Sie sind auf Seite 1von 546

Collana DI

Facezie e novelle
del Rinascimento
A cura di
Edoardo Mori
Testi originali trascritti o trascrizioni del 1800 restaurate
www.mori.bz.it

G I O VA N NI S ER C AM B I

Il Novelliere Testo restaurato

Bolzano - 2017
Ho creato questa collana di libri per il mio interesse per la sto-
ria della facezia e per riproporre il tesoro novellistico del Ri-
nascimento italiano. Molte opere sono note e reperibili, altre
sono note solo agli specialisti e difficilmente accessibili in te-
sti non maltrattati dal tempo. Inoltre mi hanno sempre di-
sturbato le edizioni ad usum Delphini, adattate a gusti bigotti,
o le antologie in cui il raccoglitore offre un florilegio di ci
che piace a lui, pi attento all'aspetto letterario che a quello
umoristico. Un libro va sempre affrontato nella sua interezza
se si vuole comprendere appieno l'autore. Perci le opere pro-
poste sono sempre complete; se non le ho trascritte, stante la
difficolt di fa comprendere ai programmi di OCR il lessico e
l'ortografia di un tempo, ho sempre provveduto a restaurare il
testo originario per aumentarne la leggibilit.

Edoardo Mori

Giovanni Sercambi (Lucca, 1348 - 1424) scrisse le sue novel-


le attorno al 1400; esse sono conservate in pochi manoscritti il
principale dei quali, il Trivulziano n. 193 il pi ampio e af-
fidabile. Qui ho riprodotto la trascrizione a cura di Rodolfo
Renier del 1889. Egli aveva espurgato il testo di una decina di
novelle un po' sconce e le ho recuperate da liberliber (trascri-
zione di Sinicropi) e riportate nella appendice. Quindi questo
testo integrale, salvo la cornice narrativa che il Renier ha
eliminato; in effetti non riveste un grande interesse.
L'edizione critica moderna, con note e glossario quella di
Giovanni Sinicropi, Scrittori Italiani, Laterza Editore, 1972.

2
NOVELLE INEDITE
DI

GIOVANNI SERCMBI
TRATTO

D A L CODICE T R IY U L Z IA N O C X C I II

F* CURA DI

R O D O L F O R E N IE R

TORINO
ERMANNO LOESCHER
riKINII ----- ROMA
Y l T t r i a b o o s i . SO V ia dal C o r s o , 307
1889
AL PROFESSORE

ALESSANDRO DANCONA

P R I M O ED A MO R O S O ILLUSTRATORE

DELLE NOVELLE

DI GIOVANNI SERCAMBI

CON A F F E T T O R E V E R E N T E

DEDI CO
PREFAZIONE

i.

Miserando spettacolo di continui commovimenti e m utam enti e


travagli offire la storia di Lucca nel corso del secolo XIV. Morto
Castracelo Castracene, Enrico suo figlio si & riconoscere signore
di Lucca ; m a presto Ludovico il Bavaro lo spoglia del dominio e
affranca la c itt a peso doro. Una squadra di cavalieri tedeschi
simpadronisce di Lucca e la vende a Gherardo Spinola. Questi
si sostiene m alam ente tra le insidie dei figli di Castracelo e l o
stilit aperta dei Fiorentini, finch costretto a cedere Lucca a
Giovanni di Boemia. Giovanni la vende ai Bossi di Parm a, i quali
alla lor volta, la cedono a Mastino della Scala, che finisce col darla
in mano ai Fiorentini. I prossimi Pisani, ingelositi, tanto si ado
perano che recano Lucca in loro potere e vi tengono pessimo go
verno. Finalm ente i Lucchesi comprano a caro , prezzo la loro li
bert da Carlo IV , che gli sottrae al giogo dei Pisani il 6 aprile
del 1869, giorno memorando, che i cittadini festeggiarono allora
e commemorarono poi.

Andando, noi vedemmo in picciol cerchio


torreggiar Lucca a guisa d'un boschetto
e donnearsi con Amo e con Sarchio.
Gentile tutta e ben tratta a diletto,
e pi sarebbe, se non fosse il pianto,
che quarantanni e pi le ha stretto il petto,
V ili NOVELLE DI GIOVANNI SERGAMBI

dice un poeta sincrono (1), che quando scriveva questi versi non
aveva peranco veduto spuntare quel giorno di redenzione, m a
non ne era molto discosto (2).
Se peraltro Lucca vide cessare col 1369 quella specie di palleggia
mento politico, che i potentati esterni facevano di lei, principiarono,
con la libert ricuperata, a ltri m ali nel suo seno medesimo. (Tn
uomo di specchiata probit e di senno politico non ordinario,
Francesco G uinigi, seppe ovviare, nei prim i anni ai pericoli che
le ambizioni dei grandi e la potenza delle consorterie preparavano
alla libert lucchese. Diede egli assetto allufficio degli anziani,
che potevano essere scelti indistintam ente tra i grandi ed il popolo,
e fu principale autore del m agistrato detto dei consenatori della
libert, il quale doveva difendere lo stato dalle insidie esterne ed
interne; provvide alla sicurezza messa a repentaglio dalle com
pagnie di ventura, che infestavano l Italia, e si scherm dal rischio
di una invasione a mano arm ata per parte del Visconti (1373);
rialz la istruzione dei giovani, contribu alla buona igiene della
citt derivando lacqua dal Serchio, istitu una cassa di depositi per
far fronte ai bisogni im previsti. Quando il 5 giugno del 1384 egli
venne a m ancare, fu lu tto generale in tu tti i buoni, che vedevano
in lu i il pi saldo ed onesto custode della libert della patria.
Ma se da una parte lopera di Francesco Guinigi torn di grande
profitto alle libere istituzioni, dallaltra essa doveva preparare uno
stato di cose estremam ente pericoloso per la citt, accrescendo a
dism isura la potenza in Lucca della sua fam iglia. Ond che dopo
la sua m orte levarono la testa le fam iglie rivali, che attaccarono
subito quella istituzione guinigiana, che dava loro pi noia, il 12

(1) Fazio degli Uberti nel Dittamondo, L. Ili, cap. 6, a p. 221 della ediz.
Silvestri.
(2) Il Dittamondo, composto e ritoccato a riprese, era finito di scrivere
verso il 1367. Cfr. G rion , Intorno atta famiglia e alla vita di F. d. Ub.,
Verona, 1875, p. 19 e la mia introduzione alle Liriche di F. d. Ub., Fi*
renze, 1883, pp. cxcicxgvii.
PREFAZIONE IX

m agistrato dei conservatori della libert. Snaturato nel 1385 questo


ufficio per opera particolarm ente di Bartolomeo F orteguerri, la
fazione avversa ai Guinigi prese il sopravvento e giunse ad audacia
inaudita. Di qui odi e contese, che approdarono finalm ente alla
guerra civile. Nel maggio del 1392 si venne apertam ente alle
arm i. Capo delluna parte era Bartolomeo Forteguerri; capo del-
laltra Lazzaro Guinigi, figliuolo di Francesco. La guerra com bat
tu ta rabbiosamente si risolse a favore dei Guinigi. Il gonfalone
del popolo fu strappato dal palazzo e portato trionfalm ente a Laz
zaro; il gonfaloniere Forteguerra Forteguerri, invano opponendosi
Lazzaro, fu ucciso a furia di popolo e sorte non dissim ile toccava
poco dipoi al fratei suo Bartolomeo.
Il 15 maggio del 1392 si assembr il senato sotto la presidenza
di M artino rnolfini, anziano, eletto gonfaloniere dai G uinigiani.
Si presero disposizioni nuove di governo, tu tte a pr* dei G uinigi
e a danno dei Forteguerri e loro consorti. Lazzaro Guinigi, di
gran lunga inferiore al padre per virt civili, divenne il vero capo,
bench senza nome, della repubblica. Sotto il suo reggim ento se
darono alquanto le discordie intestine; non i pericoli esterni, per
le bande arm ate vaganti e per la guerra con Pisa. Con le prim e
si us il solito mezzo del denaro. La guerra di P isa era n u trita
dal signore di quella terra, ser Jacopo dAppiano, e dietro a lu i
stava ad aiutarlo Gian Galeazzo Visconti, al quale premeva di
tener occupati i Fiorentini e i Lucchesi, perch non andassero al
soccorso di Francesco Gonzaga, signore di Mantova, chegli cercava
di opprimere. Cercate alleanze, i Lucchesi dapprim a resistettero
e poi nel 1398 conchiusero una tregua. Morto Jacopo nel 1399,
P isa fu ceduta al Visconti, ed a lu i and am basciatore Lazzaro
Guinigi, per cattivarselo. Se non che un terribile destino lo aspet
tava al ritorno. Antonio suo fratello e Nicolao Sbarra suo cognato
lo uccidevano a tradim ento, in casa sua, il 15 febbraio del 1400.
Causa del delitto fu nello Sbarra lodio concepito per Lazzaro dopo
la m orte di Bartolomeo Forteguerri, a lu i parente, in Antonio
X NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

Gmnigf da alenili vuoisi cagione politica, da a ltri rancore pri


vatissimo per le none volute da Lazzaro del fratello Paolo con
Caterina A ntelm inelli, unica erede di C astracelo, alla cui mano
Antonio aveva vanamente aspirato.
. Comunque sia, la m orte di Lazzaro G uinigi parve portare un
colpo m ortale alla potenza di quella fiumiglia. E ci sarebbe forsanco
avvenuto senza la accortezza e l'operosit risoluta e instancabile
di un uomo che a noi interessa molto da vicino, Giovanni Sercambi.
Giovanni di Jacopo Sereambi aveva allora varcato di poco la
cinquantina, essendo nato, come egli medesimo ci attesta nella
Cronaca, il 18 febbraio del 1347, nella contrada di san Cristo-
foro, in nella casa di mes. Santo F alabrina da Lucca (1).
Insofferente dell'um ile professione del padre, che era speziale, aveva,
non appena cresciuto negli anni, m ostrato di voler attendere a cose
m aggiori. Poco dopo infatti del francam ente di Lucca del 1369,
dava opera a ricuperare dai Pisani la rocca di Pontetetto e ne
acquistava lode di soldato valente. Nel 1382, per incarico della
signoria, andava ambasciatore al capitano di ventura Alberigo da
Barbiano, che occupata Arezzo, m inacciava di venire ai danni del
Lucchese, e questa pratica conduceva a buon fine (2). Ma il Ser-12

(1) Sa quella casa, che porta ora il n 1413 nella via S. Carlo in Canto
dArco, fa morata una inscrizione composta da Carlo Minutoli, che suona
cos : I n quest * case oi d e F alabrina | signori di Segromigno | n acq u i
Giovanni S ercambi | novclliero e cronista del sbc . XV | fautore di
PRINCIPATO | CONCULCANDO LE LIBERT DEL COMUNE | MCCCXLVII-MCCCCXXIV.
Debbo gentile comunicazione di questa e di qualche altra notizia al cav. Gio
vanni Sforza, che ringrazio qui sentitamente. Per quello che spetta ai fatti
della vita del Sercambi, mi valsi specialmente della biografia di lui, messa
insieme con cura da C. M inutoli e pubblicata prima negli A tti detta R. Ac
cademia dei Filomati, Lucca, Giusti, 1845, pp. 133-196, e poi con parecchie
correzioni in testa alla stampa procurata dal Minutoli stesso di Alcune no
velle di Giovanni Sercambi lucchese, che non si leggono netta edizione
veneziana, Lucca, Fontana, 1855.1 miei rinvi si riferiscono sempre a questa
ultima edizione.
(2) M inutoli, Op. cit., p. x.
PREFAZIONE XI

cambi era troppo avveduto per non intendere che a lu i, non ricco
e isolato, m al sarebbe venuto fatto di colorire i suoi disegni am
biziosi. E per si strinse ad ima fam iglia, che godeva in Lucca
dei prim i onori, che godeva ricchezza di censo e di aderenze, dalla
quale quindi cera molto da sperare, la fam iglia Guinigi.
Nelle fortunose vicende di questa fam iglia, dalla m orte di Fran
cesco in poi, trovossi il Sercambi sempre pronto a sovvenirla col
braccio e col consiglio. N, pare, tardarono i G uinigi, ad accorgersi
del partito che potevano trarre di questuomo ambizioso, destro e
fidato. Inauguratasi, come si disse, nel maggio del 1392 la signoria
effettiva, se non titolare, di Lazzaro Guinigi, fu il Sercambi creato
a far parte della bala e da questa sal replicate volte a ll an-
zianato, e finalm ente nel 1397 tenne il supremo grado di gonfa
loniere di giustizia e nel 1499 fu inviato am basciatore alla signoria
di Firenze (1). Egli era, come si vede, pervenuto alle cariche pi
cospicue e alle missioni pi onorevoli e delicate, quando accadde
quel fiero caso dello assassinio di Lazzaro, cui siamo giunti col
nostro racconto.
F u un colpo di fulm ine per quella fam iglia e dovette esserlo
anche pel Sercambi. Al recente fratricidio si univa lopera logo-
ratrice del tempo e quella della peste, m anifestatasi in Lucca con
grande intensit fin d allautunno del 1399, per istrem are la po
tenza dei G uinigi. Dei m aggiori, Dino era fiaccato dagli anni,
Michele dagli anni e dalla m alattia, che appunto in quel 1400
lo condusse a m orte (2); Paolo era giovine, inesperto, peritoso.12

(1) M inutoli , Op. city p. xiv.


(2) Fu questo Michele, fratello di Francesco, personaggio assai ragguar
devole. Si occup anche di lettere e una sua corrispondenza in sonetti ed in
prosa con Franco Sacchetti pubblic il M inutoli, Op. cit., p. xlvi-liv (cfr.
Zjlmbrini, Op. volg. a st.*, 503-4). Notevoli sono, nella lettera del 3 sett. 1392
di Michele a Franco, queste paiole: Delle avversit sorte qua sono certo
< vi dispiacque, e piacquevi la fine, che fu assai buona, secondo il male.
Ora, per la grazia di Dio, la terra tutta bene addirizzata e posta in vera
libert; e bench altramente sia stato detto di noi, mai non la desideramo
XII NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

Gli avversari dei Guinigi stavano gi per prendere il sopravvento,


e col loro predominio avrebbe il Sercambi veduto svanire tu tti i
suoi sogni di potenza e di ricchezza. Ci voleva ardire pari alla
gravit del momento. E il Sercambi lebbe. Quella medesima epi
demia desolatrice egli la volse a proprio vantaggio. M entre gli
avversari im pauriti dal morbo temporeggiavano fuori di Lucca,
attendendo di impossessarsene quando il m alore fosse cessato, il
Sercambi radunava tu tti i consorti dei G uinigi, incuteva loro spa
vento rappresentando il loro destino se gli inim ici si fossero im
padroniti della cosa pubblica, proponeva mezzi, uom ini, fatti. Nello
stesso tempo incoraggiva e riscaldava il tim ido e freddo Paolo Gui-
nigi, il minor figliuolo di Francesco, nel quale erano riposte le
ultim e speranze dei G uinigiani. Cogliendo il pretesto che la citt
si vuotava per la pestilenza, il gonfaloniere fatto eleggere dai Gui-
nigi, Giovanni Testa, propose che si nominasse una bala di dodici
cittadini, con autorit larghissim a sugli affari dello stato. In questo
ufficio di bala entrarono parecchi divoti a casa G uinigi, fra i
quali il Sercambi. Poco appresso, per una catena di combinazioni,
il Sercambi era fatto gonfaloniere e Paolo Guinigi anziano. P re
parato ben bene il terreno, avvenne nellottobre del 1400 il colpo
di mano, che il Sercambi ed i suoi avevano disegnato. Spuntava
il 14 ottobre e Paolo Guinigi con discreto seguito di arm ati oc
cupava la piazza di S. Michele, m entre il gonfaloniere Sercambi
radunava in tu tta fretta la bala. Alcuni di quelli della bala,
non consapevoli del segreto, chiedevano corrucciosi al Sercambi
le intenzioni di Paolo. Il gonfaloniere rispondeva che voleva as
sicurare s e la citt dai fuorusciti, che serano fatti forti con la
alleanza dei Fiorentini. M andati due della bala a Paolo, questi

in altra forma; e di due cose vogliamo essere li maggiori, alla fatica ed


alla spesa; e la prova se n' veduta e vederti (p. l u i ). Nobili parole in*
vero, che sinceramente potea pronunciare un fratello di Francesco, ma che
i successori non avrebbero potuto ripetere.
PREFAZIONE XIII

rispondeva bruscam ente che tornassero al gonfaloniere e facessero


quanto loro ordinava. A llora il Sercambi alz visiera e disse che
Paolo voleva essere creato capitano e difensore del popolo. La bala
stava irresoluta, quando si sente un moto darm i e Paolo, prece
duto da voci acclam anti, entra nella sala ove il consiglio di bala
era radunato. Cos, per opera precipua di Giovanni Sercambi, non
solo i G uinigi mantennero il loro predominio, ma lo portarono
molto pi in alto di quanto prim a fosse, conseguendo Paolo il
capitanato del popolo, vale a dire la d ittatu ra. N guari tard
che una congiura, di cui era a capo il vescovo Niccol G uinigi,
opportunamente sventata, diede occasione a Paolo di chiedere alla
bala che il titolo di capitano gli si m utasse in quello di signore
assoluto. Niuno os contraddirgli, sicch il 21 novembre 1400 co
minci la sua signoria (1).
11 trentenne dominio di Paolo G uinigi fu. certo molto diverso
da quello che lenergico carattere del Sercambi avrebbe desiderato.
Alieno per indole dalle imprese guerresche e travagliato dal
contnuo tim ore di soccombere pei maneggi dei fuorusciti e degli
em uli, nulla ardiva intraprendere, e guardingo tenevasi e titu -
bante fra le gare dei potentati, a ciascuno dei quali avrebbe
voluto essere in grazia, senza procacciarsi in fatto lam icizia di
alcuno..... La sua politica coi governi degli a ltri stati, figlia
della paura, stava tu tta nei sotterfugi e nelle tergiversazioni, sempre
mendicando egli pretesti, a fine di serbare continuamente la pi
stretta n eutralit (2). C ostrutta nel 1401 una rocca, nella quale
potesse riparare in caso di sinistro, barcamen col Visconti, che12

(1) Una pi larga e precisa esposizione di questi fatti pu trovarsi in Mi-


nutoli , Op. cit., p. xvi-xxin. Ma per la storia civile di Lucca io mi sono valso
particolarmente di M azzarosa, Storia di Lucca, Lucca, 1833, voi. I, pp. 227
segg. e di T ommasi, Sommario della storia di Lucca, in Arch. stor. ital.,
voi X, Firenze, 1847, pp. 263-306. Chi voglia pu vedere anche la disserta
zione VII del C ia n elli , in Memorie e documenti per servire allistoria
della citt e stato di Lucca, voi. II, Lucca, 1814.
(2) T ommasi, Op. cit., pp. 293 e 295.
XIV NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMM

Varava aiutato al dominio, e coi Fiorentini. Promosse il m iglio


ram ento economico, ed in ispecie agrario, del territorio e us con
tu tti clemenza, sperando cosi di cattivarsi g li anim i de* m olti ne
m ici. Quando gli furono ordite contro delle congiure, che riusc
ad eludere, us indulgenza ai rei, che non sebbero altra puni
zione che il confino. La sua clemenza si manifest pure verso Guido
M anfredi suo segretario, il quale nel 1418 lo tradiva, aiutando
la scorreria nel Lucchese del capitano di ventura Braccio da Mon
tone. Paolo si accontent di allontanare Guido relegandolo di fuori,
e Guido lo pag aizzando in appresso contro di lui i Fiorentini.
Nel 1413 aveva saputo procacciarsi dallim peratore Sigismondo il
titolo di vicario im periale; Venezia lo fece nobile e senatore. Ma
la politica incerta e conciliativa di Paolo non sempre poteva so
stenersi in quei tem pi fortunosi. Nel conflitto che insorse nel 1425
tra Filippo M aria Visconti e i Fiorentini coi loro alleati, da una
parte e dallaltra si sollecitava loppoggio di Paolo. Dopo essersi
lungo tempo scherm ito, finalm ente egli invi settecento uomini al
Visconti, sotto la guida del figlio Ladislao. Questatto doveva ca
gionare in seguito la sua rovina, ch conclusa la pace nel 1428
tra il Visconti e la lega, il Guinigi si trov in posizione im ba
razzante. Trascinato alla guerra, resistette dapprim a Paolo con
l aiuto del Petrucci di Siena e del Visconti. Ma il capitano dei
soldati viscontei era Francesco Sforza, di cui il Guinigi non aveva
fiducia, onde nuove incertezze in lu i, che determinarono una con
giura, alla quale Paolo soggiacque nel 1430. Consegnato allo
Sforza e condotto coi figli in Milano, fu rinchiuso nel castello di
Pavia. I figli ne uscirono lib eri; Paolo vi term in i suoi giorni
nel 1432 (1). In questo modo term in la potenza dei Guinigi.1

(1) M azzarosa , Op. cit., I, 256-282. Non mi riusc reperibile il discorso


documentato di S a lt . B o n g i , Di Paolo Guinigi e delle sue ricchezze,
Lucca, 1871. Della famiglia Guinigi ' tratta diffusamente G. V ino . B aroni
nelle sue Famiglie lucchesi, opera che si conserva ms. nella R. Biblioteca
di Lucca.
PREFAZIONE XV

Elevato Paolo al potere, pi dalla audacia dei suoi partiagini (fra


i prim i il Sercambi), che dalla volont propria, riusc di gran
lunga inferiore alle esigenze di quei tem pi pieni di pericoli e di
lotte, in cui la equit e la m itezza del carattere m al valevano a
salvare dalle conseguenze di una politica fondata sulla paura.
A Giovanni Sercambi la m orte risparm i l amarezza di veder soc
combere in carcere luomo che egli aveva fatto assorgere al pi alto
potere dello stato. E gli venne meno alla vita il 27 marzo 1424 (1).
Ma se non alla totale rovina, certo ei dovette assistere alla politica
titubante di Paolo, che non poteva riuscire troppo di suo gusto. Che
Paolo si tenesse caro quel principale autore del suo innalzamento,
non a dubitare. Quando, in fatti, nel 1403, egli si rec a visi
tare il proprio dominio, fa il Sercambi chiam ato a far parte della
reggenza cui era commesso lo stato, e nellanno medesimo and
am basciatore a Gabriello M aria Visconti, divenuto signore di P isa,
e nel seguente prendeva possesso in nome del Guinigi di Carrara,
Lavenza ed a ltri castelli, rivendicati a Lucca. Nel 1405 ricupe
rava, alla testa di arm ati, il castello di Ortonuovo in Lunigiana
e dal 1408 in poi fu annoverato tra i consiglieri di Paolo (2).
Queste onorificenze peraltro non bastavano, sembra, a Giovanni,
che forse desiderava una pi decisa ingerenza negli affari pub
blici. In fine della sua Cronaca egli ha una rubrica tu tta per
sonale, che porta per titolo : B e l danno che Johanni Sercam bi d i
Lucha ha ricevuto p er essere stato amico della casa de G uinigi
e del signor P aulo G uinigi. Quivi ram m enta i servigi da lui resi
a quella fam iglia ed enum era i danni m ateriali che gliene ven

ti) Come si rileva dalla iscrizione sepolcrale, che si leggeva un giorno


nella chiesa di S. Matteo in Lucca, e che il C ia n elli estrasse dall'opera del
Pera sulle iscrizioni lucchesi. Gfr. Memorie e docum. per servire alVist. di
Lucca, II, 145. La rifer quindi il L ucchesini, nelle medesime Memorie e
documenti, IX, 126, e finalmente il M in u t o u , Op. cit., p. xxvi.
(2) M inutoli, Op. cit., p. xxiv.
XVI NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

nero, per rodio che sera tirato addosso da parte de suoi concit
tadini dim oranti in Lncca e fuori. Da questi suoi lagni si discerne
chiaram ente come gli cocessero in ispecie i danni pecunian (1).
Ci non ostante noi abbiamo buono in mano per ritenere che
il Sercambi mettesse insieme non poca roba in quel suo servire
e favorire i Guinigi. Esiste un documento, per vari risp etti note
vole, che io pubblico nella sua integrit in fondo a questa prefa
zione. il testam ento di Giovanni Sercambi, del quale si rogava
il 21 febbraio 1424 il notaio ser Domenico Ciomucchi (2). Da
questo testam ento risultano parecchi fatti della vita privata del
Sercambi e si imparano nel medesimo tempo a conoscere le sue
condizioni finanziarie.
Non avendo avuto figliuoli dalla moglie P in a Campori (3), no
m ina il Sercambi suoi eredi universali i nipoti Giannino e Bar-

(1) Di questa interessante rubrca inedita non posso che riferire il breve
sunto datone dal M inutoli, Op. cit., p. u v : Premesse alcune considera-
zioni sui percoli che s'incorrono da chi, essendo nella citt divisione, si
accosti ad una delle parti, corroborate da esempli di antiche storie e au-
torit di dottori, viene riepilogando i servigli da lui renduti alla casa Gui-
nigi; e quindi passa a raccontare i danni sofferti per detta cagione enu-
inorandone fino a otto; cinque de quali non sono per che la conseguenza
del terzo danno, cio dell'essergli stato impedito d'entrare al possesso del-
l'eredit di maestro Giglio Sercambi suo zio, morto in Parigi il 1404, pel
fatto degli esecutori del testamento. Aveva Giovanni mandato a tale
effetto il suo fratello Bartolommeo con lettera commendatizia del signore
di Lucca: ma tutto fu nulla; che Bartolommeo vi lasci la vita, e in luogo
di conseguire la eredit, che egli fa ascendere a meglio di fiorini sette*
mila, gliene andarono settecento de' proprii . Cfr. p. xxv.
(2) 11 documento si stampa qui per la prima volta; il Minutoli peraltro
ne ricav varie notizie in Op. ctf., pp. xxvi e liv. Io ne feci estrarre copia
ufficiale dallArchivio notarile di Lucca e per la precisione di questa copia'
debbo grazie al conservatore di quell'Archivio not. Federico Merli.
(3) Apparteneva questa donna alla medesima famiglia Campori di Fibbialla,
donde era uscita Lucia, moglie di Jacopo Sercambi, e madre di Giovanni.
Pina dovette essere largamente fornita di beni di fortuna e Giovanni la spos
giovanissimo (ventenne?), come risulta da uno strumento veduto dal Minia
toli, p. IX.
PREFAZIONE XVII

tolomeo, figli del defunto fratello Bartolomeo (1). A lle figlinole


del medesimo, e sue nipoti, B eatrice, M attea e Giovanna, concede
di abitare, in caso di vedovanza, nel suo palazzo in contrada di
S. M atteo, o se vogliono, nella sua casa di Mazzarosa, e g li eredi
sono obbligati a provvederle di vitto e vestito. P er di pi fa un
lascito speciale alla nipote B eatrice, moglie di Tegrino Sabolini,
di due piccole case e di varie terre nel comune di Corsanico, con
obbligo di non poterle alienare senza volont degli eredi. A ma
donna Pina, sua moglie, ordina sieno dati fior. 800, che egli ri
cav dalla vendita di buona parte delle terre da lei portate in
dote; la nomina padrona di una m et dei possessi che sono per
venuti ai Sercambi per mezzo suo; le lascia in usufrutto il pa
lazzo di S. M atteo, con tu tti i m obili onde provveduto, la villa
e i poderi di S. Anna delle piagge e la casa di Mazzarosa con
lannesso giardino. Regola i conti con Gabriele Neri da Siena, che
fu suo socio e gerente nella farm acia patem a. Essendo stato il
testante tutore e curatore del morto Antonio, figlio del fratello
Bartolomeo, ordina si rivedano i conti, e si soddisfacciano i debiti,
nel caso che dal libro risu lti chegli debba qualcosa agli eredi di
lui. Non avendo peranco dato corso ad un lascito di fiorini 30, fatto
da M argherita moglie di Giglio a favore dei monaci di S. Agostino,
vuole che tale impegno sia sciolto dagli eredi. A costoro d fa
colt di rivendere le terre che egli aveva comperate da Tomma-
succio Giovannetti di Mazzarosa e da Guiduccio P ieri, pur di Maz
zarosa, e a questi ultim i lascia un prem io, quando la vendita
avvenga alle condizioni medesime, sotto le quali ebbe luogo la
compera. Assegna 100 fiorini da distribuirsi a zitelle povere di
Lucca e vuole si dia del panno per fiorini 30 ai poveri di Maz
zarosa e per fiorini 20 a quelli di Fibbialla. Dispone messe di

(1) Certamente quel medesimo che indarno aveva cercato di raccogliere


in Francia la eredit dello zio Giglio e che vi lasci la vita, come attesta
U brano della Cronaca compendiato nella nota 1, p. xvi.
xvm NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

suffragio e stabilisce le chiese in cui devono esser dette, tra le


quali la chiesa di S. Pietro di F ibbialla e quella di S. Andrea
di Mazzarosa. Inoltre, tra vari lasciti di cere, ve n uno all'o
pera della chiesa di F ibbialla e un altro all'opera di S. Jacopo di
Mazzarosa. Vuole che due anni dopo la sua morte siano m andati,
in suffragio dell anim a sua due pellegrini, uno a S. Jacopo di.
Compostella e l altro a Boma. Desidera di essere sepolto in Lucca,
nella chiesa di S. M atteo, e quando ci venga permesso, si diano
a quella chiesa fiorini 20, altrim enti no. Nel caso di divieto, vuole
essere tum ulato nella chiesa dei disciplinati di S. M aria della
Boea, ai. quali disciplinati ordina siano date delle cere e un pic
colo legato di 4 fiorini annui.
Da tu tte queste disposizioni si discem e come il piccolo speziale
figlio di Jacopo, che abitava in una casa non sua nella contrada
di S. Cristoforo, abbia accum ulato in seguito una discreta fortuna.
Lasciata la gestione della farm acia a Gabriele N eri, cui uni
in m atrim onio la nipote Giovanna (1); sposata P ina Campori con
dote per quei tem pi cospicua ed ereditata poco appresso, dopo la
m orte di Ciomeo di Betto Campori, una porzione di quella so
stanza, egli deve avere procacciato bene per s e per i suoi, in
mezzo alle turbolenze politiche di cui fu tan ta parte, giacch nel
l anno della sua m orte lo troviamo padrone di un palazzo nella
contrada di S. M atteo (2), ove abitava con la moglie, di altre due
case m inori in Lucca, di casa, giardino e campi a Mazzarosa (3),123

(1) Vedi Minatoli, Op. cit., p. lx.


(2) Intorno alla provenienza di questa casa non sono ben chiaro. La prima
volta che se ne parla nel testamento, detto che essa provenne ex here-
< ditate olim magistri Gilii Ser Cambii . Ci posto, Giovanni non avrebbe
potuto prenderne possesso prima del 1404, anno in cui Giglio mor. Ma
come va che il M inutoli (p. xlvi) trov inscritto Giovanni nell'estimo del
1399 come possessore di quella casa? Si tratterebbe forse di due case diverse
nella medesima contrada?
(3) I Sercambi provenivano da Mazzarosa, e Massagrogia, come si legge
nei documenti (cfr. M inutoli, p. rra). Ivi probabilmente avevano la loro an-
PREFAZIONE XIX

di terre a C oranico, di una v illa e poderi a S. nna delle piagge


nel contado lucchese. Sembra che anche senza la eredit dello
zio di P arigi, per la quale men tanto scalpore, egli dovesse poter
vivere agiatam ente.
Questi pochi dati biografici potranno essere rettificati e com
pletati da chi abbia modo di frugare negli archivi d i Lucca. N
dubito che ci sia per avvenire presto e bene, per cura delluomo
egregio cui fu commessa la stam pa della Cronaca sercambiana.

IL

Se la attiv it politica di Giovanni Sercambi rim ase oscura per


molto tempo, massime fuori della patria sua, ancor pi oscure e
dim enticate furono le opere di lu i. L esserne a stam pa o indicata
alcuna nel secolo passato, non valse al Sercambi lonore di venir
considerato nelle m aggiori storie letterarie. 11 Tiraboschi appena
lo cita, e quando nel principio del secolo nostro Bartolomeo Gamba
ebbe tra mano il codice delle sue novelle, ne identific non senza
fatica lautore col poco noto storico lucchese, di cui aveva pubbli
cato qualcosa il M uratori. Crebbe bens pi tard i la sua impor
tanza agli occhi degli eruditi, quando Cesare Luccbesini nella
Storia letteraria del ducato Lucchese (1) e tren tanni pi tardi,
molto meglio, Carlo M uratoli, parlarono di lu i di proposito e quando
si cominci a por m ente alla principale delle sue opere letterarie,
le novelle, conosciuta solo in piccola parte. Lultim o, diligente

tica casa e qualche tenuta, e quindi Giovanni fece col degli acquisti di
campi. Dai lasciti del testamento si pu rilevare laffetto ch'egli serbava a
quella terra, donde erano usciti i suoi maggiori. E cos pure volle favorito
il paese d'origine della moglie sua, Fibbialla. Per quanto misogino e diffi
dente delle mogli appaia nelle novelle, sembra che a Pina lo legasse viva
affezione.
(1) Mem. e docum. c it, voi. IX, Lucca, 1825, pp. 126-128.
XX NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

quanto dotto, storico delle lettere nostre (1), non manc di asse
gnare il suo posticino anche al Sercam bi; ma a valutarlo nella
sua interezza gli mancavano g li elem enti. Volle in fatti il caso che,
per ostacoli di diversa natura, degli scritti del Sercambi vedessero
sinora la luce soltanto pochi, e quei pochi o incom pleti o scorretti.
Lo scritto che forse meglio di ogni altro serve a caratterizzare
lindole politica del Sercambi e quella sua acutezza di reggitore
pratico, che gli fece avere tanta parte nei destini civili della sua
terra, il M onito ai Guinigi (2). Questa breve prosa, diretta a
Dino, M ichele, Lazzaro e Lazzario Guinigi, certam ente poco dopo
il 1392, in cui la potenza della fam iglia usc rafferm ata pella
vittoria ottenuta sui suoi nemici, ha in s condensato un vero pro
gram m a di governo, sul quale non sar m ale che noi ci soffer
miamo alcun poco. La riassunsero il Lucchesini (3) e il M uni
toli (4 ); ma troppo breve e incom piutam ente.
Detto nel piccolo proemio che dagli avvenimenti passati dee
luomo trarre ammaestramento per evitare i pericoli presenti e
prevenire i futuri, lautore indica il numero de soldati da pi e
da cavallo, che devono tenersi a guardia della citt e del terri
torio, e m inutam ente precisa come queste guardie si abbiano a
disporre. Le castella pi esposte si affidino a castellani fidati;
l ufficio dello anzianatico si procuri sempre ad am ici, e cos puro
si cerchi degli a ltri uffici, intendendo vostri am ici quelli che1234

(1) Gaspary , Qeschichte der italianischen Literatur , voi. II, Berlin, 1888,
pp. 72-73 e 645.
(2) Lautografo di questo Monito si trova, come mi informa lo Sforza,
nella filza 38 della serie intitolata Governo di Paolo Guinigi nel R. Ar
chivio di Stato in Lucca. Di su un cod. proprio lo stampava il M ansi, in
Stephani B alutii Tutelensis Miscellanea novo ordine digesto, voi. IV, Lucca,
1764, pp. 81-83. Qui il testo, del quale pur troppo sono forzato a valermi,
dato cosi male, con errori tanto evidenti e madornali nella lettura del
codice e nella divisione delle parole, che a desiderare una sollecita e di
ligente riproduzione deUautografo.
(3) Mem. e d o c u m IX, 127.
(4) Op. cit., pp. xxxi-xzxn.
PREFAZIONE XXI

alla morte et alla vita con la volont vostra sono u n iti . Co


loro che possono dare sospetto, non si perm etta che tengano arm i
ed arm ati. I confinati, che si sanno nemici, conferminsi nel con
fino, mandandoli in luoghi lantani, e se non ubbidiscono si seque
strino i loro beni e si dichiarino ribelli del Comune. Ogni ribelle
possa essere ucciso, preso et derubato in avere et in persona,
< et chi ta l ribello rappresenter al Commune abbia profitto, e
chi lo dar morto, ovvero chi quello uccida, abbia compenso .
Q uelli che senza colpa si fossero p artiti dalla citt, vi si richia
mino e si faccia che si diano alle loro arti, per accrescere la pro
sperit interna. Ma se qualcuno d sospetto, lo si voglia innanti
povero di fuori che ricco, acciocch con la sua ricchezza non
< possa lo stato et libert di Lucca turbare . Siccome il Con
siglio generale capace di m olti uomini ed ha grande autorit,
creinsi dei com m issari, che possano essere da 12 a 18; i quali
siano gente amica e fida ed abbiano pari autorit che il Consiglio
generale, acci che quello che per Consiglio generale vincere
non si potesse, ovvero che a voi paresse non doversi a quel
Consiglio m ettere, si possa per questo ottenere, sicch sempre
la vostra volont si fccia e non pi . G li uffici meno rile
vanti e segreti si aprano paranco agli a ltri cittadini di Lucca,
acci non paia si vogliano escludere; ma si tengano pei fidi quelli
uffici, che hanno vera e diretta importanza nelle cose dello stato.
Si scelgano uomini appositi (una specie dei nostri giudici conci
liatori) e costoro determ inino quelli p iati, i quali non ben chiari
per Tuna parte et per F altra parte m ostrare si puonno . Si
tenga gran conto degli am ici, perocch Dio ci di esemplo che
a quelli che fanno del suo volere, fece grande u tile . Si Accia
di nuovo il libro delle bandiere , cio si notino rigorosamente
tu tti i soldati che si hanno, per poterne, a lloccorrenza, profittare.
P er sopperire alla spesa di questi soldati, che sar grande, si fac
ciano economie nel resto; m a tu tto si pratichi, pur di non dim i
nuire le proprie frze. Sicch, concludendo, a me pare che le
XXII NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

prediti parti, prim a che 1 soldati si facciano am ici, confidanti


e savi; et alli offici sabbia rocchio, et sim ile a m ercadanti,
che in Lacca sono ovvero che p artiti si fusseno, che vegnino a
fare buona terra, e tu tte le d itte p arti si m ettano ad effetto
senzalcuno indugio o dilazione; perocch facendolo, lo vostro
stato et libert di Lucca non viver in sospetto n gelosia, e
la cipt e la vostra persona e d e' vostri am ici saranno sicuri e
leverassi la m ateria a nostri sudditi di non attentare alcuna
cosa contraria. E seppure alcuno fosse tanto m atto, che atten-
tare volesse, non gli de n pu venir fatto, osservando le parti
di sopra ditte ; et di tale attentazione non se nabbi
cordia, bench io penso che Dio ci prester grazia ch
sogner . Term inato cos il programma di governo, segue un
piccolo programma finanziario. Considerato il poco fare della
seta, la quale arte era quella che riem piva Lucca di denari,
almeno quello che per noi far si pu, per altri non si faccia .
E per rendasi difficile con una forte gabella la importazione
de vini forestieri, si im pedisca che nel contado di Lucca entrino
mercanzie di fuori e si faccia invece che quelle lucchesi vi si diffon
dano esenti da imposizioni ; si vendano e utilizzino i locali vuoti e
i terreni incolti; si dia nuovo ordinamento alle imposte, in modo
daccrescerne i proventi. Insomma, in poche parole, un abbozzo
di riforme economiche, fondato sulla teoria del protezionismo in
dustriale ed agricolo.
Unico che abbia ravvisato la im portanza storica vera di questo
scritterello del Sercambi fu il B ruckhardt, che dopo averne dato
un compendio, not in esso una delle molte prove di fatto, che in
Italia la riflessione politica si svolge assai prim a che in tu tti
i paesi del settentrione (1) . M irabile in fatti questuomo,(i)

(i) Civilt del rinascimento, trad. ital., I, 118-19. Erra peraltro il Bur
ckhardt quando ripone l'operetta sercambiana nei primi decenni del se
colo XV. L'esser nominati nella dedica Lazzaro e Michele e il non trovarvisi
Paolo, indicano manifestamente che il Monito anteriore al 1400.
PREFAZIONE XXIII

che alla fine del secolo XIV, quando la scienza politica non si
era ancor term inata di fare su base teologico-scolastica, pun
tando alle due supreme autorit, la papale o la im periale, e non
era petanco sorta la politica classicizzante, m a non perci meno
vuota, degli eruditi (1), m irabile dico, questo figlio di speziale
lucchese, che con tan ta chiarezza e precisione di idee, con tan ta
sem plicit ed efficacia di mezzi, senza perdersi in astruserie n in
paragoni, addita la via pratica da seguirsi con la coscienza dellar
tefice, che costruisce un meccanismo. D i fronte ad una sim ile rive
lazione dello spirito pratico italiano, sarebbe puerile il lam ento che
il disegno politico del Sercambi m irasse a innalzare e tutelare la
tirannide, anzich a m antenere le istituzioni libere della patria.
H concetto dello stato come opera d arte, che ebbe agiorni nostri
un cos segnalato illustratore, si forma e si sviluppa parallelo al
concetto monarchico; n poteva essere diversamente. A noi basti qui
lavere osservato come, se questo concetto aveva trovato gi pi di
imo nella pratica, che m aterialm ente lo aveva adottato, nessuno
forse prim a del Sercambi ne espose g li ingegni con maggiore sem
plicit, schiettezza ed accortezza. Per che in quelle sue poche pa
gine, che dicono tanto, non solo egli accenna allordinamento poli
tico e m ilitare, non solo indica i mezzi meglio a tti per allontanare i
pericoli interni, non solo consiglia g li spedienti per rim ettere in vi
gore le arti m anuali, fieramente colpite dalle passate yicessitudini
politiche; ma traccia una via per far rifiorire le finanze depauperate.
Leconomia politica, che solo nel aec. X III aveva cominciato a tro
vare interpreti teorici tra i teologi, i filosofi ed i giureconsulti, i
quali tu tti si rifacevano per lo pi ai principi aristotelici (2), esce12

(1) Vedi gli indirizzi di queste scuole politiche riassunti con la solita acu
tezza e perspicuit dal V illari , N . Machiavelli e i suoi tempi, II, 230 segg.
(2) Cfr. Ch. J ourdain, Mmoire sur les commencements de Vconom.
polii, dans les icoles du moyen-Age, in Mmoires de Vacad. des inscript. et
beUes lettres, voi. XXVIII, 1874, pp. 1-51. L'opera del Cibrabio, Della
XXIV NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

interam ente nel M onito del Sercambi dalla dipendenza dei motivi
astratti tradizionali e inaugura, nella m aniera pi esplicita, quello
che parecchi secoli dopo fu chiam ato sistem a protettore (1). Ci
m eritava di essere rilevato, perch torna a vanto non piccolo dellin
gegno e del senno pratico del Sercambi. I cui am m aestram enti
economici furono forse in parte meglio seguiti che g li am m aestra
m enti politici dal debole Paolo Guinigi (2), tanto diverso da quel
signore ideale che il Sercambi vagheggiava.
Singolare il vedere che i medesimi intendim enti didattici di
governo, che inspirarono il M onito, fanno capolino eziandio in una
opera ben maggiore del Sercambi, la sua Cronaca. Di essa Cro
naca io non potei leggere se non quellunica parte che finora
a stam pa, il principio cio del secondo libro, dal 1400 al 1409,
pubblicato dal M uratori (3). Questo frammento trov il M uratori
in un cod. della Ambrosiana e gli parve di aver rinvenuto tu tto
intero il secondo libro. Ammaestrato dalle parole del Sercambi
medesimo chegli aveva scritto un primo libro, del quale questo

economia politica del medio evo, Torino, 1842, nella quale, del resto, di troppe
cose si parla che con la economia, politica e non politica, non hanno che
vedere, non si occupa affatto delle teorie.
(1) Lo riconobbe con un cenno L. C ossa nella Guida allo studio della
economia politica, Milano, 1870, p. 128. Circa alle prime manifestazioni di
scienza economica in Italia, nei tempi del Sere, e nei successivi, vedi una
disamina alquanto superficiale di E m. Gebhart , Les historiens fiorentine de
la renaissance et les commencement de 1iconomie politique et sociale, in
Sances et travaux de Vacad. des Sciences morales et politiques, voi. XXXIV,
1875, 2* sem., pp. 552 sgg.
(2) Sulle migliorie specialmente agrarie, introdotte da Paolo, vedi M az -
zarosa , St. di Lucca, I, 258-60. Egli cerc anche di porre un riparo al de
cadimento dellarte dei drappi serici; ma non vi riusc (vedi T ommasi, Som
mario, p. 297). 11 Sercambi, come s' visto, la considerava ornai spacciata.
(3) In R. I. 8., XVIII, 797 sgg. Parecchi hanno creduto che quivi ai tro
vasse tutto quanto il Sere, scrisse della storia di Lucca. Fa meraviglia di veder
ripetuto tale errore anche in un libro recente e pregevole, qual quello di
U. B alzani, Le cronache italiane del medio evo, Milano, 1884, p. 280.
PREFAZIONE XXV

secondo era la continuazione (1), fece pratiche presso il governo


di Lucca per ottenere comunicazione di quel ms., ma tale favore
g li fu costantemente negato per gelosia politica (2). Quindi sino
ad oggi tu tto il primo libro rim ase inedito e cos pure una gran
parte del secondo. Oggi, su proposta della sezione di Lucca della
R . Deputazione di storia patria per la Toscana, l Um bria e le
M arche, lIstitu to storico italiano ha deliberato di pubblicare in
tera la Cronaca del Sercam bi, affidandone la cura al eh. cav.
Salvatore Bongi (3).

(1) Il primo libro, come appare anche dall'effptictf riferito dal M inutoli
(Op. cit., p. xxvm), era destinato a far corpo da s. Negli inizi del libro
secondo il Sercambi stesso ci dice che sera proposto di non voler pi oltre
narrare delle cose della sua terra, ma che poi mut consiglio.
(2) Di ci muove lagno il Muratori in una lettera da lui diretta il 26 set*
tembre 1727 a Oiov. Domenico Mansi. Ivi scritto: Del resto, mi auguro
ben la fortuna di far conoscere il mio singolare ossequio a cotesti illu-
c strissimi signori e alla loro nobile citt, ricordevole sempre delle grazie e
finezze che ne ho ricevuto. E volesse Iddio che i medesimi si accordas-
s sero a contribuire altre memorie e storie, ond'io potessi far onore alla lor
s patria. Le repubbliche di Venezia e Genova, siccome vedr V. R. (per
tacere di tante altre citt), mi hanno data maniera di servire alla lor
gloria con pubblicare le loro antiche croniche. Solamente Lucca non vuol
somministrare neppure un foglio. Ho fatto chiedere una parte della Gr*
c nica di Ser Gambi, avendo io l'altra. Non l'ho potuta ottenere. Si far ben
credere alla gente, che cotesta s antica e riguardevole citt sia la pi
c povera di tutte, e mancher a lei quel lustro che tante altre minori avranno
nella mia raccolta, perch vi si leggeranno le loro storie vecchie. N io
altre storie desidero che le composte prima del 1500, perch le posteriori
non fanno per me. S'io fossi cost, direi tanto, che forse mi riuscirebbe
di levar tutta l'ombra e gli ostacoli che impediscono la gloria propria e
l'accrescimento della pubblica erudizione. Almeno V. R., che anche pi
di me ama la sua citt, desidera il suo onore e conosce ch'io parlo pi
per suo che per mio bene, dica e ridica qul che pu in tal congiuntura .
Vedi Lettere inedite di L . A. M uratori scritte a Toscani, Firenze, 1854.
p. 405.
(3) Cfr. Ballettino dell*Istituto storico italiano, tene. 1, p. 21; fase. 2*,
p. 71; fase. 3, pp. 35*37. Gi quarant'anni sono il march. Antonio Mazza-
rosa (1780-1882) ebbe l'idea di pubblicare la Cronaca del Sercambi, ma poi
non ne fece nulla. Lo rilevo da una lettera inedita di P. Giordani a lui, in
data 23 maggio 1843, che verr presto in luce.
XXVI NOVELLE DI GIOVANNI SERCAUBI

Il prim o libro va dal principio del 1164 allaprile del 1400 ed


diviso in tre p arti. La prim a narra a gran tra tti g li avveni
m enti occorsi dal 1164 al 1314; la seconda, saltando (o meglio
toccando di sfuggita) un ventennio, muove dal 1335 e giunge al
1369; la terza va da quest ultim o anno allaprile del 1400 (1).
Trovasi questo primo libro in un bellissimo codice membranaceo
del R. Archivio di Stato in L ucca, ornato di numerose e no
tevolissime m iniature, che illustrano assai bene i costumi del
tempo (2). Comincia il secondo libro col maggio del 1400 e resta
interrotto nel 1423, m entre narra della m ora che infestava Lucca
a quel tempo. Scritto dalla medesima mano che il primo, tro
vasi questo libro nellArchivio domestico dei signori G uinigi (3).
Nonostante la naturale parzialit che il Sercambi dim ostra in
questa sua Cronaca per la fam iglia Guinigi (4), essa pur sempre
uno dei pi antichi e copiosi documenti storici di Lucca. N solo
questo. Il Sercambi, oltrech uomo politico e storico, era anche
novelliere e pizzicava di poeta (o almeno ci teneva). Quindi spesse
volte i fatti vanno prendendo nel suo racconto atteggiam enti ro
manzeschi, e in mezzo ad essi troviamo inseriti dei versi di ar
gomento religioso, m orale o politico, to lti dalla Commedia o dal1234

(1) Minatoli, Op. ctf., pp. xxvn-xxvm.


(2) Vedi quanto sull'importanza di tali m iniature dice il Bonoi nel ciL
Bullettino, fase. 2, p. 71. Esse verranno riprodotte, o tutte o in gran parte,
nella edizione.
(3) Oltre il frammento che ve n' in Ambrosiana e che serv al M uratori,
havvi del secondo libro una copia intera, ma scorretta, di Bernardino Ba
roni nella R. Biblioteca di Lucca.
(4) Nella parte che ho potuto consultare, il cronista registra con speciale
affetto, in mezzo agli avvenimenti pubblici, anche i casi privati di Paolo
Guinigi, come i suoi matrimoni, le nascite dei figli, ecc. Vedi R. I. S., XVIII,
833, 847, 876, 881. La insistenza peraltro con cui replicate volte accusa il
Sercambi di partigianeria il T ommasi (Sommario, pp. 284,288,294,307, ecc.),
che pur se ne giova parecchio, non mi sembra punto giustificata. La posizione
politica del Sere, era troppo decisa perch ei potesse scrivere altrim enti da
quello che fece.
PREFAZIONE XXVII

D ittam ondo, e quel che pi im portante raccattati dalla viva


voce del popolo e dei suoi cantastorie. Di questi componimenti
altri ha gi dato un saggio, pochi anni or sono (1); il vederli
tu tti, inquadrati nella loro cornice, certo il primo desiderio di
quanti vogliono apprezzare la cronaca in s medesima e non so
lam ente per i casi in essa registrati.
Ma tornando a quanto ho detto di sopra, notevole , ripeto,
rosservare come anche nella Cronaca il Sercambi si atteggi a
m aestro di governo. Dai la tti chegli viene narrando prende occa
sione a delle ammonizioni, che occupano talora interi capitoli, e
a rincalzo delle quali narra fatterelli antichi, di Lucca e non di
Lucca, che sono vere e proprie novelle. Ci avviene particolar
m ente nel libro secondo, e pi che altrove nel frammento m ura-
tonano. Subito nel principio di questo, narrato come Paolo G ui-
nigi divenisse capitano, g li & un sormontino per am m aestrarlo
che bisogna far tesoro degli am ici provati e non credere subito
am ici quelli che ta li si professano; e per confermare collesempio
quanto ha detto, narra le novelle di Fatino e Ambrogio suo padre
e di Giabino e Cionello (2). A proposito della signoria conseguita
in Bologna da Nanni Bentivoglio, narra il fatto dei Creioni e dei
M angiadori di S. M iniato (3). poco dopo, quando nel 1401 lo 123

(1) Cfr. M kdin , Poesie politiche nella oronaca del Sercambi, in Giom.
star. d. lett. ital., IV, 398 sgg. Le poesie sono in gran parte di Davino Ca
stellani, oscuro poeta lucchese. V un serventese di Antonio Pucci, che il
Sere, guasta raffazzonandolo e una poesia anonima in morte di Francesco
Guinigi, tanto cattiva, che il M. non credette neppure pregio dellopera il
riferirla intera. V' pure toscanizzato un Lamento in morte di Bernab Vi
scontii che il Ceruti pubblic nella sua forma originale lombarda. Di sul testo
aercambiano stampato nella raccolta Mkdin-Fbati di Lamenti storici dei
sec. X IV , X V e X V I, voi. I, Bologna, 1887, pp. 185 sgg. 11 Medin non con
sider che le sole poesie politiche del solo libro primo. Nel libro secondo
sono pure inseriti dei versi; ma in minore copia che nel primo.
(2) R . I. 8., X V III,' 809-10 e 811-13. Sono la I e II del M inutoli corri
spondenti alle VI e XV del Gamba.
(3) R. I. &, XVIII, 817-18. Nov. 1 del Neri, che corrisponde a n 98 della
presente ediz.
XXVIII NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

stesso Nanni, trascurati gli am ici, strngeva p atti segreti con


Astorre Manfredi, gli si indirizza direttam ente e lo proverbia, quasi
chei non avesse posto m ente allo esempio portogli. Mosso da
buona cagione a narrare a te, Nanni Bentvoglia, perch non
hai voluto prendere esemplo a quello, che fattoti tu signore di
< Bologna con tuoi am ici, che tu solo non eri da tanto, che tal
signora dovessi aver presa; m a avendo a te m olti am ici, quella
prendesti; e tu , come poco am atore delli am iri, volesti far quello,
che tu tti, come tu , ne rimaseno ingannati. E pertanto ti ricordo
che non avendo tu voluto intendere a quello, che gi ti fa no-
tato, quando il dominio di Bologna prendesti, ora in questa
parte ti ricordo quello, che intervenne a uno signore ingrato,
come m i pare che sia divenuto ora a te . E racconta la no
vella di Ettore Pallavicini e Papino da P al (1). Siccome poi gli
avviene di narrare la triste fine di Nanni, aggiunge sermoneggiando
sullo stesso tono: E ben gli fu dim ostrato, che g li am ici serano
da lu i p a rtiti; e quelli, che lu i credeva che fossero fatti suoi
am ici, quelli furono i prim i a dargli della lancia. Or questo
diviene di tu tti coloro, che lasciano g li am ici provati e credono
potersi difendere con quelli, che sono stati nim ici: certo tal
credenza viene a tu tti fallita. E ben s dim ostrato il tuo poco
senno a non avere compreso g li esempli gi d itti e a te notati,
quando di Bologna ti facesti signore: che se g li avessi notati,
non saresti caduto di ta l signora (2) . A lla duchessa di Mi
lano, rim asta arbitra del dominio dopo la m orte del m arito, rac
comanda il Sercambi che attenga la promessa agli am ici del suo
consorte, ed espone, per confortarvela, la novella di Gottifredi e
di Zuccarna (3). A varie novelle d luogo la entrata in Pisa, nel123

(1) R. 1. & , XVIII, 821-22. Nov. Ili del M inutali, che corrisponde a n 100
della presente ediz.
(2) R. 1. S., XVIII, 834.
(3) R. I. S., XVIII, 83840. Nov. IV del M inutali, che corrisponde a n* 35
della presente ediz.
PREFAZIONE XXIX

1403, di Gabriello M aria Visconti, insieme con la madre, e i fatti


pisani che successero durante quella breve e fiacca signoria (1).
D etto come Gabriello M aria e Agnese Mantegazzi (N ieaa de M an
fegati, la chiam a il Sercambi) si acconciassero in P isa dandosi
buon tempo e cercando rappattum arsi con la fazione contraria,
narra il cronista tre esempi intorno alla pigrizia, per dim ostrare
< quanto la pigrizia sta male a ogni persona, e massimamente
a chi ha a reggere citt, per li pericoli, che tuttod si vedono (2) .
Poscia, quando la signoria di Gabriello fu m inacciata dai Fio
rentini, riferisce il Sercambi uno esempio per m ostrare quanto
la persona si de guardare di non fidarsi in nel suo nimico (3) .
Allorch, poco appresso, Gabriello ed Agnese furono costretti ad
abbandonare Pisa, sermoneggia il cronista: Quanto pi sam-
m aestra chi regge al suo bene, e massimamente essendo in for-
tona, tanto pi da lodare. E pertanto si dir a voi, madonna
Nieza e messer Gabriello, che non vi dovete per aversit, che
venir vi potesse, disperare dellaiuto di Dio, m a ferm i stare,
sperando sempre in lui, pi tosto che accostarvi col suo con

ri) Nel 1403 Pisa fu lasciata in eredit a Gabriello Maria Visconti, figli
uolo naturale di Gian Galeazzo. Egli con la madre recossi 1*8 nov. a pren
derne possesso. Inetto e povero principotto, mal seppe regolarsi tra le diffi
denze dei cittadini e 1ingordigia dei limitrofi. Minacciato dai Fiorentini, mal
difeso dai Genovesi e dal re di Francia, cui s'era alleato, fu ben presto
costretto a vendere la citt, la quale insorse contro i Fiorentini, e si riven
dic a indipendenza. Ma per poco, cb i Fiorentini la strinsero d'assedio e
lebbero per fame (1406). Che il Gambacorti contribuisse a tale dedizione,
lo affermano il Sercambi e altri cronisti antichi; storici pi recenti lo ne
gano. Vedi T ronci, Annali Pisani^ voi. II, Pisa, 1871, pp. 216-230 e R on-
aoNi, Istorie Pisane, voi. II, Firenze, 1844, pp. 970 sgg. La storia della
conquista dei Fiorentini fu narrata in terza rim a da un contemporaneo, Gio
vanni di ser Piero. I suoi Capitoli sono pubblicati dal Bonini in appendice
al R omcioio, Ist. jr ., Ili, 247 sgg.
(2) R. I. S., XVIII, 84245. Novelle V, VI, VII del M inutali, che sono
tutte tre comprese nella 82* della presente ediz.
(3) R. I. 8., XVIII, 852-53. Nov. II del Neri, che corrisponde a n 83 della
presente ediz.
XXX NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

trarr. S pac ad esemplo Ti conter quello che intervenne a


chi si partio da Dio e seguio il suo contrario . Ed eceo la
novella di Astolfo da D ierta e del suo patto col diavolo (1). R i
tornati i Pisani in libert, li ammonisce il cronista quanto il
tradim ento, che si fa, stia male a ogni persona , e racconta
dei due m onetari pisani (2). N arrato come i Fiorentini si faces
sero nel 1406 signori di P isa, il Sercambi viene predicando: Am-
m aestrare si doverebbe ogni Signoria, che facesse contro la vo-
lont di Dio, perch ogni buono e fedele cristiano si dee sempre
< a Dio raccomandare, e seguir quello che Iddio comanda, e non
avere tan ta presunzione che si dia a credere la Signoria averla
< da s, non ricognoscendola da Dio, dal quale tu tte le signorie
< procedono. E non volendo ta l dono ricognoscere da Dio, se male
< ne gli avviene, lha bene m eritato. E pertanto dico ora a voi,
Fiorentini, che di P isa vi siete fa tti signori e maggiori, bene
dovete esser certi, se le promissioni, che faceste di Pisa, sono
per voi osservate; e pertanto dir ad esemplo quello che intra-
venne a chi si pregi di contrastare a Dio . Dopo di che dice
la novella di Anibrotto, una delle tante m edievali, che narrano
la leggenda del re superbo (3).
Ho voluto a bella posta indugiarm i sulle occasioni che colse il
Sercambi per inserire alcune sue novelle nella Cronaca e sulle
cornici di ammonimenti e di sentenze, che egli ha condotte intorno
alle pi fra esse, acci si potesse discernere la funzione, che tali
novelle sono chiam ate ad esercitare in mezzo al racconto. Solo chi
abbia modo di consultare tu tta intera la Cronaca potr verificare
-se realm ente sia quanto io congetturo; m a se non fallace la

(1) R. I. 5 ., XVIII, 854-56. Nov. V ili del M inutoli, che corrisponde a n '12387
della presente ediz.
(2) R. I. XVIII, 858-59. Nov. IX del Minutoli, senza riscontro nel no
velliere Trivulziano.
(3) R. I. S.y XVIII, 871-74. Nov. X del M inutoli, che corrisponde a n* 38
della presente ediz.
PREFAZIONE XXXI

impressione che io ricavai da quel poco che a me fu dato di leg


gerne, m i pare che questopera, e massimamente poi il secondo libro,
debba avere un intendim ento didattico, anzi didattico personale,
perch tu tti quelli ammonimenti e quelli esempi non m irano gi
alle persone cui apparentem ente si riferiscono, m a riguardano in
modo diretto i Quinigi ed in ispecie poi Paolo. Se alle novelle
inserite nella Cronaca si aggiungano quelle politiche, che nella
C ronaca non sono, ma si leggono nel novelliere, si avr un gruppo
politico di esempi, che tende tu tto ad un medesimo scopo: dimo
strare la necessit della energia nel governo e della compattezza
d ella consorteria, nella quale non si debbono introdurre che uom ini
fid ati; dim ostrare che degli am ici deve tenersi il massimo conto
beneficarli in tu tti i modi; dim ostrare che chi stato inimico
una volta (per ingiurie fatte o ricevute) non pu essere amico in
seguito, se anche ne la sem bianza; dim ostrare che pericoloso
assai il trascurare, per amor di giustizia, gli am ici, e m ostrarsi
troppo teneri verso g li avversi. Sono pur sempre i precetti del
M onito, che qui trovano la loro esemplificazione. A ltri forse (e io
non dico che abbia torto) vedr in questo continuo battere sui
medesimi chiodi un riflesso della condizione personale del Ser
eam bi, al quale, pi che a ogni altro, doveva stare a cuore che
i G uinigi dessero retta ai loro am ici e largam ente li compensas
sero. Ci sar benissim o; ma m ia opinione che si faccia torto
a l Sercambi immiserendolo al punto di credere, che tu tti i suoi
consigli politici non avessero altro scopo che il suo egoismo di
uomo di parte, desiderante im pinguarsi ad altru i spalle. Sia nel
M onito, sia negli esempi delle novelle, sia negli ammonimenti
della Cronaca, c del vero e del sentito; del vero per rispetto a
quelle condizioni di vita politica, del sentito per rispetto a quelli
uom ini, a cui il parteggiare stava nel sangue, e che vivevano di
querele, di ripicchi, di artifizi ingannevoli. Non aveva forse ve
duto il Sercambi Lazzaro Guinigi ucciso a tradim ento dal fra
tello e dal cognato, chegli trattav a da am ici, per l offesa di un
XXXII NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

m atrim onio negato e di Bartolomeo Forteguerri morto? Non aveva


potato in Nicolao Sbarra, pi che la am icizia e la parentela per
sonale, pi che la riconoscenza per benefici ricevati, il desiderio
di vendicare lingiuria passata? E che valsero a Paolo G uinigi
la mitezza conciliativa del carattere e la clemenza verso i nem ici,
se non a m oltiplicare nellinterno le congiare, e faori a creargli
nel traditore Guido M anfredi, cui aveva fatto grazia, l alleato dei
Fiorentini inim ici? In posizioni difficili necessaria oculatezza
contnua, buone arm i, compagni fidati, energia sempre ed in tu tto ,
occhio insomma di lince e cuore di ferro. Questo voleva il Ser-
cambi, non soltanto per profitto suo proprio, ma, secondo il suo
parere, anche della citt. Ed vana retorica il m eravigliarsene
ed il gridare al fautore della tirannide. Se mi lecito paragonar
cose piccole alle molto m aggiori, non vha forse nell ideale
politico del Sercambi, rinchiuso nel gretto am bito comunale,
qualche accenno a quellaltro ideale, grande e grandem ente con
cepito e descritto, nel libro del P rincipe? Un paragone certam ente
non si pu insttuire, sarebbe ridicolo; ma chi ben guardi vedr,
o minganno, nel signorotto comunale del modesto cronista luc
chese, vissuto a cavallo tra il XIV e il XV secolo, pi di una
linea di quel tipo perfetto del signore della rinascenza, nel quale
e col quale avrebbe il M achiavelli voluto fitr trionfare cos alti
concetti politici nazionali.
Lintuito politico del Sercambi, di cui seppe dar prova anche
coi fatti, riesce tanto pi a m eravigliarci perch abbiamo ragione
di credere il nostro autore quasi interam ente destituito di coltura.
Allorch al buon M uratori capit in mano quel mozzicone della
Cronaca, che diede alle stampe, gli salt subito agli occhi la sua
sintassi scorretta e la lingua rude e m aldestra. Scripsit autem ,
dice egli, hanc historiam homo cetera rudis stilo tam hum ili
et confuso, u t nullam umquam operam dedisse gram m aticae vi-
deatur, quum syntaris interdum in ejus dictone et sensibus
desideretur. Usus etiam fu it Lucensis urbis dialecto, cuius singu-
PREFAZIONE XXXI11

lares loquendi form ulas ego plerasque retiim i (1) . Questo giu
dizio, ripetuto dal Lucchesini e attenuato, per rispetto alle novelle,
dal Gamba, trov nel M inutoli chi g li oppose, che buona parte
delle scorrezioni osservate dal M uratori si debbono al ms. Am
brosiano, di cui egli si valse, m entre non si trovano nel cod. Qui-
nigi (2). E questo sar ben vero, come certo io credo che neUau-
tagrafo non avr il M onito quella forma barbina, e talvolta quasi
incom prensibile, che ha nella stam pa del Mansi. Non per nulla
10 dissi fin dal principio di questo capitolo che il Sercambi fu poco
e male conosciuto, perch solo piccola parte de suoi scritti venne
pubblicata e quella parte scorretta. Tale osservazione pu estendersi,
come vedremo, anche alle novelle sinora edite. Ma per quanta colpa
si voglia gittare sugli amanuensi, ne resta p u r sem pre abbastanza
a ll autore, perch si finisca credendo col M uratori nullam um -
quam operam dedisse gram m aticae . Le scorrezioni degli scritti
sercam biani sono di tal natura, che rivelano a prim a giunta la sua
ignoranza, giacch ritornando esse in forma uguale, e nel M onito
e nella Cronaca e nelle novelle, bisognerebbe, per scagionarne lo
scrittore, am m ettere che i m enanti diversi si fossero dati laccordo
di sgram m aticare tu tti nella medesima m aniera. Se poi usciamo
dalla gramm atica, basta leggere le novelle e vedere come vi diventi
anarchica la geografia, comunale la storia romana, fanciullesca la
storia biblica, per formarsi unidea della coltura dello scrittore. La
confessione ri tem pi di Salomone, nella nov. 40 del mio testo, pu
stare a confronto con la donna di Catilina, che va a messa a Fiesole
11 d di Pentecoste nella M aU spiniana (3). 1 versi poi inseriti nella
Cronaca e negli interm ezzi delle novelle sono la pi m isera e ingar
bugliata cosa del mondo. Al Sercambi mancava, sembra, quasi affatto
il senso della m isura nel verso; lo si pu scorgere dalla m aniera 123

(1) R. I. 5 ., XVIII, 795.


(2) Op. cit., pp. xxx-xxxi.
(3) Gap. XVII.

Jtaciu, NonUe di 0. Streambi.


XXXIV NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

come ci ha tram andato le poesie, che ha estratte dal primo libro


della Cronaca il Medili. I tito li poi delle novelle, che vorrebbero
essere scritti in latino e sono invece una accozzaglia di parole ita
liane latinizzate, con pi di un errore nelle dipendenze dei casi e
nelle declinazioni (1), mostrano come al Sercambi mancasse anche
la cognizione esatta di quella lingua, che a tem pi suoi si reputava
indispensabile ad ogni elem entare coltura. N di questa sua igno
ranza si deve troppo stupirsi, quando si pensi alle cattive condizioni
in cui versava la istruzione pubblica in Lucca nel tempo in cui il
Sercambi era giovinetto (2).
Dopo queste considerazioni parr senza dubbio strano che il Ser
cambi abbia avuto la tem erit di commentare la D ivina C onm edia.
11 codice Laurenziano Mediceo Palatino LXXTV contiene il P aradiso
con la seguente intitolazione: T ertia p a rs Comoediae D antis, sci-
licei P aradisus, cum com entario Joatm is Cam bii. P raecedii index
rubricantm , sive argum entorum utriusque cantus, tum sum m arium
eorum quae in hoc tertia p a rte continentur. U codice in parte
membranaceo, in parte cartaceo, m iniato, di fogli 382, ed ha in
fine la seguente caratteristica dichiarazione del chiosatore: L a
soprascripta expositione, chiose o vero postille, oe scripto io12

(1) Si ammetta pure che qualcuno di questi errori debba andare a carico
del copista; ma a lui non possono certamente attribuirsi i vocaboli toscani
fatti latini, che occorrono cos di frequente. Tranne in pochissimi casi, io ho
mantenuto i titoli quali li ho trovati, non approvando punto le rettificazioni
ohe pietosamente ha introdotte il Gamba in alcuni titoli delle novelle da lui
pubblicate. Queste rettificazioni giungono talora soltanto ad alterare il signi
ficato vero del titolo. P er es. nelle nov. I e VII della ediz. Gamba troviamo
De inganno plausibili e De moto plausibili, mentre nel testo (n. 122 e 125
del cod.) leggasi, nell'un luogo e nellaltro, placibili, che una latinizzazione
di piacevole. Di plausibile v assai poco, in entrambi i casi, n questo vo
leva dire lautore.
(2) Lo osserv giustamente il Minutoli, Op. cit., pp. vm-ix, col quale mi
accordo nel ritenere che gli studi cui il Sere, dette opera non dovettero
estendersi gran fatto al di l de* rudim enti intorno allarte dello speziale,
che riceveva dal padre .
PREFAZIONE XXXV

Ioaimi Ser C am bi, secondo che a me minimo intendente pare


< che fosse lo intellecto dellautore ; e per ogni esempio, argo-
mento, oppinione, conclusione, allegora, sententia o vero alcnno
< dicto che in essa ho scripto, inteso o vero assegnato, se lo si
conforma e assomiglia al senso e al tenore della s. Madre Ec-
d esia catholica romana, approvo, affermo, et oe per bene dicto:
< se deviasse, discrepasse, o vero contradicesse al prelodato senso,
sia per vano et non bene dicto; et per lo casso et tegno per da
nessuno valore, siccome |christiano puro, fedele e verace (1). Il
M inutoli, che esamin questo commento, cos ne discorre: Le chiose
al testo non sono in sostanza che tentativi di spiegare chiaram ente
in prosa i concetti del poeta per poetiche m aniere m anifestati; m a
noi pensiamo che pi spesso gli venga fatto il contrario, cio di
avviluppare maggiormente, invece di dichiarare, i sensi pi oscuri
e difficili. Grandissim a la erudizione di cui & pompa, ogni
qualvolta gliene capita il destro, mescolando gi alla rinfusa il
sacro col profano, ed anco la favola con l istoria; e infinita la
m oltitudine delle citazioni e degli esempli tra tti dagli antichi
< filosofi, in ispecie da A ristotile e dai ss. P adri, coi quali vuol
rinfiancare le opinioni di Dante e le proprie. Bare per lo contrario,
e di non molto momento, sono le osservazioni filologiche . E poco
appresso lerudito lucchese conclude che questo lavoro del Ser-
cam bi ih fede di sua dottrina, che fu m olta per quellet, ed anzi
m aravigliosa, se si consideri che poco o niun sussidio pot avere
di m aestri e dinsegnam enti (2) .
Ora, io purtroppo non ho avuto agio di recarm i a Firenze per
istudiare m inutam ente, come si dovrebbe, questo commentario; m a
movendo dalla idea che mi sono formata della coltura del Sercambi
dalle altre opere sue, m i riesce inconcepibile questo sdoppiamento1

(1) Descrizione in Bandini, Suppl 111, 225-26 e in Minutoli, Op. cit.,


pp. xxxn-xxxir. Il F erbazzi, Manuale Dantesco, V, 291-92, copi alla let
tera, senza dirlo, il M inatoli.
<2) Minutoli, Op. cif., pp. xxxrr-xxxr.
XXXYI NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

curioso, per cui il medesimo autore sarebbe in taluni scritti igno


rante di gram m atica e di latino, m entre nel commento apparirebbe
dottissim o, sia pure alla m aniera medievale, di storia e di teologia.
Un fatterello, che m i avvenuto a questo proposito, serv a confer
m arm i nei m iei sospetti. Il ms. fiorentino ha in testa, subito dopo
Tindice, alcune terzine ed un discorso filosofico. Io m i sono procu
rato copia delle une e dellaltro (1). Le terzine vogliono essere rife
rite per saggio, ta li e quali come sono nel codice:

Incominciasi socio brevit quello che si contiene


in questa tersa parte di paradiso.
In questa parte con altra doctrina
In nove parti figurata prende
Simile al ben che da nove declina
La prima con quella virt risplende
Che con fredezza danimo excellenza
Che charita di spirito sintende
Ella segonda celestial semenza
Al governo del mondo cura e guarda
Secondol senso della sua sentenza
La tersa parte che foco damor arda
Nella quarta risplende tanta luce
Che sapientia a suo rispecto e tarda
La quinta con feroce ardir aduce
Tanta virt e forsa corporale
Che solo il m ilitar prende per duce
Dogni grandezza e animo reale
La sesta par che suo parere inpetri
La mente in lei che sua virtute chale
E lla sectima par che si contenti
A chastitaten sacerdote! manto
E ci dimostran ben su argomenti
Dogni virt e dogni habito santo
Loctava dogni ben paresser madre
Per la virt chella in se cotanto
Ella nona conchiude come padre
Mobole piu ciascun mocto celeste.

Questi b ru tti versi non sono del Sercambi, che ne faceva anche di
peggiori, m a di Jacopo A lighieri, nel ternario riassuntivo della 1

(1) Il cav. N. Anziani, bibliotecario della Laurenziana, ha voluto, con la


sua abituale gentilezza, favorirmi in questa ricerca. Gliene porgo qui le pi
sentite grazie.
PREFAZIONE XXXVII

Commedia (1). E fin. qui meno male ; m a v*ha di peggio, se si consi


dera bene il discorso filosofico. Lautore di esso vuol dim ostrare che
la beatitudine non pn provenire da nessun bene terreno; m a sola-
m ente dalla contemplazione di Dio, e che quindi unica via per giun
gervi la teologia.Passa in seguito a tratteggiare brevemente la co
stituzione del P aradiso dantesco. L a trattazione condotta con suf
ficiente garbo, n manca di citazioni erudite, attin te alle solite fonti
fam igliali nel medioevo. Ma il gran m ale si ohe questo discorso
non punto del Sercambi. Lo si trova parola per parola nel Laneo (2).
T u tti sanno quale immensa diffusione abbia avuto il commento
d i Iacopo della Lana, del quale il Batines annovera pi di cin
quanta m anoscritti. Composto nella prim a m et del XIV secolo,
esso , in ordine di tempo, il primo commentario compiuto della
Commedia (3). Tradotto in latino da Alberico da Bosciate, sac
cheggiato a man salva dall' O ttim o,, stam pato poi due volte gi
nel quattrocento, esso godette (a dritto o no) di una grande re
putazione, in ispecie nel secolo in cui venne compilato. Non po
trebbe darsi che tu tto il commento al P aradiso di Giovanni Ser
cambi non fosse altro che un plagio, come il prologo, o, se non
ad d irittu ra un plagio, un compendio od un rimaneggiamento di
quello del Lana ? In questo caso si spiegherebbe benissimo tu tta
quella dottrina uscita dun tratto dal cervello e dalla penna del
buon farm acista lucchese. E che il commento del Lana g li an
dasse particolarm ente a genio, lo si intenderebbe anche conside
rando l indole di quel commentario, in cui i fotti storici ri fon-123

(1) Cfr. la stampa che ne ha dato recentemente il R oedigxr in Propugna


tore, N. S., 1 ,368-60, w . 109-134. La Divisione di Jacopo, scritta nel 1322, si
trova in un numero sterm inato di codici. Il nuovo editore tenne a raffronto
molti mas. fiorentini e miglior notevolmente il testo, che nelle altre stampe
scorretto. 11 Sere, mise di suo parecchi errori nelle terzine che trascrisse.
(2) Vedi Comedia di D. A . col commento di Iacopo Giovanni della Lana,
pubbl. da L. Sgababklli, Bologna, 1866, pp. 311-12.
(3) Cfr. quello che ne dice G. Htoel, Ueber den historischen Werth der
dlteren Dante- Commentare, Leipzig, 1878, pp. 10 sgg.
XXXVIII NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

dono curiosamente nella fantasia del chiosatore e vengono esposti


molte volte col colorito della novella (1). Ci doveva rispondere
allindole del novelliere di Lucca. Ma io non voglio q u i, trasci*
nato dalla congettura, anticipare i risu ltati cui pu solo giungere
legittim am ente un esame particolare del m anoscritto, che a m e
per ora non concesso (2).
Qualunque sia peraltro il valore del commento della Lauren-
ziana, sta il fatto che il Sercambi ebbe per Dante una speciale
predilezione. Valgono ad attestarla g li spessi richiam i de suoi versi
nella Cronaca (3); valgono anche in parte i due aneddoti dante*123

(1) Scrve il W ittk, e ne reca molte prove: Bei Jacopo della Lana nimmt
Geschichtliches und Mythisches, Antikes und Neuestes den gleichen, allea
< Coetfim verachmhenden Legenden, oder richtiger Novellali, Charakter an>.
Die bidden ltesten Commentatoren v. D's Qttl. Komdie, in Dante-For-
schungen, I, 372.
(2) Dopo che queste pagine erano scrtte, essendosi recato a Firenze il mio
carissimo Novati, io lo pregai di dare un'occhiata al cod. Laurenziano. La
risposta che ne ebbi conferma interam ente la mia congettura. L'amico mi scrive:
Ho confrontato rapidamente, ma con sufficiente diligenza, il commento at-
tribuito al Sercambi col Laneo, e mi son persuaso che l'uno non che
< una copia ad litteram dell'altro. Il Sercambi non vi ha messo di suo nep-
pure una riga; gran che se qualche volta aggiunge una parola o duo
al testo che copia con tanto scrupolo . Ma v'ha di pi. 11 Novati ritiene
che il cod. Laurenziano sia autografo del Sercambi. Egli si fonda sull' et
del ms., sulla sua correzione e conseguenza di grafia, sui molti lucchesismi,
sulla somiglianza dei caratteri con quelli del primo libro della Cronaca nel
cod. dell'Archivio di Lucca, sullo stemma che nella facciata quarta, con
cui comincia il prologo. Quello stemma un leone d'oro rampante in campo
azzurro; precisamente lo stemma del Sercambi, come si pu vedere nel Mi-
nutoli, p. lx. Anche le miniature del ms., che il Novati mi ha accurata
mente descrtte, meritano molta considerazione. A ll' infuori di quella della
facciata quarta, che opera di un miniatore di professione, le altre, schiz
zate a penna con fattura disinvolta, e poi ripassate a mala pena con qualche
tocco di pennello, senza fondi solidi n a oro n a color, hanno l'aria di
provenire dalla mano di un artista esercitato, di un pittore. Utile potr certo
riuscire lo studio di questi disegni e il confronto con quelli che adornano iL
cod. Lucchese del primo libro della Cronaca.
(3) Un lungo passo del secondo libro di essa, ove il Sercambi, prendendo
argomento dalla peste del 1422, moralizza sullavarizia citando i passi dan
teschi, in cui parola di questo vizio e dandone un commento storico, ri-
PREFAZIONE XXXIX

schi che narra nelle novelle (1) e pi vale il trovare due copie
della Commedia tra i lib ri che gli appartennero. P er sicurezza
della dote m aterna venne praticato nel 1426 verso Giannino del
fu Bartolomeo Sercambi (uno degli eredi universali, come s ve
duto, del cronista) un sequestro dei m obili appartenuti allo zio
Giovanni. N ellatto pubblico, ohe se ne conserva (2), v anche un
catalogo de lib ri, tra quali sono notati i seguenti:

Uno libro di novelle fece Johanni.


Il protocollo delle croniche di Giovanni Sercambi.
XVI quaderni di croniche di Giovanni Sercambi in carte grandi di
capretto.
Una comedia di Dante diapoeto colle coverte bianche cio il purgatorio.
Una comedia di Dante del paradiso.
Un testo di Dante in carta montonina.*4

fer il Minutoli, Op. cit., pp. lv-lix. Trattandosi di passi del Purgatorio e
dell'Inferno, credette il M. trovarvi una prova per ritenere che il Sere, non
chiosasse soltanto il Paradiso ; ma eziandio le litre due cantiche. Il M. in
fatti osserva : A noi non par da credere che egli imprendesse la fatica di
dichiarare que luoghi della D. C. solo per dimostrare i m ali effetti della
avarizia; e crediamo piuttosto che avendo commentato Tintiero poema, ne
4 venisse levando i brani che gli facevano a taglio, accomodandoli e inne-
4 standoli nella Cronaca, come il simile teniamo eh' e' facesse delle novelle .
Benissimo; ma il male si che le esplicazioni del Sercambi corrispondono
interam ente (tranne variet insignificanti di forma) a quelle che diede il
Lana ai passi relativi di Dante. Altrove il M. (p. xxxv), sempre inteso a
provare che il Sercambi abbia commentato pure le due prime cantiche, ad
duce alcune sue parole nel proemio al canto X del Paradiso. Ma quelle pa
role sono copiate dal Lana, ediz. c it, p. 373.:
SlRGAMBI L ana
Or siccome noi sverno dicto nel Or si come appare noi avemo ditto
quarto capitolo del Purgatorio, quelle nel quarto capitolo del Purgatorio,
due extensioni che fa lo dicto zodiaco quelle due estensioni ch ela lo ditto
verso li poli sono chiamate tropici. zodiaco verso li poli sono appellate
tropici.
Se pertanto esistettero le due prime cantiche con un commento che il Ser
cambi si attribuiva, non ritengo che quel commento potesse essere di varia
natura da quello che ai ascrive a lui nel ms. Laurenziano.
(1) Novelle IX e X del Gamba.
(2) Negli A tti civili del Potest di Lucca , registro 1038, c. 52-53. Di
questo documento sono pure debitore al cav. Sforza.
XL NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

HL

Ed ora veniamo alle novelle.


Nel 1816 il bibliografo veneziano Bartolomeo Gamba pubblicava
in Venezia, in edizione di sole 113 copie, venti novelle di Gio
vanni Sercam bi, dedicandole al possessore del codice, donde le
aveva tratte, il marchese Gio. Giacomo Trivulzio (1). Come dice
egli medesimo nella prefazione, il Gamba era stato per pi mesi
il depositario del m anoscritto, ed essendone la lettu ra assai diffi
cile, ne avea fatto fare una copia. Da questa copia, di cui avr
occasione di parlare in seguito, egli deve aver ricavato qualche
estratto. Uno di tali estra tti, contenente undici novelle, trov U
DAncona nella biblioteca del barone Cristoforo Scotti d^Bergam o,
e lo pubblic nel 1886 (2). Non m olti anni prim a era stato con
cesso ad Isaia Ghiron di trarre due novelle del Sercambi diretta-
mente dal cod. Trivulziano, ed egli le aveva pubblicate per nozze (3).
Le novelle adunque, che sinora erano a stam pa, ricavate d iretta-
mente o indirettam ente dal m anoscritto Trivulziano, ammontavano
a trentatr.
Ma unaltra fonte di novelle era ben presto stata ravvisata nella
Cronaca, ove sono poste per esemplificazione, come abbiamo veduto.

(1) Novelle di Giovanni Sercambi Lucchese, ora per la prim a volta pub*
blicate, Venezia, Alvisopoli, 1816. Le novelle pubblicate dal Gamba corri
spondono nel cod. Triv. ai n12312, 15, 21, 37, 52, 57, 08, 70, 71,73, 77, 86,
92, 111, 113, 122, 133, 142, 143, 145. Cfr. la Tavola che in fondo al pre
sente volume.
(2) Novlle inedite di Giovanni Sercambi, Firenze, Libreria Dante, 1886.
Le novelle edite la prima volta dal D'Ancona corrispondono nel cod. Triv.
ai ni 16, 24, 26, 27, 33, 34, 41, 53, 58, 120, 127. Vedi la Tavola cit.
(3) Dite novlle d i Giovanni Sercambi, Milano, Bernardoni, 1879, per nozze
Gori-Riva. Sono le nov. 45 e 55 del Triv.
PREFAZIONE XLI

Dodici di queste novelle pubblic nel 1855 il M ntoli in 108


esem plari; delle quali dieci erano gi stam pate nel frammento
M uratoriano (1). A ltre due ne ricavava dal medesimo frammento
A chille N eri (2) ed una, dalla parte inedita della C ronaca, Mi*
chele Pierantoni, a 30 soli esem plari (3). Le novelle quindi ta tto
dalla Cronaca sommano a quindici.
Essendo ben presto divenute assai rare le pubblicazioni del
Gamba, del M uratoli e del Pierantoni, ristam p queste novelle,
illustrandole acconciamente, il DAncona nella disp. 119 della Scelta
d i curiositit letterarie (4); e quindici anni dopo il medesimo DAn
cona aggiungeva alla prim a stam pa delle undici novelle anzidetto,
di provenienza bergamasca, la ripubblicazione di quelle gi edite
dal Ghiron e dal N eri, e di una variante del cod. Baroni gi edita
dal Papanti, su cui avr a ritornare (5). Le due novelle di sog
getto dantesco, pubblicate tra le venti del Gamba, furono inserite
da Giovanni Papanti nellopera D ante, secondo la tradizione e i
novellatori (6).
Il Gam ba, nella lettera proemiale al suo volum etto, osserva:

(1) Alcune novelle di Giovanni Sereambi lucchese, che non si leggono


nelledizione veneziana, colla vita dell'autore scritta da Carlo M inatoli,
Lacca, Fontana, 1855. Queste novelle corrispondono, con molte varianti, alle
seguenti del cod. Triv.: 54, 60, 73, 115 (comprende tre delle novelle del M.),
123, 133, 135, 138. Due poi, le 156 e 157 della mia Tavola, non hanno cor
rispondenza nel Triv.
(2) Nel Propugnatore, 1871, voi. IV, P . Il, pp. 223 sgg. Se ne stampa
rono 32 esemplari a parte. Le novelle si trovano, con molte varianti, nel
cod. Triv. ai n123117 e 136.
(3) Novella inedita di Giovanni Sercambi, tratta da un ms. della pub
blica libreria di Lucca, Lucca, Canovetti, 1865. Risponde al n 48 del cod.
Trivulziano.
(4) Novelle di Giovanni Sercambi, Bologna, Romagnoli, 1871.
(5) Nel citato volumetto della Libreria Dante.
(6) Livorno, Vigo, 1873, pp. 65 sgg. P er la bibliografia delle novelle del
S era, vedi P assano, I novellieri italiani in prosa, Torino, 1878,11,702-705;
P aranti, Catalogo dei novellieri italiani in prosa, Livorno, 1871, voi. II,
pp. 80-82; Zambrini, Op. volg. e st.45 6, coll. 933-35 e Append., 144.
XLII NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

Voi non leggerete nella presente edizione alcuna delle novello


che si trova im brattata di oscenit e di laidezze, abbench posta
per lo pi in bocca di gente che porta cherca o cocolla, e ab*
bench lautore protestisi in pi di un luogo un cristianello
buono e m origerato. Non vi dissim ulo che ta li novelle appunto,
s per la condotta che per la sposizione, starebbero in cim a a
tu tte ; m a io so quale il debito che m i corre e so a chi in*
dirizzo questo lib ro , n intorno a ci servir parlar di van-
taggio > (1). L esempio dato dal Gamba e lautorit s u a , il
giusto tim ore che le novelle lubriche del Sercambi potessero d ar
luogo a pubblicazioni popolari m alsane, destinate a servire di
pascolo agli istin ti pi ignobili, condizioni particolari di fam iglia,
che qui non il caso di esporre, fecero in modo che il prezioso
cimelio della biblioteca T rivulzio, che unico ci conserva i rac
conti del novelliere toscano, non venisse m ai concesso agli studiosi,
che ripetutam ente e con le m aggiori insistenze ne fecero richiesta.
Ma questa riluttanza non era illiberalit, e chiunque, come me,
ha avuto lonore di profittare a varie riprese di quella splendida
raccolta di rarit dogni genere che la Trivulziana, pu e devo
affermarlo e ripeterlo. La Eccellenza del principe Giangiacomo T ri
vulzio ha voluto oggi dim ostrarlo novamente, m ettendo il codice
del Sercambi a m ia disposizione, acci ne traessi quel profitto che
meglio m i fosse sembrato. Perm etta lillustre gentiluomo, in cui
pari la gentilezza alla nobilt del sangue ed allamore pei buoni
studi, ch io gliene porga qui i m iei ringraziam enti pi v iv i, ai
quali si uniranno, ne sono certo, quanti si occupano della storia
nostra letteraria.
Il cod. n 193 della biblioteca Trivulzio (Scaff. 81, palch. 5)
un grosso cartaceo di cc. 277 e di dim . 290 X 200, scritto nel se
colo XV col brutto corsivo del tempo (2). La scrittura veramente12

(1) Op. cif., pp. xn-xin.


(2) Il P orro , Catalogo dei codici mss, della Trivulziana , Torino, 1884,
PREFAZIONE XLII1

orribile, tanto che conviene assuefarvisi per capirla, ora pi ser


rata, ora meno. In fine del codice rinchiostro ha talora corroso la
carta. La rilegatura attuale, in pergamena non cartonata, poste
riore al tempo cui il m anoscritto rim onta. F a probabilm ente nel
rilegarlo che si aggiunsero in principio ed in fine del cod. alcuni
fogli bianchi. Ma gi prim a esso doveva aver sofferto qualche
sminuim ento. In fatti della tav o la, con cui il cod. ha principio,
sono ora m antenute solo due faccio e anchesse in cattiva condi
zione. N ella tavola sono contrassegnate alcune novelle con un punto,
e in fine si legge la seguente avvertenza: T u tte quelle che sono
m iniate d i nero non sono da leggere m presenzia d i donne da
im e . N ota lettore (1). Dopo la tavola viene subito il proemio senza
alcuna didascalia e dopo il proemio una canzone, di cui ci sono
soltanto conservati g li ultim i 21 versi. In fondo al cod. m anca
una carta, la 276 (2), per cui ci quasi totalm ente so ttratta la
novella 154. Il cod. finisce fram m entariam ente, della nov. 155 v*
solo il principio; m a non abbiamo ragione di ritenere che alcuna
novella, oltre a questa, sia andata perduta, giacch con essa te r
m ina anche la tavola, che senza dubbio scritta dalla medesima
mano che stese il codice. O ltre le novelle 154 e 155, che sono
fram m entarie per mancamento di carte, fram m entaria anche la
19 (c. 36 e.), della quale m anca il principio, che fu lasciato in 12

p. 406, lo fa del sec. XIV; ma un errore. Gi il G amba (Op. cit., p. x)


aveva scritto: La forma de' suoi caratteri e quella delle sue abbreviature,
la qualit della carta, e i modi tenuti dallo scrittore nella ortografia, non
lasciano dubbio che non sia stato eseguito in Toscana, durante il sec. XV .
(1) Questa onesta nota ha fatto cadere il Gamba in un curioso equi
voco. P er dimostrare che il ms. non autografo, egli dice (Op. cit., pp. x-xi):
Una prova incontestabile che sia copia questo vostro codice bassi in una
nota posta in calce dell'indice, nella quale si accenna a miniature ag-
giunte a fregi del libro, che nel vostro esemplare non sono . Dal con
testo della nota risulta invece chiarissimo che il copista chiamava m iniate
le novelle, i cui titoli aveva contrassegnati.
(2) 0 forse due, 276 e 277, giacch nella tavola l'ultim a novella asse
gnata a c. 278. N ell'ultim a carta attualm ente sparita la numerazione.
XLIV NOVELLE DI GIOVANNI 8BRCAMBI

bianco non si sa perch, probabilm ente perch il trascrittore non


cap in quel luogo il carattere del testo che esemplava. Questa deve
anche essere la ragione per coi in alcune novelle trovansi delle
lacune, che in genere non impediscono la intelligenza del testo.
anche da ci dovettero dipendere g li spessi abbagli, che il tra
scrittore prese, abbagli che risultano in alcuni posti evidenti.
Talvolta ho fondato motivo di ritenere che il copista saltasse
eziandio qualche riga delloriginale; e questa deve essere la causa
della assoluta mancanza di senso in alcuni punti. In fatti il ms.
serba le traccie della maggiore sbadataggine. Vi pochissim a
conseguenza nella grafia; i nomi propri sono una vera croce, giacch
compaiono in cento forme diverse. Ecco pertanto lordine che hanno
le novelle nel codice e le carte in cui si trovano.

P r o e m i o ...............................................................................c. ir .
1. De sapienza ................................................................................ 4 r.
2. De s n p lid ta te ....................................................................... 7 r.
3. De malvagitate etm a litia ...................................................... 8 r.
4. De magna p ru d e n tia ............................................................... 9 r.
5. De summa j u s t i t i a ............................................................. 13 r.
0. De justitia et c r u d e l t ....................................................> 13 v.
7. De transformatione naturae ................................... > 1 4 o.
8. De simplici j u v a n e ............................................................. 18 r .
9. De altro et simplici m e r c a d a n te .................................... 19 .
10. De tritio lussurie in p r e l a t i ............................................ >* 21 r.
11. De vituperio p ie ta tis ............................................................. 23 c.
12. De muliere v o lu b ili ............................................................. * 2 4 1>.
13. De muliere a d u lte ra .............................................................. 25 .
14. De bono f a t t o ....................................................................... 27 v.
15 De ventura in m a tto ............................................................. 31 r.
16/ De tristitia et v ilta te ............................................................. * 3 3 .
17. De periculo in am ore ............................................................. * 34 r.
18. De novo modo f u r a n d i ..................................................... 35 v.
19. Di questa novella manca nel cod. il titolo e il principio, cio
due terzi di pagina, che sono lasciati in bianco * 36 r.
20. De furto castra n a t u r a .................................................... * 37 v.
21. De fa lsa rio ............................................................................... 38 e.
22. De inganno e p a l e t t a t e ..................................................... 41 r.
23. De summa a v a r itia .............................................................. 42 v.
24. De simplicitate et stu ltitia ..................................................... 44 r .
25. De plaettrili sententia . ................................... 45 e.
PREFAZIONE XLV

26. De sententia v e r a ............................................................. c. 46 r .


27. De pucra r e s p o n s io n e .....................................................* 46 v.
28. De astuzia in ju v a n o ............................................................. * 4 7 r.
29. De in g a n n o ............................................................................... 50 .
30. De lib id in e ............................................................................... 52 r.
81. De avaritia e l u s s u r i a ....................................................* 53 v.
32. De prudentia et c o s titu te .................................................... 55 r.
33. De vana lussuria - ................................... 56 v.
34. De novo inganno ...................................................................... 59 v.
35. De m alitia et p r u d e n tia ..................................................... 61 r.
36. De turpi tradimento . * 62 .
87. De m alitia in ju v a n o ............................................................ * 63 v.
38. De superbia et pauco bene ..................................................... 65 r.
39. De vera am idtia et c h a r ita te ............................................ 67 r.
40. De fide b o n a ...................................................................... 70.
41. De p u rita d e ............................................................................... 71 .
42. De castitade............................................................................... 72 r.
43. De re p u b l i c a ...................................................................... * 7 3 r.
44. De re p u b l i c a ...................................................................... 73 .
45. De le a lta te ............................................................................... 74 r.
46. De falso p e r g i u r i o ............................................ > 74 .
47. De amore et c r u d e lta te .................................................... 75 .
48. De recto amore et giusta v e n d e tta ..................................... 76 r.
49. De prudentia in c o n siK is .................................................... * 7 7 r.
50. De fahitate m u lie r is ............................................................. 79 r.
51. De ipocriti et fra u d a to res .................................................... * 82 r.
52. De p ig r itia .............................................................................. * 83 .
53. De placibiU lo q u e la ............................................................. 84 r.
54. De fahitate et tradim ento ................................... 85 r.
55. De sapienza et vero j u d i d o ..........................................* 87 r.
56. De natura /im m u tili ........................................................... 88 r.
57. De patera et magna sapientia . 89 .
58. De bona responsione ............................................................* 91 .
59. De disonesto adulterio et bono consiUo . 92 .
60. De superbia contro rem sacrata > 94 .
61. De competenti consilio de a d u lte r a ................................... 97 r.
62. De justa s e n t e n t i a ............................................................. * 98 .
63. De meretricio et justo j u d i t i o ............................................ 100 r.
64. De disonestitate v i r i ............................................................. * 101 r.
65. De nova malitia in t i r a n n o ............................................ 103 r.
66. De ebrietate et golositate in p rela to ................................... 104 r.
67. De smemoragine p r e l a t i .................................................... * 104 .
68. De dottrina data a p u e r o .................................................... 105 r.
69. De vidua lib id in o s a ............................................................. 106 .
70. De bonis m o r i b u s .............................................................* 107 .
71. De justa responsione .............................................................* 108 .
XLV1 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

72. De presuntitene stulti. c. HO r .


73. De amicitia provata . . . . * 111 r .
74. De competenti misura 112 v.
75. De vituperio mulieris p 113 .
76. De vituperio fatto per stipendiari . 115 v.
77. De simpUcitate viri et tuooris . > 116 v.
78. De muliere adultera et tristitia viri 118 r.
79. De bona providentia cantra Vomicida * 119 r .
80. De disonesta juvana et equali correttone 120 r.
81. De devodone in santo Juliano . 122 r.
82. De crudelt massima 124 r.
83. De bona providentia . . . . 124 v.
84. De bona fortuna in aversitate . 126 v.
85.. De magnanimitate mulieris et bona ventura juvani p 127 t>.
86. De periculo in itinere 130 r.
87. De rasonabiU dominio et bona justitia p 131 v.
88. De latrones et bona justitia p 132.

89. De malitia hospitatoris 133 v.


90. De falsatores et bona justitia . * 135 r.
91. De massimo furto . . . . * 136 r.
92. De restauro fatto per fortuna . 137.
93. De malcapitate ipocriti * 139 r .
94. De m alitia in inganno * 141 r.
95. De cieco a m o re ................................... * 142 r.
96. De cattivitate stipendiari . 144 r.
97. De v ilta te ............................................ 145 v.
98. De falsitate m ulieris . . . . p 147 r.

99. De malitia kominis . . . . 149 v.


100. De subita malitia in muliere . 151 v.
101. De mala correttone . . . . p 153 r.

102. De avaritia magna . . . . * 155 r.


103. De inganno in amore * 157 r .
104. De in v id ia ............................................ > 158 r.
105. De lungo inganno . . . . > 159 v.
106. De malitia mulieris adultera . p 162 r.
107. De p resu n tu o si ................................... 164 v.
106. De somma golositate . . . . p 166 r.

109. De magna golositate . . . . * 167 r.


HO. De prelato adultero . . . . 168 v.
111. De justo ju d itio ................................... p 170 v.

112. De avaro ............................................ p 173 v.


113. De pompa bestiale p 175 r.
114. De meda custodia > 176 v.
115. De p ig ritia ............................................ * 177 v.
116. De pessima malitia in prelato . p 180 r.
117. De nemico inconciliato ne confidetur * 181 r.
PREFAZIONE XLV1I

118. De ingenio muUeris adultera . c. 182 r .


119. De disonesto famulo . . . . 188 r.
120. De pulcra responsione * 190 r.
121. De apetito canino et non temperato 191 r.
122. De inganno p la eib ili. . . . * 193 r.
123. De disperato dominio 195 v.
124. De mala fiducia dinim ici 197 t>.
125. De tradimento fiuto per monacum . 199 r .
126. De malitia muUeris adultera et simile malitia viri 201 v.
127. Senza t i t o l o ................................... * 203 o.
128. De pauco sentimento in juvano 205 r.
129. De magna gelosia . . . . * 207.
130. De juvano fa ttili in amore 209 r.
131. De prava am idtia . . . . * 211 r.
132. De malvagio fa m u lo . . . . 214 v.
133. De perfetta societate . . . . 216 v.
134. De prava am idtia vel societate 218 v.
135. De tiranno ingrato . . . . * 220 v.
136. De somma ingratitudine . > 224 r.
137. De malitia muUeris adultera . * 226 r.
138. De summa et justa venduta de ingrato * 228 r.
139. De bona et justa fortuna . 230 r.
140. De romito adultero et inganno 239 v.
141. De bona ventura . . . . 241 r.
142. De geloso et multare maUtiosa * 245*.
143. De plaeibili furto unius muUeris 247 r.
144. De massima ingratitudine * 252 r.
145. De modo plaeibili . . . . * 254 t>.
146. De f a l s a t o r e ................................... > 255 o.
147. D ejusto m atrim onio. * 257 r.
148. De subito amore acceso in m uliere . 259 .
149. De novo l u d o ................................... 262 r.
150. De inganno amore > 264 v.
151. De muliere volonterosa in libidine . * 2861>.
152. D i muliere costante . . . . 269 e.
153. De pauca sapientia tir i cantra mulierem * 273 v.
154. De falaitate ju vin i . . . . 275 v.
155. De pauco sentimento domini - 277 r.

Le noTelle sono dunque 155 e non 156, come dopo il Gamba ri


peterono tutti* n Gamba ha evidentemente computato come no
vella anche il proemio.
Da quanto ho detto risu lta che il cod. Trivulziano ben lungi
d allessere un ideale di correttezza. D Gamba tu tta v ia , giusta-
XLVUI NOVELLE DI GIOVANNI SERCMBI

mente valutandone la grande im portanza, pens di fiume fine nna


trascrizione, che agevolasse la lettu ra delle novelle ai meno pra
tici di scritture antiche. La copia da lu i fatta eseguire trovasi
pure in Trivulziana, divisa in due codici, che hanno i n1 194 e
195, e preceduta da alcune osservazioni del Gamba, che con<y>r-
dano quasi compiutamente con quelle della lettera proemiale man
data innanzi alla sua edizione del 1816. Questa copia, sotto lap
parenza di una scrupolosit diplom atica eccessiva, ha mende non
piccole. Il copista deve aver trascritto m aterialm ente senza curarsi
di capire; quindi ha preso dei granchi colossali, che contribuiscono
a rendere alcune volte il testo, di per s oscuro, incomprensibile.
Non di rdo gli avvenne di saltare, non soltanto parole, m a incisi
e righe intere. D ella poca fedelt di questa copia e quindi della
edizione delle venti novelle, che condotta su di essa, ebbe ad
accorgersi poi il Gamba medesimo ed a confessarlo (1). Il che
non toglie che, in mancanza di meglio, tu tte le novelle non rica
vate dalla Cronaca, che sino ad oggi si conoscevano, all infuori
forse di quelle del Ghiron, rim ontino alla copia p red etta, e non
gi al ms. antico. D DAncona in parecchi luoghi dovette confes
sare che il testo non correva: il Gamba, siccome era luso detem pi
suoi, non si perit di porvi dentro le m ani per raddrizzarlo a suo
modo.
P er quanto almeno dato di affermare assolutam ente in sim ili
bisogne, il cod. Trivulziano 193 l unico antico delle novelle del
Sercambi che sia pervenuto sino a noi. Se pot nascere la speranza
di rintracciarne un secondo, essa non dur certam ente a lungo. Ma
un qualche fondamento alla speranza era pur dato dalla notizia che
si ha di un secondo m anoscritto, il ms. Baroni.

(1) Cfr. quanto dice nella sua Bibliografia delle novelle italiane in prosa,
Venezia, 1833, p. 54 e poi nei Testi di lingua, Venezia, 1839, p. 351, n 1153.
Vedanai anche i risultati che ha dato la collazione col testo antico praticato
per la novella De justa responsione, in P apanti, Dante, pp. 67 sgg. e 72.
PREFAZIONE XLIX

Bernardino Baroni fu ano di quelli immensi eruditi del secolo


passato, che raccoglievano patrie memorie per tu tta la vita, scri
vevano volumi su volumi e non pubblicavano nulla o quasi. Gli
o ttan tan n i abbondanti (1694-1781), che gli furono concessi, egli
impieg tu tti a vantaggio della storia lucchese. Aveva una libreria
cospicua, ricca di parecchie m igliaia di lib ri e di numerosi mano
scritti (1). T ra questi ve nera uno che conteneva le novelle del
Sercambi, di cui ci d notizia il Baroni medesimo in una nota alle
mss. M em orie degli scritto ri e lettera ti lucchesi di A. P . B erti.
Quivi cos si esprime a proposito del Sercam bi: O ltre queste
(cio le cronache) scrisse ancora ad im itazione del Decameron
del Boccaccio cento novelle, raccontate da una brigata di uomini
e di donne, quali per fuggire la pestilenza che era in Lucca,
intraprendono un viaggio per la Toscana; e per sollevare il di-
sagio del cammino, sono raccontati varii casi e accidenti con sen-
tenze m orali e poesie. Questo m anoscritto codice, che forse unico
e autografo si conserva presso di me, prego sia guardato e custo-
dito come cosa pregevole (2). Il ms. Baroni, identificato prim a
t:ol Trivulziano, certam ente affatto diverso da esso, come il Luc-
chesini sospett (3), e il M inatoli asser (4). Come abbiamo veduto,
il ms. Trivulzio ha 155 novelle; il Baroniano ne racchiudeva so
lam ente 100. Ma fortuna volle che qualche altra notizia ci perve
nisse di questultim o m anoscritto. T ra le carte spettanti al Poggiali,
il Papanti rinvenne alcuni anni sono una lettera a lu i d iretta dal
padre Luigi Baroni, in data Lucca 17 luglio 1793. Con questa let- 1234

(1) G. Minutoli, Intorno agli studi e lavori di erudizione e di storia


patria di Bernardino Baroni, in A tti dell*Accademia Lucchese, voi. XVU,
1860, pp. 1 sgg. 11 Baroni ebbe l'onore di essere registrato dal Mazzuchelli,
Scritta li, I, 384.
(2) Questa nota riferita dal Minutou, nella molte volte citata prefazione
alle novelle da lui poste in luce, p. xxxvi.
(3) Op. ciU p. 127.
(4) Op. cit; alla p. xxxvi menzionata poc anzi.

B arn, Nov*U$ di G. Sercambi.


L NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

tera il Baroni accompagnava al Poggiali una novella del Sercambi,


trascritta dal codice di fam iglia. In quella parte di questa lettera,
per noi preziosa, che il Papanti credette di pubblicare(1), si legge:
Il ms. del Sercambi ha per titolo Novelliere) d i ser G iovanni
Sercam bi, lucchese; lo scriveva nel 1874, come apparisce da una
novella di un giudice che comincia: In questo d 4 aprile 1374
avvenne in Lucca che uno G iudice M archigiano, ecc. Sono cento
novelle, con rim e alla fine di ogni diecina, e dette novelle sono
avventure accadute a suo tempo, nominando la fam iglia e le cam-
pagne del lucchese Stato dove accadute . Raccolti insieme tu tti
i dati, noi possiamo cos caratterizzare i due m anoscritti: il ms. T ri-
vulzio ha 155 novelle, e tra luna e laltra di esse vi sono degli inter
mezzi con descrizioni e sentenze m orali in prosa ed in verso, che si
mettono in bocca ai componenti la brigata lucchese, che percorre tu tta
lItalia: il ms. Baroni ha 100 novelle divise per giornate come le
boccaccesche (2), ed ha gli intermezzi in fine ad ogni giornata
( = diecina); la compagnia vi intraprende un viaggio per la Toscana
ed i soggetti dei racconti si pongono per lo pi in Toscana e p arti
colarmente nel territorio lucchese. N solo la novella del cod. Ba
roni riferita dal Papanti e dal DAncona, unica che conosciamo,
differente per il dettato delle corrispondenti del cod. Trivulzio; m a
nella lettera di Luigi Baroni riferito il principio di una no
vella, che nel codice Trivulzio non si trova. Aggiunto questo fatto
allaltro gi avvertita che due delle novelle della Cronaca, la IX e
la X II del M inutoli, entram be di soggetto toscano, non compaiono
nel cod. T riv., parm i si possa concludere che tra i due testi vi do
vesse essere, non soltanto diversit di numero e di redazione, ma12

(1) Vedi il suo Catalogo cit., p. iv della Prefazione.


(2) Come nota lo stesso L. Baroni. La novella da lui inviata al Poggiali,
ch'egli indica come quinta della giornata terza, corrisponde nel cod. Triv.
alla 34*, che sarebbe a dire quarta della giornata terza, ammettendo, come
si deve, la giornata di dieci novelle.
PREFAZIONE LI

lorse anehe io parte di contenuto e certam ente poi di distribuzione.


11 DAncona ritenne che il ms. Trivulzio rappresenti una pi
ricca e corretta forma del novelliere aereambi ano , m entre il ms.
Baroni sarebbe Btato forse il prim o getto del novelliere (1). E
in ci vi certam ente del vero. Ma a me pare che, sulla base delle
notizie che abbiamo ora, si possa andare pi oltre. Nel ms. Baroni
il disegno del novelliere riproduceva molto pi dappresso il Deca
m eron; il viaggio non oltrepassava la Toscana; i soggetti tra tta ti si
attenevano pi specialmente alla storia lucchese e italiana. N si
potrebbe forse tacciare di troppo avventato chi mettesse fuori lipo
tesi che le novelle inserite nella Cronaca fossero tolte dal cod. Ba
roni ; giacch, se non minganno (e lingannarsi in queste cose
assai facile), tra la redazione delle novelle nella Cronaca e quella
che hanno nel cod. Trivulzio, passa una differenza assai sim ile a
quella che intercede tra la novella del testo Baroniano e la sua cor
rispondente del Trivulziano. N ella redazione del cod. Trivulzio si
vede una maggiore accuratezza ed anche una maggiore disinvoltura.
1 racconti diventano pi am pli, pi pieni, meno angolosi. A me
sembra, in conclusione, che il Sercambi, scritto sulla falsariga del
Boccaccio il novelliere del cod. Baroni e trattone profitto per gli
esempi della cronaca, ritornasse su llopera propria, allargandone la
tela, sopprimendo alcune novelle che non gli piacevano, altre cor
reggendone pi o meno, mutando talvolta i nomi, talaltra i luoghi,
aggiungendo m olti nuovi racconti, che era venuto raccogliendo. 11
libro che deriv da questo suo rimaneggiamento rappresentato
dal cod. Trivulziano.
Se questa congettura colpisse nel segno, noi avremmo dalle no
velle della Cronaca rappresentato in parte il cod. Baroni (2). 1112

(1) Vedi le pp. 6 e 60 del volumetto della Libreria Dante.


(2) Quando tutta la Cronaca sar a stampa, si potr giudicare se le 15
novelle pubblicate siano veramente tutte quelle in essa contenute. Frattanto
noto che il Mnutoli (Op. taf., p. xxxvtu) indica come contenuta nella Cro
naca anche la novella di Griselda, che ha il n 152 nel cod. Triv.
LII NOVELLE DI GIOVANNI SEHCAMB1

qual codice B aroni, passato forse verso il 1808 nella biblioteca


Baciocchi (seppure non fu venduto prim a, ma non credo), and
con gli altri libri di quella biblioteca disperso, dopoch i Baciocchi
ebbero preso stanza in Bologna (1). Probabilm ente il m anoscritto,
tanto pi prezioso se veramente autografo, come lo credeva il suo
possessore, fu d istru tto ; m a non dobbiamo perci toglierci la spe
ranza debolissima che lo si trovi un giorno in qualche libreria
inesplorata doltrem onti o doltrem are.

IV.

Dal Proem io, che per la prim a volta si pubblica in questa edi
zione, chiara si pu discernere loccasione che il Sercambi volle
dare alle sue novelle. Egli finse che imperversando in Lucca la
mora nel 1374, una brigata di uomini, tonsurati e no, e di donne
decidesse di lasciare lam biente infetto della citt natale e di per
correre lItalia. Radunatisi tu tti in una domenica di febbraio nella
chiesa di Santa M aria dei Corso, elessero a loro preposto un Luigi,
che doveva guidarli. Luigi raccolse tra i convenuti tre m ila fio
rini per le spese del viaggio, stabil gli uffici del camerlingo e
di due spenditori, scelse uomini e donne cui fosse affidata la cura
di edificare o di sollazzare la brigata con ragionam enti m orali e
scientifici, o con balli, suoni e giuochi diversi. Quindi rivoltosi ad
uno il.q u ale senza cagione ha di molte ingiurie sostenute e t
lui senza colpa sono state fatte ordina che debbia essere au-
< tore et fattore di questo libro . L uomo indicato con queste
vaghe e pur significanti parole, Giovanni Sercambi, come ri-1

(1) P panti, Catalogo cit., II, y. La biblioteca Comunale di Bologna pos


siede una copia del catalogo generale di S. A. il principe Baciocchi, fatta
nel 1834; ma questo catalogo tutto di opere a stampa.
PREFAZIONE LUI

su lta da un cattivo sonetto acrostico, che il preposto dice (1).


E gli dunque ha rincarico di narrare le novelle e di raccoglierle
poscia in volume.
Ecco pertanto ritin erario , che segue la com itiva, movendo da
Lucca: V oltdrra, San M iniato, P isto ia, P ra to , F irenze, Siena,
Arezzo, Cortona, C itt di Castello, Borgo San Sepolcro, Massa di
Maremma, Grosseto, Civitavecchia, Bolsena, Orvieto, A ssisi, Pe
rugia, Todi, N am i, Tem i, Montefiascone, Viterbo, Boma, Spoleto,
Jesi, Aversa, A quila, N apoli, Benevento, Salerno, Beggio di Ca
labria, Squillace, B rindisi, Sant'Angelo, Scariotto, Ascoli, Fermo,
Becanati, Ancona, Sinigaglia, Fano, Pesaro, Fossombrone, Gubbio,
Urbino, Cagli, Cesena, Cervia, Bertinoro, Bavenna, F orl, Faenza,
Imqla, Meldola, Bologna, Ferrara, Chioggia, Venezia, Murano, Tre
viso, Feltro, Cividale, Vicenza, Padova, Verona, Brescia, Cremona,
Mantova, Bergamo, Monza, Milano, Como, Novara, Pavia, Vercelli,
Alessandria, Tortona, Piacenza, Lodi, Parm a, Beggio Em ilia, Mo
dena, Asti, Savona, Genova, Luni.
In tu tti questi luoghi e in qualche altro m inore, che ho tra
scurato per b rev it, la brigata si tra ttie n e , consacrando diverse
giornate solo alle citt pi considerevoli. T ra l una novella e l altra
vi sono.degli intermezzi, dordinario assai sem plici e monotoni (2).
Si dice in essi il luogo in cui la brigata giunge (sul quale ta l
volta si d qualche magro schiarim ento) e se ne descrivono le
occupazioni. Queste consistono nei pasti, am m anniti dagli spendi-
tori, in balli e suoni, ed in canzonette cantate dalle canterelle e

fi) Il sonetto era gi stato pubblicato dal Gamba, Op. cit., p. v. Anche
ser Giovanni Fiorentino si nomina in un sonetto che in testa alle sue no
velle (cfr. Pecorone, ed. class., I, xxiv), ma questo sonetto non acrostico.
N sembra siano noti altri esempi di sonetti acrostici nei prim i due secoli.
Il Biadbnb, Morfologia del sonetto nei secoli X I I I e XIV, in Studi di fU.
rom,i, fase. IO, Roma, 1888, p. 185, dice di conoscere soltanto i due ebe com
pose per esemplificazione Gidino.
(2) Chi voglia pu averne un saggio nelle novelle pubblicate dal Ghiron.
Cfr. nel volumetto della Libreria Dante, pp. 53-54 e 59.
LIV NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

dai ocm terelli, o in sentenze esposte dai religiosi della compagnia.


I versi sono per solito assai b ra tti ed oltracci il testo ne molto
corrotto (1). F ra tu tti quanti non m i riesce di trovare passabili
se non i seguenti, che sono nellintermezzo tra la nov. 78 e la 7$
del codice :
Guarda che negligenza non s'annidi
in casa tua, che non ne va per gridi.
La negligenza albergo mai non piglia
che non vi meni povert sua figlia.
Non ti recar, figliuolo, al punto stremo,
ch molti n'ha ingannati gi, faremo.
Madonna negligenza fu la madre
di gi , faremo ed l'indugio il padre.

I canti e i detti morali in v ersi, messi in bocca per lo pi ai


religiosi, sono di varia dimensione, quasi sempre polirnetri. Ci si
scorge la intenzione continua di fare dei bisticci. Alle contorsioni
della forma artificiosa e del concetto lambiccato si uniscono gli
errori della copia, sicch molte volte queste poesie riescono quasi
interam ente inintelligibili. Notevole tra le novelle 150 e 151
una breve canzonetta esposta delle canterelle (il cui testo cor
rottissim o), che racchiude versi italiani, latin i, francesi e alcune
parole che pare abbiano la pretesa di essere tedesche. L* autore
infatti dice subito dopo: La divisa canzonetta cantata per le
canterelle di molto diletto alla brigata, e il preposto [fu] m olto
contento che la sua brigata per lo caminare agiatam ente avea
im parato gram atica, lingua tedesca, franciosa et altre lingue, di
che pens con piacere ridurre la brigata con allegrezza a Lucca .
Quasi sempre negli intermezzi scopri l intento m orale, al quale

(1) Un saggio del modo di poetare del Sercambi il sonetto del Proemio.
Il suo stile, ingarbugliato talora nella prosa, diventa addirittura enimmatioo
nei versi, ove ha da lottare con la misura e con la rima. Del resto gi il
G amba ( O p . d i ., p. xi), il L ucchesini ( O p . c it ., p. 128) e il Minutoli ( O p .
d t., p. xl) hanno detto assai male delle facolt poetiche del nostro novellista.
Meno peggiori degli altri sono i versi inseriti nella nov. 40 del cod. Triv.
(vedi questa ediz. pp. 105-108).
PREFAZIONE LV

m irano, secondo lautore, anche le novelle pi sconcio. La brigata


ci descritta come delle pi costumate. I sacerdoti dicono la messa,
cui assistono gli altri ; non si trascura veruna pratica di piet re li'
giosa, si fanno astinenze e si m angia di magro nei giorni prescritti.
Le novelle si fingono narrate ora per via, ora durante le diverse
tappe. Il novellatore resta sempre il m edesim o, Giovanni Ser-
cambi, ai quale il preposto si rivolge invitandolo a raccontare, ed
egli ubbidisce e racconta. Una relazione necessaria non intercede
tra le novelle e i luoghi ove si narrano; ma qualche volta c ,
non a caso. P er esempio durante il soggiorno della brigata in
Boma, ove si trattiene dieci giorni per prendere le perdonanze e
am m irare le antichit, vengono narrate novelle dedotte dalla storia
romana, o che hanno Boma per luogo dazione, quelle che rispon
dono nel ms. ai num eri 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48,49 (1).
Nei pressi di Venezia sono raccontate novelle di soggetto veneziano
(ni 124 ,1 2 6 ,1 2 7 ,1 2 8 ,1 2 9 , cfr. 106,146). A Venezia i nostri viag
giatori vanno da Chioggia, ma come gi aveano lasciato Brindisi
per la moria, piegando verso SantAngelo, cos a Venezia non si
trattengono, perch vera alquanto di peste, e si recano a Murano.
Verso Venezia il Sercambi m anifesta nelle novelle una curiosa
antipatia; la sua aria detta cattiva, le donne libidinose, gli uo
m ini ingannatori (2). In cammino per Verona narrata la novella12

(1) Voglio sia avvertito che nella citazione delle novelle io mantengo
sempre l'ordine numerico del ood. Triv. Chi voglia rintracciare i luoghi ove
le novelle si trovano pubblicate, lo potr facilmente col sussidio della Ta
vola, che in fondo al volume.
(2) Non dubito che questa antipatia avesse una ragione tu tta personale,
che a me sfugge. N arra bens il Sercambi nel secondo libro della Cronaca
che essendosi recato a Venezia per suoi affari, fu da alcuni fuorusciti luc
chesi, che l si trovavano, malmenato e ferito (eh*. Minutoli, Op. cit.,
p. zxv); ma non so se questo fatto sia da giudicarsi anteriore o posteriore
alla composizione delle novelle di soggetto veneziano, e in ogni modo non
giustificherebbe mai 1*avversione per la citt ed i suoi abitanti. 1 rapporti
che i Lucchesi ebbero con Venezia nel sec. XIV furono moltissimi. Le tristi
condizioni di Lucca durante il primo settantennio di quel secolo costrinsero
LV1 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

132, di soggetto veronese. E trovandosi la com itiva a viaggiare


per acqua da Bologna a F errara, dice Fautore: Poich noi siamo
sopra lacqua di necessit di raccontare alcune novelle rette
secondo il luogo, e pertanto dico a voi, donne, che avete tanta
volont di ber acqua, non guardando sella netta o no, dir
ad esempio una novella in questo modo . E narra di Isotta,
figliuola del re di Cipri, che avea un ranocchio in corpo, per aver *
bevuto m oltacqua (n 121). In Maremma il preposto vuole si ri
feriscano novelle di furti e di aggressioni ; e questo succede pure
nel percorrere la Calabria ed altre provincie allora m alsicure del
mezzogiorno. A llincontro le novelle brevi ed argute, quantunque
licenziosette, di madonna Bambacaia (n1 2 5 , 2 6 , 27 ; cfr. anche
56) si narrano quando la compagnia uscita dall uggia della
Maremma e si riposa in un bel pratello fiorito. Di solito peraltro
non vi ha rapporto alcuno fra i luoghi percorsi e le novelle. Queste
tendono a localizzarsi in Toscana, e specialmente in Lucca, in P isa,
in Firenze e nei loro contadi. Chiaro apparisce che il Sercambi ha
trasfuso nella sua brigata il suo affetto per la patria. Diffatti dopo
narrata la novella storica di Giovanni dellAgnello (n 135) egli

molti m ercanti ad esalare, ed il loro principale ricovero fa Venezia. Quella


repubblica cerc di dare incremento all'arte della seta portatavi dai mer
canti lucchesi e li protesse in ogni maniera, sicch alcuni, giunti a Venezia
poveri o quasi, vi accumularono con la loro industria ingenti ricchezze, sino
ad essere in grado di far cospicui prestiti a re ed a repubbliche. La nazione
lucchese costituiva in Venezia uno speciale sodalizio, il quale fond la confra
ternita del Volto Santo e poi costrusse un oratorio allato alla chiesa di S. Maria
dei Servi, che fu consacrato nel 1376, e finalmente un ospizio. Ricuperata Lucca
la libert nel 1369, alcuni Lucchesi tornarono in p atria; altri si fermarono
a Venezia, quantunque mai non rinunciassero alla cittadinanza lucchese. Da
ci si vede che l'antipatia del Sercambi non poteva essere divisa dai suoi con
cittadini. Cfr. per quanto ho detto T. Bini, S u i Lucchesi a Venezia, me
morie dei secoli X lll e XIV in A tti dell' Accademia Lucchese, voi. XV,
1885, pp. 157 sgg., 192 sgg., 208 sgg. e voi. XVI, 1857, pp. 17-34 e 50-51.
Pregevole complemento alla memoria del Bini la rivista che ne fece
S. Bongi, Della mercatura dei Lucchesi nei secoli X I I I e XIV, Lucca, 1858,
che venne ristam pata nel voi. XXIII (1884) degli A tti dell'Accademia Luc
chese,, pp. 447 sgg.
PREFAZIONE LVII

dice nelTintermezzo : A Mantova giunse la brigata colla dilet*


tavole novella, della quale la brigata fu molto contenta, perch
fu cagione che Lucca dalla servit pisana fu libera, e senzaltra
canzone posti a sedere, si trovomo a contare quanti pericoli e
perdite et uccisioni e strussioni erano state latte a Lucchesi
in ne tem pi che Lucca era stata sottomessa fine al d che li-
berata fu, e con questo ragionamento si steo fine che le mense
per la cena fanno poste .
Gli interm ezzi del resto, che ho letti tu tti con la m assim a
diligenza, presentano assai poco di interessante. Si sarebbe potuto
aspettarsi qualche descrizione particolare di luoghi; ma non ve
n quasi nessuna, o sono cos indeterm inate che non soddisfano
punto la nostra curiosit. Di Roma stessa vengono menzionati sol
tanto i monumenti pi noti. M erita tu ttav ia d essere notato che
quando la com itiva ebbe posato in Jesi, il preposto disse che volea
si dirizzasse verso Napoli, andando per quella via che V irgilio
con sua arte f per poter andar pi soave (1), pensando la prim a
giornata fare fine quine u Medea fu soppellita . Questo nome
di Medea suscita l estro dellautore, che canta su di lei una delle
sue brutte poesie, e poi dice ad esemplo di Medea la novella
54 del ms. Come Fazio degli U berti, egli visita Scariotto, < dove
Giuda trovato fu (2). Lunico sito su cui dia qualche particolare 12

(1) Non so se si tratti di quella fabbricata e lunga strada \ Che di Vir


gilio fa parlare assai, di cui discorre Fazio degli Uberti nel Dittamondo,
L. Ili, cap. 1, vv. 5-6 (cfr. Gomparetti, Virgilio nel medioevo, 11, 139). A
ogni modo certo che il Sercambi nel disegno del suo itinerario ha seguito
molto dappresso l'U berti, come pu vedere chiunque confronti il tracciato
che feci di sopra col L. Ili del Dittamondo. Quanto alla leggenda V irgiliana,
tu tti sanno che il nostro novellatore ne tratt una parte nella nov. 48.
(2) Cfr. anche p. 218 della presente edizione. Fazio scrive (111, 1, in fine):
Entrati nella Marca, comio conto,
io vidi Scariotto onde fa Giada,
secondo il dir d'alcan, da cui ft conto.
G il suo chiosatore inedito del quattrocento, Guglielmo Capello, spiega :
Schirioto una villa de Ascoli, ove nacque Juda, che fu discipulo di
Christo e poi il trad . Cod. N. I. 5 della Nazionale di Torino, c. 94v.
LVIII NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

interessante Murano. Ivi, come detto nellintermezzo fra le no-


velie 126 e 127, i nostri Lucchesi visitarono linnocenti in nella
chiesa maggiore e quelli veduti si dienno a vedere le belle bot-
teghe di bicchieri et opre di vetro et cos ogni particolarit
ricercando, piacendo a ogni persona il sito di tale citt .
questa una nuova testimonianza, se ve ne fosse bisogno, della grande
riputazione di cui godevano, sin dai tempi antichi, le vetrerie di
Murano (1).
La prima redazione delle novelle del Sercambi non dovette es
sere di molto posteriore a quel 1374, in cui posta lazione. Non
vi sarebbe infatti ragione di credere che egli scegliesse a caso la
mora di quellanno, mentre in Lucca, nella seconda met del se-
oolo, ve ne furono diverse e anche pi gravi. Ma certamente le
novelle non furono scritte tutte contemporaneamente; giunte al
numero di cento, formarono un vero decameron, nel cod. Baroni.
Solo posteriormente, il Sercambi, avendo messo insieme pi di mezzo
centinaio di altre novelle, si sarebbe deciso a dare nuova forma al
novelliere. Ma anche ih questa nuova redazione, lunica che ora
noi conosciamo interamente, si vede manifesto linflusso che sullo
scrittore lucchese esercit il Boccaccio. Non parlo della occasione
del libro, della cornice tu tta boccaccesca; ma il Sercambi ha fatto
proprie parecchie novelle del Decameron e talora le ha trascritte
quasi alla lettera. La nov. 52 (Gamba, XIX) quasi una trascri
zione di quella del re di Cipro trafitto da una donna di Guascogna1

(1 ) Cfr. L eandro A lb e r ti , Isole appartenenti alla Italia, Venezia, 1588,


pp. 99-100. La industria dei vetri, che rimontava a Venezia alla pi alta
antichit, si spost particolarmente verso Murano dopoch nel 1291 si proibi
rono i forni vetrari nella citt, forse per paura degli incendi. A Murano
peraltro esistevano gi dei forni nel 1255 e nel sec. XIV i vetrai erano co
stituiti in corporazione. Ivi ebbero il massimo incoraggiamento per parte del
governo, finch il 15 marzo 1383 il Senato emanava una legge ut ars tata
nobilis stet et permaneat in loco Murianii. Vedi la bella monografia di
V. L azari, Les verreries de Murano, in Gaiette des beaux arte, voi. XI,
1861, a pp. 322-23.
PREFAZIONE L1X

(Decam., I, 9) ; la no?. 92 (Gamba, XIV) un rifacimento della


novella di Landolfo Ruffolo (Decam., 11,4); la nov. 145(Gamba, VII)
quella della Nonna de Palei (Decam., VI, 3); la nov. 142
(Gamba, V ili) , dalla chiusa in fuori, quella di Tofano e della
Ghita (Decam., VII, 4); la nov. 120 (DAncona, X) corrisponde a
quella di madonna Oretta (Decam., VI, 1); la nov. 81 riferisce la
leggenda di S. Giuliano ospitaliere e della protezione da lui con*
cessa ai viandanti, quale nel Decam., I I , 2 (1); la nov. 99
quella di Masetto da Lamporecchio (Decam., III, 1); la nov. 103
quella del re Agilulfo (Decam., I li, 2), se ne togli che il re,
invece di tondere il ragazzo, lo contrassegna con linchiostro ; la
nov. 106 corrisponde alla III, 3 del Decameron; la nov. 110 con
poche varianti quella di frate Puccio (Decam., I li, 4); la nov. 140
nel Decam., I li, 10 ; la nov. 125 la III, 8 del Decam.; la novella
134 quella notissima di Guglielmo Guardastagno (Decam., IV,
9), mutate il cuore nel viso (2) ; la nov. 152 la Griselda (Decam.,
X, 10). Questultima novella il Sercambi stesso dice di averla fritta
in similitudine duna che messer Giovanni Boccacci ne tocca nel
suo libro capitolo cento (3) ; ma pur sostiene che unaltra
cosa. Quantunque infatti anche in altre occasioni egli confessi la
sua fonte diretta (4), cerca sempre di dare aspetto nuovo ai racconti,1234

(1) Cfr. G ra f , Per la novella i2* del Decamerone, in Giorn. sior. d.


lett. ital., VII, 179 sgg.
(2) Per la leggenda del cuore mangiato vedi, oltre B eschnidt , Die Bio-
graphie dee Trobad. GuiUem de Capestaing und ihr historischer Werth,
Marbug, 1879, pp. 16 sgg. e D 'A ncona , Vita nuova di Dante, Pisa, 1884,
pp. 32-36, e L andau , Die Quellen dee Dekameron, S tu ttg art, 1884,
pp. 112 sgg. e le opere da essi citate, anche C r e s c in i , Contributo agli
studi sul Boccaccio, Torino, 1887, pp. 58-59, n. 5, ed il recente scritto di
G. C ecioni, La leggenda del cuore mangiato, nella Rivista contemporanea,
I, 1888, pp. 336 sgg.
(3 ) Vedi nella presente edizione p. 401.
(4) Nellintermezzo che precede la nov. 99 l'autore confessa di esporre
una novella che mess. Giov. Bocc. narra , e nell'intermezzo che precede
la nov. 106 dice che racconter una novella che mess. Giov. Bocc. ne scrive .
LX NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

mutando i nomi delle persone e dei luoghi. Che da altri novellieri


italiani derivasse direttamente i suoi fatti, non mi pare. Qualche
novella ha soggetto uguale o simile a racconti del Novellino, per es.,
la 49, la quale non altro che la novelluccia di Papirio del N o
vellino (n LXVII) (1) ; ma di dipendenza diretta non v da parlare,
tanto la narrazione larga e prolissa e circostanziata del Sercambi si
dilunga dalla arida tram a deirantichissimo suo precursore. Certa
mente se il Sercambi avesse conosciuto il ricco novelliere del Sac
chetti, ne avrebbe tratto profitto. Ma non mi sembra ve ne sia alcun
indizio, e ci naturale, se badiamo alla cronologia. Le novelle
infatti del Sacchetti, cominciate a scrivere, forse, poco dopo di
quelle del Sercambi, non erano compiute, sembra, prima del 1893 (2)
e se anche alcune se ne conobbero prima, ragionevole credere che
solo gli amici dellautore (tra i quali non consta che il Sercambi
fosse) ne venissero messi a parte. Ser Giovanni Fiorentino cominci,
come noto, il Pecorone, nel 1378, e da quella sua magra opera,
in gran parte desunta dal Villani, cera poco da attingere.
11 novelliere del Sercambi ha del resto tutti i caratteri che
segnalano le raccolte medievali di novelle. Nessuno di quei tratti
della rinascenza, per cui si distingue il libro di Giovanni da
Prato, scritto poco prima del 1430 (3). Di gran lunga inferiore
per arte al Decameron, che im ita , per contenuto, se non per
forma, superiore, non solo a Ser G iovanni, ma al Sacchetti. Le123

(1) Su di essa vedi DA ncona, Le fonti del Novellino in Studi di critica


e storia letteraria, Bologna, 1880, p. 329. Pu darsi che il nome di Merlino,
dato al saggio fanciullo nella novella sercambiana, abbia la sua ragione di
essere in una reminiscenza di saga brettone assai diffusa. Chi non sa quale
enfant prodige fosse il mago Merlino da piccolo? Cfr. S an M a r t e , Die Sagen
v. Merlin, Halle, 1853, pp. 340-47 e P. P aris , Les romane de la Table ronde,
voi. II, Paris, 1868, pp. 26 sgg.
(2) L andau, Beitrdge zur Geschichte der italien. Novelle, W ien, 1875,
pp. 18-19.
(3) Vedi W esselofsry , Paradiso degli Alberti , I, li, Bologna, 1867,
pp. 100 e 104.
PREFAZIONE LXI

varie specie di novelle del Sacchetti, la anedottica borghese, la


ridanciana e sguaiata, la arguta e popolare, hanno, vero, nel novel
liere del Sercambi le loro rappresentanti ; ma accanto a tu tti questi
racconti e pettegolezzi di cronaca cittadina v la novella pi elevata
e complessa, attinta a fonti tradizionali. La estensione e la variet
delle novelle del Sercambi maggiore persino di quelle che hanno
le novelle del Boccaccio. Non deve fare specie se egli copia parecchio
volte questultimo, come s veduto, e se talora copia s medesimo (1).
Ci nulla toglie alla ricchezza dei suoi motivi di narrazione. Non
torner a discorrere delle novelle politiche (2), di cui ho gi esa
minato il carattere e gli intenti. Ma, fra le altre, noi troviam o,.
accanto ai motti sapienti e piacevoli (p. es., 1, 25, 26, 27, 5 6 ,58r
68, 111), ai pettegolezzi di sagrestia (nov. 66, 67) e alle burle
dogni genere fatte a stupidi, a maliziosi e ad arroganti (per es.,
2, 3, 8, 9, 72, 74, 75, 80, 98,100,150), i casi di malandrini e di
ladri (p. es., 18,19, 20, 83, 84, 86, 87, 88, 89,91), le truffe (p. es.
21, 22, 90, 93, 9 4 ,105,146), le seduzioni sapienti (p. es., 28, 29),
le astuzie per cavarsi da brutti imbrogli (p. es., 14, 37, 5 3,103)
e le accortezze per giungere a mete difficili e desiderate (p. es.,
4, 85,121,139). L intendimento didattico che il Sercambi trasfuse
nella Cronaca, non lo abbandona neppure in queste novelle; da
vero scrittore medievale, egli moralizza su tutto, e per dare am
maestramenti m orali, come si vede in ispecie dagli intermezzi,
racconta le pi solenni immoralit. Le donne sono fotte partico
larmente segno ai suoi rimproveri, in ispecie per la loro incostanza
ed incontinenza, e con le donne i preti ed i frati, tra i quali ri
compaiono spesso tipi come frate Alberto e fra Cipolla del Boc*2

ci) Quasi identiche fra loro possono dirsi le novelle 10 e 11, 22 e 90,110
e 116; assai simili le 75 e 80. Pu darsi che a ci abbia contribuito la doppia
redazione del novelliere.
(2) Sono, secondo la numerazione del codice, che seguo costantemente, Io
79, 96, 97, 104, 107, 114, 117, 119, 124, 135, 136, 138, 144.
LXII NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

caccio. Ma non di rado a quelli ecclesiastici libidinosi e a quelle


donne adultere toccano asprissime punizioni (1)> come sono puniti
gli avari (p. es., 2 3 ,1 0 2 ,1 1 2 ) e i gelosi (nov. 129 e 143). non
mancano neppure nobili virt di donna (p. es., 32,131) e novelle
edificanti, in cui si esaltano i soccorsi che la Vergine presta ai
suoi devoti (2). Vi sono soggetti dellAntico Testamento (nov. 55,
62, 63) e della pi vetusta e favolosa storia di Berna (nov. 41,
42, 43, 44, 47, 49); vi sono alcune leggende celeberrime, come
quella di Virgilio nel cesto (nov. 48), del re superbo (nov. 60), di
Piramo a Tisbe (nov. 130), del veglio della montagna (nov. 65),
dAristotile (nov. 50), di Dante (nov. 70 e 71), della matrona
dEfeso (nov. 12) (3), del telesma reso vano dallastuzia duna
donna adultera (nov. 46) (4), di Amis e Amiles (nov. 39) (5).
Da questa mia rapida distinta pu vedersi quanta sia la u n *2345

ti) Vedi pei preti 11, 33, 35, 36, 11G, per le donne 13, 31, 61, 82, 126,
137, 142, 149, 151, 153.
(2) Vedi le nov. 38, 40.
(3) Oltre le illustrazioni del D'A ncona a questa novella nel volume della
Scelta, pp. 288-90, vedi DA ncona nei cit. Studi di critica, pp. 322-25; G r i -
sbbach, Die Wanderung der Novelle von der treulosen Withoe durck die
Weltlitteratur, Berlin, 1886, il quale a pp. 90-94 si occupa dei riflessi ita
liani della leggenda ; De L ollis , L Esopo di Francesco del Tuppo, Firenze,
1886, pp. 63-67.
(4) E la nota leggenda Virgiliana della bocca della verit, su cui vedi
C o m paretti , Virgilio cit., 11, 120-123 e Gr a f , Roma nella mem. e nelle
immagina*, del medioevo, II, Torino, 1883, 243. Nella novella sercambiana
scomparso affatto il nome di Virgilio; ma la scena pur rimasta in Roma
antica. Per le diverse forme di questa leggenda, che ha riscontro nelle due
redazioni pi vecchie del Tristano francese, cfr. R ua , Novelle del Mam-
briano del Cieco da Ferrara esposte ed illustrate, Torino, 1888, pp. 73 sgg.
(5) Cfr. L. G a u tier , Les popes frangaises, voi. 1, Paris, 1878, pp. 479-83;
N yrop -Gorra , Storia de ir epopea francese nel medioevo, Firenze, 1886,
pp. 193-196 e 417-18; P. Sch w ieg er , Die Sage von Amis und Amiles, nel
Jahresbericht ueber da h. F. W. Ggmnas. su Berlin, Berlin, 1885, che si
occupa particolarmente della diffusione della leggenda in Francia ed in Ger
mania. Un lavoro assai lodato, ch'io peraltro non potei mai vedere, quello
del K oelbing , Zur Ueberliefemmg der Sage . Amicus u. Amilius nel
voi. IV, pp. 271 sgg. dei Beitraege di Paul e Braune.
PREFAZIONE LXIII

portanza che ha il novelliere del Sercambi. Il che, del resto, era


stato riconosciuto anche p rim a, giacch sulle novelle che se ne
avevano a stampa si esercit gi la indagine di alcuni dotti cul
tori di novellistica comparata (1). Uno dei pi segnalati ira questi,
il dr. Bainoldo Eoehler, ebbe la gentilezza di accondiscendere al
mio desiderio che anche queste novelle inedite uscissero col cor
redo delle sue preziose illustrazioni. Posso con piacere comunicare
ai lettori che egli ha gi posto mano a queste note ; ma siccome
i riscontri sono moltissimi ed il presente volume di per s ben
nutrito e atteso da non pochi, ho deciso, daccordo col dr. Eoehler,
di farlo ora uscire senza le utilissime chiose, le quali, spero, ve
dranno la luce in qualche fascicolo non troppo remoto del G ior
nale storico della letteratura italiana.

V.

Nel presente volume sono pubblicate le novelle in ed ite, com


prendendo sotto questo nome anche quelle che sono conosciute
soltanto nella redazione diversa data dalla Cronaca. Vi stampato
anche il Proem io; ma non gli intermezzi, perch non mi sem
brava ne valesse la pena. Su di essi possono bastare le notizie
che ho date in questa mia prefazione. Per un riguardo dovuto
allillustre possessore del codice, che con tanta liberalit e senza1

(1) 1 primi accenni furono dati dal L iebrkcht in una nota a Dunlop , Ge-
sehiehte der Prosadichtungen, Berlin, 1851, p. 491, n. 333. 11 D 'A ncona
nel cit. voi. della Scelta, pp. 271 sgg. illustr le novelle pubbl. dal Gamba
e dal Minutoli, e le sue illustrazioni furono completate dal L iebrkcht , nei
Goetting. gel. Anxeigen del 1871, pp. 1158 sgg. e dal K o e h l ir , nel Jahrbttch
fu r rom. und engl. Litterat., XII, 347*352 e 407-9 e dal L andau nei Beitraege
cit., pp. 38-44 (cfr. pure P a pa n ti, Dante, pp. 72-77). Le novelle pubblio, nel
volume della Libr. Dante ebbero le illustrazioni del K odhler a pp. 67 sgg.
di quel medesimo volumetto.
LXIV NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

alcuna restrizione me ne permise la copia, relegai nella Appendice,


dandone solamente un sunto, le novelle pi sconcie (1), quan
tunque esse non eccedano quasi mai la oscenit di alcune del
Decameron e non raggiungano quella di parecchie novelle stam
pate e ristampate del Cinquecento. Nella medesima Appendice diedi
conto delle, novelle frammentarie.
Gli incontentabili, che non mancano mai, si lagneranno sicura
mente, perch io non ho ristampato le novelle gi prima tratte dal
cod. Trivulziano, tanto pi che il loro testo, non attinto al ms. antico,
ma alla copia moderna, lascia, come s veduto, parecchio a desiderare.
Varie sono le ragioni per cui non l ho fatto, n tutte posso addurle
qui. Daltra parte la collazione di quelle novelle mi ha persuaso che
se con laiuto del ms. si pu in vari luoghi rettificarne la lezione,
differenze veramente sostanziali, cio di tal natura da alterare lin
dole ed il corso del racconto, non vi sono. Oltracci i due volumetti
del DAncona sono assai facilmente reperibili da chiunque lo voglia.
Al testo cercai di dare un assetto decente ; ma che non la pretende
affatto a definitivo. Mi industriai di far tornare il senso quante
volte potei, e in tu tti i casi, sia che mi sembrasse di riuscirvi o no,
indicai in nota la precisa lezione del ms. Raddrizzai la gramma
tica, tanto spesso oscillante, sostituendo infinite volte la costruziono
grammaticalmente corretta a quella catena di gerundi isolati, che
il Sercambi prediligeva. Di queste rettificazioni non credetti utile
dar sempre ragguaglio in nota, perch sarebbe stato una ripetizione
continua e molesta, e perch on poteva cader dubbio sulla bont
della restituzione. inutile dire che mi guardai bene dallalterare,
senza avvertirlo, la giacitura delle frasi e delle parole. Quando mi
sembr che nel cod. mancasse qualche parola o qualche inciso
suggeriti dal senso, li aggiunsi in parentesi quadre, e cos pure
colmai alcune piccole lacune del ms., sempre facendone avvertiti i1

(1) Anche di queste novelle tengo copia e le pubblicher forse un giorno


in edizione ristrettisssima, fuori di commercio.
PREFAZIONE LXV

lettori. I nomi propri, scritti nel codice in maniere diversissime,


ridossi, quando non si trattasse di nomi molto noti, alla forma che
trovai occorrervi pi di frequente. Cos poro studiai del mio meglio
per unificare la grafia sempre incerta e variabile, non curando le
particolarit grafiche inconcludenti, probabilmente dovute al copista,
ma rispettando le forme antiche, che si trovano di solito nella lingua
del tempo e della citt in cui il Seroambi scrisse.
Se io sia riuscito a mettere saggiamente in pratica quei canoni
che la filologia moderna propugna nella pubblicazione dei testi an
tichi, giudichino gli studiosi. Io vi ho adoperata certo tu tta la mia
buona volont, non risparmiando n tempo, n &tica. Se in seguito
altri, raccogliendo insieme tutte quante le novelle e novamente r i
scontrandole, dar una edizione veramente definitiva di questo quarto
tra i nostri novellieri trecentisti, sar io il primo ad applaudire
sinceramente.

B . B en ier .
DOCUMENTO

Testamento d i G iovanni Sercambi ricevuto in a tti del notaio


Domenico Giomucchi a f. 102 del protocollo Testam enti
1398-1438, che si conserva nello Archivio notarile e p ro
vinciale d i Lucca, starna Test., banco N . 1, T. 11.

Sopprima hominum Iadicia quibus et anime subfragiis et temporali3


cure patrmonij post vite presenti exitum providetur etiam languente cOrpore
dum tamen in mente presideat raotio legitime disponitur bine est Quod
discreta et prudens ac Egre gius vir lohannes quondam Iacobi ser Cambij
speciarius lucanu civis eger corpore tamen Sue mentis compo et sobrius
recto et articulate loquens ludicium dei timens Nolensque intestata dece*
dare honorum suorum dispositionem per suam nuncupativum testamentum
sine scriptis in bone modum face re procuravi videlicet.
In primis quandocumque Eum mori contigerit Recommendavit devotissime
ammani -et spiritum eius omnipotenti deo Supplicans bumilime pr remis
sione peccato rum Suorum et sue anime salute perpetua Corpus vero Suum
voluit et mandavit sepelliri debere in Ecclesia Sancti Macthei lucane civitatis
et quod in dieta Ecclesia ubi eius corpus erit sepultum voluit et mandavit
quod per eius exequtores et huius sui testamenti expensis suorum beredum
fiat unum sepulcrum cum uno lapide marmoreo sopra Eum absque aliqua
condictione et aliqua mercede inde solvenda alicui rectori diete Ecclesie Sed
in casu quo Sic permictatur tunc et in dictum casum Iudicavit et reliquit
opere Ecdeeie Sancti Macthei predicti florenos viginti et aliter non. Et in
casu quo non permicteretur dictum corpus sepelliri in dieta Ecclesia et
dictum sepulcrum fieri (absque aliqua mercede ut dictum est) tunc et eo casu
voluit et mandavit sepelliri in sepulcro confratrum disciplinatorum Sancte
Marie della Roza et ibi suam sepulturam elegit quod sepulcrum est con-
structum in Ecclesia Sancte Marie della Roza et voluit et mandavit, eius
corpus vestiri veste dictorum disciplinatorum et cum ea humari que vestis
voluit et mandavit fiori expensis eius heredum.
LXVIII NOVELLE 01 GIOVANNI SERCAMBI

ltem Amore dei et pr salate anime Sue voluit et mandavit dari et ero-
gari omnibus confratribus dictorum disciplinatorum qui confiuent seu venient
induti vestes diete sotietatis ad honorandum corpus dicti Iohannis tempore
eius ezequiarum candelos cereos. Scilicet cuilibet eorum unum ponderis
unciarum sex.
ltem Amore dei et pr salute anime sue Iudicavit et Reliquit sotietati
dictorum disciplinatorum quactuor cereos ponderis libra rum vigintiquactuor
inter omnes et voluit quod tempore dictarum exequiarum dicti cerei in astia
diete sotietatis portentur accensi circa corpus predictum deinde debeant
permanere in dieta Sotietate pr accendendo et inluminando corpus domini
quando elevabitur in dieta Sotietate et oratorio diete Sotietatis.
ltem dictus Iohannes testator voluit et mandavit quod quinque nnia inci-
piendis die Sui obitus et finiendis ut sequitur eius heredes et exequtores
infrascripti faciant dici et celebrali quolibet Anno in die mortuorum unam
missam in qualibet infrascriptarum Ecclesiarum Scilicet mortuorum et
voluit dari et erogari cuilibet Sacerdoti qui sic dicent ad requisictionem *
dictorum heredum et exequtorum dieta die sex candelos foratos ponderis
unciarum sex pr quolibet et libras sex candellarum de cera et voluit quod
ad dictam missam retineantur accensi. Et ultra predicta voluit dari et ero
gari cuilibet presbitero seu sacerdoti dicenti dictam missam solidos viginti
parvorum que Ecclesie in quibus voluit dici diete misse sunt hec videlicet
Ecclesia Sancti Macthei de Luca. Ecclesia Sancte Marie della Roza. Ecclesia
Sancti Georgij. Ecclesia Sancti Donati extra portam. Ecclesia Sancti Augu-
stini. Ecclesia Sancti Francisci. Ecclesia Sancti Pieri de Fibbialla. Ecclesia
Sancti Andree de massagroza.
ltem pref&tus Iohannes testator amore dei et pr elemozina Iudicavit et
reliquit sotietati confratrum disciplinatorum Sancte Marie della Roza de luca
florenos quactuor quolibet anno usque in quinque annis inclusive incipiendo
die obitus sui quos quolibet anno voluit dari diete sotietati die Iovis sancti
pr dipendendo in cena domini in dieta Sotietate et oratorio ipsius et re-
fectione confratrum predictorum vel alitar prout dictis confratribus vide-
bitur expendi.
ltem Amore dei et pr salute anime Sue et suorum mortuorum Iure legati
de bonis suis Iudicavit et reliquit infrascriptis Operis infrascriptarum Eccle
siarum infrascriptos cereos, infrascriptorum ponderum pr tenendo ad illu-
minandum corpus domini quando elevabitur in ipsis Ecclesiis Videlicet.
Opere Ecclesie Sancti Donati extra portam lucane civitatis duos cereos
ponderis librarum decem.
Opere Ecclesie Sancti Peregrini lucane civitatis duos cereos ponderis li
brarum decem.
Opere Ecclesie Sancti Georgij duos cereos ponderis librarum decem.
Opere Ecclesie Sancti Macthei cereos quactuor ponderis librarum viginti.
Opere Ecclesie Sancti Allessandri majoris duos cereos ponderis librarum
decem.
Opere Ecclesie Sancti Sentii duos cereos ponderis librarum decem.
Opere Ecclesie Sancti Ghristofori duos cereos ponderis librarum decem.
DOCUMENTO LXIX.

Opere et fabrice fratrum Sancti Francisci cereos qaactuor pondera li-


brarom vgnti.
Opere et fabrice Ecclesie Sancte Marie Servorum de luca cereos duos
librarum decem.
Opere et fabrice Sancte Marie carmelitarum de luca duos cereos librarum
decem.
Opere et fabrice Ecclesie fratrum Sancti Pauli de luca duos cereos pondera
librarum decem.
Opere et fabrice Ecclesie Sancti Augustini de luca quactuor cereos pon-
deris librarum viginti.
Opere et fabrice Ecclesie Sancti Dominici fratrum predicatorum duos
cereos pondera librarum decem.
Opere et fabrice Sancti Ponthiani duos cereos ponderis librarum decem.
Opere Ecclesie de fibbialla quactuor cereos ponderis librarum viginti.
Opere Ecclesie Sancti Iacobi de massagroza quactuor cereos ponderis li
brarum viginti.
Opere Ecclesie Sancti Pantaleonis de plebe ylicis duos cereos ponderis
librarum decem.
Opere Ecclesie Sancti Martini de petra sancta duos cereos ponderis librarum
decem et
Opere sancte Crucis de luca quactuor cereos ponderis librarum viginti.
Item Amore dei et pr salute anime Sue et ob Reverentiam sancti Iacobi
apostoli voluit et mandavit prefatus lohannes testator quod intra duos Annos
numerandos a die obitus sui mictatur unus ad vizitandum limina Sancti
Iacobi apostoli 40 gallisia cui voluit dari de suis bonis ipsius testatoris pr
eius labore et pr expensis florenos viginti quinque.
Item prefatus testator Amore dei et pr salute anime sue voluit et man-
davit quod intra duos annos numerandos a die obitus sui mictatur unus
Romam ad vizitandum loca Sancta ibidem existentia cui voluit et mandavit
dari de suis bonis ipsius testatoris pr eius labore et pr expensis florenos
decem.
Item prefatus lohannes testator Iure legati Iudicavit et Reliquit Domine
Beatrici ipsius testatoris nepti et filie olim Bartholomei Iacobi S. Cambij de
Luca et uxori Tegrini quondam Ser Guillelmi Sabolini de luca duas suas
ipsius testatoris domos sitas retro domos magnas ipsius et ubi habitat vide-
licet lega vit domum angularem que coheret a parte orientis curie dicti
lohannis a meridie domui dicti Iohannis et ipsam domum coherentem diete
domui a septetmtrione et occidente curie dictorum flliorum alcherij vel si
aliter confinetur et sunt posita luce seu alitar confinentur Cum hoc onere
et condictione quod diete due domos In totum vel in partem non possint
vendi alienari donari vel Insolutum adhipisci seu obligari alieni seu ali-
quibus contra voluntatem Suorum heredum nisi ipsis heredibus et in
casu quo dictis condictionibus et oneribus contra fleret voluit et mandavit
quod presene legatum Evanescat et locum non habeat et ex nunc ipsum
cassavit et revocavi! In totum Et similiter cum dictis oneribus et condictio
nibus Iudicavit et reliquit diete domine Beatrici terras possessiones et bona
LXX NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ipsius Iohannis testators sita in comuni Corsanici vicarie canugoris sub


quibuscumque confinibus locis mensuris et qualit tibus reperiantur quos liceat
mihi notano apponere et describere ad omnem mei voluntatem et pr ap
positi et descriptis baber voluit et mandavit et sic prefatus testator mihi
notano liqentiam et parabolani dedit et concessit.
Item prefatus Iohannes testator Iure legati Iudicavit et reliquit dominabus
Beatrici Macthee et Iobanne eius neptibus filiabus olim Bartholomei quondam
Iacobi Ser Cambij in casu viduitatis ipsarum vel alicuius Earum ipsi tali
vidue et viduis toto tempore viduitatis Redditum et habiturium in domo dicti
testators que sibi ut dixit obvenit ex hereditate olim magistri Gilij Ser
Gambij de luca que domus est sita in contrata Sancii Macthei Lucane civi-
tatis cuius confines liceat mihi declarare et sic licentiam et parabolam michi
dedit et concessit ad omnem petitionem et voluntatem predictarum dominarum
vel alicuius earum.
Item Cum nichil sit stabile sub sole et volens dictus Iohannes testator
providere quantum sibi possibile est ne diete domine Beatrix Macthea et
lohanna vadant querendo aliena Suffragia vel aliqua Earum vadat Ideo
ipse testator voluit et mandavit quod in casu quo predicte domine Rema-
nerent vidue vel aliqua earum vidua remaneret Et pr duabus partibus
amisB8et dotes suas seu amisissent tunc in dictis casibus voluit quod illa
talis sic vidua et dotes amiserit pr dictis duabus partibus habeat et habere
debeat ab heredibus ipsius testators et super bonis suis victum et vestitum
secundum facultatem eius hereditatis toto tempore eius viduytatis vivendo
bene et honeste et non aliter Et sic in dictis casibus dictum victum et
vestitum toto dicto tempore Iudicavit et legavit eisdem suis neptibus.
Item prefatus Iohannes testator voluit et mandavit quod in casu quo Tho*
muccius Iohannetti de massagroza seu eius heredes vellent intra unum Annum
numerandum a die mortis ipsius testators Emere ab heredibus ipsius testa-
toris terras quas ipse Iohannes emit ab ipso Thomuccio et patire suo pr
tot denariis quot ipse Iohannes expendidit in eisdem (ut dixit apparer per
Instrumentum emptionis et ipsos denaros solvat) et afdctum debitum re-
tentum et non solutum reddat et solvat dictis heredibus (tunc et eo casu
dicti heredes eius teneantur eidem Thomuccio vel eius heredibus vendere
dictas terras E t in casu predicto amore dei dictus lohannnes testator de
dicto pretio Iudicavit et reliquit dicto Thomuccio et heredibus florenos
viginti.
Item prefatus Iohannes testator voluit et mandavit quod in casu quo Gui-
duccius Pieri de massagroza vel eius heredes vellet seu vellent intra unum
Annum numerandum a die mortis ipsius testators et finiendum ut sequitur
emere ab heredibus ipsius testators terram seu terras quam seu quas ipse
Guiduccius vendidit dicto Iohanni pr simili pretio solvendo et reddendo
etiam integraliter affictum diete terre seu terranno tunc et eo casu voluit
dictus Iohannes quod vendatur seu vendantur per eius heredes dicto Gui-
duccio tunc et eo casu Iudicavit et Reliquit dictus Iohannes de dicto pretio
eidem Guiduccio florenos decem.
Item prefatus Iohannes testator amore dei et pr salute anime Sue Iure
DOCUMENTO L*X1

legati ludicavit et reliquit pauperibus domicellis nubilibus florenos centum


dando et rogando per dicto eius heredes intra duo Anno inchoandos
die morti ipsio illi et illis prout ei videbitur et placebit in parvo et magno
numero prout eis videbitur et placebit. Ita quod noluit quod dicti heredes
valeant astringi ad solvendum dictam quantitatem fiorenorum centum vel
Residuimi quod reatarent nisi elapais dictis duobus Anni.
Rem prefatus lohannes testator amore dei et pr salute anime Sue voluit
et mandavit dari et distribu intra duos anno inoobandos die obitus ipsius
testatone pauperibus personis habitantibus in terra massagroze pannum al-
bagium extimationis et valoris in totum fiorenorum Triginta et pauperibus
personis habitantibus in terra fihbialle pannum albgium valoris fiorenorum
viginti Ita quod intotum voluit quod ematur tanta quantit panni albagij
qua valeat florenoe quinquaginta et voluit dari et distribu prout videbitur
eius heredibus et fideycommissariis et placebit Et prohibuit quod dicti eius
heredes non possint astringi ad faciendum dictam distributionem nisi elapsis
dictis duobus annis.
Item prefatus lohannes testator pr ventati manifestatione stipulatione
solemni dixit et confessus fuit michi Dominico notano infrascripto ut per
sone publfee officio publico presenti recipienti et stipulanti pr Domina
Pina uxore dicti Iohannis et filia Gyomey quondam.... (1) de fibbialla et eius
vice et nomine quod ipse habuit in dotem pr dote et nomine dotis ipsius
Domine Pine multas quantitates terrarum et possessionum prediorum in una
parte. E t quod de dictis terris vendidit tot et tantas pluribus et divenis
personis manu plurium et diversorum notarorum ex quibus percepit florenos
Octingentos et habuit de predictis prediis dotalibus et sic verum esse Iu-
ravit ad Sancta dei Evangelia tactis corporaliter scripturis in manibua mei
notarj quos florenos Octingentos voluit et mandavit quod eius heredes sibi
reddant et restituant sive in denaris sive arnensibus vel possessionibus ad
omnem ipsius Domine Pine petitionem requisitionem et voluntatem et eos
florenos Octingentos eidem Domine Pine iudieavit et Reliquit.
Item prefatus lohannes testator dixit et stipulatione solemni confessus fuit
mihi notano ut supra recipienti et stipulanti pr dieta Domina Pina et eius
vice et nomine Quod medietas integra pr Indiviso terrarum et possessionum
ac prediorum descriptorum et descriptorum in libro dicti Iohannis ubi scripte
sunt possessiones qui liber est Signatus 0 etapparent esse et fuisse empte
per Cioneum patrem diete Domine Pine ac etiam apparent sibi obvenisse
in partem seu portionem a fratribus suis pertinet et spectat ad dictam Do
doinani Pinam Et sic verum esse luravit ad Sancta dei Evangelia tactis
corporaliter scripturis Quapropter dedit et concessi! eidem domine Pine
plenam licentiam et auctoritatem et mihi notario ut supra recipienti et
stipulanti pr ea dictas terras pr ipsa dimidia propria auctoritate et sine
alterius ludicis vel officiali auctoritate licentia vel decreto et proolamatione1

(1) CSoboo di Batto Campoii, Meondo litio documento, veduto del Kurotou, Op. cit. p*g- IX.
LXX1I NOVELLE DI GIOVANNI SERC MBI

dictorum heredum ac alterus persone intrandi apprehendendi et retinendi


possessionem corporalem et eam dominam Pinam in Dominam diete dimidie
nominavit Et prohibuit ipsius testatoris heredibus ut aliquam molestiam non
inferant diete domine Pine de dieta dimidia nec volenti inferre conaentiant
eed espresse contradicant.
Item prefatus Iohannes testator animadvertens quod domina Pina supra-
scripta eius uxor semper in corde suo geret amorem circa animam ipaius
testatoris et diligentiam ac caritatem habebit versus ipsius testatoris ac do
mine Pine nepotes Ideo Iure legati Iudicavit et reliquit eidem domine Pine
quo ad uxufructum et godimentum una cum eius heredibus toto tempore
vite ipsius domine Pine ipsa vidua permanente et vitam vidualem servante
et dotes suas non petierit domum seu palatium in qua seu quo none ipee
testator et dieta domina Pina habitant sitam in contrata Sancii Macthei
lucane civitatis cum omnibus arnensibus fulci mentis et guamimentis pannis
bonis et rebus in dieta domo seu palatio ezistentibus seu que reperientur
tempore obitus dicti testatoris ad cautelam Iubens volens et declarans quod
dicti ipsius testatoris heredes sint uxufructuarij cum eadem Et prohibuit
dictus testator in predictis omnem cautionem et promissionem de utendo
et fruendo ad albitrium boni viri et quamlibet aliam cautionem cuiusque
generis Et prohibuit ac remisit eidem domine Pine necessitatesi conficiendi
Inventarium de bonis et rebus in dieta domo existentibus et ab ipso onere
Inventarj conficiendi ipsam dominam Pinam prefatus testator liberavit et
absolvit.
Item prefatus Iohannes testator Iure legati Iudicavit et reliquit eidem
Domine Pine sole ipsa vidua permanente et dotes suas non petente quo
ad uxufructum et godimentum toto tempore vite ipsius domine Pine predium
seu podere ipsius testatoris et omnes petias terrarum dicti testatoris perti-
nentes ad dictum poderem situm in contrata sancte Anne de plageis extra
portam cum omnibus suis massaritij8 et hedificijs ac apparatibus Et pro
hibuit ac remisit ut supra Ac etiam dictus testator voluit et licentiam
concessit diete domine Pine eundi ad Palatium ipsius testatoris situm in
terra massagroze et ibidem morandi standi et habitandi ad eius beneplacidum
semel et pluries et rursum et totiens quotiens voluerit et de fructibus de
viridario dicti palati) pr se legendi et comedendi et exportandi absque alia
prohibitione heredum vel alterus.
Item prefatus IohanneB testator voluit quod domine Beatrix Macthea et
Iohanna toto tempore Earum et cuiusque Earum vite possint et quelibet
Earum possit ire stare et morari in dicto ipsius testatoris palatio sito in terra
Massagroze semel et pluries et rursus et totiens quotiens voluerint vel aliqua
Earum voluerit et de fructibus qui erunt in viridario dicti palatij legere pr
ipsarum et cuiusque Earum consolatione absque aliqua prohibitione heredum
vel alterus.
Item E t Cum prefatus Iohannes testator fuerit ut dixit tutor et curator
olim Anthonij eius nepotis et filij olim Bartholomei Iacobi Ser Cambij de
luca Et ut dixit circa dictam tutelata fuerit versatus et uxus bona et pura
fide et non dolo neque fraude E t Cum de gestis per Eum circa dictam tu-
DOCUMENTO LXXIII

telam ut curam retinuerit ut dixit computum et ractionem et de introytibus


et exitubus in uno libro per ipsum deputato signato hoc signo et in Eo
scripserit ut dixit mera et pura ventate Et sic verum esse Iuravit ad sancta
Dei Evangelia tactis scripturis. Ideo prefatus Iohannes testator voluit et
mandavit quod in casu quo heredes dicti olim Anthonij velint adhibere
plenam fidem dicto libro in omnibus Suis partibus et aprobent ipsum intotum
et nil ulterius querant quam sit descriptum in dicto libro dicti heredes
dicti teatators occasione diete tutele et cure Quod tunc et eo casu ipsi
heredes dicti olim Anthony sint liberi et absoluti ab omni eo et hiis omnibus
et singulis in quibus Ipse Anthonius reperire tur teneri dicto lohanni facto
calculo super dicto libro de datis et receptis et similiter delegato facto
per olim Bartholomeum lacobi suprascriptum dicto lohanni in eius testa*
mento E t si per dictum librum reperiretur teneri dictus Iohannes testator
dicto Anthonio in aliquo voluit et mandavit dari solvi et restitu heredibus
dicti olim Anthonij omne id in quo ipse Iohannes reperiretur teneri et in
casu quo heredes dicti olim Anthonij nollent seu aliquis Eorum nollet adhi
bere plenam fidem dicto libro in omnibus suis partibus et vellent inpingere
ipsum Iohannem fuisse vers&tum seu uxum circa dictam tutelam aliquo
dolo seu firaude vel malitia seu negligentia vel non scripsisse pura et mera
ventate in Eo libro tunc et in dictis casibus et quolibet Eorum dictus te
stator voluit et mandavit quod ab heredibus dicti olim Anthonij petatur et
exigatur omne id quod restaret solvere ipse Anthonius et restituere per
dictum librum facto calculo et similiter petatur et exigatur legatum pre-
dictum factum per dictum Bartholomeum dicto lohanni Quia luna est qui
malum sua culpa sentit sibi imputet et qui videt bonum et malum eligit
non est dignus gratie.
Item prefatus Iohannes testator pr veritatis manifestatione dixit et de-
claravit quod in eius libr scripsit pura et mera ventate nulla mixta falsi-
tate E t sic verum esse Iuravit ad Sancta Dei Evangelia tactis scriptur Ideo
voluit et mandavit quod dictis eius libr adhibeatur piena fides tam in
dando quam in recipiendo.
Item prefatus Iohannes testator dixit et declaravit quod domina Marga
rita olim uxor magistri Gilij cuius domine Margarite dictus Iohannes dixit
se heredem legavit fratribus capitalo et conventui Sancti Augustini de luca
fiorenos Triginta et nunquam fuerunt soluti Ideo voluit et mandavit quod
de suis bonis ipsius testator dentur et solvantur dictis fratribus capitalo
et conventui dictos fiorenos Triginta.
Item dictus Iohannes testator dixit quod ipse habet sotietatem in arte et
exercitio speciarie cum Gabrielle Nerij de Senis lucano cive que sotietas
ducitur et exercitatar in apotheca domus que olim fuit Bartholomei Vannis
speciarij de luca posita in bracchio Sancte lucie versus archum. Et cum
de Iure sotietas per mortem finiatar Ideo voluit et mandavit quod post eius
mortem dieta aptheca diete sotietatis et omnia bona et res eiusdem exti-
mentar per duos eligendos concorditer per eiusdem Iohannis heredes et
dictum Gabriellem Et facta dieta extimatione voluit et mandavit quod
LXXIV NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

portio dicti lohannis et ipsum tangens in dieta sotietate et apotheca ven-


datur dicto Gabrielli pr ipsa existimatione in casa quo voluerit emere
Et in dictum casam quo voluerit mere et emerit seu non steterit per Eum
quia non emat tunc in dictis caaibus prefatus lohannes testator Iure legati
ludicavit et reliquit dicto Gabrielli florenos Quadraginta de preto diete
eiutadem lohannii onis.
In omnibus au iis soia ipeius testatoris bonis mobilibus et immobilibus
luribuB et actionibus quibuscumque tam preaentibus quam futuris prefatus
lohannes testator fecit Instituit et dimisit sibi universales heredes Iarininum
et Bartholomeum ipsius lohannis nepotes et filios olim Bartholomei Iaeobi
Ser Gambij de Luca quos ipse lohannes ut dixit legiptimavit ut dixit con*
tineri pubblico Instrumento manu Ser Laurentij Nucciorini Notarij de luca
descripto quos Ianninum et Bartholomeum fratrea voluit dictus lohannes
quod sibi subeedant Equalibus portionibus.
Exequtores et fideyoommissarios suos et huius sui testamenti et ultime
volontaria et contentorum in Eo et Ea prefatus lohannes testator feoit oon-
stituit et ordinavit dominam Pinam eius uxorem. Ser Marcum qundam
Martini de luca notarium. Ianninum et Bartholomeum fratres filios quondam
Bartholomei Ser Gambij et quemlibet Eorum cum auctoritate potestate et
baylia quod dieta domina Pina ctm uno ipsorum quem voluerit poasit omnia
suprascripta Iudicia et legata exequtoni mandare et alia lacere que ad
dictum officium spectant. Et in casu mortis ipeius domine Pine duo ipsorum
tertio inscio et inrequisito poasint omnia pi*edicta facere et executioni man
dare in officio et pr officio dicti fideycommissariatus et sine ipsa domina
Pina ipsa vivente nil fieri ger aut exequtoni mandali possit vel debeat
quibus fideycommissariis et executoribus modo forma et baylia prediris dedit
et concessit plenum liberum et generale mandatum ac speciale ubi et quotiens
speciale exigeretur vel necesse fuerit cum piena libera et generali admini-
stratione ac etiam speciale ubi et quotiens specialii exigeretur vel nsessse
fuerit
Et hanc dictus lohannes testator dixit et asseruit esse et esse velie soam
ultimam voluntatem et suorum bonorum disposictionem quam et que omnia
et singula suprascripta et infrascripta valere voluit disposuit et mandavit
Iure et vigore testamenti quodque si aliqua causa presenti vel futura Iure
testamenti non valet vel valebit valere voluit disposuit et mandavit Iure
et vigore codicillorum quodque si aliqua causa presenti vel futuro Idre
codicillorum non valet vel valebit valere voluit disposuit et mandavit
et robur firmitatis habere omni alia via Iure et modo quibus melius ul
time defunctorum voluntates valere possunt vel tenere. E t prohibuit in
predictis Et quolibet Eorum legem falcidiato et trebellianam et quamlibet
aliam legem Ius et statutum que vel quod predictis vel alieni Eorum modo
aliquo obstare vel preiudicare possit Cassans cancellai et revocane omne
aliud testarnentum codicillos et aliam ultimam voluntatem quamlibet per
Eum abhino retro quomodolibet factum vel conditum manu tam Ser Iannini
Nocchi quam quorumeumque notariorum vel alterius et sub quibusoumque
datalibus et verbis arrogatoriis seu derogatoriis facta reperiantur quorum
DOCUMENTO LXXY

verborum dixit se penitele et noluit quod huic aao testamento vel ultime
voluntati po8sint preiudicare vel obstare Et Rogavit dictus lobannes testator
me Dominicum notarum infrascriptum ut de predio tis omnibus conflcerem
publicum Instrumentum Actum luce in domo seu palatio habitationis dicti
Iobannis posita in contrata Sanoti Macthei Coram Urbano quondam Franchi
de monte dar mercatore lucano dve Anthonio quondam locti de piastra
olim pannario Bartholomeo quondam Nannis Pieri calthajolo e t Francischo
quondam henrici Giomucchi stiviliario omnibus licanis civibus testibus ad
hec rogatis et vocatis Anno Nativita tis Domini Millesimo quadringentesimo
vigesimoquarto lndictione Seconda die vigesimo primo mensis februarij.

Ego Dominicus quondam henrici notarius suprascri-


ptus de luca hec publice rogatus scripsi.
NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
PROEMIO

Lo sommo e potente Dio, dal quale tutti i beni derivano, ha


la n atura umana creata e fatta a sua somiglianza (1) acci che
tale um ana natura la celestiale corte debbia possedere, se di
peccato non ripiena ; et quando per follia dessa del celeste pa
radiso privata, non se ne de' dare la colpa se non ad essa
umana natu ra et simile se gli dae di veritade per li nostri pec
cati commissi. Perocch moltissime volte s veduto per li nostri
peccati Iddio avere conceduto alli spiriti angelichi et maligni
podest sopra di molti et a corpi celesti, li quali mediante la
potenzia di Dio hanno a guidare et condurre i corpi di sotto,
cio noi, e tu tte le piante et bestie con tutte le cose elemen-
tate. Et spesso per alcuni peccati commissi venuto fuoco et
acque et sangue dal cielo per purgare et punire li malifattori, et
molte citt e paesi sommersi e t arsi. Et di tutti i segni quali
in nelle scritture antiche si trovano scritti e di quelli che tut
tod si veggono neuno ne vuole prendere esemplo, et non che
da' vizii si vogliano astenere, m a con ogni sollecitudine s1 inge
gnano con quanti modi sanno di fere male, et chi fare noi pu
insegna ad altri il modo di farlo. Et per questo modo quella
creatura che Dio pi f* beata e che a sua similitudine la cre,

(1) Ms.: ella natura humana creata e fatta da lui a sua somiglianza.
4 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

pi vituperosam ente da Dio s i parte. Et pertanto non da m e


ravigliarsi se alcuna volta la natura um ana pat afflizioni di
gu erre e pestilenzie, fame, incendi, ru b a n e e t storsioni, c h e se
da' peccati s'astenesse, Iddio le dare' quel bene c h e ha prom esso,
cio in questo mondo ogni grazia e t nell'altro la sua gloria. Ma
p erch la natura um ana al contrario del b en e saccosta e t quello
segue, ha disposto la potenzia di Dio mandare di que segni ch e
mand a Faraone, acci ch e partendoci da' vizii ci am endiam o.
Et noi duri e t indurati i nostri cuori, com e quello di Faraone,
spettando l'ultim a sentenzia, in n elle pene (1) etern e ci far col
locare. Et non da m eravigliarsi se ora in 1374 la m oria v e
nuta e neuna m edicina pu riparare, n ricchezza, stato, n
altro argom ento c h e prender si possa sia sofficiente schifare
la m orte, altro ch e solo il bene, e h quello c h e da tutte pe-
stilenzie scam pa. Et quella la m edecina ch e salva l'a n im a e
1 corpo, e t non prendendo la v ia di tal bene, necessaria cosa
dandare in nella m ala vita. Gh accostandosi la prim a {sic) col
m alato e senza febbre la m orte il giugner. Quine non bisogna
essere gagliardo, quine non v a le stato n (2) parenti c h e da tal
colpo li possa difendere. Et essendo alquanti om ini e t donne,
Arati e preti et altri della citt di Lucca, la m oria e la pesti-
lenzia nel contado, deliberarono, se p iacere di Dio fusse, per
a l c u n ............................................................................................................ (3).
et prim a accostarsi con Dio per bene adoperare et da tutti
vizii astenersi; e t questo facendo la pestilenzia e t li altri mali,
c h e ora e t per lavven ire si spettano, Iddio per sua piet da noi
cesser. Veduto adunque essi (4) om ini e t donne, Arati e t preti
la pestilenzia m ultiplicare, prim a ben disposti verso Iddio, penso-
rono con un bello consenso passare tempo, tanto laire di L ucca
fusse purificata, e t per la Italia fare loro cam ino con ordine bello 1234

(1) Ma.: glorie. La mutazione mi parve richiesta dal senso.


(2) Ms.: che.
(3) Lacuna nel ms.
(4) Ms.: essere.
PROEMIO 5

e t con onesti e santi modi. Et del m ese di febbraio, un giorno di


dom enica, fotta dire una m essa e t tutti com unicatisi et fatto loro
testam ento, si raunarono in n ella ch iesa di Santa Maria del Corso,
parlando cose di Dio. Et levatosi in pie uno excellen tissim o omo e t
gran ricco nom ato Aluisi, e d isse: Cari fratelli e a m e m aggiori,
e t voi care e t venerabili donne, c h e dogni condizione sete qui
raunati per fuggire la m orte del corpo e t questa pestilenzia,
prim a c h e ad altro io vegn a dir, c h e poi ch e deliberati siem o
p er cam pare la vita e t fu ggire la peste, debiamo altrettanto (1)
pensare di fuggire la m orte dell'anim a, la quale pi davern e
cara c h e lo corpo. Et acci c h e luno e t laltro pericolo si fugga,
di necessit segu ire (2) la via di Dio e t i suoi com andam enti, et
con quelli savi modi, c h e si denno, guidare le nostre persone. Et
questo fare non si pu se prima tra noi non persona a cui
tu tti portino riverenzia, obbidendolo in tu tte le cose oneste, et
lu i com e onestissim o non com andi se non cosa c h e sia p iacere
d ella brigata senza peccato. Et fatto questo tale, disponga il no
stro cam ino, la vita e l modo ch e tenere si de, s c h e senza
lesion e o m ale et senza vergogna salvi alla nostra citt e t a lle
nostre case possiam o lieti e t allegri tornare, avendo lui a tu tte
le ore dato buoni esem pli. Ditto ch e A luisi ebbe le ditte
parole, subito la brigata fra loro disseno: P er certo in questa bri
g a ta m iglior di lui non si potrebbe trovare. E t subito a v iv e
voci disseno tu tti: N oi vogliam o c h e A luisi sia il preposto di
questa brigata et lui preghiam o ch e ta le officio accepti, disposti
noi tutti, m aschi e fem m ine, a obbedire il suo com andamento,
p erocch in lui sentiam o tanta virt, c h e altro c h e don este cose
ci richieder, et per lo suo gran senno et lungo ved ere sani col
nom e di Dio a L ucca ci condurr.
A luisi, c h e ode la brigata, non potendo altro, disse: Carissimi
fratelli e t m aggiori, e t voi onestissim e donne, io cognosco in questa 12

(1) Ms.: e stando.


(2) Ms.: pregare.
6 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

brigata essere di quelli molto pi savi et pi intendenti et di


maggior veduta di me, che tale officio farenno meglio in una ora
che io in uno anno, et bene era che avesti altri eletto. Ma poi
ch a voi piace che io vostro preposto sia chiamato, sono p u r
contento, pregando tutti che quello che comander sia obbedito.
Tutti dissero: Comandate e sar fatto.
Lo preposto disse: Prim a che ad altro si vegna, bisogna che
si faccia una borsa di dinari, acci che in nelle cose necessarie
siamo per li nostri dinari soccorsi. Subito missno mani a dinari,
et fatto un monte di fiorini tre mila, in mano al preposto dati,
dicendo: Quando questi saranno spesi, mettremo delli altri; lo
preposto, vedendo la quantit de dinari et la buona volont di
m etter de nuovi, disse: Ornai stiamo allegri che la brigata ca
piter bene.
Avuto il preposto dinari, parl alto dicendo : Ornai che andare
dobbiamo per salvare le persone, vi comando a tutti, omini e
donne, m entre che abbiamo a fare il viaggio, nessuna disonesta
cosa tra noi n tra altri si faccia, et quale avesse pensieri daltro
fare prima che in camino ci mettiamo si ritorni in Lucca, et se
alcuno dinaro pagato avesse, vegna, che renduti gli saranno. La
brigata, ci udendo, rispuoseno tutti: O preposto, state certo che
noi staremo con tanta onest, m entre che il camino faremo, che
la moglie col marito n con altri user et cos per contrario in
questo nostro viaggio non saccosteranno per disonesto modo.
Lo preposto, essendo certo che disonest non si de fare, or
din uno camarlingo leale, lo quale pi tosto a re del suo messo
a sostentamento della brigata, che di quel tesoro che il preposto
gli diede n avesse uno dinaro tolto. Et per questo modo la bri
gata spera desser delle necessit ben servita.
Ordinato il camarlingo, dispuose il preposto che dui spenditori
fussero, luno al servigio delli mini et laltro al servigio delle
donne, et perch sempre tali offici si denno dare et attribuire
a persone secondo quello che hanno a m inistrare, dispuose il
preposto che al servigio delli omini fusse uno giovano spenditore,
savio et non d avarizia pieno, et al servigio delle donne fuse
PROEMIO 7
u n o om o di m atura et e discreto in nello spendere, acci ch e
tu tta la brigata di n iente si potesse lam entare.
Appresso ordin che la m attina per alcuni de* preti della bri
gata fusse ditta la messa, alla quale volea che tutta la brigata
vi fusse a udire, e la sera, senza chella vi fusse, dicesseno tu tte
l'o re et compieta, acci che loro (1) alcuna negligenza si possa
im putare.
F atto questo ordine, ordin coloro che colli omini alla cena
e al desnare dovranno con diletto et canti di giostre et di mo
ra lit cantare et ragionare, con alcuni stromenti, et talotta colle
spade da scherm ire, per dare piacere a tutti. Et alcuni tra loro
vi disputassero in nelle liberali scienzie et questi eletti sono per
la brigata dlti om ini e t p r e l a t i ....................................................(2).
Altri ordin che di leuti et stromenti dilettevoli, con voci piane
e basse et con voci piacevoli, canzonette damore et donest di
cesseno alle donne. Et perch ve n avea det alcune, accasate
e t vidue (3), ordin alcuni pargoletti saccenti col salter sonare
un salmo et una gloria, et quando sudiva la messa, al levare (4)
del nostro Signore, uno sa nctus sa nctus dirsi, et per questo modo
volea che la mattina, quando si dicesse la messa, fusse sonato, et
al desnare e t alla cena diversamente, secondo le condizioni delti
omini, fusse lo suono, et cos delle donne. Appresso ordin che
tali strom enti et sonanti dopo il desnare e la cena contentassero
la brigata di suoni et diletto senza vanagloria, et tutto ordina
tam ente misse in effetto.
Dipoi, rivoltosi lo preposto alla brigata, parlando per figura
d isse: Colui il quale senza cagione h a di m olte ingiurie soste
n u te e t a lu i senza colpa sono state fatte, com ando c h e in questo
nostro viaggio debbia essere autore e t fattore di questo libro et 1234

(1) Ms. : per loro.


(2) Piccola lacuna nel ms.
(3) Mi sembrato di ricostruire cos questo passo certo guasto nel ms.,
che dice: Et perche venavea date alcune obligagone et achasata et vedue.
(4) Ms.: et allevare.
8 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

di quello che ogni di gli comander. Et acci che non si possa


scusare che a lui per me non si sia stato per tutte le volte co
mandato et anco per levarlo, se alcuno pensiero di vendetta
avesse, canter (i) uno sonetto, in nel quale lo suo proprio nome
col soprannome ritrover. Et pertanto io comando senz altro
dire che ogni volta io dir: Autore, di la tal cosa; lui senzaltro
seg u a(2) la mia intenzione. Et parlando alto disse:

G i trovo che si die pace Pompeo,


Immaginando il grave tradimento,
Omicidio crudele e violento,
Volendo ci Cesare e Tolomeo.
Am Ecuba quel reo
Nativo dAntenor il cui nome sia spento, (3)
Nascoso su laltar con gran passione
I l convertir ringraziando Deo.
Sotto color di pace ancora Giuda
E1 nostro salvator Cristo tradio,
Radendo a di vita in morte cruda.
Considerando ci, dommi pace io,
Avendo sempre lanima mia cruda
Mossa a vendetta, cancello il pensier mio.
Ben dico che la lingua colla mente
Insieme non difforma in leal gente.

Et udendo ciascuno della brigata lo sonetto piacevole e t neuno


potendo intendere di chi (4) il preposto parlava, salvo colui, il
quale comprendendo le parole e t versi del sonetto vi si trov
per nome et soprannome, senzaltro dire comprese che lui dovea
essere autore di questo libro et senzaltro parlare si stava come
li altri cheto.1234

(1) Ms.: contro.


(2) Ms.: schusa.
(3) 1 versi che non tornano e i non sensi e la mancanza di rime esatte
sono nelloriginale.
(4) Ms.: che.
DE SAPIENTI.*. 0

1.
[TriT., n* 1].

DE SA PIE N T I A.

N arrasi ch e uno m ercadante della Tana nom ato A lu iy , omo


ricchissim o, avendo tr e figliuoli, l uno nom ato Arduigi, laltro
Scandaleo, lo m inore Manasse, divenne c h e *1 ditto A lusi infer
m ando e t cognoscendo dover abbandonare questo mondo, divise
lo suo tesoro, e t prim a tr e pietre preziose di sum m a ciascuna di
ducati tre m ila n ascose in un luogo secreto e t incirca ducati
cento ven ti m ila si riserb in una cassa, e senza alquante pos
sessioni e t arnesi. Et venendo peggiorando e t prossimo alla morte,
ch iam questi tre suoi figli, a lli quali com and e disse c h e prima
c h e m orisse volea c h e loro prom ettessero c h e m ai non tocche-
rebbono li ditti g ioielli e n e ch iar la valsuta (1). Appresso f
v en ire dinanti di s li ditti ducati cento v en ti m ila e t quelli
divise p er terzo, assegnandone a ciascuno quaranta m ila. Et questo
fatto, il ditto suo figliuolo m aggiore nom ato Arduigi giur e t pro
m ise osservare, e t sim ile sacram ento fece Scandaleo e t appresso
M anasse, suo figliuolo m inore. Auto il preditto A luisi tali pro
m issioni e t sacram enti, subito quelli benedisse, e t da indi a pochi
giorn i pass di questa vita. Al cu i corpo i figliuoli feron grande
onore secondo li costum i d e m ercadanti del paese, et stando li
preditti fratelli senza fare alcuna m ercanzia, m a continuo in
su l god ere e t darsi piacere in cen e et in desnari, in femmine
e t in ca v a lli e t altri piacevoli diletti, in tanto ch e non m olto dur
c h e il m inore fratello, cio M anasse, consum quasi la somma
d e ducati quaranta m ila della sua parte et li altri fratelli avean
consum ato pi delle tre parti della loro parte, avendo sem pre
speranza c h e 1 gioiello de ducati tren ta m ila fusse in loro su s
sidio. Consumato il ditto M anasse i suoi ducati, senza rich ied er
alcuno d e suoi fratelli, and al luogo ov erano li gioielli e di
quine n e trasse uno e t a m ercatanti ven ezian i ven u ti alla Tana
lo ven d ea secretam ente ducati trenta m ila, e teneali (2 ) per s, 12

(1) Ms.: erano ella valsata.


(2) Ms.: tenendo.
io NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

facendo m asserizia e t vivendo senza le prim e spese, intendendo


alla m ercanzia. Lo fratello m aggiore nom ato Arduigi, avendo
consum ato la parte a lui data de ducati quaranta mila, disse a
Scandaleo suo m ezzano fratello il suo besogno, dicendo ch e lo
p regava frisse seco a parlare con M anasse, sperando c h e per le
spese ch e M anasse avea fatto dovea stare contento ch e li gio
ielli si partisseno. Il preditto Scandaleo fu contento, p erch lui
sim ilm ente la sua parte avea consum ata. Mossi i preditti dui
fratelli, andarono (1) a M anasse narrandogli quel c h e il loro
padre avea loro im posto e t m assim am ente de' gioielli, c h e quelli
non si toccassero se tutti in prima non fussero contenti, dicendo:
Noi abbiamo consum ato tutti q uelli denari ch e nostro padre
ci die* et sim ile pensiam o c h e tu abbi i tuoi consum ati, pregan
dolo ch e sia contento c h e ciascuno prenda il suo gioiello per
poter con quello ven ire a onore. A i quali il ditto M anasse ri
spose: Io non voglio acconsentire, per io veggo ch e a m e vor
reste tollere il mio g io iello ; m a se sete contenti ch e io abbia la
m ia parte di quelli gioielli, sono contento. A l quale li du fra
telli con sacram ento lo prom isero et cos se n'andarono al luogo
dove il loro padre avea ditto. Et quine cercando trovonno due
gioielli, dove il padre avea ditto di tre. Et com e questo fu veduto,
Manasse disse : Ben lo dico io ch e voi m 'avete ingannato e per
ven iste a m e a dirmi c h e volevate il gioiello, p erch n avete
tolto uno. Et per v i dico, sia com e si vuole, io ar uno di questi
due p erch m i tocca in parte. R ispuose Arduigi m aggior fratello
e t disse: Di vero dobbiamo credere, c h nostro padre non disse
mai bugia, ch e veram ente i gioielli denno esser tre. E t se noi
volessim o dire altri c h e noi tali gioielli h a tolti, dico non esser
vero. Et prim a p erch neuna persona del mondo lo sapesse se
non noi, appresso, se alcuno li a vesse trovati, egli li avrebbe
tutti e tre portati via e non n e n* a re lassato verun o: e t per
tanto io conchiudo di vero c h e uno di noi stato quello c h e h a
preso il gioiello. Et p erch noi siamo fratelli e t dobbiamci am are
insiem e e t non corrucciarci, vi dir m io parere, e t quando Tar
ditto potrete prendere quello [consiglio] v i parr. Et com inci
a dire: F ratelli m iei, voi sapete ch e il Gali signore del Mangi
fue grande am ico di nostro padre e il pi savio omo ch e sia in
nella legge di M acometto. S e paresse a voi (ch e a m e pare) ch e

(1) Ms.: andati.


DE SAPIENTI li
n oi questa questione del gioiello rem ettessim o in lui, e t [di] quello
n e dichiara ciascuno sia contento? Et tanto c h e abbiamo da lui
la dichiarazione, questi du gioielli non si tocchino et lascinsi
qui stare. Il quale dire piacque a fratelli, e t allora ripuoseno li
g ioielli dove il padre li a vea m essi et deliberanno di cam inare
v erso il Mangi. Et prim a ch e si m ossero dalla Tana ordinarono
di v iv e r e sem pre insiem e et a uno scotto et m ai tra loro non
sar alcu na quistione tra v ia p er cagion del gioiello, e t cos n el
ritorno osserveranno (1) q uello c h e il Cali dir. E t cos promesso,
e* mossonsi dalla Tana del m ese di ap rile forniti di vettovaglia
e t da ltre cose bisognevoli alla loro vita, p erch pi di quaranta
giornate hanno a cam inare prim a c h e siano in n el Mangi. Et
cam inando, gi passato aprile, dilungatisi dalla Tana pi di ven ti
giornate, divenne c h e Arduigi, fratello m aggiore, disse a fratelli:
F ratelli m iei, accorgetevi voi ch e per questa pianura passato
una cantinella c h e non h a se non l occhio m anco? Li fratelli
rispuoseno: A ch e te n accorgi? L u i disse: B ene m e n accorgo
io, e t taccio. E t m entre c h e i preditti cam in an o, essendo al
quanto caldo per voler m angiare e t riposarsi sotto a uno arboro
et quine mangiando, Scandaleo, fratello mezzano, disse : F ratelli
m iei, io v i dir c h e in questo luogo s posto a gia cere una
cam m ella carica di m ele et daceto. I fratelli disseno: Come lo
sai? Lui disse ch e cos era. Et m angiato ch e ebbero, volendo
cam inare, Manasse disse: P er certo qui stata una cam m ella
sen za coda. I fratelli disseno: Come lo sai? D isse: La coda non
a v ev a . Et m essisi a cam inare, p erch presso al Mangi erano a
una giornata, et cam inando scontrarono uno vettu rale, il quale
li domand se lro avean o veduto una cam m ella carica. Disse
A rdu igi: La tua cam m ella era duno occhio m eno. Disse il v e t
tu ra le: S. Arduigi d isse: Non la vidi m ai. D isse Scandaleo: La
tu a cam m ella era carica di m ele et daceto. Lo vettu ra le disse :
S. Scandaleo disse: Non vidi a m ia vita. M anasse parlando
disse (2): La tua cam m ella era senza coda. Lo v ettu ra le d isse:
Voi a v e te detto tutti la verit. Manasse d isse: Io non lh o v e
duta; va, cercala. Lo vetturale, avendo udito costoro e tutti i12

(1) Ms.: osserveremo, ma forse non punto errore, giacch il repentino


passaggio dal riferimento indiretto al diretto dei discorsi frequente in
queste novelle, come per molti esempi si vedr.
(2) Ms.: dicendo.
12 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

segni, disse: P er certo voi m e la v ete rubata; m a io far c h e


a m e la restitu irete con ogni danno e t interesse. Et cosi [si] m isse
in cam ino con questi tre fratelli o insiem e giun sero a l Mangi.
Lo vettu rale subito ha fatto rich ied ere i ditti fratelli dinanti a l
signore d el Mangi (1). Et allora domand la sua cam m ella con
ogni danno e t interesse, narrando i segni c h e a lui per loro gli
erano stati contati. Il Gali, ci udendo, disse a ditti c h e si di-
fendino, li quali con sacram ento giuravano la ditta cam m ella
non a vere m ai veduta, posto c h e noi abbiamo contati i segn i (2).
Ai quali il Gali d isse: Se non dite le ragioni evidenti d ei segni
dati, voi am endrete ogni danno e interesse. Arduigi, c h e prim a
avea ditto la cam m ella esser con l occhio manco, disse: Signore,
passando tra du prati derba e t vedendo Torme di cam m ella e t
vedendo c h e solo da l uno dei lati l erba era m orsa, stim ai tal cam
m ella a vere m eno un occhio, perocch luso dei cam m elli
c h e l uno boccone prende da l uno d e lati e l altro da laltro.
Et questo fu quello c h io dissi della cam m ella. Scandaleo d isse:
Signore, essendo noi sotto un arboro posti per riposo, vedendo
quine essere raunate in su l terreno alquante m osche da l uno
d e lati e t daltra parte mostioni, stim ai quine essere stata una
cam m ella caricata di m ele e daceto, perocch al m ele traggono
le m osche e t a llaceto traggono i mostioni, e per questo modo
gli dissi: ma ch 'io mai la vedessi non lo crediate. Manasse, il
quale avea ditto non av ere co d a , d isse: P e r c h le cam m ello
poste a giacere, volendo orinare, fanno colla coda una fossa n ella
ren a e t quine orinano, e t poi colla coda ricoprono colla rena
[lorinaj, e t io vedendo lorina essere sparsa per la rena, stim ai
la caram ella non a v ere coda, e t altro m ai non sentii. Udito il
Gali le belle ragioni assegn ate per quelli tr e fratelli, giudic
esser vero q uello c h e aveano detto et al v ettu rale com and
andasse a ritrovare la cosa sua, dilibcrando coloro. Et veduto
il Gali la bella apparenzia de* giovani e t la sottile interpretazione
della quistione, ven u toli dinanti, dim andandoli di qual paese jerano
e la ragione p erch erano ven u ti desiderava sapere. A l quale,
com e ordinato avean o li tre fratelli, [dissero] c h e A rduigi m ag
giore fratello fusse quello c h e rispondesse. Et fatta la debita re- 12

(1) Ms.: al Mangi singore.


(2) questo uno dei passaggi dal discorso indiretto al diretto, cui ac
cennai a p. 11, . 1.
DE SAPIENTI^ 13
v eren zia, in questo modo rispuose: M agnifico signore e t potente (i),
sa v io e t am atore di verit e t de* vostri am ici, quello M aum etto
c h e voi adorate v i conservi felice e t lungo tempo. N oi siam o
tr e fratelli nati della buona m em oria di A luisi della Tana, li
q uali volendo ubbidire il com andam ento di nostro padre, ci siam o
d irizzati dinanti alla vostra m agnifica signoria e t prudenzia,
a cci c h e voi in tu tte scien zie am m aestrato debbiate cognoscer
e t term inare alcuno dubbio tra noi nato, pensando c h e quello
n e d irete ser tutto vero et buono giudizio, per noi non sop
porr. Et di questo som m am ente vi preghiam o, cognoscendo noi
non essere sofficienti a dovervi riprem iare in alcuna cosa, ma
pregando il vostro e t nostro Iddio c h e vi dia lunga v ita . Lo
Gali, avendo inteso costoro essere figliuoli di A luisi della Tana,
il quale era stato grande suo amico,- con grande am ore ven u to
a* ditti fratelli, volentieri accett v o lere la loro quistione difinire.
Et p er am ore del loro padre piacquegli c h e la sera dovessero
essere con lui ed invitolli dicendo: Io voglio c h e stasera torn iate
in n el mio albergo per am or del vostro padre ed eziandio per
la vostra persona, c h m eritate ogni bene per la vostra pru
denzia. Ma prim a c h e ad altro vegnam o, io vo sap ere la q ui
stion e c h e volete ch e io finisca e t term ini tra vo i. Arduigi
fisp u ose: La nostra quistione sta in questo punto. N ostro padre,
il q u ale mai non disse bugia, ci disse c h e avea in uno luogo se
creto m isso tre gioielli, e t di vdlsuta ciaschiduno di ducati trenta
m ila, e t c h e quelli m ai non si toccassero per noi, se di concordia
tu tti e tre non eravam o, e t cosi lo prom ettem m o. Et lui ci di
la benedizione e t pass. Dapoi n oi, per la giovent non corretta
sfrenati (2) il m obile lassato abbiamo consumato, e t volendo
puoner mano a gioielli nascosti, di concordia andam mo l u'
nostro padre avea disegnato, e t non trovandovi c h e du gioielli,
abbiamo stim ato ch e noi lo terzo abbiamo preso. P are a ciascuno
de m iei fratelli io doverlo a vere preso e t a me pare loro averlo
preso, e t questa la nostra quistione. Udito il Cali la loro
quistione, fu m olto pi contento daverli invitati, stimando, costoro
faranno quistione di tal gioiello, e t io intendendo quello c h e tra
loro diranno potr m eglio sentenziare, diliberando m ettere costoro
in una cam era, nella quale avea una colonna in m ezzo m urata. 12

(1) Ms.: parente.


(2) Ms.: efremati.
14 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

in n ella quale si potea v en ire a u d ire e t ved ere tu tto ci c h e


faranno, ch in q u ella cam era era sen za esser ved u to. E t com e
diliber m isse in effetto. L i fra telli accettando, lo Gali li fe c e
en trare in n ella d itta cam era, dicendo tra s m edesim o: C ostoro
sono ven u ti a m e ch e io d ich iari loro la quistion e, e t eliin o
hanno d itto la in terp retazion e a lle co se non v ed u te, com e d ella
cam m ella, e t a m e vegnono p er in trep etra re le cose ch e h an n o
ved u te del g io ie llo ; p er certo il m odo preso da v erli in ta l ca
m era m i far da questo fatto a v ere onore. E t con questo m odo
fece ap parecchiare in n ella ditta cam era tu tto ci c h era di bi
sogno. V enuta l ora d ella cen a, i p red itti fra telli p osti a m ensa
in n ella d itta cam era, il Gali en trato in n ella colonna, M anasse,
vedendo ta le colonna in n ella d itta cam era e t non parendo a
lu i la d itta colonna n ecessaria in siffatto luogo, stim su b ito
q u ella il C ali a v ere fatta p er p oter sap ere q u ello ch e in ta l
cam era si far, stim ando il Gali in q u ella dentro essere. E t
m entre ch e a tau la stavano, v en u te le v ivan d e e t m angiando (1 ),
dopo alquanto tem po d isse A rduigi : F ra telli m iei, di vero q u esta
carn e ch e il Gali n h a dato questa sera a m angiare fu a llev a ta
a la tte di cagn a. L i fra telli, ci udendo, disseno: A ch e te n e
accorgi? E risp uose: B en m e n e accorgo io . Lo Gali, ch e tu tto
ode, com in ci a rid ere di ta li parole, spettando u d ire pi o ltra .
E passato alquanto, Scan daleo d isse: F ra telli m iei, io m i sono
accorto ch e q uesto vin o c h e il G ali ci h a dato nato d ove si
sotterran o i corp i m orti. I fra telli d issen o: B en h a i so ttile gu sto
a ci sap ere. Lo Gali, udendo, d isse fra s: C ostoro h anno n u ovo
p en sieri ; stando a a scoltare sen tir d ella loro q uistion e. M anasse,
aven d o udito il parlare d e fra telli, dispuose n arrare il suo pen
sieri e t d isse: F ra telli m iei, v oi a v ete ditto l uno d ella carn e
e t la ltro d el vino, e t io v i v o d ire ch e veram en te q uesto Gali,
c h e n ha qui in v ita ti e t fattoci onore, bastardo. D isseno i fra
te lli: M al d i, e ch e puoi tu sap ere di ta l cosa? R ispuose: B en
lo so io. Lo Gali, com e udio d ire essere b astardo, subito p rese
p en sieri v o ler tu tto sap ere e t p artissi d ella colonna e t di pre
sen te m and p er lo suo sin isca lco , a l quale d isse: C he carn e
h ai tu dato stasera a q u elli forestieri? D isse: Io diedi loro uno
agn ello, il quale ci don N ieri nostro vicin o . Lo Gali m and
subito per lo d itto N ieri e v o lse sap ere di q uello a g n ello. L ui
risp uose: A vendo una pecora pregna e t parturendo uno a g n ello,

(1) Ms.: imaginando.


DE SAPIENTIA 15
m orio la d itta pecora, e t io aven d o una cagna, c h e avea fatto
i cagn u oli, questo a g n ello feci a llev a re a la tte di ta l cagna. 11
Gali, sentendo q uesto, stim o s essere bastardo, e t subito m and
p er lo b o ttig lie r i. dicendo di qual vino a v ea dato a* fo restieri.
R isp uose: D i q u el vin o di q u ella vign a dove si soppelliscono
i corpi m orti. Lo Gali ten n e p er certo lu i essere bastardo,
vedendo i due a v er d itto il v ero, e t m and p er la m adre
e t a le i d isse di cu i fig liu o lo era. La m adre d isse: Se* figliu olo
d el G ali v ecch io . L ui replican d o d isse: Di v ero non sono,* d itelo
presto. L a m adre d isse : Di v ero tu se* figlio d el con te di R a-
g u g ia . D unque sono io bastardo? L a m adre d isse: S ie.
R itornato il Gali in n ella sua cam era, p arendogli la n otte m ille
a n n i, s i pos. L evato il sole, il G ali m and p er li tr e fra telli e
v en u ti, d isse a l m aggiore q u ale era il suo ragionam ento a lla
cen a d ella carn e. A rduigi d isse ch e veram en te q u ella carn e era
a llev a ta a la tte di cagn a. D isse il G ali: C he ne v ed esti? R i
spuose : P erch di ta l carn e Tomo non se n e v ed e m ai sazio, e t
ved en d o io a v er m angiato presso a uno agn ello, stim ai cos. Lo
C ali d isse: T u h a i d itto il v ero. E t poi d isse: E tu ch e d icesti
d el vin o, ch e p otesti com prendere? R ispuose S can daleo: Signore,
noi d ella T ana abbiam o buone teste, di ch e io stim ai ta le vin o
essere n ato dove si sop pelliscon o corpi m orti, p erch n atu ral
m ente il corpo d ellom o g ra v e ed a lla testa d im paccio. Lo
G ali sign ore risp uose : E co si trovo. E t a M anasse d isse: 0 tu
ch e d icesti ch e io era bastardo, c h e scien zia h a i apparato ch e
le co se fa tte in n an ti a l tu o n ascim en to possi sapere? M anasse
risp u ose: S e p erm etti dir. D isse il G ali: Io perm etto. M anasse
d isse: Stim ando io tu d overci stare a ved ere e t a u dire, sti
m ando non essere atto d i buono om o, m a di bastardo, m a sti
m andoti a u d ire e v ed ere, stim ai tu essere bastardo; il quale
d ire ti p rego m i perdoni. D isse il G ali: P er certo tu tti a v ete
ben giu d icato; m a acci ch e d ella vostra q uistion e io v i dia
buona assoluzion e, prim a ch e ad a ltro io vegn a, v o g lio d irvi
u na n ovella e t dim andarvi da lcu n e cose. A rduigi d isse: Signore,
d ite. Il Gali d isse: U na b ellissim a giovana, n ata dun g en tile con te
e t m aritata a uno g en tile om o, ebbe a p assare (1) p er lo terren o
di tr e giovan i com e voi sete, ciascu n o p oten te a ten ere il passo.
Stim ando tu, A rduigi, essere il prim o sign ore l u ta l giovana

(1) Ms.: et a passare.


iG NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

accom pagnata a m arito n m enata, e t passa p er lo tu o terren o :


i tu o i fam igli q uella conducono a te dinanti : ch e Daresti dessa?
Et, Scandaleo, passa per lo tuo terren o, presa d a lle tu e b rigate
e t condotta in tu a forza: c h e Daresti di ta le giovana? E t tu , Ma
n a sse, la donna ditta t' rap resen tata b ella e t p u lcella , e t h a i
di le i tu tto tu o dom inio, dim ando c h e n e faresti? A rd u igi
risponde ch e ta le giovana fare12 accom pagnare p er tu tto il su o
terren o sicu ra e t sen za v illa n ia Darle, n con sen tire' ch e a ltr i n e
fa cesse. Scandaleo d isse ch e avu ta ta le g iovan a q u ella usare* e
prendere* b en e p iacere e t dapoi on orevolm ente n e la m andare*
a l suo m arito. M anasse d isse: Di vero ten ete, C ali, quando a
m e fusse presentata, io n e farei m ia volont, e t dapoi v orrei c h e
tu tti i m iei fam igli la v e sse n o e t ch e sem pre tra loro si ten esse
questa, sen za m an d am ela. U dito ta l cosa, il Gali subito d isse: E t
io giudico ch e (tu], M anasse, abbia auto il g io iello , e t non tu oi
fra telli. M anasse disse: T u di* il vero. Lo Gali d isse: Gome lh a i
cos tosto confessato? R ispuose M anasse: Gome con fessasti tu (1 )
ch 'eri bastardo. E dato ta le giud izio, i d itti fra telli p resen o
cum iato dal Gali e t ritornorono in verso la T ana di buona con
cordia, dando l uno d ei g io ielli a A rduigi e t la ltro a Scan daleo.
Et Dettone dinari, dati tu tti e tr e a lla m ercan zia, avarizzand o
vissero (2) on orevolm ente, sen za g itta re pi n fare m ale sp ese,
lassando li a tti giov a n ili.

(1) Ms. : tu tto .


(2) M s.: e t v iv e n d o .
DE SIMPLICITATE 17

8.
[Trir., b 2].

DE SIMPLICITATE.

In n ella citt di L ucca in n ella contrada di San C ristofano fu


uno p elliccia io , om o m ateriale e t grosso di pasta in tu tti i suoi
fatti, nom ato G anfo, sa lv o ch e a lla sua bottega assai guardingo
e so ttile. D iven n e ch e il ditto Ganfo, infirm dalcu na m alattia
e t fu dam edici lodato il bagno a G orsena esserg li u tile, piuttosto
ch e le m ed icin e; di ch e disposto il d itto Ganfo dan dare a l bagno,
ch iese a lla m oglie, nom ata monna Teodora, denari per portarsi (1)
a l bagno e t v iv ere . La donna su a m oglie g li d ie d ieci lir e di
sestin i dicen dogli: Fa p iccole sp ese. Ganfo, m essosi la v ia tra pi
e t cam biato pianam ente, p ervenn e al bagno senza a v ere beuto et
m angiato altro ch e un poco di acqua e t q u ella b ev v e a lla Lim a,
ch volendo p assare la d itta acqua, non volendo m ontare in
su l ponte, si m ise p er lacqua. Et lu i debile e t l acqua grossa,
quasi n e (2 ) affog; e t in questo modo Ganfo a v ea beuto uno
poco dacqua. Ganfo a l bagno, andando a ved er lu i le persone
si bagnavano, vedendovi dentro centin aia di om ini nudi, d isse fra
s m edesim o: Or com e m i cognoscer tra costoro? p er certo io
m i sm arrir con costoro, se io non m i segno di q u alch e segno.
E t pens m ettersi in su lla sp alla ritta una croce di p aglia, di
cendo: M entre io ar la cro ce in su lla spalla, io ser desso.
E t com e ordin m isse in effetto, ch e la m attina rin v eg n en te il
dittoG anfonudo colla croce in su lla sp alla ritta en troe in n el bagno.
Et quine stando, guardandosi la spalla e t ved u ta la croce, dicea:
B en sono desso. Dim orando alquanto e t facendogli a lle sp alle freddo,
e t l acqua galleg g ia v a , tiran d osi a basso, la cro ce d ella sp alla
se g li lev d alla spalla e t a uno fioren tin o, ch e allato a lu i era
presso, la ditta cro ce su lla spalla si puose. Ganfo, guardando s
e t non vedendo la croce, voltandosi la v id e a quel fiorentin o;
subito trasse a lu i dicendo: Tu sei io e t io son tu . n fiorentino,
non sapendo q uello v o lesse dire, disse : V a via . Ganfo replicando 12

(1) Ms.: portare.


(2) Ms.: non.
16 NOVELLE 01 GIOVANNI SERCAMBI

d isse: Tu sei io e t io son tu . Lo fiorentino, parendogli co sta i


fo sse m entegatto, d isse: V a v ia , tu se*m orto. Ganfo, com e ode
d ire: Tu se* m orto, subito u scio d e l bagno e t m isssi i panni sen za
parlare n m angiare n b ere [e p rese] a cam inare venendo v erso
L ucca. E t quantunqua n e scon trava c h e lu i salu tassero, a n eu no
rispondea. V enuto a L ucca e t g iu n to a lla sua casa, m onna T eo
dora vedendolo d isse: Ganfo, o tu se* s tosto tornato? G anfo
udendola d isse: T eodora d olce, i* sono m orto. Et g ittatosi in su l
tetto sen za aprir occh i n altro sen tim ento foro, dim ostrando e s
sere m orto, c h poco sp irito a v ea , s p er la m alattia a vu ta, si
p er lo caulinare senza a v er m angiato n b ea to , s per la p au ra,
la donna giud ic esser m orto. E t subito gridando, scap iglian d osi,
d iceva (1) G anfo suo m arito e sse r m orto. Li v icin i traggono a
con fortare la soonsolata di s buono m arito, dando co n sig lio
c h e Ganfo sia soppellito. E t co se s i msse in ordine. V en u ta
la bara e t quine m esso G anfo, lu i stan d o ch eto e t com e m orto
si lassa m enare, la ch iercia (2 ) rannata e t ven u ta co lla cro ce
a ca sa , e t ricevu ta la cera, andando con G anfo a lla ch iesa p er
q u ello sep p ellire. E t m entre c h e Ganfo era c o si portato, u na
fan tesca nom ata V etessa dom and q u ello era : fo g li d itto c h e
Ganfo era m orto. C om e V etessa questo udio, incom inci a g r i
dare e t disse: M aledetta sia lanim a di G anfo, ch e in q u el m a
led etto punto g li diedi un m io p elliccio n e a ra ccon ciare, c h e
m ai non lo potei av ere. E t questo dioea spesso. Ganfo, c h e pi
v o lte a v ea avu to parole con V etessa, sen tend ola grid are, p aren
dogli c h e V etessa d icesse m ale, parl alto -e disse: V etessa, V e
tessa, sio fosse v iv o com e son m orto, io ti risp ond erei b en e.
A lle quali p arole q u elli ch e portavano la bara b ssa ro n la ca
dere in terra , dubitando fo sse sp irito fentasm o, e t tu tto Ganfo
si m acol. 1 ch ierici traen do a lu i e le persone d'intorno o v e
dendolo v iv o disseno: O c h e m ala ven tu ra h ai tu , G anfo, c h e H
v o lei ffcr so tterra re v iv o p er m orto? Ganfo, vedendosi intorno li
parenti e t v icin i, d isse lo ro la n o v ella del bagno. Li p reti s e
n andarono co lla cera an ta e t Ganfo fo rim enato in ca sa , e t co n
fortato d iven n e sano e la sua a rte esercit.12

(1) Ms.: dicendo.


(2) Ms.: chieria.
DE MALVAGITATE ET MALITIA 49

8.
n q.

DE MALVAGITATE ET MALITIA.

M agnifico preposto e t voi om ini donne desiderosi di u dire,


essen d o Ganfo p elliccia io grosso e t m ateriale, m ente di m eno a lla
sua bottega era so ttile. E t fed en d o la r te sua in una bottega a
S a n G ristofeno di L ucca, uno 'fiorentino nom ato Zanobi avendo
preso a pigione lo solaro dove sta v a Ganfo a bottega, pensando
i l d itto Zanobi ch e p er fe re d isp iacere a l d itto G anfo la bottega
d ovesse abbandonare acci ch e lu i l a v esse p er p otervi la rte
sua d elle scarpe fere, e t aven d o sen tito il modo c h e Ganfo a v ea
ten u to quando d isse essere m orto, pens: Io potr con co stu i
fere ogni d isp iacere e t com e m atto m e laseiar e t cred er ogn i
cosa ch e io g li feccia (1). Et fo lto ta le fondam ento, diliber
Zanobi ogni d du v o lte ooUorin a sua bagnare le p elli di Ganfo
e t com in ci pi p resto potea, ch e a lla scala dove Zanobi m on
ta v a fo uno pertuso, dove Zanobi m ettev a il su o m ard feco io e t
q u in e orinava, in tan to ch e tu tto p elli b agn ava. E t cosi s'in
gegn ava di riten er lorina p er p o ter le p elli di Ganfo ten er
fresch e, ch ogni v o lta ch e ven ia a o rin are q u ellara il suo lu ogo.
Ganfo, ch e ogni mattina trovava le su e p elli b a g n a te, lam en
tandosi di Zanobi p erch di sopra gU stava, e' g li d isse (2) c h e
fecea m ale a g itta re Faoqua in su lle su e p e lli Zanobi, dicendo
c h e topi sono q u elli c h e bagnano le p elli, e t non su a aoqua, do
le s s i (3 ) ch e p er le p elli di Ganfo non potea v iv e r e in casa,
ta n ti topi naveano a lle tta ti. A c o i G anfo disse: 0 veram en te io
ritrovo una g a tta , oh e q u esti topi p ig lier , o io abbandoner
q u esta bottega. Zanobi, udendo d ire ch e abbandoner la b ottega
se la g a tta non p ren d esse i to p i sapendo il fotto, sollecita m en te
pi ch e di prim a orinava in su lteip elli, aven d o fette u no p ertugio,
dove Z anobi com d itto, m ettea m arcifeccio. E di d q u ello 123

(1) Ho cercato interpretare, ma il testo corre poco. Il ms. varamente dioe:


et come inatto non tastiera et credino cosa che io li faccia.
(2) Ms.: et dimando.
(3) Ms.: dolendosi Zanobi.
20 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ricopria per modo, ch e Ganfo n altri accorger se n e potea~


Ganfo, posto ch e fu sse di grossa m ateria, con uno so ttile in gegn io,
com e sogliono fare alcu n a v olta i m atti, stim lo bagnare le su e
p elli non esser de'topi (1), e t dispuose q uello di certo v ed ere. E t
fatto vista di ch iu d er la bottega, dentro v i si n ascose, p er lo
luogo doverano bagnate le su e p elli si m isse a rigu ard are. V e
nuta la sera, Zanobi, com era sua usanza, s puose il m arcifaccio
p er lo pertugio, pendente m olto a sim ilitu d in e di (2) ogni tristo
can e a gran coda. Ganfo, ch e questo ved e, n ien te d ice, ma co m e
savio raffrena la furia e a suo tem po delibera m anifestare il
suo senno contro la m attia di Zanobi. Et poco stan te Ganfo se
nand a posare. E la m attina, eh era uno sabbato, dolendosi
ch e topi g li guastavano le p elli, disse: Di vero se la gatta c h e
10 ci m ettr stasera non prender li topi c h e non mi lassano le
m ie p elli asciu tte, io m i partir d ella bottega e provedronne
unaltra. Zanobi, ch e tu tto ode, pensa in tu tto d non o rin a re
et p otere la sera bagnare com piutam ente le p elli di Ganfo. Ganfo.
ch e sera accorto del tratto, and alla p esch eria e quine trov
un lu ccio grosso di pi di libbre v en ti e t q uello com pr. F u g li
ditto quello vo lea fare di q u el lu ccio cos grosso: lu i risp uose:
Lopere (3) ch e m onna T eodora m ia dolce m oglie fece a Dio e t la
orazione de'frati m i fenno risu scita re; e t p ertanto io vo g lio ch e
q u elli godano, e t cos si diliber da coloro ch e g li dim andavano
ridendosi di lu i. G iunto a casa, Ganfo disse alla donna c h e con
ciasse q uel luccio, salvo la testa, ch e la vo lea portare a frate
Zanobi, ch era m olto santo: la donna q u ello cred e t conci il
resto. Et Ganfo quella testa n e porta secretam en te alla sua bot
tega, senza ch e altri se n e accorgesse. Zanobi calzolaro, avendo
11 giorno m olto b eu te e t riten u ta 1 orina p er p oter le p elli di
Ganfo gu astare, giun se con grande volont a lla scala e t aperto
il buco m isse il m arcifaccio giuso e t com inci a orinare. Ganfo,
questo vedendo, apprest la testa d el lu ccio e '1 m arcifaccio p rese,
e strettam en te co lle m ani serr (4) la testa, in tanto ch e Zanobi
cred ette ch e fusse la gatta, e t allettan d o la gatta con dolci pa
role, Ganfo dim ostrando esser gatta, dicendo amiau, amiau,.1234

(1) Ms.: t topi.


(2) Ms.: de.
(3) Ms.: lo perche.
(4) Ms.: seraio.
DE MALVAGITATE ET MALITIA 21
strin g en d o la testa d el lu ccio, Zanobi, non potendo pi sosten ere
per lo dolore, e* fu costretto a dover grid are. Li v icin i, venendo
e t trovando Zanobi col m arcifaccio g i d ella scala, stim ado la
g a tta di Ganfo a v erlo preso, biasim arono (1) Zanobi del vitu pero
ch e a vea fatto a Ganfo, avendo sem pre afflrm ato Zanobi ch e i
topi eran q u elli ch e le p elli bagnavano, e t disseno tu tti al ditto
Zanobi: Se m ale non g li avven u to, e* l h a bene com prato.
Zanobi, ch e p er lo dolore era quasi finito, non potendo par
la re, stim orono i v icin i Zanobi m orire. Et deliberarono andare
a casa di Ganfo per ap rire la bottega e t per lev a re la gatta
dal m arcifaccio. Ganfo, sen tito q uesto, ven n e presto acci ch e
non v i fu sse travato, lass e t ap erse la testa del lu ccio. Zanobi
tram ortito fu portato in su l letto e t ch iesto il p rete e t confes
sandosi p el fallo com m esso, ch ied en do a Ganfo perdono, in pochi
g io rn i pass di questa v ita . Di ch e Ganfo p er am m enda sec reta -
m ente ogni d p er la sua anim a d iceva una avem aria.(i)

(i) Ms.: et biasimando.


22 NOVKLLE DI GIOVANNI 8ERCMBI

4.
[T ilr ., 4 ].

DE MAGNA. PRUDENT1A.

Lo r e C ostanzo di P ortugallo, avendo preso p er donna la


figliu ola d el re di T unisi nom ata G aliana, b ellissim a e giovana
e a ita pi tosto a d a ch e a uno p er la su a fortezza e t b ellezza,,
d iven n e ch e essendo ven u ta a m arito a l d itto r e C ostanzo, e t
d i le i Costanzo r e prendendo m olto filetto e p ia cere, con ten
tandosi di le i pi c h e m arito m ai donna ch e a v esse, d iv en n e
ch e la ditta. G aliana rein a, non potendo a v ere a su a su fileien zia
il su o contentam ento, secretam en te d elle parti di T unisi eb b e
un giovano bellissim o, in form a d i fem m ina vestito , in form a di
cam eriera, afferm ando essere m andata d alla m adre p er sua com
pagna. La rein a q uella, di volont di C ostanzo, la r ice v ette. E t
stato alquanto tem po in siem e, la d itta nuova cam eriera dorm en
dosi colla rein a si con ven ia, prendendo d iletto in siem e, a v v en n e
ch e una n otte lo re C ostanzo dorm endo, in v ision e g li p arve u n o
ram arro grossissim o, ch e carnalm ente con la sua donna g ia cca .
Lo re stupefatto con trem ore si dest avendo g i n el cu o re con
cetto nuova m alizia, si per l'am ore ch e portava a lla donna su a,
si p er la paura, ch e quasi di spasim o si m oria. E t m andato p er
suoi m aestri e strolog narrando la sua vision e e t la ra g io n e
d ella sua inferm it, li quali senza alcu n o rim edio partironsi ( i) ,
non sapendo trovare il tenore e t la ragion e di ta l m alattia, lo
re e i rea li, veduto tal fatto, avuto nuovo con siglio e t n arrato
il d ifetto d el re, fu diliberato, dopo m olti con sigli, ch e si m andi
p er tu tta C ristianit e t p er la G iudea e t B arbaria, con pieno
m andato ch e qualunca persona p rom ette di g u a rire lo re , c h e
in ricom pensa (2) e* dar tu tto ci ch e a ltri sa dim andare, sa lv o
la corona e la donna. Et qual persona prom ettesse e t non facesse
sano lo r e , sia m orta. Q uesto con siglio piacque a tu tti e t firm ato
con b olle e t ca rte s elesson o m olti im basciatori in pi luoghi, e t
m assim am ente p er la Italia s elesson o tre im b asciatori.onorevoli12

(1) Ms.: partendosi.


(2) Ms.: recomenda.
DE MAONA PRUDENTI* 2S
con piena b alia. Et p erch de li a ltr i non da fere m enzione,
torner a d ir e ch e g iu n ti i d etti im basciatori a V ignone, e quine
non h a le re, si d iressero verso Saona e t da poi alla citt di G enova,
e t in tra ti in m are p erven n ero a P isa , sem pre in vestigand o d ei
sa v i om ini. G iunti in P isa, poco acquisto feim o. Si dirizzonno
verso L ucca e t sta ti a L ucca alcu n i d , passarono p er la v ia di
P isto ia . E t p erch in P istoia arenno pi tosto trovato di m olte
b arlette (1 ) ch e astrolog n ien te acquistarono. Et cantinato v erso
F iren ze p er la via d el P oggio a Caiano, essendo d el m ese di
lu glio, in ne* grandi cald i, i p reditti im hasciatori giu n sero a
P ereto la e qtrine si posarono, dando p en sieri ch e loro e lo ro
ca v a lli e t fem igli m an giassero e t alquanto posassero. E t ven u to
l'ora da doversi partire p er andare a F iren za, dom andare del
cam ino: fu per uno ca v a lier e fiorentino nom ato m esser A luisi
S alviati, il qual quine era ven u to p er isp esso, d itto: Io vado a
F iren za ; noi possiam o andare insiem e. Gli im hasciatori, vedendo
costui in form a di ca v a liere e t solo, sthnonno con Ini sicu ri
poter an dare a F irenza. E t in trati in cam ino e t cantinato a l
quanto, l'un o d elti im hasciatori parl dicendo: M essere, a cc i
ch e non v in cresca la via, m ontate in su l n ostro ronzino e noi
m onterem o in su l vostro. M esser A lu isi, c h e vedea il suo ca v a llo
esser da poco e t q u ello d ello im basciatore dassai, quasi isdegnato
n ien te rsp uose. Bt carninando ven n ero a una acqua, la quale
p er lo d istru ggere delta n iev e lo giorno era assai grossa e turba.
Et giun to quine, u no d ell! im hasciatori d isse: M essere, se io fusai
conte com e v o i, a ogni acqua fa rei un ponte. M esser A lu isi pi
m alanconoso avrebb e v o len tieri abbandonatoli, m a pur la g en ti
lezza lo te* sta r ferm o sen z'altro p arlare, tan to ch e funno p resso
a F irenza a u na arcata, e t di q uin e vedendo alquanti lum i con
preti u scire fuora d ella porta di F iren ze, d issero a m esser A lu isi
c h e voleau o d ire q u elli lum i e p reti, e m esser A luisi d isse: E gli
un m orto c h e si porta a so p p ellire. G li im basciatori disseno:
m orto o vivo? M esser A lu isi scornato e pi m alinconoso a
n ien te rspuose; E t in tra ti dentro in F iren ze, m esser A lu isi 1
accom pagn a ll'a lb erg o d ella scala a l ponte la C arraia, ch e q u in e
era vicin o, e t tornossi a casa sua, in n ella q uale altri ch e una
sua figliu ola p ulcella d'et de anni quattordici nom ata Calidonia
in quella casa dim orava con m esser A luisi. G iunto m esser A lu isi,1

(1) Parola di lettura assai difficile e dubbia nel ms.


24 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

la figliuola a lusato m odo fattosegli incontra e t vedutolo m alan-


conoso, com inci a dim andare a l padre qual fu sse la cagion e
della sua m alinconia; alla quale m esser A lu isi narr tu tto ci
ch e li im basciatori fo restieri avean o fatto e t d itto. C alidonia,
udendo tu tto, preg il padre ch e si confortasse e t ch e g li p ia
cesse ch e q u elli im basciatori la m attina segu en te fusseno a
desnare con lu i. M esser A luisi, udendo la figliu ola, d isse: Dol
cissim a figliu ola, com e possiam o noi ricev ere ta li, ch e non ab
biam o tanto? La figliuola disse: P ad re ottim o, io im pegner la
m ia palandra e t con q u elli dinari farem o onore a q u elli forestieri.
Lo padre piangendo d isse: Come com parirai a star riparata e t
a lle feste tra la ltre p u lcelle d isonestam ente vestita? A cu i C a -.
lidonia rispuose: P adre p erfetto, sp erate in Dio e t Dio di tu tto
ci ristorr; a lle cu i parole il padre d isse ch era contento. E t
ritornato con la giovana dentro, all'alb ergo d ella scala se n and,
e quine trov li im basciatori et fatto la debita riv eren zia li in
v it p er la m attina rin v eg n en te a desnare seco. Lo m aggiore d ei
tre, vedendolo assai poveram ente vestito, per com passione d isse
ch e non era di bisogno. M esser A lu isi d isse: C onviene ch e n e
con soliate m e e t una m ia dolcissim a figliu ola ch e dom attina
desn ate m eco. L i a ltri im basciatori, ristrettisi (1) co i prim o,
d issen o: N oi siam o ven u ti in queste parti per in v estig a re la
salu te del nostro re, e t se noi non prendiam o buona dom e
stich ezza con a lcu n i buoni om ini, com e potrem o la im basciata
m ai com pire? A noi pare ch e liberam ente accettassim o lo n vito
e t p erch questo ca v a lieri dim ostra esser povero e t p erch h a
una figliuola b ella, direm m o (2) ch e p er com passione di ta l de
sn are g li donassim o cento fiorini, et cos accord ati accettassim o
1in vito: e t cosi fenno. M esser A luisi cos m alanconoso torn a lla
figliu ola d icen do: E liino hanno a ccetta to ; com e farem o? L a
figliu ola d isse : B en e; e tratta la sua palandra d ello scrign o e t
datala a l padre, il padre q u ella con lacrim e p rese, a lu su rieri
portlla, p er quattro fiorin i la m ise in pegno e torn a lla fig li
uola e t d isse: E cco i dinari d ella tua palandra. La figliu ola
p resili, di p resen te m and per una sua serv etta , ch e di contra
a lei stava, e t a le i im puose ch e com prasse di q u elle co se c h e
bisognavano. E t fornito di tu tto et apparecchiato onorevolm ente,12

(1) Ms.: ristringonsi.


(2) Ma.: diranno.
DE MAONA PRUDENTI A 25
a llora d el desinare m esser A lu isi, vedendo la sua figliu ola a v er
tu tto apparecchiato, di ten erezza lagrim ando di tan to p rovved i
m ento fatto p er lei, subito si m osse e t and a llalbergo, dove
trov li tre irabasciatori e q u elli rich iesti con m esser A lu isi si m is-
sero in v ia lassando ogni loro fam iglio. Condutti a casa d i m esser
A lu isi e sa liti la scala, la d onzella con a lleg ra e t b ella faccia
rice u ti li im basciatori e t lev a to loro le m antella daddosso et
fatto li puoner a sed ere, ap parecchiato loro l'acqua a lle m ani, si
lavarono, n a ltra donzella ch e G alidonia non era a quel d esn are,
sa lv o la serv ig ia le, ch e portava e arreca v a le vivan d e e a ltre
co se b isogn evoli. M essi a m ensa li im basciatori e l padre, e t
G alidonia serven doli, e t di m olte m aniere di vivan d e ap parecchiato,
v in i e t con fetti, in tanto ch e li im basciatori diceano tra loro
esser loro ne) paradiso. Et cos m angiaro agiatam ente e t con
p ia cere. M angiato, prim a ch e da tau la si partisseno, G alidonia,
fatta la debita rev eren zia , parl alto dicendo: M agnifici signori,
io sono v erg in e G alidonia, figliu ola di m esser A lu isi S a lv ia ti,
gen tilissim o di F iren za, la quale p er lam ore paterno e t dalla
ragion e costretta, m i strin ge il d overe a ch ia rire le v ostre m enti
da lcu n e cose p er voi n arrate allo m io dolcissim o padre, lo q u ale
dalcu n o p en sieri costretto non v i poteo dare q u elle buone risp oste
ch e lanim o vostro d esiderava. E t p ertanto a m e di sua ca rn e
n ata fia di d overe le su e m ancate co se ristorare, e t p ertanto v i
prego ch e degnam ente a sco ltia te q u ello dir. Li im basciatori,
parendo loro esser costei cosa d ivin a pi ch e um ana, (Unno con
ten ti da scoltare q u ello c h e lla d ire v o lesse. La q uale com inci
a d ire: Quando per voi fu ditto a m io padre ch e m ontasse in
su l vostro ca v a llo e t voi in su l suo p er in crescer il cam ino,
rispondo ch e altro [non] v o lev a te se non ch e l m io padre di
cesse alcuna n ovella e t voi il sim ile lim basciata d ire. D isseno:
V oi d ite la verit . A lla p arte ch e voi d iceste d ellacqua e t
d ello ponte rispondo: se m io padre frisse ricco com e g i fu, tu tto
a re fatto ci, ch e are* fanti ch e arenno fatta 18 v ia dinanti a lle
ste lle [et] arenno portati buoni fia sch i di vino. Li im basciatori
disseno: C erto d ite il vero. A lla parte v oi d iceste se q uello
era corpo m orto o v ivo rispondo, ch e se ta le in n ella sua estrem a
v ita fu ben disposto, ch e q uello era v iv o , o se fu m al disposto,
lu i era m orto. L i im basciatori avendo avu to da co stei la solu
zion e d elle loro quistioni, funno assai pi lie ti ch e di prim a. E
Catto silen zio a q ueste parole, G alidonia com inci a d ire a questi
im basciatori pregandoli ch e donde fussero e t dove andassero e t
26 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

la ragion e p erch , dovessero a le i n arrare. Lo m aggiore de* tr e


im basciatori, udendola, com in ci a d ire: C ostei vorre* sa p ere
q u ello c h e a noi sare vergogna n arrargli. E t d eliberato v o ler
il dono de* fio rin i cen to la ssa re, stretto si in siem e co* com pagni
[parl] d i ta li dinari. L i com pagni risp uosero ch e vera m en te a
loro parca c h e di tu tto ci c h e la giovan a avea dom andato
fo sse (1) da n arrargli, sperando d i ci p oterne p rendere alcu n o
frutto* e t n arratogli e t datogli fio rin i cen to p ren d er lo ro cam in o.
Et m esso in. effetto, e t torn ati a sed ere dove s'eran o lev a ti, il
m aggiore n a rr sotto b rev it tutta la lo ro faccenda e t il p erc h
e t donde vernano e t andavano. U dito a p ien e C alidonia ta le im
b asciata, d isse lo ro : C he guidardone o v vero prem io ar c h i il
vostro re liberasse? L i q uali risp uoseno e t m ostronno la lo ro
b ala. C alidonia, p reso licen zia d al padre di p arlare, il p adre
dandolagli, non sapendo d i c h e v o lesse parlare, e lla d isse: S i
gn ori li im basciatori, (vorre] d ue p rin cip ali cose, le quali con
sacram ento m e le p rom ettiate (2 ). Li im basciatori, ci udendo,
d isseno ch e volen tieri prom etteano e t disseno ch e ella ch ied esse.
C alidonia, arrec (a) q uine u n libricciuok) di nostra Donna, in
su l quale fe ce g iu rare a* d itti im basciatori. E t prim a giuroim o
ch e m ai a p erson a d el m ondo non m anifesteranno le i esse re
fem m ina, m a s m edico, e t sim ile farenno eh* il r e fare tu tto
ci ch e lla ch ied esse, offerendosi a essere m orta s e di ta l m a
la ttia non gu a risse il re . F atto il sacram ento e t data la im posta
d el partire, li im basciatori lie ti si tornarono a llalbergot E t il
padre di C alidonia, pensoso e t con gran d e m alinconia d elle co se
prom esse* ritornatosi in casa, d isse: 0 C alidonia m ia dolcissim a
figliuola, a ch e stato q u ello ch e h a i prom esso? C alidonia ri-
spuose e t d isse: S perate in D io e san ti, e t ogni ben e v e n e a v
verr, e t ora s i parr quanto ci a r san gue g en tile e t c i ar
ardito cu ore: d i con sen tire a lla vostra figliu ola per Dio d ite di
s. M esser A lu isi ch e si lam ava d isse : Di* e com anda ci c h e
vuoi e t io far tu a volont. C alidonia d isse: P adre, v en d ete questa
casa e t fate Parerne fiorin i otto cento e t q u elli a m e a rreca te.
L o padre d isse: E sar fatto; e t subito la d itta casa vend, sotto 12

(1) Ms.: (tesserli.


(2) Qui nel ms. deve essere stata ommessa certamente qualche parola o
firase. Cercai rimediarvi il meno peggio.
3) Ms. aregato.
DB MAONA PRUDENTIA 27
nom e d i m aritare la figliuola p er fio rin i otto cen to, e t q u elli
a v u ti, a le i li port, li q u ali subito diliber* s i sp en d essero in
questo m odo. P rim a ch e p er le i s i com prasse u n am biante d i
p regio di fiorin i ottanta, e t uno ronzino- p er uno famiglio* di fio
r in i v en ti, e t u n o trottore (1 ) p e r lo padre di fiorin i ottan ta, e t
una m ula o v v ero ca v a llo p er una v a lig ia di fiorini v en ti; e t per
le i si fa cesse tr e v este, iuna dun b ellissim o drappo a oro di
stim a d i fiorin i cencin q uan ta con tu tti i fornim enti, e uno v estir e
in form a di m edico con un cappuccio gran d e foderato di vado di
p regio di fiorini cinquanta, e t uno a ltro v estire p er m odo d i
ca v a lca re, stiv a li, v a lig ia e t cap p ello di sp esa m tu tto d i fiorin i
cinquanta. E t a l padre ordin* de* v estim en ti assai orrev o li o ltre
q u elli avea, d i spesa di fiorin i cento. Lo resto di d itti fiorin i
otto cento; con le m asserizie d i casa, con a ltre co sette in som m a
di fio rin i cin q u ecen to, si m isser in borsa. E t c o l n om e di Dio
s partirono di F iren za d el m ese di lu g lio e t tan to cam biarono
c h e d el m ese di agosto ginn sen o a lli con fin i d el re d i P o rtogallo.
E t m andato in a n ti alcu n o a ca v allo notificando la ven u ta del
n uovo m edico, lo re tu tto ralleg ra to si m and loro in con tra m olti
baroni p i giorn ate. E t giu n ti in siem e on orevolm ente accom pa
g n a ti in n ella citt dov'era lo r e C ostanzo, condutti e reposati
al palagio rea le, lo m edico and a v isita re lo re e t confortollo,
a cu i lo r e fe b ella ricev u ta e m olto sp er san it. R iposatosi la
sera, li im basciatori parloim o a l r e dicendo ch e certo lo m edico
lo v o lea g u arire, m a ch e v o lea ch e a lu i fo sse atten u to q u ello
abbiam o prom isso, offerendo s v o ler m orire se d i ta l m alattia
non v i g u arisce. A. cu i lo re risp uose e d isse ch e la m attina
volea ch e in presenzia d e rea li e t baroni l'obbligo fo sse Catto,
e t cos fe* com andare. E t al m edico fe 'd ir e ch e prim a d ie ad
altro si vegn a ch e volea ch e fo sse sigu ro d ella prom essa. V e
n ata la m attina e t rau n ato il con siglio, lo r e fattosi portare e
quine ven u to il m edico, in presenzia di tu tti lo r e prom isse e di
ci s obblig, esclu d en don e la corona e t la sua donna, ogni altra
cosa m ettere (2) in abbandono. F atto questo; il m edico sobblig
c h e s e di ta l m alattia non lo gu ariva lu i vo lea esser m orto, n
a ltro p rem io vo lea . P iacq u e a l re e t a lli a ltri T obbligazione. E t
fatto questo, lo m edico d isse: Santissim a corona, prim a ch e1 io *2

(t) Ma. fratturi.


(2) Ma.: messe.
28 NOVELLE DI OIOVANNI SERCAMBI

v eg lia ad alcu na m edicina, io voglio ch e a m e sia con cedu to


libero e t m ero im pero in tu tta la vostra fam iglia e t sim ile d ella
vostra persona, com e se fo sse voi. A lla qual p arte lo r e fu con
tento, dandogli p iena b ala sopra di s e t di tu tta la sua co rte,
cos d elli om ini com e d elle donne, e t ta le com andam ento fe fare
sotto grave pena. A vuto il m edico nuovo ta le giu rid izion e, e t
volendo p rovare se con effetto era obbidito, non m olti g iorn i
appresso foen v en u ti, ch e fe1 rau n are tu tte le gen ti d'arm e, e
m essi in n ella sala, in n ella quale fe* v en ire lo re. E t v en u ti,
10 m edico com and ch e q u elli arm ati traessen o fuori le spade,
le quali cavate, subito com and, stando presso al re, v en issero a
u ccid ere lo re. Coloro, m ossi da ta le com andam ento, e t v en u ti
p er am m azzare lo re, lo m edico d isse: N on fate; tira tev i in -
d rieto : e t cos fenno. E veduto il m edico ch e ogni dom inio av ea
d ella casa e t d elle persone, dandosi a in v estig a re d ella condi
zione d elle donne e t d ella sua nazione, e t trovato ch e q u elle di
quel p aese tegnono ch e du lo fanno m eglio ch e uno, stim p er
certo costei non dover sta r contenta solo d el re, m a con a ltri
saziare la su a b estia le volont. E t esam inando, per suo in telletto
11 d itto m edico com prese in n ella feccia d'alcuna cam eriera e s
sere alcu no atto m asch ile, di ch e stim ando la sua m edicina
poter adoprare, d iven n e ch e a m ezzo settem b re fe* rich ied ere e t
v olse a v ere tu tti, m aschi e fem m ine, p er li loro propri nom i. E t
q u elli avu ti, fe loro com andare ch e sotto pena della m orte cia
scuno fosse in n ella sala grande d el re, la u quine era fetto
uno nobilissim o letto , in n el q uale lo re si dovea posare. Et v e
nuti tu tti, ciascu n o secondo il suo grado, e ta l con arm i, e le
donne onorevolm ente v estite, e t fatto la rich iesta di ciascu n o e t
trovandosi tu tti esser q uine ven u ti, lo m edico facendo puon er
da parte le b rigate, e t prim a li rea li, appresso li g en tili om ini,
poi scu d ieri e t fam igli e gen eralm en te tu tti i m aschi sen za
arm e, e tu tti q u elli ch e arm ati erano il d itto m edico in n el
m ezzo d ella sala appresso a l r e li riten n e co lla spada nuda in
m ano. E t voltosi a m adonna la rein a e a lla ltr e rea li donne c h e
quine erano, e q u elle fe* sta re appresso del letto del re. E dopo
q u este loro cam eriere e serv ig ia li, digradando la stan za d elle
cam eriere secundo la stanza d elle loro donne. F atto ta le assem
bram ento, com and a ditti arm ati ch e qualunque fo sse q u ello o
q uella ch e del suo luogo si m ovesse sen za sua saputa o ch e
subito non f cesse q uello ch e fo sse com andato, ch e di p resen te
fosse fetto m orire. R isposto ognuno di obbedire il suo com anda
DE MAONA PHDDENTI A 29

m ento, e t lu i subito com and cb e lo re fu sse spogliato nudo


com e nacque, e fu fatto. A ppresso ch e tu tti li rea li e t li a ltri
baroni e t om ini si d ovessero nudi sp ogliare e t fu ubbidito. Co
m and loro cb e non si rivestan o sen za sua licen za . Or ch i v e
d esse m a sserizie ap parecchiate a tu ra re b u ch e I C erto assai v e
n a v ea . La rein a, ch e sapea lopra ch e ten ea, dubitando e t stando
sospesa e t quasi dilib erata di p artirsi, fu e tu tta m ossa, m a non
potendosi p artire steo a ved ere. Et riv o lto il m edico verso a lla
rein a e aU 'altre donne dicendo: S p o gliatevi, e non potendo re
sistere, tu tte si spoglionno nude. E t i panni di ciascu n a fatti
d iscostare, lo m edico con uno torch io acceso, p erch sappressava
a sera, e t anco p erch lo re fu sse pi certo d ella sua intenzione,
accostandosi alla rein a e facendo a quella ap rire le gam be, co l
lum e dim ostr a ciascu n o le i esser fem m ina. Et cos and a
ciascu n a d ella ltre donne. G iunto il m edico a lle cam eriere e v e
dutane una infra l'a ltre ten ere le gam be m olto ch iu se, com an
dandogli ch e q u elle aprisse, lei p ure stringendo, la com pagna
ch e da lato lera d isse : Or com e non pensi tu obbidire il nostro
m edico ? e t non cred i tu ch e a ltri abbia cos caro lo suo onore,
com e tu lo tuo? Et ap erte le b raccia, afferrandogli le co scio , le
gam be ap erse. Et com e q uella le ebbe ap erte, subito g li uscia
davanti uno p astu rale ch e sa re stato su fficien te a ogni gran
p relato. Lo m edico col lum e accostandosi e trovando questa ca
m eriera con cos fatta m asserizia e t con s ftto m anico, il ditto
m edico com and a m adonna la rein a ch e con d u cesse la sua ca
m eriera dinanti a l re col m anico in m ano. La rein a costretta e t
di paura trem ante, in presenzia di tu tte le donne e t di q u elli
om ini, condusse a l re la sua cam eriera. Lo m edico dom and tal
cam eriera donde fu sse e t di ch e nazione. L ui rispuose ch era
d ella lte m ontagne, nato di v ile con d izione. A llora il m edico d isse:
Santa corona, questo q u ello ram arro c h e h a gia ciu to con la
vostra donna rein a. Lo re, vedendo ta l fatto, su bito, sen za riv e
stirli, senza alcu na cosa, in presenza di tu tta la corte e t del po-
pulo in su lla piazza li fe in siem e ard ere, e t cos m orinno. Et
fatto ta le giu stizia e t fatto riv estir e ogni p erson a, incom in ciato
il re a prender conforto, rich iesti tu tti i m edici d ella terra p er
dare a l r e confezioni ristorative, in pochi giorn i il ditto re fu
sano e t in buon punto e fresco pi ch e rosa di m aggio. Lo m e
dico nuovo, sentendo la san it del re, parl co lli im basciatori
d icen do: Oggim ai tem po ch e io m e ne ritorn i in m io paese e t
per m erito io v i voglio p regare ch e d ich ia te a l re ch e m antegna
no NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

la prom essa e '1 sacram ento la tto . L i im b asd atori se n e an d a n w


ad re e disseno: Santa corona, lo m edico d h a d itto d i e v o rre
c h e voi g li a tten este la prom essa e '1 sacram en to fatto, e t F i u t o
c h e in p resenzia di tu tta la vostra co rte, donne e t ca v a lier i, g ii
fa cciate q u ello ch e a voi ch ied er . Lo r e risp u ose: V o len tieri;
ma ben sono m alcontento c h e s valentuom o e t assai g io v a n etto
se n e vada, c h sa rei con tento c h e q u i dim orasse. L i imfaasria-
tori disseno : F a te il vostro d overe e t poi la ssa te a lu i il pen
sie r i dell'andare e d ello sta re. L o. r e Ih con tento e t ordin c h e
lo di d i San M ichele A rcangelo, ch e s'era in dom enica, v eg n a
a ch ied ere ci d ie g li p iace; io l'a tterr m eritam ente second o
la prom essa fatta. T ornati li im baseiatori a l m edico e tu tto n a r
ra to , fu contento. E t d isse al padre: P ad re dolcissim o, ornai
tem po c h e D io ci risto ri di tu tti i v ostri e m iei affanni. E t p er
tanto p iacciavi, com e sem pre sie te stato m eco in una cam era a
dorm ire, co s dom enica m attina sa rete a con ciarm i, e t fate efce
io abbia uno lu stro ch e susa a F iren ze, ch e io voglio dim o
strarm i pi b ella ch io sia (1). Lo padre, ch 'era disposto a tu tto
serv irla , com pr di q u elle co se c h e a fare b ella donna si rich ied e.
La dom enica m attina, v estita si on orevole roba, con ciatasi la
bionda treccia e t leggerm en te a lla costa a v o ltasela, e t in ca p o
uno cappuccio gran d e in m odo di m edico m issesi (2 ) e t uno m an
tello scarlatto in dosso, c h e n ien te d e lla palandra si v ed ea . E t
ben parea un p iacevole e t giovano m edico, in tan to ch e m olte
vo lte le donne ch e lu i avean o veduto, e t m assim am ente q u ella (3)
m attina, s'innam oronno d i lu i. Et rau n ato il re con tu tti i baroni
e donne, lo di nom ato Ai rich iesto lo m edico c h e v en isse a
ch ied er la grazia prom essa. E t uscendo di cam era accon cio co n f
d itto e t d irieto il padre v estito onorevolm ente, e t giun to in n ella
sala, l u' da tu tti g li Ih fatto som m o onore, e t ven u to davanti
a l re, lo r e g li parl, dopo il m olto contentam ento av u to p er la
sua ven u ta, ch e lu i era disposto a tu tto .ci ch e ch ied ere sap esse,
sa lvo la corona. E t co si, p resenti tu tti i baroni e donne, pro
m esse. A l quale rispuose : Io, ch i m i sia , sono nato di g e n tile
san gu e e t di buona e t r e a le terra e t il padre m io h o avu to
sem pre appresso di m e. E t se prim a faccia io non d ico tu tto 123

(1) Ms.: dimostrare piu bello o sia.


(2) M.: messosi.
(3) Ms.: la.
DE MAGNA PRUDENTIA 31
q u ello ch e a m e bisogna e di m ia condizione [dirollo] in appresso
n el m io ragionam ento; [esaudite], v i supplico, la m ia dom anda,
e t se questo p rom ettete, dir. Lo re di nuovo g iu ra e p rom ette
di tu tto fare. A llora, m utato p a rla re, d isse: C arissim o re e t a
m e sign ore. V oi sie te sen za donna, e t onesta e t sa v ia bisognare'
a l vostro m agnifico sta lo , e t non di q u elle ch e d ison estam en te
vv en o , com e g i la p rovaste. E t p ertan to io v i ch ieg g o c h e v i
p iaccia p ren d ere C elid onia figliu ola v erg in e di m esser Alni**
a a tria ti, di Italia nata, per vostra sposa e t m oglie legittim a. E t
acci ch e possiate esser certo d ella sua b ellezza e t bont, v i
d ic o io sono q u ella ch e v o c h e vostra sposa sia. E t gittatosi il
m an tello daddosao e fi cap p u ccio di capo, rim a se in si ftta
roba lu ccica n te com e il sole. Lo re, q uesto vedendo, m ille anni
p arendogli da v erla con tenta, con u n o a n ello in p resenzia d i tu tti
la spos, e t la festa fu in estim ab ile, lodando il suo senno. Lo re,
tenendosi il pi co n ten to om o del m ondo, dispose (1) fi padre d i
Gatidonia co n te, insiem e v issero lungo tem po.1

(1) Ms.: disponendo.


32 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

5.
[Triv., n 5].

DE SUMMA JUSTITIA.
Fu in M ilano citt di Lom bardia a l tem po di m esser B ernab
una donna o stiatrice, ovvero balia da lev a re fa n ciu lli, nom ata
m onna A m brogia, la q uale a v ea una sua figliuola di tred ici an n i
nom ata C ateruzza, b ellissim a e t savia d onzella, cu i m onna Am -
brogia in ogni luogo la conducea seco per non ricev ere b effe.
E t m assim am ente la conducea in casa di m adonna la rein a , donna
di m esser B ernab, ch m olto spesso la rein a q u ella facea v e
n ire, prendendo d ella d etta C ateruzza m olto p iacere. D ivenne c h e
un d ie uno cam eriere di corte nom ato m esser M afflolo s inn a
m or di co stei, e t pens con certo m odo la ditta C ateruzza p ren
d ere e t di le i fare sua volont. E t com e pens m isse in effetto .
C h ritornata in casa la d itta C ateru zza, non essend ovi la
m adre, q u ella rapt e t condussela a lla casa su a e quine facen
done suo volere; m onna A m brogia, non trovando la figliu ola l
in casa, dolendosi di ta l cosa et lam entandosi, m adonna la rein a ,
la quale subito lo sen t, a m esser B ernab [lo ] d ice. M esser B er
nab fe m andare m olti bandi sotto g ra v i pene si d ovesse ren d er
la d itta C ateruzza. E t m entre ta li bandi funno osservati (c h
pi di v en ti giorn i passarono e sem pre m esser B ernab m and
bandi) d ivenn e ch e, essendo m esser M afflolo sazio d ella C ateruzza,
ch m oltissim o vo lte a vea provato ca v a lleria con le i, parendogli
tem po di rim andarla, sperando dappoi a ogni sua volont po
terla a v ere, e chiam a s C ateruzza dicendo: Io vo g lio ch e ti
torni con tua m adre, e t acci ch e m eglio possiate v iv ere, [e t] se
caso v en isse ch e ti vo lessi m aritare possi, ti dono questi cento
fiorini, m a a persona del m ondo non m anifestare l u se'stata.
E t questo ditto,-subito la p rese b a sta n d o la e una volta la danza
am orosa g li fece, e t con cen to fiorini n e la m and prom etten
dogli gran fatti. T ornata C ateruzza a casa, la m adre, ved en d o la ,
com inci a grid are: O him , C ateruzza d olce figliuola, dove se
stata? Et questo d icea s a lto ch e tu tta la vicin an za sen tia il
grid are d ella m adre. C ateruzza, ch e g i sen tito avea la d olcezza
d elom o, d isse : M adre m ia, sta te ch eta, ch colu i ch e m i p rese
m ha dato fiorini cen to, li q uali con q u esti m i p otete m aritare.
La m adre, non curando ta li parole, m a di continuo grid an d o,
tan to ch e a ll o recch ie di m esser Bernab e t di m adonna [la ]
rein a fu venuto, e t subito la donna rich iesta a m adonna [la ]
DE SUMMA JUSTITIA 33
rein a v en isse con G ateruzza, le i si m osse e a lla co rte nand, l
u m esser B ernab con m adonna la rein a era. V enuta la m adre
con la figlinola, m esser B ernab v o lse sap ere ch i la v ea rap ita.
F u d itto ch e m esser M afflolo suo cortigiano l'avea rapita e t p er
forcia di casa cavata e t seco tenu ta pi di v in ti d e di le i a v ere
preso suo contentam ento. M esser B ernab, ci sentendo, subito fe
rich ied ere m esser M afflolo, il quale and dinanti a m esser Bernab
sperando ch e altro v o lesse, e quine veduta G ateruzza e la m adre e t
m adonna la rein a con a ltre donne, dubit forte e t pens potersi
scu sare. A cu i m esser Bernab d isse: M esser M afflolo, com e a v ete
v o i d isservito G ateruzza? R ispuose m esser M afflolo: Io l'h o ben
con tentata. M esser B ernab, rivoltosi verso la m adre di G ateruzza
e t a lla (1) figliu ola, d isse : U dite ch e d ice ch e v ha ben con ten
tata? La m adre e G ateruzza disseno: Signore, non la v erit ;
non siam o n sarem o m ai con tente, se voi non fu ste q u ello c h e
con ten tare c i facesse. A lle quali parole m esser Bernab, rivoltosi
verso m esser M afflolo dicendogli se v o lea ch e lu i accordasse
q uesti fatti, risp uose m esser M afflolo di s. Et sim ile si riv o lse a
G ateruzza e t a lla m adre e ta li parole disse lo ro : ellen o risp uo-
seno di s. A llora m esser Bernab stim ch e m esser M afflolo
avea di v a lsen te fiorini sei m ila, e t chiam ato uno ca n celliere fe
fare carta ch e m esser M afflolo prenda G ateruzza p er m oglie e
ch e lu i la dotava fiorin i se im ila , e t sim ile ch e G ateruzza prenda
per m arito m esser M afflolo. Et rogato il contratto, riv o lsesi a
m esser M affiolo dicendo s contento. L ui d isse s. E t poi riv o l
tosi a G ateruzza d icen dogli se ella era con ten ta, avendo Gate
ruzza assaggiato q uello u ccello , posto ch e forzatam ente v i to sse
condutta, g li piacque [e t] d isse di s. Et con ten te le parti, m esser
Bernab [d isse]: Ora si h a a con tentare m e. E v o ltosi verso Maf
fiolo d issegli (2): Come h ai avuto tan to ardim ento sotto la m ia
signoria a rapir le p u lcelle e t donne altrui? E t se* stato s p re
suntuoso c h e a m iei bandi non h ai ubbidito. M affiolo d isse: La
volont b estia le mindusse a fare quello ch e io feci. M esser B er
nab d isse: Come b estia le te n e for portar la pena. E t subito
p er lo podest g li fece ta g liare la testa. Et la ditta G ateruzza a
uno suo cortigiano gen tile e povero la m arit con assegn argli
quello ch era stato di m esser M afflolo. E t p er questo modo m esser
Bernab us som m a giu stizia.1

(1) Ma.: e delia. (2) Ma.: dicendogli.

Rbkikb, Novelle di 0. Sereambi


34 NOVELLE DI GIOVANNI SBRCAMBI

6.
[Tri*., a 1.

DE JUSTITIA ET CRUDELT

Un con te d i F rignano nom ato lo con te L am bnisco da n o d ello ,


om o pi tosto a rubare ch e a offerire [in clin a to ], avendo sotto
la sua giurisdizion e uno buono om o m ercadante nom ato G uaspare,
ricco e t savio, il quale avendo duna sua donna [nom ata O nesta],
assai giovana d i anni tren ta, avu to una b ellissim a fa n ciu lla ,
questa (1) prim a il ditto G uaspare m orisse p ervenn e all* et di
tred ici anni, avendo im parato a tra rre seta di filu g elli, facen
done l'anno gran quantit. G uaspare am m alando m oria, lassando
la donna di tren ta anni e t la figliu ola di tred ici. Stim ando lu i
n la m oglie n la figliu ola dover stare sen za m arito, pens di
d ivid ere il suo a m et [tra la m oglie e la ] figliu ola, se v era
m ente T una sen za 1 altra m aritare non si d ovesse, e t in caso
ch e la m oglie si m aritasse e t non la figliu ola, n ien te a v esse, e t
co n d ella figliu ola. Et passato di questa v ita , la donna savia o n e
stissim am ente colla figliu ola si stava, facendo loro v ita e t guada
gnando. S i dicea G uaspare non esser m orto a l modo ch e si ten ea
O nesta in casa. D ivenne un giorno ch e la fan ciu lla, la q uale p er
vezzo g li fu posto nom e N anna, andando p er uno m azzo d i seta
a un luogo dove la traevan o, e t passando presso della casa dun
donzello d el con te nom ato A rduigi, il predetto A rduigi q u ella
rapt, e *1 m azzo d ella seta , ch e valea pi di fiorini cen to, g li
to lse e t violen tem en te la sfregi, in tanto ch e tu tto il vicin ato lo
sen tio. M adonna O nesta sua m adre, ci sentendo, rich iese alquanti
suo' p aren ti e t se n and a casa d el con te, narrando (2) q u ello ch e
A rduigi suo fam iglio avea fatto d ella figliu ola. Il d itto con te udendo
qui n e m and Onesta e t alcu n o suo parente; licen zia ti li p aren ti,
sotto sp ecie di fare ragione, am ando Onesta e q u elli parenti la s
sando la donna, lo con te riguardando d isse: Il vostro n icch io
ch e portate d i sotto fu fatto p erch il rom ano dentro v i si m etta.
Et m essogli le m ani addosso e t g ittatala in terra, con p on ergli12

(1) Ms.: la quale che.


(2) Ms.: narrato.
DE JUSTITI ET CRUDELT 35

la m ano a lla gola, di le i ebbe suo contentam ento due v o lte.


F atto questo, lo p reditto con te L am bnisco m and p er A rduigi
su o donzello dicendo ch e m enasse la N anna seco. A rduigi, trat
tosi, a m algrado d ella N anna, sua sfrenata volont, al con te
n and e la N anna co lla seta ch a v ea seco. Lo conte, ci vedendo,
d isse: M adonna Onesta e t v o i N anna, questi vostri n icch i non
si vorrebbono lassare sen za rom ano dentro. Com e i h o il m io
rom ano m esso in n el n icch io di m adonna O nesta, e l m io donzello
l'h a m tsso in n el n icch io di N anna. E t pertanto p er rafferm o
c h e A rduigi ha durato d 'avere aperto la prim a volta il n icch io
d ella N anna, voglio ch e questa seta g li rim agna. E t p erch io
non fui il prim o ch e il n icch io di m adonna O nesta apersi, non
v o n ien te: e t per questo modo m antenne giu stizia. A ndatosene
le donne a casa, e t i loro parenti questo sapendo e t non potendo
a ltro fare, con p regh i divotissim i ogni giorno pregavano Iddio
ch e , poich il con te ha contrafatto a g iu stizia , ch e lu i giu d ich i
il diritto. Et non m olto appresso, essendo il ditto conte andato a lla
ca ccia e t con lui m olti fam igli e in fra li altri A rduigi, divenne
c h e facendosi m al tem po una sa elta p ercosse il d itto con te e il
d itto A rduigi e t alcu n i a ltri. E t cosi m alam ente finirono. Senten
dosi ta l m orte, subito fu stim ato [il] p eccato com m esso in n ella
donna O nesta e n ella figliuola li ha si condutti. Li parenti d elle
donne confortandole a prender m arito, a uno ch e avea uno suo
figliuolo m adonna O nesta si m arit, e la N anna diede al figliuolo,
e vissen o in siem e in concordia e buon tem po.
36 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMR1

7.
[Ttt., no 8].

DE SIMPLIGI JUVANO.

Uno m ercadante da Bologna nom ato F elice, ricco e gran m aestro-


di m ercanzia, avendo m olti lavori di seta, cio zendadi e t v e li,
fatti, e t non vedendo q u elli in Italia p oter sp acciare, pens di
m andarli oltram onti. A vendo uno suo fattore pi tosto per an~
titesim e lle p er altro nom ato U golino S ch iarin i, cornandogli c h e
ta li m ercature sp acciasse a l prezzo a lu i dato a contanti, e t se
caso fusse ch e a con tan ti sp acciare non le p otesse, le sp a cciasse
a baratto, salvo ch e non barattasse le m ercanzie a cose c h e
p utessero. U golino d isse: Io ho buono odore, non potre essere
ingannato. Pensando guadagnare un grande tesoro, si m isse in
cam ino, e t cam in tanto, ch e giun se a B ru x elle con tu tte q u este
robe, e t com e fu giu n to , g li funno intorno m olti m essetti, o
vuoi d ire sen sali, dicendo se alcuna m ercanzia a v esse ch e v o
lesse ven d ere. U golino, com e poco am m aestrato, d isse di s, e
disse c h eg li avea di com andam ento di non venderla se non a
b aratto, sicu ram ente ch e non barattasse a cosa ch e p u tisse.
Li sen sali, scorto costui, ristrettisi insiem e, disseno: C ostui
di B ologna ch e vendono il senno, tanto ch e a loro poco ne ri
m ane; pertanto noi possiam o con costui fare bono guadagno,
p oich d ice le su e m ercan zie ven d ere a dinari contanti o a ba
ratto, sicu ram ente ch e baratto non sia cosa putente. Et p ertan to
uno di loro nom ato Zazzara sen sa le d isse : S e v o lete la ssare fare
a m e, io far questo m ercato, e t a voi, cio a l M osca e a Or-
land uccio, dar la terza parte del guadagno. Li du furono con
ten ti ch e Zazzara facesse il m ercato. P a rtitisi, Zazzara scogno-
sciu to se n and a U golino e d issegli s* eg li avea m oscato da
vendere. U golino d isse no; ma ch e v o lon tieri lo cognoscerebbe^
per ch e a Bologna era m olto caro. Zazzara subito and e t ar
rec alquanto sterco di can e in volto in uno zendado e d isse:
E cco il m oscato. U golino, q u ello a l naso accostatosi, d isse :
bene d el buono? v o len tieri lo com prare o lo b arattere colla
m ia m ercanzia. Zazzara subito and a U golino e d isse: Di v er a
questo del buono. Et partitosi da lu i, m utatosi v este, con
buona quantit del m oscato a U golino ritorn d icen d ogli: T u
DB SIMPLICI JUVNO 37
-se m ereadante, hai tu m ercanzia arrecato e t di quanto va
lore? U golino risp uose: Io abbo arrecato di m olti v e li e zen-
-dadi la valu ta di piu di fiorin i m ille cin qu ecen to. Zazzara d ice:
V uo li tu vendere? U golino d ice di s, o b arattare. Zazzara
dice se b arattare v u o le a m oscato. U golino d isse : S, io lo
v o v ed ere, cb altra v o lta ne vidd i e t piacquem i m olto. Zaz
zara sp ieg una scatola coperta di zendado e t piena di sterco
di ca n e e t a l naso sei puose d icendo: Odi com e n e v ien e odore.
U golino d ice: P er certo e g li d el buono: ch e vu oi d ella libbra?
R isp u ose Zazzara: T anto vo g lio d ella libbra quanto tu vuo' d ella
posta d ello zendado, intendo la posta libbre v n te e t cos d e v eli.
U golino, parendogli buona derrata, steo contento, salvo ch e volea
co n ta ti fiorini trecen to. F u contento del m ercato, e t pagato li di
n ari e t preso la m ercanzia e t in una scatola su ggellata g li d iede
il m oscato dicendo ch e m ai q u ella non ap risse fino ch e non tosse
a B ologna, p erocch perdere' lodore, e t m olto m eno ch e non vuo-
le ssi ven d ere. U golino con tento si parto da B ru x elle e t cam i-
nando verso A naldi, arriv una sera a uno ca stello de uno
co n te, e t essendo sera, costui addom andando a lloggio, fa p er la
donna d el conte ricev u to l. P arendogli forestiero e t assai b ello
et parendogli m ereadante, lo in vit ad albergo. U golino, ch e g li
parea essere a B ologna, a ccett. La donna d isse unde eg li era
e t ch e andava facendo e t ch e portava. U golino rispuose: Io sono
da Bologna ove si com pra il senno, e t ho fiorini trecen to e t una
scatola di m oscato, la quale ho abbarattata a m iei zendadi. La con
tessa, udendo costu i essere straniero, e t essendo desiderosa di
q u elli denari e t m oscato, e t an ch e piacendole il g io v a n o , pens
lu i poter la n otte g o d ere, e t acq u istare li dinari e l m oscato.
E t fatto questo p en sieri, ch l con te non era in n el castello,
subito fece lu i da s v en ire e t d issegli ch e vorre ch e g li co
sta sse ch e la n tte fusse da una cos alta con tessa in n el letto r ic e
vu to. R ispuose U golino: F iorini trecen to e t p arte d el m io m oscato.
L a donna disse: U sono li fiorini? U golino, aperta la borsa, in
m ano g lie li puose. La contessa, q u elli avu ti, parendole tem po, lo
m isse in cam era e t q uin e in n el letto sp ogliatasi e t U golino con
le i, preseno d iletto saziando la con tessa suo appetito. Et U golino
cred en do quine rim an ere com e si sforzava di com piacerla, tanto
c h e , essendo die, la con tessa levatasi e t fatto lev a re U golino,
g li d isse: V anne, ch e se il con te ten trovasse, sa resti m orto.
U golino, ch e anco il sonno a v ea in n elli occh i, m ontato a ca
v a llo , col suo m oscato, sen za dinari, si m isse in via e t cam in
38 NOVELLE DI GIOVANNI SERCMBI

verso P arigi p er ritorn are a B ologna. U scitogli il sonno* ved en


dosi senza dinari e t andando pensando com e potea spender in
n el cam ino, sopraggiunse il con te m arito d i q u ella con cu i U go
lino avea dorm ito, e t vedendolo m alanoonoso d isse: 0 gio v a n e,
ch e vai pensando? Lo giovano d isse: P er m ia to' io h oe gia
ciu to stan otte con una con tessa in uno ca stello e t h oe avu to d i
le i m io talen to e t ella di m e, e t tu tti li m iei dinari ho dati e t
non v i com odo ch e io possa a B ologna ritorn are. Lo co n te
disse: T anto quanto dura lo m io terren o ti dar dinari, dapoi
n e p regarsi a ltri e t a p erse la borsa e d ieg li uno franco. E t
p artitosi il con te, torn a casa dicendo [c h e avea incontrato u no
giovano c h e avea m oscato. La co n tessa ] ( i) d isse al co n te: P o ic h
d ite lu i a v er m oscato, p iacciavi alm eno p er fiorin i trecen to da
lu i com prarm ene, ch sap ete quanto tem po m e n a v ete udito ch ie
d ere. Lo con te, desideroso di sa zia re la volont d ella donna, su bito
prese i fiorini trecen to e t trov il giovan o ch ied en dogli il m o
scato. U golino, ch e dinari non a v ea , disse: M essere, sar fa tto ,
e t prese la quarta p arte del m oscato e t d iello (2) a l con te.
Lo co n te, portatolo a lla con tessa, d isse: Donna, il m oscato c h e
h ai desiderato lungo tem po, ora h ai avuto, quanto a m e p are
ch e la m ercanzia di ch e h a i li fiorini trecen to guadagnati olira v a
com e fa questo m oscato c h e h a i com prato. La donna, pensando
ch e lo con te se n e to sse accorto, a n ien te risp uose. U golino, tor
nato con q u elli trecen to fiorin i e t col m oscato com prato, g iu n se
a Bologna a l suo m aestro F e lic e dandogli li fiorin i c h e avan zati
g li erano, dicendo ch e veram en te in n ella p arte doltram onti s i
fa grandi guadagni, m ostrando il baratto Catto del m oscato, af
ferm ando ch e m olto sera guardato di b arattare a cosa p u ten te.
F e lic e d ic e: V questo m oscato? E t com e in ten d en te d elle m er
can zie cognove ch e q u ello era sterco di can e, afferm andogli c h e
lui avea passato il suo com andam ento, e t cosi p rotestand ogli
v olse ch e U golino rifa cesse ram m enda de* v e li e t d elti zend ad i,
et cosi fece.12

(1) Qui fu certamente lasciata una riga o pi nel ms. ; a ci ho cercato


di sopperire. 11 codice ha: tomo a casa dicendo il gooano nomato disse
al conte poich dite.
(2) Ms.: datolo.
DE ALTRO ET SIMPLICI MERCADANTE 39

8.
[Tri*., ).

DE ALTRO ET SIMPLICI MERCADANTE.

N ella citt di L ucca an ticam ente s'usava il giorno dogni san ti


m an giare m oltissim e o ch e. E t non p area esser om o c h i il di non
a v ea o ch e. D ivenne ch e uno m acellaio nom ato F ig liu ccio si m osse
da L ucca con lir e sessan ta di quattrini sen esi per andare a Siena
e t com prare o ch e p er la ditta festa; e giun to a S iena d el m ese di
ottobre e t andato in n el cam po di Siena, accostandosi a uno ch e
g li parea ch e d ovesse esse re m ercadante, nom ato B osso, il ditto
F ig liu ccio lo dom and se fo sse m ercadante do ch e. A cu i Bosso
d i docch io p arendogli strano e t d isse: S, e t ch e navea gran
quantitade. F ig liu ccio d isse q u ello volea del paio. S esso d isse:
Soldi v in ti sen esi. F ig liu ccio d isse: V uo m e n e dare paia ses
san ta p er lir e cinquanta ch e io h o arrecato? Bosso d isse: P o ich
s e p iacevole, io te le vo dare: dam m i li dinari. F igliu ccio, acco
statosi a una banca, innom er li dinari p resen te B osso e t in una
borsa li m ise e t d isse: Andiam o per P oche. Bosso, m enatolo fuori
d ella porta, una gran torm a do ch e sa lv a tich e g li m ostr dicen
dogli: V a e t tonne paja sessa n ta 'et pi uno paro ch e vo te lo
godi co lla donna tu a. F ig liu ccio , datogli la borsa d e lli d en ari e t
ta gliato alcu n sa lci per poter la le d ello ch e leg a re e t scalzatosi,
si m isse in n e ll acq u a. L o ch e pianam ente si tiravan o in fra
lacqua. F ig liu ccio seguendo senza p igliare Poche, discostandosi
F ig liu ccio , ch e fino a lle b rach e sa vea bagnato, d isse: A lle vagn ela
di D io l queste sono och e sa lv a tich e. B esso, com e lo vid e en trare
in n ell'acqu a, d i v olta e t in S iena torn; e t m utatosi di panni
co dinari s* and prendendo p iacere. F ig liu ccio , ch e ved e non
p oter a v ere a lcu n oca, riv o lto ssi pensando d ire a B esso ch e i
suoi dinari g li renda. Non vedendolo, dubit, e t subito calzatosi
torn in S iena e t in cam po fu venuto dicendo a ch i trovava se
av ea ved u to Besso m ercadante d och e. A cu i fu d itto: V a,
cerca lo . F igliu ccio, vedendosi gabbare, si partio d el cam po e t
p er Siena com inci a cercare se v ed esse B esso. Et cos an-
andado quasi a sera, una donna nom ata M onna G ese, vedendo
F ig liu ccio andare pensando, stim costu i esser fo restieri. Et
chiam atolo d isse: U nde se tu? F ig liu ccio d isse: Io sono da
40 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

L u cca . M onna G ese d isse : Or ch e v a i pensando ? F ig liu ccio


d isse: no m erendante d och e m h a ingannato e t ham m i tolto
lire' cinquanta di quattrini sen esi e t non m e n e sono rim aste ch e
d iece. La donna d isse: M ale h a fatto ch ma* a ltretta le com e tu
[cred o] & possa trovare. F ig liu ccio volendosi p artire, m onna G ese
[d isse]: Ornai sera e t io p er am or di L ucca vo* ch e sta sera
alb ergh i m eco. F igliu ccio, avendo ved u to M onna G ese v estita
on esta e t in n ella faccia con uno v elo avvolto, parendogli la
M addalena, d isse: M adonna, volen tieri, c h alm eno quel poco c h e
m rim aso non m i fie tolto in casa vostra. M onna G ese d isse:
Q uello ser fatto a te ch e ad a ltri c h e cap itati c i sono. F ig liu ccio
en trato in casa, la donna ch iu si li u sci, e t cenato insiem e, la
sera ven u ta, m onna G ese d isse: In q uesta cam era ti dorm i e t
p erch non v ha luogo com une, porr* ti in su q uesta fin estra
quando volessi lagio d el corpo [fa re]. E t u scita fuori di cam era,
F ig liu ccio , ch iu so lu scio dentro, credendo sta re sicu ro, si spogli
di tu tti i panni, e t sca lzo rim aso in cam icia e t in m utande, s
m ont in su lla fin estra p er poter il suo agio fare. M onna G ese
p er altro u scio secreto era en trata in n ella cam era. Com e lo
v id e in sul palco, subito p ercosse la fin estra dandogli p er lo petto
e t in n el ch iasso lebbe gittata. F ig liu ccio volendo grid are, Monna
G ese d isse: S e tu grid i io t am m azzo. F ig liu ccio sentendosi m er
doso et in istretto luogo, avendo paura di m orire, non fiat, ma
per lo ch iasso si m isse ad andare, tan to ch e fu in n ella via
m aestra; l u sotto una tenda si puose. La donna, ch iu sa la fi
nestra, le lire d ieci e la sca r sella , panni e t ca lze, ogni cosa si
p rese. Et stando F ig liu ccio in tal m aniera, desiderando m orire
o ch e la fam iglia il p igliasse, p er poter con tare q uello ch e a lu i
era stato fatto, non dorm endo v id e passare alcu n o. F ig liu ccio ,
credendo f sse la guardia, d isse: 0 ch i v a l? Colui udendo, a c
costandosi, vid e F ig liu ccio in cam icia e d isse: Chi se* tu? F ig liu ccio
d isse: Io sono uno da L ucca ch e sono stato rubato, dicendo il
modo. V edendo colu i la form a di F ig liu ccio , d isse: Io sono uno
ladro e t vo* cercando q ualch e com pagno ch e vegn a m eco. Ri*
spuose F ig liu ccio : Io voglio esser tu o com pagno, e t pi tosto puoi
m i m ena a qualche b ottega a rubare. D isse il ladro: Io h oe pen
sato ch e oggi m orio in questa citt il vescovo, a l cu i ossequio
m i tro v a i, e t vid ilo sop p ellire con m olte sn ella doro, e t con una
m itola in capo piena di p erle e t m olte freg ia tu re doro, con uno
cordone di p erle. Ma ben m i penso ch e i calon aci lo verran no
sp ogliare in su l m attino. R ispuose F ig liu ccio : P er Dio andiam o
DE ALTRO ET SIMPLICI MERCADANTE 41

tosto* ch e noi siam o i prim i ch e lo spogliam o. Lo ladro d isse:


A ndiam o. E t mossosi* e F igliu ccio d irieto a lu i, tanto ch e g iu n ti
fh ron o a l duom o di Santa M aria. Lo ladro, en trato p er una fi
n estrella , F ig liu ccio d irieto, fonno in ch iesa, e t acceso una can
d ela a l m onim ento n andonno. E t p erch la p ietra era grande,
am endu v i m isseno le m ani e t alzato alquanto, d isse lo lad ro:
C hi en trer dentro? F ig liu ccio d isse: Sostieni la p ietra ch e non
ca g g ia e t io intro. Lo ladro contento, F ig liu ccio dentro in tr et
su bito, preso il cordone, q u ello si m isse sopra la cam icia, e t posto
le m ani a lle m ani del vescovo, li gu an ti con tu tte ra n elle si m isse
in seno, e t poi lev a ta g li la m itola di testa se la m isse in seno.
E t co si andando, ogni g io iello si m ettea in seno. Et m entre ch e ta li
co se si faceano, apparve un grande splendore in n ella ch iesa , c h i
ca lon aci avendo cenato ven ivano a sp ogliare il v escovo co* torch i
a ccesi e t cro ci e ncenso, salm i e t la tan ie. V edendo questo il ladro,
avendo paura, senza altro d ire a F ig liu ccio la p ietra lass ca
d ere. F ig liu ccio in n el sep olcro rin ch iuso, non per ch e alcu n
sp iraglio di lu m e non d fo sse, p er la fin estra il ladro si foggio.
F ig liu cd o , sen tito si coperto, stim quine essere la su a fin e; m a
poi ricordandosi ch e il ladro g li a v ea d itto ch e i calon aci do-
vean o v en ire, stim ch e i ca lon aci fossen o q u elli ch e avean o
m esso paura a l ladro. E t dilib er stare ch eto e t ved er q uello
c h e i calon aci fare doveano, avendo tu tti li g io ielli in sen o. V e
nuti li calon aci a l m onim ento con orazioni e t lum i, aperto il
m onim ento e l p ietra m essa in terra e ditto: Chi sar q u ello
ch e dentro entrar?, uno ch ierica stro pi tosto giovano di senno,
ch e di tem po, d isse : Io. E gittatosi bocconi, e le gam be dentro
m isse p er v o lersi in n el m onim ento ca la re. F igliu ccio, ved u to
le gam be, subito q u elle p rese, strin gen d ole per m odo ch e e l
ch ieric o sen tio e t di paura quasi m orio, gridando : S occorretem i.
Li ca lo n ici e t li a ltri ch ierici, ch e quine erano, di paura tu tti sbi
g o ttiti si foggiron o. Li lum i s spensero, la cro ce p er terra caduta,
le gam be percosse in n elle banche ch e quasi se le ruppeno, non
cessando in fine ch e in n elle loro cam ere fondo en serra ti la
paura loro. Lo ch ierica stro avendo m olto gridato e t [essend o]
tram ortito per paura, F ig liu ccio , ch e sen te Catto silen zio in n ella
ch iesa , d el m onim ento u scio, e t a ll uscio d ella ch iesa se nand
e t q u ello ap erse e t di fuori in uno fien ile si puose a dorm ire
spettando il giorno. Lo ch ierica stro risen tito e t libero le gam be,
il pi tosto poteo a lle cam ere d e calon aci se n and, dicendo
ch 'eg li erano sta ti troppo presuntuosi ad andare in ch iesa ch e non
42 N O VELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

era ancora m attino. Bt se m ale ce n avven u to, noi labbiam b en e


com prato e t ancora, ora ch e 1 m onim ento aperto, a ltri ru b asse
il vescovo, fare m olto b ene. Et cos si feano ritorno. P ig liu ccio ,
ved u to la m attina il sole, p rese uno a n ello e t a u n o orafo lo
ven d eo per q uello poteo e t di q u elli dinari si v estio. Et con
g io ie ritorn a L ucca, e t q uine ven d ute, com pre ca se e t posse-
sioni, e t fece buona bottega e t v isse a onore.
DE VITUPERIO PJKTATIS 43

9.
[Trtr., II],

DE VITUPERIO PIETATIS

N ella citt di L ucca in n ella contrada di san P aolino era uno


ten to re nom ato V anni, lp quale avea una sua donna on esta assai
g iovan a nom ata m adonna M argarita, la q uale si d iletta v a volen
tier i di u dire la parola di D io e t m olto usava la ch iesa di san
P aolino. D ivenne ch e facendo a lla ch iesa d itta ogni giorn o su o
viaggio, uno prete in ta l ch iesa nom ato p rete A ndrone [le d isse]:
0 cu ore del m io cu lo, com e m i fai m orire lo cu ore e t crescer
la v erg a ! parlam i. L a donna, udendo ta li parole, d isse: O ggim ai
non pi dom enica, e t pens andare a san P iero M acaruolo,
quine presso a v in ti b raccia, in n ella q uale [ch iesa ] uno cap
p ellano di san P aolino, ch iam ato prete F onseca, officiava. Inva
gh en dosi di co stei, com e sola a san P iero la v id e v en ire, disse:
Anim a m ia, ti prego ch e tu m i presti la tu a borsora al m io
ch ierco ch e sotto m i sta. M adonna M argarita sen za p arlare di
q uella ch iesa u scio dicendo: Ornai in n ella p arecch ia mia non
posso usare, e t pens andare a u dire l offlcio in san ta M aria Fi-
licorb i. Qui n e v ien e e t co si la m attina seg u en te se n and a santa
M aria. P rete R onchetta di santo A ngelo, ch e quine era cappellano,
vedendo la donna v en ire in ch iesa , subito pens d irle il su o pen
sieri e t preso tem po disse: Donna, io ti v orrei ron ca re; e t a ltre
p arole d ison este le d isse. Le quali la donna, incorporato tu tto,
stim v o lerla a V anni suo m arito con tare la m ena di ditti p reti,
e t subito ritornata a casa a V anni d isse q u ello ch e da d itti p reti
a vea ricevu to d f v illa n ia . V anni, ch e m alcontento era di ta i
cose, cognoscendo la su a donna n etta, d isse: Io vo g lio pagare
costoro secondo hanno m eritato, d icendo: M argarita, ora si vedr
il tuo onore e *1 m io vorrai m antenere. La donna d isse ch e s,
se n e d ovesse m orire. V anni d isse: F arai c h e dom enica vadi a
san P aolino, e t com e p rete A ndrone n ien te ti d ice, a sco lta lo , e t
d ig li c h e tu sei contenta ch e la sera vegn a a te in su lle tre, di
cen d ogli ch e io sia ito di fuori, e t dato lord ine con lu i, te nan
drai a san P iero M acaruolo e t a p rete F on seca d irai il sim ile,
e t poi a p rete R onchetta farai lo som igliante. E t venuto T ora
d ella sera, ciascu n o m etterai in fondaco e t cen erete, e t cen a to
44 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

farai in tr e bigoncioni tre bagni, luno g ia llo , laltro rosso, la ltro


azzurro, facendoli lavare tu tti a un colpo, e t quando sen tira i
rom ore faralli en trare cos nudi in n ella botte t tu tira il tem -
pano a te. La donna d isse di fare tu tto. Et la m attina a cia
scu n d ed itti p reti d i l ordine ch e la sera ven issero, non sa
pendo luno d ellaltro. Passato il giorn o, la donna fe* fare da cena,
e t sonato le tre, p rete A ndrone fu lo prim o ch e dentro en tr.
La donna lo m isse in fondaco, e t poco stan te p rete F onseca fu
ven u to. La donna lo m isse quine u' era p rete A ndrone, e t tro
vandosi in siem e disseno: Ora c i siam o am endue, e ciascu n d isse
il modo adoperato (1). Et poco dim or c h e prete R onchetta fu
ven u to, e t ch iu so luscio lo m en in n el fondaco, d ove tu tti tr e
ricogn osciu tisi, la donna d isse: P o ich tu tti tre m a v ete rich iesta
dam ore, io non ved ea p i atto tem po a p otervi tu tti tr e ser v ir e
se non stasera, e t pertanto sta te con tenti ch e p er tu tti c e n 'h a,
e t dapoi in n eg li a ltri giorni potr cia sch u n di v oi pren d ere di
m e p iacere. Li preti con tenti, parendo loro un d m ille ch e fus-
sen o a lle prese, la donna apparecchiato li buoni capponi, attin to
il vino, di brigata cenarono e t cenato la donna disse: Prim a ch e
noi andiam o a letto vo ch e tu tti noi ci laviam o. Li p reti con
ten ti, spogliati nudi, a ciascu n o ap parecchi il suo bagno caldo
e t cos dentro in n elle tin e li m isse. La donna, p er dare pi
fede alla cosa, sim ile si spogli e t in n ell acqua cald a si lav.
Et m entre ch e la v a ti funno, subito l u scio fu p icch iato. La
donna di subito v estita si d ella cam icia d isse: P reti, en tra te in
co testa botte fine ch e io vegga ch i si . Li p reti cos nudi in
n ella botte entrarono e t aperto l u scio V anni d isse: Or ch e
vuol d ire ch e cosi in cam icia se in bottega? La donna disse:
Io era per andare a dorm ire, e t ditto questo subito n and
alla b otte e t 1 u sciolo trasse a se dicendo: Io non voglio c h e
V anni v i vegga e t fin e ch e star in fondaco [sta rete] ser
rati cos. V eduto V anni li preti in n ella b otte, subito la stan
g h etta v i m ise, acci ch e ap rire non la potessero. Et d isse alla
donna: E' mi con vien e stasera un poco lavorare, p erch dom at
tin a mi con vien e andare a ltrove. La donna disse: Or non andasti
oggi? V anni disse: N o. Li p reti tu tto ci ch e d icean o udian o.
La donna disse: E sere m eglio ch e tu n andassi a dorm ire e t
io rim arr a fare b ollire il v a g ello fine ch e arai un poco dor

(1) Ms.: d e llo n ia to .


DE VITUPERIO PIETATI8 45

m ito. V anni d ice: P o ich tu se i spogliata, van n e a letto e t io


for alquanto e t poi ti ch iam er. La donna d ice: Fa ci ch e vu oi.
Li preti dicono l'uno a ira ltro : P er certo la donna ci volea pur ser
v ire e t h a cci serv ito e t v ed ete quanto sottilm en te n h a volu to
m andare V anni a letto: ma non ci diam o p en sieri, ch e a m ezza n otte
e lla ritorn er. Et s and V anni in bottega e facendo suoi fatti,
chiam certi suoi garzoni ch e di contra stavano, e t q u elli ven u ti,
tu tta notte li f* la vorare, e V anni alquanto in bottega dorm io fino al
giorno.V anni mand alla piazza p er sei portatori e t quando funno
v en u ti d isse asu oi garzoni e t a certi suoi am ici ch e p arte n'an
dasse a ll'u scio d ella ch iesa di santo P aolino e t p arte all* u scio
d ella ch iesa di santa M aria F ilicorb i e t qualunque persona
traffigurata v en isse ch e q u elli prendesseno fin e ch e tornava.
M esse le poste, V anni d isse a q u elli portatori ch e vo lea ch e
portassero q u ella b otte in piazza di san M ich ele. Li portatori,
leg a ta la botte, non sapendo i preti n ien te di q u ello ch e V anni
volea fare, sen tend o dim enare la botte, stavan o ch eti dubi
tando m orire. L egata la botte, li portatori portatala in piazza,
di p resen te V anni p rese una scu re venendo tagliando li legam i
d ecerch i, le persone facendo cerch io, stim ando V anni esser im
pazzato. E t poco stan te dacerch i slegata la botte, andata in uno
fascio, li p reti luno rosso, 1* altro g ia llo , 1* a ltro azzurro fin e a
ca p elli, nudi fuggendo per la piazza, le persone tenn ero loro
d irieto. Li p reti, non sapendo u* poter fu ggire, si drizzonno verso
le loro ch iese, e t volendo p rete A nfirone e t p rete F onseca en
tra re in san P aolino e t prete R onchetta in santa M aria, le gu ard ie
p oste, vedendo costoro, subito q u elli presono, e t ven u to V anni
e li a ltri v icin i disseno: Costoro sono li nostri buoni p reti ch e
sono tornati da G erusaiem da' perdoni. E t pertanto bene c h e
con questa san tit si presentino a m esser lo vescovo, e t cos fu
rono per li v icin i m enati a m esser lo vescovo. Lo vescovo, v e
dendoli e t avendo notizia ch i erano, subito li fece m ettere in
p rigion e e t privati del b eneficio, d* altri m igliori p reti le ch iese
si riform aro e t q u elli preti cos nudi funno ten u ti tanto ch e *1
cald o d ella loro disonest fu loro u scito d addosso, e t m andati
fh ori d L ucca com e ca ttiv i finirono loro v ite.
40 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

10.
[Trir., n 18].

DB MULIERE ADULTERA

U no nom ato se r Gola da Spoleto, d el quale a ltra v o lta a v ete


udito con tare in n ella n ovella d eirom o giu stizia to a P eru g ia ,
lo q uale ser Gola avendo una sua donna b ella nom ata Ma-
tolda e t avendo ved u to i modi ten u ti da q uella di P eru gia, to r
nato a Spoleto, pens di provare la m oglie se il ben e c h e a
lu i dim ostrava di v o lere era ferm o com e in apparenza d icea .
Et era stato alquanti d in Spoleto con lei, un giorno fingen
dosi desser m alato disse: M atelda, per certo la ere di P eru gia
e t laffanno ch e io v i portai a llofficio mha condutto a ta le c h e
veram en te io m i m orr. M atelda, ch e ode ser Gola, piangendo
d isse: O m arito m io, com e far la trista tua donna se mo
rissi? per certo io m u ccid erei; et ta le era il duolo ch e Ma
telda Iacea di q uello ch e ser Gola g li a v ea ditto, ch e p area
ch e g li fusse m orto, m ettendo g u ai inesprim ibili. S er Gola disse:
Donna, qui bisogna altro ch e piangere, per m entre ch e ar v ita
in corpo ti prego m aju ti in quello si pu. La donna d isse: O him ,
m arito m io e t d iletto m io, ch e m ai a ltri non cognovi, or non
debbo lan gu ire udendoti (i) cos dire? p er certo non m e posso
ten ere, tanto 1 am ore e la lea lt ch e tho portato e t porto.
S er Gola disse: E1 m e pare cogn oscere; nondim eno ora ti prego
mi soccorri ch e uno argom ento mi fa cci, torsi Iddio vorr c h e
io a l p resen te non m uoja. La donna quasi transita strin se le
pugna dandosi p er lo p etto e t alquanto stata dicendo: 0 ser Gola
m io, quanto la m orte tu a mi n uoce ch e piuttosto vo rrei m orire
ch e tu l, ser Gola disse: La m orte durissim a e m olto scu ra a
ved ere. La donna disse: Ser Gola m io, non d ite pi ch e ogn i
volta p er voi m uojo. S er Gola rafferm ando ch e cred e ch e le i
lam asse, ma ch e subito ordini d a vere c e c i per fare uno argo
m ento, tanto lo disse, ch e m adonna M atelda si m osse e t and
fuori di Spoleto per alcu n i ceci a uno orto, et m en trech fuori
and ser Gola p rese un g a llo, il q uale M atelda se la v ea n otri-

(1) Ms.: vedendoti.


DB MOLIERE ADULTERA 47

cato, e t era si dom estico ch e sem pre p er casa andava d irieto a


M atelda. E t preso questo g a llo, subito lo pel e t sotto una cassa
lo m isse sotto il letto , e t rip osesi ser Gola in n el letto facendo
v ista di dorm ire, tanto ch e la m oglie torn. E t giu n ta la m oglie
in ca sa e t andata a l letto , vedendolo co lli o cch i serra ti, disse:
O ggim ai sar m ia donna. Et sta ta alquanto sbaigliando, m isse uno
strid o gridando: Soccorretem i. La donna ch e q uin e era , pian*
gen d o d isse: O tu se V ivo? S er Gola d isse: Donna, io m 'ho so
gn ato ch e la m orte de V en ire a m e inform a di u n u ccello p elato
e t de* m i u ccid ere e portare v ia . La donna p iagn oien te d icea:
O m orte, portam i m e e t ser Gola lassa. E t questo d isse m olte
v o lte. S er Gola d isse: Donna, prim a ch e io m uoia io m i vorrei
con fessare dal nostro sere. M adonna M atelda d isse: Io g li andr
a d ire lam basciata. Et m olto cerch ian d osi, se n'and a uno luogo
d ella cam era u' era uno sp ecch io specchiandosi e t conciandosi
com e se d ovesse andare a nozze. S er Gola, ch e a v ea sen tita la
v o ce e t a v ea la ved u ta sp acch iare, p reso di M atelda sospetto,
p ens tu tto ved ere senza d ire alcu n a cosa. C oncia la donna, co l
m an tello u sc (1) di casa p er andare a l sere, il q u ale avea nom e
P istello , e t ta l nom e g li fu dato p erch era bene am m assariziato
da far p estare salsa in n ell' a ltru i m ortaio. S er Gola, com e la
donna fu u scita di casa, lu i p er un altro u scio d alla p arte
d irieto u scio, e t prim a ch e la donna fusse a casa d el sere,
ser Gola v i fu den tro en trato e t q uin e segretam en te si n ascose.
V en u ta M atelda a casa d el p rete P istello , senza p regare n
ch iam are, in con trata una sca letta , a l p rete se n' ande. P rete
P istello d isse perch* era ven u ta, m eravigliandosi, dicendo: S ta
n o tte non fosti? e t ora ch e v ien i? ch sa i ch e stan otte pas
sa ta io pestai n el tuo m ortaio tr e v o lte la salsa, e t anco sa i c h e
o g n i giorn o ch e ser Cola stato a officio io t ho can tato alcu na
v o lta una m essa e t una ca v a ta ; ora ch e vuoi? D isse M atelda:
S e fu sse tem po, prim a ch e altro v i dica, vorrei c h e u n a volta
p esta ste la salsa in n el m io m ortaio. Il prete d isse ch e le dovea
b astare q uella sa lsa ch e avea a vu ta la n otte alm eno per tre d.
S er Gola c h e h a e veduta la donna m ontare co s lib eram en te,
d isse fra s : C ostei n stata a ltra volta, e t udendo le parole di
p rete P istello e t di M atelda d isse: Ornai potr n avigare a buon
tem po, p oich M atelda fa d ire s sp esso tan te m esse e t ta n ti ca -

(1) Ms.: u scita .


48 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

v a ti. Et sen to lam basciata ch e M atelda d ice al p rete, la q uale,


p oich v id e ch e p rete P istello non v o lea fere salsa, d isse: Sor
Gola vu ol m orire e t prim a ch e m orisse v u o i esse re con fesso.
Lo p rete d isse: V atten e e di ch e sap p arecch i e t io v er r .
U ditogli confessare ser Gola la m oglie, subito se n and a ca sa,
aspettando M atelda. V enuta M atelda a ll' u scio, ser Gola a lz
un poco la testa dovera il g a llo p elato. La donna giu n ta in c a
m era, ser Gola d isse: Donna, la m orte ven u ta poi ti p a rtisti
e t ham m ene volu to pi v o lte p ortare, sen o n ch io g li h o d itto
ch e io m i vo lea prim a confessare, m e n h a reportato, e t p er
so llecita il sere ch e vegn a. La donna d ice: S er Gola, d ite a lla
m orte ch e n e porti prim a m e e t v o i la ssi. S er Gola d isse c h e
so llecita sse il sere. La donna fattasi in su llu scio, p rete P istello
giu n ge e t en tra in cam era segnando a ser Gola. S ollecitan d olo
ser Gola disse: B en vegn a il santo p rete, e t posesi a sed ere a l
lato a ser Gola in p resen zia d ella m oglie e d isse ch e p eccato
a v ea . S er Gola d isse: Io h o ta n ti p eccati ch e io non v e li p otrei
m ai d ire, m a io v i so ben d ire ch e se non fu sse ch e la donna
m ia v h a fatto d ire d elle m esse e d elle ca v a te p er li m iei p ec
ca ti, io sa re i, dannato. D isse lo p rete: C he altro p eccato hai?
D isse ser Gola: A vendo io gran vo g lia di m angiare, non avendo
sa lsa, p er vostra grazia pi v o lte a v ete a M atelda p restato il
vostro p istello e le i in n el suo m ortaio h a fatto spesso la salsa,
ch e m ha tu tto a llegrato. Ma ben vorrei, p rete P istello , noi v a
v esse renduto quando g lie la v ete p restato, p erch e v a le assai, e
questo il terzo p eccato d ell ava rizia . Lo p rete disse: 0 a ltro
p eccato hai? S er Gola disse: S , ch e la donna m ia ch e tanto m
am a ch e vorrem orire prim a di m e, e t questo som m o peccato
ch io h oe, et ditto questo m ostrando di stran u tire si v olt e lev
tu tta la testa daddosso a l g a llo e t ritorn a l p rete dicendo: Da
tem i la soluzione. Lo p rete, postogli la m ano a l capo, lo g a llo
accostatosi alla donna, la donna spaurando si m osse, lo g a llo
d irieto. E lla credendo fu sse la m orte d icea : P ortane lu i e t non
m e, e t voleasi fu ggire. Lo gallo d ireto, c h e non sapea la donna c h e
fare, dicendo: P ortane lu i e t non m e; ser Cola, ch e tu tto sapea
e t uda, d isse a l p rete:. A ndate a M atelda ch e m i pare c h e abbia
paura. Lo p rete and a le i dicendo: C ostui m orto, ornai farem o
a nostro modo. D isse la donna: Or non v ed ete qui la m orte? Lo
p rete subito si faggio di casa stim ando ser Gola d over passare.
La donna venuta in cam era per paura dicendo: S er Gola, non
v o ler ch e io m uoia ch e sai ch e le m esse e le cavate ch e io h o
DE MULIBRE ADULTERA 49

d ette p er te tha libero d airinfern o, ser Gola d isse : P er prem io


di ci io uccider la m orte. Et prese uno bastone, e t una basto*
nata dava a M atelda, laltra al gallo, dando alla donna assai forte,
tan to ch e la m orte fue u ccisa. La donna secura d isse: Or p erch
m a v ete dato? S er Gola d isse: P erch gi era incorporata co lei
e t co si t ho scam pata e t a ltro non g li d isse.
50 NOVELLE DI GIOVANNI SERGAMBI

11.
[Tit ., n U ].

DE BONO PATTO.

In n el contado di M ilano fti uno contadino assai sofflciente, il


q uale a v ea uno suo figliu olo nom ato P incaruolo, b ello del corpo,
e t m orendo il padre d el ditto P incaruolo lass la donna sua n o
m ata m adonna Buona, e t le i lass donna in casa con questo su o
figliu olo, avendo gi anni dodici. La ditta m adonna Buona d isse :
P incaruolo figliu ol m io, tuo padre m orto e t a noi ci con verr
v iv ere con q uello ch e *1 tuo padre n'ha lassato. E t pertanto, fi
g liu olo m io, ritirom i a fare alcu na volta d elle legn a e t a M ilano
p ortarle e t col nostro asino ci potrem o passare, com e i n ostri
v icin i. P incaruolo d isse: M adre, io for q uello v i p iacer. E t co
m inci a foro d elle legn a e t a M ilano le portava e i denari r e
cava a lla m adre, e t cos segu io pi tem po. A vvenn e u no giorno
ch e essendo m olto in grossate Tacque e t P in caru olo volendo fare
legn a in uno ontaneto, ra sin o essendo carico, non potendone
u scire d e colp i dati e t d el fango e t anco p er lo poco a v er m an
giato, l asino convenne m orire. M orto ch e P in caru olo v id e rasin o,
pens di scorzarlo e t il cu oio apportare a M ilano a ven d ere, e t
com e pens fe. Et auto li dinari del cuoio, subito ritorn a lla
m adre d icen d o: E cco i dinari del cu oio d ellasino n ostro. L a
m adre volse sapere in ch e m odo lasino m orto era. P in caru olo
g lie l disse. La m adre d isse: F igliu olo m io, non te n e d are ma
linconia, noi arem o un altro asino. Standosi la sera la donna
con p en sieri d ellasino perduto e t P in caru olo, se n andarono a
dorm ire. La m attina P in caru olo d isse: M adre, io voglio andare
a v ed ere ch e d ellasino nostro. La m adre d isse: N on te n e
cu rare, ch ben e arem o dinari. A cu i P incaruolo d isse: Io andr
pure a vedere, e t m ossosi and a l luogo dove lasino m orto avea
lassato. E t v ed u to v i.m o lti u ccelli intorno, d isse: S e io a v essi uno
di q u elli u ccelli, io sa rei ricco . E t subito p rese d elle p ietre e t
ch iam atoli se n and a llasino, pensando in trare in n el corpo d el
lasino, e t com e li corbi ven issero p er li piedi p renderne uno.
Et com e pens m isse in effetto, ch chiam ato i corbi e t entrato
in corpo all'asino, li corbi ven u ti, P incaruolo un ne p rese. E t
di la testa uscio fuori d ellasino e t q uello leg con uno cordone
DE BONO FATTO 51

o h e a v ev a , e t Ai tanta lalleg rezza ch a v ea , ch e non si ricord


d i ritornare alla m adre, m a m issesi in cam ino verso ponente.
La sera arriv in una v illa di lu n gi da M ilano quindici m iglia,
e t venendo la n otte si risteo a casa di uno contadino. Q uine
essen d o la donna d el contadino e t ricercando P in caru olo albergo
la sera con quel suo u ccello , la donna d isse: E non c i ( l ) lo
m io m arito, ma aspettalo e t e g li v albergh er. P incaruolo aspett
av en d o gran fam e e t puosesi a llu scio d ella casa a posarsi e t
m entre ch e in ta le stato stava, la donna subito duna pentra cav
u n o cappone cotto e t in una tovaglia lo n v o lse e t m isse in nel*
i a rcile. E t poi trasse di du te sti una grosta di p ollastro e t q u ella
m isse in una cassetta. R iposta la grosta, ap erse uno forno e t di
q u ello tra sse una fogaccia incaciata et sim ile q uella in n e llar-
e tte m isse. Pincaruolo fa v ista di non v ed ere; la donna pensa
o h e l giovano non saccorga di n ulla. E t poco stan te lo m arito
d e lla donna nom ato B artolo chiam la donna sua, chiam ata Sofia:
<3hi questo giovano? D isse : P a n n i persona ch e vorre ch e sta
ser a noi l albergassim o; e t per, se se contento, io te n e prego.
B artolo d isse: E mi piace, e m isse il giovano in casa, e t ch iu so
l ruscio e t acceso il lum e si m isse B artolo a tau la per cen are, e t
d isse a l giovano ch e cenasse con lu i. P incaruolo, ch avea gi
fam e, credendo m angiare di q u elle cose ch e la donna avea ri
posto, Ai contento e t a taula si pose col corbo in b raccio. La
donna arrec a B artolo e t a l com pagno un pan m igliato e t a l
q u an te fave fredde e t due capidagli con alquante fronde di porro.
B artolo, ch e tu tto l d av ev a vangato uno cam po presso a casa,
aven d o fam e, m angi, e t sim ile il giovano, parendo loro un pre-
su tto . La donna, attin to il vino, alcuno boccone si m isse in bocca,
e t cos cenarono di b rigata. Et poi B artolo d isse a l giovano: V a,
posati in cotesto tettu ccio, e t lu i con la donna se nandarono a
dorm ire in n el loro letto . P incaruolo avendo veduto ch e di q u elle
c o se ch e la donna a vea riposto n ien te se n era toccato, stim
p er certo la donna essere di ca ttiv a condizione. Et pens nuovo
m odo dappalesare q u elle cose a B artolo, per poter m angiare
m eglio ch e m angiato non avea. E t stato alquanto, il giovano
str in se (2) il p i a l corbo, ta le ch e l corbo com inci a grac
ch ia re. P in caru olo gridava (3) ch e ste sse ch eto, dicendo: Tu fai12

(1) Ma.: non essere.


(2) Ma.: si misse.
<3) Ma.: gridando.
52 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

m ale a sv eg lia re questo buono om o e la donna, ch e sa i q u a n to


onore stasera ci hanno fatto. B artolo, udendolo g rid a re, a l g io
vano disse: Che (1 ) voiea d ir e i Lo giovano d isse: Q uesto m io
u ccello d ice ch e e* vorre di q uella grosta di p ollastri ch e m
n ella cassa. B artolo subito levatosi e t andato alla cassa trov la
grosta de* p ollastri. Chiam ato lo giovano, lo fe lev a re, e t preso d el
pane q u ella grosta m angionno, dandone alquanta a l corbo. P a r
lando lo m arito diceva (2): Sofia m i tratta a questo m odo e t m e
d pane m igliato e t fev e, e t p er s con q ualch e p rete si god e
le groste de* p ollastri. La donna, questo udendo, m aladice la v e
n ata del giovano. M angiato ch'ebbe, B artolo ritorn a letto e
n ien te d ice a lla m oglie. E t stato per lo ispazio di d u e ore, P in -
caruolo di nuovo f grid are lo oorbo con parole a lle , biasim ando
il corbo; a lle cu i grida B artolo d isse ch e voleva d ire. Lo giovan o
d ice ch e non voleva d ir altro se non di quel cappone e t d i q u ella
fogaccia ch e in n ell'a rcile g li fosse dato. B artolo, ci udendo,
u scito del letto , a ll'a rcile se n'and, e t quine trov uno cappone
e t una buona fogaccia. B artolo, chiam ato il giovano, attin to d el
vino, quella fogaccia e t cappone m angionno e a llo corbo n e denno,
m orm orando la donna di q u ello a v ea sen tito. B artolo d isse a
P in caru olo: D eh p iacciati dirm i ch e cosa questo u ccello . P in -
caruolo disse: E gli uno indivino, ch e tu tto ci ch e s i facesse di d
e di n otte indivina. Ora lo credo, disse B artolo, a q uello ho v e
duto, e t per ti prego ch e questo m i ced i. D isse il giovan o: E'
v a le tu tto il tesoro. D isse B artolo: lo ti vo* dare fiorini cinque
cento e t uno paio d e m iei buoi e t tu m i da* questo indivino. Lo
giovano disse: P oich stasera m a v ete ricev u to , io sono contento,
m a tanto v i vo d ire ch e se per avven tu ra uno om o g li p isciasse
in capo, subito m orire, altrim en te m orir non puote. B artolo
d isse: Io far una p ertica tanto a lta con uno spago lungo, c h e
persona non g li potre' in capo p isciare. Lo giovano d ice ch e
bene ha pensato. M adonna Sofia, ch e ha udito tu tto , ch eta
sta fino al giorno. Lo giorno venuto, P incaruolo si p arte co d e
nari e t co' buoi e t cam m a verso ponente. B artolo con cia la per
tica e lo indivino, et prese su e v a cch e in n el cam po presso a
casa, and a lavorare. La donna rim ase trista e sconsolata in 12

(1) Ma. : elio.


(2) Veramente il ms. ha: parlando lo corbo dicendo, ma una confusione.
11 corbo non parlava se non per finzione di Pincaruolo.
DE BONO FATTO 53

-casa. Sopravvenne p rete R ustico, p rete della ch iesa , e t d isse:


S ofia, com e godiam o? Sofia d isse : M ale. Lo p rete disse: P erch ?
S o fia d isse tu tta la con ven en zia d ella grosta e d el cappone e t
d ella fogaccia e t d el giovan o e t d ello indivino, dicendo ch e B ar
to lo l a re a com prato fiorin i cinquecento e t nno paio di buoi e t
c h e m ai quel fhtto non potevano pi fere. D ice p rete R u stico:
O p erch n'abbiam o lo ndivino? Or non si pu lo ndivm o foro
m orire? M adonna Sofia d isse: Si, se a ltri g li p iscia sse addosso.
L o p rete d isse: C otesto far io bene. La donna d isse: Come?
L o p rete d isse: Io m onter in su l tetto, tu p icch ia sotto e sopra
il capo d ello ndivino, e t io scoprir del te tto e t quine m etter
il m io com pagno e t pisciand o u ccid er lo indivino. La donna
disse: F accia (1 ) Iddio v e l cresca e t ingrossi il vostro com pagno,
c h e ben e a v ete pensato. L o p rete m ontato in sa i tetto, m adonna
S o fia con p ertica p icch ia il tetto , il p rete sen te e discuopre il
te tto e t p er le tem pie m ette il suo com pagno assai presso e co
m in cia a p isciare sopra lo ndvvino. Lo corbo, ch e naturalm ente
' tra g g o alla carogn a, com e sen tio l'odore della carogna del p rete,
su b ito a lza ti g li occh i verso il tetto, vedendo 11 com pagno di
p rete R ustico, stim ando fo sse carogna com era, subito volando
c o lli a rtig li e co l becco ta le carogna prese. Lo p rete, sentendosi
p e r la coda preso, subito com inci a grid are. B artolo, ch e in n el
cam p o era a lavorare, a lza ti li occh i a l grido, v id e p rete Ru
stic o in su lla sua casa grid are. P artissi e t a casa n and; quine
v i v id e il suo indivino ten ere stretta la carogna del p rete. B ar
to lo gridando: Indivino, tien i forte ; prete Rustico udendo B ar
tolo, p er lo dolore e t p er la paura d el m orire d icea: O Bartolo,
o m i ti raccom ando. B artolo, gridando a llo ndivino, d icea : T iello
fo r te. Lo prete, avendo pena grande, d isse : 0 B artolo, io t'hn-
prom etto, se allo ndivino m i ibi lassare, ch e m ai in questa casa
n on entro, e t pi io ti v o dare fiorini trecen to e t uno ca v a llo
e t una guascappa nuova e t tu mi fa lassare. B artolo, udendo ci
c h e p rete R ustico ha ditto, d isse ch 'era contento. E presa la
corda d ello ndivino e t stiratolo p er m odo ch e tu tta la carogna
d el p rete isqnarci, e h e poi non m olto tem po visse, ven u to prete
R ustico in casa e t dato a B artolo fiorin i trecen to e lo ca v a llo
e t la guascappa e t quasi m orto andatosene, B artolo m ont in sa i
ca v a llo , e t co fiorini trecen to e t con la guascappa si m isse e t

(1) Ms.: f a r e .
54 NOVELLE DI GIOVANNI SERGAMBI

and per q uella v ia dove P incaruolo era andato. Et tro v a to lo


d isse: Quel tuo indivino [ha fatto] quello d icci, e t tutta g li co n t
la n ovella del p rete. Et poi disse: G iovano, io non ti pagai b e n e ;
ora ti do questo ca v allo e t fiorini trecen to, m a io ti prego c h e
i buoi m i ced i e t questa guascappa m i rim anga. P in caru olo disse:
10 sono contento. Et p rese li denari e *1 ca v a llo , e t rendeo i b u o i,
e t accom andnsi a Dio. P incaruolo m ontato a ca v a llo con fio rin i
otto cento d ice fra s m edesim o: Io posso essere un gran signore, e t
poi ch 'io sono a cavallo e t h o tan ti be' denari, da qui inan ti m i
potr fare ch iam are T orre e t non P incaruolo. E t cam in v e r se
T roia in Cam pagna, e t tanto fu lo suo cam ino, ch e giun se, p as
sato l'alp e de B riga, in su lla pianura di Cam pagna. Et co m e
pass per la pianura, vide uno il quale stava (1 ) alzato p er m od e
ch e correre volesse. T orre ferm andosi, non vedendo alcu no con
lu i, d isse: C he fa costui? E t approssim andosi a lu i d isse c h e
focea. A cu i rispuose: A spetto di prendere uno cavriolo. D isse
T orre: 0 tu non h ai can i n re ti; com e pensi alcu n a cosa pren
dere? R ispuose: Io lo prendr col corso. T orre m eraviglian d osi
d isse: Come pu questo essere? S e asp etti, lo ved rai. E t
poco stan te uno cavriolo u scio d el bosco. Colui g li ten n e d riet
e t in pochi passi l'ebbe preso e t a T orre l'appresenta d icen d o:
V edi se io corro. R ispuose T orre: Di vero tu corri m olto b en e,
e t dicoti, se vuoi m eco ven ire, io ti dar fiorini cen to e la sp esa ,
e t se n iente avanzo arai la tua parte, ma pregoti c h e m i d ich i
11 nom e tuo. R ispuose: Io sono ch iam ato R ondello, e t sono con
tento teco v en ire, e t tu m i d fiorini cento. T orre, aperta la
borsa, fiorini cento g li di. R ondello si m isse in cam ino con lu i.
D ilungati alquanto, T orre v id e uno g ia cer in terra e t disse a
R ondello: Colui de' esser m orto. R ondello d isse: Io andr a v e
dere. Subito fu a lu i e t v id e ch 'era vivo. T orre and a lu i e t
v id e ch e ten ea lorecch io in terra. D isse T o rre: C he fai? C olui
rispuose: Sento n ascere la grim igna. T orre m eravigliandosi n o i
cred ea. Lui disse: Io v i sen ti' quando d iceste: Colui m orto.
T orre d isse se con lu i andare volea, dom andandolo del suo n om e,
il q uale d isse: Io ho nom e Sentim ento e t sono con tento a v en d o
alcu no pregio. T orre g li offerse fiorini cento. Sentim ento li p rese
e t insiem e cam inaro. Cam inato alquanto, vide uno ch e stava e o o
uno balestro teso con uno bulcone. T orre d isse q uello facea. Ri*

(1) Ma.: sta n d o .


DE BONO FATTO 55

spuose: A spetto p ren d ere alcu no u ccello p er desinare. Or


com e lo p otresti m ai prendere, se qui non sono arbori dove li
u cce lli posare si possino? D isse: S e asp etti, ved rai q uello ch e non
cred i. E t poco sta n te una rondina volando p er T ana, colu i ba
lestrand o la diede a* pi di T orre. V eduto T orre la virt di costui,
pens di lu i con li a ltri a v ere buona com pagnia. E t dom andandolo
d el nom e, offrendogli fiorini cento, se con lu i vo lesse andare,
q u egli (1 ) d isse lu i esser chiam ato D iritto, ch e era con tento seco
andare, e t presi fiorini cen to, con lu i e t con li a ltri si m isse in
cam ino. A ccostandosi verso P arigi a una giornata, v id e uno il
q uale avea dinanti da s uno m ulino sen zacqua e sen za ven to.
T orre disse: D eh ch e fee colui? E t andati a lu i lo dim andonno
q u ello facea. R ispuose: M acino grano co l m io soffio. T orre d isse:
B en aresti buon fiato se m acinassi gran o. L ui d isse: La prova
tosto ved er n e potrai. E t m esso sta la tr e di grano in n ella tra
m oggia, dato un soffio a lla m acina, la m acina non rest di v o lg er
tanto ch e staia tre di grano fa r m acinati. T orre, vedendo la
sua bont, g li d isse se con lu i andar volea e t ch e a lu i com e
a lli a ltri d are fiorin i cen to, e t com e a v ea nom e. Colui risp u ose:
10 h o nom e lo Spazza e t sono con tento avendo fiorin i cento.
T orre subito g li d i fiorin i cento e t con lu i n and. A vuto T orre
11 quattro com pagni, e t approssim andosi verso P arigi, sen tio d ire
ch e r e F ilip p o a vea una sua figliu ola nom ata D rusiana, giovana
da m arito; m a ch e la costum a era q uale la v in cesse d i correre
a v erla p er isposa e t c h i fu sse p erd en te m orire. Et m olti gi
avean o perso a correre con le i e tu tti erano sta ti m orti p erch
e lla li avanzava. T orre, sentendo questo, ristretto si con R ondello,
d isse se lu i volea esser q u ello ch e con D rusiana co rresse e t ch e
lu i m ettere* la testa all'in con tra. D isse R on d ello: M essere, non
dubitate, ch e se volasse la v in cer e t v oi a rete di le i vostro
p iacere. P iacq u e a T orre il b el parlare e la buona profferta ch e
R ondello avea fatta. V oltatosi a lli a ltri tr e dicendo: A voi c h e
v e n e pare?, d isse lo Spazza: Signore n ostro, p oich d esideri
a v ere la figliu ola d el re F ilippo, la q u ale corren te e b ella , ti
dico c h e secu ro m e n e prom etto di farla [tua], ch se R ondello
non corresse tan to, le i io la riterr col fiato, ch e largam ente
potr giu n gere a l luogo ordinato prim a di le i, e t p er questo
m odo arai D rusiana. A T orre piacendo d isse: 0 v oi a ltri ch e

(1) Ms.: il quale.


56 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

d ite? D issero Sentim ento e D iritto c h e loro staranno a v ed ere


co* loro argom enti e t se bisogno sar adopreranno per lu i q u ello
bisojjpava. R im aso T orre contento e t avu to la im prom essa, g iu n ti
a P arigi,' sm ontati a llalbergo e t v estitisi e t li a ltri on orevolm ente
riposto^ ^ g u a n ti de, T orre se n and a co rte d el r e F ilippo d i
cend o c h e lu i era ven u to p er essere suo gen ero, offerendosi a
ten ere la costum a. Il r e d isse ch e g li p iaceva e t ordinata la
giorn ata, dato lordine, m ettendo T orre in prigione, con ca rico
c h e se colu i c h e m enato a vea a correre con D rusiana perdea,
g li fo sse la testa taglia ta . La dom enica ordinata c h e co rrere si
debbia, ciascu n o [presto] esser debbia p er correre e t ta li p er
v ed ere, R ondello [fu] presto dinanti a l re, dom andando c h e ca
m ino fare doveano. A c u i lo re d isse: V i m overete con uno fia
sch ette d i cu oio per uno e t co rrerete fino a San D ionigi, e t q uale
prim a torner c o l fiasco pieno dacqna d ella fonte d i San D ionigi
ar vinto, e t qual rim an esse a riete sa r perdente. U dito R ondello
ta l cosa, subito d isse: Ornai foto dare la m ossa. Lo Spazza fot-
tosi in su lla strada con Sentim ento e con D iritto, aspettando c h e
la m ossa si d esse, ordinata la m ossa e t data, la d am igella cor
rendo, R ondello, c h e di leg g erezza passava ogn i anim ale, su bito
fo giu n to a San D ionigi e l fiasco d ellacqua d ella fonte em pio
e t a d irieto tornando, trov D rusiana a l m ezzo il cam ino. La
quale fattasi in an ti, a R ondello d isse: G iovano, ornai veg g o c h e
h ai vin to, ch e p er certo ti d ico c h e b en e h a i il tu o e m io si
gn ore servito. Et p ertanto sen za m olto affanno si pu un poco
riposare. R ondello, udendo le dolci p arole, si puose a sed ere con
D rusiana e t tanto fanno le d olce canzone c h e D rusiana d ice, ch e
lo fece addorm entare. E t com e vide ch e dorm ia, g li cav il
fiasco pieno d ellacqua di sotto il capo e il vu oto v i m isse, e t
tornata in d irieto verso P arigi se n e ven n e correndo. Lo Spazza,
vedendo D rusiana ven ire, d isse : M ale sta. E t fo tto seg ll in con tra,
soffiando la m andava in d irieto, e t com e inanti v en ia, lo Spazza
la riv o lta v a di d iece tan ti ad rieto, e t per questo la rite n n e al
cuno tem po. V edendo ch e R ondello non v en ia, lo Spazza d isse:
P er certo costu i s m orto. D isse Sentim ento: Io sapr tosto su a
condizione. Et posto l o recch ia in terra , sen tio ch e R ondello dorm ia
e t d isse: E dorm e. D isse D iritto: Q uanto v i pu essere |fin] o v e
dorm e? e t da qual p arte d ella strada s' posto a dorm ire? D isse
Sentim ento: T re m iglia e t a man d ritta d ella strada. D iritto
tend e il balestro e t veduto un b u lcion e p ercosse il fiasco c h e
R ondello avea sotto il capo. Et sveglian dosi, e t ved u to il bul-
DB BONO FATTO 57

rion e e *1 fiasco voito, p ens: Io sono stato ingannato. Ma sp e


rando ch e Spazza riten esse la giovan e, subito p rese il fiasch ette
e t a San D ionigi ritornato, em p iette il fiasco dell'acqua, e t dato
volta, in poco d ire giu n se a P arigi prim a ch e la donna. Et per
q uesto m odo T orre fu scam pato e t libero d ella p rigione. Lo re
F ilippo, fatto sposar la fig liu o la e t fotta la festa gran d e, T orre
ebbe parte d el ream e di F ran cia (1). L i com pagni, d on d olio, .
Spazza, D iritto e t S entim ento, f' con ti di a lcu n i paesi, e t v issero
lun go tem po. Dom ando a voi, donne e t om ini, ch i h a m iglior
ragion i d ell'acqu isto d i D rusiana, o T orre, o d ond olio, o Spazza,
o S entim ento, o D iritto? E t questo m i d irete dom ani, quando
sarem o lev a ti p er an dare a nostro cam ino.

(i) Qui bo alquanto modificata la dicitura ingarbugliata del codice.


58 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMB1

12 .
[Tri*., n 18].

DE NOVO MODO FURANDI.


A P arigi, citt di gran nom e e t di gran giu stizia , in n ella
quale la co rte de* r e di F ran cia si tien e, fu uno ladro nom e
Chupin, lo quale di continuo di di e t di n otte si m ettea a in v o
la re co si le p iccole cose com e le grandi, non avendo paura d e la
g iu stizia . E t dim orando m olto tem po p er ta l m odo, vedendo non
poter u scire del fango, pens di v o ler ten ere m odi da d iv en ta re
ricco tosto. E *1 modo ch e questo C hupin pens, si f fra s di
cen d o, m olti om ini p er fu rti e t p er a ltre ragion i erano o g n i
settim ana im p iccati a l giubbetto di P a rig i e t erano ap piccati con
b elli vestim en ti e t alcu n a volta con cin tore darien to, di c h e
questo Chupin dispuose di furare le v esti d i q u elli ap p iccati
fussero, fino a lla cam icia, pensando ch e ta n te ( ssero e t di si
gran v alu ta, ch e tosto sare* ricco . F atto ta l p en sieri, un g iorn o
il g iu stizieri di P arigi m enando a l giubbetto pi di v en ti p erson e,
tra* quali erano alcu n i ca v a lieri li quali erano sta ti a rubare le
strade e t a ltri rubare b ottegh e e t cos in un m odo e t cosi in
uno altro assai o rrevoli di vestim en ti, co i quali il g iu stizieri li
fe appiccare ; veduto C hupin lim p iccati e t ben v estiti, si m osse
e t and a l giubbetto, e t q uine sp ogliossi in cam icia e t m ontato
in su lle fo rch e, tu tti li d itti appiccati ispogli e t poi r iv estito si
tu tte le robe ch e frate avea n e port, aspettando ch e de* n u ovi
v i s*appiccassero. E t non m olti d i steo c h e di nuovo circa d ieci
il g iu stiziere n e m en a l giubbetto p er im piccare, e t vedendo li
prim i esser nudi in cam icia, m eravigliandosi ch i q u elli a v ea spo
g lia ti e t non potendo sap ere ta le cosa, d elibire p en sare q u alch e
modo di trovare quel ladro ch e li a ltri rubava. E t feceli con
durre al giubbetto e t im p iccati, e t ritorn con dare ordine di m an
darvi a lcu n i a ved ere e t cos fece. Chupin, ch e stava atten to,
ved u to q u elli ch e di nuovo erano im piccati, subito se n and a l
giubbetto, et spogliatosi in cam icia e t concio uno nastro a lla
forca con uno nodo di sotto pendente, incom inci a sp o g lia re,
e t quando sebbe tu tti sp ogliati, v id e dalla lu n ga alcu n i v en ire,
li quali lo g iu stiziere li m andava alla guardia p er ved ere c h i
era q u ello ch e i ladri ap p iccati sp ogliava. Et ta li vidieno in q u el
punto uno sopra le forch e e spronando verso il giubbetto p er
giun gerlo, Chupin, ch e [h a ] veduto coloro di trotto v en ire a l
giubbetto, quel nodo d el capestro co* d en ti prese e tra li ap pic
DE NOVO MODO FURANDI 59

ca ti nudi si m isse pendente co lle m ani d irieto. Li guardiani


g iu n ti a l giubbetto e t non vedendovi persona, cb stim avano
tu tti essere im piccati, e t vedendoli tu tti in cam icia, si m aravi-
glionn o forte com e colu i ch e da lu n gi laveano veduto non avean o
trovato e t si tirorono a n eto e fatto ritornorono a l g iu stiziere.
Lo g iu stiziere pens trovare a ltro m odo. Ghupin, partiti coloro,
subito p resi li [vestim en ti] de' ladri, si partio, e t q u elli nascosti,
sperando ogni giorno ten er questi m odi, [steo attendendo. Stando]
G hupin in P arigi, e t vedendo tr e m enare a l giubbetto, li quali
avean o assai [p overi v estim en ti] (1), salvo ch e uno di loro av ea
una sca rsella di stim a di grossi due, d isse : G otesta sca rsella sar
m ia, e t sim ile cotesti panni, posti ch e tristi sien o, m e li terre.
Lo g iu stizieri secretam en te, sen za dim ostrare a persona q uello
ch e v o lea fare, innum er tu tti q u elli ch erano a l giubbetto, per
v ed ere ch i era q uello ch e spogliava rim p iccafi e t [ordin ch e]
se trovassero essere stati sp ogliati rim angano tu tti a guardia,
sa lvo ch e a lu i m andino uno. Et q u elli, udita lam basciata, u sci
rono fuori di P a rig i, e t quando videro lo giubbetto, videro uno
sopra le forche per lo m odo di prim a. G hupin, ch e g i a vea spo
g lia ti et orasi per p artire, ved u ti coloro ch e a l giubbetto veniano,
subito co denti sattacc a l nodo del capestro, lassandosi pendere
com e di prim a tra q u elli im p iccati. L a b rigata giun ta e t non
potendo ved ere il ladro, vedendo q u elli tr e sp ogliati, subito man
darono uno a l g iu stizieri. Lo g iu stizieri ven n e a l giubbetto. V e
dendo ogni persona spogliata, com inci a nom erare lim piccati
e trov ch e uno v e n era pi ch e non dovea essere. Subito co
mand a uno serg en te ch e con una lan cia forasse a llim piccati
li piedi e t d isse forte. Lo serg en te cosi fe, andando ferendo le
piante de piedi a lli im p iccati e neuno sentim ento aveano. V e
nendo a Ghupin e t percotendolo in n elle pian te colla lancia,
sen tend oli forte, tir in su le gam be. Lo g iu stiz ieri, ci vedendo,
disse: Q uesto quello ladro ch e i ladri pi v o lte h a rubati. E t
fatto m ontare uno serg en te in su l giubbetto, trov C hupin ch e
ten eva in bocca quel nodo, e t fattogli lassare, lo g iu stizieri disse :
0 G hupin, non t valu to lo tuo ingegno e t com e tu th ai e letto
il luogo, cosi ti rim arrai. Et quine con uno la ccio a l collo in
quel luogo lo fe im piccare per la gola. E t p er questo modo fU
poi salvo il giubbetto, ch e pi l'im piccati non furono sp ogliati.1

(1) Tre lacune nel ms., cui ho cercato rimediare seguendo il senso e te
nendo calcolo degli spazi lasciati in bianco.
60 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

13.
[T H v., i* SO].

DB FURTO EXTRA. NATURA.

N ella citt di P isa Ai uno nom ato Z a ch eo , il quale volen do


trovare m odo d i rubare, a llev a to uno cagnolo co l q u ale di n o tte
andava p er P isa rubando, m oltissim e b ottegh e strafisse. E t tan to
crebbe la fam a de' fu rti in P isa, ch e tu tti officiali di ci si m a
ravigliavan o, m ettendo m olte gu ard ie di n otte p er pi lu o g h i,
non potendo trovare c h i ci ia cea : e a cci ch e non vada la nostra
n ovella p i in an ti d ico il m odo c h e ta le ladro facea. E1 m odo era
questo, ch e lu i andava con grim ald elli e t en tra v a in n ella bot
teg a l un giorno e laltro, e il cagn olo suo sta v a di fu ori andando
in qua e t in l, e t se ved ea o sen tiva (1) n fam iglia n altro,
tornava a lluscio, dove Z acheo suo sign ore era, a fiu tare, e t graf
fiava l uscio, e t allora Z acheo stava dentro ch eto, e com e ved ea
p artita la fm iglia o ch i fu sse, e l ca n e grattava una v o lta e poi
andava in qua e t in l calcando la strada e Z acheo rubava a
sicu rt . E t se sen tia niuno, il can e tornava a llu scio e graffiava
e t questo fhces ta n te v olte quan te g en ti passava. E t q uesta era
la m aniera c h e Z acheo ten ea a ru b are e t con gran d e secu rt v i
si m ettea, e t m ai non trov c h e il cagn olo g li fa llis s e , e t p er
q uesto m odo m olto avea rubato. Era questo Z acheo b a le strier i,
ovvero ven d itore di b a lestre e t nondim eno ladro e t d elle co se
c h e facea n e facea buona la sua b ottega. D ivenne una n otte, ch e
non potendo furare q uello pensava, p erch in n ella bottega d ove
volea en trare eran o dentro certi ch e lavoravano, venendo presso
la loggia d ella Sign oria, fur uno balestro e t a lla sua bottega n el
port. La m attina il soldato, ch e s trov m eno lo b a lestro , v a
cercando e t p ensa: Chi lar tolto lar portato a ven d ere alb a*
lestrieri. E t andato a Z acheo d icen dogli : Sarebbe ven u to niuno
a ven d ere uno m io b alestro ch e stan otte m i Ai rubato?, Z acheo
disse (c h lu i era stato ch e l Ait) d isse: N o, m a se verr io g li
riterr lo h alestro, sicch tu larai. Lo soldato, non avendo su a
in ten zion e, and a lli a ltri b a lestrieri se il suo b alestro ritrovare

(1) Ma.: sentisse.


DE FURTO EXTRA NATURA 61

potesse, e t non trovandolo, sta ti alquanti d, Ai de n ecessit do


v ern e un altro com perare. Z a ch eo , ch e q u ello b alestro furato
avea, lavea appiccato insiem e con a ltri in n ella sua bottega, non
sapendo a ch i to lto la v esse ; posto ch e quel soldato fu sse ven u to
a ricordarlo, nondim eno Z acheo sem pre ta l balestro in bottega
ten ea . E venendo q u el soldato con a leu n i com pagni per com prare
uno balestro per non perder soldo, Z acheo m ostrandonegli m olti
da ven d ere, lo soldato, guardando a lle p ertich e, vide uno b alestro
e h e parea il suo, e t presolo in m ano e t raffigu ran d olo, d isse:
Z acheo, questo '1 m io balestro. Z acheo d isse: Deh va, anfani
tu ? Q uesto b alestro com prai gi Ai m olti giorn i. Lo soldato disse:
T u lo p otresti a v ern e com prato da ch i tu vu oi, io ti dico questo
b alestro m io e fum m i furato non m olti giorn i. D isse Zacheo:
S e ti h i A ffato il tu o balestro, tu non arai il m io in suo scam bio;
va p er C am alto (1), villan eggian d olo di p arole. Lo soldato, c h e
q uine avea p er sua com pagnia alcu n i, d isse loro ch e ponessero
m ente in quel b alestro e partitosi alla Signoria se n'and dicendogli
tu tto ci ch e d el su o balestro era segu ito, dal principio ch e and
a lu i negando ch e neuno b alestro avea da persona com prato ad
ora c h e (2) d ice quel balestro a v ere com prato pi m esi fa. E t io
v i dar testim onianza ch e non an co tre d ch e io lo av ea ed
a m e a lla guardia Ai tolto. La Signoria subito ebbe sospetto d i
Zacheo, e t subito m and p er lu i e f v en ire il b alestro, e fatto
il soldato la prova d el suo b alestro e '1 giorno ch e a lu i fu tolto,
d isse : Zacheo, unde a v esti questo balestro? Et Z acheo d icea ch e
pi m esi l'avea ten u to in b ottega e t ch e l'avea com prato e t non
sapea da ch i. La Signoria, parendogli m enzogna, lo m ise a lla colla.
Zacheo, senza m olto torm ento, confess lu i essere stato q u ello ch e
il b alestro a v ea forato e pi confess li fh rti fatti co l can e e t e l
modo ten ea e a ch i. T utto rin ven n ero, [e t] ved u to la verit , il
p redetto Z acheo col ca g n d o Aie appiccato p er la gola a un paio
di forch e in siem e, e t p er questo m odo finto la persona di Zacheo
ladro e t cos possi ogni ladro la sua v ita fin ire.12

(1) Proprio cos nel ms., ma ohe cosa sia io non lo so.
(2) Ms.: et ora dice.
62 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

14.
[Trir., n* M].

DE INGANNO E FALSITATE.

In terven ne in n ella citt di L acca, donde la b rigata si partio,


ch e ven en d ovi uno da R acanato nom ato G hisello, vestito a m odo
di m ercadante con u na guarnacca sen za m a n tello , e con una
cin tu ra di seta e t uno ca rn ieri di seta, e posato a llo albergo,
dim andando c h i erano i m igliori conoscitori di p ietre p reziose
ch e in L ucca fusseno, fu gli detto luno esser Tom m asino Gagnoli
e la ltro P ietro P agani, am endui b an ch ieri. E fattosegli insegnare
a l fan te d elloste, m ostr loro un d itale di b ellissim e an ella e t di
gran pregio, com e sono baiassi, rubini, diam anti, zaffiri, sm eraldi
e t alcu na p erla, dicendo lu i v o lere q u elle an ella ven d ere. E t il
prim o, cu i ta li an ella m ostr, fu e Tom m asino, p erch a lu i era
ditto esser il m igliore cogn oscitore di l (1). T om m asino, veg-
gendo q u elle a n ella b ellissim e, d isse q u ello n e volea. G hisello
disse : Io n e v o m ille fiorin i. Tom m asino d isse v o lerg li dare fio
rin i seicen to, e dopo m olte profferte Tom m asino n e p roferse fiorin i
settecen to , e G hisello non scendendo m eno ch e ottocento si partio
e t a P ietro le m ostr. E t in quel m edesim o modo funno le profferte
d i P ietro e t lo scen d ere di G hisello com e a v ea fatto a Tom m asino,
e t non firm atosi partio. G hisello p rese il suo d ita le e t in n el ca r
n ieri ch e allato avea lo m isse, e t p er la piazza se n e andava di
portando in qua e t in l . Tom m asino, vedendo ch e a P ietro av ea
m ostrate le an ella, saccost a lu i e d isse : P ietro, ch e ti pare
di q u elle anella? P ietro d is s e : E lle sono m olto b elle. D isse Tom -
m asino: Io non posso con lu i a v ere patto neuno e t h on egli voluto
dare fiorini settecen to, non h a volu to m eno di ottocento, e per
io ti dico forsi farai m eglio di m e e t se vi ten ere allera ta , cio
a m ezzo, ti dico ch e in fine in fiorin i settecencinq u anta li p ig lia re.
Di vero noi guadagnerem o fiorin i dugencinquanta. L e rech i e io
sono con tento le prendi per m e e per te. D isse P ietro : E io co s
far. A ndatene a d esinare e t paja non v e ne cu riate, e la ssa te
fare a m e. Tom m asino si partio dal banco: P ietro rim ase a l suo

(1) Ms.: d i lu i.
DE INGANNO E FALSITATE G3

banco. V edendo G hisello in piazza non esser persona e a b anchi


non esser ch e P ietro, accostatosi a P ietro, [q u esti] d isse: D eh ven
dim i q u elle an ella. G hisello m ise m ano a l ca rn ieri e cavoli fuori
e disse: Io v e n e vo fare p ratica e d irovvi ch e vagliono pi di
m ille fiorini, m a per bisogno di dinari, ch ne vo* com prare
drappi, io v e ne far p iacere. P ietro d isse : D eh d atem ele p er
fiorin i settecen to. G hisello d isse non v o lern e m eno di fiorini o t
tocen to. G hisello m ise ra n ella in n el ca rn ieri e t scese gi in v ia .
P ietro g li offerse fiorin i settecen cin q u an ta. G h isello disse: P o ich
siete p ia cev o le com pratore, io sono con tento, e m ise m ano in ca r
n ieri e trassen e uno d itale duna fazion e d el prim o da n ella con
traffatte, sa lvo le p erle. P ietro, non stim ando falsit, p rese il d itale
e t in n ella cassa lo puone e dagli fiorini settecen cin q u an ta. G hi
sello , c h avea il ca v a llo sellato, tram utatosi di panni, m ontato a
ca v a llo cavalcato via. T ornato T om m asino da m angiare, d isse
a P ietro quello avea fatto. P ietro d isse : Io lho a vu te p er fiorini
settecencinq u anta. Tom m asino d isse : B ene h ai fatto, noi guada
gn erem o fiorini m ille, m ostrale qua. P ietro apre la cassa e *1 d itale
m ette in m ano a Tom m asino. Come Tom m asino lo ha in m ano, co-
gn osce le p ietre esser artefatte di v etro e t d isse : Questa, m ercanzia
ser pur tua, perocch q ueste non sono le p ietre ch e io avea v e
duto. P ietro subito prese ra n ella e t conobbe le p ietre esser false.
D assi d elle m ani in n el capo e m u ovesi per trovare G hisello, ma
poco g li valse, ch G hisello era partito, p er la qualcosa il ditto
P ietro povero stent poi la sua v ita . Iddio, ch e non v u ole ch e il
m ale rim anga im punito, dispuose G hisello andare a V in egia avendo
cu gn ati d el cugno di V in egia ducati dottone dorati in grande
quantit. Et andato a una ch e vendea fregi e oro, m ercadando
di fregi e oro p er som m a di ducati m ille, e p esati e leg a ti ta li
fregi, d isse G hisello: Andiam o a lla tau la, ch e io voglio annom e-
ra rv i li ducati, a ccio cch l'abbiate buoni. La donna v'and e t nu
m er ducati m ille et q u elli lig in una borsa rossa e t com 'era li
su g ell , p resente la donna. D isse : A ndiam o a lla bottega p er l oro
e fregi. La donna giun ta a lla b ottega, dati i freg i e l'oro, G hi
sello g li d una borsa sim ile a q uella di ducati, piena di m ille
d u cati dottone. Et p artitosi, la donna aperse q uesta borsa et in
s uno tappeto innom erava questi ducati, credendo ch e fusseno
q u elli ch e la tau la avea ditto ch erano n uovi e buoni. A vea questa
donna uno figlio grande. Tornando a bottega, la m adre g li disse
q u ello lavea venduto e t com e e lla a v ea ben guadagnato e ch e
av ev a avu ti ducati nuovi. Il figlio d isse : M adre, bene sta , u sono
64 NOVELLE DI GIOVANNI SE RCAMBI

questi ducati ? La m adre, dandogli la borsa, il fig lio aprendola,


vid e d ucati lu ccican ti; parendogli fu ori di usanza, n e p rese u no
e t in suna tau la lo gitt, q uello sonando. D isse : M adre m ia, q u esti
sono falsi e sarem o a p ericolo, se a noi fusseno trovati, e siam o
d isfatti. La m adre v o lse grid are p er lo danno avu to. Lo fig lio ,
com e savio, disse: M adre, la ssa te fe re a m e; e subito con q u elli
nuovi ducati se n'and a lla Signoria, dicendo il ca so a vven u to
a lla m adre e m ostr li d ucati. La S ign oria di V in egia d isse se
la m adre lo cogn oscesse. Lo figlio rispuose : B ene h a d itto q u ello
ricogn oscere. La Signoria con sigli a l giovano ch e a persona
d el m ondo non d icesse n d olessesi di q u ello ch e a lu i era sta to
fetto, m a sem pre a tu tti (1) rispondesse esser ben pagato, p erocch
c o lu i, non sentendo d o le r e , verr. Lo giovano si ritorna a lla
m adre e tu tto g li narr ci ch e la Signoria l'ha ditto e t co si co
latam ente si sta la cosa p i di un' anno. E G hisello, non avendo
sen tito il la m en ta re, pens di nuovo fare il tratto ; e ven u to a
V inegia, p ervenn e a lla donna dom andando fregi. La donna su bito
d isse : B en vegn ate; voi m i faceste subito pagam ento a ltra volta
ch e io v i dar q uello v o lete. E t p rese in fetti e t m ostratoli oro
e freg i in quan tit, fecondo m ercato. V ede questo, ved e q uello.
Intanto ven n e il figliu olo. V edendo ta n ti fregi e oro d isse : M adre
m ia, ch e vu ol d ir q u esto f La m adre d isse: Q uesto m erendante
com pr di m e p er ducati m ille e t fem m i subito pagam ento, ch e
io sono disposta a serv irlo b en e. Lo figlio, ch e in tese, d isse: Cos
si vu ol fare. E t partitosi e' andonne a lla Signoria narrando il
fetto. La Sign oria m and fen ti e q uello p rese, e m enato a l dugio
e a* signori di n otte, ce r c a to lo , g li trovonno addosso di q u elli
ducati falsi gran quantit, e t an co di buoni ta n ti ch e poteo con
ten ta r la donna. E confessato il suo peccato, in una palandra i
d itti ducati falsi frono cu citi e t con essa indosso fu arso e t p er
q uesto modo G hisello fin .1

(1) Ma.: a nessuno.


DB SUMMA AVAK1TIA 65

15.
[Tifo, n 28].

DE SUMMA AVARITIA.

[F u ] in n ella citt di F irenza uno c h era n o m a to m esser B er


told o A dim ari, om o ricco , m a tan to m isero e scarso, ch e non ch e
v o lesse a ltru i riten ere a cortesia, m a in n ella su a propria l*
m ig lia s e n andavano a dorm ire con fam e, tan ta m iseria in lu i
regn ava, e pi c h e da sera sen za lum e volea si cen asse, e t a
pur lu m e savea si facea a ccen d ere una* lu c e r n a , e quando se
n eran o andati a dorm ire, la lu cern a si sp egn eva p er non consu
m are lo lio . A vea q uesto m esser B ertoldo uno fam iglio nom ato
Rospo, a i quale dava il m ese di salario fiorin i m ezzo e t la sp esa.
Com ditto, stando p er ta l m aniera, lo d itto m esser B erto ld o ,
per la ca ttiv a v ita ch e facea, e t an co p erch era v ec ch io , am
m al. E t ta le m alattia port lun go tem po sen za v o lersi m edicare
p er a v a rizia , tan toch la m alattia saggrav p er m odo, c h e d el
letto le v a r e non si potea. V edendo la donna sua e t a ltri p aren ti
m esser B ertoldo am m alato, disseno ch e volean o ch e m aestro Tom
m aso del Garbo lo ven isse a v ed ere. M esser B ertoldo volea* m a
p er lo spendere dicea: Io non ho bisogno. Li p aren ti, cognoscendo
c h e m esser B ertoldo lo d icea pi p er avarizia c h e p er altro, d e
liberanno p ure ch e lo m aestro lo ven isse a v ed ere. E cos m aestro
Tom m aso lo v en n e a v isita re e t cognoscendo la m alattia, d isse :
Se costu i non un poco purgato e poi con fortato di buoni cib i,
e g li m orto. La donna e i p aren ti disseno c h e tu tto ordinasse
a lla bottega e c h e si p agare, e t a lu i faranno q u ello si con ve
n isse sen za farlo a sen tire a m esser B ertoldo, per ch e prim a e*
sere volu to m orire ch e spendere. Lo m aestra p artitosi e ordinato
alcu n o sciloppo, la sera R ospo fam iglio andava p er esso ; con
a v er ordinato alcu n i cristei sim p lici, ch e dovean seg u ire (1) al
p ren d er lo sciloppo. D ivenne, la seconda sera va p er lo sciloppo,.
lo sp ezia le, avendo m olto c h e fare, non poteo lo sciloppo d are
fin e c h e la grossa fu so n a ta . Sentendo R ospo la grassa, d isse:
Or com e n andr senza lum e? D isse lo sp ezia le: S e vu oi una 1

(1) Mb.: e eoA seguio.


R u m , NonU di 0. Sarcomi>.
66 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

can d ela, noi la scriverem o a te, per ch e m esser B ertoldo n h a


m andato a d ire ch e a la i non si scriv a n ien te se non lo scilop po
e la m edicina e t ch e a ltra cosa non si pagare'. Rospo risp o se:
Io non ho tan to sa la rio c h e io v o g lia q uesto fa r e , m a v o i m i
a v ete troppo ten u to e t da voi non rim an e ch e io non sia p reso .
Lo sp ecia le g li d i una poca di can d ela. Rospo se n'and a ca sa
e diliber di a rreca re lo scilop po. P assato q uel d, m esser B ertold o
s avea fatto uno argom ento; p er lo a v er m angiato dapprim a m olto
frascam e, se g li era in gen erato in corpo m olti verm i, di c h e il
d itto argom ento n e m and fori m olti e grossi. Lo fante, spaz
zando la cam era dove m esser B ertoldo a vea fe tte il suo a g io ,
d iven n e ch e uno di q u elli verm i, in v o ltolato n ella p o lv e r e , in
uno can ton e d ella sala f lassato. R o sp o, ch e di q u ello n ien te
sapea, ved u to quel verm e in sala, stim fu sse una can d ela [e t]
q u ello si m ise n ella sca rsella d icen d o: Ornai potr di n otte co n
lum e tornare. E passato a lcu n i d ch e lo sciloppo f preso, a lcu n a
v olta m aestro Tom m aso venendo a v ed ere m esser B ertoldo e
tastan d ogli il polso e t avendo sen tito ch e neuna con fezion e a v ea
voluto p er a v arizia ch e si com prasse, d isse: Se p er n etta re costu i
non prende una m edicina, ch e la m ateria corrotta ch e h a in
corpo n e m eni fuori e poi si rin n ovi di buoni cibi, costu i m orto.
La donna e i p aren ti disseno ch e lu i ordinasse la m edicina e t ch e
poi q u elle (1 ) co se si com perenno per suo conforto; e t dato uno
fiorino a m aestro Tom m aso, lo m aestro ordin la m edicina p er
la n otte. Rospo, ch e m andato era a lo sp ecia le per la m edicin a,
vedendo lo sp ecia le m olto affannato a fe re m ed icin e, d isse : Io
posso un poco in d u giare, p erch io ho una ca n d ela , ch e se la
grossa sonasse tra via , la potr a ccen d ere. E aspettando la m e
d ic in a , essendo quasi p resso a lla g ro ssa , la m edicina fu fetta .
Rospo la prese, e com e f f ori d ella bottega la grossa com in ci
a sonare. R o sp o , ch e h a la speranza d ella c a n d e la , ch e cred e
a v ere in n ella sca rsella , cam ina, e t p erch la ca sa di m esser
B ertoldo era m olto di lu n gi d alla bottega d ello sp ecia le, la grossa
finio. Rospo, m essosi m ano in n ella sca rsella e tratton e q u ello
verm e in iscam bio di candela, p er v o lerla accen d ere s'accost a
una ch e vendea frutta d icen do: M adonna, accen d etem i questa
can d ela. La tricca d isse : V olen tieri, e t accost il suo lum e. R ospo
prende q uello verm e, e t p arendogli ch e il lu cign olo non si v e-

(1) Ma : delle.
DB SUMMA AVARITI A 67

d esse, co* denti v i de' i bocca, e t an o poco n e lev e e poi al


lu m e laccoste. La tricca , vedendo ch e si ro d ea , disse: P er
ce rto co testa candela d i ca ttiv a cera . Rospo, pensando per
terra o p er acqua fu sse q u ello ch e la facea str id e r e , di nuovo
ne p rese un b occon cello e q uello m enandoselo p er bocca, com e
a lcu n a v o lta si su ol far e ,, ch e ch i v u o le accen d ere una candela
co* d en ti n e lev a un poco e t quello poco m astica, stim ando questo
sa r buono a tu rare la botte. Cosi Rospo pensa d el pezzuolo h a
lev a to e volendo accen d ere il resto, quanto p i ra ccostava al
lu m e tan to pi strid ea, tirandosi arieto . La tricca, parendogli una
m eraviglia ch e q u ella can d ela a tanto quanto era stata ten u ta a l
lu m e non s era appresa, d isse: D alla a m e. Rospo ap erse la m ano
e t a lla tricca d iede q uel verm e, credendo frisse can d ela. La tricca ,
c h e a ltro verm e s avea gi trovato in m a n o , a l tasto d isse: O
R ospo, com e tu se' stato sciocco a a v ere preso p er can d ela e t fat
tone il saggio du v o lte co lla b o c c a , e t non h ai ancora cogno-
sciu to ch e cosa questo. Rospo, ch e sem pre m asticava, credendo
frisse cera, disse: 0 ch e ? La tricca disse: Q uesto uno verm e
o vu oi d ire m ignatto, e m ostrlogli ap erto. Rospo, ch e sem pre ma
stica v a e sapea u trovato lavea, sputando e t v ergogn an d osi, di
rabbia il b icch iere d ella m edicina di m esser B ertoldo p ercosse a l
m uro dicendo: P o ich sono cos stato tra tta to , lu i non berr la
m edicina. La tricca d isse : Or ch e v u ol dire? R ospo d isse tu tto il
m odo di m esser B ertoldo. La tricca, aven d o p iet di lu i (1), p erch
ved e Rospo giovano, d isse: P erch non sii p reso, vo* ch e stasera
stii qui, ch e se tu n'andassi p otresti esser preso. Rospo steo con
ten to. La tricca g li dim ostr, essendo in n el letto , il m odo p erch
cognobbe q u el verm e, dandogli la m ostra d el suo, tenendolo in
m ano. R ospo d isse: P er certo, m adonna, voi sie te m olto in ten
d en te ; e cos dim oronno. M esser B ertoldo, non prendendo la m e
d icin a, p er la m alattia g ra v e e t li um ori m u ltip licati sopraggiun
g en d ogli a lcu n i dolori, la m attina m aestro Tom m aso ven u to a
ca sa e dim andato d ella m edicina, Rospo d isse : La m edicina m en
cin q u e v o lte. M aestro Tom m aso d isse: S e presa lha, eg li gua
rito . R ospo d isse: Io cos cred o. E m entre ch e ta li parole diceano,
sen tia n o grid are e p ian gere. M aestro Tom m aso, ch e volea sa lire
la sc a la , d isse : P er certo e g li m orto. D isse R ospo: Io il

(1) Ms.: d i se.


08 NOVELLE DI GIOVANNI SER CAMBI

cred o sen d och voi d iceste (1 )......M aestro Tom m aso si p artio.
Rospo giun to in sala, la donna d isse: La m edicina ch e Don a rre
casti ha m orto m esser B ertoldo. D isse R ospo : A nzi lha m orto
la sua avarizia, ch e so quanto m esso se h a d el m io p er v o lerlo
fere vivo, e la n ostra tricca di con tra la lo sa ch e pi di cin q u e
ru g h ieri ho speso p er salv a re il m io inestro. La donna non in
tese il m otto; ordin ch e m esser B ertoldo fe sse soppelito, e t la
roba rim ase a persone god en ti e t lu i per una candela d 'avarizia
si lass m orire.

(1) Qai certo nel ms. fu saltata urta riga, quantunque non appaia este
riormente.
DE PLACIB1U SENTENTI*. 09

16*
[Triv.t a 251.

DB PLAC1BILI SENTENTIA.

N ella citt di P isa fu una g en tilissim a donna e con tessa, lo


c u i nom e fu m adonna Bam bacaia de* conti da M ontescudaio
donna duna profonda v ert e t on est del suo corpo, a lla quale
om ini e t donne andavano p er risp osta dalcu n e q uestioni e d 'altre
co se. Or p erch la b rigata e t voi, preposto, v i sie te in uno di
lettev o le luogo posti a riposare e t fu g g ire (1) la ere ca ttiv o di
B olsena, p er rin frescam ento dir alcu n a b ella n ovella e sen ten zia
p er la ditta m adonna Bam bacaia assolu ta e t narrata. E t per (2)
prego ogni persona a cu i pi d iletta ch e q u ella tegn a a m ente,
incom inciando prim a d a lle d on zellette, le quali pungendo loro
la lattu ga per n ecessit, possano ad esem plo con oscere il v ero
d al falso. T re giovan otte, essend o in uno prato com e noi ora
stiam o, m osseno tra loro una q u estion e. Il tin ore di ta le que
stion e fii in questo m odo, ch e l una d isse di ch e fa re m eglio per
le donne lo pincoro d alluom o, e t qual m eglio d icesse fu sse ch ia
m ata sopra l'a ltre m aestra. E posta la q uestione, la prim ata
D olcibene d isse: Io p er m e lo v orrei di ferro, p erch non si
p otesse m ai rom pere; con questo sa re m olto duro, e taceo. La
seconda, nom ata P erla, ch iesta : Io lo vo rrei dosso davolio, per
c h e se r e pulito e non m i raffreddore* l u ccello in saziab ile, e pi
non d isse. La terza, ch* *1 suo nom e C aracosa, d isse: Io vo rre
q u ellu ccello di nerbo. D itta la loro volont, e non avendo tra
loro ch i asso lv ere la sappia, disposero andare a m onna Bamba
ca ia acci ch e ella , com e m aestra, sappia a loro d ich iarre qual
de* essere di loro m aestra. A ndatene a m onna B am bacaia e t
esp oste loro questioni, m adonna Bam bacaia, in tese c h ebbe tu tte
le giovan e, riv o lta si a tu tte, v o lse sap ere il p erch D olcibene
lo v o lev a di ferro. D olcibene d isse : P erch il ferro duro e t
m ai rom pere non si pu. R ispuose m adonna B am bacaia : La tua
sp eran za falsa, per ch e il ferro essend o freddo p er sua natura,
rafrigera q uel m em bro ch e vu ol di con tin uo sta re caldo e t per 12

(1) Ms.: fugito.


(2) Ms.: quella.
70 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

lo stare caldo desidera sem pre sta re cop erto; ti dico non d i
essere chiam ata m aestra. E poi a P erla d isse ch e a ssegn asse la
sua ragion e. P erla risp u o se: P erch Posso m olto duro e t
pulito, e t questo v u ole la nostra volont. M adonna B am bacaia
disse: Lo tuo p en sieri non buono, per ch e n atu ralm en te l'o sso
non h a sentim ento e t arido, e la n atura fem m inile d esid era
cosa fruttifera ; e t p er questo non m erti m aestra essere ch iam ata.
A Caracosa disse ch e m ostrasse d ella sua questione la v er it .
C aracosa risp uose: P erch '1 nerbo alquanto sen sib ile e t u n o
m em bro assai dom estico e t boccone c h e la nostra b occa, c h e
sem pre desidera a v ere in bocca q u alch e cosa, pu q u ello con
durre in ch e luogo v u o le. M adonna B am bacaia, udendo assai b ella
ragione, m a non anco efficace (1), d isse: Di vero io ti darei il
m aestrato di costoro, se a v essi detto com piutam ente, m a p erch
h a i in alcu n a cosa fallito, sono contenta ch e prendi tu lo p rim o
onore. E voltossi a tu tte e t d isse: Io lo vorrei di grugno di porco,
ch e quanto pi rum ica, pi diventa caloroso. L e giovan e, u d ito
m adonna Bam bacaia, d issero: Di vero p er le donne fare* se fu sse
di grugno d i porco, e t partironsi.1

(1) Ms.: anno e/icada.


DE ASTUZIA IN JUVANO 71

17.
[T ifo, n* 28].

DE ASTUZIA IN JUVANO.

N ella citt di G enova fu uno m esser Adorno Spinola, il qual


a v ea uno suo figliuolo e t non pi, il q uale a v ea nom e A ndriolo.
E ra questo A ndriolo, p er v ezzi ch e il padre g li portava assai
m al nodrito, nondim eno p er natura era savio, e non volendo
in ten d er a m ercanzia n ad a ltro esercizio di guadagno, m a in
su l vag h eg g ia re e spendere la su a op era, di c h e il padre n e
p ortava gran dolore, considerato lu i esser di tem po e ricco e
di buona casa e t non a v ere a ltro figliu olo. P er am ore noi casti
gava e t di m alinconia era pieno, vedendo il figliu olo isv ia to e a
neu n bene rid u cersi. E stando p er ta l m aniera lo d itto A ndriolo,
ved en d o un di una giovana ved ova bella quanto il so le nom ata
m adonna C hiara d elli A dorni, ricca e di buono parentado, e pia
cend ogli, sinnam or di le i. M adonna C hiara, ch e di ci non s
accorta, m a on estam ente lo di d elle feste con una sua fante a lla
perdonanza n andava e *1 giorno d el lavoro si stava onestam ente
in casa. A ndriolo, aven d o g i sen tito il colpo d ellam ore di costei,
dove m adonna C hiara andava lu i d rieto. E '1 giorn o ch e in casa
stava sem pre davanti tu tto '1 giorno facea resid en za con onesto
modo, n p erci m adonna C hiara sa ccorgea ch e A ndriolo g li
v o lesse bene. A vendo dim orato m olto tem po A ndriolo in ta l ma
n iera, e dalla donna m ai non ebbe un b ello isguardo, pens fra
suo cu ore dicendo: Se io a v essi dinari, io la vorrei a v ere, p oich
lam ore ci , non ch e a v a le. E com e pens, diliber p er uno
onesto m odo dal padre a v ere dinari. E pi tosto ch e poteo disse
a l padre: 0 padre, m i cognosco ch e fatto beffe di m e, p erocch
io sto com e un tristo a non fare n u lla, e con siderato io quanto
la vostra a lta fam a in G enova, alm eno p er risp etto di voi, ch e
ornai sete v ecch io , m i d ovrei sottom ettere a q u alch e bont per
fare ta cere le g en ti, ch e aranno m al parlato di m e. P adre m io,
in quanto a v o i p ia cesse, io m i vorrei dispuonere a n avigare e
fa rei b ene, m a tan to v i v o d ire ch e non v o com pagnia se non
a m io modo e vo una n ave nuova ch e sia fatta p er m e, in su lla
quale vo an dare. Lo padre, ch e ode le b elle ragion i ch e il fi
gliu olo g li d ice, e vedendolo disposto a ben fare, d isse : 0 figliu olo
72 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

m io, p oich io v eggo ch e h a i m utato p en sieri, io far tu tto e


sono con tento c h e una n ave p er te solo si faccia d icen d o g li:
seim ila fiorini m etto da p arte p er fare uno legn o e quattrom ila fio
rin i p er fornire il n aviglio. Et per ch e ora vu oi com in ciare, io li
dar a ta le b anchieri ch e per in fin e alla som m a d itta ti d ia ,
e cosi gli fe* prom ettere. A ndriolo contento, pensando v en ire a lla
in ten zion e sua d 'avere m adonna C hiara, lo padre con tentissim o,
stim ando lo m io figliu olo vorr far b en e; preso A ndriolo fiorin i
m ille dal banco, e* lo di seg u en te v e n n e (l) dinanti alla sua in n a
m orata e t tan to dim or ch e la fon te u scio di casa. A ndriolo g li
ten n e d rieto e t da parte la tir dicendogli : Io ti vo rrei d ire a l
cuna im basciata. La fonte, ch e lo ved e b ellissim o, disse: C he v u o if
A ndriolo disse: Io am o m adonna C hiara sopra tu tte le co se d el
m ondo e se tu puoi fare ch e io g li b aci il piede, io le v o d are
fiorini m ille, d e quali voglio ch e v en ticin q u e n e siano tu oi. D i
q u esto ti ser m olto tenuto, e t p erch sappia il m odo ch e io
terr, ti dico, io verr in casa e t di p i la scala sia la donna
col piede nudo, e b asciato, di subito m e n uscir fuori e t m ai
persona n oi sapr. La fon te, ch e ode li fiorin i m ille c h e d a re
vu ole e t ch e a lei n e v ien e fiorin i ven ticin q u e, e t p erch lo
v ed e b ello e t anco non cred e m olto gran fatto, g li d isse c h e
m olto v o len tieri for lam basciata. E pensa tu tto accord are e a
lu i d ice, ch e q uin e dove lasp etti. E p artitosi, la fan te to r
nata in casa rendendo lam basciata a ch e la donna lavea m an
data, e t poi com inci a d ire: M adonna, ben v i dico ch e uno
b ellissim o giovano m ha ditto a lcu n e co se, le quali, p er lam ore
ch e io v i porto, non lasserei ohe io non v e le d icesse. La donna
d isse: C he n o v elle saranno queste? La fon te d isse: Q uel g io
vano nom ato A ndriolo Spinola m h a ditto ch e m olto v am a e t
ch e v i p reg a -ch e v i piaccia, p oich tanto v am a, di la scia rg li
basoiare il vostro p iede, prom ettendovi d are fiorini m ille e di
q u elli v u o le ch e io n abbia ven ticin q u e. E pi d ice ch e vu o le
v en ire di sera e t voi sta rete in p i di scala e t basciato ch e
lu i fa r , dar volta, e t ch e andranno e t c h e m ai a persona
noi dir. M adonna C hiara, ch e ode q u ello oh e la fan te g li h a
ditto, d isse: Come mi di tu ta le parole? Or com e a cco n sen tirei
ch e a m e toccasse il piede ch e sono di si a lto parentado e t g io -
vana e t onesta, e sai ch e io ho tan ti dinari? P er certo n oi

(1) Ma.: venendo.


DE ASTUZIA IN JUVNO 73

fa rei m ai. La fante d isse : M adonna, la vostra persona b ella e


c h i v'am a bello, voi g e n tile e lu i, v oi ricca e lu i v i dona fio
r in i m ille , li q uali p orrete sopra li altri e tan ti n 'arete di
p i , p oich v i p rom ette a neu no appalesarlo. La donna ridendo
d isse : C he daresti tu, se fu ssi in m io luogo? R ispuose la fan te:
10 lo serv irei a llegram en te, p erocch n atu ralm en te la donna
fu Catta p er serv ir l orno e m assim am ente ch i l'am a, e per
a ssig u ra tev i e p ren d ete q u elli b elli fiorin i c h e d are v i vu ole.
Ma ben v i dico ch e se accon sen tire ch e q u ella sua b o cca p ia
cen te baci il vostro d isiato piede, ch e v i p iaccia n etta rlo e t in
s uno g u a n cia le di seta lo teg n a te, ch e paia ch e v oi am ate le
v o stre cose, e t con uno lum e, sic c h ch iaro p ossiate v ed ere li
fiorin i ch e v arreca, li quali prim a ch e l piede vi baci v eJ i fa r e te
d are e m etteteli in un bacino dargen to e dapoi ch e si sar p artito
d areten e a m e fiorini ven ticin q u e. La donna, ch e g i g lera ven u to
11 desiderio, non fe m olto contrasto e d isse alla fa n te: P o ich
a te p are, e tu m i di ch e b ello giovano, ti d ico ch e vadi a
lu i, e d igli ch e io sono con ten ta ch e stasera di n otte vegn a, p er
m odo o h e a ltri non se n'accorga e t a rrech i i d in ari, e t am m ae
stra lo c h e a verun o ap palesi la cosa. La fon te, avu ta la risposta
c h e d isiava, torn a A ndriolo dicendogli tu tto l accordo. A ndriolo
con ten to, la fon te ritornata e t fatto un bagnuolo al p iede [d i]
m adonna C hiara, e t ap p arecch iato il gu a n cia le di seta dorato e t
uno torch io acceso e t preso uno bacino dargento, aspettando la
sera , A ndriolo, ch e sta v a atten to, ven u ta la sera e n o tte, and a
casa di m adonna C hiara e contento dentro trovolla in p i di scala
co l p i in su l gu an ciale, ch e parea un pezzo d i n iev e. A ndriolo,
v ersato li fiorin i in nel baoino, ingin occhian dosi co lle m ani p rese
q u el p iede e t la bocca v i puose dicendo: O cu ore d el corpo m io,
io m i ti raccom ando. B asciato il p ied e, fece reveren za a m adonna
C hiara, e dato volta, di casa u scio. La fan te ch iu so lu scio, e la
donna col bacino d ei dinari se n and in cam era, e t q u in e, no
m erati li fiorin i, trov essere m ille n uovi, d e quali alla fon te n e
d i ven ticin q u e, d icen do: C redi oh e questo giovano sia stato uno
m atto ad averm i dati tan ti dinari p er s p iccola cosa? La fon te
d isse : Or ved esti m ai pi on sto e t pi b ello giovano? e v ed ete
com e reveren tem en te si partio, ch e sarenno stati di m olti ch e non
si sarenn o volu ti p artire. La donna disse: P er certo, o eg li troppo
ricco o e g li stolto, o g li im pazzato di m e, tanto ben m i vu ole.
La fan te d isse: P er certo io credo ch e vi porta tanto am ore,
c h e ogni cosa fore. E d itte tra loro con m olte risa m olte c ia n cie,
74 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

e infra la ltre cian cio ch e v i si d isse fu, ch e la fon te d isse: Io g li


darei v o lon tieri q uesti ven ticin q u e fiorini se e g li stan otte g ia cesse
m eco. La donna d isse: E tu li aresti ben e in cetta ti; e p a rtitesi
andorono a letto . Stato alquanti d, A ndriolo d isse a l padre: M es
sere, io ho sp eso q u elli m ille fiorin i, ch'ebbi dal banco, in fo re
ta g lia re il pi b ello legn am e ch e m ai si v ed esse e per a m e
bisogna per m aestri fiorin i du' m ila. Lo padre d isse : P rend ili a tu a
posta. A ndriolo la m attina rin vegn en te se n and con fiorini du* m ila
a l luogo dove la fonte di m adonna C hiara trov e t a le i d isse,
ch e se m adonna v u o le io le baci la coscia io g li vo* d are fio
rin i du' m ila, de' quali a te n e trib u isca cinquanta e q uel m odo
terr ch e a ltra volta feci. La fante, desiderosa di servirlo, torn a
casa e t a m adonna C hiara tu tto d isse. La donna d isse: Or non v ed i
tu ch e costu i va prendendo la m ia persona a passi len ti? p er certo
non vo'. D isse la fon te : P er Dio non d ite, ch e se a cco n sen tite v e
n e lod erete dav er com piaciuto cos bel giovano. M adonna C hiara,
ch e g i le parea esser certa di q uello ch e il giovano dopo ta l fa re
le ch ied ere', ven en d ogli g i il san gu e riscald an d o, d isse a lla
fa n te: Se pensi ch e lu i feccia com e altra volta fece, sono con
ten ta ch e stasera vegn a. La fan te and a A ndriolo e tu tto g li
raccont. A ndriolo con tento aspetta la sera. La donna, fetto si il
bagno a tu tta la gam ba, fino a l pennuto (1) e '1 torch io a cceso e
col bacino, tenendo la gam ba tu tta scop erta e la coscia in su
uno pium accio di seta , com e fu n otte A ndriolo en tr dentro et
i dinari v ersa ti in n el bacino, in g in o cc h io ss(2 ) d icen d o: Ma
donna, voi sie te tu tto il m io conforto. A bbracciato la gam ba e
la coscia, distendendosi sopra, la coscia basci, e lev a to si d isse:
M adonna, a Dio v e raccom ando, e partissi. La fonte ch iu so lu scio
e t in trate in cam era, li dinari partirono e la donna d isse: P e r
certo A ndriolo m i pare on esto giovano e t di vero e g li non stolto
e se non mi fusse vergogna io l'am erei. La fan te d isse: M ai non
si biasm ch i am asse, e questo d itto andonno a dorm ire. A ndriolo
torn a l padre dopo alquanti giorn i dicendo: La n ave com in ciasi
a fare, e ch iesto fiorini tre m ila e au toli, torn a l lu ogo d ove la
fonte trov, e dopo m olte p arole A ndriolo d isse ch e se la donna
voleva ch e lu i g li fa sc ia sse la bocca ch e q uelli tre m ila fiorini v o lea
a le' dare, d e quali cen to ne serbasse p er le i. La fo n te narr a 12

(1) Cosi nel ms.


(2) Ms.: inginocchiandosi.
DE ASTUZIA IN JUVANO 75

m adonna C hiara la cosa. La donna d isse: Io penso ch e il m ele


d ella sua bocca ser tan to ch e a m e si* di n ecessit di q u ello
sa zia re il m io ap petito, m a b en e dubito non si sappia q u este
cose. La fon te d isse ch e non d ottasse. La donna, m andato la
fa n te fuori a ren d er lam basciata a A ndriolo, sp ecchian dosi e
v id esi in n ella feccia com e rosa v en ire. D isse: P er certo dopo
questo bascio, ch e penso sia m olto d olce, io non ser pi dura a
d in egargli cosa ch e voglia. E t fattasi tu tta b ella col liscio e
bam bacello, m ettendosi in bocca a lcu n a n oce m oscata e t in seno
un poco di m oscato, com e usano le donne gen ovesi, ven u ta la
fante, e d itto com e A ndriolo era con tento, ven u to la sera, la
donna in una roba nera accon cia in n el viso e t le m am m elle
alquanto fuori del petto, con a llegrezza, sperando ch e A ndriolo
d ovesse rim an ere, stava tu tta baldanzosa. A ndriolo, ch e lu scio
v ed e aperto, and dentro e t trovato la donna cosi accon cia, fat
ta le reveren za e salu tatala, li dinari m essi in n el bacino, poi
con uno atto m olto on esto saccost a lla donna dicendo: 0 con
forto d ellanim a, a cu i tu tto sono dato, io ti prego ch e non ti
sd egn i l anim o se la m ia bocca saccoster alla vostra, la q u ale
degna d'ogni lodo. La donna, ch e volon tieri Tare m orso, acco
stan d osi, A ndriolo abbracciatala, la bocca sua a q uella di ma
donna C hiara puose e con p iacere la basci e t dapoi inchin ato
le gam be la raccom and a Dio, e t fuori di casa u scio. La donna,
ch e a re volu to ch e A ndriolo fesse rim aso, stava pensosa. La fen te
d isse: M adonna, ch e pensate? La donna d ice: P en so quanto on esto
giovan o mh a ora la bocca basciato, e d irotti ch e m ha lassato
tan to d olce la m ia bocca ch e noi p otresti cred ere. La fante, ch e
g i s'era accorta ch e la donna era pi dam ore accesa ch e
*1 giovano, disse: M adonna, e na vverr ch e di q uella dolcezza
ch e p ortate fra le gam be g li ren d iate buono guidardone. La donna
ridendo d isse: La parte d e m iei dinari m i date e voi co lli a ltri
rip onete co testi. La donna cosi fece e andate a dorm ire, ateo
con p en sieri la donna pi giorn i. A ndriolo, ch e g li parea esser
ven u to quasi a buon punto, d isse: Ora m i con vien esser savio
a rico v era re lo m io e a v er m ia inten zion e. E q u ello ch e pens in
n ella n o v ella lo sen tirete. Andando a l padre d isse : P adre, io h oe
fetta la n ave e m anca fiorini quattro m ila p er vararla. Il padre
g lie li fe dare. A ndriolo si p arte e torna a l luogo usato, l u la
fen te trov dicendogli ch e se la donna volea ch e con le i una n otte
a lb ergasse g li d are fiorini quattro m ila e t a le i dugento di q u elli.
La fan te narrato alla donna, la donna parendogli m ille anni, d isse
76 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

di si, e tu tta si acconci com e sposa, apparecchiando ben e da cen a .


M esser Adorno padre di A qdriolo d isse: P o ich m io figliu olo h a
fa llo si b ella n ave ch e costa fiorin i d ieci m ila, io vo g lio an dare
a ved erla, e t andato in arsenaia e dim andato d ella n a v e d el
figliuolo, fu gli d itto c h e neuna n ave v avea, di ch e m esser Adorno
v o lle sap ere l usanza d el figliu olo. F u gli d itto ch e v a g h eg g ia v a
la C hiara e ch e q u in e avea speso il suo. M esser Adorno v o lse
v ed er il modo, e t vedendo la fan te fargli lam besciata e t A ndriolo
a lleg ro , pens non d irgli n u lla , m a seg u ire la tram a. G stato
nascoso, v en n e la sera. A ndriolo se n and a casa di m adonna
C hiara e con lu i lo padre d rieto. A n d riolo, m ontato le sca le e t
intrato in cam era, e quine trovato ap parecchiato e la donna in
giubba tu tta g iu liv a , m esser A dorno stava a v ed ere cen are la
brigata e m entre c h e cenarono m adonna C hiara si v o lg e a An
driolo e bacia vaio. A ndriolo, oh e avea l'a n im o a d in ari c h e
a vea spesi, stava pensoso. E cenaron con m olto p iacere, e p erch
a C hiara p arca m ille anni desse r a lle p rese con A ndriolo, d isse
alla fan te andasse a dorm ire. La fan te si pardo. M adonna C hiara
di subito sp ogliatasi nuda e t in n el letto in trata sen za ch iu d ere
u scio di cam era, sperando ch e dentro non d isse persona, ch ia
m ando A ndriolo, dicendo ch e in n el letto in trasse, m esser A dorno,
ch e tu tto v ed e e t ode, sen za d ir n ien te lassa fare. E ssendo An
driolo in n el letto e sa lito sopra il corpo di C hiara, desiderosa
di dare b ecca te a lu ccello dA ndriolo, presolo in m ano, in su o
nido lo n ascose. A ndriolo fuggendosi, la donna desiderosa d isse:
0 A ndriolo, contentam i, io ti v o dare du m ila fiorin i. A ndriolo,
ch e ayea volun t di ria v ere i su oi dinari, tenend ola a bada,
C hiara di fiam m a di fuoco p area a v esse il viso, [e t] p rofferse a
A ndriolo tu tti i fiorini d ieci m ila. A ndriolo, ch e pi o ltre volea,
facendola pi riscald are, la C hiara d isse: Or ch e giova, An
driolo? io voglio esser tua m oglie e darti di con tan ti fiorin i quin
d ici m ila e tan te possessioni e g io ie lli ch e valgano fiorin i v in ti
m ila e tu mi contenta. M esser Adorno, udendo tal profferta, su bito
sa lio in cam era e d isse: 0 figliu olo, vara la n ave c h e ora tem po.
A ndriolo, ch e sen te il padre, n ien te d ice. La donna, sentendo
alcu no in cam era, quasi casc. M esser Adorno, con uno torch io
a cceso andato in su l letto , d isse: C hiara, tu se giovana, b ella ,
g en tile e ricca ; A ndriolo m io figliu olo giovano, h ello , e g en tile,
e ricco ; tu hai ben pensato. E t per, A ndriolo, in m ia presenzia
la sposa; e trattosi un a n ello di dito, a C hiara fu sposato.
M esser A dorno d isse: Ornai v i d ate p iacere, io v asp etto qui in
D ASTUZIA IN JU7AN 77

sala e v o i lavorate il podere. C hiara rassecu ratasi, con A ndriolo


si p rese p iacere e sazi lappetito suo; e poi sorse d el letto e
ap erse uno scrign o e di q u ello cav fiorini vin ticin q u e m ila di
ce n d o : T en ete q u esti; io voglio ch e i m iei paren ti sappiano
c h e io sono m aritata col figliuolo di m esser Adorno. E disse
c h e b en e d icea. E presi li d in a ri, parl a* p a ren ti, e con ten ti li
p aren ti, A ndriolo poteo varar la n ave all'acqu a di C hiara a suo
p ia cere.
78 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

18.
[T it ., aO 29].

DE INGANNO.

Fu n ella citt di P istoia una donna nom ata m adonna A ntonia


vedova de* V irg iliesi, la q uale di suo corpo era gran d e e assai
b ella, m olto balda e t leg g iera assai bene. E q u ella m adonna An
tonia tornava spesso di fuori a un suo luogo a l P oggio a Gaiano, l
u* m olta m assarizia e letti v aveva, e t alcu n a volta d eiran n o si tro
vava in P istoia sola. A vvenn e ch e un giorno uno giovano n o
m ato R icciardo g en tile, d ella casa dei P a n cia tich i, am m al, e t
non avendo in casa neuno ch e *1 govern asse, per ch e non a v ea
ancora avu to donna e stava a l governo di una sua fan te, un g iorn o
una p aren te d el d itto R icciardo, vicin a di m adonna A ntonia, d isse
a lla d itta m adonna A ntonia ch e g li p iacesse andare seco. M adonna
A ntonia disse: V olen tieri, e m essesi le m antella andonno a ca sa
di R icciardo e trovonlo m olto grave e t quine, tra ttesi le m an
te lla , com incionno a porgergli del zu ccaro e d ella ltre co se b i
sognevoli a R icciardo. R icciardo confortatosi, stato alquanto, dice:
P er certo se io potessi stare fuori di P istoia in q u alch e v illa c h e
io v ed esse 1 aere, io gu a rirei per certo. M adonna A ntonia p er
am ore d ella su a v icin a d isse a R icciardo ch e se pen sava da v er
per q u ello [ristoro, se ci g lij (1) fu sse in p iacere, ch e ella lo
m andare a l luogo suo a l P oggio a G aiano. R icciardo, [udendo
la profferta], d isse: M adonna, per certo se io v i fu sse, g u a rirei.
M adonna A ntonia d isse: [S e tu ci] volessi andare, io verr te c o
e penso ch e gu arirai. R icciardo disse; P o ich v i piace c h e v e g n a
a l vostro luogo, m i pare g i esser gu arito. E t ditto tra loro lo
d i d ellandare, R icciardo procur du ca v a lli, l uno per m adonna
A ntonia e t laltro p er s, e fatta v en ire alcu na bestia da som a
p er portare alcu n e cose, ven u to il giorno, presi tu tti i su o i
veli (2), ch e navea assai, e suodenari, e ap parecchiossi (3) p er
m ontar a cavallo p er andare in v illa con m adonna A ntonia. La
q uale m ontata a cavallo, accom pagnata da R icciardo, esciron o da 123

(1) Qui e sotto spazi bianchi nel ms., che ho cercato di colmare.
(2) Cosi nel ma. Forse dovea dir vesti.
(3) Ms.: apparechiatosi.
DE INGANNO 79

P istoia, e t m entre ch e ca v alcan o d ice R icciardo c h e lu i ricco di


b ella ca sa e di buoni g io ielli e dinari. M adonna A ntonia d ice: B en e
io so ch e tu h a i b ella casa e t an co credo ch e abbi quello d i.
R icciard o d ice: A cci c h e m i cred ia te, e t si trasse di seno una
sca to letta in ch e erano di b elli g io ielli e d isse a m adonna A ntonia
c h e li serbasse. M adonna A ntonia li prese dicendo: V olen tieri. E
m en tre ch e cam biavano, R icciardo d ice: Come sar gu arito m i
v o fere ca v a lieri (1 ) e t sem pre ar in P istoia e t a ltro v e buono
officio. M adonna A ntonia d ice ch e fer m olto bene.- R icciardo,
c h e s i dava di gran van ti cavalcando, d isse : O m adonna A n
ton ia, io vo* una grazia da vo i. M adonna A ntonia, pensando [c h e
e g li] (2) le dom andasse q u alch e cosa [intorno] a lla sua m alattia,
risp u o se: C he ti piace? R icciardo [d isse]: V orrei, e t m e ser e
som m a a lleg rezza , ch e voi fu ste con tenta d esser m ia m oglie.
E lla d isse: Or ch e t'odo dire? q uesto il m al ch e tu h ai? R ic
ciardo d isse: In v erit v i dico ch e a m e sere* som m o p iacere.
M adonna A ntonia disse: Or com e vo rresti tu m e cred i. Io non ho
et ad a v ere fig liu oli, e t tu se* giovano. R icciardo afferm ando:
Io v i dico, se a voi p iace, io p er m e sono pi ch e contento, ma
donna A ntonia, ch e le parole g li avean o fatto v en ire la rosa
a l culo, non guardando a ltro risp etto , ra lleg ra ta si d el p arlare di
R icciardo, d isse: Andiam o a l m io luogo e t briga di g u arire, ch e
io ser con tenta di ci ch e vu oi. G iunti al .P oggio a Gaiano, al
luogo di m adonna A ntonia, q uine R icciardo fu [d a] m adonna An
tonia serv ito in d ella m alattia tanto ch e gu arito fu. E m entre ch e
in tal m aniera stava, R icciardo disse: M adonna A ntonia, io v o rrei
ch e fornissim o il m atrim onio. M adonna A ntonia, ch e avea la rabbia
a l culo, d isse: P o ich contento se desser m io m arito, io vo ch e
m i prom etti in ch iesa di prenderm i p er m oglie. R icciardo d isse
c h e g li piacea, e t andati in n ella ch iesa , q uine prom ise quello ch e
p oi non a tten n e. E fatta tal prom issione, tornaro in casa, e qui
m adonna A ntonia s com inci a cavarsi la rabbia del cu lo, non
aven d o guardato a ch e era condutta. R icciardo, saziatosi pi v o lte ,
e non guardando lo vitu p erio e t la prom essione fatta, prendendo
a lcu n a scu sa d isse (3): A ntonia, a m e di n ecessit essere a P istoia 123

(1) Credo di non interpretare male il chari del ms., sa cui sarebbe stato
dimenticato solamente il segno d'abbreviatura.
(2) Lacuna nel ms.
(3) Ms.: dicendo.
80 NOVELLE DI GIOVANNI SERCMBI

e rich ied ere i m iei p aren ti e t dare ord ine c h e n e v eg n i on orevol


m ente, com e s'appartiene. E t acci ch e io possa forn ire q u ello
bisogna, dam m i q u elli g io ielli. A ntonia, c h e g i p er lo su o fallo
a vea perduto il nom e di m adonna, li g io ielli diede a R icciard o
d icen dogli ord inasse ch e a casa la m eni. R icciardo p a rtitosi e t
tornato in P istoia, vantandosi d a v ere cavato la vo g lia a s e
parte d ella rabbia a m adonna A ntonia di q ueste cose, c h e appa
ren ti di R icciardo ven n e a n otizia e t sim ile apparenti di A ntonia,
e t ciasch ed u n o d e paren ti and a l suo, e t (1) li parenti di An
ton ia dissero: 0 A ntonia, pu esser questo ch e R icciardo abbia
avu to contentam ento di te e t usato teco? A ntonia d isse: S ,
p erocch m ha prom esso prenderm i p er m oglie e t ito a P isto ia
a dare ordine di m enarm i. Li p aren ti, ch e sapeano la con d izion e
di R icciardo, quanto era di ca ttiv a condizione, d issero : O ggim ai
sarai vergognata com e m eretrice. A ntonia disse: N on cred o c h e
m i ingan n i, ch quando mi stava addosso prendendo di m e su o
p iacere m i d isse di tornare p er m e. I p aren ti {svergognandola
dissero: V a, ti rim ani (2). Li con sorti di R icciardo, udendo d ire
q uello ch e con A ntonia av ea segu ito, ordinonno di d argli m oglie*
una giovana. A ntonia, ci sentendo, ricorse a l v escovo d icen do:
Io sen to ch e R icciardo v u o le prender m oglie. E t io v i d ico c h e
non la pu p ren d ere per ch e m e h a presa, e t in segn o di ci
pi v o lte usato m eco carnalm ente. Lo vescovo, udendo ta li
parole, m andato per R icciardo e n arratogli q u ello c h e A ntonia
g li a v ea ditto, g li d isse ch e rispondea. R icciardo d isse eh* er a
vero ch e sp essissim e v o lte a v ea usato con lei com e s u sa co lla
m eretrice, ma non ch e m ai la v o lesse n p ren d esse p er m o g lie.
A ntonia, udendo q u ello ch e R icciardo a v ea d itto in p resen zia
d esuoi parenti e d el vescovo, svergognata si parti (3), n m ai
pi non ebbe onore. R icciardo, preso m oglie, non m olto tem p o
steo ch e, q u ello avea consum ato, e fu costretto di P istoia p a r
tirsi e la seconda m oglie con lu i non v o lle torn are. Et u ltim a
m ente alla m oglie fu fatto q u ello ch e fatto a v ea a A ntonia, e
cosi gli fu renduto d el pan focaccia.'123

(1) Ms.: con.


(2) Ms.: vi ti rimane.
(3) Ms.: partinno.
DB AVARIT1A E LUSSURIA 81

19.
(Trfr., n 81].

DE AYARITIA E LUSSURIA.

C arissim e donne e v o i om ini d esiderosi di u dire alcu n a v o lta


T inganni ch e si fen n o a lle donne ch e p er denari vitu p eran o i
loro m ariti e p aren ti, d i c h e in n ella citt di P eru gia, l u* sta
n o tte siam o dim orati, Ai un b a n ch ieri e m ercadante nom ato P ir-
cosso, om o serv en te di d in ari e m assim am ente a soldati fo restieri,
daquali a vea m olto guadagno. A vendo il ditto P ircosso una m o
g lie giovana di vintiqu attro an n i b ella e balda, nom ata m adonna
Sofia, e m olte v o lte avendo fetto ta llo a l suo m arito, pi tosto p er
d in ari ch e p er am ore ad a ltri portasse, p er la qual cosa in alcu n o
lu ogo secreto fa di le i p arlato. E t in tra la ltre v o lte ch e di lei si di
cesse si Ai un giorn o presso a uno ca rn elev a le, dove era uno m es-
ser B ernardo ted esco capo di vin ticin q u e b acin etti (1) e soldato in
P eru g ia . Lo qual m esser B ernardo, essend o giovano, e cognoscendo
m adonna Sofia di P ircosso, s innam or di le i p en san d o, se co stei
con a ltri h a fatto fello , agevolm en te d overn e a v er d iletto ; e t da
tosi a sen tire e v ed ere in ch e m odo potea il suo p en sieri m et
te re in effetto, p er una m essetta m and dicendo il suo v o lere .
La m essetta, ch e era g i stata a ltre v o lte p er s fa tte cose a ma
donna Sofia, g li narr la inten zion e di m esser B ernardo. M adonna
Sofia, sentendo q u ello ch e la m essetta g li a v ea ditto, non avendo
d i le i vergogna, d isse: S e m esser Bernardo m i vu ol dare fiorin i
d ugento, io sono contenta e t in caso sia con tento v o ch e g li d ich i
c h e dom enica, c h e ser la dom enica di ca rn elev a le, dopo d esin are,
c h e l m io m arito ser ito ad A ncona p er m ercanzia, vegn a a m e
e portim i fiorin i dugento e t io sar con tenta ch e sia m eco lo d
e la n o tte seg u en te e t poi lo lu n ed m attina si parta. La m essetta,
u dend o q u ello m adonna la puttana, o vu oi d ire Sofia, a vea ditto, si
p artio e t a m esser B ernardo and e tu tta l am basciata g li d isse.
M esser B ernardo d isse : Troppo d ea v ere odorifera la sua quintana,
c h e sa re vasto fo sse m oscato v o lere tan ti fiorin i. E tra s pens
u n b el modo e d isse a lla m essetta : Va e di a m adonna Sofia ch e 1

(1) Cos nel ms.


B n u n , NohIU di 0. Strcambi.
82 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

io sono con tento darreca rg li fiorin i d ugento e t sta re lo d i e la


n otte seco, m a p erch a ltri non si p en si di noi m ale, d ille, c h e io
m err m eco uno fam iglio e sen za a lu i d ire n ien te lo m ander
a Care alcu na am basciata e t p er questo m odo persona si p otr
esser accorta c h e io a le i sia ven u to. La m essetta d isse: B en e
a v ete ordinato. E torn a lla donna e tu tto le d isse. L a donna
con tenta d isse c h e b en e a vea fatto e t m essasi m ano a borsa g li
d i uno fiorino. E t a m esser B ernardo m and a d ire c h e tu tto
era in punto, e t ch e lu i sap p arecch i il giorno ad andare. M esser
B ernardo, avendo ardita la te la e bisognandola tessere, pens
ch ied ere in p restito a P ircosso, m arito di m adonna S ofa, fiorin i
dugento, e t andato a lu i d isse: 0 P ircosso, io ho a lle m ani u n a
m ercanzia a l m io anim o desiderosa, la q u ale m prom essa p er fio
rin i dugento, e t senza q u ella a l p resen te sta re non posso a q u esto
soldo, e per io ti prego m i debbi serv ire d i fiorini dugento e
com e ar le m ie prim e p aghe te li render con q u ello m erito
m i d irai. D isse P ircosso: V o len tieri, e t aperta una cassa, g li
prest fiorin i dugento dicendo : A m e con vien e andare ad A ncona
p er certe m ercan zie. Come a rete le paghe, serbatem i li d in a ri.
M esser B ernardo d isse: Se q u ello ch e m prom esso m anti non
facessi, v o lete ch e a lla donna vostra questi fiorini renda? P ir
cosso d isse: S, p resti questi dinari. E P ircosso, m essosi in pun to
p er andare ad A ncona, e p artissi di P eru g ia la ltro d . M esser
B ernardo sta alleg ro ; m adonna Sofia aspetta doppia pium ata
e t p er fiorin i dugento, appresso la sua quintana riem piuta, sta
m olto con tenta del partim ento di P ircosso. V enuto la dom e
n ica d i c a m e le v a le , m adonna Sofia in vitata dalla v icin an za
a lti o rti [se ] vo lea andare, ella rispondea (1 ): P ircosso m io
ito ad A ncona e non so com e si stia : io non voglio o g g i u sc ir
di casa, m a lo d di carn elev a le, se altro non sen to, v err .
L e v icin e acconcion si, e t se n e vanno a lli orti a god ere; m a
donna Sofia sta ad asp ettare. M esser B ernardo p rese uno su o
stretto fam iglio, avendolo di tu tto il suo p en sieri inform ato*
seco (2) lo m en in casa di m adonna Sofia, e sa liti in sa la , d ove
m adonna Sofia asp ettava, m esser B ernardo fingendosi d isse: U
vostro m arito m i prest fiorin i dugento, li quali, non aven d oli
spesi, v e li rendo, ch e quando P ircosso tornato g lie li date, e 12

(1) Ms.: rispondendo.


(2) Ms.: sondo.
DB AVAR1TIA B LUSSURIA 83
m isseli in su lla tau la. Lo fom iglio inform ato d isse: M essere, sap ete
o h e a casa d ovete esser asp ettato, e t non essend ovi, neuno sapr
n ien te di vo i. Or d isse m esser B ernardo: B en h a i ditto, e va, e
d i' a ch i v ien e c h e io v err tanto ch e questi dinari abbia no
m erati. Lo fon te subito si p artio. M esser B ernardo d isse com e
a v v en n e fotto ch e il fon te si ricordoe di q u ello a vea a fare. Ma
donna Sofia d isse per arte ogni cosa a v ere fotto. Prim a il m io ma
rito esser fu ori, ap resso voi addotti li fiorin i dugento, e t in contrada
non esser persona ch e ved u to v'abbia, e per noi possiam o sta re
in buono agio oggi e stan otte. M esser B ernardo d ice: V oi d ite il
v ero e nom erati li dinari, m esser B ernardo p rese m adonna Sofia
e t basciandola d isse ch e le p iacesse con tentarlo di q u ello ch e p i
v o lte h a d isiato. M adonna Sofia, ap parecchiata la sua quintana a
rim o v er li colpi d ella punta d ella lan cia di m esser B ernardo,
m ontato a ca v a llo co lla lan cia ritta p ercosse in quintana e t fu
d i tu tta la quintana vin cito re e t quante v olte prim a ch e sera
fo sse la punta della su a lan cia in n ella quintana di Sofia m isse
e q u ella dentro tenend ovi tanto ch e da s stessa la lan cia n 'u
sc iv a . E com e il di v en u to vin cito re d ella giostra, cos la n otte
p i di sei colp i colla sua lancia in n ella quintana percosse.
La m attina, coronato di vitto ria , si partio. E m adonna Sofia, a l
le g r a ch e la sua quintana avea portato l onore sopra tu tte le
quintane di P erugia e t rallegrand osi de'fiorini auti e m olte v o lte
inn om eratoli, e t passato alquanti giorni d ella quaresim a, P ircosso
torn d' A ncona. M esser Bernardo, ci sentendo, subito p rese il
su o secreto fam iglio e t a casa di P ircossp se nand e t fotto ri
ch ied ere P ircosso. [Q uando] sen te ch e m esser B ernardo lo r i
ch ied e, d isse ch e v en isse su . M esser Bernardo, ch e a vea a l suo
[fa m ig lio ] fotto com prare alqu an te a n g u ille grosse e t alcuna
tin c a del lago di P erugia, m ontato in sala; subito a P ircosso
d isse (1), p resen te m adonna S ofia: V oi sap ete ch e m i p restaste
fio rin i dugento quando v i p artiste per alcu no m io bisogno e io
quelli non potendo spender li addussi a m adonna Sofia vostra
d on n a, com e mi d iceste, p resen te questo m io fam iglio, e p erch a
m e fu som m o servizio, posto ch e io q u elli non spendesse, vo' ch e
v o i con m adonna abbiate q ueste a n g u ille e questa tin ca e t ch e le
rico rd a te p er m io am ore, non p er risp etto del servizio, m a per
d om estich ezza. P ircosso, ch e ode ch e a lla m oglie ha renduto li1

(1) Mb.: dicendogli.


84 NOVELLE DI GIOVANNI SERCMBI

fiorin i dugento, non aven d ogli nulla ditto, le disse: 0 tu non me-
nh a i d itto n u lla? Lo fam iglio astu to d isse a P ircosso: In m ia pre
sen zia m esser B ernardo g lie li d i. La donna subito com prese la
m alizia di m esser B ernardo e d isse: Io pensavo d irtelo a p i
agio, m a poi ch e m esser B ernardo d ice ch e a m e li rend eo e g li
d ice vero. B en cred ea ch e fusseno sta ti da ltra m ercanzia c h e
di prestito, e t a re voluto ch e alla ragion e d ella m ercanzia tu l i
a v essi m essi. P ircosso d isse: Io g lieli p restai il giorno ch e di q u i
m i p artii. M esser B ernardo: V oi d ite vero e t p er certo il ser
v izio fa a m e grande e per sem pre m i v i tengo obbligato. L a
donna com e baldanzosa d isse: Oim non v i ten ete obbligato, g i
sap ete ch e io sono una volta m oglie di P ircosso e t cos d o v ete
esser obbligato a m e com e a lu i. M esser Bernardo, ch e d i le i
a vea avu to quello volea, cognoscendola ca ttiv a , disse: M adonna,
in n elle nostre contrade li m ariti portano le b rache e t a loro
si d e rend ere- reveren zia, e t io vo osservare la leg g e d el m io
paese, per ch e a P ircosso d e denari prestati g li sono sem pre
obbligato e t non a voi. P ircosso, ch e ode s bel p arlare, d ice a lla
donna: M esser B ernardo ha ditto q uello ch e si con vien e, e t preso-
lan g u ille co lla tinca, m esser B ernardo si partio e P ircosso co lla
m oglie rim ane. M adonna Sofia, vedendosi cos beffata, pens di
non cad ere in ta l fallo m ai con persona ch e p er q uel m odo si
abbia quello ch e dato g li av esse. E cos osserv poi.
DB PRUDBNTIA ET CASTITATB 85

20 .
[Tiy., n 82].

DE PRUDBNTIA ET GASTITATE

Fu una onestissim a ved ova donna di G enova, nom ata m adonna


L ionora G rim aldi, la quale sopra tu tte la ltre donne di G enova
portava di onest e t di ca stit nom e. E ben ch e questo v i debbia
p a rere m eraviglia ch e in G enova si debbia di ta l donne trovare,
v i dico ch e Iddio pu con ceder grazia in ogni lu o g o , e t per
non da m eravigliarsi se costei in una si fetta citt si trovasse
p erfetta . E t stando questa m adonna L ionora onestissim am ente,
non potendo per la su a b ellezza nascondere, ch alm eno quando
a lla ch iesa andava le con ven la la su a feccia m ostrare, posto ch e
a n d asse ch iu sa, la q uale pi v o lte Ih da uno giovano dal F iesco
nom ato S alvestro ved u ta, e t ta l ved u ta g li f cagion e dinnam o
ra rsi di le i p er ta l m odo, ch e ogni di com e (sm em orato sta v a
in n ella sua contrada e m ai di quine non si p arta fin e c h e la
n otte ven ia. M adonna Lionora di ci non dando p en sieri, dur
ta le stanza pi di tr e m esi, ch e m adonna L ionora a lla fin estra
m ai non si puose. V edendo S alvestro ch e m adonna L ionora non
dim ostrava su a persona, com e disonesto, pens un giorno vo lerla
v itu p erare a lla presenzia di m olti e t con ardim ento a lla ch iesa ,
d ove alcuna volta d ollanno andava p er com unicarsi, ab bracciarla
e t con d ison este parole ap palesare il suo p en sieri e questo ten n e
in s . M adonna L ionora, ch e di q u este cose n ien te sap ea, sen za
a lcu n a sospicione alla ch iesa n'andie. S alvestro, sentendo esser
a lla ch iesa andata, subito si m osse e t trov m adonna L ionora
a uno a lta re ch e d icea su e orazioni gin occh ion i, m entre ch e la
m essa si dicea. S alvestro, sen zaltro d ire, accostatosi a le i e t ab
b ra ccia ta la e b asciatala, d isse (1): P o ich io dorm ii teco, non so
c h e si sia stato la cagion e ch e m ai m h ai voluto ved ere, or com e
n on ti ser v i io ben e la n otte, ch e sai ch e pi e pi v o lte ti
d ied i p iacere? M adonna L ionora, fornite le su e orazioni, non
p regian do q u ello la v ev a fatto n ezian d io q u ello d icea, m a ferm a
stando sen za alcu no m otto dire, le p ersone cercu stan ti odendo

(1) Ma.: dicendo.


86 NOVELLE DI QIOVANNI SBRCAMBI

d ire S alvestro e t vedendo ta cere m adonna L ionora, ta li pensa


vano esser v ero e ta li pensavano S alvestro a v er fatto m ale, d i
cendo: V edi com e m adonna Lionora sta ferm a a su e orazion i.
E t tu tto questo d ire udiva m adonna L ionora, e d itto le su e ora
zioni e d itto la m essa, m adonna L ionora si lev essend o q u in e
S alvestro ch e sem pre la nfaraava e t a ltre g en tili donne e t om ini,
com e h o ditto, a ch i n e p esava (1) e ch i cred ea ch e S a lv estro
d icesse il vero. M adonna L ionora si v o lse a questo e d isse: Sal
vestro, S alvestro, p er certo tu m i d i a v ere a vu ta m orta e non
v iv a . S a lvestro d isse: Com e non sai o h e v iv a tho avu ta e t giam
m ai non m oristi? M adonna L ionora disse: 0 io h o sognato, o
veram en te tu ; e p artitasi u scio fuor d ella ch iesa . S a lv estro ,
udendo q u ello ch ella h a ditto, d isse: P er certo costei vu ol c h e
io sia suo, dicen do: Vedi con quanta on est h a con fessato c h e
io ho avu to a fare con le i m orta, e per io m i vo m ettere a lla
prova d' essere (2) con lei. E t un giorno, com e baldanzoso, v id e
l u scio aperto, oh la fante la vea lassato p erch era andata a fa re
alcuna faccenda, e t sa lito S alvestro in casa di m adonna L ionora
e andato su a le i volendola m anom ettere, m adonna L ionora, c i
vedendo, tenendosi a mal p artito e t non vedendo modo di poter il
suo onore sa lv a re, dicendo: Se io grido non m i ser cred u to, n
anco a grid are non mi lasser, e t se io acconsento h o perduto m ia
o n est ; pens subito d ire a S alvestro alcu na cosa e d isse: S al
vestro, tu sai ch e m ai di m e non a v esti a fare e t sai q uanto m i
h ai vitu p erata in ch iesa , per oh e a m e fa cesti e t d icesti q u e llo
ti sai, e t com e ti dissi tu a vere avu to a fare m eco essend o m orta,
e t q uello dissi p erch in p er certo fo sse creduto. Ora v eg g o c h e
h ai l anim o disposto a v o lere la tu a ferm a volont adem pire e t
p ertanto ti dico, se d esid eri p iacere, ora noi p otresti a v ere, m a
indugia alquanto e t io ti caver d ellanim o questo p en sieri con
farti sazio d ella tu a volont, e com e ne se ven u to te n e torn a.
Et tu cognosci la m ia fante, sono con tenta ch e ora ch e la v ed i
g li d ich i tu a volont, e t io, vedendo il tem po, m ander p er te .
S alvestro, parendogli a v er fatto assai, fa con ten to e p a rtissi. Ma
donna Lionora, ven u ta la fan te, subito m and p er li p aren ti d i
S alvestro dicendo loro: Io veggo S alvestro a p ericolo di m o rte,
e p erch s vantato di m e, v i prego v o g liate castigarlo e t n on 12

(1) Ms.: pensava.


(2) Ms.: disse.
DE PRUDBNTl ET CA8TITATE 87
rip u ta re ch e io sia stata tan to sciocca c h e a m e s i sia acco sta to
n m ai s'accosti, m a se in a ltro luogo p er le su e c a ttiv e op ere
fosse trovato, non se n e dia la colpa a L ionora. Li p aren ti d i
S alvestro, ch e sapeano quanto S alvestro era di ca ttiv a condizione,
disseno a Lionora ch e a loro n e in crescea di q u ello ch e S alvestro
a v ea ditto e t ch e loro ten ean o le i p er casta e t se m ale in terv e
n isse a S alvestro g li aer m olto b en e. M adonna Lionora, avu to
d aparenti il loro p en sieri, per cessa r la sua infam ia ordin con
u n o ord ine di frati ch e, com e m orisse una fem m ina, ch e piacesse
loro condurla in una ca sa duna sua vicin a . D itti (1 ) frati, ch e
m adonna Lionora teneano p er san ta e t c h e da le i avean o buone
o fferte p erch era ricca , prom issore, e t non m olti di passarono
ch e una giovana m oglie di uno b arcariolo m orlo e t a luogo di
q u efrati fu p ortata a sop p ellire. L i frati, ci sen tend o, notifica
ron o a m adonna Lionora com e avean o una giovana soppellita
ch e quando vu ole lar. M adonna Lionora subito m and la fan te
a S a lv estro ch e la n otte rin v eg n en te fo sse in n ella casa d ella
su a v icin a e quine ser L ionora e potr di le i a v er d iletto, m a
gu ard i b en e ch e com e altra v o lta g li d isse ch e lu i non abbia
a fare con una m orta. La fan te tu tto in tese. M adonna Lionora
ordina ch e la fan te si co rich i in n el letto dove la m orta g ia ce.
F a tta la vea arrecare e t nuda in q u ella casa d ella sua v icin a in
n el letto lavea m essa. E am m aestrando la fon te, d issele (2): A
te non cura ch e con S alvestro ti godi, p erocch ogni di ta le
op era fai, m a ben ti dico ch e senza lum e, com e g li h ai ditto, serai
e t sen za fo v ella re coricati in siem e, e t com e lo ved i addorm en
ta to , a ccostagli la m orta a la to e t tu co lla n ostra v icin a v e n e
v en ite in casa, lassandolo in n el letto . La fonte, am m aestrata sic
co m e m adonna L ionora g li avea ditto, ven u to la sera e t in n el
le tto sen za lum e e sen za p arlare [p o sta si], S alvestro, credendo
e sse r con m adonna Lionora, si d i p iacere con la fante, dandogli
d i quello volea, ta n to ch S alvestro s addorm ent. E t u scita d el letto ,
a c c e se una lam pana, u scio di cam era e t colla v icin a di m adonna
L ionora a ca di m adonna Lionora am endue se n andarono. Sal
v estro , essend o accostato alla m orta, isv eg lia to si abbracciandola,
sen ten d ola freddissim a e t non m uoversi, di paura salt del letto 123

(1) Ma.: disseno li.


(2) Ma.: dicendole.
(3) Ma.: disse.
88 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

e t preso uno lum e e t intrato in n el letto per ved er m adonna


L ionora, trov esser m orta. Stupefatto, di paura tram ort, sin o
ven en d ogli una terrib ile febbre. La m attina li v icin i traggono,
sentendo la v ecch ia grid are dicendo: Om ei I io non so ch i in ca sa
m intrato. E tratto alla cam era, fu cogn osciu to S alvestro d a l
F iesco, e quasi m orto sta v a alla to d ella donna m orta. V en u ti li
p aren ti di S alvestro, confortandolo e volendo v ed ere c h i q u ella
fem m ina m orta era, fu cognosciuto esser q u ella ch e lo di dinnanzi
era stata soppellita. S alvestro di paura stim Iddio a v erlo fa tto
p er am or di m adonna L ionora, e t con fessato il suo p eccato e t
assolu to dal p rete, pass di questo mondo, e t in u n a fossa c o lla
m orta f sop pellito; e t per q uesto m odo S alvestro, volen do isv er-
gogn are, fu isvergogn ato.
DE MAL1TIA ET PRUDENTIA 89

21.
[Trir., a 85].

DE MLITI ET PR U D EN TIA .

C arissim e e t on este donne. E f in n el contado di L ucca in una


v illa ch iam ata G iello uno prete chiam ato p rete Pasquino, om o
d'assai ca ttiv a v ita e t m olto so lla cieri, il q u ale con ogni m odo ch e
p otea ingannava o cerca v a d'ingannare le donne d ella su a parroc
ch ia e t eziandio d ella ltre. Et stando in ta l m aniera in n ella ch iesa
d i G iello e tenendo scu ola [a ] di m olti fa n ciu lli, in fraquali v e
n era uno di an ni sette, figliuolo di u n giovan o nom ato B arsotto,
e t a v ea questo fan ciu llo una sua m adre di anni v en ticin q u e b el
lissim a, nom ata m adonna M onina, la quale, com usanza d ela-
voratori dandare a lavorare col m arito e talora sola, il d d elle
fe ste v isita v a la ch iesa dove p rete P asquino dim orava. E ved u to
p rete P asquino m adonna M onina, pi v o lte ven en d ogli v o g lia d i
a v er a Care con esso lei (1 ) e veduto se con le i p arlare p otesse
sen za com pagnia, m ai non g li ven n e Catto. [E lla ] (2) p er niuno
m odo non si sa re col p rete ferm ata a p arlare. P rete Pasquino,
ch e non pu il suo m al p en sieri m ettere in effe tto , pens con
alcu no m otto toccarla, e pi v o lte p er certo m odo di m otti la
p un gea (3). M adonna M onina, ci sentendo, g li d isse c h e ta cesse,
se m ale non v o lesse g li fh sse Catto, e t p rete P asquino, vedendo
c h e non giovava m otti d itti a lla donna, pens, com e m alvagio,
b a ttere il figliuolo di m adonna M onina pi so v en te ch e di prim a
Catto non a v ev a . E tu tto q uesto b attere facea a fine ch e il fan
c iu llo spaurendo di s fa cesse (4) q u ello ch e p rete P asquino g li
com andasse. E p er q uesto m odo p er pi du n m ese con b a ttitu re
lo ten n e in trem ore. E ved u to p rete P asquino il fan ciu llo co n
ta l trem ore, pens a lu i d ire q u ello ch e v o lea facesse, in quanto
m adonna M onina a lu i non accon sen tisse a fare q u ello volea.
M a prim a ch e a l fan ciu llo d icesse n ien te, la dom enica seg u en te,
ved en d o m adonna M onina sola, g li d isse: M onina, io m i m oro di1234

(1) Ms. : con esso seco.


(2) Ma.: non ebbe.
(3) Ms.: di notte la piangea.
(4) Ms.: faro.
90 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

te, e faresti b en e a v en ire una n otte a dorm ire m eco, a ltra


m ente io terr m odo, ch e te i con verr fare. La donna di on est
disse: S ere, voi p arlate disonestam ente e t a v ete fatto m ale a
dirm i q u ello a v ete ditto. P rete Pasquino, replicando, le d isse:
Io t'h o d itto m ia inten zion e e forai b en e a form i q u ello ch e io
voglia, altram en te io te i far fare a m al tuo grado. La donna
corru cciosa d isse ch e an dasse in n el m alanno e tornata a ca sa
narr a l m arito d icen do: Q uesto nostro p rete d eessere di ca ttiv a
condizione. Lo m arito d ice: P erch lo dici? La donna d isse: Mi
h a ditta alcu n a parola assai disonesta, b en ch a lu i risp uosi
q u ello si con ven ia. B arsotto d isse : M onina, se p i t a cco rg i di
lu i ch e verso di te v o lesse fore o fa cesse cosa ch e v el^ o g n a o
danno te n e p otesse incontrare, dim m elo e t io lo pagher com e
sar degno. L a donna d isse di forlo, e com e sa v ia , p er non v e
n ire a ta l p artito, pens di non andare in luogo d ove p rete P a
squino sia, n eziandio a lla ch iesa . P rete Pasquino, [ved en d o]
ch e la donna non apparisce dov lu i, si pensa p er a ltro m odo
ch e fotto a vea a v ern e suo p iacere. E t uno giorno ch iam il su o
figliu olo di m adonna M onina e d isseg li: S e tu vu oi c h e io non
ti batta pi, io vo* ch e tu m 'arrech i d ep eli di tu a m adre, c h e
h a tra le coscio d i sotto, e m e tte r a i in questa poca di ca rta ch e io
ti do. Lo fan ciu llo d isse: Com e n e potr a v ere? P rete P asquino
disse: Quando dorm e, m ettigli la m ano colaggi e p iglia de* p e li
e t arrecam eli e t io non ti dar pi, e anco ti dar d e b erico co li.
Lo fon ciu llo, p er non essere pi battu to e p er a v ere d e b erico co li,
d isse di forlo. E la sera, essend osi co ricato a lato a lla m adre e
co l padre, volen do serv ir lo p rete, d istese la m ano, credendo c h e
la m adre dorm isse. [Q uesta], sen ten d osi to ccare a l figliu olo, non
pensando m alizia, d isse : C he foi? Lo fon ciu llo ch eto. La m adre
d isse: C he v u o l d ire c h e l m io figliu olo stasera tien e s fo tti
m odi ch e m ai volse? Lo m arito, ch e ci ode, d isse ch e lo far in
dorm endo. L a donna stata alquanto sen za p a r la r e , il fon ciu llo
pensa ch e la m adre dorm a, e t m esso la m ano l g i e t p reso
p er tira re, la m adre, reca ta si a sed ere, v o lse sap ere dal fon ciu llo
la ragion e. Lo fon ciu llo d isse tu tto ci ch e il p rete g li a v ea im
posto dicendo: H ae prom esso di non darm i e t eziandio m i dar
de b ericocoli se di co ta li p eli di sotto g li porto. Lo m arito d ella
donna pensossi (1 ): Certo questo p rete vorr fore q u alch e m ala.1

(1) Ms.: pensonno.


DE MAL1TI ET PRUDENTI* 91
E su bito u scio il m arito e t la donna del letto e t alla troia nan-
daro e de* p eli d ella troia preseno e t in n ella carta li m issono e
d isseno a l fig liu o lo : P orta questi a l p rete. P rete P asquino, v e
dendoli biondi, d isse fra s: C ostei b ella donna-, ora ar m ia
volon t. E fatto suoi in can ti e m ale sopra di q u elli p eli, pen
sando fusseno q u elli di m adonna M onina, e fatto lo ncanto, subito
la troia d i B arsotto, fracassando il p orcile e rom pendo, di subito
se n and a lla ch iesa . B arsotto, ch ha sen tito tu tto, v a d rieto alla
troia e ved e la troia esser gi in ch iesa . Di rabbia si v o lse git
ta r e addosso a l p rete. Il p rete, ch e non pensa quanto h a fhtto,
frigge su p er la sca la , la troia drieto ; il p rete in s a la , la troia
d rieto. Lo p rete [si rifriggi] in cam era e ch iu se luscio. Barsotto,
c h e v ed e ta l fatto, d isse: Or costui il d iavolo. E tratto co llarm e
a llu scio d ella cam era e t q uello spezzato, d isse (1 ): T raditore, tu
se m orto ch e ora veggo q u ello v o lev i (3) fare della donna m ia,
m a ella savia ti m and de p eli d ella troia, m a io ti pagar. Lo
p rete era m ontato in su una fin estra ; la tro ia stava. B a rso tto ,
ch e v ed e il p rete su lla fin estra, di una spada g li d i su lla testa .
P r e te Pasquino per lo colpo cadde d ella fin estra in uno orto.
La troia scese la scala e t in n ellorto n e andava. Li v ic in i, ch e
sen tian o lo rom ore, traggono l , e t ved u to il p rete in terra fe
rito e rottosi le gam be p er lo ca d ere e la troia g li stracciava
addosso, B arsotto, per non perdere il suo, pensando a v er fette
a ssa i, narrata la cosa a* v icin i, p rete P asquino fri rilev a to e fatto
m edicare e di quello com une ca ccia to . E B arsotto, non potendo
rite n e re la troia, ch e andare v o lea d rieto a l prete, si lu ccise e
p er questo m odo p rete P asquino fu pagato.12

(1) Ma.: dicendo.


(2) M8.: volse.
92 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMB1

22 .
[Tri?., n* 86].

DB TURPI TRADIMENTO.

P o ich la n ovella di p rete Pasquino adat ( l a lla b rigata, d ir


ch e n el contado di P isa, in una v illa nom ata Guoza, fu un p rete
nom ato prete R uffaldo, non m eno ca ttiv o ch e p rete P asquino,
avendo la ch iesa sua posta presso a una casa dove dim orava uno
nom ato T esta, lo q uale a vea u na su a m adre ch iam ata M assaia.
E di poco il ditto T esta a v ea p reso una donna p er m oglie di q uel
com une nom ata G iglietta, e t non m olto tem po T esta ten u ta l a v ea ,
ch e prete R uffaldo sinnam or di le i in tanto, ch e non p oteva
dorm ire, n m angiare, n officio d ire sen za la im m aginazione
d i G iglietta. E t ogni d g li passava dalla ch iesa co lla su a so cera
M assaia, ch e T esta T avea ditto ch e co le i a n d a sse , a cc io c ch
beffe rice v ere non p otesse. M assaia, per am or d el figliu olo, c h e
m olto lam ava, e t anco p er am ore di G iglietta, v o len tieri stava e
andava co le i. V edendo quel v en era b ile p rete ch e G ig lietta d i
continuo con buona guardia andava, pens v o ler il suo p en sieri
sen za disonestarsi fornire, e t uno giorno stando p rete R uffaldo
in su lla porta d ella ch iesa e t vedendo passare M assaia e G iglietta:
Dio ti guarda da lupo, G iglietta, e pi non d ice. M assaia e Gi
g lietta non si danno di ci p en sieri. Lo secondo d lo p rete d ic e
le sim ili parole, e t anco non se ne danno p en sieri. L a terza m at
tin a lo p rete d ice: G iglietta, Dio ti guardi da lupo. M assaia d ice:
S ere, voi ci a v ete g i ditto tre vo lte q u este p arole, ch e v u ol d ire
questo? Lo p rete d isse: E m in crescere ch e s b ella g io van a
debbia essere m angiata da lupo. M assaia d ice: C he d ite , se r e ?
Lo p rete d ice : P er certo co stei al battesim o non ebbe tu tti i
sacram enti e per fate n abbiate buona guardia fino ch e com piu
tam ente l'ofilclo g li sar ditto. M assaia torna a casa e tu tto n a rra
a l figliuolo dicendo: N oi non potrem o lavorare se di con tin u o
mi con verr andare con G iglietta, m a se vuoi io ser co l sere, e
lofficio ch e a battesim o g li m anc, lu i lo d ica. D isse: Io sono
con tento. M assaia, c h era so llicita , d isse a l sere ch e d ice G ig lietta 1

(1) Cosi nel ms. De* valere piacque.


OS TURPI TRADIMENTO 93

[d o v er guardarsi da lu p o]: V olete v o i liv ra re lofflcio ch e m anca


a l battesim o ? P re te R uffaldo d isse : Io sono presto, m a tanto v i
d ico ch e v i con verr durare alquanto fatica, voi e G iglietta. Mas
sa ia d ice ci ch e bisogna. Lo p rete d isse : E gli di bisogno ch e
v o i abbiate uno candejo di m ezza libbra e t una can d ela bene
detta, o voi o a ltri p er le i v egn ate con G iglietta in ch iesa gin oc
ch io n i con q u ello can d elo acceso [e t] sta rete alla porta d ella
ch iesa co lla faccia verso ponente e G iglietta in coro co lla
fa ccia verso le v a n te , e t io far lofficio; b en ch a le i ser un
poco di pena, non se n e cu ri, e t voi con verr stare atten ta
m entre ch e l'atto (1) si fa, e non m u overvi n volg erv i, m a con
orazione sta re ferm a, a ltrim en ti Tofflcio non v a rre e t il lupo
m an gere G iglietta. E tu, G iglietta, b en ch un poco co lla candela
a ccesa benedetta ti toccasse il dito, sostien i sen za (2 ) g rid are, e t
se pur grid asse, voi M assaia, sta te ferm a, ch in voi sta tu tto il
fatto, altram en te lo lupo G iglietta m angere*. G iglietta, ch e tem e
non esser m angiata da lupo, e M assaia p er poter lavorare, dis
se n o : S ere, tu tto si far. E p artitesi M assaia e G ig lietta , e t al
m arito narrato tu tto, subito se nand a P isa e com pr uno can
d elo di m ezza libbra e t una can d ela benedetta, e tornato d isse a lla
m adre e G iglietta ch e andasseno a l sere a fare lofficio. M assaia
con G iglietta, ite a l sere, il p rete ch e asp ettava G iglietta sen za
b rach e, se m isse in ch iesa, e t acceso lo candelo e la candela, e
ch iu so la porta d ella ch iesa, d isse: M assaia, ten ete questo candelo
a cceso e d ite orazion i e p a tern o stri, e sta te qui gin occh ion i.
[C om e] ebbela m essa verso la porta, M assaia inform ata di q u ello
d e fare, G iglietta se n e v a co l p rete in coro e in suna banca
stretta la puone a sed ere colla faccia verso lev a n te. Lo p rete si
puon e verso ponente in su q u ella b an ch etta e la candela accesa
d ata in m ano a G iglietta dicendo: D com e io dico, G iglietta disse:
C os far. Lo p rete colla m ano le tocca la coscia a nude ca rn i,
p ero cch i panni g li ha tratti di sotto, dicendo : D ove ti tocca
la m ano d el p rete, non ti baci bocca di lupo, e b asciolla in bocca.
G iglietta sta ch eta pensando da lupo non esser m angiata e t cos
il p rete pi v o lte la basci in bocca e t le co scie strin g en d o g li,
sem pre accostandosi a le i, G iglietta p ure stava ferm a. P rete Ruf
faldo avendo teso il balestro, riversand o G iglietta, in su l corpo 12

(1) Ms.: chelloneatto.


(2) Ms.: pensa.
94 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

g li m ont; G igi ietta gridando, M assaia sen za riv o lg ersi d ic e a :


G iglietta, porta la pena in p ace. E t poco v a lse il grid are, ch e il
p rete forni il suo p en sieri, e lev a to si d isse : M assaia, ornai pu
G ig lietta sola andare sen za paura. M assaia lieta lass il can d elo
e con G iglietta n e va a casa. G iglietta iqanm conosa d ice a l ma*
rito et a M assaia q u ello ch e il p rete g li ha fatto sotto ta le officio.
T esta, udendo questo, co* parenti suoi e di G iglietta p rese p en sieri
di p un ire il prete secondo ch e h a m e r ita to , e t con d elib erato
anim o trovonno prete RuSfaldo dandogli pi colpi, p er li q u ali
p rete R uffaldo m orio e poco si lod di q u ello ch e a v ea Catto.
DE SUPERBIA ET PAUCO BENE 05

23 .
[Trir., n 38].

DB SUPERBIA ET PAUCO BENE.

U n co n te di q u elli da B rustola d el contado e giu risd izion e di


B ologna, il quale possedea a lcu n e terre in n ella m ontagna, no
m ato lo con te Sparaleone, om o di gran superbia e t cru d elt e di
ogni m ala condizione, e t non stan te ch e lu i fu sse m alvagio e reo,
ancora a* suoi fam igli com andava c h e ogni m ale Capessero, e t
pur non era per tan to m alvagio ch e alm eno questo poco di
b en e facea ch e ogni d la -m a ttin a , quando si lev a v a , p er lo d
d icea una avem aria e la sera n e d icea p er la n otte u n'altra, e
questo era tu tto lo ben e ch e questo con te fa c e a , n m ai a ltro
b en e si disse ch e lu i facesse. A vea questo con te m olti m ascalzoni
e lad ron celli e dogni ca ttiv a condizione, ai quali a v ea com andato
c h e ogn i d facessero o fu rto o rubaria o m icid io , e pi ch e a
tu tti sotto gra v e pena d itto loro ch e m ai persona ch e trovassero
in n el suo terren o ch e a lu i p er neuno m odo si p resentasse, m a
c h e rubato ch e fu sse q uello u ccid essero. Et ogni cosa cru d ele
g li p iacea pi ch e la p ietosa, e t p er questo modo m oltissim i pre
la ti, m ercadanti e t altre buone persone, ultra le ru b erie a loro
fa tte, erano sta ti m orti, e la sera tornavano i ladroni e diceano:
M essere, oggi abbiam o u cciso tr e p reti e du m ercadanti e alcu n o
p overo ch e andava accattando e tu tti sp ogliati e rubati, e loro (1)
in n el bosco a lle fiere i corpi abbiam o la ssati, e la roba loro
v'abbiam o arrecato. Lo con te, ci u d en d o, d ic ea : B ene a v ete
fa tto ; e dato loro la p arte d ella roba e lavan zo p er s tenendo,
d icea (2) loro: Cos fa te sem pre, ch e, sia ch i si v u o le , m orto e
rubato sia. Lo dim onio, vedendo questo con te tanto m aldisposto,
p en s v o lerlo in anim a e in corpo possedere, e t gitta to si in form a
d 'u n o cuoco, per certo m odo com pario a casa del con te d icen d ogli,
s e a v ea bisogno d'un buono cuoco, lu i lo serv eria v o len tieri. Lo
co n te, ch e d'uno a v ea bisogno, d isse ch e s, e fattolo suo cuoco,
lo dim onio fa a lcu n e vivan d e fin issim e. Al con te p iace il suo ser
v ig io e t non m olti d fu stato ch e una sera, essend o addorm en
ta to il co n te, lo dim onio la n otte in dorm endo [lo vo lsej portare
a llo 'nferno. Et com e se g li volse puonere addosso, subito appario
la v ergin e M aria in form a di una d onzella dicendo: S atan as,1

(1) Cos nel ms. (2) Me.: dicendo.


96 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ch e vu oi fare? Lui d isse: V onne portare questo d iau le a ll'in fern o ,


ch e m ai non fece a ltr o ch e m ale. La v erg in e M aria d isse: Q uesto
non forai tu a l p resen te, n m entre ch e lu i d ir p er m io am ore
quello ha ditto sem pre. Lo dim onio d ice : O ch e h a d itto, ch e io
non n el possa m enare? La v erg in e M aria d ice : Ha ditto p er lo d
una avem aria e t p er la n otte u n 'altra e t tanto quanto questa dir
non vorr ch e tu *1 n e porti e non vo* il d quando l'h a d itta
abbi potenzia sopra di lu i tu tto q u el d, e t sim ile quando da sera
dir una avem aria com 'ha co m in cia to , p er tu tta q u ella n otte
non g li potrai n uocere. Ma quando fo llisse p er li su oi p e c c a ti,
m erita ch e di lu i l cci tu a volont. E sp arita (1 ), lo d im o n io ,
non potendo foro a ltro , torn a lla cu cin a aspettando ch e q uesta
avem aria fa llisca . L o con te p erseveran d o in n el m ale e t da ta l
m ale non v o lersi p artire, pi an ni ten n e q uello s t ile , n m ai
m anc ch e lavem aria fa llisse di d ire, stando sem pre il dim onio
presso e atten to per condurlo a lle p en e d ello 'nferno. V edendo
la divina bont ch e questo con te in n el m alfare p ersev era v a e t
il dim onio ap parecchiato a prenderlo, v o lse verso di ta l p ecca
tore il viso d ella m isericord ia e t di p resen te a uno an gelo sp ir
ch e in form a d'uno p ellegrin o p assasse per lo terren o d el co n te
con dim ostrare l'erro re d el con te e t con d irgli q uello c h e cam
pato lavea. Spirato lan gelo d ella divina p o test , in form a d i
p ellegrin o in n el terren o del con te Sparaleone arriv tra q u elle
gen ti lad re. A rm ati, v en u ti dintorno p er rubarlo e p er u ccid erlo ,
stretti stavano. Lan gelo d isse: Io penso ch e v oi sia te di q u esti
lu ogh i per rubare ch i passa e t questo fate p erch il co n te e v o i
d ivegn ate ricch i e t non altra ragion e cred o ch e sia . D isseno i
lad ri: Tu di* il vero, e per vogliam o quel po eh h ai e le tu e
carni dare a lup i, com e abbiam o fatto d ell! a ltri. D isse la n g elo :
E se il con te e voi d esid erate de esser ricch i, v i dico, se m i m e
nate a l conte, io lo far lo pi ricco con te ch e sia in Ita lia , e t
sim ile v o i far ricch issim i ch e non bisogner pi ch e a lle str a d e
a rubare [an d iate]. Coloro, ch e intendono q u ello ch e il p elleg rin o
ha ditto, d issen o: M eniam lo a l con te, e t se non far q u ello h a
prom esso, in presenzia d el con te lo taglierem o p er pezzi ; e t c o si
condusseno al con te il p ellegrin o. Lo c o n te , com e v id e costoro
m enare il p ellegrin o a v ea loro d itto ch e lo fere *1 pi ricco
con te dItalia, lo con te, ch e ode q uesto, d isse : Fa tosto q u ello h a i
ditto, se no io ti for ta g lia re a p ezzi. L an gelo d isse : P rim a
c h io ti faccia ricco, vo ch e 1 cuoco ch e h ai facci v en ire din an ti1

(1) Ms.: spartita.


DE SUPERBIA ET PAUCO BENE 97

a m e e t allora ti far pi ch e ricco . Lo con te, per esser ricco,


m and p er lo cu oco, com andandogli ch e v en isse a lu i. Lo cuoco
d ice: Di' a l con te ch e io non posso v en ire a lla p resenza di q u el
p elleg rin o . Lo fam iglio torna e narra l am basciata a l to n te di
cend o : Lo cuoco d ice ch e non pu v en ire dinanti a lla p resen zia
d i q u el p ellegrin o. Lo p ellegrin o d isse: V a e d igli ch e io g li co
m ando ch e a m e veg n a . Lo fam iglio and a l cu oco e d isse: Lo
p elleg rin o com anda ch e a lu i vegn i. Lo cuoco, non potendo altro
fa re, fu v en u to . Lo con te d isse a l p ellegrin o: Or m i fa ricco. Lo
p elleg rin o , riv o lto si a l cuoco, d isse: Io ti com ando d alla p arte di
D io c h e subito, in n ella presenza del con te e di tu tti li a ltri ch e
q u i sono, ti debbi m anifestare loro ch i tu se in form a v era e t
n on sim u lata, n a rra n ty tu tto ci ch e dovei fare e la ragion e e
l p erch no lh ai fhtto, com andandoti ancora ch e a neuno d i co
storo debbia fare alcu na v iolen za; e t a voi dir ch e non abbiate
alcu n a paura di cosa ch e u d iste o ved este. G fatto ta li com an
dam enti, subito il cuoco dim onio m esse uno strid o tanto terrib ile,
c h e se non ch e lan gelo avea secu rato il con te e li a ltri, sarenno
m orti caduti. E dato lo strido, ven u to in form a propria di di
m onio tanto orrib ile ch e il con te disse a l p ellegrin o : P er Dio
m andalo v ia . L an gelo d isse : N on abbiate paura. Lo dim onio co
m in ci a d ire c h e g li era ven u to per portarlo in inferno in corpo
e t in anim a, e t p er una avem aria d itta lo di e la n otte la v e r
g in e M aria non m e lo lass m ai portare et era disposto, se cen to
an ni ci d ovesse esser sta to , p ortam elo. Lo an gelo d isse: Ma la
d etto da Dio, io ti com ando ch e in con ten en te te nen tri in in
fern o e t in segn o di ci vo ch e appendi il fuoco in nel bosco l
d ove costoro stavano a rubare, e t tu tto q uel bosco arda. Lo di
m on io, auto lo com andam ento, subito a ccese quel bosco, presente
il con te e li a ltri, e t in infern o torn. Lo con te e li a ltri, stu
p efa tti e t quasi m orti, n ien te diceano. L 'angelo disse: 0 con te
e voi a ltri, io sono langelo m andato da Dio per sa lv a rv i e t p er
ta n to v i com ando, se non v o lete essere m in estrati dal dem onio,
c h e subito v e nan diate a Rom a a l papa e t quine tu tti li v o stri
p ecca ti raccon tate e n arrate. Q uesto fa tto , lu i v i dar la peni-
ten zia , e t facendo co s sa rete sa lv i. E t questo ditto, lan gelo s
spario, lassando q uine una d olcezza ch e il con te disse: Or ch e
stan za d eessere in paradiso I E subito si m osse e a l papa narronno
tu tto. Lo papa, data loro la p en iten zia, la qual fenno v o len tieri,
e finirono bene la loro v ita . Lo papa, per lo m iracolo d ellave-
m aria, f com andare a tu tte ch iese ch e l avem aria da sera e da
m ane sonasse, accio cch si ricordi d ire ch i quella v o lesse dire.
NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

34 .
[Tri*., no s3.

DE VERA AMICITIA. ET CHARITTE.

N el tem po d el re P ipino di F rancia fu u n g en tile uom o no


m ato Tobbia, lo quale era della provincia di B orgogna, e t uno
con te ted esco nom ato con te R icciardo, li quali d ivotissim i eran o
di Dio, e t neuno de' p red etti avea figliuolo n figliu ola, avendo
ciascu n o di loro donna giovana. E ciascu n o d e p red itti fenno
voto ch e se Iddio d esse loro grazia da v er fig liu o li de lle , a rien o
q u elli p ortati a Rom a, a ccio cch p er le m ani d el santo p adre
fusseno b attizzati con offrire a lla ch iesa d i Rom a alquanto teso ro .
E fatto ta le voto, fue di p iacer di D io i loro v o ti esa u d ire, c h
non m olto tem po pass c h e ciascu n a d elie p red itte donne d e l
suo m arito ingravid e dopo il portato de n ove m esi le d onne
partorirono ciascu n a un fan ciu llo m asch io, di c h e li padri e
le m adri con tentissim i, li prediteti fa n ciu lli deliberonno a R om a
condurre per fare ciascu n o il suo cristian o per m ano d el papa
e co l nom e di Dio. Tobbia ca v a liere con buona com pagnia d i
B orgogna co l figliuolo si m osse p er andare a Rom a, essend o g i
il fan ciu llo di due anni. R con te R icciardo te d e sc o , aven d o v e
duto ch e Iddio g li aveva prestato un figliu olo, dispose il voto v o le r
osservare e t d ella M agna si m osse avendo il figliuolo circa m esi
ven totto, e ciascu n o cam inando, fu p iacer di Dio ch e uno g io rn o
in n ella citt nostra di L ucca si trovonno in u n m edesim o a lb erg o
insiem e- N arrando il ca v a lieri Tobbia a l con te R icciardo p erch
quine era e uandare dovea, e m ostrato il fan ciu llo ch e p er v o to
Iddio g li avea p restato, lo con te R icciardo, ch e p er sim ile a tto
di casa sua m osso si era, m ostrato il suo fan ciu llo, deliberonno
in siem e andare. Or ch e direm o d ella potenzia di Dio ch e i fan
ciu lli di due an ni com e si viddeno esser in siem e m ai non v o l
sero m angiare, n b ere, n dorm ire, se non ch e q u ello ch e fa c ea
luno laltro segu ia, e pi v o lte p rovati dal padre trovonno c o s
era? In tanto ch e fu di n ecessit ch e luno e laltro in un m e
desim o letto dorm issero e t in n el cam ino in un letto celo fo ssero
portati, e t pi, ch e convenia in una m edesim a tazza m an giassero
e b evessero, e t duna m edesim a vivand a, e t sopra l a ltre m era
v ig lie , ch e il padre di cia scu n o .a v ea , g li p area q u esta . E c o s i
DE VEELA. AMICITIA ET CHAR1TATE 9

cam biarono a Rom a, e fatto n o to -a i sa n to padre ch e a lu i volean o


p arlare, il san to padre dando*lo ro audienaa, davanti a s li f
venire- dicendo loro q u ello volean o. Lo con te e *1 ca v a lieri dis
seno: P erch ce rto credem o- voi esser- in terra vica rio di Dio, a- noi
d i bisogno ch e q u elli ch e Id d io n ha p restati tu li facci di
g ra zia rip ien i, e cio ch e ti p iaccia du nostri fig liu o li b attezzare,
a cc io c ch possano la gloria c e le ste p ossedere e t p er la santa fe'
com battere* Il papa v u o le sap ere la ca g io n e e t p erch si sono
m ossi. Loro tu tto contonno. Lo papa udendo, disse ch e a lu i p iacea,
e com and che- fo sse apparecchiato il libro e t P atire cose da bat
tesim o, e t co si fu fatio, presenti, i cardinali e a ltri baroni, a* quali,
i l papa im puose ch e q u elli fan ciu lli ten essero al b attesim o; e
c o si fenno. Il papa, facendoli cristian i, puose nom e al figliuolo d el
ca v a lieri A m ico e t q uello d e l con te ted esco g li puose il n om e
A m elio; e t battezzati don loro a ciascu n o una tazza o v vero solfo
d i leg n o con guarn m ento d'argento e duna m edesim a te n u ta ,
e t b en ed ettoli .li raccom and a Dio dicendo: Q uesto dono sia p er
m em oria ch e voi siete* battezzati in n ella ch iesa d i Roma d a i
papa. R itornati ciascu n o de' p red etti aHa loro patria co l dono
c h e *1 papa, avea lor fatto) e crescend o Am ico in m olta sap ienzia
fin e a llet di trenta anni, lo padre am m alando, am m onio il figliu olo
su o dioendo: A m ico figliu ol m io, io ti com ando ch e tu am i Iddio,
ap presso ch e sii m isericordioso a 'tu tte person e e d ifen sore d e lle
ved o e e t pup illi, e t sopra ogni cosa* terren a ab bi-in rev eren sia
il figliuolo d el con te R iccia rd o tedesco nom ato A m elio, p erocch
in uno d fa ste dal som m o pastore a Rom a b attezzati, e t a te e t
a Ini don uno- scifo duna m edesim a fazion e e grandezza, e t si
m ile ti -dico c h e A m elio, tuo- fra tello a battesim o) d una strut
tu ra e fazione com e tu, e non alcu n d ivario da te- a lu i. E
per in ogni.^cosn l'am a e t a lu i ricorri. E ditte- q u este parole,
m on o. E t non* m olto tem po ateo -che certi in vid iosi tu tte ca stella
e te rre g li to lsero , p er la qual cosa il d itto A m ico fu e costretto
a doversi-aasenta?e> e-pens-ad andare-ad A m elio con te, sperando
da lu i a v e r q u a lch e aiu to. E- prese- d ue serv ito ri e t arnesi * e
d isset In ca so ch e*q u in e non1possiam o a v er n o stra --sta n za , a a -
derem o a lla rein a L egoriade, donna di C arlo r e di F ran cia, la
q u ale tu tti li sca ccia ti r ic e v e ; e e o a sr m osseno per andare al
lu ogo ditto. A m elio con te, avendo sen tito la m orte d el ca v a lieri
Tobbia padre di A m ico, pens di v isita rlo e m ossesi con certa
com pagnia p er andare l . Ora cam inano luno e laltro. A m ico,
c h e non trova a casa A m elio, non resta di ca m in are; A m elio,
100 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ch e trova ch e A m ico stato ca cciato d elle su e terre e noi tro v a ,


dispone non tornare in suo p aese fin e ch e non trova A m ico sca c
ciato. A m ico, c h e va cercando sua ven tu ra, una sera fu a rriv a to
a uno albergatore ricch issim o con su oi com pagni. L 'albergatore
d isse [ad] A m ico ch e se vo lea la figliuola p er m oglie li far tu tti
r icc h i. A m ico, con sigliato la donna prenda (1), e' fanno le n ozze.
E passato uno anno e m ezzo, d isse A m ico a ' servitori su oi: Io fo
quello non debbo. A m elio m i va cercando e t io vo cercan d o lu i,
e stiam o qui. E lassato due de' suoi serv ito ri collo scifo, carni-
nano verso P arigi. A m elio, ch e gi du' anni avea cercato l'am ico,
andando verso P arigi trov uno p ellegrin o. Dom andandolo, com e
solea fare li a ltri, se g li sap esse insegnare Am ico ca v a lieri, co lu i
rispuose ch e mai l'avea veduto. A m elio g li d i un vestim en to e
d isse: P rega Iddio ch e m i dia grazia di trovarlo. A ndato il pel
legrin o fin e a vespro, trov Am ico, il quale disse: 0 p ellegrin o,
saprestim i tu d ire u' A m elio conte? Lo p ellegrin o d isse: Tu m i
u ccelli, ch e stam ane m i d esti una gon nella e io pregassi Iddio
ch e ti facesse trovare A m ico ca v a lieri e tu se'A m elio, ma non
so se tu h ai m utato v este, arm atura e ca v a lli. Am ico d isse: Io
sono quello Am ico ch e A m elio va cerca n d o , e dato a l p elle
grino lim osina, disse: P rega Iddio ch e io lo ritro v i. Lo p elle
grino disse: Cam ina tosto verso P a rig i, io penso lo tro v era i.
Et essendosi di P arigi partito A m elio, e appresso a uno fium e
in uno prato fiorito m angiavano, A m ico, arm ato ven en d o, v id e
que ca v alieri arm ati m angiare. D isse a suoi : S iate v a len ti c h e
questa b attaglia vinchiam o e t andrem o in corte e t serem o li b en e
ricev u ti. Et m esse loste in punto. A m elio, ch e ved e costoro a tti
a com battere, m ontato a cavallo lu i e i suoi, e p ercossen si in
siem e e ciascuno fu valen te. Iddio c h W a ffa n n o di costoro v u o le
puoner fine, parlando a A m elio (2) d isse : D eh p erch v o lete v o i
u ccid erlo lo caro A m ico e li suoi com pagni? A m elio c o n te , c i
udendo, stupefatto cognove Am ico, ch e m ai ved u to non l avea, se
non quando erano di due anni, e t abbracciandosi insiem e fe m o
gran festa e fatto ciascu n o di loro sacram ento ch e sem pre sta
ranno insiem e com e v eri a m ic i, a lla corte del re di F ran cia
sappresentarono. Lo re fa A m ico tesorieri e t A m elio scu d ieri
d'onore. E stato per ispazio di tre anni ch e Am ico dalla donna 12

(1) Ms.: presente.


(2) Ms.: parlando amico, ma un errore.
DE VERA AMICITIA ET CHARITATE 101
su a sera partito, d isse ad A m elio : lo v o andare a v ed ere m ia
donna, e t tu rim arrai in corte, m a guardati ch e tu non abbi a
fe re co lla figlia d el re, ch e veggo c h e t a m a , e sopra tu tto ti
d ico c h e ti guardi dal pessim o A rderigo, il quale n ha portato
sem p re in vid ia. A m elio d isse: E io cosi far. A m ico si parte.
A m elio rim ane, e t non m olto tem po v i steo ch e co lla fig lia d el
r e ebbe a fere e di ta l fatto A rderigo per sen tire d isse a Am elio:
A m ico se n ito col tesoro e t non torner m ai, e per io voglio
e sse r tu o com pagno. E t im palm egiatisi insiem e, A m elio cred e p o
te rg li d ire a sicu rt lo suo segreto d ella figlia d el re [e t] g liel
d isse: E stando uno giorno A m elio dinanti a l re p er dargli acqua
a lle m ani, A rderigo d isse : Sacra Corona, non pren d ete acqua da
A m elio, con ciossiacosach sia degno di m orte, per ch e la vergi
n it d ella tua fig lia h a tolto. A m elio, com e udio ta l cosa, stupe
fatto trem ante cadde in terra. Lo re benignam ente lo p rese per
la m ano dicendo : Sta su, non a v ere p a u r a , m a vigorosam ente
ti difendi, e d ied e loro term in e a d overe in b attaglia provare
d ella v erita e, prendendo A rderigo un con te gagliardo e sa vio per
suo con siglio. A m elio, c h e solo era, non a vea persona ch e per
lu i fu sse. La rein a, sentendo ch e A m elio non a vea neuno ch e
p er lu i fusse, g li fe a ccrescere il term in e fin e ch e fe sse tornato
A m ico. A m elio g li narr tu tto com era segu ito. Spirato A m ico di
sap ien zia, d isse a A m elio: Cam biam o le v esti e t le arm i, e tu te
n e andrai a lla casa d ella donna m ia, e t io com batter per te e
prender la b attaglia e colla speranza di D io narem o v ittoria.
A m elio d ice: Come m i cogn oscer la tua donna ch e m ai non la
v id i? A m ico disse: V a e dom anda di l e i , ma guarda ch e con
le i non u sassi. A m elio si part e t giu n se a casa di A m ico. La
donna, credendo fu sse il m arito, lo vu olse abbracciare e b asciare.
A m elio disse: Donna, non m i to cca re, p erocch poi m i p arti io hoe
a v u te m olte a vversitad i e t an co n ho, e p ertanto non ti cu ri di
toccarm i, e la n otte quando in del letto en tr m esse la spada
nuda in n el letto dicendo: Donna, se passi questa spada io tuc
cid er; e p er questo modo seco [steo ] tu tto il tem po del term ino.
La rein a , ch e am ava A m elio, av ea m alanconia p erocch capia
c h e A rderigo era v a len te. A rd erig o , ch e ved e favoreggiare
A m elio, a lla rein a d icea ch e e lla non era degna din tra re in
co rte p oich a vea lassato vio la re la fig liu ola. V enuto A m ico di
n an ti dal r e p er difen dere la infam ia data alla rein a et a lla fi
g lio la e t a s in form a dA m elio ; A m elio sta in form a dA m ico
a casa. E m esso le cose in ordine, la rein a con m oltitudine di
102 NOVELLE DI GIOVANNI -SERGAMBI

donne, lo re co* rea li, d el popolo a lla presenzia, A m ico d ic e :


O con te A rderigo, se vu oi desdire q uello h a i ditto, sem p re ar
tuo servid ore. A rderigo d ice : Io d esd ico la tn a testa e non la
tua am ist , e g iu ra p resente lo r e lu i a v e r v iolata la fig liu o la
ddl>re. A m ico d ice ch e n e m ente. Lo re d ice: 0 A m elio {cre
d en d o ch e lu i sia ) francam ente ti difendi, ch e se v in ci io ti dar
B rigida m ia figliu ola p er m oglie. E t com battendo ben e tr e o re ,
u ltim am en te A rderigo fu vin to e t A m ico g li ta g li la testa . Lo
re, ch e v ed ea. d ella infam ia la v a ta la figliu ola, e la rein a d ili
ber d i m aritare la giovan a a A m elio. A m ico, in figu ra d A m elio ,
la ;p rese e senza a ltro fe re A m ico torn a casa d ella su a donna
e t trov A m elio. A m elio , credendo c h e A m ico a v esse p e r d u to ,
vedendolo ebbe grande allegrezza, narrandogli com e A rderigo e r a
m orto e com e avea presa la figliuola del r e p er m oglie p er lu i
d icen d ogli: V ai in corte e quella prendi, e t io m i rim arr c o lla
donna q ui. A m elio, tornato in corte, co lia figliu ola del r e si-ateo,
avendogli dato io r e in dota una citt lu n gon i m are e m olto te r
reno. E dim orando A m ico co lla su a donna, sop ravven en d ogli a l
cuna m alattia, de lebbra il ditto Am ico fh rip ien o, in tan to c h e
tu tta la casa n e puzzava. E non ch e la donna sua g li v o le sse
a ita re, m a pi v o lte cerc d'affogarlo. E vedendo A m ico*che la
m oglie lo volea u ccid ere, d isse a* serv ito ri s u o i: P er Dio io v i
prego ch e prendiate q u ello sii pu e lo scifo et-lev a tem i dinanti d a
q uesta m alvagia ;fem m ina e cam m iniam o in n elle terre d el c o n te
A m elio. Li serv ito ri del con te dim andando c h i era, lu i d isse: Io
sono A m ico, fra tello di fonte del con te A m elio, e vegn o p er e ta r e
qui ch e mi feccia le sp ese. Li serv i d A m elio d issero ch e tosto 9i
partissero, dando loro di buone bastonate. A m ico, vedendosi* co s
scacciare, preg li ser v i suoi ch e alm eno a Rom a io con d u ces
sero. E cosi fenno, e quine era lor fritto m olto bene, fi ven en d o
alquante g en ti ad assed iare Rom a, essen d ovi gran fam e, li fam igli
d A m ico disseno : N oi periam o di fem e,se pi*ci stiam o m orirem o.
A m ico, ch e ci ode, d isse: 0 fig liu o li m iei, sem pre m 'avete u b b i
dito, io vi prego ch e qui non m i-lasciate,'in a m enatem i in n e lla
citt d A m elio. Li fendigli dissero ch e l'ubbidiranno e co n d u sse ro
in (Francia, in n ella citt dovera A m elio c o n te , e fattolo con
durre in n ella piazza dinanti a l palagio d A m elio dom andando
carit, A m elio fri em pire lo scifo di v in o , c h e '1 papa in n e l
battesim o g li avea dato, e d itto a uno fam iglio ch e a l povero lo
portasse, Am ico, tratto fuori lo suo scifo , e fritto voi ta re lo v in o
ch e dato g li era rendendo grazie a ch i g lie l m andava, lo fam iglio,
DB VERA AMICITIA ET CHARITATE 108

tornato, d isse ai conte: P er certo, se non ch e voi a v ete lo vostro


scifo, io d irei ch e uno c h e n 'h ae q u ello lebbroso fo sse il v o stro,
p er c h e g li duna gran d ezza duna fazione. U dito il co n te
A m elio q u ello ch e *1 fetm iglio d ic e a , d isse: A ndate e m enatem i
co lu i. E m enato, d isse unde ha au to questo s c ifo , e d'onde era
e t [d i] c h i era . A m ico narr tu tto ci ch e incontrato g li era
dicendo: Io sono A m ico e q u esto scifo ebbi Rom a quando m i
b attigi il papa. A m e lio , co g n oscen d olo, subito lab b ra cci , ba
s ta n d o lo e m ettendo gu ai p er la m alattia c h e v ea . La m oglie
d A m ello ode ch e A m ico, il quale v in se la b attaglia dA rderigo,
era lo n ferm o, scap igliata piangendo co lle lagrim e bagnava
A m ico e t era ta le il duolo ch e A m elio e t la m oglie facea c h era
una ten erezza a v ed erli. E subito g li fe ap p arecch iare una ca
m era fornita d i ci ch e bisognava e con du suol serv i rim asti,
d icen do A m elio ad A m ico: Ogni cosa ch e c* , tu a com e n ostra,
com anda e sarai ubbidito. B stando p er ta l m odo alquanto tem po
e sem pre in quella cam era e t in uno letto (A m elio dorm ia con
lu i) una n otte v en n e lan gelo G abriello e d isse : A m ico, dorm i ?
A m ico, ch e cred ea ch e fo sse A m elio, d isse : F ratllo , non. Lan
g elo d isse : B en h ai d itto, p erocch ti se latto fratello d ella ce
le ste gloria, e per sappi ch io sono Ih n g elo G abriello e t dicoti
c h e tu d ich i a A m elio ch e uccida li du su oi fig liu o li e t di q u el
san gue ti la v i e sarai gu arito. Am ico d isse : 0 an gelo di D io ,
non sia questo, p erocch per la m ia sa lu te non vo' ch e i fig li
u o li dA m elio m uoiano. L an gelo d isse: E cosi vu ole Iddio, e par
tissi. A m elio, ch e ha udito m olto p arlare e tu tto ha udito d ire,
d ic e : O A m ico, ch i era colu i con cu i p arlavi. A m ico d ice: N euno,
m a io d icea m ie orazion i. A m elio d ice: A ltri e r a , d im m elo; e t
u scito dal letto e cerca to lu scio d ella cam era q u ello trov ch iu so
e disse : P ia ccia ti dirm i ch i era q u ello ch e ti p arlava. A m ico ,
c h e v ed e ch e pur g li co n vien e d ire, con lagrim e grandi tu tto
d isse. A m elio, b en ch a v esse u d ito, d pi fede [ad] Am ico ch e
a l suo u dire, e d isse: Deh dim m i se lan gelo fu o se a ltri te i d isse.
A m ico disse: Cosi sia io oggi gu arito d ella lebbra com e lan gelo fu,
m a ben ti prego ch e in questa p arte ta le atto non facci, ch e io sono
assai con tento cosi stare. L evatosi la m attina A m elio e la donna
andata a lla ch iesa , ch era dom enica, lassati li fan ciu lli in n el letto ,
dopo m olte lagrim e g itta te A m elio sopra li fig liu o li, con uno
co ltello le v en e d ella gola seg loro e t in un vaso quel sangue
rico lse e [ad ] A m ico nand, e lavato, subito fu m ondo da ogn i
lebbra. V edendo A m elio gu arito, A m ico subito lo fe* v estire a suo
104 NOVENE DI GIOVANNI SERCAMBI

pari e t a lla ch iesa nandarono in siem e. E t en tra ti in c h ie s a , la


donna li v ed e e non sa qual sia suo m arito. Subito m ossa disse:
Qual d i voi m io m arito A m elio? e c h i laltro? A m elio disse:
10 sono lo tu o sposo e q uesti A m ico nostro fr a te llo , il q u a le
Iddio lh a stam ane libero d ella leb b ra, e t per godiam o e ren
diam o laud e a Dio, ch e h a liberato lo nostro fratello. La donna
allegrissim a d alla ch iesa si parte, e t a casa tornata dando ord ine
di fare grande festa, e posti a taula, d isse la donna: Deh lev ia m o
i n ostri fig liu o li ch e sien o a lla festa dA m ico nostro. A m elio, c h e
ci ode e sa quello ha fatto, d isse: L assali p osare e t noi pren
diam o p iacere. La donna d isse : P er certo eliin o denno sen tire
d ellallegrezza ch e noi sentiam o. A m elio di ten erezza p er non
pianger si lev a di tau la, m ostra di andare per alcu n a faccenda,
e t en trato in cam era trov li figliu oli in su l letto ch e b allavan o
avendo intorno a l collo una sega com e fu sse u n corallo rosso.
A m elio grid dicendo : V enite qua, am ici e paren ti, a fa re a lle
grezza, ch e Dio ha dim ostrato oggi du' cosi ev id en ti m ir a c o li,
luno di A m ico, laltro <U* m iei figliu oli. La donna co rse e t A m ico.
D isse la donna: Che n ' A m elio d isse ch e i fig liu o li erano r e
su scita ti e per ch e lu i li avea m orti p er la v a re A m ico co l
san gue loro. R ispuose la donna e d isse : 0 A m elio, poco am ore
m h a i dim ostrato ; e t p erch non m i ch iam asti quando v o lei u c
cid ere i m iei figliu oli, ch e io a v esse tenu to lo vaso p er rip a ra re
11 san gue, acci ch e A m ico fusse gu arito? A m elio d isse: D onna,
lodiam o Dio e t facciam o ben e p erocch ci ha dim ostrato cos c h e
noi siam o suoi servid ori. E restato ta li parole, in tesero a m an
g iare, e t non m olto tem po steo ch e a A m ico ven n e n o vella com e
la donna sua dal dim onio fu strangolata, p er la qual cosa, dopo
m olti beni ch e faceano, A m ico e A m elio v issero lungam ente e
quasi in un tem po m orirono e fim no sop p elliti in uno a v ello in
San P iero a Rom a, l ove noi q u ello potrem o ved ere.
DE FIDE BONA 105

26 .
[Trir., n 40].

DB FIDE BONA.

F u in n ella citt d i R om a, dove stasera sia m o , uno giudeo


nom ato Adam o, m olto in ten dente d ella sua leg g e e g i m aestro;
il qual dopo m olto tem po stato in R o m a , vedendo v en ire in
squadre re e gran sign ori e t altri ven erab ili e sa v i om ini a v i
sita re la corte di R om a, im m aginando fra s m edesim o Adam o
com e potea essere ch e ta n ti v a len ti om ini ven ian o a fere reve-
ren zia a l papa de* c r istia n i, e dopo m olto pensare fra s d isse:
P er certo, disse, questo capo d e cristian i d e essere gran fetto,
p o ich co s m antiene i suoi serv ito ri e cristia n i, e p er certo , se
io fe sse certo d ta l fe d e , v o len tieri q u ella ferrei; m a non soe
c h i d el vero m e n e sap esse d ich iarare, per ch e se d al san to o
da a ltri vo lesse da loro esser certo, loro p er non essere biasm ati
lo direnno ch e la fede loro fe sse p erfetta. E c o s , volen do io
esser certo di ta le cosa, m i con vien e andare a persona non so
sp etta, e non ci veggo persona ch e di ta l cosa m i possa fare
c e r to , se non ch e io nandr in n ella ch iesa di San P ie r o , e t
q u ella c h e i cristia n i chiam ano la v erg in e M aria, la q u ale prim a
trover in ta l ch iesa, q u ella dom ander ch e m i fa ccia certo di
q u ello h o e sospetto. E fatto questo proponim ento, la m attina le
v a to si n and n ella ch iesa di San P iero, e t [a ] una colonna d ella
d itta ch iesa v id e nostra D onna dipinta co l figliu olo in braccio, e
pens di v o ler dom andarla acci ch e fe sse certifica to d ella v erit ,
e c h i era q uello ch e ten ea in b ra ccio , e t po' dim andare nostra
D onna di p arte in parte, secondo ch e a lu i ser a lla dom anda
risp osto. E fatto ta l p en sieri, renduto alquanto riv eren zia a no
stra Donna, d isse in rim a:

Dimmi per tuo onore,


se ti piace, donzella,
o chi cotesta stella,
che di saperlo mi [si] strugge il core?

L a V ergine, sapendo il buon proponim ento di Adam o, per d argli


buono esem plo e t an co p er fare la fe di C risto p er lo d itto ado
ra re, e ad esem p lo di ch i v o lesse m ai ten ere il contrario e t a
106 NOVELLE DI GIOVANNI SERCMBI

esaltazion e di tu tti i cristian i, s'in clin di dare responso a Adam o


giudeo. E t alla dom anda di Adam o risp uose secondo ch e a le i fu
dom andato rispondere, e com inci a d ire:

Con tanto desidero


fai tua petizione,
che gi niente ti posso negare.
Or intendi il mistero
della responsione:
questi morendo f* te ricomprare.
E per me* satisfare
a tutto '1 tuo desio,
quest' il figliuol di Dio,
che prese carne di me per tuo amore.

U dita da Adam o giud eo la consolata e devota respon sione fatta


alla sua dom anda, e t essendo fatto ch ia ro ch e il figliu olo d ella
v erg in e M aria era figliu olo di Dio, volen do pi oltra sa p ere, d isse
ch e le i lo d ich iari se ta l figliu olo quel M essia c h e i g iu d ei
asp ettan o. E d isse :
Un fuoco in nella mente
il tuo parlar m'ha inisso,
donzella che mi dai pena e diletto.
L'anima doglia sente
e 'mpallidisce il viso,
e mi vien meno il debole intelletto.
Si uno m' sospetto,
ma piacciati, Maria,
dirmi se l' '1 Messia
promesso dalla legge e *1 salvatore.

La gloriosa V ergin e, vedendo g i Adam o a v er cred u to c h e *1 su o


figliu olo era Iddio, e t avendo udito la d olce dom anda se ta le Ora
M essia, p er farlo ch iaro, vogliendo a' su oi p regh i con d iscen d ere,
d isse:
La mente in alto leva
e lo spirito santo,
e Dio vedrai in questa carne unito.
Costui Adamo et va
e '1 mondo tutto quanto
cre eterno e infinito.
Quest che esaudito
ha di padre l'amore,
quest il Messi* che in carne
del sangue suo fu di noi redentore.
DE FIDE BONA 107

A d am o, ch iarificato d ella graziosa risp o sta , e certifica to il fi


g liu o lo d ella V ergine essere q u ello M essia ch e i giu d ei aspettano,
m a p er esser p i certo d isse se ta l figliu olo nato di vergin e,
q u a si a d ire: Tu a v ev i m arito quando ta l figliuolo p a rtu risti,
com e pu essere ch e di v erg in e nato sia? E dom andatala in
q u esto modo, cio ':
Quanta dolcezza sento
del tuo parlar, Maria,
di questo frutto tanto dilettoso.
Ma m parte pavento
perch di vergin dia
naso Le donzella ohe mai sposo (4).
Non mel tener nascoso,
lume nel cuor mi rende,
a la vittoria intende,
s ch'io ricognosca in mio signore;

la ex cellen tissim a v erg in e M aria, cognoscendo c h e Adam o g i


cred ea e l suo figliu olo essere quel vero M essia, e t avendo sen tito
i l sosp etto ch e prendea se ta le figliu olo era nato da v erg in e, p er
o n estare il figliu olo e t anco s, e p er certo ricordo d ella verit,
con v o ce su avissim a d isse:

Io son di Dio sposa,


in virginit santa,
che luce in me pi che stella serena.
Io son candida rosa,
in umilt tanta
che dir m'ha fatto: ave, grafia piena.
Parturi' senza pena
questo mio figlio (2) e padre,
e son vergine e madre,
e tutta son dell'eterno fattore.

C ertificato Adamo il figliu olo di Dio essere Iddio e q uello M essia


ch e i giu d ei a sp etta n o , e t esser nato di v erg in e per lo Spirito
S a n to , con devotissim o cu ore rendeo grazia in q uesta fo rm a ,
cio :
Tal' l'offesa grave,
ch'i t'ho fatto, donzella,
ch'io ti domando per grazia mercede.12

(1) Evidentemente corrotto. Cos nel ms.


(2) Ms.: figliuolo.
108 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

0 dolce vergin ave,


ave, lucente stella,
ave, reina fontana di fede..
Beato chi ti crede,
benedetto sia il frutto
che *1 tuo ventre ha produtto,
Cristo Ges, ch fior soprogni fiore.

La reverend a m adre di C risto, udendo la d olce rin graziazion e


ch e Adam o a vea fatto a Dio e t a le i, e ved u tolo disposto a farsi
cristian o e lassare la fede g iu d a ica , distendendo la m ano, lo
benedisse. A dam o, partitosi com e pi tosto p o teo , si fe' cri
stiano, viven do poi com e v era ce cristian o, e t fin li suoi d con
san tit.
DE CASTITADE 109

86.
[T iir., a 48].

DE CASTITADE.

A n ticam en te Rom a era rip ien a don este e t ca ste donn e, infra
l e q uali ch e in R om a fu sse nom ata di ca stit fu una venerabi
lissim a donna nom ata m adonna L ucrezia, b ellissim a e d i g en tile
sa n g u e rom ano n a ta , e m oglie di uno de' prncipi d elle m ilizie
d i Rom a nom ato B ruto. E ssendo ta le m arito e p rincipe andato
in serv izio del com une di Roma a con q uistare contro alcu ni ri
b e lli di Rom a, lassando la sua donna L u crezia in Rom a, d ivenn e
c h e uno nom ato L arino, figliu olo di T arquinio superbo, m aggior
d el dom inio di R om a, il q uale L arino avendo sen tito e t ved u to
la b ellezza di L ucrezia e saputa la sua on est, pens le i a v ere
p er am ore o v vero p er forza. E t con pi m odi pens v en ire a l
l'effetto d el suo p en sieri, e n ien te g li v a lea . E parendo a La
rin o lo indugio p en a , dispuose una sera di n otte en tra rg li in
ca sa e cosi fe'. Et preso un fam iglio di L ucrezia, il q uale con
B ruto era stato m olto tem po lealissim o e fe d e le , e t andato in
n ella cam era solo il ditto Larino, lassando il fam iglio in sa la a
guardia de' suoi fam igli ch e m enati a v e a , e p erch era figliuolo
d el sign ore di Rom a il ditto fante sta v a per paura c h e to , e
giun to in ca m era , L ucrezia d isse: L a rin o , ch e vu ol d ire ch e
di n otte a s fa ttora se ven u to a u na onesta e casta donna t
non m i pare ch e sia ben fa tto , e p ertanto ti dico ch e di casa
ti p arti p er lo tuo e m io onore. L arin o, ch a v ea m ali p e n sie r i,
m anim ettendola p er vo ler isforzarla, L u crezia dinegando in tan to
c h e L arino n ien te di sua in ten zion e pu a v e r e , e vedendo non
p oterla a v er p er quel m od o, fe* il fam iglio preso m etter in ca
m era e d isse: Or m intendi, L u crezia, q u ello ti dir. S e tu ac
con sen ti a m e , giam m ai ta l cosa non si appaleser. L ucrezia
d isse: Tu m u ccid erai prim a c h 'io a te con sen ta. L arino d isse:
Io ti dico, se non accon sen ti, io nuda in n el letto t'u ccid er , e
nudo a lato a te porr questo tuo fa m ig lio , e sim ile u ccid er ,
e t poi far d ire: Odi ch e Lucrezia', ch 'era ten u ta sopra tu tte le
donne rom ane casta, stata trovata col suo fan te in n el letto,
ab bracciati nudi, e t uno p arente di B ruto li h a am endue u ccisi;
e p er questo m odo ser vitu perata la tua fam a. E preso il fa-
110 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

m iglio p er isp ogliarlo, tenendo la spada nuda in m ano, L u crezia


pensa q u ello h a d itto e sim ile *1 suo buon nom e esse r perduto.
Non curandosi tanto d ella p erson a, quanto del suo buon n om e,
diliber a ccon sen tire con uno proponim ento assai terrib ile, com e
u direte. A vendo L arino auto p er ta l m odo L ucrezia e p artitosi,
L u crezia , sentendo c h e B ruto suo m arito avea avu to v itto ria
d'alquante b a ttaglie, a ccio cch non andasse pi avan ti, g li m and
a d ire g lip iacesse [V enire]. B ruto, ch e am ava L ucrezia quanto
s, pens: P er certo q u alch e difetto ar, e avuto lic e n z ia c i to r
n are, torn. E com e L ucrezia sen to c h e B ruto su o m arito to r
n a v a , subito v estita di bruno in n ella cam era l'aspett. B r u to ,
com e h i giun to a Rom a, and a l senato, notificando ch e [dopo]
la v itto ria e r a v en u to a R o m a , e t poi dom and (1) d'andare a
casa sua. L i p aren ti d i B ruto e q u elli di L ucrezia in g ra n m ol
titu d in e (per, cora ditto, erano de* m aggiri p rincipi di R om a)
giu n ti in sala, L ucrezia aperta la cam era e t di n ero v estita , con
uno co ltello nudo in m ano si pose contra a l m arito. Lo m arito
e li a ltri, vedendo L ucrezia in q u ella frm a, m eraviglian d osi d is
sero: Or c h e questo? L u crezia d isse: B ruto, m arito m io, la tu a
gen tilezza e nobilt non si de* a u n a m eretrice accostare. B ruto
d isse: C h e q uello oh e io t'odo dire? dim m i q u ello eh la ca
g io n e ch e ta li parole h a i d itte. L ucrezia con t tu ttoci c h e La
rino,- m alvagio uom o, g li a v ea fatto e il modo, p er l qusd cosa
ti d ir a te e a tu tti li m iei parenti e tuoi, p oich la m ente non
accon sen to a p eccare, ch e di q uesta m ente ven d etta fa ccia te, e
p erch la carn e neb b e alcu n o p iacere questa m ano n e fr la
ven d etta. E t con q uello co ltello in* n el p etto si d i per m odo c h e
subito m orta cadde. Lo m arito e parenti di L ucrezia, fa tti c e r ti
c h e L arino cosi a v ea fatto, e veduta L ucrezia m orta, subito ri
ch iesti loro am ici e p a ren ti, e t arm atisi a rom ore andarono a l
palagio di T arquinio superbo, l u trovarono L arino, e d atogli
m olti colpi l u ccisero, e poi il padre sca ccia to -di signoria d i R om a
con tu tti i su oi. E p ortai* m od o-L u crezia-fu ven d icato.

(i), domandato.
DB RE PUBLICA ili

87.
[Tri*., 43].

DB RE PU BU C .

P o ich abbiam o toccato d elle co se di R om a, ancora a l pre


se n te v o d ire, ch e essendo Rom a p er alcu n o loro p ecca ti com in
c ia ta a d im in u ire, apparve uno segno in su lla p iazza d i Rom a
con, , uno fuoco, il q u ale andava ardendo a poco, a poco la p iazza.
E ra .q u esto fuoco in form a d i una tana m olto profonda et; era
tonda com e uno pozzo, a l pari d ella terra., E t la fiam m a andava
m olto a lta e di continuo s a llargava, e t p er questo m odo s i facea
q u esta bocca m olto la r g a , non dim inuendo per il fu o c o , m a
sem pre m ultiplicando, in tanto c h e *1 popolo di R om a stim ava ( i )
p er questo fuoco p erire, e ch e Rom a a poco a poco ard esse tu tta.
E v en u te loro a str o lo g i, videno ch e q u el fuoco non dovea m ai
resta re se uno. spontaneam ente da s m edesim o arm ato a ca v a llo
in ta l fossa non si gitta v a . S en tito da ta li astrologi il m odo, su
bito uno nom ato Scipione, arm ato a ca v a llo in ta l lu ogo si g itt ,
e g itta to si il fuoco si r in c h iu se , e t p er questo m odo Rom a fa
lib era.1

(1) Ma.: stim ata.


112 NOVELLE DI GIOVANNI SERCMBI

28 .
[T rir., n* 44].

DB RE PUBLICA.
E ssendo Rom a assed iata da A nnibale a frica n o , e q u ello e s
sendo pi tosto atto a d isforia ch e Rom a a p otersi difen dere (1),
e t non avendo li R om ani potuto con trastare a lla potest di An
n ib ale, e non avendo fon ti darm i n soccorso aspettando, con si
gliandosi fra loro disseno: C he p artito prenderem o? voi v ed ete
Rom a assed iata e t di fam e oppressa, e t v ed etela in ta l term in e,
ch e n ecessaria cosa sar noi in n e lle m ani d el n ostro in im ico
m etterci. E t quanto a Rom a e t a noi torni onore voi lo p otete
com prendere. T anto a noi (2) pare ch e se or fo sse persona c h e
vo lesse m etter s alla m orte p er sa lv a re R om a, sarem m o d i
tanta p estilen zia lib eri. Et il modo ch e dovre ten ere sere*, c h e
con uno co ltello andasse in n el ca m p o , e t appressandosi a An
nibaie q u ello u ccid esse. U cciso il capo, g li a ltri varranno poco e t
per questo modo sarem o sa lv i. U dito ta l co n sig lio , subito m olti
si levaron o, in fra q uali fu uno chiam ato Form icone, e d isse c h e
quella opera far lu i. E ra, in q u el tem po ch e questo fatto si fea,
di verno, ch e stando A nnibaie a l fooco, con m olti baroni onorevol
m ente v estiti intorno a uno fooco, il p red itto F orm icone g iu n se
quine u erano li baroni, e non cgnoscendo A nnibaie, ved en d o
uno barone on orevole pi ch e li a ltri v e s tito , di q uel co lte llo
g li d i p er lo petto, e m orto lebbe. A nnibaie, ch e questo [v id e],
d isse: C he vu ol d ire questo? ch i se tu ? L ui d isse: Sono F orm i
cone rom ano, il quale p er lib erare Rom a h o u cciso A nnibaie e
non cu ro ornai m orire. A nnibaie udendo d isse : Tu non h a i m orto
A nnibaie, m a uno altro in suo luogo m orto h a i. F orm icone d isse:
B en ch m orto ora no sii, non potrai scam pare, p erocch pi di
m ille hanno d eliberato m orire per u ccid erti, se da Rom a non ti
parti, e p erch la m ano m ia fallo a non dare a te, e ne p atir
prim a la pena. E subito in p resenzia di A nnibaie e daltri q u ella
m ano in su l fuoco m isse e non m ai ne la lev ch e fin e a l b ra ccio
fo arsa. A n n ib aie, vedendo la costanza del rom ano e l o rd in e
preso tra loro, d isse: P er certo io d ella m orte cam pare non po
trei, diliberando p er q u ella volta col suo esercito ritornare. E
per questo modo Rom a fu dallassedio libera p er lo buono F or
m icone rom ano.12

(1) Ma.: e quella esser pi tosto atta a disfarla che Roma potersi difendere.
(2) Ms. : a me.
DE FALSO PEROIORIO 113

29.
[T ifo, a* 46].

DE FALSO PERGIURIO.

L i rom ani an tich i avean o p er costum e volean o ch e le loro


donne stessero caste, e t p er esser certi se ca ste fussero, ordina
rono p er loro a rti e m aestria una m a cin a , la quale a rea tal
v ert , ch e quando una donna a v esse fallito a l suo m arito e posta
la m ano in su lla m acina, com e giurato avea e giu rasse il falso,
la m acina v o lg e a , e t se giu rava il vero la m acina stava sen za
v o lta rsi. D ivenne ch e una giovane nom ata F io rin a , m oglie di
u no rom ano ch iam ato P ir u c o , ella sinnam or di uno giovano
rom ano nom ato Sodo, e t ven u to a com pim ento il desiderio di
F iorin a d 'aver saziato pi v o lte la p arte di sotto con S o d o , e
p erch ta li co se non si puonno sp esse v o lte fare ch e non si
sen ta , fu e sen tito p er P iru co, m arito di Fiorina, ch e lla si fo llia ,
m a non sapea con cu i; p er la qual cosa P iru co , costretto dal
su o onore, diliber d 'accu sare la donna e t di m enarla a lla m a
cin a . E t com e diliber m isse in effetto, ch q uella accu s (1 ) da
to g li term in e a com parire ; per F iorin a parl con Sodo, dicen
d ogli: A m e con vien e esser condutta a lla m acina e tu sa i ch e
io pi v o lte h o avuto a fare teco, per ti prego m i d con siglio
a l m io scam po, a ccio cch vitu perosam ente io non sia arsa. E t
s e v o lessi d ire: A ndiam ne con Dio, ti dico ch e q uello fare non
s i pu, p erocch io sem pre [tem o] (2) le gu ard ie d ella g iu stizia .
Sodo le d isse: F iorin a, io p er m e non so tro v a re m odo di po
te r ti scam pare. F iorina, ch e a v ea trovato il m odo a con tentare
la su a v o g lia , d isse a Sodo: 0 S o d o , se tu vorrai fare a m io
sen n o, io penso sa lv a re m e e *1 m io onore. Sodo d isse: Comanda
e t io il for. F iorina d isse: F arati m atto, e t quando io sar m e
n a ta alla giu stizia d ella m acina, e tu v ien i e t abbracciam i e ba-
scia m i e t poi ti fuggi, e cosi farai pi v o lte, e poi lassa fare a
m e. Sodo, ch e g li vo lea bene, subito fe' v ista d 'essere am m attito e t 12

(1) Ms.: accusata.


(2) Qui manca evidentemente una parola nel ms., e credo di non esser
andato lungi dal vero suggerendola.
*14 NOVELLE DI GIOVANNI SSRCAM9I

p er Rom a andava facendo le m atte co* panni stra ccia ti voltan


d osi p er lo fango, e tu tto ci ch e u n vero m atto facea il Sodo
co si facea. In tan to c h e p er tu tta R om a Sodo era p er m atto te
nuto , e b en ch dim ostrasse m atte tanto, a niuno fa cea m ale.
V enuto il giorno ch e F iorina m enata a lla m acina, Sodo, c o n fe lla
u scio di casa accom pagnata d alla fam iglia e da alqu an te donne,
s e g li accost, e t ab bracciolla e b asciolla, e p artissi subito. E com e
fu andata alquanto Sodo u scito duno ca n to n e d corsa, si m isse
tra la fam iglia e t abbracci P ierin a e b asciotta e foggio B con
d otta F iorin a dinanti a lla S ig n o ria , em endo la m agm a p resen te
e sim ile P iru co su o m a rito , prim a o h e dakam a cosa te s se do
m andata ven n e Sodo, e passando tra om o e t om o and dovera
F io rin a , e t in p resenzia d ella Signoria e di P im e o ab bracci F io
rin a e b asciolla e fo g g io . E stando F io rin a d in an ti a l g h id fa e ,
dom andato P iru co c h e v o lea d ire d ella m o g ite, P ir u c o dism
c h e lla avea au to a fare e o o altro om o c h e seco . Lo g iu d ice dice:
F iorin a, odi tu q u ello c h e tu o m arito d ic e! So d ici d i n o , e la
m acina n el m ostra, non av ra i a lcu n a rem ission e, m a p resen te
a l fuoco sa ra i menato e q u ia la tu a persona serir a rsa : sa d te i
la v erit , q u alch e rim edio p o trai a v ere a l tu e scam po. F iorin a
d ice: S tesser lo m io m arito pu d ire c i c h e v u o te e t io san qui
dinanti da v o i p er ubbidire v o stri com andam enti. Lo g iu d ice
d ic e ; F iorin a, m etti la m ane in su lla m acin a e giu ra so a ltro
om o ch e il tu o m arito t h a to cca e d i te a v u to p ia cere. F io rin e,
m essa la m ann in su lla m acin a, d isse: Cos m i scam pino l i no
stri d ii, com e a lle m ie ca r n i n a m e sa cco st m ai person a a ltri
c h e l m io m arito e q u el inatto eh e in vostra p resenzia m i abbracci
e basciom m i. E fatto il sacram ento, la m acina n on s i m osse, ma
salda steo. Lo g iu d ice, c h e non com prese i l m otto, liber F iorin e,
dicendo & P iru co ch e la su a donna era ca sta e m a n tella a casa.
L i d ii, ved en d o ch e la m acina era sta ta p er m alizia d i F iorim i
vitu p erata, da q u ellora m anti la v e r t c h e prim a a v ea p e n te *
n m ai ta le v e r t s i riacq u ist.
DB ABtORfe ET CRUDELIAt 115

30 .
[Trir., n* 47].

DE AMORE ET CRUDELTATE.

N ella citt di Rom a a l tem po di G iulio C esare fu u na donna


n om ata T u llia , n ta di g en tile san gu e e d'ardito c u o r e , essen
d o si m aritata a uno g en tile om o d i Rom a nom ato Pom peo. E
m lto tem po stata la d itta T u llia co i m a r ito , v iv en te il padre
d i le i, essendo g i v ec ch io , d iven n e c h e *1 d itto Pom peo di na
tu ra i m orte m orio. T u llia d ogliosa, veggend o il m arito m orto e
1 padre v ec ch issim o , com e donna r e a le , v o lse ch e suo m arito
P om peo in su un carro fu sse portato a farne cen ere, com era di
u sanza d e p rincipi di R om a, e p erch il padre di T u llia era
v ec ch issim o , p er p i onore d el m arito d ilib er T u llia rom ana
c h e il carro, sopra il q ual era il m arito, andasse sopra il dosso
d e l p a d r e, e t co s segu io ch e il padre di T u llia rom ana fu
m orto p er onorare Pom peo suo m arito. E per p otete com pren
d e r e quanto T u llia Ai sa v ia a m ettere il padre v iv o p er lo m a
r ito m orto.
116 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

81.
[Trir., a 48].

DE RECTO AMORE ET GIUSTA VENDETTA.

P rim a ch e C risto in carn asse in n ella v erg in e M aria, era io


Rom a uno im peradore nom ato A d rian o, il q uale av ea u n a su a
fig liu o la gran d e donzella nom ata I s ifile , la qual lo m p eradore
ten ea in una b ellissim a torre d i n o tte e t alcu n a v o lta di d ie ,
quando ella non u sca fuori di casa, c h m olte v o lte andava p er
suo spasso p er R om a. A vven n e ch e in q u el tem po V erg ilio p oeta
fu scacciato di M antova, e arrivato V ergilio p oeta e gran m ae
stro in a rte negrom ante a Rom a, e quine dim orato m olto tem p o,
vedendo un giorno Isifile e piacen dogli, e t essend o d el m ese d i
m aggio, s'innam or d i le i p er m odo, ch e non m olto tem po ste o
ch e a Isifile fe' d ire il b en e ch e a le i v o lea. E dopo m olte pa
role , Isifile p er ingan n arlo risp uose ch e era con tenta d 'accon
sen tire a lla volont di V erg ilio , m a non ved ea m odo ch e a le i
andare potesse se non a uno modo e q u ello era assai fa tico so , m a
pure pensava ch e fatto verro'. E il m odo era q uesto, ch e e lla ,
ch iesto licen zia a l padre da v ere suso in torre uno ca n estro d i
rose, V ergilio in q uello can estro di ro se m irare dovea e t lu i ti
ra re suso, e prenderenno loro p iacere, e dopo p er q u ello m ede
sim o m odo si ritorner'. E ta le risposta a V ergilio m and. V er
g ilio , ch e l'am ore a vea in le i a c c ie c a to , con tento d isse ch 'era
p resto a en trare in n el can estro e t ella su lo tira . O rdinata la
cosa, V ergilio in n el can estro entr, coperto di rose. Isifile falsa
tir V ergilio fino al m ezzo d ella torre e t quine tu tta la n o tte
fino a l m ezzo di lo lass pendente. V ergilio, vedendosi in gan n ato
e non ved ersi andare n su n gi, e stato tanto tem po, pi v o lte
p er disperazione d el can estro v o lse u scire e lassa rsi ca d ere; m a
l'anim o suo facendosi forte di siffatto fallo p er Isifile com m esso a su o
tem po ven d icarsen e, se n e risteo ch e d el can estro non u scio. Isifile
m alvagia avendo fatto sten ta re V ergilio quindici ore, parendogli
tem po di lu i vergognare, m andato per lo m peradore suo padre, a
lu i venendo disse: 0 padre carissim o, vendicam i d ella vergogna c h e
a m e stata voluta fare da uno m alvagio. Lo m peradore d isse :
Chi stato tanto ardito ch e la figliu ola d ello m peradore ab bia
voluto vergognare ? Isifile d isse : P adre carissim o, avendom i v o i
DE RECTO AMORE ET GIUSTA VENDETTA ii7

dato licen zia ch e uno can estro di rose p otesse in n ella torre
tira re, uno V ergilio m antovano, ingannando (1 ) q u ello ch e le rose
a r r e c a v a , in n el can estro en tr e coperto di ro se suso lo feci
tira re, e t vedeudo io ch e m olto p esa v a , quando a m ezzo .d e lla
to rre fu ^ tirato, considerando le rose tanto non dover p esa re ,
fattam i a lla fin estra d ella torre, V ergilio vid i, e t io ci vedendo
fe r m a i la fune a ccio cch vo i, padre, lo possiate ved ere e di lu i la m e
^quella g iu stizia ch e m erita. Lo m peradore, fattosi a lla fin estra,
v id e V ergilio, e subito fattolo andare g i e m esso in n elle pri
g io n i, dopo m olta d eliberazion e fu d eliberato c h e V ergilio m o
r is s e . E ven u to il giorn o ch e V ergilio m orir d ovea, fitto g li noto
da m orte, subito V ergilio con una sua a rte, essendo m enato a lla
g iu s tiz ia , a uno suo fam iglio si f portare uno bacino p ieno
dacq u a e t quine m essovi la faccia d isse: C hi V erg ilio v u ol tro
v a re , a N apoli lo vad a a cerca re: e t subito d alli sp iriti m align i
i p reso e m esso in N apoli. Lo m peradore, ci sentendo, m era-
v ig lio ssi (2) d ello scam po di V ergilio. E non m olto tem po ateo
V e rg ilio ch e d el fallo com m esso p er Isiflle si v o lse v e n d ic a r e ,
c h subito p er arti f ch e in Rom a foco non si trovava n per
^alcun m odo a rreca re n fare se n e potea. V edendo lo 'm pera-
d o re questo e t essendone estim olato dal p op olo, dicen do: N oi
p eriam o e siam o costretti abbandonare R om a se m orire non v o
gliam o, lo m peradore non sa q uesto fatto unde proceda e n ien te
risp o n d er V ergilio, ch e tu tto sa, m and a d ire allo im peradore
ch e m ai in Rom a non ritorn er foco se non di q u ello ch e dal
c u lo dIsifile sua figliu ola si prendesse, notificando, se neuno ad
a ltr i d i ta l foco d e sse , c h e il suo e *1 dato si sp eg n ere. Lo
m peradore, veggendo il popolo rom an o, d ilib er , posposta ogn i
v erg o g n a d ella fig liu o la , c h e lla a lla piazza com une fosse co l
c u lo nudo a lza ta , e t ch i volesse d el foco con bam bagia, panno,
-stoppa, andava e t a l culo, d is i file lo ponea, e di p resen te il foco
s a p p ren d ea , e p er q uesto m odo con ven n e ch e tu tti q u elli di
R om a, m aschi e fem m ine, ved essin o il cu lo a Isiflle, p erch non
v o lse ch e V ergilio g lie l ved esse. E t co s (u isvergogn ata le i e lo
m peradore ch e m al pi om ini.12

(1) Mb.: digannando.


(2) Ms.: meravigliandosi.
Al# NOVELLE DI aiOVANtfJ SBRCAMBf

82.
[T iii., 49J.

DE PR U D EN TI* IN QONEILUS.

N el tem po ch e R om a [si] reg g ev a a se n a to , prim a ch e a ltra


le g g e si facesse, q u elli ch era no di co n siglio m en avan o, quando
erano rich iesti, a* con sigli li loro fig liu o li p erch li p rovassero (i)>
com e m olti m atti oggi fanno, ch e vorrenno ch e uno suo fig liu o lo
di tr e o quattro anni stia in banca a sed ere con om ini v e c c h i.
E t quanti n e sono stati e sono in n ella nostra citt di L u c c a ,
ch e a ogni ora, quando seranno rich iesti in palagio a stretti con
sig li, vin er uno fa n ciu llo , ch e d ir : B abbo, io vo* ca ca re! E t
essend o il padre a l con siglio str e tto , dir: A sp ettate fino ch e i*
h o p en a to a ca ca re il m io figliu olo. E p er questo m odo i com un i
sono co n sig lia ti. D ivenne uno rom ano nom ato S im o n e, a v en d o
uno suo figliu olo nom ato M erlin o, avu to da una sua donna no
m ata m adonna C icogna, questa (2) di continuo dal figliu olo v o lea
sap ere q uello c h e in n e con sigli di Roma sera fa tto , [ e t ] lo
fan ciu llo tu tto d icea. A vvenn e uu giorno ch e 1 d itto S im one fu
rich iesto p er istretto con siglio fu sse a p alagio. Sim one, con M er
lin o suo figliuolo, and a l con siglio, e q uine p raticato a lcu n a co sa
m olto secreta , fu per lo sen ato ordinato!, acci ch e spandere ta l
secreto non si potesse, ch e ognuno giu rasse, sotto pena d ella te sta ,
ch e il con siglio non s ap paleser. E ta l sacram ento fu dato dal (3 )
padre di M erlino. M erlino fan ciu llo, udendo il com andam ento e
vedendo il sacram ento fa tto , subito si puose in cu ore d i n on
dirlo alla m adre. Et licen zia to il con siglio e M erlino tornato a
casa, m adonna C icogna su a m adre dom andando M erlino ch e s'era
fatto in co n sig lio , M erlino d ice: M ad re, e non sosa d ire. L a
m adre d isse: lo lo vo da te sap ere. M erlino d ice: M adre, non
vo g lia te sa p e r e , p ero cch da m io padre stato dato in sa c r a
m ento, sotto pena d ella te sta , ch e il con siglio non s ap p alesi, e
p ertanto io non v e l d irei m ai. M adonnna C icogn a, ch e h a e la
volont b estiale, d isse: 0 tu m e lo di , o io ti b atter p er m od o 123

(1) Mb.: provassi.


(2) Mb.: la quale.
(3) Ms. : a l
DB PMTDBNm IV C0NUUI8 149

m al d irai. M erlino -disse: M adre, v o i la v e r e s te am are la v ita di


S im en e vostro m arito. P er oerto se q u esto co n sig lio 'appalesa,
lu i condannato a lla m orte e t p ertanto io non v e l d ir (1 ). Ma
C icogna, ette poco si c a r a d el m arito, p er ad em p ire il ano d eso ,
p rese M erlino e t con una sferza lo b att, e n ien te da lu i pu sa
p ere. U ltim am ente ved en d o m adonna C icogna ch e p er q u el bat
te r e non p otea sa p ere il con siglio, spogliando il figliu olo, d isse (2):
O io t u ccid er, o tu il con siglio m i d irai. E com inciano a b at
te r e frtem en te. Lo fa n ciu llo sostien e- M adonna C icogna non
resta , m a m ultipU cando tanto c h e san gu e p er tu tto v ersa , d icen
d o g li: Io ti co n seg n o v en d ere; M erlino, c h e non pu p i soste
n ere, d ic e : M adre m ia, p oich io veggo la vostra v o lo n t , v i
p rego c h e p er am or d el m io padre non dobbiate il con siglio ap
p a lesa re; io v e l dire. E la m adre d ice: D im m elo. M erlino sa v io
d ice: Il sen ato h a d ilib erato c h e ogni (3 ) rom ano debba pren
d ere tr e m ogli p er m u ltip licare il populo. B en v i d ico ch e q u esto
teg n a te secreto . La C icogn a, com e p i tosto p o te o , ritrovatasi
con m olte cicogn in o, ta l co n sig lio narr. B tanto fu lo d ire, c h e
p i di seim ila donne assiem e si trovaron o, deliberando an dare
a l sen a to e t d ire c h e ta l con siglio non p iacea loro. B t co si in
siem e a l sen ato n andarono, e fecero m adonna C icogna cap orion e
dan dare, com e m aestra, dinanti a l senato. E cosi in torm e, com e
le pecore sen zo rd in e , q u elle cico g n in o , segu itan do la cico g n a
m aggiore, g iu n te le donne rom ane a l palagio d el sen ato di R om a,
m andolino a d ire c h e volean o a l co n sig lio p arlare. E ssendo g i
com m ossa tu tta Rom a, om ini e donne, p er sen tire q uel c h e v o lea
d ire lo raunam ento c h e fatto a v ea m adonna C icogna co lla ltr e
cicogn in o, giun to il con siglio in p alagio, Sim one, m arito di m a
donna C icogna, d isse: 0 sen ato, c h e vu ol d ire questo? Il sen ato
e la ltro con siglio disseno: N oi non sappiam o. E raunato il con
sig lio , diliberonno m andare a d ire a q u elle sm em o ra te, ch e a
p i d el palagio grid avano desser u d ite , e t andato uno ca n cel
lie r i a d ire loro q u ello voleano, d isse la m aestra d elle poco sa v ie:
N oi vogliam o sa p ere, cb il senato e l su o con siglio h a fe tte
le g g e ch e debbia esse re nostro danno, e vogliam o sap ere p erch .
Lo ca n cellieri, avu ta la im basciata, e t a l sen ato e t a l co n sig lio

(1) Mb: direi.


(2) M.: dicendo.
(3) Mb.: per ogni.i
120 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

[riferito ] d i q uello ch e le donne poco sa v ie rom ane avean o ch iesto ,


disseno ch e p er loro si m andasse. E t co si il ca n cellieri and a
loro e d isse c h e a l sen ato andassero a d ire la loro ragion e e c h e
v o len tieri seranno u d ite; m a p erch n el palagio non p otreste
cap ire, ta n te se te q u elle c h e la volont pi ch e la ragion e v 'h a
m osse, b en e c h e alqu an te n e la scia te co llo erro re loro ch e non
vegnano. M adonna C icogna d isse: V oi d ite b en e, e t elesse di
q u elle c h e com e le i avean o il cu ore m agnanim o a p oter non
d ie uno om o saziare, m a m olti non baster' loro. E t con ard ore
giunseno a l sen ato e t a l co n sig lio , dicendo prim a m adonna Ci
cogn a e t poi rafferm ando la ltre in questo m odo: Senato e v o i
d el con siglio, a noi ven u to a n otizia c h e non m lti g io rn i
ch e ord inaste in con siglio ch e ciascu n o rom ano possa e debbia
pren d ere tre m ogli, qual pi g li p iace. E pertanto noi a q uesto
con siglio non fum m o rich ieste e t per la leg g e fatta non v a le ,
e se p ur v o leste u dire le ra g io n i, v i dichiam o ch e non ta n ti
om ini ha Rom a ch e la sesta p arte d elle donne rom ane con ten
tassero loro volont, appieno le donne p asciu te non si troven no.
E p ertanto v i dichiam o, ch e se i n ostri m ariti desiderano a v er e
tr e m o g li, e di questo non n e sanno ren d er ra g io n e , ora ch e
siam o in n el con siglio d ich ia m o , ch e a noi n e siano ta n ti con
ced u ti di m ariti ch e abbastanza c i abbiano co n ten te. E p er q uesto
modo crescerete R om a di g en ti d'arm e pi ch e se i n ostri m ariti
prendesseno tr e m ogli p er ciascuno. Lo sen ato e *1 con siglio,
udendo p erch le donne rom ane avean o fatto un tal raunam ento
e t udendo d ire ch e d i ci p er lo sen ato s'e r a d ilib era to , riv o l
tisi a m adonna C icogna d issero (1) ch e '1 con siglio v o lea sa
p ere da le i onde avean o ch e ta l con siglio era stato fa tto , m e
ravigliand osi ch e le i ta l con siglio possa a v er saputo. M adonna
C icogna d ice: M erlino m io figliuolo l'h a ditto. Il sen ato e t con
sig lio , str etti in siem e con S im one, padre di M erlino, dicendo
c h e vo lea d ire questo, Sim one d ice n ien te sa p e r e , m a m an
d isi p er M erlino e tu tto dir. Lo senato subito m and p er
M erlin o, ch e il giorno, p er esser ito a lla sc u o la , il padre a l
con siglio non iavea m enato, e t questo fece p erch ta l co n si
g lio non fu con ordine. V enuto M erlino a l sen ato e t a l con
sig lio , e d ittogli quello ch e la m adre a v ea d itto d e m ariti tr e ,
M erlino ridendo d isse: Io v i dir tu tto. E raccon t a l sen ato c h e 1

(1) Ms.: rivoltoti.... disse.


DE PRUDENTIA IN CONSILIIS 121

la m adre v o lea ch e a le i d icesse q u ello c h e in n el co n sig lio era


fatto, e dopo m olte b attitu re e sa n g u e versato, vedendo la su a
v o lo n t , p er non ap palesare il v ostro s e c r e to , d elib erai dire
eh* ora d ilib erato c h e ogni rom ano tr e m ogli potesse prendere,
im prom ettendom i di non dirlo a persona. Ora veg g o ch 'ella a
tu tta R om a l'h a p alesato; non c h e a Rom a (1 ), m a a tu tto *1
m ondo m ia m adre T are ftto p alese. Lo senato, vedendo il senno
d i M erlin o , e sapendo la r a g io n e , in presenzia di q u elle m at-
ta cce d issero : E t noi d elib eria m o , ch e non pi c h e una se n
possa ten ere, p erch veggiam o ch e, [se ] m al se n e con tenta una,
m al se n e contentare* tre. L e donne gridarono: V oi d ite v ero ,
e ciascu n a di noi tu tto *1 d il prova, ch e i n ostri m ariti a l d e
cim o non ci contentano. E p er a ltro m odo n e con vien talora di
vivan d e stra n e l'app etito [sa zia re]. L e cicogn e rom ane con ten te,
rim aso e l sen ato e l con sglio, d issero: O co n sig lieri e v oi sa v i
ro m a n i, quanta confusione h a ricev u to o ggi R om a, e solo p er
ap p alesare a lle donne le co se secreto ! E t p ertanto b en e c h e
s'ord ini ch e in n el con siglio neuno en tra re p o ssa , n esser m e
n ato, se ta le non fu sse rich iesto . Ma p erch M erlino stato
sa v io e h a sosten u to torm ento, possa, sen za esser rich iesto , in
n e 'c o n sig li in tr a r e , e t a tu tti li altri sia ex p resso com anda
m ento di non en tra re. E t co s ferm c h e neuno, il q u ale non
fo sse rich iesto a l con siglio, in q u ello in tra re non p otesse, sa lv o
M erlino.1

(1) Ms.: in Roma.


122 NOVELLE DZ GIOVANNI 8HICAMBI

38.
[T ifo, a* 60].

DB FALSITATE MUMERIS.

A l tem po ch e A lexan d ro sign ore d ei tu tto regnava, prim a c h e


C risto incarn asse, ebbe il ditto A lexan d ro p er suo m aestro u no
filosofo, m aestro di filosofia, nom ato A ristotile, il q u ale am m ae
strando A lexandro pi tem po ateo con lu i. D iven n e c h e il d itto
A lexan d ro p rese per m oglie una donna barbara b ellissim a e g en
tile, lo cu i nom e fu chiam ata m adonna O rsin a , e t co stei p rese
sen za ch e m ai A lexan d ro ved u ta la v esse, e t m enatala, A risto tile,
com e la v id e, com prese questa m adonna Orsina essere di com
p lession e m olto cald a e t lu ssu riosa e t ta g a deUom o. A lexan d ro,
c h e giovano era gagliard o e di cu ore g en tile, ved en d o m adonna
Orsina b ellissim a, co le i pi ch e a tanto sig n o re non s i oon ven ia
usava, e t e lla pi s'arrend ea in tan ta c a ld e z z a , ch e in m en di
uno m ese alquanto A lexan d ro fu d ella persona Indehillto. Ve*
dendo A risto tile q u ello ch e A lexandro, p o ich la donna p r e se ,
era d iven u to, subito parl ad A lexandro d icen d o: P o ich tu m i
h a i ele tto ch e io tu o m aestro e gu id atore d ella san it e t buoni
costum i [sia], ti d ico ch e non voglio, p er sa zia re q u ella co sa oh e
m ai saziare non si pu se non com e lo infern o ch e m ai non s i
d e saziare, tu v o g li p erire e tu tti i tuoi sottoposti teco p erissero .
E pertanto, o ltra li a ltri con sigli ch e tho dati, ti do questo c h e
de lu ssu riare tan ta lussu ria fare non debbi, n vo g li p ren d ere a
con ten tare (ci] c h e m ai con ten tare si p otre. E tu , com e sa vio,
ornai p rendine il m igliore. A lex a n d ro , ch e m ai dal co n sig lio d i
A ristotile non si p a rtio , colla sua n con a ltra donna usava se
non per modo ch e a lu i alcu n m ale fa r non p otea. M adonna
O rsina, ch e ved e ch e A lexandro avea restato il ca v a lca re sen za
sproni, d isse: M essere, p erch sete restato di non ca v a lca re com e
di principio m e ca v a lcasti? e qual cagion e v e n h a rim osso ?
A lexandro disse: Donna, io sono principe d el m ondo e t h o a com
b a ttere e t affannarm i in co se darm i, e con vien m i tu tte le m ie
b rigate rin fran care, trovandom i d eb ile parenno p ecore e t io con
loro. M adonna O rsina d ice: Come, non era v a te v o i, quando m i
m enaste, p rincipe com e ora? e di ca v a lca re sen za sproni non
resta v a te d e n o tte, e t ora pi giorn i d ella settim an a m e n e
DE F4LSITATB m d u b r i s 3 3

fa te p a tire difetto, A lexan d re dice? Bornia, sem pre h o volan te


v iv e r e p er co n sig lio de' sa v i e t pertanto h o trovato o h e m entre
c h e io m i sono atten u to a l con siglio dA risto tile filosofo e m io
m aestro, sem pre ra co lto bene, e p er tanto ora lu i m 'ha d itto
questo modo teglia, e dinoti o h e se altro o n ien te vorrai ch e io
(accia, tu sera i m eoo in contum acia. M adonna O rsina ta c ette a
n ien te d isse e t pens q u ello A risto tile pagare p er lo Dallo oh e
le p area ch e a v esse com m esso, e t ord in ch e u na su a cam eriera
giovan a e b ella nom ata V io to andasse ad A risto tele in n ello stu d io,
o v vero in n ella sua cam era, la qual era in n el palagio d'A lexandro,
com andandogli o h e a n ien te con sen tisse e t A ristotile, m andando
buone p arole, lo fa cesse en tra re in ru zzo, com e talora en tran o
q u esti v ec ch i, ch e q u ello c h e non puonno (a re si diceno. E co si
com and m adonna O rsina a V iola m aestra d e G usm ini (1 ); d isse :
M adonna, lassate fare a m e. P en sa ora, letto re [e ] voi ch e u d ite,
quanto sen n o fu q u ello d 'A ristotile a e sse r condutto a u na ea*
v estrella , ch e anco g li sapea la cam icia di piscio^ com e a m olte
og g i se n e trover! V iola, avu to d alla im p eratrice, cio da m a
donna O rsina, il com andam ento di ubbidirla e co n sen tire, en trata
V iola in n ella cam era dA risto tile con m otti d'am ore salutandolo,
A risto tile m aravigliandosi d isse o h e vo lea d ire. V iola d isse :
M essere, io sono ven u ta a v o i a im prendere a lcu n o am m aestra
m ento m en tre oh e m adonna O rsina dorm e. A risto tile, lassato lo
studio, disse: 0 p erch tu anco non d o rm ii V io la : P erch il
m io dorm ire non sere' u tile n a m e n ad a ltri. E questo d icea
con un vezzoso parlare, quasi ridendo. A ristotile, c h e v ed e co stei
b ellissim a e so la tan to p arlare vezzosa, sen za sospetto s i com inci
a riscald are, b en ch poco caldo a v ere p otea, e p erch era m olto
d i tem po, pur la im m aginazione e l'u d ire V iola con d olci m otti
p arlare lo Iacea esser voluntaroso e v o lsela p ren d ere. E lla, com e
am m aestrata e m aliziosa, reggen d olo g i preso, d isse: O A risto
tile , io so e veggo ch e v o i m 'am ate e t ogn i cosa fo reste p er m e
e t io co si Darei p er v o i, m a io sono sta ta tanto a n o v ella re con
v o i ch ' l ora ch e io debbo esser appresso a m ia donna ven u ta ,
e t p er a v a le non posso il vostro e t il m io v o lere ad em p ire, e
pe$ p iacciavi sta re con tento, e t in segn o di buono am ore q u esto
v i posso fare c h e h n bacio v o i m i date, e se il tem po il p a tisse
io fo rei il vostro e '1 m io vo lere, ma penso c h e m adonna si vorr

(1) Cos nel ms.


124 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

lev a re. A ristotile, ch e ode, tu tto desideroso s'accost a V iola e


subito ode grid are d icendo: V iola, v ien i a m adonna. V iola d ice :
A ristotile, lasciam i, e dom ane ser qui a v oi e darem o l'ord in e
a tu tto. A ristotile, accostatosi a V iola, e b asciatola, V iola si p arte.
A ristotile rim ane con alleg rezza , sperando d are com pim ento a l
d esid erio. M adonna O rsina, sen tito da V iola tu tto l'ordine dato,
d isse a V iola : V iola, farai dom ane q u ello ti dico. T u andrai ad
A risto tile e d irai ch e tu sii con ten ta ch e e g li abbia a fere con
teco , m a d ig li ch e tu tte q u elle d el tuo san gue, prim a ch e sian o
sta te svergognate, hanno cav a lca to d ieci passi q u ello ch e prim a
h a a Care con loro, e t io far arai una sella e t una b rig lia e con
q u ella accon cierai A ristotile e darai l'ord in e d 'esser con lu i in
n el giardino d irieto a lla m ia cam era, dicendo ch e quando io sono
a dorm ire ven ga, e tu a llo ra g li m etterai la sella e la b riglia et
m onterai a ca valcion i e cosi lo fo andare d ieci passi. V iola, c h e
od e m adonna O rsina, d isse: M adonna, io sapr tu tto Care, e penso
condurlo co lle m ie parole a fare ci ch e io vorr. Lo giorn o
seg u en te m adonna O rsina fe* A lexandro rich ied ere c h e g li pia
cesse v en ire a lla sua cam era dopo d esnare, ch 'ella vo lea alq u an to
seco p arlare. A lexandro, au ta lam basciata, d isse c h e v o len tier i
andare* non sapendo la cagiono. M adonna O rsina, essendo c e rta
ch e A lexandro d ovea a le i ven ire, d isse a V iola ch e andasse a
forn ire lam basciata con A ristotile. V iola subito and in cam era
ad A ristotile e d issegli ch e al tu tto era disposta di fare la su a
volont, m a tanto g li v o lse d ire ch e se lu i a v ea l'anim o di os
serv a re lo costum e d el suo lignaggio e lla star con tenta ch e sec o
u si, altram en te non p oter n eg li n a ltri da le i a v er effetto .
A ristotile d isse : Che costum e hanno li tu oi ? D isse V iola : C he
co lu i c h e prim a svergogna neuna di noi de' essere prim a d ie ci
p assi cavalcato e poi h a (1) di noi p iacere. D isse A risto tile:
C otesto for io b en e; ma com e avrem o sella e briglia? D isse
V iola : Io prender q u ella ch e m ia m adre adoper la prim a
v olta ch e coll'om o si con giun se. A ristotile d isse : F a lla p resta.
D isse V io la : Io l'ho m essa in n el g ia rd in o , ch e o ggi quando
m adonna d orm ir, v i voglio dare p iacere. A risto tile a lleg ro
d isse e t ordin ci ch e bisognava. V enu ta l'ora, A lexandro and
a m adonna O rsina e t in cam era con le i trovossi. V iola and
ad A risto tile dicendo : Ormai tem po. A ristotile desideroso and 1

(1) Ma.: anno.


DE PALSITATE MUUERIS 126

in n el giard ino. V iola, ap parecchiata la sella e la b riglia e m es


sala ad A risto tile e sn salendo, V iola com inci a la re i passi.
M adonna O rsina, ch e di tutto era am m aestrata, prendendo p er
la m ano lexandro, g li d isse : Io v o g lio m ostrare A ristotile quanto
sa co n sig lia re voi ch e m eco non u sia te se non a punti di ste lla
e lu i ogni ora ta l m estieri cerca di fe r e , e p er pi ave* su o
a g io con V iola in n el giard ino si riposa : andiam olo ved ere. A-
lexan d ro, ch e q uesto ode, and in su l p ortico e vid e A ristotile
esser da V iola ca v a lcato. P arendonegli m ale, d isse: A r isto tile ,
V ' il sen n o tuo ? A risto tile, ch e ode la v o ce d'A lexandro, a lz
la testa e v id e lexandro e la donna e d isse : Il m io senno
in n el cu lo di V iola; e subito lev a to si p er vergogna d ella terra
si parto e and in una citt dovera uno sig n o re nom ato Cosma],
il q u ale, com e vid e A r isto tile , subito facendogli riv eren zia g li
d isse : C he buone n ov elle? A ristotile d isse : S e tu m i vu oi p ro
m ettere di non appalesarm i a persona, io da te non partir c h e
io t'ar fatto tanto onorare, ch e sem pre n e sera i lodato. Cosm al,
c h e d isiava a v er buono con siglio, sapendo il senno dA r isto tile ,
subito d isse: M aestro, com andate e t io ubbidir. A risto tile d isse:
Io non ti vo com and are, m a di buoni esem pli ti for m aestro.
C osm al, lieto ch e A ristotile rim ane, con lu i secreta m en te, com e
A risto tile v u o le, lo tien e. E l prim o com andam ento ch e A risto
tile insegn a Cosm al si fu ch e a lla sua donna e fam iglia si fa
cesse ubbidire, e poi segu it a ll'a ltre cose, le quali qui non si
dicono, m a ben dir ch e la fem m ina di Cosm al p er tu tto era
lodata di buono e giu sto reggim en to. M adonna O rsina d ice ad
lex a n d ro : Ora p otete com prendere ch e di sta re al co n sig lio
di un m atto e sm em orato, ch e da u na fa n ciu lla s'h a lassato in
gan nare. E tu tta la n o vella g li narr. lexan d ro, doloroso d ella
vergogna ch e A risto tile ricev u to avea, e t appresso ch e lu i non
sap ea dove fu sse capitato, e non potendo da neu na p arte p oter
sen tire di lu i, stim p er dolore si fu sse u cciso , e t di questo.por*
ta v a singularissim o d olore, e co s dim ora. M adonna O rsin a , pa
ren d ogli a v er fatto assai ad a v er svergognato il sa vio A risto tile
com e m atto, stava a llegra. Quando ved ea lexan d ro stare m alin-
conoso, d icea (1) ella fra s : Ormai non rip ren d er [ lexandro
d i quel fatto n anco m e, se pi n e ten esse; e per questo modo
stando, m adonna O rsina rich ied ea lexandro di quel fatto pi

(1) Ma.: dicendo.


ifc NOVLLE DI GIOVANNI EACA.MBI

c h e A le x a td r o fa r e non rotea, perocch , non ostan te c h A risto-


tue p a rtito ai fo sse, nondim eno li su oi am m aestram enti osservava
e t d icea: O rsin a, ta c i, ch io da' Consigli dA ristotile non m i
debbo p artire. M adonna o rsin a , ch e v ea la rabbia a l cu lo, pens
p oter il suo appetito in p arte con ten tare, e trov u n o giovano
bello; i! q uale in modo di fem m ina p er sua cam eriera ten e , e per
q u esto m odo si tacca b atter la lana d el tristo m ontone. D im o
rando le co se d itte pi tem po, ven n e volont ad A lexan d ro dan
d are in n ella citt dove Gosmal dim orava, p erch di sua v irt
m olto a v ea sen tito, e m a n d ig li a d ire ch e lo sp etta sse un giorn o
nom ato, c h e lu i volea qtiine essere. Gosmal, avu to la lettera del
su o sign ore, subito ad A ristotile la port, dicendo c h e con sig lia sse
d i q u ello ch e dovea tare intorno a llonore e t a l'a ltfe co se di
A lexandro. A ristotile, c h e av ea sen tito ch e m adonna poco si cu
rava c h e A lexandro Co le i g ia cesse e t ch e di nuovo a v ea prese
a lcu n e serv ig ia li, stim q u ello ch era, fi subito, sp irato da Do,
d isse : O Gosm al, sopra tu tto dispuoni a fare onore a A lexan d ro
e a* suoi, se tuttocid ch e h a i spender d ovessi, per ch e tu tto fin
b en speso. A ppresso fa Che la tua donna e fam iglia e tu tti di
casa senza rep lica re a u n o d ire ubbidiscano, e com e A lexan d ro
ser ven u to, dopo l onore a lu i tatto, e disnato, lu i ti dom ander
com e li om ini tu oi si con tentano e com e ti sono ubbidienti, e tu
rispondi prim a ch e a ltro ti dica : V i [vo* tare la prova se m iei so t
toposti a m e sono ubbidienti, fi farai in sua p resenzia la donna, l
serv ig ia li, le cam eriere e tu tti d ella tu a casa subito a uno p arlare
tu tti, p resen te A lexandro, sp ogliare nudi, com andando prim a a lla
donna tu a e poi a l a ltri, tacendo prim a la rich iesta di tu tti, cosi
di donne, com e d i om ini, fi m olte co se g li d isse ch e non sono
d i bisogno a ta l n o vella n otare. Gosmal, m esso tutto in effetto,
com e A ristotile g li d is s e , ven u to A lexan d ro presso a lla c it t ,
Gosm al co* su oi baroni andato in con tra, e con quanto on ore s i
pu fu ricev u to , fi desnato, A lexandro dom and Gosmal com e i
suoi sudditi g li eran obbedienti. Gosmal d isse: Io v e l m ostrer; e
su bito m andato p er la donna e p er tu tti di c a s a , aven d one la
scritta in m ano e tacendone r ic h ie sta , trov ta tti esse r quitte.
Gosm al d isse: Donna, e v o i a ltre, nude vf sp ogliate in presenzia
di tu tti. La donna subito cosi f*. A lexandro, ci ved en d o, disse
fra s : Q uesto non tare' la mfet donna. A ppresso Gosmal d isse a
tu tti li o m in i, ch e quine e r a n o , ch e si sp o g lia ssen o , e cosi fo
tatto, e tanto stenno nudi fino ch e a Gosmal piacque. D isse
A lexan d ro : B en ch e ornai li tacci riv estire. C ostasi com and
DB FAL8ITATI MULIBRIS iZl
c h e s i riv estissero e fe e fetto . A lexan d ro d isse : D eh d im m i,
<tosm al, p er cu i con siglio v iv i. Cosm al d isse: P er con siglio di A ri
sto tile. Or com* A risto tile vivo? Cosm al d isse: F in ora si, e
d o v e sia io non s o , m a ben p otrei sap ere dove ca p it quando
q u i apparto, e a llo ra m i d i certo o r d in e , il q u a le sem pre ho
osserv a to , e prim a m i com and c h e a lla m ia fam iglia m i Ciccia
ubbidire, e poi a tu tti li a ltri. A lexan d ro, udendo ch e A risto tile
er a v iv o , ebbe gran p ia c ere e d isse a Cosm al ch e di lu i in v e
stig a sse, p ero cch v o lea ch e a lu i torn asse. Cosm al d isse : L ui m i
d isse c h e m entre c h e m adonna O rsina con v o i stesse c h e m ai
irn ien ti non v i verre*, tan ta Ih la vergogna ch e p er le i sofferse;
non di m eno io penso, quando il rich ied erete, lu i v err a v o i.
A lexan d ro, ch e h a d esiderio di ritorn are a casa, dicendo fra s:
C osm al u n p iccolo sign ore e fessi tanto ubbidire in ca sa su a
e t io c h e sono sign ore d el m ondo non aer si tosto ubbidito d alla
m ia donna e fam iglia?, e pens su b ito , com e fe sse a c a s a , far
fe re la rich iesta d i tu tti, e com andare ch e nudi s i spoglino. G
p rese com m iato da Cosm al, avendolo m olto accom pagnato, e cos
rito rn A lexan d ro a l suo p alagio. Come fe giun to, f' la rich iesta
d i tu tti, e v en u ti, com andato ch e O rsina si spogli, e lla com in ci
a d ir e :O r ch e v u o l d ire q u esto , im peratore? sete im p a zza to ,
ch e v o le te ch e a lla p resenzia d elli om ini m i spogli? or p erch
non m el d ite in cam era fra voi e m e? A lexan d ro d isse con m al
v iso : Io ti dico ch e subito ti sp ogli. Lim p eratrice p er paura
sp o g lia ta si, A lexan d ro com and a ira ltr e donne e d am igelle c h e
n ud e si spogliassero, e p er paura ogn iu n a si spogli, sa lv o la
ca m eriera d i m adonna O rsina. A lexan d ro d isse: E tu p erch non
ti sp ogli? E lla trovando certa scu sa, com e alcu n a volta trovano
le donne, d icen d o: Io h o il m io m al d elle ca len d e; A lexandro
d isse : S p ogliati. E lla, co stretta dal tim ore, s i sp o g li , e trovato
co stu i esser m aschio, il q uale colla im p era trice si g ia c c a , non
potendo ta le p u zza sosten ere, lu i e la donna fe* m orire. A risto
tile , sentendo la giu stizia fatta d ella donna m alvagia e d ella ca
m eriera, scrisse ad A lexandro c h e lu i era a l su o com ando. A le
xan dro, au to le tte r e cT A ristotile, subito m and p er lu i e pi
c h e m ai lfam e t onorollo. E t p er q uesto m odo il sa vio A ristotile
s i ven d ic d ella m alvagia O rsina per lo suo so ttile in telletto e t
sap ien zia.

Digitized by L j O O Q l e
128 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

34 .
, [T rir., a* 5IJ.

DE IPOCRITI ET FRAUDTORES.

D ella citt di J ese si parti, sotto nom e d 'accattare, p er la


badia di V allom brosa uno v estito di panno scu ro e gran parla
to re, e diliber v en ire in T oscana, l u* pensava trovare m olte
sim p licette fem m ine e t m assim am ente in q u ello d i F iren ze, P i
stoia, L ucca e P isa. E dopo il p ren d ere fiato in n el contado di
F iren ze e t a P isto ia , ven n e in n el contado di L u c c a , facendosi
nom are frate C hilandrino. E dom andato in c h e p arti si ten ea
m ercato, fo g li d itto: In p i p a rti, m a sopra tu tto era q u ello d el
borgo a M ossa no, a l q uale gran p arte d ella G arfagnana e t d e lle
sei m iglia col con correa. Di ch e udendo frate C hilandrino, ch e
a l borgo era il m ercato, subito and l , e giu n se a llosteria (1 )
d i G iovannetto da B a rca , ab itan te in n el b o rg o , e q uine pos
suo arn ese. A vea questo G iannetto una donna nom ata N arda e t
una fig liu o la nom ata V entu ra. Il qual frate d isse a N arda quando
sere il m ercato: N arda d isse ch e sere lo di seg u en te. Lo firate
d isse ch e fa cesse ch e lu i e l com pagno, ch e seco avea, fusseno
ben ser v iti e pagher (2) b en e. N arda d isse: C om andate, c h 'c i
h a d elle g a llin e e di capponi assai. Lo frate d ice: M entre c h e
ci h a di capponi, non c i dare g a llin e. N arda tu tto fa e fa lli g o
dere. V enuta la m esidim a, e h l di d el m ercato, n otifica il firate
ch e ogni persona vada a udire la sua predica e fa sonare la
cam pana, assecurando ch e ch i a ta l predica sea era perdonato
colpa e pena. Sonata la cam pana, le gen ti circu stan ti e q u elle
ch e v en u te erano a l m ercato devotam ente stanno a u dire la
predica. F rate C hilandrino, ch e sapea larti d ella birba, dopo il
pred icare d isse , ch e si facesse bene alla badia di V allom brosa.
Ma ben d icea: Se fo sse alcu no om o ch e a v esse u cciso a lcu n o
suo com pare, non faccia lim osina. Et sim ile, se neuna donna a v esse
m orto o com pare o com are, non faccia lim osina, p erch lab ate
non la riterr . D itto queste parole, ognuno fe offerta in quan tit,
alla quale offerta fu V entura, figliu ola di N arda ostiera, e d ieg li 12

(1) Ms.: alloste.


(2) Ms.: paghisi.
DB IPOCRITI BT FRAUDATOMI* 129
u n o to v a g liu o lo da t o M o , dicendo c h e q u ello m ettesse a lia f e c e
d i n ostra Donna a YaUom brosa, e t una so rella d ella d itta N arda
o fferse im o fa ra g lio n e gran d e da stu fa , dicendo ch e q u ello of
feria a llabate, a cci ch e i p reti di q uel luogo s i p osan o asciu
g a re quando sono la v a li p er an dar a d ire lofficio divino. T ornato
fr a te C hilandrino a llo o stello con m olti dinari, p an aollao e biada
e t a ltre co se , d isse a N arda: P a rti ch e possiam o god ere? N arda,
ch e si v e d e guadagnare: V oi p otete ben sp en dere, a l buon gu a
dagno feto. E co s la m esidim a si d i buon tem po tu tto 1 d .
La sera granseno, quasi in su lla cen a, d el m ese di m aggio, due
m eretrici b elle e giovan e, le quali andavano a l bagno a (faraona.
E g iu n te a llalbergo di G iovannetto, dove era fr a te C hilandrino,
volen do b ere p er cam biare a l b a g n o , dove pensavano tro v a re
guadagno, frate C hilandrino, c h e a v ea g i fatto ap parecchiare d i
buoni capponi p er cen a re, vedendo q u elle fa n ciu lle, d isse loro
se la sera volessero q uine rip o sa re, c h e volen tieri le ric e v e r e
p er la loro b ellezza a cena e t anco ad albergo. C oloro d isseno:
N oi stiam o. E r e sta te , frate C hilandrino a ffretta ch e la cen a
fo sse apparecchiata, e p arecch ia la cena, cenarono, e poi lo b e
n ed etto frate ricordandosi d i San G regorio, c h e tra du* g ia cea ,
d isse a N arda: Io, com e sp iritu ale persona, v o stasera c h e c o
storo m eco in n el letto d onnano p er du* risp etti, luno fra p e r -
c h lim osina dalbergare il povero f e costoro san p overe c h e
non hann o ca sa ; laltro, p er ca rit , ch b en e s e io p otessi con
v er tirle a u scire di questa m iseria. N arda d isse: B en fa te , m a
cred o ch e poco v i ubbidiranno. Lo fra te d isse: Io far quanto
potr, poi facciano q u ello vogliono. E t m en olle in cam era. E
lu i en tra to in n el le tto , n el m ezzo si p u o se , avendone d u e
dintorno. N arda ostessa, ch e ha ved u to il frate con quanta ca
rit h a coloro ricev u te e t udito p er ch e ragion e lh a seco in
n el letto m esse, parendogli m eraviglia, d isse: P er certo io sapr
lo p en sieri di costu i. E p erch il suo letto era solo duna tau la
d iviso dal suo, stando m ascolto, u diva tu tto, e com e posta si fri
a u dire, d isse il frate a q uella pi di tem po: Io vo* sap ere com e
h a i im parato larte, c h e m eni tan to tem po? Q uanto in n el luogo
com une se stata? E lla d isse: P rovate, frate, e ved rete se io h o e
perduto il tem po m io. F rate C hilandrino m ont a bestia e di
buona som a la caric, p erch era grasso. E deposta (1) la som a,1

(1) Ms.: disposto.


130 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

d isse: P er cerio tu h ai b en e speso il tem po tu o , p erocch ben


sa i la rte ch e pi di cento tu e pari c h e p rovate ho. E v o lto si
a lla pi giovana, d isse : A te non si rich ied e sap er tanto quanto
a q uesta ch pi di tem po d i te . L ei risp uose: F r a te , alcuna
v olta le giovan e sanno di questo fatto m eglio ch e le v ec ch ie .
F ra te C hilandrino d isse: B en v o provare. E sa lito g li in su l corpo
e t la b estia m enando, talora con m ano e talora con p i, g iu n se
a l suo d isiato luogo. Lo firate d isse: Io p er m e non sap rei di
scern ere qual di v oi fo sse m eglio am m aestrata. Lo frate d isse :
Di v ero ciascu n a buona e p erfetta. Ornai andiam o a dorm ire,
e prim a c h e d i qui c i partiam o determ inerem o una ltra v o lta la
q uistion e. N arda, c h e u diva talora isb aviglian d o, udendo e sen
tendo q u ello ch e 1 frate con q u elle du fceano, sen tend o d over
dorm ire, a dorm ire s i puose, disposta d i tu tto sen tire. E p assato
il tem po d el d o rm ire, fra te C h ilan d rin o, vedendo g i il lu m e
ch iaro, d i n uovo le rip asceo d ella vivand a m al cotta, e lev a to si
N arda e tu tto se n tito , vo lse v ed ere ch e m odo ten ea il fra te a
m andarle v ia . E t u d illo (1 ) d ire a lla prim a : Io sen to c h e an date
a l b a g n o , io vo g lio ch e abbi q uesto b ello to v a g liu o lo , il q uale
u na giovana m i d i , a cci ch e quando ti la v a ssi la f c c ia ,
tu e tu a com pagna, p er p arere p i b ella a l b a g n o , v i p o ssiate
asciu gare. E t a te do questo to v a g lio n e, ch e quando a rete s e r
v ito a ltri com e a v ete serv ito m e , p er sta re n ette en trerete in
n el bagno, e t con questo tovaglion e v a sciu g h erete q uel d o lce
fiore c h e tra le co scio p ortate. N ard a, ch e tu tto o d e, d isse fra
s : C ostui frate da com unicare v a c c h e , e pens a lla fig liu o la
e t a lla so rella d ire q u ello ch e ftto a v ea de' to v a g liu o li d ati. E
sim ile pens a l frate d ire alq u an te p arole d i vergogn a. L e g io
van otte p a r tite , lo frate rim a so , N arda subito la m attina a lla
figliu ola e t a lla sorella d isse a c h i il fia te a v ea dati i to v a g liu o li,
e t loro con flise. N arda tornata a c a s a , g i l ora de d esn are.
D esnando in siem e lo m arito e l fra te e t e lla , d isse N a rd a: O
frate, prim a ch e io v i d essi dinari n cosa d el m on d o, con side
rato q u ello ch e io so di v o i, io m i la sserei fon an ti ard ere. Lo
Arate d isse: Odi N a rd a , e t io m etter foco una buona cen a d i
du ca p p o n i, ch e se v erra i a u dire la m ia predica, c h e tu m i
darai lim osina, e se non m e la dai, io vo pagare du cen e. N arda
d isse: Io sono contenta, m a io ti dico ch e non v o esser sforzata.

(1) Ms.: udendo.


DE IPOCRITI ET FRAUDATORES 131

L o frate d ice: Io sono co n ten to , m a tn m i p rom etterai di


n on p artire in fin e a tanto ch e io ar tu tta la m ia predica
d itta . E cos ciascu n o p ro m ise, e G iovannetto fu pagatore
d ella m oglie e d el fr a te , dando lordine ch e dom enica m attina
s e n e fccia la prova. V enuta la d om en ica, sonata la cam
p ana p er la p red ica, le g en ti v en u te ta n te , c h e tu tto *1 m er
c a to copriano, lo frate predica, e t ultim am en te, ven en d o a lla li
m osina , d isse ch e [li] om ini stessero d issep arati d alle donne, e
c o s fi. E m esso uno tappeto in te r r a , d isse: A ch i v u o l fare
lim osin a a lla badia di V allom brosa s i dica q u ello c h e a ltre v o lte
s i d isse. E p i d ic o , c h e qualunca donna a v esse fatto fallo a l
su o marito* ch e non dia lim o sin a , per c h e *1 san to abate non
l accettere*. L e d on n e, com e sen tin no ta l p a ro la , c h i non av ea
d in a ri si lev a v a la benda di capo e t in su l tappeto la :gittava.
N a r d a , c h e v ed e a f ria le fem m ine dare o ffe r te , d ice fra s
m edesim a: S e io offerisco (1 ) perdo la cen a. E d ilib erato pure
l o fferire, se m isse m ano a lla borsa e tra ssen e uno denaro e
q uasi f la d eretan a e t offerse. Lo frate d isse : T u l h ai, ra cco lto
la roba. E tornata a l o ste llo , N arda d isse: P er certo ornai v i
cogn osoo; q uesta cena ser ornai la m igliore ch e m ai io fa cesse.
E da q u ellora innanti m ai a s fo tti frati N arda non di, n con
sig li ch e a ltri d esse, m a il con trario sem pre fe .

{!) Ma.: non offerisco, ma un errore.


133 NOYBLL* DI OIOYANNI 8BRCAMBI

85.
[Tifar., a 54].

MS FALSITTE ET TRADIMENTO.

N e l tem po d el g ie d ie e d i A rborea, ch iam alo S o o m t o , Ai u n


giovan o aaBfti gagliard o nom ato G o ttifred i, il q n d e d a v a ( i )
van to p o ter co lla eoa fo n a p ren d ere lo ca stello di G estri, p o sto
in sulTteola di Serdigna, il q ual ca stello S taran d o g iu d ice a v e a
m otto tem po b ram ato, e ta l c a stello era d i un gen tilom o no
m ate P a ssa m o n te, om o d i gran cu o re e di tem po d i sessa n ta
a n n i. A vea q u esto P assam onte u n a fig liu o la d i a n n i sed ici, b ella
d i suo ooarpo e savia d oaaelle, c h e m ai m arito non a v e a av u to , la
quale il padre am ava tanto, c h e pi c h e s ram ava e t a p erson a
d el m ondo non a re affidato la guardia d e i c a s t a le ch e a q u este
su a fig liu o la , la q u al p er v ez zi c h e a le i p ortava g li p noso
nom e Z uocarina, e questa era q u ella c h e tu tta la sign oria d e l
ca stello e di P assam onte in n elle m ani a v ea . Sismondov u d en d o
il van to oh e Qottifiredi s a v ea dato d 'aver il castello , p er infim o
m arlo a dare com pim ento alla c o s a , d isse: O G o ttifred i, io ti
proffero ch e se fe i p er tu a forza e in gegn o ch e *1 ca stello d i
C astri m etti in m ia possanza, io ti dar la m ia fig liu o la B ianca
p er m oglie e fero tti con te. G ottifredi, ci udendo, d isse : Io lo
far p er certo, e ch iesto seco alquanti fam igli se c r e ti, si p artio
dA rb o rea , e cam in in form a dam basciadore verso il ca stello
di C a stri, e t quando quine giu n to fo e , f* dim andare d i P assa
m onte ch e g li p ia cesse di volerlo u dire. P assam onte, c h e n ie n te
facea sen za Z uccarina su a fig liu ola, la fa rich ied ere, d icen d o le:
U no am basciadore d el g iu d ice dA rborea v u o le v en ire a m e e t
non so la ragion e. F orse p otre esser ch e il g iu d ice, c h e h a u n o
figliu olo m olto b ello, se volesse te prender p er m oglie, o v e r a
m ente sen to ch e ha una b ella fig liu o la , se ta le v o lesse dare a l
tu o frate, m io figliuolo, posto ch e 1 m io figliu olo non sia c o si
sa vio com e si converrebbe. Z uccarina, ch e ode il padre, d isse a
co lu i ch e arrec l'am basciata, se q uello G ottifredi g en tile o m o
e di ch e statu ra e com e savio. Lo m basciadore d ice G ottifred i

(1) Ma.: d a n d o si.


DB FALMTATB ET TEADUUNTO 183
n e r e g io r n o b ellissim o , g e n tile e gagliard o e di g ran cu ore,
e r ic c o pi c h e a la n o c h e il g iu d ice Sism ondo abbia. S acca rin a ,
c h e o d e raccon tare la g io v in e zza , b ellezza e fortezza d isse: S e
q u este tr e co se regnan o in uno omo q u al donna lar si potr
ten e re b en e appagata non sta n te c h e in co sta i sono o ltra l a ltro
v irtu d i, p ossied e senno g en tilezza e ricch ezza , di ch e p er c e lio
s e qua v ien e e io v eg g a in la i q u el sen to di lu i, la m ia persona
n itr i non godr d ie lu i. B risp osto a l padre, d isse: D ategli il sai*
vacon d utto e v egn a con q uan ti v u o le. Lo padre su bito io d i, e
n i (am iglio d isse, c h e andasse o h e lu i v o len tieri l u dire' e tu tta
su a im b asciata. P artitosi lo m bascfadore co l salvacon d otto, re
ferto tu tto le p arole e dom ande c h e Z nocarina g li u vea d itte.
G ottifred i ode e in ten d e, com prese p er certo co stei d esidera v e
d erm i, e t io v o g lio tosto apparecchiarm i a an dare. B con cio suoi
a rn esi e vestim en ti p er p oter on orevilm en te com parire, a ca v a llo
m ont e v erso il ca stello di C astri ca v a lca . Zucca r in a , p artito
lo m basciadore, and in su u na a lta ca sa e d i q u in e tu tto potea
v ed ere. V edendo v en ire g en ti v erso il ca stello , stim fo sse G otti-
frod i , e t subito p artitasi d el luogo e t in una cam era en trata e
fa tta si b ella p er poter a G ottifred i p ia c ere , non curando a ltr o ,
fo v estita e in sa la a l padre v en u ta . 11 padre, vedendola s ben
v e stita , d isse: Or ch e v u o le d ire questo? Z uccarina disse: P o ich
q u e sto im basciadore v en ire d e, vegn a p er c h e ca gion e si vuote,
e per m e o p er a ltri, io vo p arere fig liu o la di gran sig n o re com e
v oi sie te . P assam onte d isse: F ig liu o la , ora p i c h e m ai cogn osco
tu e sse r sa via e t binanti a l fa tto provved u ta. B m entre c h e ta li
p arole d ic ea n o , v en n e G ottifredi e rap resen tossi dinantf a P as
sa m en te, p resen te la fig lin o la , tacendo b ella a cco g lien za e sa v ia
im b a scia ta , con ten en te ch e *1 g iu d ice d A rborea sere* v o len tieri
c o n lu i in buona con cordia e c h e de* m odi da esser am ici e pa
r e n ti assai c e n*ha, s i p er risp etto di v ostra fig liu o la a l figlin olo
d el g iu d ice Sism ondo, k p er vostro fig liu o lo a lla figliu o la . P a s
sa m o n te, ci udendo, da lleg rezza lagrim ando d isse a Zuccaritta
c h e la risposta ta cesse a G ottifredi. Z uccarina d isse: P adre, las
sa te questo tatto a m e, e p rese G ottifredi p er la m ano e t in una
ca m era lo m en, e q u in e soli, Z nocarina d isse : G ottifredi, io h o
sen tito di tu a g en tilezza, fortezza e ricch ezza , e t questo co se non
posso a l p resente sap ere, m a la tu a appariscenza m e n e fo quasi
e sse r certa . Ma d elia gio v en t e b ellezza, c h e di te ho udito,
sen z'a ltra prova n e sono ch ia ra , ch e cosi com e k> h o sen tito.
B q u este d ue cse m i danno a cred ere l altro. B pertanto, prim a
134 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ch e ad a ltre parole v eg n a m o , ti prego m i d ich i qual ca g io n o


th a in q ueste p arti condutto, e questo non m el c e la r e , sia c h e
si v u o le , p ero cch prim a ch e qui v en issi io ti fili in n el cu o re
fitta, disponendo m e a ubbidire tu tto ci ch e a m e com andassi,
se ch ied essi la persona e tu tto ci ch e m io padre p ossied e in
questa terra , di tu tto fore' la tu a volo n t . G o ttifred i, c h e ode
Z uccarina tan to sodo p arlare e con tan to am ore, d ilib er appa
lesa re il p erch era ven u to e d isse tu tto ci ch e lu i s'era van
tato, dicendo: Io mi van tai d are questo ca stello a Sism ondo giu
d ice dA rborea. Z uccarina, ch e ci ode, d isse: O G ottifredi, se in
di ci ti facesse contento, vuom m i tu p ren d ere p er donna e m ai
non abbandonarm i? E ti dar il ca stello con tu tto ci c h e mio
padre p o ssied e, e di lu i e d ella terra forai tu a volont. G otti
fredi d isse d i s i , e cos g lielo prom isso e giur do sse r v a r e , e
p er pi certezza d ella cosa Z uccarina avendosi fatta sposare e t
uno an ello doro da lu i ricevu to, ella a lu i n e diede allora u n a
di carn e con m olti b aci. G ottifredi, ch e g li parea a v er avu to il
suo con tentam en to, alleg ro d isse : 0 Z u ccarin a, ornai possiam o
parlare a sicu rt . Z uccarina d ice ch e disponga q uello v u o le ch e
e lla faccia e t ella tu tto far. G ottifredi d ice ch e la terra g li d ia ,
cio len trata, e lu i m ander p er g en ti di Sism ondo giu d ice, che-
p er essa vegnano sotto sp ecie ch e lo fig lio lo di Sism ondo ti debba
prender p er m oglie, e lu i e t io verrem o, e t ap erte le p orte en
trerem o dentro, e tu con m eco n e v erra i e la terra rim arr a
Sism ondo g iu d ice, e n oi q ueste e d ella itre arem o a ssai. Zucca
rin a, ch e la rabbia in d el cu lo lavea g i fatta ism em orare, c h e
non cogn oscea la su a d isfa zio n e, d i l'ord in e com e G ottifred i
g li a vea d itto , e u sciti di cam ino n andarono a P assam on te
[dicendo] ch e e lla era con tenta d 'esser m aritata a l figliu olo d i
Sism ondo giu d ice, nom ato D ragonetto. P assam onte lieto , fa co n d a
doni a G ottifredi e licen ziato, si parto, e torn a Sism ondo g iu
d ice, d icen dogli tu tto il trattato fotto, m a c h e non a v ea p o tu ta
adim pire il fatto senza a v er prom esso p rendere Z uccarina p e r
m o g lie, d icen do: V oi sap ete ch e a m e la vostra figliu ola p ro
m essa a v ete. Io non v o rrei, p er q uesta prom issione fotta a Zuc
carin a, p erd ere la v ostra. Sism ondo d ice: Come forai ch e d u
a v er e non p uoi? G ottifredi d isse: Come arem o auto il c a ste lla
e t io condutto Z uccarina fu ori, in m are lan negher. Sism ondo,
ch e avea volont del ca stello , d isse ch e a lu i p iaceva. G ottifredi
d isse: E con vien e ch e v oi date nom e ch e vostro figliu olo Dra
gon etto vada p er p ren d ere Z uccarina, e t ap p arecch iate le b ri
DE FAL8ITATE ET TRADIMENTO 135
g a te e t io con loro, e 1 ca stello di n otte c i sar dato. Sism ondo
d ice ch e ben e a v ea ordinato. E t d itto a D ragonetto com e g li a v ea
dato p er m oglie Z uccarina, fig liu o la di P assam on te d el ca stello
di C astri, e ch e volea andasse con G ottifredi a m enarla, D rago-
n etto d ice ch 'era con ten to, e fatto arm are le brigate, D ragonetto
e G ottifredi m essi e cam inati presso il ca stello , Z uccarina ap erto
di n o tte le porte e le b rigate m esse in punto, en trati p reseno la
terra . E m orto P assam onte e G ottifredi m enatone Z uccarina e
a l m are condutta, quine, p resen ti alqu an ti baroni di D ragonetto,
in n el m are la so m m erse, e co s Z uccarina m oro. D ragonetto,
ch e non trova in n el ca stello Z u cca rin a , dom andando di l e i ,
(tig li d itto G ottifredi a v erla di f ori condutta e t in n el m are af
fogata. Sentendo questo, D ragonetto d isse: Or sono io co si stato
tradito? p er certo io la ven d ich er. E ch iam ato lo fig liu o lo di
P assam onte, alquanto stolto, d isse se v o lesse ven d icare la m orte
d el padre e t q u ella d ella so rella e d e lli a ltri su oi p aren ti m orti.
D isse lo figliu olo di P assam on te: Io non m i v o rrei ven d icare se
non di c h i n 'h a colpa. D ragonetto, c h e ci h a in teso , d isse: P er
certo costu i d ice b ene, e pens fkrlo contento. E com e G ottifredi
fu ritornato, con a lleg rezza and a D ragonetto dicendogli: Ornai
il tu o padre si pu d ire sign ore di ta l fo r tez za , e q uesto pu
rip u tare da m e. D ragonetto d isse: Al m io padre e a m e (1) p iace
b en e ch e la terra n o stra , m a veram en te ta n ti tradim enti
q u an ti h a i fritti non m i piacciono; d icen dogli il prim o tradim ento
fritto a P assa m o n te, lo secondo a Z uccarina, e '1 terzo a m e,
c h e dovea a v er p er m oglie Z uccarina, e tu con fr isi m odi l'h a i
u ccisa . E chiam il figliu olo m atto di P assam onte, e t v o lse c h e
in su a p resen zia G ottifredi fu sse m o rto , e p er questo m odo fu
pagato d ella prom essa fritta a Z uccarina, ch e a lu i avendo fritto
tan to onore ch e la terra d el padre e s g li d ie d e , co s ca ttiv a
m en te la tradisse e t in m are la affogasse. E se D ragonetto lu i
fe' m orire, l avea ben m eritato.1

(1) Ms.: e come.


136 KOVKUJE DI OUOVlKNI SflaCAMBI

86 .
(Tthr., B MJ.

DE NATURA. FEMMINILI.

N ella citt di P isa fii uno nom ato R an ieri di San L ascian o,
giovano e ricco, il quale talora la volont g li m ontava p i ch e
1 senno, non avendo m oglie. E da p aren ti stim olato di p ren d ern e,
d icea : Chi m i v o lete dare? Loro risp ond ean o: Q uella ch e vu oi,
c h e ab ile sia a noi poterla a v ere e t sea (1) p u lcella . D ice R a
n ieri : P o ich sie te con ten ti, io n e prender; m a ben v i dico, ch e
se io la trover ch e non sia p u lcella , io non la rip ig lier , com e
a lla sua casa n e Tar m andata. L i p aren ti, ch e odono R an ieri,
d icon o: E gli far com e Danno li a ltr i; troviam o m do ch e u na
n'abbia. E d atisi a sen tire, trovonno una b ella fan ciu lla nom ata
B rid a , figliu ola di Jani d elli O rlan d i, rim asa a l govern o d ella
m a d re, p erch Jani suo padre era m orto, giovan a b ellissim a e
ben nodrita. E t m essala dinanti a R a n ieri, Ai co n te n to , e dato
l'ord in e d elle n ozze e m enatala e fatta la festa o n o rev ilm en te,
sendo giu n ta la sera, essendo in n el letto , R an ieri, com e giovan o,
salen d ole in su l corpo, fece (2 ) le fazioni sp on sallzie. B rida, c h '
sotto a R an ieri, sen za pungolo il cu lo alzando, in tanto c h e R a
n ieri g i d ella som a cadde, e caduto d isse fra s: C ostei non
p u lcella, p oich 1 cu lo h a alzato s b en e, ch e non Tare* m ai c r e
duto. Et senza d ir a ltro la n otte si ripos. E t l'a ltra sera sim il
m ente facendo,- R an ieri d isse : P er certo quando B rida ritorn er
a me> non posso p erm ettere (3) ch e a m e m ai s'accosti. E p er
questo m odo ogni sera ch e Brida seco era, R an ieri facendo q u el
fatto, B rida m enava il sed ere. V enuto il giorn o di ritorn are e t
poi il giorno ch e sogliono le spose riv en ire a l m a rito , R a n ieri
m and a d ire a B rida e t alla m ad re, ch e [se ] B rida v err (4 )
c h e lu i l'u c cid e r , e ch e m ai non v u o le ch e a casa g li torn i.
La m adre e t i parenti di Brida, non sapendo la cagion e, m issen o
m essi a sap ere il p erch non rivolea la m o g lie, avendo prim a 1234

(1) Ms.: sera.


(2) Ms.: facendo.
(3) Ms.: nuocere, evidentemeate corrotto.
(4) Ms.: che brida vivere.
DE NATURA. FEMMINILI 137

v o lu to sap ere da B rida q u ello ch e v o lea d ire. B rida, ch e di ta l


co sa n ien te sa p ea , di n ascosto sta v a (1) dolorosa. L e m e zza n e,
c h e a R an ieri andonno, volendo sap ere da lu i il p erch non ri-
v o lea la m o g lie, R an ieri d isse: P er ch a m e fu prom essa v er
g in e , e t io trovo ch e ella pi m aestra di q u el fatto ch e una
m eretrice, e t p i m ena il cu lo ch e loro. E p ertanto m ai non la
rip ig lier . L e donne, c h erano p aren ti di lu i e di B rida, m alin-
co n o se si tornaro a lla m adre d ella sp o sa , narrandole tu tto . La
m adre, c h e sap ea c h e la figliu ola era (3 ) p erfetta, d icea : Lassa
trista m e! costu i m ai non se la vorr p erch n el capo T c a
puto. L e donne d issero: A ndiam o a m adonna B am bacaia, ch e a
q u esto fatto c i d ar con siglio. E t an co la m adre d isse: A ndiam o.
E t m osse andarono a m adonna B am bacaia e tu tto narronno. Ma
donna B am bacaia, c h e h a e in teso il A tto, dom andato d el nom e
d e l m a rito , d isse a lle donne c h e s andassero con D io , e subito
p rocacci da v ere uno an atrin o p iccolo e t q u ello fe p uonere sotto
una can estra in sala. E poi m and p er R an ieri da San Ca
ccian o, e v en u to lo fe p uon ere a sed ere appresso di s, e t con
u n a m azzuola p ercotea l acqua, e t fe a lza re la can estra dovera
l an atra. Come l an atra sen to m u overe lacqua, subito p iediconi si
g itta in q u el hacino. R ivoltasi m adonna B am bacaia a R an ieri,
d isse: O he vu ol d ire c h e q uestan atra co s p iccola, sen za c h e a ltri
la co n d u cesse, h a trovato q u estacqua e den tro v i s g itta ta ?
R an ieri risp uose e d isse: La natura d ellan atra , com e sen te
lacq u a, non aven d one m ai ved u ta, su bito v i si g itta den tro. A l
lora m adonna Bam bacaia, v o ltasi a R an ieri, d isse: Cos com e p er
n atu ra l a n a tr a , eh uno u ccello sen za in te lle tto , si g itta in
n e lla c q u a , non aven d one m ai v e d u ta , co si la fem m in a , non
aven d o m ai assaggiato o m o , com e l assaggia e t abbia la ltru i
n e lle su e c a r n i, p er natura m ena il cu lo. R a n ie r i, u d ita la
r a g io n e , d isse rid en d o: O m adonna B am b acaia, p erch a v ete
d itto questo? M adonna B am bacaia d isse: P erch sen to c h e non
v u o i rip ig lia re la donna tu a p erch , quando ebbe a fe re teco,
il cu lo m en. E per ti d ic o , va sicu ram en te e p ren d ila , ch
tu la v esti v erg in e e t b u o n a , non v o ler tu esser cagion e ch e
ca ttiv a d ivegn a. R a n ie r i, v erg o g n o so , rip rese B r id a , e t dappoi
si dienno p iacere sen za quel sospetto.12

(1) Ms.: stando.


(2) Ms: esser.
138 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

87 .
[Trir., n* 6].

DE DISONESTO ADULTERIO ET BONO CONSILIO.

N ella citt di Siena fu uno om o del p op olo, il q uale d e su e


ren d ite v iv ea senza far arte, nom ato G iorgio A cciai, ed a v ev a
una sua fig liu o la nom ata N icolosa, m aritata a uno m ercadante
ricco nom ato Sandro, e t una figliu ola p iccola d'anni dodici, ch ia
m ata p er v ezzi la Pippa. A vven n e ch e d itto G iorgio p ass di
q uesta vita , lassando alcu n p iccolo figliu olo m aschio e le fig liu o le
nom ate. E tu tta la cu ra d el m asch io e d ella fem m ina lass a
Sandro suo g en ero e t a N icolosa su a donna. E ssendo m orto G iorgio
padre di N icolosa, Sandro e N icolosa su a m oglie si recon n o in
casa lo figliu olo m aschio p iccolo e la P ippa. E dim orando m a
donna N icolosa dopo l'anno d ella m orte d el padre in casa, aven d o
studiata la Pippa a farla b ella, com e le sen ese sanno fare, e tan to
ch e parea uno so le, aven d o g i tred ici an ni, m adonna N icolosa
traen dola di casa, a lla ch iesa uno giorno di solen n it condus-
sela (1) tan to adorna, ch e uno giovano ricco m ercadante nom ato
Gione vedendola [c h iese ] di c h i fu sse fig liu o la , e t g li fu d itto
ch i ell'era . Gione, ch e l'h a ved u ta, piacen dogli e t avendo sen tito
ch i fii il padre e con cu i dim orava, essendone g i innam orato,
pens torla p er m oglie dicendo: Io sono ricco e di buone g en ti
e t ella non h a m olto, posto ch e sia ben nata, nondim eno se io
la ch ieg g io , io l'ar. Sandro e la m oglie, ch e m iglior parentado
in Siena non arenno potuto fare, sen za indugio d issero di s. E t
m essogli l an ello, Gione d isse: Io h o e m andato m ie m ercan zie di
v e li e t anco num ero quattro b a lle [sto ] p er m andare; p o ich h o
preso m oglie io m i vo' d iliv ra re. E p ertanto non v 'in cresca
d ire (2) a Sandro e t a m adonna N icolosa p erch 'io sia alm eno uno
anno a d ilivrarm i, e poi ser lib ero d i p oter in Siena ferm o sta re.
Sandro e la m oglie d issero ch e ben d icea e t ch e a lla tornata la
Pippa sar alquanto pi indurata, c h a v a le m olto ten erella .
Gione, udendo il m otto, d isse: V oi d ite v ero, e dato ord in e d i 12

(1) Ms.: eonduttola.


(2) M s.; dar.
DE DISONESTO ADULTERIO ET BONO CONSILIO 139

ca u lin a re, co lle su e b a lle si m osse da Siena e t and o ltra m onti.


R im an e la P ippa a l govern o di Sandro e d ella m oglie. M adonna
N icolosa avea tanto p ia cere d i ved er m aritata la so rella a ta
m ercad an te e p ia cere a v ea v ed erla tanto b ella , ch e p och e v o lte
si sarenn o v ed u te sp artite, e stando in ta l m aniera la Pippa, ogni
d le [su e] b ellezze m u ltiplicavan o. In tan to c h e uno g iorn o,
essend o m adonna N icolosa andata a lla p redica e lassata la Pippa
in casa co lla ch ia v e rin ch iu sa, v en n e Sandro a casa, e t avendo
una ch ia v e, non pensando persona fosse in casa, apre luscio, e t
andato su in n ella cam era trov la P ippa, ch e si sp ecch ia v a e t
era in una giubba di seta so ttile. Sandro, ch e prim a v ed e le i
ch ella lu i, stando a gu ard are P ippa, d i certo p arendogli una
p erletta , d isse ridendo: Pippa, ch e foi? Pippa d isse: Io m i guardo
e m e stessa vag h eg g io . E v o lta si a Sandro, Sandro accostan dosi
a llo sp ecch io e t abbracciata la Pippa e t in n ello sp ecch io m iran-
dola, Sandro, non guardando co stei essere sua cugnata, la co
m in ci a b asciare dicendo: 0 Pippa, non ti paiono buone le co se
d o lc i! Pippa d isse: M esser s. Sandro d ice: Io te ne v o d are.
Pippa sta ch eta . Sandro com inci ab bracciarla e t b asciolla in
b occa d icen dole: Pippa, q uesti b aci sono com inciam ento d ella
d olcezza. Pippa, col viso rosato e t tu tta lu stran te, n ien te d icea,
m a di fiam m e tu tta risp len de n el v iso . Sandro, ch e g i era a c
ceca to , p rese la Pippa e t in su l letto la puose facen dole sen tire
q u ella dolcezza ch e prim a g li avea p red itta. La Pippa d isse: Oh
quanto p erfetto l u sare con Tom o! Sandro d isse: Pippa, sta
con ten ta, e n ien te dirai a N icolosa. Pippa, ch e g li paruto buono,
d isse : Io non dir n ien te. E poi ch e com inciato ebbero, segu ir,
in tan to c h e p och i m esi passarono ch e Pippa si sen tio gravid a,
p er la qual cosa m olto dubitava, dicendo a Sandro c h e lei gra
v id a si sen tia . Sandro, ch e ci ode, tenend osi m orto, non sapea
ch e d ire. E v en u togli lo sp irito, d isse : 0 P ippa, tien i ce la to
q u esto fatto, io far ch e tu ti sp erd erai, lassa fare a m e. E su
bito se nand a uno sp ecia le suo com pare d icen d ogli il fo llo
com m esso, e com era seg u ito , ch e g li p iacesse d i d argli cosa ch e
lla si sp erd esse. Lo sp ecia le d isse: Com pare, cotesto non farei
p er la v ita ; m a io lo dir a l m io zio m edico, m aestro A lessio,
ch e c i dar q u alch e buon riparo sen za ch e la crea tu ra si sperda.
Sandro d isse: Io v e n e prego, com pare, p erocch io s e r e iil pi
vitu perato om o di S ien a. Lo sp ecia le, p er serv ire il com pare,
d isse a m aestro A lessio tu tto ci ch e Sandro g li a v ea d itto. Lo
m aestro d isse : N oi cam perem o la creatu ra e t terrem o m odo di
140 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

ten er la cosa ce la ta p er m odo c h e m ai non sia p a lesa ta . E t


su bito m andato p er Sandro ch e a lu i v en isse, Sandro ven u to, lo
m aestro d isse se la gio v a n a fe r e q u ello ch e lu i d icesse. Sandro
d isse di s. A llora lo m aestro g li d i c e r te p o lv eri dicendo c h e
di q u elle ta cesse a lcu n o forno a lla feccia d ella fen ciu lla p er m odo
ch e a ltri non se n e a v v eg g a . E dappoi m anda p er m e e t io for
si c h e n e rim arra* con onore. Sandro p rese le co se e t su bito
andoasene a casa, e dato a P ippa q u ello c h e l m aestro g li a v ea
dato, P ippa com e ca v estro ( i ) lo su ffom igio a lla feccia si fece,
e com e l'eb be fe tte, guardandosi in n ello sp ecch io, s i v id e tu tta
g ia lla d iven tata. Di subito m etten d o a m alizia uno strid o e get
tata si in su uno tettu ccio, dove N icolosa su a so rella tra sse a llo
strido, e v ed e Pippa in su l tettu ccio g ia cer e co si g ia lla . G ridando
d isse: O r c h e questo? E subito m andato p er Sandro c h e a
ca sa v en isse, Sandro, ch e atten to stava, a casa n'and, e dom an
dato la cagion e p erch l a v ea in tan ta fretta rich iesto , la donna
d isse: Or non v ed i com e la Pippa d iven tata, c h e q uasi tra le
b raccia m m orta? V a tosto p er uno m edico. Sandr d ic e : 0
Pippa, con fortati, c h e c h i l'h a fetto v en ire co testo m ale te n e
fer g u arire, e per non a v er paura. La Pippa infingendosi d isse:
P er D io an date tosto, c h io m i penso m orire prim a c h e sia te
tornato. M adonna N icolosa d ice al m arito ch e tosto vada. Sandro
subito m en il m aestro. E ven u to d isse: 'V ' la fen ciu lla? Sandro
lo m en in cam era. Q uine ritro v a la Pippa in co llo a lla so rella .
E tastandogli il polso, poi guardandola in n ella feccia , fra s
m edesim o d isse : B en h a 'doprato la m edicina. E t u scito di ca
m era, ch iam m adonna N icolosa d icen d ogli la Pippa a v er e u na
inferm it la q u ale si chiam a im p reg n a lo m olle, e tu tto d ic e a lla
so rella , ch e q u ella inferm it assai di p ericolo, p ero cch di con
tin u o g li ingrosser tu tte le m em bra e t m assim am ente il corpo,
m a penso co lle buone m edicin e, se la natu ra d i Pippa p otr so
sten ere a prendere il cibo e le m edicin e ch e io g li for fere,
p oterla cam pare; b en ch fetico sa cosa ser a cam parla, n o n d i
m eno p rovare si v u o le. La donna d ic e : D eh, m aestro, non la s
sato p er d in ari. Lo m aestro si partio dicendo d'ordinare tu tte
cose, e t cos a lla b ottega con Sandro n'and. E di quine fe por-(i)

(i) Cos il ma. Vale capestro f In questo caso si intenderebbe, adattandosi


il sufihmigio alla sola feccia, a modo di capestro; ma pur sempre assai
sforzato.
DE DISONESTO ADULTERIO ET BONO CONSILIO 141
ta r e alcu no giu leb b e co rd ia le p er conforto e t alqu an to con fetto,
d icen d o c h e di q u elli di d e d i n otte u sa sse, con b uon i capponi
e g a llin e e t alcu n a T olta un poco di castron e. Sandro tu tto d ice
a lla donna e t ogn i di alm eno u n a volta il m edico ven ia p er di
m ostrare a lla m oglie d i Sandro il bian co p er lo n ero. E t p er
q u esto m odo dim or la Pippa fino a l settim o m ese, non lassando
Sandro e la Pippa, quando m adonna N icolosa non era in casa,
la feeeen d a im pregnare, m a quanto poteano Parti usavano. E
sem pre il suffum igio la Pippa fecea . V enuta a en trare in n el
settim o m ese, d isse Sandro: M aestro, la Pippa h a ta n to grosso
il corpo, c h e m i p are alcu n a volta ch e su l corpo g li m onto la
crea tu ra v o ler di fo o ri u scire, e t p ertanto io dubito c h e non
fo sse di q u e lle c h e a i sette m esi p a rtorisse, e p er tro v a te m odo
ad a ltr o fatto. Lo m aestro d ice: Io v o g lio v en ire, e ved rai se io
ar buona m edicina p er questo fetto . E m osso e t andato a casa
di Sandro, 1& tro v la Pippa co l corpo grosso e lo v o lto g ia llo ,
fin gen d ose la Pippa sta re gra v e. M adonna N icolosa su a so rella
d ice: O m aestro, io sono stan ca ad a v er tan to tem po govern ata
P ippa, ch e non poeso p i . E per v o rrei, se ella de' m orire, c h e
to sto s i sp acciasse, e t se a ltre m ed icin e c i sono a feria "sana,
l ad opriate. Lo m aestro, cognoscendo c h e la m alattia di P ippa
in crescea alla so rella, tirando da p arte Sandro, dicendo alla donna
c h e nn poco stesse, da p arte tira to Sandro, e* a ccostarsi a una
p a rete de tau la p er p arlare di secreto . M adonna N icolosa si raisse
d ietro p er u dire q u ello ch e '1 m aestro d ir v o lea a Sandro sn o
m arito. E com inci m aestro A lessio a d ire: 0 Sandro, io cognosco
c h e la m alattia di Pippa in cu rab ile, e p er certo penso non
p otern e a v er onore, e p oich io oggi l'h o ved u ta, m e n e p are
esse r certo ch e il m ale c h e ella h a e u n m ale ch e, non credendo,
s'ap p icch i a ltru i addosso. E pertanto ora ti dico c h e qui non vo*
v e n ir e ogn i d com 'ho fatto, e t a te dico, se h a i cara la tu a
p erson a, non te g li a ccosti, se v u o i v iv e r e san o e t sen za d ifetto.
E p erch di am are la donna tu a sopra tu tte le cose, sa re b en e
c h e e lla ancora non v i s'accostasse, p erocch a lle donne ta l m ale
pi to sto s'appicca ch e a lli om ini. Ma se a v essi alcu n o luogo di
foori, in n el qual fosse persona ch e tu fidare te ne potessi, io
d irei ch e tu la P ippa quine m andassi e t aresti foggito il p ericolo
tu o e q uello d ella tu a donna, ch e la di pi am are ch e te. Sandro,
ch e s' accorto ch e '1 m aestro s avved u to ch e m adonna N icolosa
s' posta in lu ogo ch e tu tto ode, fingendosi rispuose e d isse:
M aestro, io cognosco ch e voi d ite vero ch e '1 m ale d ella Pippa
142 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

m olto a p p iccicaticcio e da p och i ( i ) di in qua m i pare e sse r


tu tto con traffatto. E t anco h o ved u to la m ia d olce N icolosa tu tta
sm arrita p er la m alattia di Pippa, m a io v i dico ch e io p er m e
a le i non m accoster punto e spero c h e N icolosa non la vorr
abbandonare. E t p er questo dubito c h ella non prenda lesio n e in
n ella p ersona com e la Pippa e non so ch e fare. D isse il m edico:
10 sen to ch e h ai una p ossessione assai presso. [R ispuose Sandro:
S i, ed h o (2) una m ia zia , la quale tanto am ica a N icolosa,
c h e non credo ch e N icolosa volesse ch e la Pippa R isse a l suo
governo, e t a ltra non ho. D isse il m edico: Tu d e pi am are la
donna ch e la zia, c h il V an gelo d ice : E rite duo in u n a ca rn e,
e ser una m oglie e t uno m arito in una carn e. E pertanto v o g li
pi c h e la zia pata afflizion e ch e la donna. Sandro risp u ose: Or
se la donna v i vorr andare e non v o g lia ch e a ltri v i vada, ch e
for? Lo m edico d ic e: [Tu tro v era ij tosto (3) ch i ti dar una
giovanotta con m olti fiorin i, e t se tu a donna s eleg g er il m ale
e non sia tu a colp a, non sera i rip utato se non buono: e g i fu
trovata la V ezzosa di T olom ei, la q u ale d elle b elle g iovan e di
S iena. E com e q ueste p arole ebbeno d itte, partendosi d al lu ogo,
la donna tin ta in n elle cig lia , quasi si v o lesse com battere, sp ett
11 m aestro e *1 m arito dicendo: 0 m aestro, io vo' sap er q u ello
ch e d ella Pippa de* essere e t non vo* a v er pi caro altri c h e m e;
d item elo tosto. Lo m aestro d ice: Andiam o f ori di cam era e tu tto
v i conter. M adonna N icolosa d isse: Io v o c h e qui m i d ich ia te
tutto. Lo m edico disse, e N icolosa (4) sentendo di paura m ore.
La Pippa d isse: 0 m aestro, io sa rei p iu ttosto con tenta di crep a re
ch e la m ia cara so rella a v esse m ale a lu n gh ia d el p iede. Lo
m aestro d isse ch e ben sarebbe ch e la Pippa andasse Riori. E non
lassando, N icolosa, liv ra ta l ultim a parola a l m aestro, d isse: 0
Sandro, io ti dico ch e tu m andi la Pippa in v illa , e m andavi tu a
zia , ch ogni poco ch e n a rrecato e tu d ici : P orta questo a m ia
zia. E per, com e le m andi il b ene, m andagli ora la P ippa a ser
v ir e . Sandro, c h e h a e q u ello vu ole, d ic e: T u sa i ch e io non
v orrei c h e tu l abbandonassi p er lo poco tem po c h e a r a v iv e r e , 1234

(1) Ms.: e ditemi che da pochi.


(2) Ms.: assai presso a una mia sia la quale. Certamente vi fo saltata
una riga, cui mi sembra di aver sopperito seguendo il senso. La zia, come
si vede dopo, era zia di Sandro e non del medico.
(3) Qui non intendo il ms., che dice: che arai tosto alle p a tii chi ti dar.
(4) Ms.: pippa, ma d erroneo.
DE DISONESTO ADULTERIO ET BONO CONSILIO 143

co m h a i fatto fin e a qui. E N icolosa : Ora v eggo ch e poco m am i,


c h v o rresti ch e m orissi, e t poi p ren d eresti V ezzosa de T olom ei,
ca n e c h e tu se! P er certo io non v'andr m ai. Sandro d ic e : Io
far ci ch e vorrai. E subito andatosene a lla zia e tu tto narrato,
a lla v illa m en (1 ) la P ippa e la zia, andandovi alcu n a v o lta
Sandro p er con ten tare s e t a ltri. E poco stan d o P ippa in v illa ,
c h e C ione suo m arito torn in Siena, e dom andato d ella Pippa
su a m oglie, Itigli d itto tu tto e narrato. C ione, ch* desideroso di
v ed erla , d isse ch e in v illa v o lea andare. Sandro d isse: E gli
b en e ch e il m aestro ci sia. E m enatovi m aestro A lessio, m ontati
a ca v a llo e t avendo prim a fatto a sen tire a lla Pippa, P ippa
m aestra, fattosi il suffum igio, pi g ia lla c h e m ai [era ] d iven u ta
e grossa pi di otto m esi, ch e parea a ved ere una idropica.
G iunto Cione, il m aestro e Sandro a lla v illa , e t an dati a l letto
d ove la Pippa gia cea , e t a ccesi i lum i, vedendola C ione co si con
traffatta, non s'accost m olto, p erch il m aestro g lie la v ev a v ie
tato. E t u sciti presto di ca m era, C ione d isse a l m aestro: Q uesta
in ferm it cu rab ile o no? Lo m aestro d isse: C ostei a caso di
m orte: m ostrandogli lo cap itolo del m ale, u ltim am en te con ch iu se
le i esse re a m al partito, m a c h e adoprer q u ello ch e debbia
e sse r e su a sa lu te. E p er q uesto m odo si partirono e t in Siena
tornaro. A vendo prim a lo m aestro e Sandro d itto alla zia d i Sandro
c h e quando la Pippa p a rto risse fa cesse ch e uno bacino si tro
v a sse p ieno di m ateria g ia lla , la zia di Sandro d isse : L assate
fa r e a m e. E t avendo C ione sen tito il p ericolo da ccostarsi alla
P ip pa, p i non ebbe volont dandare in v illa , so llid ta n d o il
m aestro di buona cu ra, e per questo m odo pass il tem po. E'
v en u to il fin e d el nono [m ese], la Pippa p artu rio uno fan ciu llo,
il q u ale secreta m en te ad a llev a re si d ied e. E fatto noto a Sandro
e r a in su lla m orte (2 ) e t a C ione e t a l m edico, il m aestro [d isse]
a Sandro, m adonna N icolosa e C ione c h e la m alattia d ella P ippa
e r a im p regn atio m olle. D isse a lla zia : C he m ateria g iett quando
l a cc id en te g li ven n e? L a zia sa via fe' p ortare uno bacino p ieno
d i lico re g ia llo m escolato con m estru ale m ateria. Lo m edico disse:
C o stei cam pata p oich ta le m ateria g li u scita d i corpo. La
so r e lla , ci vedendo, d isse: P er certo m aestro A lessio sem pre lo
d is s e ch e se e lla g itta sse questa m ateria, Pippa era gu arita. V e-12

(1) Ms.: menando.


(2) Goal nel ma., ma qui e sotto v certamente corruzione nel testo.
144 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

d ota q u ella m ateria, in fio r o in cam era, e t [il m ed ico], ta sta to il


polso, d isse: P e r certo co stei g u a rita . E subito com and c h e
fe sse nudrita di buoni capponi, pippkm i e con fezioni, d icen d o a
tu tti ch e lu i n 'avea buona speranza; e t p er questo m odo P ip po
pi d i v in ti di fe e da capponi e t buone la sa g n e e con fezion i
confortata, in tan to c h e p areva proprio u n a rosa g ia lla p e r c h
non ancora g li era d ivetato il su lftu nigio. C ione, d esid eroso d i
v ed er q u el b el viso, d isse: Io v eg g o la P ippa e sse r in buon p u n to,
sa lv o d el co lore. S e q u ello cessa sse, v o rre le i m enare. Lo m a estro
d isse: N oi abbiam o tatto la m aggiore cosa, tarem o la m in ore. E
dato a lla Pippa alcu n o u ngu en to e t acqua, in m eno di tr e di
P ippa fe coim ita com e rosa. Sandro, c h e ci ved e, d ice: P o ich
tosto a m arito an dare n e d i, q u este ro se v o co g liere, c h e son o
s v erm ig lie, p oich ta n te g ia lle nho co lte. Pippa sta e co n ten ta.
Clone, ch e sen te c h e Pippa pi colorita ch e rosa, andandola
a v ed ere, piacen dogli e t anco dom andandola ser a con ten ta d i
v en ire a m arito e se si sen tia forte, c h e v o len tieri la m enare*,
Pippa risp u ose: A l vostro com ando sono, n a ltro d esid ero. C ione,
dato lord ine d el m enare e t ordinato le n ozze e tatti r in v iti,
Sandro d ice a m aestro A lessio: Com e tarem o c h e C ione sen ta
la Pippa vergin e? Lo m aestro d isse: Q uesto ser& assai p icco lo
peccato a tare ch e paia v erg in e. E t ordinato uno bagnuolo str e t
tiv o , con a lcu n i suffum igi, la natura d ella Pippa restrin sen e p er
m odo, c h e quando C ione l ebbe m enata e t in n el letto con lei
intrato, venendo a fornire il m atrim onio, trov la Pippa e sse r
di sotto pi stretta ch e una d onzella di d ieci an ni. D icendo: Io
non trovai m ai giovana ch e s onesta v erg in e fe sse com e la P ippa;
udendo questa, risp u ose: E tu di il v ero, m arito m io, e cosi si
goderno dappoi insiem e.
DB SUPERBIA CONTRO REM SACRATA 1 45

38.
ITit ., * ftO],

DE SUPERBIA CONTRO REM SACRATA.

F u in N avarra uno re nom ato A stulfo, lo qtial era di tanta


superbia, ch e q u ello ch e a lu i cap ea in n ella m ente v o lea sen
zaltro con siglio ch e ad effetto si m ettesse, .avendo m olte persone
sen za colpa fatto m orire. E neuno era ardito a contraddire a sua
volont, p arendogli esser da tanto c h e lo ream o per sua virt
g li fiisse ven u to in n elle m ani, e p er ta l modo v iv ea . D iven n e
un giorn o ch e il d itto re A stulfo, essendo in n ella ch iesa , udendo
vesp ro, udio can tare la m agnifica e t quando fu e a q u el verso
ch e d ice : Deposuit potente* de sede et exattavit humiles, di
m and uno dottore la disposizione del salm o. F u g li p er lo ditto
n arrato ch e Dio diponea d e lle sign orie, li p otenti e superbi, e
li u m ili raetlea in alto, di ch e, udendo lo re A stulfo ta l disposi
zion e, com and sotto pena d ella v ita c h e pi ta l salm o non si
ca n ta sse e t cosi p er tu tto il suo ream e fe fare ta l com andam ento.
Li p reti e firati, avendo ricev u to ta l com andam ento, la d itta ma
g n ifica d ir non osavano c h e a ltri u d ire la p o tesse, m a da loro
con piana vo ce ta l m agnifica diceano. E pi a vea fatto lo ditto
re A stulfo, ch e qualunque udisse d ir cosa ch e d o vesse tornar
danno o vergogna di lu i ch e fu sse potuto b attere sen za pena,
e t pi altre co se di cru d elt avea ordinato. Iddio, c h e a l m al
p en sieri pone rim edio, e p er non v o ler ch e q uel d olce salm o
fatto dalla v erg in e M aria, in n elle parti d el ditto r e fu sse n a
scoso, m a ch e p alesem ente e t a lto con rev eren zia si can ta sse,
conchiudendo tu tte le p arti insiem e, dispuose la d ivin a bont a
m andare un angelo per rip arare a lla m alvagit d ello d itto re,
com e in questa n o vella ch iaram en te u d irete. E ssendo g i il m ese
di m aggio ven u to, diliber re A stulfo andare a i bagni, p erch
da* m aestri g li eran o sta ti lodati p erch di nuovo a v ea preso una
giovana b ella p er m oglie, lodandogli il bagno esser atto a far
gen era re. Lo r e appairecchiato dandare, le som e ca rich e, m olti
m ascalzoni e g u a tteri si m ossero e t a* bagni andarono. Lo re
con gran ca v a lla ria e g en ti d'arm e da p i e da ca v allo si m osse
e t a* bagni cavalc. E q uine d i ord ine c h i dovea sta re arm ato
a ca v a llo e ch i alla guardia da p i e q u elli ch e a llu scio d el
146 .NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

bagno sta re doveano, avendo ciascu n o com andam ento star p resti
e quando in tra sse in n el bagno ch e persona del m ondo non v i
si la sci dentro en trare, sotto pena d ella testa , fu sse c h i si v o lesse,
e m olte a ltre co se a l suo salvam ento ordin. E p er questo m odo
dim or pi di quindici d, ch e sem pre, quando lo re in n e l bagno
en trava, neuho in q u ello en tra re potea, e t u sciton e, tu tti li a ltr i
ch e a l bagno eran o ven u ti en travano. E stato il d itto r e il tem po
ditto, un giorno essendo il r e in n el bagno en trato e t i panni
m essi da parte, com era su a u sanza, e le gu ard ie a lla porta,
senza ch 'a ltri se n'accorgesse, si trov dentro uno pel bagno con
panni grossi. Lo re vedendolo d isse: P er certo ben [le ] g u a rd ie
d elle porte d el bagno ap piccare far, p oich questo poltron e han
lassato en trare. E n ien te a l p elleg rin o d ice, m a di superbia tu tto
si rode, spettando com e di fu ori d el bagno ser di p resen te Carlo
ap piccare. Lo p ellegrin o en trato e lavatosi, lo re n ien te d icen dogli,
anco coll'anim o superbo verso le gu ard ie lassa dim orare il p el
leg rin o in n el bagno. Il p ellegrin o, stato alquanto, u scio d al bagno
e t i panni de A stulfo si m ette. Lo re ci ved e, sta ch eto co ll'a
nim o em pio a pun ire le gu ard ie, n ien te a l p ellegrin o d ice. Lo
p ellegrin o, v estito d e panni d el re, lassato la su a trista roba e
li a ltri v estim en ti, u scio fuori e d isse : B rigate, a ca v a llo . E m on
ta to a cavallo, v erso N avarra p rese il cam ino, e tu tti, da ca v a llo
e da p i, segu ir lo re , parendo loro fu sse lo r e A stulfo, e co si
giun sen o a N avarra. E ntrato in p alagio, la donna, ch e cred e ch e
sia il suo m arito, nom ata m adonna F iam m ella, d isse: M essere, voi
sete orm ai stato tanto a l bagno e solo p er a v er di m e fig liu o li
e t io asp ettatovi, ch e Cacciamo? Lo r e n ovello d ice ch e i m edici
g li hanno d itto ch e alcu n o d sp etta re si vu ole, p erch il corpo
sia dogn i um idit purgato. La rein a steo con tenta. Torniam o a
re A stu lfo, c h e h a veduto q u ello p alm ieri a su o m odo v e stir e i
su oi panni. U scito fori e non ved en d o a lu i persona v en ire,
com era di u sanza, stato m olto n el bagno, d isse fra s: Or veggo
q u ello m i con verr Care, ch quanti fam igli ar ch e abbino fal
lito tu tti li far m orire; e m ossosi d el bagno e* a ll'u scio n'and
nudo e non vid e persona. U scito pi fuori, v id e d alla lunga a l
quanti ribaldi, ch e in uno p ratello giocavan o e non a ltri. Lo r e
fra s d isse: L e m ie b rigate si saranno p artite ; io le far tu tte
d i ca ttiv a m orte m orire. Et essend o nudo, pens, poi ch e a ltr i
panni non a v ea, di m ettersi q u elli d el p ellegrin o. E t u scito fu ori
con superbia, g iu n se a q u elli b arattieri dicendo loro: V ' an data
la m ia gen te? D isse uno: C he gen ti vai cercando? D isse lo r e :
DE SUPERBIA. CONTRO REM SACRATA. 147

Com e ! non m i cogn oscete ch e sono lo re A stulfo vostro signore?


D isseno i giocatori : Com e se* tu n ostro re ! e p reselo, di m olti
ca lc i e pugna g li dienno, d icen dogli: V a a lla p ignatta a V ignone
e non d ir pi ch e tu sei nostro re. Lo r e A stulfo, c h e h a avu to
le prim e vivand e, d esidera le second e. Ponendosi in cu o re ch e
tu tti i gaglioffi fare m orire, e cam in verso la citt , e com e tro
v a v a a lcu n i lavoratori dim andandoli se la sua g en te era di quine
passata nom andosi loro re, li lavoratori co lli s tili d elle van gh e
e de m arroni lo fracassavano dicendo: Lo nostro r e A stulfo e
non se tu , ca ttiv o p oltonieri. Lo r e infiam m ato d i superbia,
b en ch si potrebbe d ire riscald ato d e colpi ricev u ti, prom ette e
g iu ra tu tti li contadini trattar in form a di sch ia v i, e parendogli
la second a vivanda assai cald a, pens la terza fu sse m igliore. E
giu n to a lle gu ard ie d ella porta, dom andando se la sua gen te
fusse dentro en trata, risp uoseno: D entro en trato lo re colla
sua b rigata. D isse A stulfo re : Come ! non sono io lo vostro re e
signore? Le gu ard ie e soldati ch e quine erano, udendo ci d ii$ ,
co pom i d elle spade dandogli, ca ttiv o d ivenn e, in tanto ch e quasi
m orto lo la sso n n o , tan ti colp i g li derono. A stulfo re, partitosi da
loro, p rom ette ch e quanti sold ati da p i e da ca v a llo ar, tu tti
li far in prigione sen za pane sosten tare. E t in ta l rabbia e su
perbia n e va, ch e giu n se a l p alagio suo, l u* senza dom andare
su p er la scala m onte. La guardia, ch e l ved ean o g i salito
presso ch e m ezza la sca la , d irieto g li trasse e p er lo lem bo d ella
g on n ella lo trasse, p er m odo ch e tu tta la sca la sa lita in pi sca lei
in u n o colpo a p i si ritrov tu tto m acolato. A stulfo, vedendo
q u ello c h e l fam iglio g la v ea fatto, d isse: 0 A m brogio, non m i
cogn osci? io sono lo r e A stulfo tu o sign ore. A m brogio, ch e ci
ode, co ca lc i dandogli d iceagli (1 ): G aglioffo, non (2) sono io sm e
m orato, c h *1 m io signore lo re A stulfo in cam era co lla donna.
A stu lfo, udendo questo, traen dosi da p arte in piazza, d icev a : O
quanti n ar a far m orire e q uanti n e rim etter in luogo ! E
m en tre ch e ta li p en sieri avea, lo n o vello r e se n e v en n e a lla
fin estra . A stulfo re, ch e ci ved e, sospinto da g elo sia , vedendo
ch e a lla su a donna ten ea un braccio in collo, se nand a lla
sca la e quasi tu tta lebbe m ontata, ch e persona non se nera
accorta. A m brogio guardando lo vid e e t disse : A nco c i se* ven u to,12

(1) Ma.: dicendoli.


(2) Ma.: come.
146 VOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

diavolo, e p reselo p er forza, d el capo g li fe d are in n ella porta


d ell'u scio, ta le ch o *1 san gue com inci a v ersa re. stulfo re, non
potendo pi, tiro ssi da p arte d ella piazza d icen d o: C he vorr
d ire questo? Io non sono cogn osciu to da persona, e t ora veggo
ch e fin e a lla donna m ia non m i cognosce. P er certo io debbo
a v er q u alch e gran peccato ch e Dio m i v u o le p un ire a questo
m odo. E tu tto u m iliatosi verso Dio dicendo ch e se m ai g li d iv e
n isse ch e tornasse in istato ch e si guarderebbe di m al fare, lo
n o vello r e , c h e tu tti i p en sieri dA stulfo re sapea, lo fe* ch iam are,
e stulfo m ont la scala assai debile p er li colp i avu ti, e fattolo
condurre in cam era, dove trov lo re n ovello ch e ten ea in sen o (1)
le m ani alla m oglie, e ven u to dinanti, lo r e n ovello dim and
ch i era, stulfo d isse: Io sono uno p eccatore ch e Dio p er i m iei
p eccati m 'ha si abassato, ch e non ch e altri m i cognoscano ch e
io m edesim o non m i so cogn oscere. D isse lo n ovello r e : P erch ?
stulfo d ice : Io fu i gi re com e ora sete voi, e cotesta gio v a n a ,
ch e voi co lle m ani le sta te in sen o, fu g i m ia m oglie, e tu tta
la m asnada da p i e da c a v a lli, tu tto questo ream e ebbi in balia,
com e ora a v ete voi. E t non so com e perduto tu tto in p iccola
ora abbia, con tatogli lo andare al bagno e t il p artire e tu tte le
bastonate e colp i ricev u ti, e p er certo io confesso li m iei p ec
ca ti essere stato cagion e. Ma se Dio m ai m i p resta grazia c h e
io m i ritro v i essere sign ore com e gi fo i, io m i m uter com e fa
la serpe. Lo n o vello re d isse: stulfo, stulfo, non pen sare c h e
persona d el mondo sia da tan to ch e non ch e uno ream e d ovesse
signoreggiare, m a una sola casetta non potre* ten ere, se Dio ta l
dom inio non g li con ced esse. E p ertanto Iddio t'h a volu to dim o
strare ch e tu tto suo e puollo dare a ch i v u o le e sim ilm en te
rito rre. E t per ti vo' d ire ch i io sono, e vo* c h e sappi ch e io
non sono ven u to p er a v er questo ream e in signoria, ch troppo
h o io e li a ltri ch e sono appresso a Dio m aggiore signoria c h e
non are* qualunque fo sse signore di tu tto *1 m ondo, m a acci c h e
tu d iven ti m isericordioso e pietoso Iddio mi m and. E per ornai
ti rendo la signoria, l'onore e la tua donna, notificandoti c h e
se farai i com andam enti di Dio, sarai m isericordioso e non cru
d ele, m antenendo g iu stizia d iritta, Iddio ti prender (2) qui in
grazia ed alla m orte ti dar gloria. E facendo q u ello ch e h a i 12

(1) Ms.: freno.


(2) Ms.: perdoner.
DE SUPERBIA CONTRO REM 9ACRATA 149

la tto , com e una volta te n e h a tolto la signoria, cosi di nuovo


te la to ller , facendoti servo d el dim onio. E t acci ch e sii certo
c h i co lu i c h e ta le cose per parte di D io fe, ti dico io esser
la n g elo suo. E sparito, subito la m oglie lo riconobbe e tu tta la
fam iglia. A stulfo, avendo ved u to e sen tito, subito m utato din
ten zion e, d iven n e il pi m isericordioso e benigno c h e m ai re*
fo sse , e com and ch e di p resen te la m agnifica si d ovesse di
n u ovo can tare a v o ci a lte con canto e co si sosserv, e da q u el
tem po innanti lo r e A stulfo fo p er virtu d i rip utato m ezzo beato.
1 50 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

39.
[Trlr., n 61].

DE COMPETENTI CONSILIO DE ADULTERA.

F u non m olto tem po in F iren ze uno g en tile om o de' Rosai


nom ato M ichelozzo, il q uale duna su a donna de* M edici a v ea
una su a b ella figliu ola di anni quattordici, nom ata D iana B ella .
E m aritandola a uno giovano in F iren ze ricco e g en tile ch iam ato
Sim one Buondalm onti, e stata g i pi an ni a m arito, un giorn o
essendo Diana B ella andata con a ltre donne a spasso (ori di
F iren ze a uno giardino, in n el quale ce rti g iovan i a d iletto quine
erano andati, fra quali fu uno d e R u cellai ch iam ato G iacch etto,
il qual com e vid e le donne a llorto v en ire e dentro d ella porta
in trare, fattosi incontro salutando d isse: O Diana B ella , prim a
ch e ad a ltro esercizio sia te poste, v o ch e una danza ordiniam o.
E p resela p er la m ano, D iana B ella vedendo G iacch etto co si li
b erale, d isse fra s m edesim a: Di v ero costu i d e essere di g en til
cu ore, e preselo p er la m ano, ballando con tanto p ia cere ch e
m ai non parea a D iana B ella esser sconsolata di b allare com e
allora, e d isse (1) pi v o lte a G iacch etto: P er certo io h o e avuto
e t abbo oggi in n el cu ore gran d e a lleg rezza p oich la m ano mi
prendesti, ch e se tu tte la ltre m em bra fusseno di tan ta v irt
quanto m i sono paru te le tu e m ani, m olto con tenta d ovre esse re
q uella giovana ch e in b raccio ti ten esse. G iacch etto, c h e ode
D iana B ella, e t g li paruto sen tire a l ten er d elle m ani quando
ballavano ch e e lla di fuoco dam ore fusse riscald ata, d isse: Ma
donna, q uello ch e d ite di m e io debbo d ir a voi, ch p er certo
[non] losava d ire, ch e di vero quando la m ano v i p resi m i
p arve fusseno tu tte le pium e e d iletto d el m ondo esser in q u elle (2),
stim ando [fra] m e m edesim o c h e dovrenno esser q u elle p arti
ch e cop erte dal sole stanno, vedendo tanta b ian ch ezza in n e lle
vo stre d ilica te m ani e vedendo il vostro vezzoso e a n g elico v iso
con q u elle du ste lle rilu cen ti de v o stri on esti e t leg g ia d ri
occh i, ch e di vero lo ram o d ella vostra persona avan za tu tti li
altri ch e portino qual fiore b ello e t odorifero si v o g lia . E non
aven d o io ardim ento di d over le v ostre b ellezze con tare, cogn osco 12

(1) Ma. : dicendo.


(2) Passo certam ente corrotto, ma che non saprei come ricostruire senza
pecca di soverchia arditezza.
DE COMPETENTI CONSILIO DE ADULTERA 151

ch e m al fcea, e del fallo com m esso con p regiare la vostra cara


persona v i ch ieg g io perdono, sottom ettendom i a ogn i vostra cor
rezion e. E p er certo la vostra b en ign it, la q ual si m osse a m e
lo d a re, m ha fatto certo ch e io h o troppo fallito. D iana B ella
d ice: G iacch etto, non bisogna c h e sii corretto, p ero cch solo in
te sta ogn i p erfezione, dicendoti ch e veram en te le tu e m ani
sono d egn e di co g liere que' fru tti ch e pi d ilettev o li sono, e t so
p er te s i cogn osce ch e alcu no io nabbia, a tu a posta, ti prego,
lo co g li. G ittandogli uno o cch io addosso, rid en te G iacch etto d isse:
Io sono a l tu tto disposto a ubbidire q u ello c h e com andate. D iana
B ella, presolo p er la m ano e m enando la danza, lo condusse da
la to alla casa, dove persona non era, e v o lta si a G iacch etto g li
d i un bascio dicendogli : Q uesto v o g lio ch e sia p er arra d e frutti
c h e dom enica n otte v o ch e rico g li d el m io alboro. G iacch etto
lieto , con le i d i lordine ch e la dom enica andasse ad albergo
seco , per ch e l m arito dovea andare di fu ori in v illa . D ato
l'ord in e, ritorn ati a lle donne e fatta una in salatu zza, m erendarono,
e dappoi ognuna con q u elle s'avean o co lte in F iren ze tornarono.
D iana B ella, c h e la sua insalatu zzola a vea in n ella m ente del-
l'ordinata notte, si steo fine a lla dom enica, c h e l m arito di fiio ri
and. E t la . n otte G iacch etto con le i trovatosi, di q u elle m elu zze,
c h e in n el sen o D iana B ella portava, due rose n e co lse, avendo
d e fiori co lti tan ti ch e D iana B ella, essendo sta ta in posto di
p ortare corona, di pi di dodici m erli la re p ortata fornita. E
ta l v ita ten n e G iacch etto di D iana B ella pi m esi. Or p erch le
co se non si puonno fa re tan to secreto , e t m assim am ente ta li fac
cend e, ch e non si vegn an o a palesare, d ivenn e ch e a Sim one
su o m arito fu m ostrato ch e D iana B ella g li fic e a fallo. Subito
rich iesto a lcu n i suoi paren ti, con loro d olutosi d el caso, dilibe-
ronno a l padre di D iana B ella m an ifestare la cosa, e co si se
nandaro a M ichelozzo e tu tto il fatto d ella figliu ola g li dissero.
M ichelozzo, m alinconoso p er pi risp etti e prim a p er la figliu ola
la qual am ava, appresso p er G iacch etto se co lu i d ovesse p er
questo fatto v en ire a gu erra, sen za n ien te rispondere se non ch e
d isse: Sim one, a l p resen te risp ond ere non ti posso p er dolore
c h e a m e [ ] v en u to ; va, ritorna dappoi a m e, e t io ti dar
q u alch e con siglio, Sim one doglioso si p arte. M ichelozzo subito
pens a G iarnieri d e R ossi suo fra tello dirlo, om o di grande
cu ore e senno. G iarnieri, com e od e q u esto fatto, pens con b el
m odo far sta r con ten to Sim one, e d isse a M ichelozzo ch e lassi
fare a lu i, e di p resen te fe* in v ita re tu tte le consorti d e R ossi,
152 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

m aschi e fem m ine, e sim ile Sim one e Diana B ella, ch e la do


m enica vanghino a m angiare con lu i. E con Sim one in v it q u ello
ch e g li a v ea d itto [a v e re] il d iffetto com m esso. F atto lo n vito,
D iana B ella, ch e d i questo fatto n ien te sapea, p erocch *1 m arito
n ien te g li avea ditto, a lleg ra e baldanzosa a casa di G iarnieri
and col m arito a d esn are e sim ile li a ltri om ini e donne d ella
ca sa ; e quando fanno tu tti a casa, G iarnieri chiam da parte
tu tti li om ini de* R ossi lassando Sim one e *1 p aren te co lle donne
in sala. E loro en trati in cam era, G iarnieri com inci a d ir a*
suoi : F ra telli e con sorti m iei, eg li avven u to ch e noi siam o p er
esser in m ala gu erra se non si p rovved e, e di questo n* colp a
la figliu ola d i M ichelozzo, D iana B ella, la q uale con G iacch etto
R u cellai s h a preso p iacere, di ch e Sim one su o m arito se n '
accorto e t h a d itto a l padre il fatto, e p an n i m al disposto a
vergognarci p er sem pre m ai o m etterci in gu erra con si fa tte
ca se. E p ertanto, se v o lete fare a m io m odo, da tu tti i p erico li
cam perem o con nostro onore, altram en te sarem o disfatti e v itu
p erati. U dendo i con sorti questo fatto, disseno : G iarnieri, ordina
e noi segu irem o. A llora G iarnieri d isse: Or non v i sd egn ate di
cosa ch e io a lle v o stre donne dica, p erocch tu tto risu lter in
bene. T u tti d issen o: Di* e fa ci ch e a te pare. G iarnieri, a v u to
licen zia , u scio di cam era con tu tti li a ltri e d isse: 0 voi, om ini
e donne, u d ite q u ello ch e io vo* d ire e t non abbia neu no a m ale
se io dico il vero. E per prim a ch e noi m angiam o vo* sap ere
alcu na cosa. E v o lsesi a lla m oglie dicendogli : V ieni qua, puttana
ch e sei, p oich io ti trovai farm i fallo m i sono accorto c h e an co
vai cercando fallirm i e sai te i perdonai. La m oglie di G iarn ieri
volen dosi scu sare, G iarnieri, facen dole m al viso, d isse: T aci, p u t
tana. E poi si vo lse a tu tte l'a ltre donne de* fratelli e t a cia sch e
duna dicea per sim ile m odo, in tan to c h e vergogn ose, tu tte tr e
m ando, pensando de' falli com m essi a ltri se n e fa sse avved u to,
stavan o ch ete. E poi, riv o lto si a D iana B ella : E tu, m adonna la
puttana, ch e a G iacch etto R u cellai t*ha* fatto m ontare cen to v o lte
addosso, noi vogliam o sapere la cagion e p erch e ci abbi fatto,
altram en te noi in con ten en te tucciderem o. D iana B ella d isse: O
G iarnieri e voi a ltri, io l ho fatto p erch m el trovo sano. D isse
G iarnieri : Sim one, D iana B ella ha ragion e e tu d icesti esser con
ten to ch e sana stesse, ma ben ti preghiam o ch e da ora in n a n ti
con altra m edicina la facci sana, m inacciandola di seg a rg li la
gola, se m ai pi lo fare. Sim one, avendo sen tito all*altre donne
d ir puttane, fa contento ch e a lla su a co si si d icesse.
DB JUST SENTENTI A 153

40.
[T ifo, a* 92].

DE JUSTA SENTENTIA.

N ella terra san ta di G erusalem , a l tem po di D avid r e e di Sa


lam en e garzone, fu una donna de* M acabei nom ata Sam u ella
b ella e gio v a n e e donna di uno nom ato M elch ised ec, om o di gran
v irt , la q u ale Sam uella, dopo l usare, di lu i ingravidata in
u no fa n ciu llo e q uello p artu rio. E t sen tend o Sam uella ch e du lo
fanno pi ch e uno, disiderosa di p rovare se due om ini fanno
q u el fatto pi ch e uno, d ilib er p ren d er uno ch a le i p ia cesse.
E t ved u to uno giovan o d ellet del m arito nom ato A bram , q u ello
da p arte trasse d icen dogli ch e in tu tto g li a v ea il suo am ore
posto e t ch e g li p iacesse sta r con tento d i v o ler u sare con lei e t
il fatto terre secreto . Abram , c h e a ltro non a r e [d esid erato],
tenend osi a gran ven tu ra le p arole c h e S am u ella d icea, g li ris-
puose: Io sono pronto. E dato l ord ine desser in siem e, si tro-
vonno a l fetto tem po e luogo, e t prim a c h e Abram del corpo
g li d iscen desse du v o lte la con tent. S am u ella, ch e n 'avea vo
lont, e t avendo g i du v o lte sen tito la dolcezza, d isse tra s
m edesim a : Il m io con cetto stato buono, c h b en e cognosco c h e
du' io fanno pi ch e uno. E t v o ltasi ad A bram , di nuovo il fatto
rifornio, n prim a da le i si partio c h e cin q u e v o lte di lacq u a
al m ulino. E dato lord in e p er a ltr e v o lte di ritro v a rsi secreta -
raente insiem e, d iven n e ch e la v ita ch e fhceano adoper in Sa
m u ella ch e gravida si sen tio , e t sen za n ien te d irn e steo con ten ta.
E v en u to il tem po del p artorire, partu rio uno fan ciu llo, dicen do
a M elchisedec: Ora h a i du b elli figliu o li, luno de* quali h a nom e
Adam o e t la ltro , ch e ora nato, h a nom e Z accaria. E cos di
m orano, e t non m olto tem po dim or ch e Abram m orio. Sam uella
d olen te n ien te d ice, stando fine ch e i fig liu o li funno in et dan ni
q uin dici. Il padre M elchisedec di questa v ita si partio lassando
il su o a su oi figliu oli. R im asa S am u ella vedova, p er a lcu n a ma
lattia sop ravven u tagli si v id e esser in caso di m orte, e sentendosi
il p eccato com m esso d ellacq u isto fatto d i Z accaria, pens di vo
lersen e con fessare, ch e m ai con fessato se nera . E t avu to uno
sacerd ote, d isse: Io porto una grande passion e neUanim a di uno
peccato ch e h o addosso, il q uale ch e la roba di m io m arito
154 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

consento ch e sia di ch i a v er non la de*. E colu i ch e debitam ente


la de* godere con vitu pero d ella m ia persona g liela fo p erd ere.
Lo sacerd ote d isse: D im m elo. Sam uella d isse: Di vero l uno de*
m iei fig liu o li fu d irettam en te di M elchisedec, laltro fu di Abram ,
li q uali padri m eco pi tem po stenn o, e t io con loro p resi m io
p iacere. E per q u ello ch e fu di Abram n ien te d ella roba di
M elchisedec d epossedere. Lo sacerd ote dom andandola d isse: Q uale
q u ello dAbram , a cci ch e dopo la m orte tua lo possa appalesare?
Sam uella d isse: Io v e lo dir. E t com e v o lse d ire, lanim a di
corpo se g li partio e t m orta fu. Lo sacerd ote, ci vedendo, tra tte
le persone e' fig liu o li, d isse tu tto ci ch e Sam uella a v ea d itto.
Adam o e Z accaria, fra telli di m adre, d icean o ciascu n o esser
q u ello ch e la roba di M elchisedec p osseder dovea. E t fu tanta
quistion e fra loro, ch e pi v o lte si p ercossen o in siem e. E d i v e r o
si sarenno m orti, se non ch e li am ici si p reseno p en sieri ch e
D avid r e d eterm in asse ta l q uistion e. E cos davanti da D avid
r e frmno. E t essend o Salam one a lla p resenzia, e t udendo il d ire
d el sacerd ote e d e giovan i, d isse a l padre : Optimo, co n ced ete
ch e Salam one vostro figliu olo d ella q uistion e di q uesti giovan i
ne sia assolu tore. D avid lo con cedeo. E t subito Salam one fe sca
vare il corpo di M elchisedec dicendo a i du* fra telli : Q ualunca di
voi trarr con una sa etta pi presso a l cu ore di M elchisedec,
q u ello ser ered e di lu i. E fatto v en ire il corpo e dato loro du
a rch i con du* sa ette in m ano e t m esso il corpo di M elchisedec
un po da lu n g i, p resen te D avid re e tu tti q u elli ch e quine eran o,
p resen te lo sacerd ote, Salam one d isse ch e larco ten d essero e t
c h e ognuno s in gegn i di tra rre d iritto. Z accaria volen teroso d isse:
P er certo io debbo la roba god ere, e tira larco quanto la saetta
lunga e p ercu ote il corpo di M elchisedec, dicen do Z accaria a
Adam o: Ornai si vedr ch i d e a v ere la roba. E questo d icea con
alleg rezza , p erocch ved ea av er dato presso a l cu ore a poco.
Adam o con lagrim e di passione d isse: 0 padre M elchisedec, il
quale mi d este lessere e t ch e in corpo di m ia m adre Sam u ella
m in gen eraste, posto c h e m ia m adre a te fa llisse dappoi, p ure in
n el con cetto di m e a te non tallio. Or com e ser s m alvagio,
ch e tu c h e m h ai creato di carn e e t datom i lessere, c h e sono
tenu to difendere e com battere con q u elli c h e t offendesseno, io
ora (1) debbia esser q u ello ch e ti p ercuota? N on p iaccia a l som m o 1

(1) Ms.: io come.


DE JUSTA 8ENTBNTIA 155
Iddio, c h p er ta tto *1 tesoro d el m ondo ta l fe llo non ferei. B
voltosi a D avid re e t a S alam oile, d isse (1): P rim a ch e io v oglia
il m io padre p ercu otere v o c h e tutta la sua roba sia di Z a o
caria e t ezian d io vo* ch e di crud a m orte m i faccia m orire.
E g itta to v ia l'arco e la saetta, g ittossi (2) a p i di Z accaria,
d icen d o: La roba sia tua e t m e u ccid i prim a ch e m io padre
v eg g a con q uella sa etta c h in n el corpo su fitta. Salam one,
ved u to il modo di Z accaria d el b alestrare e ved u to il m odo te
nuto p er Adam o, subito sen ten zi ch e Adam o era vero e leg ittim o
fig liu o lo di M elchisedec e t ch e Z accaria era veram en te q u ello
bastardo ad ultero ch e Sam uella avea di Abram gen erato, a s s e
gnando la roba a Adam o e t a Z accaria posto silen zio. A dam o
con lagrim e lev a to si e trattosi li suoi v estim en ti, a l padre li
m isse, e t onorevolm ente di nuovo, com e se allora m orto fu sse,
lo fe sop p ellire, aven d ogli la saetta tratta d el corpo, dicendo a
Z accaria: P er am or di Dio e di m io padre ti perdono il colpo
dato. B p er ricom pensazione di loro sono con tento c h e la casa
m ia in su ssid io d ella tua v ita non ti vegn a m eno. D avid re, lo
dando Adam o di q u ello a v ea fetto, e d isse a Salam one fig liu o lo
lode.12

(1) Ms. : dicendo


(2) Ms.: pittatosi.
156 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

41.
[T it., b W].

DE M ERETRICE ET JUSTO JUDITIO.

Or ch e abbiam o trattato d el senno di Salam ene in n elle due


sen ten zio p er lu i date, di n ecessit a l p resen te d ire com e es
sendo in G erusalem D avid re con Salam one fa n ciu llo , fu una
donna nom ata B eliu ccia e una giovana ch iam ata D ivizia, la quale
B eliu ccia avea uno figliu olo piccolo a p etto ; avu to da u no suo
am ico. E la ditta D ivizia dun p rete av ea avu to uno fan ciu llo
m aschio d el tem po di q uello di B eliu ccia, e stando le d itte donne
p overe, p er p oter m eno spendere, sapendo l'u n a d eira ltra la v ita
teneano, cio ch e B ellu ccia ten ea uno am ico bagascio e D ivizia
ten ea uno p rete, disseno insiem e se p iaccia loro di plrender una
ca sa e fare una v ita, ch e tanto m ettesse luna quanto la ltra . E t
con q u ella sp e sa , accord ate le donne tra loro di d irlo a* loro
bagasci, lo p rete e la ltro con ten ti, sperando poter sen za infm ia
m eglio il loro fatto seg u ire co lle d on n e, co n sen tiro n o , e t p resa
la casa e t uno letto, dorm iano con q u elli fa n ciu lli, ciascu n a la t
tando il s u o , e p er questo modo dim oronno A lquanti m esi. E t
una sera in tra laltre, essend o am be so le p resenti, lo p rete e
laltro diliberonno dandare a darsi p ia cere con B ellu ccia e con
D iv iz ia , e fenno da v ere di buone vivan d e e di m olto v in o , e
co s andarono lo giorno ciascu n o sollazzandosi colla sua pi
v o lte, tenendo tra loro gran festa. E p erch le vivan d e eran o
buone e cald e, e p er lo buon vino, e p er lo trafficare d ella fem
m ina, si riscaldarono li om ini e le donne in tanto ch e pare* loro
esse r in n el paradiso terrestro. E cen a to , p erch era desta te , e
ciascu n o prim a ch e si p artisse, una volta, o ltre q u ello ch e b in an ti
cen a fatto a v ea n o , con ten ter le donne e poi p a rtir , lassando
D ivizia e B ellu ccia e i fig liu o li. V enuta la sera, B ellu ccia calda
c o l figliuolo da l uno lato del letto si coric, D ivizia co l suo
d allaltra proda si m ise, e subito [tonn o] addorm entate. E m entre
c h e in ta l m aniera d im oravan o, B eliu ccia riv o lta si sen za sen ti
m ento, addosso a l fan ciu llo and. Lo fan ciu llo p iccolo di spasim o
m orto, sen za c h e la trista di B ellu ccia si sen tisse. E stata a l
quanto, sveglian d osi e ritrovandosi sotto il fig liu o lo , tastandolo
trov lu i esser m orto. Senza dir n ien te subito p rese il m orto su o
DB MERETRIC1S ET JCST0 JUDITIO 157

figliu olo e t alla to a D ivizia lo puose, e t il suo figliu olo v iv o prende


e t a s ra cco sta . D ivizia, ch e n ien te sen te p erch il vino ancora
u scito non g li era , stava ch eta . E ven u to il giorno, D ivizia isv e-
g lia ta si vid esi m orto il fa n ciu llo allato. G uardandolo cognobbe esse r
q u ello di B eliu ccia e d isse : O B e llu c c ia , ch e v u ol d ire ? il tu o
figliu olo m orto. Io Tho trovato appresso di m e, e tu h a i il m io
in braccio. B ellu ccia Ih v ista di dorm ire e a n ien te risponde.
D ivizia la dim ena, dicen do: Sta su ch e 1 tu o figliuolo m orto.
B ellu ccia ih atto d! sv eg lia rsi, dicendo: Che vu oi? D ivizia d ice:
N on ved i ch e h a i il tu o figliu olo m orto? B ellu ccia d ic e : Il m io
figliu olo ho io in braccio e se tu, com e ca ttiv a , h ai il tuo m orto
non ti dar per il m io v iv o . D iv izia , ch e cogn osce il suo fi~
g liu olo, afferm ando d ice lo v iv o esser suo e *1 m orto di B ellu ccia
e vo lselo p rendere gridando: A ccorruom o. Li vicin i traggono, la
quistion e grande tra costoro, ch ognuna v o lea il v ivo p er s.
D avid re, sen tita la quistion e nata, fotte v en ire le donne col fan*
c iu llo v iv o e m orto, essendo Sdiam one p resen te, D avid re d isse
c h e la ragion e d icessero ch e il fan ciu llo v iv o ognuna lo dom anda
e *1 m orto ognuna n ega esser suo. S a la m o n e, u d ite le d o n n e,
d isse a D avid: D eh padre p erfetto, se a voi fu sse in p ia cere c h e
la quistion e di questo fan ciu llo vivo io d eterm in i. D avid re d isse:
lo contento sono. E t preso Salam one di braccio a B ellu ccia lo
fh n ciullo v iv o , d icen dole: Q uesto fhnciullo d i c h i fig liu olo? B el
iu ccia dice: Mio. E voltosi Salam one a D ivizia d isse : Di ch i
questo fhnciullo? D ivizia d ice: M io. Salam one d ice: Q uesto fan
ciu llo di voi due, e p ertanto vo ch e con una spada si d ivid a
e t la m et sia di B ellu ccia e la ltra sia d i D ivizia. P rese una
spada nuda, tenendo lo fan ciu llo d alluno d e la ti e la spada d el
l a ltra m ano. B ellu ccia d ic e: Io sono con tenta. D ivizia, ch e v ed e
la spada alta, d ice: 0 Salam one, prim a c h io vo g lia ch e *1 m io
figliu olo sia m orto, voglio ch e v o i lo date tu tto v ivo a B ellu ccia .
Salam one, vedendo questo fatto, giud ic il fhnciullo esser di Di
v izia e non di B ellu ccia , e per questo modo Salam one d i il terzo
g iu d icio .
158 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

42 .
[T rir., n* M).

DE DISONESTITATE VIRI.

Lungo tem po fu ch e lo m peradore di C ostantinopoli, nom ato Ce


sa r e ardito, aven d o uno su o figliuolo, nom ato O ttaviano, g i grande
d 'et di anni quattordici, il q uale non volen do a sen n o d el padre
fare, pi v o lte si p art da lu i. Lo m peradore, ch e p i non [n ej
av ea e t era in tem po ch e pi non [n e j a sp etta v a , con p regh i,
pi ch e con b attitu re, lo riten ea . O ttaviano, ch e a v ea il san gu e
ca ld o e t la g ioven t lo portava, dal padre si parto. Lo m pera
d ore, ch e ci h a sen tito , diliber, p oich ta n te v o lte s er a (Ug
g ito , se ritorna, di ten erlo in prigione, e ci prom ette. D i ch e
O ttaviano, di ci se n te n d o c i p arto dal p aese. D i C ostantinopoli
s'a ssen t andando in qua e t in l, facendosi nom are B orra. E t non
m olto tem po pass c h e il d itto Borra giu n se a G enova, l dove
li dinari g li v en n e m eno. E poco v i steo ch e tu ttoci ch 'a v ea
d i m obile consum , e p erch non a vea a rte im presa e t anco
p erch non si volea in v ilir e , a n ien te si d a v a , salvo c h e si
rid u cea a lla b a ra tta ria , la u alcu na vo lta rico g liea alq u an ti
d adi, e t co lli a ltri b arattieri si m ettea a giu ocare. E talora g li
v en ia aiuto uno o du grossi, e t cose s v iv ea assai m iseram en te
e m al v estito , e t per questo m odo dim or in G enova pi di tr e
a n n i, tenendo la v ita ch e t ho d itta , e talora n andava sen za
ce n a a letto . A vven n e ch e un giorno, in n el p rincipio d ellu ccel-
liera d elle q u a g lie, aven d o vin to alquanti g r o ssi, vedendo un
h ello sp arvieri, q u ello com pr. E p erch m olti na v ea g i ten u ti,
q u ello governava tanto g en tilm en te, ch e non era in G enova spar
v ieri s h ello. E portando il Borra q uello sp arvieri in pugno, uno
gen tilom o gen ovese, nom ato Spinetta d el F iesco, vedendolo e pia
cend ogli, d isse: 0 B orra, vendim i co testo sp arvieri. B orra d isse:
M essere, ven d er non v o g lio , m a se v i p iace io v e l v o donare.
S p in etta d ice ch e lo vu ol com prare. B orra d ice ch e v o lo n tieri
g lie l dona. Spinetta risponde: Com e! non ho io ta n ti dinari
c h e cotesto sp arvieri possa com prare? B orra d ice: D ei din ari
a v e te assai, m a questo sp arvieri non si pu a v ere con d in ari,
m a in dono lo p otreste a v ere. S pin etta superbo d isse: G aglioffo
e rib a ld o , ch e m i rispondi e d ici ch e p er dinari cotesto sp ar
DB DISONESTITA.TE VIRI 159

v ie r i non arei, e t pensi c h e io vo g lia ch e si possa d ire ch e uno


ribaldo abbia fatto dono a Spinetta d el F iesco. E di rabbia g lielo
strapp d i m ano e p er le gu a n cie n e g li di ta n ti colp i, c h e lo
sp a rv ieri e le g u an cie di B orra tu tte si fracassonno. E m orto lo
sp a rv ieri e g itta to lo v ia , d isse: O ra , g h io tto n e, h ai donato lo
sp a rv ieri, e la ssollo forte piangendo. Era q uesto Spinetta si p o
ten te in G enova, c h e neuno os d ire n ien te, m entre B orra b attea,
m a ch eti stanno. B orra, ch e h a ricev u to le b attitu re p er v o ler
e ss e r cortese, e t h a ricevu to v illa n ia , d isse: Oim tristo, quanto
sono da poco! E d ire ch e io sono (1 ) figliu olo d ello m peradore
C esare ard ito di C ostantinopoli ! E cosi tristam en te m i lassai a lla
ca ttiv it v e n ir e , ch e se io fu ssi a casa di m io padre e fh sse in
buona con lu i arei pi baroni e re ch e m i ferebbeno onore ch e non
h a persone in G enova, e t io cattivo per m ia tristizia tanto bene
ho perduto. Ma se io pensassi c h e 1 m io padre m i v o lesse ri
c e v e r e , s io d ovessi m orire io an d erei a lu i, m a io penso c h e
non m i vorr v ed ere. E con questo p en sieri steo alquanto. P oi
riv o lto si a s m edesim o d isse (2 ): O ca ttiv o m e, ch e m io padre
v ecch io . S e Dio facesse altro di lu i, lo m peratico e la terra si pren
d e r p er a ltri, e t io m esch in ello m ai andare v i p otrei. E t p er
tanto, se il m io padre m i d ovesse u ccid ere, io convegno a lu i an
d a r e . E subito se n'and in arzanaia, dom andando se alcu no na
v ig lio andava verso C ostantinopoli. F u gli risposto di s i , e fatto
m otto a l padrone se volea c h e lu i andase, c h e non voloa a ltro
c h e la spesa, lo padrone udendo ch e non v o lea soldo se non la
sp esay fu contento. E v en u ta l'ora d el p artire, la n ave m essa in
p unto, B orra en trato in n ave con buono ven to, giun sen o a l porto
di C ostantinopoli, e m esso sca la in terra, B orra d isse a u no suo
com pagn o: Io ti prego ch e vad i a l p alagio d ello m peradore e
dom anda di T e d e i, e se ti d ice p erch lo d om an d i, d igli: Uno
g io v a n o , ch a lla n a v e, ti addom anda ch e non la ssi p er n u lla
c h e a lu i vad i. E ra questo T ed ei sp en ditore dell'im peradore. An
dato il n au ch ieri a co rte, dom andato di T edei, subito T edei fu
ven u to, e fattogli lam basciata d el B orra, T ed ei subito stim fu sse
O ttaviano fig liu o lo d ellim peradore. D om andando il n au ch ieri
co m e il giovan o a v ea nom e, risp u o se: F assi ch iam are il B orra.
T ed ei subito si p arte e t a lla n a v e se n'and. B orra, com e ebbe (i)

(i) Ma.: sia.


<2) Ma.: dicendo.
160 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ved u to T edei, l ebbe con osciu to, e t ito da p arte, T ed ei dom anda:
Q ual quel giovan e c h e m ba fetto rich ied ere f Borra d ice: Io
sono. T ed ei lo riguarda e pargli g i a v erlo v e d u to , m a p erch
era in n el viso p er lo so le alqu an to d iven tato nero, d isse com e
a v ea nom e e ch i era. R ispuose: Io ora m i fo ch iam are B o rra ,
m a il m io nom e d iritto O ttavian o, figliu olo d ello m peradore.
T ed ei subito lh a e ricogn osciu to, e dom andandolo d el padre e d elle
condizioni d i corte, a O ttaviano tu tto raccon ta. T edei, ch e l ved e
n u d o , subito se n and in n ella terra e di b ellissim i panni lo
riv e ste e seco lo m ena; facendolo stare in una cam era d el pa
la g io d icen dogli: Spettam i. Gt andato T edei in sa la , trov lo m
peradore esser a ta u la , e T ed ei d ice: O im peradore, quanta al
leg rezza se r e la vostra se il vostro figliu olo O ttaviano fu sse con
v o i o si sap esse se v iv o o m orto fu sse. Lo im peradore d ice: Tu
d i il vero, ch e se O ttaviano m io fig liu o lo fu sse v ivo, se io do
v essi sp en der ci ch e io abbo, o ca ttiv o o buono ch osso fusse,
lo farei dav ere, ch e penso ch e b en e sam endere. E t q uesto d i
cendo g itt un gran sospiro lagrim ando. T ed ei, ch e h a ved u to
la volont d ello im peradore, subito se nand alla cam era d ov'era
O ttaviano dicendogli c h e allegram en te a l padre n e vada e t a lu i
ch iegga perdono gittan d osegli a p iedi, e t io ser teco . O ttaviano
rassicu rato ci fae. E giu n to T edei in sala con O ttaviano, d isse:
Santa corona, ecco il vostro dolcissim o figliuolo. O ttaviano, su bito
gettatosi gin occh ion i, a l padre ch iese perdono. Il padre a lleg ro
g li perdon e fe festa inestim ab ile p er lo ria v u to figliu olo. Di
m orando O ttaviano in co rte con ta n ti baroni, ch e tu tte le p er
sone diceano O ttaviano esser da pi ch e il padre, poco tem po
steo ch e lo m peradore pass di questa v ita . B subito fti fe tte
im peradore O ttaviano, le tre m arin e e li a ltri sign ori con sen
tendo. G m assim am ente v ista in G enova lelezio n e d el novo im
peradore, subito i G enovesi fecero (1) am bascieria ch e in C ostan
tinopoli si trovasseno. E funno di G enova eletti tre cittad in i gen
tili e grandi, fra quali fu Spinetta del F iesco, il q uale a v ea d ato
per le gu an cie d ello sp arvieri a B orra. E cam in ati, giunseno a
C ostantinopoli con laltro (2) am b ascierie. Lo m peradore d avanti
a s le fe v en ire, e v en u to li G enovesi, cognobbe Spinetta d e l
F iesco, e chiam atolo d isse: M essere, fa ceste m ai oltraggio a 12

(1) Ms.: fatto.


(2) Ms.: e laltre.
DE DISONESTITATE VIRI id i

persona? Spinetta d isse: Santa corona, no. Lo m peradore d ice:


N on pn essere ch e q u alch e in giu ria ad a ltri non abbiate fotta.
Spinetta, ricordandosi d ello sp arvieri, d isse: Si ch e io feci in
g iu ria a uno gaglioffo chiam ato il B orra, il q uale era in G enova,
e t avea uno sp arvieri e voleam elo pur donare, e t io lo volea in
ven d ita, e non volendom elo ven d ere, m a si donare, io q uello
sp a rv ieri p resi e tanto n e g li diedi p er le gu ancie, ch e tu tto lo
fe ci insan gu inare e lo sp arvieri u ccisi. E questa m i pare ch e
sia l ingiu ria ch e ad a ltri ho fotta. D isse lo m peradore : Or non
fu b en grande? R ispuose Spinetta : Si, ch e poi ch e lo sp arvieri
mi p iacea io lo d ovea p render in dono e t a lu i, p erch era nudo,
p er ricom pensazione lo dovea v estire, e per feci m ale. Lo m
peradore d isse: E t io v i sono pi ten u to ch e a persona a l m ondo,
p erocch io fu i q uello ch e lo sp arvieri avea e t ch e rice v etti (1)
da v o i i colpi. E t a cci c h e m i cred iate ch e io v i cognosco, voi
sie te nom ato S pin etta del F iesco e ta li co lp i d ello sp arvieri in
n ella gu ancia m i d este presso a lla barattaria, e faceam i allora
ch iam are B orra, e per, cognoscendo q u ello ch e io era, dispuosi
ritorn are a m io padre, e per io vi sono m olto ten u to e t obbli
gato c h e la in giu ria ch e io rice v ei fu ca gion e di farm i ritornare.
E p er q u ella sono ora im peradore, ch e sa rei tristo e ribaldo, e
p ertanto ch ied i o g n i.g ra z ia e t io .la for. Li m basciadori tu tti,
vedendo la b en ign it d ello im peradore, ognuno c o lle g ra zie p ien e
ten e aro. E tornati i. G enovesi in G enova, narronno la cosa, p er
la qual cosa dihberonno in co n siglio d i G enova ch e ogni persona
dia llo ra innanti si d icesse m essere, p erocch a ltri non pu sap ere,
p erch sia m al vestito , oh e persona sia , com e s' ved u to lo fi
g liu o lo d ello m peradore sta r e com e gaglioffo nudo a lla b arattaria.
E per q uesto m odo oggid in G enova s osserva.

Ci) Ms.: ricevuto.


162 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

48 .
[Tit ., b* 65].

DE NOVA MALITIA IN TIRANNO.

In n elle p arti di v erso lev a n te e m ezzod dove il gran C ane, e l


m aggior sign ore de* T artari, dim ora (1), fu uno sign ore ch iam ato
il V eglio d ella m ontagna, il quale avendo una sua citt situ ata
a lla bocca duna grandissim a m ontagna, la qual citt er a fortis
sim a, e dopo q u ella citt a lla bocca di ta l m ontagna a v ea una
gran pianura con b ellissim i fium i, circond ata d i m onti a lti, in
n ella qual pianura en trare non si potea se non p er la citt e
per la porta ch e a lla bocca d ella m ontagna A tto a v ea . In su lla
qual porta avea uno ca stello fortissim o, in n el qual il V eglio si
gn ore dim orava. A vea q uesto V eglio sign ore ordinato c h e in
q uella gran pianura fosse ordinato artificiosam en te con d u tti di
m ele e di zuccaro, la tte e v in i, con palagi tu tti orn ati d*oro,
b ellissim i prati, e t odoriferi fru tti, con tu tti ornam enti ch e a ta li
cose si rich ied ean o. E p er pi d iletto avea in ne* palagi u cce lli
dom estici, ch e volavano d alli arbori in ne* p alagi, cantando dolci
v ersetti e in ta* palagi di continuo con certo m odo dentro v i
m ettea giovane b elle di quattordici o quindici an ni con strum enti
e can ti, adornate di drappi dorati, con q u elle v ivan d e ch e ch i
fosse pasciuto di q u elle g li parea a v er ben m angiato. Q uine non
v cch io , om o n donna, en trare p otea se il V eglio non v e lo (2)
m ettea. E di q uanti d iletti erano ch e p ren d er si possa, in q u ello
a v ea ordinato ch e si p ren d esse. Dappoi a v ea il d itto V eglio si
gn ore ordinato ch e ogni d p er li loro sacerd oti facea p red icare
m olte cose secondo la loro costum a e leg g e. E dopo m olte co se
d itte conchiudea ta l pred icatore ch e ch i far la volun t d el si
gn ore V eglio e ch e p er lu i m orisse andava in paradiso, narrando
il paradiso esser tra m ontagne altissim e, in n el q u al en tra re non
si potea, e t in un b ellissim o piano, in n el q u ale eran o fium i d i
zuccaro, m ele e la tte e vino, con b ellissim i prati, ca se dorate,
frutti odoriferi. Q uine giovan otte (3) giovan e d i quattordici e
q uin dici anni b ellissim e, v estite e t adorne di vestim en ti dorati;
quine suoni, b alli, can ti e giu o ch i di prender d i q u elle g io v a n e
qual pi g li p iace; quine non fam e, sete, n p estilen za , piova, pian to,
n neuna m ala conturbazione; q uine sem pre viven do, dogni di

ti) Ms.: dimorano. (2) Ma.: volta. (3) Ma.: giovent.


DE NOVA MALITIA IN TIRANNO 163

letto di corpo p otere suo agio prendere, n m ai d i ta l luogo


d esid erio di p artirsi. E ch i non fa cea i com andam enti d el d itto
sig n o re a re a pena in estim ab ile in pena di fioco etern o . E q u esta
p red ica facea ogni d d ire. E t veduto il V eglio ch e a v ev a volu n t
il giovano gagliard o e desideroso p er la pred ica andar in para
diso a goder tan to bene, subito ta l giovano facea rich ied ere, e t
con uno b everone lo facea dorm ire, e poi indorm entato lo facea
m ettere dentro dal suo ca stello e t p er la porta lo facea condurre
in n ella pianura detta. Et q uine era v estito di drappi dorati, e
poi lo facea destare, e com e si ved ea esser s o n o rev ile v estito
e ved u tosi tra q u elle m ontagne e com prendea le d am igelle con
c u i eg li si prendea p iacere e li strom en ti, suoni, b a lli e ca n ti,
li desnari e le cen e co* condutti di zu ccaro, m ele e la tte e v in o
e fru tti odoriferi, ricordandosi d elle p red ich e u dite, d icea: Io sono
veram en te in paradiso. Et avea tanta a lleg rezza ch e d ire non si
p otea, stando sem pre abbracciato o con una d am igella o con
la ltra , tu tte giovan e, v estite di drappi dorati; le vivand e buone,
co n p iaceri in estim ab ili. E p er questo m odo il sign ore V eglio li
ten ea per pi giorn i e quando li a v ea cos pi giorn i ten u ti, li
facea addorm entare e di fuora n e li traeva, vesten d oli d e su oi
v estim en ti e fuora d el ca stello li m ettea. E quando [uno] s i sv e
g lia v a , si ved ea m al v estito e fuora di tan to bene, ricordan d osi
d i q u ello ch e pi giorn i avea sen tito o p rovato, m alinconoso
sta v a . Lo sign ore V eglio, ch e tu tto sapea, m andava p er lu i d i
cen d o g li q uale fu sse la cagion e ch e cos m alinconoso stava, d i
cend o: E sere ( l) v ero ch e tu a v essi perduto il paradiso, tan to
ti v eg g o m alinconoso? Lo giovano rispondea: C otesto h o io b en e
perduto e t non so com e. Lo signore V eglio g li d icea: T ornere
ste v i volontieri? Lo giovano d icea: S , m essere. Lo sign ore dicea:
T u sa i ch e se m i ubbidisci e t per m e m uori tu v ai in paradiso,
e per, se tornare v i vuoi, ti dico ch e fa cci il m io com andam ento.
R ispondeano ch e erano p resti. E lu i d icea: Io vo ch e vad i a
co ta l sign ore e t q uello u ccid erai e suoi v icin i. Li giovan i, p er
torn ar in paradiso ch e assaggiato aveano, ubbidiano, e t a l luogo
com andato andavano, e ta l signore uccid ean o e loro erano u ccisi.
E p er questo m odo lo signore V eglio conquist pi paesi, fin ch
l gran Cane noi ven n e a disfare. E fece p i di sessan ta g io r
nate intorn o a s u ccid ere tu tti que sign ori. Di ch e il gran Cane
per paura g li cavalc addosso e d isfe lu i e q u el sito.1

(1) Ms.: essere.


164 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMB1

44 .
Tit., n* 66].

DE EBRIETTE ET GOLOSITATE lN PRELATO.

_F u n ella citt di L ucca uno p rete nom ato B ernardo B ru sdella,


om o piu ttosto da com unicare v a cch e ch e d ell'u fficio, il q uale,
non p er sua virt ma per alcuna am icizia, g li fu dato una ch iesa
a governo nom ata San G iusto. Lo qual p rete ogni di si con ven ia
di vino im p ire il b a riletto, in tanto c h e sem pre g li durava la
cald ezza del vino due d (1). N on ten ea ch ierico e, pure essend o di
n ecessit di d ire la m essa, prendea a lcu n a v o lta a rispondere o r
questo or quello. E in fra li a ltri avea uno suo vica rio nom ato
P au lo S erm arch esi, alquanto m entegatto, ch e alcuna v o lta p er
avarizia p er ch ierico lavea. A vven n e ch e una v olta il d itto
p rete B ernardo avendolo rich iesto ch e a ita re g li ven isse, parendo
ch e troppo fosse stato, g li d i alquante cap ezzate. P aulo, b en ch
m entegatto fu sse, cognobbe le cap ezzate ch e scritian o ( 2 ) , e t
pens di p a g a m elo . E non volendo m olto .in d ugiare, la seg u en te
m attina si dispuose pun ire il p rete d ellopre su e e subito la sta
g n a t e li u* si m ettea il vino da fare sa crificio em pio di ca lcin a
e d'aceto. Et quando f e a ll'a lta re, p rete Bernardo, ch e sem pre
il ca lice em pia, p rese la s ta g n a te li di m ano a P au lo e t in n el
ca lice, sen za ch e s'accorgesse di n ien te, lo m isse. E sa cra to il
corpo e lo san gu e di C risto e poi m essosi lo ca lice a bocca,
prim a ch e sen tisse la fortezza d ello aceto e t d e l i ca lcin a pi c h e
la m et m and giu . Et accorgendosi si volt a P aulo d icen d ogli
ch e avea fatto. P aulo d isse: S ere, se crep assi, e v i con verr
b ere (3). Lo prete q u ello a m al suo grado b ev v e, e t p er q u esto
m odo fu pagato da uno m atto lo m atto m aggiore.123

(1) Poi nel ms. : e protrasela , che non intendo.


(2) Cosi nel ms.
(3) Ms.: el tei comune bere. Mi molto oscuro e credo sia erroneo.
DE 8MEM0RAGINE PRELATI 165

45.
[T rlr., n* q .

DE SMEMORAGINE PRELATI.

V oi a v ete udito q uello ch e q uel P au lo m entegatto f* a p rete


B ernardo. Ora dir ch e essendosi di q u ella ch iesa il ditto p rete
p artito, cio di San G iusto, uno p rete pisano nom ato B ia g io , il
q u ale d'avarizia avan zava il ditto p rete B ernardo, e ten ea si da
ta n to ch e tu tta la ch ieresia di co rte di R om a, secondo il su o
p a rere, non erano da tanto quanto lu i si ten ea, andando col capo
a lto e pi di tanto avan zava il can to d elli erm ini (IX dim orando
il ditto p rete B iagio in L ucca, e* talora officiava in n ella ditta
ch iesa . E non avendo ch ierico , rich ied ea P au lo S erm arch esi c h e
a lu i a ita sse la m essa a d ire, aven d olo am m onito ch e lu i n oi
tra tta sse com e av ea fatto p rete B ernardo. P au lo sop rascritto d ice
ch ' b en e. E stando per ta l m aniera, un giorno solen n e di festa
ven en d o a d ire la m essa, d isse a P aulo ch e feccia e ap parecchi
lo vin o d ilicatam en te ogni cosa. P aulo m entegatto ode d ire ch e
d ilica to faccia, pens infra s d sap er c h e cosa era d ilicata, e
ricordatosi dell'olio, and alla stagn atella in ch e lacqua si m ettea
e q u ella im pio dolio e t a llaltare larrec. E com inciata la m essa
p rete B iagio, P aulo rispondendogli ven n e a m ettere il vino n el
ca lic e e lacqua. P a u lo , data la stagn atella a p rete B ia g io , il
vin o e l olio in n el ca lice m isse, e poi a l la v a re d elle m ani, fa t
to si p orgere a P au lo lacqua, lavandosi d isse: Q uesta buona
acqua? P au lo d isse: Si. C onsacrato il corpo e l san gue di C risto
e v en u tosi a com unicare, prendendo prim a il corpo e poi p ren
dendo il ca lice, com inci a b ere, e sentendosi le labbra u n te
d isse a P aulo: A restem ela (2) fregata? P aulo d ice: 0 sete b estia !
c h m i dom andate? P rete B iagio, rim essosi il ca lice a bocca e
beuto, sapendogli di svanito, rivoltatosi a P au lo d isse : Tu m e la
d i a v er fregata. P aulo d ice: A nco ma v ete voi a m io superbo
cu lo la lingu a fregata. P rete B iagio p rese un lum e in m ano e
v o lse ved ere quello era in nel ca lice (3). P rete B iagio p er ver-123

(1) Cori nel ma. Non intendo.


(2) Ma.: aretamela.
(3) Segue nel ma. nn inciso evidentemente corrotto, che non mi riusc di
rim ettere a posto. Eccolo: o malto che non lavra la messa.
166 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

gogna lo ca lice lav dicen do: O P aulo, p er certo tu m i di a v er


dato acqua fracida. P aulo d ice: 0 sm em orato, io t'ho dato d ili-
ca ta cosa. P rete B iagio p rese il ca lice e t dell'acqua si fe' p orgere,
non volen do vino, sperando ch e P aulo g li a v esse il vino gu asto,
com e fe* a p rete B ernardo. P aulo, ch e delP olio h a m esso m olto
in n el ca lice, [d isse]: Or b e in m alora! P rete B iagio, aven d osi
udito d ire pi v o lte villa n ia , d isse: Io ti for si cr escere le
o recch ie, ch e pi duno asino l'arai grande. E P au lo d ic e : Or
cred i ch e io non sappi ch e tu h a i la co g lia pi grande ch e non
un v en tre di un porco m arcio, ch e h a i bevu to tanto ch e do-
v ressi esser Gracido? P rete B iagio, m essosi lo ca lice a bocca e
m andato gi, conobbe esser olio, e t v o lto si a lla brigata lam en
tandosi di q uello ch e P au lo g li a v ea fatto, P au lo d isse : Tu non
b erai q uello ch e n ' rim aso, e presa la s ta g n a te li d ell'olio si
foggio. P rete B iagio rim ase sch ern ito n pi in tal ch iesa u s
di ven ire.
DE PRESUNTONE STULTI 167

46.
[Trlr., a 72],

DE PR E SU N T A N E STULTI.

F u e n el contado di L ucca, in una v illa ch iam ata B argecch ia,


uno ca v a lieri nom ato S alvestro, lo q u ale ia cea la rte di rad ere
in n ella d itta terra, e t era di q u elli duna grande opinione, c h e
prim a ch e si fu sse in clin a to ad andare a rad ere uno faor di
ca sa sere* stato tu tto l'anno senza rad ere. A vven n e ch e uno sa
bato d el m ese di lu g lio uno m esser B ernardino, ca v a lieri e t c a t
tan o di M ontem agno di L ucca, il q u ale avendo n ecessit di ra
d ersi la barba, v en n e a q uesto S alvestro, ch e di lu n gi g li era un
m iglio e m ezzo. Et essendo il ditto m esser B ernardino tra le
m ani di S a lv estro b arb ieri, m entre ch e *1 d itto la barba rad ea,
d isse: M esser B ernardino, io vo' ch e voi m i date q u elli bordoni
d ella casa vostra de S ch ian a, ch e cad u ta, acci ch e io possa
la m ia raccon ciare. M esser B ernardino d isse: E tu labbi. Come
pi oltra lo rad e, d isse: M essere, e sim ile v o m i d iate q u elli tra
v ic e lli e le ta u le ch e a q uesta m ia casa bisognano. M esser B er
nardino d ice ch e se li p ig li. Et avendo gi rasa una d elle m a
sc e lle , ven en d o a rad ere l a ltra , d isse: O m essere, io prender
q u elle, b elle p ietre d ella vostra casa ch e vo lhr fare la m ia.
M esser B ernardino d isse: P ren d itele. A vendo rasa la seconda
m ascella, radendogli la gola, d isse: D eh m essere, q u elle p ia stre
d ella vo stra casa caduta m i sono n ecessa rie e per v o rrei m e
le d este. M esser B ernardino d ice ch e p er e sse vada. E t aven d olo
quasi tu tto raso, palvo i labbri, d isse ; M essere, p erch io h o e
una v ig n a ch e m olto vin o m i fa, h o bisogno di q u elle du bot
tic e lle ch e in n ella d itta casa sono. M esser B ernardino p arla:
O S alvestro, tu tto ci ch e io h o tuo, v a e t arreca lo (1). Sal
v estro , quando lh a raso, d ice a m esser B ernardino: Io so g lio
p ig lia re dodici dinari d ella rad itu ra d ella barba; io sono con
ten to c h e non m i d ate se non n ove d in a ri, p erocch io v i vo g lio
fare p ig lia re (2 ) tr e d in a ri, p erch m a v ete conceduto tu tte
q u elle co se c h e io v i h o ch ieste . M esser B ernardino d ice a Sal
vestro : Come potrai so sten ere te e la tua fam iglia a form i pia
cere tanto? ch se ogn i v olta ch e io rin v en isse m i lassa ssi tre
dinari, pi di du fiorin i lanno p erd eresti e seresti d isfatto e m e 1

(1) M s.: aregamele. (2) Ma.: apiare.


168 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

a rricch iresti. S alvestro d ice: D eh, m essere, sta te con tento per
questa v o lta di riten er q u esti tre d in ari in dono. P osto ch e io
cognosco a m e esser danno, non di m eno m i pare ch e voi m e
r ita te tan to dono, e non di m eno quando v err a M ontem agno
vo' desnare con v o i. M esser B ernardino, ch deraso, cavatosi di
borsa n ove dinari, a S a lv estro li di. P artitosi m esser B ernardino
e ritornato a M ontem agno, S alvestro subito im prende tu tti li
om ini di B argecch ia e quante b estie v erano e lu i co lla m oglie
e co lli a ltri d el com une la dom enica m attina a S ch ian a n anda
rono. E giu n ti, subito andarono a q u ella casa caduta di m esser
B ernardino e com inciando le p iastre e *1 legn am e a v o le r ca rica re
e le botti gi m esse fuori di casa p er q u elle p ortare, sop ravven n e
il salano, ch e la d itta casa con a ltre possedute da m esser B er
nardino tenea, dicendo a S alvestro ch e vo lea fare. S a lv estro
d ice ch e m esser B ernardino g lie le av a d ate. Lo salano d ice: T u
non tocch erai n ien te fin e ch e m esser B ernardino non m i d la
parola. S alvestro d ice: V ien i m eco a m esser B ernardino, poi c h e
non mi cred i, ch m i d ovresti cred ere. G naffe, lo salano r is
ponde, io vo* ch e m essere m el dica, e sono con tento v en ire. S a l
v estro e l salano si m ossero e giu n sero a M ontem agno, d o v e
trovonno m esser B ernardino con alquanti carri e t om ini in su lla
piazza di M ontem agno. E giun to S a lvestro d isse : 0 m essere, io
andava a S ch ian a p er quel legn am e e p iastre e b otticelle, c h e
ieri voi mi d este, e questo vostro salano non m e lha v o lsu te
lassare p igliare. P er siam o ven u ti a v oi c h e g li d icia te ch e m e
le dia. D ice m esser B ernardino: Lo m io salano h a fatto m olto
bene a non la ssa rle to cca re p erch m ai non m i ricordo c h e io
te le d esse. E S a lv estro : Come a v ete poca m em oria, ch e sa p ete
ch e ieri m e le d este. M esser B ernardino d ice : Di vero io non
m e ne ricordo. Lo barbieri, rafferm ando, g li d ice ch e quando lo
radea tali co se g li d i. M esser B ernardino d ic e: D on q uam a v e i
lo rasoro alla gola f S alvestro d ice : Ora voi [v i] siete ricordato
c h e quando io v a v ea lo rasoro a lla gola le co se m i d este.
M esser B ernardino d ic e: S alvestro, ora ch e tu non m h ai rasoro
alla gola, le cose non ti v o dare, e a te, m io salano, com ando
ch e n ien te g li lassi to ccare. S alvestro d ice: Or u d ite, voi a ltri ch e
qui siete, ch e p er le cose ch e m 'avea date io g li avea donati'
tre dinari di q uello ch e dare m i d ovea d ella rad itu ra. M esser
B ernardino d ice: A q u estaltra volta t e n e dar quindici, e c o si
ti con tenter. S alvestro scornato si part, n m ai m esser B ern ar
dino a ta le ebreo and.
DE COMPETENTI MISURA 169

47.
[THt., n 74].

DE COMPETENTI MISURA.

AI tem po d elle m ora del quarantotto uno giovan o lu cch ese


nom ato T u rello and a stare a P isa p er fare Parte d el ferro e
p rese una bottega e casa di q u elle de* O am bacorti al tem po ch e
loro signoreggiavan P isa, presso a l ponte v ecch io . E quine eser
citando larte, avven n e ch e la m ora com inci in P isa, di ch e
il d itto T urello, vedendosi solo e dubitando d ella m orte, pens
v o ler prendere una fan tesca, ch e in casa lo serv isse, se caso di
m alattia o d'altro g li sop ravven isse. E stando un giorno presso
a lla loggia d el ponte v ecch io , l u m olti g en tili om ini si ridu-
cean o e m assim am ente F ran cesch in o G am bacorta, di cu i era la
ca sa ch e T u rello preso avea, il preditto T u rello, vedendo una
fan tesca passare, disse se con lu i volea sta re a salario. La fan
te sc a d ice di si, ma ch e volea sap er q u ello ch e dare g li vu ole.
T u rello d isse di dargli q uello g li parea (1) ch e sia co n d ecevole.
La fon te d ice ch e v u o le quaranta lire lanno e t a ragion e danno.
T urello, ch e non era ben pratico d ella m oneta, d isse: Di ch e
lir e vuoi? La fante d isse: D elle p isan e dargento, di ch e tr e sono
d ieci p er fiorino (2). T u rello d ice esser troppo. La fante fa v ista
di p a rtirsi; T urello la chiam a dicendo c h era con tento. Franco*
.schino G am bacorta, ch e ode ch e T u rello h a profferte quaranta
lir e , e pens d irgli una gran villa n ia ch e lu i voglia le fanti
m ettere a ta le pregio. E m entre ch e in ta li p arole stanno, avendo
ferm o il patto d elle lir e quaranta, T u rello d ice ch e in casa n e
vad a. La fantesca d ice: Et anco voglio ch e tu tta la sem ola, ch e
u scir dal pane ch ella far, vu ole ch e sia sua. T u rello d ice: Io
sono contento. F ran cesch in o tu tto ode e pensa v itu p erarlo. F atto
il secondo patto, la fan tesca g li d ice: E sim il vo g lio tu tta l'a ccia
ch e io filo sia m ia. T urello d ice : Fa l a ltre cose e t io sono pur
con tento ch e l accia ch e fili sia tu a. F ran cesch in o pi si m era
v ig lia le T urello d ice a lla fante ch e in casa n e vada. La fon te 12

(1) Ma.: piacea.


(2) Cos chiaramente nel ma.
170 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

d isse: E t anco v i d ir, se fa ceste alcu no con vito, veram en te di


tu tti i p olli ch e in ca sa si coceran n o v o ler le penne e lo en te-
ram e (1) a n ch e. T u rello d ice: Io sono con tento ch e tu tti q u elli
u cce lli, a c h i en teram e si trae di corpo, siano tu oi e le p en n e;
or van n e in casa. F ran cesch in o, riv o lto si a q u elli ch e in n ella
loggia erano, e* d isse: Or si p are ch e T u rello di q u elli anziani
di santa Zita di L ucca, a d ire ch e una fem m inuccia labbia co l
lato a passo a passo et anco n o n s m ossa. E m entre c h e F ran
cesch in o dicea, la fonte d isse a T urello com e avea nom e. Tu
rello il nom e le d ice. 0 T urello, se v o lete ch e io v i serva, io
voglio ancora tu tta la cen ere. T u rello d ice : C otesto non ti voglio
dare, p erocch io h o alquanto d ifetto ch e lo m edico m e lh a
m olto lodata, e t per non voglio a v ere a com prare la cosa ch e
io a v esse. La fan te a questo steo con tenta e t in casa nand.
F ran cesch in o, ch e h a udito della cen ere, riv o lto si a' com pagni,
d ice: U dite savio om o ch e s so ttig lia to a lla cen ere e t non al-
la ltre cose. E subito chiam ato T urello, T u rello and a lu i ca
vandosi il cappuccio d icen d o: C he com andate? F ran cesch in o
dice: Or bene cognosco ch e tu se di q u elli strappazucca da L ucca,
a d ire ch e se stato stam ane u ccella to da una fem m inella e ch e
hai profferte di d arle quaranta lir e di pisani e t h ai m esso m alo
esem plo, ch e altro ch e dieci lire non s usa di dare. E con questo
h ai prom esso laccia, la sem ola, le penne, li en te riv o li, e la c e
n ere ti se* sottigliato, m atto tristo. T u rello d ice: M essere, se mi
v o lete con ced ere ch e io dica il p erch ho fatto questo, forse
nn m i terrete m atto. F ran cesch in o d ice ch e dica d ch e v u ole.
T urello d ice : Io cognosco il pregio d elle lir e quaranta essere in
gordo, m a io vedendo ch e la m ora com incia, e t io am m alato
volendo una serv en te, in q u el caso m i co stere ogni di quaranta
fiorini e v errei a pagare in v in ti d q u ello ch e in uno anno.
E t se caso a v v ien e ch e io non abbia m ale e la m ora cessi, io
la m ander via , e non la terr pi, e questa la cagion e ch e
tanto g li h o prom esso. F ran cesch in o d ice : Io v eg g o ch e a questa
p arte h a i ragion e; or m i di d ella ltre cose. T u rello risp on d e: Io
com pro ogni d il pane fatto, n m ai sem ola da m e la fon te a v er
non pu. A ppresso lino non com pro, e com e potr fila re q u ello
ch e non ha? e se pur le i lo com prasse, facendo i m iei fatti, non
m i curo di ci ch 'ella si filer. F ran cesch in o d ice: B en hai ditto 1

(1) Mg.: e la cenere, ma un errore.


DE COMPETENTI MISURA 171

d e lle tr e p arti: orm ai di* d ellenterarae e d elle penne. R isponde


T u r ello : Io non u so fare co n viti, e t se p ure alcu n o v en isse a
cen a m eco, m ando a l cu oco p er un p ollastro cotto, e quando
com pro tordi o u cce lle tti so ch e di q u elli niuna cosa av er pu.
F ra n cesch in o be' '1 con sen te, m a ben si m eraviglia d ella cen ere,
c h e non vo lse la v esse. T u rello d isse: Io non posso fare sen za
fu oco. La fan te, per a v er m olta cen ere, a d iletto m i con su m ere'
le leg n a e potre* m i disfare ; m a non avendo la cen ere non far
m a g g io r fuoco ch e bisogni. Et a v o i F ran cesch in o d ic o :

Sia Tomo esperto e savio quanto vuole,


che sappia, come sa il matto, ove gli duole.

F ran cesch in o, ch ha u dite le b elle ragioni, d isse : Ornai ti tro v o


p er savio, ch e h ai rim ediato alla m alizia della fante. N pi a
T u rello d isse di cosa fa cesse.
172 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

48.
[Tt., a* 75],

DE VITUPERIO MULIERIS.

N el tem po ch e re U berto di N apoli era sign ore di P rato, fu


una donna d e G uazzalotti nom ata m adonna C icogna, det dan ni
vin totto, e m aritata a uno rita g lia to re di panni nom ato A rrigo,
la qual donna a v ea questa condizione ch e ogni persona v itu p e
rava in presenza di donne e om ini. E portava tanto a lto il naso
a gu isa fe lasino quando digrigna 1 denti avendo assitato lorn a,
co s q uesta m adonna C icogna facea, ch e tutto il p aese g li p utiva.
E p erch era di buona casa, spesso d alli am ici era in v ita ta . E s
sendo a ta li feste alcuna volta d elli a rtifici e t a ltre p erso n e, a
ognuno dava la sua, e p areagli ogni cosa p otere fare facendo
tanto d elsio (1), ch era un vitu p ero a ved erla. Et il m odo c h e
m adonna C icogna ten ea a vergogn are a ltru i sera ch e a tali
feste, com e uno pannaio se g li accostava, e lla dicea : 0 tu mi put
d olio, e torcea il viso col naso insiem e. E t allo sp ecia le d icea:
Tu mi puti di m ostarda. E t al m ereiaio d icea : Tu m i p u ti di
cu o io ; e t a i calzolaio d icea: Tu m i puti di m erda di can e, e
sim ile dicea a l coiaio. Al notaio d icea : T u m i puti d'ongosto.
A l gen tilu om o d icea: Tu m i puti di povero; e co s a ogni persona
dicea villa n ia , e poche vo lte vo lea con a ltri a b allo en tra re. Et
era per P rato tan to sparta la vergogna ch e m adonna Cicogna
dicea a lle persone, ch e a ogn i persona era ven u ta in dispetto,
m a per am ore d el padre e del m arito, ch e erano di buona con
dizione, pi v o lte g li ser e stato forbito la bocca, m a per loro si
lassava. E t pi vo lte g li fu detto per donne e p er om ini ch ella
facea m ale a d ire v illa n ia d'ognuno. E lla rispondea: Com e non
si vergognano, putendo cosi, approssim arsi? vadano a sta re a lla
carogna e non m i s accostino. E vedendo li giovan i ch e non
v a lea n ien te T essergli d itto ch e sasten esse di non d ir loro v il
lania, pensonno pi vo lte di non la ssa re per lo padre n p er lo
m arito di forbirgli la bocca. E vedendo uno giovano sp ecia le ch e
battendola se n e p otre v en ire in nim ist, d isse a com pagni: 0
veggiam o se e lla se n rom asa. O sserviam o a questa festa ch e
si fh dom enica, dove noi siam o sta ti in v ita ti a serv ire, c h e ella
vi d e essere, se non ci dir n u lla. S e non ci dir n u lla , non 1

(1) Cos nel ms.


DE VITUPERIO MULIERIS 173

bisogna ch e contra di le i si prenda v en d etta, e se ella non se


n roraasa, la ssa te foro a m e e t io la p agher p er m odo ch e
tu tti serete con ten ti. E l m odo ch 'io terr a pagarla ser ta le
c h e fia vitu p erata, e t a llora v el dir. Li com pagni tu tti d isseno:
Stiam o a ved ere q uel ch e a q uesta festa grande far m adonna
C icogna. V enuto il giorno d ella festa, la donna ven u ta, com e se
g li accostava alcuno, subito d icea : V a via , tu m i p ut. Lo gio
vano sp ecia le diliber provare e t and presso a lei dicendo : Ma
donna, a qual tau la v o lete esser posta? M adonna C icogna d isse:
L vatim i dinnanti, ch tu m i puti di m ostarda ; e to rse il volto.
A ppresso v i v en n e uno giovano notaio e d isse: M adonna C icogna,
d ove v o lete ch e noi v assettiam o a taula ? E lla risponde : Tu m i
in fa stid isci, tanto sa i dongosto. E co si a uno a uno li sv erg o
g n ava e non va lea n ien te p erch le a ltr e donne g li d icessero :
C icogna, tu fai m ale a d ire v illa n ia a* giovan i servid ori, e t ogni
person a ti pare ch e puta, gu rd ate, e t se non li vuoi tu v ed ere,
la ssa li v ed ere a l a ltr e giovan e, ch e non puonno esser serv ite
p er lo tu o vitu p era rli. C icogna d isse: Io v o fa re a m odo m io e
v o i fa te a vostro. R istringendosi li giovani con q u el giovan e sp e
cia le, il quale avea d itto ch e il giorno si p rovasse, disseno: Ora
sappiam o com prendere costei non d oversen e m ai rom anere sen za
colpo. D isse lo sp ecia le: L assate faro a m e. Io so ch e dom enica
c h e v ien e m ena uno suo fra tello m oglie, e sap ete ch e n oi sia in o
sta ti in v ita ti a . serv ire, e t io so ch e m adonna C icogna ci de* es
se r e capo-m aestra, p erocch io sen to ch e si fa alquanti panni.
E. per allegram en te sta te, ch e io la pagher p er tu tte le v o lte.
Li servid ori con ten ti spettando ch e *1 giovano sp ecia le li ven d i
casse, ven u to il luned, lo sp eciale ordin m aestrevolm en te una
v escica p iena con assafetida pesta dentro, e quella f* cu cire p er
m odo in n ella gam urra a l sarto di m adonna C icogna, , in , m odo
ch e a cco rg ere non se potea, sotto il sed ere. E t era fatta p er
tal m odo, ch e quando si fu sse posta la persona a sed ere, la v escica
pedea (1) e gitta v a d ella puzza d ellassafetid a, e com e si lev a v a ,
la v esc ic a .si riem pia di ven to, e com e sed ea facea il sim ile, e
se cen to v o lte si fu sse, posta a sed ere ta n te v o lte a re paru to
ch e p ed o n e e . sem pre spuzzava forte. C ucita ch e fq e ta l cosa
secretam eli te, e v e n u ta la dom enica, dove m adonna C icogna fu
con q u elli panni, lo sp ecia le giovano d isse a com pagni serv id o ri: 1

(1) JNel ma. quasi sempre jperdea, ma credo sia erroneo; di che potr ca
pacitarsi chi esamini questo verbo tutte le volte che occorre nella novella.
174 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

Io andr a m adonna C icogna e q u ello for io, fate voi, e vo* ch e


tu tti v eg g ia te il m odo c h e io ten go. L i com pagni d issero: E* mi
p iace, e con lu i nandonno. Lo sp ecia le, essend o le donne rau n ate
in v ia , e m adonna C icogna stava ritta p er rice v ere le donne, lo
giovano sp ecia le d ice: O m adonna C icogna, noi vorrem m o sa
p ere da v oi ch i de* sta re appresso a lla sposa. E t e lla d ic e : D eh
sta in cost, c h tu m i puti di m ostarda. Lo sp ecia le d isse: P o
n etev i a sed ere e noi starem o tan to lu n g i c h e la n ostra p uzza
non v i to cch er . M adonna C icogna si puone a sed ere a la to di
alq u an te donne, e t com e s posta a sed ere, la v escica f il m oto
del podere forte con gran puzza, ch e tu tte le donne e t om ini
lo sen tir. Lo sp ecia le d isse: M adonna, v oi p u tite p er cen tom ila
p rivati; e tu ratosi il naso, fe vista di p artirsi. L e donne d issero:
O C icogna, c h e diavolo m angiasti iersera , tan to puti? E lla d ice:
V oi siete sta te voi. E lev a ta si da lato a q u elle donne, a la to ad
a ltr e si puose. E com e si fu posta a sed ere, ella g itt un gran
tuono con puzza. U no de* giovan i d ice: M adonna C icogna, voi
p utite tanto ch e troppo, turandosi il naso loro e le giovan e
o h e a lato g li erano a sed ere. M adonna C icogna, ch e sa c h e
non h a pedeato, dava la colpa all*altre giovan e, e p artend osi
an dava in n eira ltra banca. E t i giovan i, am m aestrati d allo spe
c ia le, s'accostavano a le i, e com e si v u o lse ponere a sed ere, lo
cu lo g li p eteggi a l m odo usato con gran p uzza, e t p er q uesto
m odo in v ia d alli uom ini e d a lle donne fu svergogn ata, d icen d ole
tu tte ch e a loro no s*accostasse. M adonna C icogna, ch e n etta
d i ta l fatto, facendo d el cu ore rocca, d icea : D eh, v a cc h e c h e
sp u zzate com e carogne, e v o lete d ire ch e io sia q u ella c h e ta le
co se abbia fatto. Li giovani diceano: P er certo, m adonna C icogna,
v oi sie te q u ella ch e p u tite sopra tu tte le co se p u zzolen ti. E
stando p er questo m odo e ven u ta la sposa e m essa in cam era,
essen d ovi m olte g en tili donne e lo sp ecia le e t alcu no giovan o
servid ore, ch e andavano p er vergogn are m adonna C icogna, es
sendo la sposa in su l letto , m adonna C icogna si puose a sed ere
appresso di le i. Lo cu lo g li zam pogna con q uella puzza. L a sposa
e t le a ltre donne, m ettendosi la m ano a l naso, disseno : Di vero.
C icogna, tu se* fracida dentro. L i giovan i d isseno: E lla ci h a a t-
to sseca ti d i puzza. M adonna C icogna si lev a ritta dicendo: D eh,
v a cch e, c h q u ello debbo d ire di voi d ite di m e. E di rabbia si
puose a sed ere in su lla cassa banca e fe si gran d e lo sch iopp o
con gran puzza, ch e li om ini, ch e di fuora erano, d issen o: Fi
sto la tei tu ri ! L e donne e giovani, ch e in cam era erano, di puzza
DE VITUPERIO MUUERIS 175
s i partirono di cam era, quasi riv o lti li stom achi, e si fenno re
c a r e aceto e la v rsi le m ani, la bocca e 1 naso, e t sim ile la
sp osa di puzza ven n e q uasi m eno. M adonna C icogna d isse fra s
m edesm a: C he vorr dir questo ch e io non fo il m ale e t a ltri
d ice ch e io lo fof E lev a ta si da sed ere e ven u ta in sala, dove le
donn e e li om ini d icen o: C icogna, o c h e d iavolo h ai tu in corpo,
tan to put?, e lla d isse: In v erit io non h oe fatto n ien te e tal
puzza non v ien e da m e; e dato lacqua a lle m ani e poste le
donn e a tau la, li servid ori a tten ti a m adonna C icogna per v er
g o gn arla, e poste tu tte le ta u le d elti om ini e d elle donne, sa lv o
m adonna C icogna, ch e in p i duna d elle ta u le fu a ssettata. E
co m e si puose a sed ere, pede s forte, ch e tu tti q u elli c h erano
a tau la, om ini e donne, sen tir lo suono e la puzza, dicendo li
g io v a n i servid ori: Ora potete com prendere, m adonna C icogna
e sse r e Gracida. L e donne, ch e a la to g li erano, disseno: O tu ti
p arti, o noi non vogliam o stare a rice v ere ta le puzza. La sposa
e su o fra te, p er non conturbare il con vito, d issero a C icogna ch e
an dasse a stare in cam era, p oich e lla s puta. C icogna isvergo-
g n ata si p artio da tau la e m alinconosa in cam era si puone a
se d e r e . La v escica pede con gran puzza. E lla disse: O ch e vorr
d ir e questo? ora veggo ch e io sono q u ella ch e puto. E non sa
pendo ch e farsi, sta v a m alinconosa essend osi pi v o lte lev a ta si
da sed ere e posta, e sem pre il cu lo g li pedea con q uella puzza.
Lo giovano sp ecia le, ch e tu tto sa, en tr in cam era e t d isse : Ma
d o n n a C icogna, io cognosco il m al ch e a v ete, e di vero, se non
p ren d ete rim edio, v o i sie te a condizione di m orte. Ma se v o lete
che io di ta l m alattia v i gu a risca , voi m i p rom etterete ch e tu tti
li panni ch e ora a v ete addosso m i d arete, e t io v i gu arisco. Et
a n co voglio ch e m ai a m e n ad a ltro giovano non d irete pi
c h e putano, altram en te la v ita vostra ser corta, e m entre ch e
v iv e te a voi e t a ltri p u zzerete p er m odo, ch e neuno v i si vorr
a cco sta re. M adonna C icogna d ice ch e contenta di d argli tu tti
q u e panni, m a ch e lo giorno non potr, m a e lla g lie li d are la
m attina vegn en te. Lo giovano sp ecia le fu con tento e t andonne in
sala. M adonna C icogna lo giorn o m alinconosa non appario l
u persona fu sse. La n otte, sp ogliatasi di tu tti i vestim en ti, la
m a ttin a allo sp ecia le li m and, e lu i m and a le i uno poco di
la tto v a re, e i e prendesse, e preso m ai ta l puzza non sen tio, e lo
sp ecia le q u elle robe si godeo, n e lla m ai v illan ia ad altri d isse.
176 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

,49 .
Trij., n 7*].

DE VITUPERIO FATTO PER STIPENDIARI.

N el tem po ch e la citt dA rezzo fu d a lle gen ti g u elfe e g h i


b ellin e fatta m ettere a saccom anno, in q u ella (1) citt m igliaia
di om ini di cam pagna si trovonno e t in q u ella m olto danno fenno,
com e di rubare e disfare ca se e m asserizie p er fuoco, in tan to
ch e parea uno paese disfatto. N ondim eno d elle donne di ta l citt
si f' quello strazio c h e di m eretrici ; s fenno p eggio, ch e pi di
due m ila donne vitu perosam ente funno vergognate, e t in lira le
a ltre (di ch e la nostra n ovella d ich iarer) si fu una giovan a de*
B oscoli nom ata m adonna A pollonia, m oglie di D onato da P ietra-
m ala, det danni v in tid u e, assai b ella e sollazzevole, la q uale,
essendo presa la terra e le i con pi di cinquanta duna contrada,
le quali in una casa per lo rom ore serano redu tte, funno
da uno caporale di cento lan cio p rese. Le q uali, com ' detto,
funno svergogn ate, non guardando n giovana, n p u lcella , n
m aritata n vedova ch e vi fu sse, ch e tu tte egu alm en te funno
tra tta te. E p erch m adonna A pollonia, com e pi atta e sollazze
vole, era pi ch e la ltre adoperata, in tan to c h e e lla contentissim a
g li parea ogni sera poter a dorm ire an dare, e bene c h e il giorn o
a v esse assai cam inato, ancora la n otte pi m iglia si d iletta v a di
correre, parendogli leg g ieri ta l fatica, stim ando d i ta l fatto non
a v ern e rip ren sion e dal m arito n da su oi p aren ti. E stando p ei'
tal modo, e t A pollonia sollicitand o di saziarsi d ello ap petito su o ,
fu p er alcuno di m ezzo trattato di fare accord o ch e la d itta
com pagnia prendesse dinari e t la terra restitu isse a lli om ini
A retin i con tu tte q u elle d on n e avean o, e dopo ta l p ratica si con
ch iu se laccordo, dandogli tem po uno m ese a ciascu n a d elie p a rti,
cio li A retin i a v e r dati dinari a lla com pagnia e la g en te darm e
a v er restitu ita la terra, e le donne. E sen ten d o m adonna A pol
lonia l'accordo fatto, cerc di fare com e q u ellorao, ch e aven d o
gran caldo di sta te pens rip onere in uno sopidiano tanto so le ,
ch e il vern o n a v esse assai. E cos .p en s .m adonna A pollonia

(1) M s.: in n e tta q u a le .


DB VITUPERIO FATTO PER STIPBEDLkRI 177

m ettersi tanto in n ella su a soppidiana, ch e quando so la si tro


v a v a co l m arito n e possa a v er assai. E subito, so llicitan d o e l
ra cco g liere, ogni di pi di cinquanta person e n e riponea in n ella
su a soppidiana, la q uale ten ea fra le coscio, in n e l solaio di m ezzo
a lla banca forata, e t a cci ch e p er Tum ido non si g u astasse
vo lea ch e n el m ezzo [g li frisse p osto]. E p er q uesto m odo tu tto
q uel m ese, d i di e di n o tte, so llicit il rito g lie r e . Ma ch e giova,
o m adonna-A pollonia, q uello ch e rico lto a v ete, ch e dappoi a rete
p i freddo ch e dapprim a ? P assato il m ese e fritto il, pagam ento,
la terra e le flopne recdute, sa lv o alqu an te ch e d i volont n'an
darono con q u elli ch e ten u te le avean o, e torn ate Donato, m arito di
m adonna A pollonia ip A rezzo, addato alla spa casa, dove trov
la m oglie tu tta palinponosa. Lo m arito d ice; Or ch e v u o i d ire
c h e ora ch e 4 d overesti ra lleg ra re d e l ipio rito rn o , e tu sta i
m alincpnosa? H ispuose m adonna A pollonia: ,Or non debbo stare,
m alinconosa, ch d i sap ere ch e io debbo essere, sta ta vitu p e
ra ta a m al m fe grato pt sono ora quj c h e v o rrei prim a esser
m orta ch e qui frisse ? Lo m arito d ice: T u d i pensare ch e io tu ife
debbo sap ere. E b en so ch e non stato tu a colp a, e p ertan to
p ren d i alleg rezza , ch e ci ch h a i fatto n on t repu tato a v e r
gogn a. A pollonia d ic e : Io lo cred o, ma, prim a c h e io ad altro,
v eg lia v o sap ere dal p rete se p eccato no . Lo m arito d isso:
V a , confessalo e sappilo. M adonna A pollonia., andata a l p rete
e t d ittogli la p resura dA rezzo e t di le i e daltre, lo p rete, efre
tu tto sapea, d isse: Donna, tu non h a i di questo pepcafe, m a tan to
ti do d p en iten zia ch e q uello h a i serbato riteg n i, e t di una a v e-
m aria e t assolvoti. La donna, in gin occh iatasi a l crocifisso, lodando
Iddio ch e g ia vea in p arte cavato la rabbia senza p eccato e sen za
infam ia del m ondo, e tornata a casa d el m arito, trov esser a s
solu ta e t co si lieta rim ase.
178 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

50.
[TriT., n* 79].

DE BONA. PROVIDENTIA CONTEA. LOMICIDA.

N e l tem po ch e la nostra citt di L ucca fu dalla tira n n ica ser


v it de* P isan i lib erata, di poch i m esi appresso, lau tore d i questo
libro fu con uno suo zio, ch e avendo bisogno p er a lcu n e m er
ca n zie andare a F iren za , diliberonno p ortare ce rti drappi di
L ucca dalquanta valu ta. E di q u elli fenno (1) uno fard elletto e t
co loro and uno giovano p ratese, il q u ale in L ucca ab itava.
E p erch la spesa non f sse m olta, diliberonno, andare a piedi
e 1 fardello portare addosso, non avendo tra loro se non una
la n cia, e q u ella portava F autore, aven d o e g li e t li a ltri spada e
co ltello . E p er questo m odo uscinn o di L ucca il m arted in n an ti
il ca rn elev a re. E com e fhnno a lla casa d elli aran ci presso a L ucca
a uno m iglio, un fan te assai m ale in a rn ese con una la n cia e
con un co ltello li dim and se andavano verso P istoia. L oro sim -
p licem en te d issen o: S. L ui d isse in quanto frisse loro di p ia cere
v o len tieri an dere con loro p erch non sapea la v ia , dicendo c h e
p i di dodici anni non Favea fatta. L au tore e li a ltri sen za so
sp etto disseno ch e fu sse lo ben ven u to. E m ossi insiem e, anda
rono tanto, ch e [giu n sero] a co lli d elle donne, l u m al passo
e scu ro sem pre stato. E com e quine presso fhnno arriv a ti,
q u ello fan te intr in n o v elle, e senza ch e neuno se n a cco rg esse
li ebbe condutti in uno p ratello intorniato d i b osch i da b ievoli.
Di ch e Fautore, ci vedendo, pensando q u el fo n te d o v erli tra
d ire, subito la m ano g li m esse a l co lla retto e t la p unta d ella
la n cia m essegli a l p etto dicendo a llo zio e t a l p ra tese ch e la
la n cia e l co ltello del fon te prendessero. Coloro co si fenno, te
nendolo sem pre ferm o, dicendogli: S e a ltri si scuopre, tu se m orto.
E fatto p ren d ere a q u el fon te il fordello in collo, u sciti di q u el
p ratello e ven u ti in su lla strada, tenend olo sem pre d iritto con
Funa m ano e co lla ltra la lan cia a lle ren i, g li dissero ch e v erso
San G ennaio si rid u cesse, ch e di q uine si v ed ea . Lo fonte, d i (i)

(i) Ma.: fiato.


DE BONA PROVIDENTIA CONTEA LOMICIDA 179

p a u ra trem ando, non faciendo m otto la v ia p rese, e tanto an-


donno ch e a San G ennaio la sera giunseno. E t essendo a rriv a ti
a casa di uno loro am ico, il quale la n otte li ricev eo v o len tieri,
d isson gli (1) ch e quel fan te a lloggiasse in p arte ch e sen za saputa
p artire non si possa, e co si fu e fatto. L a m ezedim a m attina le
v a ti, preseno una guida fin e a P oscia, andando sem pre ta l fan te
'Con esso loro, aven d ogli d itto: T u non d i a v er avu to a m ale
-quello ch e fatto tabbiam o, p erocch a loro parea c h e lu i li do
v e sse ingan n are in ta l luogo li a vea condutti, sicch , se volsen o
v iv e r e sicu ri, non n e d ovea pren d ere am m irazione. Lo fonte di
m ostrava c h e latto fatto g li fo sse p iaciuto. E g iu n ti a l borgo a
B ugano, l u' q u el fan te d isse c h e pi l an dare non v o lea, e*
ferm o ssi a u n a tavern a ch e si ven d ea vin o. L au tore e t i com
p agni andonno a d esn are a lalbergo di P ara sa co , d icen dogli se
quel fan te a v esse m ai veduto. P arasaco d isse: Ier i m attina
era qui e t di ca ttiv a condizione. Lau tore e t com pagni, ch e
a vean o udito d ire a q uel fan te ch e pi di dodici anni non era
sta to in n el p aese, la n o v ella d el to g lierg li l arm e e del ten erlo
-a P arasaco disseno. P arasaco d isse: V oi [ben] faceste, se non p er
c h e g li d i ca ttiv a condizione. D esnato, cam inaro a P istoia e
q u in e prenderem o ca v a lli p er andare pi tosto, e t a F iren za la
se r a giunseno. E giu n ti in F irenza, denno ord ine di sp acciarsi,
e m entre ch e a F iren za stavan o, lo vica rio di P istoia, sentendo
.alq u anti m icidi fatti in q u elle parti, rau n ate tu tte le circustanze
e la tto la G erbaia e c o lli cerca re, fonno p resi ce rti m alandrini,
fr a q uali fu q uello ditto d i sopra. E fatto loro con fessare il m ale,
i l sabato fuor di Bugano in su lla strada a un paro di forch e ap
p icca re li fe. E t essendo lau tore e com pagni sp acciati di F i
ren za , la dom enica di c a m elev a re si partinno e verso L ucca n e
v en n ero. Ma p erch l d i non era troppo grande e anco p erch
li ca v a lli non erano m olto forti, fu di n ecessit ch e a lalbergo
-di P arasaco la sera dim orassero. E com e quine fonno giu n ti,
P a ra sa co d isse se volean o ved ere q uel fon te c h e con loro era
v en u to . L oro dissero: N on bisogna. P arasaco d isse: V oi lo v ed rete
p u re. E cont loro la n o v ella com erano sta ti ap piccati sette di
d o d ici ch orano in com pagnia, dicendo : Il modo ch e loro teneano
s i era c h e a lcu n i di loro andavano in quel di L ucca, e t accom
pagnandosi con ch i ven ia di qua, quando li aveano in luogo si-1

(1) Ma : dicendoli.
NOVELL? DI GIOVANNI SERGAMBI

euro, li ucpideanp e rubavano, e t co si di qua \ . E confesqop^o


a v ern e ip o ^ pi di cinquanta e questa pra la Iqro v ita , dicendo:
Voi fo ste W i a genere i m odi c jie ten este. E t a lpro p arva eh ?
quplli cam passero ( i) , e dailora in qua m ai, pom e sern p ^
cam ino, non prpseno com pagina. La m attina a ll'p scire yid en o co
loro ap piccati, ricpguqscendo q j^ i e sa lv i a L ucca rito r
narono.1

(1) M*. : quello la cam pane.


DE DISONESTA JUVANA ET SQUALI CORRETIONB 1S1

61.
[Tihr., n- 80].

DE DISONESTA JUVANA ET SQUALI CORRETTONE.

N e l tem po ch e L ucca sign oreggiava la v a i d i N iev o le fri in


n e lla terr di P escia una giovana d egli O rlandi nom ata F iorita,
donna di uno te r r ie r e di P escia nom ato R u stico, il quale era
si tiep id o c h e non sapea d ire n fare. E t la dnna sua a v ea
p reso tan to p alm o, ch e a ogn i persona dava il suo m otto,
e sim ile a l m arito, in tanto ch e R u stico non m an giava n b evea
che non [g li] con ven isse m angiare [e b ere] a posta d ella m oglie.
E sopra tu tte le donne di P oscia era m otteggier p er la baldanza
h e preso avea contro lo m arito, e t non cerca v a a c h i e lla di
c e s s e v illa n ia , p alan d ogli p oter d ire a fidanza. E tu tte le p i
v o lte in ne* m otti suoi d icea a fem m ina o om o: E* pare ch e abbi
fo rm ich e in cu lo, e t a ltri m otti dison esti, n on ch a fem m ina m a
r ita ta , m a a ogni fan tesca. E pi di q uattro anni a v ea pres ta l
m an iera di m otteggiare; e Stando p er ta l modo, u n giorno ch e
in P escia si dovea fare una b ella festa duno p o sd a tin o ch e p reso
a v e a u n a giovan a di L ucca d ella casa de R osin peri, b ella, a lla
q u a le festa Rumo in v ita ti m olti L u cch esi p aren ti d ella sposa e t
alquanti am ici, ch e a P escia co lla sposa andare d ovesseno, e di
P e sc ia fhnno om ini e donne in abbundnzia in v ita ti, fra le q u a li
fh e F io rita m otteggier. E t essendone co lla sposa andate b lig a te
-a P e sd a un giorn o d i m aggio, quine [fu ] ricev u ta on orevilm en te
c o n q u elli om ini e giovan i di L ucca, fra* q uali era uno giovano
stu d ia n te in m ed id n a nom ato F ed erigo, giovano da ogn i cosa,
lu i b ello, scherm idore, ballator, buono son atore e can tatore,
lu i a tto a essere co lle donne o n este onesto, co lle so lla zzev o li
so lla ciero , co lle innam orate innam orato, co lle m otteggier di
m otti gran m aestro, e cosi in m edicina cogn osceva m olto la pro
p riet d ellorbe e le loro v irt , e m olte a ltre cose il ditto F e-
derigo sapea esercita re. E sposati, a casa d ello sposo con tu tte
le b rigate, le donne p escia tin e e t a ltre d el p aese on orevili la
sp osa riceven n o allegram en te. M adonna F iorita, ch e quine era,
com ind forte a d ire: E non m i pare ch e la sposa da L ucca
ab bia il cu lo di quattro pezzi pi ch e le p osd a tin e. L e donne,
182 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ch e quine erano, diceno: D eh, m atta, sta ch eta , non d ire, n on


vedi tu quanti L ucch esi da ben e sono ven u ti con lei? non fa re
con loro com e se* usa di fare tra noi, ch e ti c o n o sc ia m o , forse
non te i com porteranno. F iorita d ice: D eh an d atevi a forbire i l
cu lo, e t se v i rode v e l grattate. Cornei N on si pu d ire a questi
L u cch esi quello ch e a lli altri? Ho io g i ditto m ia in ten zio n e
a* F ioren tin i e ad a ltri, com e non la d irei a* L ucch esi? E non re
stando di d ire m ale, p resen te la sposa e l a ltre donne, in p resen te
li om ini e giovan i di L ucca, in p resen te F ed erigo m edico, q uesti (1)
si pens c h e F iorita fu sse q u alch e m atta, e n ien te risp uose. E
cavatosi li stiv a li e di nuovi panni ognuno fattosi b ello, in casa
d ello sposo en traro, l u m olto confetto e vin o si porse p rim a
ch e Fora del desnare fusse. E confortandosi alquanto, F iorita di
nuovo com inci a d ire: A. m e non pare ch e la sposa abbia il
cu lo di quattro p ezzi pi di noi, p erch sia da L ucca, n a n ca
questi L u cch esi ch e con le i sono ven u ti non sono p er pi savj
c h e nostri. A nco m i paiono co ta li batanculi, ch e v ed ete quanti
n e sono ven u ti d irieto a una ch e bastare* se fu ssero ism em orati,
ch e io ch e sono p esciatin a non v o rrei ch e neuno di costoro mac
com pagnasse, tan to m i paiono d isu tili. L e com pagne dicean o:
F io rita , tu p arli m ale; or ch e puoi tu com prendere di loro fa tti,
com e dici? F iorita: Or non li cognosco, ch e m i paiano m atti e
non parlano? Coloro diceno: A questo puoi com prendere c h e sono
sa v i, ch e non vogliono dim ostrare m ale anim o di tanta v illa n ia
quanta h a i d itta loro. F iorita d ice: A nco non n e sono andata c h e
parr loro peggio se io n e far. L i L u cch esi, ch e tu tto odono,
parendo loro ric e v e r e poco onore, diceano (2) ita loro : C ostei non
m atta, m a noi pensiam o, tanto arditam ente parla d ella sposa
e di noi (3), ch e veram en te le i de* essere stata am m aestrata d i
d irci q uesta v illa n ia . F ed erigo, ch e tu tto h a u dito di loro e d ella
sposa c h era sua p aren te, d isse a* com pagni: L assate fa re a m e
ch e io la pagher di q u ella m oneta ch e cerca p agare n oi. E su
bito se n and a llorto de* frati, e com e m aestro c h e cognoscea le
erb e, p rese una cip olla sq uilla e q u ella n e port seco, e da u n a
sp eciale ebbe fior di p ietra, e t accattato uno m ortaiolo, e t posta 123

(1) Mb.: il quale.


(2) Ms.: dicendo.
(3) Ms.: loro.
DE DISONESTA JUVANA ET SQUALI CORRETIONE 183

m olto so ttile il fior di p ietra, e cavato il su cch io d ella cip olla,


m escolato ogni cosa insiem e, se n and a casa d ello sposo, l u
tro v la sposa sua p aren te colT altre donne in sala. E F io rita g li
dava sem pre a lcu n i m otti. E com e F ed erigo fu ven u to, F iorita
d isse: 0 sposa, questo di q u elli sa ccien ti assettacu lo, ch e sono
v en u ti da L ucca in tu a com pagnia? La sposa ch eta . L e donne,
c h e non lavean o potuta riv o lg ere c h e m ale non d icesse, d issero
a F ed erigo ch e non l a v esse a m a le / p eroch la sua usanza
ta le c h e a ogn i persona d ice v illa n ia . F ed erigo d ice: M adonne,
io m e la cognobbi a llaltra v o lta ch e io c i fui, e d ir o w i ch e ogni
v o lta ella m i v ed e dopo d esn are ella h a s gran d e la rabbia, ch e
non si fa se non isfreg o la re il cu lo e gra tta rselo , e q uesto addi
v ie n e ogn i v o lta ch e m ha ved u to; e p ertanto non v i date m a
lin co n ia e la ssa tela d ire ci ch 'ella v u o le. F iorita, c h e ode dire
c h e a ltra volta l'a v ea ved u to, d isse: Giam m ai non ti v id i. F e
d erigo d ice: V oi d ite b en e a scu sa rv i im p resen zia ora di costoro,
m a ellen o se n e accorgerann o ben e se v o i m am ate, quando di
rabbia v i g ra tterete il cu lo. F iorita, gettan d ogli un m otto, disse:
N on lasser per ch e io non dica di v o i il vero. F ed erigo ch iam
la sposa in cam era e d isse: T u h a i veduto quanta v illa n ia questa
m a tticcio la h a d itto a te e t a n oi, e p ertanto io la vo p agare
com ella degna. E per v ien i qua; e m enolla a l luogo com une,
d ove F ed erigo co l su cch io d ella cip olla sq u illa e co l fiore d ella
p ietra u n se tu tto '1 sed ere di q uel luogo, d icen dole ch e gu ard asse
c h e quine ella non si p onesse ella , m a con b el modo F iorita v i
conduca, l u' la f ccia stare alquanto. E se e lla d icesse ch e g li
p on esse m ente q uello fu sse ch e prudere la facesse, d ille ch e vo
len tier i, e dim ostrandole fare serv ig io , p rendi questa pezza, co lla
q u ale F ed erig o avea striscia to la cip olla, fregandola forte, e co s
la la ssa. La sposa, ch e udito s a v ea a vergognare da F iorita,
d isse a l p aren te c h e tu tto fare. E v en u to lora d el d esn are,
desnarono di van taggio, dando sem pre F iorita de' m otti assai spia
ce v o li a lla sposa e t a' giovan i da L ucca, e non v a lea p erch a ltr i
la rip ren d esse, ch e lla fa cea lusanza su a ; e com e ebbero desnato,
le danze com inciarono, dove F io rita si rascald forte, tra p er lo
cibo e vin o preso e p er li b alli, c h e tu tta su dava. F ed erigo, c h e
sera a ccorto c h e lla forte riscald ata, d ice a lla sposa ch e m eni
in cam era F io rita . L a sposa, ch e sa il m odo, d ice a F iorita: O
F iorita, tu d i sap ere il modo d ella cam era, ch io vo rrei alquanto
Care m io agio. F iorita d ice: Andiam o, c h e an co io n h o bisogno.
E t en tra te so le in cam era e ch iu sa la cam era, F iorita, com e
S 4 NOVELLE DI GIOVANNI SBUCAMI*!

balda, sbito a lza ta si fin e a lla cin tu r, p osesi (1) per p ren d er
agio a sed ere a l lu ogo com une, l u m olto v i steo, tan to che
subito u no prudore grandissim o g li v en h e, dicendo a ll sposa:
D eh guard se lcu n a coda v i b isso n a ta a l cu lo . L a sposa av
v isa ta d isse: A lquante b o llicin e (2), m a io penso c h e fregandole
cn uno p an n icello se n 'ndranno. fio r ita d ice: D eh spacciati.
L a sposa p rese il panno c h e F ed erigo g li aVea dato, e forte fre
gando, parendo a F io rita m igliorare, com e alquanto l ebbe fre
g a to , li strom enti com incia'nono a sonare. F io rita d ice: E suona,
andiam o a b a lla re. La sposa Subito con Piotata di cam era usci
rono e preso F iorita una danza, lo cu lo g li com inci a prudere
p er ta l m odo, c h e a ogni passo v i si ponea la m ano, e gratta
v a m o s spesso ch e ogni donna ch e q uine erano d icea n o : Fio
rita , e p are ch e abbi a l cu lo ta l cosa ch e non puoi sostenere
uno passo ch e la m ano v i ti m etti. F io rita d icea: Io non so quello
c h e m ha intra v en u to ; e q u an to-p i si grattava, ta n to pi le
roda. E non potendo stare i b alio, in su lle b an ch e s i fregolav,
in tanto ch e le (tann, ricordandosi di q uello ch e F ed erig o lavea
d itto, disseno: O F iorita, tu h a i stam ane m otteggiato e t ora veg-
giam o ch e q u ello ch e d isse F ed erigo v ero, c h e quando lo vedi
h a! s gran d e la rabbia al cu lo ch e non puoi sta re in posa. Fio
rita , ch e h a e il dolore grande d ella rosa, non sapendo, stava
grattan dosi p er m odo ch e alcu n a v olta in p resen zia daltri si
m ettea la m ano sotto i panni, credendo p er q uel m odo la rosa
m andarne, e n ien te g li v a lea . E p er q uel modo tu tto il giorno,
non c h e p otesse m otteggiare a ltri, m a e lla non potea m angiare
n b ere n sta re in posa, tan to era la rosa grande. E co s steo
tu tto il d e la n o tte appresso. La m attina avendo sim ile rosa,
F ed erigo d ice a lla sposa ch e d ica a F io rita ch e se e lla v u o l gua
r ir e io la gu arir. La sposa d ice a F iorita il fatto. F iorita, che
le pare esse re v itu p erata e non credendone m ai g u a rire, disse :
Io far ci ch e vorr F ed erigo. R ich iesta , in cam era en tr colla
sposa, e F iorita dolendosi d ellaccid en te avuto, F ed erigo fece di
scostare la sposa alquanto e d isse: 0 F iorita, io v o g lio da te du
cose, se vu oi ch io ti gu arisca. F iorita d ice: C hiedi, e questa
rabbia m i lev a dal cu lo. F ed erigo d ice: Io vo g lio prim a ch e alla
sposa m ai non d ich i v illa n ia e ch e la teg n i p er tua sorella e 12

(1) Ms. : e postasi.


(2) Ms.: boUiciore.
DB DISONESTA JUVANA ET EQDALI CORRETIONE 185
c h e ti sia raccom andata ; appresso ch e m entre c h e io sto in P oscia
a v a le , o a ltra v o lta ch e io riv en isse, sii con tenta c h e con teco di
n o tte m i goda. E t acci c h e tu m a tteg n i la prom essa, vo' ch e
sta n o tte com inciam o. Io ti gu arir, c h e m ai ta l d ifetto p i non
t i v err . F io rita d ice: D eh p erch non facciam o n oi ta l co sa di
d i a l p resen te, a cci ch e io p otessi b a llare e rico p rire la v e r
g o g n a ch e ie r i e oggi e sem pre ho? F ed erigo, p er farla pi v i
tu p era re, d isse: Q uesta gu arigion e non si pu bare se non d i n otte,
e per ordina stasera io sia teco. E d atole un bacio, F iorita tu tto
jprom isse. F ed erigo la sera , fattogli uno u ngu en to, la rabbia di
piovi g li m and v ia , e poi g li cav in p arte la rabbia dentro, e
p e r questo modo q u ella ch e di m otti cred ea v in cere f vin ta , n
m a i a lla sposa v illa n ia d isse.
186 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

52.

[Tri?., n 81].

DE DEVOTIONE IN SANTO JULIANO.

N el tem po ch e P istoia era sottoposta a lla citt di L ucca, fa


uno m ercad an te d i panni di P istoia nom ato C astagna, il q u a le
p er su a devozion e ogni m attino d icea uno paternostro e t una
avem aria p er riv eren zia di San G iuliano, a cci ch e Dio g li ap
p arecch iasse p er lo d buono viaggio e p er la n otte buono al
bergo. E ta le orazion e non cessava di n otte di d ire e co si la
m attina. E t avendo il d etto C astagna bisogno di com prare panni,
d ilib er andar verso V erona e fe fare una lettera di m olti fio
rin i, ch e in V erona g li fassen o dati, e t alqu an ti dinari p er la
spesa si m isse in borsa. E t un giorno del m ese di febbraio d i
P isto ia con uno fam iglio a ca v a llo si partio, avendo a l fam iglio
dato la sua v a lig ia di panni, e p er l alpe si m isse a cau lin are v erso
B ologna p er andare a V erona. E quando Castagna fu g iu n to ,
lu i e l fante, alla Sam buca, iv i (1) trovonno tr e m ascalzoni o
vogliam o d ire m alandrini, li q uali, com e videno C astagna e 1 fa
m iglio, stim onno q u elli ca v a lli e roba essere loro. E fattosi ap
p resso a C astagna, p iacevolm en te lo salutonno, dom andandola
donde fa sse e quale era il suo cam ino. C astagna d ice: Da P isto ia
sono e v o verso B ologna p er andare a V erona. L i m alandrini
diceno : S e ti p ia cesse, noi verrem m o v o len tieri teco, p er c h e
abbiam o an dare a Bologna p er alcu n e faccen d e. C astagna, c h e
li ved e, parendogli persona da b en e e t an co vedendo forte n ie -
vica re, d isse: La vostra com pagnia m m olto cara. E m ossi,
coloro com incionno a in tra re in n o v elle con C astagna, d icen d ogli
se lu i facea lo giorn o alcu no bene. C astagna risp u ose: Io h o
sem pre in uso d i d ire uno paternostro e t una avam aria p e r
am ore di San G iuliano, acci ch e D io m i dia lo giorno buon
viaggio e la n otte buono albergo. Coloro disseno : E n oi d ich iam a
il van gelostro e t tu tta la quaresim a, e siam o di s buona pasta

(1) M b.: do ve.


DE DEVOTIONE IN SANTO JULIANO 187.

c h e q u ello veggiam o non ci pare sia nostro se noi non labbiam o


in m ano. C astagna d ice: Or co s si v u ol fare. E m en tre ch e ca
lum ano, i m alandrini d icen o tra lo ro : Oggi si p arr se co stu i
ar buono viaggio, e t an co com e stasera tro v er buono albergo,
p er ch e avean o in ten zion e di rubarlo e lassarlo in quella n iev e.
E t accostatisi a C astagna d issen o : D eh, m essere, d iteci se m ai
v * a w en n e ch e il d ch e a v ete d itta l orazione di Santo G iuliano
se m ai a v este m al v ia ggio e ca ttiv o albergo. C astagna d ice : N on
m ai. L i m alandrini disseno tra loro : A uopo g li sar ven u ta
l orazione prim a c h e da noi si parta. E com e funno presso a l
ca stello d el v esco v o di B ologna, in uno passo scu ro, quasi lora
di com pieta, li m alandrini denno di grappo a lla b rig lia d el ca
v a llo di C astagna, dicendogli : Se ti m uovi, se* m o llo . L o fan te
di C astagna, c h e v ed e p ren d ere il signore, dato d elli sproni a l.
ca v a llo , subito si partio e t a l ca stello d el vescovo si rid usse, non
aspettando n aitando il sign ore suo. L i m alandrini dipuoseno
C astagna dal ca v a llo e t i dinari ch e addosso avea con tu tti i
p anni, ex cep to la cam icia e la m utanda g li lassarono, e tu tte le
a ltr e co se rubonno e quine in n ella n iev e, c h e n iev ica ta era, e t
in q u ella ch e di continuo n iev ica v a lo lassonno, dicendo: E gli
si m orr da s m edesim o, sen za ch e noi luccidiam o. E parti-
ro n si co lle cose. C astagna, nudo rim aso, la n otte ven u ta, andava
p er la n iev e trem ando, facendo d ella bocca com e fri la cicogn a
co l b ecco. E quasi di freddo si m oria, e pi v o lte in n ella n iev e
fri p er affogare, m a p ure la gioven t lo facea forte. Dando a
cam in are in qua e t in l , sen za ch e lu i s accorgesse arriv a l
ca stello del vescovo, l u il suo fan te la sera era in trato. E non
ved en d o aperta la porta n casa di fuori, e n ievican do fo rte e
l freddo grande, non sapea ch e farsi, m a p ure p er non asside
ra re andava intorno a l ca stello , e ved u to uno sporto di una casa,
sotto il quale n iev e non era, se non alcu n a volta il v en to v e n e
m andava alquanta, essend ovi u n poco di paglia, pens m eglio
quine sta re, ch e in altro [lu ogo]. P osto ch e dogni lato m ale
stasse, p ur quine salloggie. Era q u ella casa d el vescovo, in
n ella q u ale dentro v i ten ea una g en tile giovana nom ata D ivizia,
la q u ale alcu n a v olta dava a l vescovo consolazione. E t essendo
la sera ch e C astagna era sotto il portico alloggiato venuto il
vesco v o in n el ca stello p er v o ler con D ivizia p ren d ere p iacere,,
avendo a le i fatto sen tire la n otte con le i volea dorm ire, subito
D ivizia fe uno bagno ap parecchiare, acci ch e l v escovo e le i
quine bagnare si potesseno, e fritto on orevilm ente da cen a de* buoni
i$S NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

cap p on i e t a ltre vivan d e. E m entre ch e ta le apparecchiam ento


l donna a v ea fatto, sop ravven n e a l vescovo una lettera , poi ch e
l porta d el ca stello fa se r r a ti, ch e subito il v esco v o fuora ca
v a lca sse p er Certi fitt i d i grande im portanza; p er la qual cosa
il Vescovo, m ontato a cavallo, u scio, e t a D ivizia m and a d ire ch e
l sera bollo asp ettasse, m a ch e altra v o lta v er re. D ivizia, ch e
a v ea ap p arecch iato 11 bagno d ircq ua cald a e q u ello c h e tra
le gam be porta, fu m alcontenta, dicendo a lla fa n te : P o ich il
v escovo non v i v en e, alm eno il bagno fatto lo v o p er m e u sa re.
E scesa la scala, Venuta ih b ottega, dove lo bagno era appa
recch ia to , l dove era uno u scio c h e D ivizia n ten ev a le ch i v i,
p erch alcu n a v o lta di n o tte il vescovo quine en tra v a . E stando
in b ottega, D ivizia e la fon te sentendo lam en tare C astagna, il
qual dfcea: 0 Santo G iuliano, or sono q u este le prom esse ch e
m h a i fotto, a dir ch e io abbia o ggi avu to s m al giorno e sta
n otte m alo albergo? D ivzia, ch e q uesto od e, ap erse l u scio e disse
alla fo n te: Sppi ch i q u ello ch e co si si lam en ta. E t preso un
lum e, u scio fuori e vid e 1 giovano nudo. La fan t il dom anda;
C astagna tu tto raccon ta. La fan te a D ivizia lo d ice. D ivizia, c h e
a v ea ved u to il fo n te a en trare dentro, e t a v ea sen tito d ire la
ruba, lo m isse dentro e poi a lla fo n te d ic e: P o ich 1 v esco v o
non ci de' stasera v en ire e t io era m olto b en e ap p arecch iata,
se ti p iacesse questo giovano in iscam bio d el vescovo stan otte
m i goda. La fan te d ice: A m e pare l abbi a fare. E subito d itto
a C astagna ch e neu na m alin con ia abbia c h ben ser d i ogn i
cosa ristorato, e fattolo sp ogliare nudo, C astagna, ch e b ellissim o
era e la n iev e l a vea fotto m olto colorito, D ivizia, ch e h a locch io
a lla p arte ch e pensa in g h iottire, sta con tenta, vedendolo ch e di
buna m oneta la potea p agare. E stato alquanto in n el bagno, e
fattosi v en ire panni orrevoli, lo v estio, n m olto steo a bada ch e
cen aro di van taggio a u n grandissim o fuoco, e dappoi nandarono
a dorm ire, la u* D ivizia si d i p iacer sp essissim e v o lte, dicendo:
Ornai [h o] il nom e m io avu to, d ivizia di q u ello ch e le donne
desiderano. E ven u to il giorno, la donna g li fe tra rre que panni
p erch cogn osciu ti sarebbeno, dandogli di m olti dinari e t alcu na
gon nella trista , d icen dogli : Quando sera i a B ologna, U v esti ono-
rev ilm en te e com prati du' o tr e ca v a lli, e t se m ai a rriv i in q u esti
p aesi, l albergo ti ser presto. C astagna la rin grazia di tu tto c h e
a lu i fotto av ea , e m esselo p er q u ello sp ortello. La m attina Ca
stagn a p er la porta entr in n el castello, l u trov il suo fo-
DE DEVOTIONE IN SANTO JULIANO 189
m iglio, e tratta (1 ) la v a lig ia , de* panni su oi si v estio . E m entre
ch e si v estia , p er lo capitano d ella m ontagna d B ologna que*
m alandrini n e fanno m enati p resi co l ca v a llo di C astagna, co*
p anni e t i d in ari. E prim a c h e di quine si p artisse, li d itti m a
lan d rin i a un paio di forch e fanno ap p iccati e t a C astagna ron
d a to tu tte le su e cose. E m ontato a cavallo, form o il suo cam ino,
n m ai lass di d ire il paternostro di San G iuliano.

(1) Ha.: fitta


i9 0 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

53.
[T it ., no 82].

DE CRUDELT. MASSIMA.

In n el tem po ch e m esser B ernab signoreggiava p arte d ella


Lom bardia era uno ca v a lieri suo cortigiano nom ato m esser Stan
g h elin o da P al , il q u ale avendo duna sua donna d al F iesco
nom ata E len a quattro fig liu oli, du' m aschi e du fem m ine, il m ag-
g io re de* q uali era det dan n i sette, e stando il d itto m esser
S tan gh elin o con gran p iacere co lla d itta m adonna E lena, ten en
dosene con tento quanto verun o altro gen tilom o d i Lom bardia,
am ando q uesta sua donna sopra tu tte le co se d el m ondo; e com e
sem pre la fem m ina sa prender a l contrario, non potendo so ste
n ere il ben e ch e la ditta m adonna E lena avea, con atto d i lu s
su ria si di ad am are uno giovano d ella terra sottoposto a l d itto
m esser S tan ghelin o, in tanto ch e, non passando [m olto tem po],
la d itta m adonna E lena il suo appetito con q uel giovano foraio.
E dim orando p er ta l m aniera, la d itta donna non pensando [c i
c h e ] p er ta l cagion e n e dovea seg u ire, n an co non pen sava
c h e *1 m arito di ci a cco rg ere si d ov esse, di continuo q u el g io
van o si ten ea . E ssendo alq u an ti m esi ch e m esser S tan gh elin o
non era in n elle su e p arti stato, ven en d o a casa, dove la donna
sua trovare cred ea, per p rendersi con le i sollazzo, sen za Care
sen tire la sua ven u ta si trov in casa, e t andato a lla cam era,
trov la donna sua con q uel giovano in su l letto prendendosi
p iacere. E com e m esser S tan gh elin o v id e ta l cosa, f lo pi tristo
om o d iventato dItalia, tan ta m alin con ia a l cu ore g li ven n e, e t
non potendo la rabbia d el dolore sofferire, subito con uno col
te llo il ditto giovano u ccise, e fatto con fessare alla donna quanto
tem po la v ea tenu to, e lla p er paura g li d isse da quattro m esi era
con le i g iaciu to. M esser Stan ghelin o d ice: Donna, tu m h a i fatto
il pi tristo om o c h e m ai fh sse d i m io parentado, e q u in e u io
m i potea van tare, e g i m e n era van tato, da v er la pi b ella
donna ch e persona di Lom bardia, e t io trovo da v ere la m aggiore
puttana ch e in Italia possa essere. Ma io ti pagher di q u ella
m isura ch e h ai pagato m e. E fatto v en ir davanti a s li quattro
fan ciu lli, d isse (1) : Or ved i, m eretrice, ch e h a i fatto, ch e fin e a

(1) M s.: d ice n d o .


DE CRUDELT, m a ssim a . 191

q u i q u esti fa n ciu lli h o ten u ti ch e fusseno m iei figliu oli, ora per
lo tu o vitu p ero ta l cred en za h o 'perduto e p er m iei no li vo
rip u tare. E t acci ch e tu abbi d el fallo com m esso doppia pena, com e
h o u cciso colu i ch e h a i ten u to, cosi costoro in tu a p resenza u c
cid er . L a donna d isse: M essere, ten ete a certo li fa n ciu lli esser
v o stri, e b en e ch e io sia d egn a dogni m ale, v i p rego ch e a co-
te sti fh n ciu lli m ale non fa ccia te, c h v ostri sono. L o m arito d ice:
D onna, tu m i p o tresti assai d ire, ch e m en tre c h e q u esti fan ciu lli
io u ccid essi, sem pre a rei in n an te il vitu p ero ch e fatto m 'h ai; e
p er vo* ch e tu n'abbi all'an im a la pena p er lo tuo m alvagio
fe llo . L a donna piangendo d icea : D eh, m essere, p ia ccia v i a' fan
c iu lli v o stri la v ita sa lv a re e m e u ccid ete, ch e degna n e sono.
M esser S tan gh elin o le d isse: Tu m i p otresti d ire assai, e p er
vo* c h e sen ti di q u el dolore ch e le tu e pari m eretrici m eritan o.
E p resa la spada, a tu tti e quattro i fan ciu lli, in presenzia d ella
m ad re, ta g li la te sta , e p oi, non forbendola, a lla m oglie p er lo
p etto d ied e e d all'altra p arti la pass e m orta cadde. E com e
eb b e ci fatto, fece la donna e t i fa n ciu lli, in u n a fossa so tterrare
e q uello giovano a cu i lo d i a m an giare, e p artitosi da P alu e
in co rte d i m esser B ernab ritorn. E sapendo q u ello c h e fatto
a v e a , g li fe p er m esser B ernab d itto p erch alm eno non a v ea
cam pato li fan ciu lli. R ispuose le p arole ch e a lla m oglie d itte
a v e a . E ci sta n te ch e fatto la v esse, non f p er p regiato l a v ere
u c c iso i fig liu oli, m a la cagion e assegn ata fe e assai buona ca
g io n e da co n sen tirg li q u ello a v ea fatto fosse stato il m eglio ch e
a v e r li riserb ati. E t p er questo m odo q u ella ca ttiv a di E lena p er
le su e ca ttiv it fe* ca ttiv i li suoi fig liu o li e l'am ante e s.
NOVELLI^ DI GIOVANNI SERCAMBI

54.
[Trfr., b* 8S].

DE BOJtfA PROVID^NZA.

L 'anno d el 1350, a l tem po d el perdono di R om a, to in n e lle


p arti presso a R om a, a uno ca stello nom ato M ontalto' u no m a-
lkndrino om icidiario di' ca ttiv a con d izione nom ato S u flilello , il
quale a vea p er m al fare da v en ti com pagni a tti a ru b are e fere
m icidio stando a lla strada, e t qual persna passava, ch e fo rte e
b en e accom pagnata, non to sse, il d etto S u ffllello con com pagni
10 rubava, e condutti a uno balzo duna m ontagna g i li g itta v a .
q uesta v ita teneano di' con tin uo. E t essendo alquanto tem po
passato del perdono, e m olti p elleg rin i d i p i lu ogh i m ossi e t
andati a Rom a e sem pre di d i in d i assai n e giun gean o, av v en n e
c lie n el m ese di m aggio uno g en tile om o francioso nom ato lo
c n te dA rtoi, con una su a dnna assa i gipvana nom ata m adonna
B ianca, con circa dodici com pagni a ca v a llo , rrivonno ap p resso
a l ca stello di M ontalto, l dove S u ffllello m alandrino con com pagni
stavan o, e t vedendo ch e d itto con te co lla com pagnia era n o
presso a uno m al pass, pensando d overli pren d ere, su b ito in
agguato si puosero. E com e il con te dA rtoi g iu n se co lia su a
dnna e co lla b rigata a l m al passo, scop ertisi q u elli m alan d rin i,
co lla la n cia in m ano assaliron o il d itto con te e t i su oi, percotn -
done alcuno. La' donna d el con te, vedendo il con te essere a ssa lito
e t alcu n i lor tornigli andati a terra d e ca v a lli, non sa len d o ch e
fare, sopravvenne S uffllello, capo di q u elli m alandrini, e co l polso
d ella lan cia in n el fianco a m adonna B ianca p ercosse p er si
gran forza, ch e d el ca v allo la f' cad ere, e p resola p er le b raccia,
su p er la m ontagna la conduce, dicendo a lla sua brigata ch e
toccino ch e sien o m orti o p resi, e c h e i ca v a lli e li a rn esi ru
bino. L i m alandrini com battendo valen tem en te, lo con te co i suoi
difendendosi vigorosam ente con q u ella poca darm adura c h e
aveano, e fatto risisten za alquanto, lo co n te, vedendo li su oi a
m al p artito, e g i pi ch e la m et p resi e li a ltri a q u elle m ene,
dilib er di to g g ire, p erch buon ca v a llo si sen tia, dicendo a lli
a ltri su oi: C am pate; e dato di sproni a l cavallo, si d irizz verso
una terra, ch e quine era presso a uno m iglio, e tan to cam in
ch e l giu n se, dove trov alquanta b rigata da ca v a llo e da p i,
11 q uali q uin e erano ven u ti p er ten ere q uel posto secu ro, ch e i
DB BONA PUOVIDENZ 193
p elleg rin i n f ssen o m orti n ru b ati da SuflU elio, n da a ltr i.
V eduta (1 ) la brigata, n arrato q u ello g li er a stato fotto, su bito
il cap itan o f a p p a recch ia re le su e b rigate; e m en tre c h e il o sa to
ca min a e t c h e le b rigate s ap p an ecch iavao, Suffllollo a v ea
condutta m adonna B ianca in su lla som m it d ei m onte a q uei
b alzo dovera su a usanza d i g itta r e le p erson e d ie a r e a rubato,
a cci d i laro m ai n ien te si p o tesse sap ere. B quando quine fe b e
condutta, ved en d ogli u n a b ella patondra indosso, d isse: Donna,
ca v a ti ca ta sta palandra, c h v o c h e una m ia fon te la goda. La
donna p er paura la palandra si sp ogli e rim ase in u na b eila
gam urra, a lla q u ale a vea appiccata u n a borsa, in n ella q u ale
a v ea franchi trecen to d oro. SnUfileUo, m issovi la m ano, q u ella
g li tolse, e t in n ella sca rsella s i m isse e poi d isse: B ootesta ga-
m urra ti ca v a , c h sim ilm en te p er la fo n ie m ia la voglio. La
con tessa d isse : P er Dio e p er san P iero , non v o ler c h e io nuda
e sen za gam urra vada. Lo m alandrino, d esid eroso d a v erla , d isse :
S e non te la sp ogli, io t uccido. La co n tessa, piangendo, la gam urra
si spogli. B rim ase la cont e ssa in uno p ia ccia n e b ellissim o d i
dossi d i vaio. L o m alandrino, c h e q uello h a v e d u to , d isse:
Q uello a m e sa r m olto u tile a ten erm elo d i n otte addosso m
q u esti b osch i, e d isse: Subito co testo p ib ocion e ti sp oglia, ch e io
lo v o p er m e. La co n tessa , c h e non p u fora altro, d ice: P ia ccia ti
p er D io e p er san P iero ch e alm eno, p o ich h a i a n te l a itr e cose,
c h e q u esto m i la ssi, acoiooch io in cam icia, c h e non s i co n v ien e
a donna andane, io non vada. Lo m alandrino superbo con m i
n accio g lie l fo ca v a re. rim asa la con tessa trem ando in ma
cam icia sottilissim a, in tan to c h e quasi s i scorgevan o le c a n i
di le i, tan to q u ella cam icia so ttile e bianca era , e non volen d ola
p erd ere, d isse: C otesto cam icia ti ca v a , c h e p er m e la voglio.
L a co n tessa, lagrim ando am aram ente, d isse in gin occhian dosi
c o lle b raccia incendo cro ce: Io ti p rego ch e nuda non vogfti c h e
la co n tessa d A rtoi in istra n i p aesi vada, e p er q u ello Iddio e
p er san P iero ti prom etto ch e tu tto c i c h e d itto m h a i io te i
perdono. Lo m alandrino d isp ietoto g li d isse: Sai q u ello c h e io II
dico; fo ch e su bito co testo ca m icia ti c a v i e pensa com e ca v a to
larai io ti gittor g i da q uesto balco, u m ai cam icia n panni non
ti b isogn er. La co n tessa , ch e d h a udito, ricord atosi di q u ello
c h e Dio d isse, a iu ta ti d ie io ta iu ter, facendosi in n el cu o r e
fia n ca , d isse : P o ich tu m i de' g itta re, e v eggo (2 ) ch e can d ela 1

(1) Ms.: vede. (2) Ms. : voglio.


194 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

n a ltro panno m pi n ecessario, tosto m e la v o ca vare, m a


ben ti prego ch e alm eno fin e ch e cavata io n e Tar non vo g li
ved ere la vergogna m ia. Lo m alandrino d isse: C otesto far io,
ch la tu a vergogn a non v o v ed ere, m a si r u tile m io. E voltosi
verso il balzo, la con tessa, com e v olto il vid e, co lle m ani in n elle
ren i lo p ercosse e gi dal balzo lo fe cad ere. Era q uesto balzo
pi di cin qu ecen to b raccia da ltezza , senza alcuno riten im en to.
S uffllello m alandrino tu tto sfra cell . La donna loda Iddio e pre
gato ch e ritro v i vivo il suo m arito m esser lo con te dA rtoi,
com e lla h a m orto il trad itore; e m entre ch e la con tessa ten ea
co l m alandrino la p ratica, lo capitano d elle g en ti col con te ven
nero al luogo dove la b rigata d el con te a v ea gran pezzo soste
nuto e di poco ch e *1 con te ritorn erano sta ti presi n anco
dal luogo p artiti non s erano, m a g i le m ani avean o leg a te a
q u elli del con te e com inciato a m ontare la costa. E sopragiun
gendo l capitano e l con te, non potendo li m alandrini fu ggire,
tu tti funno p resi e t i leg a ti funno scio lti. E non ved en d ovi il
capo loro, cio Suffllello, d isse il capitano ch e n era. C oloro dis
seno: N oi non sappiam o c h e se n e sia, m a tan to vedem m o ch e
su p er lo m onte con una donna n andava. Lo capitano e l con te
subito m ontavano la m ontagna p er trovar lo capo d e m alandrini.
E *1 con te p regava Iddio c h e cos com e avean o p resi l m alfattori,
co si prendino laltro e la con tessa ritro v i. E ca v a lca ti di trotto,
giu n sen o a l balzo, dove trovonno la con tessa. La con tessa, c h era
in cam icia p er v o lersi v estire, cont (1) la n ovella. Lo capitano
q u elli m alandrini ap piccare fe ce in presenzia d el con te. Il con te,
c h e si v ed e ven d icato, d ice a l capitano ch e q u el capo de* ma
land rin i a v ea a lla donna to lto trecen to fran ch i doro e q u e lli in
n ella sca rsella se li a v ea m essi, e t ch e lo p regava, p er lo serv ig io
fatto, faccia q u elli da v ere e su oi siano, e c h e se m ai in n elle
su e parti ca p itasse, ch e a lu i fa re de* be' doni. Lo cap itan o, ch e
a v ea d esiderio dap piccare il capo di q u elli ch e ap p iccati avea,
in n el fondo d el bosco fe andare, e trovarono S u ffllello con pi
di cinquanta ch e m orti n a v ea . F u condutto a lle forch e e t quine
ap piccato in m ezzo d ell! a ltri, e t i fran ch i trecen to riceu to , an-
donno dal con te, e t accom pagnatolo tu tto quel terren o, lo racco
m and a Dio. Lo con te e la con tessa g iu n ti a R om a e confessato
la con tessa la m orte d el m alandrino, lib eram en te assolu ta fh, e
ritorn ati in loro p aesi, si goderono li lor di.

(1) M s.: co n ta to .
DE BONA FORTUNA IN AVERSITATE 195

55.
[Trlr., n* 84].

DE BONA FORTUNA IN AVERSITATE.

N el tem po ch e fra M oriale con d usse e fecesi capo d elle p arti


e com pagnie ch e in Italia si facessero, fu uno giovano di P avia
nom ato Santo, nato di buone gen ti, il q uale, p iacen d ogli esser p i
om o di com pagnia ch e p rete (1) u a ltro m ercad an te, si m isse
in n ella com pagnia di fra M oriale, e t essen d ovi stato alquanto
tem p o, e t avea seco una som m a di fio rin i trecen to , diliber d ella
d itta com pagnia u scire p er du risp etti. L'uno fu p erch g li parea
c h e a lu i fu sse p eccato, l'altro p erch a l corpo era p ericolo. Et
u no giorno s i partio da N apoli tu tto solo a p i con una la n cia
e t un co ltello , e cam in verso S a le rn o , e da S alern o si m osse
p er andare a R eggio, dove ora pensiam o dandare, p er p oter a l
porto d'A ncona en trare in m are e cam inare a P avia. E t essendo
il p red itto Santo arrivato in uno bosco a ssa i folto d a rb o ri, si
scon tr in due m alandrini, li quali, com e videro il d itto Santo
solo, lu i assalirono. Santo, difendendosi m eglio poteo, p ercosse l'uno
d i que' m alandrini alquanto co lla lan cia n el braccio ritto ; l'a ltro
p erco sse il d itto Santo p er m odo, ch e la la n cia d i m ano g li cadde.
E cad u togli la lan cia, il d itto Santo fu preso e rubato di fiorini
q uattrocen to e tu tti i panni, e T lassaro legato a u no arboro in
ca m icia e t andaro (2) v ia . Santo, ch e si v ed e leg a to a quell'ar-
boro, stim a p er certo q uine d over m orire, raccom andandosi a Dio.
I m alan drini lesti cam biarono a una fo n ta n ella , ch e non m olto
lu n g i era dal luogo, e q uin e m essi a posare partendo i fiorin i
ru b ati, e p erch q uello eh ' era stato ferito in n el b raccio non
p otea (3 ) p ortare la lan cia, tra via la v ea lassata, e fattosi il braccio
fasciare a cci ch e il san gu e resta sse. E m entre ch e costoro sta
van o in tal m aniera, sop ravven n e un a ltro m alandrino a l luogo
dov* era Santo leg a to . Santo, com e lo v e d e , se g li raccom anda.
Lo m alandrino d ice: C he v u ol d ir q uesto? Santo d ic e : Io sono
stato rubato da du m alandrini, ch e ora m i tr o v o n n o /et hannom i123

(1) Cos nel ma.


(2) Me.: andatosi.
(3) Me.: potendo.
196 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

tolto q uattrocento fiorin i e t i panni, e cosi leg a to m i hanno la ssa to .


Lo m alandrino d ice: Or qui m i fu sse io tro vato, a v re i la p a rte
m ia di q u ello t'h a n n o rubato. Santo d ice: S e tu m i vu oi d isle
gare, io m i penso r itr o v a r li, se m eco v orrai v e n ir e , e di tu tto
ci c h e io guadagner la m et vo' c h e sia t u a , l a ltra m ia. L o
m alandrino d isse c h e er a co n ten to; e d iscioltolo, in siem e carni-
naro, prendendo Santo la su a la n cia. E com e an dati teron o a l
quanto, trovanno la la n cia di q u ello c h era stato ferito c h e la s
sata la v ea , e subito [conobbero] a l san gu e ch e an dava v ersa n d o
ch e v ia i m alandrini avean o fotte, fi segu en d o la tra ccia d el
san gu e, a lla fontana doveranp li m alandrini arrivon n o, e su b ito
Santo, c h e vigoroso era e volon teroso di ven d icarsi d i q u ello g ii
era stato te tto , p er ria v ere il su o, d isse a l com pagno: A ndiam o
loro addosso, e prim a c h e loro possano p ren d ere riparo, co lla lan cia
li p ercoliam o, e sp ero, se sa ra i v a len te, noi li prenderem o, o v e
ram en te li u ccid erem o, e poi la roba partirem o. Lo m alandrino
d isse, c h e francam en te li p erco ler , e m ossi, co lle la n cio b asse,
sopra d e dum atendrini giu n sero. Santo co lla lan cia p erco sse l'u n o
d e m a la n d rin i, c h e non er a fe r ito , e passatolo d all*altro la to ,
m orto cadde. P o i Santo e l com pagno ai carioonno addosso a l
m alandrino ferito, il q u ale a ita re non si p otea. Subito l eb b ero
m orto, e cerca to g li trovarono li fiorin i quattrocento, ch e a S an to
avean o to lto , e trecen to fiorin i a vean o o ltre q u e lli, ch e p er lo
sim ile m odo rubati avean o, con alcu n o g io iello d i v a lu te d i fio
rin i d ieci. E riv estito si Santo de* su oi p a n n i, tenend o sem pre i
dinari appresso, d isse , co lla lan cia in m ano, a l com pagno m a
landrino: Ora partiam o q u ello c h e gu adagnato abbiam o; e t in -
nom erati fiorin i q uattrocento, d isse : Q uesto il m io ca p ita le, f i
poi d ell! a ltri fiorin i trecen to fece du* parti, dicen do a l m alandrino:
Q uesta p arte d ella som m a d e fiorin i trecen to tua e q u esta ltra
p arte m ia, e son o con tento c h e tu tti ti panni c h e costoro h a n n o
con ogn i loro oosa sia tu a, e li g io ie lli sian o m iei. L o m alan drino
d ice: Or b en e tu h a i p artito l u n a som m a di d in a r i, ora p arti
la ltra . Santo d isse: T u sa i ch e io ti d issi c h e d i q u ello e h io
guadagner a resti la m et, e per questo l m io ca p ita le e di
questo non di a v ere n u lla. Lo guadagno p artito com e io ti pro
m isi e te stin e con ten to; e se in caso c h e con ten to non te s s i,
puoni g i co testi dinari e t io m etter li m iei e q u elli h o gu a
dagnati, e tra te e m e la tacciam o. Lo m alandrino, avendo paura,
q u elli si to ls e , e Santo se n and a l suo v ia g g io ; e p er q u esto
m odo q u elli ch e cred ean o ru b are funno rubati e m orti.
DB MAGNANIMITATE MULIBRIS ET BONA VENTURA JUVANI 197

56 .
tT rir., V> 85].

D E MAGNANIMITATE MULIBRIS ET BONA VENTURA JUVANI.

N e l tem po ch e r e Don A lfonso, r e di Spagna, regn ava, un m er


en d a n te d i B arcellon a ch iam ato diandro, om o ricch issim o , venendo
a m orte, lass du suoi figliu oli, il m aggiore di an n i d icia ssette,
l a ltr o di quin dici, di pi di cinquantam ila fiorin i r icc h i. M orto
il d itto Giandro, rim asi li figliu oli, lo m aggiore nom ato P assavan ti,
i l m inore V eglio, in tesi a god ere e t sp en dere in d esn ari e cen e,
b a g o rd a re per am or di d o n n a , e tu tte cose feco n d o , ch e si ri
c h ie d e a dover consum are, non guardando c h e n com e, e non
m an can d o lo spendere sen za alcu no guadagno, dopo non m olti anni
la roba lassata loro dal padre m anc (1), in tan to o h e a lcu n e
v o lte , non avendo di ch e, sen za cen a se n andavano a dorm ire.
E quale p i era sta to co loro a ita re loro consum are la roba,
q u e g li pi si fo g gia. E ved en d o P assavan ti o h e di loro era fetto
str a z io e beffe, e t anco p erch n ien te avean o di m obile, donde
p o tesser o la loro v ita sosten tare, diliberonno an dare in Ispagna,
l u pensonno a v er q u alch e avviam en to. [P a ssa v a n ti] dicen do a
V e g lio su a in ten zion e, V eg lio d ic e ch e g li p ia cea ; e fetto dinari
d a lq u a n te loro m assarizie, si partirono di B arcellon a e t in Ispagna
ca m b ia n o . E t a rriv a ti in S ib illa, quine si concionno con alcu no
m eren d an te, con d over a v er certa p arte di guadagno, e non m olto
tem p o stero ch e pi di v in tim ila fio rin i ebbero guadagnato, di
c h e P assavan ti d isse a l fra tello : Io v o g lio ch e tu n e vadi in B ar
c e llo n a con q u esti d in ari e d i q u elle co se c h e ven d u te abbiam o
r ico m p e ra , e t in ten d i a lla m erca n zia , a cci ch e noi possiam o
rito rn a re in n ello on ore ch e n ostro padre c i lass. V eg lio d isse
c h e r a con tento dandare. P assavan ti rim an e in Ispagna. E ra questo
P a ssa v a n ti b ellissim o quanto neu no c h e in S ib ilia frisse e con
q u esto era p ia cev o le o ltre m isura e savio. E dim orando P assa
v a n ti in Ispagna, ogni di in B arcellon a rim ettea d in ari. V eglio,
c h e ritorn ato e r a , in ten d eva a god ere ritrovand o di q u elli ch e
funno a a ita re consum are li prim i dinari, e t non avendo fren o

(1) M s.: m a n c a n d o .
198 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

allo sp en dere , d e1 dinari p ortati gran p arte n' a v ea con su m ati,


sem pre sperando ch e P assavan ti n e li r im e tte sse , e t a v ea n eg li
rim issi pi di d iecim ila oltra li prim i. E m en tre ch e P assavan ti
dim orava in Isp a g n a , si m osse gu erra tra lo r e Don A lfonso e
10 re C elletto di G ranata, p er la qual gu erra i guadagni c h e P as
savan ti facea funno perduti e t in su l ca p ita le si v iv ea , sp ettan d o
ch e 1accordo si facesse, avendo sem pre speranza, quando a v esse
consum ato q u ello avea, ritorn are in B arcellon a in su q u ello ch e
V eglio n a vea portato e t su q u elli c h e m andati g li av ea . 0 P a s
savan ti ch e pensi p oter tornare in B arcellon a a quei d in ari, ce rto
verun o v e n e tro v era i p er te, p oich V eglio n a vea p och i a co n
sum are! E durando la gu erra tra que' du r e , e non potendo v e
n ire a p a c e , per alcu n i m ezzani [fu ] cercato raccord o, e non
trovandolo se non con patto ch e lo re Don A lfonso d esse M arzia,
sua figliu ola b ellissim a di anni quindici, p er m oglie a r e G elletto,
11 quale era pagano e v ecch io di sessa n ta n n i, e t altram en te ta l p ace
fare non si p otea, e lo r e di Spagna vedendo ch e la p ace fa r e
non si p otea are* con sen tito p er p oter a v er p ace di prim o tratto;
m a p er non v itu p e r a r si, pens di farlo assen tire a M arzia sua
figliuola, d icen dole ch e p ace fare non si pu se e lla non sia con
ten ta dessere sua m o g lie , e t acconsenten do la p ace sa re fa tta .
M arzia, ch e ode q u ello c h e u d ire non volea, d isse: P ad re, d ella
pace fate com e v i p are, di m e fate q u ello ch e pare a m e, e di
ta l m arito non m i ragion ate. Lo re, isdegnandosi con tro la fi
gliu ola , m inacciandola, se non far a suo senno, ch a l tu tto
disposto ch e m oglie sia del r e G elletto, M arzia d onzella a l p ad re
n ien te risponde e pensa fu g g ire ta le m arito. E subito a uno ca
v a lieri d el ream e, il quale la v ea pi tem po am ata, nom ato m es
sere A m a n , narr q u ello ch e il padre di le i fare v o le a , d icen
dogli ch e se lu i pu trovare m odo di essere in co rte di R om a
p er fare la d ispensazione tra s e lu i (p erch era il suo cu sin o )
ch e a ltri ch e lu i non l ar. M essere A m an con tento disse: Io
sono presto. M arzia d isse: A q u este co se [sij v u o le n uovo ord ine,
a cci ch e il m io padre isforzatam ente non m e n e m andasse in
G ranata, E sere* di bisogno, p oich il v esco v o di T oledo ( i ) A
m orto, ch e q u elli colon aci facessen o elezio n e di m e, e t io a m odo
di vescovo a Rom a cam iner, e v oi v errete m eco e fa re m i ch ia
m are il vescovo M arsilio. M esser Am an d ice: V oi a v ete ben p en -

(1) M s.: T o ile tte .


DE MAGNANIMITATE MULIERIS ET BONA VENTURA JUVANI 1 99

sato e t io ar subito le voci, e v o i v ap parecch iate d i q u elle cose


c h e v i p ia ce e dinari da sp en dere. E subito cam in in T oledo e .
da' calon aci ebbe ch e M arsilio fo sse vescovo, dicendo questo M ar
silio essere suo nipote. F atta la rela zio n e e le c a r te , ritorn ato
m esser Am an in S ib ilia e t M arzia ap parecchian dosi p er p oter
cam inare, m entre c h e ta le ap parecchiam ento si facea, ven n ero
le tte r e p er fan te proprio a B arcellon a a P assavan ti, com e V eglio
su o fra te, aven d o consum ato ogni sua cosa, p er disp erazion e una
sera con u na fu n e sappicc e m orto sarebbe, se non ch e la fon te
d i casa gridando, fu d alla m orte cam pato. La signoria, ci sen
tendo, V eglio prender hanno fotto, e se non c h era d'antico pa
rentado, larenn o a p p icca to , m a p er am ore d e p aren ti la forca
g li levaron o e t a perpetua ca rcere [fo ] condannato. P assavan ti,
c h e h a in teso com e il fra tello a vea tu tto il tesoro consum ato e
p er d isp erazion e v o lu tosi ap piccare e t esser condannato a p er
p etu a ca rcere, d ilib er in Ispagna pi non sta re, con in ten zion e
c h e se trova la cosa d el fra tello com e la lettera d ice, lu i daddi-
v ero con uno la ccio ap piccarsi per la gola in luogo ch e da a ltri
aitato non potea essere. E con ta l d ilib erazion e fe dinari di tu tto
c i c h e in Sibilla, avea, e t m issesi (1) in punto p er cam inare di
q u in e a tr e d. M arzia d on zella, fotta vescovo e v estita a m odo
d i vescovo, v o lse c h e alqu an ti calo n a ci di T oledo seco andassero
e fo tte m olte v a lig ie di p a n n i, dinari e g io ie lli, ap parecchiata
m olta fam iglia, a ca v a llo secreta m en te (2 ) di S ib ilia si p artio, lo
giorn o fon an ti ch e P assavan ti si m ovesse, venendo verso le p arti
d i Ita lia , sen za c h e re Don A lfonso n ien te sap esse n a ltr i, se
non m esser Am an, a cu i la giovana s era alla rg a ta . P assavan ti,
c h e h a tu tto raccolto, si m osse a ca v a llo , e tan to cam in, focendo
buona giorn ata, ch e giu n se d ove il vesco v o n uovo M arsilio era
a rriv a to , il q u ale era si posato in uno albergo con tu tta sua bri
ga ta , l u P assavan ti arriv. E com e fu fo n ella sa la dove lo
v esco v o era, subito P assavan ti dal vescovo fo cogn osciu to p erch
p i v o lte l a v ev a ved u to. E dim ostratosi di non a v erlo m ai v e
duto, lo dom and donde fo sse e q u ale era il suo cam ino. P assa
v a n ti d isse : Io sono di B arcellon a e t quine vo' ire, e sono stato
gran tem po in S ib ilia, dove ora gu erra grande, e t p a ce fore non
si pue se il r e Don A lfonso non d M arzia donzella p er m oglie 12

(1) Ms.: messosi.


(2) Ms.: stretamente.
900 NOVELLE DI OIOVANNI SBRCAMBI

e re O tte tto d i G ranate. E t pare ch e la fan ciu lla non aia stata
con tenta, e dove al sia andata lo re suo p ad re non sa , e t h a tetto
cerca re e cerca te tta la Spagna p er lei, e d icesi c h e e lla n'ha
portato di v a lsen te p ia d i cen tom ila doble e m olti g io ie lli. Lo
v esco v o d ice: Io v o g lio c h e ta stii m eco, o to ' c h e tu sii mio
spenditore. P assavantf d iee c h e non pu, p ero cch in Barcellona
g li co n v ien e an dare p er tra rre uno su o fra tello d i p rigion e, che
condannato a p erp etu o ca rcere. L o v escovo d ic e : T u verrai
m eco a R om a e poi terem o il cam in o d'A ragona e t ahrterotti ( i)
ca v a re il tu o fra tello di p rigione. P aasavanti, udendo q uesto, steo
contento, e tetto teso rieri e spenditore, cam inano p i g iorn i. Av
v en n e u na sera ch e 1 vescovo co lla brigata cap itolin o in nna
v illa , in n ella q u ale a ltro c h e un albergo era, in n e l q u a le erano
ca p iteti m olti a ltri fo restieri. N on di m eno una ca m eretta per lo
v escovo con u n o letto di cortin a fornito e t a ltr e co se o rrev o lite
trovato, e p er li a ltri assai p iocioissim a cosa, c h la m aggior
p arte, co si ca lo n a d com e a ltri, in n e lle sta lle e t a n co stretti
dorm ire potranno. La cena orrev o le, [fa ] m esso il v esco v o a letto
e l'a ltra b rigata, sa lv o P assavan ti, il q u ale in sa la co ll'o ste era
stato p er ftr e il con to e p agare, a cci ch e la m attin a cam inare
di buon'ora si possa. E p agato ch'ebbe, d isse: IT dorm o io? Loste
disse: In v erit e' non c' lu ogo verun o, c h tu tte le ca m ere sono
p iene, e ved i c h e la m ia donna e tu tte la fom iglia co n v ien e in
sala stasera dorm ire; m a .tu puoi fare b en e; io ti d ar uno pia-
m accio con u na carp ita e t in cam era d el vesco v o in su l solaio
ti corca e t a ltro m ig lio re lu ogo non c i v eg g io . D ice P assavanti:
C om e! non h a i tu ved u to ch e i calon aci non c i sono v o lu ti stare?
L 'oste d isse: D eh te q u ello ti dico; noi v e l m etterem o p er modo
ch e '1 vescovo non lo sen tfre. P assavan ti d ice: Io sono contento,
e t acconcioim o il letto . L 'oste di cam era u scio e t a dorm ire si
p nose. P assavan ti piano si m isse in su q uello tettu ccio . L o vescovo,
ch e tu tto h a se n tito , aven d o grande a lleg rezza di ta l ventura,
piano chiam P assavan ti d icen d ogli ch e in n el letto , dove lui
era, en trasse. P assavan ti d isse: Io sto b en e. Lo v esco v o d isse: Io
te i com ando ch e qui en tri. P assavan ti, p er ubbidire, in n el letto
en tr. Lo v escovo disse: P assavan ti, m etti qua la m ano. E Pas
savan ti la m ano d isten de. Lo vescovo la m ano prendeo e t in sul
petto se la puone. P assavan ti, ch e trova a m odo di du' m eluzze,

(1) Ma.: co n tero ti.


DE MAGNANIMITATR MDLIERIS ET BONA VENTURA JUVANI 201
diaae: C he v u oi d ire questo? Lo vesco v o d ice: P assavan ti, seppi
c h e lo sono M rzia, figlin ola d i r e Don A lfonso. E d icoti, se vorrai,
a ltr i c h e tn non ser m io m arito, p ero cch com e ti v id i tan to
m i se* p isc ia to , c h e am ore m h a stretta a p erfettam en te am arti.
E non d ub itare ch e di tu tte tu e a w e r sita d i ti ristorer, e t a cc i
c h e v eg g h i c h e c i sia vero, in fin e a v a le vo* c h e F anello m i
m e tti. E tra tta si F an ello vescovato d i dito, a P a ssa v a n o Io d i,
e lu i la spos, e poi si p reseno d iletto ; e fa tan to il p ia cere c h e
M arzia con P assavan ti la n o tte si d e n n o , c h e M arzia d isse a
P a ssa v a n ti c h e ancora lo di seg u en te a p p arecch iasse in q u el luogo,
e la n o tte sim ilm en te dorm isse in siem e, sim ilm en te com e fatto
a v ea n o . P a ssa v a n ti, lev a to si la m attina e t a llo ste d itto c h e ap
p a recch ia sse, dicendo a lla brigata : Il v escovo p er oggi cau lin are
n on vuoto; cosi e i f com e ord inato, e la n o tte sim ilm en te pia*
c e r e s i denno e poi [si] denno a cau lin are tan to, c h e a Rom a
g iu n sero . E fatto fa re la im b asciata a l san to padre d i v o lere par
la r e , lo papa con tento, il v esco v o and (1 ) solo con m esser A m en
e con P assavan ti dicendo : P ad re santo, posto ch e v o i m i veg -
g h ia te v estito com e vescovo, q u esto h o fatto p erch altram en te
a v o i non a rei potuto v en ire, e p er tan to e l'elezio n e e la v este
sta to cagion e ch e qui sono. E per sap piate ch e io sono M arzia
fig liu o la d el r e Don A lfonso, r e d i Spagna, il q uale v o lea ch e a
u n o c h e C risto non adora m i m aritassi, dando nom e ch e la pace
fa r e non s i potea; si ch e io, ved en d o c h e a uno S aracin o e v e c
c h io di se ssa n ta n n i m aritare m i v o lea, d ilib erai c h e voi m i d este
q u ello c h e a m e d i som m o p iacere, il q uale m eco h o con d otto.
E q u ello voglio e t v o i p rego ch e in luogo d i m io padre m i te
g lia te il dito, e lu i, ch e qui p resen te , sia con tento c h e io su a
sp osa sia . M esser A m an, ch e sta co lle o recch ie lev a te, p resto a
d ir s i , sp etta pur ch e 1 papa lo dom andi. Era questo m esser
A m an d i an n i quaranta e pi e t assa i d isu tile d ella persona. V e
d u to il papa la sa v ia dom anda e 1 sa vio m odo preso, d isse : E t
io son con ten to di ten erti il dito, m a non con cotesto abito, c h
licito non sere*. M arzia, c h 'e r a ita p ro v v ed u ta , d isse: Sicuro,
p a d r e , v o i d ite il v ero, ch in si fatta v e ste m aritaggio non si
de* fare. E tra tta sela , rim ase in una palandra dorata, ch e parea
u n a rosa, in tanto ch e l papa d isse: S e a l papa fa sse lic ito d i
p ren d er m o g lie, d a ltri ch e m ia non sa resti. E preso il dito a

(1) Ms.: andato.


202 NOVELLE DI GIOVANNI SERCMBI

M arzia, le d isse : E leggi, e M arzia d isse: C ostui m io cugino, e


b en ch a siffatte co se si sia trovato, io eleg g o P assavan ti. Il papa,
ch e P assavan ti h a ved u to, d isse: Donna, n m ica se' m atta aver*
telo scielto b ello com e tu b ella se. P assavan ti le m isse l'anello;
il papa li b en ed isse dicendo lo ro : C rescite e t m u ltip lica te il vo
stro sem e. E prim a c h e di quine M arzia s i p a rtisse, ordin che
'1 papa m andasse in aiuto a r e Don A lfonso d uem ila cavalieri,
d e q uali, p er ricom pensazione c h e m esser Am an non avea auto
M a rzia , lo fe' capitano d i q u e duem ila ca v a lieri. E sim ile ebbe
le tte r e dal san to padre c h e lo r e Don A lfonso fosse contento di
q u ello c h e M arzia fatto a v ea . A ppresso fe a l sig n o r di Barcel
lona scriv ere e com andare c h e V e g lio , fra tello d i Passavanti,
frisse d elle prigioni dilassato, e tu tte le d itte le tte r e funno os
serv a te e m esser Am an, con que' duem ila ca v a lier i e con Passa
v a n ti, m osse, e con que' duem ila ca v a lieri e con P assavan ti e con
M arzia in Ispagna giu n sero. E giu n ti, co lle b rig a te cavalcarono
addosso a l r e d i G ranata e tu tta su a b rigata m issero in iscon-
fitta e lo r e loro [fri] m orto. E p er questo m odo si diliyr
q u ella b attaglia e g u erra. P assavan ti con M arzia s i dienno pia
cere, e sem pre m esser Am an p er la v itto ria a v u ta et anco
per la ricom pensazione c h e M arzia g li vo lea fare, fri di continuo,
m entre ch e v isse, capitano g en era le. L a signoria d i Barcellona,
ved u te le le tte r e d el papa, subito V eglio cavarono d i prigione, e
V eglio, sen tito il fra tello esser gen ero d el r e di Spagna, in Ispagna
n and, n m ai poi patio disagio di n ien te.
DE RASON ABILI DOMINIO ET BONA JUSTITIA 203

57.
[THt. , 87].

DE RASONABILI DOMINIO ET BONA JUSTITIA.

N el ream e di F ran cia, tra la F ran cia e la P iccard ia, uno bosco
grandissim o, il q uale m adonna con tessa d rtese possedea, e t in
q u ello un b ellissim o p alagio, in n el m ezzo d i ta l bosco, era ed ifi
cato, a ccio cch [quando] m adonna la con tessa andare vo lea a lla
ca ccia , in quel palazzo rip osare si p otesse con tu tta la b rigata.
E ta l bosco era p ieno di m oltissim e b estie sa ly a tich e, e tu tto d'in
torno la m aggior p arte stecca to , acci c h e le b estie u scire non
p otessero. E t era il d itto bosco m olto gran d e accosto a una
strada ch e v en ia di P iccard ia a P a rig i; a l qual bosco m oltissim i
la d ri e m alandrini si riduceano a m al fare, e t il m odo ch e ta li
rub atori ten ean o era questo, ch e uno de' d itti rubatori si ponea
in su lla strad a, ch e a lla to a l bosco era , in form a di uno ro
m eo povero, ch e a cca tta sse, con uno cap p ello in capo di ferro
e foderato di panno, acci ch e, se alcu n o la v esse percosso, non
a v essen e auto a lcu n m ale, e t uno co lte llo sotto con uno bordone,
a ssa i il ferro grande. E com e v en ia la persona a ca v a llo o a
p i, chiedendo lim osina s'accostava a ta l viand an te, e se a p i
era , subito l'avean o preso, e tira to n el bosco, l'u ccid evan o e poi
lo rubavano. E t se era a ca v allo e t a ltri si ferm asse p er dare
lim osina, lo ru b atore s'accostava e prendealo p er la b rig lia e t
c o l co ltello p er lo p etto g li dava, e d el ca v a llo lo fe cea ca d ere,
e conduttolo in n el bosco, q u ello uccideano e rubavano. E se pi
duno fu sse ch e d quine passasse, il prim o rubatore lo lassava
en tra re tan to, ch e tre o quattro rub atori trovava in n ella strada
accattan d o; e se avven ia ch e non si v o lessin o ferm are, fceano
certo segn o d'un corno, e dinnanti e d irieto u scivan o loro addosso,
e se non erano ben forti, q u elli ch e passavano rim aneano m orti
e ru b ati, e t eran q u esti m alandrini gran q uantit, e cen tin aia
n e avean o m orti e rubati. Un giorno m adonna con tessa volendo
cam in are a P arigi, avendo seco m olta baronia, com and ad un
su o spenditore ch e cav a lca sse in n an ti p er p oter ap p arecch iare per
le i e p er la b rigata. E com e il d itto spenditore, con alq u an ti in
su a com pagnia, ftinno in n ella strada appresso a l d itto bosco,
204 NOVELLE DI GIOVANNI SBAC AMBI

q uin e (1) trovonno alcu n i ch ied en d o lim osina. Lo spenditore,


avendo cu ore ad a ltro , a n ien te risp u ose e pass v ia con du com
pagni. E com e alquanto funno dentro in n el cam ino en trati, tro
vonno ch i lim osina dom and. Lo sp en ditore ferm andosi, li com
pagni inn an ti, com e lu i vu ol m ettere m ano a lla sca rsella per fere
elem osin a, q uel m alandrino, facendo v ista di v o lere la limosina
p ren d ere, g li p rese la b riglia d el ca v a llo . L o sp en d itore, avendo
l occh io a com pagni, li v id e da alquanti m alandrini g itta re a terra
d i ca v a llo , e ved en d osi da q u ello la b rig lia presa, e con uno col
te llo g li v o lea p er lo p etto dare, com e (2) v a len te c o lla spada
a l m alandrino d i in su lla testa d icen do: L adro, tu s e morto. E
co si pens ch e m orto fh sse, e speronando il ca v a llo p er forza,
10 m alandrino non poteo il ca v a llo ten ere. E quando in sulla
testa g li d i, la spada torn in a lto e neuno m ale g li fece, so
nando il cappello, ch e era d 'acciaio. E riv o lg en d o si addietro,
alcu n i di q u elli m alandrini se g li volea p arare in n a n ti. Lo spendi
tore, essend o b en e a cavallo, pass ch e m al non li fen n o, e ri
tornato a m adonna la con tessa e narrato ch e a l b osco suo era
stato assalito, ch e quasi non fu m orto, e c h e v id e i suoi com
pagni p ren d ere e t p ensa ch e m orti siano, m and la contessa,
subito ritorn ata a rieto, e fatto raunam ento di tu tti i circostanti
e com andam ento ch e ogni persona si debbia tro v a re c o llarme e
con tu tti i can i a l bosco, in m en d i du d ie la co n tessa ebbe
raunato pi di seim ila p erson e. E circond ato il bosco da tutte
parti, acci ch e persona u scire non n e possa, e* m issen o dentro
pi di duem ila can i con m olta g en te arm ata. Com e li ca n i dentro
fnno en tra ti, le b estie sa lv a tich e m ossensi e p er lo bosco an
davano. Li m alan drini, ch e ci sentono, volean o d el bosco uscire
p er paura d elle fiere e t anco de* can i e d ell! om ini c h e dentro
en tra ti erano, e credendo cam pare d alle fiere, eran o presi da
coloro ch e intorn o al bosco a guard ia erano m essi, e q u elli ch e .
sa w e d e a n o d elle b rigate ch e intorno aveano, in lo co contrario
p er lo bosco andavano, e m olti d alle fiere n e fnno m orti. Ulti
m am ente pi di sessan ta diliberonno en trare in n el palagio, sti
m ando ch e quine en tra re non si d ovesse. E la con tessa m esse le
gu ard ie intorno e la in trata dentro con resto d elle b rigate e tutti
11 ca n i, in tanto ch e ven en d o ristrin gen d o il bosco fino a l pa-12

(1) Ms.: la quine.


(2) Mb.: la u come.
DE RAS0NAB1LI DOMINIO ET BONA JUSTITIA 205

la g io and, avendone d fiiori p resi pi di cen to e dentro pi di


quaranta e pi di cinquanta ritrovoim o d a lle b estie esser m orti.
E g iu n ta la con tessa a l p alagio, e vedendo li m alandrini in q u ello
essere, subito fe m ettere ftioco in n el palagio. L i m alandrini, v e
dendosi a m al partito, p arte se n e gittaron o d alle fin estre e p resi
funno e t alquanti n 'arse d en tro in n el palagio. B t avu tan e v it
to ria , tu tti q u elli c h e p resi av ea , cosi fe riti com e sa n i, e q u elli
c h e le b estie avea n o m orti, intorno a q u el boeoo li fe' ap p iccare,
aioch p i d i d ugento cin qu an ta la d r i q u ella oonteasa prim a c h e si
p artisse ap piccare fe', fra' q u ali v e n 'eran o g ran p arte d elle su e
te r r e , gen tilom in i, o d 'altre condizioni. E tornata in suo p a ese,
tu tto ci c h e ta li lad ri avean o di m obile attrib u io a lla su a ca
m era, e fu la d itta con tessa p er la su a g iu stizia p er tu tta la
A rancia e p er q u el p aese lodata, e dallora untanti p er q u ella v ia
an d are si potea con oro in m ano sen za esse re offeso.
206 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

58.
[T it., n 88].

DB LATRONES ET BONA JUSTITIA.

F u iu G enova du fra telli lad ri, li q uali l uno a vea nom e Bo-
vitoro, l'a ltro B ellu ccio , ch e avendo desiderio di gu adagn are sen za
fatica, andavano di n otte rubando e strafiggen do b o ttegh e e case,
e questa v ita teneano, e pi v o lte andonno a uno fondaco d'uno
m ercadante nom ato A gustino, e di q u ello pi co se furato o tolto
avean o, di ch e il d itto A gustino p i v o lte doluto se n ' alla s i
gn oria di q u ello ch e a lu i era stato fatto; e n ien te g li v a lea ,
p erch di continuo, quasi ogn i m ese, p er li d itti fr a telli g li era
a lcu n e co se ru b ate. A gustino, ch e v ed e ch e p er la g iu stizia non
si pu tro v a re m odo, avendo ved u to dove i lad ri entravano,
d ilib er a p i d ella fin estr a , dove in n el fondaco scendeano,
m etter uno tin elletto pieno di visca g in e stem prata, acci ch e, se il
ladro v'en trasse, v i fu sse preso. E com e pens m isse in effetto.
E fatto la v isca g in e stem prata, e m essa in luogo ditto, sen za ch e
ad a ltri lo p alesasse, d iven n e ch e una n o tte il p red itto B ovitoro
e B ellu ccio andonno a l fondaco d'A gustino, e p er lo luogo ordi
nato B ovitoro si cal en tro, e quando fti p er la ssa rsi andare,
credendo andare su l terren o, g li v en n e andato in n el tin ello d ella
v isca g in e. B ovitoro, ch e si v ed e in vescato, volen d osi co lle m ani
a iu tare, pi s'in vescava, p er m odo ch e non a v ea b alia c o lle m ani
n co p iedi p otersi aiu ta re, n di q u ello tin ello u scire; m a com e
se ch iavato v i fu sse stava sodo. B eliu ccio, suo fratello, vedendolo
a ta l partito, volen d ogli a iu ta re, p er le sp a lle il tira v a e n ien te
v a lea . E stando in ta l m aniera, aspettandosi il d ie, B ovitoro disse
a B ellu ccio suo fra tello : F ra tei m io, io veggo c h e m orto sono, e
se qui sono trovato, a m e con verr con fessare li flirti fa tti e con
cu i, p er la qual cosa m i con verr te nom are e v er resti a d over
p erd er la persona, n m ai i nostri fig liu o li arenn o onore. E p er
tan to ti dico, p oich a ta l p artito sono ch e cam pare non posso,
e p er scam pare te e la roba, e p er am ore de' n ostri fig liu o li,
ch e tu m i le v i la testa acci ch e cogn osciu to non sia, e p er
questo m odo tu cam perai e la roba e t i n ostri fig liu o li non aran n o
vergogn a. B eliu ccio, ch e h a udito il suo p ericolo, vedendo c h e
'1 fra tello cam pare non pu, subito con uno co lte llo il capo d a lle
DB LATRONES ET BONA JUSTITIA 207

sp a lle a l fra tello lev, e q u ello n e port col pianto a casa. L i


fig liu o li d ell'u n o e d ell'altro, vedendo p ian gere B ellu ccio, non sa
pendo il p erch , com incionno ezian d io li fa n ciu lli e le donne a
p ia n g ere. L a m attina lev a to A gustino e trovato q u ello sen za capo
in uno tin ello , lo podest subito avendo fatto p ren d ere q uel corpo,
n on potendo sap ere c h i si fu sse, pens doverlo far p ortare p er
la terra , pensando c h e coloro di ch i p aren te fu sse d ovessero
p ia n g ere, im ponendo a l suo ca v a lieri ch e quine u' sen tisse pian
g e r e ricerca sse, ch e di q uella casa il corpo sarebbe. E fattolo
p u o n ere in su una ca rretta , con uno tam buro tonanti, p er la terra
fu portato, e quando a casa d i B ovitoro fu arrivato, il ca v a lieri
sen to p ian gere donne e fan ciu lli. Subito sa lito le sca le, dimane
dando q u elle donne p erch p iangevano, loro, ch e n ien te sapeano,
d issen o: N oi piangiam o p erch B eliu ccio stan otte torn m olto
piangendo. Lo ca v a lieri d isse: 'Y ' B ellu ccio? L e donne e i fan
c iu lli disseno : E gli in cam era. B ellu ccio, ch e sen te la fam iglia
dim andare il p ian gere, pens subito p otersi scu sare p er certo
m odo, e p reso uno co ltello , in su lla m ano si d i p er m odo, ch e
m olto san gu e v ers . Lo ca v a lieri, giun to dove B ellu ccio era, v e
dendolo p ian gere, lo dom and d ella cagion e. L ui disse: P er ch
m 'h o fatto m ale, com e v ed ete. Lo ca v a lieri, quando ved e il san gu e,
su b ito con aspro v iso m inacciandolo, d isse : Tu se* q u ello ch e h a i
m orto q u ellom o in n el ta le fondaco. E leg a to g li le m ani, subito
10 condusse a l podest. Lo podest, ch e con osceva B ovitoro e
B ellu ccio , g li d isse: C he di B ovitoro? B ellu ccio d isse: E gli
andato un poco a ltro '. Lo podest d isse: Quando di fuora [and]?
B ellu ccio d isse: Ieri, in su lla terza. Lo podest, ch e a v ea ved u to
B ovitoro presso a sera , d isse: D eh, ladro, tu m i cred i ingannare,
ch io so ch e B ovitoro tu o fratello h a i m orto. E pertanto non
v o le r e ch 'io ti gu asti d ella persona, confessa il p eccato com m isso,
a ltram en te io ti dar tan ta co lla, ch e te i con verr con fessare.
E fattolo sp ogliare, B eliu ccio , sen za esser pi gu asto, confess
tu tto . Lo podest lo dom and [d ove] avea la testa d el fratello.
B ellu ccio q u ella appales, e con fessato i flirti fa tti co l fra tello ,
e datogli il term in e, a uno paro [d i] forch e lu i e l fra tello m orto
ap p iccare fe*, facendo ristitu ire le co se to lte. E p er questo m odo
11 du' fra telli avanzaro.
208 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

59.
[Tifo, a a].

DE MALITIA HOSPITATORIS.

A l tem po d el m a rch ese A lberto da E ste, m a rch ese d i Ferrara,


fa uno o stieri nom ato R u stico, il q u ale con u na sua d onn a chia
m ata B ontura focean o uno alb ergo appresso a F errara in su l Po,
a lla to rre d ella fossa, e com pravano d al m arch ese la gab ella del
suo o stiere, com e oggi si ih . A vea questo o stieri e B ontura uno
figliu olo G avesteo danni tred ici, il q u a le dal padre e d a lla madre
a v ea im parato a c h e m odo si m onta col cu lo in su lle forche,
cio ch e av ea dal p adre e d alla m adre in c h e modo s uccidea e
ru b ava, e t era tan to ven u to esp erto di ta l m estieri, c h e d i con
tinuo, com e v i v en ia alcu n o o stieri ricco , lo d icev a a l padre et
a lla m a d rech e ta le si vo lea u ccid ere e ru b are. E la m aggiore
p arte di q u elli ch e a l suo albergo ven ean o, se non er a b en forte
e ben p rovveduto, eran o m orti e ru b ati. E t alcu n a v olta aecadea
c h e a lcu n fan te soldato con una su a p anziera indosso capitava
d i di a q u el posto. R ustico, volen do (1 ) q u el fon te ru b are [e ] per
forza non a r e p otuto, lo dom andava se q u ella p an ziera eb e in
dosso p ortava ven d ere v o lea, d ieen do: Io la com pro buon pregio,
se e lla m i p ia cesse. E tanto dioea, c h e il sold ato la p a n ziera si ca
va v a , e com e R u stico la p an ziera in m ano a v ea , d icea : Questa
p anziera perduta. Lo soldato d icea: P erch ? R u stico rspondea:
P erch sen za b u lletta la p anziera, c h e p er v en d ere portava nel
terren o di F errara, g li v o lea ca v a re. E p er questo m odo quello
ch e p er forza ru b are non potea, lo rubava con lu sin g h e e ma
lizia . E p er q u esti m odi n a v ea ta n ti m orti e ru b ati, ch era uno
stu p ore. E t essend o uno m esser N isierna g iu d ice, v en u to di Fri-
g o li da officio co lla su a donna, fig liu o li e fam igli, e co suoi ar
n esi, e t in fra la ltr e co se a v ea u na v a lig e, n ella q u a le a v e pi
d i m ille d u cati e ta zze e g io ie lli dargen to du na gran valuta,
aven d o d el m arch ese le tte r e di passo, arriv a llalb ergo di Ru
stico ditto, a l quale m esser N isiern a d isse c h e q u ella v a lig e gli
serbasse, ch e dentro v era gran v a lu ta dargen to. R u stico allegro 1

(1) Ms.: vedendo.


DE MALITIA HOSPITATORIS 209

d isse: V o len tieri. E non ved en d o R u stico il m odo di p oter e l


g iu d ice e la su a b rig a ta u ccid ere, avendo d esiderio d i ru b are
q u ella v a lig e, pens p er a ltro m odo fare da v erla , e co lla m oglie
e c o l figliu olo ordin c h e la v a lig e si leg a sse in una itin e, e con
u n o to v agliolo sotto lacqua d el ca n a le si ferm asse, gittan d o la
v a lig e in n el ca n a le. E poi ordin, quando m esser N isiern a fu sse
a letto , c h e si m ettesse fuoco n ello albergo. E com e sap ete, q u elle
c a se sono tu tte di p aglia e d i v in ca stri, c h e poca fatica a ar
d ere. E com e pens fe, ch e v ed u ti tu tti q u elli ch e con m esser
N isiern a erano andati a posare, R u stico, B ontura e t il figliu olo
a u n colpo in tr e la ti d ella casa ebbeno caccia to il fuoco. M esser
N isiern a , sen tend o il fuoco, subito p rese p en sieri di cam pare le
person e, non curando d 'altro e [co n ] pochi panni fh ori d ella ca
setta usciron o. L a ca setta a rse con tu tti arn esi di m esser N i
siern a . E fattosi a v ed ere con m alin con ia, dicendo a lloste dove
a v ea la sua v a lig e m essa, loste risponde ch e la v a lig e con tu tte
su e co se sono arse, facendo gran d e scalp ore e dicendogli : V oi
m a v e te arso lo m io albergo con tu tte le m ie m asserizie e t a r
n e si. M esser N isiern a, ch e in pi offici era stato, e g i di m olti
la d ri a v ea gi fa tti ap piccare, cognoscendo la m alizia di q uello
R u stico ostieri, g li d icea p iacevolm en te, p er v en ir a l fatto suo,
d icen d ogli: Io ti prego se sap essi in F erra ra fu sse persona c h e
m i vo lesse ser v ir e di fiorin i trecen to o dugento alm eno, p er
com pensazione del danno c h e h ai ricev u to , e p erch io n e po
te ssi torn are a S ien aV et io li rim ander. R u stico d ic e: Io non
v e l so ch i v i p resta sse uno m archesano. Lo g iu d ice d ice: N on
ti dispiaccia, io vo* an dare a F errara, e t a l g iu d ice del podest,
c h e di m io paese, lo far sta re m allevad ore d ella som m a ch e
io ho ditto. R u stico d ice: C otesto p otete fare, e fa te ch e l m io
danno m i m ondiate. M esser N isiern a d isse: Io la scio la m ia fa
m iglia, ch e prim a ch e io m i parta tu sarai ben con tento. E fatto
ad alcu n o suo fam iglio cenno, d isse ch e ponessero ben m en te
ch e l o ste non si p artisse, c h e sem pre co lu i stia te, co lla m oglie
e poi figliu olo, fin e ch e io ritorno. Lo fam iglio sa ccen te steo a v
ved u to ch e R u stico non si p a r tisse , dandogli parole. N isiern a
a F errara nand e subito dinnanti a l m arch ese singen occh i,
d icen d ogli c h i e g li era e donde ven ia e com e co lla sua donna,
fig liu o li e fam igli a llalbergo di R u stico, a lla to rre d ella fossa,
era cap itato, e tu tto p er ordine raccon t a l m arch ese, d icen dogli
c h e in n ella sua v a lig e erano pi di m ille d icati e m olte ta zze
e g io ielli, e penso ch e, se arse fossero, lo fuoco non esser tan to
210 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

p oten te ch e consum ati li debbia a v er n fonduti. E pertanto vi


d ico ch e se tra la cen ere si trovano, R u stico non esse r in colpa
d el fuoco e t io tu tto g li vo m ondare, e se ta li d ucati e gioielli
non si trovano, lu i de' esser stato q u ello c h e 1 ftioco, p er ardere
m e e tu tta la fam iglia, m isse, p er rubarm i la m ia v a lig e. Lo mar
ch ese, ch e m olte ca ttiv it avea udito d ire di R u stico, di fede
a N isiern a, e subito m andato p er m esser lo podest e dittogli
tu tto , lo podest in persona, co l su o g iu d ice e fam iglia, con messer
N isiern a a lla to rre d ella fossa andarono, dove R u stico, la moglie
e '1 figliu olo e tu tta la b rigata di m esser N isiern a [trovarono]
quasi nudi. E fette cerca re la cen ere, trovand ovi la fibbia e le
sp ran ghe d i u na cin tora c h e m esser N isiern a p ortava cinta, e'
d isse a l podest: P o ich v ed ete c h e q uesta fibbia non b a e avuto
p er lo fuoco alcu n o gu astam en te, ch , v ed ete, fin e i chiovellini
con ch e eran o ch ia v a te le sp ran ghe sono in teri, c h e dovranno
esse r li ducati e le tazze? Lo podest, ved u to c h e a lcu n a cosa
non v i si trovava, fiatto pren d ere R u stico, B ontura e *1 figliuolo
e m essi alla co lla a uno albero^ collan do R u stico e B ontura, con-
fessonno dove la v a lig e era , e q u ella ap erta, v i si trov li du
ca ti e tu tte le cose d itte. Lo podest f* a m esser N isierna ri-
stitu ire ogn i suo danno e R ustico, B ontura e '1 fig liu o lo a uno
paio di forch e, ch e p er loro si fenno, funno a p p icca ti, e t ogni
loro b en e si tribut a lla cam era d el m arch ese, e co si morinno
q u elli ladri.
DE FALSA.TORES ET BONA JUSTITIA 2 ii

60 .
[THt., a* 90].

DE FALSATORES ET BONA JUSTITIA.

N el tem po c h e 1 dugio D raconetto, di c a D andolo di V in egia,


fu dugio, v en n e uno stran io nom ato F iordo, il q u ale con su e m ani
fabbricava d'ottone, o v vero di ram e dorato, d u cati proprio a l cu n gio
c h e la citt di V in egia cugna, e m oltissim i n 'avea g i cu g n ia ti,
e t in m olti lu o g h i quine, u ricon osciu ti non erano, n 'avea sp esi in
q u a n tit . D ivenne ch e un giorno n el m ese di lu g lio v en n e il d itto
F iord o a lla citt d i V in egia on orevilm en te v estito , e t andato di
m andando oro filato e freg i, fu g li d itto o m ostrato il luogo, dove
F iordo s'accost a una di q u elle m ereiaio, ch e ta li co se vendono,
dom andandola se d i q u elli freg i o oro a v ea. La donna, nom ata
m adonna M archesetta, d isse: A ssai c e n e sono; e m ostrgli di
m olti freg i e oro, ch e v a lesse la som m a di d ucati d n q u ecen to .
P esa te le co se e m esse in assetto e fetton e uno ferd elletto , il
p red itto Fiordo d isse a m adonna M archesetta c h e seco andasse
a l banco p er v ed ere innom erare li d ucati c h e a v er de'. La donna
co n ten ta , p erch i suoi freg i e oro a v ea ben venduto, con F iordo
a l banco n'and. C avato fhori una borsa verde, in ch e a v ea du
c a ti d n q u ecen to n uovi di zecca , e q u elli [d a ti] a l b an ch ieri, d isse
se alcu n o v e n e fu sse c h e non frisse recip ien te. Lo b anchieri
d isse : Q uesti d ucati sono n u ovi e non hanno alcu n a m ancanza.
F iordo d ice a lla donna c h e innom eri se sono d n q u ecen to . La
donna li tira a s. F iordo g lie li g itta a quattro a q uattro, tanto
c h e cin qu ecen to li h a e trovati, e t m essoli F iordo in q u ella borsa
v erd e, con una poca di cera la borsa su g g ell , dicendo a lla donna:
A ndiam o a lla b ottega. A vendo q u ella borsa in m ano, p resen te la
d onna, a lla b ottega n e vanno, e m entre ch e cam inano, F iordo
tra sse fuori del sen o una borsa sim ile a q uella in c h e erano li
d u cati, p iena e su g g ella ta , fe v i] a v ea ducati cin q u ecen to falsi
d orati d'ottone, e riposasi (1) q u ella de' v er i. E g iu n ti a b ottega,
la donna p rese la borsa su g g ella ta cred en do ch e fusseno q u elli
c h e a l banco v ed u ti av ea , e dato il fard ello de' freg i e d elloro 1

(1) Ma.: ripostasi.


212 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

a Fiordo, F iordo, ch e le co se a v ea in punto, subito in u n a barca


en tr e dato de* rem i in acqua in suo p aese ritorn. Madonna
M archesetta, aperto la borsa sopra uno tappeto, v id e q u elli du
ca ti lu stran ti, aven d ole p arato gu adagn are la quarta p arte, avea
grande alleg rezza . E m en tre ch e ella in ta le a lleg rezza dim orava,
sop ravven n e uno su o fig liu o lo nom ato T ano. L a m adre g li dice :
T ano, o g g i abbiam o avu to il buono guadagno d*una v en d ita fetta
di ducati cin q u ecen to di freg i e t oro ven d uto, c h e se n e gua
dagna il quarto. T ano, ch e ode q u ello ch e la m adre h a e fatto, steo
con tento d icen do: U* sono li d ucati? La m adre la borsa g li porse.
T ano q u ella ap erse, e ved u to li d u cati q u elli esser fa lsi e dot
ton e, d isse ( i ) a lla m adre: N oi siam o d isfatti. La m adre d ice tutto
il m odo tenu to di q u el ladro. Lo fig liu olo, com e sa v io , disse :
M adre m ia, d i q u este co se non feto m otto fin e a ta n to ch e io
n on fio p arlato a lla sign oria. E m ossosi, subito con q u e lla borsa
de* d ucati fe lsi alla signoria n*and, e con tato q u ello c h e alla
m adre era incontrato d ella m oneta falsa, m ostrando li ducati ri
cev u ti, la signoria vedendo lo nganno fatto e *1 trad im en to di
co lu i c h e ta li d ucati in V in egia condusse, d isse (2 ) a T an o: Poich
tu non sa i ch i ta li d ucati t*ha d ati e noi non possiam o questo
sap ere, e pertanto b en e, a v o ler rin v en ire questo fetto , ch e tu
e tu a m adre di ta le sp esa non dobbiate a p ersona appalesare,
n d im ostrarvi m alin con ici, m a sem pre a tten ti se q u el ladro ri
cap itasse, e q uesti ducati la ssera i in p alagio, a cci c h e spandere
la n o v ella non si possa. E Tano, cognoscendo ch e non v era altro
rim edio a d overe il su o ria v ere, su bito se n e torn a lla madre,
la q u ale d ogliosa trov, d icen dole tu tto ci c h e la sign oria gli
a v ea d itto. La m adre, com e sa v ia , in s ten n e cela to q u el fetto,
asp ettan d o tem po. E stando p er ta l m odo sen za sp and ersi niente
d ella cosa, p assato uno anno, il p red itto F iordo, a v en d o sentito
ch e neu na cosa s*era d itta di d ucati la ssa ti in V in egia filisi, pens
an cora di nuovo la rte sua m ettere in effetto . E v en n e a V inegia,
dim andando, com e sta to non v i frisse m ai. U ltim am ente ven n e alla
b ottega dove m adonna M arch esetta dim orava, dim andando fregi
e t oro. M adonna M arch esetta, ch e ricogn osciu to l ebbe: O m essere,
io h o e la p i b ella m ercanzia ch e m ai ved este, e p erch altra
v o lta m i fe ceste buono pagam ento, io v i m ostrer tu tto ci che 12

(1) Ms.: dicendo.


(2) Mb.: dicendo.
DE FALSATORBS ET BONA JUSTIT1A 213

io h o e in b ottega. E com inciando a sp ieg a re freg i e t oro, ch e una


m a raviglia p area, F iordo avendone m essi da parte gran quan tit,
la v a lu ta di p i d i d ucati m ille, sop ravven n e T ano, figliu olo di
m adonna M archesetta, d icen d ogli la m adre: 0 figliu olo m io, questo
q u ello buono am ico c h e da m e com pr tan ti fregi, d i ch e gu a
dagnam m o cotanto. E per io ti prego c h e v o g li ch e stam an e
d e sn i con esso n oi. T ano d isse a lla m adre: Io sono con ten to, e
p a rtito si, a lla signoria n and, e raccon tato la ven u ta di co lu i ch e
i d u cati fa lsi a vea a lla m adre d ati, subito la sign oria lo m and
a pren d ere, e con d ottolo a l p alagio e fattolo cerca re, trovonno
c h e F iordo a v ea indosso pi di du m ila d u cati fr isi e ben m ille
d u gen to ducati n u ovi doro. E fattolo con fessare il m odo d el bat
te r e e d ello nganno ch e di ta li ducati facea, non volen do a ltre
p ro v e, la signoria g li fe' cu cire sopra una palandra tu tti li du
c a ti fr isi, e con q u ella a l fu oco fu m esso. E co si m oro e t a m a
d on n a M archesetta e t a Tano funno ristitu iti li ducati cin q u ecen to,
e cin q u an ta pi p er lo suo in teresse, stando poi la m adre e T ano
c o n li o cch i pi ap erti.
214 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

61 .
[T it ., n 91],

DE MASSIMO FURTO.

In n ella citt di M ilano, a l tem po c h e m adonna R em a m oglie


di m esser B ernab V iscon ti era donna di m esser B ernab sig n o re
d i M ilano, la quale, la d itta m adonna R ein a, ten ea il su o teso ro
in uno casam ento to m ia to di uno procinto, e con m olte c h ia v e
di u sci e le cam ere serra te, in n el q u ale luogo non sta v a p er
sona alcu na. U no sen sa le nom ato T aisso, avendo alcu n e v o lte
ved u to il lu ogo dove m adonna R ein a lo tesoro rip onea, p erch
a lcu n e v o lte co l teso rieri v era andato p er fargli com prare m er
can zie, e t vedendo ch e grandissim o tesoro era in q u el lu ogo,
volendo tosto ricco d iven tare, pens to llero di q u ello tesoro. E
p erch solo ta l cosa fare non potea, diliber di dirlo a uno su o
fratello m inore di tem po di lu i nom ato Orso, e fattolo sap ere a l
fra tello Orso, con tento, una n o tte si m osseno e t andarono con una
scala di funi a l luogo l u il tesoro era, portando T aisso u n o
buono m azzo di can d ele di cera . E g iu n ti, la sca la attaccon n o
a' m erli e diliberato T aisso, p erch il m odo d ellen trata sapea e
quine u si ten ean o li denari, di v o ler lu i andare, lassando il
fra tello a rice v ere q u ello c h e rubasse, e m ontato in su l m uro,
tir su la fune con la scala di funi e dentro la lass andare,
avendola a l m erlo ferm ata, e scese g i , e quine ap prese il fuoco,
ch portato a vea da fa rn e, e con q u elle can d ele a rse il lu ogo
quine u stava la serratu ra e t ap erse l uscio, e co si and facen d o
tanto ch e a l cassone, dove lo tesoro era, giu n se, e co l fuoco a p erse
lo cassone, e di q uine ritra sse una borsa di fiorin i d iecim ila e
q u elli g i li cal al fratello. Lo fratello, ch e era stato inform ato-
da T aisso, li port a casa et in n ella sta lla li sotterr. E ritornato,
T aisso, ch e era andato a llo casson e, quindicim ila ne tra sse in
du borse, e sim ile a l fra tello li diede, facendone com e d elli a ltri,
e tan to fece T aisso co l fratello, ch e fiorin i ottanta m ila n a v ea n o
tra tti. E vedendo v en ire il giorno, non potendovi pi sta re, s e
n e u scio fuori, ritirand o la sca la , acci ch e persona non se n e
p otesse a cco rg ere; e t andatosene T aisso e t Orso a casa, d isse
T aisso: N oi siam o grandi ricch i se sappiam o fare. E p erch io-
sono stato alcu na volta a ved er il tesoro col teso rieri, p en so,.
DE MASSIMO FURTO 215

quando aneleranno a guardare, vedendo il danno fatto, ch e non


m e n e danno la colp a, e pertanto ti dico ch e b en e ch e tu te
n e vad i a V in egia, e t io cam bier q uesti fiorin i e rim ettero tteli,
e di poi m e n e v err e e potrem o sem pre m ai god ere. Orso d isse
c h e g li p iacea, e d ilib er la m attina rin v eg n en te andare verso
V in egia e p ortare trem ila fiorin i, e co si f. G iunto Orso a V i
n eg ia , T aisso subito se n'and a uno giovano cam biatore nom ato
C ione, d icen dogli: Io v o rrei cam biare p er V in egia fiorin i duem ila.
Lo giovan o d isse: Io sono contento. E preso da T aisso duem ila
fiorin i, g li f u na lettera in V in egia ch e a Orso fiissen o dati e
co si li ricev eo . E p er non m olti d steo c h e di n uovo d isse a
G ione ch e vo lea cam biare con lu i fiorin i trem ila p er 'Vinegia.
C ione, ch e avea ben guadagnato la prim a v o lta , p rese q u elli
d in ari e t una lettera fe c h e a V in egia fusseno a O rso d ati. V e
dendo T aisso ch e Cione lib eram en te lo cam bio focea, g li d isse
c h e sim ili lettere volea per fiorin i trem ila c h e in V in egia a
Orso fu ssen o d ati. C ione, ch e v ed e c h e T aisso q uesti d in ari g li
d, e sapea ch e non era sofflcien te a cinquanta fiorin i, stim
p er certo T aisso d overli a v er ru b ati, e chiam atolo in n el banco
g li d isse: P er certo, T aisso, tu d i a v er rubato q u esti dinari, e
per, se non m e n e fai p arte e d ichim i a c h i to lti li b ai, io
t'andr a ccu sare. T aisso, ch e la paura lo fa trem are, d isse : D eb
C ione, non v o ler sap ere a ch i to lti sien o . Io sono con ten to ch e
dogni cam bio ch e m eco forai il terzo tu o sia, e fin e a ora di
q u esti trem ila fiorin i, c h e farai in V in egia ch e a Orso m io fra
te llo siano dati, io te n e dar qui fiorin i q uattrom ila cin q u ecen to.
G ione d isse: Io sono con ten to. E fattogli la lettera d e trem ila ,
rice v eo quattrom ila cin qu ecen to, d icen d ogli T aisso: Io ti for il
p i ricco b an ch ieri di M ilano. C ione, com e giovano, sta ferm o
a l guadagno. T aisso d isse: C ione, io v o rrei ch e di quattrom ila
fio rin i m i fo cessi lettere , e t io te n e do seim ila. C ione d ice : Vo
le n tie r i; m a vo v ed ere se il banco di V in egia lh a e d in ari, al
tram en te li pren d er da ltri. C ione, con tento d i fore la lettera ,
v ed e c h e q u elli di V in egia non hanno di loro pi d in ari. P arl
a l fra tello suo m aggiore d icen dogli esser di b isogno c h e noi pren
dessim o p er V in egia fiorin i quattrom ila. Lo fra tello d ic e: Or
com e pu essere, ch e pi di fiorin i n ovem ila avevam o l ? ora
com e accatterem o n o i dinari a u ce (1) da v erli? C ione d ice: F ra tei1

(1) Cos nel ms. Non so che voglia dire.


216 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

m io, tu tti q u elli ch e quine avevam o, io l*ho cam biati con gran
dissim o nostro profitto, e t h o lli qui a u ti con tan ti. Lo fra tello dice:
Ora con cu i s possuto fe re si grosso cam bio? G ione d isse: Con
T aisso. Lo fra tello d i G ione d ice: Gol d ia u le! o e g li non h a il
v a lo re dun grosso! p er certo se co* lu i fetto lh a i, lu i li de* a v er
ru b ati; m a io m i m eraviglio c h e ta n ti n'abbia p otuti rubare, ch io
non so c h i si possa esse re q u ello m ercadante c h e non se n e
fe sse g i saputo la n o v ella . G ione d ice: Di v ero lu i m h a con
fessato ch e to lti l h a, ch e m etten d ogli paura m h a trib u ito lo
terzo, c h e d'uno cam bio ch e ultim o fe ce di fiorin i quattrom ila
cin qu ecen to, e t ora di q uesto m e n e vu ol d are seim ila e t io g lie l
faccia di quattrom ila. N on m h a v olu to d ire a ch i. Lo fra tello
di Gione, sentendo il p ericolo c h e v en ire n e p otea a lu i e t a l
fratello, diliber a l tu tto v o ler sap ere A c h i T aisso li fiorin i a v ea
to lti, dicendo a Gione c h e a l banco lo feccia v en ire e c h e ar
re ch i li seim ila fiorin i e tu g li fera i la lettera . G ione co si fa, e
*1 fratello resta in bottega. T aisso ven u to con dinari, G ione lo
m ena in fondaco, dove era il fratello. Lo fra tello di G ione g li
d isse: T aisso, io v o sap ere a c h i to lti h a i questi d in ari, a ccio cch
noi an cora possiam o p rendere p artito, e com e h a i fetto patto
con Gione, cos ti voglio o sservare ch e la terza p arte sia nostra,
e le due p arti tu e, e se cento [m ila] fiorino fu ssen o, ta n to l'ar
pi a grado. E t ora sono con tento di p ren d ere q uesti seim ila ;
io ti fer la lettera di q uattrom ila. T aisso d ic e : Or c h e leva?
io li h o to lti a persona ch e poco danno n e pu a v ere, e sono
p i di ottantam ila. S e io a v essi avu to pi d ella notte, io n a rei
pi di dugentom ila, e penso, se v er rete m eco, e' sere ch e in
m eno di du n otti v e li m etter in m ano. Lo fra tello di Gione
d ice: O him p er D io, T aisso, feciam lo e tien m i secreta la cosa.
Gi ch e vorrai da noi a ra i, e p er p oter fa re pi secreto e m eglio,
io voglio m andare Gione a V in egia, ch e si tro v i con Orso con
tu tti q u esti d in ari, e li altri m anderem o a loro d ue. In fin e a v a le
sono contento c h e il nostro e l tu o vad a a com une. T aisso d
fede a lle parole e disse: Buono ch e C ione tosto cam in i. Lo
fra tello di G ione d ice a T aisso: Va e m ena gi uno cavallo, ch e
v o ch e in con tan en te vada p er non p erd ere tem po. T aisso s i
parte e p er uno ca v a llo andato. Lo fra tello di G ione d ice a
C ione c h e subito d ella terra si parta e porti seco q u elli seim ila
fiorin i, e t in fin e ch e non m anda p er lu i non torn i. C ione am
m aestrato, com e il ca v a llo fu e v en u to , sa lio a cavallo, dandogli
una lettera di quattrom ila d ucati d i T aisso, e c h e q u elli d esse
DB MAS8I1C0 FURTO 217

a O rso in V in egia. M ontato G ione a ca v a llo e cam inato ftiora


d el d istretto e forza di m esser B ernab, au to il fra tello di Gione
d a T aisso com e li d in ari a v ea to lti a m adonna R ein a, donna di
m esser B ernab, d isse a T aisso ch e m ettesse in punto la scala
p er la n otte. T aisso se n'and a lla su a casa p er ra cco n cia re la
sca la , se bisogno fu sse. Lo fra tello d i G ione subito se n'and a
m esser B ernab, narrando tu tto ci c h e T aisso a v ea fritto. M esser
B ernab v o lse tu tto sap ere e trov esser vero . Subito fe p ren
d ere T aisso e t a l fra tello di Gione d isse ch e il fra tello facesse
to rn are. E co si G ione torn sen za a v er e alcu n m ale. E dato
T aisso in m ano di m adonna R ein a, c h e di lu i fa cesse q u ello g li
p ia cesse, e ben la p regava, p oich T aisso a v ea avu to tanto cu ore
e t ch e a v ea fatto si b ella ruba, ch e lo cam passe. M adonna R eina,
ved en d osi esse re rubato il suo tesoro da T aisso, fattolo con fessare
e q u in e u' nascosi li av ea , T aisso tu tto narrato, com e in n ella
sta lla a v ea pi d i sessan tam ila e lo resto, sa lv o li seim ila, av ea
m andato a V in egia a l fra tello , e t a v u ti q u elli c h e in M ilano
era n o , l u* fe il m ale, q u in e fe* fa re un paio di fo rch e e p er
la g o la lo fe* ap piccare, e t Orso suo fra tello lo isbandigi. N
m ai si cu r torn are Orso a M ilano ; con dinari si d i buon tem po,
aven d o perduto il fra tello .
218 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

62 .
[Tit ., n* 88].

DE MALVAGITATE YPOCRITI.

N ella terra dA scoli, a l tem po di papa G iovanni quarto, fu


uno bizoco ip ocrita e arcatore di p arole nom ato fra B onseca,
om o dogni ca ttiv a v ita , e secondo lop ere su e costu i dovea esser
u scito di quel m al san gue di G iuda S cariotto, e p erch m i pare
c h e fin e a S cariotto sia buona e lu n ga la v ia , penso ch e la bri
gata a m ezzo il cam m ino si vorr rin fresca re, e p ertan to d el
d itto fra B onseca [d ir] p er oggi du n o v ellette, e q uesta ser
luna e poi dopo il rin frescam en e) dir l a ltra . E ssendo questo
fra B onseca v estito in abito da frate, nom andosi di q u elli di
SantA ntonio, e t ta le v esta e nom e s a v ea m esso e posto solo a
fin e di rubare e t ingan n are q ualu nca di lu i si fidava, c h (1 )
lu i possa o altra d ign it di fra te non avea. E t in fra l a ltre ca t
tiv it , di cen tin aia ch e n e fe, v e n e con ter una a l p resen te, fotta
ad uno contadino di P isa in T oscana, la q ual com incia, c h e e s
sendo p erven u to q uesto frate B onseca in T oscana in u n a v illa
Cuosa d el contado di P isa, posta in su l S erch io, e t cap itato con
acca tto sotto il nom e di SantA ntonio e n ella d itta v illa a ca sa
di un la voratore m assaro nom ato M ich ele, il q u ale avendo questo
M ich ele una b ella giovana di vin tiq u attro an n i p er m oglie no
m ata R ica, buona fila trice e m assaia, e t era questa g iovan a s
dispirata, ch e tu tto ci ch e u d iva le p area fu sse vero, e con
questo era ca rita tiv a di fare elim osin a, facendo di con tin uo la
m asserizia di casa, in tan to ch e ogni anno focea fare u n a buona
tela di panno lin o; ven u to fra B onseca a casa di M ich ele e v e
duta una b ella pezza di panno lin o, ch e il giorno l avea M ichele
rico lta dal tessandro, stim su bito q u el panno d over av ere, e
com inciando a p regare la donna e M ich ele ch e la predica ch e
d ir vorr di Santo A ntonio u d ire debbiano, com inciando a d ire
Santo A ntonio essere devoto san to e c h e m olti m iracoli fo e ch e
v u o le c h e lim osina non sia din egata a c h i p er suo am ore la
ch ied e, e ta n te co se d ice ch e m adonna R ica, sim p lice di p asta,1

(1) Ms.: ma che.


DE MALYAG1TATE YPOCRITI 219

d i ten erezza lacrim a. F rate B onseca, ch e ci ved e, subito com


p rese: Io ar di costoro ci ch e io vorr. E liv ra to su a p red ica,
dim andato ch e la m attina M ich ele lo tegn a p er am ore di Santo
A ntonio a d esnare, M ich ele fu con tento, e t ap p arecch iato e tro
va to le vivan d e, fra B onseca, c h presso a l fuoco posto a sed ere,
p rese una chiappa daguto, ch e m olte in n ella sca rsella n 'avea,
e t in n el ftioco la m isse, e com e v id e ch e era ben focosa, d isse
a M ich ele: Io ti prego ch e m i vadi p er un v a sello d'acqua a l
S erch io, p erch i n ostri pari non benno v in o , se non m alvagia
e senz'acqua. M ich ele, p reso il vaso e t a l S erch io andato, fra te
B onseca d ice a lla donna ch e un porro d ellorto la rech i, p erch
SantA ntonio n m olto vago. La donna presta in n e llorto a ca v a r
il porro. F ra B onseca, cav a ta q u ella ch iap p aella dagu to d al
fuoco, in q uella pezza d el panno da uno d e can ti la m isse dentro,
e torna tosto a m angiare. M angi p restam en te con M ich ele e t
con m adonna R ica, dicendo loro ch e non m ai disdicano ch e p er
am or di SantA ntonio fu sse loro ch iesto , sia cosa si vu ole, p erch
S an tA ntonio n e m ostra spesso ev id en ti m iracoli ; e dato loro
questa regola, lev a to si da m an giare, d ella sca rsella si trasse
quattro barbe di sesam o, dicendo a M ich ele e t a m adonna R ica:
T en ete del sensam o di SantA ntonio, e la m et d i a lluno e
l altra a la ltra . E v oltosi, v id e la pezza d el panno, d isse: 0 Mi
ch e le e tu m adonna R ica, v i ch ieg g o q u ella pezza di panno p er
am ore di SantA ntonio, ch e se n e fa re len zu ola a* p overi su oi.
M ich ele d isse: F ra te, co testo non ti far io, ch la donna m ia
ha durato gran fa tica a filarla, e t io h o speso pi di v in ti sold i
a farla tessere. Lo frate d isse: Santo A ntonio n e m ostri m iracolo.
E t u scito di casa, sonando la cam pan ella in qua e in l , su bito
la donna e M ich ele, vedendo fum are il panno, dissero (1) : Or
com e saressi appreso a questo panno il fuoco di Santo Antonio?
E spiegandolo, videno c h e g i incom in ciava ad ard ere da l u no
la to ; subito dandosi d ella m ano in n el p etto e p er la bocca d i
cendo: M ale abbiam fatto a non a v er dato il panno a l frate. E t
u scita la donna di ca sa , chiam ando lo fra te ch e a rieto tornasse,
lo firate, ch e tu tto sapea, facendo v ista di non v o lerla u dire,
d isse R ica: V enite, ch e noi abbiam o paura c h e il fuoco di Santo
A ntonio non c i arda la casa e le ca rn i, com e h a e incom in ciato
ad ard ere il panno ch e ch ied este. Lo frate v en u to, in gin occh ia

li) M s.: dicendo.


220 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

tosi, facendo v ista di orare, d icea fra s : Q uesto m i to g lio e di


m e non ti voglio, e p rese il panno, e segn ato lo fuoco co lle
m ani spegnendo, e* p rese il panno dicendo: Io lo vo' m andare
p er m are, con a ltro c h e a P isa n 'h o , a Santo A n to n io , e t
penso q uine ritorn are. M adonna R ica, ch e g i g li p area aver
Sant'A ntonio in corpo, lo p rega c h e di quindi ritorn i. F ra te Bon-
seca and a P isa e q u ello panno ven d eo e co' d in ari a Guosa
ritorn, e cap itato a casa di M ich ele dove sonando la cam pa
n ella , M ich ele, ch e a lav o ra re di lu n gi pi duno m iglio era, sen tio
il suon d ella cam panella e d isse: 11 frate ser ritornato, e pens
d'andare a casa. M adonna R ica, com e v id e il frate, d isse: B en
sie te ven u to, ch e p oich v i p a rtiste m ' sem pre p arato aver
Santo A ntonio in corpo. Lo frate d isse: Donna, e t io ci sono v e
nuto solo p er m etterti Sant'A ntonio in corpo, e per sta riv ersa .
La donna g itta ta si riv ersa , lo frate, appoggiato l'u scio, li panni
dinnanti g li a lz . R ica d ic e : 0 ch e fate, frate? Lo frate, ca la te le
m utande, e ritto il basalisco, le v u o le m on tare addosso. R ica
d isse: F rate, cotesto non Santo A ntonio, ch e non sono s
cieca ch e io non cognosca co testo da Sant'A ntonio. Lo fra te d isse :
L assalo in tra re p er am ore di Sant'A ntonio, altram en te a l tuo
p en n ecch io s'apprender il fu oco com e fe a lla pezza del panno.
R ica, ch e paura ebbe ch e '1 fuoco non s'apprendesse al suo pen
n ecch io, lo fuoco e la rabbia d el fra te in n ella tan a cieca la sci
en tra re. E m entre c h ellin o stavan o a q u estion eggiare, soprav
v en n e M ich ele, e t aperto l'u scio, trov frate B onseca, ch e il basa
lisco a v ea in n ella tana cieca di R ica sua m oglie, dicendo : Or
questo ch e v u o l d ire ? Lo frate, volen dosi lev a re le brache, ch e
a lle gam be g li avean o fatto tra v erse, non attam en te lev a re si
poteo. M ichele, preso uno bastone, a fra te B onseca d i tan ti colp i,
ch e p er m orto lo lass, e quel b asalisco, ch e prim a grandissim o
era, lo fe assai p iccolo d iven ire, e t a R ica d isse p erch a v ea
ta l cosa con sen tito. R ispuose: P er paura ch e il fuoco d i Santo
A ntonio non m i s'app iccasse di sotto a l p en n ecch io, com e s'era
appiccato a l panno. M ich ele, perdonandogli, sp ett ch e '1 frate,
c h e tram ortito era , si risen tisse, e com e fu risen tito , d isse: 0
frate, io cognosco ch e c h i p erfetto am ico di S antA ntonio non
terre' li m odi ch e h a i ten u ti e non penso ch e Sant'A ntonio fa
ce sse p er s fa tte persone, com e tu se', m ira co li; e pertanto fa
d i dirm i in ch e m odo il fuoco a l panno s'apprese, e non m 'andare
in cian cio, altram en te con questo bastone te n e dar tan te, c h e
m orto ti lasser. E prim a c h e il frate a v esse aperto la b occa
DE MALVAG1TATE YPOCRITI 221
p er p arlare, M ich ele g li d i du gran d issim e b aston ate, dicendo:
Di* tosto. Lo frate, ch e appena la v o ce p otea p orgere d el dolore,
d isse: M entre io ch ied ea ...........M ich ele spranga u na gran basto
n ata in su lle sp a lle d icen do: F u sti tu ch e q uel fu oco m ettesti?
Lo fra te d isse: S ; e dom andando d el m odo con d arli du' basto
n a te, lo frate, ch e a m ale m ani si v ed e, g lie l d isse, e tu tto com e
a v ea segu ito, e q u ello ch e n 'avea fatto. M ichele, p resogli la scar
se lla , tanto quanto g li parea ch e v a lesse il su o panno, ta n ti d e
n ari n e trasse, e d atogli una bastonata, d isse: P er la vergogn a
e p er lo nganno fatto a lla m ia donna, o ltre le b astonate a v u te,
vo* c h e due di nuovo n'abbi ; e poi p rese q uattro fiorin i di q u elli
d el frate, dicendo a lla donna : Q uesti sian o tu o i, acci c h e risto
rata sii d el v itu p erio c h e tu h a i fritto. E t aiu tato M ich ele a ti
ra rsi su le b rach e, ch e pi di q uattro punti g li con ven n e ri
strin g ere, p er le b attitu re ch e la v ea fatto so ttile d iven tare, e
m andato fora d ella casa, m inacciandolo, se m ai in q u ello di
P isa lo ritrova, d 'u cciderlo, cosi fra te B onseca, cred en do beffare,
rice v eo beffe e danno, n pi in q u ello di P isa si lass tro v a re,
e pi m esi con ven n e ch e il fra te in n ello sp ed ale dim orasse
prim a ch'andare p otesse.
222 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

63.
[Tri*., n A4].

DE MALITIA IN INGANNO.

Com e a v e te udito in n ella p reced en te n o v ella di q u ello tirate


d'A scoli, com e fi g u arito d elle b astonate ricev u te in q u ello d i
P isa, pens dover tro v a re in q u ello di L ucca om ini e donne non
m eno m atte ch e m adonna R ica d i v a i di S arch io. E p a rtito si
d a llo sp ed ale il d itto fra te B onseca, si d irizz verso il ponte
S an p ieri, presso a L ucca a du m iglia, con in ten zion e di rubare
p er q u a lch e m odo m eglio g li v en isse. E p erch il nom e c h e te
nuto a v ea sera g i spanto, dicendo uno frate di Sant'A ntonio
h a fatto ta le ca ttiv it , pens non com e fra te seg u ire lo suo m e
stieri, facendosi in d ivin o e m edico. E passando presso a L ucca
sen za en trare in L ucca, e* cam in v erso M oriano, facendo su oi
esp erim en ti di parole, cam pandosi la v ita fin e ch e giu n to fu in
n ella v illa d i D ecim o, sottoposta a l v escovo di L ucca, in n ella
q u ale il ditto fra te pens p oter l a rte su a d ello inganno seg u ire,
parendogli le donne sim p liciotte e t anco p arte d elli om ini a ssai
m en tegatti. E cognoscendo la terra essere ben posta, s p er la
su a stanza, s i ezian d io p er le circu stan ze, pens far m olti dinari.
E cap itato in uno albergo e secretam en te dom andato d elle con
d izioni d elli om ini di D ecim o, e sim ile d elie donne, fo g li tu tto
d itto, p er la qual cosa lu i a v ea tu tto a m ente. Or p erch d i
tu tte le p a rticelle e ca ttiv it ch e il d itto frate B onseca fe ce io
n e dir una d elle cen to e piu in D ecim o n e fece, e t in fra le
a ltre ch e io h oe in ten zion e p er nostra n o v ella co n ta re si q uesta
c h e ora io v i dir, ch e essendo inform ato di uno giovano nom ato
G ilastro, om o piu ttosto a v o ler di q uello del com pagno c h e d el
suo ad a ltri dare, e m olto scarso e co n questo buono procaccino,
ch e ognanno si ven d ea su oi d ieci o v en ti porci sa la ti, e cos
cam pava la sua ven tu ra. E q uello anno con gran fa tica G ilastro
avea in salato q uattro porci, e p erch g li pareano c h e fo sse assai
p iccola provenda, aven d o com andato a sua m oglie giovan a no
m ata B ovitora, assai m ateriale e di pasta grossa, ch e di q u ella
carn e non toccasse, p er c h e la v ea prom essa a serb arla a m arzo,
B ovitora, udendo d ire ch e la ca rn e serbava a m arzo, di q u ella
non toccava. Lo frate, c h e tu tto h a e in teso, pens di v o ler a v er e
DE MALITIA IN INGANNO 223

q u ella carne e t appostato ch e C ilastro in D ecim o non era ito


in G arfagnana p er su oi fotti s'and un poco diportando verso
la ca sa di C ilastro, e com e presso a lla casa, v id e B ovitora ch e
fila v a in v ia . D om andatola se fig liu o li a v ea , e lla d isse di no, m a
c h e v o lo n tieri n e v o rre. Lo frate d isse : Or non a v ete m arito
giovano? B ovitora d ice: Io h o b en e m arito giovano, m a non
g io v a . Lo fra te d ice: E con a ltri setev i p rovata? B ovitora d ice:
S i, pi v o lte, e non m i v a lse. Lo frate d isse : S e non ch e a m e,
non m olti m esi, ch e p er v o ler fare im pregnare u na m e n e fu
d ata tan ta p en ite n z a ch e in fin e a v a le la sen to, io forei ch e voi
im p regn ereste. B ovitora d ice : D eh, p er Dio, in segn atem elo, a cci
c h io possa a v er e q u alch e fig liu olo. Lo frate d isse: P er certo ,
donna, io ti cognosco esser da tanto, se q u a lch e fig liu o lo a v essi,
se r e poi papa e tu seresti la m adre del papa, tanto m i pare ch e
sa cc en te sii. B ovitora, crescen d o g li la volon t de' fig liu o li, cr e
dendo c h e papa fo sse, d isse : D eh, frate, in segn atem i la m edicina.
L o frate d isse : Or se il tu o m arito non v o lesse ch e fo sse papa
e v o lesselo fare im pera dor, com e n e se r e sti con tenta? B ovitora
d isse: Or com e non? or com e non lo im peradore un gran d e
om o? Lo frate d isse: S. B ovitora d isse: D eh, p er Dio, in segn atem i
a lo fore. Lo Arate d isse: S e vu oi c h e io t'in segn i il m odo ch e
im p regn erai, io vo* ch e mi segn i uno ch e io vo' cercan d o, ch e
m h a prom esso certa ca rn e. B ovitora d isse: C hi volete? Lo fra te
d ic e : C ilastro. B ovitora d ice: E gli m io m arito, d icen dogli: Come
a v e te nom e? Lo firate d ice: Io h o nom e M arzo. B ovitora d ic e :
B en m el d isse ch io v e la d esse e c h e a v o i la serbava. M arzo,
c h e di nuovo sh a dato nom e, d ice: S e vu oi c h e io t'in segn i im
p regn are, fa ch e la ca rn e si porti a l m io albergo, e t io ti for
u n b rev e ch e com e larai addosso a v ra i volon t d 'avere fig liu o li,
e com e il tu o m arito torna, u sa con lu i, e se non torn asse, con
a ltr i, e im p regn erai. E scritto il b rev e e p ostologli in m ano, di
cen d o g li ch e addosso il tegn a, B ovitora, lie ta d ella buona ven tu ra
c h e a lle m ani g li era d iven u ta di M arzo, p rese la carn e e t al
la lb ergo la port. E t il Arate subito q u ella a ll'o ste ven d eo p er
fio rin i sed ici d'oro, e p resi li dinari v erso il borgo a M osano
p ren d e a cam biare. E non m olti passi d i D ecim o si fo m osso, ch e
C ilastro scontr non cognoscendolo. E tornato a casa, B ovitora
d 'a lleg rezza si scom pisciava, dicendogli : Io h oe a v u to uno b rev e
d a M arzo, c h h a avu to la nostra carn e, il q uale m i far im pre
gn a re, e n ascer un papa, o vorrai im peradore, secondo ch e q u el
fra te M arzo m h a d itto. C ilastro, ch e sapea le g g e r e , d isse: V
2 24 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

q uesto breve? La donna, c h e in m ano l a v ea , g lie l d ied e. C ilastro


leg g e il b rev e e v id e quel d icea, il q u ale con ten ea in q u esto
m od o: B ella se i e buono cu lo h a i, fatte! fe re e im p regn erai.
C ilastro, ved u to q uel frate a v e r beffato la m oglie e to lto si la
carn e, pens di pagarlo p er sem pre, e cam in v erso il b orgo. E
com e fu fuora d ella terra d el vescovo, q u el fra te u ccise, e tu t-
to ci ch e addosso a v ea g li rub, e raddoppi in tr e doppi la v a
lu ta d ella sua carn e, tornando a ca sa e t am m aestrando la m oglie
c h e non sia m ai pi cos cred en te.
DE CIECO AMORE 2 25

64 .
[TOt ., i# #].

DE CIECO AMORE.

N el tem po ch e L ucca era sottoposta a R isa, dim orava in L ucca


u no P isano assai d i ca ttiv a condizione, nato d'ad u lterio e non di
leg ittim o m atrim onio, nom ato S carsin o d elti S carsi di P isa . A vendo
q u esto S carsin o una m oglie b ellissim a e m olto serv en te di q uello
ch 'e lla potea a ciascu n o giovano ch e le i r ic h ie d e sse , nom ata
m adonna G iandia, e con m olti gio v a n i a v ea pi v o lte provato
su a forza e con tu tti ella n e rim anea v o len tieri di so tto , tanto
il giu oco g li p iacea; e posto c h e il d itto Scarsino di m olti si fo sse
accorto ch e co lla m oglie si godeano, an co lu i alcu n o giovanotto
b ello, il quale e l d itto Scarsino, com e d i ca ttiv a condizione, contro
l'u so d ella natura lo te n e a , consentendo ch e ta le giovano p er
ricom pensazion e co lla m oglie si g ia cesse. M adonna Giandia, ch e
d i q u ello ch e il m arito con a ltri fecea le d isp iaceva fo r te, c h e
il m arito ta le a rte te n e sse , m a avendone poi e lla il d iletto di
ta le g io v a n o , stava con tenta. E q u esta v ita ten ea la d itta ma
donna G iandia, stando a casa il d itto Scarsino in n ella contrada
di San M azzeo, l u ten ea , oltra l'a ltre ca ttiv e [co se] c h e fic e a ,
la b arattaria, con farvi condurre or q uesto o r q uello giovano* e
m olti in ta l luogo fan n o disfatti, e tu tto il guadagno ch e quine
si ia cea si vo lea p er s. E vedendo uno giovan o nom ato F ran-
cesch etto M anni, v icin o a quattro ca se d ella d itta m adonna Gian
dia, la b ellezza di lei, e t udendo q u ello ch e sp esse v o lte avea fatto
e c h e avved u to se n'era, com e giovano isfrenato e volon teroso,
u n giorno trovandosi a lluscio di lei, com inci a ragion are d'a
m ore, dicendogli ch e lu i l'am ava sopra l'a ltre donne e ch e vo
len tier i sere', se a le i p ia cesse, su o innam orato. M adonna Giandia
d isse: F ra n cesch etto, a ch e fin e vorresti tu esser m io innam orato
e io tu a t F ran cesch etto d ice: P er p ia cere. La donna d ice: E se
p er p iacere v o rresti d iven tare innam orato, or p erch tal p iacere
non dom andi, per c h e la donna pi tosto acconsente a l m ag
g io re suo b en e ch e a l m inore? F ran cesch etto vergognosam ente
le d isse: Io non l'o serei d ire. M adonna Giandia disse: P o ich se*
ven u to a tan ta p ratica, ti dico ch e m i d ich i l'anim o tu o. Fran
cesch etto p rese vigore e d isse: M adonna G iandia, io v i p rego
226 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ch e v i p iaccia c h 'io con voi carn alm en te m i goda, e ch e diate


lordine a l modo ch e ten er debbo. M adonna G iandia, c h e volont
avea di trovarsi con lu i, com e trovata s'era con d elli a ltri, disse
ch e a le i p iacea c h e lu i di le i p ren d esse p ia cere, m a l'am m ae
strava c h e ten esse s ca u ti e onesti m odi, ch e Scarsino non se n e
possa acco rg ere. E p erch sii a v visato donde en trare d i, ti dico
ch e ti con vien e m ontare in su uno m uricciuolo, ch e d irieto
appresso alla finestra d ella cam era e t p er la fin estra in cam era
e n tr e r a i, e q uin e c i potrem o d are p iacere prim a c h e S carsin o
sia ven u to a d o rm ire, p ero cch ogni sera dim orano in b ottega
sotto q u ella cam era a ten ere il giuoco pi di se i o re. E com e
Scarsino ser p er ven ire, aven d o io ch iu so l'u scio d ella cam era,
te ne andrai donde v en u to sera i. F ran cesch etto , ch e in ten d e il
luogo e q u ello h a provveduto c h e era m olto ag ev o l cosa a fare,
d isse: E t io v err stassera, e t acci ch e io non possa esser sen
tito , io non ar scarpe, m a in p un tali di ca lze verr, per an d are
pi leg g ieri. Era questo F ran cesch etto d ella persona gagliard o,
in tu tte le cose, e con una spada in m ano are' fatto vergogna a
pi di m ille, e con questo corren te e t ardito. La donna lieta steo
fin e a lla sera. V enuta l ora data, F ran cesch etto sa lito su p er lo
m uro, in n ella cam era in tr a to , dove trov m adonna G iandina
a p p a recch ia ta , con cu i F ra n cesch etto si d i som m o p ia cere pi
v o lte prim a c h e Scarsino si p artisse dal giu oco, e ven u ta Tor
ch e S carsin o a dorm ire se n e vo lea andare, ch iu so l'u scio a q u elli
ch e v* erano, e m ontato la scala, m adonna G iandina, c h e F ran
cesch etto avea di sopra, fornendo il suo fatto, in tanto S carsin o
giu n se alla cam era. La donna, c h e s'avea lev a to il carico d'ad-
dosso, partitosi F ran cesch etto e p er la fin estra uscito, la donna
a S carsin o ap erse, e tornato F ran cesch etto a casa d el padre,
avendosi dato p iacere e d iletto con m adonna G iandina, e t in n el-
l u ltim o pensando ch e Scarsino v e l d ovesse a v e r tr o v a to , d icea
fra s: lo non v i rester ornai tanto, ch e a s stretta ora m i
coglia. E passata la n otte, dienno ord ine con certo segno, ch e la
donna, con una to v agliola ch e a lla fin estra m etter, F ran cesch etto
sapr ch e e lla contenta era. E non passava du d ch e m adonna
G iandina volea ch e la produra F ran cesch etto g li ca v a sse, e di
m orando p er ta le m aniera, non restava per c h e m adonna Gian
dina , o ltra lu sare ch e con F ra n cesch etto fa c e a , c h e con a ltri
per m u tare pasto talora si godea, e com e la fortuna v o lse, una
sera ch e F ra n cesch etto m ontava su p er lo m uro, Scarsino, e s
sendo u scito alquanto fuori p er orin are, v id e F ran cesch etto c h e
DE CIECO AMORE 227

p er la finestra era in trato. Non dim ostrando n ien te, lassa la donna
su a p ren d ere con solazion e a b ell a g io , dim orando alquanto pi
c h e non so lea; e quando g li p arve a F ra n cesch etto tem po di
d o v ersi p artire, p er la fin estra u scio . Scarsin o, ch e sta v a a v e
d ere dove co lu i e n tr a v a , e 123 cognobbe ch i era q u ello ch e co lla
m oglie era la n otte stato. B m andati q u elli ch e giocavano, and
S carsin o a letto , dicendo a lla m o g lie: Io m i penso ch e stasera
ab bi auta la buona sera senza c h io n abbia sen tito . La m oglie
d ic e : F orse potresti d ire il v ero. Scarsin o d ice: O rch e m odi tien i,
quan d o vu oi ch e lam ico vegn a a dorm ire teco? La donna d ice:
M etto una to v agliola alla fin estra, e t e g li a v v isa to e vien e per
q u e lla fin estra d irieto. S carsin o d ice: A lm eno, p oich cosi ti vu oi
co n ten ta re, d ovresti alm eno sp ettare ch e a ltri non frisse in casa.
La donna d isse: Io v eg g o ch e d ici v e r o , io noi far pi. Scar
sin o , c h m al ven triglo ( i) , la m attina d ice alla donna c h e vada
p er la sera a stare a casa d ella so rella, p erocch lu i pensa da v er
q u a lch e cosa di van taggio. La donna d ice: A tuo p iacere, e t an
d a ta , ch e a ltri noi s e n te , a casa d ella so r e lla , S ca rsin o , fatto
d isfa re lo solaio ra sen te a quella fin e str a , dove F ran cesch etto
en tra to era, e t a vu ti suoi lad ron celli, c o llarm e in n ella bottega
d i sotto a lla cam era li m isse, e lu i avendo fatto colla to v a g lio la
se g n o a F ran cesch etto ch e ven isse, F ran cesch etto la sera dove
p i v o lte andato era, vedendo lo lum e in b ottega, com e l a ltre
v o lte veduto v e l'a v e a , credendo tro v a re la donna e credendo,
p er lo lum e ch e ved e, siano persone ch e g io ca re debbiano, sen za
a lcu n o sosp etto m ont in su lla fin estra, e credendo scen d ere si
cu ro , com e g i fatto a v e a , al m utare del p a sso , lo so la io , ch e
lev a to n era, g li ven n e m eno, e t in bottega fu caduto, l u Scar
sin o con q uelli lad ron celli era. E colpendolo di m olti colpi, lu c
c is e (2 ) e poi in n el luogo com une lo gitt , n m ai di lu i il padre
non ebbe sen tim ento, posto ch e d alla (3 ) m aggior p arte d ella
v icin a n za e d a ltri, p er lusanza ch e m adonna C iandina facesse,
fu sse fatto m orto, e p er paura neuno osa d ire. Chi sebbe il m ale
s se i pianse, e m adonna Ciandina pens dun altro.

(1) Cos nel ma.


(2) Ma.: uccisero.
(3) Ma.: la.
228 NOVELLE DI GIOVANNI SERGAMBI

65.
[T rir., n* 96].

DE CATTIVITATE STIPENDIARJ.

E ssendo la gu erra fra P isa e F iren za dopo la m ora d el m ille


trecen to sessan tatre, P isa facendo m olti sold ati da p i e da ca
v a llo e t F iren za a ltres soldava e dava soldo a sim ile g en ti p er
poter ciascu n o di loro, cio il com une di F iren za con tastare e t
offen dere il terren o di P is a , cercando da v er cap orali n im ici a
spada tratta di P isa e d elle terre a le i sottoposte. E t sim ile P isa
pens da v er la com pagnia deUin g h ilesi, d ella qual n e fu prim a
capitano m esser A lb ert, coi quali P isa grande onore ebbe. E
p erch P isa v ed ev a ch e F iren ze avea preso m olti u sciti di P isa
e t di L ucca p er capo e guida di parte d elle loro b rigate, pens il
com une di P isa a v er cap i di fan ti da p i ch e fosseno di F irenza
cordiali n em ici, m ettendosi a sen tire se in lu ogo alcu no n e fu sse,
di ch e P isa si p otesse fid are, ch e n e fu sse ben serv ita . Et avu ti
certi cogn oscenti d el p aese di F irenza ch e n e m ettesse loro a lle
m ani alcu n i con profferire buon soldo, e t andati alcu n i p er sen
tire di ta li capi, scogn osciu tam ente si trovonno in F iren ze, dove
m olti m alcon tenti v e ne trovonno e ch e v o len tieri si sarebbono
p artiti da F iren ze, se avessin o potuto la lor v ita francare, altro
ch e p er via di soldo o daltro m estieri, ch e a loro fu sse m esso
inn an ti. E t in fra li a ltri ch e in F iren za fu sse m alcontento fu
uno d e P eru zzi nom ato F olaga, om o di sm isurato corpo, c h e non
si sere sazio di un paiuolo di m a cca ro n i, tanto francam ente si
portava in s fatte g u erre, n m iga si se r e m osso p er cinquanta
fanti quando sei ponea in cu ore. E t sentendo F olaga, e t alcu n i
com e lu i m alcontenti e t di gagliard ia pari (IX q u ello ch e il co
m une di P isa ricerca v a , di v o ler cap orali v a len ti p er con tastare
a l com une di F iren za, pens v o lere q uesto procaccio fare con un
suo d iscreto am ico nom ato il Trom ba d e S a lv ia ti, di F iren za n ato.
E avu tolo in secreto, disse: 0 Trom ba, io vo rrei ch e noi p rocaccias
sim o d'andare al serv ig io di P isa, p erocch io sen to ch e vogliono
om ini da fotti e n im ici di F iren za, e tu sai quanto io sono va

ti) Ma.: d*alcuni come lui malcontento et di gagiardia di pari.


DE CATTIVITATE S T IP E N D IA I 229

len te, c h sai c h e a tu tte le m isch ie c h e sta to sono sem pre, quando
fu m angiato, abbiam o poi largam ente b evuto. E t non so ch i possa
m eglio ser v ir e questo fatto ch e n oi. D ice Trom ba, ch e non m eno
c h e F olaga era v a len te: Io sono con tento di ta le soldo p ren d ere.
E per b en e ch e noi parliam o con c e r ti sec reti ch e c i sono
v en u ti da P isa e diciam o loro ch e non potranno trovare in F i-
ren za n a ltri due pi v a len ti n ard iti di noi, m a ben diciam o
lo ro c h e di F iren za non c i ca v in o a u n ora, p ero cch se la co
m unit di F iren za lo sen tisse ch e tanta fortezza n u scisse quanto
la nostra, ch e agevolm en te lo com une di Pisa, non ci potrebbe
a v ere. E per b en e c h e di tu tto s inform i ch i c i ven u to.
F olaga d isse : V a e m enam elo, e t io g li p arler alto, p er modo
c h e cinten der. Trom ba, ch e volont grande h a di provarsi d ella
persona, subito trov q u ello ch e secretam en te a F iren za andato
er a , d icen d ogli: F olaga de P eru zzi, om o di gran virt , ti vu ol
d ire alquante p arole di secreto , ch e a ltri ch e noi e tu vogliam o
c h e ci sia. Lam ico and con Trom ba dove F olaga trovonno, ch e
p er esser pi gagliardo a veasi fatto v en ire dinnanti, p erch era
sa b a to , una gran padella piena di m accaroni. E sbottonatosi
d innanzi, a cavalcion i in s una banca p er m angiare si stava, e
g i n a v ea pi ch e la m et m a n g ia ti, ch e pi di se i n arenno
a v u to assai. E non restan do il m angiare, sop raggiun se il Trom ba
c o l com pagno, li quali com e m angiava videno: F olaga, Trom ba
g li disse, o p er noi non ce n ha? F olaga d ice: A ssai v e n ser
b a ti, m a , ch cotestu i vegga quanta v a len tia regna in m e , h o
fatto fare q uesti m accaroni, dicendo a Trom ba ch e prenda q u elli
c h e in una cassa a v ea m essi in du grandi ca tin elle; p e r s e p er
lo com pagno li apparecchi. F o la g a , ch e m angiato ebbe q u ella
gran d e padellata di m accaroni, d isse: Ornai potrai fare rela zio n e
c h e tu h ai trovato il pi v a len te cam pione ch e in F iren za sia ,
e t q u ello ch e pi n im ich evolm en te F iren za disfar, narrandoti
c h e cinquanta* person e non m i faranno m uovere pi ch e io vo
le ssi ; e t cosi com e v ed i la m ia persona b ella, gran d e, forte, cosi
pensa ch e tu tte la ltre v irtu d i card in ali regn an o in m e e non
pensi il com une di P isa di poter trovare om o di m aggiore for
tezza di m e, n pi securo, ch e quando io dorm o non cu rerei
d ugento p ersone ben e arm ate, essendo io pure con una corazza
in dosso. Sappi ch e farei quando io non dorm isse e fosse co l ta
v o la ccio e con tu tta l arm adural D icen d ogli: Io sono d ella pi
v a len te casa di F irenza, e sono tanto v a len te, ch e se il com une
di F iren za sap esse ch e tanta forza, quanto la m ia, di F iren za
230 NOVELLE DI GIOVANNI SERGAMBI

si p artisse, non m i lasseren n o p er d in ari: m a p erch i fioren tin i


non am ano i m iei paren ti, e per la fortezza m ia li lassono sta re
qui, io non li am o. B t se p ure m i dispongo a ven ire, io e t il T rom ba,
ch e q uasi in tu tte le v a len tie a m e s accosta, sa lvo c h e non
cori grande, ti d ico ch e non ci m eni a unora, ch e non si p otre
Care tan to cela to ch e le n ostre forze non si sen tisse e non a resti
q u ello ch e cercan d o va i. E fino a v a le ti dico ch e io v o g lio con
dotta di cinquanta fanti e p er lo Trom ba ven ticin q u e, giurand oti
ch e noi spaccierem o tu tto ci ch e ci v err d in n an ti, se c i v en isse
tu tta la m asnada di F iren ze da p i e da ca v ello . Lam ico d ice:
lo sono con tento ch e tu, F olaga, abbi condotta di cin qu an ta fan ti,
e t il Trom ba di ven ticin q u e, e t sono avvisato ch e prim a p er te si
m andi e poi p el Trom ba; e ben ch e il F olaga a v esse s m olto
van tato, lam ico d icea lu i esser grande, giovan o e ben fatto, e t an co
dusanza d e F ioren tin i d ire se sono gag lia rd i; e cori si partio
di F iren za e torn a P isa e raccon t tu tto ci c h e a v ea tro v a to .
Ma p erch d el Trom ba a l p resente non v i dir in questa n o v ella ,
m a in a ltra lo con ter, torner a l F olaga, c h e fattolo v en ire a
P isa e d atogli condotta p er cinquanta fan ti, fu con alq u an te b ri
g a te da ca v a llo e da p i m andato a d ann eggiare in su l terren o
d i F iren za in n ei v a i dA rno d i sotto, e com e il F olaga fa fatto
ap p arecch iare e dato loro dinari e fatta la m ostra in su lla piazza
di P isa, F olaga d icea: Ornai si parr la v a len tia ch e F olaga d e
P eru zzi far, ch e vegn a c h i v u ole, non m i trover ch e m ai m i
serri, n m ai p er g en ti ch e addosso v en ire m i v eg g a non m uter
passo, n per prigione non m arrender, dicendo a lli a ltri c h e
faccino com e lu i. E dopo m olti van ti u sciti di P isa e cantinato
apresso i m onti e q uin e m angiato di van taggio ognuno e m as
sim am ente F olaga, c h e avea pi di d ieci pani con pi d'un quarto
d'agn ello d ilu viato, si m issero a cam m inare in verso M ontetopoli,
dicendo: Ornai siam o in su l terren o di F iren za, a c h e ciascu n o
con vien e essere valen te; F olaga, ch e g i la paura* g li fa sta n ca re
e t an co k> m olto m angiare d ella m attina g li a v ea av a lla to il pasto
d ella sera, e v en u tagli volont di vu otarsi quel sacco tristo , si
discost solo, lassando i com pagni in su lla strada, e ca la to si le
m utande e t alzatosi li panni p er v o ler lagio su o fare, uno ra stel-
letto, ch e a lle ren i dava daccosto, g li p rese li panni. F o laga,
ch e pensa ch e siano i nim ici, d ice: lo marrendo prigione, e m e
e cinquanta com pagni, ch e m eco sono. Lo ra steilo li panni g li tie n e ,
F olaga rep lica le parole, ch e lu i sarrendea con cin qu an ta com
pagni ; a n ien te g li risposto; F olaga, ch e sta ap piccato a l ra steilo ,
DE CATTIVtTATB 8TIPENDIARJ 231

com in ci a grid are dicendo: Soccorrete il F olaga, ch le m ale


g en ti lhanno preso dirieto, ch e dinnanti non hanno avuto ard ire
di v en ire. I com pagni e t a ltri, a l rom ore ch e F olaga fece, tras
sen o l, e trovonno F olaga esser preso da uno ra stello p er lo cu lo
d irieto, avendo ancora le b rach e ca la te. D issero : Odi buono van
tatore, ch e prim a d icea ch e p er tu tto il cam po d e fiorentin i non
si vo lg er , e t ora sha lassato p er lo cu lo a uno ra stello prigione
p ren d ere. E non ch e lu i s a rren d esse, ma ancora arrandea li
cin qu an ta su oi com pagni! Or ved ete v a len te persona da guidare
b rig a te in cam po!
232 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

66 .
[Trir., n* 97].

DE VILTATE.

Come a v ete sen tito il bisogno c h e P isa avea di fare so ld a ti,


aven d o condutto q u ello valen tissim o F olaga e fattolo cap itan o d i
cinquanta fonti e m andato p er lo com pagno nom ato Trom ba, il
q u ale condutto era con ven ticiq u e com pagni. E giun to co lu i c h e
condurre dovea Trom ba a F iren za, narrandogli ch e il com une
di P isa v o lea ch e subito si m ettesse in cam ino p ero cch T oste
tra P isa e il com une di F irenza era com inciata, e ch e g i F o
laga era can tin ato a lla gu erra, dove p ensava a v ere gran d e onore,
com e a suoi pari s appartiene, e per saffrettasse n el cam in are,
Trom ba, ch e gi a v ea i suoi, preso p en sieri, d isse ch e di q u in e
a d u di se n e verreb b e verso P isa. Lo m basciadore d isse: E t io
p er lo bisogno ch e P isa h a e di te, t asp ettar. E m entre ch e lo
m basciadore sp etta v a Trom ba, ricev eo una lettera da P isa con
ten en te ch e si d esse a sen tire i m odi ch e q u el capitano di v en
ticin q u e fon ti, nom ato Trom ba, ten ea, a ccio cch di lu i non pos
sano ricev ere biasim o n danno, com e di F olaga s ricev u to . In teso
lo m bascadore ta le n ovella, sollicitan d o Trom ba ch e si m ettesse
in cam ino dicendo : N oi starem o troppo ad an d are dove il
cam po contro i n im ici, Trom ba d ice: S e io m i coniungo con
F olaga, sia ch i si vu o le, ch e noi lo (1) m ettiam o p er terra , di
cendo a llo m basciadore: Ornai puoi com in ciare, ch e io sono p resto .
A vea Trom ba p er an dare o rrev o le a P isa venduto tu tto ci c h e
a v ea e t fatto d in ari e t com prato cavallo, arm adura e t arn esi, e t
m olti se n e m isse in borsa, ch e a tem po e lu ogo g li faranno bi
sogno. M ontati tu tti e du a cav a llo e m essi in cam ino p er v e
n ire verso P isa, facendo la v ia da P isto ia , e quando funno a l
P oggio a C aiano, Trom ba v o lle b ere e t alquanto m angiare. Lo
m basciadore di P isa nota tu ttoci ch e il Trom ba fa p er la le t
tera avu ta, e passato in su lla strada p resso P istoia, Trom ba, c h e
un om o ved e ch e in su lla strada si pone a v o ita rsi il corpo, p erch
m olta uva m angiato avea, focendo quine assai di q u ella trista m a

(1) Ms.: non .


DE VILTATE 233

teria , Trom ba ch e ci ved e, v o lg e il viso verso P rato. Lo mba-


scia d o re d isse: Or p erch h ai v olto il v iso verso P rato tan to
disdegnoso? R ispuose il Trom ba: P er m ia valen tia , ch m i p area
v ed er e circa cento e io, poco curandoli, m i vo lsi quasi a dire,
p er cen to non m i m uoverei. Lo m basciadore sta a v ed ere e tu tto
n ota per non a v ern e rip ren sion e, e passato alquanto, Trom ba v ed e
c o lu i d ella strada essersi p artito e t a v ere lasciato assai buona
p ium ata. Il Trom ba portava il capo alto, c o lli o cch i a l cielo , quasi
tr a s d icesse: Io non ved r q u ella puzza. Lo m basciadore d ice:
T rom ba, or ch e vuol d ire ch e co si c o lli o cch i e colla testa vai
a lto v erso il cielo? Il Trom ba d ic e : I vo c h e sappi c h e sen
tendom i tanto gagliard o stim o m e p oter sa lire in cielo . Lo m ba
sciad ore, senza dir n ien te, tu tto ci ch e Trom ba d ice e fa, n ota.
In n el cam ino suo e ven en d o verso P istoia, T rom ba, essendo
p resso q uella n era cu lig in e [c h e ] era da quel poltrone lasciata
in su lla via , non volen do ( i ) ved ere, il Trom ba si v o lg e v erso
m ezzod. Lo m basciadore, ch e v ed e il Trom ba volto verso m ez
zod , d isse: D eh Trom ba, non ti basta a v ere ved u to il cielo e la
terra p er altezza e lun gh ezza, ch e a n ch e p er traverso v ed er la
vu oi? Trom ba d ice : Io m i sen to tanto gagliard o, ch e non ch e le
p a rti di qui m i dica il cu ore di con q uistare, m a le parti barba
r e sc h e v in cerei. Lo m basciadore nota ci ch e d ice e fa, p er p oter
a ' su o i sign ori di P isa tu tto rid ire. E t non m olti passi andati Gi
rono, c h e Trom ba disse, essend o presso, ovvero sopra a q u ello
fastid io, voltatosi verso la m arina p er q u ello non v ed ere. Lo
m basciadore si m araviglia, ch e tan to lo ved e m utare; d isse: D eh
T rom ba, narram i p erch v erso la m arina ti se volto. Trom ba
d ice: Cosi com e A lessandro signoreggi la terra, laria e lacqua,
co si inten do io di soggiogare per la m ia v a len tia. Lo m bascia
d ore tu tto in n el cu ore in nota m ette, e passato pi di una g it
ta ta di p ietra lo sterco, ch e in su lla strada era, senza ch e lo
m basciadore di n ien te avved u to se n e fosse, aven d osi Trom ba
posto in neHanim o di non ved er p i ta l tristizia, passati, com
d itto, pi di una g ittata di p ietra, Trom ba, riv o lto si p er ved ere
q u ello ch e ved ere non volea, fu m osso da ira e da poco senno
voltan do il ca v a llo subito, quasi com e uno m oscone punto la v esse
ritorn ind irieto. Lo m basciadore, c h e v ed e il Trom ba furioso
torn are a n eto , pens d oversi tornare sen za lu i, dati di sproni

(1) Ma.: volerla.


234 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

a l suo ca v a llo , sop raggiun se. Il Trom ba, ch e g i d el ca v a llo di


sceso era, e gin occh ion i sta v a con am be le m ani a lli o cch i ste r
pandoli (1 ) dicendo: Sfam atevi a v ed ere, sfam atevi a v ed ere ; e t
questo d isse pi v o lte. Lo m basciadore, c h e an co accorto non
s era d ello sterco , sta v a solo li a tti a v ed ere ch e Trom ba fa cea ,
per p oter a P isa ogn i cosa raccon tare. E sta to alquanto, Trom ba,
ca la ta la faccia, c o lli o cch i ap erti e co lla b occa in su q u ella piota
d i m erda d i p er s gran forza, ch e tu tta la b occa, il naso, li
o cch i e t tu tta la faccia se n e im p ieo dicendo: Or ti sfam a, dan
d ovi pi v o lte. Lo m basciadore, ch e alquanto da lu n g i sta v a ,
non potendo alquanto b en e com prendere il m odo, d isse d i do
m andarlo: e ven u to presso a lu i, ved en d olo s i m erdoso, g li d isse :
O Trom ba, o r dove se* stato, p oich da m e ti p a rtisti, c h e se*
s m erdoso? Trom ba d isse tu tta la m aniera d a l p rincipio c h e funno
passati a l P oggio a Caiano fin e a l punto d icen do: Or com e non
m i sa zierei d elle g en ti, ch e sono tan to v a len ti, s fio duna poca di
m erda non m a v esse saziato ? Lo m basciadore tu tto n e l cu or n o
tato a v ea , e m ontati a ca v a llo , a P isa n e girono. Lo m basciadore
narr tu tte le con ven en ze c h e il Trom ba a v ea fa tte. Li p isan i
cogn overo di vero costu i essere sim ile a l F olaga, disp u osero di
d irg li ch e fin e c h e il F olaga tornava ste sse in P isa a d arsi p ia
c e re sen za soldo e dappoi c h e tornato sere*, v o levan o c h e am en d u e
fusseno cap itan i g en era li di tu tta l o ste. Trom ba lieto , la sp etta re
non g li rin cresce, fin e ch e d in ari ebbe in borsa. Lo com un e di
P isa, tenendo sem pre il Trom ba sotto speranza ch e il F olaga
tornasse, e* per questo modo consum tu tto e n ien te rim a seg li.
F u costretto [andar] per lo pane, ch daltro non era.1

(1) Cos il codice.


DB FAL8ITTE MULIBRIS 235

67.
[Triv., n 06].

DE FALSITATE MULIERIS.

D el tem po c h e l duca d A ten e sign oreggiava la citt di F i-


ren za p er parte, di citt Ai sca cciato uno cittadin o, in fra li a ltri,
nom ato Azzo de* P u lci, om o a ssa i di bona pasta e t con questo
m olto vago du sare con fem m ine; e cap itato solo sen z'altra com
pagnia, p erocch non a v ea m oglie, a A ncona, dove quine p rese
una fan tesca d i m ezza et , nom ata G iorgiana, la (1 ) q uale, o ltre
la ltr e m asserizie c h e lla facea, con A zzo alcu na volta carn al
m en te u sava. E ci stan te, c h e A zzo con G iorgiana spesso si tro
v a sse, piacendogli alcu n e donne an con ese, con G iorgiana trovava
m odo spesso da v ern e q uine p er d in ari, e quando p er am ore,
con ta li A zzo si dava p iacere, n a ltra m ercanzia p area ch e in
A ncona fa cesse se non in darsi p iacere. E t stato A zzo ad An
con a pi tem po e co n lu i G iorgiana, d iven n e c h e l duca d*Atene
d i Finanza Ai caccia to . P er la q ual cosa A zzo d ilib er in F irenza
co lli a ltri rito rn a re, e m enato seco G iorgiana a F iren ze e stata
alqu an to tem po, Ai A zzo co stretto dai suoi paren ti a prendere
donna, p er la qual cosa G iorgiana con ven n e lassare, e t ella se
n and a V in egia, dove q uine si pose a sta re p er fon te. A vendo
A zzo preso donna e t andato alla m asserizia, com e poco p ratico
d i m ercanzia, diliber andare a V in egia, p o ich colla donna stato
Ai pi an ni, e m essosi fiorin i cin q u ecen to n ovi in borsa, cam in
v erso V in egia, p er q u elli sp en dere in q u alch e buona m ercanzia.
G iunto A zzo presso V inegia e sta to v i alcu n i di in uno albergo
presso a San M arco, venendo il sabato, dove gran m ercato di
pi co se in su lla piazza di San M arco si fo, A zzo, ch e ta n te b elle
co se v ed e, non sapendo pen sare qual m ercan zia focesse p er lu i,
dom andava d elle p erle di pregio, m ostrando q u elli fiorin i cin
q u ecen to nuovi, dicendo ch e q u elli v o lea sp en d ere, e non accor
dandosi, andava provvedendo g io ie lli, [robe, freg i, sp ezia rle, e t a
tu tti q u elli fiorini cin q u ecen to m ostrava e con neuno si sapea
accord are. Era in V inegia una G iorgiana danni 25, m eretrice,

(1) Ms.: co lla .


2 36 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

la q u ale p er m adre e per padre fu dA ncona, in una co n trad a


dove m olte su e pari si riducono a guadagnare p er serv ire ad a ltr i,
e quine v ' m olti rofian i. Coloro dim orano presso a R ialto in u n a
v ia assai a quel m estieri atta. V edendo questa giovana q u elli fio
rin i ch e A zzo andava a uno giovano del m ercato m ostrando, fra
s d isse: S e io a v essi q u elli fiorin i, io serei ricca ; e non p ar
tendosi d el m ercato p er ved er quale cam ino Azzo fa, p er p o ter
a l p en sieri suo dare effetto, sop ravven n e G iorgiana fan te in m er
cato, e con osciu to ch e ebbe A zzo, subito corselo ad ab b raciare
e b asciarlo facendogli som m a carezza. E dom andandolo di m o lte
cose, A zzo tu tto g li d ice, e la cagion e p erch a V inegia er a v e
nuto; e quine u erasi posato e t in q uale albergo. La giovan a an
conetana m eretrice, ch e v ed e G iorgiana dA ncona fan te fa re
ta n te carezze a Azzo, pensa da G iorgiana sap ere q u ello v o lea . E
partitasi G iorgiana dA zzo, aven d ogli prom esso di m andargli a l
lalbergo una gentildonna ven ezian a p er god ere, s partita da lu i;
q u ella giovan e m eretrice ch e cogn oscea G iorgiana, e G iorgiana
lei, la chiam dicen dole ch i era co lu i ch e tanta carezza g li a v ea
latto. G iorgiana g li d ice tu tto com e e lla era stato con lu i in A n
cona quando era stato ca ccia to A zzo d e P u lci di F iren za a l tem p o
del duca dA tene, e ch e l a v ea m olte v o lte a vu to addosso, c h e
Azzo era m olto vago di fem m ine, in tan to ch e p er m ezzo di m e,
in A ncona, n e tocc pi di ven ticin q u e, e fra le a ltre io g li fa
cesse a v ere, fu una donna ved ova, g en tile e ricca , nom ata m a
donna N icolosa d e C alcagni dA ncona, donna b ellissim a, e q u ella
pi m esi ten n e, dandosi insiem e p iacere, tan to ch e ritorn a F i
renza, l dove con lu i andai. E p erch p rese m oglie, m i co n v en n e
abbandonarlo e non lo vid i p oich da lu i m i p artii sa lv o ch ora,
c h caregato b en e [d i] cin qu ecen to fiorini n uovi, li q u ali m h a
m ostrati, e sotti d ire ch e stasera g li far a v ere una g en tile g io
vana, ch e l m arito p atrone d ella g a lera del m ercato, e t anco
penso m i varr una gon n ella. La giovana m eretrice an con etan a,
ch e tu tto in tese, d ice a G iorgiana ch e vada a fare b en e e p reso
p en sieri quella falsetta, subito m and u na fan ciu lla, di q u elle c h e
la rte le facea im parare. Et a llalbergo, dove A zzo era, la m and,
m andandogli dicendo: Una g en til giovan a v i v u o le p arlare, la
q u ale m 'ha pregata ch e io a le i v i m eni. La fan ciu lla, c h e g i era
fatta m aestra, d isse: L assate fare a m e. E giun ta a llalb ergo dove
A zzo de* P u lci era, dom andando dA zzo, A zzo, ch e si v ed e rich ie
dere, d isse: Che vi ? io sono A zzo d e P u lci di F iren za. La fan ciu lla
d isse: U na g en til giovana v i m anda pregando, p oich l m arito
DE FALSITATE MULIERIS 237

su o non in V in egia, ch e a le i v egn ate, ch e io da v o i non m i


parta, ch e la v ia v 'in segn i. A zzo, ch e g li pare essere m olto
avven tu rato, d ice: P er certo q u alch e b ella giovan a m ar veduto,
e sera ssi di m e innam orata, p erocch in V inegia non om o pi
b ello di m e: e d ice alla fan ciu lla : Fa la v ia e t io vegno teco . La
fan ciu lla lo guid dove la giovana m eretrice e r a , la q u ale e s
sen d o ben v estita e t in capo di scala spettando A zzo, A zzo, en trato
in c a s a , dove cred ea ch e fu sse in n ella pi on esta contrada di
V in egia, salio la scala: la giovana scesa alqu an ti sc a lin i, subito
in (to n te basci A zzo, e p reselo p er la m ano, e con a lcu n e pa
ro le tte lo m en in cam era, dove quine era uno letto tu tto ador
n ato d i fiori e d 'altre cose odorifere e con b ellissim i adornam enti.
A zzo, ch e ved e tanta adornezza, sperando q u ella giovana god ere
in ta l letto, d isiava essere tosto a lle m ani. La giovana, riv o lta ta
ad A zzo, b ard an d olo con lagrim e alquanto g itta te, A zzo, ch e ved e
la giovan a lagrim are, d isse: Io m i cred ea v en ire a prendere pia
ce re teco , e t ora io v eggo ch e tu di dolore pare ch e abbi il capo
pieno. La giovana d ice: Io h o oggi la m aggior a lleg rezza c h e
m ai io abbia [avu to, aven d o] veduto colu i ch e m ai non v id i e
q u ello ch e m angener. A zzo, c h e ta li op ere ode d icere: D eh,
p erch dici tu ta li parole? La giovan a d ice: Io sono certa ch e
v o i m io padre siete e ben m i m eraviglio ch e di tanto tem po
quanto v o i fuora d'A ncona sie te stato, ch e l a ( l ) m ia d olce mam ma
m adonna N icolosa de* C alcagni d'A ncona, vedova in q u el tem po
c h e ad A ncona dim oravate, di voi m ai n ien te sen ti, n io vostra
fig lio la nata di q u ella m am m a sen ti' di vostro essere, sa lv o c h e
o g g i la buona fortuna m i v h a m esso inn an ti. E per lo d olce am ore
c h e la m ia dolce m am m a v i p o rta v a , m i puose nom e A zzina
fig lio la dA zzo de' P u lci, p er padre, da F iren za, per m adre dAn
cona : e t abbracciato A zzo di ten erezza, dim ostr ad A zzo m olto
am ore; e rizzatasi d isse: 0 padre optim o, non pensate, p erch
io in gen erata to sse da voi in n el corpo d ella b ella m adonna N i
colosa de' C alcagni, cu i v oi tan to am aste, ch e non m eno cara m i
ten g o d 'esser vostra figliu ola ch e se di m arito legittim o nata fu sse,
p erch voi oltra li altri di F iren ze d'onore portate p regio; e la
m ia d olce m adre e t a v oi d olce am ica m adonna N icolosa sopra
lan con etan o donne di b ellezza, gen tilezza , onore portava nom e
e m e p er la su a ricch ezza ha m aritata tanto m agnam ente c h e

(J) Ms.: alla.


238 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

fine a qui ne sento. ben v ero ch e 1 m io m arito p er fare gran d i


guadagni h a fatto buona com pagnia e t co lle n avi ito a gu a
dagnare, n non so sign ore ch e non d ovesse sta re con tento tro
vare, com e a v e te trovato v o i, una figliu ola tanto sa v ia , o n esta,
g en tile, e ben m aritata com e A zzina vostra figliu ola, la q u ale o ra
q uella ch e p er am ore v i bascia. E presolo, lo basci. A zzo, c h e
h a u dito a co stei con tare ta tto q u ello ch e m ai f e \ d isse: F ig liu o la ,
io non a rei m ai n te n a ltri rich iesto p er figliu ola, p erch m ai
tu a m adre n ien te m i m and a d ire. E questo d icea lagrhnando,
e poi d isse: B eh dim m i, nata d olce, com e h a i saputo q uesto fatto,
p erch io debbia esser tu o padre? A zzina d ice: Mia d olce m ad re
pi v o lte m i d isse ch e io figliuola era d Azzo de' P u lci da F i-
ren za, m a p er non vergogn arsi non v o lse m ai scr iv e re d i m e;
m a di punto in punto m i disse : e t ora io cogn osciu to non v 'a r e i,
se non c h e una fan tesca nom ata G iorgiana d 'A n con a, av en d o la
pi v o lte p regata ch e se qui v en iste m el facesse assap ere, e p er
v ho cognosciuto, d olce m io gen ito re. Azzo, ch e per ferm o cred e
dessere padre di A zzina, lieto [si] dim ostr. A zzina, essend o p resso
a cen a, ad albergo v o lle ch e a z z o rim anesse, il q u ale a ccetta to ,
credendosi essere con figliu ola, e ad albergo in una cam era
fu m esso, dove p er lo gran caldo si spogli e t in g iu b b ettin o,
trattosi ogni panno e q u elli fiorini cin qu ecen to ch e in una sc a r se lla
a vea in su una cassabanca lass. E t volendo il su o a g io fe re,
m ostratogli per q u ella fan ciu lla il luogo dove ponendosi a sed ere
[il p otre], in n el ca n a le cadde, in n el q uale gridando, uno rof-
fiano facendosi a lla fin estra d isse: S e non ci lassi dorm ire, io v er r
costaggi e darotti di m olte bastonate. A zzo d ice; D eh fate c h e
m ia figliu ola A zzina sen ta com e io sono qua caduto. Li v ic in i
disseno: O buon om o, p er lo m eglio ch e p uoi, briga di p a rtirti
di costi, se non vu oi esser m orto, per q uine u* tu se sono g en ti
di assai ca ttiv a condizione. A zzo, vedendosi a m al partito, m eg lio
ch e potea d el ca n a le u scio, e addom andando se n e and a llalbergo
e con alcu n i suoi am ici si d olse d el caso, dicendo: U na giovan a
nom ata A zzina m h a ingannato. Li am ici d issen o: Abbi p er ce rto
ch e in questa terra non donna ch e A zzina si feccia ch ia m a re;
ma tu sarai sta to beffato, com e g i c i sono sta ti beffati d elli a ltri.
Azzo, m alcontento, sen za m ercanzia e sen za dinari, a F iren ze si
ritorn.
DB MALITI A HOMINIS 239

68.
[Trir., a M].

DE MALITIA HOMINIS.

In F isn elle contado di F iren za era e anco uno m onesterio


de donne assai fam oso p er )a loro san tit, lo quale non nom iner
p er non dim inuire in parte la loro fam a, in n el quale erano otto
m onache giovan e con una badessa assai giovana, le quali per loro
ortolan o avean o uno fam ulo assai sim p lice. E non contentandosi
d el salario, ch e a lu i dato era, ftto conto e ragion e co l castaido
d elle m onache, a L am porecchio, donde e g li era, ritorn. Il qual,
tra g li a ltri, lietam en te fu rico lto da uno giovano forte e robusto,
essend o om o di v illa , con viso assai p iacevole, il cu i nom e era
M ustachio. Dom andando a q uello, ch e N uto a v ea nom e, donde
era v en u to ch e tan to tem po era stato senza ritorn are, disse
com e era stato in n el ta le m onistero lavorando l'orto, e t alcu na
v o lta attin g ea loro dell'acqua e t andava al bosco per legn a, di ch e,
dandom i poco salario, e t anco p erch m i paiono tanto giovan e
c h e abbino il d iau le addosso, e p er la ricada (1) ch e m i davano,
m i p artii, ch e m entre io lavoravo v en ia l'u n a e tolleam i la zappa,
e d icea : Q uesto non sta b en e; e l'a ltra distendea la m ano e sca
vava li erb u cci ch e io m essi a vea dicendo: Q uesti non v o glio
qui sta re. E t era tanto questo affanno, ch e d ilib erai di partirm i.
E quando m e n e ven n i, m i preg il loro castaido c h e, se io tro
v a sse uno, ch e l lo m andasse. M ustachio, udendo le parole, g li
v en n e in nell'anim o una vo g lia s gran d e di trovarsi con q u elle
m on ach e, com prendendo per q u ella andata p otergli v en ir ftto
il su o p en sieri, e pens n ien te d ire a N uto p erch fatto n ien te
g li verrebbe, m a di tr o v a r e , altro m odo pens, e secretam en te
da L am porecchio si partio, con una scu ra in collo, m ostrandosi
m u tolo, e cam in a l m onistero ditto, dove quine p er am icco ch ied ea
da m angiare, n castaid o, om o di serv ig io d elle m onache, lo ved e,
con am icch i lo ch iam a in n el ch iostro, e datogli m angiare, uno
leg n o c h e N uto fen d er non pot il castaid o a l m utolo fender lo
fe*; lu i com e giovano cos fe. E preso il castaid o p iacere del
m utolo, con uno asino a l bosco lo m en e con am icch i le legn a 1

(1) Sic. Pone sioada Ma del tempo e dell'uso toscano?


240 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI
g li f ta g lia re e t al m onistero p ortarle. Bt avendo il castaido a
fare fare m olte cose, pi g io rn i lo ten n e, dandogli ben da man
g ia re e d ella fatica assai. A vvenn e ch e un di la badessa lo vide
dim andando ch i era, il castaid o d isse: C ostui uno m utolo po
vero, ch e venendo p er lim osina, ne l'h o fotta, e t h ogli fatto fare
m olte cose ch e bisognavano, e penso ch e sapr la vorare ch e se
nar buono serv ig io e an co p erch e g li m utolo non potr queste
vo stre m onachetto m otteggiare. A cu i la badessa d isse : In f*
di Dio tu d ici il vero, e t b en e ch e noi il ritegnam o, e tu fa che
g li dii q u alch e cap ellin a v ecch ia . M ustachio, ch e p resso era
quando la badessa ci d ice, in fra s m edesm o d ice: Gost-dentro
mi m ettete, io v i lavorer il vostro orto ch e m ai si b en e non
v i fU lavorato. Lo castaid o dom andando co* cen n i M ustachio se
q uin e dim orar volea, lu i co* cenn i d isse s, im ponendogli che
l'orto lavorasse, e poi and a fare su oi fotti. E t aven d o alcuno
di incom inciato a lavorar l'orto, le m onache com iiicion n o a fargli
noja, com e soleano a N uto fare, dicendogli le pi sce lle ra te pa
ro le d el m ondo, non credendo ch e lu i le ste n d e sse . L a badessa,
ch e stim ava senza coda fosse com e sen za lin gu a, di q u e lle parole
poco si cu rava. D ue giovan e m onache, c h e p er lo giard ino an
davano, s appressarono a lu i, facendo [e g li] sem biante di dormire;
com inciarono a risgu ard arlo. Luna, c h era alquanto p i baldan
zosa, d isse a lla ltra : Se io cred essi ch e m i ten essi credenza, io
ti d irei alcu no m io p en sieri, ch e pi giorn i h o e a vu to, e forse
ch e a te n e torner u tile . R ispuose l'altra: Di' sicu ram ente. Al
lora la baldanzosa d isse: Tu sai com e noi siam o ten u te strette
ch e om o en trare non c i pu, e tu di sap ere, quando le donne
sono v e n u te , ch e hanno ditto ch e a ltra d olcezza nulla a
risp etto di q u ella d ellu sare coll'om o; e per m 'ho posto in animo,
p oich a ltri en trare non ci p u , d' u sare col m utolo nostro,
p erch mi pare ch e da c i sia, e t p erch v o lesse non lo potre
d ire, e per da te vorrei u d ire q u ello c h e a te n e p are. Ohim,
d isse la co m p a g n a , non sai ch e noi abbiam o prom esso a Dio
virg in it ? E lla risp u o se: Q uante cose s im prom ettono c h e nos'at*
tegnono! C he se noi g liel' avem o prom esso, tro v i un altro che
l'attegn a. La com pagna d isse: 0 se noi in gravidassim o? come
andrebbe? R ispuose: Tu p en si la cosa prim a ch e a w e g n a : e
quando v en ir allora [c i penserem o] (1). E lla d isse: Or come(i)

(i) Qui il ma. dice: se quando venire alora come allora. Ho cercato ca
varne un senso.
DE MALITIA HOMINIS 241
farem o? A cu i co lei risp u ose: Tu vedi ch e din su llora ch e le
m onache sono a dorm ire in n e llorto non persona; io lo pren
der p er la m no e con d urrollo n el cap an netto dove i fu gge
quando piove, e l'una stia dentro con lu i e t l'a ltra faccia gu ard ia.
M ustachio udia q uesto, disposto a u bid ire, ch e a ltro non sp ettava ;
appressandosi la prim a m onaca, lu i dest, e con a tti lu sin g h ev o li
p reselo p er la m ano, lu i facendo cotali risa scio cch e, lo m en
in n el capannetto, dove M ustachio, sen za farsi troppo in vitare,
la fo m io di van taggio di q u ello ch e e lla volea. E t e lla , com e
le a le com pagna, avu to q u ello volea, diede a lla ltra luogo. E Mu
stach io, pur sim p lice m ostrandosi, q u ella fornio, n prim a da
q u el luogo si partirono, ch e pi v o lte ciascu n a da M ustachio fu
forn ita; e poi le m onache tra loro ragionando ch e buona cosa
era a p rovare l om o, e ch e il loro p en sieri era stata ottim a
cosa, da poi prendendo con v en ev o le tem po, con M ustachio for
n irono loro volontade. A vvenn e un giorno ch e una loro com pagna
da u n a fin estra della ce lla a vved u tasi, a du* a ltre m onache g io
v a n e lo m ostr, tenend o ragionam ento da ccu sa rle a lla badessa ;
poi m utarono con siglio, ch accord atesi in siem e, fanno p artecipi
d el podere di M ustachio com e le prim e, a lle quali co se l'a ltre
m on ach e, p er d iversi accid en ti, d iven n ero com pagne d elle prim e
in vari tem pi. U ltim am ente la badessa, p he di questi fatti n ien te
sapea, andando un di tu tta sola p er lo giard ino, siando il cald o
gran d e, M ustachio trov, il q u ale di poca fatica e l di per lo
troppo ca v a lca re d ella n o tte n ava assai, tu tto d isteso a llom bra
d i uno am andolo dorm iasi, e venendo alcu no ven to, li panni le
v a ti d irieto di M ustachio, stava tu tto scoperto, il ch e la badessa
riguardando, in n el m edesim o ap petito cadde [in j ch e le su e mo
n a ch e cad u te erano. E destato M ustachio, in n ella sua cam era
lo m en, dove p i d [ste tte ] con grandi querim onie d elle g iovan e
m onache, afflitte ch e lortolano non v en ia a lavorare il lo ro te r
ren o. La badessa riprovando q u ella dolcezza, ch e prim a [in ]
l a ltre biasim are solea, ultim am ente la badessa lo rim and al
l orto con prom issione ad am icchi ch e a le i ritorn asse, rivolen d olo
e volendo la badessa di lu i pi ch e parte. N on potendo M ustachio
a ta n te satisfare, s'avvisr ch e il suo esser m utolo g li potrebbe,
se pi ste sse , in g ra v e danno riu scire, e per u na n otte, stando
c o lla badessa, com in ci a d ire : M adonna, io h o e in teso ch e uno
g a llo basta a sei e d ieci g a llin e ; m a ch e d ieci om ini possono m ale
e con fatica a una fem m ina sa tisfare, d ove ch e a m e mi con
v err serv ire n ove, il p erch per cosa d el m ondo durare non
242 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

p otre, p erocch per q u ello ho fatto non posso fare n poco n


m ollo. 0 voi m i la ssa te andare con Dio o a q u este cose tro v a te
m odo. La donna, udendo co stu i p arlare, il q u ale cred ea ch e
m utolo fo sse, tu tta stord e d isse: Che q uesto ch e io cred ea
ch e m utolo fussi? M ustachio d isse: M adonna, io era ben co s, ma
non p er natura. La badessa lo dim and ch e v o lea d ir e ch e
a v esse serv ito a n ove. M ustachio le d isse tu ttoci c h e c o lle m o
n ach etto fatto a v ea. A ccortasi la badessa ch e l'a ltr e m on ach e
erano sta te pi sa v ie di lei, ch e prim a avean o assaggiato M ustachio
ch e lei, pens di non la ssare p artire M ustachio; e t c o lle su e
m onache trovar m odo acci ch e tu tte di pari si p otessero con
ten ta re. E t essend o m orto di p och i d ie il loro castaid o, e lesse ro
M ustachio castaido, partendo le giorn ate p er m odo ch e M ustachio
le potea sosten ere, in n el q uale m onistero il d itto M u stachio
acquist m olti m onachini e cosi steo fin e ch e la badessa m o r;
e M ustachio, d iventato v ecch io , con m olti dinari a v u ti da q u e lle
m onache a L am porecchio ritorn, dove dom andato quine u era
stato e t com e c h avea roba guadagnato, rispondendo d isse ch e
C risto tra tta v a co s ch i corna sopra I ca p ello g li pone.
DB SUBITA MAL1TIA IN MULIERE 243

69 .
[Trir., & 100].

DE SUBITA MALITIA IN MULIERE.

F a n el contado di Spoleto un donna nom ata T urcora, nata assai


di v ii g en ti e m aritata a un lavoratore di terra nom ato O rsuccio,
il q uale p rendea d iletto grandissim o p er avarizia so lo in lavorare
et quello era il suo som m o p iacere. Turcora ch e di natura era
ferv en te con darsi p iacere talora con uno e talora con un altro
e t in ta le cosa m olto si dilettava lassando a l m arito il p en sieri
d i la v o ra re e darsi d ella fatica quanto portare n e p otea; T urcora,
c h e p er avarizia non volea esser dannata, disposta a sp argere
d e lle su e cose e t an co di q u elle c h e lo m arito talora rau n ava,
e in q uesto stava d i continuo atten ta a serv ire a ch i n e dom an
d a sse, e questo m odo la ditta T urcora ten ea ch e con pi e pi
sp essissim e v o lte sera con p iacere trovata abbracciata. E in tra
li a ltri gio v a n i c h e T urcora am ava, e con cu i e lla pi di continuo
si ritrovava, era uno nom ato il R ughia, il q uale per b ella e grande
m asserizia ch e di sotto appiccata ten ea g li fh ta l nom e im posto.
E sp essissim e v o lte T urcora con lu i trovavasi. D ivenne ch e un
g io rn o O rsuccio tornando a casa e lu scio trovando serrato, p er
u n a fessu ra dentro riguardando, v id e T urcora abbracciata con
R u g h ia in su uno supidano, il p erch , a O rsuccio ta le atto dia*
p iacen d ogli, con furia p ercosse luscio. R ughia, c h e ode la v o ce
d i Orsuccio* dubitando d ice alla donna: Noi siam o a m al p artito.
T u rco ra , rilev a ta si, aprendo uno u scio ch e d irieto a lla casa era,
p er una selv a si fu ggia. R ughia d irieto a le i n e v a e. O rsuccio,
-che prim a ha ved u to il m odo ch e la m oglie ten ea e poi n e lha
v ed u ta andare e il giovan o d irieto, con furia lu scio aprendo, e
c o n una lancia d irieto alla m oglie e al giovano correndo, n e fi
ito . R ughia, com e giovano, la donna pass. La donna, ch e si ved e
i l m arito con fu ria v en ire d irieto, stim ando d elle su e m ani non
p o ter cam pare, pens con q u alch e scu sa raffrenare la furia d el
m arito. O rsuccio, ch e sopraggiunto a T urcora, d ice: A hi m e
r e tr ic e e ca ttiv a , ora non potrai a v ere alcu na scusa di non con
fessa re tu averm i fallito, p oich co m iei occh i h o ved u to tu
e sse r e abbracciata con uno giovano prendendovi p iacere, e per
p i vitu p erio ora te ne fu ggivi con lu i, m a m erc n'abbiano i
244 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

m iei piedi c h e t'hanno qui giun ta, dove farai conto d ellop re te-
m ite. T urcora d ice: D eh, m arito m io, ti prego ch e m i d ich i la
v erit se m eco in casa alcu n a persona v ed esti e poi se d irieto
a m e lo v ed esti v en ire, p erocch , se co s frisse, sere* di b isogn o
ch e altro ti d icesse. O rsuccio d ice: D eh, m eretrice m alvagia, com e
non vidi uno giovano ch e t era addosso e tu lo ten ei stretto ab
b racciato e com e m i sen tisti p icch iare te ne fu ggivi via, e il gio
vano ti v en n e d irieto e non lho potuto giu n g ere, m a te p u re ho
giu n ta qui, m eretrice, ch e ti v o lei con D io andare? T u rcora, con
lagrim e ch e sogliono g itta re ta li fem m ine, d ice a O rsuccio: Ornai
cognosco ch e tu tti n andiam o a un m odo, p erocch m ia m adre
m i d isse q uello ch e ora O rsuccio m io h a i ditto, ch e quando io
frisse presso a lla m orte ch e io ser ei veduta ch e parre* c h e uno
m i frisse addosso, e poi ch e io m e nandasse v ia e lu i m i v en isse
d irieto. E cos m i d isse la m ia am orosa m am m a ch e a lla tua
m am m a d iven n e, e quando la m am m a m ia v en n e a m orte, lo m io
savio babbo vide quello ch e ora tu, vezzoso m io m arito, d i m e
ved u to h a i. E per ti d ico, p oich tu m e lh ai ditto, c h m ai non
m i d icesti bugia, ti prego ch e prim a ch e io m uoia, c h la vita
m ia non pu esser oltra a quindici d, secondo q u ello ch e a lle m ie
an tich e e paren ti intravven u to, di m andare p er un notaio, c h e io
v o fare testam en to, e prim a vo ch e l m io corpo si sop pellisca
dove la m ia savorosa m am m a fri so p p ellita, e la m ia dota vo
ch e si strib u isca in questo modo: e t prim a per lanim a d i mio
d olce padre vo ch e si dia il poder d ella F alom bra, e p er lanim a
d ella d olce m am m a si dia il poder d el V entospazza con tu tte le
p ertin en ze, e t alla nostra benedetta ch iesa si diano le v ite lle t te
n ate d elle m ie v acch e, e t a R u steco nostro lavoratore la scio la
m ia b ella gon nella, e t a R ughia d ella v illa di buona m isu ra gli
lasso il podere, ch e d el terren o di m ia m adre u scio, nom ato (1)
F ra llem ieco scie sicuram ente; m entre ch e io v iv o lo lavori senza
m ancare, e quando ser passata di questa v ita n e faccia q u ello
ch e v u o le. E p erch tu, O rsuccio m io, mh a i preditto ch e io m orir
debbo, non v o ch e tu abbi d e m iei fatti altro ch e q u el podere
si chiam a il .gom bo di frate gabbo e q u ella vigna ch e si chiam a
la tigna d ella piacciola< altra cosa non v o ch e abbi, p oich s
giovana m h ai preditto ch e m orire debbo. E rano q uesti d u poderi,
oltra le triste co se ch e T urcora avea, le pi triste. N arrato q u ello 1

(1) Ms.: u si dee.


DE SUBITA MALITI A IN MULIBRE 245

che v u ole ch e il suo testam ento dica, dicendo a O rsuccio ch e


p restam en te p er lo p rete e p er lo notaro vada; O rsuccio, ch e
udito h a e q u ello ch e la sua T urcora d icea, g li d isse: T u rcora,
e non bisogno ch e tu ta l testam en to facci, p erocch n ien te
h o veduto, e t q u ello tho d itto ti d icea per ved ere q u ello ch e
tu m i d icev i. T urcora con v ezzi d ice: Tu lo di pur a v er ved u to
q u el giovano ch e mera addosso; io ti prego, odore d el m io sed ere,
o h e tu m el d ich i, p erocch io non v orrei m orire sen za p en eten za.
Lo m arito giu ra non a v erla m ai ved u ta; la donna g lie l Ih pi
v o lte g iu ra re; O rsuccio giura. T urcora d ice: P o ich tu m i d ici
il v ero, io voglio stare con tenta a q u ello d ici senza foro testa
m ento, e vo* ch e ogni possessione sia tua, salvo ch e per rim edio
deUanim a di m ia m adre R ughia possegga la p ossessione m ia
F ra llem ieco scie fin e ch e io v iv a sar, o lu i ; e t poi ritorni a te ,
od orifero m arito. O rsuccio d ice: Io sono m olto co n ten to, e con
a lleg rezza O rsuccio n e rim en T urcora a casa, dove poi R ughia
possedeo ta l podere sen za sospetto a suo p iacere. T urcora si
con fortava, lassando la fatica d el la vorare al m arito, le i dandosi
buon tem po.
246 NOVELLE 01 GIOVANNI SERCAMB1

70.
[Tiiv., n* 101].

DE MALA. GORRETIONE.

N el contado di Parm a, in una v illa ch iam ata B oera, d ove m olte


b estie grosse si m enano a p astu rare, era uno garzon e det da n n i
s e d ic i, nom ato P a ssa rin o , il q u ale aven d o m adre sen za p ad re,
p erocch m orto era, la qual m adre er a ch iam ata Cadonna, a v ea n o
m olte v a cch e, con le quali la lor v ita m anteneano, guardandole in
torm a co lla ltre il d itto P assarino. Et sim ile in n ella d itta v illa
era una donna vedova nom ata N a rd a , la q uale solam en te u n a
figliu ola b ellissim a a v ea , ch iam ata B eilocora, d 'et anni q u in d ici,
le q uale ezian d io di b estiam e la lor vita cavavano gu ard and ole
in torm a B eilocora co lle a ltre p erch a gu ard are le m en asse.
E ssendo m oltissim i m esi sta ti in siem e a gu ard are v a cch e P assa
rino con B eilo co ra , un giorn o in fra gl* a ltr i, N arda m adre di
B eilocora d ice a lla figliu ola ch e, se P assarin o g li v o lesse m on tare
addosso, non lo la ssi m ontare, ma dim andagli ch e ti dia du* o tr e
ca ci e an co poi non con sen ti. B eilocora, ch era pura, non sap en d o
ch e ci v o lesse ancora d ire m ontare addosso, d isse a la N arda
sua m adre: Or ch e v u ol d ire q uesto m ontare addosso? N arda
d isse: S io te linsegner. E t p ostasi N arda in terra r iv e r s a , i
panni alzandosi, le gam be aprendo, d isse: A questo m odo ti con
verr stare c h e g li ti salir addosso. La fan ciu lla d isse: C otesto
saprei io a v a le ben fare. La m adre g li d ice : G uarda c h e ta l co sa
non fa cessi, p erocch io te n e p agh erei; ma se P assarin o ti d i
cesse di vo lerlo fare, fatti dare li ca ci e poi non co n sen tire. L a
fan ciu lla, ch e tu tto ha in teso, g li pare m ille an ni ch e sia l o ra
dandare a m ettere [fu ori] le vacch e. E stata alquanto, P a ssa rin o
giu n ge e d ice: B eilocora, m etti fhor li buoi. B eilocora p resto l i
buoi m anda fuori e t alla pastura con P assarino se n e v a . P assa
rino, ch e sen za alcu n p en sieri si s t a , B eilocora g li com in cia a
d ir e : 0 P assarin o, se m i vorrai m ontare a d d o sso , tu m i d arai
tre ca c i; e questo d iti ha B eilocora cantando: D eh P assarin o, s e
m i vorrai m ontare addosso, m i darai tre ca ci. Odendo c a n ta r e
P assarino q u ella can zon etta, a B eilocora incom inci a risp on d ere
in can to: Or [p er] ch e m odo si m onta addosso, or [per] ch e m odo
si m onta addosso? B eilocora, q uello udito rispondere can tan d o.
DE MALA CORRETTONE 247

g itta to si riv ersa e sco p erta si, ap erte le c o sc io , d isse: A q uesto


m odo star io, e tu sta ra i di sopra, oom e m am m a m h a Insegnato;
e t sim ile q ueste p arole d icea cantando. P assarino, c h e era in n el
tem po ch e la natura da s m edesim a cognoscea q u ello ch e B ello-
oora v o lea d ire, g ittatosi P assarin o senza b rach e, ch e ancora por
ta te non av ea , giu so, p er v o lerg li m ontare addosso, B ellocora disse:
A rrecam i prim a tr e ca ci. P assarin o, c h e g i l'am ore lo com incia
a p un gere, d isse: Io andr p er essi, e m ossesi e t and a casa, e
sen za ch e la m adre il sap esse, tre ca c i a B ellocora port, e a
le i li d iede. B ellooora q u elli p rese dando ind u gio a P assarin o;
la sera li ca ci n e port a lla m adre. N arda, ch e ved e ch e B ello
cora h a reca ti tre ca ci, la dim anda se P assarin o addosso g li era
m on tato; ella d isse di no, p erch io non v o lli,o o m e voi m in se
gn a ste. La m adre d ice: B enedetta fig liu o la , o r cosi fa sem pre.
P assarin o, ch e g i a v ea il co re a B ellocora, tornatosi a ca sa , stava
pensoso per B ellocora. B ellocora, ch e g i il carn ale ap petito l'avea
m ossa, e t an co il conforto d ella m adre, e p er beffare P assarin o
sp ettava lora di andare a m ettere li buoi in pastu ra; soprav
v en n e ch e , essend o m al tem po, com e dusanza avean o di m ettersi
P assarino e B ellocora uno sacco per uno in capo, a cci c h e dal
lacqua li cam p asse, cos la m attina con ragione fenno. E solfi*
citando P assarin o land a ch iam are. P assarin o, co l sacco in capo,
m ette fuori li buoi. P assarin o su bito m andati li buoi al pasto,
n andarono dove P assarin o d isse a B ellocora c h e si la scia sse
m ontare addosso. B ellocora, dopo m olto d ire ch e P assarino fatto
a v ea , d isse: Io sono con tenta; ma prim a v o ch e tu m i b aci il
cu lo . P assarino, ch e lam ore g li a v ea gi a ccresciu to il senno,
d isse ch era con tento. E sem pre piovendo, tenendo P assarino e
B ellocora il sacco in capo, alzandosi B ellocora li panni d irieto,
dicen do: Ornai m i ti lassa m ontare addosso, B ellocora disse: Non
forai, ch e m am m a m' h a d itto ch e io non mi ti lassi m ontare
addosso. P assarin o scornato non pu a ltro . B ello co ra , ritornata
a lla m adre, la m adre dim andandola q u ello ch e il d fatto aveano,
e lla risp uose, ch e P assarin o g li a v ea b aciato il cu lo e poi io non
v lsi ch e addosso m i m ontasse. La m adre d ice: B enedetta figliu ola,
or co s fo sem pre. B ellocora, ch e v ed e ch e la m adre lha lodata,
m ettendo in can zon e la persona di P assarino, quando fu tem po,
and a ch iam are P assarino, dicendo in can to: B aciaculo e sacco
in capo, m etti fuor li buoi. P assarino, ch e in ten d e, li buoi m and
a l pasco, volendo m ontare addosso a B ellocora. Ogni d pi v o lte
il cu lo g li b aciava, n m ai alcu na cosa da le i a v ere potea, nar-
248 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

rancio a N arda sua m adre ogni cosa e t ella confortandola ch e


ta l m aniera teg lia , e d i con tin u o B ellocora chiam ando P assarino
sem pre g li d icea: B aciacu lo e sacco in capo, m etti fiior li buoi.
Cadonna, ch e pi v o lte h a udito ch iam are il figliu olo a B ellocora,
parendogli m ale, ebbe P assarin o, dom andandolo d i tu tto. Passa
rin o g li d ice tu tto ci ch e B ellocora g li a vea fatto, e com e N arda
g li a v ea in segn ato. Cadonna, ch e h a ved u to lo strazio ch e a l fi
g liu olo era stato fatto, diliberando di ven d icarsi di ta l fatto, prese
una b ella borsa, e t a P assarin o la d iede d icen d ogli: M ostra questa
borsa a B ellocora, e t prim a g li di1, ch e tu vu oi m ettere il tuo
pincoro in n el suo conno, e poi g li darai la borsa. E quando ci
a v ra i fatto, non g li dare la borsa, e torna a m e, e t io t in segn er
q uello arai a d ire a ltro . P assarino, lieto , co lla borsa se n'and
a l pasco, m ostrandola a B ellocora. B ellocora lo prega g lie la dia.
P assarino d ice : L assam i m ettere lo pinco in n el conno tuo, e t io
te la dar. B ellocora, desiderosa della borsa, fu con tenta e las-
sossi ferrare, e piacendo a luno e a laltro, pi v o lte, prim a ch e
sera f sse, fenno il m estieri. C hiedendo B ellocora la borsa, P as
sarin o sen za d a rg liela se n and a casa e t a lla m adre raccont
tu tto. La m adre d isse: Or se oggim ai B ellocora ti d ir pi q u ello
ch e t ha ditto, tu di a lei, pinco in conno, e sa cco in capo m etti
fuor li buoi. Et posto ch e B ellocora non a v esse avu to la borsa,
n ien te di m eno, per lo p ia cere av u to , d isid erava a l pasco rito r
n are. E t lev a ta si, and a casa di P assarin o cantando e d icen do:
B aciacu lo e sacco in capo, m etti fuor li buoi. P assarin o cantando
risp u ose: P in co in conno e sacco in capo, m etti fiior li tu oi. La
m adre di B ellocora, ch e ode ta l suono, pens la sera dim andare
d el fatto, e andati a l bosco, B ellocora so llicitan d o P assarin o ch e il
pinco in n el conno m ettesse, P assarino [fh ] p resto a ubbidirla, n
pi daltro fra loro si ragion ava. N arda, la sera tornata B ello
cora, d ice q u ello ch e dir volea P assarino, quando d icea pinco in
conno e sacco in capo, m etti fuor li tu oi. B ellocora tu tto narr
fin e a q u el punto. N arda, c h e ved e la figliu ola a v ere m eglio im
parato ch e non g la vea insegnato, ordin c h e P assarin o fosse su o
m arito, e ved u te le p arti, senza can tare si denno poi buon tem po.
DE AVARITI A MAGNA 249

71.
[Trir., n 102].

DE A VARITIA MAONA.

A l tem po ch e la gu erra er a tra F irenza e P isa, fo in n ella


citt di P isa uno m edico nom ato m aestro P a cie di B arbaricina
nato, p er natura tanto avaro, ch e sp essissim e v o lte non m angiava
p er non ispend ere, e t sim ile la donna sua e l'a ltra fam iglia av ea
s am m aestrata in avarizia, ch e quasi com e lu i eran o a v a ri do-
v en ta ti. E t infra la ltre a v a rizie ch e il d itto m aestro P a cie focea,
s era c h e non ten ea fante neuno. E pi v o lte essendo da* su oi
am ici rip reso d ella avarizia ch e in lu i regn ava, e m assim am ente
d i non ten ere uno suo pari u no o du* ca v a lli con uno fon te al
m eno, lu i rispondeva (1 ) ch e non potre* ca v a llo ten ere c h e pi
d i fiorin i tren ta lanno non costasse, e t il fonte, sen za le sp ese
di salario, alm eno fiorin i q uin dici converr* pagare, s c h e pi di
cen to fiorin i ognanno sp en d ere g li con verr, dicendo c h e ca
v a llo non bisognava, p ero cch quando (2 ) bisogno fo sse ch e ad
a ltr i co n ven isse fuori d i P isa andare, ch e ta le p er bisogno il ca
v a llo e 1 fon te g li prestare*, e p er P isa poco si cu rava di ca v a llo
n di fonte, p ero cch sem pre il garzon e d ello sp ezia le non g li
v erre' m eno, e m eglio c h e io m i guadagni l anno q u ello ch e
i ca v a lli e *1 fonte consum assero, c h e tristam en te spender li fio
rin i cen to Tanno p er serb arli a c h i bisogno nar. L i am ici, ch e
odono q u ello ch e m aestro P a cie d ice, cogn oven o di v ero c h e l a
v a rizia lo m ovea a ten er ta li m odi [e t] diliberonno pi d i ta li
co se non ragionarne, lassandogli fore d in ari a su o m odo. E tan to
creb be il guadagno d el d itto m aestro P a cie, ch e pi m igliaia di
fiorin i guadagnati ebbe. E crescen d ogli i dinari, g li crescea la
varizia, in tanto ch e p er tu tta T oscana era sparta la n ovella
c h e m aestro P a cie era ricco a fondo e t era avaro p i ch e M ida,
c h e d el suo v ed ere si potea, m a non to ccare. E dim orando per
questo m odo, ce rti om ini a tti a ru b are d el contado di R ecanato;
sold ati d el com une di F iren za, avendo sen tito quanto m aestro 12

(1) Ms.: rispondendo.


(2) Ms.: quine.
250 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

P a cie da P isa era ricco e avaro, diliberonno con un b el m odo


gran p arte d ella sua roba a v ere. E dato tra loro ord ine d el m odo,
com e m ercadanti si vestirono, e p er la v ia di Siena a P isa ca
valcaron o on orevilm en te v estiti, [essend o] om ini dun m edesm o
luogo n ati. E g iu n ti in P isa e t a llo g g ia ti all'alb ergo del cap p ello,
q uin e u a ll'o ste disseno ch e li fecesse fare b en e ad agio, dando
suono d 'esser m ercadanti di m olte m ercan zie, l'o ste , c h e ono
r e v ili e con buoni ca v a lli li h a ved u ti, e p er lo buono pagam ento,
li lhcea ben god ere. E dim orati alquanti d ie, luno di loro, som i
g lia n te di m agrezza a m aestro P acie, m aliziosam ente si fin se in
ferm o. Li com pagni disseno a ll'o ste ch e di un buon m edico avean o
bisogno p er la m alattia del loro com pagno. L oste d isse m aestro
P a cie esser buono. C oloro, c h e a ltro non cercavan o, d issero a l
l'o ste c h e con loro andasse tan to ch e sap essero il cam ino. L 'oste
li condusse a casa e t a b ottega di m aestro P a cie, d ove trovan
dolo, a l com pagno lo m enarono, m ostrandosi m olto m alato. M aestro
P a cie, tastan d ogli il polso, d icea : P oco m ale m i p a re c h e abbi;
lo inferm o d icea : P er certo, m aestro, se voi di ta l m alattia, q u ale
io h oe, non m i g u a rite, non so ch i gu a rire m i debbia n possa.
L i'com p agni d icen o: D eh, m aestro P a cie, stu d iate ben e in aa
lien o e t in A vicenna, in M ezu e t in Ipocrate, non si d im en tich i
an ch e (1 ) in n ell! a ltri lib ri, sicch il n ostro com pagno p er v o i
sia gu arito, e t a ccio cch in ne* d itti lib ri p ossiate stu d iare, te n e te
a l p resen te q uesti d ieci fiorin i, a ccio cch tosto c e n e fa cciate lie ti.
M aestro P a cie, ch e v ed e fiorin i d ieci, ra lleg ra to d isse: P e r o e r to
io d iceva m ale da prim a, p erocch a m e p are a v a le abbi q u el
m ale ch e d ici ; dicendo: Io ordiner di buone cose, sicch co lla
grazia di Dio tosto v e l ar dato gu arito. E t p artitosi, a lla b ottega
se n and ordinando di m olti co n fetti. Li com pagni tu tto pagando,
dicendo a m aestro P a cie c h e spesso so lliciti di v isita re lo inferm o,
lo m edico cos fa. e t era tanto assecurato m aestro P a cie ad an
darvi a ogn ora per li fiorin i ch e ogn i d toccava, ch e pi d i
vin ticin q u e fiorini a v ea a vu ti forse in otto d e lo sp ezia le p i
di d ieci, e T ostieri pi di v in ti, ch costoro non arenn o sap uto
ch ied ere cosa ch e non l a vessero avu ta. V edendo un giorn o li
com pagni ch e un bel tem po s era m esso, d issero al m aestro P a cie
ch e a loro parea eh e l m alato si p otesse orm ai con ten tare e t in
cataletto portarlo fuora ( 2 ). E lo m edico d ice: E cos p are an co 12

(1) Ms. : / c h e .
(2) ]\K: p o t e r e .
DE AVARITI A MAONA 251
a m e. Di c h e eliin o d icen o a llalb erg a to re ch e faccia conto di
ci c h e avu to avean o e pagato lu i e l m edico e lo sp eziale, m et
tendo in ord ine uno ca ta letto p er lo d seg u en te, pregarono ( i )
il m edico ch e g li p iaccia prim a di v en irlo a ved ere p er d are
ord in e d ella v ita ordinando alcu n o co n fetto ristoratorio. E t co s
si segu io. M esso in a ssetto o gn i cosa e v en u to lo d ie seg u en te,
li com pagni, fa tti sella re li ca v a lli, e una bara ligaron o (2 ) in su
du ca v a lli per m odo fo rte con uno m atrassino e pium accio a c
con cio, ch e d en tro v i si possa agiato sta re con una co verta di
sopra, sa lv o un poco donde la testa sta r sen za cop ertu ra. Et
com e tu tto fu in assetto, uno di loro and p er m astro P a cie, di
cen d ogli c h e reg n a a ved ere lo nferm o. Lo m aestro, c h e non
a v ea fan te neuno, con q u ello com pagno all'alb ergo se nande,
e com e li a ltri videro v en ire il m edico, d isse ) a llo ste c h e con
lu n o di loro an d asse a llo sp ezia le p er con fetti, avendo inform ato
co lu i ch e and ch e tanto lo ten esse a bada ch e loro avessin o
fornita la loro faccen d a. E t co s lo ste a llo sp ezia le se nand con
uno com pagno. M aestro P a cie guidato in n ella cam era dove per
sona non era se non d i q u elli com pagni, e giun to ch e q u in e fu,
subito cacciand ogli la m ano alla gola labbavagliarono con lig a rg li
le m ani e i piedi, e t in volto in uno p iliccio n e in un len zu olo, in
scam bio di co lu i ch e nferm o s era fatto, gi p er la scala lo por-
tonno, in n ella bara lo m isero, e t cop erto m olto bene ch e neuno
v ed ere lo potesse, m ontarono (3) a ca v a llo . Intanto lo ste con
q u ello com pagno venuti d allo sp ezia le con con fetti, prendendo
com m iato d alla fam iglia d elloste, pregando lo ste ch e con loro
andasse fin e alla porta, a ccio cch la v ia in segn i loro; l'oste d isse:
V olen tieri. Et m ossi d a llalbergo, verso porta San M arco se nan
darono, e t com e a lla porta funno g iu n ti, loste d isse a guardiani
ch e quello era uno m alato e pass via, e t uno di q u elli com pagni,
m ettendosi m ano alla scarsella, n e trasse du fiorini dicendo: Uno
di questi ch e sia tuo per un paio di calze, e laltro darai a
m aestro P acie c h e se ne com peri un altro paio; e raccom andati
a Dio cam inoro verso M arti (4). E quando funno presso a G astei
d e l bosco, dove si teneano sicu ri, aven d o quasi passato il terren o
di P isa, dislegarono il m aestro P acie, et in su uno cavallo lo 1234

(1) Ma. : pregando.


(2) Ms.: ligata.
(3) Ma.: montati.
(4) Cos nel ms.
252 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

m isero sen za lev a rg li b avaglioro e co n d u ssero in d el V aldarno,


l u q uine lo dislegarono e t facendogli onore assai, a ccio cch
d in ari facesse assai v en ire, lo ten ean o a buona gu ard ia. Lo ste,
c h ritornato dentro in P isa, andato a rich ied ere m aestro P a cie
p er dargli q uello fiorino, lass (1) a llo sp eziale la nbascata ch e
se tornasse g li avea dare uno fiorino, et cos tu tto l di pass.
V enuta la n otte, m aestro P a cie non tornando a casa, la sua fa
m iglia stim ando fu sse alla bottega, lo sp ezia le c h e m olti ch e
avean o del m aestro rich iesto m andava a casa p er sap ere q u ello
c h e di m aestro P a cie fu sse, e non trovand osi, n andarono a la l
bergo, dove l oste [d isse] ch e quine non era stato se non quando
lo nferm o si parto. E t non potendosene sap er n u lla , la n o tte n e
stenno in grande p en siero. M aestro P acie, ch e si ved e essere
m al condotto, prega q u elli ch e preso lhanno ch e la persona g li
salvino, e ch e di dinari dare' loro tanti ch e riccam en te potranno
ad agio stare, dicendo : Io per a v arizia non ho voluto ten er fante,
e t io com e fante sono stato trappato. L i com pagni, ch e sapeano
ch e m aestro P acie potea agiatam ente pagare fiorin i sei m ila, dis
sero: N oi siam o sei e t per vogliam o subito per ciascu n o fiorin i
m ille. Lo m aestro, ch e avea disid erio du scire loro d a lle m ani
per ritorn are a P isa, [d isse] c h era contento, e fatto una lettera
ch e in F iren za ta li d in ari fusseno pagati e m andata a P isa a lla
fam iglia e a parenti, p restam en te li dinari pagati (unno, e m aestro
P a cie tornato a P isa, p er la n ovella contata dispuose poi di v o
lere di continuo ten ere du fam igli, a ccio cch seco in ogni la to
andassero p er non poter pi a forza essere riten u to . E t co s,
dopo il perdim ento d ellasino, la sta lla ch iu se.1

(1) Ms.: lassando.


DE INGANNO IN AMORE 253

78 .
[THt., d* 108].

DE INGANNO IN AMORE.

N el tem po di G rim aldo g iu d ice in A rborea fu una donna v e


dova nom ata M anta, donna g i stata del signore di C astri, la
q u ale donna per la su a b ellezza e senno en tr dam ore in n el
l anim o d el d itto G rim aldo, g iu d ice dA rborea, in tan to ch e fat
ta la dom andare p er m oglie, lei p rese, dandosi p iacere con ma
donna M anta alquanto tem po. E t essend o lo ditto sig n o re di gran d e
stato, tenendo co rte gran d e con ca v a lieri e fam igli, com e i grandi
sign ori fare sogliono, av v en n e q u ello ch e D ante m ette ch e la
m ore a l cuor g en tile ratto s apprende. T ale am ore a l cu ore duno
a cco n ciatore di ca v a lli sapprese, in tan to c h e non guardando
ta ragazzo sua con d izione, d ella donna di G rim aldo sinnam or
p er ta l modo, ch e a ltro ch e p en sare q uello ch e alla d itta donna
fu sse in p iacere non era lanim o suo. E t allora si parea beato
quando la donna ca valcava il ca vallo ch e lu i co n ciava, andan
d ogli a p i sem pre alla staffa, e com e le toccava i panni, lam ore
p i rinfiam m ava, in tan toch non potendo a llam or durare, d ili
b er dover p iuttosto m orire ch e in ta le stato rim anere. Et co-
gn oscen d o p er lettere o im basciate c h e a le i m andasse n ien te
g li se r e valu to, e t anco se da s g li a v esse il suo d esiderio appa
le sa to piuttosto la speranza g li sere fa llita , p er a ltro m odo pens
ad em p iere il suo d isid erio. E t una sera sen za lum e nascoso in
u na sala, dove da q u ella in n ella cam era d el sign ore e t in n ella
cam era d ella donna en tra re si potea, si puose spettando rim edio
a l suo fatto. E t non m olto tem po dim or d ella notte, ch e Gri
m aldo a llu scio d ella sua cam era, in volto nudo in un m antello
gra n d e con una can d ela accesa in m ano e con una m azzuola,
g iu n to a llu scio d ella cam era d ella donna, du* v o lte percosse l'u scio
d ella cam era. La cam era da una cam eriera ap erta, lu i entrato,
sp en se (1) il lu m e. G rim aldo, en trato in n el letto , colla donna si
d i p iacere. Il ragazzo, ch e tu tto h a veduto, d ordine di a v ere
u n o m antello e una can d ela e una m azzuola, e la n otte seg u en te,1

(1) Ma.: prese.


2 54 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

non potendo pi lam ore cela re, in n ella preditta sala di d si


n ascose, e t ven u ta la n otte con una p ietra e con a ccia io , ch e
portato seco a v ea , fece del fuoco e t la candela accese, e t in volto
nudo in n el m an tello co lla m azzuola alla cam era d ella donna di
G rim aldo nand e t p ercosse du v o lte. Una cam eriera tu tta son
nacchiosa la cam era ap erse e t il lum e d i m ano al ragazzo lev,
credendo ch e fusse G rim aldo. E ntrato in n el letto , m ostrando al
quanto corru ccioso, sen za p arlare pi v o lte la donna fo rn o ; e
poi tra s dicendo: E m i p otre lo troppo stare co sta re caro,
posto ch e m alvolen tieri dal d isiato d iletto p artir si sap ea, dili
ber una volta p ren d ere p iacere con m adonna M anta e p o i par
tirsi (1) e cos e f. M adonna M anta, ch e stim a essere col m arito,
n ien te g li d ice, p erch le pare sia alquanto pensoso. L o ra
gazzo, rip reso il m an tello e l lum e, d ella cam era u scio e t in una
gran sala sopra la sta lla co lli altri ragazzi a dorm ire se n e and.
G rim aldo, stato alquanto, u scio fuori d ella sua cam era e t a quella
di m adam a M anta se nand, e p icch iand o g li fu aperto, e t en
trato in n el letto, m adonna M anta d isse : D eh m essere, c h e avete
in p en sieri stan otte di fare, ch e poca ora ch e qui v en iste e
o ltre lu sato m a v ete contenta? E p ertanto v i p rego ch e non vo
g lia te tan to seg u ire la volont ch e d ella persona vi g u a stiate,
ch v i de b astare stan otte a v ere avu to m eco a fare s e i volte,
ch e non so quando v i d iven isse, e t io, p erch io v i ved ea m alin-
conoso senza p arlare, v i lasciai fare tu tto ci ch e v o leste, e per
v i prego ch e per stan otte pi fare non v o g lia te. G rim ald o, che
ode la donna sua q u ello ch ied ere, stim ch e a ltri in m odo che
lu i v e n ir e d ovea. P er non vergogn are s n la donna, d ic e : Tu
dici bene e t io cos vo fare. E t p artitosi cos, stim d ella fam iglia
esser colu i ch e ta l cosa fatto avea, e t pens fra s dicen do:
Q uello ta l cosa fatto ar, non g li sar ancora la paura u scita dal
p etto; e t subito se nand in n ella ditta sala, dove m o lte letta
erano, dove i ragazzi e li a ltri dorm iano, e com inciando a cer
ca re a uno a uno, non trovando q u ello ch e trovare volea, v en n e a
quel ragazzo, ch e pi v o lte a vea diliberato fra s m olti p en sieri
vedendo quel sign ore, u ltim am en te diliber fare v ista di dorm ire.
Et G rim aldo, com e la m ano g li m ise a l petto, trov ch e *1 cuore
g li battea ch e parea v o lesse u scire del corpo, e su bito fra s
d isse: Io ho trovato colu i ch e io volea, e t p er non fare rem ore

(1; Ms. : partitosi.


DE INGANNO IN AMORE 255

e t p er non vergogn arsi, stim p er nuovo m odo farlo m orire. Et


subito preso d ellongosto, ch e in uno calam aio quine era , e' in
su l co llo sopra a* panni [lo ] tin se, dicendo: D om attino cognoscer
co lu i c h e M anta s'ha goduto in m io scam bio, e p artissi. Lo ra
gazzo, c h e h a sen tito e ved u to q uello ch e G rim aldo avea fatto,
p ens a l suo scam po, ch lev a to si e preso l ongosto tu tti li a ltri
ra g a zzi e fam igli in q u el m edesim o lu ogo sign. La m attina Gri
m ald o, prim a ch e le p orte d el palagio siano ap erte, fe' davanti
a s v en ire tu tta la fam iglia e raguardando p er q u ello ch e se*
g n ato avea, ved en d oli tu tti seg n a ti, d isse fr a s: C olui ch e in
m io lu ogo con m adonna M anta si trov, h a trovato savio modo
c h e io non possa sap ere ch i . E cognoscendo ch e vergogna
gra n d e g li era v o ler sap ere ch i sta to fosse, e t a n ch e ch e sim ile
v en d etta non salvava lo suo onore, e t an co stim m adonna M anta
n on esse re stata con sen zien te, c h sem pre e lla avea stim ato e
stim a v a con G rim aldo essere stata, d isse: Se a ltro sen tire vo
le sse , le i poter d im ostrare per l'a v v en ire esser con ten ta, di liber
ta c e r e , e d isse : Chi lh a fatto di voi noi faccia p i . L i ragazzi,
e h e n ien te sanno, d icean o fra loro : Or ch e vorr d ire lo signore?
C olui ch e fatto lavea ten n e segreto, n m ai si trov ch e la for
tu n a la v esse a si fatto punto m esso com e fatto la vea.
256 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

73 .
[T it ., 104].

DE IN V ID IA .

N ella nostra citt di L ucca, a l tem po ch e m esser M arco V isconti


di M ilano la lass in pegno a* ted esch i, m olti cittad in i L u cch esi
p er m ale stato di L ucca si partirono, in fra q uali fu uno m esser
B artolo di Bocca di v a cca ca v a lieri, il q u ale si condusse in n elle
terre di m esser M astino d ella Scala, sign ore di V erona. E t quine
prendendo una casa p er p oter la sua v ita sen za m olta spesa
passare, stato alquanto tem po il d itto m esser B artolo in V erona,
fu p er alcu n o cogn oscen te di d itto m esser B artolo parlato a
m esser M astino dicendogli ch e b en e era ch e di grazia a l ditto
m esser B artolo u na podestaria g li d esse, in q u alch e terra a lu i
sottoposta. M esser M astino, p er le p reg h iere d ello am ico m osso,
in uno suo ca stello nom inato M arciano g li d i officio, nomando
velo podest con certo salario. M esser B artolo, ch e di ci av ea
bisogno, allegram en te (1) accep t, prom ettendo far buono officio,
e t andato a llofficio, e pens, com e L ucch ese, c h e il giu oco d e
dadi in n ella terra n di fuori p er neuno si faccia. E m andatone
il bando con gran pena ch e giu ocare a dadi non si debbia, fa
cendo cerca re spesso, d iven n e ch e alquanti g en tili ca v a lier i e
a ltri ch e usi erano di tal giuoco, lam entandosi ch e s strettam en te
li avea rid u tti, e n ien te v a lea, m esser B artolo non volendo
lor con sen tire ch e ta l giuoco facessino, diliberonno a ta u le g iu o
care, e non essendone m andato bando com inciarono a giu o ca re.
Lo podest, ci sentendo, fece m ettere bando ch e nessun g iu o co
di ta u le si possa fare. Gli g en tilo tti e t a ltri, ch e di giuoco si di
lettavan o, dolenti di si fatti com andam enti, e t poco valendo, si
redusseno a giu o ca re a sca cch i coi dadi e t a llo sin ig lieri coi
dadi, e quine si davano p iacere con giu o ca re in poca e gran
som m a. M esser B artolo, ch e i giu o ch i di prim a avea fa tti v ieta re
pi p erch lu i non era om o da neuno p iacere e t v o lea c h e
a ltri com e lu i fu sse di sollazzo n etto, e sentendo ch e a l g iu o co
d elli sca cch i e t di sin ig lieri tra la g en te si tr a stu lla v a , p en s
ta l d iletto via lev a re. E rim andato bando ch e a neuno g iu oco,
dove dadi sadoperasseno, giu ocare non si potesse, li g en tilo tti

(1) Mb.: a ltr a m e n te .


DE INVIDIA 257

m orm orando di tan ti com andam enti, tra loro diceano : Lo podest
de* esse re di q u elli di santa L uchisen d a, ch e non volendo n sa
pendosi p igliare p iacere, non vorre* ch e a ltri se ne pren d esse.
E t avendo ta n ti com andam enti addosso, diliberonno darsi p ia cere
a sca cch i e t a sin ig lieri sen za dadi, dicendo tra loro : Ornai m esser
B artolo c i la sser stare, e ta l giuoco giuocarono dassai e di poco.
La m aled etta in vid ia d el podest non potendo p atire ch e a ltri
si d esse p iacere, f* d ivieto ch e n a sca cch i n a sin ig lieri giuo-
ca re non si possa. Li g en tilo tti con m orm oram ento dicean o al
podest: P erch ci v o lete ten ere si s tr e tti, ch e alcu n o p iacere
p ren d er possiam o ? Or com e sono li om ini di L ucca d ella vostra
con d izione, ch e non potendosi d are alcu no p ia cere non vogliono
c h e a ltri se n e dia ? Lo podest d isse : S , e t per non vo* ch e
a ta li g iu o c h i, di ch e h o m andato il b a n d o , si giu o ch i. Li
g en tilo tti, udendo s tristam en te p arlare il podest d ella su a terra,
l'ebbero sp acciato p er una zucca v o ta , diliberando nondim eno
osserv a re li su oi bandi, m a p er a ltro m odo p ren d ere p iacere. E
com incionno a giu ocare a lle n occiole e poi a lla p iastrella e t a lla
p alla e t a cotali giuochi dossa e di trottole, com e li fan ciu lli
fa re sogliono, con m ettere dinari assai e t p och i, secondo ch e di
lo ro p ia cere era. Lo podest, ch e crep a d 'in vidia c h e ved e ch e
a ltri si prende p ia cere ora a un m odo ora a un a ltr o , d ilib er
ta li giu o ch i d iv ie ta r e , m andando il bando ch e i g iu o ch i n u o
vam en te com in ciati fare non si possano. Li g en tilo tti d isseno:
Ornai c i con verr filare com e le fem m ine, p oich tu tti li d iletti
ch e li om ini p igliare sogliono questo nostro m ontone m arem m ano
di podest ora c i ha d ilevati. Et non potendo pi darsi p iacere,
uno gen tilom o a lleg ro d isse a lli a ltri: P o ich tu tti i giu o ch i ch e
fiatti avevam o (1) ci sono to lti, e io v e n e vo* dare uno ch e
1 podest to llero non v i potr, dicendo : Chi ha voglia di giu ocare
v eg n a fuori m eco e q uine v i m ostrer il modo ch e giu o ca re po
tr e te sen za pena e ta l giu oco m olti giu ocare potranno. U dito li
a ltr i q u ello ch e q u el gen tilom o avea ditto, di f ria pi di cen to
s i m issero e d irieto a ta le nandarono, e com e fanno fuori an dati,
a una m eta di paglia s accostarono d icen do: O gnuno ch e giuo
c a r e v u o le m etta q u ello g li p iace ch e egu alm en te si m etta. Di
c h e accord ati pi di loro a m ettere q uattro grossi p er uno, lo
g e n tile om o d isse: Q ualunque tra e m aggior p aglia di q uella m eta 1

(1) Ms.: aoeano.


258 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

con du dita guadagni tu tti q u elli d in ari accord ati. Com inciarono,
e q u ello c h e m aggior paglia tra ev a v in cea . P iacend o a tu tti il
giuoco, si d iv isero e per tu tta q u ella contrada eran m oltissim i
ch e a ta l giu oco giuocavano. Lo podest, c h e h a e ved u to andare
m olte p ersone in fretta di fuori, pens ch e ta li frissero iti per
p ren d ere p ia cere, p oich giu o ca re non poteano. Con inten zion e
ta le p ia cere lev a re lo r via, e* com and ( ) ad alquanti su o i fa
m igli ch e a v ed ere andassero. I fam igli, g iu n ti d ove i gen tilo tti
erano a giu ocare a lla p aglia, vedendo m olte b rigate e n on po
tendo loro n ien te d ire, tornoro a l podest, narrando il p ia cere
ch e q u elli si davano e t il b el giuoco. Il podest, ci udendo, non
potendo pi sosten ere, fe com andam ento c h e a neun m odo giuo
ca re si possa, ch e co lle m ani e co' piedi neuna cosa ch e a giuoco
appartegna to cca re si possa. Li g en tilo tti, ch e tu tto h ann o perduto,
disseno : Ornai ci sotterriam o v iv i, p oich tu tto c stato d ilevato
nostro d iletto. B sta ti p er ta l modo, uno gen tilom o voluntaroso
di p ia cere d isse: N oi possiam o g iu ocare sen za pena e n on toc
ch erem o n ien te. Il modo si questo ch e tu d ich i prim o tu o a
un fiorino e l'altro dica io son contento, e t andiam o p er la via,
e l prim o c h e noi troviam o dim andisi d el nom e se cogn oscere
non si pu p er noi e ta l nom e sia di ta le ch e h a d itto prim a
m io, e poi il secondo, e t allora ch i g li pare a v er m ig lio r nom e
in v iti e rin v iti qual prim a sa . Subito andando p er la te r r a , giuo
cavano con tanto p iacere, ch e parea ch e tu tta l'a lleg rezza frisse
in loro, quando scon travano li nom i dell'u n o e d ell'a ltro . M es9er
B artolo, ch e sen te ora in una contrada rid ere ora in n ell'altra,
v o lse sap ere il p erch , e t com e di m al san gue pens ta l diletto
di lev a re e t d iv ieto llo (2). [V edendo] ch e tu tto il p ia cere era
tolto p er invid ia, dispuoseno que' g en tilo tti di an dare a m esser
M astino ch e a ci prendesse riparo ; e g iu n ti dinnanti da lu i, dis
puoseno q u ello ch e m esser B artolo a v ea fatto in n ell'o fficio a
lu i dato. C ognoscendo ch e p er in vid ia d el ben e ch e ad a ltri vedea
ta li leg g i fe tte a v ea , m esser M astino, com e savio, cognobbe il po
d est essere da poco, lo d ilev dell'officio, n m ai da lu i offici
poteo a v ere. Et a quei g en tilo tti d i licen zia ch e p iacere si pren-
desseno, non facendo ad a ltri oltraggio, sem pre adoperando in
n el giuoco d iscrezion e; e ritorn ati si denno buon tem po e t m esser
B artolo colla invid ia si steo e con q u ella tristam en te m orio.(i)

(i) Ms.: comandato. (2) Ms.: divietato.


DE LUNGO INGANNO 259

74 .
[T iir., a* 105].

DE LUNGO INGANNO.

N el tem po ch e m esser G iovanni d ellA gnello Ai sign ore di P isa,


-du m archiani nati d ella terra d'A ncona (li nom i non m etto
p erch sp esse vo lte si fanno ch iam are a un modo e t poi a un
a ltro , m a ben dico l'uno esser giovano e l'a ltro di settan ta anni
v ec ch io ) si m ossero dA ncona p er ingannare e p er rubare e t in
n e lle p arti di T oscana preseno loro cam ino. E prim a ch e giun
gon o in q uello di F iren za, pi e pi p ersone con loro m alizia
ingannoro. A vvenn e ch e essendo eglin o in F iren za, dove com -
pronno a lcu n e m ercan zie, fra le quali , fu una b ella sca rsella et
u na cin tora di cuoio, con ta li di F iren za si partirono, venendo
v erso P istoia. Era, in quel giorno ch e p red itti giun sen o, in P istoia
v en u to uno giovano p istorese ab itan te in P isa con Sim one B e
n ed etti sp eciale, nom ato Lem m o, il q uale da P istoia s'era m osso
e cam inato verso S. M iniato, F irenza e P rato, e venuto a P i
a to la p er rico g liere dinari p er lo suo m aestro. Et p erch era
a ssa i sim p lice, essendo a una bottega di sp ecia le, dove q u elli du'
m arch ian i erano, il preditto Lem m o cavando fuora li dinari r i
vuoiti innom erandoli, p er q u elli du' funno ved u ti. E t in v estig a to
d ella .via ch e '1 d itto Lem m o fare d ovea, seppeno la sua via esser
v e r so L ucca. Di ch e T preditto v ecch io e '1 giovano m archiano
d i P istoia uscirono, dando loro cred ere com e in n ella n o v ella
se n tir e te . Il giovano m archiano si parto e cam in verso S erravalle,
h e a ltre v o lte p er sim ili m estieri v era stato, e q uel v ecch io s i
ferm a llo ste di fuori di P istoia aspettando Lem m o con una
canna in m ano. E t non m olto tem po dim or, ch e Lem m o da P i
sto ia a p i u scio, e ven u to presso a lloste dove trov quel vecch io ,
che g li d isse (1) dove fusso il suo cam ino. Lem m o, c h giovano
d i tu tte cose, d isse: V erso L ucca. A cu i il v ecch io d isse: Io pur
h o a v en ire verso L ucca e t non potrei a v er e m igliore com pagnia
h e la tua, per ch e tu m i pari persona da bene e t teco non
p o tr m ale a rriv a re. Lem m o, ch e g li pare av er trovato buona

-(1) Ms.: dicendogli.


260 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ventura, allgram en te d isse: A m e p iace la vostra com pagnia,,


ch e potrem o andare a nostro b ellagio ; e fattosi dare b ere alla
ta v ern a , cam inarono verso S erravalle, andando questo v ecch io
di parola in parola scalzan d olo d el m estiere ch e ia cea e com e
giovano era am ato dal suo m aestro, e tan te buone co se g li in
segn ava, ch e Lem m o tu tto sappicc a d irgli i m odi, la via , i di
n ari rico lti avea, e com e addosso li portava a P isa, m a ch e
prim a g li con ven ia essere a L ucca, dove rice v err e m olti dinari.
Lo v ecch io d ice : Io taccom pagner fin e a P isa, p oich a Lucca
rim an er non di. G con q u este e sim ili parole funno g iu n ti a l
m ezzo il poggio di S erravalle, dove, p er una via ch e a ttra v er
sava a q u elle v ign e e terre, lo giovano m archiano di sop ra d itto
ven ia m orm orando e b ia sim an d o, tanto ch e giun to fu d ove era
Lem m o e q u ello v ecch io . E vedendolo quel v ecch io : D eh, gio
vano, ch e v a i cos lam entandoti? sere ti stato fatto alcu n o ol
traggio? d iccelo, ch e noi ci guarderem o. Lo giovano m archiano
d ice: U no villan o lavoratore mi dom andava se io q uesta cintora
e sca rsella v o lesse ven d ere, e t io d icen dogli di si, m ha profTerto
du grossi, ch e mi cost quattordici in F iren za e t p er q uesto mi
sono tanto corru cciato. Lo v ecch io d ice : T u fai m ale ; com e non
licito altru i profferire q uello v u ole ? g i non te lha e g li tolta.
Lo giovano d isse: Io non m e n e posso dar pace, a d ire c h e quei
v illa n o m e nabbia profferto du g rossi. Lo v ecch io d isse : Deh,
m ostram ela a m e; forse, se m e n e vorrai far p iacere, io la com pro
p er uno m io nipote ch e sta a L ucca, e piacendom i ch e n e vuoi ?
Lo giovano d ice: lo n e v o alm eno dodici grossi fioren tin i. Il
v ecch io d ice: Ora non mi corru ccio io, ch e t odo d ire tan to gran
pregio, ma io ti vo dare quattro grossi. Lo giovano d ice: Deh,
v ecch io m arcio, non ti vergogni ch e di sap ere d el m ondo quanto
un altro, ch e pensi ch e questa sca rsella e questa cin tora non
debbia costare q uello te nho ch iesto . Lo v ecch io d ice: Chi non
dom anda la buona derrata non la trova, e per, se m e la vuoi
dare p er quattro grossi, io la prender. Lo giovano m archiano
iroso d isse: Io la g io ch erei.in n a n ti ch e io la ven d essi. Lo v ecch io
disse : Io non so giocare a neuno gioco. Lo giovano d ice: E tu
ti fe fe re il gioco al com pagno tuo. Lo v ecch io riv o lto a Lem m o
d ice : Sai cogn oscere li punti d e dadi ? Lem m o d ice : S, m a io
non so giocare. Il v ecch io dice: Or veggiam o a ch e gioco vorre
costui giocare. E dim andato il giovano m archiano se lu i avea
dadi, lu i d isse di no. Lo v ecch io , m ettendosi la m ano in uno car
n ieri, disse: Stam ane, essendo in una tavern a, un dado mi pei'-
DE LUNGO INGANNO 261
cosse la m ano e t io lo co lsi e in n el ca rn ieri m al m isi. E trattolo
fu ori : Ornai con questo dado m i di' a ch e m odo la sca rsella gio
c a r e v u oi. Lo giovano d ice: A ch ied ere a l punto. D isse il g io
van o : Io ch ieg g o sei. Il v ecch io d ice : Et io an co v o sei. Lo
g io v a n o d ice: Io sono con tento. Lo v ecch io d ice: Or com e pu
e sse r e sei du v o lte in uno dado? Lo giovano, com e sciocco, d icea:
Io ar sei e tu arai tre, d u , uno, ch e fa sei, e a questo modo
potrem o g io care. Lo v ecch io disse: T u m i pari un b e c c a m o , io
non v orrei essere ingannato; dim m i un'altra v olta q u ello c h e io
aver debbo. Lo giovano d ice: Tu abbi tr e, du', u no, ed io vo' sei.
L o v ecch io d ice : Or se v ie n e uno o du' o tre ar vinto? Lo
g io v a n o d ice: S , qualunque di q u elli tre punti v ien e, arai vin to.
Lo v ecch io d ice a Lem m o: C ostui m i pare una b estia a d ire
c h e m i d tre punti e lu i n'abbia uno; ch e te n e pare? D ice
Lem m o: Di vero v oi a v ete gran van taggio di non poter m ai
p erd ere. Lo v ecch io d ice: P a rti ch e io abbia a gio ca re q u ella
sca r sella con lu i a questo m odo? Lem m o d ice di s. Lo v ecch io
-cav fuori quattro grossi e d isse al giovano m archiano : Io sono
co n ten to com 'hai d itto ; e m esso a uno grosso dicendo sei, lo
g io v a n o gittan d o g itt tre. Il v ecch io d isse: Io h o vin to. Lo g io
van o d isse: Tu m 'hai uno grosso e p rese il v ecch io il dado. Lo
g io v a n o d ice: S ei a tre g rossi. Lo v ecch io g itt e ven n e asso e
disse: Io ho vinto, e p rese la sca rsella e la cin tora. Il giovano
tra sse fuori una m anata di grossi dicendo: P o ich giocato h o la
sc a r se lla , a v a le gio ch er de dinari. Lo v ecch io d isse: Q uesti
q u attro grossi vo' p erdere, e d ice a Lem m o : Fam m i il gioco ch e
n on m inganni. Lem m o d ice: F a te pur bene. E t giocando, in
p o ch e v o lte lo v ecch io ebbe vin to al giovano pi di cen to grossi
fio ren tin i. Lo giovano tra sse fuori una gran pugnata di fiorini
n u o v i di zecca dicendo: Io ar oggi il m al d, o riv in cer la
m ia sca rsella e t i grossi perduti. Lo v ecch io disse: Tu m e tien i
p e r paura, io non vo' pi giocare. Lem m o d ic e: P er certo voi
a v e te gran vantaggio. Il v ecch io , tiratosi da parte con Lem m o,
d ic e : V ogliam o v in cere a costui q u elli dinari e d elli a ltri e fac
cia m o a parte? Lem m o, ch e g li pare a v ere gran van taggio e
n on sa n ien te d ell'ordin e dato tra loro, d isse: G iochiam o vin ti
fio rin i p er uno. E tratto Lem m o fiorini vin ti, il v ecch io a ltret
ta n ti, giocando e m ettendo uno o du fiorini alla volta, il v ecch io
v in c ea , e t di puoi quel giovano, com e di rabbia pieno, m ettea
v in ti e vin ticin q u e fiorini a l tratto. Lo v ecch io g ittava dicendo:
Q u esta posta buona, e avea m utato dado e g ittava sei, e q uello
262 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ch e in d ieci poste vin to a v ea , du tan ti n e perdea ; e per questo


modo trasseno di m ano a Lem m o fiorin i ottan ta, e pi ne gli
arebbeno tra tti, se non ch e lu i d isse: Io p o tr e rim an ere diserto.
Lo giovano m archiano si ritorna p er quella v ia donde a loro
ven u to era, girando il m onte p er trovarsi alla p iev e a N iev o le.
Lo v ecch io con Lem m o m ontano la sa lita , m ostrando m alinconoso,
d icen do: D i, Lem m o, cred i ch e la fortuna nabbia con d u tti, a d ire
c h e tu tte le poste grosse m ai non n e potem m o una v in cere,
con tentand oci d elle p iccole per i v in ti di lu i, ch e p er certo , se
noi avessim o avu to a g iocare pi, io a rei sem pre m esso le poste
com uni e t cosi arei fatto patto con lu i. Lem m o d ice: Di v ero , se
e g li a v esse g ittato quando tali poste ci m ettem m o, io a r e i sti
m ato d a v esse m esso m al d ado; e cosi ragionando fu n no agli
alb ergh i d ella p iev e N iev o le, l dove il v ecch io d isse a Lem m o
ch e per la sera p artire non si volea. Lem m o, ch e ha m alinconia
grande, lo raccom anda a Dio, e dilu n gatosi alquanto, g li ven n e a
Lem m o pensieri ch e coloro non fusseno com pagni, e riv o lta to si
adrieto, v id e dalla lu n ga il giovano ch e verso la sa lita (1 ) nan
dava e t v id e il v ecch io ch e verso lu i in cam era g li an dava. Da
tosi la v ia tra p i quanto poteo, al borgo a B uggiano g iu n se, et
rim esse la sca rsella e t la cin ter dove a v ea il resto de* dinari
in bottega di uno sp ecia le e t a lu i fattosi prestare u n a lancia
per trovare coloro ch e rubato l aveano, m alinconoso a l borgo
si ritorn, non dicendo a persona q u ello ch e in terven u to g li era.
E dorm ito in n el borgo la n otte, e t la m attina p artend osi, vide
verso P escia v en ire alqu an ti a cavallo. P ens v o lere i dinari
perduti e q u elli ch e avan zati g li erano so ccella re; e m issesi >
dinari in sen o, con uno co ltello la sca rsella cig lia to si, gridando
acco rrem o , voltolandosi tra la p olvere e t gridando forte. Quelli
da ca v a llo , fra* q uali era il vicario di P escia , tra tti a lle grida,
trovonno Lem m o in terra gridando. D om andandolo p erch gri
dava, lu i d isse ch e du persone l aveano rubato pi di cencin-
quanta fiorini, dando i seg n i, dicendo: Uno v ecch io di ta le fa
zione e uno giovano di ta le sono stati q u elli ch e rubato m hanno
e sonsi p artiti e t per questa v ia si son fu ggiti. La fam iglia del
v ica rio e l v icario in persona cercarono tutta q u ella cerb aia e
n ien te trovonno; e preso Lem m o, dopo m olte exam in azion i, con
fess il modo del gioco e p erch ta l grid a fatte avea, e [fu ] con-1

(1) Ms.: la talina , che non intendo.


DE LUNGO INGANNO 263

d o tto a P oscia, dove il v ica rio g li volea fare tag lia re la m ano,
m a p erch in P escia erano alquanti am ici e t cogn oscenti di Si-
m one B en ed etti, isp ecia le di P isa, ch iesero term in e fin e ch e
Sim one o a ltri v en isse. N otificato a Sim one la presura di Lem m o
e t il p erch , subito p er risp etto d ella patria e t a n ch e p erch suo
garzon e era, e t p erch [voleaJ q u ella m ano se g li cam passe (i),
con le tte r e d i ricom andazione e p reg h iere a bocca fatte a l vi
cario, la m ano se g li cam p, con p agare fiorin i cinquanta di con-
dannagione; e p er questo m odo g itt Lem m o il m anico d irieto
alla scu ra p er lo suo poco senno.1

(1) Ms. : e perche perdere non si potea con lui quella mano si li can
nasse, ove si raccapezzi chi buono.
204 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

75.
[T rlr., n 106].

DE MALITIA MULIERIS ADULTERA.

N ella citt di Y in e g ia , pi d inganni piena ch e d am ore e


ca rit , fu u na b ellissim a donna nom ata S antin a, nata duno gen
ti lom o da ca B ald, di ricch ezza poca, la q uale p er non essere
ricca, il padre m aritolla (1 ) a uno m ercad an te fiorentino facitore
di panni, om o ricco e t assai d ella persona ap pariscen te, nom ato
R analdo, il quale on orevilm en te la m en facendo b ella festa . E
stata m onna Santina alquanto tem po con R analdo, cognoscendo
s essere nata di g en til gen erazion e e t vedendosi m aritata a uno
facitore di panni, stim ta le om o non essere degno di a v er e per
m oglie una g en tile com e lei, e t pens ch e R analdo con le i ac
costare non si d ovesse se non isforzatam en te, e t un a ltro , ch e
a le i soddisfaccia, trovare m odo da v ere. E m olti giorn i la ditta
Santina si steo ch e vedendo uno om o det danni tren ta assai
p iacevole e g en tile, il cu i nom e la d itta Santina [non cognosceva,
cerc ch i m andare g li p otesse a farlo v en ire] (2). E s stim per
certo , non p otere con on esto m odo ta le im b asciata m ettere in
effetto, e crescen d o l am ore e la rabbia a Santina di v o lere che
il giovano am ato sappia q u ello ch e d esid era, dandosi a ved ere
dove il giovano am ato usava, trov ch e uno p rete di San Can-
sano nom ato p rete M ontone m olto con lu i trafficava com e am ico.
E posto g i ogni vergogna, Santina al p rete M ontone fe d ire che
con fessare si v o lea. Lo p rete p resto si puose in ch iesa a sed ere,
dove Santina da lu i si confess, e t av u ta la solu zion e, Santina
d isse: D eh, santo p r e te , io vi prego ch e una se c c a ia , ch e a
m e di continuo ogni d ie v ien e, m e la lev ia te daddosso, ch si
di n ecessit, p er salv a re il m io onore, ch e uno om o il q uale si
dim ostra vostro am ico non ricev a danno, e la cagion e si perch
pare c h e a ltra donna non sia in Y in egia ch e io, a darm i tanta
noja ch e Dio lo sa. E se non se n e rim arr, io aer costretta di12

(1) Ms.: maritandola.


(2) 11 testo dice: il cui nome la ditta Santina e a lui mandasse li potesse
fatto venire se non stimo. la questo guazzabuglio, per cavarne un senso,
conveniva metter le mani arditamente.
DE MALITJA MULIERIS ADULTERA 265

d irlo a l m io m arito e t a' paren ti. P rete M ontone d ice: Donna,


la ssa fare a m e, ch e io g li dir tanto, ch e di q u este co se pi non
s im p accer. La donna, im pitogli la m ano di d in a r i, a casa si
ritorn. Lo p rete su bito ebbe trovato lam ico suo, a ch i d isse c h e
faceva gran m ale a dare tan ta noja quanta dava a m adonna
Santin a da ca B ald. L am ico scu sa n d o si, lo p rete d ic e a g li(l):
T u non ti puoi scu sare, ch ella m edesim a m e lh a d itto e se
non ch e io lho tem perata e t ha m eco prom esso d i non d irlo a
fr a telli e t a l m arito, gi fa r e loro accusato, e p ertanto non vi
p assare pi. L am ico, ch e di n ien te di q u este co se sapea, fra s
stim q u ello c h era , dicendo a l p rete: Io non rip asser p i . E
p artitosi, subito p er la contrada dove m onna Santina sta v a se
nand. L ei, ch e stava atten ta a una fin estra, vedendolo v en ire,
con un d o lce e b ello sguardo lo guard. Lam ante, ch e di ci
acco rto s'era, spesso di q uin e passava, e non potendo m adonna
Santina sofferire lo ndugio, m a v o ler tosto lopra ordita (2) te s
sere, se n and a l p rete dicendo : P er certo q uel vostro am ico
credo ch e abbia il d iavolo addosso, ch e p oich io v i parlai di lu i,
pi spesso ch e m ai per la contrada passato, con fare assai atti
d ison esti, e pi ch e m 'ha m andato una fem m inella con a lcu n e
im b asciate d iso n este e con una borsa e t una cin tora, stim ando ch e
io s da poco [b issi] ch e d elle borse e d elle cin to re non debbia
a v e r e ; m a grazia d el m io m arito io n ho una ca ssetta p iena e t
vada a p orgere siffa tte cose e parole a q u elle ch e n hanno bi
sogno e ch e sono tr iste com e lu i. E d icovi, sere, ch e q u ella fem
m in ella ch e a m e m and io n e la rim andai con la borsa e con
la cin tora con m al suo g ra d o , e se non ch e v o lsi fere pi ch e
co n sig lia ta m a v ev a te, io fa r e i riten u ta e a m iei fratelli e t al
m io m arito a rei fatto sap ere tu tto. E p oich a lla fen te ebbi
data la borsa e la cin tora, la rich iam ai, stim ando c h ella non se
la ten esse e t a v esse d etto a llam ico vostro ch e io a v u te le av esse.
E questo feci p er p o terv ele m ostrare e ch e a lu i le ren d ia te.
P rim a ch e su e co se v o lesse, so sterrei ogni gran peso di peni
ten za. E so v v i d ire ch e d ella m alinconia ch e m i v en n e tu tta
n o tte sono stata coi m orti e t in fra li altri m i p arve v ed ere
m ia m adre tan to defunta ; dim andandola p erch , m i d isse: P er
lo d isp iacere ch e io ved o ch e t fatto. E per, sere, io v i prego 12

(1) Mb.: dicendogli.


(2) Ma.: ordirla.
2 66 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ch e d ich ia te le quaranta m esse di San G rigorio e p er l anim a


su a ten ete q uesti tre d ucati, e t a q uel m aled etto g li ren d ete la
su a borsa e la cin tora, e t d iteg li c h e non tegn a q u esti m odi. Lo
p rete lieta m en te prese li d ucati e t a lla donna d isse c h e a lu i
la ssa sse fere, um ilier' s lam ico suo, ch e m ai de' su oi fetti sim -
pacciere*. E p artitasi la donna, lo p rete ebbe lam ico dicendogli:
D eh, traditore m alvagio, com e m 'hai a tten u ta la im prom essa di
non passare quine u m onna Santina sta? e pi ch e vitu perosa
m ente ti se* a una fem m inetta appalesato a d irg li q u ello ch e
hai in p en sieri, a m andargli una borsa e t una cin tora, com e se
fusse di q u elle dal broco (1). C attiva la v ita tua, ch e se e lla l a
v esse a* fra telli e t a l m arito ditto, oggi non sa resti v iv o , e t in
n el m alanno tien ti q uesta borsa e questa cin tora e di le i non
tim pacciare, ch e sai c h e in Y in egia di bont non n ' la pari.
L'am ico, ch e ved e la borsa e la cin tora, e t ode le p arole c h e lla
ha ditto a l prete, d isse: Io cognosco ben e questa borsa e questa
cin tora e cognosco ch e io ho fetto m ale. Io noi far p i . Lo
p rete ne lo prega. E non m olti giorn i passaro c h e R analdo, m a
rito di Santina, per suoi bisogni a B ologna cam in. E com e fu
partito, m adonna Santina se n and a l p rete, con lagrim e a ssa i
gettando, dicendo: Ornai veg g o c h e con verr ch e cosa ch e pro
m essa v abbia non a tten ga (2), p oich [q u el] diavolo d el vostro
am ico m h a preso a vitu p erare. E p erch a voi ogni cosa d ir
posso, v i dico ch e non so da ch i s abbia saputo c h e l m io m a
rito ito a B ologna, ch e stan otte, essendo in n ella m ia cam era,
e per lo caldo a vea una fin estrella assai a lta lassata ap erta
a ccio cch un poco di oraggio in n ella cam era d esse, e t nuda in
n el letto m i stava pensando a lla vision e ch e fatta m av ea quando
m ia m adre vidi, e m entre ch e in ta l m odo stava, sen tii alcu n o
rom oretto a lla fin estra, quasi per m odo ch e dentro en trare v o lesse,
et io tem endo ch e ladri fusseno p er lo tesoro d el m io m arito,
senza ch e di n ien te le carni m i coprissi, ignuda d al letto u scii,
e giun si a q u ella fen estrella a serrarla (3), per la q uale parea
ch e ta le en trare dentro v olesse. E fattam i secu ra alla fin estra,
con una palandra a lle sp alle m i puosi, p er voler v ed ere e sa p ere
ch i fesse. E t essend o la luna piena quasi com e se fe sse stato di
m ezzo giorno, cognobbi q uel m aladetto, di c h i tanto m i son o 123

(1) Cos nel codice.


(2) Ms.: attenerla.
(3) Ms.: e serratela.
DB MALITIA MULIERIS ADULTERA 267

doluta, essere con u na scala ven u to e t a lla fin estra l'a v e a ap


p oggiata, n m ica se ne sere* infinto din lra re dentro, se io non
fu ssi savia stata, ch sen za m etterm i, com h o detto, alcu no vesti
m ento, rip arai, ch e m olte seren n o sta te a v ed ere q u ello ch e era
e t aren g li dato agio, e com e en trato fu sse dentro, con on esto modo
sen za vergognarm i [non ] f a r e i potuto da m e p artire. C erto a
m e era di n ecessit grid are o co n sen tire a l suo vo lere, la qual
cosa m ai non a rei fatto, se m orta n e d ovesse essere sta ta . Ora
p otete com prendere com e la cosa sea . E vedendolo p artire colla
sca la , la fin estra ch iu si e non con q u ella storata ch e far solea
la n otte passata. D orm ii intanto, ch poco sonno m i ven n e, e
p ur passato alquanto d ella n otte e t ogni cosa q uietato, lo sp irito
m io fatto suo corso, m i p arve ved ere ch e la m ia m adre m i di
c e sse : F ig lia savia, le tu e m esse, ch e h ai fatto d ire, mhanno
m olto a lleggerata la pena. E cosi parendom i, v i prego c h e non
re stia te di orare p er lei, et acci ch e m eglio possiate esercita re
ta li orazioni, v i doe questi quattro d u cati, e p regovi ch e am
m aestrate l'am ico vostro, ch e m ai per questi fatti pi innanzi
non v i verr. Lo p rete lieto per li ducati e m alcontento di q u ello
ch e g li ha d itto d ellam ico suo, e licen zia ta , non m olto di lun gi
era la donna quando lam ante g iu n se a p rete M ontone. Il q uale
com e dinnanti da lui fu, lo p rete g lincom inci a d ire v illa n ia
d icen d ogli: T raditore, or com e h ai ardim ento di ven irm i dinnanti
a d ire ch e abbi ftto contra tu tto ci ch e prom esso mh ai di
non an dare dov q u ella onestissim a donna e pi ch e beata? E
tu com e ca ttiv o , non curando n di Dio n del d iau le, per s e
g u ire il tuo appetito cattivo, ora ch e sen tito hai ch e R analdo,
m arito di Santina, ch e ben si pu d ire m adonna la santa, [par
tito ], con una scala alla fin estra d ella cam era, p er dentro v i
tuperosam ente in trare, appoggiasti, n g i non rim ase da te ch e
dentro non in trassi, se non ch e la donna savia nuda d i letto
uscio p er ch iu d ere alcu n a fen estrella , acci ch e dentro en trare
non p otessi. E se non ch e a m e, com e a ltra volta ti d issi, m i
prom isse di non d olersen e, a re gridato, e tu, ca ttiv ello {svergo
gnato, cela re noi p u o i, p erocch e lla ti v id e per lo ch iarore
grande d ella luna, ch e ben mha d itto tu tto ci ch e facesti, ch e
non potendo di cela to dentro a lei in trare, la scala, ch e portato
a v ei, in co llo te la m ettesti e t in n ella m alora te n e an dasti. E1

(1) Ms. moria.


268 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMB1

pertanto ti dico, p oich a tu o senno fare vu oi, io m i ti scuso


ch e a le i dir ch e q u ella cosa non tegn a pi cela ta , e tu a me
inn an ti non apparere. La m a n te, in teso il p rete, fra su o cuore
d isse: Q uesto p rete ci v a assai sim p licem ente, ch io v eg g o quello
ch e m onna Santina vu ole. E d isse a l p rete: lo ho fatto m ale e
penso fare s ch e q u ella buona donna non torner pi a voi. 6
p artitosi, and a ved ere q u ella fin estra e quanto era a lta ; vedendo
essere assai bassa, procacci una sca la e la n otte rin vegn en te
se n and a quel luogo, dove m isse la sca la . La donna, ch e tutto
ved e, d isse: B en ha fatto il ser e la m ia im basciata, e stava a
ved ere. Intanto l am ante g iu n se in cam era. La donna en trata in
n el letto dicendo : Chi ven u to p er m e godere in n el letto entri,
lam ante alleg ro in n el letto en tr e con lu i si di som m o pia
ce re. Ordinando ta le andata per m odo, sp essissim e v o lte si davano
p iacere, n m ai la donna al p rete per ta l cosa ritorn, e cosi
si stenno avendo fatto giorgio quel santo p rete.
DE PRESUNTUOSI 269

76.
[Tri*., n 107].

DE PRESUNTUOSI.

N el tem po ch e P istoia v iv ea a com une, in n el q u ale si facea


lofflcio d elli an zian i, erano alcu n i p istoiesi si presuntuosi, ch e
essend o alla fin e d ell'an zian atico volean o tu tto tare, n m ai vo-
lean o con siglio da persona; e p erch erano m olti q u elli c h e ta l
v ita teneano non con ter i nom i, p erch lu n go sarebbe. Ma dico
ch e seg li avveu ia ch e, diposto lofflcio, m ontasse a ltri l'offlcio (1),
subito i p red itti, dopo len trata di ciascu n o an zianatico, se nan
davano in p alagio dicendo a li anziani nuovi : Cos si v u ole fere
e cosi si vu ol d ire; e tanto d ic e a n o c h e tu tto ci ch e in q u ello
officio fere si dovea, o fecea , con ven ia c h e p er d itto di ta li li
anziani fecessen o. E ta le v ita ten n ero pi tem po. E p erch in
n ella nostra citt di L ucca sono assai di q u elli ch e ta l m aniera
tegnono, ch e, senza essere rich iesti, sp essissim e v o lte vanno a
p alagio, dicendo a li an ziani: V oi a v ete m andato per m e, ch e
v o lete? , li anziani, ch e n ien te n e sanno, g li danno q u alch e cosa
da fare, e per q uesto modo pare c h e debbiano sem pre essere le
fronde d el porro. R itorno a d ire ch e essendo stato in P istoia
m olti a n zia n itich i, li quali di con tin uo faceano q u ello ch e i s o
praditti volean o, d ivenn e ch e essendo tratto gonfalonieri di giu
stizia uno nom ato C esare d elli O ttom ani, giovano e sa v io e ar
dito, il quale prim a ch e in palagio m ontasse d ilib er fra s
m edesm o non v o ler fare cosa c h e p er li sop rascritti fis s e g li
m essa inn an ti. E ntrando in calen d e m aggio a llofficio, la m attina,
prim a ch e a ltri a loro v en isse, parl il d itto C esare gon felon ieri
a com pagni anziani, dicendo loro: F ra telli e com pagni m iei, voi
d ovete a v er veduto ch e quando i ta li sono an ziani, com e ora
siam o noi, vogliono di continuo fare d el palagio e d el com une a
k>r modo, e non ch e vogliano fare q uel ch e a ltri vu ole, m a q u ello
ch e in n e co n sig li rich iesti sono consigliando fere non vogliono.
E sem pre in n elli a ltri an zia n itich i hanno voluto la prem inenza,
ch e a ltri abbia fatto a loro modo, e per questo a v v ien e ch e 1

(1) Ms.: i montasse laltro officio.


270 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ogniuno rice v e le g ra zie ch e p er lo com une son fo tte da loro,


e t ellin o nhanno li buoni p resen ti. E pertanto, se m i v o lete
accon sen tire, io penso ch e q uesto officio porter p regio di quanti
n e sono m ontati m olti an ni p assati: e per ognuno n e dica il
suo p arere. Li com pagni disseno ch e eran o con tenti di seg u ire
q u ello ch e v o lea, d icen do: Tu se il fattore e t ald iu tore. E m entre
ch e ta li p arole diceano, ven n ero q u elle gran frondi di porro, fa
cendo d ire a l co lleg io ch e dentro en tra re volean o p er n arrare
a lcu n a cosa. Lo gon folonieri li f m etter den tro d icen d o: D ite
q uello v o lete. Loro disseno: E gli di n ecessit c h e v o i fa ccia te
oggi la ta l cosa prim a ch e si desni, e dappoi, dopo d esn are, fa rete
la ta le e ta le, e dom attina si vorr fare le ta li lettere , e q u ello
ch e poi ser di bisogno fare noi verrem o a voi e d irem vi q u ello
vorrem o ch e fa ccia te; e m olte a ltre frasch e dissono. Lo gonfa
lon ieri d isse: Voi sia te li ben v en u ti: noi farem o tu tto ci ch e
ditto ci a v ete, e cos ogni d, secondo ch e accader, farem o. Co
loro disseno: Ora cos si vu ol fare. E licen zia ti, li an zian i d issero
a l gon folonieri: 0 voi a v ete prom esso loro il con trario d ella
vostra inten zion e. Lo gonfalonieri d isse: Cos con ta li g en ti si
vu ol foro; m a la ssa te fare a m e. E subito rich iesto il c a n ce llier i,
ferono il con trario......................(1). Sentiam o c h e fatto a v ete, e
quanto sia stato buona cosa a non seg u ire q u ello ch e d itto v a
vevam o. Lo gonfalonieri d isse: A voi pare, ch e v oi ci d iceste
q u ello ch e fatto abbiam o. Coloro dissero: E si v u o le ap rire li
occh i et non stare co l capo voto al serv ig io d el com une. Lo gon
falon ieri disse: Voi d ite vero, non si far p i . Coloro replicano:
Or fo te ch e oggi fa ccia te riform are l officiale d ella grossa. Lo
gon folonieri d isse: S er fatto. E partiti q u elle frondi di zu cca ,
lo gon falonieri subito co com pagni cacciaron o daHofflcio il d itto
officiale, facendogli n otificazion e p er lo loro ca n cellieri. L o fficia le
subito andato a q u elle frondi di porro e narrando loro com e er a
stato casso, coloro, ci udendo, disseno : N oi anderem o a l p alagio
dopo desnare, e q uello ch e hanno fatto vorrem o sap ere, und
procedu to ch e m ale a loro uopo ta l cosa fatto hanno. E dopo
d esn are, di rabbia p ieni, al palagio n andonno, d icen do: U nd
v en u to ch e l officiale d ella grossa, d el q u ale stam ane v i parlam m o,
la v ete c a ssa to , ch e sap ete v avevam o d itto ch e si riform asse,
ch e ben si pu d ire oggi questo co lleg io a v er fatto du gran d i1

(1) Qui evidentemente fu nel codice ommessa una riga, nella quale ai dice
del ritorno di que' presuntuosi a palagio.
DE PRESUNTUOSI 27i

raattie. E p ertanto fate ch e riferm o sia, p oich noi v e l dichiam o.


Lo gon falon ieri, c h e avea da com pagni ch e lu i rispondesse, disse:
O voi ch e di continuo v o lete l officio d ellan zian atico di P istoia,
se v o i an ziani sete, tu tto v o lete fa r e (l), e quando a ltri anziano
[sia ] v o lete ch e fccia a vostro m odo, e cosi v e n e siete andati
danno in anno. E pertanto noi, ch e an ziani siam o, volem o esser
n oi an ziani e vogliam o fare a nostro m odo e t non a vostro. E
d ichiaravi, se sete tan to ard iti ch e in questo palagio in tra te
sen za esse re rich iesti, n oi v i farem o g itta re gi d a lle pi a lte
fin estre di questo p alagio, e t in n ella m alora lev a tev i dinnanti da
noi, e fate ch e m ai non v a w e g n a ch e non essend o rich iesti qui
v eg n a te. U dendo coloro ta l p arlare, sen za a ltro d ire dal palagio
si p artirono, n m ai da ta le officio rich iesti funno, e fu tan to
p regiato q uello ch e fatto avean o q u ello an zianatico, ch e m ai non
fu n eu no ch e sen za essere rich iesto a l palagio andasse, se non
fu sse caso scritto p er u tilit e ben e d el com une di P istoia. E
p er q uesto modo funno scornati coloro ch e ognuno (2) teneano
so tto i ca lci.12

(1) Ma.: e voi anziani sete tutte volte farsi.


(2) Ma.: ognanno.
2 72 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

77 .
[Triv., n 108].

DE SOMMA GOLOSITATE.
A l tem po ch e papa U rbano quinto ten ea la co rte di Rom a in
n ella citt d i V ignone, dove tu tta la cristia n it v i correa , e l
v era grande co rte di co rtigian i e da ltri m ercadanti e t a rtieri,
in fra li altri m estieri ch e q uine in abbundanza erano, s era il
m estieri del cuoco, p erocch gen eralm en te tu tti q u elli c h e la corte
visitavan o sono piuttosto m aestri del b ocolieri ch e d ella spada,
cio ch e sono piu ttosto golosi ch e franchi a com battere. E con
ta le v izio procede essere di lu ssu ria in v o lti, di c h e q u e lli ch e
ta l m estieri di cu oco fanno con lib ri e con m aestria s ingegn an o
le vivan d e di fare tanto g h io tte, ch e la loro bottega abbia gran
ressa e guadagno. E t in fra le a ltre v ivan d e c h in V ig n o n e e
dov la corte di Rom a, si sono li p a stelli, e di q u elli si fanno
assai con gran profitto. S entendo ch e m olto guadagno s i facea
d e p astelli, uno giovano da F erm o nom ato T roian te, il quale
pi an ni era stato scarano e m alandrino e t ogni ca ttiv a condi
zione, il quale pi v o lte, com e m alvagio, a v ea m angiato il le sso et
arrosto d elli om ini ch e u ccisi a v ea (1), e t aven d o sen tito quanto
era gh iotto, cos pens andare a V ign one, p oich sen tito avea
larte de' p astelli e del cuoco essere di tanto frutto. E cos da
Ferm o si part, e cam in a V ignone, dove T roian te fe uno o stello
di m angiare cotti, e per a v ere nom e di fare buone v iv a n d e et
anco p er ispend ere m eno, se nandava ogni di a l giu b b etto et
d ella carn e d elle co scie e de lu ogh i carnosi di q u elli c h e d i fresco
ap piccati erano prendea, e con q u ella facea d e p a stelli, e tali
ven iano tanto odoriferi e buoni, ch e tu tto V ign on e co n correa a
prendere da T roian te li p a stelli e t a ltre vivan d e. [A v v en n e ch e
uno cittadin o] (2), essendo m olto gh iotto, con suoi am ici p rocacci
la podestaria di V ignone, solo a fine di q u elli p a stelli p otere
m angiare. E com e pens g li v en n e fatto, ch e eletto fu e podest
di V ignone e t a llofficio and. Et intrato in neUofficio, dom and
q u elli ch e usavano le vivan d e g h io tte qual persona le facea
m igliori. F u gli ditto T roian te esse re som m o m aestro, ch e p ari di
lu i trovare non si potea. Lo podest subito m and p er lu i. T ro
ian te com parito d isse a l podest q u ello ch e vo lea . Lo podest 12

(1) Ms.: aveano.


(2) Qui manifestamente nel ms. furono lasciate alcune parole.
DE SOMMA OOLOSITATE 273

d isse: E m ditto ch e tu fai le m igliori vivan d e e le pi g h io tte


ch e persona di V ignone, e m assim am ente li p a stelli, e pertanto
voglio ch e ogni di ch e da m angiare fai, ch e io n abbia alcu n o.
T roiante d isse: Sar fatto. E p artitosi, la sera n e g li m and uno,
d icen do: Q uesto v i m anda T roiante ch e lassaggiate, e non v u o le
p er questo alcu n a cosa v i costi, e se questo v i p iacer, v i far
d elli a ltri e v o i li p agh erete. A cu i lo podest d isse ch e era
contento. E t assaggiato q uello p astello e parutogli buono, m eglio
ch e vivand a c h e m ai m angiasse, m and a d ire a T roiante c h e
ogn i di ne g li m andi o uno o due, e ch e ben e lo p agher. Tro
ia n te co si f, ch e ogni giorn o a l podest n e m andava. D iven n e
una sera ch e il podest, avendosi posto a tau la p er cen a re e
avendo inn an ti uno d e p astelli ch e T roiante m andato g li av ea ,
prim a ch e com inciasse a toccare n ien te, subito fattosi alcu no
zuffa e rum ore in V ignone, fu di n ecessit ch e 1 podest si
lev a sse da tau la e t co llarm e tu tta la n otte stesse per V ignone
a lla guardia, n m ica poteo a v ere agio d i cen are. P ensando la
m attina m angiare q uello p astello, lo f rip uon ere, e steo fino
a lla m attina c h e il rom ore rich eta to fu. E t tornato il podest
al palagio, volendo m angiare, si fe il p a stello alquanto riscald are
e dinnanti da s v en ire. E com e lo ven n e ad ap rire, trov tu tto
q u ello p astello pieno di verm i v iv i. Lo podest, vedendo questo,
stim per certo non dover essere, dicendo: Or com e pu essere
la ca rn e cotta e calda fccia verm i in s p icciol tem po? E volen d o
sa p ere la cosa com era , m and p er T roian te, m ostrandogli q uello
c h e il p astello a v ea fatto. T roiante, quasi pallido, non rispondea.
Lo p o d est , vedendolo pallido d iv e n ta re, stim ch e T roian te
a v esse q ualch e ca ttiv it fatto. E m essogli paura, T roian te co n
fess li p a stelli e t a ltre vivan d e fare d ella carn e d elli om ini
ap p iccati. Lo podest, m andato a l giubbetto, trov tu tti li ap pic
ca ti a v er ta g lia to i polpacci d elle coscio e d el cu lo e dogn i la to
dove carne sen zosso sea, e fattane relazion e, il podest, ved u to
q u ello v o lea ragion e, pi presto ch e p ofeo T roian te p er la gola
ap p iccare fe', avendo prim a fatto le g g e r e il p erch . E saputosi
p er V ignone ta l cosa, qual pi era vago di p astelli, p er lo m odo
ten u to da T roiante, ven n ero a ciascu n o in fastidio. E t il d itto
podest d ella golosit ch e prim a avea s a sten n e, disponendo poi
la v ita sua a tem perata vivanda, n m ai di co se n uove sin vagh io,
e cos m olti a ltri feceno. E t io autore, ci sentendo, dispuosi ch e
p a stelli m ai in m ia casa si facesseno, e cos fin e qui s osservato
e t osserverassi, fin e ch e viv o ser.
274 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMB1

78 .
[Tri?., b 109].

DE MAGNA GOLOSITATE.

F u in n el tem po ch e la nostra citt di L ucca rim ase libera


d ilib erato ch e tu tte le fortezze ch e L ucca possedea s i desseno
a* citta d in i a gu ard ia, e m assim am ente le porte d ella citt di
L ucca. E com e fo diliberato si m isse in effetto , d ie in su lle ditte
p orte funno cittad in i p er ca stella n i m essi, e t in fra li a ltri ch e
m essi v i funno fu uno de' Corbi nom ato N icolao, grande e grosso
com e uno bue m arem m ano. E ra questo ca stellan o in su lla porta
d el B orgo con d ieci com pagni assai eg u a li a l loro ca stella n o in
tu tte le cose, e m assim am ente in m angiare provavano m olto loro
persone, ch e prim a ch e il m ese fosse ven u to av ea il castellan o
e su e g en ti m angiato il soldo, e sem pre p er ta l cosa sta v a in
debito. Or p erch la nostra n o v ella si d irizza a l d itto de* Corbi,
dir quanta la su a golosit era, c h e non bastandogli il pane e t
il bere la m attina, e *1 desnare, fecea poi (1 ) la m arenda, s e -
quentem ente la cen a e la dopocena, c h ogn i n otte alm eno du
v o lte m angiava, n m ai parea si v ed esse sazio. E non bastandogli
il soldo a l suo m angiare, di q u ello di casa, p er im pirsi b en e,
m ettea. E t era a tanto ven u to, ch e p er g en te ch e a v esse non
g li v a lea com pagnia a s Catte cose, m a solo con ven ia p er s
v iv ere . E fu tanto il su o d ilu viare di roba, ch e non potendo a
ogn ora a v ere carne, per salegiata prendea d ellerb e c h e in su lle
m ura nasceano, non guardando c h e erb e s i fossen o. E co si in
su lla d itta porta steo alquanto. E com u sanza c h e li an zian i
d i L ucca vanno a v isita re le m u ra , com e sono ben fo rn ite di
ca stella n i e sergen ti, acci nessuno [m a n ch i], u n giorn o d el m ese
di m aggio in dom enica du* d el co lleg io di q u elli an zian i andonno
in su lle m ura p er p rovved ere li ca stella n i. Lo ca stella n o de* Corbi
co su oi serg en ti avean o ap p arecch iato p er m erenda assai ca rn e, e
g i cotta avendola, li an zian i giun sen o a lla porta dove coloro eran o.
E trovato ap p arecch iato, d issero s e avean o ancora a d esn are.
R ispuose ch e desnato avean o, m a q u ello era p er m erenda. L i1

(1) Ms.: e per poi.


DE MAGNA GOLOSITATE 275
an zian i, vedendo tanta carn e co tta , d issero : P er certo, castellan o,
tu d ovresti essere gagliard o p er se i om ini, tanto ci pare ch e
dbbi m angiare. E1 Gorbo d isse: Or com e non v i p are ch e io
abbia corpo da essere forte e gagliardo? L i an ziani d issero:
F acciam o la m ostra. E fatta la m ostra e t p a rtitisi li an ziani di
q u ella porta, su p er le m ura verso l'altra porta n'andavano. Il
ca stella n o volendo puonersi a tau la p er m a n g ia re, li serg en ti
subito trassero a lu i co lle m ani a lle b rach e, e tra tto fuori la
trista coda, piscionno (1) per lo volto a l d itto castellan o. Lui
lg g en d o e gridando, in uno de cantoni della porta si m isse,
chiam ando forte m isericordia. L i serg en ti a gorgate la bocca di
p iscio g li em pievano, lu i dicendo: M isericordia! non fate pi,
andiam o a m angiare. Li anziani, ch e sentono le grida e dire
m isericordia, trasseno arieto a quella porta, credendo ch e tra
loro si facesse q uistion e, e com e funno in luogo ch e tutto vedeano
e non poteano dal castellan o esser ved u ti, stavano a v ed ere quello
faceano. E videno ch e il Gorbo castellan o ten ea le m ani a l volto
dicendo: M isericordia ! io sono contento, p urch noi andiam o a
m an giare; io marrendo vostro prigione. Li sergen ti, tenendo la
coda trista in m ano, di furia l'uno lo p ercotea d el piscio in nel>
l'o recch ia , l'altro in n ell'altra. 11 castellan o, levan do la m ano p er
cop rirsi l'orecch ia, l altro g li dava in n ellocch i. L ui, dicendo
m isericordia, ap re la bocca e du' di n etto gran gorgazzate di
p iscio g li davano dentro. L ui d icea: D eh, vogliatem i prigione e
non m orto, e t andiam o a m angiare. Coloro d icean o: Prim a ch e
noi ti vogliam o lassare, vogliam o ch e tegn i aperta la bocca e
ciascu n o ch e m eglio sa d en tro dare sia oggi fatto capitano, e
poi andiam o a m angiare. Il Gorbo N icolao risp u ose: P o ich dob-
biam o andare a m angiare, io sono con tento, e non di m eno m i
tegn o vostro p rigione. E t aprendo la b occa quanto aprir la potea,
com inciarono i serg en ti a trarre tanto d iritto, ch e pi v o lte, v o
len d o il p iscio ch e in bocca gl'en trava m andare fu ori, l'a ltro co l
p iscio lo rim ettea dentro per si gran forza, c h e pi vo lte g li
era di n ecessit di m andarlo in corpo. Li an ziani, ch e stanno a
v ed ere tanta ca ttiv it sen za d ir n ien te, p er ved ere la fin e di
ta le opera stavan o p ure a v ed ere. E t fornito ch e ciascuno ebbe
l'opera sua, il castellan o inginocchiandosi d isse a* serg en ti: Ornai,
com e prigione, a m angiare m i m en ate. Coloro con una cin tora 1

(1) Ma.: pesciando.


276 NOVELLE DI GIOVANNI SBRCAMBI

a l co llo lo m enonno a lla m ensa, dove, sen za la v a rsi n m ani n


co lo , a tarila si puose, l u si pasceo com e se m ai m angiato non
avesse. L i anziani, essendo p asciuti d ella ca ttiv it di q uello ca
stellan o e de' com pagni, com e g iu n ti furono a l palagio, l'ebbero
casso, e t dun altro la d itta porta fornirono (1 ). E t se non p er
am ore di alcuno suo p aren te, a re sen tito d elle fru tta d el m al
orto, e per questo m odo fa cognosciuto la golosit d el tristo
gh iotto.

(1) Ms.: fbm to.


DE PRELATO ADULTERO 277

79.
[TriT., m 110].

DE PRELATO ADULTERO.

In n e l contado di P eru gia, in una v illa nom ata P assignano,


fu uno uom o assai di buona pasta, v ecch io , nom ato Canoro, assai
ricco lavoratore, il q uale, pensando a v er figliu oli, diliber p ren d er
m oglie una sua v icin a nom ata M onica, giovana di ven tcin q u e
anni e t assai p iacevole. Come diliber m isse in effetto, ch e a uno suo
[a m ico ], d ella d itta M onica fra tello , nom ato P aulo parl, dom an
dando la d itta p er m oglie. P aulo, ch e ved e il parentado di Ca
noro essere su fficien te, posto ch e lu i sia alquanto v ecch io , fb e
con ten to; e fatto il parentado, la donna m enata, dim or alquanto
tem po, ch e n ien te di fig liu o li acq u istare poteo. E vedendo il pre
d itto Canoro ch e in questo m ondo non era a ltro ch e tr ib u ta to n e
e t an goscia, diliber fra s di v o ler ten ere v ita di spirito, pren
dendo v este di bizoco, facendosi nom are frate Canoro, viven d o
con m olta dieta, con suoi patrenostri visitand o le ch iese. E b en ch
frisse m olto d i grossa pasta, p u r lo v isita re d elle ch iese non re
stava. La donna, ch e spesso are' volu to di quello ch e frate Ca
noro non g li dava, m aledia ch i ta l m arito dato g li a v ea , dicendo:
Io alm eno ogni n o tte una v o lta v o rrei esser p asciuta d i q uello
c h e le m ie p ari p ascere si sogliono. E t io ca ttiv ella , non ch e
u n a v o lta il di fusai contenta, m a il m ese passa ch e d i solo una
v o lta con ten tare non m i posso, p erocch fra te Canoro m i d ice:
Oggi la festa di S. P a trizio ; dom ane si degiuna l a v v en to ;
la ltro d sono le quattro tem pore, e cos di giorn o in giorno lo
m ese si passa. E pur quando a llatto v ien e, b en ch rad e v o lte
v i vegn a, q uello [m i] l con tenta. Et q uesto lam ento d icea fra s
sp essissim e v o lte, e t dim orando p er tal m aniera, v en n e a Passi-
guano in n ella ch iesa d ella d itta te rra , da studio, uno m onaco
giovano nom ato Don M ugino, il q u ale essendo m olto in iscien za
sperto, fu fritto p rete d ella d itta ch iesa , col q uale fra te Canoro,
p er im parare, p rese una sin gu lare d im estich ezza e t am icizia co l
d itto m onaco, in tanto ch e pi v o lte co lu i desnando, e talora
lo m onaco con frate Canoro a d esnare e a cen a andava, e fu
tanta la dim estich ezza ch e lo m onaco col fra te p rese, ch e accorto
si fri la donna di frate Canoro esser m al pasciuta dal m arito.
278 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

P en s lu i di gran p arte poterla p ascere. E dandogli docchio,


m adonna M enica ricordandosi di q uello ch e 1 m onaco facea, in
n el m edesim o appetito cadde p er la sua volun t adem pire che
caduto era il m onaco, e quanto pi p resto poteo d i ordine di
parlare co l m onaco. [E lla g li scopr il suo bisogno] (1), per la
qual cosa il m onaco g li d isse ch e a ltro non d esiderava ch e po
tersi con lei a ignudo carni trovare, p er con tentarla di quello
ch e '1 m arito con ten tare non la p otea. La donna con ten ta dicea:
M onaco, io sono presta a fare q u ello vu oi, sa lv o ch e io non
voglio di casa u scire; per se il m io fratello P au lo ci sen tisse,
non c i cam pere' ch e m orti non fossim o, e t in casa non veg g o il
modo ch e v en ire potessi, p erocch fra' Canoro di con tin uo a dire
suoi patrenostri si sta in casa, e rade v o lte va a lavoro c h e non
vo g lia ch e io con lu i vada. E per con verr a voi trovare q u alch e
onesto modo ch e a m e v en ire possiate, acci ch e con tentiam o
li appetiti n ostri. Lo m onaco d ice: Donna, lassa fare a m e. Io
dar a l frate tu o m arito una regola, ch e agiatam ente gran parte
d ella n otte in siem e godrem o. L a donna d ice: D eh, p er Dio, fate
tosto. Lo m onaco, per essere tosto a lle p rese, com e fra Canoro
a lu i v a , lo tira da p arte dicendogli : F ra te e t am ico m io, p oich
io h oe preso tanta am icizia teco ch e q u ello ch e pi am o farei
p artecip e di q uella cosa ch e pi da te d ev 'essere am ata, e co-
gnosco ch e d esid eri andare in paradiso e fu g g ire lo inferno,
posto c h e non m olto lieto m i sia n arrarti le co se secreto d el
cielo , non di m eno, p er poter v en ire a l d isiato desiderio, non
guarder a p alesarti tal secreto . E p ertanto ti d ico ch e il papa
e t i cardin ali, p er a v ere la gloria di paradiso, hann o ordinato,
m a non vogliono ch e si spanda, ch e stando quaranta di in di
giuno e t ogni n o tte stare fin e a m attino in modo com e Ai C risto
crocifisso, cio co lle b raccia ap erte in su uno sol aro fatto p er
modo ch e il cielo v ed er si possa, con trecen to patrenostri e tre
cento averaarie, e fin iti se n e vada v estito a g itta rsi in su l letto
fin ch liv r i sono li quaranta d , e t allora ogni peccato g li p er
donato e t m orendo n e va in paradiso, e di peccato ch e poi faccia
non g li riputato a pena. F ra' C anoro, ci udendo, d isse c h e tal
pen iten za far v o lev a . E subito se n'and a casa e d isse alla 1

(1) Qui mi sono permesso di sostituire una frase alla accozzaglia di pa


role che vi nel codice: col monacho di mangiare scoprendosi lo petto suo
per la qual cosa.
DE PRELATO ADULTERO 279

m oglie quello, ch e 1 m onaco insegnato g li a v ea e t il m odo ch e


d ovea ten ere. L a donna, ch e v ed e ch e il m onaco h a trovato
m odo di p oter agiatam ente con le i stare, d ice al m arito: M arito
m io, io voglio essere teco a fare la p enitenza in du* cose, l'una
ch e m eco in quaranta d non u sera i e vo g lio teco digiu n are,
laltra cosa fe tu . Lo m arito, contento quando ode d ire ch e seco
non debbia u sare, disse a lla donn a: Stasera v o com in ciare. E
f* uno tau lito con una sponda dattorno (1), dove fra Canoro
sten d ere v i si possa sotto a l lu cern ario d ella casa, dove sem pre
si veda il cielo . L a donna, con tenta, lo f* sen tire a l m onaco com e
la sera il m arito principiava a v o ler fere la p en iten za, ch e bene
era c h e s'ap p arecch iasse a d overe con le i dim orare; tanto tem po
quanto il m arito star riv erso , lu i stea boccone. Lo m onaco in
teso , apparecchi ben da cen a. E ven u to l'ora, fra Canoro g it-
tatosi riv erso in su l ta u lito con li o cch i a l cielo , stando co lle
b raccia d isteso in croce, dicendo i patrenostri, lo m onaco con
m adonna M enica si danno p iacere a cen are, e cen ato se n'an
darono a letto, dove fin e a l m attino in su l corpo di M enica boc
con i steo. E quando v en n e tem po c h e p artir si dovea, avendo
pi m iglia ca m in a to , la donna d isse ch e la segu en te n o tte tor
n asse, e cos si partio. F ra' Canoro, d itto i patrenostri e t ave-
m arie, essendo m attino, v estito si g itt in su l letto e quine dorm io
fin e a l d e digiunando. La donna alla presenzia del m arito parca
d igiu n asse, e t in secreto s em piea di sotto e di sopra, m angiando
carn e p er du' b occh e in abbondanza. V enuta la seg u en te n otte,
fra' Canoro a lla penitenza m esso e lo m onaco ven u to a darsi
p iacere, e' cenato, a letto co lla donna n'and. E p erch a lla donna
il m estieri p iacea e t an co a l m onaco, non potendosi la donna
ten ere dalzare, a ccio cch ben p otesse p ign ere (2), tu tto il solaio
dim enare facea, in tanto ch e lo m arito, sen tend o s dim enare
il solaio e la p arete, avendo g i d itto cen to p atrenostri, tenend o
ferm o il conto, d isse: D eh donna, ch e v u ol d ire questo dim enare?
La donna, occupata dal m onaco, d isse : Chi ha la m ala cen a tu tta
n o tte si dim ena. Lo m arito d isse: B en te l'h o ditto, M enica, non
d igiu n are. E pur sentendo dim enare, d icea : Donna, ch e fai? L ei
rispondea: D i q uello ch e io fo non te ne dare p en sieri, p erocch
io so q u ello m i fo e tu di* la tua perdonanza. Lo frate alla per-12

(1) Ma.: dato.


(2) Ms.: non potesse pingnare.
280 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

donanza ritorna. La donna e *1 m onaco ai danno p iacere, ordi


nando ch e p er laltra sera in a ltro luogo, ch e trem are non possa,
si fccia il letto, e cosi osservonno pi di tren ta d . A vendosi la
donna in gran parte saziato di q u ello ch e l m arito g li Iacea
portare disagio, seguendo sem pre loro p iacere, ad diven n e ch e
P aulo, fra tello di M enica, vedendo fra* Canoro tanto sfin ito (1)
d ella persona p er lo digiuno e p er la v ig ilia , ch non dorm ia,
dim andandolo qual fu sse la ragion e, fra' Canoro tu tto g li disse
com e lo m onaco g li a v ea insegnato. P aulo, ch e m alizioso era,
pens: P er certo questo m onaco d e ru zzare con m ia sorella,
ch e questo m odo h a trovato p er p oter andare a stare con lei
di n otte. E p er certo, se in colpa il trovo, io lo ca stig h er e lei,
p er m odo ch e sem pre se n e dir. E nascoso in casa c h e altri
noi sa, e quine steo tanto ch e la sera f ven u ta, c h e fra*
Canoro si d istese in croce in su l solaio c lla fccia a l d e lo et
il m onaco venuto colla sorella si d a cen are e prende p iacere.
P aulo li ved e a letto andare e nudi en tra ti in n el letto dandosi
sollazzo. V edendo ci P aulo, subito con uno co ltello , sen za fre
m otto, a l letto dovera la suora col m onaco se n and, e m esso
m ano al pasturale del m onaco, ch e lavea di buona m isura, in
bon punto col co ltello q uello g li tagli. M ettendo un gran d e grido,
il m onaco tram ortio. F ra Canoro, ci udendo, d isse : D eh M enica,
ch e q uello ch e io odo? P aulo d isse: Cugnato, tu se* stato in
gannato, m a loda Iddio ch e d ello inganno io t h o ven d icato. E
m entre ch e questo d icea, sen za resta re, il naso a M enica sua
suora tagli, dicendo: Ornai tin v agh irai di m onaco a tu a posta.
La donna dolorosa piangendo, il m arito ci u d en d o , cognove
esser stato ingannato d alla m oglie e dal m onaco, e con tento della
ven d etta fetta, prenderono il m onaco e t co si tram ortito lo por
tarono in n ella calon aca e t in su u no letto lo m issero e quine
steo tanto ch e risen tito si fti, n m olto tem po steo ch e si mori.
L a donna, p er vergogna, m ai d ella casa non u scio, n a persona
si lass m ai v ed ere; e cosi dappoi fu con tenta solo d el m arito,
n a ltri cur lei, n e lla a ltru i.1

(1) Ms.: difinito.


DE AVARO 281

80.
[Trir., b 118].

DE AVARO.

In n ella riv iera d i G enova in una terra nom ata C o n ig lia , dove
n a sce vino preziosissim o, era uno contadino nom ato B ruglioro,
om o ricco [d i] d in ari e possessioni e rico g lito re di vern accia
fin issim a e dogni abbondante cosa. E com e questo era tanto
scarso, c h e a persona a l m ondo non are' d el suo dato il valore
du n bottone, se non a folate, m a rad e v o lte, a v v en n e ch e un
giorn o d el m ese di novem bre, essend o rip osti i v in i e ca sca te
le castagn e, due d el contado di L ucca, [l'u n o] nom ato B eviam o
e l a ltro D accibere, arrivonno a casa duno loro am ico a C om iglia,
nom ato Biondo, il quale graziosam en te li d etti B eviam o e Dac
cib ere ricover a cen a e t albergo. E p o ich cen ato ebbeno, es
sendo un giorno di festa, il d itto Biondo con q u elli du forestieri
andarono a ca sa di B ruglioro, dicendo B iondo: O B ruglioro, io
sono ven u to stasera a riposarm i teco con q uesti du forestieri,
e t a cci ch e ci possiam o dare alquanto di spasso abbiam o arrecato
d elle castagn e e q u elle arostirem o e direm o q u alch e n o v elletta .
B ruglioro, non sapendo la sera disdire, d isse ch e fusseno li ben
v en u ti. E t en trati in casa e sta ti alquanto, Biondo d isse a Bru
g lio ro se a v esse q u alch e persona ch e a casa m andasse p er lo
vino, acci ch e noi potessim o b ere vorrei ch e v andasse, p er
ch io penso ch e vino non ne debbi a v er ricolto. E questo d icea
stim ando ch e B ruglioro non n e v o lesse lor dare. P er non ver
gogn arsi, B ruglioro, ch e ode cos, vedendo q u elli fo restieri, d isse:
C om e! cred i ch e io non abbia d el vino com e tu? E fttosi ga
gliard o, spigor una b otte di fina v ern accia e t a Biondo e t a
forestieri ne d iede. Lo vino era buono e t i b evitori m igliori. Co-
m incionno a ragion are stando a l fuoco e t arrostendo castagne,
e vedendo Biondo ch e a forestieri era p iaciuto il vino d i B ru
glioro, d isse a B ru glioro: Io ti prego ch e stasera tu non ti di
m ostri a v a r o , acci ch e q uesti fo restieri possano d ire ch e se
largo, e poi fa conto di ristrin g erti quanto vuoi. B ruglioro, sti
m ando: Coloro andranno di m e dicendo ch e io largo sia , potr
esser avaro, a ltri noi cred er, e questo ser forse una m eta o
du* di vino, rispuose ch e tanto quanto b ere n e vorranno ne dar
282 NOVELLE DF GIOVANNI SERCAMBI

loro. E stati alquanto, e m angiando d elle castagn e e bevendo,


avven n e ch e, avendo pi v o lte b evuto, D accibere com inci a
chiam are il com pagno, d icendo: B eviam o, an d ia n ci.B ru g lio ro o d e
d ire beviam o an dian ci; subito tratto del vino, a tu tti di b ere.
B evu to ch ebbeno, B eviam o d ice a l com pagno: D accibere, or ci
andiam o. B ruglioro, ci udendo, com inci a m esciere. Coloro per
reveren za beveano, e volendosi p artire d ice luno a llaltro : B e
viam o, andianne, e l altro rispondea: D accibere, o r nandiam o.
B ruglioro ogni volta m escea, pensando c h e andare n e d ovessero.
Coloro non so n andavano, vedendo ch e B ruglioro m escea loro,
non volendosi vitu p erare, a cci ch e B ruglioro non si sd egn asse,
e cos pi di cento v o lte d issero: D accibere, or nandiam o, e
la ltro d icea: B eviam o, andianci. B ruglioro, ch e v ed e e non co -
g n o scela cosa, coloro sim ile stanno ferm i p erch sem pre si m escie,
e non potendo li occh i ten ersi ch e di q uine si partisseno, addor
m entati (unno, e fin e a buona m attina sostenno. D ove poi B ru
glioro, [vedendo] la b otte esser pi ch e l quarto b evu ta, d isse:
Oh ch e d iau le h o io fatto, c h e non pareva ch e costoro a v essero
a fere altro ch e d ire: D acci b ere, or n andiam o, e l a ltro d ir e:
B eviam o, andianci, e t io ca ttiv ello h o seg u ito il loro ch ied ere,
ch e m i si dar (1 ) d i m atto p er lo capo ad a v er tanta v ern a ccia
consum ata. E questo dicendo, Biondo e com pagni ci sentono.
V olendosi scu sare, d issero: D eh, B ruglioro, non c i v o lere b iasi
m are, p erocch noi avendo ricev u to onore assai, quando avevam o
beuto tr e v o lte, io d issi a B eviam o: A ndianne. B ruglioro d ic e :
A nco siam o da capo in n ella m alora; an datevi con D io ch e m i
a v ete disfatto. D isse la ltr o : D eh non d ire, ch e ved en d o io c h e
ci avei fatto onore e ch e sem pre c e n e facei, p er non contam i
n arti d issi: D accibere, o r ce nandiam o. R ivoltatosi B ru glioro
verso Biondo, d ice : Or ch e diauli m h ai tu m enati in casa a b ere,
ch e hanno beuto. uno terzo di b otte di v ern accia e t anco ora
dicono: D acci b ere, andianci ? B iondo d ice: B ruglioro, o r non te
n e m eravigliare di questo dato, ch io te i m ostro p er prova c h e
non hanno fallito, m a piu ttosto thanno onorato. Or m i d i, B ru-
glioro, se tu e t io fhssem o a u na tavern a e t avessim o m esciu to
il vin o e volessim o p artire, com e m i d iresti a m e? B ru glioro disse:
D irei: Biondo, andianci. Or ben h ai detto, d isse B iondo; co sto ro
cos hanno fatto, p erocch luno di loro h a nom e B eviam o e

(1) Ms.: m i sia n o r e d a r e .


DE AVARO 283
la ltro D accibere, sicch quando B eviam o g li parea tem po da
doversi p artire d icea al com pagno ch iam andolo: D accibere, or
andiam o; e tu ch e cred ev i ch e loro ch ied essen o b ere, lo p orgevi
loro, e t ellin o , per non fare pi ch e tu v o lessi, b evian o; e se non
ch e noi c i addorm entam m o, non si sere* m ai restato fin e ch e
m esciuto a v essi, ch ellin o faceano d alla loro p arte q u ello doveano,
e tu fa cei d alla tu a p arte q u ello dovei. D isse B ruglioro : S e m ai
m a v v ien e ch e tali nom i si trovin o in m ia casa, dir : S e vu oi
b ere, te n e ser reca to (1). E dato a costoro la m attina una
vo lta b ere, d isse : A ndatevene e m ai pi qui non tornate, n io
ta li nom i accetter . E co s ebbe speso g ran quantit senza a v ere
a lcu n o grado p er sua colpa.1

(1) Ms.: avessine regalo.


284 NOVELLE DI GIOVANNI SERGAMBI

81.
[Trir., n* 114].

DB MALA CUSTODIA.

N ella terra di C alci, del contado di P isa , fanno quattro per


m icidio com m isso in quel di P isa sbanditi d al terren o, li quali
p er non esser p resi diliberonno andare a sta re in n ella terra
di P escia d el contado di L ucca, posto ch e ora lo com une di Fi-
renza q u ella con a ltre terre di L ucca possed. E dim orando pi
tem po in q u elle parti, lo nim ico di uno di loro nom ato G allisone
sen tend o ch e si rid u cea in q u ello di P escia , segretam en te si diero
a sen tire d elli andam enti su oi. E spiato c h e G allisone sp essissim e
v o lte solo si partia da P escia e t cam in ava a lle v o lte a l borgo a
B ugano, pensonno lu i giu n gere, e t d el m icidio com m esso fere
ven d etta. E segretam ente du di loro in V ald in ievole nandarono
senza ap palesarsi a persona, aspettando lora c h e G allisone an
d asse a l borgo. E t non m olti giorn i dim orando, c h e G allison e
d isse a com pagni, ch e a l borgo andare v o lea . Li com pagni d is
son o: N on an dare solo, sp etta ch e alcu n o di noi veg n a teco .
G allisone disse: Io andr tonanti, e t c h i vu ol v en ire n e v eg n a ,
ch e prim a ch e io sia a l borgo m i p otete a v e r giu n to. E m ossosi
e t u scito di P escia solo, cam in verso il borgo. L com pagni,
stando alquanto, seguirono G allisone, m a non s tosto ch e i r i
m ici di G allisone non lavessin o prim a m orto ch e coloro g iu n ti
fusseno a m ezza v ia . E riv o ltisi li m alfattori, i com pagni di Gal
lison e sopraggiunti trovonno G allisone in su lla strada m orto,
d ella qual m orte portonno gran dolore, dicendo tra lo ro : S e
G allisone n a v esse asp ettati non serebbe m orto, ordinando fra
loro ch e sem pre in siem e cam biassero. E ritorn ati a C alci q u elli
ch e u cciso avean o G allisone, narrando di ta l m orte, subito li
rim ici duno d elli a ltri rim asi, il q uale avea nom e M orovello,
saputo il m odo d ella m orte di G allisone, pensonno p er q u ello
modo M orovello u ccid ere, e t andati secretam en te in q u el di P escia ,
si puoseno in luogo ch e tu tte le co se (1) ch e q u elli tr e fecea n o
vedeano. E vedendo M orovello, [p en savan o] loro ven d etta, d i
cendo: S e in questi du d non c i v ien e fatto, a ltra v o lta rito r
nerem o. E non m olte ore passonno ch e videno M orovello e sse r e

(1) Ms.: tutte la notte.


DE MALA CUSTODIA 285
rom aso alquanto a n e to p er fare l'agio del corpo. E ca la to le
b rach e, in uno casalin o si puose, li a ltri non aspettandolo. Li n i-
m ici trassero e t in q uel luogo l'u ccisero, e t p artitisi, a C alci ri
tom oro, narrando la ven d etta fatta. U no, a l q uale g li era sta to
m orto suo padre da uno di q u elli quattro nom ato B iancaccio,
d isse : Io m i sen to ben e in gam be; p er certo io for ben m ia v en
d etta di B iancaccio, e t se potr u ccid er l'altro, ch e con lu i fu
quando m io padre fa m orto, non m e in fln geroe. E t m ossosi, e'
cam in in q u ello di P oscia p er v ed ere se i su oi n im ici v ed esse.
B iancaccio e 1 com pagno, ch e ritornavan o d el luogo ove andonno,
non sapendo n ien te d ella m orte di M orovello, m a stim ando ri
tornato si fu sse a P oscia, com e fanno a q uel casalin o vid en o
q uin e Torm e di M orovello, e t en tra ti in q u el ca sa lin o trovonno
M orovello m orto co lle b rach e ca la te. D olendosene, disseno: N oi
facem m o m ale a non sp ettarlo quando lo vedem m o puner a
fare suo agio, p erocch *1 nim ico non guarda n u' n ch i, quando
il suo nim ico u ccid er pu (1 ); e per facciam o oggim ai di noi
m igliore guardia ch e non abbandoni l'uno l'altro. E m entre c h e
ta li parole diceano, lo nim ico loro, ch e tu tto v ed e e ode, fra s
p ens: S e io costoro assalisco, non potr fare q u ello voglio, e
potrenno m e u ccid ere ; m a io far v ista v o ler loro fu ggire dan
n an ti. E llino, com e m i vedranno solo, m i correranno d irieto, e t
io b en e in gam be correr, e non potr essere ch e B ian caccio
e '1 com pagno corrano del p ari. Come io n e ved r neu no di loro
sep arato d all'altro, io lo ferir, e t poi l'altro cam pare dinnanti
non m i potr. E t fatto ta li p en sieri, subito m isse u n grid o, di
cendo: T raditori, v o i siete m orti. B iancaccio, vedendo il su o n i
m ico, subito trassegli d irieto. Colui fuggendo, B ian caccio, com e
desideroso u ccid ere colu i, com e u cciso avea il padre, m olto pi
in n an ti era ch e 1 com pagno. E quando colu i v id e B ian caccio m olto
d i lu n gi dal com pagno, riv o lto si, e' colla lan cia d i un colp o a
B ian caccio p er lo p etto, c h e d all'altra p arte lo pass, e m orto
cadde. Lo com pagno, ch e quasi a v ea sopraggiunto dove B ian caccio
era , vedendolo m orto, pens il fa g g ire g li fu sse scam po, e su bito
voltatosi gridando, q uello da C alci seguendolo, ch e b en e in gam be
era, l'ebbe sopraggiunto e t colla lan cia p er le ren i g li di, ch e
m orto lo fe cad ere. E t dato volta, si ritorn a C alci, narrando
com e B iancaccio e lo com pagno erano da lu i sta ti u ccisi e t cosi
fa fin ito tra loro la gu erra.1

(1) Ma.: quando il loro nimico ucider puonno.


286 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

82.
[Tri?., no 115].

DB P IG R IT I .

C arissim i fr a telli e m aggiori, e v o i carissim e e onestissim e


donne, io v h o proposto di d ire a lcu n e n o v elle dalcu n i, c h e per
lo stare a v ed ere, avendo potuto rip arare, sono v en u ti in gravi
p erico li e danni, e posto c h e di m igliaia d ir se n e p o tesse, ora
a l p resen te in q uesta nostra n o v ella non dir se non di quattro
m aniere di m odi di c h i restato a ved ere, avendo prim a potuto
rip arare, p er sua n egligen za, sha lassato a lla p igrizia v in cere.
P rim a dir, in n ella nostra citt di L ucca, n el tem po c h e q uello
da P arm a, cio m esser P iero R ossi, n e fu sign ore, fu uno m aestro
d i legn am e nom ato V itali, il q uale avendo fam iglia e t alcu n o
fan ciu llo p iccolo e stando a casa e t in bottega facendo ca sse e t
a ltr e m asserizie ch e a lla rte si rich ied ean o, una sera lavorando
in n ella su a bottega d i n otte ce rte casse, tenendo la lu cern a ac*
ce sa p er p oter ved er lum e e t a v ea p er costum e q uesto V itali
tu tti i ru ciori e m ossature di legn am e m ettere sotto la sca la .
A vvenn e ch e, m entre ch e lavorava, aven d o lavorato alquanto e
fatto m olti ru cio ri, la lu cern a , com e alcu n e v o lte fa , sfavilland o,
u na favilla p iccolissim a cadde in sen o di q u elli ru cio ri. V ita li
lo v ed e e d ice: B en vo v ed ere q u ello ch . Q uella & v illa , ch
in uno ru cioro caduta o v e s apprese, a poco a poco v ien e a r
dendo la ltro da lato. V ita li si pone a sed ere e sta a puoner cu ra .
Lo fuoco v a ardendo p er Io spazzo li ru cio ri fotti la sera, v e
nendosi accostando a q u elli ch e sotto la sca la erano. V ita li saldo
pur dicendo: C he farai?, lo fuoco, ch e v ed e la m ateria apparec
ch ia ta , focendo suo corso, in n el m onte d e ru cio ri c h e sotto la
scala era sapprese. V itali, ch e q u ello h a veduto, disse: N on c
d a stare. L evatosi p er vo ler il fioco sp egn ere, lo fu oco grande
e c o lle m ani sp egn ere non pu, diliber c o llacqua sp egn erlo. E t
m ontato la sca la ito a lla brocca dell'acqua. Scendendo la sca la ,
tro v tu tta la b ottega piena di fuoco, n l'acqua portata n ien te
v a lse. V ita li, vedendosi a m al p artito, p er cam pare la ftm ig lia
sua, rim ontata la scala, i fan ciu lli da una fin estra d irieto ca l
e t sim ile la donna. V itali, c h e parea a lu i ch e l fuoco non do-
T esse ancora a v er acceso lo solaio, p er cam pare a lcu n i su o i ar-
DE PIORITIA 287
n esi in n ella cam era intr, dove reggen dosi addosso alcu na cas
setta de suoi m igliori arn esi (1), i v icin i tratti e rotto lu scio
d en tro, quasi tu tto ci ch in bottega a rse; e t il fioco avendo
a rso il solaio, V ita li co lle ca sse v en u to in sala la sso lle, non po
ten d o le sosten ere, e t si fiacc. V itali co lla cassa in n ella b ottega
cad d e, avendosi prim a tu tto fracassato p er la caduta e t il fuoco
cocen dolo, a m ala pena v iv o di q uine tratto fu e. La casa dur
d ard ere. V itali m esso in su un letto dun suo vicin o, narrando
la cosa com e andata era, dicendo: Io m e l'h o ben guadagnato,
e co si s i m orio. V egno ora a con tare ch e uno nostro cittad in o
nom ato B artolo, essendo fattore duna com pagnia di L ucca, la
q u a le a l p resen te non di bisogno dire, q uale avendo il d itto
B artolo fatto m olte grandi sp ese p er suoi fatti propri, cogno-
scen d o i m aestri suoi ch e a l salario ch e il ditto B artolo a v ea
non potea n dovea ta le spesa Care, pensonno lu i d overe (Sare
m ala m asserizia e d icen dogli : B artolo, noi troviam o ch e tu h a i
ten u to di b an ch i m igliaia di fio rin i; noi vogliam o ch e ci m ostri
in c h e sono sta ti d istribu iti. B artolo, c h e i lib ri avea in punto,
d isse : Io v e li m ostrer ordinatam ente. L i m aestri con ten ti dis
se n o : M etti ogn i cosa in su uno quaderno, sicch n oi possiam o
e sse r e ch ia ri. B artolo rich iu dend osi u na sera in n ello fondaco,
av en d o m olti lib ri ap erti e posti sopra una scafa o vogliam o d ire
scritto io , e com e g li bisognava l uno o l altro, p resto lo potea
a v er e, e t essendo stato gran pezzo d ella n otte tenendo uno can
d elieri gran d e con u na can d ela di sevo a ccesa dinnanti, e pen
sando donde m ettere capo di q uello ch e (re dovea, avendo tu tti
i lib ri ap erti d ell'en trata e d ellu scita, e stando sopra s , ven u to
u n topo non m olto grande, e t arizzatosi a l ca n d elieri, B artolo,
c h e ci v ed e, d ice fra s : Or ch e vorr fare q uel topo?, e stava
ch eto sen za n ien te d ire, n m uoversi. Lo topo, giu n to a lla can
d ela , com inci a m angiare. B artolo ferm o. Lo topo rode tanto
c h e giun to fti a l lucignolo, dove il topo m isse i d en ti. E non
potendo il topo ritira re il dente a s, dava alcu no crollo a lla
ca n d ela . B artolo, ch e v ed e ch e la can d ela dal topo crollata,
rizzand osi, lo topo spaventato, per forza, non potendone li denti,
ca v d ello can d elieri la can d ela, e saltato sopra d ella scafa do-
v eran o i lib ri ap erti, q uine avendo m olto cotone da b alle, com
dusanza, la can d ela a q u ello cotone sapprese. E t ardendo forte,

(1) Ms.: miglioramenti.


388 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

B artolo volendo il fuoco sp egn ere p er lo m eglio ch e potea, non


avendo acqua, co lle m ani e co* lib ri tan to fe* ch e il fuoco si
sp egn , non per s tosto ch e tu tti i libri non fusseno arsi pi
ch e la m et d el foglio. P er la qual cosa B artolo doloroso, non
potendo m ostrare q u ello ch e speso a v ea , d isse a* m aestri suoi il
caso. Li m aestri d icen d o: Ribaldo, ora ch e n*hai rubati trovi
modo ch e i lib ri siano arsi, e non credendolo, tu tto d ch e a v ev a
di m obile g li levon no e t in q uello ch e a loro p area lo fenno
obbligare, e fu costretto il d itto B artolo a v iv ere a sten to co lla
su a fam iglia, n m ai torn in stato c h e dun paio d i ca lze si
p otesse v estire. Q uesto gl'ad iven n e p er la ssare con ten tare 11 topo.
Lo terzo modo d ella nostra n ovella si fa in n elle parti di
L unigiana, in una terra ch iam ata Sarzana, a l tem po ch e m esser
G iovanni d ellA gn ello l sign oreggiava. M andato uno officiale
nom ato ser Sardo da V ico, om o p iuttosto a stare a v ed ere il
m ale ch e a q u ello m etterv i rim edio, essendo il ditto ser Sardo
officiale in n ella d itta terra il m aggiore dalcu n e v a lla te intorno,
un giorno ven n ero a lu i certi buoni om ini dal v icin a le dicendo:
M essere Sardo, noi vegnam o a voi, p erocch in n el n ostro co
m une sono alquanti, ch e p er una ca ccia di porci hanno p reso
tra loro alcu no disdegno, e pensiam o, se v errete lass o c h e p er
le parti m andate (1), ch e tu tto accon cerete, altram en te potr Ara
loro n a scere discordia di v en ire a colp i. S er Sardo d ice: Io sono
qui p er punire c h i fellir e questo tra v a g lio non m i vo* d are
a v en ire colass e t anco n a farli qui v en ire. Coloro d issero:
E noi non possiam o a ltro fare. E p a rtiti, non m olti giorn i pas
sarono ch e tra q u elli nacque ch e colp eggiaron si (2) co* pugni in
form a, ch e alquanto san gue u scio ad alcuno de litig a n ti, p er la
qual cosa i buoni om ini e p aren ti e t am ici d elluna p arte e d e l
l a ltra ven n ero a Sarzana dicendo a ser Sardo c h e g li p ia cesse
dandare a l v icin a le o veram en te m andare p er loro e c h e co-
gnoscano veram en te lu i m ettere rim edio, ch e a p ace si rid urren n o,
e t se non v andasse e t ch e a ltr i non li facesse v en ire a lu i, c h e
co ferri proveranno loro quistioni. S er Sardo, ch e ha u dito i
colp i d e pugni, d ice: Or cos m i p ia ce ch e questo abbino fatto,
e t a questo m odo v a rr la m ia a rte. E se p i avan ti segu iran n o
tan to guadagner pi, dicendo, andate, ch e io punir ben c h i 12

(1) Ma.: se vorrete la su a che per le parti.


(2) Ma.: colpegiandosi.
DE PIGRITIA. 289

fa llir , e t a n ien te si m uove. Q uelli buoni om ini, ch e vedono


quanto ser Sardo officiale pigro e tristo, d icen o: P er certo se
p er la quistion e nata si v err a* ferri, m ai ser Sardo non ser
n ostro am ico, e d i cosa ch e com andi p er n oi non ser obbedito,
p oich non si v u ole m uoversi a ten ere il p aese in pace. E questo
d issero a uno suo notaio. Il notaio d ice a ser Sardo q u ello c h e
q u elli buoni om ini hann o d itto. S er Sardo d ice: L assa pur fere,
ch e se su ccid era n n o in siem e io ser m olto con tento, c h ben
far la roba loro alla corte v en ire. Lo notaio d ice: P er certo
m eglio ser e ch e l su sandasse o veram en te si facessero q u i
v en ire e p otersi la cosa accon ciare. S er Sardo d isse: T u se un
m atto a d ire ch e n e vada o n e m andi; la ssa li fare. E m en tre
ch e ta li parole tra loro diceano, v en n e uno d e v icin i d icen d o:
S er Sardo, le parti sono arm ate, e dicono c h e non si p a cifich e
ranno p er m ano di persona se non p er vostra, e m e hanno m an
dato dicendom i ch e se non andate a co n cia rli ch e in fin e a v a le
v avvisan o (1) c h e tra loro si com in cier la b attaglia. S er Sardo
d ice : Incom incino a loro posta, ch e io sono p er p u n irli d el fe llo
ch e feranno, n non m i cu ro di loro con ciare. C olui ritorn e
narrando tu ttoci ch e ser Sardo ditto av ea , coloro, vedendo ch e
ser Sardo poco se n e cu rava, com e g io v a n i, si com incionno a
p ercu otere, in pochi colpi d elluna p arte e d ell'a ltra n e funno
du* m orti e t alcu n i fe riti. Il rum ore gran d e, la cam pana a m ar
te llo , la n o vella v ien e a ser Sardo com e g i v erano du m orti
e m olti feriti, e ch e sem pre erano a lle m ani. S er Sardo, ch e ode
tu tto , fatto sella re i ca v a lli, d isse al suo notaio c h e sino a l v i
cin a le cav a lca sse. Lo notaio d ice ch e non v u o le andare, p oich
a tem po ch e non erano v en u ti a fatti andare non v u o lse. S er
Sardo, m ontato a cavallo, m ostrando m olto v o len teroso, con a l
quanti su oi fonti ca v a lc verso il v icin a le. E com e fo presso a l
v icin a le , q u elli ch e tra loro com batteano, fa ttisi fidi insiem e,
disseno l uno aHa ltro : V oi v ed ete ch e ora ch e siam o d isfatti e
m orti e feriti ser Sardo ci v ien e a p ren d ere, o veram en te p er
to ller ci i nostri beni, e quando tra noi erano se non p arole, di
q uan ti am basciatori g li abbiam o m andati m ai v en ire vu olse. E
p ertanto a noi pare, p oich lu i d i ta l m ale stato cagion e, ch e lu i
n e porti la pena e t a ci (2) ch e tra noi fatto abbiam o si perdoni,12

(1) Ms.: vacueranno.


(2) Ms.: allo.
290 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

rim anendo am ici. A ccordati a ta l cosa, ser Sardo giu n se a l vi


cin a le m olto brusco, volen do fare d ellasp ro. Coloro str etti in
siem e disseno : Quando ci potei m ettere in am ore non v o lesti et
h a ci fatto u ccid ere in siem e e t ora pensi noi p ren d ere e t il nostro
god ere, la qual cosa fetto non ti d e v en ire, m a d el contrario
pensa. E fatto li fem igli sta re da p arte, subito a p ezzi lo taglionno
e di ta l cosa n e m andolino im basciata a P isa . I P isa n i, sapendo
la v erit d ella cosa, perdononno a coloro, e t m andato [a ltro ]
officiale, rid usse il p aese in p ace. V engo a lla p a rte ultim a
d ella nostra n o v ella , dicendo uno d elle terre di N iccol da P inolo
m arit una sua figliu ola nom ata Tom asa a uno d el contado di
Luni nom ato F aller, om o da soldo pi ch e da lavoro, e t avendo
m enato q uesta sua donna in una v illa ch iam ata C astiana, in
n ella q uale un p rete giovano nom ato p rete M artino s innam or
d ella d itta T om asa, e p er v en ire ad effetto di le i, u n giorn o
chiam F aller d icen dogli: P er certo la tu a donna m i p ia ce tanto
ch e v o lo n tieri, se lo p otesse, te la fu rerei, e quando fu rata te
l avessi, m e la m enerei in m ie con trade e m eco la r ite rre i. F al
ler d ice: S ere, v oi se te troppo abboccato, ch io la v o g lio p er
m e. Lo p rete d ice: Or c h e lev a a dire? io m in gegn er di tol-
lertela quanto potr e sapr. F a ller ridendo d ice: Abbi pur c o
testo p en sieri e t io m 'ar il m io. E dim orando pi m esi p er ta l
m odo, il p rete addom esticandosi in casa di F aller, a lla p resen zia
di Tom asa d icea a l m arito: F a ller, p er certo io ti con vegn o
T om asa tollero e m eco la condurr, e non p en sare c h e io d i
q u el fetto n e la fornisca o m eglio o co si b en e com e fe c c i tu .
F a ller , ch e tu tto ode, a n ien te prende p en sieri, m ostrandosi pur
pigro. A vendogli d itto il p rete sp essissim e v o lte a lla p resen zia
di T om asa ch e g liela tollero*, e t oltra questo ven ia il p rete ta
lora con una borsetta e t a lcu n a volta con una cin to retta , o con
uno an ello, d icen do: O F a ller , a ci c h e io ti dica il vero c h e
io ti toller Tom asa, in fin e a v a le g li dono q uesta borsa e q uesta
cin ter e questo a n ello p er caparra, e t e lla , com e sa v ia , pu
com prendere ch e io la tra tter b en e. F a ller d icea : D alle p ure
ci c h e vu oi, ch e di n ien te m i m overei p er tu o ditto. Tom asa le
co se prendea, e fu tanta q uesta d im estich ezza, ch e prete M artino
con F a ller prendea, ch e in pochi giorn i condusse Tom asa a fere
la sua volu n t, e pi v o lte ritrovand osi in siem e lo p rete e To
m asa dandosi p iacere, diliberando tra loro doversi p artire e t ab
bandonare F a ller, d iven n e, un giorno c h e F a ller era in ca sa ,
lo p rete ven n e con uno cappone cotto dicendo a F aller : Io son o
DE PIORITIA. 291

v en u to a m angiare questo cappone, m a voglio ch e sp igori la


botte d el buon vino, c h pi v o lte T om asa, avendom i dato p iacere,
m e nh a dato a b ere. F a ller d ice: 0 sere, pur co m otti!, e m osso
-con uno v a g llo a lla b otte nand. Lo p rete, rim aso solo con
T om asa, sen za ch e di q uin e si p a rtisse in su llo spazzo la caric,
e prim a ch e di q uine Tom asa lev a ta si fo sse, torn F a ller co l
vin o. Lo p rete g i levato, Tom asa riv ersa non avendosi ancora
-coperta d e panni, d isse F a ller a lla m og lie: 0 q uesto ch e vu ol
'dire? Lo p rete d isse: E lla mh a v o lu to m ostrare la m ercan zia
c h e com prare debbo se e lla m i p iace, e per ti dico, se a com
p rare l a v esse io, non n e d arei un dinaro, m a p erch io m e la
p en so a v er in dono, ti dico, F aller, ch e q u ella m i p iace. F a ller
p igro e tristo n ien te d isse e, desnato ebbero, n on prim a si tro
varon o insiem e, c h e diliberonno di q uine p a rtirsi. E cosi un
g io rn o ch e F a ller era ito a S arzana, il p rete con Tom asa si par
tiron o e cam inarono verso Parm a, dove tornando F a ller e non
trovando la m oglie, fu gli d itto col p rete essere cam inata v erso
P arm a, il q u ale subito tratto loro d irieto con alcu no suo pa
r e n te, lebbeno in uno albergo sopraggiunti, n p rete, ci vedendo,
-di a fh ggire. Tom asa, ch e fu ggire non poteo dal m arito, fU
g iu n ta e conduttala a G astiana e quine alcu n i giorn i ten u tola
p rom ettendole perdonare, diliber un giorno m enarla a casa d el
padre, e com e fU in n elle te rre di N iccol da P in olo, quine l'u c
cise, e tornato a G astiana, fU p er lo v iscon te di L uni saputo la
m orte ftta a Tom asa. F atto p ren d ere il F a ller e con fessato,
g li fe ta g lia re il capo, com e la ragion v u o le, e questo g lin ter-
v en n e p er non prender rim edio quando Tare* potuto p ren d ere.
292 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

83 .
[Tri*., ! 117].

DE NEMICO INCONCILIATO NE CONFIDETDR.

N el tem po ch e fi tagliata la testa a* B regalin i di P isa e t i


R aspanti rim asero signori di P isa e di L ucca, fu in n e l contado
di L ucca, in una v illa nom ata C am aiore (posto ch e gi fusse ca
stello , in quel tem po era sen za m ure) uno nom ato G ualfreduccio
de m ale ta c c o le , isbandito p er m olti m icid i ch e fatto a v e a d i
su oi con trari e da ltri, in fra* quali, ch e m orti na v ea , fu uno di
q u ella terra nom ato T ruglio, fra tello duno nom ato il S essan ta.
Il q uale G ualfreduccio, dopo tale m icidio fatto d el ditto T ru g lio ,
a p reg h iere dalquanti su oi am ici e t a ltr i, si rid u sse a p acie co l
d itto S essa n ta , fratello del d itto T ru g lio , e p er dim ostrare pi
am ore, il preditto S essan ta si fe com pare d el d itto G ualfreduocio,
e com e om ini isbanditi luno e la ltro di con tin uo andando a r
m ati di co r a zze , di c e r v ig lie r e , la n d e e falcon i e t a ltr e arm i,
steo il d itto S essanta alquanti an ni co l d itto G ualfreduccio a u n a
gu erra, m angiando e bevendo, dorm endo e stando in siem e so li e
con altri com pagni, non dim ostrando tra loro alcu na m alavoglien za,
in tanto ch e p er lo p aese si ragionava il d itto S essan ta am are pi
G ualfreduccio ch e s proprio, e t il d itto G ualfreduccio si confi*
dava tanto n el ditto S essan ta, ch e pi ch e di fra tello g li portava
fede. Oh sc io c c h i, ch e cred ete ch e colu i c h e stato d isserv ito
non tegna sem pre a m ente il d isservigio a lu i fatto! n m ai d el
cu ore g li esc ie , e qual pensa ch e a ltro accada poco sa v io . E
stando i preditti in ta le m aniera per la v icaria di C am aiore, oggi
in uno luogo, dom ani in uno a ltro , com e li sbanditi fnno, es
sendo desta te e '1 caldo g ra n d e, divenne ch e una rom ea assai
giovana passando dove il ditto G ualfreduccio co com pagni eran o
in aguato, la ditta rom ea dinnanti al d itto G ualfreduccio rap re-
sen tata f u , e volendone prendere suo p ia c e r e , quella da p a rte
trasse e cavatosi di testa la cerv ig liera e dinnanti isbottonatosi la
corazza, per poter pi d iletto di ta le prendere, ca latosi le m u
tande e sopra di ta le salendo, fece (1) quello ch e a ta le atto [s i]

(1) Ms.: fa cen d o .


DE NEMICO INCONCILIATO NE CONFIDETUR 393

rich ied e. E m entre ch e tale cosa per lo d itto G uaifreduccio [si


fa cev a , uno] (1) ch iam ato C arnicella con m otti d isse ch e a fare
non stia . Il Sessanta, ch e ta li p arole ode, pens del fratello a v ere
il m odo di ven d icarsen e. N on guardando com paratico, non guar
dando perdono, n p acie, n am icizia, n com pagnia, n pericolo
ch e a lu i n e potesse v e n ir e , con uno falcon e se n and dove
G ualfred u ccio era e t in su lla testa dalla p arte d irieto g li d i.
G ualfreduccio, volendosi lev a re, non potendo per le m utande c h e
ca la te av ea e t anco p er il colpo avu to, il S essanta rinfrescando
i colpi in su lla testa, p er modo ch e m orto lebbe. Lo rom ore sen
ten d osi p er li altri com pagni di G ualfreduccio, ch e quine erano,
ih tratto d irieto a l d itto Sessan ta e sen za ostare lo giun sen o, dove
quine l u ccisero. E per questo modo, il fidarsi d ello inim ico, fue
m orto, n lu i di tal fallo si poteo m olto gloriare, e cos ad d iverre'
d i ch i si fidasse com e si fid G ualfreduccio.

(1) Supplisco come meglio posso alla mancanza di un inciso nel codice.
294 NOVELLE DI GIOVANNI SERGAMB1

84 .
IT it ., j 118}.

DE INGENIO MULIERIS ADULTERA.

F u in N apoli a l tem po del v ecch io re, cio d ello r e M anfredi*


uno ca v a lieri nom ato A stu lfo , il q uale avendo una su a donna
b ellissim a e g en tile nom anta m adonna L a g rin ta , la q u ale dopo
m olto stare co l m arito e di lu i prendendo quel p ia cere c h e donna
di m arito prender si possa, in tanto ch e a ciascu n o di lo r p arca
essere in secondo paradiso, e cosi dim orando, d iven n e ch e pi
v o lte trovatasi la ditta donna a sollazzo a certi giard in i con al*
quante donne e baroni, dopo m olto so lla zza re, com e p i v o lte
ad divenuto, la ditta m adonna L agrinta s infiam m dam ore d'uno
scu d ieri assai d ella persona da poco a risp etto d el m a r ito , no
m inato N ieri, p er lo q uale am ore, dopo m olte danze e ca n ti, preso
ardim ento la d itta donna di p arlare a N ieri, sua in ten zion e nar
randogli, l'am ore ch 'ella a vea preso di lu i, e dopo a lle p resen ti
parole N ieri a ccon sen to a tu tto ci ch e la ditta donna g li rich iese.
E dato l'ord in e di trovarsi in siem e quine, u' si presono p ia cere
e d iletto, p er le quali cose luno e l altro si teneano assai con
ten ti. E p erch le co se non si puonno s str ette fare c h e a lu c e
non vegnano, un giorno il ditto m esser A stulfo oltra l'u sato m odo
p er alcu n o accid en te si p arto di corte, e t a casa, d ov' la donna,
tornando (1) se n e and. E non avendo la donna p en sieri ch e il
m arito tornasse, la ssa ti ap erti u sci e porte, essendo in n el le tto
con N ieri dandosi p iacere, sop ravven n e m esser A stulfo, e t in ca
m era en trato, trov la m oglie con N ieri in n el letto , e tu tto spa
ven tato, vedendo la m oglie a v erg li fallito, e' di dolore quasi tra
m o r t. N ie r i, ch e h a e veduto m esser A stulfo, subito g itta to si
fuori del letto e quanto p oteo dato a fu g g ir e , m esser A stu lfo,
com e savio, d isse: D onna, tu h ai troppo fa llito ad averm i v itu
perato e t ora il fallo ch e fare vu oi sere' m aggiore volen do fug
g ire; e pertanto ti dico c h e a m e h ai fatto q u ello ch e giam m ai
contento non debbo essere, e per ti dico ch e giam m ai m eco n on
di u sa r e , fin e ch e a ltro non sen to di te ch e sia b astevole a l

(i) Ms.: to rn a v a .
DE INGENIO MULIERIS ADULTERA 295

fe llo fatto. E co s di casa p artissi tu tto m alinconoso e t a corte


torn, e di q uine pensonne p artirsi, n m ai alla sua donna tor
n a re. Lo re M anfredi, ch e 1 v ed e si m alinconoso, d isse pi v o lte
c h e era la cagion e c h e s m alinconoso stava. M esser A stulfo,
fingendo, g li d icea or una cosa or u n a ltra , e d el fello d ella mo
g lie n ien te d icea. E dim orati alquanti m esi in ta l m a n iera , e s
sendo un d p er m alinconia posto a uno portico d ella sua ca
m era d el palazzo d el re, e pensando sopra di q u ello c h e la donna
sua fetto g li av ea , ven en d ogli alcu n a v o lta p en sieri du ccid erla
e t alcu na volta di d isp erare se tan to dolore g li ab b on d ava, e
stando sopra ta li p e n sie r i, v id e uno ca ttiv ello , ch e andava co l
cu lo in n el catin o, a ccostarsi a lla porta d el p alagio di m adonna
F iam m etta rein a e m oglie d el r e M anfredi, e co llo scan n ello p ic
ch ia v a la porta di ta l p alagio. E dopo m olto p icch iare, la rein a
v en n e a lla porta, e q uella apro, di ch e q uello giovano, ch e in
n el catin o sed ea, gittando lo scan n ello, p ercosse in n el p etto d ella
rein a, d icen dole v illa n ia , ch e tanto a vea posto ad a p rire. La rein a ,
scusandosi ch e pi tosto a lu i non era potuta v en ire, co lle braccia
p rese q u ello giovano e t in casa lo tir, e ca v atogli lo catin o, in
q u ello spazzo si lass carica re. E sta to alquanto in ta l m aniera,
raccon ciatogli (1) il catin o e d atogli d e con fetti e b euto, lo ri-
m isse fuori di casa. M esser A stulfo, ch e tu tto h a veduto, com inci
a r a lle g r a r si, ch in fine a quel punto era stato m olto m alin-
conoso, dicen do: Ornai non m i v o disperare se la donna m ia mh a
cam biato a uno scu d ieri, p oich io h o ved u to la rein a a v er cam
biato lo re in uno gaglioffo ch e v a co l cu lo in n el catin o; e pens
p ig lia rsi v ita e buon tem po, n m ai pi di ta l fello m alinconoso
sta re. E partitosi da quel lu o g o , se n and in c o r te , dove con
p ia cere e sollazzo danzando e cantando com inci, per la qual
cosa lo re M anfredi, vedendo l'alleg rezza ch e m esser A stulfo di
nuovo si p rendea, considerata la m alinconia ch e veduta g li a vea,
lo dim and dicendogli com e potea essere ch e da tanta m alinconia,
quanta era stata la sua tan to tem po, in s piccola ora s era m u
tata in tanta a lleg rezza , stringendolo ch e la cagion e e l p erch
g li d ovesse narrare. M esser A stulfo, volendo cela re, si fingea or
duna cosa or dunaltra. Lo re, cognoscendo le scu se non essere
sofficien ti a ta le atto, g li d isse: P er certo, messe!* A stulfo, se non
m i d ite la v erit , voi cad rete d ellam ore ch e io v i porto, e sem pre 1

(1) Ma.: rancocatosi.


296 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

per poco m o am ico v i terr, se di tal fatto non m 'aprite ru scio


d ella v erit . M esser A stulfo, udendo ta l p arlare, fra s m edesim o
d icea: S e io celo la co sa , io v err in disp etto di colu i c h e pi
c h e m ai a m o , e se appaleso il fa tto , dir la vergogn a c h e la
rein a g li h a fatto e potrenne m orire. E stando in ta l p en sieri,
d ilib er con un on esto m odo n arrare tu tto , e preso licen zia di
p arlare, e ch iesto perdono se contra di lu i o d e suoi co se d icesse,
b en ch b en e lo r e g li d isse : Di* ard itam ente, c h e tu tto ci ch e
d irai da m e perdonato ser, n m ai p er ta l ditto te n e ser fatto
se non b en e; m esser A stulfo, avu to licen zia di p arlare, d isse:
M esser lo re, p oich cos d esideraste, io v i dir tu tte le cagion i
d i p arte in parte, ma p erch q u este cose serann o di lunga ma
teria , v i p rego v i p iaccia ch e a ltri ch e v o i e t io a ta l p ratica
non debbia essere. Lo r e con tento si tra sse in una cam era, d ove
non v o lse ch e a ltri ch e lu i e m esser A stulfo fosse, e tu tta bri
ga ta di fuori rim ase. E serrata la cam era, m esser A stulfo com in ci
a narrare il vitu p erio c h e la sua donna g li a v ea prim a fetto, e
ch e trovata lav ea in n el letto con N ieri scu d ieri, e ch e di ta l
fallo p rese tanta m a lin co n ia , ch e pi v o lte ho disposto di ven
dicarm i p er non v o lere tanto vitu p erio vederm i innanti, e m olti
a ltri p en sieri istrani m i sono ven u ti in n ella m ente, e q u est la
cagion e ch e fin e a qui h o e avu to m alin con ia. E stando io in ta li
p en sieri in su l portico d ella m ia cam era d el vostro palagio, v id i
v en ire uno g a g lio ffo , il quale, p erch attratto , va co l cu lo in
n el catino. E ven n e a llu scio del palagio di m adonna rein a e co llo
scan n ello pi e pi v o lte p icch i, e stando alquanto, v id i v en ire
m adonna rein a e t ap re la porta. Lo gaglioffo, dicen dole v illa n ia ,
le g itt q u ello scan n ello ch e in m ano ten ea per lo petto, dicendo:
Q uanto se* sta ta ad ap rirei La rein a , scusandosi ch e pi tosto non
era potuta v en ire, ap erte le b raccia, q u ello p rese e t in casa lo
tir, e t in m ia p resenza, ch tu tto io ved ea, g li lev lo catin o e
di sopra se i m isse e ta le atto le v id i fre. E stato alqu an to,
arrec alcu n e co n fezion i, e b evuto, g li raccon ci il catin o, e di
fiiori nand. E penso, p oich co s liberam ente ven n e con ten er
ta li m odi, ch e pi tem po sia c h e ta le m estieri co lla rein a fatto
a b b ia , p er la qual cosa stim ando io in m e m edesm o a cu i la
rein a v ha cam biato, com inciai a p en sare ch e m aggiore ca ttiv it
fiisse q u ella d ella rein a p er un m a le, ch e q u ello ch e la donna
m ia m na fatto, p erocch la vostra persona v a le centom ila pari
di colu i, a ch i la rein a v ha ca m b ia to , e t io non va g lio m olto
pi ch e N ieri; e pertanto dispuosi a darm i p ia cere e pi non
DE INGENIO MULIERIS ADULTERA 297

p ren d ere m a lin co n ia , e questa la cagion e ch e ora di nuovo


m i sono ra lleg ra to . Lo re, sentendo ta le n ovella, d isse: P er certo,
se co s com e dici, ti dico ch e h a i ra gion e di sta re a lleg ro , e t
io di stare m a lin co n o so , b en ch a m e in n ellanim o cap ire no
pu ch e la rein a sia stata tanto m a tta , ch e a ta le atto sia d i
v en u ta , e se frisse v er o , m ai a llegrezza non debbo sen tire. M esser
A stu lfo d ice: P er certo v e n e accerto esse re v e r o , m a ben v i
d ico ch e a m e in crescie ch e costretto m abbiate a d overvi nar
ra r e questo fatto. Lo r e d ice: Come avan ti ti d issi, cos ora ti
rafferm o, c h e se m ai ti v o lsi bene, ora te ne vo' per un cento;
m a ben ti v o pregare ch e di ta l cosa m i fcci certo , a ccio cch
io possa a*n eri p en sieri m etter rim edio. M esser A stulfo d isse:
Io penso a l certo farvelo v ed ere p er m odo, ch e certo n e sa rete.
B diliber c h e quine, a q u ellora ch e la rein a ap risse l u scio , lo
r e frisse con lu i in su l portico. Lo r e d isse ch e g li p ia cea ; e
p artiti di cam era, ciascu n o se n and con q u elle ch e avea co lte.
M esser A stulfo, stato alquanti d nascosto, un gimmo di festa vid e
v e n ir e q u ello gaglioffo. Subito andato p er lo r e , lo re ven u to,
v id e co lu i ch e luscio co llo scan n ello p icch iava, e ch e la rein a
era alquanto d ilungata d alla porta, non udendo s presto, pi e
p i v o lte colu i p icch i; ultim am ente la rein a in una giubba
v en n e, lu scio a p erse, lo gaglioffo con ira g itt lo sca n n ello per
d a rle n ella fa c c ia , e dato la re, se non ch e la rein a sch if il
colpo, d icen dole: P u tta n a , ch e h a i fatto a ven ire? E lla tim oro
sam en te in b raccio lo p rese e dentro lo m isse, e fatto com e m esser
A stu lfo d itto a vea in p resenza d el r e , poi m isselo fuori. Lo re,
c h e tu tto h a e ved u to, d isse: P er certo, A stulfo, io sono d ilib erato
non v o lere pi v iv ere a l m ondo, e v o ch e tu e t io d partiam o
di q uesto luogo e t a persona non lo facd am o assaporo, e pigliam o
d ellargento assai pr isp en d ere, e scogn osciu ti a piedi sen za ltra
com pagnia c i partiam o, con inten zion e d i m ai ritorn are fin e ch e
q u a lch e a vven tu ra non ci v ien e a lle m a n i, ch e c i fccia certi
d el n ostro ritorno. M esser A stulfo d isse ch e v o len tieri si p artire'
d a lla m oglie, se a lu i p iacesse, e con lu i andare. Lo re , disposto
a p artirsi, senza altro d ir e , p resi m olti d in a ri, secretam en te si
partirono, e cam inarono verso T oscana p er l passare tem po. E
g iu n ti ch e frmno in n el contado di F ir e n z a , in una v illa ch ia
m ata P eretola, dim andando d el cam ino p er an dare in verso P isa,
fu loro contato ch e la v ia di Em poli era buono ca m in o , e poi
da Sam m iniato, e di quine, se a L ucca volessero essere, lo ca
m ino era p er la G erbaia, e da L ucca a P isa h a d ieci p icco le
298 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

m iglia. Costoro, in teso lo cam ino, tosto si partirono da P eretola


e ven n ero verso Sam m iniato, dove Ai loro contato ch e L ucca er a
p iccola terra e t assai ben posta e p ien a di gran m ercadanti e
divota di m olti san ti. Lo re e il com pagno, d ilib erati di v en ire
a L ucca, passonno da santa Gonda a santa C roce, e poi lo S er-
ch io , dirizzandosi verso la C erbaia, e t essendo d el m ese di lu g lio
gran caldo, com e funno g iu n ti in un b el oraggio e t om brina, d ove
una d ilettev o le acqua, si puoseno p er lo caldo a riposo. E m en tre
in ta le m aniera stavano, videno verso L ucca p er la C erbaia v e
n ire uno, il q u ale in co llo a v ea una gran cassa di m olto peso,
venendo assai agiatam en te. E com e fu presso a l luogo d ove l
r e e lo com pagno eran o a una arcata, di liber lo r e nascon dersi
lu n gi da q u ell acqua , p er v ed ere qua) cam ino q u elluom o fare
vorr. E com e d ilib er m isse in e ffe tto , c h e lu i e l com pagno
si partirono da q u ellacqua e t in un b osch etto si m issero in a scoso.
V enuto co lu i co lla cassa dovera q u ello rezzo e t q u ella b ella a c
qua, avendo m olto sudato, s p er lo caldo gran d e, s p er lo ca
lum are, s p er lo peso g ran d e, si m isse quine a riposo, e posto
g i leggerm en te la c a ssa , e trattosi d alla sca rsella una ch ia v e,
ap erse la c a ssa , e di q uella u scio fuori una b ellissim a g io van a
det danni v in t i, e t alla to a lu i se la fe p onere a s e d e r e , e
tra tto d el pane e d ella carne e t un fiasco di vin o d ella d itta
cassa, in san ta ca rit com inciorono a m angiare. E com e ebbeno
m an giato, essendo in su lla n o n a , il ditto posando il cap o in
grem bo a q u ella giovana, com inci a dorm ire, e t a so m a c ch ia r e
forte. Lo r e e l com p agn o, ch e tu tto hanno ved u to e vedono,
diliberarono, sentendo so rn acch iare colu i, dappalesarsi a q u ella
giovana, ch gran bisogno avean o duna sua p ari, p erocch , poi
ch e p a rtiti s erano, con neuna serano acco sta ti. E fattosi alquanto
fuora d el boschetto, e facendo am icchi alla giovan a ch e a loro
andasse, la g io v a n a , com e li v id e , parendo a le i om ini da ssai,
piano piano sotto il capo a l m arito m isse il fiasco e le i di sotto
g li u s c io , e t and a l r e e t a l com p agn o, dove fu la bene, r ic e
v u ta , ch e dal re e dal com pagno quattro v o lte fu co n ten ta. La
giovana, lieta di s buona ven tu ra ch e g li era ven u ta, loda Iddio
e coloro ch e s lhanno fatta con ten ta. Lo r e dim and c h i ella
fu sse e donde, e ch i era co lu i ch e sopra le sp alle in n ella cassa
la portava, e la cagion e. La giovana d ice : Io sono ch iam ata la
S avia da S ie n a , e sono m oglie di colu i ch e l d o rm e, il quale
ha nom e A raulfo sen ese, e la cagion e p erch m i porta a questo
m odo si p er la gelo sia ch e lu i h a e di m e, ch e io non abbia a
DE INGENI0 MULIERIS ADULTERA 299
fare con a ltro om o ch e co lu i. [E per] h a diliberato p atire
q u esta pena ogni volta ch e di fuori di Siena vada per alcu n e
m ercan zie, e quando siam o a S ien a, sem pre m i fa sta re in una
cam era terrestra, in n ella q u ale non h a u scio n fin estre, se non
g ra tico la te di ferro e m olto a lte, e t in quella cam era non si pu
[en tra re] se non per una cateratta ch di sopra in n el solaro,
in su l q uale lu i fa il suo m estieri di d e e di n otte. Q uella ap re
e ch iu d e l dentro con una ch ia v e e v ien e a m e , e q uine si
dorm e fine a d e questo modo tien e di continuo. Ma la natu ra
m* h a dotata m e e la ltre di S ie n a , ch e a ta li rim edi troviam o
m odo, ch e io h oe fatto [p er] terra, dove io tegn o il m io letto,
u na cava tanto addentro, ch e di fuori d alla casa riescie, e p er
q u ella ogni d a m io d iletto m etto or uno or un altro, e talora
vado a diportarm i con a ltri. E p er questo m odo mi do p ia cere
e la sso il p en sieri a A rnulfo m io m arito e la m alin con ia, e t io
m i prendo sollazzo e d ip o rto , non guardando a sua gelosia. Lo
re , ch e h a udito il m odo ch e l m arito tien e di co stei, e t ha sen
tito ch e e lla si fa ch iam are la S avia, d ice a l com pagno: C ostei
c i ar tan to insegnato, ch e con buona scien zia a casa potrem o
ritorn are. E parendo tem po alla giovana dover al m arito tornare,
d isse a l re e t a l com pagn o, se le su e cose piacea lo r o , ch e di
gra zia ciascu n o coglia una m eluzza del suo giardino. Lo re,
udendo s p iacevolm ente p ro fferire, co lse una m e lu zz a , e t una
n e co lse il com pagno, e p er ricom pensazione del buono serv izio
lo re g li don un b ellissim o an ello di grande valuta. L ei, com e
am m aestrata, cognosce il g io iello , pens costoro essere di grande
stato, e accom andolli a Dio. R itorn dove il m arito g iacea, e
sv eg lia to lo , facendo vista dessere con lu i stata, d isse: D eh, quanto
m h ai dato carico in su lle coscio! Lo m a rito , p resa la , in n ella
cassa m essala, e ch iu sa la cassa colla ch ia v e, in co llo se la m isse
e cam in verso S iena. Lo re M an fred i, avendo tutto veduto e
sen tito, d isse: M esser A stulfo, ornai non dandare pi tapinando
p er lo m on d o, considerando ch e costei ci ha dato am m aestra
m ento ch e la fem m ina guardare non si pu ch e non fa llisca,
posto ch e alcu n i b elli tra tti loro si tolta, nientedim eno a con clu
sio n e ultim am ente fanno la loro volont. E pertanto ti dico ch e
a N apoli ritorniam o e con onesto modo le donne n ostre ca sti
gh iam o, n m ai m alinconia di ta l fatto prendiam o. E cos disposti,
a N apoli tornaro, dove ciascu n o con bel modo la m oglie castige.
300 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

85.
[Tit., n* 119].

DE DISONESTO FAMULO.

N ella citt di P isa, a l tem po ch e [si] reggea a l g o vern o d e l


popolo, fatto li an ziani o v vero p rocuratori, fu uno an zian atioo
d el m ese di m aggio e di giugn o, in n el q u ale fu uno ca lzo la io
nom ato V annuccio da C alci, om o essendo a rtefice a ssa i e com u
n alm en te era agiato di dinari e di p ossessioni, e t essen d o tr a tto
anziano, com e dusanza, a lu i fu attrib u ito u na cam era, d e lla
q u ale era govern atore e donzello uno nom ato F rasca da R ip a-
darno. E t essendo il preditto V an n uccio intrato in palagio e la
sera avendo dinnanti da s F rasca su o donzello, g lim puose c h e
ogn i d i co n ciasse il letto e t in su q u ello m olte co se m ettesse, e
sim ile ogni sera con uno panno g li fregasse i piedi, e t a lc u n a
vo lta d ella settim an a ordinasse ch e lacqua p er li piedi fu sse
cald a con a lcu n e fronde di orb ach i, e ch e a lla m ensa lo se r v is s e
di q u elli buoni bocconi, ch e in n elle vivand e seranno, e c h e
sem pre n el m escere lo b icch ieri sciacq u ato e n etto [ten esse] e
tu tte a ltre cose g li d isse ch e di n ecessit se con vien e ch e i d on
z e lli faccino. F rasca, ch e g li parea a lu i essere anziano, s d e
gnando d isse ch e bene fare. E stando alcu n i di, F rasca co m in cia
la sera a non sca lza rlo e m olte a ltre co se date lassa di fa r e .
V annuccio d isse : D eh, F rasca, e pare c h e tu abbi poca m em oria
a d ire ch e non tr e sere ch e io ti d issi ch e ogni sera tu m i
sca lzassi e con uno panno m i fregassi i piedi, e t ora te l h a i
dim enticato. F rasca, trovando alcu n a scu sa, d ice tu tto fare, e
pensa tra s m edesim o di ven d icarsen e fuora d ellofficio di ta le
co llegio. A ndato V annuccio a casa un giorno da lavorare, m esso si
lo grem biale dinnanti, a cu cire e t a ta g lia re d elle scarp e si d ie d e .
Intanto v en n e F rasca donzello con in ten zion e di sv erg o g n a re
V annuccio, e d isse: Io vorrei uno paro di scarp e. V an n u ocio
disse: V olen tieri. E fattolo puonere a sed ere, F rasca, c h e p er a ltro
non v 'era ito, postosi a sed ere, V annuccio g li ca lza una scarp a
e t u n a ltra . F rasca d ice: E ll un poco troppo grande. V a n n u ccio
lo scalza e t u n a ltra n e g li m ette. F rasca d ice: Q uesta tropp o
larga, io la vorrei alquanto pi a ssettata, com e si co n v ien e a
d on zelli. V annuccio q u ella g li cava e t u n altra n e g li m ette.
DE DISONESTO FAMULO 301

F ra sca d ice: Q uesta troppo corta ch e le dita mi tien e a rric


cia te . V annuccio g liela ca va, e cosi cavandola pi di dodici v o lte
si f* calza re e scalzare. U ltim am ente p resene un pajo, e com e
in piedi lebbe, se nand a palagio, e trovatosi co suoi com pagni
d on zelli, d isse: S e io non m i sono ven d icato di V annuccio ca l
zolaio, ch e di quante v o lte io lo scalzai in palagio, io m ho fa tto
o g g i a d iletto ca lza re e scalzare pi di v in ti v o lte. E posto ch e
la scarpa m i serv isse b en e, io dicea : E ll troppo lu n ga, e quando
d icea : E ll troppo larga, e t alcu na v olta : E ll troppo corta, e t io
stando sem pre a sed ere, e lu i vagellan do com e un m atto, tan to
c h e la vea fatto andare in qua e in l, sicch io v i dico ch e se
m ai si ven d ic persona di lu i, io m i sono ven d icato. L i d on zelli,
c h e ci odono, alcu n i ca ttiv i com e F rasca da R ipadam o rid ean o,
alcu n i buoni tacendo si partirono e t a V an n uccio calzolaio n an
darono, e tu tto narronno ci ch e F rasca da R ipadam o d itto
a v ea . V annuccio, dato loro b ere, dim ostr non cu rarsen e, non
dim eno pregi q uello ch e ditto avean o; e p artiti ritornarono a
p alagio. V annuccio, subito preso suo m antello, n'and, e t a lli
an ziani nuovi fe d ire ch e a loro v o lea p arlare. Lo co lleg io lo
fanno en tra re a loro, a cu i V annuccio d isse: Signori, com e a v o i
m anifesto, io com e indegno fui eletto anziano p er li du m esi
p assati, com e sap ete. A m e fu attrib u ito F rasca da R ipadam o a
m io donzello, a cui im puosi ch e d iligen tem en te m i serv isse in
n e llofficio, com e si rich ied e, e posto ch e m alvolen tieri m i ser
v isse, d el qual serv ig io non m i biasm o, m a p erch occorso
oggi alcu n o caso, posso d ire ch e tu ttoci ch e in n e llofficio m i
fe' stim o a v erlo fatto con m alo anim o, e p ertan to sono v en u to
a voi a d irvi q u ello ch e, diposto l officio, m h a fatto, e t an co
d i ci non m i sa rei doluto, se lu i non se n e fu sse van tato. E
q u ello ch e io v o d ire si questo. Com e voi sap ete, larte m ia
essere calzolaio, e p er serv ire ch i a b ottega m i v ien e p er v en
d ere m ia m ercan zia; di ch e stam ane, essendo tornato a lla m ia
bottega, F rasca da R ipadam o donzello ven n e a m e, chiedendom i
un paio di scarp e, e t io, fattolo puonere a sed ere, uno paio n e
g li ca lza i. L ui, dicendo essere troppo grandi, le scalza e t a ltro p a io
g li m issi, e per questo m odo calzando e discalzando pi di dodici
paia n e g li m issi. U ltim am ente un paio n e com pr, e t io, co n ten to
ch e lavea servito, m i riste tti a bottega. L u i, ven u to in p alagio,
se van t ch e tu tte le su e v en d ette h a fa tte in averm i ta n te v o lte
fattosi sca lza re e racalzare, dicendo lo prim o paio ch e io tro v a to
g li av ea e sse r e buone, m a p er fare strazio dinegava e biasm ava
302 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ogni scarpe, ch e in p i g li m ettea. G li an ziani, c h e questo hanno


udito, a v u ti q u elli donzelli, a cu i F rasca a v ea narrato la cosa,
e t u d ite troppo pi cose d ison este d itte, ch e V annuccio non avea
con tato, subito fattogli tra rre la roba di dosso e m esso Frasca
da R ipadarno in m ano d ello asseg u ito re, subito conduttolo alla
co lla e* q uine v en ticin q u e tra tti di buona m isura n e g li di, e
poi lo m and fuori di P isa con com andam ento ch e in Pisa mai
non torn asse; e per questo modo cred eo in frascare e Ita in
frascato.
DE APETITO CANINO ET NON TEMPERATO 303

86.
[T rir., b 121].

DB APETITO CANINO ET NON TEMPERATO.

F u n el contado di Ierusalem in u na v illa o v v ero ca stello ch ia


m ato Q essim ani uno buono om o nom ato Taddeo cristian o, di cin
tu ra (sic) e d ella roba a ssa i com peten tem en te ricco . E non avendo
c h e uno figliu olo, q u ello am ava sopra tu tte le cose del m ondo,
e b en ch m olto ram asse, niented im en o p er alcu n o sen tim en to
d el suo nascim ento, m olto dubitava, p erocch a lu i era stato
d ich iarato, quando a battesim o lo fe portare a b a ttizza re (a cu i
puose nom e P aulo) ch e dovea di subitana m orte m orire in n el
let d i d ieciotto an ni, e se p er alcu na ven tu ra lo cam passe, ch e
d iv e rre om o di gran fatto, e p er q uesto in p arte p ortava a l
q uanta m alinconia di lu i e t in p arte alleg rezza . E stando il ditto
T addeo in gran p iacere, facendo n otricare il fig liu o lo tan to c h e
p erven u to fu a ll et di d icia ssette a n n i, in n el qual tem po
T addeo am m alando e non potendo p i la v ita in lu i durare, con
p ianto e dolore fe a s v en ire P aulo suo figliu olo, con lagrim e
10 b a cia v a , e t erano ta n te le lagrim e ch e Taddeo g itta v a , ch e
P au lo d isse: P er certo, padre, o voi non m am ate com e d e am are
padre, o v o i di m e siete, com e fuor di senno, oltra lusato m odo
p reso dam ore. E p ertanto v i prego ch e a m e d ich ia te il p erch
11 o cch i vo stri tan to sono a fflitti in m ia p resen za. Lo padre,
ch e ode il figliu olo, gittando uno strido, disse: S e io lagrim o, io
h o d i ch e p er pi risp etti, e t prim a p erch d ella m orte ho paura,
appresso p erch lasso te in g ra v e pericolo, ch e penso, essendo
io m orto, tu poco di po m e v iv ere di, e pi m i duole ch e di
subitana m orte debbi m orire, com piuti i d ieciotto an ni, e q ueste
sono le ragion i ch e m inducono a lagrim are. Ma duna cosa l a
nim o m io m i fa sta re lieto , ch e se la fortuna fa passare il tem po
di d iecio tto an ni, d iverrai gran m aestro e signore, sicch I dolore
m isch iato con la llegrezza m i fa le lagrim e d alli o cch i d iscen d ere.
Ornai ti prego ch e sii con tento e co lla m ia b en ed izione a Dio
taccom ando, com andandoti ch e sem pre la fede di C risto m an-
teg n i e da q u ella m ai non ti p artire. E d itto ch ebbe q u este cose,
*il d itto T addeo si m or. P aulo q u ello fe sop p ellire, facendo p er
lanim a sua assai lim osino. Rom aso P aulo solo co lla sua m adre
304 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

nom ata m adonna C restina, donna di gran san tit e m olto divota
di nostra Donna, pregandola di continuo ch e g li gu ard asse quel
suo u n ico figliuolo P aulo dalla m orte subitana, e t a v ea tanta
com passione e paura di questo suo figliu olo, ch e p och e v o lle lo
ved ea ch e di paura non la gri m asse, di ch e il figliuolo, ci ve-
vedendo, d isse: M adre m ia, po' ch e la fortuna m i de' condurre
a dover m orire subito, ornai ch e il tem po sapprossim a, v i dico
ch e io v o 'a n d a re a trovare m ia v en tu ra ; forse ch e Dio, p er sua
p iet e p er le lim osino e p regh i ch e voi farete, questa p estilen za
di tal m orte da dosso m i lev er , e se p ure fia d i su o piacere
ch e io m orire debbia, v i dico ch e alm en o di ta l m orte non
n 'a rete torm ento. E p ertanto v i prego v i p iaccia c h e a m e com
p riate un buon ca v a llo e ben fornito, e datem i dinari, c h e al
quanto tem po possa sen za d isagio an dare cercando m ia ventura
e v o i c o lle lim osine e t orazioni v i serb iate q u ello c h e c i . La
m adre, udendo le sa v ie ragion i di P au lo suo fig liu olo, tutto
m isse in effetto, e dopo alqu an ti giorn i P au lo co l nom e di C risto
m ont a ca v a llo e solo ca valc verso B abilonia. La donna rim ane
facendo d ire m olte m esse e facendo lim osin e a ccio cch D io lo
fig liu o lo gli sa lv a sse e ch e prim a ch 'ella m orisse lo p otesse v e
d ere. E cavalcan d o P aulo pi giorn ate, dandosi p iacere, e restando
or in questa terra or in q uella, tanto ch e a l term in e d e d ie d o tto
anni fii ven u to, e passando un giorno p er una v ia circond ata di
b osch i, in ne' quali lo fuoco era stato m esso p er alcu n i d i B a
bilonia, e t ardendo forte, uno drago, fuggendo lo fuoco, o v era
m ente ch e Dio lo con d ucesse, vedendo passare P au lo a ca v a llo
p er lo sen tieri, subito sa lta to in su lla groppa del ca v a llo e le
b ran ch e m isse in su lle sp alle a P aulo, sopravanzando la testa
con tu tto '1 collo sopra d el capo di P aulo. P aulo, ch e p en sa in
quel punto m orire, senza paura lassa il drago far ci c h e v u o le,
spronando lo ca v allo tanto, ch e fuora del fuoco fu u scito. E com e
fhora del fuoco fii, una sa etta si m osse dal cielo p er fe r ir e P au lo.
Lo drago, ch e quella h a ved u ta, subito ap erta la b occa, q u ella
rice v e neuno m ale a P au lo n a l drago fece. P au lo, stu p efatto
e tram ortito, in terra s' p er la paura avu ta d el drago, si di
q uella d el fuoco, si p er la saetta, ch e non fu da m era v ig lia re
se P aulo non m or, e caduto in terra tram ortito, lo drago sceso
della groppa del ca v a llo , e com e fu sse persona um ana q uin e
risteo tanto, c h e P au lo fu resen tito. E t ap erti 11 o cch i, vedendo
il drago sopra di lu i, di nuovo di paura in terra cadde com e
m orto. Lo drago, c h e ci v ed e, su rse e p artissi tan tosto c h e P au lo
DE APETITO CANINO ET NON TEMPERATO 305

fu resen tito, e com e lo v id e risen tire, il drago com inci a par


la r e d icen d o: P aulo, non a v er paura, sappi ch e oggi se cam pato
da m orte a v ita , p erocch q u ella sa etta ch e dal cielo v en n e
v en ia p er u ccid erti, e t io q u ella ricev ei p er lo buono serv ig io
c h e fatto raa v ei daverm i tratto del fuoco, e pertanto assicu rati
e t da o ra 'to n a n ti di m orte subitana non a v er p en sieri. P aulo
rassecu rato si lev di terra , c h e ancora giacca, p er v o lere m on
ta r e a cavallo. 11 drago d isse: P au lo, p oich Dio t*ha cam pato,
io ti vo dare una b ella g razia, e per m ettim i la tua lin gu a in
bocca, e t io m etter la m ia in n ella tu a, e d icoti ch e tu tte m a
n iere di b estie in ten d erai ci ch e d ir vorranno. P au lo rassecu
ra to cred ette a l drago, e com e d isse cos fe, e subito si sen tio
c h e tu tte crea tu re e t an im ali inten dea, e tenendosi m olto lieto ,
a ca v a llo m ont. Il drago si p art, e P aulo ca valc v erso Babi
lonia, facendo p er lo cam ino la prova d ello in ten d er li an im ali
e trov esser vero. B cos giu n se in B abilonia, n m olto quine
v o lse dim orare, ch e d ilib er v en ire in cristian it, e ca v a lcato
verso D am asco e di q uin e a l porto di B a rati, e m ontato in suna
n ave, si fe m ettere in n e llisola di Cipri, dove si tenea assai con
ten to e sicuro, e posatosi in una citt d ellisola nom ata Scio,
sen tio ch e la figliu ola d el re C arlo di Cipri' nom ata Isotta, era
m alata di una m alattia c h e a v ea un ran occh io in corpo, avendo
e lla beuta m oltacqua, e q uello g li era tanto addosso cresciu to,
ch e tu tta la su stanza g li cavava daddosso, e t era p er p erd ere
la persona, e ch e lo re a v ea m andato bando ch e qualunque la
gu arisse ch e a ta le, con m ezzo il suo ream e, g li dare per m oglie,
e ch e m ai neuno l'avea potuta gu a rire, e m olti nerano stati
m orti e disfatti, ch e ta le fan ciu lla avean o presa a gu arire. P au lo,
ch e questo ha udito, pens vo ler essere q u ello ch e ta le giovana
goda, e subito m ontato a ca vallo on orevilm en te v estito , in corte
dovera lo re C arlo se n and e t a lu i fe p arlare com e uno stra
n iero volea la sua figliu ola gu arire e q uella p er donna av ere.
Lo re, ch e a ltro non d esiava, fu m olto a lleg ro e subito fattolo
dinnanti a s v en ire, ordinato tutto, lo d seg u en te funno in su lla
prova, e fatto v en ire Isotta fuori della citt , intorno a fossi, l
u P au lo solo colla giovana andavano su p er li fossi, e m entre
andavano, lo ran occhio com inci a can tare. Q uelli ch erano in
n ellacqua com incionno a rispondere dicendo : Oh ca ttiv o in sen
sato, ch e stai in cotesto corpo rin ch iu so e noi stiam o a v ed ere
la ire e diam oci piacere in n e llacqua e godiam o. Lo ranocchio
c h in n el corpo di Isotta d ice: Io m angio di buone confezioni
3 06 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

e la tte, e sto caldo e godo senza paura, e voi ca ttiv elli, che
sta te in nell'acqua e m angiate m ale, e b ev ete peggio, e t oltracci
v iv ete in sosp etto d 'essere d a lle serp i m an giati, e t io m i riposo
sen za affanno e non ho paura desser m orto, m a continuo ogni
d m i sono date m igliori vivand e, l'uno d pi ch e l'altro. Li
ran occh i d icen o: S e lo re, o ch i l'h a e a govern are, facesse a
nostro senno, tu non v i sta resti u n ora, e com e ca ttiv o in nel
fuoco ti farem m o ard ere, ch e h ai preso a v o ler far m orire si
b ella giovan a. Lo ran o cch io rin ch iu so : C otesto non neu no che
saper lo possa, e per io m i goder sem pre, e voi v i sta rete in
n ella m ota com e d egn i siete . P au lo, ch e tu tto h a e in teso, subito
p artitosi di q uine e t in n ella terra intrato, facendo q u ello che
in teso da ran occh i a v ea , la giovana lib era dalla inferm it, posto
ch e debile rim anesse, lo re m andato per m edici e m ed icin e, in
pochi giorn i torn pi b ella e pi forte ch e m ai fu sse. E dato
lord ine ch e P au lo la m eni, la festa fli grande, e pi g io rn i ten
nero corte bandita dandosi p iacere, e non m olto tem po sterono
ch e P aulo m and p er la m adre ch e a lu i v en isse, notandole
com e avea presa la figliu ola del re C arlo di Cipri nom ata Isotta.
La m adre a lleg ra in Cipri n and, dove il figliuolo la fe' fere
contessa, e lu i dopo la m orte del r e Carlo rim ase r e e sign ore
di C pri, p erocch a ltra figliu ola c h e Isotta il r e non a v ea . E
cos in siem e steono, aven d o in siem e m olti figliu o li, e m orti, l'anim e
loro, per le buone operazioni, Iddio le chiam a s.
DE DISPERATO DOMINIO 307

87 .
[Tri*., n 123].

DE DISPERATO DOMINIO.
F u in n elle parti di B orgogna du conti, l uno nom ato lo con te
D an ese da D erta e la ltro lo con te B iocolo da L anson, om ini po
te n ti e di m olte ca stella signori, ch e per certo disdegno nato
tra loro, essendo v icin i e dalcu no parentado con giun ti, ven n ero
a gu erra in siem e aven d osi isfid ati. E ciascu n o fatto su o isforzo
e m esse le b rigate in su cam pi, e v en u to a battaglia in siem e,
o r p erch sere' lungo il nostro n o v ella re, v err solo alla sostanza
d ella cosa, dicendo ch e il con te D anese, com e vigoroso e gagliardo,
posto ch e m eno terren o e g en ti a v esse ch e non a v ea lo con te
B iocolo, la fortuna lo prosperava in tan to ch e non m olti m esi
passarono ch e l con te D anese a l con te B iocolo to lse tu tta la
m aggior parte d elle su e ca stella e terren o, e poco pi g li era
rim aso ch e il ca stello nom ato Lanson, e q u ello assai m ale in
assetto per li m olti di q u ello ca stello m orti e t ezian d io p erch
poca v ittu a g lia v a v ea e pochi difenditori, ch e si potea d ire e s
sere perduto. Di ch e, vedendosi il d itto con te B iocolo a ta le
stretta, non avendo speranza in Dio, m a pi tosto in disp erazion e
m ettendosi, com e disperato com inci a raccom andarsi a l d iau le
pi v o lte chiam andolo: 0 d iau le, a te m i do in anim a e t in corpo,
se puoi fare tanto ch e io sopra d el con te D anese possa m ia ven
detta fare. E questo pi e pi v o lte com e disperato ch ied ea. Lo
dim onio, il q uale sta sem pre atten to a fare la natura um ana
perire, avendo pi v o lte lo con te B iocolo in teso quanto a lu i si
raccom andava, diliber appalesarsi a lu i e farlo con tento in
q u esto modo d ellanim o ch e avea. E subito apparitogli innanti in
form a di un gran m aestro, d isseg li (1): O con te B iocolo, io sono
ven u to a te p er d ich ia rirti ch i io sono e p erch , e per sappi
c h io sono quel d iau le ch e pi v o lte a m e t h a i dato in anim a
e t in corpo, e per sono ven u to ch e m i d ichi a bocca q u ello ch e
fra te m edesim o *pi v o lte h ai d itto et io far ci ch e m i co
m anderai. Lo con te B iocolo disse : P oich tu m h ai ditto ch e s e
il d iau le e t io cos credo, ti dico ch e se d el con te D anese mi vu oi
fa re v in cito re, io m i ti do in anim a et in corpo. Lo dim onio 1

(1) Ms.: dicendogli.


308 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

d isse: Or m intendi, con te B iocolo, q u ello ch e io v o d ire; sappi


c h e q uello ch e a m e prom etti ti con verr a tten ere, e non pen
sare di negarm i q uello ch e a m e p rom etterai. E p ertanto ti dico
ch e tu ti pensi fin e a dom ane a q uestotta e qui rii orn erai dove
io ser e q uello ch e d ilib erato arai di Care star per contento.
Lo con te a lleg ro disse: E t io verr, e p artiti l uno d a llaltro, lo
con te si ritorn n el suo palazzo, e quine pensandosi solo ven
d icarsi, lo dim onio and in quel proprio luogo dove lo conte
B iocolo era, infiam m andolo ch e stasse ferm o a lla ven d etta, e tanto
10 nfiam m ch e 1 conte, sen z'altro raccom andam ento di Dio, di
liber rispondere a l d iau le ch e tu tto se g li dava in anim a e t in
corpo, avendo sua inten zion e del con te D anese, e per questo
modo pass quella notte. E v en u to il giorno, a llora dovuta, che
11 d iau le dovea essere quine u* il di av a n ti a vea tro v a to il con te
B iocolo, il preditto conte q u in e and e, non m olto stato, il diaule
si m anifest a lu i dicendo: 0 con te B iocolo, com e ti se apensato?
Lo con te d ice: C he sono con tento di d a m iti in anim a e t in corpo,
se contra a l con te D anese m i fai vin citore, soggiogando lu i com e
ha soggiogato m e, e questo fatto, a ch e ora vu oi v ien i p er me
e t io teco senza contrasto verr. Il diaule, ch e altro non desi
d erava, d isse : 0 conte, io voglio ch e p er tu a lettera e co l tuo
su g g ello tale prom issione mi farai, e t io ti far del nim ico tuo
essere v in citore. Lo con te B iocolo, ch e p er ven d etta fa re si sere
obligato, giurando d isse dosservargli tu tto ci ch e prom esso
av ea , e ch e la carta di sua m ano co l su g g ello sen za ch e di quine
si partisse la fare. E fatto v en ire carta e t on gosto, la scritta
fece, e preso il suo su g g ello , q uella su ggell e t al d iau le la diede,
dicen dogli: Io ta tterr pi ch e prom esso non tabbo. Il diau le
d isse: Or m i spetta qui e t io torner a te ; e subito, sen za m olto
stare, rapresent al con te B iocolo tan ti fiorini, ch e p arve uno
stupore a v ed erli, dicendo: O co n te, se d ee soldare tanta gen te
dando buono soldo, p erocch d e dinari ogni d ten rech er tanti,
ch e tu tto l m ondo soldare p otresti, e pertanto d buon soldo e
com batti. Lo con te, vedendo tan ti dinari, stim , non ch e '1 conte
D anese m etter a l basso, ma tu tta F rancia, avendo nim ist, poter
vin cere, e t per questo, ringraziando il diaule, d isse: Io prover
con q u elli e se bisogno d elli a ltri ar fa lli presti. Il d iau le dice:
Fa tosto, ch dinari ci ha assai, e sem pre in questo luogo al
bisogno mi troverai, e p artissi via. Lo con te, preso q uelli dinari,
d i ordine di soldare da ca vallo e da pi, e m essosi a com battere
co l con te D anese, avendo gran q uantit di gen ti, in b rev e tem po
DE DISPERATO DOMINIO 309

ricon q u ist tu tte le su e terre perdute, e poi conquistando q u elle


d e l con te D anese, ch e non m olti m esi passarono, c h e con te
D an ese con tu tti suoi c a stelli e terre presi ebbe, e m orto il con te
D anese, p acificato co lli a ltri g en tilo tti di q u elle terre, con gran
trion fo a Lanson ritorn, dove ordin ch e tu tti i baroni e signori
d e lluno paese e t d eira ltro e t alqu an ti stran ieri fusseno a uno
m agno desnare ch e il d itto con te B iocolo fe re v o lea ; e ven u ta
lora e t essend o a tau la, il dim onio in form a duno corrieri giu n se
a l p alagio, dove rap p resentatosi, e volendo in sa la sa lire, lo
m aestro Id eili] u scieri non volendo ch e neuno su andasse, per
com andam ento d isse ch e alquanto si sp ettasse fin e ch e lam ba
scia ta a l con te fatta fusse. Lo dim onio co rrieri d isse: V a e torna
co lla im basciata, e t io qui t asp etto. Lo fam iglio and in sala e
q u in e davanti a l con te lim basciata fece, com e uno co rrieri gli
v o lea u na lettera dare. Il con te, ch ' ora in su l god ere, d isse:
D illi c h e si sp etti tanto c h e noi ci abbiam o dato p iacere. Lo
fam iglio torn e tu tto d isse. Il dim onio d isse: Va, d igli ch e l im
b a sciata di troppo grande im portanza e ch e voglia q u ella u dire.
Lo fam iglio ritornato d isse q u ello ch e il dim onio d itto a v ea. Lo
c o n te d isse: Sia ch e si vu ole, a l p resen te u d ire noi voglio. E
ritornato, lim basciata espuose. Lo dim onio d isse : Or ritorn a, ch e
se non vorr ch e io vegn a, io verr a m al suo grado. Lo fam iglio,
c h e ci ha udito, sa lite le sca le e giun to in sala, l'im basciata
d isse. Lo co n te, ricordandosi della prom issione, im agin q uel
co rrieri essere il d iau le. T utto sm arrito disse: Di' ch e vegn a. Li
g en tili om ini, ch e a tau la col conte erano, vedendolo s trasfi
gu rato, g li disseno q u ello av ev a . Lui narrando loro tu tta la con-
ven en za col dim onio presa, coloro confortandolo d isseno: Deh
sp era in Dio, e t a lu i ti raccom anda, e non dubitare ; e m entre
c h e ta li parole si diceano, il dim onio giun to in sala e data la
lettera a l conte, d isse : Conte, serva la prom essa di questa scritta .
Lo con te cognoscendo la sua lettera , voltosi a* ca v a lieri dicendo:
E cco la prom essa al d iau le fetta , coloro dicendogli : R accom andati
a D io, il dim onio, ci udendo, d isse : P oco g li varr oggim ai,
ch g li m io. E subito p er li ca p elli lo p rese e di tratto fuori
d elle fin estre lo trasse, e per la ere fino a llinfern o lo port, e
quine col corpo e co llanim a fu lassato. Li ca v a lieri, stu p efatti
a quello ch e ved u to aveano, gran p arte se n fatto rom iti, e
parte, dati a p iacere, vissen o con pi d iscrezion e ch e fin e a
q u el punto fatto non aveano.
310 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

88.
[Triv., n J24J.

DE MALA. FIDUCIA D'INIMICI.

In n ella citt (li V inegia, dove pensiam o andare, era uno gen -
tilom o da ca Dandolo nom ato m esser M arcovaldo, om o dassai,
il quale a v ea una sua donna giovana da ca Bald nom ata A nna,
b ella di suo corpo e m olto sollazziera, e can ta trice e d anzatrice,
ch e a tu tte le feste era p er la sua p iacevolezza, e b ellezza, e
sim ile per lo stato, in vitata, in tanto ch e non parea a v er e festa
se Anna quine non fusse, a le quali feste m olti giovan i con cor
revano. E t in fra li a ltri ch e a ta li feste andavano e m assim a-
m ente per ved ere la d itta A nna, era uno giovano b eilo, di m eno
di et ch e non era m esser M arcovaldo, nom ato L ancillotto da
ca' D andolo, com e era il m arito di m adonna A nna. E dopo il
m olto p raticare in siem e a lle feste, di p arole in parole, assicu
randosi Anna con L ancillotto, non m olto tem po steono ch e di
concordia tra loro dispuosero ch e L an cillotto di Anna si pren
desse suo p iacere, e cosi d ivenn e, ch e L ancillotto ebbe di A nna
tu tto ci ch e a lu i fu in ta len to pi e pi tem po. A ddivenne
ch e L ancillotto, p er lo suo senno e sap ere, tra' g en tili om ini d i
V inegia fu eletto dogio d ella citt di V inegia, e fatto m aggiore
govern atore di ta l terra, ordin a lla sua guardia alqu an ti, cora
dusanza, e t a con sigli fe ordinare ch e rich iesti fu ssero alquanti
g en tili om ini, fra quali v o lse ch e m esser M arcovaldo [fu sse.
M arcovaldo], ch e tu tto a v ea saputo, fingendosi di non sap ere,
lassava il ditto L ancillotto il suo p iacere con Anna prendere,
dando talora agio al fatto, sperando a tem po e luogo ca stig a rla
d e falli com m essi, e com e astuto m ostrava a l ditto L an cillotto
dogio tanto am ore ch e pi ch e Dio parea lam asse. E p er questa
m odo essendo m esser M arcovaldo onorato e fatto ricco per li
offici e t onori ricev u ti da L ancillotto dogio, d iven n e ch e aven d o
ved u ti alquanti gen tilom in i di V inegia e loro segu aci m alcon ten ti,
tastandoli pi vo lte c trovandoli essere m alcon tenti, qual p er
una ragione, qual per u n altra, lu i, ch e ingiu riato da L a n cillotto
si tenea d ell'u sare con Anna sua d on n a, prose pensieri di v o
lersi d ella ingiu ria ven d icare, non guardando n ch i n com e,
pensando ch e se m orto fu sse per le su e m ani, li gen tili om in i
DE MALA FIDUCIA DINIMICI 311
lu cercassen o dogio e m aggiore. E t a v u to con a lcu n i m alcon
te n ti pratica di ta l fatto, con fortatovelo ch e (ccia tosto, m esser
M arcovaldo, non guardando se non a ven d icarsi d ella n giu ria
d ella donna, dispuose un giorno d el m ese di lu g lio in s gran
caldi andare a l dogio per n arrargli alcu na storia ovvero n o vella.
E t ito solo, avendo alquanti prim a inform ati ch e p resti fussero,
com e fu col dogio, il preditto m esser M arcovaldo con uno co l
te llo a l dogio per lo p etto diede, ch e m orto cadde. E pensandosi
essere il m aggiore, volendo lev a re lo rom ore, li am ici di Lan
cillo tto coll'arm e trasseno al palagio, e sentendo m esser M arco
valdo da ca D andolo la tratta, d isse: Io sono ch e h o m orto Lan
cillo tto , e vo essere il m aggiore e non lu i. Li am ici, ci sen
tendo, senza indugio m esser M arcovaldo u ccisen o, e tra tti in n el
p alagio, di nuovo creonno a ltro dogio cu i a loro piacque, e non
a l m odo ch e m esser M arcovaldo a re voluto e volea, cognoscendo
c h e altro ch e lo sdegno preso, ch e colla donna sua lo dogio era
usato, condusse M arcovaldo a fare ta le atto, e non a ltra cagion e.
E per li am ici volsero ch e di ta l fallo non si p otesse g loriare.
Or questo addivenne al ditto L ancillotto p er a v ersi fidato di
m esser M arcovaldo, ch e m ai fidare non se n e dovea, e p er questo
m odo fin sua v ita .
3 12 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

89 .
[T tt., n 125].

DE TRADIMENTO FATTO PER MONAGUM.

F a n el contado di V erona, in una v illa ch iam ata O rsagliora,


e t ancora una badia di m onaci m olto d a lle person e frequentata
per le m olte perdonanze, in tanto ch e labate in tu tte co se era
san to rip utato, e non ch e di lu i si p ren d esse sosp etto d elli om ini,
m a ezian d io d elle donne poco si prendeano p en sieri. E ra labate
nom ato abate M arsilio, e posto ch e santissim o D isse ten u to, lui
p er ipocrisia dim ostrava q u ello non era, p erocch segretam en te
e con questo m odo stretto m olte donne d ella v ita a v ea di loro
avu to suo contentam ento. Ora av v en n e c h e essendo co l ditto
ab ate addom esticato uno om icciuolo assai grosso di pasta nom ato
G allisone, e t in questa d om estich ezza s a cco rse l'abate ch e Gal
lisen e a v ea una b ellissim a donna per m oglie, nom ata C am illa,
d ella q uale lab ate s fortem ente sinnam or, ch e da ltro non potea
p ensare. E posto ch e G a lliso n e.fu sse grosso, nondim eno in guar
dare la m oglie era savissim o, di ch e labate con n uovi parlari
condusse G allisone e la m oglie ad andare a pren d ere diporto in
n el giardino d ella badia, dove pi e pi v o lte d isse loro d ella
b eatitu d in e di paradiso e da ltre co se, e tanto d isse loro ch e alla
donna g li v en n e voglia di con fessarsi d allabate, e ch iesto licen zia
a l m arito, e lu i con cedu tala, co llabate si trov e t a p iedi se
g li puose. E com inciando la donna a d ire, d isse: S e Dio non
m a v esse p restato m arito, p er le vostre san te p red icazion i m i
ser ei disposta ad acq u istare v ita etern a, m a avendom i dato Gal
lison e, mi posso repu tare vedova per la sua sim p licit e gros
sezza, e cosi com e g li m atto senza cagion e tanto g elo so di
m e, ch e io n e v ivo in grande pena, e per prim a ch e ad a ltro
io vegn a v i prego ch e a questa parte m i date q u alch e con siglio.
Q uesto ragionam ento confort lanim o d ellabate, p erch g li parve
eh e la fortuna g li avesse ap parecchiato q u ello ch e d isiava, e
d isse: F igliu ola m ia, io credo ch e gran noia sia a una b ella gio-
vana com e tu se ad a v er per m arito uno poco savio, m a m olto
cred o sia m aggiore ad a v er uno geloso, e per, se h a i luno e
laltro, ti dico tu esser m olto torm entata e t afflitta. E b revem en te
parlando ti dico ch e solo un rim edio ci so, e questo c h e Gal*
DE TRADIMENTO FATTO PER MONACUM 3 13

liso n e gu arisca d ella gelo sia . E questo io, b en ch m onaco, inse-


gn arottelo (1), p ure ch e tu v o g li fare q u ello ch e io ti dico e
ten erlo segreto. La donna d isse: 0 padre, non dubitate ch e to
nanti m i la scierei m orire, ch e a persona appalesassi n ien te; ma
com e si potr q u ello fare? L abate d isse: D i n ecessit ch e Gal-
lisso n e stia in un luogo, dandogli a in ten d ere ch e vada in pur
gatorio. Or com e, disse la donna, si potr questo fare, stando
e g li vivo? Labate d isse: E con vien e ch e m uoia e t a questo modo
v'and er, e quando ta n te pene ar sofferte, ch e di questa gelosia
sar castigato, con certi p regh i lo lo far ritorn are. La donna
d isse: Or io debbo essere vedova? L abate disse: S, p er un tem po
ch e non ti potrai m aritare. La donna risp uose: P u rch di questa
m ala gelo sia gu arisca, sono con ten ta, e per fate com e v i p iace.
Labate risponde: E t io il far; m a ch e gu id erdon e, figliuola m ia,
ar io di co s fatto servigio? P ad re dolcissim o, risp uose la donna,
com andate. L abate d isse: Com e io, a scam po di te, mi m etter
a ogni cosa, cos tu, a scam po di m e, puoi m etter tu ttoci ch e
fare puoi? La donna d isse : Io sono ap p arecch iata. Labate d isse:
D onqua, m ad onerete voi il vostro am ore, d el quale tu tto ardo?
La donna d isse: Or con vien si a santi om ini rich ied ere le g io
van e, ch e a confessarsi vanno, di s fa tte cose? A cu i l abate
d isse: Anim a m ia b ella, non ti m era vigliare, ch e p er questo la
san tit non diventa m inore, e dicoti ch e la tua b ellezza si pu
g lo ria re ch e p iaccia a san ti, e non ti doverebbe questo esser
gra v e, p erocch io giovan o, m entre ch e G allisone star in p ur
gatorio, io teco m i godre, e di b elli g io ielli h o, cu i tu tti a te
riserbo, e t in signo di ci te questo a n ello e d elli a ltri arai. La
donna d isse: Io sono con tenta, p urch voi faccia te ch e G allisone
sia purgato d ella g elosia ch e h a. Labate d isse : L assa fare a m e.
La donna si parte, e t a lle cam pagne ritorn a, narrando loro la
gran san tit d ellabate M arsilio. Labate, p er dare com pim ento
a lia te la ch e tessere volea co lle ca lco re di C am illa, m and per
G allisone, a cui n arra alcu n e co se da m atti, [a ] lu i dicendo ch e
sa n te cose erano. D isse: Io sono p resto a dover santo d iven ire.
L ab ate, datogli duna p olvere oppiata, subito lo fe' addorm entare
c h e m orto parea. E vedendo i m onaci G allisone essere com e
m orto, facen dogli alcu no sperim ento, e n ien te v a lea, diliberonno
m andarlo a lla m oglie e t a parenti a d ire. E v en u ti, tenn ero Gal-

(1) Ma.: insegnartelo.


3 14 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

lison e esser m orto. C am illa, ch e sa il m odo ch e ten ere de,


d i (1 ) ord ine ch e labate lo sop pellisca e cosi in uno a v ello non
m olto ch iu so l abate lo fe' m ettere. La donna e i p aren ti ritor
nati a casa, l ab ate di n otte con uno m onaco padovano, d el quale
m olto si fidava, l'and a ca v a re dal m onim ento, e t ignu d o lo
m isseno in u n a tom ba assai scu ra, e quine duna cotta de* m onaci
lo vestiron o e m issen lo in su alquanta paglia fin e ch e fusse
isv eg lia to , aven d o l'abate inform ato il m onaco di tu tto ci che
fare dovea. L abate, avendo il p en sieri a l suo d esiderio davere
C am illa, v estito d e panni di G allisone, a casa d ella donna se
n and, e non m olto stenn o a parole ch e la donna accon sen tio
e t ogni n o tte fin e a m attino l'abate con C am illa si g ia cea , e poi
al m onasterio ritornava. R essen titosi G allisone e vedendosi al
buio, v estito a m odo di m onaco, d isse: U sono io? 11 m onaco
rispondendo: Tu se in purgatorio ; G allisone d ice: D unque sono
m orto? n m onaco d ice: S . G allisone incom inciando a p ian gere
ch e a v ea lassata C am illa, dicendo le pi n u ove co se d el m ondo,
e non avendo m olto m angiato, lo m onaco n eg li porta. G al
lison e d isse: Or m angiano i m orti? Lo m onaco d isse: E m angiano
q u ello c h e a ltri d p er l am or di Dio e p ertanto q uesto c h e io
tarreco q u ello ch e stam ane la donna tu a m and a lla c h iesa
p er l anim a tua. G allisone d isse: D om ine, dagli buona ven tu ra
ch e tanto ben mh a faito, e ben si pare ch e si ricorda quando
io la ten ea in braccio e baciavala si saporosam ente. E p er vo
lont di m angiare m angi e b ev v e, e com e m angiato ebbe, lo
m onaco con ce rte v erg h e lo b atteo forte. A cu i G allison e d isse:
P erch m i fai tu questo? Lo m onaco d isse: D om eneddio h a e co
m andato ch e ogni d ti sia fatto cos du v o lte. G allisone d isse:
Or perch? Il m onaco d isse : P erch tu fUsti geloso di tua m oglie,
avendo la m igliore ch e fu sse in n elle tu e contrade. G allison e
d ice: Di vero e l era pi zu cch erata ch e I m ele; m a io non
sapea ch e D om eneddio a v esse p er m ale se altri fu sse g elo so , e
per ti dico ch e io non larei fatto. Lo m onaco d isse: P rim a c h e
m orissi, te n e dovei a v ved ere; m a se m ai ritorni vivo, fa di non
esser pi. D isse G allisone : Or tornano m ai i m orti ? S, quando
Iddio vu ole. E G allisone d isse: Se io m ai ritorno, non fu m ai lo
m iglior m arito del m ondo, n m ai non g li dir v illa n ia ; se non
ch e, non ci ha m ai m andato candela, acci ch e io potesse lu m e

(1) Ms.: dienno.


DE TRADIMENTO FATTO PER MONACUM 315

ved ere? D isse lo m onaco: S i, m and, ma ellen o arseno alla m essa.


G allisone d ice: lo il cred o, m a dim m i, c h i se* tu ch e m i b atti e
arrecam i da m angiare? 11 m onaco d isse: Sappi ch e io stetti con
m esser Cane d ella S cala, e p erch io g li lodai T esser geloso son a
stato m esso qui a b atterti e t a darti b ere e m angiare fine a tan to
ch e Dio d elib erere altro di te e di m e. G allisone d isse: Or io
non c i veggo n sen to a ltri ch e noi. Lo m onaco d isse: S i,a m i
g lia ia , ma eliin o non puonno u dire n ved ere te, com e tu loro.
G allisone d isse: Donqua siam o noi fuora del mondo? Lo m onaca
d isse: S. D isse G allison e: P er tem po sapr ritorn are in lo m io
p aese. E stando in co s fa tti ragionam enti, con m angiare e bat
titu re G allisone fu e tenu to pi giorn i, tanto ch e Tabate p oteo
a v er scaricato i m uli a suo bel destro. In tanto ch e la donna,
sen tend osi delT abate gravid a, d isse ch e a le i parea ch e G allison e
tornare d ovesse. Labate d isse: A m e p ia ce, p erocch sen za so
sp etto da ora innanti potrem o la nostra voglia seg u ire. E fattogli
dare da bere, in dorm endo fu tratto di quel luogo, e de* su o i
panni riv estito e t a casa portato, e tanto steo ch e risen tito si fu,
dove si ritrov in casa su a; e tu tto raccontando deU 'esser stato
in p urgatorio, m ostrando i colp i ricev u ti e la cagion e, p erch
la donna e i parenti dom andando com e era risu scita to , d isse:
Li p regh i del nostro abate m*ha cavato di purgatorio, am m ae
stratom i ch e m ai geloso pi non sia, e t cos vo o sservare. La
donna disse: B en tei dicea io, ch e anco n e p atiresti la pena di
ta l gelosia, e p er tanto lassa fare a m e q u ello ch e tu fare non
puoi, ch e ben te n a v v err . G allisone con p iacere disse: D onna,
godi, c h in n e lla ltro m ondo m alo sta llo , e tien i a certo c h e
labate nostro m ette e cava ch i v u o le in purgatorio, tanto
san to. E tanta fu la fam a sua delTabate, ch e G allisone g li d i,
ch e di m olte offerte p er san tit g li funno presentate, e t oltra
q u elle ch e a lla badia g li erano p er le donne e om ini date, era n o
q u elle di C am illa, ch e quasi ogni n otte g li dava di q uello c h e
d el suo v i lassava, e cos m antennero loro san tit.
316 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

90.
[Trir., n 126].

DE MALITIA MULIERIS ADULTERA ET SIMILE MALITIA VIRI.

N ella citt di V inegia fu una donna ch iam ata m adonna Bri-


seid a d e M agnanini di V in egia, b ella e p iacevole, e t a l m odo
di V in egia serv en te a llom o, m oglie duno g en til om o di ca Cor
ner nom ato Stropione, om o di gran cu o re ad andare in via g g io
co lle ga lee, e quine era il suo p en sieri. A ddivenne ch e il d itto
Stropione, in su le g a lee da B aruti p er padrone e m aggiore d'una
g a lea and, e lassato B riseid a fornita di tu ttoci ch e bisogno le
Risse, intendendo sanam ente co se da v iv ere, d issele (1 ) : Donna,
a te non bisogna alcu n a cosa c h e sen za costo a v er e non possi, e non
dim eno ti lasso ducati cinquanta, se caso fu sse ch e a lcu n a n eces
sit a v essi da poter rip arare sen za rich ied ere persona d el m ondo.
La donna con tenta risp u ose: T u tto h o in teso, e raccom andatolo
a Dio, Stropione si p artio. B riseida rim ane. L uno va co n a lle
grezza, sperando di guadagnare m olto tesoro, la donna rim ane
col pen siero guadagnare carne, com dusanza di V in eg ia , ch e
le donne sono p iuttosto v a g h e d ella carn e c h e d el p ane. E cos
B riseida, non volendo u scire d ellord ine d elle donne di V inegia,
ta l d esiderio avea. E t poco dim or ch e, uno giovano nom ato Ba
sin o piacendogli, da p arte g li fe d ire: M adonna B riseida d e Ma
gn anin i vorre con teco alquanto p arlare di co se p ia cev o li. Ba
sino, ch e m ai m adonna B riseida d'am ore am ata avea, posto che
ben [la ] cogn oscesse, subito, per l im basciata a lu i fotta, dam ore
s a ccese e in tanto ch e dispuose: Sia ch e ragion e si v u o le che
m andi per m e, io le verr a llatto carn ale. E non dim orando, a
le i n and. B riseida, quando a le i fu ven u to q uello c h e disiato
av ea , d isse: D eh, Basino, dim m i c h e p en si d ella m andata che
fatto t ho fare quale cagion e sia, e se ind ivinerai, sen za dirti
bugia, io te i dir. Lo giovano d isse: Sia ch e si vu ole, io m i penso
ch e voi per m e m andato abbiate, acci ch e q u ello ch e il vostro
m arito fare non v i pu io v i faccia, e se cosi , v i dico che
troppo m igliore m ercanzia in n el m io fondaco p er adem pire

(1) Mg.: dicendo.


DE ML1TIA MULIERIS ADULTERA ET SIMILE MALITIA VIRI 317

il vostro desiderio ch e non q u ella ch e h a Stropione vostro


m arito. E t acci possiate di ci essere certa la m ercanzia m ia v i
m ostro, d ella quale ogni prova ch e v o lete ne p otete la re. E m es
so si m ano a lle brache, la caparra della m ercanzia m ostr a B ri-
seid a. B riseid a, ch e h a ved u to la parte a lei p iacen te, d isse: Se
d i dentro ser cos ben fornita com e m i pare essere di fu ori, ti
d ico ch e q uella com prer. B asino sen te il b el m otto; la m er
ca n zia crescend o, d isse: D eh, B riseida, prendi la m ia m ercanzia,
com e g i m olte di V in egia hanno p resa. B riseida d ic e: A ch e
m odo stata presa? B asino d ice: A saggio, e d ello prim o saggio
n ien te costa, del secondo costa a lluno e t a llaltro, del terzo ch i
n h a il m eglio sin v iti. La donna d ice : A m e p iace. E desiderosa
esse r a lle m ani, subito in cam era lo m en, e quine assaggiato
la prim a e la seconda volta, e parendo a B riseida a v er m eglior
v o lta , d isse a B asino: Io te n e in v ito . B asino ten n e lo in vito, e
g itta to il suo, d isse a lla donna: Ormai serba q u ello ch e prestato
t h o. La donna, ch e gravid a si sen te, d isse : 0 B asino, tu di esser
stato a q u esti fa tti altra v o lta . B asino d ice: D iam oci p iacere, n
p i di tali cose ragioniam o. B riseida d isse: Tu ben hai ditto; e
dallora in l si ritrovavano spesso a m ercan teggiare, potendo
sicu ram en te m ettere m ercan zia sopra m ercanzia. E cos stando,
B riseida in capo di n ove m esi fe un b ello fan ciu llo bianchissim o,
il quale fe' b a ttegiare e p uosegli nom e A lbano, p erch era m olto
bianco, p erch alla m adre si som igliava, ch B riseida era m olto
bianchissim a, e t anco B asino pendea a bianco. E cos stando, lo
fan ciu llo fu d iligen tem en te a llev a to , e p erch la fortuna con
d usse Stropione in te rre di S aracin i, dove funno d iten u ti, ch e
m ai di loro alcuno sen tim ento in V inegia non s ebbe, ch e pi di
quattordici an ni dim oronno prim a ch e lib erati fusseno n ch e a
V in egia alcu na cosa se ne sap esse, e com e funno lib eri, con certa
quantit di m ercanzia a loro lassata, si ritornoro a V in egia.
B riseida, ch e pensava il m arito essere m orto, con B asino tu tto
il tem po si d i p iacere senza sospetto, sperando ch e il m arito
m ai non d ovesse tornare. E stando in tal m aniera, sen za ch e
B riseida n ien te sap esse, Stropione in casa sua ritorn, e trovando
q u ello fan ciu llo, dom andollo di cu i figliolo era. L ui disse : Di B ri
seid a. Stropione, avu to la m oglie e dim andato com e q uel fig liu olo
avuto avea, rispuose : M arito m io, lanno ch e di qui ti p artisti
vi ven n e s b ella n iev e, ch e io invaghendom ene n e m angiai tanta,
ch e gravida mi sen tii. E poi l ho allev a to tutto il pi a cose
b ian ch e. Stropione d isse: Donna, non m e ne m eraviglio ch e
318 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

s i bianco, p oich di n iev e fu concepito, e per ti prego lo go


vern i bene, ch e ci sar ancora buono, p oich altro figliu olo non
abbiam o. La donna d isse: T ien i a certo ch e io lam o tan to quanto
se la v essi da te in gen erato. Lo m arito d ice: Donna, io te i credo,
e pi, per avendolo in gen erato di m e, n aresti avu to dolore, e
d i questo penso n 'avesti alleg rezza e p iacere. La donna disse:
T u h ai d itto il vero. E stando alquanti m esi in V in egia, Stro-
pione, per ristorare il danno fatto, d ilib er andare a D am asco,
e fornito una galea e m isso in punto p er vo ler m ontare, disse:
lo voglio m enare A lbano nostro figliuolo p er farlo esp erto in n elle
m ercan zie. La donna d ice: D eh, m arito m io, al p resen te lassalo.
Lo m arito d isse: Io non v o \ p eroch non so se m ai ta l viaggio
fare debbo, e per io non [vo'] ch e al p resente rim agna. La
donna, non potendo disdire, m alcontenta lo lass andare. E com e
g iu n ti furono in pagania, Stropione vendendo A lbano a S aracin i,
q u ello com pronno v o len tieri, p erch il vedeano m olto b ello e t
an co p erch g li parea loro a v ere fatto uno acquisto. E dopo la
vendita di A lbano e d ella ltre m ercanzie, ritorn verso V in egia,
e t m entre c h e andava e ritornava, B riseida con B asino si pre-
sen o d iletto a l modo usato. E cos stando, Stropione con buono
guadagno ritorn a V inegia sen za Albano, e t a casa n and, dove
B riseida d isse: D eh, m essere, v A lbano m io figliu olo? Stro
pione d isse: D onna, A lbano strutto. La donna d isse: Come?
Tu sai lu i nacque di n iev e ; e t essendo il caldo grande in n elle
parti di B abilonia, aven d ogli com andato ch e a l so le non stesse,
lu i, com e giovano, si puose in poppa d ella g alera, dove il so le a
piom bo p ercotea, in tanto c h e , non potendo rip arare, in nostra
p resen zia d istru sse. E p ertanto non ti dare m alinconia, ch e se
fia p iacer di Dio, noi n arem o daltro ch e di n iev e. La donna,
com e savia, cogn ove ch e 1 m arito a v ea ben cogn osciu to il suo
d ifetto; pure, per non p arer essere stata q u ella , d isse: B en te i
dissi io, non lo m enare, e tu pure lo v o lesti m enare, e t a questo
m odo noi abbiam o perduto il nostro figliuolo. Ma p oich dici di
con q uistare dell! a ltri di carn e, ti dico ch e facci tu b en e, ch e
io quanto potr lo far, p er ristorare il perduto.
DE PAUCO SENTIMENTO IN J (IVANO 319

91.
[Trir.. no 128].

DE PAUCO SENTIMENTO IN JUVANO.

P o ich abbiam o toccato a lcu n e n o v elle di V in egia, n ecessaria


cosa m ind u ce, p oich in q u ella terra dim orare non potem m o
p er la ca ttiv a a ire, alm eno di raccon tare q u ello [c h e so, com e]
c h e stato v i fussim o pi giorn i, com e citt m agna. E pertanto,
o ltre la ltre ch e d itte sono, ancora d ell'a ltre sen tirete, e m assi
m am ente una (1), la quale com incio, ch e essendo in V inegia,
p er lo m ale stato di L ucca, andati a sta re di m olti citta d in i di
L ucca, fra q uali fu uno B artego di m aestro A lessandro da Co
reg i ia, om o assai di poco affare di sen tim en to, ch e non m olto
tem po in V in egia era stato, ch e innam orandosi di una ven ezian a,
donna m olto serv en te di su e cose, com e sp essissim e v i se n e tro
v er , e t a ogni ora a tte, nom ata m adonna B onuccia, av v en n e ch e
avved en d osi m adonna B onuccia ch e B artego la d isiava, con alcu na
donna, ch e pi v o lte le a v ea condutti de giovan i albergare seco ,
si con ferio d icen do: Lo ta le giovano lu cch ese, secondo il m io
p arere, m am a, e p ertanto vorrei ch e a lu i n andassi e da lu i
sen tissi sua inten zion e, dandogli a d ived ere c h e io sia tua ni
pote e p u lcella . E se caso frisse ch e lu i a prenderm i p er m oglie
ven isse, con secreto m odo g li dirai ch e con tenta sii, ma p erch
m iei paren ti di poco ch e m orti sono, tu non vu oi ch e neuna
festa se n e faccia, n ch e a persona lo faccia a sen tire; m a se
lu i con alcu n o lu cch ese m i vorr ved ere, d ig li ch e sii contenta.
E tan to g li d isse, ch e q u ella donna g li risp uose: Di ta l m estieri
non bisogna ch e altro rich ieg g i; lassa fare a m e. E p artitasi,
assai on estam en te v estita dove B artego era n and, e tiratolo da
parte, g li d isse : B artego, a m e pare ch e tu debbi esser m erca
ta n te e t debbi essere ricco e desideroso d onore e da v ere fig liu o li.
L e q u ali co se se cosi fu ssen o, v o len tieri m i fa rei p er o n esto
modo tua p arente; ma prim a oh e ad a ltro io veg n a , vorrei sa
p ere da te se h ai p en sieri di p ren d ere donna, p erocch io h o e
una m ia nipote b ella, g en tile e ben costum ata, e t assai o n o rev ile 1

(1) Ms.: o r a .
320 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

in casa. E se fussi disposto a ci, io farei lei stare p er con tenta.


B artego, ch e ode tali parole, avendo da a ltri g i saputo il nom e
di B onuccia, disse: Donna, tu tte le p arole si perde a ragionarm i
di m oglie se non fu sse duna ch e m olto io am o. L a donna d isse:
F orse la m ia nipote potre' essere q uella ch e am i, p erocch ella
ta le, ch e da s fatto om o com e tu se' dovrebbe esser am ata,
tan t' la sua b ellezza, stato e p iacevolezza. E t am o c h e sii certo
ch i ella , p er non a v erci a tornare. T i dico, ella ha nom e Bo
n uccia de B isdom ini di V inegia, e dim ora a San C assiano, in
n ella ta le casa. B artego d ice: Di vero co testa q u ella c h e a m e
p iace. Or io v orrei sap ere com e v v en u to in n ella m ente, c h e
cosi a m e sete ven u ta a questo narrare. La donna d ice: A vendo
io m olte ch ieste di questa figliu ola, non sapendo ch i prendere,
raccom andaim i a S. B asilio, ch e mi m ettesse innanti q u ello ch e
per B onuccia fa cesse. E dorm endo mi' parve sen tire una voce
dicendo: Donna, m arita B onuccia a uno L u cch ese nom ato Bar
tego, il q uale v estito di tal panno e di ta le form a. E t in dor
m endo m i ti parve ved ere, e t a q uella im pronta tu tta m attina
sono ita cercando e neuno n h o trovato ch e te. B artego d ice:
T utti li parentadi vengono dal cielo e cos v en u to questo, e
pertanto sen zaltro v ed re ch a m e piace, p u rch io a lei p iaccia.
La donna d isse: A m e sta la cosa, se a te p ia c e; io ad altro
non ci sono ven u ta. B a rteg o , sen zaltro con siglio, con la donna
nand, e preso uno notaio, la donna a casa di B onuccia, con
a lcu n i testim oni stra n ieri, se n and, e B artego con le i. E quine
trovata B onuccia accon cia e p ulita, com e m aestra m ostrando
m olto vergognosa, disse: D eh, m ia zia, ch e raunam ento questo?
La donna d isse: Io tho m aritata a questo m ercadanle di Lucca,
e vo' ch e sii con tenta. B onuccia disse: Come sap ete, m ai non
u scii del vostro v o lere, n ora u scire non debbo. Com e farete
ser con tenta. Et accostati in siem e, lo notaio d isse: B artego, siete
voi con tento di prendere p er donna m adonna B onuccia d e Bis-
dom ini? B artego risp uose: S. E voltosi a B onuccia, d isse : E voi,
v o lete per vostro m arito B artego d el m aestro A lessandro da
L ucca? E lla disse: Si, e t in presenza di lu i e d e testim on i la
spos, e per sua donna la p rese. Lo notaio p artitosi e li altri,
e la donna d isse dandare a fare a ltri fatti, B artego e Bonuccia
rim asi soli si denno p iacere. Et in casa di B onuccia m isse poi

(1) Ms.: come.


DE PAUCO SENTIMENTO IN JDYANO 321

tu tte su e cose. E spartosi la n o v ella p er V inegia, fu sen tito per


li L u cch esi q u ello ch e B artego fatto avea. Subito alcu no andato
a B artego dicendo : N oi sentiam o ch h a i preso m oglie una m ere
tr ic e , B artego fingendosi d isse: Io ho preso una buona e t onesta
cosa e t a m e p iace, e cosi da lu i si partio. B artego, tornato a
casa, d isse : D eh, B onuccia, diram i il vero se quando ti p resi eri
p u lcella o no? B onuccia d isse: Or com e! cred i tu ch e in V inegia
d sia n essu na ch e p u lcella sia com e passa dodici an ni ? T ieni a
certo c h e non ce nabbia n essu na, e co s non p ensare ch e io,
ch e nho pi di d iciotto, rabbia potuto ten ere, ch e alcu na volta
io no lahbia adoperato. Ma dim m i, ha' m e tu trovato m eno, di
quanto io n 'h o adoperato, ch e abbastanza non abbi? B artego
d isse: P o ich cos , non ti cu ri se io di te g eloso ser? B onuccia
d isse : A m e p iace; e p er questo m odo dim or pi tem po. Or
a v v en n e ch e aven d o B artego p er su e faccen d e bisogno di andare
a L ucca, e convenendo la ssa re B onuccia a V in egia, dubitando
ch e ella non g li fa llisse, d isse: 0 B onuccia, per gelosia ch e io
di te ho, m i con verr fere alcu n a cosa ch e vo ch e sii con tenta.
B onuccia d isse: C he vu oi fe pure, ch e non m i sen ta. B artego
d isse: E non ti sen tir. E fatta sta re riv ersa , e t alza to g li li panni
dinnanti, prese uno p en nello, ch d ip in gere sapea, e t uno m on
to n e sen za corna g li dipinse tra *1 p ettign on e e l b ellico, dicendo:
Ornai conoscer s arai a fere con altro om o. E tanto la fe sta re
sen za lev a rsi ch e longosto asciu tto fu , e poi, fattala rizzare,
d isse: Donna, fa tti con Dio. E d atogli un bacio, pregandola ch e
fo sse on esta, si partio. La donna, ch e di q u ello ch e B artego fatto
a v ea si fe beffe, fra s m edesm a ridendo d isse: Io m e n e caver,
com e sem pre ho fatto, la voglia a m ia posta. E t ogn i sera si
prendea q u ello ch e a le i p iacea, non curando n del m ontone
d el corpo, n d el m ontone d el m arito, e t in fra li a ltri ch e con
le i usava era uno dipintore giovano ven ezian o, il q u ale aven d osi
ved u to c h e sem pre, quando ella si fecea adoperare, ten ea uno
pannolino in su l corpo, a cci ch e l m ontone p er lo sudare del-
l'om o non si gu astasse, e' d isse a lla donna qual fo sse la cagion e.
La donna, tu tto n arratogli e m ostrato il m ontone, d isse ch e a v ea
paura ch e non si gu astasse. Lo dipintore d isse: B onuccia, io non
v o teg n i q uesto m odo, m a nuda vo m i serv i, e t io, quando ser
tem po e luogo c h e *1 tuo m arito tornare debbia, te n e dipinger
uno, sicch non dubitare. La donna lieta , p erch non era potuta
an dare a lle stu fe n farsi netta, steo con tenta a l con siglio d el
dip in tore, e dandosi p iacere alla stu fa e a ltri con ch i g li p iacea,
322 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

d iven n e ch e un giorno ricev eo lettere com e B artego era a F e r


rara per torn are a V n egia, e ch e a du di appresso sare* in
V in egia. B onuccia, ci sentendo, m and p er lo dip in tore, a c u i
d isse: P rendi una volta o p i di m e p ia cere, e poi mi d ip in gi il
m ontone in su l corpo, p erocch io sen to ch e il m ontone d el m io
m arito a F errara, ch e v o lesse Dio, com e c h stato foora un
anno, cosa si fo sse stato altrettan to. Lo dipintore, p reso p ia cere
di lei, uno m ontone con d ue corna b ellissim o dipinse, e co s la
donna rim ase. E ven u to il giorno ch e B artego torn, su bito,
giu n to in casa, d isse a B onuccia ch e riv ersa si m ettesse. B o
n u ccia presta riv ersa si puose, e t a lza ti li panni, B artego v id e
10 m ontone b ellissim o con d ue corna, e lu i ricordandosi c h e d i
pinto l'a v ea senza co m a , d isse: Donna, tu di a v er fa llito . L a
donna d isse: D eh, p erch il dici? B artego d isse: P erch il m on
ton e h ae due com a, e t io l'a v ea dipinto sen za corna. L a donna
d ice: N on ti m eravigliare se il m ontone d el corpo h a m esso du*
co m a , p erocch tu se* tanto stato, ch e lu i lha m esse, e com e
11 m ontone p er natura le co m a gli crescie, cos la donna per
natura a l m arito le co m a g li puone. B artego, ch e h a e udito s
bel m otto, d isse: Io son contento. E cos si rim ase.
DE MAGNA GELOSIA 323

98 .
[Triv., n 129].

DE MAONA GELOSIA.

P o ich toccato abbiam o V in egia dalcu n e n o v elle, m 'occorre


o r a in n ella m ente di con tarne una, la q u ale Ai in questo modo,
c h e essend o in V in egia uno giovano nom ato M arco da C astello
facitore di ca p ellin e e di gu anti, il q uale avendo avu to a fare
c o n m olte donne di V in egia carnalm ente, essendogli profferte
d on n a, dubitando lu i c h e non g li in terv en isse di q u elle cose ch e
a d a ltri p er sua cagion e in terven u to era, di gelo sia pieno, pens,
se donna prendesse, fa rle una serratu ra di ferro e ch iu sa a
ch ia v e, p er m odo ta le , ch e aven d ola cin ta in su lle carn i con
orno alcu n o u sare non p otesse. E fatto ta l ed ificio fare, secreta-
m ente dispuose di vo ler donna p rendere, e m essogli b in an ti una
g io v a n a assai buona, secondo V inegia donzella, in casa nom ata
R ovensa, e ven u to a llaccord o e con clu sione, M arco q uella p rese
e m enonnela a casa. E fatto la festa secondo lusanza, la sera
M arco d isse: Donna, io h o fatto fare una cosa, la q uale vo ch e
d i continuo porti p er m io am ore. R ovensa d ice: Ci ch e com andi
so n o tenu ta di ubbidire e co si ti prom etto. D atosi la n otte p iacere,
la m attina M arco, ap p arecch iato quel b rach ieri di ferro e t a
R ovensa fattolo a carn e n ude cin g ere, e co lla ch ia v e d irieto
ch iu so lo , d isse: Ornai cosi v o ch e stii, e t a persona d el m ondo
q u esto non dire. La donna d isse: D eh, m arito m io, or q uesta
pena p erch vu oi tu c h e io porti? ch e p eccato h o io fatto, ch e
questo m i con vegn a portare? M arco d ice: P ecca to non h a i tu
fa tto , m a g elosia d m i fa fare, p erch non v o ch e a ltri fa o d a
a m e q u ello c h e ad a ltri fatto h oe. R ovensa d ice: n peccato a ltru i
far danno a m e, c h e la p en etenza portare debbo. C ontenta, d isse
d i fare il suo com andam ento, e cos m olto tem po dim or, e quando
M arco con le i u sare volea, apria il b ra ch ieri, e datosi p iacere,
lo rim ettea. E t essendo stata m olti anni a ta l penitenza, per la
p en a ch e ta l b rach ieri g li dava e per la m alinconia ch e e lla
n 'avea, e per la ere ca ttiv a d i V in egia, e t eziandio p erch siam o
m ortali, la ditta R ovensa sem pre tenend o i) b rach ieri cin to, e
venendo peggiorando e quasi finendo, era di n ecessit ch e una
servente la m ovesse. E v ed u togli q u ello ferro, d isse: D eh, R ovensa,
324 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

qual p eccato fa cesti ch e ta l penitenza porti? R ovensa d isse i l


m odo d el m arito, dicendo : P oi ch e fin ire mi veggo, ti p rego va d i
a M arco e d ig li ch e a m e vegn a. M arco ven u to, R ovensa g li
d isse: 0 M arco, la tua gelo sia m i caccia sotterra, p ero cch la
pena ch e fatta mh ai portare tanto tem po m ha d ella person a
fatto inferm a, in tanto, ch e pi v iv ere non posso. B en ti d ico
ch e dopo la m ia m orte unaltra ti punir di q uello ch e a m e
fatto h ai, senza ch e a lei alcu n a noia fare possi. E d itto q u esto,
senza ch e M arco ad alcu n a cosa rispondesse, p resen te la ser
v en te e lu i, R ovensa di questa v ita pass. P er la q ual cosa il
pianto si com inci, e ven u to li p reti, di le i dando ord ine d i sep
p ellirla , volen dola v estire, trovonno il b rach ieri di ferro con
quella toppa ch iu sa a ch ia v e. M eravigliandosi di ta l cosa, la se r
v en te narrato tu tto ci ch e a R ovensa av ea sen tito d ire d ella
gelosia di M arco, ta l cosa dopo la sopultura di R oven sa p er
V in egia fu m anifesta. M arco, ch e serbato avea il b rach ieri,
udendo ci dire, d icea: D ica ch i d ire vu ole, ch e io far p u r e a
m io m odo. E non m olto tem po dim or dopo la m orte di R ovensa,
ch e a M arco fu p er alcu no sen sale profferto di dargli m oglie
una giovana nom ata F iandina, m olto m ascagna in tu tti i suoi
fatti. M arco, udendo il sen sale, d isse: Io voglio prim a sa p ere dalla
donna se con tenta v u o le essere ch e a m io m odo si g o v ern i. Lo
sen sale d isse di s, e m enatolo a F iandina, M arco n a rratole se
contenta era di v iv ere a suo modo, F iandina d isse: S ie. Avuto
M arco ch e ella era con tenta, dando lordine di ferm are il pa
rentado, m olte donne di V inegia, le q uali avean o saputo il modo
ch e R ovensa tenu to avea, se nandarono a F iandina d icen do: Noi
sentiam o c h e se per p rendere M arco da C astello per m arito,
e per sappi ch e lu i ten ea ta li m odi colia sua m oglie R ovensa.
Et tu tto narrato, e l modo e 1 p erch la donna m orio, Fiandina,
ch e ci ha udito, d isse: 0 donne, com e sap er d ovete, e ll ben
sciocca q u ella donna ven ezian a ch e non sa ca stig a re u n m atto.
E pertanto v i dico ch e se a m e terr que* m odi, io lo pagher
d ellopre, com e g i sono sta ti pagati d elli a ltri; e pi non d isse.
V enuto il giorno ch e il parentado ferm o, e m enata la donna,
la sera preso p iacere fin e a lla m attina, dove M arco d isse: Fian
dina, p erch la prom issione ch e m i fa ceste vo* ch e m osserv i, ti
d ico ch e p er gelo sia ch e io h o di te presa voglio c h e questo
b ra ch ieri ti cin g i a carn e nude, e con q uesta ch ia v e lo v o chiu
d ere. F iandina d isse: M arco, io ti prego ch e p er oggi n iente
fare vogli, a ci ch e io possa pi destram en te b allare, e domai
DB MAGNA GELOSIA 325

tin a farai q u ello vorrai, e t io far q u ello ho pensato. M arco,


co n ten to, diliber quel giorno non u scire di casa. E stando la
donna cos, and pervedendo la casa p er tu tto, e trovato essre
uno portico non an co liv ro sopra uno can ale assai alto, pens
p agare il m arito d ell'op re su e. E strettam en te n and per uno
giovano padovano sarto, nom ato V otabotte, col q uale pi v o lte
F iandina era stata a sollazzo, e v en u to, g li d isse: V otabotte, io
sono m al condutta, e p ertanto farai ap p arecch iare una barch etta
ben in punto, e dom attina en trera i in casa, e quello ti dir farai ;
m a fa ch e la b arch etta sia qui presso, acci ch e tu e t io pos*
siam o in q u ella en trare e cam in are a nostro p iacere. V otabotte
lieto d isse ch e tu tto m etter in punto. Dato lord in e di tu tto, la
n otte ven u ta. M arco si d ilett con F iandina; stando d isse: Donna,
-dom attina farai q u ello ch e stam ane far non v o lesti. E lla d isse:
A nco far pi ch e d itto non mh ai. E cosi dorm irono fino alla
m attina, ch e lev a ti furono. M arco, preso il b rach ieri in m ano,
a lla donna nand dove e lla era in su l portico m ontata, e di
q u in e am iccando V otabotte, ch e dentro in casa en tri, V otabotte
in teso, in casa en tr. M arco, andato su l ponte col b ra ch ieri,
d isse : 0 donna, v ien i e m etterotti q u esto .L a donna d isse : D eh,
M arco, lassam elo ved ere. M arco accostandosi a F iandina, ella
c o lle m ani in n el petto g li diede per ta l forza, ch e in n el ca n a le
-cader lo f p er modo, ch e non potendo rip arare, affog, n m ai
lo b rach ieri di m ano g li uscio. F atto questo, F iandina dato a
pren d ere quanti dinari e g io ielli e m eglioram ento in casa era,
co n V otabotte in barca entr, e dati de rem i in acqua, fuora
-del d istretto di V inegia uscirono, e prim a ch e di loro si sen
tisse pass pi di terza . D ove i parenti d elluno e d ell'altra, vo
len d o sap ere di M arco e d ella m oglie, in trati in casa, e n ien te
v era ch iu so, senza loro la casa voita era, e ven u to andato in su l
portico, videno M arco in n ellacqua affogato, e m esse grid a con
pianto, andarono a l can ale, e di q u ello trasseno M arco m orto, il
q u ale q u ello b rach ieri in m ano avea, p er la qual cosa, non avendo
trovato F iandina in casa e ved u to ch e tu tti arn esi erano stati
to lti, e saputo com e e lla con V otabotte serano p artiti, cognoveno
M arco esser m orto per v o ler m ettere lo b rach ieri a lla m oglie.
E fattolo soppellire, la roba per li paren ti f presa, e F iandina
c o n V otabotte fuora di V in egia si dienno p ia cere a loro agio.
326 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMB1

98 .
[Tit ., a 180].

DE JUVANO FUTTILl IN AMORE.

Prim a ch e nostro Signore incarn asse d ella v erg in e M aria fo


in B abilonia uno nom ato Iosafac, il q u ale avea u na su a fig liu o la
nom ata T isbe, e t uno nom ato Saidas v icin o del d itto Iosafac a
m uro a m uro, il q uale d'una sua donna avea a v u to uno fa n ciu llo
d eiret di T isbe, nom ato P iram o. A vendo lo D io d'am ore infiam
m ato l'uno e l altro, in tanto ch e essendo d itta T isbe o P iram o
p ueru li, am andosi tan to in siem e ch e luno sen za laltro m an giare
non volea, e venendo alquanto crescend o det danni sette, a
u na scuola di pari luno sen za la ltra , e la ltra sen za luno di
m orare non v o lea. E t essendo pi tem po stati in iscu o la con
tanto am ore, tanto ch e a llet di dodici anni p ervenn ero, e sem p re
ch e crescean o lam ore crescea in loro, a vven n e c h e la in v id ia
m osse alquanti in vid iosi a d ire a l padre e t a lla m adre di T isb e
ch e m al fecean o a la ssare la loro figliu ola tanto stretta m en te
u sare con Piram o, e sim ile a l padre e t alla m adre di P iram o le
d itte parole erano d itte. E t alquanti, vedendo lam ore co n giu n to
tra T isbe e Piram o, e cognoscendo ch e di pari grado eran o di
gen tilezza e t a vere e di b ellezza , com e gelosi d el b ene, co n sig lia
van o li padri e le m adri d elluno e d ellaltra ch e in siem e s i
facesse parentado di dare T isbe p er m oglie a P iram o. E t v o len
tieri si sarenno accord ati, m a il nim ico d el ben e adoperare e la
ria fortuna di T isbe e di P iram o negarono ch e ta le p aren tad o
non si facesse, prendendo li padri e le m adri ce rte scu se, c h e
a l p resente non sono n ecessa rie di d ire. E pi fece la fortuna,
ch e dove in fin e a quel punto erano in siem e sem pre u sa ti e
sta ti, f* ch e T isbe in una cam era rin ch iu sa in n ella sua ca sa
fu, e P iram o eziandio dal padre e d alla m adre rin ch iu so fu in
una cam era, la quale a ltro c h e dun m uro so ttile da q u ella d i
T isbe non era d iv isa . P er questo m odo li du 'am anti funno d i
visi, dando a ciascu n o una guardia, a cci ch e di quei lu o g h i
non potessero u scire. E stando p er ta l m aniera dolorosi i d itti
P iram o e T isbe rin ch iu si, e non potendosi ved ere, a v v en n e c h e
un d, essendo ap erte le fin estre d elle cam ere, il so le p ercoten d o
in n ella parete di m ezzo tra T isbe e P iram o, p er una fessu ra,
DE JUVA.NO FUTTILI IN AMORE 327

c h e in n el d itto m uro era , ta l so le p en etr d alla p arte d i T isb e.


L ei vedendo q uel so le, c h e giam m ai ved u to non ia v ea , R iguar
dando p er ta l fessu ra, v id e P iram o, c h e doloroso sta v a , e ch ia
m andolo e con piana v o ce dicendo: 0 P iram o, c h e fei?, Piram o,
c h e ch iam are si sen te, rispuose: lo m i torm ento, m a dim m i c h i
se* c h e m i ch iam i? T isbe d isse: Io sono la tu a T isbe, la q uale
com e tu sono in torm ento. P ia ccia ti acco sta rti a questo m uro e
p er questa fessura raguarda co lei, ch e p er te si m ore. Piram o,
accostatosi alla fessu ra, v id e T isbe, a cu i d isse p erch stava in
ta le strettezza . T isb e, con tatogli tu tto , con la g rim e d icea : 0 P i-
ram o m io, v iv er io tanto ch e teco accostare m i possa e tu m eco ?
P iram o d icea il sim ile, pregando luno e la ltra q u el m uro ch e
si d ovesse ap rire, tan to ch e loro ab bracciare si potessero, e n ien te
v a lea . E p er q uesto m odo ogni d tornavano alla fessu ra, e quando
era n otte partendosi raccom andava luno l'a ltro a Dio, baciando
ciascu n o la su a p arte d el m uro in iscam bio d elle lo r b elle feccie.
E t essend o sta ti pi m esi in ta le m aniera, non potendo pi sosten
ta re lam ore ch e li infiam m ava, uno giorno T isbe, narrando il
suo p en sieri a P iram o, d isse se con tento era con le i trovarsi in
su cam pi di Sorta, cio fuora a giard in i di B abilonia. Piram o d isse:
S, m a noi non potrem o ci fere se n oi non am m azziam o le gu ard ie.
E T isbe d isse: lo am m azzer la m ia e tu la tua briga dam m azzare.
E dato lordine trovarsi a l luogo ditto, T isbe subito am m azzato
lo suo, con u no m an tello si parte, e t a cam po di fh ore di Babi
lonia se n'and, in su la riva d el fium e. E ssendo la lu n a in quinta-
decim a lu stran te, T isbe v id e su p er laren a uno leo n e, d el q uale
avendo paura, si m isse a fig g ire verso quine v andare d ovea. Et
in n el f ggire, uno pruno lo m an tello g li p rese. L ei lassandolo,
si n ascose in uno cesp u glio. Lo leo n e, avendo pasciuto, trovando
q u ello m antello, sbrainanandolo, d el san gu e d ella b estia lo n v o lg ea ,
e co s d ilacerato lo lassa. T isbe pensosa e di paura trem an te,
pensava d ire a P iram o: G uarda com la T isbe tu a stata quando
lo leon e g lera co s presso. E poco sta n te c h e T isbe di B abilonia
partita si fu, P iram o, la guardia sua lassata in dorm endo, con
una spada si parto di B abilonia, e giun to dove trov il m a n tello
dilacerato e t sanguinoso, e t vedendo Torm e, stim ch e T isbe dal
leo n e m angiata fu sse, e con m alanconia a uno g elso bianco, dove
era lord ine dato di ritro v a rsi n and, e non trovand ovi T isbe,
p ens ch e m orta frisse, e fatto grande lam ento di lei, b ia sim a n d o
i leon i ch e l avean o divorata, non potendo pi sosten ere, p rese
la spada, e t tratta d el fodero, m esso il pom o in terra, e la punta
32S NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

a l corpo, sopra q u ella si lass cad ere p er m odo, ch e d'altro lato


la punta pass, e lu i cadde (1) in terra sen za sen tim ento, v er
sando il suo san gue. Intanto T isbe, passato lo leon e, si m osse e t
a l g elso n'and, e [quando] q uine fo presso, v id e le v en e v er
sa re (2). D ubitando ch e fo sse, con trem ore s accost, e cognoscendo
essere P iram o, subito abbracciandolo, d isse: O P iram o, rispondim i
ch sono la T isbe tu a, ch e t'ha del m ondo tolto. L eva il pia
ce n te v iso e fo lle dono. P iram o, sen tend osi nom are e guardando
T isbe, d ittoli il m odo e la cagion e d ella sua m orte, subito d i
q uesta v ita si parto. T isbe, ch e ci h a veduto, d isse: N on p ia ccia
a lli D ei ch e io v iv a , pregando te, g elso , ch e m ostri di n oi s e
g n ali a' n ostri padri e m adri d ella nostra m orte. E presa la
spada non an cor fredda d i Piram o, p er lo corpo se la m isse, e
sopra P iram o m orta cadde. E p arve ch e li D ei a v essen o di ta l
m orte com passione, ch '1 gelso, ch era bianco, rosso d iv en n e. I
padri e le m adri, c h e non trovano la m attina li loro fig lin o li,
andando cercando fino a l luogo dove li trovonno m orti, com
stato ditto, e vedendo li g e lsi esser d oven tati v erm ig li, sig n ifi-
conno ch e ta l frutto fo sse doloroso di ta li am anti. L i padri d el
l'uno e d ell'a ltra diliberonno q u elli sop p ellire in uno a v ello , d ove
d isseno: P o ich in v ita tan to s'am onno, ch e egu alm en te fenno,
cos in m orte eg u a li stian o. E co si ferono.12

(1) Ms.; cadendo.


(2) Cos nel ms.
DE PRAVA AMIC1TIA 329

94 .
[T iiv., n 181].

DE PRAVA AMICITIA.

N ella citt di P arigi, n e l tem po de R e A lu isi, fu uno ca v a lieri


e gen tilom o p osseditore d alcu n a fortezza, nom ato m esser A lbe-
rig o , om o d ella persona assai p iccolo, m a d i cu ore com e v a len te
m agnanim o, il quale, p er com andam ento d el r e , g li con ven ia
an dare a lla gu erra di P ru ssia contra li S aracin i. E con ven en
d ogli p a r tir e , avendo il su o terren o lu n g i da P arigi pi di ot
ta n ta m iglia, dove la sua donna dim orava, nom ata M arsia, donna
b ellissim a e t o n e sta , pens ch e m al ia cea ch e non racccom an-
d asse i suoi fatti a p artirsi dal p aese. E credendo ch e suo am ico
fo sse uno nom ato Jac lo bric, tra s d isse: A lu i m iei Catti ra c
com andare v o \ Era questo Jac lo b ric, cortigiano d el re, m olto
am ato, s p er la sua v a len tia o per la sua cortesia, e sim ile p er
la p iacevolezza ch e a ognuno dim ostrava. A lberigo g li d isse:
A m ico m io, d el q uale pi m i fido ch e di persona d el m ondo, ti
p reg o ch e, p oich an dare debbo in P ru ssia , ch e se caso occor
re sse a lla m ia fa m ig lia , ovvero ad alcu no m io p aren te, ch e in
m io luogo sostegn i. Cos te li raccom ando, e cos n e dico a lla
m ia d olce donna M arsia, c h e a te ricorra per tu tti i su oi bi
so gn i. Jac lo b ric d ice: A m ico m io e signore, sem pre le tu e cose
m i funno in n el cu ore, e per v a sicu ram en te e di n ien te du
b ita re. E p artitosi m esser A lberigo p er ca v a lca re in P ru ssia, se
nand a casa, dove am m aestr la donna su a c h e pace si d esse
fin e a lla sua tornata, dicendogli ch e se alcu n a cosa a le i biso
gn asse, ch e lu i avea lassato lam ico ch e ten ea , cio Jac lo bric,
ch e di tu tto la fccia serv ire. La donna con m alanconia d isse :
D eh, m arito m io e sig n o re, io v i prego ch e se ta le andata sch i
fare p otete, per m io am ore la sch ifa te, e se p ure an dare d evote,
v i p rego c h e torn ate tosto, e q u ello ch e d ite di Jac lo b ric sto
p er con tenta dubbidirlo in ci c h e a m e com ander, sa lvo ch e
in n elle cose dison este. M esser A lberigo d isse: D on n a, io sto
con tento, p erocch solo di cosa onesta ti ch ied er, e non da ltro.
L a donna lagrim ando lo raccom and a Dio, e lu i sim ile con la
grim e si partlo, avendo da le i preso cum iato. E cavalcando per
ven n e a P ru ssia , dove quine m olto co m b a tt, dim orando m olto
330 NOVELLE DI GIOVANNI SBRCAMBI

tem po in quel luogo. E m entre ch e ta le stan za si fa c e a , Jac lo


bro pens v o ler di m adonna M arsia, donna di m esser A lberigo,
prendere p iacere, e non m olto tem po dim or ch e di P arigi un
sabato sera, p oich il re fu andato a dorm ire, si p arilo con a l
quanti fa m ig li, e con buoni ca v a lli, e cam in tanto fo r te , c h e
dove la d itta donna era a rriv in su lla m ezza n o tte. E sapendo
la m aniera d el palagio, sa lo in sala e t a lla cam era con d ue su oi
fem igli se na n d , e fece la sua ven u ta sen tire alla donna. La
donna, credendo (1) ch e Jac lo b ric frisse p er gran ragion e v e
n u to , subito lev a ta si d el letto e v estita duna p a la n d ra , a p erse
la cam era, dicendo: 0 am ico del m io m arito, ch e buone n o v elle
a v ete, ch e a ta le ora siete venuto? p er Dio d item elo. Jac lo b ric
d isse: D on n a, intriam o in cam era e quine tu tto v i con ter. E
postasi a sed ere appresso al letto e Jac lo b ric appresso a le i,
d isse: D onna, lam ore ch e di te mh a preso mh a ind u tto sta
n otte a qui v e n ir e , e p ertanto ten prego ch e il tu o am ore m i
doni e sii con tenta ch e teco prenda p iacere. La donna trem an te
d isse: D eh, Jac lo b ric, ch e v odo dire? o r com e q uesta lam i
cizia ch e m ostrate a m esser A lberigo, a cu i cred ea ch e gran d e
am icizia g li p ortaste? e voi com e m en lea le v o lete lu i e m e v i
tuperare? S e Ita le] pertanto la vostra ven u ta, v i v err il pen
sieri fallito, e t indarno ta l ven u ta fatta a rete, in quanto pi p resto
p otete di qua v i p artite, n m ai in questa casa a rd ite di v en ire
p er en trare. Jac lo bric, udendo cos d ire: Or com e v o lete voi
d isd ire ta le am ore a m e , ch e v ed ete quanto io sono di b elt
pieno, ch e non so donna in F rancia ch e non se n e ten esse lieta
ch e io ram asse, e ch e non m i com piacesse di q u ello ch e ora a
v oi ch ieggio? E v o i, com e non savia, v ieta te q u ello c h e n a tu ra l
m ente le donne desiderano. E pertanto v i dico, ch e se a m e non
con sen tite e l d iletto n e g a te , q uello ch e p er am ore fere do
vreste, per forza v el con verr fare. La donna trem ante g li d isse
ch e mai tal atto farebbe, e ch e prim a v o lere m orire, ch e a l
m arito ta l fallo fare. E volendosi da lu i partire, con sp ia cev o le
m odo Jac lo b ric q uella r ite n n e , e con forza la fe cad ere e t
a suoi fam igli com and ch e le gam be e le braccia le ten essero ,
e questo fatto, p er forza Jac lo b ric di lei p rese piacere e con
tentam ento, con tanta fatica ch e fu u na m eraviglia. E fatto ta le
sceleram ento, subito m ont a cavallo, e ca v a lc p er si gran forza,

(1) Ms.: sen ten d o .


DE PRAVA AMICITIA 831

ch e a P a rigi giu n se la dom enica, prim a ch e il r e si fo sse lev a to .


B co s si dim ostr a tu tta la terra e la co rte, sen za p arlare di
sua andata. M adonna M arzia, rim asa confosa e S vergogn ata d el
v itu p erio isforzatam ente a le i fatto, sen za c h e ad altri Tappale*
sasse, com e pi tosto poteo, si v esto di bruno, e cos stando pass
pi m esi. R itorno a d ire, ch e essen d o m esser A lberigo giu n to in
P ru ssia, e t aven d o con T infedeli avu to m olte v itto rie e dato e t
r ic e v u to , ultim am ente con onore i cristia n i rim asero. E d ilib e
rando il p restan te m esser A lberigo r ito r n a r e , g li so p ra v v en n e,
per la fatica d urata, e sim ile per la m u tazion e delT arie e per lo
m al v iv e r e , una in fe r m it , ch e quasi alla m orte lo condusse ;
m a per la buona guardia e ai p er le buone cu re dalla m orte
scam p, rim anendogli una febbre q u a rta n a , d ella q u ale m esser
A lberigo poco sen cu rava, co lla q uale si m isse in cam ino per
ritorn are a lla sua propria casa. E cos se g u o , c h e in pochi
giorn i giu n se a P arigi, e q uine v isita to il R e e poi Jac lo bric,
a cu i Jac lo b ric m ostrando am ore, m olte cose tra loro disseno
d elle b attaglie di P ru ssia. E t avendo alquanti d dim orato in
P a rig i, e disiderando di tornare a casa p er ved ere la sua donna,
preso cum iato da tu tti i cortigian i e m assim am ente da J a c lo
b ric, cavalc verso le su e te r r e , e t in pochi giorn i giun to fu .
E t avendo saputo m adonna M arsia com e lo m arito era giun to
sano in P arigi e ch e a le i v en ire dovea, fattasi forte a narrare
q u ello ch e Jac lo b ric fatto g li avea, v estita di n ero il suo m a
rito asp ettava. E poco stando, m esser A lberigo a ca sa giun to fu.
E com e fu in sala, dove trov la donna sua di nero v estita , di
m and il p erch cos scu ra, e lei piangendo, con lagrim e g li d isse
tu tto ci ch e Jac lo b ric fatto gli a v ea , d icen dogli ch e giam m ai
con lu i non s a c c o ste r e , se di ta l fallo non prendea ven d etta.
M esser A lberigo, ci sentendo, d isse : Donna, io non posso cred ere
ch e tal follo p er lu i com m esso fo sse. La donna giurando cos
e s s e r e , e se lu i non volea cred ere ch e a lei desse licen zia di
ven d icarsi d el tradim ento a le i fatto, tanto d isse a l m arito, ch e
lu i si dispuose ad andare in corte di P arigi a n arrare q u ello
ch e Jac lo b ric fatto g li avea. E posto ch e m alato fo sse, si m isse
in cam ino, e [a ] P arigi andato, giun to in co rte, dove Jac lo b ric
era, a lu i d isse q u ello ch e colla donna sua fotto avea, il giorno
e Tor contando. Jac lo b ric ci negando, assegnando testim oni
ch e tal giorno davanti funno a m ettere a letto il R e, e la m at
tina prim a ch e si lev a sse fo a lla sua p resen zia , e tu tti i co rti
g ia n i testim oniando co s essere, e ch e veram en te im possibile cosa
332 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

era a p oter esser andato e ritorn ato in una n otte tan to cam ino ;
p er le quali p arole m esser A lberigo, ritornando alla sua donna,
d issele (1): D on n a, p er certo tu m i di a v er e in g a n n a to , ch e
q u ello d ici d el giorno ch e J ac lo brio sia stato te c o , h o avu to
v era testim onianza lu i esser stato in co rte del re, e pertanto ti
dico ch e pi di ta l cosa non debbi p arlare. La donna d isse: P er
certo, m arito m io, io v ho d etto la v erit e cosi la vo* so sten ere,
e vo m orire se altro si trova c h e q u ello ch e d itto v abbo, v o
m orire. M esser A lberigo, per soddisfare alla donna, e t a n ch e p er
lo suo onore, ritornato in co rte, e fatto in co rte rich ied ere da
van ti a lla g iu stizia Jac lo b r ic , e dom andato g iu stizia d el f lio
com m esso, e t Jac lo b ric negando tu tto ci ch e a lu i era ap
posto, e t avendo grande aiu to p er lam icizia ch e in co rte a v ea ,
m esser A lberigo n ien te d ella sua dom anda poteo a v ere ragion e,
e costretto a non p oter pi p iatire, d ilib er la ssa re ta le im
presa, e ritorn verso la donna, d icen d o g li: P er D io, donna,
10 sono lo pi vitu perato om o d el m ondo, ad a v er v o lu to f re
ch ied ere Jac lo b ric sen za p otere di ci fare prova, ch m eglio
m era ch e, se fallo fatto a v oi [h a ], io v e la v essi perdonato e t
ta c iu to , ch e ftto p a lese il vostro disonore. E q uesto d itto, si
tacque. La donna d isse: M arito e sign ore m io , io h o d itto la
v erit , e per questa v erit vi prego v i p iaccia p ren d ere la bat
ta g lia , e s caso ch e p ren d ere non la v o leste, v i p iaccia ch e io
11 m io fra tello m etta p er la ragion e di m e d ifen d ere, o vera
m ente ch e a m e com andate ta l b attaglia con quel trad itore fre,
e penso c h e di ci io n ar v itto ria , p erocch la ragion e m aiu
ter . E pertanto v i prego ch e m i con ced iate ch e io a P a rig i
vada, e se m eco v en ire v o lete , io sono con tenta, altrim en ti sola
m i m etter in via, e prender a difen dere il vostro e m io onore;
altram en te com e disperata m i v ed rete u ccid ere. Lo m a r ito ,
udendo ta li ragion i, e vedendo la sua in ten zion e, d isse: P o ich
ti p iace, io sono con tento di v en ire teco e p ren d ere ta le batta
g lia , ma guarda ch e non mi fa cessi p eccare, ch e contro a l d ov ere
io non com battessi; ch se di tua volont e con sen tim ento h a i
avu to a fare con Jac lo b ric, sono con tento e pi non n e c e r
chiam o. La donna d isse : Io vh o d itto il v ero e cos lo trovere*.
Lo m arito, disposto a tu tto seg u ire, co lla sua donna si m osse e t
a P arigi n'andonno, e giu n ti a P a rig i, la donna v estita di n ero

(1) Ma.: d ice n d o le .


DE PRAVA AM1CITIA 333

a m adonna la rein a se n and, e t in gin occh ion i a le i d isse tu tto


d ch e Jac lo b ric le a v ea fatto, pregandola ch e di ci la ven
d icasse, e ch e se Jac lo b ric v o lesse questo n eg a re c h e in cam po
n el prover. La rein a : D onna, d is s e , non v o ler m ettere il tu o
m arito n a ltri a p ericolo di m orte, p erocch usanza ch e le
donne alcu n a v o lta co lli om ini si prendono p ia c e r e , e p o i, pa
rendo loro a v er fatto m a le , vogliono d im ostrare esser sta te is-
forzate, e m ettono loro e t a ltri in p ericolo. E p ertanto ti dico
ch e, se co si fusse, io p regh er il tu o m arito ch e ti perdoni, e
penso p er m io am ore ti perdoner. La donna d ice: M adonna, se
co si fusse, io non ser ei ven u ta dinnanti a v o i, m a secretam en te
m i serei sta ta . Ma p erch io sono stata isfo r z a ta , com e v ho
d itto , v i prego a b attaglia ci con d uciate, e t in caso ch e l m io
m arito com battere non v o le sse , n m io fr a te llo , io v o g lio , p er
difen dere m io on ore, col trad itore com battere, e penso ch e Dio
n e far il ch iaro ved ere, e se ricred en te m i far, v o in n el fhoco
com e m eretrice esser arsa. La rein a, ci sentendo, d isse c h e con
le i andasse. E subito andata a l re e gitta ta si dinnanti gin occh ion i,
ch ied en d ogli la ven d etta d ella g io v a n a , lo r e , ch e a ltra v o lta
a v ea sen tito ta l d isco rd ia , d isse ch e a lu i p iacea ch e a b atta
g lia si fu sse , m ettendo pena la persona a ch i recred en te fh sse.
E verso la giovana parl dicendo ch i vo lea ch e ta le b attaglia
p er le i facesse. E lla risp uose: Il m io m arito, m esser A lberigo.
Lo re d isse lu i esser m alato e ch e m ale g li parea ch e ta l bat
ta g lia a fare p ren d esse. La giovana d isse, ch e se a lu i non parr
ta l b attaglia p rendere, io la voglio prendere p er sa lv a re il suo
e l m io onore. Lo re, udendo p arlare tanto ferm o la giovana e
con s b elle ra g io n i, m andato per Jac lo b ric, a lla presenza
d ella giovana g li d isse ch e b attaglia g li con ven a ch e p ren d esse
p er fare sua scu sa del fallo com m esso. Jac lo b r ic , ch e altro
non d isiava ch e a ta le b attaglia v e n ir e , su bito d isse: Santa Co
rona, io sono presto a difendere ch e m ai costei non ebbi isfor-
zatam ente, n p er altro modo. La giovan a disse: Io m etto p er m ia
difen sion e lo m io m arito, e caso ch e lu i, p er la m alattia, non vo
lesse ta l b attaglia p rendere, io la v o g lio teco com e traditore fare,
e se l m io m arito rim anesse p erd itore, io sono contenta essere
com e m eretrice arsa. Lo re, udito tu tto e m andato per m esser
A lb erigo e t a lu i esposto q u ello ch e ord inato era, g li d isse se la
b a tta g lia prendere volea p er am ore d ella sua donna. Lo cava
lie r i d isse di s. E dato per lo re lord ine di com b attere, e v e
nuto il giorno, essend o li com battenti arm ati, p er tu tta la corte
334 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

donne e om ini di P arigi a v e d e r e , avendo m andato bando ch e


ognuno ch eto d ovesse s ta r e , m entre ch e i com battenti combat
teano, e ven u ti a lle m ani, dopo m olti [co lp i] d a ti, Jac lo bric,
com e gagliard o, prese in esser A lberigo co lie b raccia e so tto sei
g itt, stan d ogli addosso. La rein a e la ltre d o n n e, ch e vedono
Jac lo b ric di sopra, disseno co lla giovana : O giovana, m al con
sig lio p ren d esti a v o lere c h e 1 tuo m arito p erisca e tu debbi
essere arsa, ch e ved i c h e a ltro non pu essere. La giovan a, ch e
ci ved e, d isse: Io non cred o ch e Dio voglia dar v itto ria a ch i
h a fa llito , e pertanto non tem o ch e l m io m arito p e r isc a , n
sim ile io. La rein a ridendo d ice: Tu s e poco sa via a sp erare
q u ello; vedi il contrario. E m entre ch e ta li parole d ic e a n o ,
m esser A lberigo dando alquante scosse, Jac lo b ric andato (1) d i
sotto, e lu i sa lito g li di sopra, sopravven en d ogli la febbre, sta v a
sen za a lcu n o sen tim ento addosso a Jac lo b ric. E sta to p er ispazio
di m ezza ora, la febbre u scita g li, e vedendosi addosso a l suo n i
m ico , preso d ella p olvere e tra la v isiera g itta to v e la , in tan to
p rese una daga, ch e Jac lo b ric a v ea a lato, e con q u ella g li
d i in n el m ollam e p er tal forza, ch e m olto lo in aver, e poi
ca v a to g li lelm o e t il b acinetto, in presenza d el r e e d in n anti g li
tagli la testa, e fhori d ella lizza lo m isse, e co si v in se il su o
nim ico. La giovana lodando Id d io , ch e avea dim ostrato in ci
m iracolo, lo re avendo ci ved u to com and ch e 1 corpo di Jac
lo b ric fu sse stato strascin ato e poi im p icca to , e t a m esser A l
berigo e t alla donna sua fe assai d a r e , e lu i ten n e in co rte
com e am ico con buona p rovvigione, e la donna si ritorn in su o
p aese, aven d o fia n ca to suo onore, e d'allora v isse in p ace o n e
stissim a.(i)

(i) Ms.: andare.


DE MALVAGIO FAMULO 335

95.
[Tri?., n 182].

DB MALVAGIO FAMULO.

In n ella citt di V erona, d or pensiam o d'andare, a l tem po di


m esser M astino, era uno gentilom o nom ato N am o, il q uale avendo
donna di quaranta anni nom ata m onna G ostanza, d ella q uale a v ea
du fig liu o li d'et dan ni tred ici in q uin dici, l uno m aschio nom ato
L ancillotto e t una figliu ola nom ata U liv a , e p erch era questo
N am o di buono parentado e t assai ricco , tenea fon te m aschio e
serv en te fem m ina. E t aven d one m olti a v u ti, ultim am ente se n e
trov uno nom ato M alvagio, det di tren tacin qu e anni, e t una
fo n te nom ata Jacopina, ven ezian a, giovana di ven tiq u attro an ni.
E t essendo stato alquanti m esi il d itto M alvagio col ditto N am o,
u n giorno essendo il d itto M alvagio solo con Jacopina in casa,
entrando per ruzzo l uno co llaltra, tanto ch e di concordia in
siem e si trovarono prendendosi p iacere, e pi v o lte tenn ero di
d e di n otte ta le m odo, c h era tanto in tra to lam ore di M alvagio
a Jacopina, ch e quando N am o era a desn are ella d icea: 0 m es
ser e, serbate d ella carn e a M alvagio; e q uesto d icea ogni di.
M onna G ostanza, ch e ode tanto Jacopina p regare p er M alvagio,
pens fra s : P er certo Jacopina si d ee god ere M alvagio. E t fil
tratogli il sosp etto in n ella m ente, com e pi p resto poteo, ebbe
J a co p in a , dicendogli: P er c e r to , J a co p in a , tu d i essere m olto
innam orata di M alvagio, tanto se di lu i so llicita , e p er certo tu
m i d irai il vero se m ai teco us, e vo ch e m i d ich i p erch tanto
1am i. Jacopina d isse: P o ich v oi v e n e sete accorta, io v i dico
c h e a m e p ia ce, tan to ben fornito di tu tto ci c h e n ostre pari
rich ied on o. M onna G ostanza, ci udendo, fingendosi di non dar
se n e p e n sie r i, steo con tenta, pensando a l suo fatto. Jacopina,
com e pi presto poteo, d isse a M alvagio, e d itto ci ch e m onna
G ostanza g li a vea d itto , M alvagio d isse: P er certo e lla vorr
altro ch e parole, p oich tu le h a i ditto questo. Jacopina d isse:
M ei penso, e posto ch e a m e sia gravoso ch e tu con a ltri spendi
la tu a m ercanzia, nondim eno, p er risp etto ch e noi potrem o si
cu ram en te fore e v iv ere grassi, serei contenta. M alvagio d ic e :
Se tu ved i ch e ci fare voglia, d ordine a lla cosa. Cos p a rtiti,
non m olti giorn i passarono ch e m onna G ostanza m andando per
336 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

M alvagio, e t in casa ven u to, dim ostrando alcu n a faccenda, d isse


a Jacopina ch e andasse a Care alcu na im basciata. Jacopina m ae
stra , accorgendosi di q u ello ch e g li p area v e d e r e , si p arilo.
M onna Gostanza, essend o sola con M alvagio rim asa, con alcu n e
parole, lo trafisse, d icen d o: Io m i sono accorta ch e tu con Ja
copina ti godi e sen to ch ella di m olto si con tenta, e p er a m e
ven u to p en sieri e voglia ch e di q u el c h e pasci Jacopina tu
p asci m e. M alvagio, ch e ci ha Sentito^ d isse c h e era m olto con
ten to, e postosi la donna g iu so , M alvagio q u ella fornio. E t e s
sendo N am o a ta u la , Gostanza d ice: S erb ate la p arte a M alvagio.
Nam o, ch e sadd di ta l parlare, da p arte m ettea q u ella ca rn e
ch e serbare v o lea . E dim orando la donna e Jacopina con M al
vagio, dandosi p iacere, un giorno accorgen d osi U liva, fig liu o la d i
m onna G ostan za, com e M alvagio co lla m adre g ia c e a , d isse : O
M a lv a g io , se tu non ibi a m e q u ello ch e a m ia m adre f a i, io
taccuser a N am o m ia padre. M alvagio, udendo q u ello c h e U liva
g li a v ea ditto, dubitando e t eziandio piacen dogli, d isse c h e a le i
farebbe q u ello ch e a lla m adre ia cea, e pi p resto c h e p oteo con
lei si con giu n se. E stando pi giorn i, sem pre, quando N am o a
m angiare si ponea, Jacopina d icea : S erb ate la p arte a M alvagio,
e la donna sim ili parole con tava. U liva d icea : E t io ezia n d io v i
dico ch e la parte serb iate p er M alvagio. M onna G ostan za, c h e
ode la figliuola d ire con tanto affetto (1 ) p erch la p arte s i ser b i
a M alvagio, di gelo sia pens la figliu ola d oversi esse re tro v a ta
con lu i, e com e astu ta un giorn o si puose nascosa in u no b u co,
dove cogn ove e vid e M alvagio essere addosso a U liva su a fi*
g liu o la ; p er la qual cosa m onna G ostanza m olto m era v ig lio sa ,
sen za ltro d ire si taoeo, dicendo : P er certo M alvagio h a troppo
gran cuore, ch e pensa p oterne saziare tre e sola m e sa zia re non
pu. E pensa sen zaltro d ire ten ere m o d i, ch di d argli tan to
ch e fare ch e le i e non a ltri possa fornire. E dim orando M al
vagio per ta l m aniera, avendo sem pre a con ten tare tr e b o cch e,
di s poca carn e non sapea ch e farsi, se non ch e d i buoni cib i
era il suo sostegno, e cosi si stava. Un giorno, ch e m onna Go
stanza con Jacopina era a lla stufa a n d a ta , con in ten zion e c h e
M alvagio l andasse, d iven n e ch e, p er alcu n e faccen d e c h e a fa re
ebbe, non poteo an d are; e tornato in casa, dove trov U liv a so la ,
sen za sosp etto q u ella abbracci, e suo p ia cere n e p rese, in ta n to

(1) Ms.: effetto.


DE MALVAGIO FAMULO 337

ch e, prim a ch e R addosso se g li lev a sse, L an cillotto, fra tello dU-


liv a , in casa torn, e ved u ta la so rella in q u el m odo, d isse: O
M alvagio, se a m e non fai q uello ch e a U liva fatto h ai, io tac
cuso a l m io padre e t alla m ia m adre. M alvagio, p er tem en za di
non p erd ere tan to b en e quanto g li pareva a v er e, dispuose di fere
a L an cillotto q u ello ch e fatto a v ea a U liva. B cosi sta n d o , la
sera essendo tu tti a cen a, tu tti diceano : S erb ate la p arte a Mal
v a g io , e sim ile L ancilotto ci d isse. N am o, ch e h a udito d ire a
tu tti ch e la p arte si serb i a M alvagio, p rese sosp etto di lu i, e
datosi a v ed ere, trov ch e M alvagio h a avu to a fere co lla fan te
e co lla donna e con tu tti li fig liu o li. B questo veduto, d isse: P er
certo anco m e con verr con ten tare. E t avu tolo da parte, v o lse
sap ere da lu i tu tto , e t e g li tu tto g li c o n t , dicendo ch e a lu i
veram en te fe r e ta le fatto non vo lea . N a m o , ch e doglioso e r a ,
d isse: M a lvagio, fe il tu o conto e briga di p artirti. B datogli
dinari, M alvagio, credendosi p artire secretam en te potere, a lleg ro
da lu i p rese cum iato. N am o, ch e secrtam en te a suoi p aren ti
[a v ea ] com andato ch e il M alvagio u ccid essero, essendosi n ascosti
in certo luogo, dove p assare dovea fuori di V erona, q u in e l uc-
cisero, n m ai di lu i alcu n a cosa si sen ti, e dappoi con b elli et
o n esti m odi la donna m orire fe e t i fig liu o li m eglio ch e p oteo
c a stig , e sim ile la fante. E p er questo m odo N am o serb la
p arte a tu tti.
338 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMRI

96.
[Trfr., n* 184}.

DE PRAVA AMICITIA YEL SOGIETATE.

Come a ciascu n o m anifesto, in n ella giu risd izion e di P isa ha


m olti g en tilo tti signori d i ca stella e t di o m in i, fra quali funno
du g en tili e di parentado assai forti, luno dequali era ch iam ato
il con te G uarnieri di m onte Scudaio e l altro il cattan o d i S ive-
reto , nom ato M arsilio, li q uali avean o p er costum e d'andare con
com pagni in ogni rich iesta ch e in Italia si fa cesse di g en tili om ini,
cos in fotti darm e com e in a ltre p ratich e. E rano q uesti d u lon-
ta n i luno d alla ltro da terza giorn ata; e t a v e n d o li p red itto M ar
silio una b ellissim a donna, ch iam ata m adonna C aterina de'Salim -
b en i da S ien a, donna p iu ttosto co g n o scitrice di v isi um ani c h e di
ricam i, essendo pi v o lte il d itto co n te G uarnieri ven u to a d esn are
con M arsilio, la p red itta m adonna C aterina raguardando sp essis
sim e v o lte in n el v iso d el con te, m olto tal v iso lodava, dicendo
a lcu n a v olta fra s : Dio, c h e b el v iso q u ello d el con te Guar
n ie r i! E tanta fu la sua sm em oraggine di rigu ard are ta l faccia,
ch m olte v o lte il p red itto con te ven u to v i fu, c h e il co n te se
n e fu accorto c h e la donna l a m a v a , e non m olto tem po pass
ch e lu i di le ebbe suo contentam ento, e t e lla di lu i, in ta n to ch e
a ltro Iddio a lla ditta donna non parea di v ed ere. E t era tanto
l am ore infiam m ato in n ella d o n n a , ch e m en tre c h e e lla man
g ia v a , dorm ia o s ta v a , d icea fra s m edesim a: D eh, potrebbe
essere lo viso, li occh i e tu tta la fa ccia d el con te G uarnieri pi
b ella n soave e savorosa! C erto non ebbe tan to questo a nar
ra re fra s la donna, ch e sp essissim e v o lte le ven ia trascorso a
p arlare forte q u ello ch e e lla in seg reto cotanto a v ea in n ella
m ente, in tanto ch e essendo a lcu n a v o lta , com dusanza, in nel
letto co l m arito, prendendo di le i p iacere, c h e lla pi v o lte m en
to v a v a : 0 con te G uarnieri, io non m i posso d ella vostra faccia
e persona saziare. M arsilio, ci udendo, pi v o lte in teso ta li pa
ro le, p rese di le i alcu no sospetto, e com e sa vio fe* v ista di non
in ten d ere. E com e pi tosto p oteo, con b ello e t on esto m odo in
v it il con te G uarnieri ch e v en isse da lu i a d esn are e t a lla sua
donna d isse ch e fa cesse b en e ap p arecch iare da d esn are p er la
v en u ta d el con te G uarnieri. La donna, ch e da ltro non a v ea p en -
DE PRAVA AMICITI VEL SOGIETATE 839

sie r i, d isse: E' sar fatto, e com e m entecatta incom inci a can tare
d icen d o : O v iso b ello e a n g elica to , co n te G uarnieri, quando m i
sa ra i dallato?, e questo andava dicendo in can to e con alquanto
le gam be accon cio a b a lla re. M arsilio, ch e v ed e quanto la donna
su a si a lle g r a , con sidera tu tto esse r vero q u ello ch e a lu i n e
p a r e a , e poco sta n te lo con te fu ven u to con alqu an ti suoi don
z e lli. M a rsilio , ch e di n ien te si d im o stra v a , con a lleg ra faccia
l h a r ice v u to , d icen d o g li: Or voi sia te il ben ven uto. Lo con te
d isse: C he di m adonna C aterina? M arsilio d isse: T utta m attina
v asp ettava, e t ora penso ser a fare p resto le vivan d e ch e m an
g ia re abbiam o. Lo con te risp uose : E lla troppo da bene, quando
sen ti ch e v oi fa ccia te in v ito di fo restieri, a v o lere stare a fare
le vivand e, p er certo io lh o troppo a l cu ore. M arsilio d ic e: P er
certo io m e n e posso con ten tare, ch e con a lleg ra faccia v i v ed e.
Et a cci ch e sia te certo di q uesto, io vom andare c h e qua vegn a,
c h v o i ci sie te e v ed rete quanto am a ch i io am o. E fattala
ch iam are dicen do c h il con te G uarnieri, ven ga a v isita rlo , la
donna, ch e ode il co n te esser ven u to, su b ito m ossesi. D innanti dal
con te ven u ta, d isse: B en e stia q u ella fa ceia lu stra n te p i ch e il
sede, e t a m e som m o d iletto. 11 con te d isse: E sim ile d ella vostra
sto contento. E poco s ta n te , dato lacqua a lle m ani e m essi a
tau la il con te M arsilio e la donna, e v en u te le v ivan d e, la donna
sen za m angiare raguardava il c o n te , e pi ch e il terzo d elle
vivan d e ven u te eran o ch e la donna alcu na co sa m angiata a vea,
di ch e il m arito d isse: D onna, tu fai v ergogn are il co n te, p erch
non m angi? E lla d isse: Io m i pasco tan to di rim irare la b ellezza
d el con te, ch e poco di m angiare cu ro. E di q uello ste sazia. Lo
m arito, ch e pi cogn osce lun d ch e laltro, d ice: Donna, io te
n e far ben sazia. La donna, ch e ci non in ten d e, stava solo a
rigu ard are il con te e poco m angiava. E tan to si ste in questa
m an iera, ch e desnato ebbero, e dato l acqua a lle m ani e le v a ti
da ta u la , dandosi p iacere di ra g io n a re, n altro il con te con
C aterina fare poteano se non di m irare luno l a ltr o , e t alcu n a
volta accostan dosi insiem e, davano ordine di ritorn are di n otte
tem po, ch e p iacere p otesseno prendere, com e g i fatto a v ea n o ;
e p er questo m odo tu tto q uel giorn o pass. Il con te ritornato in
suoi p a esi, M arsilio volendo d al p en sieri u sc ir e , diliber la do
m enica , ran n ate g e n ti, in v ita rlo a d esn a re, e cos fe, e t a lla
donna d isse com e il con te v en ire d ovea. La donna lie ta steo fino
a l giorno, e com e fu il d, M arsilio arm ato p er tem po m ont a
c a v a llo , e t in con tra a l con te se n and. Lo con te venendo con
340 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

alcu no fam iglio sen zarm e, dopo alquanto cam ino M arsilio, c h e *1
v id e v en ire, sen za ltro d ire g li corse addosso, e con una la n cia
l'u c c ise . I fa m ig li, dato v o lta a n eto , non sapendo c h i si fo sse
co lu i ch e il con te m orto a v e a , a casa tornarono. M arsilio, c h e
ci h a fatto, subito d isceso da ca v a llo , tu tta la faccia e li o c c h i
a l co n te tagli, e t in uno panno li m isse, e t a casa a l cu oco li
di, dicendo ch e u na buona vivand a n e fh cesse. Lo cuoco, m esso
ogni sua sp e m e , non sapendo ch e si f o s s e , la vivand a fe ce. E
p osti a ta u la , M arsilio e C aterina su a donna venendo, q u esta v i
vanda com inci a m angiare. La donna d isse: D eh, p erch n on
v en u to il con te G u a m ieri? M arsilio d isse: A ltra cagion e l ha
im pedito; m angia, ch e a ltra v o lta c i v err . E fin tosi esse r sto
m acoso, la donna m angiando, q u ella vivan d a p arendogli buona,
tu tta la m angi. M arsilio d ice: Donna, la vivan d a tti p iaciuta?
La donna d isse: S i, quantunqua m ai n e m angiai. Lo m arito d isse:
E ti pu ben esser p iaciu ta c o tta , p oich cruda cosi ti p iacea.
Or com e? d isse la donna. Lo m arito d isse: P erch h a i m angiato,
com e ca ttiv a fem m ina, la fa ccia d el con te, ch e v iv o tan to b aciato
a v ei, p erocch io l h o u cciso. L a donna d isse: P o ich la fa ccia
di co lu i c h e pi am ava c h e D io m angiata h o e , altra v ivan d a
non si m anger p er m e. E subito p reso u n o co ltello , p er lo cu ore
si di, e m orta cadde. Lo m arito, lieto ch e s i ved e esse r vendi
cato di tan to v itu p ero , quanto luno e laltra fatto g li a v ea , e
com e poco am ata tristam en te la fe so p p ellire.
DB TIRANNO INGRATO 341

97.
[Tifar., no 185].

DE TIRANNO INGRATO.

In n el tem po ch e la citt d i P isa g u erreg g ia v a co lla citt di


F iren ze, n el 1364, funno alq u an ti cittad in i di P isa, fra q u ali Ih
B indaccio di B en cred i di P accio, ch e diliberonno, p er sa lv ezza
d e l loro stato, di crea re uno, il qual fu sse nom ato dogio e m ag
g io re d elle citt di P isa e di L ucca. Com e ta le d ilib erazion e fatta
ebbeno, pensonno esser su fficien te a ta le atto uno G ioanni d el
l A gn ello, om o m ercadante e t assa i d el m ondo pratico, pensando
da lu i p oter a v ere loro contentam ento, e m assim am ente il pre
d itto B ind accio. E m esso tra loro la cosa p er fa tta , il p red itto
B indaccio, con con sen tim ento d elti a ltri, and a G ioanni d etiA-
gn etio, d icen dogli: G ioanni, io co lli a ltri R aspanti d i P isa vor
rem m o ch e tu p ren d essi di P isa e d i L ucca m aggiora in form a
d i dogio, e noi teco a ogni cosa vogliam o e s s e r e , e col n ostro
co n sig lio sem pre ti m an tegni. E t a cci ch e persona non possa
q u esto contraddire, ti dichiam o c h e n oi tu tti teco a lla d ifesa vo
gliam o essere e col nostro con siglio sem pre ti m an tengh i. A cci
c h e persona q uesto non possa con tend ere, ti dichiam o ch e tu tti
noi teco a lle d ifese vogliam o essere (1), e t a cci ch e m eglio e pi
a b ile si possa tu tto ten ere, ti dico ch e tu rim arrai dogio in P isa,
e t io B indaccio star retto re in L ucca. E ra questo B indaccio il
m aggiore di P isa, e t aven d o volu to p ren d er il dom inio, Tare* po
tu to a v ere. E non ch ied en do altro, G ioanni d e llA gn ello steo per
con tento, dicendo ch e caro a v ea lu i frisse d i L ucca retto re. A u te
le prom issioni e fatto lo dogio e m aggiore di P is a , dopo m olti
m esi il p reditto D ogio d ilib er m andare a L ucca p er retto re G hi-
rardo d ellA gnello, suo nipote, e pens p oter rico n cilia re B indaccio
co n d irg li ch e volea ch e in P isa ste sse , e fosse viced ogio nom ato,
e ch e tu tto ci ch e a fare s a v ea v o lea c h e lu i n e fu sse dispo
n ito re, pascendolo d i ta li p arole. B indaccio, cognoscendo q u ello
c h e G ioanni d eirA gn ello a vea fatto, di dare L ucca a G hirardo,
steo m alcontento, e non potendo altro fare, d isse ch e a q u ello 1

(1) Questa ripetizione nel codice.


342 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

c h e G ioanni dogio fatto a v ea rim an ea p er contento, e t cos steono


alquanto, stim ando m olti B indaccio esser q u ello ch e tu tto potea.
L ui stim ando s n ien te p otere, p er la p rova ved u ta d ella im pro-
m essa a lu i fallita stava m a lco n ten to , e fingendosi pi o ltre di
sen tire, si dim ostrava allegro, e ven en d o in P isa p er a lcu n caso
l'am b ascieria di m esser B ernab V iscon ti di M ilano sign ore, con
im basciata da esp u onere a G ioanni dogio e t a B indaccio, la quale
com e fu dinnanti d al ditto G ioanni dogio, lu i q u ello im basciadore
invitand o a d esn a re, a ccett , esponendo a lu i l'im b asciata per
p arte d el suo sign ore m esser B ernab, dicendo ch e a ltra imba
sciata a B indaccio Care d ovea. G ioanni dogio, p er dim ostrare ch e
non volea m aggiore n pari, d isse a uno suo fam iglio c h e andasse
p er B indaccio. Lo fam iglio p resto si m osse e t a casa d i B indaccio
n and, d icen d ogli: 11 dogio v i m anda a c h ie d e r e , p erch h ae
l arobascieria di m esser B ernab. B indaccio subito s i m ette in via,
e p erch era m olto scian cato non co s tosto Ai giu n to co n cio lho
ditto. Lo dogio stando sem pre a tau la d icen d ogli d egu sm in i, ch e
sogliono talora d ire l asino e h m ontato so vra ca v a llo (1 ), e
stando in tal m aniera, lo S im iglio g iu n se e t a l dogio d ic e : Bin
d accio m onta le sca le. Lo im b a scia d o re, ch e ode d ire c h e Bin
d accio v ien e, facendosi presso p er lev a rsi da ta u la p er on orario,
G ioanni dogio d isse c h e a sed ere ste sse ; e d itto questo, B ind accio
in sala ven u to fu e. E t andando scian cato verso le m ense, G ioanni
dogio d isse: D eh, B indaccio, fa un po di b igari, p resen te q uesta
im b ascieria. B indaccio risp u ose d icen do: questa lam basciata
ch e m a v ete m andato a d ire? G ioanni dogio d isse: Io m i m ot
teggio teco . B indaccio d ice : I m otti non sono d i p a r i, ch voi
a v ete desnato e t io non h o an cora vivand a ch e m i p ia ccia . E
preso cum iato per an dare a d esnare, G ioanni g lie l con ced e. B in
daccio, tu tto turbato, a casa si torna. Lo m basciadore, ved en d o
q uello e sentendo ch e ha fatto G ioanni d ellA gn ello, stim Bin
daccio esser da poco in P isa, e sen za p arlargli preso licen zia d a l
dogio, a M ilano si torn e t a m esser B ernab tu tto n arr. M esser
B ernab, ch e h a in teso, com e savio, stim ta l sign oria non p o ter
durare, p o ich li am ici tien e s a v ile , e cos a lla p resenza da ltr i
li vitu p era. B indaccio, ch e s era accorto ch e G ioanni d e llA gn ello
dogio la v ea a lla p resenza d ello m basciadore vitu p erato e t a v v i
lito , avendo cogn osciu to quanto il pred itto dogio g li a v ea rotto 1

(1) Questo inciso mi riesce oscurissimo, ma cosi precisamente nel codice.


DE TIRANNO INORATO 343

fed e, in fra s d icea : Io ti pagher d ellop ere tu e. Et cos stando,


con certa scu sa d i voto d isse v o ler andare a san Iacopo d i G al-
liz ia , e con q u elli ch erano sta ti a crea re G ioanni dogio, m alcon
te n ti com e lu i, ordin dicendo: Voi v e d e te quanto q uesto G ioanni
n h a ingan n ati, ch e dovendo lu i sta re dogio in P isa, e m e r e t
to r e in L ucca, e voi d el suo con siglio, e n ien te farebbe senza v o i,
lu i tu tte le im prom issioni ha ro tte. E s ha fatto sign ore a bac
ch etta e di noi poco si cu ra, e p ertanto a m e p are ch e ora ch e
i h o dato suono dandare a san Iacopo, ch e io dunque n e vada
in n ella M agna, e co llo im peradore tra tti ch e vegn a, e p er questo
m odo a q uesto m alvagio uom o g li tollerem o q u ello c h e dato g li
avevam o. Li R aspanti, parendo loro fu sse buon fatto, d isseno ch e
quanto pi p resto fare si pu tanto m eglio. E cos si p arto ca-
m inando verso san Iacopo, e di q u in e se n and in n ella M agna,
e tan to d isse, ch e p er forza lo m peradore C arlo d ilib er di pas
sa re; e t avu to B indaccio a certo ch e passar d o v e a , ritorn in
P isa. G ioanni d ellA gnello, ch e sen te c h e lo m peradore h a g i
passati i m onti e t giun to in Lom bardia, ebbe suo co n siglio, fra
q u ali fu B indaccio e li a ltri nom ati, e dom andato loro q u ello c h e
a loro n e parea di ta l v e n u ta , risp uoseno c h e ben era c h e v i
m andasse im basciaria a ch ied ere c h e lo m peradore lo rafferm i
m aggiore di P isa e di L ucca e t eg u alm en te lo faccia vica rio
dim perio, rafferm andogli ogn i au torit e b alia ch e lu i a v esse. E
a cci ch e m eglio possiate in pi secu ro sta re, ben e ch e tu tte
le vo stre fortezze di L ucca si forniscano di tu tto ci ch e bisogna
a d ife sa , e t ch e m andate G hirardo v o stro n ip ote p er im bascia-
dor allo m p erad ore, e parli la r a g io n e , e se non con sen te la
cosa, d ite non si vu ole r ic e v e r e , e vigorosam ente vi d ifen dete,
se p er forza v o lesse in P isa en tra re. U dito il sign ore ta l consi
glio, p ia cen d o g li, m isse tu tto in e ffe tto , e m and R iccardo su o
n ip ote inform ato di tu tto, e ca valcato g iu n se dinnanti a llo m pe
radore, m a non s tosto ch e non v i fu sse prim a uno giun to con
le tte r e di B indaccio e d elli a ltri, c h e ravv isa ro n o di tu tto ci ch e
sera p raticato e c h e lungam ente g li p rem esse tu tto ci ch e Ghi
rardo c h ie d e a , p erocch q u ello era q u ella cosa ch e lo fare di
tu tto sign ore. Lo m peradore, ch e inform ato appieno dogni cosa,
v en u to G hirardo, g li d isse c h e fu sse il ben ven uto, e t udito l am
b asciata fetta p er parte d el sign ore di P isa e le in ch ieste fa tte,
lo m peradore tu tto concedendo, e pienam ente tu tto ci ch e c h iese
g li di, e pi, ch v o lse ch e l d itto G hirardo frisse p er sua m ano
fatto ca v a lier i, e cosi fe*, dicendogli ch e p regasse il sign ore ch e
344 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

p a recch iasse l u' d oveasi posare, e q uine a v esse letta e fornim enti.
G hirardo ca v a lieri d isse c h e tu tto si fare, e licen zia to , co brevi
reg i a P isa ritorn e t a l sign ore li d i ..............................................
.......................................................................... (1). Lo m peradore, essen
dosi accostato a llalp i di L ucca, m and un su o v ica rio a prendere
la fortezza di L ucca e con b elli m odi lo ca stello di L ucca ebbe.
E ritornato lo sig n o re in P isa , parendogli ch e B indaccio e li altri,
ch e fatto l avean o s ig n o r e , fusseno con lu i alquanto isdegnati,
v o lse m ale ag g iu n g ere sopra m ale, e non racordandosi d i quello
b en e ch e a v ea p er bont di coloro, dispuose di v o ler fare m orire
B indaccio, e t una n otte m and p er ser B artolo su o con servatore
d icen dogli ch e prenda B ind accio e sen za rom ore g li ta g li la testa.
E se r B artolo d isse: F atto ser . E p artitosi da lu i subito, a Bin
daccio [m and] in co n tin en te una p olizetta, narrandogli la nten-
zion e del sign ore. B indaccio, com e sa v io , con m olti su oi am ici
coUarm i indosso si stavan o in bottega d ella lor casa, con m olti
lum i. S er B artolo, com e sen te B ind accio essere in buon punto,
provede uno fam iglio segreto d el sign ore, dicendogli : V ien i m eco,
a cci ch e q uello io far a l sign ore, possi riferire. Lo fam iglio
p resto con lu i n and, e quando fanno a casa di B indaccio, guar
dando dentro videno m oltissim i arm ati e con m olti lum i, di ch e
ser B artolo d isse a q u el fam iglio: Va e di a l sign ore ch e se v u o le
ch e io g li ca cci le m ani addosso, io lo far, m a e ser rom ore
in P isa, e per va e d igli m i m andi a d ire q u ello v u o le ch e io
fccia. Lo fam iglio se n and a l sign ore e tu tto raccon t di v e
duta. Lo signore d isse: P o ich non si pu fhre sen za rom ore,
ind u gi a u n'altra volta. Lo fam iglio, tornato a ser B artolo, d isse
la m basciata. S er B artolo lie to a ca sa ritorn. B indaccio, c h e h a
veduto ch e lo sign ore lo v o le di buona m oneta p agare d el buon
serv ig io a lu i fatto, d isse: Io non v o g lio ch e la sua m ala v o lo n t
possa ad esecu zion e m andare. E d ilib erato con alquanti a m ici
ch e com e lo m peradore v ien e ch e l signore sia a p ezzi ta g lia to ,
e t dato ta le ordine, B indaccio cam ina fuori di P isa a certo lu ogo
sicu ro, e tanto steo ch e lo m peradore a L ucca v en n e. Lo sig n o re,
ch e g li pare a v er m al fatto, ad a v ersi tu tti li am ici da la to , pa
rendogli a v er i p ie in m al luogo e non sapendo p ren d ere a ltro
p en sieri, pens, quando lo m peradore m etter in P isa, di m an-1

(1) Qui segue una linea incomprensibile nell'originale. Questa pagina del
codice tutta assai malconcia.
DE TIRANNO INGRATO 345

d are, sotto nom e d'onorare lo m peradore, p er B indaccio e p er


li a ltri ch e incontro a llo m peradore a onorarlo vegn in o, con a v e r
ordinato co' su o i soldati c h e in n el cam ino q u elli a p ezzi ta g lia s-
sen o. Or ch e v a lse il suo m al p en sieri, c h e il giorn o ch e lo m-
perad ore fu in L u c c a , avendo fatto ca v a lieri il d itto G ioanni
d ellA gn ello e t a ltri, ch e subito P isa rom oreggi e d elle m ani d el
d itto sign ore si lev , e co si L ucca? In uno giorn o perd eo P isa e
L ucca, con tu tti su o d in ari, a rn esi e cose, e n ien te g li rim a se di
fortezze, n altro, e non sta n te ch e q u elli R aspanti disponessero,
il ditto G ioanni d ellA gn ello non m olti m esi dur, c h a ltr i, v e
dendo loro d iv is i, fecen q u ello ch e d ice Isopo con la ran a e l
topo. Stando a fare c o n te se , passando il n ib b io , luna e l'a ltro
p rese. Or cosi d ivenn e a loro, ch en trato m esser P iero Gamba
co rta in P isa, loro n e ca cci e lu i n e rim ase sig n o r e , e L ucca
rim a se a L u cch esi. E questo ebbe m esser G ioanni d ell'A gn ello
p er non v o lere rip rem iare li am ici suoi.
3 46 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

98.
[T rir., 136].

DE SUMMA INGRATITUDINE.

A l tem po ch e Sam m iato reg g ea p er q u elli C iccio n i, contrari


de* M angiadori, d iven n e ch e ven en d o lIm peratore C arlo con certi
patti fatti a q u elli ch e reg ien o , a v v en n e ch e tu tti i p a tti strus-
seno, e de* d itti C iccioni alqu an ti n e funno g iu stizia ti e d i Sam-
m iniato la loro setta d isp ersi, e m olti se n e partirono. E m ontati
su i M angiadori, li q uali pi tem po ressen o, ten en d o sem pre
fhori di Sam m iniato i capi p rincipali de* C iccioni , in fra* quali
era uno m esser Saulo C iccioni e t uno ser A ntonio da M ontagnone,
om o e t am ico de*Ciccioni, il q u ale g li era stato m orto il padre
p er la p arte ch e m antenea de* C iccioni. E t essend o sta to m olti
anni fu o ra , a v v en n e ch e p er discordia nata fra* M angiadori, lo
stato perdeono e t il preditto m esser Saulo e t il d itto ser A ntonio,
c o lli a ltri C iccioni, in Sam m iniato entronno, facendosi d ella terra
capo e m aggiore il ditto m esser Saulo e ser A ntonio c a v a lier i.
P er questo modo diraoronno pi anni. Or a v v en n e ch e il ditto
m esser Saulo, v in to da ingratitu d in e, com in ci li C iccioni su oi a
vilip en d ere, e v o lere in n alzare li n im ici di s e d el suo sta to ,
m ettendoli dentro e dando loro officio. E tan to fu lam ore ch e
dim ostr a uno suo poco am ico, nom ato m esser Sinibaldo P ina-
ru oli, ch e si m isse il d itto m esser Sinibaldo a fare u ccid ere u n o
am ico e p aren te di ser A ntonio ca v a lieri da M ontagnone; e ci
sentendo il d itto A ntonio, dolendosi con m esser Saulo di q u ello
ch e fatto g li era per m esser Sinibaldo, d icen do: D eh, m esser
S a u lo , com e a ccon sen tite ch e m esser Sinibaldo nostro n im ico
m abbia offeso, ch e sap ete io e t i m iei quanto sono v o stri am ici,
e t ora in casa nostra li n im ici abbiano forza di poterm i offen
d ere? M esser Saulo d ice: D eh, ser A ntonio, la ssa te q u este co se
fare a m e, e t io rip ig lier buon m odo. S er A ntonio, cred en do ch e
m odo prendesse a ven d icarlo, sen za ltro d ire steo a v ed ere. P i
e pi m esi passonno ch e neuna v en d etta si fu d ella m orte del
suo p aren te; m a di continuo m esser Saulo d ice a ser A ntonio:
B en e ch e voi v i p a cifich iate con m esser Sinibaldo. A c u i ser
A ntonio d icea: Com e com porter io ch e a l nim ico vostro e m io,
avendom i di nuovo o ffe so , g li perdoni ? certo questo non farei
DE 8UMMA INGRATITUDINE 347

p er n u lla ; e non d ovreste sosten ere c h e lu i si g lo riasse, c h e e s


sendo voi m aggiore in Sam m iniato possa d ire : Io h o pi potenzia
c h e ser A ntonio ; e questo m olto m i duole ch e n e co n sen tia te.
M asser Saulo d ic e: S er A ntonio, la ssa fere a m e. Da poi Io d itto
m esser Saulo, essend o con m esser Sinibaldo, d ice: D eh, non v in -
ca rca te di q u ello ch e se r A ntonio d ice, p erocch lin ten zion e m ia
si ch e lu i com e li a ltri sia sotto la ta cca del zoccolo, e c h e
v o i da m e sia te sem pre am ato e riguardato. M esser Sinibaldo,
confortato da m esser Saulo, andava co lla testa a lta dicen do: Io
n on cu ro ser A ntonio quanto la scarpa ch e in p ie porto. E a r
m ato, lu i e t alcu no suo figliu olo e p aren te, p er Sam m iniato an
dava, e pi ch e di ser A ntonio d icea co se non ben e o n este. S er
A ntonio m alcontento, vedendo ogni d m u ltip licare il suo nim ico e
s abbassare, p er paura andava arm ato, dando ord ine a l suo r i
p aro. E vedendo questo u no cap itan eo fo restieri, il q u ale in Sam
m in iato era aUofflcio, nom ato m esser N icolu ccio da S p oleti, om o
di gran sen tim ento, un giorn o se n and a m esser Saulo d icen
d ogli : Io h oe ved u to m esser Sinibaldo arm ato con alqu an ti com
pagni an dare p er la terra e pu sento ch e sem pre fu lu i e i
su oi v ostri co n tr a ri, e t ora p are ch e abbia tanta presunzione,
c h e d e vostri am ici sparla quanto pu, e m assim am ente con tro
di ser A ntonio da M on tagn on e, il q uale sem p r e, lu i e *1 padre,
Ai vostro a m ico ; p a r a i una m araviglia ch e p er v o i ci si con
sen ta. E p ertanto sono ven u to a voi, acci ch e si prenda p artito
d el vostro b en e. M esser Saulo d isse: P osto c h e ser A ntonio sia
stato e t m io am ico, io non v o per ch e persona offenda, e s e
m esser Sinibaldo porta larm e, q u ella porta con m ia co scien zia,
p ero cch pi v o lte h o d itto a ser A ntonio c h e si p acifich i con
l u i , e n ien te fare n e v u o le. S er N icolu ccio d ice : D e h , m esser
Saulo, p erch non con siderate ch i m erita grazia e ch i m erita
ragion e e t a ciascu n fate q u ello ch e m erita? E questa cosa c h e
fare de ogn i signoria, e pertanto v i dico ch e, secondo ch io sen to,
se r A ntonio esser stato in giu riato da m esser Sinibaldo, e di ta le
in g iu ria non se n e fa ven d etta, m a piu ttosto ricev u to da v o i
e t aiutato, e p ero cch ser A ntonio va arm ato, non m eraviglia,
e questo non v i dovea p arere g rev e; m a di m esser Sinibaldo
m era v ig lio , ch e essend o vostro inim ico se g li conceda Tarm e
contra d ellam ico. Ch seguendo buona ragion e, p oich p a cifica re
a l p resen te non li p otete, alm eno p er alquanti m esi com andaste
a m esser Sinibaldo ch e di fuora di Sam m iniato stare d ovesse e t
a ser A ntonio m ostrare dam arlo com e fare d ovete. M esser S aulo
348 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

d isse: Io penso con ciarli insiem e, e se pure fu ssen o ta n to m atti


c h e a ltro fecessen o, io punir luno com e l altro. S er N icolu ccio
d ice: C otesto m al p en sieri, ch e lam ico sotto le v o stre braccia
sia trattato in pari grado com e il n im ico , ch e poco u tile sere
a llam ico la fatica, il p ericolo, la sp esa e la n im ist ch e lam ico
so stien e p er c h i reg g e, se in n elle cose ch e in reggim en to ha da
p orre e t in n elli onori f sse tra tta to il nim ico com e lam ico. E
pertanto io m ai di si fa tte cose non v i ragion er, m a q uello
com and erete p er m e si far. M esser Saulo, dando parole g en era li,
10 licen zi . E dim orando il d itto m esser Sinibaldo con tan ta au
dacia verso ser A n ton io, non ricordandosi di lu i se non com e
di uno fan ciu llo, pensando le p arole au to da m esser Saulo m aggiore
e andava co lla testa alta, in tan to c h e p er tu tto Sam m iniato era
p a lese ser A ntonio esser da poco v erso m esser S aulo e q uasi di
giu n ta vilip en d ealo. S er A n ton io, com e sa v io , avendo provato
tu tto q u ello ch e a prova fa m e stie r i, s di m esser Saulo, s di
m esser Sinibaldo, ordin co' su oi am ici ch e dentro a v ea e sim ile
con m olti del contado e terren o di V olterra, di v o lersi v en d icare
e t dim ostrare ch e m al fa ch i lassa l'am ico p er lo n im ico. E fatta
ta l d ilib erazion e, e dato lordine, facendo v en ire le b r ig a te , et
arm atosi, una m attina il preditto ser A ntonio fe p er alcu n o suo
p aren te u ccid ere il d itto m esser Sinibaldo con alcu n o com pagno.
E t andato la vo ce a m esser Saulo com e m esser Sinibaldo era
stato u cciso con a lcu n o , e c h e ci avea fatto fare ser A ntonio,
m esser Saulo pensando a pieno agio p oter di ci fare g iu stizia ,
steo a v ed ere. Intanto sopraggiungendo le b rigate di fu ori e m essi
dentro, a m esser Saulo fu (1) dato p er certo se r A ntonio h a fatto
fere ta l m icidio, e f tte tu tte le b rigate a fin e di d isp u on ere lui,
m esser Saulo non ricordandosi d ella in giu ria c h e a se r A ntonio
ftto av ea e t ezian d io non ricordandosi ch e a v ea am ato p i li
n im ici ch e li a m ic i, pensa ch e ser A ntonio contro di lu i non
m ovesse pi. S er A n to n io , eh a rm a to , stim ando co stu i aver
abbandonati li am ici non d over soccorso da loro, e sim ile pens
dicendo: P osto ch e a n im ici abbia fatto onore, ta li non se r e presti
a lla sua difesa. E cos g li d iven n e, ch e m osse le b rig a te con ser
A ntonio, di tratto u ccisero il d itto m esser Saulo e su o i, senza
contrasto, e fattosi sign ore v o lse {sic) sem pre in ista to , m ante
nendo m eglio li am ici ch e non a v ea fatto m esser Saulo. E m orto,
11 figliuolo reggea la terra , [c h e ] d ied e al com une di P isa .1

(1) Ma.: esser.


DE MAL1TIA MOLIERIS ADULTERA 349

99.
[Tit ., n 187].

DE MALITIA MULIERIS ADULTERA

N el tem po ch e m esser M affeo sig n oreggiava la citt di M ilano,


fu un povero om o m aestro di legn am e nom ato C astagna, ch e
p rese p er m oglie una b ella e vaga giovan a chiam ata D rusiana.
E gli col suo m estieri e D rusiana co l la v a r panni gu adagnavano
la loro v ita . D ivenne c h e uno giovano, veggend o un di D rusiana
e p iacendogli, s innam or di lei, e tan to p er un altro m odo si
addom estic, c h e, com e dusanza d elle donne lum barde e d el-
l a ltre , le i accorgendosi ch e il d itto giovan o lam ava, pens di
certo e t in s stessa d isse: C ostui m i vorr in su l corpo m ontare.
E non fu s tosto p er D rusiana concepto il p en sieri, c h e su bito
p er una m ezzana g li fe fe re l am basciata, c h e parlare g li vo lea .
A v ea questo giovano la sua casa appresso q u ella quine u D ru
sia n a sta v a , e t era m olto so lita ria contrada. E ra ch iam ato q uesto
giovano G iannozzo. E giu n ta la m ezzana a G iannozzo, lu i salu t
da parte d i D rusiana, d icen dogli lam basciata a le i fetta . S er
G iannozzo, ch e a ltro non d isiava, co lta lora, a casa di D rusiana
n and, dove in siem e p reseno d iletto e p iacere. E p er p oter sp esso
trovarsi in siem e, preseno p en sieri c h e quando C astagna u scisse
l m attina di casa p er andare a lav o ra re ch e lu i dentro in tra sse
e v en isse a lavorare la p ossessione da b el sed ere. E cosi ta l m a
n iera m oltissim e v o lte D rusiana con G iannozzo ten n ero. Addi
v en n e una m attina, essendo C astagna fuora u scito e G iannozzo
dentro en trato, e standosi con D rusiana, C astagna an zi l usato
m odo ritorn a casa, e trovando dentro lu scio serrato, p icch i
e dopo il p icch ia re com inci seco a d ire: Or Dio, laud ato sie tu
sem pre, c h e b en ch tu m abbi fetto povero, alm eno tu m h a
dato con solazion e di buona e t on esta giovan a di m oglie. V edi
com e lla si serra dentro a cci ch e persona dentro en tra re non
possa. D rusiana, sen tito il m arito, d isse: Oim , G iannozzo, io
sono a m al p artito, c h e ecco il m arito m io, c h e tristo lo faccia
D io, ch e ritorna a quest'ora. F orse ch e ti v id e quando en tra sti,
p ero cch m ai non fu su a usanza di ritorn are ; m a p er l am or di
D io ti p rego ch e en tri in cotesto arcone v ecch io grande. G ian
nozzo p restam en te en tr in n ellarcone, e D rusiana, andata ad
350 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

a p rire luscio a l m arito, con m al viso d isse: C he questo c h e


co si tosto torni stam ane? c h p er q u ello m i paia ved ere, tu n on
vuoi fare oggi n u lla , e se cosi forai, di ch e v irerem o noi? C red i
c h e io ti soffri ch e li m iei panni m vim pegni ch e non fo il d e
la n otte altro ch e cu cire, tan to c h e la carn e m i cr esce in m an o
pi ch e *1 pane, ch e non v icin a ch e non fo ccia b effe d i m e d i
tan ta fotica quanta io duro; e tu m i torni a casa co lle m a n i
v o te, quando a la vorare dovresti essere? E questo detto, co m in ci
a p ian gere da capo, a ram m aricarsi dicendo : In m al punto v ie n i,
c h e io a rei potuto a v er e u n giovano co si dabbene e non v o ls i
p er v en ire a co sta i, ch e non pensa ch i abbia in casa. La ltr e
donn e si danno buon tem po co lli am anti loro, ch e non c e n '
una c h e'n o n abbia c h i d ue ch i tr e e pi, e m ostrano a lli lo r o
m ariti la lun a p er lo so le; e t io m isera, ch e son buona e n o n
atten d o a s fotte cose, h o m ale e m ala ven tu ra. Intendi, m a r ito
m io, saviam en te, ch e se io v o lessi fare m ale, io tro v erei ben c o n
cu i, ch e ce n e sono ben di leggiad ri, c h e m i s'hanno profFerto
a volerm i dare di m olti dinari, n m ai non m el soffr la n im o ,
per ch io non fui fig liu o la di persona da ci , e tu m i torn i a
ca sa quando di sta re a lavorare. D isse il m arito: Donna, n on t!
d are m alinconia per D io, tu d i cred ere c h e io ti cognosco, e s o
c h i tu se', e pure stam ane m e ne sono io avved u to. E gli v e r o
ch e io andava a lavorare, m a o ggi una festa, la q u ale, co m e
tu, e io non sapea, p erocch l oggi San B ernardino e non s i
lavora. P er sono tornato a quest'ora a casa, m a nondim eno h o
io p rovveduto e trovato m odo, ch e n oi averem o da v iv e r e p e r
pi di tr e m esi, ch 'io h o ven d uto a costu i ch e tu v ed i qui q u el-
l'arcon e ch e ci tie n e im p acciata la casa, e dam m ene tr e fio rin i e
d od ici am brogiani. D isse allora D rusiana: T utto questo 1 m io
dolore, ch e tu se' om o e v a i attorno e d ovresti sem pre sa p ere
d elle co se del m ondo e m assim am ente del m agistero di leg n a m e,
c h e h ai venduto l arcon e tr e fiorin i e dodici am brogiani; e t io
ch e sono fem m ina l'ho venduto cin qu e fiorin i e d ieci am bro
g ia n i, ch e non fu i m ai appena fuori d ellu scio . Me n 'h o sp a ccia ta
la casa e ven d utolo a un buono om o, ch e com e torn asti v en n e
d en tro p er v ed ere se saldo. Quando il m arito v ed eo questo, fu
pi con tento om o d el m ondo, e d isse a colu i ch e con lu i era v e
nuto ch e andasse con Dio. Il buon om o d isse : In buon'ora, e par
tito si fu. E D rusiana d isse a l m arito: Ora v ien i suso, p o ich c i
se , e ved i con lu i i fatti n ostri. G iannozzo, c h e stava a tten to
p er ved er se di n u lla g li bisognasse p rovved ere, u d ite le p arole
DE MALITIA MULIERIS ADULTERA 351

d D rusiana, prestam ente si g itta fuori d ellarcone, e com inci


a d ire: O ve siete , buona donna? A. cu i C astagna, ch e g i su v e
n iva, d isse : E ccom i, c h e dom andi tu? D isse G iannozzo: Qual
sie te voi? io v o rrei la donna con cu i fe ci lo m ercato d ell'arcon e.
D isse il buon om o: F ate sicu ram ente m eco, ch 'io sono suo m a
rito . D isse a llo ra O iannozzo: Larcone m i p are saldo, m a p a r a i
c h e v i sia stato den tro grano fracido e ch e m olto v e n ap
p icca to in fondo e n e posso lev a re con le m ani, e per io noi
to rrei, se prim a tu co ll'a scia n oi n etta ssi. D isse a llo ra D rusiana,
c h e d irieto v en ia : P er questo non rim arr il m ercato, ch il
m io m arito, c h e sa ben e ra scia m enare, lo n etter . L o m arito
d isse: S i b en e. E posto g i li altri ferri, solo co ll'ascia dentro
en tr . D rusiana, com e se v ed ere v o lesse, si raisse a l portello del-
l'arcon e, dicendo a l m arito : P er Dio, n ettalo bene, acci ch e noi
non abbiam o biasm o. E fatto cen n o a G iannozzo ch e a le i s a c
costa sse, O iannozzo, ch e la m attina non avea avu to di D rusiana
il su o contentam ento, s'accost, e t alzati li panni a s e t a Dru
sian a, fo n d o sua in ten zion e, sem pre D rusiana dicendo a l m arito:
O r cosi n etta, or co lla rasch ia qua su forbe. E tan to g li di di
p arole, ch e du' v o lte ella e G iannozzo fornir loro d iletto . E non
bastando a lla cald ezza di D rusiana q u ello ch e fatto avea, m a
com e n elli am pi cam pi li sfren ati ca v a lli d'am ore ca ld i le ca
v a lle cuoprono, cos G iannozzo h a leffetto d esiderio di D rusiana
fornito, e t in un m edesm o punto fa n etto l'arcon e, e la donna
lev a ta si dal p ortello, lo m arito u scito da q u ello, D rusiana disse
a G iannozzo: R iguarda se sta b ene. G iannozzo d isse di s e da
to g li li dinari, q uello da poi n e fe' portare alla sua casa. E non
con ten tan d osi D rusiana di q u ello ch e a l m arito fatto avea, prim a
d ella v er m enato piu v o lte G iannozzo in casa e poi a v er fatto a
su a p resenza q u ello fe, pens (1) di riu scire a v o ler seg u ire su a
volon t con G iannozzo. E non m olti d funno v en u ti, ch e essendo
C astagna u scito di casa p er andare a la vorare e t alquanto di
lu n gatosi di casa, e G iannozzo, ci vedendo, com e desideroso di
tro v a rsi con D rusiana, a lla ca sa di C astagna se n e v a . C astagna
d im en ticato a v ea a lcu n ferro. Tornando verso casa, v id e G ian
n ozzo en trato in casa e l'u scio ch iu d ere. Subito pens q u ello ch e
la m oglie fatto a v ea ; ricordandosi d ell'arcon e, fra s d isse: Sta
m ane p er v ero q u ello h o in p en sieri, e se trover esser vero, la

(1) Ms.: a rech o .


352 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

donna lh a com prato. E subito giu n to a llu scio picchiando, Dru-


siana d ice a G iannozzo c h e sotto il letto en tri, e cos f e \ e t al
luscio and. E t aperto, m olte p arole d isse. In con clu sion e lo
m arito d isse: Io vo g lio ven d ere la cassabanca d el letto nostro.
La donna d isse: B en dico v ero ch e q u ello ch e h a i in pensieri
tu h o io, p ero cch uno lha com prata e t in cam era entrato.
V ide G iannozzo sotto il letto e d isse: Q uesta cassa troppo aspra
e vu o isen e lev a re alquanto. E t fatto u scire fiora Giannozzo,
d icen dogli ch e d ovesse rizza re la ca ssa, G iannozzo lie to , lui e
la donna la ca ssa rizzonno. C astagna c o llascia , facendo v ista di
lev a re del legn o, a lla m oglie p ercosse, e tu tto il naso g li tagli
dicendo: Ornai non m i befferai p i . G iannozzo p er paura si part,
n m ai pi ritorn.
DB SUMM ET JUSTA VENDITTA DE INGRATO 353

100.
[T it ., n 188].

DE SUMMA ET JUSTA VENDITTA DE INGRATO

N el tem po d ello m peradore F ed erigo Barbarossa fu in n ella


citt di Parm a du stte, l una q u ella de* R ossi e laltra li P alla-
v icin i, ch e essendo in n ella citt tra loro d ivision i, dopo m olto
con trasto d i parole fatte tra R ossi e P a lla v icin i e loro segu aci,
d iven n e ch e uno m esser U liv ieri R ossi, facendosi forte di b rigate
e d e suoi am ici e p aren ti di fuori e dentro, in tanto ch e pi
cen tin aia di om ini ebbe in Parm a rau n ati per con tastare a P al
la v icin i, di ch e m esser E ttore P alla v icin i, sentendo la raunata
fatta per m esser U liv ieri R ossi a l suo e d ella sua setta disfaci
m ento, r ich iese alquanti su oi am ici e t ad eren ti, fra' quali f uno
m esser P ipino da P al , om o di gran cu ore, pregandolo ch e a lla
sua d ifesa m enasse e t a v esse h rigate, per p otersi difendere da'
R ossi, p er p oter in Parm a dim orare. M esser Pipino, cognoscendo
il p ericolo di m esser E ttore P a lla v icin i, dispuose co lli a ltri tra iere
a lla sua difesa, e fattosi forte un giorno, essendo a lle m ani, il
p reditto m esser E ttore co lli am ici suoi e co l ditto m esser P ipino
rim aseno vin cito ri, e t i R ossi di Parm a funno ca ccia ti. E fatto
m aggiore e capo m esser E ttore di tu tta la terra e contado, avendo
prom esso a suoi am ici m olte cose, le quali, com e dusanza de'
v illa n i, quando sono in su l fico n h an n p aren te n am ico, e'
co si com inci a d iven ire d el d itto m esser E ttore, ch e essendo
fatto m aggiore d ella terra, com inci a rim ettere, senza saputa
di coloro ch e con lu i erano sta ti alla gu erra, alcuno d ei suoi
n im ici, e cos di giorno in giorno n e rim ettea m olti, offerendo
s e tu tto ci ch e fare potea a* p red itti. M esser P ipino e li a ltri
am ici di m esser E ttore, vedendo tornare or q uello or questo, e t
sen za ch e di n ien te fu ssero stati rich iesti, con dilib erato anim o
se n andonno a m esser E ttore, dicendo: N oi c i m eravigliam o ch e
i nostri e vostri n im ici tornano, e di questo alcu n a cosa abbiam o
sen tita. M esser E ttore d ice : Io li ho fa tti tornare p er buona ca
gion e, e p erch io non v e nabbia rich iesti non v e n e date m e
ra v ig lia , lassate fare a m e, ch e tu tto si far ch e sa rete con ten ti.
3 54 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

[Q uelli risp osero c h e lassavano] (1) pur c h e fa cesse bene, ma


ellin o non poteano cred ere ch e ta li potessero m ai essere suoi
am ici n loro (2), nondim eno stavan o p er co n ten ti. M esser Ettore,
ch e h a com inciato a ten ere li am ici da poco e addorm entarsi in
grem bo a nim ici, non pass m olti g io rn i ch e [a ] gran p arte di
q u elli ch e ritorn ati erano fe m esser E ttore dare officio, li quali
con gran d e ard ire ta li offici p er loro a ccetta ti furono. Sentendo
questo m esser P ipino e li a ltri, ritornano a m esser E ttore dicen
d ogli: N oi abbiam o sen tito ch e i v ostri e nostri n im ici sono in
n ei ta li offici m essi. Or com e serem o n oi m in istrati da* nostri
nim ici? ch dovere* loro b astare ch e li a v ete fa tti to rn are, senza
a v er loro dato officio. M esser E ttore dice: D eh, sta te co n ten ti, ch
tu tto si fa per lo m eglio, dando p arole g en era li. M esser Pipino
d isse: P er certo a n oi gra v e a p otere so sten ere ch e il vostro
e nostro nim ico c i m in istri. M esser E ttore d ice rQ uello ch e piace
a m e non d e p ia cere a voi? R ispuoseno: S, di q u elle co se giu ste
A isseno, m a non di q u elle ch e ogni buona ragion e le v ieta . M esser
E ttore d isse: A m e con vien e fare dacq u istare am ici quanto so
e posso. D isse m esser P ipino: Or non a v ete v o i p rovato c h i v
stato am ico? E se a l bisogno li a v ete tro v a ti a l vostro sa lv a
m ento, com e p en sate v o i ch e il vostro nim ico possa esser m i
g lio re am ico c h e noi, ch e siam o provati? R ispuose m esser E ttore:
E p erch non ben e ch e a costoro io dim ostri buon anim o?
M esser P ipino d isse: O p erch a ta le ricon ciliazion e non siam o
noi sta ti ch iam ati? C om e! non siam o n oi sta ti con v o i a ca c
cia rli e t u ccid erli, p er la qual cosa di noi sono a l sicu ro p i
nim ici ch e vostri? E p ertanto, p oich a una gu erra eravam o,
dovevam o essere a lla p ace rich iesti, e noi serem m o sta ti con tenti
di q uello na v este disposto. M esser E ttore, ch e a vea a ltro anim o,
d isse: Io l ho fatto solo p er non scan d alizzarvi, e per sta te con
ten ti. M esser P ipino, con tento m eglio ch e puote, si parto. E non
m olti giorn i passarono ch e uno d e tornati prendendo quistione
con uno de principali am ici di m esser E ttore, q uesto sentendo
fe di fatto pren d ere lam ico e condannato tanto quanto lo statuto
tira r potea, e l a ltro a p reg h iere d'alcuni di m ezzo ch iesero ch e
ben era ch e non si spaurisseno q u elli ch e ritorn ati sono c h e del
fallo com m esso n e g li sia fotta grazia, m esser E ttor [ced en do] 12

(1) Qui evidentemente manca un inciso nel ma.


(2) Me.: nostri.
DE SUMMA ET JUSTA VENDITTA DE INGRATO 355

a lle p reg h iere d e d itti, il preditto fu rid utto a lla quarta p arte
d i q u ello ch e lo statu to lo condannava. E t com e m esser P ip in o ,
e li a ltri ci sen tir, se n andaro alqu an ti am ici a m esser E ttore
d icen d o : N oi sentiam o ch e il nostro am ico stato condannato
quanto lo statu to h a potuto tira re, e l'a ltro rid u tto a l quarto^ e
per noi c i m eravigliavam o ch e alm eno l'uno com e l a ltro non
fu condannato. R ispuose m esser E tto re: Q uello ch e io h o fatto
s i p erch io voglio ch e q u elli ch e m 'hanno serv ito non ardi
scano fare q ustion e e li a ltri non im pauriscano, e t eziandio
p erch n e sono pregato (1) da q u elli ch e non sono in p arti. R i
sp uose m esser P ipino: D unque li om ini di m ezzo faranno di v o i
e di noi loro volont? P er certo troppo hanno buono tem po, e
n oi ca ttiv elli stiam o a p ericolo ogni di d 'esser m orti com e tr isti.
P er certo, m esser E ttore, v o i non n e v ed ete pi. D isse m esser
E tto re: A m e n e pare v ed ere assai e penso tu tto esser fatto a
buon fin e. M esser P ipino d isse: E n oi co s pensiam o ch e seg u irete,
e licen zia ti si partirono. E trovatosi il ditto m esser P ipino con
alq u an ti d ellanim o suo, d isse: V oi v ed ete m odi ch e m esser E ttore
tien e, ch ' di rim etter dentro tu tti li n ostri nim ici e sim ile di
dar loro li offici e l onori, e quando falliscon o, li om ini di
m ezzo sono loro avvocati, e noi ca ttiv elli, ch e siam o a l p ericolo
d ella m orte e non potrem o scam pare, siam o da m esser E ttore
abbandonati, e dogni p iccola cosa condannati e m orti quanto lo
statu to pu tirare, e non avendo a ch i ricorrere, sotto il peso
c i con verr crep are. E p ertanto, o noi tu tti diliberiam o solo
m esser E ttore, o noi troviam o m odo ch e '1 nostro p er n oi si goda
e non li n ostri n im ici. E per, se v o lete fare a m io senno, io
penso trovar m odo. U dendo tu tti q uello ch e m esser P ipino h a
d itto, e cognoscendo esser vero, d issero ch e disposti sono a fe re
la sua volont, p u rch com andi. M esser P ipino d isse : F a te di
sta r e p resti coU'arm i, e t ogn i volta ch e n ien te sen tite, tr a ete a l
p alagio di m esser E ttore, l u 'io ser co lle m ie b rigate, e de'
n im ici v i ven d icate, e q u elli ch e ci sono sta ti a ch ied er le gra zie
diam o loro a d ived ere ch e ce n e sia in cresciu to. Coloro disseno
tu tto fare. E non m olto volsen o ind u giare ch e non pass du d i
c h e il ditto m esser P ipino, con alcuno p aren te di m esser E ttore
m alcontento, se n'andonno arm ati sotto i panni, e fatto ch ied er
d i m esser E ttor ch e p arlare g li voleano, avendo prim a m esse

(1) Ms.: p a g a to .
356 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

loro b rigate in punto, m esser E ttore, fa tto li v en ire in cam era,


dicendo a m esser Pipino e t a l p aren te su o q u ello volean o, loro
d issen o: P o ich v o i v o lete esser ca gion e d elle n ostre m orti e
d elli a ltri nostri am ici, abbiam o d ilib erato ch e tu sii il prim o che
m orto sia. E tra tto g li addosso, in n ella cam era lu ccisero , e da
poi fatto v en ire le b rigate, tu tti q u elli ch e ritorn ati erano m issero
a ta g lio d elle spade, e pian passo m andarono per alqu an ti di
m ezzo, dicendo lo ro : Il vostro con siglio c i h a m essi in gravi
p erico li. E t a ? p rincipali fenno ta g lia re la testa, dicendo c h e non
sia nessuno ch e m ai co n sig li ch e i n ostri n im ici n ello stato si
rim ettin o. E cos da poi fu signoreggiata Parm a por loro.
DB BONA BT JTJST FORTUNA 3 57

101.
[Tri*., n 139].

DE BONA ET JUSTA FORTUNA.

Lo r e dIn gh ilterra, nom ato lo re R iccardo, essendo di m alattia


aggravato, e non avendo altro figliu olo se non uno fan ciu llo det
fii q uattro anni, fig liu o lo d ella su a donna, fig liu o la d el r e di Un
g h eria , vedendosi in caso di m orte, fe suo testam en to, lassando
p er D io m oltissim o tesoro a pi baroni, e u ltim am en te lass il
su o figliuolo, nom ato O rlandino, r e e posseditore di tu tto ream e,
e p erch era p ic c o lo , com ditto, lass ch e fin e c h e to sse in
n e llet di d iciotto anni stesse a governo d el re F ilip p o di F ran cia
su o cugino, e se caso to sse ch e il d itto O rlandino m orisse sen za
fig liu o li, rim an esse il d itto r e F ilippo re dIn gh ilterra e d e su oi
b en i. E fatto ta le testam ento, il p red itto R iccardo m oro, e fat
to g li grande onore a l corpo, to soppellito. Sentendo lo re F ilip p o
la m orte d el suo cu gin o, e com e a lu i lassava O rlandino suo fi
gliu o lo , non avendo lo preditto r e fig liu o li n donna, m and p er
lo d itto fan ciu llo e t a P a rig i lo fe c e v e n ir e , disponendo lo reg
gim en to dIn gh ilterra a suo m odo. E stando il preditto r e di
F ran cia in ta l m an iera, m andando O rlandino alla scu ola e lu i
im prendendo tan to quanto g li era in se g n a to , in tanto c h e non
un anno a lla scu ola fu stato ch e a v ea im parato tan to ch e q u elli
d i d ieci an n i avan zava. La m aladetta a v arizia in tr in n ella
m ente d el re F ilip p o , dicendo fra s : S e O rlandino m orisse o
veram en te ch e da poco v en isse, io sig n o reg g erei luno ream e e
l'a ltro , e non so signore in n el m ondo ch e a m e si p areggiasse.
E subito ven u togli in odio O rlandino, dom andando pi v o lte il
m aestro ch e g linsegna com e apprendea, lo m aestro d icea : P er
c e r to io no vid i m ai fa n ciu llo a v ere tan to intendim ento quanto
co stu i, e d icovi ch e se lu i star quattro anni alla scuola, com e
c sta to , ch e ser in tu tte scien ze esp erto. Lo re, ch e h a udito
q u ello c h e O rlandino im parava, pens di sta re a v ed ere alquanto
tem po, e stato circa du an ni p er ta l m aniera, vedendo il re ch e
O rlandino si facea tanto esp erto , p en se di v o lerlo d ella scu ola
rilev a re, acci ch e non d iven tasse da tanto, ch e *1 suo ream e
ch ied ere sap esse. E com e pens m isse in effetto, ch e non la s
san do p assare ch e il fan ciu llo a v esse otto anni, an zi una sera ,
358 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

p resenti tu tti i baroni, d isse e chiam O rlandino, dicendogli : A


m e stato ditto ch e tu n ien te im pari, e second o ch e io posso
com prendere tu h ai folto com e il nibbio, ch e il prim o anno u ccella
m olto b en e e poi si cala a ogn i carogna, e co s pare abbi fatto
tu , e p ertanto, p oich io veggo ch e in fin e a qui im paravi, v o c h e
dora inn an ti non vad i pi a lla scuola, m a vo* ch e im prendi a
sch erm ire, a ccio cch tu sappi una spada ten ere in m ano. Ma ben
vo ch e com e il nibbio il piu tristo u ccello ch e s ia , co si m i
p are ch e tu sii tristo d iventato, e t per com ando a ciascu n o c h e
non ti ch iam i se non nibbio, e co s fe* com andam ento. O rlandino
d isse: M essere, io sono presto a ubbidire il v o stro com andam ento,
e q u ello v o lete di m e s fa te , e com e v i p iace ch e io sia ch ia
m ato sto p er con tento. Lo re chiam il m aestro sch erm idore, di
cen d ogli: Va e m ena te co il N ibbio e in segn agli sch erm ire e
te n ere una spada in m ano, p oich non h a volu to im parare scien za .
Lo m aestro d ice ch e s e r i fetto. L i b a ro n i, ch e odono ch e Or
landino de essere ch iam ato N ibbio, non parendo loro onesto, p er
paura non sapeano c h e d ire, e tacendo stavan o m alinconosi. E
dim orato il N ibbio co l m a estro , a sch erm ire in seg n a n d o g li, lo
fon ciu llo di buona m em oria im prendea tu tto ci ch e il m aestro
gL insegnava, e non pass du anni ch e lo r e dom andando il m ae
stro com e N ibbio im parava, risp uose: Santa Corona, io non g li
posso pi insegnare, p erocch tu tte le pi v o lte scherm endo m eco
m i v in ce e t i h o tem enza ch e uno giorno non m i v itu p eri, e p er
intanto v i prego ch e con a ltri lo m ettiate, c h e sia pi esp erto
di m e. Lo re, ci udendo, di m alanconia pensa non v o lerlo pi
a sch erm ire, [in v ece] m etterlo alla cu cin a. E com e ih sera , fe*
ch iam are il N ibbio, dicendogli : Or non te lh o io ben d itto ch e
im parare non h ai voluto, e t ora mh a d itto lo sch erm idore ch e
n ien te im parare vu oi, e per, p oich a lle v irt non vu oi stare,
io v o ch e stii alla cu cin a com e ca ttiv o ch e tu se. E fe ch ia
m are il m aestro de cu och i, d icen d ogli: P o ich l N ibbio non ha
volu to im parare g ram m atica, n eziandio a sc h e r m ir e , voglio
ch e tu lo ten gh i alla cu cin a a v o lg ere li arrosti, e fo g li fere
ogni m ercenum e, ch e da altro non , dicen do: O N ibbio, vu oi esser
cuoco? L ui risp ose ( i) : Santa Corona, q u ello v i piace far. E da
tolo a l m aestro d ella cu cin a e lu i in cu cin a m enatolo, lo m ae
stro d isse : Io vo g lio ch e ti dii p iacere e di neuna cosa vo ch e

(1) Ms.: risp o n d e n d o .


DE BONA ET JUSTA FORTUNA 359

t'im p acci. D isse il giovan o: Io voglio fare ogni cosa, p oich p ia ce


a l r e . Lo cuoco d ice: P o ich pur vu oi fa re q u alch e co sa , io vo
g lio c h e solo la salsa d el r e facci. L ui d ice: Io far q u ello m i
m etterete in m ano; e cos si steo. L i baroni, ch e hanno veduto
il figliu olo d el re d 'In gh ilterra esser m esso a lla cu cin a, non p o
tendo contraddire alla volont d el r e , ta cea n o , so l portandone
m alin con ia, a non poteano altro. Stando il N ibbio con m aestro
cuoco, ogni d lo re lo dom andava com e la facea. Lo m aestro
cuoco d icea: B en e. E dim orato pi m e si, sem pre facendo il
N ibbio la salsa del re, un giorno dim and lo re il m aestro cuoco,
dicendogli ch e volea d ire ch e lu i facea m iglior salsa, c h di
q uanto tem po con lu i era stato, m ai s buona salsa avuta avea.
Lo m aestro cuoco d ice: Santa C orona, davvero lodo il vostro
N ibbio, p erocch lu i sem pre lha fatta p oich con esso noi lo
m etteste. Lo re, volgendosi verso baroni, d isse: P er certo ben lo
d iss' io, ch e '1 N ibbio non era da a ltro ch e da esser cu o co , e
cos vo' ch e qui n e stia , e quando pi tem po ar e t abbia im preso,
com e veggo ch e fa, io lo far com pagno d el m aestro cuoco, e pi
non d isse. Li b a ro n i, ch e non osavano contraddire alla volont
d el re, si taceano, tenendo dentro il d isp iacere ch e parea loro
ch e lo re facesse, e p er questo m odo dim or il N ibbio fine ch e
a ll'et di tred ici anni fu ven u to; e uno giorno li baroni, vedendo
lo r e F ilippo alquanto in bonaccia, disseno: D eh, santa Corona,
n oi v i preghiam o ch e q u ello ch e noi v i direm o non v i debbia
d isp iacere, p erocch tu tto ci ch e p er noi v i si dir tu tto si dir
a buon fine e t a buona ragion e. Lo re d isse: D ite. L i baroni d is
sen o : N oi cognosciam o ch e '1 N ib b io , vostro nipote e figliu olo
d el re dIn gh ilterra, stato e t tanto da poco ch e non h a vo
lu to im prendere alcu na bont, p er la qual cosa voi l'a v e te m esso
alla cu cin a, e di vero altro m estieri a lu i non s ap partien e ; m a
p er risp etto del padre sarem m o m olto con tenti ch e cuoco non
fu sse, m a ch e voi*lo m etteste a esser ragazzo, p erocch lo ra
gazzo a rte da g en tilo m o , e quine a streg g h ia re ca v a lli lo
fa te sta re p er vostro onore. Lo r e , ch e ode quello ch e i su oi
baroni hanno ditto, b en ech m a lv o len tieri lo facesse, non di m eno
acconsentio (1) con inten zion e ch e m ai altro ch e streg g h ia re
c a v a lli vorr ch e fa c c i, tenendolo v estito com e il pi v ile ra
gazzo ch e in n ella sta lla sia, a ccio cch non possa prendere cu ore

(1) Ms.: a cco n sen tito.


360 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

n ardim ento. Et avu to ta l p en sieri, subito f' ch iam are il Nibbio


e 1 m aestro d ella sta lla . Loro p resti dinnanti del r e , dicendo:
Santa Corona, com andate. Lo r e si v o lse verso a l N ibbio, dicendo:
B en Tho io ditto ch e tu sem pre .h a i fatto com e il nibbio, ch e di
p rincipio m i fa cei si buone sa lse, e poi l'h a i p eggiorate, e neuna
n e fai buona. E , p ertanto io vo* ch e si' ragazzo di sta lla . Lo
N ibbio d isse: Santa Corona, io sono p resto a ubbidire vo stri co-
m andam enti, m ai da q u elli p a rtirm i, quello v o lete c h 'io (ccia
far volen tieri. Lo r e chiam lo m aestro d ella sta lla , d icen d ogli:
V a e m ena il N ibbio a lla s ta lla , e q uine g li fa Cetre o gn i m er-
cenum e, com e il pi v ile ragazzo ch e ci sia . Lo m aestro d isse
ch e ser fatto. E m enato seco il N ibbio, lo tra sse da p arte, di
cend ogli : Io vo g lio ch e tu ti dii p iacere sen za fre alcu n a cosa,
e vo' ch e tu abbi p er tu o cav a lca re uno c a v a llo , e t ogn i d d i
festa ti dar alcu n i dinari a ccio cch possi co com pagni p ren d er
p ia c e r e , e talora andare a lle fa n c iu lle , n a ltro vo* c h e ( cci.
Lo N ibbio d isse: P er certo io vo tu tto fre com e li a ltr i ragazzi,
e non v o ch e di n ien te m i risparm iate, per ch e io veg g o questo
esser la volont d el re. Lo ca v allo e d in ari c h e m i o ffrite a c
cetto, e di ci m olto v e n e sono tenu to. Lo m aestro d ella sta lla ,
udendolo si saviam en te p arlare, d isse: P o ich co s v u oi f re, io
vo ch e solo il ca v a llo am biante d el re govern i e non altro, e
com e q u ello avrai governato, prendi q u esta ltro e ca v a lca a tu o
p iacere. E .com incigli a d argli alcu no dinaro. Lo giovano, in
tend en te e g i di anni q uattord ici, com inci a co n ciare il ca
v a llo d el re, e com inci a ca v a lca re il ca v a llo a lu i assegn ato,
e t alcuna volta si d ilettava ca v a lca re (1 ) u na b ella g iovan etta,
ch e in pochi m esi il d itto giovano a v ea si ben im preso a con
cia re i ca v a lli, ch e neuno altro ragazzo Tare' avvan taggiato; e t
avea tanto ben nodrito e concio il ca vallo d el r e , ch e sen za a l
cuno contrasto parea ch e quel ca v a llo in ten d esse, di ch e lo r e
m olto si m eraviglia, dicendo al m aestro d ella sta lla com e potea
esser ch e '1 suo ca v a llo fu sse si inten dente. Lo m aestro d icea :
Dom andatene il vostro N ib bio, ch e q uello governa. Lo r e , sen
tendo ch e 1 N ibbio io governa, d isse: B en suo m estieri T esser
ragazzo, e cosi vo' p ersev eri; e tra s d icea: P er certo questo
Nibbio, se v iv e, eg li ser il pi savio e saputo signore ch e m ai
fusse ; m a io convegno trovare modo ch e m orr prim a ch e passi(i)

(i) Nel ms. veramente c a b la r e .


DE BONA ET JUSTA FORTUNA 361

let di d iciotto anni. E questo era sua in ten zion e. E com e il


giovano divent m aestro di con ciare c a v a lli, cos d ivent tan to
p erfetto c a v a lca to re, ch e ogni rio ca v a llo ca v a lca v a e co rrea ,
e pi ch e ogn i giorno se nandava di fu o r i, e con bigordi in
m ano correndo dava in n elle fr a sc h e , e tanto n e fu m a e str o ,
ch e di continuo a r e dato in uno grosso sen za m ai fa llire. Ap
presso im par a rom pere e t a sp ezzare a ste , e t non era tan to
grossa l asta ch e in uno colpo in pi p ezzi la m andava. E talora
prendea una sp a d a , correndo o r qua or l , dando ora a quel
la lb ero , ora a llaltro, p er s gran forza, ch e non era si grosso
ram o c h e a terra in un colpo noi g itta s s e , dando v o lte ora a
ritta ora a m auro v ersa , ora di p u n ta , in tan to ch e parea una
m eraviglia. E q ueste co se facea da s solo, e oltra ci era tan ta
la sua p iacevolezza e b ellezz a , ch e q u ella giovana ch e con lu i
una vo lta usata era, sen za dinari ch ied ea il giovano ch e a lu i
p iacesse dusare con lei, dandogli poi a lu i dinari. E p er questo
modo dim or il N ibbio pi di uno an n o, sem pre m alvestito, n
m ai v olse il re ch e ca lze p ortasse, n panni di pregio, a ltro ch e
giu b b ettin i di ragazzo. E stando in ta le m a n iera , sop ravven n e
u n giorno ch e a l re v en n e una lettera , la q uale m andava lo r e
don A lfonso di Spagna, n otifican dogli inten dea a m aritare la su a
u n ica figliu ola det danni quattordici, nom ata B ram am ontagna,
b ella quanto il so le, narrandogli il m odo ch e ten ere si d o v e a ,
e l q uale era ch e qualunque ten esse tre giorn i cam po e tornea-
m en to, e quale fusse v in c en te, fu sse sposo d ella giovana, e lu i,
com e om o di tem p o, dopo la sua m orte lassava ered e d el su o
ream e. E sim ile le tte r e m and p er tutta cristia n it . Lo r e F i
lippo, sentendosi giovano e gagliardo e senza donna, ricco e pos
sen te, pens lu i esser quello ch e B ram am ontagna conquistare'
e subito dato ordine a l tem po v o ler ca v a lca re, dicendo ffra s :
Ora veggo ch e ser di pi ch e il terzo di cristia n it sig n o re,
essendo di Spagna re e di F rancia, e m orto il N ibbio tu tta In
g h ilterra colla Scozia ser in m ia balia. E fattosi presto, chiam
il m aestro d ella sta lla e d isse : M etti in punto cen to d estrieri e
m ena teco i ragazzi e l N ib b io, e con d uceli in Ispagna a lla
m aest di re don A lfo n so , e quine in uno alloggiam en to li go
v ern er , cosi p er la v ita di voi e de' ca v a lli e di tu tti q u elli
c h e m eco verranno com pera e fa ch e neuno m ancam ento sia .
Lo m aestro d ella stalla d isse ch e fatto ser, e sim ile lo spendi-
tore, e cam inano tanto ch e giu n ti funno in G astiglia, dove m ol
tissim i signori erano g i arrivati, e preso una a lb e r g a la d'una
3 62 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

gran contrada, la quale lo re don A lfonso solo al re di F rancia


avea ser b a ta , a ccio cch agiatam ente p otessero s ta r e , p en sand o
ch e la sua figliu ola d ovesse esser d el d itto re, di cu i eg li m olto
si con tentava, p i e ch e d 'altri. Ora lassam o de' ca v a lli ch e stanno
bene, e tornam o a r e F ilippo, ch e subito fatto a s v en ire quanti
m ercadanti lu cch esi erano in P arigi, con tu tti i drappi c h e quin e
erano, e' d i q u elli p rese e fatto b ellissim e robe ; in fra le a ltre
n e fe Care due p rincipali, una per la sua persona e t una p er la
donna, sperandola av ere, di valu ta pi di franchi duecen to m ila .
E t o ltre q uesto fe fare d a b ellissim e corone e t a ltri g io ie lli di
tanta valu ta, c h e stim are non si potranno. E com e si fe b ello il
r e , cos tu tta la sua com pagnia si fe* b ella, e con fin issim e arm i
a pruova fatte, e con gran baronia di c a v a lier i e g en ti darm e,
co l nom e di Dio si m ossero da P arigi d el m ese di m a g g io , e
tan to cavalcarono, c h e giun sero in Lspagna. E com e lo r e don
A lfonso sen to la ven u ta di re Filippo di F ran cia, con tu tta su a
baronia g land incontra, facendogli grandissim o on ore, fin e a l
lalbergo l'accom pagn, dove poi g li fe m oltissim i doni, e sim ile
a lli a ltri ca v a lieri, ch e ven u ti erano. E t approssim andosi la Pa
squa de* ca v a lieri, la qual era stab ilita p er lo giorno d ella bat
taglia, lo re di Spagna, raunato suo con siglio, d isse: C ari m iei
a m ic i, parenti e c o n sig lie r i, v oi v ed ete in n ella n ostra terra
esser ven u ti tan ti v a len ti sign ori con tan ta m oltitu d ine e gen te
d'arm e, solo per av er la m ia figliu ola Bram am ontagna p er mo
g lie, e t accio cch le cose vadino ordinate, e neuno scandalo na
scer potesse, v i prego m i con sigliate q uello ch e io h o e a fora.
Li baroni e rea li e tu tti del c o n sig lio , dopo m olti co n sig li dati,
ultim am ente si con clu se ch e in su lla piazza, dove si dovea fare
la battaglia, si m ettesse uno p aviglion e, in n el quale v i si fccia
uno on orevile letto, e t in q uello B ram am ontagna dorm ir le tre
n otti ch e durar d ee la b attaglia, e di giorno la d itta giovana si
riduca in su p alch i fa tti, dove donna C leopatras, vostra donna
e r e in a , coU 'altre donne star la b attaglia a v ed ere. E t cos
ogni d s'osservi. A ppresso, p erch ci h a di m olte m an iere di
gen ti, a ccio cch neuno in piazza en trar possa di n otte, si m etta
a lle b occh e la guardia, e p erch rom ore n altro scan d alo possa
in n ella terra esse re, ch e si m andi un bando, a pena d elle for
ch e, ch e neuna p erson a, cittadino n fo restieri o di qualunque
stato o condizione si fu sse, ard isca o v v er presum i andare per la
terra, d alla cam pana ch e da sera suona fin e a q u ella ch e suona
la m attina. Et a cci ch e neuno possa d ire ch e non sap esse la
DE BONA ET JUSTA FORTUNA 363

pena, v i si d ice ch e p er tu tta la terra si faccino nobilissim e


forch e, e t i bandi p er tu tta la terra si m andino, e com e la per
sona giun ta, subito sia appiccata. E quando si fa la b attaglia,
fate ch e tu tte g en ti darm i ch e a v ete siano a rm a ti, a cci ch e
rom ore lev a re non si possa; e v o i co l vostro co lleg io sta te a ri
gu ard are la b a tta g lia , e q uello ch e fi* v in cen te, a lu i date la
donna. Lo r e di Spagna, ci udito, m isse in effetto tu tto, e m an
dato i bandi e fatto rizza re le fo rch e, sicch ognuno potea v e
d ere lordine dato, in tanto si steo fine a lla v ig ilia d ella pasqua,
c h e l'ord in e era di non andare di n otte. A llora lo r e F ilip p o di
F ran cia, avendo sen tito il bando e avendo ved u to tu tte le forch e,
fra s d isse: Ora v err a lla m ia, c h e '1 N ibbio far m orire. E
co s pens, e stando in ta l p e n sie r i, sen to son are q u ella cam
pana , di ch e il bando ditto a v ea . E stato a lq u a n to , tan to ch e
buona pezza di n otte era passata, e fe ch iam are lo N ibbio, d i
cen d ogli: V a a co rte dii re, e dim anda con ch e si de* com battere
dim ane, e tornam elo a d ire. Lo N ibbio presto d isse ch e fatto
ser , e preso una lan tern a a ccesa , subito u scio di casa. Lo re
d isse: Ora ser im p iccato, e t io non ne sar biasim ato. L i baroni,
ch e hanno udito il bando, e t hanno veduto le forch e r it t e , fra
loro disseno: Ornai ar lo re ci ch e v u o le di Care m orire lo
figliu olo d el re d'Inghilterra. E non potendo a ltro fare, stavan o
ch eti. Lo N ibbio, ch e securam en te va con q u ella lan tern a, su bito
scon trato si fo in n elle g u a r d ie , le quali l ebbero p r e so , com e
d elli a ltri preso aveano, et a lle forch e lo conduceno, dove gi
v e n'erano alquanti appiccati, e lu i ap piccare volean o. Com e il
N ibbio si v id e sotto le forche, d isse : G uardate q u ello ch e voi
fate, p erocch io sono nipote del r e di F rancia e fu i figliu olo del
r e d 'In gh ilterra, e se m i ap piccate, q uesta terra ser m essa a
fuoco e t a fiam m a. Le guardie, guardando il giovano, e ved en
dolo tanto b ello e s saldo in n el p arlare, aven d ogli udito dire
ch e '1 re di F rancia a v ea uno suo n ip ote, ch e lo ten ea per ra
gazzo, d issen o: P er certo noi non sarem o q u elli ch e ta l Dallo
facciam o ; lasciam olo andare, e ch e a ltri lo faccia, se vu ole. E t
co s pass la prim a guardia e giun to alla seconda, per lo sim il
m odo fu condutto a un paio di forch e, dove m olti v e n'erano g i
ap piccati, e lu i, scusandosi per lo modo di prim a, dicendo: T ali
m hanno la ssa to ; coloro d issero : P o ich li prim i non thanno
im piccato, n noi non ti vogliam o im p iccare. E licen ziato, pass
p er questo m odo la terza e quarta gu ard ia, e giu n to a lle b occh e
d ella piazza, p er q u ello m odo lo 1assonno andare, e quando il
3 64 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

N ibbio fu al m ezzo d ella piazza e v id e uno p aviglion e con u n


lum.e dentro, en tr. V id e un bellissim o letto , in n el q u ale v id e
una b ellissim a giovana, la q u ale ancora non dorm ia. E posto gi
la lan tern a, com inciossi a ca varsi le scarpe e poi si tra sse il
giubbone e le m utande, sen za n ulla in capo, avendo i cap elli
ch e pareano fila doro ; la giovana lo sta a m irare e n ien te d ice.
Il N ib b io, oh e v ed e ch n ien te g li d ic e , si tra sse la ca m ic ia ,
rim ase nudo ch e parea una m assa di n iev e. Con una b ella m asse
r iz ia , s accost al le tto , e dentro allato a lla giovan a si puose.
La giovana, presolo per la m ano, lo dom and ch i era . L ui disse:
Io sono un ragazzo di sta lla . La giovan a d isse : Or ch e se ' ven u to
a fare? Lui d isse: Io andava [p er] altro, e vedendoti in d el letto,
penso ch e debbi sta re con tenta ch e io ti dia p ia cere. E t abbrac
ciatola e salitogli in su l corpo gravosam ente, la giovana ricev eo
la nbeccata, parendogli s buona la prim a, ch e dun a ltra volse
la contentasse. Lo N ibbio n e la content, e riv estito , p rese la sua
lanterna et a l palagio n and, e dom and del m odo d el com bat
tere. F u gli d itto : C olle la n ce. Lo r e di F ran cia e su oi baroni
pensano: Di vero il N ibbio ser stato a p p icc a to , tan to tem po
dim ora. Lo r e lieto, li baroni pensosi, e m entre ch e in tal ma
n iera dim oravano, ecco il N ibbio ch e giu n se in sala, d icen d o:
Santa Corona, dom ane si com batte co lle la n ce. Lo re, m eravi
gliandosi, d isse : P er certo lo re non ar volu to osserv a re il
bando. E poi d isse: N ibbio, fa ch e il ta le e ta le c a v a lli siano
conci, e fa ch e alla m ia tornata tu m i serb i un bagno la tto ,
in n el quale io en trare possa. Lo N ibbio d ice: Santa Corona, Catto
ser. Et andati a dorm ire, la m attina m adonna C leopatras rein a
and a lev a re d el letto B ram am ontagna, la quale, com e lev a ta
fu, d isse alla m adre il modo c h e q uello ragazzo g li a v ea fatto,
d icen d ogli: M adre m ia, eg li lo pi b el giovano d el m ondo, e
quello ch e m eglio m ha con tentata. D isse la m adre: D eh, fig liu o la
m ia, fa ch e se stasera v ien e a te, ch e tu non ti la ssi fa re n ie n te,
se prim a non ti d ice ch i eg li . La figliu ola d isse ch e fhre'. E t
com e lev a la fu, com inciarono a sonare le trom be e trom b ette,
e t ognuno raccon ci su e arm adure, m ettendosi in punto ap presso
al desnare desser a lla b attaglia, e ven u ta lora desser a l cam po,
lo re di F rancia co lle su e brigate e li a ltri arm ati traggono a lla
piazza. Lo Nibbio, m esso un bagnuolo al fuoco e den tro a lcu n a
cosa con q u elle erbe, e t apparecchiato le legn a, p resto rim a se
solo in n ello stallo, n persona per v ia pass. Standosi a sed ere
a luscio, gam ba sopra gam ba, e stando per ta l m aniera, du g o -
DE BONA ET JUSTA FORTUNA 365

v a n e so relle gen tili e donzelle, v icin e di con tra, l una nom ata
Ju lia e l'altra C ornilia, ciascu n a d'et d'anni sed ici o pie, ve-
dendo quel giovano si pensoso, disseno tra loro: P er certo colui
sta pensoso p er noi. E penso, d isse Julia, ch e di noi sia innam o
rato, e pertanto, se contenta fusai, io lo chiam er, e di ch i ser
inn am orato, co lei lo con ten ti. C ornilia d isse: E a m e p iace. E
fattogli cenn o ch e a loro vada, il N ibbio p resto a loro n'and, e
quando fu con loro, Ju lia d isse: N oi ci siam o accorte ch e tu di
esse r innam orato di qual ch e sia di noi, e pertanto abbiam o di
lib erato ch e qual pi ti p iace tu prendi. V edi, noi siam o so relle
e t v ergin i e t g en tile donne. N ibbio d ice: Io am o tanto l'una
quanto l'altra, e se m i v o leste serv ire, io v i ch ied erei cosa ch e
penso mi p otreste fare. La Ju lia d isse: C hiedi. P en sava Julia
c h e N ibbio ch ied esse di v o ler con loro prender p iacere, la qual
cosa a ltro non desideravano. D isse: D eh, p er Dio, ch ied i tosto, e
v ed ra i se noi te servirem o. Il N ibbio d isse: Se io a v esse buono
ca v a llo e buona arm adura e t una buona lan cia e t una sop raveste,
non cognosciuta, io m i darei vanto esser oggi v in cito re di questa
b attaglia. J u lia , ci udendo, d isse: N oi di tu tto ti farem o con
ten to, e darem oti ca vallo e t arm e, ch e fa d'A golante nostro padre.
E fattolo p resto e arm ato, e t arm atolo con gam biere sen za ca lze,
e fattogli sopra lelm o una gh irlan d a di p ervin ca, dandogli una
buona lancia e t una sop ravesta nera. E, tutto arm ato, d isse Cor
n ilia : D eh p iacciati, prim a ch e vad i, d'un bacio m i con soli. Julia
d isse: P er sim ile di m e, d i ta le m i fa sazia, e poi cav a lca e fran
cam en te com batti, n d o n zello , ca v a to si l'e lm o , l una e l'altra
baci, e poi, m ontato a ca v a llo e m essosi l'elm o, in piazza n'and,
dove trov ch e lo re di F ran cia a v ea ogni persona m esso a terra
e il cam po era suo. Il N ibbio/ com e ci ved e, d irizza il cavallo
verso il re, e lo re verso lu i, e dandosi d i gran colp i, ultim a
m ente lo re and per terra, m alam ente fracassato. Lo N ibbio,
com e ci vid e, dato d elli speroni a l ca v a llo , sen za c h e altri sa c
co rg esse a casa torn, e disarm ato l'arm e rendeo, e dati du* baci
a q u elle p erlu z z e , si ritorn in n ell'a lb erg o , e fatto b o llire il
bagno, lo re, ch e per terra m alam ente era caduto, da suoi n e fu
p ortato a llalbergo, dove en tr in n el bagno. E quine posato e
le d oglie a lle n ta te , il N ibbio dom andato lo re d ella c o s a , lu i
d isse: Io m era vin citore, m a uno d iau le con una sop raveste n era
sopraggiunse, e m e p er s gran forza m and a terra, ch e n e sen
tir tu tto d dim ane. Lo N ibbio d isse: B en n el ven d ich erete, non
dub itate. A vendo veduto lo re di Spagna com e lo re di F ran cia
366 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

era stato v in cen te fin e a llu ltim o , ch e q u ello d ella so p ra v este


nera era ven u to, fu m olto con tento, stim ando a l certo lo r e d i
F ran cia d overe la sua figliu ola a v ere. E cosi tu tto q uel g iorn o
pass di questo parlare, non sapendo ancora ch i fo sse sta to co lu i
ch e la b attaglia v in ta a v ea. E ven u to la sera, lo re di F ra n cia ,
avendo veduto m oltissim i ap piccati p er la terra, d isse : C erto il
N ibbio stasera cam pare non potr. E sonato q uella cam pana,
chiam il N ibbio, dicen dogli: V a e sappi con ch e si d ee dom ani
com battere. Lo N ibbio, ch e altro non asp ettava, d isse: F a tto se r .
E, presa la lanterna, and, e con q uel modo ch e la sera d in n a n ti
passato era, con q uel m edesim o modo pass in piazza, e t a l pa-
v ig lio n e and e dentro en tr. [La d onzella] d isse: P er c e r to tu
non m i tocch erai, se prim a tu non m i d ici ch i tu se' e co m e
h ai nom e. Lo N ibbio d isse: Io sono ragazzo, e *1 m io nom e n on
dom andare; bastiti ch e io sono ragazzo. L a g io v a n a d isse: E tu
non mi to c c h e r a i, se *1 nom e non d ici. Lo N ibbio d isse: E se
non vu oi, tu o danno; e volendosi lev a re, la giovana p er lo b ra ccio
lo p rese, dicendogli : B en ch non m e lo vuoi dire, m a io non v o
ch e ti parti, ch du v o lte vo* ch e m i con ten ti. Lo N ibbio d isse :
Io sto p er contento; e fo m ite le du* v o lte, si parto, e t a l p a la g io
11and, dom andando a ch e si dovea com battere lo giorno seg u en te .
F u gli d itto: C olle spade. E cosi torn, dove il r e p en sava fu sse
m orto. Lui v id e tornare, e m eraviglian d osi com e era campato^
lo dom and con ch e arm i si dovea com battere. D isse: C olle sp a d e.
A llora com and ch e le spade fussero p rese, e t a l N ibbio d isse
ch e il bagno ap parecchiasse. E dati a dorm ire fin e a lla m attin a,
c h e m adonna C leopatras rein a and a lev a re B ram am ontagna d el
letto , dom andandola se l*amico a le i ven u to era e com e a v ea
fatto con lu i. La giovana risponde e d ice: M adre m ia, m ai non
si v id e pi bel giovan e, e non volendom i d ire il nom e su o, io
non v o lea accon sen tire, e lu i si v o lea d el letto u scire, di c h e io,
vedendo ch e si volea p artire, p er non p erd er tan to d iletto , du*
v o lte m el fece. La m adre d isse: Stata v i fu ssi io, ch e m e nare*
fatto a ltrettan to! Or, p oich tu non h a i potuto sap ere il su o nom e
e lu i sa ben ch i tu se*, p er certo e' non pu esser ch e non sia
nato di q u alch e g en tilo m o , e p ertanto ti prego ch e se sta sera
torna a te, ch e tu lo p regh i ch e il nom e suo ti dica, e se non
lo potessi sa p e r e , pregalo ch e alm eno q u ello ch e fatto h a non
debbia a persona appalesare. E t acci ch e non possa p a tire di
sagio di cosa nessuna, e ch e non sia pi ragazzo, lo p rega, e t
acci ch e possa la sua v ita on orevilm en te fare, vo* ch e g li doni
DE BONA. ET JUSTA FORTUNA 367

la m anica d ella tua b ella roba, d icen dogli ch e v a le pi di cin


quantam ila fiorin i, e con q uella pu v iv e r e a onore. La figliu ola
d ice c h e tu tto far. E co s se n andarono a l p a la g io , e ven u to
l ora d ella b a tta g lia e le corse, lo r e di F ran cia e li a ltri m on
ta ti a ca v a llo , e t in piazza g iu n ti, lo N ibbio a lla banca si puone
a sed ere, dova Ju lia e C om ilia lo chiam , dicendogli se alcu n a
cosa da loro v o lea . L ui d isse ch e ca v allo e arm adura ch e a vu ta
a v ea e t una buona spada. L e gio v a n e d issen o: N oi ti darem o
una spada ch e f di D ragonetto, c h e fio ri a durlindana non fu
la p ari; e t arm ato per m ontare a ca v a llo , le g iovan e ch iesen o li
u sati b aci. Il d onzello q u elle p resto baci, e m issosi Telm o con
u n a gh irland a di p ervin ca, sa lo a ca v a llo , e giu n to in piazza,
10 r e di F ran cia, avendo il cam po p er lu i, v id e v en ire lo cava
lie r i co lla v este n era, e trattosi a ferire a destra e t a sin istra ,
in con clu sion e lo re di F ran cia fu dal N ibbio m esso m alam ente
in terra di cavallo, e dato d elti speroni a l ca v a llo si ritorn a
d isarm are. Q uelle faccio d ilica te di Ju lia e C ornilia baci, e ri
tornato in n ellalbergo, lo bagno fu presto. Intanto lo re tornato,
in n el bagno en trato, dicendo: Io era v in cen te, se non ch e q uello
lim onio v apparve; d isse il N ibbio: D eh, non v e n e cu ra te, ch
p er certo dom ane rim arete vin cito re. Lo r e , rip o sa to , and a
v isita re lo re di Spagna, e ragionando m olto in siem e d elle bat
ta g lie fa tte , lodando m o lto , la prodezza de* ca v a lieri n arr. L
stato a lq u a n to , lo re di F ran cia (1 ), preso c u m ia to , e a casa
torn. Lo r e di Spagna, avendo suo con siglio, d isse: O sa v i con
sig lie r i, v o i a v ete veduto du d esser stato la b attaglia e tu tto
11 d il r e d i F ran cia ten ere ca m p o , e poi u ltim am en te da uno
ca v a lier i esser vin to, e ta le ca v a lieri fu ggito, n m ai di lu i s
potuto sap ere c h i e g li . E se dom ane v ien e a v in cere e frig
ga si, la nostra figliuola non si potr m aritare, per ch e g li or
d in ato darla a ch i d el cam po v in c ito r e , e per co n sig lia te
q u ello v i pare. L i co n sig lieri tu tti s consiglionno (2) ch e la n otte
s i fa ccia uno stecca to a lle bocch e d ella piazza con u sci, e quando
la giostra fin ita, ch e subito tu tte le b occh e si chiudano, acci
c h e si possa prendere, per sap ere ch i co lu i ch e de esser m a
rito di B ram am ontagna. Lo re, p iacen dogli il con siglio, fe fare
tu tto ci ch e con sigliato era, e cos s osserv. E ven u to la n otte,12

(1) Ma. erroneamente Spagna.


(2) Ms.: corucionno.
368 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

lo re di F ran cia pensando: S e sta sera il N ibbio non ser im p ic


ca to , io lo far poi secreta m en te am m azzare, a cci c h e il suo
ream o m i vegn a. E chiam atolo, d isse : O Nibbio, v a e sap pi com e
dom ane si de* com battere. Lo N ibbio presto p rese la lan tern a , e
sen za contrasto a l p aviglion e n'and, e t en trato den tro e spogliato
en tr n el letto l u' la giovana e r a ; dom andandolo e prengan-
dolo ch e a le i dica com e si fa ch iam are, la i d icendo: Io t ho
d itto ch e io sono ragazzo, n a ltro da m e a v er p otresti, a llo ra la
giovana d ice: P o ich tu sai ch i io sono, e per non so c h i tu ti
s e i, ti prego ch e q uello fatto abbiam o a neuno d ire d eb b i, et
a cci ch e non sii p i ragazzo, ti v o donare uno g io iello c h e pi
di cinquantam ila fiorini v a le, e t io vo* ch e stii com e gentilom o,
e se m ai a v v ien e ch e a te p aia doverm iti dare a cogn oscere,
sem pre m i ti tro v era i presta a ogn i tu o com ando. E t a cci ch e
sii certo ch io non ti lasso, v ed ra i q u ello ch e io ti dar. E t uscita
d el letto nuda, ch e parea n iev e, p rese una palandra, e con uno
co ltellin o ne lev una m anica d ella stessa ditta, p ien a d i p ietre
p reziose e g io ielli, e t a lu i la diede, dicendo : Ornai m i contenta
di du* v o lte, com e la ltra sera con ten ta m 'hai. Il giovan o d isse :
V olen tieri. E fornite du v o lte, d isse: Ora, p er lo dono c h e fatto
m h ai, sono contento a fare a te uno dono, d icen dogli: Io non ti
posso fare altro dono se non ch e una vo lta di nuovo, o ltra le
du* v o lte fotte, r ice v i. La donna lieta q u ello ricev eo graziosa
m ente, e da le i preso cum iato, a Dio la raccom and, e t m essosi
la m aniea in s e n o , a l palagio n a n d , e dom andato d el m odo
d ella b attaglia, fu d itto: C olle lancio e co lle spade. E t torn ato a l
re di F rancia, la m basciata dispuose. Lo re, vedendo c h e non
era stato im p iccato, diliber fra s m edesim o la sera seg u en te
farlo am m azzare, e con ta le p en sieri se n and a dorm ire. E la
m attina, quando lev a to fu e, m adonna C leopatras rein a se n and (1)
a lla figliu ola, dom andandola se q u ello giovano ven u to era e com e
a vea fatto. La figliuola d ice ch e altro ch e d itto a v esse non a v ea
volu to dire, di ch e io g li donai quello m i d iceste, e du v o lte,
prim a ch e a ltro facesse, di m e p rese p ia cere e t io di lu i, e p er
lo dono ch e io fatto g lavea, v o lse a m e donare una v olta pia
cere, di ch e jo m olto contenta rim asi. La m adre d ice : T u lo
puoi ben d ir e , p oich si v a len te stato. E fattogli v e stir e la
palandra, con quella m anica m eno, a l palazzo la m en, e ven u ta 1

(1) Ms. s e n te n d o .
DE BONA ET JDSTA FORTUNA 309

lora del com battere, le b rigate m isse in punto, lo r e e la rein a


e tu tte le b rigate m esse a* lu ogh i p er v ed ere qual to sse q uello
ch e sposo d ovesse essere, e com inciato la b attaglia, e l Nibbio
rim aso p er toro il bagno, fu da Julia e da C ornilia v icin e chia*
m ato, dicendogli se alcu na cosa g li p iacea c h e eglin o fcessen o.
L ui d isse: P o ich serv ito m a v ete lin o a q u i, ora v i prego ch e
m i dobbiate serv ire. Loro p reste d issero: Dom anda. 11 Nibbio
d isse: C he m i serv ia te del ca v allo e d ellarm i, e ch e v i p iaccia
q u esta m anica m etterm i in su llelm o. L e giovane, ch e vid en o
co si b ello g io iello , disseno: Or questo und h ai avuto? Lui ri
spose : Di buon luogo. P ia ccia v i di con ciarlo in su llelm o. Le
g io v a n e cos fenno. E t a rm a to , dato a q u elle p erle la tta te du'
b aci e m ontato a ca v a llo , se n and in n el torneam ento. Lo r e
di S pagn a, ch e h a e ved u to v en ire lo c a v a lie r i, pens ornai sa
p ere ch i eg li s era. Il N ib b io , en trato in n ella b a tta g lia , colla
la n cia or questo or q u ello sc a v a lca v a , e m olti n e m and p er
terra . R otta la lan cia, m isse m ano alla spada, e sim ile lo r e di
F ran cia era quasi d el cam po v in c ito r e , e non essendo in su l
cam po rim asi altri ch e costoro due, percotendosi in siem e, dan
dosi di fieri co lp i; u ltim am en te lo re, non potendo pi durare,
dal N ibbio to abbattuto. E com e lo N ibbio v id e abbattuto lo re,
dando d elli speroni a l ca vallo p er v o lere fu g g ir e , la guardia
posta a ch iu d ere le b occh e c h e u scire non n e potea, le b rigate
del re di S p agn a, subito intorniando lo N b b io , lbbero fatto
scen d ere da cavallo, e com e n ovello sposo cos arm ato, dovera
lo r e co lla rein a e co lla sposa lo m enarono, e non potendo altro
fare, v i si lass m enare. E com e to sopra i ta u liti, e tra tto g li
lelm o da testa e posto d avanti a s , e lu i alla to d ella sposa to
posto a sed ere, in m ezzo tra la rein a e la sposa, e R iguardan
dolo non era cogn osciu to. La g io v a n a , ch e h a ricon osciu ta la
m anica ch e era a llelm o, d isse alla m a d re: P er certo costu i
q uello ragazzo ch e tre n otti m h a goduto. La m adre, ch e v ed e
q u ella m a n ica , d ice: 0 trista m e , e aerai tu m oglie duno ra
gazzo ! E ven en d olo riguardando, v id e ch e le gam biere avea su lle
carni ; d isse : P er certo costu i q u ello ragazzo c h e Bram am on-
tagna h a ditto. M alinconosa stava, e t intanto lo r e di Spagna
giu n ge p er v o ler sap ere ch i to sse lo sp oso, e dom andatolo ch i
era, lu i d isse essere uno ragazzo di sta lla di strano p aese. Lo
re, ch e lh a veduto m ale in arn ese, fu m olto d olente ch e la sua
figliu ola sia a ta l persona m aritata, e non potendo fare altro p er
l ordine dato, fe dare in d elle trom be. L e donne, ch e q uin e erano,
370 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

guardando il N ibbio in n ella fa ccia quanto e g li era giovano e


b ello, e t aven d ogli ved u to fare tanta prova, d icean o a lla rein a:
D eh, non v i d ate m alinconia d ello sposo, p erch non sia ricco.
E gli si b ello e s forte, ch e la sposa se n e potr con ten tare.
La sposa, ch e assaggiato a v ea d elle su e m ercan zie, e ved u tolo
tanto in n ella fa ccia lu stran te, stava con tenta, m a p ure pensando
fra s m edesim a lu i esser ragazzo, alquanto n 'avea m alin con ia.
U ltim am en te, vincendo il d iletto ch e di lu i preso a v e a , lodava
D io ch e g li avea dato ta l ven tu ra. Lo re di F ran cia, com e abbat
tu to fu , da su oi n e fu portato a lla lb e rg o , e [n on ] trovan d o il
bagno fatto n il N ibbio in casa, pens a v er leg ittim a scu sa di
farlo m orire, e fattosi fare a lli a ltri il bagno, in q u ello en tr , e
stato alquanto, sen tlo m olti strom enti son are. L ui, desideroso di
sap ere ch i fusse q u ello ch e sposo era, com and ch e a v ed ere
s andasse. Li fam igli m ossi e g iu n ti dove la sposa e lo sposo
erano, vid en o il N ibbio appresso a le i, sen za n u lla in ca p o , se
dere, arm ato con una sop raveste n era, e torn ati a l r e di F ran cia
d issen o, lo N ibbio esser veram en te lo sposo. Lo re di F ran cia,
non credendo, disse: D eh, m atti, com e pu esser lu i a v er ca v a llo
n arm e? com e arm ato poteo m ai com parire? R im andati d e lli
a ltri p er sap ere il vero, ognuno tornava dicendo : D i certo , san ta
Corona, e g li il vostro N ibbio. Lo re, incred u lo, d isse : P er certo
questo non pu essere. E chiam ato uno gran d e barone e suo seg re
tario, om o di grande stato, a l quale d isse: V a e sappi c h i lo sposo;
lu i p resto si m osse con alquanta com pagnia, e giu n to in piazza,
and su dove lo re e li a ltri co llo sposo sedeano, e fa tto seg li in
contra lo r e di Spagna, disse: Or ch e sciagu ra ho io r ic e v u ta ,
a d ire ch e tu tto lo m io inten to fu solo ch e lo r e di F ranbia
d ella m ia figliu ola fu sse m arito, e la fortuna m h a condutto a
d overla dare a uno ra g a zzo , e non so donde (1) si sia n c h i.
Lo g en tile om o d isse : La cosa pur cos (2 ), vu oisen e d are pace.
E t accostatosi a l N ibbio, in n el volto lo cogn osce esser desso, e
p o i, andandolo vedendo fin e a p ie, v id e ch e sotto le gam b iere
non avea ca lze, d isse por certo essere esso; e voltatosi a llelm o,
vid e q u ella m anica di tanto p reg io , stim p er certo non esse r
esso , per ch e ta le lavoro lu i non avea, e t anco in F ran cia ta le
lavoro non susava. E voltatosi v erso il Nibbio, d icea: E g li esso;12

(1) Ms.: dove.


(2) Ms.: qui.
DE BONA ET JDSTA FORTUNA 371

e dapoi, volgen dosi a llelm o, d icea: N on de* esser esso. E m en tre


ch e co sta i si v o lea certifica re d el v e r o , m olti andavano a l re
d i F ran cia, d icen d o: Il N ibbio vostro lo sp oso; in tan to ch e
non rim a se neuno d ella fam iglia d el r e di F ran cia ch e non di
cesse lo sposo essere il N ibbio. Lo r e dicea : P er certo, io non
cred er fin e ch e non torna il m io secreta n o . Lo secretarlo, ch e
ha cogn osciu to a certo il N ibbio, ritorn a l re, dicendogli: Santa
C orona, di v ero lo sposo si il vostro N ibbio. Lo r e , dandovi
fed e, a scio d el bagno, e vestito , com and ch e [si p ortassero] tu tte
le robe fe tte p er la i e p er la sposa, e con la i andare, e cosi fu
fatto. Lo r e di F ran cia giun to in piazza con tu tta la su a baronia,
on orevilm ente v e stiti, lo re di Spagna, c h e ved e re di F ran cia
ven ire, scese d e b alconi e t incontra g land, dicendo quanto e g li
era m alcontento d ella fortuna, ch e l av ea condutto a dare la fi
g liu ola a u no ch e non si sa donde si sia, sperando ch e lla fu sse
d el r e di F ran cia. Lo r e di F ran cia d isse : D eh, non v i date ma
lin con ia, sta te contento di q u ello ch e Dio dispuose, cb tu tto lo
fe a buon fin e. Lo r e di Spagna d ic e : Io non posso altro, con-
vien m i sta re con tento. Lo r e di F rancia d ice : Io v o v isita re lo
n ovello re e sposo; e m ossi, m ontarono le sca le, dovera la sposa
con tu tti. Lo N ib b io , com e v ed e v en ire lo re di F r a n c ia , di
grande vergogna doven ta com e rose v erm ig lie colorito. L e donne,
ch e sem pre al viso g li avean o locch io, diceano fra loro : Bram a-
m ontagna si potr ben con tentare di costu i, ch e v ed ete sem pre
di b ellezze rin fiora, ch e v o lesse D io ch e dun ta le il nostro corpo
n e fo sse coperto. Lo re di F ran cia, fetto cenno a l Nibbio, ch e
saldo s te a , d isse a l re di Spagna : Io v i p rego ch e v i p iaccia
concederm i questo vostro sposo unora su q u esti balconi da
p arte, ch e altri non v i sia. Lo re di Spagna fu contento. Lo re
di F ran cia, trattosi da parte, dove neuno rim ase, e fatto ap rire
uno d e cofani, n e tra sse uno p aviglion etto, e teso, dentro entr
10 r e e lo N ibbio e due secreta ri scu d ieri, e quine fece spogliare
11 N ibbio e di q u elli panni ch e il re di F ran cia pensava s v estire
[lo riv esti], e poi, presolo p er m ano, dovera la sposa lo m en.
Lo r e di Spagna d ice: D eb, quanta g en tilezza h a dim ostrato lo
r e di F ran cia verso colu i ch e tr e v o lte lba battuto! [Il giovano]
sta contento, e posto a sed ere, ch e parea un sole, non si ragio
nava tra le donne d'altro ch e d ella sua b ellezza. E fatto questo,
lo r e d i F ran cia chiam la rein a, m oglie del re di Spagna, di
cen d ole ch e co lla su a figliu ola n e vada a l p aviglion e, e di q u elli
panni ch e quine in uno forzieri trover la vesta , m ettendole la
372 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

corona e t i g io ielli ch e co* panni seranno. L a rein a co lla su a fi


g liu o la e con alquante d am igelle entrarono in n el padiglione, e
ftto sp ogliare la sposa nuda, la riv estiro n o di ta li robe c h e m ai
p ari v ed u te non fu ro n o , e m essogli la corona in testa con li
a ltri g io ielli, filori d el p adiglione la tr a sse ro , dicendo ogn u n o:
In n el m ondo non pi b ella coppia di costoro d u e ; e ved u to
lo r e d i Spagna tanta lib era lit d el re di F ran cia, di m alinconia
crep ava ch e la figliu ola non g li era v en u ta in so rte ; e co si
stando, lo re di F ran cia d isse a l r e di Spagna, ch e g li p ia cesse
ch e lo sposo m ettesse la n ello a lla sposa in su a p resenza. L o r e
con ten to, e ftto v en ire lo n o ta io , lo re di F ran cia tra tto si di
dito due a n elle, c h e valean o una citt , le d i a llo sposo, e t in
p resenza di tu tti la g iovan e spos, e fattoli sed ere, lo r e di F ran cia
stando ritto con r e d i Spagna, com in ci a d ire a lto c h e ognuno
in ten d ere lo p otea, dicendo: R e di Spagna e voi a ltri, io m i p en so
ch e sete sta ti alquanto m alinconosi ch e la n o vella sposa sia v e
nuta in sorte a questo sp o so , stim ando esse r uno ra g a z zo , e
pertanto v i dico ch e essendo io stato contra d ello sposo in gra
tissim o , Iddio m*ha volu to m ostrare il d ir itto , e posto c h e un
tem po lo sposo sia stato ragazzo, ora p er la v v en ire voi, m essere
lo r e , e voi, m adonna rein a, e tu, sposa, v i p otrete di ta le sp oso
con ten tare pi ch e m ai sig n o r e, rein a , sposa con ten tare si po
tesse. fatto v en ire una scatola, dove erano d en tro du* coron e
dinestim ab ile v a lsu ta , e tr a tte le fiio r a , u na n e p rese il r e di
F ran cia in m an o, dicendo: O rlandino e n ovello sp o so , fig liu o lo
ch e fii8ti d ella ricolend a m em oria de R iccardo r e dIn g h ilterra
e m io cusino, io t in v estisco di tu tto il ream e dIn g h ilterra con
tu tte su e p ertin en ze. m essogli la corona in capo, ch e b en pare
som m o re, appresso trasse la ltra corona, d icen dogli: E co si com io
t h o in v estito d el ream e dIn gh ilterra, co si dopo la m ia m orte ti
fo r e e sign ore d el ream e di F ran cia. E m issegli la second a co
rona in testa . Lo r e di Spagna, d ella lleg rezza tan ta c h e e g li e
la rein a e tu tti h a n n o , di lagrim e tu tta la fccia riem p ion o, e
sta ti quasi com e isbalorditi alquanto, lo r e di Spagna, fattosi re
ca re la sua c o r o n a , d isse: Io tin v estisco d el ream e di Spagna
dopo la m ia m orte. E m essogli la terza corona, la sposa, ch e ha
sen tito e veduto q u este cose, altro non d esiderava se non dessere
con lu i a nude carn i, p er p oter di lu i p rendere sen za sospetto
di quel p iacere di q u ella m erca n zia , ch e g i pi v o lte n avea
avu to il saggio. E ftto la festa grande, quanto pi tosto poteano
in n ella cam era fiirono m e ssi, dove q uin e si donno di quello
DE BONA ET JU8TA FORTUNA 373

p iacere ch e le donne d isid eran o; e dim orando m olti giorn i in


tanta festa ch e fu una m eraviglia, dispuose lo r e di F ran cia con
q u ello r e di Spagna ch e si cav a lca sse a P a rig i, l u v o lea c h e
sim ile festa fotta fo sse. E dapoi in siem e l uno re e l'altro se n e
andassero in In gh ilterra, dove la rea i festa d ella nuova sposa si
fccia. E dato ta le ord ine e dilib erato d el p artire, il pred itto r e
O rlandino rich iese du su oi p aren ti e baroni g io van i, i quali preg
ch e loro fossen o con ten ti d i p ren d ere donna com e lu i presa a vea,
dicendo : Io cognosco in questa terra du gen tilissim e giovan e,
sa v ie e b e lle , fig liu o le di valen tissim o c a v a lie r i, le q u ali vo
ch e (1) [p rend iate] con q u ella dota c h e io v i for, le q uale v o
ch e in fin e a v a le [o g n u n a s ] abbia u na co n tea , e t a cci ch e
sappiate ch i ellen o sono, una ch iam ata Ju lia e l altra G ornilia,
so relle di D ragonetto d ella ste lla . [L i baron i] lie ti, prim a c h e di
Spagna si m ovessero, le sposonno, [e p oscia], il m atrim onio con
tr a tto , in F ran cia n andarono, dove lo r e F ilippo f ism isu rata
festa, e dapoi in In gh ilterra ; l u si fe ta l f s ta , ch e ser e
parso (2 ) ch e tu tto il m ondo stato v i fo sse. E dim orato m olti
m esi in festa, lo r e di Spagna p reso cum iato dal r e dIn g h ilterra
e d alla fig liu o la , e sim ile lo re di F ran cia, avendo ricev u to m olti
doni, ch i p er m are ch i p er terra , ognuno ritorn in suo ream e.
Lo r e O rlandino, viven d o con tan to p iacere con B ram am ontagna,
ch e g li parea essere in n el secondo paradiso, non m olti an n i
passarono ch e il re di Spagna di v ecch iezza m orlo. La ered it
rim ase a l re O rlandino, e dapoi venendo alcu n a fbbre a l r e F i
lippo, si parto da questa v ita , e lo ream e rim ase a re O rlandino,
e p er questo m odo il p reditto re fu e re di tr e rea m i, e co lla
donna sua si denno buon tem po.12

(1) Qui seguono nel manoscritto varie lacune, che a me sembra di potere
con verosimiglianza colmare.
(2) Ms.: vasto.
374 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

102.
[T it ., n 141}.

DE BONA VENTURA.

F u n el contado di M ilan o, in una v illa ch iam ata P a n iscale,


uno lavoratore di terra assai di buona condizione nom ato R isi
baldo, il q uale avendo tr e fig liu o li, l'un o d e'q u ali era ch iam ato
M algigi (e questo era il m in o re, e p erch di lu i arem o p i a
d ire ch e d elli a ltri, non dico li nom i [d i q u esti]), e t am m alando
10 ditto R isibaldo, Te' il suo testam en to in questo m odo, c h e tu tto
11 suo lass a fig liu o li p er terza p a r te , am m onendoli c h e uno
giardino, il quale lu i av ea , p er m odo alcu no ven d er d ovesseno,
e sim ile uno corno d'avorio, co l q u ale, quando andava a lla ca ccia ,
m olte cacciagion i Cacea raunare, e c h e p artire non si d ovessero
senza licen zia di tu tti in sie m e , appresso c h e non p ren d essen o
m oglie ch e non fu sse p u lcella . A uto da fig liu o li la prom essione,
il preditto R isibaldo pass di questa v ita , e sop pellito, i fra telli
p red itti, ristretti insiem e, denno ordine c h e ogni d i u no di lo ro
co g liesse de'fru tti del giardino e t a M ilano li p ortasse a ven d ere,
e com prasse di q u elle cose ch e fusseno di bisogno. E com inciando
il m aggiore, co s pi tem po osservonno. A vven n e ch e, d el m ese di
m aggio, essendo lo fratello m aggiore a co g liere cera g e p er do
v er le ven d ere, e ven n e uno p ellegrin o, dicendo: lo ti p rego p er
D io e p er Santo M artino ch e m i di' d elle cerage. C olui, coglien d on e
una raspa e volen dola dare al p ellegrin o, com e si d istese, su b ito
fu d el ceragio caduto, e fattosi alquanto m ale, lu i, ch e questo h a
veduto, con uno bastone trasse a l p ellegrin o, dandogli di buone
bastonate, e dicendogli v illa n ia lo cacci v ia . E la sera , tornando
in casa, a' fra telli disse q u ello ch e in terven u to g li era d el p el
legrin o. Lo fratello secondo d isse ch e ben avea fatto, e ven u to
lo secondo d lo secondo fratello, essendo a co g liere d elle cerage,
s p ervenn e quel p ellegrin o dom andandogli cera g e; lu i d icen do:
D iverr a m e q uello ch e d iven n e a m io frate?, e volen do a l p el
legrin o dare d elle cerage, di p resen te caduto fu, e subito prese
un bastone e p er pi rip rese al p ellegrin o d i m olti co lp i,
e cacciatolo via , la sera narr a' fra telli del p ellegrin o q uello
ch e incontrato g li era. Lo fratello m aggiore d isse ch e fatto
avea bene dav ern eg li date assai. E cos stando, l'altro d Mal-
DE BONA VENTURA 375

g g i, frate m inore, and a co g liere d ella cerage. [V enuto il p elle


grin o e ch ieste le cera g e], M algigi stendendosi p er darn egli, di
subito cadde. L u i, veggendosi caduto, d isse: P er certo io te n e
dar. E rim ontato in su l ceragio, e volendo prendere una raspa
senza potersi ten ere, di quello cadde. P er Dio ch e io n e co
g lier e far ch e n arai ; e rim ontato in su l ceragio e volendo
prendere d elle cera g ie, la raspa dove M algigi avea il pie* si
ruppe, e in terra cadde m alam ente. L ui desiderioso di dare d elle
cera g e a l p ellegrin o, rim ontato in su l cera g io la quarta v o lta,
e preso d elle cerage, e t a l p ellegrin o d atene, e scese a terra . Lo
p ellegrin o d isse: P o ich tu s e 'sta to di m iglior condizione ch e
non furo ,i tu oi fr a te lli, ti v o fare assap ere ch i io sono, e per
sappi c h e non p elleg rin o , m a Santo M artino m appello, e p er
ch ied i quattro g ra zie qualunca v u o i, e t io p regh er Iddio ch e
tesau d isca. M algigi lieto d isse: Io v i ch ieg g o ch e a ogni m ia
rich iesta possa a v ere qual ca v a llo voglio, e di qual colore m i
p iace; appresso, ch e p er la m ia persona possa a v ere a ogni ri
ch iesta arm adura e panni di qual colore pi m aggrad a; la terza ,
c h e a l suono di uno corno tu tte le b estie selvaggio, e d rach i e
b iscie e u c c e lli, ch e sono p resso a se i m iglia intorno, quando
soner, si rap resen tino dinnanti da m e a ubbidirm i di q u ello co
m ander lo r o ; u ltim o , ch e quando io dim ander il cu lo e l
conno di qual fem m ina s ia , c h e a tu tto risponderanno. Santo
M artino, ch e h a udito le q uattro dom ande, m eravigliandosi di s
fatte dom ande, d isse: P erch a ltro non vu oi ch ied ere? M algigi
d isse i A m e basta questo. Santo M artino d isse: E tu Tarai. E
sp arito v ia , lass M algigi solo in n el giard ino. E volendo ved ere
se le g razie g li fusseno fatte, ch iese uno h ello cavallo, e subito
fu ven u to, e sim ile ch iese esser arm ato e vestito di nuovo colore,
e subito fu fatto; e veduto ch e tu tto avea com piutam ente, quanto
pi p resto p o teo , rim andato v ia il ca v allo e Tarm i, in casa co
frati si torn, dicendo loro ch e p iacesse di licen ziarlo e p artirlo
da loro, e ch e non volea a ltro in parte ch e quel corno del padre
e fiorin i d ieci, e tu tto lo resto fusse loro. Li fr a te lli, vedendo
quanta buona p arte ven ia loro, funno con tenti, e datogli q uello
c h ie se , subito si p arto e verso R agona pensa d andare. E non
m olti m esi p assaron o, ch e lu i in n el ream e (1) dA ragona si
trov, dove sen to ch e lo re P enopeo a vea una figliuola da m a
rito, e ch e a vea preso pensieri di m aritarla a l pi va len te om o

(i) Ma.: reai.


376 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

ch e a v ere p otesse. E m olti baroni erano ven u ti p er v o ler la d itta


fan ciu lla, nom ata Dea, per m oglie. M algigi, accostatosi a lla citt ,
di subito ch iese ch e uno v a len te ca v a llo e arm adura e vestim en ti
tu tti grandi dissono p resi, e fatto , fu lu i m ontato arm ato a ca-
v a llo, e sonato il corno, ta n ti lion i, orsi e porci e sai vaggine, d ragh i
e serp en ti e b iscia e u c ce lli si appressonno a M algigi, ch e tu tta
la citt di R agona circondonno, e pi ch e tu tta la ria n era p iena.
M algigi com and ch e a neuno non debbiano far noia sen za sua
licen zia . Lo re P enopeo e li a ltri, vedendo q u ello, m era v ig lia n
d osi com e ci p otesse essere, vedendo in su l prato di fuori d alla
citt q uesto M algigi a cavallo, con una la n cia in m ano, tu tto a
g iallo, lu i e 1 cavallo, e tu tte le fiere e t anim ali dintorn o a lu i,
facendo cerch io senza m u oversi, sem pre giun gen d o b estie, d ragh i
e t anim ali, cos p icco li com e grandi, lo re, ci vedendo, ten en d osi
a m al p a rtito , dilib er m andare una im b asciata a co lu i p er sa
p ere ch i fu sse e qual cagion e la v ea quine condutto. E com e
diliber, m isse in effetto. E tro v a ti q u elli ch e an dare d ovessen o,
ap erte le porte, usciron o fuori d ella porta con gran d e paura, dubi
tando d a lle fiere esser m orti. Lo ca v a lieri g ia llo , ci ved en d o,
facendo fare piazza a q u elle b estie, sa lv i li lass v en ire. E sposta
lam basciata del r e , M algigi in teso, d isse : Io sono uno c a v a lie r i
stranio e sono ven u to p er vo ler esse re sposo d ella g io v a n a , in
quanto e lla sia p u lcella , e seg u ire la b attaglia, e non abbia di
queste b estie p en sieri, ch e solo a m ia difesa le tegn o, e qual ser
q uello ch e non voglia fare q uello vorr, per in fin e a v a le isfid o
lu i e tu tto 1 p aese. Li m basciadori, tornando al re, esp u lse n e
la risposta, e consigliando il re ch e facesse la volont d el ca v a
lie r i g ia llo , altram en te disfidava lu i e 1 paese, lo r e , avu to lo
suo con siglio, dilib er esser con tento ch e M algigi seg u isse l op era
o rd in a ta , e ta le im basciata g li m and. M algigi lieto d isse c h e
m andasse d e'cu och i assai, e p rendesse q u elle vivan d e c h e pi
p iaccia loro, e cosi si fece, ch e m olti fagian i e starn e e g ra v e ,
o ch e e q u aglie, porci, ca v rio li e t a ltre salv a g g in e preseno, in tanta
abbundanza, ch e la co rte n e fu fornita per pi settim an e. Mal
g ig i, licen ziato laltre b estie, lu i co rim basciadori en tr in n ella
citt , e dinnanti a l r e si rapresentato dicendo c h e lu i era v e
nuto a m etter cam po p er conquistare la fa n ciu lla , m a ch e volea
esser ch iaro da lu i se la figliu ola era p u lcella. Lo re d isse: Di
vero la m ia figliu ola Dea p ulcella e cos te la prom etto, in
quanto rim agni del cam po vin cito re. M algigi lie to , ven u ta lora
del co m b a ttere, in con clu sione lu i rim ase del cam po vin citore,
DE BONA VENTURA 377
e sposata la giovan a, la sera , com d'usanza de* rea li, il m arito
fu prim a m esso in n el le tto , e poi la giovana a l letto n and.
B com e fa in n el letto al lato a l m a r ito , d icen dogli ch e di le i
p ren d esse p iacere, M algigi d isse: Donna, posiam o alquanto, p erch
la fatica oggi avu ta p er con q u istarti m* h a fatto alquanto a lla
persona p a ssio n e, e per dorm iam o, e poi farem o q u ello si de*.
L a g io v a n a , ch e altro non pu fa r e , rim ase co n te n ta , e dato
volta, com inci a dorm ire. M algigi, ch e non dorm ia, v o lle p rovare
se la giovana dorm ia, e chiam andola d isse : O D ea, pi v o lte. A
n ien te rispondea. M algigi, ch e ved e D ea dorm ire, d isse: O conno,
fa niuno cost den tro? Lo conno di D ea risp u ose d icendo: Si
m essere, e' c i stato il c u o c o , il sottocuoco, e l con fessatore di
m adonna e q u ello di m essere e t a ltri. M algigi ch iam a il cu lo d i
Dea, dicendo : T u, cu lo , h a d itto il conno vero? Lo cu lo d isse: S i,
m essere, e se non fo sse ch e voi ven u to s ie te , io aerei si stato
pesto ch e tristo a m e. M algigi, sen zaltro d ire, riv estito si de*suoi
panni, di quine si p arilo, dicen do : A m e non possa ta l conno nuo
c e r e . E t u scito d ella terra , v erso lo r e di C icilia p rese suo ca
m ino, prendendo uno ca v a llo e t arm adura e v este tu tte v erd i, e
tan to cam in p er sei giorn ate, c h e giu n se a la m astra citt d el
r e di C icilia. E non si tosto (com e h o ditto, ritorn o a D ea) ch e
sveglian d osi, credendo co l m arito prender p iacere, e riv o lta ce r
cando in le tto , o non tro v a n d o lo , com inci forte a grid are. Lo
r e e la rem a e t a ltri, ci sentendo, trassen o a lla cam era, e t ap er
ta la , dom andonno la fig liu o la q u ello ch e a v ea . L ei d isse ch e il
m arito non trovava. E cerca to per tu tto di lu i, n ien te trovonno,
dicendo fra loro: P er certo costu i in can tatore di d iau li e non
om o, e pi di lu i non prendenno a llo ra p en sieri. G iunto M al
g ig i , com* d itto , alla m astra citt d el r e di C ic ilia , lo q u ale
avendo sen tito il d itto re a v er una fig liu o la da m arito giovan a
b ella, nom ata D iana, e q uin e sonando il corno, p er q uel m ede
sim o modo ch e fe* a R agona, fa' in C icilia. Lo re d i C icilia, padre
di D iana, vedendo tan ti d ragh i e fiere essere intorno a lla su a
terra, p er paura fatto serrar le p o r te , in su lle m ura m ontato,
v id e M algigi in uno h ello p ratello arm ato e t intorniato di ta n te
fiere e b e s tie , ch e parea ch e tu tto 1 m ondo addosso g li fa sse
ven u to. E d ilib erato d i m andargli una im basciata, e t aperta la
porta, ta le im basciaria di faori u sciti, e t a dir b reve quel m ede
sim o ch e a R agona fatto avea, avendo preso la figliu ola d el r e
d i C icilia per m oglie, con patti ch e p u lcella d ovesse e s s e r e , e
fatta la festa, e m esso prim a a letto lo sposo, com dusanza de*
378 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

rea li, e poi m esso D iana in n el letto , com inciando a dom andare
le am orose n ozze a M algigi, M algigi, ch e avea a ltro p en sieri, d isse
a D iana: 0 D iana, io p er lo affanno avu to p er a v er d i te vittoria
in n elle b a tta g lie fa tte, sono alquanto stan co, e p ertanto ti prego
ch e un poco ci riposiam o, e poi, dorm ito alquanto, farem o q uello
ch e ta l cosa rich ied e. D ian a, ch e ode le b elle ragion i c h e Mal
g ig i g li h a d itte, steo p er con tenta, e t a dorm ire si d i. M algigi,
quando v ed e ch e D iana d o rm e, ch iam an d o, com e a ltra volta
chiam e l cu lo e '1 conno di D ea, cosi q u ello di Diana risponde
ch e dentro a v ea auto pi frati e t alquanti scu d ieri d i c o r te e pi
n a re avuto, se la ven u ta di lu i non fu sse stata. M algigi, c h e h a
sen tito ch e D iana non v erg in e, quanto pi p resto p oteo d i letto
uscio, e preso il cam ino, d ella terra segretam en te si p artio. E
ch iesto cavallo rosso e t arm e, verso il re E rcole di N ap oli cam m a,
avendosi fatto tu tto rosso. M entre c h e cam m a, lo r e d i C icilia e
la rein a, sentendo a lla figliu ola m ettere strid a d ella p a rtita d el
m arito, alla cam era su a se n andaro, dom andandola p erch a v ea
stridato. L ei rispondendo: P erch , avendom i il m io m alvagio m a
rito tolto m io onore, s' nascostam ente partito, e m 'ha lassa ta , e
dove si sia andato non so; lo r e , ch e di questo h a m olto d olore, fra
s d isse: Cos d iv ien e a dare fede a lli in can tatori. E non potendo
altro fare, steo a ved ere. E m entre ch e a ta l modo dim orava,
ven n ero n o v elle a l r e di R agona, com e lo re di C icilia a v ea m a
ritata la figliu ola sua, nom ata Diana, a uno in can tatore di b estie
v estito a verde; e subito, avu to ta l n o v ella , com e om o poten te, si
m osse con tu tto su o isforzo, e m en seco D ea in com pagnia di
m olte donne, e cavalc verso C icilia, con in ten zion e di far p un ire
lo sposo. E co si cavalcando, per terra e p er m are andando fin e c h e
giun ti furono a lla m astra citt d el r e di C icilia, appellando lo
re a v er m al fatto ad a v er dato la figliu ola per m oglie a l m arito
di D ea, sua figliu ola, dom andando ch e di ci faccia ven d etta, lo re
di C icilia, sentendo, ca valc subito dinnanti a l re di R agona, dom an
dandolo il p erch era v en u to a d ella im basciata fatta. Scusandosi
ch e di ta l cosa [colp a non a v ea ], il re di R agona accep tan do
le scu se del r e di C icilia, dispuose in siem e co l r e di C icilia d arsi a
sen tire, dove M algigi fu sse cap itato. E m entre ch e di ta l cosa pen
savano, M algigi, giu n to a N apoli, la tto si v en ire davanti tu tte le
b estie e serpenti e fiere e t a ltri, in tan ta m oltitu d ine ch e tu tto
N apoli parea ch e d ovessero prendere, lo r e E rcole, il quale volen do
m aritare una sua figliu ola b ellissim a, nom ata G inevra, a v ea fatto
riunam ento di m olti baroni, vedendo tanto assem biam ento di b estie
DE BONA VENTURA 379

attorno a N apoli, e vedendo in su cam pi q u ello arm ato di rosso,


con ta n te fiere innanti a s, pens v o lere con im basciata sen tire
c h i colu i fu sse. E subito m andato alquanti im bascadori co lla im
b asciata, giu n ti dinnanti di lu i, n pi p arole n e funno ch e alli a ltri
re erano state, diliberando desser m arito di G inevra e t osservare
l usanza presa. E ta le im basciata riferita a re E rcole, e con tento
m and, com e avea sen tito, m olti cu och i p er di q u elle vivan d e, ch e
M algigi a v ea offerte, e fatto le fiere p artire, ven u to a lla b attaglia,
M algigi rim ase di tu tto v in citore, e spos la G inevra con condizione,
se p u lcella non fu sse, non v o lerla . 11 re prom ettendola p u lcella , le
n ozze si fenno ism isurate. E dopo il m olto b allare e danzare, la sera
venendo, M algigi fu in n el letto m esso e da poi G inevra, fi serrato
la cam era, G inevra dall'uno d ecan ti d el letto si riposa sen za d ir a
M algigi alcuna cosa. M algigi, ch e h a ved u to la m aniera di G inevra,
stim p er certo costei esser vergin e, e stato alquanto tem po, Gi
n ev ra dorm endo, M algigi vo lse esser certo del dubbio, com inci a
ch iam are il conno di G inevra, dicendo: 0 conno,fu niuno l entro?
Lo conno risp uose: M essere, no. fi non stando con tento a questo,
chiam il cu lo di G inevra, dicendo : 0 cu lo, dim m i se il conno m
h a d itto vero. Il culo d isse : S, m essere, ch m ai neuno fu l en tro.
M algigi, ch e questo volea, fatto desta G inevra, a le i saccost, e li
am orosi baci dandole con v en ire a co g liere q u ello rose d ella su a
v erg in it , con tanto p iacere ch e a loro parea essere in n el secondo
paradiso, fi cos tu tta q uella n otte e m olte altre appresso seguirono
il darsi p iacere, tenendo il giorno gran corte. E fu tanta la fam a
di ta l festa, ch e in m olti lu ogh i d el m ondo si sparse, com e lo re
E rcole di N apoli avea m aritata la figliu ola a uno incantatore di
u cce lli e di b estie, fi tanto fu questo dire, ch e a l re di R agona e
q uel di C icilia ven n e n o v elle di ta l fatto. E loro diliberonno ( i) con
tu tto lo sforzo ch e fare poteano ca v a lca re a N apoli e ch ied ere a
r e E rcole ch e di tal persona faccia g iu stizia , altram en te si disfaccia
lu i e 1 suo ream e. E cosi si m osseno, m enando con loro le reg in e e
fig liu o le, e tanto cavalcarono e per m are navigarono, ch e funno
g iu n ti presso a N apoli a d ieci m iglia, m andando im bascadori a l re
d ella loro inten zion e. Lo re E rcole, avendo ricev u ta la lettera e la
am basciata, e l tin ore di q u ella in tesa, voltatosi a l gen ero, d isse :
T e, leg g i. M algigi, ch e h a letto , d isse: Santa Corona, costoro ch ie
dono cose g iu ste e sante, e voi, com e uom o giusto, d ovete osser-

(1) Ms.: diliberando.


380 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

v a rie. E per m andate a d ire loro ch e v o i v o lete sta re a q uello


ch e la ragion e v u ole e daltro non v i denno rich ied ere. E quando
d a ltro v i rich ied essero, v o i non n e se te tenu to, e se a forza ?o-
lessen o con tastare il vostro terreno, la ssa te fa re a m e , c h e di
tu tto v i difender. E p iaciuto a l re il con siglio d el g en ero , e
m andata la risposta, in con clu sion e si ten n e ch e se M algigi a v esse
ragion e da v ere abbandonata la prim a m oglie sta re p er con ten ti,
altram en te lu i fa re ard ere. E dato il tem po c h e la prim a dom e
n ica ch e v en isse si fa cesse la prova in n ella p rincipal ch iesa di
N apoli, p resen ti tu tti i re e re in e e populo, e co si il giorn o quin e
si trovonno tu tti, e posti a sed ere tu tte le p erso n e, la figliu o la
d el re di R agona, nom ata Dea, saltata in su uno puio a lto , d isse:
Io appello questo in can tatore e diabolico c h e sia punito d ella
sua persona, considerato ch e lu i m i tolease p er m oglie, e d i m e
auto il suo p iacere, e poi abbandonatam i e da ltra p reso p en sieri,
non bastandogli la seconda, anco la terza h a presa. con clu
dendo, dico lu i esser degno d el fuoco. L i re, c h e q uesto hann o
udito, d issen o: La giovana h a ragion e, se a ltra scu sa non h a, e
cos giud ich iam o M algigi esser arso. M algigi, ch e h a sen tito il
d ire d ella giovana, e t i con sigli de* re, lev a to si in p ie, d isse: S an te
Corone, di m e sta te sicu ri, io prendo p er m ia scu sa la v e r it , e
ta l v erit m i d ifen d a , e questo rim etto in n ella vostra g iu sta
discrezione, e penso, com e g iu sti, g iu d ich erete il d iritto; e p er
tanto dico a te, D e a , ch e quando io ti p resi, tu m i p rom ettesti
ch e eri p u lcella , e v o i, r e di R agona e rein a, sim ile prom issione
m i fa ceste. E quando ch e ci [non fo sse], io non vo lea e sse r su o
m a r ito , n e lla m ia sposa. Lo re e la rein a e la D ea tu tti d is
sero ch e era v erit q u ello c h e lu i a v ea d itto ; m a q u ella su a
figliu ola era p u lcella e t , sa lv e di lu i, e t questo intendiam o ten er
ferm o. M algigi d isse: Q uesto m i p iace, quando cos sia ; e se a ltro
fosse, serei libero? Lo re e li a ltri dissero di s i , non pensando
ch e M algigi di ci prova fare n e p otesse. M algigi, fitto fa re si
le n z io , d isse: 0 D e a , io ti prego ch e tu m edesm a d ich i la tu a
colpa, e m e dalla infam ia le v i, altram en te m i con verr u sa re
la rte d ella verit . Dea, ch e ci ode, d isse: D eh, m alvagio, com e
h ai ardim ento di p arlare dove siano tan ti signori, avendo fatto tan to
tradim ento a m io padre e t a m e e ad a ltr i, ch e ora sera i co n -
dutto a q u ello h a i m eritato? M a lg ig i, udendola co si ard ita p a r
la re, d isse: P o ich a questo ci con vien e v e n ir e , a v o i, re e s i
gn ori ch e alla p resenza d elle m ie prove siete , v i dico ch e q u ello
ch e sen tirete e u d irete siano le m ie prove. E ditto, com in ci a
DE DONA VENTURA 381
ch iam are a lto il conno di Dea, d icen do: 0 conno, Ih niuno l
en tro ! Lo conno, p er com andam ento fatto, parl a lto dicendo:
O m essere, e* ci stato il cu oco e lo sottocuoco e '1 co n fessa tele
di m adonna e q u ello di m e sse r e , e da poi ch e v i p artiste n
stato d elli a ltri. D isse M algigi: Dim m i se m ai io fa i dentro. D isse:
M essere, no. E t non bastando questo, chiam il cu lo di Dea, di
cen d o: O cu lo, h a d itto il conno la v e r it ! 11 cu lo risp u ose: Si,
m essere. E voltatosi M algigi a l r e di R a g o n a , d isse: Sono p er
questo scusato, se io p er q u ello la vostra figliu ola abbandonai!
L o re disse: S i b en e; e co lla sua vergogna si rim ase. D iana, ch e
sa ben q uello ch e a v ea fatto, dovendo v en ire a lla prova, avendo
sen tito p arlare il conno e lo cu lo di Dea, fra s m edesim a disse:
Io ser vitu perata non m eno d i D e a , se a ta l prova v e g n o , se
a ltro m odo non trovo. E pens subito im p ire il conno e l cu lo
suo di bam bagio, p er m odo ch e p arlare non potesse. E cos fatto
da parte, sen za ch e a ltri se n e accorgesse, ven n e alla p resenza,
con un anim o altiero e superbo, dicen do: D eh, m alvagio in can
ta to re, tu cred i co* tu oi incanti vitu p erare le fig liu o le di si fatti
r e com e m io padre e li a lt r i, e pertanto ti dico ch e degna
m ente m eriti esser arso p er le tu e m ale op ere, e per di' q u ello
ch e vu oi, ch e io m i difendo com e diritta e lea le, e te , com e m al
vagio e ghiotto, n e far m orire. M algigi, ch e a ltro non d esid e
ra v a ch e v en ire tosto a lla p ro v a , d isse: Io castigh er te com e
ho castigato Dea. E com inci a ch iam are alto il conno di D iana,
e non rispondendo, pi v o lte avendolo ch iam ato, chiam il cu lo
di D iana e n ien te g li risponde. P er la qual cosa M a lg ig i, forte
dubitando a v er perduto la grazia, riv o lto si a Dea, d isse : 0 conno
di D ea. fu niuno l entro ! 11 conno d Dea d isse : A ltre v o lte v e
l*ho ditto, e t ora lo riferm o. M algigi, ch e si m eraviglia d i q u esto,
richiam ando pi v o lte e non avendo risp osta, quasi da tu tti era
riputato c o lp e v ile , e sim ile D iana sgridandolo d iceagli (1) : Ora
serai giun to al p artito ch e sogliono esser g iu n ti i tuoi pari. E
con grande rabbia lo villa n eg g ia v a ; e fu tan to lo infiam m am ento
ch e D iana ebbe, ch e alquanto v en to se g li racco lse in corpo, e
in fecendo ta l ven to suo corso per v en ire a lla p arte d irieto, e*
p er uno p iccolo sp iraglio u s c io , e t in q u el punto M algigi ch ia
m ando: 0 cu lo di D iana, fu neuno l en tro !, lo cu lo per q u ello
p iccolo sp iraglio m ise u na v o ce assai so ttile dicendo: 0 m essere,

(1) Ms.: d ic e n d o g li.


382 NOVELLE DI GIOVANNI SBRCAMBI

noi siam o s tu rati di bam bagio, ch e il conno n io p a rla re pos


siam o; m a con q u ella p iccola vo ce ch e u n poco di v en to m ha
dato, io v i risponder per m e e p er lo conno di D iana dicendo:
certo s, m essere, c h e l en tro stato m oltissim i firati e t alcuno
sc u d ie r i, e pure stan otte fu i s p e sto , ch e poco m eno c h e affo
gato non fui. E voltatosi M algigi alla m adre di D iana e t a l padre,
d isse loro : Ora io sono libero dalla prom essa fatta? L a reina,
guardando la figliu ola e p allid a veggend ola, d isse: Or non vedi
tu q u ello ch e M algigi ha fatto d ire ? L ei sen za risp osta, venendo
m e n o , dalla catted ra d iscese, e t iu n ello scen d ere la bam bagia,
c h e dentro in n ello conno m esso avea, le cadde in p resen za di
tu tti. Li r e , ch e p resen ti so n o , disseno: Ornai se*scam pato da
m orte, se m ostri q uella ch e p resa h a i esser ta le q u ale prom essa
ti fu. M algigi p resto chiam G inevra, d icen dole ch e in catted ra
m ontasse. L ei, presta a ubbidire, file sa lita . M algigi a lto chiam :
O conno di G inevra, dim m i se l en tro fu persona alcu n a. Lo
conno d isse: M esser n o , sa lv o ch e la vostra persona, la quale,
com e m io vero sposo e io com e v o stra v era sposa, h o ricev u to .
U dendo questo, tu tti i r e e baroni lodonno il sa vio M algigi, dan
dogli pregio e fam a, e con lu i fenno ferm a pace. E M algigi preg
lo re di R agona e q u ello di C icilia ch e p iacesse loro perdonare
a lle figliu ole, p erocch non m alizia le a v ea a ta le atto con d u tte,
m a natura, p erocch n atu ralm en te la donna desidera Tom o. Li
re d itti, per risp etto di M algigi, perdononno a lle figliu ole, facendo
in N apoli alquanti d ie festa , e t onorati da re E rcole si partir^
e ritornaro in loro contrade, e M algigi rim ase a god ere lo ream e
con q uella p erla di G inevra, e con suoi in can ti v in se m olto te r
reno, dandosi un b el p iacere, m entre ch e v isse; e cos d iv en isse
a noi.
DE MASSIMA INGRATITUDINE 383

103.
[Txt., m 144].

DE MASSIMA INGRATITUDINE.

In n e lle con trade di P rovenza, in una citt p rin cip ale nom ata
N iz z a , a l tem po d ello re F ilip p o , fu alcu n a divisione, in n ella
d itta terra di N izza tra alcu n i g en tilo tti e gran populari, di vo
le r e ciascu n o esser m aggiore d el com pagno. Ora a v v en n e, ch e
essen d o alquanti populari grossi ristrettisi in siem e contra certi
co n ti e gen tilo tti, d ivenn e ch e ta li populari si felin o capi, in fra
li a ltri uno nom ato M ida B o v o r e lli, lo secondo T roilo Soderini,
10 terzo A m brotto R am aglianti e m olti a ltr i; m a p erch sere*
lungo lo scriv ere e t a voi ted io a u dire, lasso di con tare d elti
a ltri capi d elluna setta, co* q uali gran parte d ella cittadin anza
d i N izza si riduceano. E t in con trario d e p red itti era uno conte
Ram ondo C erretani e t uno con te B ertoldo T agliam ochi con a ltri
g en tilo tti d ella d itta terra e d elle circu stan ze ; e t essendo pi
tem po sta ti li p red itti d isco rd a n ti, d iven n e ch e i d itti Mida e
T ro ilo e A m brotto, p er lo senno e sa p e r e , chiam onno di N izza
11 preditto con te Ram ondo e con te B ertoldo con alquanti segu aci,
prendendo d ella terra alquanta m aggioria. Dim orando i p red itti
M ida, T roilo e Am brotto u n iti certo tem po, m antenendo le giu
risd izion i e t onori d ella citt d i N izza, con fare gu erra ad alcu no
lo ro con trario signore di terre v icin e a N iz z a , lo nom e di ta l
sig n o re era ch iam ato F asino d ella S tella , avendo l'oste m andato
p er d an n ificarlo, e dim orando alqu an ti m esi p er ta l m od o, il
p red itto Mida, fattosi cav a lieri e gran m aestro, com inci da s
m ed esim o, sen za rich iesta de' co m p a g n i, cio di T roilo e Am
brotto , rim ettere de* contrari loro e am ici de* d itti con te Ra
m ondo e con te B ertoldo, e questo faccendo, pi v o lte fetto n eg li
'querim onia, il p reditto Mida d iceva (1) : T utto si fa a buon fin e.
Loro, spregiando ta l fatto, doleansi ch e ci fa cea , e cosi perse
ver circa a du m esi, ogni di rim ettend on e, e pi ch e a ta li
con trib u iva d elli offici d ella te r r a , non curando di parole ch e
p er T roilo e Am brotto g li fusseno d itte , m a di continuo pren-

(1) Ms.: d icen d o .


384 NOVELLE DI GIOVANNI SERGAMBI

dendo palm o (sic) e t abbracciando li n im ici d elli d itti T roilo e


A m brotto e sim ile su o i, per la qual cosa sd egn ati e m alcontenti
i d itti T roilo e Am brotto, oon d eliberazion e rich iesero u n o loro
am ico v icin o a N izza , nom ato il m arch ese rcole da B ra sco ,
ch e g li p iacesse v o lerg li serv ire dalq u an te b rigate p er poter
deporre (1) il preditto M id a, p oich si v u o le co* suoi e nostri
n im ici accostare. Il p reditto m arch ese, com e am ico, d isse c h e di
tu tto li servire*, e dato l ord ine d ella giorn ata, il p red itto T roilo
e A m brotto, rich iesti li loro a m ici p er v o ler M ida m ettere al
basso, diliberonno rom oreggiare e t u ccid ere il d itto M ida, e cosi
ordinato e m esso in p unto, d iven n e ch e M ida tu tto sen to , e ri
strin gen d osi con q u elli nim ici c h e a v ea fo tti rito rn a re e con
a ltre brigate di soldo e certi am ici, in con clu sion e, le v a ti in ro-
m ore, i p red itti T roilo e A m brotto, non potendo a v er le b rigate
p rese d el m arch ese da B ra sco , funno costretti a d o v ersi arren
d ere , sa lv o le p erso n e, a l d itto Mida ca v a lieri. G dato lo ro e t
a d elli a ltri assai li confini, e m olti dinari fotti loro p agare, di
N izza si partinno e t andarono dove a loro funno asseg n a ti li con
fin i, e co s rim ase Mida. [V olendolo i n im ici in trod u tti] (2 ) con
d urre a loro m odo, disseno un g io rn o : O M ida, tu ti d i rico r
dare c h e l m arch ese E rcole da B rasco fii q u ello c h e v o le a ,
in siem e con T roilo e Am brotto, m etterti a basso, e p ertan to se
n e fo cessi am ico se non tu ord in eresti ch e ti se r e m esso in n e lle
m ani e di lu i fa resti tua v en d etta (3 ). Mida, ch e co m in cia to era
a non v ed ere n cogn oscere il con siglio dei re i su oi n im ici, d i
fede a lle loro parole, e t il d itto m arch ese, con alquanti a gu ard ia
di ta l cose, un giorno furon p resi e t in n elle m ani d el d itto M ida
ca v a lieri m essi, e non m olto tem po ten u ti ch e il p red itto M ida
fe loro la testa ta g lia re. E poco stan te, dopo la ta g lia tu ra di
tal te sta , li p r e d itti, ritorn ati con alquanti loro a m ic i, secreta -
m ente a l preditto M ida fenno dare certo b everaggio, c h e in m en
di tre d dalla tagliatu ra di ta li te ste si m oro. P ensando ta li d i
N izza rim an ere m aggiori, uno co sin o d el d itto m arch ese, nom ato
lo m arch ese A ch ille, om o di gran cu ore e am ico m olto di m esser 12

(1) Ms.: disporre.


(2) Nel ms. manca evidentemente un inciso. A me par chiaro che m anchi
il soggetto e che si debba appunto trattare di quelli che Mida avea fatti
venire in citt a dispetto de' suoi compagni. Del resto il testo di questa no
vella tuttoquanto parecchio corrotto.
(8) Cos nel ms.
DE MASSIMA INGRATITUDINE 385

R am ondo d el B alzo e gran n im ico di F asino d ella S tella , v e


dendo com e lo m arch ese E rcole con alquanti erano sta ti [fa tti]
m orire p er lo reggim en to di N izza, dispuose tu tta su a forza, con
rich ied er m esser R am ondo d el B alzo di ven d icare la m orte d el
suo cusino. E subito, con gran ca v a lleria , fe preda e ca v a lc in
torno a N izza, facendo assen tire a* citta d in i la su a v en u ta, e ch e
v o lea ch e si ven d icasse la m orte d el suo p a r e n te , altram en te
sp ettassero gu erra. L i citta d in i, vedendo d al (1) danno gi rice
vu to d ella preda fatta p er lo d itto m arch ese A ch ille q uello c h e
fere potea, diliberonno com p iacergli d ella sua in ten zion e contra
d elti am ici di Mida e di ch i lo segu la. E t uno giorno, lev a to ru
m ore, m olti n e fenn o m orti e deposti e d i N izza sc a c c ia ti, e
m esso dentro il m arch ese A ch ille, e lu i p er pi su a soddisfazione
a uno com e ritornato (2) fe' p atire p en a, e t in su lle forch e p er
ricom pensazione del m arch ese lo fe* ap piccare, e dapoi v o lse c h e
T roilo e A m brotto, li q u ali eran o sta ti m andati a* co n fin i, e li
a ltri loro a m ic i, rito rn a ssero , e co s fu fatto. G uerreggiando il
con te di N izza , e t in suo aiuto il m arch ese A c h ille , con tra a
F asino d ella S te lla , e dim orando alcu no p iccolo tem po in ta l
m odo, il pred itto T roilo secretam en te con alquanti am ici di s e
dAm brotto, con nuovo colore si fe fare sign ore, ch ied en do dal
d itto m arch ese A ch ille e da m esser R am ondo d el B alzo aiuto, se
bisogno fe s se , e co s fu fetto. A m brotto, ch e v ed e T roilo fatto
signore, steo contento, pensando ch e v o lesse lu i e li a ltri am ici
ten er p er am ici, e non fere di q uello ch e M ida fatto a v ea . P i
v o lte, trovandosi con lu i, lo confortava ch e fa cesse ch e li am ici
g li fessen o raccom andati, e c h e la gu erra presa con F asino d ella
S tella m an tenesse ferm a, p erch in tu tte cose rich ied esse il m ar
ch ese A ch ille e m esser Ram ondo, ch e la v ea rim isso in N izza, e
p er loro si potea rip u tare signore. T roilo in n el principio d isse
d i tu tto fere, m a poi, com e d ice il proverbio, il qual d ice: fetto
signore si m uta colore, e co s d ivenn e d el p red itto T roilo, ch e,
sen za coscien za dam ico ch e eg li avesse, e senza saputa d el m ar
ch ese A ch ille n di m esser Ram ondo d el B alzo, si p acific con
F asino d ella S tella. E q uesto fe a p etizion e d el cardin ale di P am -
palona, aven d ogli offerto a su a difesa dinari e g en te. F atto ta le
accordo e ved u to A m brotto c h e T roilo sign ore a vea fatto la c - 12

(1) Mb.: il.


(2) Cosi nel me.
B rain , NotUt di 0. Stram bi.
386 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

cordo con Fasino, sen za rich ied ere n lu i, n il m arch ese A ch ille,
n riesser Ram ondo, fu m olto d o len te, d icen d ogli: T roilo signore,
tu h a i m al Catto ad a v erti accordato co l nim ico di N izza, di te
e di m e e del m arch ese, e d elti a ltri n ostri am ici, e pi c h e h ai
fatto questo in dispetto d i m esser Ram ondo d el B a lz o , ch e sai
quanto p oten te. T roilo disse: Am brotto, io t i dico ch e q u ello ho
fatto ho volu to fare e non tem o, c h io m i sono s b en e appog
g ia to , ch e non penso c a d e r e , narrandogli c h e il ca rd in a le di
Pam palona l'h a preso a d ifen dere da tu tti. A m brotto, ch e ci
od e, d isse: A m e p are sia m al co n sig lia to ad a v er e preso laiu to
d el nim ico e lassato l'am ico, e pertanto, se a ltro te n a w e n isse ,
saresti b en e com prato. T roilo, ch e a v ea g i il cap p ello d ella su
perbia e t era si v estito du na v este din gratitu d in e, d isse : C hi h a
paura si m uoci, ch e io star saldo. Ambrotto* c h e c i v ed e, dato
p en sieri di far d in ari, quanto pi presto p oteo di N izza si p arilo,
e co l m arch ese A ch ille e con m esser Ram ondo si ritrov, con
in ten zion e doffendere il d itto T roilo. E sim ile, m olti d elli a ltr i
am ici d el d itto A m brotto si partirono. T roilo, ch e h a ved u to Am
b rotto p a rtire, su bito stim andolo n im ico , tu tto ci ch e a v ea di
m obile g li fe to llero e t alcu n i p aren ti im prigionare, e p er q u esto
m odo d elli am ici si fe nim ico per su a colp a e non p er loro. E
dapoi T roilo r ich iese il card in ale di Pam palona di b rig a te p er
potersi d ifen d ere, e q u elli ch e lu i s a vea fa tti n im ici o ffen d ere.
Il card in ale lo serv io di q u ello p o te o , m a non a gran p ezza
quanto fae la potenza d el m arch ese A ch ille e d i m esser R a
m ondo d el B alzo, ch e assai e m olto pi g en ti e m igliore in punto
erano le loro gen ti, c h e q u e lle d el card in ale. E cosi luna b rigata
e l'altra si trovonno d el m ese di m aggio e di giugn o in su l con
tado di N izza, facendo e luna brigata e laltra danno. E t o g n i
d perdendo N izza ca stella , u ltim am en te il populo di N izza, v eg -
gendo quanto T roilo signore li a v ea m al con d otti, non trovan
dosi am ici p resti, un giorno si levaron o a nom ore e lu i u ccisero ,
e le g en ti d el cardin ale sco n fitte e p rese, q u elle di m esser Ra
m ondo e d el m arch ese con Am brotto en traron o in N iz z a , e d i
q u ella si fa signore il d itto m esser Ram ondo. E p er q uesto m odo
fa punito T roilo p er a v ersi accostato co l nim ico e t abbandonato
l am ico.
DE FALSATORE 387

104.
[TriT., 146].

DB FALSATORE.

In n ella citt di V in e g ia , dove d'ogni ca ttiv it v i sono m ae


str i, fu uno nom ato B asino da T rieste, il q uale com e m ercad an te
s i dim ostrava p er tu tta la terra. E ssendo dim orato alquanto
tem po in V in egia, e in v estig a to c lii era dovizioso di d u cati p er
p resta re, fu gli alquanti in se g n a ti, ch e v o le n tie r i, essend o ben
sicu ri, servivan o di q uale som m a a ltri v o lesse, e t a qual tempov
con doverne esse re m eritati. E t avendo avu to il p red iti B asino
i nom i di ta li, avendo il ditto B asino m olte p erle di gran p reg io ,
grosse e b elle, e volen do com in ciare a d are opera a rubare, fe*
m olti ta sch etti di setta n i (1) n ero , in ne' quali a v ea m e sso , se
condo la quan tit de* d ucati ch e a cca tta r vo lea , ta n te p erle ch e
va lea n o la som m a, e pi tan to quanto il m erito m ontare potea
a buona stim a. E di q u este p erle n a v ea fa tti m olti ta sc h e tti, e
p erch le p erle erano m olto grosse, ta li di prezzo d i fiorini cin
quan ta Tuna, e ta l di vin ticin q u e, e ta l di quindici, e ta l di d ieci,
e di m aggiore e m inore p r e g io , e d a llaltra p arte a v ea p resi
c e c i, e q u elli ten d ati e fa tti p u liti, d ella grossezza d i q uali p erle
av ea , e t a nom ero ta n ti na v ea m essi in ta sch etti sim ili, q uante
p erle erano n elli a ltri. E co A ordinato, com inci a v o le r a cca t
ta re m olti ducati. E t ito sen e a u n o m ercadante e dom andatogli
m ille d u cati in presto, offerend ogli buono guadagno p er lo tem po
c h e li ten ir , e t offerendo d argli tan te p erle pegno, ch e v a lesse
a buona stim a la som m a, e fatto il m ercato, a l m ercadante v e
n ezian o p iaciuto le p erle, q u elle in n el tasch etto p er B asino si
portavano a casa, ovvero a l fo n d a co , e quine si fiacea scriv ere
il nom e e la quantit d elle p erle e t il peso e t il pegno ch e a cca t
ta v a e t il term in e ch e prendea a ren d erli e l pegno d el m ercato
c h e dare dovea, avendo su g g ella to il ta sch etto del suo, di q u el
B asino, su ggello. E quando ven ia a p ren d er li dinari, il preditto
B asino, astu tam ente, sen za ch e a ltri se n accorgesse, lo ta sch etto
d elle p erle si riponea e q uello d e ce ci d ella sim il fazione tra ev a 1

(1) Cos nel mg.


388 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

fiiori su g g ella to , e dim m edesim o peso al m ercadante ovv ero


u sciere lo lassava. E quel cosi a m olti v en ezian i giu d ei e t a ltri
stran ieri pi e pi v o lte n e la ss, e pi di du an ni steo, pagando
ogni quattro m esi il ca p ita le e '1 pr, accattando sem pre d i nuovo.
E parendo fa cesse gran fatti di m erca n zia , era tanta la fam a
cresciu ta di B asino d e buoni pagam enti, ch e sim p licem ente, senza
m olto sp ecu la rsi, in su lle p erle g li erano li dinari p resta ti. E
parendo a B asino p oter dare gran c o lp i, diliber fa re buon fa
scio e di V inegia p artirsi, e t a tu tti q u elli ch e a ltra v o lta era
cap itato e' da loro p rese in p resto sopra q u elle p erle d itte la
quantit di pi di quaranta m ila d ucati, e t avendo q u elli dinari
p resi in m en dun m ese, senza ch e l'uno sap esse d ella ltro , u ltim o
si m osse e t a uno giud eo se n'and, m ostrandogli p erle di v a lu ta di
fiorin i cento e pi luna buona quantit, e t in pi giorn i, ora con
trem ila ducati, ora con m ille, di p arte in p arte ta n ti n a cca tt
ch e pi di vin tim ila ducati da ta le in presto p r e s e , aven d o da
luna vo lta a la ltra alquanti d ie. E t avendo fatto s b ello m onte,
dato d e rem i in a c q u a , di V in egia si parto. E t passato .uno
d e term in i d el d itto g iu d e o , per ch e p iccol tem po p reso a v ea
d alli altri m ercadanti, volendo le p erle ven d ere d el tem po p as
sato e t aprendo il tasch etto, trov esser c e c i e non p erle, e ta l
opera sentendosi p er V inegia, d icean li a ltri m ercadanti : Io h o
pure p erle e non ceci, e t ognuno si cred ea p erle a v ere. E v e
nendo alquanti di giorn o in giorno aprendo li ta sch etti, c e c i e
non p erle trovano, in tanto ch e saputosi p er tutto, con v o lo n t
d ella sig n o r ia , tu tti i ta sch etti sap ersen o e c e c i si tr o v a ro n o ,
p er la qual cosa m olti n e funno d isfa tti, e B asino p artitosi ma*
di lu i alcu n a cosa si sen tlo.
DE JU8T0 MATRIMONIO 389

106 .
[T ri?., n 147].

DB JUSTO MATRIMONIO.

V alorose donne e v o i a ltri, e non m ica gu ari tem po ch e in


P isa fe uno ca v a lieri assai da b en e, ch iam ato m esser G allo da
San G assiano, a cu i p er v e n tu r a , essendo v ec ch io , duna su a
donna assa i giovana, nom ata m adonna P iera , ebbe u n a fan ciu lla
nom ata G iovanna, la q uale, o ltre a ogn a ltra crescend o, d ivenn e
p ia cev o le e b ella. E p erch era sola a l padre e t a lla m adre,
m olto da loro era am ata e con m eravigliosa d iligen za gu ard ata,
sperando di le i fere alcu no buon p aren tato. U sava in n ella casa
d el d itto m esser G allo un giovano sen ese nom ato Jansone, b ello
e p ia cev o le d ella persona, di cu i m esser G allo e la su a donna
neuna guard ia prendeano, com e fu sse stato loro figliu olo. Jan
sone veggend o, in fra le a ltre v o lte, G iovanna p ia cev o le e le g
giadra e g i grande da m arito, fieram en te di le i s'innam or, e
con gran d iligen za tenendo suo am ore nascosto, d el q u ale a v v e
duta se n e fu la giovana, sen za sch ifer punto il colpo, lu i co
m inci som m am ente ad am are. Di ch e Jansone fu forte contento,
e t avendo auto v o g lia di d overgli una v o lta d ire su a in ten zion e,
p rese tem po a ci fare, e d isseg li: G iovanna, io ti p rego ch e non
m i [fa cci] m orire, am andoti. La giovana d isse : V olesse Iddio
ch e tu non fecessi pi m orire m e. Q uesta risp osta d iede a Jan
son e m olto ard ire, rispondendo : P er m e non rim arr, p u rch a
te sia di trovare il m odo, c h io sem pre p resto ser. L a giovan a
d isse: 0 J a n so n e, cu ore d el m io c o r p o , tu v ed i quanto sono
guardata, e per da m e non so v ed ere m odo com e a m e p otessi
v en ire, m a se tu sa i ch e io cosa possa fe re secu ram en te, dim
m elo e io lo fer. Jansone d isse: G iovanna, io non so v ed ere
m odo, se gi tu non dorm issi sola o p otessi v en ire in su l portico,
ch sopra il giard ino di m esser G allo, e quando io sapessi ch e
tu di n otte fe ssi [ c o l ] , m in g eg n erei sen za fallo a te ven ire.
A cu i G iovanna risp u ose: B se tu cred i quine p oter v e n ir e ,
m i cred o si fe re c h e fetto n av v err di dorm ire. Jansone d isse
di se, e questo ditto, una volta si baciarono. Il d se g u e n te ,
sendo g i caldo, quasi a ll'en tra ta di giu gn o, la giovana com inci
davanti a lla m adre a lam en tarsi ch e la passata n otte p er sop er-
390 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ch io caldo non avea potuto dorm ire. D isse la m ad re: F igliu ola
m ia, a m e non p arve ch e cald o fu sse. A cu i G iovanna risp u ose:
M adre m ia, v oi d ovete p en sare quanto sono pi ca ld e le giovan e
ch e le donne attem pate. La m adre d isse: Tu d i il v ero, m a io
non posso fere caldo e freddo a m ia posta, e t i tem pi si con ven
gono sosten ere com e le stagion i danno, e forse ch e sta n o tte ch e
verr sar pi fresco e dorm irai m eglio. La fig liu o la d isse: Iddio
lo voglia, m a io n oi credo, c h non su o le e sse r usato, andando
verso la sta te , ch e pi fresco s ia , m a s p i caldo. D isse la
m ad re: D unque ch e vu oi tu ch e si feccia ? R ispose G iovan n a:
Quando a m io padre e t a v o i p ia cesse d i ferm i u n letto in su l
portico d ella vostra cam era sopra il giardino, e q u in e, udendo
can tare li u c c e llin i, m i dorm irei, ch avendo luogo pi fresco
ch e non n ella vostra cam era, m olto m eglio dorm irei c h e non fo.
L a m adre d isse: F igliu ola, con fortati, ch e io lo dir a tu o padre.
B tornato m esser G allo, la donna tu tto g li cont. L ui g li risp u ose:
Che cald o o ch e freddo va la vostra figliu ola cercando? Io la fero
ancora dorm ire in una stu fe quando pi caldo ser . G iovanna,
sapendo quello c h e *1 padre h a risp osto, pi p er isdegno c h e p er
caldo, la seg u en te n otte, non solo non (1) d o rm , m a non la ss
dorm ire la m adre e il p a d r e, p ur d el gran caldo dolendosi. Il
ch e avendo ci sen tito, la m attina la m adre fu con m esser G allo:
V oi a v ete poco cu ra di questa vostra figliu ola, e per ch e tu tta
n otte non h a potuto dorm ire p er lo caldo, e sim ile non h a la s
sato noi d o rm ire, c h e fa a voi se noi g li facciam o u n letto in
su l portico?, ch usanza de* fan ciu lli da v v o ltolarsi p er lo le tto
e t anco de u dire can tare li u cce lle tti e sim ili cose. M esser G allo,
ci udendo, d isse : F a ccia si un letto ta l q u ale si co n v ien e, e fa llo
fasciare dintorno duna cortina, a cci ch e *1 v en to non g li feccia
m ale e dorm a v isi, e t a suo m odo p ig li d el fresco. L a g io v a n a ,
q uesto saputo, subitam ente v i fe ce fare uno letto , e dorm endovi
la sera seg u en te , tan to a tte s e , ch 'ella v id e J a n so n e, e feceg li
un segno dato tra loro, p er lo q u ale in tese ci ch e fere dovea.
M esser G allo, sen tend o la giovana andata a letto , serrato lu scio
ch e andava in su l portico d ella sua cam era, sim ilm en te se n and
co lla sua donna a dorm ire. J a n so n e, com e da ogni p arte sent
la casa posata, coHaiu to duna scala salo sopra il m uro, e con
p ericolo p erv en n e in sul portico, dove ch etam en te con grandis-

(1) Il ma. consolante, probabilmente per mala intelligenza delloriginale.


DB JUSTO MATRIMONIO 301

sim a festa fu ricev u to , e dopo m olti baci si coricarono insiem e,


c h e q uasi tu tta n otte d iletto e p iacere p reseno luno d ella ltro ,
m olto facendo can tare e t u scire l u ccello d el nido di G iovann a,
con l'a le talora v o lan ti e talora ch iu se. E t essendo il d iletto
gran d e e la n o tte p ic c o la , e g i presso a l d , il ch e non cr e
dendo d el tem po essere in g a n n a ti, p er lo m olto sch erza re ri
scaldati , sen za n iu n a cosa addosso saddorm entarono. A vendo
G iovanna il b raccio ritto a l co llo di Jansone abbracciato e col
sin istro preso q u ello m em bro ch e v oi donne tra li om ini v i v er
gogn ate di n o m a re, e in cotal gu isa dorm endo, sop ravven n e il
giorno. M esser G allo si lev , e ricordatosi d ella figliu ola, c h e in
su l portico d orm ia, pianam ente lu scio aprendo, d isse: L assam i
v ed ere com e il fresco e li u c c e lli lha fatta dorm ire. E t and oltra
pianam ente, e lev a lta la cortina, e v id e G iovanna e Jansone
nudi dorm ire com e di sopra v ho ditto. E t avendo ben cogno-
sciu to J a n so n e, ch etam en te si p a r t, e t a lla sua donna n a n d ,
e ch iam atala d isse: D o n n a , su tosto le v a ti, e v ien i a v ed ere
q u ella tu a fig liu o la ; stata s vaga d ellu ccello , c h ella lha p reso
e tien lo in m ano. D isse la donna : Com e puote questo essere ?
D isse m esser G allo: S e vien i, tosto lo ved rai. La donna affretta
e cos segu o m esser G a llo , e giu n ti am endue a l letto e lev a to
la co rtin a , li pu la donna m anifestam ente v ed ere. L a d on n a,
forte tenendosi da Jansone ingannata, v o lse g rid are e d irg li v il
lania. M esser G allo d isse: D on n a, g u a rd a , p er quanto cara h ai
la v ita , c h e tu non fa cci m otto, ch in v erit , p oich l h a preso,
ser suo, dicendo : Jansone gen tilom o e ricco e g iovan e b ello,
e la m ercanzia p ia ce a G iovanna, e ved i ch e la caparra tien e
in m ano. N oi non possiam o di lu i m al fa r e , e se e g li si vorr
da m e con concordia p artire, con verr ch e prim a la sposi, sicch
tro v er a v er m esso la su a carn e in n ella sua ca tin ella . D i ch e
la m adre dogliosa, veggend o m esser G allo di questo non essern e
turbato, con siderato ch e la figliuola a vea avu ta la buona notte
e ch e a v ea lu ccello p r e so , si tacq u e. N g u ari d itte a ltre (1)
parole, stettero , ch e Jansone si dest, e veggend o ch d ch iaro,
si ten n e m o r to , e chiam G iovanna e d isse : Com e, anim a m ia,
com e frem o ch e l ven u to il d ch iaro e ham m i qui co lto ?
A lle q u ali parole m esser G allo v en u to , e lev a ta la c o r tin a , ri-
sp uose: F a rete b en e. Quando Jansone il v id e , pens m o rire, e 1

(1) Ms.: ne guari disse che.


392 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

lev a to si a sed ere, d isse : Sign or m io , m erc p er D io, ch 'io c o -


gnosco, com e m alvagio e d islea le om o, a v er m eritato la m orte, e
per d i m e fo le ch e v i p iace. B en v i p rego c h e , se esser pu,
d ella giovana abbiate m erc. A cu i m esser G allo d isse : Q uesto
no m erit lam ore c h e io ti p ortava e la f c h 'io a v ea in t e ;
m a p oich cos ch e a tanto fallo la gioven t t'h a m en a to ,
acci ch e tu to g li a te la m orte e t a m e la vergogna, prim a ch e
tu ti m uovi, sposa p er tu a la G iovanna, acci ch e, com e q uesta
n otte stata tua, ella ti sia m entre ch e v iv era i. In q uesta g u isa
ti puoi la tu a p ace e la m ia salvezza racq u istare. E dove non
v o g li cos foro, raccom anda l'anim a tu a a Dio. M entre c h e q u este
parole faceano, G iovanna, lassata la carn e e sv eg lia ta si e rico
p ertasi, incom inci fortem en te a pian gere e t a p regare il padre
ch e a Jansone p erd o n a sse, e d all'altra p arte pregava Jansone
ch e facesse q uello c h e m esser G allo v o le a , a cci c h e con si
cu rt potesseno in siem e di cos fa tte n otti god ere. A ci fa re
troppi p reg h i non g li bisogna ( 1 ) , p erch da una p arte la v e r
gogna d el fallo com m isso e la vo g lia deU 'am m endare, e d a ll'a ltra
la paura d ella m orte, oltra questo l'ard en te am ore e l'ap p etito
d el possedere la cosa am ata, liberam ente, sen za alcu no ind u gio,
g li fece d ire s essere ap parecchiato a fare ci ch e m esser G allo
v o lea. Il ch e m esser G allo fattosi p restare a lla donna u no a n ello ,
quine, sen za m utarsi, in p resenza di lo ro spos G iovanna. Il ch e
fatto, m esser G allo e la donna partendosi, d issen o: R ip o sa tev i,
c h forse m aggior bisogno n 'a v ete ch e di lev a rv i. P a r titi, li
g iovan i s'abbracciarono, non essendo pi di cinque m iglia carni-
n ati di n otte, e' ancora tre, avan ti ch e si levassero, cam inarono,
e fecero fin e a lla prim a giorn ata. P oi lev a ti, Jansone avu to pi
ordinato ragionam ento con m esser G a llo , a p och i d a p p resso ,
com e si con ven a, da capo, in presenza de* p aren ti, spos la g io
vana, e con festa la m en a casa e fece o n orevili n o z z e , e pi
tem po si denno p iacere in siem e.1

(1) Ms.: accio non facci troppo preghi ti bisogna.


DE SUBITO AMORE ACCESO IN MULIERE 3 93

106 .
[T rir., a 148).
DB SUBITO AMORE ACCESO IN MULIERE.
N ella citt di F iren ze, in n ella quale ci h a m olta abbondanzia,
fa presa p er donna una giovana d e B erlin g h ieri nom ata A gata,
p iacevole e b ellissim a , da uno giovano o stieri da M ontevarchi,
ricco e poco p ratico del m ondo, nom ato F asno. E q uella condutta,
com d'usanza, a lla su a abitazione, alla to a l suo albergo d el ca
v a lletto , e quine Catta b ella festa di n o z z e , alla' cu i festa m olti
F io ren tin i e t a ltri P isan i tan n o, dandosi p iacere, e t in fra li a ltri
c h e q uin e frisse in vitato, fu uno giovano b ellissim o e t ardito di
M ontevarchi, nom ato B iliotto P a lm er in i, d i gran parentado, il
quale essend o a lla ditta festa, e vedendo A gata sposa tanto pia
ce v o le e b ella e di b elli costum i, piacen dogli, forte di le i sinna
m or, pensando d over a F asino tollero fa tich e e di le i prendere
sollazzo. E questo p en sieri il preditto B iliotto si ferm in n el
c u o r e , e p er p otere con le i prendere d o m estich ezza , il giorno
d ella festa accostan dosegli, la com inci a dom andare se la terra
le p iace. La giovana d isse: P er q u ello ch io posso com pren
d ere, F iren ze m olto m aggiore, m a ben credo ch e d el tanto
questa terra sia assai b ella , m a io non so com e sia d e giovan i,
con cu i le giovan e a lle v o lte si possano pren d ere p ia c e r e , p e
ro cch a F iren ze se n e trovano assa i di q u elli c h e non stanno
con ten ti di stare di sopra a lle giovan e, m a d ilettan si assai b en e
ch e noi g iovan e di sopra m ontiam o. P osto ch e io a ta le giuoco (1)
an cora trovata non m i sia, nho ta n te v ed u te ch ellen o a m e lhanno
ditto, ch e una dolcezza pure a u dirlo, non ch e a farlo. E t
vero , p o ich la m aggior p arte d elle m ie v icin e tegnono ta li m odi,
a rei auto a caro, prim a ch e qui v en u ta io fussi, dav erlo provato,
e m assim am ente con di q u elli forestieri ch e in F iren ze vegnono,
li q uali a lle v o lte si d ilettan o di trovarsi co lle n ostre pari in
n elli a lb ergh i. E con siderato c h e il m io m arito F asino tie n e al
bergo, frii assai contenta tassim i a lu i m aritata, sperando p oterm i
sa zia re di q uello ch e le m ie [a m ich e] di F iren ze si saziano. B i
liotto, c h e ode tan to sim p licem ente p arlare e con tan ta purit,
v en u ta g li in n el cu ore doppiam ente, com inci a d ire: 0 A gata,
giovana ch e pari una stella , la q uale in fin e a v a le m obbligo ch e
t i potrai in questa terra m eglio con ten tare ch e se in F iren ze 1

(1) Ma.: citt; ma deve essere erroneo, perch Agata veniva da Firenze.
3 94 NOVELLE DI GIOVANNI 6ERCAMBI

stata fu ssi, p erocch F asino tuo m arito te n e far ben co n ten ta ,


e quando lui, p er affanno ch e p ortato a v esse a iralb ergo, [n o i fa
ce sse], io, p er am ore ch e io g li porto, te n e con ten ter in form a
ch e unde ti p iacer m onter e p er tanto prender p ia cere, c h e
q u ello in F iren ze m olte fanno, tu sola fa ra i q u ello c h e loro fanno.
E q uesto ditto, la p rese p er m ano e t una danza facendo, A gata,
ch e g i era fatta certa desser con ten ta, stava baldanzosa n m ica
parea le i esser n o vella sposa, m a com e se p i tem po in M onte-
v a rch i stata f is s e si dava p iacere, ballando e cantando a lla fioren
tin a , tan to ch e ^presso a lla cena s accostano. E t re sta te le danze
e t i can ti, e postisi a sed ere fecondo colazion e di v in i e co n fetti,
B iliotto, accostatosi a A gata sposa, d issele (1): S e m ai am ai p erson a
d el m ondo, io am o vo i, cara p erla. A gata, ch g i riscald ata
dam ore p er lo b allare e p er le con fezion i, riguardando B iliotto,
g li d isse: P er certo a m e pare c h e le p arole ch e d ite ornai
mabbiano fetto F iren ze d im en ticare, e p a n n i m ille a n n i c h e io
possa d el passato ragionam ento m ettere in effetto. B ilio tto , c h e
pi ch e di prim a se n e infiam m a, d isse: La sp erien za far la rte.
E m entre ch e ta li parole d icea n o , le ta u le p o ste , dato l acqua
a lle m a n i, li strom en ti son and o, le donne co lla sposa m essi a
tau la e sim ile li om ini, B iliotto m esso a ser v ir e lo ta g lier i d ella
sposa, e con p iacere cenarono, e da poi, p rese le danze, fin e a
m ezza n otte si danz, e com dusanza la sposa e lo sposo m essi
a letto , fenno q uello ch e dusanza fare si de*. La sposa, ch e a s
saggiato ebbe q u el fa tto , p arendogli buono boccone q u ello d el
m arito, nondim eno, p er m utar pasto, desiderava m an giare d e l-
la ltre vivan d e. E lev a ta si contenta la m attina e sim ile lo sposo,
e t intendendo a lla festa, e* fine a llora d el d esn are si steono tan to
ch e desnato si fu , e poi, p rese le danze, B iliotto la sposa p er la
m ano p rese e fatto la sua d a n z a , co le i si puose a sed ere, e
avu to agio da p arte di poter in siem e ra g io n a re, A gata d isse :
P er certo ora non sap rei d ir m ale a lle donne fiorentin e, se qul
fetto ch e ie r i ti ragionai fenno v o len tieri, ch di v ero q u ello ch e
stan otte il m io m arito fatto m h a stato di tan to p ia c e r e , ch e
penso a ltro p iacere non debbia essere, e ben cred o ch 'a ssa i poco
sia stato q u ello ch e fatto m 'ha a risp etto ch e a ltri farebbe e ch e
io so sterrei, com e m i p are ch e le fioren tin e siano p iu ttosto con
ten te a m olti ch e a uno. B iliotto d ice : P er certo , A gata, tu parli
p er bocca d ello Spirito Santo, tanto h a i ben d itto; m a non dot

ti) Ms.: dicendo.


DB SUBITO AMORE ACCB80 IN MULIERE 395

ta re, com e ie r i ti d issi, co si o g g i ti rafferm o ch e q u ello c h e Fa


sino foro non potr io te i fa r . A gata lieta m en te risp ond e: E t
io a cotesto m i fido. E t co s pass pi giorn i ta l le s ta , sem pre
ritornandosi B iliotto a p arlare con le i da p arte. D iven n e ch e,
passato m olti giorn i e la festa r e sta ta , Faaino p er a lcu n i su oi
fo tti andato verso A rezzo p er alquanti d i, B iliotto, ci sentendo,
con A gata di n otte si trov, dove m oltissim e v o lte con le i p rese
p ia cere da ltro m odo e con pi forza c h e F asin o fo tto non a v ea ,
di c h e A gata d isse : P er certo, B iliotto, buono sta to pensato 8
v o c h e di continuo noi ta l m estieri focciam o, e posto ch e F asino
sia in M ontevarchi, non si la ssi per il nostro p iacere. B iliotto,
c h e g li pare esse r avven tu rato di co stei quanto p o te a , s 'in g e
gn ava di m angiare d el buono e sim ile di b ere p er p oter A gata
con ten ta re. E posto ch e ta l p en sieri fu sse , m entre c h e e lla si
con ten tasse, pi e lla di ci si d im ostrava con ten ta. Q uesta m a
n iera ten ea m olti m esi. D ivenne u n giorn o del m ese di m aggio
c h e B iliotto, essendo m olto stanco p er lo m olto a v ere A gata c a
v a lcata, e non potendo a lla su a volont se g u ir e , aven d osi fotto
in tra loro in u na sa la , in n ella q uale p er F asino non s'abitava,
u no letto in te r r a , A g a ta , ricord atasi ch e le donne fioren tin e,
quando li am anti loro sono s tr a c c h i, ellen o di sopra m ontano,
e v en u ta g li ta le rico rd a n za , avendo au to da B ilio tto il giorn o
quattro p iu m ate, d isse : B iliotto, ornai tem po ch e io t a iu ti ; e
fattolo sta re di sotto, A gata di sopra m ontata, e di van taggio c o lli
speroni speronava, tanto c h e una leg a cam in. E t avendo buon .
ven to, la ditta A gata p ur cavalcan d o e d i sopra stando, m enando
i m an tici p erch il v en to non m ancasse, intanto F asino, ven en d o
su p er la scala e guardando in s a la , v id e A gata addosso a Bi
lio tto , e t m enando il cu lo e percotando B iliotto, e q uasi essendo
in su l fornire sua giorn ata, F asino d isse: 0 A gata, ch e q u ello
ch e tu foi? or non sai tu ch i cotesto ch e tien i sotto? B iliotto
e A gata, sen tito F a sin o , m o v en d o si, F asin o p er paura scese la
sca la , e preso larm e, non ard iva d ella ca sa u scire. A gata lev a ta ,
B ilio tto sim ilm en te rim essosi i su oi arn esi, p er la scala di rieto
se n usc, e poco sta n te sen to c h e F asino arm ato stava. Li parenti
di B iliotto e li a ltri v icin i dom andando F asino q u al fo sse la ca
g io n e c h e arm ato sta v a , lu i d isse: Io tem o di B ilio tto ch e non
m offenda p er alcu n a in g iu ria ch e A gata m ia donna g li h a fotto,
e p ertanto, se a m e vu ol perdonare, prenda c h e ven d etta v u o le
c h e io abbia, e ser fatto. Coloro d issero: 0 ch e in g iu ria ha po
tu to la tua A gata a B iliotto fare? L ui d isse: Io lho ved u to col-
396 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

ro cch io ch e e lla m alam ente la v ea di sotto e p ercotevalo col culo


in fo rm a, ch e io non so com e non lo rnppe tu tto ; e p ertanto,
fin e ch e B iliotto di A gata non ih ven d etta, io m ai di lu i non mi
fid ere, m a v en d ich isi di le i, e questo vo* io esser certo e poser
l arm e e com e am ico lo terr . C oloro, a ccortisi d el fatto, a Bi
lio tto dissero lam basciata. B ilio tto , m ostrandosi n u ovo, f 'v ista
di non udire, e pur loro rafferm andogli la cosa, lu i d isse esser
con ten to di fare q u ello ch e F asino v o lea , pur ch e la donna ser
con ten ta. Coloro torn ati a F asino e contandogli com e B ilio tto era
con ten to a far q u ello v o le a , m a ch e la donna stesse con tenta
soffrire i colpi ch e e lla a lu i d ati a v ea , F asino p resto risp u ose:
A m al suo grado con verr e h e lla li teg n i. E t an datosen e ad
A gata, d isse : Donna m ia, tu sai quanto t am o e quanto piacere
m i dai quando teco m i trovo, e penso ch e m i vu oi p iu ttosto vivo
ch e m orto, e per io vo ch e B iliotto si ven d ich i d i te d ell'ol
traggio ch e fatto g li h ai, an zi ch e m e u ccid a. La donna d isse:
M arito e cu ore d el m io corpo, p er tuo am ore far tu tto. E fatto
v en ire B iliotto, la donna g itta ta si in su l letto riv ersa e t i panni
alzati, B iliotto d isse a F asino ch e di sotto stesse e t an noverasse
i colp i ch e lu i a A gata d are, e quando g li p aresse ch e ftisseno
ta n ti ch e soddisfacesse a q u elli d*Agata, a llo ra v erro su so, e t io
pi p er q uella v o lta non n e g li dar. F asino con tento and sotto
il solaio. B iliotto, ch e a ltro non ch ied ea ch e ritro v a rsi con A gata,
e A gata con l u i , prim a ch e di su l corpo dA gata si lev a sse du
v o lte fornir loro p iacere, e dati alqu an ti colpi oltra le duvolte,
F asino annom erandoli d isse: Ornai penso serann o ta n ti c h e ar
B iliotto ven d icatosi dA gata. E m ontato la s c a la , v id e B iliotto
addosso ad A gata c h e fo m ia la terza v o lta , e d isseg li: B iliotto,
p er m io am ore dannegli pi tre. A gata e B iliotto, ch e ci odono,
avendo presta la loro pium ata, A gata q u ella riten n e, p er m odo
ch e le i a quel punto ridendo ingravid. F a sin o , ci vedendo,
scese la s c a la , e disarm ato f d el vin o e de* con fetti apparec
ch ia re, e con q u elli m ezzani se nandarono in sala, dove trovonno
B iliotto e A gata lev a ti e ragionavano del sen tirsi esser in gravi
data. E giun to F asino col vin o e con fetti, v o lse c h e p ace faces
sero, e b aciati in bocca, a lla loro p resen za b e w e n o e con fortati
[funno]. N fra loro fu gu erra, m a d i con tin uo B iliotto e A gata
tro v a n d o si, tan to dim or il loro sollazzo quanto la n atu ra d el
luno e d ella ltra poteo d u rare, fino a lla m orte ; e p erch ridendo
A gata concepio di B iliotto uno fa n c iu llo , nascendo g li puoseno
nom e il B elriso. E co si segu i god ere loro gioven t , e F asino colla
sua sim p licit si m on o.
DE INGANNO IN AMORE 397

107 .
[Tri*., a* 150].

DE INGANNO IN AMORE.
P ia cev o li donne, e* m occorre ora di d ire una n o v ella , la q uale
dar a v o i alcu n o p ia cere, p erch n atu ralm en te v e n e d iletta te.
E p ertan to dico una n o v ella in q uesto m o d o , ch e essendo in
n ella citt di P isa uno giovano leggiad ro e gran d e v a g h eggiatore
nom ato Curradino da Sansavino, il q uale am ando una sua vicin a
nom ata m adonna A ntoniella, donna di R an ieri fittaiolo, assai b ella
donna, e non vedendo alcu n o m odo di p oter con le i p arlare sen za
sosp etto di R an ieri n a d d o m estica rsi, essendo la d itta donna
g ra v id a , si pens di v o lersi fare com pare d el d itto R an ieri. E
non m olte p arole bisognonno, ch e fatto fri. E t essend o adunque
C urradino di m adonna A n ton iella com pare, non parendo ch e si
d isd icesse, di poi alqu an ti d il d itto C urradino narr il suo pen
sieri a m adonna A ntoniella, e t e lla , ch e assai dinnanti c o lli o cch i
v ela ti a v ea ta l p en sieri conosciuto, non m olto si fece la ditta donna
p regare, lassando il com paratico da lu no d e la ti, ella con Cur
radino a nude carn i giungendosi, si davano p ia cere. E com e gio
v an i, q u ello ch e l m arito fa cea in otto d , C urradino con A nto
n iella facea in u n o , p er la qual cosa e lla m olto si con tentava,
lodando Iddio ch e ta l com paratico fatto avea. E dim orando a l
quanto tem po in questa m aniera, ad d iven n e poi ch e il d itto Cur
radino, andando a B ologna, in p rocesso d i tem po si fe m edico e t
a P isa ritorn. E non credendo c h e m adonna A n ton iella di lu i
si ricord asse, tornato a ca sa e spogliato de* su oi panni, e rim aso
com e alcuna v o lta rim anea quando m edico non e r a , saltando,
cantando e dandosi p iacere, in tan to c h e a m adonna A n ton iella
v en n e in n ella m ente q u ello ch e sp essissim e volte con C urradino,
prim a ch e m edico fu sse, fatto av ea , e fingendosi di non ricord arsen e,
p er pi accen d erlo a ritorn are a lla fa c cen d a , uno giorno, non
essendo R an ieri in c a s a , lo chiam sotto sp ezie d i n a rrargli
d alcu na m alattia. M aestro Curradino di buona fe* se n and a
le i. E m entre ch e a le i n andava, ricordandosi d e tratti ch e gi
fa tti a v ea con m adonna A n ton iella e t d el p ia cere p reso , co
m inci (1 ) a rid ere tanto, ch e con quello riso g iu n se a m adonna 1

(1) Ma: cominciando.


398 NOVELLE DI GIOVANNI SERGAMBI

A n ton iella. E com e ella rid ere lo vid e, d isse: P er certo, m aestro
C u rradin o, io m i penso ch e il vostro rid ere sia per alcu n a ca
gion e, ch a m e sim ile riso d. M aestro C urradino d isse: S e in
d ovinate, io v el dir. M adonna A ntoniella, non com e colom ba, ma
com e gallo, co lla testa lev a ta , c o lli o c c h i isfa v illa n ti, co lla lin gu a
m o rd en te, d isse: V oi rid ev a te ricordandovi d e* p ia ceri c h e g i
p resi in siem e abbiam o, dicendo il d iletto c h e voi co lla vostra
com are A nton iella preso a v ete, e sim ile io di ta l d iletto ebbi ri
m em branza, e dapoi m i ven n e alcu n o battim ento a l cu ore, ch e,
tem endo (1 ), [p er] T esser voi fiatto m edego, non p ossiate pi ta li
d iletti pren d ere m eco, com e g i facevam o, e q uesto p er du* ra
gion i, la prim a p er lo com oratico, la seconda p erch p en so c h i
torna da studio di quel fatto non si cu ra. Ma ben v i d ico c h e
se io a v essi pensato ch e questo fo sse ad divenuto prim a c h e da
m e fa ste partito, m e n*arei s cavato la ra b b ia , c h e fin e a q u i
n*arei auto assai. M aestro C urradino, udendo q u ello c h e la donna
h a e ditto, pens lei a v er v o lon t ritorn are al prim o m estieri, e
b en ch a v esse preso nom e di m edico, non avea per m ancato la
sua possessione, anzi (2) piuttosto se la sen tia crescere, c h e p area
ch e v o lesse de* panni u scire. E riv o lto si a lei, d isse: V oi a v e te
indovinato, e non p en sate ch e, p erch fio sia fatto m edico, c h e m i
sia per m ancato il v o lere e 1 p o te r e , m a pi volont e p i
forza ch e di prim a m i tro v ereste. D isse m adonna A n ton iella: O
rito rn ereste a fare con tenta la m ia borsa co lla vostra m on eta,
c h e sap ete ch e vostra com are sono? E m entre c h e ta li p a ro le
d icea, sem pre saccostava a lla to a l m aestro. Lo m aestro d is s e :
Or m i d ite ch i pi p aren te d el vostro figliu olo, o R an ieri [c h e ]
q uello ingen er, o io ch e lo rico lsi a l b attesim o. La donna d isse:
R an ieri. Or b ene, o R an ieri non v el fa? S e e g li p i p a ren te
di m e, p erch *1 non posso fa re io com e lu i? La donna d isse :
Troppo m eglio lo facev a te di lu i, e d icovi c h e se io a v esse sa
puto s b ella ragion e, il tem po ch e sta to sie te fa o ri io m i sa r e i
fatta com are d*un sim ile a v o i; m a ora ch e m e m a v e te fa tta a c
corta, v i prego ch e m i con ten tiate, ch v ed ete ch e tu tta m i stru g g o
pur parlandone. E presolo p er la m ano e d atogli un b a d o , n
m ica da lu i si pardo c h e tre v o lte v o lse ch e a le i co m p ia cesse
d el suo. M aestro C urradino, lieto ch e sen za m olto p regare la v ea
trovata ben disposta, fornitala tre v o lte , dando ord in e tra lo ro 12

(1) Ms.: sperando.


(2) Ms.: ancho.
DE INGANNO IN AMORE 399

d i rittro v a rsi spesso in sie m e , da lei p rese cum iato. L ei rim ase
co n ten ta , e continuando spesso la m ercanzia, m adonna A n ton iella
e m aestro C urradino dandosi som m o d iletto insiem e, d iven n e ch e
un giorno d i sta te , essendo grande il caldo, m adonna A nton iella,
p er pren d ere frescu ra con m aestro C urradino, lo fe a una sua
fan te assai giovana chiam are, la q u ale lo p erch in siem e teneano
tu tto sap ea. E t essendo in n ella cam era in sie m e , aven d osi in
prim a alquanto confortato con buoni co n fetti e v in i e fa tta la
fan te u scire d i casa, e ch iu sa si co l m aestro e *1 figliu olo p iccolo
in cam era, si spogliarono e t in n el letto nudi in siem e entrarono
e quine dandosi p iacere, e tanto ch e una v o lta avea g i scaricato
la som a, e dando ordine di rica rica re la seconda vo lta , soprav
ven n e R an ieri, e t in casa en trato, la fon te subito giu n ta a lla ca
m era, d isse: 0 m ad on na, R anieri v ien e su . La donna le d isse:
S ta da parte, e secondo ch e a m e sen tira i d ire, d irai. La fon te
si p art. R an ieri giu n g e a lla cam era e q u ella trova se r r a ta , e
picchiando, la donna d isse a l m aestro : Oim ch 'io sono m orta e
o ra savved r e g li d ella nostra dim estichezza? Lo m aestro nudo
d isse: V oi d ite v e r o ,c h e se io frissi pur v estito , q u alch e m odo c i
arebbe, ch se v o i g li ap rite, c i trover cos e n eu na scu sa arem o.
D isse la donna: Or v i v estite , e riv estito ch e v o i sa rete, v i reca te
in b raccio il fon ciu llo, e t a sco lterete b en e ci ch 'io dir, s ch e
le vo stre parole s accordino co lle m ie e la ssa te foro a m e. Lo
m arito non avea an cor restato di ch ia m a re , ch e la m oglie ri-
sp u ose: lo vegn o a te ; e lev a ta si con buon viso, se n'and a l
l'u scio d ella cam era, e t ap ertala, in su ll'u scio stando, d isse: M arito
m io, ben ti dico ch e buon p er noi ch e m aestro C urradino and
a stu d io e ch e nostro com pare si frie, e ch e Dio ce l m and, ch e
se m andato non ce l'a v esse, noi arem m o oggi perduto il nostro
fon ciu llo. Lo m arito, udendo q uesto, sb igottito e' d isse: Come sta
la cosa? La m oglie d isse: E* g li v en n e dinnanzi subito un m ale,
se non ch e m aestro C urradino c i ven n e e reco sselo in collo e
d isse: C om are, q uesti sono verm i ch e a l cu ore se li approssim ano
e uccid erebb en lo m olto bene, m a non abbiate paura ch e io li u c
cid er e forolli m orire. E t trovandosi la fan te p erch a v esse ditto
a lcu n o patrenostro, fu di n ecessit qui ch iu d ere a cci ch e la bala
en tra r non ci p o te sse , ch e sere' stato p ericolo d el fan ciu llo e
ancora e l m aestro l ha in b raccio e credo ch e non asp etti se
non la fante, ch e abbia ditto i p atrenostri, p erch il fon ciu llo
ritorn ato tu tto in s. Lo m arito, credendo a q u este c o s e , tanto
l'affezion e del fan ciu llo lo strin g e, ch e non puose la m ente a llo
400 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

nganno fotto d ella m oglie, m a g itta te uno gran d e sospiro, d isse:


Io lo v o g lio andare a v ed ere. D isse la donna: N on an dare, ch
g u a steresti ci ch fatto; asp etta eh ' io v o g lio an dare a ved ere
se andare v i puoi, e ch iam erotti. M aestro C urradino, ch e ogn i cosa
a v ea udito e t a b ell'a g io riv estito si, e ta v e a s i reca to il fan ciu llo
in b raccio, com 'ebbe disposte le cose a su o m odo, ch iam : 0 co
m are, non sen to io co st il com pare? R ispuose R a n ieri: O vu oi
d ire ran occhio, m esser s. A dunque, d isse *1 m aestro, v e n ite qua.
R anocchio and l , a cu i lo m aestro d isse: T e n e te li v o stro fi
g liu o lo q u in e , c h e io non cred ei c h e a vesp ro fo sse v iv o ,
ten etelo sano e sa lvo e rin g raziaten e Iddio, n padre, reca to selo
in b raccio, non altram en te ch e se d ella fossa l'a v esse tra tto , in -
com inciollo a b asciare. L a fonte, ch e con uno giovano s'a v ea p reso
p ia c e r e , m entre ch e la donna col m aestro si so lla z z a v a , d isse:
N on un patrenostro, m a forse quattro p atren ostri, ch e m 'im po
n este, li h o d itti. A cu i il m aestro d isse: S orella m ia, tu h a i la
buona len a, e t h a i fo tte b en e, ch 'io p er m e, quando m io com pare
v en n e, non a v ea d itto se non due scarsi, m a Iddio, p er la tu a e
m ia fotica, c e nh a fatto grazia. R an ieri fece v en ire d i buon v in o
e confezioni, e t onore il suo com pare e la donna e la fon te, e
u scio di casa raccom andandolo a Dio, e poi assicu rata la donna,
co l m aestro sp essissim e v o lte si ritrovonn o in siem e, n m ai q u el
ran occhio se n 'accorse.
DB MULIERE COSTANTE 401

108.
[Tri., n* 138].

DE MULIERE COSTANTE.

M ansuete m ie donne e voi a ltr i, li q u ali d isia te o n est , p er


q u ello c h e m i paia ved ere, questa giorn ata ser m olto gran d e e
faticosa a cam in are; e per, a cagion e c h e io da voi troppo non
m i sco sti, v i raccon ter di uno con te non co s m agnifico com e a
con te r ic h ie d e , m a pi tosto un m a tto , posto ch e b en e n e g li
a v v en isse, dal q uale con siglio ch e neu no n e prenda esem plo, c h e
tu tti i pi se n e troveran n o ingan n ati. E b en ch la m ia n o v ella
sia in sim ilitu d in e duna c h e m esser G iovanni B occacci n e tocca
in n el suo libro capitolo cento, nondim eno questa f a ltra , ch e rad e
se n e troverenno sim ili. E per d ico ch e essend o il con te di
G h ellere, o v o lete d ire d u c a , nom ato il con te A r t , giovan o e
sen za donna e sen za fig liu o li e t in neuna cosa il tem po su o spendea
se non in g iostre e t in caccio e t in u ccella re, n di p ren d er mo
g lie n a v er figliu oli neuno p en sieri avea, di ch e e g li era da esser
rip u tato m olto savio se di m oglie si sapea asten ere, la q ual co sa
a suoi sottoposti non piacendo, pi v o lte lo pregarono ch e m o
g lie prendesse, a cci ch e sen za ered i non rim an esse, offerendosi
di trovarla ta le e di s fatto p a d r e , c h e buona speranza se n e
potrebbe a v ere. A i quali il co n te A rt risp u ose: A m ici m iei, v o i
m i strin g ete a q u ello ch e a l tu tto disposto m 'era di m ai non fere,
considerando quanto g ra v e cosa trovare donna c h e le a le g li
sia e c h e a* suoi costum i si convegna, e q uan te d el con trario se
n e tro v i. O gnuno di voi pensi quanto n gran d e c o p ia , e
quanto dura v ita sia q u ella di colu i, c h e h a donna non ben e a
s con ven ien te, n lea le, e t a d ire ch v oi m i cred iate, v i dico
ch e raguardate a* costum i di q u elle ch e oggi sono m aritate e t a lle
loro m adri; e con ci sia cosa ch e io sappia assa i b en e le con
dizioni di q u este ch e v o lete d ire esser g en tili e d'alto parentado,
e s' ce rti d ella loro m adre, v i dico ch e neuna trovare n e p otete
ch e a m e le a le sia e t a' m iei costum i si con faccia; m a p oich in
q u este ca ten e v i p are lig a rm i, vo g lio esser co n ten to , m a a cci
ch e io non abbia a dolerm i d'altri c h e di m e, se m al m i v en isse
fa tto , io stesso n e voglio esser tro v a to re , n otifican dovi ch e
q u ella ch e io eleg g er v o g lio com e donna da v o i sia onorata, e
402 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

se altro per voi si fa c e sse , p roverete con g ran d e vostra pena


quanto h a grado g ra v e m iseria a v ere tolta m oglie p er vostri
p regh i. E llin o con ten ti disseno d i onorarla e ten erla p er donna,
p u rch e g li m oglie p ren d esse. Era a l con te A rt gran p ezzo pia
ciu to i costum i duna p overa fan ciu lla, d ella q u ale essen d o [la
m adre] vedova rim asa duno suo m arito e di lu i au to u na b ella gio-
van a non m eno on esta ch e la m adre, vicin a del d itto co n te, e paren
dogli b ella assai, stim con co lei p otesse e d ovesse a v er v ita assai
consolata, e per, sen za pi r ic e r c a r e , costei in n eiran im o suo
p rese di v o lere sposare, e fattosi la m adre d ella giovana ch ia
m a r e , con le i si con ven n e di torla p er m oglie. E questo fhtto,
il con te fe ce tu tti su oi am ici d ella contrada e d el p aese raunare
e disse: A m ici m iei, e g l p iaciuto ch io tolla m oglie, di c h io mi
sono disposto pi p er com piacere a voi ch e a m e, n p er voglia
c h e io na b b ia, e sap ete q u ello m a v ete prom esso, cio d*esser
con ten ti a onorarla com e donna, q u al fu sse q u ella c h e io pren
d esse, e per tem po ven u to ch e io sono p er osserv a re a voi
la prom essa, e voglio ch e a m e v o i l'osserv ia te, eh i* h o trovato
una giovan a secondo il cu or m io, assai p resso di q u i, la quale
intendo di torla p er m oglie e di m enarla, tra qui a p och i d, in
c a s a , e per pensate ch e la festa d elle nozze sia b ella e com e
v oi on orevilm en te la p ossiate ricev ere, a cci ch io m i possa d ella
v ostra prom essione con tento ch ia m a re, com e v oi d ella m ia. Li
baroni, om ini tu tti lie ti, risp uoseno ch e questo p iacea loro e fu sse
c h i v o lesse, ch per donna la volean o on orare in tu tte co se. Ap
p resso di questo, si m issero in a ssetto di fare gran d e e lie ta festa ,
e som iglianti fe il co n te , ch e fe ap p arecch iare le nozze gran d i
e b elle e t in v ita re m olti g en tili om ini da lu n gi e dappresso, e
oltra questo fe ta g lia re le p i b elle ricc h e robe a form a du na
giovana ch e som igliante fu sse a q u ella ch e a v ea in p en sieri d i
sp osare e t oltra questo a n ella , corona e t a ltri g io ielli, e tu tto ci
c h e a una n o vella sposa si rich ied e. E ven u to il d d elle n ozze,
il con te in su lla m ezza terza m ont a ca v a llo , e t ciascu n o c h e
a onorarlo era ven u to con lu i. Ogni cosa aven d o ordinato, disse:
Signori, tem po dandare p er la n uova sposa; e m issosi in v ia
co lla com pagnia, p ervenn ero alla v illetta , dove la giovana dim o
rava , e giu n ti a lla ca sa d ella fa n c iu lla , e tro v a la c h e torn ava
coll'acq ua d alla fonte, ch 'era tratta p er andare con alcu n e gio
v an e a ved er v en ire la nuova sposa d el c o n te , la q u a le , com e
il con te la vid e, la chiam p er nom e, d icen do: C ostantina, e do-
m andla dove la m adre fu s s e , a cu i e lla vergognosam en te ri-
DE MULIERE COSTANTE 4 03

sp uose : Sign or m io, e lla in casa ch e d ice su e orazioni. A llora


il con te dism ontato com and a ciascu n o ch e lasp ettassero, e solo
en tr in n ella p red itta c a s a , dove trov la m adre di l e i , ch e
a v ea nom e Santin a, e d issele: Io sono ven u to a sp osare Costan-
tin a , m a prim a da le i vo g lio sap ere alcu na cosa in tu a p resenza.
E t dom andandola se tollen d ola p er m oglie e lla s* ingegnereb b e
d i com piacergli e di neuna cosa ch e facesse e d icesse non tur
b arsi m ai, e se e lla sarebbe obbediente e sim ili a ltre cose le
d isse, a lle quali rispuose di sie. A llora il con te, p resala per m ano,
la m en fuori e t in p resenza di tu tta la com pagnia la fece spo
g lia re nuda, e fattosi v en ire i panni ch e fatto le a vea fare, pre
stam en te la fece v estire, e sopra li su oi ca p elli m al p ettin ati g li
fece m ettere u na corona, e t appresso d isse: S ign ori, questa colei
c h io vo g lio ch e sia m ia m oglie, dove lla m e voglia p er m arito.
E poi, a le i rivolto, ch e vergognosa sta v a , le d isse: V uo m i tu
p er m arito? A cu i e lla rispuose: S ign ore m io , se. A llora pre
stam en te il con te in presenza di tu tti la spos, e fattala m ettere
in su uno palafreno, a casa n e la m en, dove furono le nozze
b elle e grandi, com e se presa a v esse la figliu ola d el re di F ran cia.
La sposa giovana parve ch e co panni in siem e la m ente e t i co
stu m i m utasse, e cosi com e era b ella era tanto p ia cev o le e co
stum ata, ch e non figliuola di gu ard atori di buoi parea, m a dal-
cu n o nobile sig n o r e, ch e facea m era v ig lia re ogni persona ch e
prim a cogn osciu ta l a v esse, e t oltra questo tanto obbidiente a l
m arito, ch e con tento e pagato se ne ten ea, e sim iglian tem en te
verso li sudditi d el m arito era tanto g r a z io sa , ch e n u llo v era
c h e pi ch e s non l am asse, ch e dove solcan o d ire ch e l con te
a vea fatto com e poco savio d* a v erla presa p er m o g lie , di poi
disseno ch e lu i era lo pi savio om o d el m ondo, p erch neun
a ltro a v e m ai saputo con oscere lalta virt di costei nascosa sotto
i poveri panni. In b riev e, non solam en te p er tu tto il suo d u cato,
m a per tu tto laltro p aese seppe s fa r e , ch e si ragion ava d el
suo valore. E lla non f gu ari stata co l co n te, ch e la ingravid
e p artu r una fa n ciu lla , di ch e il con te n e fece gran festa; m a
poco appresso fu il con te m utato in un nuovo p en sieri, cio di vo
le r e con lu n gh ezza di sp erien za p rovare la p azienza di le i. P ri
m ieram ente la punse con p a r o le , m ostrandosi tu rb a to , dicendo
ch e i suoi om ini non si con tentavano di le i p er la sua bassa
condizione e d ella figliu ola nata si doleano; le quali p arole udendo
la donna, senza m utare viso, d isse : Signore m io, fate di m e q u ello
c h e v oi cred ete ch e p iace a lo r o , ch e io ser con tenta d* o g n i
4 04 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

c o sa , p erch io non era degna d i tan to o n o r e , a i q u ale voi per


vostra cortesia m arreca ste. E questa risp osta fu a l con te m olto
cara, cognoscendo co stei non essere in superbia lev a ta p er onore
ch e ricev u to a v esse. P oco tem po appresso, avendo con p arole ge-
n erali d itto alla m oglie c h e i su dd iti non poteano q u ella fan ciu lla
di le i nata patire, inform uno suo fam ig lia re, e m andollo (1) a
le i, il q u ale con assai d olen te v iso d isse: M adonna, io non vo g lio
m orire; a m e con vien e fere ci ch e 1 m io sign ore com anda. E gli
m h a com andato ch e io p ig li q uesta v o stra fig liu o la e c h e io .....
e non d isse p i. La donna, udendo il p arlare e ved en d o il viso
d el fa m ig lia re, com prese ch e a costu i fe sse stato im posto ch e
l'u ccid esse, p erch prestam ente presala d ella cu lla , abbracciatala
e b en ed etta la , com e ch e gran noia in n el co re s e n tisse , sen za
m utare viso, in b raccio la puose a l fam igliare, e d isseg li : Fa
com piutam ente q u ello c h e l tuo e m io S ign ore t h a im posto, m a
non la la ssare p er modo ch e le b estie la d iv o rin o , sa lv s eg li
te i com andasse. Il fam igliare p rese la fan ciu lla, e fetto a l con te
sen tire tu tto ci ch e la donna ditto a v ea , m eraviglian d osi d ella
sua costanza, lu i con essa n e m and a P a rig i a una sua p aren te,
pregandola ch e, senza m ai d ire ch i e lla si fesse, g lie la a llev a sse.
Sopravvenne appresso ch e la donna da capo ingravid e t a l tem po
fece uno figliu olo m a sc h io , il ch e carissim o fe a l con te ; e vo
lendo pi tu rb are la donna, con sim ile co rru ccio d isse : D onna,
p oich tu questo fan ciu llo fe cesti, co m iei om ini p er n eu na gu isa
posso v iv ere, s duram ente si lam en tan o ch e uno n ip ote di guar
datone di v a cch e debbia loro signore rim an ere, di ch e io dubito,
se io non voglio esser cacciato, ch e non m i con vegn a fare q u ello
ch e a ltra v olta feci, e t a lla fin e prender unaltra m oglie. L a donna
con p azien te anim o lascolt e con a lto sen n o risp uose: S ign ore
m io, p en sate di con ten tare v oi e d i m e non abbiate alcu n o pen
sieri, p erocch neuna cosa m ' cara, se non quanto a voi sta in
p iacere. E non dopo m olti giorn i q u ello m and c h e m andato a v ea
p er la fa n c iu lla , m and p er lo fig liu o lo , e dim ostrato d a v e r lo
fetto u ccid ere, a P a rig i lo m and, di ch e la donna a ltro v iso n
a ltre p arole fece ch e d ella fen ciu lla fa tti av esse, d i ch e il co n te
si m eravigliava forte e seco afferm ava n eu n a a ltra fem m ina
questo p oter fere, e se non ch e e g li conoscea ch e m olto la donna
av ea am ati li fig liu o li m entre a v u ti li a v ea, are* cred u to il co n te 1

(1) Ms.: mandato.


DE MULIERE COSTANTE 405

e lla non se ne fu sse cu rata (Taverne. E t i su d d iti suoi, credendo


c h e il con te a v esse fatto u ccid ere li figliuoli lo biasiraonno, e t
a lla donna aveano grandissim a com passione. E lla co lle donne ch e
con le i si dolevano non d isse m ai altro se non ch e, q uello p iacea
a le i ch e a colu i c h e in g en era ti li a v e a , e t essend o pi anni
passati d alla n a tiv it d el figliu olo, parendo tem po a l con te di fa re
Tultim a prova di co stei, con m olti de* suoi d isse ch e per neuna
cosa p in e potea soffrire d av er p er m oglie C ostantina, p erch
cogn oscea ch e m al a v ea fatto ad av erla presa, p erch a suo potere
v o lea col papa p rocacciare ch e d ispensasse ch e una ltra donna
p ren d ere potesse, di ch e dai suoi buoni om ini fu m olto rip reso,
e lu i ad a ltro non risp uose se non ch e con ven ia ch e co se frisse.
La d o n n a , sentendo q u este c o s e , e parendole di d over sp erare
torn are a ca sa a guardare le v a cch e e ved ere a una ltra ten er
colu i a cu i ella v o lea tu tto il suo bene, forte si dolse, m a pure,
com e la ltre in g iu rie dalla fortuna a v ea sosten u te, cosi con ferm o
v iso si dispuose a questa so sten ere. E non m olto tem po pass ch e
il con te f v en ire lettere con traffatte da Rom a e fece ved ere
a su oi sudditi ch e l papa a v ea dispensato ch e potesse prendere
altra m oglie e lassare C onstantina, e fattasela davanti v en ire, le
d isse: Donna, p er con cession e fatta dal papa, posso trre u n a ltra
donna e lassare te, im p erocch i m iei p assati sono sta ti g en tilo -
raini e sign ori di q ueste co n tra d e, e tu o i sono la v o ra to r i, non
inten do ch e tu pi m ia m oglie s ia , m a ch e a lla tu a m adre te
n e torni con q u ella dota ch e tu reca sti, e t io n e torr unaltra ,
ch e a m e, siccom e g en tile, si con verr. L a donna, udendo q u este
parole, non sen za grandissim a fatica o ltra a lla n atura d elle fem
m ine riten n e le la g r im e , e risp u ose: Signor m io , io cognovi
sem pre la m ia bassa con d izione a lla vostra nobilt non con ve
n irsi. Q uello ch e io sono stata con v o i da D io e da v oi lo cogno-
sceva, n m ai com e m io lo tenn i, m a com e cosa prestata a m e.
Ora v i p iace di riv o lerla e com an d atem i, ch e q u ella dota ch e
arrecai io m en p o r ti, alla' quale n a v o i pagatore n a m e la
borsa bisogner n som ieri, p erch non m u scito di m ente ch e
nuda m a v este, e se voi g iu d icate ch e on esto sia c h e q u ello corpo,
col q uale io di voi ho du fig liu o li portati e g u v ern a ti, sia lodato
(st), io m e n e andr n u d a , m a in prem io d ella m ia v erg in it
c h io v i r e c a i, ch e non n e la p o rto , ch o alm eno una cam icia
sopra la m ia dota v i p iaccia ch e io portare n e possa. Il conte,
ch e m aggior voglia a v ea di piangere ch e daltro, stando pure col
v iso alto, disse : E tu una cam icia n e porta ; m a quanti dintorno
406 NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCAMBI

erano lo pregavano ch e una roba le donasse, a cci c h e non fo sse


veduta co lei, ch e d ieciotto anni con lu i su a m oglie era stata,
cos in cam icia p overam ente u scirn e; m a invan o p reg a ro n o , d i
c h e la donna in cam icia e scalza e sen za nulla in cap o a lla
m adre piangendo torn. La m a d re, ch e non a y ea m ai p otuto
cred ere ch e 1 con te labbandonasse, vedendola nuda, li panni ch e
serbati le a v ea g li m ise, e t a p iccio li serv izi d ella m aterna casa
si diede, con forte anim o sostenendo il forte a ssa lto fa tto le d alla
nim ica fortuna. Come il con te ebbe questo fatto, cos fe ce cred ere
a suoi ch e avea p resa p er m oglie una figliu ola d el duca d i B or
gogna, e facendo ap p arecch iare le nozze, m and p er G ostantina
ch e a lu i ven isse, la quale ven u ta, d isse: Io m eno q uesta donna
ch e io h o tolta e t intendo in questa su a ven u ta onorarla, e p erch
tu sa i ch e io non ho in casa donne ch e m i sappiano accon ciare le
cam ere, e per tu m eglio ch e a ltra sa i q u este co se di casa, m etti
in ordine q u ello ch e bisogna, e fa in v ita re q u elle donne c h e ti
pare, e r ic e v ile com e se donna fo ssi d ella c a s a , e poi ti potrai
tornare a casa tu a, quando siano fatte le nozze. Come ch e q u este
p arole fossen o co ltella a l cu ore di G o sta n tin a , com e co lei c h e
non a v ea dim enticato lam or ch e g li volea, risp u ose: Signor m io,
io sono p resta. E t en trata co* su oi grossi p an n icelli in q u ella ca sa,
d ella quale poco dinnanti n era u scita in cam icia, com inci a spaz
zare la cam era e t a p onere i cap oletti p er le sa le, e t a fare ap
prestare la cu cin a, e t ogni a ltra cosa, com e se p iccio letta fa n te
stata fosse, n m ai riste tte ch e ogn i cosa ella acconci quanto si
con ven ia, e t appresso questo, fatto in v ita re le donne d ella con
tra d a , asp ettava la festa. E ven u to il giorno d elle n o z z e , com e
ch e i panni a v esse p o v e r i, con am ich evole donnesco m odo r i
colse tu tte le donne. 11 conte, ch e d iligen tem en te a v ea fatti al
lev a re li fig liu o li a P a rigi in casa d ella sua parente, essendo g i
la fan ciu lla di dodici anni e la pi b ella cosa d el m ondo, il fan
ciu llo a v ea otto an ni, il con te m and a P arigi a lla p aren te sua
ch e le p iacesse di v en ire a sollazzo con q uesta sua figliu ola e
figliuolo, e ch e m enasse b ella e t o n o rev ile com pagnia e t a tu tti
d icesse ch e costei p er sua m oglie g li m enasse e t altram en te non
d icesse ch i ella fo sse. La gentildonna, fatto secondo c h e il co n te
g li scrisse, en trata in cam ino, dopo alquanti d co lla giovana e
col fan ciu llo, con on orevile com pagnia, in su llora d el desnare,
giu n se in n ella terra d el con te, dove tu tti i paesani trov ch e at-
tendeano questa n ovella sposa, la quale d alle donne ricev u ta , n ella
sua sala ven u ta, G ostantina, co s com e l'era, se g li fece in con tra
DE MULIERE COSTANTE 407

dicendo: Ben v egn a la m ia donna. L e donne, ch e m olto avean o


pregato il con te invan o ch e fa cesse sta re C ostantina in una ca
m era, o ch e una d elle su e robe g li p restasse, acci ch e cosi non
andasse inn an ti a* suo* forestieri, le ta u le m esse e com inciato a
serv ire, la lh n ciu lla era guardata da ciascu n o, e d iesan o c h e il
con te a vea fatto buono cam bio, m a tra la ltre lodavano Costan
tin a. Il c o n te , a cu i ch iaro p area a v er ved u to q u ello ch e desi
derava d ella pazienza d ella sua donna, e veggend o ch e d i n ien te
[p er] la n ovit d elle cose si ca m b ia v a , essendo certo p er m en-
teca g g in e non a v v en ia , p erch sa v ia m olto la cognoscea, g li parve
tem po di doverla trarre di q uella am aritudine, la q u ale stim ava
ch e sotto il forte v iso nascosa ten esse. P erch fattosela ch iam are,
in p resenzia dognuno, sorridendo d isse: C ostantina, ch e ti p are
d ella m ia sposa? Signor m io, d isse lla , a m e n e pare m olto b en e,
c h se cos sa v ia com e essa b ella, ch e lo credo, non dubito
ch e voi abbiate a v iv ere lo pi consolato sig n o re d el m ondo;
m a quanto posso v i prego ch e le punture, ch e a lla ltra vostra
m oglie ch e fu d este, non date a costei, p erch non le potrebbe
sosten ere, si p erch ' pi giovana, e s p erch a d ilicatezza a l
lev a ta , dove l a ltra co lle con tin ue fa tich e fin e da p iccolin a cre
sciu ta era. 11 con te, veggendo ch e ferm am ente cred ea co stei d over
essere sua m oglie, n per in alcu na cosa m eno ch e ben parlava,
la fe ce a l lato suo sed ere, e d isse: 0 C ostantina, tem po ornai
ch e tu senta frutto d ella tua lunga p azien za, e ch e coloro ch e
m e hanno rip utato cru d ele e b estiale, cognoscano ch e ci eh i*
ho fatto facea a buon fin e , a prova volendo a te in segn are di
esser m oglie, e t a loro di sap erla trre e ten ere, e t a m e p arto
rire proprio contentam ento teco. 11 ch e, quando ven n i a prender
m oglie, gran paura ebbi ch e non m in terv en isse, e t im per, per
prova p ig lia re, in quanti m odi tu sa i ti tra fissi, e perch* io non
m i sono m ai accorto ch e [in ] neun m odo dal m io p iacere par
tita ti sii, parendo a m e di te q u ella con solazion e ch io d eside
rava a v ere, intendo di rend ere a te in una volta ci ch io in
m olte ti tolsi, e con som m a d olcezza ristorare le p un tu re ch e io
ti d ie d i; e t in per prendi con lieto anim o questa ch e tu m ia
sposa cred i ch e sia, e 1 suo fratello, ch e sono i n ostri du fig liu o li,
i quali tu, con m olti a ltri, lun go tem po a v ete cred uto ch e io a v esse
fa tti u ccid ere. E t io sono il tu o m arito, ch e soprogni altra cosa
tam o, credendom i p oter dar van to ch e neuno altro di sua donna
quantio si possa con ten tare. E cosi ditto, labbracci e basci, e t
con le i insiem e, ch e da lleg rezza p ian gea, nandarono dove la fi-
408 NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

g liu o la sed ea, e t a b b ia d a ta la teneram ente, e t a ltres il fratello, Ini


e m olti c h e q uine erano sgannarono. L e donne lietissim e, lev a te
da ta u la , con C onstantina n* andarono, e con m igliore an g a rio
tra ttig li i suoi panni, d'una nobile roba d elle su e la vestiron o, e
com e donna, la q u ale in n ell stra cci p area, la rim enarono no
b ilm en te v estita , e quine frittosi co* fig liu o li m eravigliosa festa in
sollazzi. E m olti giudicarono il con te savissim o, e sopra tu tti ten
n ero C ostantina savissim a. Lo con te, lev a ta la m adre di C ostan
tana da la vori, com e gran con tessa la fe* n otricare, e con gran
dissim a con solazion e il con te m arit la figliola, e con C ostantina
si d i buon tem po e fin ir i lor d in v ecch iezza .
APPENDICE
411

8
(Triv. N. 7)

DE TRANSFORMATIONE NATURE
Di messer Renaldo de Buondalmonti di Firenze

In Firenze, dove stanotte albergammo, era uno giovano cavalieri


nomato messer Renaldo Bondalmonti, assai ricco e bello e gran
vagheggiatore, che pi giovane vergini per la sua astuzia avea
condutte a fare la sua volont; e simile a molte maritate avea fat-
to puoner a loro mariti le corna in capo e disonestamente molte
vedove e monache avea avute, intanto che molti richiami i pa-
renti del ditto messer Renaldo aveano. E perch era di gran casa
ognuno sel comportava meglio potea.
Divenne, i ditti parenti un de avendo messer Ranaldo con loro a
desnare li disseno male de modi tenea e il pericolo che di ci si
potesse avere, lodandoli il togliere moglie. E doppo molti parla-
ri, il ditto Ranaldo, volendo alla volont de parenti consentire e
dubitando che a lui non fusseno poste le corne come ad altri
lavea gi poste, disse: Poi che vi piace che io prenda moglie,
io la vo prendere a mio senno. Li parenti consentendo dissero:
Quale ti piace faremo larai. Rispuose messer Ranaldo: A
me piace Ginevra, figliuola di messer Lanfranco Rucellai: bene
chella sia povera, ella ben nata et onesta fanciulla; che io so
quello mi dico, tante nho provate in questa terra.
La ditta Ginevra era bellissima et onesta e simplici, che mai
domestichezza di persona avea auto, n mai di casa uscita non
era e quasi non pensava fusse in Firenze altri che l padre e la
madre, perch mai non si puose a finestra e poche persone in
quella casa entravano; e cos, puramente sera stata. Parendo a
messer Ranaldo poterla a suo modo condurla, disse a parenti
che quella volea.
Li parenti, subito partitosi e trovato messer Lanfranco, la loro
intenzione li dissero. Messer Lanfranco questo udendo, parendo-
412

li che costoro lo beffasero disse: Dite voi da dovero? Rispuo-


seno: S, messer Renaldo lha adomandata, che se sete conten-
to non vi date impaccio di niente: lui la vuole prestamente e noi
abiamo da lui di poterla fermare. Messer Lanfranco, contento,
distese la mano; e impalmegiatola, li parenti di messer Ranaldo
si partirono e tornoron a messer Renaldo dicendo chella era
ferma. Messer Lanfranco, tornato a casa, alla sua donna disse il
fatto. La donna contentissima disse a messer Lanfranco che tro-
vasse uno notaio che vegna con messer Ranaldo acci che il ma-
trimonio si fermi, pensando che messer Renaldo non si pentisse.
Partitosi messer Lanfranco e trovato messer Ranaldo, abrac-
ciandosi insieme, messer Lanfranco disse quello che la donna
lavea imposto. Messer Ranaldo contento, trovato li suoi parenti
e uno notaio e preso un bellissimo anello, a casa di messer Lan-
franco nandarono, dove quine messer Lanfranco con alcuni suoi
parenti et alcune donne trovarono. Venuto il notaio e fatto lo
contratto, messer Ranaldo li misse lanello; e prima che di quine
si partissero, dienno ordine che n di xx ferraio, che venir dovea
in domenica, la volea menare. E cos ordinato, li panni si fenno
tagliare et ogni altra cosa, in presenzia di tutte le donne, prima
che di quine neuno si fusse partito.
E preso la misura dello mbusto e delle braccia e delle gambe
da panni tagliati, senza a persona apalesare sua volont, e con
tali misure se nand a uno armaruolo dicendo: Io voglio una
barbuta et un paio di bracciali, e guanti corazza e gambiere, et
una spada, che tra ogni cosa pesi libre V, lustranti belle e atte,
che chi se lar a mettere in dosso per s solo le possa vestire
senza alcuno aiuto. Lo maestro, chera intendente, disse: Io vi
servir che tra qui e x d ogni cosa arete, tali che paranno
dariento. Ma io voglio dogni cosa fiorini xl. Messer Renaldo
disse: E tu questi abbi. E di presente lel di dicendo che sia
servito presto e bene. E con alcuna misura presa dello mbusto e
delle braccia se nand a uno giubonaio e fe fare uno giubettino
allanalda et una camicia corta per poter sopra quelle metter
larmadura, e simile calze. Ordinato e fatto i panni e larmadura,
413

messer Renaldo nascosamente alla casa sua port larmadura e


giubettino calze e camicia et in uno scrigno le misse, serrato a
chiave. La chiave messesi al lato.
E venuto il giorno che la sposa ne d venire, dato e fatto lo nvi-
to e le vivande, e la brigata missa a mensa, il giorno ballato e
tutte cose fatte che a tal festa si richiede, cos della cena come
dellaltre cose; passato gi mezzanotte, la madre della sposa
quella messa in camera e amaestratola che ubidisca in tutte le
cose messer Renaldo, pregandola non facesse motto n a perso-
na dicesse quello che messer Renaldo li facesse, la fanciulla
simplici disse: Madre mia, io far tutto ci che mi comandate e
quello che mi comander messer Renaldo. La madre lieta la
misse inne letto.
E acompagnata la brigata, rimase messer Renaldo solo in casa
con una sua zia di tempo, la quale con le suoi orazioni se nera
andata a dormire. Chiuso messer Renaldo luscio e le finestre,
venuto in camera, disse: Ginevra. A cui ella disse: Messe-
re. Lui disse: Lvati e vieni qua. La sposa, in camicia, sim-
plici, si leva e va a messer Renaldo. Messer Renaldo trattoli la
camicia, ella rimase nuda che pareva come nieve. Quasi messer
Renaldo non potea tenere che cos non ladoperasse, ma per non
darli questo modo sofferse la pena (che non so qual si fusse stato
s fermo che almeno non lavesse baciata). E cavato fuori la ca-
micia, il giubettino e le calze a Ginevra le fe mettere, e dapoi
larme, colla spada in mano. E poi preso uno doppioncello acce-
so, e in mano lel messe e disse: Ginevra, sta in capo di scala,
in su luscio della camera. Et insegn il modo e Ginevra tutto
fece.
Messer Renaldo scese alquanto la scala e poi mont suso et in
braccio la prese, e cos subito in su letto la puose: avendosi ca-
vato le mutande e avendo lo ngannatore ritto, li salo in sul pet-
to e isverginla. Ginevra, sentendole alquanto, misse un pogo di
voce; messer Renaldo disse: Di vero costei ho pure avuto pul-
cella. E stato un poco messer Renaldo disse: Ginevra, sta su
et aspettami in su luscio della camera co lume. Ginevra mos-
414

sasi et andato a luscio della camera col doppioncello acceso,


messer Renaldo scese alquanto la scala, e su sagliendo, prese in
braccio Ginevra et in su letto la puose, n prima la lass che
unaltra volta messe lo ngannatore innel luogo usato. Allora Gi-
nevra, sapendoli buono, disse: Buona cosa andarne a mari-
to. E stato alquanto messer Renaldo disse: Sposa mia, buono
sar che in su luscio della camera fussi. La giovana, gi impa-
rato il modo, subito scese de letto, e apreso il doppione, in su
luscio si puose. Messer Renaldo smontato alquanto la scala e
poi sagliendo, la prese et in su letto la puose; e quine la terza
volta content il suo ingannatore. Ginevra, parendoli dolcissimo,
disse: Ben abia chi marito mi diede. Messer Renaldo vedendo
chera presso a d, volendo alquanto posare, disse a Ginevra che
si spogliasse e nuda inne letto ritornasse colla camicia che la
madre li avea lassata. Ginevra subito ubido e, trattosi larme, la
camicia lunga si misse et innel letto da uno de lati si puose, n
messer Renaldo a lei sacost.
La mattina, levato il sole, messer Renaldo levatosi per dare or-
dine alla festa, e la sposa inne letto rimase fine che la madre
de letto la venne a cavare, dicendole: Figliuola mia, hai fatto a
senno di messer Ranaldo? La fanciulla rispuose che mai non fu
la pi contenta: Tanta dolcezza ho sentito, bench un poco, di
prima, mi paresse fatica. E di vero io sono contenta che mavete
maritata, tanta dolcezza ho sentita stanotte. La madre, che ode
la figliuola esser stata la notte gioiante, fu molto lieta.
E fatto lo giorno festa, la sera, partitosi le persone, messer Re-
naldo disse: Ginevra, armati. Ginevra presto fu armata, et a-
cese i lume spettando. Messer Renaldo, subito montato la scala,
la prese e in sul letto la puose, e quattro volte la notte fe suo
piacere; e poi ritorn a letto, al modo usato rivestita della cami-
cia e da luno de lati coricatasi. E questo modo tenne molte not-
ti, tanto che le nozze funno livre.
Dapoi messer Renaldo, vedendola sperta della notte, pens farla
sperta del d. Et uno giorno li disse, avendo chiuso le finestre
maestre e li usci: Ginevra, armati. Ginevra disse: O armansi
415

le giovane lo d? Messer Renaldo disse: S. Allora Ginevra


intrata in camera et armatasi e preso il doppioncello et acceso
alla lampana e venuta in su luscio, messer Renaldo montata la
scala disse: De d non bisogna lume. E presela in braccio
spegnando i lume. Entrato in camera, essendo aperte le fine-
stre, in su letto la puose e la sua volont forno. Ginevra parlan-
do disse: Se di notte fu dolce il fatto, ora veggo che i lume del
d non bisogna. Messer Renaldo, per pi apetirla, disse che
buon sar che fusse in su luscio armata. Ginevra , gittatasi pre-
sta de letto, in su luscio si puose. Messer Renaldo subito scese
la scala, e rimontato, in braccio la ricolse et in su letto la puose
e quine il secondo dono li diede; e poi disse che si disarmasse e
de suoi panni si vestisse. E cos prestamente Ginevra si disar-
m e rivestisi, dicendoli messer Renaldo: Omai saperai fare!
Disse Ginevra: Omai sono bene amaestrata.
E dimorando insieme e pi volte la stimana fattala armare, per-
venne che uno d a messer Renaldo fu rapresentata una lezione
della podestaria di Perugia con buono salario, per sei mesi. Li
parenti di messer Renaldo ci sentendo, disseno che accettasse
perch era onorevile officio: E lasserai con tua zia Ginevra per
questi VI mesi. E tanto li disseno, che fu contento et acett. E
diede ordine di cavalcare, dicendo alla donna: Ginevra mia,
vado a Perugia, l u io guadagner de denari per fare una bella
palandra. Torner presto: fa che si savia. Ginevra, chera sim-
plici senza malizia, disse che era contenta. E cos la lass alla
zia in casa.
Stato alquanti mesi alloficio messer Renaldo, e spesso alla don-
na sua lettere et alcuno gioiello mandava , dicendo che bene
stava. La donna contenta, un d, stando ella alla finestra, uno
giovano chiamato Chimento, nato di uno artifici assai di bassa
mano, vedendo costei cos bianca s sinnamor di lei in tal mo-
do che doppo non molti d si misse in sul letto malato. La madre,
vedendo Chimento suo figliuolo che . . . . . . non avea, disse:
Figliuolo, che hai? Lo figliuolo disse: Io muoio, madre mia.
La madre il domand. Lo figliuolo disse: Lo male che io hoe
416

voi non me ne potete aiutare. La madre desiderosa del figliuolo


disse: Ogni cosa far pur che tu guarissi. Chimento disse:
Madre mia, Ginevra di messer Renaldo mi fa morire. La ma-
dre, ci udendo, subito la mattina rivenente se nand a Santa
Riparata, l u e alcuna volta lavea veduta.
Et essendo a Santa Riparata, vidde venire Ginevra colla zia del
marito; e subito andato loro incontra, disse quando aveano auto
lttore da messer Renaldo. Rispuoseno: Ogni d, e sta molto
bene. E cos entrato la vecchia in parole con Ginevra, s si
puose a sedere; la zia del marito and a uno altare a dire suoi
orazioni. La vecchia, vegendo Ginevra sola, si puose a lato di-
cendo: Figliuola, lanima tua andr inne lo nferno per uno che
fai morire. La fanciulla disse: Oim, o chi fo io morire? La
vecchia disse: Uno mio figliuolo dolcissimo. Ginevra disse:
O perch? Lei disse: Perch non le vuoi donare il tuo amo-
re. Ginevra disse: Giamai nol viddi. La vecchia disse: Elli
hae bene veduto te e dice che tu se la pi bella giovana di Fi-
renze e se tu volessi che stasera venisse a dormire teco. Gine-
vra disse: O che dire messer Renaldo? Disse la vecchia: El-
li non c, non dir nulla. Ginevra, udendo che andare innello
nferno, per paura disse che era contenta e che la sera venisse
per modo che altri non se ne acorgesse.
La vecchia, auto quello che volea, torn al figliuolo e disseli tut-
to ci che avea ordinato, dicendoli: Figliuol mio, confortati che
stasera goderai quel gigliozzo. Chimento, fattosi forte, spettan-
do la sera; Ginevra spettando la sera che Chimento dovea venire
(avendo ella volont delluomo perch era stata ella senza mes-
ser Renaldo IIII mesi), pens ella che Chimento la vorr godere
come la godea il marito: subito venuta la sera entr in camera, e
la zia se nand a dire suoi orazioni.
Ginevra armata di tutte armi, con una spada nuda in mano e con
un doppioncello aceso, in capo di scala spettando Chimento;
Chimento, veduto la sera fatta e luscio aperto, subito sagliendo
le scale et in un salto alzando gli occhi, vidde quello armato: di
paura gittatosi gi per la scala, quella scese e con tremo se
417

nand a casa, dicendo alla madre che quanti panni sono in casa
li metta a dosso, tal era il tremo chelli avea. E cos la madre fe-
ce, non potendo allora dal figliuolo altro sentire. Ginevra veduto
Chimento fuggire, non sapendo la cagione, chiuse luscio e di-
sarmsi, et a letto sand a posare.
Riscaldato Chimento alquanto, la madre di Chimento dicendo
quello che avea, Chimento disse che alla morte fu presso a du
dita, dicendo: Un omo con una spada nuda in mano, tutto ar-
mato, mi volse dare in sulla testa. E se non che io mi gittai gi
dalla scala, mar fesso fine a denti. La madre, ci udendo,
confort il figliuolo, dicendo: Io sapr domane come sta la co-
sa.
Venuta la mattina, la vecchia levatasi molto per tempo e andata
a Santa Riparata spettando Ginevra, e poco stante, Ginevra colla
zia innella chiesa entrarono. E come dinanti aveano fatto, cos la
mattina seguo: che postosi Ginevra a sedere, la vecchia al lato
se li apost, dicendo: Or ben veggo che lanima tua andr in
inferno, che vuoi che l mio figliuolo muoia. Ginevra disse:
Oh, io laspettava et elli non volse venire, avendoli lassato
luscio aperto. E per, prima che io voglia che lanima mia vada
in inferno, diteli che stasera vegna a me. La vecchia, contenta,
sperando che cos fusse, torn al figliuolo e tutto li disse. Lo fi-
gliuolo, contento, dilibervi dandare un poco pi tardi che la
sera dinanti.
Ginevra e la zia tornate a casa, la sera venuta, Ginevra armatasi
al modo di prima; Chimento, sonato la grossa, a casa di Ginevra
ne go. N miga parve avuto male: che, montato quasi le scale e
alzati li occhi, vidde quello armato e di paura tutta la scala cad-
de e quasi non si fiacc il collo e usco fuori e pi cattivo alla
madre torn. Ginevra, vedendo questo, pens: Costui fa beffe
di me. E chiuso luscio e disarmata, a letto sand a posare.
La vecchia, desiderosa di ritrovarsi con Ginevra per dirle villa-
nia, tutta la notte non dormo e la mattina se nand alla casa di
Ginevra per vedere se di quella alcuno omo uscisse. E stato al-
quanto, la zia di Ginevra usco fuori senza Ginevra et and alla
418

chiesa. La vecchia, vedendo aperto luscio, pens trovar Ginevra


innel letto con qualche omo, per poterla vituperare, e saglo le
scale. Ginevra che levata era faccendo alcuna massarizia di ca-
sa, come vidde la vecchia disse: Veracemente il vostro figliuolo
mha voluta mottegiare, che du volte lho spettato e lui ha fatto
beffe di me. Come?, disse la vecchia, o figliuola mia, chi ci
verr tenendo tu omini armati in casa? Ginevra ridendo disse:
Or ben veggo che elli giovano, che in verit in quel modo che
io spetto messer Renaldo, aspetto il vostro figliuolo. La vecchia
pens qualche nuovo modo e disse: Or come aspetti tu messer
Renaldo? Ginevra disse: o vel moster. E subito se nand in
camera, et armata, usco fuori con una spada nuda in mano. La
vecchia, contenta chera certificata dellerrore del figliuolo, dis-
se: Ginevra, messer Renaldo tinganna. Ginevra disse: Per-
ch? La vecchia disse: Perch ti fa armare. O laltre non
sarmano?, disse Ginevra. La vecchia rispuose: No, ma fa un
poco a mio senno: stasera quando il mio figliuolo verr a te, a-
spettalo in una giubba di seta, e quello ti dice farai; e vedrai se
io ti dico il vero. Ginevra disse che tutto far.
La vecchia partita e contato tutto il fatto, Chimento lieto; la sera
venuta, la donna in una giubba con un doppioncello in mano, in
sulla scala spettando Chimento; Chimento, vedendo la sera scu-
ra, entr in casa; e sagliendo la scala, Ginevra abracciata, e ba-
scila. Ginevra che ancora non avea assagiato la dolcezza del
bacio, disse che volea dire. Chimento postola in sul letto e fatta-
la nuda spogliare, lui per fretta li panni si straccia e nudo rima-
ne, in camicia, a bracciare Ginevra: e pi volte fenno la danza
amorosa. Ginevra, sentendo lo caldo de luomo, pi che di prima
piacendoli, disse: O messer Renaldo, questo non sapete voi
che sa Chimento! E cos pi giorni tennero questo modo. Tanto
che, livro le Vi mesi, messer Renaldo torn a Firenze.
E giunto in casa e fatto ogni persona partire, senza cavarsi stiva-
li, disse: O Ginevra, armati! Ginevra disse: Messer Renaldo,
armatevi pure voi! Messer Renaldo disse: Io ti dico armati!
Ella risponde che sarmasse elli. Messer Renaldo disse: Or che
419

vuole dire che tu non ti vuoi armare? Ginevra disse: Che uno
giovano non mha voluto armata. E svi dire che troppo pi
dolce lesser nuda in braccio al giovano che armata sotto voi.
Messer Renaldo udendo tali cose volse sapere il modo, cogno-
scendo la purit di Ginevra esser stata ingannata. Ginevra tutto
li narr, di che messer Renaldo disse: In giamai non tarmare
pi e sono contento quanto posso di quello hai fatto; e per
lavenire segue pure il modo dellaltre.
E spogliatosi e fatto spogliare Ginevra, inne letto con Ginevra
prese piacere. Ginevra disse: Or non vel dissi io bene che pi
dolce nuda che armata? Messer Renaldo disse: Cos !.
Cos oservonno poi.
420

11
(Triv. N. 10)

DE VITIO LUXURIE IN PRELATO


Di Ranieri pellaio in Pisa.

A Pisa innella contrada di San Nicolo, u si dice Campo San Ni-


col, era uno Ranieri pellaio e cartaio, lo quale avea una sua
donna bellissima et onesta nomata madonna Nese, la quale di-
votissimamente andava ogni de in San Nicol a udire la parola
di Dio; e questa maniera tenea spesso.
Divenne un giorno che essendo venuti alquanti frati innella ditta
chiesa, fra quali fu un frate Zelone da Pistoia et uno frate Ana-
stagio da Firenze, vedendo la ditta madonna Nese venire alla
chiesa tanto onesta e bella, disseno a uno giovano frate pisano
chiamato Ghirardo, assai screduto: Questa una bella donna!
Frate Ghirardo dice: Ella nostra vicina e moglie di uno Ra-
nieri pellaio. Frate Zelone disse chella sar sufficente per la
sua bellezza a una badia di frati. Frate Ghirardo disse: Per cer-
to le buone vostre parole me lhan fatta pi che mai comprende-
re quanto ella piacevole. E cos ragionando, la donna si part
di chiesa. Frate Zelone e frate Nastagio si puosero in sulla porta
per vedere l u la donna entrava, e cognosciuto la casa esser
assai vicina de luogo, salvo la piazza in mezzo, comincioron a
pensare in che modo la potessero avere.
Frate Ghirardo, accorgendosi di frate Zelone e di frate Nastagio
che vaghegiavano madonna Nese, disse: Per certo io sar il
primo che li canti il mattino in sul corpo. E pens la mattina
rivenente dirle suo volere senza farlo ad altri asentire, guardan-
dosi de compagni. Frate Nastagio disse che se lui potea senza
frate Zelone avere lamore della donna, che li parea esser papa.
Frate Zelone, desideroso di giungersi colla donna a nude carni,
pens di volere solo in chiesa sempre stare per potere la sua im-
basciata fornire con la donna.
La donna), non sapendo quello che li tre frati aveano in pensie-
421

ri, comera uscita se nand alla chiesa. Frate Ghirardo, chera


pi pratico della venuta della donna, trovandosi in sulla porta,
alla donna disse che volentieri li cantare lo mattino in sul cor-
po, et altre disoneste parole li disse. La donna, non parendo suoi
fatti, entr in chiesa et apresentsi allacqua benedetta. Quine
essendo frate Nastagio, cominciandola a mottegiare dicendole:
Se io tavesse, sarei meglio che papa; la donna, udito questo
frate aver detto secondo frate Ghirardo, non faccendo vista di
turbarsi, ma fra s dicendo: Che malanno vorr dir questo?, e
mossesi et andne a uno altare a dire suoi orazioni. Frate Zelone
se lapresse a lato e disseli se lui si potea con giungere con lei
a nude carni che sar contento. Et altre parole disoneste le fun-
no ditte. Madonna Nese avendo inteso tali cose, non mostrando
malinconosa di chiesa usco; et alla casa tornata, li frati guar-
dandosi luno dallaltro, ciascuno la mirava quanto potea. Giun-
ta la donna a casa, come savia niente si mostr turbata al marito,
pensando quello che ditto li era stato fusseno frasche.
Pass quel giorno, e laltra mattina andando alla chiesa, disone-
stissimamente per frate Ghirardo li fu pi che di prima ditto sua
intenzione. Madonna Nese, vedendo tanto vituperio, non dimo-
strando curarsene al suo luogo se nand dove altra volta erita a
dire suoi orazioni. Frate Zelone li cominci a legger il decretale
dicendo: Donna, io penso se sotto me starai, farti molto lieta
duno gioiello. La donna, dolorosa in s ma dimostrando non
avere udito, disse: Sere, il vostro un bel parlare. E mossosi,
alla casa si torn, pensosa stando con pensieri in s imaginando,
dicendo: Omai mi converr stare remita; e cos pens di fare.
Lo giorno seguente reste in casa. Ranieri suo marito disse:
Donna, o che vuol dire che stamane non se ita alla chiesa?
La donna disse avere alcuna faccenda; Ranieri fue contento. Li
frati, vedendo non esser andata la donna alla chiesa, stimonno
lei esser stata malcontenta delle parole ditte. Pensando che l
marito non se ne fusse acorto, frate Ghirardo, come noto della
casa, con frate Anastagio un giorno dimostrando andare per lo
campo a loro piacere, fine a casa di Ranieri andarono, stimando
422

saper la cagione che monna Nese alla chiesa non era venuta. E
giunti alla bottega di Ranieri, la donna che quine era disse a
frati: Ben vegnate! Quando canterete voi, frate Ghirardo, il ma-
tutino? E voi, frate Anastagio, quando sarete papa? Li frati non
rispondendo, avendo inteso ciascuno il suo motto (n luno non
sapea dellaltro), vedendo la faccia allegra di madonna Nese,
ciascuno ritenne lo suo parlare. E cos tornarono alla chiesa.
Ranieri disse: Nese, che domestichezza questa che questi
frati sono venuti qui, che mai non ci vennero? Per certo qualche
domestichezza di aver preso con questi frati. Monna Nese ri-
spuose: Marito mio, prima che io voglia che tu meco vivi in ge-
losia et in sospetto, io voglio che tue senti prima la cosa da me
che da altri. E cominci a narrare tutto ci che i frati li aveano
ditto e pi mattine; e quella era la cagione che non volea andare
alla chiesa. Ranieri sentendo tal parole, come persona che ama-
va il suo onore e quello della sua donna e disse: Omai non arei
posa n di te mi fiderei se io non fusse di questi frati contento. E
pertanto io ti comando per quanto ami il tuo onore e la vita tua
che domattina vadi alla chiesa e qualunqua di quelli ti dice
niente, prometti che domenica sera vegna a cena et albergo teco;
e vegna a tale ora che altri non se nacorga, dicendo: Ranieri
per andare a Genova per comprare pelli . E fa che la venuta
di tutti sia diseparata. E quando la sera saranno tutti insieme di-
rai quello ti pare; e cenato, non disonestando, quelli frati farai
spogliare e lavare avendo fatto lacqua scaldare. E quando senti
luscio, metteli innel calcinaio. La donna tutto ascoltato disse:
Ranieri, lassa fare a me.
Passato la notte e venuto il giorno, monna Nese andata alla
chiesa e trovato frate Ghirardo, il quale le disse: Io vho ditto
mio volere; la donna disse: Frate Ghirardo, io hoe udito la vo-
stra volont, e di vero io non avendo il modo non vho potuto di-
re quella buona risposta areste voluto. Ma ora che l mio marito
va sabbato a Genova a comprare coiame potrete venire domeni-
ca sera a cenare meco et aremo tutta nostra intenzione; e nol di-
te a persona. E frate Ghirardo gioioso si parto e pens manda-
423

re a casa di monna Nese uno paio di caponi: e and a uno mone-


stero di donne e comprli e secretamente per una vecchia a casa
di monna Nese li mand. Entrata la donna innella chiesa, frate
Nastagio vedutola volse dire. La donna disse come avea ditto a
frate Ghirardo. Contento frate Anastagio dar luogo al suo deside-
roso apetito, pensando alla donna donare qualche gioiello e
quello compre. Andata la donna a laltare, quine e frate Zelone
laspettava: la donna simile parole li disse che a laltri ditto ave-
a. E cos lieto frate Zelone da lei si parto spettando la domeni-
ca.
La donna che gi avea ordita la tela, pensando di tesserla a casa
ritorn et a Ranieri suo marito tutto cont. Lo marito dando suo-
no dovere andare a Genova intanto che per tutto lo vicinato fue
sentito, li frati sentendo landata di Ranieri ciascuno per s dis-
se: Io ar mia intenzione di quel fresco giglio dorto. E cos
pass quel giorno chera vernad. Lo sabbato mattina Ranieri
messosi in punto per dimostrare andare a Genova, mandato in
sulla barca alcuno matrassino, fu stimato landata esser vera.
Passato il sabato e la domenica venuta, a ciascuno frate pare
mille anni che l d passi. La sera venuta, frate Ghirardo entrato
allora ditta a casa di monna Nese, monna Nese aprendo luscio
lo misse dentro; e lei volea baciare, monna Nese disse: Assai
aremo del tempo; andate l e intanto fi cotta la vivanda e cene-
remo e poi a letto ce ne potremo andare. Frate Ghirardo con-
tento pass dentro. E poco stante frate Anastagio giunto, aperto
la porta la donna per lo simile modo lo mand dove frate Ghi-
rardo era. Come luno frate vidde laltro, cognoscendosi disseno:
Noi stiamo bene, ma frate Zelone pur non godr questo smiral-
do lustrante; dicendo fra loro: Ella nha che a tutti ne potr
dare.
Passato alquanto, frate Zelone viene: la donna lo misse dentro.
Co compagni si trov li quali disseno: Ora taviamo tra denti.
Disse frate Zelone: Se credete che per me non ce ne sia, io mi
ritorner alla chiesa. La donna questo udendo disse: E ce
nha per tutti, ancora se ci fusse labate con tutti i monaci! Li
424

frati contenti, la donna disse: Ell ora che ceniamo; la vivanda


cotta, la mensa posta, i bicchieri e l vino aparecchiato. E pi
vi dico che bene cenare tosto, per che voglio che tutti vi lava-
te in un bagno et io con essovoi, e poi ce nandremo a sollazzare:
mentre che l mio marito navicher, voi navicherete. Li frati
contenti, cenarono.
E doppo la cena spogliati nudi in uno tinello li misse e lei per
non dimostrare malizia, insieme, in camicia, innello tinello en-
tr. E mentre che si lavavano con desiderio grande, la donna
disse: Se Ranieri ora tornasse col fratello e col garzone, come
far io e voi? Li frati disseno che non sapeano che modo tene-
re. Disse la donna: Se tornasse, intrate in quello rinchiuso che
mai non sapre se non quando vuole metter pelli a pelare, et io
apro luscio; e partitosi, ci potremo confortare: ben penso che
questo venir non debbia. Li frati disseno: Noi lo vedemmo in-
trare in barca e caminar verso Genova e non ci pu esser di qui
a x de. La donna disse: Ben ne sarei contenta.
E mentre che tali parole volea livrare, Ranieri fa un gran busso
a luscio dicendo: Nese, aprimi. La donna tremante usco del
tinello bagnata; li frati intronno innella pellaria e la donna and
a luscio et aperselo dicendo comera che non era andato. Ranie-
ri disse: Lo vento mha stroppiato, ma tu che se s bagnata et
in camicia, che vuol dire? La donna disse: Io faccio un bagno
per domane e perch non mi trovassi nuda mho messa la cami-
cia bagnata in dosso che cavai della caldaia. Li frati ci uden-
do disseno: Odi malizia! Ranieri, che tutto sapea, subito se
nand alla cucina e quine un calderone pieno di calcina e
dacqua bolente prese e sopra il pellaio la gitt per tal modo che
i tre frati morinno.
Morti li tre frati, Ranieri disse: Ora ci conviene trovare modo
che si portino in luogo che non si possa sapere. E subito andato
a uno ostieri, e quine trov uno portatore forestieri al quale disse
se volea ben guadagnare. Lo portatore disse di s. Ranieri disse:
E m morto uno frate in casa; io voglio che lo porti in Arno et
io ti dar una bella cappa. Messolo in uno sacco, lo port in sul
425

Ponte Nuovo e di quine in Arno lo gitt. E tornato, Ranieri li a-


vea aparecchiato laltro e disse: Oh, ell ritornato. Disse il
portatore: Come pu esser, chio lo gittai in Arno? Ranieri
disse: Se vuoi la cappa s mi servi. Lo portatore, credendo
fusse tornato, prese uno bastone et alquanti colpi di al frate; e
messolo innel sacco, in Arno lo gitt. E tornato per la cappa,
Ranieri, avendo aparecchiato laltro, disse: Se mi vuoi servire,
altramente io ander per un altro. Lo portatore ci udendo dis-
se: Or che diavolo questo che pur torna? E col bastone tutto
lo fiacca; e postoselo in sulle spalli, in Arno lo gitt.
E tornando, il ditto portatore trov uno prete Andrea, rettore del-
la chiesa di San Donato, presso al Ponte Nuovo con uno camice
e con uno libro et una candella accesa, che andava per dire mat-
tino a San Donato. Scontrsi col portatore: lo portatore credea
che fusse il frate che tornasse, col bastone li di in sulla testa e
morto lebbe. E subito presolo, in ispalla sel puose e in Arno
lebbe gittato. E ritorn a Ranieri e disseli che la cappa li desse.
Ranieri disse: Tu lhai bene servita; e la cappa li diede. Lo
portatore disse: Ancora tornava l! Io li diedi tale in sulla testa
che tutte le cervella li fracellai e tutto lo bastone minsanguin;
mostrandoli lo bastone. Ranieri volse co lume vedere lo bastone
et a quello vidde le cervella e l sangue apiccato; stim costui
avere qualche persona morta e disse: Or non tel dicea io? A
cui lo portatore disse: Non torner giamai. E partesi colla
cappa.
La mattina Ranieri assai per tempo, per sentire se alcuna cosa si
dicea, stando alquanto a scoltare sento dire che prete Andrea di
San Donato non si trovava e chera stato trovato il suo libro con
una candella e molto sangue, e che il sangue seguia fine in sul
Ponte Nuovo e poi si cognoscea esser gittato in Arno. Et altro
non se ne sapea. Sentito questo, labate di San Nicol, la matina
non trovandosi fra Ghirardo, frate Nastagio e frate Zelone, do-
mandando di loro, neuna cosa se ne sentia: stimando labate si
fusseno partiti o vero per loro cattivit fatti perire, e di loro al-
cuno impaccio non si diede. Ranieri colla moglie secretamente
426

si mantenne, n mai da tali fu pi moteggiata.


427

18
(Triv. n. 17)

DE PERICULO IN AMORE
Di Checca delli Asini Figliuola di Asinino, vedua bella.

Fue innella citt di Firenze, in una contrada chiamata Santo


Spirito, una giovana bella nomata Checca delli Asini, figliuola
dAsinino, vedua, la quale stava in una casa a iiii solaia innella
quale tornavano pi donne faccendo ciascuna vita per s: innel
primo solaio tornava monna Lionora de Pulci; innel secondo so-
laio tornava monna Pasquina de Medici; innel terzo solaio stava
la stessa monna Checca, sola; innel quarto tornava monna One-
sta de Peruzzi vedua, con alcuna fante. Della quale monna
Checca uno giovano fiorentino nomato Matteo Rucellai, figliuolo
di messer Nicol, sinamor. E tanto fu lo stimolo che Matteo
diede a monna Checca che lei aconsento. Ritrovandosi alcune
volte con lei ad alcuno orto, con grande maestria Mateo caric la
Checca bene con gran paura delluno e dellaltro, perch molte
donne con Checca andavano; ma pur colto il tempo con Matteo
spessisime volte si prese piacere.
E dimorando per tale modo, parendo a Checca troppo indugiare
a dover stare fine che allorti andavano (per che alcuna volta
pioveva e di fuori lo giorno di festa non si poteva andare), deli-
ber Checca con Matteo che quando di fuora andare non si po-
tesse, che almeno ordinasse in qualche ordine di monache, pio-
vendo, che ella colle sue compagne a spasso andar potessero.
Mateo che una sua sorella avea in uno monistero di Santa Chia-
ra, disse che quello far volentieri.
E dato lordine colla sorella che quando piovesse potessero an-
dare, dicendo alla sorella lamore che portava a Checca delli A-
sini e tutto il suo pensieri, le disse che volea che quando Checca
colle brigate venissero al monistero, che lo metta dentro nascon-
dendolo dove si ripuone il fieno e quine ella conduca la Checca
428

e con lei stia: Tanto che Checca mabia servito. La sorella,


udendo tali parole dire al fratello, rispuose che tutto far, ma
ben vorr che Dio le facesse grazia che ella si trovasse . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . Checca delli Asini.
Lo fratello auta lambasciata e fatto sentire a Checca che quando
fusse maltempo invitasse la brigata al monistero di Santa Chia-
ra, Checca contenta che almeno non perder tempo per piova,
avenne che la domenica essendo maltempo, Checca invitato le
compagne al monistero l u doppo il desnare andarono, la ba-
dessa quelle misse dentro. E menatole in chiesa e poi per tutto il
dormentorio et alla cucina, le donne cherano con Checca si
prendeano piacere che la badessa mostrava loro i luogo; per
Checca, che non avea pensieri al monestero, ma pensando dove
potesse punere il sedere per potere Mateo in sul corpo sostene-
re, stava pensosa. Matteo che la sorella lavea messo dentro
innel monistero e messolo innel luogo dove si riponea il fieno,
dicendoli: Io condurr quella Checca dove tu potrai ripuonere
il tuo ronzino , Matteo, che ode il motto della sorella, sorri-
dendo disse: V alla badessa e dille che faccia alla brigata o-
nore.
La monaca sorella di Matteo si part e giunta in cucina, dove
trov la badessa colla brigata, e chiam da parte la badessa, di-
cendo: Poi che qui queste gentili donne sono venute bene
che sordini chelle abiano de maccheroni. E pertanto voi ve
nandate gi con costoro et io dar ordine. . . . . . . . . . vedendo,
pensava dover perdere la piumata, malanconosa stando e niente
rispondea. La sorella monaca di Matteo disse: Checca, io ti vo-
glio dimostrare bella cosa che pure immaginandola mi fa un
piacere sentire. Checca per ispasso pi tosto che per altro pen-
sier si mosse. La monaca la men dovera il fieno, e quine trova-
to Matteo, si ralegr, ma stupefatta dimostrando disse: Che
vuol dir questo, o monaca? La monaca disse: A me pare uno
ugello il quale qui venuto per beccare innel vostro granaio,
che volentieri io vorrei che un simile venisse a beccare innel
mio. Checca, che provato avea spesso tal cosa, non curando la
429

monaca sacost a Matteo: Mateo fattala certa che la monaca era


sua sorella, fu lieta. E gittatala in sul fieno, quine preseno dilet-
to e piacere a loro agio. La monaca, vedendo sentendo aspettan-
do, forno il suo desiderio e chiam Checca dicendo: Andiamo
a madonna la badessa, e dcoti che io ho sparto e tu hai ricolto.
Checca consolata si mosse et alcuni fili di paglia, o vero fieno,
avea alle reni apiccate.
Venuta alle compagne, la badessa cognoscendo disse: Checca,
tu se bella ora; fusse io stata quella cosa che quella paglia di-
rieto ti fe apiccare! Le donne cherano con Checca, cogno-
scendo quello che sa fare la femina e vedendo Checca innel viso
e ne panni dirieto increspati e la paglia, pensonno di lei sospet-
to e disseno: La badessa se ne potr assai contentare a trovarsi
s giovana e bene stretta come tu, Checca! Checca, che intende
le parole, infingendosi di intendere disse: Madonna la badessa
e voialtre, poi che qui siemo venute per prendere diletto e pia-
cere, non bisogna motti, ma se altra volta ci seremo, delle paglie
non essendocene, per noi se naregher. La badessa disse:
Costei ci fu altra volta. E ditto alle monache che i maccheroni
fatti aregassero e dellaltre cose, e cos fu fatto e mangionno in
santa caritade. E quine stato presso allora della cena le donne e
Checca preseno cumiato; la badessa offrendo loro lo monestero e
loro acettando, si partirono.
Giunte le donne a casa, ciascuna stimando Checca lo giorno a-
versi prima piena di sotto e poi di sopra, non voleano pi con lei
andare a feste, e cos le disseno la mattina seguente: Checca,
noi non vogliamo pi teco venire alle feste. Checca disse: O
perch? Le donne disseno: Per che tu tempi il corpo senza
noi richiedere. Checca infingendosi dintendere disse: Mai
non mangiai n in corpo mi missi se non erba o fieno: lerba a li
orti e l fieno al monistero senza voi. Rispuoseno le donne: Di
tale erba o fieno ne fusse pasciuta la nostra ronzina. E cos si
partirono.
Checca che la rabia non le mancava, ma crescendole, trov mo-
do, poi che di fuori et al monistero andar non potea, che Matteo
430

venisse seco a dormire, dicendoli: Tu puoi venire su per le sca-


le e passerai la prima sala e poi la seconda, e venuto a me con
diletto starai. Matteo, che l amava, disse: Volentieri. E la
sera ordinata se nand alla casa et entrato dentro saglo in sala
dove monna Lionora tornava, la quale colla sua fante filava: ve-
dendo unombra per la scala, disse alla fante che ombra era
quella. Matteo subito saglo la scala seconda, e gi monna Lio-
nora e la fante disseno a monna Pasquina. . . . . . . . . . dicendo
chera quello. Checca sentendo lo romore delle donne di sotto e
di quella di sopra, e dice a Matteo: Io so morta; che faremo?
Matteo che non vede modo potersi nascondere, sentendo monta-
re le donne di sotto e scendere quella di sopra, gittsi in sulla
finestra. Le donne disseno: Checca, u quelluomo che a te
venuto? Checca disse: Io non so che uomo. Disse monna
Onesta: Cerchiamo le finestre. Matteo, udendo ci dire, pens
non volere vergognar Checca, e gittandosi gi dalla finestra, a-
tenendosi colle mani alla balconata, divenne che sotto li piedi li
venne una cornice di ferro in su la quale uno de piedi vi tenea
stando colle mani alla balconata. Le donne, aprendo le finestre e
non vedendo alcuno, disseno: Per certo uno omo intrato. Se
tu non lhai in corpo, disseno a Checca, veramente in questo
solaio . Checca, che sapea che Matteo era in sulle finestre
montato, non vedendolo stimava esser caduto, per la qual cosa
lei esser vituperata, trovandosi Matteo morto. E non sapea che
fare e stava in pensieri.
Matteo, che apiccato era colle mani n altro sostegno avea auto
se non quella cornice di ferro, avendo pena grande e per lo mol-
to stare, pi volte diliber lassarsi cadere; ma pur la speranza lo
confortava, faccendosi forte si tenea. E tanto steo che le donne si
partirono tornando ciascuna alla sua camera. Checca, stimando
Matteo fusse caduto, si fece alla finestra e pianamente dicea:
Matteo, dove se? Matteo rispuose con bassa voce: Io son qui
assai doglioso. Checca disse: Torna su. Matteo disse: Se
vuoi che io vegna, prendi una benda et alle braccia me la lega e
tirami su, altramente montare non potr. Checca prese una
431

benda che avea in capo, alle braccia lei puose legandole; mon-
tata in sulla finestra, meglio che poto Matteo condusse in sulla
finestra.
E sceso in sala disse: Checca, omai ti dico che Matteo non si
trover pi a s fatti pericoli. Se il tuo sedere fusse pi odorifero
che moscato, non mi tapresser mai a questo modo. Ma se nella
paglia o fieno ti vorrai ritrovare, in terreno mi potrai avere. E
partitosi da lei, n mai pi si misse a tali pericoli.
Checca, svergognata n dalle donne pi acompagnata, con altri
che con Matteo si poto far battere la lana del suo montone.
432

70
(Triv. 69)

DE VIDUA LIBIDINOSA

Delle salsicce adoperate per monna Orsarella vedova da Firen-


ze.

Poi che giunti siamo in questa citt dove gran diletti di tutte co-
se si prende e massimamente di femine, e mi occorre una no-
velletta di racontare, la qual: in Firenze fu una giovana delli
Strozzi, vedua, nomata madonna Orsarella, la quale, essendo di
pogo tempo rimasa vedova dun suo marito, convenuta ritorna-
re a casa dun suo fratello nomato Matteozzo Strozzi, il quale a-
vea una giovanetta di moglie assai piacevole chiamata Anna,
faccendo insieme una famiglia; et a una mensa mangiavano e
tutte cose acomunecavano innella vita, salvo che Orsarella in
una camera sola per s si dorma vivendo onestamente.
Et essendo Matteozzo vago di salsicce, se ne fe a uno beccaio
fare alquante in morselli dun palmo e pi, assai grosse e fine, e
quelle ne mand a casa comandando che, fine che durano, ogni
d se ne cuoca un pezzo. Et apiccate quelle salsicce, com
dusanza, in una parete della casa, vedendo madonna Orsarella
quelle salsicce, ricordandosi del marito che quasi simile di for-
ma avea quellugello che pi volte riposto avea, pens con alcu-
ni de pezzi della salsiccia contentar la bocca stata di pasto di-
giuna pi tempo. E con alquanti di quelli si dava piacere intanto
che, maginando col marito essere, tenendo li occhi chiusi e in
mano la salsiccia, forna il suo piacere. E per questo modo quasi
ogni d pi dun pezzo di salsiccia logorava. E non molti giorni
durava la salsiccia comperata per Matteozzo che la fante li dicea
che delle salsicce comprasse. Matteozzo, che vago nera,
dellaltre simili a quelle comprava, et Orsarella di continuo con
quelle si pascea del disiato apetito. E parendo a Matteozzo le
433

salsicce logorare pi che non si solea, pens fra s che la fante


le desse a chichesia, o vero che da se medesma le mangiasse,
diliberando innomerare li pezzi per sapere quanti d durano.
Et ito alla taverna, fe conto per uno mese xxiiii pezzi vastare et
anco davanzo. E senzaltro dire steo atento di inomerare cia-
scun pezzo che innanti li venia. E cominci a nomerare et Orsa-
rella di quelle al suo mestieri adoperava, intanto che non fu pas-
sato il mezzo mese che la fante disse: Matteozzo, comprate del-
le salsicce, che non ce nha se non per una volta. Matteozzo,
meravigliandosi molto, pens per certo vedere chi quelle salsic-
ce toccava.
E senzaltro dire, delle salsicce compr; e postosi a vedere se la
fante le toccava, trov che non era quella chele salsicce logora-
va. Apresso steo a vedere se la donna sua quelle toccava: simil-
mentre trov non toccare. E dandosi a vedere quello che Orsa-
rella facea, trov che Orsarella ne prendea ii pezzi e con quelli
nandava in camera. Matteozzo di secreto si puone alla camera
credendo che Orsarella le mangiasse. E vedendo in camera non
esser fuoco, disse fra s medesmo: Mangerebe le crude? E
ponendosi a vedere, vidde Orsarella distendersi in su uno let-
tuccio, et alzatasi li panni dinanti a tutta scopertasi fine al cor-
po, chiudendo li occhi un pezzo di salsiccia innella grignapapo-
la si misse, e colla mano menandolo, per tal modo che Orsarella,
avendo messo la posta, il suo gitt in pari. E cos vidde ii volte
mettere e cavare. Matteozzo, che ci ha veduto, disse: Non me-
raviglia che le salsicce mancavano, a dire che Orsarella in uno
boccone ne inghiotte un pezzo! E partitosi, pens di vergognare
Orsarella.
E stando la sera a taula, Matteozzo dice alla fante: Domattina
cuoce un pezzo di salsiccia, ma fa che non sia di quelle che Or-
sarella si mette innella grignapapola; che non era meraviglia se
ogni d mancavano, a dire che ella in un boccone la salsiccia
cruda innella bocca senza denti si mettea. Orsarella, che ode
quello che fatto avea esser saputo, disse: O Matteozzo, pensi tu
che io non abbia desiderio de luomo come la donna tua? E d-
434

coti che le salsicce per me logorate stato cagione di preservare


il tuo onore: che se tali salsicce non avessero alquanto metigato
la rabbia della bocca senza denti, io larei dato tal boccone a
prendere che poga fatica arei auto a la mano, che senza adope-
rarvi mia mano sarei ben contenta. E pertanto ti dico: o tu mi
consenti le salsicce, ben che poco frutto faccino, o tu mi da nuo-
vo marito. Matteozzo, che ode la rabbia della sorella, per non
ricever magior danno n vergogna, la marit. Et ella senza sal-
sicce in parte content lapetito suo canino. E Matteozzo pi sal-
sicce comprar non volse perch in sdegno lerano venute.
435

97
(Triv. 116)
DE PESSIMA MALITIA IN PRELATO1

Fu nel contado di Bologna, dove stasera pensiamo essere, in una


villa chiamata La Valle, uno omicciuolo assai ricco chiamato
Papino, che dandosi a credere che una sua donna nomata Elco-
patrassa, bella di suo corpo, usando le chiese non le fallirebbe,
essendone molto geloso pens spessime volte oltra lusato anda-
re visitando le chiese del paese intanto che niente altro facea;
per la qual cosa da vicini era chiamato frate Papino. E perch
era assai di grossa pasta, non sapendo altro che l paternosso,
digiunava et erasi fatto delli disciplinatori. E tutte queste cose
facea per amore di Elcopatrassa sua moglie, la quale era di
xxiiii anni, bella e ritonda che parea pure uno corombalo rosso e
per lastinenza del marito e delli digiuni facea pi astinenza di
quel fatto che ella non ar voluto. E talora che ella arebbe volu-
to dormire con lui e scerzare, elli li racontava le dolce prediche
che udite avea; e con queste cose e simili spessime volte la con-
tentava a suo parere.
Ora avenne che, morendo il prete o vero abate di quel comune,
uno monaco della villa, il quale pi tempo in Bologna stato era ,
fu per li omini della Valle eletto e chiamato abate. Avea nome
questo abate don Muggino et era giovano e robusto della persona
e bello; con cui frate Papino prese somma domestichezza, chia-
rendoli ogni suo dubio. Et avendo con lui presa molta domesti-
chezza, spessissime volte lo menava a cena et a desnare con lui.
E cognoscendo don Muggino la condizione di frate Papino e del-
la moglie, e vedendola s bella e fresca, savis che la donna do-
vesse patire disagio di quello che le donne sono pi desiderose.

1Questa novella non altro che una ripetizione, con poche varianti, della
79 [Triv., n 110], De prelato adultero.
436

E penssi di volere tollere fatica a frate Papino et inducer la


donna a suoi piaceri.
E postoli li occhi a dosso pi volte ben astutamente, tanto fece
che la donna di quel medesmo desiderio sacese che don Mugi-
no aceso era. Et acortosi il monaco che la donna era infiamata di
lui, quanto pi presto poto di opera di trovarsi con lei. E tro-
vatosi con lei, suo pensiero le narr; e posto che ben la trovasse
disposta a dare effetto allopera, nientedimeno ella fidar non si
volea esser col monaco in neuno luogo fuora di casa; et in casa
non era modo, perch l marito rade volte per gelosia sola la las-
sava. Di che il monaco portava assai dolore.
E stando pi tempo in tal maniera, li venne pensato un modo di
dover esser in casa sua senza sospetto. E chiam frate Papino
che con lui andasse al monesterio e quine li disse: Io ho assai
volte compreso che tutto il tuo pensiero dacquistare la gloria
di paradiso, et a questo veggo che molta fatica vi duri. E per ti
dico che se fare vorrai a mio senno con pi corta via che non
quella che cominciata hai vi ti far andare, per che noi tutti,
preti e prelati, lusiamo, ma il papa non vuole che ad altri si mo-
stri, acci che le limosine si faccino; ma perch mi pare com-
prendere che mio amico intimo sii e che quello che io ti dir a
persona non apaleserai (che ne sarei disfatto), ti dir e insegne-
r quel modo che la gloria di paradiso acquisterai. Lo frate, pi
tosto ismemorato che savio, li giura mai a persona del mondo
non dirlo.
Don Mugino li dice: Tu di sapere che la Chiesa tiene che chi
vuole acquistare la gloria di paradiso conviene fare la penetenza
che tu odirai. Ma intendi sanamente: io ti dico che tutti i peccati
che arai fatto prima del la penetenza ti saranno perdonati e da-
poi li peccati che farai nandranno per acqua benedetta. Con-
viensi adunqua luomo con gran diligenzia confessare e poi co-
minciare un digiuno di xl d, innel quale non che di toccare al-
tra femmina ma di toccare la tua propria ti conviene astenere. Et
oltra ci ti conviene avere innella tua propria casa alcuno luogo
donde tu possi vedere il cielo, et allora di compieta andarne a
437

questo luogo et avervi una taula molto larga ordinata che stando
tu in piedi vi possi le reni apoggiare e distendere le braccia a
guisa duno crocifisso; et in questa maniera guardando il cielo
stare senza muoverti punto fine a matutino; e se sapessi lettera ti
converr dire alquante orazioni, ma perch non ne sai ti conver-
r dire cc paternossi et aitante avemarie allonore di Dio e della
Santa Trinit, sempre riguardando il cielo. E poi, come mattuti-
no suona, te ne puoi andare e sopra letto cos vestito gittarti; e
la mattina apresso andare alla chiesa e quine udire almeno tre
messe e dire cinque cavate, e poi far con simplicit alcuni tuoi
fatti, e poi desnare e al vespro venire alla chiesa, e poi in sulla
compieta ritornare al modo che ditto tho. E questo faccendo,
come feci io, spero che innanti la penitenza sia finita sentirai
meravigliose cose della etterna beatitudine, se con divozione fat-
ta larai. Frate Papino disse: Questo non gran cosa, che si
pu assai gevilmente fare, per che al nome di Dio voglio dome-
nica cominciare.
E da lui partitosi, se nand a casa e con sua licenzia ordinata-
mente alla moglie disse ogni cosa. La donna inteso che l mona-
co potea aver agio di lei fine al mattino, disse al marito che a lei
piacea pur che facesse bene per lanima sua e che nera molto
contenta; et acci che Dio li facesse la sua penitenza profittevi-
le, volea con lui digiunare ma non altro fare.
Rimasi adunqua in concordia e venuta la domenica, frate Papi-
no cominci la sua penetenza, e messer lo monaco, convenutosi
colla donna di notte (che veduto non potea essere), il pi delle
sere se nandava a cenare con lei, sempre ben da mangiare e da
bere seco regando; poi con lei si giacea fine a lora del mattino.
Il quale levato, se nandava, e frate Papino tornava a letto.
Era i luogo che frate Papino avea eletto a lato alla camera dove
la donna col monaco si davano diletto, n daltro era diviso se
non duna parete; per che ruzando messer lo monaco colla don-
na alla scapestrata, et ella con lui, parve a frate Papino sentire
alcuno dimenamento di solaio. Di che avenne che, gi avendo
ditto c paternossi e fatto punto quine, chiam la donna senza
438

punto muoversi, domandandola ci chella facea. La donna, che


mottegevole era, forsi cavalcando allora senza sella la bestia di
san Benedetto o vero di san Francesco, disse: Marito mio, io mi
dimeno quanto posso. Disse allora frate Papino: Che vuole di-
re questo dimenare? La donna ridendo (che valente era e forsi
avea cagione di ridere) rispuose: Come, non sapete voi che ci
vuol dire? Chi la sera non cena tutta notte si dimena. Credette
frate Papino che l digiunare che mostrava di fare li fusse cagio-
ne di non poter dormire. A cui elli di buona fede disse: Donna,
io tho ben ditto: Non digiunare! , ma pur, poi che lhai vo-
luto fare, non pensare a ci ma pensa di riposarti, che tu dai tali
volte per lo letto ch tutta la casa fai tremare. Disse allora la
donna: Non ve ne caglia, chio so bene ci chio fo: fate pur
ben voi, chio far bene io se potr!
Ristetesi adunqua frate Papino e rimisse mano a paternossi, e
la donna e messer lo monaco da questa notte innanzi fatto in al-
cuna parte della casa conciare un letto, dove quanto dur il
tempo della penetenzia con grandissima festa si stetteno, e
quando il monaco se ne andava, la donna al suo letto tornava.
Continuando la donna il suo diletto col monaco, pi volte motte-
giando la donna disse al monaco: Tu fai fare la penitenza a fra-
te Papino, per che noi abiamo acquistato paradiso.
E parendo alla donna molto bene stare, s savezz a cibi del
monaco, che essendo dal marito lungamente tenuta a dieta, an-
cora che la penetenzia di frate Papino si compiesse, modo trov
di pascersi in altra parte con lui, che lungamente ne prese suo
piacere.
439

150
(Triv. 149)

DE NOVO LUDO

Innel contado di Firenze, in una villa chiamata Staggia, fu una


donna nomata Ancroia, moglie di un Tomeo molto divoto di san
Martino.

L.. aldevile proposto, voi, cari e venerabili religiosi, ' m'ocorre


innella mente di dire una novella la quale penso che alle donne
sar assai pogo a grado (anco a de li altri, che per tal novella si
potr comprender la cosa). E' fu nel contado di Firenze, in una
villa chiamata Staggia fuora delle mura, una donna nomata An-
croia, moglie d'uno nomato Tomeo molto divoto di san Martino.
Il qual Tomeo ogn'anno per reverenza di san Martino molti pove-
ri acettava, seco tenea; e questo non mancava mai. E ben che ad
Ancroia sua moglie molto tal atto dispiacesse, nientedimeno tale
divozione il ditto Tomeo facea.
Avea questa sua donna ancora tanto la caldezza del culo che,
non parendoli sofficente il marito, con de li altri tale caldezza
temperava. E pi volte il marito acortosene, dispiacendoli, di
parole l'amaestrava e niente valea. Pur un giorno ella, fingendosi
di volere il marito contentare, disse: O Tomeo marito mio, io
cognosco che 'l fallo che fine a qui ho fatto stato molto pi che
non si conviene a una mia pari; e pertanto ti prego che mi per-
doni e troverai che pi non vi cadr. Tomeo contento di tal par-
lare disse: Donna, omai fa quello ti piace, che io sar conten-
to. La donna, avendo dato la caparra al marito, pens potere la
sua mercantia bene spacciare.
E spiato d'alcuna sua vicina non meno trista di lei come i' loro
prete era fornito di sotto a massarizia, fulle ditto che alla catela-
na potea in ogni buona terra comparire. Avea questo prete nome
il prete da Codiponte nomato Frastaglia. La donna lieta di tal
440

prete, il pi tosto che poto co' lui con un bel modo s'adomestic
e per quella mezana che molti di quel vicinato provato avea, e
l'Ancroia il prete prov; e parendoli buono, con lui spesso si tro-
vava con fare cene e desnari, li quali col prete si godea e del
marito niente curava.
Tomeo, che la sua divozione d' poveri per amor di san Martino
non lassava, essendo venuto la vigilia et avendo comprato di
molta carne et alla donna data che quella cocesse per dare a'
poveri per l'amor di san Martino; lei dicendo che tal carne non
cocer', e pi, che in tal die non si trover' in casa e se lui volea
cuocere la cocesse e di lei per quel giorno non facesse menzio-
ne; Tomeo, non potendo altro fare, la mattina levatosi per tempo
e la carne cotta e messa da parte e fuora andato per quelli poveri
che a mangiare era uso di tenere; la donna, come vidde Tomeo
fuora uscito, preso un fiasco del buon vino, una tovagliuola, al-
quanti pani e della carne cotta per Tomeo, et al prete Frastaglia
se n'and e con lui si di tutto quel giorno piacere, pascendosi
di carne cruda e carne cotta per ii bocche; e perch non li man-
casse la provenda, la notte simile col prete si rimase.
Tomeo, avuto i poveri e fatto loro sommo onore, doppo desnare li
racomand a Dio dicendo loro che pregassero san Martino che li
desse buoni ricolti. La mattina madonna Ancroia, tornata a casa,
cominci a gridare dicendo: Or cos fa, Tomeo, consuma e ba-
ratta quello che noi abiamo e vederai se san Martino ti riempier
la botte e l'arca del grano! Tomeo disse: Donna, tuoi peccati
m'induceno a ci fare. La donna disse: Lavora col tuo, et io
quanto potr lavorer col mio. Et in tal maniera venne l'ora del
desnare; e desnati, Tomeo prese suoi ferri et alla vigna n'and.
E pogo stante a lui aparve uno in forma di lavoratore, dicendoli
se lui volea tenere a lavorare. Tomeo, che d'un tale avea biso-
gno, disse: S, ma io voglio sapere a che pregio vuoi meco sta-
re. Disse i' lavoratore: Io non voglio altro che le spese, ma ben
ti dico che quando fusse maltempo io non vo' lavorare; et ogni
altro d lavorar voglio salvo le domeniche. Disse Tomeo: Et io
sono contento, ma io non voglio che il d di san Martino lavori.
441

Colui disse che era contento e che volea con lui stare tanto
quanto la moglie mutasse linguaggio. Tomeo contento della buo-
na ventura venutali dinanti, e fatto il mercato, a casa lo men.
La donna, che questo vede, pensando non potere il prete a sua
posta menare in casa, disse al marito: Or ben tel dico io che
vuoi quel pogo che ci consumare! Ma tanto ti dico che mentre
che costui terrai, io a' lavoro non enterr, n anco non voglio
ch'' in casa solo rimagna senza te. Tomeo dice esser contento.
E venuto la mattina, Tomeo e quello lavoratore andonno al lavo-
ro, e secondo che gli altri lavoratori faceano, a Tomeo parve co-
lui aver lavorato iiii cotanti, tenendosi ricco se tale dimora seco
uno anno.
E passato pi giorni et avendo quasi tutto il suo terreno lavorato,
una mattina molto piovendo, lo lavoratore si mosse et and al
campo a lavorare. Tomeo dice che non vi vada perch mal-
tempo. Lo lavoratore dice che a lui assai buon tempo, e quine
tutto 'l giorno lavor; e se di prima avea fatto per iiii, il giorno
multiplic sua forza. Tomeo loda Idio di tal ventura. E passato
alcuna stimana, essendo vento, Tomeo and a lavorare; lo giova-
no ristatosi in casa dicendo a Tomeo: Oggi maltempo per me,
io vo' stare in casa , Tomeo lieto lui solo a' lavoro n'and.
La donna, che di continuo col prete Frastaglia si coricava, il
giorno avea ordinato che a lei venisse. E parendo alla donna che
molto indugiava , non sapendo che 'l giovano lavoratore in casa
fusse, avendo messo prima a fuoco una gallina con un pezzo di
salsiccia e quella gi cotta, si mosse di casa. Et andando per
una via al prete, e 'l prete venendo per un'altra fu giunto a casa,
dove il giovano, chiuso l'uscio, dentro stava. E per uno pertuso,
che spesso il prete avea gi incavigliata Ancroia, picchiando e
chiamandola, il giovano, mutato voce, in modo d'Ancroia disse:
O sere, voi al presente entrar non potete per che ci i' lavora-
tore che venuto per lo desnare, ma prima che vi partiate for-
niamo nostra imbasciata a l'usato modo. Lo prete, messosi ma-
no al pasturale, credendo fusse la donna, di buona misura ne fe'
partifici il giovano. Lui con uno cortello quella giusta misura ta-
442

gli e niente al prete ne rimase, e di pena quasi moro. E tenen-


dosi ingannato dalla donna, per non esservi trovato et anco per
la pena, quanto poto cos sanguinoso alla sua calonica n'and
et innel letto si gitt. Lo giovano, tratto la salsiccia dalla pentora
e quella salsiccia del prete messavi, si nascose.
E come la donna non trov il prete a casa, pens lui esser a casa
venuto: e ratta si mosse e ritorn a casa pensando lui trovare. Et
entrata in casa e veduto il prete non esservi, essendo l'ora del
desnare, prese la gallina e la pentra et in una canestra la misse
et a casa del prete la porta. E saglito la scala, il chierico disse
alla donna che il sere avea male. La donna di ci dolendosi dis-
se al chierico dove fusse. Lo chierico rispuose: In su' letto. La
donna subito entrata in camera disse quello che volea dire il
male che avea. Il prete disse: Donna, quello tu vuoi. La don-
na, che niente di tal cosa sapea, disse: Io ho aregato che noi
godiamo. Et aperta la canestra, trasse quella gallina della pen-
tra e quella salsiccia vestita. Lo prete, come vede quello che a
culo pi tempo portato avea, fra s medesmo disse: Ora costei
vuole che io mangi cotto quello che ella centonaia di volte ha
mangiato crudo. E senz'altro dire, le parve esser certo che la
donna fusse stata quella che tal cosa tagliata avesse.
E chiamatala, disse: O Ancroia, prima che io muoia io ti prego
che mi consoli che alquanto la lingua tua mi metti in bocca, ac-
ci che la dolcezza della tua bocca mi faccia sano. La donna
lieta, sperando da lui aver ripiena la furia di sotto et anco per
desiderio di baciarlo, lassato le vivande, al prete s'acost e
quanto pi poto la lingua li misse in bocca. Lo prete dicendole:
Amor mio, cos com'io tutto il mio pasturale ti mettea, cos ora
tutta la lingua in bocca mi metti; la donna isforzandosi di tutta
metterla, il prete abracciandola che da lui partire non si possa,
tenendola stretta, la lingua co' denti prese e quanto n'avea recise
co' denti e innel viso li la sput, dicendo: Putana, ora sono
vendicato del tagliare del mio membro! Et anco l'avei aregato
acci che io quello mangiasse!
La donna, rivoltatasi e cognosciuto quello pincorale, non sapen-
443

do come stato fusse tagliato si volea scusare, ma per lo tagliar


della lingua non poto, e con pena ritorn a casa. Dove trovando
Tomeo, disse lo giovano ch'' con lui non potea pi stare poi che
la donna sua avea mutato favella, narrandoli tutto, e quello del
prete e chi elli era.
E licenziato, si parto dicendoli: Cos ripremia san Martino chi
lui serve. Lo prete a poghi d si moro e l'Ancroia trista si visse
a stento. E Tomeo ringrazi san Martino del buon servigio a lui
fatto.
444

41
(Triv. 140)

DE ROMITO ADULTERO ET INGANNO

Fue innella citt di Bellem in Giudea uno nomato Esaia con una
sua figliuola, Isabetta.

Innella citt di Bellem in Iudea fu uno ricchissimo uomo nomato


Esaia, il quale avea una sua bella figliuola nomata Elisabetta,
che essendo giudea et avendo pi volte udito da' cristiani pre-
giare la fede di Cristo, un giorno ella ne domand uno cristiano
in che maniera e con meno fatica si potesse servire a Dio et ac-
quistare paradiso. Colui disse che quelli che meglio serveno a
Dio sono quelli che pi le cose del mondo fuggeno, e tali sono
quelli che sanno insignare altrui l'andare a paradiso.
La giovana, che simplicissima era d'et di xv anni, non da ordi-
nato desiderio ma da cotal fanciullesco apetito, senza farlo a
persona sentire, e la seconda mattina se n'and verso la valle
Imbron tutta soletta; e con grande fatica pi d durando, in quel-
la pervenne. E veduto dalla lunga una casetta, a quella n'and,
dove trov uno romito sovra l'uscio, il quale, meravigliandosi
vederla, la domand che andava cercando. A cui rispuose che,
spirata da Dio, andava cercando d'esser al suo servigio spettan-
done aver premio. Il valentuomo, vegendola giovana assai bella,
temendo che 'l dimonio non lo 'ngannasse, le cominci a dire lo-
dando la sua buona disposizione. E dandole alquanto da man-
giare radici d'erbi e pomi salvatichi, li disse: Figliuola mia,
non guari lontano uno santuomo, il quale di ci che tu vuoi e
vai cercando miglior maestro che io non sono; a lui te n'an-
drai. E missela innella via.
Et ella a ventura andata alquanto avanti a uno giovano romito il
cui nome era Urbano, e quella domanda li fece che a l'altri fatta
avea; e quello romito, senza volere da lei altra prova, innella sua
cella la ritenne. E venuta la notte, uno letticiuolo di foglie da
445

una parte li fece e sopra quello disse che ella si coricasse. E


questo fatto, le tentazioni non preseno guari di andugio che vin-
seno la battaglia con costui faccendoli dimenticare ogni orazioni
e discipline e regarsi innella mente la bellezza della giovana.
Oltra questo, incominci a pensare che via o che modo potesse
tenere d'usare con lei. E prima con certe domande prov, et ella
non avendo mai cognosciuto omo ma simplici stando, il preditto
romito pens sotto spezie di servire a Dio doversi costei regare a'
suoi piaceri.
E primamente le mostr quanto era a grado a Dio di metter il
diaule innello 'nferno, al quale Domenedio l'avea dannato. La
giovana il domand come ci si facesse. A cui lo romito disse:
Tu lo saprai tosto, e per farai quello che a me far vedrai. E
comincisi a spogliare quelli poghi di vestimenti che avea; ri-
mase tutto nudo, e cos ancora fe' la fanciulla. E puosesi ginoc-
chioni a guisa come adorar volesse, e dirimpetto s fe' star lei. E
cos stando, essendo Urbano pi innel suo desiderio acceso per
vederla cos bella, crescendoli la carne raguardando Elisabetta,
ella meravigliandosi disse a Urbano: Che cosa quella che io
veggo che cos si spinge in fuori? Lui disse: Figliuola mia, eli
il diaule di che io t'ho parlato che mi d ora grandissima mole-
stia tanto che a pena lo posso sofferire. Allora disse la giovana:
Laudato sia Idio che io non ho cotesto diaule come avete voi!.
Disse Urbano: Tu di' vero, ma tu hai un'altra cosa che non l'ho
io, et haila in cambio di questo. Disse Isabetta: Qual' des-
sa? A cui Urbano disse: Tu hai lo 'nferno, e dcoti che io cre-
do che Dio t'abbia qui mandata per salute dell'anima mia, per-
ch se questo diaule mi dar pur questa noia, dove tu vogli aver
di me piet ch'i' lo metta innello 'nferno, mi darai grandissima
consolazione et a Dio farai piacere e servigio. La giovana di
buona f rispuose: Padre mio, poi che io hoe lo 'nferno, piac-
ciavi mettere lo diaule dentro. Disse Urbano: Figliuola, bene-
detta sia tu!
E menatala in su uno lettuccio, fattala stare riverta, e lui . . . . .
. che mai neuno diaule avea messo innello 'nferno, per la prima
446

volta sentito alquanto, e disse a' romito: Per certo, padre mio,
mala cosa d esser questo diaule, et anco nimico di Dio, che,
non che ad altri faccia male, vi dico che a lo 'nferno ha fatto ma-
le. Urbano disse: Figliuola mia, non averr sempre cos. E
per fare che questo non avenisse, prima che di quine si partis-
seno, sei volte rimisseno quel diaule innello 'nferno, tanto che la
rabbia per quella volta li trasse. E dapoi ogni d simili misteri
faceano.
Avenne che 'l giuoco cominci alla giovana a piacere, e disse a
Urbano: Ben veggo che alli cristiani di Bellem . . . . . . che di-
ceano servire a Dio s dolce cosa, che per certo non mi ricordo
che mai cosa facesse che tanto diletto mi desse come questo
mettere il diaule innello inferno. E per io giudico che ogni per-
sona che ad altro che servire a Dio si mettesse, sar' una be-
stia. E spesse volte dicea a Urbano che mettesse il diaule in-
nello inferno, dicendo: Se 'l diaule stesse cos volentieri inne lo
'nferno come lo 'nferno lo riceve, non se ne uscir' mai! Urbano
avea gi la bambacia del farsetto cavata, intanto che a tal'ora
senta freddo che un altro ar' sudato; e per cominci a dire al-
la giovana che non bisognava metter il diaule inne lo 'nferno se
non quando per superbia alzasse il capo: Ma il tuo inferno l'ha
s casticato che poga superbia ormai ar. Disse Elisabetta:
Poi che 'l mio inferno ha casticato il tuo diaule castichi il mio
inferno, per che mi d tanta pena che nol posso sofferire senza
diaule dentro. Urbano disse: Troppi diauli bisognano a pascer
lo 'nferno, ma io ne far quanto potr. E cos seguo alquanto
tempo.
E dapoi Elisabetta per consiglio d' romito si ritorn a casa, e
maritatasi poto a suo destro metter uno o pi diauli innel suo
inferno.
447

152
(Triv. 151)

DE MULIERE VOLUPTUOSA IN LIBIDINE


Di Popone mugnaio in Empoli, e di messer Veri d'
Medici e della donna con Popone.

innel contado di Firenza in una villa nomata Empoli fu un genti-


luomo fiorentino d' Medici nomato messer Veri, il quale a-
vendovi uno palagio et alquante possesioni fra le quali era uno
molino innel quale tenendovi un mulinaro nomato Popone So-
prano avea, questo messer Veri, una bellissima donna noma-
ta madonna Vezzosa de li Adimari, d'et di anni xxxvi. Et essen-
do il ditto messer Veri andato a suo diporto a Empoli e statovi
colla donna sua pi giorni e visitato le sue possessioni, del mese
di agosto quasi all'uscita del mese, un giorno di domenica, ma-
donna Vezzosa andando a spasso con alquante donne d'Empoli
per la terra et a li orti e giardini fuori d'Empoli, e tornando per
una via dove si tenea una taverna di vino a minuto innella quale
erano alquante meretrici di pubblico e quine dandosi piacere tra
loro, fu ragionato per l'una di loro all'altre, et alla presenza d'al-
quanti omini che quine beveano, in questo modo: Ben vi dico
che Popone molinaro di messer Veri meglio fornito di sotto di
pasturale che omo che mai trovasse; et hami s sazia che per otto
d star contenta. E questo dicea mentre che madonna Vezzosa
co l'altre passava di quine; e tanto fu il dire alto, che madonna
Vezzosa tutto sent, e faccendo vista di non intendere pass via.
Avendo innel cuore concetto tal parola, pens tale pasturale
provare lo pi tosto potea e parendoli mille anni che a casa
giunta fusse per potere il suo pensieri mettere in effetto.
E giunta a casa la sera, disse a messer Veri che volentieri anda-
r' a veder il molino: Per vedere se la farina che 'l mugnaio
macina ad altri cos trista come quella che d a noi. Messer
Veri, che sempre avea auto bella farina, disse: Donna, tu s'
errata, per che il nostro mugnaio ci serve bene. La donna dis-
448

se: Per certo a me non pare esser mai da lui stata cos ben ser-
vita come voi dite, ma se io veggo che a li altri non faccia meglio
che a noi ser contenta. Messer Veri disse: Fa ci che ti pia-
ce. E datoli licenza, la donna la notte non potendo dormire i-
maginando quello che far volea, di che messer Veri disse: Or
che vuol dire, donna, che stanotte non dormi? Ella disse: Il
caldo grande che mi pare che ci sia mi d rincrescimento, e
parmi mille anni che sia die che io mi possa alquanto bagnare i
piedi innell'acqua del nostro molino. E cos si pass la notte. E
levata del letto, chiam una sua fante, la qual pi volte era stata
con lei quando madonna Vezzosa si dava piacere con suoi aman-
ti, e disse: Prendi uno asciugatoio e vieni meco al molino.
E giunti al molino, dove Popone, per lo caldo non tenendo bra-
chi, li pendea al ginocchio una carne che assai se ne potea ben
contentare chi quella riponea; e sopragiunta la donna al molino,
non essendovi altri che 'l mugnaio, la donna fatto stare di fuori
la fante a l'uscio n'and, e prima che 'l mugnaio s'acorgesse di
lei, ella, entrata piano dentro, e quello pasturale colla mano di-
rieto l'aferra. Lo mugnaio sentitosi afferrare, subito voltatosi
vidde ch'era madonna Vezzosa, a cui elli disse quello volea dire
l'esser quine venuta e senza dire niente entrata dentro, perch,
se ditto avesse che venir dovea, l'ar' trovato colle brachi, e che
li perdonasse se cos trovato l'avea. La donna, senza molto dire,
disse: Spacciati, che questa carne mi metti innella mia e per
altro non ci sono venuta; e quello che di te intesi vero. Lo
mugnaio disse: Deh, madonna, ditemi che avete inteso di me.
La donna disse: Che tu avei il pi grande e grosso pasturale
che altri di questo paese e che tu ne sazi le femine per otto d. E
pertanto briga tosto di farlo, e come n'hai altre sazie cos ora me
ne sazia. Et alzatasi i panni dirieto, lei si misse in sul palmento
del molino. Popone, che avea il bastone ritto, gittatosi sopra di
lei, prima che calasse le vele ii volte la forno. La donna, che di-
siderosa era di tal cosa, volse che la terza fornisse.
E mentre che la donna s'era partita di casa, messer Veri, imma-
ginando lo subito apetito della donna con volere andare al moli-
449

no, sapendo in che modo pi volte lui trovato avea Popone, pen-
s: Per certo potrebbe esser gatta. E montato a cavallo, verso
il molino cavalca. Et essendo la donna per gittare con Popone la
terza piumata, la fante, veduto messer Veri, subito se n'and al
molino dicendo: Levate su, o madonna, che messer Veri
presso! Lo mugnaio, subito levatoseli da dosso, per paura dis-
se: Come far? Avendo la camicia assai grande, la donna li
disse: Metti il tuo pasturale innella farina e me lassa uscire da
quest'altro uscio, e senza che di niente ti dimostri, intendi al
macinare. Lo mugnaio cos fece, e la donna, uscita dirieto al
molino, scalzatasi, co' pie innell'acqua si stava.
Messer Veri, che dalla lunga cognosce la fante esser sola di fuo-
ri dal molino e non vedendovi la donna sua, stim col mugnaio
dover essere. E fatto concetto di trovarli insieme, di trotto giunse
al molino. E sceso, senz'altro dire entr dentro. E vedendo il
mugnaio alla tremogia, subito alzatoli la camicia li riguard il
pasturale. E vedutolo tutto infarinato, mottegiando disse: Vor-
restilo far friggere poi che s 'nfarinato l'hai? Lo mugnaio disse:
Deh, messer, pur co' motti! I miei pari con fatica lavorano
quello che altri lavorar d.
Messer Veri, senza pi dire aperse l'uscio e la donna trov che
co' piedi innell'acqua si stava. Domandandola se avea tal caldo
che cos li bisogni di stare, la donna disse: Per certo, marito
mio, lo caldo che io hoe s grande, che pensare nol potreste, n
miga passato mezza ora che io avea una fiamma in sul petto
che s fortemente m'agravava, che se io non m'avesse alquanto
scalzata e qui entrata, voi m'areste trovata in terra come morta.
E dcovi che a me pare che questo nostro mugnaio egualmente
macina a noi come a li altri e pi non me ne posso dolere; ma
ben vi dico che mi pare che faccia s mala massarizia della fari-
na che molto ne d perdere e tristamente gittar via, e voi sapete
quanto si d aver guardia ch'ella non si perda. E pertanto co-
mandateli che della nostra almeno non consumi, che prima vor-
rei che quella che spande de l'altrui grano riserbasse a me che
tristamente ad altri la desse.
450

Messer Veri, che ode una sottil loica, mostrando di non intende-
re disse: O donna, per certo la buona farina si vuole dare a chi
bene la riceve. Ella disse: Veramente, marito mio, voi dite ve-
ro: e che sanno queste contadine che sia buona da cattiva farina,
per che a loro pare cos buono il pan del miglio come del gra-
no? E noi che siamo in tutte cose esperte, non avendo buona fa-
rina non vi saprei far buon pane. E per comandateli che quella
che a noi d dare, dia pura e netta, e di ci io ne ser ben conso-
lata e tutto cognoscer. E chiamatolo, disse: O Popone, mu-
gnaio del mio marito, io ti dico presente lui che buona farina
serbi per noi e la gattiva d a chi n' uso di mangiare, per che
noi non mangeremo di quella che questi contadini mangiano.
Lo mugnaio, inteso il motto, disse: Io mi sforzer servirvi quan-
to a me ser possibile, ma ben vi prego che quando voi e 'l vo-
stro marito voleste venire al molino, che d'un'ora dinanti mel
mandiate a dire, acci che io possa la buona farina a voi serba-
re. La donna disse al marito: Per certo questo vostro mugnaio
v'ama molto, che par vi voglia servire in fede e forsi non vuole
che altri sappia quello che far vorr. Messer Veri, che sempre
li parea che la moglie avesse il mugnaio a dosso, disse: Donna,
' mi piace: metteti le scarpe et innell'acqua pi non t'affredare,
che per questa mattina mi penso ti debbi esser assai contentata
di stare inne l'acqua. La donna disse: Voi dite il vero; e
messosi in pi, di buona voglia racomand a Dio il mugnaio, di-
cendoli che altra volta a lui verr per veder il molino.
E partitasi, con messer Veri e colla fante giunseno a Empoli, l
u' era per lo desnare aparecchiato. E ben che messer Veri dimo-
strasse buona cera verso la donna, nientedimeno il sospetto non
li usca del cuore, e pensoso fra s immaginava come potesse la
gatta giungere al laciuolo, e dicea: Donna, per certo lo mugnaio
sta assai bene in casa a massarizia. La donna disse: Io me lo
stimo, tanto lo veggo saccente; ma se a voi fi' in piacere, io ne
sar asai pi certa che ora non sono. Messer Veri disse: A tua
posta , ma ben vo' che prima che l vadi, ordini che qui sia fatto
451

desnare, che se non tornassi io possa ad agio desnare. La don-


na disse: Marito mio, il vostro buon pensato.
E non volendo la donna perdere tempo, da inde a poghi giorni si
mosse colla fante e al molino n'and, dove trovando Popone col
pastural ritto volse che di buona voglia contentasse la sua guin-
tana. E prima che di sul palcito si levasse, tre pizzicate dienno
insieme in quelle disiate prese. E dapoi la donna levatasi, vo-
lendo pi agio avere, pensando non esser da tale atto desta, con
Popone in su uno letto si puose, dove Popone in sul corpo li
mont n prima ne scese che la donna e lui ii volte fornirono lo-
ro imbasciata. E mentre che tale cosa faceano messer Veri ve-
nendo dall'altra parte, la fante disse: O madonna, messer Veri
viene di sopra! La donna disse a Popone: Tosto va e innell'a-
cqua ti bagna e di quine non ti partire, et io a' molino me n'an-
dr. E pensando che il marito non volesse di lei far prova, si
puose a sedere avendo una spatola in mano e spazzava la farina
che raspava.
Messer Veri sopragiunto, entrato innel molino, vedendo la donna
al molino colla spazzora in mano e guardando, non vedendo il
mugnaio, disse ove fusse. La donna disse: Sapendo che voi qui
dovavate venire, lui con alcune suoi arti ito innell'acqua per
prendere alcuni pesci, et io perch voi fuste servito di ci mi so-
no posta a fare macinare tanto ch'' torni. Messer Veri, dirizza-
to l'occhio a' letto, vidde quine assai chiaro dover esser stata la
donna sua. E voltatosi disse: O donna, molto mandi le tuoi cose
in ambandono. E mostratoli uno straccio col quale madonna
Vezzosa se n'avea forbito la guintana, lei non sapendo altra scu-
sa disse: Deh, messer Veri, non vogliate vedere pi oltra che vi
bisogni, per che cotesto che trovato avete infine da casa ci a-
dussi, e non avendo altro luogo dove io pi mi contentasse di
lassarlo, fu cotesto; n miga per questo non vi dovete coruccia-
re. Messer Veri disse: Donna, tu hai ragione. E chiamato il
mugnaio, disse che a lui venisse.
Lo mugnaio, che tutto avea inteso, preso d'un suo luogo alcuni
pesci, e tutto bagnato venne innel molino e disse: O messer
452

Veri, ecco di quelli pesci che qui si pigliano, ma ben vi dico che
sono assai piccoli alla famiglia vostra. Messer Veri mostrandosi
lieto quelli prese et alla donna disse che a desnare a Empoli
s'andasse. La donna lieta, pensando che 'l marito niente avesse
sospetto, con una canzonetta si mosse cantando colla sua fante,
et a Empoli tornarono dove desnarono.
E mentre che desnarono sopravenne una lttora a messer Veri
che subito fusse a Firenza per alcuno fatto stretto. Di che messer
Veri, montato a cavallo et alla donna lassato la cura della casa,
si parto e pi d a Firenza si steo. E mentre ch'' stava a Firen-
za, la donna col mugnaio ogni d si trovava. Et era tanto multi-
plicato l'ardire che preso aveano, che la donna pogo si curava
d'alcuna cosa, e sempre la fante seco menando.
Compiuto il servigio che messer Veri fare dovea a Firenze e li-
cenziato, se ne venne a Empoli; e non trovandovi la moglie, sti-
m quello era, che col mugnaio si godesse. E senza farlo a per-
sona asentire, come pellegrino si vesto e con uno bordone in
mano si mosse e camin verso il molino, dove la fante di lui non
prendea guardia. Et andando a fare alcuna faccenda, il ditto pel-
legrino sopragiungendo al molino, trov madonna Vezzosa esser
di sotto al mugnaio et il mugnaio di sopra, menando l'uno il mo-
lino e l'altra la tremogia tanto che la farina macinata fu. Messer
Veri che dentro intrato, vedendoli che di quine non si partano
ma di nuovo cominciavano la danza, non potendo pi sostenere,
con quello bordone percosse in sulla schiena il mugnaio per tal
forza che pass lui e la donna. E senza apalesarsi, cos infilzati
li lass e del molino se n'usco lassando il bordone et a Empoli
torn. Lo mugnaio e la donna che aitar non si puonno, misero
alcuno grido. La fante tratta l e trovatoli morti, cominci ella
simile a gridare. Li vicini tratti, trovonno l'uno e l'altro morti a-
bracciati con le cosce di ciascuno aparecchiate al servigio che
fatto aveano. E saputosi a Empoli la morte della donna e del
mugnaio, messer Veri, benedicendo chi di tal fatto era stato fat-
tore e fattola sopellire assai tristamente, a Empoli si ritorn n
mai si seppe che lui fatto l'avesse.
453

E per questo modo fu punita colei che di rabbia mora.


454

154
(Triv. n. 153)

DE PAUCA SAPIENTI A VIRI CONTRA MULIEREM


Di messer Nicol Bisdomini e di monna Piacevole di Firenze.

innella contrada dal Ponte alla Carraia dimorava con una sua
donna nomata madonna Piacevole, di quelli da Rabatta, donna
molto della casa e del suo marito maestra, la quale pi volte del-
la sua persona avea fatto prova di ritrovarsi or con uno or con un
altro , divenne che una sera, tornando messer Nicol da la
stufa et avendo seco uno barbieri suo vicino nomato Nanni e col
ditto trovatosi alla stufa, parve al ditto messer Nicol che il ditto
Nanni fusse assai ben a soficenzia fornito di sotto da potere cia-
scuna donna ben fornire.
Et avendo il preditto messer Nicol ci veduto, non potendo in
s tenere quello che veduto avea, ritornato in casa et essendo
per cenare, messer Nicol ricordatosi della buona misura del
barbieri cominci a ridere. La donna, che rider lo vede, volendo
da lui sapere la cagione di tal riso, lo cominci a domandare.
Messer Nicol pur ridendo dice: Donna, del mio ridere non ti
d' curare. La donna disse: Per certo, prima che mangiate voi
mi direte unde viene tale riso. Messer Nicol, che pogo pensie-
ro avea al pericolo che di ci potea seguire, disse: Donna, poi
che tu pur vuoi che io ti dica la cagione del mio ridere, ti dico
che Nanni nostro barbieri meglio fornito di sotto di lunga e
grossa misura, che beata quella donna che tal misura prova. La
donna, fintasi d'esserli dispiaciuto, disse: Messer, voi mi dove-
te dire la verit d' riso, per che cotesto che voi dite non sono
cose che oneste siano a dirle l u' sono donne, ma a me potete
voi dire ogni cosa, che da altri non lo sosterei. Messer Nicol
giura che veramente altra cagione non l'avea indutto a ridere
che quella che a lei ditto avea. La donna disse: Lassiamo que-
sto parlare et intendiamo a cenare, e poi ce ne andremo a letto
455

che questa stufata mi diate, che penso ne dovete aver apetito.


Messer Nicol dice: O Piacevole, io credo che sappi il mio
pensieri. E cenato, a dormire se n'andarono.
E come innel letto furo, madonna Piacevole disse: Deh, mes-
ser, quanto ricoprireste se voi avesse il vostro membro tanto
grande e grosso quanto dite che ha Nanni barbieri nostro vici-
no? Lo marito dice: Oh, elli non mi caper' innelle brachi et a
te sar' molto pi tedio a dovere farmi tanto le mutande grandi
che vi vorr' troppo panno. La donna disse: In verit che vi
dovr' esser troppo gran peso, ma se ci fusse chi ve lo serbasse e
voi a ogni vostra posta lo poteste riavere, vorestelo s grande e
grosso avere? Lo marito dice: Doh, matta, vedi quanto il mio
che ora ho c' secondo li altri fiorentini assai di buona misura?
Ti dico che altanto quello. Om, disse la donna, non dite,
che se cos l'aveste voi mi sparereste; per Dio, non vogliate che
'l vostro vi cresca tanto! E presolo, sel misse a dosso, stimando
fra suo cuore la donna esser con Nanni. E cos la notte si steono.
E non molti d passarono che la donna, fasciatasi la testa e la
mascella dimostrando esser malata di denti, e come messer Ni-
col in casa fu entrato la donna mettendo gridi, dicendo: Io
muoio di mal di denti!; messer Nicol dice: Or che posso io
fare?; la donna dice: Mandate per uno barbieri e che arreghi
li ferri. Messer Nicol subito mand per Nanni. Lui venuto et
in camera entrato, trov la donna in su uno lettuccio gittatasi ri-
verta, dimostrando grande dolore. E non avendo altri in casa
messer Nicol se non lui e la donna con uno loro figliuolo di iiii
anni, la donna, per aver agio di potere al barbieri dire sua inten-
zione, disse: Deh, messer, andate per un pogo d'aceto che pen-
so mi giover. Messer Nicol si mosse.
E' sceso la scala, la donna preso il barbieri, et alle mutande
misse la mano dicendo: Io ho sentito che tu hai s bella cosa
che beata quella femmina che quello prova; lo giovano come si
sente alle brachi metter la mano subito levato lo capo, li parve
avere uno pistello in mano e disse: Deh, per Dio trova modo
che prima che di qui ti parti mi consoli ! Lo giovano che mali-
456

zioso era e vedendo la donna bellissima avendone volont gran-


de, come messer Nicol coll'aceto fu giunto, la donna gridando,
lo barbieri disse: Deh, messer, andate alla bottega dello spezia-
le al Canto alla Macina e fatevi dare di quello latte da denti, e in
questo mezzo io penso con miei acque in parte saziare la pena
della donna. Messer Nicol come pogo aveduto si parto et allo
speziale n'and. E perch era alquanto di lungi, non poto s to-
sto tornare che, prima ch'' tornato fusse, la donna fattasi presta,
e 'l barbieri calate le brachi quella misura le misse della quale ii
volte f' che rugghiasse lo staio suo.
E mentre che tale faccenda faceano, era rimaso innella camara
lo fanciullo. La donna, senza che di lui sospetto n'avesse, l'avea
lassato stare. E pogo stante, avendosi la donna fornita per lo
giorno e dato l'ordine per li altri giorni, torn messer Nicol col
latovare. E montato le scale, il fanciullo disse: O messer, ma-
donna guarita, che 'l barbieri l'ha cavato di culo ii denti grandi
ben un braccio. Messer Nicol disse: O donna, odi tu ci che
'l fanciullo ha ditto? Lo barbieri, che questo ha udito, disse: A
me bisogna certi ferri, e se bisogno fi', fatemi chiamare; e fine a
tanto che io vegno, la donna tegna lo lattovare in bocca e quella
tegna chiusa. E partitosi, messer Nicol dice: O donna, che
denti sono quelli che 'l fanciullo dice che il barbieri t'ha di culo
cavati? La donna dice: Deh, sciocco, or non sapete voi che 'l
culo non ha denti? Ma datemi cotesto lattovare a ci ch'io guari-
sca. Lo pecorone, datoli il lattovare, pi oltra non disse. E stato
alquanto disse: Per certo, marito mio, che se la medicina che
m'avete aregata e 'l consiglio del barbieri non m'avesse aiutata,
io mi mora.
E passati alcuni d, messer Nicol, non essendo in casa, vidde
che lo barbieri era entrato in casa, dove in camera alla Piacevo-
le si trov, avendo lassato fuori il fanciullo. Messer Nicol, es-
sendo stato alquanto e non vedendone uscire lo barbieri, fra s
disse: Questo potrebe esser altra gatta. E mossosi, vidde il
barbieri che di casa usca, avendo tre volte pasciuto il suo ron-
zino innella mangiatoia di Piacevole. E senz'altro dire, messer
457

Nicol se n'and in casa, e trovato lo fanciullo in sala e la donna


in camera, cominci messer Nicol a domandare il fanciullo se
li avea veduto cavare alcuno dente alla mamma di culo. Lo fan-
ciullo disse: Io non potei in camera entrare, per che dentro si
seronno e me di fuori lassonno. La donna, che tutto ode, disse:
Or ben lo dico io che mi credea avere uno nobile marito et io
hoe uno montone, a dire che si dia a credere che le donne abia-
no denti al culo; che ben dovr' sapere il mio montone di marito
se io hoe i denti al culo, tante volte ha provato e veduto che
neuno ve n'ha trovato! Come de pensare che 'l barbieri del culo
denti m'abia tratti? Lo marito disse: Donna, taci, che di quella
mestura che a me dai, io ad altri ne dar; e pi non disse.
La donna, che fatto avea faccia di trista, non molto pass che il
barbieri fe' venire e con lui senza chiuder camera si di piacere.
E parendo loro ben fare, pi volte la donna sopra il corpo lo fe'
montare faccendo delle suoi cose e dell'altrui a suo volere. Mes-
ser Nicol, non vedendo il barbieri in bottega, stim quello era:
che fusse con madonna Piacevole. E montata pianamente la sca-
la et entrato in camera, vidde quello faceano, e disse: Deh, fa
al tuo agio, donna, che ora ho veduto il dente che 'l barbieri ti
cava e mette innella tua grignapapala, e di vero io t'aterr il pat-
to! Lo barbieri, che ha udito messer Nicol, volendosi levare,
la donna, che avea la piumata presta, tenendolo e menando il
culo forno. E levatasi disse: Marito mio, io mi sarei morta se
non avesse preso l'aiuto del vostro barbieri.
Lo marito senz'altro dire se n'and in chiasso Malacucina e di
quine trasse una meretrice et in contado a uno suo giardino la
condusse e quine se la tenea. Et essendo domandato perch tal
modo, narrava a ogni persona il vituperio che la donna sua fatto
li avea col barbieri.
E per questo modo fe' noto per tutto Firenze il suo vituperio e
quello della donna, intanto che altro che dalle suoi pari madon-
na la Piacevole non era acompagnata. Et ella spesso trovandosi
col barbieri, et alcuna volta s'andava a diporto alla casa sua; di
che i parenti di lei questo vedendo, al ditto barbieri pi colpi
458

dienno per tal guisa che mai pi con madonna Piacevole usare
volse n co le altre usar poto. N mai messer Nicol la donna
richiese, e cos vituperosamente si visse, et ultimamente ' tri-
stamente si moro.
459

156
(Triv. N. 153)
DE PAUCO SENTIMENTO DOMINI2
Della citt di Luni: fue distrutta per una femina.

C arissimo proposto, e voi, cari e venerabili religiosi et altri o-


mini, e voi, onestissime donne le quali qui siete, e simile a quel-
le che non ci sono, io credo che a ciascun di voi d esser mani-
festo che la citt dove noi doviamo posare colla sera novella fu
gi di grande fama nomata e di buono porto situata e di tutte le
cose che alla vita umana richiede fornita. E per li tristi modi te-
nuti per alcuni di quella citt fu disfatta e fine a' fondamenti le
mura e le case guaste, e li omini e le donne a morte et in servit
menati con tutto loro tesoro. E perch sono certo che molti di
voi, o forsi la magior parte, non debia sapere che guasta e disfat-
ta fu, et acci che ciascuno possa comprendere il perch, in
questa nostra novella sotto brevit conter la cagione che indus-
se chi quella guast.
E per dico che, essendo re di Vismarch Alier e Astech fratelli,
fu di necessit per alcune cagioni che il preditto Astech re con
una sua donna nomata Tamaris reina si movessero con alquanta
compagnia e saglisseno in mare, avendo alquante galee. E dop-
po molte giornate pervenne il ditto Astech re con tutta la sua
brigata al porto di Luni, dove piacque loro per lo bello sito
2
Questa novella, malauguratamente non terminata, assai importante, perch ci riferi-
sce una leggenda intorno alla rovina di Luni, che L eandro A l berti riassume nella sua De-
scrittione di tutta Italia, Venezia, 1588, c. 27 r. Tale leggenda riveste la forma della
notissima tradizione medievale intorno alla donna che si finge morta per fuggire col suo
amante, tradizione che da una branca della leggenda salomonica, in cui ha carattere tur-
pe, si spinge fino alla pietosa e gentile tragedia di Giulietta. Ca rlo Braggio , che studi la
leggenda di Luni nel suo lavoro su Antonio Inani, umanista del secolo XV, Genova,
1885, p. 100 106, menzion gli scrittori pi antichi che ne accennarono, Giovanni Vil-
lani (Ohm., L. I, cap. 50), il Petrarca (Itinerarium Syriacum), Fazio degli liberti (Dit-
tamondo, L. Ili, cap. 6). Ma tutti questi accenni sono assai indeterminati, n parlano
punto della morte finta. 11 frammento della novella Sercambiana ci attesta come gi nel
trecento la leggenda fosse conosciuta in quella forma in cui poscia la compendiava
lAlbertL
460

prendere alquanti d sollazzo e diporto alla citt di Luni. E ri-


duttisi in uno albergo, del mese di giugno del quale albergo
n'era maestro e signore uno ricco uomo nomato Martino Bonvete
, e fattosi il preditto re assegnare una camera per s e per
Tamaris reina sua moglie, innella quale pi volte si dienno in-
sieme piacere e l'altra brigata simile innel medesmo albergo
allogirsi, salvo quelli che le galee guardavano ; et avendo
dimorato pi giorni in tale maniera, non stante che Tamaris rei-
na fusse di stranio paese e non cos bene intendesse la lingua
taliana, nientedimeno, avendo sentito . . . . . . . . fra s mede-
sma esserli tal nome imposto solo perch dovea aver grande
quello membro che molto le donne amano. E dispuosesi la ditta
reina di doverne esser certa.
E come pi presto poto si fe' chiamare l'oste: e domandato per-
ch si facea chiamare Martino Buonvete, l'oste, ch'era assai gio-
vano e senza donna, vedendo Tamaris reina bellissima, senza
molto stare le disse: Perch io ho s bella massarizia che un al-
tro in queste contrade non se ne troverebe. La reina disse: Per
certo io me lo stimai, ma se ci io non vedesse non serei conten-
ta. Martino, che l'avea gi fatto fratello del mulo, senza pi sta-
re, delle brachi sel cav et in mano a Tamaris reina lo misse. La
reina, che gi era riscaldata solo del parlare, pi neramente si
riscald quando lo vidde et in mano l'ebbe; e se non che, certe
damigelle sopragiungendo a lei, di che ella non potendo altro,
lass. N pi per allora poto avanti seguire, ma con gran dolore
si rimase, avendo l'animo sempre alla massarizia di Martino; e
di malanconia quasi n mangiava n bevea dando la cagione
all'acqua del mare di averla travagliata.
Astech re, che grandissimo amore li portava, la confortava quan-
to elli potea, ma niente valea, che altra malatia la tenea ocupata.
E quando a Tamaris reina parea tempo di potere quello membro
tener in mano, non potendolo ripuonere o almeno vederlo, chia-
mando Martino si confortava, e dall'altro lato li crescea il dolore
che a suo modo non lo potea adoperare.
E vedendo Astech re che la sua donna non prendea alcuno con-
461

forto, pens di quinde volersi partire et in galea montare, dove


pensava che ella si concer', dicendoli: Donna, per certo que-
sta aire ti d aver fatto alquanto noia, e pertanto io vo' dare ordi-
ne che noi di qui ci partiamo. La donna, che non avea quello
volea, disse: Deh, marito mio, io ti prego che di qui per oggi
non ci dobiamo partire, che se caso di me alcuno venisse, alme-
no i pesci non abiano queste mie dilicate carni, ma in uno mo-
nimento nuovo morendo vo' mi sopellischi, come vegio che in
questa terra molti gran signori s sono soppelliti. Lo re disse:
Donna, io sono contento di restare, ma io non penso che la ma-
latia tanto t'abondi che morir debbi; di che se pur esser dovesse
(che non vorrei), mi piace il tuo consiglio.
E cos stando, la reina fe' chiamare Martino, dicendo: Io veggo
che 'l disiderio mio e tuo non si potr' mai adempiere stando in
questo modo; e per, poi che insieme non possiamo far nostra
volont, ti prego che procacci che io abbia quel beverone che
paia che io morta sia, et io sosterr ogni pena solo per qui rima-
nere. E fa che uno monimento nuovo sia fatto per modo che al-
quanto isfiatar possa. E partitosi il mio marito et andato alla sua
via, me del monimento la notte strettamente trarrai, e di me po-
trai aver diletto et io di te. Martino, che ci ode, fu il pi con-
tento omo del mondo, e disse: Tamaris reina, i' ti prometto che
tutto ci che vuoi che io faccia far prestamente, et il monimento
mio, nel quale persona ancora non messo e 'l quale bello so-
pra li altri, meter in punto, e come te n'ar cavata vo' che mia
moglie dimori. La reina disse: Cotesto m' sommo piacere,
pur che tosto sia, che lo 'ndugio mi tormenta.
Martino, subito auto certo beveragio et alla donna reina portatolo
....
463

TAVOLA
DELLE

NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI


CON INDICAZIONE

DEI LUOGHI OVE SONO PUBBLICATE (*)

Pr o e m io .................................... 3
1. De sap ien tia............................. .... 9
2. De simplicitate. . . . . . . 17
3. De m alvagitate et m alitia . . , 19
4. De magna prudentia . . . 22
5. De stimma jnatitia . . . . 32
6. De ju stitia et crudelt : . . 34
7. De transformatione naturae . 411
8. De simplici juvano . . . . 38
9. De altro et simplici merendante 39

() L'ordine seguito quello eh le novelle hanno nel ood. Trivellano. Le abbreviazioni ai


gnifleano:
D A . =3 DAncona
a =3 Gamba
ah = Ghiron
LD = Volumetto della Libreria Dante del 1886
X = Minatoli
X R = Muratori, R. 1. A , XVm
K =3 Neri
P = Plerantoni
PO =S Pepanti, Catalogo
PD = Pepanti, Nauta sscondo la tradieiom
So = Seolia d i ewriotti letterario, disp. 119.
t o la bibliografia delle stampe limando alla Profasiono. Si noti che con DA. indioo onica-
mente le novelle edite dal D'Ancona per la prim a tolta, cio le 11 del volumetto della Libreria
Dante; le novelle che U DAncona ripubblic sono notate sotto So. ed LD. Quando nso il no
mer romano, intendo indicare il nomer dordine delle novelle nelle rispettive pubblicazioni ; il
nomer arabo invece ri rilbrisoe alla pagina. Il nomero arabo solo, non preceduto da alcuna sigla,
rimanda alla paginazione del presente velame. Rispetto ad MB il nomer arabo rigniflca la co
lonna. Le due ultime novelle indicate non ri trovane nel Triv., ma solo nella Cronaca.
464
NOVELLE DI GIOVANNI 8ERCMBI

10. De vitio 1an u rie in p r e l a t i .............................. 413


11. De vituperio piotati*............................................ 43
.
12 De m uliere v o lu b ili............................................ G. X V I; Se. 138.
13. De m uliere a d u lte ra ............................................ 46
14. De bono fatto . . . . .................................... 50
15. De ventura in m atto ............................................ G. X X ; Se. 172.
16. De tristitia et v i l t a t e ....................................... DA. I
17. De periculo in a m o r e ........................................ 415
18. De novo modo fo ra n d i....................................... 58
19. [Senza t i t o l o ] ...................................................... 416
20. De furto extra n a t u r a ....................................... 60
21. De f a ls a r io ........................................................... G. X V Ill; Se. 155.
.
22 De inganno e f a ls ita te ....................................... 62
23. De summa a v a r iti* ............................................ 65
24. De Bimplicitate et s t u l t i t i a .............................. DA. IL
25. De pladbili s e n te n ti* ....................................... 69
26. De sententi* vera ............................................ DA. in.
27. De paler resp o n sio n e....................................... DA. IV.
28. De astuzia in j u v a n o ....................................... 71
29. De in g a n n o ........................................................... 78
30. De lib id in e ........................................................... 417
31. De avaritia e lu s s u r ia ....................................... 81
32. De prudenti* et c a s tita te .................................. 85
33. De vana lu ss u ria ................................................. DA. V.
34. De novo in g a n n o ................................................. DA. V I; PC ;L D . 59.
35. De inaliti* et p r u d e n ti* .................................. 89
36. De turpi trad im en to ....................................... 92
37. De m alitia in j u v a n o ....................................... G. X V II; Se. 144.
38. De superbia et pauco b e n e .............................. 95
39. De vera am icitia et e h a r ita t e ......................... 98
40. De fide b o n a ...................................................... 105
41. De p u rita d e ........................................................... DA. VII.
42. De castitad e........................................................... 109
43. De re p u b lic a ...................................................... 111
44. De re p u b lic a ...................................................... 112
45. De le a lt a te ........................................................... Gh. 1; LD. 52.
46. De falso p e r g iu r io ............................................ 113
47. De amore et c r u d e lta t e ................................... 115
48. De recto amore et giusta vendetta . . . . 116; P.; Se. 265.
49. De prudentia in c o n s iliis .................................. 118
50. De falsitate m u lieris............................................ 122
51. De ipocriti e t fraudatore* . . . . . . . . 128
52. De p ig r iti a ........................................................... G. X IX ; Se. 169.
53. De placibili lo q u e la ............................................ DA. V ili.
54. De falsitate et trad im en to.................................. 132; MR. 838; M. IV;
Se. 205.
465
TAVOLA

? ? S !??S: sapienti* et vero ju d ic io .............................. Gh. Il; LD. 54.


8SS385S

natura fem m inili............................................ 136


piller et magna sapientia . . . . . . G. X II; Se. 83.
bona responsione............................................ D'A. IX.
disonesto adulterio et bono consilio . . . 138
superbia contro rem s a c r a t a .................... 145; MR. 871; M. X ;
Se. 235.
competenti consilio de adultera . . . . 150
S S SS? ? ? ?
3 3 S 8 2 8 S 2

jiu ta s e n te n t ia ............................................ 153


m eretricis et justo j u d i t i o ......................... 156
disonestitate v ir i............................................ 158
nova m alitia in tir a n n o .............................. 162
ebrietate et golositate in prelato . . . . 164
smemoragine p r e l a t i .................................. 165
doctrina data a p u e ro .................................. G. V ; Se. 3 8 ; Toa-
r a c a , Manuale, L,
368.
vidua libidinosa 417
S J S S?

bonis m oribus. G .IX ; S e.62; PD .65.


justa responsione G. X ; Se. 67; PD .67.
presuntane stulti 167
am ieitia provata G. VI; MR. 809; M. I;
Se. 44, 189.
competenti misura . . . . . . . . . 169
S? 5? S? ? S>S? $? ? ? S? ? S>? !? ? ? i? S1!? ? S ?
8 2 88 8 2 <3 3 =13! jsl 2

vituperio m u lie r is ....................................... 172


vituperio fatto per stp e n d ia ri.................... 176
nm plicitate viri et u x o r i a ......................... G. H I; Se. 16.
m utine adultera et tristitia viri . . . . 418
bona providentia contra l'om icida . . . 178
disonesta juvana et equali corretione . . 181
devotione in santo J u lia n o ......................... 186
crudelt m a s s im a ....................................... 190
bona p rev id en za............................................ 192
bona fortuna in a v e r s ita te ......................... 195
magnanimit te m ulieris et bona ventura
juvani ........................................................... 197
periculo in it i n e r e ....................................... G. X I; Se. 75.
885SSggffi38

rasonabili dominio et bona ju stitia . . . 203


latrones et bona ju s t itia .............................. 206
m alitia h o sp itato ris....................................... 208
falsatores et bona j u s t i t i a ......................... 211
massimo fu rto ................................................. 214
restauro fatto per fortuna G. XIV; Se. 119.
m alvagitate ypocriti. . 218
m alitia in inganno . . . 222
cieco a m o r e ................... 225
466
NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

96. De cattivitate stipendiar!. . 228


97. De v ilta te .............................. 232
98. De falsitele muliers . . . 235
99. De m alitia hom inis. . . . 239
100. De subita m alitia in m ubere 243
101. De mala correttene . . . . 246
102. De avaritia magna . . . . 249
103. De inganno in amore . . . 253
104. De in v id ia .............................. 256
105. De lungo inganno . . . . 259
106. De m alitia m uliers adultera 264
107. De p re s u n tu o s i.................... 269
108. De somma golositate . . . 272
109. De magna golositate . . . 274
110. De prelato adultero. . . . 277
111. De justo ju d itio .................... O. IV; Se. 23.
112. De avaro .............................. 281
113. De pompa bestiale . . . . G. Il; Se. 11.
114. De mala custodia . . . . 284
115. De p ig ritia ........................................................... 286; MR. 84245; M.
V, VI, V II; Se. 213,
216,220.
116. De pessima m alitia in p re la to ......................... 419
117. De nemico inconcibato ne Cbnfldetur . . . 292; MR. 852; N. Il;
LD. 49.
118. De ingenio mubers a d u lte r a ......................... 294
119. De disonesto f a m u lo ....................................... 300
120. De pulcra responsione....................................... DA. X.
121. De apetito canino et non temperato . . . . 303
122. De inganno p la c ib i li....................................... G. I; Se. 1.
123. De disperato d o m in io ....................................... 307 ; MR. 854; M. V ili;
Se. 224.
124. De mala fiducia d 'in im i c i.............................. 310
125. De tradimento fatto per monacum . . . . 312
126. De m alitia muliers adultera et simile m alitia
v iri....................................... 316
127. [Senza tito lo ]............................. D A. X I.
128. De pauco sentimento in juvano 319
129. De magna g e lo s ia .................... 323
130. De juvano fattili in amore . . 326
131. De prava a m ic itia .................... 329
132. De malvagio famulo . . . . 335
133. De perfetta societate . . . . G. X V ; MR. 811; M.
II; Se. 127 e 194.
134. De prava am icitia vel societate 338
135. De tiranno in g ra to ................... 341; M. X I; Se. 247
467
TAVOLA

136. De summa in g ra titu d in e .................................. 346; MR. 817; N. I;


LD. 47.
137. De m atitia m ulieris a d u l te r a ......................... 349
138.. De summa et justa venditta de ingrato . 353; MR. 821; M. Ili;
Se. 200.
139. De bona et justa fortuna................................... 357
140. De romito adultero et inganno......................... 420
141. De bona ventura................................................. 374
142. De geloso et m uliere m alitioea......................... G. V ili; Se. 55.
143. De placibili furto unius m u lie ris.................... G. XUI; Se. 97.
144. De massima in g ra titu d in e .............................. 383
145. De mocto p la c ib ili............................................ G. VII; Se. 51.
146. De f a ls a to r e ...................................................... 387
147. De justo m a trim o n io ........................................ 389
148. De subito amore acoeso in muliere . . . . 393
149. De bovo lu d o ...................................................... 421
150. De inganno in a m o re ....................................... 397
151. De m uliere volonterosa in libidine . . . . 423
152. De m uliere c o s ta n te ........................................ 401
153. De pauca sapientia viri contra mulierom . . 424
154. De falsitate ju v in i ............................................ 426
155. De pauco sentimento d o m in i......................... 426
156(1). Come il traditore non gode lungamente MR. 858; M. IX ; Se.
il frutto del tr a d im e n to ......................... 232.
157. Come li beneficii non si deon ricam biare con le M. X II; Se. 257.
ingiurie

(1) Coni* i gli tato detto, quest la seguente novella, che si trovano nella Cronaca, non
vi sono nel cod. TrivoUisno.
468

I N D I C E

P r e f a z io n e . . . . Pag. n
T esta m e n t o di G io v a n n i S eb c a m b i > ucvn
Proemio . . . . 3
1. De sapientia . . . . * 9
2. De sim plicitate * 17
3. De m alvagitate et m alitia 19
4. De magna prudentia 22
5. De somma jostitia . 32
6. De jo stitia et crudelt . * 34
7. De simplici juvano 36
8. De altro et sim plici mercadante 39
9. De vituperio pietatis 43
10. De muliere adultera 46
11. De bono f at t o. . . . 50
12. De novo modo furandi . . 56
ia De furto extra natura 60
14. De inganno e falsit te . * 62
15. De summa av aritia. V 65
16. De placibili sententia 69
17. De astuzia in juvano 71
18. De inganno . . . . 78
19. De avaritia e lussuria 81
20. De prudentia et castitate 85
21. De m alitia et prudentia . 89
22. De turpi tradimento 92
23. De superbia et pauoo bene . 95
24. De vera am icitia et charitate 96
25. De fide bona . . . . 105
26. De castitade . . . . 109
27. De re publica . . . . 111
28. De re publica . . . . 112
29. De falso pergiurio . 113
30. De amore et crudeltate . 115
31. De recto amore et giusta vendetta 116
32. De prudentia in consiliis 118
33. De falsitate mulieris 122
34. De ipocriti et fraudatone 128
35. De falsitate et tradimento 132
36. De natura femminili 136
469
INDICE

SSSSSSSS SSSSSSSSS'SSSSS'SSS'SS S'SSS'SSSSS SSSSS'SS'SS SS


disonesto adulterio et bono consilio 138
ffiS28^SaSa^J^d^g83Sffi28g2g8S3Sg25S!S2gfeSSfi^fefe;gSa
Pag.
superbia contro rem sacrata > 145
competenti consilio de adultera > 150
ju sta s e n te n tia ................................... 153
m eretricis et justo joditio 156
disonestitate viri . . . . 158
nova tihHHh in tiranno 162
ebrietate et goloaitate in prelato 164
smemoragine prel at i . . . . 165
presuntone staiti . . . . > 167
competenti misura . . . . 16
vituperio m ulieris . . . . 172
vituperio fatto per stipendiari . 176
bona providentia contra lomicida . * 178
disonesta juvana et equali correttane > 181
devotione in santo Juliano 186
crudelt massima . . . . 190
bona previdenza . . . . 192
bona fortuna in aversitate 195
magnanim itate mulieris et bona ventura juvani 197
rasonabili dominio et bona ju stitia . 203
latrones et bona ju stitia . 206
m alitia hospitatoris . . . . 208
falsatores et bona justitia 211
massimo f u r t o ................................... > 214
malvagitate ypocri t i . . . . 218
m alitia in inganno . . . . 222
cieco a m o r e ................................... 225
cattivitate stipendiari > 228
v i l t a t e ............................................ 232
falsitate mulieris . . . . 235
malitia hom inia................................... 239
subita m alitia in m uliere. 243
mala corretione................................... > 246
avaritia m ag n a................................... > 24
inganno in amore . . . . 253
i n v i d i a ............................................ > 256
lungo in g a n n o ................................... 259
m alitia mulieris adultera . > 264
p r e s u n t u o s i ................................... 26
somma goloeitate . . . . > 272
magna golositate . . . . > 274
prelato adultero . . . . > 277
av aro .................................................... 281
mala c u s to d ia ................................... 284
p i g r i t i a ............................................ 286
nemico inconciliato ne confidetur . 292
470
NOVELLE DI GIOVANNI SERCAMBI

84. De ingenio m ulieris a d u l t e r e ............................................ P a g . 294


85. De disonesto f a m u l o .............................................................. 300
86. De apetito canino et non te m p e ra to .................................... 303
87. De disperato d o m in io ...................................................................... > 3 0 7
88. De mala fiducia d 'in im ic i..................................................... > 310
89. De tradimento fatto per m o n a c u m .................................... > 312
90. De m alitia m ulieris adultera et sim ile m alitia viri . > 316
91. De pauco sentimento in ju v a n o ............................................. 319
92. De magna gelosia....................................................................... > 323
93. De jnvano frittili in amore . . . . . . . . 386
94. De prava am icitia....................................................................... 329
95. De malvagio f a m u l o .............................................................. 336
96. De prava am icitia vel so c ie ta te ............................................. > 338
97. De tiranno i n g r a t o .......................................................................> 3 4 1
98. De summa in g r a titu d in e ...................................................... 346
99. De m alitia mulieris a d u l t e r a ............................................. > 349
100. De summa et justa venditta de ingrato > 353
101. De bona et justa f o r t u n a ...................................................... 367
102. De bona v e n tu ra ....................................................................... > 374
103. De massima in g ra titu d in e ......................................................> 383
104. De fa lsa to re ................................................................................ 387
105. De justo m a trim o n io .............................................................. > 389
106. De subito amore acceso in m u l i e r e .................................... > 393
107. De inganno in a m o re ...............................................................> 397
106. De muliere c o s t a n t e ............................................................... 401
Appendice
1. De transformatione n a tu ra e ......................................................> 4 1 1
2. De vitio lussurie in p r e la ti......................................................> 413
3. De periculo in a m o re ...............................................................> 415
4. [Senza t i t o l o ] ...................................................................... > 416
5. De lib id in e ................................................................................ 417
6. De vidua l i b i d i n o s a ...................................................................... tei
7. De m uliere adultera et tristitia v i r i .................................... > 418
8. De pessima m alitia in p r e l a t o ............................................. > 419
9. De romito adultero et in g a n n o ............................................. > 420
10. De novo l u d o ....................................................................... > 4 2 1
11. De muliere volonterosa in libidine...........................................> 423
12. De pauca sapientia viri contra muliere . > 424
13. De falsitate j u v i n i .............................................................. > 426
14. De pauco sentimento d o m i n i ............................................. > te
Tavola, delle novelle di Giovanni Sercmbi con indica
zione DEI LUOGHI OVE SONO PUBBLICATE > 429

Das könnte Ihnen auch gefallen