ferma generale aveano da quella receduto, e si erano
accontentali di percepire un tributo minore di ci che portava la legge,
per non annientare molti rami di commercio , e deviar tutti i transiti
dallo Slato . La riforma, di cui pi tardi , nel 1774 , egli pre
sent il progetto , distrusse tutte quelle giurisdizioni ; e Verri sog
giunge il Custodi ottenne la gloria di aver applicato al multiforme
tributo indiretto quella regolarit di principii, e quella semplice unifor
mit, cui era stalo gi ridotto dal presidente Neri il censo delle terre ;
e come questa fu l'epoca del risorgimento dell'agricoltura, del pari la
nuova tariffa il fu per l'industria e per il commercio-.
Il supremo Consiglio di Economia, di cui gi Beccaria era stalo no
minalo Membro nel 1 7 7 i , un anno appresso fu mutato nel Magistrato
politico Camerale, preseduto dal conte Carli , ed alla sua morte da
Verri .
Beccaria continu la sua ufficiale carriera sino al 1796 , epoca
della sua morte , dopo essere stato ancora nominato Membro della
Giunta per la riforma del sistema giudiziario, nel 1791. Trascorse*
tutto quel tempo in una vita solinga , interamente occupata de' suoi
doveri di ufficio, e solo interrotta da un viaggio a Parigi, nel 1776 ,
dove si trattenne circa 3 settimane , accoltovi da d' Alembert e dagli
altri molti suoi ammiratori, ed al ritorno vide Voltaire nel suo castello
presso Ginevra, e ne fu festeggiato. Non ci ha lasciato di quell'epoca,
che le sue Consulte sugli affari pi gravi , delle quali il Governo , che
grandemente le apprezzava, il richiese assai spesso. Due o tre se ne
pubblicarono posteriormente , e fra esse una sulla riforma del si
stema monetario , e un' altra sulla costruzione di un campione per la
riforma delle misure.
Verri in quel periodo fu molto pi attivo. Anch'egli fece una Con
sulla intorno a monete, ricalcata sulle medesime idee che entrambi ave
vano spiegate sin dal 1771. Continu a sorvegliare e dirigere i suoi
lavori di statistica finanziaria. Scrisse sulla Felicit e sull' Indole del
piacere , due opuscoli , che se non riescono affatto graditi a' metafisici
puri, hanno pur nondimeno delle belle riflessioni, di cui l'Economista
medesimo pu giovarsi , soprattutto nel determinare il concetto filoso
fico de' Bisogni. Nel 1796 pubblic le Riflessioni su le leggi vincolanti
nel commercio de' grani, scritte gi sin dal 1769, ed una delle migliori
produzioni che si abbiano su questo argomento , di cui fu tanto preoc
cupala la seconda met del secolo xvtu. Gi 13 anni innanzi . aveva
Earnmii. Tomo l!I. H.
XVIII FERRARA

dato alla luce un primo volume di Storia di Milano (1), e nel 1787,
le Memorie , dedicate al Coudorcet, sulla vita di Paolo Frisi, antico ed
intimo amico di lui e di Beccaria , matematico di fama , e morto nel
1784. Lasci inedito un bell'opuscolo sulla tortura, nel quale si rive
lavano le truci particolarit del famoso processo degli untori all' epoca
della peste del 1650 (2). Inedite rimasero pure, e furono poi pubbli
cate dal Custodi sotto il titolo di Memorie, le Considerazioni sul com
mercio di Milano, quelle stesse da cui avea cominciato la sua carriera
ne' pubblici affari ; e che , di mezzo alla loro forma troppo negletta , e
malgrado la troppa concisione con cui sono esposte , lasciano pur non
dimeno ammirare la moltiplicit e la profondit delle ricerche che lo
misero in grado di scriverle.
Inedite rimasero finalmente alcune memorie sulle riforme governa
tive del 1786, e sullo stato politico del Milanese nel 1790. Ma allora
egli era uscito dagli affari pubblici, perch, sin dal 1786 , stanco,
come sempre avviene ad uomini di buon volere , delle sorde cospira
zioni , che gli antichi nemici delle riforme da lui operate nel sistema
finanziario , e i nuovi ambiziosi gli tessevano intorno per attirargli la
disgrazia della Corte , chiese a Giuseppe II , ed ottenne la sua dimis
sione , nella quale per altro si giunse a fargli il torlo di negargli l' in
tiera pensione di riposo, per pochi mesi che ancora mancavano a com
pire il periodo sacramentale di 25 anni di servizio.
Ne' mutamenti del 1796 fu strappato di nuovo al suo ritiro , e
chiamato a far parte del Municipio ; ma l appunto , il 28 giugno del
1797, colpito di apoplessia, spir in et di 69 anni,
Beccaria e Verri , son due nomi di cui l' Italia oggi giustamente
orgogliosa, e di cui sarebbe soverchio il ripetere ci che tutti cono
scono. Bisogna pur dire che l'Italia noi fu altrettanto, sino a pochi anni
addietro, e specialmente di Verri ; che, quanto alla mondiale celebrit
di Beccaria, l'indifferenza de' suoi compatriotti non sarebbe bastata ad
affievolirla. Ma il conte Verri, se non un classico economista, per
uno di quegli uomini che , per ampiezza di sapere , per dirittura di
mente , per operosit instancabile , per purezza d' intenzioni , starebbe
allato a Sully, a Colbert, a Turgot, se invece di avere agito nelle strette
dimensioni del ducato di Milano avesse avuto per patria un gran regno.
ben da soggiungere che gli stranieri medesimi sono stati giusti

() Il secondo volume fu appena cominciato a stamparsi dall'A., e venne continuato


dopo la sua morte dal can. Frisi, fratello del matematico.
(2) Erano state scritte nel 176i, e rifatte nel 1777. n Ma per mala sorte, suo padre era
presidente di quel collegio di supremi giudici, che f i7 anni prima avea dato un si atroce
esempio d'ignoranza e di crudelt nel legale assassinio di tanti innocenti. Si credette che
l'estimazione del Senato potesse restar macchiata per la propalazione dell'antica infamia.
Questo riflesso prevalse, e Verri, per rispetto del padre, rinunzi all' idea di dare alle
stampe lo sue Osaorvazioni . Custodi.
PREFAZIONI!. XIX

verso di lui, pi giusti forse di quanto il rigore di una sana critica per
metteva. E la stessa Milano, sebbene un po' tardi, ha finalmente ripa
rato il suo torlo. Nel 1844 Verri fu, com' noto, il soggetto d' un'a
poteosi: le sue biografie si moltiplicarono e si diffusero (1) ; l'inaugu
razione della sua statua fu fatta davanti al Congresso degli Scienziati
Italiani (2).
Pi forse che l'indifferenza del pubblico contemporaneo, e che l'o
blio della generazione sopravvissuta a Verri , da deplorare la gelosia
da cui vennero le animosit con le quali un uomo , illustre egli pure ,
il conte Carli , lo amareggi. Sventura non rara nella repubblica delle
lettere, soprattutto in Italia ! Noi abbiam dubitato se si dovessero, in
questa nuova edizione delle Meditazioni di Verri , ripubblicare le note
del Carli; e se esse non avessero, in molti casi, provocato una replica
dell'A. che non conveniva di trasandare, noi ci saremmo appigliati al
partito di dare il tosto dell'opera come in origine usc dalle mani del
Verri. Il lettore decida se ne' ragionamenti del comentatore sia pos
sibile non iscoprire segni palpabili di qualche cosa che , lungi dall' es
sere , come talvolta piaciuto di dire , profondit di dottrina , sarebbe
cecit di segreti rancori. Che se poi le annotazioni del Carli si doves
sero accettare in tutta la buona fede di una sincera coscienza, noi non
dubiteremmo di dedurne che il Verri sarebbe tanto superiore al suo
secolo, quanto il miserabile sistema economico del suo annotatore al
di sotto delle verit sulle quali n anco il dubbio possibile pi per
messo all'Economista (5).

(1) Di Verri abbiamo molte biografe, ma son tutle fondate su quella che il Custodi
premise all'edizione delle sue opere economiche, e che si distingue da tutte le altre. Egli
medesimo attinse all'.EJo<jt'o primitivamente stampatone da Isidoro Bianchi. Un'altra Ora
zione in lode di Verri fu fatta nel 1818 dal prof. Adeodato Ressi (Pavia). Si pu consul
tare quella del Pecchio; e le due di tigoni, una nella sua Letteratura italiana ecc.,
l'altra nella Biografia universale. L'Elogio di P. Nessi (1844), e l'articolo della Rivista
Europea (settembre 1844) a proposito dell'edizione Ubicini, non hanno che pochissima
importanza.
(2) Il monumento a Verri fu fatto eseguire al Fraccaroli, e la spesa fu fatta per so-
scrizioni volontarie. Vi si legge l'iscrizione seguente :
filosofo 1st0ri0craf0
cerc e scrisse il vero giovevole a tutti
magistrato di rettitudine e di zelo
con sapienza operosa e consiglio magnanimi)
prosper la patria e lo stato.
italiani e stranieri
all' como benemerito degli uomini
eressero in milano pubblica statua
l'anno mdcccxliv
presente plaudente
il vi congresso scientifico
dell'italia.
() Sui segni che distinguono le annotazioni e le repliche, si veda YArrertimenlo a
pag. 546.
X FERRARA

III.

La vita breve e tranquilla di FILANGIERI esposta in quelle poche


parole che gli scrittori di essa han copiate a vicenda, e che noi trar
remo dal Pecchio.
Nacque in Napoli il 18 agosto del 1752. Essendo il figlio terzo
genito d'un'antica famiglia, dovette subire il destino de' cadetti, e fu
dai genitori destinato alla carriera militare. Nel 1768 aveva il grado
d'alfiere. Ma l'inclinazione per la vita letteraria prevalse in lui, e ai
17 anni abbandon quella carriera per darsi agli studi. Ai 19 anni
abbozz il piano d'un'opera sulla pubblica e privata educazione, indi
quello di un'altra sulla morale de' Principi; ma le meditazioni fatte su
questi due argomenti non servirono che a somministrargli alcune idee
per la successiva opera della Legislazione. Quando suo zio venne pro
mosso all'arcivescovado di Napoli , egli venne assunto al servizio della
Corte, ma la Corte n l'abbagli, n il corruppe. Nel 1780 pubblic i
due primi volumi della Scienza della legislazione; nel 1785 ne pub
blic altri due volumi; e tre successivi ne pubblic nel 1785, essen
dosi ridotto alla sua villa della Cava all'oggetto di occuparsi a quelli
con maggior tranquillit. In seguito nel 1787 fu eletto dal Governo
Consigliere di finanza. Indefesso nelle cure dell'amministrazione e negli
studi, logor talmente il vigore della sua robusta salute, che nel 1788
fu costretto a ritirarsi alla campagna in Vico Equense, ma senza frutto.
Soccombette col nella notte del 21 luglio dello stesso anno, non avendo
ancor compito l'et di 36 anni .
Della sua opera in generale, a noi non preme di giudicare. Egli
non si propose di prendere un posto fra gli Economisti; ma le Leggi
politiche ed economiche, che noi riproduciamo, e che formavano il se
condo libro della Legislazione, potevano star da s e furono perci dal
Custodi comprese nella sua Raccolta degli Economisti Italiani. D'allora
in poi Filangieri fu messo in riga con Verri e con Beccaria, e divenne
autore anch'egli di un Trattato economico che escludere non si poteva
dalla nostra Biblioteca, e sul quale necessario che i nostri lettori si
formino un concetto alquanto pi preciso di quello che possa nascere da
molti ed indigesti giudizi che ne furono dati sin qui.

Finalmente, in quello stesso periodo in cui abbiam veduto sorgere


Genovesi, Verri, Beccaria, e Filangieri, viveva a Venezia una strana
intelligenza, universalmente ignorata, e lieta ella stessa del farsi igno
rare, non per modestia, giacch giudicava le sue dottrine migliori
di tutte quelle degli altri ; non per orgoglio od invidia , giacch
voleva comunicare le sue dottrine a que' pochi che credeva disposti
PREFAZIONI!. XXI

a riceverle , ma perch conosceva che, trattandosi di economia co


mune , questa disposizione a que' tempi era in pochissimi ; a que'
tempi ne' quali un popolo di studiosi, fatto un zibaldone di economia,
di ricchezza, di politica, e di letteratura, confondevano e corrompevano
P une coli' altre di tutte queste , e in luogo di insegnare e promuovere
il possibile e il vero , insegnavano e promuovevano l' impossbile e il
falso . Si chiamava Giammaria Ohtes. Nato neH713 da un ricco ne
goziante di cristalli , fu dapprima monaco Camaldolese e discepolo di
Guido Grandi, del quale pubblic la vita; poscia, alla morte del padre,
e per le cure di famiglia a cui era chiamato, ritorn al secolo, bench
avesse gi professato ; pi tardi , e perduta la madre , viaggi in In
ghilterra ed in Francia, e finalmente, ruinatisi gli affari della sua casa ,
si ridusse in patria a vivere una vita pi che modesta , e tutta occu
pata in contemplazioni d'un ordine oltremodo trascendentale. Parecchi
libri furono successivamente da lui pubblicati (i) , ma non ne aveva
distribuito che pochissime copie a pochissimi amici ; tra i quali, otto o
dieci, lo dice egli stesso, in Firenze, niuno in Venezia , ne presero un
tal quale interesse ; il rimanente lo giudicarono un visionario , o chia
marono vani ed ombratili i suoi studii , inutili , inopportuni. I compi
latori delle Novelle letterarie lo trovarono strano, oscuro , e di viste ri
strette. L'autore, indispettito sempre pi, si sentiva raddoppiata la sua
tendenza all'isolamento; e fermo nella sua massima di non pubblicare
a tutti ci che egli credesse di scrivere per suo diletto , giunse silen
zioso al 1790, in cui mor, sconosciuto al segno che, se si eccettuano
pochissimi fra i suoi concittadini , niuno sapeva che un Ortes scrittore
fosse mai esistito , quando , nel 1804 , il Custodi annunzi la stampa
delle sue opere come quelle di un autore originale, profondo, e rivale
de' pi illustri stranieri .
gli I - I..!! I I-I...I !!
(i) Eccoli in ordine cronologico:
Vita del padre D. Guido Grandi, abate Camaldolese. Venezia 1744.
Riflessioni sopra i drammi per musica, con una nuova azione drammatica. 1750.
Saggio sulla filosofa degli antichi, esposto in versi per musica. 1757.
Calcolo sopra il valore delle opinioni e sopra i piaceri e i dolori della vita umana.
-1757.
Riflessioni sugli oggetti apprensibili, sui costumi, e sulle cognizioni limane per rap
porto alle lingue. 1775.
Errori popolari intorno all'Economia nazionale, considerati sulle presenti controversie
fra t laici e i chierici in ordine al possedimento de'beni. 1771 .
Dell'Economia nazionale. 1774.
Sulla religione e sul governo de'popoli. 1780.
Dei fidecommessi a famiglie e a chiese e a luoghi pii, in proposito del termine di Mani-
morte introdotto a questi ultimi tempi nell'Economia nazionale. 1784.
Ragionamento sulle scienze utili e sulle dilettevoli per rapporto alla felicit umana.
1785.
Della popolazione. 1 790.
E ci olire ari una grande quantit di lettere inedite clic il Custodi raccolse con dili
genza religiosa, e delle quali noi ristampiamo quelle die fonnan contento all'Economia
nazionale.
XXIt FERRARA

Il Custodi aggiunse una larga Notizia sulle varie opere di Orles,


nella quale tent di far sempre spiccare questo suo primo giudizio; ma
la lettura dell' opera non sembra che sia riuscita a far trapassare nel
pubblico italiano il concetto di questa suprema importanza che quel
benemerito editore milanese vedeva ne' lavori , o se si vuole , nel si
stema del pubblicista veneziano.
ben raro che gli scrittori del nostro secolo abbiano sentito il bi
sogno di ricorrere alle teorie di Ortes, e rarissimo che lo abbian citato,
quantunque in mezzo alle sue astrusit non manchino de' lampi che con
mirabile concisione esprimano un profondo e vivace pensiero (1). Si
spesso , come si suole , nominato come un precursore di Malthus , e
come una gloria italiana, senza ben darsi la pena di esaminare se questo
giudizio, macchinalmente attinto alla biografia scritta dal Custodi , era
poi realmente fondato sopra buone ragioni. Pecchio forse il primo che
abbia ben letto l'opera di Ortes, e il suo giudizio rivela il contrasto che in
lui svegliavano la coscienza d economista e il sangue italiano. Tra gli
stranieri, il giudizio di Blanqui un po' incerto, e quello di Ganilh non
era stato menomamente lusinghiero.

IV.

Son vari i titoli su cui ragionevolmente si possa, e su cui si suole


appoggiare il giudizio del merito o demerito d' uno scrittore di Econo
mia ; ma il primo , se non in ordine logico , almeno sicuramente in
ordine di pratica importanza , la bont del sistema governativo che
le opinioni dello scrittore tendano a giustificare e volere.
Ora sorprendente il vedere che noi Italiani, nella foga delle no
stre esagerazioni, abbiamo pi d'una volta mostrato o d'ignorare qual
fosse il sistema governativo preferito da' nostri scrittori, o d'ignorare
quanto valesse. L'abbiamo affatto sconosciuto quando e fu mille
volte per appoggiare una teoria, come quella della libert, abbiamo
invocato l'autorit di nomi che o non difesero la libert, o ne difesero
una, che oggi troveremmo illusoria; abbiamo ignoralo quanto valesse,
nelle tante altre volte in cui contro le cresciute idee del secolo xix
opponevamo le massime d'un secolo indietro, e le rendevamo impo
nenti collocandole sotto l'ombra di nomi, per cento altri titoli rispet

ti) Un esempio fra tanti. Si sa chi, pubblica Novelle letterarie dee adottare la
letteratura che pi in corso, dee mostrarsi unito ai letterati di gran riputazione, e dee
adulare i sovrani fino a chiamarli filosofi. La mia letteratura da questa diversa, mentre
coi letterati di maggior riputazione non mi trovo molto d'accordo; e finche i sovrani go
verneranno i popoli coll'armi, per me non saran mai filosofi, non eccettuati il gran Fede
rico ed il gran Giuseppe, sovrani invero rispettabilissimi, ma non filosofi : i filoso/i non
mantengono truppe .
PREFAZIONE. XXIII

labili e cari, ma di nessun peso in una materia sulla quale non ebbero
che lampi di verit in mezzo ad una nebbia di pensieri indigesti.
Un equivoco in cui si doveva naturalmente inciampare leggendo
a balzi, o di volo, o non leggendo affatto talvolta, i libri di cui si pre
tendeva saper profferire qualche superbo giudizio, era quello di la
sciarsi ingannare da pensieri isolati e perder di vista l'insieme della
teoria, con la quale que' pensieri o non avevano un vincolo o erano
in contraddizione diretta.
Genovesi, Beccaria, Verri, e Filangieri, son essi, come tante volte
ci occorre d'udirlo, campioni decisi delle economiche libert? Nulla
s facile quanto il dimostrare che il sieno a chi non abbia mai letto
le loro opere.
Genovesi ha detto: il commercio di natura s delicata e ritrosa,
che, come le tenere piante, di niente ha maggior paura, quanto del
gelo delle oppressioni ; gli pi necessaria la libert che qualunque
maniera d'aiuto; libero, vien su bello e rigoglioso, e si protegge da se
medesimo; senza libert non alligna (1). Un tratto della provvi
denza divina, ha soggiunto, questo dell'aver voluto che gli uomini
dipendano gli uni dagli altri, e che vi sia prima tra famiglia e fami
glia, poi tra villaggio e villaggio, tra citt e citt, tra nazione e na
zione, uno scambievole legame di perpetuo interesse. Nel commercio
vi ha corpo ed anima , e per condizione della sua piena esistenza vi
dev'essere la libert. Annientate le cose permutabili, avrete annientalo
il corpo. Annientate il Consumo, avrete annientalo l'anima. Ma lasciate,
se pur si pu, il consumo, e rendete difficile , implicato, lento il
corso, voi avrete annichilato la libert (2).
Beccaria non fu cos esplicito; ma Verri, che divideva la pi gran
parte de' suoi principii, ha dato al principio di Genovesi un aspetto
ancora pi generale. Per lui, non nel solo commercio, ma in tutle
le umane azioni, che il bisogno della libert si manifesta; ogni limi
tazione dell'attivit umana un passo che tende direttamente a distrug
gere la societ, perch ne scema l'annua riproduzione ; perch, ad ogni
soverchio esercizio del potere governativo sugli uomini, s'indeboliscono
le idee morali nel popolo, si rende dapprima timido, poi simulato, poi
inerte, e si finisce collo spopolare il paese (3).
soverchio il citare qualche passo di Filangieri. La libert ge
nerale dell'industria e del commercio; tutto quello che la favorisca;
nulla di quello che possa nuocerle : questa la sua divisa , ed io
dovrei indicare com' eloquente lo squarcio in cui egli la domanda ai

(\) Vedi qui appresso, pag. 118.


(2) Ivi, pag. 323-4
(5) Ivi, pag. 578 e 582.
XXIV I'bRIURA

legislatori, se non fosse copiato da qualcuno de' tanti ebe si leggono


ne' lsiocrali.
Arrestandoci qui, rimarrebbe pienamente provato che appartiene
alla scuola italiana la gloria di avere inauguralo il principio d'eman
cipazione nella quale va in (in de' conti a risolversi l'ultimo consiglio
che la scienza abbia dato ai Governi ; e le glorie di Smith o Quesnay
ne sarebbero impallidite.
Ma sventuratamente voltando appena quella medesima pagina di
Genovesi, il lettore trover una prima avvertenza.
Vi sono di quelli che per libert di commercio intenderebbero
un assoluto potere di estrarre ed immettere ogni sorta di mercanzia
senza niuna restrizione, legge, e regola .
E noi, uomini del secolo 19, certamente la intendiamo cosi; ma
Genovesi ci avverte che questa licenza non libert; e la licenza
dannosa a' corpi politici come lo agli individui.
Andando alquanto pi innanzi, il professore napoletano fa chiara
mente conoscere che per commercio intendeva qualche cosa diversa
da ci che noi intendiamo, da ci eh'egli stesso pareva d'intendere in
quel momento nel quale ammirava il bel tratto della provvidenza di -
vina, che ha voluto legare le nazioni alle nazioni come l'uomo al
l'uomo.
Per commercio egli non intendeva che la circolazione delle derrate,
e la circolazione non era per lui che il loro viaggio dentro i confini
di un regtio. Or dunque ci ch'egli domanda non che libert di cir
colazione all'interno, e con l'espressa riserba che l'accordarla non of
fenda l'utilit dello Stato: perch sua massima che il commercio
debba servire allo Stato, non lo Slato al commercio!
Da qui, una conseguenza anche pi esplicita, e un paragone che
la renda evidente. Il commercio potr esser legato dagli ostacoli pi
odiosi, e l'economista continuer a ritenerlo per libero, tutte le volle
che la circolazione sia libera : esso come un generoso cavallo ; ogni
peso, anche minimo, che gli si ponga Ira i piedi, lo arresterebbe ; ma
i pesi pi gravi che gli si mettan sul dorso, purch non superino le
sue forze, non si potrebbero considerare come intoppi alla velocit del
suo corso (1). Il paragone, come ognun vede, potrebbe mostrare l'in
verso di ci che l'A. voleva; ma Genovesi ne fu soddisfatto e cred
aver provalo il principio, da cui le massime del protezionismo potevano
spontaneamente discendere.
Proibire l'estrazione delle materie prime che si possono lavorare
nel paese; od almeno non permetterla, se non in quella parte che
superi l'occupazione interna, la maggiore possibile (2); uno de' ca

vi) Vedi qui appresso, pag. 120, 121 e 348. (2) Ivi, pag. 108.
PREFAZIONE. XXT

noni fondamentali di questa libert che dee rispondere a' sacri decreti
della provvidenza, uno di questi pesi che si possono impunemente
far gravitare sul dorso al commercio.
Proibire l'uscita del danaro non sarebbe mal fatto, se per isvcn-
lura non fosse praticamente impossibile , se l'esperienza non avesse
costantemente provato che l'osservanza di queste leggi sfugge a qua
lunque precauzione e rigore (1).
Ma impedire direttamente od indirettamente l'entrata di tutto ci
che nel paese nasca o si lavori; direttamente, vietandola; indiretta
mente, attraversandola, principalmente (si noti la parola) con caricarla
di diritti d'entrata (2) ; questo un altro canone della medesima li
bert, dettato dal gran motivo di dovere impedire che le manifatture
vengano pian piano a languire, e la coltivazione delle terre a smi
nuirsi (3). Senza una tale precauzione, il danaro ricavato dalle arti
primitive andr ad alimentare gli Stati forestieri, lascer in secco il pro
prio (4), e ci costituir in un perpetuo stato di debito e dipendenza, dal
quale urgente di uscire (5) urgentissimo a chi consideri quelle
tante tele, que' merletti, que' galloni, quelle frange, que' drappi, quelle
manifatture di panno, di pelo, di seta, que' metalli, che Napoli riceve
dall'estero ; che non si comprende perch si debban ricevere, quando
si visto Venezia liberarsi in un attimo dal bisogno di comprare i libri
dall'estero , merc una semplice legge, con la quale rdn che fossero
tutti stampati all'interno, e proib a tutti l'entrata, salvo i pochi esem
plari destinati ai tipografi che dovevano ristamparli (6).
Una volta diretto su questa via, gli argomenti dovevano moltipli-
carglisi sotto la mano. La nazione che non frena l'irruzione dei
prodotti forestieri, che fa? Paga in contanti il bilancio. Da qui tre perdile
enormi: danaro perduto, traffico attenuato, e merci vendute a precipizio
per il bisogno di riavere un po' di contanti. Da qui disastri incredibili:
l'agricoltura e le arti decadono, la popolazione si scema, l'erario im
poverisce, le forze dello Stato si snervano (7). Lo spirito della pub
blica Economia, sta tutto in ci: che la nazione dipenda il meno che
sia possibile dalle altre , vicine o remote che sieno ; perch quanto
maggiore sar la sua indipendenza, tanto maggiore la libert, la ric
chezza, la forza (8). Bisogna che abbia due faccie il commercio, e
dall'una sia libero, schiavo dall'altra. Schiavo della gran legge d'ogni

(1) Vedi qui appresso, pag. 255.


(2) Ivi, pag. 108.
(3) Ivi, pag.U2, 331.
(4) Ivi, pag. 230.
(5) Ivi, pag. 153.
(6; Ivi, pag. 177.
(7) Ivi, pag. 260.
;8) Ivi, pag. 343.
VI FERRARA

nazione, salus publica. Non deve esser lecito ai commercianti n tutto


estrarre n tutto immettere. Ogni estrazione che indebolisce l'industria
REA DI MAESTA'; ogni importazione che nuoce alle arti domestiche
DisTRUGGE Lo STATo; ogni merce, ogni contratto, ogni traffico che viola
la fede pubblica, RovINA LA NAzioNE (1).
Del rimanente, Genovesi voleva libera l'estrazione, ma de' grani
o de' bovi; ma fino a che non fossero sorti a Napoli nuovi molini o
nuove concerie, a cui l'estrazione di quelle materie prime avesse potuto
far male. Libera, cio non vietata. Perch, malgrado tutto, voleva la
sapientissima scala mobile all'uso inglese; voleva de' dazi d'entrata e
d'uscita purch fossero moderati; voleva che in certi momenti si fa
vorissero le estrazioni a forza di premi, in certi altri si favorissero le
entrate a patto di riesportazione futura; che nel fissare le cifre della
tariffa si prendessero particolarmente di mira le manifatture di lusso;
voleva tutto ci che da due secoli e mezzo, da Bodino fino a Forbon
nais, da Mun a Stewart, da Colbert a Terrasson, da Eduardo lII a
Giorgio II, si era domandato, proposto, tentato, e preconizzato come
l'apice della sapienza economica. Ulloa edUstariz, Cary e Melun, ecco
le autorit sulle quali appoggiavasi, adottandone con religiosit scru
polosa le teorie, copiandone le parole.

Io non rammento in qual libro abbia letto una volta la dimostra


zione palpabile delle teorie di libert commerciale professate da Beccaria,
ma il passo che adducevasi in prova era, senz'alcun dubbio, quello che
il lettore pu riscontrare alla pag. 139 di questo volume, dove non
si potrebbe esprimere con maggior precisione ed energia il principio di
intima solidariet che lega gl'interessi degli uomini.
Da questo principio appunto la scuola di Smith ha dedotto che la
prosperit di un popolo prosperit di tutti, e che non pu esserlo per
l'uno e per gli altri, se tutti non si lascino fare e permutare secondo
l'impulso de' loro interessi.
La deduzione di Beccaria affatto diversa.
Egli ha, sull'estrazione e l'entrata delle materie grezze, le mede
sime regole di Genovesi; ma ci che mi riesce ben pi singolare il
vederlo appoggiato, non tanto sulle preoccupazioni del commercio attivo
e passivo, e del bilancio in contanti, quanto sullo spirito di rivalit tra
nazionali e forestieri, come se mai non gli fosse caduto in pensiero
quel santo e consolante principio che la ricchezza degli uni ricchezza
degli altri.
Alla pag. 176, son tutte esposte le ipotesi della materia prima.
Se ella cresce all'interno, se il forestiere pu venirla a comprare e far

(1) Vedi qui appresso, pag. 509.


PREFAZIONE. XXVII

concorrenza al manifattore nazionale, se pi abile a lavorarla, se pu


cedere il suo prodotto a miglior mercato che l'altro; in tutti questi
casi, ne' quali noi lo sborseremmo del nostro valore alla manodopera
forestiera, bisogna con ogni sforzo evitare che escano tali valori dello
Stalo . E perch si ottenga lo scopo, non si potrebbe e non si do
vrebbe far altro che proibire assolutamente l' uscita della materia
prima . Ma allora, la sua produzione ne sar scoraggiata, e per con
traccolpo ne seguir l'avvilimento della manifattura medesima ; e sor
ger V inestricabile contrabbando e Vingoiatore monopolio. Il rimedio
pronto: un dazio all'uscita. Con esso si saranno artifizialmente in
grandite , contro il manifattore straniero, le spese di trasporlo; la
materia coster per lui pi di quanto la pagheremo noi stessi, e nella
lotta il nostro paese riuscir vincitore.
Rovesciando l'ipotesi, s'andr naturalmente a scoprire che sia no
stro interesse facilitare l'entrata alle materie prime che ci si possono
offrire dall'estero , perch, lavorandole nello Stato , o il prezzo della
materia ci sar rimborsato dal consumatore straniero, o consumandola
fra di noi avrem guadagnato la manodopera.
Ed applicando gli stessi ragionamenti, sorger l'altra massima
fondamentale intorno alle manifatture : cio di aggravare l'introduzione
delle manifatture estere, ed alleggerire, o meglio lasciar libera del tutto
l'estrazione delle manifatture nazionali (i).
Vi ha dunque una prima differenza tra Genovesi e Beccaria, per
ch non vi caso in cui il secondo de' due ammetta le proibizioni
assolute che parvero indispensabili al primo.
Una seconda potrebbesi rinvenire in una tal quale raffinatezza che
Beccaria voleva apportare nel criterio della protezione, ed alla quale
attaccava,. ben da crederlo, un grande interesse, poich tre o qua tro
volte ebbe la cura di rammentarlo. Tra un'arte e l'altra volea preferita
ed animata costantemente quella, la cui materia prima meglio si com
binasse con altre colture; tra due arti, nelle quali l'esito del prodotto
dell'una si opponga al buon esilo del prodotto dell'altra, raccomandava
sempre quella la cui materia prima esistesse in paese. Cosi, se si po
tesse ridurre la seta ad un esito cos facile, e ad usi cos svariati, come
la lana, non si dovrebbe dubitare che si abbia da proleggere i gelsi pi
che le pecore; quantunque, alquanto pi sotto, l'autore trovi che sa
rebbe un pazzo consiglio il permettere che spatrii l'accostumato lino
per alloggiare il forastiero cotone ; e distruggere la popolazione de' nostri
gelsi, o dissipare le 14 5 mila vacche de' nostri prati, per moltiplicare
le pecore (2) .

(1) Vedi qui appresso, pag. 477-8.


(2) Ivi, pag. 440, 466, 482.
XXVIII FERRARA

In somma, qui il protezionismo men crudo e men grossolano, ma


integro sempre nel suo principio fondamentale ; e la scienza camerale
di Milano non ha da proporre alla corte di M. Teresa un reggime so
stanzialmente diverso da quello che Genovesi ha consigliato alla corte
di Napoli.

Verri accett pienamente egli pure il sistema, e lo credette s ovvio


e s ben dimostrato che gli bast di accennarlo. Un tributo sull'uscita
d'una materia prima pu essere un incentivo fortissimo ad accrescere
l'annua riproduzione col ridurla a manifattura. Un tributo sopra una
manifattura estera pu dar vigore a una simile manifattura interna. Io
non mi estender su questi elementi chiaramente sviluppati da vari
scrittori . . . . ma non credo che sia utile mai il proibire l'uscita di
alcuna materia prima, sebbene credo utile l'imporre a quell'uscita un
tributo .. . . . le leggi proibitive o vincolanti l'uscita avviliscono il
prezzo . . . . (1).
Verri diede unicamente un passo di pi. Egli mise l'ipotesi della
libert come un sogno, e conchiuse pe' dazi, sicuro che la piena
libert non che un sogno. Non diede n pur come sua quell'ipotesi:
E stato proposto il quesito, se qualora tutte le nazioni si accordassero
ad abolire le dogane, questo potere liberamente commerciare fra loro
sarebbe giovevole. Avea troppo buon senso per non rispondere: che
se mai fosse sperabile un accordo cos fortunato, nessun uomo vi sa
rebbe che volesse contraddire ad un'idea tanto provvida e umana, che
tenderebbe ad accrescere il numero de' nostri simili ed aumentare gli agi
della vita sopra ciascuno ; ma era troppo ligio al pregiudizio corrente,
per osare di sollevarsi fino a non credere che quella nazione la quale
adottasse ella sola un reggime di libert soffrirebbe colla massima
energia i mali che possono cagionare i tributi sulle merci, ed avrebbe
rinunziato all'utilit che se ne pu risentire (2). Il vaticinio di
Verri fallito in grande nell'esperienza dell'Inghilterra, ed era prima
fallito nelle modeste dimensioni di tutti i portofranchi del mondo; pur
nondimeno la teoria ancora vigente, e ad umiliazione degli uomini
liberi pu dirsi che sia la dottrina favorita delle tribune parlamentari.

Il sistema di Filangieri, in quanto a commercio interno ed esterno,


irreprensibile; e se egli avesse scritto all'epoca di Genovesi, le sue
dottrine gli darebbero un posto luminoso fra gli scrittori di scienza eco
nomica. La libert ch'egli invoca senza restrizioni. In tutto ci che i
Governi han fatto, sotto l'impressione, o sotto il pretesto, che la libera

(1) Vedi qui appresso, pag.569,570, 634, 636,


(2) Ivi, pag. 636.
PREFAZIONE. XXIX

esportazione potesse esser causa d penuria all'interno, Filangieri non


vide che la vera sorgente della penuria, la rovina dell'agricoltura,
l'annichilazione del traffico, la spopolazione del paese (-1). Difficilmente
la dimostrazione di questa verit si potrebbe meglio compendiare ,
del modo ch'egli lo ha fatto nel capitolo in cui passa in rivista i danni
che l'agricoltura ha da temere dall'azione del suo Governo. In
un altro capitolo posteriore, tornando a considerare il reggime del
commercio sotto l'aspetto de' dazii, tutta la politica del sistema protet
tore , in tutte le parti che la compongono, flagellata senza piet. Le
dogane, questa triste eredit raccolta dalle tradizioni dell'impero ro
mano, son da lui presentate come una multa all'industria ; e piange sulla
miseria dell'umanit, che ha tanto snaturato l'idea del commercio, da
ridursi ad accogliere com'oste nemica le pacifiche balte delle merci
straniere, e convertire l'innocente atto del cambio in un semenzaio di
frodi e corruzioni. Ogni volta che le considera in massa, e come dazii
indiretti, Filangieri trova qualche nuova frase per condannarle ; ed in
ognuna delle loro funzioni, quando tendono a colpire o la circolazione
od il consumo, o l'entrata o l'uscita, od il prodotto nazionale od il pro
dotto straniero, attacca di fronte tutti i sofismi da cui promanano, e
conchiude costantemente per una libert senza limiti. Quando egli
scriveva, le illusioni della politica mercantile eran tutte cadute, e la
sola che si reggesse era quella della protezione che le tariffe miravano
a procurare in favore delle interne manifatture. Miseri ed inetti po
litici qui egli grida con una delle declamazioni che tolgono tanta parte
di merito alla sua celebre opera questa l'ancora sacra alla quale
voi ricorrete .... Ma non sapete voi forse che quando meno si veude
a voi, si comprer meno da voi? . . . (2).
Filangieri, non solo puro, in questo argomento , dalle velleit
di Genovesi, di Verri, e di Beccaria, ma va molto pi lungi dal punto
a cui si arrestarono poscia i liberisti moderni. Egli il poteva, come
prima di lui lo poterono i Fisiocrati, di cui Filangieri adott il prin
cipio dell'unica imposta sopra la terra. La quistione delle dogane non
era pe' Fisiocrati e pe' loro seguaci, come spesso per noi, un pro
blema finanziario ; concepita una volta l'idea che questi dazii indiretti
riescon funesti all'economia delle nazioni, la loro totale abolizione non
avrebbe incontrato il menomo ostacolo nel bisogno di sovvenire alla
massa delle pubbliche spese; la terra, il suo reddito netto, sarebbe a
tolto bastato.
Ripeto che se questi principi! fossero originali, Filangieri sarebbe
gi un caposcuola. Ma se il lettore riflette che al 1783, la piena li

ei) Vedi qui appresso, pag. 688-9,


(2) Ivi, pag. 718-10, 74n-(-8.
XXX EEBRABA

berla di commercio era una teoria esposta, dibattuta, applicata a tutte


le specialit, in circa 200 opere fisiocratiche, non gli far meraviglia
incontrare in Italia una voce eloquente che la difenda ; e se qualche
cosa vi ha che possa sorprenderci, il vederla mescolata un momento,
e nel medesimo libro, con qualche reminiscenza dell'antico sistema:
il vedere che l'autore medesimo, alla distanza di poche pagine, abbia
s ben descritto da un lato la solidariet degli umani interessi, ed ahbia
dall'altro pagato il suo tributo al vecchio pregiudizio della bilancia
ponendo come grande scopo della legislazione economica il procurare
che nella permuta delle derrate la quantit di quello che si cede su
peri la quantit di quello che si riceve, affinch ci che resta sia pa
gato colle ricchezze di convenzione (danaro), V introduzione continua delle
quali, allorch moderata, far sempre pendere dalla parte nostra
la bilancia della ricchezza relativa delle nazioni (1) .

Le ristrette vedute, che dirigono le idee di Verri e Beccaria intorno


all'esterno commercio, non son, per altro, di accordo co' principii da
loro spiegati circa all' interno reggime dell' industria. Chi avvezzo
oggi a riflettere sulla concatenazione delle idee che compongono la
moderna Scienza , si attenderebbe di trovare le teorie pi -anguste in
quell' autore che abbia sostenuto 1' utilit de' vincoli alle importazioni
dall' estero, ed espresso le sue simpatie verso il bene supremo d' una
bilancia favorevole nel commercio. Pur nondimeno, non cos. Geno
vesi il solo che si sia religiosamente tenuto attaccato a tutto ci che
possa far pesare di pi la mano della Provvidenza governativa sopra
l'industria; Beccaria, Verri, e Filangieri, han tutti rinnegato, con
lenuissime differenze fra loro, l'efficacia di questa suprema protezione,
che pure i primi due con tanta fiducia invocavano in quanto all'e
sterno commercio.
11 lettore potr vederli perfettamente d' accordo a condannare le
corporazioni degli artigiani , e come colpevoli di aver costipato in po
che mani l'esercizio de' varii rami d'industria, e come causa di nuovi
ed inutili pesi all'uomo laborioso, e come un ostacolo allo svolgimento
delle facolt industriali, e come sorgente di lotte fra corpi e corpi, fra
corpo e membri, e come causa di valori dissipati, di tempo perduto,
e come solenne e completa delusione di tulle le belle speranze di or
dine e di progresso che ne suggerirono la prima istituzione.
Verri non ammette che una sola eccezione, in fatto di farmacisti,
e per motivi di pubblica sanit che egli dichiara collocati al di fuori

(t) Vedi qui appresso, pag. 71 3, 721.


PREFAZIONE. XXXI

della sfera economica. In ogni altro caso , domanda la pi ampia li


bert all' esercizio delle vocazioni individuali. L'industria impacciala
da' privilegi di corpi, a lui non pare che un albero, artificiosamente
annodato nelle angustie de' nostri giardini , e destinatovi a vegetare
stentatamente e languire, perch l'aria e lo spazio dell'aperta cam
pagna gli mancano , a sciorne liberamente V umore e rinverdirne le
foglie.
Beccaria presenta come uno fra gli ostacoli pi potenti che pos
sano attraversare la prosperit delle arti, le infinite formalit di esami,
patenti, permessi ecc. , che, sotto il reggime delle corporazioni, ac
compagnano il tirocinio e l'esercizio delle arti; e Filangieri giustamente
vi nota il marchio di schiavit che tacitamente s'imprime nell'uomo,
e il monopolio che si crea a favore dell'operaio agiato, e contro il po
vero, condannato a restare fuori del Corpo, per poco che la limitazione
de' suoi mezzi non gli permetta di far fronte alle assurde imposizioni
che il mestiero privilegiato impone ai suoi membri (1). L'accordo
del pari perfetto intorno alla condanna de' monopolii o privilegi, verso
i quali le scuole moderne sono state pur nondimeno indulgenti. In
ci io non temo di dire che si sia indietreggiato. Gli economisti Ita
liani sono, vero, ben lungi dall'avere portato in questo argomento
la copia e il rigore delle prove giuridiche, di cui lo arricch Carlo
Compte ; ma la sicurezza con cui respingono ogni maniera di privile
gio , la franchezza con cui disprezzano tutti i sognati vantaggi che se
ne operano , mi convince che nessuno de' tre , se vivesse ai nostri
tempi, avrebbe ammesso la teoria de' brevetti, nessuno avrebbe tol
lerato in pace lo scialacquo che se ne fa nella legislazione francese e
nelle sue derivazioni , e nessuno forse oso pure di crederlo
avrebbe partecipato alla strana aberrazione che, sotto il manto di pro
priet letteraria , e col pretesto di custodire 7 pi sacro fra i dritti ,
ha sostenuto e radicato ognidove ci che nel linguaggio di Bastiat va
chiamato il peggiore de' monopolii, ci che per me non pu essere che
la teoretica negazione della libert del lavoro.
Con un poco pi di energia, Verri avrebbe potuto spingere la sua
dottrina fino al sistema de' premii, verso i quali, d'accordo ancora con
Beccaria, egli non ha saputo nascondere una speciale predilezione che,
se non pu dirsi perniciosa , non rivela n anco un' estrema coerenza
d'idee. Forse bisognava aver preso le mosse da diversi principii per
non trovarsi sorpreso dall' illusione sotto cui a prima giunta si offre
P innocente azione de' premii ; ma Carli non partiva da premesse pi
pure, e Carli annotando il passo di Verri, fu capace di accorgersi che
il reggime del premio ancora pi tristo che quello del privilegio (2).
(\) Vedi qui appresso, pag. f7'i, Siiti, 1\\.
(SJ Ivi, |Mg. 576.
XSXH FERRARA

Ad ogni modo, questa parte dell'interno reggime irreprensibile


nel sistema de' nostri autori, che la trattano costantemente con segni
tali di convinzione da rendere inconcepibile l'incoerenza da cui furono
trascinati a gettarsi nelle assurdit della doganale bilancia. Una sola
spiegazione pu darsene. Le quistioni speciali delle corporazioni e de'
monopolii si presentarono avanti a loro con un si largo corredo di
esperienza e di discussioni , che bisognava un' alla ignoranza per ac
cettare le assurdit dell'antico sistema ; la quistione delle dogane, in
vece , non potea che dedursi da un esatto concepimento dello Slato e
delle sue funzioni, e qui i nostri autori peccavano.
Perch, malgrado la generosa politica da loro adottata sulla libert
dell'industria, ci che sempre nelle opere loro predomina, l'idea di
un Governo, moderatore, attento, affannato, responsabile di tutti i
sospiri degli uomini inginocchiati davanti a lui. Era l'idea che predo
minava nel secolo, e che predomina ancora oggid, fuori la sfera pu
ramente e sanamente economica. Di massime generali intorno all'in
dole de' Governi, accettabili anche oggid, il volume che presentiamo
al lettore senza dubbio abbonda ; ma appena l'autore si attenti a svol
gerle od applicarle, ne risorge sempre l'idea di uno Stato, la cui fun
zione quella di soffocare i suoi sudditi per troppo carezzarli e curarne
le sorti. Filangieri si cre un giusto-mezzo , e imagin la scienza di
un giusto e difficile mescuglio nel quale entrerebbero a dosi uguali
V attenzione e l'abbandono, Y ingerenza e la libert; ma cercando un
punto di paragone all'azione del governo sui popoli, noi seppe trovare
che in quella dell'uomo adulto sul fanciullo inesperto, che, se curato
di troppo, perder ne' trovati dell'arte i doni della natura, e se troppo
negletto, perder fra i vizii dell' indole umana i germi della virt. Io
non saprei formolare 1' ufficio della pubblica Autorit in termini pi
ristretti insieme e pi precisi, di quello con cui si conchiudono le
Meditazioni di Verri ; ma torno una pagina indietro , e l m' incontro
in un passo nel quale mi s'insegna che, in fatto di riforme economiche,
vuoisi impeto, prontezza, risoluzione di un solo, dittatura e dispotismo:
proposizione , sulla quale il filosofo milanese avrebbe probabilmente
l'assentimento de' pi energici riformatori moderni; opinione alla quale
io non apporr la mia firma, ma che qui non discuto; opinione bens
che m' importa di ricordare , perch si possa da lei sola raccogliere
come la metafora dello Stato era, fino per Filangieri e per Verri, de
stinata ad esprimere qualche cosa di sovrumano e di prepotente, e l'idea
del Governo era sempre la commedia d'una tutela, nella quale la parte
del pupillo sia serbata alla nazione.
Questo un tarlo che sordamente ha roso le loro opere. Mi asterr
dall'accumulare in un punto le citazioni di passi che il lettore avver
tito potr da se stesse incontrare. Ai tempi in cui scrissero, l'argo
l'IUM-AZIONf. , XXXIII

mento era quasi vergine e fresco , e il radicale difetto de' loro libri
non si lasciava sentire. In due terzi di secolo , il tarlo ha fatto gi il
suo lavoro di distruzione , e l' occhio dell' osservatore ammaestrato
dalle lezioni dell'esperienza. Abbiamo largamente sperimentalo le con
seguenze di quel falso concetto, e sappiamo a qual destino chiamato
un popolo quando in fronte alla sua legge fondamentale abbia scritto
parole che dividono con un abisso frammezzo la nazione e lo Stato. A
misura che pi si maturano i tempi , pi si corrode il sistema ; e si
pu con sicura coscienza vaticinare che questo solo difetto occulto, pi
che qualunque errore sensibile, baster perch le opere de' nostri eco- .
nomisti si trovino fra non molto completamente sdrucite, nel corredo-
delia Scienza, bench la gloria de' loro nomi sia destinata a passare in
mano alla Storia, sempre splendida ed onorata.
Il vaticinio non menomamente applicabile a Genovesi. Il suo
libro nacque decrepito. Tutto l'ordine, la chiarezza, la vivacit tal
volta, dell'esposizione, il sussidio de' fatti e delle citazioni, non vale a
purgarlo della macchia di cecit con cui raccolse e si affann ad ordi
nare i pregiudizii pi comuni dell' epoca. Questa sentenza parr pro
babilmente un po' cruda. Ma uno scrittore napoletano, pochi anni ad
dietro, intraprese un confronto tra i quattro economisti italiani di cui
parliamo ; e malgrado la decisa superiorit che ogni mediocre buon
senso sar disposto a concedere a Verri , gli onori del trionfo furono
senza esitazione dispensati al professore napoletano. Poscia il paragone
fu istituito tra Genovesi e Smith; e rimase evidentemente provato, che una
fatale aberrazione quella da cui il mondo si mosso a venerare ne?
modesto filosofo scozzese il fondatore d'una Scienza, che Genovesi trasse
dal nulla e lasci compiuta! Cos ha giudicato il cav. Lodovico Bian
chini (I). Era indispensabile il ricordarlo nel momento di dovere sog
giungere che Genovesi, oltre all'avere in comune con Verri e Beceari?..
tutte le preoccupazioni della bilancia e della protezione,
domanda che le corporazioni di arti sieno ritornale allo slat<o in
cui furono concepite affinch niuno potesse professare arte v eruna
se prima non vi fosse matricolato, e niuno possa essere matricolalo
senza certe condizioni di costume e d' ingegno (p. 2ft5);
domanda che si riguardi e si punisca come pubblico d eUtto ogni
contravvenzione a quelle leggi che saviamente stabilirono) jna comune
ed immutabile tariffa, di materia, di forma, di peso, di to' isura di la
voro, di colori, ecc., in ogni traffico interno od esterni* (t(nV
domanda privilegi alle arti ; e poich sa egli piar* . cne l' effetto
immancabile del privilegio quello di scoraggiare b spirito generale
della nazione, e depravare le arti medesime, lo vw je dj tal natura

(1) Lo scienza del ben vivere Sociale.


Econom. Tomo III. C.
XXXIV FERRARA

che abbracci, o immediatamente, o mediatamente, una gran parte


della nazione: quindi, tutti i favori accordati alle arti della lana e della
seta in Napoli, non erano un male se non in quanto non erano gene
rali, come se l'idea del privilegio non escludesse di sua natura la
generalit del favore (1): quindi non sa nascondere la sua tenerezza
verso le compagnie di commercio (p. 1 lili);
domanda facile dopo ci indovinarlo una profusione di
premi; ne vuole per gli inventori di nuove macchine, pe' perfezio
natori delle antiche; per chi, viaggiando ne' paesi culti, strappi loro
il segreto delle loro arti; per chi si distingua in un particolare me
stiere; ne vuole di semplice onorificenza, e di interesse sostanziale;
invoca il concorso delle feste agrarie e de' riti religiosi; ne appella
alla sapienza del governo cinese, a Kuperl, a Solimano, a Pietro il
Grande; e ci assicura che il seguirne gli esempi mezzo infallibile
di prendere un posto tra le pi culte e le pi illustri nazioni della
terra (p. 101 e seg.)
E che mai Genovesi non potea domandare allo Stato, dopo avere
imaginato che l'arte del governo un'agricoltura politica, e il corpo
politico una vigna ? e che per ottenere un governo-modello gli uo
mini bisogna che si apparecchino ad essere sbarbicati come mal'erbe,
spiantati da un luogo e ripiantati in un altro, sottomenati come vecchi
ed appassiti, innestati come selvatici, potati come lussureggianti e di
fesi da siepi, da fossi, da mura? (pag. 26).
Mirando a questo fine, s'intender agevolmente che cosa debba
avvenire della libert individuale, e di quella legge di responsabilit,
alla quale la sapienza del Creatore affid il progresso di queste crea
ture umane, che finirebbero di progredire se potesserousare la libert
senza subire la pena de' loro falli. E questa legge distrutta, o per lo
meno avviluppata nella parabola del vignaiuolo, ognuno pu imagi
nare l'immensit delle faccende che vengano a ripiombare sugli omeri
dello Stato. Aprire e custodire mezzi di comunicazione, vegliare alla
sicurezza delle persone, ed all'osservanza de'contratti, punire, educare,
istruire; tutto ci sar il meno, ed la parte su cui meno si arresta
l'attenzione di Genovesi: il suo governo ha da vegliare sul corso del
l'interesse, rompere i r monopoli. rispondere della salubrit del paese,
promuovere la virt, annichilare le imposture de'ciarlatani, reprimere
il lusso, promuovere i matrimoni, e perseguitare la dissolutezza che
fa rare le nozze (p. 50, 185, 11, 268, li 1 a 1, 97-8, 168, 257,

(1) Questa opinione di far passare il privilegio dalla persona all'industria, di favorire
cio un'intiera produzione, qualunque sieno le persone che vi si addicono, fu pure di
Beccaria (vedi pag. 451); e non occorre di dimostrare come in tal caso l'effetto tristo del
privilegio si moltiplichi, e si riduca alvecchio sistema di proteggere l'agricoltura a danno
delle arti, o queste a danno di quella.
PRE AZIONE. V

168 ec.). Pu darsi, in verit, che in tutto ci il merito di Ge


novesi rispicchi abbastanza per innalzarlo al di sopra di Verri, di Bec
caria e di Smith; ma bisogna pur dire che in questo caso il paragone
impegnato sopra elementi eterogenei ed incommensurabili, fra la
negazione e l'affermazione, fra l'uomo che abbia empiricamente rac
colto dal volgo tutte le idee correnti intorno allo Stato ed alle sue
funzioni, e i dotti che, meditando a correggerle, abbian creato un
nuovo ramo del sapere umano, dandogli il nome di Economia.
Iospero di parlare a lettori, a'quali la missione della nostra Scienza
parr incompatibile con un sistema in cui lo Stato sia qualche cosa di
pi che una semplice astrazione mentale, e qualche cosa abbastanza
diversa dalla universalit de'cittadini, perch in vece di rappresentare
la manifestazione del vincolo che congiunga e contemperi i loro inte
ressi, divenga un vortice in cui l'interesse divoratore possa, nel giorno
della sua fortuna, seppellire il suo rivale, debole e sventurato.
Se egli a questo genere di lettori che io parlo, non mi resta a
dire di pi, perch essi mi accordino che, nel concetto dell'Economista
moderno, l'antica scuola italiana nulla offre che possa raccomandarla
alla nostra predilezione, considerandola dal punto di vista delle sue
pratiche conclusioni. In altri tempi, si potea non sapere che il prote
zionismo , o l'economia delle ingerenze governative, hanno la loro
radice sopra principi da'quali, con una logica anche pi stretta ed
irreprensibile, possono sorgere teorie ben pi perniciose e terribili che
il semplice monopolio, e le tariffe doganali, e i brevetti d'invenzione;
oggi non pi permesso ignorare, che, falsata cosl'idea'del governo,
il socialismo potr bene esser battuto a mano armata, ma gli rimane
la vittoria della buona logica, secondo la quale io troverei impossi
bile il dare del classico a Genovesi senza accettare i banchi del popolo
di Proudhon.
Se poi il mio lettore non fosse disposto a permettere che gli uo
mini impieghino le loro facolt, i loro beni, e le loro braccia, come
meglio credano convenire ai loro interessi; se non abbastanza con
vinto che i governi, creati per assicurare a ciascuno questo libero eser
cizio della potenza industriale degli uomini, debbano scrupolosamente
astenersi da ogni ingerenza che tenda, in vece, a turbarlo ed attra
versarlo; non dipende da me l'impedire che si continui a chiamare
italiana, e si presenti come gloria d'Italia, quella che, infin de'conti
non che la scuola de' vincoli (1): io divider, come nato in Italia,
il sentimento dell'amor proprio nazionale, ma continuer a svolgere
Smith per impararvi l'Economia.
(1) Questo sbaglio bibliografico o storico imperdonabile in Romagnosi! da' suoi ar
ticoli che cominci l'uso di chiamare scuola italiana il sistema delle libert economiche;
e io credo invece che sarebbe impossibile il citare alcun'altra scuola che conti un numero,
proporzionatamente maggiore, di scrittori protezionisti.
XXXVI FERRARA

VI.

11 vizio radicale de' nostri scrittori ha la sua origine nella man


canza delle idee elementari. E se dopo un secolo di tentativi e di sforzi
che la Scienza ha fatti, ci che ha potuto insegnarci di pi solido e
vero, si questo : che le sue quistioni pi complicate si risolvono tutte
in qualche idea elementare; si pu ben presentire che gli autori cosi
attaccali a' pi malintesi sistemi governativi non devono aver ben con
cepii Tidea del prodotto, del travaglio, del valore, del capitale.
Io sono ben lontano dal pretendere che nella seconda met del se
colo 18 si dovesse aver formalo codeste idee nel modo in cui cin-
quanl'anni di nuovi avvenimenti e di nuovi studii le hanno oggi mo
dificale : ma quando una critica imparziale chiamata a decidere dove
sieno nate le prime e fondamentali verit della Scienza, e dove si sia
cominciato a concatenarle fra loro e farne riuscire un insieme, im
possibile ripos-are sul giudizio di uomini, ai quali sembri uno scandalo
il dire che i meriti della prima fondazione dell'Economia appartengono
a Smith inglese, od a Turgot francese, non a Genovesi, a Verri, a
Beccaria, che, come italiani, dovrebbero averne il primato. Pure, que
sta la verit, e bisogna subirla, e il subirla non sarebbe poi quel
gran male che i facitori di glorie nazionali si sforzano di darci ad
intendere.
Io credo che un carattere da cui principalmente si distinguono i
fondutovi, quella necessit che si sente di associare i loro nomi alle
loro scovcrle. Io trovo che nelle nostre scuole odierne, ne' nostri libri
di Economia, non ancora possibile dare un passo, senza ricordare o
l'assunto, o l'argomentazione, o l'applicazione di Smilh; e ci solo mi
annunzia che egli deve avere rendulo grandi servigi a questo ramo
dell'umano sapere. Ma io domando, in qual caso, nell'immensa variet
delle quistioni economiche , si sente oggi il bisogno di arrestarsi , a
citare, a comenlare, a combattere una teoria, una forinola, esclusiva
mente inaugurata nel secolo scorso a Milano od a Napoli. Domando se
sia pi ai nostri tempi possibile ragionare di produzione, colla scorta
di libri, ne' quali non fu mai parlato dell'azione degli strumenti se non
appena e per caso, non fu spiegato il valore che per farlo consistere in
utilit e rarit, non si fece intervenire il travaglio che per citare qual
che passo della Bibbia o qualche precetto morale di Aristotele o de'
ss. Padri. Certo non si potrebbero n ricusare, n non credere utili a
qualche cosa le idee de' nostri autori intorno a questi varii elementi
costitutivi del fenomeno industriale; ma bisogna raccorle da cento
luoghi in cui si trovano sperperale, bisogna tradurle e porle d' accordo,
depurarle da ci che vi ha di soverchio , inserirvi tutto ci che vi
PREFAZIONE XXXVII

manca, per ridurle in line a termini precisi ed intelligibili, ma sempre


tali che la cresciuta Scienza de' giorni nostri non saprebbe n anco
accettare. Supponendole poi sviluppate abbastanza, supponendole anzi
condotte alla pi semplice ed alla men censurabile espressione , esse
divengono inutili per le grandi lacune che le dividono o mozzano. Am
mettete l'idea del Valore alla maniera di Genovesi o di Verri (1): am
mettete tutte le loro massime sull'utilit e la necessit del Travaglio ("2);
sar egli possibile di trarne la menoma deduzione, o farne un'applica
zione efficace a qualunque delle quistioni economiche, senza cominciare
dal dire che quell'idea, quelle massime, sono di Ior natura incomplete,
perch mancanti del soccorso che dovevano ricevere dall'idea del Ca
pitale, di cui non si trova una sillaba uel medesimo libro, dall'idea
del modo in cui la produzione distrugge le forme per conservare o in
grandire valori, dall'idea almeno, se non dalle leggi, con cui si par
tecipa alla ricchezza che si sia concorso a produrre, dall'idea de' Red
diti, delle loro diramazioni, della Rendita, del Profitto, della Mercede?
Queste, e tante altre nozioni fondamentali che sarebbe soverchio di
enumerare, nella Scuola italiana si cercherebbero invano ; e io credo
che per appagarsi d'una Economia politica, affievolita da questo genere
di lacune , bisogna uno sforzo, a cui 1' animo d' ogni studente si dee
ricusare, qualunque seduzione sia quella che il sentimento della na
zionalit possa in lui generare. E questo giudizio vien poi rincrudito
da un difetto ancora pi grave, dal difetto di coerenza. Genovesi forse
il solo a cui non si possa rimproverarlo. La sua Economia non fu ideata
sopra alcun modello sistematico e misurato. L'autore mir a sfiorare
teoremi isolati, di cui, volendo, avrebbe potuto comporre altrettante
opere separate, le quali non avrebbero avuto in comune che la ten
denza del Colbertismo, e si sarebbero, ciascuna, appoggiate sopra prin-
cipii proprii e differenti. Ma Beccaria, Verri e Filangieri, non ci per
mettono di adoperare per loro questo mezzo, non gran fatto felice , di
giustificarli. Il sistema da cui cominciano non mai quello con cui
finiscono. Le prime linee di Beccaria sono un sunto di idee fisiocrati-
che, che, per quanto riescano snaturate, conservano fedelmente la
parte essenziale di quel sistema, la teoria del prodotto-netto, fortnolata
pi tardi dall' A. in termini che non lasciano il menomo dubbio (5).
E noto che , insieme a Bandini , Beccaria stalo talvolta citato come
rappresentante in Italia il primato della Fisiocrazia, e si deve aver notato
l'imbarazzo di taluni critici che non volevano n defraudare l'econo
mista italiano del merito di aver messo la prima pietra all'edilzio del
prodotto-netto, n lasciar piombare sopra di lui l' imputazione d' aver

(1) Vedi qui appresso, pag. 180-7 e 550 e seg.


(2) Pag. 98. 398, iM, 403, 603, 51, 28, 390, 372, 370, 305, 3G9, 298, 2*7, 398 ecc.
^5) Si vedano le parole con cui principia il secondo Capitolo del lili. II. pujr. 130.
XXXVIII FERRARA

posto in credito un sistema tanto discreditato oggid. Ora, partire dalla


Fisiocrazia per giungere ad abbracciare il Colbertismo nella sua purit,
un genere di eclettismo che deve naturalmente urtare il buon senso
dello studioso, per poco ch'ei sappia come que' due sistemi si esclu
dano; o come, se l'assioma del lasciar fare si pu dedurre da cento
principi diversi, il principio del prodotto-netto non pu condurre che
alla conseguenza del lasciar fare. La medesima osservazione, ed in
termini ancora pi espliciti, da applicarsi a Filangieri. Egli'' parti
giano deciso dell'imposta unica sulla terra. Ci sarebbe ben poco: lo
fu Vauban, senz' essere ancora un fisiocrata; ma Filangieri lo con
l'intento e pe' motivi per cui lo era Quesnay. Ho gi citato le sue
declamazioni sulla libert del commercio, nelle quali il lettore potr
riconoscere il fac simile di Mirabeau o di Mercier. Un'opinione semi
fisiocratica sulle arti si pu riscontrare alla pag. 710. Malgrado ci,
e soprattutto cinque pagine dopo, Filangieri si assimila il canone fon
damentale del sistema mercantile, ed inconcepibile che in una me
desima mente ragionatrice si trovino associate tanta pratica della ge
nerosit fisiocratica e tante velleit di bilancia favorevole, e di danaro
abbondante. Verri era forse la mente meno soggetta a cadere in simili
incoerenze; eppure anch'egli pag il suo tributo all'incertezza delle
opinioni che dominavano l'epoca sua. Parl della nuova Setta degli eco
nomisti, di cui rispettando il molto di vero e diutile da loro scritto ,
dichiarava di non sapere accettare n la qualificazione di sterili data
alle arti, n l'opinione intorno al tributo. E soverchio ora il mostrare
che la sterilit attribuita da'fisiocrati alle arti era bene un errore, ma
per motivi radicalmente diversi da quelli che addusssro coloro i quali
prendevano la parola in senso di inutili, tra cui Verri: ed egli intanto
accett la teorica del prodotto-netto, pietra angolare del Quadro econo
mico; ed egli ci deve sorprendere chi ancora nol sappia egli
partigiano deciso dell'imposta unica sulla terra, come quella che cor
risponde perfettamente a'cinque canoni del tributo , come quella che
mai non cadrebbe sui poveri, che si potrebbe riscuotere con lievis
sima spesa, che escluderebbe gli arbitri, non impedirebbe la circola
zione ec. ec., per modo che le sue difficolt condurrebbero a differire
in un lontano avvenire od introdurre gradatamente, piuttosto che re -
spingere come teoreticamentefalso,il sistemafinanziariodi Quesnay(1).

VII.

Ci che soprattutto a me duole, il sentire ritrosa la mia co


scienza ad adottare un giudizio, che potrebbe, se fosse fondato, rivol

(1) Vedi qui appresso, pag. 553 e seg., 650-7


REI- AZIONE. XXXIX

gere ad onore della scuola italiana il suo capitale difetto. Me ne duole


tanto pi , al vedere che questa opinione ci viene da uno straniero ,
come un atto di giustizia reso all' Italia. Blanqui ha trovato ehe il
carattere distintivo della scuola economica degli Italiani consiste prin
cipalmente nella loro larga e complessa maniera di considerare le qui-
stioni; perch essi non si occupano della ricchezza sotto il punto di
vista astratto ed assoluto, ma sotto quello del benessere generale. Una
misura economica non sembra loro importante per questo solo che sia
collegala con una quislione pecuniaria, ma perch vi si contenga un
interesse morale e politico. Le societ non sono per essi tante case
bancarie, e gli operai non son tante macchine ; l'uomo l'oggetto per
petuo della loro sollecitudine e del loro studio. Essi son pubblicisti
quanto sono economisti; e Montesquieu colui che meglio, nella
scuola francese, rappresenta il tipo della scuola italiana .
noto che la Storia dell' Economia politica fu scritta in quel pe
riodo, nel quale le opinioni del sig. Blanqui subivano il predominio
delle cos dette idee filantropiche, le quali attribuivano a colpa della
Scienza le dure realit della vita. In quel momento fu un vezzo il
declamare contro il sistema artificialmente e ciecamente produttore, pre
conizzato, dicevasi, dagli economisti inglesi. L'argomento si prestava
mirabilmente all'emozione. Nulla di pi patetico, e sventuratamente
di pi reale , che i dolori delle classi laboriose , e la tenacit con cui
la miseria, sfidando tutta la potenza dell'umano intelletto, s'incrosta
immobile nel fondo d'ogni umano consorzio. Nulla di pi vero del
fatto che, in questo sentiero dall'industria umana battuto, non si coglie la
rosa senza che a spina ci punga, non s'invecchia di un giorno senza
che appaia un nuovo sintomo d'infermit inaspettate. Vi fu un mo
mento, in cui contemplando questa dura fatalit, parve agli econo
misti aver trovato una nuova chiave alla Scienza. Dal vedere che le
ricchezze erano mal ripartite nel mondo, furono indotti a supporre che
pi non era una quistiooe il produrle, ma tutto il problema era ridotto
al distribuirle. In un primo slancio di affetto, Sismondi maledisse la
produzione. A niente pi riposala, Buret, Droz, Fix, lo stesso Blanqui,
accettarono la produzione bens , ma come l' uno fra' dati di un pro
blema, nel quale venivano a porre la nuova incognita. Questa fase
svan. 11 progresso medesimo della pura scienza poteva da se solo mo
strare, ed ha poi difatti mostralo che il fenomeno della produzione non
pu subire un' analisi in cui non trovisi trascinato quello della ripar
tizione, o che piuttosto entrambi non sono che due aspetti di un me
desimo fatto. Le strane aberrazioni del socialismo mostrarono poi che
la scissura, a qualunque de' due fenomeni si voglia farne un vantag
gio , conduce inesorabilmente ad un medesimo abisso, perch si va
alla barbarie preconizzando la distribuzione artificiale , come ci si an
X. FERRARA

drebbe ripristinando la corporazione, il privilegio e la guerra delle


dogane. Era, pur nondimeno, divenuto proverbiale, direi, il carattere
di duro egoismo attribuito all'Economia degli Inglesi; e, come se mai
l'industria inglese avesse domandato consiglio da' suoi scrittori prima
d'ingigantire le proporzioni del suo lavoro, il pauperismo britannico fu
sempre citato come prova della falsa via in cui la scuola di Smith si
trovava avviata. Oggi nell'alta sfera delle Scienze economiche queste
esagerate affettazioni si rettificarono; ma fu nell'epoca in cui pi pre
valevano che all'imaginazione del sig. Blanqui si present come un
merito della scuola italiana ci che noi medesimi, in pienissima buona
fede, siamo, nostro malgrado, costretti a giudicare difetto.
Larga e complessa maniera! Qui avvi un equivoco che me
stieri dilucidare. L'Economia fondata da Smith prese ad analizzare il
fenomeno della produzione in se stesso, e nell'influenza che le forme
e le istituzioni sociali potevano esercitarvi. Se, dopo cent'anni dacch
quest'analisi dura, ci si viene a dire che lo studio del fenomeno indu
striale non ha interesse per noi, se non in quanto si rivolga allo scopo
del nostro benessere, e ci si dice allorquando ci si ricorda che le
nazioni non son case bancarie e gli uomini non sono macchine sicu
ramente non vi ha intelligenza delle pi volgari che osi resistere ad
una verit cos ovvia. La quistione di sapere se la scuola inglese la
ignorasse o abbia mostrato ignorarla. Ove fosse provato che Smith non
fece, anch'egli, dell'uomo l'oggetto perpetuo delle sue sollecitudini, io
non saprei come si possa la sua scienza innestare sul gran tronco delle
Scienze morali e politiche. Ma la verit non questa. All'epoca nella
quale il filosofo scozzese si diede ad analizzare il fenomeno industriale,
la maniera larga e complessa era gi esaurita; e il suo merito appunto
consiste nell'avere, prima che altri, sentito il bisogno di abbandonarla
o tenerla in sospeso, per apparecchiarle con un'analisi speciale, i dati
da cui potevano unicamente dipendere le soluzioni che da due secoli
si cercavano invano sotto formole larghe e complesse. Smith avrebbe
dunque il gran torto di avere tentato sulla scienza delle ricchezze il
rivolgimento operato da Galileo o da Bacone nello studio della natura
sensibile, da Cartesio nello studio dell'umano pensiero; pot aver male
osservato i fatti che svolse, e in questo caso il merito della sua dot
trina sar transitorio; ma in quanto al metodo, in quanto all'aver fatto
dipendere le quistioni larghe e complesse dalla semplice nozione del
l'uomo che travaglia e che cambia, ci era un immenso progresso, ci
fu il Cogito dell'Economia; e se alcuno vi ha che possa dirsi rimasto
indietro, dev'essere unicamente colui che all'epoca stessa di Smith
non aveva abbandonato la vecchia maniera, ed a pi forte ragione
colui che un secolo dopo ne faccia ancora un oggetto di preferenza.
A tutti, fuorch all'autore d'una Storia dell' Economia . mi sem -
PREFAZIONE. XL1

brerebbe permesso il cadere in codesto equivoco. egli forse dalle


idee pi semplici ed elementari che la Scienza aveva preso le mosse?
forse un lavoro di composizione quello che ne' secoli anteriori a
Smith erasi venuto operando, e lavoro al quale egli non abbia forse
avuto la forza di aggiungere quell'ultima serie di elementi che potea
darci la formola pi complessa che si potesse bramare? Tutto avvenne
all'opposto, n altrimenti era possibile, perch l'Economia in ci non
ha fatto che copiare l'andamento comune a tutti i rami dello scibile
umano. Si cominci dal prendere in digrosso i fenomeni della ric
chezza; ciascuno di essi poco a poco si suddivise; ciascuno fu per
lungo tempo creduto un sistema a parte, ebbe i suoi principi, le sue
regole , i suoi scrittori; v'erano , come ben dice il Blanqui , pub
blicisti senza che vi fossero economisti; mancava la mente che avesse -
cominciato a sospettare la molecola generatrice di tanti corpi a sem
bianze diverse; v'erano i Montesquieu e la Scienza non v'era man
cava lo Smith; e quando venne, la Scienza fu fatta.
Per trovare scrittori che abbian saputo trattare nel modo pi largo
e complesso l'argomento della ricchezza, non si deve infatti che sem
pre pi risalire verso l'antichit. Allora vedremmo che Beccaria e
Verri, col definire taluni vocaboli, col far discendere la teoria della
dogana dalla formola del prezzo, col cercare nella cifra numerica degli
abitanti la potenza delle nazioni, divenner troppo analitici, poco larghi
e complessi, allato a Contzen, a Grgoire, a Bodino, che in uno o due
libri delle loro Repubbliche abbracciavano tutta la variet delle fun
zioni economiche; e i pubblicisti del cinquecento sono ancora meschini
a fronte de' Reggimi del principe di Egidio Romano o di s. Tommaso
d'Aquino; e questi, andando ancora pi in l, bisogna che cedano il
passo alla Repubblica di Platone, agli Economici d'Aristotele, alle finanze
d'Atene di Senofonte; e continuando cos, si arriverebbe a sorprendere
nelle labbra medesime del Creatore la formola pi complessa dell'Eco
nomia, perch usc veramente da lui il fatale decreto che tutta la rias
sume, quand'egli disse all'uomo: Cresci e moltiplica, ma tu e la
tua razza non mangerete che un pane bagnato dal sudore del vostro
volto .
D'altronde io ho ragionato sopra una supposizione che non pu
sostenere le prove d'una stretta logica. Ho adottato questo modo di
definire la complessivit e la semplicit del soggetto; e devo ora sog
giungere che questo modo inesatto. Il lettore non sar sicuramente
disposto a seguirmi in una quistione di metodo in generale, ma non
si ricuser, spero, a concedermi che, quando l'analisi diretta a cer
care l'elemento comune a pi oggetti, il risultato delle sue ricerche si
converte da s nella pi bella fra tutte le sintesi. Questo forse inoltre
un bisogno ineluttabile dell'umano intelletto, perch probabilmente
M li I tBKARA

il segreto di tulio lo scibile. La nostra mente non avrebbe ragione di


analizzare, se non sentisse la necessit di scoprire ci che sia di co
mune nelle parli diverse della natura. Or quando giunge a scoprirlo
in mezzo ad un dato gruppo di esseri, giunge realmente ad un fatto
che, sotto sembianza speciale e meschina, abbraccia una sfera che
niuno de' fatli antecedenti abbracciava. Allora la semplici l sar nella
forma, ma l'idea acquista una potenza di complessivit tanto pi estesa
quanto pi si riesca a semplificare. Colui che vide la prima volla un
cilindro, e colui che vide una sfera, videro cose ben pi complesse
che il punto e la linea; ma il cilindro non dominava la sfera, n la
sfera il cilindro, e il punlo o la linea li domina entrambi. In tutte le
ramificazioni degli studii umani, un istinto segreto, o piutlosto una
vecchia esperienza e" insegna che ogni analisi nuova il vestibolo ad
una sintesi inaspettata. questo che ci fa tanto avidi di dissecare gli
oggetti su cui fissiamo l' attenzione; per ci che, quando conobbimo
i quattro elementi del mondo fisico, vi cercammo l'ossigeno, ed ora
cerchiamo l'atomo nell'ossigeno; per ci che non ci arresteremo in
eterno, finch il fatto sensibile non abbia confermato il nostro antico
sospetto, che il pi complesso degli enti si dee trovare nell'unit. Ora,
la Scienza delle ricchezze non aveva alcun privilegio che la dispen
sasse dalla necessit di seguire il metodo universalmente prescritto agli
studii umani ; e costantemente il segui. Di secolo in secolo, la parola
complessa del Creatore si venne spezzando in pi brani. Pei filosofi
greci non furon che due, il diritto all'ozio nel cittadino, il dovere del
travaglio nello schiavo. In mano a s. Tommaso, uno il criterio che
regge la Casa del Principe, un altro quello da cui deriva l'oppor
tunit del danaro, ve n'ha un terzo per la salubrit del paese, un
quarto per la successione al trono, un quinto per il soccorso de' po
veri ec. Trascorrendo ancora su cinque secoli, la materia si va tritu
rando di pi, le sue parti si slegano, ciascuna attira dintorno a s
quanti pi elementi le si possano offrire, ciascuna un sistema, un
mondo a parte: la dottrina della moneta non quella delle colonie, la
mendicit non ha vincoli colla propriet della terra, l'uomo non ne ha
con l'annona. Alla met del secolo scorso, questo era lo stato della
Scienza. Una lunga elaborazione delle sue materie s'era compiuta. La
loro moltitudine stessa facea sentire il bisogno di una pausa in questo
lavoro di sgregamento. Perci sorsero quasi contemporanei in ogni
punto del mondo incivilito i tentativi di ricomposizione. Ve ne furono
prettamente meccanici, e l'opera di Genovesi forse il migliore esem
pio che si possa citare. Raccolse tutto ci che rinvenne, ed ordinan
dolo per sezioni e per capi, fece l'opera pi apparentemente complessa,
che far si poteva in un libro, vi concentr i resultati delle osserva
zioni di venti secoli. Ma ve ne furono essenzialmente intellettuali,
PREFAZIONE. XL1U

Quesnay e Smith sono i soli che abbiano seriamente pensato a trovare


in tanti sparsi frantumi uno stipite comune, un vincolo di sangue pi
che di nome, una prossimit d'idea dove il professore napoletano non
avea collocato che la prossimit della pagina. Fra l'uno e gli altri un
posto fu preso da Verri e da Beccaria, troppo filosofi perch non sen
tissero la necessit de' principii , e poco economisti perch potessero
improvvisamente scoprirli. Blanqui ha ben detto: le quislioni delie
quali la scuola italiana si pi occupata son quelle delle monete , de'
portofranchi , dell'agricoltura , de' monti di piet , degli istituti di ca
rit. Bisognava unicamente soggiungere che erano quistioni da due
secoli e con poco frutto agitatesi; erano studi, non erano ancora
scienza; sembrerebbero materie larghe e complesse, ma in quel tempo
non erano che altrettante monografie ; e la Scienza cominci ad aver
vita quando vi fu chi disse che tutte potevan forse nascondere qual
che elemento generatore di tutte. Si pot non riuscire a scoprirlo. Ma
non importa; gi aveva carattere di scienza il prodotto-netto posto al
l'apice di questa grande piramide che costituisce l'ordine della sussi
stenza; poi fu vera scienza la semplicissima idea del valore; laddove
continuavano ad esser mero empirismo i pi vasti argomenti , della
moneta, del porlofranco, dell'agricoltura, dell'ospizio, del monte.

Vili.

Cosi, io mi trovo naturalmente condotto alla quistione di priorit,


che avrei volentieri negletta, se la parola d'un mio ottimo amico, il
cui giudizio, quando non sia volto a lodarmi, pesa enormemente nella
mia opinione, non mi costringesse di farlo.
L'egregio prof. Mancini, rendendo conto del primo volume della
Biblioteca dell' Economista, ha mosso un'obbiezione sulla materialit del
prodotto, che qui non occorre discutere; ma si poi doluto a non tro
vare nel mio Ragguaglio sui fisiocrati qualche cenno intorno ai titoli di
priorit che hanno gli economisti italiani; priorit di Bandini nella
dottrina fisiocratica, priorit di Scaruffi, Davanzati, Turbolo, Sola, Te-
sauro, nella teorica del cambio e delle monete ; priorit soprattutto di
Antonio Serra, che, esaminando sin dal 1613 le cause che possono
far abbondare gli Slati di oro e di argento , non lascerebbe temere
che si commetta un atto di vanit nazionale, se ad alta voce si
proclami che i suoi lavori gli danno pure un qualche diritto alla
gratitudine de' cultori delle scienze economiche.
Questa doglianza muoveva dall'aver veduto che io, facendo eco ai
Francesi , ho salutato ne' fisiocrati i creatori della Scienza econo
mica .
Il prof. Mancini era uomo troppo al di *mra dell'ordinario livello
ALIV - FER ARA

de' critici da gazzette, per partecipare a quel sentimento di scandalo


che altri aveva affettato nel veder posti in capo alla nostra Raccolta
autori non nati in Italia; ed era troppo economista per non conoscere
i titoli che questa classe di scrittori avevano ad occupare una pagina
gloriosa nella storia della Scienza ed a vivere nella riconoscenza della
posterit : e se io dovessi giustificare la mia scelta, non potrei bra
mare che la capacit di scriver parole cos belle ed energiche com'egli
ne ha scritte per approvarla, e di cui gli sono gratissimo.
Son dunque due quistioni diverse quelle che qui sarebbe possibile
di agitare; e distinguendole, io non mi credo che un eco del concetto
medesimo del mio benevolo critico. Tra l'essere creatore della scienza,
e l'aver diritto alla gratitudine de' posteri, non v'era, mi sembra,
confusione possibile. Ci che in allora ho detto, ci che ora ripeto si
: la scuola de' fisiocrati ha indubitatamente il merito di aver dato
alle materie economiche le basi, le proporzioni, e l'aspetto d'una
scienza. Il momento, ho soggiunto, in cui dall'ordine morale e so
ciale si sia staccato qualche principio per dedurne una serie di dottrine
concatenate, per formarne un nuovo ramo dello scibile umano, ed un
ramo capace di adescare le intelligenze elevate colla promessa d'un
radicale sollievo a' vecchi dolori dell'umanit, quel momento data,
non si pu dubitarne, dalla scuola de'fisiocrati. Avanti di loro, n pur
la parola s'era creata (1). Si tratta, come ognun vede, di creazione
d'una scienza, non di titolo alla gratitudine della posterit; ed in que
sto senso, il professore Mancini poteva permettere a me il mio giudizio
sul merito de' fisiocrati, e poteva permettere al sig. Cant d'asserire
che gl'Inglesi soltanto eressero l'Economia a vera scienza senza
chiamarle crudeli e non vere parole, n consacrazione d'un'oltraggiante
ingiustizia.
Ma la questione di priorit pu prendere un altro aspetto, ed
probabilmente in esso che il professore Mancini reclama un attestato
di gratitudine verso gli economisti italiani. Nella massa de' materiali
che erano gi apparecchiati all'analisi di Smith e di Turgot, l'Italia
non ha ella un deciso primato? I primi albri forieri della scienza
non ispuntarono dunque in Italia?
Io potrei concedere il fatto, ed il mio giudizio pur nondimeno sta
rebbe. Potrei, in vece di cinque o sei, attribuire agl'Italiani duecento
e pi opere, che anteriormente alla met del secolo scorso s'eran pro
dotte, sui vari soggetti che ora entrano nella sfera della scienza; e
sarebbe pur nondimeno costante che la forma ed il carattere di scienza
non apparterrebbe ad alcuna di loro; apparterrebbe a tutte soltanto il
sentimento di gratitudine che il prof. Mancini reclama.
-----------------------------------------------------------------------------

(1) Ragguaglio storico sui Fisiocrati, pag. xxiv.


PREFAZIONE. \LV

Ma il fatto non esiste; e se, parlando de' Fisiocrati, io avessi do


vuto, rendere omaggio a tutti coloro dalle cui opere si possano trovar
derivate le loro idee, od avrei scritto la storia antica della scienza, o
avrei commesso una volgare ingiustizia attribuendo alla nostra patria
un inerito, al quale ognuno de' popoli, che han partecipato al Risor
gimento delle lettere, conserva i suoi titoli, e nel quale sventurata
mente il retaggio italiano non pi pingue che gli altri.
Il fallo non esiste, n relativamente alla dottrina fisiocratica al cui
proposito si desiderava citato, n riguardo all'Economia in generale.
Bandini! Io lo avea nominato, e mi contentai di soggiungere che-
quantunque avesse qualche punto di contatto colla dottrina francese,
non si potrebbe senza grave affettazione rivendicarlo alla scuola di
Quesnay (1).
Il discorso di Bandini una delle non molle scritture che faccip.no
veramente onore all'Italia ; la bont delle sue massime , la purezza e
la dirittura delle sue intenzioni, vi sono raddoppiate da quel candore
d'espressione che noi non toscani non possiamo imitare senza cadere
nel falso o nel goffo.
Ma l'idea di farne un fisiocrata, mi sempre sembrata uno strano
capriccio del Gorani; ed io non dissimulo che non avrei aspettato dal
prof. Mancini questa facilit di adottare il giudizio del biografo, piut
tosto che ricorrere al teslo e giudicarne col suo criterio.
Tutta la fisiocrazia di Bandini starebbe nell'aver proposto una
decima, o vogliam dire un tanto per cento, da pagarsi a ragione delle
sementi, de' pascoli, de' terralici, non gi dai lavoratori, n da' pa
stori, n da' coloni, ma da' padroni delle terre in vece di tutto eia
che si pagava nella Maremma per sale , tabacco , carta , per tratte,,
sopratratte, eslimo, lavori non descritti, bicherna, ed altre tasse co
munali ecc. ecc. E senza dubbio, se questa proposizione fosse:
stala da lui dedotta, come conseguenza del principio che il prodotto*
agrario sia il solo prodotto della societ, e che la sola ricchezza stia
nelle messi, la parte fondamentale del sistema di Quesnay si trove
rebbe in Bandini. Ma niente di ci. Bandini non si per nulla impac
ciato dell'indole della ricchezza, o dell'analisi del prodotto. La sua im
posta unica sulla terra gli suggerita come un rimedio alla moltipiicil
delle gabelle , all' imbarazzo che recavano nella finanza, alle durezze
che cagionavano sui poveri contadini. I tanti modi ingegnosi, di
ceva, che si sono inventati da due secoli in qua, non possono com
pararsi a quelle gabelle semplici, di censi, di capitazione, di tributi,
di veltigali, le quali praiicavansi ne' secoli antecedenti Che
per non credo che sia da stupirsi se, dopo di essersi introdotta questa
nuova moda di lassare .... e per venirne a capo essersi cominciato
(t) Ragguaglio storico sui Fisiocrati, pag. lxxiii.
LVI FERRARA

a moltiplicare uffiziali che invigilino e castighino . . . . la popolazione


si perde ecc. -

Il pensiero dunque di Bandini era non altro che avversione alla


moltitudine ed alle avanie de' dazi indiretti, e per contraccolpo era
una tendenza a rifonderli tutti nell'imposizione diretta. Ma il profes
sore Mancini mi vorr, spero, concedere che la fisiocrazia non
consiste in ci; che l'idea dell'imposta unica sulla terra appartiene ai
fisiocrati, soltanto quando si vuole come conseguenza del principio di
un prodotto-netto: che Quesnay la dimostr non la cre; e che non
essendovi alcun punto di contatto tra il principio fondamentale de'fi
siocrati ed il Discorso del buon prete sienese, vi sarebbe tanta ragione
per dire, che Bandini fu precursore a Quesnay, quanto per dire, in
vece, che il modesto arcidiacono italiano abbia rubato di peso il pro
getto a qualcuno de'tanti da cui trovavasi preceduto. Vauban e Bois
guillebert erano di circa 10 anni pi antichi, e la loro Decima reale fu
un progetto ispirato da' motivi medesimi su cui lo appoggia Bandini.
Tre anni prima di lui, l'idea dell'imposta unica era stata messa innanti
in lnghilterra da un Vanderlint; 45 anni pi indietro, da Locke, e si
pu andare a trovarla fino al 1611 nel Tesoro del traffico (1). Il Let
tore s'accorger ch'io qui non miro a stabilire come un fatto questi
plagi ipotetici , ma intendo offrire unicamente l'esempio della facilit
con cui, appena si abbia la pazienza di spolverare qualche vecchio
libro, spariscono i titoli alla propriet delle idee.
Io poi non credo che si pensi desumere il carattere fisiocratico del
Discorso di Bandini dalle sue massime di libert,perch allora sarebbe
ben facile il riconoscere che la sua libert, n esclusivamente appar
tiene a lui, n gran fatto analoga a quella de' Fisiocrati. Bandini vuol
libera estrazione de'prodotti agrari toscani, ma teme la concorrenza
de' prodotti stranieri; e Bandini tutto compreso della necessit di
trattenere il danaro perch non uscisse dal principato : e tutto ci
non occorre provarlo sarebbe qualche cosa molto diversa dal
lasciar fare di Quesnay e di Turgot. Molto meno, in fine, io cre
der che la fisiocrazia del Bandini si vorr farla consistere in una spe

(1) Quest'opera di un Lewis Roberts. Io qui non la cito che sulla fede di Lauder
dale (Nota alla pag. 109, seconda ediz.). M'Culloch non fa alcun cenno d'imposta unica;
loda l'autore come gran partigiano della libera esportazione del danaro, e indica il libro
come interessante perch vi si trovano le pi antiche notizie intorno alle manifatture di
COtOne.
Di Locke, si allude all'opera Sul ribasso dell'interesse e l'innalzamento del valore
della moneta.
Quella del Vanderlint (Giacobbe) porta il seguente titolo: La moneta risponde a tutto,
o Saggio sul modo di rendere il danaro abbondante in tutte le classi del popolo, ed accre
scere il nostro traffico interno ed esterno. Londra 1734. L'autore conchiude col so
stenere l'abolizione delle gabelle esistenti, e domandare la sostituzione d'una sola imposta
sulla terra, idea tolta ad imprestito da Locke, e poi adottata dagli economisti . -
(M'Culloch)
PRERAZIONE. XLVII

ciale predilezione che egli genericamente dimostra verso la coltura


della terra: il mio ottimo amico sa che Cicerone, Varrone, e Senofonte,
sarebbero, in questo caso, Fisiocrati d'una data pi antica; e ci che
sarebbe ancora piu decisivo, non solo la predilezione generica, ma la
preferibilit della terra nel senso puramente economico, come unica
fonte della ricchezza, ha, se non altro, due precedenti nel secolo xvii,
senza parlare di quello che risalirebbe non meno che ad Artaserse (1).
Cinon lascier di ripeterlonon proverebbe, sicuramente, che la
teoria di Quesnay appartenga ad Asgill, od all'autore d'un libercolo
sull'esportazione della lana nel secolo xvii; prova sempre meglio che
la priorit di data, in qualunque ipotesi, non appartiene a Bandini;
o piuttosto che queste priorit di pensieri isolati son quistioni puerili
in se stesse, ed a ragionarvi sul serio come lanciarsi senza bussola so
pra un oceano, in cui si conosca da qual punto si sciolgan le vele, senza
potersi vaticinare in qual altro ci sar permesso di gettare le ancore.
Del resto, non esiter a dichiararlo: ho cercato in tutto il lavoro
del Bandini qualunque altro punto di coincidenza colla teoria di Ques
nay, non ho mai saputo incontrarlo.
L'ho cercato nell'elogio medesimo del Gorani, e mi toccato ve
dere che egli, ben lungi dal dimostrare il suo assunto, lo sfugge. Un
largo sunto dell'opera, una breve esposizione del sistema fisiocratico,
tutto ci ch'egli ha fatto. Al momento di dover dimostrare che l'una
e l'altro avessero qualche cosa in comune, egli si contenta d'aggiun
gere che non si dar la briga di fare un parallelo delle due dottrine
(1) 1696. Giov. Asgill, autore di Alcune proposizioni tendenti a creare una moneta
diversa dall'oro. Ecco le parole che si sono citate per rivendicare la priorit del sistema
fisiocratico.
Ci che noi chiamiamo merci, non che qualche cosa strappata alle viscere della
terra (letteralmente: la terra staccata dal suolo, land severed from the soil) tutto il
traffico umano non s'aggira che sulla terra. I mercanti sono i fattori del mondo, occu
ati a cambiare una porzione di terra con un'altra. Lo stesso re, non si nutre che del
avoro del bove; l'esercito e l'armata navale non si veste e non si ciba che di cose il cui
prezzo dev'essere in ultimo luogo pagato al proprietario del suolo. Ogni cosa nel mondo
prende origine dalla terra, ogni cosa bisogna che si faccia crescere sulla terra .
ll Ragioni in favore della limitata esportazione della lana (Anon.). Vi si dice cos
alla pag. 5.
sia un grande interesse del pubblico quello di giovare alla nobilt, alla bor
ghesia, a coloro che possiedono il suolo interesse molto maggiore che quello di gio
vare a pochi artefici impiegati a lavorare le nostre lane soverchie, o ai mercanti che gua
dagnano esportando le nostre manifatture; ci manifesto: 1 Perch essi sono padroni
e proprietari di ci che forma il fondamento di tutta la ricchezza nazionale, essendoch
ogni guadagno viene dalla terra, che loro propriet. 2 Perch son essi coloro che
sopportano tutto il peso delle pubbliche imposte; le quali non da credere che cadano
venditori di merce, giacch essi alzano o abbassano i loro prezzi, secondo le tasse
Che pagano. .
opera che del 1677, si pu vedere:Stewart, nella Vita di Smith; Lauder
dale, Ricchezza pubblica, loc. cit.; Ml'Culloch, Introduzione a Smith, pag. 62; e Litt.
of pol. Econ. pag. 9, 159, 238.
Quanto ad Artaserse, egli diceva che:
L'autorit del principe dev'esser difesa da una forza militare; la quale non pu
mantenersi che con le imposte; e le imposte non posson venire che dal prodotto dell'agri
coltura. (Gibbon, tom. I. pag. 256, 4 ed.).
LXV 11I FERRARA

perch basta aver letto con qualche attenzione il Discorso o l'estratto


ch'egli ne ha dato . . . .
Io ho letto con grandissima attenzione e l'uno e l'altro; e son ri
masto sempre meglio convinto che la fisiocrazia del Bandini un mero
sogno del suo biografo, ed una meccanica ripetizione de' critici po
steriori.

Vengo ora ad esaminare se il fatto della priorit italiana esista per


gli studi economici in generale; e soprattutto a riguardo del SERRA.
Galiani fu, com' noto, il primo a far menzione del suo trattato.
Come compatriota di quell'alto ed infelice ingegno, destinato a marcire
in una prigione e subirvi i tormenti d'un cospiratore, Galiani ebbe
ragione di dedicargli alcune belle parole che ne tirassero dall'oscurit
e ne consacrassero la memoria. Cominci dall'ammirare quanto sa
namente ilSerragiudicasse delle cause de' nostri mali e de'soli rimedi
efficaci; fin col dichiararlo il primo e pi antico scrittore della scienza
politico-economica, porlo allato al Melon de' Francesi, al Locke degli
Inglesi, ed al di sopra di entrambi per ragione d'antichit (1).
Successe l'elogio del Salfi, la vita del Custodi, la ristampa dell'o
pera nella Collezione degli Economisti classici italiani; e d'allora in qua
si era sempre creduto che , spogliando le parole del Galiani da quel
poco di esagerazione patriotica che gli era ben perdonabile, il co
sentino Antonio Serra si potesse ritenere per uno scrittore ch'avea
discusso un argomento relativo alla moneta, con una tal quale supe
riorit di vedute, tanto pi pregevole quanto pi si rifletteva alla data
del libro (1 615). Come tale a un dipresso fu giudicato dagli stra
nieri.
Il conte Pecchio, adottando in parte le iperboli del Galiani, aste
nendosi intanto dal consigliare la lettura del libro a coloro che non
amassero di vedere le origini della scienza , lasci per incidenza tra
scorrere la frase di primo fondatore de' principi della scienza.
Ludovico Bianchini adott pienamente questa formola lusinghiera,
e stemperandola quanto pi si poteva, trov nel suo concittadino, un
uomo levatosi contro la comune credenza che solo la moneta fosse ric
chezza uno scrittore sulla materia de' cambi in modo che niente di
meglio erasi scritto avanti di lui, poco s' aggiunto in seguito un
generalizzatore di prim'ordine che avendo assegnato non meno di
cinque cause alla ricchezza, vince Sully e Colbert che ne assegnavano
sole due, e Quesnay che le ridusse ad una lo trov abilissimo a
trattare la difficilissima quistione dell'importazione ed esportazione,
e nel dare la preferenza alla prima e tutto ci oltre a quel colpo d'oc

(1) Della Moneta, nota 29,


- PREFAZIONE. XLIX

chio con cui guardava l'uomo e gli Stati , oltre alle considera
ioni elevate e franchissime ecc. ecc. (1).
Non far all'egregio e coscienzioso prof. Mancini il torto di sup
porre che egli si sia lasciato ispirare dalle parole di questo libro, nel
quale la sola parte non riprovevole quella che l'autore non ha trat
tata (2). Ma mi permetter di notare al mio amico, che un gravis
simo errore di fatto quello in cui egli cade scrivendo le parole se
guenti:
N il Say, n il M'Culloch lessero quest'opera, e per dal titolo
ne fraintesero lo scopo, supponendola rivolta a dimostrare non esservi
altra ricchezza fuori dell'oro e dell'argento, nell'atto che essa tende
propriamente a dimostrare il contrario. . . . . Ed il Serra erasi avvici
nato al vero assai pi de' Fisiocrati; perciocch se costoro assegnavano
alla ricchezza una sola sorgente, cio la terra, l'altro a moltiplici cause
riportava la creazione della ricchezza additandone le principali .
lo credo che una semplice occhiata al libro del Serra basta a con
vincere pienamente il lettore che egli non ha menomamente inteso dimo
strare non esservi alcun'altra ricchezza nel mondo, all'infuori dell'oro
e dell'argento. Say e M' Culloch, se non lessero il libro (e di que
st'ultimo potrei asserire il contrario), non s'ingannarono punto nel
giudicarne lo scopo; n possibile poi dimostrare che il libro non
corrisponda letteralmente allo spirito indicato dal titolo. Serra parl
di cause che possono far abbondare l'oro e l'argento, appunto perch
l'oro e l'argento era per lui l'unica e suprema ricchezza possibile; n
una parola vi ha in tutto il suo libro che mostri, non dico di con
traddire, ma di porre menomamente in dubbio questo canone de' suoi
tempi. Io posso all'incontro, per que' lettori che non vogliano darsi la
pena di ricorrere alla fonte, riportare de' passi, ammettendo i quali,
bisogna necessariamente escludere la possibilit di supporre ci che il
prof. Mancini ha asserito, se non si possa o voglia per altro mostrare
che Serra sia caduto in aperte e puerili contraddizioni con se me
desimo.
Sin dal proemio, per esempio, il lettore incontrer che l'essere
tanto poche monete in Napoli qualificato per un tanto male po
tente di causare l'ultima rovina del regno (5). Prima che il
proemio finisca, trover esser noto a ciascuno quanto possa impor
tare al beneficio pubblico e particolare del principe l'abbondare il suo
Stato di oro e di argento, o esserne povero (1). Viene imme
diatamente il 1 Capitolo, e comincia cos:
(1) Scienza del ben vivere sociale, pag. 155.
s Si pu vedere intorno a ci il Giorn. di Stat. di Palermo, num. 18. Palermo
5) Pag. 11, ed. Custodi,
(4) Ivi, pag. 16.
Econom. Tomo III. D
I, IKKIMIU

Quanta importi, cos a rispetto de' popoli, come a rispetto dei


principi, un regno abbondare d'oro e d'argento, e quanto benefizio ar
rechi non mi parso discorrerlo al presente; e cos ancora quanto
danno cagioni esserne povero; parendomi che da ognuno, se non di
stintamente, almeno in confuso s'intenda. Perci avendola per propo
sizione provata , e che coloro che tengono la contraria opinione deb
bono essere inviati in Anticira (1). E a questo punto io
credo ogni lettore si arrester, perfettamente convinto che Antonio
Serra, non solo non ebbe in animo di detronizzare l'oro e l'argento,
ma avrebbe condannato ad una cura di elleboro, chiunque osasse pen
sarlo , e perci molto pi chiunque osasse di attribuirgli un' opinione
diversa.
Ci non tutto. Le tnoltiplici cause, alle quali il prof. Mancini
allude , ben lungi dall' esser cause a cui si riporti la creazione della
ricchezza , come cosa diversa dall' abbondanza d'oro e d' argento , non
sono , n pi n meno, che cause per cui abbondi V oro e l' argento.
Serra, forse , non ha n pur profferito la parola ricchezza ; certo al
meno che non l'ha mai adoprata nel senso che il prof. Mancini sup
pone. Eccone alcune prove:
Gli accidenti proprii che possono far abbondare un regno d'oro e
d'argento, sono ecc Portandovi dette robe in paese di necessit
bisogna portarvi oro o argento. Causa del traffico grande e
perci causa anche dell' abbondanza dell'oro e dell'argento (2).
La quantit degli artilicii (arti) far abbondare un regno o citt
di danari (3) d'onde se ne cavano tante e tante robe
per gli artilicii e per quello vi entrano denari com' notorio (k).
le loro industrie, per le quali senza dubbio abbonder la
citt d'oro e d'argento e questo accidente tiene il primo luogo
in fare abbondare la citt o regno di monete (S).
e dall'effetto si conosce quanto sia importante questo ac
cidente della qualit delle genti che con essere il paese (si
parla di Genova) sterilissimo, abbonda di tanti danari (6).
e questo accidente del traffico far abbondare il paese di
danari (7).
e che dove traffico grande, di necessit vi debba essere
quantit di monete, non accade provarlo, poich il traffico non si pu
fare senza quella ed a tal fine si fa (8).
() Pag. 19, ed. Custodi.
(2) Ivi, pag. 21 e 22.
(3) Ivi, pag. 25.
(4) Ivi, pag. 26.
Ti) Ivi, pag. 27.
fi1 Ivi, pag. 2.
'") Ivi, pag. 30.
'8 Ivi, pag. 31.
PREAZIONE. l.

Le citt di Venezia e Genova essendo prive dell'accidente pro


prio ecc. ed all'incontro essendo la citt di Napoli quella in cui si
ritrova in perfezione ecc. . . . . tuttavia le prime citt sono abbondan
tissime di moneta e Napoli poverissima (1).
Le condizioni di Napoli tutte sono e devono essere causa di farla
abbondare di danari, come all'incontro quelle di Venezia causa di im
poverire (2).
Sono causa del male che non vengono danari in regno, l'en
trate che tengono i forestieri (5).
Questo,... al regno... non sarebbe espediente, che sarebbe pri
arlo affatto... anzi che farlo abbondare di danari (4) .
Queste citazioni non sono, come ognuno intender agevolmente,
che un piccolo saggio del frasario dell'Autore. Si potrebbe moltipli
carle; ma mi paiono gi soverchie per dimostrare che il Bianchini, da
cui nato il sospetto che Say e M'Culloch abbiano giudicato di Serra
senza leggerne il libro, appunto colui al quale si possa l'imputazione
ritorcere con sicura coscienza.
Pure, fin qui, si tratta di frasario. Serra scrisse al principio del
secolo xvu. Non sarebbe poi meraviglia che il suo linguaggio fosse
gravido delle false espressioni del tempo; ci non impedirebbe ch'ei
sia il fondatore della Scienza.Un cenno dunque sul contenuto dell'opera.
Il suo scopo noto. Verso i principi del secolo xvi le monete ed
i cambi erano in uno stato di estremo disordine a Napoli; e soprat
tutto la povert del paese, nudrita da un secolo di oppressioni, lo aveva
poco a poco vuotato di danaro, perch il danaro va via quando le
occasioni di adoperarlo come strumento di circolazione spariscono. Il
disordine del sistema monetario, effetto in parte ancor esso della po
vert del paese, fu in vece reputato generalmente come unica causa,
non di ci che noi chiamiamo oggid povert, ma di ci che allora
chiamavasi, cio della penuria di danaro. Tra le tante scritture che si
produssero, una di Marcantonio de Sanctis (che non giunta a' po
steri), proponeva che una nuova tariffa di monete si decretasse, per
modo che il cambio legale tra la piazza di Napoli e le piazze estere ve
nisse obbligatoriamente ad eseguirsi sopra un nuovo ragguaglio. An
tonio Serra scrive contro una tale proposta. Il suo scopo di provarne
l'inefficacia. Due terzi di tutta l'opera sono intieramente occupati della
quistione tecnica del cambio; la prima parte un'introduzione ten
dente a dimostrare in tesi generica quali sono le circostanze sotto le
quali avviene che il danaro abbondi.

1) Pag. 41, ed. Custodi,


2) Ivi, pag. 46.
5) Ivi, pag. 127.
4 lvi, pag. 164.
LII FERRARA

in questa che noi dobbiamo cercare il fondatore dell'Economia;


giacch in quanto alla quistione speciale , se anche si dovessero am
mettere tutte le sue teorie , la sua gloria non avrebbe alcun titolo di
priorit, essendo quello un argomento gi mollo discusso da pi anni
avanti di lui.
Perch si cominci dall'avere materialmente un'idea di questo trat
tato fondamentale della Scienza , io amo fino notare che esso si con
tiene in 12 o 15 delle nostre pagine (1) , nelle quali l'Autore asse
risce (cosa diversa dal dimostrare) che il danaro abbonda :
1 Naturalmente, dove sono miniere d'oro e d'argento;
2 Accidentalmente, dov' soprabbondanza delle robe (pro
dotti agrarii) eccedenti 1' uso necessario e comodo del paese proprio,
poich portandosi dette robe in paesi dove mancano. . . , di necessit
bisogna portarvi oro o argento ;
3 Dove il silo occasione potente e causa del traffico
grande , cos a rispetto delle altre parti del mondo come a rispetto di
se medesimo, e perci dell'abbondanza ecc. ;
h Dov' quantit di arlificii (manifatture) soprabbondanti
al bisogno del paese ; causa migliore che l'abbondanza delle robe ,
perch l'artefice pi sicuro che il contadino di guadagnare ; per
ch gli arlificii si possono moltiplicare; perch si spacciano con pi
facilit ; perch si cava pi dall' artificio che dalla roba . ;
5 Dove sono abitatori industriosi che non solo trafficano nel
medesimo loro paese, ma fuori, e discorrono dove e in che modo pos
sano applicare le loro industrie, per le quali senza dubbio abbonder la
citt ecc. ;
6 Dov' traffico grande... delle robe d'altri paesi per altri
paesi . ( Cio commercio di transito ; perch il commercio d' estra
zione limitalo alla soprabbondanza delle robe proprie, e quello d'im
portazione far impoverire il paese e non abbondare di danari ) ;
7 Dov' a la provvisione di colui che governa . (Cio,
dove il Governo sa prendere le misure opportune secondo li diversi
effetti che vuol causare , rimovendo gli impedimenti che potrebbero
ostare all'effetto che si desidera ; cosa difficile ecc.) .
Qui l'A. soggiunge che, all'infuori di queste cause, nessun'altra ve
n'ha: cosicch non mi pare n anco esatto il dire col prof. Mancini,
che egli abbia riportato la' creazione della ricchezza a moltiplici cause,
additandone le principali. Il Serra in vece ha inteso definire precisa
mente il numero delle sorgenti di danaro , ed escluderne qualunque
altra; e queste, come si vede, sono: 1' estrazione de' proprii pro
dotti agrarii o manufatti, ed il commercio di trasporto ; giacch il ri-

'1) Pag. 66 dell'edizione Custodi


PREFAZIONE LUI

manente sito favorevole, carattere degli abitanti , provvidenza del


Governo sebbene egli ne faccia delle cause a parte , non sono, an
che nel modo in cui le presenta, che cause delle cause ; vi ha estra
zione e commercio, ove il sito, il carattere, la provvidenza, contribui
scono ad eccitarli e mantenerli.
Ora io invito il lettore a leggere il testo, per decidere se, al di
l della gretta enumerazione , gli sia possibile rinvenire la menoma
frase che possa chiamarsi sviluppo, dimostrazione, un primo lampo di
scienza economica. Non una sillaba soia. Si tratta unicamente di an
nunziare che un paese il quale, non avendo miniere, mandi all'estero
i suoi prodotti, riceve in cambio di essi argento ed oro! Io chiedo al
prof. Mancini, che egli dimostri come mai l'avere annunziato un'idea
cos falsa , cos al tempo medesimo creduta vera dal volgo , e cos
vecchia nella credenza degli uomini , possa , perch fu fatto in Italia ,
o perch fatto da uno sventurato martire della libert, divenire fonda
zione della Scienza economica? Idea falsa, perch si pu praticare
una larghissima estrazione di prodotti, o un estesissimo commercio di
transito , senza che perci si abbondi di danaro , ma abbondando di
merci ; idea volgare, perch quella che qualunque donniciuola vi sa
meccanicamente ripetere, se voi le domandate da dove venga il danaro
che noi ci facciamo passare di mano in mano ; idea vecchissima, per
ch se egli apre anche i pi oscuri trattali di moneta nel cinquecento,
la trover messa per fondamento e ripetuta ad ogni pagina, la trover,
se vuole , largamente svolta in Bodino , la trover nel Reggime del
Principe di S. Tommaso, la trover in Senofonte, e implicitamente ri
conosciuta da Aristotele e da Platone , i quali non temevano tanto il
commercio ed il contatto co' forestieri se non perch vi trovavano il
pericolo di far abbondare il danaro , e con esso destare ne' cittadini
quell'amore dell'oro che incompatibile colle grandi virt.
Ma bisogna andare, pi in l. Serra passa a fare un confronto tra
Napoli e le citt di Venezia e Genova, intento a mostrare che queste
avrebbero il meno possibile delle circostanze favorevoli alla dovizia di
oro ed argento , e quella ne avrebbe molto di pi ; e pur nondimeno
le prime ne abbondano, e Napoli ne scarseggia.
Qu finisce la parte per dir cos teoretica. Segue la discussione sul
cambio, che mira a mostrare come la proposta del De Sanctis sarebbe
inefficace ad ottenere lo scopo di far venire gran copia di danaro a
Napoli. Si giunge finalmente alla terza, ove ci aspelleremmo la solu
zione del gran problema, ed ove dovrebbe finalmente apparire il fon
datore dell'Economia. Or ecco ci che egli ne dice.
A far abbondare il regno di danaro, non giova il proibire l'estra
zione della moneta ; non giova il bassamento del cambio ; non
giova l'apprezzo della moneta forestiera ; non giovano gli artificii
I.IV VKHRARA

di innalzamento nominale ; chi- cosa dunque abbisogna ? Levar la


causa che non lascia venir danari per la roba che si estrae ; e intro
durre gli accidenti (le condizioni opportune) de' quali il regno privo .
Ma levar la causa non si pu. Il danaro non viene , perch il prezzo
di tutte le robe che si estraggono rimane all' estero e serve a pagare
l'entrate che i forestieri posseggono in regno. Introdurre gli acci
denti non si pu, perch la gente del paese di una contraria in
clinazione (non di carattere industrioso) ; e tutto dipenderebbe
dalla provvidenza del Governo , la quale similmente difficilissima
da esercitarsi al proposito . Ma ad ogni modo, certo che a colui
che vuole e puote non cosa diffcile , e non si concede cosa alcuna
senza gran travaglio di vita ; dunque (si noli bene la conseguenza),
l'Autore si limita ad accennare in confuso e in generale, che vi sarebbe
il modo, ma non gli conviene per pi rispetti dirlo in particolare. E
perch da alcuni non s'immagini che quesla sia escusazione dell'igno
ranza, sempre che il padrone lo comandi se gli far palese il modo in
particolare, con riforma grandissima e benefzio universale del regno e
della Maest Cattolica, senza spogliare il privato del suo, contro la dis
posizione della giustizia -, la quale deve sempre avere il primo luogo
ecc. . Ed essendosi cos accennato in generale e in confuso il modo
e rimedio certo per il bisogno di regno , secondo la materia ricer
cava , e conforme si era premesso l' Autore ci congeda , e d fine a
qust' operino.
Io domando di nuovo a tutti i facitori delle nostre glorie nazio
nali che si compiacciano di Indicare qual sia questa prima pietra get
tata dal Serra a fondamento della Scienza ; e quanto al mio ottimo
amico, io lo prego di dire se vi ha la pi lontana, la menoma analo
gia, tra il concepimento sistematico del Quadro di Quesnay, e il Trat
tato del Serra ; lo prgo di dire se egli possa coscienziosamente ripe
tere che quel Trattato tende a mostrare che la ricchezza non consiste
nell' oro e nell' argento che tende ad additare le principali fra le
tnoltiplici cause della crmiione delle ricchezze ; e dopo ci decidere egli
Stesso se il Ferrara , salutando e' Fisiocrati i Creatori della Scienza
economica, lo abbia fatto per far eco a' Francesi ( passione , che egli ,
siciliano, con difficolt potrebbe sentire); e se, per qualunque cagione
lo abbia fatto , poteva a proposito di Turgot e di Quesnay , indicare
alla gratitudine de' cultori delle Scienze economiche il nome del Serra ,
senza il rimorso di avere dal canto suo contribuito a rendere , presso
i cultori delle Scienze economiche, ridicole le glorie Italiane , che ,
quando si ha la cura di mantenerle ne' limiti della lor verit, sono al
l' incontro reali, splendide, indubitate.
Io ora aggiunger difatti ci che a Galiani il Governo assoluto non
permise forse di dire intorno al libro del Serra, ma Che avrei volon
IRKPAZIONK. !

(ieri riconosciuto se il prof. Maucini lo avesse accennato . V una


parte misteriosa in quel libro, non priva, se si vuole, di importanza
teoretica , ma mirabile certamente , perch sempre meglio rivela la
tempra d'animo, l'invitto coraggio civile, di cui Napoli ha sempre dato
i pi splendidi esempi. Quest'uomo, dal fondo del carcere in cui lo
lasciarono gemere e sette volte lo torturarono , perch accusato di
complicit nella cospirazione repubblicana di Campanella; quest'uomo,
cos apparentemente tenero di S. M. Cattolica; quest'uomo, che ha
un certo segreto da comunicare all'orecchio de' suoi padroni ; non in
tese, se io l'ho compreso, che fare un'energica apologia del governo
repubblicano ; e tentando di crre gli uomini dal loro lato pi debole,
present l' abbondanza dell' oro e dell' argento , come effetto di molte
cause s , ma effetto dubbio finch non venisse dalla provvisione del
Governo. Ad ascoltarlo quando getta le prime idee su questo accidente,
parrebbe di non alludere che a delle misure dell' ordine puramente
economico ; ma andando pi innanzi, il lettore non pu non rimanere
colpito dal paragone che costantemente, anzi affettatamente istituisce
tra Napoli e Venezia o Genova ; e per ultimo si arriva al punto , in
cui, calata la maschera, impiega parecchie pagine a dimostrare che il
Governo veneziano presenta una stabilit che in altre signorie e
repubbliche non fu mai che ne' regni , ove risieda il principe,
non vi ha Governo che possa durare pi di SO anni ; ed ove il prin
cipe non risiede (caso di Napoli), tanto dura quanto l'ufficio del vicer
che , morendo un re , il successore non si conforma in tutto
nell' opinione col predecessore , e perci in proverbio , nuovo re
nuova legge e ignora che cosa il predecessore giudicava disor
dine, n che provvisione avea da fare, n quelle che avr fatte ecc.
e cominciando a provare' a suo modo, non vi cos certezza che
debbano riuscire, per la guai cosa % sudditi di santa Chiesa, per la con
tinua mutazione , non conseguiscono quel Governo buono che potrebbero
conseguire se il Governo fosse stabile . Ma nel Governo di Venezia ,
essendosi atteso dal principio della sua propagazione a governar bene ,
avendo per oggetto il beneficio pubblico , hanno istituito pi e diversi
ordini, ne fanno ognora de' nuovi, migliorano o sopprimono i vecchi,
e particolarmente circi alla creazione de' magistrati, che s' mai ritro
valo in altre signorie e repubbliche simil modo di creare magistrati.
Quindi l'esperienza ha dimostrato che non vi fu mai dominio o re
pubblica al mondo che -abbia tanto durato, quanto ha durato e dura
Venezia , che ancora vergine, e sono circa 1200 anni che edificata
dopo il flagello di Attila. E qui continua a descrivere con una speciale
compiacenza, come il mirabile meccanismo dell'elezione de' magistrati
in Venezia conferisca stabilit e costanza nello spirito del suo Governo,
onde conchiudere che sicuro di non essersi ingannato allorch ha
LVI FERRARA

dichiarato decisamente preferibile ad ogni abbondanza di roba e di ar


tifici l'accidente del buon Governo; o in altri termini per dire ai Na
poletani che, nella causa per cui egli e i suoi gemevano in carcere, non
si agitava l'interesse della sua vita, ma il benessere e la ricchezza del
paese, la quale non si polea sperare di conseguire senza prima sfor
zarsi a sostituire la stabilit degli ordini repubblicani all'incostanza del
Governo regio e viceregio. -

Ecco, secondo me, la sola scienza che il Serra volea fondare. Io l'ar
gomento dalla frequenza delle allusioni, dalla lunghezza di quel tratto,
dalla lindura tutta eccezionale, con cui procede in quelle idee, dallo
stile medesimo che si anima tutt'insieme e poi ricade. Cos si spiega
la puerile reticenza con la quale chiude il suo libro; cos sarebbe un
bel sarcasmo, e degno della sublimit del suo animo, quella promessa
di svelare il suo pensiero all'orecchio de'suoi padroni, tostoch ne lo
avrebbero chiesto. I padroni lo lasciaron gracchiare, e forse lo pre
miarono con nuovi tratti di corda; i suoi contemporanei non lo com
presero; probabile che Galiani abbia inteso, esagerando il merito del
l'economista, accennare al politico; mi sembra per inescusabile che
ai nostri giorni il suo storico e suo compatriota, spenda tante parole
a collocare il miserabile cicaleccio economico al di sopra, quasi, della
Ricchezza delle nazioni, e non abbia veduto che il vero intento dell'Au
tore mirava a tutt'altro. Ma ci necessariamente accade quando a scri
vere un libro di tanta gravit si ponga la poca coscienza e la molta
fretta che il Bianchini ha posta nel suo.
Uscendo di questo scopo tutto speciale e politico, e tornando nel
campo dell'Economia, io trovo inconcepibile che il prof. Mancini, im-
pegnato a cercare in Italia l'origine della Scienza, non l'abbia piuttosto
trovata in Botero, che circa 25 anni prima di Serra aveva, soprattutto
nella sua Ragion di Stato, abbracciato sotto vedute ben pi larghe e
complessive quanto nel secolo xvi potea sapersi, non solo in materia
di legislazione economica, ma in fatto di agricoltura, di arti, e di com
mercio, senza tener alcun conto del suo speciale trattato sulle Cause
della grandezza delle citt, n delle sue celebri Relazioni universali.
Io non so se questo primo avversario di Machiavelli si possa, come
un sentimento di cittadinanza fe' dire a Napione (l), collocare al di
sopra del Segretario fiorentino; ma certo, in quanto a materie pura
mente economiche, io non oserei n anco tentare il confronto tra gli
accidenti che fanno abbondare di denaro li Stati, e le ragionate opinioni
(1) Aveva scritto,sin dal 1585, De sapientia regia; e l'opuscolo Sulle cause della
grandezza delle citt, del 1588. Il suo intento era di mostrare che nelle arti di go
verno ci che onesto non mai disgiunto da ci che veramente utile; e quello che
ingiusto non pu essere giammai realmente vantaggioso. Botero non cita pertamente
il Machiavelli; ma si raccoglie da un'altra opera sua ch'ebbe l'intento di confutarlo (Uf
ficii del Cardin., lib, I. pag. 64).
PREFAZIONE. V

di Botero e la sua distinzione fra l'imposta diretta e l'indiretta


e la ritrosia con cui piega il collo a' pregiudizi doganali del tempo
e l'interesse all'incontro con cui si dichiara per l'economia delle
pubbliche spese e la superiorit con cui disprezza la pratica del te
soreggiare e i buoni consigli sugli incoraggiamenti da dare all'a
gricoltura e l'acume con cui vuol dimostrare l'importanza delle
arti e le saggie riserbe con le quali accetta la pratica delle colonie
e i principi, per la pi parte irreprensibili, su cui appoggia le sue
idee intorno a commercio ma soprattutto , le idee lucide, vere,
precise, che si formava intorno alla legge della popolazione (1).
Ma Botero, egli stesso, fu preceduto da Bodino; ed un critico di
sinteressato e sincero non pu far a meno di riconoscere che il pubbli
cista francese, nel 3 libro della sua Repubblica offre una larga messe
di antichit economiche, ben pi copiosamente profuse che nella Ra
gion di Stato del ministro sabaudo (2). Queste due famosissime opere
del secolo xvi basterebbero a togliere ogni residuo di anteriorit al
nome del Serra; e pur nondimeno non costituiscono, n anco esse, le
prime scaturigini della Scienza economica; perch io non posso ve
dervi che una successiva elaborazione, continuata per pi di tre secoli,
dell'idea di suprema tutela attribuita ai Governi sui popoli e canoniz
zata sotto le tante parole di reggime, reggimento, politica, repubblica ecc.,
nelle quali la quistione della coltivazione, o delle arti, o delle colonie,
si mischiava a quelle della vendita de' beni del clero, o a quella del
loro celibato, o alla fusione delle campane ecc. ecc. Le prime volte in

(1) il settimo libro della Ragion di Stato quello che tratta di queste materie. Agli
economisti amanti di erudizione, io consiglierei di leggere per intero il capitolo del Ma
trimonio e dell'educazione de'figliuoli, ed ilterzo libro dell'opuscolo Sulla grandezza delle
citt, pertrovarvi benissimo esposto il moderno Principio di popolazione.
Botero non mai ricordato da'nostri critici come un economista, probabilmente perch
il Custodi gli commise l'ingiustizia di non includerlo nella raccolta de'classici.
La rinomanza di Botero ben lontana dall'esser postuma. La Ragion di Stato fu tra
dotta in tutte le lingue; la Politia regia di Rainferberg (1620) non fu che un estratto
delle Relazioni universali di Botero; Naud, Bayle, Moreri, senza parlare degli Italiani,
che si potrebbero reputare sospetti, lo misero alla testa de'politici del suo tempo. Il libro
Sulla grandezza delle citt ebbe, nel 1635,una traduzione in inglese, a proposito della
quale M'Culloch scrive le seguenti parole, che, per altro, sarebbero meglio o altrettanto
bene applicabili alla parte economica della Ragion di Stato:
E questo un trattato notevolissimo. Le cause a cui Botero ascrive l'incremento delle
citt, sono affatto identiche a quelle che si vedono menzionate da Seneca, e l'influenza
di ciascuna di esse vi descritta e valutata. Ma l'opera principalmente degna di ricordo
perch mostra che l'Autore conosceva perfettamente tutto ci che avvi di vero nella
teoria di Malthus. Il che particolarmente si rileva dai ragionamenti con cui mostra che le
colonie non tendono a spopolare la madre-patria, e dall'investigazione delle circostanze
che possono limitare e determinare l'aumento delle citt. Fu un grande sbaglio l'aver
dimenticato l'opera di Botero nella Raccolta degli Economisti italiani.(Litt. ofpol. Econ.,
. 253). -

(2) E si noti che la Repubblica di Bodino, bench l'edizione latina porti la data del
l383, era stata gi pubblicata in francese sin dal 1577, e l'Autore non s'indusse a farne
egli stesso l'edizione latina che per averla gitrovata mal tradotta in Inghilterra dove era
nsegnata nell'universit di Cambridge.
* I9
ILV III FERRAll. A

cui dalla discussione delle regole governative si sia cominciato a pas


sare alla contemplazione de'fenomeni prettamente economici, fu a pro
posito delle monete; e il vero momento in cui la quistione monetaria
prese proporzione ed importanza economica, fu quando l'Europa avea
risentite le profonde modificazioni di prezzo venale generate dalla sco
perta di America. Perch prima di allora,scrittori intorno alle monete
ve ne furono, vero, moltissimi, ma il gran soggetto delle lunghe
loro discussioni, e delle eruditissime loro opere, era tutto legale; o
archeologico, o tecnico tutt'al pi; si aggirava o sulle conseguenze
civili delle alterazioni di valore nominale che i principi facevano c
disfacevano secondo l'urgenza de' loro bisogni, o sul ragguaglio tra le
antiche e le moderne monete, o sulleparticolarit della coniazione; ed in
tutto ci la quistione di priorit, se anche avesse importanza, rimon
terebbe non solo a Scaruffi, Davanzati, Turbolo, non solo ai piemon
tesi Sola e Tesauro che il prof. Mancini ha citati, ma ad Alberto Bruno
da Asti, a Mariana spagnuolo, a Pirckeimer da Eichstet, e se si vuole
anche a Bartolo (1). Per nella seconda met del secolo XVI, la qui
stione de' prezzi divenne vivissima e grave; e non in Italia che si
sia saputo meglio agitarla. Gli Inglesi hanno su tal proposito un opu
scolo che fu lungamente attribuito a Shakspeare, ma che ora noto
appartenere ad un W. Stafford; e M' Culloch si curato di rammen
tarlo (2). Ma i Francesi ne hanno un altro, anteriore ancora di 20
anni, che niuno si d pi la pena di nominare, che certamente ai
nostri giorni non pu avere alcuna gravit nell'interesse della scienza,
ma che dev'essere preziosissimo a chi ami cercarne le prime origini,
o parlare di priorit: ed appartiene a Bodino, l'autore medesimo della
Repubblica (5).

i) Di ci si pu ognuno convincere facilmente. Vi ha un'opera, divenuta oggi raris


sinna , d'un tal Renato Budelio, pubblicata in Colonia nel 1591 col seguente titolo: De
monetis et de re nummaria, libri duo. divisa in due parti. Nella prima l'Autore d un
trattato originale sulla moneta, il quale, lo dir di passaggio, compromette anche su
questa parte la priorit degl'Italiani, ma nella seconda non fa che raccogliere, per inser
zione o per estratto, tutto ci che avanti di lui s'era scritto sulla materia. In quella mol
titudine di opuscoli, la maggior parte de'quali son consulte giuridiche, se ne trovano
aluni d' una qualche importanza nella storia dell'Economia. E singolare che il titolo di
quest'opera sia sfuggito alle minuziose ricerche del Bianchini; eppure l'Autore anche
nominato nel Dizionario di biografia universale, a cui sembra evidente che lo storico na
poletano allbia attinto la gran copia di nomi, de'quali pieno il suo libro. Budelio
citato una o due volte da Montanari edun'altra da Carli; del rimanente questa sua opera
fu affatto dimenticata, ed io non la conoscerei che di nome se un mero caso non mi
avesse fatto trovarla dove meno il credeva.
(2) E del 1587: Breve esame di certe doglianze ordinarie a'diversi de' nostri concitta
dini ecc. .
(5) Il suo primo titolo fu: Reponse aux paradoaces de M. de Malestroict touchant l'en
cherissement de toutes les choses et des monnoyes. In-4, Parigi 1568. Fu ripubblicato
dieci anni appresso col seguente titolo: Discours sur le rhaussement et diminution des
nonnoges, pour reponse aux paradores du sieur de Malestroict. In-8. Entrambe
queste cdizioni son divenute rarissime: io non conosco che una traduzione in latino, in
rita nella raccolta di Budello che ho sopra citato, c dalla quale, in un momento di
PIREAit) N. LIM

lo non insister su queste ingrate ricerche e citazioni. An


dremmo cos fino a Platone. La quistione sempre ne' medesimi ter
mini. Di pensieri isolati, non possibile indovinare il vero momento
in cui sieno surti nel mondo. Di verit concatenate, in fatto di Eco

curiosit bibliografiche, ho tratto una traduzione italiana. I lettori di economisti ita


liani non si sono probabilmente avveduti che Montanari (Della moneta ecc.) ha fatto un
largo uso dell'opuscolo di Bodino, citandolo in modo che niuno si accorgesse dell'utilit
che ne aveva cavata, e confutandolo anzi in qualche parte (Cap. IV.). Carli nella terza
delle sue Dissertazioni accenna l'uno e l'altro opuscolo: fu il primo Poulin in Francia
nel 1578, il quale pretese di mostrare che ivi cresciuto fosse il solo valor nunerario e
non il reale, sostenendo che con la medesima quantit d'oro e d'argento si poteva avere
allora ci che si acquistava 300 anni avanti. Bodino lo ha confutato, senza per dimostrare
cosa alcuna . Bianchini nulla dice intorno al movimento che quella quistione portava
nella societ di quel secolo, e che meritava d'esser trattata come un vero punto di par
tenza degli studi economici; e quanto all'opuscolo di Bodino, ecco le sole parole che gli
consacra: Quello stesso Bodino, di cui sopra ragionai, divulg un discorso Sul caro
prezzo delle cose e sui mezzi di provvedervi.Chi ne volesse pi minute notizie, potrebbe
consultare a preferenza Bayle e Niceron.
Ognun vede che il paradosso di Malestroit era forse una verit, e che in quella quistione
il torto era pi dalla parte di Bodino; ma un rapido estratto di ci che contiene l'opu
scolo di quest'ultimo servir, mi lusingo, a mostrare che gli argomenti economici, nel
secolo xvi, erano molto meglio noti fuori d'Italia di quello che lo sarebbero stati nel se
colo seguente in Italia se si dovesse giudicarne dal valore del libro di Antonio Serra.
Bodino comincia dal negare il fatto. Non vero che i prezzi, da tre secoli in qua, si
sieno mutati in proporzione del mutamento avvenuto nella quantit de' metalli: tutto
mostra che in Francia si paga oggi molte cose dieci volte pi di quello che si facesse ai
tempi di Filippo il Bello. A questo rincarimento ha dovuto sicuramente contribuire l'alb
bondanza de'metalli; perch molti fatti dimostrano quant'erano scarsi allora (le doti co
stituite alle figlie di sovrani ecc.). Il danaro era allora in ltalia, perch la Francia non
aveva arti n traffico. Ma poscia l'ebbe, quando dagli Spagnuoli le si rec l'oro del nuovo
mondo, e il commercio vi si avviv, specialmente quello del sale. Successero lunghi pe
riodi di pace, affluenza di genti, traffico coll'Oriente, un banco a Lione, che offrendo alto
interesse, attir a s gran copia d'oro e d'argento. Vi ha contribuito anche pi la scar
sezza delle derrate; la quale principalmente deriva da eccesso di estrazione. La Francia
manda via il grano, e riceve danaro. Vi ha finalmente contribuito il lusso de' principi, il
quale fa rincarire le cose da essi predilette. Il caro dunque reale e viene da tutte co
deste cause. Qual sarebbe il rimedio? Ecco ci che Bodino propone: Non proibire
le estrazioni, perch noi riceviamo dall'estero molte cose in cambio di quelle che man
diamo; perch a noi giova stare in vivo commercio cogli altri popoli; cosa in cui errarono
Platone e Licurgo. Le nazioni han tutte bisogno l'una dell'altra; l'unica cosa da respin
gere sono i malfattori; non vero che l'estrazione fa rincarire ogni cosa; il solo frumento
ci la cui uscita dovrebbe regolarsi con prudenza. Istituire monti frumentari, sta bene;
na sarebbe stoltezza far sostituire frumento ove cresce la vigna. Converrebbe insomma
limitarsi a porre de'dazi di estrazione. ( la teoria di Genovesi, Verri e Beccaria).
Richiamare in voga il consumo de'pesci (qui, una delle stravaganze del tempo); la moda
in quel momento avea dato alle carni una preferenza sul pesce, e Bodino ci vide una
causa di decadimento per la Francia. Sopratutto, non alterare mai il valore della mo
neta: azione infame, per nulla degna di un principe. Proibire la lega ne' metalli,
anche agli orefici; che tutto l'oro sia sempre a 23 carati, e tutto l'argento a den. 11 12
Dare a tutte le monete d'oro lo stesso peso che a quelle d'argento, regolandole sui
summultipli del num. 64 (perch al tempo di S. Luigi 64 soldi formavano un marco),
dare ad entrambe la stessa impronta, e allora il valore dell'une starebbe a quello delle
altre precisamente nel rapporto in cui stanno i due metalli, cio come 12 ad 1. Qui
l'autore cerca di dimostrare i grandi vantaggi di questo sistema, che riguarda come un
mezzo sicuro di ovviare a tutti gl'inconvenienti.
Io non do questo estratto certamente per indicare ai miei lettori un trattato d'Econo
mia politica, ma perch quando leggono Scaruffi o Turbolo non sieno cos proclivi a
supporli scopritori della teoria della monetazione, e quando leggono l'opuscolo di Davan
zati, si ricordino che per copia di cognizioni e per larghezza di vednte, Bodino, nel 1568,
non iscapiterebbe al paragone di Davanzati che scrisse nel 1588.
I.\ FfcRR.lB.I

nomia, i primi saggi non mi pare che sieno apparsi in Italia. E an


cora non si tratta gi di scienza vera, cio di principii generatori
sotto cui si sia rannodata la massa delle verit gi conosciute. Io non
poteva citare il Serra o il Bandini, quando incontrava ne'Fisiocrati la
prima formola della scienza; Serra, noi doveva che a proposilo della
scuola italiana, ma sventuratamente la mia coscienza ripugna ad attri
buirgli i meriti che i miei concittadini gli han consentiti. Il prof.
Mancini probabilmente non divider la mia opinione: sar questo
e ne sono dolente un altro caso in cui non mi tocchi il piacere
di trovarmi pienamente d'accordo col giudizio d'un uomo, la cui ade
sione dev'essere lusinghiera a chiunque sappia apprezzarla quanto con
venga. Torniamo a Verri.

IX.

Qui, spero che trattandosi di lui e de' suoi contemporanei italiani,


non si penser d'invocare qualche diritto di priorit simile a quello
del Serra o del Bandini. Sarebbe ben altrimenti difficile il sostenerla.
Al declinare del secolo 18, il mondo era gi invecchiato di molto.
L'era delle grandi catastrofi era trascorsa ; dopo un Carlo V, un Lu
tero, ed un Cromwel ; dopo trovata un'America; dopo che le dro
ghe di un'India occidentale eran comparse a soppiantare quelle dell'o
rientale ; il mondo europeo aveva veduto incalzarsi l'uno sull'altro
fenomeni inattesi, inosservati in tutta l'antichit. S'eran vedute le
grandi e subitanee deviazioni di capitali, volgersi dalla navigazione
alle arti, dalle arti alle intraprese coloniali; s'era veduto la carta dei
banchi detronizzare l'oro e l'argento, e la terra, come indispettita al
l'oltraggio che la mobilit dei nuovi valori ambiva di farle, rialzarsi a
riprendere nella estimazione degli uomini, attoniti alla caduta delle
illusioni bancarie, l'antico privilegio esclusivo alla stabilit del valore.
In mezzo a tanto moto di scudi, di cedole, di merci, a tanti progetti
scontratisi sul nuovo terreno della speculazione, a tante potenze surte
e rovesciate, a tante colossali fortune inghiottite o edificate dal nulla,
ogni giorno non tramont senza lasciare un ricordo del suo passaggio,
ed offrire nuove, materie di dispute agli interessi che erano in lotta,
nuovi imbarazzi ai governi, nuovi fatti alla meditazione de' filosofi
solitarii. Le teorie della moneta, prime a nascere, furon le prime a
trovare la chiave di un sistema determinato, in cui riposarsi, per la
sciare a' nuovi fatti il campo su cui svilupparsi. Le guerre contro
l'usura s'erano convertite in discussioni sull'interesse. L'alto di navi
gazione, le ordinanze di Gilbert, e la prosperit dell'Olanda , avevan
creato la gran quistione delle dogane, l'eco della quale ondula ancora
alle nostre orecchie. Banchi, pauperismo, ospizi i di beneficenza, finanze.
PREFAZIONE. I V)

compagnie di commercio, debiti pubblici , tulio ci fu nuovo , era


surto in un punto, s'era imitalo in un altro, andava e veniva, dal
l'Italia all'Inghilterra, dall'Olanda alla Francia, spariva, risorgeva, ed
io ognuna delle sue fasi, libri, consulte, discussioni, atti di governi,
tutto accorreva a proporre, a confutare, a svolgere, a decretare. L'I
talia, pesta dallo straniero e lacerata in brani, assai di buon'ora fu
tratta fuori da quella scena. La corte de' Medici e il pontificalo di
Leone X furono forse gli ultimi momenti di vila che respirarono i
nostri padri in mezzo alla fermentazione de' nuovi interessi europei :
lo straniero ci rub industria, arti e sapere, non ci diede in cambio
che gabelle e torture. Non solo falso che noi nel secolo scorso aves
simo dato alla luce una scienza economica, ma pensarlo e sospettarlo
ridicolo ; contentiamoci pure di poter dire che in mezzo alla perse
cuzione e al dolore abbiamo avidamente raccolto e conservato per un
migliore avvenire le ultime espressioni de' grandi fenomeni, che si *
compierono al di l delle alpi e del mare, e che il vento, deludendo
la vigilanza delle sentinelle francesi, spagnuole e tedesche, ci rec
di soppiatto !
Pure, io sar scrupoloso a raccogliere ogni pi piccolo briciolo
di originalit che Beccaria e Verri possano offrire, perch quanto a
Filangieri mi slato impossibile di trovarne, e quanto a Genovesi,
egli non ha n anche di suo le velleit comunistiche, che il lettore
sar sorpreso di rinvenire in un'opera cos sobria, e nella bocca di
un professore cosi sorvegliato da una curia bigotta (1).

Di Beccaria, io non ho da cennare che una sola quislione intorno


alla Divisione del lavoro. Chi volesse trovare ben altri diritti di prio
rit nel suo libro, legga e creda quanto ne dice il Bianchini. Il passo
sulla Divisione alla pag. 395 (. IX) di questo volume. Lo stesso
Say gliene ha dati gli onori dell'invenzione ; ma Bianchini contentan
dosi di averli acquistati per un italiano , li trasferisce pi volentieri al
suo Genovesi, e in tutti i casi si limila a soggiungere che a questa
scoperta di remotissimo tempo: poich sin dal medio evo gli Slati
italiani fecero stabilimenti per la divisione e suddivisione del lavoro
e di arti e mestieri, stabilimenti imitati e perfezionati e in Francia
e in altre regioni di Europa e nella slessa Inghilterra.
Blanqui, nella sua storia dell'Economia Politica, stato pi corag
gioso, indicando un passo della Repubblica di Platone (lib. 2), di cui
ha detto non essersi mai pi chiaramente definito i vantaggi di
questa teoria . Ci torrebbe la priorit non solo agli economisti del

() Il lettore noter io molti passi di Genovesi una speciale predilezione per la comu
nit de'beni. Vegga tra gli altri la pittura che fa degli Apalascbiti, in fine della nota alla
pag. m.
(I,Vi l'ERRARA -

secolo 18, ma ben anco agli stabilimenti del medio evo. In un'altra
occasione io ho riportato per disteso quel passo (1), perch lo storico
francese, nel desiderio di ben provare il suo assunto, lo aveva com
pendiato, ed abbellito pi che tradotto. Mi dispenser dal ripeterlo, ma
mi permetter di applicare con pi ragione a Beccaria ci che dissi
gi di Platone. Questa divisione ebbe sempre due sensi; nell'uno
un semplice fatto, nell'altro una bella dottrina. Che gli uomini, in
qualunque contrada e tempo del mondo, sieno naturalmente condotti
a distribuire fra s le diverse faccende della vita e del lavoro, questo
un fatto de' pi comuni, n ci voleva la sapienza di Socrate per os
servare un fenomeno, da cui ne' primi anni dell'infanzia ciascuno di
noi ha dovuto esser colpito. Platone lo descrive con una rara sempli
cit, ma milioni di uomini lo hanno osservato senza averlo descritto,
e senza aver conosciuto le sue parole. Non la semplice osservazione
del fatto ci a cui si sia limitata la scienza moderna, ne ha cercato
bens le cagioni, ne ha misurato e festeggiato le conseguenze. Qui
consiste la teoria; n Adamo Smith ne avrebbe mai riportato la gloria,
se si fosse, come Platone, fermato al semplice annunzio di cose che
ad ogni vivente eran note. Que' tre primi capitoli delle Ricerche
sulla ricchezza delle nazioni son tutto ci che di meglio potevasi con
cepire ed esporre ; e il grande loro sta appunto nella sorpresa che
reca il vedere con tanta evidenza e tanta disinvoltura provato, che
tutti i miracoli dell'incivilimento si devono alla Divisione del lavoro.
Beccaria non cita che un solo effetto, e il pi ovvio : ciascuno
prova coll'esperienza che, applicando la mano e l'ingegno sempre allo
stesso genere di opere e di prodotti, egli pi facili, pi abbondanti e
migliori ne trova i risultati... Se Smith, che mise in capo al suo libro
ed all'economia delle nazioni il fenomeno del lavoro diviso, non
avesse attinto l'idea che a questo cenno di Beccaria, bisognerebbe
esser giusti abbastanza per confessare che il comentario degno pur
troppo di farci dimenticare ogni rimembranza del testo.

In Verri, io non cercher n anco i cento titoli di priorit tro


vatisi dal Bianchini, ma dir francamente ci che in verit mi
sorprende.
Mi sorprende, al suo tempo, il trovare cos bene distinte le ric
chezze naturali dalle artificiali (p. 557); il trovare cos preciso ed
esatto il suo linguaggio intorno a danaro (p. 585); cos ben dimo
strato l'errore del chiamarlo misura de' valori (p. 591); cos bene e
in poche parole espresse le pi giuste idee intorno alla popolazione
(p. 605); posto sebbene per un momento il buon mercato a

(1) Giornale di Statistica, N. 18, pag. 549 Palermo 1846.


l'ui-.i-azione. Liiir

scopo finale dell'Economia (p. 603); familiari ed esattamente adoprati


i vocaboli produzione , produttori, ed industria. Alle pagine 640-1
si pu vedere com'egli abbia bene respinto l'errore che il dazio giovi
a slimolare l'industria, errore ripristinalo con tanta buona fiducia in
tempi a noi vicinissimi e per bocca dell'illustre M' Cullocb. Mi sor
prende ancora di pi il trovarvi un barlume della legge de' profitti:
che, crescendo, come oggi direbbesi, la produttivit del lavoro, danno
con una rata minore di un prodotto maggiore, un resultato complessi
vamente migliore al possessore del capitale. Verri non ha al certo
sviluppato o dimostrato questo principio come ai nostri tempi si
fatto da Carey e da Bastiat ; niuno, suppongo, vorr supporre che
l'economista americano abbia attinto l'idea alle Meditazioni suWecono-
mia politica che io posso accertare essergli ignote fino a questo mo
mento in cui scrivo ; ma una prova della sagacit del nostro autore
il vedere con tanta chiarezza annunziato da lui il fatto che dovunque
in fiore il commercio, ivi son minimi i vantaggi del commerciante,
presa ogni merce separatamente; e dovunque torpisce l'industria,
grandiosi sono i guadagni de' commercianti (1). Mi sorprende, e de
pone del pari in favore della sagacil di Verri, il bel paragone ch'egli
fa (2) per dimostrare i vantaggi delle popolazioni addensale; paragone
che l'economista americano avrebbe, mi figuro, adottato in qualcuno
de' tanti luoghi de' suoi principii ne' quali professa la medesima opi
nione. Non citer come qualche cosa di prezioso un lampo che trovo
circa alla rendila della terra, ma lo riguardo sempre come un progresso
sopra i suoi contemporanei che non sospettarono di dover compren
dere fra le materie della scienza i fenomeni relativi alla rendila. E in
generale poi, la sobriet, l'ordine, la nitidezza delle idee, anche non
sue, la semplicit con cui le espone, spogliandole di tutlo ci che possa
esser soverchio al suo intento, gli assicurano, secondo me, una decisa
superiorit a paragone d'ogni altro fra gli economisti italiani del tempo
suo, se pure non dobbiamo, per nostra umiliazione, soggiungere an
cora su quanti ne sieno apparsi dopo di lui.

X.

Mi resta a parlare di Ortes, che appositamente ho riserbato alla


line.
Certamente l'Economia nazionale un sistema ; e se non fosse de
dotto da.un principio evidentemente falso, potrebbe conferire all'A.
tutto il merito di aver fondato e crealo di pianta la scienza economie;!.

'1) Vedi qui appresso png. 585, e medio a pag. o9j.


2.) Ivi, pag. 606.
.XIV FERRARA

La base di tutto il suo edilzio fu questa: lutti i beni che occorrono


ad una nazione son sempre in una somma determinata, n pi n
meno, proporzionata soltanto al numero degli uomini che la com
pongono.
Ortes, egli medesimo, confessa che una tale proposizione non fu
mai detta da alcuno, e sarebbe contraddetta da tutti ; ma si affretta
a soggiungere che ci nonostante alcun apparato non fa bisogno di
grandi ragioni, tratte dalla pi ardua e dalla pi complicata metafisica,
per dimostrarla (i).
Due sole egli ne adduce, che gli sembrano sufficienti.
La prima tratta dall' esperienza perpetua. L'esperienza insegna,
secondo lui, che in qualsivoglia nazione vi sono i ricchi ed i poveri, e
il possesso dei beni abbonda negli uni e scarseggia negli altri. Insegna
che i legislatori si son sempre occupati a far s che la massa de' beni
si accresca; ma non vi son riusciti. E che non vi sieno riusciti, ,
secondo lui, dimostrato da ci che la necessit di procurare un au
mento di beni non venne mai meno che ogni provvidenza adottata,
f' sentire il bisogno d'adottarne qualche altra : effetto che non dovrebbe
seguire se l'efficacia di un primo sforzo tentato riuscisse a conseguire
il suo fine (2). L'argomento, come ognun vede, fin qui debolis
simo. Lo sforzo continuo degli uomini ad accrescere la massa delle
ricchezze, non prova che i loro primi tentativi sieno falliti, pu anzi
provare che, adescati dalla riuscita de' primi, intendano a procurarsi un
nuovo aumento di beni.
La seconda delle sue ragioni tutta speculativa. L'uomo, egli
tlice, nulla fa senza una ragione sufficiente. Se dunque travaglia , noi
fa che in quanto ha il bisogno di travagliare. Se dunque pi uomini
in societ producono una massa di beni, questa massa sar tanta e tate
che il loro bisogno richieda. Ma un dato numero d'uomini non pu
consumare che una determinala misura di alimenti, di vestiti, di mo
bili ecc. ; non meno, non pi ; non meno, perch se fossero inferiori
al bisogno, quegli uomini non sussisterebbero, ci che contro l'ipo
tesi ; non pi, perch se fossero superiori , si sarebbero creati senza
ragione sufficiente, ci che contro la natura dell'uomo (3).
Qui il ragionamento starebbe, purch si concedesse il solo prin
cipio di doversi ritenere i bisogni dell'uomo come un dato costante,
insuscettibile di espansione. Ammessa una tal verit, tutto il sistema
di Ortes discende logicamente. Si pu calcolare, com'egli ha fatto (4),
quante libbre di farina, di legumi, di tabacco, di metalli ecc.. abbi

ti) Vedi qui appresso pag. 784.


(2) Ivi.
(3) Ivi, pag. 785.
(4) Ivi, pag. 823-49, e specialmente pag. 832.
PREFAZIONI!. LXV

sognino ad una popolazione ipotetica di 5 milioni. Indi, ben facile


aggiungere che, per ottenere quella data misura di beni, una data
quantit di travaglio in massa indispensabile ; ci che nel suo miste
rioso linguaggio si esprime cos : che qua' beni comuni non possono
porsi in essere o in qualsivoglia modo trovarsi alla condizione d'essere
consumati, che medianti le occupazioni comuni, perch le occupazioni
equivalgono ai beni (1). ben facile, dico, aggiungere quest'altra pre
messa, perch chi non abbia difficolt a riguardare i bisogni dell'uomo
come un elemento inalterabile, non ne avr n anco ad ammettere che
ad una data quantit di produzione sia indispensabile una data quan
tit di travaglio: principio che l'autore assume come innegabile, tanto
riguardo a' prodotti agrarii (che rappresentano, nel suo linguaggio, la
quantit de' beni), quanto riguardo alle manifatture (che rappresentano
la qualificazione de' beni) (2).
Allora, bisogna necessariamente 'accordare : che tra un popolo e
l'altro, tra un'epoca e l'altra di un medesimo popolo, non vi pu es
sere differenza alcuna di ricchezza, ma di mera distribuzione. Niuno
pu trovarsi pi agiato, senza supporre che un altro ne sia pi disa
giato. Nessuna classe di produttori (di occupati) pu viver meglio, se
non perch altre classi soffrono la penuria. Nessuna citt capitale s'in
gigantisce, se non perch la campagna s'immiserisce. L'industria ac
cresciuta, l'attivit, l'energia produttiva di un uomo, allora non che
un'usurpazione che si faccia sul lavoro, sull'occupazione di un altro.
Per un uomo che pi travagli, un altr'uomo, altri uomini, bisogna che
trovino meno da lavorare. Quindi, al di l della misura media delle
occupazioni e perci del consumo, tutto ci che l'avidit degli uni li
spinge ad ottenere, genera la povert negli allri; e come l'avidit
inevitabile, inevitabile sar l'esistenza de' poveri nel seno della so
ciet. Quindi ancora , sogni e follie tulle le riforme che s'intrapren
dono a nome della produzione. Fedecommessi, manimorte, conventi,
celibato, sono elementi innocui perse : con essi o senza essi, la massa
He' beni comuni non pu crescere n scemare d'un pelo.
Per un motivo che non giustifica la bont del sistema, n depone a
favore della sagacil del suo ingegno, Orles un po' partigiano della mas
sima libert di commercio. Il Pecchio ha ben riassunto la sua idea su
questo proposito. L'inganno che il commercio esterno potesse alle volte
essere pi favorevole a una nazione che ad un'altra, ed impoverirne
una per arricchirne un'altra, nato dall'errore di aver paragonato le
nazioni ai particolari. Si creduto che, siccome un particolare pi
industrioso, pu spogliarne un altro meno industrioso, cos possa una

fi) Vedi qui appresso, pag. 894.


f2) Ivi, pag. 899, 907 ecc.
I Wl t KRH*R\

nazione comunemente pi industriosa impoverirne un'altra meno in*


dustriosa. Secondo la teoria dell'Autore, un particolare dipende per la
sua sussistenza da un altro particolare , quindi egli pu arricchirsi a
spese di un altro. Ma avendo ogni nazione il suo bisognevole, ogni na
zione indipendente dalle altre per la sua sussistenza, sussistendo cia
scuna delle sue occupazioni, del suo capitale, e della sua industria ....
Ciascuna nazione non d all'altra ne pi n meno di quel che essa
riceva con pari indipendenza, a norma delle rispettive esigenze, e dei
bisogni reciprochi di ciascuna, sian reali, sian capricciosi; il che fa
che una non profitti dell'altra, pi di quello che questa profitti di
quella .
Si poteva in verit riuscire pi agevolmente ad un'opposta con
clusione. Siccome la barriera tra popolo e popolo non che fittizia; e
siccome in natura esiste l'umana razza con le stesse leggi di affinit
per le quali esistono le nazioni * bisognava da' principii di Ortes de
durre, come da altri principii dedussero Montesquieu e Voltaire , che
la ricchezza d'un popolo necessaria miseria di un altro; e che quindi
nulla vi pu essere di pi salutare a ciascuno che il premunirsi con
diligenza contro l'invasione del commercio straniero. Ma pur conso
lante il vedere che la teoria della libert predomina sempre su tutte le
aberrazioni de' sistemi, e che mentre si deduceva a Parigi dalla pre
messa del prodotto-netto, ad Edimburgo dall'idea del travaglio , v'era
un altro ragionatore a Venezia che la contemplava come una conse
guenza inevitabile della perpetua immobilit delle nazioni.
Se si dovesse seriamente discutere il sistema di Ortes, si potrebbe,
al pari di ci che egli fece, appellarne all'esperienza ed alla ragione.
Il dire riporto una giusta riflessione del Pecchio che tutte
le nazioni son ricche in proporzione solo della loro popolazione, un
paradosso tale che non merita confutazione. Basti il riflettere che la
Polonia e la Spagna contengono una popolazione eguale a un dipresso
a quella della sola Inghilterra. Hanno esse una quantit di beni eguale
a quella che possiede l'Inghilterra ?
In via razionale, tutto il sofisma di Ortes viene dal supporre l'uomo
compiuto quando esce dal seno della natura, invece di riconoscerlo ,
com', perfettibile, e forse all'infinito. Ortes lo suppone immobile, e
ne' suoi bisogni, e nella sua industria. Or precisamente all'oppo
sto. Un carattere distintivo dell'uomo sta nella progressivit de' suoi
bisogni. Ortes agli antipodi di Condorcet, non ha la menoma tede
ne' destini provvidenziali dell'umanit. Ma se per misantropia o per
limitazione d'idee egli non poteva aliai gare fin l le sue viste e le sue
speranze, poteva e doveva osservare nell'uomo individuo, in se stesso,
che la progressivit de' bisogni condizione inerente alla vita. In un'
altra occasione io ho dovuto notarlo : noi siam fatti Cosi ; il sentimento
PBEfikElOftK. I.WII

d'un dolore prevale, e momentaneamente he sopprime ogni altro meu


vivo, finch quello non sia soddisfatto. Acchetatolo appena, se ne sve
glia un secondo, e domanda dal canto suo che gli sia fatta ragione.
Cosi procediamo dall'uno all'altro con avidit inestinguibile. Non vi
mai un momento nel quale il cuore umano si arresti ne' suoi desiderii.
Moribondi di fame, diamo per un piatto di lenti un'eredit; nutriti,
vestili, comodamente alloggiati, andiamo in pazzia per ottenere una
erotte ; e se viene il momento in cui nulla sapessimo agognare e spe
rare, una forza imperiosa ci spinge a rinunziare l'umana natura e
bruciarci il cervello. Questo l'individuo : egli possibile che tale
non sia una massa, una nazione, tutta quanta l'umanit? A che dun
que supporre che l'accrescimento de' beni sarebbe senza ragione suffi
ciente, quando la ragion di produrre, dal medesimo autore fondata sul
bisogno di consumare, dev'essere in continuo progresso come il biso
gno lo *
Uguale l'errore dell'altra ipotesi relativa alla quantit del trava
glio. Ortes suppone che una data quantit di produzione esiga, n pi
n meno, in tutti i tempi ed in tutti i luoghi, una medesima occupa
zione. E che ha fatto dunque l'umanit nel corso di tanti secoli, altro
che incessantemente attenuare questo rapporto tra l'utile da raccogliere
e lo sforzo con cui conseguirlo? E che cos' Y occupazione, l'industria,
se non vogliamo che sia una conquista dell'uomo sulle forze inerti
della natura? Nella casa di Penelope, una donna occupata a triturare
il frumento non riusciva a produrre in un giorno che la farina baste-
vole a 12 o 10 individui; in un molino, come quello di St-Maur
presso Parigi, un operaio moderno ne produce per tremila individui ;
milioni di fatti simili si posson citare: ed egli in presenza di tali
fatti che sar lecito di fondare , o che convenga sciupare il tempo a
combattere un sistema fondato sull' ipotesi d' una perpetua immobilit
di rapporto fra la produzione e il travaglio?
Se qualche esitazione pu aversi a pronunziare una precisa sentenza
intorno al merito di Ortes , ella sar sul trattato della popolazione , a
proposito del quale io mi riserbo di esaminare se, e fin dove, sia stato
soverchiamente vantalo. Ma l'Economia nazionale un libro, intorno a
cui ci che unicamente abbisogna per apprezzarlo con perfetta equit ,
una pazienza sufficiente per continuarne la lettura al di l de' primi
capitoli. A me non manc; ed ho potuto, riducendo a termini intelligi
bili le astrusit del suo strano linguaggio, determinare con sicura co
scienza quanto poco egli abbia detto di profondo , di originale, e di ri
vale agli scritti de' pia illustri stranieri.
Non si deve per altro confondere il valore d'una teoria col carattere
d' uno scrittore ; ed io non sono anzi disposto a confondere le tristi o
false conseguenze di un principio col principio in se Stesso{ Ortes di
LXVIII FERRARA

fensore sistematico delle mani-morte e de' fedecommessi, Ortes mortale


nemico di ogni Economia che non fosse la sua, Ortes che ora difende,
ora disprezza la libert de' commerci, o l'aumento de' beni, che ora
Malthusiano o, come dicono, precursore di Malthus, ed ora l'apologista
de' legati pi e delle istituzioni di carit ufficiale, non sarebbe ancora
per me un pessimo economista, se non vedessi in lui la pretensione di
giungere a codeste deduzioni con tutto il rigore geometrico, piantando
un'assurdit per principio, il principio che la massa delle ricchezze in
ogni luogo ed in ogni tempo conservi un dato rapporto immutabile colla
quantit degli uomini. Ed egli mi parr un pessimo economista, senza
che ancora lo creda un perverso carattere, quando mi tocchi a vedergli
confondere la produzione coi culti, e trovarlo ancora accanito contro gli
Ugonotti, e mortale nemico dell'Inghilterra perch protestante, e fallito
profeta della sua rovina imminente. Allora dir come ben disse il Pec
chio: confesser che ci malgrado egli era ben lontano dall'esser tristo
abbastanza per odiare la libert; e mi contenter di dirlo fieramente re
pubblicano, fanaticamente religioso, educato in convento per modo che
tutte le meditazioni del pubblicista non valsero pi a distruggere in lui
il marchio del frate.

XI.

Cogli scritti de' cinque autori, de' quali ho dato questi brevi
cenni, la Biblioteca dell'Economista intende raccogliere insieme ci che
v'era di pi importante e di complessivo ad un tempo, nell' Economia
politica italiana del secolo xvili. Prima, o allato a loro, si potrebbero
ben collocare altri nomi di autori , i quali svolsero pi o meno ampia
mente qualcuno di que' speciali argomenti che ora son parte integrale
della scienza; e noi non mancheremo di tenerne il debito conto nelle
serie speciali di cui sar composta la nostra Raccolta. Ma per ottenere
una piena cognizione del modo nel quale i pensatori italiani, contem
poranei a Smith e Turgot, si formavano il concetto intero della scienza,
ne collegavano insieme le sparse membra, le assegnavano un fine , ed
intendevano aprirle un campo di pratiche applicazioni, i libri di Geno
vesi, Verri, Beccaria, Filangieri, ed Ortes, bisognava che si offrissero
riuniti : era tanto pi indispensabile, che, dopo loro, l'Italia ha dato al
mondo ben poco che servisse di titolo nuovo a sostituire gli antichi, ed
mestieri di spingersi fino a Gioja per rinvenire qualche cosa d'insie
me, fra le molte monografie che non mancarono di ripercuotere qui
l'eco de' rapidi passi che in questo mezzo secolo la scienza faceva sul
continente.
Sono io pure di accordo co' miei compatriotti che , pervenuti .
come siamo, alla met del secolo xix, a noi Italiani dev'essere lecito
PREFAZIONE. LUX

contemplare i nostri Economisti dello scorso secolo, e rallegrarci a ve


dere che non furono meno di quattro o cinque, in un periodo nel quale
alla scuola francese, dopo essersi conosciuto e riverito Turgot, non ri
mangono forse che ripetitori d'una medesima idea, e nell'inglese se Smith
nome supremamente elevato , fu unico e per parecchi anni rimase
nella solitudine dell'occulta sua gloria. Ci deve esser concesso di inor
goglire, se non di ci che gi fummo, di ci che saremmo ; e pensare
che F Italia avrebbe ella pure una scienza economica se , invece di es
sere collezione di terrilorii ed uomini senza vincoli e senza scopi, avesse,
con l'unit della lingua e del nome, la forza, il movimento e lo slancio,
per cui le nazioni si distinguono dalle frasi geografiche.
Ma un dovere c'incombe nell'accordare questo libero sfogo al sen
timento dell'amor proprio nazionale : raffrenarlo ne' suoi giusti confini,
e guardarci dal convertirlo in una goffa superbia, che spinga a rider di
noi le nazioni pi disposte a rispettare le nostre glorie di ieri , e com
piangere le nostre sventure di oggi.
Ed tristo F avere a ripetere che questo dovere non fu sempre
adempiuto. Si troppo spesso creduto far atto di storico scopritore , o
di profondo pubblicista , o fino di virt cittadina , esagerando sino alla
nausea il primato di tempo e di materia de' nostri scrittori ; e non si
saputo conoscere che mentire ed inorpellare ad un popolo i suoi difetti
intorpidirlo, e che queste glorie mendicate e bugiarde passano e muo
iono col libro che le propaghi e colla passione che lo abbia dettato.
Io dir francamente di nuovo che non so e non intendo dividere
con una gran parte de' miei compatriolti Italiani il freddo entusiasmo
da cui figurano sempre ispirate quelle formole di convenuta ammira
zione con le quali uso oramai di accompagnare il nome d'ogni econo
mista italiano ; e dir che, se alla Biblioteca dell'Economista si fosse as
segnalo uno scopo men vasto di quel che ebbe , nessuno forse degli
autori che ora comprendiamo in questo volume vi sarebbe entrato, per
ch nessuno de' loto libri rappresenta la somma n la qualit de' co-
cetti che compongono la Scienza de' nostri tempi. Come dico , all' in
contro, che son tutti degni di occupare un posto onorevole in una larga
Collezione destinala ad offerire tutta la serie delle idee che, svolgendosi
da un secolo in qua, son giunte a costituire questo nuovo ed importan
tissimo ramo dell' umano sapere.
De' Smith, non ve n'era che un solo. V'era una turba di fisiocrati;
e noi ne abbiamo gi dato la parte migliore, tentando di rilevare i punti
che, in mezzo ai loro difetti, possono ancora costituire un titolo di gloria
per essi. V'erano espositori o capiscuola moderni; e tutti son destinati
ugualmente a prendere il loro luogo nella nostra Raccolta. V erano in
fine le opere di cinque pensatori italiani del secolo xviu; e noi presen
tandole oggi ai nostri lettori non intendiamo mostrarci tanto digiuni
I. FERRARA

della Scienza da darle per meno o pi di quello che possan valere al


giudizio d'una critica spassionata abbastanza, perch n ci renda in
grati alla generazione che ci ha preceduti, n immoli il vero e la storia
alla vanit nazionale.
Questo, io ne dubito molto, non probabilmente il linguaggio che
pi riesca gradito ad una parte de'miei concittadini; ma questa, se io
non m'inganno, la verit che si possa utilmente ricordare agli Ita
liani, da chiunque sia convinto, com'io lo sono, che in Italia le in
veterate abitudini e le tirannie universitarie, lo sminuzzamento degli
interessi politici, le coalizioni delle caste pretine, le persecuzioni del
dispotismo, tutto ha cospirato e cospira ad impedire che questo ramo
di studi si svolga abbastanza, per farsi alimento a quel pacifico e reale
progresso, in difetto del quale non dobbiamo aspettarci che la ripeti
zione perpetua di quelle grandi catastrofi, di cui tanto pi si assicura
il ritorno, quanto meglio ci sembrino dominate da sagacit diploma
tiche, o da cieche azioni di bajonette. Qualunque si voglia che sia la
nostra gloria passata, se n' parlato abbastanza oramai, e qui potremmo
arrestarci. Ci che ora incombe a noi, cultori della Scienza; ci che
tocca ripetere ad alta voce e far penetrare ne' segreti dell'amor pro
prio italiano, si questo: l'Italia non ha capiscuola in Economia, ed
affrettarsi a crearne un bisogno, che,fino a quando non sar soddis
fatto, former una macchia sul nostro nome. Una parte degli ostacoli
che vi si oppongono, ancora al di sopra di noi; ma nostro il tor
pore e l'indifferenza, nostre le meschinerie e le rivalit di partito, no
stra la vanit che si contenta di ricoprire colle memorie passate la
nullit del presente.

Luglio, 1852
GENOVESI.
o -----------

LEZIONI DI ECONOMIA CIVILE


GENOVES.

LEZIONI

ECONOMIA CIVILE

PROEMIO
Comech tutte le scienze sieno utilissime e degne di essere fervorosamente
coltivate, conciossiach tutte siano ordinate ad accrescere e perfezionare il fondo
della ragione, primo e principale istrumento della vita umana e d'ogni suo bene;
quelle nondimeno, dopo le divine contemplatrici della prima cagione e dimostra
trici dell'eterna felicit, sono, stim'io, pi da commendare e seguire e coltivare,
le quali pi da vicino risguardano e intendono alla presente comodit e tran
quillit nostra. Tra queste per comun sentimento de'savi in primo luogo e mae
stevole sono da collocar quelle, che Etiche i Greci, e noi Scienze morali chia
miamo: imperciocch elleno pi dappresso, che le altre non si fanno, l'occhio
tengono e provvegono ai nostri costumi e bisogni. In fatti queste scienze per ogni
verso mirano alla miglioria dell'uomo. Perciocch quella ch' detta propriamente
Etica, considerando l'uomo in generale, studiasi di svilupparne l'impasto, con
dimostrare la natura de'nostri istinti, affetti e forze, e s ingegnasi di formarci
al ben vivere. L'economia il risguarda come capo e principe della sua famiglia,
e lo istruisce a ben reggerla e procacciarle virt, ricchezze, gloria. Finalmente
la politica il contempla come gran padre e sovrano del popolo, e ammaestralo a
governar con scienza, prudenza, umanit. Nella quale quella parte che abbraccia
le regole da rendere la sottoposta nazione popolata, ricca, potente, saggia, polita,
si pu chiamare Economia Civile, e quella che contiene l'arte legislatrice e ser
vatrice dello Stato e dell'impero, assolutamente politica.
Ora ci dee e pu esser manifesto, che tutte queste scienze, siccome ogni altra
che le accompagni, sieno infinitamente utili al presente viver nostro, se egli
vero, siccome stimo esser verissimo, che niuna cosa e da niuno non si fa mai
bene a caso; ma per bene e saviamente farla si ha bisogno di operare con arte
e con regola, ch' tanto dire quanto con intelligenza de' principi, dei mezzi, dei
fini e de'rapporti loro. Il che se vero anche ne' piccoli affari, di quale e quanta
importanza non dee riputarsi nei grandissimi? Coloro i quali guardano i feno
meni, o sia le apparenze delle cose mondane e i loro effetti, senza considerarne
Econom. Tom. III. 1.
2 GENOVESI.

altrimenti le cagioni producitrici, crederanno per avventura che l'aumento e'l de


cadimento degli Stati sia dovuto ad alcune occulte molle fisiche, o ai rivolgi
menti dei cieli, o al cambiarsi degli elementi: ma gli accorti e diligenti contem
platori e politici, non nella natura ma nelle cagioni morali, vale a dire nella
pubblica educazione, nelle leggi, nel governo ritrovano i primi semi e le forze di
s frequenti convulsioni e trasmutazioni (1).
Bench gli studi d'economia civile siano utili a tutte le classi degli uomini
di una colta e polita societ, per modo che sia difficile a rinvenire per quale po
tessero essere di poco o niun rilievo; alle seguenti nondimeno sono, cred'io, ne
cessari: 1 Ad ognuno che abbia fondi onde trarre delle rendite, sieno terre, sieno
animali, sia industria e commercio; 2 Aitribunalisti; 5 Ai teologi; 4 Ai finan
zieri; 5 A chi governi provincie e terre; 6 Ai ministri di Stato. Per dimostrare
le quali proposizioni s pu considerare, che questa scienza abbraccia prima
mente l'economia delle private famiglie: secondariamente l'economia delle repub
bliche. L'economia privata la prima scienza che dovrebbero imparare i padri
di famiglia, e massimamente quelli i quali pi grandi fondi posseggono, avve
gnach ella, nei paesi massimamente fecondi e molli,sia da molti ignorata o ne
gletta, o per vilt d'animo o per un lungo abito di vivere alla buona ventura.
Ella comprende l'arte della coltivazione, l'arte pastorale in tutte le sue parti: la
cura degli animali domestici: il commercio, e tutta la prudenza della famiglia.
Hanno in questa i Greci ed i Latini filosofi assai studiato, e di essa copiosamente
scritto, siccome si pu vedere per le opere diSenofonte, di Aristotile, di Plutarco,
di Varrone, di Columella, di Palladio e di molti altri: ma assai pi i presenti
Francesi e lnglesi. Con queste cognizioni vanno unite l'aritmetica pratica, l'arte
della scrittura, la storia naturale del suo paese, e la cognizione de' pi gravi bi
sogni cos della propria nazione, come di quelle con cui negli Stati culti si ha del
commercio. Senza sfatte conoscenze, quelle famiglie le quali potrebbero avan
zarsi, dove non vi sia alcun altro vizio che le roda e consumi, non si avanzano:
e se v'ha dei vizi, anche piccoli, decadono; perch loro manca l'arte sostenta
trice. una sciocchezza popolare il credere che negli Stati culti le famiglie da
piccole e basse diventano ricche egrandi senz' arte e senza saper nessuno, per
solo colpo di fortuna: o che da ricche e grandi vengan povere e vili e tapine
per altra cagione, fuorich per quella dell'ignoranza e de'vizi; conciossiach
quella che si chiama buona o cattiva fortuna, non nasca mai che da vicini o
rimoti colpi di sapienza o di stoltezza.
Appresso, il fondo di molte liti, e specialmente di quelle, le quali si agitano
nelle camere di finanze o nei tribunali di commercio, non altro che l'economia
delle terre o sia comunit, e il traffico e le arti. Oltre di questo, molte leggi an
tiche, siccome de emptione contrahenda, de jure nautico, de faenore, de usuris,
(1) Questo luogo stato con mirabile maestria sviluppato e dimostrato da Platone
nella sua Repubblica. Sarebbe troppo ignorante del mondo chi opinasse, che altro che
il governo formi gli uomini: perch la natura non d che gl'istinti, il governo la forma
e l'arte.
PROEMIO. S

de monpoliis, ecc., e molte delle nostre Prammatiche, de annona, de vectiya-


libus, de magistris artiutn, e altre non poche, risguardano il commercio ; in
guisa che non si possono intendere senza i principii di questa scienza, e meno
ancora praticarsi con pubblica utilit. Donde segue ch'ella necessaria ai tribu-
nalisli e principalmente ai magistrati, siccome tutte le altre scienze morali e po
litiche, senza delle quali niuno che si possa dire compiuto giureconsulto, non
essendo la giurisprudenza che l'arte del giusto e dell'ingiusto; questa un'^e-
lotrofia, dice gravemente Platone, cio l'arte di pascere una compagnevole molti
tudine e mantenerla in pace. La storia c'insegna che non vi ha leggi civili fra i
selvaggi: che ve ne ha poche fra i pastori: alquante pi tra i coltivatori: infi-
Cnile tra i popoli negozianti. Delle quali come la cagione sono l'arti moltiplicatesi
all'infinito e la grandezza del commercio, cos egli se ne vuole da' giurisperiti
studiare i principii, per non essere n ridicoli e biasimevoli nella loro condotta,
n ingiusti nelle loro sentenze. Se ne vedr assai esempii nel decorso di queste
Lezioni.
In terzo luogo, dioo che questa scienza necessaria a tutti coloro che gover
nano qualunque comunit. In effetto ogni comunit come una famiglia, bench
un poco pi ampia. Coloro adunque che la governano, debbono sapere non solo
l'arte del giusto e dell'ingiusto cio la giurisprudenza, ma l'economia altres, o
per mantenere il patrimonio della comunit dove non si pu accrescere, o per
aumentarlo se si pu; come si pu certamente quasi dappertutto, promovendo
l'agricoltura, la pastorale, le manifatture, il commercio e l'industria dei cittadini.
Egli difficile che ci si sappia fare da coloro, i quali non hanno altro studiato
che il solo Giustiniano e i suoi commentatori. Vi si richiede il filosofo, ed il filo
sofo politico e innamorato delle vere cagioni della pubblica opulenza e prosperit,
che sono le virt e l'arti.
Per quarto, le regole della morale, le quali risguardano la giustizia e l'onest
dei contratti, e specialmente dei prezzi delle cose e delle fatiche, l'usure, i cambi,
gli agi, ecc., sono s strettamente legate con i principii del commercio e dell'e
conomia, che, come vedrassi a suo luogo, quasi impossibile che un teologo, in
questo secolo di traffico, le intenda e pratichi bene e direttamente senza niun
lume di questa scienza. Certamente dall'averla ignorata sono nate tante sconce
opinioni dei casisti intorno all'usure, ai cambi, agli agi, ai banchi e ai monti di
piet, alle compre e vendite, opinioni staccate dai loro principii, e con ci o
troppo rilassale o pi del giusto rigide e impraticabili.
In quinto luogo l'uffizio de' finanzieri di promuovere le vere e stabili ric
chezze del sovrano, le quali non si possono accrescere senza insieme aumentare
i fondi delle ricchezze della nazione: imperciocch l'utile del sovrano e della na
zione non hanno che una medesima sorgente. Ma per ci ben fare assoluta
mente necessaria la scienza politica dell'economia e del commercio: perch,
oltrech oggigiorno quasi tulli gli Stati d'Europa, siccome popoli civili e pacifici,
non hanno altro fondo di rendite che l'arti e il commercio ; pure v'ha di certi
colpi, che dove non siano guidati dal lume di questi principii, anzi di rilevare le
4 GENOVKSI.

rendite del sovrano, possono insieme le Fonti di queste e di quelle de'popoli sec
care. Adunque senza un sistema di tali cognizioni, acconcio non solamente alla
natura e ai bisogni dell'uomo, ma alle condizioni e qualit e interessi di ciascuna
nazione, si opera al buio, n senza rischio di rovinare.
Finalmente spesso occorre che i ministri di stato debbano consigliare il so
vrano sugli affari rilevanti di economia, quali sono il commercio, l'estrazioni e
immessioni, l'agricoltura, le manifatture, la moneta, l'annona, e mille altre simili
materie. Egli assai difficile che si sappia utilmente rispondere a si fatte dimande,
senza aver nell' animo la vera scienza economica , e spogliata de' pregiudizi ,
bassezze e timori dei secoli barbari. E di qui che l'illustre Montesquieu nello
Spirito delle Leggi, e il savio Bielfeld nelle sue Istituzioni politiche, con molli
altri dotti di questo luminoso secolo e grandi autori di scienza politica, hanno
stimato lor dovere di dimostrare i principii di questa facolt e la loro applica
zione, siccome parte essenziale della scienza civile. A questo medesimo fine indi
rizz il suo Saggio politico sul Commercio il famoso Melon, operetta che ancor
ch in qualche parte difettosa io non saprei bastantemente commendare. E bre
vemente tutti i savii di Europa, da qualche tempo in qua, di niente trattano
con maggior sollecitudine e diligenza, quanto di questa parte della politica, nul-
l'altra essendovi che pi concrna l'umanit (1).
Noi conoscendo la lunghezza della materia, non meno che il suo intralcia
mento, ci studieremo, quanto le nostre forze e i nostri lumi sosterranno, di ritrarla
in piccola tela; pi per dimostrarne gli elementi a'giovani (2) di alto intendi
mento e di non leggiera aspettazione, siccome quelli da cui si vuole sperare il
perfetto ristauramento degli affari umani; che perch nostra intenzione sia di dar
lezione ai dotti e scienziati uomini, o ai vecchi poco oggimai curanti delle cose
di questo mondo.
Divideremo dunque tutta la materia in due parti; nella prima delle quali
spiegheremo i principii generali dell'economia civile, con qualche risguardo per
alle cose d'Italia e pi ancora del nostro regno e patria, tanto richiedendo l'ob-
ligo di figli e di cittadini: e nella seconda discenderemo a parlare di alcune pi
particolari materie, senza la cognizion delle quali questa scienza sarebbe imper
fetta e manchevole. Ma incominciamo col nome di Colui ch' d'ogni bene quag
gi larghissimo donatore : affinch non i privati risguardi, ma il solo amore del
ben comune governi e muova ogni nostro pensiero e discorso.

(1) Tra i precetti di Confucio, celebre filosofo cinese, uno era, che I' arte di gover
nare non sia nel fondo che l'arte di dare a mangiare a' popoli. Martinus Martinius,
Hist. Sinica.
(2) Il che vorrei che il leggitore non dimenticasse giammai perch non potr altrimenti
capire, perch io mi sia guardato sempre di essere in queste lezioni profondo e studiato.
Conciossiach ai giovani, per cui scrivo, non si convenga che abbozzare le cose ed es
sere piuttosto superficiale che no.
PARTE PRIMA.
G

INTRODUZIONE.

Due sono, secondoch a me pare, i fini principali dell'economia civile; il


primo dei quali che la nazione, che si vuole economicamente governare, sia il
pi che si possa, rispetto alle sue interne forze, clima e sito, numerosa e popolata:
e l'altro che sia, quanto possibile, agiata, ricca e potente. Ora per quali vie e
mezzi e con quali regole si convenga seguire questi fini, e poich vi si giunto
mantenervisi forte e durarvi, ci studieremo, quanto sostiene la piccolezza delle
nostre cognizioni, mostrare partitamente. Innanzi per ad ogni altra cosa me
stieri che ci formiamo una giusta idea, e quanto si pu la pi compiuta e per
fetta dei corpi politici, delle loro parti e del vigore e forza di ciascuna, e della
maest e potere di coloro a cui sono affidati; affine d'intendere primamente quali
regole e leggi si convenga adoperare per muoverli, e oltre a ci metterci nell'a
nimo, esser del pigrande interesse cos di tutta la repubblica, come di ciascuna
famiglia, non altrimenti riguardare i sovrani che come divini moderatori di tutt'i
diritti de'sottoposti popoli; e ci perch le loro leggi e ordinamenti fatti per no
stra felicit, sieno da tutti amati e rispettati come si conviene, n ritrovino in
noi una rozza e barbara opposizione (vizio dei secoli selvaggi) che gli attraversi,
e impedisca di portare alla sua grandezza e perfezione il corpo civile.

CAPO I.

De' corpi politici.

S. I. A voler ben conoscere una macchina composta di altre pi piccole, per


poterla saviamente muovere e portarla felicemente al suo termine, o scomposta
riordinarla, bisogna che se ne riconoscano le parti tutte quante, e le molle; la
forza e l'attivit di queste parti e molle; e oltre a ci il principal loro motore.
ll tentar di spingerla avanti e sollevarla senza s fatte cognizioni, come voler
operare a caso, non senza rischio di urtare e frangerla.
S. II. Ogni corpo civile composto di famiglie e le famiglie di persone singolari.
Le persone sono gli elementi delle famiglie e le famiglie de'corpi civili. Dunque la
natura e la prima forza e attivit de'corpi politici nasce dalla natura e forza delle
famiglie, e dalla natura e attivit delle persone. Inoltre ogni persona ha certi diritti
che le d la natura medesima, sicch li porti seco nascendo. I diritti delle famiglie
nascono dai diritti delle persone e dal loro accozzamento, e i diritti de'corpi po
6 GENOVESI.

litici dai diritti delle famiglie. Le persone naturalmente sono sottoposte a certe
obbligazioni, le quali sono inseparabili dai diritti primitivi; e queste obbligazioni
trapassano dalle persone nelle famiglie, e dalle famiglie per un patto originale
ne'corpi politici. Il sovrano, capo di tutte le famiglie, e perci di tutte le persone
che si sono unite in un corpo, aduna in se solo tutte queste forze, e per esse
ha sotto la sua protezione tutti questi diritti e queste obbligazioni; delle quali
forze e diritti e obbligazioni egli supremo e indipendente moderatore per la
pubblica felicit, cio per la felicit di tutto il corpo e di ciascun membro: e a
questo modo forma la vera forza e attivit della repubblica.
S. III. Ma quale la natura e la forza, e quali i diritti e le obbligazioni na
turali delle persone? Ogni uomo che nasce una persona naturale (1). La natura
non riconosce uomini, i quali non sieno persone: e le leggi de' popoli, per le
quali gli schiavi sono stimati non persone, sono leggi le quali si risentono molto
della durezza e barbarie di certi tempi e di certi luoghi. Non essendo dunque
diversa la natura d'un uomo da quella d'una persona, neppure debbono esserlo i
diritti e le obbligazioni naturali.
S. IV. ogni uomo per natura sensitivo e pensante; per natura ama di es
sere, e di essere quanto pu pi senza dolore. Per natura appetisce tutto quel
che stima poterlo alleggerire dal dolore, dall'afflizione, dalla noia e dal disagio.
Ogni uomo ama naturalmente prima e pi s che gli altri: ma ha un fondo di
piet che per energia il porta a soccorrere chi nel bisogno. naturalmentege
loso del suo bene, ma non invidioso dell'altrui se non quando si oppone alsuo:
ama pi tosto di comandare che di ubbidire, ma ben comandato obbedisce con
alacrit: soggetto al timore, alla speranza, all'amore, all'odio, all'ira, alla ven
detta, alla misericordia: curioso, avido, attivo, ma nemico di coazione: atto
alla fatica, ma pi inclinato alla poltroneria. Ama di pensare e di scegliere piut
tosto a modo suo che a modo altrui; e nondimeno docile quando ha della
stima di coloro che il guidano. Ha un appetito ministro insieme e signore dell'in
tendimento, e due mani bene articolate e atte ad ogni arte, ministre dell'appetito
e dell'intelletto. Ecco una parte della natura delle persone.
S. V. A tutto questo si vuole aggiungere, che in ogni persona il corpo l'i
stromento dell'anima. Questo istromento alcune volte attivo,e talora puramente
passivo. L'animo il muove e il modifica con assoluto imperio, ed esso opera a
seconda di questo imperio; ma talora egli agisce nell'anima, e ne ritrae scambie
volmente nuovo impeto e irritazione. La tela nervosa e muscolare, la quale come
la base di questa macchina di sua natura elastica e irritabile; gli oggetti esterni
la solleticano e pungono, e per questo mezzo producono nell'animo sensazioni
or moleste, or piacevoli. Questa irritabilit l'istrumento di tutte le sensazioni e
di tutti gli affetti dell'animo. Ella pu essere irritata da tre bande, dagli oggetti
esterni, dai fluidi interni e dai pensieri. L'aria, il fuoco, l'acqua, gli animali e
ogni corpo esterno, che agisce sulla nostra cute, l'irrita a proporzione dell'azione.
E talora una spilla che la punga,una bevanda che la solletichi, un moscherino,
un cattivo odore, un po' di lume, ecc., sono oggetti esterni che producono in
noi gran dolori e gran piaceri. Un fluido acido o salino che la stimoli al di den

(1) Quando l'uomo divien membro del corpo politico, allora alla personalit naturale
aggiunge la personalit civile,
DB CORPI POLITICI. CAP. I. J_

tro, un liquore che la dilati piacevolmente, generano ipocondria o allegrezza. Un


pensiero molesto l'agita, e ci fa divenire timidi, astratti e spesso iracondi e feroci.
Un pensier gaio che allarghi fa in noi rinascere la gioia. Questa tela pi aperta
e pi irritabile ne' paesi caldi, meno ne' temperati, pochissimo ne'freddi. Quindi
che le sensazioni e gli affetti sono veementissimi nell'Africa e nell'Asia Meri
dionale; temperati in Italia, in Francia, ecc., lentissimi nel Settentrione del no
stro continente.
. VI. Questo in somma un breve abbozzo della natura delle persone. Ma
da considerare che questa natura viene in mille guise ad essere modificata, por
l'educazione, per gli esercizi, per l'unione fra di noi, donde nasce un'infinita va
riet di rapporti che ci concernono ; per gli studi, per i costumi del tempo, per
le opinioni, per i pregiudizi, pel clima e per molte altre interne o esterne cagioni.
tutto questo manifesto per la storia del genere umano. Per la qual cosa al
filosofo, il quale voglia pienamente conoscere la natura degli uomini e dei corpi
politici, non basta che ne consideri il solo fondo; ma conviene ch'egli ponga
mente a tutto quello ch' detto di queste varie relazioni, modificazioni, ricami e
coloriti, sopraggiuntivi dal costume e dall'altre cagioni morali, e che li calcoli
esattamente. V ha dei filosofi che ascrivono la natura e forza delle persone pi
alle cagioni fisiche, che alle morali: altri pi alle morali, che alle fisiche. Non
dubbio che la prima natura del clima : questo ci comune con tutti gli ani
mali. Ma credi nondimeno che l'educazione possa talvolta modellare il fisico,
che divenga come una nuova natura. La religione cristiana ha quasi che cam
biata la natura di tutti i popoli europei.
. VII. Veggiam ora quale e quanta laforzadelle persone. Ogni persona ha
certe forze, cos d'ingegno come di corpo, le quali unite insieme formano la sua
forza totale. Ogni persona pensa, ed a se stessa conscia di poter pensare a
molte cose e di molte maniere. Ogni persona capace d'una gran copia d'idee (1),
o di serie d'idee fra esso loro concatenale. Questo fa che gli uomini sieno natu
ralmente capaci di una stupenda variet di abiti, di scienze e d'arti. La forza
adunque di pensare degli uomini si vede assai chiaramente in queste maraviglio*
azioni d'arti e di scienze, negli stratagemmi, nelle astuzie ragionate, nelle sotti
lissime frodi, nel raffinamento de' piaceri e delle arti de' piaceri.
. Vili. Oltre a questa forza d'ingegno, l'uomo dotato di certi organi sen-
sorii e di nervi e di muscoli , siccome istrumenti di quelli , e di una forza da
muoverli la quale spesso sorprendente. Se ne veggono maravigliosi effetti negli
epilettici , negli ubbriachi , negli adirali , ne' matti furiosi e in altre molte occa
sioni, dove la natura umana posta al cimento, sicch per una forza di reazione
si sviluppa tutta. Queste due forze d' ingegno e di corpo unite alle mani , delle
quali son privi gli altri animali , hanno fatto che gli uomini divenissero signori
di quanto vive in terra: che elevassero delle stupende moli: e che signoreggias
sero agli elementi , per le tante macchine per le quali gli hanno ridotti al loro
servizio. Certo chi fosse vago di vedere da quanto piccoli principii le scienze e
l'arti a tanta grandezza sieno arrivate, gli converrebbe incominciando dai tempi

(1) Chiamo qui idee Don gi le percezioni dei singolari, ma le forme universali estratte
da' casi simili. Questa la vera forza di questa voce nella Greca filosofia. Senza tali idee
non vi sono n arti n scienze.
3 GENOVESI.
selvaggi e barbari, e di mano in mano trascorrendo la storia, trapassare immensi
campi per venire ai tempi nostri (1).
$. IX. Or tali sono le forze naturali delle persone. I legislatori adunque che
a queste soprasseggono e comandano, sono non solamente nel diritto, ma anche
nel grado di adunarle tutte e farle con leggier tocco servire cos alla loro gloria,
come alla grandezza e felicit del corpo politico. Queste forze , ben maneggiate e
destramente accozzale insieme e ordinate ad un punto, rendono i sovrani quasi
ch onnipotenti , siccome con molta grazia il dice il signor Fontanelle. Aon
facile a comprendere quel che se ne pu fare, dove sieno bene e carezzevolmente
adoperate e stimolate, e principalmente per mezzo del premio e dell' onore, due
potentissime molle dell'animo umano.
. X. Ma quali sono essi i dritti primitivi delle persone? Chiamo qui dritto
la facolt morale di servirci liberamente di quel che ci appartiene in propriet.
Questa facolt , dataci da Dio naturalmente , costituisce i nostri dritti primitivi ,
per conoscere i quali ragioneremo cos. Noi siamo di quella natura forniti , e di
quelle forze che sopra si veduto. E bench l'une e l'altre sieno in molle maniere
modificabili e variabili , pur nondimeno non si possono da noi separare. Ora
tutto quel che appartiene alla mia natura e che non da me separabile , cos
mio per natura che non potrebbe esser di altrui senza che due persone fossero la
medesima; dunque in mia naturai propriet, e perci di mio dritto naturale.
Adunque la mia natura, ogni parte di questa natura, ogni forza e facolt naturale
cosi naturalmente mio dritto, che non potrebbe esser di altri senza che io non
foss'io. E di qui che ogni persona ha dalla natura un dritto di esistere: un
drillo di essere quel che , e vale a dire uomo e non bestia (2) : un dritto a
ciascuna sua parte e facolt e forza : un dritto di servirsi di queste sue facolt e
forze per suo comodo e per la sua felicit. E perch il dritto di difendere i nostri
dritti cos naturale come quelli, perch senza ijiu di difesa que' dritti cessano
di esser dritti , seguita che ogni persona ha dalla natura un dritto di difender
s e gli altri suoi dritti con tutte le forze d'ingegno e di corpo, fin dove la difesa
non eccede la quantit dell' offesa.
. XI. Questi dritti che son detti , essendo inseparabili dalla natura delle
persone, non possono avere altra origine che quella della natura medesima. Ma
tutta la natura delle cose e ciascuna sua parte da Dio, primo e unico sovrano
del mondo ; dunque i dritti primitivi delle persone sono da Dio, e in conseguenza
dritti divini. Volerli distruggere la medesima cosa che voler distruggere la
differenza degli esseri, e con ci la natura e l' ordine della natura , eh' tanto a
dire quanto di voler contrastare a Dio l' imperio dell' universo. Di qui segue che
l' obbligazione nella quale ogni uomo di non toccare i dritti altrui , cos na
turale e inseparabile dalla natura razionale come son quei dritti.

(1) Dilettevole e utile lettura stimo perci essere quella di un'opera eccellente , non
guari uscita alla luce in Parigi , intitolala : Dell'Origine delle Leggi, delle Scienze e delle
Arti, di M. Goguet.
(2) Il costume di certi gentiluomini, i quali per non saper esser veramente grandi
trattano in parole e in fatti da bestie i loro domestici, i plebei, i villani , quei che ma
neggiano arti meccaniche, credendosi allora esser grandissimi; questo costume, dico,
vile e contro il dritto delta natura , e aggiunger , stolto e contro g' interessi della vera
uraiidewu .
de' corpi POLITICI. CAP. I. 9

. XII. In fatti supponiamo per poco che non vi sia s fatta naturale obbli
gazione; seguita che ciascuno possa per natura esser padrone e de' suoi e de' dritti
altrui. Ma quel che del dominio di pi, non di niuno in propriet ; niuno ha
i suoi dritti, niuno ha la sua natura, le sue facolt e forze; io adunque non son
mio per natura , n tu sei tuo , n nessuno di se stesso. 11 che essendo una
manifesta contraddizione naturale non minore di quest'altra, io non son io, n
tu sei tu ; n potendo Dio essere autore di naturali contraddizioni, consiegue che
ciascuno naturalmente in propriet sua, e con ci, che scambievole sia l'obbli
gazione di risguardare ciascuno ai dritti altrui e rispettarli come sacri. Donde
s'intende, che il principio del jus di tutti su tutti di Tommaso Obbes natural-
' mente contraddittorio (1).
. XIII. Da questa proposizione seguita , che la prima e general legge della
natura, cio legge di Dio promulgata alle creature razionali per le opere me
desime della natura e per l'ordine naturale di questo mondo, sia questa, che
NIUNO IN N1UNA MANIERA ATTENTI AI DRITTI PRIMITIVI DI NIUNO, E ATTENTAN
DOVI SIA BEO DI TAGLIONE , CIO DI l'ERDEBE QUEL DRITTO CHE HA IN ALTRI
tentato di ofkenderk, o ha offeso. Tutto il genere umano, selvaggi e colti,
ignoranti e dotti, sono intimamente persuasi di questa legge, perciocch ella non
raziocinio, ma coscienza; dunque tutto il genere umano naturalmente disposto
ad eseguirne la pena e stimala dritta e giusta (2). In fatti la legge del taglione
stala la pi antica delle leggi di tutte le nazioni , ed tuttavia in vigore fra i
barbari. Legge nata ne' tempi semplici con i primi fondatori dei popoli, o quaudo
gli uomini erano pi penetrati per la loro pochezza dall'idee della divina giustizia
e dell' egualit di natura, lilla per la presente vita la sanzione penale della
legge di natura ; ed perci cosi bastantemente promulgata come quella legge
medesima, vale a dire per un'interna convinzione del cuore e per l'ordine dell'u
niverso.
. XIV. Per 1' uso de' dritti primitivi noi possiamo acquistarne molti altri ,
se 1' uso dei primitivi con cui acquistiamo questi secondi sia senza otfesa di
niuno (3). Questi dritti acquistati diventano cos nostri e in nostra propriet ,
siccome sono i primitivi. La legge adunque di natura, la quale detto poc' anzi,
ci garantisce cos gli uni come gli altri. Finalmente gli uomini, padroui cos de'
dritti primitivi come degli acquistati, possono ben cederne o trasferirne una parte

(1) Forse questo filosofo inglese , procedendo con analisi , volle dimostrare prima i
dritti dell'uomo animale e quindi dell'uomo ragionevole, le cui prime leggi di razionalit
qucerendam esse pacem.
(2) Questa massima:
Chi patisce quel mal , eh' altrui ha fatto ,
Alla santa giustizia ha soddisfatto ,
con maravigliosa armonia si trova essere un senso di tutte le nazioni, anche le pi sel
vagge e barbare. Anzi non si trover nessun reo, (pianto si voglia ostinato e scellerato,
il quale nell'esser punito d'un delitto di cui conscio, non dica nel suo cuore, ben mi sta.
(3) Perch un dritto ch'offenda un altro dritto, essendo uno raen uno , un niente.
Donde intendesi che negli esseri concatenati e ordinali non vi pu essere una propriet
distruttiva della propriet di un altro essere, e il prendere le propriet subservienti ad
altre propriet per contrarie e distruttive, ignorar la natura. Quando si produce l'amor
proprio di due persone come produrre l'arte di due cerchii eguali, se si parla dell'a
mor proprio naturale. Ma i capricci del libero arbitrio potrebbero ben renderli contrarii
e distruttivi di se stessi.
10 GENOVESI.

jili uni agli altri; perch il dritto di servirci di tutto quel cho ci appartiene,
un dritto inseparabile dalla nostra natura. Cos noi possiamo divenire proprietari
di questa terza classo di dritti , i quali non ci apparterranno meno che tutti gli
altri, n saranno men soggetti alla medesima sanzione di natura.
. XV. Dio, il quale perfettamente savio e buono, non ha potuto dare agli
uomini niuno attributo che non fosse indiritto al loro fine, cio alla loro felicit,
perch Dio non pu operar senza fine; dunque tutti i dritti, de' quali le persone
nascono fornite, non hanno altro fine salvoch la loro conservazione e felicit.
E di qui seguita ancora che il dritto di servirci de' nostri dritti non pu oltre
passare i termini della nostra conservazione e felicit: e se gli oltrepassa, met
tendo in opposizione dritto a dritto, contro alla legge naturale dell' universo. '
Dond' che non vi niuua obbligazione di non opporsi agli abusi che altri fa
de' suoi dritti, essendo l'obbligazione corrispondente al dritto. Ma dove non in
noi obbligazione che ci arresta , ivi dritto d' agire , perch ogni potenza attiva
agisce per naturale istinto dove non ostacolo ; dunque il potersi opporre agli
abusi che altri fa de' suoi dritti , un dritto come gli altri. Ed ecco un fonda
mento naturale del governo.
. XVI. Per isviluppar meglio quest' articolo, veggiarao se fra i dritti primi
tivi dell'uomo ve ne sia uno, di esser soccorso nei suoi bisogni. I dritti primitivi
sono fondati su le primitive propriet della natura umana : ogni propriet primi
tiva ne costituisce uno. Ma qual diremo esser quella che costituisce il dritto del
soccorso? L'uomo un animale naturalmente socievole: un dettato comune.
Ma non ogni uomo creder che non vi sia in terra niun animale che non sia
socievole. Chi dice animale dice di necessit un essere compagnevole. Prima ,
perch niuno animale nasce senza l'accoppiamento dei due sessi (1). Secondaria
mente , perch ogni animale ha un padre e una madre , a cui resta per qualche
tempo attaccato. In terzo luogo, perch la storia naturale non ci ha finora inse
gnato di esservi degli animali i quali in niun modo si uniscono. Imperciocch
non solo gli uccelli e i pesci , anche quelli di rapina, si associano fra di loro cia
scuno nella sua specie, ma tutti i terrestri altres, non eccettuandone neppure le
fiere. A questo modo adunque ogni animalo per natura compagnevole.
. XVII. In che dunque diremo l'uomo essere pi socievole che non sono gli
altri? Ogni animale si unisce col suo simile secondo la sua natura: essi si soc
corrono eziandio scambievolmente ne' loro bisogni, ciascuna specie a tenore delle
sue forze o delle sue cognizioni (2) , e ci per istinto non per riflessione. Ma
negli uomini vi qualche cosa di pi sublime e divino, che dee farne un vincolo
pi forte; e questa la piet', fondo proprio del cuore umano che non sia guasto
dall'educazione, e la ragione calcolatrice d'un' infinit di rapporti col fine della
nostra vita. Adunque una societ ragionevole e conveniente ad esseri per natura
pietosi e ragionevoli, tendente alla felicit delle parti e del tutto, debb'esser quella
per cui fra tutti gli animali siam detti socievoli. Questa ragione per la quale co
nosciamo che non solo noi , ma tutti gli altri animali eziandio sieno gli uni

(1) 1 pochi casi che ci potrebbero opporre, non fanno che una piccola eccezione alla
regola generale. Vedi Buffon.
(2) Nella California vi ha di certi uccelli acquatici, i quali pescano per quelli della loro
specie che per qualche male non sono pi in istato di procurarsi da vivere. Vedi la
Storia della California: l'arici 1767, Ioni. I.
DE' CORPI POLITICI. CAP. I. il

compassionevoli verso gli altri a s simili e socievoli, e che una tal societ il pi
grande de' mezzi della nostra felicit stabilito per ordine della natura, che fa che
niuno basti a se stesso, ci discuopre un reciproco dritto di esser soccorsi, e
conseguentemente una reciproca obbligazione di soccorrerci ne' nostri bisogni: pe
rocch non vi pu esser societ fra quelli , i quali premendo i moti della natura
non son pronti e disposti a soccorrersi nelle scambievoli loro necessit.
. XVIII. i\iun uomo pu rinunziare alla sua natura, perch nitin uomo pu
essere per suo capriccio altro da quel eh' nato. Un cerchio non pu essere che
cerchio, e un triangolo che triangolo. Dunque niun uomo pu rinunziare alla pro
priet della sua natura. Se noi siamo naturalmente socievoli per insita piet e
ragione, questa societ una propriet cos Indelebile della nostra natura, come
quella di essere animali, e animali compassionevoli e ragionevoli. Ma questa pro
priet, unita alla comune debolezza e al reciproco bisogno, porta seco il dritto
di esser soccorsi e l'obbligazione di soccorrere; dunque questo dritto primitivo,
ed primitiva altres l'obbligazione che gli risponde (1).
. XIX. Questo dritto che chiamasi umanit non dritto di una parte degli
uomini, ma comune del genere umano, per modo che quelli solamente non vi
sono soggetti i quali non sono nati uomini : dunque per la legge di natura va di
persona a persona, di famiglia a famiglia, di corpo politico a corpo politico. Pur
tuttavia pu divenire pi forte fra una porzione degli uomini per fatti particolari.
Gli uomini adunque per natura socievoli e obbligati a soccorrersi reciprocamente,
quando si uniscono in vita compagnevole per patti espressi o taciti, si obbligano
pi strettamente ad uno scambievole soccorso. E di qui , che nelle famiglie e
nel corpo civile ogni membro ha due dritti di esser soccorso dagli altri; il primo
dei quali quello che gli d la natura, il secondo quel che nasce dai patti sociali.
. XX. Vi una terza ragione che obbliga ogni membro della civile societ
ad ingegnarsi di essere utile agli altri, e questa ragione la propria utilit. Pri
mamente non facile trovare che altri costantemente soccorra colui, il quale si
dichiara colla sua vita di non voler soccorrere nessuno. In una greggia di vacche
e tori un lupo non potrebbe sperare nfun aiuto ne' bisogni. Secondariamente ,
quanto meglio sta il corpo civile , tanto pi grande 1' utile che ne ridonda a
ciascuna parte. Ora il corpo civile sta tanto meglio quanto le une parli sono me
glio commesse coli' altre, il che , quanto meglio 1' une soccorrono le altre e si
studiano di essere l' une all' altre di giovamento.
. XXI. Con questa natura eh' detta, con queste forze, con questi dritti
primitivi e finalmente a questo primitive obbligazioni soggette, le persone vengono
in questo mondo. Ma bench queste cose sieno da noi inseparabili , nondimeno

(i) La propensione ebe ciascun si sente di soccorrere chi nel bisogno, quando niente
ci previene in contrario, tale che opera prima della riflessione : e di qui ch'ella pi
forte nella gente rozza che nella riflessiva. Questo mostra, che il fondo della natura
umana compassionevole , vale a dire inchinato alla virt sociale , ch' la vera virt di
quaggi. Veggasi Shaftesbury, Ricerche sulla virt e il merito. E quando inconsidera
tamente si oppone esservi certi feroci e crudeli, si commettono due disattenzioni. 1. Que
sta crudelt accidente alla natura, nascendo da bisogni, o da urto di cagioni esterne,
o da cattivo avvezzamene. 2. Niun uomo assolutamente crudele, ma relativamente;
perch quegli Agai medesimi dell'Africa, uomini ferissimi, non son tali che per poter
esser compassionevoli con i loro o domestici, o amici, o nazionali. Il che piuttosto prova
una compassione mal intesa, che una crudelt di natura.
12 GENOVIsSI.

si possono modificare in infinite maniere. La nostra felicit dipende da una savia


loro modificazione, e da un ragionevole uso che ne facciamo : la miseria dall'a
buso. dunque necessaria una disciplina ed educazione, aftinch per la speranza
del passato e pel calcolo de' pi savi l'uso delle nostre forze non si opponga, n
oltrepassi i dritti e le forze di ciascuno, ma metta in equilibrio gli appetiti natu
rali con le forze e con i dritti. Senza questa l'uomo sarebbe animale rozzissimo,
esposto ad uscire ad ogni momento dall' atmosfera della sua natura; e perci a
maggior miseria che non sono le bestie. Di che servono d' esempio le intiere
nazioni de'Caffri, cui la selvaggia maniera di vivere rende in poco differenti
dalle bestie che si divorano ; e brevemente tutti i popoli selvatici. Niente di pi
vero hanno scritto i filosofi, che tutto quel che noi siamo il dobbiamo principal
mente all'educazione (1).
. XXII. Tre sono i perni su di cui l'educazione e la disciplina degli uomini
si acconciano e fermansi , le nozze stabili , il culto religioso e l' imperio civile.
L'uomo, come ogni animale, dalla natura portato alla venere: l'educazione ne
vuol far nozze. I popoli vogliono un culto: se non quel di Minos, sar quel di
Numa: se non quel di Confucio, sar quel di Maometto. I savi debbono sceglier
quello , la cui essenza l' amore e la virt (2). Finalmente vogliono un impero :
se loro non date un'aristocrazia, si creeranno una democrazia: o se non hanno
n 1' una n l'altra, vorranno un regno: e delle volte s' acconciano anche alla
tirannide. Senza nozze non vi sono famiglie , e gli uomini hanno bisogno delle
famiglie. Senza culto religioso, non vi n stabilit di nozze, n impero civile,
n vera idea di virt, e noi vogliamo l'uno e l'altre. Finalmente senza imperio lo
stato delle famiglie inclina pi alla vita selvaggia che al vivere compagnevole,
n serba veruna misura tra le forze, i diritti e gli appetiti, siccome la storia delle
nazioni barbare c'insegna.
. XXIII. Gli uomini nascono tutti quanti con maggiori bisogni e appetiti ,
che non sono le loro forze. E bench questo sia comune a tutte quasi le specie
degli animali , tuttavia in noi senza paragone pi grande la debolezza. Non vi
fanciullo che potesse scampare da' pericoli della natura e degli animali , se
l'amore e la cura de' genitori non lo proteggesse sino agli anni di pubert e alle
volte pi avanti. Le forze della natura umana non si sviluppano pienamente , e
vengono ad intiera robustezza prima de' venti anni. Aggiungasi che la ragione ,
forza principale dell' uomo, non viene a maturit ordinariamente parlando che
un poco anche pi tardi del corpo ; n vi viene gran fatto senza educazione. Di
qui seguita che le nozze stabili e le famiglie sono necessarie , non solo perch
veniamo al mondo , ma molto pi perch ci conserviamo , perch le nostre forze
tanto di corpo che di animo vengano a perfezione e acquistino quella rettitudine
e robustezza, senza la quale non ci servono che ad accrescere la nostra debolezza,
cio ad infelicitarci.

(i) Ulisse (Odiss. VI, 210) avendo dal fondo del suo nascondiglio udito vocj umane,
incerto s'ei fosse tra uomini o fiere, in qual paese, dic'egli , son io capitato ?
Son essi selvaggi ingiusti e che menati le mani?
Dove da vedere che Omero sembra confonder l'idea di selvaggio e di iniquo. Tal era
la persuasione di tutti gli antichi.
(2) Omero nell'istesso luogo d due c;irallt'ri de' popoli civili, ospitali , e uomini che
Inumi) senso della ilinila.
DB' CORPI POLITICI. CAP. I. 13

. XXIV. Non men chiaro che non vi famiglia nessuna, la quale potesse
lungo tempo durare e senza stento conservarsi tranquilla, smza il soccorso reci
proco di molte altre. Vi un' infinit di pericoli dagli elementi, dalle bestie,
dagli uomini e infino dalla natura nostra medesima, a vincere i quali e per luogo
tempo niuna famiglia ha bastanti forze. A lungo andare ognuna ne sarebbe
disfatta. Di qui siegue, che 1' unione di molte famiglie in un medesimo luogo
assolutamente necessaria a conservarle tutte. Prova di che questa proposizione ,
che le piccole popolazioni sono state spesso distrutte da quelle cagioni che son
dette; di che la storia piena. Veggasi intanto quel che scrive Strabone ne' due
primi libri della Geografia, di certi piccoli popoli distrutti dagli ammali (1).
. XXV. L'uomo tuttoch membro di una famiglia, ha nondimeno sempre e
ritiene la sua particolare natura , le sue forze e i suoi dritti primitivi : adunque
perch molte persone appartenenti ad una medesima famiglia possano l'ormare
un corpo unito, durevole, atto a sostenersi, necessario che vi sia una forza
comune la quale le unisca e vegli su quelle, finch modifichi unisonamente,
quanto la natura comporta, i loro ingegni, le forze, i bisogni, i dritti, perch
ogni discordanza pu divenire cagion distruttrice di un piccol corpo. Questa forza
debb'esser non solamente direttiva, ma coattiva altres; perch la sola forza diret
tiva , per la nostra naturale ignoranza , per la ritrosia della nostra natura e per
la forza elastica e resiliente delle passioni , non basta per unirci e mantenerci
concordi, almeno per lungo tempo. Or questa forza direttrice insieme e coattrice,
quest' imperio domestico per natura compete a coloro, i quali hanno per le nozze
generato le famiglie, come la forza ordinatrice e putatrice di una vigna conviene
a chi l'ha nel suo piantata. Quindi che l'imperio paterno un jus primitivo e
naturale dei padri: e per tale riconosciuto in tutte le nazioni, e fra quelle mag
giormente le quali sono pi barbare (2).
. XXVI. Dove sieno unite in un medesimo luogo pi famiglie , ivi sono
uniti pi corpi misti, perch ogni famiglia n' uno. E siccome diverse persone
hanno diversi pensieri , affetti , irritabilit, utilit, volont e fini privati, cos
queste medesime cose son diverse in diverse famiglie. Laonde come non pos
sibile, che le persone componenti una medesima famiglia cospirino uniformemente
e perpetuamente ad un comune fine senza una forza coattiva , medesimamente
non possibile che molte famiglie formino un corpo politico perpetuamente
concorde, senza un imperio coattivo. Dunque ne' corpi civili assolutamente
necessaria una forza legislatrice e coattrice , per vigore e sapienza della quale
tutti i membri tendano uniformemente al medesimo fine per una geometrica pro
porzione di bisogni , forze, dritti. La storia e' insegna non esservi in terra niuna

(i) Questo prova, che lo stato delle famiglie separate, gli sporades (sparsi) degli an
tichi, uno stato dove le forze son sempre di molto al di sotto de' bisogni i pi sem
plici. Non pu dunque essere felice, almeno che non si supponga con Platone (nel Poli
tico) una terra paradisiaca. Quelli dunque che ci parlano della felicit de' selvaggi sparsi,
lavorano sulla fantasia, non sulla storia.
(2) Perch la forza dell'imperio civile ha tratto meno a s la forza dell'imperio dome
stico. I padri tra gli Stotilandi ritengono la fiera ed inumana autorit di ordinare a' tigli
un parricidio. Perch come son troppo vecchi , ristucchi della vita , si lasciano per so
vrano comando ammazzare da'Ggli; a quel modo che Saul credette di avere il diritto
di comandare al suo armigero di essere ammazzato.
14 GENOVESI.
gran popolazione , che non abbia o un imperio ben formato o un'immagine di
quello. I politici che han detto esservi delle copiose nazioni nel puro stato natu
rale, ignoravano la storia. I selvaggi tutti quanti , dove non sieno un branco di
famiglie disperse , hanno o delle teocrazie (che sono stati i primi governi del
mondo) o degl' imperii volanti. Questo imperio un dritto , che nasce per la
cessione di piccole porzioni dell' uso de' dritti di ciascuna persona e famiglia:
una forza generata dalle forze cospiranti di tutti i membri: una volont formata
per 1' unione di certe porzioni della volont delle persone : e un lume acceso e
alimentato dalle menti di tutti.
. XXVII. Siccome alle famiglie l'imperio domestico di sua natura indiritto
alla reciproca conservazione e felicit , e tanto di chi comanda che di coloro a
cui comanda, medesimamente il One dell' imperio civile la reciproca conserva
zione e felicit delle famiglie, e del capo che le signoreggia. Le famiglie costitui
scono la forza del capo , e la forza del capo mantien le famiglie. Non si posson
quelle conservare senza imperio , n vi pu esser imperio senza corpo politico.
Adunque questi termini Corpo Politico e Sovrano hanno tra loro una reciproca
e necessaria relazione.
. XXVIII. Ciascuna famiglia ritiene nel civil corpo tutti i suoi dritti , sieno
primitivi , sieno acquistati : ma non ritiene gi tutti gli usi e le modiGcazioni di
questi dritti. Non altrimenti che ciascuna persona ritiene nella famiglia i suoi
proprii dritti inseparabili dalla natura, ma non gi tutto l'uso de' medesimi. L'uso
de' dritti delle persone per natura soggetto all'imperio domestico per bene della
famiglia: e l' uso de' dritti delle famiglie pel bene e per la felicit del corpo po
litico sottoposto all'imperio civile. Tanto lontano che queste modificazioni o
restrizioni sieno ingiurie che si fanno agli altrui dritti , che anzi sarebbe un' in
giuria il tralasciarle, nascendo da tal forza la sicurt de' nostri dritti. Noi siam
servi delle leggi affinch siam liberi, diceva Cicerone. Ricordiamoci di quello che
si detto di sopra , che il potersi opporre agli abusi de' dritti degli altri un
dritto primitivo di tutti gli uomini , sebben dritto di umanit. E quando questo
dritto da molti si trasmette in uno per comune interesse , e costituisce in costui
un dritto perfetto, e in quelli che il trasferiscono una perfetta obbligazione.
. XXIX. Donde segue che non vi possono essere in uno Stato ben ordinato
famiglie non sottoposte al capo politico : sarebbe un contradditorio civile e il
maggior disordine della nazione ; sarebbe un ostacolo perpetuo al trasfondersi il
vigore dal capo nelle membra, un polipo del cuore politico. Ogni famiglia, ogni
collegio esente dalla legge generalo ne rompe la forza e la riduce ad esser pre
caria. Perch , come in una persona affinch viva e viva sana tutte le parti deb
bono soggiacere o immediatamente o mediatamente alla forza e al reggimento
dell'animo, per modo che quelle che non vi son soggette mestieri che sieno o
parti ascisse, o inaridite, o disordinate e ostanti; cos nel corpo politico ogni
famiglia, o trib, o collegio non sottomesso all'imperio civile un piccol corpo,
o troncato, o disordinante, che non serve che ad arrestare il vigore delle leggi
e del buon ordine. E se vi fosse chi per mal' intesi privilegi pretendesse di sot
trarsi all'ordine universale, in ci che riguarda questa vita temporale, sarebbe
reo di maest (1). .

[i) La malvagit del costume di certe parti della terra nasce appunto dal non sere
de' corpi POLITICI. CAP. I. * 15

. XXX. Si pu quindi comprendere facilmente, che il primo fine dell'imperio


civile la conservazione del corpo politico: il secondo la comodit: il terzo la
felicit naturale e civile. Non altrimenti che il primo fine dell'imperio dell'anima
sul corpo il conservar la vita : il secondo il procacciar de' comodi i il terzo il
ricercar la presente tranquillit , che consiste nel distaccarne il pi che si pu i
dolori, le noie, le molestie, l'afflizioni, le inquietudini. Quali sieno i mezzi gene
rali da poter ottenere questi fini, dimostreremo qui brevemente : ma pi ampia
mente e particolarmente, quanto per noi si sapr e potr, nel decorso di queste
lezioni.
. XXXI. Quanto maggiore il numero delle famiglie le quali compongono
un corpo civile, tanto egli pi in grado di sostenersi e di respingere i mali che
gli possono avvenire, o dalla natura delle cose o dagli uomini. I piccioli corpi
politici non vivono che precariamente, la storia ce ne somministra moltissimi
esempi dappertutto, e principalmente in Italia dopo la decadenza della repubblica
Romana. Dunque una giusta estensione (1) di terra necessaria alla robustezza
e conservazione di un corpo politico. E nondimeno non consistendo la forza di
tal corpo nell' estensione delle terre, ma s bene nella moltitudine delle famiglie
che abitano , seguita che la popolazione debb' essere una delle principali cure
dell'imperio civile, se esso ama di essere rispettabile e conservarsi.
. XXXII. Quanto sono pi forti i pezzi d'una macchina composta e quanto
meglio commessi , tanto ne vien ella ad essere pi atta a sussistere , e pi in
grado di rispingere gli ostacoli che si possono attraversare nel muoversi. Dunque
le seconde cure dell'imperio civile consistono in fortificare le famiglie, e in unirle
strettamente fra loro e col capo. A questo fine risguarda la educazione virtuosa
e pi tosto rigida che no (2) , la severit delle leggi , gli esercizi e le fatiche. La
legge dunque dee opporsi all' eccesso della mollezza, del lusso , de' vizi e d' ogni
cagione d' indebolimento della natura umana e di dissociamento delle persone.
Delle quali cagioni essendo madre di tutte la volontaria poltroneria, a niun vizio
tanto si vuol far la guerra quanto a questo. Savia legge fu quella d'un antico re
della Gina , che dichiarava che quegli accattoni che erano in istalo da lavorare

tutti i membri sottomessi al medesimo capo e alla medesima legge. Chi pu dire al capo
del corpo politico non li conosco, o, posso salvarmi di botto dove ho detto non ti conosco,
pu anche dire alla legge non sei fatta per me. E chi pu ci dire non pu avere costume,
perdio il fondamento del costume di osservar le leggi, custodi de' dritti degli uomini.
(1) Dico una giusta estensione , perch neppure soverchiamente grande per esser
pi forte. Le vaste monarchie sono tanto pi deboli, quanto pi difficile che dal capo
l'umore si comunichi con facilit alle parti estreme. La repubblica Romana s'indebol
come crebbe oltre ogni misura. Nell'impero della Cina v' ha quasi ogni anno delle ri
bellioni : in quel di Costantinopoli l'estreme parti sosteugonsi come membri posticci.
Le molle perdon la loro forma cosi se sono soverchiamente lunghe , come dove son
troppo corte.
(2) Un grand'uomo ha detto che nelle monarchie non necessaria la virt, ma si
bene il costume. La virt l'affezione pel ben pubblico: il costume l'astenersi dal
far male altrui. Il virtuoso si sacrifica al ben della patria: il ben costumato non of
fende nessuno : ma se senza virt, ogni altr'uomo gli indifferente. egli a farsi
de' lunghi passi dal risguardare gli altri con indifferenza all' offenderli ? Non credo
dunque che si possa aver buon costume senza virt nessuna.
Il) GENOVESI.

divenissero schiavi del primo occupante (1). Pi umana, De men bella l'Inglese
passata sotto Eduardo VI, che li rendeva schiavi per due anni (2).
. XXXIII. Quanto un corpo meglio nudrito, tanto maggiori sono le sue
forze e tanto pi atto a difendersi dai mali, cosi intrinseci come estrinseci. La
economia dunque debb'esser la terza cura dell'imperio. Ella abbraccia l'industria,
le arti, i mestieri, il commercio interno ed esterno e mille altre cose che a questo
servono. Quanto pi cresce un popolo , a quella medesima proporzione crescono
i bisogni del nutrimento; e proporzionatamente aumentar si debbono le cure pa
terne del sovrano.
. XXXIV. Un corpo civile non pu essere n stabile n felice , dove le sue
parti non si stimino sicure de' loro dritti e di quella parte di naturai felicit che
loro accorda la natura e le loro fatiche. A quest' efretto necessaria una forza
superiore, che reprima la non giusta cupidigia che potrebbe nascere in alcuni di
turbare i dritti ajtrui : e oltre di ci , affinch difenda tutto il corpo dagl' insulti
degli altri corpi politici che gli sono d'intorno. Ora a far questo vi vogliono leggi
certe ed arme: quelle per assicurare i dritti dal capriccio degli uomini, e queste
per mettere a dovere le viziose passioni. E questa la quarta cura generale del
sovrano.
. XXXV. Non saranno mai bene fra esse loro commesse le parti d'un corpo
politico, se la legge, ch' una catena aurea uscente dalla bocca del sovrano, non
incateni e leghi e unisca legando tutte le persone e le famiglie. Quelle persone
che restassero sciolte dalla catena, attraverserebbono la sua forza e la indeboli
rebbero. In un popolo dunque che vuol marciare alla sua vera grandezza e feli
cit , non vi debbono essere n persone , n famiglie , n repubblichette immuni
dalla forza della legge universale. Ogni corpo, le cui parti dipendono da pi capi,
disordinatamente corpo e membro.
. XXXVI. Non possibile che i corpi politici non abbiano tutte le passioni
delle persone, essendo composti di persone. Ogni persona naturalmente timida
e gelosa del suo bene, d' ond' che cerca cautelarsi dalle offese che le possono
venire da qualunque altra. Ecco la prima necessit di dovere ogni corpo politico
essere armato per rispetto ai vicini. Ogni persona avida di beni , e invidiosa
del ben maggiore di chi gli vicino. Questa sar una seconda cagione di dovere
ogni repubblica essere armala. Ogni persona vendicativa; dunque il sono
eziandio gli Stati. Tra' vicini son facili 1' offese. E questa la terza cagione di
fidarsi sull' armi. Obbes ha il torto di dire che per dritto di natura gli uomini
sono in uno stato di guerra. Se diceva di fatto aveva ragione.
. XXXVII. La cura di promuovere la popolazione , quella dell'educazione
e con ci delle lettere, delle scuole e dell'arti, la cura dell'economia e del com
mercio, la legislazione e la giurisdizione su tutti i membri del corpo politico, il
dritto delle armi, della pace e della guerra , e brevemente ogni altra cura neces
saria alla pubblica tranquillit e sicurezza, tutte, dico, queste cure sono in pro
priet del sovrano. Imperciocch se elleno non sono in sua propriet, non sono
neppure in propriet di nessun altro, non polendovi essere nella comunit altro
che aduni in se solo e rappresenti tutto il corpo politico : dunque non vi ha

(1) Martinus Martinius , lib. V. Hist. Sinica.


(2) Hume. /storta (VIngh. toni. IV, pag. 529, ediz. orig.
DE' CORPI POLITICI. CAP. I. 17

imperio; ci che contradditorio. Ora quel che in propriet di ciascuno suo


dritto; dunque i dritti dell" imperio civile sono tanti, quante sono le sue cure, e
tutti alienabili e inseparabili dal dritto dello scettro.
. XXXVIH. Ad ogni dritto, cio ad ogni libera facolt di agire garantita
dalla legge di natura , di qualunque sorta sia , corrisponde naturalmente un' ob
bligazione, senza della quale quelli non son da dirsi n da aversi per dritti.
Adunque tutte le persone e tutte le famiglie di un corpo civile, senza eccettuarne
nessuna , sono in una naturale obbligazione di rispettare e di osservare religio
samente tutti i dritti dell' imperio civile. Niuno potrebbe sottrarsene senza offen
dere l' ordine universale , e mettere in dubbio e in pericolo la sicurt de' dritti
delle persone e delle famiglie, e con ci se medesimo.
. XXXIX. Ogni persona ha un' obbligazione naturale e insita di studiarsi
a procacciare la sua felicit; ma il corpo politico non composto che di s fatte
persone: dunque tutto il corpo politico e ciascun membro nell' obbligazione di
fare, quanto dalla sua parte, tutto quel che sa e pu per la comune prosperit,
purch si possa fare senza offendere i dritti degli altri corpi civili. Questa obbli
gazione, con bello e divino legame, ritorna dal corpo civile in ciascuna famiglia
e in ciascuna persona per li patti comuni di societ. Di qui che ogni famiglia
e ogni persona obbligata a procurare, quanto sa e pu, la comune felicit per
due obblighi, l' uno de' quali l' interno della natura , e l' altro quello de' primi
patti continuati ne' posteri per lo vivere in comunit. Si pu aggiungere il terzo,
l' utilit propria. Sar eternamente vero, dice Shaftsbury (1), che la vera utilit
figlia della virt; perch eternamente vero, che il gran fondo d' ogni uomo
l'amore di coloro con cui vive. Or quest'amore appunto figlio della virt.
$. XL. Finalmente coloro , quali sono dal sovrano destinati per esecutori
e ministri de' suoi dritti e del suo imperio, non possono n debbono avere altro
fine che quel medesimo il quale il fine del sovrano. Perch se il fine dell' im
perio del sovrano la felicit del capo e de' membri , siccome dimostrato , se
guita che a questo fine medesimo debbono guardare tutti i ministri del sovrano
e delle leggi , dal pi alto al pi basso. Ogn' altro fine, eh' essi si prefiggano ,
contro a' dritti del sovrano e del corpo politico, ed un tradimento fatto all'im
perio e alla patria; aggiungo, un attentato contra la propria sicurt. Felici quello
nazioni, in cui tutte le parti che le compongono conoscono questi doveri, mirano
al comun fine del corpo civile e vi marciano con virt e intrepidezza.

CAPO II.
Principio motore, cos delle persone come de" corpi politici.
Sorgente prima deWarti e delle scienze.
. I. Tutte le sensazioni dell'uomo non sono che dolore o piacere. Ma il pia
cere, ch' sempre il termine del dolore, non che un fine maturato che mettesi
a riposare nel gran magazzino de' nienti. 11 che , perch ogni piacere naturai-
" - ^-^ 1 1
(1) 'Ricerche sulla virt e il merito.
Econom. Tomo III. 2.
18 GENOVESI.

mente quiete e una specie di letargo: una risoluzione del corpo e dell'anima,
nella quale ci troviamo conlenti e soddisfatti. Niun dunque potrebbe operare per
piacere in quanto piacere, cio per un bene gi conseguito. E quando ci si dice
da lutti , non si pu- intendere che pel desiderio del piacere : il qual desiderio
un' irritazione dolorosa , e alle volle assai pi stimolante che non sono i dolori
pi acri e violenti del corpo. Dunque non vi altro che naturalmente ci possa
muovere ad operare, salvo che il dolore, l' inquietudine, il desiderio e ogn' irrita
zione noiosa e spiacevole.
$. II. Ma non ognuno per avventura capisce, siccome si converrebbe, tutta
l'estensione dell'idea che si vuole attaccare alla parola dolore. V'ha tre sorta di
dolore che qui diremo, di naturai sensazione, di energia simpatica o antipatica ,
di cura e riflessione. La fame, la sete, la venere , il caldo, il freddo, i morbi che
pullulano dalle parti solide o fluide del corpo, le lacerazioni, contusioni, pres
sioni , dileticamenti della tela nervosa e mille altri che lungo sarebbe il dire ,
sono della prima maniera. L'amore, il disprezzo, il timore, l'ira, l'amicizia, la
gelosia , l' ardire, la misericordia e tutte quasi le passioni di primo rapporto , o
che eccitansi al primo aspetto di certe forme e immagini per la consonanza o
dissonanza che hanno colla nostra fantasia e natura , sono della seconda. Ma le
passioni di secondo rapporto come l'odio, la crudelt, l'avarizia, il lusso, l'am
bizione, la provvidenza del futuro, la speranza e una gran folla di desiderii che
sorgono per considerazione e raffinamenti di pensare, sono del terzo genere.
. III. Non m' intratterr sui dolori della prima sorte : troppo noto che
essi tutti quanti sono un gran principio motore d'ogni animale, eh' essi ci stimo
lano e aizzano a ricercare tutti i mezzi da soddisfarli. Le bestie non si muovono,
quanto pare, per altra cagione che per s fatta. Ma noi, se ben si considera, assai
spesso muove e sollecita pi l' energia che quei dolori della prima specie. Quei
moti energetici impossessansi alle volte talmente dell'anima, e ci battono cosi
senza interrompimento che non ci lasciano pure un momento da respirare : dove
che quei della prima specie fanno 0 pace 0 tregua. Ma si vorr da me pi aper
tamente sapere , perch io chiami i secondi di energia e di primo rapporto , e
perch di riflessione 0 di secondo rapporto i terzi j il che io dir, quanto posso,
brevemente.
. IV. L'uomo talmente costrutto e impastato di delicati e scnsiferi nervic-
ciuoli, e ha s mobile fantasia, che non possibile che le forme e le rappresen
tazioni degli oggetti che gli sono dattorno, e che vede 0 ode, non gli sieno sempre
o simmetriche e consone, 0 dissonanti. Se sono simmetriche, concordi, consonanti
il rapiscono con una specie di poco intesa attrazione, la quale divicn per lui una
sensazione molestissima finch non si unisca agli oggetti di quelle forme , onde
rassodi l'oscillante immaginazione. E se discordanti , il respingono e scuotonlo
con meno noiosa irritazione che sia quella dell' attrazione, finch non sia in tal
distanza di luogo 0 di tempo da non esserne pi tocco. Questi moti , ancorch
nascenti da fisiche e meccaniche cagioni, son da me detti energetici , simpatici ,
antipatici, che hanno molto dell'entusiasmo. E perch ordinariamente son tocchi
primi e improvvisi delle immagini delle cose e precedono ogni riflessione, li
chiamo di primo rapporto. Tali sono la compassione all'aspetto di chi patisce
miseria, l'amore di quel che ci par bello, l'ira che bolle ad un segnale d'ingiuria,
il timore del soprastante male, la noia e' 1 disgusto di ci eh' discorde dall'av
DEL PRINCIPIO MOTOBE. CAP. II. 19

vezzamenlo delle nostre sensazioni e del pensar nostro. Ma v'hanno molli di tali
moli che la sola presenza degli oggetti non dester mai: vi si richiede una lunga
serie di pensieri e di riflessioni , un accozzamento di molte idee e di molti casi
possibili, come la crudelt, il lusso, l'interesse cos particolarmente detto, la
- speranza e una gran quantit di raffinati desiderii : e queste son da me chiamate
cure e moti di secondo rapporto. I moti di primo rapporto li troverete in tutti
gli uomini selvaggi e culti, e anzi pi forti ne' selvaggi e barbari che ne' culli ;
ma quei di secondo non hanno ordinariamente luogo che nelle nazioni polite.
. V. . Or niente ci debb' essere pi manifesto quanto che, com' detto, il
dolore ed esso solo, inteso nella maniera eh' spiegato, sia il principio motore
di tutte le azioni e non azioni umane. Ma non so se hanno tutti avvertilo, che i
dolori di energia hanno sempre il pi grande e il pi durevole imperio su l'uomo.
Si pu far tregua colla fame e colla sete, e talora pace col freddo, col caldo, con
Venere: ma di rado vi ha pace o tregua con i moti energetici, .se gli oggetti non
si rimuovono per lungo tratto di tempo dalla fantasia. V'ha di pi: non di
rado si sacrificano i primi ai secondi. Si lascia morir di fame per un farnetico :
si corre al precipizio, al laccio, al veleno per un entusiasmo : si affronta la morte
per un punto di onore. Osserviamo nondimeno in passando, che il dolore non
cagione motrice e spingente che finch congiunto alla speranza di poterlo acque
tare e sopire. Dove comincia a disperarsi dei mezzi e delle forze divien cagione
addormentatrice, e spianta il germe della fatica e dell'arti, siccome si vede d'or
dinario negli schiavi. La qual verit dimostra assai quanto abbiano il torto co
loro, che asseriscono, che tanto pi un popolo sia industrioso quanto pi pez
zente, tapino, misero, cio indurato al non bisogno, e con ci nello stato d'in
differenza per ogni comodo.
jj. VI. Se il soddisfare al dolore e la sollecitudine si dica interesse (ed in
fatti), chiaro che l'uomo non opera naturalmente che per interesse. Eppure nel
volgar modo di pensare e parlare io stimo , che s' ingannino cos coloro che di
cono che 1* uomo operi per solo interesse , come quelli che il negano , parlando
gli uni e gli altri poco consideratamente. E ci derivarsi dal dare maggiore o
minore estensione alla parola interesse. V ha di coloro i quali non intendono per
interesse che un amor proprio riflesso : ed falso che ogni uomo operi sempre
per s fatto interesse, niente essendoci pi manifesto per l'esperienza, quanto
che l'uomo un essere elettrico, e che il principio simpatico sia la sorgente di
tre quarti delle azioni umane. Ma se per interesse s' intende quel soddisfare e
compiacere al dolore, alla molestia, alle irritazioni di quelle specie che son dette,
all'inquietudine dell' anima e ad ogni buona o rea passione, non si trover che
noi operiamo per altro principio: e chi sei crede s'inganna e diventa il giuoco
degli altri. Certo un legislatore non dee mai supporlo nelle sue leggi e affidar-
visi (1).
. VII. dunque mestieri, a voler ben governare un popolo, che coloro i
quali ne sono i timonieri a niente abbiano pi 1' occhio quanto all'energetico di
quella nazione. le si pu far intraprendere delle cose di maravigliosa forza, posto
() La virt medesima, cio l'energia simpatica di giovare, agli altri, fondala sul
dolore, cio su l'inquietudine che un uomo prova dove non s'impiega in pr del genere
umano; cui soddisfare il gran piacere dell'anime grandi e ben fatte; e grande affli
zione il non trovar modo di farlo. Di qui era il detto di Tito, perdidmus diem.

s
20 GENOVESI.

che si sappia solleticare e governare. I popoli barbari operano per sensazione e


per un'energia grossolana, pi che per ragione, riflessione e passioni raffinate; e
di qui che a moverli giova lor mostrare de' piaceri sensibili , o scuoterli con
certe immagini grottesche e misteriose (1). Ma quest' arte ha poca o niuna forza
nelle nazioni savie e rischiarate: dond' che bisogna muoverle per molle pi fine.
Ecco donde sono nati i titoli e gli ordini di onore.
. . Vili. Le nazioni variano neh" energetico , come i climi e l' educazione. I
Francesi son sensibili all'onore e alla gloria militare. Luigi XIV trov in questa
loro energia il pi gran fondo per sostenersi nel rovescio de' suoi affari. Gli Spa-
gnuoli son naturalmente tocchi da un generoso disdegno; principio che salv due
volte la Spagna, una liberandola da' Mori , l'altra dalla divisione. I Tedeschi son
per natura compassionevoli ; e quest'energia rimesse la casa d'Austria nei torbidi
nati dopo la morte di Carlo VI. Gli Inglesi, che han molto dell'entusiasmo, si
piccano d'una severit Spartana; principio che nella passata guerra, ben maneg
giato, rilev il lor coraggio col sacrificio di Bing. In tutti i quali esempi vedesi
facilmente, non esser sempre l'interesse personale, n la riflessione il pi gran
principio motore dell'uomo, ma quell'energia eh' detta; la quale un effetto di
fisiche e assai cognite cagioni , e pur non sembra che magia.
. JX. Il principio energetico si consolida e prende la sua direzione per
Y educazione x> per li pregiudizi o opinioni invecchiate , personali , domestiche ,
pubbliche. L'arcano dell'imperio il pi grande di fare che i pregiudizi comuni
non tendano che alla virt, alla sapienza, all'industria e al vero bene dello Stato;
e i personali e domestici facciano concerto con i pubblici , affinch si rafforzino
congiunti e sieno cagione di maggior quantit di azione. Il che non credo che
sia difficile, purch cos gli uni come gli altri si sappiano conoscere. Perch voi
potrete con l'onore e '1 premio piantare nello Stato de' pregiudizi utili e svellere i
noccvoli , e favorendo il pregiudizio dominante voi vedrete i personali e i dome
stici tutti piegarsi da quella parte. La gloria militare era favorita dalle leggi, e
ne' giudizi di Roma e in Sparta ; e quindi nacque che nelle famiglie tutto vi si
facesse per forza di questo pregiudizio dominante. Quest' arte fa tutti mercanti
negli Olandesi : e questa medesima ha aumentato in Inghilterra l'agricoltura e le
manifatture. V nel giro della terra, dicono i geografi , de' paesi dove la vanit
il pregiudizio signoreggiante , e quel che pi, le leggi il vi favoriscono. Cos
i corpi politici vi son divenuti corpi di palloni gonfi d' aria:
Voti (Sogni saper, pieni a" orgoglio (2).
. X. V'ha de'filosofi che gridano contro i pregiudizi, siccome contro nemici
dichiarati dell'umana felicit. Questi filosofi debbono essere giovani e avere poco
sperimento dell'uomo e meno del mondo, nel quale nulla si fa di grande se no
per una forte e radicata opinione che ne sia la molla stimolante. Non possibile
di non aver pregiudizio nessuno, perch non possibile di non aver niuna grande
opinione: i filosofi i pi rischiarati n'hanno de' pi forti: e quando si potesse

(1) Fu l'arte d'Orfeo, di Minos, di Maometto,, e fra i Settentrionali di Odino. Vedi Mal
te!, /nlrodutione alla Slaria di Danimarca.
(2) In Africa tra gli Agoi e i Gallas vi si onora la crudelt come tra g' Irochesi in
America : fino i fanciulli vi prendono quell'aria. Nella Cina vi si onora la fatica: dif
ficile trovarvi un poltrone,, ma ve n'ha muniti nell'India dove la poltroneria vi si santifica
DEL PRINCIPIO MOTOBE. CAP. II. 21

arrivare a spogliarcene interamente non sarebbe il pi grande nostro interesse.


S'illanguidirebbe il bel principio dell'energia; cosicch persone, famiglie, corpi
civili tenderebbero al marcimento. L'indifferenza Pirronica in se stessa ridicola;
ed il pi gran flagello che possa sopravvenire ad un corpo politico. Rappresen
tatevi un generale che dica , combatta o stia in riposo vale l' istesso : un magi
strato con la massima , ogni partilo ragionevole : un ministro persuaso , che il
mondo morale va cos da s come il fisico: e voi vedrete rovinata una repubblica
in pochi anni. In certi rincontri vai meglio afferrare un principio, ancorch non
il migliore, e portarlo coraggiosamente avanti che lo starsene colle mani alla
cintola.
. XI. Quello bene da considerare , che poich ogni popolo ha i suoi pre
giudizi, non ve ne siano de' cattivi, i quali sieno di ostacolo alla felicit civile.
Quelli che non fanno che tendervi , sono anzi da nutrire con molla cura che
sbarbicare. Il solo nome di Romano nell'antica Roma, quello di Sparta tra'Lace-
demoni era capace di risvegliare le anime le pi sonnacchiose. Alessandro col
presentarsi ad un esercito ammutinato e furioso, e gridare, Macedoni l li ridusse
a dovere. In Venezia bastava ne' tempi addietro il far sentire, Marco, Marco,
perch tutti i cittadini fossero in un entusiasmo. Amurat colla sua parola, Mu
sulmani, detta con enfasi, rimesse una battaglia che andava a perdersi. Mi piac
ciono questi pregiudizi , e crederei che le leggi dovessero proteggerli e accarez
zarli (1). Ogni popolo creda che il suo paese sia il pi bello e delizioso. Pregiu
dizio da incensarsi e da adorarsi. Ma se son di quei che spiantano , se sono
d'ostacolo al bene, si vogliono ad ogni modo svellere: e nondimeno con la dili
genza di agricoltore, non con la furia di guastatore. Ogni nazione si stima esser
la pi savia nelle scienze e nell'arti, la pi polita nei costumi, la pi gentile nelle
maniere. un pregiudizio che pu nuocere; si vuol dunque disingannare, ma
senza violenza. La forza non fa che pi abbarbicare le opinioni , essendo l' uomo
animale elastico e dispettoso. Una legge perch lutti in un giorno si tronchino
le barbe , non poteva farla che il solo Pietro il Grande , il quale pensava che si
potesse render savio e gentile un grande imperio in cos poco tempo come una
piccola famiglia. Si dir, a qual segno gli utili si conosceranno dai pregiudiciali?
Non istimo esser difficile. Ogni pregiudizio che tende a rilasciare la fati
ca, A DISONORARE LA VIRT, AD ARMARE GLI L'OMINI CONTRO GLI DOMINI, DN
veleno lento della repudrlica (2). Quel mi pare pi malagevole, lo sbarbi
care i nocevoli pregiudizi dove sieno diventati vettigali. Pochi avranno il corag-

(1) Ne'tempi eroici credevasi Ira le semplici genti, che gli Dei mascherati da viag
giatori- visitassero gli uomini per esplorare la loro vita. Pregiudizio utile a frenare i
facinorosi e ad allargare il fondo della reciproca piet, cio della virt socievole ch'
nei cuori umani. Nel regno di Loango son generalmente persuasi, che niuno muoia se
non per incantesimi e fattucchierie (Parte Mod. Storia Univers. lib. XVII, cap. VI), sic
come eravamo in gran parte noi 200 anni addietro. Pregiudizio che , generando un
mutuo sospetto, alimenta l'odio e la guerra intestina tra que' barbari. Or qui lavora con
utilit pubblica la filosofia.
(2) Una malintesa idea della nobilt potrebbe cagionare l'avversione ad ogni mestiere
faticoso : certe false nozioni di puntigli riempiono i popoli d'odii, risse, sangue. Uno dei
pi cattivi pregiudizi di certi popoli orientali, ch'altri vi si reputano uomini dei , altri
sono slimati uomini bestie.
22 GENOVESI.

gio dell'augusto monarca delle Spagne, che sagrific 50,000 scudi annui alla
virt de' popoli (1).
S. XII. Quello non vorrei che le persone non use alle precisioni filosofiche si
facessero a credere, che perch noi non contiamo n possiamo riconoscere altro
natural principio motore dell'uomo e de' corpi politici, salvoch il dolore e l'in
quietudine, escludiamo perci la forza dell'onest e della virt; che anzi noi gliene
lasciamo il pi sublime e maestoso luogo. L'onesto e il virtuoso, siccome vi con
sentir ognuno, che punto vi pensi, non ci muove neppur esso che pel desiderio
che in noi desta, e per quella fiammella d'amore che diceva Socrate che s'accende
nell'anima e nutriscesi per riflessione;ma l'amore da tutti riconosciuto per cura
e inquietudine, che cuoce e vexat in pectore fixa. Questi desideri e amori se
guono sempre proporzionatamente la forza, che gli appresi beni e le concepite
belt e le libere riflessioni fanno nel nostro cuore. E perch niun bene pu esser
per noi maggiore, se ben consideriamo, n vi belt pi pura, candida e riful
gente quanto la virt; quindi ch'ella eccita nell'anime ben fatte un ardore ine
stinguibile, e scuote non di rado fino i pi incalliti al vizio (2). Dove si osservi,
che non solo delle nostre naturali e filosofiche virt primaria derivazione il
desiderio che in noi se n'eccita per la naturale loro belt, e per la consonanza
con tutta la vita efelicit nostra, ma eziandio delle divine; essendo il primo frutto
della grazia l'appetirle, che le divine Scritture chiamano buona volont, la quale
secondo i maestri in divinit val tanto, quanto dire buono appetito che non di
scende che dal gran padre d'ogni bene.
S. XIII. Tornando ora al nostro proposito, ogni legislatore debb'esser con
vinto che niun'uomo naturalmente opera che per dolore, e per quel dolore prin
cipalmente ch' detto energetico, entusiasmo, simpatia, antipatia. E se il dolore
dolore e male, dee anche sapere, che non vi ha dolore che non possa con giu
stizia e onest volersi soddisfare. Quella dunque da vedere, di molte maniere
da soddisfarlo qual possa esser viziosa, cio opposta o alla nostra felicit o a
quella degli altri. Concedendo dunque e allargando tutte le maniere da compia
cere al dolore che non si oppongono a questi fini, e favorendole e onorandole,
vedr a quella proporzione medesima crescere e dilatarsi l'azione produttrice di
virt, di arti e di beni per cui le nazioni prosperano e vivono tranquille: e co
stringendo in tutti i modi le viziose, sia coll'infamia e 'l disonore (armi valevoli
contro le pericolose energie), sia col danno o con altre pene che reprimano le
non ragionevoli maniere da acquietare le moleste sensazioni, verr a svellere la
radice de'vizj che spopolano, disuniscono, infelicitano il corpo politico. Nella
Cina, dopo una lunga serie d'anni di guerra civile, una malinconia epidemica
aveva invasato i pi cospicui uomini di lettere e i pi virtuosi, donde avveniva
che essi per soddisfacimento di s fatta passione fuggivansi nelle solitudini. Prin
cipio di gran male per quei popoli avvezzi a non esser governati che da'filosofi (5).

(1) Coll'abolire tra noi i giuochi di sorte, resi vettigali. Non meriterebbe l'istesso il
vettigale della asportazione delle armi?Si renderebbe l'onore alle antiche nostre leggi e
la pace e la polizia alla nazione. Ogni popolo armato in pace barbaro, dice Tucidide.
(2) Intendo qui per virt in generale l'accordo armonico tra le passioni e la ragione,
cos per riguardo a noi medesimi come per rispetto all'affezione del ben pubblico.Vedi
SHAFTsBURv, Ricerche sulla virt e il merito: lib. II.
(3) Come noi da giureconsulti. Quei filosofi sono i giureconsulti della Cina.
DEL PRINCIPIO MOTORE. CAP. II. 25

Che fare? La forza avrebbe inasprito il male, ch'era di tempra da esser corretto
con dei lenitivi. Adunque si tent diguarirlo coll'infamia e col prurito dell'onore.
Come niente tanto in quell'imperio onorato quanto la fatica, n tanto tenuto a
vilipendio e disonore quanto l'ozio, si bandirono perpoltroni e vili tutti quei che
si ritiravano dalla societ, e sotto specie di richiedere da'capi di quei romiti dei
consigli, onorandoli e accarezzandoli, si fecero sbucare. Si mischi alla seriet
tutto quel che pu render grata e deliziosa la vita compagnevole; e si ridussero a
poco a poco a tornar uomini (1) e servire alla patria.
S. XIV. Tutte l'arti e le scienze e le umane virt altres son figlie di quei
tre generi di dolore, che son detti. L'arti primitive e molte delle miglioratrici son
nate da dolori naturali e macchinali: alcune delle miglioratrici e quasi tutte quelle
di lusso, dall'energia e dal genio. Tutto quasi il commercio e gran parte delle
scienze debbonsi alla terza classe di moleste sensazioni. Adunque il saper colti
vare queste sorgenti il gran principio per vedervi fiorire le scienze, la virt,
l'arti, il commercio, l'opulenza e la vera robustezza dello Stato. Il dolore, la mo
lestia, la noja, non ha alcun dubbio, son pene. Ma di quanti beni non ci com
pensan elleno? Adunque l'arte madre da far fiorire questi beni quella appunto
di saperne sollecitare le molle motrici.

CAPO III.

Delle diverse classi di persone e di famiglie che compongano i corpi civili.


S. I. Gli Egizj partivano le classi degli uomini per trib e famiglie fisse, non
gi per persone e corpi mobili. Essi distribuivano queste trib in sei ceti (2), sa
cerdoti, militari,pastori, marinai, dotti artisti, agricoltori. I militari avevano la
cura del governo civile in pace e in guerra. I sacerdoti quella del culto religioso,
dell'astronomia, delle scienze e della storia. Tutti gli altri attendevano all'arti e
all'agricoltura. La legge ordinava che niuna persona potesse professare altro me
stiere, salvo che quello della famiglia in cui era nato. Si credeva che ci confe
risse alla perfezione delle scienze e dell'arti conservando le tradizioni domestiche,
e alla tranquillit de'popoli togliendo il fomento all'ambizione. Platone nella sua
Repubblica volle rinnovar questa legge, ma Aristotele ha ragione di biasimarla.
Ella toglie lo stimolo al merito e alla virt,estinguendo la libert e l'emulazione
di divenir grande (3). -

(1) Il P. Martino. Si vuole aver per massima prima in ogni paese, che vuol marciare
alla sua felicit, CHE oGNI UoMo , IL QUALE N IMMEDIATAMENTE, N MEDIATAMENTE
ENDE UTILE ALLA PATRIA , uN ANIMALE N0CEVOLE.
(2) Erodoto dice sette: ma se ne vuol fare una de'Bucoli e Suboti, guardiani di vac
che e di porci. -

(3) Il corpo delle persone de' ceti, che vivono in aggio e lusso, dopo alquante ge
nerazioni va ad imbastardirsi; donde nasce la stupidezza della mente istessa, le cui fun
zioni corrispondono sempre alla bont o malvagit dell'istrumento. Dunque se voi impe
24 GENOVESI.

. II. Per conoscere le classi degli uomini , in cui ordinariamente dividonsi i


corpi politici che ora sono in terra, bisogna dividere le nazioni in selvagge va
ganti, barbare stabili, culle non commercianti, e eulte commercianti. Le selvagge
vaganti son quelle che non vivono che di caccia o di pesca, e degli animali che
nutriscono, senz'avere n agricoltura, n arti, n lettere, n leggi politiche. Tali
sono i popoli del Canada, i Lapponi, gran parte de' Tartari e moltissimi altri.
Barbari stabili diconsi quei che hanno, oltre alle gregge di animali, un po' d'a
gricoltura e qualche parte dell'arti di necessit e di comodit. Tal' era l'imperio
del Per e quel del Messico quando furono scoverti dagli Europei. Le nazioni eulte
non trafficanti hanno tutte l'arti memorate, e oltracci lettere e civilt. Ma non
avendo commercio mancano de' raffinamenti dell'arti di lusso. Tali sono tuttavia
molti slati nella Germania inferiore. Finalmente le nazioni perfettamente eulte son
quelle, in cui tutte l'arti di necessit, di comodit e di lusso sono in grande
splendore ; e dove perci lo spirito, le belle lettere e le scienze sono molto colti
vate , e raffmansi e rabbellisconsi ogni giorno. Tra i selvaggi non vi che un
imperio volante e a tempo, o un'orrida teocrazia. Tra i barbari slabili l'imperio
fsso sebbene non ancora ben formato. Nelle sole nazioni culle l' imperio sta
bile, sistematico e formato.
. III. Nelle nazioni selvagge non vi che un solo celo: le persone non son
che cacciatori, pescatori, ladri, briganti. Il loro imperio fsso il solo domestico,
il quale rigidissimo perch non temperato n indebolito dal politico. Hanno un
imperio civile momentaneo. Creano un capo ne'bisogni, i quali finiti tornano allo
stato delle famiglie e il capo diviene eguale agli altri. Non avendo arti vestono
cuoi d'animali o vanno nudi, mangiano radici, frutti incolli, carni di fiere: be
vono latte o acqua -, e per quest' arti son tutti capacissimi. Vi ha dei preti e dei
medici , ma essi fanno la vita o il mestiere degli altri : perch la religione vi
nell' uovo, per cos dire, e la medicina di poco uso. Quasi tutte le nazioni della
terra, dopo le seconde origini del genere umano, furono in questo stato, dal quale
non vennero alla cultura che per gradi. La storia de'popoli, quasi in tutto il resto
discordante, s'accorda in questo punto con maravigliosa armonia. E di qui clic
tutte le antiche nazioni si son dette Autoctone , figlie della terra , de' monti , dei
boschi , dei laghi , de' fiumi dove abitavano, non essendo facile in tanta barbarie
conservar le prime tradizioni (t).
g. IV. Tra i barbari stabili vi son certi capi fissi, leggi conservate pel costume
o tramandate in canzoni (2) ; vi sono cacciatori , pastori , agricoltori , artisti di
necessit e soldati. Vi si comincia a vedere l' umanit e a respirare un' aura di
vita pi aperta e sicura. Tali erano il Messico e il Per prima di essere conqui

dile, che i ceti bassi vengano su , i quali serbano pi integrit e vigore di corpo, voi
rovinate Io spirito e il valore della nazione.
(i) Tutti gli Dei della mitologia Greca son figli di Crono o Saturno , e Saturno di
frano ossia del Cielo, perch i primi fondatori di quelle nazioni furono de'montagoari ,
i quali discesi a' piani mostravano la cima de' monti siccome la loro culla : e perch
tutte le lingue de'popoli selvaggi son fantastiche e poetiche, quei monti divennero il
Cielo, e i primi padri Athanati, immortali. La mitologia Cinese s'accorda colla Greca.
Vedi Martino Jlartinio, lil>. I, Hist. Sinica.
(2) Le prime leggi erano canzoni, dice Aristotele nel lib. I Mia Polii., siccome
erano le prime memorie. Vedi Omero Odiss. Vili e Mallet Introduzione all'Jstoria di
Danimarca.
DELLE CLASSI CHE COMPONGONO I CORPI CIVILI. CAI'. IH. 25

stali dagli Spagnuoli : e tali sono ancora alcuni regni della Tartaria orientale.
Gran parte della Moscovia, prima di Pietro il Grande, era nel medesimo stalo. Vi
si possono aggiungere i due grand'imperi dell'Africa Meridionale, l'Abissi nia e il
Monomolapa, essendo pi vicini alla barbarie che alla coltura. '
. Y. La vera coltura delle nazioni non comincia che colle lettere e con i
collegi delle scienze, e con certe e fsse leggi che regolino l'imperio e'1 rafforzino.
In questo stato il governo si sviluppa meglio, crescono e si migliorano l'arti, au
mentaci i ceti. Questi stati sono la vera piramide del cavalier Tempie. Il sovrano
nel punto pi sublime. Seguono in secondo grado i grandi di corte. In terzo i
grandi di nascita o di posti, i ministri delle leggi, quei della religione, gli ufficiali
delle milizie. In quarto i nobili viventi del proprio, gli avvocati, i professori delle
lettere e delle scienze, i medici, chirurgi, farmaceutici. In quinto i negozianti.
Appresso, l'arti di lusso, le arti miglioratrici, le arti creatrici. Finalmente bisogna
porvi un ceto di poltroni e mendici ; non essendo facile di trovar paese cullo dove
non ne sia pi o meno, nati o per forza di fortuna o per temperamento o per
vizi (1). Nella qual piramide la base sono gli artisti creatori: il piedestallo i
miglioratori. Se questo Stato sia commerciante avr ancora molti altri ceti impie
gati alla mercatura, cos marittima come terrestre, tutti i quali sono allogali d'in
torno alla base.
. VI. Si vuole intanto osservare che questi ceti variano mollo, cos per la
moltitudine come per l'estensione, secondoch la forma del governo. Nelle mo
narchie i nobili sono pi e pi estesi. Tal' la Francia per esempio, la Spagna,
ecc. Nelle repubbliche popolari ve n'ha meno, non v'essendo feudi e regnandovi
poco lusso. Negli stati dispotici ve n'ha anche meno, non essendovi nobilt ere
ditaria, siccome in Turchia. Ma vi un imperio che non rassomiglia a niuno dei
memorati. La nobilt vi molta e grande, ma n ereditaria n venduta: il solo
merito della sapienza civile ve gli crea, n oltrepassa la loro vita. Il reggimento
pi simile ad un governo paterno che ad un civile; il sovrano vi ha pi diritti
di padre che di re, ma di padre dello stato di natura e perci severo e rigido.
Egli vi insieme principe e pontefice. Questo stato la Cina.
S- VII. Noi, per procedere con maggior chiarezza e farci capire nel decorso
di queste lezioni, divideremo le classi de'popoli culti come appresso. La I. fa delta
quella degli uomini produttori o creatori di beni; la li. de' miglioratori o mani
fattori di necessit ; la IH. di coloro che coltivano arti di puro comodo, dette
perci utili; la IV. di quei ch'esercitano arti di lusso; la V. de' regolatori e di
rettori; la VI de'difensori; la VII. de' grandi. A questi sette punti crediamo noi
che si riducano tulle le cure economiche de' sovrani e de' loro ministri: ma toc
chiamo qui in due parole le cure generali.

() Tra' Selvaggi non vive chi non fatica; dunque non vi troverete accattoni. Tra' po
poli culli, pi umani e docili, perch pi deboli e molli, l'umanit stessa ve gli alimenta.
26 GENOVESI.

CAPO IV.
Come le sopra delle classi di persone possono conferire alt arti e alt opulenza
dello Stato; e con ci alla loro e alla pubblica felicit.

. 1. Chang-hi, uno de' pi savi sovrani della Cina, il quale viveva intorno
al principio del presente secolo, in una siccit quasi che generale di quel vasto
imperio, niuna cosa e con sollecitudine prima domandava a' grandi che gli si ap
pressavano ogni mattina per felicitarlo, che, v'ha egli notizia nessuna di piog
gia ? E come riseppe che il cielo cominciava a spargere le sue feconde rugiade ,
fu il primo a bandire un solenne sagriQzio e ringraziamento all'Altissimo (1).
Li-eo, principe pur egli Cinese, non richiedeva quasi giammai dai visitatori delle
Provincie , se non , in che stato son esse l'arti e t agricoltura? e dal buono o cat
tivo loro essere giudicava dell' abilit e giustizia, o della sciocchezza e malvagit
di governatori (2). Noi ci studiamo di fare in modo, diceva l'imperator Fede
rico II, che questo nostro regno delle due Sicilie divenga per la coltura della
giustizia il nostro giardino di delizie, sicch sia di specchio a tutti coloro che
il vedranno, et invidia ai sovrani, e di norma a tutti i regni (o). Dopo aver
debellato i Turchi (comincia una sua legge l'imperatore Carlo V) noi non abbiamo
altro pensiero, che di sottrarre i nostri sudditi e vassalli di questo regno delle
due Sicilie da tutte le oppressioni, estorsioni e indoverose esazioni (4). E appresso:
Noi vogliamo conservare i nostri vassalli nella libert di contrattare e di com
merciare .. . . E perci comandiamo che sieno liberi di comprare ci che loro
piace, e quanto e come e dove e tutto quel che vorranno, e venderlo ed estrarlo
secondo che loro ne vien voglia. Finalmente Federico II medesimo, re di gran
dissimo cuore, ha in due magnifiche parole e degne di gran principe raccolto tutti
i doveri di chi presiede ai popoli: Bisogna, die' egli, che il sovrano sia padre e
figlio, signore e ministro della giustizia. Padre e signore nel generarla e nel-
t educarla poich fin nata, e difenderla gelosamente : figlio nel rispettarla e
venerarla: e ministro nel distribuirla a ciascuno secondo i suoi dritti (5). L'arte
del governo un'agricoltura politica, e il corpo politico una vigna. La divina
Scrittura si serve spesso di queste s amabili e vive imagini, pater meus agricola
est. L'accorto agricoltore visita spesso la sua vigna. Vi sbarbica le piante aliene
o nocevoli, ripianta le viti mancanti, sottomena le vecchie e appassite, innesta
le selvatiche, pota le lussureggianti, e per difenderla la cinge di siepe, di fossa o
di mura. Ma non pensa meno a mantenere le strade di comunicazione facili, li
bere, sicure.
. II. Ma se queste sono le cure che si danno i sovrani , non Da malagevole

(1) Duhalde.
(2) Martinus Martinius lib. V.
(3) Constit. Regni Sicil. lib. IH, pag. 116.
(4) Fragni. Caroli V inter Constit. Regni Sicil. pag. 523.
(5) Comtil. Regni Sicil. lib. I, tit. 31, pag. 39. E degno d'esser considerato un grave
f divino detto di Teodorico : Nobis enim, sicut et principe* voluerunt , ;'us cum privalis
voumvs esse commune. Edictum Theodorici Regis niim. 2i.
DELLE CLASSI CHE COMPONGONO I CORPI CIVILI. CAI'. IV. 27

intendere quelle de' grandi, cio di coloro i quali formano l'intorno alla cima e'I
l'usto della Piramide del cavalier Tempie. I grandi sono nati pel medesimo fine e
nella mira stessa per cui sono stati creati i sovrani , ch' quella di ammaestrare,
di sostenere e di difendere i popoli, e di vegliare alla pubblica felicit: polrebbero
dunque essi avere altri obblighi ? Dove da considerare che questa parola grande
ha un naturale e necessario rapporto alla parola piccolo. Come non vi ha sovrani
dove non vi ha popoli ; cosi non vi sono grandi , dove vannosi a distruggere i
piccoli o a ridursi nel numero degli irrazionali. Tutto nella natura proporzio-
nevole e connesso.
. III. La grandezza de' grandi sostenuta e alimentata dall'agricoltore, dal
pastore, dal pilalore, dal tessitore, dal mercatante, dal marinaio, dall'arti insom
ma che mettono in valore la terra e 'I mare. Dunque ella sia tanto pi grande,
quanto vi sar pi d'uomini impiegati all'arti e quanto pi queste arti fioriranno.
Ma l'arti non fioriscono, dove non si lascia quella libert agli artisti di cui abbiam
veduto parlare magnanimamente l'imperatore Carlo V. Queir opprimere lo spirito
de' conladini , de' pastori, degli artisti : quel vessarli per ogni dove: queir attra
versare d'ostacoli insuperabili il commercio, , a pensarla diritta, indebolire i
fondamenti della propria grandezza. Vi pu essere pi lampeggiante verit? Pure
nelle capitali di tutti gli Stati troverete molti, che vivendo delle loro rendite vili
penderanno tutte l'arti e gli artisti, riputandosi sicuri in mezzo al loro contante,
per ignoranza di sapere che non vi son rendite n contante dove non vi sono arti,
e che il danaro o non vi , o non vai nulla dove non rappresenta nulla, essendo
tutta la sua forza quella di rappresentare.
%. IV. Magone Cartaginese, che aveva scritto un'assai bella e dotta opera
sull'agricoltura, incominciava i suoi precetti agrari da questa massima, degna di
essere altamente scolpita nel cuore di tutti i gentiluomini i quali hanno fondi ,
qui emit agrum, vendat domum, quarti habet in Urbe (1). La ragione quella,
che diceva Iscomaco appresso Senofonte (2); perch avendo un galantuomo ri
chiesto ad un pratico maniscalco, che fosse quello che potesse ingrassare un ca
vallo, rocchio del padrone rispos'egli. Finch il gentiluomo non prende amore
all'agricoltura e la studia, ingegnandosi di aiutare i contadini con nuovi lumi e
di soccorrerli, dove fa mestieri di spendere, le terre renderanno sempre assai poco:
scemer la massa delle pubbliche ricchezze; e molti de'gentiluomini si ridurranno
a lungo andare a maneggiar quella vanga, che non hanno saputo n voluto reg
gere da maestri e signori. L'agricoltura in Inghilterra e in Toscana principal
mente tenuta della sua grandezza alla classe de' gentiluomini.
%. V. In tutti gli stati politici v' ha un ceto mezzano tra i grandi e quei che
lavorano pel sostegno della nazione. Questa classe d'assai pi numerosa di
quella de' magnati, ma inferiore a' lavoratori. Essi sono d'ordinario i pi savj
perch hanno pi obbligazione di esserlo. Il loro influsso nello Stato grande.
Essi consigliano i magnati e reggono i bassi. Ma per consigliare i magnati
d' uopo di esser savj ; e per reggere questi , conoscere i principi dell' arti. Si pu
dire che in ogni nazione da'colpi di questo celo mezzano dipende la felicit e la
miseria dello Stato. E questo un vantaggio che ha la Cina sopra tulli i popoli

(1) PId. e Varr.


(2) Lib. V de" Memorabili.
28 GENOVESI.

della lerra. Questa classe adunque dovrebb' esser la meglio istrutta nelle scienze,
non di parole n d' idee vote, ma di cose e di calcoli di cose.
. VI. Le scuole delle scienze non hanno altro One che il costume, la sapienza
civile, l'arti: i maestri delle lettere sono nella classe degli educatori pubblici. Il
buon costume fa piacer la fatica e allontana i vizj, che le sono sempre d'impac
cio e di remora e vanno ad estinguerne lo spirito: la sapienza civile regola la
quantit di azione : l' arti la producono. Dove ci si fa bene e ardentemente, si
vive anche bene: i dotti vi sono onorali e premiati. Ma dove le scienze si distac
cano da questi Ani , o per la scostumatezza di coloro che le professano, o per la
malvagit delle dottrine, o per la loro inutilit, impiegandosi in isviluppare. certe
idee chimeriche, nel sostenere certe vote fantasie, in ricercare minuzie pedante
sche, in combattere per biltri, in riempire le biblioteche di libri o ridicoli o inu
tili: i dotti vi saranno tenuti a vilipendio, e le scienze, mal conosciute, avute in
conto o di vana occupazione o di pregiudiziale. La filosofia vuol far la guerra al
l'errore che avvilisce l' uomo o l' arresta pigro ne' suoi moti , al vizio che l' arma
di armi nocevoli e'1 desola; vuol rilevar la ragione o servire all'arti Allora serve
a- 6e stessa, allora i savi faticano daddovero pe'loro interessi.
. VII. La religione ci stata da Dio data per soccorso della nostra debo
lezza, per sollevare la nostra miseria, perch l'uovio sia istruito ad ogni opera
buona. Sarebbe conoscerla ed esserne a Dio grati col farne una occupazione di
poltroneria? (1) Il dovere dunque de' suoi ministri quello di aiutar l'uomo per
ogni via, d' instruirlo nel buon costume, d' incaricargli i doveri , di animarlo alla
fatica, di consolarlo ne' travagli , ma di mostrar prima nelle loro persone de'per-
fetti esemplari di virt. Non vi ceto di persone che potesse essere pi utile ad un
paese, dove lavorasse di buon cuore, con semplicit e con retta intenzione, ad un
fine s divino, in un ministerio si sauto. Nascerebbe da quest' esercizio la loro e
la felicit de'popoli. Ma se (per secreti giudizi dell'Altissimo) vi fossero de'popoli,
ne'quali i ministri del culto divino, anzi di darsi tutti a s celeste ministerio vi si
dessero alla pigrizia, alla dissolutezza, al lusso, all'albagia, alla superbia, all'a
vidit del lucro, alla rapina, a'garbugli e intrighi secolari, allo studio d' inezie o
di false cognizioni, a' litigi e contrasti scandalosi, e a tutti i vizi del secolo: io
piangerei quei popoli; ma non mi farebbero meno maraviglia, meno piet i suoi
ministri. Non vi potrebbe essere pi costume nel popolo; e la corruzione del co
stume, presto o tardi , dovrebbe trarre nel precipizio il ministerio medesimo. Il
primo grado della ruiua degli stabilimenti che son tra gli uomini, il disprezzo:
il secondo l' odio, il terzo la caduta.
% Vili. QuaFi il metodo di conservar la robustezza della vita, domanda Ip-
pocrate? Faticare. La vita azione-, e l'azione figlia de' nervi, de' muscoli, delle
fibre. Si perde l'azione se questi stromenti si snervano. La campagna, l'arti, la
fatica li corroborano. La fatica sembra dolore ; ma il piacere sempre figlio del
dolore. Se questa la legge del mondo, legge generale e bisogna adorarla. Ma
poich ne' corpi civili non v' fatica senza pace, n pace senza leggi , n leggi senza

(\) Veggasi l'eccellente opericciuola del Muratori , La regolala divozione. 1 nostri


maggiori chiedevano al re ili Spagna, allora nostro sovrano, l'abolizione delle cappelle
di arti, siccome vivaio della poltroneria e di vizi. Capti, e Privil. della citt e regno di
Napoli. Il concilia di Castiglia consigli il medesimo a Filippo iv pel soverchio numero
delle confraternite. Ustaritz, Teoria e Pratica del Commercio.
DELLE CLASSI CHE COMPONGONO I CORPI CITILI. CAP. IV. 29

governo, n governo senza molli ordini di persone; quei celi che sono rimasti nel
basso piano delle repubbliche, bisogna che ne facciano un dovere pi particolare.
anche il loro interesse se amano di salire. la sola Beala agli onori. Ma prima
che vi salgano , ogni agricoltore , ogni pastore , ogni artista dee fra s dire , la
legge di natura legge di fatica : io son parte della natura. Se ogni giorno non
giorno da travagliare, deve esser giorno da prepararsi al travaglio, diceva un
antico savio.
. IX. D' onde dipende dunque la prosperit e la felicit di una repubblica ?
Unite insieme quelle magnanime cure de'sovrani che son dette, quelle de'magnati,
quelle de' gentiluomini, de'dotti, de'ministri della religione, la ben regolata fatica
del popolo-, e siate sicuro di aver uno stato florido, prospero e beato. Si pu egli,
dir taluno? Appunto questo sospetto rovina le nazioni. Se in certi tempi, in certi
luoghi si potuto, siccome la storia e' insegna, debb' essere una vilt o una cor
ruzione di cuore quella che fa nascere una difficolt s fatta. L' uomo sempre
misero, sia che si creda pi grande di quel che in fatti, sia che se ne stimi da
meno. Quell'opinione di s superba e pazza tende a rovinar la natura per distac
carla soverchiamente dal suo pedale; e questa vile e abbietta tende pure a rovi
narla, con farla rientrar nella terra come massa d'insetti. La massima mia : ogni
uomo, ogni famiglia, ogni stato, dove s' ingegni di esserlo, pu ben essere a pro
porzione de'dati quel che stato un altro uomo, un'altea famiglia, una altro stalo.
micidiale sentimento quel, NON SI PU' (1). \

CAPO V.

Della popolazione.

. I. Ogni Stato un corpo politico; dunque per le cose dimostrate impor


tantissimo che egli sia il pi robusto, che per la terra che occupa, pel sito e per
l'altre circostanze gli possibile. Questa robustezza non serve solo alla sua con
servazione, ma eziandio alla sua felicit e gloria. Il primo fondo della robu
stezza di uno Stato la moltitudine delle famiglie, la giusta popolazione:
ma questo istesso ne fa la gloria, genera il rispetto de' vicini ed cagione di si
curezza (2).
. II. qui innanzi ad ogni altra cosa da definire, che vogliamo intendere
per giusta popolazione. Un paese che per la sua (tensione, pel clima, per la
bont delle sue terre, pel sito, per l' ingegno degli abitanti pu alimentare cinque
milioni di persone, se non ne nudrisce che due mezzo spopolato: se ne alimenta
uno, spopolalo di quattro quinti: se ne mantiene tre spopolato di due quinti.
Ma se gli avvenisse di averne sei o sette, sarebbe popolato al di sopra delle sue
(1) Platone ha dimostrato nella sua Repubblica, che tutti i si pu, e tutti i non si pu
io uno Stato vengono dal centro.
(2) Tutti i corpi civili sono fra loro nello slato di natura. E nello stato di natura l'uomo
tanto sicuro, quanto temuto : ma (emulo u proporzione delle sue forze.
50 GENOVESI,

forze: vizio non meno contrario e nemico alla sua civile felicit, di quel che sia
la spopolazione (1).
S. III. Niente al mondo avviene senza cagione. Or secondo i calcoli ordinari
della vita umana, quei che in un anno nasconvi, sono almeno d'un quinto pi
di quei che muoiono: dunque ogni Stato dovrebbe essere sproporzionatamente
popolato. Dov' spopolato, forza che sia soggetto a qualcuna o a pi cagioni
spopolatrici. La prima sapienza di un legislatore di conoscere queste cagioni
la seconda, di studiarsi di sterparle quanto possibile. Ma per conoscerle gli
necessario di calcolare i mali fisici e politici; per isbarbicarle, vuol far misurare
le sue terre, saggiare le forze, calcolare i prodotti, accozzare i possibili dell'arti,
e tutti i vizi che le impiccoliscono o le attraversano. Dunque la prima scienza di
chi governa lAritmetica Politica: la seconda la Geometria Politica.
S. IV. Le principali cagioni spopolatrici si possono ridurre a queste nove.
1o il clima mal sano e non accomodato alla vita degli uomini e degli animali.
2 Il terreno sterile, n atto a produrre quanto basta al sostegno d'una gran mol
titudine. 5 L'ignoranza dell'agricoltura, dell'arti miglioratrici, del commercio.
4o L'abborrimento dall'esercitare questi mestieri. 5 Gli esorbitanti pesi, o i pesi
mal situati, e la non pronta n disinteressata giustizia (2). 6 I costumi sover
chiamente rilassati o soverchiamente selvaggi, i quali fanno abborrire le giuste
nozze e seguire una venere bestiale e rendono mestiervile la fatica periodica.
7o Le frequenti epidemie, pesti o altri mali divenuti comuni per alcune perpetue
cause. 8 Le continue guerre, o esterne o civili. 9 Un pregiudizio civile o tal'altra
cagione, che induca a moltiplicare i celibi pi di quel che fa bisogno.
S. V. Le cure adunque di un politico sono primamente d'ingegnarsi di ben
conoscere le suddette cagioni, e appresso conoscere e adoperare i mezzi da svel
lerle o diminuirle. Il primo mezzo di popolare un paese spopolato di vedere di
sbarbicarvi certe cagioni fisiche di morbi e di pesti, o di minorarle se non si pu
sterparle. Cos i savi legislatori han procurato di dar scolo a certi stagni che in
fettavauo l'aria, di spianare dei boschi che impedivano la ventilazione, di tra
sportare le gran citt in un'aria pi pura, d'impedire il commercio con paesi in
fetti, d'introdurre metodi di vivere pi confacenti alla salute spogliando i popoli
di certi pregiudizi nocevoli, di promovere la medicina e la chirurgia, di miglio
rare l'architettura civile, ecc. L'antica Cina era inabitabile per le grandi acque
stagnanti. La prima cura di quel governo fu di scavare un'infinit di canali, per
render i piani coltivabili e abitabili: la seconda di piantare un tribunale, il qual
non avesse altra cura che di vegliare a sgrand'opera. I re d'Assiria, vedendo
che il fiume Eufrate per il suo lento corso ammorbava la citt di Babilonia, fe
cerlo lastricare di mattoni per darvi un corso pi veloce. Gl'imperatori Romani
si misero a seccare le Paludi Pontine. Gli Egizi proibirono di mangiar carne di
porco, che in quei caldi paesi produceva la lepra. I Maomettani stabilirono per

(1) Quel gridare che si fa oggi da tutti i politici, popolazione, popolazione, se non
regolato dalla presente massima,pu divenire la pi terribile causa spopolatrice. Per
ch come la natura finisce di poter cibare gli uomini, cominciano a pascersi gli uni
degl'altri.
(2) Ex mansuetudine Principum oboritur dispositio legum: ex dispositione legum in
stitutio morum: ex institutione morum concordia civium: ex concordia civium triumphus
hostium, Leges Visigothorum libro I, tit. 2, leg. 6,
DELLA POPOLAZIONE. CAP. V. 51

legge le lavande e i bagni, necessari alla salute ne' climi caldi. Mille belli regola
menti possono intorno a ci farsi.
. VI. Mi torna qui in acconcio di fare alcune considerazioni sopra due ca
gioni spopolatici della razza umana, le quali cominciate da piccoli principi! non
paiono esser molto lontane dal divenire ambedue universali. Una di queste il
vaiuolo, il quale secondo il calcolo di alcuni dotti fisici ne porla via circa la do
dicesima o tredicesima parte degli uomini che nascono. Questo morbo, ignoto co-
in' ei pare agli antichi, attaccandosi nell' infanzia, vale a dire quasi prima che
abbiamo incominciato a vivere, fa grandissima strage del genere nostro. Quindi
eh' egli debb' esser considerato, non gi come oggetto di sola medicina , ma di
politica altres. Grandissima utilit recherebbe alla generazione umana il trovarvi
un compenso o un qualche rimedio, che valesse se non a curarlo interamente a
minorarlo almeno.
. VII. Se non che questo rimedio debbe aversi per bello e trovato, il quale
non d'altro ha bisogno fuor che del benefico e autorevol braccio del sovrano. Ed
l'innesto del vaiuolo, o l'inoculazione come pi volgarmente si chiama: imper
ciocch le sperienze di molti luoghi, di molli anni, assai chiaramente hanno di
mostrato, che di coloro nei quali il vaiuolo s' innesta , dove ne pericola uno di
quattrocento, dove uno di trecento. Merita di esser Ietta su questa materia, Ira le
altre molte, la dotta e gentile operetta del sig. della Condamine, accademico Pa
rigino. G' Inglesi sono stati i primi in Europa, i quali ad esempio degli Armeni,
Giorgiani, Cinesi hanno adoperato l'inoculazione e l'adoperano tuttavia felice
mente. L'istesso hanno incominciato a fare non ha mollo gli Olandesi, i Francesi
e alcuni Tedeschi. In Italia se ne sente alcun esempio in questi anni. Ma i rimedi
generali e di questa fatta hanno bisogno della destra sovrana. Gli anni addietro
il re di Danimarca, savio e accorto principe, fece fabbricare degli ospedali dove
i figli de'poveri s' inoculano a spese della corte.
. Vili. La maggior difficolt che incontra tra noi e altrove questo metodo ,
quella che ci vien fatta da alcuni teologi. Si domanda, egli lecito di mettere
un uomo in pericolo di morte? Ma credo di poter pretendere anch'io ad esser un
po' teologo. Questa domanda troppo generale e ambigua. Che la questione si
proponga a quest'altro modo, egli lecito di esporre un uomo ad un minor pe
ricolo di morire, per salvarlo da un altro senza paragone maggiore? (l).Niun
dir, cred'io, di no: troppo sarebbe irragionevole. questa la continua pratica
de'chirurgi e dc'medici. Si fanno tuttod de' tagli di pietra e di membri, non senza
pericolo di morte ma nondimeno per iscampare da un pericolo maggiore. Poniamo
che il vaiuolo ne porti seco la ventesima parie degli uomini, e che l'inoculazione
non ne faccia perire pi che la dugentesima. la pi gentile condiscendenza che
ei pu avere con i nostri avversari. Sono adunque i pericoli in ragione inversa
di questi numeri 20 e 200. 11 pericolo comune come 200, quello dell' innesto

(!) Le nostre obbligazioni rispetto agli altri uomini nascono da dritti ch'essi hanno
contro di noi , de' quali dritti la legge di natura custode e vindice. Dove sono in essi
due dritti opposti , l' uno di non essere offesi , l' altro di essere soccorsi, si vuol bi
lanciare il soccorso e l'offesa e determinarsi da quella parte che sia la preponderante.
Quando dunque le esperienze ci assicurano che la preponderante il soccorso, il non vo
lerli soccorrere per timore di non offenderli , uno scrupolo indegno d'anime grandi o
benefiche.
52 GENOVESI.

come 20; e riducendo questi termini a' pi semplici, sono i pericoli come dicci
ad uno. Ora qual ragione vieta che per iscampare da un pericolo come dieci, non
sia permesso essere esposto ad un pericolo come uno? Certamente quei teologi
che il condannano come illecito, mestiere che non abbiano hen calcolato (1).
. IX. La seconda considerazione che debbo qui fare riguarda il mal frn-
cese, morbo che anch'esso divenuto spopolatore della nostra specie. Egli co
minci a manifestarsi in Italia verso la fine del xr secolo, allorch l'esercito di
Carlo Vili re di Francia era accampato intorno Napoli. Quindi addivenuto che
i Francesi il chiamino male di Napoli. Il Guicciardino nella storia de'suoi tempi
ce n'ha lasciato una quanto bella ed elegante, altrettanto spaventevole descri
zione (2). Questo male che altri crede esser venuto dall'America, e altri esser
slato antichissimo in Asia e in Europa, nasce da un sottile e penetrantissimo
veleno, il quale non solo attacca le parli genitali ma si dissipa e si diffonde per
tutte le membra del corpo umano ; vi s'insinua e nasconde e per modo tale che,
bench sembri alle volte far tregua, nondimeno rarissime fa pace : imperciocch
egli ritorna bene spesso col volgere degli anni sotto l'aspetto di diversi mali, e
guasta in mille maniere la sanit, non solo abbreviando la vita ma talora ucci
dendo repentinamente. Tra gli altri mali che cagiona al genere umano quello
d'infettare fino i germi della generazione. Quindi spesso ne avviene non sola
mente che altri non generi, ma che i fanciulli i quali da infetti genitori nascono,
vengono al mondo imbecilli di corpo e di animo, e, se mi lecito dir cos, con
questo secondo peccato originale: cosa, che non di rado sbarbica interamente le
famiglie.
. X. Di qui che un tal morbo non pi da considerarsi siccome oggetto
della sola medicina, ma come uno degl'importantissimi del governo civile. Forse
che pensandovisi si potrebbe trovare qualche rimedio politico, il quale se non
l'estirpasse il riducesse almeno a tale da non poter tanto nuocere alla popola
zione di Europa quanto egli fa di presente. Certo la lepra, male venutoci dal
l' Oriente a tempo delle Crociate, non altrimenti appestava tutta l'Europa di quel
che ora si faccia il male del quale ragioniamo. Ma pel savio regolamento de' so
vrani s giunse finalmente a sradicarlo. Valsero a ci fare i lazzaretti o pubblici
spedali, dove i leprosi si rinchiudevano con gravi proibizioni di trattare in pub
blico. L'autore di un libretto francese assai dotto e non da molto tempo dato
fuori, col titolo Venere Politica, ha suggerito molto accorti regolamenti rispetto
a questo punto. una massima di tutti i politici e d'ogni uomo dabbene e savio,
che dove certi mali civili non possono dell'intuito scamparsi per timore di mag
giori danni, si vogliono sottoporre a certe leggi e regolarsi in modo che danneg
gino il meno che si possa. In questa massima il citato autore fonda il suo si
stema. Ma a me non lecito in un' opera come questa l'entrare troppo addentro
in s fatta materia (3).

(1) Chi legge la storia si persuader facilmente, che la scienza la pi necessaria ad un


teologo debb'essere la Geometria e l'Aritmetica politiche. E" non mi pare nondimeno che
n'abbiano mai fatto grand'uso.
(2) Vcggasi Astruc.
(3) In tutte le nazioni polite sono tollerali i postriboli. Le nostre leggi n'hanno ancho
regolato i luoghi. Perch non un passo di pi. E' sarebbe di regolar lutto questo mercato
perch nuocesse meno. N credo che ci fosse difficile. Ma essendo lutte quasi le altre
DELLA POPOLAZIONE. CAP. V. 55

. XI. Ancora gran cagione spopolatrice il terreno poco fertile. Non pos
sibile cbe quivi si moltiplichino le famiglie dove non da poter mangiare : come
non vi ha caccia dove non vi esca per le fiere. Il terreno pu essere sterile, o
per esser paludoso o per essere arenoso o per mancar di acque. Molte cose si
possono adoperare per rendere fertile il primo. Vi si tagliano canali di scolo, vi
si aprono passaggi alle acque o sorgenti o di piogge. Nella Cina vi , come si
detto, un tribunale che non ha altra cura che questa. Ma se il terreno rendesse
poco per mancanza di acque, si potrebbero dividere i fiumi in piccoli canali che
innaffiassero il paese. L'Egitto non renderebbe nulla senza questo soccorso. Si
tagliato il Nilo in infiniti piccoli canaletti che trascorrono dappertutto ; e questo
artificio rende quel paese il pi fecondo che in terra. Si potrebbero formare
grandi cisterne con macchine da sparger l'acqua, come ne' contorni di questa ca
pitale. Il pi difficile a medicare il terreno arenoso, pietroso, montagnoso. Se
questi paesi sono distanti dal mare, saranno sempre poveri e scarsi di abitanti -,
di che grandissimo argomento sono gli Svizzeri, molti de' quali non hanno altra
professione da vivere che quella di fare il soldato negli altrui Stati. E pure Var-
rone memora, che alcuni Francesi de' suoi tempi concimavano le terre secche e
sterili con della creta bianca. Vi sono grandi miniere di questa creta quasi dap
pertutto che non servono quasi a nulla. Che beli' uso di farle valere a fecondare
le terre secche ! Non si potrebbero impiegar meglio tante migliaja di vagabondi
che infestano i paesi culti, e certi rei che potrebbero giovare pi vivi che morti ?
Ma niun'opera grande divenne mai pubblica senza il braccio del sovrano (1). Se
poi avessero mare potrebbero anche queste terre essare popolatissime, purch vi
si promovesse il commercio marittimo, la pesca e l' arti. I Genovesi in Italia e i
Veneziani sono in questo caso. I nostri Amalfitani e tutti quei popoli di quella
costiera che son ora ridotti a poche e tapine famiglie, furono numerosissimi e
ricchissimi per 1' arti e pel commercio.
. XII. Qui da considerare che vi ha, come diremo fra poco, tre sorta
d'arti, cio primitive e necessarie, miglioratrici e comode, voluttuose e di lusso.
Arti primitive e necessarie son quelle che producono sussistenza per gli uomini
e materie prime per l'altre, e non sono pi che cinque, caccia, pesca, metallur
gica, pastorale e agricoltura. Le seconde son quelle che migliorano i materiali
datici dalla terra o dal mare, siccome sono l'arti della lana, delle tele ecc. Arti
finalmente voluttuose e di lusso son quelle che non servono ad altro fuorch al
piacere di distinguerci e di vivere morbidamente, come ricamo, indoratura, pit
tura, scultura ecc. Dico adunque che dove si possono promovere le prime sar il
meglio: e dove queste non hanno luogo, il savio legislatore dee studiarsi di pro
movere le seconde e terze affine di aumentare la popolazione in un paese sterile.
Quello da che da guardarsi sempre in tutta questa condotta il non si pu,
desolatore dello spirito umano e dell' opulenza delle nazioni (2).
parti del corpo civile ormai infette, questo mi par che faccia il pi difficile del problema.
Cresce la difficolt per la comunicazione degli Stati d'Europa infra di loro. Si richiede
rebbe un Concilio Ecumenico di sovrani. Allora resterebbe il secondo punto, come curare
un corpo pressoch tutto infetto, con una legge che salvasse l'onore delle famiglie e fosse
al coverto delle frodi ?
() Federico I re di Prussia a forza di concime fece fertili i campi arenosi del Bran
deburghese.
(2) L'augusto monarca di Spagna per trasportar J'acqua nella villa di Caserta un due
Econom. Tomo III. 5.
34 GENOVESI.
. XIII. Una terza gran cagione spopolatrice sono i soverchi pesi , o giusti
ma senza niuna proporzione imposti. Non possibile che ivi si aumentino le fa
miglie dove la povert delle classi lavoratrici grande: n pu non ivi esser
grande la povert, dove i pesi sono soverchi e assorbenti 1' utile delle fatiche.
Son due massime false egualmente e perniciose, dice l'illustre Montesquieu, quelle
che alcuni politici senza molta considerazione hanno smaltito. Una, che un po
polo quanto pi povero tanto pi industrioso. L'altra, che quanto maggiori
sono i pesi tanto pi si lavora. Imperciocch i popoli pezzenti perdono a poco
a poco il gusto dei comodi, li disprezzano e diventano poltronissimi. Tutti i po
poli barbari ne sono argomento. E dove i pesi sorpassano le forze cessa l'utilit
delle fatiche, la quale la sola molla motrice -che spinge gli uomini al lavoro.
Quel
Sic vos non vobis fertis aratro, boves,
scoraggerebbe fino i Tesei e gli Ercoli. Si potrebbe ancora riflettere, che mai un
popolo di schiavi fu savio neh' arti e bene industrioso (1).
. XIV. Una quarta cagione spopolatrice sarebbe la selvatichezza e la so
verchia durezza de' costumi. E la ragione , che difficile esservi arti e ben ma
neggiate tra popoli soverchiamente selvatici. Il costume troppo ruvido va sempre
congiunto coll'ignoranza e col disprezzo della fatica metodica. Si aggiunga che
questo medesimo costume porta la gente ad una sorta d'indipendenza, e con ci
ad inquietarsi scambievolmente, danneggiarsi, ammazzarsi, cose tutte quante
opposte allo spirito dell' arti utili. Di qui , che i prudenti legislatori intenti ad
aumentar il popolo, non hanno lasciato nulla che potesse promuovere l'umanit
e la gentilezza del costume. I mezzi a ci fare i pi proprii, secondo che io credo,
sono : I. La corte sovrana gentile e polita affinch serva di scuola. II. Le scuole
di lettere (2). III. Le scuole e i collegi di arti. IV. Le feste e le assemblee pub
bliche. V. Invitarvi e accarezzare i forestieri. VI. Allettare i gentiluomini a viag
giare tra le nazioni eulte. Quest'ultimo metodo fu con maravigliosa utilit prati
cato da Pietro il Grande nella Moscovia. Come i forestieri de' paesi culti, o i
nostri che per quegli hanno viaggiato da accorti e prudenti uomini vengono con
nuove idee e arti, incredibile il vantaggio che pu ritrarne uno Stato dove si
sappiano adoperare, e si voglia far loro queir onore che meritano a proporzione
della loro abilit e del lor costume.
. XV. qui da esaminare una difficolt che si suol fare contro la superiore
teoria. Vedesi nella storia del iv secolo cristiano, e successivamente ne' seguenti ,

monti a forza d'archi, e ne for uno per dare il passaggio all'acquidotto. Quelle spese,
di cui qui ragiono, sarebbero esse maggiori di queste !
(1) Carlo V conobbe questa verit. Dice adunque in una sua legge ch' nelle nostre
Costituzioni, p. 552 : Nobis dalum fuit post debellatum Turcarum tyrannum, posse visi
tare lioc nostrum fidelissimwn reynum etc. Invigilava cura nostra subditos et vassallos
hujus nostri Regni ab omnibus c-ppressionibus, extorsionibus, indebitis exactionibus libe
rare. Cran proemio !
(2) So, che il signor Mandeville, e pi ancora il signor Rousseau se ne softo dimostrati
nemici. Entusiasmo di dotti, che si veduto in tutti i popoli culti e in tutti i tempi per
un certo spirito di societ o di superbia. Perch un dotto che scrive contro le scienze
dottamente, non pu farlo che per uno di quei due motivi. I Cinici sono stati pi univer
sali che non si crede. Si vogliono tagliare i rami secchi o soverchi, e si d al tronco.
Ma di ci sar detto a suo luogo.
DELLA POPOLAZIONE. CAP. V. 35

tutta l'Asia e 1' Europa inondata dalle nazioni Settentrionali, non solo con eser
citi innumerabili ma con copiose colonie. Il Giappone (per cominciare dall'Oriente)
stato popolato dai Tartari. 11 vasto imperio della Cina fu conquistato da
questi moderni popoli barbari il xm secolo. E avendolo perduto due secoli dopo,
i Tartari Manchei il riconquistarono di nuovo verso la met del secolo passato.
L' imperio dell'India, il vasto regno di Persia furono preda di questi medesimi
Sciti. I Turchi, i quali signoreggiano oggigiorno la pi bella parte dell'Asia,
l'Egitto e molto dell'Europa, sono Tartari anch' essi di origine. I Goti, i Van
dali, i Longobardi, i Normanni che occuparono la Germania, l'Inghilterra, la
Francia, l'Italia e la Spagna, uscirono anch'essi da quegli orridi e selvaggi
paesi della Svezia, della Danimarca, della Sassonia, della Pomerania, della
Prussia ecc. Questo fa credere che quelle regioni dovettero essere popolatissime
per poter mandare si grandi sciami d' uomini ne' paesi meridionali. E di qui e
che Grozio le chiam con bell'enfasi vaginam gentium. Ora certo che in quelle
contrade, non che le lettere e le scienze, ma l'agricoltura e le arti miglioratrici
erano ignote perch in gran parte vi s' ignorano tuttavia. Erano selvatici, fieri,
caparbii (1). Dunque la selvatichezza, dir taluno, non cagione di spopola
zione ma anzi di pi popolare.
. XVI. Ma non difficile il rispondere a questa difficolt. Se si fa il cal
colo di questi eserciti di conquistatori Settentrionali, che da 22000 anni in qua
sono da quei paesi usciti, si trover che essi sieno stati assai pi pochi che
a prima vista non sembra. Pu dirsi eh' avvenuto di loro quello che avviene
alle stelle. A guardarle in confuso pajono infinite; quando poi si vogliono nu
merare non se ne trovano pi di tremila. I Tartari Manchei, i quali intorno
alla met del secolo passato conquistarono il grand'impero della Cina, e che
il posseggono tuttavia, non giunsero ad essere 200 mila. I Tartari di Gengis-
kan che fecero s maravigliose conquiste il xm secolo, non montarono a pi di
600,000 uomini secondo le pi veridiche storie. Si pu quindi conchiudere, che
questi eserciti di Sciti, a volerli accrescere oltre misura, non oltrepassassero un
mezzo milione la volta. Siccome per in que' tempi la guerra si faceva con meno
impaccio e meri ordine , e principalmente dalle barbare nazioni , cos puossi
conchiudere coi migliori politici e calcolatori, che gli uomini atti alle armi di
tali tempi e nazioni non fossero che la quarta parte di tutto il popolo. Ma io
pongo per pi allargarla, che quei 500,000 sieno stati l'ottava parte de' popoli
settentrionali atti all'armi. Seguita adunque per questa posizione, che tutto il
resto dei combattenti non oltrepassasse 4,000,000; e perci tutto il popolo
16,000,000. Ma quando anche questa parte del mondo avesse fatto 50,000,000
di popolo per ciascuna et, ella sarebbe stata spopolata ; poich la Tarturia, dal
mare orientale sino al mar Caspio, sopra 3000 miglia lunga e intorno a 2000
larga. La Cina che non la quarta parte di tanta estensione nudrisce circa

(1,) Veggasi 1 1 urne, Storta d'Inghil. toni. I e II. Anzi ritenevano una specie d'indipen
denza propria dello stato di natura. In tutte le leggi di quei selvatici che Lindeborgio ba
raccolto nel suo Codex legum antiquarum, tranne le Visigote , l'Editto di Teodorico, e i
Capitolali di Carlo il., voi non vi troverete per qualsivoglia enorme delitto una pena ca
pitale. Parricidii, omicidii, sacrilegi, furti, adulterii , rapine, incendi, tutto vi si paga a
soldi. E questo vuol dire ebe non avevano ancora idea d corpo politico, n di vero
governo.
36 GENOVESI,

120 milioni di anime, vale a dire che intorno a sedici volte pi popolata
che la Tartaria, anche secondo l'ultima ipotesi. La Francia, che non ha che in
torno a 500 miglia di larghezza e altrettante di lunghezza, giunta gli anni
addietro a contenere intorno a 20,000,000 di abitanti. Conchiudo adunque che
il gettentrione dell'Asia e dell'Europa non pu dimostrare essere stato cos po
polato come il mezzogiorno, per quelle invasioni di sopra memorate.
S. XVII. in oltre certa causa di spopolazione, che qui mi piace partita
mente considerare, quella di non esservi gran fatto onorate, rispettate e soc
corse le nozze. L'uomo non nasce n si moltiplica che per un congiungimento
de' due sessi. E perciocch questo potea farsi in due maniere, o bestialmente
senza nozze fisse, o religiosamente e civilmente; perch la prima maniera nuo
ceva e alla popolazione e all'umanit, perci con mirabile spirito di concordia
fu tra tutte le nazioni stabilito ed tuttavia, che le nozze dovessero essere
una stabile (1) e solenne unione, n senza divini auspici; affinch i figli po
tessero esser educati dall'amor naturale di coloro che li generano, e sotto il
natural imperio, rispetto e ossequio de' genitori. A questo modo si poteano
salvar dai pericoli a cui quella tenera et soggetta, e imbeversi dalla prima
fanciullezza di costumi umani e religiosi e divenir atti alla civil compagnia, e
oltre a ci rispettosi delle leggi e de' sovrani. E acciocch il rito delle nozze
facesse maggior impressione su la ragione de'conjugi, e li movesse a venerare
e rispettare siccome divina una tale istituzione; quindi che in tutte le nazioni
anche barbare si convenne che le nozze si contraessero con certi apparati e riti
sacri e venerabili. Finalmente si conobbe che le nozze sono il vero semenzajo
degli uomini, e con ci uno de'tre fondamenti del corpo civile: perlocch furono
dappertutto onorate e premiate tanto, quanto avuta a vergogna e detestata la ve
nere bestiale.
S. XVIII. Di qui seguita che una delle cure maggiori de'legislatori, per po
polare uno Stato decaduto dalla sua giusta popolazione, debba esser quella d'in
coraggiarvi gli uomini alle nozze e di farle rispettare. Tutti veramente sono
dalla natura sollecitati ai piaceri venerei. Ma poich questi piaceri nella gran
societ si posson0 altrove trovare con minore incomodo che non recano le nozze,
bisogna fare in modo che i beni i quali accompagnano le nozze non solo equi-
librino, ma vincano di molto quei che la sciolta giovent si finge fuori di quelle.
Questo, cred'io, ha fatto stabilire quasi fra tutte le nazioni, che quei figli sola
mente potessero essere eredi de'beni, degli onori, de'diritti, de'posti del loro mag
giori, i quali fossero nati di legittime e solenni nozze. Le nazioni savie hanno
oltre di ci attaccato l'infamia civile ai non legittimi (2). E questo affinch i
padri amanti di perpetuare se medesimi e i titoli delle loro famiglie, non potendo
(1) Dico stabile per opposizione al vago concubito. Del resto l'idea dell'indissolubilit
ignota fuori del Cristianesimo. N tra Cristiani stata mai senza qualche eccezione.
Perch la legge di Valentino e Valentiniano permette lo scioglimento per l'adulterio,
legge seguita sempre nella chiesa Greca; e le nostre perl'impotenza; la Prussiana per
l'incompatibilit de'costumi. Ma una legge de' Visigoti concede alla moglie il disciogli
mento si vir puero stuprum intulerit, lib. lII, tit. V, legge V. Una de' Borgognoni,
se il marito sia omicida o stregone.
(2) Omero, credo per modestia e virt d'una s grande Epopeia, li chiama partenii,
figli di vergini ma violentate: e per lor dare quell'onore che mancava per parte delle
nozze, li fa quasi tutti figli degli Dei e valorosi cos di corpo come d'animo.
DELLA POPOLAZIONE, CAP., V, 57

ci fare per via di libere congiunzioni, se ne astenessero e fossero pi facilmente


portati alla solennit del matrimonio.
S. XIX. Ma perch la pubblica dissolutezza e licenza de'due sessi distrae
gli animi di moltissimi dal maritarsi, e a molti rende le contratte nozze tediose,
donde nasce grandissimo spopolamento, da fare il pi che si pu che s fatto
costume sia ritenuto e costretto. L'autore degl'Interessi della Francia malintesi
con bello e lungo calcolo di ragioni dimostra, che l'Europa per il presente rilas
satissimo costume vadasi spopolando giornalmente. Sappiamo dalla storia ro
mana che Augusto appunto per questo motivo promulg la famosa legge Papia
Popea. I costumi di Roma di quel tempo, come si pu apprendere facilmente da
Tacito, da Svetonio e da Giovenale, eran s dissoluti che la giovent romana
trovava i suoi conti pi nel celibato sebbene impuro, che nello stato delle nozze.
Questa cagione diminuiva ogni anno i cittadini di Roma e riempiva l'Italia di
schiavi.
S. XX. Ma oltre alla dissolutezza de'costumi, vi sono molte altre cagioni le
quali possono rendere le nozze meno frequenti, e conseguentemente impedire l'au
mento del popolo. Tal' primamente il lusso esorbitante, il quale trascorso in
tutte le funzioni e operazioni cos naturali come civili (1). Imperciocch s fatto
lusso mette moltissimi in tale strettezza da non poter pensare a nozze; e le esor
bitanti doti obbligano al celibato le ragazze. Una legge dunque che regolasse le
doti e i festini delle nozze non sarebbe che commendevole. Questa legge stata
ultimamente promulgata dalla corte di Portogallo.
S. XXI. Secondariamente, i feudi e i fedecommessi, i quali poich sono dei
primogeniti, obbligano i secondogeniti per la tenuit del loro patrimonio (2) al
celibato, o religioso o militare o domestico, e cos annientano i fondi della pro
pagazione del genere umano. E questa una delle cagioni principali, per la quale
il basso popolo, piucch i gentiluomini, si moltiplica senza verun paragone; con
ciossiach in quello non si conosca celibato che assai poco, e non vi siano n
feudi n fedecommessi, ma l'eredit paterna, cio l'arte, il mestiero de'padri, tra
passa senza dividersi intera ne' figli. Egli nondimeno vero che ne' paesi dove
non guerra che di rado, n gran commercio, non espediente che la classe dei
gentiluomini vi si moltiplichi soverchiamente. Ma poich il metodo de'fedecom
messi e delle primogeniture col lusso trapassato anche nelle famiglie basse
posseditrici di fondi, va ad infettare tutte le famiglie che hanno beni (3) con di
scapito della popolazione.
(1) Ma il soverchio lusso nuoce anche alla prole, la quale stermina o guasta. Perch
introducendo una educazione molle e mal'intesa, ruina la complessione ed cagione di
infiniti mali naturali e civili. Quelle fasce, quei bustini, quelle oscillazioni delle culle,
quelle nutrici straniere guastano il corpo e'l cervello, e disuniscono i figli da' genitori.
Vedi Ballexert, Educazione Fisica. Gl'Islandesi non hanno n fasce, n busti, n culle :
Anderson, Storia naturale dell'Islanda e della Groenlandia. N in Africa se ne conosce:
Bosman.
(2) Proporzionatamente al lusso del piano in cui sono allogati.
(3) Qui la legge civile pugna colla naturale. una massima di dritto naturale, filius,
ergo haeres: qui vedete figli spogliati del dritto dell'eredit. Oltrech non pure s utile
alle famiglie, come si crede dagli sciocchi padri. Se il padre lascia dei figli savi e bene
educati, il fidecommesso non necessario; e se male educati, divorando le rendite in
erba e caricando i beni-fondi di debiti, ruina. Ma la non previdenza e l'avarizia sostiene
tuttavia questo falso metodo di eternar le case.
38 GBNOVBSI.

. XII. Per terzo, la soverchiamente ineguale distribuzione delle terre, per la


quale avviene eh' essendo esse ridotte in mano di pochissimi, la maggior parie
del popolo o non ne possiede dell'intutto, o ne possiede tanto poco che non basta
ai bisogni domestici. Dove questo accade, ivi molta gente non in istato di po
ter nudrire una famiglia ; ciocch molto scoraggia dal contrarre nozze per pro
pagare la razza umana. Platone tra le altre leggi della sua Repubblica richiedeva
che le terre fossero egualmente distribuite. L'egualit un sogno : ma si pu e
dee desiderare che non regni la troppa sproporzione. Gli antichi Romani avevano
eu di ci fatte delle savie leggi, proibendo ai patrizii il possedere pi di 500
moggia, e a' plebei pi di 30. Ma la prepotenza, la falsa politica, il lusso e i vizil
che finalmente inondarono quella rcpubllica, le fecero mettere in dimenticanza (1 ).
. XXIII. In quarto luogo, il non osservarsi le regole proposte dalla Chiesa
alla vita monacale e sacerdotale, nella quale potendosi godere senza fatica, vi
saranno moltissimi che preferiranno quella alla comune e faticosa. I sacri ca
noni hanno messo un giusto e ragionevole limite ai preti, comandando che nes
suno potesse essere ascritto fra i sacri ministri senza titolo di benefizio o di
necessit di chiesa. Considerarono che il ministerio ecclesiastico relativo al
l'uffizio, beneficiwn datur propter officium; e perci, che non debba esser mag
giore il numero de' ministri di quel che il loro ufficio richiede, il quale quello
d'insegnare e di pascere. Ma non si serbarono s belle leggi e non si serbano tut
tavia. Il Concilio Lateranese IV proib i nuovi ordini monastici : ma essi passa
rono a traverso de' sacri canoni. Questa e la cagione antecedente hanno fatto che
I pi savii sovrani d'Europa, per non vedere spopolati gli Stati loro, hanno ordi
nato due leggi. Una quella di proibire che le terre si accumulino soverchia
mente nelle case religiose ed ecclesiastiche, e l'altra di porre un certo termine
al numero de' chiostri e de' beneflcii. Tali sono in Italia le leggi de'Veneziani o
le ultime de' Toscani. Questa medesima fu la legge dell' imperator Federico II, o
alcune altre posteriori per questi regni. Ma elleno vissero poco, n si pens poi
a farle rivivere.
. XXIV. Ma affinch non creda alcuno che il qui detto, siccome sono gli
animi di molti sospettosi a pensar male, derivi da poco rispetto verso uno stato
riguardevole e celeste per la sua origine, soggiunger qui che queste leggi do
vrebbero essere da' religiosi stessi e da' preti istantemente domandate e osservate
con rigidezza, se essi volessero meglio, che non pare che si facciano, pensare ad
essere apprezzati e tenuti in quel conto che si conviene, ed esser certi di non
veder perire giammai i loro beni. Conciossiach due sieno le cagioni che prima
avviliscono e poi rovinano ogni mestiero e professione, e quei massimamente il
cui fondamento principale la pubblica stima, e sono il soverchio numero di
coloro che vi si danno, e le grandi ricchezze ; per esser la prima cagione da non
potervisi conservare quella disciplina e costumatezza con cui nacquero e creb
bero, non essendo possibile che in un troppo gran numero di persone non vi

(4) Maggiore ancora il male di sproporzione , se le terre si accumulino soverchia


mente in mano di coloro che hanno trovata l'arte di farle uscire dal commercio. Perch;
finch sono in commercio , si pu oggi o dimani sperare di averne una porzione ; ma
come se ne sono uscite, una infinit di famiglie non far che languire in uno stato di
schiavit addetta alle terre altrui senza poterne mai uscire : stato, ch'io non so se possa
lungo tempo durare. Dunque la legge sarebbe : non vi sieno stabili che non girino.
DELLA POPOLAZIONE. CAP. V. 39

siano sempre molti cervelli vili, dappoco, malvagi che le disonorino e faccian
loro perdere l'antico credito : e la seconda menando, senza pur che se n'accor
gano, gli animi umani a poco poco alla poltroneria, al lusso, alla signoria e su
perbia e a tutti i vizii della gente rilassata. Dalle quali cose nascendo la disistima,
e cominciandosi a ragionar molto e da tutti del poco vantaggio che se ne ricava
e del molto danno che se ne pu temere, cominciano i popoli ad alienarsene ; e
a' sovrani non mancano mai occasioni di profittare del comune incitamento. I
fatti passati potrebbero darci assai bella lezione su ci che pu avvenire : e que
sto timore e il zelo del nostro onore m'inspirano a discorrere nel modo ch'
detto (1).
. XXV. Potrebbe qui aver luogo una celebre questione politica o fisica in
sieme, ed se la pluralit delle mogli conferisca a popolare l'Asia piucch non
fa la monogamia, o sicno le nozze con una sola donna in Europa. II sig. Pre-
monlval, nella bella e dotta opera scritta intorno alla presente questione e im
pressa all'Aja il 1751, dimostra che la poligamia non solo non giovi alla popo
lazione, ma che anzi le nuoccia : cosa che a quelli , i quali non sono avvezzi a
ben calcolare le facende umane e vedere per minuto , parr ridicolo paradosso.
Ma la ragione e la sperienza per parte del sig. di Premontval. In fatti in Eu
ropa, per costantissime osservazioni, il numero de' maschi che vi nasce sta al
numero delle femmine in ragione di 15 a 12 (2). Di qui che in Europa la po
ligamia nuocerebbe alla popolazione. Imperciocch supponiamo che il numero
de' maschi sia tra noi anche eguale a quello delle donne, e che non si dieno
piucch due sole mogli a ciascuno e generalmente, seguita che la met de' maschi
debba restare senza mogli. Ma dimostrato per la lunga sperienza dell'Asia, che
generino assai pi figli 10 mariti con 10 mogli che 5 mariti con le medesime;
dunque la poligamia fra noi sarebbe cagione spopolatrice.
. XXVI. So bene che il medesimo autore pretende, che la proporzione tra
i maschi e le donne sia la medesima per appunto in Asia di quel ch' in Europa,
e quindi conchiude che la poligamia per la medesima ragione spopoli l'Asia, per
la quale nuocerebbe all'Europa. Ma il principio di questo suo discorso smen
tito dai fatti, sui quali e non altrimenti si vuol ragionare di s fatte cose : perch
a Batavia nell'isola di Java nascono 10 volte pi donne che. maschi, secondoch
gli Olandesi, sotto il cui imperio quell'isola, ci assicurano. Il signor Kempfer
nella storia del Giappone dov' egli fu e dimor non piccol tempo, la qual di
tutte la pi veritiera, nel tomo I racconta come essendosi fatta una numerazione
esatta di anime in Miaco capitale dell'imperio, vi si trovarono 172,070 maschi
e 225,572 donne, vale a dire che la proporzione delle donne a' maschi vi era
presso a poco come 15 a 10. Nell'Africa meridionale non vi maschio che non
abbia almeno sei mogli e che non le cambi spesso, senza intanto che ne man
chino a nessuno. E questo prova che le donne vi debbono essere in maggior
copia che i maschi. Egli vero ch'essendo quei popoli quasi in continue guerre,

(1) Appare dagli Atti Apostolici che la Chiesa fu ne' primi anni democratica, bench
sotto l'ispezione d'un capo; la virt dunque n'era l'anima. Divenne poi il IV secolo ari
stocratica, e la virt vi si scem. Il X secolo prese la forma di monarchia assoluta, e la
virt divenne ancora minore. Il XIII cominci l'Inquisizione, cio il dispotismo e la de
cadenza.
(2) Vcggansi i Calcoli di Niewentit.
40 GENOVESI

vi dee morire maggior numero di maschi che di donne: ma difficile credere


che arrivino mai i mariti morti in guerra ad agguagliare la moltitudine delle
mogli.
S. XXVII. L'autore illustre dell'opera su lo Spirito delle leggi trae di
questa teoria la seguente conseguenza, cio che la poligamia, la quale nuocerebbe
alla popolazione d'Europa, giovi a popolare l'Asia e l'Africa. Intanto il sig. di
Premontval pare aver sodamente dimostrato, che l'Asia con tutta la poligamia
non con tutto ci proporzionatamente pi popolata dell'Europa. E nel vero, a
trarne la Cina la quale per altre cagioni fisiche e politiche la parte pi po
polata che sia in terra, la popolazione del resto dell'Asia non ha quasi niuna
proporzione con quella d'Europa. nondimeno da considerare, che quando si
dice che in Asia si usa la pluralit delle mogli, e' non si vuol intendere della
gente bassa la quale la maggior parte del popolo, perch questa ordinariamente
non prende che una sola moglie.
S. XXVIII. Se l'arte di popolare da studiarsi da quei ministri, i quali amano
la gloria del lor sovrano e la grandezza e potenza della nazione, non meno da
pensarsi all'imbarazzante problema, che fare se in qualche Stato il popolo vi co
minci a divenire eccessivamente numeroso? perch nuoce, com' detto, cos il
poco come il soverchio. Sembra che Minos temesse di s fatto male pel regno di
Creta. Ma la legge che egli fece per impedire la soverchia popolazione, non cor
risponde alla fama di sapienza che ce n'hanno trasmessa gli antichi (1). L'espo
sizione a cui si ricorre in certi paesi barbari (2) un parricidio: e la legge o pi
tosto costume di quei dell'isola Formosa (5) d'impedire a forza di aborti i copiosi
parti una crudelt,pari della quale non si trova altrove, se non fosse nella
Costa d'oro dove nella morte del re si sacrificano tutti quelli che non possono
pi faticare (4).
S. XXIX. Questo problema non solubile dappertutto nella medesima ma
niera. Si possono distinguere tre sorta di Stati. I.Quei che hanno colonie distanti,
come gl'Inglesi, gli Olandesi, i Francesi, gli Spagnuoli. II. quei che non hanno
colonie ma hanno mari, come in Italia saremmo noi, lo Stato Pontificio e la To
scana. IIl. Quei che non hanno n colonie n mare.
S. XXX. Ne' primi non mai da temersi la soverchia popolazione; perch le
colonie, la navigazione, il commercio troveranno sempre da impiegare pi per
sone che non pu dare la pi feconda popolazione. Ne'secondi, dove sia sapienza,
arti, commercio marittimo,vi sar sempre grandissima occupazione. Gli ultimi
hanno bisogno o di celibato o d'una frequente guerra. Non gi ch'io approvi
la guerra, maggior flagello della quale non so se si possa escogitare tra gli
uomini. Ma nel problema, se ad un popolo, che non trova pi da vivere nel suo

(1) Introdusse l'amor de'ragazzi, perch si coltivassero meno le mogli evenissero a


generar meno. Vedi Arist. Polit. lib. II, cap. X. Legge, che niun uomo savio approver,
ancorch il nostro filosofo Macedone dubiti seccamente se facesse bene o no.
(2) I Mingreli tuttavia espongono. Si dice il medesimo di alcuni paesi della Cina.
(3) Le donne non vi si possono maritare prima de'50 anni: non possono fare pi
di quattro figli: se dopo averli fatti ingravidano, si coricano a terra supine e a forza di
calci sulla pancia si fanno abortire. = Viaggi della Compagnia Orientale Olandese, De
scrizione dell'isola Formosa.
(4) Bosmon.
DELL' EDUCAZIONE. (Al". VI. 41

paese per l'eccedente moltitudine, possa giustamente proibirsi il cercar nuove


sedi e occupar terre vote, non so vedere qual ragione impedisca di tener la parte
affermante. una legge di natura, che chiunque nasce ha diritto alla vita, e la
terra un patrimonio comune.

CAPO VI.

DelV educazione.

. I. Lo Stato una gran famiglia. Di qui seguita che come nelle ben gover
nate famiglie non si pensa solamente ad avere numerosa prole, ma a' mezzi al
tres di ben educarla, istruirla e mantenerla con comodit, a quel modo mede
simo necessario che nello Stato, col promuovervi la popolazione, si studii di
bene educar la gente per la parte dell' animo e del corpo e procacciarle propor
zionatamente i mezzi di sostenersi (1). Senza di questo, oltrech non possibile
che la popolazione si aumenti, secondoch dimostralo di sopra, ma pure dove
avviene che cresca, la repubblica si potr ben dire aumentata d'uomini ma non
di forze. Niuno Stato adunque non sar giammai n savio, n ricco, n potente
se non vi sia educazione, e se l'industria e una ben animata e regolata fatica non
somministri abbondantemente a tutti quelle cose che servono al bisogno, alla
comodit e al piacere della vita (2). L'abbandonar queste cure al solo interesse
e studio privato proprio dei popoli selvaggi.
. IL Prima dunque d'ogni altra cosa da badarsi all'educazione cos do
mestica che civile, per cui veniamo ad essere ammaestrati e regolati in quel che
pensiamo e imprendiamo a fare. Imperciocch quantunque gli uomini tutti quanti
sien mossi da naturali necessit e dalla cupidit di avere (le quali sono grandis
sime forze motrici che li spingono a voler divenire industriosi), affinch si pro
caccino il sostegno e i comodi e i piaceri della vita; egli con tutto ci certis
simo che senza una savia educazione, e un diligente e prudente governo che li
spinga ordinatamente, essi o non faranno nulla o male, perch spesso ignore
ranno ci che si debba fare, o faranno poco in molto tempo e con gran fatica,
o trovando degli argini e degl'intoppi, n facendoli superare, si avviliranno e
rimarrannosi di andare innanzi, o finalmente preferiranno una vita libera e va
gabonda agli onorati bench faticosi mestieri. E questo il gran vantaggio che
ha una nazione savia al di sopra di una rozza e stolta.
. III. Ma quest'educazione manca sempre o per troppa selvatichezza o per
soverchio lusso. E la prima ragione , che l'educazione de' fanciulli e della gio
vent fassi pi per gli occhi che per le orecchie. Quel non vedervi in una nazione

(i) Platone nel Politico, all' Epitattica o arte di governare sottomette siccome parti
essenziali l'Ageleotrofca, l'arte di tenere in compagnia gli uomini nati animali gregali,
e la Zootrofica, 1* arte di alimentarli. L' educazione appartiene ad ambedue queste
ultime.
(2) E l' Anthroponomica, l'arte di nutrir gli uomini, come il medesimo autore la chiama.
42 GENOVESI.

che selve, fiere, laghi, paludi, uomini abitanti o erranti a modo di fiere, movcn-
tisi senz'arte, pensanti da bestie, nudi o mal vestiti; questo, dico, forma e mo
della la fantasia e il cuore di tutti quei che vi nascono a quella medesima maniera;
ve gli avvezza ad un ozio e una libert selvaggia, nemica giurata d'ogni fatica
metodica (1). Vedervi poi per ognintorno ricchezze , e morbidezze e un'infinit
di esempii di ruttanti crapule, sonnolenti, sbadigliami, con tutti quegli atti sconci,
sgarbati, dissoluti, ridicoli, non vi guasta meno i primi embrioni della natura.
E volerli appresso ridurre per gli orecchi o per lezioni un perdere il tempo; e
se adoperate soverchia forza, farli stupidi dell'intutto.
. IV. La seconda ragione che gli uomini tutti son portati per un senso
della natura ad una certa indipendenza. Lo stato selvaggio fortiCca quest'incli
nazione col sottrar le persone alle fatiche metodiche, e il soverchio lusso col-
l'addormentarle. I selvaggi pongono la lor signoria e libert nel non faticare; i
popoli schiavi si credono poter esser liberi nel sonno, o in uno stato che gli si
avvicini. Questa la ragione che fa amar tanto l'ubbriachezza agli Orientali.
Sollicitis anitnis ontis eximit . . .
Fcecundi calice* quem non feccre disertum;
Contrada quem non in pauperiaie solutum?
. V. In ogni paese culto, come siamo in Europa, non mai n la plebe n
i grandi che, com' detto, vi danno il tuono, ma il ceto mezzano, cio i preti, i
frati, i professori delle lettere, i giureconsulti e tutti i gentiluomini privati. La
buona educazione, cio quella che fa delle buone teste e dei corpi robusti (2),
dovrebbe cominciarvi da questo ceto. Platone (5) non ama, che nella sua Repub
blica i maestri o le madri e nutrici mettano in capo ai fanciulli certe favolette,
che o disonorano la divinit rappresentando gli Dei malefci, nemici, guerreg
giami, sporchi di vizii nefandi, mentitori, bevoni, grandissimi poltroni, aggiratori
del genere umano, come li descrive Omero-, o alimentano la cupidigia, l'astuzia,
la ferocia de' ragazzi. Io proibirei a' ragazzi questi medesimi libri e tutte le leg
gende de' secoli barbari (4). Ordinerei che i maestri coltivassero pi l'ingegno
ne' loro allievi che la memoria. Lo Stato ha bisogno d'uomini non di pedanti.
. VI. Ma siccome pi facile senza nessun paragone, che i pubblici pre-
giudizii traggano a s i domestici, anzi che questi vincano quelli; cos il gran
colpo di bene educare vuol esser dalla parte della legge ch' la balia comune.

(-1) Rousseau nel Discorso sull'origine dell'inegualit ecc., ha ragion di dire che i sel
vaggi , mancanti di strumenti e di metodi di far valere le loro forze, usano per ogni
strumento le sole membra; d'onde avviene eh' essi le hanno pi pieghevoli e robuste.
Saltano e corrono meglio , si rampicano con incredibile destrezza su gli alberi , tirano
delle pietre e de' pezzi di legno con pi aggiustatezza , hanno pi robustezza di corpo ,
siccome i nostri montanari. Ma egli ha il torto di dire ch'essi facciano pi e meglio,
ch'essi vivano pi e meglio. V'ha tra selvaggi meno mali di cuore, ma anche meno pia
cere, e v'ha sempre pi mali di corpo e meno sicurt per la vita. Veggasi Ippocrate
dell'antica Medicina. Merita qui di esser letta la Storia della California, stampata que
st'anno 1767 in Francia, tre tomi iu-1-2", ancorch non scritta con quella distinzione che
si conveniva.
(2) Queste due cose vanno sempre unite. Non potete avere buone teste senza aver
sani e robusti corpi ; in ogni uomo l'anima vieti modificala dal corpo. L'educazione che
guasta il corpo non pu giovare alla mente.
(5) Nel li della Repubblica, verso il One.
(i) Veggasi il P. Bernardo Lamy, Considerazioni sulla lettura de' Poeti.
dell' educazione. ckp. vi. 45
Ella dee promuovervi la propriet e la politezza, e farla amare e cercare, ma non
vi dee favorir la mollezza. Vi dee onorar le arti, e quelle pi che sono il sostegno
della nazione: vi dee punir la volontaria poltroneria, e non lasciarle alcun'aper-
tura. Licurgo ordin che quei figli i quali fossero cresciuti senz'arti per negli
genza dei genitori , non potessero essere astretti ad alimentarli nella loro vec
chiezza. Credo che volesse punire i gentiluomini: perch assai mi par difficile
che i padri plebei potessero essere colpevoli, come li suppone questa legge, e
quando il fossero stati non perci la legge sarebbe meno stata ingiusta. I popoli
savi d'Europa han pensato con migliore intendimento. impossibile di fare che
non vi sieno de' poltroni e de' pezzenti (1); non si potendo per nessuna legge
svellere, la regola di farli servire al ben pubblico. E a questo servono le case
d'arti, che vogliono esser molte, e tutte sotto la cura del governo.
. VII. In molti popoli di Europa, per ignoranza della fisica dell'uomo,
l'educazione de' gentiluomini tende a farli mal sani, stupidi e poltroni. chiaro
che la ragione negli uomini non si sviluppa che collo sviluppo del corpo che n'
l'instrumento. Lasciar venire il corpo sano, robusto e ben fatto, , senza saperlo,
fare delle buone teste. Ma noi abbiam preso un metodo opposto. Il corpo si
sviluppa pian piano sino a' 20 anni; dunque da aiutarlo cogli esercizii cor
porei: noi l'opprimiamo con i troppi studii letterarii e con la vita sedentaria. La
ragione non in niuno perfetta, che dopo i 20 anni, e noi la vogliamo far grande
ne' dieci. A questo modo guastiamo il corpo e l'animo. ben che si legga \' Edu
cazione fisica di Balexerd.
%. Vili. L'educazione, dice Aristotile, di diritto pubblico; perch l'uomo
in societ ipotecato a tutto il corpo e con ci all'imperio del corpo. Il vedersi
guasta in molti popoli di Europa nato appunto dall'averla fatta di diritto pri
vato. In corpo politico non vi debbono esser collegi di educazione, le cui leggi
non sieno dettate dalla maest del comune imperio, indirette al fine comune
della repubblica, e accomodate alla forma e costituzione del governo. In una
monarchia vedonsi collegi democratici, altri despotici, alcuni sottomessi a potenze
straniere ecc.: la maggior assurdit politica, perch confonde i costumi della
nazione, genera opinioni e pregiudizii pubblici fra loro opposti, disunisce gl'in
teressi del corpo, dond' che ne fa corpicelli tra loro nemici; alimenta una guerra
intestina, rende incerta l'obbedienza de' sudditi e precario l'imperio del sovrano.
. IX. In un piano di savia educazione si vorrebbe pensar degli uomini
come Licurgo (2). I. Le leggi della pubert non convenienti al fisico della natura
si vorrebbero correggere. La pubert delle donne non pu esser prima de' 17, n
quella de' maschi prima de' 20; perch da darsi tempo allo sviluppo del corpo
e dell'animo. II. Ristabilire le feste e i giuochi ginnici. IH. Punire non in pa
role ma in fatti, con opere pubbliche e faticose, i volontari poltroni. IV. Ridurre
l'educazione del costume a poche massime e molta disciplina (3). V. Introdurre
un catechismo di leggi civili a modo degli antichi Ebrei (4). La religione e la
legge civile debb'essere una disciplina comune, non una scienza di pochi. So che

(1) Veggasi Mandeville, La Favola delle api: Rimare. (A).


(2) Plutarco in Licurgo.
(3) Senofonte nell'Educazione di Ciro.
(i) Giuseppe Ebreo contra Appione, lib. 1.
44 GENOVESI.

parranno regole chimeriche; ma appunto perch paiono tali, il disordine di certi


stati va sempre pi ogni giorno crescendo (1).

CAPO VII.

Della nutrizione.

S. 1. Le prime arti le quali sostennero la rozza e selvaggia et delle nazioni,


e sostengono tuttavia i presenti selvaggi, furono la caccia, la pesca ne' fiumi o
su per i lidi del mare, e i ladronecci che Aristotile, non so perch, pose tra' legit
timi mezzi di acquistare il dominio delle cose (2). In quei tempi selvatici le carni
degli animali ammazzati nella caccia, le erbe e i frutti senz'arte nati servivano
agli uomini di cibo, e le pelli adoperavansi per vestirsi. Questo fu il primo stato
di tutti i popoli. Tale anche oggigiorno la vita de'Groelandi, degli Americani
Settentrionali e Australi, de' Lapponi, dei Samojedi, e di gran parte degli Africani
e di molti altri. I Groelandi cavano da vitelli marini e dagli altri grossi pesci
dell'olio, che loro serve di cibo insieme e di materia da ardere. Ne traggono le
pelli e le membrane interiori, che sono i soli drappi onde si vestono. Le renni,
sorta di cervi di cui abbonda il Settentrione, somministrano quasi tutto il vitto,
e oltre di questo il comodo della vettura ai Lapponi e a'Samojedi. Alcuni abi
tanti delle terre australi non vivono che o di frutti selvaggi, o di carne cruda
d'animali terrestri, o d'ostriche, di lumache e d'altrettali cose. Quei della Cali
fornia interiore non conoscono altro cibo che certe radici, pochi frutti selvaggi e
la caccia. Ve n'ha eziandio molti che ignorano l'uso del fuoco (5). I selvaggi
circoscrivono i bisogni per la natura, e la fatica per li bisogni. La natura non
chiede molto, e i selvaggi faticano poco (4).
S. II. Dopo qualche tempo gli uomini cominciarono ad avvertire i comodi
ed ebbero pi bisogni. Adunque divennero pi scaltri. Pensarono che grandis

(1) ll problema, come riformare una nazione gi intieramente guasta, mi paruto


sempre di difficile soluzione. Si pu con minor fatica dar del costume ad una barbara,
che ritirare una rilassata e corrotta; perch i popoli duri sono pi facili ad ammollire,
che i molli ad indurare. La pi parte dei savi crede, chE LA soLA cRisi pu RIMEDIARvi.
E nondimeno stimo, che pochi principi sodi con una forte applicazione potessero a
lungo andare produrre del gran bene, e prevenire quella crisi che non giova che dopo
uno sfracelo.
(2) AncheUlisse nel IX dell'Odissea dice di s, la fama di me ita al cielo, siccome
d'uomo astuto, da tender cappi al genere umano: e con molta vanagloria narra il de
vastamento e le prede che fece de'Ciconi in Ismaro. Il che prova il ladroneccio e l'as
sassinio recavasi a gloria in quei tempi.
(3) Leggasi Anderson nella Storia naturale dell'Islanda e della Groelandia; Mauper
tuis nel viaggio alla Lapponia, ed il tomo XVII della Storia generale dei viaggi dell'edi
zione francese, in-4. A cui si pu aggiungere la Storia delle leggi, delle arti e delle
scienze pur dinanzi citata.
(4) Vedi la Vita degli Ottentoti in Kolbe, dei Luisiani in Tonti, e la Storia della
California.
DELLA NUTRIZIONE. CAP. VII. 45

sima utilit si potrebbe trarre dall'addomesticarc alcuni degli animali e formarne


delle gregge, come le vacche, le pecore, le capre, i cavalli e altri; il che essi fe
cero (1). Essi li conducevano di luogo in luogo, secondo le stagioni e il comodo
de' pascoli. Tali sono tuttavia gran parte de' Tartari, gli Arabi, gli abitanti del
Capo di Buona Speranza e molti paesi dell'America (2). Questa si pu dire la
seconda et delle nazioni dopo le rovine del mondo. Ma la coltivazione delle
terre era ancora stimata troppo servile, siccome di presente riputata dovunque
le tre sole mentovate professioni, caccia, pesca, pastorale sono in uso. V'ha de'
paesi in Africa, dove gli uomini si lasciano pi presto ammazzare che coltivare
la terra. I Tartari odierni, anche del Mezzogiorno verso la Persia e l'India, pen
sano alla medesima maniera. Gran parte della coltivazione fra i Greci e i Latini
era il mestiero degli schiavi: siccome oggigiorno nelle colonie americane.
nondimeno da avvertire che in tutti questi paesi la popolazione assai scarsa e
piccola.
. III. Di tutte le nazioni, quelle crebbero pi in numero di famiglie, in
umanit e polizia, e meglio aumentarono i comodi della vita e i piaceri, le quali
si diedero alla coltivazione delle terre, primo e principal sostegno della vita
umana. Primieramente, perch niun'altr'arte impiega e alimenta maggior numero
d'uomini quanto si faccia la coltivazione; e perci niuna pi atta a mantenere
un maggior numero d'abitanti. Secondariamente, perch la coltivazione delie terre
richiede molte altre arti, che dalla parte loro servono pur esse a mantenere gran
quantit di famiglie. Terzo, perch da niun'altra cosa possono gli uomini ricavare
frutti e cibi pi confacenti alla vita nostra e di maggior diletto, quanto della
terra. Finalmente, perch la coltivazione richiede unione di molte famiglie, e pi
stabile che non sono le soprannominate arti. D'ond' ch'ella avvezza gli uomini
al piacere della compagnia: e di" qui nasce il sapere e l'umanit de' popoli. Questa
si pu chiamare la terza et delle nazioni, e il primo fondamento degli stabili
imperii civili.
S- IV. I primi uomini, i quali per sostegno della loro vita adoperarono le
quattro arti di sopra nominate, non ebbero altr'istromenti da esercitarle, fuorch
legni, pietre e ossa di certi animali. Vi sono tuttavia nell'Africa e nell'America
alcune nazioni barbare descritteci da' viaggiatori, le quali non usano altri stru
menti per quelle arti che i gi detti. Quando noi conoscemmo i Messicani, non
si trov fra quelli nessun vestigio di ferro, e appena tra Peruani v'era cognito il
rame. Si pu quindi facilmente comprendere quanto difficile e di quanto poco
fruito fossero ne' principii delle nazioni queste arti e principalmente l'agri
coltura (5).

(i) I Canadesi settentrionali non hanno ancora veruna specie d'animali domestici. Hen
nepn tom. I. Come non n'avevano i Califoroii prima del presente secolo.
(2) 1 Sarmati , oggi Polacchi , fino al tempo di Adriano imperatore non ebbero, dice
Pausania, alcuna propriet di terra e vissero com'oggi i Tartari vagabondi.
(3) Ci si dice nondimeno molto dell'agricoltura e dell'arte di filare e tessere de'Peruani
da Garcilasso; siccome dell'edificare magnifici tempii e palagi , con grandissime colonne
di legno, de' Messicani da Solis. All'agricoltura pu aver supplito la terra ancora nuova
e morbida. Ma ho grandissimo dubbio su quegli edifizi del Messico. Si lavora male a
forza di solo fuoco e pietre. Voi avrete de' tronchi: ma tavole ben asciate, colonne ben
torneate e grandissimi pedali d'alberi , vi si pu far qualche scrupolo.
46 GENOVESI.

. V. Ma poich fu scoverto il ferro (1), metallo di prima necessit per li


comodi della vita umana e per le arti, nacquero due altre applicazioni degli uo
mini non meno utili di quel che fossero le quattro prime gi dette. Queste furono
la metallurgica, o sia l'arte di cavare i metalli, e le arti fabbrili per dare a' me
desimi forma e fabbricarne degl'istrumenti. Si pu dir francamente che di tutte
le invenzioni umane questa fu di maggior utilit (2): imperciocch non solo per
fezion e dilat l'agricoltura, ma fu la sorgente di tutte le arti miglioratrici di
quelle materie che la terra e il mare ci somministrano. Gli antichi poeti, i quali
furono i primi filosofi o teologi delle nazioni, scrissero che Prometeo, il quale ne
era stato l'autore, fosse perci stato legato al Caucaso dai Titani figli di Giove,
per avere con una tale invenzione in certo modo agguagliato gli uomini agli
Dei (3). Or questo fu il quarto grado dell'accrescimento delle forze e della coltura
delle nazioni.
. VI. In gran parte i materiali che ci somministrano le sopraddette arti,
affinch possano esserci utili e servire ai nostri comodi, hanno bisogno di varie
e diverse modificazioni. Queste modificazioni sono appunto l'oggetto delle arti
secondarie, le quali bench non producano nuove cose e sostanze, con tutto
ci migliorando le produzioni primitive, e accomodandole ai nostri bisogni e
piaceri, servono di gran fondo al mantenimento, al piacere e alle ricchezze di
una nazione popolata. Primieramente esse occupano e alimentano gran numero
di famiglie, le quali senza di quelle non troverebbero facilmente luogo nel corpo
politico. Secondariamente somministrano la materia al commercio esterno, il
quale una nuova sorgente di ricchezze per procacciarci col nostro soverchio
quel che ci manca. Queste arti si possono dividere in arti di comodit e arti di
lusso; delle quali sar poi detto particolarmente. E questo il quinto grado
delle nazioni che vanno alla loro grandezza e perfetta coltura.
. VII. Come in uno Stato sono in fiore le anzidette arti, niun'allra cosa vi
pu mancare per accrescere e arricchire una gran popolazione, se non che il
commercio esterno. Questo il compimento dell'industria umana, e dove sia ben
inteso e governato, sorgente grandissima di beni. Primamente perch occupa
molte famiglie, e somministra loro da vivere a spese de' forestieri e non della
nazione. Secondariamente perch, servendo di scolo al soverchio della nazione,
serve altres di slimolo e solletico alle arti tanto primitive che secondarie, le quali
senza di questo scolo languirebbero n sarebbero mai in grado di procacciarci
del soverchio, e collo smercio del soverchio procurarci quel che ci manca. Il
commercio costituisce un sesto grado di coltura e grandezza de' popoli.
. Vili. L'ultimo grado dove l'umanit si pu dir giunta al suo colmo,
quello nel quale fioriscono non solo le mentovate arti e tutte quelle che l'accom
pagnano, le quali og^imai sono intorno a dugento venti; ma le buone lettere

(1) Prima del ferro fu l'uso del rame. Quei del Chili si trovarono non aver ferro, ma
avevano dell'arme e degl i stromenti di rame. V. Garcilasso della Vega. In Omero quasi
tutte l'armi difensive son .di rame ed alcune eziandio dell'offensive.
(2) Sarebbe stato a desiderare un'arte di ritenere il ferro e il rame dentro i termini
del vero utili, n farne un istrumento da distruggersi a vicenda. Ma chi riterr le pas
sioni umane da non ribalza/e fuori dell'atmosfera del giusto e dell'onesto ?
(3) 0 per aver mostrato come pu facilmente segarsi la gola , squartarsi , affettarsi ?
Veggasi intanto il Prometeo d'Eschilo.
DELLA NUTRIZIONE. CAP. VII. 47

eziandio e le scienze. Imperciocch queste non solamente muovono gl'ingegni


umani e fannoli come sbocciare del loro guscio, ma li rendono pi destri, aperti
e grandi; gl'illuminano, e fanno lor vedere ne' pi bassi mestieri quel che non
si vedrebbe altrimenti (1). Aggiungasi che questo lume o direttamente o di ri
verbero trapassa nel popolo minuto, a cui d un certo brio in tutto quel che fa.
un'esperienza di tutti i secoli passati, che in niun popolo l'arti son giunte alla
loro perfezione senza che vi siano pervenute anche le lettere e le scienze: e dove
esse sono state spente, le arti ancora sono decadute e divenute rozzissime. E la
ragione che quel medesimo lume e vigore d'ingegno che vi d un Archimede,
un Platone, un Galileo, un Cartesio, un Newton, vi d il grand'artista. Il secolo
delle arti di Persia ne' tempi antichi fu quel di Ciro: il secolo d'oro de' Greci fu
quello che fior intorno ai tempi d'Alessandro: quel di Egitto, sotto i Tolomei:
quel di Roma, ne' tempi di Augusto: quel di Toscana, intorno a' tempi del gran
Cosmo: quel di Francia, sotto Luigi XIV. Il medesimo si pu dire di moltissimi
altri. Ora in tutti questi secoli luminosi andarono del pari le scienze e le arti.
Crebbero quelle e queste insieme; e come decaddero le prime, caddero altres le
seconde. Dond' che il legislatore, il quale vuol dilatare e migliorare lo spirito
delle arti, dee proteggere altres le scienze. Ma si capisca ch'io non intendo per
scienze n lo spirito pedantesco, n lo studio delle idee astratte e grottesche.
Ogni studio che non ha fondamento nella natura, e che non mira alla soda uti
lit degli uomini, un'occupazione vana e nocevole.

CAPO Vili.

Economia delle cinque Arti fondamentali.

. I. Le prime arti fondamentali di ogni Stato e produttrici di sostanze, non


gi di sole modificazioni, sono, com' detto, queste cinque, caccia, pesca, pasto
rale, agricoltura, e metallurgica. ora da considerare quali sieno le regole da
seguirsi, secondo i luoghi e gli Stati, perch elleno sieno coltivate e promosse
col vantaggio della nazione e del sovrano.
. II. I popoli selvaggi e de' climi freddi, siccome i Siberi, i Lapponi, i
Groelandi, i Canadesi settentrionali e altri, non hanno, com' detto, altro sostegno
della lor vita, fuorch la caccia e la pesca, perch il clima non ne permette altre.
La caccia in se stessa considerata, di tutte le arti la meno atta ad alimentare
un gran quantit di popolo. Vi si richieggono vaste campagne e selve disabitate,
perch vi si nutriscano delle fiere. Infatti i popoli che non vivono che di caccia,
son pochi e poveri e barbari; conciossiach la povert sia sempre reciproca colla
barbarie. Adunque io un paese temperato, e dove possono alignare delle arti

(i) Ogn'arte, per vile che sia, ha i suoi principi! e il suo meccanismo, che non pu
esser avvertito che dal filosofo. E quindi che le teorie dell'arti le pi vili si possono
ridurre a scienza. Questo mostra la necessit del calcolo e delia meccanica ragionala.
48 GENOVESI.

pi utili, la caccia pu ben essere un mestiere di private famiglie, ma non gi un


fondo di ricchezze per una popolata nazione. Si vuol anche considerare che lo
spirito cacciatore si attiene all'indipendenza, come mostrato per tutta la storia
tartara (1). Di qui , che le leggi, le quali frenano la caccia, producono due
gran beni ne' paesi culti. 1. Impediscono il disviamento dai mestieri pi utili.
2. Allontanano dal costume indipendente e feroce.
. III. Egli bene che vi sia un popolo che metta in valore le fiere de'paesi
boscosi; le pelli sono oggigiorno non solo un comodo come sempre, ma un lusso
eziandio: son perci materie di arti utili e che rendono. E poich il lusso ali
menta molte arti, e queste molte famiglie, quindi la caccia di certi uccelli, le
cui penne sono la materia di queste arti, divenuta necessaria. Finalmente an
che in un paese temperato e culto utile che alcuni, i quali non saprebbero n
potrebbero far altro, dieno del valore alle fiere e agli uccelli se ve n'ha. Ma in
queste nazioni siffatte classi d'uomini non potrebbero essere troppo numerose,
senza manifesto danno delle pi feconde sorgenti di ricchezze e pericolo di ro
vesciare la costituzione.
. IV. La pesca di assai maggiore importanza che non la caccia. Ella si
pu dire la pastorale del mare. Vi sono stati, e vi sono eziandio de' popoli ittio
fagi, o viventi di solo pesce. Tali sono oggi in gran parte i Settentrionali i quali
si accostano al polo, e alcuni abitanti delle isole australi. Dove mare, eco
nomia il farlo valere in tutto quel che pu conferire alla nostra vita. Il prudente
legislatore debb'essere come il prudente padre di famiglia. Niun palmo di terra
n d'acqua si vuole lasciare incolto e senza ricavarne quel che si pu. Pu inol
tre essere un gran fondo di commercio. Il merluzzo e le aringhe, e altri siffatti
pesci sono fondi ricchissimi per gl'Inglesi, Olandesi, Francesi. La pesca delle ba
lene divenuta necessaria a molte arti. In un paese per che pu essere ricco
per l'agricoltura e pastorale, la pesca non dee avere che il terzo luogo. Egli non
di economia l'abbandonare un fondo utilissimo e certo, per coltivarne uno
meno utile e men sicuro. Dunque le leggi che promuovono quest'arte, vogliono
esser tali da non ferire le pi ubertose e ricche (2).
. V. La pastorale , com' detto, il primo grado di societ e di umanit
delle nazioni. Ella pi grande e ricca senza niun paragone che non la caccia,
ed pi sicura che non la pesca. ancora pi alta al sostegno della vita, ma
non gi quella che meglio si confaccia ad una gran popolazione; perciocch
il bestiame richiede delle gran pasture e terre incolte. I popoli pastori non sono
in fatto i pi numerosi (5). Di qui seguita, che in un paese di clima temperato
(i) Gli antichi Tedeschi non erano che cacciatori; dunque in una libert che si acco
stava allo stato di natura. Tacito de moribus Germanorum. Vedi Mallet , Introduction
'Histoire de Dammare.
(2J Ho udito alcuni tra noi , i quali desideravano che la legge venisse a favorire le
salomoie de' pesci, credendo di poter dipender meno da' forestieri. Al qual progetto si
potrebbe dar orecchio, quando la nostra agricoltura e le manifatture fossero giunte alla
perfezione. Quel non avrei voluto, che per poca cura si fosse lasciata quasich perire la
pesca de' coralli che si faceva per li nostri Torresi, e la quale rendeva sopra 200,000
ducati annui. Perch questa gente avendo poca terra n ancora molte arti , ed essendo
arditi e franchi naviganti, non poteva pi utilmente impiegarsi; e un fondo di 200,000
ducati annui non , per una piccola nazione, disprezzabile.
(3) l Ciclopi d'Omero, popoli pastori, erano pochi e lasciavano deserta Pisoletta loro,
quantunque di maravigliosa fecondit. Vedete il IX dell'Odissea v. 155.
DELLE ARTI FONDAMENTALI. CAP. Vili. 49

e di buone terre non se ne debba fare la prima occupazione, dove si voglia che
egli popoli a proporzione delle sue interne forze. Ella dunque non pu andare
innanzi all'agricoltura: bisogna che si contenti del secondo luogo. In tali pae?i
le leggi che la mettono nel primo sono indirette alla spopolazione (1).
. VI. Vi sono diversi capi di pastorale, come vi sono diverse specie di ani
mali domestici; per esempio, pecore, buoi e vacche, cavalli, porci, uccelli do
mestici, api, bachi da seta, e mille altre maniere, ciascuna delle quali costituisce
un mestiere e pu alimentare molte famiglie. Ma non tutti questi mestieri sono
di una medesima utilit, essendovene alcuni pi ricchi che altri. Il suolo, il
clima, il sito del paese e il commercio che pu avere, debbono decidere del pi
utile, in favore del quale vogliono vegliare le leggi. In un paese di clima tem
perato, che abbia mare e commercio, l'agricoltura debb'essere la prima favorita:
l'arte delle pecore e della lana, la seconda; la tela e le sete, la terza- La ragione
che si dee sempre proteggere pi quel mestiere, ch' pi ricca sorgente pel po
polo e per la grandezza del sovrano. Or questo proteggere consiste: 1. In non
caricarle troppo: 2. In agevolarne la circolazione e l'estrazione.
. VII. L'agricoltura poi , come detto, il secondo grado di umanit, e- il
pi ricco fondo per sostenere un gran popolo e un gran commercio in un clima
temperato. Ma ella ha diversi branchi. La coltivazione del frumento vuol essere
la prima e la pi gelosamente riguardata, perch di tutti i semi questo il pi
atto al mantenimento della vita umana, e perci il pi ricercato. L'Oriente ha
del riso che serve invece di frumento ne' paesi pi caldi", e l'America il maiz che
noi chiamiamo grano d'India. Ma in Europa questi semi, siccome tutte le civaie,
sono di secondo genere. Al frumento dunque si vuol fare il primo onore con in
coraggiarne la coltivazione, e coll'astenersi da quei colpi che la possano come
che sia indebolire, siccome sono le troppe restrizioni e certi jus proibitivi (2).
Viuria derrata pi necessaria alla vita, ma niuna altres pi gelosa della sua
libert. Ella diviene assiderala al primo aspetto della severit. S'ingannano quei
popoli i quali credono di ritenerla colla durezza, e con quei monopolii legali che
si chiamano per onore jus proibitivi (5). Queste leggi servono a farla sparire, e
a seccare le sorgenti dell'agricoltura. Finalmente dimostrato per la sperienza
degl'Inglesi, che carestia non nasce mai da siffatte leggi. Un paese, a cui manca
il pane, difficilmente potrebbe ricavare dagli altri mestieri quanto bastasse a
provvedernelo: e questo pane mancher sempre, sino a che non se gli lasci un'
intiera libert da poter correre dappertutto, dentro, fuori come li piace. Il grano
dicesi il latte che la madre terra ci porge per sostegno della vita, o ha mera
vigliosa similitudine con il latte animale: va indietro e sparisce, come gli si ri
tura la libert di venir fuori e scorrere per ogni glanduletla delle materne
poppe (4).

(1J In Inghilterra la prima cura la coltivazione: la seconda la pastorale : la terza le


manifatture.
(2J Vedi il Discorso sull'Annona.
(3J E provalo per la sperienza di circa quattro secoli, che li jus proibitivi non servono
che a devastar l'arti. Ognun che fatica adopera una propriet naturale ( l'ingegno e la
forza del corpo^ per sostenere le altre cos naturali come quelle. E un dritto di natura
indelebile. Li jus proibitivi vengono ad opprimerlo e opprimono la fatica.
(4) Ma questa ragione vale per tutte l'altre. Ognuna vuol esser libera quanto si pu
Econom. Tomo III. 4.
OU GENOVESI.

. VIH. L'olio un genere del quale difficilmente si pu far di meno in un


popolo culto. In un paese dove il suolo il permette, questa parte di coltura me
rita i secondi favori del legislatore. L'olio non solamente serve di alimento alle
persone, ma ancora un istrumento necessario di molte arti, e perci un gran
capo di commercio. Non piccolo oltrecci il vantaggio di allungarci i giorni,
e conseguentemente le nostre utili fatiche (1), I popoli settentrionali, come sono
tutti i Tedeschi, gl'Inglesi, gli Svezzesi, i Moscoviti e altri di simili climi, ne son
privi per la rigidezza de' freddi. Suppliscono in parte con gli olii de' pesci che
non sono per cosi buoni. E di qui si vede che i climi temperati del Mezzo
giorno possono fare dell'olio un gran tesoro di ricchezze, e stabile, con ismaltirlo
nelle gelide regioni che n'abbisogneranno eternamente. L'olio adunque e la sua
coltura, che ci costituisce creditori nati de' popoli freddi, merita delle gran ca
rezze dal sovrano (2).
g. IX. Ma le merita in terzo luogo la vite dove alligna. Il vino un bello
e gran sostegno nelle afflizioni della presente vita (3), e con ci da tutti desi-
deratissimo; onde diviene ricca materia di commercio. Quel che deimo di tutta
la nostra considerazione , che que' popoli ne sono pi avidi e ne hanno maggior
bisogno, a cui pi il niega il clima, siccome sono tutti quelli che si accostano ai
poli. Di qui che i climi temperati diventano per questo capo, come per l'ante
cedente, creditori ancorch non necessarii de'climi freddi. Molti savii economisti
hanno dimostrato, che in que' paesi, dov' grande smercio di vino, la coltura
delle vigne rende ancora pi che la coltura del grano. Ma sarebbe un errore il
dare a questa coltura la preferenza. Un paese coverto di belle e poderose vigne,
com'era il paese de'Ciclopi d'Omero, sarebbe intanto pezzente se non avesse
grano. La libert accordata fra noi ai vini, e negata al grano, dunque di non
piccolo pericolo. V'ha in ogni paese delle birre che vagliono per vino; dunque
niuna nazione diventa necessaria creditrice d'un'allra per conto di vini; e perci
un fondo di vini non sarebbe sempre il pi sicuro fondo per un'intiera nazione.
$. X. La seta materia d'infinite arti di lusso, e di lusso da lungo tempo
entrato nel piano de' comodi, e perci non facile a svellersi. I popoli adunque,
che son ricchi di seta, hanno una certa e sicura rendita sopra i popoli culti a cui
manca. Ora ella manca a tutti i popoli settentrionali, e verisimilmente mancher
sempre; imperciocch io non so a chesieno per riuscire i tentativi del magnanimo
e savio re di Danimarca. Di qui che questa coltivazione merita anch'ella la
protezione del sovrano e i favori delle regole economiche, cio FACILE GIRO.

nel corpo civile: e si pu sin dove non nuoce alla somma delle fatiche. Se necessario
che l'arti sieno tributarie, non vogliono per essere schiave. Gli schiavi non faticano che
per altri, e perci a forza, e perci il men che possono: non rendono dunque quanto
potrebbero.
(i) Veggasi la Prefazione di Pier Vettori alla sua dotta e bella Coltivazione degli ulivi.
(2) Renderne difficile e grave l'estrazione avvilirne il prezzo, e farne amar meno la
coltura.
(3) Nelle Cene de'Savii di Ateneo lih. II troverassi tutto ci che dagli antichi fu scritto
di bene o di male del vino. Nella Storia Cinese del P. Martino scritto, che un certo
Ll-eo, che fu intorno ai tempi in cui la favola pone Bacco, inventasse quivi, nella Cina,
il vino ; per tale invenzione essendo rinll'imperatore ordinato che morisse, fuggissene
verso l'Iudia. A me nondimeno pare che sia pi commendabile un detto d'Omero, che gli
Dei inventassero il vino, c/fn di mandar fuori da noi pover'uomini le cure mordaci.
DELLE ARTI FONDAMENTALI. CAP. Vili. 51

. XI. Quel ch' per li climi temperati degno della nostra riflessione, che
queste quattro colture, di grano, olio, vino e seta, son tali che ben possono tro
var tutte quattro il loro luogo senza che l'una sia di ostacolo all'altra. Percioc
ch il grano richiede ordinariamente i piani; l'olio e il vino le colline; e i gelsi
sono tali piante, che se ne pu servire insieme di siepe e di materia per l'arte di
far la seta. Ripetiamolo di nuovo: in un paese saviamente coltivato e abbondante
di popolo, niun palmo di terra atto a produrre qualche cosa da lasciare incolto!
e se vi si veggono delle colline e delle montagne spelate, s'attribuisca pi a dap
pocaggine de' popoli o a negligenza delle leggi, che a mancanza di forza nella na
tura. Queste colline, queste montagne erano coverte di boschi a tempo de' nostri
avoli, e l'essere oggi spelate dimostra che sieno state utili. 11 fuoco un elemento
necessario per la vita; e quando i boschi non servissero ad altro (che servono a
molte altre arti utili), sarebbero per questo conto di prima importanza.
. XII. La coltura della bambagia, della canapa e del lino, sono per un
popolo industrioso di gran considerazione. Niuna nazione polita potrebbe farne
di meno, senza divenire debitrice in grosse somme agli stranieri. La bambagia
una lana vegetabile: il lino e la canapa sono una sorta di seta vegetabile. Oltre
che se ne pu fare ricco commercio, essendo materia di arti delicatissime di
lusso, come si vede nelle tele finissime del Settentrione, e in quelle di bambagia
dell'India; ma pure sono certi materiali che riescono di gran comodit per co
loro cui la povert mette in istato di non poter far uso delle lane e delle sete. La
natura, dice un gran filosofo, provvede a buon mercato ai poveri; ma ella ama
di essere aiutata: e in ci dee valere il diritto e la atra di padre, che Dio ha
dato ai sovrani (1).
. XIII. Vi un'infinit di minori capi di agricoltura, i quali tutti entrano
nel gran corpo, e tutti servono per renderlo il pi ricco tesoro di una nazione
diligente e savia. Le api, lo zafferano, l'erbe per le tavole, le radici, i frutti, i
fiori e altre tali. Alcuni di essi servono alla vita degli uomini e degli animali,
altri al lusso. In un paese dove il clima li porta, tutti entrano nella massa delle
ricchezze e nel fondo del commercio. Il pi ricco paese quello dove tutti i ge
neri di agricoltura sono in uso: il pi savio, dove ciascuno vi protetto e inco
raggiato a proporzione della rendita generale dello stato. Questo stato anche il
pi giusto. L'imperator Federico II dice nel proemio d'una legge: Il nostro pen
siero s'aggira sempre pi nel prevenire i delitti che nel punirli (2). Massima
delle grandi e divine anime. Ma poich si sa che la maggior parte dei delitti na
scono dal bisogno, la regola di prevenirli appunto questa, di sovvenire ai biso
gni delle famiglie, con incoraggiarvi e proteggervi l'arti e farvi onorar la fa
tica (3). difficile che le leggi si osservino dove l'uomo non ha che mangiare.
fi; S'aiutano l'arti in due maniere: 1" Istruendo e premiando. 2" Lasciando fare con
quel massimo grado di libert che pu convenire agli uomini uniti in un corpo civile.
(2) Constit. Regni Sic. lib. I, tit, 10.
'"j Le prime massime cbe si vorrebbe insegnare ai ragazzi d'ogni ceto sono, che l'uomo
nato per faticare: che la fatica il dovere d'ognuno: ch'ella non solamente necessa
ria, ma utile : cbe niun pu viver bene senza faticare: che niuno sicuro de' suoi beni
e della sua vita in un paese, dove la natura vuol che si mangi e'I costume che non si fa
tichi : che quei soli possono essere esenti dalla legge in sudore vultus fui vesceris pane
tuo, a cui o per morbi o per estrema vecchiezza manca la forza di poter faticare, o per
altri utili impieghi manca il tempo.
52 GENOVESI.

. XIV. Resta la coltura de' boschi e degli alberi grandi. Ve n'ha di quelli
che servono e col frutto e col legno: e ve n'ha di quelli che non danno fuorch
del legno, sebbene sono assai pochi. I migliori sono i primi; perch essi alimen
tano o gli uomini, come i castagni, i pini, i peri, i noei ecc., o Je bestie di cui
servesi l'uomo, come i castagni medesimi, le quercie, i faggi ; e oltre di ci
servono di legna o di lavoro per le case, navi, arti : o da bruciare, uso non meno
anzi pi rilevante. V'ha de' boschi, da cui si cava la pece, la manna e altre
gomme necessarie o utili all'arti e al vivere secondo i luoghi. Tutti questi usi si
attengono a grandi nostri interessi. E di qui si capisce di quanta importanza sia
il custodire i boschi e il saperli rifare dopo essere stati disfatti. Questa scienza
la dobbiamo, non ha guari, al famoso Duharael dell'Accademia di Parigi (1).
. XV. Prima che tolga la mano da quest'articolo voglio che qui si osservi
che l'arti, cosi primitive come secondarie, possono avere due utilit principali,
che chiamer qui assoluta e relativa. Quella riguarda i bisogni e i comodi interni
immediatamente ; questa il commercio, per provvederci o dei generi che ci man
cano, o di contante raccattandolo da quelle nazioni, le quali abbisognano delle
robe nostre. La prima e massima utilit di tutte l'arti debb'essere senza dubbio
l'assoluta: le seconde considerazioni si debbono alla relativa. Di qui che in
tutti gli Stati la pastorale e l'agricoltura sono le pi riguardate e apprezzate. E
ragionevolmente, perch gli uomini non faticano che per vivere ed istar bene.
Quanto all'utilit relativa, si vuole sempre avere l'occhio e favorire e proteggere
quei generi, dei quali le nazioni, con cui traffichiamo, hanno pi preciso bisogno
e pi durevole, perch questi sono certissima e infallibile rendita. Per esempio,
nel nostro regno l'olio, il vino, la seta, la bambagia sono taU generi, dei quali
le nazioni settentrionali hanno e avranno sempre assoluto bisogno. Ma il grano,
la lana, il canape non per esse di questa sorta. La Spagna e alcune nazioni di
Italia sono ben provviste d'olio, vino, seta, frutti ecc., ma vi avranno bisogno di
grano; donde ci nasce un'utilit relativa di questa derrata. Tutti questi rapporti
sono da calcolare con diligenza e precisione. Chi presiede alla pubblica economia
dee fissamente guardare a questo punto per il comune interesse del sovrano e
dello stato, e regolarlo in modo che l'arti pieghinsi verso la maggiore utilit
composta dall'assoluta e dalla relativa. Or torniamo all'arti primitive.
XVI. Dove non si conosce il ferro e l'arti fabbrili, difficile che l'agri
coltura vi renda molto, difficilissimo che vi sieno delle arti miglioratrici, impos
sibile che la coltura della nazione sia giunta al suo colmo. La metallurgica adun
que una professione non solo utile ma necessaria. Ma di tutti i metalli il ferro
di prima necessit per le arti, l'oro pel commercio esterno, e l'argento per
l'interno. Del resto l'arte della metallurgica non arte da sostenere di per s un
gran popolo; imperciocch non vi si possono impiegar molti, e se vi s'impieghino
non rende a proporzione. Un popolo che potesse aver pastorale, agricoltura e
commercio, non vi dovrebbe impiegare pi persone che quante bastassero a som
ministrare gli strumenti alle arti e una mediocre copia di segui al commercio,
per dipendere dagli altri il men che si potesse (2). Infatti i popoli di ricche mi

ti) La physique des bois, e/c.


(2) Pu qui parere ad alcuno eh' io non istimi gran fatto il commercio esterno. a
dirla nettamente non ho mai misurato il suo pregio che dalla necessit. Dove non si pu
altrimenti mantenere la giusta popolazione, il suo prezzo sommo: ma il suo prezzo
DELLE ARTI FONDAMENTALI. CAP. TIH. 53

niere sono i pi pezzenti di tutta la terra se non hanno gregge, agricoltura e


arti, come ne fanno testimonianza molti degli Americani e Africani. E l'Inghil
terra che non ha miniere, salyoch di stagno e piombo, pi numerosa e pi
ricca che non sono gli Spagnuoli con tante miniere d'argento e d'oro. Saviamente
i Giapponesi e i Cinesi hanno fatto coprire certe copiose miniere d'oro, affinch
l'abbondanza di questo metallo, di per s inerte ma maliardo, non indebolisse il
vigore dell'arti sostentatrici (1).
. XVII. E questi sono i primi fondi onde la vita umana trae il suo sostegno.
Questi fanno la base di una repubblica. E di qui s'intende quanto si vogliono
proteggere e incoraggiare. Ma essi non bastano ad una nazione che voless'essere
non solamente popolata ma per tutti i versi eulta e polita; conciossiach in que
ste tali nazioni si richieggano eziandio tutte l'arti miglioratrici e alcune di lusso
altres. Ma siccome nell'arti produttrici si vuol distinguere tra l'utilit assoluta
e la relativa, e oltre a ci tra la maggiore e minore, il medesimo da farsi nelle
arti secondarie e in quelle di lusso. I primi favori debbonsi accordare a quelle
che hanno maggiore utilit assoluta e relativa, i secondi a quelle che rendono
meno, e cosi di mano in mano. Tra queste arti la prima in rendita, siccome di
un uso pi ampio e pi necessario, quella delle lane; la seconda quelle delle
tele; la terza quella de' lavori di seta. Vengono poi le altre in ordine inferiore.
Dunque con quella proporzione, che si seguono nella rendita generale, sono da
favorire e accarezzare e onorare. Perch se voi in un paese che ammette le altre
vi studiate di accrescere soverchiamente quelle di lusso, non potrete farlo che
con discapito delle pi necessarie, richiamando a queste la folla degli operai: il
che consuma la vera e la pi soda rendita di uno stato col bagliore di una, la
pi brillante invero, ma senza slabile fondamento e durevole (2).
jj. XVIII. detto di sopra che in un popolo culto le scienze sono neces
sarie. Ma nelle scienze da distinguere tra le teorie e le pratiche. Egli vero
ch' difficilissimo d'avere esatte pratiche senza buone teorie, ma nondimeno non
necessario che le teorie siano troppo comuni; ben importante che il siano le
pratiche delle scienze utili. bene che vi siano de' gran geometri, fisici, astro
nomi, architetti ecc., teologi : ma non n necessario, n utile che sieno sover
chi. Che farebbero in Italia 200,000 Archimedi, Galilei, Newtoni? 200,000
S. Tommasi, Petavii? bene che vi siano gran pittori e scultori. Ma a che mon
terebbe avere 100,000 Vinci, Perugini, Michelangeli, Tiziani, Giordani? Si vuol
dire il medesimo delle altre.
. XIX. La natura ha direttamente a ci posto ordine; perocch per ogni

la met del sommo dove la met del mantenimento si pu avere in casa. Dove per Ih vita
e pel piacere il paese istesso pu somministrar quasi tutto, se la necessit de'geoeri
esterni eguale ad una frazione del sommo, per quel paese in quel conto medesimo di
una frazione ho il commercio esterno. Quei politici ebe gridano indifferentemente com-
mercio, commercio, fanno all'amore colle fantasie non colla natura.
(1) , pare a me, un gran problema, se l'opinione in cui montato l'oro in tutte le
colte nazioni , pi giovi o nuoccia a' popoli. Ha di ci fla detto nella seconda parte di
queste lezioni.
(2) Aggiungasi ebe questo cagione che divenendovi pi caro e difficile il vivere, vi
si corrompa la giustizia, e'I costume vi diventi perverso. Il che mi par (rnppo manifesto
per la storia di molti presenti paesi d'Europa. Meritano di esser lette alcune savie con
siderazioni che fa su questo punto Platone nel II de. Hepublica.
54 UBN0VE8I.

mille ingegni che nascono, appena ne troverete uno fatto pel sublime e per lo
speculativo. Pure l'educazione potrebbe di molti pastori, agricoltori, marinari, ar
tisti, facchini formare buoni geometri, o scultori, o pittori, o politici. Il caso di
molti grand'uomini tratti dalla feccia della terra il dimostra assai. Non sarebbe
dunque espediente al ben pubblico che la legge favorisse progetti tali, da aumen
tare fuori di ogni proporzione il numero degli scienziati o di coloro ch'esercitano
le belle arti. Non si vuol arrestare il cocchio del genio; sarebbe colpo funesto
per ogni paese, menerebbe alla barbarie e alla spopolazione : ma non si vuol
pure dargli soverchio moto in quella parte eh' pi brillante che soda (1).
. XX. Io non comprendo gi in questa regola le scuole di leggere e di
scrivere la propria lingua; conciossiach non faccia male ch'elleno sieno alquanto
pi numerose di quelle delle scienze, servendo a dare dello spirito alla nazione
e pi di destrezza e finezza all'arti. Sebbene so ch'esse non sono troppo dell'u
more del signor Mandeville , e meno ancora del signor Rousseau (2) ; i quali
anzi di rilevarne e volerne correggere i vizi, che ve n'ha tuttavia di molli e no-
cevoli, hanno preteso di sbarbicarle contro tutti gli interessi politici delle eulte
nazioni. Si teme l'eccesso e'1 vizio. Ma a questo pu bon rimediar la legge: al
l'eccesso rimedia la natura, la quale non lascier mai che ai bisogni delle fa
miglie si supplisca colle sole lettere. Quello stimerei importante che queste scuole
non si affidassero a coloro che non volessero far altro che poltroni o nemici
dello Stato. Se il costume, l'opinione, i pregiudizi, pi che le leggi governano le
nazioti, una delle pi gelose cure dei sovrani dovrebbero esser le scuole; per
ch quindi formansi il costume pubblico, le opinioni, i pregiudizi.
. XXI. Quel che si vuol avere per certissimo assioma politico che una
nazione non sar mai perfettamente eulta nelle scienze, nell'arti, nelle maniere,
se non abbia le leggi, le scienze, le scuole e i libri di arti parlanti la propria
lingua ; perch ella dovr dipendere da una lingua forestiera, la quale non es
sendo intesa che da una piccolissima parte del popolo, tutto il resto sar fuori
della sfera del lume delle lettere. I Greci furono barbari finch non dipendettero
che da'Fenici e dagli Egizi; il furono i Latini finch le scienze non parlarono
che greco. I Francesi, i Tedeschi, gl'Inglesi, gli Svezzesi non sono da riputarsi
popoli culti che dacch le leggi, le scienze, l'arti vi parlano la lingua naturale.
Le lingue sono come vasi che contengono le nostre idee e la nostra ragione. Or
qual pazzia pretendere di essere in un paese uomini e aver i vasi della ragione
in un altro? L' Italia se non avr tutta quanta le leggi, le scienze e l'arti in sua
lingua, oggi bella e copiosa ed energica a pari della latina e della greca, le si rin
faccer giustamente che essendo stata la seconda madre di coltura in Europa, decada
per vilt ella medesima da quel che ha insegnato agli altri popoli. I suoi figli,

fi) Se io avessi a dettar leggi ad una repubblica Platonica, una sarebbe: fremii a tutti
coloro che promulgano catechismi sodi, netti, familiari delle arti , premii secondi a coloro
che li migliorano: premii a coloro che g'insegnano con carit e zelo. Un uomo che fa
un uomo utile sia genio di primo ordine : chi lo migliora e aiuta, genio di tecond'or-
dine. Si venerino questi genii.
(2) I ragazzi in una scuola cominciano a diventar sedentarii (dice Mandeville], furbi ,
violenti, malcreati. troppo vero. E per questo nelle scuole di leggere e scrivere niun
ragazzo vorrebbe dimorar pi che quanto richiede la sua lezione. Si faccia leggere, se gli
facciano tirar due righe di scrittura, e via. Pu bastar mezz'ora. Poi un'arte.
DELLE ARTI FONDAMENTALI. CAP. Vili. 55

se come amano di pensare e vivere all'oltramontana, maggiore sciocchezza della


quale non saprei figurarmi, cos si gloriassero di aver sortilo una tal madre,
potrebbero in- pochi anni restituirle quell'onore ch'ella andata perdendo per
la loro bassezza e stolidezza, e per una ridicola affezione per la pedanteria.
. XXII. Porr fine al presente capitolo con tre quistioncine. Si sa che la
prima massima di economia che vogliono avere 1 sovrani che la nazione
DI CUI SONO CAPI DIPENDA DALLE ALTRE , IN TUTTO CI CHK s' APPARTIENE
ALLA VITA NATURALE E CIVILE , IL MENO CHE SIA POSSIBILE : CHE SIA IL
men che s possa debitrice ad ogni altra. Su questo perno deve reggersi
tutta l'economia; e dove vi s'intende male, quei popoli e quei sovrani vi sono
schiavi delle straniere nazioni. Nascono perci di qui naturalmente tre questioni.
. XXIII. La prima ; egli possibile che una, nazione sia nella totale in
dipendenza da ogni altra ? Alla quale rispondo brevemente, che una popolazione
perfettamente selvatica pu dell'intutlo essere da ogni altra indipendente, per
essere i suoi bisogni pochissimi. Ma com'esce dalla selvatichezza e va accostan
dosi alla politezza, cos e con quella medesima proporzione comincia a ren
dersi dipendente per la moltiplicit de'bisogni, per modo che non sia possibile
il non dipendere in nulla.
* . XXIV. La seconda ; sarebb'egli utile e perci espediente il mettersi nello
stato di una totale indipendenza ? Al che dico, che no. Prima non si potendo per
la natura ; e volendolo ottenere per legge si verrebbe a perdere, anzi che a gua
dagnare. E poi perch si priverebbe la nazione de'lumi degli altri popoli; e per
questa via verrebbe col tempo ad essere di tutte la pi bisognosa di dipendere,
siccome accadde agli Ebrei prima dei tempi di Salomone, e avverr senza dub
bio ai Cinesi dove non cambino metodo politico.
. XXV. La terza, ch' da riputarsi la pi importante ; non si potendo
dunque non dipendere in nulla, in che si vuole studiare di dipenderne? Rispondo:
in quelle cose che ci costituiscono meno debitori e meno schiavi; in quelle che
pi servono a dar moto alla nostra industria. E questo s'intender meglio da
quel che segue: 1 Una nazione che pu avere in sua casa grano ed altre derrate
ed arti di prima necessit, se in ci dipende dalle straniere 6tolta e schiava. Il
medesimo si vuol dire delle scienze di necessit, come le matematiche, le poli
tiche, le teologiche (1); perch questa ancora peggiore schiavit, come quella
he non attacca le mani ma le teste; 2 Se pu aver arti di comodit prime,
come di lana, di tela ecc., mezzo stolta e mezzo schiava fornendosene da' fo
restieri. da dirsi lo stesso delle belle arti di prima comodit, disegno, archi
tettura ecc.; 3 Un popolo polito, che nelle arti di lusso generale, e potendone
avere in casa riposa sugli altri, per una terza parte stolto e schiavo. Tali sa
rebbero l'arti delle seterie, delle belle tele, della scultura ecc. Si vuol dunque
veder di dipendere nelle derrate o ne'materiali che mancano al suolo, e nelle arti
di lusso men generale.

(1) Si dice, che i primi Romani prendessero le leggi da'Greci. Questo pu essere imi
tar il buono, il che sempre da studiarsi di fare. Ma che, anzi d'imitare, avessero fatto
venire da Atene ogni anno de' senatori, de'giudici, de'governatori delle provincie, sarebbe
stato a dire la repubblica d'Atene in Roma. Questa stoltezza stata ed tuttavia di
molti popoli d'Europn.
56 GENOVESI.

CAPO IX.

Economia delle Arti miglioratrici.

. I. Le arli miglioratrici sono o di comodo o di lusso. Sarebbe esser


noiosi se in s vasta materia di ragionare volessimo esser minuti. Perci ci con
tenteremo di accennare le regole generali economiche e andar oltre, lasciando
che altri di per s pensi al molto che se ne potrebbe dire in particolare.
. II. Tutte le arti miglioratrici, siccome l'altre professioni e classi d'uomini,
non vivono che sulle primitive, perch tutti mangiano, bevono, ardono, vestono,
abitano: dunque si vogliono considerare per tre rapporti: 1 In ordine all'arti
primitive e al comodo di coloro che le professano; 2 Riguardo al comodo del
l'altre classi ; 3 Per rispetto all'impiego generale della nazione. Se vero, che
niuno negher esser verissimo, che il fondamento di ogni Stato sono l'arti pri
mitive, seguita che il primo riguardo in cui si vogliono avere le arti migliora
trici, sia quello di aiutare e sostenere le primitive. E questo il pi bel frutte
di tutte le arti secondarie.
. III. L'arti primitive sono aiutate e sostenute da quelle seconde per due
modi; l'uno de'quali il provvedere o di strumenti o di comodi coloro ch'eser
citano le primitive, e per il qual modo vengono ad aumentare l'utilit: l'altro
con lo scolo del soverchio, affinch non opprima quei che l'hanno prodotto e
gli scoraggi dal continuare.
. IV. Or sono impiegate a questi fini pressoch un'infinit d'arti, ma non
tutte per hanno a tal rispetto il medesimo pregio e merito. Il primo luogo vo
gliono averlo l'arti fabbrili, come quelle senza delle quali le creatrici non pos
sono avere n vigore alcuno, n perfezione. Che fare senza un vomero, una
vanga, una zappa, una falce, una scure, un piccone, una sega e mille altri istru-
menti di ferro? Quello che rende miseri molti popoli barbari, appunto il non
aver ferro, n acciaio, n verun utile istrumenlo da far rendere la terra e il
mare e le materie che se ne ricavano. Si maravigliano molti de' nostri, che gli
Americani e alcuni popoli dell'Africa e dell'isole Orientali comprassero a peso
d'oro gli strumenti di ferro e di rame. A me pare che pensassero assai meglio
quelli di noi, avendo l'animo pi all'utile che al brillante. Dov' da considerare,
che i primi abitanti della terra riposero nel numero degli Dei gl'inventori del
ferro e non gi i discopritori dell'oro.
. V. Non vi ha arti dove non vi ha arti fabbrili: e dove queste non sono
ancora giunte alla loro perfezione, il resto delle arti o vi languisce o vi sono
schiave de' forestieri. Di tutti i popoli di Europa gl'Inglesi hanno i meglio fatti e
pi sodi e robusti stromenti, i Francesi i pi fini ; le arti dunque vi possono es
sere perfette. detto che la grand'arte che le pu portare alla loro perfezione
il favore della legge, honos alit artes : ma qaesl'honos abbraccia essenzialmente
i premi. Tutto il morale degli uomini, che non tende al fisico, al lungo andare
diventa quantit negativa. Pietro il Grande stimava pi un gran fabbro che
cento altri artisti o letterali. Gl'invitava, gli accarezzava, li premiava, li faceva
ARTI MIGLIORATRICI. CAP. IX. 57

viver contenti. Questa massima dovrebbe tenersi in tutti gli Stati (1). Ma per
la pi parte, gli uomini stimano pi il brillante che il sodo.
. VI. Se la meccanica e la scienza del moto sono la sorgente di quest'arti,
e la balia per cos dire che le alleva e le rende vigorose, facili, preste, belle, niun
popolo culto potrebbe omettere di onorarle e premiarle senza incamminarsi alla
barbarie. Ma la meccanica e la scienza del moto sono figlie della geometria. Ed
ecco una ragione di stato perch le scienze matematiche si vogliono sopra
tutte le altre accarezzare dal sovrano. In tutte le universit degli studi bisogne
rebbe piantarvi un paio di cattedre di meccanica, e due meno di pedanterie o
d'idee astratte. Ma avrebbero a parlar in lingua del paese e non in una straniera.
Ogni paese , com' spesso detto e si vuol dire aucor pi, ignorante e barbaro
dove le scienze vi parlano una lingua straniera.
. VII. Appresso ai fabbri' metto gli artisti di lana, Alatori, tessitori ecc. Un
cappello, un giustacorpo, un mantello, un paio di calze, una coverta di letto ser
vono alla salute de' produttori de' beni ; danno loro del brio e gli animano, perch
si fatica male senza comodi. Or questo aiuta ad accrescere la fatica e con ci i
prodotti primitivi. Vuoisi dire il medesimo dell'arti impiegate nel lino, canapa,
bambagia; di quelle che conciano e migliorano i cuoi e le pelli. Tutto serve a
dar comodo all'agricoltore, al pastore, al lavoralor de' metalli, al pescatore, al cac
ciatore; e questo comodo moltiplica la fatica e i beni, dond' che aumenta le
prime e vere rendite della nazione e del sovrano.
. Vili. Vi sono certe altre arti, le quali bench non cos necessarie alle pri
mitive, possono nondimeno di molto rilevarle, siccome i falegnami, i muratori ecc.
11 trovar di certi comodi fa che i coltivatori dell'arti primitive ne siano meno
impacciati, e attendano pi lietamente al loro mestiero, e ci diano pi largamente
delle derrate e delle materie. Tutto connesso nel corpo civile, e vi una comu
nicazione di beni tra tutte le arti che ne fa il rigoglio e la robustezza.
. IX. Tutte queste arti poi servono al comodo e alla polizia de' popoli, e pos
sono servire alla rendita generale se si ha commercio (2). Le classi non produt
trici o migliorano le materie apprestate dalle creatrici, o servono al lusso, o reg
gono, istruiscono, difendono o godono de' frutti delle arti. Vogliono dunque non
solo mangiare e bere, ma vestire, abitare ecc. Tutte le dette arti, e molte altre
a queste subalterne servono a questo fine. Rendono la nazione pi agiata e pi
propria, e le danno dello spirito, il che non conferisce poco al buon ordine e alla
forza medesima delle arti primitive.
. X. Ma il fine principale, per cui sono da considerarsi dal politico, quello

(i) Noi siamo ancora assai distanti dall'avere rasoi , coltelli, chiavi , e anche vanghe,
zappe e falei della perfezione degl'Inglesi. Ci mancan tuttavia gli aghi. Gl'istrumenti
chirurgici sono generalmente assai grossolani ecc.
[2J Tutti gli economisti e politici vi diranno, che l'arti secondarie nutriscono molte
famiglie e servono alla popolazione dello Stato. verissimo. Ma pochi vi diranno, in che
modo quest'arti procacciano da vivere. manifesto che il Alatore, il tessitore e ogn'al-
tro artista che non sia de' creatori , mangi , beva, arda ecc. su le spalle dell'agricoltore,
del pastore , del pescatore ecc. Dunque quest'arti non nutriscono di per s la popola
zione, ma per le due ragioni dette. 1. Soccorrendo all'arti primitive, perch producano
pi. 2. Traendo dal commercio da' forestieri quel che pu servire alla vita, e dando in
iscambio le materie migliorate per la quantit di fatica degli artisti. E questa seconda
ragione sempre pi efficace che la prima.
58 GENOVESI.

dell'impiego generale dello Stato. vero che ne' paesi i quali hanno terra e mare
epperci agricoltura, pastorale, pesca, la prima rendita e sorgente di tutte l'altre
sono le dette arti primitive; ed altres vero che tutte le arti secondarie, vivendo
sulle prime, non producono di per s se non un comodo. Pur potrebbero rendere
e accrescere le ricchezze della nazione in due maniere: 1 Facendoci risparmiare
da comprar con le nostre derrate le manifatture de" forestieri, dove il soverchio
delle derrate possa impiegarsi in nutrire un maggior numero di persone; 2 Pro
curandoci con le fatiche, che non trovano luogo tra l'arti primitive, quelle der
rate ohe ci mancano, o metalli o danaro.
. XI. In una nazione polita non si pu fare a meno di vestire con propriet,
di abitare anche con sontuosit, e di avere mille cose che il lusso comincia a ren
dere necessarie. Dove non sono arti che vi danno opera n miniere, converr
oomprarle a forza di derrate e di animali, cio con frutti delle primitive. Il che
essendo un discapito per la popolazione (la quale sempre proporzionata al grado
del vitto), si pu comprendere che quest'arti secondarie siano per questa ragione
di gran rendita. Ma affinch elleno producano tutto questo frutto, si dovrebbe
pensare a portarle a quel grado di perfezione che pareggiassero l'arti delle pi
perite nazioni, affinch non se n'avesse bisogno; e inoltre sarebbe o da proibire
l'ingresso alle manifatture straniere, siccome costumano gl'Inglesi, o di renderlo
difficilissimo, come praticasi in altri paesi savi. Perch, finch le forestiere inon
deranno il paese e vi saranno pi gradite che le paesane, non da sperare di
averne in casa n molte n buone, e la rendila generale della nazione sar sem
pre minore di quel che potrebb'essere. La natura poi siccome non obbliga nessun
popolo a comprare, cos d il diritto ad ogni sovrano, dice il savio Bielfeld, di
proibire l'importazione di quel che pu nuocere allo Stalo suo. Si pu per un di
ritto di reciproco soccorso delle genti essere obbligato a vendere il soverchio, ma
non gi a comprare il non necessario.
. XII. Sembra qui da per s nascere una difficolt; ed , in un paese ove
quest'arti e quelle principalmente che servono al lusso non sono che rozze an
cora, non si potrebbero migliorare senza una certa emulazione epperci senza degli
esemplari stranieri: si priva di questo aiuto e dell'emulazione chi le proibisce.
Rispondo; 1 Che questo non impaccia gl'Inglesi: perch dunque arresterebbe
gli altri popoli ? 2 Possono sempre i sovrani far venir i modelli delle buone ma
nifatture, anche quando loro si vieti l'ingresso pubblico; 3 I forestieri viaggiano
e ne portano da vedersi e da potersi imitare; 4 Finalmente non s'impedir mai
ogni contrabbando. Ma a non proibirle, si possono rendere di difficile accesso
nel qual caso ce n'entrer tanto da non iscoraggiare le interne (1).
. XIII. La scuola miglioratrice di quest'arti il disegno. Dunque una scuola
o pi di disegno dovrebbe mettersi innanzi a tante d'inutili scienze e pedantesca
letteratura. Ma sino a che in un paese le scienze sono un gergo straniero per la
maggior parte del popolo, e che non parlano la lingua della nazione avremo sem
pre molte scuole inutili, mollo tempo perduto, molti cervelli stupidi; e manche
remo delle necessarie, n fia possibile di avere delle buone teste. Alle scuole di
disegno unite quelle di architettura : esse non solo sono utili, ma sono di prima
necessit per un paese culto e vanno a rinforzare l'arti di disegno.
(1) La corte di Portogallo nel nuovo regolamento di finanze di quest'anno 1765 ha
caricalo del 40 per 100 le seterie d'Italia.
ARTI MIGLIORATRICI. CAP. IX. li

. XIV. L'altro frutto grandissimo di quest'arti e ch'entra immediatamente


nella massa della rendita generale, quello che se ne ricava dal commercio
esterno. L'arte della lana, dopo l'agricoltura, quella che pi arricchisce gl'In
glesi (1). Dove allignano delle pecore e vi pu esser dei pascoli, vuol esser la
prima dell'arti secondarie ad esser favorita dal sovrano. La seconda quella delle
tele. Molti popoli di Germania ne fanno il principal capitale. La terza quella
della seta, arte ricchissima per chi pu aver la materia in casa. I Genovesi sus
sistono per quest'arte. L'altre si seguono di mano in mano, secondoch pi o
meno possono rendere. Noi potremo averle tutte e tre grandi e belle e ricche. Ma
non siamo ancora al principio dell'opera; di che sar detto a suo luogo.
. XV. Si disputa, poich in un paese di traffico quest'arti possono rendere
ancora pi che l'agricoltura, se loro convenga dare il primato ne' favori della
legge. La risposta ch'esse vi dovranno servir di agricoltura dove non si ha terra,
o poca e cattiva; e perci vi debbono avere il primo luogo. Ma sarebbe stoltezza
preferirle all'agricoltura, dove questa pu signoreggiare. E la ragione che l'agri
coltura un'arte che sussiste per s e per s alimenta qualunque pi gran popolo;
dove tutte l'altre arti riguardo al fine del commercio hanno una rendita mollo
precaria, dipendendo il loro frutto dal gusto e dall'industria delle altre nazioni (2).
. XVI. In tutte l'arti, cosi primitive come secondarie, la prima massima di
politica vuol essere , com' detto e si vuol ripetere spesso , che il paese dipenda
dai forestieri il meno che sia possibile. Questa la sola massima che pu rile
varlo, se n' capace. Che piglieranno i forestieri da noi (dicono certi vecchi) se
noi non prenderemo da loro? La prima risposta , non prendan nulla, purch
noi non abbiam bisogno di prender da loro. La seconda, chi ha grano, olio,
vino, lana, tela, seta, sempre il primo creditore del genere umano. La terza,
a non dipenderne in cosa d'importanza e di prima e seconda necessit, il lusso
far sempre l'una nazione debitrice dell'altra, per quanto sieno ricche; 1* Per
ch i climi, i siti, le terre saranno cosi eternamente varie come sono sempre state,
e a quel modo varieranno i prodotti ; 2 Perch vi sar sempre infinita differenza
tra i cervelli dei diversi paesi, e quindi tra l'abilit e l'arti; 5 Perch una delle
propriet del lusso di portar gli animi al forestiero anche men buono, purch
ci distingua.

CAPO X.
Delle Arti di lusso.
. I. Io mi sono riserbato a parlare a parte del lusso e dell'arti che il sosten
gono, che quasi tutti i politici e gli economisti presenti mettono tra i pi vigo-
(1) Veggasi la Storia del Commercio della Gran Bretagna di Giovanni Cary.
() Di tre isole, dice Melon, delle quali l'una sia provvista di derrate, l'altra di mani
fatture, la terza di metalli, tutte l'altre cose eguali, quella delle derrate sar la padrona.
Un popolo che non ha che mangiare, sempre schiavo di obi glie lo somministra. La
Sicilia nel pi bel grado di dominare di tutti i paesi d'Italia. Il 1764 non prov la co
mune carestia, e'1 1763 si arricchita pe'suoi prodotti.
60 GENOVESI,

rosi mezzi di accrescere, migliorare e mantenere l'industria e la diligenza dei


popoli, e'l raffinamento dello spirito umano e dell'arti; e ci, perch questo capo
richiede molte e particolari considerazioni.
S. II.Gran materia di contrasti stata ed tuttavia il lusso tra filosofi. Per
ch alcuni facendone l'encomio e ingrandendone i beni che quindi credono deri
varsi nello Stato, pare che abbiano voluto fare altres l'apologia di tutti i vizi,
siccome stato il signor Mandeville inglese, autore del famoso libro intitolato La
favola delle api (1). Altri pel contrario combattendolo, sembra che abbiano
inteso di combattere eziandio la presente politezza e umanit de'popoli europei,
e con essa le arti miglioratrici tutte quante, come se avessero voluto ridurci alla
poltroneria, barbarie e selvatichezza de' pi vecchi tempi;tra i quali si distinto
il signor Rousseau in molte sue opere non ha guari messe alla luce (2).
S. IlI. Io per me non intendo che vi sieno o vi possano esservizi utili alla
societ civile, se non fosse di riverbero per opporsi a'vizi maggiori, anzi tengo
per certo e per massima immutabile che ogni vizio sia dannevole, non solo agli
individui umani ma ai corpi politici eziandio, dond' che non credo poter mai
esser un vizio quel che giova alloStato. E nondimeno parmi di conoscerchiara
mente che vi sia un certo grado di lusso, non solo utile ma necessario alla col
tura, diligenza,politezza e anche virt delle nazioni, ea sostenere certe arti,senza
le quali si o barbari o debitori a'forestieri: donde stimo di poter conchiudere,
che vi possa essere un grado di lusso che non sia da dirsi vizio. Ma procediamo
con ordine e per li suoi principi.
S. IV. L'arti di lusso riguardano a due punti: 1 al distinguerci; 2 a viver
con volutt: de'quali quello sembra figlio d'un istinto naturale che ha ognuno di
farsi riputare pi d'ogni altro, per un tacito giudizio della natura d'esser colui
pi felice ch' pi al di sopra degli altri; e questo deriva da una sensibilit fisica,
il solletico della quale ci par beatitudine. Il primo principio pi forte, perch
ha pi della propriet costitutiva dell'uomo ch' il comparare il diverso: il se
condo, attenendosi pi al corpo e al suo temperamento, men generale. Di qui
, che voi troverete pi avari e sordidi anche in mezzo delle ricchezze, che di
coloro che non amino a distinguersi. In ragion composta di questi due principi
il lusso.
S.V. Si possono considerare l'arti di lusso o in ragione etica o in ragion poli
tica. Gli uomini ne son pi felici? Ecco la prima questione. Lo Stato ne divien
pi grande e ricco? Ecco la seconda. Credo che se si fosse potuto restare den
tro il giro dell'arti primitive e alcune delle miglioratrici, le quali recano veri
comodi e certi innocenti piaceri, saressimo stati pi felici: 1 Si avrebbero gene
ralmente avute meno cure; 2 Si sarebbe stato obbligato a faticar meno; 5 Vi
sarebbero stati meno ceti non faticanti, e i faticanti meno oppressi; 4Si sarebbe
meno indebolita la prima robustezza della natura umana; 5 Vi sarebbero state
meno astuzie nocevoli (5).

(1) Che i vizi privati tornano a ben pubblico. Il titolo della favoletta che ha servito di
testo al suo libro : Il ronzio dell'alveario, o i furbi divenuti onesti.
(2) Le principali delle quali sono: Discourssur cette question, si le rtablissement des
Sciences et des Arts a contribu purer les moeurs. E, Discours sur l'origine et les fonde
mens de l'ingalitparmi les hommes.
(5) Per questo riguardo vi ha nel Discorso di Rousseau sull'origine e i fondamenti
ARTI DI LUSSO. CAP. X. 61

5. VI. Ma era egli possibile di arrestare il genere umano fra i soli termini
dell'arti primitive e di quelle di comodo? Era questo il primo punto dove dove
vano cominciare tutti i discorsi per altro dotti di Rousseau (1). I principii della
politezza de' popoli, l'aver gustate cert'arti piacevoli, l'ingegno curioso e avido
del nuovo, la cupidit del guadagno che si va sviluppando a misura che gli uo
mini si stringono e crescono in numero, l'amor della gloria, l'istinto del distin
guersi sollecitato dal confronto, la necessit di cautelarsi o di difendersi, la prov
videnza del futuro che cresce come la ragione si dilata , lettere , scienze , leggi
scritte, guerra, governo, nuovi morbi delle gran citt ignoti tra le selve, nuovi
vizi e mille altre minori cause, sono certe molle, le quali mosse una volta corrono
con forze acceleratrici, che niun'arte umana, niun potere pu mai arrestare, se
non quello che separando di nuovo gli uomini li riducesse a'boschi e al primitivo
stato di famiglie. inutile dunque il declamare contro quest'arti. Ogni legge che
cozza coli' incominciato corso del genere umano, o non ricevuta, o subito fro
data, o fra non molto antiquata (2).
. VII. Che far dunque un legislatore? La prima legge di politica , che
dove certi o vizi o costumi meno lodevoli non possono sbarbicarsi senza discio
gliere il corpo politico, o farne nascere de' pi pericolosi, si debba tentare di
trarne vantaggio pel pubblico riducendoli ad una certa regola , se non morale
(che non potrebbe de' vizi) almeno economica, per la quale facendo del bene ven
gano a produrre meno di male. Quest' la regola, che han tenuto e tengono i savi
governi per rispetto alla venere libera, al giuoco, allo spirito litigioso e a molti
altri punti. Si vuol pigliar l' uomo com', dove non si pu aver migliore. All'arte
umana non permesso di far nature ma di reggerle.
. Vili. Quanto all' altra questione, credo anch' io che dove il lusso non sia
n straniero n pazzo, ma una sorta di maggior propriet e comodit che non
tra popoli rozzi, regolato da buone leggi o da certi costumi non molto difficili a
mettersi in pratica , possa essere di grandissimo giovamento non solo alla gran
dezza , potenza e ricchezza d' una nazione , ma anche alla sua umanit e virt ,
almeno di quelle che non amano di esser guerriere e conquistatrici , come non
dovrebbe amarlo nessuna che fosse savia ; essendo la guerra e le conquiste piut
tosto un entusiasmo contro i veri interessi di ogni Stato, che un metodo confa
cente alla civile felicit e grandezza de'popoli. La felicit tanto delle persone
quanto de'popoli nasce da tre operazioni: I. dal frenare la non necessaria cupi-

deW ineguaglianza , e nella Basiliade delle cose che meritano tutta la considerazione
de' savii.
() Platone, disegnando i primi stami della sua Repubblita, confessa ingenuamente non
esser possibile, dopo fatti i primi passi alla coltura, di non venir sempr'oltre.
(2) Ci potrebbe servir d'esempio il tabacco in Europa e il cale in Levante. Quello fu
scomunicato in Ispagna, punito di palo in Costantinopoli, di aver le narici trapassate con
una lesina in Inghilterra e in Moscovia. A traverso di tutte le pene divenuto per ogni
paese il pi bel fondo delle finanze di tutte le corti Europee , e una miniera inesausta di
ricchezza per gl'Inglesi. Il caf fu scomunicato nella Mecca e dal muft di Costantino
poli, e con severe pene proscritto dal governo: ma esso ruppe ben presto ogni argine.
Quai puntelli possono arrestare le intere nazioni, se vien loro uc entusiasmo di girare ?
Quei medesimi che tentano di arrestare la ruota , senz' accorgersene girano come gli
altri. Mettete dei gigantoni per arrestare il giro della terra, se ella pur giri e' gireranno
con essa.
G2 GENOVESI.

dita di grandezza di stato, sorgente copiosa di molestie e di dolori; II. dall' ac


crescere la polenza reale rispetto a' bisogni della natura; III. dall' occupar la
gente collo spirito e col corpo in azioni ricreative delle forze dell'uomo. Le guerre
non fanno che aumentare ogni giorno le prime e scemar le seconde.
. IX. Ma perch quest' articolo richiede che si sviluppi meglio la natura del
lusso e le sue maniere e 1 vari suoi gradi, si vuol cominciare da pi alti principia
E primamente non vi presso agli scrittori di queste cose parola niuna n pi
vaga, n pi oscura quanto questa di lusso, ancorch non vi sia stato n poli
tico, n teologo, n filosofo che non si abbia dato ad intendere di averne ben
compresa la natura. Melon nel suo Saggio Politico sul Commercio (1) ardisce
dire, che quella voce si vorrebbe sbarbicare dalle civili societ; come se fosse cos
agevol cosa sbandire i costumi e gl'istinti della natura umana, come cancellare
una voce dai dizionari. Tornando alla definizione del lusso, dico che appena se
ne trova una che regga, bench sieno tante che sarebbe noiosa cosa ridirle tutte
per filo. Imperciocch i teologi da una parte e i politici da un'altra; e di qui i
negozianti, quindi gli uomini seril e ritirati; da una parte i poveri, dall'altra i
ricchi ; di qui i vecchi avari , e di l i lussureggianti giovani : tutti insomma hanno
dato alla parola lusso tante e si diverse nozioni , e risguardatala per tanti e s
diversi aspetti, che e' pare che non se ne possa rinvenire il bandolo. Quel eh'
lusso per alcuni, non per altri; e anzi ci che per alcuni detto lusso, per altri
chiamasi sordidezza.
. X. Alcuni han detto che il lusso sia spendere soverchiamente, cio pi di
quel che basta. E questo pare che nella sua propriet significhi la parola lusso.
Ma questi primieramente confondono la prodigalit, l'intemperanza e la stoltezza
con il lusso (2). Poi non definiscono, n assegnano termine nessuno, n so se
potessero assegnarlo, per cui si possa intendere eh' quel che basta , e dove co
mincia il soverchio (5). Perch se la regola dello spendere quella di cacciar da
noi il dolore e la molestia, chi spende per si fatto motivs ci dir sempre che non
soverchio. Altri dicono che lusso sia spendere pi di quel che basta, e ci pel
solo piacere di vivere. Ma oltrech questa definizione cos difettosa, e per le
medesime ragioni come la prima, pure e' non pare che si possa dir soverchio quel
che si spende per vivere con onesto piacere, perch appunto per questo si affa
ticano quaggi l'arti; e voler privare gli uomini del godere delle loro fatiche,
lor dire non faticate. Allri sostengono che il lusso sia uno studio di vivere con
soverchia morbidezza e delicatezza o raffinamento di piaceri, tanto di corpo quanto
di animo (4). Ma si pu definire ci che sia questa soverchia finezza e delicatez-

(1) Cap. 9.
(2) In questo senso non vi han popoli pi lussureggianti quanto quei che non cono
scono il lusso. 1 Barbari divorano e consumano quant'hanno in un giorno, n pensano
al domani. Vedi de'Caraibi il sig. de la Borde , di quei della Costa d'oro, Bosman; degli
antichi Tedeschi, Tacito de mor. Germ.
(3) Quei ebe mettono la natura per termine dei bisogni, non capiscono che lutto quel
che punge natura. Questa parola adunque cosi dubbia come quella di lusso.
(4) Sembra questa la definizione che ne da David Hume nel suo Discorso sul lusso
nella raccolta del 1758, in--4<>, pag. 157. // lusso, dic'egli , una parola d'un assai
vago e dubbio significato Ma in generale non significa che un gran raffinamento
di ci cke serve di piacere ai sensi. Tal era , verbigrazia , la scuola delle acque nanfe ,
che s graziosamente ci descrive nelle sue Lettere scientifiche il conte Magalotti.
ARTI DI LUSSO. CAP. X. 63
za ? Imperciocch questi termini son sempre relativi. A cagion d' esempio , quel
che finezza di gusto fra i Groelandi, durezza fra gli Svezzesi: e quel ch' de
licatezza per questi, durezza per li Francesi e Italiani: e quella ch' delicatezza
per g' Italiani e Francesi , sembra ruvidezza a' Persiani e Indiani. Quel ch'era
lusso nei tempi semibarbari di Europa, sarebbe oggi stimato salvatichezza. Altri
finalmente stimano che il lusso sia raffinare le mode di vivere al di sopra di quel
che richiede il grado di ciascuno, e questo per distinguerci dai nostri eguali, o per
agguagliarci a coloro ai quali per altro riguardo siamo inferiori. E questo quel
che ne penso anch'io.
%. XI. In somma da tutte le parti si convien nel genere di questa definizione,
cio che il lusso sia spendere in raffinamenti di vivere pi di quel che richiede
lo stalo e grado naturale e civile di chi spende. Ma non si conviene gi in quel
che differenzia il lusso da molte altre spese soverchie anche esse, le quali non son
lusso, n nel punto dove il lusso incomincia ad esser pernicioso. E questo
avviene per due ragioni. I. perch non si esamina il fine dello spendere, che co
stituisce o la crapola o il lusso. II. perch difficilissima cosa il trovare il ter
mine preciso, dove finiscono le spese necessarie e cominciano le soverchie. Im
perciocch, bench si sappia che i beni i quali o ci d la natura o ci procacciamo
per mezzo della fatica, sieno altri necessari , altri comodi e altri dilettevoli sola
mente, con tutto ci non facile lo stabilirne i precisi limiti.
. XII. Si sa in generale che beni necessari sono assai pochi, cio che per
esistere abbiam bisogno di poco; che i comodi sono un poco pi, e infiniti quelli
di puro diletto e capriccio. Ma spesse volte i comodi passano nella classe de'beni
necessari e i dilettevoli in quella de'comodi-, e a questo modo tutto divien natura
e necessario: e questo per una delle tre seguenti ragioni e alcune volte per tutte
e tre insieme, cio o per lungo uso e costumanza, o per una comune opinione
(perch pi l' opinione che signoreggia gli uomini e la natura), o per qualche
forte passione.
^ 3- XIII. Per dimostrar la qual cosa si ponga mente ai seguenti esempi. Si sa
in generale che il mangiare e il bere sono beni necessari, ma non facile definire
quali delle materie che si mangiano e si bevono sieno in particolare necessarie ;
conciossiach alcuni popoli si contentino delle sole erbe e de' semi e delle acque,
come i Baniani dell' Indostan : altri aggiungano del pane e della carne , siccome
'a maggior parte delle nazioni: e vi sar chi ricerchi de'pi bei pani e delle pi.
delicate carni : e taluno medesimamente vi richieder una squisita preparazione,
come cose che si confanno meglio alla sanit e robustezza del corpo (1). A que
sto modo si va all'infinito. Parimenti il vestire e l'abitare diconsi beni [comodi;
e pur nondimeno possono di leggieri passare nella classe de'necessari, siccome
addivenuto in tutta quasi la terra (2). Per la medesima ragione del lungo e con
tinuato uso, il vestire e l'abitare con morbidezza e splendore trapassano nella
classe de' comodi, da parere di non potersene svezzare senza sentirne del male,
come accaduto alle nazioni eulte (3). E cosi a poco a poco le cose le pi strane

fi) Vedi Ippocrate della medicina degli Antichi'.


(2) I selvaggi vanno in gran parte nudi.
(3j S'aggiunga, che il tempo pu d'un genere di lusso fare un sostegno per la nazione.
UN nella Cina volesse abolire l'oso delle vesti di seta, rovinerebbe una parte della na-
64 GENOVESI.

alla natura umana,prima incominciano ad usarsi perun piacer capriccioso, ap


presso vi si avvezza e diventano comodi da non se ne potere divellere facilmente;
essendo difficile, per non dire impossibile, che altri si svezzi di quegli usi e opi
nioni alle quali sar per lungo tempo abituato (1). Vedesi ci chiaramente nel
l'uso del tabacco fra noi e in quel dell'oppio e dell'Arech e Betel in tutto l'Oriente,
e delle pallottole di cristallo e de peli della coda di elefante nel Congo e in Loan
go (2), dove sono cose riputate da tanto, che si stimerebbe non esseruomo senza
averne qualche ornamento.
S. XIV. Mi sembra adunque, che per poter conoscere con chiarezza il so
vERCHIo e perci il lusso, si vogliano considerare, pi accortamente che non si
fin qui fatto, le classi degli uomini le quali formano la civile societ, diverse o
per la variet dei mestieri e delle professioni, o per quella delle ricchezze, o per
nobilt, o per tutte tre insieme; perch il lusso il principio motore di tali classi,
che le aggira siccome nella ruota della fortuna senza posar mai, mandandole or
sopra or sotto. Queste classi sono dove pi, dove meno. Ne'villaggi i contadini e
i pastori formano il pi basso piano; gli artisti e i manifattori il secondo; e al
cuni proprietari che vivono civilmente, un chirurgo, un medico, un notaio, un
prete il terzo. Ma nelle citt ve n'ha dell'altre che non sono nelle campagne. I
domestici, i facchini, i vivandieri, i venditori a minuto delle cose comestibili e
altre di simil fatta, vi compongono la pi bassa classe;gli artisti la seconda, la
quale anch'ella per la diversit dell'arti pi o meno servili si pu dividere in
molte altre; i bottegai di manifatture formano la terza; i mercanti in grosso e
molti nobili viventi del proprio la quarta; i magistrati, il vescovo, il governatore
del luogo la quinta. Maggiore ancora il numero di queste classi nelle capitali,
essendovi molti ordini di nobili e di grandi di corte, e il principe finalmente,
centro di tutta la grandezza della repubblica. -

S. XV. Le persone di queste classi, oltre a quel che necessario per la vita
e sanit, sono avvezzate a certi comodi e piaceri e segni di distinzione e modi di
averli, i quali per lo pi sogliono essere cos diversi come sono diversi i piani in
cui esse vivono. Questo riguarda: I. la qualit del mangiare e bere; II. quella
dell'abitare e del vestire; III. quella del farsi servire; IV. quella del contrar nozze;
V. quella delle pubbliche feste o politiche o religiose; VI. quella dell'unirsi in
conversazione in certi tempi e luoghi.
S. XVI. Il lusso adunque, se si considera attentamente, non altro, siccome
detto, fuorch lo studio e 'l moto di distinguersi nella sua classe con animo di
signoreggiare o di agguagliarsi ad una delle classi superiori, non gi per la quan
tit delle cose ma per la qualit, vale a dire per le raffinate maniere di vivere.
Dov' che si vuol distinguere dalla prodigalit, o sia dallo stolto spendere, dalla
ghiottoneria, dalla mollezza ed effeminatezza della vita. Imperciocch i primi due
vizi consistono pi nella quantit che nella qualit, e sono pi grandi nelle rozze
e barbare nazioni che nelle polite (5); e l'ultimo una certa debolezza di animo
zione. E' sarebbe come svellere fra noi le vigne sotto pretesto che l'uso del vino
un lusso.
(1) Il costume e una radicata opinione pubblica sono una seconda natura: Quam licet
eapellas furca, tamen usque recurrit.
(2) vedi il P. Cavazo, Missione del Congo.
(3) Di che sono argomento quei beoni di Dei ed eroi in Omero, e gli stravizzi di quei
ARTI DI LUSSO. - CAP. X, 65

e di corpo, che voi troverete anche tra certi popoli rozzi de'climi dolci (1). Ma il
lusso una finezza di vivere per ambizione di distinguerci, ed perci passione
di riflessione pi che d'istinto. Il che stando cos siccome chiaro, tre cose vo
glionsi distinguere nel lusso, il principio motore, l'occasione che l'irrita e l'istru
mento per cui si esercita. Il principio motore quella naturale propensione che
in tutti noi di distinguerci gli uni dagli altri. L'occasione che il sollecita l'inegua
lit degli stati e ceti della civile societ. L'istrumento finalmente, almeno principale,
sono le ricchezze di segno o il danaro.
S. XVII. Io ho detto che lo spirito motore del lusso sia il naturale istinto di
distinguerci. Questo istinto fino ne'selvaggi (2). Ma e' non si risveglia mai senza
qualche occasione o naturale o civile. Quando si sveglia per naturali occasioni,
allora noi non ci vogliamo distinguere per le maniere delle azioni ma per le azioni
istesse, o accorte, o prudenti, o di penetrazione d'ingegno, o di qualche illustre
virt, o di alcuna prodigiosa forza. Allora non lusso quel che ci distingue, ma
bens quantit di forza maggiore d'ingegno o di corpo. Ercole si vuol distinguere
per la forza, Archimede per la penetrazione d'ingegno,Scevola per l'intrepidezza,
Lucrezia per la fermezza dell'animo, Aristide per una giustizia esemplare, Ales
sandro per legrandi conquiste, Catone per ostinata caparbiet. E queste son quasi
le sole cose per le quali si distinguono i repubblicani nel tempo di rozzezza, come
quelli che si reputano nel resto eguali, e i popoli barbari tra quali non vi ha di
versit di ceti.
S. XVIII. Ma quando l'occasione del risvegliarsi un tale istinto sono i ceti
diversi de'quali composto il corpo civile, e l'istrumento le ricchezze, non gi
naturali ma di segno, allora le maniere e qualit per cui ci studiamo di distin
guerci sono il vero lusso. E di qu chiaro, che se in una societ di uomini non
vi fosse n variet di classi n ricchezze di segno, non vi sarebbe neppure gran
luogo a volersi distinguere per le maniere e qualit di vivere, ma vi si distingue
rebbero le persone per le azioni medesime. Cos nella repubblica di Sparta e nei

Scotlandi, Gotlandi, Danesi, Sassoni (a cui davasi in generale il nome di Northmen, uo


mini Settentrionali) i quali dal quarto secolo per molti seguenti depredarono l'Europa.
I presenti selvaggi Americani, Africani, Tartari e molti dell'isole Orientali, divorano piut
tosto che mangiano, e il diluviar che fanno incredibile per li popoli culti.
(1) Vedi la Descrizione della Luisiana di Tonti: e la maniera con cui vivono i re e i
grandi dell'isole Moluche, ancorch nudi, ne'Viaggi della Compagnia Olandese.
(2) Vedi Kolbe, Descrizione del Capo di Buona Speranza; il P. Cavazo, Relazione del
Congo; e il carattere degli Anglo-Sassoni maravigliosamente dipinto dal signor David
Hume, Storia d'Inghilterra, vol. I, Appendice I. Ma volendosi tutti naturalmente distin
guere, n potendosi per virt se non da pochi, i pi si vorran distinguere per le cose o
le qualit delle cose. Leggiamo questo pezzo della Storia di Loango, nazione selvaggia
dell'Africa, Storia univers. vol. XVI in-8, pag. 291. I maschi vi sono (dal costume)
obligati a portare delle pelli di gatto selvaggio o domestico. Le pi nobili sono di
martora, d'utria, di civetta (sorta anch'ella di gatto). Alcune chiamate Enkinie sono
maravigliosamente pezzate, ma non se ne stima degno che il solo sovrano, o coloro
a cui il sovrano ne faccia un dono (come del Toson d' oro in Europa). Il re e i
grandi affettan la pompa di portarne cinque o sei sorta insieme, assortite con molta
grazia e distinte con penne di papagalli e d'altri vaghi uccelli di rari e brillanti
colori, le quali dispongonsi in forma di rosa e pendono dinanzi alle parti che di
ciam vergognose. Le loro camicie, anch'esse di fodere, sono orlate di fine stringhe di peli di
elefante, da cue pende un prodigioso numero di campanelli che ad ogni moto e passo
fanno il pi gran tintinnare del mondo. Ecco la vera natura del lusso.
Econom. ToMo III. 5.
66 GKNUVtSJ.

primi tempi della Romana , dove era poca inegualit di ceti e piccole ricchezze ,
mai non fu lusso di sorta alcuna. Per la medesima ragione nelle repubbliche po
polari il lusso assai piccolo, come si pu vedere in quelle di Olauda e degli
Svizzeri. Donde nasce questa conseguenza, che il lusso sia tra le nazioni in ragion
composta della diversit de'ceti, delle ricchezze di segno e della ineguale divisione
di queste ricchezze.
$. XIX. Quelle cagioni che muovono un particolare a volersi distinguere da
un altro della medesima classe, o ad emulare ima superiore, muovono altres Je
classi superiori a trovare sempre nuovi modi da distinguersi dalle interiori e fra
se medesime, li quindi avviene, che dove incomincia a regnare 11 lusso non vi sia
giammai termine nessuno che l'arresti; ma vi si veggono perpetuamente, come
nella ruota della fortuna , le classi intime salire allo stalo di mezzo , ie mezzane
alla cima, quei della cima scendere prima nel mezzo, poi nel piano. Questo giuoco
del lusso, siccome va ad abolire la schiavit, cosi il pi gran sollievo di quella
parte dei genere umano , che patisce per la pressione dell' altra che 1 e di
sopra (1).
jj. XX. Finalmente come vi un lusso di classe a classe nel medesimo popolo,
cosi vi ha un'emulazione di lusso di popolo a popolo, principalmente se essi sieno
Vicini, imperciocch muno che non voglia agguagliarsi all' alno in quelle cose
che son pubbliche, e nelle quali si mette un certo che di signoria, quali sono le
ambascerie, le leste, principalmente le nuziali de'graudi, li giuochi puonlici, i tea
tri, le scuole, le ville di delizie, le grandi strade e altre siUalte.
. XXI. l'oiche dimostralo quel che il lusso, ora da dividersi cos per
rispetto alle cose per le quali si alimenta, come riguardo alla sua intensit ed
sieusioue. Rispetto alle cose che lo alimentano, dividesi in lusso di cose forestiere
e lusso di cose nostre. Quello si alimenta con derrate e manifatture straniere,
questo colie paesane. Riguardo all'intensit, o smoderato ed eccessivo, o mo
desto e regolalo. L eccessivo quello che eccede l' entrale o il guadagno, e si so
stiene col credito; il moderato quando non eccede le rendite, o e loro alquanto
inferiore. Per l' estensione si pu dividere in lusso generale e particolare. Il primo
occupa la maggior parte delle classi del corpo civile, il secondo solo quelle che vi
vono nobilmente e di rendite. Le quali divisioni poste veggiamo ora gli effetti del
lusso, cos rispetto allo stato in generale come riguardo a'parlicolari , e appresso
quali ne sieno le leggi economiche.
XXli. E in prima , il lusso sostenuto per materie esterne, principalmente
se generale, pernicioso ad ogni corpo civile u pu lungo tempo durare, come
quello che consuma se stesso. Le ragioni che dimostrano la prima parte sono ;
1" Perch questo lusso vota di danaro continuamente la nazione. 2U Perche fa
che i prodotti delle proprie terre si avviliscano. o Perch cagione che si anni
chiliscano Je manifatture interne. 4 Perch avvilisce e opprime lo spirilo della
nazione. 5 Perch la rende quasi serva delle forestiere, dalle quali forza che
prenda le materie di lusso. Del non poter durare la cagione , che impoverendo
ciascun anno la nazione, non trover pi che dare per sostenere siffatto lusso (2).
() Tiberio temeva i grandi: egli dunque si aveva da opporre, come fece con molta
destrezza, alle leggi suntuarie, che i vecchi senatori chiedevano. Vedi Tacilo.
(-) Certe materie di lusso esterno hanno uu certo che di comodo, siccome certi drappi
o manifatture migliori che non sono l'interne ; questo pu tentare anche le persone pi
ARTI DI LUSSO, --- CAP. X. 67

Supponiamo, per modo di esempio, che noi di questo regno mettessimo della
grandezza a mangiare le farine inglesi, le paste di Genova, i formaggi d'Olanda,
gli oli greci o francesi, a bere de'vini esteri, a vestire tutti di panni, sete, tele,
forestiere; chi pu dubitare che tutte le nostre arti non fossero fra poco per es
erne appassite? Ma in non molto tempo, non trovando pi che dare per aver
del forestiero, questo lusso avrebbe consumato se stesso, e noi ci troveremmo
tutti ridotti all'arti primitive.Tanto vero che non si pu lungo tempo gabbar
la natural
S. XXIII. Ma se questo lusso di robe forestiere non che di qualche cosa e
di poche classi, n smoderato, anzi di nuocere pu giovare, perch desta lo spirito
di emulazione e ci vi perfeziona l'arti. Le classi inferiori, non potendo far uso
delle derrate e manifatture esterne, s'industrieranno di averne dell'interne cos
buone o anche migliori che non sono le forestiere. In oltre la piccola quantit
delle cose straniere cambiandosi colle proprie, questo commercio d del noto al
l'industria interna. Infatti i nostri antichi ltaliani, i quali prendevano delle stole
di seta dall'Oriente, per l'emulazione si svegliarono e procurarono averne delle
proprie, cosi belle come quelle di Egitto, di Siria e di Persia. I Fiamminghi imi
tarono gl'ltaliani, i Francesi i Fiamminghi, e gl'Inglesi i Francesi. Cosi questo
spirito di emulazione sveglia gl'ingegni e promuove l'arti e la fatica; la quale
occupando utilmente le persone, un'azione ricreativa dell'ingeguo e del corp0,
fa gli uomini pi socievoli cio pi virtuosi, e gli Stati pi ricchi.
XXIV. Ma il lusso di ci che interno (dove non sia pazzo (1), n riesca in
crapule, ghiottonerie, ubbriachezze e stolta lussuria, che non han che far luulla
col lusso propriamente detto), bench a lungo andare possa nuocere ad alcune
famiglie e a certe classi di uomini per la mancanza del giudizio uel Saper spen
dere, nondimeno utilissimo alla nazione in generale; del che eccone le ragioni:
1 Perch accresce il consumo de'nostri prodotti e delle nostre nuanifatture, e
con cio anima la fatica e la diffonde; donde che le classi lavoratrici, base della
repubblica, trovando a faticare, trovano da vivere onestamente e da dilatarsi.
3 Perche diffonde il danaro per tutte le classi delle persone; e di qui avviene
che tutte le classi delle persone abbiano de' mezzi da far valere le terre e l'indu
stria. 5 Perch moltiplica il danaro medesimo; conciossiacosach, spendeuuosi
spesso, giri pi volte in un anno e conseguentemente equivaglia a illolto, siccome
dimostreremo nella seconda parte. 4 Perch sveglia gl'ingegni, rialliua lo spirito
della nazione, fa migliorare l'arti antiche e inventarne delle nuove.
S- XXV. Che se i nostri prodotti e le nostre manifatture servono a mante
nere il lusso delle altre nazioni, siccome si fa ne popoli trafficanti, allora saranno
di pi una gran sorgente di ricchezze, perch oltrech occuperanno i nostri ma
economiche. Altre sono di puro capriccio, e nuociono senza giovare. L'Italia, dice Pli
nio lib, Xll, cap 18, debitrice all'Oriente per odori e aronni un milione di sesterzi
l'anno- Si usano tra noi, dice in un altro luogo, 80 sorta di vini, delle quali trenta sono
esterne all'Italia. Ma non veniva allora in Italia n zucchero, n cacao, n cat, n quella
copia di pepe, di cannella, di muscado che vien oggi: generi tutti di capriccio, che co
nlinciano a passare nella classe dei necessarii.
(1) Tra gli effetti del lusso pazzo quello di ridurre le famiglie a mendicit, e con
e ad indebolire i principi della giustizia; l'altro di metterle in stato di non poter es
sere liberali e umane con gli uomini che meritano del soccorso. Dunque il lusso smode
rato attacca la forza diffusiva del cuore umano e va ad estinguere il fomite della virt.
68 GENOVESI,

mifattori e agricoltori, saranno ancora cagione perch la nazione ricavi dagli altri
popoli quel che le manca, il che vale a dire, faranno che i forestieri ci alimen
tino: grandissimo, anzi unico fine di tutte l'arti di commercio. E questa era una
volta l'abilit de'Fenici, i quali si avevano resi tributari un'infinit di popoli; ed
ora de'Genovesi, Francesi, Olandesi, Inglesi, nazioni arricchite per il lusso di
quegli stranieri, i quali si servono delle loro manifatture o dei prodotti delle loro
terre e colonie.
S. XXVI. A questi effetti d'un lusso moderato, o sia d'una certa propriet di
vivere delle nazioni ingentilite, si vogliono aggiungere i morali. Ilprimo la po
litezza delle maniere, la quale da chi pu essere riputata un male se non da un
selvaggio? Il secondo l'umanit, una pi ampia socialit e 'l conversare da uo
mini, e quello spirito gaio e brillante che non si trova in niuna nazione barbara,
ma sempre congiunto con qualche propriet del vivere (1). Il terzo le scienze
e le bell'arti, le quali, siccome si vede per la storia delle cose umane, vanno di
pari passo coll'umanit e con la propriet della vita (2.
S. XXVII. Ma si oppone in contrario: I. che il lusso indebolisce la natura
umana; II. che guasta i costumi; III. che rende povere le famiglie e perci lo
Stato; IV. che scema la popolazione (5). E infatti, dicono, i popoli selvaggi e
barbari sono pi robusti, pi sani e pi atti a tollerare legran fatiche (4), poich
il lusso non gli ha effeminati, n ammolliti e fattigli amanti dell'ozio, siccome
tra le nazioni lussureggianti (5). Appresso, il lusso moltiplica i bisogni della vita,
nello stesso tempo che ammollisce le fibre del corpo umano e le rende pi pie
ghevoli e sensitive; donde avviene che gli uomini vengono pi agili e scaltri nel
pensare e meno disposti a menar le braccia: e di qui ch'essi sono pi acconci e
destri alle frodi, alle quali i bisogni moltiplicati gli stimolano, che alle fatiche
periodiche e gravi.
(1) Dicono che i popoli barbari son pi lieti, come aventi meno cure. Ma i Groelandi
ridono di rado e singhiozzano spesso, i Tartari sono sempre in timore e infuga, gli Arabi
vaganti sempre colle orecchie tese come lepri. Quella che pare contentezza non che
una puerile stupidit, per cui o non si apprendono i mali o si scordano subito. Vedi le
Lettere di Bosnan su gl'Africani della Costa d'oro. Finalmente tutti gli uomini solitari
sono feroci, crudeli, spietati; perch nella solitudine non trovando luogo la forza diffu
siva del cuore umano, non domina che la sola concentrativa che fa uomini ipocondriaci
e truci.
(2) Platone nel II della Repubblica mette per prima base della sua legislazione la
Musica, per mansuefare l'uomo selvaggio; e intende per musica tutte le belle arti, per
cui si conserva quel grado di lusso che fa le nazioni umane.
(5) Bugia. Tutti i paesi barbari sono spopolati, siccome fu tutta l' Europa nella se
conda barbarie; perch tra barbari l'arti sono tenute a vilipendio, e la sola che piace
il rubare, rapire, devastare, incendiare, ammazzare. Quelli dunque che ragionano a
questo modo non sanno la storia.
(4) Seconda bugia. Tutti i selvagg sono poltroni e intolleranti delle fatiche metodi
che; voi li ammazzerete piuttosto che piegarli all'arti agrarie.
(5)Cesare de bello Gallico, lib. I: Horum omnium fortissimi sunt Belgae;propterea quod
a cultu et humanitate provinciae longissime absunt, minimeque ad eos mercatores sape
commeant, atque ea quae ad effeminandos animos pertinent important. Giudizio nondi
meno non degno di s gran politico, perch erano a dirsi ferocissimi e robustissimi,
non fortissimi; non si potendo la vera fortezza concepire ne' selvaggi e barbari, come
quella ch' virt d'animo considerato e calcolante i pericoli e i mezzi da evitarli, pieno
dell'idea d'onore e dell'amore del ben pubblico, non impeto di natura senza niuna con
siderazione. Vedi Aristotele Ethicorum ad Nicomach., lib. IIl; cap. XI.
ARTI DI LUSSO, - CAP, X. 69

S. XXVIII. Oltre di questo, introducendo, dicon'essi, maggior libert nel


vivere e nel conversare che non convenevole, e una certa indifferenza di costume
per lo spesso cambiare, distrugge la siepe della virt che il pudore e la vere
condia, e indebolisce la buona fede. Finalmente il lusso rende povere le famiglie,
e mette gli uomini nel grado di non potere agevolmente contrarre delle nozze;
donde seguitano due assai cattive conseguenze. La prima, che loStato si riempia
di poveri e manchi di rendite; la seconda che si spopoli. Ed ecco a che si riducono
tutte quasi le ragioni per le quali si suol combattere il lusso, siccome cagione
sterminatrice e della virt e degli uomini.
S. XXIX. Io non vorrei gi disconvenire, che molte di queste cose e altre
ancora peggiori non fosservere, dove il lusso fosse quello che alcuni si danno ad
intendere; o fosse eccessivo, smoderato, pazzo; o non si sostenesse e alimentasse
che di sole materie forestiere. Imperciocch egli fuori di ogni dubbio, che un
lusso smoderato e pazzo suol portar seco prima soverchio amore delle comodit,
quindi una Sibaritica morbidezza che infievolisce gli animi e i corpi umani.
facile ancora che si accompagni coll'intemperanza di vivere e con delle spese vane
e stolte, sorgente di molti mali fisici e politici. Concedo inoltre che il lusso pazzo,
cagionando soverchi bisogni,faccia gli uomini meno benefici, liberali, umani
(togliendo loro l'istrumento da poterlo essere), e pi arditi e furbi, e li solleciti a
ci che non giusto n onesto. Non niego neppure che il lusso delle materie
esterne, quando sia soverchio, non renda vile e povero lo Stato di ricchezze e di
abitanti, snervando l'arti, le quali sono il solo fondamento della libert e delle
ricchezze e della potenza d'una nazione. Finalmente verissimo che la continua
crapula, l'ubbriachezza, la mollezza Sibaritica vengano a snervare il valore e 'l
coraggio d'una nazione.
S. XXX. Ma egli possibile che ci avvenga in nessuna parte del mondo? Il
presente lusso d'Europa (tranne certe poche famiglie pazze, che per non nuo
cono allo Stato) non che gentilezza e politezza di vivere; la quale, ancorch
porti seco qualche male fisico o politico, tuttavolta recando un bene civile senza
nessun paragone maggiore di questi piccoli inconvenienti, non da considerare
che come sorgente di beni (1). N poi da temere, siccome mostrano alcuni di
fare, che ogni lusso, o piuttosto spirito di vane e lussureggianti spese che s'in
troduca in un corpo politico, sia per penetrare fino alle classi delle arti primitive,
e a poco a poco siccome fiamma consumar tutto;perch questo sarebbe da te
mere se la copia del danaro, che l'istrumento del lusso, potesse diventare ec
cessiva in tutte le famiglie dello Stato e mantenervisi costantemente. Ma questo
non avvenuto mai da che il mondo, n vi paura che avvenga. Ben da te

(1) Platone nel III della Repubblica eccettua i custodi, cio i magistrati civili e mili
tari, perch il lussopotrebbe corrompere lozelo della giustizia ne' giudici e la fortezza ne'
militari. Nelle monarchie europee le leggi non vi favoriscono gran fatto il lusso di que
sti due ceti, che nelle nostre Costituzioni diconsi ambedue milites; il che credo anch'io
ben fatto. Io eccettuerei anche le nozze. Il lusso delle doti anderebbe regolato. Perch
vogliam fare de'celibi a forza? Vi un lusso volontario e un necessario. Quel delle
nozze necessario, e divien anche tale quello de'magistrati, degli uffiziali di milizia e
di certi altri che sono in cariche, se non si tien la mano forte ad impedirlo. Quando
volontario, ciascuno faccia i conti con Minerra Capita. Ridurre la nazione rozza, pez
zente, feroce per arrestare ogni raffinamento nell'arte di vivere, contro i principi della
buona politica.
7fl GENOVH8I.

mere Be' ceti bassi pi la povert e la miseria e la sordidezza scoraggiante , che


la soverchia ricchezza. Quanto poi s'appartiene a coloro che hanno del danaro
delle rendite, le ragioni politiche richieggono che si tema pi la loro avarizia eh
il lusso, conciossiach il lusso di questo ceto non attacchi salvoch la declmasesta
0 al pi la decimaquinta parte del popolo, e giovi a mantenere in esercizio e a
dar da vivere a 14 o 15 altre, per il consumo che fa delle derrate e delle mani"
fatture; laddove la durezza della vita li rende feroci e avari e iniqui (1): due gra
vissimi mali politici che devastarono l'Europa ne'secoli precedenti.
. XXXI. Il politico adunque, il quale nel governo d'un popolo dee sempre
mirare al bene universale, non pu riguardare 11 lusso come un male dello Stato
finch si contiene dentro I termini detti; ma piuttosto dee considerarlo come ufi
mezzo da propagare, perfezionare, solleticare le arti, Io spirito e la politezza delift
nazione, e dare da vivere a quelle famiglie che non hanno altro capitale fuorch
la fatica. Che se vede che II lusso devastatore si apprenda anche alle parti plfc
basse, bench non saprei concepire come ci potesse avvenire, consento che aU
lora il riguardi come gravissimo male, e si studii di porgergli freno con qualche
savia legge suntuaria. Ma sul fatto non dee ascoltare I malinconici, n gl'igno
ranti degli affari pubblici e del mondo, ma regolarsi colla ragione del ben pub*
bllco. La ragione poi la pi corta che gli pu dimostrare se il lusso divenuto
vizioso o per eccesso, o per soverchia estensione, o per sostenersi di materie
straniere, quella che nasce dallo stato dell'agricoltura, delle manifatture e della
diffusione del danaro. Imperciocch se l'agricoltura e le manifatture si trovino
essere in buono stato e florido, gli debb'essere manifesto che il lusso non di
quelli che nuocono. Ma se le manifatture e l'agricoltura sono in decadenza, se
la poltroneria grande, e molti gli sciami de' mendichi e poveri, e va tuttavia
crescendo (purch non si sappia provenire da cagioni accidentali e passaggere,
come sarebbe una peste, una guerra, una carestia, un entusiasmo ecc.), si vuol
conchiudere che quel lusso nuoce al pubblico.
. XXXIt. Quindi si pu intendere che le leggi suntuarie, le quali mettono
freno al lusso, allora son da dirsi ragionevoli e utili, quando conferiscono al bene
o di tutta la nazione o della maggior sua parte (2); e per lo Contrario sono ir-

(\) una legge di natura, che niuno deliba delle cose comuni prender lahto che a
lui sfa soverchio, e venga a mannare a molti altri i quali hanno i medesimi dritti pri
mitivi. Ma poich ci avvenuto dappertutto, non vi ha che tre modi da soddisfare alla
legge} o di mettere di nuovo tutta la propriet in comune e poi dividerla in porzioni
eguali, siccome fece Licurgo; o di distribuire II soverchio delle rendile ai poveri, come
comanda la legge cristiana; o di spenderlo in cose poco necessarie, con che si vengano
ad alimentare le famiglie le quali non hanno altro fondo che le braccia, e a far girare i
fondi. La natura sembra raccomandare il primo. L'Evangelio precetta il secondo. Il po
litico non dee ardire che sul terzo metodo. Dunque la grazia conceduta alla citt di Na*
poli da Ferdinando II nel 1495, per cui si proibisce ai rustici di comprar fondi e al ac
cumulano con i Giudei, contro tutta la buona economia degli Stali, n si pu scusare
che per la durezza de' tempi. Vedi Priv. e Cap. di Xap. toni. I, pag 8K. Era pi savit
la gratta (che cos pu chiamarsi) che il proibiva alle manimorte ; perch tutto gire
quando fra le mani vive, ma perdo il moto fra lo manimorte. Dunque voragine
che assorbe senza ridare.
(2) Tal sarebbe nel nostro paese proibirvi le stoffe di seta forestiere, i vini, gii olii eoo.,
generi che nuocono agl'interni e nuocono per puro taprieeio Plinio nel iib. XIII aveva
l'istessa idea dell'incenso. Se ne consum, die' egli, ne' funerali di Poppea pi Che non ni
ARTI DI LUSSO. CAP. X. 71

ragionevoli e nocive, se per giovare a qualche classe particolare nuocono al co


mune, e ci vale a dire, se sono indirette a fare che quelli, che possono spendere,
risparmino il danaro (1); perch di qui avviene che si scemi il consumo delle
derrate e manifatture interne, e da questo, che s'indebolisca l'industria sosteni
trice della base del corpo politico. Per la qual cosa manifesto che tutte le leggi
suntuarie, per essere utili, debbano principalmente mirare a promovere le interne
arti, con reprimere la soverchia vanit che gli uomini hanno generalmente di
distinguersi per lo straniero e raro. Ma se esse attaccano qualunque di esse,
indeboliscono le proprie sorgenti dello Stato (2).
. XXXIII. Or che diremo del guasto costume che dicesi nascere ed essere
alimentato dal lusso, e principalmente nel secolo dove siamo? Confesso che non
so ancora vedere, in che posto precisamente questo mal costume figlio del pre
sente lusso. Il lusso, dice l'autore dello Spirilo delle leggi, polisce le maniere
esterne del vivere, e le ingentilisce, ma guasta i costumi (3): il che un parlare
troppo in generale. Alcuni poi che vengono ai particolari, attribuiscono al lusso
que' vizii che furono sempre nel mondo sebbene sotto altro aspetto, e i quali
non son figli che del naturale impasto della natura umana, o dei quali il lusso
piuttosto effetto che cagione. Il che imbrogliar la materia e ragionare poco
sinceramente. Ma udiamo quel che dicono.
. XXXIV. Primieramente dicesi che il lusso abbia prodotto tra gli uomini
la mala fede, la frode, la finzione, l'inganno, vizii, siccome credono costoro,
ignoti ne' tempi e popoli barbari che chiamano semplici. 2. Che abbia tolto la
modestia e la verecondia alle donne, comunicato soverchiamente i due sessi e
renduto moda la venere illecita. 5. Che abbia generato la crapola e tutti i vizii
della gola e dell'intemperanza. 4. Che abbia moltiplicato i vizii che accompagnano
l'ozio. 5. Che abbia accresciuto i pubblici bisogni, e portato seco l'oppressione
de' popoli. Finalmente che abbia introdotto l'ingiustizia e l'irreligione. Gli autori
che cos parlano, per dimostrare tutti questi effetti del lusso, paragonano i tempi
selvaggi co' nostri, e le selvagge nazioni colle culle, e pretendono di far vedere,
che tutti quanti questi vizii sieno nel nostro secolo e tra Je genti polite, senza

produce l'Arabia In un anno. Gli abitanti dell'isole Orientali, come videro la prima volta
taiili Europei venire affannati da lontanissimi paesi per caricarsi di garofano, nauseato,
pepe, cannella, quasi compassionandoci dicevanei : Chef s sterile dunque il vostro
paese, che non vi avete da mangiare? Viaggi della Conip. Orioni, degli Olandesi.
(i) Come se si proibisse a'nubili e ricchi il fabbricare, il dar tavole, l'alimentar cavalli ,
il vestir con distinzione. L'uso poi dell'oro e delle pietre preziose serve al commercio ge
nerale d'Europa: dunque ciascuna provincia de* badare alla proporzione ohe ha con la
massa generale del commercio. Gli Svizzeri ne hanno poca, noi pi, gl'Inglesi molta. Le
leggi perci del lusso sono : /. Lasciar il corso a quel lusso che alimenta le arti interne.
li. Regolar il lusso esterno sulla proporzione che un popolo ha nel commercio generale.
Se dunque entra pi di quel che conviene, s'accrescano i diritti d'entrala. ///. Moderar
rinterno nelle classi e funzioni, dove pu nuocere all'ordine generale.
() I Koimini potevano aver ragione di proibire il vestir di seta, perciocch era una
manifattura esternai tra noi che abbiamo la materia e l'arte, sarebbe un colpo funesto.
I cinesi, che hanno poca lana e molta seta , usano le vesti di seta imbottite anche nei
pi gran freddi d'inverno, e quest'uso generale vi ba luogo di legge.
(5) Se ci fosse vero, sarebbe da sbarbicare anebe per ragioai politiche; essendo ma
nifesto che non vi possono essere arti, cio fatiche ordinarie e costanti, u industria ve
runa giovevole, dove non costume. Vedi qui appresso.
72 GENOVESI.

che ve ne sia stato pur vestigio ne' secoli barbari e tra le semplici nazioni. I
vecchi e i malinconici volentieri loro acclamano con un dettato non meno an
tico che falso, che il mondo
Tanto peggiora pi quanto pi invetera.
g. XXXV. Quelli che cos ragionano, se il fanno per amor di arrestare, il
pi che essi possono, que' vizii, i quali vi sono slati da che vi ha in terra degli
uomini, son certamente degni di essere lodati da lutti coloro che rispettano il
coslume, e amano la tranquillit della vita umana e il ben della patria. Ma se
il fanno perch si son dati a credere, o che gli uomini sieno stati una volta dopo
Adamo perfettamente virtuosi, o che il possono essere solo che si rimuova ogni
lusso, bisogna stimare che essi non parlino degli uomini del nostro globo; perch
altrimenti si mostrerebbero ignorare non solo tutta la storia e la sacra massima
mente, ma la natura umana, e se medesimi eziandio. In fatti leggendo i libri
sacri, i quali sono i pi antichi monumenti che del nostro genere ci restano, e
oltre di ci, trascorrendo gli antichissimi autori greci e latini e arabi e cinesi,
troviamo tutti questi vizii i quali si attribuiscono al nostro secolo, cos antichi
come il mondo, e ancora peggiori che non sono oggi. N da maravigliarcene,
perch le cagioni, che sono i naturali bisogni e le passioni veementi e trascor
renti pi in l de' bisogni, sono cos antiche quanto gli uomini, essendo con la
nostra natura impastate; e le medesime cagioni producono dappertutto i mede
simi effetti. Per il che segue che il lusso non ha potuto far altro, che o di met
tere al pubblico quel che era nascosto, o vestirlo di nuova foggia, e dargli un'
aria pi gentile.
. XXXVI. Senzach, ne' tempi barbari in Europa, che dagl'ignoranti sono
preferiti ai nostri, non troviamo solamente i suddetli vizii, ma altri ancora peg
giori, cio pi devastatori del genere umano, quali sono l'orgoglio, la ferocia, la
crudelt, il despotismo d'infiniti regoli e baroni, l'odio implacabile delle nazioni,
la vendetta prontissima e atrocissima, l'uso de' veleni universale, una guerra
perpetua non solo di nazione a nazione, ma delle terre della medesima nazione
e delle famiglie della medesima terra, e delle persone della medesima famiglia (1),
e molte altre crudelissime maniere di ammazzamenti. I quali vizii, per cagione
della presente umanit e politezza, non sono in quel grado a lunga pezza, nei
quale furono gi. I poeti han detto bene, che la virt non fu tra noi salvo che re
gnando Saturno, ch'essi chiamano il secolo d'oro (2). Ma questo secolo dovette
essere in terra allora che gli uomini erano di tal tempra, che non sentivano mai

(1) Testimonii in Italia i Guelfi e i Ghibellini , e nel resto di Europa quelle parti che la
laceravano.
(2) Secondo una tradizione di Omero nel XX lMY Iliade, Saturno capo di quei Pelasgi
o Sciti che vennero prima nella Lidia e Frigia, poi in Grecia, ultimamente nell'Etruria,
questo Saturno, dico, voleva essere slato otto generazioni prima della guerra di Troia,
cio intorno a 2S0 anni prima: perch Ettore fu figlio di Priamo e Priamo di Laomedonte,
questi d'Ilo, Ilo di Troe, eTroe di Erittonio; questi di Dardano, Dardano di Giove, il quale
Fu figlio di Saturno. Ma chi potrebbe contare i vizi e le scclleragini che manifestansi da
ambe le parti nella guerra di Troia, e fino alla famiglia degli Dei ? E ci mostra ebe il se
colo di Saturno fu quel ch' di presente il secolo de'Selvaggi d'America e dell'Africa. Il
che si pu per quest'altra considerazione conoscere, che tutte quelle voci che ne' tempi
pi umani della Grecia significavano virt d'animo, nell'Iliade quasi sempre son prese per
robustezza di corpo e per ferocia di natura.
ARTI DI LUSSO. CAP. X. 73

n fame, n sete, n freddo, n caldo, n amore nessuno, n odio, n ira, n


ambizione, n invidia, n gelosia, e insomma niuna di quelle passioni e di quei
bisogni che oggigiorno sentiam tutti quanti.
. XXXVII. Questa risposta potrebbe qui bastare. Ma voglio aggiungere
qualche considerazione pi particolare intorno a ci che dicesi della incontinenza,
gola, irreligione, valore. Se si considera, i primi due di questi vizii si troveranno
piuttosto doversi ascrivere alla brutalit, passione d'istinto, che al lusso ossia
alla vanit che una passione di riflessione; donde seguita, che essi debbano es
sere stati maggiori ne' tempi, ne' quali gli uomini erano pi rozzi (1) e pi bru
tali. Ne' tempi adunque colti possono per avventura aver mutato foggia, ma non
gi acquistato nuova malizia. Anzi essi n'hanno deposta una parte. Impercioc
ch le donne, le quali oggi si conquistano col danaro e con delle galanterie, ne'
tempi rozzi si rapivano per forza, del che vi sono grandi e molti esempii nella
sacra e profana storia (2). La differenza poi della presente gola dall'antica non
consiste che nelle maniere. Ne' tempi barbari si divorava a guisa di animali
carnivori, oggi si mangia con delicatezza: si mangia meglio, ma si mangia meno,
e beesi meno ancora, dice accortamente il signor Melon; niente essendo tanto
contrario alla ghiottoneria, quanto la coltura e gentilezza delle maniere (5) che si
chiama lusso.
. XXXVIII. Non sapremmo poi comprendere, come si possa dire, che il
lusso abbia prodotto l'irreligione; perciocch questo vizio nasce dall'orgoglio, e
non gi dalla vanit della quale il lusso figlio. In effetto vi ha due specie d'ir
religione, pratica e teorica. Come non stato il lusso che ha introdotto tra gli
uomini* i vizii, bench abbia fatto loro cambiar faccia, e questi son quelli che
debbono propriamente chiamarsi irreligione pratica, seguita che questa irreligione
non nasce dal lusso. E invero ella stata ed tuttavia maggiore fra le nazioni
selvagge, la cui o ignoranza e negligenza delle cose divine, o barbara e crudele
superstizione pi da dirsi empiet che culto religioso. Per quello poi che si
appartiene alla teorica, ella non stata giammai e non che di coloro i quali si
credono gran pensanti, e troppo si presumono delle forze del loro ingegno. Ora
questi, se pure ve ne ha de' veri e persuasi che parmi assai difficile, non sono

(\) Vedi Anecdotes Russes: Londra 1764, lett. XIII. incredibile a quale sfacciataggine
arrivi la venere bestiale de' barbari Moscoviti. Tra' selvaggi quasi ignorata la verecon
dia delle donne, n se ne fa altro conto che di bestie. Licurgo medesimo nelle sue leggi ,
ch'avevano molto dell'et barbara, non le considera che per la sola parte animale. Vedi
Plutarco in Licurgo.
(2) Nel nono, decimo, undecimo, dodicesimo secolo cristiano le donne non trovavano
altro scampo dall'incontinenza e violenza degli uomini, che quello di ritirarsi in un chio
stro e velarsi. Vedi Hume, St. d'Ingh. voi. I in Enrico I, e Muratori nelle Diss. Medii
cbv. I nostri maggiori, dice l'Incas Carcilasso incominciando la Storia del Per, non ave
vano altre donne che le prime ch'essi incontravano. Si fatto un mistero del ratto delle
Sabine per ignoranza delle prime origini delle nazioni : i Romani , selvaggi ancora , non
fecero che quel che facevano tutti gli altri popoli a loro simili. Quest'avere gli antichi
Greci chiamato la moglie legittima ottenuta per patti, senza rapimento, mostra che nei
tempi pi rozzi si rapivano.
(3) Tutti gli Dei d'Omero sono i pi scostumati, ghiotti, beoni, femminieri, pederasti
che si possa immaginare ; perch sono i caratteri de'capi delle trib erranti de' tempi
barbari.
74 GEITOVfeSI.
che una plcciollssima parte degli uomini, e per ordinario di coloro che non pos
sono essere corrotti dal lusso per mancanza d'istrumento.
$. XXXIX. Finalmente egli verissimo che il lusso ha moltiplicato i bisogni
cosi dei popoli come dei sovrani; ma altres vero che ha aumentato le sorgenti
delle rendite pubbliche e private, cio l'agricoltura, le manifatture, la pesca, la
metallurgica, il commercio, la navigazione e ogni maniera d'industria e d'artet
egli ha messo a valore infinite cose che ne avevano nessuno (). Si dice che quasi
in tutta Europa non vi ora pi paragone tra i pesi che oggi portano 1 popoli
colli, e quelli che si portavano n-' secoli rozzi. Dico apertamente che falso.
I. Perch fuori di ogni dubbio che a quella medesima proporzione che sono
cresciuti i pesi, sieno cresciute eziandio le rendite e i valori di tutti i mestieri.
II. Perch sbassato di predo il danaro. Tre secoli addietro, cio verso la met
del xv secolo, il peso fiscale d'una famiglia del nostro regno era di dieci carlini
a fuoco, vale a dire molto pi che non oggi, ancorch ne paghino intorno
a 60. Primamente, perch quel dieci carlini nel peso di argento agguagliavano
quasi venti de' nostri; e appresso, perch il carlino almeno valeva sei volte pi,
alendo i generi sei volte meno. Dunque dieci carlini di quei tempi potrebbero
ragguagliarsi a dodici ducati de' nostri. Ma di ci sar ampiamente detto nella
seconda parte.
. XL. Finalmente, io non so chi possa dire che il lusso ha spento il valor
militare, se non fosse per avventura un ignorante di tutta la storia del mondo, 8
delle cagioni donde quel valore nasce. Vorrei prima che non si confondesse il
Valore colla forza brutale, essendo il valore piuttosto forza di cuore che di corpo.
Ma quando si voglia conceder molto, da dirsi che il valore sia in ragion com
posta delle virt dell'animo e della forza e destrezza del corpo. La forza del
corpo si ha col l'esercizio e colla continua disciplina militare; la virt dell'animo
Dsco: 1 Dall'idea di patria. 2 Dall'onore. Si possono esercitare cos i corpi
nudi come vestili; la propriet dunque o il lusso moderato non pu nuocere al
l'esercizio. Ma se Unisce l'idea di patria, se 6 scema l'onore, spenta la virt
militare. Non vero che Roma cadde pel lusso, n che in Italia la virt militare
sia illanguidita per lavila molle. Di dodici milioni di persone italiane, quante
son quelle a cui nolo pure il nome di lusso? L'uno e l'altro avvenuto dopo
che fu avvilita l'idea di patria e manc l'esercizio militare.
. XLI. Riduciamo questa materia a pochi aforismi. Dico adunque:
I. Che il lusso generale e pazzo nuoce ad ogni slato: ma non per possibile.
L'stesso a dirsi delle arti di lusso se vengano soverchiamente a crescere, per
ch fanno scapitare le necessarie (2).
II. Che il lusso nou generale, ma alimentato di sole materie esterne, certa
rovina di ogni corpo politico, n dura molto.

(I) Ne' secoli della seconda barbarie di Europa quel che aveva minor prezzo era la
terra. Crcdevasi ed era occupazione di schiavi l'agricoltura.
(9) Neppure questo pu mai avvenire. Perch queste arti sono alimentate dal danaro
delle famiglie lussureggianti, e questo viene dall'urli primitive. Crescendo strabocche
volmente l'arti di lusso, vengono a decadere le primitive, manca il danaro, e quelle arti
Ai lusto tornano al loro livello. Due secoli e mezzo addietro la pittura e la scultura co-
minciarno in Italia ad aver gran moto, principalmente per lo spendere di molti tempii.
Quest'arti turi cadute, poich si linile di spendere.
ARTI DI LUSSO. - Gir. X. 78

III. Che il lusso esterno moderatissimo giova a risvegliare gl'ingegni e l'em*


lattone de' popoli nelle arti e nel commercio.
IV. Che senza niun lusso una nazione feroce e selvaggia, Benna costume
e senza un principio motore delle arti primitive e di comodo (1).
V. Che questo lusso moderato si debba chiamare piuttosto propriet e gen
tilezza d'un popolo culto, che lusso.
V. Finalmente se le arti di lusso servono per somministrar materia al com
mercio esterno, sono gran sorgente di ricchezze. Prima, perciocch sono sostenute
da' forestieri; e appresso, perch sostengono molle arti interne, da cui prendono
0 la materia o gli stromenti.
VII. Donde seguita, che sarebbe pensar male il pretendere di sbarbicare o
avvilire tutte le arti di lusso.
Vili. Del resto non si vuole nel favor della legge dar loro la preferenza su
le arti primitive.

CAPO XI.

Delle classi dtgll uomini non esercitanti arti neeemtehe.

. I. A proporzione che i corpi civili sono andati a stringersi, a crescere e


polirli, cos vi sono introdotti certi altri mestieri da vivere, e altri capi d'in
dustria che non furono da prima, i quali bench non siano gi produttori di ren
dita alcuna immediata, e vivano, siccome ogni altro ceto di persone, anch'essi
su le arti primitive, nondimeno, secondoch fatta la natura nostra, e richieg
gono i costumi de' popoli politi, sono necessarissimi o a difendere quei che lavo
rano, o a governarli, o ad istruirli, o a sollevarli: dond' che essi, purch
facciano il loro dovere, giovano ad aumentare le rendite della nazione. Niun
popolo culto potrebbe farne di meno senza gran mali, perch non si pu in niuna
parte della coltura decadere verso la barbarie senza gran rovina. Or di questi
capi di vivere ragioneremo nel presente capitolo.
. II. Il primo di questi mestieri, che si vuol qui considerare, la guerra,
fiata prima da bisogni o da passioni, e poi aumentata per li visii, come a dira
per la ferocia, per la soverchia cupidit di avere, per l'ambizione del signoreg
giare, per la vendetta (2). E perch queste passioni e questi vizii sono stati sem
pre, cosi ella stata sempre altres) ma giammai non stata un'arte, se non ne'
tempi culti e luminosi delle nazioni. Gli antichi popoli ancora barbari ti arma-
t* - " ' -- - - - - - - -- -- ....-*.
(1) L'arti di lusso son si strettamente congiunte con le miglioratrici necessarie,
ch'ogni colpo su le prime ferisce di necessit le seconde ; la medesima ragione viene
a ricadere su le primitive.
(2) L'uomo, dice Platone, nasce guerreggiante : li Sua natura guerreggia seco: le per
sone guerreggiano colle persone : le famiglie colle famiglie : i popoli con i popoli. La
legge civile per impedir le guerre di forca, ne ba formalo guerre di giudizi. K dure
uso sfogo alla natura. Arrigo IV di Francia voleva erigere un tribunale di Europa.;
era un buon progetto.
76 GENOVESI.

vano ne' bisogni, terminavano in poco tempo le loro guerre, e quelle finite cia
scuno tornava al suo mestiere. Di qui che la guerra non gli alienava dell'intutto
dalle arti produttrici o miglioratrici delle cose bisognevoli alla vita umana. Non
era dunque un'arte, ma un bisogno. Ma a' d nostri tutti i sovrani delle culte
nazioni sono armati e mantengono truppe regolate, ciascuno a proporzione delle
sue forze, de'suoi timori o delle sue cupidit. Cos vedesi introdotto e dilatato
molto questo nuovo capo d'industria, alla quale occupata, dove pi, dove meno,
una centesima parte degli uomini, e per avventura la meglio fatta e pi robusta.
Questa classe di persone si pu chiamare quella de'difensori dello Stato (1).
chiaro che il sostegno di questa gente non nasca altronde, se non dalle classi
lavoratrici e dalle produttrici principalmente, delle quali detto negli antecedenti
capitoli.
S. III. La legge generale cos di questa, come di ogni altra classe di uomini
che immediatamente non renda, debb'esser quella del MINIMo PossIBILE; vale a
dire, che ella non debb'esser maggiore de' bisogni regolati dalle forze dello Stato.
Perch, se eccede, debilita le rendite, togliendo la gente ai mestieri che pro
ducono, e aumentando la spesa inutilmente. Ma neppure vuol essertroppo pic
cola, perch mancherebbe la necessaria difesa al corpo politico, e con ci alle
sorgenti delle rendite. Voi toglierete lo spazio di terra che pu rendere, se ad
una vigna mettiate intorno dieci dense siepi; e la lascierete senza difesa, se le
spianterete tutte, o non gliene pianterete che una assai sottile e debole.
S. IV. A questa legge se ne pu aggiungere una seconda, ed quella di
vedere se ne possiate cavare qualche immediata utilit. I Romani facevano la
vorare le loro truppe a lastricare le strade, e fabbricare fortezze, a cavare o net
tar porti, ed altre tali pubbliche opere. Gengiskan e Timur-Bek, che noi diciamo
Tamerlano, bench principi tartari, facevano nondimeno il medesimo. Donde
cavavano due grandissime utilit: una delle opere pubbliche, l'altra del conser
vare la robustezza e disciplina militare. Ancora, si licenziavano i soldati vecchi,
o quelli i quali avevano servito il convenuto tempo, esi soleva loro dar delle terre.
Provvidenza saggia, perch cos vivevano a spese loro, e non divenivano assassini
di strada (2).
S. V. Una seconda classe d'uomini, non produttrice immediatamente e so
stenuta dalle arti come ogni altra, quella che abbraccia i magistrati,gli avvocati,
i procuratori, i sollecitatori, gli scrivani, i notai e moltissimi altri inferiori uffici,
depositari e ministri delle leggi e della fede pubblica. Questa classe di uomini
si pu chiamare quella de' custodi de' nostri diritti e de'sacerdoti della santa
Temi. Come gli uomini, sia per bisogni, sia per passioni, son pronti ad offendersi
e a defraudarsi de' loro diritti, cos erano necessarie delle leggi civili che ridu
cessero la guerra a discettazioni giudiziali, e con ci de'depositari e degli ese
cutori di queste leggi. Ma cos la cupidit degli uomini, come certi loro vizi
sono cresciuti a proporzione che son cresciuti e diventati pi politi i corpi civili.

(1) Da Platone detta de'custodi, lib. II della Repubblica. Merita che si considerino le
condizioni ch'egli richiede in s fatta gente.
(2) Nel nostro regno vi sono tuttavia delle terre inculte per mancanza di braccia;
delle strade impraticabili, de'porti che richieggono rifazione ecc. Si dice che un agri
coltore ecc. non potrebb'essere gran soldato: Varrone dice che i migliori soldati romani
erano gli agricoltori.
CLASSI NON ESERCITANTI ARTI MECCANICHE. CAP. XI. 77

Son cresciute le arti e il commercio, e perci le sorti diverse di contrattare,


ond' la parte massima delle liti. Son nati nuovi caratteri di persone, nuovi
ordini, diverse nature di beni, sorgente grandissima di contese civili. Di qui la
necessit di un maggior numero di leggi; e quindi quella de' magistrati, de' giu
reconsulti e di tutti gli altri che detto. N ad aumentare questo numero hanno
contribuito poco le forme de' governi dolci e umane, l'immensa quantit de'feudi
e de' fedecommessi, e crederei ancora la moltitudine medesima delle leggi tal
volta non troppo necessarie (1). Leggendo i migliori codici di leggi che sono
state e son oggi in vigore in Europa, troverete la maggior parte essere occupati
intorno agli atti ordinatorii, e formalit delle cause; questo ha dovuto aumentar
le liti a proporzione delle leggi.
. VI. Non si pu dunque dubitare, che questa classe di persone non sia
necessaria ai corpi politici i quali non sieno n selvaggi n barbari. Impercioc
ch questi corpi non si possono conservare senz'amministrazione di giustizia, n
questa senza leggi e tribunali (2); n molte leggi senza molti ministri. oltre
di ci chiaro, ch'ella se non rende direttamente, dove per faccia 11 suo dovere
conservando la fede pubblica, rende obliquamente; non essendoci niuna pi bella
agricoltura per ogni paese, quanto la pronta ed esatta giustizia, perch assicura
la tranquillit e i diritti di coloro che lavorano. Donde nascono due utilit; la
prima che la fatica non venga impedita n turbata, la seconda che non venga
disanimata. Del resto non necessario, n utile che ella cresca sproporzionata
mente, cio pi in l dei pubblici bisogni. Perch crescendo oltre ogni misura,
non solo toglie gli uomini alle arti, ma spesso cagione per cui si aumentino le
liti e pubblici disordini. Crederei ancora che fosse difficile che la giustizia non
venisse assediata, dove ella, questa turba di forensi, cresca fuor del bisogno (3).
. VII. La terza classe di persone esercitanti un'industria; la quale non pro
duce niuna rendita immediatamente, ma pure molto utile a mantenere e au
mentare la somma delle fatiche, quella de' medici, de' chirurgi, de' botanici,
chimici, farmaceuli, e di tutte le altre arti le quali sono a queste subordinate.
Questa classe nelle nazioni barbare assai piccola e talora niuna, sia per cagione
dell'ignoranza, sia per genere di vita libera e faticosa, e perci meno soggetta
a morbi. Ma nelle polite e eulte si andata moltiplicando di mano in mano a
misura che son cresciute le arti sedentanee, il lusso, la oziosit, e la debolezza e
i molti morbi che quindi provengono. Narra Erodoto nel II libro della sua storia,
che in Egitto erano tante le classi de' medici e dei chirurgi, quante le diverse
specie de' morbi; perch il costume richiedea che ogni morbo avesse il suo me
dico a parte. Mi par gran questione, se si potesse vivere sani fra tanti medici.
Jj. Vili. Quest'ordine di uomini si pu dividere in quello de' chirurgi e quello
(1) Il numero de' forensi cresce sempre in ragione delle liti, e le liti in ragion del nu
mero de' forensi. Sicch son fra loro cagioni reciproche.
(2) I sovrani , sostenitori delle leggi contro i rei , non potrebbero giudicar di per
s senz'esser parti e giudici: e facendolo, rientrano nello stato di repubblica dichia
randosene magistrati.
(3) Con tutto che i tribunali de'magistrati in tutti i paesi culti sieno moltissimi, ve ne
manca uno dappertutto, il pi necessario, ed un tribunale che vegli su l'agricoltura e
l'arti. Ancora, un Magistrato di pacifici , come fu quello di Bologna ed ora di Forl ,
potrebbe essere assai bella ed utile cosa. Veggasi l'opera, Ordini , Leggi , Concessioni e
Privilegi del Magistrato de' novanta Pacifici della citt di Forl. Cesena 1719.
78 (jEWOVESl.

dei medici farmaceutici. E fuori di ogni contrasto che i primi sono pi necessari
de' secondi: ognuno potrebbe esser medico di una febbre, ma non ognuno sa
prebbe ben curare una ferita, o rimettere un osso slogalo, raccomodare un franto
ecc. Di qui e che i medici, di cui parla Omero, non erano che chirurgi. A elle
nazioni bellicose e truflicauli, come sono i Francesi, gli Olandesi, gl'Inglesi, i primi
sono pi stimati e prezzali eoe non sono i secondi; ed , perche dappertutto
l'interesse regola la stima. Questa classe servendo a conservare la salute umana,
serve eziandio indirettamente ad accrescere la somma delle fatiche. Dunque non
vuol esser meno de' bisogui, ma neppure vuol essere maggiore di troppo. J un
detto di talune, che nou si pu viver sani con molti medici, n quieti con molli
causidici (1).
Jj. l\. La quarta quella de' religiosi e de'ministri ecclesiastici. 11 ministero
ecclesiastico e ira noi Uivmameule fondalo; ma il numero ne e stalo lasciato alla
prudenza umana, I primi discepoli di Ges Cristo furono dodici, poi crescendo
i credenti, se ne trascesero sellantadue altri, Si dilat il Crisuauesimo: creb
bero i bisogni di avere pi ministri della parola divina e de' sacrauieuti. Vi
dunque una regola cella per il loro numero, e questa U bisogno de' popoli.
i\9U possono essere ne molto meno, ne molto pi, smza male e disordine. Se
sono meno, restano ignoranti gli uomini di quel che loro importa di sapere u
pi. Se eccedono di mollo, oitrecche restano oziosi e gravano mutamente lo
Slato, non pu essere clie 1 ambizione e la cupidigia non li solletichi, e in cambio
di fare n loro dovere nou riescano di scandalo, e destino delle guerre.
Jji X. Si potrebbe prendere una regola dalla repubblica giudaica, cio dalle
leggi di Dio medesime. Muse di dodici trib una sola ne destino al mmisieno.
Supponiamola eguale alle altre in numero, e avremo per ora la dodicesima parte
delio Stalo impiegala all'altare. Ma poich le donne n'erano escluse, le quali
sono dappertutto la mela di quelli che nascono, seguila die la meta di una do
dicesima parte, cio la ventesima quarta parte del lutto tu consecraut ai bisogni
spirituali. Ma pei mimsteiio spirituale si richiedeva una daia eia, e perci nisogua
escludere i ragazzi, sia questa la sesta parte. Dunque appena la trentesima palle
delio alato era impiegata al sacerdozio. Ora questo non era ebe de' soli primo
geniti, vale a dire la quinta parte della famiglia. Moltiplicando dunque te dodici
trib per 6 abbiamo il prodotto di 60. Dunque la sessantesima parie di questo
Stalo era impiegata al ministerio dell'altare. In un paese che facesse 5,500,000
anime , secondo la legge mosaica i consecrati all' altare sarebbero poco pi di
60,000; e nondimeno io credo che con 30,000 persone si potrebbe pi che co
modamente educare nei doveri di religione 4,000,000 d'anime, dove si sapessero
scegliere, e si facesse lor fare il dovere.
S- XI. La quinta classe di persone non produttrici di rendite, ma intanto
necessarie ne' gran corpi, quella di coloro i quali servono immedia amente ai
nostri comodi, o aiutano lo scolo delle cose prodotte dalle arti. Tali sono, per
esempio, tutti i negozianti, bottegai e vetturini, la gente di servizio e tanti infe
riori ministri de' nostri piaceri, i quali sono smoderatamente aumentati nelle
culle nazioni, e senza de' quali non si potrebbe mantenere il lusso delle gran citt.

(1) Aggiungerei, n costumatamente dove tutti son teologi. Vedi S, Girolamo Ep. a
Paolino.
CLASSI \Ui> ESERCITAMI ARTI MECCANICHE. CAP. XI- 7D

A questi si vuole aggiungere uua immensa quantit di persone che esercitano arti
unicamente iudirelte a divertire la gente oziosa, delle quali nelle gran citt vi
ba sempre gran dovizia, e vanno crescendo a proporzione che si aumenta l'ozio
e la vita molle, siccome sono i musici, i commedianti, i cerretani, i secrclisti e
un'inuuita d'impostori, ecc. Questa classe di persone vive anch'ella a spesa delle
arlii dunque non pu crescere di molto senza che sia euglene che scemi la somma
delle fatiche: 1" per se ; 2" perche distrae i faticanti. Ha dunque anche ni essa
luogo la legge del minimo possibile.
v,. Ali. Uesla hualmenle a parlare della classe de' proprietarii, o di coloro
quali vivono di rendite, sieno perpetue o vitalizie. Questa classe Ui uomini, clic
si chiamano benestanti, vive aneli essa a spesa delle aiti e di culmo che lavorano.
In tutte le nazioni polite da certi secoli hi qua, dove pi, dove meno, lumi di
ogni misura cresciuta per una inegualissima distrihuzione di terre. Questa ine
gualit e nata, e si aumenta per molle e diverse cagioni. 1. Per le guerre e per
le occupazioni heiliche. f. Per la ineguale fatica e diligenza degli uomini. 5. Per
il lusso cue mette in uua gran circolazione i beni. 4" l-'iualmeuie per tulle quelle
cause che tanno che altri accumuli pi, altri meno, lo non sono, u posso essere
del liero umore del sig. Rousseau; u credo che le leggi della repubblica pluto
nica, le quali vietavano lo aumento della propriet, potessero aver luogo u ve-
ruua parte del mondo, neppure tra selvaggi. Con lutto ci manifesto, die
vivendo questa classe a spesa delle arti , non pu crescere sproporzionata
mente senza che quelle s'indeboliscano. Ma questo punto non credo dovere
imbarazzare il politico, non essendo possibile che ci avvenga: perch la legge
dell'equilibrio, elle ha luogo cos nelle cose politiche come nelle meccaniche,
tosto ebe questa classe cresce di soverchio, da se stessa va a decadere in
quelle delle arti, assai esempii vedendosene in lutti i paesi. Egli vero al
tres che prima che vi ricada, l'orza che desti certi ondeggiamenti , che
non sempre cagionano del bene.

CAPO XII.
In che modo la legge del minimo possibile nelle classi non producenti
possa mettersi in pratica.

. I. Il principio generale e fondamentale onde seguitano tutte le regole


particolari, che appartengono all' economia , , come detto , che la classe
degli uomini produttori di rendite sia la pi numerosa che possibile, e che
pu soll'rire l'estensione e bont del terreno imprimo l'ondo d'ogni corpo poli
tico), la comodit del mare, il traffico e altre simili circostanze; e pel con
trario, quelle classi che non rendono immediatamente, sieno il meno possibile.
La ragione di tal principio di per s chiara; imperciocch manifesto che
le ricchezze di una nazione sieno sempre in ragione della somma delle fa
tiche. Di qui segue che quanto e minore il numero degli uomini che non
rendono, tanto essendo maggiore quello di coloro che rendono, maggiore an
80 GENOVESI.

cora debb'essere la somma delle fatiche e conseguentemente maggiori le ren


dite della nazione. E per contrario, quanto maggiore il numero di quei
che non rendono, tanto minore la somma delle fatiche, e perci delle
rendite cos private come pubbliche (1).
. II. Per meglio intendere questo principio e ben applicarlo, supponiamo in
una famiglia essere dieci uomini in tutto e vivere di sola fatica. Supponiamo inoltre
che tutti i suoi bisogni sieno eguali a 400 ducati. Se tutti costoro, fuorch due che
la governano, fatichino quanto pi possono per modo che ciascuno guadagni 50
ducati l'anno, chiaro che la famiglia vive agiatamente, e senza stento n op
pressione di parte alcuna ; imperciocch niun bisogno resta che non possa esser
compitamente soddisfatto, e la fatica con molta egualit distribuita. Ma se non
ne lavorino che sei solamente, o la famiglia nel bisogno di 100 ducati l'anno,
vi devono essere delle persone sopracaricale e oppresse; e di pi, se ne fatichino
meno. Di qui seguita che i comodi, le ricchezze, la felicit di questa famiglia di
pendano dall'industria e fatica di tutti; e la povert, calamit, miseria dalla pol
troneria e scioperataggine di molti.
. HI. Ogni corpo una gran famiglia, la quale non si sostiene che per la
fatica. Applichisi adunque al corpo civile quel ch' detto di questa famiglia, ma
con qualche considerazione per rispetto al clima e alla costituzione di ciascun
popolo; poich vi sono certi corpi politici, che possono altronde trarre quel che
manca alle interne fatiche. Alcuni possono ricavarlo dalle miniere, come la Spa
gna e il Portogallo: altri dalle colonie che stentino per la metropoli, come la Spa
gna medesima, il Portogallo, l'Olanda, l'Inghilterra e la Francia: altri dal com
mercio di economia, come i Genovesi e i Veneziani in Italia: altri da'tributi dei
soggiogati popoli, come un tempo i Romani e oggi i Turchi. Ma vi ha di quelli,
cui mancando le miniere, le colonie, il commercio di economia e i tributi, forza
che vivano de'prodolti delle loro terre e del convicino mare, e del commercio
delle loro robe. E di questo genere siamo noi.
. IV. Per far meglio capire quest'applicazione, poniamo che gli abitanti del
nostro regno montino a quattro milioni. Daremo a ciascuno 25 ducati l'anno per
tutti i loro bisogni (2). A voler dunque che la nazione viva giustamente, fa me
stieri che noi abbiamo pressoch 100,000,000 di ducati di annue entrate o ren
dite. Secondo questa ipotesi, di sotto a 100,000,000 saremo poveri, e a propor
zione di quel che manca; di sopra saremo agiati e ricchi a proporzione di quel
che manca; di sopra saremo agiati e ricchi a proporzione di quel che avanza.
. V. Dividiamo ora questi quattro milioni di abitanti in 40 parti eguali,
cio in 40 centinaia di migliaia. Egli chiaro che se tutte queste parti lavoras
sero egualmente, la fatica, come i comodi, sarebbero egualmente distribuiti, n
mancherebbe nulla a nessuno e sarebbe meglio osservata la ragione dei dritti
della legge di natura. Ma se nella medesima ipotesi di lavorar tutti, il guadagno

(1) La citt di Napoli 300 anni addietro, cio il 1466, chiedendo a Ferdinando I, che
gli officii e benefica de questo suo Regno li voglia concedere a' suoi Regnicoli et vaxalli ,
tocca una ragione capitale in economia , attento che quando li vaxalli de sua Maest
sono ricehi, tutto reverte in utile e fama de sua Maest perpetuo. Ma non erano tempi
da vedere tutta l'estensione di questa massima.
(2) Gli economisti francesi ne danno 30: g' Inglesi 56. Il nostro clima richiede meno
nel vestire e nell'ardere.
LEGGE DEL MIMMO POSSIBILE. l'.AP. XII. 81

di ciascuno non fosse che di 20 ducati l'anno, noi saremmo ogni anno nel bisogno
di 20,000,000 e questa sarebbe gran cagione di povert e di spopolazione. Pel
contrario se ciascuno guadagnasse 30 ducati per anno, noi avremmo 20,000,000
di rendite soverchie, e saremmo perci pi ricchi e in istato di aumentazione.
. VI. Ma vi vuol molto che tutte queste 40 parti travaglino. Primieramente
sono da toglierne sei per lo meno di fanciulli, vecchi, malsani, storpi, stolidi, ecc.
Appresso voglionsi valutare due donne per un uomo. E poich le donne sono la
met del genere umano, quindici delle trenta che restano si vogliono stimare per
7 '/,, con che avremo 13 V2 parti inette alla fatica. Ve ne ha poi pi di due im
piegate al culto religioso, preti, monaci, monache e loro servienti; quattro di pro-
prietarii e di coloro che vivono di vitalizii, di pensioni e di mestieri che non ren
dono. Son dunque fin qui intorno a 20 parti, donde non si recava rendita. Fi
nalmente se ne vuol togliere un'altra per lo meno di militari, vagabondi, birri,
malviventi e prigionieri. Laonde appena quindici parti, di coloro che ci debbono
dare questi 90,000,000, vi restano da travagliare; dalle quali se ne vuol togliere
quattro per lo meno di arti secondarie che non rendono allo Stato ma alle per
sone, sicch si pu far fondamento sopra 11 parti. Donde seguita, che ciascuna
delle persone che lavorano dee rendere pi che per tre, vale a dire intorno a 80
ducati l'anno. Ogni ducato che guadagnin meno, un discapito e uno sbilancia
mento della nazione (1).
. VII. Questo calcolo fa manifestamente vedere che l'economia di ogni Stato
culto richiegga primieramente, che si minori quanto pi possibile il numero di
coloro che non rendono. 2 Che si studi di ricavare dalle classi non travagliami
il profitto maggiore che si pu. 3 Che s'illuminino e si aiutino coloro che lavo
rano, affinch possano accrescere le rendite colla celerit e diligenza della fatica.
4 Che la meccanica, maravigliosa aiutatrice dell'arti, vi si porti alla sua per
fezione (2).
. Vili. Ma come sciogliere il problema, dir taluno, di fare che nelle classi
che producono sia il massimo possibile, e il minimo possibile nelle altre? Rispondo
che la soluzione n' facilissima. Niun ceto cresce se non per l'utile che in quel
mestiere si trova. 1 maestri delle scienze e delle lettere, i causidici, i medici, i
preti e i monaci, i musici, i ballerini, gli schermitori e tutti quei ch'esercitano arti
di lusso, crescono per l'utile che dall'essere tali ritraggono. Se cresce il numero
degli scolari, delle liti, dei morbi, de'benefizii e beni ecclesiastici; se si aumenta
il lusso: brevemente, se l'esca di questi tali diviene maggiore, inevitabile il loro
aumento perch ogni uomo corre dove stima di star meglio. L'interesse ordina
riamente quel che tira ciascuno: la bussola del genere umano. Dunque a volere
che in queste classi vi sia il minimo possibile, bisogna ridurre l'interesse al grado
(1) Calcolo in grosso e concedendo meno anche del vero alle professioni non produt
trici. A rigore, crederei che l'artista dell'arti primitive avesse anche a renderci pi che
per quattro.
{) I gentiluomini adunque potrebbero recare questo gran giovamento al nostro paese,
studiando l'agricoltura, la storia naturale, le scienze meccaniche ecc. Ecco come en
trerebbero nella massa della rendita generale. Ma questo non sar mai lino a che non
si riformino gli studii de' collegi , ne' quali sono educati pi tosto in un gergo filo
sofico e in mille pedanterie, che nelle scienze utili. Se niente pi regola gli uomini
quanto le opinioni e queste nascono dagli studi, niun dritto de' sovrani si vuole pi
gelosamente consonare quanto quello sulle scuole.
Econom. Tomo III. 6.
82 GENOVESI]

che basti. Fatta questa operazione, segue di per s lo scemamento del soverchio
e le cose vanno da loro all'equilibrio.
. IX. Vi sono certe professioni in cui la natura stessa pone determini, oltre
i quali non facile che crescano coloro i quali le professano. Per esempio il nu
mero de'calzolai cresce a proporzione che si consumano o cambiano delle scarpe:
i sarti a proporzione delle vesti: i falegnami, i muratori ecc., a misura che se n'ha
bisogno. Qui non da temere il soverchio; perch se essi si moltiplicano troppo,
non potendovisi sostenere, vanno da se medesimi a rientrare nella giusta propor
zione. N possibile, siccome detto , che se ne possa aver bisogno pi in l
delle rendite di coloro che spendono; n queste rendite che nascono dall'arti crea
trici, possono andare pi in l della forza delle medesime. Sono nello stesso caso
le arti di lusso. Nel medesimo sono i medici, i chirurgi, i farmaceuti, i bottegai
e mille altre piccole professioni. Qui non occorre che il sovrano si studi molto.
Ve ne ha certe altre che dipendono dalla sola sua volont. E di queste la mi
lizia, che il sovrano sempre che gli piace pu riformare. Ma certe dipendono dalia
natura, dal costume e dalle leggi; e in queste si richiede la mano del legislatore
accorta e destra. Tali sono le altre da noi numerate.
. X. In queste ultime adunque si pu avere il minimo possibile, con certe
piccole operazioni e fatte con destrezza. Restringete le liti dentro a un certo ter
mine e avrete riformato il numero de'litiganti,e con ci de'causidici. L'impcrator
Federico li ordin che le cause si dovessero spedire in due mesi (1). Provvedi
mento divino. 11 re di Prussia, nel suo Codice Federiciano , ha stabilito che le
liti non oltrepassino un anno. Riducete i beneficii e i beni ecclesiastici al giusto
bisogno, e finir il numero esorbitante di coloro che vi accorrono. Ristabilite il
rigore de'privilegi de'dottori: l'et, l'esame rigoroso, il tempo degli studi ordinato
nelle leggi delle universit-, e avrete la riduzione de'falsi dotti. Finalmente anche
i benestanti con questa regola si possono far entrare in certo modo nel corpo di
coloro che rendono. Date certi gradi di nobilt a censo, come tra i Veneziani e
anticamente tra i Romani, promovete l'onore e la libert del traffico, e pi non vi
saranno poveri e poltroni gentiluomini"; o ve ne saia una tal parte ch' inevitabile
in ogni nazione eulta, ma che non pu nondimeno gran fatto nuocere.
. XI. Qui si pu fare un'opposizione, ed questa; come accordare insieme
la dottrina del minimo possibile, e quella della libert degli ingegni e delle incli
nazioni? Imperciocch dove restringiate il numero di certe professioni, questa re
strizione un ostacolo allo sviluppamento de'grand'ingegni. In ogni professione
bisogna sperimentarne moltissimi, aftinch se ne abbiano pochi eccellenti. La
legge degli Egizi e degli Assiri antichi, della quale parla Erodoto, che niun uomo
potesse professare altro mestiere che quello dei padri loro, adottata da Platone
nella sua Repubblica e in parte imitata dal nostro re Guglielmo il Normanno ,
prima di questo nome (2): questa legge, dico, stata riconosciuta da tutti i po-

(d) Constu. Rag. Sic. Si dice, che la lunghezza parte della libert civile. Con
cedo, se sia un mezzo proporzionale tra il modo pretorio e la soverchia lunghezza.
Ma dir con rispetto all'autore dello Spirito delle leggi, che gli estremi sono egual
mente dispotici ; perch la legge perde la sua forza tanto con dare una momentanea
difesa , quanto con darne una che non finisce mai. Le molle n cortissime , ne lun
ghissime hanno forza.
(2) Veggasi Giannone, Storia Civile del Regno di Napoli, in Guglielmo I.
LEGGE DEL MIMMO POSSIBILE. CAP. SII. 83

litici, non solo per non confacente alla natura umana n alle moderate costitu
zioni Europee, ma oltre di ci impediente la grandezza de' corpi politici. Se in
Roma antica non fosse stata sempre aperta a ciascuno la via degli onori, egli
fuori di ogni dubbio che non vi sarebbero stati tanti grandi uomini quanti ve ne
furono, e per avventura la repubblica non sarebbe pervenuta a quella grandezza
ove giunse. Gli Ateniesi prima crebbero, che lasciassero intera la libert delle
inclinazioni de'cittadini. Questo stesso si potrebbe dire di molti presenti stati di
Europa, anche monarchici.
. XII. Rispondo, che queste due massime si possono assai agevolmente con
ciliare in pratica. E per quanto appartiene alla massima della libert degl'ingegni
nell'eleggere un mestiere, ella da lasciarsi intera a'popoii. Minerva una certa
vergine non senza ragione chiamata indomita da'poeti: ella non soiTre schiavit.
Ma questo si fa non proibendo niun'arte e niuna professione a ninno, se non
quelle solamente che si conoscano essere opposte al vero interesse delloS tato o al
costume. E nondimeno per serbare l'altra massima del minimo possibile, niun'arte
e niuna professione sopra l'altre da incoraggiare in generale e onorare e pre
miare, se non quelle che sono il sostegno della repubblica o che loro servono im
mediatamente. A queste il legislatore dee accordare primi suoi favori (1); questo
dee accarezzare: a queste da lasciare senza impedimento alcuno l'utilit che no
deriva naturalmente pel libero corso. Che se nelle altre arti vi provvenga qualche
grande e singolare ingegno che faccia onore all'umanit e alla patria, bene che
si premi quest'individuo siccome cosa rara, ma non si ha da accordar premi
alla professione in generale, se non in rapporto all'utile ch'ella per recare a
tutto il corpo politico. Aggiungasi che altro regolare le classi degl' uomini e
de'mestieri colla pubblica utilit, che la legge comune degli Stati, e altro op
primere la libert degl'ingegni. Ogni ingegno, quantosivoglia libero, non dee tut-
tavolta uscir fuori della regola della pubblica felicit. Dunque regolare l'arti e i
mestieri non opprimere la grandezza degl'ingegni, ma indrizzarli al ben pub
blico. Niuno approver la legge degli Egizi e di Platone; ma tutti i savi conver
ranno, che la sorgente delle rendite e la grandezza dello Stato siano da coltivare
e da accarezzare a proporzione della loro utilit e del pubblico vantaggio.
(I) La citt di Napoli riguard sempre come un gran fondo di ricchezza l'arti della
lana e della seta, cosicch in tutte le domande fatte ai nostri clementissimi sovrani
chieggono la conservazione dei privilegi delle medesime. Vero si ebe si avevano a
favorire in tutto il regno; non essendo utili alla capitale quelle grazie (e ce n'ha di
molte) che rovinano le provincie. La medesima citt ha ragion di dire a Ferdinando li
che il ducato a botte di vino greco, e mezzo ducato su gli altri generi di vini face
vano male, atteso per tal causa sono impaniali la mujore parte de dicti Grechi. Pri
vilegi e Capitoli lom. 1 , pag. 59. Ma questo favore lo meritava il vino di tutto il
regno : il meritava l'olio, il grano, il formaggio : in breve tutte le derrate e tutte le
manifatture. Si vedevano dunque le buone cose a spezzoni. Chieggono inoltre franchi
gie per chi fabbrica delle navi di commercio al di sopra di 500 botti. Fu conceduto.
Priv.eCap. toni. I, pag. 40. Anche questo merita il favore della legge, per essere
il commercio grandissimo fondo di ricchezze. Ma se si fossero domandati questi me
desimi privilegi per certe arti di lusso di poco rilievo per l'utile commercio , si sarebbe
pensato male. Conosco che ad un popolo cullo anche quest'arti sono in certo modo ne
cessarie, e perci se si tratta di piantarle sono da incoraggiare con qualche favore ; per
ch, finch non fanno che nascere,uon possono nuocere. Come sono nate e venule grandi
non sono da favorirsi troppo dalla legge, ma lasciare che il lusso medesimo, loro padre,
le alimenti e con certa frugalit.
84 GNOVESI.

CAP. XIII.

Dell'impiego de'poveri e de'vagabondi.

S. I. In ogni paese vi , dove pi dove meno, sempre un dato numero di po


veri e di mendicanti. Se si potessero far entrare nella massa de'lavoratori e de'
renditori si farebbero due beni. Si accrescerebbe la rendita generale della nazione,
e si farebbe un gran servizio al buon costume. Perch molti dei mendicanti sono
in grado di lavorare meglio che ogni altra persona; e la maggior parte, dove non
trovano a vivere di limosine, vivono di furto. La massima adunque del MINIMo
possiBILE DEGLI oziosi, massima fondamentale in economia, deve farvi pensare
tutti i politici.
S. II. Vi son tre generi di mendicanti. I. Alcuni sono involontari, cio quelli
che non sono in istato di lavorare, come i ragazzi, i vecchi decrepiti, i malaticci,
gli storpi, quei che non trovano lavoro ecc. II. Altri sarebbero in grado di tra
vagliare, ma loro il vieta il pregiudizio della nascita, d'un posto luminoso d'onde
son caduti, di certe vecchie carte ecc. lII. Finalmente altri sono validi, sani, atti
all'arti, ma o sono dalla fanciullezza avvezzi da'loro genitori ad una vita vaga
bonda (1), o trovano a far meglio i conti nell'andare accattando (2). Si vorrebbe
esaminare come sostenerli tutti e tre col minimo discapito del paese.
S. III. Prima di passar oltre in questa materia prendiamo un po' di lezione
da'selvaggi, i quali debbono intendere il presente punto meglio che i popoli culti,
come quelli che sono meno distanti dallo stato di natura, dove la legge, FATICA
sE vuoi vivERE, loro insegnata dalla necessit. Merita di essere osservato
(dicono gli Storici Inglesi, autori della Storia Universale) che ancorch non vi sia
paese nel mondo dove sia maggior quantit di poveri, quanto la Guinea,
voi nondimeno, trascorrendo tutta la Costa da un capo all'altro, difficilmente vi
troverete un accattone. I vecchi e gli storpi s'impiegano a certi mestieri dove
son atti, siccome a soffietti delle forge (5), a spremere l'olio di palma, a maci
nare i colori che servono a dipingere le loro stuoie, a vendere delle provvisioni
nei pubblici mercati. I giovani vagabondi son subito catturati e arruolati alla
milizia. Polizia, soggiungono qui gli autori, degna da essere imitata da noi
altri Inglesi (4). Non sarebbe la primavolta che i barbari insegnassero de buoni
metodi di vivere a'popoli, cui la cultura medesima rende in certe cose negligenti.
S. IV. Ho alle volte cercato, se fossero le cagioni fisiche o le morali che ge
nerano tra'popoli politi s gran folla di poltroni, cio di mendichi volontari, e

(1) Vi ha, come sa ognuno, delle razze di mendici tra noi che vantano la loro anti
chit. I padri e le madri, non altrimenti che gli uccelli di rapina, cominciano ad avvez
zarvi i loro figli dalla prima fanciullezza, gl'introducono in tutte le loro conoscenze, e
morendo lasciano loro quest'arte siccome patrimonio certo. A questo modo se ne perpe
tua la genealogia.
(2) noto qui un falegname che abbandon l'arte,perch il pezzire gli rendeva da
otto a dieci carlini al giorno, dove che l'arte non ne gli dava per la met.
(5) Uso questa parola per fucina, come pi intesa da' nostri.
(4) Parte moderna della St. Univ. vol. VII, cap. VII, pag. 145 ediz. in 8.
DELL'IMPIEGo DE' PovERI E DE' vAGABoNDI. cAP. xIII. 85

mi pare di doverlo ascrivere pi alle morali che alle fisiche. Trovo quattro ca
gioni morali donde si vuol derivare tal fenomeno. I. La venerazione in cui
s'hanno nel pubblico. II. La mal'intesa carit e beneficenza. III. La trascuranza
della legge. IV. L'ignoranza e superstizione de' tempi. Nella Cina infame chi
potendo vivere delle sue fatiche, si studia di vivere su le spalle altrui facendo il
vagabondo. I ragazzi, le donne, gli artisti il ricevono a sassate. Ecco perch vi
sono pochissimi mendici. L'opinione pubblica sempre una gran legge; e quando
giusta, la pi efficace perch ognuno n' l'esecutore. Si vorrebbe dunque far
predicare e scrivere contro una tal razza d'uomini, affinch i popoli si ricredessero
e gli avessero in quel conto in cui si debbono tenere da ogni uomo dabbene, cio
di ladri e assassini pubblici (1).
S. V. una carit mal'intesa e una beneficenza male alloggiata il pascere
colle proprie fatiche coloro, cui n la condizione della nascita, n la forza del
corpo, n lo stato della mente vieta di travagliare. I. La legge del reciproco soc
corso, legge primitiva nella natura umana, suppone l'altrui bisogno; ma non
bisogno quel ch' volontario. Qual legge pu obbligare un uomo robusto a faticar
per un altro egualmente o anche pi robusto? Direi ad un tale, se mel dicesse:
dunque faticate voi per me. E se non volete, non debbo voler per voi. Che po
trebbe rispondermi? (2)
S. VI. II. Il pascere chi pu faticare, farlo vizioso. Guasta il corpo, che
non si conserva mai bene senza fatica;guasta il cuore: ho veduto tutta questa
gente crudele, furba, ghiotta, briaca, bestemmiatrice, invidiosa, ladra, senza vera
religione,senza idea di governo, senza niun costume. Guasta la mente, alienan
dola dall'arti e dal pensare alle vie oneste di vivere; donde che non istudiano
che l'arte d'imposturare e chiappare. Sarebbe carit e beneficenza quella che nuoce
al prossimo?
S. VII. llI. E un'ingiustizia col pubblico; perch distoglie dall'utile fatica, e
tanti pi ne richiama alla vita poltronesca quanto pi larga la mano de'bene
fattori. Questo a lungo andare porta il decadimento delle rendite private e pub
bliche; genera dunque miseria, e nella pubblica miseria tutti diventano inganna
tori, ciurmatori, ladri, assassini, omicidi, incendiari: donde proviene lo sconvol
gimento dello Stato. E ella una carit ben intesa far la guerra alla patria? Certe
verit non s'intendono bene senza certe grand'ipotesi. Supponiamo dunque, che
tra noi venga un uomo tanto ricco e caritatevole da fondare 40grandissimi pa
lagi, in ciascuno dei quali possano vivere con tutti i comodi e piaceri 100,000
persone, dove sieno servite per le invisibili mani delle Fate e pasciute di latte di

(1) E noto fra noi, che molti di questi vagabondi, che qui chiamansi banchieri perch
le notti dormono su per le panche e sotto gli sporti de'tetti, sieno armati ad ogni buona
occasione che loro si pu presentare. L'uomo quando sente la fame, si scuote, per ve
dere se ha di che spendere: se non ha, guarda intorno se vi cosa da chiappare : dove
non trova nulla, comincia a squadrare con gli occhi truci gli altri uomini, i quali allora
gli sembreranno vitelli, capretti, agnelli destinati per suo sostegno. provato per mille
fatti della Storia delle navigazioni.
(2) Non sono ancora 50 anni che qui nel villaggio detto Pimonte sulle montagne di
Castello a Mare fu un parroco, che aveva ridotta la sua parrocchia ad uno stato invidia
bile. Non v'era un mendicante, perch non v'era un poltrone. I poveri involontari erano
alimentati dal pubblico; i volontari cittadini obbligati alla fatica a forza di bastone; i fo
rastieri cacciati via. Questo parroco conosceva a maraviglia il fondo del buon costume.
86 GENOVESI.

galline. Dopo dieci anni sarebbe altro questo regno, che un bosco abitato da fiere?
E se quell'uomo caritatevole, avendo dato fondo alle sue rendite, scappasse via
decotto, che faremmo noi altri 40 centinaia di migliaia di persone? Si pensi.
S. VIII. IV. E una rivolta contro la legge e l'ordine di Dio. Dio vuol che fa
tichiamo dove si pu. Cel dice per la natura e per la rivelazione. Tu mangerai
del pane nel sudore del tuo volto, dice per li profeti. La terra non ti dar nulla
senza fatica, dice per la natura. Una carit che si oppone a questa legge sa
rebb'ella ben intesa?
S. IX. V. Finalmente questa carit distrugge se medesima; non pu dunque
esser vera. Che distrugga se medesima la ragione , che come si moltiplicano gli
oziosi, cos viene a mancar la rendita comune; donde nasce che venga a mancar
la materia del beneficare. Ho sentito alle volte certevoci le pi sciocche del mondo
in alcune delle capitali. Stieno bene le mie rendite, diceva uno. Coteste rendite,
dicev'io, sono quelle delle vostre terre e de'vostri animali. Ho anche degli ar
rendamenti, diss'egli. Be', diss'io. Le vostre terre non vi renderanno senza conta
dini, n i vostri animali senza pastori. Quelli poi che chiamate arrendamenti, non
sono che i frutti dell'arti primitive. Guardatevi dunque da fare accattoni, se
volete serbare intatte le vostre rendite e coltivare la vera carit, cio quella
che per tutte le leggi dobbiamo a' poveri involontarii.
S. X. Ma in certi luoghi della terra non pregiudica meno la negligenza della
legge. Poichgli uomini dalla ferina dispersione si unirono in corpi civili, rinun
ziarono ad una parte delle loro volont e maniere di vivere, senza la quale ri
nuncia non si poteva fare un corpo legato e durevole di tanta variet di cervelli.
La forza della legge raccolse nel suo seno tutte queste rinuncie, e contrasse un
dritto divino di obbligare coloro che vivono in societ, o ad andar via, o a stare
a'patti e vivere colle leggi del cambiamento. Quelle maniere di vivere a cui rinun
ciarono, son tutte quelle che possono in qualsisia modo nuocere alla vita e feli
cit di tutto il corpo. Non per altro la legge punisce di morte certi gravi delitti
che in vigore del detto principio; al che se manca, manca al principale suo do
vere. Per la medesima ha il dritto di punire i vagabondi, nuocendo essi, come si
dimostrato, alla legge del combaciamento o della civile societ (1).
S. XI. Tra quei primi patti di combaciamento dovette di necessit esservi,
cHE NEL CoRPo civILE NoN vI FossE NEssUNo CHE NoN sERvIssE A QUALCHE
cosA, DovE FossE ABILE, perch uomini liberi e uscenti dallo stato di natura
non potevano legarsi volontariamente in una societ leonina. Il governo e la legge
divenne garante di questo patto o LEGGE FoNDAMENTALE. Questa legge fonda
mentale dett agli Egizi il metodo di fare ogni anno il censo delle famiglie, di
voler saper i mestieri delle persone, e di castigar coloro che non ne professassero
nessuno. I Ginevrini serbano ancora questo bel costume. Dove ilgoverno non se
n'impaccia, gli uomini vengono a poco a poco nell'opinione selvaggia di poter
fare tutto quel che loro viene in capriccio, e di non esser in niente l'uno tenuto
all'altro per li patti socievoli. E perch la vita vagabonda piace pi che la fatica
metodica, tutti quelli i quali non avranno come altrimenti vivere vi si daranno
(1) Che fare, dir un politico, dove un capo potente e rispettabile si dichiari aperto
protettore di questi sciami di zingani? Non credo che fosse difficile a rispondere. In
tempi sospetti dipeste si difendono i paesi sani,se vi sono cittadini appestati si curano
ne' lazzaretti.
dell'impiego de' poveri e de' VAGABONDI. CAP. XIII. 87

di buon cuore, e riempiranno la nazione di fuchi e di ladri, aggiratori e oppres


sori di quei pochi buoni che faticano.
. XII. Io so che in niuna parte di Europa mancano leggi che si son op
poste al torrente degli accattoni e de'poltroni. Queste medesime leggi dipingono
a minuto nei loro proemi tutti i mali, che possono nascere dal moltiplicarsi una
tal razza (1). Ma si pu .disputare, 1 Sono leggi acconce a tanto fine? 2 Si
pensato a farle bene eseguire? Riguardo a molti Stati di Europa dir franca
mente di no ad ambedue queste domande. Alcune di queste leggi ordinano, sieno
banditi i vagabondi. Dunque dir io primamente , perch una pianta per man
canza di coltura non d del frutto, si svelle? Direi all'agricoltore, pota, innesta,
concima, inafla. Quando spossata l'arte, recidi. Non economia perder la
gente donde si pu trarre del vantaggio. Appresso, se questa legge fosse generale
dov'andrebbero questi vagabondi? Noi ne manderemo 50,000 a Roma; Roma ve
ne aggiungerebbe 20,000 altri; e via tutti e 70,000. La Toscana 10,000 altri...
Non locherebbero l'Asia che non fossero un milione almeno. Per dove?
. XIII. Dunque quei barbari dell'Africa pensano meglio di quei popoli culli
dove si bandiscono i vagabondi. Tra questi popoli politi vedrete poi in molti
luoghi mancare dei pastori, degli agricoltori, de'fabbri, de'falegnami, deviatori e
tessitori, degli educatori ecc. Perch la legge non potrebbe innestarli? Case pub
bliche dove lavorino. Se fuggono, si facciano attrappare: a questo servono i cu
stodi della repubblica. Allora ceppi, bastonate, ma bastonate all'uso militare.
Questo il metodo che tiensi con i ragazzi della gente bassa dai loro padri. Il
sovrano padre di tutti. Ogni adulto che non intende il suo dovere ragazzo.
Questo il metodo della milizia, delle galee ecc. La pena delle bastonate co
mune nella Cina; si trova frequentemente usata nelle leggi Visigote, Longo
barde ecc. (2). Tra noi le si sostituita la commedia della frusta. Si pu vedere
cosa pi ridicola? Un mascalzone, senz'idea d'onore, messo su d'un asino, con
un ventaglio che gli va facendo vento da dietro in cambio d battere, menato per
la citt come in su d'un teatro, che si ride del mondo e della giustizia (5)? Vo
levano essere legnate reali non apparenti , e che lasciassero le cicatrici per pi
anni.
$. XIV. Ma non si pensato pure a farle bene eseguire. L'abate di S. Pietro
desiderava che come si facesse una legge da regolare lo stato in grande, si do
vesse creare un tribunale apposta che non avesse altra cura che di farla eseguire.
Principio ammirabile! Perch, come una tal legge si commette ai soliti magistrali
carichi di infiniti affari, entra nel numero dell'altre, cio prima antiquata che
promulgata. Nella Pensilvania, colonia Americana degl'Inglesi, vi un magistrato
supremo che si prende la cura degli oziosi. Nella maggior parte delle nazioni
Europee manca questo magistrato. Le leggi dunque fatte contro i vagabondi vi
sono inutili.
() Vedete le nostre Prammatiche sotto il titolo de vagabundis.
(2) La legge 20 , lib. Il delle Visigote. Se un giudice ba giudicato Io ingiusto per
aver preso, n ha che restituire, quinquaginta flagella publice extcnsus suscipiat. Bella !
Perch non vi si pu assoggettare un mascalzone?
(5) Per intendere qual conto si faccia Ira noi della frusta, ricordiamoci di aver veduto
gli anni addietro nel carnovale un lazzarone messo su di un asino, colla miteni in testa,
nudo, battuto con bastone di carta, accompagnato da altre maschere girare per tutta la
citt. Non pi pena quel che si addossa per divertimento.
88 GENOVESI.

. XV. Ma la legge tra la maggior parte de'popoli Europei ha mancato in un


altro punto capitale rispetto alla medesima materia. detto, che ella non dee
permettere che le persone d'un corpo civile vivano secondo tutti i loro capricci;
ma neppure dee tolerare che vi si facciano troppe fondazioni per la poltroneria,
anche per principio di piet. Perch la piet non dee nuocere allo Stato; e dove
comincia a nuocergli, diviene falsa e iniqua. Come niente che pi possa muo
vere gli uomini quanto la piet, fondo adorabile di tutta la natura umana, cosi
niente pi soggetto a divenir falsa virt e perniciosa, se una purgata ragion
comune, cio una savia legge non l'impedisca. E facile portare i popoli alle pi
grandi stravaganze per ogni aspetto, anche falso, di compassione o di s o degli
altri. Testimoni quegli sciami di Flagellanti e Fraticelli de' secoli passati che
inquietarono l'Italia; quelli delle Crociate, che per conquistare un paese deserto
desertarono tutta l'Europa. Intanto le leggi di tutti i popoli Europei hanno, anzi
di arrestare, autorizzato questi eccessi.
. XVI. Finalmente l'ignoranza de'tempi stata ed tuttavia per certi paesi la
pi gran cagione di questo sregolamento. Non si cap la vera scienza economica,
e in alcune parti non si capisce ancora. Si credette di poter moltiplicare le ren
dite per una maniera fuori del corso della natura, ed con moltiplicare i pol
troni, quando si avevano a moltiplicar le braccia lavoranti. Voi troverete in molti
villaggi d'Italia che non vi un fabbro, un falegname, un sarto, un muratore, un
notaio, ancorch non vi manchino certe fondazioni non necessarie n utili, che
costano assai pi che non sarebbe costata una casa di queste arti. Era lo spirito
della ignoranza pubblica de'tempi barbari, delle cattive scuole di scienze, che
dura tuttavia in molti luoghi.
. XVII. La vera sapienza economica avrebbe dettato: fondale delle case per
li poveri, ma che vi fatichino, che v'imparino Parti, che servano a s e al pub
blico, che non allettino la nazione a divenir poveri volontari. La fatica il ca
pitale di tutte le persone, di tutte le famiglie, di ogni stato. Quanti pi sono
quelli che travagliano, tanto si sta meglio da tutti. Se si mancato per falso
sistema a questa bella legge, non sarebbe in dritto il sovrano di richiamarla? Il
sovrano padre, tutore, curatore, economo, ispettore di tutto il suo po
polo. Per questi titoli e dritti supremi d de' tutori a'pupilli, depuratori a'matti.
Per questi medesimi titoli regola le nozze, i contratti, le feste pubbliche. Perch
non potrebbe dunque per lo stesso principio riformare certi sistemi adottati dai
vecchi per ignoranza, ch'ora nuocono allo Stato? Anzi vel credo obbligato per
due principii; 1 Perch in obbligo d'impedire la ruina della repubblica. 2
Perch lo interesse suo medesimo gliel dee dettare: quanto pi povero un po
polo, tanto meno rende alla corte. E una sciocchezza il dire che si debbono ser
bare in tutto le volont de'trapassati. Anch'io il dico, dove non nuocono a'vivi.
Ma hanno essi i morti un dritto d'infelicitare i vivi ?
. XVIII. Ho fin qui parlato de'poltroni e vagabondi volontarii. Ma bisogna
nutrire altre massime per quei che ha renduti tali o la natura, o la fortuna, o la
cupidit altrui. Un vecchio , uno storpio ecc. son degni di tutta la nostra com
passione: cos un ragazzo orfano, un esposto ecc. giusto che i primi si nutri
scano da quei che possono. Pur dove se ne pu cavar qualche cosa, economia-
A questo servono le case d'arti. Ma i ragazzi e le ragazze si debbono nutrire ed
educare. Nutrirli solo, senza educarli in qualche mestiero, fare de' malvagi e
DELL'IMPIEGO DE' POVERI E DE' VAGABONDI. CAI'. XIII. 89
de'nemici della patria. Gl'Inglesi hanno molte di queste case dove i ragazzi o le
ragazze che non hanno n nutritori, n educatori sono, ciascuno secondo la sua
abilit e la nascita, educati in qualch'arte e mestiero. Ma la prima legge di que
st'educazione avvezzarli per tempo alla durezza, alla sobriet, all'obbedienza,
alla pazienza, alla vigilanza, alla fatica metodica e periodica: virt che tra noi
non so perch non sanno ancora allignare. Sopra tutto da pensare che tra gli
educatori non vi sia nessuno, che possa sperare pi premio dalla poltroneria e,
dissolutezza degli allievi che dal travaglio.
. XIX. Molti possono essere ridotti a mendicit da qualche colpo di fortuna.
Un incendio, un tremuoto, una peste, un naufragio ecc. meritano tutta la nostra
compassione. Per s fatte persone son belle e degne di tutta la commendazione
certe case che possono servir loro di porto sicuro. Ma non vi nel mondo per
sona di niuna condizione che non possa onestamente esercitar qualche mestiero.
Certe arti son degne fino de'sovrani, come l'architettura, il disegno, la pittura,
la scultura, il ricamo, il tornio, l'ottica, la catottrica. L'arte di lavorar cert'armi
fu l'arte di tutti i sovrani de'tempi eroici. Metterei anche la scrittura, la stampa,
un certo genere d'agricoltura, la medicina, la chirurgia. Gl'Inglesi e gli Scozzesi
hanno de'collegi, in cui i figli de'mercanti falliti sono ammaestrati nell'arte mer
cantile, scrittura, aritmetica, libri, conti, ecc. Finalmente la milizia ornatissima
professione per ogni ceto. La sola poltroneria mi pare la pi vergognosa di tutte
le professioni.
. XX. Ma la cagione che fa pi mendichi in certi stati, l'essersi sottratta
la maggior parte delle terre dal numero delle cose permutabili e dal giro del
commercio. E questo avviene per due motivi: I. Perch dove tutte le terre sono
nel giro del commercio, ognuno spera di poterne col tempo a forza di fatica pos
sedere una parte, cosa la pi considerata da tutti ; e questo vi fa menar le brac
cia e vi fa esser giudiziosi. Ma dove le terre per la gran parte diventano inalie
nabili manca questa speranza; la gente povera vi si d alla spensierataggine,
donde nasce l'estrema povert che termina poi in una vita vagabonda. II. Perch
molti lavoratori considerando di dover essere essi e i loro figli e nipoti eterna
mente schiavi addittizi, si daranno alla disperazione e alla vita mendica (1).
. XXI. Ho dunque per legge primaria d'economia: non vi debb' esser
NIENTE IN UNA COLTA NAZIONE CHE NON SIA SOGGETTO AL GIRO DEL COM
MERCIO. Dove questa legge malintesa, non da potersi evitare per niun altro
provvedimento il diluvio de' vagabondi, dei ladri e degli assassini (2).

(1) Veggasi il discorso sull'Agricoltura preposto all'edizione napoletana del \' Agricoltore
sperimentato di Jacopo Trinci.
(2) Veggasi la seconda parte di queste lezioni, all'articolo della circolazione.
90 r.ENOVKsi.

CA1\ XIV.

Del costume siccome primo e grandissimo mezzo da migliorare le arti e accre


scere la quantit della fatica e della rendila della nazione.

. I. detto di sopra dei mezzi di aumentare le braccia che lavorano, affine


di accrescere le rendite della nazione e del sovrano; si vuol ora considerare quali
siano i mezzi da ordinare, migliorare e incoraggiare quei mestieri i quali sono la
sorgente dell'entrate in ogni nazione, e l'agricoltura principalmente, siccome base
e fondamento di tutti. Perch non basta che un popolo abbia degli agricoltori e
dei manifattori, acciocch sia agiato e nulla gli manchi de' comodi e degli onesti
piaceri; ma richiedesi inoltre ch'essi sappiano ben far il loro dovere, e amino di
farlo con diligenza e speditezza. La sprienza ci dimostra che due uomini d'egual
forza, ma non di egual sapere n egualmente animati, in un istesso tempo non
fanno perci lavori eguali : non altrimenti che due corpi dell'istessa massa e figura
non descriveranno spazii uguali, se sieno spinti da ineguali forze. In effetto la
presente coltura delle nazioni europee, e l'avanzare ch'essi fanno quasi tutti i po
poli dell'Asia, non consiste tanto nell'aver arti e uomini, quanto nella perfezione
di queste medesime arti, e nei mezzi e nell'incoraggiamento che vi hanno mag
giore. Ma qual' l'arte che ci pu produrre tanto bene? Comincier dal buon
costcmb, come quello ch'io credo che solo potesse bastare.
. II. Ho udito alle volte contendersi se il buon costume e la virt elica
giovi, e come e quanto, a promuovere la quantit dell'utile fatica e a migliorare
l'arti, e qual caso se ne debba fare dal sovrano intento ad aumentare le rendite
della nazione e la sua presente felicit. Nella qual contesa coloro mi sono sem
brati sempre non solo poco onesti, ma ignoranti degli affari politici e poco curanti
del loro interesse medesimamente, i quali hanno parlato in favore di alcuni gran
vizi, siccome necessari, dicon'essi, a muover gli uomini e incitarli al travagliare:
conciossiach niente mi sia tanto manifesto, quanto che ogni vizio tenda a dete
riorare la forza cosi dell'animo come del corpo delle persone, e con ci a corrom
pere la sapienza e l'arti che ne sono le figlie, e ad impedire in mille modi ch'esse
non fruttifichino, secondoch se ne debbe e vuole sperare, in favore del corpo
politico ; donde nasce il decadimento della quantit d'azione, e di qui l'impic-
colimento della pubblica rendita, cagione pregnantissima di sconvolgimento, di
miseria, di spopolazione (1). Voglio perci ragionarla per li suoi principii.
. III. Si scritto mollo della virt e da molti ; ma da pochi, secondo che

(t) Tutti i popoli scostumati son poltroni e ladri miserabili. Merita di esser letta la de
scrizione del Congo del P. Cavazi. I Cinesi dicono che la virt consiste in tre punti prin
cipali: 1 la piet verso Dio; 2 la giustizia; 3 la beneficenza verso gli uomini. Il pi
antico precetto di Dio che l'uomo fatichi per vivere. Il primo della giustizia, che non
si nuocia a nessuno: il secondo, che ognuno risguardi il ben comune come proprio. E la
beneficenza, eh' la sola base della vera virt, il piacere di fare ad altri del bene po
tendosi. manifesto che tutta questa morale tende alla fatica, dunque la scostumatezza,
opposta a' sopraddetti principii, cagione d'inazione e di povert. Qual castigo dunque
non meritano quegli scrittori, che o sostengono o si studiano di propagare la negligenza
del buon costume! Questi autori sono certo o sciocchi o malvagi casisti.
DEL COSTUME. CAP. XIV. 91

io stimo, come si conveniva ; avendo altri dato a questa parola certe idee troppo
alte e rimote, n per avventura confacentisi colla presente natura nostra; e non
pochi troppo basse, e atte piuttosto a guastare che ad emendare e regolar l'uomo.
Perch a volerne giudicare non solo senza errore, ma con utile di noi e degli altri,
credo di doversi cominciare dalla forza stessa della parola. Virt, valore, forza
conservatrice e miglioratrice degli esseri, debbono a noi Italiani essere voci sino-
nime. A questo modo noi diciamo la virt degli elementi, la virt delle pietre,
la virt delle piante e di molt'altre cose parimenti, nelle quali questa parola virt
non che forza. E di qui che, come si ragiona delle virt umane, non fa me
stieri voler nel genere pensar pi o diversamente che si faccia, quando si parla
della virt degli occhi, delle orecchie, dei muscoli o de'nervi, della virt delle
piante, del fuoco e di qualsivoglia altra cosa, a cui si attribuisce da'Greci della
dynamis, eW'arete, dell' /s e <\iY ischys, e da' Latini della vis, virtus, vigor, ro-
bur, non avendo per niente nelle presenti lingue d'Europa, e principalmente nella
nostra, cambiato energia e forza.
. IV. Essendo dunque la virt nel suo Ietterai senso forza nutritiva, con
servatrice e miglioratrice di questi esseri nei quali , il suo significato ha sempre
un essenzial rapporto con qualche azione e col suo fine, il quale fine di tali es
seri in cui dicesi esser virt ; e questo quel grado di perfezione e felicit di cui
cono nella natura capaci. E perci la virt dell'uomo non pu essere che forza
e robustezza, sia di naturali facolt, sia di abiti che il rendano pi atto ad esser
felice. E perch si suol distinguere la felicit delle persone da quella di tutto il
corpo politico, avvenuto che i filosofi ci abbiano tanto parlato di tre sorta di
virt, monastiche, economiche, politiche, ancorch non si possa ignorare, che la
sorgente di tutte sieno le monastiche o quelle delle persone; non vi potendo es
sere virt n economiche, n politiche, dove le persone non n'abbiano. E cos la
virt delle persone, o sia monastica, da aversi per fondamento di tutte l'altre.
. V. La virt una forza nutritiva, conservativa, miglioratrice, conduttrice
alla perfezione e felicit; ella non pu dunque disgiungersi dall'azione {energia
dicono i Greci ) che n' nutrita, migliorata, regolata, siccome l'ha acutamente
veduto Aristotile. perci forza che in noi sieno tanti generi di virt, quanti
son quelli dell'azione per cui sussistiamo e ci procacciamo quel grado di felicit
che ci pu toccare in parte. Ora essendo le maniere delle nostre azioni tre, pen
siero, appetito, molo, quelle della mente, questa del corpo, si richieggono altret
tanti generi di virt o sia forze nutritive, corroboranti e perfezionatrici ; delle
quali l'une appartengono all'animo, l'altre al corpo. Ma perch le forze dell'animo
sono, come pare, due, la ragionevole e la concupiscevole, quelle virt che au
mentano e fortificano la ragione son dette intellettuali, e queste che reggono l'ap
petito e le passioni, morali. Dond', che quelle del corpo si diranno meccaniche
o arti.
. VI. Tali virt, sian d'animo sian di corpo, possono essere o forze ingenite
e naturali, o abiti che il lungo avvezzamenlo induca, o vigore e grazia che ci
piova in grembo dal cielo. Di quest'ultime fia mestiero de'teologi ragionare: la
filosofia non dee ardire d'oltrepassare i limiti della natura ; ancorch sia da sa
pere, che niente stato sempre pi persuaso agli uomini anche barbari, quanto
che le virt naturali medesime e di ogni qualit non sieno, siccome non sono in
fatti, che dono della prima cagione; nel che mirabile la teologia d'Omero, il
92 GENOVESI,

quale non memora mai n forza alcuna e vigore di chicchessia, n buona qualit,
n ingegno, n scienza, n arte, n bellezza e destrezza, che non la derivi da
qualche divinit.
S.VII. Vi ha delle persone nate con ingegno aperto, acuto, penetrante, e altre
con ottuso e stupido. Se la virt forza nutritiva e conducente a felicit, come ell'
certamente, v'ha delle persone nate con della virt o sia forza intellettuale, e altre
con del vizio e debolezza intellettuale. N men chiaro che molti nascono con ma
ravigliose disposizioni ad esser forti, magnanimi, liberali, amanti del genere umano,
temperanti,astinenti, casti; e altri inclinati allafierezza, altimore, alla sordidezza,
all'intemperanza, all'incontinenza. E questo vuol dire, che vi molto di virt o di
viziosit morale insitae mista col temperamento. N sivuol ragionar dissimilmente
delle virt meccaniche, il principio delle quali tutte la forza, robustezza, pie
ghevolezza, sensibilit de'muscoli o de'nervi, il che dipende dalla struttura e
temperamento della macchina e delle sue parti, per la quale avviene ch'altri na
turalmente sieno pi vigorosi, e altri pi deboli; alcuni pi attivi e meglio fatti
per le arti, che altri. Al che conferisce primamente il clima freddo, caldo, tem
perato; il sito dove si nato ed educato, e poi i fanciulleschi esercizi e la maniera
del vivere de'popoli, le leggi, il governo ecc.
S. VIII. Ma bench la natura ci dia la prima forza e disposizione e come i
semi della virt, nondimeno ella sar sempre assai poca senza quel genere di virt
ch' adito, avvezzamento, disciplina, arte; imperciocch ilvigore e la forza della
natura pu per mille cagioni o dissiparsi o rivolgersi contro la propria utilit o
ridursi a languore e marcimento, o finalmente mal regolarsi ne' suoi passi, e o
faticar molto per conseguir poco, o attraversare l'utilit degli altri, cagionare
desolazione e miseria. Di che sono grande argomento i popoli barbari e selvati
chi, e tra noi tutti coloro, che son cresciuti e vivono alla maniera dei selvaggi.
Anzi quanto pi grande e poderosa, altrettanto, se fia mal condotta, sar pi
atta a nuocere e pi suscettibile di nocevoli vizi. La natura, dice Cornelio Ni
pote, aveva generato Alcibiade, per mostrarci di quanti vizi e di quanta virt
fosse capace un sol uomo (1). I popoli settentrionali hanno gran forza di corpo,
ma minor ingegno delle nazioni temperate: gli Australi molto di mente, ma minor
forza di corpo. La natura, dice avvedutamente Bodino, ha cos provvisto ai po
poli di mezzo (2), potendosi difendere dai Settentrionali colle forze dell'ingegno,
o da meridionali con quelle del corpo.
S. IX. Queste virt dunque, che son abito e arte, sia che formino e reggano
il rigoglio e la forza della natura,sia che n'inspirino della nuova e la ci facciano
a poco a poco contrarre e amare, sono state riputate le sole degne di esser chia
mate virt,venendo l'altre in contodi natura. E invero anche queste saranno pi
generose e belle e meglio fruttificanti se siano innestate in tronchi succosi e
robusti, e pi meschine e di piccol frutto se s'innestino su piante imbecilli e di
poco vigor naturale; ma altres gioveranno meglio alle persone e allo Stato che
non fa la sola forza della natura, quantunque grande,ma selvaggia e disordinante.
Perch come in meccanica non la gran forza, ma l'arte di applicarla, solleva o
(1) Cornel. Nep. in Alcib.
(2) Bodinus lib. VI. Polit. Quest'autore acuto ma poco inteso della buona fisica, come
tutti in quei tempi, ha nell'accennata opera, fra un'infinit di fantasie vecchie, detto per
molte cose buone e degne di tutta la commendazione de'dotti.
DEL COSTUME. - CAP. XIV. 95

sostiene i gran pesi, cos in economia e in politica giova pi a rilevare e mante


nere una famiglia o una repubblica la mediocrit delle forze con una buona dose
di sapere e di arte, che le poderose forze guidate come tra barbari dal solo im
peto della natura.
S. X. Tra tutte le virt in alto luogo sono situate quelle che diconsi intel
lettuali, e si restringono alla scienza e alla prudenza; delle quali quella la di
scopritrice del vero che pu in qualsivoglia modo giovare alla nostra felicit (1),
e l'altra quella che sceglie il pi acconcio e il meglio e l'ordina al nostro fine.
L'una e l'altra, bench di molto dipendenti dalla natural disposizione delle per
sone, nondimeno domesticansi evengono belle e utili per li buoni studi ed esercizi
e per la lunga pratica delle cose. E di qui che la savia educazione il sol vi
vaio degli uomini intelligenti e prudenti. Il che vedesi fin negli animali; concios
siach la scuola e l'esercizio ci dia de'destri e accorti cani, de'dotti sparvieri da
caccia, dei cavalli, dei camelli, degli elefanti da guerra. Nell'Africa si addome
sticano sino i leoni e fannosi servire in guerra (2). Perch debb'essere pi dap
pocaggine che natura, dove gli uomini non riescano in quell'arti d'intelligenza e
prudenza per cui si vive meglio.
S. XI. Or che queste virt conferiscano alla felicit delle persone e perci
delle famiglie e finalmente della repubblica, se vi chi possa ignorarlo, giusto
che si tenga per selvaggio; e se conoscendolo il nieghi, per nemico suo e della
patria. Se la storia ci ha giovato e giovi ancora a farci conoscere le utili verit,
una senza contesa questa, che niuna nazione fu mai, n che possa dirsi gran
fatto avanzata nell'arti, nel commercio, nei veri comodi e piaceri della vita, per
le cui viscere non serpa un forte e copioso sugo d'intelligenza e di prudenza, che
l'animi e la governi; mai non vi si vedr fatica bella, grande, regolata; n fia
possibile che le rendite vi sieno molte. Si vedr sempre squallida e languente in
tutte le parti, e dall'alto a basso. Se alcun volesse durar la fatica di paragonare,
leggendo la loro storia, la Francia e l'Inghilterra di un secolo e mezzo addietro
con quel che sono oggid, capirebbe assai meglio ch'io non dico il vero di questa
massima.

S. XII. Vi saran pochi, cred'io, tanto o rozzi o cattivi che ci vogliano in ci


opporre. La sola differenza che mipare d'avertralegenti osservato, che tutti con
fesseranno il giudizioessere ad ognuno necessario a ben vivere; altri non estimer
di pari necessit le virt intellettuali, e moltissimi biasimeranno le cognizioni. Il
che nasce per rozzezza di mente, non avvertendo che questi termini, giudizio,
Senno, virt intellettuali, cognizioni, sapienza, scienza, non suonino che il mede
simo. Quello fuor di dubbio, che quando si parla della virt, rare volte avviene
che si pensi alle intellettuali,tuttoch sia difficile che ve ne siano delle altre dove
queste manchino (3).

(1)Cic. de Offic. 1. 6. In hoc genere (della ricerca del vero) et naturali et honesto duo
vitia vitanda sunt; unum ne incognita pro cognitis habeamus, hisque temere assentia
mur... alterum est vitium,quod quidam nimis magnum studium multamque operam in
res obscuras atque difficiles conferunt, easdemque non necessarias.
(2) Parte moderna della Stor. Univ., lib. XVI, cap. 8, sez. 8.
(5) Gli stoici riducevano tutte le altre virt alla prudenza, siccome a comune tronco:
Aristotile ha dimostrato, non vi poter esser vera virt morale senza sapienza. Anzi se,
come egli stima e il credo anch'io, ogni virt morale posta in una mezza proporzionale
M GENOVESI.

, XIII. Veggiam dunque qual sia la l'orza di quelle che chiamiamo di cuore
e morali, cos a ben vivere come ad accrescere il vigore dell'arti. Vi ha di coloro
che si danno ad intendere che possa uno Stato esser t'elice in mezzo ai grandi
vizi. Per me dir quel che so, poco curandomi ch'altri pi ingegnoso mi biasimi.
E primamente, che io non ho veduto mai u sciocco non dolersi spesso, n mal
vagio sicuro dello stalo suo (1). Pu la fortuna elevar in alto uno stolto, ma la
sola sapienza e prudenza pu conservarlo in quel grado ; e la malvagit alle
volte un colpo di maglio che sbalza su una palla, ma non mai sostegno da
ritenerla, se ella non arrivi a tanto da confondersi colla prudenza, il che parmi
assai difficile. Le persone intemperanti e dissolute sono perpetui loro carnefici,
e non tendono che al marcimento dello spirilo e del corpo-, delle quali non oc
corre qui dire. Ma le inique, crudeli, nemiche del genere umano, rapaci, ingiuriose:
le tradilrici, avare, invidiose, e ogni altra la quale pensa di elevare la sua felicit
su l'altrui miseria, non possono cominciar mai che dal tormentar se stesse, n
marciano senza grand'oste a fronte ; ed troppo malagevole, che di mille pur
uno la vinca. Gli uomini son tali che, sieno virtuosi sieno cattivi, sono sempre
dichiarati nemici della malvagit. E se non la opprimono di botto, le rodono in
sensibilmente i nervi finch ella non trovi pi sostegno. troppo vero, chi mal
fa male aspetta (2).
. XIV. Appresso dico, che se tale la forza del vizio e della malvagit delle
persone, ella sar ancora maggiore nelle famiglie e molto pi in un corpo politico,
dove forza che estingua l'azione generativa di beni e di felicit, o la turbi e
disordini e riduca a selvatichezza. E in vero, se un malvagio, un vizioso spiantano
una casa, si pu egli sperare che la conservino poi se sieno molti? E se un solo
scellerato basta a rovinare una repubblica, come molti esempi il dimostrano, si
potrebbe viver felice dove la maggior parte fosser tali ? So che la natura ci ha
provvisto, da non poter di leggieri avvenire che la maggior parte di un corpo
civile sieno facinorosi; ma ci debb'esser certo che dovunque avviene, quel paese
sia da tenersi per disfatto. N ci si vuole intendere delle repubbliche solamente,
siccome sembra che alcuni politici abbian creduto, ma di ogni stato. Poich do
vunque la naturai forza e abilit degli uomini non solo non regolata, ma gua
sta pel vizio soprabbondante e messa in contrasto, non fia possibile che ivi re
gnino l'arti e l'utile fatica; senza la quale qual bene per noi da sperarsi (5) ?
$. XV. Dico adunque e liberamente sostengo, niente parendomi esser pi
certo, che la virt, e la sola virt dei cittadini sia il pi gran mezzo che possano
adoperare i sovrani a farvi fiorire l'arti (che sono le virt meccaniche), a molti
plicarvi l'azione produttrice di beni e di ricchezze, e ad aumentare l'industria e

aritmetica o geometrica, seguita che perch una nazione possa essere veramente virtuosa,
serpa pel suo seno a scienza de' numeri, delle misure, delle proporzioni.
(1) Vedi Platone de Rep. X in fine.
(2) Ed perch nou vi animale pi reminiscente dell' uomo, n perci pi vendica
tivo: e la vendetta, bench anch'essa iniqua e stolta, nondimeno, dice Achille,
Pi dolce assai dello stillante miele....
Om., lliad., XVIII, 109.
(3) Nel Congo si tiene a gloria la rapina, e tanto pi quanto falla con pi vigore e
coraggio. E di qui che pochissimi vi fatichino e sieno tutti miserabili. (11 P. Cavazi). Era
questa medesima la massima degli abitanti dell'antica Grecia; e perci, dice Tucidide,
lib. I, non vi si coltivava, n vi si cercava di avere che quanto bastava giornalmente.
DEL COSTUME. CAI". XIV. 95

rendite della nazione ; e che i vizi, a proporzione della loro grandezza e propa
gazione, vi guastano e disseccano tutte le sorgenti della fatica e degli averi del
sovrano e dei sudditi (1). Per mostrare pi distintamente la qual verit, riduciamo
lutti i vizi a tre capi, alla rozzezza dell'intelletto, all'intemperanza del vivere,
all'ingiustizia, e vediamo partitamente i loro effetti. La rozzezza dell'agricoltura
e di tutte l'arti costante cagione, ch'esse o non levino il capo o faccian poco e
male, e questo scema la rendita che se ne debbe e pu sperare. Ma la rdzzezza
dell'arti va sempre del pari coll'ignoranza delle scienze matematiche, fisiche, po
litiche, e delle altre buone e utili cognizioni. Il lume di queste scienze, sia diretto
sia di riverbero, d dello spirito all'arti. Tutte le arti dei popoli rezzi son rozze
e lente, e produttrici di poco e cattivo. Siccome si lavora male e di mala voglia
nei giorni caliginosi, cos fra le nazioni ruvide e ignoranti; essendo l'ignoranza
dei popoli di maggior impaccio che non sono le tenebre corporee.
$. XVI. l appresso si potrebbe contrastare, che l'intemperanza non sia ma
dre prima della oziosit e della morbidezza, poi della povert e delle risse, dei
furti, delle rapine, delle ingiurie? Vizi opposti allo spirito della fatica metodica
e perci delle arti, i quali non si diffondono mai in uno Stato e non vi allignano,
che presto o tardi noi riducano a mendicit e desolazione. Il libertinaggio che
non vuole provvidenza negli Dei, potrebbe amarla negli uomini? Memorano gli
annali cinesi (2), che introdottasi una tal sella nella Cina circa i tempi di Con
fucio, e piacendo pi che lo Stoicismo di questo filosofo, fu la prima sorgente
delle miserie le quali sopravvennero a quell'imperio, non cresciuto n stato mai
grande che per la temperanza, per l'industria, per la piet. Molti savi hanno di
mostrato che il Probabilismo, sparsosi in Europa da intorno a tre secoli in qua,
non sia molto differente dall'Epicureismo; perch ogni setta poco curante della
divinit e concedente troppo al piacere e all'interesse personale, poco alla legge,
alla virt e alla comune utilit, da dirsi Epicureismo (3).

(1) Niente mi mai paruto tanto bello in Omero, quanto il quadro dell'agricoltura che
Vulcano dipinse nello scudo di Achille. Una terra profonda e negra, buoi aranti e sudanti
aratori ; un campo di mature biade, e i mietitori brillanti per la letizia della nuova ricolta.
Altri lavorano, altri vegliano sui lavoratori; vengon dietro i ragazzi raccogliendo de' ma
nipoli: e quel ch'importa, il sovrano medesimo presiede alla fatica, taciturno (segno della
soda prudenza), con in mano lo scettro (perch la virt si dissipa senza la severit delle
pene), gongolando nel suo cuore, che l'effetto della sapienza. Iliad. XVIII. Dove quel
taciturno contegno, quello scettro , quel godere ed esser lieto nel suo cuore, quel pre
siedere, la pi maestrevole dipintura del tribunale della virt etica e politica.
(2) Martinus Martinius in hist. Sin.
(5) Ecco una massima del Probabilismo : An peccet mortaiiter qui aclum dilectionis
Dei semel tantum in vita eliceret , condemnare non audemus. Neppure Epicuro avrebbe
ardito a sostenerla. Egli insegnava, che bisogna amare gli Dei per l'eccellenza della loro
natura: or l'amore una passione abituata. Eccone un'altra combattuta apertamente da
Epicuro medesimo : Comedere et libere usque ad satietatem (cio fino a vomitare) oh
solam voluptalem non est peccatum, dum non obsit valetudini. E pi che Epicureismo,
Apicismo. Ecco una terza: Mollities, Sodomia, bestialilas, sunt peccala ejusdem specie
ini iuae. E questo Aristippismo. Ma ecco uu rovesciamento della legge di natura e
dell' evangelica. massima fondamentale della legge tanto di natura quanto evangelica
quella di essere benefici e liberali. I nostri casisti hanno iusegnalo : Yix in saecula-
ribus invemes, etiam in regibus, superfluum statiti: et ita vix aliquis tenetur ad eleemo~
synam. Se questa massima distrugge l'umanit, quest'altra spianta la giustizia: Non
tenetur quis sub poena peccali twrtalis restituire qwxl ablatum est per parva furia, quan-
90 GENOTESI.

. XVII. Ma di tutti i vizi la terza classe quella che pi rovina le arti e


opprime la felicit dei regni. Si pu bene o male convivere con uno sciocco, con
un intemperante e molle , con uno stoltamente lussureggiante: ma qual societ
pu aversi col fiero, coli' iniquo, aggiratore, frodatore, prepotente, oppressore?
L'agricoltura, l'arte-madre, richiede pace, tranquillit, dolcezza e semplicit di
costume, libert, puntualit. Potrebbe ella muoversi in mezzo ai tumulti, agli in
sulti, alle estorsioni, alle frodi ? La buona fede l'anima del commercio, e il
commercio delle arti: dunque la mala fede estingue l'uno e le altre. Qual sorgente
non dir di ricchezza, ma pur di comodo pu esser in quel paese, donde la buona
fede per la malvagit di molti stata forzata a scappar via, venendo non altri
menti uccellata che si faccia dei tordi con sottili e invisibili cappietti ?
. XVIII. Ancorch gli uomini viziosi e scellerati mi faccian paura, me ne
fanno nondimeno ancora pi le false virt ; perch l'aspetto della falsa virt ha
maggior forza di sedurre che quella del vizio. l'amore che ho per li miei simili
che mi inspira ad indicarne alcune; e questo stesso amore mi rende pronto a
disdirmi, sempre che mi si mostri l'inganno.
1 Pretendere di far male all'uomo per amor di Dio, la prima e la pi
gran falsa virt. Perch Dio, essere di per s beato, ottimo e padre degli uomini,
non chiede di esser amato per suo interesse, ma pel ben nostro, sabbatum pro-
pter homines. Ond' che un menzognero, dice san Giovanni, chiunque dice-
di amare Dio e fa male al prossimo (1). Dunque le guerre per la piet sono una
virt falsa.
2 Credere di amare i morti sacrificando i vivi, e di far a quelli bene con far
male a questi, un'altra falsa virt non men radicata negli animi di molti popoli
ignoranti. Mi servir dell'argomento di san Giovanni medesimo : Tu non ami il
prossimo che vedi, e vuoi farmi credere che ami i morti che non vedi? Se dun
que vuoi esser virtuoso non far male ai vivi, anzi fa loro bene e prega pei morti.
Verrei volontieri a transazione con certi o ignoranti o malvagi : non fate male ai
vivi, e mi conlento che non facciate bene ai morti.
5 Persuadersi di far bene al pubblico con far male alle arti e al costume
del pubblico, una virt falsa, che ha ingannato e inganna per debolezza di ra
gione i popoli pi politi e pi umani. Ogni paese nel quale si moltiplicano le
case dei poltroni, senza moltiplicarvi le arti e la fatica, fa male alle arti, all' in
dustria, al bene della nazione. dunque una virt fantastica, ma infatti un vizio
tumcunque sit magna summa totalis. Sicch io posso a poco a poco spogliare il genere
umano, senza nessun peccato al mondo. Benedetti! Maestroni di buona morale ! Anche
questa un manico di buona morule: Proxima occasio peccanti/ non est fugienda quando
causa utilis fugiendi non occurit. Ecco I'utile regola del costume. Affinch alcuno non
creda che io calunnii, legga i due decreti di Alessandro VII e d'Innocenzo XI. Quell'in
venzione poi del peccato filosofico che annienta lutti i principii di giustizia e di onest,
che toglie Dio dal governo del mondo lasciandolo^ solo in apparenza siccome in un tea
tro, spiacemi di dirlo, non che l'essenza medesima del libertinaggio. Or come viver bene
tra si fatte massime ? Come esser sicuro della vita, de' beni, dell'onore? Come avere arti?
Come non inorridivasi la destra di coloro che ardivano di scriverle? Il peggio , che si
sono radicate nelle menti di molti degli uomini che son destinati a reggere gli altri.
(1) Si quis dixerit quoniam diligo Deum, et fratrem suum oderit, mendax est. Qui
enim non diligit fratrem suum, quem videt, Deum quem non videt quomodo potest dili
gere? Joan. ep. , cap. IV, V, 20. Pi sopra aveva dichiarati seguaci di Caiuo quei che
per motivo di piet uccidono gli altri uomini, che sono loro fratelli.
DEL COSTUME. CAP. XIV. 97

tanto peggiore quanto pi ampio. Ma se queste medesime case straricchiscano,


nuoce al costume. la somma della storia umana ed la massima dell' Evan
gelio, libro divino e rispettabile per ogni conto, che non potrebbe uno straricco
esser troppo virtuoso.
4 La misericordia per certi rei di ostinata volont e di malvagia natura,
un odio dei buoni e della pace pubblica; ed perci una virt falsa; la quale
rilassando il vigore delle leggi, introduce nei migliori governi l'anarchia e una
interna e sorda guerra civile. Questo minora i fonti dei comodi e degli onesti
piaceri.
5 Dare i premi della virt e del valore ai poveri o nobili inetti o viziosi, pu
parere una compassione ed un'atroce ferita alla virt, la quale verr ad esserne
degradata. Allora gli uomini invece di studiarsi di esser virtuosi, tireranno ad
esser poveri o a mettersi una maschera di nobilt per poter meglio conseguire i
premi della virt e del valore. Direi ad un povero, fatica quanto sai e puoi; se
non pu, gli farei la limosina e il raccomanderei alla comune piet. Ad un gen
tiluomo inetto, vivi nel tuo vivaio; e se non hai n roba, n abilit, servi in quel
che puoi. I premi pubblici son fatti per coloro che sanno esser utili al corpo
politico.
6 Sarebbe poi non una falsa virt, ma un vizio scoverto e da rovinare la
vita umana, se i premi della virt e del valore si dessero a proporzione degli
averi. Dove lecito comprare i diritti della scienza e della probit, non vi s'in
tende il governo (1).
. XIX. Niente pi vero : la prima molla motrice delle arti, dell'opulenza,
della felicit di ogni nazione, il buon costume e la virt. Niun premio, niun
tanto allettamento alla fatica che vi animi le persone vi potr esser mai in un
paese, dove il vizio, la mala fede, la frode, l'oppressione, la scelleratezza trascor
rono impunemente. Quei legislatori adunque che amano la loro gloria e gran
dezza, che non vogliono veder languire i loro popoli nella miseria, e cercar altri
pi sicuri ricoveri o mettersi di nuovo nello stato selvaggio (2), niente debbono
pi avere a cuore quanto la piet, la giustizia, l'umanit, le virt finalmente dei
loro sudditi. Siccome i musici (diceva all'imperadore Hia-o (3) il filosofo Tum-
cungo) non prima pongonsi a toccare un {strumento a corde, che non abbiano
ridotto tutte le corde all'unisono, rilassando o stirando; cos i savi re, esami
nando quel che ha fatto il tempo o la natura innanzi che essi montassero sul
trono, voglion prima sbarbicare il mal costume o le sue cagioni, che far gustare
ai popoli i nuovi frutti della loro sapienza.
. XX. Ma prima di ogni altra cosa voglion sapere che in ogni eulta nazione,

(1) Plinio nel proemio del lib. XVI della Storia Natur. Tra gli antichi, dice, ciascun
popolo coltivando il suo, reges innumeri honore arlum colebantur, et in ostentatone has
prwferebant opum. Quare abundabant et proemia et opera vitos. Posteris laxitas mundi,
et rerum ampliludo damno fuit, postquam Senator censu legi captus, Judex fieri censu,
Magistralum ducemque nil magis exornare, quam census : postquam capere orbitas in
auctoritate summa et polentia esse, captatio in quaestu fertilissimo, oc sola gaudio in
possidendo, pessum iere vitee pretta, omnesque a maximo bono liberales dieta artts in
contrarium eecidere, ac servitute sola profici emptum.
(2) Come gran parte delle nostre Provincie nel secolo passato, infestate da banditi.
(5) Martinius, pag. 302. Fu l'arte di Alfredo re d' Inghilterra. Hume, Storia d'Inghil
terra, tom l, pag. 93.
Econom. Tom. IH. 7.
98 GENOVESI.

dove pi dove meno, vi sono sempre certe classi di uomini che o per certi malin
tesi privilegi, o per privati loro interessi, o per un malvagio temperamento, o
perch talee stata la loro educazione, son nemici dichiarati d'ogni legge tendente
a promuovere le buone cognizioni e le virt, ancorch si studino di coprire agli
occhi del volgo s detestabile disegno. Potrebbesene far di leggieri una lista; ma
questi elementi sono indirizzati a giovare, non a pungere : n se coloro a cui
imporla far nascere e conservare la virt nel corpo civile vi pensino punto, po
tranno essere lor ignoti. Quello mi pare da non contrastarsi, il non esser facile
che la virt alligni e venga gentile, bella, robusta, dove la legge o non ha brac
cia esecutrici, o intralciata da privilegi, per cui vien rotta la sua forza e arre
state inerti le braccia degli esecutori. un disordine de'pi grandi un ostacolo tra
la legge e l'esecuzione. E perch non vi migliore educazione dei popoli che
le buone leggi (1), ogni ostacolo alloro effetto, impedendo l'educazione, cagione
di rilassamento o scostumatezza.
. XXI. Conosco anch'io che la virt, sola vera madre di veri beni, non po
trebbe esser figlia della forza, nascendo dal solo genio e amore, e dall'energia del
bello e dell'onesto, e questo dalla educazione e dagli esempi. Ma da tener per
massima necessaria e indispensabile, che dove i malvagi non possono essere al
lettali alla virt sicch diventino buoni, si vogliono spaventar con la pena dall'es
sere viziosi e scellerati e nuocere altrui. L'educazione, gli esempi pubblici, i premi
saranno delle buone attrattive a voler essere savi, temperati, giusli, umaDi, fati
catori; e perci quell'educazione, quegli esempi, quei premi, si vogliono avere in
gran conto. Numa in una sola et, non usando altr'arle, pot veder germogliare
nei crudi petti e feroci degli allievi di Romolo ogni virt e ogni arte. E questo
il caso di tutti i popoli : la virt e la sapienza di un solo, che ne sia capo, basta
a rilevarli e farli felici.
. XXII. Ma dove questo non basta, siccome non baster sicuramente in
niun paese, tali sono i. capricci o i bisogni della natura umana, la vergogna, le
pene vogliono esser pubbliche e pronte e in quelle persone pi esser solenni, le
quali per il loro grado possono maggiore scandalo recare alla societ se siano
disoneste e facinorose. Io governer voi, diceva ai grandi di questo regno il mar
chese del Carpio, voi governerete gli altri. La vergogna motivo fortissimo, po
chi essendovi i quali non amino la stima e la gloria. Ma ella da adoperarsi nei
vizi che non meritano essere altrimenti castigati; e in questo genere da porsi in
prima la dappocaggine. Nella Cina, come pi di una volta detto, maggior
biasimo e vergogna l'esser poltrone e dappoco, che non sarebbe tra noi il pi di
sonesto vizio e il pi ignominioso. Un uomo ben fatto e sano, che volesse vivere
accattando piuttosto che faticando, vi diverrebbe il giuoco e il trastullo dei ra
gazzi che il martirizzerebbero, senza che gli fosse permesso di richiamarsene in
giustizia. Finch in Roma la censura fu in vigore, se n'ebbe paura e la virt vi
regn (2).

(1) Ho detto le buone Ugg e non le antiche, perch mi par vera e utile una massima
di Tertulliano, leges neque annorum numerus, neque conditorum dignitas commendat, scd
aquitas sola ; et ideo cum iniqua recognoscunlur merito datnnantur, licei damnent.
Apol., cap. IV, pag. Si, ediz. di Avercampio.
(2) La censura , dice Montesquieu , magistrato di repubblica che non conviene alla
costituzione delle monarchie. Dico io, a non volere che l'amor delln patria abbia parte
DEI COSTUME. CAP. XIV. 99

. XXIII. Del resto in quei vizi o piuttosto delitti che inrestano i diritti altrui,
i quali cagionando animosit, odii, ire, contrasti, inimicizie, vendette, turbano e
arrestano il corso delle arti e sciolgono i sacri vincoli della civile societ, la sola
vergogna e l'infamia, come non soddisferebbe agli offesi e a molti offensori po
trebbe parer minore del piacere del delitto, non sarebbe pena sufficiente da rimet
tere la turbata azione del corpo politico nel suo equilibrio. A me par bella sopra
ogni altra, per ci che appartiensi all'economia, la legge di Federico II, e avrebbe
divina forza a governarvi le arti se fosse con puntualit e prontezza messa in pra
tica. Ut fraudes artificum siugulorum pana non careant, si.... in eorum arti-
fieiis [iterini inventi dolose versori, prima vice deprehensus in dolo, falsa
opera faciens libram unam auri purissimi fisco nostro componat; quam
si propter inopiam forte dare non poterit, fustigetur. Iterato vero deprehensus
in simili, manum perdat. Tertio deprehensus talia perpetrare, suspensus furcis
morlis periculum subeat (1). Decreta la medesima pena per i falsi pesi e per le
false misure (2). Volle (e questo ancora pi necessario) che due giudici prese
dessero a questa sola materia, siccome ad un tribunale della buona fede: sot
tomettendoli alla medesima pena, si prece, vel pretto, vel amore delinquentium
mercatorum, vel artificum, avi timore corrupti, lasciassero di fare l'ufficio loro.
Simili pene e talora pi atroci sono state fulminate dalle leggi cosi romane, come
nostre contro la mala fede dei contratti, contro l'oppressione, la vessazione, le
estorsioni e altri delitti tendenti a render poveri e selvaggi i popoli. Dalle quali
se non ricavasi quel bene che se ne sper, non gi difetto delle leggi ma delle
braccia delle leggi. La legge di Federico divina, ma pi divina ancora la
seconda parte, e divinissimo il serbarla in vigore. Come questo manca, le leggi
anzi di giovare si convertono in armi nocevoli e distruttive. Ma quel >*on si pu',
nato prima per debolezza de' giudici, poi corroborato dall'avidit, ha guaste le
pi belle leggi.
. XXIV. La virt una forza miglioratrice e regolatrice delle facolt umane;
bisogna dunque che sia una forza illuminata e raggiante. Ogni forza umana dove
operi al buio o in mezzo di certi vapori foschi, onde che sia nascenti, pi atta
a far male che bene. Dunque aveva ragione Platone (3) di precettare, di doversi
abolire tutti i metodi di educazione che generano ipocondria, entusiasmo, rabbia.
Questi metodi, anzi di crear vera virt, guastano la natura ; e portando ad intor
bidare la reciproca benevolenza degli uomini, infettano la sorgente della virt.
Questo medesimo filosofo proscrisse perci dalla sua repubblica tutti i poeti e le
leggende, che riempiono di falsit, d'ipocondria, di entusiasmo e di certi semi di

celle molle motrici delle monarchie (massima alla quale non mi so ancora risolvere, per
la ragione che in ogni savia monarchia vi debb' essere un grado di patriotismo). Il co
stume vuol essere rispettato dappertutto ; e 'I costume non differente dalla virt etica.
L'Europa tutta cristiana; e il cristianesimo nato colla censura. vero, che lo sprito
del cristianesimo quello dell'equalit : ma vi potrebli'essere un'equalit di costumi nella
disuguaglianza degli ordini. Del resto, i censori cristiani vorrebbero esser quel ch'erano
ne' primi secoli. L'impero della censura ha distrutta la censura per abuso e per timore ,
e di qui nata la scostumatezza.
(1) Constil. Regni Sicilia; pag. 287.
(2) Ibid, pag. 288.
{:) Nel HI. Il de Rep.
100 GENOVESI.

discordia e d'odio i fanciulli (1). In molti paesi d'Europa sarebbe da vedere se


non si fosse nel caso di Platone.
. XXV. La virt, essendo una forza aggiunta alla naturale e di quella mi
glioratrice, vuol essere conforme alla natura e non opposta, n di quella distrut
tiva. E di qui che si vuol diligentemente, cos nell'educazione come nelle leggi,
dar opera a non pretendere di annientar la natura con i precetti ; perch oltre
che non sar possibile di riuscirvi, perch niente che fatto dalla natura pu
esser altro che ci che fatto, si verr piuttosto a guastar l'uomo, facendolo o
stupido, o feroce, o scaltro, o malizioso. Stupido, se cede troppo alla pressione;
feroce, se di natura soverchio elastica e risaltante ; scaltro, se talmente pie
ghevole, che non voglia n possa non sentir la natura n opporsi alla forza aper
tamente. Ora queste maniere egualmente distruggono la virt e nuocono al bene
dello Stato. Dond' che certe leggi nate nei tempi torbidi, ancorch allora fossero
state utilissime, si vorrebber ora cassare.
. XXVI. Per la medesima ragione la virt vuole, quanto pi pu, prender
il luogo della natura; il che non fia possibile se non comincia donde comincia
la natura, vale a dire dalla generazione. Perch come a voler rendere belle, po
derose, fruttifere le piante, si vuol cominciare dal seme e dal suolo, cosi negli
uomini si vorrebbe cominciar dalle nozze e dall'infanzia. Vi molto da potare
nell'uso comune delle nozze, e moltissimo nell'educazione infantile. Platone (2)
ha ragion di pretendere, che nell'opere di certe arti esposte agli occhi dei ragazzi
non vi debb'esser nulla che non ispiri morigeratezza, ch'egli chiama una musica
politica, e Cicerone direbbe decorum. Siccome, dice questo grand'uomo, un ra
gazzo nutrito in un'aria pestifera contrae insensibilmente una salute cagionevole,
segno della quale il mal colore o una certa difformatezza di membra, cos in
mezzo a forme di suoni e spettacoli non rappresentanti che viziosit o certe
storpie virt, l'animo divien malaticcio e tale da non potersi pi curare. E di qui
che le pitture, le sculture, i teatri, le pubbliche feste, gli stravizzi, dove regna
un'infinit di vizi, non possono essere che assai cattiva scuola per li ragazzi. E
questa la ragione perch nelle grandi citt si trovi pi di questi giovani, pi
distratti, pi balordi, pi malvagi che nelle campagne. Questo medesimo dimo
stra quanto sia malagevole l'educar bene i figli dei grandi e dei ricchi.
$ XXVII. Ma nell'educazione il legislatore vuol fidarsi pi sui metodi fisici
che sui metafisici. L'uomo nato e cresciuto e vive nell'ordine fisico; l'educazione
delle leggi debb'esser d'accordo con un tal ordine. Il metafisico non soccorre
sempre la natura, ma alle volte la distrae e pu fare dei grandi fanatici, i quali
sono mali uomini e cattivissimi cittadini. Un certo Stoicismo e lo Arabismo non
servono che a guastar l'uomo (3).

(1) Il principale che prende a ferire, Omero. E invero, le memorie dell'antichit, il


carattere istorico de' costumi de' primi uomini, la finezza delle dipinture e miniature, la
propriet dell' orazione, tutto in questo poeta mirabile. Ma la filosofia, il vero carat
tere eroico che vuol dominare in un'epopeia, la teologia, non vi possono esser peggiori
di quel che vi sono. E in questo niun uomo giudizioso ardir di opporsi alla critica che
ne fa questo gran filosofo. Questa la parte per cui il nostro Tasso al di sopra di lutti
gli epici antichi, ancorch loro sia inferiore in altri riguardi.
(2j Della Repubblica, lib. IH.
(5J Uno de' pregi della legge Mosaica appunto di aver date ob duritiem cordis tali
leggi civili ed economiche, quali si convenivano ad animali rozzi e caparbi. Pi sublimi
forse non avrebbero avuto alcun buon effetto.
101

CAPO) XV.

De'mezzi pi particolari di avvalorare e incoraggiare l'industria.

S. I. Veniam ora a'mezzi pi particolari. La prima massima per riguardo a


questa cura , che il legislatore ne faccia uno de'principali punti delle sue leggi,
e che pi ancora che le altre leggi raccomandi ai prefetti e ai magistrati quelle
di economia, siccome sostegno e alimento di tutte le altre (1). E questa la
pratica della Cina (2), dove niuna cosa prima n con maggior premura s'im
pone ai prefetti delle provincie e delle citt, quanto quella di vegliare attenta
mente all'agricoltura. Per modo che sempre riputato un loro delitto e punito
severamente, se l'agricoltura e la fatica vi si venga ad indebolire e decadere.
Regolamento a cui ha ragione il P. Martinio di ascrivere l'immensa popolazione
di quell'imperio e l'abbondanza di tutto quel che serve alla vita.
S. II. La seconda quella d'adoperare le due gran vette, produttrici e per
fezionatrici delle arti e delle scienze tutte quante e gran cagioni di azione, cono
sciute per tali in ogni genere e luogo, le quali sono l'oNoRE e il PREMIo; perch
come l'energia delle passioni il principal motore degli animi umani, cos queste
molle solleticando maravigliosamente, accrescono e alimentano lo spirito e l'in
gegno. Egli non possibile che ivi regnino arti e scienze e che sia per esse gran
moto, dove non sono apprezzate n ottengono verun premio, ma piuttosto vi
sono avute in dispregio e tenute per vili. L'Honos alit artes, che diceva con
somma avvedutezza Cicerone, una massima della natura e di tutta la storia
umana. E perci da riputarsi capo d'opera della sapienza civile dei Cinesi,
il costume che sono obbligati a seguire i presidi e i magistrati delle provincie,
di celebrare ogni primavera la festa dell'agricoltura; nella quale oltre la singolar
pompa riguardante la cosa medesima, i contadini vi sono distinti od onorati; il
che d dell'emulazione e del vigore, e la religione che vi si frammischia (5) ne
fa un pi serio dovere.
S. lll. Adunque, se coloro i quali migliorano le arti o trovano un nuovo
istrumento o una nuova macchina, coloro che rendono pi facili e pi spedite
le antiche, quei che inventano una nuova e utile manifattura, coloro che viag
giano per paesi culti e spiando sottilmente la perfezion delle arti s'ingegnano
d'introdurla nella propria patria, coloro che riescono eccellenti in qualche utile
mestiero, coloro che dal loro privato avere si studiano di promuovere la pub
blica utilit e felicit: se tutti costoro, dico,fossero per la provvida e seria cura

(1) I Greci chiamano le leggi nomous: e nomous una porzione di terra toccata in
parte ad una trib o famiglia. Il che dinota che le prime leggi de' Greci, come di tutti
gli altri popoli, sieno nate colla divisione delle terre.
(2) Martinus Martinius, Hist. Sin. lib. 8.
(5) Non senza gran politica che gli Egizi, gli Indi, i Greci e i Romani avessero s
fattamente legata l'agricoltura alla religione, che gli agricoltori venissero a riputarsi far
de' sacrifizi piuttosto che coltivare. Tra tutte le molle che muovono il cuore umano, la
religione la pi potente. Vi anche tra noi qualche cosa che potrebbe mirabilmente
servire a questo fine, se fosse trattata da mani maestre.
103 GENOVESI.
del legislatore destinati a ricevere decenti onori e premii, che o li distingues
sero tra tutti gli altri o li rendessero pi agiati, certamente non potrebbe essere
a meno che l' ingegn e lo spirito della nazione non si risvegliasse, e che non
ne nascessero de' gran vantaggi cos per lei come pel sovrano.
. IV. Dove da considerare, che l'uomo un certo animale che non cono
sce mai tutte le sue forze, cos d'ingegno come di corpo, se non quando posto
in qualche gran cimento che premendo la natura la faccia ribalzare. Sembra che
queste forze umane abbiano molto dell'elastico ; perch elleno, siccome ne'corpi
elastici, non si sviluppano giammai interamente senza qualche grande compres
sione e irritazione (1). La storia delle cose degli uomini c'insegna due gran ve
rit per rispetto a questo punto. La prima quella eh' detta ; e l'altra, che lo
spirito umano e l'ingegno non si mette mai in moto senzach generi molti
grand'uomini che illustrano e aggrandiscono le nazioni.
. V. A questo principio debbono principalmente la loro nascita 1 secoli lu
minosi di certi Stati, siccome quello di Psametico in Egitto, di Ciro in Persia, di
Pericle in Atene, di Alessandro nella Tracia e in Egitto, di Augusto in Roma, di
Alfonso I in Napoli, de' Medici in Toscana e in Roma, di Luigi XIV in Francia,
di Pietro il Grande in Moscovia, e questo nostro in Inghilterra (2). Non in
causa la sola libert civile, che ora manca all'Egitto, alla Persia, alla Grecia,
perch quelle nazioni non sieno pi quel che sono state altre volle: lor manca
il principio motore degl' ingegni e degli spiriti, cio il premio e l'onore, e quel
grado di libert che conviene a' cittadini come premio della virt, il quale le leggi
vogliono serbare intatto in ogni paese ; perch appunto per questo fine son nati
gl'imperii civili. Il suolo d'Italia oggid il medesimo di quel che fu ai tempi
di Augusto; il medesimo il clima. Donde segue, che il fisico di coloro che vi
nascono sia ancora ristesso. E certamente s'inganna l'autore d'un' opera assai
fanciullesca dello Spirito delle Nazioni, non ha molto uscita in Francia, quando
crede e scrive con assai poca avvedutezza, che il fisico d'Italia non pi oggid
quel che fu gi ; conciossiacb sia una rozzezza filosofica il credere, che il fisico
de' paesi si cambii tanto da divenir altro coli' andar del tempo. Contuttoci vi
vuol molto perch l'Italia sia la medesima quanto al morale : di che la vera ca
gione di essersi cambiata l'educazione domestica e civile (3), e venuti altri
studii e maniere di vivere e di pensare ; donde si estinto li principio motore
de' grand'ingegni e del coraggio, e le persone datesi ad ottener per apparato di
vivere, per iscaltrezza, per impostura, per piccole frodi e per giuochetti, quel che
non possono per virt, ignota o temuta.
. VI. Per questi medesimi fatti chiaro, che questo principio non cosi
proprio delle repubbliche, che non possa aver luogo negli altri governi eziandio
e principalmente nelle monarchie. La ricompensa lo stimolo della virt, del

(1) Questa potrebbe essere la cagione di ci che dice Tacito, miseria tollerantur, fe
licitate corrumpimur. La morbidezza , cagione Ammolliente estingue l'elasticit delle
natura umana.
(2) Gli anni addietro si fondata in Londra una unione di gente di avere, la quale ha
stabilito gran fondi per la perfezione dell'arti cos delle colonie come della Gran Breta
gna. Gi gli effetti cominciano > vedersene belli e grandi in America.
(5) L'educazione il seme delle teste , dice Platone nel IV della Repubblica. Voi ve
drete venirle su stordite, frolle, pazze, vote, come quella s'imbastardisce.
MEZZI DI AYVALORARE ED INCORAGGIARE L' INDUSTRIA. CAP. XV. 103

sapere e dell'industria, che pu trovar luogo in ogni Stato senzach se ne alteri


la costituzione politica. Se ne veggono degli esempii in tutti i governi dell'Asia,
ancorch dispotici. Molti ne somministra la storia della Cina (1). Solimano re
de' Turchi seppe farne tanto uso, quanto il senato di Atene o quel di Roma nei
tempi brillanti di quelle repubbliche. Nel secolo passato Kuperl Gran-Visir di
Costantinopoli, colui che tolse ai Veneziani l'isola di Creta, ne fece delle nuove
prove con grandissimo vantaggio dell'impero turco. Abbas il Grande re di Persia,
il quale conosceva pienamente la forza di questo principio, anim in quel regno
talmente le arti, il commercio e lo spirito della nazione, ch'ella fior mirabilmente
in ogni cosa. Ha fatto il medesimo Pietro il Grande in Moscovia al fine del se
colo passato e al principio di questo. Se i Persiani avessero continuato ad avere
Abbas, e i Turchi de' Solimani (2), sarebbero oggigiorno le pi eulte e le pi il
lustri nazioni della terra. Ricordiamoci che dappertutto le medesime cagioni pro
ducono i medesimi efletti: e che ovunque sono de' savj e buoni principi, anche
tra selvaggi (3), non pu essere a meno che non vi sieno savii e felici l popoli.
. VII. Ma niuna nazione ha meglio in questi ultimi tempi saputo profittare
di questa bella massima quanto gli Inglesi ; siccome si pu di leggieri vedere
dalla storia del commercio della Gran-Bretagna di Giovanni Cary, che io feci
qui gli anni addietro imprimere in nostra lingua con copiose aggiunte, affinch
si conoscesse pi largamente l'arte tenuta dai legislatori di quel paese, per la
quale le cose loro, da piccolissimi principli e barbari che erano poco pi d'un
secolo addietro, sono ad ammirabile altezza pervenute. Ci contenteremo qui di
accennarne alcun esempio, affinch si conosca sempre pi che non il caso n
la fortuna, ma l'arte e la sapienza quella che aggrandisce i popoli.
$. Vili. Nel xvi e in parte del xvu secolo la coltivazione delle terre eia
in quell'isola ancora assai piccola e rozza (4). Quindi che g' Inglesi di quei
tempi erano spesse volte necessitati di prendere da' forestieri del grano e delle
altre minori derrate. Ci manifesto dalle storie, e dalle lettere di molti nego
zianti di quel tempo. Contuttoci il 1689 sotto il re Guglielmo pass nel parla
mento l'atto di Brnmty, o sia di gratificazione, che fu poi confermato ne' susse
guenti regni ed tuttora nel suo vigore (5). in quest' atto stabilito che quegli
(I) Veggasi il P. Martino Martinio.
(1) Si dice che la costituzione fa i gran principi , perch la costituzione madre del
l'educazione. Non niego che la costituzione facendo gli educatori non influisca nel far i
principi. Con tutto ci voi troverete in (sparla, in Atene, in llonia , in Inghilterra de' ti
ranni : e de' buoni e savii principi negli Stati pi dispotici. Gli Arabi innanzi agli Abas-
sidi, e questi Turchi Abassidi prima degli Ottomani, ebbero in Bagdad, io Damasco, nel
Cairo, in Cordova, in Samarcanda, in Ispahon de' gran protettori delle scienze e dell'arti.
E di questo fenomeno debb'esser cagione pi la natura e l'educazione domestica che
la costituzione. In tutti quasi i paesi del nostro continente gli ecclesiastici hanno gran
dissima influenza nell'educazione privata de' sovrani e de' grandi. Questo potrebbe te
ner luogo d'una felice costituzione, se questi educatori volessero risgardare al vero
fine del loro ufficio, cio alla vera gloria e feliciti de' loro allievi, la quale non pu
nascere che dal ben pubblico. Ma vorrebbero esser pi filosofi e meno casisti , aver pi
della grande, meno della piccola politica.
(3) Veggasi una descrizione degli Apalaschiti , popolo americano tra la Florida e la
Virginia nella Storia naturale e morale delle isole Antille di un anonimo, impressa a
Roterdam 1658, n. 4, lib. 2, cap. 8.
() Vedi Hume, Storio d'Inghilterra.
(5) I Napoletani avevano intesa questa massima. Per aumentare la marina e'I coni-
104 GENOVESI.

Inglesi, i quali con vascelli e due terzi almeno dell'equipaggio nazionali traspor
tassero ai paesi stranieri del grano e delle altre derrate inglesi, sarebbero pre
miati di un tanto a quarter, misura delle biade di quella nazione d'intorno a otto
staja. Per tal alto l'Inghilterra a poco a poco divenuta uno degli inesausti
granai del Settentrione. Imperciocch molte terre, le quali erano ancora inculte,
sono state messe a coltura; le vecchie coltivate meglio (1), e l'arte del coltivare
stata condotta alla sua perfezione. Infatti il 1748 e il 1749 stata l'estra
zione, che la Bounty, o sia gratificazione ha oltrepassato 200,000 lire sterline.
Pu leggersi l'opera eccellente, De vantaggi e degli svantaggi degl'Inglesi e dei
Francesi ecc., del signor Dangeul.
. IX. Questo istesso metodo slato dagli Inglesi lenulo a voler promuovere
le manifatture di lana e di altre materie, le quali sono oggigiorno la seconda
sorgente delle ricchezze della Gran-Bretagna. Chi ne ha voglia pu vedere dalla
sopraccitala storia, che non ha gran tempo quando gl'Inglesi vendevano le lane
agl'Olandesi, a'Fiaminghi e a' Francesi, e in iscambio ne traevano delle manifat
ture. In questi tempi la nazione poteva dirsi piuttosto povera che no. Ma pel
grande atto di navigazione stabilito a' tempi di Cromwel, e parte per li premii e
onori accordati a' manifattori e a' negozianti, le manifatture di ogni sorta in
niuna nazione non si sono tanto moltiplicate e migliorale quanto in Inghilterra,
per modo che ora riempiono l'uno e l'altro emisfero.
. X. L'esempio, che qui seguita, dimostra assai chiaramente lo spirito di
quel popolo e di quel governo in materia di economia. Il 1754 il cavalier Tom
maso Lomb fu il primo che rec d'Italia in Inghilterra la macchina da torcere
la seta, di cui egli prese un modello nel Piemonte. Questo cavaliere per promuo
verla nella sua patria, cerc ed ottenne dal governo unjusprohibendi per quat
tordici anni. Trascorso questo tempo richiese la conferma del suo privilegio. Ma
il parlamento il quale voleva veramente premiare la diligenza del signor Lomb,
ma non voleva privare la nazione del vantaggio di questo strumento, gli don
per una volta sola quattordicimila lire sterline e ordin che la medesima fosse
renduta pubblica. E questi sono i colpi di savii che mettono in molo le arti, la
diligenza, l'ingegno e la fatica.

mercio chiesero ai nostri sovrani, il 1499 al re Ferdinando, e il 1503 a Ferdinando


il Cattolico, degnarsi concedere ai ditti supplicanti; che volendo conslruere nave, o
vero naviUi , seu comprare, fossero franchi e immuni da quale si vale pagamento de
dohana, gabella, diritti, ancoraggi, falangaggio, terzarie , boschi, legname, e ogne
altro pagamento Fu risposto, Placet. (Priv. e Cap. tom. I, pag 40 e 61 ecc. J.
Se questo sistema si continuava, noi saremmo gli Inglesi del Mediterraneo. In tutti i
capitoli di Alfonso l , e Ferdinando I , Federico, Ferdinando il Cattolico, si trova ac
cordata piena libert da ogni dazio per tutte le derrate e manifatture , che da qua
lunque parte del regno per terra e per mare venissero in Napoli , o da Napoli andas
seru nelle provincie. Principio mirabile se si fosse esteso un po' pi e poi conservato.
Era piantare la pi valida radice d'un gran commercio. Ma a queste belle massime ge
nerali aggiunsero certe prerogative particolari della capitale, che sono la rovina delle
Provincie. L' interesse vicino e presente fece loro perder di mira il distante , ancorch
questo fosse il sostegno di quello. Questo era il pensare de' secoli pi luminosi.
(1) La medesima terra coltivata con arte e zelo pu render pi che il triplo dell'ordi
nario, siccome consta dall'attestazione uniforme di lutti i contadini. Dunque un'intera
nazione in cui l'agricoltura s'intenda bene, e l'agricoltore ha dell'ardore a coltivare, ne
pu divenire tre volte pi ricca.
MEZZI DI AVVALORARE ED NCORAGAIARK L' INDUSTRIA. CAP. XV. 105
. XI. Quel che mi par pi da considerare in questa nazione egli , che non
la sola corte e il solo parlamento che vi anima gli spiriti all'industria, ma i
privati medesimi vogliono aver parte a s bella gloria, o fondando delle societ
per lo mantenimento ed educazione de' poveri fanciulli, o lasciando de' fondi che
diano de' premii a coloro, i quali maggiore utilit e splendore recano alla loro
patria. Tale per esempio la societ di Dublino in Irlanda (1) per lo studio, ac
crescimento e miglioramento dell'agricoltura e manifatture (2). Questa societ
distribuisce da 80 sino a 100 premii l'anno, i quali tutti insieme montano a
1000 lire sterline e sono tutti di fondi privati. Un solo cittadino, chiamato Sa
muele Madden, ha consumilo a questa utilissima compagnia cencinquanta lire
sterline l'anno. Questi premii si distribuiscono nel modo che segue :
1. A chi meglio tinge le lane, la seta, la tela ecc.
2. A chi fa dei migliori tappeti all' uso di Turchia o di Turni-.
3. A chi fa la migliore stoffa simile ad un proposto modello.
4. A chi fa migliori disegni per le stoffe di qualunque sorta.
5. A chi fabbrica la migliore porcellana.
6. A chi fabbrica la miglior carta.
7. A chi inventa una macchina pi utile per le manifatture o per l'agri
coltura.
8. A quel maestro o maestra che avr fatto un pi savio allievo.
9. A chi avr ben coltivato una pi grande estensione di terra incolta.
10. A chi avr piantato d'alberi utili una pi grande estensione di terra.
11. A chi avr disseccato una maggiore estensione di paludi o di stagni, e
postele in coltura ecc.
. XII. Vi una simile societ di uomini amanti del ben pubblico in Edim
burgo capitale della Scozia. In questa medesima citt vi una casa ben dotata
da uomini privati per lo mantenimento de' figli de'mercanti falliti. Questi fan
ciulli vi sono educati e istrutti in tutte le arti del commercio. Moltissimi simili
stabilimenti leggonsi ultimamente fatti in Francia da private persone, le quali
hanno saviamente stimato non potersi con maggior gloria impiegare le ricchezze
che Dio ci ha date, che in vantaggio della patria; perch la vera virt, anche
evangelica, amar gli uomini e far loro del bene.
. XIII. E in effetto se noi avessimo qui o nella capitale o nelle provincie
simili societ, quanto non si potrebbero migliorare e accrescere le nostre mani
fatture? Una societ come quella di Dublino che noi avessimo nell'Abruzzo, non
avremmo per avventura molto bisogno delle tele forestiere; essendo il Dio del
l'Aquila, cos per finezza come per bianchezza, di poco inferiore ai migliori dei
forestieri, e potendosi di molto migliorare se vi attendessimo. Che non avrebbe
fatto una simile societ nella Calabria, nella provincia di Otranto e Lecce a voler
promuovere le manifatture di seta e di cotone? Perch se queste manifatture,

(1) Questa nazione al principio del secolo passato era tuttavia selvaggia e fiera: al
principio del presente , barbara, ella ora tende ad essere delle pi eulte. Vedi David
Illune, Stono dell'Inghilterra. E questo prova quanto sono irragionevoli certi fanatici
per il non si pu.
(2) Ho gi detto essersi gli anni addietro (ondata una nuova tale societ in Londra ,
la cui mira si estende principalmente alle colonie americane. I premi vi si distriboi-
scono presso a poco come nella societ Irlandese.
106 GBHOVBSl.

ancorch niun premio o favore le avesse stimolate, pure sono state e sono tutta
via bellissimo e ricercatissime, or che sarebbe stato se il premio le avesse incorag
giate e la legge favorite? Noi siamo ancor in agricoltura e in arti e macchine
agrarie assai di sotto a molte nazioni savie: dunque una Bociet che promovesse
con premi l'agricoltura, di quanto giovamento non potrebbe esser ella ?
. XIV. E qui dove convien che osserviamo, che molte cose belle e gene
rose e di grandissima spesa hanno fatto i maggiori nostri; e nondimeno non
hanno veduto, che tra le cose belle ve n'ha sempre una pi bella e di maggior
gloria delle altre, e tra le utili una pi utile, e tra le virtuose una pi virtuosa.
Or qual cosa pi bella, pi utile, pi gloriosa, pi virtuosa, quanto quella di
giovare alla patria tutta quanta, piuttosto che a poche persone? Quello di faro
che non vi siano degli oziosi e dei poveri, o che non ve ne sia che il minimo
possibile? Pur non vi si troppo pensato, ancorch si fosse pensato a far bene.
Le leggi comuni stabiliscono, che quando mancano gli eredi discendenti succe
dano ne' nostri beni gli ascendenti, se ve n'ha. Dove dunque mancano gli uni e
gli altri, la patria ha un diritto di essere chiamata in testamento siccome erede
ascendente, o di succedere ab intestalo. Il famoso Arrigo de'Coccej ha dimo
strato, che morendosi senza eredi, i beni di diritto primitivo della natura ritor
nino nella massa comune della patria : il che cosi vero, come verissimo che
la partizione delle terre ne' popoli culli non nacque che per consenso o espresso
o tacito del corpo politico, rimanendo sempre la tacita ipoteca a tutto il corpo.
Se gli antichi nostri avessero pensato a questo modo, senza maggior spesa, anzi
con minore, noi ritrarremmo dai loro stabilimenti assai maggiore utilit che non
ne ricaviamo, essendoci manifesto che i loro testamenti con poca considerazione
dettati, hanno piuttosto impiccolita la quantit d'azione e di fatica utile che ac
cresciutala -, ond' nato, che in vece di minorare gli oziosi e i poveri, secondo
che sembra essere stata la loro intenzione, essi gli abbiano stranamente accre
sciuti e in mille guise. Il che chi volesse intender meglio non avrebbe a fare, che
a moltiplicare si fatti loro testamenti quanto pi potesse, e vedrebbe in men di
due secoli ridotta la nazione ai boschi (1).
$. XV. Il secondo mezzo per incoraggiare e promuovere l' industria, stimo
che dovesse esser quello di accrescere il premio intrinseco e naturale della fatica,
vale a dire il guadagno del lavoratore. Or questo si fa con facilitare e proteg
gere lo smercio di quel eh' prodotto per l'industria. Imperciocch facilitando
Io smercio, si d molo a tutti i prodotti della natura e dell' arto : questo moto,
aprendo degli scoli, agevola e accresce il guadagno ; e il guadagno sempre
l'esca di coloro che travagliano. Questo solo mezzo, ancorch manchino gli altri
premi, capace di aumentare e migliorare tutte le arti. un premio inerente e
essenziale de' lavori ; piace e soddisfa a chi fatica : e questo piacere l'anima a
continuare nel travaglio. Ma dove a lungo andare coloro che lavorano si veg
gono defraudati della loro speranza, a poco a poco si raffreddano e la fatica di
viene loro indifferente : stalo terribile per una eulta nazione (2). una massima

(1) Guai per tutti quei paesi dove le persone vogliono , come dappertutto , la vita
eterna, ma non sanno bene l'arte di seguirla. .V abbiamo troppo grandi e frequenti
esempi nella storia d'Europa.
(2) I Californii , dicono i Gesuiti che n'hanno scritta la storia, si credono i pi felici
degli uomini : non vestono; dormono sulla terra, sotto di alberi, nelle grotte : manginn
MEZZI DI AVVALORARE ED INCORAGGIARE L'INDUSTRIA. CAI'. XV. 107

falsa, siccome detto altre volte, che quanto meno si guadagna pi si fatichi,
perch a che fine vorremmo noi stentare ?
. XVI. Per meglio intendere questa massima, supponiamo, per modo di
esempio, che noi di questo Regno per quattro o cinque anni mandiam fuori lutto
quel che si pu togliere ai nostri bisogni, in grano, vino, olio, derrate minori,
frutta, manifatture di lana, di seta, di lino, di canape, di cotone e degli altri
materiali, sicch niente rigurgiti : ho per cosa indubitata che si vedrebbe subito
tutto il paese, siccome da entusiasmo mosso e stimolato, correre dietro alla col
tura delle terre e alle manifatture (1) ; conciossiach lo scolo aumenti il guada
gno, e il guadagno sia grandissima attrattiva alla diligenza e fatica delle per
sone (2).
. XVII. Per questa ragione e massima il 1752 il parlamento d'Inghilterra
soppresse tutti i diritti di estrazione delle manifatture inglesi, e quelli d'introdu
zione de' materiali atti ad essere lavorati, de' quali essi abbisognano. Appresso
pel medesimo principio proib l'introduzione di tutte le manifatture di lana, di
lino, di seta e de' metalli di tutte le altre nazioni, e principalmente di Francia
e de' Paesi Bassi. In vigore del medesimo principio l'estrazione delle materie
prime, lo quali possono essere lavorate nell'isola, stata severamente vietata.
Simili leggi leggonsi promulgate da Luigi XIV per aumentare e migliorare le
manifatture di Francia. Favori anche l'introduzione de' materiali mancanti ai
Francesi, e agevol la estrazione delle manifatture. La corte di Vienna ha ulti
mamente imitato le ordinanze francesi, e quella di Portogallo le inglesi. La fa
tica il capitale de' poveri. Di qui che tutte quelle leggi, le quali sono indi-

ogni cosa e pochissimo : dichiarati nemici della fatica metodica. E una tchiavil, di
cono. Ecco i Finiti di Tacito, De moribus Germanorum. Questo pu essere ogni popolo
che si preme soverchio.
() per appunto il caso degl'Inglesi di quest'ultimo secolo.
(2) I nostri maggiori videro certi barlumi delle buone regole economiche. Chiesero
che l'estrazione delle pelli fosse libera, e loro fu conceduto. Priv. e Cap. toro. I, pag.
35, cap. 15. Come il regno abbonda d'ogni sorta di animali, l'arte di conciar le pelli
poteva con questo favore divenir una gran sorgente di rendite; L'arti della lana e della
seta avevano gran privilegi : dunque quest'arti potevano ancora essere maggior fondo di
ricchezze. Intanto niuna di quest'arti fu quel che doveva essere; del che ecco la ragione.
La capitale chiedeva favori per l'arti della capitale, e questi favori erano de'monopolii
riguardo alle provincie. Dunque 1 le provinole dovevano divenir nemiche della capi
tale: l'interesse sentito da tutti. 2 Li monopolii nella capitale distruggono l'arti nelle
Provincie : dunque annientano le rendite delle provincie. E perch la capitale non vive
che sulle provincie, annientano i fondi della capitale.
Aggiunger, che l' Invidia tra le provincie e la capitale debb'essere gran cagione di
frodi; donde nasce la perdita della buona fede, cagione certissima del decadimento del
l'arti. La capitale si cautelava, che tutte le mercanzie uscenti da Napoli fossero per ogni
parte delle provincie immuni da dazi, gabelle, dogane, pedaggi ecc., ma lasciava esser
schiacciate sotto i pesi le provincie (Priv. e Cap. tom; I, pag. 34, cap. 6); e questa
societ leonina rovinava la capitale e'I regno. Sembra dunque che la capitale prendesse
poca cura delle provincie, il che direttamente contro i suoi interessi. Anzi pare che
riguardasse la rovina delle provincie con ocebi asciutti , tanto pu l'attaccamento del
proprio interesse. In una delle grazie chieste a Ferdinando il Cattolico pregano, cAe per
qual se vote causa non possano esser astretti a pagamento de nova imposizione, de im-
promto donativo ex quacumque causa urgente e urgentissima, etiam, se fosse pko
STATO RKII'UDLIC/E TOT I US RKGNI, ET CONSKRVATIONE IPMl'S. E questo VUOI dire, SigltOTS
disumanateci. Cap. e Priv. tom. 1, pag. 69, cap. 52.
108 . GENOVESI.

ritte ad animarla, tendono ad accrescere questo s bel capitale. E perch un tal


capitale il sostegno del galantuomo e del sovrano, seguita chequeste leggi sono
indiritte a stabilire il fondamento di tutta la nazione. Ma gli ostacoli alla fatica,
o il rimuovere gli stimoli che la sollecitano, le vessazioni, le oppressioni, i so
verchi pesi, o i piccoli ma spessi e noiosi, i contratti che spogliano, le grandi
usure, ributtano ognuno da intraprendere chicchessia ; fanno che si perda
1' amore de' comodi e che si metta in uno stato d'indifferenza, donde nasce
l'abborrimento del travaglio e la miseria della nazione, e con ci de' grandi e
del sovrano medesimo.
. XVIII. Il terzo mezzo di accrescere l'industria, il quale opera immedia
tamente ed efficacemente, quello che negli esempi di sopra addotti stato toc
cato, ma merita che qui si ridica pi distintamente, ed d'impedire diretta
mente o indirettamente l'introduzione di quei generi di prodotti e di manifat
ture, i quali nella nazione o nascono o si lavorano. Impedire direttamente dicesi
quando assolutamente se ne vieta l'introduzione, e indirettamente quando si
attraversa, principalmente con caricarla di diritti di entrata. La ragione , che
per s fatto modo si viene ad aumentare la circolazione e lo scolo degli interni
prodotti della natura o dell' arte. Ora tutto quel che accresce lo smercio delle
arti, d vigore e incoraggimento alla fatica, siccome veduto di sopra. Questa
regola stata messa in pratica e lungo tempo sperimentata utile nelle nazioni,
le quali sono molto avanti nelle cognizioni economiche. E nel vero, se in una
nazione s'introduca molto delle derrate e delle manifatture esterne, forza che
vi si smaltisca ; perciocch non si suol quivi trasportare nulla delle cose merca-
tabili, dove non vi sia smercio. Ma dove si smaltisce molto delle derrate o
manifatture forestiere, necessit che tanto meno si consumi delle interne, e a
questa medesima proporzione si scemi il vigore e la quantit degl'interni lavori.
Con che il capitale de' poveri e il fondamento della nazione, la fatica va ad im
piccolirsi e indebolirsi ogni giorno.
. XIX. Il quarto mezzo da rinvigorire le manifatture e accrescere l'industria
della nazione, consiste nel proibire le estrazioni di quelle materie prime le quali
si possono lavorare nel paese; o almeno di non permetterle, se non in quella
parte che supera l'occupazione interna, la maggiore possibile. Questa proibizione,
dove siensi messi in pratica gli altri mezzi di sopra memorati e principalmente
il secondo, pu dare un nuovo moto e perfezione a molte delle manifatture in
terne; le quali le pi volte in certi popoli sono disprezzate per una stolta stima
in cui s'ha pi il forestiero che il proprio, la quale stima nasce da maraviglia
del nuovo. Quindi disprezzate, rimangono imperfette. Ella perci farebbe a questi
popoli risparmiare grosse somme di danaro, ch'essi mandano fuori per aver le
manifatture delle proprie loro materie (1).
. XX. E questi sono i principali mezzi, che gli economisti politici comu
nemente propongono a volere aumentare e migliorare l' industria , siccome
fondamento di tutti i comodi e piaceri della nazione: mezzi, ch'essendo at
taccati alla natura medesima , e confermati per la sperienza di tutte le na-
(1) Noi abbiamo de' cervelli maravigliosamente imitatori. E provato per la facilit che
abbiamo alla musica, pittura, scultura. Non ci manra dunque che una scuola di dise
gno, e i migliori esemplari ch'escono altrove. Quest'ingegno imitatore potrebbe anch'es
sere creatore, se (osse protetto e sostenuto.
MEZZI DI AVVALORARE ED INCORAGGIARE L' INDUSTRIA. CAP. XV. 109

zioni che gli hanno adoperati, non han bisogno di altra testimonianza per
essere autorizzati. E pur nondimeno essi soli non bastano ancora a produrre
s grande effetto. Egli oltre di ci necessario che tutte quelle belle regole sieno
sostenute da una massima comune , che si vuol far passare e radicare in tutte
le famiglie lavoratrici. Questa massima , che i coltivatori delle terre, i pa
stori , i manifattori , i trafficanti , e tutte le classi degli uomini che esercitano
qualche mestiero produttore , sieno intimamente persuasi esser padroni de' loro
beni , e faticare per s principalmente e per le loro famiglie ; non per altro
portare i pesi pubblici che per esser meglio sicuri de' loro beni e dritti , ma es
serne poi liberi dispositori salvo il dritto pubblico ; tutte le restrizioni delle
leggi , nutrici e curatrici degli uomini , non essere altrimenti fatte che perch
essi non si abusino della loro libert, in danno cos proprio come del pubblico:
brevemente, esser sicuri all'ombra della giustizia di s e de' loro averi e de' loro
dritti.
. XXI. Ma questa bella e necessaria massima non si pu diffondere in
una nazione n radicarvisi , dove non si proteggano le classi lavoratrici dalle
oppressioni , vessazioni , astuzie e frodi de' prepotenti e degli uomini scaltri e
malvagi; da' contratti iniqui e usurarj , e dall'estorsioni degli esattori delle
pubbliche rendite, dritti e dazj. Niuna cosa non dovrebbe essere pi a cuore
de' legislatori , amanti della grandezza de' loro stati e delle proprie loro ric
chezze, quanto questa. Imperciocch , come possibile che i lavoratori si af
fatichino in niente, dove sieno persuasi dell'opposto? Essi scoraggiami, e amano
meglio languire nella miseria (tanto sono gli animi umani dispettosi !) , che ve
dersi strappare dalle mani con modi crudeli la maggior parte di quel che si
han procacciato colla loro fatiche. E questa la ragione principale , perch in
molti paesi Orientali l'arti e il commercio non sono gran fatto coltivate.
. XXII. Per mettere una s fatta confidenza negli animi di tutti bisogna es
ser persuaso , siccome era Carlo V, che mai in un paese la gente bassa e lavo
ratrice vi tenuta oppressa , se non o per delitto o per trascuraggine degli
ufficiali di giustizia. E questa la ragione perch in tutti i paesi culti niente
tanto pi severamente proibito o castigato quanto queste vessazioni e oppres
sioni e negligenze. Buona parte delle leggi romane e nostre pare che non mi
rino che a questo punto , tanto egli sembrato (siccome infatti) importante
ai nostri legislatori. Dunque se questa gente vi viene oppressa, non gi man
canza di leggi che la proteggano , ma bens di coloro a cui l'esecuzione delle
leggi affidata , i quali o per ignoranza o per debolezza o per delitto lasciano le
leggi senza forza. E perci il mentovato Carlo V. avendo magnanimamente detto
nel proemio d' una bella sua legge , invigilavit cura nostra subdilos vassal-
los hujus Regni ab omnibus oppositionibus , extorsionibus , indebitis exactio-
nibus liberare, ut et honeste viverent, et alios non loederent , et Officiales et Su-
periores jus suum unicuique tribuerent , ut jura prmcpiunt. Comincia poi la
sua legge con alto intendimento , et quia precipua cura versari debet circa
personas officialium ec. (1). Ma neppur giova questa legge, se gli esempj se
veri , spessi , e pronti non l'accompagnino. In niuna parte le leggi romane fu
rono pi oculate , quanto ne' castighi de' magistrati, rei repetundarum o di

(1) Constitut. Regni Sicil. pag. 525.


110 GENOVESI.

trascuratine. Queste pene eran dette dall' anima grande di Federico II , leggi
di misericordia : e sono in realt, se la misericordia si voglia , come dovere ,
stimare e definire dal tutto e non da piccole parti (1).

CAPO XVI.

Del commercio , molla robustissima da promovere la fatica ;


e parimenti della sua natura e necessit.

. I. Il fine dell'economia civile, siccome pi d'una volta detto, 1 l'au


mentazione del popolo; 2 la di lui ricchezza; 3 la sua naturale e civile feli
cit ; 4 e con ci la grandezza, gloria e felicit del sovrano. Le prime sorgenti
onde sgorgano questi s belli effetti sono l'arti , cos primitive come seconda
rie. Quindi si dimostrato quanto importi a' legislatori e alla prosperit de' po
poli , che tali sorgenti sieno ben eulte e protette ; n giammai perdute di vista.
Ma perch queste cagioni della pubblica opulenza diventino ogni giorno pi effi
caci e abbondevoli , egli mestieri che si solleciti e svegli l'ingegno e la forza
degli uomini , affinch essi si studino di fare il pi che possono e il meglio. A
questo fine sono acconcissimi mezzi tutti quelli , dei quali detto negli antece
denti capitoli. Ma niuno per ha maggior forza e pi ampia quanto il commer
cio , mettendo a valor pubblico la naturale cupidit del cuor umano , molla
fortissima e ben regolata , sola produttrice di tutti i nostri beni civili.
S. II. Come una nazione non ha commercio , ci debb' esser manifesto che
tutte le altre cagioni svegliatici e sollecitatrici della fatica e dell'arti , ancorch
sieno di per s bellissime e fecondissime , perdono tutta la loro forza ; imper
ciocch come volete voi che gli uomini sieno stimolati ad accrescere i prodotti
dell'arti e a migliorarli , dove non vi scolo nessuno o pochissimo che lusinghi
la loro avidit? Perch dove ci manca, manca l'utile; dove manca l'utile,
manca il solletico : e dove ci avviene , ivi difficile che possa esser coraggio
e fatica a procacciare il soverchio. Il commercio dunque come lo spirito mo
tore dell' ingegno, dell'industria e dell' arti : la molla maestra di tutte le frze,
produttrice di ricchezze e grandezza del corpo politico (2). Per la qual cosa que-

(1) Ferdinando il Cattolico il 1505, per rimediare a si fatte estorsioni , fissa la tariffa
de' dritti fiscali ; nel proemio della cui Prammatica (Priv. e Cap. Nap. lom. I, pag. 1%)
quasi levandosi a volo nella serena regione della vera filosofia , dice con maravigliosa e
divina franchezza di gran legislatore, si ncglecta subditorum ralione, ad Fisci tantum uti-
litate implicandum (leges) spedare videntur, ncque Principum imperia diuturna esse,
neque ipsi non potius Ttiianni , qcam Pmncipes dici possent. Ricrea tutte le buone e
grand'anime udir parlare a cotesto modo un illustre sovrano. Ma molte volte gli lliziali
si propongono altre mire da quelle dei legislatori , e si danuo altra autorit e pi potere
che non quello che riconoscono i sovrani, e questo guasta le nazioni.
(2) Platone nella Repubblica slima che la Chremastica, cio l'arte di far roba, sia una
delle parti essenziali della repubblica : ma poi nelle Leggi per piccolezza di spirito non
ama che nella sua repubblica vi sia commercio, affinch, dfe'egli, s conservi la purit
DUI. COMMERCIO. CAP. XVi. HI

sto articolo di economia merita assai bene che sia da noi trattato con maggior
diligenza e considerazione, che non pare sono stati gli antecedenti. Ma per vo
ler ci fare necessario che incominciamo da' suoi principj.
. HI. I beni i quali hanno rapporto alla vita si possono, siccome altrove
detto , distribuire in tre classi , secondo le tre classi de' nostri bisogni , e sono
di necessit , di comodit , e di piacere e lusso. Neil' istessa maniera vi sono
tre generi di beni , necessari , utili e dilettevoli. I beni necessari son quelli, senza
de' quali non si pu quaggi vivere; i comodi, quelli senza de' quali si pu
veramente vivere , sebbene con disagio ; e i dilettevoli finalmente quelli , man
cando i quali viviamo con inquietudine e noja. Que' bisogni che, dove loro non
si soccorra, sono per ammazzarci, si riempiono con beni necessarj: quelli, i quali
dove non sieno soddisfatti ci fanno vivere con soverchia miseria , si occupano
con beni comodi e utili : quelli finalmente , i quali non contentati ci nojano
solamente e inquietano nel cuore, si curano con beni dilettevoli. Adunque il
mangiare e il bere sono beni assolutamente necessarj : il vestire e l'abitare nelle
fabbriche, beni comodi e utili: il portare al dito un anello ovvero una scatola
di oro addosso , sono beni dilettevoli.
v IV. Ora a tutti e tre questi generi di bisogni noi vogliamo soddifare, por
tali o da naturali desiderj e disagj , o da non necessaria cupidit ; le quali talora
non altrimenti ci spingono e stimolano , che si faccian la fame , la sete ed al
tri appetiti e dolori della natura (1). Ma noi non possiamo a quelli soddisfare
che con quei beni, i quali o la terra , prima nostra madre e nutrice ci offre , o

del costume e delle leggi. Il signor Rousseau del suo avviso, e anzi vorrebbe ibarbi-
are le lettere eziandio e le arti, per un certo amore per lo stato selvaggio. La prima do
manda che faccio a Kousseau : si egli trovato in veruna terra degli uomini selvaggi ?
Il vero uomo selvaggio quello che non ha famiglia; perch ogni famiglia un piccol
corpo civile, il quale pu esser rozzo e barbaro, non gi selvaggio. L'uomo dunque non
nasce per essere e vivere da selvaggio. La seconda questione , crescendo in un luogo
le famiglie, si pu fare che non ne provengano dei corpi civili ? Mi dir di no, se pensa
certamente assai. Ecco dunque l'inegualit, ed ecco il bisogno dell'arti e del commercio.
La terza domanda sar : si pu egli decadere dal presente stato civile senza divenir peg
giori ? Se se 'I crede, pensa poco. E se non si pu, chi il consiglia nemico della feli
cit dell'uomo. La quarta : erede che sieno pi i beni che i mali ne' popoli culti? Al che
dice di s, e s'inganna per non aver ben calcolato. Non vi ne' popoli , quanto si voglia
guasti dal lusso e dal mal costume, capo di famiglia anzi persona qualunque, che nou
senta un interno piacere di far del bene ad alcuno, di render alcun felice. I ladri me
desimi , gli assassini , i tiranni si compiacciono del bene di coloro che loro sono intorno.
Tulle queste piccole porzioni di beni e di felici formano la massa totale del ben pubblico,
la quale di lungi maggiore che tutti i mali de' delitti e de' vizi. Un magnate divider i
suoi beni e '1 suo piacere a 200 che gli sono intorno, un minore a 100, un altro a SO,
uno a 10, uno a 4, niuno a niuuo : essendo una certa propriet dell'uomo di non saper
godere d'un bene senza farne parte ad alcuno. Si dice che amor proprio e superbia;
che ai vuol far pompa della sua felicit ad altri. Non so : mi par piuttosto un'ingenita
forza di comunicarsi quel che si stima felicit, ancorch si pecchi nel giudizio e nell'arte
di farlo. Un Oltentoto che fumi , come ne vede un altro, gli d la pippa affinch fumi.
Vuole ch'altri partecipi del suo piacere. Mi sembra effetto di natura benevola. Sia nondi
meno affetto di amor proprio, non per men certo. Si vuole, dicono, meno un compa
gno del piacere che un testimonio : bene ; questo testimonio non n' men partecipe. Ecco
dunque quel che ne' corpi civili fa la somma de' beni maggiore di quella de' mali.
(1) Di che argomento, che alle volte si sacrifica il necessario al lusso.
112 GENOVESI.

l'arti miglioratrici delle naturali materie ci somministrano. E nondimeno non vi


niuno , il quale o nella porzione di terra che gli toccata in sorte , o nell'arte
e mestiero che professa , ritrovi tutto quel che necessario per appagarli. E di
qui che tutti cerchiamo di cambiare quel che abbiamo di soverchio , con ci
che crediamo mancarci ; e questo moto tanto maggiore , quanto pi i bisogni
crescono e s'implicano , siccome nelle grandi nazioni e civili.
. V. Il commercio adunque per appunto cambiare il soverchio pel neces
sario. Egli il vero che talora si cambia il meno utile pel pi utile , e il pia
cevole per l'utile , e non di rado l'utile pel piacevole , e tutto questo commer
cio : ma allora tutto quel che vogliamo cambiare stimasi soverchio rispetto al
nostro presente bisogno , e si rende necessario tutto quello per cui si cambia.
Per la qual cosa in ogni specie di commercio , anche in quello che la ragione
e l'onest condanna , trovasi intieramente la sua definizione.
. VI. Questa definizione basta a dimostrare la necessit del commercio,
cos per quel che riguarda lo Stato come per le private famiglie. Imperciocch
non facile trovare o uno Slato intiero, il quale non abbia bisogno di quel che
per avventura sia soverchio ad un altro (non omnis fert omnia lellus); o una fa
miglia , la quale abbia di perse tutto quel che l' necessario per riempiere
quelle tre sorte di voto che di sopra son dette, e le quali o la natura medesima
in noi ha posto , o l'uso e i capricci. Il Settentrione di Europa, per esempio ,
ha bisogno del vino, dell'olio, della seta , di molte maniere di frutta ecc. de'
paesi del Mezzogiorno ; e i popoli del Mezzogiorno di questa medesima parte del
mondo abbisognano di rame, di ferro , di stagno, di pelli , di pesci, di legna
ecc. che si trovano copiosamente nel Settentrione. In un istesso Stato taluno
avr abbondantemente del grano , dell'olio , del vino , degli animali o di tal' al
tre cose , le quali forse mancheranno ad un altro ; e questi avr del metallo e
delle manifatture , di che il primo abbisogner. Perloch cos ciascuna famiglia
ha bisogno di trafficare con altre in una medesima nazione , come ciascun po
polo con altri per iscaricarsi del soverchio e provvedersi del necessario; per modo
tale che ci sembra impossibile, siccome sono oggigiorno i costumi e le maniere
delle polite nazioni , il concepire un popolo culto senza n poco n molto com
mercio (1).
$. VII. Il commercio non solamente necessario allo Stato per mantenersi,
ma eziandio utilissimo a volersi rendere ricco e potente, e oltre a ci polito e
savio. Egli d dello spirito e del vigore a tutte l'arti e mestieri appartenenti alla
nostra conservazione , a' nostri comodi e agli onesti piaceri ; conciossiach. lo
smercio, moltiplicando il guadagno , metta in moto tutte l'arti e tutta 1' umana
industria. Quei paesi dove manca , sono come senza spirito motore : tutte l'arti
languiscono e vi s'infievoliscono. di ci gran testimonio l'Inghilterra e l'Italia.
Quella da vile , barbara , povera , perpetua preda di chi voleva occuparla , pel
commercio divenuta , a dispetto del clima , ricca e savia. E l'Italia nostra ,
ancorch fosse felicemente situata , poich decadde da quel grado per cui ella
era stata florida molte stagioni , bench per natura e forza d'ingegni sia di molto

(i) Ho udito qui dire tra noi ad alcuni he noi non abbiamo commercio. Questo signi
fica che 800,000 famiglie di questo regno Don formino un corpo civile. Or chi dice que
sto, dice un uomo senza capo.
DEL COMMERCIO. CAP. XVI. 113

superiore alle nazioni Settentrionali , nondimeno essendosi illanguidita rimasta


di sotto quasi in ogni arte e mestiere (1).
. Vili. Giova anche il commercio a mantenere i popoli pi tranquilli , e
farli pi amanti e osservanti delle leggi e dell'ordine, e a far rispettare il go
verno. Imperciocch somministrando abbondantemente da vivere , e vivere sod
disfatti in una vita traquilla regolala, loro fa abborrire la vita vagabonda e di
sordinata , propria de' popoli barbari , e con ci l'orrore delle turbe civili e
inutili imprese delle conquiste. Dove che quelle nazioni , fra le quali non che
poco o niun commercio e poche arti , la maggior parte delle persone vi si d ad
una vita infingarda e vagante e da sgherri , la quale cagione d'infiniti mali
politici. Gli antichi Romani per poter divertire questa oziosa giovent , furono
quasi forzati di mettersi in istato di una perpetua guerra e conquista ; e
quest'arte venne meno, la repubblica fu dilacerata da' Agli suoi medesimi, fin
ch cadde intieramente in ruina (2).
. IX. Da quel che detto si pu facilmente comprendere , tre essere state
le cagioni che hanno portato gli uomini al commercio, l'amor naturale dell'esi
stenza , il desiderio de' comodi e delle ricchezze, e il piacer del lusso. Di queste
cagioni, la prima non produce che piccolissimo e scarsissimo commercio, con-
ciossiacb il necessario sia ordinariamente somministrato dal proprio paese , e
assai poco ve ne manchi che bisogni procurar dagli stranieri. La seconda ne
produce assai pi ; perch i comodi sono molti e diversi,- n da potersi aver
tutti nel proprio suolo. La terza cagione d'infinito commercio , poich i pia
ceri e il lusso non hanno termine nessuno. Egli verosimile che i primi traffichi
abbiano avuto origine dalla necessit , che l'amor del comodo sia venuto ap
presso a promuoverli, e che l'ultimo sia stato il lusso , che gli ha portati a
-quella grandezza in cui son oggi. E la ragione , che gli uomini sono cosi fatti
dalla natura che prima di ogni altra cosa sentono la necessit; quindi avvertono
i comodi , e ultimamente si lasciano trarre dal piacere e dal soverchio. Vedesi
la pratica di questa dottrina nella storia del nostro globo. 1 selvaggi trafficano
per sola necessit , i mezzo-barbari per comodo , e i popoli culti per tutte e tre
le dette cagioni , ma per l'ultima principalmente.
. X. In effetto le quattro nazioni Italiane celebri gi pel commercio ma
rittimo , i nostri Amalfitani , i Veneziani , i Genovesi , i Pisani , vi furono spinte
dalla necessit , e il promossero pel gran guadagno che ne traevano. Gli Amal

fi) Si dir che la prima cagione di questa sua decadenza sia la divisione, che l'ha ren-
duta debole e serva degli stranieri ; perch l'Inghilterra medesimamente e la Francia
furono pi deboli assai e pi rozze prima che non s'unissero sotto un capo. N ie
vorrei negare che ci fosse in parte vero. Pure prima che si scovrisse il capo di
Buona-Speranza, noi eravamo cos e pi divisi , come poi , ma avevamo quasi soli il
commercio di Levante e di Ponente, onde eravamo a proporzione pi ricchi e forti.
(2) Perch una repubblica militare, come non fa la guerra agli esteri, dee farla a
s e perire. E di qui che Platone Del I delle Leggi gentilmente riprende Minos
(bench non avvedutamente, perch Minos fond un regno in mezzo ai pirati) di aver
nelle sue leggi messo per fondamento l'arte della guerra in iscambio di quelle della pace.
inutile di ricercare altre cagioni della decadenza dell'impero Romano. La pace d'Augu
sto, la gelosia di Tiberio, la sciocchezza di Claudio cambiarono la costituzione; e la guer
ra, che si faceva agli stranieri, cominciossi a fare alla patria , d'onde nacque l'ardimento
ne' vicini di attaccarlo.
Econom. Tomo III. 8.
114 GENOVESI.
filimi e i Genovesi abitano in luoghi montagnosi e privi di quasi tutto il neces
sario alla vita. I Pisani sono situati in un piccolo e sterile paese. I Veneziani
ricoveratisi nelle lagune del mare Adriatico su certe isolelte deformi e pietrose
e prive d'ogni comodit , cacciativi dall'armi d'Attila re degli Unni, furono co
stretti per vivere a far da prima un commercio di necessit , il quale in breve
per la loro diligenza e per le grandi ricchezze , che loro apport , divenne com
mercio di lusso. Per simili cagioni nei tempi a noi vicini vi furono spinti gli
Olandesi , i quali abitanti in un paese paludoso e scarso d'ogni cosa , incomin
ciarono un commercio di economia per cui divennero ricchissimi e potentissimi.
Ma gli Spagnuoli, gl'Inglesi e i Francesi non da veruna assoluta necessit, ma
la cupidit di divenir pi grandi e per aver l'imperio del mare, vi furono tratti
e continuano tuttavia.
. XI. Poich il commercio consiste in cambiare il soverchio pel necessa
rio, seguita che que' popoli i quali incominciarono a farlo per necessit di vivere,
doveano avere qualche cosa di soverchio per cambiare con quel che loro man
cava; essendo troppo vero che n quei che non hanno nulla, n quelli 1 quali
hanno tutto , possono essere spinti al mercantare. Ma come le loro terre erano
sterili , ed essi bisognosi quasi di tutte le cose di prima necessit, non potevano
avere del loro che le sole manifatture. Di qui s'intende perch la navigazione e
le manifatture appresso di niun' altra nazione antica fossero giunte a quella per
fezione, alla quale pervennero tra i popoli che facevano un commercio di neces
sit e di economia (1). I lavori delle lane de' Fenicj e de' Cartaginesi furono a
quegli antichi tempi i pi delicati e ricercali di tutti gli altri ; come furono poi
ne' tempi mezzani le manifatture de' Veneziani , de' Genovesi , de' Toscani , e
sono state ultimamente quelle degli Olandesi. Per questa medesima ragione le
nazioni , che hanno fatto un commercio di necessit e di economia , sono state
di quelle le quali fra tutte le altre si sono distinte per una copiosa marina , per
grandi armate navali e per lunghe e quasi spaventevoli navigazioni.
. XII. Ma qui da esaminare una questione che alcuni moderni politici
hanno mossa ed , se ogni commercio in ogni suo grado sia utile ad ogno Stato.
L'autore d'un libretto uscito in Francia il 1754 colla data di Londra , nel quale
si tratta se il numero degli uomini che presentemente sono in Europa, sia mag
giore o minore di quel che vi fu 2000 anni addietro, di avviso che il presente
commercio di Europa le sia nocevolissimo , avendola di molto spopolata e diser
tandola tuttavia , parte per la gente che vi si perde , parte per aver tolto gli
uomini dall'agricoltura , e parte finalmente per avere introdotto costumi e modi
di vivere alieni dalla naturale semplicit. E di tutto ci ne accagiona il vano e
ridicolo lusso degli Europei (2).
XIII. Per esaminare la presente questione pel verso suo da avvertire ,
che il commercio di una nazione pu essere o interno o esterno , o l'esterno o

(1) Omero dice nell'Odissea, che i Feaci (quei di Corf) avevano bella e poderosa ma
rma ed erano eccellenti naviganti : dunque dovevano aver gran commercio ; dunque
manifatture. E per questo accenna, che le loro donne erano esperte e dotte nelfarti
di Minerva.
(-; Gli abitanti delle isole Molliche domandano alle volte con compassione, sono
eglino in Europa de' viveri? o vi si vive di pepe, cannella, muscado? Vedi Viaggi
Olandesi. E gli Americani: vivesi d'uro in Europa? Ennepin.
DEI. COMMERCIO. CAP. XVI. 1 13

attivo o passivo , e oltre a ci di necessit o di lusso ; finalmente il commercio


attivo o di robe nostre o di mercanzie aliene , il quale detto economia. Defi
niamo brevemente quel che si vogliono dire queste voci.
$. XIV. Il commercio interno quello , che fanno fra esso loro le diverse
parti d'un medesimo Stato e le famiglie di ciascun paese dello Stato. L'esterno,
quello che una nazione fa con altre. Il commercio attivo quello che la nazione
fa trasportando essa medesima ad altri popoli, o per terra o per mare, il so
verchio: il passivo , quello ch'ella fa dando e ricevendo, ma non trasportando.
Il commercio di necessit quello che si fa per vivere , e anche per vivere con
comodit : il commercio di lusso si fa per arricchire. 11 commercio delle proprie
robe quando si cambia il suo soverchio con quello che manca : quello di eco
nomia consiste nell'andare a prendere in un paese straniero delle derrate e ma
nifatture dove abbondano, per trasportarle in quei paesi dove mancano , e gua
dagnare il nolo e qualche volta ancora le usure.
. XV. Rispondo ora alla proposta questione e dico , che niuno giammai
ha dubitato della necessit e utilit del commercio interno , che l'anima del
corpo politico e quasi un legame delle famiglie che il compongono , per modo
tale che non concepibile uno Stato senza s fatto commercio. In questo adun
que non da temere il troppo , ma bens il poco dove l'arte delle finanze poca
intesa. Egli non pu mai esser maggiore degli interni bisogni , per cui nasce
e prende vigore; dond' che sono poco pratici delle cose umane coloro , i quali
sembra che temano che non diventi pi grande di quel che fa d'uopo. La na
tura delle cose umane ha certi termini fissi nati dall'interesse e da' bisogni degli
uomini , oltre i quali pu talora il capriccio voler passare , ma ben tosto le
cagioni medesime che ve lo spingono nel ritraggono indietro. Ma pu ben esser
minore per cagioni o fisiche o morali che il restringano , l'avviliscano e il ritar
dino, delle quali fia detto poco appresso : e dove ci accade , ivi nn ostacolo
all'accrescimento delle rendite pubbliche e private, che il letargo delle nazioni.
. XVI. Parimenti non si pu negare che il commercio esterno, generalmente
parlando e secondoch sono oggigiorno i costumi di Europa , sia non solo di
sommo vantaggio per ogni corpo civile, ma necessarissimo ; e ci per le ragioni
di sopra addotte, cio pel bisogno di molti generi, del soverchio di altri, dell'inci
tamento all'industria, del mantenimento dell'arte e con ci di molte famiglie,
pel sostegno della marina. Un corpo civile senza commercio esterno non sar
giammai a quella proporzione popolato e grande , che corrisponda al suolo e
all'altre interne sue forze, lo non credo che vi possa essere un'arte , per cui l'in
terno della Germania , che non pu aver commercio , possa , quandoch sia ,
divenire cos popolato come l'Inghilterra e la Francia ; ma bene e pi ancora
potrebbe divenirlo l' Italia se potesse destarsi dal suo torpore e riprendere l'an
tico suo spirito e forza , facendo miglior uso dell' ingegno dei suoi figli che non
pare che faccia.
. XVII. Ma questo commercio esterno pu essere, siccome si detto, o at
tivo o passivo o di economia o di lusso. Il commercio di enonomia negli Stati
dove la terra d poco o nulla , assolutamente necessario a voler mantenere la
popolazione e comodi del corpo civile. E in vero questo commercio non po
trebbe in s fatti paesi essere giammai soverchio; perch quanto pi cresce, tanta
pi robusto ne diviene lo Slato , servendo a' popoli che non hanno tetra in
116 GENOVESI.

luogo d'arti primitive. Di qui che dov'egli scema, la nazione in poco di tempo
diviene poverissima e deserta , siccome addivenuto a' nostri Amalfitani e in
parte a' Pisani e Genovesi -, e avverrebbe agli Olandesi , se o per loro negligenza ,
o per diligenza e vigore delle vicine nazioni , il commercio di economia eh' essi
fanno grandissimo , fosse ridotto a quella bassezza nella quale era prima di Fi
lippo II re di Spagna. Ma in questi medesimi paesi il commercio esterno di lusso,
quando non servisse di materia e di accompagnamento al commercio di econo
mia , certissima rovina ; perch in pochissimo tempo fornisce d'impoverirli,
apportando non necessarie cose , ed estraendo al di fuori tutto quel che vi di
pi prezioso. E di qui che un tal commercio in tali nazioni non pu lungo
tempo durare , distruggendo ogni giorno se stesso. E questa credo esser la vera
e fisica cagione del perch i popoli, che vivono di commercio di economia, sieno
parchi e alle volte avari.
. XVIII. Dove poi la terra feconda e ricca , il commercio esterno attivo
utilissimo a far gli abitanti industriosi , cio a promuovere cos l'arti primi
tive, come quelle di comodo e di lussso , essendo dimostrato che senza scolo
non vi pu esser vigore nell'arti. Ma egli pu esser pernicioso per due ragioni.
Primamente , se incomincia a pi introdurre delle merci esterne che non estrae
delle proprie ; perch allora quel soverchio cagiona due cattivi effetti ; avvilisce
gl'interni prodotti e manifatture, e ci fa restar debitori a' forastieri nella bilancia
generale (1). Secondariamente , se impiega maggior quantit di gente che le in
terne arti non permettono ; perch allora si viene a nuocere all' interne sor
genti , le quali dove sono ampie si vogliono avere pi care di tutte le esterne ,
siccome pi sicure da capricci della fortuna e della moda. E questo addivenuto
in parte alla Spagna pel commercio di America e dell'Indie Orientali, dove tutto
ad un tratto concorse maggior numero di persone che le forze interne di queila
nazione non sostenevano. I Francesi e gl'Inglesi sono in ci stati pi ritenuti ,
conciossiach non abbiano voluto popolare tutte insieme le loro colonie ameri
cane, ma pian piano e col suo tempo.
sj. XIX. E questo si pu dire sulla presente questione rispetto a' particolari
popoli di Europa. Ma quanto all' Europa tutta quanta, grandi motivi vi sono da
stimare, che il commercio ch'ella fa colle troppo rimole parti della terra non sia
cos avvantagioso , siccome comunemente pi per bizzarra d'immaginazione che
per solide ragioni si crede. Primamente , perch questo commercio indebolisce le
le nostre sorgenti , quali sono la terra e l'arti primitive , per un prodigioso nu
mero di persone che vi s'impiega ogni anno. Secondariamente, perch una delle
gran cagioni spopolatrici , cosi per la gran quantit di uomini che i viaggi marit
timi consumano. In terzo luogo , per alcuni generi di cose quindi a noi recate,
i quali e non sono necessarj alla vita e comodit de' nostri popoli , e offendono
la salute, siccome sono la cannella, il pepe, garofano e altre droghe caustiche ,
che il famoso Hales, socio dell'accademia di Londra, nelle sue Varie sperienze,

(i) Ho detto , se incomincia , perch san poi persuaso che ci non pu in niun
paese durar lungo tempo, e mi rido quando sento dire da alcuni , che noi altri da
50 anni prendiamo pi da forestieri che loro non diamo. Saremmo dunque debitori di
tutto l'eccesso dell'esito su l'introito. Ben pu questo succeder per pochi anni per un
entusiasmo di lusso : il che potrebhe nondimeno cagionare un grandissimo scuotimento
allo Stato; ma che egli duri lungo tempo contra la natura delle cose.
DEL COMMERCIO. CAP. XVI. 117
ha dimostrato essere dei lenti veleni. In quarto luogo, per la soverchia quantit
d'oro e di argento che mena, la quale a proporzione che cresce cos indebolisce
l'arti sostentatrici. E certo grande obbligazione abbiamo per quanto appartiene a
questo punto al commercio della Turchia, il quale serve di scolo all'oro e all'ar
gento di Europa (1). L'oro e l' argento , come sar dimostrato nella seconda
parte , fino a tanto sono utili , quanto proporzionevoli alle ricchezze primitive e
alle fatiche , al cui molo servono. Se eccedono questa proporzione , sono come
le polizze d'un banco fallito che non rappresentano nulla. Anzi sono di molto
peggiori , perch danno ad intendere di rappresentare quel che non rappresen
tano , e a questo modo fanno abbandonare l'arte.

CAPO XVII.

Dello spirito e della libert del commercio.

. I. Si vuol distinguere il fine del commercio dal suo spirito. Il fine , sic
come saviamente avvertisce il signor Melon, di promuovere e alimentare la po
polazione e i comodi della vita con aumentare e migliorare le sorgenti onde deri
vasi il sostegno. E perciocch le sorgenti, onde sgorga il sostegno delle famiglie ,
sono l'arti primitive e e le manifatture, quindi che tulte le leggi del commercio
vogliono essere indirizzate ad alimentare, dilatare e migliorare questi fonti delle
pubbliche e private ricchezze. Quando il commercio saviamente e amorevolmente
a questo modo regolato , per tre ragioni aumenta la popolazione e i comodi della
vita: 1. Perch somministra da vivere a pi persone , e rende pi facile il man
tenimento delle famiglie (2). 2. Perch impedisce e arresta la diserzione dei citta
dini. 5. Finalmente perch vi richiama de' forestieri. Si viene ben volentieri ad
abitare dove si vive con maggior agio e piacere, perch ogni uomo vuol viver per
godere.
. II. Lo spirito poi del commercio uou che quello delle conquiste. Tra i
barbari si conquistan le persone e le terre : tra' popoli trafficanti le ricchezze (5).
Ma perch questo spirito possa svilupparsi e quello fare a che risguarda, vale a
dire dar moto e vigore alla nazione che lo intraprende , richiede due gran velli ,
cio protezione e legittima libert. Egli primieramente da essere protetto dal so
vrano, affinch sia rispettato dalle altre nazioni, perch non ritrovi impedimento
nel suo corso. Niuna nazione ha mai avuto commercio, senza che si sia impie
gala a proteggerlo. Due poi sono le maniere da proleggerlo ; una delle quali
(1) Parr un paradosso, ma se ne vedranno le ragioni nella seconda parte. Per ora
capir ognuno che ba cervello, che un popolo che non abbia clie oro, argento, gemme,
sia poverissimo e in istato di morirsi di fame. Si trovano de' popoli Ittiofagi, ma non
de' Crisofagi.
(2) Se si fa il calcolo, in un paese culto presso alla met de' travagliatori sono impie
gati all'arti o miglioratrici o di lusso. Ma quest'arti son nutrite dal commercio.
(3) Aristotele dice .issai accortamente nel 1 della Politica, che la Cnmastka , o sia
l'arte di f ir della roba, non che un'arte venatoria e bellica. Vero.
118 GKNOVEII.

consiste ne' trattati di commercio, l'altra nelle armate navali (1). La prima ma
niera la pi umana ; e la seconda giusta , perch il commercio marittimo
per sua natura libero. Ma ne' trattati non si voglion chiedere pi di due cose:
I. Libert di trafficare. IL Accomodamento di tariffa. I monopolj rovinano sem
pre la parto pi debole de' contrattanti. Ma la miglior protezione sempre la
forza armata. Le nazioni trafficanti mantengono perci in mare delle buone ar
mate , per farsi rispettare da coloro , cui l'avidit della preda fa dimenticare i di
ritti della natura.
$. III. Ma niente richiede tanto , quanto la legittima libert. Egli di una
natura s delicata e ritrosa , che, come le tenere piante, di niente ha maggior
paura, quanto del gelo delle oppressioni, di qualunque sorta ch'elle sieno. Il
sig. Melon dice assai bene , che in 'elezione gli pi necessaria la libert che la
protezione, perch averido libert vien su bello e rigoglioso e si protegge da se
medesimo , ma senza libert non vi alligna. Egli si far sempre rispettare al di
fuori , quando abbia vigorosa al di dentro la sua sorgente. Di che questo pu
essere manifesto argomento , che le compagnie Inglesi e Olandesi , le quali tanto
si sono ingrandite che non che se stesse , ma pur lo Stato proteggono , furono
tutte quante da privati mercanti fondate, senza avere ne' loro principj che un di
ploma dei sovrani e assai scarsi favori.
$. IV. Si vuol qui definire quel che si debba intendere per legittima libert
di commercio. Vi sono di coloro , i quali credono che il commercio non possa
aver luogo che nelle sole repubbliche popolari , e che nelle monarchie e nelle
aristocrazie l ricchezza e la forza de' mercatanti e delle loro compagnie faccia
ombra al governo , e sia cagione perch il tengano basso , e le finanze e i mono
polj il vadano ogni giorno ritagliando. Aggiungono, che lo spirito delle monar
chie spirito di nobilt e di milizia , ambedue le quali cose pugnano collo spirito
del commercio. Ma questa opinione in qualche maniera (2) smentita dai fatti.
Imperciocch troviamo che , cos ne' tempi antichi come ne' nostri , il commercio
fiorito tanto nelle repubbliche che nelle monarchie, ed stato protetto cos dai
monarchi come dal governo repubblicano. Certo il commercio della Francia, che
Luigi XIV cotanto promosse , n' un grande argomento. Prova il medesimo il
commercio de' Danesi , de' Prussiani , de' Moscoviti. A questi esempj si vuole
aggiungere la diligenza grandissima, che usarono nei secoli passali i Portoghesi
e gli Spagnuoli nel plantare e accrescere il commercio colle tre altre parti del
globo terracqueo. Ne' tempi antichissimi il commercio che facevano gli Ebrei ,
cos nel mar Rosso come nel Mediterraneo , gli Egizj in Alessandria , e i Siracu
sani in Sicilia, fu grande , florido , ancorch fondato in governi monarchici.
. V. Ne dar qui una ragione alquanto pi alta. Siccome ogn' uomo per
natura avido di conquistare, cos lo sono gli Stati tutti quanti di qualunque forma

(1) Una terza maniera di trattare i forestieri commercianti con tutte le leggi della
ospitalit, e far rispettare la fede pubblica e la giustizia dei contratti. Il re di Wida,
regno sulla Costa della Guinea, feee decapitare un suo uffiziale per avere alzato il bastone
sul capo d'un mercatante francese. Fu stimata delitto capitale una s rozza inospitalit.
Rosman, Lettere sulla Costa d'Oro.
(i) Dico in qualche maniera, perch ancorch lo spirito della vera monarchia non pugni
con la grandezza del commercio, non per tanto verissimo che gli abusi son qui pi fa
cili che nelle repubbliche.
Spirito e liberta' di commercio. cap. xvii. 119
di governo. Tutti i primi popoli , repubblicani , monarchici , schiavi , sono stati
guerrieri e conquistatori. La sola differenza che nelle repubbliche, essendo il
tutto patrimonio di ciascuno, ogni famiglia conquista tutto per s: dove che nelle
monarchie non si ha delle conquiste eh' una piccola parte, supplendosi al resto
colla gloria; e negli stati despotici, dove si conquista pel cielo parlante pel despota,
si ha la sola interna consolazione di aver dilatato il regno di Dio. Un olandese
vorr dunque conquistare per s ; un francese parte per s e parte per la gloria
della nazione; un turco per l'amor della legge.
$. VI. Quando dunque gli Stati non possono pi , senza gran pericolo, con
quistar provincie, dee di necessit avvenire un cambiamento nello spirito. I po
poli schiavi debbono divenirvi agricoltori e artisti; e per tal modo ammollire a
poco a poco la fierezza della tirannide, e portarla verso i limiti d'una giusta mo
narchia: e i repubblicani e i cittadini delle monarchie, serbando ancora un cuore
libero e brillante, debbono rivolgere l'animo dal conquistar paesi e persone a
quello del conquistar ricchezze. Lo spirito dunque delle presenti monarchie e re
pubbliche, essendo chiusi gi i passi alle gran conquiste,' non pu essere che
spirito di commercio. I repubblicani accresceranno il patrimonio comune con la
privata opulenza ; e i nobili delle monarchie sostituiranno alla gloria dell' armi
quella del lusso, che si studieranno di alimentare con le ricchezze del traffico.
Vero che in queste monarchie, finch dura lo spirito militare, non facile che
vi alligni quello del traffico.
$. VII. Or questo dimostra di non doversi confondere la libert civile dei po
poli (I) con la libert del commercio. Il signor Huet nella Storia del commercio
Olandese , avendo descritto 11 florido commercio de' Paesi Bassi , nel tempo che
quelle provincie erano sotto il dominio de'duchi di Borgogna, assai accortamente
soggiunse: il commercio pu fiorire cos in una monarchia come ih una repb
blica, purch sia ben inteso e bene ordinato: imperciocch non vi stato altrove
n commercio pi grande, n manifatture pi floride, quanto n'Paesi Bassi
sotto il dominio di quattro sovrani della casa di Borgogna e due della casa di
Austria. Io sono stato medesimamente (soggiunge egli) nel comune e nel vecchio
errore, che non vi fossero che le sole repubbliche, le quali potessero fare un gran
commercio. Ma mi sono ora mutato di sentimento^ per avere esaminato le cose
da vicino, e udito discorrere di questa materia alcuni de'pi abili negozianti e
politici fra gl'Inglesi e gli Olandesi. Pu vedersi ci che ne scrive eziandio
Jacopo Gee nella prefazione alle Considerazioni sul commercio.
. VIII. Ma oppongono alcuni il commercio di Portogallo e di Spagna , il
quale da smisurala grandezza di principii fra non molto tempo si ridusse a gran
piccolezza. Al che rispondo primieramente, che essendo un secalo addietro in
...
(1) Sebbene io ho sempre creduto e stimo tuttavia, che la vera e durevole libert ci
vile non possa costantemente godersi , che ne' soli regni governati dalle leggi e da un
rispettabile senato depositario delle leggi ; non essendo, ordinariamente parlando, la li
bert repubblicana immaginaria e precaria, n gran fatto durevole dove le ricchzze co
minciano a recarvi delle grandi disuguaglianze , e con ci del lusso e dell'ambizione ; il
che dimostrato per gli atroci fatti prima degli ultimi tempi delle repubbliche Ateniese
e Romana : appresso per quelli della Fiorentina, della Genovese e del Belgio federato.
Che il Belgio federato mantenga tuttavia la sua libert, deesi pi al timore delle potenze
vioine ohe a mancanza di semi interni di mutazione; n credo che possa esser di troppo
lunga durata, continuando ad arricchire.
120 GENOVESI.

tutte le monarchie ancora vivo e acerbo lo spirito militare, non era facile che vi
prendesse tutta la voga quello del commercio. Anzi quel commercio medesimo
de' primi Portoghesi e Spagnuoli non fu che figlio dello spirito conquistatore. Non
si volle trafficare, ma conquistar le nazioni. Appresso dico, che non stato tanto
lo spirito della monarchia, quanto alcune accidentali cagioni che hanno snervato
e quasi annientato quel commercio, il quale sovrani pi saggi , e fuori di quelle
occasioni che sconvolgono gli Stati, avevano piantato e accresciuto con continue
cure. noto che i principii e l'aumento del commercio di Spagna si debbano a
Ferdinando il Cattolico re di Castiglia, e quei di Portogallo al principe Arrigo; e
i principii della decadenza di amendue alle guerre troppo grandi e troppo lunghe
che Filippo II re di Spagua intraprese in quasi tutta l' Europa, e nelle quali egli
spese intorno a cinquecento milioni, e intorno mille milioni i suoi successori se
condo i calcoli di Puffendorf (1). Queste guerre e queste immense spese rovina
rono quel commercio. I due ultimi e dotti scrittori del commercio di Spagna ,
Ustariz e Ulloa, ascrivono questa decadenza principalmente alla distruzione delle
manifatture ; questa al non poter sostenere la concorrenza ; e questo finalmente
all' eccesso de' dazi , i quali nacquero dal bisogno , figlio della lunga e ostinata
guerra. stato osservato da pi di un politico, e da noi nelle annotazioni alla
Storia del commercio Inglese di Giovanni Cary dimostrato con fatti, che non si
mai perduto un gran commercio, se non che o oppresso dalla guerra, o per ca-
gion di guerra dispendiosa fugato (2).
. IX. Vi sono altri, i quali per libert di commercio intendono un assoluto
potere ne'negozianti di estrarre e immettere ogni sorta di mercanzia, senza niuna
restrizione, legge e regola. Ma questa libert, o piuttosto licenza non si trova in
niuna nazione d'Europa, ed contraria allo spirito medesimo del commercio. Le
nazioni tra le quali il commercio pi florido, quali sono gli Inglesi , gli Olan
desi e i Francesi, hanno apposte delle grandi restrizioni allo introdurre ed estrarre
delle merci. Tanto lontano che certe ristrettezze feriscano lo spirito del com
mercio, che anzi esse sono necessarie ad animarlo. Introdurre derrate o mani
fatture che scoraggiano l' interne , spiantando i fondi del commercio, potrebbe
dirsi libert di commercio? Estrarre materie prime che possono lavorarsi nel
paese, annientar l'arti e con ci la materia del commercio. Anche l'estrazione
di certe derrate si pu sottomettere a delle leggi: perch il commercio dee servire
allo Stalo, non lo Stato al commercio. Queste leggi sono come gli argini de'fiumi,
i quali servono non solo perch non sobbissino il paese, ma ancora affinch i
fiumi vadano pi uniti e sieno meglio navigabili. E qui si vuole osservare che la
libert senza regole sempre perniciosa cos nelle persone, come nelle civili so
ciet. Nelle persone, perch le mena a tutti gli eccessi delle passioni: e nelle so
ciet, perch portando gli uomini al solo interesse personale o domestico corrompe
in mille modi il ben pubblico (3).

(1) Introduzione alla Storia di Europa.


(2) li commercio de' Fenici fu distrutto da Alessandro Magno, quello de' Cartaginesi
da' Romani , parte di quello di Venezia dalla lega di Cambrai , e quello di Borgogna dai
bisogni degli ultimi suoi principi. Ruggiero distrusse il commercio degli Amalfitani: e
l'ultima guerra d'Italia stata vicina a desolar quello de' Genovesi.
(3) Perch non da confondersi l'utile del mercante con quello dello Stalo. Pu ar
ricchire il mercante e rovinare lo Stalo.
SPIRITO E LIBBRTA' DI COMMERCIO. CAP. XVII. 121
t
. X. Finalmente per libert di commercio non si dee intendere quella di
esser permesso a'negozianti e agli artisti il trafficare e lavorare senza nessuna re
gola di misura, di pesi, di pubblici impronti; per le quali regole le arti si man
tengono nella loro perfezione e sostiensi la fede pubblica, onde il commercio
torna in utilit dello Stato. Imperciocch il commercio, siccome parte dell'ordine
pubblico e del corpo politico, debb' essere sottoposto alle leggi del tutto e servire
all' ingrandimento e conservazione della civile societ. Ma perch questo avvenga
cos, fa mestieri che egli sia ordinato al pubblico bene, non al privato; affinch
la sua utilit sia utilit di tutti e non gi di una particella del corpo, quali sono
i negozianti. Ora questo si ottiene sottomettendo le materie, derrate, manifatture
e arti a certe regole (1) e tutti i contratti a leggi stabili. Perch queste leggi e
regole mantengono la perfezione delle arti, la loro stima e il credito, il quale
l' anima del commercio. E di qui che siffatte leggi in niuna parte si osservano
pi rigorosamente, quanto in quelle nazioni che hanno pi gran traffico: e il loro
rilassamento certo segno del decadimento del commercio.
. XI. Per intendere adunque la vera libert del commercio da osservare,
che l'anima e l'essenza del commercio non altro se non che la circolazione. La
libert perci che questa circolazione e moto non sia n impedita senza pubblica
utilit, n indebolita. Di qui che tutte quelle cagioni le quali arrestano o ritar
dano l' utile circolazione, sieno fisiche o morali, feriscono la libert del commer
cio : e quelle che n l' arrestano , n la rilardano quantunque sembrino gravi e
spaventevoli, non la offendono punto. Si pu paragonare il commercio ad un ge
neroso cavallo, e la sua libert al rapido di lui moto. Ogni peso anche piccolo,
che gh' si frappone fra i piedi, gli toglie la libert del camminare: e i pesi anche
gravi che gli si mettono in sul dorso, purch non superino le di lui forze, non
sono da considerare come intoppi. Dunque quelle cagioni le quali conferiscono
a mantenere in vigore la circolazione e l' attivit del traffico, conferiscono ezian
dio alla sua libert: e quelle che ritardano questo moto, la distruggono.
. XII. Or queste cagioni , almeno le principali sono,secondoch io credo, le
seguenti : I. Che si lasci una libera facolt di estrarre quelle derrate che ven
gono nel paese copiosamente, e le manifatture che vi si lavorano, accordando
loro la libert di uscire per ogni luogo, in ogni tempo e in qualunque quantit,
salvo solamente se non si stimi di doverla restringere ne' casi straordinari pel
bene del tutto. Perch 1 la libert di trafficare, che questa legge presenta all'i
maginazione di tutti , riempie la nazione d' entusiasmo ad aver del soverchio.
2 Perch il guadagno e l'utile, che fa guardar vicino e che pu veramente dare,
loro fa nascere grandissima voglia di lavorare e trafficare e arricchire. E bench
la gente in volere arricchire non pensi che al suo privato interesse, nondimeno
arricchendo fa il vantaggio pubblico con arricchire la nazione tuttaquanta (2).
. XIII. II. Che i diritti di uscita in sulle derrate e manifatture della na
zione trafficante non sieno tanti, ehe vengano a togliere la preferenza sulle altre

() In Inghilterra si visitano le manifatture per vedere se sono secondo le leggi : gli


Olandesi fanno il medesimo con i barili di aringhe. La buona lede e la puntualit, come
il primo fondo de' privati mercanti , cosi lo del commercio di tutta la aazione.
(2J Regola tenuta dagl'Inglesi e messa il I7(i in pratica in Francia pel grano, di che
sar dello nel rapitoli seguente.
122 GENOVESI.

nel concorso di quelle (1). Imperciocch quando l'altre nazioni ne'comuni mercati
possono vendere le loro derrate o manifatture a pi basso prezzo, saranno sempre
preferite. Di qui che il commercio di quella che sar posposta incaglier, vale
a dire perder la sua attivit che n' la vera libert. una massima di tutti gli
economi, dimostrata per la continua sperienza, che in materia di traffico la pre
ferenza nel concorso la molla motrice del commercio. In fatti questa preferenza
quella che d vero utile ; e l' utilit, siccome noto a ciascuno, la grande esca
degli uomini.
. XIV. III. Che i diritti non si abbiano a pagare n spesso, n in diversi
luoghi, ancorch sieno piccolissimi. Imperciocch turbano il moto del commercio,
il disgustano e l'arrestano: essendoci molti i quali si contenterebbero pagare piut
tosto un carlino per una sola volta, che la met in dieci volte e in dieci luoghi
diversi. la ragione che il tempo la cosa pi preziosa che abbia il eom-
mercio , e questi ritardameli la fanno perdere quasi sempre con grave di
scapito (2).
$. XV. IV. Che non si commettano avane e strapazzi nel riscuotiraento
de'dazi; imperciocch quasi incredibile quanto queste cose disgustino e di quanta
perdita di tempo sieno cagioni. L'arte maestra in materia d'economia civile fare
che gli uomini non perdano il gusto a quei mesliefi eh' esercitano. un colpo
fatale allo Stato fare che la gente si stimi pi contenta nell'ozio che nella fatica.
L'autore illustre dello Spirito delle Leggi, affinch si evitassero siffatti strapazzi ,
vorrebbe che il riscuotimento de'dazi e delle dogane fosse sempre in mano del
sovrano, perch gli appaltatori, i quali non sono per ordinario mossi che dal solo
privato interesse, non conoscono la legge del ben pubblico (3).
^. XVI. V. Che non si accordino, che assai di rado e difficilmente privi
legi esclusivi , o come noi sogliam dire jus prohibondi , eh' tanto dire quanto
monopolj legalizzati: conciossiach questi privilegi favoriscano sempre i particolari
contro al ben pubblico. In oltre essi tolgono l'emulazione e impediscon la perfe
zione e la dilatazione dell'arti, perch uiuno si studia di migliorare o dilatare
quel che non pu esercitare; e quelli che l'esercitano e il posseggono, essendo
sicuri del lor guadagno pel privilegio esclusivo, non solo non s' Ingegnano di dif
fondere e migliorare, ma restringono e peggiorano, di che tra noi grandissimo
argomento, per tacer di molte altre cose, la tinta negra.
$ XVII. VI. Nuoce altres molto alla vera libert del commercio, il quftlo
di sua natura geloso, il prescrivere i prezzi delle cose che si permutano o si
vendono e comperano. Perch questo quanto ragionevole che si faccia per quelle

(1) Sarebbe anche la maggior libert se fosser tolti , caricando quel che importa so-
pr'altri fondi. Veggasi il Nuovo Codice di Finanze della corte di Portogallo.
(2) Non vorrei poi credere che i riscuotitori dei dazi fossero tanto buona gente da non
far valere il loro uffizio. I dazi dunque, il pedaggio ecc. vengono a raddoppiarsi e tal
volta triplicarsi in tanti luoghi , in quanti si paga; del che non torna nulla alle finanze, e
si preme molto il commercio.
(3) una questione che mi sembra assai difficile a definirsi finch i riscuotitori son
uomini, essendovi per ambe le parti delle difficolt. Quel mi par vero, che non si deb-
ban punire men severamente le vessazioni e le frodi e le crudelt degli appaltatori, che
si faccia dei contrabbandi per gli appaltatori medesimi. Il sapersi che, dacch le na
zioni son civili , la parola Pubblicano sia stata sempre udita con orrore, un gran pre
giudizio contro s l'alte persone, la cui legge non e non fu mai che l'avidit.
SPIRITO E LIBERTA' DI COMMERCIO. CAP. XVII. 125

cose, ch'essendo necessarie nondimeno si trovano in mano di uno o di pochi (e


ci per impedire gli effetti del monopolio); tanto non solo inutile, ma nocivo,
quando le cose sono fra le mani di molti. Primamente, perch diametralmente
opposto alla libert di vendere o comperare. Secondariamente, perch i venditori
in questi casi s' ingegneranno sempre di adulterare quelle cose , il prezzo delle
quali fissato. Finalmente, perch queste assise ordinariamente non servono che
a far nascondere ciocch vi di buono e di meglio e a farlo pagare molto pi
caramente a chi n'ha desiderio. Al che si vuole aggiungere, che se userete troppa
forza, farete sparire o i generi sottoposti all'assisa, dove sia pi bassa della na
turai proporzione, o il danaro de'compratori, se sia troppo alta: e l'uno e l'altro
distrugge il giro del commercio.
. XVIII. VII. Finalmente deesi mettere a parte della libert del commer
cio la protezione, la sicurt, l'onore, l'incoraggiamento delle arti. Proteggere, as
sicurare, aiutare, onorare, allettare e illuminare gli artisti cos delle arti primitive
come delle secondarie, stato sempre il pi gran passo che hanno fatto i savi
legislatori per animare l'industria e '1 commercio. Il diritto di natura non per
mette che in un corpo civile vi sieno persone che si reputino come bestie, e l'in
teresse della societ richiede in oltre , che i sostenitori della vita e de' comodi si
rispettino e si onorino (1).

CAPO XVIII.

Digressione sulla libert dell'annona,


siccome principal fondamento della libert del commercio.

. I. Avendo parlato della libert del commercio, credo dover qui aver luogo
]' articolo dell' annona , come quello che comprende la sostanza medesima del
commercio cos interno come esterno: I. Perch il fino dell'arti e del commercio,
almeno il principale, non che di vivere senza disagio. II. Perch le derrate e
tutto ci che. serve al vitto son sempre maggiore e pi sicuro fondo di commercio,
che non sono le manifatture.
. II. Il problema, se ogni verit sia utile agli uomini, mi pare essere di dif
ficilissima soluzione. La verit un certo lume d'intelletto. Or come un soverchio
bagliore del sole offende le pupille alquanto deboli , nel medesimo modo certe
() Platone nel V de Rep. stabilisce: Un soldato, ch'ha combattuto valorosamente per
la patria, abbia il dritto di baciar lutti e di esser da lutti bacialo. Piatone sapea i co
stumi greci. Il medesimo ordina, che tutti i promotori dell'umana felicit abbiano dopo
morte, siccome divinila tutelari , tempii ed annui sacrifizi e onori. Queste pompe pei
morti animano I vivi. Gli Olandesi eressero una statua a Buren per aver inventata l'arte di
salare e imbottare le aringhe : e Carlo V visit con rispetto questa ^statua d'un pescatore.
La regina Giovanna il 1*17, rimunerando la diligenza d'un Roberto Calauri della Cava,
comincia: exaltat potentiam Principum remunerano subiectorum; quia recipienliutn
fdes crcscit ex pnemio , et alti ad obsequendum devotions animanlur exemplo. Ecco
Yaudelqw Virgo cmcurrere viris.
124 GENOVESI.

verit potrebbero riuscir di scandalo a certe menti e nazioni. Ma se la verit non


da propalarsi sempre intiera e in tutto il suo lume, ed da usar della prudenza
perch ella venga a distillarsi negli animi come per gocciole, il falso non si dee
mai insegnare. Ogni falsit nuoce: e se nuoce alle persone, le falsit che risguar-
dano un popolo intero sono per ogni verso nocevolissime. mestiere delle scienze
e de'fllosofi che le discoprano, ed della prudenza che si studino di farne rinve
nire i popoli a poco a poco.

ESPOSIZIONE DEL PROBLEMA ANNONARIO.

. III. Che fare perch in una nazione, situata in un clima temperato, prov
vista di belle e fertili terre, cinta da mari, abitata da ingegni aperti, rischiarati,
pronti , dove non sieno ignote le scienze e l'arti, u l'agricoltura vilipesa e tenuta
a disonore, la carestia flagello terribile e distruggitore dei popoli e della grandezza
de' sovrani, o non ardisca mai di comparirvi, o di rado e senza grande apparalo
e strage ? Ecco il problema che oggigiorno occupa i politici di tutta Europa , e
che ben merita (tanta la sua importanza) che vi s'interessino, nonch i filosofi,
ma lutti i sovrani della terra : non essendo quasi altro la filosofia che l' arte di
giovare agli uomini , e il governo , che la scienza di nutrire in pace e sicurt i
sottoposti popoli.
CARESTIE.

. IV. Prima che si venga a vedere ci che si pensato e fatto per isciogliere
un s gran problema e quel che si convenga ancora fare, giova il sapere donde
nascano le carestie. Egli pu esser facile l' intendere eh' elleno non hanno salvo
che tre sorgenti : 1 la mancanza delle ricolte; 2 le ricolte abbondanti dove non
sia scolo ; 3 La cattiva economia dell' annona. E primamente un paese , la cui
annona sia fondata sull'interne ricolte, forza che sia afflitto dalla fame dove
quelle vengan meno. Appresso, le ricolle soverchiamente abbondanti , dove non
sia scolo, venendo a scoraggiare l'agricoltura cagionano carestia ne'seguenti anni.
Parr un paradosso; ma niente stato meglio dimostrato dal signor Melon nel
suo Saggio politico sul commercio. Finalmente le leggi di restrizione, facendo in
cagliare il commercio de' grani e impedendo lo scolo , vengono o a scoraggiare
l'agricoltura, o a far insospettire i negozianti ; e dove credevano far l'abbondanza,
cagionano carestia.
. V. Ma veggiamo quale di queste tre cagioni da essere pi temuta tra noi
di questo regno. Il non ricogliere non dei nostri paesi cos facile e generale,
quanto alcuni sembrano di temere. Questo non ricogliere potrebbe nascere o da
una secchezza generale, o da procelle e gelate, o da un'invasione d'insetli. Per
cominciar dall'ultima, fuor di mia notizia che fosse ci mai avvenuto ne'tempi
andati con generale strage delle biade: e perch dunque avremo a temere un
flagello non stalo mai ne' secoli addietro? Perch, se son casi particolari di qual
che provincia , siamo al coverto per la fertilit dell' altre. Pur questi casi mede
simi non sono cos senza rimedio com' altri pensa. La diligenza umana pu di
molto prevenirli (1).

'1) I bruchi raro che a noi veggono d'oltremare. Quelli che si vengono in alcune
DiGREssIoNE sULLA LIBERTA' DELL'ANNoNA. CAP. xviii. 125

S. VI. Il sito poi del regno, cinto quasi d'ogni intorno da mare che rimolla
il clima e diviso dall'Appennino, ci assicura del poter essere generale la seconda
cagione, cio una gelata. E per la medesima ragione non possibile una generale
siccit. Infatti appena nella nostra storia se ne ritrova esempio. Il 1758 la gelata
devast le provincie montagnose, ma risparmi le piane e marittime: e dove manc
il grano, fu abbondantissimo il frumentone o grano d'India che suppl ai bisogni
del basso popolo. L'anno 1762 si raccolse competentemente in Puglia, in Terra
di Lavoro, in Abruzzo e in altri luoghi assai, bench la gelata ne devastasse
molti. E quest'anno 1765 la Puglia ha raccolto bene, la Campagna assai medio
cremente, l'altre provincie scarsissimamente: ma il frumentone e l'altre civaie sono
state abbondantissime dappertutto. Notiamo qui un bel luogo di Strabone, il quale
parlando di queste provincie, se manca, dic'egli, il frumento, suppliscono colla
saggina o miglio bianco (ch'era allora ignoto il presente maiz, o grano d'India);
ond' che non hanno a temere delle carestie.
S. VII. Aggiungo qui che se l'agricoltura s'intendesse meglio, anche quel poco
di timore che potesse nascere da questa parte verrebbe spento; e se ne restasse
ancora qualche ombra, abolendo la terza cagione si sarebbe in piena sicurt.
Dunque la seconda cagione pi da temere che la prima, massimamente se sia
unita alla terza.Quando il signor Melon e alcuni altri dotti Francesi, mossi dalla
ragione e dagli esempi degl'Inglesi si misero a predicare, che la pi frequente
cagione delle carestie sieno l'abbondanti ricolte dove la legge vieta la libert
dello scolo,furono da molti derisi come matti, siccome io non dubito di doverlo
essere anch'io. Ma la verit che giova al sovrano e ai popoli insieme si vuol dire
coraggiosamente da ognuno che la capisce, essendo il contrario da me riputato
un tradimento alla patria e una mancanza al dovere di buon suddito.
S. VIII. Dico adunque ch' pi da temere l'abbondanza, se se ne impedisce
lo scolo, che non la sterilit medesima; perch la sterilit, anzich avvilire l'a
gricoltore, l'incoraggia per l'accrescimento del prezzo delle derrate; dove che l'ab
bondanza, senza un proporzionevole smercio, l'opprime per la vilt de'prezzi e
porta la rovina dell'agricoltura, per rifar poi la quale non basta una lunga serie
di anni. Per far toccare quel che dico colle mani fo un po' di calcolo.
S. X. Supponiamo che noi abbiam bisogno tra cibo e semenza di venti mi
lioni di tomoli di grano ciascun anno, e che un anno ne raccogliamo venticinque
e l'anno appresso altri venticinque. Gi stagneranno dieci milioni di tomoli. Se
il prezzo del grano ordinariamente sia di carlini dodici, il primo non dovr scen
dere di un quarto, perch per legge immutabile, dove i bisogni sieno i medesimi,
i prezzi sono sempre in ragione reciproca delle quantit de' generi. Di un altro
quarto dovr sbassar poi il secondo anno. Allora, essendo il prezzo de' grani la
met dell'ordinario, chi potr intraprendere le spese di una agricoltura, d'onde
si pu anche temer di peggio il terzo anno? Questo dismette in gran parte la col
tura dei campi. E se questo male di abbondanza non dura pi che due anni, il
terzo avremo mezza carestia, il quarto un'intiera; e quel ch' peggio con poco ri
provincie nostre della Puglia sono domestici e progenie di antichi sciami. Essi si propa
gano perpetuamente come i grilli domestici. Depongono i bacelli pieni d'uova in certe
buche cavate nelle terre dore. Il signor presidente Belli fece vedere con i fatti che
arando, vangando, zappando queste terre di nidi, immettendovi de' porci che ne sono
ghiotti, si pu venire ad annichilarne la razza.
126 GENOVESI.
medio, trovandosi lo Stato senza l'aiuto di quel danaro, il quale tratto dai grani
usciti potrebbe compensarne.
. X. Di tutti i paesi d'Italia ve n'ha pochi che potessero essere pi soggetti a
questo flagello quanto il nostro regno, perch ve n'ha pochi altri che sieno s
fecondi e abbondanti in grani com' il nostro.

DATI.

$, XI. Ma a voler mettere in pratica la legge dell' estrazioni , e corredarla di


quelle cautele che richiede la prudenza economica, si vuol calcolare gli abitanti
e. la forza nutritiva della terra. Un savio padre di famiglia vuol conoscere non
solo le persone da alimentare e le spese annuali , ma l' estensione altres de' suoi
fondi e le sue rendite e farne ogni anno un bilancio. Senza tali cognizioni non
vivr che a caso. Potrebbe dispensarsene chi governa un popolo?
$. XII. Sappiami noi il numero degli abitanti del nostro regno? E por questo
dovrebbe essere il primo dato di una savia economia. In un piccolo regno niente
pi facile. Se la via de' catasti sembrasse alquanto intralciata e dubbia , quella
de'parrochi sempre spedita. agevole ad un parroco sapere appunto i suoi par
rocchiani; dunque li pu sapere un vescovo. Tutti i vescovi darebbero ogni anno
una lista esattissima del numero delle persone.
$. XIII. Io suppongo su certi miei dati che noi possiamo essere quattro mi
lioni di persone, compresavi la capitale. Dando a ciascuno di queste cinque tomoli
di grano l'anno, sia frumento, sia vecciato, sia grano d'India, che di tutto ci si
fa uso, noi avremo bisogno per vitto di venti milioni di tomoli di grano di tutte
quelle specie. Al che aggiungendone quattro in circa di semenza, i bisogni nostri
potrebbero essere intorno a ventiquattro milioni. E perch il nostro paese ab
bonda di mill' altre derrate minori e di una gran quantit di frutti da servire
di alimento , credo bene che noi potessimo vivere anche con circa ventuno
milioni.
. XIV. Un altro punto e ancora pi importante dovrebbe esser quello di sa
pere con precisione l' estensione delle terre del regno. Non vergogna che in
Europa, dove la geometria ha la sua reggia, vi sian dei paesi ignoti, non essen-
dovene nella Cina? Non posso adunque dar qui che calcoli vaghi, finch il brac
cio sovrano non ci dia pi certe misure. Tengo che le terre, cos coltivabili come
incoltivabili delle nostre provincie, sieno intorno a venti milioni di moggia , mi
surando il moggio sopra di un lato di trenta passi geometrici e l' area di nove
cento passi quadrati (1). Da otto milioni di moggia di questo spazio ai lidi arenosi
o scogliosi, a' monti, laghi, fiumi, vie, siepi, muri , citt, terre, fabbriche, luoghi
(i) Non avendo avuto misure certe ho calcolato sopra dati che ho io trovato i pi ri
cevuti, cio di 300 miglia di lunghezza media e 68 di larghezza. Questi dati generato
20,400 miglia quadrate. Ho dato un po' pi d'ampiezza al moggio quadrato che uou
si costuma intorno Napoli , situandolo a 1000 passi quadrati per la diversit di misure
ch' nel regno. Dunque un miglio quadrato contiene mille di queste moggia , cio un
milione di passi quadrati, e perci mille miglia quadrate ci danno un milione di moggia,
e 20,000 venti milioni di moggia. Dopo la prima edizione mi sono pervenute alle mani
certe misure d'uno de' migliori architetti e agrimensori che abbiamo noi avuto in questo
secolo, ed il signor Gallerano. Egli d a queste provincie 82 miglia di larghezza media
e r30 di lunghezza, le quali misure ci darebbero intorno a 25 milioni di moggia.
DIGRESSIONE SULLA LIBERTA* DELL' ANNONA. CAP. XVIII. 127

pietrosi ecc.: ancorch molti di questi potrebbero essere in qualche modo culti, se
avessimo pi arte.
$. XV. Di dodici milioni, che restano, essendo oggi cresciuta la coltivazione
dei grani e seminandosi anche in molti oliveti, piantagioni di viti, boschi ecc.,
mi pare che non sia molto dare a questa parte di agricoltura otto milioni di
moggia.
. XVI. Suppongo di nuovo per l'uso che ne' nostri paesi, che la met di
queste moggia si semini un anno s , l' altro no a grano. Li terreni del nostro
regno, siccome dappertutto, non son tutti della medesima bont. Vi son di
quelli i quali nelle ricolte ordinarie non danno che quattro per uno , e degli
altri che ne danno il dodici: il mezzo adunque proporzionale aritmetico otto.
Sicch, dove la coltura si facesse a dovere, quattro milioni di moggia dovrebbono
negli anni ordinari darci 52 milioni di tomoli di grano.
$. XVII. Non mi ignoto che noi non giungiamo giammai a raccogliere una si
gran somma; del che non ritrovo che due cagioni. La prima , che non ancora
abbiamo un bastante numero di persone da coltivar tutto e bene. La seconda, che
in molti luoghi l'agricoltura non vi si intende ancora gran fatto.
. XVIII. Tornando a' nostri calcoli , quando anche non si volesse tener cura
di tutte le terre coltivabili , non credo che fosse difficile avere un numero di ap
prossimazione di quelle che si coltivano a grano, e massimamente dopo i catasti
del regno. Allora un'occhiata a queste terre, un po' di orecchie alla voce pubblica,
certe informazioni anche grossolane, e si avr bastante notizia perch senza rivele,
le quali sono sempre tarde e fallaci, un accorto ministro si regoli sulle quantit
doli' estrazioni.

REGOLAMENTI ANTICHI.

. XIX. Si sa e si saputo sempre da tutti , che le prime vere ricchezze per


cui un popolo sussiste, cresce e divien potente e famoso e con ci i grandi e '1
sovrano di tal popolo, non sono che quelle le quali somministra la terra ben
coltivata. Di qui avvenuto, che dappertutto si stimato di dover favorire l' a-
gricoltura e l'arti agrarie. Si pensato che dove queste vegliassero e si affaticas
sero in pr nostro, non si potrebbe da allora innanzi temer pi carestia n po
vert , essendo sempre vero che un popolo ricco in derrate ricco in tutto. Chi
potrebbe negare che, a questo modo pensando, non avessero pensato da savi e
animosi ?
. XX. Ma difficile che i pi savi consigli non sieno alle volte guasti o da
vecchi pregiudizi, o da certi panici timori, figli della debolezza della mente umana
e divenuti giganteschi per lungo avvezzamento. Se l'agricoltura e l'arti possono
assicurarci dalla calamit delle carestie, perch dunque non si lasciato loro li
bero il corso ? Perch si son loro attraversati degli ostacoli ?
$. XXI. Niun commercio richiede maggior libert per non essere affamati e
morti, quanto quello del grano; e nondimeno questo stato per tutta Europa ed
tuttavia in molti paesi pi ristretto e oppresso. Si creduto dunque che por
iscansarlo fosse da incarcerare i grani. Si poteva pensare con maggiore contrad
dizione? Se lo scolo che aumenta l' industria e i prodotti , come non si
128 GENOVESI.

veduto che queste leggi menavano alla carestia con seccare la sorgente dei
grani? (1)
. XXII. L'agricoltura e l'arti non son nudrite, n vengono belle e poderose,
che per l' avidit del guadagno che coloro hanno i quali le coltivano. Il credere
che vi sia uomo il quale voglia faticare e faticare con brio, salvo che pel suo
utile, un error fanciullesco che disonorerebbe un savio legislatore , e potrebbe
rovinare una nazione rendendola fanatica e poltrona. Si vuol dunque lasciar
guadagnare a coloro che faticano, affinch le sorgenti della privata e comune vita
non secchino. Ma i coltivatori e i manifaltori non guadagneranno mai che poco
o nulla, senza che le derrate e le manifatture non girino e scorrano per ogni dove
colla massima possibile rapidit. Questo scorrere d del guadagno, e '1 guadagno
anima l'arti. Ogn'intoppo che arresta lo scolo fa ristagnare i prodotti, i quali di
venendo di carico a coloro che gli han procurati, li scoraggiano, li addormentano
e strappanli dalla fatica.
. XXIII. Questa si parlante e rifulgente verit stata intanto ignorata.
Anzi di allargare il commercio de' prodotti, si per ogni via ristretto. Ma o bi
sogna aspettarsi di anno in anno di morirsi di fame, o rompere i vecchi lacci
che non degnamente ritengono tra molti popoli tuttavia legato come reo il com
mercio del grano. Passo erculeo, il conosco, per quei paesi dove i vecchi pre-
giudizii inceppano le menti e i cuori del pubblico: ma passo necessario.

SISTEMA DE' MAGAZZINI.

. XXIV. Ma per avventura si in molti luoghi studiato di prevenir la fame


con de' magazzini. In dieci anni vi ha sempre (dicono essi) delle ricolte ubertose.
Riserbinsi dunque i grani soverchi per li tempi di sterilit. Questa idea de' ma
gazzini un'idea che incanta, e sembra assicurare ognuno. L'arte delle dispense
della privata economia facile a trapassare nella pubblica. Questo progetto
adunque non pu mancare di avere la comune approvazione.
- XXV. Anche io approvo i magazzini: anzi son certo che non vi pu es
sere altra maniera da riparare alla fame. Discordo per da molti nelle due se
guenti questioni. I. Quanti magazzini si richieggono ad assicurare una nazione?

(1) I nostri antichi Napoletani, fin da che queste provinole si unirono sotto un corpo
e composero un regno, avevano sentito tutta la forza di questa verit; ma l'interesse
particolare e'I timore, figlio dell' ignoranza de' tempi, facendola restringere, la cor
ruppero. La capitale di niun privilegio fu sempre pi gelosa, quanto di quello della
franchigia della grascia chiesto a tutti i sovrani e da tutti confermato. Tutto quel che
serviva pel di lei nutrimento, grano , olio , vino , animali , civaie ecc. da qualunque
parte del regno che venisse, per terra, per mare, in qualunque quantit, in qualunque
tempo, doveva esser libero da ogni peso, dazio, dogana ecc. Questo privilegio e la
libert di poter lutti tener magazzini di comestibili e di panizzare , assicurava la ca
pitale dalle carestie, e dava molo a tutta l'agricoltura del regno. Veggansi Privil.
e Cap. di Napoli pag. 50 e frequentemente in seguito. Ma perch questo privilegio
non aveva da essere comune a tutte le parti del regno ? Il regno poi, dove si avesse
avuto P occhio pi grande , doveva essere considerato come una citt di Europa , e
l'Europa come una citt della terra. Allora il privilegio della capitale sarebbe stato
prima privilegio del regno, poi privilegio dell'Europa. Sarebbero stati tutti i popoli
sicuri dalla fame. Ma questa maniera di pensare era riservata a' tempi filosofici.
DIGREssioNE sULLA LIBERTA' DELL'ANNoNA. CAP. xviii. 129

II. A spese di chi fabbricarli e mantenerli? Dunque da queste due questioni di


pende lo scioglimento del nostro gran problema.
S. XXVI. Per prevenire e schifare la carestia il progetto de' magazzini sa
rebbe inutile, se il grano si avesse poi a distribuire agli affamati popoli ad un
prezzo duplo o triplo pi dell'ordinario, perch questa in nome e in fatti vera
carestia. Dunque non basta un piccol numero di magazzini allo scioglimento del
problema. Perch quanto son pi pochi, tanto debbono essere pi grandiosi e
pi gli uni dagli altri distanti. La spesa di fabbricarli, il mantenimenio, il furto
e la frode, inevitabili ne' grandi conservatori, il marcimento di qualche parte e
mille altre perdite non andrebbero che a spesa dei poveri. La distanza poi da
rebbe un nuovo peso al trasporto, peso che tutto debbe ricadere sui compratori.
XXVII. Ma a spese di chi fabbricarli e mantenerli? Le universit difficil
mente vi potrebbero supplire; e supplendovi, sarebbe una nuova invenzione degli
amministratori per opprimere la plebe e le campagne (1). Subito s'introdurrebbe
un monopolio di grani, che in mille maniere farebbe che l'agricoltura venisse a
perdere tutto lo spirito e l'attivit. Peggio ancora sarebbe il caso se gl'intrapren
dessero a spese della corte, perch i provveditori di siffatti magazzini avrebbero
maggiore autorit e potere di aggirare e opprimere. Tutto il ceto de' mercanti
si asterrebbe da negoziare di grani: chi sarebbe tanto sciocco o ardito che volesse
aver la concorrenza col sovrano?

SCIOGLIMENTO DEL PROBLEMA.

S. XXVIII. Quali dunque son quei magazzini che anch'io stimo sicurissimo
presidio contro la fame? Rispondo che son quelli che fossero in ogni citt, in
ogni terra, in ogni villaggio, senza jus proibitivo n timore di monopolio. Se ne
vorrebbero fabbricare delle migliaia in una gran capitale. Alcune centinaia nelle
minori citt; delle decine ne' pi piccoli villaggi. La loro fabbrica dovrebbe co
star poco, e poco il loro mantenimento. Dove ci si facesse, e si pensasse di
mantenerli sempre diligentemente provvisti e governati, chi non vede che si sa
rebbe fuori dell'attentato de' denti della carestia ?
S. XXIX. Ma per farne tanti, per provvederli e conservarli con diligenza e
zelo, si vuol farli fabbricare ai particolari a loro spesa, per lor conto e a loro
perdita e guadagno. Brevemente, si vorrebbe fare come si fa col vino (2), che
le case ditutti potessero essere magazzini di grano (5). Allora i popoli non te
meranno pi il monopolio; il grano correr per tutto con incredibile prestezza
trovando tanti asili da ricoverarsi e starvi bene; la fatica si animer, e la fame,
per disperazione di non potersi ficcare in un paese cos industrioso e savio, di
magrera.

(1) Si sa da tutti, che sorta di animali voraci sieno quasi per ogni dove gli economi
e certi benestanti delle terre.
(2) Tutte le case di tutto il regno son magazzini di vino. Ecco perch il vino non
manca mai. Ed erano di farine e pane prima di Ferdinando il Cattolico.
(3) Un uomo ditribunale diceva: guai, guai all'annona,Tutti voglion far commercio
di grano: ognuno che ha 50 o 100 scudi ne compra del grano: crescono i monopolii: sa
remo affamati. Mi perdoni, gli diss'io: pregate Dio, che crescano questi negozianti
per veder sparire i monopolii. Ma questo uomo non mi cap.
Econom. Tonio III. 9.
150 GENOVESI.

. XXX. Sembrer a molli stravagante e pazzo discioglimento di problema


queste tante migliaia di magazzini. Che far, diranno, il sovrano perch vi si
fabbrichino, vi si forniscano, e si guardino con attenzione e zelo? Che, affinch
si votino poi ne' bisogni a pr de' popoli? Niente pi facile, non far' nulla,
ha lascer' fare: far come si tra noi fatto col vino. Ecco il discioglimento
del problema.
. XXXI. Ma affinch non paia che io farnetichi, riflettiamo a quel che
detto, che l'avidit del guadagno uno de' pi forti motivi che solletichi e spinga
gli uomini alla fatica, alle arti e alle imprese le pi difficili. dunque, quanto
comporta la giustizia e il pubblico interesse, da lasciar libero il corso ad una s
fatta avidit, giacch ella sola la ministra e dispensiera dell'abbondanza. Che
il mercante trovi il suo conto nel negoziar di grani; che non si chiuda a niuno
la porta; non si sforzi la libert di nessuno sia a comprare, sia a vendere; non
si guardi se venda dentro o fuori dello Stato; se immetta o esporti; che si lasci
il prezzo montare o sbassare alle naturali cagioni donde nasce; che si sbandiscano
le assise; che la panizzazione sia libera; in due parole, che il commercio del
grano 6ia cos libero a ciascuno (il dir di nuovo) come quello del vino. Ecco
sciolto il problema.
. XXXII. Veggiamone le ragioni. Il grano una derrata necessaria a tutti
i popoli. Si pu ben far di meno di un abito, ma non di una pagnotta. Questo
dee far riguardare il commercio de' grani come il pi sicuro, e ben maneggiato
come il pi lucroso. Ognuno che possiede grano dee credere di possedere un
garante per tutti i bisogni, e molto pi ricercato che non l'oro. Dunque dove
non si restringa il traffico di g nobile derrata, vi saranno infiniti che vi con
correranno. Il negoziante non vuol saper altro che due cose: 1. Che la sua mer
canzia sia di facile smercio. 2. Che possa in ogni tempo e luogo liberamente
venderla, secondoch egli stimer a proposito. Ma il grano di facile smercio. Che
manca dunque perch molti vi s'impieghino? La libert che fa la sicurezza del
negozio.
. XXXIII. Dunque, accordata che sia una siffatta libert, avrete una mol
titudine presso che infinita di mercanti di grani, piccoli, mezzani, grandi e per
ogni luogo. Questi vi daranno quell'infinit de' magazzini che dicevamo di richie
dersi. Essi, per lo stesso principio del guadagno, aiuteranno e incoraggeranno i
coltivatori. Vi di pi. I piccoli gentiluomini proprietarii, i quali vivono nelle
Provincie, vi studieranno meglio l'agricoltura, e vi faranno rendere assai pi le
loro terre, ivi faranno un po' di negozio anch'essi: vi si vedr la quantit del
l'azione, produttrice di bene, crescere e fiorire per tutte le parti. Ecco il solo vero
prodotto de' pubblici granai e con quelle condizioni che si richieggono. Qual ti
more pi di carestia? (1)
ESEMPII.

S- XXXIV. Ma difficile il rinvenire da certi vecchi pregiudizii, quando per


lungo avvezzamente si sono impossessati della fantasia di tutta una nazione. Per
dannevoli che sicno, l'uso li sostiene, e i pochi savii non ardiscono di opporvisi.

(1) Dove non si viene a questo rimedio, siami lecito di dirlo, ogni altro provvedimento
vano e la carestia diguazzer continuamente: Assioma.
DIGRESSIONE SULLA LIBERTA' DELL' ANNONA. CAP. XVIII. 151

Il popolo ignorante non ragiona quasi mai, e si crederebbe desolalo se vedesse


di doversene spogliare di botto.
$. XXXV. A disingannare per queste nazioni, a cui cos fa paura la ragione
come agli occhi deboli di dolore il chiaro lume del sole, dovrebbe poter molto
l'esempio di quei popoli, i quali avendo per lungo tempo vissuto ili simili errori,
essendone rinvenuti, ne sono stati meglio e pi felici. Nella materia, di cui ra
gioniamo, non vi pu essere pi bello e pi luminoso esempio di quello degl'In
glesi. Dal 1689, che resero la libert al commercio del grano, e anzi la solleci
tarono con premii, non solo sono stati esenti da carestie, ma si sono arricchiti a
spese de' forestieri. La Francia, la quale stata nel medesimo pregiudizio nostro
sino al 1764, ha anch'ella rotto quei legami i quali non incatenavano il grano,
ma ritenevano che non fuggisse la carestia. La Spagna vi si va accomodando, e
tutti gli altri popoli sono gi scossi. Saremmo noi gli ultimi a destarci?
XXXVI. Si pu dire, non tutto quel che fa un popolo, pu fare ogni altro.
Convengo nella quantit dell'azione. Tre milioni e mezzo di persone non po
trebbero fare quanto fanno dieci o venti. Ma se si parla della qualit, mi si per
metta dire, che una massima indegna della grandezza degli animi umani.
Leggendo la storia de' popoli non troveremo niente pi certo, quanto che essi
siensi perduti cos per estimarsi soverchio, come per riputarsi dappoco. Le leggi
politiche, massimamente quelle che riguardano l'interno del paese, salve le ra
gioni del clima e del sito, e il diritto della costituzione, possono essere dapper
tutto le medesime. Guardiamoci dunque da quel che pi d'una volta detto,
NON SI PCO'.
. XXXVII. Si oppone: l'avidit del guadagno pu mandar fuori dello Stato
e di botto maggior quantit di grani che non permette il nostro bisogno. Il
mercante non conosce altra patria che l'arricchimento della sua famiglia. Rispondo:
I. Che questa paura poco fondata. Perche se ne mandan poco non pu gran
fatto nuocere, e se son molli e ne mandan molto vengono a nuocere a se stessi.
La copia subito avvilisce il prezzo e nuoce a se slessa. Sarebbe ignoto ai mer
canti di professione? II. Volendone mandar molto, al solo apparecchio delle
esportazioni incarisce di dentro il prezzo. Allora a tenore della legge generale
all'istante proibita ogni estrazione. Tale la legge d'Inghilterra e di Francia.
III- I casi che allettano ad estrarre sono i meno; devono esser dunque l'eccezione,
e la libera estrazione la regola.

CAPO XIX.

De principali effetti del commercio.

. Molti e belli sono gli effetti del commercio, dove sia ben inteso e ben
governato. Il primo 6 di accrescere le ricchezze e la potenza della nazione, au
mentando coll'ingrandimento delle arti e della fatica le famglie e i mezzi da
mantenerle. Quest'effetto, oltre che si vede per le cose dette, si mostra ancora
chiaramente per l'esempio dello nazioni che hanno saputo farlo e il fan tuttavia.
15"2 GENOYKSI.

Tali furono iu Italia i Veneziani, i Genovesi e i Toscani ne* secoli addietro, e


sono ora le tre nazioni del Settentrione pi di una volta memorate. una mas
sima comune in Inghilterra e fondamentale di quel governo, siccome dice Tom
maso Lediard nel principio della Storia generale della marina inglese, che 7
commercio il semenzaio della marineria: la marineria l'anima della marina:
la marina le braccia del commercio: il commercio la sorgente delle potenza e
della gloria della Gran Bretagna.
. II. Si chieder in che modo la potenza d'una nazione possa dirsi aumen
tata dal commercio? Al che facile di rispondere. La vera potenza d'una nazione
si conosce dal poter rispingere con forza e arie un'ingiusta guerra, o di poterne
fare una giusta. A far l'uno e l'altro si richieggono: 1 truppe; 2 viveri; 3 arti
meccaniche. Una nazione eulta, dove siavi commercio, avr in vigore tutte e tre
le classi delle arti da noi dimostrate: dunque popolo; dunque sempre il poter di
raccogliere, se non un esercito cosi grande come quello d'un popolo barharo, uno
almeno non disprezzabile. E perch lulla la nazione por la ricchezza delle arti
uno inesausto granaio e magazzino di panni, di tele e di tutti gli strumenti di
guerra, pu per lungo tempo mantenerlo in piedi sen/.a molto toccare a' fonda
menti del corpo. iNella medesima nazione vi sempre gran danaro da supplire
alle spese della guerra, che voi non troverete in un popolo senza commercio.
Finalmente, come non possibile che dove fiorisce il commercio non tloriscano
le scienze meccaniche, avr sempre buoni architetti militari, ingegneri, uomini
esperti nella tattica, nell'arte nautica ecc. Ed ecco la forza vera e solida che il
commercio d allo Stato e al sovrano.
. III. Il secondo frutto del commercio quello di alimentare l'ingegno, lo
spirito e con ci le arti e le scienze de' popoli; perciocch, oltrech gl'ingegni
umani non vengono mai grandi senza molte sperienze e notizie, il paragone, che
di quelli si fa, mette gli uomini nel cimento di pensar molto e di molto intra
prendere, senza del qual cimento noi non conosciamo mai tutte le nostre forze
n mai le adoperiamo. Tutte le nazioni, tra le quali fiorito il commercio, sono
state le pi savie e le pi polite della terra, inventrici delle arti o perfezionatrici.
Tali furono ne' tempi antichi i Fenici, i Cartaginesi, gli Egizi, i Greci. Tali ne'
tempi pi a noi vicini molti popoli d'Italia; e tali sono presentemente nel Set
tentrione i Francesi, gl'Inglesi, gli Olandesi. E in vero leggendosi la storia con
attenzione vedrassi ad ogni pagina che il commercio, l'ingegno, lo spirilo e le
arti de' popoli camminano sempre con pari passo.
IV. Si detto che il commercio, nell'istesso tempo che aguzza l'ingegno
e lo rende destro, accorto, penetrante, inventore, ardito, guasti il costume: 1
Perch genera pi scaltrezza di quel che si conviene al vivere socievole. 2 Per
ch dilata la cupidit di avere, grandissima sorgente d'iniquit. 5 Perch in
venta nuovi generi di contrattare, che richiamano nuove leggi e nuovi delitti.
4 Perch comunica i vizii dell'un popolo all'altro. 5 Perch introduce nuovi
cibi, nuove bevande, nuove vesti, nuove maniere di vivere; e avvezzando gli uo
mini a vivere non con la ragione ma con la moda, fa de' cervelli pazzi, e li dis
pone a fare e patire ogni disonest. 6 Finalmente perch un gran commercio
non pu stare senza gran lusso (1).
(1) Platone perci nella Leggi stabilisce che la sua citlA si pianti lungi dal mare,
perch non venga invasata dallo spirito del commercio.
de' PRINCIPALI EFFETTI DEL COMMERCIO. CAI'. XIX. 153

. V. La prima risposta, che io fo a siffatti argomenti , che tale la con


dizione degli uomini che voi difficilmente potrete accrescere i loro beni senza
cagionar nuovi mali. dunque da bilanciarsi se i beni sieno maggiori de' mali.
La vita socievole e civile ci ha provato certi beni dello stato selvaggio, ci ha dato
nuovi bisogni e nuove cure; ma se i beni son maggiori, siccome io ne son per
suaso (1), ella dee meritar la preferenza sulla selvatica, vaga, dubbia, n mai
sicura. Pu dirsi il medesimo della vita commerciante sulla rozza e semi
barbara.
. VI. Rispondo in secondo luogo: 1 Che se il commercio accresce la scal
trezza a nuocere, dee anche accrescere quella di giovare. Nelle equazioni si vo
gliono sottrarre le partite eguali. 2 Se dilata la cupidit di avere, amplia anche
quella di spendere; il che torna ad accrescere il pubblico godere. oJ I nuovi ge
neri di contrattare, ancorch si moltiplichino all'infinito, saranno sempre per
mute, n si vogliono altramente regolare. dunque stata l'ignoranza de' tempi
che ha moltiplicato le leggi, non il commercio. Finch i giureconsulti non sa
ranno filosofi da ridurre i casi simili alle regole generali, si moltiplicheranno
sempre senza necessit le leggi e i delitti (2). 4 Se comunica i mali, comunica
anche i beni. 5 Se l'educazione civile si studia a far gli uomini savii, la moda
sar una propriet di vivere; e i cervelli pazzi si faranno servire alla sapienza
civile. 6 Finalmente se il lusso si riduce alle regole di sopra dette, divieu natura
che giova.
. VII. II terzo frutto il portare le nazioni trafficanti alla pace, come il
dice bene l'autore dello Spirito delle leggi; e ci per due ragioni. Primieramente
perch la guerra e il commercio sono cos diametralmente opposte cose, come il
moto e la quiete; dimodoch dove il commercio si ama non possibile di segui
tare la guerra, se non fosse per sostegno del commercio (3). Secondariamente
perch il commercio unisce le nazioni con reciproci interessi, i quali non possono
sussistere se non nella comune pace. Egli il vero che non di rado la gelosia
del guadagno e dell'imperio del mare arma le nazioni e le porta alla guerra, ma
l'interesse del commercio in poco tempo le disarma (4).
(1) Il signor Rousseau, ingegno per altro grande, lasciatosi strascinare dalla fantasia,
pi che condursi dai sodi calcoli della ragioni;, ha di soverchio ingrandito certi piace-
ruzzi della vita de' selvaggi, e impiccolito i tieni della civile.
(2) Vedi Platone nel V de Rep. Non si pu, n si dee far leggi de' casi singolari :
una legge, L. XI, D. de Legib. et Senatusconsliis. Non possunt omnes articuli
singillatirr. aut egibus , aut senatusconsultis comprehendi : sed cum in aliqua causa
sententia eorum manifesta est, is , qui jurisdictioni prceest , ad similia procedere, et
ita jus dicerc debet. La legge de' Visigoti, che niun giudice debba giudicare che dei
casi espressi nella legge (lib. Ili, lege XII) era dunque una legge di popoli barbari.
(5J detto di sopra che lo spirito del commercio lo spirito di conquistar ricchezze,
non paesi n persone.
(() Sembra questa massima contraria alla storia. Dopo la scoperta del Capo di Buona-
Speranza e dell'America , vale a dire per poco mei) che tre secoli , l' ambizione e la
gelosia del commercio non fa che aizzare perpetuamente le nazioni europee. N io vorrei
dell'intuito negarlo. Ma 1 chi legge la Storia d'Europa dalla morte di Tiberio fino a
Carlo V non trover un anno senza guerre ; il che non stato cos poi , avendoci dato
spesso tempo da respirare. 2" Le guerre medesime dopo Carlo V sono nate pi per ge
losia di Stato che di commercio ; e crederei che se le nazioni europee avessero voluto
piuttosto trafficare ne' paesi scoperti, che conquistarli e mandarvi delle colonie, avremmo
potuto avere aspai pi poche guerre che non abbiamo avuto.
134 GENOVESI.

. Vili. Tra gli effetti del commercio uno senza dubbio il lusso; perch
non possibile che in una nazione, e principalmente se sia sotto un governo
monarchico, si uniscano insieme ricchezza, politezza di maniere, istrumenti di
comodo e di piaceri con una dura e selvatica parsimonia, la quale non pu aver
luogo se non che nei costumi barbari e fra le rozze nazioni. Alcuni conchiudono
da questo che il commercio sia cagione di corrompimento di costume e dissolu
tezza. Aggiungono che quindi venga a snervarsi il primitivo valore della natura
umana, con ammollirsi ed effeminarsi gli animi. Donde inferiscono che per una
nazione guerriera il commercio sia micidiale. A me non par vero n l'uno n
l'altro. Perch egli indubitato che quel che si chiama costume guasto, se non
che gentilezza e dolcezza di vivere con pi propriet, non da aversi per un
male se non dai Tartari; e se una depravazione delle leggi del giusto e del
l'onesto, non effetto del commercio ma di altre cagioni, e in prima della guasta
educazione, del che detto nell'articolo del lusso. Quanto al secondo punto, se
per valore primitivo intendono la ferocia de' popoli barbari, tanto lontano che
sia un male, che si vorrebbe da ogni uomo desiderare che questo valore non fosse
in niuna parte della terra. Ma se essi intendono perci una certa nobilt di spi
rito, i fatti degli Olandesi, de' Francesi, degl'Inglesi di questi ultimi secoli smen
tiscono questa asserzione; ma di ci detto qui sopra.
. IX. Quando anche si convenga che il commercio possa essere occasione
di corrompere alcuni animi mal fatti e male educati, non perci sarebbe questa
legittima cagione da proibirlo, essendo tanti i beni che ne derivano. Il savio le
gislatore non dee astenersi dal fare il ben generale della nazione, perch alcuni
astratti o naturalmente molli cervelli si abusano di quelli in danno loro e degli
altri. E qui da considerare che nel piano del governo politico non si possono
evitare tutti i mali, molti de' quali sono inseparabili dalla debolezza della natura
umana, e molti nascono inevitabilmente dall'accozzamento delle persone e fa
miglie (1). Il pi savio governo non gi quello nel quale non vi ha male nes
suno, non essendo questo da sperarsi quaggi in terra, ma bens quello nel quale
non ve ne ha che de' minimi possibili, ma che servono al bene del tutto. Secondo
un gran metaOsico il mondo medesimo, opera di ente sapientissimo e onnipo
tente, soggetto a questa legge (2) .
, X. Se lo spirito del commercio pugni con le finanze, stata ed tut
tavia questione tra i gran politici. Muratori nel suo eccellente Trattato della
pubblica felicit, e il dotto autore dello Spirito delle leggi pare che inclinino al
s, per la ragione che dove il commercio richiede un corso libero n molto ca
ricalo, le finanze al contrario sembra che vogliano soverchiamente impacciarlo.
Io stimo di doversi distinguere tra lo spirito delle finanze e la pratica de' finan
zieri. Quello non mira che ad ingrandire le sode e durevoli rendite de' sovrani,
e questa ad avere di presente quanto pi si pu senza molto curarsi dell'avvenire.
Ora come non si possono aumentare le sode e durevoli rendite del sovrano senza
aumentarne i fondi, tra quali il commercio ha gran luogo, quindi seguita che lo

(1) L' uomo solo non sente che le passioni del bisogno : unito, e soggetto a tutte
quelle dell'energia. Si aggiunga che come i volti degli uomini, cos son varii i cervelli ;
dond' che le fantasie , le opinioni , i gusti , i giudizi sicno varii : e questo cagiona dei
mali irreparabili ne' corpi civili.
(2) Leibnitz nella Teodicea.
DE' PRINCIPALI EFFETTI DEL coMMERcio. cAP. xix. 155

spirito delle finanze, a ben intenderlo, non opposto allo spirito del commercio; .
non altrimenti che il fine dell'agricoltore non s'oppone al fine dell'agricoltura, se
quegli savio. Pur nondimeno pu bene essergli opposta la pratica, per quelle
cagioni che fanno altrui pensare pi al presente che all'avvenire (1).
S. XI. Nasce qui un'altra questione ed , se il commercio pugni con la no
bilt. Ella fu gli anni addietro disputata con molta eloquenza e con pari nerbo
di ragione di amendue le parti fra due dotti francesi, un patriota, siccome vuol
esser chiamato, e un militare. Per esaminar la quale per li suoi principi, egli
da sapere che quella, che si chiama nobilt, dee la sua origine alle tre seguenti
cagioni, milizia, governo politico e ricchezze. Ne' tempi barbari, quando gli uo
mini erano apprezzati dalla forza, il valore e le imprese militari elevavano alcuni
al comando, e li distinguevano tra tutti gli altri per la nobilt e ferocia de'fatti.
Tale fu la nobilt degli Ercoli, de'Tesei e degli altri personaggi de' tempi eroici.
A questo modo anche oggigiorno alcuni diventano nobili tra i selvaggi di Ame
rica e di Tartaria. Questi, avendo fatto delle conquiste, occuparono il dominio
di alcune terre, e ottennero qualche autorit su le persone meno feroci e ga
gliarde, e il ritennero nelle loro famiglie esercitando sui loro sudditi quel che
dicesi merum ct miactum imperium. Questa nobilt continua tuttavia ne' paesi
culti.
S. XII. Ma le nazioni cominciarono pian piano a polirsi, e ad avere dimore
pi fisse, e miglior forma di societ. Allora convenne che avessero delle leggi
pi costanti e che fossero ben governate. Questa non poteva essere che opera
de' savi (2). Quindi il saper politico cominci ad essere in pregio e a distinguere
gli uomini. E di qui nacque un nuovo ordine di nobilt, cio quello de'legisla
tori, de' senatori, del governatori de' popoli, de'dottori della sapienza e delle
leggi (5). Queste due sorgenti di nobilt nei tempi bassi di Europa produssero i
conti, i duchi, i marchesi, che furono da prima titoli d'impieghi militari e politici
dati o a tempo o a vita, non altrimenti che sono oggigiorno i titoli di vicer e di
presidi nel civile, e quelli di vescovi nella Chiesa. Ma questi titoli e questi im
pieghi a poco a poco divennero ereditari. E questa l'origine dei feudi. Non
dimeno in alcune parti della terra dura ancora il primo e pi assennato costume,
siccome nella Cina, dove la via per ascendere alla nobilt non altra fuor che
quella del saper civile o militare, n passa mai agli eredi se non un'ombra della
gloria de' padri, la quale senza il merito personale di poco o niun conto, ma
serve di gran base a chi v'aggiunge delle virt proprie.
S. XIII. Appresso, per cagioni che non appartiene qui riferire, questi im
pieghi dovuti al valore e al sapere personale, non solo divennero ereditari, ma
furono esposti alla vendita. Allora non il solo valor militare, n il solo personale
sapere, ma il sangue eziandio degli avi e le ricchezze aprirono il varco ai gradi

(1) Veggasi il Capitolo XXI.


(2) A questo modo Dejoce divenne re de'Medi. Vedi Erodoto nella Clio.
(5) Platone nella sua Repubblica divide tutto il corpo politico in custodi e popolo. I
Philaci sono gli ufficiali militari e civili. La nobilt de'primi lorviene dalla ferocia, co
raggio, vigilanza; e quella de' secondi dalla sapienza civile, acume, temperanza, giusti
zia ecc. Chiama questi secondi filosofi, perch tali debbono essere. Ond' che la giuris
prudenza fu detta da'Latini scienza delle divine e umane cose, la quale poi gl'ignoranti
auricupidi ridussero a cabala e guastarono le leggi e 'l costume.
156 GENOVESI,

della nobilt. Vi sono in Europa delle nazioni, fra le quali la nobilt si concede
per censo, e quasi tutte hanno ritenuta la nobilt ereditaria.
S. XIV. Da quel, che detto, chiaro, che non essendo oggigiorno la no
bilt quel che fu ne' primi tempi delle nazioni, quando non risguardava che le
sole persone in officio o governo, ma essendo divenuta ereditaria, e in molti senza
veruno impiego militare o politico, il credere che ella generalmente pugni col
l'esercizio del commercio, un pregiudizio falso, dannevole e spesso ridicolo.
falso, perch non tutti i presenti nobili hanno attualmente esercizio militare o
politico, dond' che il traffico non pugna con i loro uffizi. pernicioso, perch
per una falsa idea di stima alimenta l'ozio, e in conseguenza cagiona la povert
di moltefamiglie. ridicolo,perch vi cosa pi ridicola, dice assai avveduta
mente l'autore francese della Nobilt trafficante, quanto che un nobile povero
stimi indegno della sua nobilt il trafficare onestamente e non gi il mendicare
o fare delle truffe, o altre tali cose manifestamente disoneste? Ma quei nobili,
che hanno feudi e giurisdizione, o merum et mixtum imperium, non debbono,
n possono esser mercanti. Non debbono, perciocch avvilirebbero il loro posto.
Non possono,perch chi presiede alla giurisdizione rovina le leggi e la giustizia
dei suoi sudditi, e sbarbica lo spirito di commercio se si mette a fare il trafficante.
Allora tutto il commercio diventa monopolio. Quindi che le leggi romane proi
birono ai presidi e ai pretori delle provincie comprare degli stabili nel distretto
della loro giurisdizione; e la legge Claudia (1) proib ai senatori romani aver
navi a far commercio. Livio ne d per ragione, quaestus omnis patribus indecorus
visus. Ma aveva anche a dire che era sorgente d'iniquit. Torno a dirlo, ma
gistratura e commercio si distruggono reciprocamente.
S. XV. Affinch il mondo non credesse che il commercio degradi dalla no
bilt, quasi in tutti gli Stati di Europa si conceduto che un mercante ricco po
tesse divenir nobile. In Venezia e in Genova, come in Toscana e fra noi, vi ha
una gran quantit di famiglie nobili divenute tali per le ricchezze che avevano
acquistate pel commercio. Si vuol dire il medesimo di tutto il resto d'Italia. In
Inghilterra non rado vedere il minor fratello di una casa nobilissima esser
console della nazione in qualche citt mercantile. Gl'Inglesi usano dire che in
questo frammentre la nobilt dorme. Luigi XIV e Luigi XV, savissimi re di
Francia, con molte ordinanze hanno dichiarato che il commercio non si oppone
alla vera nobilt, e che l'averlo esercitato non pu essere di ostacolo al conse
guimento de'posti civili e militari. Una simile dichiarazione fece papa Cle
mente XI per animare i nobili dello Stato romano al traffico (2).
S. XVI. Ma si dice in contrario dall'autore dello Spirito delle leggi (3), che
il nobile trafficante dee di necessit contrarre spirito e maniere popolari, e che
questo sia contrario allo spirito della nobilt e delle monarchie. Rispondo pri
mieramente, che niente non pi utile alla vera nobilt, quanto che i nobili non
risguardino gli altri ordini degli uomini loro inferiori siccome animali destinati
al solo loro servigio e piacere, ma che abbiano per essi quel riguardo, che per
(1) Livio, lib. XXI, 65.
(2) Pochi nobili non hanno delle tenute di terra. L'accortezza di farle valere con so
printendere all'agricoltura e fare un commercio dei prodotti, non credo che potesse
disonorarli.
3) Lil. XI, cap. XVIII e XIX.
de' principali e petti del COMMERCIO. CAP. XIX. 137

ogni verso dovuto ai produttori e sostenitori delle vere ricchezze del corpo po
litico: e un po' di spirito di popolarit anche nelle monarchie ha una mirabile
forza a renderle generalmente pi care a' popoli. Secondariamente, che quello
che detto, s'intende de' nobili poveri e da non potere altrimenti vivere, dai
quali che pu trarre lo Stato in tempo di pace se non peso e disturbo? Sia un
male quel deporre lo spirito altiero e feroce; sar sempre un male senza paragone
minore, che non quello che potrebbe cagionare nella civile societ (1). Dove
da avvertire, che noi non prendiamo qui la voce nobile, come si suol prendere
in alcuni paesi, solamente per quelli che o sono ascritti a certi sedili e sono
membri di certi ordini nobili, o che hanno de' gran feudi, ma per tutti coloro
che sono di una nascita distinta o per gradi militari, o per posti politici, o per
famiglie anticamente ricche. Si pu leggere sulla presente questione L'amico degli
uomini, e il famoso abate autore del bellissimo ragionamento, La nobilt traf
ficante.
. XVII. Ridurr ora il presente capitolo a pochi teoremi.
I. Il commercio accresce la potenza e la gloria de' monarchi e de' popoli,
perch accresce il nerbo della potenza, che sono le ricchezze primitive e rap
presentative.
II. Distrugge la tirannide, perch introduce lo spirito d'umanit e di pa-
triotismo.
III. il vero che indebolisce l'antica nobilt, ma ne crea della nuova; e
questo desta dell'emulazione, e l'emulazione accende l'industria.
IV. Fa i costumi pi dolci e gentili per lo trattare insieme e comunicarsi di
tutte le nazioni.
V. Fa savii i popoli e scienziati , dando loro pi notizie , pi esempii , pi
stimolo e facendo loro vedere pi rapporti.
VI. anche vero che aumenta eziandio la cupidit di avere e la scaltrezza;
ma le passioni umane son come il bucefalo di Alessandro: tanto meglio ci pos
sono servire quanto sono pi grandi, se la legge, che debb'esser la ragion comune,
le sa regolare.
. XV11I. Ma ecco qui una questione. Quasi lutti questi effetti veggonsi nella
Cina, ancorch non abbia che o niente o poco commercio esterno. Rispondo,
che la Cina un s vasto paese, ch'esso solo molto pi che non tutta l'Eu
ropa. L'Europa non giunge a fare 100 milioni d'anime, e la Cina ne fa cento
venti almeno. Le sue provincie adunque equivalgono a pi che l'Europa. Tutte
commerciano insieme; e questo tien loro luogo di commercio esterno. Aggiungasi

(1) Ne' secoli rozzi d'Europa quasi tutte le guerre erano mosse da quella turba di no
bili pezzenti, che non trovavano altrimenti a vivere che col devastare la terra. Quel che
fecero in Italia queste Compagnie e i loro Conduttori, come cbiamavansi, non neces
sario che si dica da noi. Le desolazioni cagionate in Francia, Germania, Inghilterra for
mano la storia di presso a dieci secoli. Questa gente sotto il regno di Giovanni, colui
che nella battaglia di Poitiers fu fatto prigioniero dagl' Inglesi il 1556, avendo scossa
l'autorit sovrana, messe tutta la Francia a sangue e a fuoco con crudelt e disonest
inaudite fino tra selvaggi, le quali niuno, cred'io, legger senza inorridire. Veggasi Da
vid Hume, Storia d'Inghilt., tom. Il , pag. 177. Dond' ch'io stupisco come possano ri^
trovarsi uomini, filosofi, cristiani, non ignoranti della storia, i quali ardiscono preferire
i secoli barbari a questo nostro, ci* a diro la ferocia crudele '' sanguinaria nll'wnanilA
alimenta'ricp di' l."iii d!l:i \\\n impnii.
138 GENOVESI.

che i Cinesi hanno molto imparato dopo aver conosciuto gli Europei. Chan-hi
fece misurar tutta la Cina, tirarne delle carte esattissime, e questo per opera de'
missionari europei. Fece tradurre da' medesimi in lingua tartara e cinese un corpo
di scienze matematiche e filosofiche (1).

CAPO XX.

Regolo generali del commercio esterno.

. I. di per s chiaro che una nazione, la quale prende derrate o manifat


ture dai forestieri, non pu altronde avere il compenso di quel che loro paga,
salvoch dall'estrarre quel che ha di soverchio. Questo dicesi commercio esterno.
Donde seguita che ogni nazione che prende dai forestieri checch sia, dee avere
del commercio esterno per soddisfarli; altrimenti nel caso di fallire.
. II. Ma egli necessario che questo commercio si faccia non a caso, ma
con arte e saviezza, affinch anzi di giovare non rovini lo Stato. Intendo perci
nel presente capitolo di mettere in chiaro le regole generali di quest'arte e sa
pienza, per cui si sostiene il commercio esterno e torna giovevole al corpo civile,
e le quali dove si trascurino niun commercio pu esser utile. Nel far questo non
mi allontaner dai principii degli economisti inglesi; imperciocch di tutte lo
nazioni di Europa ninna ha in questi ultimi due anni e meglio studiata questa
materia, e portatala all'ultima finezza quant'essi. Facciamo come gli antichi Ro
mani, i quali, siccome Plinio dice, non disdegnarono di prendere le regole della
agricoltura dai Cartaginesi, i di cui libri fecero tradurre in latino, bench fosse
quella un'emula nazione.
. III. Or quest'arte breve nella teoria, come quella che non consta che di
pochi e manifesti principii ; ma richiede in pratica una mente vasta da saper
ridurre gl'interessi dei particolari all'interesse generale della nazione, e coraggiosa
da non isbigottirsi per gli ostacoli (2). Adunque il primo principio che da te-
tersi per ordinare il commercio esterno , che il vero ed unico guadagno dello
Slato, rispettivamente agli altri, dipende dal trasportar fuori il soverchio della
nazione, o affine di permutarlo con quel che manca, o di venderlo a contanti :
conciossiach indi nasca il suo vero e unico introito relativamente agli altri popoli.
Non altrimenti che il vero introito di una famiglia, rispetto all'altre, quel che
la prima ritrae dalle seconde vendendo loro il soverchio delle sue derrate o ma
nifatture. Da questo principio seguono cinque conseguenze:
1" Che uno Stato, il quale non mandi fuori n molto n poco , non ha in-

(1) Veggasi Duhalde.


(2) Omero, Odiss. Ili, v. 282, chiama il nocchiero di Menelao quasi gran mente unita
a gran cuore. Ecco il carattere d'un ministro di finanze. Aggiunger qui , amante del
ben pubblico e della gloria del sovrano. Tal era Colbert in Francia, e tale il conte di Cha-
latn in Inghilterra.
COMMERCIO STERNO. CAP. XX. 159

trotto alcuno rispettivamente alle altre nazioni; e perci se egli prende dai fore
stieri, in una perpetua decadenza e come schiavo di quelli.
2 Che uno Stato, il quale mandi fuori pochissimo del suo, ha piccolo in
troito ; e se l'esito maggiore, egli va decadendo a proporzione dell'eccesso
dell'esito sopra dell'introito: e ci fino a che si riduca in una relativa povert.
5 Che uno Stato, il quale mandi fuori molto del suo, sieno derrate, Meno
manifatture, ha bello e grande introito ; per modo che se quest'introito agguaglia
l'esito egli si mantiene, se il supera va crescendo in arti, ricchezza, popolazione
e potenza, proporzionatamente all'eccesso dell'introito sull'esito.
4 Che tutte le cagioni, fisiche o morali che sieno, le quali rilardano e sce
mano l'introito, ritardano altres e scemano l'arti, la popolazione e le ricchezze
dello Stato. Queste cagioni non sono altre che quelle, le quali ritardano o sce
mano l'estrazioni del soverchio e la circolazione del commercio interno; come
cattive strade o non sicure, pochi porti e poco sicuri, mari infestati da pirati,
rozzezza nella scienza delle macchine da trasporto, dazi e pedagi mal situati e
peggio esatti, troppe formalit nelle esportazioni, litigi infinitamente lunghi in
materia di commercio, frequenti esempi di male fedi, ecc.
5 Che tutte le cagioni, le quali agevolano e accrescono lo scolo e l'estra
zione delle derrate e manifatture e l'interna circolazione, aumentano l'introito; e
conseguentemente rendono pi ricco e florido cos lo Stato come il sovrano.
. IV. Il secondo principio , che fra le molte maniere di estrarre il sover
chio, si debba sempre, per quanto si pu, scegliere la pi utile e la pi van
taggiosa, affinch l'introito possa essere il pi grande che sia possibile. Or que
sta maniera di non trasportare al di fuori i materiali dell'arti che vi nascono,
ma i lavori di quelli e le manifatture se fia possibile; e dove non si possano la
vorar tutte le materie prima che nascano nella nazione, si debba procurare di
lavorarne il pi che si possa. Da questo principio seguitano due conseguenze.
1 Che poste tutte le altre cose eguali, quello Stato avr maggior introito
che mander al di fuori pi materie lavorate, che non si abbia quello che ne
manda meno o che non manda senonch soli materiali.
2 Che mandare al di fuori le materie prime non lavorate nella nazione,
tenda ad impoverire relativamente lo Stato, e ci per due ragioni. Primamente
perch mantiene la nazione nella servit dei forestieri; e appresso, perch lascia
radicarsi l'ignoranza dell'arti e la poltroneria.
. V. Per meglio intendere questa regola, applichiamola per modo di esem
pio al nostro paese. Noi abbiamo delle lane e delle sete che sono materia di ric
chissime arti, e ambidue oggimai necessarie. Vendiamo molta lana ai Veneziani
e molta seta agli Oltramontani. Questo veramente ha un introito, epperci una
rendita assoluta. Ma se noi potessimo mandare fuori queste medesime materie
convertite in manifatture, il mandarle in materia dovrebb'essere stimato una per
dita relativa. Primamente, perch fino a tanto che noi mandiamo fuori troppi
materiali dell'arti delle quali abbiam bisogno, non possibile che noi ben colti
viamo quest'arti medesime; donde seguita che per conto di esse restiamo sempre
debitori dei forestieri. Secondariamente, perch noi paghiamo loro per le mani
fatture di lana e di seta maggior somma in danaro, che noi non riceviamo per i
nostri materiali. Finalmente perch il guadagno del lavoro per noi perduto e
guadagnato interamente dai forestieri. Cento canlara di lana possono renderci
140 i.i-;\o\iim.
intorno a 4,000 ducati, vendendole a 40 ducati il cantaro, cio al prezzo mas
simo; dovech lavorate possono darcene pi che sedicimila. Centomila libbre di
seta possono renderci intorno a dugentomila ducati (1); ma se si lavorano, pos
sono somministrarcene mezzo milione in circa. *
. VI. Questa massima stata una di quelle che pi che tutte le altre ha
conferito ad ingrandire il commercio inglese. Von sono ancora due secoli, che
in quell'isola le manifatture non si risguardavano che col solo occhio dell'interno
bisogno (2) : cosicch fu sino a quel tempo che gl'Inglesi dipendettero dagli stra
nieri, anzich loro somministrare. Oggi si risguardano con occhio di traffico, cio
con occhio di conquista, ch' com' detto il vero spirito del commercio ; e di qui
nasce il loro gran traffico.
. VII. Il terzo principio quel che qui sopra accennato, che dove l'arti
non si risguardano che pel solo fine del sostegno e d'un sostegno filosofico, non
vi pu esser soverchio, n perci commercio. Perch allora, come tra selvaggi,
niuuo procurer di avere che quanto basta alla natura. Mancando adunque il
soverchio, dee mancare il fondo al commercio. perci da fare che ogui me-
stiero si guardi da chi l'intraprende con occhio di trafficante; affinch studiandosi
tutti di aver pi che loro basta, creino nella nazione un ampio fondo di traffico
esterno.
. Vili. Innanzi all'anno 1689 tra i medesimi Inglesi l'agricoltura non era
guardata che pel solo fine del sostegno. Di qui avveniva non solo che essi non
estraessero pel di fuori le loro derrate, ma oltre di ci che bene spesso avessero
bisogno delle persone forestiere, siccome per i monumenti di quel tempo chiaro.
Ma avendo il Parlamento nel detto anno 1689 promesso una gratiDcazione, che
g' Inglesi chiamano bounty, a coloro i quali in vascelli nazionali e con equi
paggio di due terzi per lo meno inglese avessero estratte delle derrate, l'agricol
tura fu subito riguardata come negozio, e perci crebbe e si miglior in sorpren
dente maniera. Per li registri della dogana inglese dimostrato, che dall'anno
1745 per tutto il 1750 questa nazione aveva introitato di derrate vendute agli
stranieri nove milioni di lire sterline (5).
. IX. Ma affinch questo spirito si possa diffondere per tutte le membra
del corpo civile, egli necessario che ciascuno sia sicuro di poter eslrarre il so
verchio, in tempo e con maniere che non ripugnino al suo interesse. Quando
questa sicurt manchi, non vi sar nessuno che ardisca procacciarsi del sover
chio, e per tal modo le arti si risguarderanno sempre in vista del semplice so
stegno. Questa sicurt poi posta in due punti. Primamente, che non sia inter
detto niun tempo acconcio e niuna quantit per estrazioni, se non quel solo tempo
e quella sola quantit che pugnasse con la pubblica felicit dello Stato. Questo
la ragione perch in tutti gli Stati niuna provincia meglio coltivala, quanto
quella che intorno ad una vasta capitale, perch sicura dello smercio. Secon
dariamente, che i diritti di estrazione sieno regolati in modo che ciascuno possa
lusingarsi di aver la preferenza, o per lo meno di andare del pari colle altre genti

(1) Ho qui dato i prezzi pi alti, a cui possiam vendere la lana e la seta : ma ci non
ci accade troppo spesso.
(2) Fino alla met del regno di Elisabetta. Vedi Hume, Storia Inglese.
(3) Dangeul , Vantaggi e Svantaggi della Francia e dell'Inghilterra, relativamente
al commercio.
COMMERCIO hSTKRNO. CAP. XX. 141

nel loro concorso; perch questa preferenza accelera Io smercio, lo smercio anima
le arti, e l'arti rinvigorite danno il soverchio. Dove si manca in questi due punti,
niuno ardir ad avere del soverchio.
. X. Si vuole qui rispondere ad una popolare difficolt, che si suol fare
quasi da tutti coloro i quali si mettono a ragionare di cose che poco o nulla in
tendono. Questa obbiezione che quando si permette la libera estrazione di ogni
cosa, la voglia di guadagnare, la quale potentissimo stimolo agli animi umani,
pu in poco tempo cagionare una totale mancanza de' generi che si estraggono.
Ma questo un timore panico. In prima, un tal sospetto non pu mai aver luogo
nei generi di manifatture, delle quali quanta maggior copia si estrae tanto esse
pi crescono, perch crescendo il guadagno, primo e principal motore di ogni in
dustria, forza che si lavori pi. Appresso, non pu risguardar le materie prime
dell'arti, perch queste sono state eccettuate per la ragione del secondo principio
generale. Per quanto risguarda poi gli animali, coloro che fanno questo traffico
sanno benissimo quanto ne debbano estrarre, perch non manchi il fondo all'in
dustria: n facile ch'essi ne mandin via pi di quel che conviene, dove trovino
a venderli a cos buona ragione al di dentro ; e quell'istesso principio che gli
spinge ad estrarre, cio jl guadagno, potentissimo a fare che non se n'estragga
tanto che poi manchi il traffico negli altri anni. Il mercante non conta quasi
per niente il lucro fatto, ma mira sempre al futuro. Pur se di ci si temesse, la
legge naturale dei prezzi, della quale sar qui appresso detto, vi potrebbe di
leggieri metter termine.
. XI. Finalmente dove si osservi la legge dei prezzi, non vi pericolo nes
suno che le derrate vengano a mancare al di dentro. Questa legge appresso gl'In
glesi che l'estrazioni sieno libere, fino a che i prezzi nei comuni mercati sono
al di sotto di una certa altezza; come poi toccano a quella, vi sono proibite (1).
Il prezzo certissimo indice della quantit delle cose mercatabili ; e perci quando
si mantiene dentro certi termini discreti, manifesto argomento che i generi
non manchino. Pure se per qualche inopinato accidente si potesse temer di man
canza, senza annullar la legge generale, ben si potrebbe per un tempo farvi una
subita eccezione. E nondimeno, affinch i prezzi nei mercati possano servire di
indice delle quantit, s' prima da guardare da ogni assisa in sulle derrate (per
ch le assise, facendole ritirare dal giro del commercio e seppellendole, faranno
crescere i prezzi senza che manchino le quantit); e poi dai jus proibitivi che creano
i monopoli! legali. Finalmente si vuole aver l'occhio e punire severamente i mono
poli particolari, che genera la soverchia e iniqua avidit di certi mercatanti (2).
(i) Questa medesima legge stata promulgata in Parigi per la libert del grano ,
l'anno addietro 176-i. Dunque ella debb'essere generale.
(1) Io non so su quali principii di moralit si regolino molti, i quali si studiano di ar
ricchirsi con cagionare la miseria dello Stato, e sono in dubbio chi sia pi scellerato, essi
o i loro casisti. So bene essere stata la massima degli Stoici, che noi altri trattiamo su
perbamente , detraherc aliquid alteri , et hominem hominis incommodo suum augere
commodum, magis esse cantra naluram, quam mortevi, quam paupertatem , quarn dolo-
rem, quam catter, qua possunt aut corpori uccidere, aut rebus externis. Cic. Ili de Off.,
cap. 2. Ma perch non si da fidar troppo alla coscienza nel governo d'un popolo gua
sto, giusto che si facciano valere le leggi gi consecrate contro i monopolisti , e che il
sovrano non solo non onori mai famiglie arricchite in questo modo del sangue de'popoli,
ma anzi favorisca l'infamia e l'abborrimento, in cui i popoli per un senso della natura
le hanno
142 GENOVESI.

. XTI. Il quarto principio generale questo, che dove a noi manca qualche
specie di manifattura, per mancanza di materie prime, si. debba sempre preferir
l'introduzione delle materie ancora rozze a quella delle manifatture , purch
questo si possa agevolmente fare. Imperciocch quando abbiamo da comperar
qualche cosa, la ragione economica c'insegna di dover fare la minima possibile
spesa. Ora nel caso nostro chiaro, che la minima possibile spesa quella della
materia ancor rozza, dove si pu tra noi lavorare. Al che si vuole aggiungere,
che oltre al risparmio e al guadagno delle manifatture, noi veniamo per questa
via a farci un altro gran bene, che quello di mantenere in vigore l'arti e di
somministrare materia di utile occupazione ai poveri e agli oziosi; al che deve
principalmente attendere l'arte della pubblica economia.
XIII. Il quinto principio , che l'introduzione di quelle mercanzie, le
quali impediscono il consumo delle interne, o che nuocono al progresso delle in
terne manifatture o dell'agricoltura, cagiona certissimo danno allo Slato, e prin
cipalmente come sono oggigiorno disposte le cose di Europa, dove ogni nazione
si studia quanto pu il pi di far valere il suo commercio attivo. La ragione di
questo principio da se stessa manifesta. Conciossiach per questa introduzione
l'interne manifatture vengano pian piano a languire, e la coltivazione delle terre
a sminuirsi. E di qui seguita la mancanza del sostegno degli uomini e delle fa
miglie. Dunque una siffatta introduzione cagione allo Stato di povert e spo
polazione.
. XIV. Il sesto principio , la troppa introduzione delle mercanzie di puro
lusso, purch non s'introducono per sostenere un commercio d'economia cogli
altri popoli, sempre una reale e vera perdila dello Stato. Primamente, perch
aumenta l'esito senza intanto aumentare l' introito, epperci rende, l'uno anno
piucch l'altro, povera la nazione. Secondariamente, perch disanima la coltura
e le arti interne, e per questo modo toglie i mezzi di sussistere a molte famiglie.
Che se le materie di puro lusso non sieno poi introdotte da proprii vascelli, ma
su navi straniere, ancora maggior male perch serve ad indebolire la propria
marina. In un solo caso adunque l'introduzione delle mercanzie di puro lusso pu
essere utile, ed dove, come s' detto, s'introducano per estrarne almeno una
gran parte con profitto, come si fa dagli Olandesi e da altri popoli, i quali fanno
un commercio che dicono di economia.
. XV. Il settimo principio , Che l'introduzione delle mercanzie straniere,
che si fa per estrarle con proprie navi e con proprio equipaggio, posto die non
sieno di quelle che nascono o si lavorano nel proprio paese, pu esser grande e
certa rendita, dove si badi che ci non sia cagione che il commercio delle proprie
robe venga ad essere indebolito. Or questa rendita consiste nei capi seguenti:
1 Nel proCtto che si ha da valore a valore; 2 Nell'aumento della marineria;
5 Nell'occupazione che si d a molte arti, le quali servono alla fabbrica e al
corredo dei vascelli; 4 Nel consumo dei materiali per la costruzione, guarni-
mento e mantenimento delle navi ; 5 Nella protezione che una copiosa marina
pu somministrare al commercio e alla nazione.
. XVI. L'ottavo principio , che taver tanta copia di vascelli e di marinari,
che se ne possa impiegare una parte a nolo dell'altre nazioni, dove ci si possa
fare senza discapito dell'agricoltura e delle manifatture, certissima rendita
per la nazione; perch occupa degli uomini a pr dello Slato e gli alimenta a
COMMERCIO KSTKHNU. CAH. XX. 143

spese d'altri. E di qui si pu comprendere quanto sia stato grande il guadagno


che agl'Inglesi e agli Olandesi tornato dall'aver fatto colle loro navi parte del
commercio della Spagna, e grandissima di quello del Portogallo, n piccola di
molte nazioni italiane.
. XVII. Il nono e ultimo principio , che la preferenza nel concorso l'a
nima del commercio: e che tutte quelle cagioni che la promuovono, promuovino
ad un tratto 11 commercio e gli diano vigore; e quelle che vi si oppongono, di
struggano il commercio dai fondamenti. Or questa preferenza consiste in ci che
dove molti portino a vendere le medesime cose in una comune piazza di negozio,
una nazione sia preferita all'altra nel poter vendere pi presto, non gi per privi
legio nessuno, ma perch pu vendere cose cos buone come ogni altra, ed a mi
glior mercato. L'avere adunque la preferenza nasce primamente da tutte quelle
cagioni e operazioni, cos meccaniche come politiche, le quali sono atte a mino
rare le spese del trasporto. Nasce secondariamente dalla bassezza dei diritti di
estrazione. Finalmente da tutti quei regolamenti per cui si guadagna del tempo.
Imperciocch per s fatte cagioni le mercanzie vengono a costar meno; e quel che
costa meno si pu anche vendere a miglior mercato: e chi vende a miglior mer
cato cose egualmente buone sicuro di esser sempre preferito.
. XVIII. Per meglio ci intendere consideriamo due Stati A e B trafficanti
in un terzo C. Egli debb'esserci manifesto che quello dei due, il quale avr o mi
gliori derrate e manifatture, o cos buone come l'altro; che pagher pi pochi
diritti ; che per vigore delle scienze meccaniche e nautiche, per la comodit dei
fiumi, per la facilit delle strade far minore spesa nel trasporto ; che incontrer
minore impedimento nello spedire le sue mercanzie : dico che egli manifesto,
che questo Stato, verbigrazia A, avr indubitatamente la preferenza sopra l'altro
B; far bello e gran commercio, e diverr ricco e grandioso. Per l'opposto l'altro
Stato B sar posposto, e vedr l'un giorno piucch l'altro impiccolirsi il suo com
mercio. La dimostrazione di questo teorema che lo smercio anima l'arti ed il
traffico. Dunque dove ve ne ha presto e grande, ivi gran commercio ; e niuno o
poco, dove non ve ne ha che poco o niente.
. XIX. Si potrebbero qui muovere tre quistioni: 1 Giova egli al commercio
esterno avere un porto franco? 2 egli necessario per aver commercio fondar
delle compagnie col diritto esclusivo? 3 Son esse necessarie le colonie in paesi
rimoti? Il porto franco stato ed l'idolo di molti economisti. Io ne penso altri
menti. Una nazione savia vuol avere tutti i porti aperti da ambe le parti, cio da
dentro e da fuori, e a certi riguardi tutti chiusi. Essi vogliono essere tutti aperti
per la parte di dentro, perch lo scolo delle derrate e manifatture interne sia ra
pido ; e aperti da fuori a tutte le nazioni che vogliono venirvi a trafficare. Ma
queste medesime due bocche si hanno a serrare in certi riguardi. Perch da den
tro non si vuol lasciar uscire, se non quello che uscendo moltiplica i generi, e
Un dove li moltiplica. Cos si Iascieranno uscire liberamente le manifatture, non
le materie; e le derrate fino al punto del soverchio, affinch premendo non sco
raggino l'agricoltura. La bocca poi di fuori debb'esser chiusa a nazioni che ve
nissero a piratare, non a mercantare; e dove si portassero delle derrate o mani
fatture atte a scoraggiare le nostre, si vorrebbero o proibire o caricar di dazi :
dove fossero materie necessarie per le nostre arti, vorrebbe esser dappertutto
porto franco. Con tutto ci se le nazioni vicine avesser tutte o la maggior parte
144 GENOVESI.

un porlo franco, non si potrebbe allora far di meno di averne anche noi, perch
deserto chi resta solo.
. XX. Non facile poi decidere la seconda questione senza adoprar qualche
distinzione. Credo che a voler dar molo ad un commercio nascente e a certo ge
nere di manifatture, sia sul principio necessaria una compagnia esclusiva. Le
prime spese in siffatti generi di cose sorpassano le forze di ogni privato (1) ; donde
che o si debbono sostenere dal braccio del sovrano, o da molte famiglie unite
insieme. Non sarebbe che savia la condotta d'un sovrano, il quale volesse fare
delle grandi spese per piantar l'arti e il commercio nella nazione; perch sarebbe
non perdere il danaro, ma seminarlo per raccoglierlo poi con grande avanzo. Ma
grandi spese, che non rendono che tardi, non sono del presente slato della mag
gior parte delle Corti europee, epperci vi si deve far poco fondamento. Restano
dunque le sole compagnie; le quali come non abbiano un jus esclusivo non si tro
veranno ad unire, non essendovi chi voglia spendere a piantare una vigna, il cui
fruito sia poi del comune.
. XXI. Ma le compagnie esclusive, siccome tutti i privilegi in materia d'arti
e di traffico, producono subito due cattivi effetti: 1 Scoraggiano lo spirito ge
nerale della nazione; 2 e fra non molto depravano l'arti e la buona fede per
l'avidit e sicurt del guadagno. Affinch dunque potessero pi giovare che nuo
cere, dovrebbero essere di tal natura che abbracciassero, o immediatamente o me
diatamente, una gran parte della nazione. Dico immediatamente per le azioni dei
soci; e mediatamente per diffondere il profltto fino alle minori arti, impegnando
cosi lo spirito di tutta la nazione. E di questa natura mi par essere la Compagnia
delle Indie Orientali degli Olandesi. Ma difficile, che in altri Slati s'uniscano
tante circostanze e tanti accidenti fortuiti, quanti s'accoppiarono a produrre e di
latare una siffatta societ.
. XXII. Alla terza questione rispondo, che le colonie son divenute neces
sarie per una ragione rispettiva, non assoluta. Se tutte le nazioni europee avessero
potuto convenire di trafficare nell'Africa e nell'America, come trafficano in Tur
chia, in Persia, nell'Indoslan, nella penisola di l dal Gange, nella Cina, una fat
toria sarebbe bastata. Ma avendo voluto occupar terre e avervi imperio, non si
pu pi trafficarvi bene senza colonie. Hanno poi queste colonie grandissima forza
a moltiplicare e mantenere la marina, e a dare dello scolo a' reciprochi prodotti
dell'arti e delle terre. Egli nondimeno vero, che quei che hanno l'ondato nel nuovo
mondo delle gran colonie, hanno pensato, come ordinariamente pensiamo tutti,
pi al presente utile che al futuro. Perch non essendo possibile che queste co
lonie non si formino coll'andar del tempo sul modello europeo, esse vorranno
avere tutte l'arti e le scienze nostre-, con che vengono a poco a poco a mettersi
nell'indipendenza dalle metropoli, donde debba finire il presente nostro guadagno.
N stimerei fuor d'ogni probabilit, che un giorno non potessero quelle colonie
esser le nostre metropoli. Tutto nel mondo gira e tutto si rinnova col girar del
tempo. Noi altri Italiani avremmo potuto mai pensare al tempo di Augusto di
poter esser coloni dei popoli settentrionali? (2)
(1) Il commercio dell'Inghilterra nella Guinea non prima si assod, che costasse a co
loro che l'impresero 800,000 lire sterline di perdita: Storio universale, Parte moderna,
voi. XVH in principio. E la fabbrica di Abbeville in Francia, senza che due volte fosse
sostenuta da Luigi XIV con grosse somme, sarebbe fallita.
() Fu una profezia quella di Velleio Patercolo, lib. II , cap. XV. In legibus Gracchi
145

CAPO XXI.

Delle Finanze.

. I. il corso dell'aria o il vento, diceva un grand'uomo , che modella la


superficie dei mari; le correnti vi seguono sempre la direzione dei venti: ed il
sistema delle finanze che sollecita o arresta il commercio. Dove questo sistema
ben inteso e regolato dal vero spirito economico, il commercio nasce, cresce, si
ingigantisce in pochi anni; dove si capisce male e si tira a sbarbicar le piante per
raccorre dei frutti ancora acerbi, non vi pu allignar commercio-, e se ve n' ha,
anche grande, in pochi anni viene ad esser distrutto. Questo mi ha fatto pensare
di spiegare qui brevemente, secondo ch'io so e posso, i principii delle finanze. Ma
comincer dalla loro origine.
. II. Niuna nazione polita potrebbe sostenersi e marciare alla sua grandezza
e felicit, senza la forza d'un governo (1). Gli uomini (com' pi d'una volta
detto, ed necessario che si ripeta spesso) sono certi esseri irritabili ed elastici,
i quali non si uniscono mai in un corpo, n uniti vi durano gran fatto senza
qualche costante pressione di maggior forza, la quale da ritti e rigidi li curvi
alquanto e faccia lor prendere quella forma o figura morale, ch' necessaria per
ch si combacciano e vivano insieme amichevolmente.
g. III. Ma perch il governo sia in grado di poter mantenere unito e regolato il
corpo politico, difenderlo, provvederlo di ci che gli manca e animarlo, gli ne
cessario essere non solo circondato da savi e prudenti ministri, o per formare gli
uomini alla virt, o per tenerli nell'osservanza della giustizia e delle leggi, ma
armato eziandio e per terra e per mare, se sia nazione marittima, affinch colla
forza delle armi faccia al di dentro rispettar le leggi, e al di fuori lasciar vivere
in pace lo Stato. facile adunque il vedere, che niun governo pu sostenersi
senza molte rendite; le quali donde gli potrebbero mai provenire se non da' sot
toposti popoli ? Egli perci un dovere della nazione il dar opera che non man
chi nulla alla maest di chi comanda, ed il principale suo interesse ; concios-
siach non sia facile che il sovrano adempisca a s grandi cure, donde vengano
a mancargli le forze : e ogni omissione in materia del reggimento dei popoli torna
a disgrazia dei sudditi.
. IV. Finch i popoli furono selvaggi, n essi n i loro capi ebbero altre
finanze, n altre rendile salvo che le prede (2). Ma vi erano due sorta di pre-

inter perniciosissimas numeraverim, quod extra Italiani colonias posuit. Idmajores, cum
iriderunt tantum potentiorem Tiro Cartaginem, Massiliam Phoccea, Syracusas Corintho,
Cyzicum ac Bisanlium Mileto, genitali solo diligenter vitaverant.
(11 I selvaggi non fanno corpo, e l'anarchia porta subito la dissoluzione della civile
societ; di che vi sono frequenti esempi nella storia.
(2) Si sa, che quella che chiamasi da' poeti et degli Dei , non era che l'et de' popoli
selvaggi. Ora in questa et , siccome oggiorno tra' Canadesi settentrionali e tra i Tartari
ecc., non vi era altro sostegno della vita che le fiere. Esicbio ci ha conservata una me
morabile tradizione di tal verit. Il pheros, die'egli, fu il cibo degli antichi Dei : da pher,
fiera, usata da Omero (diligentissimo raccoglitore delle prische parole) neWIliade lib. I ,
Eronom. Tomo III. 10.
146 GENOVESI,

de (1); perch alcune cose predavansi sulla natura medesima (2) e chiamaronsi
occupazioni, come quelle degli animali selvaggi, de' pesci, dell'erbe e delle frutta
agresti, o di tali altre cose che per diritto di natura sono nella comunione di
tutti (5); altri erano spogli e saccheggiamenti, per cui i pi forti toglievano ai
pi deboli, cio i pi selvaggi ai meno e i pi barbari ai culti, quel che loro ap
parteneva in propriet. Tal oggigiorno il vivere degli Irochesi nell'America, e
degli Agai e di molte altre nazioni in Africa, e di certi Tartari in Asia. agevole
il comprendere che siffatti popoli non possono essere n grandi, n ben regolari.
S-V. Quando le popolazioni selvagge divennero conquistatrici di migliori
terre, e di popoli coltivatori e pi agiati che non eran essi nei loro paesi, come i
Tartari Asiatici della Cina, dell'India, del Corassan, e gli Europei dell'Inghilterra,
della Francia, dell'Italia. della Spagna, piacque loro di fissare la vita errante e
bestiale, e prendere altro genere di piaceri meno fieri. Allora i loro capi ebbero
un maggiore e pi fermo imperio. Per mantenere adunque la forza e la maest
loro, ebber bisogno di picerte e fisse rendite che non erano le giornaliere prede
de'lor maggiori. Allora si assegnarono loro degli ampi fondi di terra e dei bo
schi, con degli schiavi e gregge di animali; e questi furono i primi demani. Que
ste terre adunque demaniali nutrivano semi ed alberi fruttiferi, animali addime
sticati, come vache, buoi, pecore, cavalli, muli, capre, porci, ecc.; e i pastori e i
coltivatori erano prigionieri renduti schiavi e addictitii per la forza della con
quista; e tutti quelli viventi in contado chiamati nelle leggi Barbare originari,
cio coloni, e si accumulavanocogli schiavi (4). E questo fece la prima certa ren
dita dei sovrani. A questo s'andarono poi col tempo aggiungendo certi corpi par
ticolari, come miniere, sale, birra, vino (5), e in alcuni luoghi le pelli di certi
v-268, nel voler disegnare i Centauri, cio i buoi selvaggi, de'quali si pascevano gli Dei
e gli eroi, come tuttavia i Canadesi; di che veggasi la Luisiana del P. Hennepin.
La favola dice, che Ercole Tebano dom i Centauri (Euripide nell'Ercole furioso);
e il suo amico Teseo piant delle vigne, avendo avuto per mogli Arianna (letizia)
e per figffa Stafila (vite). Dunque anche a tempo de' semidei la Grecia non avea an
cora agricoltura, e ci vale a dire era selvaggia e inumana. In Omero medesimo, chi
mangia pane un epiteto d'uomini sicuri, giusti, ospitali.
(1) Se ne trovano molti esempi nella storia antica di Grecia e d'Italia. degno di
osservazione, che presso gli antichi Greci col medesimo nome di leis chiamansi il
bestiame e le prede, di che testimonio omero in diversi luoghi. Eleion, che la
messe, della medesima origine; e per avventura anche laos, popolo, non essendo
primi popoli selvaggi che predatori; siccome latro in latino e latrocinari si
gufificavano guerriero e guerreggiare, predare. Ond' che gli antichi pirati e predoni
terrestri furono in quella medesima stima che i conquistatori (Tucidide, lib. I); e il
furono di nuovo nella seconda barbarie di Europa fino al xv secolo. E cos in Omero
polileios un ricco: e charme, letizia e alle volte guerra (vedi Iliad. V, v. 615 e 608);
perch ordinariamente non si guerreggiava che per predare, ond'era la letizia dei
predatori.
(2) Preda giusta, se si pu cos chiamare, come quella che la natura istessa ci offre
colle sue mani e ridente.
(5) Cosi vivono oggi i Caraibi, i selvaggi del Brasile, della California, delle Filippine ec.
(4) Martinus Miartinius, Historia Sinica; Mezerai, Abrg chronologique; Hume, Storia
d'Inghilterra; Edictum Theodorici Regis etc.
(5) Tra noi demanio la zaffrana. Il tabacco lo divenuto da poco in tutta Europa.
DELLE FINANZE. CAI'. XXI. 147

animali (1), la pesca dello perle e delle conchiglie (2) acc. Tutti quoelt si dissero
demanii. Veggonsene tuttavia dei vestigi nella corto di Peking e nella Moscovla.
Lo prime entrate dei re francesi e inglesi, poich queste contrade furono occu
pate dai Danesi, Sassoni, Franchi (Tartari europei) quasi non traevansi che da.
siffati fondi. In Italia medesima queste furono le prime flnanse dc'Goti e de' Lon
gobardi.
. VI. Ma crescendo tuttavia i bisogni delle corti a misura che il governo
andavasi dilatando e acquistando dei nuovi diritti, le multe o pene pecuniario,
le quali ne'ferini tempi erano o degli offesi o del corpo del pubblico o dei baroni,
ftirono per la maggior parte assegnate per sostegno dell'imperio. E perch questa
rendita divenisse ogni giorno pi ubertosa, fu s stranamente protetta dalle leggi,
che non vi fu delitto, per atroce che fosse, il quale non si ricomprasse a danaro (5).

(1) Come le pelli d'ermellino nella Cina e nella Moscovia.


(2) Nel Congo le conchiglie sono in demanio , le perle nel Malabar e i diamanti
nell'I ndostan.
(~> Tuttavia a Petersburg v' un tribunale che multa tutte le piccole offese, ed grau
sorgente di rendite. Donde si capisce , perch quasi tutte le pene delle leggi Gotiche ,
Ripuarie, Sassone, Longobarde, Borgognone ec. non fossero che pecuniarie. In queste leggi
l'omicidio, l'adulterio, il sacrilegio, l'incendio, la rapina, il ratto ecc. si valutano asoldi.
Veggonsene molti vestigi anche nelle Costituzioni de' nostri principi, ancorch pi re
centi. Delle quali multe quella parmi stranissima e contraria a tutta la buona politica
delle finanze; che fu da Alfonso I d'Aragona nel nostro Napoletano parlamento del 1442
stabilita. Chi non paga il ducato a fuoco (era il tributo allora Gssato per ridurre le sparse
finanze ad un metodo semplice) dopo dicci giorni del tempo ordinato , pena del duplo :
dopo 30 , pena del quadruplo : dopo 30 , pena dell'ottuplo, con una clausola , et tubini
sic dictas panas quulibet decem die commista* cura principali debito in duplum gradatim
aggravandas, donec eie. Questa progressione ascendente va in capo ad un anno a
64,246,510/036, cio a sessantaquatlro miliari , dugento quarantasei milioni, trecento
diecimila, cinquanta sei ducati; pena, che io non so se tutti i presenti sovrani della
terra potessero in un anno pagare. Tanto importa non saper di calcolo ! I popoli tutta
via selvaggi qasi non conoscono altra pena che multe. E Omero si serve qualche volta
di pott permuta. Perch stimo, che Yapoina, ch'erano i prezzi dati del riscatto, BOB fos
sero differenti dagli aphena, doni, ricchezze: ond', aphneios, ricco, opulento. Ne' tempi
barbari d'Europa i principi medesimi andavano a caccia di far prigionieri gli altri prin
cipi con cui non erano alleati, e ne traevano grandissime somme pel riscatto. Era anche
Riesto un capo di finanze. Riccardo re d'Inghilterra, preso sulle terre imperiali mentre
tornava da Terra Santa, rendette intorno a due milioni all'imperator Arrigo. degno di
esser rapportato qui un bel pezzo della Storia Inglese di David Hume, tom. V, p, 374.
Parlando egli dunque degl'Irlandesi sul principio del passato secolo sotto il regno di
Giacomo 1 Stuart. Per la legge, die' egli, o costume detto dagl'Irlandesi brhon , niun
delitto, ancorch enorme, era punito di morte , ma di sola pena pecuniaria pagata da co
lui ch'era il reo. L'omicidio stesso, siccome fra tutte le altre nazioni barbare, punivasi a
questo medesimo modo. Erasi fisso, come per una tariffa, un prezzo pel capo di ciascuna
persona, secondo i loro gradi e posti e averi; e chiunque era in istato di pagarlo, poteva
senz'altro timore attentare alla vita di chicchessia. Questo prezzo addomandavasi eric.
Essendo Lord deputato (era come un Vicer speditovi da Londra) in Irlanda Guglielmo
de' Guglielmi, disse un giorno a Maguire (uno de' principali capi delle barbare trib Ir
landesi ), ch'egli pensava di mandare un giudici a Fermatici,, provincia poco prima
creata Contea e sottomessa alle leggi Inglesi , della quale Maguire era stato fatto Conte.
Egli sar il benvenuto, disse Maguire: ma prima che voi il mandiate, vorrei m faceste
sapere quanto il prezzo del suo capo; affinch se alcuno de' mie* vassalli voglia troncarlo,
possa io raccoglierlo dalla mia Contea. Pu immaginarsi cosa pi bestiale di un tal
complimento ?
148 GENOVESI.

I delitti medesimi di maest si componevano. facile l'intendere di quante ric


chezze apportatore fosse questo metodo nei secoli barbari, quando le regole della
giustizia erano assai poco cognite e meno osservate. Or perch la multa, o pena
pecuniaria dicesi in lingua del Settentrione Fine, quindi, cred'io, nacque che
questo fondo si dicesse Finanze, e i pubblici collettori delle multe Finanzieri.
. VII. Questi due capi, demanii e pene pecuniarie, costituirono tutto il
fondo certo delle rendite pubbliche ne' tempi mezzo selvaggi. A poco a poco ,
come cominciossi a coltivar meglio le terre e l'arti, si ebbe pi commercio interno
ed esterno e con ci pi prodotti. Allora per accrescere le finanze si pens di sta
bilire certi diritti su l'uscita e l'entrala delle derrate e delle manifatture; i quali
diritti andarono poi sempre aumentandosi di mano in mano. Questo nuovo me
todo s'introdusse anche nel commercio interno, stabilendosi frequenti pedagi e
dazi. Vi s'aggiunsero e'jusprohibcndi, o sia monopolii. E a questo modo con
uno spirito contraddittorio, pensandosi ad accrescere le rendite delle corti sovrane,
se ne disseccavano i fondi. Perch mutalo il commercio esterno per le esorbitanti
dogane e i gravi diritti, e l'interno per li frequenti pedagi, dazi, monopolii, ve
ndasene ad arrestare la circolazione ; e con ci ad estinguersi l' industria e la
fatica sola, certa sorgente delle ricchezze delle finanze (1).
. Vili. N ancora si poteva arrivare al pieno che bastasse. Perch crescendo
da una parte la magnificenza delle corti, e con ci di tutti coloro che servivano
il sovrano cos negli impieghi politici come ne' militari, e dall'altra l'ambizione
e la necessit di mantenere delle grandi armate terrestri e navali , le spese au
mentavano ogni giorno e i forzieri de' principi erano sempre voti. Si pens adun
que alle contribuzioni. Le quali furono di due maniere, forzose e gratuite. Ne'
primi tempi de' regni d'Europa fondati da' Settentrionali le contribuzioni dei
gran baroni, delle terre, de' villaggi , non furono che volontarie. Poi si conobbe
eh' era meglio fissarle. Da prima furono fissate su le terre e su frutti delle cam
pagne, quinte, decime, decimequinte, vigesime, ecc. Appresso s'aggiunsero i te
statici. Rimase nondimeno sempre la via aperta, secondo i bisogni, ai sussidii
volontarii, il pi bel fondo d'un sovrano s' egli avr cura d' arricchire il popolo.
Questi sussidii spesso sorpassano di molto le contribuzioni fisse o tasse; di che
noi abbiamo molli esempii nel nostro paese , e continui in Francia e in Inghil
terra. Gl'Inglesi chiamano questa sorta di sussidii, con voce italiana, benevolenza.
. IX. Finalmente , consumando le guerre e la grandezza delle corti assai
maggior danaro che le dette sorgenti non potevano somministrare, n trovandosi
altra acconcia maniera di averne, si venne all' ultimo metodo, divenuto oggi alla
moda, cio di far debiti. I quali sul principio facevansi ipotecando i fondi: poich
questi non bastarono , s' ipotec la fede pubblica. E perch la pubblica fede de'
sovrani sembra, com' in fatti, dover essere infinita, questi secondi debiti anda
rono crescendo e vanno ancora senza fine: e cos somministrano a' politici certi
difficili problemi a risolvere (2).

(1) In certi paesi tuttavia i dazi su l'uscita agguagliano il prezzo delle cose che escono,
e pel medesimo errore economico. Questa slata la cagione, per cui fra noi le manifat
ture di bambagia di Lecce e Otranto, ch'erano fioritissime e ricercatissime, son quasi ve
nute meno, e l'industria della zafiraiia ridotta pressoch a niente: come si ridurr quella
dell'olio e le manifatture di seta, dove non si pensi altrimenti.
(2) In Inghilterra sotto Eduardo VI, cio intorno alia met del XV secolo, questi debiti
DELLE FINANZE. CAP. XXI. 149
. X. Avendo a questo modo dichiarato l'origine, il progresso e i principali
fondi delle finanze, far ora alcune brevi considerazioni su la forza di detti fondi
e l'arte di farli valere. So che s son concepiti su questa materia de' sistemi stu
diati e scritti grandi libri, talch si analizzata a modo delle pi intricate curve
de' geometri. Ma a me , leggendo i fatti di varie nazioni e contemplandone il
corso, mi pare che l' arte de' finanzieri siasi renduta tanto pi inutile , anzi dan-
nevole, quanto pi si assottigliata e distaccata dalla semplicit della natura (1).
Son persuaso che debba venire alle arti e alle scienze, che ci servono, quel che
avviene agli strumenti di quest'arti e scienze medesime, i quali non giovano come
diventan troppo sottili. Credo perci, ancorch il savio Bielfeld non sia d'umore
di approvarlo, che a poche cose in fuori, non debb'essere altra l'arte dell'econo
mia pubblica che quella della privala, ma bene intesa: e di qui che a me piace
di spiegar quest'arte coli' esempio d'un privato e savio padre di famiglia (2).
. XI. La prima .massima della privata economia, dice Varrone (3), di co
noscere i fondi della famiglia; e perci di visitarli spesso, esaminandone il sito,
la forza, l'estensione, la comodila, spiando l'ingegno e l'abilit e volont di quei
che vi travagliano. Si pu dire che da quest'operazione dipende la fortuna delle
famiglie. Il fondo di un sovrano sono le terre del suo regno e gli abitanti. Po
trebbe far di meno un finanziere di saper per appunto l'estensione delle terre,
la loro forza, la natura degli abitanti, il loro ingegno, i loro bisogni, i loro pre
giudizi, l'arti che professano, gli strumenti, lo stato delle arti e dell'industria,
la maniera di vivere, il costume e infinite altre cose simili? (4) Queste visite do
vrebbero essere spesse e diligenti. Calcolalo tutto, si pu di leggieri vedere quel
che manca, quel che lussureggia, che si dee mantenere, ci che convenga abolire,
quanto possano darci i fondi, affinch un'operazione troppo forte non li danneggi
e facciali poi rendere meno in appresso. Or questa prima regola , eh' la pi
naturale, si osserva assai poco nella maggior parte degli Stati: e di qui nascono
poi de' progetti e sistemi aerei e alle volte dannevoli; di qui certi colpi da ciechi.
. XII. La seconda regola di privata economia , che niun padre di famiglia,
il quale abbia delle buone terre e feconde , o possa introdurre nella famiglia

pubblici oltrepassavano di poco 500,000 lire sterline, vale a dire da 600,000 lire sterline
de'tempi nostri. Dopo la pace degli anni addietro trovaronsi montare a 126 milioni di
lire. Qual pu esserne il line? Gl'interessi a'tempi di Eduardo VI erano al 14 per 100, poi
scesero al 12, quindi al 10, appresso all'8, al 6, al t. Oggi sono al 3. Crescendo i de
biti, forza che gl'interessi si sbassino tuttavia a proporzione, finch si riducono = 0.
E qui nasce una gran questione politica, quali effetti debb'ella cagionare questa opera
zione al corpo civile?
() Ecco una profezia d'un Francese assai dotto e patriota: Se i metodi de'nuovi fi
nanzieri non si aboliscono, ma vanno prendendo vigore, e dilatandosi, l'Europa diventer
fra non molto come la Tartaria. Non v' pericolo d'ingannarsi in s fatte profezie.
(2) Bielfeld crede che il politico dee sempre molto temere di s fatti paragoni, siccome
una volta Aristotile, che neppure egli approva gran l'atto tali metodi. Ed egli il vero,
che non il medesimo governare una famiglia che una nazione. Ma quanto alle finanze,
io spero che quei casi, ue'quali s dotti uomini credono l'economia pubblica esser dif
ferente dalla privata, sieno per trovarsi esattamente i medesimi, se ben si considera.
(3) De re rustica lib. 1.
(i) Perch secondo la variet di queste circostanze debbe variar l'arte d'un savio fi
nanziere. Quando Enrico IV addoss la cura delle finanze al famoso Sully, il primo passo
ch'egli fe<-e fu di visitare il regno. Vengasi la storia delle Finanze di Francia tom. 1.
160 GENOVESI.

un' onesta e utilo negoziazione , tenga del danaro ozioso e sepellito ne' suoi for
zieri > 86 non fosse in tanta quantit , quanta se ne richiede per sostenere le con
tinue spese che sono necessarie alla famiglia e al fondo delle sue rendite, o per
qualche inopinato accidente. La cui ragione , che quel danaro impiegato pu
rendere il dieci, il quindici, il venti per cento; e questa rendita perduta, come
il capitale si sepellisce senza necessit. Al che si pu aggiungere, che un gran
contante in mano di chicchessia sempre una gran tentazione, per certi affetti
pericolosi alle famiglie; perciocch o alletta all'avarizia, o incita alla superbia,
o genera un soverchio lussureggiare: i quali vizi portano seco la corruzione
della casa.
XUL Questa regola vuol essere la regola di tutte quelle corti le quali signo
reggiano a popoli, tra cui possono fiorire l'agricoltura, l' arti, il commercio. Avere
a mano un po' di danaro perch lo annuali spese sieno pi pronte, n vengasi
ad aver bisogno o di premere le rendite ancora immature , o di far debili , di
necessaria prudenza; ma accumulare un gran tesoro, sarebbe senza niuna neces
sit volar seccare i fondi delle finanze. Niente pi giova a dar moto alla fatica ,
quanto una distribuzione de' segni rappresentanti la pi equabile che si possa (1).
Allora ciascuna famiglia diventer intraprendente, per amor di moltiplicare la
sua porzione di segni o sia di danaro , e questo sforzo generale rinvigorir tutte
l'arti; donde nasce la ricchezza dello Stato e del sovrano. Cominciate a ritirar
danaro , e seppellitelo in un tesoro , verranno a mancare gli strumenti allettanti
alle fatiche, e a quella proporzione s' illanguidir l'industria. Il che si pu da
ci comprendere , che se viene a mancare dell' intutto, il commercio interno si
debba ridurre a permute , e le arti a sei o sette (2), come tra' barbari.
. XIY. Io ho fatto un'eccezione a questa regola generale, perch vi possono
essere delle nazioni, a cui sia espediente avere un tesoro: e queste son quelle, le
cui finanze son fondate pi sulle conquiste che sulle arti. Tale fu per un tempo la
repubblica romana (3). Ma siccome di queste nazioni non pare che n'abbiamo io
Europa a' giorni nostri, cos la politica de' vecchi tempi e delle nazioni asiatiche
non potrebbe adattarsi al presente vivere, senza danneggiare le finanze medesime.
Sempre che vi si pensa, si trover che la ricchezza e l'amore de' sudditi il pi
inesausto tesoro per ogni sovrano.
$. XV. La terza regola di un privato proprietario di tener per fermo , che
le rendite de* suoi fondi saranno sempre proporzionate al numero e vigore di
coloro che li coltivano; e perci, che quanti pi saranno gli agricoltori e l pastori
de' suoi campi, e di quanta maggior robustezza, diligenza, arte, industria forniti,
tanto 6ar egli pi ricco ; e che se questo numero per qualunque cagione vada

(i) Veggasi la seconda parte di queste Lezioni.


(2) La Francia nella passata guerra monet tutti gli argenti delle privale famiglie e
delle chiese medesime. Operazione, la quale bench comandata dalla necessit, dee non
dimeno produrre un gran bene nella nazione. A che serve quell'argento e oro che non
gira? Allora non diferisce da'marmi. Le leggi dunque de'popoli, dove si permette di se-
peilirnc soverchio, sono contro la buona economia. Sembrano leggi di popoli barbari e
timidi, che sepelliscono quello che non intendono a che serve. A me pare il medesimo
il sepellire il danaro, che sotterrare le zappe, le vanghe, i vomeri e tutti gli strumenti
dell'arti.
(3) Vedi l'autore della Giunta al volgarizzamento delle Lettere di Locke sulla moneta.
DELLE KINANZB. CAP. XXI. tt

sminuendosi indebolendosi il loro zelo e vigore, venga in conseguenza anch'egli


a cadere dalla sua ricchezza. In due parole, il principale articolo delle sue pri
vale finanze vuol essere, che la piuma derbata e la pi iucca sia l'uomo,
l' .'uno sano e robisto e pieno ni VOGLIA oi lavobake, Questa medesima
debb' essere la regola di tulli i ministri dei sovrani che amano di accrescere le
loro rendite. Non vi ha finanze, dove non son uomini che menino le braccia; e
ve n'ha poche dove sono poche persone, o molte ma spensierate, svogliale,
distratte dalla fatica. Se la Francia avesse a ci meglio pensato che non foce ,
non avrebbe certamente cacciato dal suo seno tante famiglie, quante n'uscirono
dopo la rivocazione dell'Editto di Nantes ; e la Spagna avrebbe potuto far miglior
uso di quei moreschi. Se tutte le piante d' un podere non possono essere ulivi o
gelsi o viti, non perci si debbono troncare dove se ne pu trarre dell'utile, almeno
col tempo.
. XVJ. La quarta regola di economia privata quella di regolare Je spese
sulla forza interna de' fondi , dedotto ci die si dee ai coltivatori. Una famiglia
che non avesse che cento moggia di terra , non dovrebbe mettersi ad emularne
una che n' ha mille, e volersi porre nello slato di spendere dieci volte pi che
non ha; n quella di mille volere agguagliare nelle spese una di dieci mila, per
ch questo sarebbe rovinare in poco tempo. A quel modo non sarebbe savio il
duca di Baviera se volesse mettersi sul piede della corte di Vienna. La repubblica
di Lucca non potrebbe sostenere le spese di quella di Venezia; ai il duca di
Modena quelle del re delle due Sicilie. Si dice che la w.ccstit obbliga e non ha
legge. Rispondo che una necessit, che supera tutte le forze dello Stato, non si
dee altrimenti riguardare che come un diluvio o un tremuoto, a cui il miglior
rimedio che si possa apprestare, di cedere col minor male che sia possibile per
la prudenza umana. Vi sono per le persone e per gli Stati certe necessit, delle
quali si vuol far virt,
$. XVII, Ma diciam qui due parole delle spese delle corti Si possono divi
dere in ispese dello Stato e spese della corte. Quelle servono al governo o al
senato e ministero del popolo, secondocb sono le forme dell'imperio; queste alla
famiglia regnatrjce. Niente vuol mancare alle prime , perciocch ogni mancanza
indebolisce la vigilanza e l'ordine, e spossa la difesa del corpo; ma neppure
necessario il soverchio, che aggrava le finanze e corrompe le persone. Le paghe
di quei che servono allo Slato vogliono dar del comodo, ma non tentare gli animi
all'avarizia e al lusso. Se mancano, quei che servono diverranno ladri e corrom
pitori della giustizia; se abbondano, opprimeranno la diligenza con la morbidezza
e aumenteranno la cupidit.
. XVIII, Vi un termine nelle 6pese dello Stato : il suo bisogno. Non
desiderabile nelle corti l'avarizia; ella disonora i sovrani (1), avvilisce gli animi,
li ritrae da pensar al grande , e sotterrando i segni rappresentanti delle eoae ,
viene ad arrestare il commercio e l' arti. Ma peggiore ancora 6 la prodigalit :
abito che piace e impegna alla rapina per aver sempre che dare; e se il principe
d'umano costume, il rende suddito del popolo (2). Tra le pi belle spese delle
(i) Vespasiano faceva a parie con i ministri delle Provincie che rubavano. Li chiamava
le sue spongie: Svet. in Vesp. Arrigo VII re d'Inghilterra, principe di grandi e belle
doti, oscurolle tutte per la sua avidit. Bacone, Vita di Arr. VII.
(2) Fu il caso di Giacomo I Stuart re d'Inghilterra e di Claudio imperatore.
152 GENOVESI.

famiglie regnanti son quelle, le quali nell'istesso tempo che rallegrano e diver
tono la corte giovano al pubblico. A queste possono conferire certe cacce distanti
e in tutte le provincie dello Stato, ma non pili che una volta l'anno, come quelle
che servono a rifare e mantenere le pubbliche strade e a spargere pi largamente
il danaro; l'affezione a certi festini in cui s'impieghino manifatture domestiche,
perch onorano l'arti; e le fabbriche de.' porti, l'amore alla marina, certe feste
villeresche in cui, come nella Cina, gli agricoltori e i pastori vi sieno onorati. Si
pu pensare molto di buono e utile per chi ha amore per l' arti e per la felicit
dello Stato (1).
. XIX. La quinta regola di privata economia di studiarsi per onesti e giusti
modi di accrescere e migliorare i fondi per compre , per doti , per eredit, per
savia cultura. Credo che si possa fare presso a poco il medesimo in uno Stato.
Molti Stati d'Europa son divenuti grandi per doti o per eredit. Il comprar degli
Stati nel tempo del governo feudale fu frequente; ma oggi tanto pi malagevole,
quanto pi rischiarata la politica. Le doti o i testamenti sembrano finiti col
secolo passato; ma le eredit possono tuttavia ritenere il lor diritto. La sola via di
acquistar nuovi fondi , da cui si vuol guardare un savio padre di famiglia , la
rapina; perch oltre all'ingiustizia, non senza pericolo di sacrificarle quel che
si possiede, e non mai sicura. Sono nelle repubbliche le conquiste belliche, quel
che nelle famiglie le rapine (2).
. XX. Dunque il solo bel mezzo di accrescere i fondi pubblici, il solo sicuro,
il solo veramente eroico, quello di promuovervi l'arti e '1 commercio; e princi
palmente se le terre sieno buone e atte ad ogni genere di produzione , il clima
temperato, gl'ingegni degli abitanti capaci delle scienze utili e delle arti e d'ogni
imitazione (3), e il mare vicino e comodo per uso di pesca e di traffico. stato
avvertito dagli storici inglesi (4) che quasi per tutto il XV secolo, finch in quei
regni l'agricoltura e l'arti furono mal intese e disprezzate e il commercio piccolo
e attraversato, le rendite della corte di Londra non oltrepassarono 120,000 lire
sterline de' nostri tempi. Le rendite di Alfonso nostro sovrano non montavano a
soli 200,000 scudi (5) di quei tempo (6); e a proporzione quelle degli altri so
vrani d'Italia, quando la debolezza delle leggi, le frequenti guerre civili, i privati

. (1) Fra noi le Cuccagne costano, e non alimentano che l'arte della rapina. Credo che
si potesse pensare, che s fatti divertimenti fossero pi universali e giovassero a qualche
utile professione. Una festa, nella quale il premio per quei che corrono fosse un pezzo
della miglior manifattura di lana, di seta, di tela, e ai manifattori che l'esibissero un
distintivo, sarebbe assai pi universale e pi utile.
. (2J intanto da sapere che la soverchia grandezza di Stato non giova n al cittadino
n al sovrano, se vuol avere un p di spirito filosofico. Quegli vi sar pi oppresso, e
questi pi affannato. Era la massima di Tiberio. Ma se ella nasca da conquiste belliche,
non si fa senza rovina del proprio Stato, e debb'essere esposta all'ingordigia di nuovi
conquistatori. Quella che si chiama gloria di conquistare, cio entusiasmo furioso, non
vien mai in un popolo senza che si desti in molli altri (perch l'entusiasmo un elettri
cismo comune della spezie umana, il quale cresce colla frizione de'cuori), i quali vor
ranno anch'essi avervi parte; donde nasce la reciproca desolazione de'regni. Ne ha troppi
grandi esempi l'Europa.
(5) Nel qual caso siamo noi.
{i) Hume, St. d'Inghilterra, in pi luoghi.
(8) Sanudo, Vite dc'Dogi di Venezia, secolo xv.
(t>i Foco pi d'un milione de'nostri tempi.
DELLE FINANZE. < Al'. XXI. 155

odii delle famiglie e de' baroni, il governo feudale, la rozzezza delle scienze po
litiche, l'ignoranza dell' arti, 1' avversione ad ogni altra fatica fuorch a quella
dell'armi e delle rapine, il vilipendio del commercio, lasciavano quasich intera
mente inculta e desolata si bella parte d'Europa. Le quali rendite sono poi di
molto cresciute, come si sono sviluppate le buone cognizioni , la prudenza civile,
l'arti, il commercio; e potrebbero tuttavia aumentarsi di molto, se i nostri Ita
liani deponessero certi avanzi di pregiudizi de' secoli trascorsi e conoscessero
meglio, che par che non facciano, il clima, il suolo, il sito e la superiorit di spi
rito, che ci d la natura rapporto ai popoli settentrionali (1).
Jj. XXI. La sesta regola di una famiglia prudente ed economica , la quale
voglia accrescere le sue rendite, quella o di abolire o di ridurre al minimo pos
sibile i debiti che ella ha con altre famiglie, sieno contratti dai suoi maggiori o
da lei medesima in qualche bisogno. Perch, finch i debiti e le usure si divorano
i frutti de' suoi fondi, non sar mai agiata, oltre al pericolo di scapitare i fondi
medesimi. Ora i debiti di uno Stato rispetto agli altri sono di molte maniere. E
primamente un debito della nazione quel prendere derrate o manifatture da
forastieri, come pi d'una volta detto. E perci sarebbe da considerare, dove
non si potesse farne a meno dell' inlutto, di ridurre le importazioni o intromis
sioni delle mercanzie straniere al minimo possibile (2). In secondo luogo un
debito urgente quello aver preso danaro da' forestieri, oppignorate le proprie terre
o vendutele, pagarne ogni anno delle usure, mandar fuori le rendite dal paese;
perch questo ha potuto giovar nelle pressanti necessit , ma nuoce come quelle
son cessate. Sono in terzo luogo un debito certi sussidii, o doni usilati a darsi a
certi altri popoli per tenerli amici. Perch se la loro amicizia fosse di niuno o
poco giovamento allo Stato, sarebbero da abolirsi; n si vogliono continuare, se
non dove quei popoli sieno effettivamente di aiuto e soccorso vero e pronto ne'
bisogni pubblici (3). Un quarto debito che pu avere una nazione, sarebbe quello
che si ha da molte con la corte di Roma per rispetto a' beneficii, alle liti, alle
dispense, al sostenere i capi degli ordini religiosi, e a molti altri pi piccoli arti
coli: il qual debito, stimo io, fra noi sorpassa mezzo milione l'anno (4). E prima
mente sarebbe a trattare e convenire con quella corte per la Dataria in quel
modo medesimo che si fatto dalla Spagna, e poi dar ordine che quel che si pu
far da' vescovi, sia in certe dispense, sia nelle liti ecclesiastiche, si termini nelle

(1) I Francesi riconoscono questa superiorit, quando chiamano la prudenza e la fi


nezza degl'ingegni italiani la ruse Italienne: termine di paura, la quale non nasce che
dalla superiorit delle forze. E in vero le belle arti, che tra noi hanno agguagliato le
Greche e in certi punti superatele, mostrano assai la forza delle menti italiane. Ma quel
diffidar di s e prendere sempre gli Oltramontani per modelli, mentre quelli si formano
su di noi, ci avvilisce e ci fa ridicoli.
(2) La corte di Portogallo col nuovo Codice di finanze ha maravigliosamente regolato
questo punto.
(3) Non pu esser pi sicuro fondamento per ogni Stato, che quel che nasce dall'in
terne forze; ogni aiuto esterno precario, e col tempo pu anche rovinarci.
(4) Questo die luogo all'Ordinanza di Carlo VI, perche' i beneOcj si possedessero da'
cittadini. Nel che dovrebbero diligentemente osservarsi le ragioni di questo sovrano nelle
due lettere scritte al virer di Napoli, stampale nel 11 Tomo dc'Privilegi e Capitoli di Na
poli pag. 229 e 1H3. La principale di queste ragioni : affinch ii. damt.o non k.sca
DAI. nrf:\(>rnii imp'iM'rirr OL-ni .>niin In SIMm.
lei GENOVESI.

udienze episcopali, e si riduca l'uscita del danaro al minimo possibile. una


legge di natura, confermala dagli antichi canoni, che le rendite ecclesiastiche
s' impieghino in sollievo de' nipoti di coloro che 1' hanno fondale zappando e ri
sparmiando (1).
, XXII. La settima regola di un savio padre di famiglia quella di far da'
debiti, se essi sono nccessarii ad estinguerne degli altri pi urgenti, o a miglio
rare i fondi, perch questi debiti sono una mercanzia utilissima, la quale ben
maneggiala, pu in molto tempo arricchire una famiglia che ha delle buone terre
e dell'industria. Egli pagher il quattro o il cinque per cento d'interesse, e ne
riscuoter il venti, mettendo in valore i suoi poderi e i loro prodotti. Dir ad un
padre di famiglia, non fate debiti per giuocare, per lussureggiare, per dare ad
altri prodigalmente; ma fatene, e quanti pi son nccessarii, per accrescere i frulli
delle vostre terre. Questa medesima regola stimo di doversi osservare da un savio
e fedele finanziere. Se a promuovere l'agricoltura, la pesca, Tarli, il commercio
vi ha bisogno di spendere, non a dire, non vi danaro: sarebbe mal' intendere
l'arte di guadagnare (2). Chi pagher, dicesi, gl'interessi? I fondi. Il danaro che
si spende a piantare una vigna, un oliveta, un castagneto ; a seminare e a fab
bricar de' granai; a pascere, a tosare le pecore; a (lare, a tessere, si paga dal
fondo, ma si paga con vantaggio. Seuzach il vantaggio dello Stalo sempre pi
bello, perch sentito e goduto da due parti , da quella del sovrano e da quella
de popoli. Colbert faceva de' debiti per sostenere la fabbrica di Abbeville, per
sollevare il commercio e assueffare i Francesi all'industria. E quando ci si sappia
fare, vi sono sempre mille modi di far rientrare ne' forzieri del sovrano una gran
parte del guadagno della ricca nazione (5).
. XXIII. L' oliava regola economica delle privale famiglie mi par che do^
vesse essere tale, che nel cogliere i frutti degli alberi e nello svellere le piante dal

(i) Queste rendite sodo state lasciate come patrimonio della Chiesa. Or' un errore
il pigliare il solo beneficialo per Chiesa; perch la Chiesa tutto il popolo, sotto la cura
del beneficialo, e il beneficiato non n' che l'economo. Questa la dottrina de'Sucri Ca
noni e de'Santi Padri. Ricordiamo qui un bel detto di S. Girolamo, quidquid habent cle
rici, pauperum ett: Ep. ad Damasum. Ma di quali poveri? hi quelli della propria Chiesa,
dove ve ne sieno; perch questa stata la volont di coloro che ban deposto i loro beni
in mano de' loro pastori.
(2) La nostra corte con quattro milioni di nuovi debiti potrebbe arricchir s e lo Stato,
i" ricomprando la Dateria; 2" estinguendo i debili sull'estrazione delle derrate e delle
manifatture interne; 5" piantando delle fabbriche di lana, di seta, di lino e canape, di bam
bagia ; i" sostenendo la navigazione pe'prodotti interni e aiutandone il fondo. Quando i
creditori di questi debiti sono i cittadini medesimi (perch questa yuoi'es&ere condizione
essenziale di questa regola), la corle ella medesima creditrice.
() NKQUE EMH 1N0PS ESSE POTEST, CL'JUS IMI'F.RIO 0IT1SS1UI UOMIKES SLBJICILNTUK, mi
servo volentieri di questa bella massima del conte Diomede Curala, insinuata ad Eleo
nora d'Aragona; sua allieva e poi duchessa di Ferrara, nel suo piccolo ma grave libro
dell'officio del sovrano, che Guarino Veronese per comando della duchessa messe io
latino. Quesl'istesso autore (pag. 78 ediz. Nap. 1G38) ci fa sapere le cure e le spese del
re Alfonso per dilatar tra noi l'arte della lana. Nam cum rnagnam auri vim obpattnorum
inopiam ex arlibus exportari cernerei, nonnullos ad id artificii genus dckgit, quibus, ut
inchoandi facilitatevi haberenl, interdum uno tempore centena millia aureorum (che sa
rebbero sopra mezzo milione de'tempi nostri) absque ullo fumare mutuavi!, A'ec unquam
desinit subdilos ipsos, proprio edam sumptu, pr cujusque ingenio, in variis artibus. . ,
exercere.
DELLE FINANZE. - CAP., XXI, - 155

suolo gi mature, non si venisse s fattamente a danneggiare il fondo, sicch per


l'utile presente si privasse del futuro. Perch se la vita delle persone dovesse
finire in un anno, non potrebbe parere stolta cosa n ingiusta consumar dentro
quell'anno e frutti e fondi. Ma vivendo noi lunga stagione, certi di avere il se
guente anno o i medesimi o pi gravi bisogni, ed essendo gli altri che verranno
dopo di noi nell'istesso diritto di vivere e godere come noi, la giustizia insieme
e la prudenza ci dettano di far tal uso dei nostri beni, ch'essi non restino per gli
anni appresso desolati. Arrigo VII re d'Inghilterra principe politico, ma com'
detto, soverchiamente avaro (1), avendo voluto ritrarre maggior copia di danaro
dall'entrata e uscita delle mercanzie che non sosteneva l'allora nascente commer
cio, l'assider per modo che poi per quasi un secolo non pot levarsi. Le fabbri
che di Siviglia rimasero desolate per riscuoterne troppo (2). Tutti i paesi, dove le
contribuzioni su le terre sono soverchio gravi, diventano spopolati. E cos
A retro va chi troppo gir s'affanna.
S. XXIV, In che modo poi si possano danneggiare i fondi delle finanze, ben
ch detto altrove e spesso, piacemi nondimeno qui ridire brevemente (5). E in
prima ogni pedagio, dazio, gabella interna, che arresta la circolazione de' mate
riali dell'arti o delle manifatture, deteriora il fondo delle finanze attraversando la
fatica de' cittadini; sola grande e certa sorgente di ricchezza e di rendite per la
corte; perch l'anima della fatica la pronta e veloce circolazione.
2 Ogni peso che impedisce d'andar fuori dello Stato il soverchio degli ani
mali, delle derrate, delle manifatture, scema il fondo e col tempo impiccolisce le
finanze. E la ragione che diminuisce e scoraggia la fatica, senza della quale non
vi ha rendite, n per li particolari, n per la corte (4).
5 Le vessazioni e le furberie de' piccoli esattori, i quali non contenti de'loro
stipendi non vogliono aver degli alberi i soli frutti, ma li sfrondano crudelmente
o li sbarbicano, poco curansi del futuro.
4 Il sottomettere quelli che non son pronti a pagare i pesi pubblici a certe
pene pecuniarie superanti le loro forze, o distruttive dell'arti e della fatica, per
ch come spiantare il nerbo delle rendite. Le leggi romane e le nostre Costitu
zioni Prammatiche vietano di confiscare gli strumenti dell'arti per cagion de'pesi
fiscali. Meriterebbe il medesimo privilegio la persona impotente. Carcerare un
(1) Bacone, vita di Arr. VII.
(2) Ulloa, Delle manifatture di Spagna.
(5) E una massima di Cartesio, ch'egli d alla principessa Palatina: LE DoTTRINE utili
non GiovAno, sE non si RIPETANo sPEsso, SICCH DIVENTiNo AB1To. Bella e vera; perch
le dottrine utili vogliono prendere il luogo nella natura, il che non si ottiene senza ri
durle ad abito.
(4) Appresso ai nostri maggiori, innanzi a Filippo II, l'uscita degli agnelli, de'vitelli,
de'cavalli, muli, asini, porci, della zaffrana, delle derrate, delle manifatture di lana, seta,
bambagia, dell'olio, vino, frutta ecc. era pi libera, cio meno gravata di dazi e di ri
serve, di jus proibitivi, che non fu poi. Per la Prammatica di Ferdinando il Cattolico
(Cap. e Priv. di Nap. pag. 77) il dritto su l'estrazione de'grani era di 15 carlini per ogni
cento salme, cio un tornese a tomolo, equivalente pel prezzo di quei tempi intorno a
cinque grana delle nostre; e l'uscita del vino era libera e franca. L'esito dunque era pi
grande, maggiore la fatica, e pi copiosa la rendita de'cittadini; onde i doni gratuiti e i
sussidi accordati alla corte di Spagna furono grandissimi e pronti: n so se oggi potessero
concedersi a quella proporzione,
166 GENOVESI.

impotente, o togliergli la zappa, la scure, l'aratro, i buoi, l'asino, dire, voi non
potete pagare, ed io far che voi non possiate pi in eterno (1).
5 Considerer qui pi a minuto la legge ordinata nel Earlamento di S. Lo
renzo il 1442 sotto Alfonso I, della quale detto sopra, e che debb' essere incre
dibile per tutti i posteri. Tutti i piccoli capi di finanze , o la maggior parte , si
erano radunati ad un solo, cio ad un ducato a fuoco, credendosi metodo sem
plice e facile (2). Il primo difello di cotal legge era l'inegualit del peso, obbli
gando a pagare tanto il povero quanto il benestante. Di qui eh' ella fu non
molto dopo abolita siccome oppressiva dell' arti basse. Ma la legge comandava,
elassi dieci giorni dal tempo del maturato pagamento, chi non avr pagalo ,
l'undecimo giorno paghi il doppio, il ventunesimo il quadruplo, il trentunesimo
l'ottuplo, e con questa proporzione si venga sempre di dieci in dieci giorni a
multiplicare. Questa proporzione geometrica dupla ascendente , moltiplicata per
56 termini, obbligava un povero contadino a pagare in One dell'anno quel che
oggi tutti i sovrani d'Europa, senz'eccettuarne la corte ottomana, non potrebbero
pagare in tutta la lor vita. Questa somma di 64,246 milioni, 310,056 ducati (3).
Anche questo vuol dire, non pagate pi: riempiamo il paese di banditi. Pur
quando non si fosse contato su tal progressione, anche la pena del duplo, triplo,
quadruplo doveva riguardarsi come ingiusta in questa specie di delitti. Un omi
cida, un adultero, un ladro, un calunniatore ecc. possono ben meritare s fatte
pene, offendendo non solo le private persone, ma tutta la repubblica e la maest
della legge e del sovrano. Ma chi non paga un debito non sempre un reo vo
lontario. Dunque il pi che si pu da lui pretendere il capitale e l' interesse.
Quest'interesse potrebbe andare al 200 per 100, 300, 400 per 100? Ma tal'
la pena del duplo, triplo, quadruplo. E cos alle volte e' inganniamo per non
calcolare.
6 Il corso della giustizia arrestato e attraversato da uomini danarosi e pre
potenti; perch, riducendo molte famiglie alla mendicit o cacciandole nelle selve,
scemano il primo demanio d'ogni corpo civile, che sono le famiglie e le persone
che lavorano (4). Dove le leggi sono impunemente contraddette da pubblici e
universali falli, tollerandolo i legislatori, non si pu aver altra regola della vita
che la forza d'ingegno o di mani: e dove ci avviene, non vi sar mai fatica me
todica (5).

(1) Vedi il conte Diomede Carafa qui sopra citato de boni Principis officio parte IV
pag. 80.
(2) Questo medesimo progetto venuto in testa ad alcuni zelanti patrioti Francesi
l'anno addietro, e se n' in quella nazione fatto grandissimo strepito.
(3) Vedansi Privilegi e Capti, di Nap. lom. I, pag. da.
(4) L'Irlanda, isola grande, in clima temperato, di belle terre, atta a produrre molto
per l'arti primitive e secondarie, verso il fine del secolo svi non rendeva alla corte di
Londra che 6000 lire sterline, dove oggi rende moltissimo. E la ragione , che gl'Irlan
desi fino a questo tempo erano stati assai pi selvaggi de'Tartari (Vedi sopra . VI). Non
vi si conosceva l'uso del pane. Il 1399, avendo alcuni voluto introdurre il pane all'In
glese, furono aramazzati, siccome introduttori d'un pernicioso lusso. Hume, st. d'Inghil.
voi. V, pag. 415. Ma essi non si erano ridotti a questo stato, che perch non vi si ricono
sceva altra legge di sicurt, n altra giustizia che la sola forza Hume, ibid pag. 412.
(5) Vi , dicono i viaggiatori, un paese nel giro del mondo dove proibita l'asporta
zione di certe armi offensive, ma se ne permette pubblicamente la vendita. Vi proibito
DELLE FINANZE. CAP. XXI. 1JJ7

7 La soverchia lunghezza delle liti, perch distrae dalla fatica, impoverisce


l' attore e il reo , impiccolisce la classe de' lavoratori e accresce quella de' non
produttori.
8 Le tasse sull'industria, le quali indispettiscono la gente e fanno abbando
nar la fatica.
9 Le assise de' prezzi delle robe mercatabili, perch fanno incagliare la cir
colazione.
10 Il trattare i mercanti da monopolisti, perch li disonora e scoraggia, e
arresta lo scolo.
In breve, tutto ci che raffredda o ferisce la fatica, l'arti, il commercio, gua
sta e corrompe il fondo medesimo delle finanze.
. XXV. N da credere che il solo fare arresti l'industria, perciocch ella
spesso impedita dal non fare. Fare una palizzata dinanzi alla bocca d'un fiume,
senza contrasto cagione perch l'acqua non corra dove la sua natura la porta.
Ma non . arrestarla meno quel non voler nettare la foce otturata per vecchi
cumuli d'arena. Si conviene oggimai, che la pi grande molla motrice degl'inge
gni, dell' arti, della fatica, delle ricchezze dello Stato, sia il commercio dove
mare: e son tali ora in Europa le cose umane, che in ogni paese atto al com
mercio, purch non si arresti il, suo corso, di per s viene a crescere e dilatarsi
per la sola avidit del guadagno, stuzzicata dal presente vivere civile e dall'emu
lazione delle nazioni trafficanti. Ma v' ha de' paesi , dove sembra che s fatta
massima sia ancora ignota. Vi troverete degli ostacoli che non si ardisce a ri
muovere. Sono pregiudizi di vecchi che si venerano per uso, senza mai volerli
disaminare. In questi paesi, parlare della proibizione di certe manifatture o der
rate esterne, della libera estrazione di certe derrate o manifatture interne, di certi
generi di pesi che a lungo andare distruggono le finanze medesime , della non
ragionevolezza della legge che vieta F uscita del danaro per cagion di traffico,
sarebbe dir delle eresie (1).
. XXVI. Ma si dir, dove fissare il piano delle finanze? Certo difficile, che
le tasse su le terre possano supplire a tutti i bisogni del governo in pace e in
guerra; perch se voi le caricherete fuori di proporzione, andrete a sbarbicare

il furto, e le robe rubate vi si vendono nelle piazze. Vi si vieta la calunnia, l'oppressione,


l'estorsione, e i calunniatori, gli oppressori, i rattori non vi sono puniti. Qusto paese
debb' esser tuttavia barbaro.
ri ; Torno a dirlo: in materia di economia e di politica non amerei che un ministro di
cesse non si pu; ma pi tosto, vediamo come si possa e quanto. L'esperienza ci ha in
segnalo, cbe molte cose stimate da'primi uomini impossibili si son poi fatte con un poco
di pazienza e tempo. Se a tempo di Romolo v. g. avesse alcun detto, voi, Romani, sa
rete padroni dell'Europa, di gran parte dell'Asia e dell'Africa, chi non l'avrebbe deriso
come insensato? Se a quel pugno d'uomini, che fuggendo la crudelt di Attila rifuggironsi
nelle lagune del mare Adriatico, avesse uno, men che profeta, detto, voi saretsunapo-
tenza in Europa tre le prime, sarebbe slato preso per matto. Se a' tempi di Filippo
duca di Borgogna fosse stato detto a que' di Olanda, di Overissel, di Orange ecc. qual
repubblica sarete voi di qui a dugento anni! Voi sarete padroni dentari dall'Oriente all'Oc
cidente. Ecco un fanatico, avrebbero gridato i savi. Finalmente avrebbero essi gl'Inglesi,
del tempo di Guglielmo il Conquistatore, creduto mai di poter essere gli arbitri della
terra? e il marchese di Brandeburg al tempo del marchese Federico I, di far fronte ai
Francesi, Imperiali, Ungheri, Svezzesi, Moscoviti uniti insieme, e trionfarne? Dunque
quel non si pu il pi grande ostacolo alla grandezza de'popoli e alla loro felicit.
158 GENOVESI.

l' agricoltura , e con ci verrete nelP istesso tempo ad annientare il primo fondo
delle finanze. Rispondo, che in questi casi il pi sicuro meno e il pi utile in
sieme , quello delle imposizioni sul consumo delle cose le pi comuni , come
del pane, dell'olio, del vino, del sale ecc. che noi chiamiamo gabelle (1). Queste
imposizioni, bench dalla generalit riguardate per ignoranza, cred' io , con or
rore, sono non per tanto le meno gravose; perciocch si pagano con una sorta
d' insensibilit, che s' accorda meglio con la natura umana. Un uomo che spende
4 grani per pane il giorno, non s'accorger quasi mai del peso impostovi se egli
. n'abbia un paio d'oncie di meno ; dove che le tasse che si pagano per grosso
somme, opprimono quelli che vivono alla giornata. Uno di costoro pagher pi
tosto e con pi facilit, a quel modo eh' detto, due grani il giorno, che due
carlini in fine di ciascun mese.
. XXVII. Vi un' altra utilit che porta seco questo metodo, cio che ren
dendo alquanto pi difficile il vivere , accresce a quella medesima proporzione
l'industria de' faticatori (2). noto per esperienza che si ha degli uomini, che
dove i vizi morali.non tirino dalla parte della poltroneria e della vita vagabonda,
e sia una tal vita repressa dalla legge, la lor fatica sempre proporzionata a'Ior
bisogni (3), purch non siano tali che opprimano o scoraggino. Per la qual cosa
quei bisogni che non li schiacciano, ma li pungono, destano la loro industria e
accrescono la quantit della loro fatica. Ho detto che necessario, che i visi
morali non gli allettino ad una vita vagabonda; perch dove questa regni, ac
crescere i bisogni accrescere i poltroni, gli assassini, i ladri. Federico impera
tore comincia una sua Costituzione : Pacis cultum qui a justitia , et a quo
justitia abesse non potest , per universa* et siiujiUas partes regni mostri
praxipimus observari (4). Massima divina. E voleva, cred' io, dire: le rendite
del sovrano saranno sempre proporzionate a quelle della nazione : queste alla
somma delle fatiche: la somma delle fatiche alla sicurt e pace delie famiglie:
questa sicurt e pace all' egualit de' pesi e alla pronta e generale giustizia:
1' egualit de' pesi e la giustizia alla riprensione de' poltroni. Molli poltroni ;
niuna pace, niuna giustizia, ninna sicurt-, e con ci non fatica, non rendite.
XXVII I. La nona regola delle private famiglie , che nel trasportare i fratti
dal campo a casa e ne' magazzini si faccia la minore spesa possibile. Quel mol
tiplicare i servi, i muli, i buoi, i carri per pura pompa, non certamente ecouo-

(1) Era il sistema dell'illustre Enzenatlo gran finanziere di Spagna, e si prosato utile
in pi di un paese del regno dopo i Catasti; avendo molte terre, che avevano chiesto il
Catasto, dovuto tornare all'antico modo di vivere per gabelle. Ma si vogliono saper pone
per modo, che cadano su chi consuma non su chi lavora; se su chi lavora, m quanto
per consuma. E l'arte degl'Inglesi.
(2) Hume, Saggi Polii. Saggio VII sulle Tassi.
(3j Questo il caso della Ciua, nazioae perci la pi diligente della terra. Ma dico
bisogni, non miseria. Perch, quando poi siamo arrivati ad incallire alle gran durezze,
non avrem difficolt ad andar nudi, mangiar ghiande e radici e divenir fiere. E pereto
quei bisogni voglion esser tanti ohe si possa mangiar pane. E degno di considerazione che
l'Ulisse d'Omero, rome ghigne in un paese ignote, si fa subito una domanda, sonassi
salvatici o mangiari pane? Era il carattere de'popoli civili. E m vero tutti i popoli, che
non mangian pane, son selvaggi e per avventura aniropofagi, manducateli di carne
umana.
(i) Constit. R. Sivilke, lib. I, tit. 8, pag. US.
II1CLLE FINANZE. CAI'. XXI. l'J

mia. Costa molto fende poco. E si vorrebbe fare il medesimo nel raccogliere
le contribuzioni e le altre rendite della corte. Si dovrebbe scegliere la via pi
breve, e quella che facesse meno pagare a' popoli e rendesse pi al sovrano.
Quando i popoli pagano a tenor della legge di proporzione , si dee lor lasciare
la libert di pagare per la via che loro pi corta e facile. Allungarla , far
taro pagare di pi senza che 11 sovrano ne ricavi 11 vantaggio. Moltipllcare gli
esattori, dove non uopo, fa due mali ; fa pagare il doppio a' sudditi e rende
meno alla corte. La corte paga pi salari , il popolo soggetto a pi estorsioni ,
e le arti ad una schiavit che le assidera. Si detto da alcuni che questa la
grandezza della sovranit ; che il profeta Daniele vidde Dio assiso sul trono i
intorno a cui erano mllia millilitri di ministri. Io non so quanto questo para
gone vaglia; ma so che 1 nostri milita millium, senz'utile, debbono costar molto
al sovrano e a' popoli, dove quelli non costano al padrone del mondo che una
volont.
. XXIX. una controversia che io non saprei decdere, se le rendite delle
corti stiano meglio in rega come dicono i Francesi, cio in demanio come diciam
noi, o in affitto. La risoluzione di questo problema dipende dal sapere, qual
metodo preme meno i popoli e giova pi alle corti. Mi noto che certi grandi
autori preferiscono il primo, come meno oppressivo dell'arti e del commercio. Se
io avessi ad opinare preferirei il secondo , come pi sicuro per la corte , e pi
pronto e pi libero pel pubblico. Ma vorrei per che le leggi de' fitti, 1 Fossero
note a tutti per promulgazione di editti; 2 Che si facessero osservare con rigi
dezza a' fitlaiuoli; 5" Che si castigassero severamente le mariolerie; 4 Che loro
non si desse altra autorit, che quanta si richiede per l'esazioni; 5 Che non si
concedessero loro privilegi da far monopolii e da tirare a s tutto il commercio ;
6* Che non dipendessero che dal solo supremo finanziere.
. XXX. Voglio qui esaminare brevemente un punto che sembra imbarazzare
le finanze e il commercio, ed quello de' contrabbandi. Non vi dubbio, che i
contrabbandi non sieno frodi e furti che si fanno degli altrui diritti (1) , e con
ci degni di esser ripresi e castigati. anche dell'interesse di tutto il corpo civile
che siano i meno possibili; perciocch dove sono molti, ivi rendendo meno i
fondi della corte, necessit che tutto il corpo civile ne sostituisca de' nuovi per
mantenere la maest del trono. Ma sul metodo di reprimerli e di castigarli non
posso approvare la condotta di certi popoli , dove si spiantan le famiglie e l' arti
per ogni piccolo contrabbando. Perch quanto pi si riducono a poche le fami
glie, tanto meno in appresso renderanno i fondi delle finanze. Lo annientarle

(I) I Casisti, i quali hanno insegnato questi tali frodatori non peccare in modo nessuno,
e non essere obbligati a restituire il mal tolto, pare che non sieno stati troppo scrupolosi
in fatti di furto. N saprei dire se fosse pi falsa la loro massima, o ridicola la ragione.
A'iuno, dicono, si vuol punire con due pene. Purch non pecchi contro due sovrani,
dich'io. Il furto essendo un peccato nel corpo civile e un peccato contro la legge di natura,
fia maraviglia se sia punito nel tribunale civile e in quel di Dio? E l'istesso dell'omicidio,
dell'adulterio, della calunnia ecc. Adunque questa loro ragione, se non ridicola, tende
ad annientare le pene delie leggi civili e con ci le societ, e a ridurci allo stato ferino.
L cagione di questo loro errore alquanto alta e rilevata. Dio nel governo di questo
mondo agisce parte immediatamente, parte per mezzo delle cause setonde. Si evoluto
togliere le cause seconde. Quell'aver voluto fargli far tutto ha guaste e turbate molte
nazioni.
1()0 GENOVESI.
adunque a me pare, come se un agricoltore trovando delle viti le quali hanno in
parte frodato la sua speranza, si mettesse a sbarbicarle. La pena adunque vor
rebbe essere, se non quella del taglione come s'usa tra' Turchi, pure non mollo
da quella distante.
. XXXI. Il principal punto quello di non ispiantare l'arti per timore de'
contrabbandi. Quell'arti, quel mestiere, quel negozio, in queir isola , in quel
promontorio, in quel sito di mare, un ricettacolo di contrabbandieri: adunque,
vi si proibisca. Questo vuol dire, adunque si tolga il sostegno alle famiglie; si
spopoli dunque. Domando: quell'isola, quel promontorio, quel cantone di lido,
poich fia spopolato quanto render esso al finanziere? Che fare? dirassi. Io
crederei meglio poich si adoperalo ogni consiglio per chiudere le vie a' con
trabbandieri , lasciarli correre, sinite ulraque crescere, che non isbarbicarli, spian
tare il primo fondo eh' la popolazione. Quei contrabbandi sono una perdita, a
dir vero, per la corte; ma essi servono di stimolo all'arti, al commercio, alla
fatica. Dunque servono di canali a recarci del danaro. Or quando lo Stato ricco,
non sono mai povere le finanze (1). Guai per quei paesi dove non sono con
trabbandi ; ma neppure arti, navigazione, commercio. E appresso, non mancher
di chiapparne di quando in quando qualcuno che vi ricompensi d'avanzo; come
i tordi, quanto pi mangiano pi ingrassano, e son poi pi acconci ad una buona
tavola.
g. XXXII. La decima regola d'un economo privato debb' essere di riscuotere
il fillo de' fondi a proporzione dell'estensione, bont , rendita delle terre, e non
a ragione dell'abilit del fitlaiuolo; perch oltrecch l'abilit composta di mente
e corpo dose variabile e incerta, pure altrimenti facendo far o pezzenti o ladri
gli affiltatori: pezzenti, se son di poco spirito; ladri, se n'hanno molto. E da
osservarsi la medesima regola nell'imposizioni delle contribuzioni (2). Dopo un
ragionevole testatico, debbono pagar le terre, e tutte senza eccettuarne un palmo,
non l'abilit delle persone. Accatastare l'abilit e l' industria, allibrare una
potenza che pu mancare per infiniti accidenti, la quale sempre incerta e sog
getta a mille frodi: e se vi chi non sa frodare, n n'ha il coraggio, s'invilisce
e si mette a far l'accattone; donde nascer una mancanza nella massa totale delle
ricchezze (5).
. XXXIII. detto che la parola finanza venga da fine, cio ammenda, pena
pecuniaria. Voglio qui considerare quanto fondo si convenga fare su questa sorta

(1) Nel 1758 il parlamento accord alla corte di Londra il sussidio di dodici milioni
761,500 lire sterline, cio circa 64 milioni di ducati nostri. L'atto di questo sussidio, non
mai per innanzi udito in Inghilterra, paus (dice l'autore del Ministero del signor Pitt)
co piacere e sema verun contrasto. Vi dovev'essere dunque il modo di levarlo. Io non
so se si fosse potuto levare in altri Stati di Europa.
(2) Veggasi la Decima Reale di Vauban.
(3) Il Catasto delle terre e l'imposizione secondo la loro forza e rendita, il pi di
vino metodo nei paesi temperati e dove agricoltura e commercio. Veggasi la Decima
Reale di Vauban. E nondimeno questo metodo non pare aver prodotto nel nostro regno
quell'utile che se ne doveva sperare, e per cui fu da'savi ministri del nostro sovrano ar
chitettato. Le cagioni sono nell'esecuzione e le seguenti: 1 Non si aveva a lasciare un
palmo di terra non soggetto alla legge generale: e se n' lasciata pi che la met. 2 S e
dato meno valore alle terre de'ricchi e prepotenti, pi a quelle de'poveri. 5 Si sotto
posta a catasto l'industria libera, che doveva esserne esente.
DELLE FINANZE. - CAP, XI. 161

di rendite per bene del sovrano e dello Stato. Debb'essere una massima certa
in economia, che oGNI RENDITA, LA QUALE NE IMPEDIscE UNA MAGGIoRe, siA
vERA PERDrrA. E in questo conto stimo che si debbano tenere in ogni corte le
pene pecuniarie, per la maggiorparte. Nelle antiche leggi ebree, egizie, greche
di Solone e nelle romane Decemvirali non troviamo, che i delitti tendenti a dis
sociare il corpo civile e a porre un ostacolo alla fatica metodica, fossero puniti
con altre pene che con afflittive del corpo e colla reparazione del male fatto
altrui, capital esto (1). In quei tempi adunque doveva essere pi repressa la
cupidigia di far male, e maggiore l'amore della virt e della fatica. un errore
il dire, che la crudelt delle pene di Dragone nascesse da'tempi barbari e feroci;
ella doveva nascere da un pi gran senso della pubblica utilit (2), perch ap
punto tra' barbari le pene non son quasi mai che pecuniarie (3).
S. XXXIV. La politica di non punire i gran delitti che con roba o danaro,
non dunque di popoli savi (4). Ella ci venne dalla Tartaria, dalla Svezia, dalla
Danimarca, dalla Sassonia, da paesi, dove essendo in quei tempi poco sviluppato
il governo, non si conosceva troppo ordine, e gli uomini vi si stimavano per la
forza del corpo o per la temerit dell'animo (5). Dond'era che i gran delitti o si
lasciavano alla privata vendetta, o si transigevano a beni, anche tra le parti (6).
Questo metodo accresceva l'ardire. E poich anche tra Cristiani cominci a cre
dersi che questa stessa via valesse nel fare i conti con Dio (7), la vita umana
non divenne che un'occupazione di ladri, assassini, incendiari, omicidi (8), tra
quali il pi temerario era ancora il pi stimato e onorato. A questo modo le
campagne rimanevano inculte, l'arti abbandonate, la vita degli uomini errante
e selvaggia.

(1) Platone mostra anch'egli una certa soverchia gentilezza di cuore nelle sue leggi, con
essere troppo proclive alle pene pecuniarie, anche in delitti atroci.Questa mansuetudine
crudelt riguardo al corpo politico; e il legislatore vuol guardare alla salute del tutto,
n lasciarsi strascinare dalla compassione delle parti. Mi spaventa un Capitolare di Carlo
Magno, dove anche il parricidio, e fatto per brama di conseguirl'eredit, non si punisce
che con la privazione dell'eredit e un po' di penitenza pubblica, come si farebbe per una
bestemmia.
(2) Questo legislatore puniva di morte i poltroni volontari (Plutarchus in Solone); e
questo dimostra ch'egli aveva intesa la vera ragion politica. Dir qui di passaggio ch'
falso quel ch'asseriscono Erodoto e Diodoro di Sicilia, che la legge di Solone, la quale
dichiar delitto pubblico la poltroneria volontaria (vedi Samuele Petito ad leges Atticas
lib. V, tit. 6), fosse stata da lui presa in Egitto dalle leggi di Amasis; perch questa legge
in Atene precede Solone. -

(3) Tali sono tutte le pene delle leggi Longobarde, Borgognone, Ripuarie, Alemanne,
Sassone, Saliche, Frisie ecc. Tutto s'acconcia con pochi soldi: e talora si lascia la libert
di giurare con dodici, con sei per non pagare.
(4) Ella non stata mai nella Cina. popolo polito il pi ab antiquo in terra.
(5) Spesso gli uomini vi erano valutati meno che le bestie. Un buon cavallo non si
valutava meno di 8 o 10 soldi: un servo, un contadino, 4, ecc.
(6)Tra i popoli barbari descritti da Omero in ambedue i poemi si trovano spesso di
questi accordi pecuniari per cagion di omicidio, di rapimento di mogli, figlie, ecc.
(7) V'erano delle tariffe de'peccati anche nel tribunale di Dio. Vedi Muratori Diss. Medii
aevi. Il che non dee recar maraviglia. Ne'tempi d'ignoranza la polizia civile e l'eccle
siastica andarono sempre del pari.
(8) E nota in Italia la tregua di Dio. Gli uomini transigevano col padrone del mondo
di astenersi da queste scelleraggini almeno le domeniche.Che tempi!
Economn, ToMo IlI. 11.
169 GENOVESI.

$. XXXV. Dunque la pene pecuniarie e le composizioni sono indiritte a de


vastarti i fondi della rendita de' popoli e del sovrano; e perci non amerei ch'en
trassero nel grembo delle finanze. Si vorrebbero ridurre le pene quanto pi si
potesse vicine alla legge del taglione. Sar ristucchevole, ma la gravezza della
materia richiede che il sia. Le mie massime sono: non vi son arti senza soda e
sincera piet e virt ; e non vi pu essere n sincera piet, n virt vera nessuna
dove i delitti si ricomprano. La legge vuol reprimere la forza della cupidigia ,
perch il corpo civile sia savio e felice -, ma ricomprare i delitti aumentarne la
voglia. Quando la vita degli uomini si pagava pochi soldi , tutto era strage in
Europa e tutto selve. Quando i latrocinii e le rapine degli uomini, degli animali,
delle robe transigevansi , i gran feudatari alimentavano delle masnade di assas
sini, come garzoni di banco di commercio o come cacciatori, per chiappare
quanto pi si potesse (1). Nella Mingrelia l'adulterio si compone con un porcello
da esser mangiato da tre, marito, moglie, adultero (2). Si pu credere che vi
aleno onorate le nozze e ben allevata la prole? (3) Quando in Roma da' Decemviri
si fiss il prezzo d' uno schiaffo dato ad un plebeo a 25 assi di rame, Lucio
Verazlo, cittadino egregie improbus et immani vecordia e denaroso, and schiaf
feggiando tutta Roma (4).
i XXXVI. N le pene pecuniarie nuocon alle sole corti secolari ; esse a lungo,
andare hanno anche nociuto molto alla potenza ecclesiastica. Le prime pene ec
clesiastiche eran le penitenze pubbliche e le censure. Finch se n'ebbe cura , il
costume de' popoli fu pi incorrotto e la stima per gli ecclesiastici grandissima ,
e qual si conveniva a' dispensatori de' misterj divini e sacri ministri del ben
pubblico. Col tempo le censure e penitenze si trasmutarono in pene pecuniarie.
Parve una ricca miniera per quegli ecclesiastici che non ebber gli occhi nel
futuro (5). Ma questo commercio indebol l'autorit del sacerdozio, fecela di
sprezzare , e coll'andar degli anni ha in molti luoghi fatto perdere il capitale
e le rendite. Sempre la piet o la vera virt pi ricco fondo per li ministri
della religione che la vita rilassata (6). Questa porta la scure alla radice, come si
rischiarano le menti; e quella se non d tributi, d sussidj pi ampj, pi giusti
e pi durevoli de' tributi.
. i i
(1) Muratori Anna!. Hume, Storia Inglese in pi luoghi.
(8) Chardin, Viaggi di Persia.
(5) I figli o si vendono, o dove non ei possono alimentare si espongono. Idem.
(e) Ani. Geli. lib. XX, cap. i.
(5) In Moscovia una dell'opere pi stimale ad ottenere l'assoluzione da colpa e pena
de'poccati, il suonare quanto pi si pu le campane il d di Pasqua. incredibile la
folla che vi accorre, e orribile il frastuono di quei giorni. Ma si paga a'sacristani un po'
di danaro per suonare, e questo metodo si vede perci ogni giorno andarsi dilatando.
Vedi Auecdotes Russes.. lymdrcs 1760 pag. 29. Pu durare una rendita cos ridicola?
(6) Questa massima contraria al comune dei politici; ma si cambini con i tempi dotti,
e si trover verissima.
165

CAPO XXII.

Dello stato e delle mturali forse del regno di Napoli


per rispetto all'arti ed al commercio.

. I. Quello ch'ora dicesi regno di Napoli abbraccia le pi belle, le pi


amene , le pi fertili contrade della presente Italia , state gi Famose per le
scuole del laper Greco , per l'eccellenza delle leggi e de' legislatori , per la loro
forza terrestre e navale , per le guerre , per l'arti , pel commercio. E in vero ,
a coloro i quali ignorano le cagioni dell'aumento e della decadenza de' regni ,
leggendo gli antichi storici e geografi , sembrer per avventura favoloso che in
questo piccolo tratto di paese di poco pi di trecento miglia di lunghezza, quante
ve ne ha dal fiume Tronto a Reggio , e di ottanta in circa di larghezza media
dal mare Adriatico al mar Tireno, tanti e s diversi popoli e s popolate e rino
mate repubbliche abbian potuto fiorini -, molte delle quali ebbero il coraggio di
bravare i Romani, e contrastar loro per lungo tempo l'imperio d'Italia. Ma in
ci s concorde l'antica storia , che sarebbe non solo temerario , ma pazzo chi
volesse mettere in dubbio l' antico sapere e potere e la prisca opulenza de' Ta
rantini , de' Sibariti , de' Turj , de' Crotonesi, degli Apuli , de' Lucani , de' Cam
pani, de' Napoletani , de' Cumani , de' Sanniti , e di molte altre illustri nazioni
abitatrici di questa penisola. Le guerre di essi , o fra di loro o con la Repubblica
romana , spesso continuate per secoli interi , i grandi eserciti che mettevano in
campagna , e le poderose armate navali , assai chiaramente dimostrano quanto
grande sia stato il numero , e quanta la ricchezza degli abitanti di queste Pro
vincie. Vi chi ha creduto ch'esse nud risser piucch sette milioni di persone:
numero a dir vero pe' giorni nostri poco credibile, ma nondimeno non impossi
bile per quel ch'io credo: anzi assai verisimile , se si voglia risguardare alla li
bert di quei popoli , quasi tutte repubbliche , alla semplice maniera di vivere di
que' tempi , alla savia e robusta educazione e a molte altre cagioni popolatrici.
Si vuole aggiungere, che essi non conobbero quasi niuna di quelle cagioni che
ora ci gpopolano : senza feudi n fedecommessi , senza frati , senza preti celibi ,
senza milizie regolate. Non vajuolo, non mal francese, non colonie e commercio
fuor di Europa. Erano la maggior parte piccole citt libere , nelle quali le terre
trovavansi con minore inegualit divise (1) e tutte giranti, e l'industria v'era
grande. Altri metodi di finanze, meno ostacoli alle arti, meno al commercio ,
cos interno come esterno. Fia dunque maraviglia ch'essi fosser tanti ?
. II, Passarono poi queste provincie sotto l'imperio romano , parte volonta
riamente sottomettendovisi , e parte soggiogate per la forza dell'armi. Ma poich
i ii
(1) Quei che non ci conoscono troppo non crederanno per avventura, che la divisione
delle terre fra noi sia tale, che divise tutte le famiglie del regno in 60 parti, una di queste
posseditrice di stabili, e 59 uon hanno pur tanta terra da seppellirsi. Or come in un
paese due terzi almeno delle famiglie non sono posseditrici di terra vi dell'essere gran
povert, n vi pu aver luogo la giusta popolazione. La cagione poi principale di questa
inegualissima divisione l'avere le mani-morte occupato la met delle terre, e inaliena
bilmente. Piaga mortale, n so se rimediabile.
164 GKMiVKSI.

Costantino Magno con non provido consiglio abbandon l'Italia, il suo sapere
e la sua forza divennero ogni giorno minori ; finch verso l'uscire del quarto se
colo ella fu preda de' barbari del Settentrione, spintivi o dall'amor di star me
glio o da anticamente concepita vendetla (1). Da quel tempo questo nostro
regno fu quasi senza interrompimento nessuno dilacerato , combattuto e posse
duto per molti secoli da' Greci , da' Saraceni , da' Longobardi , da' Normanni
e da quasi tutti gli altri popoli di Europa. I Greci lino all'undecimo secolo si
mantennero signori delle citt marittime : i Saraceni vi si stabilirono come bru
chi, e appialtaronsi in alcuni particolari luoghi e per breve tempo. Ma i Longo
bardi vi fondarono diversi principati , il pi grande e il pi potente de' quali fu
quel di Benevento. Ruggero e i fratelli, Normanni di uazione(2j, nell'undecimo
secolo avendo oppresso i Longobardi e cacciato i Greci e i Saraceni, fondarono
il regno delle due Sicilie. Ma estintasi verso il fine del dodicesimo secolo la
reale stirpe Normanna , questo regno fu successivam< nte , non senza grandis
simo suo discapito , battuto e conquistato , prima dagli Svevi, quindi dagli An
gioini , appresso dagli Aragonesi : non molto stante dagli Austriaci di Spagna :
poi dagli Austriaci di Germania : fino a che in questi ultimi d a Dio pia
ciuto di restituirne il re , la pace e la vera libert (3) e grandezza.
. III. Quante volte ci rivolgiamo a considerare le piaghe crudelissime e le
atroci ferite, che queste provincie hanno per s lungo tempo sofferto, ora per
l' esterne guerre e quando per l'interne civili , per le frequenti pestilenze e care
stie , e per molte altre cagioni che la nostra storia ci ha conservato , da ma
ravigliarci come noi non siamo rimasti quasi dell'intuito desolati. Le principali
citt, siccome Salerno , Nocera, Capua, Aversa, Benevento, Troja , Bari, Metti ,
Taranto , Reggio e altre moltissime , furono quasi infinite volte prese e riprese ,
saccheggiate , incendiate ; le campagne devastate , gli abitanti o distrulli o di
spersi, le terre lasciate incolle, spente le arti , bandite le lettere ; e in quel cam
bio introdotta una ferocia superstiziosa e desolatrice , seccato il commercio,
estinto l'amor della patria. La peste lasciala trascorrere , come torrente senz'ar
gine , per lunghissimo tempo. I lidi infestati da' pirati. I piccoli baroni divenuti
ardili e guerreggianti e scambievolmente dislruggentisi. I paesi vicini e le fami
glie d'un medesimo paese si scannavano a vicenda. La fame frequente e senza
soccorso rendeva le provincie e la capitale squallide e deserte. Finalmente gli
sbanditi , gente senza leggi , senza religione , senza umanit , messero a sacco-
mano le Calabrie , i Principali , l'Abruzzo e la Campania. Per colmo de' mali l'i
gnoranza e la fiera superstizione dipingeva ogni cosa di selvaggio volto e cru
dele , e seminando diffidenza tagliava ogni legame di societ. Quale orrida
dipintura !
. IV. E nondimeno non sono ancora questi lutti i mali che il nostro regno
ha sostenuto ne' secoli addietro. Imperciocch, poich Carlo V rinunci i regni
Occidentali a Filippo II suo figlio, questo paese divenne provincia della Spagna;

() Vedi Mallet, Introduzione alla Storia di Danimarca.


(2) 1 nostri Normanni vennero dalla Normandia Francese: ma essi erano oriondi della
Danimarca e della Svezia; i quali nel principio del secolo X sotto Gallo lor capo avevano
obbligato la corte di Francia a dar loro in fendo la Normandia.
(3) Perch niun popolo pu dirsi veramente libero, il quale non abbia un principato
domestico. Niente pi noto per la storia umana, quanto che ogni provincia schiava.
STATO E FORZA DEL BUGNO DI NAPOLI. CAP. XXII. 165

il che fu cagione di nuovi mali e grandissimi che appena molti secoli possono
guarire. Sarebbe inutile il ricordar qui a coloro che son pratici delle cose umane
quali sono i guai che accompagnano lo stato di provincia, sotto qualunque forma
di governo che vi piaccia di porla. Gli animi umani sembra che abbiano pi con
fidenza ne' vicini sovrani che ne' distanti; onde sono la gelosia, il non rispetto,
la negligenza delle leggi , l'audacia de' cervelli elastici , i complotti , il presu
mersi indipendenti, i facinorosi ecc., mali che tutti vidersi dagli avi nostri. In
questo frammentre una potenza straniera non si stancava mai di lavorare sotto
mano a fondare tra noi un imperio , quanto pi sordo lauto pi formidabile ,
e perch savia e accorta, poseci certi invisibili freni e adamantini e apri fino nelle
nostre viscere certe piaghe , che diffidi cosa che si possano interamente per
lungo tempo rimmurginare (1). A tutto ci si vuol aggiungere , che la maggior
parte delle guerre di Fiandra , di Francia , di Lombardia , di Portogallo, le quali
costarono immensi tesori e infinito numero di uomini, non furono quasi mai in
traprese, senzach gran parte di danaro e d'uomini si fosse somministrala da
questa provincia (2).
. V. N qui finiscono i disastri che abbiam patito. L'erario di Spagna per
le dispendiose guerre essendo esausto , si cominci a vendere i beni del patri
monio reale. Buona parte di essi furono comprati dagli stranieri ; specialmente
da' Genovesi e da' Toscani, nazioni intelligenti dell'arti e del commercio, econo
miche , accorte e perci ricche in contanti. Quindi fu che noi divenimmo per
grandi somme debitori a' forestieri , senza che si pensasse, poi giammai ad am
mortizzare si fatti debiti. Crebbero in oltre i feudi e le subalterne giurisdizioni ,
e conseguentemente scem la regia e quella delle leggi , sola fecondatrice degli
stati (3). Ciascun giorno venne sempre pi ad invilirsi e farsi schiavo lo spirito e
l'industria degli abitanti , aumentossi l' ignoranza e la povert ; e la disperazione
unita alla debolezza della legge eccit l'insolenza di molti, e gener la malvagit
e la ferocia generale. Quindi provenne una immensa quantit di vagabondi e di
oziosi , che sono sempre la vera peste de' corpi politici. In questo slato trovavasi
il regno circa la met del secolo passato , quando per corona di tutti i mali so
praggiunse una universale ribellione , e dieci appresso una desolatrice peste la-
grimevole, la quale trascorrendo con fierezza e impunit per tulle le nostre
regioni , dissipate per l'ignoranza e pel mal costume , uccise , siccome molli di
que' tempi hanno lasciato scritto, intorno alla sesia parte degli abitanti; perdita
che non si ripara che con de' secoli.

(1) Ogni politico vuol'uver per massima indubitata, che chi e signore dell'opinione
DEGLI L'OMINI IL VERO PADRONE DELLO STATO, gOVeTUandosi tlltti popoli pi per l'opi-
nione che per la forza delle armi.
(2} N furono minori le devastazioni delle chiese. I signori Napoletani si lamentano a
Carlo V che nel solo pontificalo di Clemente VII le chiese del regno avevano pagato alla
corle di Roma 28 decime, donde era avvenuto che molte chiese avevano dovuto vendere
gli argenti e gli stabili, e molti pastori abbandonar le chiese. Cap. e Priv. tom. I,
pag. Hi. Se supponiamo, che tutte le rendite ecclesiastiche di quel tempo non oltrepas
sassero due milioni, 28 decime munlerelihero a sopra cinque milioni e mezzo. Pagamento
che riempir di stupore chiunque legge.
(3) Eam conditionem esse imperanti, ut non aliler ratio constet quam si uni reddatur.
Tacito Anu. I, 6: uni, cinto per e frenato da Temi. Platone lib. Vili de Rep. Federico II
aveva a ci provisto cod la celebre Costituzione i6 lib, I ediz. Lindebrogio.
166 ubnuvksi.
$. VI. Con tutto ci noi siamo, la Dio merc, pure in qualche modo risorti,
e questo regno tuttavia siccome la pi bella , cos la pi popolata parte d'Ita
lia, facendone poco meno che il terzo. E d qui si pu intendere assai quante
e quali debbono essere le nostre interne forze. Poich le forze di qualunque cosa
sono da misurare dalla resistenza dei vinti ostacoli , grandissime debbono essere
quelle di questo paese , il quale ha potuto per tanto tempo combattere con tutte
quelle cagioni fisiche e morali che sogliono desolare le nazioni, e non solo loro
resistere , ma trionfarne gloriosamente. Ond' che se noi consideriamo con dili
genza s fatte forze, le quali consistono nel clima, nel sito, nella terra e nell'in
gegno degli abitanti , possiamo di leggieri comprendere , che per andare a quella
perfezione e grandezza della quale le cose umane sono tra noi capaci , non ci
manca altro se non che conoscerle meglio , pi studiosamente secondarle , e col
tivarle con amorevolezza e coraggio.
(y VII. E perch veniamo pi al particolare , dico che questo studio e mag
gior coltura, che in parte tuttavia a noi manca, consiste principalmente nelle
cinque seguenti cose: 1 nella coltura degl'ingegni e della comune ragione;
3 nella migliorazione dell'arti, cos primitive come secondarie; 3 nella coltura
delle maniere di vivere; 4 in una generale rivista delle leggi e in un buon codice
della nazione ; 5 nella religiosa e severa osservanza di queste leggi medesime ,
le quali sole posson generare e alimentare il vero coraggio d' un popolo; 6 nel
capire e promuovere il proprio commercio tanto interno che esterno , fin dove
richieggono non la cupidit d'arricchire, ma i nostri interessi.
. Vili. Per quel che appartiene al primo punto, ancorch io n' abbia a
lungo ragionato nel mio Discorso su la vera utilit e il vero fine delle scienze
e delle lettere, qui gli anni addietro impresso, nondimeno questo luogo panni
richiedere di doverne riparlare brevemente. Dico perci in prima, che la coltura
degli ingegni e delle sode scienze inseparabile dalla vera grandezza e felicit
dello Slato (1). E in vero la grandezza degli Stati non nasce tanto dal numero
degli uomini, quanto dalla grandezza delle loro forze e dal loro regolamento; ma
capo e principio per ingrandire le forze dell' uomo e per ordinarle ad un punto
comune, la grandezza e sodezza degli ingegni, i quali per le scienze meccaniche,
per li calcoli, per le discipline fisiche, economiche, politiche sanno loro far servire
tutta la natura. La felicit poi di una nazione inseparabile dalle vere virt, le
quali difficile di conoscere e di praticare senza sode e buone cognizioni di Dio,
del mondo, dell'uomo, e in mezzo al buio d'un' immensit di opinioni e pregiudizi
disonoranti e degradanti la natura umana. Un popolo adunque bench numero
sissimo, se si trovi composto di uomini o ignoranti o rozzi, o molli e viziosi, sar
sempre piccolissimo, disprezzabile e miserabile, non altrimenti che una nazione
di fanciulli e femminelle (2). Coloro che leggono con attenzione la storia delle
nazioni, assai spesso s'incontreranno in esempi i quali dimostrino con i fatti
questa proposizione teorica, che la ragione comune fa chiaramente vedere agli
uomini illuminati. Vagliano per tulli le cose operate dalle piccole repubbliche

(4) Massima cos chiaramente dimostrata da Platone Della sua Repubblica, e s per
la storia nota ch' una ferocia stolta l'oppugnarla.
(2) Tali erano i Peruani e i Messicani, quando furono da noi conosciuti, i quali non
altrimenti che paurosi fanciulli vennero assoggettali o battuti da poclie centinaia di
Europei.
STATO E FORZA DEL REGNO DI NAPOLI, - CAP. XXII, 167

greche contro la grandissima monarchia persiana, e quelle di alcuni Europei fra


l'immensa moltitudine de'popoli Americani e Orientali (1).
S. IX. Dico in secondo luogo che noi non siamo ancora giunti a quella
coltura degl'ingegni, alla quale noi possiam pervenire meglio che gli altri per
la vivezza della mente e della fantasia, e dove altre nazioni forse di minore in
gegno sono per diligenza usata giunte; anzi che non siamo neppure alla met
dell'opera. E che questo sia il vero il dimostro partitamente. In prima il leggere,
lo scrivere, l'aritmetica, arti necessarie a dirozzare e ingrandire la ragione e
dirizzarla, o sono ancora ignote nel ceto civile medesimamente, e sono assai poca
cosa. Imperciocch si converrebbe per la vera general coltura che non solo i
gentiluomini, ma gli artisti eziandio e i contadini i pi comodi e qualche parte
delle donne ne sapessero un poco. Queste arti lungamente diffuse porterebbero
seco quattro grandi utilit: 1 renderebbero universale un certo grado di spirito, -
di civilt e gentilezza di costume; 2 metterebbero ordine ed economia nella
maggior parte delle famiglie; 5 darebbero forma all'educazione s mal'intesa e
agl'ingegni di molti, e somministrerebbero loro il vero uso che si pu e dee fare
de' talenti che Dio ci ha dato; 4 migliorerebbero le arti e le renderebbero pi
spedite, pi diffuse e pi utili (2).
S. X. E questo il vantaggio che hanno su di noi i Toscani, e sopra tutta
Europa i Francesi (3). Pietro il Grande, imperator delle Russie, fra gli altri
regolamenti che stim necessari per rendere civile quella barbara e salvatica
gente, fu questo dei primi, cio di fondare in ogni citt una scuola di leggere,
di scrivere e di abbaco. degno di essere osservato, che tutti i paesi i quali si
son trovati senza scrittura, si trovato parimenti di non avere n arti, n leggi
fuorch un rozzo costume. In America, dicono alcuni viaggiatori, vi sono certa
nazioni, non solo senza conoscimento di lettere, ma quel ch' pi, senza saper
contare che fino a tre (4). Sono i pi selvaggi e i pi rozzi di tuttigli Americani (5)

(1) Se i barbari del Settentrione, crudi e selvaggi, poterono occupare tutto il resto di
Europa e gran parte dell'Asia, si vuol ricordare che l'Europa e l'Asia di quei tempi,
per le molte divisioni, per la negligenza del vero e sodo sapere, per una nuova e
molle vita, non erano pi abitate che da ragazzi e femmine. Il medesimo si vuol dire
del progresso che fecero gli Arabi il vii e viII secolo nell'imperlo Orientale; perch
gli Egizi, i Siri, quei dell'Asia minore non istudiavano altro che a moltiplicare le con
tese di parole e d'idee astratte, e a fabbricar'eremi, e la corte di Costantinopoli a rivolger
libri antichi per comporre s fatte questioni.
(2) La principal cagione di questa rozzezza stato il pregiudizio o la superbia de'dotti,
di non potersi o non doversi scrivere le scienze che in una lingua arcana, affinch le bot
teghe fosser di pochi e s'inducesse anche nel sapere un monopolio. Ma ve n' stata un'altra
e vi tuttavia, quella di essersi lasciata quasi intieramente la cura delle scienze a'frati, i
quali pel loro istituto non avevano a far cittadini ma frati; e per la ragion de'tempi e per
quel vecchio gergo di letteratura scolastica non li sapevano neppurfare.
(3) Ma dopo che cos gli uni come gli altri incominciarono ad udir parlare le Muse nella
lingua materna.
(4) De la Condamine, Viaggio d'America. Itragici Greci, dice nella sua Rep. Platone,
mettendo in ridicolo Agamennone, uomo rozzo e oinobare, ubriacone, secondouna frase
d'Omero, smaltirono ch'eifosse signorante di aritmetica, di non poter contare quante dita
avesse ne'piedi.
(5) Se nonsi volessero loro preferire quei Caraibi del signor dela Borde, i quali sono s
storditi da dimenticarsi spesso che alla mattina sia per seguir la sera, non sapendo nella
loro mente calcolare la successione di un giorno all'altro.
168 6BN0VKSI.

Pel contrario dove le arti e le leggi si son trovate in bello e perfetto stato, ivi si
trovato essere antiche le lettere e le scuole.
. XI. Dir qui di passaggio, che questa rozzezza che non solo disonora un
popolo europeo e italiano, che vale a dire nato per esser savio, ma il danneggia
in tutto ci che importa alla vita umaua, non si pu togliere se il sovrano, pel
supremo diritto che ha su tutte le scuole , non vi mette egli medesimo la mano
e non regge con fortezza i primi passi. Si sa eli' l'opinione che governa i popoli;
ma ne' paesi di letteratura tutte le grandi opinioni nascono nelle scuole e dill'on-
donsi poi nel popolo. Perch in quelle scuole formasi il prete, il frate, il giure
consulto, il medico, il militare e ogni gentiluomo; e da questi sparsa e con
servata ogni opinione. Il che chi volesse conoscere, non avrebbe a far altro che
in una citt italiana fondare cinque o sei collegi turchi, e allevarvi nelle opinioni
turche tutti i figli dei nobili e cittadini, perch in capo a tre et non avrebbe che
una citt di Turchi (1).
. Xll. Se dunque tanto imporla quali opinioni regnino nel pubblico , e il
sovrano il primo e supremo moderatore del corpo civile, il debbe anch'essere
delle opinioni, e perci di tutte le scuole donde quelle si spargono e per la forza
delle quali si nutriscono. Massima veduta e ben intesa dai principi di tutti i
popoli, i quali per questo han foudato delle universit e accademie immediata
mente sottoposte alla loro ispezione. Ma tra noi la men considerata delle scuole
la pubblica universit (2). Tutti i chiostri, tulli i seminari sono scuole; e scuole
quasich ignote al legislatore. Noi abbiam proscrilto i Franchi Muratori. Era
giusto. Un'assemblea d' uomini pensanti e d'ogni ceto, secreta e occulta al legis
latore, un delitto per tutte le buone leggi. Ma sarebbero da temer meno certe
scuole, nelle quali si pu insegnare senza sapersi che?
v XIII. Il sovrano dunque ha un diritto di conoscere: 1 i maestri di tutte
le scuole, laiche o ecclesiastiche che sieno; 2 di sapere quali arti e scienze vi
s'insegnino, e quali opinioni e sentenze vi si tengano; 5 di esser informato del
costume e della disciplina che vi si osserva. Pel medesimo diritto di alto mode
ratore del corpo civile pu e dee prescrivere le scienze da insegnarvisi e i metodi
da tenervisi. Due leggi e ben sostenute darebbero fra pochi anni un grandissimo
lustro e spirito alla nazione. La prima sarebbe :
In ogni collegio e scuola di scienza si insegni un buon corso di matematica
e di filosofia. I maestri vi si eleggano per concorso.
La seconda:
Si diano libri stampati e pubblici, non manoscritti secreti. Si facciano noti
alla corte questi libri.
. XIV. So che alcuni, e tra questi Mandeville, temono che le scuole troppo
frequenti non cagionino due mali: cio, che i fanciulli non incomincino per tempo
ad amare la poltroneria; e poi, che per gli esercizi delle scuole non diventino
soverchiamente sottili, raggiratori, furbi e malvagi. Il che io non credo. L'arte
di leggere, di scrivere e di calcolare almeno grossolanamente (che tanto basta)
pu impararsi ne' primi dieci anni della nostra vita; ne' quali, o noi frequentiamo
(1) Questa non tanto ipotesi, che non si potesse in certo modo mostrar); essere avve
nuta. Perch dopo che i Mori passarono in Ispagna e recaronvi i libri Arabi, quasi tutta
l'Europa divenne in nolte opinioni Araba.
'2) Ella non pu dare n il grado di lifpnziatura. nJ quello di dottore.
STATO E FORZA DEL REGNO DI NAPOLI. CAP- XXII. 169

le scuole o no, siamo sempre poltroni per un certo riguardo e sempre attivissimi
per un altro (1). Odiamo le fatiche metodiche e che ci si comandano con
asprezza, ma siamo diligentissimi in quei moti e in quei piccoli affari che ci vanno
a sangue. Egli poi vero che le scuole Tanno i fanciulli pi accorti; ma nondi
meno una buona educazione domestica e civile pu di leggieri rivolgere questa
sottigliezza d'ingegno da quella parte che giovi al ben pubblico. In materia di
governo da aversi sempre per fermo quel che pi d' una volta detto, non
esservi niuno stabilimento umano, che per qualche via non nuocia; e perci tra
molti da scegliere quello che nuocendo meno giovi pi.
. XV. Vi sono altri i quali temono, che divenuto il leggere e lo scrivere co
mune, non sieno per mancare i contadini e gli artisti, e oltre a ci non si intro
duca tra le donne maggiore libert di quella che loro conviensi. Pregiudizi di
secoli barbari e di animi rozzi. E per quanto apparliensi alla prima obiezione,
sarebbe veramente da temersi, se il solo leggere e scrivere senz' altra fatica nes
suna somministrasse agli uomini tutto ci ch' necessario alla \ ila. Si aggiunga,
che la sperienza dimostra essere un tal timore vanissimo, essendovi molti de'
nostri contadini e artisti non ignoranti del leggere e dello scrivere, senza non
pertanto cessare di essere quel che sono, anzi con fare il lor mestiere pi accor
tamente e con miglior garbo, e con un certo grado d'umanit ignoto agli altri.
Senzach, la Toscana in Italia, e la Francia e l'Inghilterra olir i monti, dove il
leggere e lo scrivere pi che tra noi diffuso, dimostrano quanto sia o puerile
o anche malvagio questo pregiudizio.
$. XVI. Rispetto alla seconda difficolt, per chiarirci quanto falsa, basta il
considerare, che vi sono assai donne scostumale, senzach sappiano n leggere,
n scrivere; e molte onestissime e costumatissime, tuttoch non ignorino le let
tere. Dunque da badare all' utile che ne pu derivare per lo Slato e non alle
piccole frodi donnesche, a cui si vuol rimediare con una buona educazione. Nelle
case de' privati galantuomini, e in tutte le famiglie mezzane e comode l' interna
economia in mano delle donue. Egli non facile il comprendere come una tale
economia esser possa savia, dove le persone che l'amministrano non sanno che
si voglia dire un libro di conti. Questa sola considerazione dovrebbe vincere tutta
la ripugnanza del pregiudizio. In Olanda e in Parigi tutte le donne delle case
mercantili sono, fin da ragazze, istruite ed esercitate nella scrittura e nel con
teggio.
S- XVII. Consideriamo ora le scienze. Queste ancorch uscite dalla barbarie
de' secoli precedenti, nondimeno uon hanno per ancora fallo fra noi quel pro
gresso che si doveva aspettare dalla grandezza e sodezza del nostro ingegno ita
liano, e che si veggono aver fatto in alcune altre nazioni d'Europa, le quali in
forza naturale d' ingegno e in vivacit di fantasia ci sono molto al disotto. Im
perciocch durano tuttavia in gran parte i nostri antichi e barbari, e non solo
inutili ma nocevoli studi , e in coloro principalmente i quali pi dovrebbero pen
sare al ben pubblico per cagione del loro istituto. In molti domina tuttavia lo
spirito delle vane e inutili sottigliezze e una sfrenata passione per la pedanteria.
Egli pare che ci manchi il buon gusto di riflettere che gli studi, i quali migliorano
(i) Dove sodo scuole di leggere e scrivere, due ore il giorno, una di mattina, l'altra dopo
pranzo, bastano per esercizio d'un ragazzo; il resto della iornnta pu essere impiegato in
serrici TTiPT.iniri. i- c'ii per evil-ri rjijpi r!ir" mnli.
170 GENOVESI,

l'uomo e gli son giovevoli, non sono gi n quelli delle pure e astratte immagi
nazioni senza pratica nessuna, n quelli delle mere parole; ma bens quelli delle
cose, alle quali debbono essere indirizzate tutte le ricerche delle idee e delle
voci. Conciossiach essendo l'uomo un essere reale, per poter ben vivere gli
bisogno di avere reali e sode, non fantastiche cognizioni. In fatti noi siam rimasti
molto indietro all'altre nazioni nella vera fisica, nella storia naturale, nelle
scienze geometriche, nelle meccaniche e in molte altre di quelle che riguardano
l'uomo fisico.Siamo anche indietro assaissimo nelle scienze morali e nelle eco
nomiche. E bench generalmente l'Italia in conto della storia superi tuttavia le
altre nazioni europee, noi nondimeno non abbiam fatto gran cosa nella nostra.
Si crederebbe, che vi sono delle terre ignote in un piccolo paese? Ora questa
rozzezza della comune nostra ragione porta seco di necessit una certa ruvidezza
nelle arti, ed di non piccolo ostacolo alla savia legislazione (1).
S. XVIII. Vengo al secondo punto, ch' quello dell'arti tanto primitive che
miglioratrici. L'arti e le manifatture traspiantate dall'Oriente in Grecia, e dalla
Grecia in Italia ben quattro volte,una da' Pelasgi nell'Etruria, la seconda colle
colonie della Magna Grecia, la terza dopo la seconda guerra cartaginese, e ulti
mamente sotto i re normanni e per le repubbliche veneta, pisana, genovese,fu
rono in queste nostre provincie per lungo tempo conservate, e quindi assai tardi
comunicate alle provincie di l da' monti. Ma coll'andar del tempo, sia per le
guerre che in Italia nacquero e per le molte dissensioni de' di lei principi, sia
per un certo scoraggimento, sia per altre cagioni, noi rimanemmo assai indietro
a coloro, i quali erano stati i nostri discepoli, ngran fatto docili. Certo i Fran
cesi,gl'Inglesi e gli Olandesi, i quali dugento anni fa erano tuttavia rozzi e bar
bari quando noi eravamo grand'uomini, hanno incominciato poi ad essere i no
stri maestri.
S. XIX. L'arti, siccome pi di una volta detto, si vogliono distinguere in
tre classi, cio arti primitive, arti di comodo e arti di lusso. Fra le prime le pi
considerevoli sono l'agricoltura e la pastorale. L'agricoltura del nostro paese ha
diversi belli e fecondi capi, come a dire la coltivazione del grani, quella della seta,
quella del vino,quella dell'olio, quella del lino, canape, bambagia e altri minori.
Tutto questo si fa ancora tra noi senz'arte, per una sola pratica e tradizione de'
vecchi contadini che genera un certo grado di caparbiet ne' loro allievi. Noi
non abbiamo ancora migliorato le macchine agrarie le pi importanti, e abbiso
gniamo di molti strumenti necessari o utili. Chi legger la coltivazione de'grani
del sig. Duhamel, la coltura de'boschi del medesimo autore, la coltivazione delle
olive di Pier Vettori, quella delle viti di Pier Soderini, la coltivazione toscana
del sig. Trinci e altri s fatti libri, capir facilmente che molte cose in quest'arte
s necessaria si fanno da noi a caso, e che o non abbiamo teorie agrarie o n'ab
biamo delle salvatiche. Si vuol dire il medesimo degli altri minori capi, e prin
cipalmente della coltivazione deigelsi e de'bachi da seta, ricca sorgente di queste

(1) Perch difficile, che la rozzezza de'popoli non s'opponga alla brillante sapienza
civile e non renda inutili le buone leggi. E mostrato per tutta la storia de'secoli barbari.
S'aggiunga, ch'io non so se in un paese pieno di umidi stagni, e cinto da perpetue nebbie
possa mai spuntar chiaro il lume del sole. Avesse voluto ci profetizzare Omero? Perch
par che situi in queste nostre regioni iCimmerj, cui non rischiara, n
Ne guarda mai il bel chiaror del sole.
sTATo E FoRzA DEL REGNo DI NAPOLI. CAP. xxii. 171
provincie. N siamo andati pi innanzi nella pastorale, e in quella parte dove
pi ci conveniva, ch' quella delle pecore e delle lane. bene che i curiosi leg
gano diligentemente la Maison Rustique, opera francese assai dotta, e il Gentil
uomo Coltivatore, che nella medesima nazione va tuttavia pubblicandosi (1).
S. XX. Nell'arti poi di comodo e di lusso siamo tanto indietro, che fra noi
non si prezzano n drappi, n stoffe, n tele che non sieno forastiere. In tutta
l'arte metallurgica e nelle arti fabbrili non siamo tuttavia che piccola cosa (2).
Quello ancora pi vergognoso, che in alcune arti nobili che i Francesi chia
mano le belle arti, siccome l'architettura, la scultura, la pittura e la musica,
non solo noi ma tutta l'Italia, la quale n' stata la seconda maestra, avendo se
non superata, agguagliata la Grecia, va decadendo dall'antico suo splendore (5).
S. XXI. La terza cosa, che abbiam detto conferire alla grandezza e felicit
d'uno Stato, e la quale vuol esser considerata come primaria, sono il severo e
casto costume e le buone leggi scrupolosamente osservate,genitrici ed educatrici
del costume. Le leggi civili son certe regole fatte sul modello della legge natu
rale, per assicurare cos al sovrano come a ciascun cittadino i suoi diritti; per
portare i popoli, i quali vivono in civile compagnia, all'unisono: perch senza
questa consonanza non vi pu essere nelle citt n sicurt, n tranquillit; e dove
ci manca, ivi forza che sia gran disordine; e dove regna il disordine, non pu
essere n cultura nessuna, n industria, n commercio, n ricchezze, n civile
felicit. -

S. XXII. Tutti gli Stati d'Europa hanno dal XIIl secolo in qua eccellenti
leggi, essendo quelle ch'essi hanno quasi un succo dell'antico sapere egizio, greco
e latino; ma nessuno n'ha migliori quanto noi. Ma a rendere felice uno Stato
non basta avere delle savie e sante leggi ; oltre ci necessario, che per una
disciplina comune e continua sieno ben radicate ne'cuori di tutti i cittadini, che
si amino e venerino, che facciano parte dell'educazione, affinch si trasmettano
col costume pi che con i libri.Quel che confertanto alla lunga e non interrotta
osservanza delle leggi ebraiche, fu, come osserva Giuseppe Ebreo ne'libri contro
Appione Grammatico, che ogni sabbato gli Ebrei erano addottrinati tutti quanti
nella scienza delle leggi (4). Le repubbliche greche e italiane antiche, fino a che
(1) In un Discorso, ch'io ho prefisso alla mia edizione dell'Agricoltore sperimentato di
Cosimo Trinci, credo di aver mostrato le principali cagioni della rozzezza della nostra
agricoltura.
(2) Si crederebbe che se i forastieri non ci portassero degli aghi, ci converrebbe cucire
con delle spine de'pesci come i Groelandi, i Californj, i Caraibi, i Siberi? Ci mancano de'
buoni rasoi, delle forbici. Nell'arte delle serrature ci superano di molto i Tedeschi. Gli
strumenti chirurgici si vogliono in gran parte far venir da fuori. N a dire che ci manchi
ingegno e abilit; perch da quei pochi saggi che se nefanno si pu capire assai, che noi
superiamo in ci gli Oltramontani. Ma ci mancan le scuole e gli stimoli, perch quest'arti
si dilatino e migliorino.
(5) E questo potrebbe esserci argomento del decadimento dell'arti di necessit, che
sono la base di quelle del lusso. Omero nel IV dell'Odissea non potea darci migliore in
dizio della floridezza dell'antico stato dell'arti primitive degli Egizj, quanto con averci
fatto conoscere l'eccellenza delle loro belle arti, per quei bei doni fatti da Polibo e sua
moglie, principe e principessa di Tebe, a Menelao ed Elena. Vi si vede disegno, scultura,
finezza.
(4) Mi sorprende un pezzo della storia de'barbari interiori dell'Africa nell'imperio di
Moneu presso a Sierra-Leona. Il sovranovi ha fondato un collegio di nove o dieci miglia
di circuito, cio una citt rimota dal resto delle abitazioni. Tutti i giovani, che debbono
172 GENOVESI.
le leggi furono della comune notizia e imparate per educazione, furono costumate
e crebbero maravigliosamente. In Atene, in Sparta, nell'antica Roma, oltrech
le leggi si facevano in pubblico , scrivevansi ancora in certe tavolette che si ap
pendevano ne'tempii e nelle piazze, e scrivevansi nella lingua comune del popolo.
Ma poich le leggi divennero infinite , e per la difficolt della lingua divenule
straniere e misteri noli a pochissimi, l'immensa turba de' chiosatori le oppresse (1);
fu facile il venderle; e quelle repubbliche caddero in mezzo a quelle medesime
regole, per forza delle quali erano cresciute. Anzi quelle leggi, le quali cono
sciute, amale e osservate comunemente fanno la felicit e la grandezza de' popoli,
ignorate e trasgredite si convertono in loro interno veleno , il quale rode sorda
mente i vincoli della societ; per modo che sarebbe meglio che non vi fossero,
affinch gli uomini non isbalorditi dal lor rumore potessero meglio sentire la
forza della legge naturale impressa ne' loro petti. Imperciocch esse conservan
sempre in mano de' malvagi e polenti assai forza da poter nuocere ; ma non
hanno egual vigore da giovare in mano de' buoni e degl'impotenti (2).
%. XXIII. Sarebbe dunque a desiderare, che il consiglio del Segretario Fio
rentino si potesse mettere in pratica; vale a dire, che di tanto in tanto un senato
di savii e onesti uomini sotto la protezione e l'occhio del sovrano richiamasse ai
primi principi! la illanguidita legislazione, la ripurgasse da' difetti scorsivi per
la lunghezza del tempo, e la rinvigorisse con nuovi ordini e sanzioni. Gli uomini
amanti del ben pubblico non farebbero che utilissima opera, se volessero diligen
temente raccogliere i difetti fisici o morali, che o il lempo o la debolezza umana
hanno lasciato trascorrere nella parte pi importante del corpo civile. Vi sono
gran modelli per imparare l' arte di furio. I due famosi autori spagnuoli Ustariz
e Ulloa ne hanno dato un bel saggio in Ispagna e nella corte di Filippo V. Quattro
autori francesi sono per questo riguardo commendevolissimi, Melon, Montesquieu,
il sig. Dangeul, e l'autore di un buono libro intitolato l' Amico degli Uomini.
Anche in Italia il chiarissimo Muratori nelle due dotte operette, De' difelli della
giurisprudenza e della Felicit pubblica , ha dimostrato in che modo convenga
farlo. Ma si vuole avere uno spirito filosofico, rischiarato, placido, amante dell'u
manit per ben porvi la mano. I piccoli cervelli e involti nelle proprie passioni
non veggono d' intorno, che sol quello che gli interessa.

servire allo Slato io pace e in guerra, vi sono severamente per cinque anni educati. Non
vi si mettono ebe giovani di approvala abilit e costumatezza. ComVscono sono essi in
signiti di certi segnali di distinzione, e poi di mano in mano chiamali agl'impieghi. Questo
collegio sotto la sola ispezione del sovrano. St. Univ. Parte mod., voi. XVII, pag. 259.
(i) Bella legge: le cause si discutano sui fatti e le lecci. Chi cita un chiosatore,
PURCH NON SIA PER TESTIMONIANZA I)'UN FATTO, SIA CASSATO DAL NUMERO DE'CAUSISTI.
IL MAGISTRATO CHE NON ESEGUISCE OUESTA LEGGE, SIA SOGGETTO ALLA MEDESIMA PENA.
Quando Giustiniano proib i Commeularj, aveva a dettar questa legge.
(2J Una delle cause, per cui credo che in certi Slati le leggi hanno poco vigore, quella
di avervi gli abitatili divisa l'afFezione a diversi padroni. Finch tutti non si reputino cit
tadini del medesimo Stato, innamorali e rispettosi d'un solo e medesimo sovrano, non si
avr niuna venerazione per le leggi. Ne'lempi del governo feudale di Europa per questa
ragione non vi fu n osservanza di leggi, n costume. Chiunque pu dire al sovrano, io
non son vostro suddito, dee di necessit esser nemico delle leggi e della societ, n sentir
mai lo spirito di patriota o l'amor della comune patria. F. questo mostra la necessit che
ha il sovrano di avere una particolare ispezione di tutte le scuole e delle dottrine le quali
vi s'insegnano. .
STATO E FORZA DEL REGNO DI NAPOLI. - CAP, XXI1. 173

S. XXIV. La pi sicura e la pi corta regola di far osservare le leggi, la


severit e la prontezza delle pene contro i magistrati e gli altri uffiziali, i quali le
pervertono o per ignoranza o per lasciarsi corrompere. il manico del buon or
dine, senza cui tutto disordine. L'occhio del sovrano vuol esser sempre ridente
e placido con tutto il resto de' sudditi, ma i giudici nol debbono veder mai che
grave e fiero. La clemenza guadagna i cuori dove si tratta di alcun reo privato,
reo pi per disgrazia che per prava volont; ma fa sempre nemici quando cade
sul magistrato o ignorante o malvagio. Perch quella accende l'amore verso il
governo, senza nuocere alla giustizia; e questa fa credere a' popoli che non si
vuol giustizia. Principio inteso da tutti i grandi legislatori, ma da niuno tanto,
quanto da Federico II. Voi non troverete corpo di leggi, dove le prime cure non
sieno quelle che risguardano i magistrati (1). Ecco una bella legge di Rugiero (2).
Si judex fraudolenter atque dolose contra leges sententiam protulerit, notetur
infamia, rebus suis omnibus publicatis. Federico II dichiarollo delitto pubblico:
Corruptelae crimen praesenti sanctione publicum esse decernimus (5). A questo
medesimo fine riguarda la bellissima legge del medesimo principe (lib. 1, tit. 88,
I. 1): I magistrati delle provincie, durante il loro uffizio n essi, n niuno de'
loro subalterni e domestici, prendano da provinciali a prestanza, n danaro,
n verun'altra cosa: non comprino stabili: non prendano pure ad enfiteusi chec
chessia: non contraggano nozze, n sponsali: non contrattino, n commercino in
conto alcuno, PoENA PUBLICATIoNis BoNoRUM oMNIUM, ET AMIssIoNis oFFICII
CUMI INFAMIA,

S. XXV. Si dice che quel punire spesso i magistrati tende a metterli in discre
dito: allora le leggi medesime perderanno la loro forza. Si pu dire maggiore
sciocchezza? Vi sono certi sofismi che stuonano per la loro stranezza. Un magi
strato reo di corruzione o si manda fuori del mondo se il delitto grave, o fuori
del posto se minore. Questo giudice sar bens discreditato; ma avendo perduto
l'uffizio, il suo discredito accrediter gli altri. Non punite i giudici venditori o
depravatori della giustizia, non vi sar pi ne' tribunali la bilancia d'Astrea. Ma
i popoli, anche i pi cattivi, la vogliono; e si pu temere che non se la ripren

dano. E difficile il trovare gran moti nelle nazioni e gran cambiamenti nella co
stituzione, che non sieno quasi tutti nati da questa cagione. Che se poi i magi
strati vengano ad esser calunniati, per arrestare i calunniatori non vi pi bella
n pi pronta maniera, che quella stabilita nelle leggi medesime e anche de'bar
bari, ch' la pena del taglione. Finalmente un colpo severo di giustizia, ancorch
non esente per avventura da ogni scrupolo, se per arrestare un milione di ma
nifeste ingiustizie, sempre un colpo necessario allo Stato. Expedit ut unus mo
riatur pro populo.
S. XXVI. La quarta cosa necessaria all'ingrandimento e felicit di ogniStato
quella dell'educazione e delle maniere, affinch il buon costume sia abito e di
sciplina, e le maniere gentili e nobili. Molto in questa parte ci resta ancora da
perfezionare e correggere. Noi siamo certamente su questo punto di assai inferiori
(1) Le pene Mosaiche e Romane contro i perversi magistrati son ferocissime. La legge
delle Xll Tavole puniva di morte la corruzione ne'giudici. Gellio lib. XX, cap. 1. I Cinesi
gli affettano vivi.
(2) Const. R. S. lib. lII, tit. 50.
(3) Ibidem. -
174 GBN0VK8I.

a parecchi popoli d'Italia: vi tuttavia in molte parti del nostro regno della im
politezza, della ruvidezza ed anche della salvatichezza da emendare. Ci debb' es
sere manifesto che la galvatiohezza sempre un grande ostacolo al saper civile ,
all'arti, al commercio; perch tutti i salvatici aborriscono la fatica metodica, ed
essendo di animo Qero, pongono gloria nel vivere di rapina e inquietare in mille
guise la civile societ.
S- XXVII. Quando si considera attentamente, si vede subito d non prove
nire che dalla non savia educazione. L'educazione, siccome altrove detto, si
pu primamente dividere in fisica e morale, delle quali quella riguarda il corpo
e questa l'animo. La morale sottodividesi in economia, politica ed ecclesiastica.
La prima appartiene a' genitori, la seconda alle leggi, la terza agli ecclesiastici.
Noi abbiamo in questa materia degli eccellenti libri in tutta Europa e scritti da
mani maestre, ma non egualmente praticati da mani maestre. La base di ogni
educazione la domestica. Ma molti genitori diventan padri prima che abbiano
imparato ad esserlo. Quindi nasce e si moltiplica una razza d' uomini zotici e
mezzo selvaggi, senza mestiere, senz' arte e talvolta senza niuna conoscenza de'
loro doveri. Sisto V, pontefice di grande animo e di vaste mire, aveva fatto per
lo Stato romano una buona legge. Ordinava che non si potessero contrarre nozze
da coloro, i quali non avessero un attestato della loro abilit a poter nudrire
ed educare i figli (1). E questo vale quanto dire, niun ardisca aver figli senza
avere apprestato i mezzi da saper essere padre (2).
. XXVIII. Bello ancora e gran campo per la legislazione 1' educazione
tanto fisica che morale, anzi dovrebbe esserne un'essenzial parte, perch le leggi,
dove non v' ha uomini n costumi , non giovano a niente. Nel piano delle leggi
di Licurgo l'educazione cos fisica come morale ne faceva due terzi; e sappiamo,
che niun popolo tra gli antichi fu meglio disciplinato quanto i Lacedemoni. Una
buona parte delle leggi mosaiche riguarda la savia e gentile educazione. Per
questo medesimo fine in molti paesi d' Europa si sono fondati e si vanno gior
nalmente moltiplicando i collegi delle arti, affinch i figliuoli della gente bassa
possano in quelli avere non solo gli ammaestramenti meccanici, ma quelli ancora
dello spirito e delle maniere.
. XXIX. Qui dove io soglio spesso maravigliarmi ondo sia avvenuto, che
avendo le leggi di tutti i popoli, e principalmente le nostre, due parti essenziali ,
cio l'economia e la dicastica, tanti sieno stati gl'interpreti e i chiosatori della
seconda, e s pochi, se non niuno che abbia dato opera ad illustrare la prima,
ancorch ella meritasse bene il primo luogo siccome sostegno dell' altra. Certo
a voler considerare le nostre Costituzioni e Prammatiche, moltissime se ne tro
veranno che risguardano la sola economia dello Stato , siccome son quelle che
appartengono alla propagazione della specie umana, all'educazione, all'industria,
all'arti, al commercio, al lusso, all'amministrazione economica delle terre, e altret
tali cose. Tra g' infiniti commentatori delle nostre leggi ve ne ha troppo pochi ,

() Gregorio Leti, Vita di Sisto V.


(2) La legge della citt Platonica stabilisce: Le donne non si maritino prkna di 20 anni,
n t maschi prima di 31). Vi , siccome detto altrove, della tisica in questa legge. La
macchina degli uomini non si sviluppa bene prima di 20 anni; e la ragione de'mariti,
primo mobile delle famiglie, non n rischiarata bastantemente n assodata prima di SO.
Le leggi che hanno per base la fsica sono le pi belle e dovrebbero essere sole durevoli.
STATO E FOn/A DEL REGNO DI NAPOLI. CAI'. XXII. 17ij

che si abbiano preso la cura d'illustrare tali leggi per la parte economica. N
solo i giureconsulti de' tempi passati , che sono stati fra noi molti e gravissimi ,
ma i filosofi altres e i teologi hanno a questo loro dovere mancato, essendo stati
pi cupidi di sottigliezza e di ciarle che di sodezza.
. XXX. Di che io credo che principal cagione sia stato il pooo studio che
facevano i maggiori nostri in quella filosofia, che risguarda i comodi nostri e cha
dicesi dell' uomo. Essi avevano per verit studiato molto in questioni acute , ma
poco o nulla in filosofia civile. In fatti, quanti ne troviamo noi, che siensi inge
gnati di conoscere profondamente e di analizzare la natura dell'uomo, la natura
e la forza delle civili societ, l'arte da popolarle e renderle grandi e ricche? Sa
rebbe perci questo principalissimo dovere di coloro , i quali ammaestrano la
giovent nella scienza di pensare e nelle leggi civili ; essi dovrebbero inspirare
ne' petti dei loro allievi un poco pi di amore per questa sorta di conoscenze, le
quali procacciano i comodi e la felicit della vita umana- Ma se non si riformano
le jcuoie e i collegi, tutto inutile.
. XXXI. Diciamo ora finalmente qualche cosa del terzo genere di educa
zione, cho l'ecclesiastica. Ella siccome la pi importante, cosi potrebbe esser
la pi utile se si facesse come dovere. Imperciocch niente pi importante al
ben vivere quanto il conoscer Dio e le sue leggi ; e niente pi utile, quanto che
tutti i membri del corpo ne sino appieno non solo istrutti, ma innamorati ezian
dio. Che sieno persuasi , dalla loro osservanza nascer la presente e futura nostra
felicit. Quest'educazione, a pigliarla pel suo verso, brevissima in teoria; ma
ne debb' esser lunga e continuata la disciplina. Conciossiach ella non sia educa
zione di soli fanciulli, che oltre le parole poco o nulla di pi intendono, ma di
adulti capaci (1). Ora qui il nostro male. Quest'educazione ordinariamente non
si fa che a ragazzi , n sempre da mani maestre. Quindi che gran parte dei
nostri popoli ignorano il catechismo o il sanno male. Si sono moltiplicati straboc
chevolmente i maestri e i libri ; ma si migliorata quest' educazione? un pro
blema che io lascio a decidere a coloro, che sono meglio che io non sono, infor
mati delle cose del nostro paese.
. XXXII. Vengo ora alla quinta cosa , che dissi essere necessaria alla per
fezione di un corpo politico , che la teoria e la pratica del commercio. Egli ci

(1) Perch i primi cristiani furono gran modelli, cos della teoria come della pratica
del Cristianesimo? Perch il Catecumenato era lungo, era degli adulti, e i maestri erano
i Clementi, gli Origeni, i Cirilli ecc. Bella legge! tutte le prediche sieno catechismi.
Una predica, come ora si costuma, stuona la moltitudine: il catechismo istruisce. Perch
a molti non piace il Cristianesimo? Perch non l'intendono. una maraviglia per chi ci
ponsa. Noi abbiamo sopra dugento mila destinati a quest'uffizio (perch conto nella classe
degli educatori e pastori spirituali anche i frati, essendo tutti da certi secoli in qua en
trati nel ceto e con ci nel dovere de'sacerdoti), e nondimeno in molle parti ignota la
dottrina Cristiana. Io solo ho governato per 20 anni una scuola di sopra cento scolari; credo
dunque che un parroco e un cherico possano governar anch'essi dugento persone, dunque
dieci parrochi e dieci cherici potrebbero bastare a duemila persone; e 200 a ventimila;
dunque duemila a dugeutomila. E cosi 20 mila a due milioni. E 40 mila a 4 milioni. A noi
dugentomila ancora non bastano. Dunque non fanno il loro uffizio. E di ci cagione, che
uaa parte di questi ministri estremamente povera, l'altra estremamente ricca. I primi
son mal'istrutti e disviati per mancanza d'aiuto; i secondi per troppi comodi. In Firenze
70,0i)0 persone sono governate da il parrochi: Napoli per 400,000 n'avrebbe bisogno per
lo meno di 200, e non n'ha che 50.
176 ufc;\ovtsi
pu essere oggimai certo, che secondoch sono presentemente gli affari in Europa,
il solo traffico pu accrescere le rendite di una nazione e sostenerla perch non
vada addietro (1). Le ragioni di questa proposizione sono state da noi copiosa
mente dimostrate a suo luogo; e nondimeno piacemi qui ricordarle brevissima
mente, perch le verit necessarie o utili non si ripetono mai tanto che basti:
1. Perch il traffico esterno, procurando l'estrazione delle nostre derrate e ma
nifatture, promuove insieme l'agricoltura e le arti, e con questo 1' utilit tanto
de' proprietarii quanto di coloro che travagliano.
2. Perch in questa maniera rendendo pi facili le nozze e il mantenimento
delle famiglie, e con ci allettando i foraslieri, aumenta mirabilmente la popo
lazione.
5. Perch scema il numero degli oziosi e de' vagabondi, i quali mai non cre
scono troppo senza danno e rovina; e mai non si scemano, senza grandissima
pubblica utilit.
4. Perch ci somministra mezzi bastanti a poter pagare quel che prendiamo
da' foraslieri , senza sbilanciarci ogni anno.
. XXXIII. Ora noi siamo in questa parte mollo indietro, non solo alle na
zioni oltramonlane ma a molle ancora d'Italia; e quel che pi importa, assai di
sotto al nostro potere e interesse. E per non volerci paragonare colle nazioni
oltramontane, che sarebbe paragonarci con giganti, egli certo che i Veneziani
e i Genovesi e i Toscani hanno pi commercio attivo e pi migliori manifatture
che noi non abbiamo, ancorch i nostri fondi sieno pi ricchi, quali sono le
derrate, le lane, le sete, il cotone, il lino e il canape. Quindi nasce una specie
di ruvidezza e di languore in tutta la nazione (2).
. XXXIV. Soglion dire alcuni , che noi non possiamo essere giammai una
nazione trafficante a cagion del sito, non avendo, dicono essi, intorno a noi a chi
comunicare le nostre mercanzie. Aggiungono che le ricchezze stesse e la fecon
dit delle nostre terre ci rendono meno alti al commercio, perch ci danno ba
stante occupazione al di dentro, e perch ci tolgono lo sprone dell'attivit e
dell'industria che il bisogno. Tutti i popoli de' climi felici , cui la terra pasce
di per s, son poltroni. Finalmente soggiungono, il commercio gi occupato:
che potremmo adunque fare?
. XXXV. Risponder all' ultima difficolt in prima. Innanzi ad ogni altra
cosa uopo avvertire una dottrina del comun senso degli uomini , verificala per
continue sperienze, ed , che ogni uomo, e conseguentemente ogni nazione che
abbia forze interne eguali alle forze di un'altra persona o nazione, pu essere quel
che ogni altro ; e se non abbia forze eguali , pu essere proporzionatamente
grande. Ma si vogliono ben conoscere le sue forze e prudentemente e coraggio
samente adoprarle. Vi sono molti i quali avrebbero potuto esser grandi , se per
la vilt non si fossero soverchiamente disprezzali. Questa dottrina da adattarsi
a noi. occupalo, dicono, il commercio. Domando io, sono tuttavia necessarie
le nostre manifatture? son necessarie a noi medesimi? E se sono, non mai tanto

(i) Quando i popoli di Europa erano tutti barbari, era inutile a pensare come oggi pen
siamo. Ma essend'ora tutti rivolti dalla parte dell'arti e del commercio, quella nazione
che n' ignoranie e negligente, resta povera, vile e schiava.
(2) Queste considerazioni sono state fatte quindici anni addietro. Ma in quest'ultimi
tempi mi sembra che noi siamo di molto migliorati.
STATO B FOBIA DEL REGNO DI NAPOLI. CAP. XXII. 177

occupato il commercio che non ne possiamo avere una parte e quella che ci con
viene. Fate che si abbia la preferenza nel corso, e vedrete che vi ancora molto
da Ture. Perch quel che si dice del sito troppo puerile da impegnarci a rispon
dere. Ogni paese che ha mare sempre in mezzo al mondo. sciocchezza il
dubitarne (1).
. XXXVI. Per quel che appartiene alle ricchezze e alla fecondit delle no
stre terre, coloro i quali quindi conchiudono, che per questa cagione non possa
nel nostro regno allignare la pianta del commercio, intendono assai poco cos il
fondo del commercio come i nostri interessi. E primamente egli chiarissimo,
che non vi pu essere gran commercio e commercio utile , se non in quei paesi
dove sia grande il fondo del traffico. Or questo fondo sono l'agricoltura, i ma
teriali dell'arti e le manifatture. Dunque appunto per questo, che noi abbiamo
terra feconda e ricca di tutte le materie del commercio, siamo nel grado di averlo
bello e grande, e oltre di questo, stabile, come quello che non dipende dagli altrui
capricci ma da noi solamente e dalla nostra diligenza.
. XXXVII. Dico inoltre a coloro che parlano a questo modo, eh' essi sup
pongono che noi non abbiam bisogno di nulla; il che manifestamente falso, e
dimostra assai quanto essi sieno poco pratici de'nostri affari. Imperciocch molto
a noi bisogna delle cose forastiere , non solo per mantenere quel grado di lusso
il quale indivisibile dalla politezza di ogni nazione, ma anche per li comodi e
le nostre necessit. Credo adunque che essi non sappiano , che noi prendiamo
da' forastieri intorno a 600,000 ducali l'anno di zucchero, cannella, pepe, cacao,
caff e altre spezie e droghe, e sopra 100,000 di tabacco. A questa somma si
vuole aggiungere tutto quel che spendiamo in perle , pietre preziose e tutta la
chincaglieria, delle quali cose si fa gran consumo ogni anno per le nostre donne
e per coloro i quali vivono donnescamente. Grandissimo eziandio e pi che tutti
gli altri l'articolo delle tele, de' merletti, de' galloni, delle frange, de' drappi di
argento e di oro e di altre cose di puro lusso: n credo che sia men grande quello
delle manifatture di panno, di pelo edi seta (2;. Grande altres l'articolo delle pelli.
Aggiungasi quello de' vetri, delle porcellane e di altrettali cose. Il capo di alcuni
comestibili, siccome il cacio, il merluzzo, le aringhe, i vini forastieri, gli
olii, non disprezzabile, come quello che ci costa sopra mezzo milione. Ma dove
lasciamo l'articolo de' metalli? Egli facile il vedere quant'oro e argento si con
sumi in indorature e manifatture. L'uso del rame comune, non altrimenti che
quello dello stagno e del piombo. Il ferro e l'acciaio sono metalli di prima ne
cessit, senza dei quali non si possono aver arti. Or chi pu ignorare che di
tutti questi metalli noi siamo sfornili e non ci vengono che da' forastieri?

'l Mi rido quando leggo, che alcuni popoli Itati preteso di essere l'umbilico della terra.
Apollo Delfico, qunndo il pretendeva, non sapeva la figura de'pianeli: l'occhio che tutto
vede, secondo una frase d'Omero, ignorava la cosmografia.
(2) Cose, le quali non si comprende perch si debbano prendere daTorastieri. I Vene
ziani, avendo considerato che introducevansi nello Stato molti libri stampati fuori, donde
veniva ad indebolirsi questo capo del loro commercio, hanno con molla sapienza questi
mesi addietro ordinalo, che tutti questi libri si stampino nel paese, e che non se ne l'accia
venir da fuori salvo che i soli esemplari da stamparsi. Legge, che non si pu bastante
mente commendare. Perch non si pu per la stessa ragione estendere a tutti i paesi e ad
ogni mercanzia?
Econom. Tomo III. 12.
178 GENOVESI,

S. XXXVIII. Se adunque noi abbiamo bisogno di quanto si dimostrato,


chi stimer che senza commercio esterno si possano da noi avere e pagare tante
e s diverse cose? Io ho lasciato a bella posta l'articolo del danaro che va fuori,
o per debiti nazionali che tuttavia abbiamo, o per li diritti ecclesiastici; il quale
solo mantiene aperto uno scolo nel regno, che appena, che io mi creda, pu es
sere per veruna sorgente riturato. Per lo che se noi vogliamo ritrovare il com
penso a ci che prendiamo da' forastieri e ai nostri debiti, egli non si pu rin
venire se non che nell' estrazioni delle nostre robe. Dunque da conchiudere,
che a noi per ogni verso necessario un commercio ben inteso e ben regolato,
non gi per arricchire ma per sostenerci; non per conquistare, ma per conser
vare il nostro. La massima fondamentale di questo commercio dovrebb'essere,
lasciate uscire con la massima possibile facilit e speditezza e libert ogni der
rata e ogni manifattura interna: impedite quanto pi si pu le forastiere, che
fra noi nascono o si fanno.
PARTE SECONDA

PR OEMIO.

In sul principio di questa seconda parte della scienza economica, che volgendo
ora il decimoterzo anno per comandamento del re ho impreso a partitamente
dimostrarvi, siami lecito proemialmente dirvi, che peso d'assai pi grave sento
avermi addossato che non possono gli omeri miei sostenere, e che mai non sono
qua venuto a parlarvi con maggior sollecitudine di quel che ora mi faccia. Im
perciocch andando io per innanzi, e meglio considerando e risguardando da tutte
le parti alla presente materia, ella mi si rappresenta ogni giorno non solo pi
grande, ma pi ravviluppata ancora e pi delicata di quel che mi sembrasse dap
prima. E nel vero dopo avervi dimostrato la teoria la pi generale dell'economia,
e quella ristretta nella prima parte di queste lezioni, dovendovi ora ragionare del
pregio e valore delle cose tutte; delle prime cagioni del valore; delle cose che a
poco a poco son divenute segni e pregio di tutto quel che in commercio; e
perci della moneta, della sua forza naturale e civile, delle politiche operazioni
che la riguardano, de' rappresentanti della moneta, o sia del valore delle carte
pubbliche; de' pubblici debiti e crediti; della circolazione de' beni e de' loro se
gni, e delle cause che l'accelerano o ritardano, e con ci de' cambi, degli agi,
de' banchi; della fede pubblica; dell'interesse del danaro e sue prime cagioni;
della forza e dell'uso delle gran ricchezze rappresentative rispetto alla pubblica
felicit; e di molte altre difficili materie e intricate assai, che occupano oggi
giorno le menti e la penna de'pi gran politici d'Europa:pare a me che mi sia
forza entrare in un oceano non solo senza lidi, ma tempestoso e di spessi e pe
ricolosi scogli ripieno; conciossiach e'si convenga in molta parte di quest'opera
andare a traverso di certe popolari opinioni e radicate negli animi, opinioni figlie
non gi della natura delle cose e del vero suo aspetto, ma di fantastiche, vane,
viziose cagioni. E certo non la minor fatica e la men pericolosa per la filosofia
il volere, com' giusto, livellare le teste della moltitudine sul regolo della natura,
dal quale, spinte dalla marea del guasto costume, si sono per lunga stagione
discostate (1). Per la qual cosa, siccome i naviganti sogliono non solo quando
sciolgono dal lido, ma spesso eziandio inoltratisi nell'immensit delle acque ripe
ter le loro preghiere e i voti loro, cos io quanto pi mi veggo ad ogni ora cre
scere fra le mani la malagevolezza dell'impresa materia, tanto pi umilmente
l'aiuto di colui imploro che tutto pu, e
Che mena dritto altrui per ogni calle.

(1) Propongo qui a'nostri savi una questione nella quale io non veggo chiaro, ed : Se
un filosofo, studiando la natura delle cose e sottilmente spiandola, venga a discoprire una
verit contraria a pregiudizi pubblici e la cui ignoranza fa i popoli cattivi e miseri, e una
reit del filosofo l'averla conosciuta, della natura l'avergliela dimostrata, o del pubblico
l'ignorarla? Problema degno delle grandi anime.
180 GHNOVESl.

CAPO J.

Della prima origine e delle prime fisiche cagioni del valore e del pregio
delle cose e delle fatiche tulle.
. I. Per intendere chiaramente la natura, la forza, l'uso e gli effetti della
moneta, principale istromento d'ogni commercio e per avventura di tutta la pre
sente nostra coltura e gentilezza , delle nostre belle arti e de' nostri vizi , della
quale moneta tanto slato a' d nostri scritto e disputato da grandi uomini (1) ;
la ragion di scienza richiede che da pi rimote origini incominciamo , ed espo
niamo brevemente le prime e fsiche cagioni del valore delle cose e delle fatiche.
A questo modo si potr comprendere per quali incentivi e con qual' ordine gli
uomini, da rozzi e barbari principii di economia e politica, sieno a poco a poco
pervenuti al presente coltissimo e ordinalissimo stato di contratti e di commercio.
Si conoscer che non il caso, n la forza del governo civile, n i capricci umani,
ma bens la natura medesima ci ha portato a questo grado di comodi e di stu
diate volutt , nel quale oggigiorno ci troviamo ; e che anzi tutte le leggi civili ,
le quali risguardano i contratti , i pesi , le misure , le monete , i segni della mo
neta e finalmente tutto il commercio, sono state precedute da quegli effetti che
le cagioni fisiche avevano preparato e prodotto e oggi conservano , avvegnach
elleno al pi degli uomini siano nascoste. E ci vale affinch coloro , i quali di
queste s fatte cose ragionano o che sono proposti a governarle , possano ragio
nare non a caso e alla buona ventura, siccome si fa dai pi, n volerle menare
senza niuna regola n principio, ma con scienza e arte, perch l'utilit de' popoli
e de' sovrani medesimi, che se n'aspetta, possa esser certa; e oltre a ci, perch
si possano evitare quelle crudeli operazioni le quali a tempo de' nostri maggiori
messe in uso per tutla quasi l'Europa, non solo fecero amaramente piangere le
nazioni, ma recarono non picciol danno agli erari medesimi de' principi.
. II. Dicovi adunque che tra i popoli , ov' qualunque si traffico , queste
parole, prezzo, pregio, stima, valuta, valore, che tra noi si adoperano con molta
promiscuit, son parole di rapporto e non gi assolute, purch non si vogliano
prendere per l'intrinseca bont ed entit delle cose, secondo che costumano fare
i filosofi speculativi. Tra' popoli culti il termine prossimo, o la regola e misura
a cui si rapportano, il danaro quel che vale per danaro; ma il rimoto e ultimo,
a cui si riferiscono tutti i prezzi delle cose e con ci anche il valore del danaro,
non altro che l'uomo medesimo. Certo niuna cosa ha pregio e valore, dove non
sieno uomini e dove quella non si rapporti loro , come che sia; e le cose stesse
le quali dove sono di pochi uomini hanno piccolo e basso prezzo, n' hanno gran
dissimo e altissimo dov' copiosa popolazione. E questa una delle cagioni per
ch nelle capitali degli Stati, le quali rispettivamente alle provincie sogliono es
sere popolalissime, le medesime cose e fatiche vi hanno maggior valore che non
nelle parti distanti dalle metropoli (2).
(1) Uno de'migliori libri e de'pi ragionati su la presente teoria quello dell'ai). Ga
liano Della Moneta, Libri cinque, ebe fu gli anni addietro dedicato alla maest del re,
ora monarca delle Spagne.
f> Voi pagherete qui in Napoli un paio d'uova fresche due o tre grane, dove che nelle
VALORE E PREG1O DELLE COSE E FATICHE. CAP. 1. 181

S. III. Ma l'uomo non d altrimenti valore alle cose e alle fatiche, se non
pel bisogno che n'ha. Imperciocch se la terra fosse dieci volte pi popolata che
non ora e gli uomini d'un'altra tempra, vale a dire che per esservi con como
dit e piacere non avessero bisogno di niuna cosa di quelle che sono al di fuori
di loro, niente, n cose n fatiche, non avrebbe del pregio, ma tutto ci sarebbe
del pari indifferente. Donde nasce che i nostri bisogni sono la prima sorgente del
prezzo delle cose tutte quante, e il prezzo la potenza da soddisfare ai nostri
bisogni; ogni cosa che n'ha da noi pregiata e avuta cara e ricercata,per modo
che quelle sole non hanno valore, le quali o non hanno alcuna efficacia da sod
disfare a' nostri bisogni, o se l'hanno son tali che per l'ordine di questo mondo
mai non mancano a nessuno,siccom' per avventura l'aria, l'acqua, ecc. (1).
S. IV. I bisogni poi degli uomini si possone ridurre a tre classi,secondo che
dimostrato nella prima parte; imperciocch altri sono di pura necessit, altri
di comodit, altri di volutt, detti eziandio di lusso. Tutto quel che ci manca
peresistere costituisce la prima classe:quel che ci manca peresistere senza stento
e disagio, la seconda: quello finalmente che ci manca per poter vivere delicata
mente e distinguerci, fa la terza. Le cose necessarie per esistere son dette di prima
necessit; quelle che son necessarie per esistere comodamente, chiamansi di se
conda necessit; e quelle ultimamente, senza delle quali non possiamo distin
guerci n vivere con delicatezza, s'addomandano di lusso.
S. V. Vi sono alcuni i quali chiamano le prime due classi di bisogni, bisogni
naturali, e l'ultima bisogni d'opinione. E certo non si pu dubitare che quei
primi bisogni non provenganci dalla natura medesima, la quale nemica d'ogni
dolore; e gli ultimi dal paragone e dalla cognizione del meglio, e dalla pratica
della vita socievole e culta: ma c'inganneremmo se pensassimo, ch'essi ci muo
vano per altre molle che non son quelle de' primi; conciossiach per quelli me
desimi strumenti la natura ci spinga ad appetire le cose senza le quali non pos
siamo esistere, pe'quali c'incita a ricercare quelle onde stimiamo di potervivere
meglio. Questi strumenti sono tre naturali instinti. 1. Di esistere. 2. Di esistere
col minor possibile disagio. 5. Di volerci distinguere. Anzi alle volte non men
grande il dispiacere di non poterci distinguere, di quel che sia la fame, la sete,
il freddo e altri tali dolori. Il che si pu da ci comprendere, che in tutti i paesi
politi vi sono molti, i quali sacrificano il pi necessario, che la natura richiegga,
al lusso, con la massima, niun guarda la pancia (2).
S. VI. Perloch io stimo di potere, pi acconciamente parlando, chiamare i
primi bisogni animali, e i secondi bisogni dell'uomo; per esserci quelli comuni
colle bestie, e questi propri di essere ragionanti e calcolanti. degno che si
provincie, col medesimo prezzo n'avrete mezza dozzina, e alle volte pi; e a questo me
desimo modo i prezzi di tutto ci che ci serve vi sono tre volte e quattro pi grandi.
(1) Bench l'acqua medesima sia la cosa la pi stimata e di maggiorprezzo d'ognialtra,
dov'ella manchi. Si ceduto ai regni e alle fortezze per una tazza di acqua. Non v' dun
que valore alcuno dove non vi sono bisogni.
(2) L'illustre GiambattistaVico, uno de'fu miei maestri,uomo d'immortal fama per la
sua Scienza nuova, soleva assai lepidamente dire, che troppi vi ha che tiran le carrozze
colle budella. Notiam qui che fin tra'selvaggi vedrete molti, e principalmente delle donne,
dar le cose le pi necessarie alla loro vita per alcune nostre bagatelle, come per un so
naglio, per poche pallottoline di vetro ecc. Vi ha dappertutto de' ragazzi a gran corpi e
anche a lunghe barbe.
J82 GBK0VK8I.

consideri che i bisogni dell' ultime due classi non sono dappertutto eguali , ma
seguono la coltura dell' arti e delle nazioni. Quindi che essi sono ignoti del
tutto tra' selvaggi cacciatori (1); appena se ne conosce qualched uno tra' popoli
pastori e barbari; e un poco di pi tra' popoli coltivatori. La lor principal sede
tra' popoli culti per arti e per lettere , e ancora pi nelle monarchie che nelle
repubbliche.
. VII. Tornando ora al nostro proposito, dico come chiaro che niuna cosa
ha prezzo, se non rispettivamente a' nostri bisogni. E da qui primamente segue ,
che il valore delle co6e proporzionato alla potenza che essi hanno a soddisfare
ai nostri bisogni. Una cosa, che pu soddisfare a pi bisogni o ad un bisogno pi
volte, ha maggior prezzo, cio tenuta in pi conto, che non ha quella la
quale o non pu soddisfare che a pochi bisogni , o al medesimo qualche volta.
Inoltre una cosa atta a soddisfare al maggior bisogno si apprezza pi che quella,
la quale non atta che a soddisfare ad un minore. Finalmente le cose, che ci
soddisfano meglio e per pi lungo tempo , si valutano pi che quelle le quali ci
soddisfano meno compiutamente e per breve spazio di tempo. E questa stala la
prima e semplice ragione, la quale i popoli hanno naturalmente seguito e seguono
tuttavia di comune consenso , pi per istinto di natura che per calcoli , nel dare
del prezzo alle cose e alle fatiche che sono in commercio , cio nello stimare o
nell'averle in maggiore o minor conto (2).
. Vili. Ma questa ragione pu ben variare all'infinito per il variar de1 ter
mini. Imperciocch se scemano i bisogni , ma le cose atte a soddisfarli restano
al medesimo grado, scema proporzionatamente il prezzo, perch si valuta meno
quello di che abbiamo minor bisogno ; e per Y opposto se crescono i bisogni ,
restante la medesima la quantit di cose, cresce a proporzione il prezzo, perch
si stima sempre pi quello, il bisogno di che maggiore. l'istesso, dove le
cose crescono oltre il bisogno o cadono al di sotto. Sieno i bisogni dieci, le cose
dieci, il valore di ciascuna cosa quattro. Se i bisogni crescono a 20, forza che
il prezzo sia 8 ; e se i bisogni crescono a 30, il prezzo sar 12. Per contrario
rimanendo i bisogni 10 , se le cose crescono a 20 , il prezzo busser a 2 ; e se

(1) I Caraibi delle Antille non solo non sofTrono vesti, ma se ne ridono, come i Califomj.
1 selvaggi Brasiliani le hanno per maschere offensive della propriet dell'uomo e della na
tura. Tutti i selvaggi nudi credono che gli uomini vestiti sieno cos fallaci ne'loro discorsi,
come sono nelle persone, rappresentando altro da quel che fa la natura.
(2) I popoli senza ferro, siccome erano tutti gli Americani e son oggi quei che non
hanno alcun commercio cogli Europei, gran parte degli Africani, gli abitanti dell'Isole
Mariane e delle Filippine ecc. non soggetti agli Spagnuoli; tutti questi preferiscono un'oncia
di ferro ad una libbra di oro, essendo per essi il ferro di prima necessit. Noi prendevamo
de'rinfreschi dai selvaggi di Polavra (isola vicina di Siam e di Java) dice un Gesuita nelle
Lettere Edificanti, e volevamo pagarli con danaro: i barbari si ridevan di noi. Non fa
cevano neppur conto alcuno delk nostre manifatture- La cosa fra loro pi apprezzata,
anzi unicamente stimata il ferro, che serve a tutti gli usi della loro vita. Ecco l'orgine
del prezzo. Dunque questi selvaggi pensano pi sodamente che i popoli, la cui sostanza
sembra essere Yauri sacra fumes, metallo, che Aristotile, uomo di moltissima cognizione
e riflessione, stupiva che avesse, quasi senza niuna fsica efficacia, potuto montare alla
stima in cui salito, e aveva ragione da maravigliarsene. Un grande uomo ha detto che di
queste due opinioni, l'uomo animai feroce, l'oro la cosa pi prezzabile, la prima
figlia della tirannide, la seconda della poltroneria.
VALORE E PREGIO DKU.E COSE E FATICHE. CAP. I. 185

crescono a 40, il prezzo sar 1. Adunque il prezzo uua tal ragione, che ha ter
mini piantati dalla natura e non gi dal capriccio degli uomini.
. IX. E appresso se la qualit delle cose viene a migliorarsi, e vale a dire
diventi tale da soddisfar meglio ai nostri bisogni e recarci pi comodo e piacere,
ne cresce la stima ; e ne scema, se la qualit si deteriora. E coni noi non avremo
in quel medesimo conto il buon grano , il mediocre e il cattivo : il buono e il
cattivo vino: un istrumento fatto con molta finezza d'arte, che un rozzo: un
eccellente artista, medico, avvocato, di quel che ci facciamo de' mediocri o mal
vagi. E la ragione sempre il rapporto maggiore o minore che si fatte qualit
hanno con i nostri bisogni e piaceri.
. X. Oltre di questo , a voler computare esattamente il prezzo delle cose e
delle fatiche, non basta conoscere la sola quantit e qualit de' nostri bisogni e
delle cose e fatiche, ma ben anche la durazione dell'une e dell'altre. Conciossia-
ch v'abbia di certe cose atte a soddisfare ai nostri bisogni per pi lungo tempo,
che non sarebbero molte altre simili: dond' che noi apprezziamo pi le prime
che le seconde. E vi sono certi bisogni momentanei, certi perpetui; alcuni gra
vissimi, altri iiicn gravi. Le cose adunque sufficienti per li gravi bisogni, o du
revoli , sono da stimarsi pi che tutte l' altre. Da tutte le quali considerazioni
risulta, che il prezzo una ragione molto composta ; perch ella e diretta de' bi
sogni e della loro gravezza, diretta dell' efficacia, bont, durazione de' generi e
delle fatiche; e reciproca delle quantit d'essi generi e delle fatiche.
. XI. Di qui s'intende perch noi diamo maggior prezzo alle cose e ai lavori
di lusso, e minore alle cose e fatiche di necessit, bench g Servano pi; e ci
, perch queste ultime sono pi comunali e pi grossolane, che non son quelle
prime, trovandosi per esempio incomparabilmente pi di grano, di olio, di vino,
di lana, di telacce, e parimenti maggior numero d'agricoltori, di pastori, di tes
sitori , che non si trovano pietre preziose, perle, oro, architetti, scultori, pit
tori, ecc. (1). E qui da considerare alla gran provvidenza di Dio, il quale ha
cosi fatto il mondo e cosi ordinatolo, che gli elementi producano pi cose di
prima necessit che di comodit e di lusso. E oltre a ci ha cosi fattamente
impastata la natura degli uomini , che pi facile senza nessun paragone il fare
un buono agricoltore o artista, che un gran matematico, architetto, pittore, ecc.
. XII. Ma i prezzi delle cose e delle fatiche, che sono in commercio, so
gliono oltre di ci crescere o scemare tra' popoli politi per due altre maniere ,
che iq dir assolutamente e respeltivamenle. Crescono o scemano assolutamente
pel crescere o scemare delle tasse e de' dazi ; e questo proporzionatamente al peso
di esse tasse, di che diremo altrove. Ma perch il danaro divenuto segno e rap
presentante di tutto quel che ha valore, seguita che il prezzo delle cose e delle
fatiche possa crescere o scemare direttamente, a proporzione che cresce o scema
la quantit dell'oro e dell'argento: e questo dicesi crescere o scemare respettivo.
Quando la quantit dell'oro e dell'argento cresce, cresce eziandio il prezzo delle
cose e delle fatiche; e quando la quantit d'oro e d'argento manca, sbassa altres

(1) Per questa ragione alcune volte gli Olandesi per mantenere il prezzo della cannella
e del pepe, temendo non la troppa copia l'avvilisse, n'hanno gettato a mare una gran
quantit. La corte di Pekin e quella del Giappone hanno fatto ciecare alcune miniere-d'oro,
per mantenere il prezzo di questo metallo; e quella di Portogallo alcune miniere di dia
manti nel Brasile.
184 GKNOVKSI.

il prezzo delle cose permutabili, ma relativamente all'oro. In fatti prima della


scoperta dell'America, (mando la copia d'oro e d'argento era mollo piccola a
paragone di quella eh' oggigiorno, i prezzi di tutte le cose e di tutte le arti, e
come dicono i Francesi mano a" opera, erano bassissimi. Lo slesso s'osserva in
quelle nazioni dove la moneta circolante pochissima. Degno , che si legga
su questo articolo il signor Dutot nelle Considerazioni su le finanze e sul com
mercio.
. XIII. La ragione di questo economico mistero che molti non capiscono ,
che polendosi ogni cosa che ha prezzo permutare con ogni altra di qualche va
lore, rappresenta quell'altra. Dunque non solo i metalli ricchi son segni delle
cose e de' lavori; ma vicendevolmente le cose e i lavori sono segni dell'oro e
dell'argento. Imperciocch comn con dell'oro e con dell'argento si compra ogni
cosa e ogni fatica, cos con delle cose e con delle fatiche si compra dell'oro e
dell'argento. Di qui che, siccome quando scema la quantit delle derrate e
delle manifatture ne cresce il prezzo, e reciprocamente scema quando cresce;
cosi quando cresce la quantit de' metalli ricchi ne scema il valore, ciocch vale
a dire che una maggior porzione di questi metalli rappresentata dalla mede
sima quantit di cose e di fatiche; e reciprocamenle quando scema la quantit
dell'oro e dell'argento, ne cresce il prezzo, perch le cose e le fatiche rappresen
tano allora una minor porzione di questi metalli. Quindi che quel medesimo
zecchino, che 300 anni fa rappresentava otto tomoli di grano ed era da otto
tomoli rappresentato, a' di nostri e negli anni ordinari ne rappresenta due ed
rappresentato da due (1).
. XIV. Donde segue che, non semprech cresce il prezzo delle cose e delle
fatiche, si vuol tenere per argomento certo che manchino i generi e i lavoratori,
purch non sia un crescere di botto e repentino ; perocch questo pu accadere,
siccom' gi detto, pel crescere della quantit de' segni, o sia dell'oro e dell'ar
gento. E vicendevolmente non sempre che i prezzi delle cose son bassi, si pu
conchiudere che questo provenga da grande abbondanza che ve n' ha, potendo
nascere da mancanza di segni (2).
. XV. Finalmente d'avvertire, che sono i generi circolanti quelli per cui
cresce o scema il prezzo, e non gi i non circolanti. E di qui che l'uso e 'l di
suso, che fa circolare o arresta la circolazione, accresce o scema i prezzi; che il
medesimo fa il monopolio dei generi che nasconde, e l'avarizia che seppellisce il
danaro, ecc. Perch esservi generi, ma nascosti e seppelliti e ignoti , e seppellito
e ignoto danaro, lo stesso come se mancassero: essi non entrano pi nella
massa, che costituisce uno de' termini della ragione che si chiama valore. Il che
dove avviene, se il genere di necessit o di grande utilit pubblica, caso
dove l'autorit del sovrano debbo farsi sentire con lutto il vigore, non essendo gli

(1) L'anno 1764 ne rappresentava tra noi mezzo tomolo. Il tomolo Napoletano d'm-
torno a 48 rotoli, e ogni rotolo ire libbre men un quarto. Si conviene ebe da 500 anni
il valor dell'oro e dell'argento sbassato quasi che da cinque ad uno; se questa propor
zione corra sempre al medesimo modo, in poco pi di 400 anni questo prezzo si accoster
al zero: che dunque si far allora? Vedete qui appresso.
(2) Si noti qui che nelle grandissime abbondanze, dove non sia scolo esterno, spariscono
i segni per essere di poco uso. L'anno 1610 un carro di grano di 36 tomoli si pagava
cinque ducali. Vite de' Vicer tom. I, pag. 53. Cos sparve il danaro.
VALORE E PREGIO DELLE COSE E FATICHE. - CAP, I. 185

occultatori manco che nemici pubblici. Oltre di che ella una sorta d'ingiusti
zia, come l'ha considerato saviamente Cicerone nel terzo libro degli Uffici. Imper
ciocch diminuire dolo malo quel termine della ragione de' prezzi che la natura
ha ingrandito, e ci per porre una maliziosa ineguaglianza ne' contratti (1).
S. XVI. Si pu agevolmente di qui comprendere che i prezzi, valori, sti
me, ecc., nascendo dalla natura medesima delle cose e degli uomini, non pos
sono avere altra pi sicura regola che la voce pubblica de' popoli. Il prezzo
figlio del bisogno; or chi potrebbe saper neglio il mio bisogno ch'io medesimo?
Il bisogno d una famiglia sentito dalla famiglia, e quello d'una nazione da tutta
la nazione. Ma si vuol rapportare il bisogno della nazione ai generi; dunque niun
pu meglio rapportarlo, che chi conoscendo il bisogno per sensazione, possa co
noscere il pi dappresso ch' possibile da testimonio oculare la quantit e qualit
de'generi: e questo non si pu meglio fare che dalla nazione istessa. Dunque la
voce pubblica, ma libera, non forzata, n strangolata nella gola, , e sar sempre
la pi giusta regola dei prezzi.
S. XVII. Riduciam ora la superiore teoria in poche regole.
Regola 1. I bisogni dell'uomo sono la prima sorgente del prezzo d'ogni cosa
e d'ogni fatica.
2 Un prezzo d'un genere medesimo, come del grano, dell'olio, ecc. sempre
in ragion composta diretta de' bisogni, diretta della qualit, reciproca della
quantit d'esso genere.

(1) Dunque coloro, che nascondono il grano egli altri generi necessari alla vita per
aumentarne il prezzo, sono iniqui per la legge di natura, perfidi per la legge sociale, stolti
per le leggi di filosofica prudenza. 1 Essi fanno sparire i generi e crescerne strabocche
volmente il prezzo dolo malo; e questa iniquit in legge di natura. 2 ll patto sociale
di soccorrerci scambievolmente; senza questo patto le citt o i corpi civili sono a soprac
carico: dunque per il loro privato interesse e per la ingordigia di arricchire son perfidi.
5 Quando le ricchezze d'una nazione, cos reali che rappresentative, sono venute in mano
di pochi, lasciando tutti gli altri poveri, l'uomo non potendo rinunciare alle leggi fisiche
della fame, del freddo ecc., si dar a rubare e spogliare per forza, ad ammazzare, ad in
cendiare, ecc.; e dove crescono di questi tali, i primi ad esser sacrificati son quei pochi
delle pinguissime famiglie, come vittime pi degne di s gran sacrificio. Ricordiamoci i
tumulti del secolo passato nella capitale, e la dilapidazione de'banditi nelle provincie. Son
dunque stolti quei che arricchiscono soverchio, e per modi manifestamente empi, iniqui,
odiosi. La pena dell'ingiustizia sarebbe quella del taglione; della perfidia, un perpetuo
ostracismo: chi non sa esser cittadino vuolsi mandar fuori della citt. Della stoltezza
prende bastantemente cura il corso stesso del mondo, il quale non possibile di burlare.
I figli, i nipoti, ecc., poich il costume disciolto, vengono subito a restituire al pub
blico il mal tolto de'loro maggiori. possibile che i tanti esempi, che se ne veggono tut
tod, non iscuotano cotesti sanguivori animali? Noi diciam male de'barbari, nello stordi
mento in cui siamo pel nostro immenso lusso; nondimeno vi ha de'pi selvaggi, che ci
potrebbero dar lezione di giustizia, di costume e di felicit. Tra gli Apalaschiti, popolo
dell'America Settentrionale, al Settentrione della Florida e all'Occidente delle montagne
della Virginia, non vi ha metalli, non vi si conosce propriet di fondi: vi si coltiva con
i legni, colle pietre e in comune: si ricoglie in comune: si deposita il ricolto in pubblici
magazzini: si distribuisce alle famiglie nelle lune nuove e piene, e a proporzione de'biso
gni. La caccia propria; ma non si mangia mai che con farne parte ai vicini. Non vi si
vede n furto, n rapina, n frodi, n liti, n avarizia, n ambizione: non adulterj, non
seduzioni: poche risse e senza sangue: rarissimi omicidi. Vi si vive al di l di 100 anni,
e sempre tra cuori lieti, festevoli, aperti, candidi. Histoire Naturelle et Morale des Antilles,
in 4, Roterdam, lib, II, cap. 8, p. 55 e sec.
186 GENOVESI.
3a II prezzo d' un genere riguardo ad un altro, come dell'oro all'argento, del
grano al maiz , ecc. nella medesima ragione.
4a L'uso e'1 disuso delle cose, che sono in commercio, accresce o scema il
consumo di quelle, e perci ne accresce o scema il bisogno; d' ond' che ne
cresce o scema il prezzo. Questa la ragione perch l'ambra, che ne'secoli pas
sati s'apprezzava tanto, oggi s'abbia in niuu conto. 11 lusso dunque di cose e di
manifatture aumenta i bisogni (1).
5" Dove cresce la quantit de' segni o sia del danaro, cresce proporzionata
mente il prezzo relativo delle cose e de'lavori, e per l'opposto dove scema questa
quantit di segni , scema il prezzo relativo delle cose e de' lavori.
6" I prezzi, che crescono o scemano per le cagioni dette e con la detta pro
porzione, sempre crescono o scemano con giustizia; perch crescendo o scemando
per avere cagioni naturali, crescono o scemano concordemente alla natura e al
di lei corso, e con ci ai diritti di ciascuno. Ma se i termini di questa propor
zione spariscono per altrui frode , il prezzo cresce con ingiustizia.
7" La voce pubblica purch sia libera, sempre regola certa della vera quan
tit dei prezzi; perch ella nasce dall'opinione e stima comune delle cose e de'
circolanti : e la comune opinione e slima , in materie che si veggono e toccano
da lutti , sempre vera o prossima al vero.
Sa II prezzo delle cose particolari d'una nazione si dee sempre definire per la
pubblica voce d'essa nazione, purch non vi siano argomenti da sospettare mo*
nopolio o frode.
9a II prezzo delle cose comuni a tutte , o alla pi parte delle nazioni, si dee
definire per la voce comune di esse nazioni. Cos l'oro e l'argento in Europa ha
quel prezzo, in cui si conviene per la pubblica e comune voce, di Europa.
10. Nascendo i prezzi da ragioni e proporzioni fisiche indipendenti dagli uo
mini , niuna legge umana potrebbe farli crescere o scemar senza violentar la na
tura, cio i termini di queste proporzioni. La sola maniera giusta da far crescere
un prezzo, che essendo basso nuoce, quella di agevolare l'estrazione del genere
per minorarne la copia; e quella di farlo scemare, perch non rovini la moltitu
dine con arricchir pochi , di aumentar la copia de' generi. Nella carestia del
l' anno scorso 1766 di Toscana questa stata l'arie di quel prudentisslmo e
umanissimo duca. Volerlo ottenere per assise, opera pel contrario; perch acuisce
la cupidigia, muove il dispetto e fa seppellire i generi (2).
11. Potendo la malvagit di taluni indurre in certi generi 11 monopollo, e far
si che la natura non ispieghl le sue vere proporzioni, la legge umana dee a ci

(1) Ho detto lusso di cose; perch vi un lusso di persone, ed quello di moltiplicare


il numero de'domestici. Questo lusso, per dirla qui di passaggio, il peggiore de'lusni.
Quasi tutta la gente di servizio delle grandi e ricche famiglie tolta alle arti, o creatrici o
miglioratrici. Dunque fa due mali : \" Scema la rendila pubblica. 2" Accresce la pesa.
(2) Caso, che si legge avvenuto frequentissimamente nella storia. Vedi La Slare, la Po
lizia di Parigi. N'abbiamo un esempio tra noi fresco l'anno 1764. Osserviamo qui che
ne'casi ordinari del corpo civile, giusto che si lasci alla diligenza di ciascuna famiglia
la cura di provvedere ai suoi bisogni; ma nelle pubbliche tempeste tutti i dritti privati
per un essenzial dritto di sovranit vengono tra le mani del principe, colla legge dittatoria,
videal ne quid Respublica detrimenti capiat. Nelle tempeste di mare non si ascolta che
il piloto.
VALORE E PREGIO DELLE COSE E FATICHE. CAP. II. 187

invigilare e punire severamente questa sorta di pubblica ingiustizia , siccome


contro ai diritti perfetti del genere umano, a custodire e difendere i quali si sono
le leggi civili stabilite.

CAPO II .

Dell'origine della moneta.

. I. In tulli i contratti di permuta estimatoria, i quali ogni giorno interven


gono fra gli uomini, l'intenzione di chi d di ricever sempre l'eguale a quel che
d. Quest'eguaglianza tra quel che si d e quel che si riceve, siano cose e cose,
siano fatiche e fatiche, siano cose e fatiche, quella che costituisce la giustizia
decontratti. Ogni anche minima disuguaglianza sempre un'ingiustizia, perch
occupazione d' una parte degli altrui diritti (1).
Jy II. Ora l'uguaglianza tra quel che si d e quel che si riceve non si rinviene
sempre nell'egualit de' numeri, u de' pesi, n delle misure, d'ond' che si
cerca quella del valore ossia prezzo. Egli assai chiaro che le cose per altro eguali
in numero, o in misura, o in peso, possono tuttavolta non egualmente servire ai
nostri bisogni e perci avere disuguale stima e valore. Certo 100 pecore, ancor
ch siano eguali in numero a 100 vacche, non per questo sono eguali in prezzo;
e parimenti una canna di drappo fino, bench sia eguale in misura ad una canna
di telaccia, e una libbra d'oro eguale in peso ad una d'argento, nondimeno non
sono eguali in valore, Adunque la sola egualit de' prezzi quella che fa la giu
stizia de' contratti.
$. HI. Di qui che per trovare questa egualit si vuol prima fissare il prezzo
dei generi delle cose e delle fatiche, secondo le regole dimostrate nell'antecedente
capitolo; e appresso, prendendo questi prezzi per assoluti, l'uguaglianza nelle
permute e ne' contratti s'avr in questo modo, cio facendo che stia la quantit
di quel che d alla quantit di quel che ricevo in ragion reciproca del valore dei
loro generi: verbigrazia dando lo un'oncia d'oro debbo ricevere tanto d'argento,
sicch stia la quantit d'argento che ricevo alla quantit di oro che d, come il
valore del genere dell'oro a quello del genere dell'argento. Ma sta l'oro all'ar
gento In valore come 16 ad 1 , o li intorno ; dunque la quantit d' argenlo che
ricevo dee stare alla quantit d'oro che ho dato, come 16 ad 1, vale a dire che
debbo ricevere oncie 16 d' argento per 1 d' oro. Il medesimo sia detto d' ogni
altra cosa.
. IV. Quando 11 genere umano era ancora rozzo, essendo le cose e I lavori
che erano in commercio pochissimi , non era molto difficile calcolarne i rapporti
e rinvenirne 1' uguaglianza. Aggiungete che tra' rozzi e selvaggi uomini , tutti na
tura, non si guardava troppo a minuto, e si stimava eguale tutto quel ch'era del
piacere delle parti (1). Ma poich le materie del commercio crebbero col crescere

(1) Disuguaglianza e ingiustizia son parole sinonime. Vedi la Diceosina lib. I.


(2) 11 che vedessi tuttavia tra i presenti popoli selvaggi non ancora addottrinati da noi
188 GNOVESI.

de'comodi e del lusso, e tanti nacquero generi di cose e d'arti nelle culte nazioni
quanti sappiamo, questo calcolo divenne intricatissimo, e le tante diverse permute
delle cose circolanti e dei lavori dell'arti resero il commercio difficilissimo e len
tissimo. A poterlo agevolare e renderlo pi scorrevole venne l'aritmetica, e pian
piano ridusse tutti i generi e tutte le fatiche ad una sola misura e ad un prezzo
comune (1). Quelle cose, che acquistarono la natura di segno comune de' prezzi,
furon dette prezzo eminente (2).
S. V. Egli il vero che la moneta ha seco portato dell'altre difficolt, le quali
prima non erano. Imperciocch essendo le monete, delle quali ordinariamente le
nazioni si servono, altre d'oro, altre d'argento e altre di pi vili metalli; e oltre
a ci altre di maggiore, altre di minor peso, cos per la quantit della materia,
come per rapporto al valor numerario ossia al conteggio; e finalmente altre di
maggiore, altre di minor finezza: non certamente piccolo imbarazzo il ridurle
ad una perfetta eguaglianza. Niente di meno, come quest'operazione si fa prima
in grande o dal governo, o da altri uomini intelligenti e pratici e quindi passa al
minuto traffico, ella non pu imbarazzare la moltitudine, la quale trova bella e
fatta la regola della quale si dee servire nel commercio.
S. VI. Ma prima che ci si facesse, cio prima che si stampasse la moneta,
avevano gi gli uomini e tutta la societ de'mercatanti dato all'oro e all'argento
un valore, il quale a poco a poco per uno insensibile progresso divenne universale
per quelle cagioni che qui appresso diremo (3). Si vedeva adunque chiaro, che
poich l'oro e l'argento eran divenuti un prezzo universale, la moneta di questi
metalli avrebbe in s unito i prezzi e i bisogni d'ogni cosa; per modo che inten
dendosi la ragione del danaro con un sol genere, si sarebbe facilmente potuto
derivarne i prezzi di tutte l'altre cose. Il valore dunque del danaro fondato su
quello de'metalli ed da quello inseparabile. Se l'oro venisse a perdere il suo

altri Europei. Danno tutto quel che volete per un coltellino, per un pezzo di ferro, per
poche pallottole di cristallo, ecc.
(1)Alcunivi parlano di questo consenso de'popoli in un prezzo eminente, come sefosse
stato convenuto in un Concilio Ecumenico delle nazioni. Vedete Locke Su la Moneta.
Niente pi falso. Esso fu un effetto necessario della natura e del tempo, come sono
tuttigli altri usi del genere umano,vestire, abitare, utensili di cucina, generi di armi,
istrumenti di arti, ecc.
(2) Ne'primi tempi di Grecia i bestiami eran tutti olbia, tutte le ricchezze per cui l'uomo
credesi di poter vivere beato; poi l'olbia fu il solo danaro, come quello che si reput
contenertutto. Cos ai Latini la pecunia, da pecus, furono prima gli animali, poi la mo
neta. Noteremo qui di passaggio, che quelle medesime cagioni fisiche che moltiplicarono
i generi permutabili, e introdussero il prezzo comune eminente o il valor de'segni, fu
rono quelle stesse che crearono l'aritmetica astratta, la quale svilupp la ragione umana
efece di quei semi-uomini de'selvaggi uomini perfetti. provato per la storia, che queste
parole selvaggio e uomo senza aritmetica astratta sono espressioni reciproche. Una na
zione adunque pi o meno d'uomini in ragion diretta della scienza de'numeri. I Gesuiti
del Paraguai hanno, dicesi, delle scuole in ogni missione, dove ragazzi e ragazze, tutti
apprendono il leggere, lo scrivere, l'aritmetica. Vogliono dunque fare una nazione intie
ramente d'uomini. Fra noi vi sono corpi intieri di frati che studiano molto, e non vi sa
prebbero dire quanto fosse un quadrato o un cubo d'un'unit: e questo significa che sono
dotti selvaggi. Or non si pu trattare nessuna scienza morale n civile senza aritmetica.
5) Questo valore era la potenza per soddisfare ai bisogni di lusso.
OKIGIM. DELLA MONETA. CaP. Il, 189

valore, come io non dubito che debba perderlo se si continua a scavarne (1), chi
non vede che non vi sarebbe pi moneta d' oro?
. VII. So bene che vi sono taluni, i quali dicono che il valore della mo
neta puramente arbitrario e non altrimenti intrinseco. Questa opinione, ben
ch manifestamente falsa e pericolosa, slata nondimeno lungo tempo se
guitala non solo dalla non dotta moltitudine, ma da alcuni savi altres. Si
ignorantemente citato Aristotele, come se nel 1 libro della Politica l'avesse ap
provata (2). Ma certo che di tal sentimento sono stati alcuni Stoici. E perch
la maggior parte de' giureconsulti romani furono di questa setta, una s danne-
vole opinione trapass nel corpo delle leggi civili e quasi in tulli i giureconsulti.
Veggasi il titolo del codice de Veteris Numismalis polestate, e Perizonio nell'e
rudita Dissertazione De cere gravi.
. Vili. E di qui avvenne, che in certi tempi i sovrani se ne servirono non
senza rovina del commercio e dello Stato e tumulto dei popoli. celebre nella
storia Spagnuola l'agitazione che dest in tutta la Spagna Alfonso X detto il
Savio il 1251, per aver indebolita la moneta credendone il valore di puro ca-

(I j 11 valore dell'argento e dell'oro, rome provato per l'usura, in 300 anni decaduto
da 14 a 3; ne'medesimi dati, quanto debb'esso decadere in 300 altri anni?
(2) Questo luogo di Aristotile, come molti altri di s insigne flosofo storpiati dalla turba
degl'ignoranti, mostra quanto si vuol diffidare delle traduzioni de'lempi o pedanteschi o
d'una chimerica metafisica, e degli inciti e indegni commentari che hanno sfregiato i pi
gran savi dell'antichit. Niun dolio uomo e pralico degli affari umani ha meglio inteso, e
pi degnamente spiegato la natura, l'origine, l'uso, gli effetti, i beni e i mali della mo
neta, la quale ha introdotto tra gli uomini un genere di ricchezze ignoto ne'lempi pi
semplici, generato de'gran poltroni, e apportato una nuova e infame capelica o arte que
stuarla, che quella di vivere di usure che non creauo ricchezze primitive, sole con
venienti alla natura umana; che anzi opprimono quei che le producono. Crescendo il
commercio tra le nazioni e dilatandosi sempre pi (dice egli lib. Ideila Politica, cap. IX
della divisione di Lambino), il trasporto de'generi permutabili diveniva diffcile e inco
modo: la moneta dunque che li rappresentasse tutti divenne necessaria, e la sua inven
zione fu conforme alla ragioni' nascente dalla necessit de'traffic.hi. Questi popoli adunque
a poco a poco convennero di dare e ricevere per segno delle cose mercatabili qualche ge
nere che losse anch'esso utile, e indipendentemente dall'uso di moneta n'avesse qualche
altro per riguardo alla nostra vita, e oltre a ci fosse maneggiabile e di facile trasporto.
Voi qui potrete veder di leggieri che quello scegliere, che dice questo acuto filosofo,
la moneta traile cose per altro utili e di servigio per la vita, d prezzo intrinseco della
moneta; perch, che si vuol dire altro il prezzo intrinseco, se non un rapporto di utilit
che le cose hanno con i nostri bisogni? dunque un'ignoranza il fargli dire, la moneta
non ha pregio naturale e intrinseco. Ma egli vien poi a tassare la slolidezza di coloro, i
quali credono che l'esser danaroso sia l'istesso che l'essere nel grado di non aver bisogno
di niente. Perch essendo il danaro segno di quel che ci bisogna per vivere, dove son
generi ha senza dubbio grande efficacia, ma pu alle volte avvenire ch'esso sia vano e
ridicolo, e ch'uno si muoia di bisogno, come Mida, in mezzo alle pi copiose sue ric
chezze di segno; e ci sarebbe dove non fossero ricchezze primitive o generi necessari e
utili; il che mostra che il danaro non la vera e soda ricchezza, e che in questi casi
ella di niuna naturale efficacia e senza alcun pregio {numisma): perch, non un as
surdo il dire, io son ricchissimo in danaro e mi muoio pel bisogno? Ne'quali casi potrebbe
altri stimare che la moneta non avesse altra forza che di regolare i contratti, come legge
di misura (perch questo qui il nomos), e che per natura fosse un nulla. Il che ve
rissimo ne'casi di mancanza de'generi. Ma pruova questo la tesi che gl'interpreti ascri
vono a questo gran politico, che tutta la forza del danaro non che di consuetudine e di
legge civile? una calunnia che gli si fa per ignoranza e per poltroneria.
190 GKNOVESI.

priccio (1): nel Portogallo il malo che vi cagion Ferdinando figlio di Pietro il
Giusto il 1570, avendo per simile principio elevato il valor numerario (2): in
Sicilia e in tutta Italia l'incaglio del commercio per averne Rugiero II, primo re
delle Sicilie, coniato la moneta d'argento di basso carato: in Francia il fatto del
re Filippo di Valois, detto comunemente Filippo il Bello, il quale, per essersi nel
1546 servito di questa dottrina de' giureconsulti, dest in Parigi una non leggiera
commozione (3). Taciamo simili casi e pi vicini. Io so che Solone si servi di
un simile ritrovato per iscaricare la plebe indebitata , senza por mano a' rimedi
pi forti) imperciocch, secondoch narra Plutarco nella di lui Vita, ordin che
la mina la quale valeva 75 dramme si pagasse per 100. Ma le circostante in cui
si trovava allora la repubblica Ateniese richiedevano un si fatto attentato, per
cui la gente nobile e danarosa veniva a sottrarsi da una legge agraria che era
sollecitata dal popolo. Fu dunque una transazione momentanea, come mostreremo
qui appresso, fatta pel minor de' mali e in una repubblica che non ancora aveva
n gran commercio n molti rapporti.
. IX. Per far vedere la falsit della sopra accennata dottrina, e dimostrare,
che la moneta ha prezzo intrinseco siccome ogn' altra cosa che ci serve, e perci
cos regolato per naturali proporzioni come il pregio di tutti gli altri generi , fa
mestieri che incominciamo dal suo principio, e veggiamo la prima origine del
valore de' materiali onde formansi le monete. A questo modo si comprender
manifestamente, che non pu la legge civile dare alla moneta quel valore che le
place , ma le debbe dare quello che risponde al suo pregio intrinseco o al suo
valore assoluto; e che facendo altrimenti , toglie le monete al commercio e arre
sta ogni traffico , non diversamente eh' ella toglie i generi al commercio , se
loro d per assisa un soverchiamente maggiore o minore prezzo , che non
porta la ragione della loro quantit e bont con i nostri bisogni, la qual sola
fissa 1 prezzi.
$. X. I primi uomini delle nazioni che ora sono in terra culte e famose, me
nando una vita semplice e naturale, non conoscevano altra sorta di commercio,
salvo che quella la quale si fa permutando (4). Quindi che Aristotele nel luogo
diansi citato chiama questa specie di traffico naturale, perch stata la prima
che la natura istessa insegn agli uomini. altres verisimile , che in quei primi
tempi delle nazioni non si adoperassero permute estimatorie ma semplici solamente,
le quali sono una sorta di scambievoli donazioni; perciocch il veggiamo pare
oggi In pratica tra i selvaggi d'ambedue 1 continenti. Ma poi ragionevole che
crediamo, che da che gli uomini cominciarono a far pi traffico e con pi e di
versi popoli, cominciassero eziandio ad accorgersi, che non tutte le cose sono atte
a soddisfare o eguali bisogni o i medesimi egualmente: pel quale accorgimento si
movessero a dare maggior pregio ad alcune che ad altre (5).
. XI. In questi tempi cos antichi non v'era ancora cosa alcuna che servisse

(1) Chronica del Hey D. Alfonso el Sabra, ecc.


(> St. Univ. Parte moderna, tom. 83, pag. 60.
(5) Leggasi il signor Melon nel Saggio Politico sul commercio, capitolo l, e il suo a-
versario il signor Dutot nelle su Rillessioni politiche sul Commerci e le Finanze.
(4) Anche oggigiorno il commercio in pi che tre quarti delle aiioi si fa che
permutando.
(.*>) Vedasi la Storia de'Caraiui citata di sepra.
ORIGINE DELLA MONETA. CAP. II. 191

di rappreseli lante di tutte l'altre, siccome non v' tuttavia tra le presenti nazioni
selvaggie, le quali non hanno traffico nessuno con< i popoli culti. A poco a poco
fra i nomadi, cio tra'pastori erranti, si cominci ad adoperare alcuni animali in
vece di moneta, come pecore, buoi, camelli ecc., conciossiach fossero d' un uso
pi generale. Quindi leggiamo nel Pentateuco, che alcuni poderi si valutavano
tante o tante pecore, e in Omero tanti buoi. Quest' tuttavia la moneta degli Ot-
tentoli verso il Capo di Buona Speranza. Anzi dopo inventata la moneta gli
Ebrei, i Fenici, i Greci, i Romani per non perderne, cred'io, la memoria, vi im
pressero le imagini di s fatti animali, come pu vedersi ancora in alcune antiche
monete greche e latine. di qui nacque che i Romani chiamarono la moneta
Pecuniam e'1 patrimonio Peculium, parole proprie quando tutto il loro avere era,
come oggi tra' Tartari vagabondi e tra gli Arabi, bestiame; ma poi metaforiche,
essendo venuta la moneta ad occuparne ia propriet.
. XII. All'arte di pascere gli animali segu l'agricoltura. I popoli agricoltori
si servirono cosi degli anzidetti animali, come delle derrate pi comuni in iscarn-
bio di moneta. Anche oggigiorno in alcuni luoghi dell'Indie Orientali il maiz,
che noi chiamiamo grano d' India , serve di moneta : in molti altri , come nel
Messico, le noci di cacao (1). G' Inglesi in tutta l'Affrica usano il tabacco in vece
di moneta, e gli Olandesi la cannella in tutto l'Oriente. Vi chi ha stimato che '1
primo oro del mondo rozzo e selvaggio sia stato il grano (2).
g. XIII. Ma poich si trov la metallurgica, il rame e'1 ferro, metalli di prima
necessit per la guerra e per le arti , divennero rappresentanti delle cobo (5). Le
monete di Sparta furono per lungo tempo di ferro e quelle dell'antica Roma di
rame rozzo e informe, detto perci ces grave. E quindi che in lingua latina aes
prendesi per danaro, come calchos ne' primi tempi Greci, e ne'posteriori orgiro,
argentoni in Roma, e oggi argent in Francia. Gli Americani, non avendo ancora
conoscenza del ferro, il cambiavano a peso di oro, siccome metallo pi necessa
rio all' uso della vita che non l'oro e l'argento. I Peruani , bench ricchi d'oro,
non si trov per che se ne servissero per moneta , come nessun popolo ameri
cano; l'usavano solo per ornamento de' tempi e delle persone. Dove si vede, che
la prima potenza che ebbe l'oro fu quella di soddisfare al lusso.

(1) Nell'isola di Java vi una moneta immaginaria e di conteggio, detta caxm. Mille
caxas vi vagliono tre soldi e nove danari olandesi : Viaggi della Compagnia tom. I. Questi
caxas verisimilmente erano granelli di pepe prima che vi si conoscesse altra moneta.
(2) Vico nella Scienza nuova. Ma il grano e ogni coltura si trova non esser nota a niuu
popolo selvaggio; dunque un'immaginazione.
(3) Tutte l'armi nell'Iliade d'Omero sono di rame e di ferro. La stima di questi quattro
metalli, oro, argento, rame e ferro, andava quasi del pari. Erodoto scrive che tra gli
Etiopi del suo tempo il rame era valutato assai pi che l'oro; il che egli per ignoranza
della natura de' prezzi ascrive alla gran copia d'oro, perch si doveva attribuire al mag
gior utile. In tutta l'Africa meridionale, quando i nostri cominciarono a navigarvi, l'oro
vi aveva quasi niuna stima, perch non era di niun uso a quei selvaggi. Essi non l'hanno
avuto in conto, che dopo che han veduto che noi ne siamo ghiotti. I primi popoli di
America scoperti da Colombo, Vespucci, Ojeda, Pinson ecc. non avevan l'oro ehe in
conto di bagateile per ornarsene; e vennero poi a stimarlo, come conobbero che gli Eu
ropei davan tutto per aver dell'oro. Come i Californj non pescavano le madreperle ehe
per mangiar la carne di questo pesce; dopo che videro gli Spagnuoli esser affamati dal
l'avidit delle perle, cominciarono ad averle in islirna. Questa medesima avidit d il
prezzo ad una infinit di cose inutili e accresce quello delle utili.
192 GKROVUSI.

$. XIV. Dunque gli usi di volutt e di lusso diedero prezzo a quei corpi bril
lanti e durevoli, i quali o si raccoglievano nei fiumi, o si manifestavano negl'in
cendi de' boschi , o cavando la lerra loro si presentavano per fortuna. Il primo
uso dell'oro e dell'argento non fu differente da quel che oggi si fa de' diamanti ,
delle perle, dell'ambra, de' coralli, cio quello di adornarne i tempi o le persone
0 le cose. tuttavia l'uso che ne fanno la maggior parte dell'interne nazioni
dell'Africa. Quest' uso che ben presto divenne comune alle nazioni molli, princi
palmente per la vanit donnesca, gener e aument ogni giorno il bisogno di que
sti metalli. E perch i bisogni sono la vera sorgente del valore che si chiama
intrinseco, seguita che questi metalli hanno cos prezzo intrinseco come tutte le
altre cose, e l'avranno finch essi possono servire di mercanzia di lusso. Egli il
vero che i bisogni , su quali fondalo il lor valore, non sono de'primi nella nostra
natura; pur nondimeno s'inganna chi crede, che ci solletichino meno di que'primi.
Ma di ci detto nel primo capitolo.
. XV. Poich dunque di tutte le cose, le quali da lungo tempo furono tra
le nazioni trafficanti slimate degnissime d'esser possedute, niuna fu che come per
occulta magia ottenesse maggior prezzo e pi universale, quanto l'oro e l'argento,
per cui avere gli uomini cambiavano ogni altro genere di cose, questi metalli a
poco a poco essi soli divennero il prezzo eminente d'ogni cosa stimabile e come
l' ultimo oggetto della nostra attivit. Sul principio non furono che misure arbi
trarie; perciocch si davano senza nessun peso ma ad occhio, non altrimenti che
ne'tempi a noi vicini i primi traffichi del ferro fatti dagli Europei nell'Africa Oc
cidentale e nell'America. Ma pian piano i popoli cominciarono a conoscere meglio
le proporzioni delle cose con i noslri bisogni o fra di loro. Questa cognizione diede
termini meno vaghi e meno incerti a'prezzi de' metalli e delle cose, e introdusse
perci i pesi e le misure.
. XVI. Di qui si vede che il primo valore dell'oro e dell'argento debba aver
cominciato con l'uso di superstizione o di vanit, e poi esser cresciuto per gii usi
del commercio. I popoli, presso a' quali questi metalli nascono, incominciarono
ad introdurne l'uso: I uso produsse il bisogno: il bisogno loro diede il prezzo che
or si chiama intrinseco. In questo senso vero , che il primo valore de' metalli
ricchi fu non altrimenti fantastico che quello del tabacco, come non necessario
alla vita (1). Ma essendo un tal uso e pregio di mano in mano trasportato a molte
nazioni, l'uso vi avvezz tutti: il bisogno divenne universale e universale il prezzo.
1 mercanti, i quali in questi affari son sempre i pi chiaroveggenti, cominciarono
per privato interesse a permutare studiosamente ogn'altra cosa con oro ed argento.

() La moneta degli Etiopi, che serve a'minnti contratti e nell'interno di quell'imperio,


il sale. V'ha nell'Etiopia delle gran pianure coperte di strali di sale, che sono un corpo
demaniale. Si tagliano in grandi parallelepipedi, e questi in minori che si distribuiscono
alle famiglie, o a engion de'soldi o per permute. I minori parallelepipedi si tagliano ancora
in pi piccoli e di diverso peso. A questo modo si hanno grandi e piccole monete. L'E
tiopia essendo un paese caldissimo, il sale vi di preciso bisogno per gli usi domestici,
e questo vi costituisce il prezzo intrinseco della moneta. L'oro, l'argento, le perle, le
pietre preziose v'hanno il lor valore, ma come mercanzie non come monete. Dunque di
tutti i popoli gli Etiopi ban pensato il pi saviamente sul monetaggio, avendo scelto un
genere di materia necessarissimo alla vita; e senza paura di perdere il valore per so
verchia abbondanza, cavandosene sempre a proporzione che se ne consuma. Vedi il
Viaggio dei medico Francese Poncet.
0R1U1MK DBU.A tlUNBTA. CAP. II. 193

Questa cupidit e ricerca ne accrebbe anche pi il prezzo, e pose iu piedi una


nuova sorta di ricchezze ignota a' primi popoli e oggigiorno a'selvaggi (1).
$. XVII. Avendo l'oro e l'argento, nel modo che detto, acquistato grandis
simo pregio, quindi nacque la diligenza in custodirlo e il timore di non essere
ingannato nel permutarlo. Ed ecco perch s'incominci ad usare il peso. Ma a
misura che ne crebbe il valore e l' avidit, crebbero eziandio le frodi, mischian
dosi spesso metalli di minor prezzo con i ricchi. I sovrani adunque, custodi dei
diritti dei sottoposti popoli e vindici dei delitti, stimarono di doverlo severamente
proibire. Ma affinch cautelassero i popoli si determinarono a dover mettere il
loro impronto, siccome un attestato pubblico, a certi pezzi d'oro e d'argento di
un dato peso e d' una data finezza , e dar loro certi nomi di rapporto , perch si
sapesse da tutti il ragguaglio delle piccole monete alle grandi (2). E questa l'o
rigine della moneta e del suo valore.
. XVIII. Con che s' intende che la moneta ha tre prezzi o valori. Il primo
il valore del metallo, e questo chiamasi prezzo intrinseco. Il secondo il valore
legale ed estrinseco, che chiamasi valore numerano, rispetto a coniar con esso il
valore di certe monete o pi piccole o pi grandi. 11 terzo il valore del comodo
che altrui fa per l'uso del commercio, e questo chiamasi propriamente usura. Il
primo valore sempre una ragion composta della quantit di questi metalli reci
procamente, e direttamente de' bisogni che se n' ha. Il secondo segue d'appresso
al valore intrinseco, salvo se la ragion di Stato non richiegga altrimenti. 11 terzo
finalmente anch'esso in ragion composta, reciproca della quantit di moneta- e
diretta del commercio o del bisogno per l'uso. Cosi un'oncia d'oro ha di valore
intrinseco ducati 15 1[2: un'oncia napoletana (moneta) nel conto rappresenta sei
ducati d'argento (moneta): un ducato dieci carlini: un carlino dieci grana, ecc.
Cento ducati danno tre o quattro di rendita ciascun anno. Il primo dicesi valore
intrinseco: il secondo numerario: il terzo usura, o (parola meno odiosa)
interesse.

CAPO III.

Della natura e della vera forza della moneta.

. I. Gli scrittori del commercio e di politica non s' accordano bene fra loro
su la definizione della moneta. Tant' difficile ridurre a'ioro principii scientifici le
cose anco le pi triviali e le pi comuni! V ha di coloro i quali definiscono la
moneta , essere una misura comune o piuttosto un istromento da misurare i va
lori di tutte le cose che sono in commercio. Questa pare che sia l' idea che ne

(1) Ha poich questo prezzo fantastico divenuto utile a tutto l'imperio del mondo
trafficante, non pi dipendente dall'opinione di un sol popolo, e questo vuol dire che
il valor dell'oro e dell'argento cresce nelle nazioni polite.
(2) La. necessit di farne di vario peso e valore venne dalla natura de'traffichi: si traf
fica in grosso, in piccolo, in minuto, e vi doveva essere della moneta acconcia alla facilit
di-I conleggio, come nell'aritmetica uait, decine, centinaia, migliaia, ecc.
Eronotn. Tomo III. 13.
94 GENOVESI.

concep il signor Locke nelle sue Lettere su la moneta, il quale gli anni addietro
fu tradotto in italiano e impresso in Firenze, in due tomi in quarto, con dotte
annotazioni del volgarizzatore. Altri la definiscono essere un prezzo eminente di
tutte le cose permutabili. Cos gli scrittori del Jus naturale e civile, e fra questi
il famoso Eineccio. Il signor Melon nel suo Saggio Politico sul Commercio e il
signor Forbonnais autore degli Elementi del commercio, dopo Aristotele, la chia
nano mallevadore di tutti i nostri bisogni. Finalmente l'autore dell'opera illustre
dello spirito delle Leggi, lib. xxii cap. 11, la definisce essere un segno che rap
presenta il valore di tutte le mercanzie, e ci vale a dire di tutto quel che ha
prezzo d'ond' ch'ella ricchezza, e non gi primaria e assoluta, ma secondaria
e rappresentante.
S. II. Questa diversit di parlare e di definire nata, per quel che parmi, dal
non essersi accortamente distinta la materia della moneta dall'essere specifico di
moneta. Egli indubitato, che la materia della moneta sia nello stesso tempo e
prezzo comune d'ogni cosa e perci mallevadore di quel che ci bisogna, segno
che rappresenta tutte le cose che han prezzo, com' di pers manifesto. Ma quanto
all'esser misura de'prezzi o piuttosto istrumento da misurare il valore delle cose,
non conviene che alla moneta in quanto moneta insignita d'un certo valor nu
nerario, non in quanto oro o argento. -

S. III. Se dunque si riguarda alla moneta in quanto tale, ci debb'esser


manifesto che ella fra noi si possa definire cos: un pezzo di metallo di de
terminato peso e finezza, d'un dato nome, che ha un dato valore numerario,
con pubblico impronto,per servire d'istrumento a misurare il valore di tutte le
cose e di tutte le fatiche,le quali sono in commercio. Dicesi un pezzo di metallo,
per disegnare la materia. Dicesi d'una data finezza, per esprimere che n le mo
nete d'oro ordinariamente son di puro oro, n quelle d'argento di purissimo ar
gento, ma che in esse vi sia sempre della lega d'inferior metallo. Dicesi d'un dato
nome e valor numerario, per significarne il valore estrinseco e civile. S'aggiunge
essere istrumento da misurare il prezzo, per ispiegarne il fine. Finalmente
l'avere un impronto pubblico il costitutivo specifico della moneta, il cui fine
d'assicurare i popoli, a nome del sovrano, del giusto peso e della giusta bont
della moneta.
S. IV. La moneta, siccome detto nel capitolo antecedente, ha tre valori,
uno naturale e intrinseco, l'altro civile e numerario, il terzo dell'uso e del comodo.
Questo si vuol meglio dilucidare. Il valor naturale quello del metallo, ed in
ciascuna moneta proporzionato allafinezza o sia a'carati e al peso. Per intendere
meglio la qual cosa da sapere, che nell'uso comune d'Europa una libbra d'ar
gento monetabile non contiene precisamente dodici oncie,ma undici e due denari
d'argento puro e diciotto denari di lega. Parimenti una libbra d'oro monetabile
contiene undici oncie d'oro fino e un'oncia d'argento (1). Le parti dell'oro e del
l'argento monetabile chiamansi carati. L'oro puro di 24 carati; ma le mOnete
d'oro allora diconsi comunemente perfette quando contengono 22 carati d'oro fino
e due di lega; e quelle d'argento si dicono fine se hanno undici carati e due de
nari d'argento e diciotto denari di lega, cio di rame. Tutte quelle monete, sieno
(1) Ci sarebbe a fare qualche eccezione, ma assai piccola. Perch gli ungari, gli zec
chini veneziani e alcuni antichi fiorini d'oro Toscani sono coniati senza alcuna lega.
NATURA E VERA FORZA DELI,A MIONETA, CAP. III. 195

d'oro o d'argento, le quali sono coniate secondo questa regola, diconsi monete
giuste; quelle che contengono pi carati che non sono le giuste, domandansi
monete forti; e quelle finalmente che n'hanno meno, chiamansi monete deboli.
S. V. Una delle cose pi malagevoli nella pratica del commercio e de'cambi
appunto questa, cio il conoscere la bont vera delle monete e ragguagliarle
insieme. Questo si fa con discioglierne alcune: il metodo insegnato da tutti i
chimici; ma credo, che quel di Scomberg sia il migliore. Il famoso cav. Newton,
essendo stato nel principio di questo secolo soprintendente della zecca in Londra,
fece saggiare le principali monete d'oro e d'argento le quali a quel tempo erano
in commercio in Europa, in Barbaria e in Turchia, e dimostr qual fosse il vero
valore di ciascuna. Trovasi una lista di questo saggio dietro al Trattato della
Moneta del sig. Locke di sopra menzionato. Queste operazioni sono utilissime, e
si dovrebbero fare di 25 in 25 anni almeno.
S. VI. Il valor civile e numerario quel che le d la legge. Questo, ancorch
negli antichi tempi fosse stato uguale al valor intrinseco, nondimeno divenne poi
quasi dappertutto maggiore. Imperciocch parte per la cupidigia del guadagno,
parte per le spese necessarie del monetaggio, parte per alcuni politici prin
cipi (1) nforse i pi savi (2), il valor numerario quasi in tutta Europa si fiss
ad un grado alquanto pi alto del valore intrinseco. Gran questione stata ed
tuttavia tra gli economisti, se giovi o no una tale operazione, della quale noi
diremo ampiamente fra poco.
S. VII. Egli qui da considerare quanto alla materia della moneta, che nel
presente commercio fra i popoli d'Europa, il solo argento quello che ne costi
tuisce come la sostanza e la base e una certa misura. Anzi pare che il medesimo
sia stato fra i Greci e i Latini de'tempi culti. Perocch cos gli uni come gli altri
con un medesimo vocabolo chiamavano e la moneta e l'argento; quelli Argyrion
e questi Argentum, non altrimenti che ora si facciano i Francesi, i quali colla
medesima voce Argent disegnano tanto la moneta che la di lei materia. Infatti
l'argento dappertutto la regola e la misura che si tiene nel monetaggio cosi del
l'oro come del rame, perch alle monete d'oro e di rame, si d il valore propor
zionato all'argento. Inoltre la moneta d'argento, sia di conteggio, sia reale,
quasi la sola con cui si regolano i cambi.
S. VIII. Il sig. Law nelle sue Considerazioni su la moneta e sul commercio,
ne d questa ragione, che di tutti i metalli il solo argento quello che ha otte
nuto dappertutto nelle nazioni trafficanti un medesimo valore e il conserva equa
bilmente; la qual ragione non n vera n verisimile. Altri adunque credono che
la ragione di quest'uso sia stata che la quantit d'argento, la quale ci sommi
nistrata dalla natura, sia in un certo modo mezzana fra l'abbondanza del rame e
la scarsezza dell'oro; e questo mi sembra pi ragionevole.
S. IX. Il commercio de'tempi barbari d'Europa facevasi quasi dappertutto
pel valore delle marche d'oro e d'argento, di che son piene le storie de'secoli
andati. Era la marca del peso di 8 oncie, ciascun oncia dividevasi in 8 dramme,

(1) Perch non si estraesse la moneta.


(2) Perch questo principio porta a far incagliare il traffico con i forastieri. Licurgo,
avendo abolito le monete forastiere d'oro e d'argento e indotta la moneta di ferro, ren
dette isolati e selvaggi gli Spartani: metodo che pu commendarsi in quei soli paesi, dove
si vuole abolire ogni commercio.
1% GENOVESI.

e ogni dramma d'oro in 72 grani. Una marca d'oro si valutava 65 scudi d'oro
di quel tempo ; e questi scudi chiamavansi scudi di marca. Sicch lo scudo di
marca era un'oncia d'oro meno un 1[9, equivalente presso a poco al doblone
di Spagna (1). Di tutte le presenti nazioni la sola Francia quella, nella quale si
continua tuttavia a fare uso delle marche, bench il valore numerario se ne alteri
continuamente. Imperciocch verso la fine del secolo passato la marca d'argento
si valutava lire 28: il 1729 se ne accrebbe il valore numerario a lire 59: di pre
sente si valuta lire 50.
. X. Facciamo qui una corta digressione. Il signor Dutot ha dimostrato
con calcoli chiarissimi, che Enrico IV re di Francia con 52,000,000 di lire di
rendita, quando il marco d'argento era a 24 lire, fu pi ricco che non oggi
Luigi XV con 200,000,000. La ragione , che essendo oggi in Francia il marco
d'argento a 50 lire, questi 200,000,000 vagliono poco pi di 90 del tempo di
Enrico IV. E perch i prezzi delle cose e delle fatiche da quel tempo in qua
sono cresciuti intorno a quattro volte pi per gli spessi accrescimenti del valor
numerario; seguita che questi 90,000,000 di lire appena ne vagliono 24 di
quel tempo di Enrico IV. Questo teorema dimostra che l'accrescimento del valor
numerario, dove non sia una transazione, una ricchezza in sogno. Ma tor
niamo alla nostra materia.
. XI. Nell'uso delle monete de' tempi trasandali avvenne che coniandosene
sempre delle nuove, molte delle vecchie sparirono dell'intuito; nondimeno non
si cess di conteggiare per le antiche, alle quali il pubblico era pi avvezzo. La
plebe sempre l'ultima a disvezzarsi dagli antichi usi. Queste monete adunque
non esistenti pi in natura, se non fosse ne' gabinetti de' curiosi, e delle quali si
fa non pertanto uso nel conteggio, domandansi monete ideali e di conto. Tali
sono le lire o i soldi in Francia, le lire sterline e gli scellini in Inghilterra, i
fiorini in. Olanda, gli scudi di banco e le lire in Venezia, gli scudi di camera e i
paoli in Roma, e altre altrove. Se noi qui in Napoli perdessimo la moneta delta
carlino, come abbiamo poco appresso che perduto i ducatoni, noi conteremmo
con lutto ci per carlini come contiamo per ducati. Allora i carlini e ducali sa
rebbero monete ideali.
S- XII. Nell'uso de' cambi d'aver presente nell'animo questa distinzione
di monete ideali e reali, per poter ritrovare la pari. Imperciocch essendo state
le monete posteriori ordinariamente pi deboli delle vecchie, quindi nascono due
pari, una delle monete ideali con le reali, l'altra delle monete reali di diversi
luoghi e tempi infra di loro, siccome ha saviamente avvertito il medesimo signor
Dutot.
XIII. Sarebbe difficile l'appuntare quali sieno slati i primi popoli i quali
cominciarono a batter moneta, e in qual tempo, essendo molte nazioni che vi
pretendono il primato. Ma egli sarebbe non men difficile che inutile. Lasciam
perci questa provincia agli antiquari, e veggiamo qual' la forza fisica della
moneta. L'autore dello Spirito delle leggi lib. XXI cap. 17, per farci intendere
la forza rappresentante della moneta, incomincia dalla proporzione delle masse.
Se si paragona insieme, dic'egli, tutta la massa dell'oro e dell'argento che in

(i) Veggasi il Trattatilo de' Cambi di frate Romualdo Coli stampato a Firenze nel
l'anno ir>32.
NATURA E VERA FORZA DELLA MONETA. CAP. 111. 197

terra, o in monete o in mercanzie, colla massa delle cose delle quali questi me
talli sono segui, egli certo che divisa l'una e l'altra in uno egual numero di
particelle eguali, ciascuna particella delle cose permutabili sar rappresentata da
una particella di questi metalli. Di qui seguita che come sta tutta la massa del
l'oro e dell'argento a tutta la mussa delle cose permutabili, cos dee stare ciascuna
particella di quella a ciascuna di queste, essendo tra loro le parti simili come i
tutti. Per la qual cosa data la ragione tra le masse, sar eziandio data la ra
gione tra le loro meta, le decime, le centesime, le millesime, ecc.
. XIV. Questo si pu confermare per la ragione tra l'oro e l'argento, che
sono reciprochi rappresentanti. Prima della scoperta dell'America l'oro era in
Ispagna all'argento come 1 a 10, perch non era ancora quivi capitalo l'argento
del Per. Ma essendo cresciuta poi la massa dell'argento pi che quella dell'oro,
e fattosene un calcolo fu stabilito per legge, che l'oro dovesse stare all'argento
come 1 a 16, il che fu seguito quasi in tutta Europa. Ludovico XIV re di Fran
cia f' dichiarare una nuova proporzione, cio come 1 a 15; e gl'Inglesi per le
rappresentanze di Newton, come 1 a 15 lpi. Ma nel Giappone, dove la quantit
d'oro maggiore, la ragione dell'oro all'argento vi come 1 a 8; nella Cina
come 1 a 10; nel Mogol come 1 a 1*2, nella Persia e in altri luoghi dell'Asia
che si accostano all'Europa, come 1 a 13, 1 a 14. Donde si vede che le mi
niere d'America, per la copia d'argento che somministrano, cambiano esse sole
le proporzioni tra l'oro e l'argento.
. XV. Da questa teoria seguono le seguenti proposizioni. Primo, che il
valore della moneta non dipenda maggiormente dall'arbitrio degli uomini di
quel che ne dipenda il rapporto di 1 a 10, di 1 a 15 ecc. Perch, siccome gli
uomitii non potrebbero fare che il rapporto di 1 a 10 non fosse quel che , o
fosse eguale al rapporto di 1 a 20 seuza che avessero il potere di accrescere o
scemare i termini, cosi dove data la quantit d'oro e di argeulo da una parte
e la massa delle cose permutabili dall'altra, non possono fare che e le masse fra
loro e le loro parti simili non abbiano quella ragione che hanno, purch non
accrescano o scemino qualcuna delle dette masse. Questa verit esclude, come
false o pericolose, le operazioni violente su le monete.
. XVI. La seconda proposizione , <ln: siccome il valor della moneta rispetto
alle cose non dipende dalla l'orza della legge civile e dall'arbitrio degli uomini,
ma dalla natura, cosi il valore delle cose per riguardo alla moneta non pu di
pendere dalla volont umana; pei che ambedue questi valori sono rapporti che
uascono dalle masse, e dalle loro parli simili. E certo un contradditorio il dire,
la legge civile non pu fissare a suo piacere il valore dell'oro e dell argento, cio
de' segni, ma pu ben fissare il valor delle cose significale; perch queste due
operazioni, siccome si veduto, sono indivisibili. Il dire, un tomolo di grano
vaglia tanto o tanto, non differente dal dire, vaglia tanto o tanto uno zecchino;
e il dir questo vai quanto fissare a capriccio il prezzo d'uno zecchino. Nelle bi
lance forza che si sbilanci sempre, sia che voi accresciate o scemiate il peso,
sia il contrappeso. E questa seconda proposizione esclude tutte le assise arbi
trarie, purch non fosse per un modo di dichiarazione de' rapporti.
. XVII. La terza , che dove gli uomini tentano di dare un prezzo al da
naro o alle cose, il quale non sia secondo la vera proporzione della natura,
seguiti l'una di queste due conseguenze, cio o che spariscano i generi, se il da
198 uENOVKsr.

naro si mette pi alto di quel che richieder la naturai proporzione, o che spa
risca il danaro, se si metta pi basso ; come nelle cose permutabili il prezzo pi
alto della naturai proporzione fa che si dilegui il danaro, pi basso fa sparire le
cose. Quando Luigi XIV fiss il valore dell'oro all'argento come la ad 1, spari
l'oro; ed essendosi poi fissato troppo allo, come 16 ad 1, spar l'argento. E fra
noi, essendo il 1764 fissato il prezzo del grano pi basso che non portava la
proporzione di quell'anno, subilo sprofond il grano.
. XVIII. La quarta proposizione , che i prezzi fissati da uomini particolari
sono pericolosi pel commercio. Imperciocch egli pu bene avvenire, che tali
persone o non sieno assai informate della vera proporzione che passa tra le cose
e il danaro, o che per interesse o per altra passione non ragionevole li pongano
pi alti o pi bassi che non conviene, e cos sbandiscano dal commercio o il
danaro o le cose. Perloch dove non v' motivo di temere un monopolio, questi
prezzi si vogliono lasciare alla voce pubblica e libera.
. XIX. La quinta proposizione , che sempre che cresce la quantit delle
eose permutabili, cresce eziandio il valore del danaro; e per l'opposto sempre
che scema la quantit delle cose, scema il prezzo del danaro. Perch nel primo
caso li danaro rappresenta una maggior quantit di cose, e nel secondo una mi
nore. Questa medesima la ragione, perch una libbra d'oro de' tempi nostri
vale 5 o 6 volte meno, che non valeva prima della scoperta della costa occiden
tale dell'Africa e dell'America; conciossiach ne sia scemato il prezzo a propor
zione che n' cresciuta la quantit fisica. Di qui che coloro i quali vivono di
soldo e di rendite vitalizie, bench ogni anno ricevano la medesima quantit di
danaro, come a dire il medesimo numero di scudi, nondimeno non ricevono ogni
anno il medesimo valore, ma ora pi ora meno, secondoch crescono o scemano
le cose e i metalli (1).
(d) Far qui una corta, ma, quanto mi sembra, grave riflessione. Essendo il valore
de' rappresentanti caduto a quel modo ch'i: detto, seguila che coloro i quali vivono di
soldo abbisognino , per vivere senza stento nel grado nel quale sono pel ius pubblico
delle civili societ, del sestuplo per lo meno di rappresentanti die non abbisognavano
400 anni fa, e del duplo che non faceva uopo un secolo addietro. Ritener dunque I me
desimi mestieri senza accrescere il soldo, un essere ingiusti e obbligare altrui a delle
furberie. Ho udito che molti preti e qualche frate mendicante dicano due o tre messe il
giorno: essi dunque vorrebbero per sola privata autorit metter quell'equilibrio tra i
rappresentanti e le cose rappresentate che richiede la giustizia, e in ci sono rei e degni
di castigo. Direi umilmente all'autorit pubblica: se la limosina per le messe si d pel
sostegno del prete o del frate, che le limosine di due messe si diano per una, dove quel
prete non ha sufficiente congrua n di benefizi n di patrimonio : fate il medesimo pei
frati mendicanti: Se manoan le limosine delle messe, fate che i frati possessori o servano
essi alla chiesa con non altro sostegno che le loro possessioni, o ne diano un congruo ai
frati poveri, ai poveri preti affinch servano. Ed , perch in ogni materia mi piace me
glio prevenire i delitti dove si pu, che castigarli per non aver voluto o saputo preve
nirli. Calcolo. Un prete qui in Napoli non pu vivere, e anche strettissimamente , eoo
meno di 24 o 26 grana il giorno.
Un terzo carne o pesce gr. 4
Pane . 3
Erbe e fruita :s
Vino . -2
Condimento 2
Fuoco 2
Pigione :.
Vesti e utensili di casa :t

Totale . gr. 24
199

C A PO) IV

Dell'accrescimento del valor numerario.

S. I. Intorno all'anno 1756 si riaccese in Francia tra il signor Melon e il


signor Dutot una vecchia questione intorno all'avanzamento del valor numerario
della moneta, ed , se giova a' popoli e al sovrano un s fatto accrescimento.
Supponiamo, per esempio, che tra noi, come gi la moneta dei tempi del mar
chese del Carpio s'innalz del 50 per 100, cio il carlino a 15 grana, il tar a
26, la patacca a 6 carlini e 6 grana, il ducatone a 15 carlini e 2 grana, cos il
nostro carlino si elevi di nuovo a valere 12 grana, e similmente delle altra mo
nete, che lo stesso che alzare la moneta del quinto o sia di 20 per 100: si
chiede, egli utile o no una s fatta operazione?
S. II. Il sig. Melon trovavasi avere scritto nel suoSaggio politico sul com
mercio, che bench tali cambiamenti non sieno da tentare, pel grande sconcerto
che possono apportare alla circolazione e al commercio, pure alle volte sono na
cessari per sollevare i debitori dello Stato. Imperciocch egli chiaro che se la
moneta si alzi il 20 per 100, il debitore il quale dee 1200 scudi, li pu pilgare
con 1000 della vecchia moneta. Per la qual cosa quando lo Stato fosse pieno di
debitori non potenti a pagare, e per questa ragione il commercio fosse incagliato,
il signor Melon stima che l'accrescimento del valor numerario fosse per essere
un utilissimo espediente a mettere in moto il traffico e l'industria. Infatti Solone,

Se vive con la sola limosina della messa, egli non guadagna che la met; dunque il bi
sogno o gli far dir due messe, o far qualch'altro vizioso mestiero.
Si dice, non si pu ordinare che a titolo di benefizio o di patrimonio. E vero. Ma che
prova quest'eccezione contro al fatto ? Al pi prova che si debbano obbligare i vescovi
a sostenerli, se gli hanno ordinati contro i canoni. Ma molti nostri vescovi sono nel caso
medesimo d'essere sostenuti anch'essi. Una riforma generale e una pi giusta riparti
zione de'beni ecclesiastici desiderabile : fin che non viene, io vorrei che si esaminasse
qual pu essere la giusta pena d'un prete, il quale ha detto due messe per non sapere
altrimenti vivere. Vi son certe pene che meritano di esser . . .; n io dubito che non il
sieno al tribunale di Dio. Son anche ignoranti, e per ignoranza cagione di frodi, quei
piuttosto superstiziosi che divoti che patteggiano per le messe e preferiscono coloro che
per la medesima limosina celebrano pi messe. Non intendono il gran mistero del sa
crifizio, e per essere avari fanno altri frodatori. Volete una messa? Date ad un povero
prete una limosina che sia un congruo sostegno di quel gierno.
Vorrei dire il medesimo di tutti gli uffizi pubblici e di tutti i mestieri, ne'quali sivive
di soldi o di mercede, militari, uffiziali, civili, domestici, artisti ecc. Se fossero i tempi
da poter essere aratore e ditatore, come Tito Quinzio, direi, lasciate correre : ma siam
fuori di stagione. San Tommaso d'Aquino, essendo nostro cattedratico, aveva di soldo
12 once napoletane l'anno. Ad un religioso in quei tempi era ricco soldo: ora non basta
per la pigione. Un consigliero aveva 100 once: a che possono oggi bastare, non valendo
che poco pi di 16? Nelle campagne il lavoratore ha ordinariamente oggi la stessa mer
cede di 60 anni addietro per la medesima fatica, ed soggetto a pi pesi. Ecco una
gran cagione di pubblica pezzenteria. E' si vorrebbe consideratamente pensare adun bel
detto di Lucano, lib. IlI, v. 56:
- - - - - namque asserit urbes
Sola fames, emiturque metus, cum segne potentes
Vulgus alunt. NEscir piEs EUNA TIMERE.
200 GENOVES1,

siccome accennato qui sopra, se ne serv utilmente, avendo sollevata la mina


da 75 dramme a valerne 100 (1). Fecero il medesimo i Romani diverse volte
con l'as, siccome si pu vedere in Plinio (2). Ma il signor Dutot si studia di di
mostrare, che ogni innalzamento del valor numerario oltre la giusta ragione sia
nocevole cos al sovrano come a' popoli, e che l'utilit vantata da Melon sia una
illusione.
S. III. Per esaminare la qual questione, con quella esattezza e con quell'or
dine che in materia tanto importante si dee adoperare, m'ingegner di compren
derla in poche nettissime proposizioni. La prima delle quali , che l'accrescimento
del valor numerario non giova a sollevare i debiti dello Stato che esso ha con
gli altri, o per cagion di commercio o per antiche compre. Peresempio, esso non
giova a' debiti che noi possiamo avere con Roma, Livorno, Venezia, Francia,
Inghilterra o con qualunque altro Stato. La ragione , che i forestieri non pren
dono mai le nostre monete secondo il valor numerario, ma bens secondo il peso
e la finezza. Dond' che colui, il quale dee pagare al forestiero, niuno giova
mento ritrae da questa operazione d'accrescimento. Perch se paga in contanti,
paga a peso e finezza; e se per lettere di cambio, pagher tanto pi una lettera
di cambio quanto l'alzamento del valor numerario.
S. IV. La seconda proposizione che in ogni Stato, ordinariamente par
lando e quanto al comune, la spesa di ciascuna famiglia si pu avere per eguale
al suo introito. Conciossiach, sebben vi siano taluni i quali spendono meno di
quel che guadagnano o ritraggono dalle loro rendite o dai loro traffichi, nondi
meno ve n'ha di molti altri i quali spendono molto pi di quel che hanno o gua
dagnano. Laonde a voler fare il calcolo giusto e valutare i risparmi degli uni
per gli eccessi degli altri, si pu nel giro d'un anno francamente dire, che quanto
al comune la spesa delle famiglie sia eguale al loro introito.
S. V. La terza proposizione questa, che in ogni Stato ogni creditore in
sieme debitore, e ogni debitore, creditore, non eccettuandone neppur i mendicanti
e gli accattoni. La ragione che chiunque ha dell'introito, rispetto al quale
creditore, ha eziandio dell'esito, nel che debitore: e chi debitore dee di ne
cessit aver dell'introito, rispetto al quale creditore. Niun mangia senza spen
dere, niuno spende senza avere introito, e niuno ha introito che non mangi.
S. VI. La quarta proposizione, corollario delle due antecedenti, che per
tale accrescimento lo Stato non guadagna nulla immediatamente al di dentro.
Perch essendo in esso la quantit de'debiti precisamente eguale alla quantit
de'crediti, e la spesa presso a poco uguale all'introito,seguita che quanto gua
dagna dalla parte de' debitori, altrettanto perde da quella de' creditori. Suppo
miamo adunque che i debitori sieno sollevati di un milione, manifesto che i
creditori ne perdono altrettanto. Perloch al pareggiar de' conti, lo Stato in ge
nerale (perch a questo si vuol mirare nelle operazioni politiche) non viene a
guadagnar nulla immediatamente.

(1) Si veduto nondimeno, che l'espediente preso da Solone fu dettato dalla neces
sit di non venire ad una nuova divisione di terre, caso che difficilmente trover luogo
in altri paesi.
(2) Noterei tuttavolta, che crescendo tra Romani coll'andar del tempo le ricchezze
reali e 'l traffico, e' non poteva l'antica e rozza moneta restare in quel medesimo grado
di valor numerario, in cui cra ne'vecchi tempi.
DELL'ACCREsCIMENTo DEL vALoR NUMERARio. cAP. iv. 201

S. VII. La quinta proposizione , che in ogni Stato, a tenore che cresce il


valor numerario della moneta, cresce altres il prezzo delle derrate, delle mani
fatture e delle fatiche. Imperciocch gli uomini i quali cercano ne' loro traffichi
la perfetta equalit, non cos tosto si accorgono dell'innalzamento del valor nu
merario, che anch'essi dalla parte loro si studiano di accrescere il prezzo delle
loro derrate, manifatture e fatiche e d'ogni altra cosa permutabile.
S. VIII. La sesta proposizione , che, generalmente parlando, l'accresci
mento del valor numerario non per li creditori e debitori che una transazione
del passato, la quale solleva momentaneamente quei soli debitori che si trovano
aver del contante rammassato; ma non giova a quei che il raccattano giornal
mente, n per li debitori riguardo al futuro. Che giovi a quei che hanno del
contante, manifesto. Che non giovi a' secondi, da ci chiaro, ch'essi non ne
potranno avere colle loro fatiche o derrate che secondo il nuovo valore. Questo
stesso prova, che inutile pel futuro.
S. IX. La settima proposizione , che l'accrescimento del valor numerario
non solo non giova a sovrani, generalmente parlando, ma loro nuoce. La ragione
che i sovrani sono di tutti gli altri quelli che ordinariamente spendono quanto
hanno d'introito, e qualche volta di pi. Dunque quanto loro giova nel pagare,
altrettanto nuoce nel ricevere; e in questo non guadagnano, n perdono. Ma
convenendo a' sovrani di spendere di molto al di fuori dello Stato in ambascerie,
sussidi, regali, necessit che perdano tanto nel cambio, di quanto l'alzamento
del valor numerario: il che gran perdita.
S. X. L'ultima proposizione questa, che l'aumento del valor numerario
pi nuoca che giovi allo Stato. Primamente questo accrescimento arresta per
qualche tempo l'interna circolazione, conciossiach molti vi sieno i quali sul
principio per la novit del fatto si asterranno dal trafficare, e molti si guarde
ranno dal prestar danaro. Gli artisti e i manifattori non si contenteranno delle
antiche mercedi che gli altri vorranno serbare intatte. Secondariamente i fore
stieri introdurranno gran quantit di moneta, nella quale guadagneranno l'ac
crescimento del valor numerario; e questo guadagno sar una perdita per lo
Stato. In terzo luogo,per questa medesima ragione lo Stato diventer debitore
de' forestieri, e con ci il cambio si rivolger in suo vantaggio, siccome per la
esperienza di molti anni ha dimostrato il medesimo Dutot.
S. XI. Quel ch' fin qui detto non risguarda che il valor numerario. Ma mag
giori assai sarebbero i mali d'una nazione, se si coniasse una nuova moneta pi
debole molto delle antiche e di quelle delle vicine nazioni, e non pertanto le si
desse il valor numerario delle antiche e pi forti. I. Perch la vecchia moneta
sparirebbe, con grandissimo discapito del traffico e dell'industria. II. Nascereb
bero de' gran contrasti; perch i debitori da una parte, i creditori dall'altra non
vorrebbero n quelli pagare in moneta vecchia, n questi esser pagati in nuova.
IlI. Le nazioni vicine inonderebbero lo Stato di monete deboli, guadagnando
per se medesime la lega e facendone uscire tutta la moneta vecchia. N giova
che si dica che ci si proibirebbe severamente. Imperciocch, nelle mercanzie di
poco volume e di molto valore, stato sempre impossibile l'impedire i contrab
bandi. In Portogallo proibito sotto pena di morte l'estrarre delle doble, e
nondimeno tutta l'Europa n' piena.
S. XII. Io potrei confermare queste mie proposizioni coll'esempio de' mali.
i} liBOV((.SI..

che ambedue queste operazioni economiche hanno recalo quasi a tutti i popoli
di Europa, cosi ne' secoli addietro come ne' vicini, e a questo nostro regno mas
simamente. Ma perch ve u potrebbe essere qualcuno spiacevole, lascio che gli
accorti leggitori e non ignoranti della storia di Europa nu giudichino essi mede
simi per la presente teoria.

CAPO V.

Velia moneta di caria.

$. I. Il bisogno, il timore e la grandezza del commercio introdussero piau


piano de' nuovi rappresentanti, lettere di cambio, carte o biglietti delle corti (I),
de' pubblici banchi, delle compagnie de' negozianti ecc. A questo modo si moK
liplic la quantit della moneta o sia de' segni, e il commercio divenne ogni
giorno pi facile, spedito e ampio. La fede pubblica ha potuto tanto negli animi
de' commercianti e pu tuttavia, che molti di loro vi sono, i quali in mezzo di
grandissime ricchezze spesso non veggono dell'oro e dell'argento per molti anni,
. II. Si crede che i Veneziani, per la necessit nella quale erano d'aver
danaro a voler sostenere le loro guerre, fossero stati de' primi a fondare una ca
mera di prestili, donde poi si stima essere nati i banchi d'Europa e le monete
di banco. Il Sanudo nella vita del trentesimo secondo doge di quella repubblica
narra, come nel 1171 non avendo i Veneziani modo da continuare la guerra
contro i Greci, stabilirono una camera di prestanza, nella quale le particolari
persone portavano il lor danaro, e il governo dava loro de' biglietti che lo rap
presentavano e i quali si potevano negoziare. Su questo modello fdrono poi
eretti i banchi pubblici di Genova, di Roma, di Olanda, di Parigi, di Lon
dra (2) ecc.
jj. III. Si crede che nel medesimo lempo incominciasse l'uso delle lellcre di
cambio per opera degli Ebrei. Imperciocch essendo essi in quell'et delle Cro
ciate quasi da per tutto perseguitati, con queste lettere trasportavano i loro fondi
in luoghi sicuri; ciocch essi potevano agevolmente fare, consistendo tutti i loro
beni in contante e mercanzie. Or come i biglietti de' banchi moltiplicarono il
danaro nell'interno commercio, cos le lettere di cambio il moltiplicarono nel
commercio esterno. Egli facile il conoscere come senza queste due belle inven
zioni, il commercio con tutto l'oro e l'argento sarebbe ancora poco e difficile,
rispetto alla grandezza e facilit che ha oggigiorno in Europa.
. IV. JVel principio de' gran moti del commercio europeo, vale a dire nel
principio del xv secolo, secolo di grandi novit, cominciarono anch'esse le com-

() Federico II fu il primo a dar l'esempio della moneta di carta. Essendo a campo in


Romagna il 1243 mancogli il danaro: egli impront del suo sigillo delle pergamene, che
servivano di cautele. Questo fece gridare gl'ignoranti frati. <
(2) Perch l'inventrice di quasi tutte le grandi, belle e utili cose, da mille anni jp qua,
stata sempre l'Italia.
DELLA MONETA DI CASTA. CAP. V. 205

pagnie de' negozianti, le quali divennero poi grandissime e ricchissime. In queste


compagnie si stabiliva un dato capitale; si divideva in parti eguali: e queste parti
raccoglievansi non 30I0 dai principali soci trafficanti, ma da altri ancora non
mercatanti. Queste parti eguali chiamansi azioni. Quei che comperano di queste
azioni ricevono in iscambio del lor danaro de' bullellini rappresentanti. Questi
biglietti, autorizzati dalla fede della compagnia, corrono anch'essi come danaro
e danno un nuovo grado di moto al commercio. La prima compagnia che solen
nemente si stabil in Europa, fu quella di S. Giorgio di Genova. Su questo mo
dello intorno al principio del xvii secolo fu fondata la compagnia orientale degli
Olandesi, che oggi in ricchezza e magnificenza pareggia con i sovrani. Chi vo
lesse leggerne le leggi, che sono le meglio fatte che in nessun'altra compagnia,
vegga il primo tomo de' loro Viaggi Orientali (1).
$. V. Intorno al principio del medesimo secolo ivi cominciarono in alcuni
luoghi d'Italia i monti detti di piet. In quel tempo gli Ebrei, i quali erano quasi
i soli prestatori di danaro, non prestavano che a gravissime usure, le quali alle
volte giunsero ad essere 50 e 40 per 100 Alcuni uomini amanti dell'umanit
)>er isbarbicare queste sanguinarie usure stabilirono de' luoghi privali con poco
fondo, ne' quali si prestavano le piccole somme gratuitamente e le pi grandi
con non molto interesse. Questi monti furono da prima amministrati con iscru-
polosa fedelt, siccome sono tutti i primi stabilimenti umani fatti nel fervore della
virt. Di qui avvenne che molti vi portarono in deposito il lor danaro e per si
curt ne ricevettero delle carte, le quali perci si chiamavano e si chiamano an
cora Fedi di credito. Cosi stabilironsi fra noi de' banchi privati, le cui fedi di
credito girando acquistarono a poco a poco del credito maggiore, e accrebbero
la quantit de' segni e la speditezza del commercio (2).
. VI. In Inghilterra la camera detta dello Scacchiere, che la camera
delle finanze, ne' bisogni della corte cominci a prendere del danaro ad interessa,
e per sicurt dei creditori a dar loro de' biglietti, i quali si chiamano Jtiylielti
dello Scacchiere. Questi biglietti sono molti e corrono tutti siccome monete, u
altrimenti si negoziano che si faccia de' bigliettini delle compagnie e dei negozianti;
il loro valore ora pi grande, ora meno, secondoch la corte in maggior credilo
0 minore.
$. VII. Finalmente i bisogni dello Stato introdussero le rendite vitalizie. I
sovrani incominciarono a far gran debiti, de' quali pagavano il tanto per 100.
1 capitali e le rendite non debbono durare che a vita d'uomo. Per questi debiti
si danno delle carte, le quali servono anch'esse di moneta. Si negoziano come
tutte le altre, vendendosi e comprandosi. E questo quello che significano le
gazzette di Londra, di Parigi, di Olanda, quando scrivono che le azioni sono pi
alte 0 pi basse, pi alte 0 pi basse le rendite vitalizie.
Jy Vili. Tutto questo diluvio di carte non ancora sembrato bastante a

CI) Furono da prima diverse e casuali societ di varie Provincie; ma poi s'unirono
quasi lutto in una, perch l'esperienza, che la loro moltiplicit cagionando gelosie e con
trasti le discreditava tutte.
(2) Notiamo qui che avanti il principio di queslo secolo le fedi di credito de' banchi
di Napoli non avevano quasi niun credilo nelle provlncie. Essa non n'hanno acquistato
rhe intorno a 40 anni in qua. Questo prova clic il nostro commercio, anche interno, non
era ancora che piccolissimo.
204 GENOVESI.

politici per accrescere e facilitare il commercio. Essi adunque si sono studiali


di fare ogni giorno dei nuovi progetti, de' quali non istimo dover far menzione.
Ma come il progetto del cavalier Josia Child fatto in Inghilterra, e divulgato da
lui ne' suoi Discorsi politici intorno all'anno 1669, parve e pare tuttavia singo
larissimo, siccome cosa strana il rapporter in poche parole per modo di diver
timento. Egli adunque progettava che si dovesse pubblicare una legge, per la
quale tutti coloro che comprano a credenza fossero obbligati di dare immediata
mente i biglietti di obbligazione a' loro creditori; che questi biglietti potessero da'
primi creditori darsi in pagamento ai loro, e da' secondi a' terzi ecc., con iscri
vervi per sotto o in dorso la girata. Desiderava beusi che si dichiarasse nella
legge niuno essere obbligato a pigliarli per forza. L'autore di questo progetto
credeva che con una tale legge si verrebbe ad accrescere di molto la circolazione,
e che tutti i beni de' cittadini, cosi stabili come mobili, sopra de' quali sarebbero
ipotecali questi bullettini d'obbligazione, verrebbero a girare nel commercio,
essendo ora gran parte fuori d'ogni Iranico, fconchiudeva potersi a questo modo
mirabilmente aumentare e facilitare l'industria di tulli; dove che oggi molli pro-
prielarii di stabili per non aver contanti non possono farli valere, e se ne stanno
perci con le mani alla cintola.
. IX. Questo gran progetto e contradditorio, n da si poter praticare, fu
vivamente combattuto da molti Inglesi, ma non fu meno seriamente difeso dal
l'autore. Tanto vero che ad ognuno piacciono estremamente le proprie fantasie,
bench assurde. I Trattali sul commercio di questo autore trovansi impressi in
Amsterdam l'anno 1754 tradotti dall'inglese nel francese, e dedicati al chiaris
simo dottor Lami di Fiorenza.
. X. Si disputa Ira gli economisti massimamente dopo l'infelice esito del
banco di Parigi, se il numero delle carte rappresentanti aumenti effettivamente
le ricchezze dello Stato. Al che si pu brevemente rispondere, che le carte rap
presentanti non aumentano le ricchezze della nazione per se slesse e immedia
tamente, ma bens per li loro effetti, cio perch aumentano la circolazione e
l'industria, donde nascono le vere ricchezze. Perch poi chiaro che quel danaro,
il quale circola quattro volle in un anno medesimo, produce un effetto quattro
volte pi grande che se non circolasse che una sola volta. A questo modo due
milioni, che girano quattro volle in un anno, avranno tanta forza d'occupare gli
uomini nell'industria, quanta ne avrebbono otto i quali non facessero che un sol
giro. Per la qual cosa poich le monete di carta servono ad aumentare la circo
lazione dell'oro e dell'argento, e con ci delle cose rappresentate da questi me
talli, segue ch'esse producano quel frutto che produrrebbe la vera moneta, il di
cui giro si aumentasse. Ed ecco tulto il mistero delle carte.
. XI. Egli per ben vero, che la copia di queste carte debb'essere ritenuta
dentro certi termini perch possano giovare. E primamente elleno non debbono
eccedere le ricchezze reali che ne sono rappresentate; perch eccedendole, co
minciano a non rappresentar pi nulla, e a questo modo cadono in discredito,
onde invece di accelerare la circolazione della moneta e de' generi, l'arrestano.
E questo fu il caso del banco di Parigi, il quale non cadde se non per l'im
mensa copia de' biglietti, che arrivarono a sorpassare due bilioni e mezzo di lire.
Secondariamente, come queste carie servono a promuovere l'industria e il com
mercio degli uomini, elle non debbono oltrepassare la proporzione col loro nu
Riti. LA MO.NKTA DI CARTA. CAH. V. OJ>

mero e coll'abilit, n col sito della nazione e con i gradi del commercio di
coloro che compongono lo Stato. Una tal copia di biglietti non sar gran fatto
strana in uno Stato grande, popolato e ben trafficante; ma ella potrebbe rovi
nare un pi piccolo. E di qui che in Venezia la moneta di banco limitata
ad una certa quantit. Per la stessa ragione ne' principii delle compagnie de'
negozianti i fondi non debbono essere troppo grandi: essi si vanno ingrandendo
proporzionevolmente all'estensione e intensit del commercio; perch dove essi
sono soverchiamente grandi, non potendo la readita rispondere al fondo, vien
la compagnia in discredito, e o fallisce o si scioglie.

CAPO VI.

Del credito pubblico.

. I. Pu per avventura ad alcuno parere, ch'io avessi dovuto tralasciare


la materia di questi tre capitoli ch' delle carte pubbliche e del credito, siccome
quella che fra noi finora dell'intuito immota, non avendo noi n pubblici ban
chi, n compagnia, n carte di corte, n biglietti pubblici autentici di alcuna
sorta (1). Ma perciocch io non intendo scriver per la sola presente et nostra,
e mi piace di dare agli studiosi giovani pi compiti che per me si pu questi
Elementi di economia, ho stimato che io avrei mancato a queste due ragioni, se
avessi omesso di parlare della moneta di carta e del sistema di credito che fa
in Europa tanto rumore, e del quale tanti e s gravi autori hanno scritto. E
senza dubbio veruno, dove sia ben inteso e destramente maneggiato, questo cre
dito una delle pi grandi molle per portare il commercio alla sua perfezione.
Dir dunque in prima del credito in generale e di quel che il costituisce, per
cominciare da' suoi principii; appresso del credito pubblico e principalmente di
quello delle carte: ma ne dir a modo mio, vale a dire, quanto sostiene la ra
gione di Elementi.
. II. Il credito, dice il signor Dutot , un tal vette del commercio e di tale
efficacia, che senza credito il commercio non che un cadavere. Egli pu accre
scere la forza de' fondi in ragion decupla tanto nei privati mercatanti , quanto
nelle intiere nazioni. E in vero un mercatante che abbia 100,000 ducali di fondo,
se avr del gran credito, potr di leggieri fare un commercio d'un 1,000,000.
Pel contrario il discredito pu fare, che quel tal mercante di 100,000 ducali di
fondo non possa trafficare se non il solo suo fondo, e anche scarsamente. Per la
medesima maniera una nazione accreditata , nella quale la pubblica e la privata
fede e con ci il credito sia in grandissimo vigore, anche da piccoli fondi pu
ricavare moltissimo guadagno; dove che una nazione screditata si ridurr a ve
dere i suoi fondi, anche ricchissimi, di niuno o piccolissimo valore. E di qui si
(1) Perch essendo i banchi, che qui abbiamo, banchi privati, le fedi di credito non
hanno ragion di moneta pubblica che non si possa rifiutare nei pagamenti. Esse non hanno
i-he la sola fede privata per garante.
206 GENOVESI.

pu comprendere di quanta importanza sia, che in ogni Stato si studi di pian


tarvi il massimo possibile credito, e di conservarlo con la pi scrupolosa gelosia.
S. III. Il credito in generale si pu definire la facolt di far uso dell'altrui
potere siccome proprio. In materia di commercio il credito la facolt di trre
a prestanza o a credenza, e val lo stesso. Il fine del credito di moltiplicare i
beni del debitore per la forza de'beni del creditore. La propriet che costituisce
essenzialmente il credito l'opinione, nella quale ci tengono coloro che ci cono
scono, d'esser sicuri del lor credito. Dall'opinione di questa sicurt nasce la po
tenza di far de'debiti, la quale si chiama credito. Dond' che il credito sempre
proporzionato al grado di sicurt che ci offre il debitore.
S. IV. La sicurt poi nasce o da' fondi del debitore, o dalle doti personali,
o dagli uni e dall'altre insieme. La prima dicesi sicurt reale, la seconda perso
nale, la terza mista. I fondi, i quali fanno la sicurt reale, sono i beni reali del
debitore, che restano pel jus naturale e civile ipotecati al creditore. Le doti per
sonali sono le tre seguenti; I. La certa utilit che il debitore pu ritrarre da quel
che prende in prestanza o a credenza; II. La sua abilit e accortezza a sapersi
servire dei fondi del suo commercio; III. La sua virt e 'l suo onore. Secondo
che queste doti sono in maggiore o minor grado, la sicurt personale sar stimata
maggiore o minore; e perci maggiore o minore il credito. Quel che si dice d'ogni
particolare, si pu dire altres delle intiere nazioni e de' sovrani. Se una nazione
ha molti beni naturali o molte manifatture, se ha arti e costume, se prudente
e industriosa, ella ha del credito; e ne ha maggiore o minore, secondoch queste
sicurt saranno maggiori o minori. Ma se ella non ha n sicurt reali n perso
nali, il suo credito sar nullo. il medesimo delle corti; se non che la fede delle
corti sembra esser fondata pi su le sicurt personali che sulle reali (1). Le si
curt composte delle reali e delle personali fian sempre le migliori.
S. V. Il credito generale personale d'una nazione, rispetto all'altre con le
quali traffica o pu trafficare, nasce da due sorgenti: I. Dal credito di molti par
ticolari; II. Dalla fede pubblica. Siccome il discredito di molti particolari e un'in
fida fede pubblica costituiscono il discredito generale d'una nazione per riguardo
all'altre, di qui sguita che a voler accreditare una nazione e farle acquistare il
grado di commercio del quale capace, bisogna che vi si pianti e vi si coltivi il
buon costume, la reciproca confidenza, la sicurt. Adunque la severa educa
zione, le regole e leggi che sottomettono le manifatture e i contratti alla legge ge
nerale della pubblica fede, le pene severe e pronte contro coloro che violano
la fede de'contratti (2), sono assolutamente necessarie al commercio d'un po

(1) Il banco generale e regio di Parigi in poco pi che due anni aveva dato fuori in
bullettini per due bilioni, seicento novantaseimila milioni e quattrocentomila lire. La
Francia valeva poco pi. Questo debito del banco aveva dunque per fondamento pi la
sicurt personale della corte, che le reali. Se non si vuol dire, come il dice un francese
medesimo, che il suo pi gran fondo era la soverchia, brillante fantasia della nazione.
(2) L'imperatore Federico II aveva compreso di quanta importanza sia la prontezza e
severit delle pene in materia di buona fede. Vedansi le cinque bellissime leggi nel titolo
50 de fide Mercatorum etc. e le moltissime ch'egli fece per sostenere la fede de' notai,
degli archivi, delle scritture pubbliche ecc. Dicono che le leggi3 e 4 di quel titolo
sieno soverchiamente severe: e queste mani pietose fanno la gran cancrena che disfa la
fede pubblica. Non si pu ridurre a sanitun corpo politico, senza che coloro che il cor
rompono non si recidano, non si premono in modo da combaciarsi colla regola generale.
IDEL CREDITO l'UBBLlCU). - CAP. VI. 207

polo (1). In niuna parte del mondo, dice qui a proposito il presidente Mon
tesquieu, il mercatante pi stretto, quanto in quelle dove il commercio pi
libero; perch le leggi premono il mercatante, ma per mantenere la pubblica fe
de, donde nasce la vera libert del commercio. A quest'istesso genere apparten
gono i tribunali di commercio, dove la giustizia imparziale e la prontezza sono
l'anima della buona fede e del traffico (2).
S. VI. Il credito pubblico, del quale si finora parlato, si pu chiamare cre
dito esterno, nascente per dall'interno. Oltre di questo vi un credito che
risguarda cos l'interno come l'esterno della nazione. Esso nasce dalle monete,
divenute gi ogni cosa per la loro forza rappresentatrice. Siccome le monete hanno
grandissima potenza attrattrice di tutti i generi che sono in commercio, seguita
che una nazione, la quale ne sia ben fornita, ha un credito grandissimo appresso
tutte le nazioni trafficanti (3). E se le monete si conservano sempre del dovuto
peso e di buona lega, il credito sar fondato su le pi belle sicurt reali e per
sonali. Ma dove la moneta viene a mancare, e pi ancora se si altera, sbassan
dosi di peso o facendosi di maggior lega che non comportano le regole comuni
del monetaggio, tutto il credito viene a rovinare di botto.
S. VII. Parliam ora di quel ramo di credito il quale puramente interno,
e i cui fondamenti sono stati indicati nel capitolo antecedente. Questo nasce da
tre capi, banchi, compagnie di negozianti, debiti di corte. I banchi pubblici per
la moneta di carta aumentano gl'istrumenti del commercio. Il fondamento di
questi banchi e del loro credito sono le sicurt reali e personali. Le reali consi
stono nel contante e ne' beni stabili; le personali nell'esserne la corte malleva
urice (4). Il credito adunque de'biglietti non maggiore di queste sicurt. E di
E ridicolo il pretendere di riformare i vizi pubblici senza far male a nessuno; come non
si pu rimettere un osso slogato, n incollare un franto senza dolore.
(1) Ecco una delle ragioni perch si pu avere pi credito in una repubblica che in
una monarchia. Nelle repubbliche l'educazione pi severa, perch vi ha meno lusso, e
la fede pubblica pi rigidamente custodita.
(2) Un piccol codice di commercio sarebbe una regola per questi tribunali e per tutti
i trafficanti. Le azioni cos reali come personali, quelle di buona fede e quelle di Jus
stretto, debbono essere regolate altrimenti nel mondo commerciante, di quel che furono
nel mondo belligerante e litigante, dove esse nacquero e furono nutrite.
(5) Per questotutte le nazioni di Europa amano di trafficare colla Spagna e col Porto
gallo. Queste due nazioni sono il zimbello del commercio europeo, perch l'oro e l'ar
gento, per una universale stupidezza de' popoli culti, divenuto la Medea del genere
umano: e questi metalli non si posseggono di prima mano che dagli Spagnuoli e
Portoghesi.
(4) ln Londra il parlamento mallevadore del banco; e in Genova il banco di S. Gior
gio era pressoch l'intiera repubblica. Secondo Foglietta, il migliore degli storici geno
vesi, la societ detta di S. Giorgio, chiamata poi Banco di S. Giorgio, cominci l'anno
1406 o 1407. La repubblica aveva fatto dei debiti per sostenere la spesa di molte guerre:
parte delle rendite pubbliche
ma i creditori erano i suoi cittadini. Ella assegn loro unaunirono
per gl'interessi dei prestiti. Circa quest'anno i creditori si in un corpo; scelsero
otto direttori per la esazione e distribuzione delle usure. Essi mutavansi ogni anno, e
sceglievansi sempre nel numero de'creditori. A poco a poco conseguirono dal governo
tanti privilegi, ch'essi quasi si sottrassero dall'autorit pubblica. E perch i loro crediti
crescevano ogni anno, ia repubblica assegn loro la Corsica ed altre terre demaniali in
signoria, fino a che non fosse estinto l'intiero debito. Cos questo banco divenne il corpo
de' pi ricchi cittadini, e una repubblica pi potente e terribile della madre. Avrebbe
potuto tenersi che il banco avesse dovuto inghiottire la repubblica, cio che la repul
-MS Ol.NOVKSI.

qui che , se la quantit de' biglietti supera queste sicurt di moneta di banco,
vien subito in discredilo; per modo che, anzi di rilevare il commercio, capace
di spiantarlo. E questo fu , siccom' detto altrove, il funesto caso del banco di
Parigi (1).
. Vili. Adunque perch questo credito abbia quel vigore che pu di sua
natura avere, bisogna che sia regolato dalle seguenti quattro leggi: I. Che la mo
neta di caria non ecceda n la sicurt reale , n la quantit di traffico che pu
fare la nazione; e se questo traffico vada crescendo, cou la medesima proporzione
pu aumentar la moneta di banco. II. Che niente si scemi del rigore delle leggi
contro coloro, che in qualunque maniera che sia si abusano di questo credito,
falsificando, aggirando e inviluppandone il commercio (2). III. Che i giudizi ren-
duti dai magistrati per questo affare sieno i pi corti eh' possibile, e senza
dispendio nessuno delle parti interessate, perch ogni lunghezza e dispendio sa
rebbe cagione che scemasse il valore delle carte, e con ci che si andasse raffred
dando la confidenza del pubblico. IV. Che sia animala, facilitala e protetta l'in
dustria e'1 commercio, al cui sollievo indirilto questo credito.
. IX. Il secondo capo del medesimo credito pubblico interno sono le com
pagnie dei negozianti. Egli certo, non esser possibile che in una nazione sia
gran commercio senza che vi sieno di tali compagnie; perch il fondo de' privati
mercatanti non pu esser mai cosi vasto da potersi aprire la strada al gran com
mercio, da bastare alle prime spese e alle perdite, e da potersi sostenere negli
ostacoli che vi possono fare o i negozianti dell' altre nazioni o i pirati. Le por
zioni, che i privali prendono in queste compagnie, costituiscono un credito di
quasi tutta la nazione, e producono due effetti dove le compagnie sieno bene
amministrate. I. D'animarvi l'industria e il commercio e di arricchire la nazione.
Vedesene un grand' esempio nella compagnia orientale degli Olandesi. II. Di
moltiplicarvi il danaro; perch vi fan girare il danaro effettivo e i biglietti rap
presentanti dell'effettivo. Le sicurt reali di questo credito sono i fondi del ne
gozio e la sua ampiezza ; le sicurt personali sono la diligenza, la puntualit, la
scienza di coloro i quali impiegano questi fondi e li fanno valere con usura. Se
queste sicurt o per guerre esterne, o per naufragi , o per malvagia amministra
zione, o per qualunque altra cagione vengono a scemare, con la medesima pro
porzione scema il credito (5).
. X. Il terzo capo finalmente di quest' interno e pubblico credito sono i de
biti e della corte e del governo. Per intendere la qual cosa qui da avvertire

blica fosse ricomparsa in forma di banco dopo essere stata inghiottita : ma la rivolta dei
Corsi e la guerra d'Italia spiantarono i fondamenti del banco.
(1) Il consiglio soppresse i biglietti con decreto del 10 ottobre 1720. Era slato creato
H718.
(i) I vermi corrompitori di questa moneta sono gli aggiotatori , di cui sar detto
qui appresso.
(3) Si potrebbe domandare, egli da temere il soverchio ingrandimento di tali com
pagnie ? La risposta dipende da quel che dir. Ogni compagnia se cresce eccedente
mente, avr subilo delle terre e delle colonie ; dunque o diverr metropoli delle metro
poli, come presso a poco della compagnia Orientale degli Olandesi ; o sovrana sepa
rata, come vi si avvicina la compagnia Inglese di Bengala. La Olandese gi padrona di
tante terre e popolatissime , ebe sono pi che non la Germania. L'Inglese divenula
questi anni addietro proprietaria del vasto regno di Golconda,
noEL cREDITo PUBBLICo. CAP. vi. 209

che negli antichi tempi d'Europa, siccome anche oggi nell'Asia, due erano le
sorgenti del danaro che costituiva il tesoro de' regnanti. La prima consisteva ne'
tributi, dazi, pedaggi, ecc.; la seconda ne' doni gratuiti. Se ne aggiunse poi una
terza, cio le terre e certi generi dati in demanio delle corti. Una parte di queste
si riservava sempre gelosamente in un tesoro per li futuri bisogni. Dcevasi
Erario. Ma oggigiorno quasi generaimente si costuma in Europa di spendere
tutto; e dove sopravvengono de' bisogni si fa de' debiti pagandosene annuali in
teressi, o a vita che si chiamano vitalizi, com' usitatissimo in Francia, o fino
a tanto che non si ricomprino, come si costuma quasi dappertutto altrove. l cre
ditori di queste somme, che fra noi si chiamano fiscalari, consegnatari e credi
tori di corte, costituiscono una classe importante e formano il terzo capo del
credito pubblico interno, pi o men grande, secondoch la quantit de' debiti
della corte. Per cagion d'esempio la corte di Londra quest'anno 1767 si trova
avere con la nazione un debito al di sopra di 132 milioni di lire sterline (1), il
quale il fondo di questo credito pubblico.
S. XI. Si questiona fra i politici, se la grandezza di questo credito giovi alla
nazione o no; del che diremo nel seguente capitolo. Quel che si sa , che quanto
pi crescono le famiglie che vivono di questa sorta di credito, altrettanto man
cano quelle che con la loro industria fanno valere i fondi dello Stato. Quindi
che una copia eccessiva di s fatti creditori, persone ordinariamente di bel
tempo e spensierate, tende ad indebolire le rendite puhbliche e con ci del so
vrano e dei particolari; donde debbe di necessit l'un anno o l'altro venire in
discredito la corte medesima. Non sono i rentieri, come dicono i Francesi, che
sostengono lo Stato, ma gli agricoltori, i pastori, i filatori, i tessitori, i pescatori,
i naviganti, ecc. (2). Se dunque questi decadono per la soverchia pressione che
fa sempre la copia de' rentieri, forza che manchin le rendite, e che tutto il
corpo di questa sorta di famiglie torni all'arti creatrici. Aggiungasi che sceman
dosi con quella medesima progressione le rendite della corte (perch esse, come
tutte l'altre, seguono sempre lo Stato dell'arti primitive, delle manifatture, del
commercio), non si possono sfuggire i metodi di sbassamento (5).

(1) Vedi la gazzetta di Londra, S. Iames, del mese di luglio di quest'anno 1767.
(2) Una delle cagioni del decadimento dell'arti primitive e del commercio di questo
nostro regno di Napoli stata, secondo ch'io credo, quell'avervi, da Carlo V in poi,
creato poche famiglie fiscalarie, vedendo ne' bisogni i fondi della corte: Prima mali
causa. Questo ha prodotto un disequilibrio tra la parte creatrice di beni e quella che
non fa che divorare.
(5) Se ne vedono ogni anno grandi esempi in tutta Europa. Questi esempi provano,
non esservi rendita men sicura quanto quella di questi rentieri.

Econom. ToMo III. 14,


210 GENOVESI.

C A PO) VII.

Riflessioni del signor Hume sopra i due ultimi capi del credito pubblico interno.
S. I. Il signor Hume ne' suoi Discorsi politici (1) si profondato in molte
considerazioni intorno al credito pubblico della sua nazione. Bench io sia per
suaso ch'egli siasi talora lasciato soverchiamente trasportare dalle sue immagi
nazioni, e che la pi parte non ha luogo che nella sola Inghilterra, nondimeno
com'egli ci somministra de'gran lumi in questa rilevante materia, ho stimato
pregio dell'opera raccoglierne qui alcune delle principali, quali che esse si sieno.
S. II. La prima sua riflessione , che sia stata pi saggia l'economia degli
antichi e sia ancora quella de'presenti Stati dell'Asia, che non la nostra. Con
ciossiach quelli per li bisogni, i quali potevano avvenire, si studiassero ne'tempi
di calma di raccogliere de'tesori e serbarli per quanto fosse uopo di farne uso;
dovech le presenti corti d'Europa stimano bastare per ogni bisogno il credito
pubblico, e per questo modo si caricano oltre misura di debiti. E nel vero, gli
Ateniesi, i Tolomei successori d'Alessandro, i re di Macedonia e altri di quei
tempi, avevano raccolto immense somme di danaro e serbavanle per li bisogni
pubblici. La repubblica di Sparta, tutto che animata da un grande spirito di fru
galit, aveva non pertanto il suo pubblico tesoro, siccome attesta Platone nell'Al
cibiade. I medesimi storici antichi raccontano che i re de' Miedi e quelli di Siria
e di Persia avevano tesori accumulati. L'istesso si vuol dire de' Romani, cos
me'tempi di repubblica come sotto i Cesari. E questo metodo fu tenuto da sovrani
d'Europa tutti quanti pressoch sino a 200 anni addietro. Era loro ignoto il
metodo del credito d'oggid. Questo medesimo poi il costume di tutti i presenti
monarchi dell'Asia, come della corte di Costantinopoli, di quella di Persia, delle
corti dell'India e della Cina ecc. (2).
S. III. Ora che il sistema antico fosse pi savio e pi utile del moderno, il
nostro inglese autore s'ingegna di dimostrarlo per le seguenti ragioni. La prima

(1) Discorso VIll.


(2) V' nondimeno anch'oggi tra noi una specie di erario e tesoro della nazione, e que
sto l'oro, l'argento, le ricchezze dei tempi. Esse sono veramente consecrate a Dio, ma
per servire alla Chiesa, cio a tutta la nazione ne' pi gran bisogni. I sovrani nelle pub
bliche calamit di guerre, di peste, di fame ecc. non hanno mai trovato pi bello e pronto
sussidio per sollievo o difesa della nazione, quanto in siffatti pubblici tesori. Son dunque
rispettabiliper tutte le vie. Federico II nella famosa legge Praedecessorum nostrorum,
vietando alle manimorte gli acquisti degli stabili, e dove loro si lascino ordinando che si
vendano (perch il locare parola manifestamente intrusa da'copisti, come quella che an
nulla la legge rendendola contradditoria), e ci con molto avvedimento, non essendo che
dannevole dappertutto che le terre si accumulino soverchiamente in poche mani; con
egual provvidenza aggiunge poi: de rebus autem quibuscumque mobilibus, quantumcum
que pretiosis, relinquendi praedictis domibus, et aliis religiosis locis, concedimus omnibus
liberam facultatem; eccezione di gran politica. Senza interessare la corte,senza pressione
e anzi colla pi gradita libert, la nazione va cumulando de'ricchi tesori, i quali non pos
sono servire che per gli uomini. Mandeville nel suo Saggio sulla carit e sulle scuole di
carit dietro la sua Favola delle Api,tocca con molta maestria le cattive conseguenze po
litiche nate in Inghilterra dall'aver vietato agli ecclesiastici fino gli acquisti de'mobili,
RIFLESSIONI DI HUMIE SOPRA IL CREDITO PUBBLICO INTERNO, CAP. VII. 211

quella dell'economia privata. Nelle private famiglie, dove si pensa prudente


mente e dove si pu fare, stimato sempre pi sicuro per tutti i bisogni che pos
sono intervenire avere un poco di peculio in riserba, che sopravvenendo delle
necessit ricorrere al sistema del credito e fare de' debiti. La seconda , che
quando in questa economia non fosse verun' altra utilit che quella di poter
soddisfare con maggior prontezza ai bisogni dello Stato (1), sarebbe assai ba
stante per fare anteporre il sistema antico al moderno. Ma ve n'ha dell'altre,
delle quali non certamente la minore quella degl'interessi gravissimi che si
convien pagare, per aver il danaro nelle urgenze e prestamente. Luigi XIV re di
Francia giunse a pagare il 10 per 100 ne' pressanti bisogni, ne' quali si trov
a' tempi della guerra di successione. E di qui poi nasce (conchiude il nostro
autore) che gli Stati, i quali a questo modo si caricano di debiti, non possono,
se non con grande difficolt e dopo lunghissimo corso di tempo, risorgere.
S. IV. Egli intanto si fa carico de' mali che porta seco l'antico sistema. Si
dice adunque che un tesoro pubblico sempre pericoloso, e tanto pi quanto
maggiore. Imperciocch se il possessore di piccolo animo, il fa avaro e con ci
sempre pi cupido d'accrescerlo; il che non si potendo fare che a spesa del
pubblico, rende lo Stato secco e arido di danaro, con discapito dei pubblicifondi
e de' privati. E questo fu il caso dell'imperio romano sotto Vespasiano. Ma se
in mano d'uomo di spirito, il sollecita ad intraprendere cose pi grandi assai
che non si conviene, le quali portan sempre seco la rovina o l'indebolimento
della repubblica. Ve n'ha de' grandi esempi, ma il pi luminoso quello di Fi
lippo II re di Spagna. Questa nazione non ancora risorta da'mali che le ca
gion il bagliore dei tesori di questo principe.
S. V. Si aggiunge che queste ricchezze possono corrompere la disciplina mi
litare, la quale non si corrompe mai che non ne nascano due grandissimi mali,
cio le intrinseche turbolenze e la debolezza rispettiva dello Stato. Questi due
mali si videro scoppiare in Atene a tempo della guerra peloponesiaca, e in
Roma dopo la conquista di Cartagine, della Macedonia e dell'Asia minore,
donde eransi trasportate in Roma dell'immense ricchezze. Finalmente, dicono
i partigiani del nuovo sistema, questo raccogliere del danaro e rinserrarlo in un
erario priva a poco a poco la nazione delgirare de' segmi, e con ci indebolisce
l'arti e il commercio. Le antiche repubbliche o imperi fondavano le loro rendite
per la maggior parte sui tributi de' popoli vinti; il che non poteva cagionare man
canza di danaro nell'interno. Ma questo non si conf pi con le presenti nazioni
europee, il cui fondamento, sono l'agricoltura, l'arti e 'l commercio. Le conquiste
son divenute pressoch chimeriche pel sistema dell'equilibrio (2).
(1) Si veduto nella guerra di questi anni addietro quanto servissero a Federico II re
di Prussia i tesori di suo padre, e nella carestia di Roma del 1767 il tesoro di Sisto V.
(2) Pure domanderei: questo sistema d'equilibrio un sistema delle volont de'sovrani,
o della natura de'popoli europei? il primo un'immaginazione, che il pi piccolo pen
sante trover sempre vana. Il secondo suppone l'ignoranza dell'uomo e della storia. Ogni
popolo un fiume: come viene una gran piena (ed ella viene di tanto in tanto) non v' ar
gine che basti ad arrestarlo. La storia poi ci fa sapere, che il sistema dell'equilibrio stato,
ed il sistema di tutti i popoli. Si parlava di questo sistema in Africa, e in Roma a tempo
di Annibale: in Roma e in Grecia a' tempi della guerra di Macedonia: in ltalia, Germania,
Francia, Inghilterra, a tempo di Carlo Magno, di Ottone, di Federico II, di Odoardo, di
Carlo V ecc. ecc. Ma le piene hanno sempre rotto questo sistema. I Caraibi, i Canadesi,
212 GENOVESI,

S. VI. Ma il nostro autore non negando, n dissimulando i mali che possono


nascere dal sistema antico, stima non pertanto che essi sieno assai pi piccoli
di quelli che seguono dal metodo presente, senza nondimeno portar seco i mede
simi benefici dell'antico. Una guerra, dic' egli, nel sistema antico era cagione
che si aprisse il pubblico tesoro. Questo riempiva la nazione di nuovo danuro,
e inanimava l'industria e 'l commercio; ma nel presente metodo una guerra fa
precisamente l'opposto, per questa cagione ch'ella assorbisce il danaro della na
zione, rovina l'industria e 'l commercio.
S. VII. Quel che io posso qui dire che questa riflessione non mi pare in
tutto vera, n adattabile a quegli Stati, il cui maggior sostegno il commercio;
ma si potrebbe nondimeno adattare a tutti gli altri Stati, le cui costituzioni e
interessi son diversi. Lo scioglimento adunque del nostro problema mi par che
dipenda dalla costituzione e dal fondo delle ricchezze dello Stato. Un tesoro ri
stretto ne' suoi terminipu giovare alla casa d'Austria, ma nuocerebbe alla Fran
cia; buono in Olanda e non in Inghilterra (1).
S. VIII. Ma ancorch io non approvi i gran tesori delle corti in quelle na:
zioni, che non possono esser grandi e ricche se non per le arti e commercio ma
rittimo, tuttavolta convengo anch'io che il metodo inglese, dove si continui,
debba alla fine rovinare la nazione. Gl' interessi di 152 milioni anche al 5 per
100 montano ogni anno a quattro milioni sterlini, i quali in quale altra maniera
possono pagarsi che di tasse e di dazi? Ora, per una fatalit di tutti i popoli, le
tasse piombano sempre su le arti primitive e su le manifatture. Mi piace perci
una massima d'un grand'uomo di quella nazione (2, che le spese annuali delle
corti non debbano eccedere le annuali rendite; e che se necessario di spendere
pi per la difesa dello Stato, fia sempre meglio l'accrescere proporzionevol
mente le rendite dello stesso genere fino a che passi la tempesta, che fur de'de
biti. Perch ogni uomo ne' bisogni pubblici si stringe e paga pi volentieri, che
non si fa dove quelli sono passati.
S. IX. Alle precedenti riflessioni aggiunge il medesimo autore quelle che se
guono, che noi raccoglieremo brevemente, bench non riguardino che l' Inghil
terra: I. Che a proporzione che cresce questo capo di credito, la capitale della
nazione, dove se ne fissa il centro e la negoziazione, cresce anche essa in numero
d'abitanti scaltriti e poltroni; perch tutto il danaro delle provincie, come per
i Brasiliani, i Messicani, i Peruani ecc. parlavano di questo sistema di equilibrio,e sono
divenuti schiavi in mezzo a queste belle immaginazioni. Questo sistema non vien mai in
testa, che a'popoli o troppo deboli, o troppo ambiziosi. Quelli vi ricorrono per paura:
questi per meglio opprimere. Con questa politica i Romani fecero servire i Numidi ad
opprimere i Cartaginesi; gli Asturi e i Castigliani ad opprimer la Spagna ecc.; e i Papi,
e molti principi Italiani ad opprimere i Veneziani; e poi i Veneziani ad opprimere i
Lombardi, e i Napoletani ad opprimere i Fiorentini ecc.: ogni uomo, ogni famiglia, ogni
popolo misura sempre i suoi dritti sulla sua forza, e anima questa forza colla cupidigia
e con l'interesse del tempo.
(1) Questi termini sembrami che dovessero essere piantati in questa legge, tesoro che
busti alle spese della corte un paio d'anni meno la met delle rendite ordinarie. Eccet
tuerei anche i popoli, i quali hanno ricche miniere o tributi esterni, perch essi possono
riporne una parte, senza gran fatto indebolire il commercio. Sisto V, quando la maggior
parte di Europa era tributaria di Roma, poteva senza molto premere lo Stato romano
raccogliere un tesoro.
(2) Storia dei debiti e delle tasse nazionali ecc. Londra 1721. Anonimo,
RIFLESSIONI DI HUME SOPRA IL CREDITO PUBBLICO INTERNo.CAP. vII. 215

diversi canali, viene a sboccare in essa e si converte in biglietti. Di qui nascono


due mali: il primo, diserzione delle provincie: il secondo, un aumentarsi fuor
d'ogni misura di quelli che si chiamano Aggiotatori, i quali pel privato loro inte
resse son cagione di mille garbugli nel commercio; II. Che in questo sistema la
pi gran parte de'fondi della nazione viene a cadere nelle mani di gente oziosa,
che non produce niente di reale per lo Stato; III. Che le tasse, le quali conviene
imporre a fine di pagare gli interessi de'debiti pubblici, opprimono i lavoratori e
gli artisti, e a questo modo seccano le sorgenti della pubblica opulenza. Donde
conchiude che i debiti pubblici sono simili a'vermi che si attaccano ad una
pianta, i quali prima ne rodono i pampini, appresso i virgulti e ultimamente il
tronco e le midolle. Queste riflessioni anche a me paiono molto sensate.
S. X. Intanto i sostenitori di questo credito dicono, essere sciocca cosa e da
fanciulli il temerne al modo che per taluni si fa; perch questi debiti pubblici
son debiti che una parte della nazione dee all'altra, e conforme dice il signor
Melon, debiti che la man dritta dee alla sinistra. Di qui che i mali di una
parte, se pure ve ne ha, sono bastantemente compensati per li beni dell'altra.
Ma questi paragoni non piacciono punto al nostro politico. Essi sono, dic'egli,
piuttosto belli che veri. Imperciocch quando voi caricherete soverchiamente la
parte faticante della nazione, la qual' la sorgente delle vere ricchezze, e tras
porterete tutte le ricchezze alle parti oziose, non sar pi vero che la nazione
tanto acquisti da una parte quanto perde dall'altra. Non importa ad uno Stato
(dice il siguor Locke nelle Lettere su la moneta) che il danaro sia di costui o di
colui: in qualche parte vero. Ma pure importa assaissimo che le cose sieno
cos fattamente disposte e ordinate, che colui, tra le mani del quale il danaro,
l'impieghi a quella sorta d'industria che rende alla nazione. Ora l'industria degli
aggiotatori sempre una di quelle, che non solo non rende nulla se non priva
tamente, ma che opprime l'industria renditrice.
S. XI. La seconda considerazione generale di Hume riguarda un paradosso
sostenuto da alcuni in Inghilterra, e non disapprovato dal signor Melon; ed ,
che quanto sono maggiori i debiti della corte, tanto la nazione diviene pi flo
rida e pi potente. Nel tempo del sistema di Law e dell'antisistema inglese, questo
paradosso erasi sostenuto con vigore, ma non con calcoli disinteressati, perch
si voleva che tutto il danaro di quelle nazioni si portasse al banco. Perch adun
que ci si facesse era mestieri d'accreditare ogni giorno i biglietti o polizze di
banco, le quali incominciavano gi ad essere discreditate per la loro strabocche
vole quantit. Si diceva perci che quanto sono maggiori i debiti della corte, al
trettanto il popolo diviene pi ricco e pi potente; conciossiach tutti diventino
creditori e facciano, dicevano essi, utile uso del loro danaro. Si voleva dunque
far de' ricchi in sogno, mentre si studiava di farli poveri in realt.
S. XII. Contro quest'opinione si scaglia fervidamente il nostro autore, sino
a chiamarla declamazione d'ignoranti e non gi massina di savi politici. Si ma
raviglia forte che il signor Melon, il quale scrisse 15 anni dopo l'esito infelice
del banco di Parigi, avesse potuto sposare una s vecchia e stolta teoria che non
poteva essere pi alla moda. ln fatti, dic'egli, il danaro a questo modo impiegato
distrugge quasich tutti i fondamenti dell'industria; imperciocch coloro i quali
l'impiegano al banco, contentandosi di vivere dell'interesse, depongono l'animo
da ogni utile industria. E invero il danaro non mai utile ad una nazione, se
li GKKOVBtl.
non quando s'impiega ad aumentare gli agricoltori, i manifattori, la marina
trafficante e le altre arti utili e produttrici de' comodi umani: il che non fa, che
anzi fa tutto l'opposto il sistema di questi politici (1).
' . X1H. Passa poi questo medesimo autore a considerare le ragioni, per cui
si dato tanto credilo e tanto si applaudito alla moneta di carta. La cagion
principale , die' egli , per cui le carte st sostengono , eh' elleno danno vigore e
sollecitudine alla circolazione e questa all'industria. Io confesso (dice il nostro
filosofo) che, poich uscii dal collegio, per niuna diligenza da me fatta non ho
potuto mai formarmi un'idea chiara e netta di questa parola circolazione, la quale
tanto si adopera nelle materie di economia e che sentesi in bocca d'ognuno. E
nel vero, grida egli, qual vantaggio pu una nazione trarre dalla facilit del
trasporlo del dominio di queste carte dalle mani d'uno in quelle d'un altro? La
circolazione la quale giova allo Stato e che si dee facilitare, siccome certa sor
gente di ricchezze , non gi quella de' segni che di per s non posson niente ,
ma bens quella delle derrate e delle manifatture, e di tutte quelle cose che hanno
intrinseco vaiare e pregio; perch per questa circolazione reale non si pu fare
che tutta la nazione non sia in movimento. Ma che i biglietti di banco o altri
girino con qualsivoglia velocit, essi non faranno mai circolar le cose rappresen
tale senz' altra cagion motrice (2). Donde seguita che quella ricchezza la quale
comunemente s'attribuisce alla circolazione delle carte, o non vera ma imma
ginaria soltanto, o st dee ascrivere alla sola circolazione delle cose (3).
. XIV. Io non ardisco per ora dire di quanto peso sfa questa considerazione;
SO pur nondimeno che la sola negoziazione dei biglietti , la quale si fa da coloro
che chlamansl aggiotatori, di per s nulla produce di bene reale: anzi, siccome
osserva un altro dotto inglese ed di per s dimostrabile, pu essere di grande
impaccio alla vera e producllrice industria. E in vero dove questa negoziazione 6 la
voga vi saranno sempre molti, i quali anzi d'impiegare 11 loro danaro In coltivar
le terre e le ari! o applicarlo alla navigazione, vere sorgenti di vere ricchezze,
l'impiegheranno alla compera di biglietti, parendo loro questo negozio e pi
sicuro e meno faticoso, massimamente per gli uomini scaltri. Confermano questa
considerazione tutti coloro, che a tempo del sistema di Parigi furono chiamati
milionari; perch con poche migliaia di lire pel guadagno immenso dell'agio,
per la scaltrezza degli aggiotatori, in meno di tre anni diventarono possessori di
molti milioni. Su di che merita d'esser letta la storia del sistema che un anonimo
alquanti anni dopo il successo scrisse, e la quale per la stranezza de' fatti ai meno
informati delle cose umane sembrer per avventura un pretto romanzo (A).
(1) Sisto V per questo metodo, volendo indebolire i grandi per esser pi Papa che
non erano stati i suoi antecessori , rovin la Stato romano con i luoghi di monte. Di
ciamolo qui di nuovo e diciamolo alla Romana : non si pi minchionar l natura
CHE CON DISTRUGGERLA.
(8) Videsi nella marca d'intorno a tre anni del banco di Law a Parigi. Quanto pi fu
grande la circolazione de'bullettini, tanto pi impover la Francia.
(3) Niun paese pi riceo della Cina, e in niuno v' pi circolazione di cose, bench vi
sieno ignoti questi nostri metodi.
(4) Non negher neppur io che il dotto autore, informato appieno di quei fatti ,
forse per piacere alla sua nazione vaga di s fatte opere, non si sia compiaciuto so
verchio de' colori poetici e romanzeschi. Pur chi considera qual marco, dovevano pro
durre due bilioni e 600,000 milioni di lire in biglietti, gli perdoner l'aria di romanzo
ch'egli d alla pi vera storia che fosse mai.
paIFLESSIONI DI HUME SOPRA IL CREDITO PUBBLICO INTERNO.CAp, v11. 215

S. XV. Queste riflessioni sono vere; ma si volevano misurare sulla massima


d' Eschilo da noi altrove memorata : GLI DEI NON HAN DATA L'oNNiporENzA cie
a Mezzi ProPoRzioNALI. Ragionate come e quanto volete, voi non farete mai
che una giusta e pronta circolazione de' segni non possa condurre ad agevolare
la circolazione di esse cose. dimostrato altrove che la circolazione per sole
permute difficile, lenta e piccola: e il medesimo signor Hume chiama anch'egli
il danaro l'olio del carro del commercio. Dunque quando dice di non aver potuto
mai comprendere la forza di questa parola circolazione, volendo declamare con
tro gli abusi de' biglietti, finge d'ignorarne il vero utile, affine di potere pi fer
vorosamente riscaldarsi (1).
S. XVI. L'ultima riflessione di quest'autore , che il sistema del credito
un tal sistema da non poter durare; perch, poich i primi debiti cominciano a
non bastare sar forza di farne de' nuovi, e quando questi saranno esausti, con
verr ricominciar da capo. Or perch tutti questi debiti sono della medesima na
tura, cio che non possono bastare per le future necessit, sguita che questo
sistema meni all'infinito. ll che non si potendo per la finita natura delle cose
umane, necessit che quandoch sia rovini intieramente. Non vi dimostrazione
geometrica pi certa di questa. Si vegga il progresso de' debiti della corte di
Londra, arrivati da piccoli principi (2) a 152 milioni di lire sterline, ancorch
si sia pensato sempre a nuovi metodi di ammortizzazione,per vedere se si pu
dubitare della certezza di questa considerazione (5).

CAPO VIII.

L'arte politica di far danaro.

S. I. Niun capitolo di tutta questa scienza economica comincerassi a leggere


con maggiore avidit e attenzione, quanto il presente: l'arte di far danaro
lo spirito di tutti i popoli culti. Ma di niun' opera il fine riesce pi spiacevole
e cagiona pi tristezza d'animo e anche rabbia, quanto di quelle che trattano
di quest'arte. Agli uomini tutti quanti pesa la fatica, per cui si procacciano gli
strumenti della vita; dond' che ciascuno si studia di rinvenire de' metodi di

(1) Convengo nondimeno che questi troppo sottili e studiati metodi di finanze servono
ad inviluppar piuttosto le cose umane e ad arrestarne il corso, che a sollevarle e dar
loro vigore. Sono due mila anni dacche si commercia, e si trafficato cos bene e cos
ampiamente come ora e forse meglio, senza questi sistemi di carte. Quel dire che fanno
certi politici moderni, che il mondo d'oggi non ci stato mai, e che si guasta tutto col
volerlo regolare col mondo antico, pu essere in qualche parte vero, se per mondo an
tico intendiamo il mondo de' selvaggi; altrimenti essi mostrano di conoscere n la na
tura del mondo, n quella degli uomini.
(2) All'entrata di Guglielmo nel 1668 erano meno che un milione e mezzo. Vedi la
Storia qui sopra citata de'debiti e delle tasse nazionali. Parte I.
(5) Se io fossi Inglese, crederei di aver sempre pendente sul capo un fallimento di que
sto credito pubblico. Come dubitarne?
216 GENOVESI.

alleviarla, e se si pu, di sgravarsene dell'intutto. Quei che tuttavia ignorano es


servi de' rappresentanti di ci che serve a' nostri bisogni, n' han trovato uno il
quale senza dubbio il pi dritto, ed di rinunciare al soverchio (1); ma tra noi,
perch si sa che il danaro ogni cosa, ogni comodo, ogni piacere, panacea,
com' comunemente creduto, d'ogni male e d'ogni passione, giusta o rea che
sia, niun'arte stata pi fervidamente desiderata, n pi studiosamente ricercata
quanto quella di far danaro. E vi sono stati di quelli e ve ne sono ancora, che
non avendola potuto ritrovare nel giro delle cose reali si son levati a volo nel
mondo delle fantasie, ch' milioni di volte pi infinito che non l'universo
reale (2). Questi soffiatori, i Sisifi della chimica e i D. Chisciotti della filosofia,
non avendo potuto di per s trasmutare i corpi, miscendo activa passivis, per
far d'ogni cosa oro, si sono avvisati di chiamare in soccorso certi buffoncini di
geni, i quali verisimilmente non han mai conosciuto n oro, n argento, n niente
di terra che a noi pare prezioso (5). Dopo essersi per molti anni lambiccato il
cervello e appassitisi, han conosciuto finalmente che non vi altr'arte da far
danaro che L'onEsrA FATicA: e questo fa arrabbiare molti stolidi, romanzi am
bulanti.
S. II. L'arte di far danaro non diversa da quella di accumulare oro, argento,
rame, diamanti, ecc. Ma qual' l' arte di raccogliere queste stimate e ricercate
materie? Quella, pare a me, di coltivarne le sorgenti. Or le sorgenti (e parlo
rispettivamente allo Stato) giuste o ingiuste, savie o stolte, che secondo i tempi
e i paesi sono state avidamente proseguite, si riducono alle seguenti: I. Conqui
ste, cio rapine; II. Gli oracoli; Il. Miniere; IV. Derrate, a prender largamente
questa parola; V. Manifatture; VI. Cominercio. Roma antica raccattava danaro
dalle conquiste, come i presenti Algerini dalla pirateria: Apollo spogliava l'Asia
e l'Europa per arricchire quei di Delfo: i Peruani il raccoglievano dalle miniere:
l'antico Egitto e la Sicilia dalle derrate: i Fenici dalle manifatture e dal com
mercio. Prima della scoperta del Capo di Buona Speranza e dell'America, non
v'era nazione in Europa che avesse pi danaro quanto l'Italia: ed perch v'era
pi agricoltura, pi e migliori manifatture, pi e meglio inteso commercio. Ma
discutiamo queste sorgenti di ricchezze, vediamo se si possono curare certi pazzi,
nocevoli pregiudizi.
S. III. I Tedeschi, dice Tacito (4), non coltivano; essi hanno a disdegno una
fatica da schiavi (5), e non hanno la pazienza di aspettare un anno per goder
de''frutti della loro fatica. Come han bisogno, si armano, fanno una scorreria in
su le vicine nazioni coltivatrici e ritornano gravi di preda. Questo metodo dur
ben avanti tra i Sarmati, i Pannoni, i Vandali e quasi in tutta l'Europa setten

(1) I Brasiliani e i Caraibi domandati, perch vadano nudi, rispondouo che la natura
genera tutti gli animali vestiti di peli; che le vesti, oltrecch son soverchie, fanno in
giuria alla natura e alla provvidenza degli Dei. In questa barbara filosofia traspira un
non so che di grande e di vero.
(2) Vedete il grazioso romanzetto dell'abate Villars, Il Conte di Cahali.
(3) Si pu vedere maggior pazzia?Ma la fantasia il capitale di tre quarti del genere
UIIII10,
(4) De moribus Germanorum.
(5) ln tutta l'Europa medii aevi i coltivatori, chiamati nelle carte e nelle leggi bar
bare villani, furono in conto di schiavi de' signori delle terre, tanto laici che eccle
siastici,
L'ARTE PoLITICA DI FAR DANARo. cAP. viii. 217

trionale. oggi il metodo di molte nazioni salvatiche, cos americane come afri
cane, e di quasi tutte le tartare.
S. IV. Questo metodo sarebb'esso il buon metodo di far danaro e di arric
chire un paese? Non possibile che quelle scorrerie, dove incomincino una volta
ad essere alla moda, non diventino reciproche fra le nazioni limitrofe: esse son
come i flussi e riflussi dell'Oceano. Gl' Irochesi fanno una subita e sorda irruzione
su gl'Illinesi e li saccheggiano; gl'Illinesi, non molto stante, saccheggiano a
vicenda gl Irochesi. Gli Ungheri irrumpevano nella Germania, saccheggiavano e
partivano carichi di preda; i Tedeschi poco appresso depredavano l'Ungheria.
Gl'Inglesi scendevano sui lidi della Francia, e i Francesi per un riflusso su
quelli d'Inghilterra; i Mori depredavano i Castigliani, gli Aragonesi, i Portoghesi,
e questi perun riverbero quelli. Non vi dunque arte che porti pi la desola
zione e la povert de' popoli, quanto questa. Or non arte di far danaro quella
che impoverisce e spopola.
S. V. L'uomo, dice Platone, nasce animale guerreggiante e rapitore. La sola
differenza che tra persona e persona, popolo e popolo, che altri guerreggiano
da leoni con generosit, come facevano nell'America i Peruani e nell'Asia i Per
siani, e altri da ragni con insidie, come quasi tutti i selvaggi. N guerreggiano
meno i popoli culti. Dove non aperta guerra, si fa col commercio. Ancora il
cittadino guerreggia col cittadino, e sempre o nell'una o nell'altra maniera;
perch o attacca alla scoperta, come sono tutti quelli che vivono di rapine (1),
di prepotenze, d'ingiusti litigi, o di soppiatto e insidiosamente, come coloro
che sostengonsi di frodi, di furti, d'imposture, di accatti, ecc. Il primo metodo
desola i popoli, spiantandoli da' fondamenti; il secondo, recidendo i vincoli della
reciproca confidenza e con ci diseccando le vere sorgenti di ricchezze. Nel primo
l'uomo vive di paura, nel secondo di sospetto. Si vive in questi stati? Se tutti
si affaticano per esser felici e non si studia che l'arte d'infelicitarci, sguita che
il cuore degli uomini sempre in guerra con la ragione. L'arte di accordar il
cuore con la ragione, arte cercata da tutti i savi, da tutti i legislatori, da tutti i
pochi pacifici, ella alla scoperta? Ma torniamo da questa digressione.
S. VI. Gli oracoli sono stati e sono tuttavia, in gran parte della terra, una
fecondissima sorgente di far danaro per una scaltrita nazione.Sarei per dire che
rendeva a'Greci pi il tempio di Delfo, che le loro conquiste e il lor commer
cio (2). I Nasamoni dell'Africa pel tempio di Giove Ammone si avevano renduta
mezza l'Africa tributaria, e un po' l'Asia altres. L'Arabia pel tempio della Mecca
si ha fatto come vettigali i Turchi e i Persiani. I preti Babilonesi per accrescere
le loro finanze avevano persuaso il pubblico, che non piacea alla Dea Melytta o
Venere che pulcella alcuna n'andasse a marito,senza che si fosse prima prosti
tuita ad uno straniero che doveva procacciarsi nel tempio di questa Dea. Il da
naro ch'esse ne traevano era sacro, cio si dava a quei preti (5), ed era gran

(1) Nelle Costituzioni Siciliane tit. 29 del Ill lib. leggonsi due leggi di Ruggiero I ordi
nanti di abbattere le torri private, anche sui demaniali della corte. Queste torri erano
innumerabili, come se ne pu giudicare anch'oggi da' loro avanzi; e sono argomento
certissimo dello stato d'una guerra generale intestina di queste provincie di quei tempi.
(2) Vedete la copia delle ricchezze donate da Creso a' preti di Apollo, in Erodoto,
libro I.
(3) Erodoto, Clio n. 196,
18 GENOVI.

sorgente di rendite pe' Babilonesi (1). Ma se i ministri del culto religioso raccat
tano da' forastieri, non ricolgono meno da' cittadini (2).
S. VII. Dopo la caduta dell'imperio romano, e principalmente dopo il XII
secolo, i venerandi diritti della Santa Sede furono per l'Italia pi copiosa sor
gente di ricchezza, che non erano state le conquiste dell'Africa, dell'Egitto, della
Grecia, dell'Asia, ecc. per la repubblica romana. In puro carattere di cittadino
italiano dico francamente, che anche a me duole il vedere com'ella, questa sor
gente, vada seccandosi ogni giorno. Ma esaminando le cose con occhio d'impar
ziale economo, pu ella, quest'arte di far danaro, durar gran tempo in nessun
paese Ella nasce ne' tempi semplici e nelle maree delle opinioni popolari, n
dura che fin che non viene lo spirito politico, filosofico e calcolatore a scredi
tarla (5). Ma chi vuole arrestare il volo del genio, quando in un paese comincia
ad impennare? Non vi riparo: quanto pi premete, tanto pi ne destate l'ela
terio. Aggiungo che quest'arte non pu nuocere alle vere ed eterne sorgenti, delle
quali diremo fra poco; perch difficile ch'elleno si coltivino bene dovunque
regna un metodo pi corto e spedito, qual' quello de'tributi esterni.
S. vIII. Pare a molti, come la pi parte degli uomini non calcola, che le
pi belle sorgenti e le pi sicure da far danaro sieno le miniere ricche e abbon
danti. Felici, dicono essi, quei popoli ove la terra impastata d'oro, di argento,
di diamanti; dove i fiumi corrono di puro oro e argento. . . . . Ecco la felicit
di Mida. I. Queste miniere se son ricche e vaste, il popolo vi si dar a cavare o
raccoglier oro, abbandoner l'agricoltura e le manifatture, e o diverr schiavo
delle nazioni feroci e auricupide (4), o si morr di fame; e se sono piccole e

(1) Ecco il NULLA FoeDITAs siNE AMATCRE.


(2) I Californj, dicono i Gesuiti, furono trovati i pi pezzenti della terra: ma i loroJon
gleurs,Maghi, Sacerdoti, avevano trovata l'arte d'esser ricchi in una nazione di pezzenti:
Storia della California, tom. l. Niun corpo nel Giappone pi ricco, quanto quello
de' Bonzi: Viaggi Olandesi, tom. ll. Quel che pu ad alcuni parere stranissimo , che
i pi ricchi di quei Bonzi sono i Jesuati, pretti Epicurei teorici e pratici: Ibidem. Nel
l'India i Bonzi sono in tal credito, che tanto pi loro si d e pi si arricchiscono, quanto
con finta modestia rifiutano: Bernier e Viaggi di litogers. I dervis di Persia sono le
ogne, dove a lungo andare colano tutte le ricchezze: Chardin, Viaggi di Persia. I
Mollah di Turchia sono un corpo non solo rispettabile per autorit, ma ricchissimo per
fondi e per oro, argento, pietre preziose: Ricaut, Storia dei Turchi; e Busbechio, let
tere su i Turchi. Niente era pi ricco nel Per quanto il tempio del Sole, anzi era il solo
magazzino degl'immensi tesori di quel paese : Garcilasso. Era il medesimo nel Messico:
Vedete Solis. Ne'tempi d'ignoranza d'Europa, gli uomini potenti e ricchi furono i pi
scellerati della terra. L'arte di riscattarsi dalla schiavit del Diavolo, che in quel tempo
fu alla moda, era di lasciar i loro beni a' Frati. La massima era, non si pu avere lo spi
rituale senza abbandonare il temporale, massima in certi riguardi verissima e santissima,
ma della quale si abusa molto nei tempi d'ignoranza. Senza circoncidere il cuore pre
tendevano di transigere colla Divinit sui beni, di cui non sapevano che la legge dell'u
niverso non ci d che l'usufrutto.
(5) Apollo fin di trarre in Grecia ricchezze; come sono finiti certi Santuarj Europei
de'tempi posteriori. Come si comincia a pensare, ogni popolo ne vorr avere uno. Io
vorrei dichiararmi capo dei Zingani, diceva un politico, per avere un imperio in tutta
l'Europa e l'Africa, per dove son essi sparsi. Ma egli non considerava, che allora tutti gli
altri principi n'avrebbero voluto fare altrettanto. Questo caso comincia a verificarsi.
(4) E il caso degli Americani possessori di miniere. Tamas Kouli-Kan non ebbe altro
motivo da far la guerra il 1759 agl'Indiani, che quella di spogliar quell'imperatore degli
immensi tesori che avea raccolti, Egli riport in Persia il valore di 300 Cour, dicono le
L'ARTE PoLITICA DI FAR DANARo. cAP. viii. 219

scarse, appena serviranno ad impiegarvi poche centinaia di delinquenti, che


perch non si vogliono ammazzare damnantur ad metalla. Tutte le nazioni
della costa occidentale dell'Africa dov' molto oro, sono le pi pezzenti e le pi
schiave della terra. Settanta o ottantamila schiavi, che ogni anno vendonsi per
le colonie europee di America, traggonsi di quel paese ricco d'oro. Son pi
ricchi e pi felici gli Ottentoti, dove questo metallo non si conosce, che quei del
Senegal, della Guinea ecc.; e oggi pi i Californj, gli Apalaschi, i Canadesi, i
Caraibi del Continente ecc., che molti de' Peruani. La ragion d'Aristotele una
dimostrazione. Non ricco, dic'egli, chi pu morir di fame in mezzo alle sue
ricchezze: e un popolo, come l'Eldorado, se non coltiva e non nutrisce animali,
si muore sempre di fame. II. Le miniere quantopi si cavano, pi rendon meno,
sia perch mancan le vene, sia perch vi si richiede pi fatica e spesa. La storia
delle miniere esauste e seccate lunghissima.
S. IX. Qual' dunque la vera, soda, durevole arte di far danaro per una
nazione? L'arte, che la sola che approva Dio e la natura; l'agricoltura, le ma
nifatture, il commercio marittimo: mezzi soli giusti da trarre il danaro de'po
poli ricchi di metalli e poveri di cose rappresentate da' metalli (1), e di soccor
rerli con le cose, ch' il pi gran pregio del commercio e ne debb'essere il solo
fine. Ho detto altrove, che vi una reciproca attrazione tra il danaro e le cose
che rappresenta: ma quest'attrazione sempre pi forte dalla parte delle cose
rappresentate, che da quella de' rappresentanti. V ha de' popoli, che non hanno
alcun'idea di queste ricchezze di segno; si pu viver dunque, e anche da nazioni
intiere, senz'oro, argento, diamanti: ma e' non si pu vivere senza mangiare,
vestire, abitare, ardere. Le cose dunque necessarie alla vita traggono con ne
cessit assoluta il danaro; il che non vero del danaro rispetto alle cose, che
non ne son tratte che con necessit ipotetica. Non v' oggi in Europa nazione
che abbia pi danaro quanto gli Olandesi e gl'Inglesi, senza intanto aver altr'
arte da farne, che le tre mentovate. ll grano degli Inglesi e le manifatture di
lana sono una gran calamita attrattrice del danaro, la quale avvicinataglisi pel
commercio, il tira e gli arricchisce ogni anno strabocchevolmente. Gli Olandesi
hanno in Europa poche derrate e pochissimi materiali d'arti; ma essi posseggono
nelle loro colonie dell'Asia derrate di necessit e di lusso, riso, pepe, cannella,

memorie di quei tempi. Ciascun Courvale intorno a sei milioni di scudi, moneta napo
letana. Egli ruin l'Indostan: e poco appresso fu da' Curdi, popoli montagnari della Cal
dea e feroci, per la medesima causa spogliata, incendiata e desolata Ispahan gi famosa
per queste ricchezze.
(1) Nell'imperio de' Babilonesi la sola Prefettura di Tritantegme (dice Erodoto, Clio,
n. 129, pag. 418, ediz. di Glasgow) rendeva alla corte ogni giorno un Artabe piena di
argento. L'Artabe, soggiunge il medesimo autore, capiva poco pi che un Medinno greco.
Un Medinno attico aveva la capacit di 48 Cheniche; e ogni Chenica era di quattro Co
tyle o sia Manate: una Cotyle pesava nove oncie; cosicch un Medinno d'argento il
giorno doveva importare intorno a 186 cantara l'anno. Secondo il detto Budeo un Me
dinno conteneva sei Boisseauv di grano. Qual immenso tributo di una sola provincia!
Donde trarre s gran copia d'argento? Pur, se Erodoto non stato aggirato da' Babilo
nesi, non sarebbe dell'intutto improbabile. La fertilit dell'Assiria era ancora pi porten
tosa del tributo di Tritantegme: le derrate, le manifatture di lino e di lana, ch'erano
finissime e bellissime, dovevano trarre nello stato l'argento delle vicine montagne cos
d'Armenia e della Partia, come del Corassan e dell'India. Ve ne dovea venir parte dall'A
rabia e dalla sterile Persia di quei tempi,
220 GENOVESI.

garofano, noce muscata ecc., e in quella del Capo il meglio che nasce in tulla
Europa, e sono in casa ricchissimi di inaiiifalture. Le repubbliche italiane, Venezia,
Pisa, Genova ecc., e i regni di Napoli e di Sicilia sono stati sempre abbondane
in oro e argento, n con altre miniere che con le suddette. pazzia vuler cer
carne altre. Miniere che si posseggono con sicurt, si coltivano in pace e si
godono con giustizia.
. X. Ritiriamoci nel nostro paese; e bench sia pi d'una volta detto,
diciamolo ancora, perch non si pu dir tanto che basti. I Greci chiamavano la
Magna Grecia, e molte altre provincie di questo regno 'Oinuiria, come chi di
cesse il paese del vino (1); potevano anche chiamarlo il paese de' grani, e non
solo di frumento ma d'ogni altro genere. Cerere regna ab antiquo nella Sicilia,
e con Cerere Bacco sempre giovane, robusto, giulivo. La Sicilia era il granaio
di Roma, e ora di molti popoli. I suoi vini sono il nitare che beono le mi
gliori tavole, non solo degl'Inglesi, ma de' Francesi altres, ancorch superbi del
loro Horgo.'na (2). Ma ambedue questi regni non si potrebbero nominare il paese
degli olii? Miniera ricchissima, diceva il fondatore della cattedra del commercio,
e ch' in sulla superficie della terra, non nelle viscere, dove seppellisconsi inu
manamente gli uomini vivi, e per cui si spopola la superficie: paese di seta, e
oggi quasi i soli Seri di Europa: paese di bambagia, la quale per confessione di
tutti la migliore del globo terracqueo: paese di lana, di lino, di canape, d'ogni
sorta di animali: paese di caci, di manna, ecc. ecc. ecc.: paese di grand'ingegni...
Se questo articolo viene per caso in mano di qualche straniero, sappia che io
l'ho sa ilio digiuno e dopo aver preso un dramma di rabarbaro, e ancora senza
vetri convessi.
. XI. Il ridir, perch questo luogo di ridirlo. L'Inghilterra ricca prin-
cipalmenle per le lime: la Slesia per li "canapi, e lini: la Persia per le sete: l'In
dia per la bambagia. Oltre la copia delle derrate che servono al nostro vitto e
all'altrui, noi abbiamo abbondantemente tulli e quattro questi capi di materiali,
ognun de' quali fa ricchi grandissimi paesi; noi dunque per questo solo verso
dovremmo aver quattro volte pi di danaro di quel che ha ciascuna di queste
nazioni: e cinque pel capo dell'olio, sei pel capo del vino, sette pel silo, ecc. (3).
Kon avendone, vi debb'essere qualche cagione ostante: niente si fa dal niente.
Io non creder mai che manchi l'ingegno. Chi si pu persuadere che i climi
temperati generino de' cervelli pi grossolani che i gelati? Neppure, che manchi

(1) Vedi Erodoto nella Clio.


(2) Si sa che la fu Delfina usava di questi vini Siciliani rossi. S. Ecc. il sig. principe
di Belmonle Ventinvglia, primo majordomo di S. M. la nostra Sovrana, per lenlarmi,
cred'io, il' idolatria , con una generosit che opprime l'angusto spirilo di un filosofo, si
prendi; assai frequentemente il divprlimento d'inebriarmi di questi nettari bianchi e rossi.
(5) L'illustre filosofo l). Paolo Doria, in una lellpra del Commercio Napoletano, scritta
al sig. D. Francesco Ventura, gi presidente del tribunale del commercio, che va mano
scritta, eon bella metafora chiama questo regno amplissima lx>ttega, ricolma donni sorta
di mercanzie e avente tre laryhifswe porle, d'onde s'esce per erti are in vastissime con
trade; delle quali porle una il mare Adriatico, per cui si va nel Settentrione it balia,
nella Cermama, nell'Ungheria, nell'Epiro ecc: l'ultra il mare Jonio, onde s'approda nel
l'Asia e nell'Egitto: la terza il mare di Mezzogiorno, perci si comunica coll'AI'rica, colla
Francia, colla Spagna. Intanto troverete qui degl'ignoranti che vi diranno che noi non
siamo in sito di commercio.
l'arte POLITICA DI FAR DANARO. CAP. Vili. 221

la voglia di faticare: non vi paese in Europa, dove pi si fatichi e certe volte


si stenti, quanto le due Sicilie. Dunque bisogna conchiudere, che manchi il co
raggio e die vi si fatichi male.
. XII. Ma questo mancarvi il coraggio e farvisi male, forza che abbia
anch'esso una cagione. Questa non pu essere, che o la rozzezza degli artisti, o
la pressione dello spirito; delle quali la prima conseguenza del non aver fra
noi scuole di disegno e d'arti, la seconda del non drillo metodo di finanze. Il
massimo peso delle finanze ricaduto su le arti, e doveva aver la base sulle terre;
quindi che le arti ne sono state scoraggiate e avvilite. Le lasse, che da Alfonso
d'Aragona in poi s'imposero per sostenere la maest del trono, furono prima di
visate e stabilite dal parlamento di S. Lorenzo, poi dalle Piazze, e vale a dire
dai proprielarii de' fondi. Questi proprielarii non ebbero il coraggio di caricar
se medesimi. Una gran parte di questi medesimi fondi, venuta in mano degli
ecclesiastici, divenne intangibile. Le terre dunque non dovevano pagare; paga
rono le arti. Ed ecco perch appassirono. Se voi, diceva il fu Alessandro Riuuc-
cini, uomo di vaste cognizioni e di gran cuore, se voi mettete pochi rotoli di
funi fra le gambe del pi generoso cavallo, egli rester di camminare: ma egli
ne porter volentieri due cantaro sul dorso. Il dorso delle finanze son le terre;
le arti non sono che le gambe (1). Dunque dove son terre, debbono pagar le
terre; e dove non sono o non bastano, stimerei che fosse senza paragone miglior
metodo far pagare le case e il consumo giornaliero, che le manifatture.
. XIII. Concliiudo che niun paese v' in E'iropa, che possa posseder. meglio
l'arte di far danaro e farlo in buona coscienza e in pace, quanto son questi
regni. E se vi qualcuno che desidera ancora dejle miniere, mi perdoni se gli
dico ch'ei non sa dove nato; ch'ei si ha messo in su gli occhi de' cannocchiali,
per non guardar che da lungi. 0 uomini stralunati, che voltale disdegnosi le
spalle alla natura, mentre vi offre a due coppe e ricolme le sue ricchezze, sole
vere, sole durevoli, sole beatifiche, per seguire certe bizzarre fantasie che non,
hanno corpo, e non vi sveglierete voi mai da' vostri sogni !

CAPO IX.

Nuovo sviluppo delia forza della moneta.


Delhi circolazione.

. I. Cornelio Tacito, il quale quasi da lutti i nostri politici risguardato sic


come modello della civile sapienza, nel libro de moribus Germanorum con gra
vit romana scrive: Germanis aurum propini, an irati Dii negavcrinl dubito.

() Si pens dalla gran menle del re. Catiolicn di raddrizzare le finanze col catasto. Non
si' poteva pensar meglio: ma la piccolezza d'inaegni, e la malvagit di cuore di molti di
coloro che dovevano eseguir questo gran disegno, e i corti conti de' proprielarii de' fondi,
onde nacquero inlinile frodi, anzich rilevare lo Sialo finirono di rovesciarlo. Dico corti
conti de' proprielarii , perch se essi avesser sapulo calcolare avrebbero subito cono
222 GENOVESI.

Molli hanno fallo del gran plauso a questo detto, imperciocch dubbio, dicon
essi, se le ricchezze secondarie, cio il danaro, abbiati recato pi bene che male
a' popoli. Aristotile, bench discretissimo filosofo, tuttavolla non sembra, com'
detto, neppur egli aver giudicalo assai favorevolmente di queste ricchezze di
segno. Valerio Massimo nel libro 4 Diclorum, Factoramque memorabiliwn,
e. 5 procede ancora pi avanti. Egli stima, che l'oro e l'argenlo sia stalo e sia
tuttavia certissima peste degli Stali, siccome quello che seco porta il rilassamento
delle leggi, della giustizia, della verecondia, della fede, e d'ogni altra virt, senza
le quali niuna famiglia e niunO Sialo non pu n nascere, n conservarsi. Ma
fta bene d'udir lui medesimo: Quia demum, die'egli, ii penate*, ea civitas, id
reijnum aterno in gradii stelerii, ubi minimum virium veneris, pecmiaque cu
pido sibi vindicaveril. Nam quo idee generis Immuni certissimo! pcstespenetra-
verint, ibi injuria dominalur, infamia flagrai. Questo filosofo romano ne ave
degli esempii infiniti non solo nella storia greca, ma in Roma medesima e fre
schissimi. Sallustio nella Congiura di Catilina con stoica libert mostra a qual
grado di corruzione fosse arrivata Roma per la soverchia avidit del danaro (1).
Gli Annali e la Storia di Tacito ad ogni passo presentano de' funesti e scellerati
esempii (2). Il presidente Montesquieu, nell' eccellente operetta delle Cagioni
dell'aumento e della decadenza dell'imperio romano, ha stimato che questa me
desima sia siala una delle principali cagioni della rovina di quell'imperio. Cerio
ella stata della seconda monarchia romana, e della pi grande ancora, quella
de' Gesuiti.
. II. stato oltre a ci scritto e notato dagli storici dell'antica filosofia,
che per questo medesimo motivo molti Greci filosofanti ebbero il danaro in tanlo
abborrimento, che taluno vi fu il quale lo gett in mare con un molto acuto, per-
dam ne perdar, siccome Crate Tebano: alcuno, offertogli, il ricus con disprezzo
e alterigia, come Diogene Cinico: tulli si misero a combatterlo con veemenza.
A questi declamatori si aggiunsero i poeti, quanto avidi di danaro, altrettanto
falsi lodatori della povert, i quali colla forza dell'eloquenza e colla vaghezza
della poesia diedero maggior vigore a' detti enfatici e ai fatli entusiaslici de'filo-
sofi. Costoro finalmente furono seguitali dalla gran turba di quelli, i quali
bench siccome ogni uomo amassero appassionatamente le ricchezze, non ebbero
per mai n sapere d'acquistarle, n fortuna da eredi larle. Luciano ha assai
apertamente dimostrato, che i pi ghiotti di danaro, i pi avari e i pi gran
ladri furono per appunto quei filosofanti che pi mostrarono di disprezzarlo.
Aristofane nelle sue Nubi ha per ci messo anche Socrate in ridicolo. Queste
filosofie, dice saggiamente Aristotile lib. 8, e. della Politica, potevan esse giovare
agli uomini, essendo discordanti da' fatti? La filosofia giova, finch ella pudica,
casta, astinente, sobria non ne' soli precetti, ma ne' fatti, e pi in questi che in
quelli.
sciuto, che abbandonando di nuovo il peso de' tributi su l'arti primitive e secondarie, che
la savia cura del sovrano intendeva di alleggerire, venivano conseguentemente ad annien
tare la fatica e l'arti, per cui solo possono i loro poderi aver del prezzo e loro rendere.
() Hojle omnia vesalia, dice nella guerra di Jugurta. Questo principe africano, poi
ch rivolse le spalle a Ruma, riguardando dietro profetizz, urbem ve.naleji et u-
ture peritura)! , si euptorem iNVENEiiiT. Cesare la compr poco stante.
(2J Principalmente de' delatori, che questo storico ba ragion di chiamare geniti homi'
num publico tritio repertum. Ann. IV, 30,
M'OVO SVILUPPO DELLA FORZA DELLA MONETA. CAP. IX. 225

$. III. Quando la fantasia si impadronita della ragione, ninna cosa tanto


buona che non possa passare per cattiva, e niuna s malvagia che non si possa
fare apparire come buona, massimamente perch vi sono poche cose umane, le
quali sieno o perfettamente buone o intieramente malvage (1). Io non voglio
segare che il danaro non abbia introdotto: I. Certe cupidigie ignote ai popoli
selvaggi e barbari: II. Certe false opinioni, com' quella di credersi tanto pi
ricco, quanto si ha pi danaro, il che pu nuocere alle ricchezze primitive che
sono le vere, e con ci alla felicit medesima del possessore. HI. Che abbia ge
neralo un nuovo ordine d'uomini, i quali senza faticare si arricchiscono degli
altrui sudori, quali sono gli usurai. IV. Che aguzzando l'avidit non abbia mol
tiplicato le frodi, la mala fede e l'ingiustizia. Ma quando se ne discorre a ve
dersi, prima se possano le nazioni barbare mantenersi sempre nella barbarie, e
appresso, se convenga che le eulte tornino barbare. Non si potendo fare n l'uno
n l'altro, le declamazioni sono inutili, e i moralisti anzi di gridare contro si
l'alti: ricchezze, farebbero per mio avviso assai meglio ad insegnare agli uomini
qual uso se ne debba fare per la propria e per l'altrui felicit; e ancora studiarsi
di disciplinarli in modo da rispettare la mediocrit', come il solo perno infran
gibile della vita umana.
. IV. Le ricchezze adunque, cos primarie come secondarie, hanno un
certo termine loro opposto dalla natura fin dove sono buone e utili, e questo ter
mine sono i bisogni reali, non fantastici. Dove non si oltrepassi, ancorch non
sieno di per s cattive, nondimeno possono divenir tali per l'abuso. Ma l'estrema
povert mai non buona, se non quando sia una salvatica abitudine, o scelta
libera ma accompagnata da molle altre insigni virt, ciascuna delle quali dif
ficile e tutte insieme difficilissimo che si trovino in molti. E di qui che la mag
gior parte degli uomini, in cui preme gran povert, diventan malvagi quasi per
una legge macchinale (2). A me piare vedere un uomo ne' pubblici all'ari pel
bene comune preferire l'onesta povert alle non giuste ricchezze: un eroe, un
uomo singolare in grandezza d'animo-, gli si debbono gli elogi di tutta l'umanit.
Ma pure mi paiono non solo pazzi, ma nemici della civile societ tutti quelli i
quali o per animo vile e poltronesco, o per disperazione di non aver potuto acqui
stare, o per coprire il pentimento di avere scioccamente dissipato i loro beni, o
finalmente per avidit, corrono ad occupare l'altrui sullo plausibile pretesto di
povert, ed intanto declamano conlro le ricchezze.
. V. Ma lasciamo questo ragionamento agli etici, e veggiamo quali beni,
e in che modo, il danaro ha procurato e procura alle nazioni. Il danaro facilita
il commercio e le arti. Esso (dice leggiadramente il signor Hume ne'suoi discorsi
politici) come l'olio con cui si ungono le ruote al carro, che lo rende pi atto a
girare e con ci ne agevola il moto. Il danaro, destando una certa inesplicabile
energia nel cuore umano, d della velocit e speditezza alle fatiche e permute
delle cose; questa speditezza u aumenta la quantit e lo smercio; lo smercio
che aumentasi, per una quasi reazione, accresce l'industria e le arti; queste au
mentano i comodi e le ricchezze dello Stato; e le comuni ricchezze rendono le

(1) Tutte le cose di questo mondo, dice un buon filosofo greco, sono di molti e vari
lati. Sud corpi poligoni.
1$) Tutti i popoli nudi e pezzenti sono franchi ladri, omicidi, incendiarli, antropofago
224 GENOVESI.

persone pi soddisfatte, men crudeli, meno assassine, meno perturbatrici del co


mune riposo (1).
. VI. Affinch questo si comprenda meglio, rechiamoci a memoria i quat
tro o cinque stati primitivi delle nazioni, de' quali detto nella Prima Parte,
cio de' selvaggi cacciatori, de' popoli pastori, degli agricoltori e metallurgici, e
finalmente de' manifattori. Tulli i beni del primo sono learmi, le pelli delle fiere,
le carni, le erbe, i frulli selvaggi, le legna. Quei del secondo, oltre a'delli, hanno
ancora gli animali domestici, come pecore, buoi, capre, camelli, ecc. In una
nazione di agricoltori, fuori delle cose numerale, vi una maggior quantit di
animali domestici e tulle le derrate. Finalmente Ira popoli manifattori, alle
suddette cose si vogliono aggiungere tutte le manifatture di comodo e di lusso, e
un'iiilniii d istrumenti di metallo e di legno.
. VII. Supponiam ora, che in ninno di questi popoli trovisi del danaro;
egli sar manifesto che gli uomini, obbligati a provvedersi di quel che loro
manca per se medesimi e con delle, permute, penseranno al solo necessario: es
sendo cosa molesta e difficilissima il caricarsi strabocchevolmente, o di un solo
genere per provvedersi con esso degli altri, o di molli insieme. Conciossiach e
per averli si richiegga grandissima fatica, e per conservarli grande spazio e di
ligenza. Le arti adunque e la industria saranno poche e lente, e i bisogni della
natura spesso delusi. Questo far, che di tanto in lanlo o vengano desolati dalla
faine e dal disagio, o si scannino fra di loro, o escano a sciami per desolare
altri pi comodi ti;. Ma introduciamvi del danaro, e che sia ogni cosa per rap
presentazione; ciascuno slimer di aver tanto maggior numero e copia di cose,
quanto sar maggiore la copia del danaro che posseder. Dunque s'ingegner
di avere del mollo soverchio o in derrate, o in man fatture, o in qualche altra
professione, per aver di quel danaro (3). Cos il danaro moltiplicher le cose e
l'industria, e le cose e l'industria moltiplicheranno il danaro.
. Vili. Dov' da considerare, che non solo nelle cose fisiche l'attrazione
reciproca de' corpi in ragion proporzionala alla quantit di materia, ma anche
nelle cose economiche. Imperciocch a proporzione che cresce il danaro, purch

() Non dubito che quei che non vogliono o non sanno paragonare le nazioni e i tempi,
non giudichino per l'opposto. Paragonando si trova eh' eume dico. I Tunisini dacch si
son duti al commercio, cio da meno d'un secolo in qua, sun divenuti pi umani e pi
giusti ; n dubito che lucessero l'islesso gli Algerini, se vi si piegassero. Fu il medesimo
degli Uscocclu, degli Unguri, degli Collaudi, degli Slesiani ecc., nazioni non molli secoli
addietro tutte salvaticbe, crudeli, gemi da scorrerie e saechcggialrici, ora savie e uma
ne. 1 selvaggi del Brasile, poich hanno cominciato ad amare l'agricoltura e le manifat
ture, bulino in gran parte deposto la loro indole salvulica e la ferocia, la mutua rapina
e guerra.
% Di qui che i popoli tra cui non moneta , o debbono vivere in una sorta di co
munit, come gli Apaluschi neh' America sellenirionale, in parte i Peruaui, molli degli
antichi Tedeschi eco , o esser ladri e assassini, o miserabilissimi.
(5) Si dir che questa cupidigia rende le persone false, fraudolente, oppressive, e ge
nera una guerra di micidiali astuzie nelle nazioni, ove l'oro l'unica divinila. Noi niego.
Pur ques a guerra guerra d'ingegno : dove non n oro, n beni, la guerra si fa cou
le braccia ed pi destruttiva. Questa seconda guerra spianta sempre l'imperio, e qual
che volta la nazione: ma il governo se savio e fermo, se regge con arie, non a caso, pu
sempre far servire la cupidigia, e le sottili arti che ne nascono, al ben pubblico, facen
dole servire all'arti e al commercio. Gli Olandesi, gli Inglesi, i Francesi, i Genovesi ecc.
NUOVO SVILUPPO DELLA FORZA DELLA MONETA. - CAP. I. 225

la soverchia massa non produca una stupida immobilit, ne cresce la forza at


trattrice delle derrate e manifatture; e vicendevolmente, crescendo le derrate e le
manifatture, cresce la loro attrazione del danaro. Sicch in ogni Stato la forza del
l'industria proporzionevole alla quantit del danaro e delle cose rappresentate
dal danaro.
S. IX. Ma perch si trovano delle nazioni, tra le quali non si vede che la
copia del danaro produca questi effetti (del che grande esempio sono i popoli
ricchi di miniere), bisogna qui dimostrare in che modo esso li produca, e far
conoscere quali sieno le cagioni che impediscono ch'esso non faccia quel che
dovrebbe di sua natura fare. Dico adunque che il danaro produce questi effetti,
non tanto per la sua quantit, quanto per la sua diffusione; la quale dove venga
impedita, non solo esso non arricchisce quel popolo, ma il fa pi povero. ll
danaro parmi simile alle acque. Si sa che l'acqua nutrisce le piante e rende la
terra feconda. Pur se voi avendo delle belle e profonde terre, in iscambio di la
sciarvi scorrere per tutto le acque che piovono o scaturiscono, le raccogliete in
pochi stagni, da' quali o niente o poco ne esca e giri per la campagna, queste
acque non vi gioveranno a nulla, anzi serviranno ad imputridirsi in quegli stagni
e vi ammorberanno l'aria. Per la qual cosa siccome l'equabile diffusione delle
acque feconda le terre e rende ricco l'agricoltore, cos l'equabile, o l presso,
diffusione del danaro e la sua circolazione fa divenire ricchi, popolati e potentigli
Stati; e il ristagno, e l'infinita disuguaglianza tra i molti e i pochi secca la na
zione, genera dei piccoli tiranni, e apre ilvarco alle oppressioni, astuzie, furberie,
odi e mille altre iniquit.
S. X. Qual legge, dir taluno, potrebbe produrre una s fatta equabile dif
fusione, o l presso? Al che mi pare di poter rispondere come segue. Il danaro
attratto dalle derrate e manifatture, e con maggiorforza ch'esso non tiri quelle.
Dunque la legge che si pu fare perch queste derrate e manifatture si spargano
cos nella nazione, che non vi siano che pochissimi, i quali non ne posseggano
alquanto pi che non bisogna alle domestiche loro facende, questa medesima
sar la legge da produrre quell'equabile diffusione di danaro, ch' il cornucopia
degli Stati. Questa legge ha due capi: I. Che le terre sieno con minor disu
guaglianza divise, che non sono; per ottener la qual cosa, e' bisogna che non vi
sieno terre che non girino, e che non ve ne sieno delle indivisibili. Dunque a
questo primo capo s'oppongono, 1 gli stabili inalienabili, 2 i maiorascati. II.
Che l'arti, i contratti, il commercio interno e l'esterno sieno tanto liberi, quanto
possono il pi per le regole della giustizia e per l'interesse generale dello Stato (1).
Fate questo, e dormite pel resto. La natura che va sempre all'equilibrio, dove
sia bene avviata n bruscamente arrestata, vi dar in poco di tempo una presso
che eguale diffusione di stabili, d'industria, di danaro. Ogni famiglia coltivatrice,
o avra un pezzo di terra in propriet e coltiverallo come si coltivano le cose
proprie, che vuol dire il farla rendere il duplo per lo meno che non rendono le
terre coltivate dai non proprietari; o sperer di averlo, e allora far valere la
sua diligenza,parsimonia, fatica: e ogni famiglia di manifattori, sapendosi da
--- --- --- ---

(1) ll sig. D. Paolo Doria nella Lettera sopraccitata ha veduto quel che ogni accorto
conoscitore vede subito. che gli appaltatori dell'annona della capitale e gli assentisti non
lasciano libert alcuna di contrattare nelle nostre provincie. Questo rovina leprovincie e
la capitale. Ma di ci detto nella Prima Parte.
Econom. ToMo llI. 15,
226 GENOVE8,

tutti che non vi fondo pi saldo delle famiglie quanto le terre (1), aspirer ad
averne, e vale a dire faticher pi e meglio. Sparsi a questo modo i generi, voi
avrete sparsi i rappresentanti de' generi. Questa che non fu legge di consiglio
umano, ma effetto di necessit, arricch quelle infinite repubblichette d'Italia che
sorsero dopo il xii secolo; e poich si venne ad intralciarla, elleno rovinarono
tutte.
S. XI. Tornando da questa digressione dico, ch'essendo il danaro segno
delle cose mercatabili, cio delle ricchezze primitive, seguita che non possa cir
colare senza che insieme circolino le cose da esso rappresentate. Queste due
circolazioni sono s l'una all'altra strettamente congiunte, che vanno sempre a
livello. Anzi possono, come detto, ben circolar le cose senza che circolino i
loro segni, ma questi non circoleranno mai senza che quelle circolino; perch
non avranno principio motore, che l'attrazione de'generi. Dunque a volere
che il danaro circoli mestiere, come detto, che si agevoli il giro de'generi; e
affinch circolino i generi, forza che il danaro non sia impedito per gravi
usure; e per questo, che vi sia pubblica confidenza che animi a dare. Per meglio
capire queste cose da cominciarsi da' loro principi.
S. XII. La circolazione non altro che il corso delle permute di quel ch'
soverchio con quel che manca. La velocit della circolazione il corso delle per
mute in un dato tempo. Adunque la velocit maggiore o minore in ragion
reciproca de' tempi. La velocit della circolazione che si fa in sei mesi doppia
di quella che si fa in un anno, e quella che si fa in tre mesi quadrupla. La
quantit poi della circolazione in ragione composta della velocit e della massa
delle cose circolanti. Perloch la quantit della circolazione in due Stati A e B,
se le cose circolanti sieno eguali, in ragione della velocit; se le velocit sono
eguali, e disuguali le masse circolanti, in ragion delle masse; e se variano
tanto le velocit quanto le masse,lequantit sono in ragion composta d'ambedue.
S. XIII. Di qui seguita che, secondo che sono le quantit delle circolazioni,
cos sono gli effetti della moneta. Per le quali cose intendere facciamo qui due
ipotesi. La prima di supporre uno Stato (purch si possa chiamare con questo
nome) senza aver niuna circolazione, cio senza nessun commercio interno fra
le famiglie che il compongono, e veggiam quali debbano esser le conseguenze di
questa prima ipotesi. Primamente in questo Stato, o piuttosto in questo paese,
ciascuna famiglia per supplire a' suoi bisogni dovrebbe da se sola procacciarsi
tutto quel ch' necessario alla vita. II. Essendo ciascuna famiglia appena ba
stevole a procacciarsi il puro necessario, in questo paese non vi potrebbero essere
n comodi n lusso. III. In questo medesimo paese non vi potrebbero essere
altre classi d'uomini, fuori che cacciatori, pescatori, pastori, coltivatori. IV. Non
vi sarebbe n societ civile n imperio, ma la sola societ naturale e il solo im
perio domestico. V. Questo Stato sarebbe poverissimo e senza forze. VI. Dovrebbe
finalmente essere esposto a chi prima volesse conquistarlo. I popoli selvaggi,
bench non siano pienamente tali, pure vi si accostano di molto (2).
S. XIV. La seconda ipotesi di supporre una nazione, nella quale sia la

(1) Niun ordine di persone ha meglio compreso la forza di questa massima, e serbatala
con pi costante sapienza economica, quantogli Ordini religiosi.
(2) Vedete la storia de'Caraibi citata qui sopra, le relazioni de'Siberj, de'Californj ecc,
NUovo svILUPPo DELLA FoRzA DELLA MoNETA. CAP. Ix. 227

massima possibile circolazione, cos per riguardo alla quantit come rispetto alla
velocit. Le conseguenze di questa ipotesi sono. I. In questo Stato l'industria
delle persone dovrebbe essere la massima possibile, perch senza una tale in
dustria non si potrebbe mantenere quelgrado di circolazione che supposto
esservi. II. Vi si dovrebbe trovare la massima possibile quantit di cose permu
tabili, cos di necessit, e di comodit, come di lusso. llI. Vi dovrebbe essere la
massima possibile perfezione delle arti e delle scienze utili. IV. Vi dovrebbe
aver luogo la massima possibile popolazione, e in conseguenza la pi gran forza,
della quale un tale Stato fosse capace. Il regno d'Inghilterra con tutto il disordine
delle sue finanze (1) si accosta di molto a questa ipotesi.
S. XV. Queste due ipotesi dimostrano ad evidenza, che quegli Stati sono,
relativamente alla loro estensione e forza interna, pi ricchi, grandi e potenti,
dov' maggior circolazione, che quelli dove minore. Oltre a ci dimostrano
che un medesimo Stato in quei tempi pi ricco e grande, ne' quali maggiore
la circolazione (2); e in quelli meno ricco e men potente, ne' quali la circola
zione minore (3). Queste verit sono poi tutte confermate dalla storia del genere
umano e dalla continua esperienza. La differenza delle presenti nazioni di Eu
ropa in ricchezza e potenza nasce da questo principio; e dal medesimo la dif
ferenza di queste stesse nazioni in diversi tempi. Dunque quei politici che per
n0n rette misure, o per piccolezza di cuore angustiano e arrestano la quantit
della circolazione pel bene delle corti, operano in contrario al loro fine (4).
S. XVI. Le quali cose essendo cos come detto, necessario che ricer
chiano quali sieno le cagioni che accrescono la circolazione, e quali quelle che
la ritardano o scemano. Intorno al che la prima e principal proposizione , che
la circolazione dipende da due sorgenti. I. Dal desiderio. II. Dal potere di per
mutare;perch chiaro che niuno ricerca quel che non desidera, o per cui
ottenere non ha facolt. Di qui seguita che per aumentare la velocit e quantit
della circolazione, bisogna insieme aumentare queste due sorgenti, il desiderio
e il potere. Per la qual cosa tutte quelle cagioni o fisiche o morali, le quali au
mentano il desiderio e il potere di cambiare, aumentano altres la quantit della
circolazione: e all'opposto quelle, che scemano quel desiderio e quel potere,
Sminuiscono eziandio la quantit della circolazione.
S. XVII. Le cagioni poi, le quali aumentano il desiderio e il potere di per
mutare, sono principalmente le seguenti: I. Avere bisogni di molte maniere;
perciocch i bisogni generano i desideri. Di qui che la circolazione maggiore,
dov' maggiore la coltura delle nazioni; perch i popoli culti hanno pi bisogni
e di molte sorti. II. Avere del soverchio; perch il soverchio d il potere di per
mutare. Or come il soverchio nasce dallo spirito dell'industria, quindi che tra
popoli industriosi la circolazione maggiore. III. Avere la comodit di permutare
quel ch' soverchio con quel che manca: e perci la comodit de'fiumi naviga
bili, quella delle buone strade e sicure, quella de'molti e liberi mercati, quella

(1) Vedete l'opera citata: Storia de' debiti e delle tasse nazionali, in inglese.
(2) Tale fu il ducato di Borgogna innanzi all'estinzione de' suoi duchi. Vedi la Storia
del Commercio delle Provincie-Unite, di M. IIuet.
(3) Come fu poi nel nedesimo ducato dopo estinti i suoi duchi:
4) Dum vitant stulti vitia, in contraria currunt,
228 GENOVESI.

del mare e de'buoni porti, son tutte cose che aumentano la circolazione (1).
V. L'utilit del permutare. Dond' che la piccolezza dei dazi e de' pedaggi,
l'acquisto del tempo, il rimuovere delle avanie (2) ecc., influisce maravigliosa
mente nella circolazione. VI. Il potere arricchire senza paura, il che non ha
luogo se non dove le ricchezze son sicure. E di qui , che ne' paesi dispotici
non vi pu essere n gran circolazione, n gran commercio, n molte ricchezze
nello Stato (5). VII. Il desiderio d'acquistar gloria e distinzione. In Venezia i
ricchi mercatanti possono aspirare alla nobilt della repubblica, e in Napoli alla
signoria de'feudi 4). Quasi tutta la nobilt delle repubbliche italiane, morte
e vive, venne da questa sorgente. La circolazione fu massima in queste re
pubbliche.
S. XVIII. Le cagioni che indeboliscono e diminuiscono la circolazione, sono
tra l'altre le seguenti: I. Pochi bisogni e di poche maniere. Tal' lo stato delle
nazioni selvaggie e barbare (5). II. Poco del soverchio, siccome avviene in quelle
nazioni dov'gran poltroneria (6). lII. Difficolt fisiche o morali di permutare,

(1) Le massime utili, diceva Cartesio, si voglion dir tante volte, finch diventino na
tura. Volete la legittima libert di commercio? La legge di Carlo V (Constit. Regni Sici
liae, pag. 552. Venetis 1590): Liberi sint Vassalli cui voluerint, QUANDo voluerint, ubi
et QUAE voluerint vendere.
(2) Bisogna porre per massima indubitata, che quanti pi sono coloro che s'impiegano
per custodi e raccoglitori de' dazi, de' pedaggi, delle dogane ecc., de' tributi ecc., tanto
pi cresce il numero dei ladri, e tanto pi s'allenta la circolazione. L'Antifinanziere Fran
cese sostiene, che il numero degli occupati alle finanze di quel regno sono intorno a
200,000: guardate quanti ladri! Ma altrettanti sono gli ostacoli alla circolazione. Non si
potrebbe inventare un sistema pi semplice?
(5) Che fa in Inghilterra una lunga e dispendiosa guerra ? Cimenta l'industria. Che fa
in Turchia? Annicmila la 1opolazione e impiccolisce il sovrano, se non riesce il conqui
stare nuovi Stati. Sette anni di guerra non hanno molto nuociuto all'Inghilterra: e avreb
bero desolato la Turchia nelle medesime condizioni.
(4) Vi sono alcuni, che credono esser questo un ostacolo al crescere del nostro com
mercio. Io ne penso altrimenti. Se un mercante ricco pu acquistare un feudo, dunque
un che l'aveva, pu perderlo. Quando le piante vecchie rovinano, lasiate crescere le no
velle. Notisi ch'io parlo del feudo e non della giurisdizione meri et mixcti imperii. Non
vi Stato, dove non uno il supremo capo, una la legge, una la giurisdizione.
(5) 1 Massageti, dice Erodoto (Clio in fine), mangiano radici, frutti salvatici, carne;
beono latte e acqua: vestono pelli di foche del fiume Arasse: non seminano nulla. Vo
lete voi mercanti, permute, commercio, circolazione in un tal paese? Tutti i popoli sel
vaggi sono nel medesimo stato. Questo mi fa sovvenire spesso della mia massina: Che
non vi metodo pi contrario al vero interesse de' signori, quanto il premersoverchio
il corpo delle arti creatrici. L'uomo animale che pu viver di tutto e si avvezza a tutto.
Si veduto fra noi la gente bassa avvezzarsi al grano d'India, cacciata dall'uso del fru
mento: come verr premuta anche iu questo genere,si avvezzer alle ghiande e alle ra
dici. Gi piantansi delle patate, delle cassave, degli arnioni, e tra noi si conobbe il 1764
che si possa vivere di pure erbe. Non si vuol ridurre la gente a fare sperienze, e uscire
di certi pregiudizi che servono a mantenere le civili societ. Non amerei che tra le culte
nazioni si arrivasse a conoscere da molti, che il vestire un pregiudizio di educazione;
ch' l'istesso l'opinione di dover abitare nelle case, di dover mangiare questo e a questo
modo ecc. Questo le disvezzerebbe de' loro abiti, e chi le potrebbe poi forzare di ritor
nare alle prime arti?Chi tra noi volesse vederne la pratica non avrebbe a fare che stu
diare un poco meglio la vita di quei che qui nella capitale si chiamano Banchieri (per
che alla notte dormono sui banchi all'aperto).
(6) La quale nondimeno non vien mai che da gran pressione. I gradi d'industria son
NUOVO SVILUPPO DELLA FORZA DELLA MONETA, - CAP, Ix, 229

quali sono gli ostacoli che la natura pone o le leggi del paese. IV. Gravi pericoli
nell'arricchire, siccome tra i Turchi e ne' governi feudali. V. Niuna confidenza
degli uni negli altri, e niuna o poca fede pubblica ; perch questo scoraggia il
contrattare. VI. Niuna speranza di gloria o di distinzione per le famiglie ricche.
Le nazioni, dove i posti civili e militari son venduti e affissi a certe antiche fa
miglie, hanno questo grande ostacolo al dilatare il commercio.
S. XIX. Da questa teoria seguono due conseguenze. La prima che il lusso,
purch abbia quelle qualit delle quali detto nella Prima Parte, accresce la
circolazione; perch aumenta i bisogni e ne crea de'nuovi, e perci aumenta i de
sideri e d moto alla circolazione. Di qui che i gran politici, per l'interno com
mercio d'un paese e per promuovere ogni sorta d'industria, stimano necessario
che la capitale sia ben grande, lussureggiante, posto che la materia del lusso
venga dalle provincie, perch vi sia un riflusso, senza il quale le provincie ven
gono a seccarsi; e che non vi siano de'jus proibitivi, che arrestino il moto delle
provincie. E questa la gran molla, per cui di tutti i popoli d'Oriente i Persiani
e i Cinesi vi sono i pi industriosi. Le manifatture di seta di Persia in quantit
e qualit superano di molto l'europee, per confessione di tutti gl'intelligenti (1).
S. XX. La seconda , che lo spirito d'un commercio diffuso per tutte le parti
d'una nazione accresce la circolazione; perch oltre che aumenta il soverchio,
produce la voglia d'arricchire e con ci desta l'industria. Come tra tutte le cose,
le quali dilatano lo spirito del commercio, le principali, io credo, sono la confi
denza pubblica e le compagnie de'negozianti, purch sieno s assortite che non
formino un monopolio (2), s'intende perch queste due cagioni mantengono in
vigore la circolazione.
S. XXI. La seconda proposizione generale : il vigore delle leggi, i presti
castighi de'rei e principalmente di falsit e di mala fede,la presta amministrazione
della giustizia, e sopratutto in materia di commercio dove ogni lunghezza grave
danno, sono cagioni aumentatrici della circolazione e dell'interno commercio.
Imperciocch tutte queste cose, oltre che ci fanno meglio amare i comodi e i
piaceri innocenti e perci accendono lo spirito d'industria, tolgono molti ostacoli
alla circolazione. E nel vero egli difficile, che dove le leggi non hanno vigore,
e dove i delitti di fede pubblica non sono rigorosamente repressi, non vi siano
molti uomini malvagi i quali amino vivere a spese altrui. E dov' molta copia di
questa peste de'corpi civili, non possibile che vi sia confidenza degli uni negli
altri, il che assidera la circolazione (5).

sempre proporzionevoli a' gradi di libert civile. Dove non ve n'ha nulla non pu regnare
che o la poLTRoNERIA o la FURBERIA.
(1) Vedete quel che ne scrive Chardin ne' Viaggi di Persia.
(2) Il modello dovrebb'essere la Societ di S. Giorgio di Genova, su cui fu modellata
la Compagnia Orientale degli Olandesi.
(5) In certi paesi gi guasti par che siasi perduta la bussola di rimenarvi quella parte
della pubblica fede, che appartiene alla pronta e dritta amministrazione della giustizia,
ancorch, secondo che io stimo, niente sia pi facile. Questi paesi sono ordinariamente
quelli: 1. Dove i sovrani e i loro immediati ministri hanno buone orecchie, senza aver mai
occhi. Il Granduca di Toscana gira mascherato. ll. Dove regna la massima, BisoGNA FARE
1. BEN DEL PUBBLico s FATTAMENTE, CHE NoN si FACCIA IL MAL DI NEssUNo. Questo
impossibile e distrugge tutte le leggi criminali. Non punite gli omicidi, i furti, gli
adulterj, le violenze, le calunnie, i tradimenti, le truffe, la prevaricazione ecc., per non
Z3U GENOVESI.

. XXII. La terza proposizione : l'equabile diffusione del danaro promuove


potentemente la circolazione e'1 commercio, perch d la voglia e'1 potere a tutti
i membri dello Stato d' industriarsi ; dove che il danaro, il quale ristagna in po
che famiglie, resta quasi sempre o tutto o gran parte infruttuoso. Vi sono alcuni
politici i quali credono, che quest'equabile diffusione di danaro non possa aver
luogo senza due condizioni. La prima che le terre sieno divise con perfetta
egualit: l'altra che si promuovano le manifatture in tutte le parli dello Stato. La
seconda non credo che sia molto diffcile a praticarsi. Ma la prima si pu partire
in divisione actu et potentia. La prima si dee riputare per moralmente impossi
bile, siccome liuti dimostrato i fatti de'Romani per le conseguenze delle leggi
agrarie, e il fa vedere dimostrativamente Aristotele nel secondo libro della Poli
tica , dove sottomette a rigido e sottile esame le due repubbliche ideali , una di
Platone, l'altra di Falaride Milesio, nelle quali si voleva stabilire l'egualit dei
fondi. Dunque non vi pu aver luogo che la divisione potentia, della quale detto
nel . X. A cui unite la generale libert delle manifatture, e avrete il problema
bello e sciolto. Allora necessario: I. il lusso dei gentiluomini e de' ricchi che
alimenti l'arti, e sia una giusta restituzione di coloro che hanno del soverchio, a
quelli che hanno de'bisogni. II. Impedire quanto pi possibile l'entrata alle ma
nifatture forasliere (1); perch dove queste sono pi alla moda e inondano il
paese, il danaro ricavalo dalle arti primitive andr ad alimentare gli stati fora
stica , e lascier in secco il proprio.
. XXUI. Per conoscer poi se in uno Sialo sia equabile diffusione di danaro,
si vuole aver l'occhio a' tre principali seguenti segni: 1. Dov' gran circolazione,
ivi forza che il danaro sia diffuso con quell'equabilit che si pu per le cose
umane, perch molta circolazione e molla diffusione di danaro son cose recipro
che. II. Dove si veggono fiorire l'agricoltura e le manifatture. III. Dove l'interesse
del danaro basso, relativamente al grado di commercio (2). Dico relativamente
al grado di commercio, perch il medesimo potrebbe avvenire pel ristagno in al
quante mani, dove non commercio n gran bisogno di danaro (5).
. XXIV. La quarta proposizione , che la certa scienza de'debiti e de'credili

far male a questi ribaldi, e dir il pubblico, non ci servono le leggi n il legislatore. III.
Dove si persuaso, che il mondo va da s, senza aver altrimenti bisoc.no dei.ee mani
degli uomini : il che distrugge la necessit de' legislatori e de' sovrani. Come non vi re
gnano questi vizj, una mano ferma e savia pu ridurre la guasta nazione in pochi anni.
Sisto V, Arrigo IV, I). Pietro di Toledo, Pietro il grande ecc., ecc. Da questa considera
zione chiaro che gl'iNDi'LTi, purch non sieno certe amnistie dopo una guerra o civile
o estera, alimentando lo spirito di ferocia, di vendetta, di perfidia, di poltroneria ecc.,
operano pel contrario al lor fine.
(1) Non credo, che vi fosse in Europa paese, che potesse meglio fardi meno delle manifat
ture straniere, quanto il nostro, anche per lussureggiare : ma noi, come molti altri popoli,
siam pazzi di lusso mal inteso; e la pazzia pubblica non pu curarsi che con le leggi, che
sono la ragione pubblica. Ci lamentiamo che v' poco danaro che giri per le provinole ; e
quest'anno Incominciato assai per tempo un riflusso, che per mandar fuori pi che un
milione e mezzo. Se i nostri gentiluomini avessero avuto un poco pi: 1" di fortezza di
resistere alla tentazione di vauil, 2 di economia da riguardare pi per minuto i loro
fondi, 3n di carit pel ben dello Stato, l'occasione delle presenti feste era venuta nell'in
tenzione di relevare di bollo le nostre manifatture, e di fare un grandissimo bene al regno.
(2) In Olanda vi al 3 per 100, ancorch il commercio vi sia grandissimo. La dimo
strazione di questo terzo segno che l'usura il prezzo del danaro; dunque dove tal
prezzo basso, cio piccolo anche nel molto bisogno , forza che la quantit circolante
sia grande, come in tutti gli altri generi.
(3) Il danaro si dava qui da molti a' Padri della Compagaia di Ges ni -2 1 \i per 100.
NUOVO SVILUPPO DELLA FORZA DELLA MONETA. - CAP. IX. 251

di ciascuna famiglia gran cagione di diffondere il danaro ristagnante, del di


minuirsi l'usure, e di dare un maraviglioso grado di celerit alla circolazione.
I. Niuno dar il suo danaro senza esser sicuro del capitale. Questi capitali sono i
fondi de'debitori. Ma questi fondi possono essere o liberi o carichi di debiti ante
riori. Dove non consti con certezza se essi sien liberi o ipotecati, niuno che sia
prudente vorr farne la sperienza a suo pericolo. Questo ritiene i possessori di
danaro dal prestare, ecc. Dunque la certa scienza de'debiti e de'crediti di ciascuna
famiglia gran cagione del diffondere il danaro ristagnante (1). II. La certa
scienza dei debiti e dei crediti di ciascuna famiglia cagione diffusiva del danaro;
or quanto maggiore la copia del danaro circolante, tanto ne scema il prezzo,
cio le usure; dunque ecc. (2). lII. Questa medesima scienza, diffondendo il da
naro e diminuendo le usure,fa che il danaro giri nello Stato colla massima pos
sibile circolazione; ora non pu circolar mai il danaro senza che circolino le cose
rappresentate.
S. XXV. Qual metodo, dir taluno, per ottenere questo punto in tutta una
nazione? V'hanno tra noi molti che han progettato un archivio pubblico (5). I
beni stabili di tutte le famiglie, l'annue rendite di qualunque natura e sorte, i
crediti ecc., i pesi domestici, i debiti, le obbligazioni ecc., vi debbono essere
colla massima possibile esattezza descritti e registrati. E perch non a fidarsi
alle rivele, questo medesimo autore chiede una legge: Tutti i debiti e i pesi di
qualunque natura, che non sieno stati rivelati dopo un dato convenevol tempo,
si abbiano come prescritti, da non averpi azione alcuna in competenza con i
debiti posteriori.Tra noi si vorrebbe accatastare tutto e la capitale in prima, e
inserire nel catasto non solo gli stabili, terre o case che sieno, ma tutte le annue
rendite d'ogni natura e sorta, anche i soldi pubblici, e quindi sottometter tutto
alla detta legge di prescrizione (4).
S. XXVI. Poich dimostrato, che la circolazione arricchisce lo Stato: che
il danaro, il pi che si pu equabilmente sparso, aumenta la circolazione: e quali
sono i principali mezzi acceleratori della circolazione; si pu assai leggiermente
comprendere, che niuna cosa importa tanto ad un popolo per aumentarvi le ric
chezze primitive, quanto promuovervi tutti questi mezzi.Qni ricordiamo solamente
che come il commercio esterno lo scolo dell'interno, e l'interno l'anima del

(1) Vi sono in Napoli molti che seppelliscono piuttosto il danaro, che darlo a prestanza
o a qualunque altra specie di contrattazione, ed perch son assai poche le occasioni
sicure; si teme dunque: ma
Questo timor da lunghe pruove nato.
(2) Perch nelle provincie di questo regno veggonsi tuttavia le usure al 9 e all'8 per
100? Perch il danaro ristagnando nella capitale non torna in quelle.
(3) Il sig. Doria nella sopraccitata Lettera ecc.
(4) Si dice che questo metodo tornerebbe in disonore di moltissimi che vivono sul cre
dito. E verissino. Ma le leggi politiche non mi pare che avessero a mirare, che al ben
generale dello Stato. Sarebbe una condotta poco lodevole, per salvar il credito di certi
particolari lasciar discreditata tutta la repubblica. I Romani nel fare il lor Censo spesso
rimandavano alla classe degli Erari, cio de' capite censi, quei ch'erano decaduti dalla
pristina fortuna. La loro massima era, sALUs PublicA suMMA LEx EsTo. Questo male poi
non vien dalla legge. Quando un chirurgo scoprendo una piaga la trova incancrenita e
comanda il taglio e 'l fuoco, non vi sar, cred'io, nessuno che dica, il chirurgo ha fatto
Ulla Cancrena.
232 GENOVESI
l'industria, e l'industria la molla della circolazione, seguita che di tutte le cagioni,
le quali promuovono la circolazione e cin ci l'industria, al di dentro le pi
forti siano la sicurezza de' credili e la libert delle derrate e manifatture, al di
fuori la legittima libert dell'estrazioni, e la dolcezza de'dazj d'uscita nfline d'a
vere la preferenza nel concorso, molla onnipotente pel commercio esterno (1).
$. XXVII. E si vuol nondimeno O'servare, che quando io dico equabile dif
fusione di danaro, non intendo gi egualit di quantit, che questo (se fosse
possibile) sareblm certa rovina e male' distruttivo della forza medesima della mo
neta (2 ; ma voglio dire piuttosto egualit di proporzione, cio: I. che non vi sia
quasi nessuna famiglia che non n" abbia tanto, che basti ad animare la sua in
dustria, grande, piccola, piccolissima che sia. II. Che se non diffuso attual
mente, serbi sempre pronta la potenza di diffondersi con egualit di proporzione.
Questo ha luogo in quei paesi: 1 dove le compre e i prestiti son sicuri; 2" dove
l'usure son basse; 3 dove si fa onore alla liberalit e propriet della vita; 4 dove
sacra la fede decontratti, e sono puniti con severit i falsari; 5 dove re
presso il brigantaggio; 6^ dove le liti non sono eterne; 7 dove la frode e la truffa
non si abbia per moda; 8" dove niuna famiglia stimi di aver diritto di vivere di
coniussione ecc. Alla questione del quanto convenga dante a ciascuna famiglia,
non mi par facile il rispondere. Il piano e il mestiere delle famiglie sono influita-
mente varii. La massa medesima rispetto alla nazione dipende dalla quantit di
industria e di commercio. Due nazioni egualmente popolate possono per questo
riguardo variare all'infinito. Gli Svizzeri e gli Olandesi, i Veneziani o i Milanesi.
XXVIII. Gran questione si utilmente accesa tra gli economisti ed , se
perch il danaro produca nello Stato i sopra mentovati effetti, sia necessario che
la sua copia si mantenga dentro certi termini, o sia vero che quanto pi cresce
pi giovi. Il sig. Hume inglese ne'suoi savi Discorsi politici, e l'illustre francese
Anonimo, autore dell'opera l'Amica degli uomini, con molti altri sostengono, che
crescendo il danaro oltre misura indebolisca l'industria, il comm rcio e la circo
lazione, e di per s tenda a rovinare lo Stalo. I segni delle cose, dicon'essi, pos
sono perder la lor forza di segno, cosi se si accostano al nulla di quantit, come
se diventano influiti relativamente alle cose significale. Per lo contrario molli
altri dotti pretendono che il danaro, in qualunque copia e misura che sia, non
possa far che bene. iNoi ragioneremo di ci altrove. Per i ra mi contento di dire
brevemente, che questi grand' uomini contrastano per non avere avula la pazienza
di distinguere. Imperciocch se il danaro cresce smisuratamente in un solo Stalo
d'Europa, debb' esser vero e certo quel che insegna Hume, che esso vi rovini il
commercio. Primamente, perch rende le manifatture carissime rispetto a quelle
degli altri Stati. Secondariamente, perch le soverchie ricchezze secondarie len-

(1) Questo prova che ogni discorso di commercio deliba cominciare dall'esaminare lo
slato delle finanze, e trovandolo discordante dallo stato d^l commercio rifabbricarlo da'
fondamenti. Non si pu aver commercio in quei paesi, dove le finanze sono opposte. Que
st'operazione (il conosco) grande e difficilissima, ma degna de' gran principi.
(2) Diffondete il danaro con egualit di copia, n'avr tanto a quanto 6, e ogni altro: al
lora il danaro avr perduta la forza di permutare, cio non sar pi segno ; dunque una
tal diffusione annichila la forza del danaro. Ninno ha ci meglio dimostralo quanto Ari
stofane nel suo Plulo. Dietro quella Icggiadrissiuia commedia putrebbe scriversi a lettere
maiuscole, quod ebat deho.istramduh. Ma dove ci possibile?
Nuovo sviLUPPo DELLA ronzA DELLA MoNETA. cAP. 1x. 233
dono di lor natura ad indebolire la forza dell'industria; difficilmente trovandosi
un uomo danaroso, il quale non si creda dispensato da ogni fatica. Ma se il da
naro crescesse egualmente in tutte le nazioni d'Europa, teatro del gran commer
cio, stimo altres vero quel che dicono i secondi autori. Prima, perch non
porterebbe divario tra le manifatture de'd versi popol. Mentre se le quantit sono
eguali, non si cambier mai lo stato delle cose per aggiungerne altre eguali, e se
sono in una data proporzione, con aggiungere quantit proporzionevoli. E poi
scemando la gran copia il suo prezzo proporzionatamente, com' stato gi dino
strato, non potrebbero mai le strabocchevoli ricchezze far pi poltroni che le
mediocri.

S. XXIX. Giovanni Cary inglese, la cui Istoria del Commercio Britannico


feci gli anni addietro imprimere in lingua italiana, per promuovere la circolazione,
propone agl'Ingesi il progetto d'un banco di questa fatta. Vuole che vi si riceva
il danaro di quelli, i quali volessero darlo a piccolo interesse: che questo danaro
si presti a chi n'ha di bisogno con interesse di poco pi grande, ma sopra sicure
ipoteche: che le rendite, detrattene le spese, si dividano pro rata fra i creditori:
che i crditori non possano ritirare il loro danaro, se non dopo un dato tempo:
che i biglietti di credito dopo un dato tempo possano farsi girare siccome moneta
di banco: finalmente, che il sovrano si chiami protettore e debitore di tutto il
danaro (1). Non si puo dubitare che questo progetto non sia bellissimo. Pure il
funesto caso del banco di Parigi, di cui tante volte detto, dimostra troppo chia
ramente che le gran belt non son sicure dappertutto (2).

CAPO X.

Della fede pubblica.

S. I. Ma niente pi necessario ad una grande e pronta circolazione, quanto


la FEDE PUBBLICA (5). Quindi ch'io credo, che nessun'opera faccia pi onore
alla civile sapienza di Numa Pompilio, primo ordinatore delle leggi e della re
ligione degli antichi Romani, quanto quella d'aver consacrato un tempio alla
FEDE. Nulla res, dice avvedutamente Cicerone, vehementius Rempublicam con
tinet, quam fides. Chi pu dubitarne? In effetto dove la fede per niente, sia
in quella parte che costituisce la reciproca confidenza degli uni cittadini negli
(1) I Gesuiti avevano, a certe condizioni in fuori, di questi banchi dappertutto ove ave
vano delle case. E questo potrebbe dimostrare la realt e l'utilit del progetto. Ma in
molti luoghi non vi sono altre ipoteche sicure che pegni mobili; e questo vi renderebbe
un tal banco di pochissimo uso.
(2) Il 1599governando questo regno il conte di Olivares,uomo di grandissimi talenti
e intento unicamente al serio,gli fu da un Genovese proposto un banco generale presso a
poco di questa natura, e riputato molto utile e approvato dal Vicer Mla per un mal'in
teso fu combattuto dalla nobilt e dal popolo.Tutto sospetto nello stato di provincia.
(5) Questa parola fides significa corda, che lega e unisce. La fede pubblica dunque
il vincolo delle famiglie unite in vita compagnevole.
234 GENOVESI.

altri, sia nella certezza delle contrattazioni , sia nel vigore delle leggi e nella
scienza e integrit de' magistrati , ivi non si possono neppure ritrovare i due primi
fondamenti della civile societ e vita, i quali sono la giustizia e 1' umanit';
perch dove non fede, ivi non n certezza di contratti, n forza nessuna di
leggi. Son altro le leggi civili , che patti e contratti pubblici anch'esse? Per la
qual cosa, dove manca la fede o il vincolo che unisce le famiglie del corpo civile,
ivi questi patti solenni sono o ignoti o derisi, e leggi non vi sono che in appa
renza, n la giustizia che in parole; non essendo altro la vera giustizia che la
santa osservanza delle leggi , per le quali l' uomo si sostiene nell" equilibrio dei
diritti e delle obbligazioni della natura. Ma neppure vi pu essere umanit ; per
ch mancandovi la reciproca confidenza degli uomini ciascuno riguarda l' altro
sospettoso e da nemico : e. una tale societ essendo cosi poco connessa e legata,
che sembra pronta a disciogliersi al primo urto non altrimenti che un mucchio
d'arena, potrebbe spirare negli animi de' particolari quell'amicizia che necessa
ria perch si gusti l' umanit? Dond' che vi debba venir meno il coraggio che
bisogna a voler dare ai contratti, al trafiico, alla circolazione quel moto che anima
l'industria e arricchisce i popoli. Si pu dunque dire, che la fede ne'corpi civili
quel che nei corpi uaturali la forza di coesione e di reciproca attrazione, senza
della quale non si pu avere niuna massa ferma e durevole.
. II. E di qui si pu di leggieri comprendere, quauto ad ogni ben regolato
corpo politico importi che non si trascuri nessuua di quelle cose, le quali sono
indiritte e ordinale a mautener viva l'amicizia de' cittadini fra loro, e salva la
riverenza delle leggi , de' palli e delle promesse, e quella confidenza che i membri
della societ hanno nella virt e nella protezione dell' imperio: perciocch l' ami
cizia e la mutua confidenza li fa coraggiosi negli scambievoli soccorsi della vita,
e la certezza della protezione gli affida e li rende ardili e franchi nel reciproco
contrattare; donde nasce e si conserva il gusto del vivere civile e quindi lo spi
rilo d'industria, che cagionano l' opulenza dello Stato. Quanto ci sia efficace a
mantener l'arti e ad accrescere il traffico, si pu chiaramente conoscere dalla vita
de'selvaggi, tra i quali per mancanza di fede niuna confidenza dell'uno nell'al
tro, niuna o poca societ, e quasi niuna industria e commercio fra le diverse
loro popolazioni (1). E quindi principalmente, che essi sono rozzi , barbari e
poveri.
. HI. Ora questa fede di tre maniere, ch'io dir, etica, economica, politica.
Imperciocch o ella reciproca confidenza, che l' un cittadino ha nella probit e
giustizia dell'altro; onde sono le private e semplici convenzioni e promesse (2),
dalle quali non nasce al Ira azione che naturale, e si domander elica: o la si
curt nascente dalla certezza de'fondi su cui fassi de'debiti, e chiamerassi econo
mica: o finalmente nasce da convenzioni e promesse sostenute dalla legge civile,
dalle leggi di religione e dal pubblico costume, consuetudine, e brevemente dalla
sapienza e robustezza dell'imperio, e dirassi politica. A questa appartengono tutti

(1) Gli abitanti delle isole Mariane con una mano vi presentano quel che vogliono per
mutare, e coll'altra prendono quel che voi volute dare, n prima lasciano il loro che ab
biano bene afferrato il vostro, e scappan poi subilo. il tur de' ragazzi ebe non hanno
reciproca confidenza. Sembra che i primi Romani trainassero fra loro alla medesima ma
niera : onde rimase il contralture brevi manu.
(2) Sono i palli nudi de' giureconsulti.
DELLA FEDE PUBBLICA, - CAP., X. 256

i contratti solennizzati,tutti gli uffizi pubblici, e tutte quelle cose delle quali si
dichiara protettrice la legge, la religione e la consuetudine ricevuta. Tutte e tre
queste maniere di fede si vogliono con ogni diligenza e dilicatezza coltivare sic
come fondamenti della civile societ, delle arti, dell'industria e dello spirito della
nazione, del commercio e della pubblica quiete e opulenza. La fede politica, per
ch ella che difende gli uomini e gli assicura dalle altrui scaltrezze e malva
git: l'economica, per dare dello spirito all'industria: l'etica, siccome base
d'ambedue.

Della fede etica.

S. IV. La fede etica una scambievole confidenza delle persone, delle fami
glie, degli ordini, fondata su l'opinione della virt e della religione de'contraenti;
e perci ella manca subito da che gli uomini,per la rozzezza e selvatichezza di
intelletto, incominciano a non vedere chiaramente le ragioni del dover essere
virtuosi e religiosi, per poter essere cos privatamente come civilmente felici; o
per li vizi e per l'irreligione, che si studia di cancellare dagli animi umani i ce
lesti semi dell'onest, della giustizia e della piet. Imperciocch tanto gli uomini
rozzi e selvatichi, quanto gli empi e scellerati non hanno altra legge delle loro
operazioni che quell'infamissima e bestiale, se piace e' lice: cio quella della pri
vata loro utilit e volutt; la quale ancorch non sia vera utilit n volutt sin
cera, non si potendo il vero utile separare dall'onest e giustizia, cio dall'immu
tabile ordine del mondo (1); nondimeno ella sola la loro guida, alla quale
sacrificano crudelmente la giustizia, l'onest, la religione, l'onore, la verecondia,
l'amicizia, il piacere della societ, dalle quali virt per la ferocia e brutalit della
vita non sono pi tocchi, di quel che ne sariano le irragionevoli bestie.
S. V. Quindi facile l'intendere, che quando in una nazione vacillano i fon
damenti della fede etica, neppure quelli dell'economica e politica possono star
saldi; conciossiach dove gli uomini non hanno altra regola del viver loro fuori
che quella che detta, del privato loro piacere e interesse, come si credano es
sere al coperto delle pene legali, o per sottigliezza d'ingegno, o per prepotenza e
forti protezioni, o per copia di ricchezze, cos non hanno pi niun ritegno a fal
sificare e violare le pi solenni e sante sicurt, che la natura ela legge pu som
ministrarci. Anzi come coloro, da'quali dipende l'esecuzione e 'l vigore di queste
solennit e sicurt delle leggi, sono sempre i pi grandi e i pi potenti della na
zione, o almeno quelli che hanno maggiori ricchezze e amicizie; cos, se son
guasti, son tanto pi da temere che non isvellano ogni fondamento di pubblica
fede, quanto sono di maggior forza; perch non avendo nessun principio saldo
n di giustizia n di religione, e curandosene poco, vi espongono la fede pubblica
a vendita siccome in pubblico mercato. E ci vedesi chiarissimamente in quelle
nazioni, cui il soverchio lusso e il libertinaggio d'ingegno hanno corrotto. Aristo
fane nella commedia delle Nubi rinfaccia questo vizio agli Ateniesi (2); e il fa
moso presidente Montesquieu, nella sua bellissima opera delle cagioni dell'au
(1) Vedi la Diceosina, lib. I.
(2) Pericle aveva sparso un po' di Ateismo in quella repubblica. Si diceva che la casa
di Aspasia, dove con questo Arconte radunavasi una gran brigata di bell'ingegni, era la
scuola d'Ateismo. Vedi Plutarco in Pericle.
236 GENOVESI,

mento e della decadenza dell'imperio Romano, dimostra esser questa stata una
delle principali cagioni della rovina di quella repubblica (1.
S. VI. Dunque, se di tanta importanza a voler mantenere la fede pubblica
il conservar salda e viva la privata virt degli uomini e la loro piet, quest'arti
colo solamente dovrebbe fare una buona parte delle leggi civili. Per la storia
Greca e Latina si vede assai, che quegli antichi legislatori compresero tutta la
grandezza e la delicatezza di questo punto. Le leggi degli antichi Ateniesi, Spar
tani e Romani a niuna cosa riguardarono tanto, quanto a mantenere e migliorare
la probit de'cittadini. A questo ancora miravano le leggi degli antichi Persiani,
siccome Senofonte ne bei libri e dotti molto dell'educazione di Ciro ci fa sapere (2).
Si dovrebbe adunque in ogni Stato gelosamente badare, che le regole del costume
e della pura religione () vi fossero accuratamente insegnate e fatte capire dagli
adulti per perenne disciplina. E dove si vedesse che elleno cominciassero a ral
lentarsi, prima che il guasto costume non trascorresse pi oltre, non si dovrebbe
omettere cura nessuna per ritirarle a tempo verso i loro principi; perch egli non
facile, come il mal costume sia divenuto abito e moda, applicarvi niun rimedio
che basti.
S. VII. Queste cure son cure essenziali de'vescovi, de' parrochi e di tutti gli
altri ecclesiastici, cos secolari come regolari; perch tutte queste persone non
appartengono nel corpo civile che alla classe degli educatori, com' dimostrato
nella Prima Parte: per modo che quando essi non sanno ci , al che fare sono
stati da Dio e dal corpo civile eletti, non che sano utili al genere umano, ma
divengono la pi dannevole parte della repubblica. Con tutto ci vi pu e dee
molto conferire il legislatore. I sovrani sono non solamente padri de'popoli, a cui
spetta l'educazione de'loro figli, ma eziandio protettori de'canoni e della disciplina
(1) Cesare, dice Sallustio de bello Catilinario, si mise in pieno senato a deridere i
supplici dell'altra vita. Egli dovette formare su l'istesse massime la sua ufficialit, che
l'accompagn nelle sue guerre: e il frutto di queste massime si vede nella guerra civile.
Niuno ha meglio fatto vedere quale dislogamento produssero nel corpo della repubblica,
quanto Lucano nella sua FARsALIA.Questa stessa ragione faceva dire al medesimo poeta
. . . . . EXEAT AUl.A

Qui vULT ESSE PIUS. . .


(2) Uno de' motivi principali, per cui la repubblica di Bologna del xii secolo onor
tanto e promosse lo studio legale, fu quello di avvezzare i suoi cittadini a guardare alla
vera idea d giustizia, ch'essi credettero (ed ebbero ragione da crederlo) di non poter
trovare pi vivamente dipinta che nelle leg-i romane, e perch non possibile che si
capiscano i fondannenti delle leggi romane se non dagli spiriti filosofici e adorni d'una me
tafisica magnanima e rischiarata, vennero come perfortuna ad aiutare lo studio legale
i Libri morali di Aristotele, gli Eudemj, i Nicomachj, i Politici, sostenuti dal pi sublime
sistema di metafisica che fosse stato mai escogitato, da' quali sembra sgorgare tutto quel
corpo di leggi: perch, siccome ha sottilmente dimostrato Cicerone, la metafisica e la mo
rale stoica, della qual setta si crede di essere stati i pi grandi giureconsulti romani, non
differiva dalla peripatetica, com' in fatti, che in pochissimi punti e nella materia di spie
garli. E questi studi ci diedero quei famosi e rispettabili giureconsulti majorum gentium
che ridussero l'Italia dallo sviamento dell'umanit e da uno stato presso che ferino, indot
tovi dalle fiere d l Settentrione, all'esser d'uomini. Mla coll'andar del tempo divelta la
giurisprudenza dalle poppe della madre filosofia, divenne un informe e mostruoso am
masso di piccole specie e questioncine, e appresso una bottega di pedanterie che non
conferirono poco a guastare la regola della giustizia e 'l pubblico costume.
(5) Dico puRA RE.GioNE, perch son persuaso che niente renda i popoli pi cattivi e
bricconi, quanto l'interessata superstizione e 'l bigottismo degl'ipocriti.
DELLA FEDE PUBBLICA, - CAP. . 237

cristiana. Quindi che appartiene a'loro diritti l'invigilare, che i ministri dell'e
ducazione imparino e facciano esattamente il lor dovere, affinch cospirando in
sieme la forza dell'imperio e la disciplina dell' educazione, gli animi umani sieno
per tempo imbevuti delle teorie di virt e di pieta. Molto sarebbe a desiderare, per
quel che risguarda questo punto, che le massime di morale e le leggi della natura
e divine, le quali per ordinario non s'insegnano che ai fanciulli, s'insegnassero
(come pi d'una volta detto) agli adulti, i quali comunemente si sa che in molti
paesi ne hanno grandissimo bisogno. Conciossiach quel che s'insegna ai ragazzi,
oltrech non s'apprende mai bene, ma pure dopo non molti anni quelle poche
cose mal comprese vengono cancellate dalle tante e s varie forme che i fanciulli
in crescendo apprendono dal mondo. Di qui che com'essi giungono al fiore
dell'et loro, quando la morale pi necessaria pel rigoglio delle passioni, non
vi rimane pi quasi niuna conoscenza di quelle leggi e dottrine, che servono a
formare gli animi alla virt; dond' che essi non si governano, che col privato
interesse e col solo pubblico esempio (1).
S. VIII. Oltre a questa cura, a volere che la privata fede si generi negli animi
umani e vi alligni per li semi della virt e della piet, molto sono a proposito le
pubbliche scuole, nelle quali s'insegni il leggere, lo scrivere e l'umanit del trat
tare; perch elle dirozzano gli animi umani, li disciplinano e li rendono pi ub
bidienti alla ragione, senza la cui cultura niuno degno d'esser chiamato uomo.
Dir di nuovo: in una nazione culta non vi dovrebb'essere niun villaggio, in cui
non ve ne fosse qualch'una. E nel vero, quel che differenzia le nazioni salvatiche
dalle culte e gentili, si riduce a due capi principali, cio alle scuole di lettere e
d'arti, e ad una religione ragionevole, obsequium rationabile. Ma si dovrebbe di
ligentemente badare, che queste scuole fossero affidate a persone savie e gravi le
quali vi facessero il lor dovere con zelo,e tra per le lezioni, che per l'esemplarit
della vita e gentilezza delle maniere, imprimessero nei teneri animi de'fanciulli i
primi semi dell'onest e del dovere, sicch la facessero amar per tempo. La na
tura nostra tale che niente ci determina pi fortemente, quanto quella piegatura
che ci si d quando noi stiamo ancora indifferenti per anbi i lati della vita.
Quest'era la disciplina de'Persiani descrittaci leggiadramente da Senofonte, e
questa quella degli Spartani, siccome pu vedersi in Plutarco nella vita di Li
curgo. Una delle pi belle opere di Pietro il Grande imperatore di Moscovia, per
le quali ridusse quella nazione da selvaggia ad umana, fu per appunto questa.
So che il signor Rousseau si dichiarato nemico di quest'arte che incivilisce i
popoli. Ma vorrebbe egli un popolo polito ascoltare i consigli di un coltissimo fi
losofo, che chi sa per qual motivo si compiaciuto di dichiararsi salvatico? (2)

(1) Se uno dicesse a noi preti e frati, non in sacrificiis arguam te: men cerimonie e pi
catechismo, avrebbe detto quel che diceva Dio pe' profeti, e che ha detto in tanti luoghi
s. Paolo; e intanto sarebbe da noi tenuto per empio. Fu il fatto del'a divina operetta del
fu nostro amico Antonio Muratori, DELLA REGoLATA DEvozioNE. Ecco due contrarie re
gole di piet. Ma per una legge eterna di RAGioNE, di due contrari uno forza fatale che
sia falso.
(2) Io non saprei dire quanto fosse da commendarsi una filosofia, che discorda da' fatti
e dalla natura. Tre filosofi sono il mio scandalo: Cicerone, che si dichiara stoico nello
stesso tempo che non intralascia nulla per esser grande e ricco Epicureo : Seneca, che
declama contro le ricchezze nel mentre che non cessa di accumular danaro. Rousseau,
che combatte le lettere e le studia con maravigliosa diligenza e con gran profitto,
258 GENOVES,

S. X. Molto ancora potrebbero e dovrebbero, per quel che s'appartiene a


questo punto, contribuir coloro che insegnano le scienze le pi sublimi, condu
cendo alle grandi cognizioni l'umano intendimento. Essi dovrebbero considerar
seco medesimi, non esser l'ufficio de'maestri coltivare il solo intelletto e la me
moria de' giovani, ma di formare altres il lor cuore e le loro maniere; anzi que
sto essere assai maggior dovere del primo, perch la coltura dell'intelletto non ha
altro scopo fuorch quello d'esserutile al cuore umano, e vale a dire, che gli uo
mini attendono a riempiersi dell'immutabili regole dell'onest e della giustizia,
senza le quali vivesi quaggi a caso e pi da bestie che da uomini. Certo ei mi
pare grandissima vergogna che gli alunni delle Muse, le quali ci si dicono esser
gentilissime e costumatissime, diventino impoliti, rozzi e zotici nelle maniere, e
furbi e malvagi di costume; e non di rado, che ogn'altra cosa sappian meglio, che
la virt e i doveri. E ci avviene, perch essi si avvezzano pi a disputar sottil
mente e a garrire senza intendimento, come il pi delle volte fanno i maestri
medesimi, che a sapere i fondamenti del ben vivere e ad essere compiti e onesti
gentiluomini. Non aveva senza dubbio il torto l'abate di S. Pietro di desiderare
un totale cambiamento delle scuole in Europa; e alle lunghe, sottili e iraconde
dispute, sostituire delle placide e gentili conversazioni di soda letteratura, pur da
placidi e gentili spiriti governate (1).
S. X. Ma poich io sono il vostro educatore in questa scuola, lasciate ch'io
faccia anch'io il mio dovere, o piuttosto che ripeta certe lezioni. Tutti voi, i quali
avete avuto la ventura di conoscere quanto e quale sia il pregio della virt e il
suo incanto, e amate di accostumarvi a praticarla, dovrete spesso ritornare alla
vostra memoria questo corto catechismo della legge di natura, la cui utilit
e necessit costantemente dimostrata per la generale sapienza del genere
ulITlalIl0,

1. Che la natura insieme e la ragione ci dettano di dover essere in que


sta terra siffattamente, e di dovere siffattamente adoperarsi, che noi vi viviamo
il meno infelicemente che per noi si possa. E certo convien che sia espresso matto
chi pensa e vive altrimenti, sicuro di viverci assai breve tempo.
2. Che niuno stato umano da riputarsi pi infelice quanto quello di es
sere soli, cio segregati da ogni commercio de'nostri simili. un detto d'Aristotele
bello e vero, che forza che l'uomo solitario e contento di se solo sia o una
divinit o una bestia. Che farebbe senza l'alito vivifico e beatificante del suo
simile?
5. Che perci ci dobbiamo ingegnare di renderci socievoli gli uni con gli
altri, e ci di adornarci di quelle doti e qualit, per cui possiamo reciprocamente
unirci e vivere in vita compagnevole e amica.
(1) La polemica delle scuole era ignota a' tempi di Rucellino e di Pietro Lombardo.
Abelardo fu la prima innocente occasione di farla nascere: (vedete la vita di quest'uomo
valoroso scritta da Pietro Bayle). Certi errori teologici de' medesimi tempi le diedero
voga. I seguaci di Aristotele, Tomisti,Scotisti, Ocamisti, per private dispute l'irritarono
e la portarono all'eccesso. Ora a che pro si coltiva? I filosofi cachinnano, come odono
ragionare degli universali a parte rei o partim intra, partim extra, de' gradi meta
fisici, delle terze entit, delle forme sostanziali, de' motori de' cieli ecc., ecc., ecc.: e
gli eretici non son pi tocchi dalla controversia. Le scuole non si accomoderanno mai al
bisogno e al gusto del tempo? Il mondo presente vuol calcolo, geometria, storia natu
rale, antichit, arti, e un po'di giudizio netto e sfolgorante di natural senno.
DELLA FEDE PUBBLICA. CAP. X. 259

4. Che non ogni societ d'uomo con uomo sia il caso nostro, conciossiach
anche le bestie sieno socievoli in certo modo; ma quella che fondata nella ra
gione per la quale i soci conoscano i reciproci loro diritti, e non solo non pensino
a violarli, ma si studino d'essere gli uni agli altri benevoli e utili.
5. Che questa societ ragionevole non si pu avere, se coloro che la for
mano e compongono non sieno reciprocamente e sinceramente gli uni agli altri
amici; conciossiach la reciproca amicizia degli uomini sia nel corpo politico, quel
che nei corpi naturali la scambievole attrazione de'corpicelli componenti. Senza
questa mutua attrazione non v' in natura, nvi pu essere dei corpi grandi; e
senza quell'amicizia non vi pu essere niun corpo politico.
6. Che gli uomini non sono e non saranno mai gli uni degli altri sinceri
amici, se essi non avranno una sincera e reciproca confidenza gli uni negli altri;
perch ogni sospetto una forza repellente in morale, e perci atta ad attossicare
e rompere la vera amicizia.
7. Che gli uomini non possono essere sinceramente gli uni confidenti negli
altri, e gli uni riposare sulla fede degli altri, dove non sieno altamente persuasi
della scambievole loro virt e piet; la quale, siccome detto, il solo fonda
mento della fede.
8. Che non possibile che gli uomini sieno per lungo tempo gliuni persuasi
della virt degli altri, dove non sieno veramente virtuosi; imperciocch la simu
lazione della virt forza che presto o tardi si discuopra, non si potendo fare
che colui il quale ha il cuore malvagio, cio iniquo, oltre ogni misura cupido del
l'altrui, inumano, crudele, fiero, si cuopra per ogni parte e sempre.
9. Che un uomo subito che cognito per malvagio ed empio, pronto ad of
fendere o ingannare gli altri, e che si compiace dell'altrui miserie, per una forza
insita della natura umana riguardato da tutti gli altri siccome animal feroce e
velenoso, con cui non si pu pi comunicare n trattare amichevolmente Donde
che non si guarda che con orrore e timore; e per la forza della istessa natura
ognuno, che il conosce per tale, incitato a volergli e fargli ogni possibil male.
10. Che un uomo posto in questo stato come fuori d'ogni societ, il
quale perci non dee attendere dagli altri niuno di quei comodi, i quali servono
ad alleggerire o a rendere piacevole la vita umana, fuorch quelli che potr
strappare o a forza di corpo, o per astuzia e scaltrezza d'ingegno, e con grandis
simo timore e pericolo.
11. Che un uomo ridotto a questo punto non pu durar lungo tempo, do
vendosi alla perfine gli altri tutti accordare insieme o a sbandirlo dalla civile
societ, o a mandarlo fuori della naturale; imperciocch gli uomini con quella
medesima forza di natura odiano e respingono i malvagi, con la quale amano se
stessi e la loro comodit e felicit.
S. XI. Questi pochi aforismi dimostrano assai chiaramente, che gli uomini
non possono durare nella vita socievole senza esser giusti e umani, e che dove
siano iniqui e fieri vi sono in una reciproca guerra, nella quale non possono es
sere che infelicissimi. Anche i ladri e gli assassini i quali fanno guerra agli altri,
per poter vivere fra di loro sicuramente, hanno anch'essi bisogno d'una reciproca
confidenza sopra una scambievole giustizia e umanit (1). Bella , e degna d'es
(1) Il marchese del Carpio con la legge del Guidatico, avendo sparso il sospetto e la
diffidenza tra i nostri banditi, subito li disciolse.
240 - GENOVESI,

sere pi d'una volta letta l'orazione di Plutarco intitolata, che la malvagit e la


viziosit, ella sola senza verun altro aiuto, basta a far l'uomo infelice. E in
vero la fortuna pu mettere la virt a durissimi cinenti, i quali nondimeno si
possono tollerare con coraggio; ma la viziosit e la malvit cos nella prospera
come nella avversa foruna, spogliando l'animo e disarmandolo del suo proprio
valore, il rende miserabilissimo. la storia del mondo.
S. Xll. Donde s'intende che la virt non , per dirlo qui di nuovo, una in
venzione dei filosofi sparsa e fissa nell'anino con l'educazione e con le leggi,
come il pretende l'autore della FAvoLA DELL'API, ma una conseguenza della
natura del mondo e dell'uomo, Per nodo che coloro, i quali senza niuna rifles
sione parlano alle volte come questo Inglese, sono da essere riputati cosi sciocchi
e ignoranti delle cose umane, come sarebbero delle cose naturali quelli che di
cessero che l'attrazione fisica seguiti la natura de'corpi, ma che sia una qualit
chimerica che i matematici hanno voluto dare alla materia per puro ghiribizzo.
S. XIII. Ai sopradetti motivi della ragion naturale sono da aggiungere quelli
della religione, i quali sono ancora pi gravi e pi rispettabili, ed essendo come
impastati con la natura umana, non vi saranno mai tanti cervelli bisbetici, che
vagliano a toglier loro la forza che hanno (1). Questi si possono ridurre alle poche
seguenti massime.
1. Che poich Iddio ottimo grandissimo ci ha creati e messi quaggi in
terra, e ci conserva con continui benefizi a seconda dell'immutabile legge dell'u
niverso, seguita che il dover nostro , che ci consideriamo tutti quanti siccome
suoi figli e sudditi, quali siamo in effetto. Imperciocch egli non ha, n ha potuto
rinunziare al diritto essenziale di padre e di signore, che gli compete per averci
creato e per conservarci.
2. Che perci essendo noi rispetto a questa nostra origine tutti naturalmente
fratelli, ci dobbiamo guardare dall'offenderci; conciossiach ogni offesa, che ci
facciamo, sia indiritta ad offendere il rispetto che dobbiamo al nostro comune
padre e sovrano, e sconoscere il diritto ch'egli ha su di noi.
3. Che non solo ci dobbiamo guardare dall'offenderci, ma oltre di questo per
mostrarci essere cos fratelli come siamo, e per conformarci alla volonta del co
mune padre e sovrano, ci dobbiamo riguardare con occhio amichevole e farci
scambievolmente tutto quel bene che sappiano e possiamo.
4. Che conseguentemente l ingiustizia e la crudelt, dove la consideriamo
dirittanente, non tendono a meno che a contrastare i diritti sovrani della cagion
del Mondo.
5. Che perch Iddio rigido custode e vindice delle leggi, per essere elleno
la corda inmutabile con cui allaccia e porta le cose di questo mondo, non ci
dobbiamo lusingare ch'egli sia per rilasciar niente del rigore delle pene, alle quali
per ordine eterno corrono coloro che s'oppongono alla legge dell'universo.
6. Che oltre di ci, avendoci egli dato tutte quelle qualit socievoli le quali
ciascun sente, e questo affinch ci unissimo insieme e ci studiassimo di recipro

(1) Certi giovanetti fisici, dice Laerzio, i quali in una festa di Minerva erano usciti fuori
delle porte di Atene insieme con il lor vecchio precettore, cianciando fanciullescamente e
deridendo il greco culto religioso scandalezzavano il popolo. Ai quali, violTE, disse gra
vemente il dottore, QUANTA TuaBA suMMovENDA siT. Detto che merita di esser masticato
da' giganti europei. -
DELLA FEDE PUBBLICA. CAP. X. 241

camente giovarci, chiaro che niente pu essere alla sua volont pi contrario,
quanto quei vizi che ne dissociano (1).
7. Finalmente, che ancor maggior offesa sia di sua eterna volont e de'suoi
sovrani diritti, l'ingannarci gli uni gli altri sotto la sicurt o del suo augusto e
tremendo nome, o delle leggi fondate sull'ordine della natura, o d'un aspetto
socievole e umano.
. XIV. Dove queste poche massime si siano bene apprese e radicate nei
cuori degli uomini, e largamente diffuse per tutti i membri della civile societ
(il che non credo che sia tanto malagevole quanto si reputa, come si obblighino
gli educatori a fare il loro dovere) (2), non possibile che ivi non sia vera virt
e scambievole rispetto e amicizia, almeno quanto la natura umana il comporta.
Quindi nascer e si consolider la buona fede privata e pubblica. Quest' provato
per l'esempio di tutte le nazioni. Le repubbliche greche e la romana, finch man
tennero un certo grado di educazione, lungi dalle cupidit, dall'ambizione, dal
lusso, ed ebbero religione nel cuore e gran rispetto pel giuramento (3), furono
illustri nella fede privata e pubblica. Ma come i vizi e l'empiet ruppero l'argine,
prima la privata fede s'indebol, poi manc la pubblica, e le leggi non servirono
che per avvolgere i pi deboli e gli ignoranti. Di che degno d'esser letto quel
che ne scrive Sallustio nella guerra di Giugurla.

Mezzi meccanici per la conservazione della fede economica e politica.

S- XV. Ma per ci che non possibile che, per la nostra guasta natura,
anche in una culla nazione non vi sieno molti non bene avvezzi a conoscere
e praticare la virt, i quali si lascieranno abbarbagliare dal piacevole aspetto
e brillante della privata utilit per aggirare gli altri o opprimerli; perci la
sovranit della legge non debbe riposare sulla sola istruzione , ma debbe

(1) I cervelli ignoranti (e gl'ignoranti sono assai) fannoci una difficolt, ed , perch se
Dio vuol la pace, lascia poi impunemente che tutti i popoli si scannino fra loro? Nella
quale essi non considerano die non si pu chiamare impune quell'azione che immedia
tamente seguita da miseria e da morte violenta. Tutti i delitti contro le leggi di pace soo
subito puniti dalla natura medesima con l'immutabile legge del taglione. Settimio scanna
Pompeo per piacere a Cesare. Cesare scannato da Bruto per vendicar Pompeo. 1 Ro
mani avevano iniquamente trucidato e oppresso i Sanniti, quei della Magna-Grecia , gli
Spagnuoli, gli Africani, i popoli Settentrionali, i Greci Europei e Asiani, i Siri, gli Egizi
ecc.: leggete la storia della guerra civile, e vedrete che tutti questi luoghi furono purgati
da fiumi di sangue romano sparso da mani romane. Questa considerazione mi ha sempre
colpito. Qualunque ne sia la causa (che non questo luogo di disputare di si fatte cose),
il fatto dappertutto vero : e questo mostra che coloro, i quali ci fanno tal difficolt, sono
ignorantissimi del corso del mondo.
(2) La corte di Portogallo ha obbligato tutti i sacerdoti regolari ad aiutare i parrochi
nel catechismo. E affine che la disciplina fosse unisona (perch niente pi rovina il co
stume, quanto la diversit de' catechismi ) ha fatto tradurre il catechismo francese di
Francesco Pouget, Padre dell'Oratorio, chiamato pi volgarmente il catechismo di Colhert
e di Montpellier, e prescrittolo come regola generale a tutti gli educatori cristiani. I
Portoghesi prendon tutte le vie per essere la pi savia delle nazioni europee.
(3) Ottone 111 imperatore promulg una legge, dice Sidonio, per cui si proibiva a tutti
i giudici civili e criminali di dar pi giuramento agl'Italiani, come quelli ch'egli credeva
ridersi de' giuramenti. Monumento infame e vergognoso pel nostro costume di quei
tempi.
Econom. Tomo III. 16.
242 GENOVESI.

procedere a castigarli con delle pene le pi acconce a consertarli nel timore (1).
La prima di queste pene, e quella che tutti i sati legislatori hanno stimato
la pi necessaria, che gli uomini ignoranti e malvagi non riportino giam
mai i premi e gli onori, i quali non sono dovuti che alle sole doti dello spi
rito e del cuore. Di maravigliosa efficacia sarebbe questa pratica , se ella
potesse aver sempre il suo luogo. Conciossiach siccome niuna cosa , diceva il
visconte di S. Albano baron di Verulamio, la quale maggiormente solleciti gli
animi umani a voler divenir virtuosi, quanto il premio e l'onore che si riscuote
dalla virt; cosi non ve n' nessuna, che pi gli annoji e g' intiepidisca e poi li
disponga ad esser fallaci, quanto il vedere che gli uomini o senza merilo, o di
sonesti e ingiusti, per sola scaltrezza d'ingegno e vergognosi raggiri conseguano
i posti della virt. noto che finch in Roma fu in vigore la Censura, magistrato
quanto venerando altrettanto necessario, la virt vi fu stimata e coltivata, e san
tamente osservala la privata e la pubblica fede. Ma poich questa tremenda ma
gistratura perdette la sua forza i malvagi si moltiplicarono, e prima manc la
fede privata, appresso la pubblica divenne venale: corrompere et eorrumpi, di
ceva di questi tempi Tacito, smculum vocatur. Corruzione che port seco la
rovina dell'impero.
. XVI. Bench queste cose sieno com' detto, nondimeno sempre vero
che in nazione corrotta malagevole assai, che gli uomini veramente meritevoli
ottengano gli onori dovuti al lor valore. Imperciocch come la nazione gene
ralmente guasta, non facile che non ne siano infetti coloro eziandio, per le
mani dei quali gli onori e i premi si distribuiscono. E dove ci avviene, non i
virtuosi e abili uomini gli otterranno, ma gli ignoranti e malvagi. Accade questo
per due cagioni. Primamente perch i savi e onesti non sono alti a brigare, sic
come g' ignoranti e i cattivi , ritenendoli quella verecondia che indivisibilmente
suole accompagnare il vero sapere e la virt, e ignorando la sottile e scaltra
maniera di aggirare, che non si pu apprendere negli onesti e serii studi. Secon
dariamente, perch quelli per le mani de' quali si dovrebbe promuovere il vero
sapere, il valor personale e la sincera virt , dove essi non sieuo savi, magna
nimi e virtuosi, non si potranno disporre ad amare uomini che loro possano far
ombra ; perch la virt e il sapere, siccome hanno un certo incanto da tirare a
s gli animi ben fatti, cos mettono paura a' malvagi e agli ignoranti (2).
$. XVII. Ma perch io non voglio supporre n posso, che uomini scelti al
governo degli altri in veruna parte della terra sieno tanto e stolli e scellerati da
odiare il ben della nazione, il quale non pu non esser il loro bene per poco
che abbiano di senno; dico che ancorch coloro, per le mani de' quali sono da
distribuirsi i posti onorevoli, sieno uomini interi e amantissimi della pubblica

(1) In quella parte di storia del genere umano, che ho- potuto leggere, ho veduto un
fenomeno che non si smentito mai: che a correggere i popoli guasti e mantenerli poi
mi dovere, vai semjrre pi il meccanismo che la moralit, nicno giusto senza timore.
(2) Io non saprei dire se un grave dettato dell'illustre Montesquieu sia sempre vero ,
ma nondimeno un dettato vecchio, la virt' temuta nelle corti. Pure i Titi, gli
Adriani, gli Aurelj, gli Antonini ecc., ecc., ecc. seppero farla amare. Il presente gran
duca di Toscana (per tacer di moltissimi altri) oggi una dimostrazione vivente, e che
non sieno spenti i germi di quei gran principi, e che l'assioma di quei politici ha molte
eccezioni,
DELLA FEDE PUBBLICA. CAP. \. 243

felicit, non pertanto non facile che essi si difendano sempre dai malvagi e
scaltri che gli assediano. Conciossiach costoro quanto sono pi cattivi, tanto
meglio sappiano tutte l'arti da parer virtuosi, e l'hanno tante volte praticate che
il lor prineipal mesliero; per modo che malagevolissimo il non dare nella
loro ragna. S'aggiunga, che dove essi si accostano non facile che vi reggano
gli uomini onesti e valorosi, tante sono le trappole che loro tendono. Dond' che
gli uomini veramente di merito, i quali niente temono maggiormente quanto
l'iDfamia e l'inquietudine, volentieri se ne appartano. Or come sarebbero cono
sciuti? Perch n essi si proferiranno arditamente, n la gelosia di coloro, i quali
sono intorno al ministro degli onori, lascier mai che vi sieno nominati. Il famoso
Giovan-Battista Colbert, ministro di Luigi XIV re di Francia, aveva una dome
stica e privata conversazione di uomini savi e di sperimentata probit, i quali
gli servivano di mezzo da conoscere i grandi e meritevoli personaggi ; con che
rese immortale il regno del suo sovrano e il suo proprio ministero. Ma appunto
questo il passo erculeo. Finalmente questi ladri, furbi assassini del bene delle
nazioni, hanno un'arte ancora pi spaventevole, ch' quella di screditare sotto
il mantello della pubblica felicit quei ministri che se ne difendono ; per modo
che, se essi non sono pi che Ercoli, forza che loro cedano per timore (1).
. XVIII. Pur nondimeno perch niuno vi che possa esser sicuro del cuore
umano, piazza d'infinite e varie passioni e d'una impenetrabile profondit, si
vuol esser certo che possano intervenire dei casi, in cui anche i savi e onesti
vengan trasportati a mancare al loro dovere, in quelle medesime cose nelle quali
la legge e la forza del governo si dichiara sicurt degli uomini. Quelli dunque,
i quali preseggono al genere umano, debbono adoperare tutta la diligenza nel-
l'antivedere e prevenire tali casi; e poi che sono avvenuti, niuna condiscendenza
per li rei: affinch quelli cui non ritiene la virt , spaventi la pena. Non vi pu
essere indulgenza, n condiscendenza nei delitti di fede pubblica; perch ogni
indulgenza anche minima, apre grandissima breccia contro la pubblica sicurt.
Gli uomini ne' loro delitti si lusingano facilmente di poter scappare, per un solo
esempio che vi sia di compassione.
. XIX. Le leggi di tutti i popoli culli avendo a ci ben considerato hanno
stabilito che in coloro i quali peccano contro la fede pubblica, tanto fosse pi
grande e pi esemplare il castigo, quanto sono collocati in pi alti e gelosi posti ;
affinch il comune degli uomini temesse meno di essere ingannato in quelle cose

() Aristide, dice Plutarco nella sua Vita, creato Arconte, trov che una gran molti
tudine di furbi assassini rovinavano i fondi della repubblica, e li mand via subito. Que
sti ebbero la destrezza di screditare in modo questo modello di giustizia, che il popolo
Pesili come ladro. Ma come il popolo non ha mai principi e si governa per fenomeni,
poco stante ritorn alla stima ch'avea di Aristide e creollo di nuovo principe della repub
blica. Aristide lasci rubare, e fu encomiato d'una maniera straordinaria dappertutto,
non vendo i pochi giusti e intelligenti coraggio da opporsi al grido popolare. Finito
l'Arcontato, chiam il popolo a parlamento, e montato sulla tribuna disse loro: Ateniesi,
quando io volli esser giusto, voi mi confinaste; ora ch'ho lasciato mangiare i ladri, voi
mi levate al cielo per la mia giustizia. Voi dunque siete un popolo, che non potete esser
menati che da mariuoli. Ho detto. Ecco il nostro conte di Olivares. Il duca di Sull'i, mi
nistro di Arrigo IV di Francia, ebbe per simile cagione a sostenere tutto il tempo del suo
ministerio una crudelissima guerra mossagli da quelle arpie; e Colbert anche morto ap
pena scapp d'essere strascinato.
244 GENOVESI.
che si tengono per li pi saldi fondamenti della nostra societ. Questa massima
trovasi osservata rigidissimamente tra le stesse nazioni barbare; e forse quivi
meglio che altrove, non essendo fra quelle entrato n uomini-dei n soverchio
lusso, n troppo sottilizzare, tre cagioni corrompitrici della virt. Narra Garci-
lasso della Vega nella sua bellissima Storia del Per, che in quell'imperio prima
che fosse conquistato dagli Spagnuoli, ogni delitto, anche minimo di fede pub
blica ne'magistrati e ne' governatori, era irremissibilmente punito di morie (1).
Queste medesime furono l'antiche leggi degli Egizi, de' Persiani, degli Ateniesi e
degli Spartani. 1 Romani, nel tempo che si gloriavano non solo di apparire ma
di esser giusti, ebbero sempre per massima, che nei delitti commessi contro la
pubblica fede fosse meglio essere soverchiamente rigoroso che meno : di che vi
ha nelle loro storie e leggi de'chiarissimi esempi.
. XX. Coloro poi i quali possono abusarsi di quella forza e autorit che
loro stata confidata pel ben pubblico, e sotto il rispettabile mantello della pub
blica fede ingannare o opprimere i meno cauli o i pi deboli, e con ci cagionare
de'pubblici mali, sono in molte classi situati e in su gli occhi di tutti. Non di
meno si possono ridurre a due generi, i quali sono da una parte i ministri della
giustizia e della religione, e dall'altra i trafficanti. Quelli possono far servire le
leggi e le regole della vita a'privati appetiti loro, e questi le regole decontratti,
de'pesi, delle misuse, dei prezzi, della moneta e tulle quelle che servono ad as
sicurare il pubblico dalla frode, alla loro avarizia e al privato guadagno con ro
vina delle arti e del ben pubblico. Come tutti costoro non fanno meno che tron
care i comuni vincoli del corpo civile, con mettere negli animi umani della diffi
denza reciproca e rendere disprezzabili le leggi, non sono da essere altrimenti
riguardati che come nemici della repubblica, tanto pi pericolosi quanto proce
dono pi coperti. Ma anche certi uomini privati possono in qualche maniera dirsi
rei di fede pubblica, dove essi si abusano del mestiero che professano per ingan
nare coloro, che affidati alla pubblica stima li credono sinceri e veritieri ; perch
ogni pubblico mestiero dee riguardarsi come un posto ordinato dal governo al
ben pubblico, e conferito dal consenso della moltitudine.
. XXI. E perch io slimo che sieno cosi perniciosi al ben pubblico i memorati
delitti, di quel che sia imprendere a- difenderli sfacciatamente e spesso con nuovi
delitti contro la pubblica fede, come sarebbe di prevaricazione o corruzione, egli sa
rebbe desiderabile che questi tali non fosser meno severamente castigali, che i rei
medesimi che si difendono. Io non so se in Europa, paese cullissimo per le scienze
dell ragione, e per la religione cristiana rischiarato divinamente su la regola
delle nostre azioni, si trovino oggigiorno di costoro (2); ma so assai, che se ne
(1) FuroDO dunque men savi i{ Visigoti. Io tutto il titolo V, lib. VII delle loro leggi,
ch' de falsario scripturarum, non trovate altre pene che multe e bastonate. I delitti di
falsit, in materia di fede pubblica, son da aversi tutti per pubblici , e la pena giusta de'
delitti pubblici non pu esser altra che la morte o civile, o naturale. Il parva quanlitas
debb'esser ignoto ne' delitti tendenti a scannare la societ civile. Volete vedere come si
hanno a trattare? Guardale le ordinanze militari.
(2) Dicesi nondimeno da molli che vi tuttavia in Europa de' paesi, ove un debitore,
liquido quanto si voglia, se non vuol pagare per una dozzina d'anni, non pagu, massi
mamente se un debitore ricco o polente; e che questo disordine, che spegne la fede
pubblica economica e politica, meno nell'iniqua volont del debitore che nell'ordine
giudiziario. Dunque tutte le cause di debiti sarebbero della giurisdizione del tribunale di
rommercio, e adderebbero giudicate con termine sommario.
DELLA FEDE PUBBLICA. CAP. X. 245

lamentano gli antichi storici Greci e Latini de' tempi corrotti di quelle nazioni, e
ascrivono a questa cagione quasi tutti i mali pubblici. Aristofane nella sua com
media delle Nubi il rinfaccia pubblicamente agli Ateniesi, e Cornelio Tacito e
Seneca se ne querelano ad ogni pagina. Ora se la difesa non ragionevole di qua
lunque colpa assai maggior delitto della colpa stessa che si difende, quella dei
delitti contra la fede pubblica grandissima scelleragine, perch un attentato
contro i venerandi legami della civile societ. E bench niuno che pecca sia da
condannare senza dargli difesa; nondimeno la difesa che gli compete, quella
sola che risguarda il rischiaramento del fatto e de'motivi, e non gi quella di
sottrarlo dalla legge, che cosa di pericolosissime conseguenze per ogni Stato.
Anzi questa medesima difesa debb'esser fatta di buona fede, e senza nuovi in
ganni, frodi e aggiramento de'magistrati, tutti delitti contro la pubblica fede.
. XXII. Alla pubblica fede appartengono eziandio, siccom' detto, quelle
regole, sotto le quali i nostri maggiori ordinarono l'arti e le manifatture ; e que
sto in tutta l'Europa. Essi vollero che vi fossero certi corpi d'artisti e di manifat
tori : che niuno potesse professare arte veruna se prima non vi fosse matricolato :
che nessuno vi potesse essere matricolato senz'avere certe condizioni, s rispetto
all'ingegno come per riguardo al costume. Tutto questo fu stabilito accortamente,
perch la civile societ non fosse rubata e ingannata da coloro che si chiamano
guastamestieri, e l'arti fossero in istima e accreditate; conciossiach questo con
ferisca molto alla facilit del commercio. Ma questi corpi che furono con buon
consiglio formati e dapprima di grandissimo utile, divennero poi collegi di frodi,
d'inganni, di monopolii (1), cosicch in molte parti sono grandissima cagione
del discredito pubblico. Non saranno mai visitati? ma da uomini intelligenti della
economia civile, e che abbiano idea di queste parole ben pubblico e ne sieno
innamorati?
. XXIII. In oltre stabilirono che le manifatture fossero soggette a certe
leggi, cos quanto alla materia come rispetto alla forma, vale a dire peso, misura,
lavoro, colori, ecc.: che tanto nel commercio interno, quanto nell'esterno i traf
ficanti fossero tutti sottoposti ad una comune e immutabile tabiffa (2), la quale
fosse nota e senza alcun mistero; non vi essendo niente pi valevole a mettere
in dubbio il credito della nazione e ad intiepidire lo spirito del commercio, quanto
l'incertezza e'1 cambiamento della tariffa. I popoli savi, i quali s'intendono molto
d'economia, conservano gelosamente queste leggi, come si pu apprendere dai
libri di commercio degli Olandesi e Inglesi. Dunque queste regole non solo non
si dovrebbero disprezzare, siccome si cominciato a fare in alcune parti d'Europa
con discapilo della pubblica fede e del credito, ma ogni contravvenzione si do
vrebbe riguardare e punire siccome un pubblico delitto.
. XXIV. Ma dove si vuol ristorare l'illanguidito spirito di commercio, e' si
richiede principalmente, che il governo s'irrigidisca su tre punti fondamentali
per conservar l'anima della fede : I. La certezza de' beni stabili. II. Le pene con
tro i frodatori nelle arti e nel traffico. III. I castighi de' simulati e falsi fallimenti.

() I nostri maggiori chiesero al re di Spugna l'abolizione delle cappelle e confrater


nite delle arti, per essere divenute nidi di furberie. V. Priv. e Capit. della Citt ecc.
(2) Che se il raddrizzamento delle finanze richiegga qualche mutazione nella tariffa ,
allora le nuove tabelle debbono essere subito pubblicate nella maniera la pi solenne, e
cosi dentro come fuori dello Stato.
'2-ili GENOVESI.
Del primo punto detto. Non vi rimedio pi sicuro, quanto il censo fatto con
la maggior esaltezza e puntualit possibile, descritto in pubblici archivi ed esposto
agli occhi di tutti. Non vi ha da esser misteri in quel che lega le famiglie fra
loro, e lo Stato col sovrano; in quel che serve cos nella pace della nazione come
nelle pubbliche calamit ; in quel ch' fondamento del molo dell'industria e dei
pubblici bisogni. Ripeto quel ch' detto di sopra; dopo l'opera grandissima del
catasto, la via tra noi bella e fatta, n si richiede che un piccolo raddrizza
mento (1) e degli archivi in tutte le capitali delle provincie.
. XXV. Il secondo punto dov' da irrigidirsi il governo, sono le frodi nelle
arti, nelle vendite, nelle compre. detto allrove della bella legge di Federico II.
Quanto si voglia che sia savia l'educazione, voi non potrete fare che non vi sieno
sempre certi naturali soverchio elastici, scaltri, cupidi e portati alla furberia. Que
sti temperamenti sono ancora sollecitati dall'idee di comodo, di lusso, di gran
dezza, di distinzione, che formano l'atmosfera de' popoli culti e industriosi e delle
citt massimamente. bisogno dunque per reprimerli far fondamento sul mec
canismo del governo, che sono le pene. In questa parte la man pietosa allarga
la piaga, e tenta anche i buoni ad essere infidi e malvagi. una massima cru
dele .quella di certi magistrati, il dover essere compassionevoli in siffatti delitti.
La legge di Federico II sottomette alla slessa pena quei giudici, che per amici
zia, riguardi, tenerezza cessano di esser giusti ne'delitti di mala fede. Quella che

(I) Il (ig. Broggia nella sua dott'Opera, Dei tributi, dazii, moneta, ece-, Opera che
a multi riguardi merita che se ne faccia gran conto, a carte 12 sembra voler dire che i
fondi di questo regno cos in terre, come in edifci, non sieno meno di mille e ottocento
milioni, e per un calcolo quanto facile a farsi, altrettanto dimostrato: ma poi ci tace
questo calcolo. Contando, dic'egli,, le rendite al 5 per 100 (metodo ambiguo) e sull'en
trate calcolando la decima, ne risultano nove milioni di tributo. Voglio qui tentare di
raddrizzar il calcolo di questo valentuomo, i cui fondamenti sono oscuri e 'I melode iat-
certo. Secondo una misura del fu Gallerano, uno de' buoni nostri architetti, la lunghezza
del nostro regno di 300 miglia, e di pi che 80 la larghezza; dunque le nostre terre
sono 24,000 miglia quadrate. E poich un miglio quadrato contiene un milione di gran
moggia, di 1,000 passi geometrici quadrati l'uno; questa misura ci d 21 milioni di i
fatte moggia. Sottriamone un quarto, cio otto milioni, di quelle che non rendon nulla
n in coltura, n in edifizj, resteranno sedici milioni di moggia che rendono. Diamo loto
tuttala coltura e quegli edifizj di cui son capaci, e poniamo quelle di minima rendita a
2 ducati il moggia, quelle di massima a 10 (rcsirignendoei sempre al minimo possibile];
possiamo nella rendita mezzana valutar le terre (ben coltivate e ben abitate) ad 8 scudi
per moggio, intendendo di quella rendita che rende cos al proprietario come al colono :
il che ci d 128 milioni di rendita di pure terre. Le decime dunque delle terre sarebbero
di dodici milioni e 8|10. Ho in questo calcolo messi gli edifizj ne' sedici milioni di terre
rendilrici, perch come gli edifizj si mettono tra i bisogni, cos fa mestieri contarli nella
rendita generale; e l'industria nella rendita generale de' fondi.
Questi 12 milioni e 8|10 di decime, nello stato ordinario della nazione, sono pi che
sufficienti ad un regno di quattro milioni d'anime in tutti i rami del governo, dove fos
sero con esatta proporzione distribuiti. Ne' gran bisogni si possono raddoppiar le decime
pel solo tempo di bisogno, senza mai alienare i fondi ; perch il metodo di alienare, er
rore di tutti gli Slati di Europa de' tempi passati, getta il disordine nello Stato e cagiona
delle grandissime convulsioni.
Dunque l'esatte censo certo fondamento delle finanze, nel moto dell'industria e de'
pubblici bisogni , e assicura il primo perno della fede pubblica: il che si voleva di
mostrare.
DELLA FEDE PUBBLICA. - CAP. X. 24

da essi chiamasi EQUITA', corrompendo lo Stato, diviene iniquit (1), e a lungo


andare si getta sopra le loro famiglie medesimamente,
S. XXVI. I falsi e finti fallimenti, dove non sieno severamente repressi, get
tano tutto il corpo de'trafficanti nella diffidenza, e screditano appresso i forestieri
tutta la nazione; rovinano dunque il commercio interno e l'esterno. La legge
cedo bonis piena di equit ne' casi, in cui non si spianata la via al fallimento
per negligenza, supina ignoranza del mestiero, vizi, delitti. Ma dove questi han
precorso alla rovina, tutto da riputarsi come dolus malus. E peggio ancora, se
si fallisce per godere delle ricchezze altrui nell'ozio. Io riguardo tutti questi de
litti come pubblici,perch non fanno men male allo Stato, che tutti gl'altri messi
in questa classe dalle leggi romane. Se ad uno che ha rubato 100.000 scudi si
dica, esponti alla berlina e va in pace, chi non vorr esser ladro pubblico? E
l'istesso se gli si dice, transigiamo. Qui le pene pecuniarie acuiscono l'appetito
e dispongono a pi gran furti. Giobbe si commosse poco per la perdita de'beni,
e non cominci a gridare, che come sentissi percuotere il corpo,
S. XXVII. V' ancora un altro vizio rompitore della pubblica confidenza,
n men grande degli antecedenti, ed la disuguaglianza de'decreti giudiziali
nella medesimezza de'delitti contro la fede de'contratti. Sviluppiamo un po' pi
ampiamente questo punto. La perfetta giustizia de'contratti un dovere d po
veri e de'ricchi, de'laici e degli ecclesiastici, de'cittadini e de'militari, de' magi
strati ecc, de'plebei e de'nobili. Non vi sarebbe giustizia in un paese, dove i
poveri si potessero obbligare ai ricchi, i plebei ai nobili, i laici agli ecclesiastici,
i privati ai militari, ai magistrati ecc., ma non questi a quelli; ovvero dove le
obbligazioni fosser pi forti dalla parte de'primi, che da quella de'secondi. Tutti
i contrattanti, in quello che convengono, sono perfettamente eguali. E questo
significa quel che le leggi dicono, che tutti i contratti e tutti i patti, che hanno
nome e causa, discendono dal jus naturale e hanno forza per la legge di natura;
perch nel jus di natura e sotto la natural legge tutti gli uomini si considerano
come eguali. Il sovrani medesimi, in tutti i patti e i contratti di jus gentium con
i loro sudditi, contraggono da privati. Non vi una giustizia di vendita e com

(1) Molti non hanno capito e non capiscono ancora che si voglia dire questa parola
zouras, che i Greci chiamano epiicia. L'aequitas in tutta la lingua latina non suona al
trimenti che usrrTiA, e l'aequum e 'l justum in tutte le leggi de' Romani son parole si
nonime. AEquitas dunque cos parola di rapporto, come usTrTiA. Or ustitiA il per
fetto combaciamento, l'esatta giustezza di qualche cosa col suo regolo. Due sono in mo
rale i regoli, che ipopoli civili hanno per la giustezza delle loro azioni: 1 il jus civile;
2 il jus di natura. Le leggi civili son nate per sostegno di questijus; dunque sono an
ch'esse sottomesse al regolo: e questo regolo la legge di natura. La legge di natura
la catena de'us, cio delle propriet di ciascuno; dunque le leggi civili debbono avere
il medesimo ufficio. Ma perch nelle citt si cede a certi jus per formarne il jus pubblico,
onde vi son creati di certi jus che non sono nello stato naturale, avviene alle volte che un'
azione si combacia esattamente con la legge civile, ma non gi col jus naturale. Allora il
giudice dee studiarsi di avvicinare il pi che si pu la definizione della legge civile alla
naturale. Questa equazione, o approssimazione, fu detta da' Greci epiiciA (vedete-Aristo
tile negli Eudemj) e dai Latini EQUITAs. Se la prima legge delle civili societ sALUs
punlicA,seguita che la compassione perpotersi dire equa, debba piegare a questa legge
generale. Dove favorisce il privato col discapito pubblico, non vi pi quell'equazione
col jus naturale ch' detta; dunque iniquit. Questi giudici dunque sono per ignoranza
iniqui e crudeli, quando credono di essergiusti e umani,
248 GENOVESI.

pera, di mutuo, di deposito, ecc. pel fisco, un'altra pel suddito. Chi pu ignorare
questa filosofia. Ella il piano di tulle le sanzioni de' popoli, che hanno un co
dice di leggi.
. XXVIII. Supponiam ora che i magistrati, sia per ignoranza della vera
natura della giustizia, sia per riguardo a se medesimi o a certe classi, sia per
vilt di animo, sia per qualunque cagione, vengano a slogare questa uniformit
di giustizia, e ad introdurre ne' loro giudizi variet di decreti nella medesimezza
di delitti in materia di contratti e patti, qual confidenza potrebbe pi avere il
povero nel ricco, il plebeo nel nobile, il laico nell'ecclesiastico, il cittadino nel
militare, o nel magistrato ecc. (1)) Niun dunque de' pi deboli vorrebbe contrat
tare col pi forte. Il corpo civile si vedrebbe ridotto in una societ leonina. Non
vi vizio che pi assideri la fede pubblica, e che abbia maggior forza da ridurre
le nazioni ad uno stalo semi-selvaggio, quanto questa difformit di giustizia.
. XXIX. Gli effetti, i quali sogliono seguire dalla mancanza della fede pub
blica, sono molti e tutti degni di considerazione. Noi non ne accenneremo che
alcuni pochi e principali. E primieramente la rovina delle arti e dell'industria,
le quali siccome sono dalla pubblica fede animate, cos la diffidenza le gela; im
perciocch la pubblica diffidenza porta seco non solo l'interno disoredito, ma
l'esterno altres, rispetto a quelle nazioni con cui traffichiamo. N giova il dire,
siccome fa l'autore della Favola delle Api, che a mantenere in vigore le arti e
l'industria basti il bisogno e la cupidigia di arricchire; perch questo bisogno e
questa cupidigia, quando non sono spinti che dalla frode e dalla mala fede, man
cheranno dei mezzi per potersi esercitare, e la gente oppressa amer meglio la
poltroneria che la fatica (2). La pace e la sicurt sono la vera sorgente delle
ricchezze, perch fanno amare i comodi, i quali acuiscono l'industria. Ma come
si pu aver sicurt, dove tutto corrotto dalla frode?
. XXX. Secondariamente la decadenza del commercio ; perch il discredito
impedisce lo scolo, e questo disanima tanto il mercatante, quanto l'artista. Ora
quanti mali seco porti in una nazione trafficante la decadenza del commercio
pi d'una volta dimostrato. Voglio qui solamente indicarne un esempio. I Porto
ghesi, a forza di diligenza e d'un valore incredibile, aveano occupalo il commercio
di tutte le coste dell'Africa, della Persia, dell'India, dell'isole Molucche, della

(1) Quei principi, che sottrassero i preti e i monaci dalla comune ginrisdizione ne' co
muni delitti, ebbero senza dubbio una mira che ognuno loder, cio di accreditare il ris
petto che per tutte le leggi dovuto alla classe degli educatori spirituali : ma non videro
le conseguenze. E il medesimo di quei che stabilirono le giurisdizioni delle corti baro
nali. Perch, ancorch esse non sieno nella loro natura e origine che delegazioni della
suprema giurisdizione, tutlavolta come i feudi divennero ereditarli , esse furono ridotte
ad esser di fatto indipendenti, bench si confessasse la dipendenza di driito. Potevasi
impedire la difformit de' giudizi in questa differenza di tribunali sostenuti da diverse
molle, o animati da diversi Gni? Questa difformit rovina il costume e la confidenza pub
blica. Sarebbe egli possibile che una colomba, un tordo, un passero contraessero societ
con un'aquila, un avoltoio, uno sparviero senza grandissimo batticuore? E che doven
dosene difendere, Don potendo gi colla forza, non il volessero coll'astuzia e la furberia?
(2) La maggior parte de' popoli della Siberia (dice Gemelli ne' suoi Viaggi) che i Vai-
vodi di S. Petersburg trattano da schiavi, sono poverissimi e poltroni. Se loro si doman
da, in che posta la felicit di questa vita? Nel non far nulla, rispondono. Se loro si
dice, voi patite nella miseria: vero, dicono, ma evitiamo di essere spogliali e oppressi
ne' comodi, dovecli ora siamo compatiti nell'estremo bisogno.
DELLA FEDE PUBBLICA. CAP. X. 249
Cina, del Giappone. Ma usando poi della mala fede e della superbia, e soprav
venendo in quei medesimi luoghi gli Olandesi, rigidi osservatori della giustizia e
delle promesse, e mercatando onoratamente, in meno di 50 anni i Portoghesi vi
perdettero tutto il loro commercio e furono ridotti ad essere schiavi degl'Inglesi.
. XXXI. In terzo luogo, poich la mala fede discioglie la reciproca e sin
cera amicizia degli uomini, la quale amicizia il solo vero legame della societ
e la sola vera sorgente della forza e grandezza dello Slato, seguita che le nazioni
senza buona fede non facciano pi che un corpo apparente, senza vincolo, e
soggetto siccome mucchio d'arena a disciogliersi ad ogni piccola percossa: il che
s' veduto spesso nella storia del genere umano. un errore il credere che uno
Stato possa durar lungo tempo senza virt e reciproca confidenza.
. XXXII. In quarto luogo questo male diviene ancora maggiore, dove si
avanzato in coloro i quali servono alla custodia e all'educazione del corpo civile;
perch risedendo in questi quasi tutta la forza della repubblica, ella diviene arbi
traria. Negli ultimi tempi dell'imperio romano la soldatesca vendeva la sovranit
al pi offerente. Videsi l'istesso nell'imperio greco verso il x, xi e xn secolo, il
che fu poi la cagione della sua rovina (1).

CAPO XI.

De' cambi, degli agi e delle loro leggi.

. I. Questa parola Cambio nella sua prima origine non significa altro fuor
ch un contratto di permuta. Ma poich crebbe il commercio e le varie maniere
di contrattare si moltiplicarono, ella cominci a prendersi in molti altri signifi
cati, ne' quali nondimeno si vede sempre ritenuta qualche cosa del primo (2).
Adunque i significati pi ordinari che ora ottiene, son quelli del cambio in grosso.
Il cambio a minuto si fa in un medesimo luogo da coloro, i quali per un dato
interesse cambiansi reciprocamente diverse specie di moneta. L'interesse, per cui
si fa questo cambio, addomandasi agio. In fatti il prezzo del comodo.
. II. Il cambio in grosso si fa in due maniere. La prima quando un mer-

(1) Scrivete tra gli assiomi de' geometri, chi avvezzo a tender le leggi e la giu
stizia, vende colla hedesiha FRANCHEZZA la sovranit'. Or questo avviene in ogni
paese, ove le due parole ben pubblico son parole non significanti ; perch senza quel
l'idea di ben pubblico noi j vi pu essere vera conoscenza di leggi n di giustizia.
(2) Ma questa parola* non ebbe mai, n pni avere l'idea ch'io odo da alcuni darle,
quando dicono dar danaro a cambio per darlo ad usura. Perch, ancorch sia vero che
sorgente naturale dell' agio ne' cambii, e dell'i scra nelle prestanze sia una e la mede
sima, come mostreremo poco appresso , e vale a dire il comodo ODde nascono tutti i
prezzi, i contratti tuttavolta di Cambio e di Mutui) sono sostanzialmente diversi. Questi
scambiamenti di parole e di idee, s frequenti ne' popoli sono spesso cagioni da masche
rar la giustizia da iniquit, e l'equit da ingiustizia; e la filosofa, che un'arte per sua
natura nemica dell'errore, in niuna parte vuol essere pi oculata quanto nello scoprire e
castigare queste furberie di parole.
-'OH GNGVSI.

calante, d'un certo luogo come A, s'addossa i fondi e le facolt d'un altro del
medesimo luogo A, i quali fondi o facolt esistono in un altro luogo distante
come l, e per questo gliene d l'equivalente in A. La seconda maniera o specie
di cambio ingrosso, della quale parleremo in questo capitolo, quella de' cambi
che si fanno per tratte; siccome quando un mercatante napoletano, ch'abbia dei
crediti in Genova, con una sua lettera ordina al suo corrispondente di pagare
una data quantit e qualit di moneta, sotto alcune condizioni, ad una terza
persona dalia quale si dichiara aver ricevuto altrettanto; ovvero quando ordina
dj farne tratta per un terzo luogo, come per Cadice, per Amsterdam, ecc.
. Ili, Queste lettere si chiamano lettere di cambio. da considerare, che
in questi cambi intervengono sempre tre persone e due luoghi, cio colui che
eompera una lettera di cambio, colui che gliene vende, e finalmente quegli che
dee pagarla. I luoghi sono, uno dovo si compera e l'altro dove si paga una tal
lettera, Questi due luoghi sono essenziali al cambio, altrimenti non cambio,
ma furberia. La lettera di cambio chiamasi trutta dalla parte di colui che la
vende, e dicesi rimessa dalla parte del corrispondente che dove pagarla. Coloro
che fanno di questi negozi ex professo, son detti Cambisti e banchieri nella lin
gua del gran commercio d'Europa.
. IV. Per ben comprendere quello che saremo per dire, da sapersi che la
presente materia si pu dividere in meccanica e politica. Bench io non intenda
trattar qui della prima come non appartenente alla teoria dell'economia se non
quanto necessario alla seconda, pur bene ch'io avverta, che poich la prima
come la sostanza del presente pratico commercio europeo, senza la quale ni un
trafGco si pu fare in grande, coloro che vorranno mettersi in istato d'intenderla
e praticarla con iscienza, potranno utilmente provvedersi de' seguenti libri, cio
del Commercio dell'Olanda del signor Riccard, della Scienza de' Negozianti
del signor della Porle, e della combinazione de' Cambi del signor Darius,
$. V. Avvertano eziandio, che ad imparare questa scienza pratica si richieg
gono due cose. La prima la cognizione delle monete di tutti gli Stati, i quali
son fra essi loro in commercio. E perch le moneto si cambiano spesso dapper
tutto, si vuol essere pratico cos delle antiche come delle recenti, per esser abile
a pareggiarle. In oltre, facendosi quasi tutti i cambi di Europa in monete ideali,
da badare a due pareggiamenti, uno colle monete ideali, l'altro colle correnti.
La seconda un grande esercizio d'aritmetica e principalmente della regola del
tre, come volgarmente si chiama, o sia della quarta proporzionale, semplice, com
posta, diretta, reciproca. Per quel che poi s'appartiene alla presente teoria poli
tica, della quale ci studieremo di dare qui i principii, ella trattata sottilmente
da Melon, Dutot, Montesquieu nello Spirito delle Leggi, e dal signor Forbonnais,
i quali autori si possono da coloro leggere che amano questi studi di economia
politica (1).
. VI. Per intendere adunque i principii del cambio, si vogliono primamente
in esso distinguere due oggetti e considerarsi separatamente; il primo de' quali
il trasporto del danaro da un luogo ad un altro : il secondo il prezzo e corso di
(1) Sembrer per avventura a qualche dotto uomo che si fatte notizie, come molt'altre
eh' io ho sparse in ambedue queste parli dell'Economia Civile, sieno troppo puerili da
entrare in un'opera ragionata. Ha io do alla luce Elementi, ed elementi che servoao ad
una scuola di giovani.
DE' CAMBII, DEGLI AGI E DELLE LoRo LEGGI. cAP. xi. 251
questo trasporto, che detto cambio. Il trasporto si fa per una lettera nel modo
detto di sopra. Il prezzo la quantit del danaro che si d in un luogo, per
riscuotere l'equivalente in un altro,
S. VII. Il prezzo dunque del cambio pu essere definito in generale con que
sta definizione di Forbonnais: Esso una momentanea compensazione delle mo
nete di due diversi Stati, i quali trafficano tra loro; la qual compensazione
in ragione reciproca dei loro debiti. Per intendere la qual definizione qui da
ripetere in poche parole quel che stato detto di sopra, cio che il primo com
mercio tra gli uomini non si fece salvo che con delle permute o cambi; e appresso
che non si diede prezzo eminente all'oro e all'argento, che per comodit delle
permute: che per maggior facilit e sicurt l'oro e l'argento si divisero in piccoli
pezzi e si segnarono con pubblici impronti, onde sivenne a crear le monete: che
queste monete furono e sono tuttavia diverse di peso e di finezza, secondo i tempi
e gli Stati: che le monete non essendo mercanzie, ma bens rappresentanti di
esse, sono inutili se non vi sono delle cose rappresentate: finalmente che la cir
colazione delle mercanzie sia necessaria affinch le monete circolino: perch le
cose possono ben circolare senza la circolazione delle monete, come quelle che
di per s bastano a'bisogni delle nazioni, ma non gi le monete senza che circo
lino le cose, non si potendo vivere di metalli.
S. VIII. Or questa teoria dimostra la proposizione fondamentale, che non vi
pu essere commercio di cambio senza commercio di mercanzie, e che il cambio
e 'l suo corso non altronde traggono la loro sorgente e valore, se non da questo
reciproco flusso e riflusso di commercio di cose. In fatti tu non puoi trarre let
tere cambiali sopra di quella piazza mercantile, dove non hai crediti e corrispon
denti; n vi puoi avere dei crediti, se non vi avrai mandato delle mercanzie o
del danaro. Dall'altra parte colui il quale domanda una cambiale, non la domanda
se non perch debitore alla piazza, della quale tu sei creditore. Ma quando due
Stati sono reciprocamente debitori e creditori, bisogna che abbiano reciproco
commercio; dunque non vi pu esser cambio fra due piazze, fra le quali non sia
reciproco commercio.
S. IX. E da questa proposizione fondamentale si possono di leggieri intendere
i sette seguenti corollari:
1 Un paese che ha soli crediti sopra d'un altro, non soggetto a rimesse,
2 Se ha soli debiti, non pu trarre lettere di cambio.
5 Le tratte di cambio saranno in numero e quantit eguali alle rimesse,
se i debiti sieno eguali a'crediti in due paesi A, B.
4 Se variano i debiti e i crediti, saranno in ragione del divario; e quella
nazione dar pi tratte che ha pi crediti, quella ricever pi rimesse che ha pi
debiti.
5 La piazza che ha pi debiti che crediti, dee pagare lo sbilancio in con
tante, dove non abbia n derrate n manifatture da esportare,
6. Le piazze che hanno pi debiti che crediti, e che pagano lo sbilancio in
contante, come l'industria non vi si rimette, tendono al fallimento.
7 Quelle piazze che hanno costantemente pi crediti che debiti, arricchi
Scono ogni anno in contante.
S. X. Dalla medesima proposizione e dallo stato delle provincie europee se
guita, che un commercio di cambi debba essere tanto tempo in piedi in Europa,
252 GENOVESI.

quanto dura il bisogno del reciproco commercio delle derrate e manifatture. In


fatti il sito di queste provincie e l'interna costituzione tale, che si pu ben di
lor dire, non omnis feri omnia icllus; imperciocch altrove nascono di quelle
cose, che mancano e mancheranno eternamente in altri paesi. Le contrade set
tentrionali non avranno giammai olio, vino, seta, bambagia e moltissime altre
cose de' paesi meridionali, e i paesi meridionali abbisogneranno perpetuamente di
buon ferro, acciaio, rame, di certe pelli e di certi pesci che si ritrovano nel Set
tentrione. Oltre di questo gli ingegni di certi climi sono meglio atti a certe arti
che a certe altre, cosi per la disposizione de' climi e de' temperamenti, come pel
governo e per l'educazione. Quindi nasce fra loro un reciproco bisogno e un ne
cessario commercio. Ciascuno Stato manda negli altri del suo soverchio per rice
vere quello di che abbisogna. Questo reciproco traffico il fondamento de'cambi
per lettere. Ora come esso fondalo sopra bisogni naturali e immutabili, seguita
che il commercio de'cambi debba essere cos eterno come quello delle cose (1).
. XI. Il prezzo del cambio va delle volte, ora pi ora meno, al di l del
pari del valore delle monete degli Stati diversi che trafficano fra loro. Cos voi ,
comprando una lettera di cambio, pagherete il 3, il 4, il 5 ecc. per cento di pi
che non porterebbe il pari. Certi ignoranti di queste materie hanno gridato contro
un tal agio, dichiarandolo usura iniqua e disonestissima. E non nego che possa
esser tale, se chi vende di queste lettere prenda pi in l di quel che porla il
corso de' cambii, o se la permuta e i luoghi sieno esseri finti, non reali. Ma
ignorar la natura delle cose il pretendere, che non vi possa essere vera e giusta
cagione di riscuotere quel 3, 4, 5 di pi del pari: 1 Non si fa trasporto di nes
suna cosa da luogo a luogo senza spesa: se voi aveste a mandare di qui a Ge
nova 1000 scudi, vi pare che non vi dovesse costar nulla? Dovete dunque pa
gare il prezzo di questo trasporto; II. Quando i prezzi delle cose, che sono in
commercio, crescono o scemano in ragion composta diretta dei bisogni, reciproca
delle quantit fisiche , crescon sempre e scemano con giustizia. Se le lettere di
cambio sono in commercio, elleno soggiacciono alla medesima regola; III. Ogni
comodo ha prezzo, e questo prezzo regolato dalla medesima legge generale che
genera e regola tutti gli altri; e' bisogna dunque pagar il prezzo dell'agio.
. XII. Dicono che questa rigidezza di giustizia , summum jus , annienta la
legge di beneficenza: se dunque l'agio de' cambii non ingiusto, almeno diso
nesto. Idee false. Questa legge di beneficenza , che alcuni trasportano fuor de'
ermini che la natura e le pi sacre sanzioni han fisso, dove si lasciasse correre
a questo modo diventerebbe cagione distruttiva della vera beneficenza , gettando
i popoli nell'inazione, madre dell'estrema miseria. Io ho dimostrato questi ter
mini nella Diceosina; e ne sar detto, quanto comporta la materia, nell'articolo
dell' usure qui appresso.
. XIII. Di qui s'intende in che modo il cambio sia il vero barometro dello
stato del commercio d'una nazione. Imperciocch per sapere se una nazione pi
d che riceve, o pi riceve che d, e perci s'ella paga lo sbilancio a contanti o le
pagato, non occorre far altro che osservare il corso de' cambii per un certo dato

(i) E questo fa che l'Europa possa oggimai considerarsi come una sola citt, e le na
zioni in particolare come lauti quartieri in questa citt : idea, la quale assicura dalla fa
me e dagli altri bisogni tutti i popoli industriosi e providi.
IH.' i UIB1I, DEGLI AGI E DBLLE LORO LEGGI. CAP. XI. 253

numero d'anni. Se i cambii sieno stati sempre bassi dalla sua parte, esso stato
pagato da forastieri, vale a dire che il suo commercio stato utile; ma se sono
stati dalla sua parte alti, egli ci debb' esser certo che il commercio stato svan
taggioso. Finalmente se i vantaggi e gli svantaggi del cambio sieno stati eguali,
manifesto ch'ella ha trafficato del pari, e ci vale a dire senza n perdere n
guadagnare.
. XIV. Ma perch questa un' importantissima parte del presente capitolo,
si vuole pi accuratamente dimostrare, per rischiarar le menti di molti, i quali
come i fanciulli al buio stimano tutta questa materia misteriosa e ne hanno
grandissima paura , e tale da far loro non di rado commettere delle clamorose
ingiustizie e da rovinare il commercio. Dunque per le cose dette qui di sopra
veniamo chiariti, che tutto quel che in commercio cresce di prezzo, quando
sono molti pi coloro che amino di comprare che non sono quelli che voglian
vendere, cio quando le quantit fisiche sono minori de' bisogni; per l'op
posto quando le quantit fisiche superano i bisogni , le cose che sono in com
mercio scemano di prezzo. Dond' che , poich le lettere di cambio sono in
commercio, debbano aver maggior prezzo quando sono pochi coloro che le danno
e hanno pochi crediti, e per l'opposto molti coloro che le domandano; e scemare
di prezzo, dove pel contrario sono pochi quelli chel e ricercano, e molti que'che le
offrono. Ma dove son pochi quelli che le offrono, e molti quelli che le domandano,
ivi son pochi crediti e molti debiti, e per l'opposto, dove son pochi coloro che le
richieggono, e molti quelli che l'offrono, ivi son pochi debiti e molti crediti:
dunque in quello Stato dove i cambii son bassi son molti crediti, e dove i cambii
sono alti sono molti debiti. Ma il credito di una nazione nasce da quel che esporta
del suo, e il debito da quel che riceve dell' altrui; dunque una nazione, dove i
cambii son bassi, ha pi mandato che ricevuto, e dove sono alti ha pi ricevuto
che mandato.
. XV. A voler dunque conoscere se uno Stato faccia un commercio utile o
svantaggioso, non s'ha da far altro che osservare il corso de' cambii per un con
siderabile numero d'anni. Perch se in questo tempo i cambii sono stati svan
taggiosi, lo Stalo dee aver fatto un commercio rovinevole, cio avere pi rice
vuto che mandato, e perci di essere stato spogliato del suo contante; e se sono
stati vantaggiosi , dee aver fatto un commercio utile , cio d' aver pi mandato
che ricevuto, e con ci d'aver aumentato il contante e l'arti. E perch qualch'uno
ingannato non islimi, che poich pochi mercatanti s'arricchiscono, il commercio
che fa la nazione sia generalmente utile, da considerare che anche in un
commercio rovinevole possono bene alcuni pochi strarricchire , mentre questi
guadagni si fanno pi su la propria nazione che su gli stranieri.
. XVI. Il dottor Hume ne' suoi Discorsi politici s' oppone a questa dottrina
comune, e dice primamente che non si pu da' cambii bassi arguire il vantaggio
della nazione, n dagli alti lo svantaggio. Dice secondariamente che i cambii
alti non siano tanto da temere, quanto comunemente si fa; conciossiach l'altezza
medesima sia cagione, per cui in breve tempo o si rimettano alla pari o diventino
bassi. Questa sua seconda proposizione verissima, poich i cambii alti son cagione
che il danaro scappi via ; per modo che in pochi anni divenuto Io Stato povero,
o non prende pi dai forastieri per non poter pagare , ovvero se prende dee pa
gare con de' suoi generi. Nel primo caso i cambii diventano bassi , perch lo
354 GENOVESI.
Slftto Col non prender pi si scarica de' suoi debiti; nel secondo diventa creditore
a cagione dell'estrazione de' suoi generi, e i cambii per quest'altra ragione vengon
bassi. Ma nel primo caso non si scarica del debiti se non per povert ; e non
poi vero, come dice il nostro inglese, che una nazione non abbia gran fatto a
temere la 6ua povert, purch non siano di quei Sibcrii, che pongono la nostra
felicit quaggi nell'essere straccioni e accattoni (1).
. XVII. Quanto s'appartiene alla prima sua proposizione, egli combatte di
fronte il comune sentimento di tutti i politici e la sperienza medesima. Egli il
vero, che il cavalier Child nel suo Trattato sul commercio avea anch' egli osser
vato , che il corso de' cambii non sia un metodo esente da ogni sbaglio per fare
un giusto bilancio del commercio. Ma nondimeno egli non niega che sia il me^
lodo il meno incerto. Le sue ragioni sono: che non facile tenere un esatto conto
de' cambii: che spesso altre cagioni, le quali non hanto che far nulla col com
mercio, possono alterare 1 cambii, siccome una guerra, un discredito pubblico,
un abbassamento del danaro appresso le vicine nazioni: che una nazione non
avr mai cambio aperto con tutte quelle cen le quali traffica, ina trafficher spesso
a contanti o a permute presenti: che vi sono de' traffichi frodolenti e in contrab
bando, i quali non entrano nella massa dei cambii. Queste ragioni fanno vera
mente, che un tal metodo abbia anch'esso delle grandi difficolt per la precisione
d' un bilancio; ma non possono gi fare che non sia il pi vicino all'esattezza,
massimamente essendovi alcune di queste cause dette dal signor Child , le quali
si possono facilmente separare dalla causa del commercio.
$. XVIII. In alcune nazioni, le quali avevano i cambi alti e svantaggiosi, per
potere rimettere alla pari o renderli anche vantaggiosi, fu da alcuni politici pen
sato, che dove il sovrano facesse trasportare alla nazione creditrice una gran
somma di danaro, per la quale quella divenisse debitrice, avrebbe potuto far due
guadagni, uno per s guadagnando l' interesse de' cambii, l'altro pel suo popolo
con rimettere i cambii alti. Ma questa una vera illusione ; imperciocch a pen
sarvi bene non far altro, che pagare in una sola volta quel che la sua nazione
avrebbe pagalo successivamente. Il guadagno poi del prezzo del cambio sarebbe
in parte scemato dal trasporto del danaro, e in parte sarebbe un guadagno su la
propria nazione. Tralascio il dire, che non convenevole a' sovrani intricarsi
nelle basse materie di commercio. Per la qual cosa la vera maniera di rilevare
una nazione eh' in debiti, fare che i cambii da svantaggiosi si convertano in
utili, quella di renderla creditrice delle nazioni con cui traffica, e renderla tale
costantemente e durevolmente. Ora per ottenere ci necessit, che questa na
zione mandi fuori delle sue derrate e manifatture , e che il possa fare costante
mente. 11 che non s'ottiene, che con promuovere l'arti e il commercio nel modo
eh' dello nella Prima Parte, e qui sopra nel capitolo via, e con regolare in
modo le lnanze ch'elleno non secchino l'arti e arrestino il corso del traffico. Tutti
gli altri melodi son ciance e non da badarvi. Quel sovrano dunque che volesse
sottrarre la sua nazione da questo stato di svantaggiosi cambii , potrebbe con
maggior sapienza impiegar quella somma di danaro, 1 all'agricoltura; 2 alle

(1) Quando un sibero, dice Gemelli, vuol fare la pi terribile imprecazione ad un altro
sibero, gli dice adiratamente: possiate vivere alla russa; e questo Vuol dire, possiate
faticare come un russo per vivere con morbidetza..
de' cambii, degli agi e delle loro LEGGI. CAP. XI. 258

manifatture; 5 ad agevolare il commercio, con liberarlo da certi non ragionevoli


incagli ecc. (1).
. XIX. Dalle cose fin qui dette si possono dedurre le due seguenti massime:
1 Che una delle pi sicure regole per conoscere se il commercio d'una nazione
sia utile o dannevole, e se le sue ricchezze crescano o scemino, sia l' osservare
diligentemente il corso de' cambii per un considerabile tratto di tempo. Che se
in questo tempo i cambii siano stati ora alti ora bassi, avendoli tutti attentamente
calcolati, si dee prender il punto mezzano fra i due estremi, e per questo punto
giudicare del vantaggio e disavantaggio.
2 Che dove una nazione sia di molto debitrice ad un'altra, per modo che i
cambii siano svantaggiosissimi, sempre miglior partito pagare in contanti, pur-
che ia possibile, che servirsi del cambio. La ragione , che in questi casi il pa
gare per cambii aggrava e impedisce 11 traffico per la loro altezza , e con ci ca
giona l' incaglio del commercio.
. XX. Dalla seconda massima si comprende , che la proibizione di eslrarre
le monete per ogni Stato, generalmente parlando, inutile e dannevole. Ella
inutile, perch l'esperienza di molti secoli ha dimostrato, che s fatte leggi mal
non sono state osservate per qualunque rigore che vi si adoperasse. E di qui
che n i Veneziani , n i Toscani in Italia, n gli Olandesi , n gli Inglesi si sono
avvisati mai di servirsene. Ella dannevole, perch o lo Stato debitore, o no.
Se no, la legge inutile ; e se debitore , forza che paghi. Ora egli non pu
pagare che o in mercanzie o in contante. La prima sarebbe la miglior maniera e
la pi utile; ma dove ella non ha luogo (per la nostra ipotesi), bisogna o pagare
in contante o fallire. In questo caso la proibizione di non pagare in contante non
differente dal fallire.
. XXI. Egli ben ragionevole per , che la legge civile proibisca quelle
branche di commercio le quali sono dannevoli per la nazione, e le quali non pro
movendo il commercio delle proprie cose, anzi rilardandolo, votano il paese di
danaro e per s fatta guisa indeboliscono l' industria. Inoltre ragionevolissimo
o di sterpare dell' intutto, o di ridurre al minimo possibile tutte quelle cagioni le
quali mandano via il danaro, senza lasciare la minima speranza ch'esso sia per
ritornare di nuovo n in specie, n in genere; delle quali cagioni ve n'ha molte
da per tutto, e moltissime per avventura fra di noi. Donde si pu capire, che la
nostra legge del Valimento politica e giustissima. Ma ella vorrebbe essere an
cora pi universale che non , e abbracciare i beneficii ecclesiastici medesima
mente a tenore della grazia di Carlo VI.
- -
(1) In molti paesi i sudditi hanno 'dato alle corti il pi bello esemplare dell' arte di
arricchire. Tali sono le grandi Societ per promuovere l'arti gli anni addietro rondate ia
Londra, in Petersburg, in molti luoghi della Francia ecc.: la Societ di agricoltura pian
tata da privati gentiluomini in Galizia : la Societ di dotti pur dianzi stabilita in Siviglia
per tradurre tutti i libri di agricoltura, di manifatture, di commercio e diffonderli nella
nazione ecc., ecc. Che fanno i gentiluomini Italiani ? Liti, duelli, teatri, pranzi ecc., ecc.
Ecco come si pu divenir Siberi.
256 GENOVESI,

CAPO XII.

Digressione sul bilancio del commercio.

S. I. La materia superiore de' cambi richiama a s quest'altra del bilancio


del commercio, come quella ch' alla prima molto congiunta. Usano i prudenti
padri di famiglia, i quali vegliano all'economia della casa, scrivere partitamente
tutti gl'introiti e gli esiti, e in fine di ciaschedun'anno pareggiare gli uni con gli
altri, affinch possano conoscere se l'introito sia stato maggiore, minore o eguale
all'esito, e prendere quei partiti i quali sono pi acconci alla conservazione e
all'aumento della famiglia. Questo chiamasi bilancio, o pareggiamento d'introito
e d'esito. Ora perciocch ogni Stato a certi riguardi una gran famiglia, sguita
che un bilancio generale sia l'operazione politica la pi importante per ogni na
zione prudentemente governata. Quindi che i politici hanno molto studiato,
per darci un mezzo sicuro da fare il pi precisamente che si possa un bilancio
di commercio. Veggasi il signor Melon al capitolo xxii.
S. II. La maniera e 'l metodo che a prima vista sembra il pi sicuro, sarebbe
quello di tenere ciascun anno esatti notamenti di quel che esce ed entra e del
lor valore. Questa la regola che si tiene nelle private famiglie e ne' banchi di
negozio; e nondimeno questa regola, ancorch semplice e naturale, non appli
cabile all'intiere nazioni, essendo ella per molte ragioni difettosa. Primamente
egli quasi che impossibile d'avere delle esatte liste della quantit di ci che si
estrae e intromette. Secondariamente, ancorch questo si potesse ottenere, non
per possibile il sapere precisamente i prezzi delle mercanzie introdotte o estratte,
essendo questo l'arcano il pi geloso della negoziazione.
S. III. l primi, i quali servironsi d'un tal calcolo, ricorsero a' registri della
dogana e a' dritti d'entrata e di uscita. Quindi s'ingegnarono di ricavare delle
notizie intorno alla quantit e al valore dell'esportazioni e importazioni. Ma questo
metodo imperfettissimo. In prima vi sono molte cose di piccolo volume e di
gran valore, siccome sono le pietre preziose, i metalli ricchi, le manifatture d'oro,
d'argento, i drappi di seta, i merletti e che so io quant'altre, le quali in tutti
gli Stati escono ed entrano di contrabbando, non ostante tutti i rigori della legge.
Anzi la copia del contrabbandi in questi generi tanto maggiore, quanto sono
pi grandi i diritti che si pagano, perch allora il guadagno maggiore: e dov'
grande ilguadagno, ivi sono sempre moltissimi coloro che si studiano d'occuparlo
o di avervi parte. Quando sono molti quelli i quali studiano di gabbarti, a difen
derti da molti non ti potrai per salvare da tutti, e massimamente se tu si in
un paese circondato da mare e dove sieno moltissimi di coloro, i quali o per
immunit personale, o per prepotenza si credono esser sicuri delle pene che la
legge minaccia.
S. IV. In secondo luogo difficilissimo che si valuti esattamente quel che si
estrae e s'intromette; e 'l volere in ci regolarsi colla tariffa della dogana cer
tamente abbagliarsi. La ragione , che la maggior parte de' diritti della dogana
si pagano non gi a ragione di valore, ma a ragion di peso e di misura. Cos,
per cagion d'esempio, fra noi il diritto d'uscita pel grano,per l'olio, pel vino il
DIGRESSIONE SUL BILANCIO DEL COMMERCIO, - CAP. XII, 257

medesimo di tutti questi generi, siano di maggior valuta, siano di minore, riguar
dandosi solo al peso e alla misura. Per la qual cosa siccome facile stimare dai
diritti della dogana le quantit legittimamente estratte o intromesse, cos impos
sibile il determinare precisamente il prezzo.
S. V. Il metodo pi comunemente oggigiorno ricevuto quello del corso
de' cambi, secondo che dimostrato nel capitolo antecedente. Si conviene assai
che, in una materia s intricata e difficile, questa sia la meno incerta maniera di
conoscere, se il commercio che si fa da una nazione le sia utile o dannevole.
Egli il vero che anche questa sorta di bilancio vaga e generale molto; ma
anche questa generale e per avventura confusa conoscenza pu bastare ad un
politico, affine di pigliare i pi propri espedienti, o per conservare il commercio
o per rilevarlo; il che il fine del bilancio.
S. VI. ll cavalier Josia Child stima, che l'esaminare il commercio medesimo
ne' suoi istromenti e nelle cause, e ci per un lungo corso d'anni, sia anch'esso
un buon metodo di bilanciare. Quest'esame dee consistere in calcolare: 1 La
quantit de'vascelli impiegati nel commercio esterno per estrarre le derrate e le
manifatture del paese; 2 La quantit de'marinari, che hanno servito e servono
ad un tal commercio; 5 Il numero de' mercanti che il fanno; 4 Il grado di
perfezione e diffusione, in cui sono l'arti e l'agricoltura. Se tutte queste cose in
un considerabile corso d'anni sieno cresciute e migliorate, ci debb'essere mani
festo argomento che il commercio esterno sia divenuto utile. Ma se sono mancate
e peggiorate, indizio chiaro che il commercio stato dannevole.
S. VII. La ragione di questa proposizione che l'accrescimento e 'l miglio
ramento di tutte sfatte cose appartenenti al commercio, non pu nascere se non
da utilit che la nazione ne trae, siccom' da se stesso manifesto, conciossiach
niun uomo corra dietro alla perdita e al male. Oltre di che, l'avanzamento di
tutte queste cose per se medesimo di grandissima utilit. Ma se poi le suddette
cose sieno andate sempre decadendo, e non gi per forza o di guerra, o di peste,
o di male ordinate finanze (1), o di qualch'altro grave infortunio, si pu tener
per sicuro, non essere addivenuto che per danno che si traeva dal commercio;
imperciocch non cosa agevole che si abbandoni un traffico il quale giova, per
essere il guadagno una delle molle, le quali con maggior forza solleticano e sti
molano gli animi umani.
S.VIII.Nel far poi questo esame il medesimo autore ci avverte di non ascol
tare leggiermente le voci de' negozianti, le quali spesso sono sospette; ma di
volere oltre a ci esaminare e calcolare le cose medesime. Imperciocch in prima
i mercatanti stimano essere del loro interesse il predicare sempre ruine, cos
perch il numero di coloro i quali vi s'impiegano non cresca soverchiamente,
come per altre loro occulte ragioni. In fatti nella maggior felicit del commercio
inglese si trovano scritti in Inghilterra molti libri di mercanti, ne' quali non si
parla d'altro che di calamit e miserie. Secondariamente perch i vecchi mer
canti, avvezzi al maggior guadagno quando i trafficanti eran pochi e le nazioni
meno scaltre, guadagnando meno nella loro ultima et stimano perdita il medio
(1) Il sig. D. Bernardo Ulloa, nella sua squisita operetta, Delle manifatture di Spagna,
ha mostrato fino a'ciechi che la decadenza del gran commercio di quella nazione do
vuta per appunto al disordine delle finanze. Questo dotto libretto vorrebb'essere il Bre
viario di tutti i finanzieri.
Econom. ToMo III. 17.
258 GENOVESI.

cre guadagno,e a questo modo non cessano di predicare desolazioni. Finalmente


perch ella pu essere stata pi la mala condotta d'alcuni particolari, come a
dire la negligenza, la poca abilit, o pure il lusso e gli altri vizi del secolo, che
la forza del commercio, la vera cagione che gli ha desolati; e perci bisogna
sentirli, ma con gli occhi alle cose inedesine, la cui lingua non pu mentire.
S. IX. Un non ignobile autore di economia pretende che, senza venire a
tante minuzie, la cognizione delle quali non della scienza economica di chi
governa, il pi corto e sicuro netodo da bilanciare per una nazione che non lia
miniere, il calcolare spesso la quantit d'oro e di argento nonetato e manifat
turato ch' nello Stato. Questa nazione non avendo niniere (per ipotesi) non pu
altronde trarre questi nletalli, che dal commercio con coloro i quali n' hanno.
Se dunque questi ricchi metalli sono andati crescendo, sguita che il conmmercio
che gli ha importati sia andato anch'esso aumentandosi e con vantaggio: ma
debb'essere decaduto e rendutosi svantaggioso, se queste ricchezze rappresentanti
sieno andate scemando. Supponiamo che in questa nazione v'abbia in un dato
tempo 20 milioni di queste ricchezze secondarie, e dopo 10 anni, 50 milioni, e
poi in simili intervalli, 40, 50, 60, 100, ecc. milioni; chi pu dubitare, che
questi milioni non sieno il frutto di un grande e utile conmercio? Ma se da 100
milioni siasi decaduto prima a 90, poi a 80, 30, 20, 10 ecc., di pari evidenza
che il commercio sia caduto e peggiorato nella stessa proporzione.
S. X. Questa tesi d'un'evidenza geometrica. Pur non credo che nel fare un
calcolo esatto, o l presso, della quantit di queste ricchezze, s' incontri minor
difficolt e meno bui che non negli altri metodi memorati: 1 Come ridurre al
netto tutta la quantit delle manifatture di oro e di argento, che in un dato
tempo sono nella nazione? 2 Come calcolare con esattezza il numero e 'l valore
delle pietre preziose? N possibile pure che si calcoli la moneta. Perch si pu
sapere con precisione la quantit della propria moneta coniata in un dato tempo:
1 chi sapr quanta di questa sia stata dagli orefici liquefatta? 2 quanta andata
fuori? 5 quanta sepolta? Pi difficile ancora il calcolare la moneta forastiera
ch' entrata. Il giro poi della moneta lieve e fallace indizio, essendovi nolti
che si compiacciono di sepellirla.
S. XI. Il medesimo autore crede che si possa venire in cognizione della
quantit dell'oro, dell'argento e delle pietre preziose, per tre punti certi: 1 Per
lo stato de'prezzi delle cose rappresentate; 2 Per quello delle compre e vendite;
5 Per ilgrado del lusso. E primamente, dic'egli, il prezzo delle cose rappresen
tate dal danaro cresce o scena direttamente, come la copia del danaro; dunque
come questo prezzo divenuto duplo, triplo, quadruplo ecc., forza che a quella
medesima proporzione siasi aumentata la copia del danaro. Il quale non ci ve
nendo che per commercio, e dalle nazioni le quali l'hanno di prima mano, deb
b'essere aumentato e migliorato questo commercio.Appresso,come nelle compre,
tanto grandi che mediocri e giornaliere, non manca in una parte dello Stato il
danaro sufficiente e le permute vi sono poche, manifesto segno dell'esservi molto
danaro, e che perci la nazione faccia un commercio utile e le si paghi dalle altre
lo sbilanciamento in contanti. Finalmente il grado del lusso mostra per due ra
gioni la quantit de' rappresentanti: 1 Perch la materia del lusso in gran
parte l'oro, l'argento, le pietre preziose; 2 Perch il principale strumento n'
il danaro. Come dunque cresce e si dilata il lusso e sostiensi, indubitato argo
DIGRESSIONE SUL BILANCIO DEL COMMERC1o. CAP. x11. 259
mento esser cresciuta la copia de' nobili metalli; ma se decade e si ristringe a
pochi, forza che la materia e lo strumento vi vadano mancando.
S. XII. Ma vi sono grandi difficolt sopra i due primi punti. Egli vero che
la molta copia del danaro rialza i prezzi di tutte le cose e fatiche che sono in
commercio, ma verissimo altres, che non la sola cagione perch montino
quei prezzi, essendone una non men forte, le tasse e i dazi; perchfanno infalli
bilmente ascendere i prezzi delle derrate, manifatture, manovre e fatiche di qua
lunque genere, e proporzionevolmente alla loro gravit: il che sar da noi pi
ampiamente dimostrato nel seguente capitolo. Sicch quest'indizio assai ambi
guo e incerto. N men dubbio il secondo. Se i prezzi delle cose e delle fatiche
si suppongano da 500 anni in qua montati per grado al sestuplo, sguita che in
quella nazione, dove per tutto il traffico interno bastavano dieci milioni di con
tante, e' ve ne bisognino ora sessanta. Ma se voi non n'avrete che quaranta, il
danaro senza dubbio cresciuto del quadruplo, e purve ne bisogna ancora due
sestl 6 un terzo, perch si possa spesar delle permute. Dunque possono crescere
le permute anche dove cresca il danaro.
S. XIII. Convengo poi sul terzo argomento, ma con le seguenti condizioni:
1 Se il lusso sia pi di materie straniere che domestiche; 2 Se non sia solo in
certe poche capitali con un generale squallore delle provincie, ma universale,
ancorch non all'istesso grado; 5 Che non solo si sostenga unifbrnemente, ma
vada crescendo in estensione e intensit. In questi dati il lusso certissimo ar
gomento del crescere il danaro; e con ci, che lo sbilancio del commercio sia
quel dato tempo in favor nostro.
S. XIV. Dopo tutto ci che si detto si pu conchiudere, che un attento po
litico pu prender lume da tutte queste parti. Egli pu ciascun anno far tenere
un esatto conto del corso de'cambi: pu far estrarre da' registri della dogana
quelle notizie, che servono a dargli lume per conoscere in generale lo stato
dell'estrazioni e intromissioni: pu fare esaminare la quantit del commercio per
lo stato dell'agricoltura e delle manifatture: pu informarsi del numero delle fa
miglie, e vedere se son cresciute o scemate; della copia del danaro che gira, e
come ecc. Tutti questi metodi son tali, che bench in qualche parte difettosi,
nondimeno gli uni danno agli altri del lume. A questo modo fatto un bilancio
generale per molti anni consecutivi, poi facile l'inquirere nelle cagioni donde
nasce il bene o il male dello Stato, affine di prendere delle misure, o per conser
vare i vantaggi o per provvedere alle cagioni desolatrici.
S. XV. Il fine di tutto questo esame si pu dividere in quattro punti princi
pali, siccome saviamente osserva il sopraccitato Child. Il primo , perch il com
mercio si riguardi e si conservi siccome il principale interesse di ogni nazione e
massimanente delle marittime. Il secondo, affinch si ponga tutto lo studio e la
diligenza, perch il numero di coloro i quali travagliano alle manifatture o si
conservi, se elleno sono in buono stato, o si aumenti se in qualche parte man
chevole. Il terzo, affinch s'aumenti e si migliori il primo capitale del popoli e del
commercio, cio l'agricoltura. Finalmente, per fare che i forastieri stimino essere
del loro interesse il trafficare con detta nazione. -

S. XVI. A questi quattro punti si pu aggiungere quello di regolare le finanze


per lo stato dei fondi della nazione, affinch i pesi sieno adattati alle forze di
ciascuna parte del corpo civile; senza la quale proporzione n le parti del corpo
260 GENOVESI,

civile potranno crescere a quella grandezza, alla quale le cose umane ben gover
nate sogliono arrivare, n il legislatore potr mai trarre dallo Stato quei vantaggi
che se ne compromette, e che potrebbe per una savia economia. Sar sempre ve
rissima questa massima di Lucano:
Non sibi, sed domino gravis est,quae servit egestas (1).
S. XVII. Ripeto qui tre importanti teoremi che seguono: 1 Tutto quello, in
che le mercanzie estratte avanzano le intromesse,nel bilancio generale debb'esser
pagato alla nazione che l'estrae, o in danaro contante o in crediti su d'una terza
nazione. E per l'opposto se l'intromissioni superano l'estrazioni, la nazione traf
ficante dee pagare o in danaro o in crediti su d'una terza.
2. La nazione, la quale paga il bilancio in contanti o in crediti, fa due per
dite, una del danaro, l'altra di quel che poteva guadagnare estraendo le sue mer
canzie. Se ne pu aggiungere una terza, cio quel ch'ella perde nel poco ch'e
strae; perch bisognosa di danaro, dee vendere a precipizio con suo svantaggio.
5. In una nazione la quale paga il bilancio del commercio a quel modo ch'
detto, l'agricoltura e l'arti vanno in decadenza; e pel contrario quella che gua
dagna il bilancio fa tutti i seguenti acquisti. Primamente acquista ogn'anno
maggior copia di contante. Secondariamente guadagna sopra dell'estrazioni, le
quali vende con sua comodit e opportunamente. In terzo luogo promuove l'agri
coltura e le manifatture con lo smercio che ne fa. Finalmente la sua popolazione
diviene ogn'anno maggiore, e in conseguenza lo Stato aumentasi di forze e di
ricchezza.
Si vede dunque di quanta importanza sia che una nazione, che il pu, gua
dagni la superiorit nel bilancio generale del suo commercio. Or niuno il pu
meglio, quanto noi di questi due regni.Veggasi quel ch' detto in fine del capi
tolo VIII.

CAPo XIII.
Delle usure.

S. I. L'usura a dirittamente considerarla non che un agio: ella il prezzo


del comodo che d il danaro. La materia dunque de' cambi e degli agi porta
seco quest'altra, la quale parmi di grandissima importanza in tutta l'estensione
de'traffichi. Trattiamola perci pei suoi principi, e alquanto pi diffusamente
che non si fatto di moltialtri punti di questa Seconda Parte. Quello umilmente

(1) Io non saprei che dirmi d'una massima d'un principe de' secoli passati CHE IMPove
RiscANo (i sudditi), MA sERvANo: TEMo I sUDDITI TRoPPo coMoDi. E le ragioni della mia
ignoranza sono: 1 Che si pu fare che i popoli sieno agiati e obbedienti (i Cinesi); 2 che
la disubbidienza non vien mai dalle ricchezze, ma o dalla parziale amministrazione della
giustizia, o dalla sproporzionata ragion delle tasse: 5" che i popoli pezzenti o disertano,
o tumultuano perpetuamente. E la catena de'comodi che lega l'uomo alla repubblica:
e chi cos legato alla patria, sempre sottomesso all'obbedienza diun savio governo.
DLLE USURE. - CAP, XIII. 261

richieggo al discreto leggitore , che se egli viene ad abbattersi in qualche dot


trina ripugnante alle pubbliche opinioni, si compiaccia, s'egli pu, giudicarne
pe' principi e non gi per li pregiudizi popolari. Io rispetto questi pregiudizi per
ch rispetto il pubblico: ma son uso a rapportare i pubblici pregiudizi alla regola
del vero, che non pu sempre vedere il volgo ignorante. Io ne giudico per quella
regola.
S. II. Il danaro dappertutto ovunque stato adoperato per segno e misura e
per pregio delle cose mercatabili, ha ottenuto un certo frutto annuale ne' censi,
nelle prestanze, nei cambi e in altri contratti. Questo frutto che, come altrove
detto, il terzo valore della moneta, chiamasi interesse e usura del danaro (1).
Ella fu altre volte grandissima, quanto ora piccolissima in tutta l'Europa (2).
Nei tempi barbari, i quali succedettero alla politezza greca e latina, quasi i soli
Ebrei praticavano di dare a prestanza con delle gravi usure, le quali alle volte
arrivavano ad essere il 50 e il 40 per 100. E questa fu una delle cagioni, per
cui furono diverse volte e in vari luoghi perseguitati e saccheggiati, siccome pub
blici ladri e animali sanguivori (5).
S. III. l Cristiani ne' tempi pi addietro, quando la copia del danaro era pic
cola e grande il valore, si contentarono di esigere il 12 e il 10 per 100. Fra noi
per una bolla di papa Nicola, promulgata nelle nostre Prammatiche a richiesta
di Alfonso re di Napoli, l'usura del danaro fu fissata ad essere decima pars sortis
principalis, cio il 10 per 100 (4). Per agevolare pi le prestanze e soccorrere
i bisognosi, cominciossi in Italia a fondare de' monti di piet. Nel Concilio La
teranense a'tempi di Leone X con grandissima discrezione e umanit si stabili,
che l'interesse del danaro prestato da quei monti fosse piccolo, e tanto quanto
bastasse al sostegno di tali luoghi e de' loro ufficiali. Ma poi di mano in mano,
secondo che la quantit dell'argento e dell'oro crebbe oltre i bisogni, l'usure
anch'esse sbassaronsi, dove al 6, dove al 5, dove al 4 e al3 finalmente per 100.
E di qui si pu conoscere, che l'usura del danaro sia in pratica sempre propor
zionevole alla quantit della moneta circolante, e che ella si abbia perprezzo, il
quale, siccome tutti gli altri, alza o sbassa in ragion reciproca della quantit del
genere, e diretta de' bisogni.
S. IV. Noi in questo capitolo ci abbiamo proposto di esaminare quattro punti,
i quali appartengono alla presente materia: 1 Se il danaro ha veramente un
(1) Ma si potrebbe qui fare una distinzione tra interesse e usura; perch l'interesse pro
priamente parlando vorrebb'essere il lucro cessante e il danno emergente, e l'usura il
comodo che d il danaro a chi il prende. Tuttavolta la turba de' forensi e de' casisti ci
obbliga a trarre ov'ella corre.
(2) Solone aveva ordinato che le usure fossero quanto piacesse al prestatore. Vedete
Samuele Petito. La legge di Solone il peso dell'usura sia quanto piace al prestatore.
Questo fece che vi fossero in Atene tocoi epitritoi, che secondo Salmasio, De modo usu
rarum, cap. I. e seg., erano il terzo del capitale. In Napoli v'ha delle donnicciuole che
prestano ad usura ad un grano a carlino il mese. Questa usura di 120per 100 l'anno.
Ma certi casisti, che non calcolano, l'hannoperuna bagatella. V'ha di certe altre, le quali
esigono un tornese a carlino la settimana, e quest'usura va al 240 per 100 l'anno.
(3) Confessiamo nondimeno, che bench i Giudei fossero rei di non legittime usure,
quasi tutte le leggi emanate contro di essi sentono pi d'invidia e d'odio pubblico, che
abbiano di sedata ragione. La legge non dee incollerirsi: ella ragione, non passione.
(4) Questa bolla, per rispetto cred'io, tuttavia fedelmente osservata da buona parte
degli ecclesiastici delle nostre provincie.
262 - GENovEsi.

frutto, il quale si possa legittimamente esigere dal solo darlo altrui a pr'8stania
2 Quali sono le vere cagioni, per le quali questo frutto ora cresce e ora Cgil8.
5 Se vero che la sola quantit del danaro maggiore o minore, senza veriln'altra
cagione civile, faccia altres maggiore o minore l'interesse. 4 Di che sia segna
l'essere gl'interessi alti o bassi in una particolare nazione. Molti gravi e dotti
autori hanno in quest'ultimi tempi esaminato profondamente queste materie, tra
quali meritano grande attenzione Giovanni Locke nelle sue Lettere su la moneta,
il marchese Maffei nell'opera dell'impiego del danaro, Hume ne'suoi Discorsipo
litici, Montesquieu nello Spirito delle leggi, il signor Forbonnais negli Elementi
del commercio.

DEI PRIMI DUE PUNTI.

S. V. Per cominciare da' primi due punti come quelli che son connessi es
senzialmente, dico come alcuni filosofi antichi, e tra questi Platone e Aristotile
fra i Greci, Catone e Marco Varrone fra i Romani, stimarono che il danaro non
abbia di per s frutto nessuno, e conseguentemente che il volerne esigere sia cos
contro la natura, com' l'omicidio, il furto e qualunque altro delitto contrario
alla legge naturale. Quel che merita molla considerazione , che questi autori
parlavano e insegnavano a questo modo nel tempo medesimo, che Atene e l'altra
citt di Grecia e Roma in Italia, senza fare niun conto di questa loro filosofia,
erano ripiene di banchieri, e di altri prestatori ad usura, siccome si pu di leg
gieri ricavare non solo dagli istorici di que'tempi, ma da' medesimi codici delle
leggi (1).
S. VI. I legislatori di questi tempi e luoghi, ancorch avessero castigato le
eccedenti usure, nondimeno non stimarono di doverle dall'intutto proibire, sic
come se ne pu giudicare da quelle leggi civili che noi abbiam tuttavia nella
raccolta di Giustiniano. N i soli antichi legislatori, ma i presenti eziandio ac
cordano un certo interesse al danaro (2). Chiamasi oggi interesse legale quello
che permesso dalle leggi. Questo interesse, com' veduto, in Olanda e in In
ghilterra al 5 per 100, in Francia al 5, fra noi al 4. Considerando ora, che
quel che si fa da tutti e in tutti i tempi non pu farsi senza qualche grave ra
gione intrinseca, ci fa sospettare che o vi sia qualche giusta causa sentita da
tutti, per cui in certi casi sia lecita la prestanza ad interesse, o che quei filosofi
i quali condannarono ogni sorta d'interesse, e che il condannano tuttavia, non
adoperarono i veri e sodi argomenti per persuadere la loro dottrina a'legislatori.
S. VII. La ragione della quale si serv prima Platone, quindi Aristotile, di
venuta poi comune nelle scuole, che essendo il danaro per sua natura sterile
e infruttuoso, sia contro la legge naturale volerne quel frutto esigere che esso
non d. Ma per disgrazia questo argomento non che un puro paralogismo. Im
perciocch l'interesse non si pretende n si riscuote siccome frutto del danaro,
ma bens siccome prezzo del comodo e dell'utilit, che d a colui il quale il
prende a prestanza. Non altrimenti che l'interesse che si esige per l'uso de'vasi
veggasi il titolo 1 del lib. xxii delle Pandette, De usuris, e fructibus, e cau
sis egg.
(2)Quasi tutte le leggi barbare, anche de' Cristiani, vi convengono, Vedi le leggi de'
Visigoti.
DELLE I SI UE. - (JAP. XIII. $65

d'epe e d'argento, che ad altri si prestano, non propriamente un frutto di si


fatte cose, ma, un prezzo del comodo ch/allri ne riceve. E il voler dichiarare che
il eoruodo non ha prezzo, abolire tutti i contratti gtimatorii e rigettare le na
soni peli' antico caos,
, Vili. In effetto v' dottrina pi certa quanto che il comodo, sioeome di-
CQpo i giureconsulti, sit in predo? Ogni comodo, il quale altrui si fa, ha pregio
a valore fra gli uomini. DI qui nata la massima, che chi sente omotlo,
debba sentire proporzionatamente dell'incomodo. Anzi, come dimostrato nel
capitolo primo di questa Seconda Parte, l'origine del prezzo non si deriva da
altra sorgente, fuorch dal comodo e dall'utile che le cose ci prestano, o a farci
esistere, o a sgravarci dal disagio, o a darci del piacere. E nel vero le case, le
vesti, le carrozze, gii utensili di mensa, e altre tali cose non danno altro frutto
a chi se ne serve, se non che di comodo e di piacere; nondimeno per questo
comodo e piacere si stimato sempre, e si stima tuttavia giusto il potere esigere
usura dalla locazione, ancorch ella chiamisi mercede, N si dica che si riscuote
pel consumo; poich in prima non si riscuote mai a proporzione; e poi si esige,
coni' detto, anche dalla locazione di cose che non si consumano che poco o
niente, siccome sono i vasi d'oro, d'argento, di cristallo ecc. dunque manifesto
che questa debba essere stata la cagione, per la quale le leggi civili hanno au
torizzato gl'interessi del danaro.
$, IX. Ala consideriamo un poco meglio le difficolt che si fanno a questa
dottrina. Dicono in prima che le cose locate e ci costino della spesa a procac-
darle, e si consumino usandole ; per le quali cagioni giustissima ohe ri si
paghi l'uso: il che essi non credono che si possa dire del danaro. Rispondo che
il danaro ci costa anch' esso della spesa, Esso (Quel che non avvertono gl'igno
ranti) si compera, siccome tutte le altre cose; imperciocch, secondo le formolo
naturali, la permutazione delle cose col segno compera da ambedue le parti.
si compra del grano col danaro, e del danaro con del grano. Dico appresso, che
nelle locazioni la mercede non si esige tanto per il consumo di quel che si presta,
perch se ne dovrebbe esigere assai meno, ma pel comodo che ad altri si fa;
potendosi ben riscuotere, e riscuotendosi di fatto da quelle cose che non si con
Mimano. Questi filosofi adunque nella identit di contratti ragionano con diver
sit di principii.
. X. Dicono secondariamente che nella locazione la propriet rimane presso
del prestatore, ma nel mutuo passa al mutuatario. Rispondo, che nelia locazione
la propriet non resta al prestatore che ipoteticamente, e vale a dire, posto ehe
la cosa prestata non sia consumata volontariamente da chi la riceve; altrimenti
il locatario, siccome nel mutuo, obbligato in genere. Se io prendo a locazione
una veste e la consumo volontariamente, son obbligato all'eguale in genere. Del
resto quest'eccezione non cambia la natura della cosa; poich l'interesse, come
i dimostrato, non si paga per questa ragione, ma solamente pel comodo. Ora o
si ha a dire, niente ha prezzo ; o il prezzo nasce dal comodo, che le cose o le
fatiche ci danno. E se questo vero, com' verissimo, ogni comodo ha il bho
orezzo.
. X(. Quello di che gli uomini hanno ragione di lamentarsi, siccome di cosa
ingiusta e inumana, che bene spesso non vi sia niuna proporsione fra il co
modo che d il danaro, e l' usure le quali se ne pagano. Imperciocch quando
264 GENOVESI,

son troppo grandi, oltrecch uscendo dalla regola de'prezzi sono ingiuste, assor
biscono in poco di tempo tutti gli averi d'un uomo, creano un'infinit di men
dichi e sconvolgono gli Stati. Verissimo. Adunque, dic'io, le leggi debbono ve
gliare, che gl'interessi del danaro non oltrepassino la norma de' prezzi che la
natura stessa ci somministra. Non pu, n dee la legge civile svellere il jus e la
legge di natura. Ora niun prezzo di niuna cosa nasce dal mero capriccio altrui:
la natura delle cose e de' bisogni che fissa il valore d'ogni cosa, conforme
dimostrato. Cos questa medesima natura, la ragione de'contratti, le circostanze
de'tempi, de' luoghi e delle persone, debbono essere le cagioni che determinano
l'interesse del danaro. Fare contro questa regola certamente iniquit e inuma
nit. Ma questa regola non pu annullare il valore del comodo che d il da
naro. Affinch si comprenda meglio questa teoria, fa mestieri ch'entriamo un
poco nella morale di questa materia, ancorch ella possa sembrare aliena dal
nostro istituto.
S. XII. E primamente, volere che il contratto sia di puro mutuo e nondi
meno esigere dell'interesse, anche a tenore della voce pubblica un manifesto
contraddittorio, ripugnante alle leggi civili medesimamente, alla umanit pre
scritta per una legge insita nella natura dell'uomo, e a questa liberalit che se
condo i patti sociali vuole esser mutua tra gli uomini uniti in corpo civile. Il
mutuo contratto di pura beneficenza e di sincerissima amicizia: dunque un
benefizio. Ora i benefizi non si apprezzano, n si danno ad interesse. Chi adun
que esige usura del puro mutuo, distrugge la natura del beneficio; converte
l'amicizia o l'umanit in mercanzia, e per s fatto modo si studia di sbarbicarla
da' cuori umani. Questo contro il sistema del genere umano, e con ci contro
la legge naturale. Se Platone, Aristotile, Catone, Varrone insegnavano questo,
essi avevano senza dubbio nessuno la ragione dal canto loro.
S. XIII. Ma se la prestanza non sar mutuo ma altra specie di contratto,
vale a dire se non sar un contratto di beneficenza e d'umanit, ma altro, e se
non vi saranno delle vere cagioni di dover essere mutuo o contratto di benefi
cenza, dico in secondo luogo, che niente pu impedire che non si esiga il prezzo
corrente del comodo come si costuma nelle locazioni. Certo se tu sei un povero
il quale per mancanza di veste non possi fare una tua necessaria faccenda, e io
sia in grado di prestartene una, la legge di natura mi detta che io sia teco
umano e caritatevole, e perci che non esiga nulla di s fatto comodo. Il mede
simo pu dirsi di tutti gli altri benefici. Ma se tu sei un giovanetto di mondo,
che voglia comparire in commedia adorno di ricche vesti, non sar n inumana,
n ingiusta cosa che io esiga del prezzo da questa mia prestanza. Ella ti co
moda, soddisfa a certi tuoi bisogni; adunque il prestartela degno di prezzo.
S. XIV. dunque inutile il distillarci il cervello in cercare altre ragioni da
giustificare i frutti e gl'interessi del danaro, che la legge civile accorda in tutte
le nazioni. La vera ragione non n pu esser altra, che quella del comodo.
Quindi sono le usure, ond' il prezzo: e ogni prezzo figlio del comodo. I giu
reconsulti Romani l'hanno assai ben veduto; imperciocch Gajo, nella legge 19
ff. De usuris et fructibus, espressamente mette il comodo tra i frutti delle cose
che usiamo. A che si pu aggiungere la legge 4. ff. De servitutum vindicatione.
Pure quando essi non l'avessero riconosciuto, sarebbe assai chiaro per la sola
natura delle cose.
DELLE USURE. CAP. XIII. 265

. XV. A questo modo si trover eziandio che n i precetti evangelici, n i


canoni della Chiesa, a ben intenderne lo spirito sieno contrarii alle leggi civili,
siccome alcuni poco avvedutamente si son dati ad intendere. Imperciocch i
precetti evangelici e i sacri canoni vietano riscuotere le usure non solo dal mutuo,
ma da ogni contratto di beneficenza altres, in quei casi ne' quali siamo obbli
gati ad essere benefici verso gli altri uomini : essendo una legge di natura il fare
per gli altri lutto quel che vorremmo che ci fosse fatto in simili bisogni, e farlo
gratuitamente, non si potendo vendere il beneficio. In questa parte le leggi civili
sono pienamente d'accordo con le leggi evangeliche, conciossiach tutti i legisla
tori abbiano vietato d'esigere mercede da' contratti gratuiti, come sono il mutuo,
il comodato, il deposito, il precario, il mandato e altri tali.
. XVI. Ma siccome questo precetto del beneficio non si estende a coloro, i
quali non hanno preciso bisogno del nostro ajuto, cio bisogno di prima neces
sit o di necessaria comodit, n a quelli che n'hanno meno di noi o quanto noi
medesimi, seguita che in questi casi non siamo strettamente obbligati a prestar
loro quei comodi. Dond' che loro li possiam vendere senza niuna offesa n della
natura, n dei precetti evangelici. Se uno stia per cadere, una legge naturale
d'umanit che gli porga la mano gratuitamente, purch io non sia nel medesimo
pericolo o in maggiore. In questo caso sarebbe iniquit vendergli un si leggiero
beneficio. Ma se egli vuol essere appoggiato per mera delicatezza e per maggior
comodo, ben posso vendergli l'opera mia senza offendere niun diritto (1).
. XVII. Si dir in contrario, che se si ammette un prezzo del danaro na
scente dal solo comodo, seguiti che si possa riscuotere anche dal puro mutuo,
contro a ci che si detto di sopra. Rispondo, che questa difficolt nasce dal
non capirsi quel che si voglion dire in lingua di legge naturale le parole latine
di puro mutuo, o come volgarmente si dice mutuum ut mutuum. Questa espres
sione mutuum ut mutuum chiamasi dai dialettici reduplicativa, dunque dee aver
due sensi. Uno di mutuo che non mutuo, cio non reciproco (che tanto suona
la parola mutuum) ; l'altro di mutuo che mutuo, o sia reciproco in vigore
della legge naturale. Il mutuo reciproco non altrimenti un contratto partico
lare, ma sotto questo vocabolo vengono tutti i contratti gratuiti, cio di pura
beneficenza, perciocch essi per legge di natura debbono essere reciproci infra
tutti gli uomini. Adunque questa sorta di mutui abbraccia principalmente tutti
gli atti, che si chiamano da' giureconsulti innoxice utilitats, come mostrar la
via a chi l' abbia smarrita, accendere il lume dalla tua lucerna se altri il chiede,
stendere il braccio ad un che sia per rovinare, e altri s fatti. Secondariamente
comprende tutte quelle prestazioni, le quali ad altri giovano ne' loro bisogni,
pure non senza qualche nostro incomodo e qualche detrimento delle robe nostre.
E questa la vera idea e filosofica del mutuo, che poi i giureconsulti civili hanno
divisa in molte specie di contralti gratuiti ; non altrimenti che han fatto della
naturale idea di permuta, avendola distribuita in molte maniere di contratti esti-
matorii. Donde si pu inferire, che nella naturale semplicit non [vi sieno che
due soli generi di contratti, e vale a dire permute e mutui o sieno contratti esti
matori e gratuiti (2).
(1) Per questo principio l'arte de' facchini, quella de' becchini, quella de' sensali ecc.
ecc. son arti giuste.
(2) Si son distinti i contralti in contralti bona: /idei e contratti stridi juris, parole ch'io
266 GENOVESI.

S. XVIII. Dico adunque che spesso interviene di avere occasione, in cui se


condo la legge di natura e le civili medesimamente, l'uomo obbligato a dei
contratti gratuiti o sia benefici, cos della prima come della seconda manigra
senza poterne riscuoter nulla; perch altri spesso si trova ne' gran bisogni, e i
benefici di questa fatta vogliono esser doni, non vendite, Or questi sono i casi
di puro mutuo. In fatti la massima, quel che vuoi che ti sia fatto tu farai con
gli altri, non solamente massima del Vangelo, ma della natura altres e della
comune ragione degli uomini. Non dunque vero, che la presente teoria degli
interessi sbarbichi i contratti gratuiti.
S. XIX, Ma perch non possibile di marciare per li campi che i teologi
credono di lor giurisdizione senza grand'oste a fronte, affine di non irritarli veg
giamo di udirli, e tentiamo se possiam ridurli ad ascoltar cortesemente la voce
della RAGioNE, alla quale sovente per troppa amorevolezza diventano nemici. Ci
si fanno dunque da' Teologi due difficolt. 1 Che la dottrina delle usure ripugna
alle dottrine bibliche. 2 Che opposta all'autorit de' Padri e de' teologi. Sulla
seconda e' bisogna ch'essi volgano l'immenso libro di Broedersen, e la piccola
ma dotta opera del fu marchese Maffei. Vedranvi che non poi vero che i Padri
e i teologi siano tutti stati di questo loro sentimento, purch si sappia esporre
lo stato della questione. Vorrei essere in un concilio di quei dottissimi e santis
simi Padri, e far loro due domande: 1 Se un che non ha bisogno mi chiede un
beneficio per un puro lusso, per delizie, per avidit di ricchezza, son io, obbli
gato a prestargliene? 2 E se io ho del bisogno, n posso vivere che con far
valere il mio, posso a questo uomo dire, fratello, soccorriamoci scambievolmente;
io far il piacer tuo con la mia roba; ma tu mi darai in contraccambio il prezzo
corrente del comodato; posso, dico, fargli giustamente questa domanda? Finch
io non oda la risposta di questo concilio alle due mie domande, o de'teologi a nome
di quel concilio, ho per certo che n i Padri n i teologi furono mai contrari
alla usura ne' termini della nostra questione. E la ragione ch' essi sarebbero
stati irragionevoli e poco equi sentendo altrimenti; e a me fa orrore l'aver per
irragionevoli e poco equi tanti illustri personaggi, i quali tutta la lor vita si affa
tirarono a far capire alle ignoranti nazioni il divin Logo e la Dice celeste, la
Ragione e la Giustizia eterna. E quando mi si oppongono le parole che par che
suonino diversamente, rispondo con franchezza, essi non volevano certamente
dir quello che pare che dicano; perch quello che pare che dicano, distrugge il
sistema che costantemente insegnano.
S. XX, Ma i nostri teologi lhanno poi il torto a citar la divina scrittura nei
termini della nostra questione. Cominciamo dal vecchio testamento. La legge di
Mos nel Deuteronomio : Non faeneraberis fratri tuo PAUPERI: faeneraberis
ALIENIGENo, Esponiamo questa legge. 1 Egli d o lascia il dritto di dare adusura
a quei che non erano Ebrei (quest' l'alienigeno o straniero); dunque non ebbe
- --

credo posteriori a due generi di azioni bonae fidei et stricti juris, e perci d'origine ci
vile, Perch in legge di natura consistendo la giustizia di tutti i contratti nell'isotete,
cio nella perfetta egualit tra quel che si d e quel che si riceve, che i Latini dissero
aequitatem, tutti sono bonae fidei e tutti stricti juris, e vale a dire da non potervi il giu
dice arbitrare, che a tenore delle leggi della perfetta egualit dove sieno permutatori, e
da ridurre a questa equazione certe opinioni civili dove se ne stacchina, ch' la vera
Epticia o equit.
DELLE USURE, - CAP. XIII. 267
l'usura (e credo ne' limiti della nostra questione) come contraria al jus ed alla
legge di natura. Dio non annulla la legge di natura; perch Dio non pu n an
nullare n smentire se medesimo. 2 Proibisce di prestare ad usura al fratello
(Giudeo) PovERo; perch a'fratelli poveri si dee il beneficio per due ragioni,
perch povero (questa , ragion comune tra gli uomini), e perch concittadino:
ogni cittadino ha un diritto di patto sociale di esser soccorso dal concittadino,
3 Ma la parola povero rende la proposizione composta di quel genere che i
logici chiamano eccettivo. Dunque la proposizione principale , TU HAI IL DRITTo
ni DARE AD. usuRA A' TUoI FRATELLI: l'eccezione, posto che non sieno poveri.
Dunque tutti i luoghi del vecchio testamento, dove si condannano gli usurai o si
lodano quei che han prestato senza usura, si vogliono intendere secondo il senso
di questa legge, perch ella precisa e individuata; dovech tutti gli altri luoghi
sono generali ed enfatici; e non ragionevole di ammettere delle antinomie nelle
leggi di Dio,
S, XXI. Del nuovo testamenso il principal luogo, su cui si fa gran forza,
quello che ritrovasi in S. Luca cap. vi dell'Evangelio, v, 55. S. Luca riferisce
in questo luogo un de'nobili e divini sermoni del nostro legislatore. La sua so
stanza di correggere il perverso e soverchiamente interessato costume del ge
nere umano, e principalmente degli Ebrei del suo tempo. Vuol rimenarli alla
naturale equit. Voi non fate del bene, dice loro, che a coloro onde ne sperate.
Il vostro principio dunque, non si dee fare quel che non ci rende, Massima
infame e che sovverte l'umanit. Tutti i bricconi, gli scellerati, gli avidi, i
ladri ne fanno altrettanto In che sar dunque posta la grazia che vi si dee?
Qual gratitudine meritate per ci vai da Dio? Vedete, questi pubblicani pre
slano a coloro donde sperano pi usure: sarete voi in niente da essi distinti, se
farete anche voi ai poveri di questi uncinati beneficii per trarre a voi le loro
sostanze?' IDunque a voler esser giusti e virtuosi, siccome richiede l'Altissimo, e
pretender di esser chiamati suoi figli, anate anche i vostri nemici, fate loro del
bene, prestate senza deludere i bisognosi (acharis os) e i poveri (ponros) della
speranza che hanno avuto nella vostra liberalit, e senza metterli in dispera
zione. Questo precetto dunque conforme alla prima parte della legge del Deu
teronomio. V' niente che favorisca i nostri teologi?
S, XXII. Ma rendiam ragione di alcune parole che io ho poste nella mia pa
rafrasi, le quali da coloro che leggono le versioni si crederanno per avventura
intruse. Ho detto in prima che Ges Cristo parli nel luogo presente degli acha
risti e ponri, cio de' bisognosi e poveri, che non espresso nel precetto. La
ragione che n' ho avuto nasce dall'esser poste queste due parole nell'antitesi in
fine del versetto: Dio buono e benefico, dic''egli, con i bisognosi e poveri; dun
que il dovete esser anche voi, se amate di esser figli di Dio. Quell'antitesi, ch'
il principio del raziocinio, suppone i medesimi termini della conseguenza. Ho
p0sto appresso, senza deludere i bisognosi e i poveri della speranza che hanno
avuto nella vostra liberalit, e senza metterli in disperazione: perch ancorch
i compilatori delle varianti del nuovo testamento l'abbiano omesso, certi critici
sacri hanno osservato che in buoni testi leggesi meden, cio medena, apelpi
zontes. Essendo dunque il medena accusativo mascolino, l'apelpizo viene ad
esser preso in senso attivo, e vale a dire di non far disperare, nella qual forza
trovasi usato da molti de' migliori scrittori Greci. La versione latina poteva es
268 GKNOVJSSI.
sere mutuum date, neminem desperare facienles. Dunque tra perch in questo
precetto manifestamente si parla di prestare a' poveri, e perch pi convene
vole al testo leggere medcna che mcden, e cosi prendere il verbo apelpizo in
senso di non ridurre niuno alla disperazione, seguita che questo luogo non ha
nulla di favorevole a' nostri avversarii, dove amino, come ognun dee, di essere
meno autorevoli e pi sinceri amatori del vero e del giusto. Ma ho fatto sover
chio il teologo in un' opera, dove non si vuol essere che filosofo. Andiam dunque
avanti nella nostra carriera.
. XXIII. Poich dunque il danaro porta seco un certo naturai frutto, che
derivasi, com' provato, dal comodo che ad altri apporta, seguita che fuori dei
casi detti di puro mutuo, non sarebbe n giusta cosa n prudente di volernelo
dell' intutto privare. Una tal legge potrebbe inferire maggior danno all'arti, all'in
dustria e a lutto il commercio, e far pi pezzenti che non se ne toglierebbe per
le gratuite prestazioni, pur che la legge ottenesse il suo fine e non facesse pi
tosto rincarare gl'interessi. E la ragion , che poich il danaro divenuto se
gnale delle cose le quali sono in commercio, non si pu rendere disprezzabile
senza che nell'istesso tempo se n'arresti e ritardi la circolazione; n si pu arre
stare la circolazione de' segni senza che incagli quella de' rappresentanti, la quale
l'essenza del traffico e '1 sostegno della vita de' popoli civili. Or come voi pri
vate il danaro del prezzo di comodo, gli avete tolto la met del suo valore e ren-
dutolo di poco conto.
. XXIV. Appresso, gli uomini adorni di vera virt e di universale amicizia,
che vogliano far del bene per puro amore di beneficare, sono assai pochi : tutti
siamo tratti dall'utile anche quando siamo molto virtuosi (1); dunque dove la
legge civile, anzi di regolare quest'utile a tenore della legge di natura, il vorr
dell'intuito sbarbicare, non vi sar nessuno che voglia dare ad altri il suo da
naro: e se il dia, sar di nascosto, e in frode. Delle quali due cose la prima fa che
il danaro ristagni ne' privati forzieri, donde proporzionevolmente verr a man
care la circolazione e '1 commercio; la seconda aggraver piuttosto che scemer
g' interessi, e introdurr certe usure sotto altri nomi, siccome sono quelli di
censo, di compre d'annue entrate, di cambio, di lucro cessante, di danno emer
gente, di pericolo del capitale, di contratti marittimi, e di societ e altri : nomi
tutti quanti adoperati spessissimo o per non intendere il netto di questo affare,
o per coprire l'usura sotto nomi permessi.

PUNTO TERZO.

Se convenga fissare Vinteresse del danaro


per leggi civili.

. XXV. S' veduto che il danaro porti seco un interesse, donde nasca, e
come per quelle cagioni, donde si genera, cresca o scemi naturalmente : ora da
vedere degli altri due punti di questa materia. Il terzo adunque , se convenga

(1) Io vorrei vedere un uomo pienamente disinteressato. Quest'uomo, mi pare che do-
vess' essere un uomo men un uomo, perch egli dovrebbe essere un uomo senza niuno
di quei tre principali istinti comuni della natura umana: 1 istinto, che porta a conser
var resistenza ; 2" istinto, che porta a cercare il comodo ; 3" istinto di distinguersi. Or
DELLE l'SCRE. CAP. XIII. 269

fissare per legge gli interessi del danaro, ovvero lasciare che sieno determinali
dalla pubblica voce, siccome si fa di tutte le cose mercatabili. Giovanni Locke
nell'opera da noi sopraccitata esamin profondamente la presente materia. Come
a suo tempo nel parlamento d'Inghilterra il progetto di riduzione degl'interessi
de'debiti pubblici faceva de' gran rompri, egli mosso dall'autorit d'uno de' si
gnori della Camera alta s'indusse a profondare questo punto, e dirne con libert
il suo sentimento. Dopo aver ben considerato, fu d'avviso che in niun conto gli
interessi del danaro si dovessero fissare per legge, ma lasciarli alla pubblica esti
mazione e voce (1).
. XXVI. I legislatori Inglesi, che avevano altre mire, non si persuasero per
le ragioni di questo valente uomo, e la riduzione bench molto dopo fu fatta con
questa legge, che gl'interessi del danaro dal 6 che erano fossero al 4 per 100
fino al 1759, e da indi in poi al o per 100, siccome son ora. Due furono le ra
gioni principali che mossero il parlamento. Prima i gran debiti della corte, e poi
l'esempio degli Olandesi. La corte con questa legge veniva a risparmiare la met
degli interessi de' suoi gran debiti, e la nazione trovando al di dentro gl'interessi
a livello con quelli d'Olanda, si rimaneva dal prendere danaro in prestanza dai
forastieri (2). In fatti prima di questa riduzione alcuni politici Inglesi avevano
cominciato a gridare contro l'altezza degl' interessi, donde dicevano nascere due
gran mali. Il primo, che la nazione si riempiva del danaro olandese, pel quale
pagava ciascun anno delle grandi somme; l'altro, che per tale altezza languiva
l'industria e '1 commercio Inglese. Veggasi il cavalier Child, e '1 signor Culpeper
ne' Discorsi sul commercio, i quali nella traduzione francese impressa in Olanda
vanno congiunti.
. XX VII. Le ragion di Locke, per cui stimava non esser espediente la ri
duzione, si possono rapportare a due principali. La prima , che il fruito del
danaro sia cos regolato dalla natura delle cose, com' il prezzo di tutto quel
che in commercio (5). Imperciocch siccome il prezzo di tutte le altre cose

un uomo di questa fatta sarebbe un animale come il Mommont lanto cercato da' Mo
scoviti , come una Sfinge egizia , come un'araba Fenice.
(i) E' si trattava di ridurre gl'interessi dello Scacchiere, nati da' prestiti fatti alla
corte e garantiti dal parlamento; Questi interessi si pagano dalle terre e dall'arti alla
corte; e la corte poi li distribuiva a' creditori, cio alle famiglie pi ricche. Le terre
e l'arti, cio il contadino e 'I manifattore, col peso delle nuove tasse pagavano gl'in
teressi delle vecchie. Questo doveva pesar molto su i fondamenti della nazione, e
portarla alla rovina. La riduzione adunque che tentavano di far gl'Inglesi , e che poi
fecero, era piuttosto a dirsi una transazione con i creditori in favore del pubblico che
una vera riduzione; il che non pare che il sig. Locke capisse bene.
(2) Facciamo qui una corta ma interessante osservazione. Due nazioni che fanno il
medesimo o un simile commercio, e massimamente, se sieno vicine, debbono essere
l'una dell'altra gelosa: questa gelosia dee farle tutte e due aspirare alla preferenza.
Ma la preferenza nasce da due cause: 1" Dalla maggior perfezione delle merci. 2 Dal
miglior mercato. Questa gelosia dunque le porta naturalmente: 1" all'ani di miglio
rare le merci e la navigazione; 2" a rendere la manovra pi facile , e le derrate e
manifatture di minor costo. La prima manovra da ottener questi due punti la bas
sezza degl'interessi : la seconda la sapienza delle finanze. Gl'Inglesi erano al disotto
degli Olandesi nell'uno e nell'altro, e sono tuttavia come quasi tutte l'altre nazioni eu
ropee, e saranno per un pezzo ancora nel secondo punto, cosi rispetto alle tasse come
ne' dazi e nella tariffa generale.
(3) Aveva ad aggiungervi, e delle finanze, come or ora vedremo.
270 GENOVESI,

cresce dove sieno molti coloro i quali le ricercano, e pochi quei che l'offrono,
cos dov' molto danaro e molti disposti a prestare, senzi ch vi sia un numero
eguale che ne chiede, ivi gl' interessi sono necessariamente bassi: e sono alti,
dove coloro che prestano sono pochi, e poco il danaro rispettivamente a' bisogni.
Per la qual cosa come sarebbe inutile e anco pericoloso ordinare per legge, che
le terre rendano dappertutto il 5 o 'l 10 per 100 o tal'altra rendita, ovvero che
le derrate e le manifatture si abbiano a vendere a un tale o tal prezzo (concios
siach il valore e pregio delle cose nasca dalla loro quantit e dal rapporto ai
nostri bisogni), cos inutile e pericoloso il fissare gl'interessi del danaro, i
quali seguono dappertutto la medesima legge di natura. E come le leggi che fis
sano il prezzo delle derrate e delle manifatture feriscono la libert del commler
cio, e fanno o che spariscano i generi, se il prezzo troppo basso, o il danaro,
se troppo alto: a quel nedesimo modo le leggi che stabiliscono e fissano gli
interessi del danaro, se il pongono troppo basso mandan via dal commerci il
danaro, se troppo alto arrestano coloro che vorrebbero prenderne, e con ci
nuocono all'industria. Trovar poi un prezzo fisso, che sia il vero rapporto fra le
quantit del danaro e i bisogni, non possibile n in questo n in altri generi.
Imperciocch dove i termini d'una proporzione sono in continuo moto d'innal
zamento o di sbassamento, ivi non possibile di fissare verun rapporto costante.
S. XXVIII. E certanente l'interesse nasce dal comodo o dal prezzo del co
nodo, siccome pi d'una volta detto; dunque assai manifestamente appare
che la vera cagione onde cresce o scema, sia la maggiore o la minore intensit
ed estensione del comodo ch'esso presta. Ma queste non possono nascere se nofi
dalla maggiore o minore intensit ed estensione del bisogno che se n'ha; e l'In
tensit ed estensione del bisogno del danaro non deriva che da due sorgenti,
commercio e lusso, come da qui a poco diremo. Queste sorgenti essendo in tin
continuo moto, fanno che non si possa fissare l'interesse senza ferire il con
mlercio.

S. XXIX. La seconda ragione del signor Locke , che la riduzione degl'inte


ressi nuoce a' creditori, e con ci atta a riempire la nazione di poveri; imper
ciocch scemando l'interesse da 6 al 5, per cagion d'esempio, colui il quale avea
600 ducati di rendita viene ad averne 500, cio la met meno. E conciossiach
coloro, i quali vivono di queste rendite, ordinariamente sieno gente inetta al
traffico e all'industria, essi non potranno ripigliarsi il lor capitale e farne al
tr'uso, senza peggiorare ancora di pi e impoverire dell'intutto, mancando loro
l'abilit d'impiegarlofruttuosamente. Dond' che riprendendolo, l'abbiano o a
consumare o a tener ozioso, e da ricchi diventar poveri. Ora non utile allo
Stato il riempierlo di poveri.
S. XXX. Queste ragioni non mossero n gl'Inglesi n altri, siccom' detto,
e la riduzione degl'interessi si effettu. Locke non aveva capito, che la riduzione
che sl neditava era una transazione con i danarosi e rentieri in favore de' so
stenitori della nazione; e questa travista gli fece dire un'infinit di cose, che nun
battono alfondamento della questione. Vediamolo ne' notivi del parlamento. Il
primo motivo che determin quei legislatori , che nelle operazioni politiche non
da ricercare ch'esse non facciano del male a nessuno, essendo ci quasi che
impossibile, ma solo che i beni che apportano alla nazione sieno senza paragone
maggiori del male che suole inevitabilmente accompagnare le pi savie leggi, o
DELLE USt'RK. CAP. XIII. 271

per cagione de' vizii della natura medesima cui la legge irrita volendoli premere,
o per una certa legge di contrasto, la quale si trova cos tra membri del corpo
civile come tra tutte le parti del mondo corporeo. Per la qual cosa, come il
bene che si compromette da qualche legge di mollo pi grande che il male
che ne pu derivare per l'altrui ignoranza o malvagit, cosi egli ragionevolis
simo e anche necessario che si faccia. E di qui che, per dirlo di nuovo, il mi-
filmd possibile de' mali del signor Lelbnilz non ha solamente luogo nel mondo
fisico, rtia molto pi nel mondo politico.
. XXXI. A voler poi attentamente considerare il bene che dalla riduzione
degl'interessi pu derivarsi a' popoli, ci possiam chiarire che questa operazione
politica, quando si faccia senza riguardo ad interesse alcuno privato, sia piena
d'utile sapienza. Primamente per poco che si perisi facilmente si comprende, che
lfc piccolezza degl'interessi anima molti a prendere del danaro altrui per impie
garlo a qualche lucrevole industria, come nella coltura de' campi, o in quella
degli animali, o in manifatture, o nel commercio marittimo, secondo le circo
stanze de' tempi e de' luoghi. Or tutte queste sono sorgenti di lucro e di sode
ricchezze per la naziorie intiera. Ricordiamoci quel che detto altrove, che
l'uomo non vive che per la fatica, e che non si pu viver bene ih quei paesi
dte sieno molli oziosi: che il primo capo d'economia politica di studiarsi di
ridurre al minimo possibile gli oziosi. Bisogna dunque dare agli uomini gli stru
menti da industriarsi, e far loro gustare il piacere di faticare, il che si fa coii
presentar loro del lucro.
. XXXII. Secondariamente dove l'interesse del danaro basso, ivi i generi
della industria umana, che si hanno per mezzo del danaro, possono sser venduti
miglior mercato che non si vendono quelli de' popoli, appresso de' quali gli
interessi sono alti. Quindi che quella nazione, la quale ha questo vantaggio,
pu esser preferita nello smercio delle sue derrate e manifatture; il che quanto
imprti a mantenere florido il commercio dove ve n'ha", ad animarlo e'inco-
ragglarlo dove non ve ne ha che poco, stato da noi detto e dimostrato sufli-
tentemente nella Prima Parte.
. XXXIII. In terzo luogo ella pericolosissima cosa, che in uno Stato gl'in
teressi sieno molto pi alti che non sono nelle vicine nazioni, perch si perde
la preferenza, e con ci lo spirito d* industria ; poi in breve tempo i popoli vi
cini possono riempirlo del loro danaro, e a poco a poco per le rendite e pel ca
pitale rendesi quel tale Slato siccome tributario, con grave oppresione de'popoli.
E questo era in parte il caso degl'Inglesi rispetto agli Olandesi, come si di
Sopra accennato. Certo il nostro regno non si trova essere di tanto debitore a'
Genovesi a' Toscani, che per questo verso principalmente, avendo i maggiori
nostri, e anche i nostri serenissimi antichi sovrani, contratto de' gran debiti con
rjuelle due nazioni e sopratutto con i Genovesi, cos perch avevano maggior co
pia di contanti, come perch li davano a minore interesse.
. XXXIV. II secondo gran motivo che mo.-se i legislatori inglesi , e dee
ancora muovere quelli delle altre nazioni, che la natura medesima delle cose
aveva gi sbassalo gl'interessi del danaro; per modo che la legge civile non fa
ceva altro che dichiarare il corso della natura a coloro, i quali non bene il ve
devano, o anticipare di qualche tempo quel che i popoli stessi avrebbero fatto
di per s. Infatti il prezzo del dauaro, o sia l'interesse, sempre nella medesima
272 GENOVESI.

ragione che il prezzo di tutle quante le altre cose, vale a dire in ragion com
posta diretta de' bisogni, e reciproca delle quantit de' generi. Ora dopo la sco
perta dell'America e il commercio dell'Africa sono, secondo i calcoli d'uomini
intelligentissimi, entrati ogni anno in Europa intorno a 18,000,000 di zecchini
veneziani in oro e argento. Dopo il principio del presente secolo il Brasile rende
l'un anno per l'altro intorno a 4,000,000 di zecchini in oro. La massa adunque
del danaro stranamente cresciuta rispetto a' tempi anteriori, e va giornalmente
crescendo; ma il prezzo scema in ragion che cresce la massa del genere: qual
maraviglia fia adunque che gl'interessi sieno andati sbassando di per s?
. XXXV. E veramente, gl'interessi avrebbero dovuto ancora pi scemare
che non han fatto per questo accrescimento d'oro e d'argento. Ma perch da quel
medesimo tempo, da che andato crescendo e l'oro e l'argento, di molto al
tres cresciuto il lusso che ne consuma moltissimo in manifatture, e si dilatato
il traffico, e principalmente quello dell'Asia, il quale si sostiene a forza di danaro
contante, i gradi di sbassamento non sono stati proporzionati all'accrescimento
della massa de' metalli ricchi. N io dubito che coll'andar del tempo, purch
non s'intermetta di cavare le miniere dell'America o che non secchino dell'ititutto,
non sia ancora per isbassare pi che non ha fatto, dove non cresca a propor
zione il traffico o il lusso, o che le finanze non diventino ogni giorno pi gravi.
. XXXVI. Ma come quest'ultima causa, cio la gravit delle finanze, un
arcano non ancora veduto che in confuso, e di cui si tenuto poco conto ne'
calcoli de prezzi dei fondi, delle derrate, delle manifatture e del danaro medesi
mamente, vediamo di svilupparlo meglio che non si fatto fin qui dagli econo
misti. detto nel primo capitolo di questa Seconda Parte che il prezzo la
quantit del rapporto delle cose e delle fatiche col comodo della nostra vita, e
che questa quantit cresce o scema in ragione inversa della copia delle cose e
delle fatiche. Niente pi vero. Ma quel crescere o scemare delle quantit fisi
che, ancorch sia la principal cagione del variare i prezzi delle cose e delle
fatiche, crederemo perci noi che ne sia la sola? Sarebbe aver poco considerato
gli affari civili. V' un'operazione politica che fa montare il prezzo d'ogni cosa e
d'ogni fatica, che noi abbiamo appena toccata nel cap. 1, . 12. Quest'opera
zione quella delle Tasse e de' Dazii. E bench ella non agisca immediata
mente che sulle cose e le fatiche, e che il danaro sembri per lei intangibile, ella
con tutto ci ne sostiene il prezzo. Il sostenersi delle usure cos in parte do
vuto a questa cagione, come l'innalzamento del valore delle derrate, delle ma
nifatture, della manovra (1).
. XXXVII. Per capire questa verit supponiamo che sia in tutti i piani
d'Europa un'infinit di tubi comunicanti, talmente fabbricati, che un dato fluido
vi salga per forza dell'aria: sarebbe egli possibile, dove l'aria venisse in tutta
Europa a divenire ogni anno pi grave, che quel fluido non vi montasse colla
medesima proporzione a maggiore altezza? Supponiamo appresso, che de' tubi
comunicanti uno fosse d'acqua, l'altro di mercurio, chiaro che la pressione li

(i) una maraviglia per chi ben considera. Tuttavia, cosi il mondo fisico come il
morale, sostiensi per le due forze centripeta e centrifuga. L copia del danaro una
forza centripeta che ne fa sbassare il prezzo: i bisogni delle corti che crescono ogni
di sono una forza centrifuga che il rilevano, accrescendone il bisogno con le tasse,
dazi ecc. Non ogni male vien per nuocere.
DELLE USURE. CAP. XIII. 273

dovrbbe far montare con disuguali altezze. Dunque se i tubi d'acqua fossero i
prezzi delle derrate, delle manifatture, delle manovre ecc., e i comunicanti di
mercurio, il prezzo del danaro: l'aria, le tasse e i dazii ecc.; dovrebbe seguire,
che proporzionevolmente al crescere delle tasse, de' dazii ecc., cio de' pesi ci
vili, crescessero i prezzi d'ogni cosa e del danaro parimenti.
. XXXVIII. Ed ecco come. Vaglia il grano (e ogni altra cosa a proporzione)
due carlini il tomolo; allora cento ducati varrebbero 00 tomoli di grano. Se
l'atmosfera politica detta Finanze venga in un dato tempo a farsi due, tre,
quattro, cinque, ecc. volte pi grave, il contadino, l'artista, ognun che fatica,
come non innalza il prezzo delle sue derrate, manifatture, manovre, proporzio
nevolmente al nuovo peso, dee esserne oppresso, avendo nell'istesso introito an
nuale maggior esito; dunque a proporzione che cresce il peso delle tasse, de'
dazii ecc., cresce simpaticamente il valore d'ogni cosa. E perch si avr bisogno
d'una maggior quantit d'oro e d'argenio cos per pagar le tasse e i dazii, come
per avere i generi necessarii, comodi, voluttuosi, seguita che venga per consenso
a crescere il prezzo dell'oro e dell'argento, cio del danaro. Dunque senza que
sta pressione, posta la copia d'oro e di argento che s'introduce ogni anno in
Europa, i prezzi delle usure sarebbero forse divenuti del duplo pi bassi ch'oggi
non sono. Perci se son oggi sbassati, egli avvenuto per l'eccesso della copia
sulla forza premente delle finanze.
S- XXXIX. Segue da tutto ci, che il decadimento del valor del danaro, e
perci delle usure, non giammai reciproco alla copia dell'oro e dell'argento,
venendo in parte sostenuto da quel peso di atmosfera politica ch' detto. Come
questo peso varia secondo i luoghi e i tempi, consegue: I. Che debbano varia
mente scemare le usure secondo la diversit de' tempi e de' luoghi. II. Che in quei
paesi, dove le tasse e i dazii ecc. rimangono nell'antico piede, non si cambiano le
usure (1). IH. Che non ist bene in tutti i paesi la medesima tariffa di riduzione.
. XL. Per quanto poi appartiene alla prima ragione del signor Locke, egli
fuori di ogni dubbio che gl'interessi del danaro sieno regolati e determinati
dalla natura delle cose, non altrimenti che il valore di tutto quel che in com
mercio, e oltre a ci dall'atmosfera politica ch'egli non vide. Ma si voleva con
siderare essere altres verissimo, che certe cose le quali son solite a farsi dalla
natura con lentezza e in un lungo tempo, l'arte e la prudenza umana pu con
maggiore utilit farle in brevissimo. E certo son savie quelle leggi, per cui quel
bene, il quale per provenirci dopo moltissimi anni, anticipa senza violentar la
natura. Tale adunque essendo la legge di riduzione, che fa quel che la natura
medesima avrebbe fatto dopo alquanti anni, non pare che abbia ragione il signor
Locke di chiamarla inutile.
. XLI. Si dice che questa materia non suscettibile di regola e di leggi,
per cagione che le diverse circostanze de' luoghi, del traffico, de' tempi non si pos
sono ridurre ad un punto fisico. Si aggiunga che gl'interessi del danaro possono
andare scemando continuamente, o per qualunque inopinata ragione divenire pi
grandi: in ambedue i quali casi la legge non sarebbe osservabile. Finalmente come
ridurre le usure e accrescer le tasse ? Operazioni che si distruggono a vicenda.
. XLII. Rispondo quanto alla prima difficolt, che quando le cose di varia

(i) N'abbiani un costante esempio in Turchia.


Econom. Tomo III. 18.
274 GENOVESI.

intensit si riducono ad una regola, si lasciano sempre gli estremi e non si cal
colano che i mezzi. Per la qual cosa se gl'interessi fossero altrove al due per 100
e altrove al 6, la legge riguarder il 4 siccome mezzo proporzionale aritmetico.
Quanto alla seconda, egli si sa troppo che le leggi civili sono cos mutabili come
i bisogni dello Stato. Una legge non mira se non che a rimediare al presente
male con certezza, e al futuro con la maggiore probabilit. Dond' che cambian
dosi la natura delle cose, forza che si cambiano i bisogni; e allora i futuri
legislatori provvederanno a' loro tempi. Per ultimo se g' interessi del danaro
seguono, com'io stimo, pi il grado di gravit delle finanze che quello della
copia d'oro e d'argento, l'ima e l'altra operazione, cio le finanze e gl'interessi,
debbono essere fra le medesime mani e bilanciarsi ad un tempo medesimo: il
che non ha fatto quasi niuua corte, se non negli ultimi tempi e forse per altre
ragioni, perch non mi pare che si conoscesse tutta la forza di questo principio
di gravita' politica (1).

ULTIMO PUNTO.

Di che sia segno Fessere alti o bassi gVirderessi del danaro.


. XL1II. L'ultima parte di questo ragionamento il sapere di che sia segno
l'essere gl'interessi del danaro alti o bassi. Si crede comunemente che dove gl'In
teressi son bassi, quivi sia gran quantit di danaro-, e poco, per contrarlo, dove
gl'interessi sono alti. E intendesi di poca o gran quantit non assolutamente,
ma rispettivamente a' bisogni del traffico. 11 signor Nume, del quale spesso
detto, contrasta con i fatti e con la ragione questa massima, bench universal
mente creduta vera. Gl'interessi, dic'egli, in Batavia, capitale della colonia
orientale olandese, e nella Giaraaica, isola del mare del Messico e colonia degli
Inglesi, vi sono al 10 per 100 ancorch la copia del danaro vi sia grandissima.
In Portogallo, regno abbondantissimo d'oro, e in Ispagna dove l'oro e l'argento
dell'America viene di prima mano, gl'interessi sono al 6 per 100. Per contrario
in Olanda, nella quale non miniera veruna n d'oro n d'argento, cos nella
metropoli come nelle colonie, nondimeno gl'interessi si mantengono da lungo
tempo al 3 per 100. Aggiunge a questi fatti le ragioni. Dopo la scoperta del
nuovo mondo l'oro e l'argento, secondo i pi esatti calcolatori, cresciuto in
Europa del quadruplo: n con tutto ci sono gl'interessi scemati del quadruplo,
come avrebbero dovuto scemare, se quello fosse vero che comunemente i politici
europei si sono dati a credere. L'essere adunque alti o bassi gl'interessi non
argomento dell'esser piccola o grande la copia del danaro.
. XLIV. Ma se il danaro sia molto in Batavia e nella Giamaica si pu assai
ragionevolmente dubitare. Dove anche ci sia vero, forza che sieno molli i
bisogni che se ne hanno, e che le tasse e i dazii sieno gravi. E questo mi pare
pi ragionevole; conciossiach tanto nell'uno, quanto nell'altro luogo il com-

(1) Essendo queste due leggi, una di riduzione, l'altra di accrescimento di tasse, fra
loro opposte, parmi degno di considerazione il problema, sno a qual punto possono
consistere insieme, senza che l'una annulli l'altra. Gli Inglesi hanno ridotto gli in
teressi da sei a tre, e nell'istesso tempo aumentano le tasse piucch da 3 a 15, hanno
dunque in mano un difficilissimo problema a sciogliere. Se essi non aumentano nella
stessa ragione la copia del danaro, non credo che sieno nel pi felice stato.
DELLE USURE, -- CAP. XIII. 275

mercio sia molto e molto lucrevole, e gravi le estorsioni. Quando si dice molto
o poco danaro, e' non si dice gi assolutamente, ma bens rispettivamente a' bi
sogni che se n'ha, e alle tasse e a' dazi che convien pagare. Tal paese vi pu
essere in cui il danaro, bench in maggior copia che in un altro, nondimeno
pu esser poco se in quel paese sia molto commercio e lusso, e gravi tasse e
dazi. Rispetto al Portogallo e alla Spagna, prima non vero che vi sia molto
danaro; imperciocch il danaro: 1. Vi in poche mani, n perci diffuso: e in
questa materia si vuol far pi conto della diffusione che della quantit. 2. Vi
passa piuttosto che vi dimora, essendo tuttavia quelle due nazioni in gran bi
sogno di derrate e manifatture straniere. 5. Le tasse e i dazi sono gravissimi (1).
In Olanda, dove il danaro per le arti, per la natura delle compagnie mercantili,
per la grandezza del traffico, e per la libert popolare vi mirabilmente sparso
per tutti i membri della repubblica, e ve ne resta sempre pi che non n'esce, n
le tasse e i dazi vi sono a quella gravezza che in altre nazioni, l'usura debb'es
ser bassa.
S. XLV. Quanto a quel che dice, che lo sbassamento degl'interessi non
proporzionevole all'accrescimento della massa d'oro e d'argento, vero; ed
certo che esso non doveva essere alla detta proporzione. Gl'interessi prima che
si scoprisse l'America erano, dove pi dove meno, tra il 12 e il 14 per 100, e
ora sono generalmente a 4, 5 e 6: dunque l'interesse del danaro non scemato
reciprocamente all'aumento della copia. Ma quello, al che doveva considerare
Hume, che anche secondo la vecchia teoria l'usura non doveva scemare a que
sta ragione, perch come cresciuta la quantit d'oro e d'argento, si altres
accresciuto e dilatato il lusso, il traffico, le tasse, e vale a dire se ne sono au
mentati i bisogni; donde che la proporzione tra le antiche e le recenti usure
doveva seguirela proporzione, ch' tra i recenti egli antichi bisogni. Il che non
essendo cos avvenuto poteva questo politico argomentare, esservi un'altra ca
gione di questo fenomeno; ed l'aumento del traffico, del lusso, della gravit
delle finanze.
S. XLVI. Ma consideriamo come un puro tratto di storia filosofica, e che
pu a qualche rincontro giovare, l'intera teoria di questo dotto e profondo filosofo
inglese. Secondo lui adunque tre sono le cagioni per cui gli interessi alzano, e
altrettante quelle per cui sbassansi. La prima di quelle, per cui crescono, che
vi sian molti i quali ricerchino del danaro. La seconda, che se ne possa ricavare
gran profitto a cagione del commercio; la quale torna anch'essa alla prima, per
ch aumenta il desiderio e i bisogni. Ultimamente, che la quantit del danaro
sia piccola rispettivamente al numero di coloro che il ricercano e alla grandezza
del commercio; il che fa il medesimo che le prime due. Infatti dove son molti
che si studiano e amano d'avere qualche cosa, forza ch'ella vi cresca di stima
e di prezzo, per essere rispettivamente minore a' bisogni. Appresso, quando il
commercio fa sperare del gran profitto, molti saranno a ricercar danaro per im
piegarvelo: donde necessit che ne cresca il prezzo. Finalmente, dove sono
pochi coloro i quali posseggono del danaro, essi daranno al comodo che apporta
quel prezzo che vorranno. poi manifesto, che le opposte cagioni facciano che
gl'interessi sbassino. Si vede chiaro da questa teoria, che il nostro politico non

(1) Vedete Ulloa, Delle Manifatture di Spagna.


276 GENOVESI.

aveva ancora ben calcolalo gli effetti, che le tasse, i dazii, i pedagi ecc. produ
cono sul valore del danaro.
. XLVII. E qui entra in un altro pi sottile ragionamento. L'interesse,
dic'egli, nasce dal comodo, o piuttosto il prezzo stesso del comodo; dunque
assai manifestamente appare, che la vera cagione, onde cresce o scema, sia la
maggiore o minore estensione del comodo che reca. Ora queste non possono
nascere se non dalla maggiore o minore intensit, maggiore o minore estensione
del bisogno del danaro, la quale non si deriva che da due sorgenti, commercio
e lusso: (ha omessa la terza, le Tasse). Quindi , che dove non si trova che
piccol commercio e poco o niun lusso, il danaro poco in uso e con ci gl'in
teressi sono bassi. Pel contrario dov' gran lusso e molto e vantaggioso com
mercio, ivi sono maggiori i bisogni del danaro e pi alti gl'interessi. Un autore,
dic'egli, assicura che in Iscozia prima che si discoprisse l'America gl'interessi
erano al 5 per 100, perciocch gli Scozzesi di quei tempi erano rustici e quasi
salvatici e senza commercio alcuno; ma scoperta l'America, crebbero al 10
per 100 pel commercio e pel lusso che vi s'introdusse (1).
. XLVIII. Ma di tutte le cagioni che fanno innalzare il prezzo del danaro,
non ve n'ha niuna pi forte, dic'egli, quanto il lusso, perch produce bisogni di
varie maniere e di grand'estensione, a' quali non si potendo supplire con un ge
nere di cose, assolutamente necessario il danaro; ond' che si ricerchi e s'ap
prezzi molto. Ma essendo il lusso, com' nella Prima Parte ragionato, lo studio
e lo sforzo di distinguersi nella sua classe per le maniere di vivere e di emulare
le classi superiori, di qui nasce che in quegli Stati, dov' piccola variet di or
dini e di classi d'uomini, siccome nelle repubbliche popolari, il lusso sempre
piccolo; e perci poco bisogno di danaro e bassi gl'interessi dove altra cagione
non li rialzi (2). Per contrario in quegli Stati, dove grande differenza di classi
e d'ordini, necessaria cosa che molto sia il bisogno del danaro e maggiore l'in
teresse. E questi sono gli Stati monarchici.
. XLIX. Quindi si pu intendere che le leggi di riduzione a considerarle
pi da vicino, se non si riducono che gl'interessi della corte, non siano altro in
sostanza che leggi di transazione: e se si riducono quelli della corte e de' privati,
leggi suntuarie, cio a dire leggi di frenare il lusso; le quali nondimeno, dove
resti la medesima gravezza delle tasse e de' dazii, fanno a calci colle finanze.
Dunque quando la legge di riduzione generale, segue ch'ella non sia mai os
servata, senza che a proporzione dello sbassamento si freni il lusso e sbassinsi
le tasse e i dazii, donde nascono i bisogni del danaro, per li quali le usure cre
scono. Dond' che se i popoli, a' quali queste leggi si promulgano, non sono
troppo disposti a metter freno al lusso (siccome certamente non sono nelle mo
narchie), e trovansi carichi di tasse e dazii, si debba di necessit pensare a' sot
tilissimi mezzi da frodare le leggi di riduzione; e in conseguenza, anzi di scemare
gl'intesessi, debbano vieppi crescere. Questo si pu confermare per una osserva
zione costantissima, che in tutte le monarchie, dopo le leggi di riduzione, le accuse
e le liti d'usure sono state sempre moltissime.
(il) Si potrebbe provare che nella Scozia questo accrescimento, come in molti altri
popoli, pi dovuto alla gravezza delle finanze che al traffico.
(2) Come un gran commercio, e molto frutto del danaro che si prende a prestanza,
un sopraccarico di tasse ecc.
DELLE USURE. CJlP. XIII. 277

. L. Da tutta la superiore teoria si pu conchiudere, che l'usura vien de


tcrminata da differenti cagioni come il prezzo di tutte le altre cose, e ch'ella sia
un rapporto compostissimo. Ella sempre una ragion composta diretta de' bi
sogni e della gravezza delle tasse e de' dazii, inversa della copia del danaio.
Dunque ella segno di tutte queste cagioni. Come i termini di questa ragione
variano perpetuamente secondo i tempi e i luoghi, quindi nasce che debbano
variar le usure. La legge civile tassando le usure fa due cose: 1 riduce le pi
grandi variet de' termini alla minima; 2 obbliga i rentieri a fissare anch'essi
quei termini troppo varianti con una costante sobriet del vivere naturale e ci
vile (1).

RAGIONAMENTO
Intorno alVuso delle grandi ricchezze per risguardo all'umana felicit (2).

. I. A me piace qui ragionare alquanto pi a lungo che altri non ha fatto


della forza, e dell'uso delle grandi ricchezze, e principalmente delle ricchezze di
segno o sia del danaro, a procacciarci le quali il commercio in gran parte in
diritto. Egji il vero, che questo ragionamento pu ad alcuni sembrar essere pi
etico che economico. Ma oltrech esso nasce dalle cose finora dette ed con
quelle congiuntissimo, sembrami altres necessario, che poich si sono additate
le vie per cui le nazioni possono divenire industriose e arricchire, si mostri ezian
dio quali sieno il vero uso , il proprio fine, la forza, gli effetti delle ricchezze :
conciossiach spesso addivenga che gli uomini, i quali non senza grandissima
briga, stento e parsimonia sono divenuti ricchissimi, per non comprendere il
proprio fine e'1 vero uso de' loro beni, e non regolarsi in ci con la ragione sic
come dovere, ma con i capricci e con i non ragionevoli appetiti, dove crede
vano di poter esser felici divengano miseri, o non usando in conto veruno di quel
che non fatto che per nostro uso, o usandone in modo ch'essi in poco di tempo
impoveriscono, e non di rado grave danno e povert cagionano alla patria loro ;
con che perdono tutto il frutto delle loro fatiche.
. II. Si scritto molto e in tutti i tempi della forza e degli effetti delle ric
chezze. V'ha negli antichi e moderni autori de' leggiadrissimi e molto ornati pezzi
d'eloquenza, che s'aggirano intorno alla presente materia. Io scrivo un Discorso
filosofico, e di quella filosofia che nasce dalle cose medesime e da' loro naturali
rapporti. So, che s fatti discorsi non sono alla moda, n il furon mai; ed per-

(1) Se questa costante sobriet non si combacia n col clima, n colla pubblica educa
zione , n con la costituzione del governo, le leggi di riduzione son subito antiquate in
quel che appartiene al pubblico, e la corte difficilmente ritrova prestatori.
(2) Noi poniamo in questo luogo il Ragionamento che segue, in vece di farne un opu
scolo a parte, come si fece nella Raccolta del Custodi. Esso nacque dapprima, indipen
dentemente dalle Lezioni, frammezzo alla traduzione, che fece il Genovesi, della Storia
del commercio inglese di Cary; ma poi, accresciuto, fu da lui medesimo ristampato nelle
sue lezioni, e ne form il penultimo capitolo. Noi ci crediamo facoltali a mutare l'ordine
che l'autore medesimo volle dare al filo delle sue idee.
278 GENOVESI.

ch la moda l'opera della fantasia, non della ragione. Io non mi curo delle
mode. Se io dimostro le mie proposizioni, non mi pesa gran fatto ch'elleno sieno
siccome vili escluse da'templi del falso piacere, dove non s'entra che da bendati,
e i cui rifulgenti raggi d'oro e di gemme non vagliono a dileguare
Fuorch l'ombre notturne e i sogni pallidi.

TRE USI DELLE RICCHEZZE.

S. III. L'uso delle ricchezze si pu e dee considerare o eticamente, o eco


nomicamente, o in politica; e ci vale a dire o per rispetto alla vita e felicit
dell'uomo privato e singolare; o pel verso dell'ingrandimento, stabilit e felicit
delle famiglie; o finalmente risguardo alla vera grandezza, fermezza e felicit
delle nazioni e del governo. E la ragion , che le ricchezze si adoperano in tutti
e tre questi stati e per tutti e tre questi fini. Perch dunque possiam procedere
con ordine, e conoscere quanta forza elleno s'abbiano a far migliori o peggiori
gli uomini, felici o miseri, mestieri che incominciamo dal primo punto,

FoRzA DELLE RICCHEzzE PER RISPETTo ALL'Uomo siNGoLARE.

S. IV. Vi furono de'filosofanti i quali credettero che quegli uomini fossero


felicissimi, i quali avessero accumulato molte ricchezze, e principalmente dove
non l'avessero acquistate con le proprie fatiche, ma redate: res non parta labore.
Altri per contrario infelicissimi stimarono i soverchiamente ricchi, e anzi diedero
delle grandi lodi alla povert, chiamandola fondamento e base della nostra bea
titudine. I popoli trafficanti e ricchi non fan differenza tra povero e infelice: e
l'olbios de'Greci suonava ricco insieme e felice. Pel contrario tutti i popoli sal
vatici, nudi e semplici, non solo si ridono delle nazioni che stentano per essere
ricche, ma n'hanno grandissima compassione, siccome di gente infelicissima. Si
potrebbe domandare, il senso della natura che parla, o dell'avvezzamento? (1)
S. V. Ancorch io non sia per far qui conto nessuno dell'opinioni altrui,
perch me non mossero giammai le opinioni, debbo tuttavolta mettere a conto
la storia e la ragione; imperciocch la storia delle cose gi avvenute al genere
umano ha forza di sperienza costante, e la nostra ragione fondata su l'esperienza
e su la natura ci miglior guida che qualunque autorit. E in vero, siccone
quelle scienze fisiche si debbono tenere per le pi vere e sode, alle quali l'espe
rienza serve di fondamento, senza di cui non sono che arzigogoli chimerici; cos
quelle cognizioni morali e politiche si vogliono pi stimare e aver care, le quali
son fondate sopra lastoria del genere umano. L'uomo un certo animale, il quale
facendo molto e spesso e diverse volte, finalmente di per se stesso dimostra quel
che pu far bene o no, e quel che gli sta bene o male.
S. VI. Ora dalla storia e dalla presente nostra sperienza impariamo assai,
che alcuni essendo ricchi furono infelicissimi, il che non sarebbe per avventura
stato se avessero vissuto poveramente, o di quella mediocrit si fossero conten

(1) Un Caraibo ignudo che ha per infelice un Francese ricco, un Sibero affumicato che
stima misero un Vaivoda Moscovita, come poi gli manca il tabacco da fumare si tien
per morto.
RAGIONAMENTO SULLE RICCHEZZE. 279

tati che i poeti sogliono addomandare aurea. Altri per l'opposto furono nelle
ricchezze felicissimi, i quali sarebbero stati miseri se quelle non avessero posse
duto. Non istar qui a raccontare de'fatti, de' quali oltrech la storia abbon
dantissima, ma pure non vi niuno alquanto attempatuccio il quale non possa
raccontarne molti della sua et. Per la qual cosa non si potendo dubitare del
fatto, io verr ad esaminare le ragioni fisiche, affinch non pajano strani feno
meni a coloro, i quali non sono usi a considerare le cagioni prime e l'incatena
mento delle cose di questo nostro mondo, ma delle sole apparenze s'appagano.
S- VII. Ma perch queste ragioni non si possono ben comprendere, dove non
si conosca pi interamente la nostra natura e le molle primitive che ci solleti
cano e muovono, e oltre a ci il rapporto ch'esse hanno con le ricchezze, m'in
gegner primamente e in poche parole di sviluppare queste molle, e metterle nel
miglior lume che per me si pu. Nel che fare non solo le presenter per l'aspetto
che vero, ma nella forza che lor conviene, assai sapendo in qual malvagio e
strano aspetto le abbia recate taluno, e principalmente Mandeville nella famosa
sua FAvoLA DELL'API.

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

Sulla natura degli uomini, e la forza per cui operano.

S. VIII. Gli uomini sono tali per natura, che le pi volte si lasciano strasci
nare dal loro temperamento, dalle passioni e dalla piegatura che la natura
prende dal clima, dagli esercizj, dagli esempj, dall'educazione, e pochissimo con
durre e regolare dalla pura ragione o sia dalla riflessione, e dal calcolo della
convenienza della natura col fine. Per cagion d'esempio alcuni vi sono, cui il
temperamento naturalmente allegro mena in tutti i generi di rilassatezza e di
piaceri sensuali, e altri per contrario, i quali da ipocondrico umore assediati,
odiano tutto ci che pu alleggerire il peso e addolcire i mali della vita umana,
e son portati a fuggire ogni lieta conversazione e maniera di vivere. V'ha di co
loro, cui un temperamento molle e tardo lascia infracidire nell'ozio, e loro inspira
non solo disprezzo, ma aborrimento eziandio e paura d'ogni fatica (1). Final
mente vi sono molti, cui un temperamento collerico rende amanti degli intrighi
delle corti, del gran mondo, dell'imperio, e delle azioni grandi e famose, l'anima
dei quali non si contenta di abitare in un piccol tugurio, ma ama de'palazzi
ampj e spaziosi (2); e altri per contrario d'uno spirito flemmatico o vile e troppo
verecondo, che si sentono oppressi per poco che si veggano circondati da mondo
e da grandi negozj.
S. IX. Appresso, altri per loro natura sono inchinevoli all'ira e alle azioni
violenti, e altri alla clemenza e all'amore. Questi alla generosit e magnificenza,

(1) Chi volesse vedere lo spirito di poltroneria fin cogli occhi, avrebbe a viaggiare per
due opposti climi, come per la Siberia, per l'America Settentrionale ecc., e per li paesi
di sotto o d'intorno alla Linea. E ci , perch gli umori dei primi son quasi diacciati e
le fibre e i nervi intorpiditi, dovech i secondi per soverchia perspirazione vengono esau
sti e illanguiditi.
(2) Di questi dice consideratamente Erodoto (Polimnia num. 159) che abbracciando
imprese eroiche, muojono eroicamente,
280 GENOVESI.
quelli alla povert di spirito e alla sordida avarizia. Taluni sono per natura ti
midi e pusillanimi, e altri arditi e coraggiosi, e non pochi temerarj e stoltamente
feroci. Alcuno vi ha, cui la tempra porta all'invidia e all'odio del genere umano,
a' quali ogni bene che altri gode dispiace e cagiona tristezza; e altri al piacere
del ben comune e alla pubblica festa e allegrezza. E tutto questo per forza di
quelle molle fisiche di fibre, nervi, membrane, vasi, sangue, spiriti, cerebro, cuore,
diaframma ecc., che formano la forza animale, e sono fondamento della fantasia
e di tutto il circolo della ragione (1).
. X. In tutti costoro e nella massima parte delle loro azioni pu assai pi
la struttura della tela nervosa, la sua sensibilit, l'elasticit delle fibre, l'attivit
del cuore, del cervello, degli spirifi, la struttura de' vasi sanguigni, la natura dei
fluidi e le altre cagioni fisiche, che non possono la ragione, la legge e le forze
morali. Dopo l'esperienza che ciascuno ha di se medesimo e di coloro con cui
giornalmente conversa, si pu dire senza timor di errare, che nella maggior parte
degli uomini la retta ragione e la legge non trova luogo, se non quando dorme
o riposa la natura animale, la quale non cos tosto risvegliasi o s'irrita, sia per
l'azione degli oggetti esterni, sia per l'interne forze del corpo, sia per le fanta
stiche immagini, che prima a poco a poco intorbida la ragione e appresso la
strascina seco ; purch una forza pi grande, che non la naturale, non la freni
e ritenga. E questa la tenibile guerra tra l'uomo animale e '1 razionale, dipinta
s mirabilmente da Euripide nella sua Medea, tragedia sopra ogn'altra maravi-
gliosa e bella (2).
. XI. Ma questo non ancora tutto il ritratto dell'uomo, com' oggi il tro
viamo e come ci vien rappresentato dalla storia di tutti i tempi e di tutti i luo
ghi (5) ; anzi non che un grossolano abbozzo degli effetti della sola natura
animale. Per la qual cosa egli ci d'uopo procedere un poco pi avanti, e con
siderare alquanto le forze fisiche della ragione, o sia della facolt pensante e cal
colante. Quali e quante sieno le forze dell'intelletto umano si pu sapere non

(1) Se quella che i filosofi Greci chiamano eidos, i Latini speciem, e i nostri Italiani
sorta, maniera ecc. di piante, di animali e di altri esseri, il complesso delle propriet
discernenti l'una cosa dall'altra, si potrebbe essere tentato a stimare che sieno tante le
maniere o le specie degli uomini, quante son le persone. E di qui , cred'io, che la cura
e lo studio di ridurli all'unissono dappertutto e sempre riuscita inutile. Ecco la bellua
multorum capitum d'Orazio. Ogni uomo ha un mondo diverso da un altro ; e il voler
fare che due abbiano la medesima idea di questo mondo, non diverso dal voler fare che
due fen uno. Quando il figli di Kang-hi imperatore della Cina esili tutti gli Europei, fu
mosso da questa ragione, dice il P. Duhalde, che era cos un'assurdit il pretendere che
i Cinesi divenissero Europei, come che gli Europei diventassero Cinesi. Ma questa ragione
va eziandio da persona a persona.
(2) Vedine un'altra in una lettera che Pope fa scrivere da Eloisa ad Abelardo.
(7,1 Quello che merita d'esser in questa storia attentamente considerato, si che quanto
alla natura dell'uomo, come scucite quel po' di ricamo posticcio messovi dalla disciplina
dell'educazione, potete poi francamente dire di tutti i popoli:
Unum noveris, omnes noveris.
Sedinone, dolis, scelere, atque libidine et ira
Iliacos intra muros peccatur et extra.
Perch la teoria della morale di tutti i popoli culti o antichi o moderni, Egizj, Sirj, Greci,
Romani ecc. , e oggi Europei, Turchi, Persiani, Indiani, Cinesi ecc. , nel fondo la me
desima? Perch i dotti scrivono per raddrizzare i vizj, e questi sono dappertutto i me
desimi.
RAGIONAMENTO SULLE RICCHIEZZE. 281

solo da' libri de'filosofanti, ma da tutto quel che gli uomini han fatto nelle
scienze e nell'arti. Certo, maravigliosa cosa il vedere come questo piccolo ani
male ch' detto Uomo, per la forza del suo intendimento ha quasi che intiera
mente misurato e pesato l'universo e ciascuna sua parte, e ha per tante mac
chine cambiata l'orrida faccia antiqui nemoris di questo globo terraqueo in un
aspetto paradisiaco. E quel ch' ancora degno di tutta la nostra considerazione
, che l'uomo il solo animale che per la sua forza calcolatrice sa unire il pas
sato al presente, e l'uno e l'altro al futuro. N qui s'arresta: egli va rintrac
ciando tutti i possibili e gli accozza in mille e varie maniere, in ciascuna delle
quali si va ideando lo stato il pi felice, e spessissimo con chimerici e fallaci
progetti (1).
S. XII. Da questo avviene che quando ci sentiamo aver posto in sicuro la
nostra esistenza, per l'ampiezza del pensare siamo portati a ricercare la esistenza
pi comoda; e poich abbiamo conseguito tutte le vere comodit, per la mede
sima intemperanza d'immaginare non ancora ci contentiamo, ma cerchiam sem
pre nuovi piaceri, e tanto pi quanto la nostra ragione pi si raffina, siccome si
pu vedere paragonando insieme le barbare e le culte nazioni; imperciocch fra
le prime i comodi e i piaceri hanno un termine vicinissimo alla natura, dovech
tra le seconde la natura s rimasta indietro che non possibile di pi ravvi
sarla (2). E conciosiach non si possa godere d'un piacere senza schivare i pi
piccoli dolori e le pi leggiere molestie, perch ogni dolore e ogni molestia
quanto si voglia piccola bastante a contristare il pi intenso piacere, seguita
che avendo noi cominciato a divenire molli e lussureggianti, per la medesima
forza siamo menati ad evitare con una pressoch infinita scrupolosit ogni ma
niera di dolore e di noja, e non facciamo mai fine d'inventare dei comodi e dei
lussi. Ragguagliamo il passato al presente, e l'uno e l'altro col futuro ; e para
gonando i casi e la vita di molte nazioni e di molte persone, ci presentiamo ad
ogni momento nuovi mezzi di piaceri e con ci nuove cagioni di tristezza. Questa
la prima cagion motrice dell'infinito giro delle mode; le quali come hanno in
cominciato a metter radice in una nazione culta e trafficante, non rifinano mai
che colla pazzia universale, madre della universale pezzenteria e quindi della
schiavit.
S. XIII. I primi uomini che abitarono la Grecia mangiavano delle ghiande,
dell'erbe e delle carni crude, siccome oggi i Canadesi, i Lapponi, i Siberi ecc.:
andavano nudi o mal vestiti,e coricavansi su 'l grembo della comun madre. Essi
parvero contentarsi dello stato loro finch non seppero far meglio. Intorno ai
tempi d' Ercole e di Teseo cominciarono a coltivar le terre, e ad addomestichire
gli animali selvaggi; e con questo conobbero uno stato pi comodo, che sembr
(1) Come l'uomo non conosce il mondo che per fenomeni o sia per sensazioni, le quali
trapassando nell'attivissima fucina della fantasia subito prendono i colori della sua natu
ra, questo mondo per la maggior parte di noi altri pi un fantasma che una realit; e
tutti i nostri progetti vengono come involti in quel fantasma e rannuvolati, per entro i
quali il bagliore della ragione rifratto genera infiniti aspetti mostruosi e falsi. Questo fa
ceva dire a Platone, che i corpi sono non esseri, ma ombre degli esseri: dettato che gli
ignoranti non capiscono.
(2) Voi troverete molte persone nate vilmente e povere che sembran contente dello
stato loro; ma poi elevate ai pi cospicui gradi di altezza, signoria, ricchezza, esser
divenute ubbriache, pazze, crudeli e disprezzanti di tutto il genere umano.
282 GENOVESI.

lusso a' vecchi. Ma apertosi l'ingegno al pensare al meglio, e moltiplicatesi le co*


gnizioni e l'arti, vennero di mano in mano a tale da non far giammai fine all'in
venzione del lusso e del piacere; e i loro dotti scrissero degli ampii libri su tutti
i piaceri de' sensi, de' quali restancene tuttavia i titoli nelle cene de'savi con
tanta leggiadra descritte da Ateneo. La fantasia and tant'oltre che il musico
Aristosseno soleva dire, che ad esser compiutamente beato non gli mancava al
tro che l'avere un collo di grue, perch potesse gustare per pi lungo spazio di
tempo il solletico de' cibi e delle bevande a traverso dell' esofago. Avvenne il
medesimo a' Romani (1) , ed avvenuto a tutte l'altre nazioni, le quali non pas
sate per gradi dalla barbarie alla coltura e dalla coltura al lusso.
XIV. Per quel ch' fin qui detto della natura nostra seguita primamente, che
riguardando noi la morte come il massimo de' mali, e per contrario come mas
simi beni tutte quelle cose e quelle azioni le quali possono preservarcene, questo
timore stato ed ancora il principio motore e alimentatore dell'arti di neces
sit. I pericoli di morire hanno cimentato e cimentano sempre le forze della na
tura umana : e queste raccolte e rinvigorite ingegnansi d'inventare de' ripari e dei
soccorsi dovunque son uomini : quid non explorai egestas? ma nondimeno sem
pre a proporzione del temperamento e del clima (2).
. XV. Seguita secondariamente, che dopo la morte di nulla pi temendo
quanto del dolore e della molestia d'animo, e massimamente di quella che nasce
da infamia o ingiuria, questo principio ci porti a stimare grandemente tutto quello
che crediamo potere alleggerire il dolore, la noja, l'ignominia. Quindi son nata
l'arti di comodit, gli ordini e le leggi civili, la milizia, la navigazione e altri tali
mestieri, ma adattati anch' essi al temperamento e al clima.
. XVI. In terzo luogo seguita che non avendo termine nessuno la nostra
immaginazione, noi nutriamo una concupiscenza senza fine rispetto alle cose che
stimiamo poterci come che sia divertire e ricreare. In guisa che se siccome le
forze nostre sono piccolissime, cosi fossero eguali alla nostra cupidit, non ci
contenteremmo giammai di possedere beni corporoi, anche quando fossimo pa
droni di tutti. A questo principio si dee l'invenzione, l'alimento e lo spesso cam
biamento dell'arti di lusso e di tutte le mode del piacere ; ma queste medesime
seguono sempre la ragion della natura nostra fisica, del clima e del grado di
conoscenza.
. XVII. Finalmente da' medesimi principii siegue, che perch sappiamo per
esperienza che da niun' altra banda possiamo ricevere u maggior piacere so
consentano con le nostre voglie, n maggior dispiacere se a noi si oppongono,
quanto dagli uomini ; quindi ci studiamo di poterli signoreggiare o per le facolt
e le forze del corpo, o per la forza dello spirito, o per lo splendore della vita ci
vile; conciossiach gli uomini possano diventare in certo modo padroni degli

(1) Tiberio, Messalina, Apicio e infiniti altri furono infelicissimi, dioe la Storia no
mami , satietate voluptatum. Al finire i generi de' piaceri, dovettero rimaner desolali
e mestissimi.
(2] i popoli Settentrionali hanno incontro al freddo scavato delle buche sotterranee,
dove dimorano ne' ghiacci d' inverno, come volpi : e quei della Zona torrida o hanno
de' solai scoperti per respirare l'aria fresca nelle notti calde, o delle case in su degli
alberi. Questa medesima cagione dett l'agricoltura, V addomestichile delle fiere, gli
strumenti bellici prima di difesa, poi d'offesa
RAGIONAMENTO SULLE RICCHEZZE. 285

altri in tutte e tre queste maniere. E primamente per la forza corporea, qual'
quella che si adopera da vincitori co' vinti. Secondariamente per la forza d'inge
gno, qual' quella che usano i savii con g' ignoranti, e gli scaltri con gli scioc
chi (1). La terza finalmente lo splendore e '1 lusso della vita civile, nel qual
modo i grandi e i ricchi per la pompa del vivere a coloro signoreggiano, che non
sono nel grado di fare simili spese. ,Un Omras dell' India si tiene sporcato se un
plebeo il tocchi solamente; e questi plebei riguardano quegli Omras come divi
nit, e tremano.
. XVIII. Questa, che cos delineata e adombrata, si pu chiamare la
prima natura di quegli uomini che oggigiorno nascono. Ma ve n' ha un'altra ac
cessoria che il nostro poeta Venosino chiama perci seconda natura, altera na
tura, siccom' ella in fatti, ed quella del costume, la quale in mille modi rim
pasta e modella la prima, e toma in tante guise quante ciascuno pu vederne
ogni d in questo mondo. Imperciocch alcuni sono, cui il costume salvatico
forma alla ferocia, a quella indirizzando e piegando tutte le forze dello spirito e
del corpo, e per lungo tratto indurandole e facendone come un altro diverso ani
male da quel che non pare esser nato. Tra i Chirochesi, popoli del Canada, le
madri danno a' bambini a succiare del sangue, a mangiare delle crude membra
degli animali e talora degli uomini medesimi. Tali furono un tempo in Europa
stessa i Galli, i Germani, i Britanni, i Danesi, gli Svezzesi, i Polacchi, gli Ungari
e alcune parti d' Italia altres.
. XIX. Per contrario v' ha di coloro, cui l'educazione pacifica, molle, effe
minata modella a pensare e operare pacificamente e con morbidezza, e ad avere
in odio ogni azione crudele o faticosa. Tali ci vengon descritti gli antichi nostri
Sibariti, e tali sono tuttavia molti popoli nell'Asia meridionale e sopra tutti gli
Indiani. Non pochi vi sono, i quali dalla fanciullezza datisi alla mercatura con
traggono a poco a poco uno spirito scaltrissimo e avarissimo; e taluni per l'op
posto, avvezzi da' primi anni ad una vita neghittosa e sciagurata, diventano d'un
costume al rovescio. Altri nutriti nelle corti non respirano che grandezze, n me
ditano che sottili modi da soppiantare i colleghi e di approvecciare, dovecch
quei che ne vivono lontani restano nelle piccole atmosfere de' loro appetiti, e in
una certa rozza semplicit di pensare e di adoperare. Questi nutriti nel caos
delle grandi citt vengono di mente e di cuore come le tigri e i pardi, che non
hanno mai n l'occhio in riposo, n sazio l'appetito : e quegli altri, che nascono
o vivono ne' monti e ne' solitarj villaggi, pajouo essere un popolo di belli e fatti
Calandrini, dove o la fameo la guerra con i vicini non ne faccia de' lupi.

[\) In tutti i popoli della Siberia e della Tartaria Settentrionale quei che si chiamano
i.hamani, maschi e femmine, e i quali fanno professione di magia, stregoneria, divina
zione, hanno pi forza a signoreggiare quei stupidi e creduli che non hanno le armale
de' Calmucchi e de' Cosacchi. Il P. Duhalde dice il medesimo della Cina, dove t Bonzi e
un' infinit d' indovini e astrologi tengono in maggiore schiavit quel vasto imperio, che
non fanno le truppe Tartare. Un grand'uomo e gran viaggiatore domandato, a che se
gnali egli soleva conoscere un popolo savio da un ignorante e stupido, a dite, dic'egli :
ho trovato tra le nazioni, che ho trascorse, le conoscenze e la sapienza in ragione inversa
dUa copia de' maghi e degli astrologi. I demoni, i maghi, gli astrologi scemano come
cresce la ragione. La Cina adunque (par dirlo qui di passaggio) mi pare ancora molto
distante dall' esser una nazione dotta e di uomini pervenuti alla loro maturit: e' vi
tuttavia di gran fanciullaggine.
284 GENOVESI.

. XX. Senza dilungarmi di vantaggio, leggendo la storia del genere umano


ci possiamo facilmente chiarire, che le forze dell' ingegno e del corpo prendono
sempre, quanto il permette il clima, quelle modificazioni e piegature che loro d
l'educazione e '1 costume, grandissimo maestro e modellatore della nostra natura.
E perch non si creda che questa diversit, come molti pensano, provenga piut
tosto dalle cagioni fisiche, che dalla disciplinae dall' avvezzamene, ponga mente
e consideri a' popoli Greci e Latini di questi tempi e vedr, che ne' medesimi
climi e infra le medesime cagioni fisiche, non sono tuttavia li medesimi co
stumi (1).
. XXI. Ma si vuole avvertire, che quando io parlo dell'educazione, intendo
cos della domestica come della civile; e per civile, cos di quella del governo
come di quella della religione dominante. Le leggi Spartane non erano indiritte
che alla guerra ; e di qui che tutti gli Spartani avevano natura feroce, e guer
riera. Le leggi di Solone miravano pi alla sapienza politica che alla guerra, e gli
Ateniesi furono per lungo tempo i pi savj della Grecia. Le leggi de' Rodj ris-
guardavano la mercatura e la navigazione, e quasi tutti i Rodj furono in queste
arti eccellenti. Le leggi de' Cinesi, fondate tutte nello stato di natura nel quale
il padre il Chanti, Dio delle famiglie, tendono tutte al timore e rispetto filiale;
i Cinesi son perci rispettosi, umani, gentili, manierosi tutti quanti. Ma niente
tanto modella la natura umana, quanto la religione dominante. Quella de' Pa
gani con degli augurj, degli oracoli, de' maghi, degl' indovini, degli espositori dei
sogni, e brevemente de' nutritori di tutte le fantasie delle persone, faceva gli
uomini creduli e superstiziosi : quella de' Massageti con de' sacrifici di sangue
umano li rendeva feroci e crudi : la Maomettana con la dottrina della predesti
nazione assoluta li fa ostinati e caparbj : la sola Cristiana (ma pura) fa gli uomini
dabbene, non consistendo essenzialmente che nell'amore di Dio e del prossimo,
e nel timore di offender chicchessia.
. XXII. Ma in tutte queste modificazioni dell'uomo, che si prendono per l'edu
cazione e pel costume, si vede sempre di sotto tralucere la forza del temperamento;
conciossiach, bench esso sia soggetto ad essere variamente modellato e rica
mato di diverse forme, non si pu per svellere il naturale, n tanto vestire che
per qualche parte non si manifesti. Non altrimenti che se voi addimesticherete
molti e diversi animali feroci, siccome leoni, tigri, lupi, volpi, orsi, elefanti ecc.,
anche in quella comune dimestichezza ciascuno riterr il suo proprio naturale ;
il che forza che in qualche sopravvegnente occasione, ove l'impeto della natura
viene a rompere la sopravveste, traspiri e si lasci vedere.

FORZA DELLE GRANDI RICCHEZZE

Rispetto alFuomo singolare secondo i suoi diversi temperamenti.

. XXIII. Tale adunque essendo la natura degli uomini, cos per quel che
appartiene al corpo come per risguardo all' animo e agli abiti di educazione e di
costume, egli facile l'intendere quale e quanta forza si abbiano le ricchezze a
(1) ConveDgo nondimeno che la forza del clima, che sempre
Simili a s gli abilalor produce,
logorando a poco a poco la forza delle leggi di disciplina, viene ad indebolire s fatta
RAGIONAMENTO SOLLE RICCHEZZE. 281>

farli felici o infelici ; e perch alcuni nelle grandi ricchezze sieno stati miserabili
i quali vivevano contenti nella povert, e altri per contrario, i quali nella povert
erano malvagi e infelici, in mezzo delle ricchezze furono saggi e beati: ancorch
vi siano pi esempj del primo che del secondo genere. La ragion perch vi
sono taluni, ne' quali le molle della natura umana sono molto attive e violente.
Perch questi vivano felici, loro bisogno che vivano in un tale stato, nel quale
quelle molle si tengano alquanto presse, affinch non diano al cuore umano tutta
quella forza ch'esse potrebbero avere. Ora le ricchezze in uomini di questa fatta
venendo a sviluppare quelle molle, e dando loro tutta l'attivit e velocit della
quale son capaci, fanno eh' essi si precipitino in infiniti sviamenti e con ci nel
l'infelicit, la quale per eterna legge del mondo accompagna sempre coloro che
si danno in preda a' vizj e a' delitti. Tali sono, ordinariamente parlando, quanto
al corpo quei d'un temperamento sanguigno o collerico ; i primi de'quali rivol
taci per tutte le pigre volutt, e gli altri immergonsi in grandissime e pericolo
sissime imprese. Tali altres sono tutti quelli, i quali sono stati educati con poca
disciplina e con minor piet, e coltivati con molte idee del gran mondo (1).
$. XXIV. Altri per contrario sono di debolissime molle forniti, le quali hanno
poco 0 niente di attivit e d'elasticit; ond' che sono di un piccolo cervello.
Questi sono per natura portati all'inazione e alla vita pigra e neghittosa, la
quale madre della micidiale noja e della miseria. Per costoro un poco di biso
gno pu essere istrumento di felicit, perciocch li sospinge a muoversi; e que
sto molo, ancorch loro sembri grave e insopportabile, li libera nulladimeno da
maggior molestia e dalla tristezza e noja, la quale suol nascere da vita molle e
poltrona. Le molte ricchezze sono adunque per costoro un puro veleno; perch
somministrando loro abbondantemente tutto quello di che abbisognano, n po
tendo risvegliarsi n solleticare la loro natura, li lasciano in una specie di le
targo, onde nasce e alimentasi la brutalit dello spirito e '1 marcimento del corpo.
Molti uomini di questa pasta veggonsi ne' climi 0 troppo caldi 0 troppo freddi.
Conciossiach, com' qui di sopra detto, il soverchio caldo renda spossate e lan
guide le forze del corpo e inclini l'animo a pigrizia; e '1 troppo freddo faccia la
macchina soverchiamente gravosa, e lento e tardo il giro de' fluidi. osservato
dagli storici naturali, che una battuta di polso in uno Svezzese equivaglia in
tempo a due e tre de' popoli Meridionali di Europa.
XXV. Vi sono alcuni i quali sono dotati di tali molle naturali, che per lor
dare quel movimento proporzionato che fa la felicit della vita umana, sembrano
essere necessarie le ricchezze. Costoro essendo poveri non sono veramente infe
licissimi, supplendo alla mancanza de'beni di fortuna con l'abbondanza della fa
tica e della diligenza: ma nelle ricchezze maneggiando con economia le loro
forze, n estinguendone tutta l'azione secondoch fanno i temperamenti pigri, n

mente che coll'andar del tempo, come non vengano di tanto in tanto a richiamarsi al lor
principio, tornano alla prima natura. Ma non vi si richiameranno mai senza che preceda
una scuotente crisi. Stato ecclesiastico Europeo di questi tempi.
(J j Ecco perch nelle grandi citt di clima molle vi sono assai pochi giovani che si
possano bene educare, e i quali non si abusino delle ricchezze. Mi rido di certi padri,
che vorrebbero avvezzare i loro figli alla severit in mezzo al gran vortice della morbi
dezza e dell'indisciplinatezza. E come se si dicesse ad un'armata di uavi infuriando Au
stro, fate vela a mezzogiorno.
286 GKNOVESI.

impiegandola soverchiamente come i temperamenti collerici, possono essere in


sieme ricchi e felici ; principalmente se essi sieno forniti del necessario stromento
delle ricchezze e d'ogn'altro bene, che il giudizio. E di questo temperamento
fu Pomponio Atttico il grande amico di Cicerone, la cui vita scritta da Cornelio
Nipote uno de' pi bei pezzi dell'antichit. Ma i temperamenti di questa fatta
sono assai difficili a rinvenirsi ; e di qui che tali uomini sono pochissimi.
. XXVI. Si dice che l'educazione possa formare gli uomini di questa terza
sorta. Io non niego che l'educazione possa assaissimo in ogni animale; ma niuno
disconverr ch'ella non cambj il fisico, bench il modelli di molto e in molte guise.
Omero ci descrive Achille feroce, Ulisse accorto, Nestore 6avio, Penelope casta ;
Achille fu nutrito, secondo la favola, d midolla di leoni; Ulisse aveva mollo
veduto e conosciuto; Nestore era vecchio; Penelope non era mai uscita dal suo
gineceo. Questa sorta di educazione e di pratica dovette poter molto. E nondi
meno se Achille nato tra genti bellicose, Ulisse generato e nutrito In un'isola
secca e sterile, Nestore di un paese Bovio e placido, fossero nati altrove e con
temperamento grossolano, molle e tardo, n il primo sarebbe stato mai feroce,
n il secondo accorto, n saggio il terzo. Penelope dovette anch'ella nascere con
una certa morbida pieghevolezza di fibre, per non porre il piede fuor di casa. Se
ella fosse nata con gli spiriti di Io, o di Europa, o di Medea, o di Elena, anche a
lei avrebbe per avventura potuto piacere il vedere de' paesi stranieri e aver de'ci-
cisbei.
. XXVII. Ma lasciamo da parte le favole, e reggiamo se una savia e rigida
educazione sia possibile. Per ci ottenere mestieri che un fanciullo nasca da
savj genitori, e in una famiglia ben disciplinata, in una citt savia, giusta, mode
sta: dove le leggi sieno savie e rigidamente osservate : dove finalmente la reli
gione sia pura e custodita nella sua nettezza. Una di queste parti che manchi,
l'educazione sar malvagia. Ricordiamoci che l'uomo un s fatto animale, che
pi portato a fare quel che vede comunemente farsi, che quel che le regole
astrante della sapienza gli dettano di dover fare. Sono i sensi che educano e non
le lezioni; l'animo si forma da quel che vede, da quel che ode, dalla mensa, dal
letto ecc., pi tosto che dalle voci de' maestri. Non vi qui fra noi casa, dove un
fanciullo non voglia il Natale fare un presepe, avere un altarino, far da comme
diante: e come pi grandicello, che non spiri duelli, smargiassera; che non
guardi a' cavalli, e dove non pu averne, a' montoni, alle carrozzelle ecc. Dunque
6ono gli occhi che educano. I figli de' selvaggi come sono di quattro o cinque
anni vogliono un arco, una faretra, delle freccie, de' coltelli di legno o di pietra.
Questo quel che veggono. Al che si aggiunga che la mente giovanile, come dice
leggiadramente Euripide nel prologo della Medea, non ama troppo d'intertenerst
in pensieri gravi e serj che lor son molesti ; ond' che i precetti di morale risal
tano dal lor animo come palle da'corpi duri, siccome si esprime con molta ele
ganza Aristotile.
. XXVIII. Molti credono, che un lungo esercizio di pensare filosofico vinca
il cattivo temperamento. Socrate diceva di s, essere nato fiero ma mansuefatto
dalla filosofia. Non niego che ci possa valer mollo. Del resto mi pare che So
crate fu cos fiero ne' suoi discorsi filosofici, quanto sarebbe stato nelle azioni se
non fosse stato filosofo. La filosofa non il divezz dalla fierezza, ma ben gli fece
cambiare oggetto. Siila se fosse slato pedante poteva esser Giovenale; e Giove*
uale se fosse stato console sarebbe stato Siila.
RAGIONAMENTO SULLE RICCHEZZE. 287

FORZA DELLE RICCHEZZE PER RISGUARDO ALLE FAMIGLIE.

. XXIX. Egli poi facile l'applicare questa teoria alle famiglie. Tre cose
sono, siccome pu ciascuno considerando intendere , che principalmente o solle
vano o mantengono nello stalo di splendore e di grandezza le private famiglie,
l'industria, il giudizio che si dice sapienza, e la virt. Imperciocch l' industria
e la diligenza vale o ad acquistare o a conservare quei beni, i quali si sono ac
quistati o ereditati. Il giudizio, il senno, la prudenza regola ed come il manico
d'ogni bene. La virt tien lontano i vizj sterminatori, i quali presto o tardi ro
dono e consumano le famiglie, non altrimenti che si facciano cert'insetti delle pi
robuste piante. Senza queste tre gran cagioni e puntelli le famiglie o restano nello
stato di bassezza , se elleno sono tali , o decadono dalla grandezza o dallo splen
dore a cui i loro antenati le aveano sollevate. Vi in terra uomo tanto cieco e
stupido da non vederne de'continui esempi nel paese ov'egli nato?
. XXX. Ora le soverchie ricchezze sogliono a poco a poco annichilare , o
almeno ridurre vicino al niente s fatte doti. E in vero le soverchie ricchezze
fanno riguardare la fatica periodica o come miseria incompatibile con lo stato dei
ricchi, o come impiego de'soli miserabili. L'economia domestica un'applicazione
servile per la gente ricca. cura di maestri di casa , di sopraintendenti , di go-
vernatrici ecc., gente da servizio, che 9 crede tanto pazza da faticare pi per altri
che per s. Nell'Asia e nell'Africa, dov' grande la moltitudine degli schiavi, si
vede comunemente che le persone comode stimano indegno dell'esser loro l'im
piegarsi in cosa che porti seco la minima fatica. Quindi tutta la loro vita non
che una continua spensieratezza e poltroneria. Questo medesimo b vide nelle
repubbliche Greche e in Roma, poich divennero ricche e gli schiavi vi crebbero
oltre ogni misura. La fatica vi fu stimata servile e non degna d'un cittadino
ricco e nobile, ancorch si sapesse in Roma pubblicamente, che i loro maggiori
avevano non di rado preso i consoli e i dittatori dall'aratro.
. XXXI. Facendo adunque le gran ricchezze venir altrui meno la voglia di
una fatica periodica e mettendola in disprezzo, difficile che un nato ricco ac
quisti gli abiti delle savie cognizioni, e massimamente della diligenza e prudenza;
conciossiach niun abito si acquisti senza ima periodica attenzione e fatica , n
acquistato si conservi senza periodico esercizio, piacendo pi alla nostra natura
una vita varia e neghittosa che una sottomessa alla rigidezza delle regole. Sicch
impedendo le soverchie ricchezze l'acquisto di questi abiti, e cancellando i gi
acquistati per una sciagurata maniera di vivere, che da' ricchi si suol tenere in
conto di grandezza e di nobilt , seguita eh* esse privino l' uomo di quelle doti t
senza le quali le famiglie non si possono conservare in grandezza , o se non vi
sono, aggiungervi. Vedesi ci in quelle famiglie nelle quali sono de' ricchi fondi
e fedecommessi; imperciocch la maggior parte de'primogeniti di tali case, sicuri
gi della loro eredit, disprezzano ogni coltura, industria e virt; onde poscia
avviene a lungo andare che tutte rovinino. N vedesi men chiaro in quelle co
munit d'uomini religiosi, i quali nella povert furono savi e virtuosi e diligenti,
per cagione delle quali virt accumularono grandissime ricchezze; ma poi per
queste medesime ricchezze degenerando dagli antichi istituti e dalla primiera
virt, divennero poltroni e viziosi (1). E questa la vera ragione di quel che i
(i) Ed perch le medesime cause producono sempre i medesimi effetti. Un zoccolante
288 GENOVESI.

filosofi chiamano Orbcm populorum et familiarum; il qual giro posto ne' se


guenti gradi, povert, onest, fatica, ricchezza: ricchezza, lusso, disonest e povert
di nuovo.
. XXXII. E certamente coloro, i quali hanno con ponderazione letto la
storia umana, non possono ignorare che questa massima vien provata dalla lunga
e costante esperienza di tutti i popoli. La ragione medesima dimostra non dover
essere altrimenti. La povert e '1 bisogno solleticano e stimolane alla fatica , e
fanno amare la parsimonia, la temperanza, la giustizia. Con queste virt si ha
sempre della diligenza e acquistansi delle ricchezze. Nello stato di mediocrit
l'educazione ordinariamente pi virtuosa, perch pi dura la disciplina; e i
giovani educati a questa maniera pi per gli occhi che per l' orecchie, sono men
soggetti a que'vizi i quali desolano le famiglie. Ma le soverchie ricchezze generano
naturalmente lusso e morbidezza, onde spossansi l' ingegno e '1 corpo, quello per
mancanza di stimolo e questo per difetto di esercizio. Quindi nasce la spensie
ratezza, lo stordimento dell'animo, l'infingardaggine, e da queste cagioni il dissi
pamento de' beni, la decadenza e la povert.
. XXXIII. Per la qual cosa se le soverchie ricchezze svelgono dagli animi
umani la diligenza e l'altre virt, per cui lo splendore e la grandezza delle fa
miglie si mantiene , l' uomo savio non dee troppo affaticarsi perch arricchisca
oltremodo, per la vana lusinga che quanto pi doviziosa tanto sia per essere
pi durevole la sua casa; perch egli non pu per modo nessuno impedire che i
suoi figli e i nipoti , nati e cresciuti in mezzo degli agi e malamente educati per
gli occhi, non vogliano essi ancora vivere alla moda. Il credere che possano con
ciliarsi insieme una morbida educazione e delicata e la severa virt, non meno
che darsi ad intendere una contraddizione economica. Avvertasi per che quando
noi diciamo soverchie ricchezze, intendiamo rispettivamente allo stato di ciascuna
famiglia; per modo che tal ricchezza sar eccedente negli ordini bassi, che sarebbe
una vera povert per li pi grandi. 11 manco e '1 soverchio voglionsi misurare
cosi per li bisogni della natura, come per quelli dello stato civile, che non si dee
n si pu svellere e guastare.
. XXXIV. So che alcuni si son dati a credere di poter provvedere all' eter
nit delle loro famiglie con de' fedecommessi , cio con voler arrestare la natura
con i patti civili. Ma oltrech l'esperienza ci dimostra ogni giorno, come una gran
quantit di queste case si riducono a mendicit, e che le cagioni morali a lungo
andare cedano sempre alle fisiche, da considerare ancora che questi fedecom
messi , siccome l' ha ben avvertito il fu nostro amico Antonio Muratori nella dotta
operetta Della felicit pubblica, servono spesso come di motivo, cos di pascolo
alle grandi e intricate liti, delle quali niuna non che non basti a rovinare le
non ha niente d'intorno che il tenti alla morbidezza. Vestito d'un sacco di ruvida lana,
cinto d'un canape, senza calze e con un pajo di zoccoli a' piedi; albergante in un chiostro
dove non vede n apparati di damasco, n oro, n argento, n ampie gallerie e brillanti,
senza morbidi letti, senza altri comodi che il puro necessario e qualche volta scarso ;
dove le mense son poche, e di cibi e bevande ricattate e mal' assortile ; dove i templi
medesimi son rozzi e semplici, e 'I salmeggiare grave e mesto Un tal uomo
potrebb'cgli pensare alla vita spensierata, agiata, molle, lussureggiante, inquieta per
essere gi stufa di volutt, e perci cupida e ambiziosa? Ma vi pu e vi dee, voglia o no,
pensare un novizzo Templario, un , cui tutti i sensi pascono di ricchezza e gran
dezza. Ed ecco donde poi viene la rovina di queste famiglie.
aAGIONAMENTO SULLE RICCHEZZE. 289

pi grandi e ricche famiglie. Quindi possiam conchiudere che il miglior patrimo


nio, e 'l pi grande che un padre di famiglia possa lasciare a' suoi eredi, sia un
poco di bisogno rispetto al suogrado, con molta sapienza e virt (1).
S. XXXV. Ma ecco una questione che muove il signor Mandeville, ed :
egli possibile che in un paese fertile e abbondante, posto in un clima felice dove
sieno dell'arti e del commercio, molti non istrarricchiscano, e serbino poi in
mezzo alle loro ricchezze tutte quelle virt di moderazione, di parsimonia, di di
ligenza e di attenzione, le quali nelle sterili contrade il suolo stesso, la scarsezza
dei comodi e i maggiori bisogni inspirano? In Italia nostra i Genovesi, i Vene
ziani e i Fiorentini, sono stati sempre economici e industriosi piucch tutti gli
altri popoli, perch di tutti sono i pi scarsi in beni del proprio suolo. Ma i Na
poletani e i Lombardi, che hanno bello e fertile paese, sono stati pi liberali in
fatto divivere e pi spensierati in conto di diligenza (2).
S. XXXVI. Credo anch'io, che il clima beato e'l ricco suolo sieno di grande
incitamento alla spensieratezza e a quei vizj, che la seguono; perciocch in cos fatti
paesi si vive circondato da'comodi e piaceri, la natura lavora essa per tutti, n
facile che si coltivi molto l'industria, che non suole allignare fuorch nella scuola
del bisogno. Ma pure qual s ricco suolo pu bastare ad un popolo inculto che va
crescendo in popolazione? Qui dunque la man maestra del governo dee poter
tutto. I Cinesi sono in un paese fertilissimo e in un clima temperato e piacevole,
ma sono diligentissimi; e i Californj, in un simile clima, ma senza governo, senza
leggi, senza lettere, senz'altro culto religioso che fantastico,si son trovati ignudi
e poltroni. I Siberi in un clima freddo e poco men che sterile, poltronissimi (3):
e diligentissimi gli Svezzesi, i Pomerani, gli Scozzesi ecc. Gli Egizi, in un clima
temperato e in un suolo fertilissimo, furono i pi savj e industriosi popoli del
l'antichit; e gli Etiopi in un simile clima e suolo sono ignorantissimi e poltro
nissimi. Questa storia sarebbe infinita. La differenza dunque non vien dal suolo
e dal clima, ma dal governo, dalle leggi, dalle scienze e da un culto religioso ten
dente a far amare la fatica.
S. XXXVII. Si dir che allora la differenza del suolo produrr una egual diffe
renza fra gli effetti di pari industria, cio tra le ricchezze; e questa differenza pian
piano tender ne paesi fertili ad estinguere lo spirito della fatica e della virt,
dovech negli sterili conserva l'una e l'altra. Nella tesi non posso negare n il
principio n la conseguenza. Ma perche la popolazione viene ad accrescersi a
proporzione della fertilit, e a questa stessa proporzione crescono i bisogni del go
verno, quella differenza pu essere eguale alle differenze delle popolazioni e dei
bisogni delle corti; nel qual caso tutto torna al pari. Il che se non avviene, dee
ascriversi alla cattiva educazione.

(1) Potrei far qui una lunga lista di famiglie Napoletane, i cui padri avendo pensato pi
ad accrescere il patrimonio domestico che ad educare i loro figli, nell'ultima loro vec
chiezza videro traballare i fondamenti della casa, e se fosser vivi vedrebbero mendicare
quei che credevano di dover esser eternamente ricchi. La mia maraviglia , che tanti
esempi de' nostri antecessori non fanno pensar meglio a noi posteri. Diremo, fata volen
tem ducunt, nolentem trahunt? E il solo refugio della sciocchezza.
(2) Vedi il paragone che fa della nobilt Napoletana e della Fiorentina l'arcivescovo di
Benevento, monsignor della Casa, nel suo Galateo.
(3)Veggansi i Viaggi di Gmelin per la Siberia.
Econom. Tonio III. 19.
90 GNOVES,

FORZA DELLE RICCHEZZE PER RISGUARDO ALLO STATO CIVILE.

S. XXXVIII. Passiam oggimai al principale nostro intendimento. La questione


che concerne questo Discorso , se una grande quantit di ricchezze rappresen
tanti, cio d'oro, d'argento, di pietre preziose, faccia pi grande, pi stabile, pi
potente e pi felice un imperio, che non fa una minore, dove le ricchezze primi
tive possano essere eguali in proporzione alla grandezza del paese. Ella ha molto
esercitato gl'ingegni politici, e si scritto pro e contra cos dagli antichi come
da'moderni. ll comune degli uomini stima quelle nazioni essere pi grandi e pi
felici, le quali, tutte le altre cose eguali, hanno maggior copia di danaro; e deboli
e miserabili quelle, le quali ne hanno meno, bench bastantemente provvedute di
ricchezze primitive. Ma queste materie non sono da poter essere giudicate dagli
Apollinetti, i quali non seguono altro criterio ne'loro giudizj, fuorch quello d'una
bizzarra fantasia e d'un capriccioso costume.
S. XXXIX. Per intendere adunque chiaramente lo stato della presente que
stione, bisogna distinguere tra la forza de'popoli e la loro felicit; conciossiach
non sempre i pi forti e i pi potenti sieno altres i pi felici, n i pi deboli, i
pi miserevoli: che anzi l'opposto pi frequente; perch i pi deboli sono ancora
i pi savi e i pi moderati, e sanno che come nascono di tanto in tanto delle
tempeste d'aria a cui si vuol cedere, cos sollevinsi di quelle delle nazioni le quali
non si vincono che colla pazienza. La vera forza d'uno Stato si giudica dall'e
stensione delle terre, dalla popolazione e da'fatti d'ingegno e di corpo. Dunque
dirassi grande e forte, se avr un'estensione di terreno bastantemente grande ri
spetto agli Stati vicini; se sar ben fecondo, popolato e diligentemente coltivato:
e questa detta forza interna. Si giudicher della sua forza da quattro principali
segni, cio dalla buona coltivazione delle terre, dal fiorirvi l'arti: dalla grandezza
dell' opere pubbliche, come citt, porti,ponti,vie, templi, obelischi, canali di
comunicazione ecc.: e finalmente dal poter militare e dalla difesa negli attacchi
dei nemici.
S. XL. Ma la sua felicit non consiste nelle forze fisiche, ma bens nell'in
terna pace e tranquillit de' popoli, senza che loro manchi nulla di quel che la
natura richiede. Questa nasce primieramente dall'abitare in un clima temperato,
e dall'avere un terreno che possa somministrare de'viveri comodamente con pro
porzione al numero degli abitanti, e secondariamente dalla sapienza e virt di
coloro che ilgovernano, figlia della quale la sapienza e la virt de'sudditi; per
ch la sapienza fa prendere le misure le pi giuste per mantenere la pace con le
vicine nazioni, e la giustizia, umanit, politezza, l'arti nel corpo politico; e la
virt insegna ad amare l'ubbidienza alle leggi, a praticare scrupolosamente la
giustizia, ad essere umani, discreti, circospetti, compassionevoli, a riputare e
coltivare l'arti, a recarsi a vergogna la poltroneria, il lusso, l'intemperanza,
l'immodestia, l'incontinenza, la stolidezza, l'escandescenza, le rodomontate ecc.
Ma non si legge esservi stata tranquilla e felice repubblica, senza che vi fiorisse
molta scienza, molta virt e molte arti, le sole nutrici di questa nostra felicit: n,
a considerare le cose da vicino e con occhio filosofico, si trover poter essere
altrimenti.
S XLI. Ci presupposto, dico primamente, che uno Stato pu esser felice non
RAGIONAMENTO SULLE RICCHEZZE. 29

solo con poche ricchezze d'oro, d'argento e di gemme, ma eziandio senz'averne


nfuna, purch non gli manchi nulla delle ricchezze primitive, quali sono i prodotti
della terra, gli animali, le manifatture di necessit e di comodo, il ferro e l'ac
ciaio e un po' di rame; che abbia delle savie leggi, le quali si mantengano nel
lor vigore e di tanto in tanto si richiamino a loro principii, affinch riprendano
quella forza che tutte le regole umane coll'andar del tempo rallentandosi sogliono
perdere; che la virt e l'industria abbia il suo premio, e presta e vigorosa pena
la malvagit; finalmente che sappia cos vivere con i popoli vicini, che conservi
con esso loro religiosamente la giustizia, la fede de'trattati, l'amicizia, n s'inva
ghisca d'ingrandirsi a spese degli altri. Datemi uno Stato che osservi tutto ci
scrupolosamente, e vi dico ch'esso senza molto oro, argento, pietre brillanti, e
anche senza averne dell'intutto pu assai bene viver felice, di quella felicit che
si pu aver quaggi. Anzi se vero che la soverchia cupidit del danaro ha
per molte vie guasto il costume, com'egli provato per la storia di tutti i
popoli, pu egli tanto pi felicemente vivere quanto meno ricco di queste ric
chezze secondarie (1).
S. XLII. E che sia cos pu dimostrarsi per la storia umana. Imperciocch
molte nazioni vi sono state e vi sono tuttavia, le quali senza quasi niun uso di
queste ricchezze di segno, per la sola osservanza delle cose sopraddette si sono
molto tempo conservate non solo tranquille e felici, ma grandi altres. Tale fu nei
tempi andati la repubblica di Sparta, la quale in mezzo a nazioni ricche d'oro e
d'argento senz'averne essa, si mantenne virtuosa e vigorosa in casa e rispettata
al di fuori, e temuta dalle pi gran potenze d'Europa e d'Asia per pi di 600
anni. Tale fu la repubblica di Roma prima ch'ella guerreggiasse al di fuori d'I
talia. I suoi cittadini tanto furono pi beati quanto pi virtuosi, e furono virtuosi
fino a che le ricchezze e le morbidezze della Grecia, dell'Egitto e dell'Asia non
vennero a corromperli. Vicino a' tempi nostri tale altres s' ritrovato l'imperio
del Per, dove bench l'oro e l'argento non fosse ignoto, non fu per mai n
mercanzia, n moneta: di che pu vedersi la bella Storia del Per di Garcifasso
della Vega. N senza ragione che le leggi del Giappone vietano di cavar troppo
le miniere d'oro e d'argento, avendone fatto zeccar molte (1), perch l'arti crea
trici vengono in disprezzo dove ve n'ha troppo.
S. XLIII. Ma dir per avventura taluno, che senza danaro una nazione, per
industriosa che sia, non trover mai tutte le materie dell'arti atte a soddisfare ai
nostri bisogni, sia a quelli che seco porta la natura, come a quelli di comodo che
nascono e crescono insensibilmente, come si stringe e ripulisce la vita socievole,
E si sarebbe non solo squallidi e barbari senz'oro, argento, diamanti, ma non si
potrebbe a'd nostri vivere che con grandissima indigenza; perch il commercio
interno medesimamente vi sarebbe lento, difficile, piccolo, facendosi per sole
(1) L'oro, l'argento, le pietre stimate da'popoli che hanno il vano in conto di reale,
possono ben essere derrata di prima necessit per quelle sole nazioni, le quali son prive
delle cinque arti primitive; pergli altri debbono essere istrumenti di permuta, e perci
tanti, quanti bastano al giusto traffico. Che giovano allo Stato otto o dieci milioni di con
tante seppelliti ne'nostri banchi e monti, privati del corso attuale, e anzi della facolt di
poter correre? Perch il danaro divien sempre ozioso e perde tutta la sua potenza in quei
paesi, dove l'arti, il traffico interno, il commercio esterno vengono per gelosia o diffidenza
ad essere inceppati.
(2) Veggasi Kempfer nella Storia del Giappone.
292 GENOVESI.

permute delle cose che ci servono e delle fatiche. E poi come trafficare al di fuori?
come viaggiare? Con che verrebbero le nazioni ad essere fra loro murate, e l'une
ignote all'altre. Ma coloro, che ragionano a questo modo, oltrech non hanno
altro fondamento da cos discorreria che i pregiudizi del paese e del tempo, pure
dimostrano d' avere poca cognizione del genere umano, e non sembra che com
prendano troppo bene la natura nostra e de' nostri bisogni. L' uomo nato nella
regione de'sensi vien poi in quella della fantasia, paese senza limiti e dove, se la
ragione non l'illumina e regge, subito aggiralo da' ciurmatori, dagl'impostori,
da'vani e stolti, dagli assassini, e sostituisce alla natura le fantasie (1). Or perch
questa materia non solo dilettevole ma utile al vivere tranquilli, mi piace d'e
saminarla alquanto pi parlitamenle.
. XLIV. 1 bisogni, a'quali siamo sottoposti, sono, com' pi d'una volta detto,
di tre maniere: cio, di necessit, di comodit, di volutt. Per cominciare dagli
ultimi, tulli questi bisogni nascono o da voglia di distinguerci o da' capricci di
non necessari piaceri. Or senza danaro pu assai bene una nazione aver mille
cose da poter soddisfare alla naturai voglia di distinguersi , e mille altres da
procacciarsi quei piaceri che chiamiamo di volutt. Anzi pu ella aver di tali
cose da soddisfarsi e distinguersi, le quali sieno cose ignote a'popoli politi, come
sono le nostre ai barbari; e cosi dai barbari amate e ricercale, come sono le no
stre da noi. In fatti la gloria non posta fuorch nuli' opinione degli uomini ;
dunque ogni cosa esterna, che gli uomini hanno comunemente adottata per segno
di gloria, pu ben servire a distinguerli e a renderli illustri (2).
. XLV. N questa una congettura chimerica o una sottigliezza di astraila
ragione, ma un fatto reale e confermato dalla storia di moltissimi popoli. Tra gli
Otlenloti, nazione tuttavia selvaggia del Capo di Buona Speranza, vi un tal
costume che chi ha ucciso una fiera, come un leone, una tigre, un pardo, acqui
sta un jus d'adornarsi della sua pelle; e per quella va s superbo tra tutti gli altri
e n' tenuto in tanto conto, quanto fossero mai in Roma Scipione Africano, Paolo
Emilio, Pompeo, per aver trionfato di numerose e bellicosissime genti. Tra quei
(1) Volete vedere il fondamento di quella ragione che illumina e regge i popoli, per
ch non si lascino abbarbagliare dal falso bagliore delle fantasie? Ecco. L'Egitto sotto il
re Amasi (ne' tempi di Cunibise re di Persia) aveva ventimila cilt (Erodoto nell'Euterpe
n" 177). Se noi diamo a ciascuna citt (l'una per l'altra) duemila abitanti, gli Egizj di
quel tempo dovevano ascendere a 40 milioni. Senza una buona economia e una politica
rischiarata e robusta era possibile d'impedire, che le seduttrici fantasie, e i vizj eie
scelleruggini che desolano gli Stati, non avessero fatto un guazzabuglio d'una lauta po
polazione circoscritta in un paese non egualmente esleso? Amasi divulg questa legge:
ogni persona si presenti ogni anno al monarca (governatore della provincia) E PRO
FESSI l'arte e la maniera di vivere. Pena ih morte a chi si trovi professarne
o nessuna, o una non permessa dalle leggi. Solone, dice il medesimo autore, prese
dall'Egitto questa legge e diclla agli Ateniesi. E (soggiunge Erodoto) la legge la meglio
inlesa che tuttavia si osserva di Alene. cco come finiscono certe fantasie desolatrici de'
popoli. Vi si veggono fiorir le ricchezze primitive e l'arti miglioratrici. Non vi sono de'
rentieri, n di quelli che si credono servir lu patria per esser carichi di oro. Allora il da
naro non vi necessario, che in quella quantit che pu sostenere l'arti e il traffico inter
no. L'uomo, che non ha altro valore che il danaro e la poltroneria, vi vien ridicolo.
(2) Domandate, dice con molla considerazione Erodoto nella 'l'alia n ' 38, a tutti i po
poli della terra, quali sono le migliori leggi e i pi rispettati costumi ? Ciascuno sceglie
e preferisce i suoi. E delle leggi e de' costumi come de' gusti : suus cuique crepitus
bene olet.
RAGIONAMENTO SULLE RICCHEZZE. 293

popoli selvaggi, meno conoscitori del meglio, questi segni soddisfano talmente
alla loro naturale ambizione come tra noi i nostri. Dov' da considerare che
questo medesimo fu il costume degli antichi popoli di Grecia dei tempi barbari.
Le insegne distintive d'Ercole sono ancora la mazza e la pelle di leone, di Bacco
i pampini di vite, di Cerere la spiga ecc. ecc. In Oriente quei nobili, i quali non
si possono distinguere per oro e pietre preziose, adornansi di conchiglie o di
altre produzioni marine; per li quali ornamenti vanno s gonfi, cornei grandi delle
eulte e polite nazioni per l'oro, per li diamanti, per li ricamati cordoni e lati
davi. Nell'Islanda, nella Groelandia, in America e in moltissimi luoghi dell'A
frica, i pi belli insieme e i pi ricchi distintivi delle persone sono brilli di vetro,
serti di coralli o di madreperle, orecchini ed anella di ottone, conchiglie, certe
ossa di animali, ghiande di cacao, e che so io. Quando non vi altro male che
preme la natura , essi sembrano pi lieti e gai e perci pi soddisfatti in questa
passione di distinguersi, che non siam noi in mezzo ad infinite cure che accom
pagnano le nostre mode (1).
. XLVI. N per queste bagattelle solamente si possono gli uomini superba
mente distinguere, ma per alcuni colori eziandio o per imprese, per le quali si
sono spesso fatti de'gran rumori e fannosi ancora. In Persia e in Turchia il tur
bante verde singolarissimo segno di distinzione. Tra i nostri religiosi ed eccle
siastici i segni da distinguersi , non senza gloria , consistono in alcune fogge di
vestire, come in un cappuccio acuto o ottuso, in un rocchetto a maniche larghe
o strette, in un mantello lungo o corto, in toghe ampie o anguste, in certi colori,
nella barba, nelle basette ecc. Il portare nello scudo dipinto un leone, una tigre,
un'aquila, un sole, un dragone o qual'altra cosa, era tra' nostri maggiori in tempo
della cavalleria e delle guerre d'Oriente cos grande distintivo, che per tali ciance
imprendevansi alle volte atrocissimi combattimenti, di che la storia della seconda
barbarie d' Europa ripiena. Gli ordini di cavalleria, che son ora in questa parte
del mondo illustri ancora, non gi per la ricchezza degli abiti, n per l'oro o per
le pietre preziose si distinguono, ma per colori e forme, come per un tosone o sia
pelle (F agnello, per un cordone bl, per una ligaccia, per una fascia rossa o per
altre simili cose. Dacch possiamo conchiudere, che quanto al distinguerci e ali
mentare la nostra vanit, l'oro, l'argento, le pietre preziose non sono cose asso
lutamente necessarie, ma solamente di capriccio.
. XLVII. Veggiamo appresso, se sono per avventura pi necessarie cose a
procacciarci degli altri piaceri superflui, i quali son oggimai pressoch la sola
occupazione de' popoli culti e politi. Questi piaceri si riducono a quei degli occhi,
degli orecchi, del gusto, con piccola parte di quei dell'odorato. Ad aumentare e
raffinare questi piaceri hanno molto studialo e studiano incessantemente le eulte
nazioni, per guisa che oggigiorno essi fanno tra di noi un gran fondo di commer
cio. Quindi sono nate e oltremodo moltiplicate moltissime classi di uomini ignote
alle nazioni barbare, architetti, scultori, intagliatori, dipintori, indoratori, rica-
matori, battiloro, orefici, gioiellieri, parrucchieri, acconciatori di capo, e una in-

(i) Quando leggo le futiche, le miserie, le morti, la distruzione d'infinite famiglie. Spa-
gnuole, al cui prezzo si comprava l'oro e l'argento Americano : quando calcolo le pene,
che si davano i Romani e i Greci nello scavainenlo delle miniere, che non senza racca
priccio ci vengon descritte da Plinio nel XXXIV libro della sua Storia Naturale, mi pare
che l'uomo non si abbia altrimenti a definire, che Animal pazzo.
394 GENOVESI.
finit di lavoratori di chincaglieria , i quali si afTaticano per divertire e dilettar
gli occhi. A questi si vogliono aggiungere i ballerini, i funamboli, i rappresentanti
di tragedie e di forze, i giuocolieri , e quanti altri veggonsene ogni giorno per lo
piazze e per li teatri. Seguono i dilettanti dell'orecchie, musici e suonatori d'unii
infinit di strumenti e poeti ti' ogni sorta. In fine di questi sono da calcolare i
raffinatori degli odori e de' profumi, gente impiegata a solleticare le narici. N
queste sono le sole classi d'uomini, le quali tra noi si studiano di moltiplicare e
raffinare i piaceri di questi tre seusi; perocch loro d'aggiungere tutte l'arti su
balterne, delle quali quelle non possono fare a meno.
g. XLVHI. Non da porre in dubbio che tutte queste arti non facciano le
nazioni eulte non solo pi varie , hello e leggiadre a vedersi , ma eziandio pi
gentili e dolci nelle maniere esterne ; per modo che sembran metterci tanto al
dissopra delle selvagge, quanto l'uomo al dissopra degli altri animali. Concedo
ancora che quest' arti e questo lusso sia un buon fondo di commercio. Ma dopo
tutto ci non si pu dubitare che tra le nazioni barbare, senza esservi tante classi
d'uomini inutili alla vera forza e grandezza degli Stali, e dir anche alla perfe
zione della natura umana, e i quali moltiplicandosi, non potendo arricchire one
stamente, si danno alle frodi e al ladroneccio ; quanto all' interna soddisfazione
a cui appartengono questi piaceri, ve ne poason essere degli equivalenti , i quali
quella stessa impressione facciano ai barbari che a noi fanno i nostri. Certo tutti
gli uomini amano di adornarsi a modo loro, e la natura con la tanta variet di
fiori e d' erbette odorosissime , principalmente ne' climi temperati , somministra
pi gemme e perle che non fa n il mare n le miniere. Al che si aggiunga, che
gli odori e gli ornamenti pigliano la loro forza dall'avvezzamento e dall'uso. Non
ancora un secolo , quando non vi era in Italia pi grato odore quanto quel
de' buccheri. Era 1' ultima moda aspergere della polvere di questa creta cotta
tutte le pietanze (1). Gli Oltentoti intonacati di sevo da capo a piedi si credono
cos bene acconci e si odorosi , come noi con i nostri profumi d' ambra e di mu
sco , con i nostri balsami e coli' acque nanfe : e quei cingoloni d' ottone o di
avorio de' grandi Africani , e di ossa , pietre ordinarie e legno degli Americani ,
de' quali ornano le narici, sembran loro cos belli, gentili, magnifici, come a noi
il nostro mondo donnesco di diamanti, di perle ecc. Tutti i selvaggi, senza la
sciare d'essere agricoltori, cacciatori, pastori, soldati, si studiano a modo loro di
ricrearsi col suono di certi strumenti e oon certe canzoni , che danno loro quel
piacere e queir allegria che per avventura non danno a noi i nostri teatri j dove
la fantasia opprime la natura. Egli fuori d'ogni dubbio, che la poesia e la mu
sica naturale han preceduto di molto l'artificiale.
. XLIX. I popoli barbari non hanno la nostra pittura e scoltura, n la no
stra architettura , vero ; pur essi fanno a modo loro e credono star meglio. A
dir vero noi li superiamo infinitamente in quest'arti; ma quel che lor manca 6
ben compensato dal magistero e dalla vaghezza dell' opere della natura , delle
quali la pittura non che imitatrice, dovech nelle gran citt la natura vien ad
essere o abolita o incrostata s fattamente da non potersi pi vedere. Per quel
che spetta a' piaceri dell'odorato tutti gli uomini si studiano di gustare di certi

(1) Vedi la Bucchereide, poema leggiadrissimo di Lorenzo Bellini accademico della


Crusca.
RAGIONAMENTO SULLE RICCHEZZE. 295

odori, i quali se non sono del raffinamento della scuola del conte Magalotti (1),
sono nondimeno della scuola della natura, e perci pi semplici, pi grati e pi
utili (2). In tutte queste cose l'educazione, l'avvezzamento, la forza dell'abito,
quella del clima, fanno sentire tanto piacere ad altri, quanto ad altri.
S, L. Restano i piaceri del gusto, dietro a' quali son pressoch tutti gl'in
gegni rivolti. Ma crederemo noi di superare in ci le nazioni barbare? Tutti gli
uomini del mondo sanno esser cuochi, se non da solleticare il palato, almeno da
soddisfare i bisogni animali (5). E qui si vuol por mente a due massime, le quali
per lunga sperienza son passate in proverbi, e fino ad un certo grado sono ad
essere tenute verissime. Una , de gustibus non est disputandum: l'altra assuetis
non fit passio. fuori d'ogni dubbio, che per la continua irritazione dei nervi
de' nostri sensi si pu acquistare un abito, pel quale certe cose a molti disaggra
devoli ci diventino gratissime. Da questo, pi che dalla varia elasticit della tela
nervosa, nasce la tanta variet de'gusti (4).
S. LI. E perch non si creda, che questa sia una mera astrazione, possiamo
confermare quel che detto colle esperienze che ci somministra la storia. Si sa
dappertutto quanto sieno barbari, rozzi e salvatici, e quanto da noi riputati infe
lici i Groelandi. Intanto il re di Danimarca nel secolo passato avendone fatti
menare alcuni a Copenaghen per ammaestrarli nella lingua danese e nelle arti
de' popoli politi, e fattili vestire e nudrire con gentilezza, questi furono sempre
afflitti e tristi agognando dietro le ruvide pelli di pesci delle quali soglionsi ve
stire, e non parendo mai loro di dover tornare la felicit di rivedere i loro affu
micati tuguri e puzzolentissimi, e di satollarsi d'olio di vitelli marini. La cosa
and tant' oltre che alcuni ne morirono di malinconia, e altri si gettarono in
mare sopra piccoli battelli per desiderio di riguadagnare la loro patria, paese co

(1) vedi le sue Lettere scientifiche.


(2) Perch a tutti gli uomini d'un gusto naturale e placido piacciono tanto gl'Idillj di
Teocrito, l'Egloghe di Virgilio, l'Arcadia di Sannazzaro ecc. ecc. ecc. ? E, che il bello
della natura ha per noi maggiore incantesimo che quello dell'arte.
Ancora, perch nelle citts'ama tanto una campagnuola dipinta al vivo, un parterra
in su le mense, un cesto di fiori e d'erbette odorose sul verone! La natura madre, ed
sempre la pi cara ; l'arte madrigna. Volete vedere, che il nostro secolo torna
alla natura? Niente ora piace tanto in tutta Europa, quanto lo studio della natura.
Si va uscendo dalle grottesche fantasie de' nostri maggiori, che ci tenevano come per
incantesimo allacciati. Che bella cosa il vedere le Flore di Siberia, di Tartaria, di
America ecc. ? Sto aspettando la Flora del regno di Napoli dal signor Cirillo gran
mio collega, e dal signor Pacifico. 0 giovani valorosi e nati all'arti di sodo e utile
diletto, coraggio.
(3) Anzi alle volte san farlo meglio di noi. I contadini e i pastori della Sardegna
ammazzano delle vacche, le sventrano, e quindi senza scorticarle le acconciano in una
buca fatta nel suolo, le coprono di terra, e fanno poi al di sopra del gran fuoco. La
cottura vien s eguale e s delicata, che potrebbe tentar di gola Apicio. Questo me
todo era noto a' selvaggi di Grecia. I pesci della Siberia e della Lapponia, appesi al
gelo notturno e cotti da' sali glaciali, diventano d'un gusto senza pari e naturale, Tra'
popoli culti nelle grandi o ricche case si mangian frodi de' cuochi. Finalmente v'
gran mensa, in cui il piatto il pi gradito e 'l pi sano non sia il piatto eroico, o
l'arrosto? L'arista de'Toscani piatto golosissimo. Aggiungete le mortadelle, i pre
sciutti, le carni secche. Or questi piatti son piatti della natura. Non vi si richiede
de' cuochi Francesi. -

(4) Vedi la nostra Andropologia.


296 GENOVESI.

perto dieci mesi dell' anno di densissimi ghiacci : sopra che pu consultarsi la
storia naturale dell'Islanda e della Groelandia del senatore Anderson (l). In Po
lonia, in Moscovia, nella Svezia e in molle parli dell'Africa non piacciono le
carni o i pesci che non sieno prima un poco imputriditi, come pi diligati. La
musica dell'Asia per noi Europei un orribile frastuono; ma essa piace a quei
popoli quanto a noi la nostra , e la nostra lor dispiace per s fatto modo che ne
fanno de' grandissimi scoppi di risa. Ed ecco la forza del temperamento Aglio del
clima, dell'educazione, de' pregiudizi.
. MI. Ma dinaro due parole di questa forza del clima. Quando ben consi
deriamo, la natura forma le molle de' viventi, siano piante, sieno animali, pro
porzionatamente agli elementi e a' climi dove li genera , per modo che n essi
uscendo da quei luoghi si conserverebbero, n altri, nati in altri elementi o climi,
vi potrebbero trapassare senza distruzione. I pesci non vivono fuori dell'acqua,
e gli animali terrestri muoiono nel mare. Aristotile nella sloria degli animali fa
menzione di certe farfalle pirastiche che nascono e conservansi nella fiamma. Se
questo vero, esse non potrebbero vivere fuori del fuoco. I dattili, sorta di
ostracei, generansi nel cuore degli scogli e ivi nudrisconsi. Le balene e le aringhe
non possono soffrire i climi caldi; le scimie e i papagalli muoiono ne' freddi.
La natura dunque sa cosi adattare i suoi prodotti agli elementi, a' climi, a' siti,
che niuno di quelli che stesse bene fuori del suo. Gli Svezzesi e i Moscoviti ne'
climi meridionali non durano gran fatto ; n gli Africani nel settentrione.
. LUI. Se adunque gli uomini, come tutte le altre piante e bestie, hanno
costituzione corporea proporzionata al clima dove nascono e dove sono pei
primi anni educali, seguita che quelle cose, le quali li dilettano o loro nuocono,
non sono proporzionevoli e alle a dilettare o annoiare altri di diversi climi e di
versamente falli. Quindi nasce il primo gusto o disgusto, il quale si va poi forti
ficando pel continuo e lungo uso. N questo si vuole intendere solamente de'pia-
ceri e dolori corporei, ma di quei dell'animo altres; conciossiach sia dimostrato
da' fisici, che tutti i piaceri o dispiaceri dell' uomo non hanno altra cagione
istrumenlale, salvoch l'irritazione della tela nervosa, la quale essendo di diversa
attivila secondo i climi e gli abili contratti , quindi avviene tanta diversit che
noi osserviamo ne' gusti e ne' disgusti del genere umano.
. LIV. A questo medesimo non Influiscono poco certi principii morali , per
li quali alcune cose ci diventano grate 0 spiacevoli. Tali sono la virt, l'onore,
la gloria, l'idea di patria, la religione, il governo e altri. L'amore della virt ci
fa sembrar men gravi i gran mali e piacevoli i piccoli. Sempre la pi gran pas
sione tiene a freno la minore. Lucrezia Romana stim minor male il morire che
il perdere la fama di castit; perch minor male in capo a certe persone sensi
tive perdere la castit che l'onore. La medesima dama reput minor male l'am
mazzarsi, che il vivere in dispetto di s per esser slata vinta. Attilio Regolo per
amor della gloria e della patria sacrific la vita. Quest'idea di gloria manda in
trepidamente alla morte, e sottomelte ad infiniti disastri gran parte del genere
umano. L' idea di patria (che non so perch Giovanni le Clerc metle tra le chi
meriche) un'idea complessa, che abbraccia in s il suolo nativo, l'amicizie con
tralte dalla figliuolanza , i sepolcri degli avi , i templi e '1 pubblico culto , il go-

\) I Siberi, dice Gmelio, sono infelici come si trasportano a Mosca 0 a Petereburg.


RAGIONAMENTO SULLE RICCHEZZE, 297

verno, i magistrati, l'arti proprie e i comodi di ciascun luogo, e che so quant'altre.


Quest'idea ci rende perci piacevoli molte cose, che per la medesima ragione
dispiacciono a coloro che son forastieri. Ogni paese ha un governo o un' ombra
di governo, al quale poich siamo avvezzi da' primi anni, riputiamo bene anche
quel che ad altri sembra non confarsi troppo con la nostra natura. Ultimamente
la religione del proprio paese inspira agli uomini certi amori o odi,gusti o dis
gusti, che non facile di svellere (1).
S. LV. Questi principi morali sono cos diversi, come le nazioni. Egli il
vero che la vera virt non che una; ma le false sono infinite: e ogni popolo
ne ha pi d'una, che perforza di pregiudizio tien per vera. L'onorvero e la vera
gloria non sono differenti dalla fama di vera virt. Ma come vi sono delle false
virt, forza che vi siano de'falsi onori e delle false glorie, che intanto tenute
per vere muovono cosi come le vere. La patria d'un virtuoso e d'un savio non
che il mondo; tutti gli uomini e tutte le creature razionali sono suoi concittadini.
Ma per l'anime deboli e stolte ve n'ha tante, quante sono le terricciuole e le ca
stella, e con un disprezzo e odio reciproco che distrugge l'umanit. Finalmente
la vera piet non che uma; ma le false sono presso a poco tante, quante le
famiglie.
S. LVI. Se adunque si trova tanta diversit fra i principi fisici de' popoli,
e tanta variet ne'tre generi di educazione; se i principi morali sono cotanto
diversi, spesso opposti fra loro; non ci dee recar maraviglia che si trovi tanta
discordia fra le idee de' beni e de' mali, de' gusti e de'disgusti, e della felicit e
miseria medesimamente. Ciascun paese ragiona su tutto questo concordemente
alle sue idee e a' suoi principi, e ciascun vive come ragiona. un error popolare
il giudicare della felicit e infelicit d'un popolo, da noi diverso e straniero, dalla
felicit o infelicit della propria nazione. L'arti adunque di lusso non fanno la
felicit assoluta delle nazioni ma la rispettiva solamente, purch la facciano, del
che ho gran dubbiezza, almeno fino ad un certo punto.
S. LVII. Veniam'ora all'arti di comodo, nelle quali, non vi ha dubbio nes
suno, le nazioni culte superano senza alcun paragone le barbare. Queste arti ci
somministrano de'comodi veri e reali, non gi d'opinione; perch elleno alleg
geriscono gli uomini della soverchia fatica, e li mettono al coperto di molti mali
che si soffrono nello stato selvaggio e barbaro. In effetto paragonando in questa
parte con la nostra la vita de' selvaggi, troveremo da convincerci facilmente che
di tanto noi siamo a quelli superiori, quanto essi il sono alle bestie e alle volte
anche di pi (2). Cos ci fossimo mantenuti in questi giusti termini, senza voler
guastare il buono per aver del meglio!

(1) Cambise, dice Erodoto nella Talia n 29, come ud ch'era nato il Dio Apis, vitello
di certe singolari qualit, tenuto ab antiquo in grandissimo conto dagli Egizj, volle ve
derlo. Come gli fu condotto innanzi, cos cominci ad infuriare, e trattasi di fianco la
scimitarra tirogli per sventrarlo e gli fer una coscia. Poi ridendo smascellatamente di
ceva ai preti egizj: O cervelli vani ! nascono essi gli Dei aventi sangue e carne, e da
poter esser trafitti dal ferro? Certo, cotesto un Dio degno di voi altri Egizj. Erodoto
ha ragione di riprendere quest'azione come matta e furiosa. I gusti delle opinioni son
come quelli del corpo. Formansi insensibilmente e diventano natura. Un'azione vio
lenta non li cura, come non curerebbe tra noi il gusto del tabacco.
2) l Californj furono trovati men curanti de'comodi che non sono molte bestie. Non
298 GENOVESI.

S. LVIII. Queste medesime arti portano seco un altro vantaggio, che non
pare sia stato cos encomiato quanto si meritava. Ed d'impiegare le forze del
l'uomo con piacere, senza offender altri e senza opprimere noi medesimi. L'uomo
animale attivo. Si dimostra primamente per l'impazienza de' ragazzi in istar
fissi: secondamente per la sua gran forza imitatrice: in terzo luogo per l'in
debolirsi nell'ozio: in quarto pel diventar pensoso e malinconico, come non ha
che fare. Finalmente la struttura tutta quanta e l'articolazione delle mani mostra
assai esser noi fatti per la fatica. dunque la fatica come il balsamo incontro
alla noia della vita, e la sorgente onde sgorgano infiniti beni dove sia saviamente
impiegata. Ma senz'arti l'uomo non l'impiegher mai bene, e non potendo n
volendo stare in ozio fa la guerra, che la pi maledetta dell'arti. Quest' la vita
de' selvaggi e de'barbari. Queste arti adunque (di comodo) son necessarie.
S. LIX. verissimo.Ma egli egualmente vero, che per avere l'arti primi
tive e quelle de'comodi sia uopo aver molt'oro, argento e gemme? Non il credo,
n il creder nessuno che sappia la storia de' popoli. In fatti egli di per s
manifesto, che in molte parti della terra sianvi di quest'arti, e con ci molte
ricchezze primitive e molti comodi senza molt'oro e argento. In Moscovia, Svezia,
Germania si stato lungo tempo a conoscere e possedere dell'oro e dell'argento:
oggigiorno medesimamente se ne possiede assai poco. Intanto l'arti non vi sono
men coltivate. Pel contrario nell'Africa interiore e nell'America si son trovate
molte nazioni ricche d'oro e d'argento, ma o con poche o senza arti dell'intutto.
E la ragione ,che in niuna parte del mondo l'oro e l'argento servono o possono
servire di strumenti dell'arti. I Peruani e i Messicani avevano molt'oro; ma gli
strumenti delle arti erano di pietra, di legno, d'ossa d'animali.
S. LX. D'onde si vuol conchiudere, che a far grande e felice uno Stato sieno
necessarie l'arti primitive e le miglioratrici, non gi quelle di lusso. Che vi si
richieggano delle ricchezze primitive, poche secondarie; e che anzi si potrebbe
supplire in mille modi alla mancanza delle secondarie. Quelle di lusso non ser
vono che come nelle ricche mense li ghiotti e i bevoni, cio per ismaltire la roba
soverchia.

Che il soverchio danaro nuoce al commercio e alle arti, massimamente nel pre
sente sistema europeo di finanze di far debiti e crear rentieri, o creditori
pubblici.

S. LXI. Dico appresso, che una soverchia copia di danaro, non solo non
giova a promuovere l'arti necessarie e con ci il commercio, ma anzi ha gran
forza a snervarle e distruggerle. Questa proposizione stata dimostrata a dilungo
da molti gran politici. Come noi tiriamo al termine di questa fatica, le seguenti
considerazioni basteranno, cred'io, a chiarircene.
S. LXII. E primamente, che non giovi provato per li seguenti fatti. Innanzi
che si discoprisse l'America e si viaggiasse lungo i lidi orientali dell'Africa, vi
era in Europa men oro e argento: e nondimeno l'arti non vi fiorivano meno.
Egli il vero che dopo la scoperta dell'America e del Capo di Buona Speranza,

solo andavano ignudi, ma la maggiorparte non avevano pure una capanna da ricoverarsi
ne'tempi piovosi e freddi. Storia della California.
RAGIONAMENTO SULLE RICCHEZZE. 299

fatta da sopra a due secoli e mezzo, la navigazione si di molto dilatata, e cre


sciuta l'ampiezza del commercio e con ci dell'arti; ma questo non gi addi
venuto per la forza del danaro, essendo la scoperta da attribuire all'avidit,
all'ambizione d'imperio e alla curiosit del nuovo, e l'accrescimento dell'arti ad
un maggior smercio.
S. LXIII. Secondariamente, anche dopo queste scoperte la moneta d'oro e
d'argento fa piccolissima parte della massa di questi metalli: la parte maggiore
serve di mercanzia e di materia prima a'lavori di lusso; dunque l'oro e l'argento
in quanto moneta non conferiscono a promuovere l'arti e 'l commercio con tutta
la forza della loro massa, ma con piccolissima. Al che rispondo primamente che
non sono quest'arti il gran fondo del commercio, ma sibbene le primitive e le
miglioratrici. E appresso, che chiaro che dovunque il suolo capace di agri
coltura e di materie prime, se vi crescono di soverchio l'arti di lusso, vi deb
bano scapitare le necessarie e il commercio presto o tardi rovinare o appassire (1).
S. LXIV. In terzo luogo, le nazioni le quali pi ne hanno, siccome sono i
Portoghesi e gli Spagnuoli, in mano de' quali si ritrovano le pi ricche miniere
del nuovo mondo, non per questo hanno maggior commercio, n veggonsi fra
loro in migliore stato l'arti primitive e le manifatture. Il sig. Sagrea (torno a
dirlo) ha scritto e crede di aver dimostrato, che il decadimento della sua na
zione (perch egli era spagnuolo) si debba per appunto attribuire alla gran copia
di questi metalli. Il che se non in tutto vero, lo certamente in parte,
S. LXV. Passo ancora pi oltre e dico, che una troppo gran quantit di da
maro nuoce alle ricchezze primitive. E'sembra provato per li fatti; perciocch
ovunque il danaro ha ecceduto le proporzioni che debbe avere con le ricchezze
primitive e col grado di commercio, a poco a poco ha rovinato quella nazione,
siccome si potrebbe far vedere con la storia degli Egizi, de'Persiani, de' Macedoni,
de' Greci, de'Romani e ultimamente degli Spagnuoli.
S. LXVI. Vi ha delle ragioni in natura per cui forza che ci avvenga.
I. Perch il danaro pian piano d ad intendere agli uomini che esso solo basti
per ogni bisogno; dond' che gli aliena dalle arti. Ma dove decadono l'arti, non
vi pu essere mai tanto danaro che sostenga la nazione rovinante. II. Perch
porta seco lusso eccessivo e morbidezza, e rende i popoli in commercio e in
guerra preda delle nazioni povere. A questo modo l'Asia e la Grecia furono preda
de'feroci Italiani ancor poveri; e poi l'Italia divenuta gi ricca e molle fu occu
pata da' Barbari Settentrionali. L'Arabia e la Caldea, essendo povere genti e va
lorose, in 72 anni fondarono nel viI secolo uno de'pi vasti imperi della terra,
ch' quello de'Maomettani. Quest'imperio inghiott quel di Costantinopoli e di
Persia. Ma divenuti poi troppo ricchi, furono oppressi e conquistati da Tartari
Abbassidi il xIII secolo. I medesimi Tartari hanno pi d'una volta conquistato
gl'Indiani e i Cinesi. I Gallas, popoli pezzenti e ferocissimi dell'Africa, hanno so
vente anch'essi saccheggiato e conquistato la maggior parte de'ricchi regni del
l'Abissinia, o sia Etiopia e del Monomotapa. I Portoghesi e i Castigliani spia
narono la via al gran commercio e alle gran conquiste; ma oggi ne godono i
(1) Diciamolo di nuovo: dieci milioni di contante ristagnano ne'banchi della nostra
capitale, e molto pi ne'templi e nelle case private; e intanto le nostre provincie lan
guiscono e cominciano a disertarsi, Dunque non s'intende tra noi la "vera natura e
forza del danaro.
300 GBNOVESI.
popoli del Nord. I Gesuiti poveri fondarono una monarchia, i di cui primi
schiavi furono i papi, gl'imperadori, i re, in Occidente e in Oriente, monarchia
che abbracciava amendue gli emisferi : ma divenuti soverchiamente ricchi, sono
caduti.
. LXVII. La terza ragione , che come s fatte ricchezze crescono oltre il
bisogno delle permute, subito loro persuadono che colui sia pi beato che pi
ne possiede. Di qui avviene che per averne non si faccia veruno scrupolo di sa
crificare alla cupidigia la giustizia, l'umanit, l'onore-, ciocch a lungo andare
non pu che rovinare lo Stato. So che Mandeville crede, che per ritenerlo basti
la forza delle leggi civili. Ma ei non pare che voglia sapere che il danaro il
capo di Medusa, dinanzi al quale le leggi impallidiscono e impietriscousi.
. LXV1II. Ma sviluppiamo qui un punto che merita bene di esser consi
derato. In ogni Stato danaroso a misura che crescono i bisogni della corte (e vi
son sempre mille cagioni da farli crescere), crescono i debiti, e a quella mede
sima proporzione moltiplicansi i creditori. Questi creditori entrano nella classe
di coloro che vivono di rendite, con la quale aumentansi i debiti della corte.
. LXIX. Dove aumentansi le famiglie che vivono di rendite, se a quella
medesima proporzione non crescono le rendite dello Stalo, quella nazione va pre-
cipitevolmente decadendo. La ragion che coloro, i quali fanno valere i fondi
dello Stalo, cio l'agricoltura, le arti, il commercio, se scemano di numero ven
gono ogni giorno pi oppressi da nuovi riscuotimenli; sicch essi diventano men
forti nel loro corpo, e pi vili nel loro spirito.
. LXX. Supponiamo che nel nostro regno sieno gi 10,(100 famiglie di
gentiluomini viventi di rendite, e diamo a ciascuna 1,000 ducati l'anno; seguila
che lo Stato debba lor pagare dieci milioni di scudi l'anno. Se queste famiglie
negli stessi dati moltiplichinsi a 20,000, la nazione defaticanti sar nel debito
di 20 milioni, cio del duplo; e del quadruplo, se queste famiglie montino a
40,000. Allora dico, che se le rendite dell'arti non crescono con la medesima
proporzione dupla, tripla, quadrupla ecc., segua che la nazione defaticanti venga
pressa del duplo, del triplo, del quadruplo ecc. che non era gi. E di qui dee
avvenire, ch'ella scemi di corpo e di spirito nella proporzione de' pesi.
. LXXI. Nello stato delle conseguenze dell'antecedente articolo si vede chiaro
che in quella nazione debbono a tenore di quelle conseguenze venir meno le ren
dite, I. della corte; II. di tutti quei gentiluomini che vivono per le loro compre
o per i loro prestiti; III. degli ecclesiastici (1).
. LXX II. E da qui mi par che si possa dedurre che in quegli Stati, dove si
pu e quanto si pu, niun'operazione politica sia pi giovevole alla nazione e
al sovrano, quanto l'ammortamento dei debiti pubblici o la ricompra del venduto.
Problema diffcile; e considerando che gl'Inglesi quanto pi vi studiano pi se
ne distaccano, impossibile per certe nazioni (2).
$. LXXIII. Si vede di qui dunque assai chiaro, che le molte ricchezze anzi
i ^

(1) Questa una nuova prova della massima pi volte accennata, che la natura
non si pu burlare; e che il politico e il moralista, come violentano la natura,
CREDENDO b'ANDARE INNANZI TORNANO INDIETRO DONDE PARTIRONO.
(2) Come la potenza fsica della natura comincia a correre per un piano inclinato e con
forze acceleratrici, non vi pi forza morale bastante ad arrestarla. Bisogna che arrivi al
perfetto piano,
RAGIONAMENTO SULLE RICCHELZE. 301

di rendere pi grande e pi felice uno Stato, il fanno pi piccolo e pi infelice.


Conciossiach se la vera grandezza dipende dalle ricchezze primitive e la felicit
dalla sapienza e giustizia, alle quali cose fa la guerra il soverchio danaro, pu
esserci manifesto che il soverchio danaro indebolisce e infelicita una nazione.
Che il soverchio danaro nuoce a se stesso.

S. LXXIV. La ragione di questo che sembra paradosso a'meno intelligenti


primieramente, perchquel paese, dove il danaro cresce di soverchio, debbe averne
pi che non ne hanno molti altri vicini. E perch dove cresce il danaro cresce a
proporzione il prezzo relativo de'lavori e d'ogni fatica, e con ci delle derrate e
delle manifatture, seguita che questa nazione resti indietro alle altre nella prefe
renza, donde non pretenda ottenerla a forza di arme, metodo peggiore e desola
torio; fa dunque minore smercio; dond' ch'ella debba decadere nelle arti e nel
commercio. Questo distrugge le sorgenti medesime dell'oro e dell'argento, e la
nazione per averne soverchio vien prima a poco a poco ad averne meno, e poi,
rimasta indietro nel corpo del commercio e nella perfezione delle arti,pressoch
niente. Secondariamente diventandovi per la medesima cagione pi care le der
rate e le manifatture proprie, che non sono le straniere, ella sar inondata di
merci e derrate forestiere che potrannosi avere a miglior mercato. Or questo in
poco di tempo ne caver tutto l'oro e l'argento. Ambedue questi casi vidersi av
venire in Spagna.
S. LXXV. Ma perch queste ragioni meglio si capiscano facciamo un'ipotesi.
Supponiamo adunque che nel nostro regno il danaro cresca quattro volte pi che
non , e i lavori, le derrate, le manifatture non crescano che del doppio. Seguita
che dove ora il grano a 12 carlini il tomolo, allora vi sar a 24, e dove l'olio
a 10 ducati la soma vi sar poi a 20; e la seta di 20 carlini la libbra, coster
allora 4 ducati. Parimenti una botte di vino di 10 scudi si dovr vendere 20.
Tutte le altre cose avranno la medesima proporzione. Or di qui seguir debbono
due mali: 1 Che noi non vendiamo le nostre derrate e manifatture ai forestieri
in concorso di molte altre nazioni, le quali possono darle a minor prezzo; e che
perci, prendendo da essi checchessia, dobbiam pagare a contante. 2 Che i fo
restieri inondino il nostro paese di quei medesimi generi de'quali abbondiamo,
potendoli vendere a miglior mercato. Ed ecco come il soverchio danaro distrugge
Se SteSSO.
S. LXXVI. Ho udito dir taluni che quando il danaro sia in gran parte uscito
fuori, rimettendosi i prezzi al primo equilibrio, anzi discendendo di tanto, di
quanto mancher la copia del danaro, da s vi si produrr l'industria e il
commercio per le contrarie ragioni. Egli vero. Ma primieramente forza che
rovini la nazione, per poter quindi risorgere. E poi i gradi del risorgimento sono
pi lenti che quei del decadimento. Perch ella cade in breve tempo pel sover
chio danaro; ma non pu risorgere che in lungo, dovendo vincere l'ostacolo che
le fanno tutte le altre nazioni industriose e commercianti, che infraquesto mentre
le sono andate avanti.

Pratica dell'antecedente teoria.

S. LXXVII. dunque manifesto, che il soverchio danaro, e le TRoPPE nic


cHEzzE sEcoNDARIE non giovino gran fatto n alle persone, n alle famiglie, n
302 6ENOVESI,

agli Stati. Ma perch alcuno non istimi che io senza esserlo voglia parer cinico,
mi piace qui dimostrare alquanto pi partitamente fino a qual termine, cos per
una famiglia come per una repubblica, le ricchezze tanto primarie quanto secon
darie sieno da desiderare e procacciare.
S. LXXVIII. Francesco Bacone gran cancelliere d'Inghilterra nel 54 Discorso
di quelli che chiama interiora rerum e anco sermones fideles, nel quale ragiona
delle ricchezze, le paragona assai avvedutamente ai bagagli di un'armata. Or sic
come negli eserciti il bagaglio necessario, e pure non vuole esser pi grande di
quel che fa uopo, perciocch ritarda e impedisce la marcia senza niuna utilit,
medesimamente non sono da desiderare n da procacciare con soverchio stento
maggiori ricchezze, di quelle che necessitano ai veri bisogni della vita e che fanno
il vero comodo; perch dal soverchio non si ritrae altro vantaggio, fuorch le
moleste e noiose cure. Adunque il termine ragionevole delle ricchezze e di tutti i
beni di quaggi basso, dev'essere per appunto questo de'veri e reali comodi, non
quello degl'imaginari e fantastici (1).
S. LXXIX. Del resto, neppure agevole il definire i veri e reali comodi a
distinguersi dagl'imaginari e fantastici. Dopo l'origine delle civili societ questi
comodi son dove pi dove meno; perch i bisogni, o naturali o nati dalle citt
e dal vivere civile, sono diversi secondo i luoghi, i tempi, gli ordini delle persone,
la costituzione del governo, ecc. I bisogni animali sono in ogni uomo assai pochi;
ma molti i civili. Tuttavolta io stimo che in ogni Stato si possa ritrovare una
regola ragionevole da misurare i desideri e gli acquisti. Questa regola, secondo
me, procacciare una copia di beni sufficiente a' reali bisogni del proprio Stato,
perch non vi si viva n con istento, n con vergogna, e si prepari ai successori,
se hanno virt e giudizio, una facile e onesta via pe' gradi immediatamente supe
riori. Il pensar pi in l, oltrech mera pazzia, non giova neppure alle famiglie,
com' dimostrato.
S. LXXX. Il signor Mandeville si oppone a questa dottrina. La cupidigia
delle ricchezze, dic'egli, una forza che solletica e spinge gli uomini alla fatica
e alla ricerca di quei comodi de'quali tutti abbisogniamo, e tanto pi quanto noi
ci troviamo in una pi polita societ. Di qui seguita che se tu ti sforzerai di
svellerla o di comprimerla soverchiamente, renderai gli uomini immobili ed estin
guerai in essi ogni spirito d'industria. E nel vero, dic'egli, per la cupidigia av
viene che desiderando ciascuno di aver sempre il pi che pu de'beni della for
tuna, nascano nelle famiglie e con ci in tutto lo Stato delle grandi ricchezze. La
qual cupidit non cosi tosto sar repressa e disprezzato e fuggito il soverchio,
siccome gravissimo scomodo e anche male, gli uomini abbandoneranno ogni cul
tura e perci ogn'industria e diligenza; e diverranno a poco a poco barbari e
selvaggi. Eun paradosso, soggiunge egli, ma per vero: il nemico mortale della
fatica non l'infingardagine, ma bens il dispregio d'ogni comodo e politezza.
provato per la storia de'popoli selvaggi di tutti i climi. I Caraibi delle Antille
hanno del vigore di corpo e di spirito; essi intanto odiano ogni arte e mestiero,
Perch disprezzano ogni comodo. il medesimo de'Siberii.
(1) Questa non solo regola economica, na di Diceosina o sia di giustizia. Tutto
qua88iti in terra per jus di natura comune a tutti : e del comune niun pu giusta
mente prendere che quanto richiede il jus dell'esistenza e dei veri comodi. La natura
ignora il dritto di lusso
RAGIONAMENTO SULLE RICCHEZZE. 505

. LXXXI. Ot che diremo qui, che l'economia e la politica aleno contrarie


all'elle* e alle regole del buon costume ? Rispondo adunque che la cupidit non
da sterpare dell'intutto, siccome niuna altra passione primitiva; perch oltre
che tentarlo invano, pure se vi si potesse arrivare si spoglierebbe l'uomo di tutte
le molle sollecitatici ond' mosso. I savi dicono che la cupidit nell'uomo
come il vento in mare, le passioni come le vele, la ragione come il nocchiero e
il timoniere. Togliete ad una nave quelle vele, abbattete il vento ; voi le avrete
tolto ogni moto. Ma nondimeno quelle vele sono da essere regolate dalla ragione.
Alle volte si richiede averne molte, altre volte poche o nulla: abbandonarsi al
caso, aprir tutte le vele al vento voler scuotere il governo della ragione. Se voi
esaminate l'immensa copia de' mali che fa l'uomo all'uomo, ne troverete la
minor parte nascere dal bisogno e la massima dalla cupidigia. Come si potrebbe
dunque lasciar tutta la briglia ad una s sterminatrice passione, e chiamarla poi
il cornocopiaP
. 1XXXI1. E qui voglio avvertire che l'eccesso delle passioni, secondoch
disputano i filosofi, di due maniere, cio d'intensit e di estensione; e vale a
dire, o quando esse sono pi Intense e forti di quel che richieggono i nostri b^
sogni, o estese a pi oggetti che non necessario. L'uomo ha una specie di cir
conferenza di necessit e di bisogni. In questo spazio e dentro questo cerchio
debbono giuocare le molle delle nostre passioni. Quando adunque la cupidit non
oltrepassa questa tale circonferenza non che utile, e anco basta a mantenere
l'industria, l'arti, il commercio e la presente politezza de' popoli colti. Ma spl-
gnerla troppo in l, non solo ci pu caricare di tutti i mali che si son dimostrati
nel presente Discorso, ma rovinarci e spiantarci dai fondamenti. L'Inghilterra,
a chi considera a sangue freddo, ora una potenza che avendo allargate tutte
le vele della cupidigia corre con vento in poppa al suo fine.
. LXXXIII. Ma veggiamo se egli cosi facile a rinvenire una regola, almeno
in teoria, da fissare per uno Stato i termini di acquistar danaro. 11 danaro una
ricchezza secondaria, la cui forza eguale alla potenza rappresentalrice delle
ricchezze primitive : l'uso di far girare con pi prontezza le primitive. Pare
dunque a prima vista che uno Stato non dovesse pretendere di avere pi ricchezze
secondarie, di quel ch' il bisogno delle primitive. Ora il bisogno delle primitive
per una nazione che volesse vivere agiatamente, , secondo i climi, tra venti e qua
ranta scudi a testa. Poniamoci sui trenta a seguita che per una nazione che faccia
dieci milioni d'anime, il bisogno delle ricchezze primitive sia di 500 milioni (1),
e che il danaro non debba eccedere questi 500 milioni di ricchezze rappre
sentate.
$. LXXXIV. Ma questa copia di danaro sarebbe rovinosa e inutile. Se voi
date m danaro a tutte le persone dello Stato quel che loro bisogna, ognun*
vorr comprare e non vi sar chi venda; e questo distrugge lo Stato; che era il
primo punto. poi inutile, perch il giro del danaro o di quel che il rappresenti
(monete di carta) fa equivalente il poco al moltissimo, senza intanto distruggere
l'industria. Supponiamo che quella medesima .nazione di otto milioni di persone
(1) Gli abitantidell'isole Britanui che si calcolano ull'intorno di olio milioni; e si assi
cura che la moneta cos di metallo come di carta, che vi gira, supera 50 milioni di lire
lire sterline. Ma l'oro e l'argento mercanzia, non in oneta , sempre di molto pi che
non il monetato.
504 GENOVESI.

non abbia clic 50 milioni di danaro effettivo e cinquanta di carta, e che il giro
di questi 100 milioni di rappresentanti si faccia tre volte in un anno, quei 50
milioni equivalerebbero a 500 e vi farebbero l'istesso effetto: e perch cinque
sesti della nazione non avrebbero danaro alcuno effettivo che nella potenza delle
arti, essi per ridurre una tal potenza nell'atto del possesso sarebbero industriosi
e diligenti ad accumular ricchezze primitive. Anzi se questa nazione non avesse
che 25 milioni in oro e in argento monetato, e 25 altri in carte, dove questi
potessero girare sei volte l'anno, farebbero il medesimo che quei trecento, quanto
alla facilit delle permute; e lasciando undici dodicesime parti nella mancanza
del danaro reale, nove o dieci di queste undici parti si dovrebbero rivolgere a
quei mestieri che dessero delle ricchezze primitive attraenti delle secondarie, non
potendo entrare ne' mestieri pi nobili. Questo calcolo d ad ogni Stato il vero
termine di accumulare oro e argento.
$. LXXXV. Torno alle particolari famiglie. Quei che sono straricchi, o non
hanno eredi delle loro ricchezze, il pi bell'uso e savio ch'essi ne possano fare a
tenore della legge di natura e de' primi palli degli uomini che vivono in societ,
senza dubbio quello di beneOcare la sua patria in quelle cose che mantengono
in vigore l'arti e la virt. I monumenti di pompa e di fasto, i quali non giovano
alla vera felicit de' popoli, hanno pi di vanit che di reale virt-, o se debbono
aver qualche luogo, egli dopo essersi pensalo al sodo. una maraviglia che
fra tutti gli amici e gli eredi de' ricchi non si conti che di rado la patria, ancor
ch secondo i primi patti del genere umano dove mancano gli eredi legittimi,
niuno sia pi necessario e suo quanto la patria. So che alcuni vi pensano, ma
assai male, studiandosi per ignoranza de' veri comodi e beni di promuovere, an
zich la vera virt, l'industria e l'arti, un certo genere d'infingardaggine, nemico
capitale della vita umana e del costume, o un lusso che abbarbaglia n non giova.
L'Europa, tranne molti popoli Italiani, tutta ora rivolta alle societ delle arti e
delle vere e sode cognizioni scientiDche. Non dico i Francesi e gl'Inglesi, ma i
Moscoviti, gli Svezzesi, i Danesi, i Prussiani, e gran parte de'Tedeschi sono gi
rivenuti dalle grottesche, vane, ridicole e anzi crudeli idee de' secoli andati, e ora
vanno rivenendo i Portoghesi e gli Spagnuoli (1). Quando riverremo noi ?

CONCLUSIONE DI QUESTI ELEMENTI.

. I. Ma qui il tempo ci sforza a por Dne a queste nostre Economiche Lezioni.


E ancorch elle sieno per avventura poche e rozze, n assai digerite, nondimeno
si pu quindi agevolmente giudicare se quel che sin dal principio dicemmo,
esser questa una delle pi nobili e pi utili scienze e degna dello studio di ogni
cittadino, sia o no vero. Dopo l'etica, scienza dell'interno costume e dei nostri
doveri, niente da riputarsi pi importante, quanto il conoscere come possiamo

(i) Mi si dilata il cuore quando considero, che da pochi anni in qua odonsi rimbom
bare in Spagna certe' societ da far onore al genere umano: societ degli amici della
PATRIA SOCIET DI AGRICOLTORI SOCIET DI ARTI SOCIET DI N0T0MIA E CHI
RURGIA societ di storia naturale. Quali sono le nostre sociel letterarie? so
ciet di casi forensi societ di casi morali. 0 staiti et tardi corde'.
CONCLUSIONE DI QUESTI ELEMENTI. 305

nella civile societ vivere da savi e con utilit nostra e degli altri. Ma in che modo
farlo senza conoscere i corpi politici e le loro origini, i loro fondamenti, i vincoli,
le molle motrici, il fine, e ci che veramente lor giova o nuoce? E' mi pare di
aver veduto nella storia del genere umano, che gli uomini assaissime volte pec
cano per ignoranza e poche per malvagit (1).
. II. La societ civile figlia del mutuo bisogno e del reciproco timore.
Ella un corpo composto di diversi altri corpicelli di persone, come produttrici
delle cose necessarie al vivere, miglioratori, distributori dei beni, difensori, edu
catori, governanti, e (poich si venuto negli agi e nelle ricchezze) di fuci, go
denti e consumanti nell'ozio. La prima classe contiene i cacciatori, i pescatori,
gli agricoltori, i pastori, i cavatori de'metalli e tutti i manifattori delle materie
prime, fabbri, falegnami, filatori, tessitori, ecc. ecc. Importa che questa classe
sia non solo la pi grande eh' possibile, ma ben istruita e animata; perch ella
la base della piramide dello Stato, secondo un detto del cavalier Tempie, n
pu impiccolire senza timor di rovina. Ne'paesi ragazzeschi, dove si studia molto
in imparare e crivellar parole, molto in idee astratte e vote, e poco in esperienze
e meccanica; dove le scuole sono ancora tante grotte di Trofonio che stupefanno;
dove non si riconoscono altri templi che quei della poltroneria e stolta volutt :
in questi paesi, dico, queste arti adorabili non saranno mai n ben conosciute,
n ben animate, n vi si vedr mai il volto della vera opulenza.
5- III. La seconda classe, cio i conservatori de'beni e i distributori, sono i
negozianti, una sorta di canali che danno dello scolo a'prodotti e animano i pro
duttori. Se essi sono troppo pochi s'illanguidisce l'industria, e non facile che
non sieno de'gran monopolisti ; se pi del necessario, spopolano la prima classe.
Ma non da temere il troppo dove si lascia far la natura dell'interesse; perch
questa natura come una pianta, la quale bench fiorisca pi in l di quel che
pu nutrire, tuttavolta non porter mai a maturit pi frutti che il suo succo non
comporta; e se li porta, vengono lutti piccoli e acerbi. Ben si pu temer del poco,,
dove il traffico venga ad esser soverchiamente premuto: la libert non ne gene
rer che quanti ve ne pu vivere.
$. IV. L'anima di quest'arti e professioni, sostegno della pubblica opulenza
e tranquillit, la legittima libert e la buona fede. Ogni cittadino sa eh' ob
bligato a conservar il jus pubblico sostenitore del corpo politico; ch'egli ha ce
duto ad una parte del jus privato naturale per crear questo jus pubblico. Adun
que ogni cittadino, purch non sia pazzo, adora il jus pubblico cio la maest
del governo, l'autorit della magistratura, la divinit del culto religioso e la san
tit del sacerdozio. Paga dunque con tutto il suo piacere una porzione de' suoi
privati diritti pel sostentamento de' pubblici. Egli non si sente n oppresso n
schiavo, finch sa che la sua fatica assoggettata al peso del jus pubblico. Ma
come si va pi in l e incomincia a sentire che i suoi, despoti sono infiniti, la
maggior parte de' quali non ha jus di esserlo; che non gli si lascia la libert di

(I) Quando si pecca per malvagit, si pecca per false passioni ; ma chiaro che. tulle-
le false passioni son figlie o dell'ignoranza o del guasto costume, allievo anch'esso dell'I
gnoranza. E dove si oppone che v'ha delle passioni che sono impeli di natura, che de-
stansi per urti simpalici o antipatici di ci che ci d'intorno, non si guarda che s'oppone
la stolidezza di certi temperamenti e l'indisciplinatezza, che vale il medesimo che la roz>
zezza e l'ignoranza.
Econom. Tomo III. 20.
."(Mi GENOVESI.

impiegar lo sue forze nella maniera pi ulile per lui e pel pubblico; che non gli
Lorna altro dalle sue fatiche che stento e miseria : egli s'invilisce e intristisce, e
anzi di conferire al ben dello Stato, si d a fargli tutto il male possibile.
. V. Ma non meno importante, ch'anzi pi, che il costume sia quanto pi
si pu savio e illibato, e la fede, prinoipalmente la pubblica, inviolabile. A que
sto conferisce grandissimamente l'educazione: la sol'arte che modella e forma
la massa cruda degli uomini che ci d la natura. La prima educazione la do
mestica, ed la sola tra i popoli selvaggi; ma ne' popoli viventi in compagnie e
sotto d'un reggimento vi ha un'educazione civile, ch' quella delle leggi. E per
ch questa dappertutto di maggior forza della domestica, l'educazione domestica
si livella sempre sulla civile e sui pubblici pregiudizi. Dond' ch'io stimo, che
niuno studio sia pi degno de' sovrani e dei loro savi e accorti ministri, quanto
quello del pubblico costume, de' pregiudizi dominatori e delle cagioni che ve li
producono e alimentano, per potere a tempo riparare a'nocevoli. Ma perch l'in
teresse e la cupidit guasta tutto, non si vuol far fondamento sulle sole regole
morali, ma da Gdarsi mollo sul meccanico che ci scuote pi che il morale. E
primamente, dove il costume guasto non da lasciarsi vigor nessuno alle pri
vate scritture, ma da regolar tutto con monumenti pubblici, ne' quali men
pericolo di frode. Tutto era in garbuglio e mala fede in Europa prima che vi
fossero de' pubblici notai. E perch anche in questi santi templi di Temi osa ar
dimentosamente mettere il piede la falsit e la perfidia, e'bisogna far uso di pene
pronte e severe. Non dee essere condiscendenza ne'mali che attaccano la sostanza
del corpo politico. Il ripeto. L'imperatore Federico II, uno de' pi grandi legisla
tori de' tempi passati, nelle Costituzioni di questi regni (lib. ih, tit. 49) savia
mente decreta, che ne' peccati di mala fede in ogni arte e mestiero si punisca il
reo la prima volta in pena pecuniaria, o se sia povero con la frusta : la seconda
col taglio della destra: la terza colla forca. Legge bella e.necessaria. Ma ricor
diamoci qui d'una legge di Carlo II d'Angi: nihi/ prosunt constitutiones et sta-
Ma edita, nisi debita execulio subsequalur.
. VI. La terza classe contiene le milizie, i filaci, custodi del corpo politico,
e i cani guardiani della greggia, come con bella e acconcia metafora li chiama
Platone. Servono a mantenere l'interna pace e l'esterno rispetto e sicurt. La
loro oopia vuol essere proporzionata alla grandezza e a' bisogni dello Stato, e la
disciplina santa e severa. La moda di avere de'grandi eserciti anche in pace
rovinevole alla repubblica, dove le ordinarie rendite non bastano; ma se bastano,
dee considerarsi come un'arte e quivi utile, perch si pu impiegare tutta la na
zione in altre pi utili. Ma non meno da considerare a due punti: I. Che i
grandi e formidabili eserciti non sono gi i pi numerosi, ma i meglio discipli
nati e i meglio animati. La disciplina dunque militare vuol esser continua e
rigida; e la soldatesca non sar mai ben animata, senza ch'ella abbia parte agli
onori civili in tempo di pace e convenevoli premi in pace e in guerra. II. Che le
milizie mal disciplinate, anzi di far la fermezza della repubblica, ne fanno la pi
formidabile cagione disciogliente e rovinante. Non si trover di leggieri nella
storia umana che sieno rovinati i grandi regni che per tre sole cagioni, ma pi
per le due ultime che per la prima ; 1 Per forza esterna irresistibile; 2 Per forza
iniqua delle proprie milizie; 5 Per 'debolezza delle medesime nascente dall'indi
sciplinatezza.
CONCLUSIONE DI QUESTI ELEMENTI. 507

S.VII. La politezza necessaria ad ogni corpo politico; e perci l'educazione


cos letteraria come religiosa. I sacerdoti adunque, cio i pastori spirituali, le
scuole di lettere, le scuole d'arti sono a questo fine stabilite. Dove non ve n'ha i
popoli sono barbari: dove ve n'ha poche,sono rozzi: ma se sono soverchie,gua
stano, fanno de'poltroni, rodono e spopolano (1). cosa di pessime conseguenze
esservi nello Stato de'corpi di persone che non esercitano alcun utile mestiero.
Gl'infingardi son condannati dalla legge di natura, e debbono per ci esserlo dalla
civile.
S, VIII. I gentiluomini sono ornamento del corpo politico; ma niun orna
mento non fu mai stimato che non fosse di qualche valore e utilit. Per li primi
patti di societ civile il basso popolo ha un diritto di esser illuminato eprotetto
da coloro, i quali in quello si distinguono: la nobilt non ha altra origine che
queste due. Ma quando i nobili cominciano a persuadersi di essere al di sopra
dell'umana condizione, riguarderanno i comuni come bestie da soma o da sacri
fici; allora tutto sar o in confusione e guerra sorda, o in orrido squallore. E
quando si dice, la gente bassa non conosce gentilezza, vero di quella gentilezza
che ha aria di stolido dispotismo; ma niente poi pi falso di quella gentilezza
che spira carit, istruzione,utilit. Tutti i popoli per istinto della natura mede
sima adorano il vero sapere, la virt, l'arti; e per l'istesso istinto odiano la
pressione, la furberia, l'aria disprezzante e insolente.
S. IX. Non vi debb'essere un gentiluomo, secolare o ecclesiastico che sia, il
quale dica, io son nato per non far nulla; perch questo oltrech una vergo
gnosa e biasimevole massima, e come degradante la maschia virt dell'uomo,
iniqua e omicida della vita. La fatica la nutrice della macchina animale,Vide
ut vitium capiant, ni moveantur aquae: il solo rimedio contro la noia; donde
che gl'infingardi, che si abbandonano all'ozio o a sedentanei e putridi giuochi,
son nemici capitali della vera e soda loro felicit. Ma non men vero che l'ozio
sit, in chi pu impiegarsi a qualche cosa di utile, sia iniqua in quei che vivono
uniti in un corpo compagnevole; perch i patti originari tra eguali non hanno
potuto n possono essere, una parte di noi goda senza pur muovere un dito,
l'altra fatichi. Su qual diritto avrebbero potuto i primi pretendere una s stolta
immunit e s ripugnante alla legge del mondo? Dunque, ecclesiastico che sia o
secolare, un gentiluomo dee sapere di esser per tutte le leggi obbligato ad un
qualche genere di fatica, che nell'istesso tempo il sollevi e ricrei e giovi agli altri
con cui vive. Non odo chi dice, mi son dato alla vita contemplativa; perch,
gli dir, voi potete essere contemplativo e attivo insieme. Che ripugna? E certo
i compagni di S. Basilio, quei di S. Pacomio, quei di S. Benedetto ecc. ecc. erano
l'uno e l'altro insieme. Un puro contemplatore non deve aver corpo n bisogni
corporei; e se n'ha, che contempli pure, ma che fatichi in quel che giova a quei
bisogni.
S.X. Io non contendo perch un gentiluomo ponga la mano all'aratro, alla
vanga, al fuso, che faccia il pastore, il pescatore, il fabbro ecc., ancorch io sap
pia che ci si faceva nei tempi pi semplici da'sovrani medesimi, dalle princi
(1) il caso de' frati. Finch furono fuori delle citt, romiti poveri, viventi dclle loro
fetiche, furono l'edificazione del pubblico. Come divennero soverchi, entrarono nelle
citt e nella chiesa, e vennero possessori d'immense ricchezze, e perci in gran parte
oziosi, cominciarono ne' chiostri tutte le cabale cortigiane e nel pubblico gli scandali.
508 GENOVESI,

pesse, da' patriarchi ecc. Senza far questo v' molto sempre a fare per viver con
minor noia e sollevare il peso di coloro che faticano per noi. Un gentiluomo ec
clesiastico, dove voglia deporre l'alterigia e non recarsi ad indegnit di accomu
narsi col suo corpo in ci ch' giusto e onesto, pu nell'istesso tempo far da
catechista, da sacrificatore, da pastore e da maestro di quei mestieri che servono
a ben vivere. L'accademia de georgofili di Firenze di ci un giusto modello;
ella in gran parte composta di ecclesiastici. Un secolare servir alla patria
nella milizia e studier la geometria, le meccaniche, l'architettura militare, la
tattica, la nautica ecc., occupazioni grandi e utili: servir nelforo e si dar agli
studi della storia civile, del jus dei popoli, delle leggi romane, delle leggi del
proprio paese, alla filosofia de'costumi, all'eloquenza. Pu essere un gran giu
reconsulto filosofo e un gran magistrato, il quale con i suoi consigli giovi in
pace e in guerra (1). Si applicher alle scienze fisiche e mediche: studier la
storia della natura, analizzer la forza de'semplici e de'minerali: scriver la sto
ria de'morbi e delle cure: illuminer con libri volgari e piani il pubblico in ci
che concerne la vita e la sanit; e questo un faticare per sostener le fatiche
che sostengono la nostra vita. Dove non gli piaccia di astringersi ad alcuna di
queste professioni, studier l'agricoltura, le macchine agrarie, il giardinaggio,
l'ortaggio, l'arte di ben nutrire gli animali utili, e con queste arti veglier a'suoi
poderi, dar esempi e consigli, aiuter i coltivatori e gli artisti (2). Volete che
vi dica quali sono l'arti che disdicono ad un gentiluomo e'l disonorano? La pol
troneria, la deboscia, i giuochi poltroni, la guapperia.
S. XI. ll sovrano presiede a questo corpo, come Dio alle citt dell'universo.
Egli suddito del sovrano del mondo; ma moderatore, protettore e vindice
dei diritti di ciascuno e di tutto il corpo. Egli , dice magnanimamente l'impe
ratore Federico,padre e figlio,padrone e servo della legge. Gli si dee dunque da
tutti rispetto e timorfigliale. Uno in ogni corpo politico l'imperio, e tutti i cit
tadini son sudditi. L'esentarsene sotto qualunque titolo rivolta. dunque igno
ranza della vera politica e del catechismo cristiano la pretensione di certi casisti,
di essere indipendenti dal governo dello Stato donde son cittadini. un contrad
dittorio, cittadino e indipendente: una ribellione dalla legge cristiana, eccle
siastico non riconoscente il governo della repubblica. Ogni anima (dice s. Paolo)
sia soggetta alla potest (cio alla sovranit); e questo, perch la sovranit
(1) Quei piccoli assedianti del foro, il cui cerchio d'intelligenza non mai maggiore de'
pochi palmi che comprendono le particolari specie o casi forensi, e i quali non veggono
n potrebbero vedere il rapporto de' particolari casi e de' diritti personali col jus pub
blico e col fine di tutto il jus privato e pubblico, salus publica, e i quali perci non ba
dano che al loro presente guadagno, questi sono gl'insetti corroditori dello Stato e il pi
grande ostacolo alle leggi generali del bengenerale. Qual l'essenza di un magistrato,
domanda Platone? E quella di esser filosofo; ma filosofo di cose, non di parole, e non
ricamatore di penne, di chimere. --- --- -

(2) Conosco molti de' gran nobili che fanno fra noi onore alla nobilt e a'nostri tempi,
impiegando i loro talenti e le ricchezze in giovamento del pubblico tra' quali meritano
distinta memoria il duca di Sora, a cui dobbiamo le belle manifatture di S. Arpino; il
principe di Piedimonte, ristauratore delle manifatture di quel paese; il principe di S. Se
vero, famoso per mille bellissime invenzioni chimiche e tattiche; il principe di S. An
gelo Imperiale, il principe di Miano, il conte di Conversano, impegnati a sollevare e
migliorare l'agricoltura, le praterie artificiali e il giardinaggio. N vorrei omettere di
far quell'onore che per me si pu a tre miei grandi amici, monsig. Orlandi vescovo
di Molfetta, D. Filippo Celentano, uno de' grandi e studiosi georgofili, D. Niccol Pa
cifico, gloria di tutta la botanica,
--- --- --- --- --- - - - -

CONCLUSIONE DI QUESTI ELEMENTI. 509

essendo nell'ordine dell'universo, ordine piantato e mantenuto dalla destra di Dio,


sarebbe un ribellarsi da Dio l'opporsi alla sovranit.
S, XII. Chi dice un corpo politico, dice un corpo di tubi comunicanti. Non
v' societ dove non comunicazione. Le famiglie si sostengono scambievolmente
l'une l'altre, e tutte insieme sostengono la sovranit appunto per questa comu
nicazione. Tagliate i canali di comunicazione e avrete non un corpo associato,
ma una moltitudine di selvaggi sparsi, erranti, senza leggi, senza capo, divoranti
gli uni gli altri. un gran palazzo disciolto in minuti calcinacci.
S. XIII. I canali di comunicazione sono altri fisici e altri morali. Le strade
sode,facili, sicure: i fiumi e gli scavi da traghettare: le macchine trattorie: e se
vi ha mare, i porti, la meccanica delle navi, la sicurezza della navigazione, sono
i primi. Quanti pi questi canali di comunicazione sono in numero e quanto
meglio in bont e in sicurezza, tanto la comunione delle parti dello Stato fia pi
grande e pi stretta, e'l corpo tutto pi florido e pi vigoroso.
S. XIV. Ma si richiedono de'canali morali. La pi bella, ampia, soda strada,
la via Appia, la via Valeria, se fia infestata dalla PAURA, dalla scHIAv1T, dalla
RABBIA, dall'AvANIA, dalla PENITENzA, dalla MusERIA, non vi vedrete pure le
fiere trapassare. Allora perduta la comunicazione. Volete industria, arti, con
tratti, traffico, comodit, ricchezze? Allargate le vie, per cui vivono e per cui
trascorrono per tutto il corpo questi beni. Ostruite le arterie del corpo animale,
non si pu pi vivere. Ora per allargar queste vie e' non si vuol pensare come i
Caraibi, di cui scrive il signor de la Borde che non pensano mai al domani; e'
si vuol pensare a domani, all'anno venturo, ai venturi lustri e secoli.
S. XV. Per far girare le derrate e le manifatture, animare un poco l'appetito
del comodo e con ci la diligenza e l'arti nutrici delle famiglie di tutto il corpo,
si richiede scoLo e DANARo. Lo scolo il commercio coll'altre nazioni. Questo
commercio debb'esser schiavo da una faccia e libero dall'altra. E'debb'esser servo
della gran legge d'ogni nazione, salus publica. Non dee esser lecito a'commer
cianti n estrarre tutto, n introdur tutto, n senza regola. Ogni estrazione che
indebolisce l'industria rea di maest, e ogni importazione che nuoce alle arti
domestiche distrugge lo Stato; ogni merce, ogni contratto, ogni traffico che viola
la fede pubblica, rovina la nazione. La legge economica dee fissar questi termini.
Ma dee poi il commercio esser libero nelle estrazioni delle manifatture e di quelle
derrate che soverchiano, e anche tanto leggiero che non possa il pi. Allora lo
scolo anima e arricchisce i popoli e i sovrani.
S. XVI. Il danaro l'olio del carro del traffico; dunque il traffico un carro:
bisogna ungerlo perch corra. Quando erano pochi i carri del traffico si richie
deva poca unzione; or che son molti se ne richiede di pi. Gli assi di questi
carri non girano senza danaro: ma se il danaro troppo, sar un diluvio d'un
tume che arresta ogni moto. Si vorrebbero ridur le persone e i popoli ad udire
un poco pi, che non par che fanno, la voce della ragione che nasce dai veri
comodi, e non lasciarsi ammaliare dalle fantasie. Ma chi ammalia le fantasie?
Quelli che dovrebbero rischiararle.
S. XVII. Ed ecco l'idea di quest'opera. Se affisseremo gli occhi a s belle ed
utili verit, studieremo non per pedantesca vanit, n per superbia di signoreg
giare agl'ignoranti o per malvagit d'aggirarli, ma per secondare la legge del mo
deratore del mondo, che ci comanda d'ingegnarci di essere gli uni utili agli altri.
RAGIONAMENTO
SUL COMMERCIO IN GENERALE. H)

Si-
Scienza del commercio.

Molti di coloro, che hanno udito parlare di questa nostra cattedra di com
mercio (2), si sono dati buonamente a credere, che il professore di questa colale
scienza dovesse insegnare ai mercanti l'arte di mercatare, il conteggio, la scrit
tura, la pratica de'cambi, la storia delle mercanzie e altre tali cose, che sono
per altro utili e necessarie a sapersi da coloro che vogliono la mercatura eserci
tare, ma che vogliono avere altra scuola che non sono quelle che si convengono
alla maest delle pubbliche accademie. Per costoro disingannare da avvertire,
che non sono la medesima cosa la scienza politica del commercio e la pratica
della mercatura. Quella risguarda coloro che sono al governo de'popoli proposti,
e questa quei che trafficano; quella ha per oggetto tutta la nazione, e questa mira
ai soli privati interessi ; quella tutta quanta la scienza economica degli Stati, e
questa una parte della privata economia della famiglia; quella finalmente sotto
s comprende tutte le arti e i mestieri per i quali la popolazione, la ricchezza, la
forza e potenza e la felicit dello Stato si cerca, e questa alcune poche di quelle
che servono a procurare alle famiglie ricchezza e grandezza.

(1) Di questo Ragionamento si omesso il preambolo ed alcuni incidenti nel seguito del
testo, che ne diminuivano l'interesse, rendendone soverchia la prolissit. Nel rimanenti
l'esposizione dell'Autore fu scrupolosamente rispettata (Nota del Custodi).
(2) a proposito di questa cattedra, che nel preambolo del presente Ragionamento,
da noi tralasciato, si diceva dall'Autore la sola notizia della fondazione di essa, e il
solo sentirsi dire che vi sia un'arte e una scienza del commercio, ha di tanta cu-
riosit gli studiosi della nostra nazione riempiuti, che n' nato questo primo e gran
fe dissimo bene , che si sono moltissimi messi a ricercare de' libri di questa scienza,
e gli hanno letti e leggonli tuttavia con calore e attenzione, in modo che i nostri
librai, e principalmente i Francesi, non possono quasi attendere a farne continuamente
venire, e per quanti ne capitino, sono non pertanto sempre molti che si lagnano di non
essercene abbastanza. Parlando poi del fondatore della detta cattedra, l'ottimo Bar
tolomeo Intieri continua cosi : Ma l'Autore gli ha oltre a ci delle particolari obbli
gazioni, che niun tempo, niuna o avversa o prospera fortuna, niun cambiamento
delle umane volont, niuna n irragionevole n ragionevole passione non gli potr
giammai fare dimenticare, e le quali egli per segno della sua costante gratitudine
vuole che siano a tutto il mondo note. Imperciocch oltre all'essere stato fatto par-
tecipe della sua preziosa amicizia, e l'essere stato da lui alla professione della nuova
cattedra chiamato, e ad altri benelcj ricevutine che Ha lungo annoverare, l'obbligo
pi grande e a niun altro comparabile, che si protesta di tenergli, l'aver da lui
ricevute le prime e le pi belle cognizioni di questa scienza , e tra per li suoi in
segnamenti, e per gli slimoli e sollecitudine paterna che gliene ha continuamente
data, avere intrapreso questi studj e proseguitili con quel piacere e soddisfazione, che
da niun altro non ha giammai ricevuto . (Idem).
SUL COMMERCIO IN GENERALE. 511

Parti e fini della scienza del commercio.


Proponendosi adunque la scienza del commercio e dell'economia la soluzione
di questi quattro gran problemi; /. avere la massima possibile popolazione:
II. il massimo possibile de' comodi: III. la massima possibile ricchezza: IV. e
la massi?na possibile potenza; ella vi procede con un ordine di verit, parte
tratte dall'universale ragione degli uomini, parte dalla storia e dalla sperienza,
e parte da queste prime dedotte, le quali verit bene e ordinatamente fra esse
loro legate, e con molte conseguenze pratiche concatenate, la scienza economica
o sia del commercio, comech piaccia chiamarla, costituiscono. E perch non si
creda da taluni poco ragionanti, che non sieno queste ch'io qui smaltisco che
idee platoniche, non essendomi in un Ragionamento altro permesso, mi studier
non altrimenti che i geograO si facciano di abbozzare in poca carta questa am
plissima materia.
E primamente io dico, che i fini dell'economia politica non sieno pi che
due: I. popolazione; II. comodi, ricchezza e potenza. Dunque la scienza politica
del commercio ne abbraccia due, distinte veramente fra esse loro, ma che sono
da congiungersi perch non formino che un sol corpo; e queste due sono: I. la
scienza di avere nello Stato il massimo possibile numero di cittadini; li. la
scienza di far si ch'essi sieno il pi che si pu agiati, e che abbiano la massima
possibile ricchezza e la massima possibile potenza, donde nasce la massima pos
sibile ricchezza e potenza del sovrano. Imperocch sebbene taluni hanno ristretta
l'arte del commercio alla seconda solamente, ossia ai precetti di rendere la nazione
il pi che sia possibile agiata e ricca, nondimeno essi medesimi in trattando
questa parte hanno per esperienza conosciuto non si potere ella dalla prima sepa-
rare; perch non possibile che voi abbiate la massima possibile comodit, sic-
bozza e potenza senza che abbiate la massima possibile popolazione, n la po
polazione senza le tre prime. E puossi con verit dire che quasi tutti i mali che
avvengono ad uno Stato civile, tranne quei che il corso delle naturali cagioni
apportano, tutti, dico, nascono dal voler separare queste due cose e studiarsi d
aver l'una senza l'altra, come fia chiaro a coloro che anche di leggieri vi riflettono

8- "I.
Primo fine dell'economia politica, aumento della popolazione.
. Ora due essendo, com' detto, i fini dell'economia politica e due perci le
scienze ch'ella abbraccia, la prima e principale quella d sapere come e per quai
mezzi rendere la nazione pi popolosa che sia possibile; perch quando ella Da
tale, colui che n' sovrano avr anch'egli la massima possibile ricchezza e po
tenza, e saranno maggiori que'beni onde nasce la naturale felicit degli uomini,
e pi grandi le forze da ribattere i mali che sogliono ai popoli sopravvenire. Pri
mamente perch, siccome se la forza e ricchezza d'un padre di famiglia sia tutta
quanta posta nella copia delle gregge ch'egli possiede, ella sar la massima pos
sbile come egli avr il massimo possibile numero di pecore, cosi quei tra' sovrani,
poste tutte l'altre cose eguali, sono i pi ricchi e i pi potenti, che in un'eguale
312 GENOVESI.

estensione di terra a maggior numero di uomini signoreggiano. E certo il re di


Francia per esempio con diciassette milioni di sudditi , quanto a questa cagione,
pi ricco e pi potente che un sovrano chichessia, che avesse in una eguale
estensione di paese un minor numero di sudditi. E poi essendo, come detto,
fine comune di tutte le parti dell'economia la felicit de' popoli, cio il vivere il
pi sicuramente e agiatamente che sia possibile, e il meno che si pu esposti ai
mali cosi fisici come morali che la natura nostra accompagnano indivisibilmente,
questa felicit qualunque non pu ottenersi, se quei che formano un corpo poli
tico non sieno, rispettivamente alle terre che abitano, pi che si pu.
Io non disconvengo che uno Stato, per estensione di paese pi vasto assai di
quello che possa da un solo occhio reggersi, non sia tanto pi debole quanto le
sue parti sono le une dalle altre e tutte insieme dal comune centro distaccate;
ma bens dico, che in un paese d'una estensione rispettivamente cos alla forza
del governo, come agli altri circonvicini, n molto grande n troppo piccola, la
forza e potenza nasca primamente dall'avere il massimo possibile numero di
abitanti, e la sua debolezza dall'averne meno di quello che potrebbe sostentare.

. IV.
Mezzi da aumentare la popolazione.
Le quali cose essendo cos come le ho dichiarate, e mostrandosi ci vero
non solo per astratti ragionamenti, ma eziandio per la storia delle nazioni, indi
segue che le prime e le pi serie cure dei pastori degli uomini, non solo a ca
gione de' comuni, ma de'proprii vantaggi eziandio, si vogliano essere quelle di
aumentare, il pi che per essi e per le cagioni naturali si pu, il numero degli
uomini che quella cotale nazione compongono, alla quale signoreggiano. Ora a
ci fare vi ha due vie, delle quali una sbarbicare quanto egli si pu le cagioni
spopolatrici cos fisiche come morali, e l'altra di mettere in uso e continuamente
rinvigorire le cagioni aumentatrici della razza umana. Ecco le cagioni che popo
lano un paese.
I. Il terreno fertile e atto a sostentare numerose famiglie perch come quei
boschi sono pi di cacciagioni abbondanti ne' quali pi copioso cibo, cos or
dinariamente quei paesi sono pi popolati, ove il terreno pi abbondantemente
somministra le derrate e le materie al vivere necessarie. E dico ordinariamente
volendo intendere, purch altre cagioni o fisiche o morali non lo spopolino : e
ci da intendersi in ciascuno degli altri casi che a questo seguono.
II. Il clima e l'aria salutevole : perch ivi gli uomini sono pi sani e pi
lungo tempo vivono e pi generano, che ne' non sani climi; ond' che ivi pi
copiosamente la razza umana si viene a moltiplicare.
III. L'agricoltura: perocch ella sola impiega pi famiglie che tutti gli altri
mestieri insieme, e perch moltiplica le derrate e le materie necessarie al mante
nimento degli uomini, e conseguentemente agevola le nozze e con ci aumenta
la generazione umana.
IV. Le manifatture: conciossiach diano dell'occupazione a molti e perci
de'mezzi da vivere, senza i quali non si pu la razza umana aumentare.
V. Il commercio: primieramente perch impiega molti, i quali non trove
rebbero altrimenti modo da vivere, e poi perch promovendo la circolazione delle
SUL COMMERCIO IN GENERALE. 515
derrate e delle manifatture ne aumenta altres il consumo; e questo d nuovo
moto all'agricoltura e alle arti, onde nascono e crescono le materie da sostentar
la vita umana, e da impiegare e per tal modo far vivere moltissime famiglie.
VI. La pesca e la navigazione: poich aumentano i mezzi di occupar la gente
e da procacciarsi da vivere.
VIII. L'allettamento alle nozze con premi, franchigie, onori ecc. Imperocch
chiaro che le sole nozze sono la sorgente onde gli uomini produconsi e molti
plicansi; donde segue che ivi pi copiosamente essi nascano, ove maggiore il
numero delle nozze, perciocch la venere vaga e ferina per mille e mille maniere
disperde i frutti delle umane congiunzioni.
VIII. La severa osservanza delle leggi: perch le leggi ci difendono dalla vio
lenza e dalla frode dei malvagi, e cos mettono in sicuro la vita, l'onore e i beni
nostri; ond' che ivi si vive meglio, ove pi severamente le leggi sono osservate,
sotto le quali sono i grandi eguali ai piccoli e i savi agli ignoranti e i ricchi ai
poveri, e i malvagi non hanno vantaggio nessuno sopra de'buoni; e questa
uguaglianza di vita civile vi alletta a volervi vivere, e dove si vive meglio, poste
tutte l'altre cose eguali, ivi molti amano di essere.
IX. La sapienza e la dolcezza del governo civile: perch ella gran cagione da
farci vivere colla maggiorfelicit che in terra e nelle civili societ si pu avere;
e dove ci sia, ivi la folla degli uomini maggiore; perciocch niuno non vi ab
borre dalle nozze, niuno non vi abbandona la patria, e i forestieri vi son tratti e
vi restano con piacere.
X. La buona e savia educazione, e massimamente per quello che risguarda
alla morale onde nasce il costume corretto e santo: perocch coloro, che sono
in questa guisa culti e di santi costumi forniti, hanno pi sapere e pi forza a
frenare la dissolutezza delle passioni tutte, e principalmente della venere e dell'ira
stolta e feroce; la prima delle quali, come il costume fia dissoluto, cagiona ab
borrimento dalle nozze; e la seconda, irragionevoli odi e ammazzamenti barbari
e incendi e guerre, che son cagioni distruggitrici della generazione umana. Del
che questo grave argomento, che pel presente costume,forse pi libero di quello
che a culti popoli si conviene, le nozze sieno oggi in Europa pi rade e pi rada
la popolazione; perch dove possono aversi tutti i piaceri delle nozze, senza i pesi
che le accompagnano, non vi saranno che gli uomini di corretto costume che
vogliano piuttosto annodarsi che la vaga e ferina venere seguitare. E quando gli
uomini sono stolti e selvatichi, non fia possibile che non s'ammazzino l'un l'altro
crudelmente, come viddesi ne'tempi barbari d'Italia. E certo noi abbiamo tra
noi veduto a questi d due barbari casi, avendo un figlio ammazzato fieramente
il padre, e un padre inumanamente il proprio figlio: ed essersi trovato quel figlio
parricida ignorante fino dei primi rudimenti della nostra santa religione, e quel
padre rozzissimo di disonesto amore incapricciato. E questi esempli di parricidi,
che son pure dei pi atroci misfatti de'quali l'uomo capace, noi non li tro
viamo quasi giammai nelle famiglie ben allevate, ma s bene nelle rozze e selvag
gie; la qual cosa mi ha sempre fatto desiderare e fa tuttavia, che il leggere, lo
scrivere e il catechismo fossero tra noi un poco pi comuni che non sono, perch
la coltura e la dolcezza de'costumi fosse pi universale.
So che taluni credono che bastino a ci fare le sole leggi e le pene civili, e
che la forca e la mannaia possano tra gli uomini tener luogo di balia e di maestro.
514 GENOVESI.

La quale opinione falsa, perch la forza pu ben fare gli uomini furbi, ma vir
tuosi non li far certamente giammai; perocch la virt, come i filosofi dispu
tano, o natura, o abito s colla natura rimescolato e per cos dire impastato,
che vaglia quanto la natura medesima; cos che ella non fia mai l'effetto della
forza, ma solo d'nna lunga, savia e santa educazione. N voi troverete principato
o repubblica, dove corrotta l'educazione, il solo timore delle leggi sia bastato ad
impedirne la rovina; perch come l'educazione e il costume guasto universal
mente, quei che devono far valere la legge in iscambio del costume saranno i
primi a violarla; ond' che la repubblica rimarr senza costume e senza legge.
Dalle quali cose facile la soluzione di questo problema politico: fare che la
popolazione d'un paese, in bello e fecondo clima situato, sia la massima pos
sibile. Promovetevi e perfezionatevi l'agricoltura e le manifatture: aumentatevi il
commercio, la pesca, la navigazione: allettatevi gli uomini alle nozze: vegliate
all'osservanza delle leggi, fate che il governo sia savio e pieno di dolcezza e uma
nit: promovetevi la savia e santa educazione, e cos voi avrete la massima pos
sibile popolazione; perch non possibile che poste quelle cause non segua que
st'effetto, secondo che dimostrato.
Le cagioni poi, onde sono i paesi spopolati, sono tutte quelle le quali sono
all'anzidette contrarie; perch se quelle che si son dichiarate popolano, forza
che le contrarie a quelle spopolino (1). Se non che loro se ne vogliono aggiungere
due altre pi particolari, che non pare che sieno che di poco tempo fa, le quali
grande strage fanno degli uomini, e queste sono il mal Francese e'l vaiuolo;
delle quali quest'ultima, secondo i calcoli di alcuni dotti, portasene la dodicesima
o la decimaterza parte di quei che nascono, e la prima forse poco meno che
tanto.

Ora le dette cagioni sono altre fisiche e altre morali; perch le prime due
sono assolutamente fisiche e l'altre quasi in tutto morali. A volere dunque che
un paese sia il pi che sia possibile popolato, e' pare chiaro che si abbiano a
sbarbicare tutte le cause spopolatrici. E questo non forse impossibile delle mo
rali, come quelle che tutte dalla volont e dall'arbitrio umano dipendono; sebbene
talora sono elleno strascorse avanti che non sembra che possanodivellersi, salvo
che per qualche straordinario valore e da uno spirito ai comunali uomini molto
superiore, che sappia e voglia ricondurre le cose ai primi loro principi, Quanto
alle fisiche, comech elleno possono in qualche parte allentarsi sicch meno fac
ciano del male (come e' pare che si faccia in Inghilterra e altrove col vaiuolo
innocchiandolo, e potrebbe e dovrebbesi fare col mal Francese per il poter delle
leggi, poich essendosi cotanto dilatato non pi della giurisdizione de fisici, ma
della potenza legislatrice), pure, come non possono svellersi affatto affatto, esse
non lascieranno giammai di consumare quello stesso popolo, che le cause morali
avranno ingenerato; e di qui che i paesi d'aria cattiva, o arenosi e secchi e
privi di ogni fecondit, saranno sempre deserti.
Quindi si pu francamente come profetizzare, che ogni paese che sia posto
sotto malvagio clima e in terreno sterile e senza veruna interna forza atta a nu

(1) Nell'Errata dell'edizione originale di questo Ragionamento, fatta nel 1754, av


verte l'Autore che per alcuni accidenti vennero omesse in questo paragrafo tutte le cause
spopolatrici. (Nota del Custodi).
-------- ===T' -

SUL COMMERCIO IN GENERALE. 515

trire uomini e animali, tuttoch per una straordinaria forza morale e industria
degli abitanti sia popolatissimo divenuto,fia mestieri che presto manchi, perch
le cause morali che popolano, per l'andar del tempo si allentano e mancano; e pel
contrario le fisiche che distruggono, si sostengono e al fine la vincono; e all'op
posto, che un paese situato in buon clima e in fecondo terreno, quantunque per
cagioni morali si trovi forse sfornito di abitanti, sar o presto o tardi popolato;
non potendo le cagioni morali durare eternamente contro alle fisiche,ed eterna
mente durando le fisiche.

S. V.
Secondo fine dell'economia politica, ricchezza e potenza della nazione.
Il secondo fine dell'economia politica , com' detto, procacciare alla nazione
tutto ci ch' alla vita necessario, e oltre di questo ricchezza e potenza; perocch
dove ci manchi non fia possibile aver gran popolazione. Le sorgenti delle robe,
per cui viviamo, non sono pi che quattro, com' di per s chiaro: I. agricoltura,
lI. manifatture, III. pesca, IV. navigazione. Ma queste quattro sorgenti si possono
da due lati considerare, ovvero da quello del mantenimento dei popoli, ovvero
da quello del voler arricchire e ingrandire. Come elle si considerano da questo
secondo lato, appartengono ad un altro fine della scienza economica: considerate
pel primo aspetto, sono del fine di cui ragioniamo. Ma comech questi fini sieno
non solo distinti ma eziandio diversi, perch non l'istesso voler vivere e soste
nersi che volere oltre a ci arricchire e ingrandire, nulladimeno sono qui da con
giungersi, come sono essi da essere sempre unitamente guardati da coloro che
vegliano sui popoli,per cagione che non si pu l'uno quasi mai ottenere senza
ambedue seguitare, come fia chiaro per ci che diremo.

S. VI.
Agricoltura, prima sorgente de'nostri comodi e della nostra ricchezza.
L'agricoltura la prima sorgente che ci somministra, pi che tutte le altre
insieme, quanto ci d'uopo per la nostra sussistenza, pe'nostri comodi e per i
piaceri nostri. Ella ci d le derrate, le quali sono di assoluta necessit per la vita
umana, ed ella che ci somministra le materie per le manifatture. L'agricoltura
abbraccia molte e diverse specie di coltivazione, e oltre di questo tutta la pasto
rale. La scienza politica che la riguarda parte dell'economia universale, ed ella
non mai, ove sia ben intesa e ben diffusa, che non produca de' gran frutti;
perch tutto si fa meglio con arte che a caso, e la ragione e 'l consiglio hanno
sempre maggiore e pi costante forza di quel che si abbia la sola fortuna. E per
far comprendere ch'ella cos scienza come tutte le altre che son tenute tali, e
ch' da sapersi da coloro che o le private o le pubbliche cose vogliono vantag
giare, ne abbozzer qui una parte, qual'ella siasi, cio io apporr qui alcuni teo
remi e qualche problema, che non altrimenti che i geometrici si possono dimo
strare, e che non sono, secondo che pare a coloro che non vi hanno giammai
pensato, platonici e chimerici.
I. La ricchezza e la potenza di una nazione, e conseguentemente del suo
sovrano, in ragione composta dell'estensione e fecondit delle terre che abita,
della popolazione e della somma delle fatiche.
316 GENOVESI.

A volere per esempio calcolare la ricchezza e grandezza delle Spagne non ba


sia considerare solamente l'estensione del terreno, ma oltre a ci la fecondit e la
popolazione e l'industria degli abitanti ; per modo ch'elleno, le Spagne, in diversi
tempi possono bene non essere della medesima grandezza, n avere la medesima
ricchezza, avvegnach le terre siano sempre le medesime. Perch se la Spagna in
un tempo qualunque sia pi popolata e pi industriosa del doppio che in un
altro, sar a proporzione pi ricca, grande, potente che in quest'altro. E nel vero
la popolazione della Spagna, avuto riguardo all'estensione delle terre e all'indu
stria e fatica che potrebbevisi adoperare, e alla navigazione e commercio marit
timo, polrebb 'essere assai pi che volte tanta, quanta ella oggid, vale a dire
che potrebb'ella nutrire 24 milioni d'uomini, non avendone ora che otto milioni
o l intorno; e se questo tempo venisse, che pu venire, ella sarebbe altrettanto
pi grande e potente di quanto ella ora da meno. E se avendo essa quella po
polazione, accrescesse del doppio le sue fatiche e la sua industria, senz'altra con
siderazione sarebbe per questa ragione sola del doppio pi ricca e pi potente. E
se crescendo insieme la popolazione e la fatica, le terre eziandio o la loro fecon
dit crescessero (ciocch come possa essere, senza acquistare nuovo imperio, fla
detto qui appresso), in ragion composta ne crescerebbe la ricchezza e grandezza.
II. Donde seguita questo assioma, che ogni cosa che scemi o la quantit o la
fecondit delle terre, o sminuisca la popolazione o la somma delle fatiche, tenda
ad impoverire e indebolire la nazione ; e che tutto ci che s fatte cose aumenta,
aumenti eziandio la sua ricchezza e potenza.
III. Quindi si possono alcuni belli teoremi dimostrare, ciascuno de'quali ci
somministra lo scioglimento di qualche utile problema. Di tutti fa questo il primo.
Le lagune, le paludi, i boschi inutili, i luoghi inculti scemano le ricchezze, la
grandezza e la potenza della nazione. Perciocch queste cose fanno minore la
terra, che potrebb'essere di tanto maggiore quanto lo spazio ch'elle occupano ;
e di qui ch'elle tolgono il sostegno a molte famiglie che potrebbero di quelle
terre vivere, e cos scemano la popolazione rispettivamente a quello ch'ella po
trebb'essere, e oltre di questo privano lo Stato di quelle rendite che quindi si po
trebbero ritrarre; ond' che scemano la grandezza, la potenza eia ricchezza della
nazione.
Questa verit ci d lo scioglimento del seguente problema : accrescere la gran
dezza, potenza, ricchezza della nazione, senza intanto ambire di dilatare i
confini pi di quello che si possiede. Disseccate le lagune e le paludi e mettetele
a coltura, diboscate gl'inutili boschi, promovete la coltivazione dei luoghi incultt,
e voi avrete dilatala l'estensione delle vostre terre e cos resa la nazione pi
grande, pi potente e pi ricca. Egli vero che a voler fare tali cose si obbli
gato incontrare delle grandi spese; ma queste spese, non che compensate, saranno
presto con abbondante usura soddisfatte. Che se per fare delle spese si da ri
maner da imprendere chechessia, fia mestieri che non si studii di migliorar cosa
nessuna; perch non vi impresa veruna di questa specie, nella quale non con
venga prima spendere che raccogliere. E a questa guisa noi penseremo solo al
presente, senza n punto o poco curarci dell'avvenire: e ci pensare senza
economia.
V. Il secondo teorema , che le terre o troppo secche o troppo leggiere sce
mano la ricchezza della nazione ; perch non coltivandole, forza sottrarre tanto
SUL C0MMlitRCIO IN GENERALE, 517

dall'estensione del paese quanto esse n'occupano, o coltivandole non rendono a


proporzione delle fatiche, ond' che ci privano del frutto che di quelle fatiche
poteva e dovevasi sperare; e tutto ci scema la ricchezza della nazione. Adunque
colui, il quale trovasse l'arte d'ingrassare le terre secche o di renderle di leg
giere forti, avrebbe fatto gran benefizio alla nazione, cio fattole acquistare
quello ch'era per lei perduto, e perci la sua ricchezza accresciuta.
Quasi dappertutto s' pensato di render le terre da secche grasse con del
concime; i soli Inglesi hanno tentato di renderle ad un tratto grasse e forti con
della creta, e sonovi s riusciti, secondo che i loro scrittori dicono, che la fecon
dit delle loro terre da ascrivere in buona parte a questa invenzione. Io apporrei
qui la ricetta di questo metodo di coltivare, com' ella riportata dall'Autore degli
Elementi del Commercio, perch stimo ch'ella possa esser utile in tutti i paesi:
ma me n'impedisce la sua soverchia lunghezza, ond' ch'io rimando il curioso
lettore all'opera di quest'Autore (Parte I, Cap. IlI).
VI. Vi ha dappertutto degl'insetti che consumano le biade, quando sono esse
ancora tenere: questi insetti sminuiscono la ricchezza del paese. Colui dunque
che trovasse un facile metodo da spegnerli, n di molta spesa, arrecherebbe gran
vantaggio alla sua patria. Gl'Inglesi medesimi usano di spargere sull'erbe del
sale, e credono ritrarne della grande utilit. Sarebbe questo un mezzo da speri
mentare; e dove riuscisse di quel giovamento che gl'Inglesi dicono, si vorrebbe
da tutti i sovrani d'Europa promuovere, non vi essendo, com' detto, cosa nes
suna che tanto possa renderli ricchi e potenti quanto una copiosa e savia agri
coltura: e questo promuovere cotal mezzo sarebbe con isminuire il prezzo del
sale, che a tale uso servisse.
VII. La distribuzione delle terre soverchiamente ineguale diminuisce la ric
chezza della nazione. Che una famiglia abbia 10,000 moggia di terra, e che al
trettante n'abbiano 5,000 famiglie, da s chiaro che queste seconde 10,000
moggia saranno assai meglio coltivate che non sieno le prime 10,000. I. Perch
ognuno coltiva meglio il suo che l'altrui. II. Perch il proprietario di tanta terra
ne terr sempre tanto minor cura e meno diligente, quanto n' maggiore la quan
tit. III. Perch avendone molte, ne terr sempre qualche buonaparte impiegata
ad uso di diletto, come per cacce, praterie, e per dirlo alla Francese,parterri ecc.
Dunque questa troppo ineguale divisione di terra scema e la quantit del ter
reno e la somma delle fatiche; e l'uno e l'altro fa minori i comodi e la ricchezza
dello Stato. La qual cosa si vede essere stata ben compresa dalle repubbliche an
tiche, ed esservisi rimediato colle leggi agrarie, leggi necessarissime a voler curare
questa malattia politica.
VIII. L'inegualit dei diritti che si levano sulle terre cagione dello scemarsi
la ricchezza della nazione. Che uno paghi per esempio una decina delle rendite
delle sue terre e un altro una quinta, cio che costui paghi la met di pi; colui
che ne paga una decima potr vendere le sue derrate d'una decima meno di quel
che possa costui fare delle sue; il primo dunque avr la preferenza sul secondo,
e questa preferenza scoraggia il secondo il quale perci si rimarr da fare quanto
pu, onde addiverr che la somma delle fatiche non sia la maggiore possibile;
cosa che tende a scemare le rendite e le ricchezze della nazione. Questa verit fa
dire a tutti gli scrittori d'economia che non vi debba essere nelle ben regolate
repubbliche nessuna immunit di terre, n privilegi, n franchigia veruna. A che
318 GENOVESI.'

si vuole aggiungere, che questa cotale inegualit di pesi cagione di non so quanti
garbugli e frodi e intercessioni, che non piccolo detrimento recano ai diritti me
desimi de' sovrani.
IX. Il soverchio lusso scema la ricchezza della nazione. Imperciocch il so
verchio lusso genera, nutrica e aumenta ogni d un'infinita copia d'arti e mestieri
non producitori di ricchezza niuna, e pel contrario attraendovi molti dalle arti
produttrici di rendite vere e reali, fa che queste manchino; ond' ch'esso, il so
verchio lusso, minori la somma delle fatiche che danno dei frutti reali, e perci
le rendite e la ricchezza della nazione. Aggiungasi ch'esso le scema di molto an
cora pi, se aumentando l'esito della nazione colle altre dalle quali dipende nelle
materie di lusso, non ne aumenti insieme l'introito eh' posto nell'estrazione delle
sue derrate e manifatture, come noi di qui a poco mostreremo.
X. Il danaro, poich divenuto il segno e il rappresentante di tutte le cose
mercatabili, nell'istesso tempo come lo spirito e l'anima di ogni industria e fa
tica; e di qui che a voler promuovere la somma delle fatiche, da cui, come
detto, la ricchezza della nazione dipende, egli necessario che nello Stato ne
circoli tanto, quanto pu bastare a dare alla nazione l'agio e il vigore da adope
rare tutta la sua capacit e la sua forza ; in guisa che a proporzione ch'esso si
discosta da questo grado o che vi si approssima, sar l'industria o vigorosa o
languida, e con ci maggiore o minore la copia delle fatiche, e brevemente, o la
ricchezza o la povert della nazione. Io ho detto circoli, perch voglio che si sap
pia che come non l'acqua ristretta nelle cisterne, ma si bene quella che dilagasi
pel terreno che l'innaffia e il feconda, cosi non n l'argento e l'oro non mone
tato, n il danaro seppellito e ozioso quello che d vigore e moto all'industria,
ma quello che gira ; per modo che pu una nazione avere molto oro e argento e
molto danaro, e intanto, com'esso non circola, mancare del principio motore e
degli stromenti di adoperare la sua industria, e cos essere poverissima in mezzo
a queste ricchezze di segno (1). D'onde segue che tutte le cagioni che ritardano
la circolazione del danaro, sono cagioni tendenti ad impoverire la nazione, e tutte
quelle che agevolano e sollecitano un cotal corso e giro, sono indiritte ad arric
chirla. E questo ha fatto pensare a molte nazioni di far girare non solo delle
carte rappresentanti danaro, ma eziandio in iscambio di danaro carte rappresen
tanti i crediti di ciascuno, e oltre a questo delle carte rappresentanti il pregio di
ogni altra cosa che pu essere in commercio, per cosi accrescere la quantit e
la velocit de' segni, che portano seco una maggior somma di fatica e di ric
chezza.
XI. Gl'interessi del danaro soverchiamente alti ritardano l'agricoltura, le
manifatture, il commercio, e con ci sono causa dello scemamento della pubblica
ricchezza. E la cagione che impediscono la circolazione del danaro e il fanno
divenire oziosoe di niun pregio e virt; perch dove l'interesse del danaro troppo
alto, ivi chi non ne ha per impiegarlo alla coltivazione, alle manifatture, al com
mercio marittimo, non cos di leggieri si anima a prenderne con soverchia usura,
conciossiach vegga poco o niun frutto dovergliene tornare, e dovere pi pel pre-
slatore che pel suo proprio vantaggio durar le fatiche che imprende ; la qual cosa
cagione dello scoraggirsi l'industria e dello scemare della somma delle fatiche :

(1) Veggasi il Saggio sopra il commercio in generale, colla data di Londra, 4756.
- - -
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SUL COMMERCIO IN GENERALE. 519

e ogni diminuzione di fatiche, secondo ch' dimostrato, impoverisce proporzio


natamente lo Stato. Io so che un grave e dotto autore inglese (1) pose tutto il
suo ingegno a voler dimostrare, che non solo in uno Stato sia indifferente che
l'interesse del danaro sia alto o basso, ma che sia eziandio pernicioso a volerlo
sbassare per legge: ma io so altres che non che gli altri politici non gliela me
nassero buona, gl'Inglesi medesimi non ne fecero conto nessuno, intanto che
dopo quei tempi essi a poco a poco ridussero gl'interessi, dal seiper cento che
erano, al tre. Ma questa vasta e intrigata materia, nella quale non intendo io
di voler entrare.
Queste poche proposizioni bastano, penso io, a mostrare a chichessia che
questa parte dell'economia politica, cos come le altre tutte quante, ha i suoi
principi veri e producitori di grandi utilit, e perci ch'ella merita di essere, un
poco pi di quello che ordinariamente non si fa, coltivata.

S. VII.
Seconda sorgente de'comodi, ricchezze e potenza di una nazione, manifatture.
Molte cose ho io detto sulle manifattore nel Ragionamento che le riguarda,
le quali non voglio qui ripetere,salvo che qualcuna che non potr per avventura
separarsi dal fine che mi sono nel presente Ragionamento prescritto, il quale,
siccome pi volte detto, di dimostrare che l'economia una scienza che molto
ci attenga, e di dichiarare alcuni de'suoi principali lumi; e ci affine che, per
quanto per me si pu, meglio da'nostri si conosca e pi si apprezzi e coltivisi.
Pongo per fondamento di quanto ho qui a dire questo, che la spesa annua che
ciascunfa per le manifatture che gli bisognano senza voler vivere con lusso, com
prendendo sotto la parola manifattura i lavori di tutte quante l'arti delle quali
non si pu far di meno di non servirsi, questa spesa, dico, sia per lo meno la
sesta parte de'suoi annui bisogni, o l intorno.
I. Di qui segue primamente, che le sole manifatture di necessit facciano per
lo meno la sesta parte dell'intiera spesa della nazione. Come, per motivo d'esem
pio, se voi tra' popoli culti volete accordare a ciascuno per la spesa annua di
pura necessit venti ducati, in una nazione che abbia tre milioni d'abitanti la
spesa di ciascun anno sar di 60 milioni di ducati, dieci milioni della quale con
sumeransi in manifatture di puro bisogno, quali sono le vesti, i mobili di casa e
gli stromenti delle arti a ciascuna famiglia, secondo la condizione loro, necessarie.
Questo nei paesi puliti sar anzi poco che troppo: ma in questa sorta di calcoli
fia meglio attenersi al meno che al pi.
II. Secondariamente segue che una nazione, nella quale non fosse manifattura
nessuna e che dovesse tutte quante comprarle dagli stranieri, dovrebbe togliere
il prezzo di quelle dalle derrate o altre tali sorgenti che avessero luogo di derrate,
come dalla pesca, dalla caccia, dalle miniere dei metalli ecc.; delle quali ultime
com'ella fosse sfornita, nel qual caso siamo noi, non le resterebbe altro con che
comprarle che le sole derrate e gli animali, Ma volerle con queste comperare, le
converrebbe o accrescere d'una sesta parte le sue derrate e gli animali, o sot
trarre al suo vitto la sesta parte di ci che annualmente le fa d'uopo. Ma s'ella
(1) Locke
520 GENOVESI.

non ne fosse intieramente sfornita, ma in una qualche parte, dovrebbe a pro


porzione di quello che le manca o aumentare l'agricoltura o strignersi nel vitto.
Come ci non facesse, ella decaderebbe ogni anno e impoverirebbe estremamente.
III. La terza conseguenza questa, che se ad una nazione non mancasse
niuna delle arti e delle manifatture, delle quali non possono star senza i popoli
culti e puliti, ma le mancassero o tutte o alcune delle materie prime, ella dovrebbe
di tanto accrescere l'agricoltura e le manifatture, quanto ella spende ciascun anno
in comprare dagli stranieri le materie delle arti ; perciocch questo solo com
penso vi pu essere perch ella non sbilanci l'equilibrio; in guisa che se il so
verchio delle sue derrate e manifatture non compensi ci che prende da' forestieri,
ella decade e impoverisce ogni anno.
IV. La quarta che se il lusso di derrate e di manifatture esterne viene ad
aumentare i suoi bisogni, ella per non impoverire deve a proporzione aumentare
il soverchio nelle derrate e nelle manifatture, e studiarsi o di permutarle con ci
che prende dagli stranieri, o di estrarle per iscambiarle con i segni delle cose
mercatabili-, altrimenti ella si sbilancier, e impoverir a proporzione del suo sbi
lancio. Dove da notare che come non si apporta ad un tale sbilancio subito
compenso, il decadimento della nazione si accelerer per ciascun anno in modo
che non vi bastino poi de' secoli a volerla rialzare, di che abbiamo un esempio
molto sensibile nella Spagna. Forse che se volessimo porre a pi minuta disa
mina colali decadenze, potremmo scoprirne una ragione che non fosse molto lon
tana dall' accelerazione de' gravi.
V. Ponendo che le manifatture di prima necessit costino alle nazioni n
salvatiche, n barbare, la sesta parte della spesa annua, seguita che esse solo
possono alimentare una sesta parte degli abitanti ; e di qui, che una nazione che
ne fosse affatto priva avrebbe una sesta parie meno di abitanti, di quelli che po
trebbe ella avere dove quelle arti coltivasse; e se non ne fosse totalmente priva,
avrebbe tanta minor popolazione rispettivamente a quella che potrebbe avere,
quanta potrebbene alimentare quella parte delle arti che le manca. Ma se ella
n' avesse pel doppio di quello che gliene bisogna, e che questo soverchio si
estraesse con commercio puramente passivo, ella avrebbe oltre due sesti di abi
tanti di pi, perch ella ne nutrirebbe due sesti colle manifatture, come chiaro;
eposciach le floride manifatture aumenterebbero il consumo delle derrate e degli
animali, perciocch ciascuno mangia e bee pi secondoch pi guadagna, e que
sto aumenterebbe l'agricoltura e la pastorale, e tale aumentazione somministre
rebbe del nutrimento a molte altre famiglie, egli seguita che la popolazione cre
scerebbe assai pi in su del doppio. da fare il medesimo calcolo riguardo agli
altri gradi di accrescimento delle manifatture.
VI. Le rendite e la potenza de' sovrani sono proporzionate alla popolazione e
alla somma delle fatiche delle nazioni, a cui signoreggiano. Dunque il promuo
vere l'agricoltura e le manifatture essendo, come dimostrato, promuovere la
popolazione e la somma delle fatiche, egli accrescere le rendite e la potenza del
sovrano; e pel contrario fare ch'elle scemino, diminuirgli la rendita e la po
tenza. Coloro adunque, a cui attiensi di vegliare ai vantaggi de' principi, niuna
cosa non debbono pi sottilmente e pi diligentemente considerare quanto che
per essi o per altri chichessia, non si ponga cagione nessuna d'impedimento al
l'agricoltura e alle manifatture, e pel contrario si favoriscano e proteggano tutte
SUL COMMERCIO IN GENERALE. 521

quelle che tendono ad accrescere e migliorare la coltivazione e le arti. Io ho


parlato di queste cagioni nel Ragionamento sulle manifatture, e qualch'altra cosa
ne dir qui sotto.
VII. Si pu poi, quando si voglia, facilmente risolvere colla pratica questo
problema, migliorare e aumentare le arti. La miglioria e la perfezione delle arti
dipende dallo spirito e dalle cognizioni della nazione, non essendo possibile che
un popolo soverchiamente incivilito e diventato ignorante e rozzo possa volere o
pensare a migliorare cosa nessuna : e l'accrescimento dipende dall'utile e guada
gno, che quelle apportano a' coltivatori. Voi potete rilevare lo spirito della na
zione accarezzando i belli e grandi ingegni coll'onore e co'premj, e spargervi le
necessarie cognizioni con farla diligentemente istruire in quelle cose che si ap
partengono alle arti ; vi potete poi promuovere il comune guadagno, agevolando
l'interna circolazione e lo smercio esterno delle manifatture. Dunque accarezzate
gli abili ingegni e premiateli, fondate delle accademie e delle scuole di arti o di
quelle scienze che tendono a migliorarle: se non vi sono degli abili maestri,
chiamateli di fuori e onorateli e premiateli : agevolate l' interna circolazione di
quanto nasce o si fa nella nazione: promuovete e proteggete il commercio esterno,
che l'anima motrice e sollecitatrice dell'industria e della fatica : fate tutto ci
di buon garbo, e voi avrete migliorate e aumentate le arti tutte quante.
Vili. Come in una nazione le classi che non producono nulla crescono pi
di quello eh' egli necessario che esse sieno, cio pi di quella proporzione che
esse debbono avere col corpo civile e cogl'impieghi alla civile societ necessarj,
si scema la somma delle fatiche, e con ci i suoi comodi e la sua ricchezza e
potenza, perciocch questi comodi e queste ricchezze e potenze sono, come
detto, proporzionevoli all'estensione e fecondit delle terre e alla somma delle
fatiche, e la somma delle fatiche formasi dalla somma delle braccia lavo
ranti, le quali braccia pur forza che scemino, ove cresce soverchiamente il
numero di coloro che non faticano e che intanto vivono delle altrui fatiche.
D'onde seguita questa pratica conseguenza, che i pastori dei popoli non vo
gliano adoperar maggiore attenzione e diligenza, e talora severit eziandio in
niun' altra cosa, quanto a fare che le classi degli uomini oziosi non si aumen
tino soverchiamente, e quella legge seguire che la natura detta alle api, che
scacciano da s i fuchi i quali non le ajutano e consumano il miele.
IX. L'ignoranza dell'agricoltura e delle arti scema la ricchezza della nazione;
conciossiach ella scemi la somma delle fatiche, e il valore o pregio delle cose
che per la fatica si producono. E che ella scemi la quantit delle fatiche da
ci chiaro che l'ignoranza ritarda e arresta tutte le nostre operazioni, e per tal
maniera fa che noi facciamo poco in molto tempo. E che minori il pregio delle
opere si pu da questo intendere, eh' ella fa che esse non sieno affatto perfette
e compite, come quelle di coloro che sanno pi. Ond' che a voler promuovere
la somma delle fatiche, e con ci i comodi e la ricchezza della nazione, sono non
solo utili ma necessarie eziandio le scuole di agricoltura e di tutte le meccani
che, e assai pi che tutte le scuole di teora, che ordinariamente producono oziosi
contemplatori e non operatori e producitori di quelle cose, per le quali fia la vita
umana migliorata e pi agiata. E perch quelle scuole pratiche mai non possono
esser bene e dirittamente ordinate senza queste teoriche, si vogliono queste a
Econom. Tomo IH. 21.
522 genovesi.
quelle congiungere e tutte a qualche utile operazione indirizzare, perch non
siano oecupazione vana.
Ma niuna scuola non si vorrebbe preferire, n sarebbe pi da promuovere
quanto quella di meccanica agraria, la quale comech sia la pi necessaria di
tutte quante l'altre che pur si diligentemente si coltivano, non pertanto la meno
da' dotti e da' sovrani favorita. Ora egli certissima cosa, che la perfezione della
meccanica agraria porta seco di necessit due gran vantaggi, quali sono la fc-
copdit delle terre e il far molto in poco tempo e con poche braccia.; delle quali
due cose la prima come moltiplicare la quantit delle terre, facendo a poche
rendere tanti frutti quanti senza tal soccorsp appena ne davano molte; e la, se
conda aumentare la somma delle fatiche, o sia fare in poco tempo quello che
senza quei tali stromenti non si sarebbe altrimenti fatto, che in doppio a triplo
o altro qualunque tempo. Gli stromenti poi, a' quali o inventare o perfezionare
dovrebbe intendere la meccanica agraria, esser dovrebbero tutti quelli che ser
vono I. a migliorare e accelerare i lavori delle terre; H. a sementare con rispar
mio di semenza e con migliore distribuzione di essa ; III. a segare e ricogliere;
IV. al triturare ; V. ad agevolare il trasporto delle derrate ; VI. a conservare i
grani. E questa vastissima materia e per i grandi ingegni fecondissima, per modo
tale che io non dubito punto che essi non fossero per farvi delle grandi e utili
scoperte, se volessero con quell'ardore coltivarla che ella merita. Ma a fare che
essi la coltivino niuna cagione non pi valevole, quanto una scuola e qualche
premio. dunque questa incumbenza degli economi politici ; perch i privati
uomini non vi si applicheranno giammai che lentamente o ritardati dalla forza
de' vecchi pregiudizj, o incerti dell'esito, o come e' pare che sia la maggior
parte, non curantisi che del presente senza volere spingere i loro sguardi nell'av
venire. Ma i sovrani hanno come un' onnipotenza, quando essi deliberatamente
vogliono che tale o tal cosa si faccia ; perciocch possono adoperarvi le molle le
pi potenti a muovere gli uomini, quali sono i premj, la gloria, il cornand.0.
X. Tutti gli stabilimenti o privali che sieno o pubblici, per li quali gli uomini
impigriscono e cos a poco a poco incominciano ad isfuggire e finalmente ad.
odiare la fatica, tendono a fare la povert e cagionare la desolazione dello Slato.
Imperocch tendono a scemare la somma delle fatiche, e come continuano, la
scemano finalmente fino a distruggerne una grandissima parte; d'onde segue di
necessit la mancanza di quelle cose per cui sostiensi la vita nostra ; e da questo
la povert e la spopolazione, che giammai non si separano l'una dall'altra.
XI. L'indebolimento della forza esecutrice delle leggi e la soverchia lunghezza
delle lili tendono ad impoverire lo Stato. E il primo, perch allora le leggi in
mano del potente e dell'astuto sono sempre armi pronte e forti ad offendere ed
ingannare, ma non gi armi da difesa in mano del debole e dell'ignorante; ond'
che la parte faticante, che nella repubblica e che sempre la pi debole e Io.
pi semplice, venga ad essere oppressa dalla non faticante che la pi potente
e la pi scaltra ; e di qui, ch'ella si rimanga dalla fatica, non vi essendo cosa
nessuna che pi disgusti l'uomo d'ogni travaglio quanlo questa. E la seconda
primamente, perch un lungo litigio oltre ad impoverire due famiglie le occupa
in altro che nella fatica, e secondariamente, perch accresce l'esca degli avvocati
e dei procuratori, e conseguentemente fa che molti del celo che travaglia vi ac
corrano, essendo questa la natura degli uomini tutti di affollarsi intorno a quei
DEL COMMERCIO IH GENERALE. 525

mestieri che maggior lucro e onore promettono, e dove essi credono che si stenti
meno.

S- Vili.
Terza sorgente delle ricchezze e della potenza
d'una nazione, commercio.
Veniamo ora all'ultima sorgente della ricchezza e potenza delle nazioni, che
, secondo che detto, il commercio; i di cui principali fondamenti prima ch'io
esponga, piacemi dichiarare brevemente la sua natura e le differenti sue specie.
Il commercio si diflnisce estere il cambiare che si fa del soverchio pel neces
sario. D' onde seguita che se o niuno avesse del soverchio, o niuno avesse del
necessario non vi sarebbe commercio n punto n poco. Ma acciocch questo
s'intenda, da por mente che vi ha tre generi di cose rispettivamente a noi
buone, e perci detti beni, de'quali generi il primo dei beni di necessit, il se
condo di comodit e il terzo di lusso. E questi tre generi nascono da tre naturali
nostri appetiti, che fanno tre altres naturali generi di bisogni. qusi tre appetiti
sono, quello dell'essere, quello del ben essere e quello di ogni sorta di piacere.
Perch ciascun uomo per forza della natura ama prima d'ogni altra cosa di esi
stere; e poich sicuro di esistere, egli desidera di esistere senza disagio e stento;
e come egli crede aver soddisfatto a queste due naturali inclinazioni, non si ri
mane, ma per la medesima forza di natura che non posa mai, si studia di darsi
tutti quei piaceri de'quali glie ne vien voglia. Ora quei beni, senza i quali non
possiamo sussistere, li diciamo beni di necessit: e quelli, senza i quali sussi
stiamo bens veramente ma con disagio, diconsi comodit; e Analmente i beni, i
quali servonci per puro diletto, nominiamo lusso.
Niuno poi, n uomo singolare, n famiglia, n intiera nazione non vi in
terra che abbia di per s tutti e tre questi generi di beni; ma egli avviene spesso
che taluni abbiano pi de'neccssarj e meno de' comodi, ed altri avendo i comodi
mancano di alcuni beni di necessit, e non pochi finalmente abbonderanno di
quei di lusso, e nondimeno avranno bisogno di quei di necessit o di comodit. E
questa varia distribuzione de' beni, che uno de' bei tratti della Divina provvi
denza, fa che gli uni dipendano dagli altri, e che vi sia prima tra famiglia e fa
miglia, e appresso tra villaggio e villaggio, e medesimamente tra citt e citt, e
ultimamente tra nazione e nazione uno scambievole legame di perpetuo interesse,
primo fondamento delle civili societ e quasi di tutti gli ordini civili. Adunque
la permuta di questi beni o de' segni che li rappresentano con quei beni, ovvero
anco de' segni con essi segni o con essi beni, vale a dire, de' danari e delle cose
mercatabili, delle carte e de' danari o delle cose, tutto questo commercio, *quan-
tunqae vario sia il modo di contrattare e varj altres e moltissimi i nomi che
alle diverse maniere di contrarre abbiam dato.
Nel commercio adunque si pu considerare come il corpo e l'anima e la li
bert. Il corpo del commercio sono le cose mercatabili : l'anima il loro giro:
la libert consiste nella speditezza del giro. Cos accrescere o scemare le cose mer
catabili, accrescere il corpo del commercio. Aumentare il consumo, in cui
posto il moto e corso di quelle cose, come aumentarne l'anima. Rendere il corso
pronto e spedito, accrescerne la libert. Annientate le cose permutabili, avrete
524 GENOVESI.

annientato il corpo del commercio. Lasciate le cose, ma annientate il consumo,


ne avrete estinta l'anima. Lasciate, se pur si pu, il consumo, ma rendete diffi
cile, implicato, lento il corso, ne avrete annichilita la libert.
dunque chiaro che la circolazione delle derrate, delle manifatture, del
danaro, delle polizze e de' biglietti rappresentanti il danaro, costituisce il com
mercio. Ma come sono molti e diversi i modi del circolare e dello scambiarsi di
queste cose, il commercio ha pur preso molti e diversi nomi, eh' e' pare che ne
costituiscano le sue specie. Perch se si considera tra le diverse parti d'una na
zione, come tra famiglia e famiglia, villaggio e villaggio, provincia e provincia, e
tra le provincie e la capitale, dicesi commercio interno : se tra nazione e nazione
commercio esterno : e se fassi per mare, commercio marittimo : se di cose pro
prie, commercio di proprie robe : se d'altrui, commercio d'economia: se con pro
prie navi e marineria propria, commercio attivo: se da altri delle nostre derrate
e manifature, commercio passivo: se circolazione di derrate e di manifatture
necessarie, commercio di necessit: se di cose di mero piacere, commercio di
lusso: se con vantaggio dell'agricoltura, delle manifatture, della navigazione no
stra, commercio utile: se con svantaggio, commercio dannevole. Se le derrate e
le manifatture sono cambiate con altre derrate e manifatture, chiamasi permuta -.
se con danari, compera e vendita : se per lettere di cambio insieme commercio
di compera e vendita e commercio cambiale.
Tornando ora alla natura del commercio dico che cosa assai per se stessa
chiara, che il commercio fia posto in quella circolazione della quale detto, e
eh' esso pigli diversi nomi o dalle materie che circolano , o dal luogo nel quale
si considerano circolare, o da' varj modi di circolare. Poniamo percagion d'esem
pio che il nostro Regno sia composto di 600,000 famiglie. Se niuna comunica
zione di veruna specie di beni tra queste famiglie, non vi ha commercio : se vi
ha poca comunicazione e lenta, vi ha poco commercio . se ve n' ha molta e pronta,
vi ha molto commercio. E questo il commercio interno. Ma se noi conside
riamo le comunicazioni de' beni del nostro Regno collo Stato Romano, colla To
scana, colla repubblica di Venezia, colla repubblica di Genova, colla Spagna,
colla Francia, coli' Inghilterra, coli' Olanda e con altre nazioni, e dei beni di
queste con noi, avremo in questa comunicazione e circolazione il commercio
esterno.
Di qui pu intendersi primieramente che la grandezza del commercio sia in
ragion composta della quantit delle cose circolanti, e della celerit del giro re
lativamente alla nazione che l'esercita. Cos se due nazioni A e B facciano tal
commercio, che le cose mercatabili di A siano 6 e la velocit 4, quelle di B 4 e
la velocit 2, star il commercio che fa A a quello che fa B come 24 ad 8, vale
a dire che il commercio di A sar tre volte pi grande di quello di B. Per la
qual cosa, ingrandire il commercio o accrescere la quantit delle cose merca
tabili, o accelerarne il giro, o l'uno e l'altro insieme, ciocch fare ancora mag
gior progresso; e impiccolire il commercio, impiccolire la copia delle cose
mercatabili, o rilardarne il lor giro, o, che ancora maggior ruina, far l'uno e
l'altro ad un tratto.
Per dare poi, secondo che io ho cominciato a fare, anche qui un breve saggio
de' principj economici, che appartengono a questa terza sorgente della ricchezza
e potenza d'una nazione, io accenner primieramente alcune poche massime che
SOL COMMERCIO IN GENERALE. 525

risguardano il commercio interno, il quale si vuol considerare non altrimenti che


come fondamento dell'esterno, e appresso dichiarer alcune regole, sopra delle
quali g' Inglesi hanno la scienza del commercio esterno piantata, e la sostengono.

Massime appartenenti all' interno commercio delle nazioni.


I. La prima di tutte fia questa, che il commercio interno il fondamento
dell'esterno, e che non vi alcuna nazione che possa aspirare ad aver commer
cio esterno (e intendo d'un commercio utile e vantaggioso) n punto n poco, se
ella non avr ben piantato e assodato l'interno. La ragione della qual massima ,
che l'utile e vantaggioso commercio esterno consiste nelle estrazioni delle pro
prie derrate e manifatture. Ora voi non potrete estrarre n molte n poche delle
vostre derrate e manifatture, come l'agricoltura e le arti non sieno tra voi in
fiore; n possibile che elleno vi fioriscano, se l'interna circolazione di tutte le
cose mercatabili e de' segni, o sia del danaro e de' rappresentanti del danaro e
d'ogni altra cosa che a commercio si appartenga, non sia il pi ch'esser pu ve
loce e da ogni causa di ritardamento e scoraggiamento cosi fisica come morale
disbrigata. E poich questa pronta e animata circolazione di tutto per tutte le
parti dello Stalo quella che costituisce l'interno commercio, egli adunque ma
nifesto, che come voi non abbiate un buon commercio interno non ne possiate
avere neppure veruno esterno; perch non potete aver niente di soverchio, ove
l'agricoltura e le manifatture languiscono.
II. La seconda , che a voler ben piantare e assodare il commercio interno,
forza che voi diate all'interna circolazione delle derrate e delle manifatture la
massima possibile velocit. Perch essendo posta in questa circolazione l'essenza
del commercio, ove non ve n'ha non vi ha commercio; ed ove ella grande e
veloce, ivi il commercio grandissimo. Poniamo per modo d'esempio che il no
stro Regno contenga 600,000 famiglie, e che elleno non abbiano fra loro ve
runa comunicazione n di derrate n di manifatture, n di altra cosa cjie sia;
assai chiaro, che poich non vi ha circolazione nessuna di ninna cosa non vi sia
neppure commercio veruno , e oltre a ci che esse non formino niuna societ
e niun corpo civile. Che se poche comunichino e lentamente, vi ha altres
piccolo e magro commercio; e se si comunichino molte e molto e con minor len
tezza, il commercio pi grande e pi ricco. Ma se esse tutte comunichino tra
loro e tutto- e perpetuamente, e che questo comunicare si faccia colla massima
possibile prestezza, egli sar nel regno grandissimo e ricchissimo interno com
mercio ; e queste famiglie faranno il pi unito, il pi bello e il pi vigoroso corpo
civile che in alcun tempo si formasse degli uomini.
III. La terza fia questa, che la sicurt necessaria a voler ingrandire e acce
lerare l'interna circolazione, perch ove la sicurt manca, ivi si pone gran re
mora a voler far girare chechessia; conciossiach gli uomini tutti amino assai le
robe loro, per modo che niuno vuole del posseder quelle privarsi, senza o un si
curo compenso o una quasi certa speranza di farne guadagno. Jfa come la cir
colazione non sicura, ciascuno ben vede che le robe che vuole far girare, come
sqno uscite del suo possesso, sono tanto meno sue quanto maggiore il pericolo
di perderle; e perci egli le vorr piuttosto ritenere che mandarle fuori, amando
GENOVESI.

meglio di vivere nella mediocrit che di cadere nella povert. E nel vero, per
questa ragione, in tutte le eulte nazioni sono i ladrocinj nelle pubbliche strade e
nella campagna commessi rigorosissimamente puniti, come quelli che tendono ad
impedire l'interno commercio, e cos a disciogliere e turbare il corpo civile.
IV. La quarta cosa necessaria ad ingrandire la circolazione e conseguente
mente il commercio interno la facilit; perch la facilit fa maggiore la velo
cit della circolazione, dove la difficolt l'arresta; e la grandezza dell'interno
commercio sempre ih ragion composta della quantit delle robe circolanti e
della velocit. A voler poi dare della facilit all'interno giro delle cose mercata
nti, si vogliono adoperare due specie di mezzi; delle quali una togliere quelle
cagioni morali che ritardano, l'altra consiste nel fabbricare delle comode strade,
nel rendere navigabili i fiumi, nel tagliare de' canali di comunicazione, nell'in-
ventare o perfezionare le macchine da trasporto ecc. Perch senza tali cose non
possibile che le robe che girano vadano con sollecitudine. Di qui che oggid
quasi in tutta Europa, per lo spirito del trafficare del quale tutte le di lei nazioni
sono prese, non si senta altro che fabbriche di nuove vie, comunicazioni di fiumi,
scavamenti di canali di comunicazione ecc.; delle quali nazioni quelle sono sem
pre da riputare le pi savie che pi vi attendono, perocch (mi giova qui repli
carlo) la grandezza dell'interno commercio la pi gran sorgente della ricchezza
e potenza della nazione e del sovrano, non potendosi senza quella avere n vigo
rosa e florida industria di dentro, n gran commercio di fuori.
V. Ha di tutte le cose le quali agevolano e accelerano la circolazione delle
cose mercatabili, e che grandissimo moto danno a tutte le branche dell'industria
il danaro, purch si mantenga dentro certi termini. I. Perch aumenta la quan
tit delle cose mercatabili di tanto quante esso ne rappresenta, ci somministra
tutte le materie delle quali abbisognamo, e con quella facilit e prestezza che
non pu aversi dalla sola permuta. II. Perch ci d tutti i necessari operaj, e
quando ve ne fosse carestia, ha come la forza di crearli: tanta la virt sua.
III. Perche ci d tutto il comodo, che per noi si desidera, per trasportare le der
rate e le manifatture l ove fa mestieri. IV. Perch ove noi per copia di danaro
non abbiamo s stretti bisogni, che ci obblighino a vendere o a permutare in
tempi non favorevoli (ci che rovina e avvilisce l'industria di molti), noi possi*-
mo serbarle a miglior tempo senza nulla intanto rimettere dell'industria e dei
lavori. V. Perch per l'opera sua si possono allettare e favorire molti ingegni,
che inventino e migliorino quelle cose, che ad accrescere l'opere non tanto del
l'arte ma della natura eziandio e ad agevolare il loro giro sono acconcissime. Io
dissi consideratamente che il danaro cagione di tanto bene, purch si mantenga
dentro certi termini; perch tengo per fermo che per poter giovare, la sua copia
non debba essere n di molto minore n di molto maggiore della popolazione e
de' bisogni dello Stato.
VI. Il danaro che in mano di pochi non accende a volerne far uso che
quei pochi che il posseggono, i quali possono bene di molte cose astenersi per
non vederselo volar di mano; ma quello ch' in mano di molti o di tutti desta
molti o tutti a permutarlo colle cose che rappresenta, o tutte o parte. D'onde
seguita che allora 11 danaro promuova o acceleri vigorosissimamente la circola
zione, quando esso fla nella nazione il pi equabilmente che si possa diffuso;
perch dove esso ristagna in poche famiglie, le quali ne diventino ricchissime,
SUL COMMERCIO IN GENERALE. 527

non influisce n punto n poco nella generale circolazione; per modo tale che
una nazione, dove ci avvenisse, potrebbe avere molto oro e argento, ma scarsa
e povera agricoltura e poche e rozze manifatture, ed essere con ci poverissima
in mezzo alle ricchezze. Il sovrano che ad una tale nazione signoreggiasse, per
rimettere la bilancia tra i pochi ricchi e tutto il resto del civil corpo poveri, non
potrebbe niuno pi acconcio mezzo adoperare quanto di promuovere nelle far
glie di quei ricchi ogni specie di lusso, ma delle interne cose; e questa una
delle cagioni ond' avvenuto che in niuna parte della terra non sia il danaro pi
egualmente diffuso,e perci pi comune l'industria, e conseguentemente pi grande
la circolazione e il commercio interno, quanto lo nella Cina.
VII. L'equabile diffusione cagione, secondoch detto, di grande e veloce
circolazione e con ci di ricco interno commercio; e questo manifesto segnale
dello Stato florido, in cui sono l'agricoltura e le manifatture. Di qui dunque se
guir che per conoscere se in una nazione vi sia del danaro, e se esso sia diffuso
con quella equabilit di cui parliamo, non vi sia migliore e pi certo argomento
quanto il considerare la circolazione, il vigore dell'interno commercio, lo stato
dell'agricoltura e delle manifatture. Perch se queste sono cose grandi e floride,
si pu francamente conchiudere che vi sia del danaro che basti, e ch'esso sia dif
fuso per tutti i membri della civile societ. Ma se elleno, le suddette cose, sono
poche e lente e magre, conchiudete pure o che non vi sia del danaro, o che se
ve n'ha non sia ben diffuso.
VIII. Il danaro segno delle cose mercatabili; dunque se la quantit di co
tali segni (e intendasi de'circolanti, poich quelli che non circolano, sono ri
guardo al commercio come quei che non ci sono) se, dico, tal quantit aumen
tasi, ciascun pezzo rappresenter minor quantit di quelle robe, di cui son segni;
e se diminuiscesi, ne rappresenter maggiore: e vale a dire, che crescendo la
quantit del danaro, il suo pregio invilir e crescer quello delle cose mercata
bili; e pel contrario scemandosi la sua quantit, incarir e scemerassi il pregio
delle robe che rappresenta. Donde seguita, che a voler conoscere la quantit del
danaro che in una nazione circola, da dar mente al pregio delle cose; il quale
se aumentato, sicuro argomento che la copia de'segni circolanti sia cresciuta:
e se questa si trover diminuita, potete conchiudere esservi in quella tale nazione
gran penuria di danaro, e conseguentemente piccola e lenta circolazione; e da
ci comprendere ch'ella abbia piccolo commercio interno, che l'agricoltura e le
arti vi languiscano, e ch'ella non abbia che o niuno o piccolo commercio esterno.
Le quali cose conosciute, si pu qualche compenso trovare perch ella non rovini
del tutto, e anzi che si vada pian piano ristabilendo.

S. X.
Regole sulle quali gl'Inglesi hanno piantato e sostengono il loro commercio.
Molte altre belle e utili cose potrei qui dire, se mio proponimento fosse di
trattare la presente materia, e non piuttosto di darne un cenno.
Avendo noi in assai luoghi altrove dimostrato, che non possiamo altronde
avere il compenso di ci che noi paghiamo a'forestieri, salvo che dall'esterno
commercio o sia dalle estrazioni di ci che ci di soverchio, egli ora neces
sario che noi parliamo di queste estrazioni e che ne dimostriamo i principi e le
328 GENOVESI.

regole generali, e soprattutto che ragioniamo con ispecialit della preferenza nel
concorso delle molte nazioni le quali ne' medesimi luoghi traffichino, la quale
preferenza come l'anima e lo spirito tanto del commercio esterno che dell'in
terno. In ci facendo io non mi allontaner dai principii dei migliori autori In
glesi: imperciocch di tutte le nazioni di Europa, niuna non ha n pi n meglio
pensato sull'economia dello Stato e sul commercio s esterno che interno, quanto
essi ; ond' che noi non siamo da essere rimproverati, se in quest'arte nella quale
essi sono s gran maestri li prendiamo per modelli. Ora gl'Inglesi nell'economia
dello Stato e nel commercio hanno e seguono costantemente i nove seguenti
principii, dai quali essi hanno ottenuta quella grandezza di commercio in cui
sono, e quelle ricchezze che hanno. Trovansi questi principii in molli loro libri,
ma con ispecialit nel Negoziante inglese e nella bellissima opera del signore
Giosu Gee da noi altra volta lodata.
I. Il primo principio adunque che si vuol tenere sulla presente materia che
il vero manifesto ed unico guadagno e introito di una nazione che dipenda da
molte altre in chechessia, rispettivamente a quelle dalle quali essa prende e di
pende, cos come rispettivamente a tutte le altre, questo introito, dico, consiste
nel trasportar fuori ci che le di soverchio; imperciocch quindi solamente
nasce il suo introito rispettivamente agli altri Slati, con i quali essa ha dell'esito,
e con questo, n con altro pu ella compensare l'esito annuale. Dal qual prin
cipio segue: 1 che uno Stato il quale non manda niente fuori non ha introito, e
perci se riceve da' forestieri in una continua decadenza; 2 che uno Stato che
manda fuori poco ha piccolo introito, e se l'esito maggiore, egli decade a pro
porzione dell'eccesso dell'esito sull'introito; 5 che uno Stato che molto manda
fuori ha molto e grande introito, e che se agguaglia l'esito, si mantiene : se il
supera, va crescendo a proporzione dell'eccesso dell'introito sull'esito; 4 che
tutte le cause, le quali ritardano o scemano le esportazioni, scemano eziandio
l'introito e conseguentemente le. ricchezze e le forze dello Stato e del sovrano, le
quali non sono divisibili giammai ; 5 che tutte le cause, che agevolano e accre
scono le esportazioni, accrescono parimenti l'introito e conseguentemente arric
chiscono lo Stato e il sovrano.
II. Il secondo principio generale che tra le molte maniere di esportare il
superfluo della nazione si deve scegliere la pi utile e la pi vantaggiosa, perch
l'introito possa essere sempre pi grande e pi netto ; e che questa maniera sia,
di non trasportare i materiali delle arti se non se lavorati ; e dove non si possono
lavorar tutti, lavorarne quel che si pu pi e trasportarne il pi che si pu dei
lavorali. Dal quale principio segue primieramente che poste tutte l'altre cose eguali,
quello Stato che pi manda de' materiali lavorati ha maggiore introito, che non
si abbia quello che ne manda meno o che non manda che de' soli materiali. Se
condariamente, che mandar fuori i materiali non lavorati, i quali si potevano
lavorare nella nazione, tende ad impoverire rispettivamente lo Stato, perch tende
a mantenerlo e nell'ignoranza delle arti e nella dipendenza dai forestieri.
Per poter meglio intendere questa regola applichiamola al nostro regno. Noi
abbiamo delle lane e della seta che sono materia di ricchissime arti, e ne ab
biamo, se non altro, non certamente cattive, n, se non a poche, inferiori. Noi
vendiamo di questa lana mollo ai Veneziani e molta seta agli Ollramonlani. Que
sto veramente un introito e una rendita ussolula; ma intanto ella una perdila
SUL COMMERCIO IN GENERALE. 529

relativa per lo Stato, se noi possiamo mandare questi stessi materiali lavorati in
drappi, cappelli, calze e altrettali manifatture. Primamente, perch fintantoch
noi manderemo fuori dei materiali delle arti delle quali abbiamo pur bisogno,
noi non le coltiveremo npunto n poco, e conseguentemente dipenderemo sem
pre da'forestieri e loro ci renderemo in certo modo tributari. II. Perch noi pa
gheremo loro per le manifatture, che da quelli compriamo, maggior somma di
danaro di quella che noi forse riceviamo per tutti i nostri materiali. III. Perch
il guadagno di lavorarli per noi perduto e acquistato da'forestieri, e cos toltaci
gran materia di occupare utilmente i nostri poveri. Per cagion d'esempio cento
cantara di lana a 50 ducati il cantaro ci rendono 5,000 ducati, e centomila
lire di seta a due ducati la libbra ci rendono 200,000 ducati. Ma cento cantara
di lana lavorata possono ad una diligente e industriosa nazione per lo meno ren
dere 50,000 ducati, vale a dire il decuplo della materia; e centomila libbre di
seta ben lavorate possono renderci 600,000 ducati, cio il triplo della materia:
dalle quali somme dedotto il valore di quelle poche cose che noi dovremmo com
prare per lavorar le nostre materie e per tingerle, ecc., resterebbe grandissimo il
nostro guadagno e tale da nutrire molte e numerose famiglie. Gl'Inglesi per la
pratica di questa regola confessano essi medesimi d'aver acquistate immense ric
chezze; e l'autore delle Considerazioni sulle Finanze di Spagna dimostra, che
per essersi col questo provvedimento trascurato, la Spagna se n' trovata sem
pre povera. Imperciocch la pratica di questa regola anima e migliora le arti:
occupa gli uomini e li fa rendere allo Stato: accresce la popolazione: accresce le
ricchezze rappresentative, ossia il danaro: aumenta le rendite del sovrano: efinal
mente rende lo Stato florido e potente, cos assolutamente come rispettivamente
alle altre nazioni.
III. Il terzo principio generale , che il promuovere il soverchio dello Stato
ad un tratto accrescerne l'introito; imperciocch dimostrato nella prima re-
gola, che l'introito dello Stato non dipende e non pu dipendere salvoch dall'e
sportazione del soverchio. A voler poi promuovere il soverchio egli necessario
che tutta la nazione sia animata da questa bella massima, che di tutto ci ch'
necessario ai bisogni umani, di qualunque sorta ch'essi sieno, bisogna procurare
di averne il pi che sia possibile e non solo tanto, quanto a ciascheduno basta.
Ma perch una nazione sia,per cos dire, invasata di questa massima, fa d'uopo
che risguardi ogni genere di cose e di applicazione e di mestiere per l'aspetto del
commercio, e non per il solo aspetto del suo uso, e che tutto rapporti al com
mercio e non al puro interno bisogno solamente. Conciossiach quando i mestieri
e le applicazioni si risguardano dal solo aspetto del sostegno e del purobisogno,
e non gi da quello del commercio ancora, ciascuno cerca di averne quanto gli
basti e non pi; nel qual caso non vi sar del soverchio giammai. Ma risguar
dandosi tutto ci che si fa con occhio di trafficante, e che s'ingegni di fare il
suo vantaggio quanto egli pu il pi, ciascuno si studier di avere il soverchio
per trafficare; il soverchio de' particolari far il soverchio della nazione, e cotal
soverchio sar copiosa materia del commercio esterno.
Questa massima una di quelle, le quali pi che tutte le altre cose han
conferito ad arricchire l'Inghilterra. Fino al 1689 gl'Inglesi non risguardavano
l'agricoltura che come un sostegno e non come un negozio, e fino a questo tempo
l'Inghilterra ebbe spesso bisogno di derrate, e oltre di questo pat delle gravi ca
330 GENOVESI.

restie. Ma avendo in quest'anno il parlamento accordata la gratificazione a co


loro, i quali in vascelli inglesi avrebbero asportate fuori della nazione delle der
rate inglesi, l'agricoltura fu da tutta la nazione risguardata come negozio, e s
ella crebbe, che non che sentire penuria di derrate ella ne ha potuto smaltir fuori
ciascun anno in grandissima copia. L'istesso metodo hanno tenuto per le mani
fatture perch potessero avere la preferenza nel concorso; e quindi sono elleno
giunte a quella grandezza e perfezione che ciascuno sa. Adunque si vorrebbe
fare, che in tutte le nazioni che amano la loro vera ricchezza e grandezza, l'agri
coltura e le manifatture si risguardassero come negozio, perch si potesse avere
in quelle del soverchio, eh' la materia dell'esterno commercio la pi abbondante
e la pi ricca.
Ma perch questo spirito possa diffondersi in una nazione per tutti i suoi
membri, egli necessario che si sia sicuro di poter eslrarre il soverchio quando
che si vuole e quanto si vuole. Quando questa sicurt manchi non vi sar chi
ardisca di procacciarsi il soverchio, e l'agricoltura e i mestieri non 9i risguarde-
ranno pi con occhio di mercatante, ma in mira del puro sostegno solamente.
Questa sicurt posta in due cose. Prima il non essere interdetto n tempo, n
quantit per le estrazioni. Secondariamente l'essere s regolati i dazi delle estra
zioni, che possa ciascuno lusingarsi di avere o la preferenza o almeno il pari nel
concorso delle altre. Quando queste due cose mancano, manca la sicurt delle
esportazioni, e questa mancanza estingue il desiderio di avere del soverchio. Ri
guardo poi al luogo d'onde debbono farsi le esportazioni, non necessario che
sia cos libero come il tempo e la quantit ; ma ben giusto che i luoghi Ondo
debbano trasportarsi sieno certi, n di difficile accesso alle diverse parti dello
Stato. Imperciocch l'incertezza disanima ed impedisce il prendere per tempo le
giuste misure, e la difficolt dell'accesso accresce le spese del trasportarvi le der
rate e le manifatture, e si mette il venditore in istato di non poter sostenere la
concorrenza.
Ma qui conviene rispondere ad una difficolt che suol farsi, che quando si
permetta la libera estrazione in ogni tempo e per ogni quantit, la voglia del gua
dagnare, ch' potentissimo stimolo negli animi umani, pu cagionare una man
canza totale dei capi delle cose che si estraggono, e cos metterci nella necessit
di doverli poi ricomperare dai forestieri a maggior prezzo di quello che loro gli
abbiamo dati, specialmente ove si tratti di cose di prima e seconda necessit.
Ma questo un timore panico, per quanto a me pare. Primamente questo timore
non ha luogo nelle manifatture, delle quali quanto pi se n'estrae tanto pi ne cresce
la quantit, perch tanto pi cresce il guadagno, primo e principal motfe di
ogni industria. Se poi risguarda i materiali delle arti, questi sono stati da me
eccettuati per la ragione del secondo principio generale, il quale ci fa assai chia
ramente comprendere che i materiali delle arti non debbono trasportarsi rozzi,
se non quando eccedono i lavori che si possono fare nello Stato. Finalmente se
risguarda le derrate, potrebbe aver lnogo in quelle nazioni, nelle quali quei che
cercano di trasportarle fuori non trovano compratori di dentro, i quali comperino
o per loro uso o per uso di mercatura. Ma di queste nazioni non credo che al
cuna ve ne abbia in terra. Certo noi non siamo in questo caso. Ciascuno di noi
vuole la sua provvista di derrate, e se la procura quando ha del soverchio : e
quelli che non hanno da provvedersene sono bastantemente cautelati da que'mol
SUL COMMERCIO IN GENERALE. 331

(issimi, i quali comperano per rivendere. Ora costoro mossi dal medesimo prin
cipio del guadagno, d'onde si crede temere la soverchia estrazione, non estrar
ranno mai fuori dello Stato quello che possono rivendere ad egual prezzo al
cittadino. E come tutto questo naturalmente regolato dalle probabilit che si
presentano del guadagno, quando queste sieno o maggiori o eguali per le vendite
al di dentro dello Stato, di quello che sono per ie estrazioni, non si ha mai a
temer di mancanza; e se sono maggiori per le estrazioni, argomento che le der
rate al di dentro abbondano e che perci non si dee temer che manchino. Ecco
la ragione che mi fa credere, non poter essere che utilissimo per il regno l'avere
le tratte aperte del grano in ogni tempo e per qualsivoglia quantit, non altri
menti di quello che le abbiamo dei vini, senza che giammai ci siamo risentili
della loro mancanza.
IV. Il quarto principio generale , che dove a noi manca qualche specie di
manifattura per mancanza di materia, si debba sempre preferire l'importazione
della materia rozza a quella della materia lavorata. Imperciocch quando noi ab
biamo da comperare qualche cosa, la ragione economica e' insegna di dover sem
pre fare la minima possibile spesa-, ora in questo caso chiaro che la minima
possibile spesa quella della materia cruda. Aggiungasi che oltre al risparmio e
al guadagno della manifattura, noi veniamo con questo mezzo a mantenere in
vigore le arti e perci la materia dell'occupazione dei membri dello Stato, a che
deve principalmente provveder l'arte nell'economia pubblica, siccome pi d'una
volta detto. Se noi, per cagion d'esempio, che comperiamo le manifatture di lana
e di lino e di pelo, non comperassimo che i soli materiali rozzi ancora e ci stu
diassimo di lavorarli, primieramente noi introdurremmo nello Stato nuove arli e
perfezioneremmo le nostre: ci che non si fa mai che con grande pubblico van
taggio. Secondariamente noi avremmo pi mezzi da occupare la nostra gente.
Per terzo , questa gente accrescerebbe il consumo dei nostri prodotti , e per s
fatto modo darebbe nuovo grado di molo e nuovo vigore all' agricoltura e agli
altri mestieri di prima necessit.
V. Il quinto principio generale , che l'importazione di quelle mercanzie, le
quali impediscono il consumo delle nostre, o che nuociono al progresso delle
interne manifatture, della cultura e delle altre arti, strascina seco la rovina dello
Stato. Imperciocch prima pian piano cadono le interne manifatture, la cultura e
le arti. Secondariamente, colla decadenza delle arti manca il sostegno della gente.
Per terzo, la nazione si spopola a proporzione che impoverisce, laonde lo Stato
perde di forza assolutamente e rispettivamente.
VI. Il sesto principio , che le importazioni di mercanzie di puro lusso sono
sempre una vera e reale perdita per lo Stato. Per poter intendere questa regola si
vuole osservare, che chiamasi lusso ogni spesa che non ricercata n dalle no
stre necessit, n dalle comodit, cio che non serve n per esistere, n per esi
stere comodamente, ma ella si bene indiritta a soddisfare alle nostre non ne
cessarie cupidit. Si vuole inoltre osservare che questo lusso pu mantenersi o
cogli interni prodotti della natura e dell'arti, o cogli esterni. Quando il lusso si
alimenta con ci che tra noi nasce o si fa, sempre utile allo Stato, bench possa
essere nocevole ad alcuni particolari i quali non gli pongono o non gli sanno
porre dei giusti termini. E la ragione che promuove il consumo dei prodotti,
cos della natura come dell'urli: e promovendo questo consumo somministra
552 GENOVESI.

guadagno a' coltivatori e agli artisti; e somministrando guadagno, anima la


coltura e le arti ; e conseguentemente d dei mezzi da vivere, e perci accresce
la popolazione, onde nasce la forza dello Slato.
Ma quando il lusso non si mantiene che de' prodotti esterni, sempre certa
rovina dello Stato. Prima, perch aumenta l'esito senza che nell'istesso tempo
aumenti l'introito, e perci ogni anno ci rende pi poveri. Secondariamente, per
ch disanima l'interna coltura e le arti, e cos toglie i mezzi della sussistenza a
molli, onde scemasi la popolazione. Che se la materia di questo lusso ci portata
da stranieri medesimi ancor maggior male, perch ci rende dipendenti e come
servi di quelle nazioni, appresso le quali i nostri prodotti non avranno giammai
altro valore che quello che ad esse piacer di lor dare; e le loro cose ne avranno
sempre grandissimo, ci eh' un nuovo principio di povert per lo Stato. In un
solo caso adunque le importazioni di puro lusso possono esser utili, ed quello
dove s'importino per esportarle con profitto, come si fa dagli Olandesi e da altri
popoli i quali fanno il commercio detto di economia. Ma perch questo possa
aver luogo in uno Stato, necessario che abbia poderosa navigazione.
VII. Il settimo principio , che l'importazione delle mercatanzie esterne che
si fa per esportarle, e ci con proprie navi, sempre grande e certa rendita per
lo Stato. Questa rendita consiste nei seguenti capi. Primo, nel profitto che si ha
da valore a valore. Se per cagion d'esempio le mercanzie importate ci costino un
milione, e esportate si vendano un milione e mezzo, lo Stato avr guadagnato
mezzo milione. Gli Olandesi, in tempo che le altre nazioni settentrionali avevano
o poco o niuno commercio, fecero tutto il loro traffico e ne arricchirono. Secondo,
nell'occupazione della marineria; perciocch non si pu fare questo commercio
senza molta gente, n impiegarsi molta gente senza grande utile dello Stato. Terzo,
nell'occupazione di molte arti necessarie alla fabbrica de'vascelli, che danno nuovo
sostegno ad una parte del popolo. Quarto, nel consumo dei materiali necessari
per la costruzione dei vascelli, che d valore alle terre e vigore alla coltura.
Quinto, nella protezione che una buona marina procura al commercio.
Vili. L'ottavo principio , che l'aver tanta copia di vascelli e di marinai che
se ne possa una parte impiegare dandoli a nolo alle altre nazioni, una rendita
certa per lo Stato, perch occupa degli uomini in benefizio dello Slato, al cui pio
vengono tutte le rendite del noleggiare. Gl'Inglesi e gli Olandesi fanno in questa
maniera quasi tutto il negozio del Portogallo e di gran parte della Spagna altres,
non senza grandissimo loro profitto.
IX. Il nono ed ultimo principio , che la preferenza nel concorso l'anima
del commercio, e che tutte quelle cause che la producono, promuovono nell'istesso
tempo e danno spirito e vigore al commercio; e quelle che vi si oppongono, di
struggono il commercio da'fondamenti. , com' detto, la preferenza nel con
corso delle mercanzie, che dove molti portano a vendere le medesime cose al
medesimo luogo, uno sia preferito agli altri nel vendere. Questa preferenza pu
nascere o dalla bont della cosa, o dalla dolcezza del prezzo, o dall'una e dall'al
tra insieme. Se le cose sono egualmente buone, la preferenza l'avr colui che pu
vendere a minor prezzo. Se i prezzi sono eguali, l'avr colui le cui mercanzie
sono migliori. E se tutto eguale, la preferenza sar del pi diligente. Quindi
che conducono alla preferenza primamente tutte quelle cose e quelle operazioni,
o meccaniche o politiche, le quali sono indiritte a migliorare le mercanzie. Se
SUL COMMERCIO IN GENERALE. 335

conciariamente tulle quelle cose o operazioni, cosi meccaniche come politiche, le


quali sono atte a scemare le spese del trasporto e i diritti ossia i dazi. Per terzo,
lutti que' regolamenti i quali sono atti a far guadagnare del tempo. E per lo con
trario ogni deterioramento delle mercanzie, ogni accrescimento di spesa o di dazi,
ogni intertenimento di tempo nuociono alla preferenza.
Considerando adunque due Stati trafficanti in un terzo, chiaro che quello
de' due il quale avr migliori derrate e manifatture; che pagher pi pochi di
ritti; che per la perfezione della meccanica e della nautica, per la comodit de'
fiumi, per la facilit delle strade far minore spesa nel trasporto; che avr final
mente minore impedimento nello spedire le sue mercanzie, avr indubitatamente
la preferenza; e l'altro sar posposto con gravissimo danno e discapito del suo
commercio.
Ma egli ormai tempo ch'io dia fine a questo mio Ragionamento , che pur
di troppo ha trascorso i segni ch'io mi avea prescritto. Pure prima ch'io il fac
cia, avendo io se non m'inganno dimostrato sufficientemente che l' economia
cos scienza come tutte l'altre, e che ella ha i suoi principi, la sua connessione
e le sue certissime conseguenze , la quale disprezzata o poco coltivata da' nostri
maggiori stata a' di nostri messa in tutto il suo lume; voglio ora a due quesiti
rispondere, e poi tormi di quest'impaccio. E il primo , se io creda, come mostro
crederlo, che questi tanti scrittori di economia, che oggi per tutta Europa si veg
gono comparire, siano per recare alcun giovamento alle nazioni ? Rispondo che
io credo di s, e credo d'avanzo che essi non solo possono recarne grandissimo,
ma che ne hanno gi fatto di molto. Perch sebbene non facile che queste ve
rit montino ad un Irattto fino a quelle sedie, nelle quali possono essere vera
mente fruttifere, come quelle che sono le sorgenti dell'economia pratica, pur non
dimeno esse non lasciano di fare ciascun giorno degli avanzamenti , dai quali
molto da sperare. E ben si vede ci chiaro nell'Inghilterra, nella Francia e nella
Spagna eziandio ; imperocch, tralasciando ogni altra considerazione, fuor di
dubbio che il commercio interno ed esterno della Spagna siasi di molto accre
sciuto e migliorato, posciach D. Gemmino Ustariz con quella sua dotta opera
che scrisse verso il 1720, della Teoria Pratica del Commercio e della Marina,
quel lume vi sparse che non eravi, e fecevi vedere le cagioni vere che avevano
quasi spento il florido commercio delle Spagne, e i mezzi per i quali poteva e do
vevasi ristabilire. E oltre di questo certissimo, che per questi fatti e per questi
libri quasi tutte le nazioni d'Europa siansi oggigiorno volte a promuovere il
commercio; per guisa che io stimo bene, che coloro che questo quesito fanno
sieno poco o niente intesi del presente stato d'Europa. Io ho detto e voglio qui
ridirlo, che le cagioni di molti morbi politici non sono sempre i vizi degli uomini,
n lamal vagita, ma assai spesso l'ignoranza.
Io so che vi sono di coloro (e questo il secondo quesito) i quali dicono, che
non ora pi il tempo che una nazione qualunque ella siasi possa fare nel
mondo fortuna e avere s gran commercio per cui si distingua dall' altre ; peroc
ch , dicono essi, essendo il commercio gi da alcune poche occupato, non resta
all' altre che loro andar dietro e rimanersi perci nella loro bassezza. E aggiun
gono che comech altri possano, noi siamo si in quest'angolo del mondo con
finati che se ne voglia levare ogni pensiero , come vano e da non potere aver
effetto nessuno che non possa divenir a noi medesimi pernicioso. I quali io non
554 GENOVESI.

posso credere che discorrano seriamente; perch essi sanno o dovrebbero sapere
che la buona fortuna nasce dai buoni ordini, cos nelle piccole come nelle grandi
imprese, e che non fia possibile ch'ella s'abbia ove le cose non siano saviamente
ordinate , salvo se Dio non prenda di noi una speciale cura e provvidenza. Ma
a voler bene ordinare'un' impresa da saper maneggiarsi con arte quel cotale
soggetto, perch stolta cosa aspettare che la buona ventura ci guidi, senza sa
pere e voler noi prendere le sue redini. Io non niego che non vi sia n possa
essere oggimai una nazione che possa ella sola aver l'imperio del commercio,
non gi per la ragione che altri si trovino averla avanzata di corso (che ciascuna
pu si ben correre come ogni altra), ma perciocch l'agricoltura, le manifatture,
la navigazione non sono pi oggigiorno de' misteri cui non intendano che pochi,
ma sono arti che tutti i popoli di Europa conoscono , e delle quali ciascuno ha
presa quella parte che pi gli attenga o gli torni meglio. Pur nondimeno an
cora tempo che una nazione, anche nella mediocrit, possa molto dall'altra di-
stinguersi, se ella si studier di essere pi savia e pi diligente che le altre, e
massimamente se ella abbia pi interne e naturali forze che alcuna delle altre
che aspirino a questa gloria. E voglio qui ripetere quello che ho detto altrove ,
che non si dee sbigottir niuno di poter conseguire quello clic stato conseguito
da altri, perch gli uomini nacquero, vissero e morirono sempre colle medesime
forze e con un medesimo ordine.
Quanto poi a dire che noi siamo cos come in un angolo del mondo confinali,
se pure vi ha chi il dica, come cicalare ad occhi chiusi e non sapersi che dire;
perch io credo bene che in questo globo, che chiamiamo terra, niuno ci sia
come confinato in un angolo, se ci non fosse per avventura de' popoli abitanti
sotto i poli, come quelli che tanto sono remoti dai climi temperati, ove maggior
copia d' uomini, che e' pare ch'essi sieno proprio presso a finimondo; e se ci
fosse, pi confinati di noi sarebbero i Francesi, gli Olandesi e gl'Inglesi, come
pi al polo Artico approssimantisi , e molto pi ancora gli Svedesi e i Moscoviti,
e pur nondimeno, non che i Francesi, gli Olandesi , g' Inglesi, ma gli Svedesi ezian
dio e i Moscoviti cominciano a superarci nelle manifatture e nel commercio. Oltre
di che, noi abbiamo pur altra volta avuto tal commercio che potevamo essere
annoverati tra i primi, siccome le storie nostre ci dimostrano degli Amalfitani e
de' Salernitani e de' Tarentini e de' Baresi , tuttoch noi fossimo in queir istesso
angolo nel quale siamo tuttavia; e grandissimo n'hanno gi avuto i Veneziani,
pi ancora di noi confinati. Se non che coloro che queste cose cos discorrono
non avvertono, secondoch a me pur pare, che essendo oggid la navigazione in
Europa a quel grado di perfezione giunta ove ognuno sa, non vi nazione nes
suna, purch navighi, che sia da qualunque altra che vi ha in terra s remota
che non le sia sempre vicina; di che certissima fede fanno le tante compagnie
di negozianti, non che dell'America e dell'Africa, ma dell'India e della Cina e
del Giappone finalmente, per le cui navi l' oceano tutto quanto meglio avanti e
dietro in ogni stagione corso, di quei che sieno tra noi le pi deliziose vie negli
amenissimi tempi passeggiate. Con che io voglio conchiudere, che se noi non
andiamo l dove e' pare che noi possiamo pure andare , sia da attribuire pi a
mancanza di saperlo e volerlo, che o al sito o al tempo o a quella che altrui piace
chiamar fortuna, e la quale, secondo che le storie umane c'insegnano e che i
savii dimostrano, non giammai a coloro mancata che hannovi adoperato senno
e valore.
RAGIONAMENTO
SULLE MANIFATTURE.

I.- Molte cose ho io a dire per dimostrare con ordine e compiutamente di


quale e quanta importanza egli sia il pensare seriamente a promuovere e mi
gliorare le nostre manifatture, e procurar loro quello smercio che esse potrebbero
e dovrebbero avere. E comech elle sieno per trarmi troppo pi in l di quello
che mi conviene , nondimeno sapendo di avere pi di una volta per amore di
giovare alla patria trasgrediti i prefissi limiti, non per ci me ne rimarr, ma
solamente mi studier per quanto mi fia possibile di ristringere il molto in poco.
II. E perch le cose che son da dire si possano intendere per i loro principii,
prima da sapersi che la cura e il governo di ogni nazione hanno due princi
pali fini, il primo de' quali che nella nazione, che si governa, sia il massimo
possibile di abitanti, e il secondo, che siavi la pi gran ricchezza che sia possi
bile; perch quanto una nazione sar pi numerosa, altrettanto maggiore sar
il numero de' sudditi che avr il sovrano, de' quali pu egli servirsi in pace e in
guerra; e oltre a ci tanto essi vivranno pi sicuramente e pi agiatamente,
perch la sicurezza e l'agio dell'uomo nascono dalla moltitudine, che essendo in
un medesimo luogo unita rende le forze e gli agi di ciascuno tanti, quanti sono
quelli di tutti insieme. E quando poi la nazione nel grado delle massime pos
sibili ricchezze, tanto ancora proporzionevolmente pi ricco il sovrano, perch
le rendite de' sovrani nascono dai tributi, dai dazi, dalla dogana e dai donativi;
e quanto una nazione pi popolosa e pi ricca, tanto a proporzione crescono i
tributi; e oltre a ci essendo il consumo, che ella fa, maggiore, tanto sono an
cora pi copiosi i dazi, i donativi , la dogana. Dove che nelle nazioni spopolate
e povere tutto scarso e poco , e tanto il sovrano a proporzione pi debole e
pi povero.
III. Per ottenere questi due fini uno il comune e general mezzo, avvegna
ch si divida particolarmente in molti branchi, e si fare in modo che coloro,
i quali abitano quel tal paese , abbiano abbondantemente e senza grande stento
di che vivere e di che supplire ai loro bisogni, ai loro comodi e anche ai loro
piaceri, e che possauo di tali loro averi liberamente godere. Perch come in
quelle selve voi troverete molta e ben nutrita cacciagione, nelle quali hanno le
fiere copiosamente di che vivere, e dove non sono pi del convenevole persegui
tale; cos in quelle parti della terra voi troverete molti e ricchi abitanti, ove vi
ha abbondantemente di che vivere, e dove ciascuno sotto la protezione delle leggi
e la sempre giusta mano di coloro che le eseguiscono, vive con libert e sicurt.
IV. Li fonti, onde si possono copiosamente trarre le cose che servono ai no
stri bisogni , comodi , piaceri , e cos occupare la massima quantit di uomini ,
sono la terra, il mare, l'arte, secondo che altrove detto; perch dai primi due
noi tiriamo molle cose che immediatamente servono alla nostra vita, e oltre ci
556 GENOVESI.

le materie prime di tutte le arti: e l'ultimo migliorando la natura, come i filosofi


dicono, cio acconciando per gli usi nostri quelle cose che la natura ha per av
ventura prodotte ad altro uso e per altro (Ine immediato, supplisce a tutti i no
stri comodi e piaceri. Dove la terra benigna e feconda e il mare abbondante
di pesca , ivi ad avere la massima possibile ricchezza non manca altro , che la
perfezione e la diffusione delle arti miglioratrici della natura. Perch come elleno
crescono e si migliorano, cos una maggiore quantit di famiglie occupa e som
ministra al traffico esterno una maggior copia di mercanzie , le quali o si cam
biano con quelle che mancano, o con dell' oro e dell'argento.
V. Ma di tutte le arti, quelle che pi conferiscono alla popolazione e alla ric
chezza di un popolo, sono le manifatture , e principalmente delle cose che ser
vono a vestirci e a farci abitare con comodit e pompa; primamente, perch
niun'altra somministra- tanta materia al commercio esterno, e il rende cos flo
rido e ricco , e perci atto ad alimentare e arricchire grandissimo numero d' uo
mini, quanto cotali manifatture, intanto che in alcune nazioni, come tra i Genovesi
e Veneziani in Italia, e tra gli Olandesi e Amburghesi in Germania, suppliscono
alla mancanza dell'agricoltura: e secondariamente perch in niuna parte l'interno
consumo di tutto ci che serve alla vita maggiore, quanto dove le manifatture
fioriscono; e dove maggiore il consumo, ivi la terra sempre ben coltivata e
conseguentemente ivi massimo il numero degli uomini e grandissima la ric
chezza. Per lo contrario dove le manifatture sono poche e imperfette, ivi mi
nore la materia dell'esterno traffico, minore il consumo interno, minore l'agri
coltura, e perci minori i comodi e gli agi della vita: dunque non vi ha ricchezza,
e vi ha piccolo numero di abitanti.
VI. Perch meglio s'intenda questa teoria mi studier, il meglio che io mi
sappia, di applicarla al nostro regno. Il regno di Napoli fa intorno a tre milioni
di abitanti, n gran fatto ricchi. Ora io dico che se noi portassimo alla sua per
fezione il nostro commercio e le nostre manifatture, questo regno potrebbe ali
mentare intorno a sei milioni di abitanti, e renderli incomparabilmente pi ricchi,
e il nostro sovrano potrebbe trarne il doppio delle rendite che ora ne trae, e con
ci essere del doppio pi ricco e pi potente. Ecco il calcolo sul quale questo mio
giudizio fondato. Le provincie che compongono il nostro regno, contengono in
torno a nove milioni di moggia di terra. Il famoso Vauban, ne' calcoli che egli fa
per l'estensione della Francia, pone la met delle terre di quel paese non atte a
coltura, ma di assai meno ve n'ha nel nostro regno; sicch io esimer dalla cultura
solo 5[9; dunque noi avremo di terre da coltivare 6,000,000 di moggia. E provato
dalla sperienza, che sei moggia ben coltivate sono pi che sufficienti a nutrire una
famiglia di cinque persone, e porla in istato da pagare tutti i suoi pesi; poich nelle
vicinanze delle capitali per lo smercio maggiore e pi facile ve n' ha di quelle che
vivono con tre e fino con due, e taluna con uno : fatto non ignoto qui in Napoli.
Di qui segue che la sola agricoltura, quando sia portata alla sua perfezione, pu
nutricare un milione di famiglie di cinque persone a famiglia, e cos darci cinque
milioni di abitanti. A tutto ci sono ora da aggiungere il traffico e le manifat
ture, le quali quando sieno portate alla loro perfezione , possono occupare assai
pi che 200,000 famiglie, che ci daranno pi che un altro milione di abitanti.
Per la qual cosa avendo io tutto calcolato con abbondanza , non dee a quei che
dirittamente pensano parere un paradosso poco verisimile , che il nostro regno
SULLE MANIFATTURE. 357

possa sostenere intorno a sei milioni di abitanti. Ora quando fosse il popolo cre
sciuto del doppio e tutto ben impiegato, sarebbero del doppio cresciute altres le
sue ricchezze e le rendite del sovrano, e con ci la sua forza divenuta del doppio
maggiore.
VII. E perch ci che qui dissi sembri meno incredibile , da considerare
che le provincie , che ora compongono questo regno , hanno negli antichissimi
tempi nutrito un numero ancora maggiore di quello eh' detto che esse potreb
bero alimentare; sul quale argomento veggasi l'autore del trattato sul numero
degli uomini impresso in Londra nel 1754. ella s concorde su tale articolo
l'antica storia, che sarebbe assai ancora pi incredibile accagionarla tutta di er
rore o di menzogna, perch ella ci racconta in mille luoghi e per mille occasioni
l'antico potere e le ricchezze dei Tarentini, de' Sibariti, dei Turii, dei Crotonesi,
dei Lucani, dei Campani, degli Apuli, dei Sanniti, dei Marsi ecc. Le guerre che
questi popoli facevano o fra di loro o con i Romani, spesso continuate per lungo
tempo, e i grandi eserciti che essi mettevano in piedi, assai chiaramente dimo
strano l'incredibile numero degli abitanti di queste provincie. Narrasi da Dio
doro di Sicilia che i Turii e i Crotonesi , essendo in guerra armassero tra l'una
e l'altra parte da sopra 600,000 uomini. Secondo il calcolo de' savii , gli uomini
atti all'armi sono costantemente la quarta parte di tutto il popolo. Per questi cal
coli i soli Crotonesi e Turii dovevano essere in torno a due milioni e mezzo:
intanto questi popoli non facevano tre delle provincie , ond' presentemente
composto il nostro regno. Questo numero a' giorni nostri pare poco credibile ;
ma esso non impossibile, e si render assai verisimile quando si voglia riguar
dare alla semplice e sana maniera di vivere di quei tempi, senza feudi, senza
fedecommessi , senza celibato, senza milizie regolate, senza molto lusso e senza
il vaiuolo ed il mal francese, cause tutte distruttrici della razza umana.
Vili. Ma si vuole qui rispondere ad alcuni, che pensando pi da volgo che
da uomini intelligenti delle cose umane , temono che crescendo il numero degli
uomini non manchino loro i viveri. E v'ha di coloro s stolti che credono perci
che la peste sia un sollievo per una nazione troppo numerosa. Per far loro inten
dere in quanto errore siano, basta primamente riflettere, che Dio ci fa tutti na
scere con forze minori dei nostri bisogni; e ci non per altro, se non perch uniti
insieme e gli uni soccorrendo gli altri , facendo ciascuuo uso delle sue e delle
altrui forze e facolt d'animo e di corpo, possiamo comodamente e felicemente
vivere. troppo noto, che un uomo solo sempre un animale il pi debole che
sia in terra ; dunque quanto maggiore il numero di quei che si uniscono, tanto
ciascuno pi forte e meglio in istato di vivere pi agiatamente e felicemente ,
dove con serie e severe leggi si provvegga, che ciascuno faccia convenevole uso
delle sue forze e facolt di mente e di corpo. Secondariamente la storia umana
insegna, che quelle nazioni sieno di tutte le pi deboli e le pi miserabili, le quali
sono pi scarse di abitanti. E certo il nostro regno non stato mai s povero e
s ruvido, quanto dopo la peste del secolo passato, n mai s bello e s di beni
copioso, quanto ora ; e di tutte le provincie che il compongono, in quelle vivesi
con maggiore agio nelle quali maggiore il popolo , quale Terra-di-Lavoro ; e
in quella con minor agio, dove il popolo minore, di che le Calabrie ed alcune
altre provincie sono grande argomento.
IX. Torniamo ora al nostro proponimento. Per avere questo numero di abi-
Econom. Tom, III. 22.
558 GENOVESI.

tanti bisogna lor dare da vivere e da vivere con comodo; perch niuno abita
dove non trova a vivere, o vi fa d'uopo vivere con istento. Or come questo nasce,
secondo che detto, dalla terra, dal mare e dall'arte, bisogno che questi tre
fonti sieno ben coltivati; altrimenti non bisogna sperare di avere il massimo pos
sibile numero d'uomini, n le massime possibili ricchezze. Dimostrer ora che in
quei paesi, dove le terre sono benigne e fertili, il resto dipende dal perfezionare
e promuovere le manifatture. Imperciocch come voi vi perfezionate e promovete
le manifatture, voi: I. vi aumenterete l'interno consumo delle derrate e di tutto
ci che appartiene al vivere; II. vi accrescerete la quantit delle materie prime;
IlI. vi aumenterete la copia del superfluo da potersi trasportare alle nazioni
straniere; IV. vi farete nascere il commercio se non vi , e se vi ve lo accre
scerete. In questa maniera l'agricoltura, la pastorale, la marineria diventeranno
maggiori e migliori. Ora quando voi avrete nel suo fiore l'agricoltura, la pasto
rale, i lavori, il commercio marittimo, voi avrete in breve il massimo possibile
numero di abitanti e le massime possibili ricchezze. dunque manifesto, che il
massimo possibile numero di abitanti e le massime possibili ricchezze, come
sono ora le cose di Europa, dipendano dalla perfezione e accrescimento delle ma
nifatture.
X. Appresso io sostengo, che noi meglio che tutti i popoli d'ltalia e a pari
di qualunque altro di Europa, siamo nello stato di far gran commercio delle
manifatture delle nostre materie, cio delle manifatture le pi importanti e quelle
di che pi hanno gli uomini bisogno, quali sono quelle di lana, cotone e seta.
Conciossiach noi non abbiamo da comperare dagli stranieri le materie prime, ma
le abbiamo e copiosamente nel nostro suolo. Tali sono, come detto, le lane, la
seta, il cotone, il lino, il canape, delle quali cose sono le nostre provincie ab
bondantissime. Per la qual cosa noi possiamo a miglior mercato venderle, che
quelle nazioni tra le quali tali materie non nascono o non provengono in quella
copia che sono appresso noi. Cosicch se noi le avremo di quella bont cos
interna come esterna che sono presso a molte di Europa, potendo aver noi la
preferenza nel concorso pel minor prezzo a cui per le cose dette possiamo ven
dere, non dubbio che noi non siamo per farne un maggiore smercio; purch
non crediamo che gli uomini, lasciata la loro pristina natura, sieno per posporre
il pi gran mercato al minore nelle cose della medesima bont.
XI. Si dir che noi siamo ancora troppo indietro, e che prevenuti da molte
nazioni non fia possibile di vincere il comune pregiudizio, e cos di portare le
nostre manifatture alla loro perfezione. Si aggiunger che ci mancano delle dili
genti filatrici, dei tessitori, degli azzimatori, de' tintori e delle migliori droghe da
tingere, de'disegnatori e degl'inventori delle nuove foggie. Ecco le voci de' pol
troni. Trecento anni addietro le manifatture non avevano il loro regno che
nell'Italia: ella era innanzi a tutte le altre nazioni. Come egli adunque stato
possibile ch'elleno ora quasi tutte ci siano passate innanzi? Non stato certo
sena Veruna cagione, e questa cagione non stata fisica ma morale; perciocch
quasi tutte le altre nazioni ci cedono, quanto a tutte le cagioni fisiche che ris
guardano le manifatture. Ora si sa che queste cagioni morali non hanno forza,
se non in quanto gli uomini vogliono che ne abbiano. Quando queste cagioni
cessassero, l'Italia potrebbe essere in questo genere di cose quella che stata
un'altra volta, se il fisico ancora in lei il medesimo di quel che altre volte
SELLE MANIFATTURE. 559

stato. Pertanto non pu porsi in dubbio che dove si cominci ad avere delle per
fette manifatture , le quali possano esportarsi a pi dolce prezzo di quello che
fanno le nazioni che ci vanno innanzi, noi possiamo per lo buon mercato in non
molti anni tanto loro andare avanti, quanto esse ora ci vanno per la sola perfe
zione e belt che hanno dato ai loro lavori. poi ridicola cosa il dire che a noi
manchino degli eccellenti artefici; perch, dimando io, ci mancano forse degl' in
gegni atti ad esserlo? Che se non ci mancano, come egli certo, non resta a
fargli eccellenti artisti che l'esercizio e il premio; a meno che noi non vogliamo
credere che gl'Inglesi, gli Olandesi, i Francesi, che ora ne hanno in ogni arte
s perfetti, ne abbiano avuto ab (eterno. Crederemo noi che se non adoperassimo
delle scarpe, Q se tutte quelle che ci servono le facessimo venir di fuori, fossimo
noi per avere de' calzolai? Non sarebbe ella questa classe di artisti affatto tra noi
spenta in pochi anni? Si vuol fare il medesimo conto delle altre tutte. Si ricordi
qui della massima de' savi: ogni uomo, e cosi ogni nazione, pu essere ci che
un altro uomo o un'altra nazione, dove il fisico sia il medesimo, se egli ado
peri la medesima diligenza e se gli ostacoli morali non l'arrestino.
XII. Ma quali sono essi i mezzi da rinvigorire e perfezionare in una nazione
le manifatture o spente o avvilite? Io non ho tempo da entrare in una minuta
disamina di queste cose; ond' ch'io rimetto il lettore all'eccellente opera, ch'io
ho spesso allegata, di Bernardo l'iloa. Pure osserver cosi di passaggio, che niun
migliore e pi certo mezzo vi abbia , quanto l' esaminare diligentemente quali
sieno le cause che le hanno spente , e quali ora le arrestino ; perciocch queste
tolte, adoperando i mezzi del premio e dell' onore , non vi ha dubbio eh' elleno
non siano per sorgere e migliorarsi da se medesime, massimamente avendo noi ,
come detto, delle nostre materie e in abbondanza; alcune delle quali sono lo
migliori che vi siano, come la seta, il cotone; ed altre non di molto inferiori alle
migliori, come la lana, il canape, il lino. Quali sono esse coteste cause , direte
voi? Rispondo che esse non sono fisiche, ma morali; perch all'Italia non man
cano n materie, n abili ingegni. Per raccoglierle tutte in una, come voi farete
che le nostre manifatture anche cos buone come le migliori di Europa, non pos
sano vendersi a cos buon prezzo come quelle di molte altre nazioni, voi ci farete
perdere la preferenza ; questa cagione scemer lo smercio; rilardato e scemato Io
smercio si scoraggir il mercatante; quindi avviene che scemeranno le estrazioni;
scemate le estrazioni si lavorer meno; cos languiranno i mestieri e s'invilir e
corromper tutto con grave discapito della nazione e degl' interessi del sovrano.
XIII. I due grandi autori spagnuoli Ustariz e Ulloa, i quali per ordine di
Filippo V si sono studiati di dimostrare le cagioni distruttrici delle manifatture
della Spagna , possono somministrare agli accorti leggitori mille e mille belli
esempi della presente dottrina. Egli evidente, dice Ustariz, che senza un
grande e utile commercio gli Stati non possono essere molto popolati : che non
vi pu essere n abbondanza, n splendore ; che non possono mantenere delle ar
mate e delle fortezze che li rendano rispettabili alle altre nazioni. Ma non meno
evidente, che non si pu avere un grande e utile commercio senza molle e buone
manifatture, principalmente di lana e di seta. Ora egli impossibile di stabilire
e conservare le manifatture senza franchigie ed esenzioni, almeno per quelle cose
che servono al nutrimento degli operai, per le materie prime e per la vendita ed
estrazione. Tutto questo deve inoltre essere accompagnato da ben regolate tariffe
340 GENOVESI.

per i dritti dell'entrare ed uscire di colali cose. Senza un tal savio regolamento
le manifatture non avranno giammai un corso libero e spedito: e dove questo
libero e spedito corso manca, ivi inevitabile la loro distruzione (1). Filippo V
aveva ben compreso di quale importanza fosse per gl'interessi suoi e de' suoi
sudditi il tener ben ferma questa massima e metterla in pratica. Quindi ch'egli
concedette molte franchigie agl'intraprenditori delle manifatture, moder i dritti
d'uscita e d'entrata in diversi luoghi di Spagna, e ordin severamente agli appal
tatori della regia dogana e delle gabelle , eh' essi usassero della moderazione e
della dolcezza, acci tutti i suoi ministri cospirassero con i suoi salutevoli con
sigli. Il signore Ustariz ha in diversi luoghi della sua bell'opera studiosamente
raccolte tutte queste disposizioni di s glorioso monarca. E perch vi erano di
coloro, i quali gli rappresentavano che tali ordini tendevano a scemare le ren
dite del regio erario, egli il 1719 add 25 di novembre, meglio ch'altri inten
dendo e discernendo il vero utile dello Stato da quello che non che apparente,
dichiara al Consiglio di Castiglia in occasione delle franchigie accordate alle fab
briche di Madrid, che codeste franchigie non diminuivano le rendite della citt,
e die anzi di apportar loro veruno pregiudizio , erano a quelle di gran vantag
gio, senza mettere a calcolo quello che ne ritornava a' suoi sudditi.
XIV. Quali sono essi cotesti vantaggi, direte voi? Molti e tutti grandi. Pri
mamente quei fabbricanti delle manifatture, alle quali si saranno tali franchigie
accordate, quanto pi essi lavorano, tanto pi spenderanno in derrate e in abiti ,
su cui si percepir con una mano molto pi di quello che loro si d coli' altra.
Questi fabbricanti, dice Ustariz, consumano maggior quantit di carni di mon
tone e di bue, di lardo, pesce fresco e salato, cacio, legumi, spezie, sale, aceto,
acquavite, tabacco ed altre derrate, e di tutte le cose che servono loro di vesti e
di mobili. Per tutte queste ed altre cose essi pagheranno dei dritti che tornano
alla cassa del sovrano o delle citt a cui appartengono (2). Secondariamente,
come le fabbriche delle manifatture crescono , dovranno esse occupare e mante
nere un maggior numero di manifattori ; e quanto crescer questo numero , al
trettanto crescer il consumo di quelle cose, sulle quali si esigono dei dritti.
Poniamo per esempio, che promosse tra noi le manifatture, il nostro regno cresca
di 100,000 anime di pi; noi avremo 100,000 di pi che mangeranno, vesti
ranno, abiteranno, e perci 100,000 di pi che pagheranno dei dritti attaccati
alle cose che si consumano , che rifaranno il sovrano di pi di quello eh' egli
avr loro dato per incoraggire le manifatture. In terzo luogo, cresciuto il numero
de' manifattori , crescer e migliorer l'agricoltura, secondoch ho dimostrato;
allora quelle terre che non rendevano, renderanno, e quelle che rendevano poco,
renderanno molto, e con ci sar maggiore il numero delle famiglie; i tributi
adunque potranno essere pi e maggiori, i quali in conseguenza rifaranno pi
che abbondantemente ci che il sovrano perde nell' accordare delle franchigie.
Un grande esempio di tutto ci , dice Ustariz, la citt di Siviglia. Essa nel tempo
del suo splendore conteneva 16,000 telai di lana e seta, i quali dovevano
occupare sovra 60,000 persone, e per sicuri calcoli rendere alla nazione 53 mi
lioni di piastre (o). Ella era per ci ricchissima e popolatissima , e dava alla
(1) Teoria e Pratica del commercio della marina cap. 1.
(2) Lib. cit. cap. VI.
(3) Lib. cit. cap. X.
SULLE MANIFATTURE. 341

Spagna e al sovrano dei ricchi tesori. Ma essendosi i 16,000 telai ridotti in


torno a 400, ella spopolossi e divenne povera e squallida, in modo che non solo
le private rendite, ma quelle del sovrano altres si ridussero a nulla. Ne abbiamo
anche noi molti esempi nel nostro regno; perciocch certo che le costiere di
Amalfl erano popolatissime e ricchissime, quando le manifatture di saiette vi fio
rivano ; e sono ora quasi deserte e povere, dappoich vi si sono quasi spente : e
molti luoghi del principato, da doviziosi che erano quando vi si lavorava della
lana, sono ora diventati ruvidi e meschini: e l'istesso addivenuto a molte con
trade delle provincie di Bari, Lecce, Otranto, dacch le manifatture di cotone vi
sono decadute.
XV. Come il leggitore potrebbe essere qui ragionevolmente curioso di sapere
le vere cagioni del decadimento delle manifatture di Spagna, stimo di fargli pia
cere il rapportarle brevemente, nel modo che elleno ci sono dimostrate dal signor
Ulloa (1); e tanto pi volontieri, quanto che queste considerazioni non sono cosi
proprie della Spagna, che esse non possano avere altres luogo in ogni altra na
zione. Questo autore comincia dallo sviluppo di una questione assai importante,
ch'ei chiama gran paradosso politico, onde addivenga che in Olanda, ove man
cano le materie prime di tutte le manifatture e la maggior parte delle derrate di
prima necessit, sicch si obbligato di far tutto ci venir da fuori, nondimeno
le manifatture non solo vi abbiano potuto allignare; ma oltre a ci pervenirvi a
quella copia e perfezione ove sono: quando pel contrario nella Spagna, ove tro-
vansi in abbondanza e derrate e materie prime, sono decadute a segno tale, che
ella non solo pi non ne manda alle altre nazioni, ma ne compra per grandis
sime somme. La soluzione, dic'egli, di questo problema , che gli Olandesi sta
biliscono le loro imposizioni in quella proporzione che essi stimano la pi van
taggiosa alle loro manifatture, e nel medesimo tempo la pi pregiudizievole alle
nostre ; dove ebe in Ispagna pratichiamo appunto il contrario .
XVI. Infatti, soggiunge egli, riduciamo a 300 i giorni di lavoro di un
anno; un tessitore di stoffe, che noi chiamiamo manto, ne dar 1200 varre
(misura Castigliana d'intorno a 2 piedi e 10 poli.), stimandosi comunemente che
egli possa lavorarne quattro varre al giorno. Ora su questo lavoro , per dritti di
Alcavala del 10 per 100 e di Cientos del 4 per 100, si vogliono prendere 158
varre, le quali valutate a 8 reali l'una, il lavoratore che avr travagliato questi
300 giorni a suo conto, dovr pagare 1264 reali. Intanto egli non guadagnando
che un reale per varr, ne avr a capo dell'anno guadagnato 1200, cio 64
meno di quelli che gli converr pagare. Donde che egli avrebbe guadagnato
assai pi a tenersi le mani alla cintola, di quello che ha fatto in travagliando.
Ma se egli avr tessuto a conto di un mercante, perch non vi niun tessitore
che voglia farlo a suo conto, questi dritti saran pagati dal mercatante; nel qual
caso per sostenere le manifatture gli converr venderle 14 per 100 pi care, ci
che far che egli non possa n essere preferito, n sostenere un tal prezzo nella
concorrenza delle manifatture straniere cos buone come le nostre , onde nasce
che egli finalmente le abbandoni. A tutto ci si vogliono aggiungere i dritti ec
cessivi sulle sete, i quali vanno al di l del valore primiero che ne ha tratto il
coltivatore ; perciocch ove una libbra di seta si apprezza ordinariamente 26

(i) Delle manifatture di Spagna, cap. Ili e teg.


542 GENOVESI.

reali, i dritti che convien pagarne montano a 28 e 26 maravedis. Stringiamo


ora questo calcolo. Le 1200 varre di manto contengono 65 libbre di seta, le
quali a 26 reali l'una vagliono per lo coltivatore de' filugelli 202 reali; II la
voro ha costato 1200 reali; di qui che il valore primitivo di tutta questa stoffa
monta a 3225 reali. Ora queste 65 libbre di seta hanno pagato in Granata e Si
viglia per diversi dritti 5549 reali, cio a dire 324 reali pi del valore primitivo .
XVII. Ed ecco le cagioni del decadimento delle manifatture della Spagna; e
col decadimento delle manifatture l'abbandono dell'agricoltura e la spopolazione,
come ha manifestamente l'autore stesso dimostrato. Appartiene a questo luogo
una storiella che io voglio per ora narrare, senza intanto voler nominare il luogo
che n' l'oggetto, perch alcuno di coloro che vi hanno parte non se ne offenda.
Io conosco, gi sono intorno a 30 anni, una terra del nostro regno, che era nella
massima sua grandezza e ricchezza, e che ora deserta e povera. Ella situata
in bello e fecondo terreno, che essendo a quet tempi diligentemente coltivato ren
deva molto in grano ed in altre minori derrate. Ella aveva delle belle e copiose
manifatture di cotone e di seta, e alcune bench non molte di lana. Vi era un
mercato quasi continuo, ove molti de' circonvicini popoli apportavano , altri al
cune manifatture di lana, altri degli animali di tutti i generi, altri delle materie
da lavorare e altri del danaro, e ne riportavano in iscambio derrate e manifat
ture di cotone e di seta in gran copia. Questo mercato era cagione che quivi il
consumo fosse grandissimo, e pari l'industria e il travaglio di tutti i cittadini. Il
danaro si diffondeva abbondantemente in tutte le classi degli uomini : i proprie-
larii delle terre, i contadini, gli artisti, i mercatanti, i facchini, tutti ne avevano
e tutti allegramente ne spendevano. Questa circolazione rendeva tutti i membri
attivi, vigorosi e ricchi. I forastieri vi venivano ad abitare da tutte le parti, e vi
erano ben accolti : solo badavasi fare che niuno vi menasse una vita oziosa e di
peso agli altri. Non vi erano poveri, perch l'industria vi era comune; e quelli
che vi capitavano altronde, vi erano impiegati, ciascuno a quel mestiere che gli
era pi adattato. Le manifatture che uscivano, pagavano piccolissimi dritti: erano
del doppio grandi quelli delle manifatture che entravano : le sole materie prime
entrando erano esenti da ogni peso, ma era proibito l'estrarle. Questo fu nel se
colo d'oro di questa terra. Ma questo stato non dur molto. Si elev pian piano
una classe di uomini poltroni, quali per le ricchezze de' loro padri si stimarono
e vollero essere stimati nobili. Essavolle distinguersi, e cominci dal disprezzar
e dall' opprimere in mille guise i contadini e gli artisti. Molti de' meno ricchi
vollero emularli, perch non vollero essere stimati da meno degli altri. Cominci
cos un'oziosa nobilt: le arti a poco a poco languirono e fecero languire l'agri
coltura; perch cominci a guadagnarsi meno, e con ci a consumarsi meno. Le
rendite pubbliche scemavano a veduta d'occhio. Per sostenerle , quei che presie
devano a quel governo furono di avviso di accrescere i dritti su tutto ci che
usciva, risparmiando con falsa politica quelli delle cose che entravano, per timore,
dicevano essi, di non disgustare i forastieri. Questo passo disgust i cittadini e non
disgust meno i forastieri, e forn di rovinare le manifatture e l' agricoltura. Il
mercato divenne ogni giorno pi rado e finalmente cess. Le famiglie disertarono.
Le boscaglie ora fioriscono dove fiorivano gli uomini. Gli autori di questa rovina,
risvegliati finalmente dal loro letargo, si studiarono gli anni addietro di ristabilire
la comune patria. Ma essi non avvertirono che le grandi macchine possono in
SULLO SPIRITO DELLA PUBBLICA ECONOMIA. 545

poco d'ora minare, ma non si possono rialzare che in molti secoli. Hanno i savi
detto, che le arti e il commercio sono simili ad un fiume, il quale dappoich avr
cambiato il primo letto e voltata altrove la sua corrente, non facile di fargli
riprendere il primo corso.

RAGIONAMENTO
SULLO SPIRITO DELLA PUBBLICA ECONOMIA.

Comech lo spirito della pubblica economia siasi da certo tempo in qua in


tutte quasi le parti dell'Europa molto dall'antico suo caos sviluppato e molto in
tutti i suoi rami ingrandito ; si vuole non pertanto confessare, che in niuna parte
stato meglio inteso e si cotanto dilatato e raffinato , quanto nell' Inghilterra.
Questo spirito consiste in fare in modo, che la nazione dipenda il meno che sia
possibile dall'altre o vicine o remote che sieno. Imperciocch quanto sar minore
questa dipendenza , tanto sar maggiore la sua libert , la sua ricchezza , la sua
forza ; e pel contrario quanto ella pi dipender dall'altre, sar tanto pi serva,
pi povera, pi debole. Poniamo per cagion d'esempio che una nazione abbia
tant'oro e argento, quanto le ne basti per tutti i suoi bisogni ; ma che ella non
abbia nulla di quelle cose per cui si vive e per cui l'oro e l'argento hanno valore;
v. g. niuna sorta di derrate e niuna di manifatture : dico che questa nazione
serva di quelle che le somministrano delle derrate e delle manifatture, e che ne
si fattamente serva, che quelle nazioni da cui dipende hanno riguardo a questa
come unjtts vilm et necis; potendola come loro ne venga voglia distrugger tutta,
negandole quelle cose per cui gli uomini sussistono. Pel contrario , se una na
zione possiede pienamente tutto ci che serve a' suoi bisogni , cos di necessit ,
come di comodit e di lusso ; ella non dipende in nulla dall' altre e perci la
pi libera, e relativamente alle sue terre e alla sua popolazione , la pi ricca e
la pi potente.
Da questa verit dimostransi chiaramente le seguenti proposizioni: I. La mas
sima servit di una nazione quella di dipendere dalle altre per le derrate di
prima necessit, come sono il grano, l'olio, la legna, la carne, il sale, la lana,
la canape, il ferro, i cuoj ecc. II. Vicina a questa quella servit , per la quale
una nazione dipende dall'altre nelle manifatture di prima necessit, come di lana,
di canape, di lino, di cotone, di stromenti di ferro, di cuoj e pelli ecc. III. an
cora servit, bench minore , dipendere dall'altre nelle cose e manifatture di se
conda necessit, come vino, formaggio e lavori di comodit. IV. Finalmente
servit pur essa, bench ancora minore, dipendere dall'altre nelle materie di puro
lusso, ma gi per la moda divenute comuni , come tabacco , vetri , porcellane ,
seta, zucchero, caccao ecc., manifatture dilicate di lana, di lino, di cotone, di
seta ecc. Sono della medesima evidenza le proposizioni opposte: I. Che una na
zione , che abbia buone e ben coltivate terre , ha tre quarti della sua intiera li
bert, ricchezza e potenza. II. Che una nazione, la quale abbia oltre a ci delle
buone e copiose manifatture di tutti i generi, pressoch intieramente libera dalla
544 GENOVESI.
servit dell'altre. III. Che ella pienamente libera, dove abbia anco tutte le ma
terie e le manifatture di lusso.
Ecco lo spirito e il fine dell'economia. Volendo ora noi applicare questa teo
ria si vedr chiaramente, che di tutte le nazioni d'Europa , niuna ha meglio svi
luppato un tale spirito e continuamente studiatosi di portarlo alla sua perfezione,
quanto gli Inglesi. La prima servit di una nazione riguardo alle altre , come
detto, quella di dipenderne nelle derrate. Ora ci avviene sempre, quando l'agri
coltura o non incoraggita, o male intesa. Gl'Inglesi han fatto l'uno e l'altro
opposto, essi hanno adoperato tutti i possibili mezzi per incoraggire V agricol
tura, ed hanno molto studiato a migliorarla. Queste cure hanno fatto che, come
un autore Inglese il dice bene, l'Inghilterra sia divenuta il granaio d'Europa. La
Francia, che si studiata molto di aver l'imperio del commercio e di mettersi
nell'indipendenza dell'altre nazioni, ha con tutto ci spesso bisogno de' granaj
d'Inghilterra: e ci (1), perch non solo non si sono prese le vere vie di aumen
tare e migliorare l'agricoltura, ma se ne sono tenute e se ne tengono tuttavia
delle contrarie. Si pu dire l'istesso della Spagna.
del pari sicuro , che in molti Stati d' Italia e forse nei pi belli e nei pi
ricchi di buone terre questa verit non ancora ben intesa; ci che stato ed
cagione, per la quale essi sono molto indietro a quello che potrebbero essere per
ricchezza e potere. Le nazioni della nostra Italia , che meglio intendono e se
guono pi dappresso questo spirito di economia in tutti i suoi rami, pare che siano
la veneziana, la torinese e la toscana.
La seconda servit, dalla quale si vuole una savia nazione liberare, quella
delle manifatture, cosi di prima necessit come di comodo. La storia di Gio. Cary
fa vedere le cure e le diligenze degl'Inglesi in questa parte; ci che hanno fatto
per aumentare e migliorare la lana, la canape, il lino, i cuoi, i metalli; per
avere della seta ed altre tali materie prime, e per ridurre a perfezione le mani
fatture di tali materie. Per cotali cure e diligenze la nazione non solo dipende
dalle altre che nella minima possibile parte, ma oltre a ci ha fatto che moltis
sime da essa dipendano e servano a renderla ricca e potente.
Quel che finalmente pi, questa industriosa nazione si ingegnata e s'inge
gna tuttavia di sottrarsi dalla dipendenza dell'altre in tutte le mercanzie e nelle
manifatture di puro lusso, fino nelle cose le pi piccole. In questo modo si pu
dire che ella siasi posta nella sua pi gran libert, e che fino a tanto che con
server questo stato, ella sar ricchissima, e dove ne faccia quell'uso che alla pi
sana e dritta ragione convenevole, anco potentissima , avuto riguardo alle sue
terre e alla sua popolazione. Quando le si vogliano paragonare l'altre nazioni di
Europa, si vedr che molto ancora a tutte l'altre manca, perch si mettano in
questo stato d'indipendenza. Perocch in alcune male inlesa e male incoraggita
l'agricoltura: in altre o mancano in grandissima parte, o sono ancora poche e
rozze le manifatture di necessit: alcune hanno bisogno di tutte o di gran parte
di quelle di lusso : e quasi tutte o ignorano o trascurano la vera arte di ani
mare l'industria , per poter acquistare questa a' tempi nostri da tutte desiderata

(1) Veggasi le opere: Dtail de la France; Des avantages de la France el de la Grande-


Bretagne relalivement au commerce ; Police des grains; Les inlrls de la France mal en-
tetidus. Ainst. 1750 de.
SELLO SPIRITO DELLA PUBLLICA ECONOMIA. 545

e ambila indipendenza, e non essere sempre come istromento dell'altrui ricchezza


e potenza.
Quando ci piaccia queste cose applicare al nostro regno, si conoscer mani
festamente quanto ancora noi siamo distanti dal conseguire la massima possibile
indipendenza dalle straniere nazioni ; che anzi noi ne dipendiamo in ci che do
vrebbe essere il nostro forte. Poniamo le principali cose in una lista, perch si
veggano d'un sol colpo d'occhio.
I. Noi dipendiamo non di rado dagli stranieri nella derrata, che dovrebbe
essere cos nostra che gli altri dovrebbero in ci da noi dipendere, qual il
grano, che noi alcuni anni abbiamo veduto venire di Sicilia, di Sardegna, di
Morea e fin d'Inghilterra.
II. Ne' vini dilicati, che noi meglio che tutte l'altre nazioni potremmo avere.
III. Ne' cuoj e nelle pelli.
IV. In tutte le derrate di lusso, come tabacco, zucchero, caccao, caff, can
nella, spezie, droghe ecc., pietre preziose, marmi.
V. In tutti i metalli, oro, argento, rame, stagno, acciajo, piombo, mercurio,
e in gran parte del ferro.
VI. Ne' colori da dipingere, e in quasi tutte le materie della concia e della
tinta.
VII. In tutte le manifatture di lana, come panni, cappelli, calzette ecc.
Vili. Nelle manifatture delle vele da navi.
IX. In tele fine, merletti, filo sottile ecc.
X. In gran parte delle manifatture di seta, d'oro, d'argento, di acciajo, d'ot
tone, di legno, di tartaruga, di carta, come galloni, orivoli, scatole da tabacco,
coltellini, forbici, vasetti da odore, aghi, spille, orecchini, vezzi e cotali inezie
che i Francesi chiamano chincaglieria.
XI. In tutti i vetri fini, come specchi, bicchieri e tutti , cos grandi come
minuti lavori di cristallo.
XII. In. molta parte de' lavori di creta, sebbene questa dipendenza per le ec
cellenti porcellane della fabbrica reale diventi ogni giorno minore.
XIII. Nei libri e in qualche parte nella carta, comech quanto appartiene alla
carta noi cominciamo gi a sottrarci dagli stranieri.
XIV. In navi mercantili, che ci apportano le derrate e le mercanzie che ci
mancano.
XV. A tutto ci si vogliono aggiungere i debiti che noi abbiamo ancora molti
con alcune nazioni d'Italia, e per i quali siamo ancora tributarj.
Tra questi generi ve ne sono alcuni, nei quali noi dipenderemo sempre,
mancando al nostro suolo le materie ; tali sono i metalli, il zucchero, il cac
cao ecc., alcune pelli, le droghe da tingere ecc. Ma quando noi non dipendes
simo dagli stranieri che in queste cose solamente, avremmo tante delle cose
nostre a dare, che la bilancia generale del commercio penderebbe sempre in favor
nostro. Ma dipendendone noi in tante altre e in quelle che pur dovrebbero e po
trebbero essere la nostra forza, egli non pu farsi che noi non ne siamo sempre
debitori e tributarj. Soprattutto non soltanto nostro danno, ma vergogna altres
che noi abbiamo spesso a dipendere dagli altri nelle derrate, nelle manifatture
di lana, di seta, di cotone, e tanto in quelle di lino ; perch noi , di cui le der
rate e queste materie pajono cos proprie come il clima e la terra che abitiamo,
346 GENOVESI.

noi, dico, potremmo aver tali cose e ottime, o non molto dalle ottime lontane.
E certo, se noi volessimo consigliarci pi con i nostri interessi e meno colla
nostra vanit noi potremmo ora contentarci delle nostre manifatture di seta e
migliorare quelle di lana e di lino, a segno di aver in breve poco bisogno delle
forasliere, e fra non molto forse anco niuno. Ma se questa massima, che per ogni
nazione sia utile e gloriosa cosa il dipendere il meno che sia possibile dalle
altre, non si pianta negli animi nostri, noi saremo sempre tributarj delle altre
nazioni e istrumenti della loro ricchezza e potenza, e con ci sempre poveri.
Ecco ci che oppongono a questa massima alcuni de' nostri vecchi. Prima
mente, se noi, dicono essi, non prendiamo che o poco o nulla dai forastieri, essi
non prenderanno da noi che o poco o nulla : a chi dunque venderemo i nostri
grani, gli olj, il vino, la lana, la seta ecc. ? Poi molti capi di mercanzia che noi
prendiamo dagli stranieri, oltre all'essere meglio fatti di quel che noi potremo
fare, ci costano ancora meno di quello che ci costerebbono se li facessimo lavo
rare tra noi, come il tabacco, i cristalli, le porcellane e tutta la chincaglieria.
La prima risposta che io do a queste opposizioni l'esempio delle nazioni
che meglio che noi intendono l'economia e il commercio. Domando, perch non
si sono esse per cotali difficolt arrestate dal migliorare le cose loro ? E certo gli
Inglesi in istudiandosi di rendersi indipendenti da ogni altra nazione in quelle
cose delle quali gli uomini hanno bisogno, avrebbero pur essi potuto dire, a cui
venderemo noi i nostri grani, il nostro stagno, i nostri drappi di lanaP E altret
tanto potrebbero dire i Francesi, e cos abbandonare ogni studio di migliorare
le cose loro. Se non che quelle nazioni, le quali si lasciano muovere da questi si
vani scrupoli, non sono molto ancora, come pare, istruite nelle massime della
vera economia.
Rispondo poi alla prima difficolt, che quand'anche noi ci liberassimo dalla
servilit cogli stranieri per quelle cose che noi potremmo fare, ci resterebbe an
cora assai da dipenderne, siccome di sopra dimostrato. Ma quello che princi
palmente si vuole qui considerare , che non vi ha mai paragone tra il dipen
dere dai forastieri nelle cose di prima e seconda necessit, delle quali non pu
l'uomo fare a meno, e dipenderne nelle cose di pura comodit e di lusso, delle
quali secondo i tempi e l'altre circostanze possono gli uomini senza loro distru
zione astenersi. La prima dipendenza vera servit, siccome avvertito qui
sopra ; ma 1' altra non che una servit volontaria, alla quale si pu quando
riesca soverchiamente grave rinunciare, senza per ci cessare di esistere. Ora per
i vantaggi veri e sodi di una nazione assolutamente necessario, che come ella
pu si liberi dalla prima servit, che quella del mangiare, del vestire, dell'abi
tare, dell'ardere ; mentre l'altra non necessaria che rispettivamente allo stato
delle sue ricchezze, perch si pu vivere cos bene vestendo il panno e le tele un
po' ruide, come le fine : e cosi mangiando nella porcellana della Cina o in va
sellame d'oro e d'argento, come nella nostra creta : e cos bevendo nei bicchieri
di Boemia o di Londra, come nei nostri vetri; perciocch in queste cose ogui
uomo, anche 11 pi delicato, in poco tempo si accostuma a tutto. Di qui che le
nazioni, a cui mancano le derrate e le manifatture necessarie, saranno eterna
mente dipendenti da quelle che ne hanno ; esse ne prenderanno ancor quando
queste seconde non abbiano di loro bisogno ; ma quelle che non hanno bisogno
che delle cose di puro comodo e di puro lusso, potranno bene astenersene dove
SULLO SPIRITO DELLA PUBBLICA ECONOMIA. 347

loro non torni pi conto e dove le loro rendite noi permettano. E cos dimo
strato che tuttoch noi non prendessimo nulla, pur quando noi avessimo il so
verchio nelle derrate e nelle manifatture di necessit, vi sarebbero sempre delle
nazioni che ne dovrebbero da noi prendere.
La seconda difficolt nasce da poco o male calcolare. Vi sono di coloro, i
quali per non sapere ben calcolare i rapporti degli uomini viventi in societ, e
vedere quale e quanto legame abbiano tra esso loro la privata e la pubblica uti
lit, credono non importar nulla al privato loro interesse il bene e il vantaggio
comune della nazione. Costoro, come veggono o vietata l'introduzione di alcune
cose straniere o facilitate le estrazioni de' nostri generi, temendo che non inca-
riscano e che essi non abbiano ad accrescere di un poco la loro spesa annuale,
gridano che tutto va in ruina. Io pago, dice uno, un bicchiero di Boemia la met
meno di quello che mi costerebbe se si lavorassero nel Regno; questa per lui
una potente ragione di opporsi a questa fabbrica. Se noi, dice colui, volessimo
coltivare qui in Regno il tabacco, ogni libbra ci costerebbe il doppio; adunque,
conclude, un vantaggio il prenderlo dai forastieri. Ecco come comunemente si
ragiona su queste e l'altre cose tutte. Ma questo oltre all'esser falso, pure ove
loro si accordi per non tirarla a lungo, certamente calcolare assai male i comuni
e i privati interessi. Egli non vero che estraendosi i nostri generi incariscano
tra noi, come altrove dimostrato ; e meno ancora vero che alcuni generi e i
lavori di certe cose fossero per costarci pi che i forastieri, come facile dimo
strarlo. Ma supponiamo che sia vero ; non per questo non sar nostro vantaggio
l'estrarre i generi ed avere d quei lavori che ci mancano. I. L'estrarre i nostri
gli aumenta; e questo accresce il valore delle terre. Che m'importa dunque ch'io,
che voglio il pan fresco ogni mattino, il comperi un poco pi caro, se questo ha
di mollo accresciute le rendite delle mie terre? Se io il comperassi a miglior mer
cato, e mie terre renderebbero meno. Che? dir taluno, son tutti proprtelarj di
terre? No certamente, ma quei che noi sono e che vivono di qualche profes
sione, vedransi crescere i prezzi della loro fatica e i loro salarj quasi colla me
desima proporzione, colla quale crescono i valori delle terre, e scemarsi propor-
zionevolmente allo scemare de' valori delle terre e delle derrate. II. Aumenta la
quantit del danaro, e con ci rende pi facili e pi spediti tutti i capi dell'in
dustria : e questa pubblica ricchezza cagiona la ricchezza di ciascun particolare
che sappia servirsi delle doti e facolt di cui stato da Dio fornito; in guisa che
ci che egli perde per una mano guadagna con usura coll'altra. III. Diamo che
tu paghi le nostre manifatture pi di quello che forse ti costerebbero le forastiere;
questo danaro non pertanto resta e circola nella nazione, e per via che tu non
vedi ti ritorna con gran vantaggio. IV. Tu potrai avere sul principio delle der
rate non bene accomodate alla presente delicatezza, delle manifatture alquanto
ruvide, mal disegnate, mal colorite ecc., ne convengo ; ma dove non si faccia
uso che di queste, il tempo le migliora: ma esso non le migliora giammai, se le
straniere ne impediscono lo smercio.
Porr fine a questo Ragionamento colla seguente considerazione, che la
massima della economia inglese. Come niun moto nella macchina umana, per
quanto tehue e insensibile che sia, affatto indifferente, ma dove si voglia sot
tilmente esaminare si vedr essere fisicamente o buono o nocivo ; e similmente
come niun'azione morale quanto si voglia piccola, in pratica indifferente, ma
548 GENOVESI.

moralmente o buona o mala : cos niuna tanto piccola cosa nella societ civile,
che non importi alla somma delle cose pubbliche. Spesso i gran mali fisici ge-
neransi dai piccoli, che per essere quasi insensibili sogliam disprezzare, e i gran
vizi da piccole disprezzate leggierezze. Cos per fine il corrompimento e la ruina
degli Stali suole dalle pi piccole negligenze avvenire.

DIGRESSIONI ECONOMICHE.

Si-
Della libert del commercio.

La parola libert, dice Melon, non pare essere stata minor cagione di di
spute tra' politici, di quella che si fosse tra' teologi. E pare in fatti, che non per
anche convengano tra di loro i politici, qual sia la vera libert civile ma quel
che certo non si conviene ancora in che sia posta la vera libert del commer
cio. Dove per vogliasi procedere con ordine e ridurre i nostri giudizj alle prime
e semplici idee dalla natura delle cose comunicateci, le quali idee sono il fonda
mento di ogni verit, si vedr che, come la vera libert civile quella per la
quale siamo sicuri della vita e dei beni nostri, e possiamo dell'una e degli altri,
con quella prontezza che a noi piace, in tutti quegli usi servircene che non sono
contrarj alla nostra e alla pubblica felicit ; cos la vera libert del commercio
si debba riporre in quella circolazione di beni mercatabili, la quale sia sicura e
pronta, e diretta non alla sola e privata nostra utilit, ma ben anche alla co
mune di tutta la nazione, della quale siam parte. Ora come la libert civile non
si pu ottenere, dove nel corpo civile non sia ordine: n pu esservi ordine, ove
non siano delle savie leggi, n conseguire il suo effetto le savie leggi, dove non
siano rigorosamente custodite e praticate, in modo che tutti i cittadini si reputino
come schiavi delle leggi, e perch schiavi, liberi ; cos non avrassi giammai li
bert nel commercio, senza che esso sia ordinato ; n sar mai bene ordinato
senza savie leggi, le quali siano diligentemente conservate ed eseguite con rigore.
Conciossiach come per riguardo alla libert civile i delitti impuniti fanno men
sicuro il possesso della nostra vita e de' nostri beni, e meno spedito e pronto il
loro uso, e ci privano perci della civile libert ; cos ove il commercio non sia
assoggettato alle leggi, ma che a ciascuno sia lecito di mercatare a suo grado,
le frodi e i non ragionevoli intrighi cresceranno, e l'interesse privato prevarr
al pubblico bene -, e cosi la circolazione non serbando un dritto corso impedir
se medesima e diverr pi lenta e meno sicura, onde forza che perisca la li
bert del commercio.
Questa verit ci fa assai chiaramente comprendere quanto grossolanamente
s'ingannino coloro, i quali stimano che non vi possa esser commercio che nelle
sole repubbliche, come quelle nelle quali solamente e non altrove il commercio
DIGRESSIONI ECONOMICHE. 549

possa esser libero. Primamente, perch costoro confondono la libert civile colla
libert del commercio, e poi perch falsamente stimano che la libert civile non
ritrovisi che nelle sole repubbliche, confondendo altres la facolt legislatrice ed
esecutrice delle leggi colla civile libert; le quali due cose tuttoch legate con
quel legame, che hanno tra di loro la cagione e l'effetto, sono intanto essenzial
mente diverse, secondo che dalla definizione della libert civile qui di sopra re
cata apparisce. Ma come io non intendo passare troppo avanti in queste dispute,
mi baster fare a costoro osservare che questa loro opinione sia smentita dai
fatti .- imperocch noi troviamo cos negli antichi tempi come nei mezzani, e
molto pi ancora nei nostri, il commercio aver fiorito cos nelle repubbliche che
nelle monarchie, ed essere stato sovente oppresso nell'una e nelle altre, non per
veruna costituzione di governo, ma per cagioni che possono cos alle monarchie
come alle repubbliche sopravvenire. Cos il commercio di Tiro nella Fenicia, di
Gerusalemme nella Giudea, di Alessandria in Egitto, tanto sotto i Tolomei come
nei mezzani tempi sotto i Soldani, e di Siracusa in Sicilia, furono i pi grandi che
noi leggiamo essere stati giammai negli antichi tempi, comech in tutti quei luo
ghi il governo non fosse che monarchico. N essi gi caddero per costituzione
di governo, essendo mancati quasi tutti e per intestine guerre o per esterne, cosa
che degna di tutta la nostra considerazione, perch quello dei Giudei fu spento
dalle guerre civili che nacquero dopo la morte di Salomone: quello di Tiro dalle
guerre de' Macedoni ; quello d'Alessandria prima dai Romani devastatori delle pi
belle parti del mondo, e poi dai Turchi ; e quello di Siracusa dalla gelosia dei
Greci e dall'armi romane, non altrimenti che quello di Cartagine, la cui libert
civile , che costoro dicono non pot sostenerlo , non gi per costituzione , ma
perch convenne cedere al popolo principe della terra. Ne' tempi mezzani il
commercio fu grande ne' ducati di Napoli e di Amalfi governati dagli imperatori
di Costantinopoli ; come quello di Salerno e di Puglia sotto i principi Longobardi
e Normanni. N perch in Italia pi di tutti si distinse in questi tempi il commer
cio dei Veneziani, dei Genovesi, dei Pisani, egli da attribuirsi alla forma del
governo, ma piuttosto alla necessit di trafficare per sostenersi, in cui erano quei
popoli abitanti in paesi sterili, e alle circostanze de' tempi; perch quasi nella
medesima et e per le medesime occasioni crebbe e divenne grandissimo il com
mercio in molli luoghi monarchicamente governati, come del nostro Regno, e
di l da' monti nel ducato di Borgogna e altrove. Finalmente il gran commercio
de' Portoghesi o de'Castigliani, e poi quello de' Francesi, Danesi, Svezzesi, Mo
scoviti, Prussiani, tutti governi monarchici, pur troppo chiaramente mostra che
il commercio pu allignare cos nelle monarchie come nelle repubbliche; e che
dove esso mancato, non vi mancato mai per la costituzione del governo, ma
parimenti quasi sempre per le guerre o interne o esterne. Cos le frequenti rivo
luzioni e guerre di queste nostre provincie oppressero il commercio dei Napole
tani, degli Amalfitani, dei Salernitani, dei Pugliesi; la reciproca gelosia e le
continue guerre indebolirono quello delle tre repubbliche, Veneziana, Genovese,
Pisana, e la Lega di Cambrai ridusse quasi a nulla quello di Venezia; una guerra
civile quello di Bruges; e una esterna quello d'Anversa; la guerra de'Spagnuoli
con i Paesi Bassi quello dei Castigliani e de' Portoghesi. Il signor lluet avendo
descritto il florido commercio de' Paesi Bassi, prima che passasse alle Provincie
Unite, assai accortamente conchiude : questo dimostra che il commercio pu fio
550 GENOVESI.

tire cos in una monarchia come in una repubblica, se sia saggiamente ordi
nato e governato; perciocch non v' Stato n commercio pi grande, n manifat
ture pi floride quanto ne' Paesi Bassi sotto il dominio di quattro sovrani
della casa di Borgona e di due della casa dAuslria (1).
Vi sono degli altri, i quali per libert di commercio intendono due cose,
un'assoluta licenza nei manifattori di travagliare senza regole di misure, di pesi,
di forme, di colori ecc., e una non meno assoluta ne'mercanti di far girare, di
estrarre, d'introdurre ogni cosa che lor piaccia senza restrizione alcuna, senza
dazj, senza gabelle, senza dogana. Ma questa libert, salvoch per avventura tra
i popoli della luna, non trovasi in niuna nazione che sia in terra: anzi in ninna
parte trovasi meno, che in quelle nazioni che meglio intendono il commercio. A
voler dunque ascoltar costoro dovrebbesi conchiudere, che non vi sia e non vi
possa essere del gran commercio in niuna parte della terra. Dalla storia del com
mercio d'Inghilterra di Gio. Cary, dal negozio di Amsterdam del sig. Riccard,
dal Dizionario di Savary pu di leggieri apprendersi che in niuna parte vi siano
pi rigorose regole spettanti a conservare la bont, e con ci la stima delle ma
nifatture e delle altre mercanzie e la buona fede ne' traffichi, quanto nelle tre
nazioni, che si hanno come diviso il gran commercio che fa l'Europa. Queste
leggi tanto lontano che opprimano o feriscano il commercio, che anzi per esse
si sostiene, e irreparabilmente cade ove esse s'illanguidiscono. Perch assai
chiaro, che esse mantengono la bont delle manifatture e dell'altre mercanzie e
la buona fede ne' traffichi; da queste doti nasce la stima tra' forastieri; la stima
mantiene lo smercio, e lo smercio, come pi d'una volta detto, alimenta il com
mercio. Dove quelle leggi cessano, manca la bont delle merci e la buona fede
dei traffichi; di qui nasce che si perde la stima; mancata la stima manca lo
smercio ; e questo estinto, il commercio non vive.
Per quello poi che s'appartiene ai dazj e dogane, questi pesi cos assoluta
mente considerati non pugnano colla libert del commercio, se non quando sono
o mal situati, come sarebbe se le derrate e manifatture eh' escono della nazione
se ne caricassero, e pel contrario quelle che di fuori vengono se ne alleggeris
sero , o quando sono pi grandi di quello che permette un onesto guadagno, qual
il paradosso dimostrato dal signor Ulloa d'intorno alle manifatture di Spagna,
del quale da noi detto nel Ragionamento sulle manifatture.
E la ragione , che nel primo caso arrestano lo smercio delle proprie der
rate e manifatture per il moto e corso maggiore delle straniere; e nel secondo,
togliendo ogni guadagno, tolgono parimenti l'anima motrice dell'industria. Ma
dove questi due scogli si sanno evitare, li dazj e le dogane anche grandissime
non feriranno mai la libert del commercio. In fatti in niuna parte di Europa
sono questi pesi pi grandi quanto in Inghilterra, e niuna nazione intanto ha
maggiore e pi libero commercio. E la ragione , perch sono essi situati con
avvedutezza, vale a dire tutti tendono ad un solo fine, il quale di aumentare
l'agricoltura e le manifatture della nazione. II vino di Borgogna entrando vi pa
gher talora il 100 per 100, ma le manifatture che escono, o poco o niente : la
gabella sull' interno consumo del pane sar grande; ma il grano ch'esce avr
una bonly o gratificazione : sar proibito d'estrarre della lana, perch la nazione

(d) Storta del commercio d'Olanda, cap. I. ^


DIGRESSIONI ECONOMICHE. 551
vuol guadagnare il lavoro; ma sarebbero immesse senza verun peso le liane stra
niere, la seta e altre materie prime.
Per intendere adunque quali siano le cose che tolgono la libert al commer
cio, si vuol tenere fermamente quello che detto, che l'anima del commercio
la circolazione e il corso delle cose mercatabili, e la sua libert posta nella
speditezza di questo corso, per modo che ogni causa la quale l'implica, o il di
storna, o l'agghiaccia, o l'arresta, ferisce l'anima e la libert sua. Ora tali sono
principalmente le cose che seguono. I. I pesi o pi grandi o eguali, di poco mi
nori del guadagno, perch il guadagno quel che ci muove e sollecita all'indu
stria; il quale come voi avrete tolto o ridotto a nulla, l'industria resta cos senza
moto, come un oriuolo a mostra la di cui molla sia rotta. II. Gli strapazzi o le
avanie grandi e spesse; perch queste disgustano e son cagione di perdimento
di tempo; cio della cosa la pi essenziale ad ogni industria; e l'uno e l'altro
agghiaccia e ritarda la circolazione, onde di necessit avviene l'impiccolimenlo
del commercio. Di qui che il savio autore dell'opera dello Spirito delle Leggi
vorrebbe che tutti gli arrendamenti e le dogane fossero nelle sole mani de' so
vrani, perch il riscuoterle si facesse con pi prontezza e minor strapazzo di
quello che ordinariamente suol farsi dagli appaltatori; perciocch i sovrani nel
riscuotere questi pesi sogliono non solo al proprio e presente interesse guardare,
ma oltre a ci al futuro e al comune; deve gli appaltatori una sola cagione anima
e muove, che il proprio e presente utile. III. I privilegi esclusivi, perch essi
favoriscono sempre i particolari e non il pubblico. Essi tolgono l'emulazione e
impediscono la perfezione delle arti ; conciossiach niuno pensa a migliorare
quello che non pu esercitare; e coloro che l'esercitano, essendo per i loro pri
vilegi sicuri del guadagno, non s'ingegnano di migliorar nulla. IV. La lunghezza
delle liti che risguardano il commercio, come quella che anch' essa rilarda. Se
nofonte (dice Montesquieu), nel libro delle rendite pubbliche, vorrebbe che si
dasse premio a quei giudici di commercio, che pi prontamente spedissero le liti
de' negozianti. Il tempo troppo prezioso per questo ceto d'uomini, e non si pu
loro recare maggior danno che toglierglielo.

S-H-
Del commercio marittimo.
Questo articolo merita delle considerazioni che ci attengono assai, e le quali
io disporr il pi ordinatamente che io possa. Primamente di per s chiaro,
che senza navigazione non si pu avere commercio vantaggioso n poco n punto;
perocch senza navigazione non si pu avere utile smercio, n di derrate, n di
manifatture, n di verun'altra cosa che nel paese nasca o si faccia; e senza utile
smercio o non si pu avere commercio, o non se ne pu avere vantaggioso. Per
ch o voi non mandate nulla fuori, e non ne avrete n esterno n interno; il che
oltrech da s manifesto, stato pi d'una volta da me altrove dichiarato, e
in modo che chi ne pu dubitare non ha niuna cognizione di questa scienza. 0
voi vel mandate sopra legni esteri, e vi convien perdere tutto il nolo, che non
importando piccola spesa, sar cagione che voi non facciate giammai commercio
vantaggioso. E se finalmente lasciate che i forestieri vengano da s a caricare
le vostre derrate e manifatture, primamente necessario che perdiate tutto il
552 GENOVESI.

guadagno che voi potreste dalle vostre robe sperare; perch il forestiere il vorr
per s, che tanto quanto dire che voi gli diate le vostre mercanzie a quel prezzo
ch'egli vorr e non a quello che vorrete voi. E poi vi forza che prendiate da
lui, in iscambio delle cose vostre, quelle mercanzie ch'egli vi apporter o poco o
molto che vi bisognino, e che le prendiate a quel prezzo a cui piaceragli darve^
altrimenti voi non farete mercato delle vostre. Con che chiaro che senza navi
gazione, come voi non potete avere commercio attivo, cos non ne potete avere
nessuno che vi sia utile, vale a dire che a lungo andare non vi cagioni la ruina
dello Stato.
Secondariamente, non men chiaro che senza proteggere la navigazione, ella
non pu essere gran cosa o non pu lungo tempo durare, perch come vi sono
delle nazioni o gelose o nemiche, senza una marina armata esse possono in mille
modi attraversare la navigazione mercantile, la quale se voi volete ch'ella s'armi
da s, ella trover niuno o poco guadagno nel suo commercio. Ma esse saranno
pi ritenute, come una buona armata navale protegga il commercio marittimo.
Il signor Melon dice, che il commercio di mare vuole avere libert e protezione;
ma soggiunge, se non pu averle insieme tutte e due, convenendo scegliere, da
preferire la libert; perciocch la sola protezione, per grande che sia, non pu
esser cagione che faccia nascere il commercio dove non , bench possa soste
nerlo dove ve n'ha-, ma la libert l'anima, il genera e l'alimenta in guisa ch'ella da
se medesima gli procaccia la protezione. Per verit qualche esempio n'abbiamo
ed in Italia e fuor d'Italia, ma non in modo per che il governo non vi sia in
conto alcuno interessato. Egli vero che Genovesi, i Pisani, i Veneziani col-
l'accrescere il commercio, accrebbero altres le armate navali che il protessero;
ma queste armate erano a conto del comune e rade volte a spesa de' soli merca
tanti. Si vuole il medesimo dire degli Olandesi e degli Inglesi. Cominci quivi a
prender vigore il commercio da private compagnie; il guadagno le mise in istato
d'armarsi; ma se il governo non vi si fosse mischiato e non n'avesse intrapresa
la protezione, elleno non si sarebbero giammai protette da se sole. Aggiungo,
che poich si conviene che una armata navale sia necessaria a proteggere il com
mercio, sia ch'ella sia equipaggiata a spese de' negozianti, o del governo, egli
non mi sembra sicuro nel governo lasciarla nelle mani de' negozianti, massima
mente in un paese le di cui principali forze sieno le marittime. Per la qual cosa
conchiudo che o il commercio non ha da avere protezione nessuna, cosa che
esponendolo a mille pericoli in breve per annientarlo, o se n'ha da avere, ella
non gli pu essere accordata che dal governo.
Si pu dire: qual pr pu determinare il governo ad imprendere la prole
zione del commercio marittimo? Se io non avessi udito farmisi questa opposizione
da uomini che si stimano pensar bene su queste materie, l'avrei giudicata in
degna di esser qui proposta; ma la filosofla, che dee essere utile al comune degli
uomini, si vuole adattare a que^ medesimi che meno intendono. Diciamo adun
que che le utilit di una rispettabile armata navale, per una nazione che abbia
del mare, sono molte e grandissime. I. Ella di grandissima forza a farsi ri
spettare dalle nazioni vicine, e forse maggiore che quella delle truppe terrestri.
Si veduto questo negl'Inglesi, negli Olandesi ed altre nazioni, le quali hanno
dato legge all'Europa, quando sono stati signori del mare; e l'hanno ricevuta,
quando le loro armale navali sono state deboli, come pare che oggi addivenga
DIGRESSIONI ECONOMICHE. 355

agl'Inglesi. II. In una guerra, come ella sia perditrice in terra, l'ultima for
tezza ove si possa ritirare e conservarsi ancora lungo tempo. Temistocle, dopo
la perdita della giornata di Maratona, consigli agli Ateniesi di ritirarsi in una
citt di legno come all'ultimo asilo, e salv la repubblica. IH. Crescendo per la
sua protezione il commercio, lo Stato avr sempre bastante copia di marinari
destri e dotti nell'arte marinaresca per fornire la sua armata, e n'avr sempre
scarsezza come il commercio sia nullo o piccolo , ond' cbe nei bisogni non
trover come possa mettere in mare le sue navi, perch non potr fare in due
giorni degli abili marinari. IV. Come il commercio della nazione sia grande, non
potr essere a meno che la nazione non sia ricca; e un sovrano di una nazione
ricca sempre ricco anch'egli. V. La navigazione florida, il commercio sicuro e
vantaggioso dar volontieri e con piacere parte dei suoi guadagni per la sua pro
tezione. Veggasi il signor Ustariz nell'opera sopracitata.
Di tutte poi le nazioni, quelle hanno maggior bisogno di una buona armata
navale, le quali sono o isole o penisole. Perocch in queste tali nazioni quelle
parti voglion essere pi forti, onde pu esser maggiore il pericolo; e questo il
mare. Perch se sia un'isola, ella non pu essere altronde attaccata che da mare,
ci che sar difficile come le sue armate navali sieno in buon stalo: e se sar
una penisola, qual' il nostro regno, ella vuole avere maggior timore dalla parte
del mare che da quella di terra; e perci le conviene usar maggior diligenza ad
avere una buona armata navale che de' grandi eserciti terrestri. Fra gli antichi
popoli gli Ateniesi, che avevano un tal sito, nelle difese e nelle imprese si tro
varono sempre meglio con delle forze marittime che con delle terrestri. E ne'
secoli addietro i Pisani, i Genovesi e sopra tutti gli altri i Veneziani allora furono
pi sicuri, quando furono meglio armati in mare. Egli succeduto il medesimo
agli Olandesi, i quali come dalla parte di terra per i gran fiumi e paludi sono
quasi che inaccessibili, non si sono difesi, n ingranditi che per le forze marit
time, e son decaduti poich la loro potenza marittima andata gi. Il medesimo
si vuol dire degl'Inglesi e de' Francesi, i quali non hanno acquistata quella po
tenza che hanno salvo dopo avere avuto delle rispettabili armate navali. Antonio
Perez savio spagnuolo soleva dire ad Enrico IV re di Francia, che quel regno
sarebbe sempre piccola cosa come non avesse mare. La Spagna non fu mai
tanto all'Europa formidabile, quanto allorch Filippo II si studi d'innalzare
la marina. I principi normanni fondatori di questo regno par che intendes
sero questa massima, perch essi in niuna cosa posero la maggior loro for
tezza quanto nelle armate navali, per le quali oltrech si fecero rispettare da
tutte le potenze d'Italia e da' Veneziani medesimi, essi repressero l'ardire de*
Barbareschi e li si fecero tributarj, e misero dello spavento sin nell'imperio
di Costantinopoli. E certo i Turchi non furono mai a noi s formidabili,
quanto nel tempo che mantennero delle grandi armate, le quali non cos de
caddero, che la potenza di quell'imperio non seguisse quasi colla medesima
proporzione quel decadimento. Conchiudo dunque che cos g' interessi del
commercio , come quelli dello Stato ricercano che una nazione , come la
nostra o qualunque altra a noi per sito e per vigor di terra e d'ingegno si
mile, abbia le pi gran forze marittime ch'ella aver possa.
Vorrei io in questo luogo dire un pensiero che ho sempre meco d'intorno
all'animo avuto ed ho tuttavia; ma io temo ch'egli non sia per incontrar male
Econom. Tomo III. 23.
554 GENOv ESI.

presso coloro che niun amore hanno e nlun zelo nutriscono per l'Italia co
nune madre nostra; na il dir pure, in qualunque parte sia per prendersi
da chi non guarda pi in l del proprio utile. A voler considerare l'Italia
nostra, e dalla parte del suo sito, e da quella degl'ingegni, e per quello che
ha ella altre volte fatto e fa eziandio tuttoch divisa e come dilacerata, si
converr di leggieri ch'ella tra tutte le nazioni d'Europa sla fatta a dominare;
perocch il suo clima non pu esser pi bello, n pi acconcio il suo sito
rispetto alle terre e al mare che la circondano, n pi perspicaci e accorti e
destri e capaci di scienze e d'arti, e duranti di gran fatiche, e oltre a ci pi
amanti della vera gloria i suoi popoli, di quel che essi sono. Ond' dunque
ch'ella sia non solo rimasta tanto addietro all'altre nazioni in tutto ci che par
suo proprio, ma divenuta in certo modo serva di tutte quelle che il vogliono?
Ella non stata di ci causa la sola mollezza, che le conquiste dei Romani
v'apportarono, perocch questa morbidezza, che le ricchezze e la pace v'avevano
introdotta, non dur lungo tempo; ma la vera cagione del suo avvilimento
stato quell'averla i suoi figli medesimi in tante e s piccole parti smembrata,
ch'ella ne ha perduto il suo primo nome e l'antico suo vigore. Gran cagione
questa della ruina delle nazioni: pur nondimeno ella potrebbe meno nuocerci,
se quei tanti principati, deposta omai la non necessaria gelosia, la quale hanno
spesse volte e pi ch' essi non vorrebbero sperimentata e al comune d'Italia
e a se medesimi funesta,volessero meglio considerare i propri e i comuni in
teressi, e in qualche forma di concordia e di unit ridursi. Questa sarebbe
la sola maniera di veder rifiorire l'ingegno e il vigore degl'Italiani. Potrebbe
per questa via aver l'Italia nostra delle formidabili armate navali e tante
truppe terrestri che la facessero stimare e rispettare, non che dalle potenze
d'oltremare che pure spesso l'infestano, ma dalle pi riguardevoli che sono
in Europa. Ella non vorrebbe ambire altro imperio che quello che la natura
le ha circoscritto; ma ella dovrebbe e potrebbe difendersi il suo. Potrebbe
veder rinascere in tutti i suoi angoli le arti e l'industria, dilatarsi il suo
commercio, e tutta nuovo abito e la pristina bellezza prendere. Se questi
sensi s'ispirassero ai pastori di tutte le sue parti,forse che non sarebbe questo
solo un voto platonico. E' mi pare che i principati d'Italia non siano s gli uni
degli altrigelosi che per massime vecchie che son passate a' posteri, pi per co
stume che per sode ragioni. Non son ora i tempi che erano; e quelle cagioni di
reciproci timori che potevano essere una volta ragionevoli, sono ora non solo
vane, ma nocevoli e al tutto e alle parti, se ben si considerano. Egli per lo
meno certo ch'ella non pu, come le cose sono al presente, sperare altronde la
sua salute che dalla concordia e dall'unione de' suoi principi. Il comune e vero
interesse suol riunire anche i nemici: non avr egli forza da riunire i gelosi?
Rettor del cielo io chieggo,
Che la piet, che ti condusse in terra,
Ti volga al tuo diletto almo paese .
S. III.
Del lusso.

La regola di estrarre dell'idee generali dai particolari di raccogliere di que


sti il pi che si pu, considerarli attentamente, e vedere sottilmente quello in che
DIGRESSIONI ECONOMICHE. 555

essi convengono, e questo prendere, o formarne un'idea e definitone generale.


Quando si segue questa regola, si vedr chiaramente che il lusso lo studio
o di distinguersi per le maniere di vivere nel celo degli uomini nel quale si e
nato, o per le medesime maniere emulare ai ceti superiori. Cos un lusso in
un pastore, p. e., come egli vorr per alcune esterne maniere di vestire, di man
giare, di abitare, di contrarre e celebrar nozze ed altre tali, distinguersi tra gli
altri pastori o anche salire pi in su ed emulare a' ceti superiori: e cos del sarto
o del manifattore, che per foggie di vestire e maniere di vivere vorr dagli altri
della sua classe essere distinto o gareggiare col ceto della gente vivente con
maggior nobilt: e di questa similmente, che si studier di superar gli altri suoi
eguali o di imitare i grandi, e questi la grandezza e pompa de' sovrani, ove
sempre il centro della magnificenza della nazione: e finalmente lusso anch'esso
il volere i piccoli sovrani comparire colla pompa e grandezza dei pi grandi, e
questi con quella dei ricchissimi e potentissimi. Ha due parti adunque il lusso,
delle quali una quella di distinguersi nel suo ceto, e l'altra quella di gareggiare
con i ceti superiori.
Intesa la natura del lusso, si vede che esso ha la sua sorgente nella natura
umana; la quale sorgente, avvegnach talora o per esterne cause o per forza di
educazione stia come repressa e chiusa, ella non pertanto sempre viva, anche
ne' petti de' selvaggi. Perch questa sorgente non altro che il desiderio di di
stinguerci, il quale cos a tutti gli uomini naturale, come la vita e tutte le altre
cose che per natura ci appartengono; intanto che alcuni vi sono stati e vi sono
tuttavia, i quali non potendosi distinguere per oneste e virtuose maniere, non
lasciano di distinguersi per viziose. Non vi ha in questo altra differenza tra le
eulte e le selvaggie nazioni che questa, che le selvatiche per mancanza di meglio
conoscere amano distinguersi pi per la forza del corpo, e le eulte o polite pi
per quella dell'animo. Un giovane ottentotto che abbia ammazzato un leone, su
perbo di s siede per alcuni giorni dinanzi alla sua capanna, e riceve con gravit
le visite e i complimenti di tutto il suo Kraal o villaggio; indi vestendo il cuoio
dell'uccisa fiera, non altrimenti tra suoi riputato e celebrato di quel che sia
in Europa un grande fregiato delle insegne di qualche ordine cavalleresco (1).
Questi sono gli ercoli del Capo di Buona Speranza. Di questi ercoli tutte le na
zioni feroci hanno avuto ed hanno tuttavia. Ma tra le nazioni eulte e polite
questo spirito di distinguerci rivolto pi alle forze dello spirito che a quelle del
corpo; e di qui hanno la sorgente le scienze e le arti che diconsi di lusso. Ora
questo spirito non si vuol reprimere, perch non si pu, e perch se voi il repri
merete da una parte, esso sgorgher dall'altra. Cos come voi il reprimerete dalla
parte dell'ingegno, si volter esso al corpo, non essendo possibile che estinguasi.
Per la qual cosa non da approvare la legge di Platone, che alcuni de' nostri
re normanni vollero in certa maniera tra noi introdurre, per cui era stabilito che
i figli dovessero essere sempre della medesima professione e mestiere de' padri,
e che essi non potessero giammai emulare e pretendere a mestieri e professioni
maggiori. Imperocch questa colai legge arresta la pi bella molla motrice e ani
matrice delle facolt dell'anima e del corpo. Io so che alcuni politici 1' hanno
creduta utile per le repubbliche, bench la disapprovassero per le monarchie. Ma

(1) Kolbe, Descrizione del Capo di Buona Speranza.


556 GENOVESI.
la pratica delle migliori repubbliche cos antiche come moderne, le quali hanno
sempre lasciato aperto qualche sentiero al merito de' celi pi infimi da pervenire
ai maggiori onori pubblici, e che se ne sono trovate bene, dimostra che una tal
legge atta ad intorpidire tutta una nazione non si confaccia n collo spirito delle
repubbliche, n con quello delle monarchie, e che non sia propria che de' soli
governi dell'Asia.
Ora tornando al nostro proponimento, per discernere il lusso utile dal nocivo
si vuole por mente alle seguenti specie di lusso. I. Lusso pubblico. II. Lusso
privato. III. Lusso esercitato in materie della nazione. IV. Lusso di cose esterne.
V. Lusso moderato. VI. Lusso eccessivo. Il lusso pubblico quello che mostrano
le corti de' sovrani nelle loro pubbliche funzioni o interne o fuori dello Slato,
come nelle pubbliche comparse, nelle feste, nelle fabbriche, nelle ambascerie ecc.
Lusso pubblico anco da dirsi quello delle comunit nel volersi distinguere l'une
dall'altre per alcune fabbriche, come di case pubbliche, di piazze, di fontane, o
per feste ecc. 11 lusso privato quello delle private famiglie, pel quale l'una cerca
distinguersi dall'altra o gareggiare colle superiori. Lusso di materie interne
quello eh' posto nel consumo delle derrate o delle manifatture proprie della na
zione, come se noi volessimo distinguerci per l'uso delle produzioni della nostra
terra, ovvero per le nostre manifatture di seta, cotone, lana, lino ecc. Lusso di
materie esterne quando c'ingegniamo di distinguerci per derrate o per manifat
ture dell'altre nazioni, come pe' vini di Borgogna o del Reno o delle Canarie; per
manifatture di metalli o di lana o di seta o di cotone o di creta d'Inghilterra,
di Francia, dell'Indie, della Cina ecc. Finalmente chiamasi lusso eccessivo, quando
le spese, per cui si sostiene, superano o agguagliano le rendite; moderato, quando
le rendite superano le spese. Come non si pone mente a tutte queste specie di
lusso, non facile il discernere quale sia il lusso utile e che si vuol promuovere,
e quale il nocivo che convien sempre reprimere.
Queste idee cos sviluppate possono farci intendere la verit delle seguenti
proposizioni : I. Il lusso smoderato, o pubblico o privato ch'esso sia, sempre
nocivo. Imperocch il lusso smoderato dove le spese superano le rendite: ora
dove ci avviene, primamente quello che poteva mantenere dodici famiglie ap
pena baster a quattro; in questo modo mancando i viveri, sar forza che la po
polazione scemi. E questo dimostrato dall'esempio di tutte le nazioni d'Europa,
ove lo smoderato lusso si introdotto, le quali tutte sono scemate del numero
degli abitanti. Poi dove le spese superano le rendite, quelle corti, quelle comu
nit, quelle famiglie per potersi sostenere sono obbligale a dissipare continua
mente i loro fondi, e in conseguenza a diventare ogni anno pi povere e meno
forti ad opporsi a que' mali che possono loro sopravvenire. Di qui che, ove
loro uno de' mali politici sopravvenga, esse sono infallibilmente oppresse (1).
Questo lusso simile al soverchio evacuamento del corpo fisico, che indebolen
dolo pi del convenevole fa che esso alle prime scosse di qualche male ceda e
venga meno.
II. 11 pubblico e il privato lusso di quelle cose che sono proprie della na
zione, e che servono a mantenere la vita principalmente in una nazione eulta e
pulita, purch moderato, non solo utile, ma oltre a ci necessario. Esso utile

() Veggasi Hume, Discorsi politici.


DIGRESSIONI ECONOMICHE. 557

perch aumenta il consumo di quelle cose che nella nazione nascono o si fanno;
e aumentando il consumo, aumenta e migliora l'agricoltura e le manifatture,
prime e copiose sorgenti delle ricchezze dello Stato, t oltre a ci necessario, per
ch d alla nazione dello spirito se non ne ha, e se ne ha, glielo mantiene e
glielo accresce; senza il quale spirito n le arti n il commercio saranno mai
gran cosa, secondo che da noi altrove dimostrato. Cos come voi consumerete
molto del nostro grano, vino, olio, frutta, delle nostre manifatture di lana, di
lino, di seta, di cotone, e che in questo consumo cercherete aver sempre il meglio
j>er cos distinguervi dagli altri, voi aiuterete a dar moto a tutte queste arti, fa
rete che molti vi si occupino, e spingerete gl'ingegni di coloro che le esercitano a
migliorarle; cos voi sarete cagione perch insieme crescano la popolazione, lo
spirito della nazione e le ricchezze.
qui per da avvertire a due cose, la prima delle quali ch'io non intendo
voler confondere la ghiottoneria col lusso, perch quella sempre nociva, ancor
ch accresca il consumo delle nostre derrate; conciossiach il ghiotto consuma
egli solo quello che economicamente dispensato potrebbe bastare a molti, e in
questo modo egli toglie la sussistenza a molti, e conseguentemente tende a spo
polare lo Stato. Ella cosa da non porsi in dubbio, che la popolazione sempre
proporzionata a mezzi di sussistere, e non mai maggiore; perch gli uomini non
possono col vivere, dove non vi che mangiare. Per la qual cosa se mille ghiotti
consumano quello che la terra d per 4000, fla forza che 5000 o periscano o
disertino. E questo confermasi per la storia di quelle nazioni, le quali abitanti
in luoghi fertili ed aventi pochi bisogni e viventi di poco, si trovano essere po-
polatissime, dove le cagioni morali non tendano a spopolarle, e di quelle che
avendo pi bisogni e mangiando pi ed abitando in terre non mollo fertili, sono
spopolatissime. Della prima natura sono per cagion d'esempio le provincie me
ridionali della Cina, ove la terra d il 1 00 per uno in riso, e questo tre volle
l'anno, e dove le intiere famiglie consumano meno in cibo, bevanda, fuoco, vesti,
abitazioni, di quello che consumi un uomo solo in Europa. Di qui che quelle
Provincie si veggano formicari; di abitanti (1). Dell'istessa natura l'Egitto, il
quale, comech combatta continuamente con molte cagioni fisiche e morali che
tendono a distruggere la popolazione, nondimeno tuttavia la provincia la pi
popolala dell'imperio turco (2). Ma le parti settentrionali della terra, dove il
clima accresce i bisogni e scema i prodotti, sono quasi che deserte.
La seconda che anche il lusso delle cose interne e proprie della nazione
pu nuocerle, se esso indiritto a promuovere soverchio le arti produttrici delle
cose che ci fanno sussistere, con discapito dell'agricoltura; perch queste arti
vivono anch'esse a spese del contadino e del pastore, e non ci danno di che vi
vere, ma solo di che comparire con distinzione. Quindi che a proporzione che
esse crescono, aumentansi le bocche che mangiano e scemansi le braccia che
lavorano; quindi, a meno che i prodotti di tali arti estraendosi non ci proveg
gano altronde di derrate, mancano i mezzi di far vivere molti, e a proporzione
scemasi la popolazione. Supponiamo che la terra di un'isola essa sola ben col
tivata possa dare di grano, di olio, di carni, di vino, di lana, di canape, di lino ecc.,

(!} Veggasi Duhaldc, Descrizione della Cina.


[2J Maillet, Descrizione dell'Egitto.
358 GEK0VE9I.

tanto quanto basti a far vivere 6000 abitanti. Poniamo inoltre che 2000 per
sone siano necessarie a ben coltivarla, e che 1000 bastino per le manifatture, e
5000 tra vecchi, malati, fanciulli, inetti, governanti, ecclesiastici, medici, pro-
prietarii di terre ecc. vivano senza niente produrre. Quando in quest'isola vi siano
appunto 6000 persone, le forze sostenitrici, cos in terre e animali, come in la
vori, sono eguali alle forze consumatrici. Questo lo stato naturale di quest'
isola. Ella non pu pi crescere di popolazione, perch (per ipotesi) le sue forze
conservatrici non possono essere maggiori; ma ella pu ben scemare, se le sue
forze sostenitrici diventino minori. Ora supponiamo che il lusso aumenti le classi
de' lanajoli, setajoli, calzolai, sarti, cappellari, fabri di cose delicate, falegnami,
ricamatori, telajuoli, lavoratori di merletti, di nastri, di galloni di lana e di seta,
carrozzieri, cuochi, musici, scultori, pittori, architetti, procuratori, avvocati, me
dici, religiosi, apparatori, camerieri, lacch, sorbettieri, cioccolatieri, pasticcieri,
caffettieri e mille e mille altre, quante ve n'ha ne' paesi culti, tutta questa gente
sar sottratta alla classe di quelli che producono e mantengono i mezzi da vi
vere; dunque forza che questa classe scemi, e che perci le forze sostenitrici di
quest'isola diventino minori. Ora mancando le forze sostenitrici non pu sussi
stere la medesima popolazione; l'isola dunque scemer di abitanti, e la cagione
di questo scemare sar stato il lusso promotore delle arti non produttrici. Di qui
che a voler sostenere che quest'isola non ruini, fia d'uopo o chiamarvi de' fo
restieri e impiegarli parte alla coltura, parte alla pesca, parte alle manifatture da
estrarsi, parte alla navigazione per procurare de' nuovi mezzi da sussistere; o
rimandare di nuovo alla zappa la soverchia moltitudine concorsa alle arti di lusso.
III. Il lusso di cose esterne assolutamente nocivo; ma esso pu essere utile
se serve ad accrescere le nostre esportazioni, principalmente delle derrate e delle
manifatture delle nostre materie, in modo per che sia sempre assai pi quello
che si estrae di ci che s'immette. E che sia assolutamente nocivo chiaro da
ci, che per sua natura indiritto a scemare il consumo delle cose nostre. Per
ch quanto noi consumeremo pi di derrate o di manifatture esterne, tanto ne
consumeremo meno delle nostre; e poche delle nostre consumandone, faremo che
sieno pochi tra noi coloro che vogliano coltivarle. Esse dunque decaderanno; e
come l'agricoltura e le manifatture decadono, cos seccansi le sorgenti della po
polazione, delle ricchezze, dello spirito della nazione. E in falli poniamo, per
cagion d'esempio, che nel nostro regno tutti vogliano bere vino di Borgogna o
di qualche altro paese, e non ci sar pi chi voglia attendere alla coltivazione
delle viti; e del medesimo modo 6e tutti vogliano consumare delle tele e de'drappi
di lana o di seta forestieri, non fia possibile che tra noi vi sia mai chi coltivi o
s'ingegni di migliorare queste arti.
Io ho poi detto che anco questo lusso pu essere talora utile, e ci quando
esso ci serve di mezzo da estrarre le nostre derrate e manifatture, e in maggior
copia di quello che noi dagli stranieri prendiamo. Ma si vuole badare che esso
non sar mai tale, se sar opposto al forte della nazione. Per esempio il forte
della nostra nazione, e quello su che ella dee fare gran fondamento, si pu ri
durre a queste cose : I. Grano. II. Olio. III. Vino. IV. Manifatture di lana.
V. Manifatture di seta. VI. Manifatture di cotone. Minori capi di rendite sono
poi: 1 mandorle, uve e fichi secchi, ed altre tali frutta; 2 manna; 3 pece;
4 cavalli ed altri animali: 5 manifatture di tela; 6 manifatture di metalli ce.
DIGRESSIONI ECONOMICHE. SfJ

Se il lusso di cose esterne tende ad indebolire que' primi capi che sono il fon
damento del nostro vivere, siate sicuro che sempre nocivo. Perch con quali
altri generi potremmo noi compensare le introduzioni delle cose esterne se non
con quelli che sono tra noi i pi copiosi? Ma se esso indebolisce qualcuno de'
secondi e serve intanto a rendere pi copiose le estrazioni de' primi, in questo
caso essendo il danno piccolo e grande l'utile, questo lusso si vuol coltivare.
Pur nondimeno si vuole di tanto in tanto fare degli esatti bilanci ed avere un
corso de' cambii, perch si osservi se cotal lusso non vada tanto innoltrandosi
che esso contamini anche le prime e sicure sorgenti delle ricchezze della nazione,
per poterlo o con proibizioni, o con accrescimento di dazi, o con altri modi ri
durre a quel grado che i veri interessi della nazione comportano.
Si vuole intanto qui avvertire, che io non intendo parlare delle nazioni che
fanno commercio di economia, come sono gli Olandesi e in qualche modo in
Italia i Genovesi e i Veneziani, vale a dire che prendono derrate o manifatture
da una nazione per rivenderle ad un'altra; perch tra costoro le introduzioni di
cose esterne non feriscono giammai le arti, se non per avventura quando sono
tante che esse sole bastino a fornire tutta la loro navigazione. Cosi l'Olandese
che ha grande navigazione e grande smercio, non teme giammai le introduzioni
delle esterne manifatture; perch egli non le consuma, nella sua casa, ma insieme
colle sue le trasporta altrove per essere consumate. Ma le nazioni che fanno il
commercio delle loro derrate e delle loro manifatture, e che non hanno com
mercio di economia, hanno molto che temere delle soverchie introduzioni, come
dimostrato.
IV. Il privato lusso delle famiglie non dell'intutto senza nocumento, ma
pure non si vuole con pubblica legge reprimere se non per avventura nelle re
pubbliche, o quando sia ad un tal punto pervenuto che non pu curarsi che dalla
ragion pubblica, qual la legge; ma si vuole lasciare a moderare alla prudenza
di ciascuno. Io dico primamente che esso ha alcun buon effetto, perch promuove
generalmente il consumo, e sostiene le arti e d loro vigore. Egli vero che
ruina molte famiglie, ma ne solleva delle altre; e quelle medesime che ruina, le
rimanda alla zappa, alle manifatture, alla navigazione, alla milizia, generi d'oc
cupazioni necessarii ad ogni Stato. Dico poi che n' ha anco de' cattivi, perch
produce e aumenta la razza de' vagabondi, gente ordinariamente malvagia che
turba la pace pubblica, inquieta le arti e il commercio, e rende pi rade le nozze.
Dico in terzo luogo, che ove non sia giunto a quel grado che pu cagionare la
pubblica miseria, non si voglia nelle monarchie con pubblica legge reprimere:
perch questo cagiona infallibilmente l'assiderazione delle arti e l'avvilimento
dello spirito pubblico. Ma se esso avr sorpassato tutti i segni della moderazione
e reso la nazione per gran parte spensierata, pigra, vagabonda, astenentesi dalle
nozze, questa nazione avr bisogno d'un pubblico e comune tutore che la rimeni
a ragione, e questo tutore non pu essere altro che la sola legge sostenuta da
vigorose braccia. Vero si che non pare ch'egli sia possibile, che una nazione
si riduca tutta a questo stato di follia, quando coloro che posseggono al di lei
governo, di quando in quando con savii stabilimenti la ritirino dai principii di
tanto sviamento.
360 GENOVESI.

S. IV.
Del pregio dei metalli.

Egli certo che noi siamo affatto sforniti di ogni sorta di miniere; imperoc
ch le miniere di ferro di Calabria non ce ne danno che assai poco e cattivo; e
quelle di argento, che sono nella medesima provincia, sono cos scarse che il
prodotto appena agguaglia la spesa. Pu stare che queste miniere, come si pe
netra pi addentro, si trovino pi ricche o che ne scoprano delle altre, parendomi
che ve ne debbano essere, quando io considero la gran quantit di solfo che que
ste nostre regioni contengono, il quale la sostanza prima dei metalli, secondo
che i fisici insegnano; ma per ora noi non possiamo mettere a conto n quelle
che abbiamo, n la leggierissima speranza delle future scoperte. Non se ne vuole
per altro abbandonare la ricerca; perch la natura non ci suole scoprire quasi
giammai i suoi tesori, senza essere in un certo modo da noi forzata, e dir anche
violentata. Ma la prudenza insegna a tutti non doversi abbandonare i presenti e
sicuri mezzi di vivere, comech pi faticosi,per la speranza non ben sicura de'
futuri meno laboriosi. D'onde che noi siamo per ora obbligati a comperare
dagli stranieri tutti i metalli, non solo quei che servono alla moneta e ai mestieri
alimentati dal nostro lusso, ma ben anche quelli de'quali le arti hanno assoluto
bisogno, quale principalmente il ferro e l'acciaio. La copia di argento e di oro
che tra noi, cos monetato come lavorato, e quella che continuamente usasi
nelle vesti, dee essere grandissima; su di che io mi rimetto ai calcoli dell'illustre
autore dell'eccellente libro Della moneta qui impresso nell'anno 1750. Pure
come questi metalli guardansi con maggior gelosia che gli altri pi vili, si con
sumano e disperdono meno degli altri, de'quali fabbricansi degli stromenti che
quotidianamente si logorano e che perci conviene ogni giorno rifare; di qui
che io porto opinione, che noi comperiamo ciascun anno pi di questi vili che
di quei ricchi. Ma qualunque sia la quantit de' metalli che noi ogni anno com
priamo dai forestieri, egli certo che la compriamo. Ho io talora udito dire ad
alcuni di coloro che parlan molto, ma ragionano assai poco, che noi comperiamo
de' metalli con del danaro. Ma saprebbonci essi dire con che noi compriamo il
danaro? Perciocch il danaro un metallo, e noi, come detto, siamo di ogni
metallo sforniti. Dunque non vi altro con che fare di queste compre, che le
nostre derrate e le nostre manifatture: cosicch una nazione, la quale non avesse
n gli uni n le altre, sarebbe sfornita d'ogni mezzo di aver de' metalli, salvo se
Dio non glieli facesse piovere dal cielo, o i forestieri non volessero apportargliene
gratuitamente. Ora questa considerazione assai chiaramente fa vedere di quanta
importanza sia per noi il migliorare e accrescere quelle cose che ci procurano
de' metalli, cio le nostre derrate e tutte le sorta di manifatture, e fare in modo
che tra per la loro bont e bellezza, e per la facilit delle estrazioni sieno dagli
stranieri ricercate. Conciossiach dove noi non c'ingegniamo di farle ricercare,
se n'estrarr assai poco; dunque non potremo che pochissime cose con esse com
perare dai forestieri, e conseguentemente pochissimi metalli. In questo caso quei
che comincieranno i primi a mancarci saranno l'oro e l'argento, la compera de'
quali ciascuno posporr a quella delle cose pi necessarie. In tal modo diverr
rara la moneta, che il grande istromento della circolazione e del consumo in
DIGRESSIONI ECONOMICHE. 561

terno, e scemarassi il lusso, e conseguentemente prima languiranno e poi spegne


ransi le arti, che sono da quello nutricate e sostenute; e appresso divenendo la
circolazione lenta e tarda, e mancando il grande alimento delle arti, cio il lusso,
le manifatture anche le pi rozze se ne risentiranno per ci che altrove detto,
che tutte le arti sono fra esse loro strettamente legate. N avvien giammai, che
l'agricoltura medesima, come pi d'una volta dimostrato, non ne venga gran
demente a patire per lo stretto legame che tra quella e le altre arti; e di l
finalmente che la nazione non si spopoli e non divenga barbara. E di qui com
prendesi la ragione del fenomeno economico osservato dall'autore dello Spirito
delle leggi, Lib. XXII, Cap. IV, che dove le nazioni culte e pulite regnano,
ivi sempre l'oro e l'argento abbondi; e dove le barbare prendono al di sopra, ivi
questi nobili metalli spariscano: perch tra quelle l'agricoltura e le manifatture
fioriscono, che hanno grandissima forza attrattiva dell'oro e dell'argento; e tra
queste ve n'ha poco o nulla.
Voglio qui ora esaminare la seguente questione: egli desiderabile, per un
paese tale qual' il nostro, di avere delle ricche miniere d'oro e di argento? Dico
delle ricche,perch averne un poco e quanto basti ad esercitare una non molta
quantit d'uomini e somministrare una tanta copia di metalli che non sia mag
giore dei nostri bisogni, io non credo che si voglia mettere in controversia se sia
da desiderare. egli adunque desiderabile averne delle ricchissime? Si crede
comunemente che s, e anzi si fanno generalmente dei voti per implorare dal
cielo delle pioggie di oro, senza che intanto veruno si ricordi della favola di
Mida. La sperienza insegna, che di tutte le nazioni quelle sieno le pi ricche,
nelle quali pi fioriscono l'agricoltura, le manifatture, la navigazione, tuttoch o
niuna o poche miniere abbiano, quali sono gli Olandesi,gl'Inglesi, i Francesi; e
quelle le pi povere, che sono pi di miniere d'oro e di argento doviziose, se
l'agricoltura, le manifatture, la navigazione siano in basso e povero stato. Ogni
anno, dice Bernardo Ulloa, vengonci da America dieci milioni di piastre; o ogni
anno, dopo un mese ch'elleno sono venute, noi ne abbiamo tanto poche quante
un mese prima di venirci (1). Questo istesso autore calcola che escano di Spagna
ciascun anno, per derrate e manifatture, quindici milioni di piastre (2). I paesi
dell'Africa e dell'America i pi poveri e i pi spopolati sono quelli che pi ab
bondano d'oro. La sperienza debb'essere cos certa guida delle scienze fisiche
come delle politiche. pi d'una volta detto, che le primitive, reali e perpetue
ricchezze di una nazione provengano dalla terra e dalle arti. L'oro e l'argento
non sono che ricchezze di convenzione, o per meglio dire, esse rappresentano
piuttosto le vere e reali ricchezze di quello che lo siano; perchgli uomini n
mangiano, nvestono metalli, ma sibbene le cose dai metalli rappresentate.
Adunque l'oro e l'argento non hanno verun prezzo, dove quelle cose mancano
che essi rappresentano. Che farete voi dell'oro e dell'argento, se voi non trovate
a cambiar cotesti metalli con delle derrate e delle manifatture, e generalmente
con quelle cose di cui la natura nostra ha bisogno? Questo dimostra: I. Che
dove non vi ha di queste cose, n la speranza di averne, l'oro e l'argento non
abbiano prezzo veruno. II. Che dove vi ha poche di tali cose, e molto oro e ar

(1)Ristabilimento delle manifatture di Spagna, cap. VIII.


(2) Idem.
562 GENOVESI.

gento, questi metalli vi abbiano poco prezzo, o ci che toma all'istesso, le cose
vi siano carissime. III. Che dove vi ha molte di queste cose o sicura speranza
d'averne, i metalli ricchi vi siano pi cari, perch una minore loro porzione rap
presenter pi di quelle cose. IV. Che la forza di trarre, generalmente parlando,
primitiva e maggiore nelle cose riguardo ai metalli ricchi, che in questi riguardo
a quelle; ond' che vedransi scappare e quasi volare con una velocit influita-
mente pi grande l'oro e l'argento dalle mani di chi ha bisogno delle derrate e
delle manifatture, che queste dalle mani di chi non ha altro bisogno che di oro
e di argento.
Con tutto ci, come la massima parte degli uomini 6egue per regola di vita
pi l'apparenza della fantasia e dei sensi che la ragione, dove le miniere d'oro
e d'argento sono molte e ricche, ivi lasciandosi trarre dal loro splendore si ab
bandoner l'agricoltura e le manifatture; e perci l'oro e l'argento comincieranno
a rappresentarvi minor quantit di cose necessarie o utili alla vita umana, vaio
a dire vi scemeranno di prezzo, sino a tanto che vi diverranno vilissimi metalli,
e la nazione se ne trover poverissima. Kempfer dice, che la corte del Giappone
fece chiudere alcune miniere di oro che erano strabocchevolmente ricche , te
mendo di quelle conseguenze delle quali detto. Noi ci maravigliamo perch gli
Americani e alcuni popoli dell'Africa ricchi d'oro, ma privi affatto di ferro e di
arti, dessero maggior peso d'oro per un coltello, una forbice, una vanga, una
zappa, una scure o tali altri stromenli di ferro, o per poca tela, drappo di lana
o di seta ecc., di quello che essi ricevevano di questo che tra noi vile metallo,
o delle nostre manifatture: ma questo sarebbe il caso d'ogni nazione che abbon
dasse di oro, e che fosse sfornita dell'agricoltura e delle arti.

S- v.
Del perfezionamento delle arti.
La perfezione delle arti non si pu disgiungere dalla grandezza dell'ingegno
e da un certo vigore di spirito. Di qui che elleno l sempre pi fioriscono, ove
maggiore e meglio coltivatolo spirito e l'ingegno; e ivi prima s'imbastardiscono
e poi spengonsi, dove s'imbastardisce e rannicchiasi e spegnesi l'ingegno. Con-
ciossiach, bench lo spirito e l'ingegno delle nazioni siano secondo i climi dove
pi, dove meno grandi e capaci (intanto che non si trover di leggieri nella Mo-
scovia e nella Svezia lo spirito e l'ingegno degli Arabi, de' Greci, degli Italiani,
de'Spagnuoli, de' Francesi), pur nondimeno la forza del clima pu cedere alle ca
gioni morali, se esse sono violente e continuate e di lunga durata; in modo che
esse possono ogni ingegno e spirito estinguere, o s fattamente viziarlo e renderlo
bastardo ch'egli non appaia pi aver niente del suo naturale, come noi veggiamo
essere avvenuto agli Egizi, agli Arabi, ai Persiani, a quei dell'Asia minore, ai
Greci e a molli altri popoli stati gi lungo tempo illustri nelle arti e nelle scienze,
e primi disseminatori delle opere d'intelletto e di gusto tra i popoli pi freddi 'e
meno ingegnosi. Ma a voler mantenere questo fondo di cognizioni e arti grande
accortezza e prudenza si vuole adoperare ; perocch egli veramente da reggersi
lo spirito e l'ingegno delle nazioni, ch'esso non lussureggi e si converta in sua
distruzione; ma niuna sua parte si pu recidere, senza ch'esso tutto ne geli e iste
rilisca. Perch se voi una sola parte ne reciderete, esso come gl'insetti si raimic
DIGRESSIONI ECONOMICHIE. 565

chier tutto e intimiderassi in modo che primamente non si volter all'altre che
con languidezza, e appresso diffider di s e delle sue forze, e ultimamente s'in
vilir e addormenter e s'imbastardir in tutto e per tutto; e a volerlo rialzare
non facil cosa, n di breve tempo. Perciocch come si sar cominciato ad assa
porare e amare l'ozio e l'infingardaggine, s'ingegner piuttosto ciascuno di tro
vare nuovi argomenti da istupidirsi, come nell'Asia e nell'Africa dove niuna cosa
- tanto in pregio, quanto quelle che inducono una specie di letargo, come sono
l'acquavite, l'oppio, il fumo del tabacco e alcun'altre cotali erbe soporifere, delle
quali cose tutte quei popoli sono oltremodo ghiotti. Cornelio Tacito ha perci
consideratamente notato, che con tutti gli sforzi di Nerva e di Trajano, umanis
simi principi, i quali avevano saputo fra loro associare res olim dissociabiles,
principatum ac libertatem; nondimeno non ancora i Romani potevano rivenire
dallo sbalordimento ove erano stati gettati sotto gli antecessori, perch tardiora
sunt remedia, quam mala; et ut corpora lente augescunt, cito extinguuntur; sic
ingenia studiaque oppresseris facilius, quam revocaveris. Subit quippe etiam
ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur (1). E vuolsi
qui avvertire che quando dicesi, honos alit artes, non si dee intendere solamente
perch l'onore gran molla motrice, ma principalmente perch l'onore che si fa
alle arti e alle scienze d all'ingegno fiducia di s, e il disbriga dalle cagioni
ritardanti e s il fa pi snello e libero; nel che posta la sua forza e grandezza.
La qual considerazione assai chiaramente dimostra essere inutili le cure di mi
gliorare e promuovere le arti in quelle nazioni, dove sono ancora le scienze o
vilipese o contrastate; e pel contrario esser un gran principio a migliorare l'arti,
massimamente dove il clima vi produca dei belli e grandi ingegni, l'incoraggire
le scienze. E perch questo s'intenda meglio e da ciascuno, voglio qui servirmi
di questo esempio. Poniamo che una nazione, avente della buona seta e cotone
e canapa e lino, voglia promuovere e migliorare i drappi e le tele; ella mai nol
far fino a che ignori l'arte del disegnare e di accozzare i colori, la quale quella
che d tanto pregio ai drappi francesi e li fa ricercare dappertutto. Come voi non
promoviate la geometria, la pittura, la scultura, o che anzi di promuoverle le
opprimiate, sar sempre barbaro e rozzo il disegno e con ci l'armonia de'colori.
Ma a volerpromuovere la geometria, la pittura, la scultura, da nutricare tutte
le lettere e segnatamente la filosofia svegliatrice ed esercitatrice degl'ingegni umani.
Vedesi adunque che la perfezione delle arti non da separare che da quella delle
scienze, e questa dalla non schiavit degl'ingegni.
Dirassi che i bisogni siano le vere cagioni inventrici e perfezionatrici delle
arti, e che dove questi sono, niun'altra causa da adoperare perch quelle au
mentinsi e migliorinsi. Non nego che i bisogni hanno fatto nascere le arti di
prima necessit; ma sostengo che tanto lontano che i bisogni abbiano mai
apportate o migliorate le arti di comodo o di lusso, che anzi queste arti hanno
prodotti e moltiplicati i bisogni, come che una volta nate, siano poi state da
state da quelli reciprocamente alimentate. Or perch questo parr a taluno grande
e incredibile paradosso, qui un po' pi distintamente da dimostrare, e oltre a
ci da disbrigare le conseguenze che ne nascono per rapporto al presente viver
civile delle culte nazioni. E prima vuolsi por mente alle nazioni salvatiche, quali
(1) Vita Agricola, cap. III.
564 GENOVESI.

p. e. sono ora gli Ottentotti verso la punta dell'Africa e i Groelandi nel setten
trione d'America. Tra questi popoli non si conoscono altri bisogni che quei che
la natura animale fa a tutti avvertire, come il dover mangiare, bere, vestire,
abitare, ecc. Possono questi chiamarsi semplici bisogni, perciocch non nascono
che da semplici sensazioni, e non gi riflessione o combinazione o calcolo, quali
sono per la maggior parte i bisogni delle polite, eulte, ragionanti nazioni dell'Asia
e dell' Europa. Di qui che cotali popoli non hanno che semplicissime arti, e
tali, alle quali adoperare non solo ciascun uomo, ma gli animali eziandio nascono
dalla natura ammaestrati, com' la caccia, la pesca, la pastorale, l'accozzare tre
legni o altri materiali per fabbricarsi una capanna ; conciossiach noi veggiamo
che tutti gli animali carnivori caccino e peschino, e le volpi, i castori, gli au
gelli, le api, le formiche si fabbrichino assai agiatamente le loro case. Ora come
codesti popoli non vogliono incivilirsi, non egli necessario che vi si coltivi lo
spirito e l'ingegno, bastando loro per vivere, come vivono, quelle cognizioni che
senza coltura hanno naturalmente. Ma non da sperare che i bisogni vi appor
tino mai quelle arti, che non si trovano che tra le eulte nazioni; perciocch
questi bisogni di combinazione non sono da quelli intesi; anzi che dove voi vo
gliate farli loro intendere, essi non ci avranno il capo e vi risponderanno, come
odesi spesso dire agli Americani, che coteste non sono cose fatte per il mondo
loro, ma per il mondo degli Europei (1).
Non si passa di botto dai popoli selvatici alle civili e eulte nazioni ; vi ha
tra mezzo delle nazioni che non sono n selvatiche, n polite, e che possonsi
dire piuttosto barbare. Queste vivono in un certo modo civilmente, sono pi po
polose e hanno molte delle arti che trovansi tra noi ; perciocch esercitando esse
l'agricoltura, e avendo la pastorale pi ordinata, e oltre a ci vivendo pi unite
di quel che facciano i selvaggi, hanno pi bisogni, onde quelle arti comunque
sia la prima volta fra loro apportate sono nutricate. Nondimeno queste arti non
sono tra costoro nate dai bisogni, perciocch esse avrebbero cos potuto vivere
in uno stato selvatico come molti altri popoli, ma vi si sono introdotte e aumen
tate pian piano, in modo che vi ha voluto de' secoli perch vi allignassero; e una
volta gustatesi hanno prodotto quei bisogni, che poi le mantengono e le alimen
tano; conciossiach il passare da un grado di vivere meno agiato ad un pi agiato
fassi con piacere, ma ci costa sempre del dolore a lasciare i comodi da noi gustati
e di cui abbiam goduto per lungo tempo. Ci che fa, che nati una volta i piaceri
e perci i bisogni per l'introduzione delle arti anche non necessarie, vi si conti
nuino, convertendosi essi bisogni in cagioni conservatrici. Per mantenere dunque
queste nazioui nello stato nel quale esse sono, da conservare tanto spirito e
tanto ingegno, di quanto quelle arti abbisognano; e com'esse ne abbisognano di
poco pi di quello eh' necessario ai selvatici, le scienze di riflessione, di calcolo,
d'imaginazione non sono per esse necessarie. Pure come dallo stato di barbarie
al selvatico non v' che un passo, come voi opprimerete quel poco di spirito e
d'ingegno di che sono esse fornite, siate certo ch'elleno torneranno nella disper
sione e inselvaticheranuo, di che ve n'ha qualche esempio nelle isole dell'Arci
pelago, che prima da eulte diventarono barbare e poi da barbare, selvatiche e
deserta.
(1) Veggasi Andrea Kolbe, Descrizione del Capo di Buona Speranza; e Anderson, Sto
ria naturale dell'Irlanda e della Groenlandia.
DIGRESSIONI ECONOMICHE. 565

Le nazioni finalmente polite, oltre alle arti,alle quali le pure sensazioni hanno
dato nascita, hanno quelle di semplice combinazione, e a tutte queste hanno poi
aggiunto un numero prodigioso di quelle che una fantasia vivida, uno spirito
pronto e un sottile e raffinato calcolo genera, nutrica e perfeziona. Queste arti
una volta introdottesi, avendo noi per l'opera loro gustato de'nuovi comodi e
piaceri, non possonsi svellere senza che ci paia che noi passiamo dall'agio al di
sagio e dalla felicit alla miseria, e senza che tutti gli ordini civili, senza eccet
tuarne i sovrani medesimi, oltremodo se ne risentano; la qual cosa avvegnach
per se stessa manifesta, assai chiaramente ha dimostrato l'autore della Favola
delle api con quel suo leggiadrissimo apologo, come che l'abbia egli troppo pi
in l portato di quel che si conveniva. l bisogni, che ora noi proviamo di queste
arti, non sono di esse anteriori ma posteriori; talch non si pu dire che ne
sieno stata l'origine e la cagione procreatrice. Convengo che come hanno esse
fatto nascere cotali bisogni, ne siano reciprocamente conservate; ma dall'altra
parte necessario che altri convenga meco, ch' lo spirito e l'ingegno che le anima
e le alimenta. Donde ,che ogni violenza fatta allo spirito e all'ingegno riguardo
a queste arti quel che il gelicidio alle piante, pel quale prima assiderano e poi
seccansi; e pel contrario la coltura delle arti di fantasia, d'ingegno, di spirito
simile all'inaffiamento, che d del vigore e della bellezza. La qual cosa avendo il
presente monarca di Spagna compresa, perch si ristabilissero e rinvigorissero
in quel vasto regno le manifatture, ha fondata in Madrid un'accademia di dise
gno, scultura, pittura ed altre tali arti sollevatrici dell'ingegno e dello spirito,
senza cui le arti isterilisconsi, della quale veggonsi gi dei bei frutti, e se ne spe
rano in maggior copia e migliori per la cognizione che hassi dell'acutezza degli
ingegni spagnuoli.

S. VI.
Della necessit di togliere la poltroneria.
Quest'argomento merita delle lunghe e mature considerazioni: imperocch
s'egli vero, siccome ho altrove dimostrato, che le rendite d'ogni nazione sono
in ragion composta della quantit e fecondit delle terre, e della somma delle
fatiche; seguita che tutto quel che scema la somma delle fatiche, minori altres
le rendite della nazione. Ora la somma delle fatiche proporzionevole alla copia
delle braccia che travagliano, e alla diligenza e arte con cui si travaglia; donde
nasce che ogni costume e usanza e vizio, e qualunque altra cosa che tenda a
minorare o la quantit delle braccia lavoranti, o la diligenza e arte da lavorare,
sminuisca la somma delle fatiche, e per conseguenza sia indirizzata a minorare
le rendite della nazione; donde poi tutti quei mali avvengono, che la povert di
una nazione accompagnano indivisibilmente. Per la qual cosa essendo principale
ufficio dell'economia politica il vegliare non solo a mantenere le sorgenti de' co
modi e delle ricchezze dello Stato, cos per riguardo agl'interessi dei sudditi come
per quelli del sovrano, che non si possono dai primi separare, ma ad accrescerle
eziandio ogni anno quanto si pu; segue esser cura principalissima di chi go
verna far s che niuna costumanza, niun vizio, niun istituto, di quelli che ten
dono a scemare la quantit delle fatiche,non prenda vigore nella nazione.
E comech le costumanze che favoriscono la poltroneria possono esser molte,
566 GENOVESI.
nondimeno niuna non tanto da temersi quanto quelle che nascono e si ali
mentano dallo spirito di piet; perciocch come niuna cosa che gli uomini tulli
debbano avere ed hanno pi cara, quanto la religione e la piet e l'umanit,
cosi niuna usanza pu pi profonde radici mettere e pi largamente diffondersi,
quanto si possono quelle che questo spirito produce e nutrica. E tale la razza
de' vagabondi, che poich la piet, virt bellissima e divina e la pi necessaria
a mantenere la societ, cos naturale come civile, cominci ad alimentare, si
in cotal modo moltiplicata e moltiplicasi tuttavia che e' pare che non trovi ar
gine alcuno. E avvegnach questa possa in tutte le nazioni generarsi e si generi,
in niuna per pi alligna e si spande pi, quanto in quelle che ne'climi piuttosto
caldi che no sono situate; tra le quali come i corpi sono di una contessitura pi
dilicata, cos sono pi e alla piet e alla poltroneria inclinati. Di qui che in
niuna parte della terra, secondo che la storia c'insegna, un maggior numero di
oziosi e di vagabondi si vede, quanto in quelle che pi s'accostano alla linea
equinoziale e a' tropici, qual' gran parte dell'Asia, quasi che interamente l'Africa
e buona parte dell'America. Sicch in niuna parte si vuol tanto temere che l
non alligni di soverchio e che non infetti lo spirito della nazione, quanto si sono
quelle che in questi climi sono poste o a questi s'accostano, e a proporzione del
timore moltiplicare le diligenze e le cure; le quali come voi trasanderete, pu il
vizio tant'oltre procedere che si converta in natura, per cambiar la quale non
bastino poi degl'intieri secoli: di che qualche esempio abbiam pure in Europa.
Per aver sotto un'occhiata tutti i mali politici che questa razza porta seco do
vunque ella soverchiamente moltiplicasi, gli unir qui brevemente il pi che si
possa. I. La vita degli oziosi e de' vagabondi assai pi a seconda della natura
nostra, che quella di chi travaglia, adunque come questa razza aumentasi, cos
moltiplicansi gli esempi di poltroneria che incitano altrui a seguirla; per la qual
cosa il primo effetto ch'ella seco porta, di diffondere lo spirito suo per tutte le
parti della nazione. II. A proporzione che questo spirito si diffonde, langue e
manca l' industria e la fatica. 111. A proporzione della mancanza dell'industria e
della fatica scemano le ricchezze e i comodi della nazione. IV. Come questi sce
mano, mancano proporzionevolmente i mezzi da sostener le famiglie, e perci
coll'istessa ragione manca la popolazione. V. A misura che manca la popolazione,
lo Stato diviene e languido e ruvido e barbaro altres. VI. Adunque il sovrano
si trova aver un minor numero di sudditi e in gran parte poveri ; ond' che egli
divenga continuamente e pi debole e pi povero. Tutte queste cose assai chia
ramente dimostrano, che gl'interessi medesimi del sovrano richieggono ch'egli a
niuna cosa pi attentamente risguardi, quanto a che la razza degli oziosi e dei
poltroni non moltiplichi di soverchio.
Le quali cose essendo cos come le ho dimostrate, voglio ora esaminare se
ci che si finora fatto negli Stati saviamente governati per estirpare lo spirito
di poltroneria abbia ottenuto il suo fine; e dove si trovi non averlo ottenuto, ve
dere onde sia ci addivenuto, e conseguentemente ricercare se vi abbia altri mezzi
pi valevoli per conseguirlo. A voler sbarbicare questa razza tre vie hanno tenuto
le nazioni savie; perocch alcune con pubblica legge hanno sbandito i vagabondi,
altre gli hanno sottomessi a pene corporali, ed altre finalmente gli hanno in al
cune pubbliche case rinchiusi e costrettili a faticare. Io non istar a far la storia
di queste nazioni e di queste leggi ; che oltrech non ci importa nulla, potrebbe
DIGKESSIONI ECONOMICHE. 567

essere che alcune di loro se ne offendessero, per ci che ha a seguire. Quel ch'
qui prima d'ogni cosa a considerare, si che niuna di queste nazioni ha quel fine
conseguilo, a cui aveva ella cotali leggi indirizzate; conciossiach i poveri e gli
oziosi e i vagabondi non vi siano stati in minor numero dopo quelle leggi, di quel
Che prima vi fossero; di che noi, che pur molte di queste leggi abbiamo nelle
nostre prammatiche raccolte [de vagabundis), possiamo esserne un buon esempio:
donde io conchiudo che cotali leggi non siano le pi proprie a voler quel fine
conseguire. E certamente grande argomento della inutilit di una legge il ve
dere, ch'ella in tanti e si diversi luoghi promulgata e per tanti secoli, non ha
giammai fatto quel bene che se ne sperava. Or questo ci fa comprendere che o a
quelle leggi qualche cosa manca perch possano il suo fine conseguire, o che si
debba pensare ad altri mezzi per minorare il numero de' poveri e de'vagabondi.
Considerando poi la prima via da alcune nazioni tenuta, cio di sbandire I
vagabondi, si vede esser ella contraria alla ragione economica e politica, perch
ella tende a scemare la popolazione. E nel vero, se noi ai d nostri volessimo
tutti gli oziosi dallo Stato cacciare, quanti pochi rimarremmo noi? poi l'eco
nomo in questo simile all'agricoltore, che come costui prima che svella o recida
una pianta che non gli d del frutto, si vuole ingegnare di renderla se si pu frut
tifera o col potarla o col meglio coltivarla o con innestarla ; cos l'economo poli
tico innanzi che sbandisca i poltroni, dee studiarsi di renderli utili allo Stato
coll'impegnarli a qualche genere di travaglio che renda. Per la qual cosa niun
prudente che possa leggi di questa fatta approvare, come quelle che spopolano,
e perci sono diametralmente opposte al principal fine della politica, eh' , come
dimostrato nel Discorso generale, di avere la massima possibile popolazione.
Pi atta e pi propria sembra essere la seconda via, perch gli uomini non
seguono i loro costumi e le pubbliche usanze, che perch trovano quelle meno
dolorose che altre che sia; essendo tale la natura nostra che niuna cosa ci muove
a fare o lasciar di fare, salvo che il dolore e il dispiacere che noi sentiamo nel
non fare o nel non lasciare. Ond' che quando la pena che la legge minaccia, ci
presenta un dolore maggiore di quello che noi sentiremmo nell'astenerci da qual
che cosa o nel fare chechessia, questo maggior dolore ci determina potentemente
o a lasciar quello che la legge ci detta di dover lasciare, o a fare quel che ella
vuole che noi facciamo. Ma perch questa legge sia utile mestiere che quel
dolore ch'ella minaccia sia d'assai pi grande, di quel che noi potremmo sentire
nel non fare o nel fare ci ch'ella ci comanda o ci vieta; e oltre di questo, che
la si studi di mantenerlo vivo e presente alla nostra imaginazione. Ora la prima
cosa si pu ella assai ben fare, perch si possono a gravissime pene sottoporre
gli oziosi e i vagabondi; ma che con egual facilit si possa far la seconda, quando
in soccorso di questa legge non venga un'altra che or ora dir, io dubito forte.
Perch essendo la razza de' vagabondi ordinariamente quella ch' la pi povera o
almeno come tale essendo riguardata, coloro che debbono immediatamente ve
gliare all'esecuzione di questa legge, cio i birri e loro immediati ufficiali, gente
che non l'onest n la tranquillit e il ben pubblico, ma il solo interesse anima
muove, non istimeranno giammai doversici interessare. E i magistrati superiori,
a' quali la non osservanza della legge non pu essere altrimenti nota che per la
diligenza di questi inferiori, non sapranno giammai s'ella si osservi o no. Di qui
nasce ch'ella, comech altissima a conseguire il suo fine, non il conseguir giani
568 GENOVESI.

mai, come l'ha giammai conseguito in niuna nazione. Di che qual pi chiaro
esempio di noi medesimi? Per rendere adunque questa legge utile, si dovrebbe
farne un'altra che dichiarasse complici del vizio che si vuole emendare tutti gli
inferiori ministri, la di cui connivenza fa che la legge non abbia il suo effetto, e
come tali sottometterli non solo alla pena di essere privati del loro ufficio, ma
ad altre eziandio pi gravi. E pure io sono persuaso che con ci non ancora si
avrebbe quel che la legge si propone. Perch chi veglierebbe su questi inferiori
ufficiali? Quindi si vorrebbe farne una terza, che i parrochi avesser cura di tener
conto de' poveri e de' vagabondi, ciascuno nella sua parrocchia, e di tanti in tanti
mesi presentar degli uni e degli altri esattissime liste al governo, nelle quali liste
fosse dichiarata la cagione della povert e dell'ozio di ciascuno, e oltre a ci i
loro costumi e il loro carattere. N ci basterebbe ancora; perciocch o la falsa
piet o la negligenza o i rapporti privati potrebber far s, che questa terza legge
fosse male anch'essa eseguita, com'essa in alcuni luoghi dove stata fatta.
Questo ha fatto pensare ad alcune nazioni di aggiungere una quarta, colla quale
si condannano i parrochi ad alimentare tutti quei vagabondi e poveri ch'essi non
avranno rivelato. Ma pur questa gran parte inutile; perch essa non fa che la
non ragionevole piet dei particolari, i quali non tutti sanno distinguere il povero
dal vagabondo (che pur si vuol distinguere, perocch la vera povert effetto
della necessit, non della volont; e la vita vagabonda, della volont e non della
necessit), e vedere chi veramente degno della compassione nostra, chi del no
stro disprezzo e odio, che cotesta piet, dico, non gli alimenti. Ed ecco in qual
modo questa legge, per altro propriissima, non ha quel fine conseguito che si
aveva proposto. Il terzo mezzo, che per quanto sappiamo fu agli antichi ignoto,
ma eh' ai d nostri quasi comune in Europa divenuto, rinchiudere i poveri e
i vagabondi in alcune case a ci destinate. La piet dei nostri maggiori si in
questo sopra tutte l'altre virt dimostrata grandissima; ma non stata alla piet
eguale la sapienza. Vi ha tra noi molte case fondate per ricevervi i poveri del
l'uno e dell'altro sesso; vi ha di quelle, il di cui uffizio di alimentare i fanciulli
e le fanciulle povere. Ma ve ne ha egli pur una, nella quale siasi pensato a trarre
da questi poveri quell'utile maggiore che ben si pu? Questi poveri non son essi
parte del corpo politico? Ora la sanit e il vigore di questo corpo dipende dal
vigore e dall'azione di tutte le parti; quindi che la piet che ne lascia una parte
nell'ozio, potendola ella in chechessia adoperare con utilit dello Stato, cotal
piet non accompagnata dalla sapienza. E come i filosofi dimostrano che la
prudenza e la sapienza la madre e la nutrice di tutte le virt, che non solo le
genera ma le alleva e le accompagna dappertutto, e loro d quel bello e quel brio
per cui esse piacciono, e oltre a ci al nostro fine le indirizza tutte ; la piet n
da prudenza nata, n con lei accompagnata, che mai ella? Peraltro la forza
di queste parti non sar in tutte eguale, com'ella non neppure nei membri del
corpo animale; ma ci non fa che non si voglia adoperar ciascuna per quello
ch'ella vale, che vai meglio il poco che il nulla. Quanto poi si appartiene ai fan
ciulli e alle fanciulle, come non s'istruiscono nelle utili arti, questa piet che
veramente di per s bellissima e commendabilissima virt si converte in vizio
gravissimo, divenendo ella una delle pi feconde sorgenti di quei mali, a cui
sbarbicare ella risguardava. Perch, che farete voi di cotesti giovinacci e di co-
tesle giovinaccie cresciute cos innanzi senno, senza verun'arte e mestiero? Voi
DIGRESSIONI ECONOMICHE. 369

non li potrete nutrir sempre ; e volendoli restituire alla civile societ, voi la riem
pirete di vagabondi sempre inutili e spesso malvagi. Per la qual cosa perch que
ste case siano al corpo civile utili, e perch da esse quel si possa conseguire per
cui esse son fondate, forza ch'elleno siano nell'istesso tempo scuole della piet
e delle arti; che i poveri adulti vi siano adoperati per ci che possono, e i fan
ciulli e le fanciulle istruite in quelle arti che i costumi e il commercio della na
zione pi richiede; che si vegli con diligenza che n l'ozio n il mal costume vi
alligni. In questa maniera la spesa, che fa lo Stato nel sostenerle, abbondante
mente compensata dagli allievi delle utili arti, che quindi come da' suoi semenzai
di tanto in tanto escono. Abbiamo noi qui de'conservatorii di musici, resi ornai
celebri in tutta Europa per i molti allievi abilissimi nell'arte loro che quindi sono
usciti. Perch dunque non ne potremmo aver noi di pittori, di scultori, di rica-
matori, di tessitori, di filatrici, di sarti, di calzolai, di fabbri e di tutte quelle
arti che nei colti Stati regnano? Io veggo nelle case de'musici non s fare minore
spesa nell'alimentare quei ragazzi, nel vestirli, nel lor dare degli abili maestri, di
quel che si converrebbe fare nelle case delle arti. Si potrebbe ancora fare dei
ragazzi impiegati alle arti quel che si fa con quei che coltivano la musica; come
essi fossero in istato di lavorare, distribuirli a garzoni per la citt, e obbligarli
a lavorare per le case, nelle quali sono allevati, un dato numero d'anni; con che
essi aiuterebbero a sostener quelli che fanno ancora il lor tirocinio. Ma perch
questo si faccia una volta, bisogna che noi ci dimentichiamo di una massima che
io odo spesso in bocca ai savi medesimi, che non si pu fare ci che non si
mai fatto, perch il non essersi mai fatto argomento, che e' non riesca a volerlo
tentare. Questi due ultimi mezzi potrebbero, nella guisa eh' detto, impiccolire
la copia de' poveri e volgere i vagabondi all'utile dello Stato. Ma quando e dove
essi non si adoperano con quella prudenza eh' dimostrato doverli accompagnare,
non che allevino la nazione o le sieno in niun modo utili, ma essi l'aggravano
continuamente e principalmente l'ultimo; perocch come voi moltiplicate gli asili
della poltroneria, non pu altrimenti essere che non alimentiate lo spirito del
l'oziosit e la spensierataggine. Nondimeno io credo che il pi bello e insieme
il pi vigoroso mezzo di minorare il numero de'poveri, sia quello di promuovere
l'industria e fare che tutti i ceti degli uomini, che sono nella civile societ, vi
siano non gi per forza di legge, ch'ella ha pur troppo a cozzare colla ritrosia
della natura umana, ma per proprio interesse e piacere portati. Non si vogliono
veramente abbandonare quei che detto; perciocch non vi corpo civile che non
abbia alcun membro o guasto o imponente o di malvagio abito, a correggere il
quale la forza necessaria; macomech cotal forza sia atta a medicare il malore
gi nato, ella non ne sbarbica la radice. Pel contrario lo spirito e l'amore del
l' industria, della diligenza, della fatica ha maravigliosa forza ad estirpare i primi
semenzai dell'oziosit e della trascuratezza. Ora a far che questo s'appigli in
tutte le parti della nazione, la gran legge di fare in modo eh' ella ami i suoi
comodi, e che ciascuno sia persuaso che non vi sia in terra altra via che porti dei
comodi, che la sola fatica. Ad ottener la prima di queste due cose giova mirabil
mente promuovere la politezza e la propriet delle maniere ; perciocch per essa
che noi cominciamo a gustare i piaceri della vita comoda. assai chiaro che gli
oziosi e i vagabondi siano presso che non dissi tutti nelle nazioni selvatiche, meno
nelle barbare e assai ancora meno nelle eulte : perciocch i selvaggi che non co-
Econom. Tomo III. 24.
570 GENOVESI,

noscono la pulitezza, non hanno gustato i comodi e non gli amano; i barbari
n'han gustati pochi, mentre la propriet e la pulitezza delle maniere tra loro
in pochissimi; e molti i popoli culti, ove la politezza universale. una sen
tenza eterna tra popoli che sono in terra, che i pi politi sieno altres i pi in
dustriosi. -

Ad ottener la seconda cosa, ch' detta, non vi ha che due regole universali.
I. Che non vi sia nello Stato n vizio, n delitto, n usanza senza fatica, n fa
tica inutile al pubblico, che si stimi un'arte onorata e permessa, e possa sommi
nistrare dei comodi. II. Che generalmente gli uomini tutti sieno persuasi, che
essi fatichino pi per s e per le famiglie loro che per verun altro che sia.
Primieramente se in una nazione si permetta il furto e il corseggiare o la
prostituzione o l'impostura come onorate arti, non possibile che quivi la fa
tica si risguardi da tutti come il solo mezzo dei comodi e piaceri della vita. Di
cesi che tra gli antichi Egizj fosse permesso e anzi stimato onorevole il furto,
purch fosse con tanta diligenza fatto che niuno avveder se ne potesse. Qual se
menzajo di vagabondi ! Se questo vero, bisogna credere ch'ella fosse un'u
sanza introdotta per distrugger la nazione; perch chi pu con gloria avvezzarsi
al rubare per vivere, e' non s'avvezzer giammai all'aratro, alla vanga o ad altro
faticoso mestiere; e come in una nazione sia distrutta la fatica creatrice dei co
modi, forza ch'ella ruini. Nelle repubbliche barbaresche, dove stimasi onorato
insieme e ricco mestiere l'andare in corso, non troverete facilmente chi si voglia
impiegare all'agricoltura o alle arti. Poich in Italia sorsero quelle che si chiama
van compagnie, uomini che professavano la milizia per arte e che si lasciavan
condurre da chi pi loro offeriva, l'Italia non fu mai quieta, n mai in pace,
finch elleno non si spensero; perch elle tanto si moltiplicarono, che dove man
cavano i nemici che guerreggiassero, esse combattevano gli amici (1). Narrasi
altres, che alcuni antichi popoli dell'Asia costumassero di esporre alla prosti
tuzione le donne prima di mandarle a marito, e che questo fosse un fondo di
ricchezza per le famiglie. In una nazione dove questo costume si avanzasse, sa
rebbe possibile di trovare una filatrice ? una tessitrice ? brevemente, altra arte
nelle donne ? Nell'Asia generalmente l'astrologia in grandissimo credito. Non
vi quasi famiglia che non abbia il suo astrologo: quivi le stelle decidono di
tutto. Ma non vi uomo che sappia un poco ciaramellare e che abbia imparato
quindici o venti vocaboli dell'astrolabio e del cielo, che non coltivi questa s ter
ribile e s curiosa professione: honos alit artes.
Bernier (2) dice, che un soldato portoghese fuggitosi di Goa, ignorante
com'era d'ogni letteratura, ma destro e furbo,facente l'astrologo a Dely capitale
del Mogol, erane divenuto riputatissimo. Domandato egli come professasse un'arte
nella quale non intendeva nulla, rispose, che a quelle bestie non si conveniva
migliore astrologo.
secondariamente, come gli uomini non sono persuasi che essi fatichino pi
per s che per chi che sia, non possibile che essi amino la fatica, che l'uomo
non dura giammai che pel comodo e pel piacere che n'attende. Non stato mai
possibile, che negli schiavi che sono nelle colonie americane penetrasse lo spi

(1) Machiavelli, Arte della guerra, lib. l.


(2) Viaggi dell'India.
DIGRESSIONI ECONOMICHE. 571

rito di fatica e di diligenza; e in quelli meno che sono pi duramente


trattati. Luigi XIV ispir loro pi coraggio e industria col codice negro, che non
aveavano fatto le mazze dei padroni; imperciocch comand che essi, all'infuori
dell'essere dei loro padroni, non fossero riguardati che come tutti gli altri citta
dini e soggetti alle comuni leggi. Nondimeno ci non ancora basta. Gli uomini
voglion esser persuasi, che essi possano acquistare la propriet dei beni, che
possano accrescerla, che possano goderne con libert, che possano morendo la
sciarla ai loro figli o ad altri che vogliano. Egli giusto che questi voleri sieno
soggetti alla legge del ben pubblico; ma non si vogliono svellere, n tanto re
primere che essi si convertano in abbandono di ogni diligenza. Di qu che il
medesimo monarca colle sue leggi fe' nascere nell'animo degli schiavi un poco
di quella speranza, che gran seme nell'industria; perciocch egli provvide alla
sicurezza e al sostegno degli schiavi dievenuti gi vecchi.
La persuasione poi, della quale parlo, nasce dal rimuovere tutte quelle
cagioni, ond', o pu essere l'uso e il godimento dei beni nostri impedito,
e d'onde siamo in timore della propriet. Perch se, per cagion d'esempio,
in una nazione i ladri e i briganti si lasciano quasich impuniti correre: i calun
niatori e i falsarj sieno senza numero e senza freno: che rubino a man salva
i birri, i soldati, gli uffiziali delle comunit, i governatori ecc.: che sia dive
nuta arte il muovere ed alimentare degl'ingiusti litigj, dietro alla quale come ad
onorata professione si corra da tutte le parti: che le liti anche giuste non si veg
gano gimmai finire; in questa nazione, dico, convenendo a' proprietarj stare"in
continua e crudele guerra per difendere ci che suo, quale industria e quale
spirito d'industria vi pu mai allignare? Similmente, se non solo vi sia niun
premio per coloro che l'industria e l'utile fatica promuovono, ma il traffico di
quello che l'industria ci apporta sia o per cagioni fisiche o per morali impedito,
e quasi dappertutto da argini e pericoli circondato, qual vigore pu nascere ad
acquistare ?
Quando siasi adunque fatta nascere nel pubblico la confidenza nei beni, e
l'amor di averli e d'accrescerli, e la ragionevole libert di goderne , voi vedrete
crescervi mirabilmente lo spirito dell'industria; e questo solo sar maggior rime
dio a scemare il numero dei poveri e a sbarbicare i vagabondi, che ogni altra
legge, per savia ch'ella sia e per rigorosamente che si osservi.

S. VII.
Della direzione del travaglio.
Di tutti gli stabilimenti che l'umanit ci ha dettati, niuno, cred'io, da
paragonarsi a quelli i quali tendono a promuovere la piet insieme e il buon co
stume, e la fatica e la diligenza degli uomini. Quegli spedali che son fondati in
mira di ricettarvi i poveri e i vagabondi sono certamente opere di carit, purch
sieno governati con quelle leggi, delle quali ho io parlato a dilungo altrove; ma
quelli, ne' quali si anima e si premiala fatica, hanno per fondamento la carit
insieme e la giustizia; e questi sono de' pi belli e de' pi savj. Egli necessario
che gli uomini tutti quanti, o quanti ne possono il pi fatichino, perch le ci
vilisociet possano agiatamenle conservarsi ; perocch questa la legge di Dio
e della natura, che ci convenga procacciarci colla fatica quelle cose le quali ci
572 GENOVESI.

servono, perch possiamo esistere ed esistere senza grave miseria. E per


ciocch tutti hanno di ci bisogno , convien che tutti , ciascuno a modo suo e
secondo il grado che nel corpo politico ottiene , s'impegni a far qualcosa ; che
niuno nato per non far nulla. Ma gli uomini sogliono in ci peccare in due
modi ; imperciocch molti vi sono che non vorranno far mai nulla , e ai quali
piacer pi la vita di accattone che quella nella quale bassi a lavorare ; ed aldi
non vedranno assai chiaramente qual genere di fatica a cui sia meglio e per s
e per la societ civile impiegarsi. Cos quelli accresceranno il peso di quei che
lavorano , e con ingiustizia terranno loro una parte delle loro fatiche ; e questi
con gran fatica faranno poco profitto. Di qui che quegli Stati ne* quali la legge,
che la madre e la tutrice degli uomini , non vi mette riparo , non saranno giam
mai capaci di quella civile felicit , alla quale noi possiamo bene aspirare , se
compartiamo con sapienza o adoperiamo le nostre forze prudentemente.
Ora perch la legislatrice potenza a ci provegga e porti gli uomini a quel
grado di comodit del quale sono capaci , vi ha due vie , una delle quali quella
della pena, e l'altra quella del premio; le quali come sieno unite, grandi e ma-
ravigliosi effetti produrranno. Ma queste vie sono da prendersi con prudenza e se
guirsi costantemente. Egli da adoperare delle pene con coloro, i quali potendo
faticare amano meglio vivere accattando; n si vuol qui rilasciar niente del rigore
in favore dell' umanit : che ella non vera ma falsa umanit , e anzi crudelt
quella che alimenta la poltroneria , e tutti i vizj e i mali che l'accompagnano. Il
medesimo rigore da usarsi verso coloro che a quel genere di fatica si appiglia
no , che anzi di giovare nuoce alla repubblica , i quali non si hanno altrimenti
a castigare , che si castighino i ladri e g' incendiari , salvo se il timor del peggio
non ci obbligasse a tollerarne alcuni. Ma perch , siccome detto , talora la
gente da fatica tra le molte maniere di lavorare non sa scegliere la pi utile, s'ap
partiene al governo porre a disamina i proprj interessi ; e poich avr considera
tamente messo a calcolo il clima, la terra, l'indole degli abitanti , il forte e il de
bole di ciascuna parte delle sue provincie , e conosciuto quali sieno que' mestieri
che meglio stiano bene a' suoi popoli , animarvili con del premio ; perch gli uo
mini da quella banda si gettino che pi rende, e che pi pu fare ricco e potente
lo Stalo. Siccome , per cagion d'esempio , avendo noi grandi ricchezze nelle
nostre terre per rispetto all'agricoltura e agli animali , ed avendo buone ma
terie prime delle arti le pi necessarie, quali quelle sono che ci danno i drappi di
lana, le stoffe di tela, le tele di bambagia e di lino e canape; niuno pi bello
e pi utile stabilimento far potrebbero, e niuna sorgente pi ricca perse e
per i suoi popoli i nostri savj e clementissimi sovrani aprire, quanto sarebbe il
pensare a volger gli uomini da questa parte ; il che potrebbero essi agevolmente
ottenere , se a quel modo ve li animassero, che gl'Inglesi vi animano quella na
zione alle arti e alla navigazione; vale a dire se vi fondassero scuole, nelle quali
fossero i giovani in quelle arti istruiti che pi si confanno agl'interessi del nostro
regno, e delle pubbliche case, siccome i Cinesi saviamente costumano , di arti
per i vecchi e per gli storpj , le quali a quelli principalmente fossero aperte che
avessero lungo tempo faticato , e che nello stato fossero di non poter pi conti
nuare le loro fatiche; e se luogo vi trovassero i fanciulli degli abili artisti, i quali
rimangono senza appoggio nessuno , per essere istruiti nelle arti paterne. Per ve
rit mirabil cosa il considerare quanto tra noi l'agricoltura , che il gran so
DIGRESSIONI ECONOMICHIE, 575

tegno di questa nazione e forse l'unico, sia ignorata e strapazzata quasi dapper
tutto; perocch ella oltrech vi esercitata senza regola nessuna, se quello vero
che molti mi hanno da diverse parti delle nostre provincie scritto, e di che ho
anche io qualche cosa veduto cogli occhi miei; ma pure ella non che un si
stema di pregiudizj de' nostri maggiori, tutti opposti al miglioramento di quest'arte
nutrice del genere umano. Un savio uomo e accorto molto che nella Calabria
alla cura diun ampio feudo, ricercato da me perch volesse chiarirmi dello stato
dell'agricoltura di quei luoghi che potrebbero essere il Per di questo regno,tanto
feconda la terra e il clima bello e dolce, in data de' 26 aprile di quest'anno
1758 mi scrive cos: Se io volessi rappresentarvi tutti gli errori che qu si com
mettono per rispetto alla coltivazione , avrei a scrivervi non una lettera, ma un
ben lungo libro; perocch non n uno, n pochi n di una spezie. Dicovi perci
in breve che in questa provincia, n in questa solamente (cred'io), ma in tutte
le altre parimenti, l'agricoltura non che un gruppo di cagioni distruggitrici
della fecondit di questo paese : vi si fa per appunto quel che non vi si dovrebbe
fare; e quello vi s'ignora, o per vecchi pregiudizj vi si lacia di fare che far si
dovrebbe. E dicovi il medesimo di tutte l'altre arti. Tutto vi si fa a rovescio
delle buone regole.
Vorrei ora, se lo potessi, da eminentissimo luogo, onde tutto questo bel
regno potesse udirmi, altissimamente gridare:
Ovoi, che un s bel paese abitate ! Sappiate che voi non avete altra sor
gente, onde possiate provvedere alla vostra vita e ai comodi e ai piaceri vostri,
e (purch il vogliate) arricchire, fuorch la terra; ma voi l'avete s amante di
voi , che dove ella a molti matrigna, a voi tenerissima madre essersi mostra.
Or perch non attendete voi a ben conoscerla ? che e' non pare che voi la cono
sciate assai bene. E perch non la coltivate voi siccome si conviene, perch ella
di quelle ricchezze vi dia ch'ella ha, e che son le vere e immutabili ? Epotendo
voi, siccome certamente molti di voi il possono, perch non v'ingegnate di pro
muovere fra i vostri contadini quelle cognizioni e quelle arti, per cui non solo
agiati, ma ricchissimi ci pu ella, questa nostra madre, far divenire ? E per
ch volete voi essergli ultimi di tutto il mondo ad apprendere quelle conoscenze,
che solo le vere sono e le utili ? A che vi giovano essi tanti sterili studj ? Essi
vi fanno magro l'intelletto, e non giovano npoco n punto a migliorar la vo
stra vita. Perch non vi volgete dunque da questa banda ? Or sappiate, che quel
che i barbari popoli e selvatichi da' culti differenzia, sono per appunto la scien
za della coltivazione e dell'arti e del viver civile.

S. VIII.
Dei miglioramenti dell'agricoltura.
Si conviene oggimai assai concordemente, che tra tutti i popoli culti d'Europa
in niuna parte l'agricoltura meglio s'intenda ed eserciti di quel si faccia in In
ghilterra (1). Quest'arte non pertanto era tra gl' Inglesi pressoch ignota e ne
(1) Veggansi le lettere sugl'Inglesi e sui Francesi dell'abate Blanc, tom. I. lett. 26,
tom. II. lett. 58 e 57; il sig. Nikols nell'opera altrove da me allegata a pag. 82 e seg.,
l'autore dell'eccellente libro: Essai sur la police gnrale des grains, colla data di Ber
lino 1755,
574 genovesi.
gletla qualche secolo addietro , e piccola e imperfetta intorno alla fine del secolo
passato. Questo s presto e grande accrescimento e miglioramento di tutte le
parti dell'agricoltura , e specialmente della coltivazione de' grani in un paese, nel
quale, come si sa da tutti, si mangia assai poco pane , e dove negli antichi tempi
vi erano delle intiere provincie i di cui abitanti , come Cesare testimonia , si nu
tricavano di solo latte e di carne (1); il quale finalmente nel secolo passato ricor
reva al Nord e al Mezzogiorno per avere del grano che gli bastasse ; in questo
paese, io dico , un s rapido avanzamento e miglioramento della teoria e della
pratica dell'agricoltura non pu considerarsi, che come l'effetto di grandi ed effica
cissime cagioni. Questa considerazione mi fa credere che non possa essere che
utile ad ogni nazione il conoscere cotali cagioni ; perciocch elleno non possono
essere cos proprie del suolo e del clima inglese , che dirittamente adoperate
nelle altre nazioni d'Europa siano per perdere ogni loro efficacia.
Il signor Nickols e l'autore della Polke des grains pare che non vogliano ri
conoscere altra cagione di questo s bello fenomeno politico, fuorch l'atto di grati
ficazione del 1689. Gl'Inglesi nel tempo stesso che comperavano dai forastieri ci
che loro mancava del grano, e che erano per mancanza di agricoltura a frequenti
carestie soggetti, per una savia ma rara politica, stabilirono de' premj per coloro
che avrebbero estratto di queste derrate , o de' liquori quindi tratti. Cinque scel
lini per quarler di grano (misura intorno a cinque de' nostri tomoli) , posto che
l'interno prezzo del grano non eccedesse 2 lir. st. e 8 se. ; tre scellini e 6 den-
nari il guarter di segala , dove il suo interno prezzo non superasse 1 lir. e 2 se. ;
2 scellini e 6 den. il quarter d'orzo ecc. Quest'esca commosse s fattamente l'In
ghilterra, che d' allora in poi niun paese di Europa si trovato pi ricco di
queste primitive e naturali ricchezze. Li vantaggi (dice il cavaliere Nickols pag.
95) che la coltura delle nostre terre ha di ci tratti, sono senza contrasto gran
dissimi ; pu dirsi che tutto Vaspetto fisico dell' Inghilterra ne sia stalo cam
biato. Pi d'un terso delle terre, ch'erano inculle e deserte , sono divenule dei
campi fecondi e ricchi. Il guadagno peraltro la cagione la pi violenta che ci
sia a voler muovere gli animi umani; in guisa che chiunque sa altrui offerirlo, ei
pu essere sicuro di averlo commosso e di portarlo alle pi difficili imprese. Con-
ciossiach quei filosofanti, che hanno molto nella natura dell'uomo studiato, in
segnano che non vi che il male e il dolore , che possa farci rimuovere da quel
sito che o noi avevamo per noi stessi scelto , o dove eravamo da qualunque siasi
cagione addotti. Ma il dolore non ci smuove, se non per la speranza o certa o
verisimile di sgravarcene; e perciocch il guadagno ci presenta dei mezzi da uscire
dai mali o da minorarli, ei segue che non vi sia molla pi valida e veemente a
commoverci di quel che il guadagno.
Pur tuttavia quando si tratta di destare un' addormentata nazione , e farle
intendere il suo vero utile e i suoi veri vantaggi , non basta, cred'io, mostrarle
rosi in comune e astrattamente il guadagno ch'ella pu fare , ma fa mestieri di
porglielo per cos dire fra le mani e farglielo toccare; perch la forza de' pregiu-
dizj invecchiati tale, eh' ella ne diffider sempre. Adunque per ci ottenere
niuna cosa pu maggiormente giovare, quanto che coloro i quali meglio del basso

(1) De bello Gallico lib. V. cap. 14. Inleriorcs filerique [rumenta non serttnt, sed latte
et carne vivant.
DIGRESSIONI ECONOMICHIE. 575

popolo comprendono i veri nostri vantaggi, le cause, i mezzi, gli ostacoli, e che
meglio sanno giudicarne, siano i primi a porre la mano all'opera, e pi col loro
esempio che colle astratte lezioni ammaestrinogli uomini ignoranti, e avvezzi ad
esercitare le arti pi per un abito meccanico che per arte ragionata. Ed ecco
l'altra cagione, alla quale si deve ascrivere l'ingrandimento e la perfezione del
l'agricoltura in Inghilterra. Conciossiacosach ivi la maggior parte dei signori e
dei gentiuomini amano e si dilettano della campagna, non per un principio di
vanit n per un piacere puramente epicureo, come tra molte nazioni sono le vil
leggiature, ma tra per godere della sanit che difficilmente si conserva nelle
troppo popolose citt, e perun gusto che essi provano nel vedere i loro poderi
ben coltivati, e per l'utile grande che loro ne ritorna. Aveva tutto ci accorta
mente considerato Columella, il quale ricercando le cagioni dello scadimento
dell'agricoltura nell'agro romano, trov niuna agguagliarsi a quella dell'avere
i gentiluomini abbandonata la campagna pervivere nelle morbidezze della citt,
e commessa la cura dell'agricoltura ai pi sciocchi dei loro servi (1).
Per confermare questa considerazione possiamo aggiungere, che di presente
in niuna parte d'Italia meglio intesa e pi diligentemente praticata l'agricoltura,
quanto il sia in Toscana; ma in niuna parte altres d'ltalia i gentiluomini pren
dono tanto piacere delle cose villeresche quanto i Toscani, il che assai chiara
mente dimostrano le eccellenti opere ch' essi ci hanno su tal materia lasciate
scritte; opere quasi tutte di gentiluomini toscani, le quali senza verun contra
sto sono le migliori che noi abbiamo dopo quelle degli antichi nostri Latini. Pel
contrario in niuna parte di Europa l'agricoltura ha fatto minori progressi quanto
in Spagna, dove ella si reputa da poco, e dove n i gran signori, n i privati
gentiluomini stimano poterla onorare di qualche applicazione senza se medesimi
degradare.
E in fatti a voler ben coltivare un podere si vogliono avere tre gran doti, sic
come assai perspicacemente considera Columella (2), scienza e prudenza nel col
tivarlo, volont seria e risoluta, e potere da spendere; le quali tre cose non
facile ritrovare unite nel contadino. Perch quand'anche egli abbia volont , la
quale non pertanto pu spesso mancargli per molte cagioni che non importa qu
commemorare, non avr certamente sempre il potere di spendere; e quasi sempre
gli mancher la scienza e la prudenza di coltivare. Conchiudo che a volere pro
muovere l'agricoltura niuna cosa abbia tanta forza, quanto che i padroni dei
(1) Omnes enim (sicut M. Varro jam temporibus avorum conquestus est) patresfamiliae
falce et aratro relictis, intra murum correpsimus, et in circispotius ac teatris, quam in
segetibus et in vinetis, manus movemus. Mox deinde ut apti veniamus ad ganeas, quoti
dianam cruditatem Laconicis eccoquimus, et exsucto sudore sitim quaerimus, noctesque
libidinibus et ebrietatibus, dies ludo vel somno consumimus, ac nosmetipsos ducimus
fortunatos, quod nec orientem solem videmus, nec occidentem. Itaque istam vitam socor
dem prosequitur valetudo: nam sic juvenum corpora fluca et resoluta sunt, ut nihil
mors mutatura videatur. Ma che si fa delle nostre campagne, e chi sono i nostri conta
dini? Sed sive fundum locuples mercatus est, e turba pedissequorum lecticariorumque
defectissimum annis et viribus in agrum relegat; quam istud opus non solum scien
tiam, sed et virilem aetatem cum robore corporis ad labores sufferendos desideret: sive
mediarum facultatum dominus ex mercenariis aliquem jam recusantem quotidianum il
lud tributum, ignarum rei, cui praefuturus est, magistrum fieri jubet. Colum. Praefat. in
libro de re rustica.
(2) Lib. I, cap. 1.
576 GENOVESI.

poderi, i culti gentiluomini, i signori abbiano per lei dell'amore, e godano di stare
nelle campagne e di vedere cogli occhi loro e dirigere le operazioni villeresche.
Poich i Romani ebbero desolata Cartagine , furono come in trionfo portati in
Roma i libri di agricoltura del cartaginese Magone, e per comandamento del se
nato con gran diligenza tradotti in latino. Questo savio africano diede comincia
mento a s bell'opera dal seguente precetto: Qui agrum paravit domum vendat,
ne malit urbanum quam rusticum larem colere: cui magis fuerit cordi urba
num domicilium, rustico praedio non erit opus(1).
La terza cagione del miglioramento e ingrandimento dell'agricoltura quella
che il famoso autore dello Spirito delle leggi (2) in queste parole ci propone.
Le terre di qual si sia paese mai non sono coltivate a proporzione della loro fe
condit, ma a proporzione della libert che gli uomini vi godono, in modo che
voi se trascorrete la terra tutta, voi non potrete senza maraviglia vedere dei gran
deserti ne paesi pi benigni e pi fertili, e delle gran popolazioni l dove pure il
suolo rifiuti ogni lavoro. Nella seconda barbarie di Europa, nel qual tempo i so
vrani erano poveri e deboli, e i feudatarj potenti e crudeli, troverete quasi dap
pertutto in questa s bella parte della terra ogni agricoltura e ogni arte dismessa,
e la tirannide unita colla miseria diguazzare. Come i sovrani, sempre pi umani
e pi religiosi di tutti gli uomini, ripresero i loro diritti, e che in conseguenza
il dominio feudale divenne pi dolce, le terre furono meglio coltivate e i paesi
popolarono (5).

S. IX.
Dei vantaggi della cura de' buoi.

Grande il frutto che noi riceviamo da' buoi, e tale a cui pochi o niuno al
fro che noi altronde tiriamo se gli pu o deve uguagliare; in tanto che Esiodo,
come Aristotile osserv, saviamente ridusse tutto il nerbo e il sostegno della fa
miglia a tre, al padre, alla madre e al bue aratore. Questa la ragione per
ch alcune nazioni idolatre (e infra le altre gli Egizj), le quali non credevano
potersi esprimere le grandi utilit di alcune naturali cose che col divinizzarle,
adoravano il bue come una delle principali divinit. Nell'Indostan, ove per la
mancanza del necessario nutrimento non possonsi nutrire de' grandi armenti di
questo genere, tuttavia per la medesima politica il bue creduto divino, e come
empio e sacrilego colui punito che si attenti come che sia di ammazzarlo (4).
In Atene era proibito sacrificar de' buoi, conciossiach fossero considerati come
agricoltori e socj delle fatiche unane (5). Questa politica non fu ignota ai nostri
vecchi italiani;perciocch Plinio narra che un certo contadino che avea ammaz
zato un bue fu cacciato in esilio, non altrimenti che se egli un suo colono avesse
ammazzato: Socium enim laboris agrique culturae habemus hoc animal, tantae
apud priores curae, ut sit inter exempla damnatus a populo romano, die dicta,
qui concubino procaci rure omasium edisse se negante, occiderat bovem, actus

(1) Colum. lib. I. cap. 1. Plin. lib. XVIII. cap. 6.


(2) Lib. XVIII. cap. 5.
(5) Veggasi Muratori, Antiq. medii aevi.
(4) Veggasi Bernier, Viaggio all'Indie,
(5) Eliano Hist. anim. lib. V.
DIGRESSIONI ECONOMICHIE. 577

que in exilium tamquam colono suo interempto (1). Svetonio nota che Domiziano
nel principio del suo imperio , ricordatosi un giorno del verso di Virgilio,
Impia quam caesis gens est epulata juvencis,
fu vicino di proibire i sacrificj de' buoi.
Queste leggi, le quali non avevano altra mira che il moltiplicare gl' istru
menti e i socj dell'agricoltura, e conseguentemente le derrate le pi alla vita
umana necessarie, sono sommamente da commendare, e in certi stati e casi anco
da imitare. Ma in alcune nazioni d'Europa ne'tempi andati, nei quali ignora
vansi i veri principj dell'economia, per accrescere gli armenti e le greggie,vale
a dire per buon fine si fecero delle non buone leggi, proibendosene rigorosamente
ogni estrazione; perciocch si credette buonamente, che dovesse tra noi molti
plicare tutto quello che fosse vietato trasportare ai forastieri. sempre una savia
legge vietare l'estrazione delle materie che possonsi lavorare nella nazione; per
ch la nazione lavorandole guadagna la manifattura, la quale pu rendere il 6,
il 10 e talvolta il 100 per uno. Un rotolo di lana, o di canepa, e di seta lavo
rato diviene panno , tela , raso , damasco ecc. Esso sostiene una famiglia come
materia prima e molte come manifattura. Ma non pu riputarsi savia quella legge
che proibisce l'estrazione delle biade e degli animali, che non possonsi accrescere
senza estrarsi. Perocch quando voi ne proibirete l'esportazione, non vi sar chi
voglia averne del soverchio; e in tutte quelle cose, delle quali chi travaglia non
s'ingegna n si cura di aver del soverchio, spesso succede la carestia. La sola
cura di aver del soverchio quella che aumenta i generi;perch, come altrove
detto, il soverchio de' particolari fa la copia e il soverchio dello Stato. Se coloro
che sono aggirati da questo vecchio pregiudizio udissero dire, che una tale na
zione non avente del grano che le basti, per aumentare questo genere avesse presa
la risoluzione di regalare tutti coloro che volessero estrarre quello che se ne rac
cogliesse, non griderebbero al matto, al matto? Pure questa risoluzione presa da
gl'Inglesi nel 1689, in tempo che essi compravano i grani del Nord, di Barbe
ria, di Sicilia, ha fatto s che essi non solo ne abbondino, ma ne estraggano
tanto ciascun anno, che secondo i calcoli del cavaliere Nickols, le estrazioni delle
biade dal 1746 al 1750 loro han reso 7,405,786 lire sterline, vale a dire in
torno a 14,811,572 di zecchini veneziani, senza il fruttato del nolo, che secon
do il medesimo autore pu yalutarsi cos alla larga 655,650 lire sterline, o sia
d'intorno ad 1,267,500 zecchini veneziani (2). Si pu quindi conchiudere, che
per aumentare la quantit degli armenti niuna legge sia pi efficace, quanto quella
di non solo permetterne, ma di agevolarne il pi che sia possibile l'estrazione.
Ilgoverno degli animali , come detto altrove, una parte dell'agricoltura,
la quale dopo la coltivazione la pi importante, come quella onde gli uomini
traggono grandissimo frutto, cos per le necessit, comodi e piaceri della vita,
come pel commercio. Di qu che si vorrebbe adoperare tutto lo studio a perfe
zionarla per riguardo a tutte le specie degli animali, e soprattutto di quelli che
maggiore utilit ci arrecano. Gli antichi nostri italiani, diligentissimi osservatori

(1) Hist natur. lib.VIII. cap.45.Valerio Massimo Memorab. lib.VIII. cap. 1.


(2) Vedil'opera di sopra citata pag. 84 e 85 dell'ediz. di Dresda. E bene che si legga
ci che dottamente scrive su questo articolo anche il sig. Melon al cap. IX del suo Sag
gio politico sul commercio, ed il signor Duhamel -nell'introduzione all'eccellente libro:
Essai sur la police gnrale des grains, ediz. del 1755.
378 GENOVESI.

di tutto ci che all'agricoltura si appartiene, nel governo degli animali risguar-


davano principalmente a tre cose; I. Alla loro propagazione; li. Al loro nutri
mento; III. Ai loro malori. Di che io dar qualche esempio per incitare e istruire
i nostri giovani in questi s belli e si utili studj. Nella propagazione attendevano
a tre altre cose: I A scegliere i padri e le madri; II. A curarli prima di unirli;
III. Al tempo di unirli. Per esempio sceglievano con gran diligenza i tori, gli
arieti, i cavalli montatori, e con altrettanta le vacche, le pecore, le cavalle desti
nate alla generazione ; perciocch, come nella coltivazione si vuole avere gran
cura che la semenza sia perfetta e la terra ben preparata, cos nel governo degli
animali si vuol porre singolare studio neh' eleggere il padre che tien luogo di
semenza, e la madre che ha luogo di terra (1). I precetti da scegliere il toro sono
raccolti in questi bei versi da Luigi Alamanni (2).
Prenda il marito poi, che tutta mostri
Senza sproporzion la forma altera ;
Ben levato da terra e stretto il ventre,
La sembianza superba, ardito il guardo,
Le corna arcate, e nuli' andar dimostri
Sopra gli altri vicin tenere il regno ;
Soave a maneggiar. L'et sia tale,
Che senza esser fanciul, non gi sia vecchio.
Io vidi molti gi, che troppo diero
Al possente marito in guardia spose;
Ma il discreto pastore, a fin che il seme
Venga di pi valor, soverchio estima,
Che di due volte sette il segno avanza.
Cotumella (3) e Palladio (4) insegnano che un toro basti a
15 vacche: unumquemque taurum quindecim vaccis sufficere, abunde est. Plinio
all'incontro par che non ne dia pi che 10 (5), se non guasto il luogo, secondo
che alcuni de' critici stimano. Virgilio avverte per la scelta delle madri:
Corpora prwcipue matrum legai. Optima torvce
Forma bovis, cui turpe caput, cui plurima cervix;
Et ci-urum tenus a mento palearia penderli.
Tum longo nullus lateri modus: omnia magna;
Pes etiam, et camuris hirtm sub cornibus aures.
Nec mihi displiceat maculis insignis et albo,
Aut juga detrectans; interdumque aspera cornu,
Et faciem lauro propior; quwque ardua tota,
Et gradiens ima verrit vestigia cauda.
Jitas lucinam justosque pati hymeneos
Desinit ante decem, post qualuor incipit annos.
Quanto appartiene a prepararli Varrone scrive di avere osservate le due se
guenti regole, delle quali la prima risguarda i maschi: Tauros, dic'egli, duobus

(1) Veggasi Varrone lib. II e Virgilio Gergie, lib. IH.


(2) Della coltivazione, lib. II. .
(3) Lib. VI. cap. 22.
(4) Lib Vili. cap. 4.
[li) Lib. Vili. cap. 45.
DIGRESSIONI ECONOMISHIE. 570

mensibus ante admissuram, herba et palea, ac feno facio pleniores, et a femi


nis secerno. L'altra le femmine: Propter feturam haec observare soleo ante ad
missuram, mensem unum, ne cibo et potione se impleant, quod existimantur
facilius macrae concipere. Avevano finalmente colla medesima diligenza osser
vato il tempo della monta di ciascun genere di animali. Varrone (1), e quindi
Plinio (2) insegnano, che conviene far montare le vacche a Delphini exortu
usque ad dies 40, aut paulo plus, cio verso il principio di dicembre fino al
mese di gennaio. Come io non produco queste dottrine che per esempio da di
mostrare, che si pu e si dee di tutte le parti dell'agricoltura formare un'arte co
stante di molti e uniti precetti, nati tutti dalla diligente osservazione ed espe
rienza; cosi per brevit tralascio di rapportare mille e mille altre cose che si
veggono, o bene o male che sia, notate dagli antichi e raccolte da quei nostri
scrittori che ci restano, Catone,Varrone,Virgilio,Columella, Palladio ecc. Molte
e belle osservazioni avevano ancora essi fatte sulla nutritura, cos per quello che
risguarda il cibo e la bevanda, come pel tempo e modo da nutrirli; similmente
sui loro mali e rimedj da curarli. Le quali osservazioni non saranno per avven
tura tutte esatte, e alle quali molto si negli ultimi tempi aggiunto; pure non
lasciano di essere istruttive, e ci fanno soprattutto comprendere, che se noi aves
simo continuato ad usare la medesima diligenza e notato e scritto tutto, avrem
mo gi portata quest'arte a quella perfezione di cui ella capace. -

Nella grande Enciclopedia dei signori Diderot e Alembert, all'articolo Bue


sono state notate alcune cose riguardo all'arte di castrare i vitelli, alla scelta
dei buoi, all'et, al domarli, ai loro difetti o mali, al nutrimento, all'arte d'in
grassarli, e tali altre cose che meritano certamente di esser lette.

S. X.
Dei vantaggi della cura delle pecore.
Quest'articolo meriterebbe delle lunghe considerazioni; perciocch nel nostro
Regno dopo la coltivazione non vi niun altro fondo, onde noi maggiori ric
chezze potremmo trarre, quanto quello delle pecore, il quale perci dovrebbe
essere uno de' principali oggetti delle nostre leggi. Gran copia di greggie di
pecore e di montoni nutrisconsi nelle nostre provincie, e specialmente nella
Puglia e nell'Abruzzo. Io non disputo, se possano o no essere ancora pi; ma
dico solamente che essendo tre sorta di frutti che da questi animali noi rica
viamo, la carne, il formaggio e la lana, molto si potrebbe migliorare nelle due
ultime con grandissimo vantaggio della nazione e conseguentemente del so
vrano, i di cui veri interessi non possono giammai separarsi da quelli de'suoi
sudditi. Primieramente potrebbe di molto migliorarsi il nostro formaggio, acco
modandosene una gran parte se non ad altro, almeno al gusto ed all'uso della
capitale; ci che e' farebbe risparmiare delle gran somme di danaro, che noi
mandiamo fuori per il formaggio di Sicilia, di Morea, d'Inghilterra, e qualche parte
pel Lombardo; e oltre a ci darebbe un gran vigore alla moltiplicazione delle
pecore, soprattutto della Puglia, di Taranto, di Calabria. E certo a voler consi

(1) Lib. II. cap. 5.


(2) Lib. VIII. cap. 45.
80 GENOVESI.

derare la grandissima quantit di formaggio di Sicilia e di Morea che in Napoli


si consuma, e la piccola delle nostre provincic, nasce subito un dubbio, se ci
addivenga perch il formaggio delle nostre provincie non sia del gusto del co
mune di Napoli, o perch non ve ne sia che basti, o finalmente perch si abbia
a miglior prezzo quello di Sicilia e di Morea, di quello che si possa avere di Pu
glia, di Taranto, di Calabria. Io non voglio ricercare qual ne sia la vera e pro
pria cagione, perch son certo che o una o pi di queste tre, o tutte tre insieme
abbiano ad essere. Ma tengo altres per certo che si possa rimediare alla prima,
adoperando maggior attenzione e facendo delle sperienze; e questa dovrebbe es
sere cura dei galantuomini intelligenti e che amassero di migliorare le nostre pro
duzioni con proprio e comune vantaggio ; conciossiach il popolo basso dapper
tutto s attaccato agli antichi usi, ch'egli non migliorer mai per se stesso, e
che anzi si opporr sempre ad ogni intrapresa di miglioramento. 11 dire poi che
ci non si possa o che non si abbia ad intraprendere, e sostenere un'antica e di
volgata massima, che poich i nostri maggiori hanno per s lungo tempo cos
vissuto possiamo anche noi contentarci di non vivere altrimenti, , dice il savio
Melon (1), una obbiezione popolare, e bassa, e dir io anche stolta. Primiera
mente perch a codesto modo non si sarebbe niente migliorato nel mondo, e noi
ci copriremmo ancora delle corteccie degli alberi, mangeremmo delle ghiande ed
abiteremmo o nelle grotte, o nelle capanne coperte di giunchi come i primi abi
tanti della terra. E poi questo sarebbe un parlare per avventura non disdicevole
ad un'Ottentotto, o ad uno il quale fosse nato in una nazione che vivesse a quel
modo e non in una nazione gi eulta, e nella quale si sono diggi gustati i co
modi e i piaceri del vwere civile. Finalmente io concederei che cos si parlasse,
quando noi realmente ci contentassimo dei prodotti nostri, e non ne facessimo
venire di fuori con grandissimo svantaggio nostro; ma ella stolta cosa risguar-
dare con occhio Stoico le cose nostre e con quello di Cirenaico le forastiere, e si
fare che le nostre inviliscano sempre pi ogni giorno, e crescano e s perfezio
nino le esterne.
Ritornando ora da questa digressione dico, che si debba pensare a migliorare
i nostri formaggi e che si possa. E infatti, che ci si debba, apparir facilmente
dall' utile grande che ne proverrebbe, e dal gran danno che nasce dal non miglio
rarli. Che poi si possa, io non ne dubito, quando veggo da alcuni anni in qua
essersi in alcuni luoghi per opera di taluni fatti de' formaggi e de'butirri, che in
nulla cedono a quelli de' forastieri che pi s'apprezzano, come sono i formaggi
che il nostro Sovrano fa formare a Capo di Monte, alcuni del duca di Bovino, i
Campi-tempi, che chiamano, di Capua, alcuni butirri fatti in Sorrento ; ne'quali
lavori (e si vuole avvertire attentamente) hanno posta la mano alcuni forastieri :
ciocch dimostra che a noi non manca la buona materia, ma l'arte. Vi ha dei
paesi nel regno, dove bench siano degli armenti di vacche e di bufale, non per
tanto s'ignora l'arte di fare di quei formaggi che noi chiamiamo Casocavallo e
Provola, e quel che peggio si disprezza ancora di apprenderla. All'ultima ca
gione che riguarda i prezzi, se pure ella che ha fatto incagliare i nostri for
maggi, come esser pu, le nazioni trafficanti adoperano due mezzi. Esse proibi
scono o caricano di gravissimi diritti le importazioni di quelle cose che possono

()Saygiu sul commercio, cap. 11.


DIGRESSIONI ECONOMICHE. 381

farsi nella nazione; e pel contrario alleggeriscono quanto possibile i diritti nel
trasporto interiore da provinia a provincia. Filippo V gran monarca della Spa
gna fece per questo affare savissime leggi che possonsi leggere nell'opera di
Ustariz da me altre volte allegata (1). E quando fosse quest'ultima cagione tolta,
si dileguerebbe da per se stessa la seconda per una massima di verit eterna in
materia di economia, che lo smercio moltiplica i generi. Mi fo qui l'onore di
adoperare le parole del gi lodato monarca di Spagna all'art. 58 della Istruzione
data agl'Intendenti delle provinciedi quella monarchia li A giugno 1718. Molti,
die' egli saviamente, sono nell'errore, stimando che il pi sicuro mezzo di man
tenere l'abbondanza (delle derrate) sia il proibirne l'estrazione; che anzi ci
appunto quello che produce la carestia. Un'abbondanza mal regolata ha sempre
delle conseguenze pi perniciose che la carestia medesima, perch nella care
stia il lavoratore animato a travagliare dalla speranza del futuro guadagno,
ma nell'abbondanza egli si disgusta e si addormenta, perciocch i frutti ven
duti a vii prezzo non gli permettono di fare le spese di una nuova cultura,
onde nasce l'abbandonamene delle terre e la carestia. Se le massime s vere e
s giuste di questo gran monarca fossero state intese ducento anni addietro dai
nostri maggiori, io ardisco dire che il regno di Napoli avrebbe pi che il doppio
di popolazione, e sarebbe proporzionevolmente il pi ricco e il pi potente che
fosse in Europa.
L'altro frutto grandissimo che si tira dalle pecore la lana, che senza ador
narla d'altra materia, ella per se sola in ogni nazione ove abbonda il vello
d'oro non delle favole, ma vero e reale. Conciossiach dopo il mangiare e il bere
niun' altra cosa ci tanto necessaria, quanto il vestire; e ne' climi cosi temperati
come freddi della terra niun vestire pi acconcio, incominciando dal capo fino
ai piedi, e perci pi generalmente ricercato quanto sia il vestire di lana. D'onde
segue che quelle nazioni, tra le quali le pecore sono s abbondanti che possono
somministrare il vestire non solo ai nazionali ma a molti ancora de' forastieri,
sieno da riputarsi avere un sicuro fondo di ricchezze, e non gi di quelle che
sono soggette al capriccio degli uomini, cio alla moda, sicch si possa dubitare
se esse siano per durare o no, ma di ricchezze di natura e immutabili. Pure come
nelle cose tutte, o necessarie che sieno o voluttuose, le nazioni polite non si con
tentano del buono ma vanno sempre dietro al meglio, e delle lane non siamo noi
i soli possessori, tuttoch molte ne abbiamo e assai pi ancora possiamo averne
(ma quasi niuna nazione vi che non ne abbia, e molte ne hanno bellissime e
assai pi che le nostre prezzale e ricercate) ; si vuole da noi tutto lo studio porre
non solo nell'accrescerne la quantit, ma anco nel migliorarle. Io so che taluni
si sono risi, quando mi hanno sentito parlare del migliorare le nostre lane e di
certe altre produzioni di non minore importanza, come quegli i quali sono in
cappati, che niun'arle possa migliorare quei prodotti che la natura ci d, dipen
dendo, dicono essi, la loro perfezione dalla terra e dal clima. Ma tengo per certo
che costoro ridano pi per mancanza di riflessione e per forza dei vecchi pregiu
dizi che per scienza che abbiano di queste cose. Se la loro massima fosse vera,
l'agricoltura non sarebbe un' arte miglioratrice della natura; e i nostri maggiori
e noi medesimi ci saremo studiati in vano di migliorare molte cose, che noi ab-

(1) Dal cap, XLHI fino al LXIV dell'edizione francese.


382 GENOVESI.

biam pure migliorate. Coloro che sanno un poco l'arte del giardinaggio, assai
manifestamente comprendono di quanta migliora siano capaci tutte le produzioni
della natura. Il perch se noi adoperassimo tanta diligenza nel migliorare i vini,
la canape, il lino, la bambagia, le lane ecc., quanta noi ne adoperiamo per i tu
lipani, garofani, rose e simili fiori, vedremmo che la natura si lascia migliorare
cos in queste vaghezze degli occhi e dell'odorato, come in tutte le altre cose
che a noi servono. E se non dubitiamo che vi sia un'arte di avere degli eccellenti
fiori, erbe, cavalli, canarj ecc., perch dubiteremo noi poter esservene una che
ci dia delle eccellenti pecore e della migliore lana che sia ? E certo gl'inglesi, la
di cui lana s rinomata, n l'hanno dapprima avuta, n l'hanno adesso senza
diligenza e arte; e cos gli Spagnuoli, che pur ne hanno dell'eccellente. Adunque
questa preziosa lana trovasi nascere in climi e pi freddi dei nostri, come l'In
ghilterra, e come il nostro, qual' in Spagna la Castiglia, che pur d le pi belle
lane dette di Segovia ; e pi caldi, come sono le terre di Barbaria. Di qui facile
conchiudere che possiamo anche noi averla s buona, o almeno non molto in
feriore. Aggiungo che noi l'abbiamo altra volta avuta eccellentissima, siccome da
Plinio altrove vedemmo (1); dal che segue che noi possiamo di nuovo averla tale.
In certi generi che tra noi si coltivano per piacere, noi abbiamo conseguito
l'eccellenza colle seguenti diligenze. Noi primieramente facciamo venire i semi o
le propagini, o i padri o le madri di l, ove noi sappiamo essere migliori. Poi
scegliamo le pi atte terre e i luoghi pi acconci a nutrirli. Finalmente separiamo
ci che nasce e cresce vizioso da ci che vien perfetto. Ma abbiamo noi adope
rata quest'arte per migliorare le nostre lane? Bench si contenda tra gli storici
Inglesi e Spagnuoli, se Odoardo VI avesse mandato ad Alfonso re di Spagna delle
pecore inglesi, onde si poi dilatata la razza delle spagnuole, ovvero Alfonso le
avesse date agi' Inglesi ; si conviene nondimeno assai concordemente, che una
delle due nazioni le abbia ricevute dall'altra. I nostri storici aggiungono, che
questa razza di eccellenti pecore si fosse introdotta nel regno da Alfonso, e quindi
di molto accresciuta. Potrebbe ancora stare che queste fossero tutte ciarle. Ma
nondimeno egli vero, che si possano migliorar le razze degli animali col far ve
nire i padri e le madri da quei luoghi ove sono perfetti; e ce l'hanno bastante
mente mostrato gli Svezzesi nelle pecore d'Inghilterra. Di qui che io credo es
sere stato mal servito il signor Colbert, quando tratt di avere in Francia delle
pecore Inglesi, e che ne fu dissuaso dall'ambasciador Francese, per gli ostacoli
che dagli accorti Inglesi se gli fecero vedere insuperabili nel far allignare questa
razza di pecore in Francia (2).
Ma io so che tutto ci che io dico fa inutile, fin a tanto che non metteremo
in uso due altri rimedj, che sono quelli che non ha guari la Francia, intenta a
propagare il suo commercio, e le altre nazioni trafficanti hanno incominciato ad
adoperare con grandissimo vantaggio. 11 primo quello di migliorare le nostre
manifatture di lana ; le quali fino a tanto che saranno vilipese cos da forastieri
come da noi, non dobbiamo sperare che veruno studio si ponga nel migliorare
le lane. E questo il mezzo non solo il primo, ma il pi potente e il pi sicuro;
di che io ho trattato pi distesamente nel Ragionamento sulle Manifatture.

(1) Nel Ragionamento II sull'agricoltura.


(2) Su di ci veggasi Savary Dizion. del commercio, art. Lana d'Inghilterra.
DIGRESSIONI ECONOMICHE. 385

L'altro quello d'incoraggire la studiosa giovent a questa sorta di ricerche, alle


quali non verisimile eh' ella non riesca, sapendo noi quanto ella profitti in
certe contemplazioni, le quali sono di maggior fatica e di minore utilit. D. Ge
ronimo di Ustariz ha stimato di dover questo tra gli altri mezzi proporre al so
vrano della Spagna; perch, dic'egli, l'istruzione della giovent debb'essere con
siderata come il principale oggetto a volere conseguire la perfezione delle nostre
cose (1). Nell'accademia di Amiens in Francia fu promesso il premio per l'anno
1753 a colui che meglio avrebbe risposto alle seguenti domande: I. Quali siano
le differenti qualit delle lane necessarie alle manifatture di Francia? II. Que
ste manifatture possono esse far di meno delle lane di Spagna e d'Irlanda, e
di qualunque altro paese esterno? HI. Quali possano essere i mezzi di dare alle
lane di Francia le qualit che loro mancano, e di aumentarne la quantit?
Questo dimostra che la mia idea di un'accademia di siffatte cose (2) non sia
chimera incapace d'esistenza.

S-xi.
Dei vantaggi della cura dei cavalli e di altri animali domestici.
Dopo le pecore e buoi, di grandissima utilit ci sono tutte l'altre specie di
animali che il clima e la terra pu nutricare, ma segnatamente i cavalli, i muli,
gli asini, i porci, specialmente nelle nostre provincie, dove questi animali ven
gono belli e stimati. I nostri cavalli sono non solamente per tutta l'Italia, ma
oltre ai monti altres prezzatissimi, intanto che i Francesi e gl'Inglesi a coloro,
che vogliono avere belle razze, consigliano di provvedersi infra le altre di ca
valle Napoletane e Spagnuole (3). Nell'articolo Cheval del Dizionario di com
mercio del signor Savary troverete questi medesimi cavalli nostri annoverati tra
1 pi eccellenti e rinomati. Sono anche stimatissimi i nostri muli e asini, n di
minor importanza. L'utilit che si ricava da questi animali grandissima, in
modo che per rapporto ad essi aveva ragione di scrivere Vegezio Renato (4) :
Sicut enim ammalia post hominem, ita ars veterinaria post medicinam se-
cunda est: in equis enim et mulis et adjumenta belli, et pacis ornamenta con-
sistunt. Sarebbe troppo dura la condizione degli uomini, se essi non sapessero o
non potessero, o per alleviare la loro fatica o per far pi in pi poco tempo, ser
virsi di quelle cose ch'ei sembra che Dio non ha fatto che per nostro uso, e che
certamente all'imperio nostro ha sottomesse, e tra queste degli animali. Ma due
sono gli usi ai quali possono questi animali servirci : uno quello che risguarda
I nostri interni bisogni per cavalcare e per trasportare dei pesi, oltre a quello
delle pelli che pure pu e deve esser grande ; e l'altro di farne mercato con i
forastleri. Per quello che spetta al primo, noi ne abbiamo per avventura tanti
che ci bastano ; sebbene ci manca mollo ancora nell'arte di conciare e di tin
gere le pelli, arte per l'uso grandissimo che oggi se ne fa necessaria, e che non
pu disprezzarsi senza renderci in questa parte altres del commercio dipendenti
dai forastieri, e pagare a quelli ci che se noi fossimo pi diligenti potremmo

(1) Cap. CVH.


(2) Veggasi il Ragionamento li sull'agricoltura.
(3) Veggasi la grande Enciclopedia Francese, art. Cheval.
(4) Prafat. artis veterinario} nella Raccolta degli scrittori Rei rustica? tom. II.
5g4 GENOVESI.
in gran parte guadagnare; di che io ho parlato pi distesamente nel Ragiona
mento sulle Manifallure. Ma quanto al farne un capo di commercio, almeno di
qualche considerazione come noi potremmo senza dubbio, noi siamo molto an
cora indietro. Egli pu essere che ci addivenga da qualche cagione ritardante
fisica o morale qualunque, eh' io non voglio ora ricercarla ; ma io non dubito
che non vi abbia altres molta parte un pregiudizio quasi alle nazioni tutte co
mune, sempre distruggitore dei prodotti interni e delle proprie manifatture, da
poche avvertito, in pochissime combattuto senza pericolo, e da niuna coraggio
samente , siccome si conveniva , svelto ; cio d stimare meno di quello che
vagliano le cose nostre, e pi del loro giusto prezzo le forastiere. E qui si vuol
sapere che egli avviene ai corpi politici quello che non di rado interviene agli
uomini singolari; imperocch come questi conoscendo poco e male le loro forze
cos del corpo come dell'ingegno, quasi impossibile che giungano col, dove
quelle ben conosciute e dirittamente regolate gli avrebbero menati ; perch dif
fidando di s, reputano tutto al di sopra del loro naturai potere. Cos quelli abba
cinati dai vecchi pregiudizj riguardo alle cose che vengono di fuori, e giudicando
che niente tra lor nasca o si faccia che possa meritare l'altrui slima, non altri
menti che possa meritare l'altrui stima, non altrimenti che se il cielo con tutti
gli altri popoli e climi liberale donatore, loro solamente avesse chiuse tutte le
porte della sua benignit, tutto disprezzano e tutto abbandonano. E certamente
a questo cotal pregiudizio si deve il non aver noi, come avremmo potuto, mi
gliorate molte delle nostre derrate, e tra queste i vini e quasi tutte le nostre ma
nifatture di lana, seta, cotone, canape, lino ecc. Dice qui a proposito D. Ber
nardo Ulloa (1) : Non certamente la pi piccola la foga, onde siamo noi agi
tati per tutto ci che ci viene dagli stranieri, e che ci spinge a comperare a
carissimo prezzo, postoch siano fregiale di nomi forastieri, molte di quelle
medesime cose che noi disprezziamo tra noi quando hanno dei nomi nostri, non
per altra ragione che perch sono nostre. Si vuole aggiungere a questo pregiudi
zio un altro non meno falso e distruggitore, cio che ove si permette che colali
cose si esportino, sieno poi per mancare a noi ; del che io credo di aver bastan
temente detto di sopra. Ma come cosa che importa mollo, si vuole ricordare
spesso che non vi altra via n mezzo da moltiplicare e migliorare le nostre
cose, che l'utile che dal moltiplicarle e migliorarle si riceve ; e che questo utile
non si trae giammai senza smercio, e che perci lo smercio la gran cagione
moltiplicatrice di lutti i generi.
Del resto si vuole altres sapere, che a voler moltiplicare e migliorare si ri
cerca del conoscimento e dell'arte. Ora quest'arte pu in due modi acquistarsi ; o
per lunga pratica o per l'ammaestramento di coloro che ne sono forniti. La prima
via in tutte le nostre cognizioni lunga e non senza pericolo, Ano a tanto che
noi a forza di errori non abbiamo appreso a difendercene ; l'altra pi corta e
meno soggetta agli errori, nei quali sogliono cadere nei primi loro passi quei che
da se soli s'incamminano per non cognite vie. Per la qual cosa a coloro, che sono
pieni di questo nobile desiderio di migliorare e d'accrescere le razze dei loro
animali, non pu essere che utilissima la lettura di quei libri che su tali cose
sono stali cos negli antichi tempi come a' d nostri scritti da molli valent'uomini.

(i) Ristabilimento delle manifatture di Spagna, cap. HI. num. 2.'>.


DIGRESSIONI ECONOMICHE. 585

Per esempio il Perfetto Maniscalco del sig, di Soleysel un libro eccellente per
quello che riguarda i cavalli. I scrittori Latini Rei rustica, e tra questi Colu-
mella e Palladio contengono molte belle e utili sperienze e osservazioni, che non
perci si vogliono disprezzare perch sono state fatte da'vecchi, come se a quei
tempi gli animali e le altre produzioni della terra avessero avuta altra natura
di quella che ora hanno, o s vero quegli uomini fossero stati poco atti a gover
narli e moltiplicarli, e poco diligenti nelle loro osservazioni. Nel nono libro del-
YAgricoltura di Piero De-Crescenzi si trovano dei non volgari precetti intorno
al governo di quasi tutti gli animali che nelle nostre provincie allevansi ; cosi
questo libro pu essere utilissimo, come per tutte le altre parti dell'agricoltura,
cos per questa che risguarda gli animali. Conchiudo che quando noi pensiamo
alla perfezione e all'aumento delle cose nostre con quella attenzione che esse da
noi ricercano, non ci pu mancar l'arte ; onde che in noi pi da temere o la
diffidenza o la negligenza, che la mancanza dei veri mezzi di recare alla sua
perfezione quei de' nostri generi e razze e lavori, che ne sono assai ancora
distanti.
Mi piace qui avvertire ci che ho di sopra accennato, che niuna cosa tanto
importante a voler migliorare le razze degli animali e delle piante, e forse anche
le nazioni, come assai manifestamente l'ha dimostrato il sig. Buffon (1), quanto
il rinnovare di quando in quando i loro semi, trasportandoli da quelle regioni
nelle quali sono pi sani e pi robusti ; perciocch la sperienza ci detta che la
terra non produce le medesime cose dappertutto, e quelle che genera in diversi
luoghi non sono tutte della medesima bont. E certo i buoni agricoltori costu
mano di provvedersi di stranieri semi e marze da innestare, per mantenere il vi
gore e la pristina natura dell'erbe e degli alberi che hanno preso a coltivare. Si
vuol adoperare la medesima arte degli animali. Il dotto autore Francese, che ab
biamo pur dianzi allegato, non senza verosimile ragione crede che il trapassare
de' popoli settentrionali nelle meridionali regioni, che nei tempi pi addietro di
tanto in tanto avvenuto si legge, sia stato utilissimo a rigenerare, per cos dire,
le nazioni poste a mezzogiorno gi spossate e invilite, o quanto al corpo imba
stardite dal clima, dal lusso e da una vita inerte.
Ma non si vuole qui intralasciare di dir qualche cosa de' porci. Fra gli ani
mali, onde il nostro regno gran vantaggio ricava e maggiore ancora potrebbe
trarre, sono senza contrasto i porci, dei quali grandissima copia nutriscono le
nostre provincie, e specialmente quelle che son pi alle nostre montagne vicine,
e infra queste l'Abruzzo. La loro carne fresca usasi comunemente per tre mesi,
o l intorno ; e la salata e secca lutto l'anno, in modo che molti vi sono che non
si nutricano d'altra carne. Di grandissima utilit altres il loro lardo e la su
gna, della quale generalmente ci serviamo per condire tutti i cibi e per conciare
delle pelli, e in molti unguenti e in altri cotali usi. Di qui , che essendo tanta
e tale l'utilit che i porci ci arrecano e molte le famiglie che per essi vivono,
cos di coloro che ne fanno mercanzia, come di quelli che al loro govrno e cu
stodia sono applicati, questa razza di animali si vuole sommamente favorire, per
ch ella moltiplichi il pi che sia possibile ; conciossiach nelle ben regolate na-

(1) Storia naturale art. Cavallo.


Econom. Tomo III. 25.
586 GENOVESI.

zioni tutti quei mestieri, che sono atti a procurare la popolazione e il manteni
mento delle famiglie, onde dipende la grandezza, ricchezza, potenza della nazione
e dei sovrano, si vogliono con ogni arte proteggere e accrescere. Aggiungasi a
ci che detto, che noi potremmo grandissimi vantaggi ritrarre dalle estrazioni
o de' porci vivi, o del loro lardo, o delle loro carni secche e salate, se maggior
industria e diligenza in queste adoperassimo, perch fossero, siccome potrebbesi,
pi delicatamente preparati i nostri prosciutti, le ventresche, le mortadelle e i
salsicciotti. Di fatti, dalle provincie d'Abruzzo grandissima quantit di questi
animali e delle loro carni potrebbesi esportare per lo Stato nomano e Ve
neto, e anche per la Germania, dove sono tali cibi ricercatissimi. Ma a volere
promuovere la moltiplicazione de' porci e di quelle cose che di loro fannosi, pon
sono certamente acconcie le antiche nostre prammatiche che ne vietano l'estra
zione (1). Imperocch come voi ne proibiate l'estrazione, niuno vi sar che non
tema di nutrirne gran quantit, per timore che non gli manchi poi lo smercio.
E certo tutte quelle prammatiche fatte in tempi, ne' quali l'arte del commercio
era ancora al bujo, e nei quali non si capiva che il commercio deve considerarsi
come la base della legislazione, vorrebbero riforma. Egli giusto che l'abbon
danza si mantenga nei popoli, e che il sovrano non sia defraudato de' suoi di
ritti ; e olire a ci non pu essere che utilissimo allo Stato, che le rendite regie
sieno in un piede che nulla al sovrano manchi per tutti i suoi pesi. Ma quegli i
quali stimavano di mantenere l'interna abbondanza con proibire le estrazioni dei
generi, non vedevano che essi facevano due mali ; uno d'impedire l'accresci
mento di essi generi, all'avvilire e impoverire i quali niuna causa pi potente
quanto il ristagnamento del soverchio ; e l'altro di scemare le rendite del so
vrano, perch quanto minore la quantit di ci che si manda fuori, tanto sono
pi pochi i suoi diritti. A cui dessi aggiungere, che quanto meno si estrae tanto
meno si guadagna ; e quanto minore il guadagno dei popoli, tanto meno essi
sguazzano e consumano delle altre cose tutte ; e quanto questo consumo scema,
tanto proporzionevolmente scemano i diritti che i sovrani esigono sui trasporti
di ci che si consuma ; onde che i popoli impoveriscono, e le rendite de* so
vrani scemano ciascun anno. Donde segue che tutte le leggi, che si oppongono
al consumo, sono distruggilrici delle ricchezze e rendite della nazione e del so
vrano. E di ci vuoisi produrre questo esempio. Il conte Vernavente vicer di
questo regno con pubblico bando aveva ordinato, che niuna persona di qualun
que stalo, grado e condizione ch'ei si fosse, avesse fatto comperare di vettova
glie nel presente regno oltre il vitto per lutto il mese di giugno. Questo bando,
che proibiva la libert del commercio e il consumo, produsse fra poco quello che
simili leggi sogliono produrre, cio che il 1609 i coltivatori non avevano pi
modo da fare la ricolta e da coltivare per gli anni seguenti , i gridi de' quali
fecero finalmente rivocar la legge. Nella rivocazione di questa legge si dice: Per
parte di molle universit e massari di questo regno ci slato fatto intendere,
che per la proibizione [alta non abbiano modo alcuno di poter mietere n rac
cogliere le villuaglie per mancanza di denaro (2). una massima dei savj che
l'esperienza conferma, che cosi quelle leggi che conviene immediatamente rivo-

(i) Veggansi le prammatiche de extraelione set* exportatione animalium, tom. I. tit. 55.
(2) Pramm. 25. de annona.
DIGRESSIONI ECONOMICHE. 587

care, che le molte altre che loro continuamente vengono in soccorso, non siano
coufacenti alla natura delle cose e degli uomini, n perci rimedj atti a curare i
morbi civili.

S- XII.
Degli effetti del nuovo metodo di coltura Inglese
e del seminatojo Svizzero.
Voglio qui ora esaminare questa proposizione, la quale ella mi pare degna
di considerazione : che addiverrebbe egli dell'agricoltura e del commercio delle
derrate di Europa, se il nuovo metodo di coltivare introdotto dagl' Inglesi e il
nuovo seminatojo degli Svizzeri divenissero, come pare che voglian divenire,
comuni? (1) Si assicura che con questo nuovo metodo di.coltivare, specialmente
pel nuovo seminatojo, I. si risparmino nel sementare intorno a tre quarti di fa
tica, II. e tre quarti di semenza, III. e si raccoglie il 5, 4 e 5 di pi delle nostre
ordinarie ricolte; in modo che se il regno di Napoli da due milioni di tomoli di
semenza raccolga sedici milioni di prodotto, potrebbe da mezzo milione racco
glierne 52 e 40 e forse ancora pi milioni. Il principale officio di cotal semina
tojo di dare ai granelli che si seminano una giusta distanza dall'uno all' altro,
e di coprirli di tanta terra, quanta secondo la maggiore o minore sua forza
gliene bisogna, ci che di quanta importanza sia pel nutrimento delle piante,
ninno cosi dell'agricoltura ignorante che non intenda anche senza sperienza.
E poich non si vuol togliere la gloria a niuno, da notare che il primo autore
di si utile istromento fu circa a 100 anni fa un certo D. Giuseppe Lucatello Spa-
gnuolo, secondoch appare da una descrizione fattane dagli accademici Inglesi
nelle Transazioni filosofiche (2). Il signor Tuli, autore del nuovo metodo di col
tivazione tra g' Inglesi, il miglior e messelo in pratica in Inghilterra. Nuova
perfezione gli diede il signor Duhamel. Ma per confessione di Dubamel mede
simo egli ha ricevuta la sua intiera perfezione dal signor Lulin de Chateau-vieux,
sindaco e giudice del governo politico di Ginevra. Nelle Transazioni Inglesi
narrasi, come fattasi sperienza di tale istromento, e seminatesi a Buon-Retiro in
presenza di quel re di Spagna due eguali estensioni di terra e della medesima
bont, una nell'antica e usitata maniera, l'altra nella nuova, si raccolsero della
prima 5125 misure, e della seconda con assai minor semenza 8175. Poco dopo
se ne prese a fare una nuova sperienza in Luxemburg in presenza dell' impera*
dor. Si trov che le terre, le quali non davano ordinariamente che il quattro e
il cinque per uno, ne diedero sessanta per uno; ciocch l'imperatore per un so
lenne atto dato in Vienna il 1663 rese pubblico. Questo metodo adoperato,
siccome detto, tra gl'Inglesi e tra gli Svizzeri con sorprendente successo, come
di col scrivono. Raimondo di Sangro principe di S. Severo, signore per la sua
nascita, pel suo costume e pel suo non comunale sapere rispettabile, sopra un
modello qua recatone da un Ginevrino il signor Giacomo Porta ha intrapreso a

(1) Troverassi questo nuovo metodo e la descrizione del seminatojo Inglese e Svizzero
nel trattato della coltura delle terre del sig. Duliamel, dell'ultima impressione di Parigi
1753 e 175*.
(2) Num. LX. pag. 10-50.
388 GENOVESI.

farne fabbricare un simile, ch'egli senza dubbio adoperer felicemente e forse


render tra noi comune.
Ma per tornare al mio proponimento, che addiverrebbe egli se questo nuovo
metodo e il successo che se ne spera divenisse comune? Le provincie di Europa
fertili in grano, vale a dire la sua maggior parte, potrebbero darcene per lo
meno il quattro di pi di quel che ora ci danno; dunque, ci posto, il grano che
ora pu porsi eguale ai bisogni, allora li supererebbe di quattro. Ma poich i
prezzi delle cose mercatabili sono in ragion composta diretta dei bisogni inversa
delle quantit fisiche, secondoch altrove si da noi dimostrato, segue che ve
rificata queir ipotesi il prezzo del grano scemerebbe di quattro parli, come non
crescessero i bisogni. Ora essendo il grano primo fondamento della vita e del
commercio umano, sarebbe egli necessario che il prezzo di tutte le altre cose
mercatabili scemasse colla medesima proporzione. II danaro segno e pregio
delle cose tutte che sono in commercio; allora dunque il danaro significherebbe
e varrebbe pi cose, cio incarirebbe a proporzione dello scadimento del pregio
delle cose mercatabili; e perci minor quantit di danaro, di quella che ora
necessaria, basterebbe pel traffico.
Di qui segue I. Che o la popolazione dovrebbe crescere proporzionalmente,
cos che i bisogni agguagliassero le aumentate quantit delle derrate, o che do
vrebbe essere a proporzione pi copiosa l'estrazione, o dovrebbesi abbandonare
l'agricoltura. L'estrazione fuori d'Europa non potrebbe esser tanta, che aggua
gliasse gli effetti del nuovo metodo; dunque o l'Europa che ora si crede alimen
tare intorno a 100 milioni d'uomini dovrebbe crescere fino a 4 o 500 milioni, o
a proporzione che il nuovo metodo si avanzasse si dovrebbe abbandonare l'agri
coltura.
IT. Se il riuovo metodo si andasse propagando con quella lentezzza, colla quale
suole aumentarsi la popolazione, l'agricoltura si manterrebbe. Ma il nuovo metodo
trovando l'Europa tutta molto istrutta nelle buone cognizioni, tutta intelligente
della meccanica, tutta trafficante e perci tutta attenta e avida di nuovi lucri,
potrebbe in pochi anni divenir comune, e con ci prevenire d'interi secoli la ne
cessaria popolazione.
HI. Nell'antecedente ipotesi, invilendo il prezzo delle derrate e crescendo
quello de' segni, i possessori delle terre troverebbonsi nella medesima proporzione
pi poveri. Di qui seguirebbe il decadimento del lusso, e con ci delle arti tutte.
IV. Nella medesima ipotesi crescendo da 4 a 5 volte pi il valore dell'oro e
dell'argento, tre o quattro parti di questi metalli diverrebbero inutili. Quindi
che o converrebbe accrescere a proporzione il commercio coll'Asia, che ogni anno
ci vuota di oro e di argento, o abbandonare quello dell'America e dell'Africa che
ce ne provvede.
V. Quelle nazioni non pertanto, che fossero le prime a godere gli effetti del
nuovo metodo, potendo prima delle altre estrarre pi del grano e a miglior
prezzo, diverrebbero sopra tutte le altre ricchissime.
VI. Quelle che fossero le ultime a riceverlo, per l'opposta ragione diverreb
bero estremamente povere, per rapporto a quelle che gi ne avessero ottenuti gli
effetti.
FINE DEL GENOVESI.
INDICE DELLE MATERIE.

Lezioni d'Economia civile Proemio pag. 1


Parte Prima. Introduzione 5
Cap. I. De' corpi politici IV
II. Principio motore, cos delle persone come de' corpi politici. Sor
gente prima dell'arti e delle scienze .... 17
III. Delle diverse classi di persone e di famiglie che compongono i
corpi civili 23
IV. Come le sopradette classi di persone possono conferire all'arti
ed all' opulenza dello Stato , e con ci alla loro ed alla
pubblica felicit .... 21 ;
V. Della popolazione .... 2!)
VI. Dell'educazione .... 41
VII. Della nutrizione .... 44
Vili. Economia delle cinque Arti fondamentali 41
IX. Economia delle Arti miglioratrici 56
X. Delle Arti di lusso .... m
XI. Delle classi degli uomini non esercitanti arti meccaniche . > 75
XII. In che modo la legge del minimo possibile nelle classi non pro
ducenti possa mettersi in pratica 79
XIII. Dell' impiego de' poveri e de' vagabondi 8t
XIV. Del costume, siccome primo e grandissimo mezzo da miglio
rare le arti ed accrescere la quantit della fatica e della
rendita della nazione > 00
XV. De' mezzi pi particolari di avvalorare ed incoraggiare l'industria > 101
XVI. Del commercio, molla robustissima da promovere la fatica, e
parimenti della sua natura e necessit HO
XVII. Dello spirito e della libert del commercio 417
XVIII. Digressione sulla libert dell'annona, siccome principal fonda
mento della libert del commercio 123
Esposizione del problema annonario . 124
Carestie ivi
Dati 126
Regolamenti antichi 127
Sistema de' magazzini 128
Scioglimento del problema 129
Esempii 130
XIX De' principali effetti del commercio .... 131
XX. Regole generali del commercio esterno 138
XXI Delle finanze 145
XXII. Dello stato e delle naturali forze del regno di Napoli per rispetto
all'arti ed al commercio 163
Parte Seconda. Proemio 179
Cap. I. Della prima origine e delle prime fisiche cagioni del valore
e del pregio delle cose e delle fatiche tutte . 180
II. Dell'origine e della moneta 187
III. Della natura e della vera forza della moneta 195
IV. Dell'accrescimento del valor numerario 199
V. Della moneta di carta 202
VI. Del credito pubblico 205
VII. Riflessioni del sig. Hume sopra i due ultimi capi del credito
pubblico interno 210
VIII. L'arte politica di far danaro 215
IX. Nuovo sviluppo della forza della moneta. Delia circolazione 221
590 GENOVBSI.
Cap. X. Della fede pubblica ......... 233
Della fede etica .'..;.... 235
Mezzi meccanici per la conservazione della fede economica
e politica 241
XI. De' cambi, d^gli agi e delle lori) leggi .... 249
XII. Digressione sul bilancio del commercio .... 256
XIII. Delle usure 260
Se il danaro abbia un frutto, e delle cause per cui questo
or cresce, or scema , . . 262
Se convenga fissare l'interesse 'del danaro per leggi civili 268
Di che sia segno, essere alti o bassi gl'interessi del danaro 274
Ragionamento intorno all'uso delle grandi ricchezze per riguardo all'umana
felicit 277
Tre usi delle ricchezze 278
Forza delle ricchezze per rispetto all'uomo singolare . ivi
Considerazioni preliminari sulla natura degli uomini e la
forza per cui operano 279
Forza delle grandi ricchezze rispetto all'uomo singolare se
condo i suoi diversi temperamenti ...... 284
Forza delle ricchezze per risguardo alle famiglie . . 287
Forza delle ricchezze per fisgurdo allo stato civile . 290
Che il soverchi danaro nuoce al commercio ed alle arti,
massimamente nel presente sistema europeo di finanze di
far debiti e crear rentieri, o creditori pubblici . . 298
Che il soverchio danaro nuoce a se slesso ... 301
Pratica dell'antecedente teoria ivi
Conclusione di questi elementi ...:.... 304
Ragionamento sul commercio in cenerale 310
. I. Scienza del commercio ivi
II. Parti, e fini della scienza del commercio .... 311
HI. Primo fine dell'Economia politica, aumento della popolazione ivi
IV. Mezzi da aumentare la popolazione 312
V. Secondo fine dell' economia politica , ricchezza e potenza della
nazione 315
VI. Agricoltura, prima sorgente de' nostri comodi e della nostra ric
chezza . . ivi
VII. Seconda sorgente de' comodi, ricchezza e potenza di una nazio
ne, manifatture 319
Vili. Terza sorgente delle ricchezze e della potenza d' una nazione ,
commercio 323
IX. Massime appartenenti all'interno commercio delle nazioni . 325
X. Regole sulle quali gl'Inglesi hanno piantalo e sostengono il loro
commercio ..... 327
Ragionamento sulle manifatture 335
Ragionamento sullo spirito della pubrlica economia 343
Digressioni economiche 348
. 1. Della libert del commercio ivi
II. Del commercio marittimo 551
HI. Del lusso 354
IV. Del pregio dei metalli .... 360
V. Del perfezionamento delle arti 362
VI. Della necessit di togliere la poltroneria . 365
VII. Della direzione del travaglio 371
Vili. Dei miglioramenti dell'agricoltura . 373
IX. Dei vantaggi della cura de' buoi 376
X. Dei vantaggi della cura delle pecore 579
XI. Dei vantaggi della cura dei cavalli e di altri animali domestici 383
XII. Degli effetti del nuovo metodo di coltura inglese e del semina
toio svizzero 387
CESARE BECCARIA.

ELEMENTI DI ECONOMIA PUBBLICA.


BECCARIA.

ELEMENTI
DI

ECONOMIA PUBBLICA.

PARTE PRIMA.
PRINCIPII E VISTE GENERALI.
. I. L'economia pubblica stata definita l'arte di conservare ed accrescere le
ricchezze in una nazione, e di farne il miglior uso. Le ricchezze altro non sono
che l'abbondanza delle cose necessarie non solo, ma comode eziandio ed aggra-
devoli. Le nazioni sono una moltitudine d'uomini mossi a vivere in societ per
difendersi reciprocamente da ogni forza esteriore, e contribuire nell' interno al
bene comune procurando il ben proprio. Dunque l'economia pubblica sar l'arte
di fornire con pace e sicurezza non solamente le cose necessarie, ma ancora le
comode alla moltitudine riunita.
. II. Tutto ci che serve all' alimento, all'alloggio, al vestirsi degli uomini
ci viene fornito dalla terra per mezzo dei vegetabili che vi crescono, dei minerali
che vi si nascondono, degli animali che vi pascolano. L'arte dunque di dirgere
ed incoraggire gli uomini, acci cavino il miglior partito possibile dalle terre,
sar la base fondamentale d' ogni operazione economica. Quest' arte chiamasi
agricoltura politica : primo oggetto d'economia pubblica.
Ma queste materie somministrateci dal terreno hanno bisogno d'essere dalla
mano industriosa ed imitatrice dell' uomo alternate e modificate, perch possino
adattarsi ai differenti usi a cui sono destinate. Finch si trovano nello stato nel
quale le abbiamo ricevute dalla terra, si chiamano materie prime; lavorate poi
per i moltiplici usi degli uomini chiamansi manifatture: secondo oggetto di
pubblica economia.
Gli uomini hanno sovente abbondanza di alcune cose di cui altri sono
bisognosi , e scarsezza di alcune altre di cui altri abbondano. Ci accade s
nelle materie prime per la differente natura del terreno e delle coltivazioni, come
nelle lavorate per le differenti inclinazioni degli uomini non abili ugualmente a
fare tutte le cose. Si permutano dunque reciprocamente, siano le produzioni del
suolo, siano le opere della loro industria; una tale permutazione chiamasi com
mercio : terzo oggetto d'economia pubblica. . .
. Ili. Il travaglio degli uomini, sia sulla terra genitrice delle materie prime,
sia sulle cose da quella prodotte, e le vicendevoli permute non possono esser
fatte con pace e tranquillit, se la moltitudine che opera e che si affatica non
594 BECCARIA.
sia difesa e protetta contro la forza esteriore, che potrebbe disturbarla ed usur
parsi il frutto degli altrui sudori ; n le operazioni degli uomini potrebbero
giammai esser conformi al bene della maggior parte, se le genti senza freno e
senza direzione fossero lasciate puramente in preda alla loro avidit personale ;
o si getterebbero in braccio ad una improvvida inerzia, se mancassero d'uno
stimolo che li obbligasse alla sempre odiata fatica. Sono dunque necessarj su
premi direttori che colle armi e colle leggi dirigano le interne operazioni della
societ, la difendano dagli esterni assalti, ed eccitino nella giornaliera indolenza
degli uomini il moto e l'attivit. La moltitudine deve dunque fornire a questi
supremi direttori i mezzi onde possano adempiere un tale oggetto. Questi mezzi
chiamansi tributi, e l'arte di percepirli, acciocch siano utili alla moltitudine che
li fornisce, e non siano rovinosi, n per il modo con cui sono levati, n per l'uso
che se ne faccia, chiamasi finanze: quarto oggetto di pubblica economia.
S- IV. Mane i prodotti delle terre, n le opere della mano, n gli scambie
voli commerci, n i pubblici tributi si potranno giammai ottenere dagli uomini
con perfezione e costanza, se essi non conoscono le leggi morali e fisiche delle
cose sulle quali agiscono ; se al crescere de' corpi proporzionatamente non cre
scono le abitudini sociali ; se tra la moltiplicit degli individui, delle opere e dei
prodotti non si vegga ad ogni passo scintillare la luce dell'ordine, che rende fa
cili e sicure le operazioni tutte. Dunque le scienze, l'educazione, il buon ordine,
la sicurezza e tranquillit pubblica, oggetti tutti Compresi sotto il nome di poli
zia, formeranno il quinto ed ultimo oggetto di pubblica economia.
$. V. questi cinque prmarj oggetti racchiudono moltiplici diramazioni e det
tagli complicati, i quali variano colle differenze di clima, di popolazione, di go
verno di ciascun paese.
Per non perderci in questo labirinto necessario ricercare un punto fisso ed
invariabile, il quale non si alteri giammai n per le circostanze d luogo e di
tempo, n per le diverse modificazioni della societ ; e che anzi sa esso un
punto di vista altrettanto semplice che luminoso, il quale diffonda la sua
luce sugi' intricati rapporti e Combinazioni politiche. Tutte le scienze hanno sem
pre questo canone fondamentale, questa proposizione universale, che non altro
che l'enunciazine del legame comune di tutte le proposizioni particolari costi
tuenti il corpo d'una scienza. Per ritrovarlo necessario rimontare air origine
delle cose stesse, ove solo si pu rinvenire qualche primitiva e primaria combina
zione, che stata come il nucleo o punto d'appoggio, intrno al quale si sono
raggruppati ed avvolti i moltiplici e diversi dettagli d'una scienza.

CAPO I.

Principio generale.
. VI. Supponiamo un numero di famiglie qualunque, per una qualunque
cagione senza arti e senza altri ajuti, fuori che quelli che la naturale facolt
dell'umana natura posson loro somministrare, gettate in un paese inclto e an
cora intatto dalla mano dell'uomo.
PRINCIPIo GENERALE. cAP. 1. 595

Queste famiglie per lungo spazio di tempo vivranno della distruzione degli
animali, dell'acqua, dell'aria e della terra, dei frutti selvatici, degli alberi e delle
radici spontanee del campo, coprendosi le ignude carni delle sanguigne spoglie
degli uccisi animali, e dando loro le caverne aspro ricovero.
Dopo avere costrette in ischiavit le bestie mansuete e frugivore e ridottele
in mandre pascolanti sotto il dispotismo dell'uomo, l'esperienza, l'osserva
zione di moltissimi avvenimenti, la necessit della nascente popolazione angu
stiata da fiumi innatabili, da monti altissimi, dal mare ancora intentato, le re
sero accorte del potersi coll'arte e col lavoro secondare, anzi accrescere le spon
tanee produzioni della terra.
Io qui racchiudo in brevissimo spazio ci che si sarebbe potuto lungamente
sviluppare, annoverando minutamente ad una ad una tutte le cagioni che
l'uomo abbiano potuto condurre dallo stato selvaggio e cacciatore allo stato so
ciale e agricoltore; ma ci si pu vedere in molti autori, principalmente nell'in
sighe opera del signor Goguet, intitolata: Dell'origine delle leggi, delle scienze
e delle arti presso gli antichi popoli: io devo affrettarmi a ritrovare le tracce
maestre del lungo cammino che si deve percorrere.
S. VII. Dunque per moltiplicare questi frutti della terra dovettero gli uomini
per lungo tempo vincere molte difficolt; dovevano disboscare il terreno, mon
darlo da'sassi, muoverlo, irrigarlo, fecondarlo ecc., avanti che fosse in istato di
ricevere le prime sementi, in quella copia che ora veggiamo atta a nutrire con
siderabili popolazioni.
ora tutte queste operazioni esigevano fatica e tempo, e stromenti atti a lavo
rare la terra, e materie atte a fecondarla, e sementi gi da quelle prodotte per ri
mettervele, onde le riproducesse e le moltiplicasse; ma durante tutto questotempo
e questa fatica, dovettero gli uomini nutrirsi, vestirsi ed abitare vicino al luogo
del loro travaglio, ed avere in propriet quelle cose che dovevano servire a per
petuare sulla terra la riproduzione.
Dunque noi chiameremo capitale fondatore della coltivazione la somma di
tutte queste cose, preliminarmente necessarie a rendere una terra di incolta frut
tifera, ed osserveremo che senza di questo capitale fondatore la terra sarebbe ri
masta inutile e deserta.
S.VIII. Dippi, preparata la terra ad essere coltivabile e fruttifera, era d'uopo
conservarla tale;perch consumati i prodotti di un anno bisognava metterla in
istato di riprodurli per il seguente; ma questa riproduzione esige nuova semente
da gettare sul terreno, e come prenderla, se non dai prodotti precedenti del pas
sato anno? Esige braccia che coltivino, ed animali che fecondino e che ajutino
il lavoro; bisogna nutrirsi, abitare, conservare gli stromenti, e pascere questi
animali che contribuiscono al lavoro medesimo. Tutto ci richied una spesa
continua, ed una ricchezza da non destinarsi ad altro uso fuorch a quello della
riproduzione; e dove prenderla se non appunto dai prodotti precedenti?
Dunque noi chiameremo scorte annue queste ricchezze necessarie a conti
nuare la riproduzione, e osserveremo che scemate queste o tolte del tutto, pro
porzionatamente si scema e si toglie la riproduzione, e la terra ritorna qual'era
incolta e deserta.
S. IX. Frattanto che da queste famiglie, ossia che da questa nostra idea di
nazione prosperamente tutte le dette cose si fanno, ecco nascere necessariamente
396 BECCARIA.

le arti e la diversit delle occupazioni degli uomini. Ciascuno prova coll'espe-


rienza, che applicando la mano e l'ingegno sempre allo stesso genere di opere e
di prodotti, egli pi facili, pi abbondanti e migliori ne trova i risultati, di quello
che se ciascuno isolatamente le cose tutte a s necessarie soltanto facesse: onde
altri pascono le pecore, altri ne cardano le lane, altri le tessono ; chi coltiva
biade, chi ne fa il pane, chi veste, chi fabbrica agli agricoltori e lavoranti, cre
scendo e concatenandosi le arti, e dividendosi in tal maniera per la comune e
privata utilit gli uomini in varie classi e condizioni. Ognuno pu vedere nella
succennata opera di Goguet le diverse gradazioni de' progressi fatti dal genere
umano, dal raccogliere le spontanee produzioni della terra al coltivarle, e dal
rozzo uso di quelle al prepararle e modificarle con tanti diversi ed ingegnosi
artifizj.
. X. Il lavoro degli uomini non vi sarebbe se non vi fossero cose da lavorare,
n le cose da lavorare vi sarebbero se la terra non le producesse. La mano dell'uomo
modifica e dispone i corpi, cio ne avvicina o ne allontana in diverse guise le parti;
ma un atomo di materia non vi cresce fra le dita, se la terra e quello spirito di
vita che circola nelle sue viscere non lo produce. Ma perch l'uomo lavori, egli
deve avere prima di tutto la materia da lavorare, indi vivere e procacciarsi le cose
necessarie, anzi fino ad un certo segno le comode all'uso della sua vita durante
tutto il tempo del lavoro, senza di che egli non lo farebbe altrimenti, ma invece
attenderebbe a procacciarsi quelle cose che altri non gli darebbono. Quindi ri.
sulta che ogni valore che si d ad un lavoro qualunque, sar composto del va
lore della materia prima e del salario che si d per il comodo sostentamento di
quello che lavora questa materia prima. In qual proporzione si valutino queste
materie prime e questi salarii, si vedr a suo luogo.
. XI. Questi salarii o non siano pagati in danaro, come nella presente sup
posizione, o lo siano, torna allo stesso, perch con il danaro le cose tutte si
possono avere ; dunque il vero salario sar la somma delle cose necessarie e co
mode alla vita, date a colui che lavorando per il comodo e necessit altrui, non
pu sovvenire da se stesso ai proprii comodi ed alle proprie necessit. Dunque
questi salarii o queste cose alla vita comode e necessarie, in qualunque maniera
siano modificate, saranno sempre produzioni della terra; dunque l'aumento di
queste produzioni della terra un aumento di salarii da distribuirsi, e l'annien
tamento di parte di queste produzioni un annientamento di parte degli stessi
salarii.
Di pi, quegli uomini che posseggono o lavorano o fanno lavorare terre
producenti, o si procurano prodotti che eccedano il loro bisogno, o no: se no,
dunque non lavorano che quella porzione di terra e con niente di pi di stento
e d'industria, che quanto basta a procurare il preciso loro sostentamento: se la
vorano al di l di questa loro esigenza, sar chiaro che essi pagheranno e fa
ranno queste maggiori fatiche per cambiare l'avanzo con altre cose utili o pia
cevoli che loro manchino, e per averle pi ben disposte e pi atte a que' fini ai
quali le destinano. Dunque questi prodotti non cresceranno, se non in quanto
saranno atti ad essere permutati reciprocamente ; e saranno tanto pi atti ad
essere permutati, quanto ciascuno potr esserlo con un maggior numero di cose,
perch allora la spesa e la fatica di chi lavora o fa lavorare ben ricompensata.
Ma se il numero delle cose, che si possono avere per mezzo di questi prodotti,
PRINCIPIO GENERALE. CAP. I. 397

sar inferiore alla spesa e fatica dei producenti, cesseranno questi di far pro
durre; quindi scemer il numero delle cose utili e contrattabili.
. XH. Finalmente, come abbiamo veduto al 3, tutti gl'individui riuniti in
societ debbono fornire i mezzi necessarii a difenderla, proteggerla e governarla
con sicurezza e tranquillit. A chi appartengono queste auguste funzioni, ne
cessario un corredo moltiplice d'uomini esecutori, d'attrezzi e di stipendii ; e tutte
queste cose non si hanno e non si mantengono appunto con nient' altro, che
colle produzioni della terra, perch gli uomini n vivono, n vestono, n guer
reggiano coll'oro e coll'argento, bens con questi si procacciano le cose a ci con
ducenti, e l'oro e l'argento divengono metalli inutili perfettamente. Dunque an
che la terra, qualunque ella sia e dovunque trovisi, sar sempre quella e sola
che pu dare le cose mantenitrici della forza tutelare della societ.
. XIII. Dunque, raccogliendo le cose fin qui dette, primo principio d'ogni
operazione economica sar quello d'eccitare la maggior quantit possibile di pro
dotto utile e contrattabile, e di togliere di mezzo ci che diminuisce questa mas
sima quantit di tali prodotti.
. XIV. Ma quelli, i quali le cose dalla terra prodotte modificano per l'uso e
per le richieste degli uomini, debbono essere alimentati dai padroni e coltivatori
de' prodotti con parte di questi prodotti medesimi, come abbiamo veduto. Dun
que con quanto minor tempo e minor numero di persone si potr fare un mag
gior numero di lavori, tanto meno dei prodotti si consumer dai lavoratori, e
tanto pi rester di avanzo in mano dei producenti, sia per rimettere sulla terra
onde cresca la di lei riproduzione, sia per far fare altre cose e dare altri salarii
e guadagni ai medesimi agricoltori, sia per le pubbliche o private spese qualun
que. Ma siccome questi lavoratori debbono e vogliono vivere e le famiglie loro
mediocremente sostenere, anzi migliorar se possono la propria condizione, cos
dovranno supplire colla frequenza delle spese al poco salario di ciascheduna in
particolare. Si vedr in conseguenza di tutto ci, che il secondo principio d'ogni
economica operazione, riguardo alle opere della mano e dell'industria, sar quello
di fare piccoli per volta, ma pi spessi guadagni che sia possibile.
$. XV. Il primo principio il reggitore dell'economia agricola e fondamentale
di una nazione ; il secondo il principio dell'economia artista ed industriosa
della medesima. Al primo debbono principalmente applicarsi le nazioni che hanno
un territorio, ed avere il secondo per principio subalterno e secondario ; a que
sto, quelle che prive sono di un territorio fertile e riproducente. Ma tali nazioni
che campano sulla sola industria ed opera delle loro mani non esisterebbero, se
non esistessero terre feconde da nazioni agricole lavorate.
. XVI. Da qui si pu di slancio vedere come i confini politici d'uno Stato
non siano sempre o quasi mai gli stessi de' confini economici di quello. La terra
di una nazione alimenta l'industria d' un'altra, l'industria di questa feconda la
terra di quella : queste due nazioni, quantunque divise di sovranit ed indipen
denti reciprocamente dalle rispettive loro leggi politiche, sono per realmente
una sola nazione strettamente unita per leggi fisiche e dipendenti l'una dall'altra
per le relazioni economiche.
. XVII. Ora n il massimo prodotto utile e contrattabile dalle terre si potr
ottenere, n dalle arti avere piccoli ma pronti profitti, se gli uomini, gli uni a
gara degli altri, non faticheranno colla mano e coli' industria sia sulla terra, sia
598 BECCARIA.

sui prodotti di quella. Dunque riunendo i due sopra indicati principi in uno,
diremo essere fine generale e principio insieme reggitore di tutta la politica eco
nomia, di eccitare nella nazione la maggiore quantit possibile di travaglio utile,
cio somministrante la maggior quantit di prodotto contrattabile, e li pi pic
coli ma pi spessi possibili salari alle opere della mano, e di opporsi a tutto ci
che potrebbe tendere a diminuire questa massima possibile quantit d'utile tra
vaglio.
S. XVIII. Da quest'analitica deduzione di semplicissime verit tutta quanta l'e
conomia politica si deriva; ed io spero che sviluppando a poco a poco ed appli
cando agli affari degli uomini questi palpabili ed evidenti assiomi, ci condurremo
nelle pi recondite teorie di questa scienza. Chi sa di matematica non ignora,
che il circolo si genera dal movimento d'una linea retta intorno ad un punto
fisso; eppure da questa semplicissima nozione quante varie e recondite verit
non si sviluppano, che formano l'oggetto della beata contemplazione de sapienti
e la maraviglia degli sciocchi! Cos spero di fare, riprendendo successivamente
per mano alcune di queste verit di solo buon senso da me esposte. Io spero di
dimostrare con esattezza l'arte di render gli uomini e le societ ricche e felici di
quelle cose che si richieggono, per quanto i limiti dell'umana capacit e l'ineso
rabile legge del dolore lo possono permettere.

CAPO II.

Della natura del travaglio e della consumazione.

S. XIX. Ho posto per principio generale di tutta la scienza non la massima quan
tit di travaglio generalmente, ma la massima quantit di travaglio utile, ed ho,
cred'io, sufficientemente determinata l'idea di questa utilit. Perch la terra col
tivabile produca sono necessarie alcune spese, e quanto maggiori sono queste spese
in paragone del prodotto totale, tanto meno resta di avanzo sul prodotto medesi
mo;quanto meno resta di questo avanzo,tanto minor ricchezza si potr contrattare
coi prodotti utili delle altre terre,e darsi in salario all'arti che rendono utili que
sti prodotti, etanto meno resta di tributo da darsi al sovrano per le innumerabili
e necessarie spese della pubblica sicurezza e tranquillit. Perch le opere della mano
e dell'industria abbiano una continua prosperit, bisogna che molti siano coloro
che facciano uso delle opere di quella; perch molti facciano questo uso, ne
cessario che ciascun'opera sia fatta nel minor tempo possibile e colla minore
spesa possibile: ma non si pu far uso di queste opere se non pagandole, e pa
gare non si possono, se non si danno prodotti delle terre o almeno rappresenta
zioni in quelli convertibili, il che lo stesso. Dunque quanto maggior tempo e
maggior spesa consuma un'arte, tanto maggior prodotto di terra si dar per
quella, e perci tanto meno ne rester da convertirsi in altre arti ed in altre
successive opere; dunque generalmente quel travaglio sar meno utile, che po
tendo in pi breve tempo e da un minor numero di persone essere fatto, lo sar
pi lungamente e da pi persone,
DEL TRAVAGLIO E DELLA CONSUMAZIONE. CAP. II. 599

. XX. Non occorre che io qui mi dilunghi a sviluppare ci, che chiaramente
e diffusamente deve esserlo nelle parti di questi elementi destinate a trattare del
l'agricoltura e delle arti, nelle quali saranno tolte di mezzo quelle obbiezioni che
si possono fare ; la natura di questa scienza, come d'ogni altra che non sia vana
ed illusoria, di formare un tutto talmente riunito che sia d' uopo di compren
derlo nella sua totale estensione per essere perfettamente convinti delle grandi
verit eh' ella contiene. solamente opportuno di entrare alquanto pi addentro
nella natura e distribuzione di quelle spese, che essenzialmente sono necessarie
per ottenere una qualunque sia produzione della terra o opera della mano del
l'uomo.
. XXI. Il tempo rinnova il bisogno degli uomini, e la vita di quelli non si
prolunga che colla distruzione e alterazione de' corpi che sono atti ad assimi-
liarsi alla propria loro sostanza. Un uomo non solamente si nutre e propaga la
sua stirpe ; ma si veste, edifica e cerca di vivere comodamente, e di modificare
e di applicare a se stesso tutte le cose in maniera che gli eccitino sensazione
piacevole. Ora non si pu ci ottenere gratuitamente, bens col mezzo dell'azione
del travaglio. Bisogna dunque durante questo tempo nutrir se stesso e gli altri
che contribuiscono al soddisfacimento di questi bisogni e comodi. Io ho bisogno
per esempio di vestirmi ; in primo luogo io debbo fornire al sartore tutte le ma
terie e gl'ingredienti necessari! ; in secondo luogo io debbo mantenerlo per quel
tempo che egli consuma travagliando ; e non solamente io lo nutro, ma gli do
una parte, proporzionata al tempo che egli impiega in mio servizio, di vestito, di
alloggio o di che altro gli occorre. Egli stesso impiega una parte di quel che gli
do a nutrir altri che gli forniscono l'occorrente; cos successivamente. Se noi ri
flettiamo a questa serie di pagamenti, troveremo due elementi distinti che en
trano in ogni opera : l'uno sar la materia prima prodotta dal suolo, la quale
modificata secondo l'uso richiesto; la seconda sar il nutrimento, che va suc
cessivamente consumandosi da tutti queili che direttamente o indirettamente
contribuiscono al travaglio di questa materia prima. Questo nutrimento in primo
luogo somministrato anch'esso dalla terra ; in secondo luogo differente dalla
materia prima impiegata al lavoro, in quanto quello immediatamente si con
suma, e questa non consumala ma lavorata, o sia mutatane solamente la forma
acci sia atta all' uso destinato. In ogni pagamento, cio in ogni passaggio di
una produzione da una mano nell' altra vi sempre una parte del suo valore,
ossia di quanto stimata, che si ferma per convertirsi in alimento o in imme
diata consumazione. Onde se dal valore di qualunque opera si sottragga il va
lore della materia prima, tutto il restante rappresenter la somma delle cose
consumate, ossia degli alimenti di tutte le persone che hanno direttamente o in
direttamente contribuito al travaglio. Dunque l'alimento o la consumazione pu
dirsi il rappresentatore universale d'ogni sorta di travaglio, e la quantit di quello
rappresenter la quantit di questo; dico l'alimento o consumazione, perch molte
cose si consumano che non sono alimento, quantunque vadano sotto la stessa
considerazione: per esempio, le legna che si abbruciano.
. XXII. Avendo dunque veduto che fra le persone che entrano nel travaglio
d'una cosa qualunque, non vi debbono essere compresi solamente i travagliatori
di quella, ma ancora coloro che forniscono il vitto, il vestito e gli altri comodi e
necessit della vita ai primi, e cos successivamente quelli che li somministrano
400 BECCARIA.

a questi ultimi ; saranno quindi tanto pi numerosi gli alimenti rappresentanti la


quantit di travaglio di ciascuna cosa, quanto pi grande la distanzad'una sorta
di travaglio dall' ultima classe dei producitori degli alimenti fornitici dalla terra.
L'alimento degli uomini pu essere pi largo ed abbondante, pu essere pi
ristretto e scarso, pu essere mezzo grossolano, pu essere pi. Le ultime classi
degli uomini, prescindendo dai profitti casuali, possono dunque, col risparmiare
una parte di alimento e accontentarsi del pi comune, riserbarsene una porzione
del pi scelto da contrattare in altri usi. Questa la prima Origine d'ogni pro
fitto, da cui scaturiscono successivamente i primi guadagni, onde supplire agli
altri bisogni.
. XX11I. Questi ultimi producitori rappresentano dunque realmente il trava
glio e le fatiche di tutte le altre classi prese insieme; dunque questa classe deb-
b'essere necessariamente la pi numerosa. Ma siccome ella medesima per i bisogni
pi grossolani della vita ha duopo di molte altre, come per esempio di quelle che
forniscono il vestito o simili, cos dietro la prima, la pi numerosa sar quella
che somministra le cose pi necessarie agli uomini dopo l'alimento, appunto
perch fu immediata rappresentatrice di quello ; e cos discorrendo di mano in
mano si arriver a questa non volgare osservazione, che le classi delle persone
che travagliano debbano essere tanto meno popolate, quanto maggiore la loro
distanza dalle classi immediatamente alimentataci. Da qui si vede la mutua di
pendenza di tutte le arti, che a guisa di piramide non a disuguali ammucchia
menti debbono essere elevate ed incoraggite dal saggio legislatore. Ben vero,
che essendo fattizia e non stabilita nella natura delle cose la divisione delle na
zioni, il travaglio non rappresenta solamente la quantit di cose consumabili
prodotta dal proprio paese, ma ancora quella che prodotta da un altro; onde
consumate le cose del paese proprio, il soverchio delle opere e delle fatiche delle
diverse classi rappresenter la quantit delle cose consumabili che possono for
nire le nazioni, per le quali si travaglia. Ci nonostante se noi considereremo le
terre forastiere somministranti l'alimento rappresentatore del soverchio travaglio
di una nazione, come facienti realmente un corpo solo colle terre alimentatrici
della nazione medesima, noi troveremo sempre la classe producente l'alimento la
pi numerosa, e la classe lavoratrice la meno numerosa, in proporzione della
distanza sua dalla produzione immediata dell'alimento medesimo. Il soverchio
dunque del travaglio sopra del bisogno della propria nazione le sar tanto pi
utile, quanto questo soverchio sar nelle classi sempre pi vicine a rappresentar
la propria proporzionata quantit di alimento. Primo, perch essendo queste le
pi numerose, la distribuzione degli utili cadr sopra un maggior numero di per
sone, il che servir ad incoraggire pi immediatamente i lavori pi necessarii e
pi utili. Secondo, perch l'accrescimento delle arti inferiori, cio pi vicine alla
produzione dell'alimento, anima le superiori; ma l'accrescimento di queste non
anima egualmente quelle. La superiorit de' loro guadagni mettendole nel caso
di supplire fuori di stato alla pi parte dei bisogni, le classi loro intermedie pos
sono essere forastiere piuttosto che nazionali, ed essere pi utili all'altrui che
alla propria nazione.
. XXIV. Da questi ragionamenti, i quali spero che colla loro fecondit ne
compenseranno 1' astrusit apparente, che coi futuri dettagli svanir del tutto,
da questi dico, ne nascono due importantissime conseguenze.
DEL TRAVAGLIO E DELLA CONSUMAZIONE. CAP. II. 401

I. Che le classi operatrici sono ancora tanto pi utili, quanto pi sono ina
nellate l'una dentro l'altra, in quella proporzione che abbiamo gi divisata, per
ch allora solo producono la massima quantit e variet di travaglio utile, e
perci la massima e la pi giusta distribuzione di alimento. Quindi fuori di que
sti casi le classi, che non sono comprese in questa catena non interrotta di opere
e di lavori, non sono utili e da proteggersi se non in proporzione della necessit
loro, o in quanto contribuiscono ad animare la serie delle classi operatrici ed an
nientatrici.
II. Che l'aumento della popolazione aumenta il travaglio, perch la sempre
presente necessit della sussistenza, e l'abitudine cara e quasi indistruttibile degli
uomini al suolo natale gli agita per ogni verso e li stimola a procacciarsi i mezzi
pi sicuri per vivere, quando viziose cagioni politiche non consacrino l'inerzia e
premiino l' indolenza , o non irritino gli uomini alle emigrazioni. Con pi si
cura ragione per si pu dire, che la quantit di travaglio aumenta piuttosto la
popolazione, che non la popolazione la quantit di travaglio, perch la maggiore
quantit di travaglio rappresenta un maggior numero d'alimenti, e la quantit
del popolo proporzionata sempre alla quantit dell'alimento : dove questo fa
cile e sovrabbondante, il popolo v'accorre da tutte le parti al di fuori, e dentro
l'invincibile istinto propagatore non trova ostacoli fisici a svilupparsi, quando i
morali non si oppongano alle forze perpetuatrici della natura. La soverchia po
polazione pu essere a carico della nazione quando non sia l'effetto dell' accre
sciuta quantit di travaglio, perch l'alimento del soverchio ozioso sar a spese
dell' utile ; ma la popolazione, comunque grande si supponga, sar sempre van
taggiosa a se medesima quando sia l'effetto dell'aumentata quantit di travaglio,
perch allora col numero crescono i mezzi della sussistenza e felicit di ciascuno.
. XXV. Ho detto che nello stimare il travaglio necessario aver riguardo al
tempo in cui dura il travaglio medesimo, perch l'alimento un bisogno costante
e periodico ; bisogna ancora parimenti aver riguardo al tempo del travaglio delle
arti inferiori fino all'ultima. Sonovi pure alcune altre considerazioni che entrano
nella stima del travaglio; per esempio, la maggiore o minore quantit dell'opera
stessa, e la maggiore o minore capacit che vi si richiede ; i pericoli e i rischi
che si corrono nel travagliarla, sia per la fragilit della materia prima, sia per
qualche circostanza estrinseca o intrinseca che la rende mal sana o nociva. Ilo
detto nello stimare il travaglio, perch altre considerazioni entrano nella stima
delle cose, come l'abbondanza o scarsezza di quelle, la maggiore o minore ri
cerca, il trasporto, ed altre quantit per le quali si determina il valor relativo,
di cui parleremo a suo luogo.
. XXVI. Non dunque possibile il fissar con precisione aritmetica il valore
intrinseco delle fatiche degli uomini. Un tal valore varia secondo la varia bont
delle terre,. e secondo la varia maniera di vivere di quelli che le lavorano o
fanno lavorare, degli artigiani che ne manifatturano i prodotti dei proprietarii
delle terre che fanno valere, e le terre e i prodotti medesimi; e queste differenti
maniere di vivere dipendono dalle circostanze fisiche e morali d'ogni paese^
Perch un tal calcolo potesse accostarsi alla matematica precisione sarebbe ne
cessario prima un esalto catastro di tutte le terre e della quantit media degli
annui loro prodotii : 2. un numero esatto di tutta la popolazione, distinta e nu
merata per le di lei diverse classi; 5. il valore del mantenimento e la quantit
Econom. Tom. HI. 26.
402 BECCARIA.
dell'annuo travaglio di ciascun artigiano. Volendosi per esempio sapere il valore
del travaglio d'un agricoltore, bisogner prima cercare un villaggio ove le terre
siano di mezzana bont; distinguere i lavoratori capaci di lavorare da quelli
che non lo sono, come il fanciullo ed il vecchio decrepito che sono dai primi
mantenuti; esaminare quanta estensione di terreno lavora ciascheduno d'essi, e
la quantit di prodotto d'un tal terreno ; separare il di lui alimento, quello delle
persone, alla mancanza del lavoro delle quali egli deve supplire, il prezzo del
l'alloggio, del vestito di tutte queste persone, e il prezzo di tutte le masserizie
pi grossolane, Biano dimestiche, siano da lavoro, da ci che egli paga al pa
drone della terra ed al sovrano. Per valutare il vestito, l'alloggio ecc. di questi
lavoratori, cio per sapere a quanto di alimenti o d cose consumabili corrispon
dano, conviene paragonare la somma dei bisogni secondarli, cio di quelli che
non sono alimento degli agricoltori, colla quantit del lavoro dei manifattori im
mediati. Il valore del travaglio d'un vestito il pi grossolano o rozzo dell'ultimo
lavoratore di terra, deve rappresentare quelle porzioni d'alimento del pastore
delle pecore, del cardatore della lana, quelle del filatore, del tintore, del tessitore
del panno, quelle del sartore, che corrispondano al tempo che hanno impiegalo
a contribuire ad una tale operazione.
Io ho voluto a bella posta entrare in qualche dettaglio su questa interessante
discussione, in primo luogo per indicare la necessit e la massima importanza di
avere un'esatta notomia di tutte le minute fibre del corpo politico , ed un'analisi
esatta della naziono, e che da ci solo dipende la sicurezza e l'ordine che si deve
tenere nelle operazioni politiche destinate ad incoraggiare il travaglio degli abi
tatori , in secondo luogo per far vedere che alcune teorie non sembrano a taluno
troppo metafisiche ed aeree , se non per altro , perch non hanno l'abitudine di
racchiudere sotto nomi generali la folla de' particolari , mancando di quell'at
tenzione che si richiede a scorgere le somiglianze e i rapporti occulti delle cose.
. XXVII. Dalle precedenti deduzioni noi caveremo due generali corollarj ,
di cui faremo uso nel progresso. I. Che le arti fra le nazioni sono ordinaria
mente proporzionate al bisogno che se ne ha , e che per accrescere queste arti
fa duopo accrescere i bisogni corrispondenti ed i mezzi onde nutrirle, sia inco-
raggendoli cogli esempj e coi premj , rare volte coi comandi , sia levando gli
ostacoli al naturale progresso dei bisogni medesimi.
II. Che i bisogni di prima e seconda necessit sono determinati da tutte le
classi di persone , ma quelli di terza ed ulteriore necessit sono determinati quasi
totalmente dalla classe de' proprietarj delle terre siano nazionali o forestieri ; le
loro mode , i loro capricci e la voce di mille passioni si fanno sentire nella tran
quillit d'una vita inoperosa , e questa voce regge le arti tutte e le anima o de
prime a suo talento. I proprietarj delle terre hanno ancora , se non tutta , al
meno una grandissima influenza sulle arti di prima e seconda necessit , non solo
perch queste arti sono contigue o concatenate con altre, ma perch i proprie
tarj delle terre possono dare differenti direzioni e far produrre differentemente
la terra a tenore de' loro usi, della volont loro e della necessit momentanea ,
la quale per lo pi l'unico determinativo delle umane azioni.
$. XXVIII. Per sempre pi approfondire questo soggetto giova qui il ripe
tere ci che abbiamo dissopra dimostrato, cio che il valore di ogni travaglio si
riduce Analmente a sottodividersi in una certa quantit d'alimenti e di coseconsu
DEL TRAVAGLIO E DELLA CONSUMAZIONE. CAP. II. A05

inabili, e per conseguenza che il guadagno degli artigiani consiste Dell'attrarre a s


un equivalente di pi o meno alimenti , i quali poi , dedotta la propria porzione,
vanno cambiando e ricambiando per procurarsi i comodi della vita. Ma in qual
maniera le diverse arti attraggono a s pi o meno quantit di tali rappresenta
zioni di alimenti ? Rispondo che ci nasce primieramente dalla differenza del
tempo che necessario alla produzione o al lavoro delle cose. Frattanto che in
un anno un agricoltore travaglia appena per cavare di che mangiare o di che
ruidamente coprirsi, il fabbricatore dei panni ed il sartore in un anno travagliano
pi pezze di panno e pi vestiti , che servono a pi agricoltori. Il travaglio di
pochi giorni de' primi equivale al travaglio di molti mesi de' secondi ; il lavoro
di pi fra questi rappresenta il lavoro d'un solo fra quelli. Nasce in secondo luogo
dalla maggiore o minor durata delle cose medesime lavorate. I prodotti della terra
sono utili a misura che sono consumati ; i prodotti delle arti lo sono a misura che
sono durevoli. Supponiamo per un momento ci che non possibile d'accadere ,
la troppa moltiplicit di quei lavori , cio che vi fossero tanti sartori , tanti fa
legnami , quanti agricoltori : allora la moltiplicit sarebbe dannosa a quelli che
ricercano il loro vantaggio; allora moltiplicando all'eccesso la quantit della merce,
ve ne sarebbe oltre la ricerca , e i travagliatori dovrebbero quindi sospendere il
lavoro sino allo smaltimento considerabile di tali merci : in un anno non Sva
gherebbero che pochi mesi , il restante sarebbero oziosi ; allora il travaglio di
pochi mesi in un anno arriverebbe a corrispondere al travaglio d'un anno intiero
d'un agricoltore.
Ma il lavoro degli uomini sempre il meno gratuito che sia possibile , cia
scuno travaglia in proporzione dell'utile che ne spera , e perci dello smercio che
prevede possono avere i proprj lavori. Diremo in conseguenza che le arti si met*
tono da se medesime al necessario equilibrio , se le cattive leggi e le viziose ope
razioni politiche non le sbilanciano. Le operazioni economiche si riducono a non
permettere e moltissime a non fare ; quali siano si vedr in appresso.
Ultima conseguenza di quanto si detto , sar , che se 1' agricoltore , sia na-
zionale , sia forastiere, non travaglia al di sopra del necessario al proprio ali
mento, egli toglie altrettanti alimenti a tutti gli altri quanto minor travaglio egli
fa ; toglie perci altrettanti lavori dalle arti , annichila una parte della riprodu
zione , dunque una parte della vera ricchezza , dunque una parte della nazione
medesima.

CAPO III.

Della popolazione.

. XXIX. Riservando tutte le conseguenze e principj , che si possono de


durre dai superiori ragionamenti , alle successive Parti di pubblica Economia ,
che andremo divisando secondo la sovra espressa distribuzione, riprendiamo ora
per mano l'interessante oggetto della popolazione.
$. XXX. Prima di tutto necessario vedere in qual maniera una qualunque
404 BECCARIA.

popolazione naturalmente si distribuisca in un paese. Le riduzioni de' popoli sel


vaggi si sono formate nei luoghi , ne' quali la natura offriva pi spontaneamente
i mezzi di provvedere ai bisogni di quelli, vicino ai fiumi ed alle fonti , lungo
il mare , sulle colline che offerivano comodi pascoli alle mandre, o nelle fertili
pianure, o nelle valli, o frai monti di difficile accesso ai nemici. Queste riduzioni
furon prima erranti e vagabonde, finch la moltiplicazione e l'urto di molte ne'
medesimi luoghi , oltre le difficolt medesime della natura che impediva il pro
gredire pi avanti , le fece quasi retrocedere e fissarsi stabilmente. L'agricoltura
finalmente , e colla lunghezza de' suoi lavori e col lento periodo delle sue ripro
duzioni, le abitu ad una fissa dimora ; ed il nome di nazione, che era prima
personale ed errante, divenne in seguito locale e stabile. Si sono dunque stabiliti
in ogni tempo i villaggi pi o meno grandi , in proporzione del numero delle
persone che lavoravano le terre circondarie. Perch era naturale che gli uomini,
o per dir meglio le famiglie invece di abitare ciascuno nel centro della sua terra,
cercassero per la propria sicurezza e per la comunicazione pi facile degl' inte
ressi loro, di abitare vicini gli uni agli altri, per poi disperdersi soltanto nei tempi
de' rispettivi lavori. Era naturale altres , che coloro le cui terre erano troppo re
mote dai villaggi , cosicch il tempo dell'andarvi pi lungo , come ancora la
maggiore difficolt del trasporto delle derrate alle proprie abitazioni li rendesse di
peggior condizione degli altri , dovessero allontanarsi a poco a poco per avvi
cinarsi alle proprie terre e riunirsi insensibilmente a formare un altro villaggio.
Cos successivamente molti se ne sono formati. In ciascheduno di questi villaggi
doveano ridursi parimenti quegli artigiani , che fornivano le cose di pi giorna
liero bisogno ai lavoratori o ai piccoli proprietarj delle terre residenti in essi. Il
commercio reciproco di questi villaggi, la voglia comune a tutti di esibire a molli
compratori le proprie merci per ottenere, se non dall'uno, almeno dall'altro un
miglior vantaggio, dovettero stabilire fra molti villaggi in alcuno d'essi , cio in
quello che era di pi breve e di pi comodo accesso a tutti gli altri, un centro
di comunicazione e di ritrovo degli abitanti della campagna. Egli naturale che
i pi ricchi fra quelli e i pi industriosi vi si stabilissero, come pi a portala di
fare i loro commerci e d'inlromettersi in quello degli altri. A misura che l'uomo
diventa pi agiato si allontana dal penoso travaglio della terra e lo confida a
qualche altro pi povero, col quale ne divide il frutto. Da ci ebbero origine li
borghi e le piccole citt , nelle quali risiedono i pi grossi proprietarj delle terre,
gli artigiani che forniscono i comodi della vita ai ricchi , o che fanno una gran
provvisione di opere e di prodotti per distribuirle poi in dettaglio ai pi piccoli
commercianti o alle subordinate classi de' manifattori: ragione naturale della disu
guaglianza delle famiglie e del ritiro per cos dir al centro delle pi ricche e pi
possenti per maggior lor comodo. Crescendo finalmente la disuguaglianza dei beni
per la disuguale successione delle famiglie, per la dissipazione ed indolenza degli
uni , per l'economia ed attivit degli altri , i pi grandi proprietarj delle terre , i
quali un maggior numero di bisogni ed una vita pi raffinata e remota dagli umili
e rozzi usi del volgo gettava in braccio alla noja compensatrice delle diverse con
dizioni degli uomini , per l'ambizione di distinguersi a gara e di sovrastare alle
classi laboriose de' loro simili , dovettero riunirsi a poco a poco insieme e risie
dere vicino alla sorgente delle leggi , vicino alle supreme magistrature, onde oc
cuparsi del comando ed estender la sfera dei loro piaceri estendendo il loro p
J13LLA POPOLAZIONI!. CAP. Ili: 405

tere. Ecco l'origine delle citt grandi, e per conseguenza o attualmente o una volta
capitali.
. XXXI. Da questa storica analisi delle differenti distribuzioni delle popo
lazioni ne nasceranno i seguenti corollarj :
I. I villaggi e le popolazioni saranno tant'e tanto pi frequenti, quanto le
terre saranno pi divise fra molti proprietarj , o almeno fra molti lavoratori che
le facciano valere per i proprietarj medesimi ; ma questi stessi villaggi pi nume
rosi saranno per composti di pochi abitatori. Per lo contrario se la natura della
coltivazione tale , che le terre non sieno fra molti divise , allora i villaggi sa
ranno pi rari , ma ciascheduno d'essi pi folto d'abitatori.
II. Le arti naturalmente e gli artigiani si stabiliranno dove lo smercio delle
opere loro si renda pi facile , e li trasporti pi comodi e meno dispendiosi. Si
vedr in appresso, trattandosi delle manifatture, l'uso di questo corollario.
III. Le popolazioni sono ancora relative alle differenti direzioni, che danno
i proprietarj delle terre ai loro prodotti , agli usi ed alle fantasie che il loro ozio
pu soffrire.
IV. Le popolazioni sono ancora differenti secondo le diverse nature de' go
verni , il che non scopo dell'economia pubblica l'esaminare.
V. da osservarsi moltissimo, che la popolazione ha naturalmente certi li
miti , al di qua e al di l de' quali non pu oltrepassare. L'uomo , tale quale si
conserva e si propaga , un risultato di quelle cose che sono atte alla di lui nu
trizione. Queste cose sono prodotte dalla terra , e la terra pu crescere la sua
riproduzione fino ad un certo segno , ma non indefinitamente , e l'uomo ha biso
gno dell'ajuto d'altri animali e della propagazione loro in suo servigio , e questi
consumano necessariamente parte di questi prodotti. Dunque la popolazione cre
scer sino a che possano crescere i mezzi della sussistenza , e questi mezzi in
un dato luogo possono crescere, primo, finch la terra sia giunta al suo colmo
di feracit per mezzo della perfezione dell' agricoltura ; secondo , finch vi pos
sano essere prodotti trasportabili da un altro in questo luogo in pagamento de'
servigi ed opere fatte in favore di stranieri coltivatori e proprietarj , e questi sa-
larj e questi servigi ed opere saranno proporzionate al numero appunto di que'
coltivatori e proprietarj , anch' essi limitati in numero dai mezzi di sussistenza
somministrati dalle rispettive loro terre.
Finalmente la propagazione della nostra specie pu diminuire , ma non in
definitamente , almeno prescindendo dalle indefinite e straordinarie rivoluzioni
fisiche o morali , perch le medesime intrinseche cagioni , che fanno diminuire
i mezzi di sussistenza , come l'avvilimento del valore de' prodotti e la difficolt
della circolazione , che riduce in poche mani la ricchezza rappresentativa , sono
quelle che isolano la nazione ridotta a questo stato da tutte le altre , onde ritor
nano ad essere sovrabbondanti quei mezzi stessi che prima erano scarsi. per
ci egualmente stolida la paura di coloro , che temono ad ogni minimo cambia
mento di politiche costituzioni di veder sparire le popolazioni , come chimerica
la speranza di quelli , che facendo centro e scopo unico della politica la moltipli
cazione del popolo , si danno a credere che quello possa indefinitamente crescere,
e cresciuto basti questo solo perch ogni felicit ed ogni bene ne derivi in
tale nazione. Egli chiaro adunque, che la popolazione essendo una conse
guenza degli accresciuti mezzi di sussistenza, piuttosto che questi essere una con
06 BECCARIA.

seguenza di quella, si deve aver per punto fisso e reale d'ogni ricerca e d'ogni
regolamento l'accrescimento di questi mezzi di sussistenza, che da niente altro
che dalla terra si possono ottenere, e lasciare il resto alle cure segrete ed imper
scrutabili della natura perpetuatrice delle generazioni. In ogni luogo, dove un
uomo ed una donna possono discretamente vivere, ivi si fa un maritaggio, dice
Montesquieu. Quello dunque che andremo or ora divisando, intorno principal
mente alle differenti cause morali spopolatrici, deve esser preso con moderazione;
non quasi che noi intendessimo, che queste atte fossero a levar gli uomini di so
pra la terra ed a desertar le citt e le provincie, ma solamente come cause che
diminuiscono la popolazione, fra quei limiti ne' quali ella pu crescere e dimi
nuire. Cos il lusso delle nozze, cos il celibato di libertinaggio sono cause dimi
nuenti la popolazione; ma egli da osservarsi, che ambedue queste cause non si
verificano che in alcune classi le meno numerose alla campagna, nella quale
sta il forte della popolazione. Ognuno si marita; non dunque la scarsezza de'
matrimonj che pi frequentemente forma la spopolazione, ma il pronto deperi
mento de' miseri figli di miseri padri, ma l'emigrazione, ma il dispettoso abban
dono d'una terra inzuppata di lacrime, che spopolano quelle provincie, nelle
quali si vegga sensibilmente mancare il popolo.
S. XXXII. Se la popolazione utile per l'aumento del travaglio che produce
naturalmente, lo ancora perch rende pi sicuro e forte il paese. I pesi pub
blici non aumentano in proporzione dell'aumentata popolazione, ma invece la
consumazione aumenta in questa proporzione. Ora la consumazione accresciuta,
massime interna per il risparmio delle spese di commercio e di trasporto , au
menta il valor venale de' prodotti, e questi prodotti sono quelli che alla fin fine
pagano i pesi pubblici, come chiaramente si vedr a suo luogo. Dunque quando
la quantit de' pesi pubblici non ecceda il suo natural limite, utile per questo
titolo l'accrescimento di popolazione. Da ci si vede quanto sia importante il co
noscere quali siano le cause spopolatrici delle nazioni.
S. XXXIII. Varie sono le cause spopolatrici, altre fisiche ed altre morali.
Fra le cause fisiche la prima pu annoverarsi essere il clima e la situazione
malsana. I paesi rinchiusi tra monti che fermino i vapori esalanti dalla terra,
e le terre paludose e ripiene d'acque stagnanti, sia naturalmente, sia artificial
mente per alcuni generi di coltura, sono quelle in cui costantemente le malattie
sono pi frequenti, e per conseguenza le morti. L'allontanamento delle colture
richiedenti acque stagnanti dalle popolazioni cittadinesche e pi frequentate,
sarebbe un ottimo provvedimento, quando fosse sostenuto con quel vigore che
il sacro motivo della salute pubblica richiede, malgrado le querule rappresen
tanze degli interessi privati; ma il pi delle volte non necessario d'offendere la
propriet e l'uso libero di quella, senza del quale essa diventa un nome vano.
Per garantire dall'infezione d'un clima basta lasciare il corso pi libero ai generi
di nutrimento, e per conseguenza all'aumento del valor venale di quelli, perch
si veggano intorno alle citt prosperare le colture sane ed asciutte. Una delle
grandi opere, che cambiano la faccia delle nazioni, quella di dar corso alle
inutili impaludate acque e di condurle in utili canali, che servano di facile tra
sporto e di fecondatrice irrigazione, dove l'arte e la coltura lo richiegga.
Si pretende che le citt grandi aumentino e conservino la loro popolazione
a spese delle provincie e della campagna, avendo elleno sempre bisogno di nuove
DELLA POPOLAZIONE. - CAP. III. 407

reclute, poich le malattie che nascono dalla troppa frequenza d'un popolo cen
cioso e miserabile, l'accrescimento dei vizj distruttori, la crapula, il libertinag
gioviolento e micidiale nel popolo per l'addensamento delle passioni stesse rodenti
la vita, e sconnettitrici con intime scosse gli elementi primitivi della macchina
nelle persone inerti e disoccupate,fanno s che la mortalit sia maggiore nelle
citt che fuori, a segno che in alcuni paesi la sproporzione arriva da 25 a 43.
ll buon ordine e la costanza d'alcuni provvedimenti possono rimediare in parte
a queste cause spopolatrici; il che si vedr dove si tratta dell'interna polizia.
S. XXXIV. Seconda cagione fisica spopolatrice sono le malattie epidemiche
e i morbi contagiosi. Alle prime si rimedia colla perfezione e buon regolamento
della medicina, ai secondi colle provvidenze economiche. La medicina si perfe
ziona collo studio dell'Anatomia, della Storia naturale, della Chimica, e colla ri
cerca esatta delle propriet ed azioni dei corpi ; e tutte queste cognizioni non si
perfezionano senza che l'esatto ragionamento e lo spirito della filosofia abbiano
il primo grado di stima fra gli uomini. Le scienze tutte devono esser protette; col
premio si ricompensano le fatiche, colla speranza si animano le ricerche: ma le
scienze non vogliono essere pedanteggiate. Tutta la politica del legislatore si ri
duce a moltiplicare i mezzi dai quali scaturisce la curiosit, a sottrarre a poco
a poco la stima pregiudicata delle cognizioni inutili ed inesatte, ed infine a mol
tiplicare gli azzardi che producono gli uomini abili e valorosi. Il salutare fer
mento d'una discreta libert fa cadere gli errori e ripullulare la verit, meglio
che tutte le prescrizioni e i precetti che limitano l'espansiva forza degl'ingegni,
e raffreddiscono quel calore salutare prodotto dalla varia agitazione delle menti.
Ma la medicina pi dall'esperienza che dai ragionamenti prende la sua per
fezione. I fenomeni dunque a lei appartenenti non sono mai abbastanza pubblici
e noti. Se dobbiamo sperare che il tempo possa produrre un freno alle malattie
ed un limite alla mortalit spopolatrice, lo dovressimo aspettare da un regola
mento che obbligasse i medici tutti a tessere una storia delle malattie che in
traprendono a curare, senza per renderli responsali del buono o cattivo esito
dei mali fuori dei casi d'un' evidente malizia o di un equivoco inescusabile,
per non allontanare molti dallo studio d'una scienza importante e restringerla
in mano di pochi, il che sarebbe fatale al progresso di questa, come di tutte le
altre;essendopropriet delle scienze in generale, che molti debbano saper male
o mediocremente, perch alcuni pochi sappiano bene ed eccellentemente. In
questa maniera avressimo un deposito d'esperienze, per cui i mali presenti ser
virebbero di norma ed istruzione ai secoli avvenire. In questa maniera nata la
medicina, in questa solamente si perfezioner : tutte le cose ordinariamente si
perfezionano, quando invece d'alterare o di scambiare, si aiuta e si moltiplica
ci che le ha fatto produrre.
Le provvidenze economiche poi allontanano ed estirpano i morbi contagiosi.
La peste orientale dalle salutari provvidenze dei sovrani, dalle cure assidue e
vigilanti delle nazioni marittime d'Europa tenuta lontana. Il vajuolo che deci
mava le popolazioni, coll'inoculazione, invenzione benefica della vanit e galan
teria, divenuto una leggiera malattia che previene la naturale e violenta. Tante
opere eccellenti pubblicate e le felici e tranquille esperienze, se due se ne eccet
tuino molto equivoche che nella nostra citt si sono fatte, assicurano della bont
d'un metodo che il grido delle illuminate nazioni ha approvato: se non che
408 BECCARIA.

alcuni ignoranti fremono di vedere sottratta alla loro giurisdizione una malattia
s lunga , e per conseguenza cos perniciosa e s violenta.
. XXXV. Altri disordini fisici serpeggiano nelle nazioni e ne mietono insen
sibilmente la popolazione. Quanti ciarlatani che si millantano de' secreti , che
affettano una scienza occulta e misteriosa , della quale pur troppo si data oc
casione al popolo di crederne la realt coli' assoggettare le menti unicamente
all'autorit , quasi mai alla ragione. Lasciamo stare i brevi , le false orazioni ,
gl'incantesimi ed altre fole , che alla crescente luce di questo secolo svaniscono
anche dalle menti le pi credule e prevenute ; ma qual cieca confidenza non si
ha talvolta alle pi vili feminucce , a uomini erranti e per sempre sospetti , che
erbe ed empiastri ci offrono da ogni parte? La mano risoluta del legislatore deve
annichilare s fatte imposture , di cui tanti funesti effetti si sono veduti e per
cui tante vittime si sono sacriDcate da se medesime alla trepida loro credulit.
A quanti errori e a quanta ignoranza non era una volta esposta l' epoca la pi
pericolosa per due persone, cio quella del nascimento d'un uomo ? Una delle
pi sagge provvidenze, che si sian date nel nostro paese , si quella di dare
un'istruzione particolare e regolare e ragionata alle levatrici, che prima ad una
cieca consuetudine erano abbandonate.
A quale incuria ed a quali pregiudizj la tenera infanzia non assoggettata ?
Il rinchiudere i bambini ed il soffocarli in un inelastico calore , che opprime ,
appassisce e ne discioglie l' ancora imperfetta organizzazione , e privarli del
l'aria libera ed elastica, elemento sviluppatore ed animatore dei corpi viventi :
l'imprigionare i loro corpiciuoli fra le fasce , che all'espansiva forza del loro ac
crescimento pongono un limite : il rinchiuderli e serrarli fra quei rigidi inviluppi
che chiamansi busti , che le belle forme naturali viziano , e disturbano quel
moto d' inquietudine che i fanciulli hanno dalla provvida natura ricevuto , per
cui i muscoli tutti crescono di forza , di dutilil e pieghevolezza : l'alienare dal
proprio seno e dall' inimitabile vigilanza materna sottrarre i pargoletti , che ad
un mercenario amore si consegnano; tutti questi errori e pregiudizj, con un
grosso numero d'altri , hanno gi esercitata la penna dei pi illuminati filosoG ,
e qui basta l'averli accennati e certamente invano , perch la luce ancor vacil
lante della scienza , la voce ancor fiacca e tremante della ragione , le scosse in
terrotte dell' eloquenza non bastano a disciogliere il glutine della consuetudine e
della prevenzione.
. XXXVI. Le cause morali poi della spopolazione sono molto pi nume
rose e difficili a togliersi. Nei mali morali ben raro che si rimonti alle cagioni ,
le quali stanno inviluppate e nascoste fra le abitudini le pi care e famigliari ,
e qualche volta fra le leggi pi antiche e pi rispettabili.
. XXXVII. Prima causa morale spopolatrice la barbarie e l' ignoranza.
I popoli barbari ed ignoranti , privi di tutti i piaceri dei popoli colti che dissi
pano e disperdono il condensamento delle passioni , le hanno violenti e distrut
tive. Ignorano le cagioni dei mali e la sorgente dei beni ; sacrificano dunque tutto
ci che ha l'apparenza dei primi a tutto ci che sembra essere fra i secondi. In
duriti in una vita aspra e limitata ai pi inesorabili bisogni , preferiscono l' ar
dire all'industria , il coraggio subitaneo del cuore alla lenta sagacit dell'intel
letto; fra essi giacciono oscure le arti tranquille e sedentarie , e le lunghe e tarde
ricompense della laboriosa agricoltura sono ignorate e neglette. Le storie ci pr
DELLA POPOLAZIONE. CAP. HI. 409

vano le nazioni barbare sempre spopolate ; le emigrazioni stesse settentrionali


provano piuttosto barbari fuggenti dalla natura distrutta per depredare la natura
colta , che una immensa popolazione.
. XXXV11I. Seconda causa morale spopolatrice sono le maniere differenti
delle nozze , rese pi rare in diversi paesi da molte cagioni.
La prima cagione comprende tutte quelle che diminuiscono il valore dell'in
dustria , perch rendono impossibile al povero il mantenimento d' una famiglia.
necessario che la massima attivit d'un cittadino abbia tanto valore di man
tenere una moglie e tre Dgliuoli almeno , per ottenere l'accrescimento di popo
lazione. Allora l'uomo naturalmente si abbraccia al partito per lui consolante di
procurarsi una stabile compagna ed un ajuto ne' suoi figli in tempo della vec-
chiaja. L'idea d'un piccolo impero domestico , l'idea moltiplice e chiara d'una or
dinata famiglia , modificano e ristringono il vulgivago istinto naturale. Dunque
perch le nozze siano incoraggite necessario, che il valore minimo del massimo
travaglio d'un uomo rappresenti almeno cinque alimenti giornalieri , date diffe
renti maniere di vivere delle differenti classi d'uomini. Non ho calcolato in que
sto assioma il travaglio delle donne, le quali disoccupate per lo pi dal travaglio,
hanno le domestiche incumbenze e la cura dei parti in tutte le differenti epoche.
Ho ancora calcolati come eguali i cinque alimenti , quantunque nei figli siano
minori e successivi, perch il di pi serve alle crescenti ed indispensabili ne
cessit della vita , oltre l'alimento medesimo.
Seconda cagione di rarit di nozze la comoda vita dissoluta , che dall' ac
corto legislatore non sar frenata con assoluti e diretti divieti che la rendono
pi preziosa alla reattiva immaginazione , ma con ostacoli indiretti che deviino
a poco a poco dal tumulto e dal disordine, verso l'ordine pacifico e la soave
tranquillit delle unioni conjugali , l'ardente giovent.
Terza cagione di rarit di nozze , diciamolo arditamente , sono gli ostacoli
troppo frequenti che si pongono alla libera scelta dei soggetti , per la creduta
prudenza di avere per primo scopo le circostanze accessorie delle nozze. Io non
pretendo con ci , n di rovesciare l'ordine stabilito , n d'incoraggire l'immatura
giovent ad un nodo tanto pi fatale , quanto irremediabile e pericoloso nel ca
lore d'una passione predominante in una et tenera ed inesperimentata ; ma so
bene che si possono stabilire varj regolamenti , per i quali concessa una pi li
bera scelta si diano provvidenze proporzionate alla distanza che passa fra le
classi contraenti. Quanto poi risguarda all' impetuosa giovanile buona fede nel
correre in un laccio rovinoso , suppongo il freno delle leggi e l'autorit paterna
non illimitata n capricciosa , ma fino all'et in cui l'uomo capace di reggere
se stesso e di contrapporre con maturit motivi a motivi , ragioni a ragioni.
Quarta cagione di rarit di nozze il soverchio lusso e la pompa superflua
con cui sono celebrate nelle classi pi elevate , da cui prendono esempio le in
feriori. Le doti divengono sempre enormi , si cercano le pi pingui a preferenza
d'ogni altra pi naturale considerazione , e queste rimangono esauste coli' estin
guersi delle tede nuziali, invece che dovrebbero essere irremissibilmente messe a
rendita per sostenere gli accresciuti pesi domestici ed assicurare alla donna , che
ha meno risorse e meno libert dell'uomo, un qualche sicuro alimento.
Quinta cagione di rarit di nozze l'enorme disuguaglianza dei beni , origi
nata dalla indistinta e capricciosa libert di testare. Data la propriet dei beni,
410 BECCARIA -
una disuguaglianza diviene inevitabile nella societ. Alcune famiglie s' ingrandi
scono coli' estinguersi di alcune altre , e l'economo e l'avaro prepara i suoi te
sori al dissipatore. Le differenti situazioni contribuiranno sempre ad accrescere
una tale disuguaglianza. Aggiungo di pi che nelle circostanze nostre presenti ,
nelle quali , data la propriet dei beni e dato l'arbitrio ai particolari di disporre
a capriccio di tali propriet , l' immagine seducente di vivere senza travaglio si
moltiplica co' proprietarj di rendite ereditarie , necessaria una disuguaglianza
che animi ed irriti quelle passioni che scuoton la voluttuosa indolenza di chi
indipendente dai primarj bisogni ; necessario che il piccolo reddituario non 6ia
abbastanza filosofo per contentarsi della placida mediocrit del suo stato , e che
alla vista d'un pi ricco di lui s'animi d'irrequieta emulazione per pareggiarlo ;
necessario che tutte le classi dei cittadini amino d'entrare nella classe superiore,
e che veggano ci essere il premio della fatica e dell'industria, piuttosto che l'in
vidiata combinazione di fortunate circostanze. La troppa moltiplicit e bizzarria
de' fedecommessi ammucchia su poche teste , rende perpetuo in alcune famiglie
ci che dovrebb' essere la speranza e lo scopo di tutte , e che con assidua cir
colazione dovrebbe accumularsi e dividersi continuamente. Una famiglia , che
assorbisca le rendite di venti famiglie commode , non fa tanto vantaggio come
queste lo farebbero. Abbiamo detto che le classi utili debbono essere tanto pi
numerose ed incoraggile , quanto pi sono vicine alla classe produttrice ed an
nientatrice ; ora venti famiglie hanno pi bisogni che mettono in molo queste
classi , che non una famiglia sola quantunque ricca come le venti. Aggiungasi
che invece che la natura tende d'una famiglia a formarne molte , i troppi vincoli
posti alle terre, il consacrarle all'ingrandimento d'un nome ed al lusso svogliato
d'un primogenito , tendono di molte a farne una sola. La povert de' cadetti ser
peggia umile ed oscura tra 1' oro e la pompa fraterna ; ond' essi , condannati ad
uno sterile libertinaggio, all' ambizione del nome sacrificano i premj della fatica
e dell' industria, o si arruolano per necessit a quelle classi alle quali una ma
tura considerazione e superiori motivi dovrebbero condurre.
$. XXXIX. Terza causa spopolalrice la troppa diffusione del celibato.
Uomo intollerante sospendi la tua collera ! Io venero la santit del celibato reli
gioso ; ma sar sempre vero , che la troppa diffusione anche di questo sar noce-
vole alla santit medesima di un tale stato ; sar sempre vero non esser questa la
vocazione generale a cui gli uomini sono chiamati , che contraddirebbe alla na
tura , che renderebbe inutili le due met del genere umano , che delle citl
farebbe un riaustro , delle nazioni un esercito di cenobiti. Non dunque un' ere
sia il condannare la soverchia diffusione di questo stato , come lo sarebbe il non
crederne la santit e la perfezione , e la spirituale preminenza. Non dunque
un' eresia l'asserire, che il sovrano ha dalla pienezza del suo potere , dall' inalie
nabile obbligo di conservare la sua nazione , dall' indipendente sua autorit che
Dio e la ragione gli hanno concesso , l' assoluto diritto di mettere un freno e
limitare questo stalo , secondo la prudenza e la sapienza dei motivi che lo
animano.
Se questo stato si diffonde di troppo, esso diventa piuttosto apparente che
reale. Le facili e tenebrose risorse del libertinaggio compensano una privazione ,
e la natura si rivendica , ma a carico altrui e senza raccoglierne alcun frutto.
Non parlo di quel sacro celibato che nelle pi auguste funzioni della religione si
DELLA POPOLAZIONE. CAP. III. 411

occupa; non parlo di quello, che lontano dal tumulto seducente della frequenza,
si conserva incontaminato fra gli appartati ritiri d'una mesta solitudine; ma parlo
di quello, che usurpandola considerazione dovuta al vero celibato religioso ,
grandeggia nella societ solamente per scelta calcolatrice d'interesse , non per
intima spinta di motivi sovrumani. Dico che in questo caso il celibato o re
ligioso affatto, e le distinzioni mondane e i premj sociali sono alieni del tutto dal
suo scopo ; o secolare e realmente profano , e allora dovrebbe cedere in tutte
le occasioni alla classe perpetuatrice , dovrebbe soffrire dei pesi maggiori che ri
dondassero in vantaggio delle classi maritate e bisognose di soccorso. I vantaggi
dei cittadini devono essere proporzionati alle azioni utili che essi fanno nella
citt ; principio , di cui tutte le conseguenze ci condurrebbero ben lontano.
Si parlato delle cagioni della rarit delle nozze ; ma quali saranno i mezzi
onde siano incoraggile P Onde prender il legislatore il sacro fuoco col quale si
accendono in tutte le famiglie le faci nuziali ? Rispondo ; la mano che sollever
l'industria , e che dar il moto alle arti e alle fatiche , la stessa saggia mano che
distribuir sopra d'un gran numero di persone i mezzi di sussistenza , quella sar
che i nodi maritali moltiplicando fra le occupazioni utili e proficue , sottrarr
dall'inerzia e dall'opinione gli alimenti usurpati dalla infeconda dissolutezza. Ol
tre di ci necessario , che questo stato perpetuatore del genere umano sia fra
le condizioni della vita sopra ogni altro onorato. Perch abbandonarlo totalmente
ai sentimenti della natura o alla calcolatrice indagine dell' interesse, mentre ta
luni senza i gravi e pi sublimi motivi , per un volubile entusiasmo e per una
libertina avversione ad ogni legame osano sottrarre una serie di generazioni , che
aspettano di respirar aura vitale, dagli oscuri recessi dell'insensibilit ed inazione,
e carpiscono le distinzioni le pi lusinghiere , invece che dovrebbero sovente a
quella oscurit condannarsi cui condannano una numerosa posterit ? E perch
ad uguaglianza di merito non si preferisce il cittadino , che ha dato pegni ed
ostaggi alla societ e che ne forma una parte pi sensibile , all' isolato ed indi
pendente celibatario? Perch al cicatrizzato e benemerito soldato non si possono
concedere e terre e moglie onde in pace finire quei giorni che egli ha incominciati
fra il tumulto , fra il sangue, fra le angosce d' una vita durissima e le scosse
alternative d'un timido onore e dell'amor della vita ? Dirassi , ove avremo i fondi,
ove troveremo i premj ? Rispondo , dappertutto ove sono terre che non sono d'in
dividui , dappertutto ove sono stabilimenti nei quali l'inerzia premiata e inco
raggila , e riposa indolentemente sull'origliere della pubblica beneficenza.
Rispettabile union coniugale, tu i popoli dalla vita promiscua ed errante ri
chiamasti: tu dalla vista inattiva del presente alle mire perpetuatrici e migliora
trici del futuro l'attivit degli uomini provocasti: tu il furente sentimento d'amore
sotto la tranquilla dolcezza d'una soave abitudine mansuefacesti: per te la soli
tudine domestica, dove la dispettosa idea della nostra piccolezza e la tormenta
trice immagine dei mali che ci assediano, ci convelle e ci crucia, viene cambiata
in una societ dolce, intima e sicura, alleviati-ire dei dolori, eccitatrice delle pi
tenere affezioni, adiutrice nei bisogni e nelle necessit: per te le cieche spinte
d'un bisogno predominante vengono rallentate ed ordinate sotto il freno delle
leggi e sotto l'ordine sociale, ed il furore delle esclusive passioni, che isolano
gl'individui dalle mire comuni, prevenuto e impedito: per te la fervida giovent
rientra in se medesima, riordina le proprie idee, e calma ed equilibra il sorbol
412 BECCARIA.

limento delle proprie affezioni: per te il vecchio cadente, da cui tutta la natura
si stacca e si allontana, trova nell'antica compagna un'immagine ed un ricordo
de' primi anni suoi, e li piange e si consola. O umile padre di famiglia, o ar
tigiano incallito nell'affumicata tua officina, io rispetto il rozzo tuo abituro, esso
il tempio dell'innocenza e dell'onest; quando tergendo il sudore dalla fronte
dividi un ruvido pane a' tuoi figli, ai figli dell'industria e della patria, che
levano le tenere loro mani per ricercartelo; quando io contemplo l'amorosa sol
lecitudine della tua fedele compagna, acci la semplicit del governo tuo do
mestico ti sia leggiera ed utile, allora io mi risveglio dall'ammirazione che in me
destava la contemplazione del sequestrato cenobita, che ha saputo trionfare della
natura e della societ, che con s possenti inviti a s lo richiamavano.
S. XL. Quarta causa di spopolazione quella sorta di lusso, che alimenta
le classi meno utili a spese di quelle che pi lo sono; quelle spese che attaccano
la produzione nella sua sorgente, che sottraggono quella ricchezza primitiva che
serve di fondamento alla coltura ed necessaria a perpetuare la riproduzione.
Ma di ci si parler pi in dettaglio, ove tratteremo dell'importante articolo del
lusso, materia difficile non per altro, se non perch la maggior parte degli scrit
tori ha mancato di analizzare la mutabile e complicata di lui natura.
S. XLI. Quinta causa spopolatrice sono le emigrazioni. Queste da varie sor
genti sono prodotte. I. Dalla mancanza di sussistenza e di travaglio, sia assoluta,
sia relativa, cio quando popolazioni intiere fossero costrette a sostituire ad un
travaglio pi facile, uno pi penoso e difficile immediatamente. inutile di par
larne: tutta la scienza ne deve fornire i rimedi. II. Dalla grandezza eccessiva
o dalla odiosit con cui sono levati i tributi; e di ci sar parlato nel trattato
delle finanze. III. Dalle leve troppo grandi e troppo indiscrete de'soldati ne
cessit indispensabile per la nazione d'essere armata; egli un sacro dovere di
tutti i cittadini di vegliare alla conservazione del sovrano, delle leggi, della forma
stabilita di governo: ma vi deve essere una proporzione tra il numero de'soldati
e la popolazione. Egli difficile il fissarne la vera con precisione; basti per ora
il sapere, che i politici fissano come ragionevole quella di 1 12 sopra 100, onde
in una popolazione di 1,200,000 uomini, per esempio, lo stato militare dovrebbe
essere di 18,000. La vita militare sterile necessariamente; la durezza della
vita, la modicit della paga, la mobilit della dimora rendono lo stato di famiglia
quasi incompatibile con quello stato. Sembra che gli oziosi e i vagabondi do
vrebbero essere i primi soggetti alla leva militare, avanti che all'artigiano dalla
sua officina, all'agricoltore dall'aratro, e ad ambidue dal seno delle famiglie de
solate fosse permesso di sottrarsi ne' momenti d'ubbriacchezza e di momentanea
seduzione. Ma tutto ci che potrebbe dirsi intorno alla materia di reclutar soldati
Senza Violenza,spesse volte necessaria in un genere di vita dove i pi gran rischi
alle pi grandi fatiche sono riuniti, mi devierebbe troppo dal mio soggetto.
S. XLII. Sesta causa finalmente di spopolazione l'accrescimento della citt
a spese della campagna e delle arti di quella. Il soverchio ammucchiamento
degli uomini rende pi cari i mezzi di sussistenza; mezzi di sussistenza pi cari
significano, che una maggior quantit di travaglio rappresenta un minor numero
d'alimenti di quello che dovrebbe rappresentare. Allora si abbandonano le arti
utili e produttive, e gli uomini corrono nelle citt dove le arti dell'ozio e dell'in
temperanza somministrano facili e grandiose ricompense. Dunque mancati i
DELLA POPOLAZIONE. - CAP, III, 415

mezzi di sussistenza, crescer l'apparente popolazione, diminuir la vera e reale.


S. XLIII. A queste annoverate si possono ridurre le cause principali spopo
latrici. Si sono indicati, strada facendo, molti rimedi; ci che ci resta a dire
riguardo ad essi sar detto pi opportunamente nelle altre parti di questi Ele
menti. Ora solamente, dovendoci affrettare a parlare con qualche dettaglio del
l'agricoltura in quanto ella riguarda l'economia pubblica, ci baster di riflettere,
che ogni paese deve conoscere la quantit della sua popolazione, sia in generale,
sia in dettaglio, pi esattamente che sia possibile. Dico in dettaglio, perch un
tale dettaglio indica le disuguali distribuzioni, le quali se non sono proporzionate
alle circostanze fisiche del territorio, ma solamente in grazia di leggi parziali,
non fanno che caricare una parte a spese di un'altra, e con ci circoscrivere la
maggior quantit di vantaggio, che potrebbe ricavare uno Stato dal fondo totale
della propria industria e del proprio terreno. Col dettaglio della popolazione si
arriva facilmente a conoscere le cause particolari spopolatrici per rimediarvi, il
che invano si ricercherebbe dalla vaga e generale notizia della totale popolazione.
S. XLIV. In varie maniere pu determinarsi la quantit di popolazione di
uno Stato.

I. Per l'attuale enumerazione, la quale sar tanto pi inesatta quanto la pro


vincia sar pi estesa. La trascuranza inevitabile in tutte le persone che non
agiscono per proprio interesse; le negligenze inevitabili delle persone incaricate
si moltiplicano col numero delle persone medesime; moltissimi particolari hanno
interesse di celarsi, molti corpi lo fanno per politica e per timore, sovente in
giusto,per cui credono importante d'essere stimati miserabili e pochi. In una
gran provincia molti sono gli assenti e quelli che vanno e vengono, i quali va
riano considerabilmente la popolazione. Io accenno tali difficolt, meno per farle
credere insuperabili, che per indicar i punti di vista onde evitarle.
II. Dallo stato delle anime, che si tiene dai parrochi. Gli ecclesiastici cam
pano in parte sulle epoche fondamentali della vita umana, nascita, matrimoni
e morte; essi hanno dunque un massimo interesse di sapere il vero numero
componente questo ramo ubertoso di loro giurisdizione. Essi per conseguenza ci
possono somministrare le pi esatte notizie, e lo potrebbero molto di pi quando
quest'importante incumbenza di padri e di pastori fosse appoggiata a persone
d'una sufficiente coltura, le quali obbligate dall'autorit del principe, padre dello
Stato e protettore supremo della religione, tenessero questi registri non secondo
la mera eventualit, ma distintamente ed ordinatamente.
III. Si pu calcolare ne' paesi dove sia capitazione. Nel nostro paese vi sono
le teste censibili per la campagna, per i soli maschi dai 14 anni sino ai 60. Per
ogni testa bisogna computare, oltre di quella, due donne, un vecchio e tre ragazzi
tra maschi e femmine; gli uni per gli altri fanno in tutto 7 persone. Dunque
moltiplicando per 7 il numero delle teste censite, avremo appresso a poco il no
vero della popolazione della campagna, e parimenti le teste censite de' luoghi
particolari.
IV. Si numera la popolazione numerandola a case o fuochi, come si suol
dire; ad ogni fuoco si sogliono assegnare, l'uno per l'altro, 5 persone.
V. Dalla quantit di consumazione universale d'un particolare prodotto. Il
calcolo pi incerto se parte d'un tal prodotto si estrae, ancorch siavi un dazio
su tale estrazione, perch i contrabbandi considerabili lo rendono equivoco. Lo
414 ueccaria.
ancora quando, oltre la consumazione universale, si riscontrano manifatture e
consumazioni particolari per il lusso e capriccio delle persone comode.
bene di calcolare in tutte queste differenti maniere colla maggior esattezza
la popolazione, perch un metodo rettifica l'altro, e questi calcoli servono di base
a tutte le particolari operazioni economiche e formano gli elementi della cosi detta
Aritmetica Politica, la quale sola pu rendere utili ed applicabili le teorie della
scienza economica. Quando per queste differenti strade si sia arrivato appresso
a poco al medesimo risultato, possiamo essere sicuri della popolazione d'un paese.
L'ultima precisione nelle masse grandi non possibile n importante nella quan
tit, ma altrettanto necessaria nella qualit, perch ad ogni minima differenza
quella non cangia la natura degli effetti, ma ogni minima differenza di questa
un punto di divergenza verso una nuova serie di cause e d'effetti.
. XLV. Avendo ritrovato un libro francese per altro di poca importanza,
intitolato Principii d'un buon governo, stampato in Berlino nello scorso anno
17G8, una nota assai interessante compilata su diversi autori intorno a diverse
proporzioni fra la nascita, matrimouii e morte, ho creduto opportuno di tradurla
e di aggiungerla in questi Elementi. Essa pu servire di base a molte ricerche,
e ci confermer in quella massima che l'azzardo una parola vuota di senso so
lamente relativa alla nostra ignoranza delle cause, e che ci, che noi chiamiamo
eventualit e fortuna sia soggetto a regole costanti e periodiche fissate dall'or
dine eterno e dalla suprema provvidenza d'un Dio regolatore.
Il rapporto de' morti a quelli che restano in vita in un anno alla cam
pagna come 1 a 43(420, ossia 1(42: ed anno comune, prendendo dieci anni
misti di buoni e cattivi, come 1 a 38 4(10, o 1 [58 circa; nelle piccole citt
1|32, ed a Berlino 1(28; nelle grandi citt, come Londra, Roma ecc. 1(24 o 1(25.
Nelle provincie intiere questo varia: si pu prendere come un rapporto mezzano
1[35 o 1(36.
Il rapporto de' matrimonii al numero degli abitanti in un anno ha una
gran variet, perch in alcuni paesi si fa un matrimonio su di 80 persone, in
un altro non ve n'ha che 1 sopra 100 a 115. Nelle piccole citt della Marca di
Brandeburgo si fa un matrimonio sopra 98 persone; a Berlino sopra 110; alla
campagna sopra 108; a Londra come 1 a 106; nelle piccole citt d Inghilterra
come 1 a 128; in Svezia come 1 a 126; in Olanda come 1 a 64: il che non si
pu attribuire, che alla facile sussistenza che il commercio vi procura.
Il rapporto dei matrimonii ai bambini, per tutta la durata del matrimonio,
assai generalmente nelle provincie grandi di 1 a 4, o sia di 10 a 41; bench
vi sia qualche differenza secondo i luoghi e i tempi, non si osserva che la cam
pagna abbia del vantaggio a questo riguardo sulle citt.
Il rapporto dei bambini ai viventi durante un anno nei villaggi d'Olanda
come 1 a 23 1 [2. o 1(24. In quindici villaggi vicino a Parigi come 1 a 22 7(10;
in 20 citt del Brandeburgo come 1 a 24 4(10; in Svezia come 1 a 28 1)2, o 1(20;
in Inghilterra come 1 a 28 35(100, o 1(29: secondo King e secondo Short
come 1 a 29 1(2, quasi 1(30; in 1098 villaggi Brandeburghesi come 1 a 30; a
Berlino come 1 a 28; a Roma come 1 a 31 4(10. La variet essendo di 1(22
a 1|50, sarebbe difficile di voler stabilire una regola generale; il rapporto medio
potrebbe essere di 1 a 26, o 28.
Per il rapporto dei bambini alle famiglie, si consideri, che i vedovi e le
DELLA POPOLAZIONEi CAP. III. 416
Vdove continuano a governare le loro famiglie, e che per ci vi sono pi fa
miglie, che matrimonii. Secondo Short, una famiglia composta di 4 4[10 per
sone alla campagna, o sia in 10 famiglie 44 persone, e nelle citt due famiglie
consistono in 9 persone. Secondo King, una famiglia fra le persone del comune
composta di 5 Ij3, fra le persone di condizione di 5 1(3, e in generale l'una
per l'altra di 4 1[13, ossia 53 persone in 13 famiglie.
Il rapporto dei bambini alle famiglie di 10 a 65 nelle citt, ed alla cam
pagna di 10 a 67: generalmente di 10 a 66. Il rapporto di quei che muoiono
ai bambini in un anno di 10 a 12, o 13, o anche 100 a 120, o 150; d'onde
ne nasce l'aumentazione del genere umano, che ih meno di 100 anni potrebbe
andare al doppio se non vi fossero al mondo diversi ostacoli al suo accresci
mento. Nascono in generale pi maschi che femmine, 21 maschi sopra 20 fem
mine, o 26 maschi sopra 25 femmine, ci che fa vedere che la poligamia
contraria alle mire della natura. Ecco ancora un rapporto che merita l'attenzione
di quei che governano; cio dei ragazzi che muoiono nel seno delle loro madri,
a quelli che muoiono appresso le nutrici. Secondo l'autore degli Interessi della
Francia male inlesi, di 3 a 5, ci che confermato da DeparcieuX.
A queste notizie credo che sar utile di Soggiungere una tavola della proba
bilit della vita umana, cio da tal'et di ciascun uomo sapere quanti anni pu
egli sperare ancora di vita; questa tavola cavata dal libro del signor Depar-
cieux su questo argomento.

Ordite stabilito dal Sia. Kersebom Sovra i Ordine stabilito da sia. Deparciewc
Reddituari vitalizi d'alcune citt di blan sopra le lista delle To'iitine del 1689
da, ed altre osservazioni. e 1696.

l *3 .6* Vite media


o Vite medio o
m 2% il .~_^-- S* -^-
e
a
Si Anni Mesi o i-i Anni Mesi
a

0 275 1400 34 6
1 50 1125 41 9
2 45 1075 42 8
S 37 1050 45 6 30 1000 47 6
4 29 993 44 2 22 970 48 1
5 17 964 44 5 18 948 48 B
6 17 947 44 3 15 930 48 S
7 17 930 44 0 15 915 48 0
8 913 45 9 12 902 47 8
9 9 904 43 3 10 890 47 4
10 9 895 42 8 8 880 46 10
11 8 886 42 2 6 872 46 3
12 8 878 41 7 6 866 45 8
13 7 870 40 11 6 860 44 11
14 7 865 40 5 6 854 44
15 7 856 59 7 6 848 43
416 BECCARIA.

a
co > abs
o Vite medio Vite medie
a
Et O S
5o i E 3
o 5 '3
X -6 Anni Mesi 53 Anni Meei

16 7 849 58 11 7 842 42 10
17 7 842 58 5 7 855 42 2
18 9 855 57 7 7 828 41 6
19 9 826 56 11 7 821 40 10
20 9 817 56 5 8 814 40 5
21 8 808 55 7 8 806 59 7
22 8 800 55 0 8 798 59 0
25 9 792 54 5 8 790 58 5
24 11 785 55 10 8 782 57 9
25 12 772 55 5 8 774 57 2
26 15 760 52 8 8 766 56 7
27 12 747 52 1 8 758 55 11
28 12 755 51 6 8 750 55 4
29 12 725 51 0 8 742 54 8
50 12 711 50 6 8 754 54 1
51 12 699 50 1 8 726 55 5
52 12 687 29 8 8 718 52 10
55 10 675 29 5 8 710 52 2
54 10 665 28 10 8 702 51 6
55 10 655 28 4 8 694 50 11
56 10 645 27 10 8 686 50 3
57 10 655 27 5 7 678 29 7
58 10 625 26 8 7 671 28 11
59 10 615 26 1 7 664 28 2
40 9 605 25 6 7 657 27 6
41 9 596 24 10 7 650 26 9
42 9 587 24 2 7 645 26 1
45 9 578 25 6 7 656 25 4
44 9 569 22 11 7 629 24 7
45 10 560 22 4 .7 622 25 11
46 10 550 21 9 8 615 25 2
47 10 540 21 2 8 607 22 5
48 12 550 20 7 9 599 21 9
49 11 518 20 0 9 590 21 1
50 12 507 19 5 10 581 20 5
51 15 495 18 10 11 571 19 9
52 12 482 18 4 11 560 19 1
55 12 470 17 10 11 549 18 6
54 12 458 17 5 12 558 17 10
55 12 446 16 9 12 526 17 5
56 15 454 16 2 12 514 16 8
57 15 421 15 8 15 502 16 0
58 15 408 15 2 15 489 15 5
59 15 595 14 7 15 476 14 10
60 15 582 14 1 15 465 14 3
DELLA POPOLAZIONE. CAP. III. 417

a
2
Vite inedie co Vite medie
o ""a e
Et " 33
a
9 9 _ ^
*o 8.3 C
e =1
Anni Mesi Anni Mesi
E

61 13 369 13 7 15 450 13 8
62 15 356 13 14 437 15 0
63 14 545 12 7 14 423 12 5
64 14 329 12 1 14 409 11 10
65 14 315 11 7 15 595 11 5
66 14 301 11 1 16 580 10 8
67 14 287 10 7 17 364 10 1
68 14 273 10 1 18 347 9 7
69 14 259 9 7 19 529 9 1
70 14 245 9 2 19 510 8 8
71 14 231 8 8 20 291 8 2
72 14 217 8 2 20 271 7 9
73 14 203 7 9 20 251 7 4
74 14 189 7 3 20 251 6 11
75 15 175 6 10 19 211 6 6
76 15 160 6 5 19 192 6 1
77 15 145 6 0 19 173 5 9
78 15 130 5 8 18 154 5 4
79 15 115 5 4 18 156 5 0
80 13 100 5 0 17 118 4 8
81 12 87 4 9 16 101 4 5
82 11 75 4 5 14 85 4 1
83 9 64 4 1 12 71 5 10
84 10 55 3 8 11 59 5 6
85 9 45 5 4 10 48 5 2
86 8 36 3 1 9 38 2 11
87 7 28 2 10 7 29 2 8
88 6 21 2 7 6 22 2 4
89 5 15 2 5 5 16 2 0
90 5 10 2 2 4 11 1 9
91 2 7 2 0 5 7 1 6
92 2 5 1 9 2 4 1 3
93 1 3 1 6 1 2 1 0
94 1 2 1 0 1 1 0 6
95 1 1 0 6 0 0 0 0

I numeri 1, 2, 5 ecc. fino al cento nel margine dinotano l'et per tutte le
altre colonne. La larghezza di ciascheduna delle gran colonne suddivisa in tre
altre. I numeri della prima di queste tre colonne dinotano la quantit delle per
sone che restano ad ogni et; per esempio, secondo Kerseboom, di 1400 fanciulli
nati non ve n'ha che 1125, che arrivino all'et d'un anno completo: 1075 all'et
di due anni: 964 a quella di 5 ecc. Secondo l'ordine stabilito a norma della
lista delle Tontine, di 1000 reddituari che hanno l'et di 5 anni, ne muoiono
30 il primo anno, 22 il secondo, e cos in seguito; quindi non ne restano che
Econotn. Tomo III. 27.
418 BECCARIA.

948 all'et di 5 anni, 880 all'et di 10, 754 a quella di 50 ecc. Si pu dunque
scommettere 726 contro 8, o 90 1[4 contra 1, che un reddltuario dell'et di 50
anni non morr nello spazio d'un anno, perch di 754 reddituari dell'et di 50
anni ve he saranno 726 che faranno guadagnare, e 8 che faranno perdere. Pare
che si potrebbe col mezzo del suddetto esempio, servendosi dell'ordine di mor
talit del signor Kerseboom, trovare la scommessa che si pu fare sopra l'et d'un
marito e di sua moglie. Non si allontanerebbe dal vero per gli abitanti della
campagna; ma nelle citt le donne sono un poco pi esposte degli uomini, (lu
che elleno sono in et d'aver figliuoli, perch non allattandoli, gli accidenti pro
dotti dal latte cagionano in esse delle gran rovine, ne fanno morir talune o in
deboliscono considerabilmente il temperamento delle altre.
La terza colonna d'ognuna delle due grandi, contiene la vita media delle
persone di tutte le et, cio il numero d'anni residuo di vita d'ognuno, uno com
pensando l'altro-, per esempio, secondo Kerseboom, le persone d' et d'anni iiO
hanno ancora a vivere anni 19 e 5 mesi: ecco la regola per trovare la vita media
di 118 reddituari ottuagenari. Si sommino insieme tutti i numeri delle persone
che restano in vita ogni anno, cominciando da quella di cui si cerca la vita co
mune inclusive fino all'ultima; nel caso proposto 6i sommino i numeri 118, 101
85 ecc. La somma che sar 612, si divida per 118, il primo di quelli che s
sono sommati, che il numero del problema, ed il quoto che sar cinque anni
e 2 mesi, dai quali detratti sei mesi, il residuo 4 anni e 8 mesi la vita media
comune ricercata. Si levino 6 mesi dal quoto, perch con questa maniera di
calcolare si suppone che tutti muoiano al fin dell'anno, invece ohe si deve sup
porre che muoiano alla met; si sono perci computati 6 mesi di pi, che vanno
levati dal quoto fatta la divisione.
La tavola del signor Kerseboom serve per tutti indistintamente, poich oltre
le osservazioni fatte sopra le lille delle Tontine e rendite vitalizie, si servito
dei lumi comunicatigli dai letterati d'Inghilterra, oltre moltissime riflessioni fatte
sopra le liste di mortalit dell'Olanda, Francia e d'una porzione della Germania;
pu dunque servire di norma generale, quando il clima non facesse nascere
difficolt ed inesattezze.
La tavola del signor Deparcieux serve per i reddituari vitalizi, i quali in pari
numero muoiono pi tardi degli altri, perchi I. I parenti che danno danaro a
censo vitalizio in testa d'un loro ragazio, fanno l'investita per quello che di
miglior complessione, e generalmente quelli che sono d'una salute delicata vivono
meno degli altri. II. Quelli che fanno l'investita in testa propria, non la fanno
se temono di malattia. III. Quelli che danno danaro a censo vitalizio, non sono
n i gran signori, n 1 miserabili, la salute de' quali in cattivo essere per lo pi
in un'et avanzata, de' primi per troppa abbondanza, de' secondi per troppa in
digenza; ma sono i buoni cittadini, che hanno un'onesta mediocrit fra questi
estremi.
L'autore da 5700 ragazzi, nati a Parigi, ha trovato che la vita comune di
anni 21, mesi 4, compresi gli aborti, e non compresi questi, anni 25, mesi 6; dalla
parte di Laon la vita media de'ragazzi di 57 anni, e d'anni 41 nella Bassa
Linguadoca. A Parigi i bambini delle persone comode muoiono meno di quelli
del basso popolo. I primi prendono le balie in Parigi e nei contorni, sempre a
porlata di vedere i loro figliuoli; ma il popolo minuto non potendo far questa
DELLA POPOLAZIONE. - CAP. III. 419

spesa, non li vede che quando sono slattati. In generale ne muore pi della met
a balie, il che deriva in gran parte dal difetto di cura di queste donne. Sia il lor
latte cattivo, vecchio o insufficiente, o che si slattino i bambini troppo presto, o
dando porzione del loro latte ai propri figliuoli, pregiudicano a quelli per cui
sono pagate, essendo i parenti troppo lontani per abbadarvi. A questo non vanno
soggetti i figliuoli di quelle madri, che vivendo alla campagna allattano i propri
figli; ma nei contorni di Parigi i figli della povera gente vivono in generale meno
che nelle provincie lontane. Le madri de' contorni di Parigi fanno il mestier di
balie, slattano i loro bambini in capo a 5 o 6 mesi, gli ammazzano per cos dire,
e lor guastano il temperamento non lasciando loro il naturale nutrimento per
tutto il tempo necessario, sostituendovene uno che non a portata del loro sto
maco ancor troppo debole per digerirlo, o che non digeriscono che con fatica.
Dipende singolarmente da questo punto principale la longevit della vita. Nelle
provincie lontane gli uomini sono robustie vigorosi, e faticano egualmente e co
munemente con forza e coraggio all'et di 70 o 80 anni, come nei contorni di
Parigi all'et di 50 o 60.
L gli uomini grandi e ben fatti son tanto comuni, quanto gli uomini piccoli
e malsani ne'contorni di Parigi. Egli vero che vi son molte donne, che per il
loro stato o per naturale impossibilit non possono allattare i propri figli. Ma
ve ne sono altres molte, alle quali non dovrebbe essere permesso di confidarne
la cura ad altre. V'ha anzi in ci un difetto di tenerezza, che fa vergogna al
l'umanit. Ogni altro dovere non dovrebbe egli cedere a questo nel cuor delle
madri tenere ed affettuose? I doveri del rango o le ragioni d'interesse sono elleno
in Francia, e soprattutto a Parigi, d'un'altra specie che in Germania, in Olanda,
in Inghilterra ecc., dove quasi tutte le donne,fin quelle della maggior distin
zione, allattano i propri figlioli? Nel 1745 la principessa di Nassau figlia del
re d'Inghilterra allattava ella medesima la principessa d'Oranges sua figlia, ed il
duca d'Orleans reggente era stato allattato da madama principessa Palatina sua
madre: esempi cos lodevoli e cos rispettabili non dovrebbero essere pi imitati
che non sono? Le donne sono elleno meno madri in Francia, che ne' suddetti
paesi? E se si trovano di quelle, alle quali questo titolo rispettabile non ispiri
tanta tenerezza che basti per far loro adempire il primo ed il pi caro di tutti i
doveri, sar biasimabile una esatta polizia che vi dasse provvedimento? Ne ri
sulterebbero molti vantaggi: le madri ed i figliuoli sarebbero reciprocamente pi
attaccati e goderebbero d'una miglior salute; elleno ne avrebbero meno e ne alle
verebbero di pi, e lo Stato avrebbe pi sudditi. Mi sono diffuso sopra le vite
medie,perch troppo generalmente dilatato il pregiudizio che la vita comune
de' bambini in generale molto minore; gli uni la dicono di 14, altri di 15, ed
altri di 16 anni. Il mondo non riceve impressione che per quelli che muoiono,
sopra tutto se sono reddituari vitalizi,perch alla morte d'ognuno di questi si
grida che lo Stato guadagna a far delle rendite vitalizie; non si abbada mai a
quelli che godono d'una rendita vitalizia durante 60 e 80 anni e pi, che non
cos raro come si suppone; ma non si vuole abbadare a quelli che vivono molto;
si teme in ci, come in tutte le altre cose, di trovar delle ragioni che distrugge
rebbero i pregiudizi adottati.
Il signor Deparcieux soggiunge, che dalle moltiplicate osservazioni fatte so
pra i necrologi comunicatigli da diversi ordini religiosi, risulta che generalmente
420 BECCARIA.
i religiosi vivano ora pi lungamente che altre volte, e che le monache vivano
pi dei frati; il che sembra confermare quello che dice il signor Kerseboom, che
un numero qualunque di donne vivano pi tra loro, che un numero pari d'uo
mini secondo la proporzione di 18 a 17. Ei dice che tutte le donne, che nascono
in un luogo, vivono quanto gli uomini; ora il numero de' maschi, che nascono
in un luogo durante un lungo periodo d'anni, al numero delle femmine come
18 a 17 in circa, come si osservato in Inghilterra, e si pu vedere alla fine
della seconda edizione dell'Analisi de' giuochi d'azzardo del signor di Montmor.
Ha se egli vero che tutte le donne insieme vivano quanto tutti gli uomini, le
loro nascite essendo a quelle degli uomini come 17 a 18, bisogna che la lor vita
media sia quella degli uomini come 18 a 17. Tutto il mondo crede che l'et di
40 a 50 anni sia un tempo critico per le donne; non so se esso lo per loro pi
che per gli uomini, o pi per le donne del secolo che per le religiose; ma in
quanto a queste ultime non se ne accorge, confrontate le liste della loro mortalit
con quella degli altri.
Il signor Deparcieux ha osservato ancora, che sul principio i religiosi e reli
giose muoiono meno che i secolari, ma quando arrivano all'et di 45 in 50 anni,
muoiano molto pi presto; e ci deve esser cos per tre ragioni. 1. 1 claustrali
sono molto meglio scelti de* reddituari, ed oltre alla visita, sono obbligati sotto
scrupolo di coscienza a dir se credono d'avere qualche malattia segreta, ed il
noviziato serve tanto ai superiori per provare la salute ed il temperamento de*
novizi, quanto a questi ultimi per provar la regola. II. Quando i claustrali hanno
passato un tempo di 15 o 20 anni, la loro salute comincia ad alterarsi per le
astinenze, digiuni, fatiche e pi di tutto per la mancanza di cura esteriore del
loro corpo, di cui la maggior parte non si piccano gran fatto. III. Quelli che
un buon temperamento fa arrivare ad un'et un po' pi avanzata, potrebbero
andar pi oltre se avessero nei conventi mille piccole dolcezze che non hanno
e che i secolari trovano a casa loro, non solamente i ricchi, ma quelli ancora
che non sono che mediocremente agiati, e perfino i semplici artigiani che sappiano
tener un buon sistema d'economia. Avendo Deparcieux paragonato gli ordini di
mortalit de' religiosi e quello de' reddituari con quello del signor Kerseboom,
rilev essere un pregiudizio il credere che i claustrali vivano pi de' secolari,
scelti come sono, dovrebbero vivere molto pi o aver le loro vite medie mollo pi
lunghe di quelle de' reddituari, ma in fatto sono pi corte. Nasce questo errore
dal non giudicare che dalle apparenze. Vi sono, a dir il vero, de' vecchi clau
strali, ma molto meno che non si crede; questo un fatto che non si pu porre
in dubbio, senza negare l'esattezza de' loro necrologi.
Secondo l'ordine del signor Kersoboom, se si supponga che nascano in una
citt 1400 fanciulli in un anno, e che in essane entri, n esca alcuno, vi saranno
1125 ragazzi di un anno, 1075 di due, 1050 di tre anni ecc. Sommati questi
numeri assieme, l'aggregato 48,956 sar la quantit di persone di ogni et che
sono in quella citt. Ma siccome muoiono ogni anno quanti ne nascono, cio
1400, di cui 275 il primo anno di fanciullezza, 50 nel secondo, 45 nel terzo, e
cos in seguito, come notato nella colonna de' morti; dividendo come sopra la
somma 48,956 per ci che ne nasce e ne muore ogni anno, il quoto 55 d a
divedere che nasce e che muore ogni anno la 35* parte degli abitanti di essa
citt. Se da questo quoto 55 se ne diminuiscono sei mesi, si avr di nuovo la
DELLA POPOLAZIONE, - CAP., III, 421

vita media come per l'avanti. Soggiunge il Deparcieux, che si suppone che il
numero de' nati eguagli ogni anno quello de' morti, perch quantunque perisca
tutto quello che nasce, fuor di dubbio che il numero delle persone viventi an
drebbe aumentandosi, se non succedessero tratto tratto degli accidenti, come
guerra,peste,fame e simili mali, che diradassero gli uomini; si aggiunge per i
paesi cattolici l'aumento che produrrebbero tutte le figlie che si chiudono ne'con
venti, se elleno si maritassero in luogo di farsi monache, e seppellire con se
stesse anche la loro posterit; e ci non ostante, quando la pace dura assai, non
si mandano delle colonie a popolare altri paesi? dunque vero che in un tempo
uniforme il mondo deve andare aumentandosi, ovvero che i nati ogni anno devono
superare i morti; ma la differenza, che questo aumento recherebbe alla conse
guenza che si cava dall'accennata supposizione, pu essere riguardata come
niente per il soggetto di cui si tratta, poich tutto ci non si deve riputare che
come un appresso a p0c0.
Nelle citt grandi, come Parigi, Lione, Rouen, Bordeaux, dove sempre un
gran concorso di gente, il numero de' morti minore che nelle citt piccole,
perch supposto che nelle citt piccole ne muoia 1155, come si vede nell'ordine
stabilito della mortalit dal Kerseboom, ne morr al pi 140 nelle citt grandi
per due ragioni. I. V'ha continuamente in queste citt una quantit considerabile
di persone che viaggiano, padroni, servitori, operai che non vi rimangono che
un dato tempo, e quindi se ne ritornano a casa loro o altrove. vero che du
rante il loro soggiorno la morte pu coglierli egualmente che i propri abitanti,
ma si rifletta che quelli che viaggiano lo fanno in quell'et nella quale minore
la mortalit; non si viaggia ordinariamente prima dei 15 o 18 anni, e si esce
poco fuor del proprio paese dopo i 40, o 50; sicch i viaggiatori d'ogni sorta
vanno nelle citt grandi dopo aver passata la mortalit dell'infanzia, e se ne ri
tornano prima che arrivi la mortalit della vecchiaia: d'altronde quelli che viag
giano sono quasi tutte persone, che sono in buono stato di salute. II. La pi
gran mortalit essendo sempre ne' bambini, succede che in Francia ella molto
minore nelle citt grandi in proporzione di quello che dovrebbe essere, che al
trove,perch si mandano ad allattare i bambini 4, 6 e 10 leghe lontano, da
dove non si richiamano che all'et di 2, 5, o 4 anni, e allora ne son morti pi
della met per le ragioni sopra allegate. Questo numero si trova rimesso da al
trettante pi o meno persone, le quali abbandonano la campagna per venire a
stabilirvisi, la maggior parte operai o servidori d'ogni sesso, che arrivano all'et
di 15, o 18 anni dopo essere evasi in casa propria alla mortalit dell'infanzia.
Quindi ne segue, che le citt grandi scarseggiano di persone dalla nascita fino
all'et di 15, o 18 anni, in proporzione di ci che ve n'ha nelle altre et.
Il parroco di S. Sulpizio di Parigi ha fatto stampare lo stato de' battezzati e
de' morti dal 1715 fino al 1744. Si vede da questo stato che nello spazio di
30 anni sono morte in quella parrocchia 17 donne nubili, maritate e vedove
all'et di 100 anni, e solamente 5 uomini; sono morte 126 donne, e solo 46
uomini al di l de' 90 anni; le donne vivono dunque pi lungamente degli uomini.
Il numero totale degli uomini d'ogni stato minore di quello delle donne di
954; vi sono avanti l'et di 10 anni 96 fanciulli morti pi che figlie, e pi gio
vani scapoli morti fra i 10 e 20 anni che figlie o donne; non sembra adunque
che questa et sia pi critica per i giovani che per le figlie. Vi son 10,157 donne,
422 BECCARIA.
8751 uomini morti dopo 1 30 anni. Se il numero delle donne morte in ogni et
In particolare fosse proporzionale a quello degli uomini riguardo alle due somme
totali 10,137 e 8751, che restano a morire dopo i 30 anni, dovrebbero esservi
2556 donne morte dai 50 fino ai 45 anni, e non ve n'ha che 2315; dovrebbero
esservene 5042 dai 45 sino ai 60, e non ve n'ha che 2422. Se si deve giudicare
adunque da questo stato, l'et di 30 e 60 anni pi critica per gli uomini che
per le donne. Il numero totale degli uomini scapoli morti maggiore di quello
delle figlie, perch vi son pi giovani che non si maritano che figlie; dippi la
cura di s. Sulpizio piena di case grandi, in cui sono molti servidori tanto maschi
come femmine nubili. Si vede da questo stato d'anime meno uomini maritati
morti, che donne maritate, perch vi sono ben pi uomini che si maritano due
o tre volte, che donne, essendo 1 primi molto pi soggetti delle donne a trovarsi
vedovi in un'et poco avanzata, a cagione delle conseguenze de' parti; e perch
eglino trovano pi facilmente da rimaritarsi che le donne vedove; soprattutto
se queste sono cariche di figliuoli, perci si vedono pi vedove che vedovi. Vi
sono pi donne, che uomini maritati, morte prima de' 20 anni per due ragioni.
I. Perch si maritano pi figlie che giovani prima dei 20 anni. II. Le conse
guenze de' parli sono, come si detto altre volte, funestissime alle donne che
non allattano i proprii figliuoli. Le due medesime ragioni sussistono sino ai 30
e 45 anni. Il numero degli scapoli morti dopo i 20 anni un po' pi della met
della somma degli uomini maritati e vedovi, morti dopo la medesima et. Non
v'ha che 6 scapoli e 43 mariti e vedovi che abbian passato i 90 anni. Il numero
delle figlie morte dopo i 20 anni quasi il quarto della somma delle donne ma
ritate e vedove morte dopo la medesima et; non vi sono per che 14 figlie, e
vi sono 112 donne che abbiano passati 1 90 anni. Sembra dunque confermarsi
quanto ho detto di sopra, che si vive pi nel matrimonio che nel celibato. In 30
anni sono stati battezzati nella parrocchia di s. Sulpizio 69,600 bambini, de"
quali 35,531 maschi e 34,069 figlie; il che appresso a poco come 24 a 23.
Dal 1720 in poi si battezzarono ad anno comune in Londra 17,600 bambini
all'anno, e muoiono 26,800 persone. Invece degli stati dell'anime delle parroc
chie di Parigi si rileva, che si battezzano in questa citt un anno per l'altro 18,300
ragazzi, e muoiono 18,200 persone. Il numero de' forestieri appresso a poco
eguale nelle due citt. Ma a Londra le madri allattano i proprii figliuoli, e per
questo vi si ha in generale la mortalit di quelli che vi nascono e di quelli che
vengono a stabilirvisi; in luogo che a Parigi le madri non allattando l proprii
bambini, non si ha la mortalit di quelli che muoiono a balia, de' quali il nu
mero grande.
PARTE SECONDA.

DELL'AGRICOLTURA POLITICA.
Jv I. Sarebbe inopportuno di qui ripetere gli inni e gli elogi che i pi grandi
scrittori hanno tessuto in favore dell'Agricoltura; baster al politico per apprez
zarla, incoraggirla e promuoverla, il conoscerne l'utilit e la necessit per l'opu
lenza degli Stati, il sapere, che gli utili che ella produce sono i pi durevoli
contro l'urto de' secoli e contro le vicissitudini delle politiche combinazioni, e che
questa sorta di travaglio ha per base la costanza della natura, e gli altri l'inco
stanza degli uomini ; baster al saggio ed al filosofo, per amarla e studiarla, il
considerare la natura d'una tale occupazione. La moltiplicit delle di lei opera
zioni sempre animata e sostenuta da sempre nuove e lentamente crescenti utili
produzioni. Mille sentimenti aggradevoli si eccitano in noi nel nutrire ed educare
sostanze dalle quali trapela un debolissimo raggio di vita, e che coronano con
un premio certo e non rimproverato la dolcezza ed indipendenza delle nostre oc
cupazioni. Ivi si riunisce il doppio vantaggio del manuale e corporeo esercizio
nell'aria libera ed aperta, che conserva un'allegra e pacifica sanit, con quello
di esercitar la mente in sempre nuove combinazioni, e di spingere il pensiero in
dagatore nelle segrete e magistrali strade della natura. Finalmente pu il filosofo
esercitar la sua beneficenza sull' innocente e tranquilla popolazione de' campi e
fra i compagni della sua fatica, fra quelli che sotto la sua direzione sudano sui
pesanti vomeri al cocente raggio del sole dividere il frutto della sua industria, e
ricreare le umili generazioni degli uomini nella pace e lontano dal vortice inquieto
della citt.
. II. Sarebbe un escire dal mio istituto il qui dare 1 precetti fisici dell'agri
coltura, I quali richiederebbero una cattedra a parte, e ben pi di questa una
non interrotta serie di diligenti sperienze e ricerche. Innumerabili libri sono stati
scritti su questa materia, pochi sono che meritino d'essere letti, e ben pi pochi
die siano adattati alle comuni circostanze. Fra gli antichi, Catone, Varrone, Col-
lamella, Palladio; fra l moderni varii in varie nazioni. Ma la maggior parte di
(juesti hanno piuttosto osservata che tentata la natura, ed hanno piuttosto inda
gati gli ultimi suoi risultati che le primitive sue operazioni nel produrre l vege
tali ; essendo lunghi i periodi della loro riproduzione , e moltiplici le variet
delle circostanze delle terre e dei climi. 81 trovano moltiplici e contraddittorii pre
cetti fra gli scrittori, e si generata una diffidenza anche maggiore del bisogno
ne' coltivatori ; onde quest' arte e questa scienza primogenita delle altre fu ab
bandonata alla cieca e lenta pratica ed alla limitata sagacit dei pi rozzi agri
coltori. Fra i moderni per non sono mancati eccellenti uomini, che si sono sfor
zati di cercare le strade generali e i pi secreti processi della natura nella vege
tazione. Hales nella Statica dei vegetabili, Tuli nel suo Nuovo Sistema, Home nei
Principii della vegetazione, Bonnet nelle sue Osservazioni sopra Fuso delle
foglie, Duhamel poi in tutte le eccellenti sue opere d'agricoltura, l'hanno assog
Y' BECCARIA.

gettata alla fisica, alla meccanica ed alla chimica, dalle quali scienze pu solo
acquistare la sua perfezione ed ingrandire le sue viste col mezzo dei filosofi colti
vatori, per passar poi alla imitatrice pratica dei contadini, i quali dalle sole e ri
petute esperienze possono essere ridotti al penoso cangiamento degli abituali loro
metodi di operare.
. III. Nostro scopo solamente d'indagare i mezzi, onde l'agricoltura si
perfezioni e si animi , quale influenza abbiano nell'opulenza degli Stati le di
verse produzioni d'essa, qual proporzione debba passare fra le produzioni di
verse delle terre e le arti e professioni degli uomini, come debbano esser dirette
le sovraccennate produzioni, e quali siano e come devono essere rimossi gli osta
coli che si oppongono all'agricoltura medesima.
Per agricoltura politica noi intendiamo la direzione delle cinque arti primi
tive del genere umano, dalle quali le altre tutte scaturiscono, cio agricoltura,
pastorale, pesca, caccia, metallurgia. Noi incominceremo dalla prima, come dalla
pi interessante.

CAPO 1.

Degli ostacoli che si oppongono alla perfezione dell'agricoltura,


e dei mezzi di levarli.

. . IV. Nelle cose tutte, nelle quali l'interesse nostro complicato, non ne
cessario di far niente altro che di rimovere gli ostacoli, che si oppongono allo
sviluppamento di questa forza primitiva dell'animo nostro.
L'interesse comune non che il risultato degl' interessi particolari, e questi
interessi particolari non si oppongono al comune interesse, se non allorch vi
sieno cattive leggi che li rendano contraddittorii tra di loro ; ma nelle cose verso
le quali siamo da una parte spinti dal bisogno, e dall'altra ritenuti dalla fatica
e dal dolore, l'uomo divide per cos dire le sue tendenze ed inclinazioni, cosic
ch procuri di combinare la fuga del disagio colla soddisfazione del bisogno.
. V. Da questo fenomeno del cuore umano egli facile il vedere quali siano
gli ostacoli che si oppongono ai progressi dell'agricoltura, la pi faticosa e di
spendiosa delle arti, perch le saranno ostacoli tutte quelle combinazioni che
aumentano l'incomodit ed il disagio attuale degli affaticanti; quelle che le im
pediscono o il frutto o anche solo la speranza del frutto delle fatiche medesime;
quelle finalmente, che tendono a diminuire nella mente dell'uomo il timor dei
mali con cui l'inerzia punita, ed il chiaro concepimento de' beni con cui l'in
dustria ricompensata.
Da ci noi chiaramente vedremo che lutto si riduce ad un solo principio,
cio l'avvilimento del prezzo de' prodotti, per cui le terre vanno a poco a poco
a ritornare incolte, e per cui gli uomini si allontanano dispettosamente dall'av-
vilito aratro per gettarsi nelle pi sedentarie e lucrose occupazioni delle citt.
Dunque gli ostacoli, che andremo ancora piuttosto accennando che minutamente
annoverando, sono quasi tutti effetti necessarii e conseguenze pi o meno imme
diate dell'avvilimento della sola e vera ricchezza delle nazioni.
osTAcoLI ALLA PERFEzioNE DELL'AGRicoLTURA. cAP. 1. 425

S. VI. Primo ostacolo: diminuisce i progressi dell'agricoltura l'imperfezione


degli stromenti villerecci, quali sono quelli che pi facilmente suggeriscono alla
mente de' rozzi coltivatori, non quelli che sarebbero pi utili; l'abitudine li con
serva con ostinata affezione, e l'inerzia dell'uomo non gli permette di scorrere
verso il nuovo, difficile ed insueto, se non balzato dagli urti dell'imperiosa ne
cessit. Quindi i contadini riterranno eternamente le antiche foggie de' loro aratri,
le pesanti ed anguste forme de' loro carri, e tutto il resto del rustico loro cor
redo, se non vengono loro suggerite e messe sotto gli occhi migliori e pi co
mode forme d'istromenti da lavoro. Egli su questi rispettabili monumenti del
l'opulenza degli Stati, che dovrebbe meditare e tentare il sagace meccanico, il
quale sappia quanto sia difficile per una parte il riunire la semplicit ed il ri
sparmio de'mezzi alla prontezza ed estensione delle di lei operazioni, e per l'altra
quanto i vantaggi di tali ritrovati estendano per tutta la durata de' secoli e delle
nazioni.
S. VII. Secondo ostacolo la poca cura che si ha della classe pi laboriosa
e pi utile alla societ, sia per la natura de'cibi, dell'alloggio, delvestito, come
per il frequente abbandono de' soccorsi pi necessari nelle loro malattie. Un
pane ruido e nero, l'acqua sovente torbida e limacciosa, poco vino acido ed im
maturo, alimenti rancidi e nauseosiformano il nutrimento dell'instancabile agri
coltore. Laceri e vestiti di lordi cenci, nelle angustissime case si costipano le
numerose famiglie, o fra l'alito denso e corrotto degli animali si riparano dal
freddo. Questo il destino de'nostri fratelli; a ci li condanna una ferrea neces
sit per nutrire le sdegnose e frivole nostre voglie.
Ma perch vado io rivolgendomi intorno a queste miserie, se esse sono non
una conseguenza necessaria dello stato di coltivatore, ma bens un effetto della
maniera con cui l'agricoltura viene esercitata ne' luoghi dove se ne avvilisce per
ogni verso il prodotto, dove per moltiplicar le ricchezze di segno e di conven
zione s'inaridiscono le sorgenti, e si esauriscono le fonti di tutti i beni e co
modi della vita?
Io non pretendo di approvare il chimerico progetto di render gli uomini co
modi e agiati: questa idea distrugge se medesima. La fatica di nessuno produr
rebbe il disagio di tutti. Ma solamente io pretendo di mostrare come dalla sola
sopra indicata sorgente diramino tutte le cagioni che impediscono la perfezione
di quest'arte primitiva. L'avvilimento del prezzo de' prodotti diminuisce il pro
dotto netto nelle mani de' proprietari; questi avidi delle ricchezze, ed accostu
mati allo splendore ed alle pretensioni del loro rango, strappano di mano al
coltivatore il pane della necessit; rade volte i contadini sono in istato di pro
cacciarsi un avanzo da un debole raccolto, per il quale avanzo non solamente
potrebbero soddisfare al bisogno della vita, ma anche rifonderne sulla terra una
porzione per ottenerne da quella in seguito una pi abbondante ricompensa. Le
idee sono cangiate su questo punto ad un segno, che invalso ne'politici il bar
baro assioma, che il contadino quanto pi miserabile ed oppresso, tanto pi
industriosamente ed indefessamente lavora: tanto vero che gli uomini confon
dono le idee pi chiare e luminose, solo che l'interesse lo consigli. Altre sono le
risorse della necessit ed altri gli effetti della prosperit. Gli uomini vogliono vi
vere in qualunque modo; egli chiaro adunque che dal mezzo dell'oppressione
l'industria eserciter i maggiori suoi sforzi; ma egli chiaro ancora che gli ef
426 BECCARIA.

fatti saranno lenti e stentati; e non paragonabili con quelli che sono prodotti
dal coraggio e dalla speranza d'una prosperit che va sempre crescendo.
Questa parte sostenitrice delle nazioni abbandonata spesse volte alla mise
ria, al languore delle malattie ed all'incomodo trasporto negli spedali, lungi dalla
minuta e tenera assistenza delle care famiglie, sotto la dura e negligente tutela
d'uomini indifferenti ed incallitifra le sofferenze de' miserabili. ci un ajuto
per la perfezione della medicina ed anche un illustre monumento della vera
pubblica beneficenza, ma non il migliore soccorso contro i morbi e la mortalit.
Vorrei che pi davvicino ai loro alberghi, o in questi medesimi fossero alleviati
dai loro malori; io credo che dall'una parte vi guadagnerebbero i miserabili, e
dall'altra l'erario pubblieo, col risparmio di molti salari e di molti disordini che
nell'avvicinamento delle grandi ricchezze sono inevitabili, e col vantaggio di
spandere in tutto lo Stato i monumenti e gli esempi della pubblica beneficenza.
Vorrei ancora col voto comune de'pi illuminati politici, che quella classe
rispettabile che destinata alla sacra istruzione della religione, cio i pastori e
parrochi che vegliano per il bene comune delle anime, estendessero ancora le
loro mire e i loro lumi al di l d'una teologia sempre rispettabile, ma sovente
inutile fra l'uniforme e semplice maniera di vivere degl'ignoranti contadini, e che
ad una spesso bizzarra e tortuosa casuistica sostituissero i lumi dell'agricoltura
e della medicina. Non mancano certamente in questo venerabile ceto persone
capaci di adempire cos salutari oggetti; ma l'educazione ricevuta, le prevenzioni
dello stato, il non esigersi tai lumi da loro, come condizioni essenziali al loro
ministero, ne renderanno sempre troppo scarso il numero.
S. VIII. Terzo ostacolo la mancanza d'istruzione nelle persone medesime
che vivono alla campagna. Esse non debbono ammollire le rigide membra sui
sedentari studi, n debbono correre una carriera che loro renderebbe abituale
la noja, e farebbe loro desertare l'arte fondamentale della societ; ma non perci
debbono essere condannati ad una totale ignoranza, che non d loro i mezzi di
conoscere il proprio stato e tutte le di lui risorse, onde non sanno trovare altro
rimedio per garantirsi dai mali che li circondano, che a spese del giusto e del
l'onesto. Il leggere, lo scrivere, i conti, gli elementi metodici, semplici e chiari
della loro professione, una morale dolce ed insinuante, dovrebbero formare
l'unica loro erudizione e tutta la loro sapienza; la quale per basterebbe a dare
un ordine alle loro idee, e a renderli pi dolci ai progressi dell'agricoltura e pi
sagaci indagatori dei propri vantaggi, mentre che imparerebbero di pi a calco
lare gl'inconvenienti e i mali inevitabili, a cui le cattive azioni sono condannate,
e la di cui ignoranza forse la pi frequente cagione dei delitti dell'ultima classe
degli uomini.
S. IX. Quarto ostacolo la difficolt de'trasporti, i quali arenano le derrate
e ne aumentano il prezzo, senza che l'aumento di questo prezzo cada in vantag
gio della parte industriosa e produttrice. Le strade degli Stati sono come i ca
nali dove scorrono i fluidi nei corpi viventi; e come non basta che questi siano
sicuri e liberi da ogni intoppo, ma i minimi ed invisibili canali debbono essere
aperti e facili allo scorrere del fluido animatore, cos ne'corpi politici non sola
mente debbono essere sode e durevoli le strade che conducono alle superbe citt
l'instancabile viaggiatore, ma quelle ancora che servono a tutta l'interna distri
buzione delle cose contrattabili in tutte le diverse parti di una provincia. L'aver
OSTACOLI ALLA PERFEZIONE DELL'AGRICOLTURA. CAP. I. 427

cura solamente delle cos dette strade maestre, ed il negligentare le strade di


traverso, le quali sono quelle, che pi delle altre servono al trasporto di tutte le
cose per tutto l'Interno, la pi grande ma non perci la meno frequente in
coerenza politica. Quali siano i principii onde le strade siano meglio mantenute,
si vedr dove tratteremo dell' interna polizia; solo qui giova riflettere: 1. che
l'esperienza e la ragione ci provano, che la sola riattazione e stabile manuten
zione delle strade aumenta l'agricoltura, perch rende pi facile il commercio
delle derrate, meno caro rendendosi il loro trasporto. L'aumento del prezzo, se
in vantaggio del prodotto o sia del venditore di quello, aumenta il comodo
dell'agricoltore ; questi aumenta le arti inferiori, e cosi snccessivamente; allora
un tale aumento suppone uno smercio maggiore della derrata, e perci un mag
giore alimento delle arti che la rappresentano. Ma se l'aumento del prezzo in
granila della difficolt del trasporto, allora crescono le spese intermedie fra il ven
ditore e il compratore ; In conseguenza di ci il prezzo dei prodotti essendo sta
bilito dalla generale concorrenza, l'aumento del prezzo non solamente dannoso
al compratore ma al venditore ancora, perch egli deve sottrarre dalla vendita
de' prodotti queste spese, che non tornano in vantaggio della riproduzione ma so
lamente de' trasportatori. Il limite dell'aumento del prezzo per cagione del mag
gior esito di un prodotto fissato dalla concorrenza generale, cio dal prezzo dei
generi delle altre nazioni con cui si in commercio. Il limite dell'aumento del
prezzo per cagione della difficolt del trasporto non fissato se non dalla perdita
In grazia della coltura, cio allora quando le spese divengano maggiori del pro
dotto netto. Rifletteremo in secondo luogo essere opinione di tutti gli scrittori di
economia, che I trasporti per acqua siano di gran lunga preferibili ai trasporti
per terra. Calcolano essi il trasporto per acqua essere un quinto del trasporlo per
terra, vale a dire che se una nazione trasportasse quattro volte pi lontano di
un'altra per acqua quelle stesse merci che la seconda deve portare una sol volta
per terra, avrebbe ci non ostante la preferenza : noi esamineremo altrove le
prove di questo calcolo. Si rifletta in terzo luogo che anche gli antichi Romani,
sia ne' tempi della repubblica, sia ne' tempi della monarchia , hanno sempremai
adoperate le truppe loro vittoriose a fare ed a mantenere le strade, delle quali,
per I vestigi che da tanto tempo In tanta rivoluzione di cose ancora ci restano,
ne conosciamo la solidit e la durevolezza. Pretendevano essi con ci di tenere
occupati i soldati in tempo di pace, e farli vivere pi sani nell'aria aperta e pi
robusti col continuo esercizio, e di convertire in un utile continuo le continue
spese che si fanno pel mantenimento di quelli. Siccome alcuni scrittori hanno
creduto di poter applicare ai tempi presenti questo ramo della Romana polizia,
cos ho trovato conveniente di farne qui qualche cenno.
. X. Quinto ostacolo l'essere ristrette le terre dello Stato in troppo poche
mani. A misura che cresce la ricchezza nell'uomo, manca in lui lo spirito e lo
stimolo necessario del dolore e del bisogno che lo porta ad agire. La torpida idea
della sicurezza diminuisce l'irritamento interno della speranza d'un futuro van
taggio. Egli vero, che le terre ancora che sono troppo divise non formano un
minore ostacolo all' agricoltura, perch le terre divise in un troppo numero di
persone escludono quelle grandiose pese, dalle quali solamente l'agricoltura ri
conosce il suo maggiore ingrandimento. Le terre troppo divise non possono es
sere coltivate che col moltiplicare le braccia degli uomini, le quali costano al
428 BECCARIA.
proprietario molto di pi che uon gli animali, onde divengono maggiori le spese
in proporzione del prodotto nello. All'opposto le terre troppo unite presso pochi
proprielarii sono ordinariamente negligentate, e quella ricchezza che dovrebbe
essere costantemente consecrata alla terra per conservarne la riproduzione, dai
proprielarii medesimi rivolta a soddisfare i capricci del lusso e i bisogni d'opi
nione, i quali crescono in proporzione della disuguaglianza de' bani. Ma in questo
proposito rimarcabili; la differenza tra quella che chiamasi grande coltura, e
quella che chiamasi piccola coltura ; perch la prima essendo la coltura intra
presa dai ricchi Citabili, che portano sulla terra un nuovo capitale e tutte le loro
scorte pagando il proprietario in contanti, e disponendo del prodotto a loro be
neplacito, la negligenza de' grossi proprielarii non influisce sulla coltura mede
sima ; mentre i grossi proprielarii delle terre messe a piccola coltura, cio dove
il proprietario appigiona piccole porzioni di terra dividendo il prodotto, e som
ministrando la maggior parte delle scorte necessarie al coltivatore, se mai tol
gono alla terra il necessario mantenimento, la loro negligenza influisce moltis
simo sulla coltura. Ma la gran coltura non pu introdursi in uno Stato, se non
dove il prodotto sia posto in un pi libero commercio, e non salga per conse
guenza ad un pi alto e pi costante valore; quindi la piccola coltura neces
sariamente l'unica risorsa della coltivazione, dove i prodotti siano vincolati, e per
conseguenza al di sotto del vero valore, cio di quello che fissato dalla gene
rale concorrenza. Dunque noi troveremo, che il necessario compenso alla neces
saria disuguale distribuzione delle terre sta nell'alto valore dei generi; dunque
quest'ostacolo medesimo dipende anch'esso dalla cagione universale da noi so-
sopra indicata. Allora il limile della divisione delle terre si porrebbe da se stesso,
perch introducendosi la gran coltura, le terre troppo estese si dividerebbero in
pi ferme, perch l'esperienza ed il calcolo, sempre facile dove il valore co
stante ed uniforme, insegnerebbe a fare questa divisione ; e le terre troppo di
vise per esempio in grazia della successione delle famiglie, sarebbero riunite in
una ferma sola, o sarebbero vendute a chi le riunirebbe : perci sarebbe divisa
la propriet, ma non la coltura.
Dalle cose qui sopra accennate potr ognuno vedere quale sia l'importanza,
che le terre non dimorino legale perpetuamente sotto i vincoli fidecommissarii
presso le immortali mani-morte, per cui si sottraggono dalla circolazione e dalla
speranza dell'industrioso, se non tutte le ricchezze, almeno la sorgente di quelle;
per cui alcune generazioni e classi sembrano perpetuamente privilegiale ed altre
condannate ; per cui le prime acquistano senza giammai perdere, e perci con
densano in se medesime tutta la libert e l'indipendenza politica, seguace mai
sempre nel fatto della propriet. Quando le terre per le circostanze varie e no
tabili delle famiglie vengono ad essere coltivate in modo, che vada sempre di
minuendosi il prodotto netto di quello, non v'ha dubbio che sarebbe utile che
tali terre potessero essere vendute a chi fosse in grado di rifondere sopra esse
un nuovo capitale di ricchezze, per ritornarle al primo stato di florida riprodu
zione. Dunque la libert delle terre tiene alla prosperit della coltivazione; dun
que tiene ancora a ci che forma la base di tutta l'economia d'uno Stato; dun
que l'abuso dei fedecommessi introdotto in gran parte dall'antica aristocrazia feu
dale, bench l'origine si debba riconoscere dall'antica Romana giurisprudenza,
per quanti vantaggi possa atlribuirsi (come la perpetuit del nome e del lustro
OSTACOLI ALLA PERFEZIONE DELL' AGRICOLTURA. CAP. I. 429

d'alcune famiglie), avr sempre un inconveniente fisico ed essenziale, il quale


quello d'opporsi ai maggiori progressi della coltura. Rispetto poi ai possedimenti
grandiosi delle mani-morte, dopo tante eccellenti opere scritte sopra d'un oggetto
s delicato ed importante, superfluo il farne qui parola.
. XI. Sesto ostacolo la mancanza di circolazione interna dei prodotti del
l'agricoltura. Quando le derrate sono troppo avvilite di prezzo, cio quando ce
dono al dissotto del livello della generale concorrenza, le fatiche non trovano il
loro compenso per le spese, non ricavando il loro congruo interesse, e l'agricol
tore trascura un travaglio per lui soverchio ed inutile, e sovente ancora dannoso.
Se dunque da' regolamenti soverchiamente paurosi fissata la derrata nel luogo
della sua produzione, l'abbondanza di quella nuoce a se medesima, e divenuta di
poco valore non compensa le fatiche del suo coltivatore. L'uso degli Olandesi
a" abbruciare una gran parte degli aromi , che esclusivamente raccolgono dal
l' isola di Ceylan, per non avvilire il valore di quelli, sott'altre apparenze viene
imitato in molti luoghi che la natura aveva destinati ad alimentare le pi lon
tane nazioni. Dunque la riproduzione della derrata, la di cui circolazione sia im
pedita, va cessando a poco a poco, e la superstizione dell'abbondanza produce
la desolante sterilit. Se in altro luogo la derrata troppo scarsa, quella inca
glia i compratori, e le arti da quella dipendenti restano sospese ed immobili.
dunque necessario che nei diversi punti dello Stato le abbondanze si compensino
colle scarsezze, e mettansi le une colle altre al dovuto livello. Ne' paesi dove dello
Stato, che tutto deve essere aperto alla pi libera interiore comunicazione, si
pretende fare un' unione di parti isolate ed indipendenti, tutto languirebbe se
l'infrazione sempre infallibile delle cattive leggi non rimediasse in parte al di
sordine.
. XFI. Settimo ostacolo alla perfezione dell' agricoltura l'ultima depres
sione in cui questo stato decaduto. L'onore che si deve alle diverse professioni
in verit dovuto, non solo in proporzione della pi grande utilit delle mede
sime, ma ancora in proporzione dell'utilit combinata colle pi o men grandi
difficolt. Saranno dunque preferite quelle professioni, le quali contengono in s
una prova di coraggio o la rara dimostrazione di sagacit e di talenti, all'agri
coltura, la quale quantunque laboriosa non contiene alcun rischio e non esige
studio e combinazione. Ci nonostante io non vedo perch l'agricoltore, che un
tardo compenso d'un assiduo travaglio relega nell'oscurit innocente della cam
pagna, meriti di esser condannato in una perpetua dimenticanza, e perch i suoi
sentimenti non possano essere elevati dall' eccitamento lusinghiero della pubblica
approvazione. Perch il pi laborioso fra gli agricoltori di un villaggio non po
trebbe ottenere un qualche segno di distinzione, che facendolo osservare tra suoi
eguali eccitasse in quelli l'emulazione, ed in lui la speranza d'uno stato pi fe
lice? L'ambizione serpeggia nelle pi umili condizioni, quanto ella trionfa nelle
pi alte ; l'infimo sdegna altrettanto i grandi, quanto pi li grandi sdegnano gli
infimi ; ma ognuno vuol grandeggiare tra' suoi eguali, perch questi entrano nel
l'atmosfera de' suoi piaceri, e corrono sulle medesime tracce verso la felicit.
Un piccolo ornamento sulle abbronzite carni dell'affaticato agricoltore, i rustici
omaggi de' suoi simili lo rendono altrettanto soddisfatto e fiero di se stesso, con
quanta pompa di piacere e di giubilo torna fra suoi simili onorato d'uno sguardo
e d'un nastro l'assiduo cortigiano. Ma lasciando queste idee, che possono sem
450 BECCARIA.

brare a taluni troppo strane perch inusitate, baster quasi nelle occasioni per
rendere l'onor dovuto a questa fondamental professione l'imparziale premura,
per chi incaricato della pubblica tutela, di sottrarre l'umile agricoltore dal cal
pestio del prepotente, e di munire collo scudo impenetrabile delle leggi il pane
frugale, che l'ozio e l'indolenza rapir vorrebbe dall'umile dimora dell'industria
alimentatrice.
S. XIII. Ottavo ostacolo ai progressi dell'agricoltura fu da quasi tutti gli eco
nomisti trovata la proibizione del commercio esterno delle derrate di prima ne
cessit:grande, importante, delicato argomento, del quale parleremo ben presto.
S. XIV. Nono ostacolo ai progressi dell'agricoltura sarebbe l'eccesso del tri
buto, o il non esservene punto. L'eccesso, perch il lavoro degli uomini non es
sendo giammai gratuito, quando il tributo eccedesse il totale del prodotto del
travaglio della terra, o semplicemente non lasciasse in mano del proprietario
alcun prodotto netto al di l delle spese della coltivazione, la terra andrebbe a
poco a poco a divenire incolta. Per un' opposta ragione, senza tributi o questi
essendo troppo scarsi, non vi potrebbero essere spese pubbliche, non vi sarebbe
la necessaria sicurezza della propriet, n la facilit del commercio, n il riatta
mento delle strade, n l'utilissimo mantenimento del trasporti per acqua ; ma di
questa materia la pi interessante e la pi esposta ai queruli pregiudizi ne par
leremo nel trattato delle finanze.

CAPO II.

Della piccola e grande coltura delle terre.

S. XV. Abbiamo gi veduto nella Prima Parte Cap. I, come non sia precisa
mente la maggiore quantit assoluta e totale di prodotto quella che contribuisce
alla prosperit di uno Stato, ma la maggior quantit di prodotto utile, vale a
dire disponibile. Se una quantit di questo prodotto consunta immediatamente
dai producitori, non vi sar che l'avanzo il quale abbia un valor venale, che
paghi i salari dei manifattori, che esca dallo Stato, che paghi i tributi, in somma
che dia il moto a tutta la macchina degl'interessi economici d'una nazione. Se
per esempio sopra un milione di misure siano consunte in ispese immediate di
produzione 500 mila di queste, non saranno disponibili che 500 mila misure di
prodotti in vantaggio dello Stato. Ma se per lo contrario mutando la coltura di
direzione e di metodo, il prodotto non fosse che di 800 mila misure, e che solo
200 mila fossero le consumate immediatamente da' produttori, l'avanzo sarebbe
di 600 mila misure, cio una maggiore quantit di prodotto disponibile nel caso
di un minor prodotto reale, che nel caso d'un maggiore. Ci dunque che deve
formare l'oggetto principale dell'uomo di Stato e del grande economico politico,
non tanto l'aumento del prodotto totale, quanto l'aumento del prodotto dispo
nibile; non il raccolto assoluto, ma l'avanzo di detto raccolto, dedotte le spese.
S-XVI. Se dunque chi considera in astratto la perfezione dell'agricoltura
trovasse il lavoro dei campi a braccia pi produttivo del lavoro delle bestie, un
DELLA PICCOLA E GRANDE COLTURA DEI.LE TERRE. CAP. II. 451

tale risultato dovr essere verificato dall'economo politico, il quale esaminer


quanto maggiori spese esiga il mantenimento d'uomini lavoratori invece del
mantenimento e profitto delle bestie lavoratrici. Se chiunque potesse esser se
dotto dall'apparente abbondanza d'una terra, che successivamente ammetta in un
anno vari generi di produzione, non calcolasse che questa sola abbondanza di
tali produzioni, dovr avere riguardo se questi generi diano un prodotto venale
e disponibile, o un prodotto immediatamente ed unicamente consunto dai pro
duttori medesimi. Se per alcune circostanze un terreno, che potrebbe rendere
frumento, rendesse solamente grano di vile valore, consumato totalmente da un
numero grandissimo di miseri agricoltori senza prodotto o avanzo netto e dispo
nibile, n in favore dei proprietari, n in favore de'coltivatori medesimi, i quali
con minori spese di coltura e con maggior avanzo di prodotto disponibile pi
felici sarebbero e pi agiati, andrebbe calcolato il prodotto netto nel primo caso
in paragone del prodotto netto del secondo.
XVII. Egli sotto questo punto di vista, che deve riguardarsi una famosa
distinzione introdotta ultimamente dagli Economisti Francesi nell'agricoltura.
Distinguono essi la grande dalla piccola coltura. Chiamano gran coltura quella
che intrapresa da un comodo fittabile con un treno di cavalli , che paga il
proprietario in danari disponendo del prodotto a proprio arbitrio; piccola col
tura quella che intrapresa da un massaro o pigionante, che divide il prodotto
con il padrone e coltiva co' buoi. Io non dar qui che il succinto delle ragioni
che quelli adducono in favore della gran coltura, lasciando a ciascheduno, come
di ragione, il determinarsi sulla considerazione delle proprie circostanze. Era
importante per altro che in questi Elementi non si risparmiasse una discussione,
la quale forma un ramo principale dell'economia politica delle nazioni agricole.
S. XVIII. In primo luogo essi premettono, che i privati agricoltori dai soli
risultati della propria sperienza non sono in istato di decidere se sia pi utile la
grande della piccola coltura,perch oltre il non sapere ordinariamente calcolare
con precisione che i vantaggi della propria coltura a cui sono accostumati, l'es
sere introdotta in un tale distretto piuttosto l'una che l'altra non un effetto
della scelta e di un calcolo intieramente dipendente dalle personali circostanze
di ciascheduno, ma dalle circostanze generali di tutto il distretto medesimo, dal
valore de' prodotti, dalla libera circolazione di quelli, dalla natura e metodo del
l'imposizione, come si vedr a suo luogo. Secondariamente egli chiaro, che so
lamente forti e poderosi coltivatori sono atti ad intraprendere una gran coltura,
perch la spesa primitiva avanti di ottenere un raccolto considerabile, quan
tunque questo raccolto sia poi pi grandioso, e le spese annue e posteriori in
paragone di quello proporzionatamente minori che non sieno nella piccola col
tura, in cui pretendono che una gran parte del raccolto sia consunto in ispese
continue per conservare la coltura, senza quasi mai speranza di aumentare il
prodotto netto.
S. XIX. Ci supposto, dicon essi, che il lavoro dei buoi molto pi lento
del lavoro de' cavalli, e che questi passano un gran tempo ne' pascoli per il loro
nutrimento, di maniera che ad un podere che vuole essere lavorato da dodici
buoi bastano quattro cavalli. Questi pascoli sono un terreno perduto in sola im
mediata consumazione; convengono per, che dove s'usa di nutrire i buoi con
foraggi secchi vi un miglior conto nel mantenimento de' buoi lavoratori. Si
452 BECCAB1A.
pretende che i buoi siano pi forti e robusti de' cavalli ; ma s'adduce l'esperienza
in contrario. Sei buoi conducono due o tre mila libre di peso, mentre sei cavalli
ne conducono sei in sette mila. Vuoisi distinguere la pianura dal montuoso;
vuoisi distinguere il tirar con forza lungo una linea parallela all' orizzonte, ed il
sostenere pi fortemente il peso in un pendo; vuoisi considerare che i buoi,
essendo men carichi e pi lenti, sembrano meglio riuscire de' cavalli nelle terre
pantanose, i quali sembrano pi titubanti in un terreno non solido; ma ci,
secondo essi, estraneo alla forza colla quale necessario smovere la terra con
l'aratro, la quale si pu assomigliare ad un peso da strascinarsi.
. XX. Dicono essi, che i buoi in un giorno lavorano tre quartaja {quartier)
di terra , mentre i cavalli ne lavorano un moggio e mezzo ; cosicch dove ci
vogliono quattro buoi ad un aratro, vi andrebbero sei copie per tre aratri, che
lavorerebbero due moggia al giorno circa, invece che tre aratri condotti da tre
cavalli per ciascheduno ne lavorerebbero quattro e mezzo al giorno ; a sei buoi
per aratro , due aratri lavorerebbero un moggio e mezzo , invece otto cavalli a
quattro per aratro ne lavorerebbero tre ; a otto buoi per aratro , tre aratri ne
lavorerebbero due, invece che bastando quattro forti cavalli ad un aratro, 24 con
6 cavalli ne lavorerebbero nove: cosicch riducendo queste differenze ad un
punto medio, il lavoro di 12 buoi per adequato equivale al lavoro di quattro soli
buoni cavalli. Convengono per, che nelle terre ingrate e montuose sembra pre
feribile il lavoro de' buoi a quello de' cavalli, in grazia che le terre coltivabili
essendo disperse in piccole porzioni, il maggior costo de' cavalli e la piccola ren
dita necessariamente conseguente alla natura del suolo, rendono pi utile il lavoro
de' buoi, perciocch s' adoprano sotto aratri adattati ad una pi corta estensione
di terreno. Si aggiunge che le terre leggiere poco proprie a produrre dell' avena
sono nell' istesso caso; ma poche sono quelle che siano talmente separate dalle
buone e forti, soprattutto nelle pianure, che escludano il comodo mantenimento
de' cavalli ; e siccome le terre sono confidate a piccoli massari o pigionanti per
lavorarsi a buoi, per mancanza di buoni flttabili in istato di sostenere una grande
ed estesa coltura co' cavalli, i proprietarj non osano confidare delle pecore e dei
montoni ai suddetti, delle quali, oltre il frutto considerabile, eccellente l'ingrasso.
Con queste ed altre considerazioni (che ometto per brevit , lasciando a quelli
che amano queste ricerche il consultare gli eccellenti scrittori, e soprattutto l'En
ciclopedia , articolo Fermier) essi concludono, che quelle misure di terra che
rendono quattro staja misura di Parigi coltivate co' buoi, rendono otto staja col
tivate co' cavalli. Aggiungono, che i buoi de' massari o appigionanti vengono oc
cupati moltissimo al lucroso guadagno delle condotte in pregiudizio delle terre,
le quali poi successivamente decadendo ad essere incolte dove introdotto lo
stentato lavoro della piccola coltura, divengono sempre in pi gran quantit
pascoli, vale a dire di gran lunga meno utili allo Slato ed ai proprietarj.
$. XXI. I suddetti autori calcolano le spese dei buoi colla spesa de' cavalli
nella seguente maniera. Suppongono il valore d' un cavallo da lavoro 1' un per
l'altro 500 lire di Francia (il nostro zecchino circa 10 lire di Francia); il valore
d'un pajo di grossi buoi lire 400. Si pretende che i cavalli durano l'un per l'altro
dodici anni , ed i buoi sei anni, passati i quali si vendono magri per ingrassarli
per la macelleria. Ci supposto, quattro buoni cavalli costano lire 1200; l'interesse
di questo capitale per dodici anni sono lire 720 : dunque alla fine di questi anni
DELLA PiccoLA E GRANDE coLTURA DELLE TERRE. eAP. II. 435
si saranno spese e perdute lire 1920. L'equivalente di quattro cavalli sono, come
si asserito di sopra, dodici buoi; costeranno a lire 400 al paja lire 2400;
l' interesse per sei anni monta parimenti a lire 720, in tutto sono lire 5120. Ma
si suppone, che si vendano dopo 16 anni magri per lire 150 l'uno; perci si
caver da tutti lire 1800; restano perdute lire 1520 in sei anni; in dodici sa
ranno 2640: dunque la spesa de' buoi supera quella de' cavalli, nello stesso
spazio di tempo, di lire 720.
S. XXII. Queste, oltre moltissime altre ragioni, rendono certamente almeno
problematica la preferenza de' buoi sopra i cavalli per il vantaggio della coltura.
Ma se io debbo azzardare la mia opinione in una questione intralciatissima, per
la variet delle circostanze in cui ogni paese si trova, io credo che il punto essen
ziale per noi non sia quello d'usare piuttosto de' buoi o de'cavalli, e che in ci
essenzialmente non consista la differenza fra la grande e la piccola coltura, ma
piuttosto nell' essere le terre divise fra poveri massari e pigionanti, che non pos
sono portare un capitale di ricchezza sulla terra che intraprendono a lavorare, e
ricevono dai negligenti e dispendiosi proprietarj solo deboli scorte, che esigono
una folla di minute e mal adempite spese, onde si ricava uno scarso prodotto
netto in favore de' proprietarj, in alimento delle arti, in sollievo delle spese pub
bliche; in vece che la coltura de' grossi fittabili una coltura, che porta sulla
terra una ricchezza, che si aggiunge al valor capitale del fondo medesimo. Ma
questa non s'introdurr giammai, dove i generi siano a vil prezzo, dove l'utile
non sia in paragone delle spese, perch ivi non si ritrova un avanzo tale, che
oltre il mantenimento de' proprietarj e de' coltivatori, possa essere rimesso con
usura sulla terra.

CAPO III.

Piano per i progressi dell' agricoltura.

S. XXIII. Avendo noi accennato gli ostacoli che s'oppongono ai progressi


dell'agricoltura, ed indicati alcuni mezzi per toglierli,vedr ognuno che i mezzi
per incoraggire l'agricoltura saranno gli opposti a ci che noi abbiamo chiamato
ostacoli; sicch lo studio delle scienze adjutrici, la cura della sanit, la protezione
delle sostanze dell'agricoltore, l'istruzione idonea di quello, e pi di tutto il buon
valore dei prodotti che nasce dalla libert e dalla concorrenza, saranno i mezzi
valevoli per il progresso dell'agricoltura. Ma dovremo noi lasciare quest'arte
nutrice del genere umano, base d'ogni opulenza e ricchezza, in balia d'una cieca
e fortuita esperienza, ed appoggiata ad una fallace pratica di tradizione? Anni e
serie d'anni esigono le diverse colture e miglioramenti delle terre, essendo queste
dirette da un precipitoso interesse, dall'ostinata abitudine, dall'ignoranza che si
limita al puro oggetto.
S. XXIV. Sarebbe dunque utilissimo, che in questo secolo di luce e di ricerche,
una benefica filosofia rivolgesse l'attonito sguardo dai corpi celesti sulla terra
che noi abitiamo, e che si riunissero tutti gli sforzi a svolgere gli oscuri progressi
della vegetazione e della vita delle piante. In tanta pompa d'accademie con tanto
Econom. ToMo III. 28.
454 GENovESI.

sfugio di titoli, nelle quall d sl tessbnb arhbhiosanehte hutili parole, 6 su duh


sasso corroso dal tempo, ove sono scolpiti i voti imbecilli d'un oscuro Romano,
veglia assiderato antiquario; perch appena alcuna se ne annoveri nella nostra
Italia, antichissimo seggio della dovizia della natura dove si consacrino le veglie
e le ricerche all'utilit perinanente degli uomini, e per conseguenza all'aumento
del comodl e del placerl della vita
S. XXV. Le accademie sono utili anche in quelle scienze che esigon6 tlha
solllaria applicazione; esse in questo caso hoh aiutano le scoperte, ma eccitano
l'elhulazione, spahdono i luffi, prehiano le sono poi utilissime e neces
sarie dove gli oggetti da esaminarsi da conoscersi sono troppo vari e moltipllci,
dove s'esige lunghezza di tempo e riunione di forze, dove il dispendio eccede le
forze private, finalmente dove vi siano pregiudizi da superarsi, abitudini da vin
cersi, interessi opposti da riunirsi. Un'accademia adunque d'agricoltura sarebbe
la pi utile al genere umano di quante mai fossero state
S. XXVI. Egli difficile da ritrovare un privato, che all'inquiet curiosit
delle ricerche unisca il coraggio di sacrificare per lungo tempo un terreno intorio
ad esperienze utili ai progressi della scienza, ma dannose all'annuo di lui reddito,
e delle quali la maggior parte deve riuscir vuota e frustranea, acciocch dalla
inoltiplicit di quelle una se ne trovi utile e concludente.
Dppi tali esperienze non possono farsi in piccolo: errore commesso da tanti
sperimentatori, per cui sfuggono quelle minute ma essenziali circostanze, che
rendono poi fallace l'esperienza eseguita in grande. Noi non possiamo assicurarci
d'avere conosciuta la natura in tutti li suoi aspetti, se non la torinentiamo e non
cerchiamo di variarne i fenomeni, in tal guisa che si renda probabile, che noi
non abbiamo trascurato alcun dato essenziale. -

S. XXVII. In terzo luogo, la lentezza di tutti gli avvenimenti interessanti


l'agricoltura sarebbe tale, che le vite successive di pi uomini non aggiungereb
bero molto alla scienza medesima. dunque necessario il concorso contemporaneo
di molte azioni, acciocch la lentezza dei successi e dei risultati, e la necessaria
inutilit di varj tentativi sia ricompensata dalla celerita e dalla frequenza delle
OperaZIOni.
Finalmente un'unione di persone, che unitamente secondo le particolari loro
mire coltivasse la scienza e ne comunicasse alla societ i risultati, sarebbe piut
tosto un aggregato fortuito di forze solitarie ed indipendenti, che un tutto riunito
che operi colla massa di se medesimo. Una cos fatta riunione avrebbe l' utilia
dell'emulazione, farebbe pompa d'un'utile erudizione, sarebbe una radunanza
d'uomini dotti, non una societ d'uomini utili. dunque necessario che vi sia un
piano ragionato di osservazioni e d'esperimenti da farsi; necessario che vi sian
persone che dirigano questo piano, le quali sappiano la difficile arte di consulta
la natura, di separare i contemporanei ma indipendenti fenomeni da quelli che
realmente cospirano a produrre l'effetto; che sappiano dubitare delle pi
e spiritose dottrine, le quali abbiano il raro talento di saper mettere alla porta
del rozzo e diffidente agricoltore; in somma, che discendano sino ai pi mln
dettagli senza perder di mira la grandezza delle viste. Ma tutte queste massime
sulle quali dovrebbe essere fondata una tale istituzione, vogliono dalla protezion
sovrana essere autorizzate e sostenute. Quando lo splendore della pubblica
rit diffondesi sulle private occupazioni degli uomini, queste sanimano d'un nuo"
PIANo PER I PRoGREssi DELL'AGRicoLTURA. CAP. III. 455

vigore e d'una maggiore alacrit: la timida filosofia si rasserena ad un clemente


sorriso del sovrano.
S XXVIII. Dunque sarebbe utilissimo, primieramente, di riunire sotto un
direttore sperimentato e filosofo un sufficiente numero di giovani colti e conosci
tbri de' differenti dettagli dell' agricoltura, alla quale unissero alcuni di essi una
sufficiente cognizione della chimica e della meccanica, scienze che sono gli occhi
dell'agricoltura, come dicesi che la geografia e la cronologia lo siano della storia.
Secondo. Dovrebbe avere questa societ una sufficiente estensione di terreno
a propria disposizione, e questa divisa in varj punti dello stato, acciocch si
abbraccino le diverse situazioni nello stesso tempo che si farebbero in grande gli
esperimenti, onde potessero essere sicuri del risultato, e la ritrosa abitudine
dell'agricoltore fosse ridotta al silenzio.
Terzo. La prima operazione di questa virtuosa unione, affinch non riescisse
un vano cicalo ed un accozzamento di fortuita dottrina, sarebbe di formarsi
l'anzidetto piano di concertate operazioni. Egli anche perci che io vorrei che
ella fosse pi composta di giovent, che di persone d'un'et pi provetta. Queste
sono meno suscettibili di quella fratellanza e comunicazione d'opere e di lumi,
ordinaria al docile fervore degli animi giovanili. Nell'et pi avanzata si va
sempre pi acquistando un amor proprio esclusivo ed una tenacit d'opinioni, per
eui ciascuno riguarda l'altro con gelosia, con riserva, con critica.
Per esempio, una delle principali operazioni sarebbe l'esame accurato della
diversa qualit delle terre, e di qual genere di coltura fossero pi suscettibili; la
seconda potrebbe essere l'esame delle qualit degli ingrassi, e cos successiva
hefite. Bisognerebbe mischiare le terre con diversi generi di corpi e con dosi
diverse, onde scoprire gli andamenti della natura ne' suoi diversi gradi di dini
nuzione e d'accrescimento, e nelle diverse circostanze d'approssimazione reciproca
e d'allontanamento di varj corpi, nel che consiste tutta l'arte dello sperimentare.
si dovrebbono esaminare le diverse parti e le diverse operazioni dell'agricoltura
nelle differenti sue epoche, ne' varj suoi prodotti, nelle diverse preparazioni di
questi, finch arrivino allo stato d'essere o consumati o lavorati.Cos arriveremo
forse a scoprire se l'aria sia il solo principio attivo della vegetazione, o se l'in
grasso non abbia altr'uffizio che di somministrarne alle piante una maggior
quantit; se le minime fermentanti ed attive particelle di questo non facciano
altro che dividere le mollecole della terra; qual sia il vero alimento delle piante,
se i sali, se gli olj, se la terra elementare, se l'acido nitroso diffuso per l'atmosfera.
Non bisogna credere che queste siano sterili speculazioni. Scoperto il secreto
della natura nei vegetabili, ne' quali un debol lume di vita comincia a scintillare
ai limitati nostri sensi, forse arriveressimo a pi grandi risultati nella vita animale
pi conposta ed oscura. Ma invece di pi oltre dilungarci su di ci, che non
l'oggetto di queste ricerche, rifletteremo in cambio, che di mille operazioni sulla
terra incerte e complicate ridurressimo l'arte a poche, semplici e sicure. Quanto
poco sappiamo noi intorno alla potazione, quanto poco sui diversi metodi d'irri
gazione e sulla preparazione degl'ingrassi, e quanto poco noi sappiamo servirci
dell'elastica forza dell'aria, principio sviluppatore di tutti i germi che circolano
sulla terra.
S. XXIX. Sarebbe ancora, secondo il mio avviso, incumbenza d'una tale
societ quella di discendere a tutte le informazioni che si possono avere intorno
436 BECCARIA.

alle diverse colture del proprio paese, di non isdegnare l'intralciata loquacit del
rozzo villano, e di rendere palpabili e toccanti per cos dire le pi sublimi verit
fisiche; di comporre catechismi ed istruzioni ridotte ad espressioni sensibili in
modo che siano adattate alle pi infime intelligenze non avvezze alla complicatezza
dei nostri ragionamenti ed all'oscurit de' dotti significati, onde le pi utili verit
sono per lo pi dalla pompa magistrale velale e nascoste. Potrebbe finalmente
una tale societ distribuire ed aggiudicare i premj, che si destinerebbero dalla
sovrana munificenza all' indefesso e sagace agricoltore; cos acquisterebbe forse
un' interessata fiducia, la quale sarebbe necessaria perch fossero secondate dalla
moltitudine le di lei operazioni.

CAPO IV.

Della proporzione fra le differenti colture delle terre.

. XXX. Si sono sforzati alcuni scrittori d' economia di ricercare qual pro
porzione passar debba fra le varie colture delle terre d' uno stato, acciocch si
ottenesse l'oggetto fondamentale, cio la maggior quantit di travaglio utile. Non
possibile in primo luogo il fissare una numerica e generale proporzione, la quale
deve variare secondo le circostanze di ciascun paese. II clima , la situazione, la
forma di governo , le circostanze de' popoli finitimi, le future speranze sono a
vicenda effetti e cagioni che daranno varie determinazioni. Dunque non nem
meno fattibile il dare una soluzione particolare d' un tale problema. In secondo
luogo io son d'avviso che la vera proporzione si stabilisca da se medesima, ogni
qual volta sia dato un libero sfogo al commercio, de' prodotti , perch in quel
caso l'eccesso d' una produzione si diminuir da se slesso a misura che 1' abbon
danza ne avvilir il prezzo; ed il difletto d' un" altra produzione sar tolto a
misura che 1' accrescimento del valore prodotto dalla scarsezza render utile al
proprietario la coltivazione di quella. Ci non ostante , siccome nel ricercare
queste produzioni ci verr fatto di dimostrare pi chiaramente il rapporto che ha
l'agricoltura con il resto delle parti di pubblica economia, io dar qui brevemente
alcune riflessioni , che ci potrebbero servire a ritrovare una tale proporzione,
quando per qualche accidentale circostanza tornasse meglio lo stabilirla, invece
d'abbandonarla al lento giro delle combinazioni dei privati interessi.
. XXXI. E in primo luogo si pu proporre un dubbio , se un paese fosse
egualmente e dappertutto suscettibile dell'uniforme coltura di una sola derrata
che avesse dentro e fuori dello Slato uno spaccio sicuro e considerabile , sarebbe
egli pi vantaggioso ad una tal nazione il continuar perpetuamente una tale uni
forme coltura , piuttosto che variarla in guisa che molti e varj iossero i prodotti
e le materie prime? Nel caso d'un' uniforme coltura , quali persone ne sentireb
bero l'immediata e maggiore utilit ? Le due classi degli agricoltori e dei proprie-
tarj delle terre. Ma la maggior parte delle arti mancherebbe delle materie prime
accessorie, le quali si dovrebbero tirare da' lontani paesi; il salto immediato di
tutta la ricchezza della nazione, dagli agricoltori ai proprietarj delle terre, non
PRoPoRzioNE rRA LE vARIE coLTURE DELLE TERAE. CAP. iv. 437

ne farebbe influire nelle arti intermedie la quantit necessaria, perch queste


avessero tutto il loro massimo vigore; e una quantit considerabile di tal ric
chezza servirebbe al mantenimento delle arti forestiere, tanto pi facilmente,
quanto la ricchezza impaziente e disdegnosa nel soddisfarsi.
Dunque l'uniformit della coltura, quantunque vantaggiosa alla nazione, sa
rebbe certamente meno utile che una qualche variet, quando le circostanze
del suolo lo potessero soffrire. Nel primo caso havvi un solo stimolo al travaglio,
cio la necessit dell'alimento; nel secondo ve n'ha due , l'istessa necessit e il
comodo delle materie prime.
Ci premesso, supponiamo che questa derrata esclusiva, a cui abbiamo detto
limitarsi l'agricoltura d'una nazione, fosse il frumento. Egli vero che la produ
zione di quello necessaria a tutte le nazioni: che il primo motore delle arti
tutte e della popolazione: che deve circolare in tutte le classi e rappresentare tutti
i lavori. Quando esso fosse soprabbondante, certamente utile che abbia uno
sbocco fuori di Stato, perch se troppo avvilito e di troppo facile acquisto,
l'indolenza sempre occupa il luogo dell'industria; ma sar vero altres che non
deve essere la sola produzione delle terre d'un ben regolato Stato. Possono in tale
supposizione ci non ostante stabilirsi arti e manifatture, prelevando le materie
prime dalle estere nazioni, ma quale ne sar il vantaggio? Quello solo pi o meno
considerabile che nasce dalla mano d'opera ; molte arti subordinate ad una tale
manifattura non saranno benefiche allo Stato, ma gravose perch forestiere; non
vi sar una circolazione dalle infime alle superiori classi, ma salti ed aggregati
di varia e mal distribuita ricchezza; e questo guadagno della man d'opera me
desima sar sempre precario e dipendente dagli stabilimenti delle nazioni che ci
forniscono la materia prima.
Rechiamo in mezzo un altro esempio. Dopo l'alimento che serve al manteni
mento degli uomini, v' un'altra derrata non meno necessaria ad essi , la quale
devesi considerare come l'alimento, perch l'uso di quella appunto la consu
mazione; questa la legna, sia per i bisogni del vitto, sia per l'uso delle arti
e manifatture; sonovi gli olj e liquori , ed altri generi che immediatamente si
consumano. Se una nazione manca di questi, manca di alcune cose necessarie,
e per conseguenza di molte arti, e dovr provvedersene presso i forastieri; sar
dunque dipendente da quelli. Quanto pi di queste materie si saranno provve
dute , tanto minore sar il vantaggio dello spaccio delle proprie derrate; quanto
pi coster il trasporto sino a noi di coteste materie prime, tanto sar maggiore
il prezzo della mano di opera, e tanto pi difficile lo smercio di quella in concor
renza delle altre simili manifatture presso quelle nazioni, nelle quali le rispettive
materie prime sono coltivate; perci queste arti forzatamente introdotte cadranno
ben presto nell'ultimo languore. I pi grandi stabilimenti saranno simili a quelle
materie che s'innalzano per una accidentale fermentazione della terra, per fare
una istantanea comparsa nell'aria, ma che bentosto ricadono per la propria gra
vit alla nativa palude d'onde sortirono.
S. XXXII. Considerando dunque la cosa in astratto, vi sar un limite alla
consumazione delle derrate, quantunque produttrici per qualche tempo di ab
bondanti ricchezze alle nazioni che coltivano; come fissare questo limite? Sicco
me pu essere utile talvolta il conoscerlo, quantunque come abbiamo detto sia il
pi dellevolte preferibile il lasciare la direzione alla libert che equilibra pi d'o
438 BECCARIA.

gni altra forza gl'interessi degli uomini, giover ci non ostante l'esaminare bre:
vemente su quali principj dovrebbe fondarsi una tale ricerca.
Per dir qualche cosa di preciso su di ci rifletteremo, potersi le diverse col
ture considerare sotto due generali e differenti aspetti, cio di colture inclusivg
e di colture esclusive. Chiamo inclusive quelle che contemporaneamente possono
esercitarsi sul medesimo terreno, gome quelle di frumento, vino e gelsi, ed gg
clusive quelle che non possono ad un istesso tempo esercitarsi sul medesimo te
peno, ma soltanto successivamente, come lino, frumento, prati ecc,
A riguardo dunque delle esclusive premetteremo per assioma, che ciascuna
pazione deve procurare di rendersi indipendente dalle altre pi che sia possibile;
dico indipendente, perch la situazione de' suoi interessi e le fortune de' suoi cit
tadini non siano precarie dagli altrui stabilimenti, ma abbiano tutta il lor vigore
dalla forza e dall'industria interna
Premetteremo per secondo assioma, che noi dobbiamo preferire l'attuale poi
polazione alla futura, la felicit dei viventi che hanno un diritto acquistata sulle
cose, a quella di coloro che sono ancora ingolfati nello scuro abisso de' possibili,
S. XXXIII. Ci supposta, abbiamo provata nella Prima Parte essere l'ali
mento, ossia il prodotto di consumazione, quello che rappresenta tutti i travigli
e tutti i valori; dobbiamo dunque dire che le terre coltivate ad alimento, q pil
tosto generalmente a prodotto d'immediata consumazione, debbono essere le pi
numerose, e la suddivisione di queste terre a produrre variet di cose consuma
hili proporzionata ai differenti bisogni, ossia alle consumazioni di tali piuttosa
che tali cose; cosicch per questo riguardo nni dovremo avere (parlando di pol
ture esclusive)piu terre a frumento che a boschi, pi terre a baschi che a quali
che altro genere di cultura. Ma bisogna qui riflettere ed aver riguardo alla diffa
renteferacit d'un prodotta, paragonato con l'altro che sul medesimo spazio si
coltivasse. Non l'estensione materiale del terreno che misurar deve la propor
zione, ma l'estensione produttiva, se lecito di cos esprimersi. Sar dunque la
quantit totale della terra impiegata a produrre la quantit d'alimento 4, alla
quantit di terra impiegata a produrre l'alimento B, in ragione composta dire
tamente della rispettiva necessit d'alimento e della fertilit nel produrla, sia
naturale, sia artificiale.
Abbiamo detto ancora che a misura che le arti dipendenti le une dalle altre
si scostano dalla produzione dell'alimenta, ossia dall'essere conversihili in il
mediata consumazione, devono essere tanto meno numerose(non avuta riguarda
allo smercio esteriore); e che a misura che un'arte maggiore ne pi lontana, il
di lei Valore rappresenta una maggior quantit di alimenti assia di consumazigli
Dovendo l'arte dunque rappresentatrice di tali alimenti esser pi ristretta, li
quantit di terra impiegata alla produzione della materia prima di una tal'ari
sar tanto minore, quanto maggiore sar la distanza d'una tal'arte dall'ill
diata consumazione,
Ripetiamo prima di conchiudere ci che abbiamo dimostrata, cio che la
troppa vilt del prezzo delle derrate primarie contraria alla arti egualmente
come l'eccesso del prezzo; che dunque il commercio esteriora pu essere utile
finch arrivi ad alzare il prezzo delle derrate in modo che l'agricoltura renda il
di l delle spese, il prodotta delle quali sempre in praporzione del viggi 8
dell'avvilimenta dell'arti.
rRoporzioNE FRA LE vARIE coLTURE DELLE TERRE. cAp. 1v. 459
S. XXXIV. Ci premesso diremo, che come la totalit della consumazione
necessaria a tutte le arti prese insieme alla totalit della derrata necessaria di
ciascun'arte particolare, cos la quantit di terra da impiegarsi alla produzione
delle cose immediatamente consumabili alla rendita delle terre ed ai salari im
piegati a pagare l'industria. Frattanto da avvertire, che io ho parlatodelle arti
per rapporto al bisogno interiore, non all'esito esteriore, perch un'arte pu essere
accresciuta al di l di ci che richiede l'interna coltivazione e la diverse produ
zioni; ma in quel caso dirassi, che l'arte sar composta di due sorta di materia
prima, di quella gresciuta nel territorio nazionale e della materia prima venutaci
da' forastieri. Supponiamo che, in grazia dello spaccio esterno e della pon li
bert o non valore di alcuni prodotti avviliti dai vincoli, la coltura della materia
rima che la base della supposta manifattura sia al di l di queste proporzioni
issate, digo ghe ci sar a spese ed in aggravio di tutto il resto de' prodotti ;
che vi sar un minor prodotto netto nelle mani de' proprietari, e questo pro
dotto netto non avr il maggiore spaccio possibile, e perci la totalit della
arti medesime sar minore e meno vigorosa, quantunque vasto ed esteso potesse
essere l'ingrandimento di quella particolare manifattura. Ma se l'accrescimento
dell'arte sar per aumento della materia prima venutaci dal di fuori, allora
quest'arte sar insieme dipendente dalle arti subalterne e dai prodotti delle fora
sliere nazioni.
Figuriamoci un'altra volta la nostra piramide; ella si pu dire di tanti piani
decrescenti composta, quante sono le classi diverse de' lavori. Se un piano cre
sce a misura che vicino alla base, cio all'agricoltura, quantunque quella
porzione di base che corrisponde allo sporgimento di questo piano non appar
tenga alla nazione, pure questo sporgimento stesso sar un principio di una
nuova piramide, della quale la porzione superiore apparterr alla nazione ma
nufattrice, e l'inferiore alla produttrice. La piramide interiore rappresenter i ri
sullalide' prodotti interiori, e la piramide esteriore quelli degli esteriori prodotti,
Quindi saranno tanto pi utili alla nazione, quanto questi piani saranno pi vi
cini alla base, perch una maggior porzione ne apparterr alla nazione, la quale
abbonder di maggiori salari, di maggiori comodit e di una concorrenza di con
sumatori maggiore e pi vicini alla produzione,
Da ci ne cayeremo un'utile riflessione, cio che fino ad un certo segnouna
mazione pu prosperare a spese di un'altra; ma al di l d'un certo segno la vera
prosperit nostra produce la prosperit altrui, non essendo dati agli uomini
un'esclusiva felicit g miseria : chiaro indizio d'una secreta comunione di cose,
e d'upg non intesa friellanza volta dalla natura fra il genere umano, dalla
qnale la pi profonda filosofia travede, che i vari nostri interessi hanno una te
tale ed ultima dipendenza dalla virt; onde s belle contemplazioni possono ele
vare l'animo nostro dalle piccole e servili viste del privato interesse nelle serepe
e ranquille regioni della giustizia e della beneficenza.
Si detto quanto basta per indicare i principi generali e le proporzioni colle
quali, quando facesse d'uopo, conviene animare e distribuire le differenti col
ture esclusive d'un territorio; dal che concluderemo che bisogna nella conside
razione delle arti e delle materie prime valutar prima il bisogno interiore, e con
questa pqrma fissare le differenti proporzioni di coltura, perch altrimenti se le
materie prime d'alcune arti fossero animate al di l del limite stabilito, ci sa
440 BECCARIA.

rebbe a spese di altre colture egualmente necessarie, e per conseguenza a spese


di tutte le arti da quelle dipendenti.
. XXXV. Ma in qual maniera potremo noi animare ed incoraggire le di
verse colture in modo che non siano n eccedenti, n mancanti la ricercata pro
porzione ? Rispondo, che fissata ne' casi particolari, secondo le viste e limita
zioni sopra indicate , la quantit di terreno necessario ad una tale coltura che
si vuole introdurre , misurate e censite le terre tutte di uno Stato , pu essere
ripartita idealmente su tutti i proprietarj la quantit di terra che si vuol mettere
a tal coltura ; e fatta questa tal ripartizione pu una legge pubblicarsi , che chi
su tanta terra coltivata ne adatter una tal porzione, n pi n meno , alla de
siderata coltura , sia di tanto sollevato per un certo tempo dal tributo che s'im
pone sulle terre ; e questo tanto di sollievo debb' essere calcolato in modo che
a questa nuova disposizione si trovi l'interesse del proprietario. Per lo contrario
se una nuova coltura introdotta fosse tale , che il proprietario fosse determinato
dall'utilit ad escludere la proporzione indicata, si pu invece del sollievo sosti
tuire l'accrescimento , e con questo aggravio ripristinare secondo l'esigenza l'an
tica coltura. Ecco come i tributi sono in un tempo stesso ed un freno ed uno
stimolo alle diverse sorta d'industria , sicch rallentati o accresciuti a proposito ,
fanno della confusa moltiplice variet d' interessi un tutto che collima al bene
universale della societ: ma di ci sar parlato accuratamente quando trattere
mo delle finanze.
. XXXVI. Le colture inclusive poi seguono altri principj e direzioni , sof
frendosi l' una e l' altra , e qualche volta aiutandosi reciprocamente , sia per le
leggi fisiche della vegetazione, sia per le combinazioni morali -, perch, impiegan
dosi un maggior numero di mani ad una minor quautit di terreno e crescendo
il prodotto contemporaneo, aumentasi l'attivit del lavoro e la ricchezza conser
vatrice dell'agricoltura. Queste dunque possono animarsi contemporaneamente ,
perch pili difficilmente l'una si elever al dissopra dell'altra, giacch essendo
contemporanee le colture ed i prodotti , gli sbilanci de' prezzi ridoneranno l' e-
quilibrio.
. XXXVII. Da queste teorie caveremo per corollario, che fra due arti o ma
nifatture , le quali possono tener luogo l'una dell'altra nei bisogni e nella facilit
dello smercio , sar meglio preferire ed animare quella di cui la materia prima
pu combinarsi colle altre colture , in confronto di quella che le esclude. Per
esempio se noi potessimo ridur la seta a tale facilit di esito , e a tale variet e
comodit di usi presso a poco come la lana (e chi sa che l'industria ed il tempo,
sovrano maestro delle cose , non v'arrivi) , non v'ha dubbio che noi dovressimo
animar pi la coltura dei gelsi , che si combina colle altre colture , che la col
tura delle pecore o per dir meglio de' pascoli , perch il campo su cui vivono
un terreno quasi perduto per altri generi di coltura.
. XXXVIII. Finalmente non sar inutile l'accennar di passaggio , che le
suddette massime d'agricoltura direttrice possono benissimo essere applicate al
l'economia privata delle famiglie. Interessar gli uomini alla fatica , una massi
ma che c'insegnerebbe a rendere migliore la condizione dell'agricoltore, a lasciar
che egli possa disporre pi liberamente dei frutti della sua industria , a non
usurpare con una distribuzione arbitraria quel prodotto di cui conviene la divi
sione. In questa maniera non ascoltando inavvedutamente n il presente, guada
DEL REGoLAMENTo DELL'ANNoNA. cAP. v. 441

gno, n i troppo vantaggiosi ma brevi progetti, per cui l'accorto coltivatore,


esaurendo in poco tempo le forze tutte d'una terra ch'egli considera come non
sua, isterilisce ed annichila al proprietario la sorgente delle ricchezze, si ver
rebbe a fare il miglior uso, sia in proprio vantaggio, sia in quello del pubblico,
della fatale ma necessaria disuguaglianza de' beni. Cos il variar le colture non
pu non esser caro a quel privato che considera e calcola la variet delle risorse
e la maggiore moltiplicit delle azioni delle quali diventa distributore, moltiplicit
di azioni, in cui la vera ricchezza consiste, e che il segno pi naturale e pi
stabile della prosperit.

CAPO V.

Del regolamento dell'annona.

S. XXXIX. Le precedenti teorie ci conducono naturalmente, e ci danno de'


mezzi onde sciogliere il tanto dibattuto problema della libera o non libera nego
ziazione delle derrate, che servono di alimento alle nazioni, e principalmente
della derrata di prima necessit, cio ilfrumento. Noi intraprendiamo a trattare
un grande e delicato argomento, su del quale non sono meno divise le penne di
coloro che scrivono, come gl'interessi di coloro che eseguiscono; argomento
reso oscuro dall' intralciata complicatezza di tante opposte mire, e reso delicato
da quelle sorta di dispute che sono troppo terribili ai nudi seguaci della pacifica
ragione. Molti volumi sono stati scritti su tale importante materia ; e se io vo
lessi stendere tutto ci che appartiene a questo soggetto, esaminare tutti i sistemi,
combattere tutte le obbiezioni, spingere i sofismi negli ultimi loro ritiri, dovrei
assorbire per questo solo capo tutto quel tempo che consumar si deve all'in
tiera scienza.

Io mi accontenter dunque d'indicare i principali punti di vista, dai quali


pi che dalle mie asserzioni potr ciascuno cavare da se stesso un chiaro e di
stinto risultato. Per procedere con chiarezza e con precisione, noi distinguere
mo varj casi ne' quali le nazioni si trovano. Nel novero di questi casi ci conten
teremo di alcune soluzioni ipotetiche e condizionate, non assolute e generali ,
come la natura stessa delle circostanze esige dall'avveduto politico, che non vuole
azzardare n in fatto, n in opinione la sussistenza e la vita di migliaja di
persone.
S. XL. Prima di tutto bisogna distinguere que' paesi che scarseggiano della
derrata d'alimento, da quelli che ne abbondano. Fenomeni in tutto differenti ac
cadono in cos opposta situazione. In un paese dove il territorio non produce che
poco pane e non sufficiente alla popolazione attuale, ivi senza dubbio v' condotto
da altre parti. Se manca per invincibile difetto del terreno, allora niente altro
resta a fare, che o acquistar paesi che ne abbondino, o coll'industria e coll'eco
nomia cambiare i proprj lavori coll'alimento; ma quando questo difetto del ter
reno non sia invincibile, ma prodotto da mancanza di braccia e dall'essere la
terra occupata a coltura per allora pi vantaggiosa (il che per incidenza riflet
tasi non essere sempre assolutamente cos, ma spesso solo relativamente), al
442 BECCARIA.

lora la coltura del grano deve essere incoraggita, ed il migliore incoraggimenta


d'una coltura non pu essere che il libero spaccio del prodotto. Certamente in
questo caso non si deve temere che l'uscita del grano dello Stato produca la ca
restia, perch in un paese che scarseggi, essendo gi avviate le introduzioni
del grano e a questo scopo dirigendosi una gran parte de'commerci e delle
fatiche delle nazioni per il corso degli affari tutti, il grano gi direttto in ma
niera, che quanto ne manca al di dentro, tanto ne venga al di fuori. La libert
del commercio fa che se ne accresca la coltura; il prezzo piuttosto alto a cui un
commercio passivo di grano rende soggetto il valore di questa derrata, ne rende
utile la coltura a chi l'intraprende sotto gli auspicj della libert e in vista della
potente attrattiva del guadagno. L'accrescimento lento, ma successivo del pro
dotto interiore, entra in paragone ed in concorrenza con quello che viene dal di
fuori, gi avviato ed assuefatto a divenir cambio dell'industria interna; non fa
dunque che diminuire il prezzo del grano estero, e rendere pi vantaggioso il
prodotto interno a chi lo coltiva, e meno utile il commercio esterno a chi lo fa.
S. XLI. Ci che deve principalmente calcolarsi nel commercio reciproco
del grano fra le nazioni la spesa del trasporto, la quale spesa bisogna
vedere se sia pagata dal compratore o dal Venditore. Quello che certQ in
ogni caso si , che nel concorso generale di una merce qualunque che da Va
rie parti sia trasportata ad un luogo solo, si forma un prezzo comune, essend9
i venditori in reciproca concorrenza. Dunque quella parte di trasporto, dalla
quale nissun venditore potr prescindere, sar necessariamente pagata dai gol
pratori; ma quella spesa di trasporto, che eccede questo limite, sar pagata dai
Venditori senza risarcimento, perch non potranno vendere la merce giammai al
di l del prezzo comune, Ci supposto, si rifletta che nel prezzo del grano estera
vi sempre una spesa di trasporto pagata dallo Stato che riceve la derrata, e que
sto prezzo del trasporto un risarcimento di spesa che fanno i compratori ai
venditori. Dunque la spesa del trasporto del grano in una nazione mancante di
questo prodotto in danno della nazione che riceve, e un risarcimento alla pg
zione chevende; ma non utile di questa come venditrice. Il valore originario
d'una merce, ch'io voglia vendere, sia per esempio 18, il guadagno 2; io la
porta a vendere, ed il trasporto mi costa 5; io la vendo 25 0 24 almeno, sa
crificando 1 di guadagno perch debbo rifarmi della spesa di trasporto; se pn
altro non ha la spesa di trasporto che di 1 , egli pu venderla 20, 21, 22, 25,
cio pu venderla a un minor prezzo e guadagnare di pi. Questo pu essere il
caso d'una nazione scarseggiante di grano che ne riceve dal di fuori per supple
mento, e che commercia liberamente del proprio, essendo minore la spesa del
trasporto del proprio grano in paragone di quella del trasporto del grano estero,
il prezzo delgrano interiore sar minore per i compratori, e il gladagno de' ven
ditori del grano proprio e nazionale sar maggiore: la differenza tra questi due
trasporti pu dividersi in minor aumento di prezzo in favore dei gompratori, ed
in aumento di guadagno in favore dei venditori.
S. XLII. Ma tutt'altre considerazioni devono farsi, quando la derrata co
mincia ad essere sovrabbondante, e i punti di vista sotto di cui deve essere ri
guardata questa sovrabbondanza cominciano a divenire pi intralciali.
Non vi ha dubbio che sia necessario in ogni paese coltivatore di aprire
un'uscita al superfluo de' prodotti; questo il principio d'ogni commercio, cio
DEL REGOLAMENTo pELL'ANNoNA. cAP.v. 443
di smaltire ci che sovrabbonda per procurarsi ci che manca. Ma i partigiani dai
regolamenti soggiungono essere necessario di rendere ben precisa l'idea di super
fluit; trattandosi dei prodotti di prima necessit, chiameremo noi superflua quella
quantit di frumento che eccede l'annuo consumo di una nazione? Non del tutto
certamente, perch i casi fortuiti richieggono un avanzo che serva di risorsa nel
caso di un'improvvisa carestia, inevitabile da chi vive sotto un cielo e sotto la
moltiplice combinazione delle prepotenti cause fisiche, Chiameremo poi super
flua quella quantit di frumento, la quale utile che sovrabbondi nella na
zione, acciocch nasca concorrenza di venditori e si ottenga il buon effetto di
tenere ad un medio livello il prezzo dell'alimento, il quale essendo rappresen
tatore d'ogni lavoro, se sia di difficile ritrovo incarisce la man d'opera e ributta
gli uomini da una fatica che lentamente premia e sostiene i travagliatori ? Anzi
necessaria questa sovrabbondanza, acciocch si vada all' incontro di un gran
dissima mala, qual quella dell'opinione della carestia, male pi terribile
e pi frequente della carestia medesima. Ma su di ci rispondono i partigiani
della libert, che appunto per esser troppo difficile di fissare il limite dell'an
pla consumazione, ben pi difficile il conoscere la superfluit per le ragioni sa
pra allegate; essere dunque necessario di lasciare un libero corso, sia alle uscite
gome alle entrate alle prime, perch il prezzo non si avvilisca nell'abbondanza
e non si perda una cos preziosa coltivazione; alle seconde, perch l'abbondanza
dell'altra nazioni supplisca alla scarsezza di quella. Dicono essere diversi total
menta i confinipolitici degli Stati i quali dipendono dalle successioni dei sovrani
e dai trattati di pace, dai confini delle nazioni commercianti i quali dipendono
dall'astensione della pianure, dalla qualit delle terre e dalle catene dei monti,
dai corsi dei fiumi, dalle situazioni marittime, mediterranee ecc.; che la mano
d'apera si equilibra ben pi presta nel caso della perfetta e reciproca libert,
che nel caso dei regolamenti, perch la pmano d'opera utile ad uno Stato
quella che regolata dal prezzo g0mlne delle nazioni commercianti a apr
punto la libert non fa altro che alzare il prezzo al di l del prezzo comune dei
generi delle pazioni commercianti, mentre nel sistema dei regolamenti il prezzo
al di sptto del comune. Dunque in primo luogo perdono iVenditori che hanno
mena salario da poter pagare; e in secondo luogo si avvilisce la produzione,
Inapga il prodotta, s'incarisce la derrata, e s'incarisce per mancanza, il che
lann09, pon per la goncorrenza, il che utile
Da questa reciprocha ragioni npi caveremo facilmente, che necessario di
stinguere la differente situazione di un paese agricola, nel caso che abbondi
della derrata di alimento. Tutti i commerci e tutti gli affari si dirigono verso
questa sorta di gommergiq, l'alleviamento ed il gprs9 di tutte le derrate non
pi l'entrata ma l'uscita. Se dunque liberamente esce il grano in tali circostanze,
ea Verg algun fren9 gd ostacolo, ppssono vari casi accadere: 0 ne pu ve
nire al di fuori, 9 n0n pg pu venire ; a facile l'escita e difficile l'entrata; a
siano circondati da nazioni che fanno lo stesso commercio, o da nazioni che ne
fissa pure e pa ricevano da altre; o la nazione marittima, 9 medi
TrR8
i XIII. Tutti questi casi, secondo gli amatori dei regolamenti, devono
essere distinti accuratamente; ei pi moderati fra essi, cio quelli che non porta
8 lo iRirito regolatore a segno di voler limitare ogni sorta di contratto, ggggr
444 BECCARIA.

dano la libert del commercio dei grani solamente per alcune nazioni, e la negano
ad altre, principalmente a quella nella quale essi vivono. Ma secondo il mio pa
rere , io son d'avviso che tutti questi casi chiaramente si riducono a due soli. Il
primo quello dove l'entrata del frumento tanto facile e sicura quanto l'uscita,
il secondo , quando l'entrata sia quasi certamente impossibile restando certa e si
cura l'uscita. Gli amatori della libert negano la possibilit di questo caso ; pri
mo , per la quasi universale coltivazione del frumento, la quale si fa dappertutto
dove sono terre buone e non troppo montuose , e queste tali terre qual pi qual
meno si trovano in ogni parte del nostro Continente; secondo, perch il com
mercio del grano si fa per via di successiva comunicazione, e non per trasporto
totale da un luogo all'altro : mi spiego. Se trenta villaggi , uno dei quali sia ai
confini e l'ultimo verso il centro di una provincia, siano talmente disposti che ai
confini pervenga quantit di grano e che ne sia scarsezza sempre pi grande
verso il centro, il grano non si trasporter saltuariamente dai confini al centro ,
ma invece 1' ultimo limitrofo villaggio provveder il penultimo, questo il susse
guente , e cos di mano in mano fino al centro. 1 contraddittori della libert
asseriscono per lo contrario la possibilit di questo caso , e si appoggiano sopra
esperienze. Io non credo necessario di esaminare quale dei due partiti in tal caso
abbia la ragione e quale il torto ; questa una questione di fatto che non si pu
sciogliere particolarmente, ed sovente odioso il farlo, come lo sempre in tutte
le questioni di fatto, perch la veracit dei disputanti compromessa. Dunque si
parler in conformit dei due casi , lasciandone l'applicazione a quelli che do
vranno essere gli esecutori.
$. XLIV. Ognuno vede che se il grano pu venire dal di fuori, la libera
uscita di esso ben lungi d'esser dannosa sar utile, anzi necessaria , perch nel
caso dell'abbondanza di questa derrata l'avvilimento del prezzo corrente farebbe
due grandissimi mali alla societ. Il primo sarebbe contro la giustizia , perch
farebbe torto e danno ai proprietarj e venditori. La propriet d'una cosa consiste
nell'uso plenario di quella e nel poterne ritrarre tutti que' vantaggi che dalla na
tura sua dipendono ; ora 1' avvilimento del prezzo di un genere al di sotto di
quello che tolti gli ostacoli potrebbe valere, lo stesso che togliere una parte dei
vantaggi che i proprietarj potrebbero ritrarre dalla cosa propria , il che un vio
lare la propriet , e quindi un' ingiustizia. L' altro male grandissimo che una
conseguenza di quello, sarebbe lo scoraggimento della coltura, onde la reale di
minuzione del prodotto totale e una ben pi grande e pi rapida diminuzione del
prodotto netto, dal quale dipendono il salario dell'industria, il tributo del so
vrano e le spese pubbliche.
Ma qui, prima di procedere pi oltre, necessario d'avvertire quanto vaghi
sieno quei termini di venire dal di fuori e d'uscir dalC interno d' una nazione
le varie merci. Questi termini sono meramente relativi. Il frumento che si
raccoglie in una terra vicina pu dirsi estemo riguardo all'altra terra , ancorch
le due terre appartengano ad un medesimo Stato ; parimenti due terre finitime
e contigue, poste l' una al di qua del confine l'altra al di l, non potranno chia
marsi terre estere , n il raccolto dell'una riputarsi estero riguardo all'altra , se
per tali non si reputano due terre vicine d'un medesimo Stato. Tutto ci apparir
chiaro riflettendo di nuovo , altra cosa essere i confini politici ed altra i confini
fisici de' paesi. I veri confini , cio quelli che fanno una reale differenza nel com
DEL REGOLAMENTO DELL' ANNONA. CAP. V. 445

mercio de' prodotti , per cui gli uni possono chiamarsi veramente esterni rispetto
agli altri , sono quelle situazioni nelle quali resta fisicamente interrotta la conti
guit e successiva comunicazione , onde il commercio non si faccia che saltuaria
mente e per lunghi trasporti. Ma se non ne pu venire al di fuori , intendomi
nel senso preciso qui sopra spiegato, allora sonovi due casi da considerarsi ,
cio il trasporto del grano interno fuori dei confini lungo e difficile, e il trasporto
facile e breve. Se il trasporto lungo e difficile , la spesa di tale trasporto alza il
prezzo della derrata senza che perci si aumenti il guadagno dei venditori ; a
questi giova piuttosto il venderlo nello Stato , perch possono aumentare il gua
dagno della vendita per tutte le successive porzioni d'alzamento di prezzo , a cui
ascenderebbe la spesa del trasporto ; in questa supposizione non escirebbe in con
seguenza che il vero supefluo , quello cio che sarebbe funesta cosa se escir non
potesse. Dunque l'inconveniente della libera sortita, oper dir meglio della libera
contrattazione sar in tal caso tanto minore , quanto fosse pi grande la difficolt
e la lunghezza del trasporto al di fuori.
. XLV. Resta l' unico e complicato caso, nel quale il trasporto sia breve
per la vicinanza dei confini al centro d'uno Stato o al centro della massima
coltura di questa derrata ; sia facile per 1' utilissima facilit delle strade , per
il comodo de' canali, e nel medesimo tempo lo Stalo sia disposto in maniera che
non possa provvedersi dei grani altrui come quello provvede gli altri dei pro-
prj; che sia attorniato da nazioni che manchino assolutamente di questa der
rata , nel medesimo tempo che esso abbia uno stretto e facile commercio con
gli altri generi di quelle. Allora l'inconveniente d' una troppo libera contratta
zione pu essere tanto pi da temersi , quanto la derrata non sia sovrabbon
dante al consumo , ma precisamente proporzionala a quello. Supponiamo uno
Stato che si dirami e si intersechi per mezzo gli Stati altrui, in maniera che abbia
molta estensione in lunghezza e poca in larghezza. Supponiamo altres che per
una straordinaria combinazione un tale Stato , non composto in certa maniera
che di queste lunghe liste di terra , sia il solo fra le nazioni che da ogni parte
lo circondano provveduto di frumento , mentre le altre ne manchino, cosicch
siano costrette di provvedersene altrove a caro prezzo : se in questo Stato, com
posto per la maggior parte di confini , vi sia quell'abbondanza che uon eccede la
consumazione d'un numero considerabile d'abitanti , vedr ognuno (come si pre
tende dagli avversi all'assoluta libert) che supposta la libera perfetta contratta
zione colle altre nazioni mancanti, pu restare questo Stato in un momento sprov
veduto e mancante del proprio grano , attesa la facilit di farlo uscire dove
i confini siano lunghi ed estesi , i trasporti facili , il bisogno pressante e molti
plicato, il guadagno considerabile. Soggiungono i partigiani del regolamento che
non gioverebbe il considerare, che posto che quelle tali nazioni mancanti di grano
proprio esistono separatamente dallo Stato in questione, segno che esse possono
aver grano e tutte le cose d'altronde che dallo Stato di cui si parla; altrimenti
o sarebbero gi incorporate nello Stato stesso, o quelle nazioni non esistereb
bero; nel qual caso non vi certamente da temere P uscita , perch debbonsi
distinguere i due differenti trasporti nel caso che qui si tratta. Il trasporto dallo
Stato che s'insinua fra queste nazioni facile , in modo che in pochissimo tempo
da una parte e dall'altra dei lunghi confini suoi pu essere rovesciato nelle na
zioni circondane la maggior parte del grano territoriale, e in questa maniera co-
46 hEcCARiA.

stringere lo stato a dividere cdi due millioni di persone quel grahb che basta ad
uti solo nllione. Il trasporto del grano che da altre lontane natidiil provvedereb
bero le nazioni circondarie, supposto che lo stato del quale si tratta hoh volesse
accordarglielo, sarebbe un trasporto pi lungo, pi diffilclle e dispendioso, e per
conseguenza molto pi tardo che non il trasporto dallo Stato che si dirania fra
queste nazioni bisognose. Dunque in primo luogo (dicono i partigiani della lihii
tazione), supposta la libera ed assoluta promiscua contrattazione, tutti i colfi
nerci si farebbero con questo stato abbondante e fornito, e filssun commercio vi
sarebbe cogli stati pi lontani, dhd nel caso di mancanza n6ti vi sarebbe cohn
penso per il mezzo del grano trasportato dalle lontane nazioni. In secondo luogo,
quando si supponga ancora questo cofimercio, e per conseguenza il compeiiso
alla mancanza, la compensazione arriverebbe troppo tardi, il graho noh si rac
coglie che una volta l'anno, e la distanz d una riproduzione all'altra cofisi
derabile, dunque nel caso nostro non vi sarebbe proporzione tra la celerit coii
cui potrebbe distribuirsi in giro il grano dello stato, colla tardanz del trasporto
del grano di pl remote nazioni che potrebbe supplire alla mancanza. lfi pratica
dunque questo preteso supplenento non vi sarebbe ; la libera uscita del grahio
non sarebbe in concorrenza coll'entrata; tutto il corso degli affari delle finire si
rivolgerebbe alla vendita vantaggiosa d'tina tale derrat,frattanto che l'uscita
facile e momentanea di quella non ritornerebbe ifi utite e in accrescimento della
coltura, perch in questo caso si suppone che la terra ne dia quanto he pu dare
b prossimamente, il che ne'politici ragionamienti lo stesso. La spesa del tra
sporto non quella in tal caso che alzerebbe il prezzo delgrano, per cui tor
nerebbe a conto ai nazionali di venderlo dentro de' proprj confini, ma la ricerca
e la necessit delle vicine nazioni; mentre un tale alzamento sarebbe, vero,
tutto in vantaggio de'venditori, ma non potrebbe perci impedire che il pane
che basta a nutrire solamente un milione di persone per esempio, non fosse co
stretto a dividersi fra due milioni col disagio di tutti e coll'eccessivo incariffiento
della derrata medesima; dai quali effetti nasce nel popolo la carestia, o per dir
fiieglio l'opinione di quella fonte principale delle sedizioni e di tutti i disordini
che ne vengono in conseguenza, sia per l'inquietudine tumultuosa del popolo
dall'una parte, sia per la fredda avidit de' commercianti dall'altra che li spinge
a profittare de'panici timori e delle pubbliche calamit. Dunque quanto pi fa
cile sar il trasporto nel caso di un paese che faccia esclusivamente dalle altre
nazioni circondanti il commercio, tanto maggiori possono esseregl'inconveniehtl
dell'assoluta libert di farlo uscire dai confini.
S. XLVI. N giova in questa supposizione riflettere, che supposta l'assoluta
libert, molti essendo li proprietarj del grano, molti i venditori e commercianti
di quello, la moltiplicit di tutti costoro far che il prezzo si mantenga sempre
ad un inediocre livello, perch l'enulazione di vendere far in modo che gli uni
a gara degli altri offrano un miglior partito della merc vendibile. Rispondo,
che una tale concorrenza di venditori abbassa il prezzo, Prino, finch esiste la
quantit assoluta della derrata che si vende; secondo, a misura che questa
derrata non d'immediata consumazione e d'inesorabile necessit. Ma quando
comincia a nancare (e nel caso mancherebbe con successiva e rapida celerit)
scema la concorrenza dei venditori, i quali vanno aumentando le loro preten
sioni accorgendosi della mancanza, ed aumentano il prezzo in vista d'un titile
DEL REGOLAMENTo BELL'ANNoNA. CAP. v. 4
pi sicuro. Gli uonini si riuniscono pi facilmente nel medesimo scopo e nel
hedesifib interesse, quanto il bene che ne sperano pi sensibile e pi imme
diat6. Nel caso nostro, essendo la derrata di consumazione giornaliera e di
prlma necessit, la sicurezza dello spaccio incoraggisce i venditori ad aumentarne
il prezzo senza temere rifiuto dalla parte dei compratori.
Da tali ragionamenti sembrami aver dimostrato che generalmente la libert
ass6luta, ossia il non sistema il migliore di tutti i sistemi che in materia di
anihona si possano immaginare dal pi raffinato politico, e nel nedesimo tempo
hon esservi che un caso complicato, in cui debbono verificars cinque rare e
difficili supposizioni, il quale sia favorevole alla limitazione, e nel quale potrebbe
essere pi politicamente che economicamente dannosa l'assoluta libert della
contrattazione de' generi; caso nel quale pu essere funesta, non l'aumentazione
del prezzo di quelli, ma la privazione istantanea e la mancanza della derrata:
vedreno dunque in questa supposizione quali siano le modificazioni che si de
vono dare alla libert del commercio di questi generi, nodificazioni che deb
boho scostarsi il meno che sia possibile dalla libert medesima.
S. XLVII. Prima di procedere pi oltre aggiungiano ancora un'altra consi
derazione, che pu essere favorevole in parte ai partigiani della limitazione,
sempre per unicamente nel caso complicalo qu sopra supposto. Data la piena
totale assoluta podest e libert in una nazione coltivante grano, il territorio
della quale si suppone stendersi ed insinuarsi in altri territorj forastieri nancanti
quasi totalmente di quel genere, allora potrebbe accadere che la maggior parte
delle terre fossero coltivate a grano, quando una parte di queste potrebbe an
nettere varie colture di varie materie prime, che sono la base dl tante arti ed il
e6nplemento dl tanti e s diversi bisogni. Credo d'avere sufficientemente accen
nato quel che si debba pensare generalmente intorno a ci nel Capo antecedente;
dir qui soltanto che la piena licenza di vendere fuori della nazione tutto il
frumento, nel caso che non vi sia concorrenza d'un simile prodotto, ne rende
rebbe nelle date circostanze talmente vantaggiosa la coltura, che s'impieghereb
bero poco a poco tutte le terre a quest'unico prodotto, e boschi e pascoli e
lini ed altri generi di coltivazione svanirebbero dalla nazione. Vi sarebbe l'ali
mento che paga un travaglio gi fatto, ma mancherebbe la materia prima che
suppone un travaglio da farsi: i principj esposti nel Capo antecedente mi di
spensano da un ulteriore sviluppamento di questa riflessione.
S. XLVIII. Quali saranno dunque nell'accennata supposizione le modifica
zioni pi utili che si potrebbero interporre alla licenza d'un tale commercio?
Abbiamo veduto che a misura che il trasporto dal centro della medesima
coltivazione alla circonferenza pi lungo e difficile, tanto meno debbano te
mersi gl'inconvenienti di un'assoluta libert, la quale nell'accennata supposizione
sarebbe di gran lunga pi favorevole all'uscita che all'entrata. Dunque nel caso
che questo trasporto sia di sua natura facile e breve, si dovr procurare di ren
derl artificialmente lungo, difficile e dispendioso,perch in questa maniera si
avr il doppio vantaggio di conservare in apparenza tutta la possibile libert,
che animando gli uomini alla fatica e all'industria del commercio si mantiene
alacre e vigorosa,e nel medesimo tempo di frenare l'interesse personale tra quei
limiti ne' quali divenga una forza combinata con il bene pubblico, non una con
traria e distruttiva di quello. Si rende artificialmente dispendioso un trasporto,
448 BECCARIA.

di sua natura facile e spedito, col mezzo delle gabelle che si pongono ai confini.
La spesa della gabella equivale alla spesa d'un trasporto pi lungo , spesa che
non in vantaggio n del venditore, n del compratore, e che per conseguenza
ancorch sia pagata dal secondo (il che non sempre si verifica , perch li com
pratori forastieri comprano alla concorrenza generale di tulli i mercati , non al
prezzo stabilito al mercato d'una nazione in particolare), non diventa per giam
mai un utile per il primo, anzi la spesa di queslo trasporto medesimo consiglia
al venditore di risparmiarlo e vendere ai nazionali piuttosto che ai forastieri, per
ch nel medesimo tempo potr vendere a miglior mercato per il risparmio della
spesa del trasporto, e fare un maggior guadagno ; perch risparmiando un aggra
vio al compratore, pu dimandare per s una porzione di questo medesimo ri
sparmio, come gi varie volle abbiamo accennato.
. XLIX. A misura che sorte una derrata dallo Stato, ella diviene sempre pi
scarsa, il numero de' venditori si diminuisce , quello de' compratori cresce , il
prezzo dunque s'alza a poco a poco -, dall'alzamento perci del prezzo , supposta
nella contrattazione assoluta e piena libert dentro i confini , si pu conoscere
l'abbondanza o la scarsezza del grano. Quando dunque il valore eccede quei
limiti che si credono i pi giusti, acciocch n la derrata sia avvilita , n l'ali
mento troppo difficile e costoso, onde la man d'opra riesca troppo cara in con
fronto degli altri paesi; quando, ripeto, il valore eccede questi limiti, allora una
gabella ai confini allunga per cos dire e difficulta il trasporto economicamente
se non fisicamente, rende al venditore pi utile la vendita nell'interno che al di
fuori, e la derrata che tutta si avviava a sortire rigurgita all' indietro , il prezzo
di nuovo abbassandosi in vantaggio delle arti e in sollievo del popolo , mentre
questo ribasso non riesce dannoso realmente ai venditori e proprietarj del grano,
come si dimostrer qui in appresso.
. L. Dunque in generale si potr dire che la massima di un'assoluta libert,
quando la nazione sia posta nelle circostanze di poter profittare della concorrenza
universale dei contratti non solamente de' proprj grani , ma ancora de' grani
altrui, sia la vera massima economica che generalmente dovrassi adottare , per
ch allora si stabilisce il vero, naturale e costante prezzo delle cose tutte, il quale
appunto per essere tale sarebbe una formale contraddizione di supporlo ecce
dente o dannoso a quelle medesime arti che non possono sussistere , anzi nem
meno stabilirsi e nascere senza i prodotti della terra; e i prodotti della terra non
possono essere abbondantemente raccolti , se non a misura che compensano le
spese e premiano chi le raccoglie. Quando poi una nazione si trovasse veramente
fuori del caso di profittare dell'universale concorrenza , allora una gabella pro-
porzjonata in primo luogo al successivo accrescimento del prezzo , regolata in
secondo luogo sulla distanza de' differenti trasporti de' grani che potrebbero con
correre col grano di questa nazione, sar il miglior metodo onde regolare questo
importante commercio.
. LI. Ora non restano che alcune modificazioni da aggiungersi , affine di
rendere meno difficile la custodia relativamente alle forze interne dello Stato.
Vedr ognuno primieramente, che i confini in queste circostanze non debbono
consistere solo in una semplice linea di divisione cogli Stati finitimi, ina in una
fascia che da quella cominci e stendasi alquanto nell'area interna , acciocch il
tortuoso contrabbando non abbia un punto a superare ma molti , e sia frenalo
DEF. REGOLAMENTO DELL' ANNONA. CAP. V. 449

ilalle ripetute probabilit di soccombere. In secondo luogo si dello una gabella


e non una proibizione assoluta, perch saranno pi frequenti le contravvenzioni
e gl'inconvenienti pi grandi dove siano usate le proibizioni assolute , che dove
siano adoperate gabelle. Per ben intendere ci bisogna riflettere alla natura del
contrabbando, il quale, cresce e diminuisce per due forze diverse, l'una per quellla
che lo impedisce vegliando continuamente contro di esso, l'altra per la maggiore
o minore spinta che hanno gli uomini a farlo.
In primo luogo v' una differenza di circostanze fra la custodia e l'esecu
zione d'un divieto assoluto, e la custodia e l'esecuzione d'una gabella pro
porzionata; perch i custodi d'un assoluto divieto possono pi facilmente es
sere corrotti dal contrabbandiere , cui, niente costando l'uscita, pu tornare
a conto una tal corruzione. vero essersi talvolta usato d'interessare i cu
stodi nell' invenzione , ma questo metodo troppo abusivo per chi pensa allo
spirito della legge e del divieto, il quale consiste a far s che la merce non esca,
non vi siano invenzioni e non vi siano patti coi custodi, onde divenga un oggetto
di rendita e di privativa ci che un oggetto di sicurezza e di precauzione. Per
lo contrario supposta una gabella regolata sui veri principi da noi accennati, o i
custodi defraudano col contrabbandiere la gabella , e questi soggetto sempre
ad un aggravio che pu divenir maggiore della gabella medesima, la quale per
sortir il medesimo effetto riguardo alla remora che si vuol frapporre all'uscita ;
o senza i custodi cerca egli di defraudare la gabella, e dico allora che egli avr
meno motivi di farle, di quello che sotto un assoluto divieto: il rischio di chi
contravviene al divieto della gabella la perdita della merce defraudata , o an
cora qualche altro valor maggiore. Vi dunque una proporzione Ira questa pena
e la gabella; il rischio del contrabbandiere vale dunque un determinato valore, il
suo guadagno vale il risparmio della gabella. Ma quando vi sia un divieto asso
luto, il suo rischio vale il valore della merce, e il suo guadagno vale la differenza
tra il valore della merce medesima venduta al di dentro, ed il valore di quella
venduta al di fuori. Questa differenza, dove vi sono divieti assoluti , sempre
grande a misura dell'abbondanza interiore che avvilisce il prezzo della ricerca
esterna; perci il guadagno del contrabbandiere proporzionale a questa diffe
renza, quando gli riesca il contrabbando , sar maggiore; vi saranno dunque
maggiori motivi producenti il contrabbando contro i divieti, che contro le
gabelle.
. L1I. Un'altra considerazione , per la quale preferibile la gabella ai
divieti assoluti , si che coll'introduzione di questi divieti si unisce essen
zialmente la necessit di concedere licenze particolari d'uscita.
Quale in questo caso ordinario l'effetto della proibizione supposto l'ar
bitrio di concedere licenze, o come si dice le tratte ? Il primo l'avvilimento
del prezzo nel tempo della raccolta, vale a dire, che il prezzo dei generi in
quel tempo sar al dissotto del naturale suo livello; in tal caso vi saranno
alcuni che avranno l'avvedutezza e la facilit , in grazia del poco valore e
della concorrenza forzata de* venditori , di ammucchiarne una gran quantit.
Quelli che saranno ricchi di questa merce d'esito sicuro e ricercata al di fuori,,
troveranno certamente non so quali , ma infallibili modi di ottener le licenzi1.
Le circostanze di molti Stati, le convenzioni fra i principi ed altre conside
razioni esigono queste licenze : colla licenza di cento, non difficile che.pas-
Econom. Tomo III. '29.
450 BECCARIA.
sino mille; e in pr di chi passano questi mille? Non certo in vantaggio
de' ventitori, i quali hanno venduto a basso prezzo , ma in vantaggio degli
incettatori , i quali lo vendono ad alto prezzo. Egli facile di vedere che
l'alto prezzo del grano venduto da venditori primi, ossia da' proprietari! e
coltivatori, utile tanto all' agricoltura che alle arti , per la maggior somma
di salari che distribuisce , la quale eccede il danno che potrebbe nascere dal
l'accrescimento del valore della mano d'opera; ma l'istesso alto prezzo del
grano venduto dagli incettatori diviene dannoso all'agricoltura, perch non ri
torna sulla terra una parte della ricchezza e del valore del grano; dannoso
alle arti, perch questi incettatori quanto si arrichiscono , altrettanto sono
pochi di numero , e le maggiori spese che essi possono fare col guadagno
della loro rivendita , non eccederanno proporzionalmente il torlo fatto alle
arti in grazia dell'accrescimento del valore della man d'opera.
. LUI. Dunque pare che il metodo delle tratte arbitrarie , o comprate o
gratuite, incoraggisca i tanto temuti monopolii , i quali nascono sempre nel
caso in cui si prevegga dall'avveduto negoziante un salto , o almeno un ve
loce passaggio dal basso all'alto valore d'una merce qualunque.
. L1V. Ma la gabella non il solo mezzo con cui si sia pensato di pre
venire la soverchia uscita della derrata di prima necessit ; tre altri metodi
ci restano da considerare, i primi due de' quali sono combinabili colla gabella,
cio i pubblici mercati e le gratificazioni ; il terzo metodo poi quello dei
pubblici magazzeni, quanto ovvio, altrettanto pericoloso.
. LV. I mercati sono i luoghi di ritrovo e di concorso dei compratori e
dei venditori, nei quali molti cercano di vendere una data merce, molti cer
cano di comprarla. Quando questi mercati sono frequenti in un paese , gli
uni servono di norma agli altri nel fissare il prezzo delle cose; in questi adun
que, per la reciproca concorrenza universale e sensibile de' venditori e de'
compratori, si stabilisce il prezzo il pi giusto ed il pi utile delle merci ,
cio n troppo infimo n troppo alto. La concorrenza di molti che attualmente
comprano e vendono sotto la tutela e la guardia della reciproca emulazione ,
una tale concorrenza divisa e sparsa su molti luoghi, e questi luoghi scelti e
adattati alle comode riduzioni degli abitatori, fanno si che i monopolli siano
prevenuti , che la facilit di perdere gli avventori impedisca le frodi, in somma
che l'affluenza di molti interessi opposti, incorocicchiandosi tra di loro , im
pedisca il soverchio accumulamento in poche mani d'un genere, nelle quali, im
perioso, si farebbe de' bisogni altrui una privativa ricchezza.
. LVI. Il metodo dunque dei mercati, ove si facciano i commerci dei grani,
sarebbe utilissimo a fissare ed a ritrovare il naturale prezzo dei grani medesimi,
e ci principalmente in que' paesi, ne' quali da tempo immemorabile essendosi
perdute di vista le tracce infallibili della libert del commercio, i prezzi delle
cose si trovano sviati dalle naturali loro direzioni, e dalle mani della propriet
sono passati sotto quelle delle privative e franchigie. I mercati adunque servi
rebbero ad accostumare le nazioni alla libert medesima, ad assicurare per lungo
tempo le inquietudini d'un popolo assuefatto a temere le carestie, perch senza
che egli se ne accorgesse erano prodotte da' quei mezzi, che si adoperavano per
altro colla pi retta intenzione a prevenirle.
. LVI1. Due leggi si sono usate presso varie nazioni, allorch si creduto
DEL REGOLAMENTO DELL'ANNONA. CAP. V. 451

da quelle di dover far uso de' mercati per l'approvvisionamenlo sicuro delle Pro
vincie. La prima quella di obbligare i proprietarii delle terre posseditori de'
grani di portare su i mercati una data porzione del loro raccolto: ma perch que
sta non sia una violenza che distrugga la raccolta medesima, perch questa
obbligazione non sin gravosa troppo a chi vi fosse soggetto, necessario che
codesti mercati siano a portala di tutti i diversi proprietarii, e perci frequenti e
ben distribuiti. Altra legge pi semplice quella che rendesse invalido ed illegale
ogni contratto di grano non fatto su tali mercati , o veramente esentare i detti
contratti fatti su i medesimi da una gabella qualunque posta sui contratti fatti
fuori di essi, mentre la perdita del grano la pena annessa alla contravvenzione
di queste leggi, per l'esatta osservanza delle quali sono necessarie le notificazioni;
il che dovrebbe esser eseguito gratuitamente per mezzo de' pubblici sensali, che
a tal notificazione fossero tenuti. Ma queste leggi limitative della libert de' con
tratti, che l'uso della propriet ristringono e modificano, perch siano osservate
senza avvilimento della coltura e dell'industria, perch la frode non entri di
soppiatto a rendere frustranei gli effetti della legge, necessario che codesti
mercati siano dalla pubblica autorit protetti e sostenuti: che privilegi e fran
chigie ottengano a preferenza di tutti gli altri luoghi: che magazzeni vi siano di
deposito aperti e comunicabili ai venditori: che la pi inviolabile sicurezza, che
la pi grande facilit per la conservazione inviti ed incoraggisca i venditori del
grano. I privilegi sono sempre dannosi, quando sono concessi ad alcuni esclusi
vamente, a preferenza di tutti gli altri; ma possono essere altrettanto utili quando
siano concessi non alle persone direttamente, ma alle azioni conformi al pub
blico bene, in modo che a chiunque sia aperto l'adito del godimento del privi
legio, purch sia in suo potere di fare quell'azione, a cui quello va annesso. Non
v' pericolo certamente che vi siano monopolii dove sono pubblici mercati. La
frequenza e la buona distribuzione di quelli, la contemporaneit di molte e diverse
vendite e compre prevengono e disturbano le pi fine speculazioni dei monopo
listi. Ma non ostante queste utilit de' mercati, potr ognuno vedere in quanto
imbarazzo di leggi, per quanta tortuosit di cautele deve passar quella nazione,
la quale dalle circostanze sia costretta a scostarsi anche un minimo che dall'as
soluta libert ! Questa riflessione dunque ci deve insegnare quanto sia necessario
di prima esaminare in ciascheduna nazione in particolare colla maggiore accu
ratezza, e di verificare col pi disinteressato scrupolo tutte le circostanze che po
trebbero consigliare la restrizione della libert, e far credere che la nazione sia
veramente nel caso d'essere esclusa dalla concorrenza universale di un genere,
con profusione coltivato in tutte le provincie quasi d'Europa.
. LVIII. Supposto dunque lo stabilimento di questi mercati, egli chiaro
che si potrebbe conoscere dallo stato de' prezzi attuali massimamente paragonati
co' prezzi de' grani esteri, se la nazione sia nel caso di godere le franchigie del
l'assoluta libert, o veramente di dovere prestarsi a qualche limitazione; allora
una gabella proporzionata alla differenza pi o meno grande de' prezzi forestieri
o de' prezzi nazionali, cosicch col favore di quella, questi prezzi si adequino o
piuttosto si compensino, dedottane la considerazione de' trasporti, la detta gabella
sar la legge la meno dannosa all'agricoltura, quantunque per in qualche parte
la debba essere.
$. LIX. Su questi medesimi principii sono state da varie nazioni introdotte
452 BECCARIA.
le gratificazioni. Abbiamo dello che i dazii e le gabelle sono femore e difficolt
contro le vendile delle merci, quando queste vendite siano dannose alle nazioni.
Le gratificazioni sono per lo contrario incoraggiamenti e stimoli, acciocch se
guano i commerci utili e proficui allo Stato. Le gabelle sono pagamenti del
commerciante al sovrano ed allo Stato, quando egli faccia un tale e tale com
mercio, che riesce meno utile; le gratificazioni sono pagamenti del sovrano e dello
Stato a chi fa tali e tali altri commerci considerati come utili alla nazione. Le gabelle
sono allungamenti e difficolt di trasporti; le gratificazioni, accorciamenti e fa
cilit de' medesimi. Sono dunque le gratificazioni per rapporto alle gabelle quello
che nell'aritmetica sono le quantit negative rapporto alle positive. Servono a
facilitare l'estrazione di un prodotto per noi sovrabbondante; servono a ricom
pensare il torto che si fa al commercio per la difficolt de' trasporti; servono a
richiamare nell'area interiore di uno Stato una merce necessaria. Cos di alcuni
generi, di cui si voglia ritardare o diminuire l'uscita, ed accrescere ed incorag-
gire l'entrata, s'imporr la gabella all'uscita e la gratificazione all'entrata, in modo
che il prodotto della prima serva ad introdurre il fondo per l'altra. Parimenti
pu essere utile d'imporre la gabella all'entrata e la gratificazione all'uscita, al
lorch siavi bisogno d'introdurre una coltura d'un genere del quale il paese man
chi, e nel medesimo tempo ne sia suscettibile. Cos gl'Inglesi nel loro famoso
Alto di navigazione imposero la gabella all'entrata del grano, e la gratificazione
all'uscita, in quel tempo appunto che il territorio non somministrava grano suf
ficiente alla consumazione ed andava per la massima parte incolto; perch allora
tutti i coltivatori a gara si affaticarono per seminare e raccogliere una derrata
cos preziosa. Ma quando il territorio non manchi di ci che necessario alla
consumazione degli abitanti, un tale metodo non farebbe che privare la nazione
medesima de' vantaggi della generale concorrenza.
. LX. Il terzo metodo da molti proposto quello de' pubblici magazzeni,
cio d'una pubblica custodia de' grani dei particolari, o piuttosto d'una provvista
che facciano i corpi pubblici e le comunit del grano necessario al tempo della
raccolta, avanti che si permetta l'estrazione, per rivenderlo ad un discreto prezzo
al popolo. Il primo metodo de' magazzeni pubblici, come abbiamo veduto, pu
essere utile quando non sia che un semplice e libero deposito, che non impedisca
la libert della contrattazione e lasci totalmente libera la vendita ed il prezzo di
quella. Ma gli inconvenienti del secondo metodo, vale a dire delle provviste
pubbliche, appariranno considerabili a chi riflette che il grano, che si compra
dal pubblico, induce a rinchiudere quello che avanza ai particolari, perch lo
smaltimento di quello incarisce il prezzo di questo; a chi considera, che colle
pubbliche provviste si toglie la concorrenza dei compratori nazionali co' compra
tori forestieri; ed il grano de'particolari non potendo essere venduto nella provincia
al di l del prezzo fissato dal pubblico approvvisionamento, la derrata resta avvilita,
e i compratori forestieri potranno comprarla a pi basso prezzo di quello che lo
avrebbono, se avessero in concorrenza i compratori nazionali, Si consideri inoltre
che gli amministratori e custodi di tali magazzeni hanno mezzi e facilit di fare
commerci esclusivi e privativi di grano; clic la rivendita al popolo del grano poi-
pubblico conto provvisto, acciocch non sia un aggravio del pubblico e siano
compensale le considerabili spese di edifizii custodi, mobili, amministratori, scrit
tori, contro-scriltori, e di tutto il voluminoso apparato che accompagna quasi
DEL REGOLAMENTO DELL' ANNONA. CAP. V. 455

sempre la provvidenza pubblica, suppone la privativa della panizzazione presso


alcuni pochi, onde il basso prezzo della vendita sia compensato dal guadagno
ristretto in poche mani; e che l'amministrazione di tali magazzeni sempre
languida e pericolosa, trattandosi di un genere soggetto a mille rischi quando
non sia confidata all'interesse personale del proprietario.
Non si ancora trovato un metodo abbastanza semplice e poco dispendioso
per garantire dagli assalti del tempo, dalla corruzione della polvere e dagli in
setti una grossa quantit di grano insieme accumulata, e tale scoperta sarebbe
essenziale quando si volessero introdurre i pubblici magazzeni. Noi dobbiamo la
pi gran riconoscenza al signor Duhamel, filosofo francese, il quale ha trattato pi
felicemente d'ogni altro, se non abbastanza semplicemente quanto era necessario
per l'uso universale, intorno alla conservazione de' grani; ma egli vi ha tra
vagliato per insegnare ai particolari a custodire il proprio, non per consigliare
il pubblico al pericoloso metodo de' magazzeni.
. LXI. Dalle passate considerazioni che ci pongono sott'occhio quali sieno
i particolari mezzi progettati, onde render facile, sicura ed abbondante la circo
lazione de' grani, ne segue facilmente come debba esser regolata la panizzazione,
per la quale tanti complicati regolamenti si sono visti nelle nazioni, onde in
apparenza si calmava l'inquietudine del popolo, e gli si forniva un pane gior
naliero e sufficiente, ma diminuito e smunto da insensibili ed occulti tributi, che
non ridondavano n in vantaggio del sovrano, n in quello dello Stato, e certa
mente del pari dannosi ai venditori e proprietarii dei prodotti come ai compra
tori del pane. La complicatezza de' regolamenti apre l'adito all'arbitrio, perch
esige continue operazioni intorno a quelli, e moltiplica gli amministratori che
pesano tutti coll'interesse privato sul pubblico bene, mentre le private mire
grandeggiano nell'immaginazione ed offuscano la languida idea dell'utile uni
versale.
. LXII. Nelle sovra accennate supposizioni, sia dove possa sicuramente
regnare la felice assoluta libert, sia dove sian credute necessarie le anzidette
limitazioni, fissati gli esposti regolamenti semplici e generali tratti dalla natura
medesima delle cose, credo che miglior legge intorno alla panizzazione non vi
sia di questa, faccia pane chi vuole e sia punita la frode.
Va numero di persone privilegiate esclusivamente a far pane diviene arbitro
del grano che serve all'interiore consumo; quanto pi piccolo questo numero,
tanto pi facile l'unione ed il concerto. Allora gli uomini agiscono d'accordo,
quando l'utile comune della compagnia, diviso sul numero de' compagni, si ri
partisce in porzioni considerabili per ciascuno; per lo contrario gli uomini agi
scono isolatamente ed a gara gli* uni degli altri, quando piccola la tangente
dell'utile comune. Dove sono persone privilegiate all'esclusiva panizzazione, ivi
si stabiliranno due classi di compratori di grano, cio i panatieri privilegiati e
gli ammassatori per venderlo al di fuori. Nel tempo delle raccolte il numero
de' venditori del grano grande, piccolo quello de' compratori. La derrata perci
a vii prezzo, quindi si ristringe a poco poco in poche mani, ed allora avviatosi
il nuovo grano sia all'uscita, sia alla panizzazione, il numero de' venditori
piccolo e quello de' compratori grandissimo, e perci il pane a caro prezzo. La
carezza d'un tale prezzo non in vantaggio della classe de* proprietarii de' ter
reni, ma soltanto favorevole ad alcuni de' pochi. Non incoraggiata l'agricol
454 IIECCABIA.

tura, ma resta avvilita l'industria; divien cara la mano d'opera, ma noii crescono
le opere medesime.
. LXIII. In secondo luogo si punisca la frode: l'autorit pubblica deve
essere tulrice del popolo, e con vigorosa fermezza penetrare e dissipare i tene
brosi raggiri dell'imperturbabile avidit di guadagno, principalmente dove si
tratti di cose interessanti la sanit della moltitudine. Ma nel sistema della libera
panizzazione sono assai meno da temersi le frodi, che nel sistema della circo
scritta. A misura che l'utile, che si pu dividere in molti, si ristringe in pochi,
si ristringe ancora proporzionatamente l'influenza dell'autorit sopra de'medesimi,
perch i mezzi che rendono attivi e sagaci gli uomini vanno crescendo. Pur lo
contrario libera essendo la panizzazione, la frode vien punita pi facilmente da
se stessa, perch il paragone di molti che non frodano e la gelosia reciproca dei
concorrenti allontana i compratori dal frodatore.
Io dunque lo ripeto: faccia pane chi mole e come mole. Questo il solo
editto, che i migliori prim-ipii di politica economica sanno suggerire. Chi lo far
piccolo e men buono, purch non sia di malelca qualit, non lascer di spac
ciarlo; e chi lo far di qualit migliore lo spaccer tanto pi facilmente, quanto
la merce di consumo e non di durata. Gli uni a gara degli altri si metteranno
al livello desiderato dalle leggi; l'interesse otterr ci, che le pi severe ordina
zioni non ottengono.
. LXIV. Resta a vedersi, se lasciato a lutti l'arbitrio di panizzare, debba
essere lasciala la libert del prezzo, o la libert del maggiore o minor peso di
ciaschedun pane, o l'una e l'altra insieme. Rispondo in primo luogo, essere io
vero indifferente una tale questione; in secondo luogo, che la contrallozione del
pane essendo affare di giornaliera necessit, ed essendo conveniente di evitare
la confusione e di fissare e render precisa nel popolo l'idea d'un contratto che deve
esser spiccio e di tutte le ore, per rendergli pi fucile la maniera di non essere
ingannato e di scoprire le frodi pu non essere opportuno di lasciare a' panizza-
tori l'una e l'altra libert, giacch questa doppia libert non necessaria alla
vera libert d'un tale commercio, essendo il prezzo e il peso d'una tal merce due
quantit relative. La libert conservata se l'una di queste nell'arbitrio del
venditore; e qual delle due si debba accordare, apparir chiaro se si considera
essere necessario in quest'assidua contrattazione di lasciare alla minuta eco
nomia ed ai casalinghi calcoli della piccola industria del popolo l'idea precisa e
costante d'un prezzo fisso e determinato: potr in conseguenza lo stabilimento
del peso essere in arbitrio de' panizzatori.
. LXXV. Quando alcune circostanze particolari esigessero altrimenti, cio
che il peso ed il prezzo dovessero esser fissati ai panatieri, ci non ostante non
sarebbe una conseguenza di questa limitazione quella di togliere la legge: faccia
pam chi vuole. Ogni restrizione di libert sia in commercio, sia in qualunque
altro rapporto di societ, deve esser un risultato della necessit di evitare un
disordine, non un effetto dello scopo di far meglio.
$. LXVI. Io spero che l'importanza della materia, la moltiplicit de' progetti
la variet delle opinioni e de' discorsi giornalieri su d'un oggetto tanto interes
sante mi faranno perdonare la prolissit mia e l'insistenza colla quale ho cer
cato di approfondirne la natura. Ora passiamo ad alcuni altri oggetti che ci re*
stano intorno all'economia agricola d'uno Stato.
tH

CAPO VI.

Della rollimi di altri generi di derrate.

$. LXVII. Si veduto, cred'io, ampiamente con quali principii debba regolarsi la


coltivazione ed il commercio della derrata di prima necessit. Ve ne un'altra,
che quantunque non sia derrata d'alimento, lo per di necessaria consumazione;
questa la legna. Sia per l'uso necessario ai bisogni continui della vita, sia per
il servizio quasi universale che rende a tutte le arti e manifatture, sembra da
considerarsi anch'essa come materia prima di un'arte particolare. Basta ci per
conoscere quanto sia importante l'abbondanza e la facilit del commercio della
legna. Prima di esporre i principii con cui una tale economia debb'essere diretta,
giova qui premettere alcune riflessioni. In primo luogo si rifletta esservi nessuna
proporzione in questo caso tra il valore della materia prima ed il prezzo del
trasporto. La legna dove vi siauo terre montuose ed inabili ad altre pi lucrose
colture, suole essere abbondante e sul luogo medesimo vendersi a vilissimo prezzo;
ma il lungo trasporto per strade dillcili e scabrose, il difetto di canali, che come
abbiamo veduto riducono sempre al quinto la spesa d'ogni trasporto, rendono
preziosa una merce che naturalmente a basso prezzo. Seconda riflessione si ,
essere tale la variet delle situazioni e la combinazione fisica delle qualit delle
terre, in modo che non siavi territorio nel quale non si trovino molte terre, che
necessariamente vogliano essere coltivate a buschi a preferenza d'ogni ultra col
tura; ma appunto la difficolt dei trasporti, rendendo inutile ai proprietarii una
tale coltivazione, fa che trascurino, ovvero distruggano que' boschi medesimi che
le circostanze territoriali richiedevano. Terza riflessione si , che quando si do
manda il buon mercato della legna non si vuole intendere il vii prezzo di quella,
perch vii prezzo e non coltura sono espressioni politicamente sinonime; ma si
dimanda che la legna, l'uso della quale circola per tutte le classi e in tutte le
occorrenze, consista: I. nel valor naturale de' boschi sul luogo medesimo della
coltivazione; II. in nissuu valore intermedio, il quale dannoso al compratore
senza pr del venditore, pesa sopra le arti e non incoraggisce la produzione.
5- L.WII1. Con queste preliminari riflessioni egli facile di vedere quali
siano i principii direttivi della economia de' boschi, e in primo luogo noi comin
ceremo a fissare quelli, che essendo dettati dalla ragione delle genti sotto gli
auspicii della libert, meritano la preferenza sopra di quelli che vengono sugge
riti dal severo spirito di regolamento. Dunque primo oggetto che deve precedere
le proibizioni di tagliare, i divieti d'estrazioni e tutto il resto delle austere pram
matiche (sempre contrarie a quello spirito animatore della societ, dal quale solo
pu pi aspettarsi, che da tutto l'apparato farraginoso di leggi moltiplici e di
regolamenti tortuosi), sar quello di rendere facili i trasporti, di allargare e con
solidare le strade, e di condurre per tutte le possibili direzioni canali navigabili,
opere immortali che rendono i sovrani couquistatori della propria nazione; con
quiste consacrate dai ringraziamenti e dalla prosperit delle generazioni, uon
cementate col sangue e coi lamenti delle desolale proviucie. Bisogna dunque
prima tentare quale effetto nasca dalla libert avanti di intraprendere le rigorose
456 BECCABU.
precauzioni della schiavit, rendere i boschi utili ai proprietarii, sopprimere tutti
i valori intermedii, e allora si vedr facilmente abbondare una derrata cos ne
cessaria e cos vantaggiosa.
. LXIX. Ci non ostante, nelle diverse e complicate situazioni delle Pro
vincie, secondo i varii rapporti dell'agricoltura col commercio, e le varie direzioni
che danno alla coltivazione i regolamenti e le imposte, pu accadere che non
basti per conservare i boschi l'interesse del proprietario, massimamente se i
trasporti siano difficili e difficilmente si possa togliere questa difficolt, pu ac
cadere, dico, che dove i proprietarii non ricavino che uno scarso prodotto netto
dalla stentata agricoltura delle proprie terre, ricorrano alla frequente risorsa di
tagliare i proprii boschi inconsideratamente, per supplire con un capitale pronto
alle continue spese d'un lusso che non in proporzione della loro ricchezza at
tuale, ma delle pretensioni del loro rango e della emulazione e gara di ostenta
zione reciproca. Frattanto la distruzione dei boschi non cos facilmente ripara
bile, come la distruzione di molti altri generi di coltura. La lenta riproduzione,
che non si fa che nel periodo di trenta o quarant'anni, ben diversa dalla ra
pida riproduzione delle altre derrate. Dunque in questo tempo possono succedere
gravissimi danni ed una considerabile mancanza di una materia prima tanto
necessaria per la consumazione e per le arti tutte. Al che si aggiunge, che le
altre materie prime possono essere supplite da quelle che sono prodotte ne' ter
ritori! forestieri, di gran lunga pi facilmente che non lo possa essere la legna
per l'incomodo volume nel suo trasporto. Finalmente ella massima della pi
sana politica di evitare di renderci dipendenti nelle cose di primaria necessit,
per quanto sia possibile, dalle altre nazioni.
Dunque la conservazione de' boschi pu essere uno di quegli oggetti, che
malgrado il sistema generale di un'assoluta libert, pu essere soggetto a qualche
regolamento.
$. LXX. Mi si obbiettcr di primo slancio: qual giustizia d'impedire a cia
scheduno di trarre a suo arbitrio quel profitto ch'egli voglia dai proprii fondi?
I n tale riclamo nasce dall'opinione dispotica che ciascuno ha delle cose proprie,
nutrito dall'alta e profonda idea che della propriet si data dagli scrittori po
litici e giuristi. Si deve ci non ostante considerare che la propriet figlia pri
mogenita e non madre della societ; che avanti l'unione pi stretta e pi intima
degli uomini e delle famiglie eravi possedimento ma incerto e precario, uso delle
cose ma non propriet certa ed assicurata, uso di fatto e non di diritto, e che
questo diritto e questa propriet sono nati dalla difesa reciproca con cui gli uo
mini senza espressa convenzione, ma per tacita adesione di comuni circostanze
e di comuni interessi si sono garantite le attuali loro possessioni, ed accostumati
a riguardarle come difese in favore di ciascuno da tutti contro ognuno. Da ci si
vede chiaramente essere la propriet soggetta alle leggi, siano scritte, siano sup
poste dal bene universale e dalla salute comune, e che l'indipendenza del pro
prietario ed il rispetto che si deve alla propriet sono soggetti a due condizioni.
L'una che tutti siano in eguaglianza di propriet, vale a dire che non vi siano
propriet pi o meno soggette alle leggi, e che perci le leggi che limitano questa
propriet siano universali in favore di tutti contro di tutti; l'altra che le dette
leggi non rendano frustraneo e dannoso l'uso della propriet medesima, che in
vantaggio di ciascheduno e stata a ciascheduno assicurala. Dunque quando sieno.
DELLA COLTURA 1)1 ALTRI GENERI 1)1 DERRATE. CAP. VI. l57

tali condizioni osservate, le propriet, come le azioni de' cittadini, saranno sog
gette alle leggi universali ed ai regolamenti in pr del pubblico bene stabiliti.
. LXXI. Se pertanto dimostrato il fatale inconveniente del libero taglio
della legna, sar pure dimostrato il diritto, la necessit, la convenienza della
conservazione de' boschi. Ma quali saranno i mezzi onde siano conservati, acci
non venga a mancare una si necessaria derrata? Rispondo che per conservare
qualunque cosa di continuo deperimento e consumo, bisogna che tanto se ne
consumi solamente, quanto se ne pu sostituire. Dunque tanto taglio si pu per
mettere, quanto si riproduce; dunque l'annua ridroduzione de' boschi sar la
misura dell'annuo taglio. Ora se un bosco tagliato pu essere riprodotto in trent'
anni, l'annuo taglio non sar che di un trentesimo di detto bosco. E siccome si
lasciano per lo pi i boschi in balia della spontanea natura, cos questa limita
zione di taglio produrebbe un altro effetto salutare, cio una pi diligente col
tura ed una pi esatta distribuzione.
. LXXII. Perci sarebbe primieramente necessaria una perfetta cognizione
di tutti i boschi di uno Stato, e in secondo luogo che il taglio degli alberi di
pendesse da una opportuna permissione, oppure, se fosse combinabile, che il
bosco distrutto pagasse di pi in proporzione della sua distruzione, e il bosco
conservato pagasse tanto di meno in proporzione della sua conservazione; in
maniera che l'utile del taglio cedesse al danno dell'aggravio, e la diminuzione di
rendita nella conservazione cedesse all'utile del sollievo. Io preferirei un tale
metodo, perch pi semplice e nato dalla natura medesima dell'oggetto che si ha
di mira, ad ogni altro che lascia troppo presa al facile parziale arbitrio.
Queste sono le norme, appresso a poco, da seguirsi intorno alla conservazione
de' boschi esistenti, quando conservati bastino al bisogno della societ: Ma quali
saranno i provvedimenti dove fossero mancanti ed inferiori al bisogno? Quanta
quantit se ne dovrebbe dunque supplire, e come incoraggire ed introdurre una
coltura, di cui lontano il frutto ed il premio al premuroso proprielario ?
$. LXXIII. Rispondo col replicare essere i boschi da considerarsi, per ci
che riguarda la consumazione, come una derrata d'alimento, e quindi il bisogno
della legna corrispondente al bisogno degli alimenti, cio universale e ripartibile
in tutti gl'individui. Siccome per ciascuno richiedesi una minore quantit, o per
dir meglio un minore valore di legna che nel vero alimento, anzi un minore
spazio di terreno contiene una pi gran massa di materia, e l'uso di questa
proporzionale alla massa intiera senza apparato di coltura e con nessuna prepa
razione fuori del taglio e del trasporto; e siccome l'esigenza imperiosa del bisogno
nell'uso di una tale derrata pi suscettibile di economia e di risparmio, meno
soggetta alle vicende della carestia, senza il pericolo che l'estrazione di quella ne
esaurisca ad un tratto la sorgente; cos premesse tutte queste riflessioni, si tro
ver che in proporzione di queste differenze deve essere minore la quantit dei
boschi, in paragone della quantit de' terreni messi ad alimento. Se si fa adunque
il rapporto dell'annuo alimento d'una famiglia, e che in conseguenza di questo
trovisi a quanta quantit di terra ^corrisponda tale annuo alimento, se si faccia
sulla medesima il rapporto della legna di cui abbisogna ciascuno per l'annuo
consumo, e ridotti tutti questi calcoli ad adequato, si trovi a quanta minore
estensione di terreno questa porzione di legna corrisponda, tali due quantit mol
tiplicale per il numero delle famiglie ci daranno la proporzione delle terre messe
458 BECCARIA.

a biade e a pascolo colle terre messe a boschi. Ma il bisogno di molte arti e ma


nifatture ne consuma una parte considerabile, oltre il bisogno domestico. Dun
que, in proporzione del bisogno delle arti, converr crescere la relazione tra i
boschi e le altre terre. Pure se si consideri che l'alimento di consumo distinto
e proprio a ciascun individuo, ed il consumo della legna comune a pi individui
insieme; se si consideri che i boschi non sono totalmente colture esclusive, men
tre molta quantit di legna pu esser presa sulle colture inclusive, secondo la
sovrespressa distinzione, e se si avr riguardo al risparmio fatto col carbone, il
quale d un pi lungo e pi efficace consumo ed un men dispendioso trasporto,
si trover che l'alterazione, che il bisogno delle arti domanda nella proporzione
surriferita, non sar molto grande n considerabile.
. LXXIV. L'accrescimento de' boschi dipender appresso a poco dai mezzi
che abbiamo indicati. Sarebbe desiderabile il ritrovamento del carbone fossile, il
quale produrrebbe l'abbondanza d'una consumazione necessaria, e nel medesimo
tempo il risparmio delle terre che ad altre colture sarebbero impiegate, nutrici
d'uomini e di arti. L'indolenza divide il suo impero coll'opinione presso il genere
umano, ed forse la negligenza e l'avversione delle cose nuove ed insolite, pi
che la difficolt di ritrovarlo, che ci priva del carbon fossile, del quale non
dubbie tracce appariscono ne' nostri monti.
$. LXXV. Un'altra coltivazione importarne e che merita tutta l'attenzione
delle leggi quella dei gelsi, e per conseguenza de' bachi da seta, coltura che
dall'Indie felicissime al tardo Occidente trasportata, fu sul principio un oggetto
di un deplorato lusso delle persone opulenti, rifiutata dall'austera filosofia che i
rapporti presenti delle cose soltanto riguardo agl'individui considera, e che quan
tunque dalle antiche leggi romane avvilita e depressa, rese l'orgogliosa pompa
degl'indolenti tributaria dell'industria e della fatica; coltura poi avidamente am
pliata e promossa dall'Italia, la quale dopo avere estinto il genio truculento di
conquista per l'impossibilit di tentarla, e compressa tutta all'intorno dalle ri
sorgenti nazioni, rivolse l'inquieta attivit verso le arti pacifiche ma non meno
signoreggianti dell'armi, e se non cos con pronto successo e con cos dispotica
influenza, almeno con maggiore e pi placida e meno pericolosa sicurezza.
$. LXXVI. Una tale coltura ammette nel suo seno altre colture, e noi ve
diamo fra i lunghi filari de' gelsi l'allegra vigna ed il sostenitore frumento cre
scere e riprodursi. Oltre di ci in poco tempo non iscarso premio producono i
bachi da seta all'attenzione del coltivatore, e quindi vediamo sorgere una folla
di arti, che sfendono in mille fogge ed avviluppano il prezioso escremento di un
cos piccolo animaletto, e quindi spandersi anche nelle minute famiglie l'agio ed
il comodo, e nuovi motivi di speranza e nuovi slimoli aggiungersi all'industria,
che richiede per la variet de' talenti e delle circostanze moltiplici una variet
non minore di opportuni mezzi da impiegarsi.
. LXXV1I. Sotto il felicissimo nostro governo, alla voce rianimalrice di
tanti sovrani provvedimenti, si rinvigorita non poco una tale coltura io questo
paese. Fissato il tributo alle terre sull'attuale loro stato di coltura, si animata
dal bisogno e dall'avidit la coltura de' gelsi" che danno un accrescimento di
rendita senza un accsescimento di tributo. Sortiva raccolta la seta dalle mani
inoperose de' nazionali per correre al di fuori ad essere travagliata da mani fo
restiere e nemiche, che ci rendevano tributarli dei nostri prodotti; l'ostacolo di
DELLA COLTURA DI ALTRI GENERI DI DERRATE. CAP. VI. 459

una gabella ha fermato questa materia prima, che nelle parti tutte dello Stato si
diffonde e si lavora da mani cittadine e sociali.
S. LXXVIII. Ci non ostante molti pregiudizi restano ancora da togliersi
a' particolari intorno ad una tale coltura, pregiudizi tanto pi nocevoli, quanto
che resistono alla voce prepotente dell'interesse.
Intorno alla coltura de' gelsi per esempio, alcuno che gli esempi dell'altre
nazioni coi nostri paragonasse e la natura della vegetazione considerasse, po
trebbe sospettare che il contadino preferisse la pi pronta e la pi facile maniera
di raccogliere le foglie del gelso, piuttosto che la pi durevole e la pi utile. Un
taglio inesorabile vieta a questo albero di alzarsi all'aperto cielo e di crescere
liberamente; per tal modo il vigorvegetabile si dirama pi presto, ma nel me
desimo tempo il tronco sostenitore s'infievolisce e si logora, e per conseguenza
presto la pianta sen muore. Aggiungasi che l'inerzia sostiene un tal metodo,per
ch rende pi comodo al pigro e disanimato contadino lo sfogliamento degli
alberi, dei quali prima l'uno e poi l'altro restano intieramente mutilati degli
organi essenziali della vita vegetativa, quando se si permettesse alla pianta di
crescere in altezza, questa pi lungamente vivrebbe e potrebbe somministrare al
baco alimenti sempre pi teneri e pi proporzionati alle diverse sue et. Ella
osservazione fatta sopra i vermi viventi su le piante, che essi dalle cime pi
lontane dalle radici le pi tenere foglie rosicchiando, collo invecchiarsi discen
dono all'alimento pi duro e pi forte. Cos l'osservazione attenta lungi ci guida
dalle strade frequentate e fallaci dell'inconsiderata abitudine, per ricondurci alle
vie magistrali e permanenti della natura: il sottrarsi nelle cose naturali ed umane
dall'opinione comune fu quasi sempre utile a chi n'ebbe il coraggio. L'ostinarsi
a rinchiudere ed a soffocare nell'inelastico vapore d'una stanza animali che la
natura organizz nell'aperto cielo e nell'aria ventilata e mutabile, per sottrarli
dall'intemperie delle stagioni, un sostituire a' mali fortuiti le cagioni permanenti
di molto maggiori malori. Stesi quelli ed annicchiati su d'uno strato di foglie
semirose e marcite che fermentano, nutriti di foglie all'et loro disuguali, d'un
succo troppo forte e denso nei primi giorni e troppo tenero negli ultimi, e sempre
forse soverchio, li rende idropici e gonfi d'un umore che gli uccide o li vizia tal
mente, che apparentemente voluminosa fanno la crisalide, ma realmente povera
di seta e pregna d'umori e di gluttine. A rischio d'errore io ho voluto allegar
tali esempi perch la curiosit di alcuno, se non altro per confutarmi, lo muova
a fare sperimenti e ricerche, le quali o me guariscano da un pregiudizio, o gui
dino lui alla diffidenza di ci che si rispetta unicamente perch da una fallace
tradizione ci vien tramandato.
S. LXXIX. Altri prodotti debbono essere sommamente pregiati in ogni Stato,
e principalmente in questo temperato e vario, che offre in ogni luogo diverse
situazioni e docile prontezza all'attento coltivatore. Il lino e il canape possono
essere origini di lucrose manifatture ed anche risparmio di considerabili uscite
di danaro: possono condurci ad essere per l'Italia, volendo, ci che l'Olanda
e la Slesia sono per l'Europa. Finalmente il vino rallegratore merita tutta la no
stra attenzione, come origine d'un tributo considerabile perparte nostra a na
zioni ora forastiere per noi. La vigna, il cui frutto immaturo ancora si raccoglie
per sottrarlo all'avida rapacit di chi lo fura, e a cui non si consacrano quasi
mai terreni unicamenti per la di lei coltura; la vigna, che di presente ci offre
460 BECCARIA.
un cosi illustre esempio nella Toscana e nella Francia, alle di cui situazioni molte
simili ne esistono nel vario nostro stato ; la vigna , che tanto considerabile con
sumo suppone , merita le ricerche del saggio ed accorto coltivatore, e Y atten
zione di chi s' interessa o per dovere, o per iscella al pubblico bene. Non giova
qui l'entrare in pi minuto dettaglio di ci che noi facciamo , di ci che noi fac-
ciam male, di ci che noi potressimo far meglio. Mille utilissimi vegetabili, come
l'ulivo principalmente , poi il zafrano, il cotone , l'indico , l'acacia , ci offrono
un'abbondantissima messe di osservazioni e di ricerche , onde avere la gloria di
essere promotori di cose utili e la lusinghiera approvazione della patria, de' con
cittadini e della posterit, ed anche di potere con ragione divenir superiori al
disprezzo di quelli , che per imbecillit o per mal talento sorridono dispettosa
mente a tutte le cose nuove che escono fuori del ristretto circolo delle loro idee.

CAPO VII.

Della pastorale.

$ LXXX. Ramo capitale di coltura e di pubblica economia la pastorale ,


l'arte cio di nutrire e di far crescere i bestiami, principalmente le pecore. Queste
furono gi da lungo tempo in questa provincia, avita loro patria e domicilio am
plissimo , dal pregiudizio e dalla prevezione scomunicate. Si pretende che un
morso velenoso e municipale avveleni le vigne e le biade e tutto ci che rodono,
onde si impedito il rinnovellamento di un ramo di rendita, che altre ragioni
sicuramente hanno sbandito dal nostro Stato. Dico municipale , perch in altri
regni vivono pacificamente innumerabili greggie senza che avvelenino le biade ,
ne le vigne di quo' paesi. Dico che altre cagioni le hanno sbandite , perch un
pregiudizio ed una opinione non sono mai state in nissuna nazione la causa di
una rivoluzione considerabile ed universale, ma bens cagioni fisiche e fatti reali,
principii e cagioni di fisici effetti. Non gi che un piccolo paese debba princi
palmente ed esclusivamente coprirsi di greggie e chiudere la terra all'alimento so
stenitore degli uomini, e ad altre colture che un maggior numero di quelli fanno
sussistere ed agire ; ma bens che si distrugga un errore , che ne esclude anche
quel numero che potrebbe vivere senza offesa ne' terreni inetti ad altre migliori
colture , i quali nutrir potrebbero un animale di facile sussistenza , di abbon
dante prodotto , padre di manifatture e di arti di richiesta universale e di uso in
dispensabile e comune. La luce de' sovrani provvedimenti ha gi eliminato un
tale pregiudizio ; resta solo a noi il secondare la forza legislativa che al nostro
bene ci guida , e di non opporre quella querula ostinazione che ci deprime negli
antichi errori : errori che di padroni che eravamo di popolazioni forestiere colle
nostre lane, schiavi ci rese e dipendenti delle medesime. Egli vero che forse
cresciuto il lavoro de' campi dopo quell'epoca in un paese che pi d'ogni altro
dai colpi i pi funesti ha potuto risorgere e ristabilirsi -, ma trattasi solamente di
promuovere , ove sia opportuno . un ramo ubertoso di commercio e di risparmio,
DELLA PASTORALE. CAP. VII. 461

e di elevare una folla d'arti, che fuori del breve giro della nostra provincia quasi
per nostra derisione prosperano floride ed attive a nostro danno , sicuri che il
troppo accrescimento sar naturalmente trattenuto dall' utile maggiore di altre
colture, e che le manifatture eccitate dall'impiego delle nostre lane , saranno la
base ed il principio delle manifatture che sapranno impiegare le forastiere.
. LXXXI. Le contraddizioni sono sempre il risultato dei discorsi di tutti
coloro che rispingono le cose nuove ed insolite con ostinata avversione ; decla
mano da una parte che il paese spopolato, che mancano le braccia all'agricol
tura , che questa va ogni giorno decadendo, che vi sono terre incolte da ogni
parte ; per il contrario quando si tratta d'insnuare l' introduzione delle pecore, si
oppongono tosto col rappresentare che ci sarebbe dannoso all'agricoltura, base e
sostegno di questo Stato , tutto essere occupato da vigne, da frumenti , da gelsi
o da praterie a migliore oggetto destinate. Ci che in realt si pu dire si , che
tratti assai grandi di paese nella nostra provincia sembrano non solo potere am
mettere , ma richiedere ed esigere greggie e pastori nazionali. Vaste colline e ma
gre montagne abbiamo , ove lussureggiano soltanto selvatici castagneti , sterile
alimento d' una vedova popolazione ; abbiamo molti villaggi , che sono il ritiro
solingo ed infecondo di mogli abbandonate e di pochi bambini , mentre i mariti
corrono con ammirabile e quasi unica industria ad esercitare l'attivit del loro
ingegno e del loro commercio nel restante dell'Europa. Ritornano, egli vero,
con somme considerabili a ridare la vita ed il moto a quella languente popola
zione; ma ci non che un risultato passaggiero d'una industria altrove eserci
tata ; l'esempio delle fatiche, tutti i vantaggi che sono i primieri ed essenziali ,
la circolazione del travaglio , il muovere , l'esser mossi , il dare , il ricevere, tutti
questi vantaggi sono perduti. Essi, vestili ed alimentati tutto l'anno su forastiero
terreno , portano l'avanzo a casa loro , avanzo che non origine n accresci
mento d'industria interiore. Grandi famiglie uscirono da quegli erti nascondigli ,
ma non perci poi abbiamo veduto rendersi pi frequente la popolazione , pi
fervida la coltura e l' industria locale , pi spesse e pi agiate le famiglie , soli
e veri indizii di un' utile e solida industria. Questi sono i paesi che potrebbono di
venire il centro della nostra pastorale ; una Arcadia intiera specchiar si potrebbe
ne' nostri laghi, e la solitudine selvaggia e morta dei nostri monti vedrebbesi
animata da pascoli d'arti , di greggie e di pastori , per cui le moltiplici opera
zioni della lana sarebbero una inesausta miniera di perpetua dovizia.
. LXXXII. Alla pastorale riduconsi le osservazioni politiche intorno alla
cura de' buoi, delle vacche , de' cavalli, compagni, schiavi, benefattori , vittime
dell'uomo. Se a noi manca la pastorale delle pecore , noi ne abbiamo un' altra
ubertosa , ampia , sicura produttrice d' infallibili ricchezze ; questa consiste nelle
numerose e varie , cos dette , Bergamine che coprono il Lodigiano , quel terre
no sabbioso ed infecondo , destinato dalla natura paludoso letto di acque im
monde e salmastre, dall' arte degli uomini, costante ed instancabile , reso fe
condo e produttore privativo d'inesauribile ricchezza. Con artifizio mirabile tutto
il paese organizzato e tessuto d' acque, che per opposte direzioni in lungo ,
in largo , trasversalmente corrono ad animare con esatta ed opportuna irriga
zione ogni punto d'una equabilissima superficie. Questa da un'immensa popola
zione di grosso bestiame , che costantemente vi pasce , mantenuta feconda ed
atta alla varia e vicendevole coltura di frumento , di lino , di seta , di riso , di
462 BKCCARIA.

formaggi : questa ultima sembra la base di tutto il resto. Annientati i bestiami,


la sterilit riprenderebbe l'antico suo dominio ; la morte ed il silenzio si stende
rebbe su d'un paese , ove ora l'opulenza di grosse borgate , la vita patriarcale
de' pingui coltivatori , un lento , ma solido e costante commercio tengono luogo
di numerosi villaggi, di una pi frequente popolazione , della moltiplicit delle
arti , d'un commercio pi vivo e pi pronto , doni invincibilmente negati alle
circostanze insuperabili di quel paese. A tutto ci aggiungasi il prodotto conside
rabilissimo di quei formaggi che spacciansi per tutta l'Europa , resistono pi
d'ogni altro alimento al tempo trasformatore . e senza l'inconveniente dei scor
butici salumi ai lunghi viaggi ed alle lunghe navigazioni, e sono stati fino ad ora
invano imitati da' forastieri.
. LXXXIII. Io non debbo fare n un trattato di agricoltura , n diffonder
mi in tutti i dettagli di questa materia ; conchiuder dunque con alcune rifles
sioni , che non debbono omettersi.
I. Essere la pastorale una professione che non mantiene un gran numero
d'uomini su poco terreno come la coltura della vigna e del frumento, ma in sup
plemento all' invincibile sterilit d' un terreno , e che perci in ogni occasione
debbe essere posposta a quelle; non pertanto dovr essere n trascurata, n av
vilita , ma sibbene incoraggita con premii e colla diminuzione del tributo, dove
il bisogno lo richieda.
II. Essere la pastorale la risorsa dei paesi spopolati necessariamente dalle
circostanze sia del terreno , sia degli uomini : dove le combinazioni fisiche e mo
rali abbiano invincibilmente alienate le braccia da qualche coltura , ivi la pasto
rale pi oziosa e pi tranquilla pu essere di supplemento.
Terza ritlessione sar , che la pastorale che serve al nutrimento ed alla edu
cazione dei cavalli , non merita d'essere troppo incoraggita , n avvilita. I cavalli
servono agli usi utili della campagna e delle arti figlie di quella e ai facili tra
sporti ; ma servono ancora alla pompa fastosa delle citt , a formare il sonno e
la noja del ricco. Per questa ultima parte questo lusso merita d' esser frenalo ,
senza esser tolto. Non bisogna togliere l'esempio del premio e dell'industria, l'uso
della ricchezza : chi travagler giammai colla stoica risoluzione di non godere
i frutti del suo travaglio ? Dunque se da una parte gli agi ammoliscono ed estin
guono il moto in chi li gode, dall'altra accendono e pungono l'animo di chi ne
privo. Il freno principale che meriti questo lusso sarebbe di non permetterne
l'ingrandimento , in maniera che la terra , nutrice d' arti e d' uomini , non dive
nisse oziosa mantcnitrice d'inutili cocchieri e d'infruttuosi cavalli. Quando questo
lusso sia moderato , meglio che sia nutrito dai forastieri che dai nazionali ,
perch sia rimosso T esempio d' una terra che a migliori colture potrebbe esser
destinata. Vera, ma non universale la massima , che ogni lusso deve esser nu-
drito dalle arti e prodotti interni; vera , quando non si escludono vicendevol
mente ; falsa, quando un tal lusso non possa esser tolto da un paese, e l'ali
mento di quello si opponga ad una migliore coltura : ma di queste considerazioni
sar pi accuratamente detto, ove parleremo del lusso.
465

CAPO Vili.
Della metallurgia , pesca e caccia.

. LXXXIV. Poche cose restano a dire intorno a queste tre arti primitive
per chi , sfuggendo la soverchia prolissit , non pretende d' essere stimalo pro
fondo coll'esser nojoso. Noi scorreremo dunque rapidamente queste materie nelle
quali la politica ha poca presa e la fsica moltissima.
. LXXXV. Primieramente ognuno di noi sa di quanta fortuna sia ad una
nazione l'esser essa produlrice de' metalli , che furono sempre o i palesi o gli oc
culti conquistatori dell'universo. L'oro fu sempre l'oggetto de' voti degli uomini an
santi al possedimento di questo metallo, pegno e rappresentatore dei piaceri e dei
tormenti della terra; ma I veri politici hanno sempre veduto essere meglio l'acqui
starlo che possederlo in natura : l'acquistarlo suppone molo, azione, fatica , che
sono l'anima e la vita d'ogni corpo politico; il possederlo in natura, pu dirsi
di possedere una droga addormentatrice d'ogni industria e d'ogni travaglio.
Chechessia dell'oro e degli altri metalli preziosi, I' avere il ferro richiamato
dalle mani della sanguigna discordia agli usi pacifici delle arti tutte , il vedere
sui dorsi ruidi e scabrosi delle nude montagne volversi flutti di candente metallo,
ed illuminare di rosseggiante splendore le nere fucine , l'internarsi nei profondi
andirivieni che le piccole mani dell' uomo seppero scavare nelle dure viscere del
l'antica terra , forma uno spettacolo, che ricordandoci in un momento il vortice
degli usi e delle arti a cui tanta fatica ed ostinazione destinata , ci riempie la
mente d'un benefico entusiasmo , per il quale di lunga mano preferiremo all' oro
ed all' argento il possedere ed il mettere in uso ed in valore questo metallo , me
tallo di difesa e di conquista , fabbricatore di tutti i nostri agi e perfezionatore di
tutte le delizie della vita.
. LXXXVI. Meritano dunque , in proporzione delle fatiche , tutti g' inco-
raggimenti quelli che si condannano ad una tale manifattura, e le nazioni che
posseggono le miniere di questo padre metallo , debbono con ogni diligenza in
vestigarle e conoscerle. Quelle erte e nude cime di solitari! monti da cui si allon
tana l'attonito pastore , e che sono soltanto un ritiro inospitale del rapace av
voltoio o del timido daino , dagli enormi massi de' quali appena trapela qualche
pallido Alo d'erba stanca e languente , non debbono essere il modello perenne
della dominatrice fantasia del pittore e del poeta, ma l'oggetto della curiosa ri
cerca del naturalista e dietro lui del politico indagatore , che dal mezzo della
morte e dalla sterilit sa trovare una sorgente inesausta di movimento anima
tore di tutte le opere degli uomini. Gli incoraggimenti saranno dunque maggiori,
quanto pi grande la severa esigenza dell'uso e la dispendiosa difficolt del
l'opera stessa. Qui dove sovente 1' interesse lontano del particolare proprieta
rio, e i presenti e voluminosi ostacoli che si oppongono, debbono essere sup
pliti dalla mano sovrana che riunisce le forze e rappresenta i diritti combinali
della societ riunita : dove i premii e le gratificazioni debbono essere con profu
sione adoperati : dove, per la brevit della vita e il pericolo ed i mali di chi vi
travaglia , la scelleragginc a preferenza dell'innocenza debbe essere confinata.
$. LXXXVH. La pesca poi antichissima occupazione degli uomini , princi
464 BECCARIA.
(Miniente delie nazioni marittime , merita tutta l'attenzione dell'economo politico.
Nessun angolo dello Stato deve esser , per quanto possibile sottratto dalla in
stancabile industria degli uomini ; tutta la massa di una provincia debb' essere
tormentata e commossa dalle opere e dal travaglio. Quanto tributo paghiamo noi
a nazioni forastiere per essere dall' acqua alimentati ? La pesca divenuta un
oggetto di religiosa economia, e la cupidit degli uomini , che sempre si sottrae
dai freni tutti che loro sono imposti, ha saputo trovare il modo di adempiere
alle prescrizioni d'una disciplina, e nel medesimo tempo procurarsi un compenso
e forse un incentivo alle privazioni che ci sono ordinate. Oggetto principale sar
dunque di sottrarre, coli' aumento della pesca interiore, un tributo che paghia
mo ai mari estranei.
. LXXXVIII. Finalmente la caccia , prima occupazione degli uomini er
ranti e selvaggi , debb' essere promossa e mantenuta dove siano animali feroci
e dannosi all' agricoltura (all' estirpazione de' quali il pi pronto ed opportuno
stimolo sarebbe il premio) , e dove siano animali , che pelli , peli ed altro ci for
niscono per tante varie ed utili manifatture. Dove poi non manchino braccia al
l'agricoltura , potrebbe essere anche il risparmio di un lusso necevole. I raffina
menti delle mense consumano 1' alimento di molte famiglie , per risvegliare lo
stanco palato di un annojato ed inutile digeritore ; il lusso del selvaggiume , so
stituito a tali raffinamenti , sarebbe perci utile col sottrarre dalla distruzione
inesorabile d'un cuoco francese il vitto di venti persone.
. LXXXIX. Ma questa occupazione sar ella riserbata soltanto alla delizia
di pochi o permessa a molti ? forse giusto d'interdire a tanti intermedii pro-
prietarj , in favore di qualche enorme occupatore di terra , un trattenimento che
almeno dalla mollezza li ritrae, un'arte immagine di guerra e scuola di costanza,
di paziente ricerca e di fortezza , primogenita ed originale del genere umano ? E
sar egli utile alla societ , al ben pubblico sar egli necessario ( e perch sian
giuste debbono esserlo) il creare in favore di alcuni privati nuove pene e nuovi
delitti , e rendere reo il pubblico con penali ordinazioni che non conducono di
rettamente al bene di quello ? Con tutto ci debbono essere rispettali i diverti
menti del principe : eglino sono utili al ben pubblico, perch conservano il ben
essere di chi a tutti lo procura ; innocente occupazione , che molti sovrani
dalla pompa abbagliante del trono troppo lontano dalla bassa sfera della mol
titudine , ha fatti discendere a conoscere 1' umile asilo della povert e della mi
seria. Che che si pensi delle cacce riservate, sar sempre vero che l'indistinta
permissione in lutti i tempi ed a tutte le persone della caccia degenererebbe in a-
buso,e che leggi universali su questo oggetto, le quali egualmante assoggettino, ed
egualmente incoraggiscano, saranno pi utili che le leggi private, e sono nell'oc
casione un fondo lucroso di finanze, meno odioso e meno scoraggiante di molti
altri. Dico finalmente in tutti i tempi ,* perch se i sentimenti di compassione
sono lontani dall'animo degli uomini in favore degli animali tanto a noi dissimili
nell' organizzazione e nelle facolt ; se le leggi dell'universo ci dimostrano che la
moltiplicazione d' una specie sia a spese della distruzione di un' altra, non es
sendo permessa dalla naturai forza e dall' equilibrio delle cose che una quantit
finita e limitata alla circolazione degli esseri; il nostro interesse per ci consiglia,
che noi diamo una tregua agli animali nel tempo che la natura risvegliasi e si
risente, per rianimarsi e per rientrare nel vortice della vita e dell'azione.
PARTE TERZA.

DELLE ARTI E MANIFATTURE.

Breve sar per noi questo trattato, avendo gi nella Prima Parte accennato
alcune delle verit fondamentali intorno alle arti e manifatture, per quanto pos
sono cadere sotto la considerazione dell'economo politico; e molte altre non pos
sono in questo luogo essere trattate , perch richiedono la predisposizione delle
successive parti di pubblica economia.Tale e non piccolo l'inconveniente e l'im
barazzo che s'incontra in questa scienza, a differenza di molte altre; perch dove
la simultanea complicazione degli affari della civile societ ne fa , per cos dire,
andar di fronte i fenomeni con un moto ed una direzione che nasce dal tutto ,
e non dalle parti ad una ad una, la debolezza ed i limiti dell'umana natura ci
sforzano a partitamente considerare ed esaminarne i rapporti. Laonde per chi
ben considera, tutto deve restar sospeso nella mente sino alla fine, e la memo
ria deve schierarci davanti una moltitudine di considerazioni, che tutte influi
scono essenzialmente alla produzione d'un effetto sovente in apparenza semplice
ed uniforme; per il che ed facile di omettere alcuni degli elementi essenziali,
ed proclive l'animo nostro a cader prima del tempo nella decisione, e molto
pi per la lassitudine di ragionamento siamo inclinati a credere d'aver tutto
bene spiegato ed inteso, quando ci che abbiamo in poche parole concepito , in
un lungo circuito di esse abbiamo trasformato.
Ma il troppo fermarsi intorno a queste metafisiche considerazioni, quantun
que non utile se non per chi non le intendesse, sarebbe soverchio; onde affret
tandoci al proseguimento del lungo cammino che ancor ci resta a fare, diremo
che sotto quattro capi principali si racchiudono le cose da dirsi in questa Terza
Parte. I. un breve quadro dei differenti aspetti sotto cui si dee considerare la
grande variet delle arti, dai bisogni e dalla cupidigia degli uomini inventate.
II. Per quali cagioni le medesime si avviliscono, e per quali mezzi s'incoraggi
scono e mettono in vigore. III. Della preferenza delle une sopra le altre, e della
migliore distribuzione di quelle. IV. Del buon ordine e disciplina con cui debbono
eSSere mantenute.

CAPO I.

Differenti divisioni ed aspetti delle arti e manifatture.


S. I. Io non debbo tessere un lungo e nojoso inventario di tutte le arti e ma
nifatture, ma solamente esporre le classi nelle quali sono state divise, e come
possono esserlo ulteriormente; il che ci sar utilissimo a suggerirci , quasi spon
taneamente, le massime che intorno ad esse insegna la pubblica economia.
Econom. ToMo III. 50.
466 BECCARIA.

. II. In primo luogo sogliono gli economisti dividere le arti unicamente per
la classe delle materie che Impiegano, e come quelle sono le produzioni natu
rali , cos le dividono in arti del regno animale , del regno vegetabile e del regno
minerale ; la quale divisione pi fisica che economica pu servirci a tesserne
un'esatta nomenclatura , ma non a metterle sotto quei punti di vista elevati e ge
nerali che la politica dimanda , e dai quali si rischiarano e si veggono uniti , ed
ordinati tutti i dettagli necessarj. Ma da questa divisione si pu imparare, quanto
sia importante per una nazione il promovere lo studio delle scienze naturali , stu
dio che premiandoci della fatica colla moltiplice variet di senzazioni aggradevoli
che ci presenta, pone in vista nello stesso tempo tutte le nostre ricchezze, onde
crescerne sempre l'uso e l'impiego. Un'infinit di vegetabili s' innalza solamente
per servire di scarso pascolo agli animali e di esca al fuoco, quando potrebbero
l'orse servir di base o almeno di parti costituenti arti e manifatture utilissime, come
il cotone che involve le sementi del pioppo, e come molte inutili erbe delle quali
si tentato non infelicemente di far carta. Una gran quantit d'insetti fanno
essi pure sulle nostre comunali piante , nei nostri boschi, sotto i soli e parchi
auspizii della natura , grossi bozzoli di lucida e variata seta , che sarebbe emula-
trice , per l'abbondanza e facilit, di quella che abbiamo con infinite cure potuto
addomesticare al nostro clima. Finalmente l'uso dei metalli, dei minerali, dei fos
sili pu condurci a grandi scoperte sulla perfezione dei colori , sull' ammollire
e render seguaci alla mano fabbricatrice le materie pi dure e pi rigide, dappoi
ch la chimica , coli' analisi pi accurata e coi tormentatori suoi processi , lenta
instancabimenle di penetrare sino alle primarie e pi secrete operazioni della na
tura. Da ci possiamo vedere con quanta compassione meritano d'esser riguardati
coloro , che il peso degli anni mettendo in conto di sapienza , ed onorando solo
del nome d'affari il movimento e 1' agitazione della cupidigia dell'oro e dell' an
siet del comando e del potere, con severo sopraciglio l'ardente curiosit giova
nile verso questi studii condannano coi nomi d'ozio e di occupazioni inutili di
frivola e ragazzesca dappoccaggine, estinguendo cosi quelI'esLro e quell'entusiasmo
che spingendo gli uomini con forza e con piacere verso varie direzioni, produce
il pi vario effetto e la pi gran perfezione nel totale della specie , colla minor
fatica ed imbarazzo degl'individui.
. III. Un' altra divisione delle arti sar in arti di materie prime che si pro
ducono nel paese , e in arti di materie prime mandateci dai forastieri. Da questa
sola divisione appare in primo luogo doversi preferire le prime alle seconde , U
che non ha quasi bisogno di dimostrazione , poich le materie prodotte dal suolo,
che non sono alimento, non hanno valore se non per l'uso cui si destinano; dun
que l' uso di quelle materie incoraggir la coltivazione , il non uso 1' avvilir ;
dunque fra due arti , nelle quali l'esito del prodotto dell'una sia in opposizione
al buon esito dei prodotti dell' altra, dovr essere preferita quella che ha la ma
teria prima nel paese, a quella che la ha al di fuori. In secondo luogo non tutte
le manifatture possono introdursi in lutti i paesi , perch quelle di cui le materie
prime sarebbero lontanissime e di trasporto diffcile e dispendioso , sia per il
troppo volume della materia trasportata in paragone della quantit utile e servibile
dopo il trasporto , sia per le difficolt che le altre nazioni caute ed attente ai loro
interessi frappongono al trasporto di quelle, sia per altri motivi sar sempre dan
noso il volerle, forzando la natura delle cose, fra di noi stabilire meglio essendo
DIVISIONI ED ASPETTI DEIXB ARTI E MANIFATTURE. CAP. I. 467

il rame senta ; se non lo sia sostituirvi un'arte equivalente, e in ultimo anche la


sciare che introducasi la manifattura forestiera, occupando le nostre mani in
torno ai lavori i pi ovvii e pi speciali alla natura del clima , del governo e dei
costumi nostri. Questa introduzione di manifatture forestiere sovente opportuna
per aprire un'uscita alle cose nostre, ed una comunicazione con altre nazioni.
Dna tersa divisione potrebbe essere in arti del bisogno, del comodo, della volutt,
della pompa ed ostentazione. Quelle del bisogno sono le pi indipendenti dalla
legislazione particolare dei paesi, e sono limitate dalla popolazione e dal clima,
resistono con maggior vigore alle cattive leggi , e si sottraggono con maggior ce
lerit e prontezza dai colpi della distruzione e dal rovesci politici : esse hanno per
sostegno principale l'agricoltura e la consumazione dei prodotti del suolo. Spa
riscono allo sparir di quelle, risorgono parimenti al loro risorgere , ed a vicenda
le animano e le fortificano. Dunque dove 1' agricoltura sar lncoraggita , senza
ulteriori disposizioni prenderanno esse proporzionato aumento, e 11 togliere gli
ostacoli sar l'unico scopo del legislatore.
Le seconde, quelle cio di comodo , non prendono accrescimento che colla
coltura della nazione, con lo spandersi del lume delle scienze , col diradarsi la
nebbia dell'errore , col mansuefare la distruttiva ferocia dei costumi , col ren
dere comunicanti e continue le diverse condizioni degli uomini , colla distribu
zione della massa delle ricchezze in un maggior numero di mani. Queste arti ani
mano pi delle altre alla fatica ed al travaglio , e sono lo stimolo pi pungente
ed universale dell'industria, perch meno dispendiose in ciaschedun oggetto par
ticolare e pi vicine alla speranza delle pi infime classi. Non essendo cos essen
zialmente dipendenti dalla natura umana e dalla riunione degli uomini in so
ciet, le buone e le cattive leggi vi hanno un' influenza maggiore, e ricercano
disposizioni pi positive in favore di esse, che le arti del bisogno.
Le terze poi e le quarte, quelle cio della volutt e della pompa ed ostenta
zione, sono dipendenti da una sociel pi raffinata e proporzionali alla disugua
glianza dei beni, maggiori e pi vigorose dove questa maggiore, minori e pi
languide dove questa minore. Sono dunque pi utili relativamente che positi
vamente; esse divengono un supplemento ed un correttivo delle cattive leggi, che
condensano lutto il bene in poche mani lasciando il resto nella miseria e nel
bisogno di tutto; ma sono le pi mutabili d'ogni altra e dipendenti affatto dal
variabile capriccio, dalla noja e dalla irrequieta vanit, e cosi immensamente
distanti dalle arti primitive e necessarie ; anzi assorbendo il valore d'una gran
quantit di esse, malamente e tardi lo ritornano a distribuire: ma di ci pi ac
curatamente nella Quarta Parte, dove si parler della circolazione e del lusso.
. IV. Una quarta divisione potrebbe essere nelle arti, nelle quali il valore
della materia prima di molto superiore al valore della manifattura ; in quelle
dove il valore della materia prima sia presso a poco al livello del valore della
manifattura; finalmente in quelle dove il valore della materia prima sia di molto
inferiore al valore della manifattura. Abbiamo detto, che il valore della materia
prima sar rappresentato dagli alimenti che si debbono consumare da quelle
persone e per tutti quei tempi che s'impiegano nelle di lei riproduzioni, e dagli
alimenti rappresentati da tutti que' mezzi che vi concorrono ; cos il valore delle
manifatture sar rappresentato da tutti gli alimenti per tutti i mezzi e tempi che
contribuiscono alla formazione di quelle. Le arti dunque della prima riasse sa
468 BECCARIA.
ranno qaelle dove una gran quantit di materia relativamente alla difficolt, lun
ghezza o travaglio della sua produzione, sar da pochissime mani e in breve
tempo lavorata ; e in questo caso noi vedremo, che arti di simil natura non di
ventano successive e continue rappresentazioni d'alimento per tutte le condizioni
de' cittadini. Parimenti quelle dell'ultima classe saranno arti, nelle quali pochis
sima materia relativamente alla brevit e facilit della sua produzione sar lun-
ghissimamente e con difficile travaglio fabbricata ; nel qual caso o molte mani
contemporaneamente vi si possono impiegare, o pochissime e per lungo tratto
di tempo. Vedr ognuno che nella prima supposizione, il vantaggio che da tali
manifatture risulla sar maggiore che nella seconda supposizione, nella quale
sar scarsissimo perch vi sar un salto da pochissimo valore ad un grandis
simo, senza valori intermedii, ossia intermedii travagli che distribuiscano l'utile
sopra di un gran numero di persone ; e perci le arti della seconda classe sono
le pi utili, perch suppongono una discreta quantit di valori successivamente
circolanti per un gran numero di persone in varie classi de' cittadini.
$. V. Quinta divisione sar in arti dipendenti fra loro e in arti indipendenti.
Ciascun arte ha per base una materia prima, e ciascun' arte ha molle arti, siano
subordinale a lei, siano da lei dipendenti. Quell'arie sar preferibile, che ha
maggior numero di arti da lei dipendenti ; e tra le arti indipendenti dovrannosi
sciegliere quelle, nelle quali le materie prime non si escludono Ira di loro, sia
nella produzione di esse, sia dopo manifatturate per l'uso medesimo a cui si de
stinano.
Ho voluto accennare queste necessarie divisioni, perch ci dovranno in se
guito servire di facile direzione ai ragionamenti da farsi. Ci che mi resta da ag
giungere in questo Capitolo intorno alle arti in generale, consiste in alcune ri
flessioni che non si dovevano omettere.
. VI. Dicesi da alcuni che in uno Slato agricola, dove un suolo felice forni
sce abbondante e sicuro prodotto, non possono prosperare le manifatture : detto,
che condurrebbe a negligentare questo ramo primario e prezioso di azioni e di
prosperit in un tale Stato. La ragione che si adduce si , perch gli uomini fi
dandosi della terra annientatrice non sono stimolati e punti da quel bisoguo, che
agitando per ogni verso gli abitatori dei paesi ingrati, sterili e montuosi, li rende
artigiani industri, onde procacciarsi queir alimento che nega loro la terra su
cui vivono. Ma questo ragionamento smentito dall'esperienza, perch non v'
parte pi agricola dell' Inghilterra, e nissuna nazione ha giammai visto nel suo
seno pi trionfare le arti e le manifatture; e rivolgendo gli occhi agli andati
tempi, troveremo che fra noi non era meno coltivala la terra e ferace di quel che
ora lo sia, e sa ognuno quanta mole di arti e di manifatture nudriva Milano.
La ragione poi conferma il risultato dell'esperienza, la ragione che altro non
in sostanza, che l'esperienza stessa ridotta a termini generali e scientifici,; poich
prosperando l'agricoltura crescono le consumazioni, e quindi cresce la popola
zione, e cresciuta quella trovasi un superfluo e nell'agricoltura e nei valori dei
suoi prodotti, che per necessit consacrasi alle arti quando queste non hanno
ostacoli politici al loro avanzamento ; ostacoli che confesso doversi pi facilmente
trovare Ira le nazioni abitatrici di un suolo fertile, che fra quelle che ne abitano
uno scabroso e magro, perch ivi la prima considerazione usurpata dai pos
sessori delle terre, che divenuti gelosi della prosperit degli altri ordini dello
DIVISIONI ED ASPETTI DELLE ARTI E MANIFATTURE CAP. I. 469

Stato cercano d'opprimerli e disanimarli, sforzandosi che tutto il peso dei tributi
sia portato dalle arti, le quali non avendo altre forze che l'attivit e libert pro
sperar non possono dove queste siano oppresse e rintuzzate, a differenza delle
terre dove l'attivit e la libert sono dalle forze naturali ajulate e sostenute. Ma
quando le arti sono dalla mano superiore e legislatrice protette, dove trovino
vantaggi che compensino l'inferiorit della condizione, dove i possessori delle
terre non formino un ceto perpetuamente separato dagli altri, ivi le arti e le ma
nifatture vanno di mano in mano crescendo coll'aumento dell'agricoltura, e que
sta medesima sar da quelle conservata ed accresciuta.
L'agricoltura resiste per propria forza a tutte le scosse ed a lutti i disordini
politici pi che le arti, le quali delicatissime facilmente si perdono. L'agricoltore
trattenuto dal suolo e dalla lunghezza del travaglio, e siccome egli produt
tore dell'essenziale alimento, cos lo spaccio delle sue fatiche pu essere stentato
e languido, angustiato ed angariato in mille guise, ma sempre sicuro ed infal
libile. Per contrario l'artigiano facilmente trasportando se stesso, trasporta tutto
il fondo e i mezzi del suo guadagno, e dove gli si rende pi incerto un esito fino
a un dato segno incerto per se stesso, o si abbandona all'inerzia, o si ritira
dentro un torpido contentamento del puro necessario, o cerca sotto altro cielo
un pi largo, un pi libero spazio, ove esercitare la propria industria. Dove
dunque l'agricoltura esista naturalmente per la benignit del suolo, ancorch
languida e mancante, pure difficilmente si aumenta; cos con somma difficolt
si ristabilisce dove i cattivi stabilimenti siano arrivati a disperare la classe pi
paziente di tutte, quella cio degli agricoltori. Dico dove ella esista naturalmente,
cio dove la natura del terreno sia facilmente ubbidiente alla mano del coltiva
tore, perch dove il suolo non si vince ebe colla maggiore industria e cogli sforzi
maggiori ed assidui dell'arte, ivi l'agricoltura pu chiamarsi una manifattura, ed ha
la delicatezza e ritrosia di quella. Merita dunque le prime cure e la prima nostra
parzialit quest'arte che il maggior numero d'uomini mantiene, la di cui prospe
rit ha per immancabili conseguenze tutte le arti e manifatture compatibili colla
natura del suolo e col numero degli abitanti. Ma quella bene stabilita prender
da se stessa un corso pi spontaneo e vigoroso, mentre le arti in quel caso esi
gono una custodia pi gelosa e pi delicata, perch meno resistono alle vicende
politiche.
. VII. Termineremo questo Capitolo col riflettere, che lo studio delle arti
meccaniche slato finora abbandonato alla cieca pratica de' manuali, i quali non
mossi che dall'amor del guadagno immediato, non le hanno che lentamente per
fezionate. Eppure queste arti medesime contengono, come taluno ha osservato, pi
di filosofia, di sagacit, d'invenzione degna d'uomini ragionatori, che molte migliaja
di volumi scritti con tutta la gravit e sussiego ; e sono suscettibili d' essere ri
dotte a principii generali e precisi, onde meritare la considerazione del pi con
tegnoso e superbo letterato. Se dunque si aggiungesse alle istituzioni che si
danno in favore della giovent, in vece di una sterile scienza di parole, un pre
ciso ma ragionato quadro delle arti meccaniche, ove fosse ridotta a principii e
e a visie comuni e generali quella logica di tradizione e buon senso, che le scienze
cavillose e magistrali rilegarono nelle umili officine dell'ingenuo lavoratore, da
essa la distratta giovent, meglio che fra l'ostentazione delle scuole imparerebbe
a rispettare le vere cognizioni, senza renderla ispida e rannicchiata in se stessa
470 BECCARIA,

tr la volubile sottigliezza e la pupillare ferocia dei sillogismi; ed avvezzandosi


a conoscere tutti i ceti e tutta la catena degli affari sociali, ella si avvezzer a
quell'affezione e a quell'amicizia di abitudine con tntte le condizioni, che tanto
contribuisce alla reciproca e tranquilla felicit degli uomini conviventi e contrat
tanti insieme.

CAPO II.

Per quali cagioni le arti si indeboliscono e si perdono,


e per quali mezzi si rinvigoriscono.

S. VIII. Due cose essenziali debbono essere considerate in ogni arte e mani
fattura, la materia prima onde ella composta, e l'opera di chi vi travaglia. Di
due generi saranno adunque le cagioni che fanno languire le arti e gli ostacoli
che si oppongono alla loro perfezione, ostacoli e difetti della materia prima,
ostacoli e difetti della mano d'opera.
S. IX. Il primo del primo genere sar senza dubbio la mancanza di materie
prime prodotte nel paese. Le arti non cominciano ordinariamente a prender vi
gore in una provincia, se non cominciasi dal travagliare le materie proprie
prima d'occuparsi delle forastiere, perch l'artigiano, che intraprende la mani
fattura, ha pi di che scegliere per il prezzo e per la qualit da molte mani, ha
minori trasporti e minori spese da fare, ed ha un maggior agio per fare i paga
menti che egli deve premettere all'esito della sua manifattura. Da ci si vede
l'importanza di quella massima, alla quale ho consacrato nella Seconda Parte
quasi un intiero Capitolo, che la variet delle colture in uno Stato di gran
lunga pi utile dell'uniformit, quantunque il prodotto di questa fosse maggiore
della somma dei prodotti di quella,perch questo difetto sarebbe compensato dal
molto maggior numero di arti nazionali, dal minor tributo che si pagherebbe
alle arti forastiere, da una circolazione di contratti o di valori pi viva, pi ra
pida e pi universale. Oltrech la variet delle colture pi sicura contro gli ac
cidenti impensati e gli ostacoli reciprochi che le nazioni le oppongono per la
sempre vivace guerra d'industria e di guadagno. Dunque tutti gli ostacoli da noi
accennati contro la coltura delle materie prime saranno ostacoli contro le arti e
le manifatture medesime sarebbe perci intollerabile il qui ripeterle,
S. X.Secondo ostacolo del primo genere saranno le difficolt che incontrar
possono le materie prime passando dai produttori ai manifattori, Questi possono
essere di varie sorta. 1 Se la circolazione sia impedita ed interrotta da gabelle
interiori, e da tutto quello strascico inviluppatore di formalit, che ordinaria
mente corredano tali pesi e gravezze. L'uomo s'arresta in una carriera piena
d'inciampi e di pericoli, dove ad ogni momento deve anticipare con proprio in
comodo un valore che tardi sar ricompensato, e meno sicuramente lo sar, a
misura che sia esso pi grande e pi insuperabile, 2 Se i produttori siano so
verchiamente caricati, qualunque pagamento si faccia per ragione di tributo
d'ogni genere sempre portato dalla materia prodotta dalle terre. Ma non pure
indifferente il tempo e il luogo nel quale questa materia paga il tributo, perch
COME LE ARTI SI INDEBOLISCONO E COME SI RINVIGORIscoNo.CAp, 11. 471

se tutto intiero lo paga di primo slancio subito dopo la di lei produzione, il


produttore vuole all'istante ricompensarsene, e il valore della materia prima
riuscendo troppo alto, l'anticipazione che il fabbricatore costretto di pagare
troppo forte, perch egli intraprenda lavori considerabili e ben fatti. Quindi mi
nore sar il numero de'concorrenti alle medesime opere, e perci minore la per
fezione di quelle, minore buon mercato e maggiore uscita della materia dallo
Stato, quando non fosse abbandonata la coltura della medesima; il che non im
mediatamente, n sempre, ma spesse volte e a poco a poco snccede, perch i
fabbricatori non possono e non vogliono ricompensare l'eccesso del tributo, onde
quello retrocedendo tende a rendere pi dannosa che utile la coltivazione. Il peso
dunque portato sempre dai prodotti del suolo, debbe essere distribuito in pro
porzione della sua grossezza ne'successivi passaggi della materia prima dai pro
duttori ai primi manifattori, da questi ai secondi e cos successivamente accioc
ch l'anticipazione che si deve fare sino all'ultimo consumatore o utente della
cosa manufatta, sia meno forte per ciascuno in particolare; il che come dovrebbe
essere,perch non sia rovinoso ma utile, si vedr nel trattato delle finanze.
In terzo luogo, se i manifattori siano da privilegi esclusivi, da restrizioni e
condizioni legali limitati ad un piccolo numero escludente altri che potessero in
traprendere un simile travaglio ; perch questi diventando legislatori o tiranni
dei valori ed essendo sicuri di uno spaccio, qualunque sia il lavoro da essi fatto,
manca quello stimolo che porta a perfezionare l'opera e a diminuirne il prezzo
in concorrenza di emoli tendenti allo stesso fine,
S. XI. Gli ostacoli del secondo genere, cio della mano d'opera, ossia dei
fabbricatori, sono: I. La successiva imperfezione delle diverse preparazioni che
soffre la materia prima che si adatta al lavoro, perch accade sovente che nelle
arti subordinate ad una maifattura, per l'ignoranza di chi fa le prime prepara
zioni, le manifatture che ne risultano riescono inferiori di pregio e di bellezza a
quelle delle altre nazioni, dove sono minori pregiudizi, e maggiore attivit e cau
tela si adopera intorno alle materie prime. Esempio ne siano le nostre sete, la
filatura delle quali essendo diversa ed inferiore a quella di Piemonte ed altri
finitimi Stati, le manifatture risentono dei difetti delle prime preparazioni. Chi
s'interessa alla prosperit delle arti, trasportato sovente dal dispotico spirito di
perfezione, vorrebbe che con codici penali e con ordini di gelosa e diffidente ispe
zione fossero prescritti metodi a chi prepara la materia prima, e che egli fosse
soggetto ad esami, a visite e ad una claustrale disciplina i desiderio certamente
pericoloso, e che oltre il difetto di fare il bene con mezzi odiosi e contrari alla
felicit degl'individui, avrebbe il rischio di disanimare ed impiccolire lo sponta
neo vigore dell'industria, che esige libert e facilit in ogni luogo e in ogni tempo.
Oltre di che, tutto ci che si toglie all'influenza infallibile dell'interesse parti
colare per metterlo sotto la direzione degli esecutori, diventa pi favorevole ad
essi e perci pi arbitrario ed incerto, di quello che conduca al fine che si pro
pone. Non gi che ogni disciplina debba esser tolta, ma perch verissimo che
le prescrizioni non debbono essere impiegate se non dove sono necessarie; e dove
il premio pu ottenere il fine voluto dalle leggi, ivi la pena sarebbe dannosa.
S. XII. Secondo ostacolo sar la scarsezza de' lavoratori, la quale pu essere
assoluta quando la popolazione sia aI dissotto di quella che possa uno Stato
mantenere, il che si pu conoscere dalla quantit delle terre buone, inutili ed
472 BECCARIA.
incolte, e dalla quantit delle terre che ciascuna famiglia coltiva; perch se que
ste eccedono il potere di ciascun braccio e se la famiglia ne ha di troppo, cosic
ch non sia costretta a cavarne tutto il partito possibile, ma le basti una medio
cre coltivazione ed una mediocre fatica, segno che tali terre molto maggior
numero di persone potrebbero mantenere : ma questa scarsezza di lavoratori per
lo pi suol essere relativa. Quando in uno Stato vi sia facilit a consumar viveri
senza un travaglio produttivo o manifatturiere, tutti questi consumatori sono
tolti alle arti ed alla gleba. Quindi per le arti ve ne rester un minor numero,
e maggiore sar la diminuzione che ne soffrir la manifattura di quello che la
coltivazione, perch la manifattura esige un pi lungo tempo, ed costretto chi
vi si impiega o di pagare il maestro, o di servirlo con nessuno o tenue sostenta
mento, mentre niuna di queste prevenzioni richiede la coltivazione delle terre. In
prova di che vediamo ogni giorno in quei paesi dove siano di questi sterili con
sumatori, che coloro che si sottraggono al duro travaglio della terra non si ri-
fuggiano al pi lucroso e pi comodo lavoro delle arti, ma bens saltano immedia
tamente come i calabroni a succhiare il miele delle api industri, e ad intorpidire
in quelle condizioni che somministrano una tale facilit di vivere scioperata
mente. Restando dunque pi scarso il numero de' manuali, questi esigeranno un
pi alto prezzo dell'opera loro ; quindi incarendo la manifattura se ne diminuir
la ricerca, tanto degli estranei che dei nazionali.
. XIII. Terzo ostacolo, la carezza della mano d'opera medesima per la ca
rezza dei viveri. Il valore del travaglio di un giorno deve somministrare cinque
alimenti circa, n pi n meno al lavoratore, perch se gli somministra di pi,
egli tralascer di travagliare tanti giorni quante giornaliere sussistenze sono for
mate dall'eccesso del valore del travaglio, o travaglier pi languidamente o pi
imperfettamente, il che lo stesso. Ma se il travaglio somministra di meno, il
lavoratore tralascer di lavorare, e dovendo necessariamente cavarne il valore di
cinque alimenti, accrescer indebitamente il prezzo dell'opera, colla diminuzione
in seguito della medesima. Ma quando sar, che il travaglio o la mano d'opera
siano in giusto livello colla giornaliera paga del lavorante e col prezzo dei viveri?
Abbiamo detto che il travaglio di un uomo pu equivalere al travaglio di molti,
e che il lavoro per esempio di un sarto che somministra abiti a molti contadini,
equivale alla somma corrispondente di pi giorni di travaglio pagati da tutti
questi contadini per tutti gli abiti. Dunque questo travaglio pu essere rappre
sentato da corrispondenti porzioni di terra. Dunque il prodotto di questo trava
glio sar corrispondente al prodotto di queste terre. Dunque il valor del trava
glio di ogni fabbricatore allora sar in livello colle spese della mano d'opera,
quando dal capitale impiegato per tutta l'estensione della manifattura dedotto il
valore della materia prima, e dal frutto di questo capitale dedotto il valore della
mano d'opera pagato agli operai insieme colle altre spese, l'avanzo, cio il gua
dagno sar eguale al frutto raccolto di tante terre, quanto la somma del suo tra
vaglio e della sua intrapresa ne rappresenta. impossibile l'applicazione di que
sta teoria finch non si abbiano dati certi ed adequali dei prodotti delle terre,
della media proporzion tsica di travaglio di ciascun uomo, e la pi difficile ed
esatta notificazione del capitale che ciascuno impiega ne' suoi lavori.
. XIV. Quarto ostacolo, l'eccesso del tributo posto sulle manifatture e sul
l'industria personale degli uomini. Egli vero che tali gravezze sono ricompeu
COME LE ARTI SI INDEBOLISCONO E COME SI RINVIGORISCONO. CAI. II. 475

sate dai compratori, ma quando passano un certo limite di troppo la manifattura


diminuisce, e se ne dirige altrove la ricerca ; diminuiti i compratori, essa deve
abbassarsi di prezzo, quindi il tributo rester tutto sulle spalle degli operai e
manifatturieri ; e questo peso opprimendo il frutto e la speranza della loro atti
vit ed industria, render torpide le arti, le quali a poco a poco dissipandosi, si
rifuggeranno dove siano allettate da una condizione pi dolce e da tributi men
forti e meno sensibili.
. XV. Quinto ostacolo, sono le formalit cui le arti medesime si assogget
tano da coloro, agli occhi dei quali s'ingrandiscono i piccoli dettagli, e che n
puonno n vogliono innalzarsi giammai alla contemplazione del tutto e della
somma intiera delle cose. Esami, patenti, permissioni, prescrizioni ed obblighi di
tenere allievi, allontanano e rendono scabroso l'entrare in una carriera, a cor
rere la quale anzi si dovrebbero moltiplicare gli stimoli ed aprire tutte le faci
lit per vincere la naturale inerzia dell'uomo e l'innata sua spensieratezza, che lo
porta a riposarsi negli avvenimenti giornalieri e ad abusare di quella fiducia che
noi dobbiamo avere nell'invisibile provvidenza. Lo stringere ciascuna classe di
artigiani in corpi separati che si eleggono capi e direttori, l'assegnare severi con
fini al travaglio di ciascuna classe e alla industria di ciascun individuo, il farne
famiglie, societ, fratellanze, confraternite contraddistinte d'insegne e di livree
semi-ecclesiastiche e semi-secolari, creano pretensioni sempre nuove e litigi e di
scordie sempre rinascenti, tanto pi aspre e dispendiose quanto meno si appog
giano sui veri interessi e sui veri bisogni delle arti stesse, ma piuttosto sull'av
vicinamento e sul riscaldamento delle passioni degli uomini, che sono pi dure
voli a misura che hanno un oggetto pi vago e pi indeterminato, non gi per
il fine che si propongono ma per i mezzi che adoperano. Quindi codici partico
lari di ciascun' arte, custodi di tali leggi, patrocinatori e difensori stipendiati, che
hanno interesse di riprodurre ci che gli alimenta. Quindi una parte di valore,
che dovrebbe rappresentar travaglio ed azione riproducente parimenti valore,
diviene il cambio di carta, di parole che rintuzzano e disperdono la forza del
l' interesse e pesano sull' industria degli uomini.
$. XVII. Sesto ostacolo alle arti e manifatture, che pi ne ritarda l'intro
duzione, l'impiego dei capitali sui banchi pubblici che pagano interessi, ren
dite vitalizie ecc., fondi tutti, che somministrando un'annua rendita e sicura ed
un frutto netto e sufficientemente abbondante, alienano i possessori dall'impie-
garli in favore delle arti e dell'industria; e come da questa si esige un compenso
maggiore, cui non pu portare che difficilmente, cosi ella resta languente ed ino
perosa. Ma ancora di ci sar meglio trattato, e si esporranno tanto le obbie
zioni che si possono fare, quanto le eccezioni che si possono ammettere nelle
circostanze particolari delle nazioni, quando si parler del commercio.
. XVII. quasi inutile il qui accennare per settimo ostacolo le difficolt
che soffrono nella circolazione le materie manufatte, siccome abbiamo annove
rate quelle che soffrono le materie prime. Tutto deve essere diretto da questa
massima che non ha eccezione, cio che le restrizioni alla libert non debbono
essere poste per l'amore della perfezione, ma soltanto per esigenza della neces
sit, non per far meglio ma per trattenere un disordine.
. XVIII. L'ottavo ostacolo che si oppone al progresso delle arti e il pi
grande e considerabile, appunto quello che si credulo da molti il pi oppor
474 BECCARIA.

tuno ed efficace a promoverle, cio i privilegi esclusivi, che si accordano a tali


manifattori coutro tutti quelli che potrebbero intraprendere il medesimo lavoro.
Le arti, come le cose tutte, non prosperano quasi mai nelle mani di un solo.
Tale la legge eterna che contribuisce a legare gli uomini in societ. Ci ch
ciascuno vi pu aggiungere non che un piccol grado; ed un'arte che sia nelle
mani di un solo o di pochi non pu che restar sempre languida ed imperfetta,
arricchendo un particolare, non gi la nazione, n potendo giammai sostenere
la concorrenza con simili arti di altri paesi dove siavi libert a ciascheduno di
professarle; il che produce emulazione a perfezionarle e gara a scemarne il prezzo,
onde le ricerche saranno sempre rivolte verso dove spira la libert, non dove
siede il severo monopolio. Non nuovo, ed evidente questo ragionamento: o
l'arte di cui si vuole accordare il privilegio esclusivo gi introdotta nel paese,
o non lo ; se gi introdotta, non si pu togliere senza ingiustizia il profitto di
molti per accumularlo nelle mani d'un solo, profitto per che da se medesimo
tenderebbe a diminuire, perch le ricerche e l'esito scemano dove la concorrenza
sia tolta; o l'arte non 4 introdotta, ed allora chi richiede il privilegio esclusivo
fa ragionevolmente sospettare, anzi lascia con ogni sicurezza presumere, che egli
voglia o debba essere un cattivo manifattore. Ogni arte nuova, che da qual-
cheduno venga introdotta, d sempre per se stessa un vantaggio in favore del
l'introduttore, a preferenza di quelli che vengono dopo di lui. sempre pi
grande presso gli uomini il credito degl'introduttori, che degl'imitatori. Chi in
troduce un'arte nuova, oltrech pu chiamarsi inventore relativamente alla na
zione priva di quell'arte, gi la conosce prima e pi di ogni altro gi prevenuto
contro gli ostacoli, ha gi disposti i mezzi e preparale le corrispondenze. Chi
vien dopo non potr procurarsi simili vantaggi, se non molto tempo dopo l'in
troduzione dell'arte per mezzo del primo, cio se non dopo avviato l'esito del
l'introduttore, onde questo avr sopra lutti gli altri maggior credito e forza per
non temere discapito al capitale da esso impiegato. Chi dunque dimanda privative,
dimanda di potere ingannar impunemente, e all'ombra delle leggi tiranneggiare
il compratore. Chi dimanda privative un uomo non sicuro di se slesso, il
quale cerca di coprire quel rischio che una mal'intesa avidit gli fa azzardare, e
poco appoggiato alla probabilit di riuscire, cerca non nella propria attivit e
diligenza, ma nell'altrui dipendenza e servit un reddito ed un profitto. Dippi
non ho difficolt di qui ripetere, perch importante, ci che altrove ho accennato,
cio che la concorrenza dei manifattori abbassando il prezzo della manifattura e
perfezionandone l'opera, aumenta di pi la ricerca e lo spaccio, di quello che
non scemi alla lunga il profitto di ciascheduno in particolare, supposto che que
sti avesse il privilegio esclusivo, il quale se esclude gli altri dall'esercitare un'
arte simile, esclude anche ed aliena una parte dei compratori dal procacciarsi
le produzioni di quella. A qual fine sono state adunque concesse talvolta tali
privative, che fanno dell'industria un esclusivo patrimonio? Cagione pi frequente
d'un simile errore la trepida ed improvvida voglia d'introdurre a qualunque
costo e forzatamente alcune arti nella nazione. Questa fa ascoltare e aderire ai
subdoli progetti, che mettono in vista un vantaggio momentaneo, sotto del quale
celasi un danno lungo e rovinoso. assai meglio, secondo la sana politica, di
restar privo di un'arte qualunque, che l'accordare simili privative; meglio fissar
premii e gratificazioni al primo che avr il coraggio di arrischiare un'intrapresa,
COME LE ARTI SI INDEBOLISCONO E COME SI RINVIGORISCONO. CAP. II. 475

che estinguere o vendere la sorgente delle azioni industriose, per cui la riprodu
zione e l'esito delle materie prime e la circolazione delle opere illanguidisce e si
arena. Alle privative si avvicinano le riduzioni delle arti in cos dette bade ed
universit, che fanno contribuire gli artigiani, e per conseguenza allontanano
molti di quelli che potrebbero accrescerne il numero; che escludono i forastieri
in paragone dei nazionali, credendo di favorir la patria col resistere a quelli che
vorrebbono aumentarne le forze e la ricchezza, quasi che la stessa cosa non fosse
il nascervi o stabilirvisi.
. XIX. Fissate dunque le principali difficolt che si oppongono allo stabi
limento delle arti, facil cosa il trovare per quali mezzi esse fioriscano; perch
non facendo le cose che si chiamano ostacoli, anzi facendo le contrarie, poco
resta di positivo da farsi, e questo poco a due capi principali si riduce.
. XX. In primo luogo s'incoraggiscono le arti e le manifatture onorandole
e premiandole. Per ci che riguarda l'onore, ognuno che tocchi internamente se
stesso, e paragoni ci che sente colle varie ed infinite nozioni che di questo sen
timento sociale hanno gli uomini avuto in tutti i tempi, crede doversi quello alle
azioni utili alla societ; e come prima le azioni del coraggio e del valore, e il
diritto della forza esercitato con certe solennit e certi fini, soli potevano con
tribuire alla pubblica utilit, soli erano onorati, cos ora estinto e calmato in
gran parte il truculento furore delle discordie, rende men gelose e pi comuni
canti le nazioni. Perch non saranno onorate le azioni di una industriosa pro
bit, che apre con coraggio e con rischio una nuova sorgente di ricchezze, e d
un nuovo esempio di onesta ed utile occupazione? Perch colui che confuso tra
una oscura moltitudine, ha saputo erigersi ad una sfera pi elevata e divenire
rappresentatore di parte dell'attiva potenza d'uno Stato, non merita di sedere a
pari dell'assiderato ed inoperoso, nel quale appena lampeggia l'ultimo lume della
gloria di lontanissimi avi, che seppero comprargli uu ozio illimitato coll'ingegno,
col sangue, colla rigorosa frugalit e talvolta con illustri delitti? Ma alieno allatto
dal mio istituto sarebbe il pi insistere su tali progetti, come lontani troppo dagli
attuali sistemi, quantunque non ignoti del tutto fra le antiche leggi di vicine na
zioni, n totalmente disparati dalle costumanze e dai riti de' nostri antenati. E
se nelle fervide e clamorose nostre assemblee tanto si deplora il decadimento di
questo secolo, perch ci allontaniamo dal costume, dalle opinioni e dalle maniere
degli avi e de' bisavi nostri, io non sar poi rimproverato se volessi costringere
tali declamatori a rimontare pi in alto per convincerli, che le novit che si pro
pongono sono le vecchie costumanze de' tritavi e quadriavi loro.
. XXI. Ma l'uomo nato fra il volgo, cio fra l'indipendenza dei costumi e
delle maniere, meno mosso dall'ambizione che dalla speranza di un bene pi
reale ed immediato. Perci premii saranno i pi efficaci animatori delle arti,
e faranno incurvare l'inerte alla fatica, e renderanno sagace l'industrioso nell'in-
ventare e finire le opere sue.
Soglionsi talvolta invitare le manifatture con somme anticipate che la gene
rosa munificenza del sovrano somministra a chi si esibisce a sostenere un intra
presa- Ma chi ben riflette trover forse inutile ed anche pericolosa una simile
maniera d'incoraggire le arti. I. Perch quando ottenesse il fine darebbe troppi
vantaggi alle manifatture, escludendo gli altri dal poter sostenere la concorrenza,
il che sarebbe introdurre non una manifattura, ma un manifattore; e quelli, an
476 BECCARIA.

corch potessero sostenere una tale concorrenza, sarebbero forse disanimati,


perch l'uomo che sempre ed unicamente si regola cogli esempii, sarebbe portato
a credere, che se il primo introduttore ha avuto mestieri della clemenza del
principe, egli pure non ne potr far senza. II. Perch si corre grandissimo
rischio, che il manifattore calcoli pi sull'interesse del capitale sovvenuto che
sulla perfezione della manifattura, e perch ci egli eseguisca, sono necessarie
sigurt, ispezioni ed esami, precauzioni egualmente dispendiose all'erario del
principe, che producenti diffidenza e disamore nell'animo dell'artefice per l'arte
sua. Egli probabile che chi si ritrova di avere in mano un capitale con con
dizioni lunghe e vantaggiose, cercher di campare sopra di esso contentandosi
di esibire un'apparenza di travaglio, pi per conservarsi il diritto di prolungare
la restituzione e di chiedere nuovi soccorsi, che per corrispondere con lealt alle
benefiche mire del sovrano. Quanto ho detto non d nissun diritto di disappro
vare se talvolta si sia fatto l'opposto, perch le massime di prudenza politica
sono meramente relative a ci che in qualche particolar circostanza avviene, po
tendosi trovare persone che fedelmente adempiano i patti convenuti, e tanta
fermezza e vigilanza nei ministri che sappiano costringerli all'adempimento, senza
disanimare n il favorito manifattore, n i successivi concorrenti.
. XXII. Dunque premiar l'opera gi fatta, sar la massima pi salutare
ed il mezzo pi efficace a promuovere le manifatture. Il premio di un solo,
ma l'emulazione di molti, e la speranza che uno dei pi grandi agenti del
l'uomo socievole, mette in fermento l'interesse privato di ciascheduno; e il profitto
che risulta da questa prima spinta tale, che in seguito quasi senza il premio la
manifattura si dilata e rinvigorisce. Dico quasi senza premio, perch io crederei
opportuno che ad ogni classe di manifatture si conservasse il premio fissato dalle
leggi, almeno per qualche tempo finch non divenisse affatto inutile. Se esso ha
servito a introdurre, servirebbe a perfezionare, a tentar nuove e pi spedite ma
nifatture di lavoro, a tenere in considerazione le condizioni dei manifattori me
desimi, essendo i pubblici premii rappresentatori della lode universale, che per
lo pi misura la virt nelle deboli menti nostre.
. XXIII. In secondo luogo per mezzo dei dazii con giusti principii istituiti
si animano le manifatture interiori di una nazione. Ogni manifattura consta di
due parti; della materia prima e della forma che le si d. 0 la materia prima
cresce in un paese o fuori dei suoi confini, e questa manifatta parimenti o al
di dentro o al di fuori. Se la materia prima, che nasce al di dentro, sorte rozza
e non travagliata dalle mani dei proprietarii fuori dello Stato, i manifattori na
zionali che potrebbero impiegarla, debbono comprarla in concorrenza de' mani
fattori forestieri. Se una tale manifattura o non esiste nella nazione, o soltanto
languidamente con uno spaccio dissipato ed incerto, e se per lo contrario i fora-
stieri hanno un esito della medesima florido ed ampio, questi potranno pagare
la materia prima alquanto di pi che i nazionali medesimi. Vero che la diffe
renza del trasporto pi lungo di una materia al di fuori, in confronto del tras
porto della materia stessa pi corto nell'interno, d un vantaggio ai nazionali
contro i forastieri; e ci per la ragione pi volte ripetuta, che i venditori della
materia prima dovendo rifarsi della spesa del trasporto, caricheranno il prezzo
di quello sulla materia prima che vendono ai forastieri. Possono dunque vendere
un po' pi a buon mercato ai nazionali, guadagnando di pi nel medesimo tempo.
COME LE ARTI SI INDEBOLISCONO E COME SI RINVIGORISCONO.CAP. II. 477

Ma se il trasporto troppo facile e corto, la differenza pu essere cos piccola


tra il vantaggio dei nazionali e il disavantaggio dei forastieri, di modo che questi
abbiano un molto maggior utile per l'esito gi avviato e pi vasto della manifat
tura, contro dei nazionali che non ne hanno punto, o almeno molto pi lento e
stentato. Che far dunque in simili circostanze, quando la materia prima nata
nel nostro suolo fosse convertibile in manifatture per noi medesimi necessarie, o
di comodo grandissimo e voluto da tutti quelli che hanno un superfluo da spen
dere? Tutti questi se ne provvederebbero dai forastieri, o perch manchi a noi,
o perch migliore e pi perfetta l'opera, o perch a pi buon mercato, e tal
volta ancora perch la natura umana proclive a stimar le cose lontane ed ignote,
sprezzando le vicine e conosciute. Noi dunque restituiremo al forastiero tutto il
valore che egli pag per la materia prima qui comperata, e di pi sborseremo
del nostro il valore della man d'opera forastiera.
In tali circostanze dovrassi ricercare con ogni sforzo che non escano tali
valori dallo Stato. Perch non escano, non si deve e non si pu far altro che
proibire assolutamente l'uscita della materia prima, o dare tutto il vantaggio ai
manifattori nazionali contro dei forastieri. Ora proibendo assolutamente l'uscita
della materia prima, meno s'incoraggir una manifattura introdotta o languente
coll'avvilimento del prezzo della materia, di quello che un tale avvilimento alie
ner la mano disanimata dell'oppresso agricoltore; o veramente sorger dall'av
vilimento medesimo l'inestricabile contrabbando e l'ingoiatore monopolio, il quale
avendo facilissime le entrate trover i mezzi di rendere facilissime ed invisibili
le uscite. Dunque si dar il vantaggio ai manifattori nazionali sui forastieri,
quando si allunghi per questi artiflzialmenle il trasporlo al di fuori della materia
prima, cio si ponga un dazio all'uscita di essa. Questo dazio deve esser pagato
dai manifatlori esteri; la compera dunque della materia prima coster di pi a
quelli di fuori che ai manifattori interni. Potranno dunque i venditori della ma
teria prima vendere a buon mercato e guadagnare di pi vendendo ai nazionali.
Per una contraria ragione dovrassi dare ogni facilit all'introduzione delle
materie prime forastiere, le quali lavorate nello Stato escono totalmente di nuovo,
e ci rimborsano del valore della materia prima comperata, e vi guadagniamo di
pi la mano d'opera; o se non ritornano ad uscire totalmente, ma parte si fermi
nella nazione, avremo sempre risparmiata la mano d'opera forestiera.
Mi si domander se non possibile, che l'introduzione delle materie prime
forastiere pregiudichi e disanimi la coltura delle medesime nel proprio paese,
perch la concorrenza di quelle con queste facendone abbassare il prezzo, il pro
prietario e l'agricoltore ne ricavassero una rendita troppo vile e insufficiente. A
ci facile il rispondere per chi riflette, che l'affluenza delle cose medesime ne
scema il prezzo, ma ne aumenta lo spaccio; che le materie forastiere hanno con
tro loro medesime il valor del trasporto, e che perci ad egual grado ili bont
avranno sempre la preferenza le nazionali; e quando pure le forastiere siano fa
cilmente introdotte o siano superiori in bont alle nazionali, ne nascer uno
sforzo ne' produttori di queste di perfezionarne la coltura, perch gareggino colle
forestiere nella bont, onde venderle al medesimo prezzo ed anche a preferenza.
Dunque un dazio all'uscita delle materie prime nazionali, e l'introduzione libera
delle materie prime forastiere sar la massima regolatrice. Ma questo dazio: I. non
deve essere che ai conflni d'uno Stato, perch libera sia l'interna circolazione;
-178 BECCARIA.

II. deve essere previamente calcolato sulla differenza dei valori della materia
prima venduta al di dentro e al di fuori. Quando la differenza, ossia l'eccesso
del prezzo forasliero sul prezzo nazionale sar maggiore, ed il trasporto sar pi
piccolo e pi corto, tanto il dazio dovr esser pi forte. Per lo contrario quando
sar minore la differenza di questi prezzi e pi lungo e dispendioso sia il tras
porto, tanto il dazio dovr esser pi piccolo, sino ad essere perfettamente inutile
a quest'oggetto.
. XXIV. Cogli stessi ragionamenti noi troveremo l'altra massima fonda
mentale intorno alle manifatture cio di aggravare l'introduzione delle manifat
ture estere, ed alleggerire o meglio lasciar libera del tutto l'estrazione delle ma
rifatture nazionali. Le medesime modificazioni e i diversi punti di vista che
abbiamo messo in considerazione parlando delle materie prime, dovranno am
mettersi parlando della mano d'opera, onde sarebbe una magistrale sciopera
tezza il qui ripeterle.
. XXV. Prima di chiudere questo capitolo, giover qui aggiungere due
riflessioni, quantunque gi da noi accennate. La prima , che fino ad un certo
segno l'altezza del valore de' generi contribuir al progresso delle arti e manifat
ture, perch l'altezza del prezzo dei generi produce in molti casi l'abbassamento
degli interessi del denaro; cio quando questa altezza di prezzo non nasca dalla
mancanza e scarsezza delle derrate medesime (sia mancanza reale, o apparente,
o artificiosa), ma dalla libert ed ampiezza dell'esito s al di dentro che al di
fuori. La seconda riflessione , che quando molti siano i proprietarii delle terre
producenti tali derrate, e non pochi, l'altezza del prezzo dei generi produce una
esuberanza di danaro in molte mani. Saranno dunque molti, che cercheranno
di prestar danaro; vi sar dunque concorrenza tra i prestatori, e per conseguenza
una gara di scemare l'annuo frutto dei capitali per ottenere ciascuno la preferenza
sui concorrenti. Ma quando gli interessi del danaro sono bassi, molti potranno
procurarsene l'imprestilo, per intraprendere una manifattura che col progresso
dia loro i mezzi di fare dei risparmii, coi quali pagare l'annuo frutto e poscia
restituire il capitale, e nello stesso tempo mantenersi e moltiplicare l'annuo suo
reddito. Il manifattore ed il commerciante, quando possono avere un corso ed
uno spaccio non impedito nei loro affari, calcolano in questa maniera. Se posso
far rientrare tre o quattro volte in un anno quel medesimo capitale di cui pago
l'annuo frutto, e che quello mi renda tre, quattro o cinque degli annui fruttti,
uno dei quali io pago, posso senza rischio farmi prestar danaro. Ora tanto pi
sicuramente pu farsi e si far un tale ragionamento, quanto pi basso sar
quell'annuo frutto del denaro. Dunque la bassezza degli interessi del danaro, e
per conseguenza l'altezza del prezzo dei generi, aumentano le arti e le manifat
ture, quando nasca dalle due condizioni sovra accennate.
Mi si obbietler: ma l'altezza del prezzo dei generi incarisce la mano d'opera
e fa crescere i salarli degli operai; dunque s'incarisce la manifattura, dunque
perder una parte del suo smercio, quando ella sar in concorrenza eoo simili
manifatture a minor prezzo d'altri paesi. Rispondo, che questa carezza di generi
non pu essere pregiudizievole, se non quando offender la preferenza del buon
mercato delle nostre manifatture in confronto delle forestiere; e quando la diffe
renza non fosse molta, non vi sar molto da temere allorch non sia pregiu
dicata la concorrenza nella bont della manifattura, perch ella si sosterr in
COME LE ARTI SI INDEBOLISCONO E COKE SI RINVIGORISCONO GAP. II. 479

proporzione che sar maggiore la bont e perfezione sulla manifattura forestiera,


di quello che sia il prezzo della prima sulla seconda. Se dunque non oltrepassa
tali limiti, l'altezza dei generi ancorch faccia alzare il salarlo degli operai non
sar dannosa, perch chi compra pu comprare a pi caro prezzo, e chi vende
non deve temere di perdere gli avventori. Allora solamente l'altezza di questi
generi sar dannosa, quando non sia successiva per gradi, ma salga per salti
considerabili dal basso all'alto valore, perch allora non crescendo in propor
zione i salarii degli operai, questi si trovano realmente ed in un momento di
mezzata la paga, la quale non consiste in una determinata e fissa quantit di
danaro, se non in quanto questa quantit atta a rappresentare i necessarii gior
nalieri alimenti dell'artefice. L'avidit reciproca degli uomini cerca di sottrarre
per quanto possibile ci che deve agli altri, n si ferma se non quando teme
di venire per ci a perdere quello che si deve a lei medesima, onde in un salto
da un basso ad un alto valore, i padroni non daranno agli arteflci un maggior
soldo, se non quando temeranno di perderli e di non poterne altri sostituire alle
antiche condizioni: dippi eglino stessi per una simile ragione non potranno in
un momento alzare il prezzo della propria manifattura. Vi sar dunque in tali
casi un'oscura guerra tra i compratori e i venditori, fra i maestri e gli operai,
durante la quale pu accadere la rovina di molte arti e l'emigrazione di molti ar
tefici. Dunque si procuri l'altezza de' generi sino a non pregiudicare alla concor
renza e si procuri gradatamente; il che si otterr meglio colla libert, che dilata
ed equilibra gli interessi degli uomini, che colla violenza che li concentra e li fa
sbilanciare con precipizio verso l'opposto estremo egualmente dannoso.
$. XXVI. Ma di ci si detto anche troppo lungamente. Vi un'ultima
riflessione, sulla quale non posso cessar d'insistere, non certamente perch ve ne
sia bisogno in questa fortunata provincia dove non cessano i sovrani provvedi
menti, ma per dissipare, per quanto mi possibile, quel genio tenebroso ed oscuro
che occultamente si sforza colla derisione, col disprezzo, col pedanteggiare i vi
gorosi movimenti della giovanile curiosit, di opporsi alle clementissime mire
dell'augusta madre dei popoli. Vede ognuno che io voglio parlare delle scienze,
le quali hanno una troppo grande influenza sulle arti e manifatture, perch si
debba omettere ogni sforzo per ampliarle e facilitarne il progresso per ogni
paese. Verissimo quello che fu detto da alcuno, che dove si perfezioner l'astro
nomia, ivi si pu sperare che i panni saranno pi perfettamente lavorati. Chi
considera i progressi della specie umana trover che essi camminano con un
certo parallelismo, onde e le pi sublimi e da noi lontane cognizioni, e le pi
umili ed a noi vicine si attraggono vicendevolmente. Non possibile che le me
desime cagioni che eccitano in taluni curiosit o interesse per una classe d'idee,
e che loro danno agio e facilit di soddisfarvi, non operino colla medesima forza
su tali altri per diverse serie d'idee e di cognizioni, frattanto che la considera
zione occupata da chi ha perfezionato un oggetto, non lascia luogo che a cercar
nuovi oggetti per occupare simile considerazione. Dunque la protezione alle
scienze, la curiosit nudrita nella fervida giovent, il premio accordato alla la
boriosa virilit, il togliere nelle scienze come nelle arti ogni privilegio esclusivo,
per cui divengono tiranne ed usurpatrici e per conseguenza indolenti nel perfe
zionarsi ed attive nell'abbattere gli emoli e concorrenti, saranno mezzi indiretti,
ma non meno perci efficaci dei pi diretti ed immediati, per il progresso dellf
480 BECCARIA.

arti e manifatture. Neutono che ha scoperto il sistema dell'universo e l'attrazione


equilibratrice delle cose, Locke che attraverso della nebbia dei vocaboli ha portato
la fiaccola dell'analisi nei pi segreti nascondigli dell'intelletto umano, sotto le
stesse leggi e fra gli stessi costumi hanno vissuto di coloro che hanno perfezio
nato le volgari manifatture della lana, e che hanno elevato il durissimo acciaio
alla lucidezza ed allo splendore dell'oro, e piegato all'eleganza delle forme pi
leggiadre. Tutta la natura ha sentito il dominio delle scienze, e le arti tutte sono
state tocche dall'elettrica fiamma dell'invenzione, e col fermento e colla gara di
tutti gli interessi si sono ripulite di ogni rozzezza ed imperfezione, delle quali il
frettoloso bisogno le avea impastate. Non una circondotta giurisprudenza, non un
misterioso e vano circolo di mediche tradizionali formole, e non una sconnessa
e fortuita congerie di fatti, n la curva e laboriosa imitazione degli antichi mo
delli, n la divota e pusillanime scelta delle parole, saranno mai le scienze mi
glioratrici delle condizioni degli uomini, e madri di vera ricchezza e potente
prosperit nelle nazioni. Ma la scienza dell'uomo in tutti i tempi e in tutti i
luoghi, ma la ricerca attenta ed imparziale dei grandi fenomeni della natura, ma
l'ardito congetturare, ma l'ostinato tentare, ma il battere le strade sconosciute e
solitarie che guidano al vero, impervio al timido e cieco calcolatore delle pedate
altrui, solo sono i mezzi onde si possono sperare progressi fra la moltitudine
riunita; la quale non si perfeziona colla perfezione d'alcuni individui, ma coll'av-
vicinamento e coll'urto di molti errori, di molti tentativi, di molti interessi. A
che mai sarebbe ridotta una nazione, se le minute prescrizioni e i servili metodi
di taluni volesse inesorabilmente seguire, mentre le altre collo scorrere de' secoli
si allontanano sempre pi dall'errore infelice, e si avanzano verso il vero beato
e sicuro rischiarandosi alla luce serena ed equabile della filosofia ? Questa si
giacerebbe ancora prostrata ed involta nelle vecchie tenebre, e l'accumularsi dei
secoli non sarebbe per lei che un uniforme tramandarsi dai padri nei figli lo
scolo della barbarie e il bulicame degli antichi errori. Ma le arti e le manifatture
se dalle scienze prendono aumento e perfezione, dalle belle arti in ispecie e dalle
matematiche sono mirabilmente nudrite ed allevate. Queste insegnano a disco
prire l'esatto raziocinio, il freddo paragone e i pi lontani rapporti delle cose
sensibili; quelle formano il premio dell'uomo onesto, la [delizia delle anime de
licate, ed ingrandiscono la sfera naturalmente limitata dei nostri piaceri, non
altro essendo, che un artificioso richiamo e condensamento delle sensazioni pi
aggradevoli e pi interessanti, unito all'utilit di un fine che ciascuna bella arte
si propone; insegnano a coltivare la nostra immaginazione, la quale se non ha
l'alimento del bello e del vero, precipita nel tenebroso e nel fatastico, e se non
ricreata da spessi adombramenti della sospirata felicit, si rovescia fra le ma
linconiche e dubbie larve del fanatismo e della superstizione. Dunque si onorino
le belle arti senza eccezione, se ne premiino i capi d'opera, si mantengano e si
cerchino gli esemplari del buon gusto e si studiino i principii suoi, principii inal
terabili quanto l'umana natura. Allora si vedranno nelle arti e nelle manifatture,
nelle stoffe e negli addobbi, nel seno dell'indolenza e fra la pompa insultante,
non solo i trofei della disuguaglianza, ma l'impronta pacifica del bello e forse
ancora le seguaci virt, se non se eroiche e strepitose, le benefiche e mansuete,
le quali con una moderata volutt spesse volte si accompagnano. Le scuole di
disegno, le accademie di pittura, di scultura, di architettura, i pubblici monu
PREFERENZA E DISTRIBUZIONE DELLE AKT1 E MANIFATTURE. CAI'. III. 481

menti, i viaggi dei giovani studiosi, saranno un oggetto di pubblica economia


sempre interessante e sempre utile, e a noi insegneranno a rispettare la succinta
modestia di coloro che lontani dagli studii comuni e pecuniosi soffrono i rim
proveri e la derisione di quelli, che con imponente sopraciglio alla contagiosa
aura popolare si fanno belli di una scienza inutilee dannosa sovente alla nazione,
quantunque utile talvolta ad alcuni particolari.

CAPO III.

Della preferenza e distribuzione delle diverse arti e manifatture.

$. XXVII. Nella prima parte di questi Elementi, come ancora nel primo capitolo
di questa Terza Parte, noi abbiamo sufficientemente indicati i principii,onde subilo
scorgere a quali arti dobbiamo dare la preferenza; perci qui baster di questa
materia dare un breve cenno.
Abbiamo detto che le arti pi vicine a rappresentar l'alimento sono quelle
che debbono essere preferite. Chiamo arti pi vicine quelle che soddisfano ai
bisogni pi inesorabili dopo quello: il vestito dunque grossolano, che copre gl'in
dividui delle classi pi laboriose, sar l'arte che meriter la preferenza prima di
introdurre le pi raffinate. Qui non si tratta di escludere, il che sarebbe rovinoso,
ma a quali debbono indirizzarsi prima d'ogni altra le pubbliche premure.
Per pi ragioni saranno piuttosto quelle che queste. Perch quantunque di
minimo valore ciascuna in particolare, pure l'universalit e l'esigenza dell'uso
formano una somma assai pi considerabile, presa tutta insieme, di quello che la
formino le manifatture pi raffinate, le quali necessariamente esser non possono
troppo numerose, almeno relativamente a quelle. I bisogni primarii e secondarii
del popolo, pi immediatamente e pi facilmente soddisfatti, animano ben pi
l'agricoltura di quello che le arti pi remote e pi straniere alla bassa e pro
miscua contrattazione. Anche i pi opulenti e lusseggiant proprietarii sono co
stretti, nell'ampiezza e nel volume delle loro case e dei loro arredi, di ammettere
nella maggior quantit le umili e sode produzioni delle arti comuni ed universali,
riserbandosi soltanto di conservare le eccelse e frivole delle arti le pi fine per
le loro persone e per gli usi loro immediati, ai quali si degnano di discendere.
Quelle per lo pi si formano dalle materie prime prodotte nello Stato, e se vi sono
introdotte, almeno e la mano d'opera, e i colori, e gl'istrumenti, e tutto il re
siduo apparato che ingombra ima manifattura popolare, sono produzioni nazio
nali: quasi tutto ci forestiero nelle manifatture pi complicate e dispendiose,
principalmente nei primi progressi delle medesime.
Ogni manifattura in proporzione che pi complicata, che adopera un mag
gior numero di persone, che pi dispendiosa, un pi piccolo volume di essa
rappresenta una maggior massa di alimenti e di produzioni primarie destinate
alla consumazione; queste, o per dir meglio l'equivalente restituir si deve dal
manifattore alla medesima, dopo che egli collo spaccio della manifattura n'avr
attratto a s una porzione considerabile. Supponiamo dunque una nazione molto
Econom. Tom. III. 51.
482 BECCARIA.
scarsa delle manifatture pi usuali e provveduta delle pi fine, e fingiamo che
tanto guadagni uno di questi manifattori, quanto molti dei primi. In tal caso il
manifattore pi fino non restituir che in proporzione delle sue spese. Ma le
spese di un solo che viva comodamente sono sempre minori di quelle di molti
presi tutti insieme, ancorch ciascheduno spenda un poco meno in proporzione
della vicinanza dell'uno alia classe degli altri. Dunque la restituzione del gua
dagno, e la diffusione che se ne fa nelle classi subalterne sar sempre pi tarda
e meno egualmente distribuita, a misura che le manifatture hanno meno per
oggetto i bisogni pi universali e necessarii, che quelli pi particolari e superflui.
Ma quando sieno abbastanza stabilite le manifatture di primo uso e di prima
necessit, nell'ascendere alle pi raffinate, oltrech la condizione delle cose me
desime vi ci conduce naturalmente, sar sempre ottimo l'accelerar nei progressi,
perch allora soddisfatti coll'interno travaglio i bisogni popolareschi e d'ampia
universale esigenza, il guadagno delle arti raffinate sar fatto sulle altre nazioni,
e per conseguenza crescer nello Stato la massa delle ricchezze, ossia delle cose
utili e piacevoli, o almeno ci che le rappresenta e d un diritto di acquistarle.
Ma la comune esigenza medesima non sar la sola primaria norma onde sce
gliere le manifatture; bisogner ancora avere riguardo alle materie prime, che il
suolo capace di produrre nelle date circostanze. Sarebbe per esempio un pazzo
consiglio lo spatriare presso di noi l'accostumato lino per alloggiare il forasliero
cotone ; cos quantunque le lane sieno le materie prime, che dopo l'alimento of
frono i pi comuni e meno dispendiosi comodi della vita e ci difendono nelle ne
cessit le pi indispensabili, io per non crederei perci che si dovesse abbattere
l'immensa popolazione dei nostri gelsi, o dissipare le 115,000 vacche che pa
scolano i nostri prati, o il grano alimentatore diminuire, per coprire questa fer
tile provincia di pecore. Dunque in tali circostanze si permetteranno le pecore
dove possono sussistervi, e in moltissimi luoghi lo possono, senza dar loro una
preferenza che alieni gli uomini dall' incominciato corso di proficue accostumate
colture che naturalmente vi si stabiliranno. Per incominciare bastano i pi gros
solani lanificii , in favore dei quali lasciando libera o veramente premiando l' in
troduzione delle lane forastiere , potranno essi prendere in breve tempo un au
mento considerabile e riacquistare l'antica superiorit. Cos non potranno tali arti
animarsi e perfezionarsi in pregiudizio delle arti della seta, il di cui giornaliero
aumento ci richiama a rivolgere ogni cura verso una produzione e verso una ma
nifattura assai pi utile a noi per l'abbondanza che per la perfezione, dalla quale
ancora siam lontani per la folla d'inestricabili pregiudizi in cui siamo involti,
pregiudizi che sempre pi allignano profondamente nei facili e fecondi terreni,
che nei magri ed ingrati ove siede maestra sollecita ed inquieta l'inesorabile ne
cessit.
. XXVIII. Si detto abbastanza intorno alla preferenza delle diverse arti.
Ora sar opportuno di toccare qualche cosa del luogo migliore ove si possono
stabilire le manifatture ; il che sar detto in una parola , cio esser meglio che
che siano nella campagna che nella citt, e nei luoghi di campagna pi vicini
alle strade maestre, solide e spedile, vicino ai fiumi ed ai laghi, dove le acque ed
i trasporti rendono minori le spese di cui aggravato il manifattore. Quelli, che
la vanit trasportano dall'individuo alla nazione, restano abbagliati senza dub
bio nel vedere tra un'immensa moltitudine di popolo, ammucchiata ed avvolta
PREFERENZA E DISTRIBUZIONE PELLE ARTI E MANIFATTURE. CAP. III. 483

nel fumo di una capitale, la folla ed il mormorio di numerose ed ampie manifat


ture , ed odierebbero il volerle allontanare nell' aperta e solitaria campagna. Ma
io li prego di considerare a quanto maggiori inconvenienti siano soggette le ma
nifatture cittadine e accumulate, ed a quanto minori le manifatture villareccie e
sparse. Le derrate le pi necessarie, il vitto, il vestito, l'alloggio e gli operai me
desimi costano molto pi nella citt che nella campagna , perch ivi costano di
pi dove siavi maggiore consumazione per la derrata d'alimento, e questa essendo
pi cara , pi cara rende ogni cosa necessaria a tutti quelli che concorrono ad
una manifattura. Gli uomini esigono un salario maggiore non solamente perch
pi necessario, ma perch quanto le citt sono pi grandi, i mezzi di vivere ozio
samente si fanno pi frequenti e pi facili , ed ivi si forma una concorrenza tra
il prezzo che l'inerzia divora, e il prezzo che il travaglio esibisce, onde la mano
d'opera diviene pi cara e difficile. Per Io contrario, alla campagna un salario
anche pi scarso una fortuna per il contadino. Una manifattura o due che
intorno ad un villaggio ben coltivato si stabiliscano, aumentano ordinariamente
la popolazione; l'industria di quegli, il superfluo di essa trova un impiego, e tutti
veggono sotto gli occhi uno stato , al quale possono avvicinarsi raddoppiando
l'attivit delle loro braccia e l'esattezza della loro frugalit. Le manifatture hanno
un esito che dipende da moltiplici e varianti circostanze. Elleno sono soggette a
frequenti intervalli d' inazione ; i lutti che il cerimoniale ancora consagra in Eu
ropa, sospendono qualche volta ed arenano un numero considerabile di manifat
ture, e le guerre ed altri avvenimenti producono il medesimo effetto. Se tali ma
nifatture sono costipate nelle citt, un'immensa moltitudine di operai resta senza
pane e senza risorsa a peso del pubblico o a peso dei manifattori medesimi , i
quali si rovinano col diminuire giornalmente i propri capitali : se sono alla cam
pagna gli operai non saranno giammai tanto stranieri alla terra presente che li
circonda, che non abbiano un compenso col lavorare interinalmente la terra me
desima. Questi operai , essendo tolti dalle rustiche famiglie , conservano sempre
qualche piccola porzione di terreno che unitamente mettono in valore ; colla
sospensione della manifattura non cesseranno perci da ogni sorta di fatica e di
produzione. Quale immensa differenza per questo solo articolo fra le manifatture
della citt e quelle della campagna ! Una maggior consumazione , essendo pi
immediata e pi vicina alla produzione, animer di pi l'agricoltura; e l'esempio
di un commercio pi vivo render pi attento l'agricoltore a mettere in valore le
terre , onde risparmiare tanto che basti per incominciare un commercio ed av
viarsi ad un cambiamento di fortuna. Finalmente i considerabili guadagni che le
estese manifatture mettono in istato di fare agli opulenti manifattori, quando siano
vicini gli uni agli altri, eccitano un lusso ed una gara di ostentare le proprie
ricchezze, la quale tende poco a poco a rovinare le manifatture medesime. Il lusso
de' proprietarii delle terre meno pericoloso, perch appoggiato ad una riprodu
zione limitata, costante e periodica. Si rovinano le famiglie , si diminuiscono le
riproduzioni del suolo, ma la terra non fugge e solamente passa da una mano nel
l'altra. All'opposto, il lusso dei manifattori e commercianti da una parte fomen
tato dal momentaneo accumulamento di grossi guadagni, ed ingrandito dall'aspetto
di ampie somme che vanno e vengono continuamente. Dall'altra parte i rischi sem
pre in proporzione dei guadagni sono maggiori, ed ogni diminuzione del capitale
un annientamento non solo della ricchezza del manifattore, ma quasi sempre an
484 UHI CARIA.

cora della ricchezza di uno Stato; primieramente perch s' interrompono e si dimi
nuiscono le operazioni tutte, che servono alla manifattura medesima senza spe
ranza che siano sostituite; in secondo luogo perch le spese della dissipazione non
ricadono nelle mani dei primi manifattori, ma si disperdono in vantaggio dei pic
coli commercianti: il che pu tornar in utile dello Stato per questa parte, ma in
maggior danuo per l'altra, annientando una sorgente di travaglio produttivo. Fi
nalmente le manifatture del medesimo genere, se sono troppo vicine le une alle al
tre in una citt, non tanto contribuiscono all'abbassamento del prezzo per la gara
reciproca di vendere, quanto danno occasione agli inconvenienti sopra indicati; e
pu talvolta avvenire , che si sforzino di accordarsi insieme per erigersi in corpo
privativo, egualmente dannoso alla nazione che alla perfezione della manifattura.
. XXIX. In ultimo vi sono delle arti, la di cui prosperit pregiudizievole
al molto maggior numero di esse, ed a tutta la catena degli affari e delle azioni
economiche dello Stato. Siavi per esempio in una nazione abbondanza di filugello
(materia prima cresciuta nel paese che fornisce buone, solide e poco dispendiose
manifatture per il piccolo lusso del popolo), e nella medesima siavi una fabbrica
privativa di tele di cotone dipinte, nella quale e la materia prima e i colori e
tutto sia straniero, fuorch la sola mano di opera; chiara cosa che una tale
manifattura potendo per la privativa prevalere sulla nazionale dei filugelli, questa
sar avvilita, e vi sar una produzione meno estesa e meno proficua per un gran
numero di artigiani , un minor vantaggio per gli agricoltori e proprietarii delle
terre e un'uscita di danaro dalla nazione; quest'uscita potrebbe bens essere com
pensata con una maggiore entrata per lo spaccio al di fuori della manifattura di
cotone, ma ci non ristorerebbe la perdita dei maggiori vantaggi che nascereb
bero dall'impiego di una materia prima cresciuta nel paese, che parimenti po
trebbe sortire. qui da avvertire , che sempre maggiore la concorrenza tra le
manifatture di materie prime nazionali della concorrenza tra le manitatture di
materie prime forastiere, a pari esigenza ed abilit a soddisfare ai bisogni a cui
tali arti sono destinate. Nelle manifatture nazionali le relazioni sono pi vicine,
le corrispondenze pi facili, le condizioni dei contratti meno rigorose e pi indul
genti; inoltre l'uomo pi eccitato dalle cose presenti che dalle lontane; quindi
la concorrenza tra le manifatture di filugello sarebbe sempre maggiore della con
correnza tra le manifatture di cotone, o per conseguenza lo spaccio ne sarebbe
anche sempre pi considerabile.
S- XXX. Altro esempio di queste due prosperit contrarie l'une alle altre di
diverse arti e professioni si questo: dove i trasporti sono difficili, un gran nu
mero di persone vive su tali trasporti, e dove non siano regolamenti che rendano
facilissimo e di pochissimo valore il viaggiare, ivi cresceranno , in proporzione
della necessit ed esigenza di tali viaggi e trasporti, la prosperit e i profitti dei
trasportatori e vetturali e simili. Ora una grandissima facilit e bont delle strade,
le diligenze, i procacci, i canali ed altre istituzioni che rendono a buon mercato
qualunque trasporto, farebbero danno ad una quantit di persone che un tal me
stiere esercitano, ma nel medesimo tempo renderebbero pi animato il commercio
dei generi e delle materie prime , e pi numerose e pi frequentate le arti tutte.
Questo accrescimento essendo d'immensa quantit pi utile alla maggior parte,
di quello che sia il danno recato a questi trasportatori, danno pi passaggiero
che durevole . perch prestissimo crescerebbero le occasioni dei trasporti meno
DISCIPLINA, CON CUI LE ARTI DEVONO ESSERE TENUTE. CAP. IV. 485

lucrosi, ma pi frequenti; perci si dovr poco curare la ricchezza d'una tal


professione, in confronto del danno che questa ricchezza apporta a tutta la mole
degli affari economici della nazione.

CAPO IV.
Della disciplina con cui le arti devono essere tenute.
. XXXI. Le cose dette negli antecedenti capitoli ci renderanno assai spediti
in questo. Tre sono le qualit, dicono gli scrittori di economia, che si ricercano in
ogni arte e in ogni manifattura, bont, variet e buon mercato. Chiamasi buona
una manifattura: I. Quando ottimamente soddisfaccia all' uso per cui desti
nata; li. Quando sia durevole, tanto nel tutto, che in ciascuna delle sue parti ;
III. Quando sia fina, cio quando non vi sia impiegata pi materia di quella che
faccia d' uopo all' uso presente dell'arte medesima.
La variet poi richiesta tanto, quanto sono i varii capricci, i gusti e le ma
niere di sentire degli uomini, i quali se si rassomigliano moltissimo nelle prima
rie operazioni delle loro facolt , divengono poi differentissimi nelle pi compli
cate, quali sono appunto le arti e manifatture delle nazioni colte e raffinate.
Questa variet tanto pi necessaria, quanto ella si scorge non solamente nei
diversi uomini, ma ancora nello stesso individuo, il quale a misura che disoc
cupato, si stanca dell'uniformit e dimanda mutazione e novit. Quindi il capric
cioso predominio della moda sulle anime frivole e oziose , le quali mancando di
grandi oggetti e di ampie occupazioni , che assorbiscano la maggior parte della
loro sensibilit, questa rivolgono ad osservare continuamente e s e gli altri e le
cose che loro stanno d' attorno, onde ne nasce una continua inquietudine e gara
negli uni di distinguersi , e negli altri di tosto assomigliare coloro che si distin
guono, ed un continuo entrare ed uscire, sempre per nel breve giro delle mede
sime cose appresso a poco, perch il peso dell'abitudine vincitrice e l'autorit
de' costumi generali non permettono cangiamenti subitanei del tutto e delle parti
pi essenziali , ma solo delle piccole ed accessorie. Dunque quanto pi le arti
soddisferanno ad un maggior numero di queste capricciose esigenze, tanto mag
gior esito avranno e tanto maggior profitto recheranno a chi le professa ; adun
que ogni arte che involve colori , forme , disegni , dovr aver sempre un ampio
corredo ed una molliplice raccolta di tutte le variet, di cui sono suscettibili gli
oggetti da quella fabbricati, incominciando dalle nude e semplici forme che rigi
damente servono all' uso soltanto, e stendendosi poi molto nelle temperate com
binazioni del bello , non escludendo totalmente il minuto e lo esagerato del ca
priccioso e bizzarro ; il che se avverr con iscandalo dei conoscitori e dei buon
gustai, ritorner per in profitto ed in progresso delle arti, le quali prevaleranno
in quelle nazioni che prima delle altre si sono rese arbitre delle forme , e con
dispotica incostanza le hanno pi delle altre saputo variare , perch non altro
resta a queste che la tarda imitazione, e quelle hanno in loro favore la preven
zione del primato tanto pi forte, quanto il soggetto pi indeterminato e fan
tastico.
486 BECCARIA.

Della terza buona qualit u" ogni manifattura , cio del buon mercato , non
occorre qui parlarne, essendo cosa manifesta per se medesima e gi pi volte
toccata ne' passati paragrafi , come prodotta dalla concorrenza e dalla libert.
. XXXII. Dunque ogni buona disciplina delle buone arti deve avere per
iscopo di procurare queste tre qualit, bont, variet e buon mercato; acciocch
la bont conservi ed aumenti il credito dei manifattori, la variet alletti ed inviti
ogni genere di persone, ed il buon mercato faccia risolvere e moltiplicare gli
avventori si nazionali che forastieri. Ora la pubblica economia non ha per og
getto, che il tale manifattore piuttosto che il tale altro abbian riunite ne' suoi
prodotti le suddette tre buone qualit , ma che queste dominino nella maggior
parte, in maniera che siano atte a procurare un grande esito della nazionale ma
nifattura; nello stesso modo che essa non cerca la ricchezza di uno piuttosto che
d un altro, purch la ricchezza sia molta e ben distribuita. Ora una sufficiente
libert procurer da se medesima queste tre buone qualit delle manifatture, e il
far col mezzo sicurissimo dell'interesse, perch dopo molliplici sperienze l'esito
si fisser presso quel manifattore che dar alle sue merci le tre suddette qualit
nel maggior grado possibile, e sparir affatto da quelle cui mancano; onde lasciata
alle arti la forza espansiva della libert ed il vigore che d naturalmente all'a
nimo la gara degl'interessi, si otterr meglio l'intento che colla moltitudine de'
precetti, col rigore degli ordini, che rendono diffidenti ed alieni gli animi da una
intrapresa per se stessa difficile ed avventurosa. Dunque la disciplina delle arti
non deve essere coattiva e legislatrice , se non dove si prevegga che non mai o
troppo tardi l'interesse privato giunger ad unirsi col pubblico, e dove la sco
perta delle frodi lenta e remota , ed il guadagno che apportano presente e
considerabile. Per esempio, quando la perfezione della manifattura richiegga es
senzialmente preparazioni complicale ed anticipazioni di spese , ivi senza dubbio
meglio che la cosa sia non fatta che malfatta ; ivi le leggi coattive, che impon
gono condizioni per le quali non si faccia tale cosa se non in tale maniera, e
pene proporzionate ai contravventori, sono senza dubbio necessarie ed utilissime,
perch col moltiplicarsi la concorrenza degl' individui alla medesima arte non
s' accumulino errori sopra errori ed inganni sopra inganni , onde il complesso
dell'arte intiera cadrebbe in discredito e svanirebbe una parte delle forze produt
tive di uno Stato. Quindi in quelle arti nelle quali la frode pu celarsi per un
tempo considerabile e produrre un gran vantaggio al manifattore ( come nelle
stoffe dove entrano colori, nei metalli, nelle preparazioni delle pelli, o in altro,
nelle quali o il lungo uso, o la consumazione, o la chimica soltanto possono sve
larne i difetti, per cui la buona e la cattiva opera all'occhio e presto non si co
noscono), sono salutari quelle leggi che prescrivono la dose degl'ingredienti, e i
tempi e i luoghi migliori dell'artifizio, ed eseguito lo assoggettano all'esame ed
al riconoscimento della bont, del quale se ne d pi pubblica ed autentica testi
monianza con bollare a segni riconosciuti e riservati ogni produzione che debba
esser messa in vendita, sia dentro, sia fuori dello Stato. N questa precauzione
sar mai riputata una violenza ed un legame fastidioso per la libert delle arti ,
perch non giusto che i buoni soffrano dai cattivi, n la maggiore dalla minor
parte, cio la nazione dai particolari; n i buoni manifattori giammai se ne que
relano, n perci si distolgono dalle meditate intraprese per una tal soggezione ,
se non quando si volessero troppo pedanteggiare, o si molestassero con inutili
DISCIPLINA, CON COI LE ARTI DEVONO ESSERE TENUTE. CAP. IV. 487

formalit, o di questi bolli se ne facesse un articolo troppo oneroso di finanza, o


un laccio per fare inciampare in pene pecuniarie i poco avveduti, il che troppo
lontano dalla moderazione dei tempi presenti perch ci accada. Io per, quando
le circostanze dell'esazione del tributo non richieggano altre viste, non so se sia
necessario assoggettare coattivamente le manifatture di tal genere di facile de
fraudazione , in vece di lasciare la libert a tutti di assoggettarvisi mediante
una pubblica e severa dichiarazione , che quelle merci che avranno il bollo (che
esser dovrebbe gratuito pi che fosse possibile) avranno la pubblica fede ed au
torit garante della bont e fedelt con cui sono eseguite, e le non bollate restino
al rischio ed all' esame e fiducia di ciascheduno , colla diffidenza che possono
risvegliare mancando di questo solenne testimonio, e col timore di una pena
considerabile che si dovrebbe infliggere scoprendosi la frode. Parmi che un tal
mezzo sarebbe pi conforme a quello spirito di libert con cui le arti vogliono
essere trattenute, u meno efficace del metodo universale e perquisitorio, perch
sufficiente sarebbe a conservare la buona fede dell'esterno commercio; e tutti i
buoni ed utili manifattori vi si sottometterebbero tanto pi volontieri, quanto
questa sommessione darebbe loro un vantaggio ed una preferenza sopra i re
nitenti.
. XXXHI. Vi sono alcune arti, le quali per la preziosit della materia che
rappresenta in piccolo volume un gran valore e perci la fortuna intiera di molti,
ricercano una pi stretta disciplina. Tali sono, per esempio, l'oro, l'argento e le
gemme. Queste arti pare che esigano a differenza di tutte le altre di essere riunite
in un corpo solidale, il quale osservando pi da vicino e pi strettamente tutti i
suoi membri, risponda al pubblico colla massa di se medesimo. Da queste viste
nasce ancora l' uso universale , che dette urti non sono sparse per le citt ma
riunite in un luogo solo, onde si difendano e si diano reciprocamente soggezione.
In queste, come ancora nelle arti dove siavi complicazione d'ingredienti e facile
frode, si pu ammettere l'uso che domanda esami e prove di chi vuole impiegar-
visi , e tanti anni di servigio e di esercizio presso un maestro gi riconosciuto ed
approvato. Le cose anzidette dimostrano 1' utilit e sovente la necessit di tali
mezzi ; ma io non veggo a qual fine tendano , se non ad avvilire e ad inceppare
l'industria, simili prescrizioni e riserve in tutto il resto delle arti per le quali non
militano le medesime ragioni. Chiara cosa che un falegname, un calzolaio, un
sarto o un fabbro-ferraio possono essere in solo loro danno cattivi artefici ed
ignoranti, quando per altra parte sia indennizzato il particolare; n per essi do
versi esigere esami, n da loro esibirsi i cos detti campioni e capi d'opera di
professione. Dobbiamo perci conchiudere col non mai abbastanza ripetuto as
sioma, che la disciplina coattiva e le pene hanno per sola regola la necessit;
che le leggi animatrici ed i premi sono i soli mezzi che dimanda la perfezione,
e che oltre questi due moventi estremi dell' uomo, tutto il resto meglio combi
nato dalla libert e dalla concatenazione degl' interessi lasciati a loro medesimi
ed ai loro naturali andamenti, per cui tendono ad equilibrarsi ed a riunirsi.
PARTE QUARTA.

DEL COMMERCIO.

Eccoci arrivati alla parte la pi interessante dopo l'agricoltura, e la pi estesa


di tutti questi Elementi, vale a dire al commercio preso in tutta la sua estensione,
cio nelle origini e conseguenze che ne derivano, e nei mezzi che lo accrescono
o lo diminuiscono; delle quali cose dando noi i principii, li daremo colla mag
gior brevit e nello stesso tempo nella maggior ampiezza possibile; qualit be
nissimo combinabili da chi non cerca d'invilupparsi nella moltiplicit de' dettagli
storici, e sfuggendo la pompa d'una posticcia erudizione, cerca di formarsi una
solida e ben digerita serie di adequati principii degli oggetti, intorno ai quali me
dita e si affatica.
E per seguire la legge finora da noi fedelmente osservata di richiamar le
cose alle origini, noi cominceremo subito dal mostrare come da tenuissimi prin
cipii il commercio sia andato avanzandosi a tanta mole ed a tanta complica
zione d'affari, onde seguendo i di lui progressi si vedr nello stesso tempo la se
rie delle cose da trattarsi.
I differenti e successivi bisogni degli uomini hanno determinate e suggerite
le diverse operazioni che essi doveano fare per soddisfarli, perch gli uomini
ignoranti e selvaggi tutto al presente, pochissimo al futuro riguardando, di po
chissime cose accontentandosi , ognuno da se stesso si procacciava e si adattava
le cose sue. Cos le arti e le produzioni de' popoli cacciatori dovettero essere
scarsissime. Un sasso scheggiato, un rozzo bastone, quindi un legno pi acuto e
pungente, e poi un arco erano i soli arnesi di quelli, e ognuno se li faceva e pro
curava secondo il bisogno; le spoglie degli animali uccisi erano da ciascheduno
delle proprie prede per uso di vesti tolte ed avvolte d'intorno: cos del resto. Le
occupazioni e i mezzi dei popoli pastori fattesi pi lunghe e ragionate , e questi
pi numerosi, fecero crescere e la quantit dei bisogni, e la copia delle arti onde
appagarli. Dunque le arti e le produzioni dei popoli pastori furono in maggior
numero e pi complicate di quelle dei popoli cacciatori. Ma crebbero a dismisura
e le une e le altre nei popoli agricoltori, cosicch rendendosi sempre pi facili e
pi certe le operazioni produttive delle cose utili e soddisfacenti i bisogni e i co
modi della vita, e crescendo la vicendevole e varia avidit e ricerca delle mede
sime, nacque a poco a poco un' abbondanza ed un superfluo di ciaschedun pro
dotto operato dagli uomini al di l dell'esigenza del bisogno particolare, che avea
ciascuno indotto ad operare tale cosa piuttosto che tal' altra: onde chi mancava
di una cosa che trovavasi sovrabbondare ad un altro, dava di quella che si tro
vava avere di superfluo, essendogli quella dall'altro similmente richiesta; e quindi
visto per esperienza essere pi facile il fare sempre la stessa cosa che il farne
diverse, s'indusse ciascuno degli uomini a cercare di moltiplicare la quantit di
una sola produzione per averne in seguilo un soverchio del bisogno, il quale poi
DEI- COMMERCIO. 489
potessero cambiare con altre cose olio, loro bisognassero da altri fatte e moltipli
cate colle medesime viste. In questa maniera nacque il commercio ed uno stato
distinto e formante epoca nel genere umano , quale quello dei popoli commer
cianti, da cui solo noi dobbiamo riconoscere il raffinamento, la coltura e la per
fezione presente della specie umana. E come prima nissuna cosa era stimata, se
non a misura che ella era utile a soddisfare le esigenze e i comodi della vita, dal
che ne venne l'idea e la parola di valore, cio avere forza, abitudine, abilit ad
adempire ad un fine; cos in questo ultimo stato le cose cominciaronsi a slimare
secondo che divenivano atte a procacciarne delle altre. Onde il valore assoluto
divenne in seguito relativo e venale , e signific la podest che aveva ciascuna
cosa di essere cambiata con tutte le altre; e la quantit, che di ciascuna cosa si
doveva dare per un' altra, determin e si chiam il prezzo di questa. Dunque
primo oggetto di questa Parte sar la teoria del valore e del prezzo delle cose.
Ora avvenne , che per alcune cagioni universali ed indispensabili , alcune merci
per la frequenza, generalit e facilit ad essere contrattate, divennero la misura
comune e il modello di paragone, al quale si rapporlavano e si misuravano i va
lori di tutte le altre cose. Questa misura comune fu chiamata moneta; quindi
secondo oggetto sar la teoria e i regolamenti della moneta. Reso pi fitto e pi
spedito il commercio delle varie produzioni, molti si diedero a fare ed a vendere
le medesime cose, molti a comperarle; quindi la concorrenza, terzo oggetto. Frat
tanto queste stesse cose e soprattutto la misura comune , ossia la merce di uni
versale paragone del valore di tutte le altre merci , and successivamente pas
sando da una mano nell'altra, il qual complicato fenomeno chiamossi circolazione;
l'esame della natura e conseguenze della quale forma il quarto oggetto. Si distin
sero le nazioni, e si fermarono frattanto in diverse e disparate situazioni, e sotto
costituzioni, leggi e forme di governo differenti si riposarono, facendo corpi se
parati e distinti. Quando ciascuna di queste nazioni acquistava un maggior nu
mero di ricchezze di quello che fornisse ad altre nazioni per un reciproco com
mercio, si disse che faceva un commercio attivo; quando ne dava una maggior
quantit di quella che ne ricavava , si disse che faceva un commercio passivo,
che or cresce, or diminuisce a vicenda per varie cagioni; e questa maniera di
considerare il commercio chiamasi bilancio del commercio , quinto oggetto. Da
tulle queste complicale combinazioni nacque la disuguaglianza nelle ricchezze e
le diverse maniere di spenderle; onde il lusso, sesto oggetto. Questo lusso ,
questa circolazione , questo bilancio del commercio medesimo sono trattenuti e
diretti principalmente dalla quantit del danaro. Ora questo danaro pu avere
varie distinzioni, e in primo luogo molli possono essere bisognosi di questo segno
rappresentatore di tutte le merci, e pegno e sicurezza di ottenere una determinata
quantit di cose necessarie o desiderate; molti possono trovarsi nella situazione
di prestarne a chi ne chiedesse, a certe condizioni per utili al prestatore, ricom
pensanti il danno che egli soffre privandosi per un tempo determinato di tali
valori ; dunque settimo oggetto sar degli imprestili e degli interessi del danaro.
In secondo luogo rendendosi sempre pi larga ed estesa 1' attivila delle nazioni
commercianti, diversi individui di quelle si trovano a grandi distanze a vicenda
debitori e creditori, ed avrebbero di mestieri di trasportar sempre con rischio e
con dispendio considerabili valute a grandi intervalli , se non si fosse trovato il
modo con lettere di cambio di cedersi e tramutarsi vicendevolmente debiti e ere
490 BBCCAR1A.
diti rispettivi, e di trasportare colle lettere di cambio i fondi senza trasportare il
danaro; quindi la teoria e natura del cambio, ottavo oggetto di considerarsi. In
terzo luogo, spessissimo il solo motivo della sicurezza e della facilit e celerit
delle contrattazioni ha indotto chi presiede alla pubblica felicit ad aprire dei
pubblici depositi sotto la tutela della suprema autorit, dove potesse ciascuno
mettere il proprio danaro con sicurezza ricevendone un biglietto di credilo, il
quale poi circolava nella contrattazione colla medesima forza che aver potesse
il danaro che esso rappresentava; talvolta i pubblici bisogni esigevano che si
prendesse dai privati danaro ad imprestito col pagarne un annuo frutto, al quale
danaro dai particolari ricavato si sostituivano parimenti autentici biglietti che
entravano in circolazione; quindi nono oggetto sar dei banchi, dei monti pub
blici, loro vantaggi ed inconvenienti, e leggi di quelli. Da questi tre ultimi og
getti, che ingrandiscono e stringono le relazioni delle nazioni le une colle altre,
ne nasce il credito pubblico, cio la confidenza che hanno reciprocamente i di
versi corpi dei negozianti di differenti nazioni, gli uni verso degli altri, il che
come nasca, cresca, si mantenga e si diminuisca, forma il decimo oggetto di
questa Parte. Questi formeranno la materia di altrettanti Capitoli, ai quali ag
giungeremo un undecimo che tratter di alcuni punti di disciplina commerciante;
se per esempio convenga escludere alcuni ceti del commercio ; se siano giammai
utili le compagnie esclusive di commercio; e qualcho cosa intorno alla naviga
zione, pi per l'integrit della materia che per bisogno che ne abbia la nazione
milanese, tutta mediterranea e limitata alla piccola e breve navigazione dei laghi
e dei fiumi, esclusivamente dalla grande ed autorevole del mare. Finalmente sar
terminata tutta la materia dal cosi detto commercio di economia e dalla diffe
renza delle leggi e principii di questo col commercio di derrate e manifatture,
non omettendo qualche cenno intorno a quel commercio che i negozianti chia
mano commercio di speculazione, procreatore di cos rapide ricchezze e cos pronti
fallimenti : le leggi del quale per prevenire e frenare questi ultimi chiuderanno la
la Quarta Parte.

CAPO I.

Del valore e del prezzo delle cose.

$. I. Le cose tutte considerate per se stesse cbiamansi valore, pi o meno sti


mate; e pi si stimano, primo a misura che pi contribuiscono a soddisfare ai bi
sogni, a crescere le comodit, a nutrire le delizie della vita: in secondo luogo a pari
attitudine a soddisfare a tali esigenze e a tali fini, a misura che sono pi rare e
pi difficili a trovarsi. Le cose comuni e che si trovano dappertutto, quantunque
essenziali, come l'aria e quasi sempre l'acqua, non hanno alcun valore; nella me
desima maniera le cose di nissun uso, comodo o piacere, quantunque rarissime ,
non sono punto slimate, e sono di niun valore. Ma quest' utilit e questa rarit
delle cose non sempre assoluta ed universale, ma spessissimo varia e relativa.
Molte cose cessano affatto d'esser utili , perch si trovata la maniera di sosti
tuirne delle altre e pi facili e pi utili; il valore adunque delle prime cessa e
DEL I- VI. OHE E DEL PBEZZO DELLE COSE. CAI*. I. 491

diminuisce, di molte invece si aumenta, perch si sono scoperti nuovi usi e nuove
utilit delle cose medesime; di pi moltissime sono rare in un paese ed abbon
dano nell'altro, e senza allontanarsi dai medesimi luoghi tali individui ne hanno
copia e tali ne scarseggiano.
. II. Da questi ne nacquero i diversi baratti che gli uomini fecero di varie
cose, ed il valor venale di ciascheduna di queste, cio la maggiore o minor atti
tudine che abbiano ad esser cambiate colle altre. Vi siano due merci sole e due
soli individui, che l'uno abbia vino e l'altro frumento; se si leva la quantit di
frumento che uno abbia di necessit per se stesso, e la quantit di vino che l'altro
vuol ritenere per s, tutto il resto del frumento dell'uno valer tutto il resto del
vino dell' altro , quando amendue siano indifferenti a spogliarsi dei loro resti
rispettivi di vino e di frumento per cambiarseli reciprocamente ; di maniera che
tutto il frumento varr la met di tutto il vino, il terzo di quello il terzo di tutto
questo, e cosi parimenti di tutte le parti e frazioni delle due merci, ancorch il
frumento fosse doppio, triplo, quadruplo del vino. Cos se l'avanzo del frumento
dell'uno stasse in dodici vasi, e se l'avanzo del vino dell'altro stasse solamente
in sei vasi eguali, i dodici del frumento valerebbero i sei del vino; sei del primo,
tre del secondo ; quattro di quello , due di questo. Ma il valore di una cosa
l' attitudine a cambiarsi con un' altra ; dunque quel valore sar maggiore che
otterr una maggiore quantit della cosa che si prende in cambio -, sar minore
quello che ne otterr una minore. Dunque quanto meno daremo di una merce
per tanto pi riceverne di un'altra, altrettanto dirassi quella aver maggior valore
di questa. Dunque in questo caso il vino avr maggior valore del frumento; e il
valore del vino sar al valore del frumento come 12 a 6, ossia 2 a 1; onde se
lecito di geometricamente esprimersi in queste uniche circostanze, il valore d'una
cosa all' altra sar in ragione reciproca delle loro quantit assolute. Ma suppo
niamo che colui, il quale possiede il frumento abbia meno bisogno di vino , di
quello che il posseditore del vino abbia necessit di frumento ; in tal caso il pos
seditore di frumento vorr dare una minor quantit di frumento, o per l'istessa
quantit di frumento dimander pi vino di quello che dimanderebbe, se le esi
genze e le richieste fossero dall' una e dall' altra parte eguali e corrispondenti.
Nel nostro caso il frumento, pi richiesto del vino, avr per questo riguardo un
maggior valore ; onde se vi siano 12 vasi di frumento e 6 di vino , senza una
tale disparit di bisogno due vasi di frumento vagliono solamente un vaso di
vino, e nel caso dell'accennata disparit due vasi di frumento varranno qualche
cosa pi che un vaso di vino, o meno di due vasi di frumento varr un vaso di
vino; dunque il valore del frumento sul valore del vino crescer o scemer in
proporzione diretta delle richieste rispettive di ciascuna cosa. Tra due sole per
sone contrattanti non possibile calcolare la quantit a cui la disuguale ricerca
far salire il prezzo di una cosa e discendere il prezzo dell'altra; ognuno cerca
di dare meno che pu , e di ricevere pi che sia possibile. Ma supponiamo che
le 12 misure di frumento siano divise fra due persone, una delle quali ne abbia
7 e T altra 5 ; egli certo che a bisogni ed a richieste eguali e contemporanee,
due di frumento ne compreranno una di vino come nel caso antecedente; ma se
i bisogni e le ricerche siano disuguali, cosicch il posseditore delle 7 di frumento
abbia pi bisogno di vino, il valore del frumento diminuir: onde generalmente
il valore di una cosa diminuisce coll'accrescersi il numero de' venditori. Figuria
492 BBCCAHIA.
mor ora, come nel primo caso, un possessore di 12 misure di frumento, ed un
altro di 6 di vino, indi un terzo che abbia parimenti 9 altre misure di vino; il
solo che ha le 12 di frumento non potr ottenere che una misura di vino da chi
ha solamente le 6, ed una e mezza da chi ha le 9, per le due ch'egli darebbe a
ciascuno separatamente. Colui che ha le 6 misure di vino dovr ci nonostante
darne 1 1\2 per due di frumento, costretto dall'altro ugualmente bisognoso che
pu fissare un tal prezzo al suo vino. Quindi vediamo crescere il valore del fru
mento crescendo i compratori : onde generalmente cresce il valore di una cosa
col crescersi i compratori della medesima. Ma se il possessore del frumento avr
bisogno di vino, egli sar costretto a rimettere della sua pretenzione, e si accon
tenter di 1 1[4, che ciascuno dei due dovr dare per le due misure di frumento;
perch quegli , che non ha che 6 misure di vino, dovr crescere sempre un poco
V esibizione , e quegli che ha le 9 dovr sempre diminuirla : e questo moto con
trario dovr Gnire finch s'incontrino al medesimo prezzo; il che non pu avve
nire se non allora che il prezzo del primo da 1 sar asceso ad 1 1(4, e il prezzo
del secondo disceso da 1 1(2 ad 1 1(4. Questo valore di 1 1[4 chiamasi medio
valore, ossia insubricamente adequalo, perch infatti ad un'eguale distanza da
1 e da 1 1|2; il quale medio valore quello che si considera dagli economi
come il punto fisso, intorno a cui si possono calcolare i guadagni e le perdite.
Ma questo valore delle cose sar ancora alterato da altre considerazioni , se
il possessore del frumento sar distante dal possessore del vino, o quegli Io por
ter da questi o questi da quello. Il trasporto un travaglio che ha il suo valore;
chi trasporta vuole essere reintegrato della propria fatica ; in caso di bisogni ed
esigenze eguali i trasporti si compenseranno e si divideranno, ma in caso di bi
sogni disuguali , cio quando uno cerchi pi di comprare di quello che uno di
vendere, il trasporto sar pagato dal compratore; e quando l'uno cerchi pi di
vendere che l'altro di comprare, il trasporto sar pagato dal venditore. Ma qui
jn'ova riflettere, che i termini di venditore e compratore sono perfettamente reci
proci e correlativi. Per dare una pi precisa definizione del venditore e del com
pratore , non essendo ambidue che cambiatori di cose con cose e quindi non
supposta ancora la moneta , diremo quello de' cambiatori essere il compratore
che ha bisogno e che domanda, ed il cambiator venditore essere quello, che d
il superfluo e concede e rilascia: onde il trasporto sempre pagato da chi ha il
bisogno, e la differenza dei trasporti deve essere combinata con la differenza de'
bisogni; e perci a misura di queste differenze si dar dai venditori e compratori
di frumento e di vino pi o meno di queste derrate, in ragione composta delle
diverse esigenze e delle differenti distanze fatte per il trasporto delle medesime.
$. IH. Andiamo pi oltre. Supponiamo ora che oltre colui che ha le dodici
misure di frumento e colui che ha le sei di vino , siavi un terzo che possegga
quattro pelli ed abbia bisogno di vino e di frumento , come gli altri due deside
rano avere delle pelli , oltre il bisogno che hanno uno di vino e 1' altro di fru
mento. Supponiamo che questi due abbiano gi contrattato tra di loro due mi
sure di frumento per una di vino; il padrone delle pelli dar una pelle per tre
misure di frumento: ora per tre misure di frumento potrebbe avere una misura
e mezza di vino; dunque dar una pelle per una misura e mezza di vino. Quindi
il frumento potrebbe essere considerato come misura comune delle pelli e del
vino. Cos di mano in mano aggiungendosi altre merci, ciascuna delle quali pu
DEL VALORE E DEL PREZZO DELLE COSE. CAP. I. 493

essere cambiata con frumento ed il frumento con tutte, potremo rapportare i va


lori di ciascheduna merce alla quantit di frumento che per ciascuna si ottiene ;
onde sar detto-, tale merce valere tanto frumento , tali altre tanto di pi o di
meno. Ora supponiamo che vi sia un altro padrone di quattro pelli, ma che queste
pelli siano state da lui preparate ed acconcie in modo , che servano pi all' uso
cui sono destinate, e siano rese pi belle, pi pieghevoli , pi liscie; egli certo
che se il primo non dar le sue pelli greggie ed ancora rozze e non preparate ,
che per tre misure di frumento per ciascuna, il secondo dimander per ciascuna
delle sue qualche cosa di pi, e quei medesimi che cercheranno le pelli saranno
pronti a dargliene. Se tutti fossero inabili a far ci che ha fatto il conciatore delle
pelli, questi potrebbe dar la legge a tutti gli altri ed esigere sempre di pi perle
sue pelli finite, finch egli prevedesse che gli altri non cesserebbero di offerire ;
ma se altri possono fare o hanno gi fatto questo lavoro, questi daranno il meno
che potranno, quello dimander il pi che gli sar possibile, ma il limite intorno
a cui si fermeranno sar valutando il tempo che ha dovuto impiegare il padrone
delle pelli per la sua fattura ; colla quale valutazione costui si contenter di ri
cevere, e quelli di dare in frumento l'accresciuto valore delle pelli. Supponiamo,
che ad acconciare ciascuna di queste pelli egli abbia durato il tempo necessario
a consumare per proprio alimento una misura di frumento, o che facendo altra
fattura avrebbe potuto procacciarsela; li chieditori delle pelli saranno pronti a
valutare ciascuna di queste pelli preparate una misura pi delle tre di frumento,
prezzo di ciascuna delle quattro prime ancor greggie-, il lavoratore poi delle pelli,
sapendo esser questo il termine o limite a cui gli altri lavoratori possono darle ,
per timore di perdere il suo guadagno, o per dir meglio il valore della sua fatica,
le ceder a questo prezzo. Dunque le pelli concie varranno ciascheduna quattro
misure di frumento, e in questa supposizione due misure di vino, mentre le
greggie non varranno ciascuna che tre di frumento e una e mezza di vino. Dun
que il valore di una cosa lavorata crescer in proporzione del tempo necessario
a lavorarla: e se pi persone sono nel medesimo tempo impiegate a questo lavoro,
crescer ancora in proporzione del numero delle persone che s' impiegano al
detto travaglio. E per riunire le dette proporzioni in una, basta dire che la mi
sura di questo valore di tempo e di persone sar l'alimento, che in detto tempo
da tutte queste persone si consuma, come abbiamo spiegato nella Prima Parte.
E infatti egli naturale che ognuno stimi il suo travaglio per la sua durata, e
che questa durata si valuti dalle cose che frattanto dai travagliatori si consu
mano. Tale il linguaggio tenuto dagli artefici e bottegai; e pu ognuno colla
propria esperienza aver conosciuto , che essi con formole di tale natura si scu
sano con chi si lamenta dell'alto prezzo di qualche cosa. Se un altro pi indu
strioso trova il mezzo di raddoppiare il prodotto nel medesimo tempo, non perci
si contenter di domandare il semplice prezzo della sua opera, che quantunque
doppia perch fatta nel medesimo tempo della prima, non sarebbe misurata che
dall'alimento di tutto quel tempo ; ma avendo assuefatti i compratori a prendere
i suoi lavori per un tal prezzo , dimander il medesimo prezzo per il medesimo
lavoro, quantunque fatto nella met meno di tempo. Lo stesso avverr se egli
trova la maniera di risparmiare il numero delle persone ; e questo valore pro
priamente quello che chiamasi guadagno e il minore o il maggior guadagno, che
si fa su ciaschedun contratto , determina il buon mercato o il caro prezzo delle
494 BECCARIA.

merci rispetto alle loro simili. Finch uno non ha emuli o cooperatori a far le
medesime opere, egli d la legge ai compratori e terr il prezzo sempre alto fino
al limite in cui teme che si ributtino dal comperare. Quando vi siano concorrenti,
la legge sar fissata da chi pu dare il lavoro al minor prezzo, ed il limite di
questo minimo prezzo sar il valore della mano d'opera, cio gli alimenti che nel
minore spazio di tempo dal minor numero possibile di persone, facienti li sud
detti ed altrettanti lavori, si consumano.
Si suole comunemente distinguere il valore estrinseco ed il valore intrinseco.
Questa maniera di scrivere d luogo a molti equivoci , per togliere i quali si ri
fletta che gli uomini non si servono di questa distinzione che per le cose da essi
lavorate, e danno il nome di valore intrinseco al valore della materia prima di
cui l'opera composta, ed il valore estrinseco al valore dell'opera medesima. Ma
questa distinzione pi apparente che reale, perch anche il valore della mano
d'opera determinato dalle stesse considerazioni che determinano il valore della
materia prima. La quantit del travaglio di una cosa paragonato alla quantit
di travaglio di un'altra, sta essa pure in ragione reciproca delle quantit loro
assolute. Il numero de' venditori , quello dei compratori , le maggiori o minori
richieste, la spesa dei trasporti influiscono egualmente sul valore del travaglio
che sul valore della materia prima, e tanto l'una come l'altra sono rappresentate
dalla stessa e comune quantit delle cose, che successivamente servono alla
consumazione.

CAPO II.

Della Moneta.
. V. Negli ultimi paragrafi dell'antecedente Capitolo abbiamo visto come tra
li quattro contrattanti frumento, vino, pelli rozze, pelli concie, siasi potuto sta
bilire un rapporto ed una misura comune di tutte queste diverse e disparate merci
per mezzo del frumento, il quale entrato .successivamente in contrattazione con
tutte, onde ciascuna ha potuto barattarsi col frumento, e per conseguenza barat
tarsi anche fra di loro. Quella merce adunque la quale per le circostanze de'
commerci, degli usi e dei bisogni delle nazioni, acquista la qualit di esser cam
biata successivamente con tutte le cose, cosicch le diverse quantit di essa con
ciascuna cosa cambiate servano di misura comune a giudicare del valore del
tutto, chiamasi moneta. Da questa sola definizione si veggono discendere le due
propriet sovrane della moneta, cio l' una d'essere un segno rappresentatore di
una certa determinata quantit di ciascuna cosa (due misure di frumento nella
supposizione del fine dell'antecedente Capitolo rappresentano una misura di vino,
2|5 di pelle non concia e Ij2 pelle concia); l' altra d' essere un pegno ed una
sicurezza di ottener tutte queste determinate quantit di cose, perch supponendo
che queste cose siano in contrattazione, si suppone che siano richieste tutte e
tutte dimandate, onde ciascuno accetter e ricever, anche non volendone far
uso, il frumento, perch potr cambiarlo con ci di cui egli ha bisogno. La
quantit di moneta che si d per ciascuna cosa, chiamasi prezzo-, onde si vedr
DELLA MONETA. CAP. 11. 495

subito di primo slancio due cose poter avere il medesimo prezzo ed avere diver
sissimo valore: il valore indica il rapporto di una quantit con un'altra, il prezzo
indica solamente la quantit della cosa che si riceve per quella che si d. Dirassi
che un sacco di grano, che vale quaranta lire, in tal luogo siavi a caro prezzo,
quando un bue a questo medesimo prezzo vi sarebbe a buon mercato; il prezzo
sarebbe lo stesso di quaranta lire, ma ilvalore diverso, perch indicherebbe poco
grano e moltissimi buoi.
. VI. Ma le monete ormai presso tutte le societ eulte e commercianti con
sistono in pezzi di metallo d'oro, d'argento e di rame coniati con pubblica auto
rit , che stabilisce un prezzo a ciascheduna di queste monete. Bisogna adunque
vedere come gli uomini tutti siansi combinati a servirsi come di moneta , cio
come aventi le due generali qualit sovraindicate, di questi tre metalli , e come
sia nata la forma e la diversit di essa; la storica analisi dell'introduzione e delle
alterazioni della moneta ci indicher e ci fornir facilissime dimostrazioni della
di lei teoria, massimamente dopo aver ben compresa la natura del valore in
generale, non altro essendo il danaro, n altro giammai potendo essere se non
una vera merce, che per l'universale contrattazione combaciasi , e misurasi con
tutte le altre merci.
. VII. Trasportiamoci coli' immaginazione su di un vascello europeo alle
coste dell'Africa, dove abbondano l'oro, l'avorio e le altre merci preziose e care
agli Europei, ma dove manca il pi funesto e il pi necessario fra lutti i metalli,
il ferro : l' utilit degli istromenti di ferro trasportati dagli Europei sar presto
riconosciuta dagli Africani, e il ferro medesimo, sia lavorato sia da lavorarsi,
sar universalmente ricercato; ciascuno porter ad offerire parte delle sue ric
chezze all'europeo per cambiarle in altrettanto ferro. Si stabilir dunque un pa
ragone generale di tutte le merci di queste coste con il solo ferro; diverr comune
e generale la valutazione di esse in ferro, e senza dubbio dopo le prime contrat
tazioni gli Europei divideranno il ferro in tante parti simili, ed uniformi, in
maniera che nei contratti di quei paesi si dir da tutti , che tal merce vai tanto
di peso o tante misure di ferro , e tal' altra altrettanti pesi o misure di ferro. N
questa maniera di apprezzar le cose sar introdotta tra soli Europei ed Africani,
ma tra di loro medesimi ancora, perch essendo il ferro di ricerca universale,
entrer nell'interna contrattazione e circoler ancora tra di loro; ed il paragone
di tutti i valori diventando in questa maniera facile ed uniforme, tutte le idee di
stima e di valutazione si piegheranno e vi si adatteranno. Dippi anche nei
cambii immediali di merce con merce , ancorch non segua contratto di ferro
intermedio , essendo di gi la mente assuefatta a paragonare ogni merce con
quello, le dimande, le esibizioni e tutta l'alterazione del contratto si far in mi
sura di ferro, senza che il metallo in verit v'intervenga. Molli cercheranno di
vendere e di cambiare il superfluo delle proprie ricchezze per averne il corrispon
dente in ferro-, primo, perch il ferro essendo di ricerca universale e comune,
sono pi sicuri di immediatamente cambiarlo per ci che potesse loro occorrere,
di quello che potessero farlo avendo presso di s varie e moltiplici specie di merci
non da tutti, n sempre ricercate e volute; secondo, perch pi facilmente con
servabile e cuslodibile di quello che possono esserlo altre merci di egual valore,
ma pi voluminose ed alterabili ; terzo, perch essendo uniforme e simile a se
stesso , si rende a ciascheduno pi facile ed arrendevole il calcolo delle proprie
49G BECCARIA.

ricchezze e delle proprie spese, e la divisione in parli simili. Cos dovrebbe suc
cedere nell' Africa e cos infatti accaduto , come si pu vedere dalla costante e
non equivoca asserzione di tutti i viaggiatori, dai quali sappiamo, che tutto nelle
coste d'Africa si valuta in sbarre di ferro: nella qual parte di mondo, prima in
ogni luogo interveniva realmente in lutti i contratti il ferro, poscia dove continu,
dove cess d'intervenirvi, ma la mancanza di valutare e di esprimere la stima ed
ed il prezzo delle cose si conserv e si continua tuttora, mentre si cambiano sbarre
di ferro di schiavi , d' oro, d' avorio , di pepe per sbarre di ferro di collane di
vetro, di coralli, di bacili , di rame, sbarre di ferro di panno, di stoffe europee :
tali espressioni che paiono contradditorie ed assurde, prese cos letteralmente,
cessano di esserlo considerando come il ferro divenuto moneta in quei paesi.
Parimenti in un altro paese, dove si porti variet di ricchezze per prenderne di
un solo genere, per le stesse ragioni questo sol genere di derrate e di merci diverr
moneta; cos nell'Islanda, dalla quale il resto del settentrione esporta in cambio
delle mercanzie europee una grandissima quantit di pesce , il pesce divenuto
moneta, e le espressioni del valore sono tutte indicate in pesci : cos in quei paesi
dicesi un pesce di panno ecc. volgare l'osservazione, che il motto latino pecunia
venga dalla parola pecus, antica primaria ricchezza de' popoli pastori, la quale
essendo la pi abbondante e comune serviva di paragone e di misura universale
di tutte le cose commerciabili, e che le antichissime monete, improntate quali di
pecore e quali di buoi , abbiano preso il loro impronto da ci che prima serviva
di moneta, alla quale un corrispondente metallo di pi comodo maneggio si
sostitu.
. Vili. Da quanto si detto finora si vedranno le seguenti conseguenze :
prima, che quella merce diverr moneta che per le circostanze dei commerci
diverr di universale ricerca e contrattazione ; quella diverr moneta , che sar
pi divisibile in parti pi uniformi e similari. Se in una nazione la moneta fosse
di pecore, indi venisse in contrattazione comune e promiscua il ferro, siccome'
una pecora non affatto simile all'altra, l'una essendo pingue e l'altra smunta,
l'altra pi bella e lanula e l'altra meno, del pari che una mezza pecora, un
quarto di pecora, una frazione di pecora non si conservano n si possono dividere
senza distruggerla e renderla inutile; ma una libbra di ferro pu dividersi in simi-
lissime parti, che siano met, quarti e frazioni uniformi del tutto; cos naturale
ed infallibile, che gli uomini di quella nazione cominceranno dal paragonare il co
mune valore di pecore col parimenti divenuto comune valore di ferro, ed abban
doneranno 1' antica espressione e 1' antica moneta per la recente , di gran lunga
pi comoda e pi utile a lutti i casi diversi e a tutti i generi di contratti e di
commerci. Terza conseguenza sar, che tra due merci di eguale ricerca e contrat
tazione, e di eguale divisibilit ed uniformit in parti simili ed analoghe, quella
avr la preferenza per divenir moneta, che sar pi conservabile e meno soggetta
ad alterazione; e fra queste quella principalmente sar pi in pregio , che sotto
il minor volume avr il maggior valore, perch di una custodia e di un trasporto
pi facile. Cos per queste ragioni l' oro e l' argento saranno preferiti al ferro ed
al rame. Ma qui necessario di fare un passo di pi dicendo che quella merce ,
la quale divenga di un uso giornaliero ed indispensabile , e debba trasformarsi
continuamente in lavori di servizio comune, cesser di essere moneta in confronto
di un'altra di un uso meno comune e meno universale, quantunque generalmente
DELLA MONRTA. CAP. II. 497

ricercala ed apprezzata. Se vi siano due merci, egualmente divisibili in parti e


frazioni simili, egualmente durevoli e conservabili, ma l'una di uso e V altra di
ornamento , dico che la prima cesser di essere moneta e lo diverr quella di
ornamento, o almeno che quella d'uso sar come moneta meno ricercata e meno
universalmente stimata di quella di ornamento e di lusso. L'ornamento ed il lusso
sono nudriti da ci principalmente che piace agli occhi e da ci che raro , ma
assai pi da questa seconda qualit che dalla prima. A misura che le cose sono
pi rare, minore quantit di quelle rappresenta un pi gran valore, onde il pos
sedere di queste indica ricchezza, cio potenza di soddisfare alle proprie voglie.
Ognuno cerca di mettere in mostra e di ostentare questa potenza , perch la sola
ostentazione di quella produttrice di piaceri e di autorit a chi ne fa pompa, e
di servigio e di dipendenza a chi ne Io spettatore. Da un'altra parte, quando
la ricerca di queste merci di ornamento sufficientemente diffusa, nasce in cia
scuno la sicurezza e la confidenza di trovarne esito quando egli voglia privarsene,
per ottener le cose che gli abbisognano, ed altres naturale che ognuno cominci
dal volersi disfare delle cose superflue e di ornamento, per ottenere ci che gli fa
un piacere immediato o soddisfa un indispensabile bisogno. Quindi dal valutare
le cose tutte per mezzo di una merce durevole, uniforme e divisibile comoda
mente, ma di uso nell'arti necessarie alla vita, passeranno gli uomini a valutarle
colla merce che abbia le medesime qualit, ma che sia pi stimata per il lusso e
per la pompa che per l'uso di necessit e di bisogno. Onde vediamo subito per
quarta conseguenza, che la moneta passer dai metalli di servizio ai metalli pre
ziosi , quelli restando solamente in commercio come merci e non come monete ,
e se come tali, nel giro dell'interna circolazione e nei contratti spicciolati, non
nelle grosse contrattazioni e nell' esterno e grandioso commercio. Dico nei con
tratti spicciolati, perch la preziosit della materia racchiudendo un gran valore
sotto un piccolo volume, ne verrebbe in conseguenza che la minuta contratta
zione delle pi piccole e minute cose richiederebbe una suddivisione in parti
consimili della merce moneta, ossia del metallo prezioso, che ne svanirebbe il
comodo maneggio di quello, riuscendo impossibile l' esattezza della divisione e
facilmente smarribili le minute frazioni che ne risulterebbero , onde le ulteriori
divisioni si fanno coi metalli meno preziosi. Da ci si vede chiaramente come
l' oro, l' argento ed il rame siano per quasi universale convenzione divenuti mo
neta, convenzione che rigorosamente tale non pu dirsi, non essendo intervenuti
patti espressi, n radunatasi una dieta generale del genere umano per erigere in
moneta questi tre metalli; ma piuttosto io la chiamerei adesione, la quale per
necessit e progresso di circostanze leg gli uomini a valutare universalmente
ogni merce colla quantit di questi metalli, che per ciascuna si esigeva e si offe
riva. La lucentezza inalterabile dell'oro e quella dell'argento, e la longevit della
loro durata, la facilit con cui si adattavano al comodo ed al piacevole degli usi
della vita, la rarit loro, per cui molto valore con poco ma uniforme e facilmente
divisibile volume rappresentava, gli elev al rango di moneta, pi ricercata e pi
slimata di quello che fossero i metalli meno preziosi , meno rari , meno betti ,
quantunque di un' utilit pi domestica e di un bisogno pi irrefragabile psv gli
usi della vita , restando per questi per la minuta e continua folla dei frequenti
e popolareschi contratti, all'uso de' quali l'oro e l'argento non si sarebbero- potuti
piegare, n comodamente dividere. Frattanto che molti cercavano di questi metalli
Eronnm. Tom. III. 5W2.
498 BECCARIA.
preziosi per farne pompa , pochi per farne uso , tutti essendo sicuri di poterli
vendere e contrattare, li ricevevano in cambio delle proprie merci, per ridurre ad
un pi piccolo, pi sicuro e pi uniforme volume le loro ricchezze.
. IX. Io qui non debbo dilungarmi per congetturare ne' dispersi rimasugli
dell'antichit la storia dell'introduzione de' metalli nel genere umano, rna baste
ranno alcune generali riflessioni per il maggior schiarimento delle cose da dirsi.
E in primo luogo le arene de' fiumi mescolate di particelle metalliche, i vulcaui
eruttanti liquido e candente metallo, i casuali incendii ed anche gli spontanei
tentativi dell' umana curiosit concorsero in varii luoghi , e per varie maniere e
con lunga assiduit di prove, a renderli palesi e a far conoscere il loro uso. Che
che ne sia di questa introduzione egli certo in secondo luogo, che il ritrovato
e l'uso de' metalli ignobili stata l'epoca delle arti e delle invenzioni le pi utili
all'umanit, e il ritrovato e l'uso dei metalli preziosi ha fissata l'epoca dei com
merci, che divennero estesi, rapidi, facili, diretti da viste profonde, e spingentisi
nel futuro aumentarono e strinsero le relazioni reciproche degl' individui. Prima
di quest'epoca i commerci tutti erano cambii momentanei, pi diretti dai bisogni
immediati degli uomini egualmente frettolosi nell'esigere e Dell'offerire, che dalla
simultanea concorrenza di molti ed opposti interessi, la quale equilibra i valori
di tutte le cose, e rendendole tutte vendibili e contrattabili le riduce al vero ed
assoluto. I metalli entrarono in commercio come le altre cose; non ebbero valore
che in proporzione della quantit e della ricerca che se ne faceva; ma questa
ricerca divenne universale, e la quantit rest fissata ad un certo limite co
stante per lungo tempo, pi ristretto per l'oro, pi ampio per l'argento e moltis
simo di pi per il rame.
. X. Abbiamo veduto come l'oro e l'argento possono essere divenuti moneta,
perch sono stati merce di universale contrattazione. Ma qui avvenne ci che
presso agli uomini in tutti i tempi avvenir suole, che la cupidigia e l' interesse
particolare vi condussero il disordine sempre seguace delle ottime cose. La rarit
e la ricerca dei metalli preziosi indusse alcuni a falsificarli, ed alterarne la sin
cerit conservandone l' apparenza, onde con poco valore ottenerne uno conside
rabile, abusando cos della buona fede e della premura dei cercatori. Ma questi
si dovettero prestamente accorgere dell' alterazione del metallo , che esigevano
netto e scevro da ogni materia estranea e meno rara e ricercata. Si allontanarono
dunque dal commerciare con quelle nazioni presso le quali questa frode era fre
quente, ed esse perderono a poco a poco ne' loro metalli come monete le due
propriet di esser segni e pegni d'ogni valore. Che fece la pubblica autorit in
cosi critiche circostanze , nel sentire ed accorgersi dei mali comuni ? Cominci
ad esigere che ogni pezzo di metallo, che i privati passavano in commercio, fosse
riconosciuto ed approvato come non alterato, ma come vero e legittimo oro ed
argento. Quindi pass ad apporvi un segno indicante la pubblica e solenne ga
ranzia della finezza e bont di esso, lasciando forse ai particolari 1' arbitrio del
peso e del volume dei pezzi metallici , che come monete entravano in contratta
zione. Ma l'abuso, la diversit, la confusione esigerono di pi che fosse riserbata
solamente al pubblico o al principe, che l'amministratore ed il rappresentante
supremo di questo pubblico, l'autorit di dividere il metallo in quelle porzioni ,
o di segnarlo in quelle maniere che meglio giudicava convenire. Quindi ridotti i
pezzi di metallo in porzioni eguali ed uniformi di peso e di figura, si coniarono
DELLA M0NHTA. CAP. 11. 499

con pubblica ed esclusiva autorit, cio vi si appose un segno, che indicasse tanto
il peso della moneta che la bont del melai lo ; cosicch quelle che il medesimo
segno avessero e il medesimo peso , autenticassero avere un sicuro ed identico
valore, onde la buona fede dei contratti fosse salva e tranquilla, e l'attivit del
commercio pronta ed animata. Ho dovuto distinguere il peso del melallo dalla
bont dello stesso, perch sono realmente due differenti propriet della moneta.
Le diverse maniere di separar l'oro e l'argento dalla materia brutta che vi fram
mista nella miniera, ed anche la necessit di doverli ridurre ed impastare in co
mode e determinate figure per la variet de' valori che debbono rappresentare,
esigono che si alteri la purit di questi metalli e che vi si unisca aitra materia
metallica , la quale in tal caso chiamasi lega. Il peso dunque della moneta
composto di metallo fino, ossia oro puro ed argento, e di lega; e la bont del me
tallo significa la maggiore o minor quantit di metallo puro, e reciprocamente la
minore o la pi gran quantit di metallo inferiore, che sotto il medesimo peso
vi si contengono. Se in una moneta d'argento vi siano 22 denari di puro argento,
e due di metallo vile o di lega, ed in un'altra simile sianvi 25 denari d'argento
ed un solo di lega, si dir che le due sono del medesimo peso, ma che la prima
d'inferiore qualit della seconda. Per giudicare e valutare la bont dell'oro si
adottato generalmente il metodo di dividere il peso di una moneta qualunque in
24 parti, e di trovare quante di queste parti siano d'oro fino e quante di lega.
Queste parti di un' immaginaria divisione chiamansi di 24 carati, e l'oro meno
puro sar di 23, 22, 21, di 20 1|2 carati ecc.; i quali numeri indicano la propor
zione della quantit d'oro fino alla quantit di lega contenuta in ciascuna mo
neta ; onde una moneta d'oro di bont di 22 carati significa che delle 24 parti
di tutta, nelle quali tutto il peso si divide, 22 sono d' oro e 2 di materia estranea
ed eterogenea. Neil' argento poi si divide tutta la massa in 12 parti che chia
mansi denari, e si valuta la bont dell'argento coll'indicare quante di queste parti
o denari siano d'argento fino e puro, e quante di lega. Cos una moneta d'argento
dirassi alla bont di 11 denari, quando dividendone il peso in 12 parti, si tro
ver sempre 11 parti di puro argento ed una di lega, ossia 1[12 di metallo ete
rogeneo ed 11(12 d'argento in ciascuna e qualunque porzione di quelle monete.
Questa bont, valutata sopra carati 24 per l'oro e sopra denari 12 per l'ar
gento, chiamasi titolo ; onde il conto delle monete autentica o dovrebbe auten
ticare due cose, cio il peso e il titolo di quelle.
. XI. Ma qui bisogna, per proseguire la materia e rischiararne il pi impor
tante di quella, richiamare ci che abbiamo di sopra indicato, che non l'oro so
lamente ma l'argento ancora si sono trovati, se non nell'origine, ben presto per
in seguito simultaneamente in promiscuo commercio ed universale, onde ciascuno
di essi divenuto non solo segno di valore di ciascuna cosa, perch con ciascuna
cosa stato cambiato, ma l'uno ancora divenuto segno e pegno dell'altro, l'oro
misura e termine del paragone del valore dell' argento, o viceversa; onde con
ogni esaltezza pu dirsi, che l'uno era moneta dell'altro, e tutti e due moneta di
tutte le cose; e la quantit d' oro, che si d in cambio di una tal' altra quantit
d'argento, il prezzo del medesimo argento, come la quantit d'argento, che si
d in cambio di una determinata quantit d' oro, il prezzo dell'oro. Abbiamo
visto il valore di due cose essere l'uno all'altro reciprocamente come le masse,
cio che se di una quantit di cose A, ve ne sia il doppio, triplo e quadruplo ecc.
500 BECCARIA.

delle cose B, uno di A varr 1[2, 1^3, lj4 di B, quando il bisogno e la richiesta
de' possessori di B per avere A , e di A per avere B sia indifferente o eguale da
ambedue le parti. Ora posto in commercio simultaneamente 1' oro e l' argento ,
e supposto che non sia richiesto piuttosto l'uno che l'altro, il che sovente non
vero riguardo alla natura de' commerci esterni o a qualche accidentale circostanza
interiore, quantunque quasi sempre lo sia nella circolazione interna, sar dunque
il valore dell' oro al valore dell' argento come la massa di tutto 1' argento alla
massa di tutto l'oro, e come il tutto al tutto cos una parte ad una parte cor
rispondente. Se in una nazione vi fossero 100 libbre d'oro in tutto, ed in tutto
mille libbre d'argento, la quantit d'argento sarebbe decupla della quantit del
l'oro; dunque l'oro sar stimato 10 volte l'argento, perch la sua massa nella
supposizione non che 1 [10 della massa d'argento; dunque una libbra, un' on
cia, un denaro, un grano d'oro varrebbero 10 libbre, 10 once, 10 denari, 10
grani d'argento; un'unit qualunque d'oro, cio un dato peso di esso, comprer
10 unit d'argento, cio 10 uguali pesi di questo. Un tal valor dell'oro parago
nato col valor dell'argento chiamasi proporzione fra l'oro e l'argento, e in questo
caso direbbesi che la proporzione fra 1' oro e 1' argento come 1 a 10. Suppo
niamo ora, che stando ferme le 100 libbre d'oro in quella nazione, alle 1000
libbre d'argento da lei possedute se ne aggiungano altre 400; finch questo
accrescimento ignoto ai commercianti, finch queste libbre 400 d'argento non
entrano in circolazione sensibile, basteranno 10 once d'argento per avere un'oncia
d'oro e la proporzione rester immobile come 1 a 10. Ma quando si accorgeranno
gli attenti ed avveduti dell'accresciuto argento, quando per qualche circostanza
si far sentire ai posseditori d'argento bisogno dell'oro, e' non avranno difficolt,
e vi sar gara e concorrenza di ciascuno nell' accrescere sopra le 10 once d'ar
gento qualche oncia di pi per avere un'oncia d'oro, finch arriveranno a darne
14 di quelle per una di queste; nel qual caso quelli che hanno l'Oro si fermeranno
dall' esigere dippi, perch sicuri di aver l'oro ad un tal prezzo quando essi vo
gliano, e perch comincerebbe parimenti a nascere concorrenza e gara tra di loro
in favore dell'argento. La proporzione tra l'oro e l'argento, che prima dicevasi
essere come 1 a 10, ora dirassi essere salita come 1 a 14; e allora ogni moneta
d' oro contenente per esempio 100 grani d' oro fino, si potr cambiare con una
moneta d'argento contenente 1400 grani di fino argento. Lo stesso cambiamento
avverr, se invece d'accrescersi la massa d'argento si scemer la massa dell'oro,
perch allora dovrassi dare lo stesso argento per una minor quantit d' oro , o
una maggior quantit %d' argento per lo stesso oro. Se restando le 1000 libbre
d'argento scemasse l'oro dalle 100 fino alle 60, facendosi sentire il bisogno
dell'oro, le 1000 libbre dell'uno si darebbero per le 60 dell'altro e non pi per
100; e la proporzione fra l'oro e l'argento ascenderebbe non pi come 1 a 10,
ma come 1 a 16 2[5, perch le 60 di oro comprano 1000 d' argento , 50 ne
comprano 500, 15 ne comprano 250, 5 si cambiano con 50; ed uno d' oro, sia
grano, denaro od oncia, si permuter con 16 \ di grani, denari ed once d'ar
gento. Parimenti supponiamo scemata la quantit d'argento, restando ferma la
quantit d'oro, cosicch sianvi di 1000 libbre d'argento solamente 800, essen
dovi 100 libbre d'oro; allora sar l'oro all'argento come 100 a 800, cio 1 a 8;
cio il valore dell'oro si abbasser ad essere solamente ottuplo dell'argento, di
decuplo che era prima. Cosi se crescesse la quantit dell'oro per esempio dalle
DELLA MONETA. CAI*. II. 501

100 libbre alle 200, restando le 1000 d'argento, sarebbe solamente 105, invece
di 1 a 10, 1 a 8, 1 a 14, 1 a 16 2|3, come nei casi antecedenti.
. XII. Egli giusto di prevenire un'obbiezione che naturalmente si presenta,
la quale potrebbe imbarazzare taluno : cio, che la proporzione fra l' oro e l' ar
gento dipende dalla maggiore o minore quantit dell'uno e dell'altro che trovasi
in una nazione, e dove molte nazioni comunichino strettamente fra di loro con
molta mole di reciproci commerci , dalla maggiore o minor quantit di quesli
metalli posseduti da tutte queste nazioni. Ora chi ha mai conosciuto e chi potr
mai conoscere quanto oro e quanto argento siavi, non in molte, ma in una sola
nazione che abbia ampio commercio, e dove tali metalli sono tanto e cosi varia
mente divisi e sparsi? Rispondo, che bisogna distinguere la proporzione che passa
fra i metalli brutti dalla proporzione fra i metalli coniati. Questa seconda dipende
originariamente dalla prima. Ora dopo che la suprema autorit avoc a s , per
ovviare li frequenti disordini che gettavano nell'incertezza e soggettavano alla
frode ed al discredito ogni commercio, il privilegio di battere moneta, il sovrano
divent quasi il solo ed il pi grande posseditore dei metalli brutti, e tutti i me
talli coniati doveano passare per la maggior parte nelle sue mani, sia per ragione
di rifondere le vecchie monete nelle nuove, sia per ragione dei tributi. Ora dalle
masse rispettive d'oro e d'argento che egli si trovava avere, paragonandone la
quantit di ciascuna, pot di slancio Dssare una proporzione fra l'oro e l'argento,
e tanto pi lusingarsi di essersi approssimalo alla vera, quanto pi ampia era la
mole di metallo raccolta. Se egli raccogliendo da tutte le parti oro ed argento
trovavasi di avere 14 volte pi di questo che di quello, nel distribuire le monete
nuove ricevendo le vecchie o il metallo non monetato, nel pagare le truppe, i
ministri e tutto l'ampio corredo che accompagna la pubblica autorit, si trov in
istato di cambiare senza contrasto un grano d'oro con quattordici d'argento, e
di dare e far ricevere 1' una per 1' altra indistintamente , una moneta di cento
grani d'oro per una di argento di mille e quattrocento. Vedremo quindi, che se
il principe come principale posseditore dei metalli preziosi pu fissare e determi
nare la loro proporzione, egli non pu farlo senza suo danno sopra principii ar
bitrari, ma che l' interesse suo e quello dei sudditi lo sforza sempre di seguire la
legge delle masse rispettive che sono in corso. Egli naturale, che fissata la pro
porzione fra le monete d' oro e d' argento, nel passaggio e ritorno che fanno i
metalli dalla zecca e dall' erario del principe alle mani dei sudditi e dai sudditi
alla zecca ed all' erario , tutti i particolari nella loro contrattazione seguono ed
obbediscono ad una tale fissata proporzione. Ma sopravvenendo una nuova quan
tit d'oro o una nuova quantit d'argento, la proporzione antica si alterer in
due modi: primo, accorgendosi il sovrano dai tributi raccolti e dai metalli por
tati al conio dell' alterata quantit di metallo, perch ricevendo da tutti indistin
tamente oro e argento , se egli dopo qualche tempo trovasi di aver ricevuto ri
spettivamente pi argento e meno oro di quello che prima riceveva, sar segno
evidente essersi scemato l'oro o accresciuto l'argento, e cos viceversa. In secondo
luogo anche tra i particolari si alterer la proporzione fra i metalli prima che il
principe lo faccia, quando si faccia sentire il bisogno di uno dei due metalli per
accrescimento o per diminuzione, perch i possessori del metallo accresciuto da
ranno qualche cosa di pi di questo per avere quello. I pi grandi posseditori
dell'uno e dell'altro metallo saranno quelli che cominceranno ad alterare la pr
502 BECCARIA.

porzione, perch sapendo appunto di essere tali dall'esame delle loro casse, si
determineranno gli uni ad esigere pi o meno , gli altri parimenti ad offerire se
condo le maggiori domande e bisogni. Dico poi che quesl' alterazione di propor
zione, e questo di pi di metallo accresciuto rispettivamente, che si comincer a
dare per il metallo rispettivamente scemato, crescer finch 1' un metallo sia
all' altro come le alterate masse rispettive valutato; ma non ecceder questo
limite , mentre ancorch in una serie di particolari contratti si trovasse tale ec
cesso, dovrebbesi successivamente retrocedere fino al limile sovraindicato, perch
farebbesi infallibilmente sentire all'opposto il bisogno dell'altro metallo.
. XIII. Siccome trovasi una proporzione tra l'oro e l'argento, cos ve ne ha
una tra l'oro ed il rame e tra l'argento ed il rame, perch il rame parimenti
divenuto moneta presso le nazioni , quantunque metallo non prezioso, per la ne
cessit ed il comodo della piccola e sminuzzala contrattazione. II valore delle
minute e copiose merci che il popolo generalmente compra e vende, rappresen
tato in metalli preziosi lo ridurrebbero a monete ed a proporzioni troppo piccole
ed incommensurabili, onde necessario un metallo pi vile, ossia pi comune,
che con una massa sensibile rappresenti tutti i minimi valori della giornaliera cir
colazione. Quesla ancora, oltre il momentaneo lucro, slata la ragione che ha
fatte alterare le monete d' argento, e ne ha fatte ballere quasi dappertutto delle
miste di molto rame e di pochissimo argento, e tali monete furono chiamate mo
nete erose nel linguaggio economico e finanziera, a distinzione della pura moneta
di rame che propriamente non chiamasi erosa.
Fissato il valore dell'oro in argento, e dell' argento in rame, si trova subito
il valore dell' oro in rame, cio quanta quantit di rame, ossia quanto peso di
quello si deve dare per un dalo peso di argento, e quanto per un dato d' oro.
Se due once di argento equivalgono a 1)7 d'oncia d'oro, quando la proporzione
tra l'oro e l'argento fosse di 1 a 14; e se cento once di rame darebbero un'oncia
d' argento, quando la proporzione fra l' argento e il rame fosse di uno a cento ;
ducente once di rame darebbero 2(7 d'oncia d' oro , ossia mille e quattrocento
once di rame darebbero due once d'oro, o settecento di quello un'oncia di questo;
cosicch la proporzione tra l'oro ed il rame sarebbe in tal caso arbitraria come
1 a 700. Questo valore dei metalli tutti, rapportati e paragonati ad una terza ed
infima moneta, ha dato origine al valore numerario, valore che prima non era
punto distinto dal valor reale. Tanto valor numerario d' oro significa proporzio
natamente tanti pesi e tante, reali porzioni di rame o di moneta erosa, quante
se ne d per il dato peso d'oro; lo stesso dicasi del valor numerario dell'ar
gento.
. XIV. Purch il dato peso di rame sia quello che la proporzione esige per
un dato peso d'argento o d'oro, l' ulteriore divisione di questo dato peso di ramo
perfettamente arbitraria rispetto al valore intrinseco , n dovr la pubblica au
torit avere in queslo altri riguardi, fuori che quelli che si debbono al risparmio
delle spese della manutenzione ed al comodo maneggio della moneta di rame ,
acciocch facilmente misuri le diverse gradazioni de' minimi valori ; perch se
la divisione del dato peso sar in molte parti, il peso o la massa di ciascuna sar
pi piccola; se in pi poche, sar maggiore. Ala supponiamo ora, che fatta una
volta la divisione di un dalo peso di rame corrispondente al valore di un dato
peso d' oro o d' argento , si rifonda e si faccia allra moneta di rame in cui si
DELLA MONETA. CAP. II. 503

conservi la medesima divisione, ma ciascuna porzione sia pi piccola e pi leg


giera di quello che fossero le antiche porzioni o monete ultime di rame o erose;
allora il valore numerario sar lo stesso, ma sar alterato il valore intrinseco,
cio Anche si dar lo stesso numero di monete di rame per una data moneta
d' oro o d' argento, si dar minor quantit di rame di quella che si dava prima
per un'eguale quantit d* oro e d' argento. Lo stesso dicasi dell'alterazione delle
moneto miste. In questo caso il valor numerario diverso da] valore reale, per
ch cambiando il rame non monetato con l'oro e l'argento, si darebbe pi rame
per l'istesso oro o argento che dando rame monetato del nuovo ed alterato conio,
ed il valor reale sar eguale al valor del peso di quel rame cos monetato e smi
nuito, pi quella porzione di rame che manca realmente alla nuova monetazione,
per giungere alla vera proporzione fra le monete vili e le monete nobili d' oro e
d'argento. Se le monete di rame, tauto le giuste prima della nuova monetazione,
quanto le sminuite si chiamassero lire, e se prima di quest'epoca per cinque di
ijueste lire si otteneva una moneta di un'oncia d'argento; qualora si diminuisca
1|5 di peso ciascuna di queste monete chiamate lire, finch non si accorgano i
commercianti dell' alterazione, si daranno ancora cinque lire per un'oncia d' ar
gento; realmente per si dar lo stesso numero di lire, ma non la slessa quantit
di metallo, che in questa supposizione non sar che la quantit di rame conte
nuta nelle sole quattro lire del vecchio conio. Che ne avverr accorgendosi di
quest' alterazione e quali saranno gli effetti ed il tempo di questo accorgimento?
Se ne accorgeranno gli abitatori dei confini , i quali commerciando per necessit
e per vicinanza cosili abitatori d'altro Stato, nel quale non sia seguita la mede
sima alterazione; e questi medesimi accorgerannosene , perch interessali a far
questa scoperta. Se ne accorgeranno quelli che lavorano i metalli preziosi per gli
usi ed il lusso della vita, i quali inauifatlor sono in necessaria relazione coi fo
restieri , che la quantit vera e sola di metallo considerano nei rispettivi com
merci che di quelli si fanno. Questi commercianti in grosso dell' argento, per
esempio, saranno i primi ad avvedersi, che dando il loro argento per il rame non
hanno pi la medesima quantit di metallo che prima avevano-, quindi due effetti
seguiranno immancabilmente. Primo, che esigeranno qualche cosa di pi dell'an
tico prezzo dell'argento, perch possano avere l'equivalente di ci che prima ave
vano, affinch possano quando vogliano riavere e ricomperare l'argento venduto
coll'intrinseco equivalente di rame; il qual intrinseco non pi dalle antiche tre
lire rappresentato, ma dalle nuovo sci: onde alterato il valore della moneta di
rame, ossia diminuitone il suo valore intrinseco conservandone lo stesso numero,
cio la stessa apparente divisione, si alzer il valor numerario delle monete no
bili d'oro e d'argento. Secondo effetto sar, che quelli che avranno molte di queste
diminuite cinque lire di rame si affretteranno di cambiarle coli' argento, e quelli
che avranno l'argento, per timor di perdere 1 [5 del suo valore cambiandolo colle
alterate monete del paese, lo manderanno fuori cambiandolo con merci o con altro
argento e oro presso coloro, die gli dauno ancora l'antica e superiore valutazione.
Mancher dunque presso questa nazione la quantit d'argento; in conseguenza si
far sentire il bisogno di quello, e un tal bisogno si dovr dunque pagare oltre il
valore intrinseco dell'argento. Perci e l'oro che si dar per l'argento, e le merci
che per quello ricevere si venderanno, saranno pi basse di valore, cio se ne
dar una maggior quantit di quella che prima se ne dava per il medesimo argento.
504 RfcCCARIA.
Nel medesimo tempo tutte le merci, che negli spicciolati contratti prima si vende
vano per una, due, tre, quattro, cinque delle antiche lire, e per le parti e frazioni di
quelle lire, diverranno vendibili a pi caro prezzo , perch i rivenditori di quelle
merci per il minuto consumo ed uso popolaresco le comprano all'ingrosso dai com
mercianti e dai produttori e manifattori, e le comprano colle monete nobili che
hanno avute in cambio di monete di rame, delle quali per la supposta da noi alte
razione hanno dovuto darne in maggior copia di quella che davano prima; sono
perci costretti nel vendere al minuto le proprie merci, e ricevendone il prezzo in
monete di rame, di alzare il prezzo di quelle per adequare il valore speso nel com
prarle colle monete nobili , e per non perdere in un commercio che essi hanno
stabilito per guadagnare. Noi faremo a poco a poco gli stessi ragionamenti per
quelle nazioni che alterano la proporzione comune fra oro ed argento, perch fra
le monete dell' istesso metallo l'istessa quantit di metallo non ha l'istesso valore
numerario in tutte le monete. Figuriamoci una nazione circondata da altre na
zioni , colle quali ha la maggior parte del proprio commercio, e le quali danno
quindici once d'argento per un'oncia d'oro, mentre quella non d per un'oncia
d' oro che quattordici once d' argento. Quelle porteranno le loro quindici once
d'argento presso la nazione che d un'oncia d'oro per sole quattordici d'argento,
cio dove si valuta l'argento pi del dovere, ossia del comune valore, e per queste
quindici once otterranno un'oncia d'oro ed 1(14 d'oncia, mentre commerciando
l'argento colle altre nazioni che danno per l'oro lo stesso argento, quindici once
d' argento non darebbero che un' oncia d' oro. Questa nazione perder dunque il
suo oro, che sar estratto da tutte le altre nazioni, le quali si accorgeranno che
per lo stesso peso d'argento si pu aver ivi pi oro che altrove. Dunque un'oncia
e 1|14 d'oro presso ad una tale nazione equivalente ad una sola oncia d'oro
presso le altre nazioni, perch tutte due queste diverse qualit d'oro equivalgono
alla medesima quantit d'argento. Dunque un negoziante, che avr ricevuto quin
dici once d'argento dal di fuori, avr sborsato un'oncia e 1[14 d'oro, o l'equiva
lente in merci di questa quantit d'oro. Ora presso ogni altra nazione con un'on
cia e l[ 14 d'oro si hanno pi cose che con una sola; dunque per avere le quindici
d' argento ha dovuto dare pi cose , che non darebbe un altro negoziante nelle
altre nazioni per le medesime quindici once d'argento. Ma dare pi cose di quello
che darebbe un altro per lo stesso prezzo , vendere a pi buon mercato ; ven
dere a pi buon mercato ricevere meno danaro ; dunque la nazione , che d
14 d'argento per 1 d'oro, mentre tutte le altre colle quali in relazione
danno 15 per 1 , riceve meno di quello che dovrebbe ricevere. Per una simile
ragione si pu dire che comprer dalle altre nazioni a pi caro prezzo, o che
lo stesso, meno cose ricever per lo stesso prezzo al quale le altre nazioni le
riceverebbero. Un negoziante di questa nazione ha quattordici once d'argento da
spendere al di fuori, e cambiarle in altrettante merci; ora queste quattordici once
d'argento nella sua nazione rappresentano pi cose che non presso le altre na
zioni , perch abbiamo supposto queste nazioni commereianti , e nelle quali pre
scindendo dall'oro e dall'argento l'abbondanza e la scarsezza delle cose si com
pensano, e i bisogni sono comuni e reciproci, e perci medesimi e proporzionati
i valori delle cose tutte. L'aver egli adunque quattordici once d'argento, signifi
cher per esempio averle egli cambiate con quattordici misure di vino. Ma sup
posto lo stesso valore, cio la stessa abbondanza e bisogno di vino presso l'altra
DELLA MONETA. CAP. II. 505

nazione, e perci mutabile con la stessa quantit d'oro, cio un'oncia d'oro in
ciascuna delle due nazioni; dando le sue quattordici once d' argento il suddetto
negoziante al di fuori non avr pi un'oncia d'oro come al di dentro, ma un'on
cia meno 1[14, e per non pi quattordici misure di vino, ma sole tredici; onde
avr avuto meno per pi; dunque avr comprato a pi caro prezzo.
. XV. Mi si obbietter facilmente, per qual ragione si deve rapportare il
valor dell' oro piuttosto alle proporzioni forastiere che alle nazionali? A ci
rispondo facilmente , che chi compra cerca di rapportare le sue offerte al pi
basso prezzo corrente delle cose vendibili ; per lo contrario , chi vende sostiene
le sue dimande sul pi alto; n in questa opposizione si potranno accordare
ambidue, se l'uno e l'altro, costretti dalla concorrenza dei compratori e venditori,
non acconsentano nel prezzo comune di quelle cose che sono in contratto. Ora,
dove si suppongono i bisogni eguali o proporzionati tra di loro, ed eguale presso
a poco la quantit delle cose commerciabili, o se non eguale, almeno le differenti
quantit disuguali cos comunicanti che formino una sola massa, sulla quale i
prezzi si stabiliscono; il prezzo comune sar fissato dalle nazioni che seguiranno
la comune proporzione fra l'oro e l'argento, non da quella che l'avr alterata e
diversificata, sia nel pi, sia nel meno. Dunque questa dovr ne' suoi contratti
obbedire realmente a quella proporzione che non segue. Facendosi sentire presso
una tal nazione il bisogno dell'oro, del quale come abbiamo veduto andr a poco
a poco a restar priva , bisogner cambiandolo coli' argento , oltre le quattordici
once per ogni oncia d'oro dare qualche cosa di pi d'argento per pagare il biso
gno e la scarsezza dell' oro ; onde in realt da se stessa sar costretta ad acco
starsi alla vera proporzione, ascendendo dal dare quattordici once a darne quin
dici d'argento per una d'oro. Ci infallibilmente accader nei grossi contratti e
nell' alto commercio , dove la sola quantit di peso e bont del metallo si consi
dera, ma nei piccoli , continui e giornalieri contratti che si fanno quasi tutti in
monete d'argento, le quali sono e pi abbondanti e comuni, e in monete di rame
che le rappresentano immediatamente, si alzeranno i prezzi di tutte le cose ven
dibili. Chi comprer, comprer con monete d'argento, un' oncia delle quali avr
il nome di equivalere ad 1[14 d'oncia d'oro, ma dovr dare un maggior numero
di queste monete, finch un' oncia di esse equivalga solamente al valore di 1[15
d' oncia d' oro. Lo stesso ragionamento si faccia nel caso opposto , vale a dire
dove per esempio invece di quindici d' argento per una d'oro, che si suppone la
proporzione comune, diasi sedici per una ; allora le altre nazioni porteranno tutto
l'oro per avere su di ciascun' oncia di quello un'oncia d'argento di pi. Rester
dunque una tal nazione scarseggiante e poi priva d' argento , sovrabbondante
d' oro; dovr dunque cambiando 1' oro coli' argento pagare coli' abbondanza di
quello la scarsezza di questo, cosicch verr da se medesima nei grossi contratti
a ristabilirsi la comune proporzione. Nei contratti pi piccoli e continui si ab
basser il prezzo delle cose vendibili, cosicch, per le cose che equivalgono ad
un' oncia d' oro, si sia dato solamente in argento l' equivalente di quindici once
e non di sedici. Ma frattanto vendendo presso le altre nazioni le cose sue, rice
ver solamente il valore di quindici once d'argento per quelle cose che dentro gli
sono valutate per sedici , finch la comunicazione non abbia ristabilito 1' equili
brio, e comprando sborser al di fuori solamente le quindici once, mentre nel di
dentro per la stessa merce si dovranno sborsare le sedici; onde questa nazione
506 HECCAl'.IA.

sminuirebbe il suo commercio interno , e farebbe sortire anche l' argento per
questo motivo, sminuendo perci la massa delle sue ricchezze, e sottraendo dal
l'interim circolazione una parte di valore. ,
. XVI. Noi abbiamo veduto l'effetto dell'alterata proporzione fra l'oro e l'ar
gento; ora facile vedere gli effetti dell'alteralo valore fra le monete dello stesso-
metallo. Egli certo che eia nell'oro sia nell'argento, in qualunque maniera siano
coniati, e qualunque nome di moneta portino un grano, 12, 20 di ciascheduno,
debbono avere sempre lo stesso valore. Se dunque in una moneta un grano d'oro
vale quindici grani d' argento , ed in un' altra solamente quattordici , cosicch
fosse Ossuto lo stesso valor numerario ad ambedue in proporzione del loro peso,
le altre nazioni cambierebbero tutte le monete d' oro dove vale quattordici, per
aver quelle dove vale quindici, e spoglierebbero quella nazione di un grano d'ar
gento per ogni grani quattordici di esso; cio avrebbe quella un sette per cento
incirca di perdita in tutte le sue vendite e in tutte le sue compre. Lo stesso dicasi
delle monete d'argento. Le nazioni porteranno quella moneta d' oro in cui va
lutato pi del dovere l'argento, per avere quella dove valutato meno, se l'alte
razione sta nelle monete d'oro, o viceversa se l'alterazione sta nelle monete d'ar
gento. Quando poi una moneta d'oro di titolo inferiore, ossia di minore quantit
di metallo fino valutata come un'altra di miglior titolo, il che lo stesso caso
gi in altri termini accennato, ed sovente accaduto in una rifusione di moneto
o per infelicit di circostanze , o per il momentaneo vantaggio, o non sapendosi
in altra maniera imporre un impercettibile tributo; avverr che le monete mi
gliori, in confronto delle (piali sono valutate le inferiori, o sortiranno prestissimo
dalla nazione, o saranno rinchiuse o sottratte dalla circolazione con grave danno
di lutti gli ordini, perch resta avvilita l'industria e l'attivit d'ogni commercio,
rendendosi incerto, difficile e scarso il segno rappresentativo ed il pegno sicuro
d'ogni valore e d'ogni fatica. Allora si imitano e si rifabbricano dalle altre na
zioni colle monete migliori le inferiori, e queste con minor reale intrinseco me
tallo inondano la nazione e la spogliano sempre pi di danaro; onde seguono
nel corpo politico tutti i disordini , che nei corpi fisici sono cagionati dalla sic
cit e dallo stagnamento del fluido animatore (1).
. XVII. Per ultimo non sar inutile il qui notare per incidenza l'antico er
rore della maggior parte dei forensi, i quali decidevano che le restituzioni del
danaro dovessero farsi rendendo lo stesso valor numerario; per il che se antica
mente cinque lire fossero state prestate , cinque odierne lire si dovessero resti
tuire. Ma se le antiche cinque lire contenevano il valor reale di un'oncia d'ar
gento , e le odierne ne contengono due terzi solamente , secondo questa poco
legittima decisione si restituirebbe meno di quello che si ricevuto. Quindi molti
valenti uomini hanno sostenuto, che tanto reale metallo siasi ricevuto, tanto'

(1) Negli esemplari di questi Elementi dettali da Heecaria nella sua scuola, segue dopo
questo paragrafo una lunga digressione, divisa in 18 articoli, nella quale l'autore riassu
mendo l'esposta dottrina, sembra farne l'applicazione ai gravi disordini che cagionava a
quel tempo nello Sialo di Milano l'alterato corso delle monele. La specialit di questo
riferimento sar pur stalo il motivo, per cui la detla digressione venne omessa nell'e
semplare completo che io mi proposi per norma. Tuttavia , perch nulla manchi nella
presente edizione, ho stimato opportuno di darla come un'Appendice in fine di questo
Capitolo. {L'Edit. Milunuae).
DELLA MOKKTA. CAP. II. 507

reale metallo si debba rendere ; onde non pi cinque lire , ma sette e dieci con
questa norma si debbano pagare. Pure ci non sembra soddisfare totalmente al
l'equit, perch se coll'oncia d'argento un secolo fa io aveva il doppio delle cose
che per la medesima possa avere al presente, chi mi ha prestato allora quell'oncia
d'argento ha ceduto il diritto di avere il doppio delle cose che si hanno adesso.
Ora chi rende, dovendo rimettere il creditore nel pristino diritto, dovr rendergli
quanto gli basti per avere il doppio di queste cose: dunque non un'oncia d'ar
gento o sette e dieci delle nostre lire, ma due once d'argento o quindici lire dovr
rendere, onde abbia il diritto del doppio delle cose che con un'oncia d'argento
si hanno. Ma la variet e la mancanza di notizie e la diversa abbondanza delle
cose rendono difficile l'esatto computo di quanto giustamente si deve rendere.
Sembra che per approssimarsi al vero, si debba aver riguardo alla quantit di
metallo paragonata col prezzo dei generi di prima necessit nel tempo dell' im
prestito, perch questi sono i pi comuni, i pi noti e i meno variabili di tutti
nel valore.
Dar qui finalmente un brevissimo cenno delle correnti proporzioni fra l'oro
e l'argento nelle diverse principali nazioni. In Alemagna come 15 1[2 ad 1; in
Olanda come 14 1|5 ad 1; in Inghilterra come 15 1|5 ad 1; in Francia come
14 *7/lll0 ad 1; al Giappone come 8 ad 1; alla Cina, l'antica proporzione euro
pea come IO ad 1; alle Indie Orientali come 11 ad 1.
Ci che mi resta a dire sulle monete appartiene pi al cambio ed ai banchi
che alla teoria generale, e sar in breve trattato. Io non ho voluto in tale ma
teria, come in nissun' altra, particolareggiare, non essendo ispezione del profes
sore di pubblica economia ma dei ministri e magistrati di formare i progetti e
rappresentare i pubblici disordini.

APPENDICE AL PRECEDENTE CAPO II.

Da quanto si detto si possono sufficientemente raccogliere le seguenti mas


sime, che compiranno la teoria delle monete.
I. Nel fissare le rispettive proporzioni fra i metalli non si ha e non si de\e
aver riguardo che al metallo che in circolazione, non alle mouele che restano
oziose e sepolte.
II. Si racchiudono le monete, e si sottraggono dalla circolazione ogni volta
che a quelle si d un valore uguale o pi basso delle monete di titolo inferiore; o
sortono dallo Stato con altrettanta perdita della nazione, quant' la somma delle,
differenze fra i titoli delle monete migliori pareggiate colle inferiori: e queste di
titolo inferiore sono dalle altre nazioni coniale per iutrodurle in qualche Stato,
ed estrarne con profitto le migliori.
III. Nel fissare la proporzione fra l'oro e l'argento si dee seguire la propor
zione comune fra le nazioni tra di loro commercianti ; perch quella fra queste
che l' alterer , perder tanto del metallo in ragione dell' alterata comune pro
porzione.
IV. Onde, come tutto il metallo circolante sta a tutto l'altro metallo parimenti
508 Beccaria.
circolante, cos sia ciascuna parte di quello a ciascuna egual parte di questo: e
questa proporzione si pu conoscere dai sovrani e dai ministri paragonando il
valore de' metalli che ricevonsi per tributi ed alla zecca per il conio, con il valore
dei metalli brutti corrente presso gli argentieri ed orefici , non che col cambio e
col grosso commercio esterno.
V. Similmente un grano d'oro fino in qualunque moneta deve valere l'istesso
peso di argento in ciascuna moneta d'argento, o il proporzionato peso di rame
in tutte le monete di rame, ed avere lo stesso proporzionato valore in tutte le
monete miste; cos l'argento nelle monete d'oro e di rame, ed il rame in quelle
d'oro e d'argento.
VI. I forastieri nou valutano nelle monete nazionali u la spesa della mone
tazione, n la lega frammista al metallo fino nelle monete nobili, ma il solo e
puro oro, e il solo e puro argento di cui sono composte. Dunque la nazione per
derebbe la spesa della monetazione coll'uscita delle monete nazionali, se ella non
facesse lo stesso colle forastiere; e parimenti fabbricando monete con molta lega
perde tanto valore, quanto ne possa essere contenuto nella lega delle monete na
zionali che escono. Perci quella nazione che fabbrica monete colla minore spesa,
e pi quella che stampa d'oro purissimo e di purissimo argento, oltrech le spese
della monetazione sono minori, risparmia la perdita di un valore.
VII. Dippi le monete purissime ottengono un credito pi esteso, e facilmente
acquistano nelle ricerche e nel cambio qualche vantaggio ed un prezzo di affe
zione maggiore ; talvolta ancora per l' uso di alcune arti, nelle quali si adopera
purissimo metallo. La nazione quando vende ricevendo il valore delle sue monete
per il vero che ella le d, e quando compra dandole per quel maggiore che sono
stimate, guadagna egualmente in ambedue i casi.
Vili. Da qui apparisce che la sortita delle monete nazionali, ben lontana di
essere dannosa come superficialmente si crede , anzi utilissima ed indizio di
vera prosperit, quando le monete siano regolate secondo le vere proporzioni
correnti , e non secondo le leggi arbitrarie di ingiusta preferenza. Nel caso che
la nazione non compri pi, o almeno compri egualmente di quello che vende,
segno che altre nazioni stimano queste monete nazionali pi del dovere; perci
comprando da quelle d realmente minor intrinseco di quel che non darebbe , e
vendendo non le riceve che per il vero e suo minor valore, onde riceve di pi
di quel che riceverebbe ; poich quantunque non pagata colle monete nazionali ,
ma con altre monete, queste si paragonano coll'accresciuto valore della moneta
nazionale.
IX. Il valor numerario delle monete, che una volta indicava quanto intrin
seco di rame si dava per l'oro e per l'argento, ossia il prezzo di ambedue questi
metalli, ora indica meno la quantit del metallo che la divisione delle monete no
bili in tante porzioni o tanti gradi di slima rappresentati dalla moneta di rame;
che perci racchiude in s, parte un valore reale, e parte un valore immaginario
datole dal conio e dall'impronto, e sottratto dal peso e dal metallo.
X. Intanto poi questo valore immaginario che avvilisce oltre la vilt del me
tallo la moneta istessa, non spoglia le nazioni dell'oro e dell'argento: 1 perch
questa alterazione e questa differenza tra il valor intrinseco e il valor numerario
delle monete di rame comune, e quindi compensata reciprocamente , bench
in parte non egualmente presso tutte le nazioni; 2 perch le contrattazioni gros
APPENDICE AL PRECEDENTE CAPO II. 509
se, le quali malgrado le disposizioni e le leggi contrarie che possono favorire l'a
buso seguono sempre mai la vincente realit delle cose, si fanno con le monete
d'oro e d*argento , e secondo il valore di metallo come metallo pi che di mo
neta come moneta; 5 finalmente perch costando notabilmente il voluminoso
trasporto di questa pesante moneta di poco valore, tanto per questo titolo si pu
soffrire d'immaginario in tali monete diviso su ciascheduna di esse , quanto co
sterebbe il trasporto di un'eguale quantit di simili monete.
XI. Ma non questo il solo inconveniente che nasce dall' alto prezzo delle
monete di rame. Queste si cambiano con le monete nobili, che solo hanno prezzo
e stima appo li forastieri, restringendosi elleno ne' confini dell'interna circola
zione di ciascun paese. Dunque nel commercio e nella comunicazione di varie
nazioni accadere, che da' possessori dell'oro e dell'argento, e principalmente dal
primi negozianti che commerciano e dentro e fuori, si faranno due sorla di cam-
bii di quest'oro e di quest'argento ; un cambio al di dentro con un valore parte
reale e parte immaginario, e un cambio al di fuori con un valore tutto reale. Le
monete nobili dunque perdono cambiate al di dentro in confronto del cambio al
di fuori. 11 grosso negoziante, che deve sborsare a' forastieri qualche somma, non
potrebbe farlo se non fosse sicuro di trovare, quand'egli voglia, quella specie di
danaro che egli deve sborsare e che ha credito presso le nazioni. Ora, se egli ri
cevesse la moneta di rame in cambio di quella d'oro o d' argento col valore im
maginario che ella ha, verrebbe a ricevere minore proporzionato metallo e nes
sun intrinseco di quello ch'egli possiede, e che deve sborsare, n potrebbe ria
verlo quando volesse. Dunque cambier l'oro col rame, dimandando qualche cosa
dippi del prezzo fissato dalle leggi; onde il valor numerario delle monete cre
scer a poco a poco. Vi saranno dunque due valori ne' contratti e nella nazione;
il valor corrente , cio il valor numerario accresciuto che noi diciamo abusivo ,
ed il valor di legge che noi diciamo di grida, che il primitivo, ma che rappre
senta per la seguita alterazione maggior valore immaginario.
XII. Quali saranno gli effetti di questi due contemporanei valori? 1 Si al
zeranno i prezzi di tutte le cose, perch i venditori in dettaglio possano rifarsi
della quantit del falso ed immaginario valore che si d alla moneta di rame in
paragone delle monete nobili di oro e d'argento; 2 frattanto che i salarj degli
operai, il vitto ed il mantenimento dei giornalieri non si alza in proporzione del
l'alzamento del prezzo delle cose, come dovrebbe accadere acciocch la fatica ot
tenesse il suo premio, anzi che restar disanimata. Quando cresce il valor delle
cose per l'accresciuta quantit circolante di danaro, allora nasce concorrenza nel
pagare di pi la giornata dell'operaio, perch l'accresciuto danaro d tutta la fa
cilit di poterlo fare; ma quando cresce per l'incoerenza delle monete basse colle
monete preziose, allora i padroni che regolano i salari sul valor reale e sul totale
de' loro prodotti, che si misura con monete d'oro e d'argento, non possono au
mentare li detti salari ; onde ogni travaglio non rende a' giornalieri quella por
zione di guadagni che loro fornisca li cinque alimenti necessarii per la prospe
rit universale delle arti e delle opere tutte. In terzo luogo, se una nazione non
vende alle altre pi di quello che compri da esse , pu correr rischio con tale
sbilancio di perdere quasi tutto il suo oro ed il suo argento, e di restare innon
data dalla feccia delle pi vili monete; il che porterebbe un eccessivo rincari-
mento del tutto , e quindi resterebbe sopita ogni industria ed ogni attivit.
.ili) BKCCARI.

XIII. Dunque ogni nazione, che abbia nelle sue monete di rame valori im
maginarli, deve per prima osservazione rifondere la bassa moneta; nel che l'are
dovr avere due riguardi. L'uno di togliere tutto l'immaginario e seguire esatta
mente la proporzione corrente tra il rame e l'argento. Se la comune proporzione
di Europa, secondo che qualche scrittore asserisce, fosse tra il rame e l'argento
come 100 ad 1, e se in conseguenza il marco d'argento, cio un peso di 8 once
ne valesse 100 di puro rame, allora 100 simili monete di rame debbono valere e
darsi, n pi n meno per una moneta d'argento di egual peso di una delle 100 di
rame. L'altro riguardo che si dovr avere, sar di fare le divisioni delle monete di
rame in parti pi piccole che sia possibile e conveniente (mentre l'altro eccesso
sarebbe parimenti dannoso), sicch alle altre nazioni non convenga per la spesa
del trasporto, che diventa tanto pi voluminoso quanto pi piccole e numerose
sono le parti componenti la moneta di rame, di trasportarla battuta al conio della
nazione per estrarre i metalli preziosi e renderli cos cari e costosi oltre il valor
loro reale ed intrinseco. Dippi la divisione del rame in parti piccole e numerose,
utilissima , perch la moneta di rame meglio si adatta a rappresentare tutta la
variet dei minimi valori; ed il prezzo delle cose potendo crescere ed abbassarsi
per gradi successivi e poco sensibili, giova alla concorrenza de' compratori egual
mente che a quella de' venditori ; onde il naturai prezzo pi facilmente e presta
mente si stabilisce, e si fa maggior luogo all'altercazione de' contratti. Finalmente
di questa moneta di rame non se ne dovr coniare che quanto basta alla circo
lazione giornaliera, e niente dippi; perch se di troppo se ne battesse, nuocerebbe
alla circolazione dell'oro e dell'argento, procurandosi allora da tutti di serbarsi
le monete d'oro e d'argento, col mettere invece in moto la moneta di rame. La
quantit necessaria a ciascheduna nazione dipende dalla di lei popolazione e da'
bisogni popolareschi. Ora ne' temperati nostri climi Europei questi bisogni sono
quasi simili dappertutto, presi almeno in grande e nel loro totale; dunque dalla
maggior o minore popolazione dipender principalmente la norma per battere pi
o meno monete basse.
XIV. Rifatta la moneta di rame, potr facilmente la nazione regolare per
editto il valore delle monete d'oro e d'argento; il quale editto non realmente un
comando, ma solo una dichiarazione del vero, la quale sar infallibilmente obbe
dita, perch senza di esso, rifatta che fosse la bassa moneta, da se stessi al vero
si accosterebbero i valori numerari di tutte le monete.
Giova qui riflettere che appunto si potuto senza immediato accorgimento
alterare il valore delle monete nobili, perch le monete essendo di diversa bont,
non si scopre l'alterazione che a poco a poco. Dippi essendo nella moneta di
rame, che misura il valor numerario delle altre monete, molto valore immagi
nario, quanto pi grande questo valore di puro nome e d' immaginazione, tanta
maggiore alterazione pu soffrire il valore delle monete nobili quando sia distri
buita proporzionatamente; per il che il variare per editto il valor numerario delle
monete d'oro e d'argento, sar un aggiungere o sottrarre valore immaginario
dalle monete di rame. Ma quando l'alterazione conosciuta, e al di l del valore
immaginario o non proporzionatamente distribuita , allora l'editto cade in obli
vione, non essendo possibile il cangiare i necessari rapporti delle cose, n poten
dosi eseguire se non nei pagamenti che si fanno dai sudditi alle casse pubbliche
e da queste a' sudditi; nelqual caso secondo la natura dell'alterazione diventano
APPENDICE AL l'Ili -l-.Kf.NTI-; CAPO II. 511

o un tributo maggiore de' sudditi, o per lo contrario una perditi delle casse pub
bliche e dell'erario del sovrano. Ma non possibile di eseguire l'editto universal
mente in tutta la continua moltiplicala de' contratti tra sudditi e sudditi, perch
sarebbe troppo fatale il portare la rigida perquisizione , acciocch fosse eseguita
esattamente la legge in ogni luogo, in ogni tempo, e contro tutti.
XVI. Il valore numerario si alzato comunemente in Europa in tutte le mo
nete, perch si sono alterati i titoli delle monete medesime. L'oro, come il pi
prezioso e stimato, come quello che con pi gelosa cura si riguarda e si serba,
stato meno alterato; ma l'argento ha sofferto maggiore mescolanza, e perch pi
suscettibile, stato pi mascherato di lega e d'impuro metallo; quindi si sono
date pi monete d'argento per oro di quello che si davano, oltre anche la rela
tiva abbondanza dello stesso argento accresciuta. Cosi essendosi nella moneta
erosa e di rame trovato un valore immaginario, si dato pi di questa per l'ar
gento o per l'oro che di prima non si dava. Una nazione che non facesse com
mercio esterno di sorta alcuna, potrebbe senza inconveniente soffrire il valore
immaginario delie monete, perch allora ricevendo queste la loro autenticit dal
conio pubblicamente venerato, e divenendo un segno riconosciuto di un diritto
acquistalo sopra le cose equivalenti, il ricever meno metallo si ricompenserebbe
con darne meno ; ma facendosi commercio esterno , dove non si d altro credito
che al reale metallo, non al conio, perde quella nazione che ha valore immagi
nario nelle sue monete, come abbiamo di gi dimostrato. Quindi la differenza tra
il valore detto abusivo e il reale (cio, che tale sarebbe, se ci che vi d'imma
ginario nella moneta fosse in sostanza) detto di grida, crescer sempre, finch
il valor numerario giunga ad eguagliare perfettamente ed in ogni contratto la
realit del metallo che manca, dandosene sempre di pi. Ma siccome questo al
zamento non segue che per ragione del commercio esterno, e in occasioni di sborsi
e pagamenti che si debbono fare al di fuori e che sono spessissimo compensati
senza uscita alcuna di danaro, cosi si fa esso lentamente e solamente all'occasione
di queste reali uscite di monete nobili della nazione. Dunque questo solo alza
mento in qualche maniera una misura della vivacit del commercio; e in questo
caso sempre proporzionato all'uscita reale del danaro.
XVII. Cercasi, se ciascuna nazione deve battere propria e nazionale moneta.
Per ci sapere, bisogna vedere la situazione di ciascuna nazione. Perch se quella
sar grande, circondata di naturali confini , cio catene di monti , mari , fiumi
reali, potr escludendo le monete forastiere, cio ritirandole alla zecca per il me
tallo che contengono, e restituendole battute in monete nazionali a quelli che ve
le portarono e queste monete nazionali essendo ben proporzionate e divise tra di
loro, mettersi al coperto delle frodi ed alterazioni di monete, che in molta esten
sione di paese e in tanta variet di commerci possono giornalmente accadere. Ma
se la nazione piccola, da varie nazioni circondata, avente confini solamente ar
tificiali, pare che non avendo un esteso e predominante commercio, non le con
venga tanto questo lusso di propria e nazionale moneta, dico di moneta d'oro e
d'argento, quanto l'accettarle tutte e valutarle per nient'altro che il metallo fino
che contengono, e secondo le proporzioni correnti. N potr convenire la rifusione
delle monete, se non nel caso di un disordine generale e complicato di pessime
e molliplici monete, perch allora converr, per fissare un modello di vera e reale
valutazioni', battere monete non solo di rame ma ancora di oro e di argento; la
512 BECCARIA.
quale nuova moneta cangiando in un momento tutte le idee di paragone, egli
pi facile di correggere il troppo complicato ed inoltrato disordine. Una nazione,
che non abbia miniere, non pu rifondere moneta, se nou per fare un commercio
lucroso sul disordine delle monete delle altre nazioni. Quando non si faccia a
quest'oggetto , e tale disordine non vi fosse , o non si sapesse o non convenisse
rintracciarlo, il battere moneta non sarebbe che spendere inutilmente in una ma
nifattura sulla quale senza danno non si pu guadagnare, sia sulla mano d'o
pera, sia sulla materia prima; dovendosi sempremai dare e ricevere metallo per
metallo, secondo gli accennati principii, in ogni luogo e da tutti. Una nazione
poi che abbia miniere, non ha per questo la vera ricchezza, ma soltanto i segni
di quella, onde non deve tanto essere sollecita di moltiplicare i segni, quanto di
moltiplicare i mezzi che attraggono questi segni, il che dal solo travaglio e dalla
sola felicitante attivit, non dalla danarosa indolenza, si pu ottenere.
XVIII. Quando convenga battere moneta, cercasi allora se convenga far
pagare la spesa della monetazione dalle monete medesime, ovvero imporre un
leggiero tributo, perch questo non pu essere considerabile relativamente alla
quantit delle monete battute. Io mi appiglierei al partito di coloro che vorreb
bero piuttosto il tributo; perch rincresce a tutti quelli che hanno monete vecchie
il doverle portar alla zecca, e ricevere in grazia della nuova monetazione meno
metallo di quello che essi hanno dato. Dal che ne segue che molte monete si
nascondono e si rinserrano, e molte ne escono precipitosamente dal paese. Al
tronde seguono alterazioni nei prezzi, perch chi ha ricevuto meno metallo cerca
di rifarsi. Inoltre sembra anche pi giusto il tributo di quello che la spesa ri
partita sulle monete. Chi ha molto del vecchio danaro, che si va rifondendo
perde di pi, chi ne ha meno, perde meno. Eppure nissuno di questi dovrebbe
perdere la minima quantit del suo metallo, perch gli si toglie con ci il cor
rispondente legittimo diritto di cose equivalenti. Paga dunque chi pi, chi meno
la nuova monetazione, la quale essendo fatta per benefcio di lutti, da tutti pi
egualmente che fosse possibile debb'essere pagala. Quando poi con un leggie
rissimo tributo confuso nella massa di tutti gli altri si fa la monetazione, nissuno
si accorge dell'aggravio, e tutti sicuri di nulla perdere portano a cambiare le
vecchie colle nuove monete. Anzi se il valore alterato, giustizia vorrebbe che
le monete si ricevessero per il valore che la buona fede d loro, quantunque non
vero, perch non accadano quei gravi sbilanci che in queste occasioni sogliono
avvenire, e gi da noi divisati. Una porzione del tributo annuo, a quest'oggetto
ben regolata, senza danno alcuno potrebbe ovviare a questi inconvenienti. Da
ci si vede quanto imbarazzanti sieno e scabrosi i mali prodotti dal disordine
delle monete, se i rimedii stessi corrono rischio per lo pi di essere gravosi per
molti. Si obbietter che i forastieri i quali verranno a far battere moneta, se la
zecca lavora per pubblico conto, non deducendo la spesa sulla moneta medesima
avranno gratuitamente le monete coniate. A ci si risponde: 1 che solamente
col puro tributo si pagher la monetazione quando per editto o decreto del prin
cipe si faccia, non quando per comodo de' particolari; 2" che non si dovrebbe
invidiare a' forastieri questo vantaggio quando lo avessero, perch frattanto che
essi faranno o faranno fare questo lavoro, dovranno o consumare qualche cosa
nello Stato, o pagare provvisione a chi danno questo incarico; ed il trasporlo di
questo metallo nell'entrare e nell'uscire costerebbe sempre qualche valor mag
DELLA CIRCOLAZIONE E CONCORRENZA. CAP. III. 515

giore della spesa della monetazione, e perci il vantaggio dello Stato sar mag
giore del danno.

CAPO III.

Della circolazione e concorrenza.

. XVIII. Noi abbiamo riuniti questi due oggetti, mentre dovranno breve
mente essere trattati, s perch spessamente e diffusamente ancora dove accadeva
ne sono stati esposti i principii e le massime pi necessarie ed occorrenti, come
pure per la brevit del tempo e la moltiplicit delle materie che ci angustiano.
Visto che sia la moneta e l'uso ampio universale di essa, cio di essere mi
sura generale d'ogni valore, si vede subito quanto questa fondamentale costu
manza di contraltare, e questa uniforme maniera di baratti abbia aggiunto di
facilit, di sicurezza e per conseguenza di stimolo a tutti i commerci, e quanto
accrescimento ne abbia avuto la circolazione. Questo vocabolo, preso nella sua
massima semplicit, destinato a rappresentare il passaggio che fa un corpo
qualunque da un luogo ad un altro, finch ritorni al punto di dove era partito.
Applicando agli affari economici questa nozione, diremo una derrata o merce
essere in circolazione, quando partendo dal primo possessore o produttore passa
successivamente in altre mani, finch ritorni al primo. Ora di tutte le derrate e
merci, intorno alle quali tutta la mole de'commerci si aggira, altre si consumano
ed altre servono all'uso continuo de' nostri bisogni e comodi; la sola moneta
come tale non si destina n all'uso, n alla consumazione, ma si d e si riceve
come pegno e misura delle cose tutte che si consumano e si usano. Quelle dun
que entreranno o sortiranno ad ogni momento dalla circolazione, distruggendosi
presso il consumatore, fermandosi presso l'usalore; questa sola potr continuare
a passare per tutte le mani successivamente e ritornare ai primi posseditori.
Dunque la sola circolazione della moneta dovr essere considerata in questo
luogo. Ora siccome in ogni societ economica niente si d se non per ricevere,
niente si riceve se non si dato, ed ogni contrattazione e baratto suppone due
azioni equivalenti o credute tali, ciascuna delle quali appartiene rispettivamente
a ciascuno de' contrattanti; dunque la circolazione della moneta sar una fedele
rappresen'atrice delle azioni che si fanno dai cittadini. Chiunque avr attenta
mente considerato la natura del valore esposta nel primo capitolo di questa Parte,
avr veduto che uno zecchino pu per esempio rappresentare successivamente
una certa quantit di vino, poi una certa quantit di frumento, indi un determi
nato numero di pelli. Quanto pi rapidamente questo zecchino sar passato per
un maggior numero di mani, tanto maggior numero di cose avr esso misurato
e rappresentato. Dunque di un tanto maggior numero di azioni fatte sar indizio
e misura; e quanto pi lentamente sar passato per un maggior numero di
mani, tanto meno di azioni avr rappresentato. Sar dunque il numero delle
azioni de' cittadini in proporzione della quantit di moneta circolante, del numero
delle mani per le quali ella passa e del tempo pi breve nel quale fa questi pas
saggi. Ma se il tempo sar pi breve, supponendo che la moneta non si rac-
Econam. Tom. III. 53
li HfclXARU

chiuda, ma continui a circolare o almeno a produrre altre azioni, passer neces


sariamente in altre mani; dunque quest'ultima considerazione si riduce a quella
del passaggio per un maggior o minor numero di rappresentanze. Ora noi abbiamo
veduto che il rappresentatore universale d'ogni valore l'alimento, ossia la con
sumazione. Ma questa consumazione essendo continua e contemporanea in molti,
e a questa riducendosi tutte le spese e tutti i baratti che in tutti i commerci si
fanno, ogni moneta arriver infallibilmente o una volta o l'altra, dopo varii giri,
a cambiarsi immediatamente con qualche cosa, di cui l'uso la consumazione.
Ma se si prendano in massa tutte le consumazioni diverse che si fanno da tutte
le diverse classi e condizioni di cittadini, si trover (come accade sempre in tutte
le masse grandi, e di graduate e varianti quantit combinate) che compensandosi
il pi col meno, trattandosi massimamente di soddisfare bisogni d'individui si
mili, presso a poco costanti, si trover, dico, a un di presso eguale la giornaliera
ed attuale consumazione che in una volta si fa, a tutte le altre combinazioni
giornaliere e di altre volte. Ma in una attuale consumazione la moneta dell'uno
non pu servire ad un altro, perch combinandosi amendue a consumare nello
Stesso tempo, necessario che abbia ciascuno la moneta che gli d questo diritto
a consumare. Dunque la quantit della moneta circolante sar proporzionale alla
quantit della giornaliera ed attuale consumazione. Quindi, sia detto qui per in
cidenza, non fuori di luogo il sospetto che io ho, e che per altro merita pi
matura considerazione, del potersi sciogliere questo problema; cio che data una
moneta qualunque e dato un valore rispettivo che ha in due naziopi, si possa
conoscere la rispettiva forza e ricchezza di quelle nazioni. Perch se avuto ri
guardo alla popolazione e consumazione, paragoner la quantit di cose che con
uno zecchino si possono contemporaneamente comprare in una nazione A, col
numero di cose parimenti contemporaneamente comprate nella nazione B, la forza,
la ricchezza, ossia il numero delle azioni o prodotti della nazione A, saranno a
quelli della nazione B in ragione reciproca di questa quantit; e sar pi forte
la nazione, quanto minore il numero delle cose che con uno zecchino si hanno,
a pari popolazione. Ma lo zecchino si sottodivide in tante monete ultime di rame
che unite insieme lo rappresentano, e l'ultima e minima moneta di rame rappre
senta U minimo valore di una cosa contrattabile. Quando dunque nelle monete
di rame non stata artificiale la divisione, ella si fatta secondo il bisogno, cio
si divisa la misura di universal paragone, finch la quantit assoluta di danaro
corrispondesse ai bisogni contemporanei, ossia all'attuale consumazione, e fin
dove la rapidit della circolazione in questa supposizione non potesse supplire.
Dunque in questa supposizione, il valor numerario tanto maggiore di una stessa
moneta indicher altrettanto minor forza, minori azioni e minor circolazione, e
cosi viceversa. Si potrebbero perci stabilire alcune tavole, nelle quali colla po
polazione e col numero delle cose da una moneta variamente in varie nazioni
rappresentate, si verrebbe a conoscere la rispettiva forza delle nazioni. Ma basta
avere accennata una tale importantissima speculazione per chi ama di meditai'
profondamente in questo oggetto, il tempo non permettendo di pi oltre svilup
pare una tale teoria.
Ma per ritornare onde eravamo partiti, quando crescer la massa circolante
crescer infallibilmente la consumazione attuale. Supponendo l'abbondanza re
lativa eguale e crescendo l'attuai consumazione, crescer infallibilmente la massa
DELLA CIRCOLAZIONE E CONCORRENZA. CAP. III. 515

circolante. Troppo lungo sarebbe, a chi molte altre cose deve dire, il fermarsi
pi oltre su tutte le considerazioni, che per altro meriterebbe questa verit. Ri
flettasi soltanto primieramente, che la circolazione tien luogo effettivo per le cose
che non sono d'attuale consumazione. Siavi uno che abbia trenta mila monete,
e due che abbiano ciascuno quindici mila capi di merci; le trenta mila monete
varranno le trenta mila cose. Ma uno che non fosse possessore che di quindici
mila capi di merci, tosto che avesse ricevute in prezzo delle sue quindici mila
cose vendute le quindici mila monete, potrebbe con queste ricomprare dall'altro
gli altri quindici mila pe/.zi di roba; ed ecco come quindici mila monete, pas
sando per due mani successivamente, sono state equivalenti alle trenta mila mo
nete. Dunque la quantit del danaro circolante, moltiplicata per il numero delle
azioni che va successivamente rappresentando, sar eguale al valore totale di
tutte le azioni e cose prese insieme, se fossero tutte in una volta poste in con
trattazione. Dunque uno Stato che avesse la met meno di danaro di un altro
Stato, ma che invece facesse fare quattro giri al suo danaro intanto che l'altro
Stato ne facesse solamente due, sarebbe egualmente ricco e forte come questo
secondo; anzi se questo doppiamente danaroso non facesse fare alla sua moneta
che un movimento, mentre l'altro met meno danaroso ne facesse quattro, sa
rebbe un tale Stato colla met meno di danaro al doppio ricco dell'altro; perch
cento mila monete in un solo contratto rappresentano cento mila azioni, ma cin
quanta mila in quattro contratti ne rappresentano due cento mila. Non dun
que propriamente la quantit assoluta del danaro che forma la ricchezza e pro
sperit di uno Stato, ma la rapidit e prontezza del suo movimento. Non sono
i segni, ma le azioni che formano la forza e la felicit de' cittadini.
5- XIX. Le azioni adunque produttive ed utili debbono eccitarsi V una l'al
tra, come le ondulazioni di un fluido messo in moto da qualunque causa impel
lente; e la quantit de' segni accresciuta in uno Stato non utile perch sia
accresciuto il volume e la massa di questi segni, ma perch durante l'accresci
mento fanno crescere il numero di questi movimenti, accelerano i gi nati e nuovi
ne producono. Lo stesso dicasi press' a poco della diminuzione : non dan
nosa precisamente come diminuzione, ma perch una tale diminuzione rallenta
ed estingue il numero delle azioni che si producono nella societ, non trovandosi
pronto e facile l'accostumato danaro a rappresentare i valori delle diverse cose
che entrano in contrattazione, e delle azioni che si producono. Se in proporzione
della diminuzione si procurasse di accelerare il movimento del danaro diminuito,
ossia si trovasse un mezzo di aumentare la circolazione, nissun danno ne ver
rebbe dalla diminuzione alla societ. Mi rincresce di dover passare troppo rapi
damente sopra una cos bella speculazione, che io sono costretto di lasciare alla
sagacil e alla meditazione de' miei uditori.
. XX. Riflettasi in secondo luogo, che quanto si da noi diffusamente
spiegato intorno alle cause aumentanti la prosperit delle arti e dell'agricoltura,
ed alle cause che vi si oppongono, dovr considerarsi come causa acceleratrice
0 ritardatrice della circolazione, onde non si deve qui ripeter noiosamente.
. XXI. Riflettasi in terzo luogo, che la circolazione del danaro si aumenta
e si rende sempre pi facile come la circolazione di tutte le altre derrate, mas
sime nelle grandi distanze. A misura che la moneta pi voluminosa, pi dif
ficilmente e meno comodamente divisibile o adattabile a lutti i generi di con*
516 BECCARIA.

trattazione, il suo trasporto costa tempo e fatica, ed acquista un valore che entra
a diminuzione, per cos dire, della di lei forza rappresentativa. Dove il trasporto
fosse nullo, ivi tutto il resto delle cose essendo eguale, la circolazione sarebbe
massima. Da questa variet alcune importanti luminose conseguenze si dedur
ranno ben presto: doveasi soltanto qui accennare.
. XXII. Ma ci che la circolazione in generale pi d'ogni altra cosa con
duce al massimo punto di velocit, la concorrenza nella massima sua esten
sione, cio a dire la concorrenza di tutte le cose valutabili con tutte rispettiva
mente: abbiamo gi veduto che sia concorrenza in tutto il decorso di queste
lezioni; giova solo qui avvertire dover questa essere generale; ed appunto que
sta universale concorrenza che aumenta il moto e l'azione: senza la quale tutto
giacerebbe nel silenzio vuoto ed immutabile della morte. Questa che, rendendo
ogni cosa prontamente correspettiva rappresentatrice d'ogni altra, anima l'in
dustria e la speranza di ogni membro della societ. Questa concorrenza debb'
essere massima tra le azioni scambievolmente operatrici, non tra le azioni che a
nissun risultato finiscono, n di cui rimanga vestigio ed effetto. Di quelle se ne
deve per quanto possibile aumentare il numero all'indefinito, ma di queste
debb'essere il limite la rigorosa necessit, e in queste debb'essere impiegato il
superfluo che non pu in quelle esser adoperato: massima importante non meno
per la pubblica che per la privata economia, e la quale forse ancora non infeli
cemente alla morale ed alle belle arti potrebbe essere applicata.

CAPO IV.

Del commercio.

. XXIII. Dalla circolazione delle azioni economiche a vicenda producentisi


le une le altre, e rappresentata dalla circolazione del danaro, dalla concorrenza
di molti a far le medesime cose ed a venderle, e di molti a comprarle o per la
consumazione o per l'uso, nasce il commercio, il quale va distinto dalla parola
contratti, baratti ecc., in quanto questi si destinano a rappresentare singolar
mente il cambio attuale di una merce con l'altra, o l'attuale compra o vendita
di una determinata cosa o azione, o anche di un determinato diritto a qualche
cosa. Ma il commercio una parola collettiva destinata a rappresentare la suc
cessiva serie di tutti i contratti che si fanno, sia di tutte le merci, sia d'una classe
distinta di quelle. Si suole definire da molti il commercio per il cambio del
superfluo col necessario, ma questa definizione non sembra esattissima, perch
non sono ben distinte e definite le parole troppo generali di superfluo e di ne
cessario, le quali sembreranno chiarissime a chi soltanto dalle parole alle cose
non si ferma giammai a rendersi conto esatto delle proprie idee. Cambiasi spes
sissimo il superfluo col superfluo; onde invece della suddetta definizione un'altra
migliore e pi adequata potrebbe sostituirsi, cio essere il commercio il cambio
del non utile o del meno utile relativamente, con ci che relativamente pi
utile, presa questa parola utile nel suo primario e generale significato, cio di
DfiL COMMERCIO. CAI'. IV. 517

ci che serve, siano le cose utili e servibili di necessit fisica o morale, o di sem
plice comodit, o anche di delizia e di piacere.
. XXIV. Dividesi parimenti il commercio in interno ed esterno; chiamasi
interno quel commercio che si fa dentro i confini di uno Stato, esterno quello
che si fa cambiando cose qualunque, che siano prodotte o manifatte, o almeno
rappresentanti un qualche valore o una qualche azione fatta dai membri com
ponenti quello Stalo, con cosa di una simile natura di altri Slati. Questa defini
zione di commercio interno ed esterno, non avendo altro rapporto che a' confini
politici di uno Stalo, ne ha uno immedialo riguardo al sovrano, e ci in due
maniere: al sovrano come sostenitore de' pesi dello Stato, ai quali ognuno deve
concorrere per mezzo delle proprie azioni o dell'equivalente di queste azioni, il
che con il commercio si ottiene; e al sovrano come distributore giusto ed equa
bile della pubblica felicit, cio della felicit di tutti quest'individui che gli sono
soggetti. Ora il commercio non si fa soltanto per cambiare uguali cose con uguali
cose, ma cercando di dar meno di ci che meno serve, per avere quanto pi si
pu di ci che serve. Egli vero che il commercio suppone eguaglianza, cio
stima simile da una parte e dall'altra, la quale stima determina, come abbiamo
veduto, il valor delle cose. Ma questa stima varia, secondo le occorrenze, in varii
tempi e in varii luoghi. Se dunque con una determinata quantit di una merce
veuduta ho comprato una cosa stimala 10, e che questa cosa stimata 10 la ri
venda in un tempo ed in un luogo, quando non pi 10 ma 12 sia stimata, avr
un profitto di due; sicch ripigliando con queste 12 della medesima cosa nel
luogo dove 10 stimata, potr averne 10 ed 1|5; e cos di mano in mano per
serie cresceranno questi profitti. Premessa questa nozione si trover, che riguar
dando il sovrano come ricevitore ed amministratore dei valori dovuti dai membri
di una societ per la conservazione e tutela della medesima, il commercio in
terno vi avr rapporto in quanto esso l'effetto e nel medesimo tempo lo stimolo
alla produzione di tulli i valori, una parte dei quali dovuta allo Stato ed al
sovrano. Ma il commercio esterno potendosi fare con profitto, cio con ricevere
per una determinata quantit di valori una mollo pi grande, servir di stimolo
maggiore e pi efficace, onde aumentare questa produzione di valori, nel mede
simo tempo che facendo acquistare dai sudditi di altri Stali una parte conside
rabile di questi valori prodotti, i cittadini fanno realmente pagare una porzione
del tributo e dei pesi dello Stato alle altre nazioni. Riguardando poi il sovrano
come distributore della felicit pubblica, il commercio interno vi ha bens un im
mediato rapporto come animatore e creatore di produzioni e di opere, ma non
come commercio di proftto, perch il profitto di un cittadino a spese dell'altro,
ella una mano che riceve dall'altra, onde per questo titolo non solleva i membri
dello Stato. Ma il commercio esterno, oltre l'influenza che ha simile al com
mercio interno di animare e stimolare alla produzione di nuovi valori, ha l'altra
considerabile come commercio di profitto, perch i profitti del commercio esterno
sono in vantaggio dei cittadini a spese dei non cittadini, onde cresce la somma
dei valori per i membri dello Stalo, senza la perdila di nissuno dei membri dello
Stato medesimo.
. XXV. L'accrescimento del danaro in uno Stato anima l'industria e l'at
tivit dei cittadini, come abbiamo gi indicato; ma questo danaro gi accre
sciuto non ha pi influenza alcuna sull'industria medesima, se non in quanto
518 BECCARIA.

sottratto per qualche circostanza dalla nazione vi ritornasse per una qualche al
tra, perch allora mentre ritorna ad aumentare la massa circolatrice, trovando
ciascuno maggior facilit e maggior copia di danaro pi dell'usato guadagnata,
raddoppia le sue fatiche e la sua diligenza. Oltre di ci il danaro, accresciuto
di troppo, fa diminuire e perdere il commercio esterno, perch l'aumentato vo
lume dei segni indica l'abbondanza del danaro, e per conseguenza l'avvilimento
del suo prezzo. Un minor numero di segni, che la stessa merce rappresenti, in
dica minore abbondanza e perci maggiore stima di quello. Quelli dunque che
avranno danaro, procureranno di spenderlo dove in maggior stima, cio dove
vale di pi, ossia ottiene pi cose che dove in minore stima, vale meno e meno
cose ottiene; onde ad eguale bont di mercanzie saranno preferite le nazioni pi
povere di danaro alle pi ricche. E cos una nazione che avr una massa circo
lante pi considerabile, supposta uguale bont e quantit di prodotti, perder
nella concorrenza con quella che abbia una minor massa circolante.
Da tutto ci si pu comprendere di quanta importanza sia l'aumento e la
conservazione del commercio esterno, nou solo per l'utile aumento di danaro
entrato, ma ancora per il non meno utile e talvolta indispensabile sfogo di da
naro uscito, e quanto importuna sia l'impossibile idea di coloro che vorrebbero,
che una nazione contenta di se stessa facesse di meno di tutte le altre, ed in una
beata e totale indipendenza tutta in se medesima e nei confini suoi si concen
trasse. 11 commercio esterno quello, che togliendo gli uomini dall'infeconda
uniformit li spinge al moto ed al cangiamento. Per legge inesorabile di natura
sta fissa la perpetuit e la durazione delle cose, il ben essere e la perfettibilit
degl'individui.
. XXVI. Si divide il commercio esterno in commercio di produzioni ed in
commercio di economia, il commercio di produzioni quello che si fa o colle
derrate cresciute nello Stato, o colle cose parimenti fabbricatevi. Il commercio
di economia o di trasporto o di rivendita, ed quello che si fa per mezzo delle
produzioni e manifatture di altri Stati, andando a comprarle ne' luoghi della
loro origine, indi portarle e rivenderle alle altre nazioni, profittando sui trasporti
e sulla rivendita.
. XXVII. In generale se il prezzo, cio il danaro rappresentante la somma
delle cose vendute maggiore del prezzo, cio del danaro rappresentante la somma
delle cose comprate, dicesi che la nazione abbia un commercio attivo. Se il prezzo
della somma delle cose comprate sia maggiore del prezzo della somma delle
cose vendute, dicesi che la nazione faccia un commercio passivo. Se questi due
prezzi sono eguali e si compensino tra di loro, dicesi che la nazione in bilancio.
Ma in qual maniera una nazione pu ella mai comperare per lungo tempo di pi
di quello che ella venda, cosicch ella faccia escire e consumi tutto il danaro
ricavato e ne debba di pi, se niente v' di gratuito in questo mondo, e se ogni
contratto di qualche cosa per qualche cosa? Rispondo che certamente non per
lungo tempo, n continuamente, ma per qualche tempo pu il prezzo delle com
pre eccedere il prezzo delle vendite, perch tutto il danaro, che esiste in una
nazione non per ci tutto in circolazione. Dunque il danaro, che morto e inat
tivo giace nelle mani di particolari, pu per qualche tempo supplire a pagare
l'eccesso delle compre sulle vendite, al quale non potente di soddisfare il da
naro circolante; ma quello fluito, dovr senza dubbio scemare ben presto la
DEL COMMERCIO. - CAP. IV, 519

possibilit di comprare di pi di quello che si vende, anzi sminuir la quantit


del danaro medesimo che in circolazione. Se le cose comperate siano di quelle
di uso continuo e comune, escir una parte del danaro circolante che sarebbe
destinata alla riproduzione delle cose che si vendono, onde scemeranno le azioni
utili e produttive delle cose che si vendono, ed anche il commercio interno dovr
indebolirsi. Ma nel medesimo tempo, scemata la quantit del danaro, si abbassa
il prezzo delle cose tutte che si vendevano prima, quando maggior copia di mo
neta era in circolo a pi alto prezzo, onde per questo capo ritorner la nazione
impoverita a riguadagnare ed a rimettersi da se medesima in bilancio con ven
dite pi frequenti. Onde chi ben considera le nazioni che hanno un continuo
commercio, ed un'aperta comunicazione tra di loro e un incessante andare e
venire di cose, non possono mai ridursi ad uno stato continuamente passivo l'una
rispettivamente all'altra, ma bens tendono continuamente all'equilibrio. Una di
queste nazioni perde per alcuni anni, ma riprende e guadagna per alcuni altri il
gi perduto. Sono dunque fallaci tutti que' disperati calcoli che da alcuni autori
si fanno, che rappresentano alcune nazioni europee come in uno stato di stabile
e continua passivit, rispetto alla somma totale di tutti i loro commerci. Questi
calcoli, con qualunque grande apparato di diligenza e di esattezza possano essere
fatti, non possono a meno d'essere fallaci, ogni qualvolta per necessaria conse
guenza ne risultasse una lunga e continua perdita, che fa una nazione su tali
particolari articoli di merci e per tempi limitati. Si potrebbe, a mio parere, di
mostrare con geometrico rigore, che ogni nazione finch non scemi o cresca la
somma delle sue azioni valutabili, non attiva, n passiva, ma in bilancio, e
che malgrado tutti i calcoli troppo incerti e su dati troppo inesatti necessaria
mente computati, questo lo stato di quasi tutte le nazioni europee durante in
tervalli lunghi e sensibili di tempo, e che non si altera per qualche tempo questo
stato di bilancio e d'equilibrio di ciascuna nazione, se non quando realmente
cresca o scemi la somma delle azioni produttive, non la somma de' puri cambi
e contratti. Ma un tale paradosso per molti mi porterebbe in una discussione
troppo oziosa e speculativa, e troppo aspra e lunga,perch io debba fermarmi
ulteriormente sopra di ci.
S. XXVIII. dunque utilissimo il sapere la bilancia del commercio di una
nazione, cio l'indagare di tempo in tempo lo stato delle vendite e compre che si
fanno dai nazionali cogli esteri. Se una nazione perde attualmente, non si deve
perci lasciarla correre da se stessa al ristabilimento quantunque infallibile, per
ch questo non nasce talvolta se non collo scemamento delle azioni produttive.
Il metodo per fare quest'esatta bilancia di commercio un'operazione assai com
plicata e laboriosa. Dipende principalmente la maggiore di lei esattezza dai re
gistri delle dogane pi o meno bene tenuti, perch, se in questi siano confuse
l'entrata e l'uscita delle merci, n bene indicato il luogo d'onde le merci vengono
e dove sono inviate, i risultati riterranno l'incertezza e la confusione della loro
origine, e sar perduta la principale utilit dell'operazione, la quale non consiste
nel sapere astrattamente quanto nel totale perda o guadagni la nazione, ma piut
tosto verso qual parte e con quali merci ella perda, e verso qual'altra e con quali
altre guadagni, onde incoraggire tal sorta d'industria e frenare tal altro rovinoso
commercio. La mole di questi registri numerosa, ma lo spirito d'ordine e il
prendere le cose da quel punto di vista elevato e chiaro, che le cose tutte hanno
520 BECCABIA.

ed hanno in un sol modo, sono capaci di condurre a fine ogni vasta impresa.
Ci, che inevitabile, si che i registri delle dogane non segnano tutte le merci,
perch quelle che sono esenti dalla gabella non sono soggette al registro, e quelle
che lo sono, non possono esserlo intieramente ed adequatamele alla somma
tutta del commercio, a cagione del contrabbando, il quale cresce in proporzione
del peso della gabella, della piccolezza del volume, della vicinanza del centro del
commercio ai confini, della complicata corruttibile esattezza de' custodi; qualit
tutte, che siccome rendono quasi incalcolabile la quantit del contrabbando su di
ogni merce in particolare, cosi renderanno pi o meno erroneo il bilancio totale
e particolare per ci che risulta dai registri delle dogane. Per quelle merci poi
che da questi registri non possono sapersi, altra strada non vi sarebbe che il
metodo delle notificazioni che si possono esigere dai particolari commercianti: me
todo egualmente fallace, perch ingelosendo per lo pi gli interessati, essi noti
ficano sempre meno del vero. Egli per da osservarsi, che sia nel commercio
d'entrala come in quello d'uscita, essendo eguale gelosia a nascondere le verit,
e dall'altra parte conservando gli uomini, da cui si esige rendimento di conti,
anche nella menzogna una certa proporzione al verosimile ed alle apparenze co
nosciute, si possono questi errori nel confronto delle partite d'uscita con quelle
d'entrata compensare. Ma il voler sapere esattamente tutto il vero della faccenda,
suppone nelle dogane e in tulle le leggi mercantili una severit ed un apparec
chio spaventevole di lente formalit, che offendono ed aggravano di troppo la
delicatissima natura del commercio, e la sdegnosa industria rallentano ed estin
guono.
Tuttavia l'operazione continuata per molti, anzi per tutti gli anni con quella
esattezza che pu combinarsi colla dolcezza che si vuole sempre avere nel reg
gere le cose di traffico, tutte sull'interesse privalo e timoroso degli uomini appog
giate, conduce ad utilissime cognizioni. In generale per si pu sapere se una
nazione faccia commercio attivo o passivo, cio, per parlare con precisione, se
cresca la somma de' suoi prodotti, ovvero scemi, dai quattro seguenti indizii che
contemporaneamente si verifichino. Sar dunque segno di prosperit e di au
mento della somma de" prodotti di una nazione, cio di vero commercio attivo,
quando nel medesimo tempo: 1 crescer la popolazione; 2 prosperer l'agricol
tura sia in intensit come in estensione-, 3 scemeranno gli interessi del danaro;
4 si alzer il prezzo delle cose tutte. Avrei scritto inutilmente fin qui se non
saltasse immediatamente agli occhi d'ognuno, come queste quattro condizioni
possono verificarsi simultaneamente in una nazione, se questa non prosperi o
non aumenti il suo profitto sopra le altre nazioni con una maggiore estensione
di commerci; perch la popolazione accresciuta indica maggiori mezzi di consu
mazione, l'aumento dell'agricoltura indica il maggiore aumento, uso ed esito
delle materie prime, e l'abbassamento degli interessi del danaro indica nn mag
gior numero di danarosi ed aventi un superfluo da impiegare, ed un minor nu
mero di bisognosi d'imprestilo e perci aventi una maggior forza originaria e
reale; mentre l'incarimento delle cose tutte, combinato con questi primi tre fe
nomeni, non pu derivare che dall'aumenlala copia di danaro e dall'aumentala
circolazione; il che non pu nascere nel presente caso dal puro commercio in
terno, ma dall'aumentato spaccio e profitto al di fuori, che solamente potevano
fare questo cambiamento in tutte queste dipendenze dell'economia interna di uno
DEL COMMERCIO. CAP. IT. 521

Stato. Dunque con pari ragionamento, sminuendo la popolazione, rallentandosi


l'agricoltura, alzandosi gli interessi del danaro, abbassandosi il prezzo delle cose,
sar segno infallibile che la somma de' prodotti e delle azioni di una nazione,
rispetto a quelle con cui era ed in attuale commercio, sia scemata e diminuita;
onde far un commercio passivo sino all'indispensabile equilibrio, a cui necessa
riamente deve in seguito mettersi.
. XXIX. Noi abbiamo distinto due specie di commercio: commercio di
produzioni, il quale consiste in materie prime e in manifatture; commercio di
economia, il quale consiste nel trasporto delle produzioni e nella compra e ri
vendita di queste produzioni. Per riguardo al primo commercio, di cui solo per
ora parliamo e che il pi comune ed universale, e nello stesso tempo il pi
durevole e desiderabile, egli facile il vedere come fiorisca e come aumenti, come
soffra languore e diminuzione; perch in lutti questi Elementi avendo diffusa
mente annoverate le cause tutle per le quali aumentansi e diminuisconsi le pro
duzioni delle materie prime, crescono e scemano le opere della mano degli uomini,
quelle saranno tulle di prospero e grande, o di piccolo ed infelice commercio.
. XXX. Solamente dunque ristringendo sotto un sol punto di vista quanto
nei trattali d'agricoltura e delle manifatture si partitamene divisati), diremo
che per quattro mezzi principali si aumenla il commercio di una nazione, cio
cresce la somma delle utili azioni. Primo, per la massima concorrenza sia dei
compratori come de' venditori, sian pure nazionali o esteri come si voglia, e que
sta si ottiene col maggior grado di libert a tutti di fare quel commercio che pi
piace, non limitata che da quella disciplina che piuttosto aumenta a ciascuno il
potere di ben fare e toglie quello di far male altrui ed alla societ. Questa con
correnza da se sola fa nascere i commerci utili veramente allo Stato, cio alla
maggior parte, e da se sola distrugge ed annienta quelli che sono dannosi allo
Stato medesimo, ed al minor numero soltanto profcui; e distruggendo per legge
di continuit ogni salto dal basso all'alto valore, impedisce il temuto monopolio,
che in pochi ristringe l'industria ed il premio di quella. Secondo mezzo il basso
prezzo della mano d'opera, il qual basso prezzo nasce e dalla concorrenza me
desima, e dal togliere i mezzi di vivere oziosamente agli infingardi, e col libero
commercio interno delle derrate, che nasce dalla concorrenza e dalla libert,
onde ogni opera nel minor tempo possibile e dalle pi poche mani che si pu
venga falla; cosicch il risparmio di mani in un'opera aumenta la variet ed il
numero di altre fattibili opere in uno Stato. Il terzo consiste nella massima faci
lit dei trasporti, il che si ottiene da' canali, dalle strade solide e sicure, dagli
alberghi ben provveduti, dal facile noleggiamento de' carri e bestie da trasporlo.
Il quarto mezzo finalmente consiste nei bassi interessi dei danari. Questi bassi
interessi nascono pure dalla concorrenza e libert del commercio delle derrate, e
perci da quell'altezza de' generi che nasce dalla concorrenza e dalla libert me
desima, dall'esser quasi tutte le terre di uno Stato coltivale e ben coltivate; il
quale essere bene coltivate nasce pure dalla libert, e dall'esser queste in molte
mani e non in poche distribuite, il quale pure nasce da un'altra libert. I bassi
interessi del danaro facilitano gl'impresliti, ed aumentano lo stimolo a rendere
molto fruttifero quel medesimo capitale, che dando per un sol momento un pic
colo profitto sforza il commerciante a non riposarsi, finch non abbia fatto fare
al proprio capitale tanti movimenti, cio non abbia egli moltiplicate tante azioni
522 BECCARIA.

utili che equivalgano a un gran profitto e ad un alto interesse, che uel medesimo
tempo in una sola volta altrove si potrebbe ottenere.

CAPO V.

Del lusso.

. XXXI. Da tutta la mole de' commerci, dal ristringersi le terre in un minor


numero di mani, dall'accumularsi grossi capitali presso alcuni, dalla disugua
glianza insomma delle ricchezze nacque negli uomini una differente maniera di
servirsene; imperciocch una gran parte di essi appena ha tanto di che pro
trarre una laboriosa vita, e la squalida famigliuola nell'umile oscurit senza in
vidia alimentare. Molti possono vivere pi largamente, e godere di un certo agio
e di un certo comodo, ed anche ostentare altrui e rendersi osservabili per una
succinta pulizia, e per un'ombra di potere col quale tacitamente gli altri pi po
veri minacciano e padroneggiano. Alcuni poi abbondano talmente de'mezzi, onde
i comodi e i piaceri tutti della vita procacciarsi, che assorbita facilmente e
stanca la facolt limitata che ha ciascuno di godere e di sentire, sono costretti
per vanit e per fasto di rendere partecipi altrui del loro potere e dei mezzi che
hanno d'acquistarsi un gran numero di piaceri ; onde lo splendore del ricco e la
superba di lui liberalit non differiscono dalla compassionevole ed opportuna
beneficenza, se non per la differenza dei motivi e il poco discernimento con cui
quello impiega i suoi doni e dissipa i suoi tesori. FFo voluto tessere questa di
ceria per descrivervi che sia lusso, e cosa s'intenda presso a poco dagli uomini
per questa parola. Dico presso a poco perch difficile il dare una definizione
precisa di un termine, del quale le idee che racchiude variano moltissimo presso
gli uomini, secondo le differenti condizioni in cui essi sono, e i differenti gradi
di coltura con cui vivono. Chiameremo noi lusso ogni spesa che sia al di l del
necessario? Ma in che consiste questo necessario? egli l'ultimo estremo con
cui l'uomo possa vivere semplicemente, o l'ultimo estremo soltanto con cui possa
vivere senza dolore? Ma ci varia secondo la diversa educazione ed i diversi
temperamenti degli uomini. Chiamerassi lusso ci che serve a farci fuggire il
dolore, o soltanto ci che ci procura piacere? Ma dove finisce il dolore, dove
comincia il piacere? L'essere privi d'un piacere per moltissimi un grandissimo
dolore. A taluni il non essere rilucenti d'oro cagiona una cupa afflizione: non
sarebbe lusso per questi una tal maniera di vestirsi. Dirassi allora lusso ogni
spesa al dissopra della condizione in cui l'uomo posto? Ma chi ha mai fissati
i limiti che separano queste condizioni, e potr mai assegnare che tali spese sono
della condizione del cittadino, e tali della condizione del gentiluomo? Lungo e
superfluo sarebbe il qui dare le definizioni tutte, che date s sono della parola
lusso; perch con questo nome chi ha voluto una nozione complessa significare,
chi un'altra; onde sono nate le questioni, se il lusso sia utile o dannoso agli
Slati nella politica e nella morale, se alla felicit dell'uomo contribuisca o vera
mente all'iut'elicit. Nostro istituto non d'ingolfarci in simili ricerche, ma bens
DEL LUSSO. CAP. V. 523

di fissare con esattezza che si debba intendere per lusso economicamente, e quale
influenza abbia sull'economia degli Stati questa maniera di vivere e di spendere
degli uomini chiamata lusso. Per ben definire il lusso, bisogna prendere soltanto
le idee che non variano fra tante che si aggiungono a questa nozione. Premette
remo dunque in grazia di questa definizione, che vi sono dolori, per fuggire i
quali necessario di procurarsi il piacere, la privazione del qual piacere ap
punto il dolore che si sente. Vi sono de' dolori, per togliere i quali basta allon
tanare la causa dolorifica ; quantunque nell'allontanare un tal dolore sentiamo
piacere, allontanato per che sia non si sente pi piacere alcuno. Cacciata eh' io
abbia la fame, che un dolore di questo secondo genere, con qualunque cibo, non
sento pi piacere alcuno; ed il dolore che dalla fame risulta, non nasce dalla
considerazione che io sia privo di un cibo piuttosto che di un altro, ma da una
impressione indipendente dalla natura e situazione delle nostre idee. Che se io
ho avuto desiderio di un tal cibo piuttosto che di un tal altro, e di cui la priva
zione mi dispiaccia, questo un dolore del primo genere, per guarir del quale
non posso far altro che cercar del cibo, e darmi quello o un equivalente piacere
per guarire da quel dolore, ovvero da savio e moderato vincere la mia inquietu
dine. Finalmente premetteremo che la causa impellente ed immediata d'ogni no
stra azione il dolore, perch noi non agiremo giammai anche in vista di un pia
cere o di un utile grandissimo, se pria non nasce in noi un'inquietudine prodotta
da quel piacere o da quel utile, che vivamente si presenta nell'animo e ci cagiona
un dolore analogo a tutti gli altri dolori. Appartiene alla scienza dell'anima e
non all'economia pubblica l'estendersi in questa verit, e svilupparne tutte le
conseguenze e tutti 1 di lei aspetti. Qui basta di averla sufficientemente accen
nata, e che sia sufficientemente sentita da chi esaminando con attenzione se
stesso, trover di non avere mai agito se non per isfuggire un dolore, e la libert
medesima prover consistere nel potere un uomo eccitare in se stesso, quando il
Voglia, inquietudini contrarie a quelle che lo potevano condurre al male. Onde,
tutto ci premesso, definiremo il lusso, ogni spesa che si fa per togliere i dolori
che sono una privazione dei piaceri; nella quale definizione s'involve necessaria
mente l'idea di procurarci un piacere che duri anche dopo tolto il dolore che ci
inquieta, o almeno oltre 11 fine di liberarci dal dolore medesimo. Chi si cruccia
di non avere un tal cibo, si cruccia non solo di non cacciarsi la fame, ma an
cora di non gustare un tal sapore, mentre qualunque non nauseoso cibo basta a
chi cerca solo di sfamarsi.
. XXXH. Da questa definizione risulta in primo luogo, che 11 lusso di
tutte le condizioni e di tutti i tempi fra gli uomini sociabili, perch in tutti i
tempi e in tutte le condizioni essendo avvezzi gli uomini dalle scambievoli rela
zioni e dai reciproci aiuti, non solamente a soddisfare i bisogni, ma eziandio a
soddisfarli piacevolmente e comodamente; e ciascuno osservando che tanto
pi piacevolmente e comodamente viveva, quanto maggior numero dei suoi
simili potea indurre a procurargli questi comodi e piaceri, e che ci pi facil
mente e pi frequentemente otteneva, quauto pi sopra gli altri poteva rendersi
osservabile e distinto; nacque negli uomini il bisogno dei piaceri, ossia l'indeter
minato sentimento di privazione, ossia la noia, e la voglia di distinguersi, ossia
la vanit, che sono le due sorgenti del lusso, come appare dalla definizione data.
Data la societ vi saranno infallibilmente noia e vanit negli uomini, perch sono
524 BECCARIA.

conseguenze infallibili delle relazioni che nascono fra quelli che contrattano fra
di loro. Dunque vi sar sempre lusso, preso nell'esteso suo significato. E in falli
chi considera in grande ed in esteso la natura umana tutta quanta, trover fra i
selvaggi medesimi impresse profondamente queste due qualit dell'animo nostro,
cio il bisogno dei piaceri nell'avidit con cui si avventano ai liquori inebrianti,
coi quali la politica europea li lusinga e li capliva; nella moltitudine delle loro
feste e delle loro danze guerriere e in tutto l'apparecchio complicato di lunghe e
solenni cerimonie, che fanno essi pure (che noi crediamo cos vicini alla rozza e
semplice natura, e cosi lontani dalle arti ed istituzioni nostre), nei loro funerali,
nelle nozze ed in tutte le epoche singolari della vita umana. La voglia poi di di
stinguersi evidente in essi a chi considera, quant'oro e quante gemme greggie
e rozze abbiamo loro carpito dalle mani per poche filze di coralli, per poche chin
caglierie di vetri colorati, e in quanto pregio siano presso gli Africani e quanto
superbi li facciano andare, essi che semi-nudi vanno quasi sempre, uno sdrucito
cappello ed una rappezzata sopraveste, misero rifiuto di un Europeo, cambiata
con oro e con uomini, e della quale i loro monarchi e i grandi fanno gala nei
giorni solenni e nelle udienze le pi maestose. 1 pi poveri poi che non hanno
una fortuna grandiosa si contentano per comparire e distinguersi d'infiorarsi e
cauterizzarsi la pelle, onde rendersi fra gli altri osservabili per una pelle nobile
e perpetuamente signorile. E chi fra quelle antiche repubbliche cosi vantate per
la povert e frugalit loro volesse il lusso ricercare, ve lo troverebbe senza dub
bio, che che ne dicano alcuni. In Isparta medesima, in quella Sparta ove Li
curgo introdusse un misto di militare e monastica disciplina, eravi e il bisogno
dei piaceri e la voglia di distinguersi, ma e l'uno e l'altro erano talmente amal
gamati colla costituzione politica, che tutto era utile e virt pubblica, almeno
secondo ci che la non critica storia degli Antichi ci ha tramandalo, invece che
tutt'allro lusso in quella costituzione poteva essere dannoso. Si annoiavano i La
cedemoni, ma della pace e della sicurezza, e volevano sentire le scosse del ri
schio e del tumulto. 11 suono della lode era loro grato e soave, e per loro pi Io
era, quando usciva confuso ed avvolto di mezzo allo scroscio delle lancio e delle
spade, e misto dei gemili lamentevoli dei vinti e prigionieri nemici. Io credo che
ognuno di quei sobrii e severi Lacedemoni sorridesse fieramente nel trovarsi
circondato di ferro e pesante sotto l'armi, e le pi belle e pi minacciose ricercasse
con molti sforzi; e le donne loro, che indurivano l'animo a resistere alle molte
impressioni della natura e del sangue, l'inalienabile loro vanit impiegassero in
quel severo abbigliamento, che pi le avvicinasse al vigore ed alla robustezza
maschile. Da ci si pu vedere, che chi volesse schiantare il lusso da una na
zione farebbe lo slesso progetto, che chi volesse distruggere alcuna delle facolt
inerenti all'uomo, e che questo lusso pu essere egualmente dannoso che utile,
secondo che combina o si oppone, o piuttosto risulta dalle circostanze e dalle
leggi di uno Slato, buone o cattive. 11 dolore dunque che nasce dalla privazione
dei piaceri, fa nascere l'amore dei comodi e l'avidit delle sensazioni aggradevole
che lusinghino e solletichino l'inoperosa nostra esistenza; fa nascere di poi la
sollecita ed inquieta voglia di distinguersi e tutte le minuzie della vanit, onde
rendersi gli uomini propizii e servizievoli. Due sorla di lusso vanno principal
mente distinte, cio due maniere di fuggire il dolore che nasce dalla privazione
del piacere. Perch io posso e scegliere piaceri e comodi, e cercare di distinguermi
DEL LUSSO. CAP. V. 525

con azioni che non siano in alcuna maniera produttive ed operative su qualche
oggetto, o pi generalmente che non suppongano cambi di qualche cosa con
qualche cosa, ovvero che non suppongono cambio. Pu chiamarsi la prima
specie lusso di azioni, ossia morale e politico; la seconda specie, lusso di con
tralti, ossia economico.
. XXXIil. Amendue queste sorta di lusso dividonsi ciascuna in lusso di
comodo e in lusso di ostentazione; ma noi fermandoci al lusso economico, divide
remo le spese di lusso in quelle che cambiano prodotti con prodotti, o prodotti
con azioni, v. g. servigi personali, gran numero di livree ecc. Vede ognuno che
quelle spese di lusso che cambiano prodotti con prodotti, sono di gran lunga pi
utili di quelle che cambiano prodotti con azioni, e che anzi queste possono es
sere dannose in quanto le persone impiegate ad esercitar queste azioni possono
impiegarsi a produrre, o a formare i prodotti perch sian comodi all'uso di tutti.
Ma questo danno non sar reale nelle nazioni, se non allor quando manchino
le braccia alle terre ed alle arti, e queste non mancheranno se non quando il
commercio delle derrate e manifatture sia incagliato; perch coltivate le terre al
sommo grado, fiorenti essendo le arti alla massima concorrenza, cio essendo
giunte ambidue alla massima liberta possibile, il contralto di lusso di prodotto
con azione, ollrecch ne scemer il numero in paragone dei contralti di lusso di
prodotti con prodotti, pu farsi senza danno, perch colui che ha ricevuto il
prezzo di questa sua azione, lo cambier con qualche altro prodotto. Da ci si
vede uno degli effetti mirabili della circolazione, la quale fa in modo che le azioni
inutili non cagionino perdita n di tempo n di produzioni nella societ, a mi
sura che questa circolazione pi rapida e pi estesa; anzi fa in modo, che le
medesime azioni, inutili e viziose in altre circostanze, producono l'ottimo effetto
della concorrenza dei compratori in favore dei venditori delle cose consumabili,
onde restandone alto il prezzo, la ricchezza originaria ed unica della terra si
mantiene in vigore.
. XXXIV. Ora le spese, qualunque esse siano, che cambiano prodotti con
prodotti, saranno pi utili allo Stalo facendosi con prodotti del medesimo paese
cambiati fra di loro, perch supponendo equivalente il valore di una cosa cam
biata con un'altra, amendue queste cose rappresenteranno travaglio ed alimento
circolante nello Stato, al doppio di quelle che rappresentino cose diesi cambiano
per un prodotto forestiero; perch il prodotto forastiero ne suppone la met, o
almeno una parte proporzionale al prezzo del travaglio e degli alimenti consunti
al di fuori. Dunque il cambio delle derrate colle manifatture nazionali sar pi
utile che con manifatture forasliere, e il cambio delle medesime con manifatture
pi immediatamente vicine agli alimenti, cio soddisfacenti ai comodi pi estesi
e comuni, pi utile di quelle che soddisfano ai pi raffinati. Ma qui giova con
siderare che le spese di lusso sono proporzionali alla disuguaglianza dei beni e
delle condizioni. Perci in primo luogo diremo, che a misura che i beni sono in
poche mani ristretti, l'influenza delle spese fatte dai posseditori di questi beni si
va ristringendo, perch a misura che il prodotto parte da' pi pochi, ogni opera
zione che attrae a s una parte di questo prodotto non pu essere che in conse
guenza d'un'allra, e questa di un'altra fino a tutto dipender da'primi e pochi pos
seditori; onde tutto si risentir della necessaria limitatezza dell'origine, quantun
que grandi si vogliano supporre le spese di questi pochi. A misura poi che questi
526 BECCARIA.

posseditori di beni si moltiplicano, l'influenza del lusso si allarga pi immedia


tamente, perch crescono le temporanee ed indipendenti spese che si fanno da
molti possessori, onde nel tempo che passa dalla produzione alla riproduzione,
nel primo caso si far da un minor numero di cittadini un minor numero d'a
zioni, di quello che nel secondo; onde anche per conseguenza i prodotti stessi,
quando il commercio al di fuori sias tretto e ritenuto, avranno minor valore. Di-
rassi qui: se tutte le terre fossero divise a tutti egualmente, scemerebbero le opere
di altrettanto, di quello che se le terre fossero tutte nelle mani di un solo. Ri
spondo, che non occorre qui esaminare quauto ci sia vero; ma in primo luogo
questa eguale distribuzione di terre una cosa impossibile, come abbiamo gi
nella Seconda Parte dimostrato; in secondo luogo, trovandosi uguali gli efletti di
queste due estreme cagioni, ci potrebbe condurci (se io non temessi di abusare
del tempo e dell'obbligo che mi corre di non diffondermi in teorie troppo recon
dite) a ricercare quale sarebbe la distribuzione delle terre che producesse il mas
simo numero di azioni utili e produttive, ossia qual proporzione debba correre
tra il numero dei proprietari delle terre e il numero degli altri abitanti di una
nazione, supposti tutti industriosi ed operai in qualche maniera. Basta accennare
qui di passaggio, che la soluzione del problema dovrebbe apparentemente coin
cidere in ci che tanti dovrebbero essere i posseditori di terre quanti bastino per
ch misurino e stiano tante volte nel numero di tutti gli abitanti, quanto il pro
dotto di tutte queste terre pu entrare a misurare il massimo numero di tutti i
travagli, che non solo si fanno, ma che si potrebbero fare da una riproduzione
all'altra; e che da se stessa accostandosi la terra alla massima produzione, si
accoster alla miglior distribuzione. Ma tutto ci non opportuno al nostro
scopo ed ai limiti di una istituzione elementare. Per il che ristringendoci alle
pi ovvie verit che intorno al lusso ci restano ad esporre, diremo in secondo
luogo che le condizioni degli uomini essendo divise con molta disuguaglianza e
quasi direi per salti, di maniera che il rango e la condizione essendo misurali
non dalla quantit de' beni soltanto, ma eziandio dalla qualit, nascita ed altre
relazioni politiche delle persone, le educazioni, le passioni, le abitudini variano
non tanto iu ragione de'beni di fortuna di ciascuno, ma ancora della situazione
in cui posto ; per conseguenza osservabile fenomeno si , che il lusso d'una per
sona tanto pi grande, quauto maggiore la differenza che passa tra la condizione
di chi immediatamente al disopra di lei, e di chi immediatamente al disotto; per
ch la voglia di distinguersi, e la scelta de'piaceri per rapporto a noi viene nell'a
nimo nostro imitatore, e sedotto dagl'esempi, determinata dal paragone che noi fac
ciami delle situazioni differenti de'noslri concittadini. Or quelli che sono a qualche
distanza elevati sopra di noi o abbassati al disotto, non ci feriscono cosi immediata
mente l'imaginazione, n siamo interessati ad esaminarli, che non entrano se non
di rado nella sfera della nostra attivit, come coloro che ci sono immediatamente
al disopra e al disotto, onde ci sforziamo di eguagliare l'apparente felicit degli
uni e d'innalzarci al disopra degli altri. Perci, dirette che siano le prime classi
dei cittadini verso le spese di lusso pi conformi al vantaggio economico di uno
Stalo, tutte le classi, per un retrogrado movimento, andranno coll'esempio solo
uniformandosi alle prime mosse e direzioni.
S- XXXV. Dopo le cose sin qui dette sarebbe abusare del tempo il pi oltre
minutamente insistere e ad una per una esaminare la bont e il danno che all'eco-
DEL LUSSO. CAP. V. 527
I

nomia degli Stati derivano da tutte le varie spese di lusso. Solo giova qui fermarci
un istante ad esaminare se le prammatiche che un'avara malinconia di molti ame
rebbe d'introdurre, non siano anzi direttamente opposte al fine pel quale si brame
rebbero. La ricchezza degli Stati non nasce realmente che dalla fatica degl'individui;
la fatica degl'individui bisogna pagarla; ma non si determinano gli uomini a fare
questi pagamenti, se non per convertirli in mezzi di godere ci che pi li sod
disfa. Dippi l'uomo non fatica, se non in proporzione dell'utile immedialo che
spera provenirgliene; e gli utili di questa fatica sono somministrati dalle spese
de' ricchi, ossia di quelli che posseggono al di l del necessario fisico. Quanto le
prammatiche eseguite saranno maggiori, tanto minori saranno le spese di questi
ricchi, o siano gli utili di queste fatiche, e tanto minori saranno i mezzi di con
vertire i pagamenti in soddisfazioni. Dunque le fatiche medesime eie spese sulla
terra sminuiranno, e per conseguenza le produzioni; dunque sar sminuita quella
ricchezza, per conservare ed accrescere la quale si dimandano le prammatiche.
Quindi a togliere sensibilmente e generalmente le spese perniciose, il che suffi
ciente al fine economico degli Stali, baster l'esempio che le prime classi dipen
denti dal sovrano possono dare, baster la libert del commercio, che far rivol
gere una gran parte dulie spese sterili in ispese utili.

CAPO VI.

Degl'interessi del danaro.

Brevissimo sar questo Capitolo, perch noi in pi luoghi di queste Lezioni


abbiamo parlato degl'interessi del danaro, onde solo qui giover toccare alcuni
sommi capi che non si debbono omettere.
. XXXVI. E in primo luogo diremo, che la parola interesse significa gene
ralmente una relazione che passa tra una cosa o oggetto qualunque ed una per
sona, come atta a ricevere una utilit qualunque da quella. Ma prendendo questa
parola pi strettamente, ella significa quella utilit che nasce da una cosa qua
lunque, frattantoch la medesima o il diritto di quella si conserva presso il pro
prio padrone. Ogni cosa atta a produrre questa utilit; onde ogni cosa ha il
suo interesse proprio e naturale. bene di sviluppare questa proposizione. L'in
teresse della terra, fonte primaria d'ogni ricchezza, la costante e periodica sua
riproduzione; gl'interessi delle fatiche sono i salari che da quelle si ricevono, gli
interessi delle azioni personali, de' servigi, degli studi, ecc., sono le ricompense
e le paghe; gl'interessi de' manifattori sono i guadagni che fanno sull'esito della
manifattura, dedotte le spese, ecc. L'interesse dell'industria tutto il profitto che
si cava dall'industria medesima, finch il negoziante o l'industrioso conserva il
diritto o il mezzo d'impiegarvela. Il danaro la misura de'valori di tutte queste
cose, terre, fatiche, azioni, manifatture, commerci d'industria; dunque gl'inte
ressi del danare saranno le utilit, che possono nascere da questo danaro come
rappresentante qualcheduno di questi valori, che le sue rispettive utilit produce.
ila, come abbiamo veduto, l'alimento la misura comune di tutti questi valori,
528 BECCARIA. ' '

ed il loro vero ed universale rappresentante, l'alimento l'utilit misuratrice di


tutte le altre utilit, e questa utilit nasce dalla terra. Dunque ogni somma di
danaro rappresenta e pu rappresentare una qualche porzione di terra, e l'inte
resse di questo danaro rappresenter il frutto annuo, ossia la periodica riprodu
zione di queste terre, e varier colla variazione di questi prodotti, e l'interesse
medio sar il prodotto medio. Questo adunque il vero e legittimo interesse del
danaro, ossia l'ordinario interesse di giustizia. Da ci nasce una chiara diffe
renza tra il mutuo, il comodato e l'affitto. Perch il mutuo sar il cedere la
cosa per un tempo, senza cedere la reale utilit che ne pu provenire; il como
dato sar il ritenere il dominio della cosa, donandone l'utilit naturale della me
desima; l'affitto sar parimenti conservare il dominio e la propriet, vendendo
l'utilit naturale di quella. Da qui nasce una chiara differenza tra l'interesse e
l'usura, perch l'interesse l'utilit immediata della cosa, e l'usura l'utilit
dell'utilit. Perci l'interesse detto mercantile, che sempre maggiore dell'inte
resse ordinario, non usura; perch l'interesse mercantile una utilit di cose
che naturalmente fruttano pi in mano del commerciante, che non fruttereb
bero sulla terra produttrice, onde uno padrone di non cedere questa per lui
naturale utilit. Molte sarebbero le conseguenze di queste chiare definizioni per
la dottrina degl'interessi, che ha molta estensione, sia nel diritto naturale e pub
blico, sia nel diritto civile; ma sarebbe un uscire dal mio istituto e voler metter
mano nell'altrui messe, se io volessi trattarne. Dunque passando immediatamente
a ci che appartiene alla nostra scienza, dir, che essendo il prodotto delle
terre la vera misura dell'interesse del danaro, il valore di questi prodotti, ossia
l'interesse della terra paragonato coll'inleresse degl'imprestiti sar la vera norma
onde giudicare della vera prosperit degli Stati. Quando l'interesse de' prestiti
maggiore di questo interesse della terra supposta corrispondente al capitale,
segno che pochi sono i prestatori e molti i chiedilori del prestito; dunque poca
esuberanza de' valori nelle mani dei particolari, dunque tutto ci di cui indizio
la scarsezza e cattiva distribuzione di questi valori : il che, dopo le tante cose
fin qui dette, sarebbe un far torto alla penetrazione degli uditori il qui annove
rare. Supponiamo esservi un banco pubblico, che riceva danari pagando inte
ressi di poco maggiori dell'interesse della terra corrispondente : si abbassino gli
interessi sino al livello del prodotto annuo, coll'alternativa di riprendere il capi
tale: se il pi gran numero de' particolari riprende il suo capitale, egli segno
che l'agricoltura in islato di poter prendere accrescimento; se malgrado la
diminuzione lasciano i loro capitali sul banco, egli segno che l'agricoltura non
pi suscettibile d'accrescimento. Quando gl'interessi del danaro sono al li
vello dell'interesse annuo della terra un gran segno della prosperit di un paese,
lutto il resto delle cose essendo eguale. E se gl'interessi del danaro fossero mi
nori dell'annuo frutto delle terre, sarebbe in proporzione del minoramento del
l'interesse sempre maggiore la prosperit dell'agricoltura, perch sarebbe un
segno che tutti fossero prestatori e quasi nissun chieditorc, il che significherebbe
esuberanza di valori in tutte le mani che hanno propriet sulla terra; ma sa
rebbe forse egualmente un segno della scarsezza delle arti e manifatture, e per
conseguenza del non massimo travaglio possibile in una nazione. I particolari
non troverebbero alla fine il migliore spaccio ed il miglior impiego dei lavori che
cavano dalla terra; dunque a poco a poco dovrebbe scemare lo sforzo di render
degl'interessi dbl DANARO. CAP. VI. 529
fruttifera al maggior grado la terra medesima e minorare l'agricoltura. Ma questo
inconveniente non da temersi, perch data la libert delle terre e del loro com
mercio, gl'interessi dell'imprestilo verranno da s al livello dell'interesse della
terra. La moltiplicit delle cose che ci restano a dire, e l'angustia del tempo non
mi permettono di protrarre pi oltre questa teoria, la quale di bellissimi e rigo
rosi teoremi suscettibile. Mi basta di aver messo sulla via quelli dei miei udi
tori, che avranno compreso come la terra l'unica produttrice di nuovi valori;
come l'immediata consumazione il rappresentante universale d'ogni travaglio
e d'ogni azione; come per esempio l'interesse del danaro in una nazione al sei per
cento pu esser equivalente all'interesse del due per cento in un'altra, perch
ambidue possono rappresentare lo stesso annuo fruito delle terre, dall'istesso nu
mero di produttori e colla medesima facilit procurato, e simili. Ma guai a colui
che tutto vuol dire insegnando, e niente lascia alla penetrazione di chi lo ascolta.
Fluttuano le cose ascoltate e svaniscono dalla mente degli ascoltatori, che non
hanno occasione di opporre la reazione, per cos dire, del loro spirilo alle im
pressioni dell'istitutore: e un solo ragionamento esatto fatto da noi stessi getta
pi di luce su d'una scienza, e quella pi radicalmente e stabilmente piantasi
in noi per questo solo, di quello che per dieci ragionamenti fatti da un altro.

CAPO VII.

Teoria del Cambio.

5. XXXVH. Abbiamo veduto che sia interesse del danaro, e che il vero in
teresse l'annuo frutto, ossia riproduzione della terra ; dunque nella nozione
dell'interesse entra necessariamente la considerazione del tempo. Quel danaro,
che un pegno del valore nella mano del proprietario, potrebbe col tempo pro
durre un nuovo valore, non per se stesso, ma come indicante ed equivalente una
porzione di terra : dunque l'interesse del danaro l'interesse, ossia l'utile del
tempo. Il cambio, ossia un valore ceduto in un luogo per avere un equivalente
nell'altro, ha il suo interesse specifico e particolare; cosi l'interesse del cambio
sar l'utile del luogo. Da questa sola considerazione bene sviluppata nasce la
teoria del cambio. superfluo il qui osservare il signiflcato generale della parola
cambio: ognuno lo intende. Parimenti abbiamo veduto nell'Introduzione di que
sta Quarta Parte l'origine del cambio strettamente detto, della quale origine la
definizione manifesta. Esso nato dalla promiscuit dei commerci, per cui in
due 0 pi diversi distanti luoghi vi erano a vicenda promiscui e reciproci debiti
e crediti. Eranvi per esempio nel luogo A alcuni debitori al luogo B, ed alcuni
creditori dello stesso luogo B; parimenti nel luogo B, alcuni debitori al luogo A
ed alcuni credilori dello stesso luogo A. Supposti eguali questi debiti e crediti
reciproci, cio che tanta somma sia dovuta da A in B, e da alcuni di A, quanta
alcuni altri dello stesso A debbano ricevere da alcuni di B; invece chei debitori
di A a B andassero in B a pagare il debito e vi trasportassero il reale dovuto
valore, e i creditori di A da B ricevessero un equivalente valore dai debitori loro
Kronom. Tomo III. 54.
530 BECCARIA.
di B, e parimenti i debitori di B andassero a portare il valore in A, e facessero
i creditori venire in B il valore dovuto, si molto facilmente dai creditori imma
ginato di cambiare i debitori rispettivi, e dai debitori convenuto di scambiarsi i
creditori; cos i creditori di A da B, invece di farsi pagare dai primi e veri loro
debitori di B, si sono fatti pagare dai debitori di A che dovevano a quelli di B,
e i creditori di B da A si sono fatti pagare dai debitori di B, che dovevano ad A.
Questa la natura del cambio, cio una compensazione di pagamenti fatti in un
luogo, in grazia della reciproca compensazione dei crediti e debiti fra due diversi
e distanti luoghi. Ma non sarebbe possibile il verificare questo contratto, che si
fa senza sborso o trasporto del reale valore dovuto tra persone che sono distanti
tra di loro e in tempi differenti, se non vi fosse un'autorit pubblica che garan
tisse e proteggesse la fede di questi contratti, ed un segno credibile e riconosciuto
dalle parti interessate onde contestare il contratto seguito. Dunque questa sorta
di compensazione, che chiamasi cambio, si far per mezzo di una lettera o d'una
cedola, la quale colle formalit riconosciute dalle leggi dia il diritto al presen
tatore di quella, cio al creditore sostituito di farsi pagare dal sostituito debitore.
Ambrogio Milanese creditore di cento zecchini da Giorgio di Genova ; Carlo
Milanese debitore a Giovanni Battista di Genova di altri cento zecchini. Quando
questo contratto fosse noto a queste quattro persone, invece di far la doppia di
spendiosa operazione, per la quale Giorgio mandi ad Ambrogio i cento zecchini
a Milano, e Carlo mandi a Giovanni Battista i suoi cento a Genova, naturale
che convengano che Carlo paghi a Milano cento zecchini ad Ambrogio, dal quale
ritirandone la ricevuta, Ambrogio trasporter in Carlo le sue ragioni verso Gior
gio per mezzo di questa stessa ricevuta; e Carlo rimetter al suo creditore Gio
vanni Battista, col rimettere questa ricevuta medesima, le sue cedute ragioni, colle
quali quest'ultimo si potr far pagare da Giorgio in Genova stessa del credito
dovutogli da Milano. Ecco in che consiste il cambio originariamente. Ma non
necessario che vi siano sempre quattro persone : basta che ve ne siano tre ; non
necessario che vi siano due debiti e due crediti anteriori: basta un credito o un
debito solo, anzi basta la pura credibilit reciproca sulla fede dei commercianti.
Neppure necessario, che le persone che immediatamente fanno il contratto di
cambio, siano immediatamente debitrici e creditrici a vicenda: mi spiego. Am
brogio debbe aver da Genova zecchini cento da Giorgio; basta ci perch segua
il cambio, se vi sia un Carlo qualunque il quale in Milano n debba ricevere n
dare, ma che abbia bisogno di spendere sia personalmente, sia per mezzo d'altri
in Genova cento zecchini. Che far egli ? Egli porter cento zecchini a questo Am
brogio, e ritirer da lui un viglietto di cento zecchini, col quale cede a Carlo il
suo credito verso Giorgio, oppure ordina a Giorgio di pagare a Carlo i cento
aecchini; e Carlo, sia personalmente presentando il viglietto, sia cedendo auten
ticamente ad altri il medesimo viglietto, far sborsare da Giorgio in Genova que
sti cento zecchini. Figuriamoci che Ambrogio non sia realmente creditore di Gior
gio, ma che invece siavi fra di loro fiducia, corrispondenza o certezza, onde farsi
a vicenda creditori o debitori quando il vogliano, tanto sar lo stesso ; e Giorgio
sborser sulla presentazione del viglietto o della lettera d'Ambrogio li cento zec
chini a Carlo, o a chi Carlo per mezzo d'una sua firma o della cessione del vi
glietto avr ceduto quest'ordine d'Ambrogio.
Jv XXXVIH. Da qui si vede chiaro che la sostanza del cambio consiste in due
TEORIA DEL CAMBIO. ' CAP. VII. 531

pagamenti che si compensano, uno fatlo nel luogo dove si ritira la lettera di
cambio, l'altro nel luogo dove si esibisce per ricambiarla in danaro; e che fra
questi due luoghi vi pu intervenire qualunque numero di persone intermedie,
anzi molti luoghi intermedii, dove senza nissun reale pagamento si vadano suc
cessivamente trasportando il primo credito e debito originario ed anche diverse
lettere di cambio, cambiala l'una per l'altra, potendovi essere due negozianti
che siano in corrispondenza di credito in un terzo, senza avere corrispondenza
alcuna tra di loro. In secondo luogo, essere necessario al cambio il reciproco
commercio di merci ed anche di danaro, perch per la comunicazione reciproca
dei commercianti dei diversi luoghi, compensati che saranno i debiti e i crediti
nel prender le lettere di cambio e nell'esibirle, non potr continuare il cambio,
se dal luogo debitore non si trasporti reale ed effettivo danaro al luogo creditore,
oppure dui luogo che vuol essere creditore non si trasporti effettivo danaro al
luogo che accetta d'esser debitore.
. XXXIX. Ecco spiegata sufficientemente la natura di questo contratto, ma
non ne ho ancora spiegato tutti i misteri. Abbiamo detto che debbono interve
nire nel contratto due pagamenti che si compensino. Ma due cose che si com
pensino debbono essere al pari tra di loro, cio vi debb' essere parit ed equi
valenza in questi pagamenti. In che consiste questa parit ed equivalenza?
Nel ben intendere questa parit consiste tutto il mistero del cambio. Due sorta
di parit si danno nell' economia degli affari umani , la parit reale , fisica e
sensibile delle cose che si paragonano, e la parit di stima e di valutazione
tra le cose parimenti paragonate: chiameremo 1' una pari reale , 1' altra pari
politico. Nel cambio dunque che consiste in due pagamenti che si compen
sano, e che non si compenserebbero se non fossero paragonati tra di loro, vi
saranno due sorta di parit, la parit fisica, ossia il pari reale , e la parit di
stima, ossia il pari politico. Il pari reale consiste in eguaglianza di quantit e si
militudine di qualit: tanta quantit di oro egualmente fino, qualunque sia la
figura e la forma esteriore che a quest'oro si voglia dare. Lo stesso dicasi dell'ar
gento. Se nelle nazioni commercianti non vi fosse che una sola specie di metalli,
solo oro o solo argento, cento once d'argento pagate iu un luogo darebbero il
diritto di avere le stesse cento once d'argento in un altro per mezzo del cambio,
prescindendo dalle circostanze attuali del contratto. Se quello che paga le cento
once d'argento a Milano, lo fa perch ha pi bisogno di ricevere queste cento
once d'argento in Genova, di quello che colui che le riceve in Milano abbia bi
sogno di ricevere questo valore, pu darsi che paghi in Milano due once di pi
questo bisogno che ha in Genova, onde pagher cento due per ricevere cento :
ma questa una circostanza dei contrattanti, non dipendente dalla natura e pa
rit del cambio. Parimenti se tra le nazioni commercianti corra la stessa propor
zione tra oro ed argento, la parit del cambio sarebbe sempre reale, perch cento
once pagate in Milano sarebbero, prescindendo sempre dalle circostanze dei Con
trattanti, compensate col pagare in Genova mille e quattrocento once d'argento,
quando la proporzione fosse egualmente a Milano come a Genova di 1 a 14. Ma
che sar quando la proporzione tra le nazioni commercianti fosse, come assai
sovente, diversa? Quando a Milano la proporzione tra l'oro e l'argento fosse
come 1 a 14, ed a Genova come 1 a 15? In questo caso cent'once d'oro pagate
in Milano sarebbero eguali a mille e quattrocento once d'argento, e cent'once di
532 BECCAHU.

oro pagate in Genova sarebbero eguali a mille e cinque cento d'argento. Dunque
cent'once d'oro pagale in Milano non sono stimate egualmente che cent'once di
oro pagate in Genova; e mille e quattrocento once d'argento pagate in Milano
equivalgono a mille cinquecento pagate in Genova. Che penseranno li tre con
trattanti in queste circostanze ? Colui che riceve un valore a Milano per farne
pagare un altro al suo conto in Genova, deve supporre dover o aver dovuto tra
sportare a Genova quel valore ch'egli riceve, e sul quale d la lettera di cambio;
perch diffatti quantunque dimorante in Milano egli calcola il pagamento che fa
l'are, come se egli andasse a pagare in Genova. Ora costui in questo caso vor
rebbe portarvi oro piuttosto che argento, perch in Genova quest'oro vale '/ di
pi che non in Milano. Parimenti colui che paga in Milano per ricevere in Ge
nova, si deve supporre che invece di prendere la lettera di cambio per Genova
v'abbia gi trasportato immediatamente il suo danaro : dico immediatamente,
perch le spese del trasporto non debbono qui essere considerate, non influendo
esse sul pari del cambio, ma sul prezzo di quello e sul far risolvere i contrattanti
a far piuttosto che non fare questo contratto, come vedremo pi abbasso. Ora
s'egli avesse trasportato oro per spender oro, avrebbe avuto un vantaggio, perch
spendendo cento once d'oro in Milano, avrebbe speso il valore di mille e quattro
cento once d'argento ; e spendendole in Genova avrebbe speso il valore di mille e
cinquecento. Similmente colui che pagher a Genova il valore ordinatogli a Mi
lano, considera che se facesse il pagamento che deve fare in Milano (dico che
deve fare, perch sar sempre una compensazione d'un fondo o valore cedutogli,
perch o doveva prima quel valore, o lo deve dal momento che^segue il paga
mento che per suo conto si fa in Milano), egli con mille e quattrocento once di
argento pagherebbe un valore di mille e cinquecento in Genova. Quali saranno
in questa disparit di mire le allegazioni dei contrattanti? Colui che deve dare
la lettera di cambio dice: cento once d'oro in Genova mi vagliono mille e cin
quecento d'argento, oppure novanlatre ed un terzo di oncia d'oro mi vagliono lo
stesso in Genova che qui cento, cio mille e quattrocento. Colui che fa il paga
mento a Milano per ricever lo stesso valore in Genova, dove ha bisogno di cento
once di oro o del valore corrispondente in Genova, dice: di mille e quattrocento
once di argento in Milano posso farne cento di oro, che portate in Genova mi
pagheranno il valore di mille e cinquecento once d'argento. Dice colui che deve
pagare in Genova la lettera di cambio di cento once d'oro, ossia del suo valore
corrispondente : il valore che io pagherei in Milano di mille e quattrocent'once
di argento, mentre qui le pago con mille e cinquecento. Che fare in questa oppo
sizione d'interessi, durante la quale non potrebbe seguire alcun contratto? ne
cessario che ciascuno rilasci un poco delle sue pretensioni ; ma siccome ciascuno
cerca di rilasciare meno che sia possibile, cos non si potranno accordare se non
prendendo un termine di mezzo, cio colui che paga in Milano, per essere pagato
in Genova, si contenter di pagare in Milano mille e quattrocenlocinquauta once
d'argento, ovvero novantasei once */, di oro, e quegli che d la lettera, s'accon
tenter di riceverle per metterle in conto del corrispondente di Genova, il quale
pagher le cent'once d'oro o le mille e cinquecento d'argento, nel qual caso chi
perde sull'oro guadagna sull'argento, e chi perde sull'argento guadagna sull'oro.
Due piazze corrispondenti hanno un commercio promiscuo di cose, e la concor
renza produce e stabilisce un prezzo comune a queste cose di comune commer
TEORIA DUI. CAMBIO. CAP. VII. 555

ci. Ma l'oro una vera merce che ha il suo prezzo in cose o in argento, e
l'argento un'altra vera merce, che ha il suo prezzo in oro.o in cose. Dunque l'oro
avr il suo prezzo comune tra Milano e Genova, e l'argento avr il suo. Ma se
in Milano la proporzione resta come 1 a 14, e a Genova come 1 a 15, Milano
sar costretto di abbassare il prezzo dell'oro sull'argento, e Genova d'abbassare
il prezzo dell'argento sull'oro, finch s'incontreranno in questo moto contrario.
Dunque la proporzione si stabilir su questa regola, e sar realmente come 1 a
14 /,. Il pari politico dunque una compensazione momentanea fra il valore
dell'oro e dell'argento, per le reciproche perdite e guadagni che si fanno tra le
piazze commercianti attesa la disparit di proporzione, la quale tenderebbe a por
tare l'oro di Milano in Genova e l'argento di Genova in Milano, come abbiamo
veduto nella teoria delle monete.
. XL. Credo che a sufficienza io abbia spiegato che sia il pari politico nel
cambio. Ora questo pari politico , questo pari di mezzo fra i diversi valori del
cambio dell'oro coll'argento, il punto medio, ossia il livello sul quale si misura
il prezzo del cambio. Noi abbiamo detto che necessario per istabilire il pari
politico di prescindere dalle circostanze attuali dei contrattanti , perch se colui
il quale ha un valore in Milano ha pi bisogno di averlo in Genova, egli dovr
pagare questo bisogno ; per lo contrario, se quegli che deve pagarlo in Genova
per il pagamento da lui fatto in Milano , ha pi bisogno di ricever questo valore
in Milano di quello che conservarselo in Genova , pagher egli invece un tal
bisogno , e questo prezzo del bisogno sar il prezzo del cambio, assia l' interesse
del luogo, il quale nel nostro caso sar determinato dal rapporto dei bisogni dei
contratti. Per riguardo a colui che prende la lettera di cambio, se egli paga il
bisogno maggiore di avere un valore in Genova piuttosto che un valore in Milano,
pagher dunque al disopra del pari politico; cio nel caso nostro invece di pagar
l'oro in ragione di uno a quattordici e mezzo, lo pagher qualche cosa dippi,
e si dir avere il cambio al disopra del pari. Se invece P altro ha un maggior
bisogno di ricevere un pagamento in Milano che non quello di esser pagalo in
Genova, egli ricever l'oro al disotto del pari politico; cio nel caso nostro, per
lo stesso oro gli sar dato un poco meno che in ragione di uno a quattordici e
mezzo, e si dir per lui essere il cambio al disotto del pari. Se i bisogni sono
eguali , pagher e sar pagato coll'esatta parit, ossia proporzione tra le diverse
proporzioni correnti, e si dir che il cambio al pari.
. XLI. Ma essendo le piazze commercianti in promiscua corrispondenza tra
di loro, le circostanze dei particolari contrattanti, ossiano i loro bisogni partico
lari restano modificati da tutto il resto dei bisogni degli altri rispettivi contrattanti
delle due piazze. Si stabilir dunque una concorrenza e si far un prezzo comune,
in vigore del quale contrapponendosi e compensandosi questi bisogni finch pos
sono esserlo, da quella parte dove sar l'eccesso del bisogno si dovr finalmente
pagare un prezzo proporzionale all' eccesso di questo bisogno, e questo prezzo di
tutto questo eccesso di bisogno si ripartir su tutti i cambii che si fanno nelle
dette piazze commercianti ; onde quella piazza che ha dal suo canto un eccesso
di bisogno di pagare dei valori nell' altra , pagher questo prezzo cos ripartito,
e invece di pagare in ragione di 1 a 14 1 [2 pagher qualche cosa di pi, ed il
cambio sar per lei al disopra del pari; e quando sar pagata ricever meno di
1 a 14 1(2, il che Io stesso, e quella nazione che far cos con questa di cui
o34 BBCCABIA.

parliamo e della quale diciamo avere il cambio al disopra del pari, lo avr al
disotto riguardo a questa. Ma quali sono quelle nazioni che hanno questo eccesso
di bisogno, le une sopra le altre? Sar quella nazione che andr debitrice all'altra
in grazia dei reciproci commerci , cio quella la quale dopo compensati i debiti
coi credili, rimane ancora debitrice di una somma a questa nazione. Se ella non
vi trasporta il suo danaro, non potr continuare ad avere commercio con quella;
dovrebbe dunque fare un reale pagamento. Ma il trasporto di questo danaro co
sta una spesa. Se ella adunque trova chi paghi in questa piazza creditrice quelle
somme che essa dovrebbe trasportarvi, contentandosi questi di esserne rimbor
sato nella piazza medesima debitrice, i negozianti debitori, o quelli nei quali si
trasfonde questo debito, potranno pagare e dovranno, oltre il rimborso che si
far al pari politico o reale, questo servizio che loro risparmia la spesa di un
trasporto. Questo prezzo del cambio al di l del pari sar alla somma cambiata,
come la spesa del trasporto dell'eccesso del debito a tutto questo eccesso. Se dun
que Genova fosse debitrice a Milano, colui che paga qui in Milano le 96 e 3|7
once di oro, che vengono al pari mille e quattro cento cinquanta d' argento nel
l'arbitraria supposizione da noi fatta, ricever in Genova qualche cosa di pi di
queste mille e quattro cento cinquanta once d'argento ; onde Genova avr il cam
bio con Milano al disopra del pari , oppure Milano avr il cambio al disotto del
pari con Genova ; perch colui che pagasse le mille e quattro cento once a Milano
per avere in Genova le 96 e o\l d'oro che sono al pari politico, riceverebbe pi
di 96 e 5|7 a Genova, oppure pagherebbe qualche cosa di meno di mille e quattro
cento once d'argento a Milano.
. XLI1. Un altro principio del prezzo del cambio sar la provvisione, cio
il prezzo del travaglio e dell'industria de' cambisti, sia di quelli che ricevono il
pagamento, come di quelli che lo rimborsano. Se per esempio il cambio fosse al
disotto del pari, il prezzo o la provvisione pu rimettere al pari il valore della
lettera di cambio , perch deve pagare questo prezzo colui che prende la lettera ;
se al disopra, questo prezzo diminuir parimenti il vantaggio di chi fa il paga
mento per il debitore.
. XLUI. Un terzo principio o elemento del prezzo del cambio sar la con
sumazione o la deteriorazione della moneta, la quale non porta pi intrinseca
mente quella bont e quel peso che il titolo e l'impronta d'essa promettono. Ab
biamo veduto che le monete 6i alterano in mille guise. Nel cambio si valuta e si
ricompensa alla realt l'errore dell' apparenza.
. XLIV. Finalmente un altro opposto principio servir ad alterare , o piut
tosto a sminuire il prezzo del cambio che si paga da chi prende la lettera di cam
bio; questo l'interesse del tempo. Chi paga a Milano per ricevere a un mese,
a due, a tre il rimborso in Genova, non deve ricever lo stesso come se fosse
sul momento rimborsato. Se quel danaro che egli ha fatto pagare in Milano fosse
restato in sua mano , avrebbegli potuto fruttare un interesse annuo ; dunque
proporzionalmente gli sar computato l'interesse del tempo che larda ad essere
rimborsato.
. XLV. Giova qui avvertire, che chi prende la lettera di cambio, chi la d e
chi la paga non fanno mai questo calcolo, ma quasi sempre confondono i pari con
il prezzo e lutti gli elementi componenti questi prezzi. Essi sanno che tanti soldi
milanesi cambiansi con tanti soldi di Genova; tengono conto e danno le notizie
TEORIA DEL CAMBIO. CAP. VII. 555

di tutte le alterazioni del cambio diverse da Milano a Genova, diverse da Milano


in Francia, diverse da Milano a Venezia, e ci chiamasi sapere il corso del cam
bio e le variazioni di esso. Io non debbo qui trattenermi pi a lungo ad invilup
parci in questa difficile ed estesa materia, mentre non del mio istituto lo spiegare
la scienza del cambio per rutilila di un privato negoziante. Ilo dunque trascurato
a bella posta quell'imbarazzo di termini componenti la lingua del cambio, dietro
i quali si nasconde tutto l'artifizio degli attenti cambisti, che dirigono le loro
speculazioni in modo di farsi debitori dove il cambio al disotto del pari , e di
farsi creditori dove il cambio al disopra del pari, perch cos vengono a pagar
meno del debito fatto, ed a riscuotere di pi del credito che hanno, onde hanno
un doppio profitto. Ma questa operazione non pu da essi essere eseguita se non
hanno i mezzi di avere estesa corrispondenza, e le notizie le pi pronte ed esalte
delle variazioni e del corso del cambio nelle principali piazze il' Europa , ed una
grandissima pratica della bont intrinseca e del vero e falso valore delle monete,
in somma tutte quelle pratiche cognizioni che meglio s'imparano al banco che
sui libri , perch la mente ha sempre sott'occhio la realt e l'esecuzione, la quale
non pu che confusamente essere sugli scritti che noi leggiamo, anche i pi dif
fusi e chiari, adombrata.
. XLVI. Dunque terminando la teoria del cambio per quel rapporto che
esso ha col l'economia politica, diremo che il cambine di una grandissima utilit,
perch aumenta la circolazione, la facilit e la moltiplicit di contratti, per i
quali contratti moltiplici si d tutto il possibile valore alle produzioni del suolo
e alle opere dell'industria; e anima la concorrenza, la quale equilibra tutti i pro
fitti in maniera che ciascuno vende il pi caro che sia possibile, e compra al pi
buon mercato che possibile pur sia. Esso adunque sterile di sua natura, e non
un commercio attivo , ma una delle principali molle che spingono la circola
zione. Diremo in secondo luogo che dal cambio si pu conoscere, se una nazione
somministri ad un' altra pi danaro di quel che ne riceva, o viceversa, e coma
dicesi meno propriamente, se fuccia commercio passivo o attivo ecc. (dico meno
propriamente, perch se fa commercio passivo di danaro con una nazione, lo fa
attivo di mercanzia); perch se il cambio di questa nazione sar cambio di una
nazione debitrice, sar al di sopra del pari-, se sar cambio di nazione creditrice,
sar al di sotto del pari. Ma facendosi molte volte il cambio per mezzo di piazze
intermedie , qualche piazza intermedia pu essere creditrice della nazione credi-
trice per rispetto all'altra, o debitrice della debitrice. Bisogner dunque dedurre
dal prezzo del cambio, o aggiungere quella quantit che cresce o che manca per
ragione dell' opposta relazione della piazza intermedia.
i\on mi dilungo in queste ricerche, perch credo che facilmente saranno in
lese da chi ha ben compreso gli antecedenti, n giammai lo saranno da chi non
gli avr ben compresi.
556 BECCARIA.

CAPO Vili.

De' banchi pubblici , e delle monete di conto e credito.

. XLVII. Noi abbiamo veduto come gli uomini divengano possessori delle
ricchezze, e come queste ricchezze siano rappresentate da una misura comune
chiamata moneta; abbiamo pure veduto che la moneta o danaro, oltre l'essere
misura di tutti i valori , un pegno ed una sicurezza di ottener quelle cose che
da quella sono misurate. Varie mire possono avere i possessori di queste ricchezze:
l'una, la custodia sicura di quelle, acciocch non periscano e si disperdanola
seconda, una facile maniera di spenderle, cambiarle e contrattarle, risparmiando
sempre per quanto possibile la spesa del trasporto, che diminuisce l'utilit del
fine che nel contratto si propongono; una terza, d' impiegar questa ricchezza, che
misurata con danaro e da lui rappresentata , s che gli porti un periodico pro
fitto, in quella maniera che impiegandola su di una terra, questa gli darebbe una
costante riproduzione. Dippi diverse mire possono aver quelli che han bisogno
di queste ricchezze; perch non potendole ottenere gratuitamente, amerebbero di
trovar chi gliene prestasse per mezzo di un pegno che assicurasse il prestatore,
o per mezzo di un profitto che gli pagano: insomma cercano che loro sia ceduto
un valore in un tempo per restituire Io stesso valore in un altro. Finalmente lo
Slato medesimo e il sovrano sono talvolta bisognosi di un soccorso straordinario
per le occorrenze improvvise del di lui dominio, per il qual bisogno non trova
opportuno talvolta di accrescere il tributo, perch passando un certo limite smi
nuirebbe invece di aumentare le proprie forze; diventa quindi egli medesimo in
nome di tutto lo Stato debitore verso alcuni particolari, che sono in caso di pre
stargli il necessario danaro. Da queste e simili circostanze sono nati i banchi
pubblici, che in ogni parte d'Europa sono stati e sono, cio luoghi ove molti
particolari hanno riunite le loro ricchezze, sia per custodirle semplicemente, che
per darle ad imprestito sopra di un pegno o sopra di un annuo profitto, sia anche
solo per contrattarle fra di loro, acciocch tutte queste operazioni combinate e
riunite in un luogo solo, da tutti rispettato e meritevole della confidenza univer
sale, si rendessero pi facili e pi sicure e meno dispendiose a ciascuno in par
ticolare.
. XLVIII. Da quest' origine e definizicne dei banchi pubblici si deduce in
primo luogo, che l'unione delle ricchezze la circostanza essenziale che forma e
caratterizza il banco , e che perci non egualmente essenziale che tutte queste
ricchezze siano materialmente riunite in un luogo particolare; basta che le ric
chezze sieno riunite, cio che siano sicuri gli amministratori di trovare la ricchezza
dove ella sia. Si possono formar banchi non solamente di danaro , ma anche di
terre, le quali non potendo che essere nel luogo ove sono , non possono esser
comprese sotto il titolo di un banco, se non coll'esser vincolate ad adempire ad
un fine comune. In secondo luogo un'unione di ricchezze particolari. Chiunque
porta ad un banco la propria ricchezza , ossia il proprio danaro , o un valore
qualunque, non lo porta gratuitamente , non abbandona la propriet di questo
valore, ma ve lo porta perch cos ottiene il One che egli si propone. dunque
DEI BANCHI PUBBLICI E DELLE MONETE. CAI'. Vili. 537

necessario che la sua propriet non sia confusa , e che gli sia assicurato il fine
per cui egli ha voluto portarla al banco e riunirla colle altre. Dunque il proprie
tario di questa ricchezza acquista un diritto riconosciuto dal banco sul banco
stesso, che gli assicura il fine e la propriet del valore confidatogli, a quelle
condizioni che sono state legittimamente convenute. Quest' assicurazione si fa re
gistrando esattamente in un libro i nomi de' depositanti , la qualit del deposito
e le condizioni colle quali stalo fatto, e rilasciando al proprietario medesimo un
viglietto autentico, che gli d il diritto di riprendere o contrattare la somma con
venuta ed enunziata nel viglietto medesimo. Il proprietario in questa maniera
diviene un legittimo creditore del banco, e il viglietto e il pubblico registro di
vengono una misura e un pegno di valore, come lo possono essere le vere e reali
monete, ogniqualvolta questo viglietto e questo registro possono essere realizzati
in quella moneta e in quel valore che rappresentano , e a quelle condizioni colle
quali sono stati fatti e ceduti. Se chi possiede la moneta cessasse di poter con
essa acquistar le cose che gli bisognano, la moneta diventerebbe una materia su
perflua ed affatto inutile; onde chi fosse pieno di oro, se l'oro non fosse per se
stesso convertibile in alcuni usi, sarebbe ci nonostante realmente povero. Dun
que parimenti se i possessori di viglietti o gli scritti al pubblico registro non po
tessero realizzare quel valore, e in quella maniera che si trovano registrati, il vi
glietto ed il registro sarebbero una carta tinta d'inchiostro e nulla pi. Dunque
il valore di questo viglietto o registro consiste nel credito che esso ha, ossia nella
sicurezza di poter essere realizzato. Ma non si pu sul banco medesimo realiz
zare , se non tanta ricchezza reale ed effettiva quanta vi stata portata. Dunque
tanti viglietti e non pi possono i banchi lealmente rilasciare. Il sistema di Law
un esempio funesto d'essersi voluto allontanare da questo principio, che per
esser troppo chiaro non perci stato esattamente seguito , ma frequentemente
anzi vi si andato all' incontro : esempio non raro tra gli uomini.
. XLIX. Questi viglietti adunque rappresentanti vera ed esistente ricchezza
possono circolare e passare da una mano nell'altra, come potrebbe farlo la rie
chezza medesima, della quale non sono altro che rappresentatori. Gli uomini non
hanno sovente bisogno di muovere la ricchezza dove ella si trovi, e dalle mani
di chi realmente la custodisce, ma soltanto di acquistare il diritto che altri ave
vano sopra di essa, e i profitti che da quella ne derivano. I viglietti venduti
adempiono meglio a questo fine di quello che se non vi fossero, perch altrimenti
bisognerebbe o trasportar la ricchezza medesima da un luogo all' altro, o che i
contrattanti si trasportassero essi medesimi con certe formalit sul luogo della
ricchezza, l'uno per cedere, l'altro per ricevere l'alienato diritto; e tutti questi
trasporti e formalit divengono dispendiosi, e per conseguenza tendenti a smi
nuire il valore venale delle cose in favore degli agenti intermediarii , non in fa
vore dei veri compratori o dei veri venditori.
. L. Prima di passar pi oltre giova qui il definire alcune delle circostanze
che ordinariamente accompagnano il giro di un pubblico banco, cio la cos detta
moneta di banco.
La moneta reale un pezzo determinato di metallo, che in proporzione del
6Uo peso e della sua qualit, misura ed assicura un determinato valore. Grani ,
denari, once, libbre d'oro, d'argento, di rame sono le reali monete delle nazioni
d' Europa. In orgine non vi stata che questa moneta, ma in seguito avvenuto,
538 BECCARIA.

che questa reale moneta ha servito a dare il nome a quella divisione di parti ,
che indicava il diverso rapporto delle monete reali tra di loro : mi spiego coli' e.
sempio delle nostre lire. Ai tempi di Carlo Magno la libbra era una vera e reale
moneta, cio nn peso di argento di dodici once circa, e il soldo era la ventesima
parte di questo peso di dodici once ; non eravi una moneta sola che pesasse do
dici once, ma vi erauo dei veri soldi, venti dei quali pesavano realmente queste
dodici once, ed erano una libbra d'argento. Ma alteratosi il soldo, cio riducen
dosi il soldo effettivo di argento ad essere la met, un terzo, un decimo, fino un
novantesimo dell'antico suo peso, questi venti soldi non misurarono pi il peso
di dodici once d'argento, ma sibbene il peso della met, terzo, decimo, novante-
Simo di queste dodici once d'argento. Ritennero sempre per il nome di libbra
che in quello di lira degener ; e queste lire, che erano originate dalle vere anti
che libbre, servirono a misurare il prezzo ed il valore di tutte le monete d' oro.
In questa maniera nata la moneta di conto, cio un nome ed un numero signi
ficante il prezzo delle differenti reali monete. Ci supposto , cio che la moneta
di conto non una moneta , al nome della quale corrisponda realmente un tale
e determinato prezzo di metallo coniato, ma un' uniforme e semplice misura di
tutti i differenti pezzi di questi metalli coniati, vediamo ora che sia la moneta di
banco. Supponiamo uno che porti al banco, sia di deposito, sia semplice, sia di
profitto, sia in qualunque maniera, lire trenta mila. certo che egli porta questo
valore, perch in qualche maniera gli utile il portarvelo. Ma se in qualunque
maniera gli utile, giusto che egli paghi quelle spese che sono necessarie alla
custodia, al registro, all' amministrazione qualunque, che la natura del bauco
possa esigere. Supponiamo ora arbitrariamente per comodo del computo , eh*
lire trenta mila portate al banco costino al banco di spese sei mila lire per lutto
quel tempo che stanno sul banco, il proprietario per ricevere un credilo di lire
trenta mila dovr pagarne trenta sei mila, o se paga trenta mila ricever il cre
dito di sole ventiquattro mila. Se colui, che ha il credito del banco di lire venti
quattro mila, vendesse questo suo credito, gli sarebbe pagato lire trenta mila da
colui, al quale torna il conto di sostituirsi alle ragioni del primo creditore. Dun
que lire ventiquattro mila sul banco equivalerebbero a lire trenta mila effettiva
mente , e tutte le monete che il banco pagher saranno ragguagliate a questo
valore, ossia secondo questo rapporto come 20 a 25; e quando i credili si rea
lizzeranno sul banco, il creditore sar pagato con monete che in banco varranno
ventiquattro mila lire, e fuori di banco saranno spese per lire trenta mila. Vede
ognuno che in questo caso arbitrario egli lo stesso , come se il creditore del
banco pagasse l'esorbitante interesse del venti per cento per salario al banco de
positario. Non questo il caso, n cos considerabile la differenza tra la moneta
di banco e la moneta fuori di banco , perch ordinariamente 1' uno o il due pur
cento sono il salario del banco che al pi i creditori debbono pagare.
. LI- Abbiamo di gi accennata una delle due utilit dei banchi, e questa
il potersi da quello conoscere il possibile aumento o il decremento dell' agricol
tura-, perch sminuendosi sul banco gl'interessi-, se i capitalisti ritirano i loro
capitali segno che vi un impiego migliore da sperare ; se non il ritirano
segno che l'agricoltura non pi suscettibile d'aumento. L'altra utilit accennata
si di potersi con quelli rimediare ad un pressante bisogno dello Stato, e per
guarire un maggior mole. Ma per ci fare sono necessari molti riguardi , perch
DEI BACCHI PUBBLICI (. DELLE MONETE. GAP. Vili. -,.)'

uon si pu farlo con una banca di semplice deposito senza alienare il deposila
medesimo , cio arrischiando un fallimento ; mentre quando si combinassero la
circostanze che non venissero nuovi depositi a farsi sul banco, e li depositarli
volessero contemporaneamente ritirare il deposito , il banco non avrebbe di che
fare la restituzione. Non sempre si pu fare apertamente dimandando il danaro,
rilasciando tanti viglietti autentici che abbiano il corso del danaro; perch questi
viglietti non avranno corso se non avranno credito, e non avranno credito se non
con la sicurezza di potersi realizzare e convertirsi in danaro quando si voglia.
Ben vero che in caso che questa sicurezza vi sia , un numero determinato di
viglietti pu tener luogo di danaro in quello spazio nel quale trovasi questa sicu
rezza. La moneta un segno di un valore; un viglietto pu essere segno pari-
menti di un valore. La moneta un pegno di una mercanzia venduta, che d
il diritto di comprarne un'altra, dunque un pegno intermedio di un cambio di
una merce con un' altra. Nel nostro caso , un determinato numero di viglietti
autentici , non maggiore di quello che possa essere 1' attuale quantit di valore
che trovasi ad ogni momento in circolazione , pu ottenere il medesimo flne
quando abbia il credito, cio divenire un pegno intermedio di un cambio di una
merce coll'altra. Dunque a queste sole condizioni possono divenire una vera mo
neta; ma non saranno mai una mercanzia, se non in quanto sono realizzabili.
La moneta si realizza da se medesima, non avendone una nazione che non ha
miniere giammai al di l di quello che debba averne , supposto il proprio com
mercio libero perfettamente. Ma sarebbe difficile il conoscere ed il fermarsi nei
limiti del necessario nel rilasciare questi viglietti. Non avendo dunque i vig|ietti
altro valore se non in quanto sono realizzabili, facilitano bens la circolazione,
ma non aumentano la massa reale dei valori circolanti , come qualche insigne
scrittore avea supposto. Non si alzano dunque i prezzi delle cose; in questo caso
non pregiudicano alla concorrenza e non fanno alcun cattivo effetto, sebbene tutti
i cattivi effetti fossero capaci di produrre se non fossero realizzabili.
. LII. Finalmente un banco, che paghi un interesse ai sovventori, dee avers
di che pagare questi interessi , il che quando il banco per lo Stato o per il so
vrano, che lo stesso, non si pu fare se non per mezzo d'un sopraccarico, o
alienando una parte del tributo gi imposto , la quale operazione a molti gravi
inconvenienti soggetta. Perch un sopraccarico diminuisce a poco a poco la ri
produzione, e per conseguenza le rendite tutte del sovrano e dello Stato, estin
guendo negli uomini quell'interesse personale che gli stimola ad agire ed a su
perare gli ostacoli che naturalmente oppone la terra a chi la coltiva; onde non
possono questi sopraccarichi che essere un oggetto di straordinaria risorsa, non
un metodo costante, mentre sarebbero distruttivi della nazione e della forza stessa
che nel sovrano. L'alienazione poi di un tributo deve produrre a poco a poco
lo stesso effetto, perch questo tributo, non essendo un sopraccarico, sempre
regolato sui bisogni del sovrano e dello Stato ; ma smembrando una parte della
rendita che serve a questi bisogni, non diminuiscono i bisogni stessi; dunque
alienata una porzione di tributo, bisogner imporre la porzione alienata- Questa
adunque diverr un sopraccarico distruttivo delia ricchezza e della produzione,
e per conseguenza della forza tisica e reale della sovranit stessa. Da ci si pu
incidentemente osservare quanto saggie , giuste e benefiche sieno le disposizioni
di quei sovrani, che che ne dicano alcuni, le quali tendono a redimere ed a ri
540 BKCI A HI A.

prendere dalle mani dei particolari quelle porzioni di tributo che furono gi alie
nate ; poich ridotte in questa maniera le rendite pubbliche al vero e solo loro
proprietario, cio al sovrano, allora egli medesimo vorr e dovr togliere tutto
ci che sopraccarica la nazione; perch questo sopraccarico ben lontano dall'ar-
ricchirlo si vedr che lo impoverisce, facendo languire, anzi annientando una
parte di quella maggiore riproduzione che la terra potrebbe sostenere, e della
quale pu e deve avere una porzione. Ma non questo il luogo dove trattare di
queste materie.
Da quanto abbiamo detto si sono potute vedere le utilit de' banchi pubblici
ed i loro inconvenienti, e come le banche di deposito, quelle de' pegni, quelle di
assicurazione possano servire a facilitare la circolazione, che mantiene il movi
mento ed il vigore delle fatiche utili e produttive, e come quelle d'interessi siano
le pi soggette ad inconvenienti e rischi.

CAPO IX.

Del credito pubblico.

. LUI. La scarsezza del tempo, che ci costringe a compendiare quelle ma


terie che ancora ci rimangono a trattare, mi sforza a stringere in questo Capitolo
tutto ci che doveva esser diviso in varii, e chiudere cos questa Parte Quarta.
Dalla facilit e promiscuit de' commerci di varie nazioni, dalla libert e vi
gore del commercio s interiore che esteriore nasce quel fenomeno politico e mo
rale che chiamasi credilo pubblico. Esso altro non che una confidenza e fiducia
che provano i sudditi riguardo agli altri sudditi , i membri di una nazione con
quelli di un'altra, di poter sicuramente e facilmente cambiare e contrattare i va
lori che posseggono con altri che possono desiderare. Quando nasce questa re
ciproca confidenza, sia fra gli uomini, sia fra le nazioni, ella diviene di una
reciproca utilit; e questa medesima confidenza che un effetto della prosperit
e della facilit del commercio , diviene a vicenda cagione di maggior prosperit
e facilit del commercio medesimo. Come si ottenga in tutte queste quattro parti
lo abbiamo dimostrato. Solo qui diremo che questo importante ramo della mo
rale economia degli Stati merita di essere gelosamente conservato. La facilit della
circolazione, il libero commercio delle derrate e delle opere dell'industria, la
concorrenza dei venditori, e quella dei compratori lo faranno crescere ed ancora
fino ad un certo segno lo conserveranno. Ma dove vi sono passioni ed appetiti ,
vale a dire dove vi sono uomini, necessario altres di punire la frode e di pre
venire la mala fede, altrimenti le ricchezze si rinchiudono e malamente si distri
buiscono, o con tale cautela o diffidenza si contrattano che languisce ogni ripro
duzione, e per conseguenza si annienta la ricchezza e la forza mantenitrice degli
Stati.
. LIV. Un proprietario di un qualunque valore fallisce ogni qualvolta la
gomma del suo debito eccede la somma del suo credito; ci pu accadere per
accidenti che non si possono prevedere. Questi fallimenti non fanno perdere la
DBL CREDITO PUBBLICO. CAP. IX. 541

confidenza e il credito pubblico, perch sono rari, e perch non nascono dalle
circostanze e relazioni dei contrattanti tra di loro. Ma se ci accada per colpa
vera o per frode di chi fallisce, farebbero perdere questo cosi prezioso credito
pubblico. Bisogna dunque punire i fallimenti, bisogna punirli con quelle pene che
sono relative alla natura del delitto. Chi contratta , contralta per ricevere utilit
dal proprio contralto. Dunque chi froda dovr in primo luogo risarcire il valore
che ha frodato, dippi deve restar privo di altrettanto valore, ossia di altrettanta
utilit , di quanta egli ha voluto frodar gli altri. La pena dunque del doppio
sembra dettata dalla natura del delitto stesso. Ma quando la frode fallimento,
il debito eccede la facolt di chi fallisce; mentre dunque v' impossibilit a sod
disfare con i proprii fondi sia al risarcimento , sia alla pena del delitto, rimane
la necessit dell' esempio. Dunque bisogner supplire con pene personali ; ma
queste pene dovranno prendere la norma dalla naturale e propria legge del dop
pio indicata dalla natura del delitto. Ora si pu calcolare di quanto valore sia
un uomo nella condizione in cui egli , perch tanti guadagni in tanto tempo
avrebbe egli coli' industria sua prodotto a se stesso. Dunque la carcerazione ed il
travaglio obbligato, per tutto quel tempo che vale la pena del doppio, sar la
pena conveniente in questi casi. Ma ci appartenendo piuttosto alla scienza le
gislativa, basta averlo accennato senza entrare in pi lunghe discussioni. Si pre
viene la mala fede col registro pubblico ed obbligato dei contratti. Ma qui bisogna
avvertire che non tutti i contratti dovrebbero essere registrati; non i contratti
che si compiono nell'atto che si fanno, ne' quali uno paga e l'altro vende; non
tutta la folla de' minuti contratti che servono all' uso continuo delle cose com
merciabili, perch senza inconvenienti possono lasciarsi all' autenticit dei libri
mercantili, ed colpa reciproca di chi non si cautela in questa sorta di contratti;
ma quelli che consistono in terre vendute o danari prestati ad interesse ai pro-
prietarii delle terre dai quali parte la vera e sola ricchezza, debbono essere regi
strati perch sian noti alla pubblica autorit, la quale protegge i loro diritti pri
mordiali. Se dunque la terra cambia di proprietario, ci debb' essere parimenti
noto per la medesima ragione di tutela e di protezione. I danari prestati conten
gono una promessa di futura restituzione. Questi capitali rappresentano una pro
priet che debb'essere sicura e protetta in favore del proprietario. Chi la presta
ne cede l'uso, chi la prende ad imprestito potrebbe frodarne la restituzione, ed
usurpare per conseguenza la propriet altrui, che uno degli elementi costitutivi
della societ. Questi contratti debbono dunque essere registrati, acciocch si possa
vedere da chicchessia se uno ha ancora propriet libere e non impegnate all'altrui
restituzione. Si obbietta che molti contratti non si farebbero, i quali si fanno per
essere fondati sul mero credito. Si risponde essere libero a chi si voglia di pre
stare con questa fiducia ; ma l'autorit pubblica non gliene garantir la restitu
zione. Dippi, dato il maggior vigore alle arti ed alle terre, non imporla che tali
contratti sul mero credito non si facciano, perch la maggior prosperit dell'agri
coltura non dipende dal maggior numero di questi contratti, ma da altre cagioni
in questi Elementi annoverate. Il credito pubblico fra nazioni e nazioni si man
tiene per le stesse vie e la stessa buona fede, che regnar deve tra privati e privati,
con tanto maggiore esattezza quanto maggiore l' influenza di molti , che di
pochi.
. LV. Ci che io avrei dovuto soggiungere a questa Quarta Parte erano
542 BECCARIA.
principalmente tre articoli, l'uno intorno al commercio di economia, l'altro in
torno al dubbio, se la nobilt deve fare il commercio, ed il terzo intorno alla
co? detta speculazione mercantile. In quanto al primo noi l'abbiamo gi definito,
ed abbiamo gi conosciuta la differenza che passa fra questo ed il commercio di
produzioni. Solo diremo, che chi fa il commercio di economia non ha altri valori,
che quelli che l'industria si procura. L'industria non moltiplica le materie, non
crea nuovi valori; solo la terra madre pu farlo. Dunque tutta la ricchezza del
commercio di economia consiste in salarti ; dipende dunque totalmente dai pro-
prietarii delle materie prime. Dunque il commercio di economia appartiene ed
influisce pi sulla prosperit di quelle nazioni che producono queste materie ,
delle quali ne incoraggisce e facilita la produzione, perch ne facilita lo spaccio
e l'uso, di quello che sia utile alia nazione in cui sono questi commercianti di
economia; ma questi possono esser utili, in quanto facilitano il cambio delle pro
duzioni interne colie esterne. Sono dunque utili come agenti intermediarii ; ma se
i loro salari! sono troppo forti , essi stessi perderanno il loro commercio , e ces
ser la riproduzione. Dunque l' essenza di questo commercio consiste nei piccoli
guadagni, ma frequentemente ripetuti: massima, che 11 negoziante che pensa in
grande e che conosce i veri suoi interessi, non perde mai di mira.
. LVI. In quanto al secondo articolo la questione mista di considerazioni
morali e politiche, oltre le economiche, e sarebbe di lunga discussione. Per ci
Che spelta al lato economico facilmente sciolta. Si vorrebbe escludere la nobilt
dal commercio e separare dalla concorrenza universale un numero d'uomini; ma
da tutti questi Elementi si sa quanto sia dannoso il diminuire la concorrenza ;
dunque economicamente sar dannoso escludere la nobilt dal commercio. Per
terminare la questione si dovrebbe definire che sia la nobilt, come influisca sulla
nazione, e come i privilegi di essa non debbano essere i privilegi del commercio.
. LV1I. In quanto al terzo ed ultimo articolo della speculazione mercantile,
diremo che questa in nient' altro consiste che nell' avere anticipatamente le pi
esatte notizie e nel prevedere dove sia o sar abbondante una- merce, e perci a
miglior mercato, e dove sia o sar scarsa, cio a pi caro prezzo, e nel sapere
sapere a tempo e con minore spesa trasportarla da un luogo all'altro. Lo specu
latore trasporta a poco a poco, non tutta in una volta e in un momento, la merce
dove richiesta, perch facendone un trasporto troppo considerabile nuocerebbe
a se stesso, col far diminuire il prezzo che egli vuol alto conservare per cavarne
profitto. Queste ed altre cose, che tutte si aggirano intorno a questo ordine, sono
le considerazioni che formano la speculazione mercantile , della quale il tempo
inesorabile non permette che pi oltre vi faccia parola.

Fine del Beccaria.


545

INDICE DELLE MATERIE.

Elementi di economia pubblica pag. 393


Parte prima. Principi! e viste generali ivi
Cap. 1. Principio generale . 394
II. Della natura del travaglio e della cousumazione 398
III. Della popolazione 403
Parte seconda. Dell' agricoltura politica 423
Cap. I. Degli ostacoli che si oppongono alla perfezione dell agricoltura
e dei mezzi di levarli 424
II. Della piccola e grande coltura delle terre . 430
III. Piano per i progressi dell'agricoltura 433
IV. Della proporzione fra le differenti colture delle terre 436
V. Del regolamento dell'annona .... 441
VI. Della coltura di altri generi di derrate 455
VII. Della pastorale 460
VIII. Della metallurgia, pesca e caccia 463
Parte terza. Delle arti e manifatture .... 465
Cap. I. Differenti divisioni ed aspetti delle arti e manifatture ivi
II. Per quali cagioni le arti si indeboliscono e si perdono, e per
quali mezzi si rinvigoriscono 470
III. Della preferenza e distribuzione delle diverse arti e manifatture 481
IV. Della disciplina, con cui le arti debbono esser tenute 485
Parte quarta. Del commercio 488
Cap. I. Del valore e del prezzo delle cose 490
II. Della moneta 491
Appendice al precedente Capitolo II 507
III. Della circolazione e della concorrenza 513
IV. Del commercio 516
V. Del lusso .... 522
VI. Degl'interessi del danaro . .. 527
VII. Teoria del cambio . 529
Vili. De' banchi pubblici e delle monete di conto e credito 536
IX. Del credito pubblico 540
=TURN CIRCULATION DEPARTMENT
TQ- 202 Main Library
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