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Facezie e novelle
del Rinascimento
A cura di
Edoardo Mori
Testi originali trascritti o trascrizioni del 1800 restaurate
www.mori.bz.it
G I O VA N NI S ER C AM B I
Bolzano - 2017
Ho creato questa collana di libri per il mio interesse per la sto-
ria della facezia e per riproporre il tesoro novellistico del Ri-
nascimento italiano. Molte opere sono note e reperibili, altre
sono note solo agli specialisti e difficilmente accessibili in te-
sti non maltrattati dal tempo. Inoltre mi hanno sempre di-
sturbato le edizioni ad usum Delphini, adattate a gusti bigotti,
o le antologie in cui il raccoglitore offre un florilegio di ci
che piace a lui, pi attento all'aspetto letterario che a quello
umoristico. Un libro va sempre affrontato nella sua interezza
se si vuole comprendere appieno l'autore. Perci le opere pro-
poste sono sempre complete; se non le ho trascritte, stante la
difficolt di fa comprendere ai programmi di OCR il lessico e
l'ortografia di un tempo, ho sempre provveduto a restaurare il
testo originario per aumentarne la leggibilit.
Edoardo Mori
2
NOVELLE INEDITE
DI
GIOVANNI SERCMBI
TRATTO
D A L CODICE T R IY U L Z IA N O C X C I II
F* CURA DI
R O D O L F O R E N IE R
TORINO
ERMANNO LOESCHER
riKINII ----- ROMA
Y l T t r i a b o o s i . SO V ia dal C o r s o , 307
1889
AL PROFESSORE
ALESSANDRO DANCONA
P R I M O ED A MO R O S O ILLUSTRATORE
DELLE NOVELLE
DI GIOVANNI SERCAMBI
CON A F F E T T O R E V E R E N T E
DEDI CO
PREFAZIONE
i.
dice un poeta sincrono (1), che quando scriveva questi versi non
aveva peranco veduto spuntare quel giorno di redenzione, m a
non ne era molto discosto (2).
Se peraltro Lucca vide cessare col 1369 quella specie di palleggia
mento politico, che i potentati esterni facevano di lei, principiarono,
con la libert ricuperata, a ltri m ali nel suo seno medesimo. (Tn
uomo di specchiata probit e di senno politico non ordinario,
Francesco G uinigi, seppe ovviare, nei prim i anni ai pericoli che
le ambizioni dei grandi e la potenza delle consorterie preparavano
alla libert lucchese. Diede egli assetto allufficio degli anziani,
che potevano essere scelti indistintam ente tra i grandi ed il popolo,
e fu principale autore del m agistrato detto dei consenatori della
libert, il quale doveva difendere lo stato dalle insidie esterne ed
interne; provvide alla sicurezza messa a repentaglio dalle com
pagnie di ventura, che infestavano l Italia, e si scherm dal rischio
di una invasione a mano arm ata per parte del Visconti (1373);
rialz la istruzione dei giovani, contribu alla buona igiene della
citt derivando lacqua dal Serchio, istitu una cassa di depositi per
far fronte ai bisogni im previsti. Quando il 5 giugno del 1384 egli
venne a m ancare, fu lu tto generale in tu tti i buoni, che vedevano
in lu i il pi saldo ed onesto custode della libert della patria.
Ma se da una parte lopera di Francesco Guinigi torn di grande
profitto alle libere istituzioni, dallaltra essa doveva preparare uno
stato di cose estremam ente pericoloso per la citt, accrescendo a
dism isura la potenza in Lucca della sua fam iglia. Ond che dopo
la sua m orte levarono la testa le fam iglie rivali, che attaccarono
subito quella istituzione guinigiana, che dava loro pi noia, il 12
(1) Fazio degli Uberti nel Dittamondo, L. Ili, cap. 6, a p. 221 della ediz.
Silvestri.
(2) Il Dittamondo, composto e ritoccato a riprese, era finito di scrivere
verso il 1367. Cfr. G rion , Intorno atta famiglia e alla vita di F. d. Ub.,
Verona, 1875, p. 19 e la mia introduzione alle Liriche di F. d. Ub., Fi*
renze, 1883, pp. cxcicxgvii.
PREFAZIONE IX
(1) Sa quella casa, che porta ora il n 1413 nella via S. Carlo in Canto
dArco, fa morata una inscrizione composta da Carlo Minutoli, che suona
cos : I n quest * case oi d e F alabrina | signori di Segromigno | n acq u i
Giovanni S ercambi | novclliero e cronista del sbc . XV | fautore di
PRINCIPATO | CONCULCANDO LE LIBERT DEL COMUNE | MCCCXLVII-MCCCCXXIV.
Debbo gentile comunicazione di questa e di qualche altra notizia al cav. Gio
vanni Sforza, che ringrazio qui sentitamente. Per quello che spetta ai fatti
della vita del Sercambi, mi valsi specialmente della biografia di lui, messa
insieme con cura da C. M inutoli e pubblicata prima negli A tti detta R. Ac
cademia dei Filomati, Lucca, Giusti, 1845, pp. 133-196, e poi con parecchie
correzioni in testa alla stampa procurata dal Minutoli stesso di Alcune no
velle di Giovanni Sercambi lucchese, che non si leggono netta edizione
veneziana, Lucca, Fontana, 1855.1 miei rinvi si riferiscono sempre a questa
ultima edizione.
(2) M inutoli, Op. cit., p. x.
PREFAZIONE XI
cambi era troppo avveduto per non intendere che a lu i, non ricco
e isolato, m al sarebbe venuto fatto di colorire i suoi disegni am
biziosi. E per si strinse ad ima fam iglia, che godeva in Lucca
dei prim i onori, che godeva ricchezza di censo e di aderenze, dalla
quale quindi cera molto da sperare, la fam iglia Guinigi.
Nelle fortunose vicende di questa fam iglia, dalla m orte di Fran
cesco in poi, trovossi il Sercambi sempre pronto a sovvenirla col
braccio e col consiglio. N, pare, tardarono i G uinigi, ad accorgersi
del partito che potevano trarre di questuomo ambizioso, destro e
fidato. Inauguratasi, come si disse, nel maggio del 1392 la signoria
effettiva, se non titolare, di Lazzaro Guinigi, fu il Sercambi creato
a far parte della bala e da questa sal replicate volte a ll an-
zianato, e finalm ente nel 1397 tenne il supremo grado di gonfa
loniere di giustizia e nel 1499 fu inviato am basciatore alla signoria
di Firenze (1). Egli era, come si vede, pervenuto alle cariche pi
cospicue e alle missioni pi onorevoli e delicate, quando accadde
quel fiero caso dello assassinio di Lazzaro, cui siamo giunti col
nostro racconto.
F u un colpo di fulm ine per quella fam iglia e dovette esserlo
anche pel Sercambi. Al recente fratricidio si univa lopera logo-
ratrice del tempo e quella della peste, m anifestatasi in Lucca con
grande intensit fin d allautunno del 1399, per istrem are la po
tenza dei G uinigi. Dei m aggiori, Dino era fiaccato dagli anni,
Michele dagli anni e dalla m alattia, che appunto in quel 1400
lo condusse a m orte (2); Paolo era giovine, inesperto, peritoso.12
nero, per rodio che sera tirato addosso da parte de suoi concit
tadini dim oranti in Lncca e fuori. Da questi suoi lagni si discerne
chiaram ente come gli cocessero in ispecie i danni pecunian (1).
Ci non ostante noi abbiamo buono in mano per ritenere che
il Sercambi mettesse insieme non poca roba in quel suo servire
e favorire i Guinigi. Esiste un documento, per vari risp etti note
vole, che io pubblico nella sua integrit in fondo a questa prefa
zione. il testam ento di Giovanni Sercambi, del quale si rogava
il 21 febbraio 1424 il notaio ser Domenico Ciomucchi (2). Da
questo testam ento risultano parecchi fatti della vita privata del
Sercambi e si imparano nel medesimo tempo a conoscere le sue
condizioni finanziarie.
Non avendo avuto figliuoli dalla moglie P in a Campori (3), no
m ina il Sercambi suoi eredi universali i nipoti Giannino e Bar-
(1) Di questa interessante rubrca inedita non posso che riferire il breve
sunto datone dal M inutoli, Op. cit., p. u v : Premesse alcune considera-
zioni sui percoli che s'incorrono da chi, essendo nella citt divisione, si
accosti ad una delle parti, corroborate da esempli di antiche storie e au-
torit di dottori, viene riepilogando i servigli da lui renduti alla casa Gui-
nigi; e quindi passa a raccontare i danni sofferti per detta cagione enu-
inorandone fino a otto; cinque de quali non sono per che la conseguenza
del terzo danno, cio dell'essergli stato impedito d'entrare al possesso del-
l'eredit di maestro Giglio Sercambi suo zio, morto in Parigi il 1404, pel
fatto degli esecutori del testamento. Aveva Giovanni mandato a tale
effetto il suo fratello Bartolommeo con lettera commendatizia del signore
di Lucca: ma tutto fu nulla; che Bartolommeo vi lasci la vita, e in luogo
di conseguire la eredit, che egli fa ascendere a meglio di fiorini sette*
mila, gliene andarono settecento de' proprii . Cfr. p. xxv.
(2) 11 documento si stampa qui per la prima volta; il Minutoli peraltro
ne ricav varie notizie in Op. ctf., pp. xxvi e liv. Io ne feci estrarre copia
ufficiale dallArchivio notarile di Lucca e per la precisione di questa copia'
debbo grazie al conservatore di quell'Archivio not. Federico Merli.
(3) Apparteneva questa donna alla medesima famiglia Campori di Fibbialla,
donde era uscita Lucia, moglie di Jacopo Sercambi, e madre di Giovanni.
Pina dovette essere largamente fornita di beni di fortuna e Giovanni la spos
giovanissimo (ventenne?), come risulta da uno strumento veduto dal Minia
toli, p. IX.
PREFAZIONE XVII
IL
tica casa e qualche tenuta, e quindi Giovanni fece col degli acquisti di
campi. Dai lasciti del testamento si pu rilevare laffetto ch'egli serbava a
quella terra, donde erano usciti i suoi maggiori. E cos pure volle favorito
il paese d'origine della moglie sua, Fibbialla. Per quanto misogino e diffi
dente delle mogli appaia nelle novelle, sembra che a Pina lo legasse viva
affezione.
(1) Mem. e docum. c it, voi. IX, Lucca, 1825, pp. 126-128.
XX NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
quanto dotto, storico delle lettere nostre (1), non manc di asse
gnare il suo posticino anche al Sercam bi; ma a valutarlo nella
sua interezza gli mancavano g li elem enti. Volle in fatti il caso che,
per ostacoli di diversa natura, degli scritti del Sercambi vedessero
sinora la luce soltanto pochi, e quei pochi o incom pleti o scorretti.
Lo scritto che forse meglio di ogni altro serve a caratterizzare
lindole politica del Sercambi e quella sua acutezza di reggitore
pratico, che gli fece avere tanta parte nei destini civili della sua
terra, il M onito ai Guinigi (2). Questa breve prosa, diretta a
Dino, M ichele, Lazzaro e Lazzario Guinigi, certam ente poco dopo
il 1392, in cui la potenza della fam iglia usc rafferm ata pella
vittoria ottenuta sui suoi nemici, ha in s condensato un vero pro
gram m a di governo, sul quale non sar m ale che noi ci soffer
miamo alcun poco. La riassunsero il Lucchesini (3) e il M uni
toli (4 ); ma troppo breve e incom piutam ente.
Detto nel piccolo proemio che dagli avvenimenti passati dee
luomo trarre ammaestramento per evitare i pericoli presenti e
prevenire i futuri, lautore indica il numero de soldati da pi e
da cavallo, che devono tenersi a guardia della citt e del terri
torio, e m inutam ente precisa come queste guardie si abbiano a
disporre. Le castella pi esposte si affidino a castellani fidati;
l ufficio dello anzianatico si procuri sempre ad am ici, e cos puro
si cerchi degli a ltri uffici, intendendo vostri am ici quelli che1234
(1) Gaspary , Qeschichte der italianischen Literatur , voi. II, Berlin, 1888,
pp. 72-73 e 645.
(2) Lautografo di questo Monito si trova, come mi informa lo Sforza,
nella filza 38 della serie intitolata Governo di Paolo Guinigi nel R. Ar
chivio di Stato in Lucca. Di su un cod. proprio lo stampava il M ansi, in
Stephani B alutii Tutelensis Miscellanea novo ordine digesto, voi. IV, Lucca,
1764, pp. 81-83. Qui il testo, del quale pur troppo sono forzato a valermi,
dato cosi male, con errori tanto evidenti e madornali nella lettura del
codice e nella divisione delle parole, che a desiderare una sollecita e di
ligente riproduzione deUautografo.
(3) Mem. e d o c u m IX, 127.
(4) Op. cit., pp. xxxi-xzxn.
PREFAZIONE XXI
(i) Civilt del rinascimento, trad. ital., I, 118-19. Erra peraltro il Bur
ckhardt quando ripone l'operetta sercambiana nei primi decenni del se
colo XV. L'esser nominati nella dedica Lazzaro e Michele e il non trovarvisi
Paolo, indicano manifestamente che il Monito anteriore al 1400.
PREFAZIONE XXIII
che alla fine del secolo XIV, quando la scienza politica non si
era ancor term inata di fare su base teologico-scolastica, pun
tando alle due supreme autorit, la papale o la im periale, e non
era petanco sorta la politica classicizzante, m a non perci meno
vuota, degli eruditi (1), m irabile dico, questo figlio di speziale
lucchese, che con tan ta chiarezza e precisione di idee, con tan ta
sem plicit ed efficacia di mezzi, senza perdersi in astruserie n in
paragoni, addita la via pratica da seguirsi con la coscienza dellar
tefice, che costruisce un meccanismo. D i fronte ad una sim ile rive
lazione dello spirito pratico italiano, sarebbe puerile il lam ento che
il disegno politico del Sercambi m irasse a innalzare e tutelare la
tirannide, anzich a m antenere le istituzioni libere della patria.
H concetto dello stato come opera d arte, che ebbe agiorni nostri
un cos segnalato illustratore, si forma e si sviluppa parallelo al
concetto monarchico; n poteva essere diversamente. A noi basti qui
lavere osservato come, se questo concetto aveva trovato gi pi di
imo nella pratica, che m aterialm ente lo aveva adottato, nessuno
forse prim a del Sercambi ne espose g li ingegni con maggiore sem
plicit, schiettezza ed accortezza. Per che in quelle sue poche pa
gine, che dicono tanto, non solo egli accenna allordinamento poli
tico e m ilitare, non solo indica i mezzi meglio a tti per allontanare i
pericoli interni, non solo consiglia g li spedienti per rim ettere in vi
gore le arti m anuali, fieramente colpite dalle passate yicessitudini
politiche; ma traccia una via per far rifiorire le finanze depauperate.
Leconomia politica, che solo nel aec. X III aveva cominciato a tro
vare interpreti teorici tra i teologi, i filosofi ed i giureconsulti, i
quali tu tti si rifacevano per lo pi ai principi aristotelici (2), esce12
(1) Vedi gli indirizzi di queste scuole politiche riassunti con la solita acu
tezza e perspicuit dal V illari , N . Machiavelli e i suoi tempi, II, 230 segg.
(2) Cfr. Ch. J ourdain, Mmoire sur les commencements de Vconom.
polii, dans les icoles du moyen-Age, in Mmoires de Vacad. des inscript. et
beUes lettres, voi. XXVIII, 1874, pp. 1-51. L'opera del Cibrabio, Della
XXIV NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
interam ente nel M onito del Sercambi dalla dipendenza dei motivi
astratti tradizionali e inaugura, nella m aniera pi esplicita, quello
che parecchi secoli dopo fu chiam ato sistem a protettore (1). Ci
m eritava di essere rilevato, perch torna a vanto non piccolo dellin
gegno e del senno pratico del Sercambi. I cui am m aestram enti
economici furono forse in parte meglio seguiti che g li am m aestra
m enti politici dal debole Paolo Guinigi (2), tanto diverso da quel
signore ideale che il Sercambi vagheggiava.
Singolare il vedere che i medesimi intendim enti didattici di
governo, che inspirarono il M onito, fanno capolino eziandio in una
opera ben maggiore del Sercambi, la sua Cronaca. Di essa Cro
naca io non potei leggere se non quellunica parte che finora
a stam pa, il principio cio del secondo libro, dal 1400 al 1409,
pubblicato dal M uratori (3). Questo frammento trov il M uratori
in un cod. della Ambrosiana e gli parve di aver rinvenuto tu tto
intero il secondo libro. Ammaestrato dalle parole del Sercambi
medesimo chegli aveva scritto un primo libro, del quale questo
economia politica del medio evo, Torino, 1842, nella quale, del resto, di troppe
cose si parla che con la economia, politica e non politica, non hanno che
vedere, non si occupa affatto delle teorie.
(1) Lo riconobbe con un cenno L. C ossa nella Guida allo studio della
economia politica, Milano, 1870, p. 128. Circa alle prime manifestazioni di
scienza economica in Italia, nei tempi del Sere, e nei successivi, vedi una
disamina alquanto superficiale di E m. Gebhart , Les historiens fiorentine de
la renaissance et les commencement de 1iconomie politique et sociale, in
Sances et travaux de Vacad. des Sciences morales et politiques, voi. XXXIV,
1875, 2* sem., pp. 552 sgg.
(2) Sulle migliorie specialmente agrarie, introdotte da Paolo, vedi M az -
zarosa , St. di Lucca, I, 258-60. Egli cerc anche di porre un riparo al de
cadimento dellarte dei drappi serici; ma non vi riusc (vedi T ommasi, Som
mario, p. 297). 11 Sercambi, come s' visto, la considerava ornai spacciata.
(3) In R. I. 8., XVIII, 797 sgg. Parecchi hanno creduto che quivi ai tro
vasse tutto quanto il Sere, scrisse della storia di Lucca. Fa meraviglia di veder
ripetuto tale errore anche in un libro recente e pregevole, qual quello di
U. B alzani, Le cronache italiane del medio evo, Milano, 1884, p. 280.
PREFAZIONE XXV
(1) Il primo libro, come appare anche dall'effptictf riferito dal M inutoli
(Op. cit., p. xxvm), era destinato a far corpo da s. Negli inizi del libro
secondo il Sercambi stesso ci dice che sera proposto di non voler pi oltre
narrare delle cose della sua terra, ma che poi mut consiglio.
(2) Di ci muove lagno il Muratori in una lettera da lui diretta il 26 set*
tembre 1727 a Oiov. Domenico Mansi. Ivi scritto: Del resto, mi auguro
ben la fortuna di far conoscere il mio singolare ossequio a cotesti illu-
c strissimi signori e alla loro nobile citt, ricordevole sempre delle grazie e
finezze che ne ho ricevuto. E volesse Iddio che i medesimi si accordas-
s sero a contribuire altre memorie e storie, ond'io potessi far onore alla lor
s patria. Le repubbliche di Venezia e Genova, siccome vedr V. R. (per
tacere di tante altre citt), mi hanno data maniera di servire alla lor
gloria con pubblicare le loro antiche croniche. Solamente Lucca non vuol
somministrare neppure un foglio. Ho fatto chiedere una parte della Gr*
c nica di Ser Gambi, avendo io l'altra. Non l'ho potuta ottenere. Si far ben
credere alla gente, che cotesta s antica e riguardevole citt sia la pi
c povera di tutte, e mancher a lei quel lustro che tante altre minori avranno
nella mia raccolta, perch vi si leggeranno le loro storie vecchie. N io
altre storie desidero che le composte prima del 1500, perch le posteriori
non fanno per me. S'io fossi cost, direi tanto, che forse mi riuscirebbe
di levar tutta l'ombra e gli ostacoli che impediscono la gloria propria e
l'accrescimento della pubblica erudizione. Almeno V. R., che anche pi
di me ama la sua citt, desidera il suo onore e conosce ch'io parlo pi
per suo che per mio bene, dica e ridica qul che pu in tal congiuntura .
Vedi Lettere inedite di L . A. M uratori scritte a Toscani, Firenze, 1854.
p. 405.
(3) Cfr. Ballettino dell*Istituto storico italiano, tene. 1, p. 21; fase. 2*,
p. 71; fase. 3, pp. 35*37. Gi quarant'anni sono il march. Antonio Mazza-
rosa (1780-1882) ebbe l'idea di pubblicare la Cronaca del Sercambi, ma poi
non ne fece nulla. Lo rilevo da una lettera inedita di P. Giordani a lui, in
data 23 maggio 1843, che verr presto in luce.
XXVI NOVELLE DI GIOVANNI SERCAUBI
(1) Cfr. M kdin , Poesie politiche nella oronaca del Sercambi, in Giom.
star. d. lett. ital., IV, 398 sgg. Le poesie sono in gran parte di Davino Ca
stellani, oscuro poeta lucchese. V un serventese di Antonio Pucci, che il
Sere, guasta raffazzonandolo e una poesia anonima in morte di Francesco
Guinigi, tanto cattiva, che il M. non credette neppure pregio dellopera il
riferirla intera. V' pure toscanizzato un Lamento in morte di Bernab Vi
scontii che il Ceruti pubblic nella sua forma originale lombarda. Di sul testo
aercambiano stampato nella raccolta Mkdin-Fbati di Lamenti storici dei
sec. X IV , X V e X V I, voi. I, Bologna, 1887, pp. 185 sgg. 11 Medin non con
sider che le sole poesie politiche del solo libro primo. Nel libro secondo
sono pure inseriti dei versi; ma in minore copia che nel primo.
(2) R . I. 8., X V III,' 809-10 e 811-13. Sono la I e II del M inutoli corri
spondenti alle VI e XV del Gamba.
(3) R. I. &, XVIII, 817-18. Nov. 1 del Neri, che corrisponde a n 98 della
presente ediz.
XXVIII NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
(1) R. 1. & , XVIII, 821-22. Nov. Ili del M inutali, che corrisponde a n 100
della presente ediz.
(2) R. 1. S., XVIII, 834.
(3) R. I. S., XVIII, 83840. Nov. IV del M inutali, che corrisponde a n* 35
della presente ediz.
PREFAZIONE XXIX
ri) Nel 1403 Pisa fu lasciata in eredit a Gabriello Maria Visconti, figli
uolo naturale di Gian Galeazzo. Egli con la madre recossi 1*8 nov. a pren
derne possesso. Inetto e povero principotto, mal seppe regolarsi tra le diffi
denze dei cittadini e 1ingordigia dei limitrofi. Minacciato dai Fiorentini, mal
difeso dai Genovesi e dal re di Francia, cui s'era alleato, fu ben presto
costretto a vendere la citt, la quale insorse contro i Fiorentini, e si riven
dic a indipendenza. Ma per poco, cb i Fiorentini la strinsero d'assedio e
lebbero per fame (1406). Che il Gambacorti contribuisse a tale dedizione,
lo affermano il Sercambi e altri cronisti antichi; storici pi recenti lo ne
gano. Vedi T ronci, Annali Pisani^ voi. II, Pisa, 1871, pp. 216-230 e R on-
aoNi, Istorie Pisane, voi. II, Firenze, 1844, pp. 970 sgg. La storia della
conquista dei Fiorentini fu narrata in terza rim a da un contemporaneo, Gio
vanni di ser Piero. I suoi Capitoli sono pubblicati dal Bonini in appendice
al R omcioio, Ist. jr ., Ili, 247 sgg.
(2) R. I. S., XVIII, 84245. Novelle V, VI, VII del M inutali, che sono
tutte tre comprese nella 82* della presente ediz.
(3) R. I. 8., XVIII, 852-53. Nov. II del Neri, che corrisponde a n 83 della
presente ediz.
XXX NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
(1) R. I. 5 ., XVIII, 854-56. Nov. V ili del M inutoli, che corrisponde a n '12387
della presente ediz.
(2) R. I. XVIII, 858-59. Nov. IX del Minutoli, senza riscontro nel no
velliere Trivulziano.
(3) R. I. S.y XVIII, 871-74. Nov. X del M inutoli, che corrisponde a n* 38
della presente ediz.
PREFAZIONE XXXI
lares loquendi form ulas ego plerasque retiim i (1) . Questo giu
dizio, ripetuto dal Lucchesini e attenuato, per rispetto alle novelle,
dal Gamba, trov nel M inutoli chi g li oppose, che buona parte
delle scorrezioni osservate dal M uratori si debbono al ms. Am
brosiano, di cui egli si valse, m entre non si trovano nel cod. Qui-
nigi (2). E questo sar ben vero, come certo io credo che neUau-
tagrafo non avr il M onito quella forma barbina, e talvolta quasi
incom prensibile, che ha nella stam pa del Mansi. Non per nulla
10 dissi fin dal principio di questo capitolo che il Sercambi fu poco
e male conosciuto, perch solo piccola parte de suoi scritti venne
pubblicata e quella parte scorretta. Tale osservazione pu estendersi,
come vedremo, anche alle novelle sinora edite. Ma per quanta colpa
si voglia gittare sugli amanuensi, ne resta p u r sem pre abbastanza
a ll autore, perch si finisca credendo col M uratori nullam um -
quam operam dedisse gram m aticae . Le scorrezioni degli scritti
sercam biani sono di tal natura, che rivelano a prim a giunta la sua
ignoranza, giacch ritornando esse in forma uguale, e nel M onito
e nella Cronaca e nelle novelle, bisognerebbe, per scagionarne lo
scrittore, am m ettere che i m enanti diversi si fossero dati laccordo
di sgram m aticare tu tti nella medesima m aniera. Se poi usciamo
dalla gramm atica, basta leggere le novelle e vedere come vi diventi
anarchica la geografia, comunale la storia romana, fanciullesca la
storia biblica, per formarsi unidea della coltura dello scrittore. La
confessione ri tem pi di Salomone, nella nov. 40 del mio testo, pu
stare a confronto con la donna di Catilina, che va a messa a Fiesole
11 d di Pentecoste nella M aU spiniana (3). 1 versi poi inseriti nella
Cronaca e negli interm ezzi delle novelle sono la pi m isera e ingar
bugliata cosa del mondo. Al Sercambi mancava, sembra, quasi affatto
il senso della m isura nel verso; lo si pu scorgere dalla m aniera 123
(1) Si ammetta pure che qualcuno di questi errori debba andare a carico
del copista; ma a lui non possono certamente attribuirsi i vocaboli toscani
fatti latini, che occorrono cos di frequente. Tranne in pochissimi casi, io ho
mantenuto i titoli quali li ho trovati, non approvando punto le rettificazioni
ohe pietosamente ha introdotte il Gamba in alcuni titoli delle novelle da lui
pubblicate. Queste rettificazioni giungono talora soltanto ad alterare il signi
ficato vero del titolo. P er es. nelle nov. I e VII della ediz. Gamba troviamo
De inganno plausibili e De moto plausibili, mentre nel testo (n. 122 e 125
del cod.) leggasi, nell'un luogo e nellaltro, placibili, che una latinizzazione
di piacevole. Di plausibile v assai poco, in entrambi i casi, n questo vo
leva dire lautore.
(2) Lo osserv giustamente il Minutoli, Op. cit., pp. vm-ix, col quale mi
accordo nel ritenere che gli studi cui il Sere, dette opera non dovettero
estendersi gran fatto al di l de* rudim enti intorno allarte dello speziale,
che riceveva dal padre .
PREFAZIONE XXXV
Questi b ru tti versi non sono del Sercambi, che ne faceva anche di
peggiori, m a di Jacopo A lighieri, nel ternario riassuntivo della 1
(1) Scrve il W ittk, e ne reca molte prove: Bei Jacopo della Lana nimmt
Geschichtliches und Mythisches, Antikes und Neuestes den gleichen, allea
< Coetfim verachmhenden Legenden, oder richtiger Novellali, Charakter an>.
Die bidden ltesten Commentatoren v. D's Qttl. Komdie, in Dante-For-
schungen, I, 372.
(2) Dopo che queste pagine erano scrtte, essendosi recato a Firenze il mio
carissimo Novati, io lo pregai di dare un'occhiata al cod. Laurenziano. La
risposta che ne ebbi conferma interam ente la mia congettura. L'amico mi scrive:
Ho confrontato rapidamente, ma con sufficiente diligenza, il commento at-
tribuito al Sercambi col Laneo, e mi son persuaso che l'uno non che
< una copia ad litteram dell'altro. Il Sercambi non vi ha messo di suo nep-
pure una riga; gran che se qualche volta aggiunge una parola o duo
al testo che copia con tanto scrupolo . Ma v'ha di pi. 11 Novati ritiene
che il cod. Laurenziano sia autografo del Sercambi. Egli si fonda sull' et
del ms., sulla sua correzione e conseguenza di grafia, sui molti lucchesismi,
sulla somiglianza dei caratteri con quelli del primo libro della Cronaca nel
cod. dell'Archivio di Lucca, sullo stemma che nella facciata quarta, con
cui comincia il prologo. Quello stemma un leone d'oro rampante in campo
azzurro; precisamente lo stemma del Sercambi, come si pu vedere nel Mi-
nutoli, p. lx. Anche le miniature del ms., che il Novati mi ha accurata
mente descrtte, meritano molta considerazione. A ll' infuori di quella della
facciata quarta, che opera di un miniatore di professione, le altre, schiz
zate a penna con fattura disinvolta, e poi ripassate a mala pena con qualche
tocco di pennello, senza fondi solidi n a oro n a color, hanno l'aria di
provenire dalla mano di un artista esercitato, di un pittore. Utile potr certo
riuscire lo studio di questi disegni e il confronto con quelli che adornano iL
cod. Lucchese del primo libro della Cronaca.
(3) Un lungo passo del secondo libro di essa, ove il Sercambi, prendendo
argomento dalla peste del 1422, moralizza sullavarizia citando i passi dan
teschi, in cui parola di questo vizio e dandone un commento storico, ri-
PREFAZIONE XXXIX
schi che narra nelle novelle (1) e pi vale il trovare due copie
della Commedia tra i lib ri che gli appartennero. P er sicurezza
della dote m aterna venne praticato nel 1426 verso Giannino del
fu Bartolomeo Sercambi (uno degli eredi universali, come s ve
duto, del cronista) un sequestro dei m obili appartenuti allo zio
Giovanni. N ellatto pubblico, ohe se ne conserva (2), v anche un
catalogo de lib ri, tra quali sono notati i seguenti:
fer il Minutoli, Op. cit., pp. lv-lix. Trattandosi di passi del Purgatorio e
dell'Inferno, credette il M. trovarvi una prova per ritenere che il Sere, non
chiosasse soltanto il Paradiso ; ma eziandio le litre due cantiche. Il M. in
fatti osserva : A noi non par da credere che egli imprendesse la fatica di
dichiarare que luoghi della D. C. solo per dimostrare i m ali effetti della
avarizia; e crediamo piuttosto che avendo commentato Tintiero poema, ne
4 venisse levando i brani che gli facevano a taglio, accomodandoli e inne-
4 standoli nella Cronaca, come il simile teniamo eh' e' facesse delle novelle .
Benissimo; ma il male si che le esplicazioni del Sercambi corrispondono
interam ente (tranne variet insignificanti di forma) a quelle che diede il
Lana ai passi relativi di Dante. Altrove il M. (p. xxxv), sempre inteso a
provare che il Sercambi abbia commentato pure le due prime cantiche, ad
duce alcune sue parole nel proemio al canto X del Paradiso. Ma quelle pa
role sono copiate dal Lana, ediz. c it, p. 373.:
SlRGAMBI L ana
Or siccome noi sverno dicto nel Or si come appare noi avemo ditto
quarto capitolo del Purgatorio, quelle nel quarto capitolo del Purgatorio,
due extensioni che fa lo dicto zodiaco quelle due estensioni ch ela lo ditto
verso li poli sono chiamate tropici. zodiaco verso li poli sono appellate
tropici.
Se pertanto esistettero le due prime cantiche con un commento che il Ser
cambi si attribuiva, non ritengo che quel commento potesse essere di varia
natura da quello che ai ascrive a lui nel ms. Laurenziano.
(1) Novelle IX e X del Gamba.
(2) Negli A tti civili del Potest di Lucca , registro 1038, c. 52-53. Di
questo documento sono pure debitore al cav. Sforza.
XL NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
HL
(1) Novelle di Giovanni Sercambi Lucchese, ora per la prim a volta pub*
blicate, Venezia, Alvisopoli, 1816. Le novelle pubblicate dal Gamba corri
spondono nel cod. Triv. ai n12312, 15, 21, 37, 52, 57, 08, 70, 71,73, 77, 86,
92, 111, 113, 122, 133, 142, 143, 145. Cfr. la Tavola che in fondo al pre
sente volume.
(2) Novlle inedite di Giovanni Sercambi, Firenze, Libreria Dante, 1886.
Le novelle edite la prima volta dal D'Ancona corrispondono nel cod. Triv.
ai ni 16, 24, 26, 27, 33, 34, 41, 53, 58, 120, 127. Vedi la Tavola cit.
(3) Dite novlle d i Giovanni Sercambi, Milano, Bernardoni, 1879, per nozze
Gori-Riva. Sono le nov. 45 e 55 del Triv.
PREFAZIONE XLI
P r o e m i o ...............................................................................c. ir .
1. De sapienza ................................................................................ 4 r.
2. De s n p lid ta te ....................................................................... 7 r.
3. De malvagitate etm a litia ...................................................... 8 r.
4. De magna p ru d e n tia ............................................................... 9 r.
5. De summa j u s t i t i a ............................................................. 13 r.
0. De justitia et c r u d e l t ....................................................> 13 v.
7. De transformatione naturae ................................... > 1 4 o.
8. De simplici j u v a n e ............................................................. 18 r .
9. De altro et simplici m e r c a d a n te .................................... 19 .
10. De tritio lussurie in p r e l a t i ............................................ >* 21 r.
11. De vituperio p ie ta tis ............................................................. 23 c.
12. De muliere v o lu b ili ............................................................. * 2 4 1>.
13. De muliere a d u lte ra .............................................................. 25 .
14. De bono f a t t o ....................................................................... 27 v.
15 De ventura in m a tto ............................................................. 31 r.
16/ De tristitia et v ilta te ............................................................. * 3 3 .
17. De periculo in am ore ............................................................. * 34 r.
18. De novo modo f u r a n d i ..................................................... 35 v.
19. Di questa novella manca nel cod. il titolo e il principio, cio
due terzi di pagina, che sono lasciati in bianco * 36 r.
20. De furto castra n a t u r a .................................................... * 37 v.
21. De fa lsa rio ............................................................................... 38 e.
22. De inganno e p a l e t t a t e ..................................................... 41 r.
23. De summa a v a r itia .............................................................. 42 v.
24. De simplicitate et stu ltitia ..................................................... 44 r .
25. De plaettrili sententia . ................................... 45 e.
PREFAZIONE XLV
(1) Cfr. quanto dice nella sua Bibliografia delle novelle italiane in prosa,
Venezia, 1833, p. 54 e poi nei Testi di lingua, Venezia, 1839, p. 351, n 1153.
Vedanai anche i risultati che ha dato la collazione col testo antico praticato
per la novella De justa responsione, in P apanti, Dante, pp. 67 sgg. e 72.
PREFAZIONE XLIX
IV.
Dal Proem io, che per la prim a volta si pubblica in questa edi
zione, chiara si pu discernere loccasione che il Sercambi volle
dare alle sue novelle. Egli finse che imperversando in Lucca la
mora nel 1374, una brigata di uomini, tonsurati e no, e di donne
decidesse di lasciare lam biente infetto della citt natale e di per
correre lItalia. Radunatisi tu tti in una domenica di febbraio nella
chiesa di Santa M aria dei Corso, elessero a loro preposto un Luigi,
che doveva guidarli. Luigi raccolse tra i convenuti tre m ila fio
rini per le spese del viaggio, stabil gli uffici del camerlingo e
di due spenditori, scelse uomini e donne cui fosse affidata la cura
di edificare o di sollazzare la brigata con ragionam enti m orali e
scientifici, o con balli, suoni e giuochi diversi. Quindi rivoltosi ad
uno il.q u ale senza cagione ha di molte ingiurie sostenute e t
lui senza colpa sono state fatte ordina che debbia essere au-
< tore et fattore di questo libro . L uomo indicato con queste
vaghe e pur significanti parole, Giovanni Sercambi, come ri-1
fi) Il sonetto era gi stato pubblicato dal Gamba, Op. cit., p. v. Anche
ser Giovanni Fiorentino si nomina in un sonetto che in testa alle sue no
velle (cfr. Pecorone, ed. class., I, xxiv), ma questo sonetto non acrostico.
N sembra siano noti altri esempi di sonetti acrostici nei prim i due secoli.
Il Biadbnb, Morfologia del sonetto nei secoli X I I I e XIV, in Studi di fU.
rom,i, fase. IO, Roma, 1888, p. 185, dice di conoscere soltanto i due ebe com
pose per esemplificazione Gidino.
(2) Chi voglia pu averne un saggio nelle novelle pubblicate dal Ghiron.
Cfr. nel volumetto della Libreria Dante, pp. 53-54 e 59.
LIV NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
(1) Un saggio del modo di poetare del Sercambi il sonetto del Proemio.
Il suo stile, ingarbugliato talora nella prosa, diventa addirittura enimmatioo
nei versi, ove ha da lottare con la misura e con la rima. Del resto gi il
G amba ( O p . d i ., p. xi), il L ucchesini ( O p . c it ., p. 128) e il Minutoli ( O p .
d t., p. xl) hanno detto assai male delle facolt poetiche del nostro novellista.
Meno peggiori degli altri sono i versi inseriti nella nov. 40 del cod. Triv.
(vedi questa ediz. pp. 105-108).
PREFAZIONE LV
(1) Voglio sia avvertito che nella citazione delle novelle io mantengo
sempre l'ordine numerico del ood. Triv. Chi voglia rintracciare i luoghi ove
le novelle si trovano pubblicate, lo potr facilmente col sussidio della Ta
vola, che in fondo al volume.
(2) Non dubito che questa antipatia avesse una ragione tu tta personale,
che a me sfugge. N arra bens il Sercambi nel secondo libro della Cronaca
che essendosi recato a Venezia per suoi affari, fu da alcuni fuorusciti luc
chesi, che l si trovavano, malmenato e ferito (eh*. Minutoli, Op. cit.,
p. zxv); ma non so se questo fatto sia da giudicarsi anteriore o posteriore
alla composizione delle novelle di soggetto veneziano, e in ogni modo non
giustificherebbe mai 1*avversione per la citt ed i suoi abitanti. 1 rapporti
che i Lucchesi ebbero con Venezia nel sec. XIV furono moltissimi. Le tristi
condizioni di Lucca durante il primo settantennio di quel secolo costrinsero
LV1 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
ci) Quasi identiche fra loro possono dirsi le novelle 10 e 11, 22 e 90,110
e 116; assai simili le 75 e 80. Pu darsi che a ci abbia contribuito la doppia
redazione del novelliere.
(2) Sono, secondo la numerazione del codice, che seguo costantemente, Io
79, 96, 97, 104, 107, 114, 117, 119, 124, 135, 136, 138, 144.
LXII NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
ti) Vedi pei preti 11, 33, 35, 36, 11G, per le donne 13, 31, 61, 82, 126,
137, 142, 149, 151, 153.
(2) Vedi le nov. 38, 40.
(3) Oltre le illustrazioni del D'A ncona a questa novella nel volume della
Scelta, pp. 288-90, vedi DA ncona nei cit. Studi di critica, pp. 322-25; G r i -
sbbach, Die Wanderung der Novelle von der treulosen Withoe durck die
Weltlitteratur, Berlin, 1886, il quale a pp. 90-94 si occupa dei riflessi ita
liani della leggenda ; De L ollis , L Esopo di Francesco del Tuppo, Firenze,
1886, pp. 63-67.
(4) E la nota leggenda Virgiliana della bocca della verit, su cui vedi
C o m paretti , Virgilio cit., 11, 120-123 e Gr a f , Roma nella mem. e nelle
immagina*, del medioevo, II, Torino, 1883, 243. Nella novella sercambiana
scomparso affatto il nome di Virgilio; ma la scena pur rimasta in Roma
antica. Per le diverse forme di questa leggenda, che ha riscontro nelle due
redazioni pi vecchie del Tristano francese, cfr. R ua , Novelle del Mam-
briano del Cieco da Ferrara esposte ed illustrate, Torino, 1888, pp. 73 sgg.
(5) Cfr. L. G a u tier , Les popes frangaises, voi. 1, Paris, 1878, pp. 479-83;
N yrop -Gorra , Storia de ir epopea francese nel medioevo, Firenze, 1886,
pp. 193-196 e 417-18; P. Sch w ieg er , Die Sage von Amis und Amiles, nel
Jahresbericht ueber da h. F. W. Ggmnas. su Berlin, Berlin, 1885, che si
occupa particolarmente della diffusione della leggenda in Francia ed in Ger
mania. Un lavoro assai lodato, ch'io peraltro non potei mai vedere, quello
del K oelbing , Zur Ueberliefemmg der Sage . Amicus u. Amilius nel
voi. IV, pp. 271 sgg. dei Beitraege di Paul e Braune.
PREFAZIONE LXIII
V.
(1) 1 primi accenni furono dati dal L iebrkcht in una nota a Dunlop , Ge-
sehiehte der Prosadichtungen, Berlin, 1851, p. 491, n. 333. 11 D 'A ncona
nel cit. voi. della Scelta, pp. 271 sgg. illustr le novelle pubbl. dal Gamba
e dal Minutoli, e le sue illustrazioni furono completate dal L iebrkcht , nei
Goetting. gel. Anxeigen del 1871, pp. 1158 sgg. e dal K o e h l ir , nel Jahrbttch
fu r rom. und engl. Litterat., XII, 347*352 e 407-9 e dal L andau nei Beitraege
cit., pp. 38-44 (cfr. pure P a pa n ti, Dante, pp. 72-77). Le novelle pubblio, nel
volume della Libr. Dante ebbero le illustrazioni del K odhler a pp. 67 sgg.
di quel medesimo volumetto.
LXIV NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
B . B en ier .
DOCUMENTO
ltem Amore dei et pr salate anime Sue voluit et mandavit dari et ero-
gari omnibus confratribus dictorum disciplinatorum qui confiuent seu venient
induti vestes diete sotietatis ad honorandum corpus dicti Iohannis tempore
eius ezequiarum candelos cereos. Scilicet cuilibet eorum unum ponderis
unciarum sex.
ltem Amore dei et pr salute anime sue Iudicavit et Reliquit sotietati
dictorum disciplinatorum quactuor cereos ponderis libra rum vigintiquactuor
inter omnes et voluit quod tempore dictarum exequiarum dicti cerei in astia
diete sotietatis portentur accensi circa corpus predictum deinde debeant
permanere in dieta Sotietate pr accendendo et inluminando corpus domini
quando elevabitur in dieta Sotietate et oratorio diete Sotietatis.
ltem dictus Iohannes testator voluit et mandavit quod quinque nnia inci-
piendis die Sui obitus et finiendis ut sequitur eius heredes et exequtores
infrascripti faciant dici et celebrali quolibet Anno in die mortuorum unam
missam in qualibet infrascriptarum Ecclesiarum Scilicet mortuorum et
voluit dari et erogari cuilibet Sacerdoti qui sic dicent ad requisictionem *
dictorum heredum et exequtorum dieta die sex candelos foratos ponderis
unciarum sex pr quolibet et libras sex candellarum de cera et voluit quod
ad dictam missam retineantur accensi. Et ultra predicta voluit dari et ero
gari cuilibet presbitero seu sacerdoti dicenti dictam missam solidos viginti
parvorum que Ecclesie in quibus voluit dici diete misse sunt hec videlicet
Ecclesia Sancti Macthei de Luca. Ecclesia Sancte Marie della Roza. Ecclesia
Sancti Georgij. Ecclesia Sancti Donati extra portam. Ecclesia Sancti Augu-
stini. Ecclesia Sancti Francisci. Ecclesia Sancti Pieri de Fibbialla. Ecclesia
Sancti Andree de massagroza.
ltem pref&tus Iohannes testator amore dei et pr elemozina Iudicavit et
reliquit sotietati confratrum disciplinatorum Sancte Marie della Roza de luca
florenos quactuor quolibet anno usque in quinque annis inclusive incipiendo
die obitus sui quos quolibet anno voluit dari diete sotietati die Iovis sancti
pr dipendendo in cena domini in dieta Sotietate et oratorio ipsius et re-
fectione confratrum predictorum vel alitar prout dictis confratribus vide-
bitur expendi.
ltem Amore dei et pr salute anime Sue et suorum mortuorum Iure legati
de bonis suis Iudicavit et reliquit infrascriptis Operis infrascriptarum Eccle
siarum infrascriptos cereos, infrascriptorum ponderum pr tenendo ad illu-
minandum corpus domini quando elevabitur in ipsis Ecclesiis Videlicet.
Opere Ecclesie Sancti Donati extra portam lucane civitatis duos cereos
ponderis librarum decem.
Opere Ecclesie Sancti Peregrini lucane civitatis duos cereos ponderis li
brarum decem.
Opere Ecclesie Sancti Georgij duos cereos ponderis librarum decem.
Opere Ecclesie Sancti Macthei cereos quactuor ponderis librarum viginti.
Opere Ecclesie Sancti Allessandri majoris duos cereos ponderis librarum
decem.
Opere Ecclesie Sancti Sentii duos cereos ponderis librarum decem.
Opere Ecclesie Sancti Ghristofori duos cereos ponderis librarum decem.
DOCUMENTO LXIX.
(1) CSoboo di Batto Campoii, Meondo litio documento, veduto del Kurotou, Op. cit. p*g- IX.
LXX1I NOVELLE DI GIOVANNI SERC MBI
verborum dixit se penitele et noluit quod huic aao testamento vel ultime
voluntati po8sint preiudicare vel obstare Et Rogavit dictus lobannes testator
me Dominicum notarum infrascriptum ut de predio tis omnibus conflcerem
publicum Instrumentum Actum luce in domo seu palatio habitationis dicti
Iobannis posita in contrata Sanoti Macthei Coram Urbano quondam Franchi
de monte dar mercatore lucano dve Anthonio quondam locti de piastra
olim pannario Bartholomeo quondam Nannis Pieri calthajolo e t Francischo
quondam henrici Giomucchi stiviliario omnibus licanis civibus testibus ad
hec rogatis et vocatis Anno Nativita tis Domini Millesimo quadringentesimo
vigesimoquarto lndictione Seconda die vigesimo primo mensis februarij.
(1) Ms.: ella natura humana creata e fatta da lui a sua somiglianza.
4 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
1.
[TriT., n* 1].
DE SA PIE N T I A.
8.
[Trir., b 2].
DE SIMPLICITATE.
8.
n q.
DE MALVAGITATE ET MALITIA.
4.
[T ilr ., 4 ].
DE MAGNA. PRUDENT1A.
5.
[Triv., n 5].
DE SUMMA JUSTITIA.
Fu in M ilano citt di Lom bardia a l tem po di m esser B ernab
una donna o stiatrice, ovvero balia da lev a re fa n ciu lli, nom ata
m onna A m brogia, la q uale a v ea una sua figliuola di tred ici an n i
nom ata C ateruzza, b ellissim a e t savia d onzella, cu i m onna Am -
brogia in ogni luogo la conducea seco per non ricev ere b effe.
E t m assim am ente la conducea in casa di m adonna la rein a , donna
di m esser B ernab, ch m olto spesso la rein a q u ella facea v e
n ire, prendendo d ella d etta C ateruzza m olto p iacere. D ivenne c h e
un d ie uno cam eriere di corte nom ato m esser M afflolo s inn a
m or di co stei, e t pens con certo m odo la ditta C ateruzza p ren
d ere e t di le i fare sua volont. E t com e pens m isse in effetto .
C h ritornata in casa la d itta C ateru zza, non essend ovi la
m adre, q u ella rapt e t condussela a lla casa su a e quine facen
done suo volere; m onna A m brogia, non trovando la figliu ola l
in casa, dolendosi di ta l cosa et lam entandosi, m adonna la rein a ,
la quale subito lo sen t, a m esser B ernab [lo ] d ice. M esser B er
nab fe m andare m olti bandi sotto g ra v i pene si d ovesse ren d er
la d itta C ateruzza. E t m entre ta li bandi funno osservati (c h
pi di v en ti giorn i passarono e sem pre m esser B ernab m and
bandi) d ivenn e ch e, essendo m esser M afflolo sazio d ella C ateruzza,
ch m oltissim o vo lte a vea provato ca v a lleria con le i, parendogli
tem po di rim andarla, sperando dappoi a ogni sua volont po
terla a v ere, e chiam a s C ateruzza dicendo: Io vo g lio ch e ti
torni con tua m adre, e t acci ch e m eglio possiate v iv ere, [e t] se
caso v en isse ch e ti vo lessi m aritare possi, ti dono questi cento
fiorini, m a a persona del m ondo non m anifestare l u se'stata.
E t questo ditto,-subito la p rese b a sta n d o la e una volta la danza
am orosa g li fece, e t con cen to fiorini n e la m and prom etten
dogli gran fatti. T ornata C ateruzza a casa, la m adre, ved en d o la ,
com inci a grid are: O him , C ateruzza d olce figliuola, dove se
stata? Et questo d icea s a lto ch e tu tta la vicin an za sen tia il
grid are d ella m adre. C ateruzza, ch e g i sen tito avea la d olcezza
d elom o, d isse : M adre m ia, sta te ch eta, ch colu i ch e m i p rese
m ha dato fiorini cen to, li q uali con q u esti m i p otete m aritare.
La m adre, non curando ta li parole, m a di continuo grid an d o,
tan to ch e a ll o recch ie di m esser Bernab e t di m adonna [la ]
rein a fu venuto, e t subito la donna rich iesta a m adonna [la ]
DE SUMMA JUSTITIA 33
rein a v en isse con G ateruzza, le i si m osse e a lla co rte nand, l
u m esser B ernab con m adonna la rein a era. V enuta la m adre
con la figlinola, m esser B ernab v o lse sap ere ch i la v ea rap ita.
F u d itto ch e m esser M afflolo suo cortigiano l'avea rapita e t p er
forcia di casa cavata e t seco tenu ta pi di v in ti d e di le i a v ere
preso suo contentam ento. M esser B ernab, ci sentendo, subito fe
rich ied ere m esser M afflolo, il quale and dinanti a m esser Bernab
sperando ch e altro v o lesse, e quine veduta G ateruzza e la m adre e t
m adonna la rein a con a ltre donne, dubit forte e t pens potersi
scu sare. A cu i m esser Bernab d isse: M esser M afflolo, com e a v ete
v o i d isservito G ateruzza? R ispuose m esser M afflolo: Io l'h o ben
con tentata. M esser B ernab, rivoltosi verso la m adre di G ateruzza
e t a lla (1) figliu ola, d isse : U dite ch e d ice ch e v ha ben con ten
tata? La m adre e G ateruzza disseno: Signore, non la v erit ;
non siam o n sarem o m ai con tente, se voi non fu ste q u ello c h e
con ten tare c i facesse. A lle quali parole m esser Bernab, rivoltosi
verso m esser M afflolo dicendogli se v o lea ch e lu i accordasse
q uesti fatti, risp uose m esser M afflolo di s. Et sim ile si riv o lse a
G ateruzza e t a lla m adre e ta li parole disse lo ro : ellen o risp uo-
seno di s. A llora m esser Bernab stim ch e m esser M afflolo
avea di v a lsen te fiorini sei m ila, e t chiam ato uno ca n celliere fe
fare carta ch e m esser M afflolo prenda G ateruzza p er m oglie e
ch e lu i la dotava fiorin i se im ila , e t sim ile ch e G ateruzza prenda
per m arito m esser M afflolo. Et rogato il contratto, riv o lsesi a
m esser M affiolo dicendo s contento. L ui d isse s. E t poi riv o l
tosi a G ateruzza d icen dogli se ella era con ten ta, avendo Gate
ruzza assaggiato q uello u ccello , posto ch e forzatam ente v i to sse
condutta, g li piacque [e t] d isse di s. Et con ten te le parti, m esser
Bernab [d isse]: Ora si h a a con tentare m e. E v o ltosi verso Maf
fiolo d issegli (2): Come h ai avuto tan to ardim ento sotto la m ia
signoria a rapir le p u lcelle e t donne altrui? E t se* stato s p re
suntuoso c h e a m iei bandi non h ai ubbidito. M affiolo d isse: La
volont b estia le mindusse a fare quello ch e io feci. M esser B er
nab d isse: Come b estia le te n e for portar la pena. E t subito
p er lo podest g li fece ta g liare la testa. Et la ditta G ateruzza a
uno suo cortigiano gen tile e povero la m arit con assegn argli
quello ch era stato di m esser M afflolo. E t p er questo modo m esser
Bernab us som m a giu stizia.1
6.
[Tri*., a 1.
DE JUSTITIA ET CRUDELT
7.
[Ttt., no 8].
DE SIMPLIGI JUVANO.
8.
[Tri*., ).
9.
[Trtr., II],
DE VITUPERIO PIETATIS
10.
[Trir., n 18].
DB MULIERE ADULTERA
11.
[Tit ., n U ].
DE BONO PATTO.
(1) Ms.: f a r e .
54 NOVELLE DI GIOVANNI SERGAMBI
12 .
[Tri*., n 18].
(1) Tre lacune nel ms., cui ho cercato rimediare seguendo il senso e te
nendo calcolo degli spazi lasciati in bianco.
60 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI
13.
[T H v., i* SO].
(1) Proprio cos nel ms., ma ohe cosa sia io non lo so.
(2) Ms.: et ora dice.
62 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
14.
[Trir., n* M].
DE INGANNO E FALSITATE.
(1) Ms.: d i lu i.
DE INGANNO E FALSITATE G3
15.
[Tifo, n 28].
DE SUMMA AVARITIA.
(1) Ma : delle.
DB SUMMA AVARITI A 67
cred o sen d och voi d iceste (1 )......M aestro Tom m aso si p artio.
Rospo giun to in sala, la donna d isse: La m edicina ch e Don a rre
casti ha m orto m esser B ertoldo. D isse R ospo : A nzi lha m orto
la sua avarizia, ch e so quanto m esso se h a d el m io p er v o lerlo
fere vivo, e la n ostra tricca di con tra la lo sa ch e pi di cin q u e
ru g h ieri ho speso p er salv a re il m io inestro. La donna non in
tese il m otto; ordin ch e m esser B ertoldo fe sse soppelito, e t la
roba rim ase a persone god en ti e t lu i per una candela d 'avarizia
si lass m orire.
(1) Qai certo nel ms. fu saltata urta riga, quantunque non appaia este
riormente.
DE PLACIB1U SENTENTI*. 09
16*
[Triv.t a 251.
DB PLAC1BILI SENTENTIA.
lo stare caldo desidera sem pre sta re cop erto; ti dico non d i
essere chiam ata m aestra. E poi a P erla d isse ch e a ssegn asse la
sua ragion e. P erla risp u o se: P erch Posso m olto duro e t
pulito, e t questo v u ole la nostra volont. M adonna B am bacaia
disse: Lo tuo p en sieri non buono, per ch e n atu ralm en te l'o sso
non h a sentim ento e t arido, e la n atura fem m inile d esid era
cosa fruttifera ; e t p er questo non m erti m aestra essere ch iam ata.
A Caracosa disse ch e m ostrasse d ella sua questione la v er it .
C aracosa risp uose: P erch '1 nerbo alquanto sen sib ile e t u n o
m em bro assai dom estico e t boccone c h e la nostra b occa, c h e
sem pre desidera a v ere in bocca q u alch e cosa, pu q u ello con
durre in ch e luogo v u o le. M adonna B am bacaia, udendo assai b ella
ragione, m a non anco efficace (1), d isse: Di vero io ti darei il
m aestrato di costoro, se a v essi detto com piutam ente, m a p erch
h a i in alcu n a cosa fallito, sono contenta ch e prendi tu lo p rim o
onore. E voltossi a tu tte e t d isse: Io lo vorrei di grugno di porco,
ch e quanto pi rum ica, pi diventa caloroso. L e giovan e, u d ito
m adonna Bam bacaia, d issero: Di vero p er le donne fare* se fu sse
di grugno d i porco, e t partironsi.1
17.
[T ifo, n* 28].
DE ASTUZIA IN JUVANO.
18.
[T it ., aO 29].
DE INGANNO.
(1) Qui e sotto spazi bianchi nel ms., che ho cercato di colmare.
(2) Cosi nel ma. Forse dovea dir vesti.
(3) Ms.: apparechiatosi.
DE INGANNO 79
(1) Credo di non interpretare male il chari del ms., sa cui sarebbe stato
dimenticato solamente il segno d'abbreviatura.
(2) Lacuna nel ms.
(3) Ms.: dicendo.
80 NOVELLE DI GIOVANNI SERCMBI
19.
(Trfr., n 81].
DE AYARITIA E LUSSURIA.
fiorin i dugento, non aven d ogli nulla ditto, le disse: 0 tu non me-
nh a i d itto n u lla? Lo fam iglio astu to d isse a P ircosso: In m ia pre
sen zia m esser B ernardo g lie li d i. La donna subito com prese la
m alizia di m esser B ernardo e d isse: Io pensavo d irtelo a p i
agio, m a poi ch e m esser B ernardo d ice ch e a m e li rend eo e g li
d ice vero. B en cred ea ch e fusseno sta ti da ltra m ercanzia c h e
di prestito, e t a re voluto ch e alla ragion e d ella m ercanzia tu l i
a v essi m essi. P ircosso d isse: Io g lieli p restai il giorno ch e di q u i
m i p artii. M esser B ernardo: V oi d ite vero e t p er certo il ser
v izio fa a m e grande e per sem pre m i v i tengo obbligato. L a
donna com e baldanzosa d isse: Oim non v i ten ete obbligato, g i
sap ete ch e io sono una volta m oglie di P ircosso e t cos d o v ete
esser obbligato a m e com e a lu i. M esser Bernardo, ch e d i le i
a vea avu to quello volea, cognoscendola ca ttiv a , disse: M adonna,
in n elle nostre contrade li m ariti portano le b rache e t a loro
si d e rend ere- reveren zia, e t io vo osservare la leg g e d el m io
paese, per ch e a P ircosso d e denari prestati g li sono sem pre
obbligato e t non a voi. P ircosso, ch e ode s bel p arlare, d ice a lla
donna: M esser B ernardo ha ditto q uello ch e si con vien e, e t preso-
lan g u ille co lla tinca, m esser B ernardo si partio e P ircosso co lla
m oglie rim ane. M adonna Sofia, vedendosi cos beffata, pens di
non cad ere in ta l fallo m ai con persona ch e p er q uel m odo si
abbia quello ch e dato g li av esse. E cos osserv poi.
DB PRUDBNTIA ET CASTITATB 85
20 .
[Tiy., n 82].
DE PRUDBNTIA ET GASTITATE
21.
[Trir., a 85].
DE MLITI ET PR U D EN TIA .
22 .
[Tri?., n* 86].
DB TURPI TRADIMENTO.
23 .
[Trir., n 38].
34 .
[Tri*., no s3.
26 .
[Trir., n 40].
DB FIDE BONA.
86.
[T iir., a 48].
DE CASTITADE.
A n ticam en te Rom a era rip ien a don este e t ca ste donn e, infra
l e q uali ch e in R om a fu sse nom ata di ca stit fu una venerabi
lissim a donna nom ata m adonna L ucrezia, b ellissim a e d i g en tile
sa n g u e rom ano n a ta , e m oglie di uno de' prncipi d elle m ilizie
d i Rom a nom ato B ruto. E ssendo ta le m arito e p rincipe andato
in serv izio del com une di Roma a con q uistare contro alcu ni ri
b e lli di Rom a, lassando la sua donna L u crezia in Rom a, d ivenn e
c h e uno nom ato L arino, figliu olo di T arquinio superbo, m aggior
d el dom inio di R om a, il q uale L arino avendo sen tito e t ved u to
la b ellezza di L ucrezia e saputa la sua on est, pens le i a v ere
p er am ore o v vero p er forza. E t con pi m odi pens v en ire a l
l'effetto d el suo p en sieri, e n ien te g li v a lea . E parendo a La
rin o lo indugio p en a , dispuose una sera di n otte en tra rg li in
ca sa e cosi fe'. Et preso un fam iglio di L ucrezia, il q uale con
B ruto era stato m olto tem po lealissim o e fe d e le , e t andato in
n ella cam era solo il ditto Larino, lassando il fam iglio in sa la a
guardia de' suoi fam igli ch e m enati a v e a , e p erch era figliuolo
d el sign ore di Rom a il ditto fante sta v a per paura c h e to , e
giun to in ca m era , L ucrezia d isse: L a rin o , ch e vu ol d ire ch e
di n otte a s fa ttora se ven u to a u na onesta e casta donna t
non m i pare ch e sia ben fa tto , e p ertanto ti dico ch e di casa
ti p arti p er lo tuo e m io onore. L arin o, ch a v ea m ali p e n sie r i,
m anim ettendola p er vo ler isforzarla, L u crezia dinegando in tan to
c h e L arino n ien te di sua in ten zion e pu a v e r e , e vedendo non
p oterla a v er p er quel m od o, fe* il fam iglio preso m etter in ca
m era e d isse: Or m intendi, L u crezia, q u ello ti dir. S e tu ac
con sen ti a m e , giam m ai ta l cosa non si appaleser. L ucrezia
d isse: Tu m u ccid erai prim a c h 'io a te con sen ta. L arino d isse:
Io ti dico, se non accon sen ti, io nuda in n el letto t'u ccid er , e
nudo a lato a te porr questo tuo fa m ig lio , e sim ile u ccid er ,
e t poi far d ire: Odi ch e Lucrezia', ch 'era ten u ta sopra tu tte le
donne rom ane casta, stata trovata col suo fan te in n el letto,
ab bracciati nudi, e t uno p arente di B ruto li h a am endue u ccisi;
e p er questo m odo ser vitu perata la tua fam a. E preso il fa-
110 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
(i), domandato.
DB RE PUBLICA ili
87.
[Tri*., 43].
DB RE PU BU C .
28 .
[T rir., n* 44].
DB RE PUBLICA.
E ssendo Rom a assed iata da A nnibale a frica n o , e q u ello e s
sendo pi tosto atto a d isforia ch e Rom a a p otersi difen dere (1),
e t non avendo li R om ani potuto con trastare a lla potest di An
n ib ale, e non avendo fon ti darm i n soccorso aspettando, con si
gliandosi fra loro disseno: C he p artito prenderem o? voi v ed ete
Rom a assed iata e t di fam e oppressa, e t v ed etela in ta l term in e,
ch e n ecessaria cosa sar noi in n e lle m ani d el n ostro in im ico
m etterci. E t quanto a Rom a e t a noi torni onore voi lo p otete
com prendere. T anto a noi (2) pare ch e se or fo sse persona c h e
vo lesse m etter s alla m orte p er sa lv a re R om a, sarem m o d i
tanta p estilen zia lib eri. Et il modo ch e dovre ten ere sere*, c h e
con uno co ltello andasse in n el ca m p o , e t appressandosi a An
nibaie q u ello u ccid esse. U cciso il capo, g li a ltri varranno poco e t
per questo modo sarem o sa lv i. U dito ta l co n sig lio , subito m olti
si levaron o, in fra q uali fu uno chiam ato Form icone, e d isse c h e
quella opera far lu i. E ra, in q u el tem po ch e questo fatto si fea,
di verno, ch e stando A nnibaie a l fooco, con m olti baroni onorevol
m ente v estiti intorno a uno fooco, il p red itto F orm icone g iu n se
quine u erano li baroni, e non cgnoscendo A nnibaie, ved en d o
uno barone on orevole pi ch e li a ltri v e s tito , di q uel co lte llo
g li d i p er lo petto, e m orto lebbe. A nnibaie, ch e questo [v id e],
d isse: C he vu ol d ire questo? ch i se tu ? L ui d isse: Sono F orm i
cone rom ano, il quale p er lib erare Rom a h o u cciso A nnibaie e
non cu ro ornai m orire. A nnibaie udendo d isse : Tu non h a i m orto
A nnibaie, m a uno altro in suo luogo m orto h a i. F orm icone d isse:
B en ch m orto ora no sii, non potrai scam pare, p erocch pi di
m ille hanno d eliberato m orire per u ccid erti, se da Rom a non ti
parti, e p erch la m ano m ia fallo a non dare a te, e ne p atir
prim a la pena. E subito in p resenzia di A nnibaie e daltri q u ella
m ano in su l fuoco m isse e non m ai ne la lev ch e fin e a l b ra ccio
fo arsa. A n n ib aie, vedendo la costanza del rom ano e l o rd in e
preso tra loro, d isse: P er certo io d ella m orte cam pare non po
trei, diliberando p er q u ella volta col suo esercito ritornare. E
per questo modo Rom a fu dallassedio libera p er lo buono F or
m icone rom ano.12
(1) Ma.: e quella esser pi tosto atta a disfarla che Roma potersi difendere.
(2) Ms. : a me.
DE FALSO PEROIORIO 113
29.
[T ifo, a* 46].
DE FALSO PERGIURIO.
30 .
[Trir., n* 47].
DE AMORE ET CRUDELTATE.
81.
[Trir., a 48].
dato licen zia ch e uno can estro di rose p otesse in n ella torre
tira re, uno V ergilio m antovano, ingannando (1 ) q u ello ch e le rose
a r r e c a v a , in n el can estro en tr e coperto di ro se suso lo feci
tira re, e t vedeudo io ch e m olto p esa v a , quando a m ezzo .d e lla
to rre fu ^ tirato, considerando le rose tanto non dover p esa re ,
fattam i a lla fin estra d ella torre, V ergilio vid i, e t io ci vedendo
fe r m a i la fune a ccio cch vo i, padre, lo possiate ved ere e di lu i la m e
^quella g iu stizia ch e m erita. Lo m peradore, fattosi a lla fin estra,
v id e V ergilio, e subito fattolo andare g i e m esso in n elle pri
g io n i, dopo m olta d eliberazion e fu d eliberato c h e V ergilio m o
r is s e . E ven u to il giorn o ch e V ergilio m orir d ovea, fitto g li noto
da m orte, subito V ergilio con una sua a rte, essendo m enato a lla
g iu s tiz ia , a uno suo fam iglio si f portare uno bacino p ieno
dacq u a e t quine m essovi la faccia d isse: C hi V erg ilio v u ol tro
v a re , a N apoli lo vad a a cerca re: e t subito d alli sp iriti m align i
i p reso e m esso in N apoli. Lo m peradore, ci sentendo, m era-
v ig lio ssi (2) d ello scam po di V ergilio. E non m olto tem po ateo
V e rg ilio ch e d el fallo com m esso p er Isiflle si v o lse v e n d ic a r e ,
c h subito p er arti f ch e in Rom a foco non si trovava n per
^alcun m odo a rreca re n fare se n e potea. V edendo lo 'm pera-
d o re questo e t essendone estim olato dal p op olo, dicen do: N oi
p eriam o e siam o costretti abbandonare R om a se m orire non v o
gliam o, lo m peradore non sa q uesto fatto unde proceda e n ien te
risp o n d er V ergilio, ch e tu tto sa, m and a d ire allo im peradore
ch e m ai in Rom a non ritorn er foco se non di q u ello ch e dal
c u lo dIsifile sua figliu ola si prendesse, notificando, se neuno ad
a ltr i d i ta l foco d e sse , c h e il suo e *1 dato si sp eg n ere. Lo
m peradore, veggendo il popolo rom an o, d ilib er , posposta ogn i
v erg o g n a d ella fig liu o la , c h e lla a lla piazza com une fosse co l
c u lo nudo a lza ta , e t ch i volesse d el foco con bam bagia, panno,
-stoppa, andava e t a l culo, d is i file lo ponea, e di p resen te il foco
s a p p ren d ea , e p er q uesto m odo con ven n e ch e tu tti q u elli di
R om a, m aschi e fem m ine, ved essin o il cu lo a Isiflle, p erch non
v o lse ch e V ergilio g lie l ved esse. E t co s (u isvergogn ata le i e lo
m peradore ch e m al pi om ini.12
82.
[T iii., 49J.
DE PR U D EN TI* IN QONEILUS.
38.
[T ifo, a* 60].
DB FALSITATE MUMERIS.
Digitized by L j O O Q l e
128 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
34 .
, [T rir., a* 5IJ.
DE IPOCRITI ET FRAUDTORES.
85.
[Tifar., a 54].
MS FALSITTE ET TRADIMENTO.
86 .
(Tthr., B MJ.
DE NATURA. FEMMINILI.
N ella citt di P isa fii uno nom ato R an ieri di San L ascian o,
giovano e ricco, il quale talora la volont g li m ontava p i ch e
1 senno, non avendo m oglie. E da p aren ti stim olato di p ren d ern e,
d icea : Chi m i v o lete dare? Loro risp ond ean o: Q uella ch e vu oi,
c h e ab ile sia a noi poterla a v ere e t sea (1) p u lcella . D ice R a
n ieri : P o ich sie te con ten ti, io n e prender; m a ben v i dico, ch e
se io la trover ch e non sia p u lcella , io non la rip ig lier , com e
a lla sua casa n e Tar m andata. L i p aren ti, ch e odono R an ieri,
d icon o: E gli far com e Danno li a ltr i; troviam o m do ch e u na
n'abbia. E d atisi a sen tire, trovonno una b ella fan ciu lla nom ata
B rid a , figliu ola di Jani d elli O rlan d i, rim asa a l govern o d ella
m a d re, p erch Jani suo padre era m orto, giovan a b ellissim a e
ben nodrita. E t m essala dinanti a R a n ieri, Ai co n te n to , e dato
l'ord in e d elle n ozze e m enatala e fatta la festa o n o rev ilm en te,
sendo giu n ta la sera, essendo in n el letto , R an ieri, com e giovan o,
salen d ole in su l corpo, fece (2 ) le fazioni sp on sallzie. B rida, c h '
sotto a R an ieri, sen za pungolo il cu lo alzando, in tanto c h e R a
n ieri g i d ella som a cadde, e caduto d isse fra s: C ostei non
p u lcella, p oich 1 cu lo h a alzato s b en e, ch e non Tare* m ai c r e
duto. Et senza d ir a ltro la n otte si ripos. E t l'a ltra sera sim il
m ente facendo,- R an ieri d isse : P er certo quando B rida ritorn er
a me> non posso p erm ettere (3) ch e a m e m ai s'accosti. E p er
questo m odo ogni sera ch e Brida seco era, R an ieri facendo q u el
fatto, B rida m enava il sed ere. V enuto il giorn o di ritorn are e t
poi il giorno ch e sogliono le spose riv en ire a l m a rito , R a n ieri
m and a d ire a B rida e t alla m ad re, ch e [se ] B rida v err (4 )
c h e lu i l'u c cid e r , e ch e m ai non v u o le ch e a casa g li torn i.
La m adre e t i parenti di Brida, non sapendo la cagion e, m issen o
m essi a sap ere il p erch non rivolea la m o g lie, avendo prim a 1234
87 .
[Trir., n* 6].
38.
ITit ., * ftO],
bagno sta re doveano, avendo ciascu n o com andam ento star p resti
e quando in tra sse in n el bagno ch e persona del m ondo non v i
si la sci dentro en trare, sotto pena d ella testa , fu sse c h i si v o lesse,
e m olte a ltre co se a l suo salvam ento ordin. E p er questo m odo
dim or pi di quindici d, ch e sem pre, quando lo re in n e l bagno
en trava, neuho in q u ello en tra re potea, e t u sciton e, tu tti li a ltr i
ch e a l bagno eran o ven u ti en travano. E stato il d itto r e il tem po
ditto, un giorno essendo il r e in n el bagno en trato e t i panni
m essi da parte, com era su a u sanza, e le gu ard ie a lla porta,
senza ch 'a ltri se n'accorgesse, si trov dentro uno pel bagno con
panni grossi. Lo re vedendolo d isse: P er certo ben [le ] g u a rd ie
d elle porte d el bagno ap piccare far, p oich questo poltron e han
lassato en trare. E n ien te a l p elleg rin o d ice, m a di superbia tu tto
si rode, spettando com e di fu ori d el bagno ser di p resen te Carlo
ap piccare. Lo p ellegrin o en trato e lavatosi, lo re n ien te d icen dogli,
anco coll'anim o superbo verso le gu ard ie lassa dim orare il p el
leg rin o in n el bagno. Il p ellegrin o, stato alquanto, u scio d al bagno
e t i panni de A stulfo si m ette. Lo re ci ved e, sta ch eto co ll'a
nim o em pio a pun ire le gu ard ie, n ien te a l p ellegrin o d ice. Lo
p ellegrin o, v estito d e panni d el re, lassato la su a trista roba e
li a ltri v estim en ti, u scio fuori e d isse : B rigate, a ca v a llo . E m on
ta to a cavallo, v erso N avarra p rese il cam ino, e tu tti, da ca v a llo
e da p i, segu ir lo re , parendo loro fu sse lo r e A stulfo, e co si
giun sen o a N avarra. E ntrato in p alagio, la donna, ch e cred e ch e
sia il suo m arito, nom ata m adonna F iam m ella, d isse: M essere, voi
sete orm ai stato tanto a l bagno e solo p er a v er di m e fig liu o li
e t io asp ettatovi, ch e Cacciamo? Lo r e n ovello d ice ch e i m edici
g li hanno d itto ch e alcu n o d sp etta re si vu ole, p erch il corpo
sia dogn i um idit purgato. La rein a steo con tenta. Torniam o a
re A stu lfo, c h e h a veduto q u ello p alm ieri a su o m odo v e stir e i
su oi panni. U scito fori e non ved en d o a lu i persona v en ire,
com era di u sanza, stato m olto n el bagno, d isse fra s: Or veggo
q u ello m i con verr Care, ch quanti fam igli ar ch e abbino fal
lito tu tti li far m orire; e m ossosi d el bagno e* a ll'u scio n'and
nudo e non vid e persona. U scito pi fuori, v id e d alla lunga a l
quanti ribaldi, ch e in uno p ratello giocavan o e non a ltri. Lo r e
fra s d isse: L e m ie b rigate si saranno p artite ; io le far tu tte
d i ca ttiv a m orte m orire. Et essend o nudo, pens, poi ch e a ltr i
panni non a v ea, di m ettersi q u elli d el p ellegrin o. E t u scito fu ori
con superbia, g iu n se a q u elli b arattieri dicendo loro: V ' an data
la m ia gen te? D isse uno: C he gen ti vai cercando? D isse lo r e :
DE SUPERBIA. CONTRO REM SACRATA. 147
39.
[Trlr., n 61].
40.
[T ifo, a* 92].
DE JUSTA SENTENTIA.
41.
[T it., b W].
42 .
[T rir., n* M).
DE DISONESTITATE VIRI.
ved u to T edei, l ebbe con osciu to, e t ito da p arte, T ed ei dom anda:
Q ual quel giovan e c h e m ba fetto rich ied ere f Borra d ice: Io
sono. T ed ei lo riguarda e pargli g i a v erlo v e d u to , m a p erch
era in n el viso p er lo so le alqu an to d iven tato nero, d isse com e
a v ea nom e e ch i era. R ispuose: Io ora m i fo ch iam are B o rra ,
m a il m io nom e d iritto O ttavian o, figliu olo d ello m peradore.
T ed ei subito lh a e ricogn osciu to, e dom andandolo d el padre e d elle
condizioni d i corte, a O ttaviano tu tto raccon ta. T edei, ch e l ved e
n u d o , subito se n and in n ella terra e di b ellissim i panni lo
riv e ste e seco lo m ena; facendolo stare in una cam era d el pa
la g io d icen dogli: Spettam i. Gt andato T edei in sa la , trov lo m
peradore esser a ta u la , e T ed ei d ice: O im peradore, quanta al
leg rezza se r e la vostra se il vostro figliu olo O ttaviano fu sse con
v o i o si sap esse se v iv o o m orto fu sse. Lo im peradore d ice: Tu
d i il vero, ch e se O ttaviano m io fig liu o lo fu sse v ivo, se io do
v essi sp en der ci ch e io abbo, o ca ttiv o o buono ch osso fusse,
lo farei dav ere, ch e penso ch e b en e sam endere. E t q uesto d i
cendo g itt un gran sospiro lagrim ando. T ed ei, ch e h a ved u to
la volont d ello im peradore, subito se nand alla cam era d ov'era
O ttaviano dicendogli c h e allegram en te a l padre n e vada e t a lu i
ch iegga perdono gittan d osegli a p iedi, e t io ser teco . O ttaviano
rassicu rato ci fae. E giu n to T edei in sala con O ttaviano, d isse:
Santa corona, ecco il vostro dolcissim o figliuolo. O ttaviano, su bito
gettatosi gin occh ion i, a l padre ch iese perdono. Il padre a lleg ro
g li perdon e fe festa inestim ab ile p er lo ria v u to figliu olo. Di
m orando O ttaviano in co rte con ta n ti baroni, ch e tu tte le p er
sone diceano O ttaviano esser da pi ch e il padre, poco tem po
steo ch e lo m peradore pass di questa v ita . B subito fti fe tte
im peradore O ttaviano, le tre m arin e e li a ltri sign ori con sen
tendo. G m assim am ente v ista in G enova lelezio n e d el novo im
peradore, subito i G enovesi fecero (1) am bascieria ch e in C ostan
tinopoli si trovasseno. E funno di G enova eletti tre cittad in i gen
tili e grandi, fra quali fu Spinetta del F iesco, il q uale a v ea d ato
per le gu an cie d ello sp arvieri a B orra. E cam in ati, giunseno a
C ostantinopoli con laltro (2) am b ascierie. Lo m peradore d avanti
a s le fe v en ire, e v en u to li G enovesi, cognobbe Spinetta d e l
F iesco, e chiam atolo d isse: M essere, fa ceste m ai oltraggio a 12
48 .
[Tit ., b* 65].
44 .
Tit., n* 66].
45.
[T rlr., n* q .
DE SMEMORAGINE PRELATI.
46.
[Trlr., a 72],
DE PR E SU N T A N E STULTI.
a rricch iresti. S alvestro d ice: D eh, m essere, sta te con tento per
questa v o lta di riten er q u esti tre d in ari in dono. P osto ch e io
cognosco a m e esser danno, non di m eno m i pare ch e voi m e
r ita te tan to dono, e non di m eno quando v err a M ontem agno
vo' desnare con v o i. M esser B ernardino, ch deraso, cavatosi di
borsa n ove dinari, a S a lv estro li di. P artitosi m esser B ernardino
e ritornato a M ontem agno, S alvestro subito im prende tu tti li
om ini di B argecch ia e quante b estie v erano e lu i co lla m oglie
e co lli a ltri d el com une la dom enica m attina a S ch ian a n anda
rono. E giu n ti, subito andarono a q u ella casa caduta di m esser
B ernardino e com inciando le p iastre e *1 legn am e a v o le r ca rica re
e le botti gi m esse fuori di casa p er q u elle p ortare, sop ravven n e
il salano, ch e la d itta casa con a ltre possedute da m esser B er
nardino tenea, dicendo a S alvestro ch e vo lea fare. S a lv estro
d ice ch e m esser B ernardino g lie le av a d ate. Lo salano d ice: T u
non tocch erai n ien te fin e ch e m esser B ernardino non m i d la
parola. S alvestro d ice: V ien i m eco a m esser B ernardino, poi c h e
non mi cred i, ch m i d ovresti cred ere. G naffe, lo salano r is
ponde, io vo* ch e m essere m el dica, e sono con tento v en ire. S a l
v estro e l salano si m ossero e giu n sero a M ontem agno, d o v e
trovonno m esser B ernardino con alquanti carri e t om ini in su lla
piazza di M ontem agno. E giun to S a lvestro d isse : 0 m essere, io
andava a S ch ian a p er quel legn am e e p iastre e b otticelle, c h e
ieri voi mi d este, e questo vostro salano non m e lha v o lsu te
lassare p igliare. P er siam o ven u ti a v oi c h e g li d icia te ch e m e
le dia. D ice m esser B ernardino: Lo m io salano h a fatto m olto
bene a non la ssa rle to cca re p erch m ai non m i ricordo c h e io
te le d esse. E S a lv estro : Come a v ete poca m em oria, ch e sa p ete
ch e ieri m e le d este. M esser B ernardino d ice : Di vero io non
m e ne ricordo. Lo barbieri, rafferm ando, g li d ice ch e quando lo
radea tali co se g li d i. M esser B ernardino d ic e: D on q uam a v e i
lo rasoro alla gola f S alvestro d ice : Ora voi [v i] siete ricordato
c h e quando io v a v ea lo rasoro a lla gola le co se m i d este.
M esser B ernardino d ic e: S alvestro, ora ch e tu non m h ai rasoro
alla gola, le cose non ti v o dare, e a te, m io salano, com ando
ch e n ien te g li lassi to ccare. S alvestro d ice: Or u d ite, voi a ltri ch e
qui siete, ch e p er le cose ch e m 'avea date io g li avea donati'
tre dinari di q uello ch e dare m i d ovea d ella rad itu ra. M esser
B ernardino d ice: A q u estaltra volta t e n e dar quindici, e c o si
ti con tenter. S alvestro scornato si part, n m ai m esser B ern ar
dino a ta le ebreo and.
DE COMPETENTI MISURA 169
47.
[THt., n 74].
DE COMPETENTI MISURA.
48.
[Tt., a* 75],
DE VITUPERIO MULIERIS.
(1) JNel ma. quasi sempre jperdea, ma credo sia erroneo; di che potr ca
pacitarsi chi esamini questo verbo tutte le volte che occorre nella novella.
174 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
,49 .
Trij., n 7*].
50.
[TriT., n* 79].
(1) Ma : dicendoli.
NOVELL? DI GIOVANNI SERGAMBI
61.
[Tihr., n- 80].
balda, sbito a lza ta si fin e a lla cin tu r, p osesi (1) per p ren d er
agio a sed ere a l lu ogo com une, l u m olto v i steo, tan to che
subito u no prudore grandissim o g li v en h e, dicendo a ll sposa:
D eh guard se lcu n a coda v i b isso n a ta a l cu lo . L a sposa av
v isa ta d isse: A lquante b o llicin e (2), m a io penso c h e fregandole
cn uno p an n icello se n 'ndranno. fio r ita d ice: D eh spacciati.
L a sposa p rese il panno c h e F ed erigo g li aVea dato, e forte fre
gando, parendo a F io rita m igliorare, com e alquanto l ebbe fre
g a to , li strom enti com incia'nono a sonare. F io rita d ice: E suona,
andiam o a b a lla re. La sposa Subito con Piotata di cam era usci
rono e preso F iorita una danza, lo cu lo g li com inci a prudere
p er ta l m odo, c h e a ogni passo v i si ponea la m ano, e gratta
v a m o s spesso ch e ogni donna ch e q uine erano d icea n o : Fio
rita , e p are ch e abbi a l cu lo ta l cosa ch e non puoi sostenere
uno passo ch e la m ano v i ti m etti. F io rita d icea: Io non so quello
c h e m ha intra v en u to ; e q u an to-p i si grattava, ta n to pi le
roda. E non potendo stare i b alio, in su lle b an ch e s i fregolav,
in tanto ch e le (tann, ricordandosi di q uello ch e F ed erig o lavea
d itto, disseno: O F iorita, tu h a i stam ane m otteggiato e t ora veg-
giam o ch e q u ello ch e d isse F ed erigo v ero, c h e quando lo vedi
h a! s gran d e la rabbia al cu lo ch e non puoi sta re in posa. Fio
rita , ch e h a e il dolore grande d ella rosa, non sapendo, stava
grattan dosi p er m odo ch e alcu n a v olta in p resen zia daltri si
m ettea la m ano sotto i panni, credendo p er q uel m odo la rosa
m andarne, e n ien te g li v a lea . E p er q uel modo tu tto il giorno,
non c h e p otesse m otteggiare a ltri, m a e lla non potea m angiare
n b ere n sta re in posa, tan to era la rosa grande. E co s steo
tu tto il d e la n o tte appresso. La m attina avendo sim ile rosa,
F ed erigo d ice a lla sposa ch e d ica a F io rita ch e se e lla v u o l gua
r ir e io la gu arir. La sposa d ice a F iorita il fatto. F iorita, che
le pare esse re v itu p erata e non credendone m ai g u a rire, disse :
Io far ci ch e vorr F ed erigo. R ich iesta , in cam era en tr colla
sposa, e F iorita dolendosi d ellaccid en te avuto, F ed erigo fece di
scostare la sposa alquanto e d isse: 0 F iorita, io v o g lio da te du
cose, se vu oi ch io ti gu arisca. F iorita d ice: C hiedi, e questa
rabbia m i lev a dal cu lo. F ed erigo d ice: Io vo g lio prim a ch e alla
sposa m ai non d ich i v illa n ia e ch e la teg n i p er tua sorella e 12
52.
[Tri?., n 81].
53.
[T it ., no 82].
DE CRUDELT. MASSIMA.
q u i q u esti fa n ciu lli h o ten u ti ch e fusseno m iei figliu oli, ora per
lo tu o vitu p ero ta l cred en za h o 'perduto e p er m iei no li vo
rip u tare. E t acci ch e tu abbi d el fallo com m esso doppia pena, com e
h o u cciso colu i ch e h a i ten u to, cosi costoro in tu a p resenza u c
cid er . L a donna d isse: M essere, ten ete a certo li fa n ciu lli esser
v o stri, e b en e ch e io sia d egn a dogni m ale, v i p rego ch e a co-
te sti fh n ciu lli m ale non fa ccia te, c h v ostri sono. L o m arito d ice:
D onna, tu m i p o tresti assai d ire, ch e m en tre c h e q u esti fan ciu lli
io u ccid essi, sem pre a rei in n an te il vitu p ero ch e fatto m 'h ai; e
p er vo* ch e tu n'abbi all'an im a la pena p er lo tuo m alvagio
fe llo . L a donna piangendo d icea : D eh, m essere, p ia ccia v i a' fan
c iu lli v o stri la v ita sa lv a re e m e u ccid ete, ch e degna n e sono.
M esser S tan gh elin o le d isse: Tu m i p otresti d ire assai, e p er
vo* c h e sen ti di q u el dolore ch e le tu e pari m eretrici m eritan o.
E p resa la spada, a tu tti e quattro i fan ciu lli, in presenzia d ella
m ad re, ta g li la te sta , e p oi, non forbendola, a lla m oglie p er lo
p etto d ied e e d all'altra p arti la pass e m orta cadde. E com e
eb b e ci fatto, fece la donna e t i fa n ciu lli, in u n a fossa so tterrare
e q uello giovano a cu i lo d i a m an giare, e p artitosi da P alu e
in co rte d i m esser B ernab ritorn. E sapendo q u ello c h e fatto
a v e a , g li fe p er m esser B ernab d itto p erch alm eno non a v ea
cam pato li fan ciu lli. R ispuose le p arole ch e a lla m oglie d itte
a v e a . E ci sta n te ch e fatto la v esse, non f p er p regiato l a v ere
u c c iso i fig liu oli, m a la cagion e assegn ata fe e assai buona ca
g io n e da co n sen tirg li q u ello a v ea fatto fosse stato il m eglio ch e
a v e r li riserb ati. E t p er questo m odo q u ella ca ttiv a di E lena p er
le su e ca ttiv it fe* ca ttiv i li suoi fig liu o li e l'am ante e s.
NOVELLI^ DI GIOVANNI SERCAMBI
54.
[Trfr., b* 8S].
DE BOJtfA PROVID^NZA.
(1) M s.: co n ta to .
DE BONA FORTUNA IN AVERSITATE 195
55.
[Trlr., n* 84].
56 .
tT rir., V> 85].
(1) M s.: m a n c a n d o .
198 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
e re O tte tto d i G ranate. E t pare ch e la fan ciu lla non aia stata
con tenta, e dove al sia andata lo re suo p ad re non sa , e t h a tetto
cerca re e cerca te tta la Spagna p er lei, e d icesi c h e e lla n'ha
portato di v a lsen te p ia d i cen tom ila doble e m olti g io ie lli. Lo
v esco v o d ice: Io v o g lio c h e ta stii m eco, o to ' c h e tu sii mio
spenditore. P assavantf d iee c h e non pu, p ero cch in Barcellona
g li co n v ien e an dare p er tra rre uno su o fra tello d i p rigion e, che
condannato a p erp etu o ca rcere. L o v escovo d ic e : T u verrai
m eco a R om a e poi terem o il cam in o d'A ragona e t ahrterotti ( i)
ca v a re il tu o fra tello di p rigione. P aasavanti, udendo q uesto, steo
contento, e tetto teso rieri e spenditore, cam inano p i g iorn i. Av
v en n e u na sera ch e 1 vescovo co lla brigata cap itolin o in nna
v illa , in n ella q u ale a ltro c h e un albergo era, in n e l q u a le erano
ca p iteti m olti a ltri fo restieri. N on di m eno una ca m eretta per lo
v escovo con u n o letto di cortin a fornito e t a ltr e co se o rrev o lite
trovato, e p er li a ltri assai p iocioissim a cosa, c h la m aggior
p arte, co si ca lo n a d com e a ltri, in n e lle sta lle e t a n co stretti
dorm ire potranno. La cena orrev o le, [fa ] m esso il v esco v o a letto
e l'a ltra b rigata, sa lv o P assavan ti, il q u ale in sa la co ll'o ste era
stato p er ftr e il con to e p agare, a cci ch e la m attin a cam inare
di buon'ora si possa. E p agato ch'ebbe, d isse: IT dorm o io? Loste
disse: In v erit e' non c' lu ogo verun o, c h tu tte le ca m ere sono
p iene, e ved i c h e la m ia donna e tu tte la fom iglia co n v ien e in
sala stasera dorm ire; m a .tu puoi fare b en e; io ti d ar uno pia-
m accio con u na carp ita e t in cam era d el vesco v o in su l solaio
ti corca e t a ltro m ig lio re lu ogo non c i v eg g io . D ice P assavanti:
C om e! non h a i tu ved u to ch e i calon aci non c i sono v o lu ti stare?
L 'oste d isse: D eh te q u ello ti dico; noi v e l m etterem o p er modo
ch e '1 vescovo non lo sen tfre. P assavan ti d ice: Io sono contento,
e t acconcioim o il letto . L 'oste di cam era u scio e t a dorm ire si
p nose. P assavan ti piano si m isse in su q uello tettu ccio . L o vescovo,
ch e tu tto h a se n tito , aven d o grande a lleg rezza di ta l ventura,
piano chiam P assavan ti d icen d ogli ch e in n el letto , dove lui
era, en trasse. P assavan ti d isse: Io sto b en e. Lo v esco v o d isse: Io
te i com ando ch e qui en tri. P assavan ti, p er ubbidire, in n el letto
en tr. Lo v escovo disse: P assavan ti, m etti qua la m ano. E Pas
savan ti la m ano d isten de. Lo vescovo la m ano prendeo e t in sul
petto se la puone. P assavan ti, ch e trova a m odo di du' m eluzze,
57.
[THt. , 87].
N el ream e di F ran cia, tra la F ran cia e la P iccard ia, uno bosco
grandissim o, il q uale m adonna con tessa d rtese possedea, e t in
q u ello un b ellissim o p alagio, in n el m ezzo d i ta l bosco, era ed ifi
cato, a ccio cch [quando] m adonna la con tessa andare vo lea a lla
ca ccia , in quel palazzo rip osare si p otesse con tu tta la b rigata.
E ta l bosco era p ieno di m oltissim e b estie sa ly a tich e, e tu tto d'in
torno la m aggior p arte stecca to , acci c h e le b estie u scire non
p otessero. E t era il d itto bosco m olto gran d e accosto a una
strada ch e v en ia di P iccard ia a P a rig i; a l qual bosco m oltissim i
la d ri e m alandrini si riduceano a m al fare, e t il m odo ch e ta li
rub atori ten ean o era questo, ch e uno de' d itti rubatori si ponea
in su lla strad a, ch e a lla to a l bosco era , in form a di uno ro
m eo povero, ch e a cca tta sse, con uno cap p ello in capo di ferro
e foderato di panno, acci ch e, se alcu n o la v esse percosso, non
a v essen e auto a lcu n m ale, e t uno co lte llo sotto con uno bordone,
a ssa i il ferro grande. E com e v en ia la persona a ca v a llo o a
p i, chiedendo lim osina s'accostava a ta l viand an te, e se a p i
era , subito l'avean o preso, e tira to n el bosco, l'u ccid evan o e poi
lo rubavano. E t se era a ca v allo e t a ltri si ferm asse p er dare
lim osina, lo ru b atore s'accostava e prendealo p er la b rig lia e t
c o l co ltello p er lo p etto g li dava, e d el ca v a llo lo fe cea ca d ere,
e conduttolo in n el bosco, q u ello uccideano e rubavano. E se pi
duno fu sse ch e d quine passasse, il prim o rubatore lo lassava
en tra re tan to, ch e tre o quattro rub atori trovava in n ella strada
accattan d o; e se avven ia ch e non si v o lessin o ferm are, fceano
certo segn o d'un corno, e dinnanti e d irieto u scivan o loro addosso,
e se non erano ben forti, q u elli ch e passavano rim aneano m orti
e ru b ati, e t eran q u esti m alandrini gran q uantit, e cen tin aia
n e avean o m orti e rubati. Un giorno m adonna con tessa volendo
cam in are a P arigi, avendo seco m olta baronia, com and ad un
su o spenditore ch e cav a lca sse in n an ti p er p oter ap p arecch iare per
le i e p er la b rigata. E com e il d itto spenditore, con alq u an ti in
su a com pagnia, ftinno in n ella strada appresso a l d itto bosco,
204 NOVELLE DI GIOVANNI SBAC AMBI
58.
[T it., n 88].
F u iu G enova du fra telli lad ri, li q uali l uno a vea nom e Bo-
vitoro, l'a ltro B ellu ccio , ch e avendo desiderio di gu adagn are sen za
fatica, andavano di n otte rubando e strafiggen do b o ttegh e e case,
e questa v ita teneano, e pi v o lte andonno a uno fondaco d'uno
m ercadante nom ato A gustino, e di q u ello pi co se furato o tolto
avean o, di ch e il d itto A gustino p i v o lte doluto se n ' alla s i
gn oria di q u ello ch e a lu i era stato fatto; e n ien te g li v a lea ,
p erch di continuo, quasi ogn i m ese, p er li d itti fr a telli g li era
a lcu n e co se ru b ate. A gustino, ch e v ed e ch e p er la g iu stizia non
si pu tro v a re m odo, avendo ved u to dove i lad ri entravano,
d ilib er a p i d ella fin estr a , dove in n el fondaco scendeano,
m etter uno tin elletto pieno di visca g in e stem prata, acci ch e, se il
ladro v'en trasse, v i fu sse preso. E com e pens m isse in effetto.
E fatto la v isca g in e stem prata, e m essa in luogo ditto, sen za ch e
ad a ltri lo p alesasse, d iven n e ch e una n o tte il p red itto B ovitoro
e B ellu ccio andonno a l fondaco d'A gustino, e p er lo luogo ordi
nato B ovitoro si cal en tro, e quando fti p er la ssa rsi andare,
credendo andare su l terren o, g li v en n e andato in n el tin ello d ella
v isca g in e. B ovitoro, ch e si v ed e in vescato, volen d osi co lle m ani
a iu tare, pi s'in vescava, p er m odo ch e non a v ea b alia c o lle m ani
n co p iedi p otersi aiu ta re, n di q u ello tin ello u scire; m a com e
se ch iavato v i fu sse stava sodo. B eliu ccio, suo fratello, vedendolo
a ta l partito, volen d ogli a iu ta re, p er le sp a lle il tira v a e n ien te
v a lea . E stando in ta l m aniera, aspettandosi il d ie, B ovitoro disse
a B ellu ccio suo fra tello : F ra tei m io, io veggo c h e m orto sono, e
se qui sono trovato, a m e con verr con fessare li flirti fa tti e con
cu i, p er la qual cosa m i con verr te nom are e v er resti a d over
p erd er la persona, n m ai i nostri fig liu o li arenn o onore. E p er
tan to ti dico, p oich a ta l p artito sono ch e cam pare non posso,
e p er scam pare te e la roba, e p er am ore de' n ostri fig liu o li,
ch e tu m i le v i la testa acci ch e cogn osciu to non sia, e p er
questo m odo tu cam perai e la roba e t i n ostri fig liu o li non aran n o
vergogn a. B eliu ccio, ch e h a udito il suo p ericolo, vedendo c h e
'1 fra tello cam pare non pu, subito con uno co lte llo il capo d a lle
DB LATRONES ET BONA JUSTITIA 207
59.
[Tifo, a a].
DE MALITIA HOSPITATORIS.
60 .
[THt., a* 90].
61 .
[T it ., n 91],
DE MASSIMO FURTO.
m io, tu tti q u elli ch e quine avevam o, io l*ho cam biati con gran
dissim o nostro profitto, e t h o lli qui a u ti con tan ti. Lo fra tello dice:
Ora con cu i s possuto fe re si grosso cam bio? G ione d isse: Con
T aisso. Lo fra tello d i G ione d ice: Gol d ia u le! o e g li non h a il
v a lo re dun grosso! p er certo se co* lu i fetto lh a i, lu i li de* a v er
ru b ati; m a io m i m eraviglio c h e ta n ti n'abbia p otuti rubare, ch io
non so c h i si possa esse re q u ello m ercadante c h e non se n e
fe sse g i saputo la n o v ella . G ione d ice: Di v ero lu i m h a con
fessato ch e to lti l h a, ch e m etten d ogli paura m h a trib u ito lo
terzo, c h e d'uno cam bio ch e ultim o fe ce di fiorin i quattrom ila
cin qu ecen to, e t ora di q uesto m e n e vu ol d are seim ila e t io g lie l
faccia di quattrom ila. N on m h a v olu to d ire a ch i. Lo fra tello
di Gione, sentendo il p ericolo c h e v en ire n e p otea a lu i e t a l
fratello, diliber a l tu tto v o ler sap ere A c h i T aisso li fiorin i a v ea
to lti, dicendo a Gione c h e a l banco lo feccia v en ire e c h e ar
re ch i li seim ila fiorin i e tu g li fera i la lettera . G ione co si fa, e
*1 fratello resta in bottega. T aisso ven u to con dinari, G ione lo
m ena in fondaco, dove era il fratello. Lo fra tello di G ione g li
d isse: T aisso, io v o sap ere a c h i to lti h a i questi d in ari, a ccio cch
noi an cora possiam o p rendere p artito, e com e h a i fetto patto
con Gione, cos ti voglio o sservare ch e la terza p arte sia nostra,
e le due p arti tu e, e se cento [m ila] fiorino fu ssen o, ta n to l'ar
pi a grado. E t ora sono con tento di p ren d ere q uesti seim ila ;
io ti fer la lettera di q uattrom ila. T aisso d ic e : Or c h e leva?
io li h o to lti a persona ch e poco danno n e pu a v ere, e sono
p i di ottantam ila. S e io a v essi avu to pi d ella notte, io n a rei
pi di dugentom ila, e penso, se v er rete m eco, e' sere ch e in
m eno di du n otti v e li m etter in m ano. Lo fra tello di Gione
d ice: O him p er D io, T aisso, feciam lo e tien m i secreta la cosa.
Gi ch e vorrai da noi a ra i, e p er p oter fa re pi secreto e m eglio,
io voglio m andare Gione a V in egia, ch e si tro v i con Orso con
tu tti q u esti d in ari, e li altri m anderem o a loro d ue. In fin e a v a le
sono contento c h e il nostro e l tu o vad a a com une. T aisso d
fede a lle parole e disse: Buono ch e C ione tosto cam in i. Lo
fra tello di G ione d ice a T aisso: Va e m ena gi uno cavallo, ch e
v o ch e in con tan en te vada p er non p erd ere tem po. T aisso s i
parte e p er uno ca v a llo andato. Lo fra tello di G ione d ice a
C ione c h e subito d ella terra si parta e porti seco q u elli seim ila
fiorin i, e t in fin e ch e non m anda p er lu i non torn i. C ione am
m aestrato, com e il ca v a llo fu e v en u to , sa lio a cavallo, dandogli
una lettera di quattrom ila d ucati d i T aisso, e c h e q u elli d esse
DB MAS8I1C0 FURTO 217
62 .
[Tit ., n* 88].
DE MALVAGITATE YPOCRITI.
63.
[Tri*., n A4].
DE MALITIA IN INGANNO.
64 .
[TOt ., i# #].
DE CIECO AMORE.
p er la finestra era in trato. Non dim ostrando n ien te, lassa la donna
su a p ren d ere con solazion e a b ell a g io , dim orando alquanto pi
c h e non so lea; e quando g li p arve a F ra n cesch etto tem po di
d o v ersi p artire, p er la fin estra u scio . Scarsin o, ch e sta v a a v e
d ere dove co lu i e n tr a v a , e 123 cognobbe ch i era q u ello ch e co lla
m oglie era la n otte stato. B m andati q u elli ch e giocavano, and
S carsin o a letto , dicendo a lla m o g lie: Io m i penso ch e stasera
ab bi auta la buona sera senza c h io n abbia sen tito . La m oglie
d ic e : F orse potresti d ire il v ero. Scarsin o d ice: O rch e m odi tien i,
quan d o vu oi ch e lam ico vegn a a dorm ire teco? La donna d ice:
M etto una to v agliola alla fin estra, e t e g li a v v isa to e vien e per
q u e lla fin estra d irieto. S carsin o d ice: A lm eno, p oich cosi ti vu oi
co n ten ta re, d ovresti alm eno sp ettare ch e a ltri non frisse in casa.
La donna d isse: Io v eg g o ch e d ici v e r o , io noi far pi. Scar
sin o , c h m al ven triglo ( i) , la m attina d ice alla donna c h e vada
p er la sera a stare a casa d ella so rella, p erocch lu i pensa da v er
q u a lch e cosa di van taggio. La donna d ice: A tuo p iacere, e t an
d a ta , ch e a ltri noi s e n te , a casa d ella so r e lla , S ca rsin o , fatto
d isfa re lo solaio ra sen te a quella fin e str a , dove F ran cesch etto
en tra to era, e t a vu ti suoi lad ron celli, c o llarm e in n ella bottega
d i sotto a lla cam era li m isse, e lu i avendo fatto colla to v a g lio la
se g n o a F ran cesch etto ch e ven isse, F ran cesch etto la sera dove
p i v o lte andato era, vedendo lo lum e in b ottega, com e l a ltre
v o lte veduto v e l'a v e a , credendo tro v a re la donna e credendo,
p er lo lum e ch e ved e, siano persone ch e g io ca re debbiano, sen za
a lcu n o sosp etto m ont in su lla fin estra, e credendo scen d ere si
cu ro , com e g i fatto a v e a , al m utare del p a sso , lo so la io , ch e
lev a to n era, g li ven n e m eno, e t in bottega fu caduto, l u Scar
sin o con q uelli lad ron celli era. E colpendolo di m olti colpi, lu c
c is e (2 ) e poi in n el luogo com une lo gitt , n m ai di lu i il padre
non ebbe sen tim ento, posto ch e d alla (3 ) m aggior p arte d ella
v icin a n za e d a ltri, p er lusanza ch e m adonna C iandina facesse,
fu sse fatto m orto, e p er paura neuno osa d ire. Chi sebbe il m ale
s se i pianse, e m adonna Ciandina pens dun altro.
65.
[T rir., n* 96].
DE CATTIVITATE STIPENDIARJ.
len te, c h sai c h e a tu tte le m isch ie c h e sta to sono sem pre, quando
fu m angiato, abbiam o poi largam ente b evuto. E t non so ch i possa
m eglio ser v ir e questo fatto ch e n oi. D ice Trom ba, ch e non m eno
c h e F olaga era v a len te: Io sono con tento di ta le soldo p ren d ere.
E per b en e ch e noi parliam o con c e r ti sec reti ch e c i sono
v en u ti da P isa e diciam o loro ch e non potranno trovare in F i-
ren za n a ltri due pi v a len ti n ard iti di noi, m a ben diciam o
lo ro c h e di F iren za non c i ca v in o a u n ora, p ero cch se la co
m unit di F iren za lo sen tisse ch e tanta fortezza n u scisse quanto
la nostra, ch e agevolm en te lo com une di Pisa, non ci potrebbe
a v ere. E per b en e c h e di tu tto s inform i ch i c i ven u to.
F olaga d isse : V a e m enam elo, e t io g li p arler alto, p er modo
c h e cinten der. Trom ba, ch e volont grande h a di provarsi d ella
persona, subito trov q u ello ch e secretam en te a F iren za andato
er a , d icen d ogli: F olaga de P eru zzi, om o di gran virt , ti vu ol
d ire alquante p arole di secreto , ch e a ltri ch e noi e tu vogliam o
c h e ci sia. Lam ico and con Trom ba dove F olaga trovonno, ch e
p er esser pi gagliardo a veasi fatto v en ire dinnanti, p erch era
sa b a to , una gran padella piena di m accaroni. E sbottonatosi
d innanzi, a cavalcion i in s una banca p er m angiare si stava, e
g i n a v ea pi ch e la m et m a n g ia ti, ch e pi di se i n arenno
a v u to assai. E non restan do il m angiare, sop raggiun se il Trom ba
c o l com pagno, li quali com e m angiava videno: F olaga, Trom ba
g li disse, o p er noi non ce n ha? F olaga d ice: A ssai v e n ser
b a ti, m a , ch cotestu i vegga quanta v a len tia regna in m e , h o
fatto fare q uesti m accaroni, dicendo a Trom ba ch e prenda q u elli
c h e in una cassa a v ea m essi in du grandi ca tin elle; p e r s e p er
lo com pagno li apparecchi. F o la g a , ch e m angiato ebbe q u ella
gran d e padellata di m accaroni, d isse: Ornai potrai fare rela zio n e
c h e tu h ai trovato il pi v a len te cam pione ch e in F iren za sia ,
e t q u ello ch e pi n im ich evolm en te F iren za disfar, narrandoti
c h e cinquanta* person e non m i faranno m uovere pi ch e io vo
le ssi ; e t cosi com e v ed i la m ia persona b ella, gran d e, forte, cosi
pensa ch e tu tte la ltre v irtu d i card in ali regn an o in m e e non
pensi il com une di P isa di poter trovare om o di m aggiore for
tezza di m e, n pi securo, ch e quando io dorm o non cu rerei
d ugento p ersone ben e arm ate, essendo io pure con una corazza
in dosso. Sappi ch e farei quando io non dorm isse e fosse co l ta
v o la ccio e con tu tta l arm adural D icen d ogli: Io sono d ella pi
v a len te casa di F irenza, e sono tanto v a len te, ch e se il com une
di F iren za sap esse ch e tanta forza, quanto la m ia, di F iren za
230 NOVELLE DI GIOVANNI SERGAMBI
66 .
[Trir., n* 97].
DE VILTATE.
67.
[Triv., n 06].
DE FALSITATE MULIERIS.
68.
[Trir., a M].
DE MALITIA HOMINIS.
(i) Qui il ma. dice: se quando venire alora come allora. Ho cercato ca
varne un senso.
DE MALITIA HOMINIS 241
farem o? A cu i co lei risp u ose: Tu vedi ch e din su llora ch e le
m onache sono a dorm ire in n e llorto non persona; io lo pren
der p er la m no e con d urrollo n el cap an netto dove i fu gge
quando piove, e l'una stia dentro con lu i e t l'a ltra faccia gu ard ia.
M ustachio udia q uesto, disposto a u bid ire, ch e a ltro non sp ettava ;
appressandosi la prim a m onaca, lu i dest, e con a tti lu sin g h ev o li
p reselo p er la m ano, lu i facendo cotali risa scio cch e, lo m en
in n el capannetto, dove M ustachio, sen za farsi troppo in vitare,
la fo m io di van taggio di q u ello ch e e lla volea. E t e lla , com e
le a le com pagna, avu to q u ello volea, diede a lla ltra luogo. E Mu
stach io, pur sim p lice m ostrandosi, q u ella fornio, n prim a da
q u el luogo si partirono, ch e pi v o lte ciascu n a da M ustachio fu
forn ita; e poi le m onache tra loro ragionando ch e buona cosa
era a p rovare l om o, e ch e il loro p en sieri era stata ottim a
cosa, da poi prendendo con v en ev o le tem po, con M ustachio for
n irono loro volontade. A vvenn e un giorno ch e una loro com pagna
da u n a fin estra della ce lla a vved u tasi, a du* a ltre m onache g io
v a n e lo m ostr, tenend o ragionam ento da ccu sa rle a lla badessa ;
poi m utarono con siglio, ch accord atesi in siem e, fanno p artecipi
d el podere di M ustachio com e le prim e, a lle quali co se l'a ltre
m on ach e, p er d iversi accid en ti, d iven n ero com pagne d elle prim e
in vari tem pi. U ltim am ente la badessa, p he di questi fatti n ien te
sapea, andando un di tu tta sola p er lo giard ino, siando il cald o
gran d e, M ustachio trov, il q u ale di poca fatica e l di per lo
troppo ca v a lca re d ella n o tte n ava assai, tu tto d isteso a llom bra
d i uno am andolo dorm iasi, e venendo alcu no ven to, li panni le
v a ti d irieto di M ustachio, stava tu tto scoperto, il ch e la badessa
riguardando, in n el m edesim o ap petito cadde [in j ch e le su e mo
n a ch e cad u te erano. E destato M ustachio, in n ella sua cam era
lo m en, dove p i d [ste tte ] con grandi querim onie d elle g iovan e
m onache, afflitte ch e lortolano non v en ia a lavorare il lo ro te r
ren o. La badessa riprovando q u ella dolcezza, ch e prim a [in ]
l a ltre biasim are solea, ultim am ente la badessa lo rim and al
l orto con prom issione ad am icchi ch e a le i ritorn asse, rivolen d olo
e volendo la badessa di lu i pi ch e parte. N on potendo M ustachio
a ta n te satisfare, s'avvisr ch e il suo esser m utolo g li potrebbe,
se pi ste sse , in g ra v e danno riu scire, e per u na n otte, stando
c o lla badessa, com in ci a d ire : M adonna, io h o e in teso ch e uno
g a llo basta a sei e d ieci g a llin e ; m a ch e d ieci om ini possono m ale
e con fatica a una fem m ina sa tisfare, d ove ch e a m e mi con
v err serv ire n ove, il p erch per cosa d el m ondo durare non
242 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI
69 .
[Trir., & 100].
m iei piedi c h e t'hanno qui giun ta, dove farai conto d ellop re te-
m ite. T urcora d ice: D eh, m arito m io, ti prego ch e m i d ich i la
v erit se m eco in casa alcu n a persona v ed esti e poi se d irieto
a m e lo v ed esti v en ire, p erocch , se co s frisse, sere* di b isogn o
ch e altro ti d icesse. O rsuccio d ice: D eh, m eretrice m alvagia, com e
non vidi uno giovano ch e t era addosso e tu lo ten ei stretto ab
b racciato e com e m i sen tisti p icch iare te ne fu ggivi via, e il gio
vano ti v en n e d irieto e non lho potuto giu n g ere, m a te p u re ho
giu n ta qui, m eretrice, ch e ti v o lei con D io andare? T u rcora, con
lagrim e ch e sogliono g itta re ta li fem m ine, d ice a O rsuccio: Ornai
cognosco ch e tu tti n andiam o a un m odo, p erocch m ia m adre
m i d isse q uello ch e ora O rsuccio m io h a i ditto, ch e quando io
frisse presso a lla m orte ch e io ser ei veduta ch e parre* c h e uno
m i frisse addosso, e poi ch e io m e nandasse v ia e lu i m i v en isse
d irieto. E cos m i d isse la m ia am orosa m am m a ch e a lla tua
m am m a d iven n e, e quando la m am m a m ia v en n e a m orte, lo m io
savio babbo vide quello ch e ora tu, vezzoso m io m arito, d i m e
ved u to h a i. E per ti d ico, p oich tu m e lh ai ditto, c h m ai non
m i d icesti bugia, ti prego ch e prim a ch e io m uoia, c h la vita
m ia non pu esser oltra a quindici d, secondo q u ello ch e a lle m ie
an tich e e paren ti intravven u to, di m andare p er un notaio, c h e io
v o fare testam en to, e prim a vo ch e l m io corpo si sop pellisca
dove la m ia savorosa m am m a fri so p p ellita, e la m ia dota vo
ch e si strib u isca in questo modo: e t prim a per lanim a d i mio
d olce padre vo ch e si dia il poder d ella F alom bra, e p er lanim a
d ella d olce m am m a si dia il poder d el V entospazza con tu tte le
p ertin en ze, e t alla nostra benedetta ch iesa si diano le v ite lle t te
n ate d elle m ie v acch e, e t a R u steco nostro lavoratore la scio la
m ia b ella gon nella, e t a R ughia d ella v illa di buona m isu ra gli
lasso il podere, ch e d el terren o di m ia m adre u scio, nom ato (1)
F ra llem ieco scie sicuram ente; m entre ch e io v iv o lo lavori senza
m ancare, e quando ser passata di questa v ita n e faccia q u ello
ch e v u o le. E p erch tu, O rsuccio m io, mh a i preditto ch e io m orir
debbo, non v o ch e tu abbi d e m iei fatti altro ch e q u el podere
si chiam a il .gom bo di frate gabbo e q u ella vigna ch e si chiam a
la tigna d ella piacciola< altra cosa non v o ch e abbi, p oich s
giovana m h ai preditto ch e m orire debbo. E rano q uesti d u poderi,
oltra le triste co se ch e T urcora avea, le pi triste. N arrato q u ello 1
70.
[Tiiv., n* 101].
DE MALA. GORRETIONE.
71.
[Trir., n 102].
DE A VARITIA MAONA.
(1) Ms. : / c h e .
(2) ]\K: p o t e r e .
DE AVARITI A MAONA 251
a m e. Di c h e eliin o d icen o a llalb erg a to re ch e faccia conto di
ci c h e avu to avean o e pagato lu i e l m edico e lo sp eziale, m et
tendo in ord ine uno ca ta letto p er lo d seg u en te, pregarono ( i )
il m edico ch e g li p iaccia prim a di v en irlo a ved ere p er d are
ord in e d ella v ita ordinando alcu n o co n fetto ristoratorio. E t co s
si segu io. M esso in a ssetto o gn i cosa e v en u to lo d ie seg u en te,
li com pagni, fa tti sella re li ca v a lli, e una bara ligaron o (2 ) in su
du ca v a lli per m odo fo rte con uno m atrassino e pium accio a c
con cio, ch e d en tro v i si possa agiato sta re con una co verta di
sopra, sa lv o un poco donde la testa sta r sen za cop ertu ra. Et
com e tu tto fu in assetto, uno di loro and p er m astro P a cie, di
cen d ogli c h e reg n a a ved ere lo nferm o. Lo m aestro, c h e non
a v ea fan te neuno, con q u ello com pagno all'alb ergo se nande,
e com e li a ltri videro v en ire il m edico, d isse ) a llo ste c h e con
lu n o di loro an d asse a llo sp ezia le p er con fetti, avendo inform ato
co lu i ch e and ch e tanto lo ten esse a bada ch e loro avessin o
fornita la loro faccen d a. E t co s lo ste a llo sp ezia le se nand con
uno com pagno. M aestro P a cie guidato in n ella cam era dove per
sona non era se non d i q u elli com pagni, e giun to ch e q u in e fu,
subito cacciand ogli la m ano alla gola labbavagliarono con lig a rg li
le m ani e i piedi, e t in volto in uno p iliccio n e in un len zu olo, in
scam bio di co lu i ch e nferm o s era fatto, gi p er la scala lo por-
tonno, in n ella bara lo m isero, e t cop erto m olto bene ch e neuno
v ed ere lo potesse, m ontarono (3) a ca v a llo . Intanto lo ste con
q u ello com pagno venuti d allo sp ezia le con con fetti, prendendo
com m iato d alla fam iglia d elloste, pregando lo ste ch e con loro
andasse fin e alla porta, a ccio cch la v ia in segn i loro; l'oste d isse:
V olen tieri. Et m ossi d a llalbergo, verso porta San M arco se nan
darono, e t com e a lla porta funno g iu n ti, loste d isse a guardiani
ch e quello era uno m alato e pass via, e t uno di q u elli com pagni,
m ettendosi m ano alla scarsella, n e trasse du fiorini dicendo: Uno
di questi ch e sia tuo per un paio di calze, e laltro darai a
m aestro P acie c h e se ne com peri un altro paio; e raccom andati
a Dio cam inoro verso M arti (4). E quando funno presso a G astei
d e l bosco, dove si teneano sicu ri, aven d o quasi passato il terren o
di P isa, dislegarono il m aestro P acie, et in su uno cavallo lo 1234
78 .
[THt., d* 108].
DE INGANNO IN AMORE.
73 .
[T it ., 104].
DE IN V ID IA .
m orm orando di tan ti com andam enti, tra loro diceano : Lo podest
de* esse re di q u elli di santa L uchisen d a, ch e non volendo n sa
pendosi p igliare p iacere, non vorre* ch e a ltri se ne pren d esse.
E t avendo ta n ti com andam enti addosso, diliberonno darsi p ia cere
a sca cch i e t a sin ig lieri sen za dadi, dicendo tra loro : Ornai m esser
B artolo c i la sser stare, e ta l giuoco giuocarono dassai e di poco.
La m aled etta in vid ia d el podest non potendo p atire ch e a ltri
si d esse p iacere, f* d ivieto ch e n a sca cch i n a sin ig lieri giuo-
ca re non si possa. Li g en tilo tti con m orm oram ento dicean o al
podest: P erch ci v o lete ten ere si s tr e tti, ch e alcu n o p iacere
p ren d er possiam o ? Or com e sono li om ini di L ucca d ella vostra
con d izione, ch e non potendosi d are alcu no p ia cere non vogliono
c h e a ltri se n e dia ? Lo podest d isse : S , e t per non vo* ch e
a ta li g iu o c h i, di ch e h o m andato il b a n d o , si giu o ch i. Li
g en tilo tti, udendo s tristam en te p arlare il podest d ella su a terra,
l'ebbero sp acciato p er una zucca v o ta , diliberando nondim eno
osserv a re li su oi bandi, m a p er a ltro m odo p ren d ere p iacere. E
com incionno a giu ocare a lle n occiole e poi a lla p iastrella e t a lla
p alla e t a cotali giuochi dossa e di trottole, com e li fan ciu lli
fa re sogliono, con m ettere dinari assai e t p och i, secondo ch e di
lo ro p ia cere era. Lo podest, ch e crep a d 'in vidia c h e ved e ch e
a ltri si prende p ia cere ora a un m odo ora a un a ltr o , d ilib er
ta li giu o ch i d iv ie ta r e , m andando il bando ch e i g iu o ch i n u o
vam en te com in ciati fare non si possano. Li g en tilo tti d isseno:
Ornai c i con verr filare com e le fem m ine, p oich tu tti li d iletti
ch e li om ini p igliare sogliono questo nostro m ontone m arem m ano
di podest ora c i ha d ilevati. Et non potendo pi darsi p iacere,
uno gen tilom o a lleg ro d isse a lli a ltri: P o ich tu tti i giu o ch i ch e
fiatti avevam o (1) ci sono to lti, e io v e n e vo* dare uno ch e
1 podest to llero non v i potr, dicendo : Chi ha voglia di giu ocare
v eg n a fuori m eco e q uine v i m ostrer il modo ch e giu o ca re po
tr e te sen za pena e ta l giu oco m olti giu ocare potranno. U dito li
a ltr i q u ello ch e q u el gen tilom o avea ditto, di f ria pi di cen to
s i m issero e d irieto a ta le nandarono, e com e fanno fuori an dati,
a una m eta di paglia s accostarono d icen do: O gnuno ch e giuo
c a r e v u o le m etta q u ello g li p iace ch e egu alm en te si m etta. Di
c h e accord ati pi di loro a m ettere q uattro grossi p er uno, lo
g e n tile om o d isse: Q ualunque tra e m aggior p aglia di q uella m eta 1
con du dita guadagni tu tti q u elli d in ari accord ati. Com inciarono,
e q u ello c h e m aggior paglia tra ev a v in cea . P iacend o a tu tti il
giuoco, si d iv isero e per tu tta q u ella contrada eran m oltissim i
ch e a ta l giu oco giuocavano. Lo podest, c h e h a e ved u to andare
m olte p ersone in fretta di fuori, pens ch e ta li frissero iti per
p ren d ere p ia cere, p oich giu o ca re non poteano. Con inten zion e
ta le p ia cere lev a re lo r via, e* com and ( ) ad alquanti su o i fa
m igli ch e a v ed ere andassero. I fam igli, g iu n ti d ove i gen tilo tti
erano a giu ocare a lla p aglia, vedendo m olte b rigate e n on po
tendo loro n ien te d ire, tornoro a l podest, narrando il p ia cere
ch e q u elli si davano e t il b el giuoco. Il podest, ci udendo, non
potendo pi sosten ere, fe com andam ento c h e a neun m odo giuo
ca re si possa, ch e co lle m ani e co' piedi neuna cosa ch e a giuoco
appartegna to cca re si possa. Li g en tilo tti, ch e tu tto h ann o perduto,
disseno : Ornai ci sotterriam o v iv i, p oich tu tto c stato d ilevato
nostro d iletto. B sta ti p er ta l modo, uno gen tilom o voluntaroso
di p ia cere d isse: N oi possiam o g iu ocare sen za pena e n on toc
ch erem o n ien te. Il modo si questo ch e tu d ich i prim o tu o a
un fiorino e l'altro dica io son contento, e t andiam o p er la via,
e l prim o c h e noi troviam o dim andisi d el nom e se cogn oscere
non si pu p er noi e ta l nom e sia di ta le ch e h a d itto prim a
m io, e poi il secondo, e t allora ch i g li pare a v er m ig lio r nom e
in v iti e rin v iti qual prim a sa . Subito andando p er la te r r a , giuo
cavano con tanto p iacere, ch e parea ch e tu tta l'a lleg rezza frisse
in loro, quando scon travano li nom i dell'u n o e d ell'a ltro . M es9er
B artolo, ch e sen te ora in una contrada rid ere ora in n ell'altra,
v o lse sap ere il p erch , e t com e di m al san gue pens ta l diletto
di lev a re e t d iv ieto llo (2). [V edendo] ch e tu tto il p ia cere era
tolto p er invid ia, dispuoseno que' g en tilo tti di an dare a m esser
M astino ch e a ci prendesse riparo ; e g iu n ti dinnanti da lu i, dis
puoseno q u ello ch e m esser B artolo a v ea fatto in n ell'o fficio a
lu i dato. C ognoscendo ch e p er in vid ia d el ben e ch e ad a ltri vedea
ta li leg g i fe tte a v ea , m esser M astino, com e savio, cognobbe il po
d est essere da poco, lo d ilev dell'officio, n m ai da lu i offici
poteo a v ere. Et a quei g en tilo tti d i licen zia ch e p iacere si pren-
desseno, non facendo ad a ltri oltraggio, sem pre adoperando in
n el giuoco d iscrezion e; e ritorn ati si denno buon tem po e t m esser
B artolo colla invid ia si steo e con q u ella tristam en te m orio.(i)
74 .
[T iir., a* 105].
DE LUNGO INGANNO.
d o tto a P oscia, dove il v ica rio g li volea fare tag lia re la m ano,
m a p erch in P escia erano alquanti am ici e t cogn oscenti di Si-
m one B en ed etti, isp ecia le di P isa, ch iesero term in e fin e ch e
Sim one o a ltri v en isse. N otificato a Sim one la presura di Lem m o
e t il p erch , subito p er risp etto d ella patria e t a n ch e p erch suo
garzon e era, e t p erch [voleaJ q u ella m ano se g li cam passe (i),
con le tte r e d i ricom andazione e p reg h iere a bocca fatte a l vi
cario, la m ano se g li cam p, con p agare fiorin i cinquanta di con-
dannagione; e p er questo m odo g itt Lem m o il m anico d irieto
alla scu ra p er lo suo poco senno.1
(1) Ms. : e perche perdere non si potea con lui quella mano si li can
nasse, ove si raccapezzi chi buono.
204 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
75.
[T rlr., n 106].
76.
[Tri*., n 107].
DE PRESUNTUOSI.
(1) Qui evidentemente fu nel codice ommessa una riga, nella quale ai dice
del ritorno di que' presuntuosi a palagio.
DE PRESUNTUOSI 27i
77 .
[Triv., n 108].
DE SOMMA GOLOSITATE.
A l tem po ch e papa U rbano quinto ten ea la co rte di Rom a in
n ella citt d i V ignone, dove tu tta la cristia n it v i correa , e l
v era grande co rte di co rtigian i e da ltri m ercadanti e t a rtieri,
in fra li altri m estieri ch e q uine in abbundanza erano, s era il
m estieri del cuoco, p erocch gen eralm en te tu tti q u elli c h e la corte
visitavan o sono piuttosto m aestri del b ocolieri ch e d ella spada,
cio ch e sono piu ttosto golosi ch e franchi a com battere. E con
ta le v izio procede essere di lu ssu ria in v o lti, di c h e q u e lli ch e
ta l m estieri di cu oco fanno con lib ri e con m aestria s ingegn an o
le vivan d e di fare tanto g h io tte, ch e la loro bottega abbia gran
ressa e guadagno. E t in fra le a ltre v ivan d e c h in V ig n o n e e
dov la corte di Rom a, si sono li p a stelli, e di q u elli si fanno
assai con gran profitto. S entendo ch e m olto guadagno s i facea
d e p astelli, uno giovano da F erm o nom ato T roian te, il quale
pi an ni era stato scarano e m alandrino e t ogni ca ttiv a condi
zione, il quale pi v o lte, com e m alvagio, a v ea m angiato il le sso et
arrosto d elli om ini ch e u ccisi a v ea (1), e t aven d o sen tito quanto
era gh iotto, cos pens andare a V ign one, p oich sen tito avea
larte de' p astelli e del cuoco essere di tanto frutto. E cos da
Ferm o si part, e cam in a V ignone, dove T roian te fe uno o stello
di m angiare cotti, e per a v ere nom e di fare buone v iv a n d e et
anco p er ispend ere m eno, se nandava ogni di a l giu b b etto et
d ella carn e d elle co scie e de lu ogh i carnosi di q u elli c h e d i fresco
ap piccati erano prendea, e con q u ella facea d e p a stelli, e tali
ven iano tanto odoriferi e buoni, ch e tu tto V ign on e co n correa a
prendere da T roian te li p a stelli e t a ltre vivan d e. [A v v en n e ch e
uno cittadin o] (2), essendo m olto gh iotto, con suoi am ici p rocacci
la podestaria di V ignone, solo a fine di q u elli p a stelli p otere
m angiare. E com e pens g li v en n e fatto, ch e eletto fu e podest
di V ignone e t a llofficio and. Et intrato in neUofficio, dom and
q u elli ch e usavano le vivan d e g h io tte qual persona le facea
m igliori. F u gli ditto T roian te esse re som m o m aestro, ch e p ari di
lu i trovare non si potea. Lo podest subito m and p er lu i. T ro
ian te com parito d isse a l podest q u ello ch e vo lea . Lo podest 12
78 .
[Tri?., b 109].
DE MAGNA GOLOSITATE.
79.
[TriT., m 110].
DE PRELATO ADULTERO.
80.
[Trir., b 118].
DE AVARO.
In n ella riv iera d i G enova in una terra nom ata C o n ig lia , dove
n a sce vino preziosissim o, era uno contadino nom ato B ruglioro,
om o ricco [d i] d in ari e possessioni e rico g lito re di vern accia
fin issim a e dogni abbondante cosa. E com e questo era tanto
scarso, c h e a persona a l m ondo non are' d el suo dato il valore
du n bottone, se non a folate, m a rad e v o lte, a v v en n e ch e un
giorn o d el m ese di novem bre, essend o rip osti i v in i e ca sca te
le castagn e, due d el contado di L ucca, [l'u n o] nom ato B eviam o
e l a ltro D accibere, arrivonno a casa duno loro am ico a C om iglia,
nom ato Biondo, il quale graziosam en te li d etti B eviam o e Dac
cib ere ricover a cen a e t albergo. E p o ich cen ato ebbeno, es
sendo un giorno di festa, il d itto Biondo con q u elli du forestieri
andarono a ca sa di B ruglioro, dicendo B iondo: O B ruglioro, io
sono ven u to stasera a riposarm i teco con q uesti du forestieri,
e t a cci ch e ci possiam o dare alquanto di spasso abbiam o arrecato
d elle castagn e e q u elle arostirem o e direm o q u alch e n o v elletta .
B ruglioro, non sapendo la sera disdire, d isse ch e fusseno li ben
v en u ti. E t en trati in casa e sta ti alquanto, Biondo d isse a Bru
g lio ro se a v esse q u alch e persona ch e a casa m andasse p er lo
vino, acci ch e noi potessim o b ere vorrei ch e v andasse, p er
ch io penso ch e vino non ne debbi a v er ricolto. E questo d icea
stim ando ch e B ruglioro non n e v o lesse lor dare. P er non ver
gogn arsi, B ruglioro, ch e ode cos, vedendo q u elli fo restieri, d isse:
C om e! cred i ch e io non abbia d el vino com e tu? E fttosi ga
gliard o, spigor una b otte di fina v ern accia e t a Biondo e t a
forestieri ne d iede. Lo vino era buono e t i b evitori m igliori. Co-
m incionno a ragion are stando a l fuoco e t arrostendo castagne,
e vedendo Biondo ch e a forestieri era p iaciuto il vino d i B ru
glioro, d isse a B ru glioro: Io ti prego ch e stasera tu non ti di
m ostri a v a r o , acci ch e q uesti fo restieri possano d ire ch e se
largo, e poi fa conto di ristrin g erti quanto vuoi. B ruglioro, sti
m ando: Coloro andranno di m e dicendo ch e io largo sia , potr
esser avaro, a ltri noi cred er, e questo ser forse una m eta o
du* di vino, rispuose ch e tanto quanto b ere n e vorranno ne dar
282 NOVELLE DF GIOVANNI SERCAMBI
81.
[Trir., n* 114].
DB MALA CUSTODIA.
82.
[Tri?., no 115].
DB P IG R IT I .
83 .
[Tri*., ! 117].
(1) Supplisco come meglio posso alla mancanza di un inciso nel codice.
294 NOVELLE DI GIOVANNI SERGAMB1
84 .
IT it ., j 118}.
(i) Ms.: to rn a v a .
DE INGENIO MULIERIS ADULTERA 295
85.
[Tit., n* 119].
DE DISONESTO FAMULO.
86.
[T rir., b 121].
nom ata m adonna C restina, donna di gran san tit e m olto divota
di nostra Donna, pregandola di continuo ch e g li gu ard asse quel
suo u n ico figliuolo P aulo dalla m orte subitana, e t a v ea tanta
com passione e paura di questo suo figliu olo, ch e p och e v o lle lo
ved ea ch e di paura non la gri m asse, di ch e il figliuolo, ci ve-
vedendo, d isse: M adre m ia, po' ch e la fortuna m i de' condurre
a dover m orire subito, ornai ch e il tem po sapprossim a, v i dico
ch e io v o 'a n d a re a trovare m ia v en tu ra ; forse ch e Dio, p er sua
p iet e p er le lim osino e p regh i ch e voi farete, questa p estilen za
di tal m orte da dosso m i lev er , e se p ure fia d i su o piacere
ch e io m orire debbia, v i dico ch e alm en o di ta l m orte non
n 'a rete torm ento. E p ertanto v i prego v i p iaccia c h e a m e com
p riate un buon ca v a llo e ben fornito, e datem i dinari, c h e al
quanto tem po possa sen za d isagio an dare cercando m ia ventura
e v o i c o lle lim osine e t orazioni v i serb iate q u ello c h e c i . La
m adre, udendo le sa v ie ragion i di P au lo suo fig liu olo, tutto
m isse in effetto, e dopo alqu an ti giorn i P au lo co l nom e di C risto
m ont a ca v a llo e solo ca valc verso B abilonia. La donna rim ane
facendo d ire m olte m esse e facendo lim osin e a ccio cch D io lo
fig liu o lo gli sa lv a sse e ch e prim a ch 'ella m orisse lo p otesse v e
d ere. E cavalcan d o P aulo pi giorn ate, dandosi p iacere, e restando
or in questa terra or in q uella, tanto ch e a l term in e d e d ie d o tto
anni fii ven u to, e passando un giorno p er una v ia circond ata di
b osch i, in ne' quali lo fuoco era stato m esso p er alcu n i d i B a
bilonia, e t ardendo forte, uno drago, fuggendo lo fuoco, o v era
m ente ch e Dio lo con d ucesse, vedendo passare P au lo a ca v a llo
p er lo sen tieri, subito sa lta to in su lla groppa del ca v a llo e le
b ran ch e m isse in su lle sp alle a P aulo, sopravanzando la testa
con tu tto '1 collo sopra d el capo di P aulo. P aulo, ch e p en sa in
quel punto m orire, senza paura lassa il drago far ci c h e v u o le,
spronando lo ca v allo tanto, ch e fuora del fuoco fu u scito. E com e
fhora del fuoco fii, una sa etta si m osse dal cielo p er fe r ir e P au lo.
Lo drago, ch e quella h a ved u ta, subito ap erta la b occa, q u ella
rice v e neuno m ale a P au lo n a l drago fece. P au lo, stu p efatto
e tram ortito, in terra s' p er la paura avu ta d el drago, si di
q uella d el fuoco, si p er la saetta, ch e non fu da m era v ig lia re
se P aulo non m or, e caduto in terra tram ortito, lo drago sceso
della groppa del ca v a llo , e com e fu sse persona um ana q uin e
risteo tanto, c h e P au lo fu resen tito. E t ap erti 11 o cch i, vedendo
il drago sopra di lu i, di nuovo di paura in terra cadde com e
m orto. Lo drago, c h e ci v ed e, su rse e p artissi tan tosto c h e P au lo
DE APETITO CANINO ET NON TEMPERATO 305
e la tte, e sto caldo e godo senza paura, e voi ca ttiv elli, che
sta te in nell'acqua e m angiate m ale, e b ev ete peggio, e t oltracci
v iv ete in sosp etto d 'essere d a lle serp i m an giati, e t io m i riposo
sen za affanno e non ho paura desser m orto, m a continuo ogni
d m i sono date m igliori vivand e, l'uno d pi ch e l'altro. Li
ran occh i d icen o: S e lo re, o ch i l'h a e a govern are, facesse a
nostro senno, tu non v i sta resti u n ora, e com e ca ttiv o in nel
fuoco ti farem m o ard ere, ch e h ai preso a v o ler far m orire si
b ella giovan a. Lo ran o cch io rin ch iu so : C otesto non neu no che
saper lo possa, e per io m i goder sem pre, e voi v i sta rete in
n ella m ota com e d egn i siete . P au lo, ch e tu tto h a e in teso, subito
p artitosi di q uine e t in n ella terra intrato, facendo q u ello che
in teso da ran occh i a v ea , la giovana lib era dalla inferm it, posto
ch e debile rim anesse, lo re m andato per m edici e m ed icin e, in
pochi giorn i torn pi b ella e pi forte ch e m ai fu sse. E dato
lord ine ch e P au lo la m eni, la festa fli grande, e pi g io rn i ten
nero corte bandita dandosi p iacere, e non m olto tem po sterono
ch e P aulo m and p er la m adre ch e a lu i v en isse, notandole
com e avea presa la figliu ola del re C arlo di Cipri nom ata Isotta.
La m adre a lleg ra in Cipri n and, dove il figliuolo la fe' fere
contessa, e lu i dopo la m orte del r e Carlo rim ase r e e sign ore
di C pri, p erocch a ltra figliu ola c h e Isotta il r e non a v ea . E
cos in siem e steono, aven d o in siem e m olti figliu o li, e m orti, l'anim e
loro, per le buone operazioni, Iddio le chiam a s.
DE DISPERATO DOMINIO 307
87 .
[Tri*., n 123].
DE DISPERATO DOMINIO.
F u in n elle parti di B orgogna du conti, l uno nom ato lo con te
D an ese da D erta e la ltro lo con te B iocolo da L anson, om ini po
te n ti e di m olte ca stella signori, ch e per certo disdegno nato
tra loro, essendo v icin i e dalcu no parentado con giun ti, ven n ero
a gu erra in siem e aven d osi isfid ati. E ciascu n o fatto su o isforzo
e m esse le b rigate in su cam pi, e v en u to a battaglia in siem e,
o r p erch sere' lungo il nostro n o v ella re, v err solo alla sostanza
d ella cosa, dicendo ch e il con te D anese, com e vigoroso e gagliardo,
posto ch e m eno terren o e g en ti a v esse ch e non a v ea lo con te
B iocolo, la fortuna lo prosperava in tan to ch e non m olti m esi
passarono ch e l con te D anese a l con te B iocolo to lse tu tta la
m aggior parte d elle su e ca stella e terren o, e poco pi g li era
rim aso ch e il ca stello nom ato Lanson, e q u ello assai m ale in
assetto per li m olti di q u ello ca stello m orti e t ezian d io p erch
poca v ittu a g lia v a v ea e pochi difenditori, ch e si potea d ire e s
sere perduto. Di ch e, vedendosi il d itto con te B iocolo a ta le
stretta, non avendo speranza in Dio, m a pi tosto in disp erazion e
m ettendosi, com e disperato com inci a raccom andarsi a l d iau le
pi v o lte chiam andolo: 0 d iau le, a te m i do in anim a e t in corpo,
se puoi fare tanto ch e io sopra d el con te D anese possa m ia ven
detta fare. E questo pi e pi v o lte com e disperato ch ied ea. Lo
dim onio, il q uale sta sem pre atten to a fare la natura um ana
perire, avendo pi v o lte lo con te B iocolo in teso quanto a lu i si
raccom andava, diliber appalesarsi a lu i e farlo con tento in
q u esto modo d ellanim o ch e avea. E subito apparitogli innanti in
form a di un gran m aestro, d isseg li (1): O con te B iocolo, io sono
ven u to a te p er d ich ia rirti ch i io sono e p erch , e per sappi
c h io sono quel d iau le ch e pi v o lte a m e t h a i dato in anim a
e t in corpo, e per sono ven u to ch e m i d ichi a bocca q u ello ch e
fra te m edesim o *pi v o lte h ai d itto et io far ci ch e m i co
m anderai. Lo con te B iocolo disse : P oich tu m h ai ditto ch e s e
il d iau le e t io cos credo, ti dico ch e se d el con te D anese mi vu oi
fa re v in cito re, io m i ti do in anim a et in corpo. Lo dim onio 1
88.
[Triv., n J24J.
In n ella citt (li V inegia, dove pensiam o andare, era uno gen -
tilom o da ca Dandolo nom ato m esser M arcovaldo, om o dassai,
il quale a v ea una sua donna giovana da ca Bald nom ata A nna,
b ella di suo corpo e m olto sollazziera, e can ta trice e d anzatrice,
ch e a tu tte le feste era p er la sua p iacevolezza, e b ellezza, e
sim ile per lo stato, in vitata, in tanto ch e non parea a v er e festa
se Anna quine non fusse, a le quali feste m olti giovan i con cor
revano. E t in fra li a ltri ch e a ta li feste andavano e m assim a-
m ente per ved ere la d itta A nna, era uno giovano b eilo, di m eno
di et ch e non era m esser M arcovaldo, nom ato L ancillotto da
ca' D andolo, com e era il m arito di m adonna A nna. E dopo il
m olto p raticare in siem e a lle feste, di p arole in parole, assicu
randosi Anna con L ancillotto, non m olto tem po steono ch e di
concordia tra loro dispuosero ch e L an cillotto di Anna si pren
desse suo p iacere, e cosi d ivenn e, ch e L ancillotto ebbe di A nna
tu tto ci ch e a lu i fu in ta len to pi e pi tem po. A ddivenne
ch e L ancillotto, p er lo suo senno e sap ere, tra' g en tili om ini d i
V inegia fu eletto dogio d ella citt di V inegia, e fatto m aggiore
govern atore di ta l terra, ordin a lla sua guardia alqu an ti, cora
dusanza, e t a con sigli fe ordinare ch e rich iesti fu ssero alquanti
g en tili om ini, fra quali v o lse ch e m esser M arcovaldo [fu sse.
M arcovaldo], ch e tu tto a v ea saputo, fingendosi di non sap ere,
lassava il ditto L ancillotto il suo p iacere con Anna prendere,
dando talora agio al fatto, sperando a tem po e luogo ca stig a rla
d e falli com m essi, e com e astuto m ostrava a l ditto L an cillotto
dogio tanto am ore ch e pi ch e Dio parea lam asse. E p er questa
m odo essendo m esser M arcovaldo onorato e fatto ricco per li
offici e t onori ricev u ti da L ancillotto dogio, d iven n e ch e aven d o
ved u ti alquanti gen tilom in i di V inegia e loro segu aci m alcon ten ti,
tastandoli pi vo lte c trovandoli essere m alcon tenti, qual p er
una ragione, qual per u n altra, lu i, ch e ingiu riato da L a n cillotto
si tenea d ell'u sare con Anna sua d on n a, prose pensieri di v o
lersi d ella ingiu ria ven d icare, non guardando n ch i n com e,
pensando ch e se m orto fu sse per le su e m ani, li gen tili om in i
DE MALA FIDUCIA DINIMICI 311
lu cercassen o dogio e m aggiore. E t a v u to con a lcu n i m alcon
te n ti pratica di ta l fatto, con fortatovelo ch e (ccia tosto, m esser
M arcovaldo, non guardando se non a ven d icarsi d ella n giu ria
d ella donna, dispuose un giorno d el m ese di lu g lio in s gran
caldi andare a l dogio per n arrargli alcu na storia ovvero n o vella.
E t ito solo, avendo alquanti prim a inform ati ch e p resti fussero,
com e fu col dogio, il preditto m esser M arcovaldo con uno co l
te llo a l dogio per lo p etto diede, ch e m orto cadde. E pensandosi
essere il m aggiore, volendo lev a re lo rom ore, li am ici di Lan
cillo tto coll'arm e trasseno al palagio, e sentendo m esser M arco
valdo da ca D andolo la tratta, d isse: Io sono ch e h o m orto Lan
cillo tto , e vo essere il m aggiore e non lu i. Li am ici, ci sen
tendo, senza indugio m esser M arcovaldo u ccisen o, e tra tti in n el
p alagio, di nuovo creonno a ltro dogio cu i a loro piacque, e non
a l m odo ch e m esser M arcovaldo a re voluto e volea, cognoscendo
c h e altro ch e lo sdegno preso, ch e colla donna sua lo dogio era
usato, condusse M arcovaldo a fare ta le atto, e non a ltra cagion e.
E per li am ici volsero ch e di ta l fallo non si p otesse g loriare.
Or questo addivenne al ditto L ancillotto p er a v ersi fidato di
m esser M arcovaldo, ch e m ai fidare non se n e dovea, e p er questo
m odo fin sua v ita .
3 12 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
89 .
[T tt., n 125].
90.
[Trir., n 126].
91.
[Trir.. no 128].
(1) Ms.: o r a .
320 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
98 .
[Triv., n 129].
DE MAONA GELOSIA.
98 .
[Tit ., a 180].
94 .
[T iiv., n 181].
DE PRAVA AMICITIA.
era a p oter esser andato e ritorn ato in una n otte tan to cam ino ;
p er le quali p arole m esser A lberigo, ritornando alla sua donna,
d issele (1): D on n a, p er certo tu m i di a v er e in g a n n a to , ch e
q u ello d ici d el giorno ch e J ac lo brio sia stato te c o , h o avu to
v era testim onianza lu i esser stato in co rte del re, e pertanto ti
dico ch e pi di ta l cosa non debbi p arlare. La donna d isse: P er
certo, m arito m io, io v ho d etto la v erit e cosi la vo* so sten ere,
e vo m orire se altro si trova c h e q u ello ch e d itto v abbo, v o
m orire. M esser A lberigo, per soddisfare alla donna, e t a n ch e p er
lo suo onore, ritornato in co rte, e fatto in co rte rich ied ere da
van ti a lla g iu stizia Jac lo b r ic , e dom andato g iu stizia d el f lio
com m esso, e t Jac lo b ric negando tu tto ci ch e a lu i era ap
posto, e t avendo grande aiu to p er lam icizia ch e in co rte a v ea ,
m esser A lberigo n ien te d ella sua dom anda poteo a v ere ragion e,
e costretto a non p oter pi p iatire, d ilib er la ssa re ta le im
presa, e ritorn verso la donna, d icen d o g li: P er D io, donna,
10 sono lo pi vitu perato om o d el m ondo, ad a v er v o lu to f re
ch ied ere Jac lo b ric sen za p otere di ci fare prova, ch m eglio
m era ch e, se fallo fatto a v oi [h a ], io v e la v essi perdonato e t
ta c iu to , ch e ftto p a lese il vostro disonore. E q uesto d itto, si
tacque. La donna d isse: M arito e sign ore m io , io h o d itto la
v erit , e per questa v erit vi prego v i p iaccia p ren d ere la bat
ta g lia , e s caso ch e p ren d ere non la v o leste, v i p iaccia ch e io
11 m io fra tello m etta p er la ragion e di m e d ifen d ere, o vera
m ente ch e a m e com andate ta l b attaglia con quel trad itore fre,
e penso c h e di ci io n ar v itto ria , p erocch la ragion e m aiu
ter . E pertanto v i prego ch e m i con ced iate ch e io a P a rig i
vada, e se m eco v en ire v o lete , io sono con tenta, altrim en ti sola
m i m etter in via, e prender a difen dere il vostro e m io onore;
altram en te com e disperata m i v ed rete u ccid ere. Lo m a r ito ,
udendo ta li ragion i, e vedendo la sua in ten zion e, d isse: P o ich
ti p iace, io sono con tento di v en ire teco e p ren d ere ta le batta
g lia , ma guarda ch e non mi fa cessi p eccare, ch e contro a l d ov ere
io non com battessi; ch se di tua volont e con sen tim ento h a i
avu to a fare con Jac lo b ric, sono con tento e pi non n e c e r
chiam o. La donna d isse : Io vh o d itto il v ero e cos lo trovere*.
Lo m arito, disposto a tu tto seg u ire, co lla sua donna si m osse e t
a P arigi n'andonno, e giu n ti a P a rig i, la donna v estita di n ero
95.
[Tri?., n 182].
DB MALVAGIO FAMULO.
96.
[Trfr., n* 184}.
sie r i, d isse: E' sar fatto, e com e m entecatta incom inci a can tare
d icen d o : O v iso b ello e a n g elica to , co n te G uarnieri, quando m i
sa ra i dallato?, e questo andava dicendo in can to e con alquanto
le gam be accon cio a b a lla re. M arsilio, ch e v ed e quanto la donna
su a si a lle g r a , con sidera tu tto esse r vero q u ello ch e a lu i n e
p a r e a , e poco sta n te lo con te fu ven u to con alqu an ti suoi don
z e lli. M a rsilio , ch e di n ien te si d im o stra v a , con a lleg ra faccia
l h a r ice v u to , d icen d o g li: Or voi sia te il ben ven uto. Lo con te
d isse: C he di m adonna C aterina? M arsilio d isse: T utta m attina
v asp ettava, e t ora penso ser a fare p resto le vivan d e ch e m an
g ia re abbiam o. Lo con te risp uose : E lla troppo da bene, quando
sen ti ch e v oi fa ccia te in v ito di fo restieri, a v o lere stare a fare
le vivand e, p er certo io lh o troppo a l cu ore. M arsilio d ic e: P er
certo io m e n e posso con ten tare, ch e con a lleg ra faccia v i v ed e.
Et a cci ch e sia te certo di q uesto, io vom andare c h e qua vegn a,
c h v o i ci sie te e v ed rete quanto am a ch i io am o. E fattala
ch iam are dicen do c h il con te G uarnieri, ven ga a v isita rlo , la
donna, ch e ode il co n te esser ven u to, su b ito m ossesi. D innanti dal
con te ven u ta, d isse: B en e stia q u ella fa ceia lu stra n te p i ch e il
sede, e t a m e som m o d iletto. 11 con te d isse: E sim ile d ella vostra
sto contento. E poco s ta n te , dato lacqua a lle m ani e m essi a
tau la il con te M arsilio e la donna, e v en u te le v ivan d e, la donna
sen za m angiare raguardava il c o n te , e pi ch e il terzo d elle
vivan d e ven u te eran o ch e la donna alcu na co sa m angiata a vea,
di ch e il m arito d isse: D onna, tu fai v ergogn are il co n te, p erch
non m angi? E lla d isse: Io m i pasco tan to di rim irare la b ellezza
d el con te, ch e poco di m angiare cu ro. E di q uello ste sazia. Lo
m arito, ch e pi cogn osce lun d ch e laltro, d ice: Donna, io te
n e far ben sazia. La donna, ch e ci non in ten d e, stava solo a
rigu ard are il con te e poco m angiava. E tan to si ste in questa
m an iera, ch e desnato ebbero, e dato l acqua a lle m ani e le v a ti
da ta u la , dandosi p iacere di ra g io n a re, n altro il con te con
C aterina fare poteano se non di m irare luno l a ltr o , e t alcu n a
volta accostan dosi insiem e, davano ordine di ritorn are di n otte
tem po, ch e p iacere p otesseno prendere, com e g i fatto a v ea n o ;
e p er questo m odo tu tto q uel giorn o pass. Il con te ritornato in
suoi p a esi, M arsilio volendo d al p en sieri u sc ir e , diliber la do
m enica , ran n ate g e n ti, in v ita rlo a d esn a re, e cos fe, e t a lla
donna d isse com e il con te v en ire d ovea. La donna lie ta steo fino
a l giorno, e com e fu il d, M arsilio arm ato p er tem po m ont a
c a v a llo , e t in con tra a l con te se n and. Lo con te venendo con
340 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
alcu no fam iglio sen zarm e, dopo alquanto cam ino M arsilio, c h e *1
v id e v en ire, sen za ltro d ire g li corse addosso, e con una la n cia
l'u c c ise . I fa m ig li, dato v o lta a n eto , non sapendo c h i si fo sse
co lu i ch e il con te m orto a v e a , a casa tornarono. M arsilio, c h e
ci h a fatto, subito d isceso da ca v a llo , tu tta la faccia e li o c c h i
a l co n te tagli, e t in uno panno li m isse, e t a casa a l cu oco li
di, dicendo ch e u na buona vivand a n e fh cesse. Lo cuoco, m esso
ogni sua sp e m e , non sapendo ch e si f o s s e , la vivand a fe ce. E
p osti a ta u la , M arsilio e C aterina su a donna venendo, q u esta v i
vanda com inci a m angiare. La donna d isse: D eh, p erch n on
v en u to il con te G u a m ieri? M arsilio d isse: A ltra cagion e l ha
im pedito; m angia, ch e a ltra v o lta c i v err . E fin tosi esse r sto
m acoso, la donna m angiando, q u ella vivan d a p arendogli buona,
tu tta la m angi. M arsilio d ice: Donna, la vivan d a tti p iaciuta?
La donna d isse: S i, quantunqua m ai n e m angiai. Lo m arito d isse:
E ti pu ben esser p iaciu ta c o tta , p oich cruda cosi ti p iacea.
Or com e? d isse la donna. Lo m arito d isse: P erch h a i m angiato,
com e ca ttiv a fem m ina, la fa ccia d el con te, ch e v iv o tan to b aciato
a v ei, p erocch io l h o u cciso. L a donna d isse: P o ich la fa ccia
di co lu i c h e pi am ava c h e D io m angiata h o e , altra v ivan d a
non si m anger p er m e. E subito p reso u n o co ltello , p er lo cu ore
si di, e m orta cadde. Lo m arito, lieto ch e s i ved e esse r vendi
cato di tan to v itu p ero , quanto luno e laltra fatto g li a v ea , e
com e poco am ata tristam en te la fe so p p ellire.
DB TIRANNO INGRATO 341
97.
[Tifar., no 185].
DE TIRANNO INGRATO.
p a recch iasse l u' d oveasi posare, e q uine a v esse letta e fornim enti.
G hirardo ca v a lieri d isse c h e tu tto si fare, e licen zia to , co brevi
reg i a P isa ritorn e t a l sign ore li d i ..............................................
.......................................................................... (1). Lo m peradore, essen
dosi accostato a llalp i di L ucca, m and un su o v ica rio a prendere
la fortezza di L ucca e con b elli m odi lo ca stello di L ucca ebbe.
E ritornato lo sig n o re in P isa , parendogli ch e B indaccio e li altri,
ch e fatto l avean o s ig n o r e , fusseno con lu i alquanto isdegnati,
v o lse m ale ag g iu n g ere sopra m ale, e non racordandosi d i quello
b en e ch e a v ea p er bont di coloro, dispuose di v o ler fare m orire
B indaccio, e t una n otte m and p er ser B artolo su o con servatore
d icen dogli ch e prenda B ind accio e sen za rom ore g li ta g li la testa.
E se r B artolo d isse: F atto ser . E p artitosi da lu i subito, a Bin
daccio [m and] in co n tin en te una p olizetta, narrandogli la nten-
zion e del sign ore. B indaccio, com e sa v io , con m olti su oi am ici
coUarm i indosso si stavan o in bottega d ella lor casa, con m olti
lum i. S er B artolo, com e sen te B ind accio essere in buon punto,
provede uno fam iglio segreto d el sign ore, dicendogli : V ien i m eco,
a cci ch e q uello io far a l sign ore, possi riferire. Lo fam iglio
p resto con lu i n and, e quando fanno a casa di B indaccio, guar
dando dentro videno m oltissim i arm ati e con m olti lum i, di ch e
ser B artolo d isse a q u el fam iglio: Va e di a l sign ore ch e se v u o le
ch e io g li ca cci le m ani addosso, io lo far, m a e ser rom ore
in P isa, e per va e d igli m i m andi a d ire q u ello v u o le ch e io
fccia. Lo fam iglio se n and a l sign ore e tu tto raccon t di v e
duta. Lo signore d isse: P o ich non si pu fhre sen za rom ore,
ind u gi a u n'altra volta. Lo fam iglio, tornato a ser B artolo, d isse
la m basciata. S er B artolo lie to a ca sa ritorn. B indaccio, c h e h a
veduto ch e lo sign ore lo v o le di buona m oneta p agare d el buon
serv ig io a lu i fatto, d isse: Io non v o g lio ch e la sua m ala v o lo n t
possa ad esecu zion e m andare. E d ilib erato con alquanti a m ici
ch e com e lo m peradore v ien e ch e l signore sia a p ezzi ta g lia to ,
e t dato ta le ordine, B indaccio cam ina fuori di P isa a certo lu ogo
sicu ro, e tanto steo ch e lo m peradore a L ucca v en n e. Lo sig n o re,
ch e g li pare a v er m al fatto, ad a v ersi tu tti li am ici da la to , pa
rendogli a v er i p ie in m al luogo e non sapendo p ren d ere a ltro
p en sieri, pens, quando lo m peradore m etter in P isa, di m an-1
(1) Qui segue una linea incomprensibile nell'originale. Questa pagina del
codice tutta assai malconcia.
DE TIRANNO INGRATO 345
98.
[T rir., 136].
DE SUMMA INGRATITUDINE.
99.
[Tit ., n 187].
100.
[T it ., n 188].
a lle p reg h iere d e d itti, il preditto fu rid utto a lla quarta p arte
d i q u ello ch e lo statu to lo condannava. E t com e m esser P ip in o ,
e li a ltri ci sen tir, se n andaro alqu an ti am ici a m esser E ttore
d icen d o : N oi sentiam o ch e il nostro am ico stato condannato
quanto lo statu to h a potuto tira re, e l'a ltro rid u tto a l quarto^ e
per noi c i m eravigliavam o ch e alm eno l'uno com e l a ltro non
fu condannato. R ispuose m esser E tto re: Q uello ch e io h o fatto
s i p erch io voglio ch e q u elli ch e m 'hanno serv ito non ardi
scano fare q ustion e e li a ltri non im pauriscano, e t eziandio
p erch n e sono pregato (1) da q u elli ch e non sono in p arti. R i
sp uose m esser P ipino: D unque li om ini di m ezzo faranno di v o i
e di noi loro volont? P er certo troppo hanno buono tem po, e
n oi ca ttiv elli stiam o a p ericolo ogni di d 'esser m orti com e tr isti.
P er certo, m esser E ttore, v o i non n e v ed ete pi. D isse m esser
E tto re: A m e n e pare v ed ere assai e penso tu tto esser fatto a
buon fin e. M esser P ipino d isse: E n oi co s pensiam o ch e seg u irete,
e licen zia ti si partirono. E trovatosi il ditto m esser P ipino con
alq u an ti d ellanim o suo, d isse: V oi v ed ete m odi ch e m esser E ttore
tien e, ch ' di rim etter dentro tu tti li n ostri nim ici e sim ile di
dar loro li offici e l onori, e quando falliscon o, li om ini di
m ezzo sono loro avvocati, e noi ca ttiv elli, ch e siam o a l p ericolo
d ella m orte e non potrem o scam pare, siam o da m esser E ttore
abbandonati, e dogni p iccola cosa condannati e m orti quanto lo
statu to pu tirare, e non avendo a ch i ricorrere, sotto il peso
c i con verr crep are. E p ertanto, o noi tu tti diliberiam o solo
m esser E ttore, o noi troviam o m odo ch e '1 nostro p er n oi si goda
e non li n ostri n im ici. E per, se v o lete fare a m io senno, io
penso trovar m odo. U dendo tu tti q uello ch e m esser P ipino h a
d itto, e cognoscendo esser vero, d issero ch e disposti sono a fe re
la sua volont, p u rch com andi. M esser P ipino d isse : F a te di
sta r e p resti coU'arm i, e t ogn i volta ch e n ien te sen tite, tr a ete a l
p alagio di m esser E ttore, l u 'io ser co lle m ie b rigate, e de'
n im ici v i ven d icate, e q u elli ch e ci sono sta ti a ch ied er le gra zie
diam o loro a d ived ere ch e ce n e sia in cresciu to. Coloro disseno
tu tto fare. E non m olto volsen o ind u giare ch e non pass du d i
c h e il ditto m esser P ipino, con alcuno p aren te di m esser E ttore
m alcontento, se n'andonno arm ati sotto i panni, e fatto ch ied er
d i m esser E ttor ch e p arlare g li voleano, avendo prim a m esse
(1) Ms.: p a g a to .
356 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
101.
[Tri*., n 139].
v a n e so relle gen tili e donzelle, v icin e di con tra, l una nom ata
Ju lia e l'altra C ornilia, ciascu n a d'et d'anni sed ici o pie, ve-
dendo quel giovano si pensoso, disseno tra loro: P er certo colui
sta pensoso p er noi. E penso, d isse Julia, ch e di noi sia innam o
rato, e pertanto, se contenta fusai, io lo chiam er, e di ch i ser
inn am orato, co lei lo con ten ti. C ornilia d isse: E a m e p iace. E
fattogli cenn o ch e a loro vada, il N ibbio p resto a loro n'and, e
quando fu con loro, Ju lia d isse: N oi ci siam o accorte ch e tu di
esse r innam orato di qual ch e sia di noi, e pertanto abbiam o di
lib erato ch e qual pi ti p iace tu prendi. V edi, noi siam o so relle
e t v ergin i e t g en tile donne. N ibbio d ice: Io am o tanto l'una
quanto l'altra, e se m i v o leste serv ire, io v i ch ied erei cosa ch e
penso mi p otreste fare. La Ju lia d isse: C hiedi. P en sava Julia
c h e N ibbio ch ied esse di v o ler con loro prender p iacere, la qual
cosa a ltro non desideravano. D isse: D eh, p er Dio, ch ied i tosto, e
v ed ra i se noi te servirem o. Il N ibbio d isse: Se io a v esse buono
ca v a llo e buona arm adura e t una buona lan cia e t una sop raveste,
non cognosciuta, io m i darei vanto esser oggi v in cito re di questa
b attaglia. J u lia , ci udendo, d isse: N oi di tu tto ti farem o con
ten to, e darem oti ca vallo e t arm e, ch e fa d'A golante nostro padre.
E fattolo p resto e arm ato, e t arm atolo con gam biere sen za ca lze,
e fattogli sopra lelm o una gh irlan d a di p ervin ca, dandogli una
buona lancia e t una sop ravesta nera. E, tutto arm ato, d isse Cor
n ilia : D eh p iacciati, prim a ch e vad i, d'un bacio m i con soli. Julia
d isse: P er sim ile di m e, d i ta le m i fa sazia, e poi cav a lca e fran
cam en te com batti, n d o n zello , ca v a to si l'e lm o , l una e l'altra
baci, e poi, m ontato a ca v a llo e m essosi l'elm o, in piazza n'and,
dove trov ch e lo re di F ran cia a v ea ogni persona m esso a terra
e il cam po era suo. Il N ibbio/ com e ci ved e, d irizza il cavallo
verso il re, e lo re verso lu i, e dandosi d i gran colp i, ultim a
m ente lo re and per terra, m alam ente fracassato. Lo N ibbio,
com e ci vid e, dato d elli speroni a l ca v a llo , sen za c h e altri sa c
co rg esse a casa torn, e disarm ato l'arm e rendeo, e dati du* baci
a q u elle p erlu z z e , si ritorn in n ell'a lb erg o , e fatto b o llire il
bagno, lo re, ch e per terra m alam ente era caduto, da suoi n e fu
p ortato a llalbergo, dove en tr in n el bagno. E quine posato e
le d oglie a lle n ta te , il N ibbio dom andato lo re d ella c o s a , lu i
d isse: Io m era vin citore, m a uno d iau le con una sop raveste n era
sopraggiunse, e m e p er s gran forza m and a terra, ch e n e sen
tir tu tto d dim ane. Lo N ibbio d isse: B en n el ven d ich erete, non
dub itate. A vendo veduto lo re di Spagna com e lo re di F ran cia
366 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
(1) Ms. s e n te n d o .
DE BONA ET JDSTA FORTUNA 309
(1) Qui seguono nel manoscritto varie lacune, che a me sembra di potere
con verosimiglianza colmare.
(2) Ms.: vasto.
374 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
102.
[T it ., n 141}.
DE BONA VENTURA.
rea li, e poi m esso D iana in n el letto , com inciando a dom andare
le am orose n ozze a M algigi, M algigi, ch e avea a ltro p en sieri, d isse
a D iana: 0 D iana, io p er lo affanno avu to p er a v er d i te vittoria
in n elle b a tta g lie fa tte, sono alquanto stan co, e p ertanto ti prego
ch e un poco ci riposiam o, e poi, dorm ito alquanto, farem o q uello
ch e ta l cosa rich ied e. D ian a, ch e ode le b elle ragion i c h e Mal
g ig i g li h a d itte, steo p er con tenta, e t a dorm ire si d i. M algigi,
quando v ed e ch e D iana d o rm e, ch iam an d o, com e a ltra volta
chiam e l cu lo e '1 conno di D ea, cosi q u ello di Diana risponde
ch e dentro a v ea auto pi frati e t alquanti scu d ieri d i c o r te e pi
n a re avuto, se la ven u ta di lu i non fu sse stata. M algigi, c h e h a
sen tito ch e D iana non v erg in e, quanto pi p resto p oteo d i letto
uscio, e preso il cam ino, d ella terra segretam en te si p artio. E
ch iesto cavallo rosso e t arm e, verso il re E rcole di N ap oli cam m a,
avendosi fatto tu tto rosso. M entre c h e cam m a, lo r e d i C icilia e
la rein a, sentendo a lla figliu ola m ettere strid a d ella p a rtita d el
m arito, alla cam era su a se n andaro, dom andandola p erch a v ea
stridato. L ei rispondendo: P erch , avendom i il m io m alvagio m a
rito tolto m io onore, s' nascostam ente partito, e m 'ha lassa ta , e
dove si sia andato non so; lo r e , ch e di questo h a m olto d olore, fra
s d isse: Cos d iv ien e a dare fede a lli in can tatori. E non potendo
altro fare, steo a ved ere. E m entre ch e a ta l modo dim orava,
ven n ero n o v elle a l r e di R agona, com e lo re di C icilia a v ea m a
ritata la figliu ola sua, nom ata Diana, a uno in can tatore di b estie
v estito a verde; e subito, avu to ta l n o v ella , com e om o poten te, si
m osse con tu tto su o isforzo, e m en seco D ea in com pagnia di
m olte donne, e cavalc verso C icilia, con in ten zion e di far p un ire
lo sposo. E co si cavalcando, per terra e p er m are andando fin e c h e
giun ti furono a lla m astra citt d el r e di C icilia, appellando lo
re a v er m al fatto ad a v er dato la figliu ola per m oglie a l m arito
di D ea, sua figliu ola, dom andando ch e di ci faccia ven d etta, lo re
di C icilia, sentendo, ca valc subito dinnanti a l re di R agona, dom an
dandolo il p erch era v en u to a d ella im basciata fatta. Scusandosi
ch e di ta l cosa [colp a non a v ea ], il re di R agona accep tan do
le scu se del r e di C icilia, dispuose in siem e co l r e di C icilia d arsi a
sen tire, dove M algigi fu sse cap itato. E m entre ch e di ta l cosa pen
savano, M algigi, giu n to a N apoli, la tto si v en ire davanti tu tte le
b estie e serpenti e fiere e t a ltri, in tan ta m oltitu d ine ch e tu tto
N apoli parea ch e d ovessero prendere, lo r e E rcole, il quale volen do
m aritare una sua figliu ola b ellissim a, nom ata G inevra, a v ea fatto
riunam ento di m olti baroni, vedendo tanto assem biam ento di b estie
DE BONA VENTURA 379
103.
[Txt., m 144].
DE MASSIMA INGRATITUDINE.
In n e lle con trade di P rovenza, in una citt p rin cip ale nom ata
N iz z a , a l tem po d ello re F ilip p o , fu alcu n a divisione, in n ella
d itta terra di N izza tra alcu n i g en tilo tti e gran populari, di vo
le r e ciascu n o esser m aggiore d el com pagno. Ora a v v en n e, ch e
essen d o alquanti populari grossi ristrettisi in siem e contra certi
co n ti e gen tilo tti, d ivenn e ch e ta li populari si felin o capi, in fra
li a ltri uno nom ato M ida B o v o r e lli, lo secondo T roilo Soderini,
10 terzo A m brotto R am aglianti e m olti a ltr i; m a p erch sere*
lungo lo scriv ere e t a voi ted io a u dire, lasso di con tare d elti
a ltri capi d elluna setta, co* q uali gran parte d ella cittadin anza
d i N izza si riduceano. E t in con trario d e p red itti era uno conte
Ram ondo C erretani e t uno con te B ertoldo T agliam ochi con a ltri
g en tilo tti d ella d itta terra e d elle circu stan ze ; e t essendo pi
tem po sta ti li p red itti d isco rd a n ti, d iven n e ch e i d itti Mida e
T ro ilo e A m brotto, p er lo senno e sa p e r e , chiam onno di N izza
11 preditto con te Ram ondo e con te B ertoldo con alquanti segu aci,
prendendo d ella terra alquanta m aggioria. Dim orando i p red itti
M ida, T roilo e Am brotto u n iti certo tem po, m antenendo le giu
risd izion i e t onori d ella citt d i N izza, con fare gu erra ad alcu no
lo ro con trario signore di terre v icin e a N iz z a , lo nom e di ta l
sig n o re era ch iam ato F asino d ella S tella , avendo l'oste m andato
p er d an n ificarlo, e dim orando alqu an ti m esi p er ta l m od o, il
p red itto Mida, fattosi cav a lieri e gran m aestro, com inci da s
m ed esim o, sen za rich iesta de' co m p a g n i, cio di T roilo e Am
brotto , rim ettere de* contrari loro e am ici de* d itti con te Ra
m ondo e con te B ertoldo, e questo faccendo, pi v o lte fetto n eg li
'querim onia, il p reditto Mida d iceva (1) : T utto si fa a buon fin e.
Loro, spregiando ta l fatto, doleansi ch e ci fa cea , e cosi perse
ver circa a du m esi, ogni di rim ettend on e, e pi ch e a ta li
con trib u iva d elli offici d ella te r r a , non curando di parole ch e
p er T roilo e Am brotto g li fusseno d itte , m a di continuo pren-
cordo con Fasino, sen za rich ied ere n lu i, n il m arch ese A ch ille,
n riesser Ram ondo, fu m olto d o len te, d icen d ogli: T roilo signore,
tu h a i m al Catto ad a v erti accordato co l nim ico di N izza, di te
e di m e e del m arch ese, e d elti a ltri n ostri am ici, e pi c h e h ai
fatto questo in dispetto d i m esser Ram ondo d el B a lz o , ch e sai
quanto p oten te. T roilo disse: Am brotto, io t i dico ch e q u ello ho
fatto ho volu to fare e non tem o, c h io m i sono s b en e appog
g ia to , ch e non penso c a d e r e , narrandogli c h e il ca rd in a le di
Pam palona l'h a preso a d ifen dere da tu tti. A m brotto, ch e ci
od e, d isse: A m e p are sia m al co n sig lia to ad a v er e preso laiu to
d el nim ico e lassato l'am ico, e pertanto, se a ltro te n a w e n isse ,
saresti b en e com prato. T roilo, ch e a v ea g i il cap p ello d ella su
perbia e t era si v estito du na v este din gratitu d in e, d isse : C hi h a
paura si m uoci, ch e io star saldo. Ambrotto* c h e c i v ed e, dato
p en sieri di far d in ari, quanto pi presto p oteo di N izza si p arilo,
e co l m arch ese A ch ille e con m esser Ram ondo si ritrov, con
in ten zion e doffendere il d itto T roilo. E sim ile, m olti d elli a ltr i
am ici d el d itto A m brotto si partirono. T roilo, ch e h a ved u to Am
b rotto p a rtire, su bito stim andolo n im ico , tu tto ci ch e a v ea di
m obile g li fe to llero e t alcu n i p aren ti im prigionare, e p er q u esto
m odo d elli am ici si fe nim ico per su a colp a e non p er loro. E
dapoi T roilo r ich iese il card in ale di Pam palona di b rig a te p er
potersi d ifen d ere, e q u elli ch e lu i s a vea fa tti n im ici o ffen d ere.
Il card in ale lo serv io di q u ello p o te o , m a non a gran p ezza
quanto fae la potenza d el m arch ese A ch ille e d i m esser R a
m ondo d el B alzo, ch e assai e m olto pi g en ti e m igliore in punto
erano le loro gen ti, c h e q u e lle d el card in ale. E cosi luna b rigata
e l'altra si trovonno d el m ese di m aggio e di giugn o in su l con
tado di N izza, facendo e luna brigata e laltra danno. E t o g n i
d perdendo N izza ca stella , u ltim am en te il populo di N izza, v eg -
gendo quanto T roilo signore li a v ea m al con d otti, non trovan
dosi am ici p resti, un giorno si levaron o a nom ore e lu i u ccisero ,
e le g en ti d el cardin ale sco n fitte e p rese, q u elle di m esser Ra
m ondo e d el m arch ese con Am brotto en traron o in N iz z a , e d i
q u ella si fa signore il d itto m esser Ram ondo. E p er q uesto m odo
fa punito T roilo p er a v ersi accostato co l nim ico e t abbandonato
l am ico.
DE FALSATORE 387
104.
[TriT., 146].
DB FALSATORE.
106 .
[T ri?., n 147].
DB JUSTO MATRIMONIO.
ch io caldo non avea potuto dorm ire. D isse la m ad re: F igliu ola
m ia, a m e non p arve ch e cald o fu sse. A cu i G iovanna risp u ose:
M adre m ia, v oi d ovete p en sare quanto sono pi ca ld e le giovan e
ch e le donne attem pate. La m adre d isse: Tu d i il v ero, m a io
non posso fere caldo e freddo a m ia posta, e t i tem pi si con ven
gono sosten ere com e le stagion i danno, e forse ch e sta n o tte ch e
verr sar pi fresco e dorm irai m eglio. La fig liu o la d isse: Iddio
lo voglia, m a io n oi credo, c h non su o le e sse r usato, andando
verso la sta te , ch e pi fresco s ia , m a s p i caldo. D isse la
m ad re: D unque ch e vu oi tu ch e si feccia ? R ispose G iovan n a:
Quando a m io padre e t a v o i p ia cesse d i ferm i u n letto in su l
portico d ella vostra cam era sopra il giardino, e q u in e, udendo
can tare li u c c e llin i, m i dorm irei, ch avendo luogo pi fresco
ch e non n ella vostra cam era, m olto m eglio dorm irei c h e non fo.
L a m adre d isse: F igliu ola, con fortati, ch e io lo dir a tu o padre.
B tornato m esser G allo, la donna tu tto g li cont. L ui g li risp u ose:
Che cald o o ch e freddo va la vostra figliu ola cercando? Io la fero
ancora dorm ire in una stu fe quando pi caldo ser . G iovanna,
sapendo quello c h e *1 padre h a risp osto, pi p er isdegno c h e p er
caldo, la seg u en te n otte, non solo non (1) d o rm , m a non la ss
dorm ire la m adre e il p a d r e, p ur d el gran caldo dolendosi. Il
ch e avendo ci sen tito, la m attina la m adre fu con m esser G allo:
V oi a v ete poco cu ra di questa vostra figliu ola, e per ch e tu tta
n otte non h a potuto dorm ire p er lo caldo, e sim ile non h a la s
sato noi d o rm ire, c h e fa a voi se noi g li facciam o u n letto in
su l portico?, ch usanza de* fan ciu lli da v v o ltolarsi p er lo le tto
e t anco de u dire can tare li u cce lle tti e sim ili cose. M esser G allo,
ci udendo, d isse : F a ccia si un letto ta l q u ale si co n v ien e, e fa llo
fasciare dintorno duna cortina, a cci ch e *1 v en to non g li feccia
m ale e dorm a v isi, e t a suo m odo p ig li d el fresco. L a g io v a n a ,
q uesto saputo, subitam ente v i fe ce fare uno letto , e dorm endovi
la sera seg u en te , tan to a tte s e , ch 'ella v id e J a n so n e, e feceg li
un segno dato tra loro, p er lo q u ale in tese ci ch e fere dovea.
M esser G allo, sen tend o la giovana andata a letto , serrato lu scio
ch e andava in su l portico d ella sua cam era, sim ilm en te se n and
co lla sua donna a dorm ire. J a n so n e, com e da ogni p arte sent
la casa posata, coHaiu to duna scala salo sopra il m uro, e con
p ericolo p erv en n e in sul portico, dove ch etam en te con grandis-
106 .
[T rir., a 148).
DB SUBITO AMORE ACCESO IN MULIERE.
N ella citt di F iren ze, in n ella quale ci h a m olta abbondanzia,
fa presa p er donna una giovana d e B erlin g h ieri nom ata A gata,
p iacevole e b ellissim a , da uno giovano o stieri da M ontevarchi,
ricco e poco p ratico del m ondo, nom ato F asno. E q uella condutta,
com d'usanza, a lla su a abitazione, alla to a l suo albergo d el ca
v a lletto , e quine Catta b ella festa di n o z z e , alla' cu i festa m olti
F io ren tin i e t a ltri P isan i tan n o, dandosi p iacere, e t in fra li a ltri
c h e q uin e frisse in vitato, fu uno giovano b ellissim o e t ardito di
M ontevarchi, nom ato B iliotto P a lm er in i, d i gran parentado, il
quale essend o a lla ditta festa, e vedendo A gata sposa tanto pia
ce v o le e b ella e di b elli costum i, piacen dogli, forte di le i sinna
m or, pensando d over a F asino tollero fa tich e e di le i prendere
sollazzo. E questo p en sieri il preditto B iliotto si ferm in n el
c u o r e , e p er p otere con le i prendere d o m estich ezza , il giorno
d ella festa accostan dosegli, la com inci a dom andare se la terra
le p iace. La giovana d isse: P er q u ello ch io posso com pren
d ere, F iren ze m olto m aggiore, m a ben credo ch e d el tanto
questa terra sia assai b ella , m a io non so com e sia d e giovan i,
con cu i le giovan e a lle v o lte si possano pren d ere p ia c e r e , p e
ro cch a F iren ze se n e trovano assa i di q u elli c h e non stanno
con ten ti di stare di sopra a lle giovan e, m a d ilettan si assai b en e
ch e noi g iovan e di sopra m ontiam o. P osto ch e io a ta le giuoco (1)
an cora trovata non m i sia, nho ta n te v ed u te ch ellen o a m e lhanno
ditto, ch e una dolcezza pure a u dirlo, non ch e a farlo. E t
vero , p o ich la m aggior p arte d elle m ie v icin e tegnono ta li m odi,
a rei auto a caro, prim a ch e qui v en u ta io fussi, dav erlo provato,
e m assim am ente con di q u elli forestieri ch e in F iren ze vegnono,
li q uali a lle v o lte si d ilettan o di trovarsi co lle n ostre pari in
n elli a lb ergh i. E con siderato c h e il m io m arito F asino tie n e al
bergo, frii assai contenta tassim i a lu i m aritata, sperando p oterm i
sa zia re di q uello ch e le m ie [a m ich e] di F iren ze si saziano. B i
liotto, c h e ode tan to sim p licem ente p arlare e con tan ta purit,
v en u ta g li in n el cu ore doppiam ente, com inci a d ire: 0 A gata,
giovana ch e pari una stella , la q uale in fin e a v a le m obbligo ch e
t i potrai in questa terra m eglio con ten tare ch e se in F iren ze 1
(1) Ma.: citt; ma deve essere erroneo, perch Agata veniva da Firenze.
3 94 NOVELLE DI GIOVANNI 6ERCAMBI
107 .
[Tri*., a* 150].
DE INGANNO IN AMORE.
P ia cev o li donne, e* m occorre ora di d ire una n o v ella , la q uale
dar a v o i alcu n o p ia cere, p erch n atu ralm en te v e n e d iletta te.
E p ertan to dico una n o v ella in q uesto m o d o , ch e essendo in
n ella citt di P isa uno giovano leggiad ro e gran d e v a g h eggiatore
nom ato Curradino da Sansavino, il q uale am ando una sua vicin a
nom ata m adonna A ntoniella, donna di R an ieri fittaiolo, assai b ella
donna, e non vedendo alcu n o m odo di p oter con le i p arlare sen za
sosp etto di R an ieri n a d d o m estica rsi, essendo la d itta donna
g ra v id a , si pens di v o lersi fare com pare d el d itto R an ieri. E
non m olte p arole bisognonno, ch e fatto fri. E t essend o adunque
C urradino di m adonna A n ton iella com pare, non parendo ch e si
d isd icesse, di poi alqu an ti d il d itto C urradino narr il suo pen
sieri a m adonna A ntoniella, e t e lla , ch e assai dinnanti c o lli o cch i
v ela ti a v ea ta l p en sieri conosciuto, non m olto si fece la ditta donna
p regare, lassando il com paratico da lu no d e la ti, ella con Cur
radino a nude carn i giungendosi, si davano p ia cere. E com e gio
v an i, q u ello ch e l m arito fa cea in otto d , C urradino con A nto
n iella facea in u n o , p er la qual cosa e lla m olto si con tentava,
lodando Iddio ch e ta l com paratico fatto avea. E dim orando a l
quanto tem po in questa m aniera, ad d iven n e poi ch e il d itto Cur
radino, andando a B ologna, in p rocesso d i tem po si fe m edico e t
a P isa ritorn. E non credendo c h e m adonna A n ton iella di lu i
si ricord asse, tornato a ca sa e spogliato de* su oi panni, e rim aso
com e alcuna v o lta rim anea quando m edico non e r a , saltando,
cantando e dandosi p iacere, in tan to c h e a m adonna A n ton iella
v en n e in n ella m ente q u ello ch e sp essissim e volte con C urradino,
prim a ch e m edico fu sse, fatto av ea , e fingendosi di non ricord arsen e,
p er pi accen d erlo a ritorn are a lla fa c cen d a , uno giorno, non
essendo R an ieri in c a s a , lo chiam sotto sp ezie d i n a rrargli
d alcu na m alattia. M aestro Curradino di buona fe* se n and a
le i. E m entre ch e a le i n andava, ricordandosi d e tratti ch e gi
fa tti a v ea con m adonna A n ton iella e t d el p ia cere p reso , co
m inci (1 ) a rid ere tanto, ch e con quello riso g iu n se a m adonna 1
A n ton iella. E com e ella rid ere lo vid e, d isse: P er certo, m aestro
C u rradin o, io m i penso ch e il vostro rid ere sia per alcu n a ca
gion e, ch a m e sim ile riso d. M aestro C urradino d isse: S e in
d ovinate, io v el dir. M adonna A ntoniella, non com e colom ba, ma
com e gallo, co lla testa lev a ta , c o lli o c c h i isfa v illa n ti, co lla lin gu a
m o rd en te, d isse: V oi rid ev a te ricordandovi d e* p ia ceri c h e g i
p resi in siem e abbiam o, dicendo il d iletto c h e voi co lla vostra
com are A nton iella preso a v ete, e sim ile io di ta l d iletto ebbi ri
m em branza, e dapoi m i ven n e alcu n o battim ento a l cu ore, ch e,
tem endo (1 ), [p er] T esser voi fiatto m edego, non p ossiate pi ta li
d iletti pren d ere m eco, com e g i facevam o, e q uesto p er du* ra
gion i, la prim a p er lo com oratico, la seconda p erch p en so c h i
torna da studio di quel fatto non si cu ra. Ma ben v i d ico c h e
se io a v essi pensato ch e questo fo sse ad divenuto prim a c h e da
m e fa ste partito, m e n*arei s cavato la ra b b ia , c h e fin e a q u i
n*arei auto assai. M aestro C urradino, udendo q u ello c h e la donna
h a e ditto, pens lei a v er v o lon t ritorn are al prim o m estieri, e
b en ch a v esse preso nom e di m edico, non avea per m ancato la
sua possessione, anzi (2) piuttosto se la sen tia crescere, c h e p area
ch e v o lesse de* panni u scire. E riv o lto si a lei, d isse: V oi a v e te
indovinato, e non p en sate ch e, p erch fio sia fatto m edico, c h e m i
sia per m ancato il v o lere e 1 p o te r e , m a pi volont e p i
forza ch e di prim a m i tro v ereste. D isse m adonna A n ton iella: O
rito rn ereste a fare con tenta la m ia borsa co lla vostra m on eta,
c h e sap ete ch e vostra com are sono? E m entre c h e ta li p a ro le
d icea, sem pre saccostava a lla to a l m aestro. Lo m aestro d is s e :
Or m i d ite ch i pi p aren te d el vostro figliu olo, o R an ieri [c h e ]
q uello ingen er, o io ch e lo rico lsi a l b attesim o. La donna d isse:
R an ieri. Or b ene, o R an ieri non v el fa? S e e g li p i p a ren te
di m e, p erch *1 non posso fa re io com e lu i? La donna d isse :
Troppo m eglio lo facev a te di lu i, e d icovi c h e se io a v esse sa
puto s b ella ragion e, il tem po ch e sta to sie te fa o ri io m i sa r e i
fatta com are d*un sim ile a v o i; m a ora ch e m e m a v e te fa tta a c
corta, v i prego ch e m i con ten tiate, ch v ed ete ch e tu tta m i stru g g o
pur parlandone. E presolo p er la m ano e d atogli un b a d o , n
m ica da lu i si pardo c h e tre v o lte v o lse ch e a le i co m p ia cesse
d el suo. M aestro C urradino, lieto ch e sen za m olto p regare la v ea
trovata ben disposta, fornitala tre v o lte , dando ord in e tra lo ro 12
d i rittro v a rsi spesso in sie m e , da lei p rese cum iato. L ei rim ase
co n ten ta , e continuando spesso la m ercanzia, m adonna A n ton iella
e m aestro C urradino dandosi som m o d iletto insiem e, d iven n e ch e
un giorno d i sta te , essendo grande il caldo, m adonna A nton iella,
p er pren d ere frescu ra con m aestro C urradino, lo fe a una sua
fan te assai giovana chiam are, la q u ale lo p erch in siem e teneano
tu tto sap ea. E t essendo in n ella cam era in sie m e , aven d osi in
prim a alquanto confortato con buoni co n fetti e v in i e fa tta la
fan te u scire d i casa, e ch iu sa si co l m aestro e *1 figliu olo p iccolo
in cam era, si spogliarono e t in n el letto nudi in siem e entrarono
e quine dandosi p iacere, e tanto ch e una v o lta avea g i scaricato
la som a, e dando ordine di rica rica re la seconda vo lta , soprav
ven n e R an ieri, e t in casa en trato, la fon te subito giu n ta a lla ca
m era, d isse: 0 m ad on na, R anieri v ien e su . La donna le d isse:
S ta da parte, e secondo ch e a m e sen tira i d ire, d irai. La fon te
si p art. R an ieri giu n g e a lla cam era e q u ella trova se r r a ta , e
picchiando, la donna d isse a l m aestro : Oim ch 'io sono m orta e
o ra savved r e g li d ella nostra dim estichezza? Lo m aestro nudo
d isse: V oi d ite v e r o ,c h e se io frissi pur v estito , q u alch e m odo c i
arebbe, ch se v o i g li ap rite, c i trover cos e n eu na scu sa arem o.
D isse la donna: Or v i v estite , e riv estito ch e v o i sa rete, v i reca te
in b raccio il fon ciu llo, e t a sco lterete b en e ci ch 'io dir, s ch e
le vo stre parole s accordino co lle m ie e la ssa te foro a m e. Lo
m arito non avea an cor restato di ch ia m a re , ch e la m oglie ri-
sp u ose: lo vegn o a te ; e lev a ta si con buon viso, se n'and a l
l'u scio d ella cam era, e t ap ertala, in su ll'u scio stando, d isse: M arito
m io, ben ti dico ch e buon p er noi ch e m aestro C urradino and
a stu d io e ch e nostro com pare si frie, e ch e Dio ce l m and, ch e
se m andato non ce l'a v esse, noi arem m o oggi perduto il nostro
fon ciu llo. Lo m arito, udendo q uesto, sb igottito e' d isse: Come sta
la cosa? La m oglie d isse: E* g li v en n e dinnanzi subito un m ale,
se non ch e m aestro C urradino c i ven n e e reco sselo in collo e
d isse: C om are, q uesti sono verm i ch e a l cu ore se li approssim ano
e uccid erebb en lo m olto bene, m a non abbiate paura ch e io li u c
cid er e forolli m orire. E t trovandosi la fan te p erch a v esse ditto
a lcu n o patrenostro, fu di n ecessit qui ch iu d ere a cci ch e la bala
en tra r non ci p o te sse , ch e sere' stato p ericolo d el fan ciu llo e
ancora e l m aestro l ha in b raccio e credo ch e non asp etti se
non la fante, ch e abbia ditto i p atrenostri, p erch il fon ciu llo
ritorn ato tu tto in s. Lo m arito, credendo a q u este c o s e , tanto
l'affezion e del fan ciu llo lo strin g e, ch e non puose la m ente a llo
400 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
108.
[Tri., n* 138].
DE MULIERE COSTANTE.
8
(Triv. N. 7)
DE TRANSFORMATIONE NATURE
Di messer Renaldo de Buondalmonti di Firenze
nand a casa, dicendo alla madre che quanti panni sono in casa
li metta a dosso, tal era il tremo chelli avea. E cos la madre fe-
ce, non potendo allora dal figliuolo altro sentire. Ginevra veduto
Chimento fuggire, non sapendo la cagione, chiuse luscio e di-
sarmsi, et a letto sand a posare.
Riscaldato Chimento alquanto, la madre di Chimento dicendo
quello che avea, Chimento disse che alla morte fu presso a du
dita, dicendo: Un omo con una spada nuda in mano, tutto ar-
mato, mi volse dare in sulla testa. E se non che io mi gittai gi
dalla scala, mar fesso fine a denti. La madre, ci udendo,
confort il figliuolo, dicendo: Io sapr domane come sta la co-
sa.
Venuta la mattina, la vecchia levatasi molto per tempo e andata
a Santa Riparata spettando Ginevra, e poco stante, Ginevra colla
zia innella chiesa entrarono. E come dinanti aveano fatto, cos la
mattina seguo: che postosi Ginevra a sedere, la vecchia al lato
se li apost, dicendo: Or ben veggo che lanima tua andr in
inferno, che vuoi che l mio figliuolo muoia. Ginevra disse:
Oh, io laspettava et elli non volse venire, avendoli lassato
luscio aperto. E per, prima che io voglia che lanima mia vada
in inferno, diteli che stasera vegna a me. La vecchia, contenta,
sperando che cos fusse, torn al figliuolo e tutto li disse. Lo fi-
gliuolo, contento, dilibervi dandare un poco pi tardi che la
sera dinanti.
Ginevra e la zia tornate a casa, la sera venuta, Ginevra armatasi
al modo di prima; Chimento, sonato la grossa, a casa di Ginevra
ne go. N miga parve avuto male: che, montato quasi le scale e
alzati li occhi, vidde quello armato e di paura tutta la scala cad-
de e quasi non si fiacc il collo e usco fuori e pi cattivo alla
madre torn. Ginevra, vedendo questo, pens: Costui fa beffe
di me. E chiuso luscio e disarmata, a letto sand a posare.
La vecchia, desiderosa di ritrovarsi con Ginevra per dirle villa-
nia, tutta la notte non dormo e la mattina se nand alla casa di
Ginevra per vedere se di quella alcuno omo uscisse. E stato al-
quanto, la zia di Ginevra usco fuori senza Ginevra et and alla
418
vuole dire che tu non ti vuoi armare? Ginevra disse: Che uno
giovano non mha voluto armata. E svi dire che troppo pi
dolce lesser nuda in braccio al giovano che armata sotto voi.
Messer Renaldo udendo tali cose volse sapere il modo, cogno-
scendo la purit di Ginevra esser stata ingannata. Ginevra tutto
li narr, di che messer Renaldo disse: In giamai non tarmare
pi e sono contento quanto posso di quello hai fatto; e per
lavenire segue pure il modo dellaltre.
E spogliatosi e fatto spogliare Ginevra, inne letto con Ginevra
prese piacere. Ginevra disse: Or non vel dissi io bene che pi
dolce nuda che armata? Messer Renaldo disse: Cos !.
Cos oservonno poi.
420
11
(Triv. N. 10)
saper la cagione che monna Nese alla chiesa non era venuta. E
giunti alla bottega di Ranieri, la donna che quine era disse a
frati: Ben vegnate! Quando canterete voi, frate Ghirardo, il ma-
tutino? E voi, frate Anastagio, quando sarete papa? Li frati non
rispondendo, avendo inteso ciascuno il suo motto (n luno non
sapea dellaltro), vedendo la faccia allegra di madonna Nese,
ciascuno ritenne lo suo parlare. E cos tornarono alla chiesa.
Ranieri disse: Nese, che domestichezza questa che questi
frati sono venuti qui, che mai non ci vennero? Per certo qualche
domestichezza di aver preso con questi frati. Monna Nese ri-
spuose: Marito mio, prima che io voglia che tu meco vivi in ge-
losia et in sospetto, io voglio che tue senti prima la cosa da me
che da altri. E cominci a narrare tutto ci che i frati li aveano
ditto e pi mattine; e quella era la cagione che non volea andare
alla chiesa. Ranieri sentendo tal parole, come persona che ama-
va il suo onore e quello della sua donna e disse: Omai non arei
posa n di te mi fiderei se io non fusse di questi frati contento. E
pertanto io ti comando per quanto ami il tuo onore e la vita tua
che domattina vadi alla chiesa e qualunqua di quelli ti dice
niente, prometti che domenica sera vegna a cena et albergo teco;
e vegna a tale ora che altri non se nacorga, dicendo: Ranieri
per andare a Genova per comprare pelli . E fa che la venuta
di tutti sia diseparata. E quando la sera saranno tutti insieme di-
rai quello ti pare; e cenato, non disonestando, quelli frati farai
spogliare e lavare avendo fatto lacqua scaldare. E quando senti
luscio, metteli innel calcinaio. La donna tutto ascoltato disse:
Ranieri, lassa fare a me.
Passato la notte e venuto il giorno, monna Nese andata alla
chiesa e trovato frate Ghirardo, il quale le disse: Io vho ditto
mio volere; la donna disse: Frate Ghirardo, io hoe udito la vo-
stra volont, e di vero io non avendo il modo non vho potuto di-
re quella buona risposta areste voluto. Ma ora che l mio marito
va sabbato a Genova a comprare coiame potrete venire domeni-
ca sera a cenare meco et aremo tutta nostra intenzione; e nol di-
te a persona. E frate Ghirardo gioioso si parto e pens manda-
423
18
(Triv. n. 17)
DE PERICULO IN AMORE
Di Checca delli Asini Figliuola di Asinino, vedua bella.
benda che avea in capo, alle braccia lei puose legandole; mon-
tata in sulla finestra, meglio che poto Matteo condusse in sulla
finestra.
E sceso in sala disse: Checca, omai ti dico che Matteo non si
trover pi a s fatti pericoli. Se il tuo sedere fusse pi odorifero
che moscato, non mi tapresser mai a questo modo. Ma se nella
paglia o fieno ti vorrai ritrovare, in terreno mi potrai avere. E
partitosi da lei, n mai pi si misse a tali pericoli.
Checca, svergognata n dalle donne pi acompagnata, con altri
che con Matteo si poto far battere la lana del suo montone.
432
70
(Triv. 69)
DE VIDUA LIBIDINOSA
Poi che giunti siamo in questa citt dove gran diletti di tutte co-
se si prende e massimamente di femine, e mi occorre una no-
velletta di racontare, la qual: in Firenze fu una giovana delli
Strozzi, vedua, nomata madonna Orsarella, la quale, essendo di
pogo tempo rimasa vedova dun suo marito, convenuta ritorna-
re a casa dun suo fratello nomato Matteozzo Strozzi, il quale a-
vea una giovanetta di moglie assai piacevole chiamata Anna,
faccendo insieme una famiglia; et a una mensa mangiavano e
tutte cose acomunecavano innella vita, salvo che Orsarella in
una camera sola per s si dorma vivendo onestamente.
Et essendo Matteozzo vago di salsicce, se ne fe a uno beccaio
fare alquante in morselli dun palmo e pi, assai grosse e fine, e
quelle ne mand a casa comandando che, fine che durano, ogni
d se ne cuoca un pezzo. Et apiccate quelle salsicce, com
dusanza, in una parete della casa, vedendo madonna Orsarella
quelle salsicce, ricordandosi del marito che quasi simile di for-
ma avea quellugello che pi volte riposto avea, pens con alcu-
ni de pezzi della salsiccia contentar la bocca stata di pasto di-
giuna pi tempo. E con alquanti di quelli si dava piacere intanto
che, maginando col marito essere, tenendo li occhi chiusi e in
mano la salsiccia, forna il suo piacere. E per questo modo quasi
ogni d pi dun pezzo di salsiccia logorava. E non molti giorni
durava la salsiccia comperata per Matteozzo che la fante li dicea
che delle salsicce comprasse. Matteozzo, che vago nera,
dellaltre simili a quelle comprava, et Orsarella di continuo con
quelle si pascea del disiato apetito. E parendo a Matteozzo le
433
97
(Triv. 116)
DE PESSIMA MALITIA IN PRELATO1
1Questa novella non altro che una ripetizione, con poche varianti, della
79 [Triv., n 110], De prelato adultero.
436
questo luogo et avervi una taula molto larga ordinata che stando
tu in piedi vi possi le reni apoggiare e distendere le braccia a
guisa duno crocifisso; et in questa maniera guardando il cielo
stare senza muoverti punto fine a matutino; e se sapessi lettera ti
converr dire alquante orazioni, ma perch non ne sai ti conver-
r dire cc paternossi et aitante avemarie allonore di Dio e della
Santa Trinit, sempre riguardando il cielo. E poi, come mattuti-
no suona, te ne puoi andare e sopra letto cos vestito gittarti; e
la mattina apresso andare alla chiesa e quine udire almeno tre
messe e dire cinque cavate, e poi far con simplicit alcuni tuoi
fatti, e poi desnare e al vespro venire alla chiesa, e poi in sulla
compieta ritornare al modo che ditto tho. E questo faccendo,
come feci io, spero che innanti la penitenza sia finita sentirai
meravigliose cose della etterna beatitudine, se con divozione fat-
ta larai. Frate Papino disse: Questo non gran cosa, che si
pu assai gevilmente fare, per che al nome di Dio voglio dome-
nica cominciare.
E da lui partitosi, se nand a casa e con sua licenzia ordinata-
mente alla moglie disse ogni cosa. La donna inteso che l mona-
co potea aver agio di lei fine al mattino, disse al marito che a lei
piacea pur che facesse bene per lanima sua e che nera molto
contenta; et acci che Dio li facesse la sua penitenza profittevi-
le, volea con lui digiunare ma non altro fare.
Rimasi adunqua in concordia e venuta la domenica, frate Papi-
no cominci la sua penetenza, e messer lo monaco, convenutosi
colla donna di notte (che veduto non potea essere), il pi delle
sere se nandava a cenare con lei, sempre ben da mangiare e da
bere seco regando; poi con lei si giacea fine a lora del mattino.
Il quale levato, se nandava, e frate Papino tornava a letto.
Era i luogo che frate Papino avea eletto a lato alla camera dove
la donna col monaco si davano diletto, n daltro era diviso se
non duna parete; per che ruzando messer lo monaco colla don-
na alla scapestrata, et ella con lui, parve a frate Papino sentire
alcuno dimenamento di solaio. Di che avenne che, gi avendo
ditto c paternossi e fatto punto quine, chiam la donna senza
438
150
(Triv. 149)
DE NOVO LUDO
prete, il pi tosto che poto co' lui con un bel modo s'adomestic
e per quella mezana che molti di quel vicinato provato avea, e
l'Ancroia il prete prov; e parendoli buono, con lui spesso si tro-
vava con fare cene e desnari, li quali col prete si godea e del
marito niente curava.
Tomeo, che la sua divozione d' poveri per amor di san Martino
non lassava, essendo venuto la vigilia et avendo comprato di
molta carne et alla donna data che quella cocesse per dare a'
poveri per l'amor di san Martino; lei dicendo che tal carne non
cocer', e pi, che in tal die non si trover' in casa e se lui volea
cuocere la cocesse e di lei per quel giorno non facesse menzio-
ne; Tomeo, non potendo altro fare, la mattina levatosi per tempo
e la carne cotta e messa da parte e fuora andato per quelli poveri
che a mangiare era uso di tenere; la donna, come vidde Tomeo
fuora uscito, preso un fiasco del buon vino, una tovagliuola, al-
quanti pani e della carne cotta per Tomeo, et al prete Frastaglia
se n'and e con lui si di tutto quel giorno piacere, pascendosi
di carne cruda e carne cotta per ii bocche; e perch non li man-
casse la provenda, la notte simile col prete si rimase.
Tomeo, avuto i poveri e fatto loro sommo onore, doppo desnare li
racomand a Dio dicendo loro che pregassero san Martino che li
desse buoni ricolti. La mattina madonna Ancroia, tornata a casa,
cominci a gridare dicendo: Or cos fa, Tomeo, consuma e ba-
ratta quello che noi abiamo e vederai se san Martino ti riempier
la botte e l'arca del grano! Tomeo disse: Donna, tuoi peccati
m'induceno a ci fare. La donna disse: Lavora col tuo, et io
quanto potr lavorer col mio. Et in tal maniera venne l'ora del
desnare; e desnati, Tomeo prese suoi ferri et alla vigna n'and.
E pogo stante a lui aparve uno in forma di lavoratore, dicendoli
se lui volea tenere a lavorare. Tomeo, che d'un tale avea biso-
gno, disse: S, ma io voglio sapere a che pregio vuoi meco sta-
re. Disse i' lavoratore: Io non voglio altro che le spese, ma ben
ti dico che quando fusse maltempo io non vo' lavorare; et ogni
altro d lavorar voglio salvo le domeniche. Disse Tomeo: Et io
sono contento, ma io non voglio che il d di san Martino lavori.
441
Colui disse che era contento e che volea con lui stare tanto
quanto la moglie mutasse linguaggio. Tomeo contento della buo-
na ventura venutali dinanti, e fatto il mercato, a casa lo men.
La donna, che questo vede, pensando non potere il prete a sua
posta menare in casa, disse al marito: Or ben tel dico io che
vuoi quel pogo che ci consumare! Ma tanto ti dico che mentre
che costui terrai, io a' lavoro non enterr, n anco non voglio
ch'' in casa solo rimagna senza te. Tomeo dice esser contento.
E venuto la mattina, Tomeo e quello lavoratore andonno al lavo-
ro, e secondo che gli altri lavoratori faceano, a Tomeo parve co-
lui aver lavorato iiii cotanti, tenendosi ricco se tale dimora seco
uno anno.
E passato pi giorni et avendo quasi tutto il suo terreno lavorato,
una mattina molto piovendo, lo lavoratore si mosse et and al
campo a lavorare. Tomeo dice che non vi vada perch mal-
tempo. Lo lavoratore dice che a lui assai buon tempo, e quine
tutto 'l giorno lavor; e se di prima avea fatto per iiii, il giorno
multiplic sua forza. Tomeo loda Idio di tal ventura. E passato
alcuna stimana, essendo vento, Tomeo and a lavorare; lo giova-
no ristatosi in casa dicendo a Tomeo: Oggi maltempo per me,
io vo' stare in casa , Tomeo lieto lui solo a' lavoro n'and.
La donna, che di continuo col prete Frastaglia si coricava, il
giorno avea ordinato che a lei venisse. E parendo alla donna che
molto indugiava , non sapendo che 'l giovano lavoratore in casa
fusse, avendo messo prima a fuoco una gallina con un pezzo di
salsiccia e quella gi cotta, si mosse di casa. Et andando per
una via al prete, e 'l prete venendo per un'altra fu giunto a casa,
dove il giovano, chiuso l'uscio, dentro stava. E per uno pertuso,
che spesso il prete avea gi incavigliata Ancroia, picchiando e
chiamandola, il giovano, mutato voce, in modo d'Ancroia disse:
O sere, voi al presente entrar non potete per che ci i' lavora-
tore che venuto per lo desnare, ma prima che vi partiate for-
niamo nostra imbasciata a l'usato modo. Lo prete, messosi ma-
no al pasturale, credendo fusse la donna, di buona misura ne fe'
partifici il giovano. Lui con uno cortello quella giusta misura ta-
442
41
(Triv. 140)
Fue innella citt di Bellem in Giudea uno nomato Esaia con una
sua figliuola, Isabetta.
volta sentito alquanto, e disse a' romito: Per certo, padre mio,
mala cosa d esser questo diaule, et anco nimico di Dio, che,
non che ad altri faccia male, vi dico che a lo 'nferno ha fatto ma-
le. Urbano disse: Figliuola mia, non averr sempre cos. E
per fare che questo non avenisse, prima che di quine si partis-
seno, sei volte rimisseno quel diaule innello 'nferno, tanto che la
rabbia per quella volta li trasse. E dapoi ogni d simili misteri
faceano.
Avenne che 'l giuoco cominci alla giovana a piacere, e disse a
Urbano: Ben veggo che alli cristiani di Bellem . . . . . . che di-
ceano servire a Dio s dolce cosa, che per certo non mi ricordo
che mai cosa facesse che tanto diletto mi desse come questo
mettere il diaule innello inferno. E per io giudico che ogni per-
sona che ad altro che servire a Dio si mettesse, sar' una be-
stia. E spesse volte dicea a Urbano che mettesse il diaule in-
nello inferno, dicendo: Se 'l diaule stesse cos volentieri inne lo
'nferno come lo 'nferno lo riceve, non se ne uscir' mai! Urbano
avea gi la bambacia del farsetto cavata, intanto che a tal'ora
senta freddo che un altro ar' sudato; e per cominci a dire al-
la giovana che non bisognava metter il diaule inne lo 'nferno se
non quando per superbia alzasse il capo: Ma il tuo inferno l'ha
s casticato che poga superbia ormai ar. Disse Elisabetta:
Poi che 'l mio inferno ha casticato il tuo diaule castichi il mio
inferno, per che mi d tanta pena che nol posso sofferire senza
diaule dentro. Urbano disse: Troppi diauli bisognano a pascer
lo 'nferno, ma io ne far quanto potr. E cos seguo alquanto
tempo.
E dapoi Elisabetta per consiglio d' romito si ritorn a casa, e
maritatasi poto a suo destro metter uno o pi diauli innel suo
inferno.
447
152
(Triv. 151)
se: Per certo a me non pare esser mai da lui stata cos ben ser-
vita come voi dite, ma se io veggo che a li altri non faccia meglio
che a noi ser contenta. Messer Veri disse: Fa ci che ti pia-
ce. E datoli licenza, la donna la notte non potendo dormire i-
maginando quello che far volea, di che messer Veri disse: Or
che vuol dire, donna, che stanotte non dormi? Ella disse: Il
caldo grande che mi pare che ci sia mi d rincrescimento, e
parmi mille anni che sia die che io mi possa alquanto bagnare i
piedi innell'acqua del nostro molino. E cos si pass la notte. E
levata del letto, chiam una sua fante, la qual pi volte era stata
con lei quando madonna Vezzosa si dava piacere con suoi aman-
ti, e disse: Prendi uno asciugatoio e vieni meco al molino.
E giunti al molino, dove Popone, per lo caldo non tenendo bra-
chi, li pendea al ginocchio una carne che assai se ne potea ben
contentare chi quella riponea; e sopragiunta la donna al molino,
non essendovi altri che 'l mugnaio, la donna fatto stare di fuori
la fante a l'uscio n'and, e prima che 'l mugnaio s'acorgesse di
lei, ella, entrata piano dentro, e quello pasturale colla mano di-
rieto l'aferra. Lo mugnaio sentitosi afferrare, subito voltatosi
vidde ch'era madonna Vezzosa, a cui elli disse quello volea dire
l'esser quine venuta e senza dire niente entrata dentro, perch,
se ditto avesse che venir dovea, l'ar' trovato colle brachi, e che
li perdonasse se cos trovato l'avea. La donna, senza molto dire,
disse: Spacciati, che questa carne mi metti innella mia e per
altro non ci sono venuta; e quello che di te intesi vero. Lo
mugnaio disse: Deh, madonna, ditemi che avete inteso di me.
La donna disse: Che tu avei il pi grande e grosso pasturale
che altri di questo paese e che tu ne sazi le femine per otto d. E
pertanto briga tosto di farlo, e come n'hai altre sazie cos ora me
ne sazia. Et alzatasi i panni dirieto, lei si misse in sul palmento
del molino. Popone, che avea il bastone ritto, gittatosi sopra di
lei, prima che calasse le vele ii volte la forno. La donna, che di-
siderosa era di tal cosa, volse che la terza fornisse.
E mentre che la donna s'era partita di casa, messer Veri, imma-
ginando lo subito apetito della donna con volere andare al moli-
449
no, sapendo in che modo pi volte lui trovato avea Popone, pen-
s: Per certo potrebbe esser gatta. E montato a cavallo, verso
il molino cavalca. Et essendo la donna per gittare con Popone la
terza piumata, la fante, veduto messer Veri, subito se n'and al
molino dicendo: Levate su, o madonna, che messer Veri
presso! Lo mugnaio, subito levatoseli da dosso, per paura dis-
se: Come far? Avendo la camicia assai grande, la donna li
disse: Metti il tuo pasturale innella farina e me lassa uscire da
quest'altro uscio, e senza che di niente ti dimostri, intendi al
macinare. Lo mugnaio cos fece, e la donna, uscita dirieto al
molino, scalzatasi, co' pie innell'acqua si stava.
Messer Veri, che dalla lunga cognosce la fante esser sola di fuo-
ri dal molino e non vedendovi la donna sua, stim col mugnaio
dover essere. E fatto concetto di trovarli insieme, di trotto giunse
al molino. E sceso, senz'altro dire entr dentro. E vedendo il
mugnaio alla tremogia, subito alzatoli la camicia li riguard il
pasturale. E vedutolo tutto infarinato, mottegiando disse: Vor-
restilo far friggere poi che s 'nfarinato l'hai? Lo mugnaio disse:
Deh, messer, pur co' motti! I miei pari con fatica lavorano
quello che altri lavorar d.
Messer Veri, senza pi dire aperse l'uscio e la donna trov che
co' piedi innell'acqua si stava. Domandandola se avea tal caldo
che cos li bisogni di stare, la donna disse: Per certo, marito
mio, lo caldo che io hoe s grande, che pensare nol potreste, n
miga passato mezza ora che io avea una fiamma in sul petto
che s fortemente m'agravava, che se io non m'avesse alquanto
scalzata e qui entrata, voi m'areste trovata in terra come morta.
E dcovi che a me pare che questo nostro mugnaio egualmente
macina a noi come a li altri e pi non me ne posso dolere; ma
ben vi dico che mi pare che faccia s mala massarizia della fari-
na che molto ne d perdere e tristamente gittar via, e voi sapete
quanto si d aver guardia ch'ella non si perda. E pertanto co-
mandateli che della nostra almeno non consumi, che prima vor-
rei che quella che spande de l'altrui grano riserbasse a me che
tristamente ad altri la desse.
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Messer Veri, che ode una sottil loica, mostrando di non intende-
re disse: O donna, per certo la buona farina si vuole dare a chi
bene la riceve. Ella disse: Veramente, marito mio, voi dite ve-
ro: e che sanno queste contadine che sia buona da cattiva farina,
per che a loro pare cos buono il pan del miglio come del gra-
no? E noi che siamo in tutte cose esperte, non avendo buona fa-
rina non vi saprei far buon pane. E per comandateli che quella
che a noi d dare, dia pura e netta, e di ci io ne ser ben conso-
lata e tutto cognoscer. E chiamatolo, disse: O Popone, mu-
gnaio del mio marito, io ti dico presente lui che buona farina
serbi per noi e la gattiva d a chi n' uso di mangiare, per che
noi non mangeremo di quella che questi contadini mangiano.
Lo mugnaio, inteso il motto, disse: Io mi sforzer servirvi quan-
to a me ser possibile, ma ben vi prego che quando voi e 'l vo-
stro marito voleste venire al molino, che d'un'ora dinanti mel
mandiate a dire, acci che io possa la buona farina a voi serba-
re. La donna disse al marito: Per certo questo vostro mugnaio
v'ama molto, che par vi voglia servire in fede e forsi non vuole
che altri sappia quello che far vorr. Messer Veri, che sempre
li parea che la moglie avesse il mugnaio a dosso, disse: Donna,
' mi piace: metteti le scarpe et innell'acqua pi non t'affredare,
che per questa mattina mi penso ti debbi esser assai contentata
di stare inne l'acqua. La donna disse: Voi dite il vero; e
messosi in pi, di buona voglia racomand a Dio il mugnaio, di-
cendoli che altra volta a lui verr per veder il molino.
E partitasi, con messer Veri e colla fante giunseno a Empoli, l
u' era per lo desnare aparecchiato. E ben che messer Veri dimo-
strasse buona cera verso la donna, nientedimeno il sospetto non
li usca del cuore, e pensoso fra s immaginava come potesse la
gatta giungere al laciuolo, e dicea: Donna, per certo lo mugnaio
sta assai bene in casa a massarizia. La donna disse: Io me lo
stimo, tanto lo veggo saccente; ma se a voi fi' in piacere, io ne
sar asai pi certa che ora non sono. Messer Veri disse: A tua
posta , ma ben vo' che prima che l vadi, ordini che qui sia fatto
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Veri, ecco di quelli pesci che qui si pigliano, ma ben vi dico che
sono assai piccoli alla famiglia vostra. Messer Veri mostrandosi
lieto quelli prese et alla donna disse che a desnare a Empoli
s'andasse. La donna lieta, pensando che 'l marito niente avesse
sospetto, con una canzonetta si mosse cantando colla sua fante,
et a Empoli tornarono dove desnarono.
E mentre che desnarono sopravenne una lttora a messer Veri
che subito fusse a Firenza per alcuno fatto stretto. Di che messer
Veri, montato a cavallo et alla donna lassato la cura della casa,
si parto e pi d a Firenza si steo. E mentre ch'' stava a Firen-
za, la donna col mugnaio ogni d si trovava. Et era tanto multi-
plicato l'ardire che preso aveano, che la donna pogo si curava
d'alcuna cosa, e sempre la fante seco menando.
Compiuto il servigio che messer Veri fare dovea a Firenze e li-
cenziato, se ne venne a Empoli; e non trovandovi la moglie, sti-
m quello era, che col mugnaio si godesse. E senza farlo a per-
sona asentire, come pellegrino si vesto e con uno bordone in
mano si mosse e camin verso il molino, dove la fante di lui non
prendea guardia. Et andando a fare alcuna faccenda, il ditto pel-
legrino sopragiungendo al molino, trov madonna Vezzosa esser
di sotto al mugnaio et il mugnaio di sopra, menando l'uno il mo-
lino e l'altra la tremogia tanto che la farina macinata fu. Messer
Veri che dentro intrato, vedendoli che di quine non si partano
ma di nuovo cominciavano la danza, non potendo pi sostenere,
con quello bordone percosse in sulla schiena il mugnaio per tal
forza che pass lui e la donna. E senza apalesarsi, cos infilzati
li lass e del molino se n'usco lassando il bordone et a Empoli
torn. Lo mugnaio e la donna che aitar non si puonno, misero
alcuno grido. La fante tratta l e trovatoli morti, cominci ella
simile a gridare. Li vicini tratti, trovonno l'uno e l'altro morti a-
bracciati con le cosce di ciascuno aparecchiate al servigio che
fatto aveano. E saputosi a Empoli la morte della donna e del
mugnaio, messer Veri, benedicendo chi di tal fatto era stato fat-
tore e fattola sopellire assai tristamente, a Empoli si ritorn n
mai si seppe che lui fatto l'avesse.
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154
(Triv. n. 153)
innella contrada dal Ponte alla Carraia dimorava con una sua
donna nomata madonna Piacevole, di quelli da Rabatta, donna
molto della casa e del suo marito maestra, la quale pi volte del-
la sua persona avea fatto prova di ritrovarsi or con uno or con un
altro , divenne che una sera, tornando messer Nicol da la
stufa et avendo seco uno barbieri suo vicino nomato Nanni e col
ditto trovatosi alla stufa, parve al ditto messer Nicol che il ditto
Nanni fusse assai ben a soficenzia fornito di sotto da potere cia-
scuna donna ben fornire.
Et avendo il preditto messer Nicol ci veduto, non potendo in
s tenere quello che veduto avea, ritornato in casa et essendo
per cenare, messer Nicol ricordatosi della buona misura del
barbieri cominci a ridere. La donna, che rider lo vede, volendo
da lui sapere la cagione di tal riso, lo cominci a domandare.
Messer Nicol pur ridendo dice: Donna, del mio ridere non ti
d' curare. La donna disse: Per certo, prima che mangiate voi
mi direte unde viene tale riso. Messer Nicol, che pogo pensie-
ro avea al pericolo che di ci potea seguire, disse: Donna, poi
che tu pur vuoi che io ti dica la cagione del mio ridere, ti dico
che Nanni nostro barbieri meglio fornito di sotto di lunga e
grossa misura, che beata quella donna che tal misura prova. La
donna, fintasi d'esserli dispiaciuto, disse: Messer, voi mi dove-
te dire la verit d' riso, per che cotesto che voi dite non sono
cose che oneste siano a dirle l u' sono donne, ma a me potete
voi dire ogni cosa, che da altri non lo sosterei. Messer Nicol
giura che veramente altra cagione non l'avea indutto a ridere
che quella che a lei ditto avea. La donna disse: Lassiamo que-
sto parlare et intendiamo a cenare, e poi ce ne andremo a letto
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dienno per tal guisa che mai pi con madonna Piacevole usare
volse n co le altre usar poto. N mai messer Nicol la donna
richiese, e cos vituperosamente si visse, et ultimamente ' tri-
stamente si moro.
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156
(Triv. N. 153)
DE PAUCO SENTIMENTO DOMINI2
Della citt di Luni: fue distrutta per una femina.
TAVOLA
DELLE
Pr o e m io .................................... 3
1. De sap ien tia............................. .... 9
2. De simplicitate. . . . . . . 17
3. De m alvagitate et m alitia . . , 19
4. De magna prudentia . . . 22
5. De stimma jnatitia . . . . 32
6. De ju stitia et crudelt : . . 34
7. De transformatione naturae . 411
8. De simplici juvano . . . . 38
9. De altro et simplici merendante 39
(1) Coni* i gli tato detto, quest la seguente novella, che si trovano nella Cronaca, non
vi sono nel cod. TrivoUisno.
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I N D I C E
P r e f a z io n e . . . . Pag. n
T esta m e n t o di G io v a n n i S eb c a m b i > ucvn
Proemio . . . . 3
1. De sapientia . . . . * 9
2. De sim plicitate * 17
3. De m alvagitate et m alitia 19
4. De magna prudentia 22
5. De somma jostitia . 32
6. De jo stitia et crudelt . * 34
7. De simplici juvano 36
8. De altro et sim plici mercadante 39
9. De vituperio pietatis 43
10. De muliere adultera 46
11. De bono f at t o. . . . 50
12. De novo modo furandi . . 56
ia De furto extra natura 60
14. De inganno e falsit te . * 62
15. De summa av aritia. V 65
16. De placibili sententia 69
17. De astuzia in juvano 71
18. De inganno . . . . 78
19. De avaritia e lussuria 81
20. De prudentia et castitate 85
21. De m alitia et prudentia . 89
22. De turpi tradimento 92
23. De superbia et pauoo bene . 95
24. De vera am icitia et charitate 96
25. De fide bona . . . . 105
26. De castitade . . . . 109
27. De re publica . . . . 111
28. De re publica . . . . 112
29. De falso pergiurio . 113
30. De amore et crudeltate . 115
31. De recto amore et giusta vendetta 116
32. De prudentia in consiliis 118
33. De falsitate mulieris 122
34. De ipocriti et fraudatone 128
35. De falsitate et tradimento 132
36. De natura femminili 136
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INDICE