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può e si deve parlare di doppia creazione J 622
quando l'azione creatrice si compie in due
quando si ha contrapposizione di valore tra
dell'atto creativo, come nel caso della do;ttrin
intorno alla çreazione dell 'uomo a immagine e
plasmato, oppure della dottrina origeniana,
corporazione dei noes caduti implica la
teria corporea di cui essi devono rivestirsi ,
trina di Gregorio di Nissa, ove l'attuale, comr'os
zione (kataskeuè) dell'uomo è diversa da
ginariamente da Dio e da quella fina le .

..
LA 'DOPPIA CREAZIONE'
DELL'UOMO

negli Alessandrini, nel Cappadoci

e nella gnosi

Saggi di C. Aloe Spada, U. Bianchi,

M.V. C erutti, M. Cigognini, A. M azzanti ,
C. Scibona Giuffrè, G. Sfameni Gasparro

a cura di Ugo Bianchi

le 1%1
edizioni dell'ateneo & bizzarri
Finito di stampare nel mese di ottobre l!) 78 A GIUSEPPE LAZZATI
da Arti Grafiche Baldassarri - Roma

70.
Nuovi Saggi

1978
Copyright © by Edizioni dell'Ateneo & Bizzarri
C~sella Postale 7216, 00100 Roma
Serie: PROMETEO, ORFEO, ADAMO SOMMARIO

Volume primo:
pago
UGO BIANCHI
u. BIANCHI - La 'doppia creazione' dell'uomo come oggetto di
Prometeo, Orfeo, Adamo. ricerca storico-religiosa
Tematiche religiose sul destino, il male, la salvezza.
A.M. MAZZANTI - L'aggettivo J1€{}opwc; e la doppia creazio-
Volume secondo: ne dell'uomo in Filone di Alessandria 25
La 'doppia creazione' dell'uomo, negli Alessandrini, nei Cappadoci e G. SFAMENI GASPARRO - Doppia creazione e peccato di Adamo
nella gnosi. nel Perì archon di Origene: fondamenti biblici e presuppo-
ti cura di UGO BIANCHI sti platonici dell'esegesi origeniana 43
U. BIANCHI - Presupposti platonici e dualistici nell'antropogo-
nia di Gregorio di N issa 83
Addendum I: Origene, Gregorio di Nissa e il plato- 99
lllsmo
Addendum II: Ci sono ragioni per escludere in Gregorio
di N issa la teoria della 'doppia creazione' dell' uomo? 103
M.V. CERUTII - La doppia creazione nell' antropogonia man-
dea 117
C. ALOE SPADA - Il personaggio di Adamo nel mandeismo 139
C. GIUFFRÈ SCIBONA - La cosmogonia e l'antropologia ahl
haqq: Elementi iranici e gnostici 161
Appendice:
M. CIGOGNINI - Il catasterismo di Deucalione. Ultimo o pri-
mo, l'eroe del diluvio? 189
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I UGO BIANCHI

LA 'DOPPIA CREAZIONE' DELL'UOMO

COME OGGETTO DI RICERCA STORICO-RELIGIOSA
 Scopo di questo libro è di studiare un tipico tema antropologico,
quello della 'doppia creazione' dell'uomo in alcuni autori e correnti
religiose del mondo antico, tra loro certo molto diversi, anzi talora
opposti - come possono esserlo Filone di Alessandria, Origene e
Gregorio di Nissa da una parte e religioni gnostiche come i mandei
e gli AhI i Haqq dall' altra (e si è omesso di parlare dei valentiniani e
altri gnostici, perchè più noti sotto questo profilo) -, ma tuttavia in-
teressati, per loro ragioni, a una antropogonia caratterizzata in senso
dualistico.
Mi rendo perfettamente conto che parlare di dualismo per Ori-
gene e soprattutto per Gregorio può apparire a priori inaccettabile,
soprattutto se si tiene conto degli sviluppi attuali della ricerca su que-
sti autori. Ma mi auguro che, tenendosi - come si deve fare tra stu-
diosi - il debito conto di posizioni illustrate e di definizioni propo-
ste in precedenti studi del sottoscritto e di altri coautori .di questo li-
bro, e una volta prese in considerazione non affrettata o pregiudicata
le argomentazioni qui proposte, la nostra tesi non appaia più così
strana e disturbante.

* * *

Si può e si deve parlare di 'doppia creazione' dell'uomo quando

Dio (o il Grande Demiurgo di Platone) ha dei collaboratori nell' o-
pera creatrice (gli dèi gennetoi nel Timeo, le 'potenze' in Filone, gli
angeli di certe haireseis giudaiche l: tutti questi collaboratori, non ri-
vali, di Dio creano il corpo o le parti inferiori dell' anima, o comun-
que, come in uno dei passi citati di Filone, quel 'terreno' umano, e
solo umano, donde può sorgere l'opzione cattiva). Ma si può e SI

3
deve parlare di doppia creazione dell' uomo anche quando razione
creatrice si compie in due riprese, specie quando si ha contrapposizio-
ne di valore tra i due oggetti dell' atto creativo, come nel caso della
dottrina filoniana intorno alla creazione dell'uomo a immagine e del-
l'uomo plasmato, oppure della dottrina origeniJ.ha, nella quale l'in-
corporazione dei noes caduti implica la creazione della materia corpo-
rea di cui essi devono rivestirsi, oppure della dottrina di Gregorio di
Nissa circa l' 'aggiunta' dell'apparato sessuale fatta da Dio all'uomo
puramente 'a immagine' quale era stato da Dio in un primo momen-
to concepito, - aggiunta che Dio ritiene necessaria prevedendo il
peccato di Adamo e la conseguente impossibilità per l'uomo di vive-
re e di moltiplicarsi secondo l'economia originaria. Il che implica
1'attuale, composita costituzione (k.atask.euè) dell'uomo, diversa da
quella intesa originariamente da Dio e da quella finale 2.
Qui si impongono alcune precisazioni. Anzitutto, tra la 'prima
creazione' e la 'seconda' può esserci distanza cronologica (come, ne-
cessariamente, nella dottrina origeniana della caduta dei noes, pre-
gressa alla loro incorporazione); ma può esserci anche solo distanza
sul piano ontologico: il 'poi' della seconda creazione, cioè, può essere
solo un 'poi' ontologico, che sottolinea ulteriormente la disparità,
anzi opposizione di valore tra i due oggetti dell'agire creativo: ed è
il caso, pare, di Filone e di Gregorio, anche se una dimensione cro-
nologica nel doppio creare di Dio secondo la dottrina del Nisseno
risulta pur sempre dal fatto che Dio si induce a creare l'apparato ses-
suale umano a seguito della previsione, da parte sua, del futuro pec-
cato di Adamo, peccato che avrebbe reso Adamo e l'umanità incapa-
ce di vivere e riprodursi se non con qualcosa di aggiuntivo e di sensi-
bile e passionale rispetto all' 'immagine'. Questo agire suppletivo da
parte di Dio (suppletivo nell' ordine della creazione, non si dimentichi)
è un agire, per così dire, 'ante praevisa demerita' di Adamo, co-
sicchè la colpa di Adamo, per quanto non ancora intervenuta, è già
in qualche modo efficace e si presenta paradossalmente con alcune di
quelle caratteristiche che vediamo proprie della 'colpa antecedente',
- cioè di quella colpa che, primordiale, si distingue dal concetto di
pecqlto originale, in quanto quest'ultimo è già peccato di uomo,
4 5
mentre la colpa antecedente è atto che causa la esistenza dell' uomo
come essere terreno e corporeo o la condiziona nella sua natura al
punto di causare elementi o componenti di questa 3. Il che è il caso
di Gregorio, perchè la qualità di essere sessuato appartiene alla natu-
ra attuale dell'uomo, e del primo uomo fin dal primo momento del
suo essere, ma in conseguenza del previsto peccato, cosa che non si
può invece dire per il primo peccato secondo la prospettiva biblica o
quella dello sviluppo teologico ortodosso della medesima. In altre
parole: ci fu un momento in cui Adamo non era peccatore, sia per la
Bibbia che per Gregorio, come per la comune teologia; e non ci fu,
per Gregorio, un momento in cui Adamo non era sessuato, anche se,
anteriormente al peccato, questo carattere non implicava per lui cor-
poreità spessa e passionale; ma nello stesso tempo, per Gregorio, il
carattere di Adamo come essere sessuato, o che fosse introdotto da
Dio in un secondo momento cronologico, o che fosse cronologica-
mente contestuale alla prima creazione, quella 'a immagine', dipende-
va pur sempre dal fatto che; a séguito della previsione del futuro pri-
I mo peccato, Dio aveva ritenuto inevitabile di dotarlo di sessualità.
Insomma, con Gregorio abbiamo la delineazione di tre condizio-
ni umane: quella puramente 'a immagine', quella sessuata, che non
1I importa ancora la corporeità pesante e passionale delle 'tuniche di
pelle' (così Gregorio in certi passi interpreta allegoricamente ma so-
stanzialmente il noto episodio del Genesi, di un Dio che riveste i
protoplasti di un grembiule di pelle, da Gregorio intesa come la cor-
poreità corposa dell'uomo vittima del primo peccato), e infine quella
sessuata che implica la corporeità pesante (tuniche di pelle). In tutto
questo gioco di condizioni successive (anche se tali in parte in senso
ontologico, in parte in senso cronologico) noi abbiamo indubbiamen-
te in Gregorio il concetto di 'doppia creazione'.
* * *
E qui passiamo a un secnndo punto. Per aversi la 'doppia crea-
zione', abbiamo detto, è particolarmente indicato il fatto che tra
l'oggetto della prima creazione e l'oggetto della seconda intercorra
non solo una distinzione, ma una contrapposIzione di valore. Ora,
ciò si verifica puntualmente con Gregorio. Infatti questa contrapposi-
zione di valore non significa per nulla, in lui, una svalutazione com-
pleta e secondo ogni aspetto dell'oggetto della seconda creazione,
cioè, in questo caso, della sessualità umana, e neppure delle altre pas-
sioni, alle quali, come è noto, Gregorio, riconosce un valore, anche
se strumentale e esposto alla possibilità di deviazioni. Basta invece
che si contrapponga quanto è compreso nell'immagine e quanto inve-
ce le resta estraneo, soprattutto se nel contempo questa contrapposi-
zione si accompagna a una percezione platonica del materiale e del
corporeo, in quanto peculiarmente connesso con la mutabilità e la
'fluidità' 4 - posizione questa, come è noto, propria di Gregorio. Al-
trimenti, l'alternativa, per aversi la 'doppia creazione', sarebbe non
una contrapposizione tra l'oggetto della prima creazione e l'oggetto
della seconda, ma una contrapposizione tra l'autore della prima crea-
zione (o comunque della prima condizione dell'uomo o dell'anima) e
l'autore della seconda creazione, quella corporea: il che n011 è la po-
sizione del Nisseno ma precisamente quella degl~ gnostici, con la loro
contrapposizione tra una somma Divinità e un Demiurgo inferiore
psichico e materiale e non penumatico.
* * *
Più delicata è la questione ulteriore, se cioè la 'doppia creazione',
anche quella che ha come autore lo stesso personaggio, p. es. il Dio
di Gregorio (un personaggio, certo, che non ha già in sè tensioni
quali possono esserci in un Dio di riferimento teosofico), implichi ciò
che noi intendiamo con il termine 'dualismo'.
La risposta è positiva, ma va spiegata. Anzitutto, è da chiarire
che per dualismo non intendiamo, come spesso si intende in storia
della filosofia, una dottrina della trascendenza, come opposta all'im-
mari'èntismo assoluto e al monismo panteistico; intendiamo, invece,
la 'dottrina dei due principii': cioè, più articolatamente, la dottrina
dei due principii (archai) che - coeterni o no - fondano l'esistenza di
ciò che esiste o si manifesta nel mondo 5.
6 7
È quindi da chiedersi se la dottrina della 'doppia creazione', an-
che quella di un Gregorio e non solo quella degli gnostici o dei pla-
tonici biblici del tipo di Filone e Origene, realizzi tale definizione del
dualismo. Ora, a nostro avviso, essa la realizza, per due motivi che
vanno considerati alla luce di quella disparità di valore tra l'oggetto
della prima e l'oggetto della seconda creazione di cui sopra si parla-
va.
Il primo motivo è che il concetto di 'colpa antecedente', quale
sopra lo abbiamo definito, implica necessariamente una dottrina dua-
listica, cioè una dottrina dei due principii. Questi infatti, le archai,
non significano necessariamente 'causa' in ogni possibile accezione.
N on significano necessariamente causa efficiente (così come è causa
efficiente Dio in quanto creatore; - in Gregorio, come anche in
Origene, c'è un solo creatore, il Dio della Bibbia). Ma basta che i
principii cui ci riferiamo, o anche uno solo, il- secondo, sia 'causa'
sotto altro aspetto, per esempio causa formale, purchè sempre causa
in relazione a un effetto creativo. Ora, questo è precisamente il caso
per Origene e - in maniera diversa, più ortodossa - per Gregorio.
Per Origene, la dimostrazione crediamo d'averla data nel nostro
contributo al II Congresso origeniano (Bari 1977: Origeniana II,
Roma, Edizioni dell'Ateneo e Bizzarri) e già in un capitolo del no-
stro volume Prometeo, Orfeo, Adamo (Roma 1976; v. anche la no-
stra Religione greca, Torino 1974, pp. 279-283).
In breve, si tratta di questo: in Origene la caduta dei noes pri-
mordiali, condizionati dalla loro creaturale mutabilità, implica che
essi assumano una corporeità, e via via, accentuando la loro' devolu-
zione' o degradazione, una corporeità vieppiù pesante. Questa specie
di legge regolante la degradazione (e incorporazione) implica a sua
volta la creazione, da parte di Dio, della corporeità necessaria e suf-
ficiente a esprimere e sorreggere la degradazione medesima. In altre
parole, essa, tale legge e, a suo modo, tale degradazione in cui essa è
immanente, è causa formale di questo 'secondo creare' da parte di
Dio: essa, insomma, è il 'secondo principio' di cui andiamo in cerca
in Origene. La cui ontologia e cosmogonia (e antropologia) è dun-
que dualistica, il che non meraviglia se, come abbiamo raccomanda-
to, si tengono presenti contestualmente i presupposti platonici del di-
scorso ongemano.
* * *
Il ragionamento è analogo per Gregorio, anche se diverso per la
parte in cui Gregorio, pur origenista per quanto possibile all'ortodos-
sia, proprio in grazia dell'ortodossia elimina uno dei presupposti di
Origene, cioè la caduta di noes o anime preesistenti. Non c'è dunque
in Gregorio la incorporazione come effetto di una caduta già avve-
nuta (benchè ci sia, non si dimentichi, l'assunzione della corporeità
pesante, cioè passionale, delle 'tuniche di pelle', questa sì susseguente
alla caduta). Ma c'è in Gregorio, come già si osservava sopra, l'attri-
buzione dell' apparato sessuale come pur sempre causata da un pecca-
to non finora realizzatosi ma previsto da parte di Dio: insomma una
causalità che motiva un agire di Dio (la 'seconda creazione') sulla
base di un ante praevisa demerita. Questa causalità formale (non effi-
ciente, perchè tale è solo l'unico creatore) è suffiçiente perchè si pos-
sa riconoscere in essa quel 'secondo principio' che permette di parlare
di dualismo in Gregorio: e anche qui si tenga presente il riferimento
contestuale ai presupposti platonici del discorso gregoriano.
* * *
Una obiezione che si potrebbe fare al carattere dualistico delle
concezioni in questione, e in particolare di Gregorio, è che, nella
prospettiva della Heilsgeschichte cristiana, già in Paolo, e, entro limiti
precisi, nella concezione tardo-giudaica della storia, anche il peccato,
introducendo la morte, si vede riconoscere una certa 'causalità' nei
confronti dello svolgimento della storia e della redenzione, e ciò, an-
che, qui, sulla base di un provvidenziale 'piano' prestabilito da Dio,
- s1' potrebbe dire: di un prevedere da parte di Dio (cfr. il prologo
della lettera agli Efesini).
N on neghiamo che la questione legittimamente si ponga, senza
peraltro che resti abolita l'osservazione fatta a suo tempo da J.-P. de
8 9
Menasce 6, che cioè proprio e specificamente nelle concezioni duali-
stiche l'agire del bene è finaiizzato, cioè determinato nella sua teolo-
gia, dalla presenza del male. Comunque, quello che a noi qui serve
osservare è che la nostra discussione concerne il dualismo come dot-
trina dei due principii, e quindi come dottrina interessata anzitutto
alle tematiche relative alla creazione (o comunque alla cosmogonia e
antropogonia). È quando razione creativa viene condizionata in
quanto creatÌva e durante il suo proprio svolgersi come creativa, che
si può porre senza esitazione la questione del dualismo, laddove que-
sto condizionamento possa mettere in rilievo la presenza di una se-
conda 'causa', anche se non efficiente ma formale, come sopra si pre-
cisava. E questo non è certo il caso di Paolo.
* * *
Gli studii raccolti in questo volume dànno varie modalità, spesso
diversissime, della 'seconda creazione'; e queste modalità, per quanto
diversissime, hanno qualcosa di più in comune, che non il mero rife-
rimento a una 'seconda creazione' comunque motivata e realizzata.
Infatti, almeno per quanto concerne gli studii su oggetti meno dispa-
rati tra loro, quali quelli su Filone, Origene, Gregorio, e la tradizio-
ne platonica, abbiamo un altro elemento comune: che cioè la 'secon-
da creazione' si determina in relazione alla corporeità dell'uomo (per
quanto variamente giudicata). La corporeità, in Origene e in Grego-
rio, viene 'aggiunta' da Dio all'uomo a séguito di avvenuta o previ-
sta caduta del protoplasta, viene invece conglutinata automaticamen-
te all'uomo nel platonismo pagano (il Platone del Fedro e Plotino) a
séguito di perdita delle ali (veramente, Origene è qui a metà strada,
perchè, se da una parte Dio è per lui unico creatore anche della ma-
teria, l'agglutinarsi di questa all' anima caduta ha un che di automati-
co e di predeterminato SI dalla volontà di Dio, ma anche da una spe-
cie di legge di Adrasteia non dissimile da quella annunziata dal De-
miurgo del Timeo platonico 7: e ciò vale anche per quel transito da
forme corporee a altre forme corporee che è l'equivalente origeniano
della metensomatosi platonica; - al quale proposito si ricordi che la
metensomatosi platonica è criticata da Origene sopr:tttutto per i suoi
aspetti fisici, implicanti tra l'altro il passaggio in forme animali, con-
cetto- rifiutato da Origene ma anche da alcuni neoplatonici).
Inoltre, una distinzione da fare è quella tra una corporeità pura e
semplice, come quella di cui parlano i platonici, opponendola alla im-
materialità dell'idea (e con i platonici pagani anche Filone e, in certi
limiti, Origene, quando non ha il problema della resurrezione e delle
altre categorie bibliche), e invece una corporeità 'pesante' - compli-
cata con la tematica della morte come eredità dei protoplasti e del
corpo 'spirituale' di resurrezione paolino (con le sue ascendenze nei
logia Matt. 22.30,Luc. 20, 34-36, Marc. 12, 25) - nel platonismo
cristiano.
Ma senza entrare qui in tutti gli aspetti di questa distinzione
(reale ma forse troppo semplificata dal Daniélou nell' opera su Orige-
ne e da altri. interpreti) occorre osservare che anche in Platone c'è
una corporeità non terrena, ma di 'fuoco' (gli dèi-astri), non coinvol-
ta nella caduta (laddove in Origene anche la corporeità degli astri
implica una loro misura di caduta). D'altro canto, nel platonismo di
Origene e d.i Gregorio la 'colpa antecedente' (rispettivamente realiz-
zatasi o solo prevista da Dio) e la 'seconda creazione' hanno relazio-
ne proprio alla corporeità pesante (quella delle tuniche di pelle)
perchè o sono contestuali con essa (Origene: l'assunzione del corpo è
effetto immediato della caduta, e contaminazione) oppure ne costitui-
scono il presupposto (la previsione del peccato, da parte di Dio, in
Gregorio). Ed è proprio questa corporeità pesante, con le sue espres-
sioni fisiologiche (sessualità, nutrizione, crescita, invecchiamento),
quella che va evacuata alla fine della vicenda, sia per Origene che
per Gregorio.
* * *
Rebus sic stantibus, non possiamo essere d'accordo con una siste-
matica minimizzazione di queste tematiche platoniche e, nel senso
prec!sato, dualistiche in Filone e Origene (per non parlare di Grego-
10
rio, dove il problema neppur viene posto) nelle prevalenti tendenze
dell' esegesi attuale.
Così, inadeguata è l'interpretazione di Ch. Kannengiesser, La
double création chez Philon, nel volume in collaborazione Philon d'A-
lexandrie, Paris 1967, p. 278s., quando, affermando che (de dogme
monothéiste fournit à ces égard l'a priori fondamental du philonis-
me ... », ne conclude che (ela dualité restera toujours très relative dans
la conception philonienne de l'origine humaine, du moment que pour
Philon le cause première des hommes demeure unique». Come abbia-
mo detto, la tematica del dualismo è molto più vasta e articolata. Nè
vedo come possa giustificarsi una argomentazione come quella di J.
Laporte, in Kyriakon, Festschr. Quasten (1970), I, p. 320, che è pa-
radossale sia nella tesi sostenuta sia nella messa in questione proble-
matica (due atteggiamenti tipici di quei jeux de bascule di cui parla il
de Lubac [SC voI. 7 bis (1976), p. 12] e di quei giochi di contr~­
piede che estremizzano la reazione a tesi considerate sorpassate).
(Chez Origène, scrive il Laporte, les questions tombent comme-
averses ... ; il ne sait pas si l'ame est entrée dans le corps après une
existence préalable, ou si elle a été créée en meme temps que le corps
ou après» (p. 321 )., La tesi del Laporte è tuttavia che in Origene la
caduta avviene 'in quest'uomo di carne e di sangue' (pp. 322, 326
s., 332). Anche Filone è trattato in maniera analoga: (l'homme à l'i-
mage et l'homme modelé ( ... ) sont deux types d'hommes existant
sur la terre» (ove si utilizza una osservazione del Kannengiesser, in
Philon d'Alexandrie, già citato, p. 293, cfr. p. 290). Il Laporte, in-
somma, fa il possibile e l'impossibile per eliminare da Origene e da
Filone il concetto di 'faute préalable' (ciò che noi chiamiamo 'colpa
antecedente'), a costo di far cercare a Origene strane motivazioni per
il destino degli infelici in questa vita (p. 334; sull'argomento v. Phi-
localia [SC voI. 226] 25, l). Riconosciuto infine che la questione
della 'diversità' (cioè dei diversi livelli degli spiriti incarnati e del co-
smo stesso) pone un problema (il che è vero: ma proprio lì va cerca-
ta la motivazione di tutto il sistema, come credo di mostrare nei miei
contributi origeniani sopra citati), il Laporte dichiara che la differen-
za tra angeli e uomini da una parte e la caduta dei noes dall' altra non
11
 I
r
avrebbero nulla in comune tra loro, e ciò contro l'evidenza del testo
origeniano (e con questo, si noti, non vogliamo esagerare nel senso
çpposto, irrig~dendo o estendendo a tutto Origene la natura e le mo-
tivazioni della classica serie origeniana angeli:-uomini-demòni, sulla
quale si vedano le osservazioni di C. Blanc, Studia Patristica XIV
(TU 117), p. 85: «Origène a trouvè chez Philon cette doctrine qui
identifie l'ange et rame humaine»); e la Blanc cita un passo di In lo.,
Sources Chrétiennes vol. 120, p. 24 s.).
In ogni caso, la questione della 'colpa antecedente', della' doppia
creazione' e della incorporazione e delle loro rispettive connessioni
secondo la dottrina origeniana concerne proprio i noes primordiali,
quali che siano le varie situazioni e teorizzazioni concernenti gli an-
geli nell'economia attuale, che, come è noto, non è determinata, in
Origene, solo da una loro primordiale caduta (sull'universalità della
quale alcuni più o meno a ragione discutono: v. i nostri contributi
origeniani citati), ma anche dalla loro missione, che li fa soggiornare
come custodi .presso gli uomini, e che conosce anche il concetto di un
loro essersi elevati in direzione opposta a quella della caduta.
* * *
Ma la questione della' diversità' in Origene è troppo importante
perchè non meriti soffermarvisi anche in questa occasione, cioè in re-
lazione al tema della 'doppia creazione'. La diversità in questione, in-
fatti, non è solo quella tra i diversi gradi di caduta e di conseguente
incorporazione, più o meno spessa, dei noes, ma anche quella, connes-
sa, dei diversi livelli del cosmo, creati da Dio in relazione alla diver-
sa gradazione dei corpi pure da lui creati. Mentre le diversità tra an-
geli, uomini e demonii concernono infatti la creazione 'primaria' (non
nel s~nso della doppia creazione di cui era qui questione, ma nel sen-
so che angeli, uomini e demonii costituiscono l'oggetto e il senso pri-
mario della creazione fatta da Dio), gli esseri privi di intelligenza
quali gli animali e le cose (non però gli astri, che per Origene sono
intelligenti) costituiscono quella creazione 'secondaria' che esiste non
12
per sè ma in funzione degli esseri intelligenti, costituendo per loro
come il sottofondo e l'ambiente di esercizio.
Ora, la creazione, sia al livello delle diverse graduazioni di spiri-
to, sia al livello del cosmo animale e inanimato, presuppone, afferma
Origene, la diversità, la varietà: un cosmo non vario non è un co-
smo. D'altra parte non si dà diversità e varietà senza graduazione;
ma questa risulta direttamente (per gli esseri intelligenti) o it"'diretta-
mente (per gli animali e le cose) dalla graduazione della caduta dei
noes primordiali, - graduazione in rapporto alla quale Dio crea i di-
versi livelli corporei e cosmici. N e risulta che la ratio della diversità
come principio ontocosmologico (di rilevanza universale e connessa
con la caduta dei noes) è dunque un principio, in qualche modo una
arché, nel senso di causa, sia pure non efficiente ma formale, e ciò in
un contesto dualistico, come sopra si chiariva. Perciò non siamo
d'accordo con Marguerite Harl (Origeniana, p. 25) quando afferma
che Origene nel de principiis andrebbe contro il concetto di una dua-
lità di archai (e ciD anche se non pretendiamo di tradurre l'espressio-
ne peri archon semplicemente con 'trattato intorno alle due cause'). È
che in questa tematica origeniana della diversità non ci si deve fer-
mare a porre in rilievo la polemica contro il concetto gnostico della
diversità congenita delle nature (Harl, op. cito p. 27; Le Boulluec,
ibid., p. 51), ma se ne deve constatare anche la rilevanza dualistico-
cosmogonica e dualistico-antropogonica, nel senso sopra accurata-
mente precisato.
A questo proposito, si noti che in de principiis II, 9,4 (addotto
da Monique Alexandre, in uno studio infra citato), il testo ha preci-
samente iustitiae ratio (rafio generalis), che spiega, cioè fonda (cioè: è
ciò su cui consiste) appunto la varietà e diversità del mondo nella sua
universalità, cioè sotto il suo aspetto complessivo, in quanto distinto
da quella ratio particolare che motiva invece i suoi singoli aspetti e
che, osserva Origene, sarebbe pazzesco voler singolarmente motiva-
re. Ora, è proprio in questo senso che la ratio in questione è un prin-
cipio, e un secondo principio di tipo dualistico (noi non diciamo che
il sistema di Gregorio sia nel suo complesso e nel suo significato ge-
tlerale un sistema dualistico: diciamo che nella sua concezione antropo-
13
logica e antropogonica ci sono elementi dualistici, in prosecuzione degli
elementi dualistici, questa volta più vicini al sistema, che ci sono in
Origene: sul 'sistema' in Origene v. più oltre). Vero è d'altronde, e
non vogliamo negarlo, che sarebbe difficile far quadrare con il signi-
ficato da noi proposto per la ratio origeniana della diversità i varii
sensi di arché analizzati da Origene in Co. 10.1, per cui si veda 1'ar-
ticolo del Fruchtel in Studia Patristica XIV (il' Fr. distingue due
'campi concettuali' che si incrociano: ((dieBedeutung des bestehen-
den W oher als Prinzip eines Seienden, insofern es so ist, wie est ist»,
e il senso di 'inizio e cominciamento '); e non dimenticheremo che il
Nisseno si rifiuta di ammettere diaphoroi archai esterne alla causa
creatrice (Daniélou ap. Dorrie (Ed.), Crego., von Nyssa und die Philo-
sophie, p. 14): ma si tratta appunto di intendere in che senso noi ab-
biamo parlato di principio (e di secondo principio) come causa non
efficiente (quasi un secondo creatore) ma formale, appunto ratio, o
criterio, nel senso di inevitabile principi.o di determinazione o causa-
zione. E tale è, come si è mostrato, sia il principio origeniano della
caduta I graduata incorporazione, sia il principio gregoriano della
causalità 'previa' del peccato come motivazione dell' agire di Dio nel-
la 'seconda creazione' o creazione 'aggiuntiva' (e ciò anche in presen-
za di un testo del de princ. che subito citeremo).
Sulla tematica della diversità in Origene ha importanti osserva-
zioni Monique Alexandre, i~ Crouzel-Lomiento-Rius Camps (Edd.),
Origeniana, Bari 1975, pp. 72 e 74, che pone opportunamente
in connessione diversità, caduta, corporeità, cosmo, nonché il con-
cetto di k..atabolè, su cui si veda anche Rius. Camps, Studia Patrist.
XIV, p. 168. L'Alexandre cita de princ. IV, 4, 5-8, che si aggiunge
ai passi da noi citati nei lavori di argomento origeniano sopra citati:
((Poiché la natura dotata di ragione era suscettibile di mutazioni ... in
modo che secondo i suoi meriti essa dovesse servirsi di un rivesti-
mepto corporeo diverso, di tale o tale qualità, necessariamente, preve-
denao le differenze che si sarebbero prodotte tra le anime o le poten-
ze spirituali, Dio ha fatto la natura corporea tale che potesse, secon-
do il volere del creatore (si noti 1'inciso, che ribadisce 1'unità della
causa efficiente, cioè del creatore, ma non abolisce la rilevanza della
14
ratio t), essere trasformata in tutto ciò che le circostanze domandasse-
ro con la modifica delle qualità» (V. anche C. Blanc, Studia Patrist.
XIV, p. 82): ecco qui comparire, osserviamo a nostra volta, anche
in O:igene quella 'previsione' divina in ordine alle fasi del processo
creativo che poi avrà in Gregorio quella importanza che si è detto ai
fini della tematica della' doppia creazione'; ed è ovvio che con que-
ste nostre osservazioni non togliamo affatto rilievo al criterio dei
'due registri', filosofico e biblico, secondo cui interpretare queste te-
mati~he origeniane, come giustamente richiedono M. Harl (Origenia-
na, CIt., p. 27 e M. Alexandre (ib., pp. 64 e 81), rispettivamente per
la. tematica di archè e telos (su cui v. anche Rius-Camps, Studia Pa-
trt.~t. XIV, p. 167 ss. e Otis, ib., p. 327 ss.) e di incorporeo I corpo-
reo.
Sono da considerare in questo contesto anche le riflessioni del
Fruchtel (Studia Patrist. XIV, p. 117): (cIst aber die Freiheit der
Geistwesen (logik..à) indirekt Ursache ihrer Verfallenseins in dem
materiellen Leib, so ist damit eine christliche Interpretation des pIa-
tonischen aiTia ÈÀOj1€VOV, ~€dç àvainoç (Pol. 627 E) gegeben,
wobei gleichzeitig zu folgern ist, dass dann die Materie als irdische
Korperwelt ihren Ursprung der - sundhaften - freien Willensent-
scheidung, nicht aber allein dem Schopfungswort Gottes zu verdan-
ken habe. 1st also das plasma k,yriou der notwendige irdische mate-
rielle Lauterungsort der aus der Einheit gefallenen Menschen und
Geistwesen, so scheint diese M~terie nicht direkt von Gott geschaf-
fen und damit wohl nur eine Folge der verlorenen ursprunglichen
Einheit)) (non ci piace il nicht direk..t, perché la materia come tale è
creata in anticipo e direttamente da Dio, in previsione della futura
caduta, in misura corrispondente alle future incorporazioni e creazio-
ni seconde che a queste si accompagneranno: come già si è osserva-
to, una anticipazione in Origene del tema della prescienza e della
~oppia creazione in Gregorio di Nissa l). Tornando al Fruchtel, egli
rIcorda la Abstufung der Korperstruk..tur valentiniana e certe affinità
con Origene e forse già con la tradizione alessandrina. Cfr. anche
op. cit., p. 131, per il peccato come concausa per la creazione, e, a
p. 143, l'osservazione che la caduta dall'unità nella molteplicità ha il
15
 suo fondamento «im Sinne einer zweitrangingen arehé... , die fast in
l
!
'der Weise des akzidentellen Seins zu verstehen ist») (il che ci riporta
alla .questione tipicamente platonica o origeniana di Dio anaitios del
male per ragione dell'accidentalità del bene nell'uomo e nella creatu-
ra in generale). (Non sono quindi senza motivo le critiche anti-
origenistiche di Metodio di Olimpo circa l'attribuzione di una nega-
tività allo stato corporeo (in quanto espresso nelle tuniche di pelle) e
sul corpo come effetto e causa rispetto ai peccati, di cui Patterson,
Studia Patrist. XI, p. 162 ss.).
Questo riferim~nto alla tematica origeniana (ma già platonica) di
Dio 'innocente' (anaitios) dell'imperfezione e del male nell'uomo e
nel cosmo ci porta infine ad esaminare un tema che è fondamentale
nell'esegesi attuale di Origene, e che non è per nulla estraneo alle no-
stre proprie preoccupazioni esegetiche: cioè la contrapposizione di
Origene alla dottrina gnostica di una origine fatale del male, di una
fondamentale irresponsabilità umana di fronte al male, dovuta al fat-
to che. per gli gnostici, o almeno per i valentiniani, almeno secondo
la comune interpretazione, gli uomini sarebbero già a priori divisi in
categorie (spirituali, psichici e materiali), che condizionerebbero a
priori il loro ethos e il loro destino. Con il che, tradotto (del resto ap-
prossimativamente) in termini teistici, 'Dio' risulterebbe da ultimo il
colpevole o quanto meno la causa del male.
Ora, a prescindere dalla validità dell' attribuzione ai Valentiniani
di tali teorie deterministiche (e noi non siamo affatto alieni, in gene-
rale, da tale attribuzione, anche se essa va più articolatamente moti-
vata e specificata, ma non è questo il luogo ), bisogna dire che la spe-
culazione platonica (e dei platonici) su Dio anaitios del male si pre-
senta alquanto ambigua in sè, qualunque siano le intenzioni (certo in
Origene ottime rispetto alla spiritualità biblica di cui l'Alessandrino
vuoI essere perfetto interprete nella teoria e nella prassi): ambigua
per condizioni di fatto, legate ai fondamenti stessi dell' ontologia pIa-
to.nica.
È da notare che, paradossalmente, proprio le argomentazioni
tendenti a mostrare Dio come 'innocente' (anaitios) dei mali con il
d~rgli dei collaboratori nell'opera della creazione pongono in essere
16
una concezione dualistica, così come abbiamo visto per Filone e la
sua teoria delle dynameis / angeli; per gli gnostici la cosa è poi ovvia,
allorché i collaboratori sono anche dei rivali di Dio, o comunque de-
gli esseri che, diversamente da quanto avviene in Filone, agiscono
non con il beneplacito o l'incarico da parte di Dio, ma contro o indi-
pendentemente rispetto all'Essere sommo; e Origene ne è cosciente
quando scrive a proposito del marcionismo: «Se alcuni di loro, per
difenderf Dio, pretendono che ci sia un altro Dio, il Dio buono che
non è all'origine di nessuna di queste azioni ... ») (Philoeal. 23, 2).
Senonché, anche il concetto di una doppia creazione dell'uomo
da parte di un Dio unico porta a conseguenze dualistiche: e ciò sia
nel caso di Origene, ove Dio realizza una aggiunta inferiore alla na-
tura dell'uomo, applicandogli o comunque sanzionando in lui l'acces-
so alla corporeità spessa (e si noti che il Crouzel, Théologie de l' image
p. 204, omologa giustamente discesa delle anime e seconda creazio-
ne dell'uomo: cfr. ib. p. 19 s. e Sourees Chrétiennes voI. 62, p. 89 s.),
- sia, nel caso di Gregorio di Nissa, aggiungendo all'uomo, in pre-
visione della colpa di Adamo, il carattere sessuato. E ciò vale, per
Origene e per Gregorio, anche se l'intenzione loro è proprio quella di
rendere Dio 'non colpevole' del male (cfr. Crouzel, Origène et la
philosophie, p. 50) o della disuguaglianza (con tutte le sue gravi im-
plicazioni ontologiche di cui sopra), come in de prine. 1; '5, 3-5, ove
l'alessandrino argomenta che Dio non è responsabile del male, dato
che il bene nelle creature non è sostanziale ma accidentale, e quindi
non dipende dal fatto che una creatura sia stata creata meno perfetta
di un'altra: cfr. Philoeal. 23, 3, 8: chi è presciente non è propria-
mente, di per sé, la causa degli eventi previsti (cfr. anche affermazio-
ne di Basilio citata da Harl, Studia Patrist. VII, p. 487). Del resto,
per avvicinare le due posizioni sopra menzionate (Dio aiutato da
'collaboratori' nell'opera della creazione e 'doppia creazione' operata
dall'unico creatore) è notevole che in Origene appare, anche in con-
traddizione con quest'ultima poslzlOne, il concetto di una
collaborazione-esecuzione da parte di angeli nel contesto dell' opera
creativa, in relazione a quel testo biblico ('facciamo l'uomo .. .', al plu-
rale) che aveva spinto (o che aveva dato pretesto) a Filone per parla-
17

re di collaboratori del creatore, allo scopo di allontanare Dio creato-
re da quel terreno, l'uomo, l'unico essere intermedio (methorios), dove
può nascere il male 8. E infatti Origene spiega quella espressione del
Genesi con la teoria secondo cui gli uomini che non sono dalla parte
di Dio sono plasmati da quelli (angeli o demoni) che li ottengono in
sorte (In lo XIII L 330, Sources chrét. voI. 222, p. 217, v. C.
B1anc, Studia Patrist. XIV, pp. 89-91). Questo riecheggiamento, o
meglio questa inversione della nota espressione platonica: ((Non il
demone-destino sceglierà voi, ma voi sceglierete lui ... »), inversione
strana data l'intenzione generale di Origene, di porre in rilievo la li-
bertà umana di scelta, è un tipico indizio di slittamento dal sistemati-
. co allo spirituale, in Origene, ma anche di lotta contro il dualismo
fatta con il ricorso a tematiche di riferimento dualistico (anché se di
forma diversa e meno offensiva): soluzione comunque diversa da
quella (Dio autore del male) delle curiose aggiunte dualistiche a Lat-
tanzio (Heck Studia Patrist. XIII, 185 e Loi, Ann. Cagliari 29).
É per completezza aggiungiamo qui due osservazioni circa la
'necessità' della caduta in alcune tematiche origeniane (e, limitata-
mente, anche di Gregorio) e circa l'importanza del 'sistema' in Ori-
gene.
Riguardo al primo punto, oltre al tema già illustrato della neces-
saria varietà del mondo secondo la visuale origeniana, attiriamo 1'at-
tenzione anche sull'altro (e connesso) tema ontologico platonico (Ti-
meo, ripreso da Filone e da Plotino) secondo cui il mondo, per esse-
re completo, deve ospitare nella sua sfera sensibile tutte le specie ani-
mate che esso ospita nella sua sfera ideale 9. Che questo tema sia esi-
stente in Gregorio risulta da testi addotti dal Daniélou (in Philon
d'Alexandrie, cit., p. 340): la terra non deve essere privata dell'esse-
re umano risultante dall'incorporazione; testi, tra cui de homo op.
165 C, in comparazione con Filone; cfr. anche, del Daniélou, L' e-
tfe et le temps, p. 154: lo spirito deve essere presente in tutto il co-
smo, e ciò con implicanze dialettiche rispetto alla teoria del decadi-
mento, osserva il Daniélou. Ma si tratta di una dialettica tipicamente
platonica e dualistica, '~sserviamo a nostra volta (v. anche il passo
18
cito ib., p. 161 ss., ma anche le osservazioni di M. H ad, nel volume
in collaborazione Philon d'Alexandrie, p. 346).
Sulla necessità di una declinazione verso il basso (causata dalla
mutabilità che ontologicamente caratterizza gli spiriti creati), che è
anche una declinazione verso il molteplice tramite la varietà, cfr., ol-
tre le nostre osservazioni nelle pubblicazioni succitate concernenti
Origene, anche Balas, in Origeniana, p. 261 s.; e circa la 'necessità'
di un cambiamento / caduta, sempre in Origene, si veda Otis, Studia
Patrist. XIV p. 330 n. 1, con riferimento a de princ. I, 5 e II, 9, 2
(per quanto concerne la 'necessità' parallela del finale ritorno cita Co.
lo. I, 3, 4, e de princ. iv, 4, 9; ma V. p. 111 S. n. 5 del presente vo-
lume, circa il tema del progresso in Origene). Nonostante le differen-
ze, il riferimento ailleopiatonismo è ovvio: (c .. Der Neuplatonismus
kennt die Sch6pfungsidee nicht, wohl aber die Idee der Vielheit ,als
notwendige Entfaltung der Einheit ... »), scrive E. von Ivànka in Epe-
ktasis (Studi Daniélou), p. 499. V. anche Daniélou, ap. M. Had,
Ecriture et (ulture ... , p. 13, cito alla n. 5 di p. 111 S. del presente vo-
lume. Quanto a Gregorio, la motivazione dd male tramite il maligno
(Daniélou; cfr. Philippon, Studia Patrist. IX, p. 254 ss.) esiste, ma
non elimina l'antologia di base.
Sulla questione del '.sistema' in Origene si vedano le giuste osser-
vazioni di M. Harl, in Origeniana, p. 31: è utile «ramener le Peri ar-
chon à quelques-uns des principes qui soutiennent ses raisonnements,
dégager les axes fondamentaux de sa structure et de sa problémati-
que, souligner la cohérence des explications»). Cfr. Le Boul1uec, ib.,
p. 53: «effort cohérent ... système ouvert»), nonché le equilibrate os-
servazioni di D.L. Balas, ib. p. 273 S. e in particolare l'estensione a
Origene del giudizio di Jaeger sul Nisseno: «Altrough Gregory has
no closed system, there is a systematic coherence in his throught and
a core of basic concepts to which his treatment of Christian religion
reverts ... » (vero è che questo concerne propriamente Origene come
'teologo sistematico' e non come platonico). Ma per questo si tenga
conto delle osservazioni di 'genere letterario' relative al de princ. in
quanto 'ouvrage centré sur la physique', che non ha un modello cri-
stiano conosciuto. e la cui forma si chiarisce in relazione a trattati fi-
19
losofici di epoca vicina, fatte da G. Dorival, in Origeniana p. 33 ss.
Dal canto suo B. Studer, Studia Patrist. IX, p. 275 chiama il de
princ. 'il primo tentativo di una immagine del mondo conchiusa', an-
che se pone in questione il suo sviluppo sistematico. Problematico E.
Friichtel, Studia P atrist. XIV p. 122 n. l, mentre nello stesso volu-
me, p. 166' n. 2, L. G. Patterson osserva: «the view that Origenes'
speculations are incidental to his work as an exegete ... is but one in-
stance of the retreat from Origen apparent among his intellectual
heirs by the end of the 3rd century ... )). J. Rius-Camps, ibid. p. 167
ss., può parlare, a proposito della questione cruciale della sorte finale
della natura corporea, di una fluttuazione tra dato rivelato e presup-
posti filosofici di un sistema ove il mondo corporeo deriva da una
caduta (il che è pure il punto di forza del nostro argomento), laddo-
ve il dato biblico urgeva in senso escatologico con il tema della risur-
rezione dei corpi e della nuova terra. Anche lo Otis parla, nello stes-
so volume, p. 327, ss., di Origene platonico e cristiano. È nota inve-
ce la posizione del C rouzel , contraria a un Origene sistematico. In
Origène et la philos9phie, del 1962, egli critica l'interpretazione del
Daniélou (p. 13, cfr. pp. 193, 202, 215) e differenzia accuratamen-
te 'speculativo' da 'sistematico' (anche per il de princ.), proponendo
la formula di B6hringer secondo cui Origene 'nella misura in cui ha
accettato la filosofia greca l'ha cristianizzata', formula che può riusci-
re deviante e annebbiare il problema (come mi pare risulti dalle pp.
190-192, generiche e arbitrarie, per un apriori teologico introdotto
in un momento inproprio della discussione; v. anche Théologie de l'i-
mage ,de Dieu chez Origène, p. 14). Troppo generica anche la 'rimessa
in questione' di J.M. Leroux, in Epef{tasis, p. 340 ('1' origénisme
existe-t-il vraiment comme erreur?'; paragone con l'età del gianseni-
smo in Francia). Hiibner, infine, che, nonostante recenti contestazio-
ni, parla ancora, giustamente, di «teoria della' doppia creazione')) in
Gregorio di Nissa, vedendo come unico scopo di essa (ela prova del-
l'otiginario carattere asessuato dell'uomo a immagine di Dio) (Die
Einheit des Leibes Christi bei Gregor von Nyssa, Leiden 1974, p.
327), ha (p. 279) una opportuna distinzione (anche cronologica) tra
phi,losophumena e filosofia (e la struttura da noi posta in rilievo può
20
anche essere un filosofema 'in arrivo da una filosofia), mentre il Da-
niélou, che pur ha individuato varii aspetti della struttura in questio-
ne, parlava in Origène, p. 306, di una prospettiva unitaria che non
sarebbe nell'ordine speculativo. Recentemente (1974) H.J. Vogt
nega a sua volta l'esistenza di un 'sistema' di Origene (Das Kirchen-
verstandnis des Origenes, cito da G.-M. de Durand, (Rev. des scien-
ces philos. et théoLJ, 60 (1976), p. 519.
* **
Come risulta dall'Indice, oggetto di questo libro non è solo la
tematica del platonismo tardo-giudaico e cristiano, né quella di for-
mazioni gnostiche particolari quali il mandeismo o la dottrina dei
'Fedeli di Verità'. C'è tutta una tematica storico-comparativa che
viene qua e là addotta, dai dualismi 'primitivi', studiati dall' etnolo-
gia, che introducono un 'secondo creatore' a lato di un Essere su-
premo creatore (o primo creatore), 'secondo creatore' che talora si
manifesta anche come avversario, oltre che come ambiguo collabora-
tore dell'Essere supremo (come nel caso del tema mitico del 'pescag-
gio della terra', tema non dualistico presso gli indigeni del N ord-
America, ma dualistico presso le popolazioni etnologiche d'Asia cen-
trale), - fino al tema della doppia creazione nel mondo greco, sia
quello di ispirazione 'olimpica' (il ciclo di Prometeo, ove il titano è a
suo modo un secondo creatore o meglio uno che condiziona con il
suo agire la consistenza fisica ed esistenziale dell' uomo), sia quello di
ispirazione misteriosofica (la Discordia empedoclea che, frazionando
l'D no, ha indubbia qualità demiurgica e funzione dualistica; la cadu-
ta delle anime in Platone, di cui si è già abbondantemente discusso
nelle pagine precedenti, e, ancora una volta, la tematica prometeica,
allorché il titano viene interpretato da Platone, nel Protagora, all'in-
terno di un modello secondo cui la demiourgif{è techne, cioè l'arte di
sopravvivere in questo mondo, viene data all'uomo da Prometeo,
mentre solo da Zeus, tramite Hermes, verrà all'uomo l"arte politica',
cioè la sapienza, che si esprime per Platone sovranamente nell'arte di
vivere nella comunità, cioè propriamente da uomini. E analoga riuti-
21
lizzazione misteriosofica del mito di Prometeo ritroveremo laddove
egli plasma il corpo dell'uomo, mentre Athena, certo da parte di
Zeus, infonde nella nuova creatura l'anima) 10
Della riflessione misteriosofica, adottata da Platone e da lui mu-
tata in filosofia e in filosofia mistica, risentirà, con accentuazione e
irrigidimento dualistici, lo gnosticismo, in cui la dottrina del demiur-
go inferiore - contrapposto alla somma Divinità nelle intenzioni e
nel carattere - è assolutamente di casa.
3 V. l'esemplificazione data alle pp. 5 5-7 O del volume citato alla n. 1.
4 Sulla 'fluidità' (instabilità) della materia, tipico ~ema platonico, V. Gregorio,
de homo op. 165 A e Gregorio di Nazianzo MG 37, p. 553, l lino 425: ÀVTfi<:
otà aapKo<: ... , POLV TtKTOJ.l.ÉllOWt, Kaì ÒÀÀVJ.l.ÉllOWt-Y€IlÉ1'} À l1'"
l V. il volume citato sopra, alla n. l, e particolarmente il suo capitolo II, 2.
6 5hikand-gumdnik vijdr, Friburgo (Sv.) 1945, p. 84 S.
7 V. p. 135 S. del volume citato sopra, alla n. 1.
8 V. sopra, n. l.
9 Tim. 39 E e 40 B. Per Filone, cfr. de op. mundi, 16, cfr. 62. Cfr. le pp.

Esaurire questa tematica, sia quella dualistico-etnologica, sia 176-179 del volume citato alla n. l.
lO La tematica prometeica ha consigliato l'inserimento di uno scritto di M.
quella concernente la misteriosofia greca o lo gnosticismo, - tutti
Cigognini sul tema comparato del diluvio come nuovo inizio, senza che ciò impli-
ambienti dove, in modi varii, si trova la tematica della 'doppia crea-
chi una sua assimilazione con le caratteristiche dualistiche della 'doppia creazione'
zione' - non era lo scopo di questo volume: per essa rimando rispet- quali considerate nel presente volume.
tivamente al mio volume Il dualismo religioso. 5aflSio storico ed etnolo-
gico (Roma, L'Erma di Bretschneider 1958), ai miei 5elected Essays
on Gnosticism, Dualism and Mysteriosophy (Leiden, E.J. Brill 1978) e
al mio volume Prometeo, Orfeo, Adamo. Tematiche religiose sul destino,
il male, la salvez:w (Roma, Edizioni dell'Ateneo e Bizzarri 1976), il
quale è da considerare come il primo volume di una serie di cui il
presente volume è continuazione.
In questi stessi volumi il lettore troverà quei riferimenti testuali e
quelle dettagliate analisi storico-religiose (,colpa antecedente', 'duali-
smo', 'misteriosofia', 'gnosticismo' etc.) cui si è fatta allusione in que-
ste pagine.

l Per Filone cfr. de op. mundi 72 ss. e gli altri testi cito infra, p. 112 s., n. 6 e
U. Bianchi, Prometeo, Orfeo, Adamo, Roma 1976, p. 265 ss. Per le haireseis, Giu-
stino, dial. 62, nonché il Tractatus tripartitus gnostico di Nag Hammadi (Codex
Jung, pago 112, 19-114, 5) e Ps.-Clemente, Ree. 2, 39.57; cfr. anche la dottrina
della setta dei Maghariyya. Su tutti questi testi, V. Prometeo, Orfeo, Adamo, p.
160, n. 12.
2 Per Origene, si integrino le osservazioni qui fatte, oltreché con le indicazio-
ni ~Jel capitolo a lui dedicato in questo volume da G. Sfameni Gasparro, anche
con il mio contributo al II Congresso origeniano (Bari 1977), in stampa sotto il
titolo di Origeniana II. Per Gregorio di Nissa, si veda il capitolo compreso nel
presente volume. [Vedo ora l'articolo di J. Vives in "Estudios eclesiasticos" 45
(1270), pp. 203-235, ove trovo concordanze con le argomentazioni qui svolte].

22 23
 ANGELA M. MAZZANTI
l'AGGETTIVO ME80PIOL
E LA DOPPIA CREAZIONE DELL'UOMO
IN FILONE DI ALESSANDRIA
 N ella complessa concezione antropologica di Filone Alessan-
drino, particolarmente interessante è la definizione dell'uomo come
J1€{)OpWC;, espres,sa - seppur con significati diversi - in varii passi.
Anzitutto, l'uomo è creato come essere (eliminare)). Due nature
(<;?ua€Lc;) - sostanza terrestre ('Y€WOT/C: ovaia) e soffio divino
(1Tv€ilJ1a {)€iov) -lo costituiscono originariamente: in lui si incon-
trano ma in lui si mantengono distinte: «Per quanto riguardaTuomo
sensibile e individuale, Mosè dice che egli è nella sua costituzione
una combinazione di sostanza terrestre e di soffio divino. Infatti il
corpo è stato creato dal fatto che 1'ardsta prese una parte di terra e
ne formò una figura umana; al contra~io l'anima non è originata as-
solutamente da nulla di creato, ma dal Padre e Signore dell'universo.
Infatti ciò' che egli ha soffiato non era nient' altro che il soffio divino
che ha staccato da questa natura fortunata e beata una specie di colo-
nia fra noi per il bene della nostra razza, perché, mortale per la sua
parte visibile, fosse almeno immortale per la sua parte invisibile. Così
si potrebbe dire benissimo che l'uomo è al limite della natura mortale
e della natura immortale (ròv av{)pw1ToV {)vT/rf1c; Kaì à{)avarov <;?v.
a€wc; €ìVaL J1€{)opwv), nella misura in cui partecipa necessariamen-
te all'una e all' altra, e che è insieme mortale e immortale, mortale per
il corpo ma per il pensiero immortale)) (de opi[. 1 35) 1.
Di conseguenza la condizione umana, anche nelle diverse specifi-
cazioni (genitori, sacerdoti, uomini perfetti), è caratterizzata dallo
stesso carattere di liminarità, che ne vieta la appartenenza definita a
uno dei due mondi (de decal. 107; de spec. lego 1,116; de somniis II,
188; 2 3O e 2 34; de virtut. 9) 2.
Questa liminarità, che è anche medi età, definisce la situazione
umana anche da un punto di vista etico, e questo sia in relazione alla

27
situazione dell'uomo in cui non è ancora sviluppata la ragione, e che
quindi si attarda tra vizio e virtù senza ~perare ancora una scelta (de
praemiis 62) 3, sia in relazione alla quotidianità dell'esistenza in cui
può volta ~ volta orientarsi per il bene o per il male (de fuga 21 3; de
somniis I, 1 52; quis rerum 45 e 121; de migrato Abrahami 1 58) 4.
In Filone, del resto, non si può parlare dell'uomo simpliciter.
Fondamentale è infatti la distinzione, .occasionata dalla sua esegesi di
Genesi I, 26-27 e II, 2, fra uomo «ad immagine» e uomo «plasma-
to»: (Mosè) ((mostra cosÌ molto chiaramente la totale differenza che·
esiste fra l'uomo che sta per essere plasmato qui e quello che era sta-
to precedentemente generato ad immagine di Dio. Questo, che è sta-
to plasmato, è sensibile, partecipa ormai alla qualità; è composto di
corpo e di anima; è uomo o donna; mortale per natura. Quello fatto
ad immagine di Dio è un'idea, un genere o un'impronta; è intellegi-
bile, incorporeo, né maschio né femmina, incorruttibile per natura»
(de opif. 134). Si tratta dunque per Filone di una distinzione fra due
esseri umani crea.ti in due fasi distinte, e già su due piani distinti,
quello ideale dell'immagine e quello sensibile del plasma. Vero è che
la cosa è complicata dal fatto che la mascolinità e la femminilità, le
quali in questo passo appaiono come connotazioni proprie dell'uomo
((plasmato», in de opif. 76 sono presenti come specificazioni già nel-
l'idea ((uomo» 5.
È dunque difficile definire chiaramente i due uomini, tanto più
che si aggiungono altri aspetti di contraddittorietà. Mentre in de
opif. 69 Filone, dopo aver distinto fra un intelletto universale e uno
individuale, sembra identificare l'uomo «ad immagine» con l'intellet-
to particolare presente in ogni uomo, intelletto che viene da lui con-
siderato come un dio che governa l'anima e, d'altro canto, contem-
pla gli intellegibili, in de opif. 134, invece, come si è visto, l'uomo
((ad immagine» è un'idea, un modello degli individui terrestri. Le le-
gum allegoriae, a loro volta, dopo aver affermato la completa estra-
"neità dell'uomo «ad immagine», a cui è data la significativa denomi-
nazione di uomo «celeste», alla sostanza corruttibile (leg. ali. I, 31),
lo definiscono l'intelligenza immateriale (leg. ali. I, 88) che possiede
..le tre qualità proprie della natura beata: la vivacità di spirito, la per-
28
severanza e la memoria (leg. ali. l,55), in contrapposizione con l'uo-
mo ((plasmato» cioè l'intelligenza terrestre pronta ad entrare nel cor-
po (leg. ali. I, 32) 6.
Comunque, in qualunque modo siano definiti i due uomini, c'è
fra loro una differenza radicale, ontologica. L'intelletto è infatti la
guida dell'uomo ((plasmato» (de opif. 69); il modello intellegibile
dell'uomo precede, secondo una gerarchia ontologica, l'uomo indivi-
duale (de opif. 1 34); l'intelligenza pura si distingue dall'intelligenza
nata dalla terra e amica del corpo (leg. ali. I, 31; I, 42; I, 53- 55 ; I,
88). Due entità diverse, quindi, anche se, come giustamente afferma
il Simon 7, c'è fra loro un rapporto e non un'opposizione.
Diversa e per noi paradossale è invece l'interpretazione del Kan-
nengiesser. Secondo questo studioso, nelle opere di Filone che com-
mentano la cre.azione ((non si trova alcuna allusione ad una preesi-
stenza reale dell'uomo ad immagine né ad una caduta dell'anima del-
l'uomo terrestre, né ad una inferiorità morale di questo in rapporto
all'uomo celeste» 8. Ma come è possibile negare la preesistenza del-
l'uomo ((ad immagine»? Se è rischioso parlare troppo facilmente di
preesistenza cronologica quando si tratta dell' opera creatrice di Dio
che non conosce limiti ·di tempo e di spazio 9, bisogna ammettere che
l'uomo in quanto genere, modello (de opif. 134) si situa logicamente
e ontologicamente (e, in questo senso, anche cronologicamente) pri-
ma dell'uomo ((plasmato» composto di corpo e di anima (de opif.
134), come del resto Filone stesso afferma: «(Mosè) mostra molto
chiaramente la totale differenza che esiste fra l'uomo che sta per esse-
re plasmato qui (vvv),e quello che era stato precedentemente (rrpo.-
T€pov)igenerato ad immagine di Dio» (de opif. 134). La creazione
umana, cosÌ come la cosmogonia, si svolge in due fasi (leg. ali. II,
13) lO secondo un progetto stabilito da Dio, che, «quando volle fab-
bricare il mondo visibile di quaggiù, formò prima il mondo intellegi-
bile, affinché, utilizzando un modello incorporeo e tutto a somiglian-
za divina, realizzasse il mondo corporeo, replica più recente di uno
più antico» (de opif. 16) Il.
Inoltre, nonostante l'affermazione del Kannengiesser, il tema
della caduta dell'anima nell'uomo terrestre, sebbene non sia svolto
29
 nelle opere riguardanti la creazione, è più volte ripreso da Filone.
Per motivazioni diverse: scelta (de gig. 12-13) e sazietà ("dpo~) (quis
rer. 240) e attrazione nei confronti della materia (de somniis I, 138-
142), le anime discendono nei corpi e subiscono le vicende terrene.
Come negare, infine, che, per quanto rigt.larda la morale, esiste
un'inferiorità ontologica dell'uomo «plasmato» rispetto all'uomo «ad
immagine»? Alla diversità ontologica corrisponde quella della moti-
vazione etica. Infatti, nel delineare la configurazione dei due uomini,
Filone ribadisce che l'uomo ((secondo l'idea» ha rapporto solo con la
virtù, mentre per l'uomo «plasmato» non solo si pone la possibilità
di una scelta, ma addirittura - per le motivazioni ontologiche di cui
diremo dopo (teoria della «mutabilità») - l'inevitabilità del contatto
inteso come compromissione col male: «L'uomo secondo l'idea non
si trova soltanto, lo si constata, nelle piantagioni delle virtù; egli ne
è anche l'operaio e il guardiano, e ciò significa: egli ha la memoria
di ciò che ha intes~ e praticato, mentre l'uomo plasmato né pratica le
'virtù, né le conserva; è soltanto. introdotto nei loro precetti dalla li-
beralità di Dio, ma deve ben presto essere esiliato dalle virtù» (leg.
ali. I, 54) 12.
Ma non basta: non solo esiste una diversa natura e una diversa
possibilità di esperienza morale fra l'uomo-idea e l'uomo plasmato,
ma una diversa struttura caratterizza gli stessi uomini mortali. L'al-
ternarsi delle generazioni e il trascorrere del tempo portano in sé ine-
vitabilmente un principio di decadimento. Al protoplasta, Adamo,
essere eccellente (lipWTO~) perché uscito dalle mani stesse di Dio (de
opif. 140) e formato con la terra più pura fra quella esistente (de opif.
137) seguono per via di generazione altri esseri umani che ricevono
delle forme sempre meno fedeli al prototipo: si tratta infatti di copie
delle copie (de opif. 140-141).
Sempre sulla stessa linea interpretativa, J. Laporte, appoggiando
l'argomentazione del Kannengiesser, scrive che «l'uomo ad immagi-
~'ne e l'uomo plasmato, che corrispondono ai due racconti della crea-
zione, sono due tipi di uomin1 esistenti sulla terra», cioè in altre pa-
role, i contemplativi autentici (Terapeuti ed Esseni, Mosè e i patriar-
..chi), e - all' opposto - gli uomini che conosciamo abitualmente e
30
che lottano con le passioni e i desideri corporei 13. La differenza na-
scerebbe dall'intensità dello spirito divino che le due categorie di uo-
mini si mostrano capaci di cogliere. E il Laporte precisa che quando
lo spirito di Dio ((soffia, l'uomo è in ordine, e non può soffiare se
l'uomo non è in ordine, altrimenti non è che una brezza profumata
ma senza potere, capace soltanto di rendere evidente la nostra possi-
bilità di colpa» 14.
Ma qui sorge precisamente il seguente problema: l'essere «in or-
dine» da che cosa dipende? Si tratta di una pura diversità di ordine
morale? Come non considerare la diversità ontologica delle due en-
tità umane? Abbiamo già accennato agli elementi che contraddistin-
guono gli stessi uomini plasmati nella loro composizinne originale: il
nascere da Dio stesso o da altri uomini, la maggiore o minore lonta-
nanza dalla terra pura da cui Adamo fu plasmato, cioè il deteriora-
mento dell'immagine con il susseguirsi delle generazioni. Tutto que-
sto determina ovviamente delle differenze ontologiche che risalgono
ai principii e che concernono anche l'etica, come si è osservato. In-
fatti, per l'udmo «ad immagine» non vale quel dato essenziale del
mutamento, proprio di ciò che è sensibile (de opif. 12), mutamento
che, come vedremo in seguito, coincide inevitabilmente con la espe-
rienza del male (de opif. 151). Ciò, unito agli esempi sopra citati di
caduta nella vita corporea, rende debole la affermazione del Laporte,
secondo cui «tutta la vicenda accade nell'uomo, e durante il suo sog-
giorno su questa terra. Nessuna caduta in una vita anteriore» l'. In-
somma, come può il Laporte definire l'uomo «ad immagine») un
uomo esistente sulla terra, e descriverlo come un essere perfetto gui-
clato dall'influsso divino, non sottomesso alla prova, poiché l'ordine
regna su tutto il suo essere?
Occorre dunque operare delle distinzioni radicali fra i vari con-
cetti filoniani di «uomo»), e di queste distinzioni è necessario tener
conto nell' esaminare il significato del termine pe{}dp W~ usato per
qualificare l'uomo sensibile. Torniamo al de opif. 135: «Per quanto
riguarda l'uomo sensibile e individuale, Mosè dice che egli è nella
sua costituzione una combinazione di sostanza terrestre ('Yew8'T1~
ovaia) e di soffio divino (1Tvevpa {}eiov).Infatti il corpo è stato crea-
31 .-; "
'.... '.
 to dal fatto che l'artista prese una parte di terra e ne formò una figu-
ra umana; al contrario l'anima non è originata assolutamente da nul-
la di creato, ma dal Padre e Signore dell'universo. Infatti ciò che
egli ha soffiato non era nient' altro che il soffio divino che ha stacca-
to da questa natura fortunata e beata una specie di colonia fra noi
per il bene della nostra razza, perché, mortale per la sua parte visibile
fosse almeno immortale per la sua parte invisibile. Così si potrebbe
dire benissimo che l'uomo è al limite della natura mortale e della na-
tura immortale nella misura in cui partecipa necessariamente all' una e
all'altra, e che è insieme mortale e immortale, mortale per il corpo
ma per il pensiero immortale» (de opif. 135).
L'uomo storico, sensibile e individuale, è dunque originariamente
formato da una mescolanza, una combinazione di materia e di soffio
divino. Ora, mettendo da parte per un momento il concetto
aristotelico-scolastico dell'anima razionale, del «composto umano», e
rifacendoci alla matrice platonica e non solo biblica dell' antropologia
·filoniana, ci chiediamo se questa costituzione particolare dell'uomo,
caratterizzata da una duplicità di elementi appartenenti a due nature,
a due realtà, renda l'uomo terra di confine e luogo di divisione oltre
che di incontro. Ci chiediamo cioè se la combinazione più che com-
porre una unità di natura, non riproponga in un unico essere la di-
versa consistenza e quindi le opposte qualità del mondo intellegibile
e di quello sensibile. Di conseguenza ci chiediamo in che limiti la li-
minarità dell'uomo, il suo carattere j1€ifop wc;, sia fattore di separa-
zione fra due mondi e non solo fattore di continuità nella transizione
fra l'intellegibile e il corporeo, dato che il termine j1€ifop wc; di per sé
potrebbe anche riferirsi al concetto di transizione. Il passo di de opif.
1 35 sopra citato, nello stesso momento in cui descrive l'uomo come
combinazione di un elemento divino e di un elemento terreno, attri-
buendogli le qualità opposte proprie delle due diverse parti, stabilisce
nell'uomo stesso un'eterogeneità radicale: la mortalità rimane come
fa.ttore discriminante fra le due componenti. E, come si è osservato,
questa eterogeneità si manifesta anche in specifiche condizioni uma-
ne, per le quali è usato il termine j1€ifop wc; : «La situazione dei geni-
tori sembra essere una situazione media fra la condizione immortale e
32
la condizione mortale. Alla condizione mortale li lega questo fatto
che hanno in èomune con gli uomini e gli altri esseri viventi, l'essere
soggetti alla morte del corpo; alla condizione immortale la facoltà di
generare che ci fa assomigliare a Dio il Padre dell'Universo» (de de-
calo 107) 16 e ancora: ((La legge, infatti, ritiene che egli (il sacerdo-
te) sia dotato di una natura più che umana, che sia più vicino alla na-
tura divina, sul limite, a dire il vero, tra queste due» (de spec. lego I,
116); ( ... a dire il vero, (la natura del ministro di Dio) è una natura
che sta in mezzo tra quella divina e quella umana, inferiore alla pri-
ma, superiore a quella umana (de somniis II, 188). «L'uomo virtuoso
ha pochi desideri, egli è alla frontiera della natura immortale e di
quella mortale: ha dei desideri, poiché ha un corpo mortale, ma in
piccolo numero, poiché la sua anima aspira all'immortalità» (de vir-
tut. 9)
Varie sono dunque le conseguenze della duplice costituzione,
l'uomo, includendo in sè i caratteri di due realtà opposte, non si rico-
nosce totalmente né nell'una né nell' altra, il che vale sia per l'uomo
in quanto tale, 'sia per l'uomo in particolare situazione, anche quella
di (uomo perfetto)): (~osì dunque Mosè descrive l'uomo perfetto
come un essere né Dio né uomo ma, come egli afferma, al limite del-
la natura ingenerata e della mortale)) (de somniis II, 234). «Per
quanto riguarda l'uomo dabbene, è sul limite, per parlare fondata-
mente, né Dio né uomo, ma tocca gli estremi, la specie mortale per
la sua qualità di uomo la specie immortale per la sua virtù» (de som-
niis II, 230); da notare che in questo passo Filone, nel delineare il
rapporto con il mondo celeste, introduce motivazioni etiche). Insom-
ma, definendo l'uomo come j1€ifopwc; l'Alessandrino identifica una
condizione ontologica di medietà che, se include due entità diverse,
nello stesso tempo ne riafferma la discontinuità e quindi la reciproca
esclusione: l'uomo rimane, più che un composto, una combinazione
di due parti irriducibilmente diverse e, ontologicamente e assiologica-
mente, opposte 17.
Particolare importanza, ha, come si è già detto, il riferimento
etico del termine j1€ifop wc;: "È proprio della nostra natura umana,
quando la nostra ragione non è completamente sviluppata, attardarci
33
 nella zona intermedia (È v f.1 € 1J0 p i4J) tra vizio e virtù senza pendere
ancora da nessuna delle due parti" (de praemiis 62). Ma il termine si
usa anche con riferimento alla possibilità dì opposte scelte: l'uomo è
definito, in rapporto alle altre creature, un essere misto, perché luogo
contemporaneamente di virtù e di vizi ("Altri sono di natura mista,
come per esempio l'uomo, luogo di contrari, prudenza e imprudenza,
temperanza e incontinenza, coraggio e viltà, giustizia ed ingiustizia,
in breve, beni e mali, belle azioni e azioni vergognose, virtù e vizio"
de opif. 73).
Soffermiamoci sul primo di questi due casi, quello dell'uomo che
si trovi "nudo" cioè privo di consapevolezza etica (Filone interpreta
la nudità di Adamo ed Eva nell'Eden di cui parla il passo di Genesi
2,25 come assenza nei primi uomini di ogni determinazione di valo-
re: "L'intelletto che non è coperto né dalla virtù né dal vizio, ma è
realmente spogliato dei due, è nudo; come l'anima del bambino che
non partecipa a nessuno dei due. né al bene né al male, si trova sco-
perto e nudo" lego allo II, 53). Questa mancanza di appartenenza,
questa liminarità attribuita all'individuo singolo, non ancora giunto
ad una fase matura, ancora bambino (de praemiis 62; lego allo II, 53),
descrive dunque, anche, la situazione umana nel momento della sua
origine. Adamo è "nudo" (leg. allo II, 53), "per natura né malvagio
né virtuoso" (leg. allo III, 246). E proprio perché in questa condizio-
ne di nudità al primo uomo sono date delle regole.
Fermiamoci dunque a considerare quali siano queste norme,
perché esse chiariscono questo ulteriore significato di f.1€1Jop wc; che
stiamo analizzando. Secondo Filone i due alberi dell'Eden rappresen-
tano delle norme fondamentali per la vita umana. Infatti, l'albero
della vita è interpretato come "la pietà verso Dio che rende l'anima
immortale", "l'albero della conoscenza del bene e del male è invece
la prudenza media che permette di distinguere i contrari" ( ... \fJPO-
V170LV n7 v f.1€arw i} OLal<piV€TaL 7àvav7ia \fJuan) (de opif. 154). Avvi-
'tinarsi al secondo albero significa per Adamo diventare capace di
prendere delle decisioni, di scegliere il bene e il male, di essere mo-
ralmente responsabile. Il secondo albero del Paradiso, scrive
.N:. Harl 18, l'albero interdetto, non è identico al vizio, I<al<ìa, ma so-
34
lamente alla possibilità di avere accesso sia al male che al bene".
Dunque, Adamo, prima di avvicinarsi all'albero a due braccia, è al di
fuori di ogni giudìzio etico. Che egli parta da questa impregiudicata
situazione è la condizione propria della libertà 19.
Qui f.1€1Jop wc; identifica una situazione di indeterminatezza etica,
che precede, rende possibile e libera l'opzione fra la pietà e l'autono-
mia nel bambino e in Adamo. Ma a questo senso si aggiunge anche
1'altro, che identifica anche un altro tipo di medietà: l'oscillazione
nelle scelte quotidiane fra bene e male 20.
Filone dopo aver dichiarato che esistono tre specie di vita, affer-
ma che l'uomo esperimenta una vita mista, che è una combinazione
delle altre due (70 O€ f.1€1Jopwv, f.1L1<70V àf.1\fJOLV): "la vita mista, se
è spesso ispirata da Dio e portata da Dio perché è condotta dall' or-
dine migliore, spesso anche devìa perché spinta in senso contrario
dall'ordine malvagio" (quis rerum 46). L'Alessandrino prosegue para-
gonando la vita umana ad una bilancia. In un altro passo parla di
una scala: "Gli atleti della vita spirituale, che sono a metà cammino
fra gli estremi, sono spesso nel punto di salire e di discendere come
su una scala" (de somniis I, 152). Alcuni uomini, in particolare colo-
ro che rispondono al tipo del Politico, ritengono erroneamente di
potersi tenere in equilibrio: "(alcuni) pensano di poter tenere il giu-
sto mezzo nella loro vita e la situano come in un terreno limitrofo sia
per quanto riguarda le virtù umane che per i.uanto riguarda quelle
divine" (de migrato Abrah. 158). "Anche colui che progredisce è al
limite del santo e del profano: fugge il male, ma non è ancora capa-
ce di vivere nel bene perfetto" (de fuga 213).
Finalmente, un altro senso di f.1€1Jop wc;, anche se meno rilevante
per noi: Dio possiede il principio e la fine delle cose, all'uomo non
resta che lasciarsi portare fra questi limiti (È v 70 ... f.1 € 1J0 p i4J) con la
coscienza della propria inutilità e pochezza (quis rerum 121).
Ci siamo soffermati sulle due accezioni, ontologica ed etica, di
f.1€1Jop wc;. A questo punto è necessario considerare se esista una con-
nessione tra i due significati. Particolarmente interessante a questo
proposito è 1'esame dei paragrafi 73-75 di de opificio. Come è noto,
in questo passo, la natura mista dell'uomo, intesa come compresenza
35
di virtù e di vizi, è motivo perché Filone introduca nel racconto del-
la creazione. dell'uomo l'esistenza di alcuni artigiani, cioè gli angeli,
che collaborano con Dio alla formazione dell'uomo. Il motivo di
questo intervento (con il quale Filone spiega il plurale del "facciamo
l'uomo" del noto testo biblico) è un motivo di rilevanza insieme on-
tologica ed etica.
Filone infatti afferma che, fra gli esseri, alcuni non partecipano
né alla virtù né al vizio, come i vegetali e gli animali, altri, gli astri,
hanno rapporto solo con la virtù e non partecipano ad alcun vizio,
"altri sono di natura mista, come per esempio l'uomo, luogo di con-
trari, di saggezza ~ di insipienza, temperanza e incontinenza, corag-
gio e viltà, giustizia e ingiustizia, in breve, beni e mali, belle azioni e
azioni vergognose, virtù e vizio" (de opif. 73). Da questa constata-
zione di una mescolanza etica Filone trae delle considerazioni riguar-
danti l'antropogonia: era conveniente per Dio fare gli esseri virtuosi,
non era incOlnpatibile per lui fare gli esseri indifferenti, "ma per gli
esseri misti, era in parte conveniente, in parte non conveniente, con-
veniente nei confronti dell'idea migliore che è presente in essi mesco-
lata, non conveniente nei confronti dell'idea opposta e più malvagia.
Così è a proposito della sola persona dell'uomo che, secondo Mosè,
Dio pronunciò queste parole: "facciamo". Questo indica che egli ag-
giunse altri artigiani per aiutarlo, affinchè la volontà e le azioni irre-
presinsibili dell'uomo dabbene fossero imputate a Dio, guida dell'u-
niverso, e i loro contrari ad altri, suoi subordinati" (de opif. 74-75).
Questo doppio intervento creativo e la motivazione addotta da
Filone riaffermano "antropologicamente" il dualismo antropologico:
l'introdurre degli artigiani nella formazione dell'uomo per giustificare
la presenza (della possibilità) del male implicitamente afferma l'esi-
stenza di due realtà di base, di due "terreni", di due parti dell'uomo,
anzi dell'anima: una che è il luogo da cui nascono le azioni buone,
l'altra che può ospitare in sé il vizio; che dunque può diventare nega-
twa, che è comunque (e Filone lo dirà chiaramente in de fuga 69) in-
feriore e "mortale".
Qui è evidente l'influsso platonico: nel noto passo del Timeo
(1Ia-d; 42d-e; 69c) il Demiurgo incarica gli dèi inferiori di formare
36
le parti inferiori dell'uomo (anime inferiori e corpo), perché queste
siano mortali; egli infatti non può creare che ciò che è immortale 21.
Anche se la motivazione addotta da Platone è diversa da quella di de
opif. 74, cioè se nel Timeo la questione è impostata in termini non
etici ma immediatamente ontologici, è comunque chiara l'affinità di
impostazione che fa emergere in entrambi i casi una tematica duali-
stica. Significativo è del resto l'uso da parte di Filone di una termi-
nologia platonica: "Bisognava, dice Filone, che il Padre fosse non
responsabile (àvai7wç) del male verso i figli" (de opif. 75). Proprio il
termine àvai7wç - tipicamente platonico - era stato usato da Plato-
ne in riferimento al Demiurgo: "Egli dettò loro queste leggi (si trat-
ta delle leggi della metempsicosi) per essere innocente (àvai7wç) del-
la malizia (KaKia) futura di ognuno di essi" (Timeo 42d).
Ma non basta. In de fuga 69 Filone ripropone la questione an-
tropogonica: "Il Padre dell'universo si intrattiene con le potenze,
che egli ha incaricato di plasmare la parte mortale della nostra anima
seguendo l'esempio della sua arte quando egli formava in noi la par-
te razionale: Egli ha stimato giusto che la parte dominante dell' ani-
ma fosse prodotta dal capo e la parte soggetta dai soggetti". Si trat-
ta del dualismo ontologico che fonda in Filone la natura dell'uomo,
o meglio della sua anima. Platone aveva fatto la stessa distinzione: il
Demiurgo ha creato una parte divina e immortale dell' anima, gli dei
inferiori una parte mortale (Timeo 4Id).
Ora, sta il fatto che a questa distinzione sul piano dell' antropo-
gonia si collega una differenziazione etica. Le due prospettive sono
immediatamente connesse, perché il passo del de fuga così prosegue:
"Egli (Dio) ha utilizzato così le potenze associate a Lui non solo per
la ragione indicata, ma perché solo l'anima umana era destinata a ri-
cevere la nozione del bene e. quella del male e a servirsi dell' una e
dell'altra, se non delle due insieme. Dio ha dunque giudicato necessa-
rio attribuire ad altri artigiani l'origine del male e riservarsi quella
del bene" (de fuga 70). Vero è che qui si tratta della possibilità e
non dell' attualità del male: ma la divaricazione nei principi ontologi-
ci rimane (si parla di possibilità dell' origine del male attribuita agli
artigiani) ed è sottolineata. N el passo del de fuga, dunque, ritroviamo
37

le stesse affermazioni del de opificio, con una formulazione in cui an-
cora più chiaramente è affermato il legame fra dualismo ontologico-
antropogonico e conseguenze etiche.
Ma la connessione fra la materialità (perché di questa parla il te-
sto che ora citeremo) e l'esperienza del male è in altri testi più imme-
diata. Ed è nella naturale e necessaria esperienza di "mutamento"
propria dell'uomo che questo legame assume una precisa consistenza.
Filone così motiva questo passaggio: nella parte non divina (morta-
le) dell'uomo è insita una naturale mutabilità. Infatti tutto ciò che è
sensibile, è soggetto alla generazione e alle alterazioni e non esiste
mai in modo identico (de opif. 12). D'altronde, è nella mutevolezza
che si radica e da essa naturalmente discende l'esperienza ontologica
ma anche etica del male: "Ma 22 poiché nulla è fermo di ciò che è
sottomesso al divenire, e poiché gli esseri mortali sono necessaria-
mente soggetti ai cambiamenti e alle variazioni, bisognava che il pri-
mo uomo, anche lui sperimentasse qualche disgrazia" (de opif. 151).
A commento di questo capitolo U. Bianchi scrive 23: "La non
stabilità, il divenire, la mutevolezza dei mortali in questo passo di Fi-
lone non sono una riflessione banale sulla situazione e sulla condizio-
ne umana, né una riflessione comandata peculiarmente dalla conce-
zione giudaica della mortalità e della colpevolezza umana. Si tratta
invece di una motivazione metafisica e fondata su una metafisica pla-
tonica, sul dualismo a priori di riferimenti. La contrapposizione è in-
fatti qui con Dio, con le cose divine; ma queste sono anche, e in ma-
niera determinante, le cose intellegibili, Tà OVTWç oVTa, nelle quali
non potrebbe esserci variazione. Da ciò segue una inevitabilità prati-
ca, ma, nei limiti del pratico inevitabile, anche teorica, cioè ontologi-
ca, della colpa intesa come maniera (e unica maniera possibile, questo
è importante) in cui si realizza o in cui sbocca la congenita mutevo-
lezza umana". E Filone precisa ulteriormente: il cambiamento si
identifica con una fuga (leg. ali. I, 54- 5 5), con lo sconvolgimento
dd"valori (leg. ali. III, 22; II, 7 O; de opif. 165), con l'esperienza del
piacere (de opif. 152) 24. A questo punto il male viene ad assumere le
caratteristiche di un principio (leg. ali. I, 102; de fuga 62; quod det.
17..8).
38
Possiamo ora rendere ragione dell'interesse che ci ha indotto ad
esaminare il termine J1EtìOP wç in Filone. I due significati nei quali
viene usato J1Etìopwç rivelano l'assunzione nell'ispirazione biblica di
tematiche chiaramente platoniche. Si nota anzi un tentativo di assi-
milazione di elementi fondamentali del platonismo. Se l'essere in po-
sizione liminare fra pietà e autodecisione, fra bene e male, se cioè
l'accezione etica di J1 € tìo p wç è propria di un' impostazione giudaica
(ricordiamo fra l'altro l'importanza della dottrina dei due "spiriti" e
quella delle due "vie" dei rabbini e dei testi tardo-giudaici di Qum-
ran), la medietà ontologica rivela il carattere dualistico dell'uomo,
carattere originario. Carattere che viene rinforzato (importanti sono
a questo proposito i passi riguardanti la doppia creazione) dalla con-
nessione fra parte materiale dell'uomo e esperienza del male.
Pur con le dovute distinzioni, la concezione dell' uomo J1 E tìo p wç
di Filone ha un immediato riferimento nella concezione dell' anima
propria di Platone.
l Si è fatto riferimento alle traduzioni di R. Arnaldez-C. Mondésert-J. Pouil-
loux (edd.), Les oeuvres de Philon d'Alexandrie, Paris 1961-74.
2 «La situazione dei genitori sembra essere una situazione media fra la condi-
zione immortale e la condizione mortale (rwv )'ovÉwv 1ì <pvate; à{}avarov Kaì
(}v71 r fje; oÌJatae; EOtKEV ErVat /J.E{}opwe;). Alla condizione mortale li lega questo
fatto che hanno in comune con gli uomini e gli altri esseri viventi, l'essere soggetti
alla morte del corpo; alla condizione immortale la facoltà di generare che ci fa as-
somigliare a Dio, il Padre dell'Universo» (de decal. 107).
«La Legge, infatti, ritiene che egli (il sacerdote) sia dotato di una natura più
che umana, che sia più vicino alla natura divina, sul limite, a dire il vero, tra que-
ste due (/J.E (}op tov ... à/J.<poiv h) (de spec. lego I, 116).
(( ... a dire il vero, (la natura del ministro di Dio) è una natura che sta in mez-
zo fra quella divina e quella umana (/J.E{}optOe; ne; (}EOV <Kat àV{}PW1TO V >
<pvate;), inferiore alla prima, superiore a quella umana« (de somniis II, 188).
((Per quanto riguarda l'uomo dabbene, è sul limite (/J.E{}opwe;) a parlare fran-
camente, né Dio né uomo, ma tocca gli estremi, la specie mortale per la sua qualità
di uomo, la specie immortale per la virtù» (de somniis II, 230).
39

{(Così dunque Mosè descrive l'uomo perfetto come un essere né Dio né uomo,
ma, come egli afferma, al limite della natura ingenerata e della mortale (J.LE ~op wv
rfj, à')'Evl1rov I<.aì I{)~aprfj, I{)VUEW,») (de somnii~ II, 234).
{(L'uomo virtuoso ha pochi desideri, egli è alla frontiera della natura immor-
tale e di quella mortale(à~avarov I<.aì ~v1'/rfj, I{)VaEW, J.LE~OpW'): ha dei desi-
deri, poichè ha un corpo mortale, ma in piccolo numero, poichè la sua anima aspi-
ra alla immortalità» (de virtut. 9).
3 «È proprio della nostra natura umana, quando la nostra ragione non è com-
pletamente sviluppata, attardarci nella zona intermedia tra vizio e virtù (èv J.LE~O­
pty I<.al<.ia' I<.ai àPETfj,) senza pendere ancora da nessuna delle due parti» (de
praemiis 62).
4 {(Anche colui che progredisce è al limite del santo e del profano (J.LE~Opw,
à')'iwv I<.aì (3E{311À.wv): fugge il male, ma non è ancora capace di vivere nel bene
perfetto» (de fuga 213).
{(Gli atleti della vita spirituale, che sono a metà cammino fra gli estremi (J.LE-
~OPWt ')'àp rwv Ul<.pWV daiv), sono spesso nel punto di salire e di discendere
come su una scala» (de somniis I, 152).
{( Esistono tre specie di vita: l'una volta verso Dio; l'altra verso il mondo del
divenire; la terza fra le prime due, miscuglio di ambedue (rò oÈ J.LE~OpWV, J.Lt-
I<.ròv àJ.Ll{)oiv)n (quis rerum 45).
{( Per quanto riguarda noi, non resta che tenerci in mezzo fra il compimento e
il principio (èv rciJ rÉÀ.ov, I<.aì àpxfj, J.LE~OptltJh> (quis rerum 121).
«(Alcuni) pensano di poter tenere il giusto mezzo nella loro vita e la situano
come in un terreno limitrofo sia per quanto riguarda le virtù umane che per quanto
riguarda quelle divine ({3tov ... J.LE~dpwv àV~PW1Tivwv rE I<.aì ~eiwv àPErwv)
(de migrato Abrahami 158).
5 {(D'altra parte, egli ha fatto benissimo, avendo dato al genere il nome uomo
a distinguere le specie dicendo che Dio l'aveva creato maschio e femmina, benchè i
particolari non avessero ancora forma, poichè le specie più vicine sono contenute
nel genere ed esse appaiono come in un specchio a coloro che sono capaci di una
vista acuta» (de opi[ 76).
6 Cfr. E. Bréhier, Les idées philosophiques et religieuses de Philon d'Alexandrie,
Paris 1925, pago 121 e segg.
7 Eléments gnostiques chez Philon, in U. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosti-
mmo (Atti del Colloquio interno di Messina 1966), Leiden 1967, pago 366.
8 Philon et les Pères sur la double création de l'homme, in Philon d'Alexandie
(Cqgoque de Lyon), Paris 1967, pago 293.
9 Filone stesso scrive: «Egli dice: "Al principio Dio creò il cielo e la terra",
considerando "principio" non come lo pensano alcuni, secondo il tempo, perché il.
tempo non esisteva prima del mondo, ma è nato, sia con lui, sia dopo, poichè il
tempo è l'intervallo del movimento del mondo» (de opi[ 26).
40
lO Interessante è a questo proposito l'articolo di V. Nikiprowetzky, Pro-
blèmes du {(Récit de la création» chez Philon d'Alexandrie, in {(Revue des études
juives» 124, 1965, pé1g. 274 e segg. Dopo aver confutato la tesi del Wolfson che
situa tutta la creazione nell' esamerone, e la concezione di una creazione tripartita
dell'Arnaldez, l'Autore afferma l'esistenza, secondo Filone, di due momenti nell'o-
pera della creazione, sia per quanto riguarda la cosmogonia che l'antropogonia:
quella degli intellegibili e delle idee si svolge nel giorno Uno e nell'esamerone,
quella dei sensibili si svolge nel settimo giorno.
II Chiara è la derivazione platonica. Nel Timeo è presente la tematica dualisti-
ca della creazione di due realtà: gli intellegibili prima, a cui poi si conformano an-
che quantitativamente le specie viventi nel mondo sensibile (3 ge, 41 b). Questo av-
viene in due fasi temporali: dall'inizio della creazione al riposo del Demiurgo, tem-
po nel quale vengono formati il. cielo, la terra, gli dèi visibili e invisibili, le anime
umane (27c-43a); dal riposo del Demiurgo al compimento delle specie viventi
( 43a-78a).
12 Cfr. anche lego ali. l,55; lego ali. II, 4.
13 La chute chez Philon et Origène, Kyriakon (Festschrift Johannes Quasten),
Munster 1970, pago 322 e segg.
14 Op. cit., pag.32 3.
15 Op. cit., pago 326.
16 Da notare il giudizio pOSItIVO che Filone dà sulla generazione in questo
passo: la facoltà di procreare fa assomigliare l'uomo a Dio. In de opi[ 152 l'Ales-
sandrino soffermandosi a considerare l'atto sessuale dei progenitori ne delinea l'a-
spetto contraddittorio. Se infatti il desiderio di una unione in vista della procrea-
zione in sé non ha nulla di negativo, genera però il piacere fisico principio di ini-
quità e di prevaricazioni (ò oÈ' 1TO~O, ouro, I<.aì rllvrwv aWJ.Larwv 1700vll V
È)'ÉVV1'/UEV).
17 Interessante è osservare che J.LE~dpw, assume il senso di medietà come
«passaggio», quando è usato per definire entità di uno stesso mondo. In de opi[
65 Filone definisce intermedia l'anima degli animali terrestri e aerei (17 o' à J.Ll{)oiv
J.LE~OpW' rciJ rwv XEpaa{wv I<.aì àEP01TOpWV), capace di percepire maggior-
mente rispetto a quella dei pesci, ma meno perfetta rispetto all'anima umana.
18 Adam et les deux arbres du Paradis (Cen. II-III) ou l'homme milieu entre
deux termes (J.LÉuo, - J.LE~opwd chez Philon d'Alexandrie, in {(Recherches de
science religieuse» 1962, t. 50, pago 342.
19 J. Daniélou (L'erre et le temps chez Grégoire de Nysse, Leiden 1970,
pago 119 e segg.) ritiene che l'uso del termine J.LE~Op w, per designare la libertà
umana che può volgersi verso il sensibile o verso l'intellegibile, attestato già nel se-
condo secolo in M assimo di Tiro (Orat. IV, 7) e poi in Filone, è largamente pre-
sente in Gregorio di Nissa (Sul Cantico XLVI, 5 7C; Sulle Beatitudini 8; XLIV,
1293D). Gregorio anzi, dopo aver assunto questo significato di J.LE~OpW' da Fi-
lone stesso, lo libererà da tutte le connessioni cosmologiche.
41
 20 M. Harl (Op. cit., pago 372) tenta la distmzione fra la libertà, nella prima
GIULIA SFAMENI GASPARRO
situazione, e il libero arbitrio, nella seconda.
21 ((Ma (dice il Demiurgo) se io stesso facessi nascere le specie mortali, se esse
DOPPIA CREAZIONE E PECCATO DI ADAMO
a vessero parte alla Vita attraverso me, sarebbero uguali agli Dei. Affinchè dunque,
NEL PERI ARCHON DI ORIGENE:
da una parte, questi esseri siano immortali, e, d'altra parte, il Tutto sia veramente
il Tutto, fate in modo di creare, secondo la vostra natura, degli esseri viventi)) (Ti- FONDAMENTI BIBLICI E PRESUPPOSTI PLATONICI
meo 41c). DELL'ESEGESI ORIGENIANA
22 U. Bianchi nella sua comunicazione al Congresso origeniano di Bari, set-

tembre 1977, Atti in corso di pubblicazione, nota una corrispondenza sintattica e

logica fra il passo di Filone sopra citato, un passo delle Enneadi di Plotino (IV, 8,
4 r. IO) e un altro del De principiis di Origene. Alle avversative SÉ degli autori
greci, il testo latino di Ori gene sostituisce un equiv<J.lente verum quoniam. Il concet-
to è simile: si pone l'accento sulla ovvietà della caduta. Sia il passaggio dalla de-
scrizione della creazione alla llenzione della colpa in Filone, sia la transitività del-
l'anima dal registro superiore a quello inferiore dell'esistenza in Plotino, sia ancora
il declinare degli spiriti, posti inizialmente in alto, verso il basso in Origene sono
considerati una variazione naturale.
23 Op. cito
24 Contraddittoria è la concezione del piacere: principio di iniquità e di pre-
varicazione (de opif. 152) e insieme oggetto di inevitabile ricerca dell'uomo (de
opif. 162) per!=hé realizza la procreazione e quindi il necessario perpetuarsi della
vita (de opif. 161; lego allo II, '8).

42

li
I: '
il'
 In un'ampia e articolata discusslOne del volume di H. Crouzel su
la "Théologie de l'image de Dieu chez Origène", il Camelot conclu-
de che i pur numerosi e profondi rapporti dei Padri con il platoni-
smo non implicano sempre una "contaminazione" del pensiero cri-
stiano l. È innegabile, peraltro, che in alcuni casi ciò avvenga; a pro.-
,posito di Origene l'autore ritiene di dover segnalare almeno due
esempi di tale "contaminazione": il subordinazionismo in cristologia
e l' "étrange conception (ne faudrait-il pas dire le mythe?) si peu con-
forme au sens du récit biblique, d'une double création". Il Camelot
rimanda dunque ad un' affermazione del Crouzel medesimo 2 per de-
finire siffatto "mito" espressione .. d'une contradiction non surmontée
entre la vision platonicienne et la vision chrétienne du monde" 3.
I capitoli del Genesi relativi alla creazione e alla caduta dell'uo-
mo sono, di fatto, tra i luoghi biblici cui più volentieri appella Orige-
ne per fondare quella "ipotesi" della preesistenza che, a suo avviso,
permette di conciliare felicemente la giustizia divina con il libero ar-
bitrio delle creature razionali. In questa sede non intendiamo affron-
tare direttamente i complessi problemi connessi a tale aspetto del
pensiero origeniano; diremo soltanto che, pur evitando l'uso del ter-
mine "dottrina" per qualificarlo, non si può fare a meno di ricono-
scere, anche da parte di quegli studiosi che più vivacemente reagisco-
no contro la tendenza a vedere in Origene un sistematico 4, che la
preesistenza è un' "ipotesi" nella quale egli "pensa costantemente" 5.
Parimenti, le ascendenze platoniche di siffatta nozione non hanno bi-
sogno di essere dimostrate 6.
D'altra parte, mentre le componenti genuinamente cristiane e bi-
bliche della spiritualità origeniana e le sue fondamentali tendenze mi-

45

I i
l
stiche sono state poste in rilievo da varie ricerche 7, l'interpretazione
della Scrittura appare l'interesse costante del maestro alessandrino,
che volle essere anzitutto uomo di Chiesa ed esegeta 8. Si tratta allo-
ra di stabilire se e in quale misura trovino un equilibrio i due princi-
pali elementi caratterizzanti la personalità di Origene, ossia la qualità
di interprete della rivelazione biblica e il desiderio di proporre una
soluzione razionale, coerente con i dati fondamentali del messaggio
cristiano 9, a quei problemi che, mentre non erano oggetto di chiara
definizione in ambito ecclesiale, corrispondevano in larga misura a
temi agitati nei circoli culturali, pagani e cristiani, del tempo. Fra tali
temi era senz' altro preminente quello dell' origine dell' anima e delle
modalità del suo rapporto con il corpo 10.
Il carattere personale dell' anima, la sua facoltà di libera autode-
terminazione per il bene o per il male, la quale rende legittima la re-
tribuzione futura dei meriti o la punizione delle colpe, e intìne la re-
surrezione dei morti erano elementi dottrinali chiaramente definiti
nell'insegnamento della Chiesa Il. M2 Origene sapeva bene che altri
aspetti altrettanto importanti della problematica antropologica non
erano stati affrontati e risolti autorevolmente nell' ambito della tradi-
zione cristiana. Egli dichiara pertanto che, "quanto all'anima, se essa
sia trasmessa per tramite di un seme, sì da credere il suo principio
germinale e la sua sostanza inseriti proprio nei semi corporei, ovvero
abbia altra origine; se questa origine derivi da generazione oppure
no; se essa dall' esterno sia immessa nel corpo oppure no: tutto ciò
non è chiaramente precisato dall'insegnamento ecclesiastico" 12. La
Scrittura, peraltro, offriva in proposito alcuni dati significativi, quali
la nozione di una diretta azione creatrice di Dio, di uno specialissimo
rapporto fra il Creatore e l'uomo creato "secondo l'immagine e la
somiglianza" di Lui, e ancora di una trasgressione dell'uomo, impli-
cante l'allontanamento dalla condizione originaria e la perdita dei
privilegi ad essa connessi.
~" Questi dati biblici costituiscono il fondamento della meditazione
origeniana, come risulta dalla molteplicità di riferimenti ad essi, sia
nel loro complesso sia presi singolarmente, in tutto il corso della sua
at~vità esegetica 13. Ma l'orizzonte di tale meditazione supera larga-
46
mente i confini della antropologia per abbracciare la totalità del
mondo creato che' ad Origene, come ad ogni uomo del suo tempo,
appare popolato da una molteplicità di esseri invisibili ma vivace-
mente attivi in tutti i livelli del cosmo e capaci di influenzare la con-
dotta e il destino umani. Tra questi esseri c'è una notevole differenza
di condizioni, all'interno delle due fondamentali categorie dei buoni
e dei malvagi. La tradizione tardo-giudaica e cristiana conosceva,
come è ben noto, numerose dottrine sulle gerarchie angeliche e sul
vario mondo dei demoni, sempre pronto ad intervenire nelle cose
umane 14. Parimenti è superfluo ricordare la popolarità in ambiente
pagano di una complessa demonologia, spesso connessa alla teoria
del fatalismo astrale 15, mentre le varie sette gnostiche proclamavano
la contrapposizione dualistica fra il pleroma divino e il cosmo visibile,
,dominato da molteplici potenze arcontiche, tirannicamente volte a
soggiogare l'umanità. La grandiosa visione cosmologica proposta nel
Peri A rchon vuole essere una soluzione del problema di conciliare la
bontà e giustizia di Dio con la varietà di condizioni degli esseri do-
tati di razionalità che, secondo le concezioni dominanti dell' epoca,
vivono ed operano nei diversi livelli del mondo.
Il problema era particolarmente urgente di fronte alla minaccia
costituita per l'ortodossia cristiana dai vari movimenti gnostici, assai
vivaci in Egitto e particolarmente ad Alessandria, i quali lo avevano
risolto in due direzioni diverse ma sostanzialmente convergenti. La
soluzione valentiniana proclamava la costituzione di diverse "nature"
in conseguenza di una crisi maturata all'interno del mondo divino: il
PIero ma , momentaneamente turbato dalla "passione" dell' eone So-
phia, aveva riacquistato la propria stabilità espellendo da sé i prodot-
ti di quel pathos. Questi ultimi avevano formato la sostanza materiale
e psichica di cui risulta costituito il livello inferiore, nel quale sussiste
però anche una semenza pneumatica che sola è capace di salvezza.
Gli uomini si ripartiscono in tre categorie, rispettivamente materiali,
psichici e spirituali, essendo questi ultimi predestinati alla liberazione
dal mondo e al ritorno al Pleroma.
La soluzione marcionita propone la netta frattura fra la bontà e
la giustizia divine, essendo la prima prerogativa del Dio sconosciuto
47
 ,
e assolutamente estraneo al mondo, il quale salva l'uomo per un atto
di gratuita e inaudita misericordia. Giusto è invece il Creatore, la cui
sfera d'azione è del tutto incompatibile con quella del Buono. Non
essendo possibile commisurare in alcun modo questi due regimi, l'uo-
mo deve scegliere di aderire all'uno o all'altro. Mentre la realtà co-
smica ed umana è globalmente rifiutata per la sua intrinseca negati-
vità, soltanto il salto qualitativo verso una dimensione totalmente
"altra" garantisce all'uomo una prospettiva salvifica 16.
Entrambe queste risposte al problema enunciato convergono nel
fondare la distinzione ed opposizione fra la divinità somma e il crea-
tore, sia esso il Demiurgo psichico dei valentiniani o il Dio giusto
dei marcioniti; esse pertanto stabiliscono una soluzione di continuità
fra l'economia antico-testamentaria e il cristianesimo, attribuendo la
prima al creatore inferiore e la rivelazione di Gesù al Dio buono e
trascendente. Origene intese direttamente misurarsi con queste posi-
zioni gnostiche e la sua sintesi interpretativa del pensiero cristiano
offerta nel Peri Archon rivela a più riprese questa fondamentale esi-
genza 17. In pari tempo egli era consapevole della problematica filo-
sofica del proprio tempo che, pur caratterizzato da un certo ecletti-
smo in cui confluivano postulati stoici, aristotelici e platonici, appari-
va dominato dalla corrente medio-platonica, mentre andava matu-
rando il neo-platonismo plotiniano 18. Le parziali convergenze con
quest' ultimo, pur nella diversità di alcune nozioni fondamentali 19,
troverebbero ragione nel comune riferimento all'insegnamento di
Ammonio Sacca che Origene avrebbe seguito per qualche tempo 20.
È comunque indubbio che, per quanto riguarda il problema antropo-
logico e cosmologico, Origene accettò la dottrina platonica dell' ori-
gine dell'anima anteriore e indipendente rispetto al corpo, come quel-
la che gli permetteva di conciliare l'idea di Dio creatore, buono e
giusto, con il libero arbitrio delle creature razionali e la loro attuale
disparità di condizioni. Pur presentata come un'ipotesi personale for-
mulata per dare coerenza razionale al messaggio cristiano in un am-
bitò" non ancora definito della tradizione ecclesiale, la nozione della
originaria eguaglianza ed unità dei logikoi creati da Dio costituisce
una struttura fondamentale del pensiero origeniano espresso nel Peri
Ar~hon e un motivo persistente in tutto l'arco della sua produzione
48
esegetica. Le differenze attuali fra le creature intelligenti sono dun-
que attribuite al diversi movimenti delle loro libere volontà, che va-
riamente si sono allontanate dal bene e dalla primitiva unione con
Dio 21. Ciò implica la nozione di una "colpa antecedente" 22 che,
mentre spiega la molteplicità di condizioni degli esseri dotati di ra-
gione, costituisce la rafio profonda della creazione del mondo dei
corpi, la quale, pur compiuta dall'unico Dio, si pone come una crea-
zione seconda rispetto a quella prima conditio che, nell' ordine del va-
lore e della intenzionalità divina, riguardava solo le nature spirituali.
Si realizza pertanto uno schema di "doppia creazione" che appare la
struttura portante del vario e complesso argomentare origeniano nel
trattato "Sui principi". D'altra parte, in relazione al testo biblico sul-
la creazione dell'uomo, l'esegesi filoniana aveva elaborato una distin-
zione, diversamente articolata secondo i contesti in cui il tema viene
affrontato 23, fra i racconti di Gen. 1,26-27 e II, 7 attribuendoli a
due diversi "livelli" o "momenti" dell'azione creatrice di Dio. Orige-
ne si pone sulla linea filoniana nel ritenere che "l'uomo ad immagi-
ne" di Gen. 1, 26-27 sia diverso dall' "uomo plasmato" del secondo
testo biblico, ma supera la prospettiva del suo predecessore nel
proiettare una siffatta distinzione in uno scenario di dimensione co-
smica, facendola assurgere a "figura" e paradigma della distinzione
fra la primitiva creazione dei noes, eguali fra di loro e uniti nella ca-
rità al Creatore, e la creazione, che chiameremo "seconda", del co-
smo, in cui la corporeità variamente graduata è insieme il segno e la
condizione necessaria della diversità e mutabilità delle creature intel-
ligenti.
Senza procedere ad una arbitraria riduzione della complessa spi-
ritualità origeniana a puro sistema filosofico, e nel riconoscimento
della fondamentale ispirazione cristiana soggiacente al tentativo di si-
stematizzazione dottrinale compiuto nel Peri Archon, è necessario
prendere le mosse da quest'opera che, per la sua natura e la sua col-
locazione cronologica nell' iter letterario dell' alessandrino 24, offre i
primi dati utili all' analisi del tema in esame, che negli scritti esegetici
apparirà elaborato secondo schemi interpretativi spesso diversi. Si
tratta allora di vedere se e in quale misura gli elementi offerti dal
49
racconto del Genesi relativo alla creazione di Adamo siano utilizzati
da Origene nella vasta prospettiva cosmologica ed antropologica del
Peri Archon e, per converso, se e in quale misura quest'ultima inten-
da rimandare a quelli. È superfluo infatti ricordare che nel nostro
trattato l'argomento scritturistico è altrettanto fondamentale che la
dimostrazione razionale, e che il problema dell' esegesi biblica occupa
tutta la quarta sezione dell'opera, volta a difendere, contro il lettera-
lismo degli ebrei, dei cristiani simpliciores e degli gnostici, la legitti-
mità dell'interpretazione "spirituale" della Scrittura. D'altra parte, a
conferma dell'interesse di Origene per il racconto biblico della crea-
zione, è il grande Commentario al Genesi contemporaneo del Tratta-
to, di cui Eusebio assicura che i primi libri furono composti ad Ales-
sandria prima del 2 32 25. Ad esso fa esplicito riferimento lo stesso
Origene a P.A. I, 2, 6 per dichiarare di non essere ancora giunto a
spiegare "accuratamente" Gen. I, 26 26, mentre i primi due versetti
del libro mosaico sono stati già oggetto di una interpretazione "spiri-
tuale" 27.
Una prima allusione al testo biblico si può scorgere verisimil-
i
l
mente in P.A. I, l, 7 là dove, dopo aver dimostrato che Dio non è
un corpo bensì una "natura intellettuale semplice" 28, l'autore passa
ad affermare l'incorporeità dell'intelligenza e dell'anima e la loro su-
periorità rispetto ad ogni sostanza corporea. Con implicito riferimen-
to all' assioma platonico secondo cui solo il simile conosce il simile,
Origene rifiuta l'opinione di quanti, attribuendo carattere corporeo
all'intelligenza, non solo offendono "quella sostanza che in loro è mi-
gliore", ma proiettano la loro iniuria su Dio che, in quanto conosciu-
to da una natura corporea, risulterebbe anch' egli corporeo. "E non
vogliono capire che l'intelligenza ha una certa affinità con Dio di cui
è immagine intellettuale" 29.
Sebbene la definizione dell'intelletto (mens, vovç) come "immagi-
ne" non manchi di rimandare ai tanti luoghi origeniani in cui tale
noìione si fonda sull'espressione di Gen. I, 26, il passo scritturistico
non è espressamente citato. Anzi Origene, passando tosto a una serie
di testi biblici per confermare la dottrina della incorporeità divina,
mO,stra di includere la definizione dell'intelligenza umana sopra ad-
50
dotta nel complesso delle dimostrazioni di tipo razionale prima elen-
cate 30
L'esplicita utilizzazione del testo biblico si ha invece in due luo-
ghi, rispettivamente del secondo e terzo libro, i quali svolgono en-
trambi il tema del rapporto fra l'inizio della creazione e la fine. Nella
.discussione relativa al significato delle promesse di futura felicità fat-
te ai santi, dopo aver polemizzato contro quanti, rifiutando "ogni
sforzo intellettuale, si attengono solo al significato superficiale della
scrittura e indulgono soprattutto al loro diletto e piacere, discepoli
solo della lettera" 31, Origene afferma che i santi gusteranno il "pane
di vita, che nutrisce l'anima e illumina la mente col cibo della verità
e della sapienza e la disseta con la bevanda della divina sapienza".
Quindi conclude: "Nutrita di questi cibi di sapienza l'intelligenza è
restituita completamente all'immagine e somiglianza di Dio, come
l'uomo è stato fatto in principio" 32.
Il recupero completo della condizione iniziale in cui 1'uomo è
stato creato da Dio è qui affidato alla prospettiva escatologica: l'im-
magine e la somiglianza sono entrambe prerogative della prima costi-
tuzione dell'uomo (ex initio), sicchè la loro restaurazione finale sem-
bra caratterizzarsi non tanto come un progresso quanto piuttosto
come un puro e semplice ritorno alla situazione originaria 33. Altrove
Origene distingue invece l'immagine dalla somiglianza, presentando
la prima come un dato costitutivo dell'uomo, mentre la seconda è ac-
quisita a conclusione dell'iter spirituale, in cui sforzo individuale e
grazia divina si incontrano equilibrandosi 34. Tale distinzione è ap-
punto affrrmata in P.A. III, 6, l, che è tra i testi origeniani più
espliciti in questo senso.
L'autore ritorna sull'argomento, già ampiamente trattato in II,
1- 3 35, della condizione finale delle creature razionali e prende le
mosse dalla definizione platonica del sommo bene consistente "nel
diventare, per quanto è possibile, simili a Dio" 36. "Ma - subito ag-
giunge - questo concetto non credo che i filosofi l'abbiano trovato,
quanto piuttosto l'abbiano tratto dalla sacra scrittura. Infatti prima
di tutti lo ha formulato Mosé, quando ha descritto la prima creazio-
ne dell'uomo, dicendo: 4E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra im-
51
magine e somiglianza'; ed ha aggiunto: 'E Dio fece l'uomo: lo fece
ad immagine di Dio, li fece maschio e femmina e li benedisse'. Il fat-
to che ha detto: 'Lo fece ad immagine di Dio' e ha taciuto della so-
miglianza indica che l'uomo sin dalla prima creazione ha ottenuto la
dignità dell'immagine, mentre la perfezione della somiglianza gli è
stata riservata per la fine, nel senso che egli la deve conseguire, imi-
tando Dio con la propria operosità; così, essendogli stata concessa
all'inizio la possibilità della perfezione per mezzo della dignità del-
l'immagine, egli può alla fine realizzare la perfetta somiglianza per
mezzo delle opere" 37.
Il brano citato svolge in relazione a Gen. I, 26-27 una serie di
tematiche tra cui quella del carattere dinamico dell'immagine, la qua-
le raggiunge compiutezza e perfezione nella somiglianza finale con
Dio. Questa è ottenuta attraverso un intenso sforzo personale consi-
stente nella imitatio Dei, che qui sembra affidata soltanto all'azione
umana, mentre altrove Origene chiaramente sottolinea l'intervento
decisivo della grazia divina 38. Il duplice riferimento alla prima con-
ditio dell'uomo, poi, è indicativo della prospettiva nella quale Orige-
ne interpreta il testo biblico e del significato attribuito all' "immagi-
ne e somiglianza"
I passi sopra esaminati erano concordi nel riferire la qualità di
imago (€il<wv) e di similitudo (Ò/lOtu;Otç) alla mens (vovç) (P.A. I, 1,
7; II, Il, 3) e l'affinità con Dio alla vo€pà 'PVOLç (P.A. III, l,
l 3). Tutti in pari tempo insistevano sul carattere originario e costitu-
tivo di tale prerogativa; il testo di P.A. III, 6, l con la menzione
della «prima creazione» allude alla distinzione dei due successivi atti
creativi di Dio che fondano non solo l'esistenza umana ma l'intera
realtà cosmica, tra i quali si pone il dramma della caduta delle crea-
ture razionali.
Questo tema, di fatto, era stato evocato a proposito del testo bi-
blico della creazione dell'uomo ((a immagine e somiglianza)) nel se-
condo libro dell' opera, là dove Origene discute il rapporto tra lo spi-
rito e l'anima in relazione al problema della futura punizione dei mal-
vagi. La parola di Le. 12, 35-48, in cui è detto che il servitore infe-
dele sarà separato e la sua parte verrà posta in comune con gli infe-
52
deli, è interpretata come indizio del ((genere di pena di coloro il cui
spirito sarà separato dall' anima)) 39.
Origene si chiede dunque come bisogna intendere lo ((spirito))
qui menzionato: se si tratta dello Spirito divino conferito per mezzo
del battesimo o per grazia divina, esso sarà tolto da chi non ha sapu-
to amministrarlo e la «sostanza dell' anima)) sarà posta tra gli infede-
li, separata da quello Spirito per mezzo del quale avrpbbe ottenuto di
unirsi al Signore 40.
È qui evocata 1'antropologia di tipo tricotomico in cui lo 1T v Eij /l a
appare un elemento che, pur presente nell'uomo, non è costitutivo
della sua personalità; esso è un dono divino dal quale l'anima deve
lasciarsi guidare docilmente per poter giungere alla santità e all' unio-
ne con Dio 41. Ma Origene, secondo il suo procedimento consueto
di avanzare argomentazioni diverse al fine di discutere a fondo tutte
le possibilità interpretative di un testo ovvero di confrontare ipotesi
alternative, propone una seconda interpretazione del passo evangeli-
co. «Se invece riferiamo quelle parole non allo Spirito divino ma alla
natura della stessa anima, diremo che la sua parte migliore è quella
che è stata fatta ad immagine e somiglianza di Dio, 1'altra invece è
quella che è stata assunta in un secondo tempo, a causa della caduta
provocata dal libero arbitrio, contro la natura della primitiva creazio-
ne e purezza: questa parte, in quanto amica e cara alla natura corpo-
rea, dividerà la pena degli infedeli)) 42.
Ancora una volta il dato biblico della creazione dell'uomo ((ad
immagine e somiglianza)) è assunto a fondamento della dignità unica
di quella che qui è detta la ((parte migliore)) dell' anima e che i testi
sopra esaminati chiamavano ((intelletto)). Essa rappresenta l'elemento
originario e costitutivo della creatura razionale quale era stata voluta
da Dio nella prima conditio. È fatto dunque esplicito riferimento alla
1Toi'T1 0 Lç di Gen. I, 26, intesa come creazione dell'anima superiore o
intelligenza; la colpa dovuta alla libera volontà procura l'assunzione
di una seconda natura, contraria alla prima e ((amica e cara alla so-
stanza corporea)). Si tratta della parte inferiore, terrestre dell' anima,
ossia di quella componente dell'uomo che, senza identificarsi al cor-
po, rappresenta il complesso delle passioni e degli impulsi animali
53
tramite i quali l'intelletto si lega ad esso 43. Ne risulta uno schema di
((doppia creazione)) molto particolare, essendo essa ricondotta all'in-
terno stesso dell' anima, mentre, con più immediato riferimento al du-
plice racconto del Genesi, nelle opere esegetiche di Origene apparirà
la distinzione fra la ((prima creazione)) relativa all' anima (= intelli-
genza) e la ((seconda)), relativa al corpo dell'uomo.
D'altra parte, nel Peri Archon è svolta ampiamente la dottrina
della caduta delle creature razionali come causa della creazione del
mondo dei corpi. Tra i testi più espliciti in questo senso basti ricor-
dare II, l, l in cui ((la varietà e diversità di movimenti e cadute di
coloro che sono venuti meno dalla iniziale unità» è indicata come
causa della varietà che caratterizza il mondo 44, e II, 3, l dove si di-
chiara che il lapsus varius intellectualium naturarum provocaverit deum
ad istam variam diversamque mundi conditionem 4~.
U no degli aspetti più controversi della dottrina origeniana sulle
creature razionali riguarda, come è noto, la loro condizione iniziale,
se essa sia da intendere come del tutto incorporea ovvero se già nella
primitiva creazione le intelligenze fossero rivestite di un corpo, sia
pur purissimo e spirituale. Tale problema coinvolge quello dello sta-
tus escatologico delle creature, data la nozione cara ad Origene della
fine eguale agli inizi 46
La questione, ampiamente dibattuta 47, non può essere qui trat-
tata in tutta la sua complessità; vi accenniamo tuttavia in breve per
la parte in cui essa interessa anche l'esegesi origeniana dei testi biblici
sulla creazione e colpa di Adamo, quale è proposta soprattutto nelle
posteriori opere esegetiche. Infatti, in rapporto al tema della situazio-
ne paradisiaca dei protoplasti e al motivo delle «tuniche di pelle)) ri-
vestite dopo il peccato, si porrà il problema di stabilire se Origene
abbia affermato l'esistenza di un (( corpo spirituale)) delle creature nel
giardino dell'Eden a cui segue, per la caduta, l'assunzione del corpo
pe'sante dell'uomo attuale. Poiché il Paradiso è solitamente figura
della condizione originaria delle nature intelligenti create uguali e
perfette da Dio 48, l'eventuale ammissione di un corpo (sia pure di
consistenza eterea) in tale situazione parrebbe solidale con l'idea che
54
tutte le creature, fin dall'inizio, siano dotate di una certa corporeità,
compatibilmente con lo status dell'integrità primitiva.
È inutile ricordare che la possibilità di chiarire i termini del pro-
blema enunciato dipende in buona misura dal valore attribuito alla
traduzione rufiniana e dal credito prestato alle voci degli avverari di
Origene, le quali volentieri si levano a rimproverargli di aver procla-
mato l'incorporeità delle anime preesistenti e negato la resurrezione
dei corpi 49. Tuttavia, le citazioni di Gerolamo e di Giustiniano rife-
riscono affermazioni avulse dai rispettivi contesti e addotte con la di-
chiarata intenzione di cogliere in errore il maestro alessandrino w.
Esse irrigidiscono il pensiero origeniano presentando come precise
formule dottrinali quelle che più verisimilmente erano delle argomen-
tazioni ampie e complesse, in cui si prospettavano ipotesi alternative.
Ciò traspare, di fatto, dalle pagine del Peri Archon dedicate al
problema della corporeità delle creature razionali ~ l in cui, nonostan-
te qualche forzatura di Rufino volta a mostrare Origene partigiano
dell'opinione più ((ortodossa)) relativa alla finale corporeità (spiritua-
le) dei giusti, è indubbio che il discorso origeniano contemplava
un' articolata discussione delle due possibili soluzioni del problema e
una certa indecisione a pronunciarsi definitivamente nell'un senso
piuttosto che nell'altro. Talora, però, Origene sembra prendere una
posizione più netta a favore di una delle due alternative; tuttavia, pa-
\I radossalmente, sono entrambe le possibilità che, in momenti diversi,
I
vengono affermate.
I Così, in più luoghi si dichiara che solo Dio, Padre, Figlio e Spi-
rito Santo, può sussistere «senza sostanza materiale e senza alcuna
unione con elementi corporei)) ~ 2. In P.A. II, l, 4 leggiamo che
((senz.a corpi non ci può essere diversità nel mondo» ~ 3; la natura
corporea è quindi la condizione necessaria della diversità che caratte-
rizza il mondo attuale ~4. D'altra parte, la situazione originaria degli
esseri razionali è più volte descritta come perfetta «unità»: Dio,
((quando in principio creò ciò che volle creare, cioè le nature raziona-
li, non ebbe altro motivo per creare se non se stesso, cioè la sua
bontà. E poiché egli è stato la causa di ciò che doveva essere creato
ed in lui non c'era né varietà né possibilità di mutazione né limitazio-
ne di potere, egli creò tutti eguali e simili gli esseri che creò» 55
Da ciò sembra dedursi che la situazione iniziale voluta da Dio
per le rationabiles naturae sia stata esente da quella corporeità che, in
quanto espressione della varietà di condizioni delle creature intellet-
tuali, è posta in essere allorché queste ultime, dotate di libero arbitrio
e soggette al mutamento 56 in quanto partecipi dell'essere per grazia
e non per natura, cominciarono ad allontanarsi dal bene a causa di
«inerzia e neghittosità» 57.
In queste condizioni è oltremodo difficile stabilire in maniera de-
finitiva quale delle due alternative ricevesse la preferenza da parte di
Origene, a meno di non accettare la soluzione semplici~tica di quanti
accordano valore esclusivo alle dichiarazioni dei suoi avversari e giu-
dicano interpolazioni rufiniane i passi in cui si prospetta la possibilità
contraria 58. Più prudente e metodologicamente corretto appare piut-
tosto constatare la fondamentale problematicità del pensiero orige-
niano a proposito della questione in esame, nella quale si incontrano
e si affrontano due prospettive diverse. Da una parte è la prospettiva
biblica e cristiana di Dio creatore di tutta la realtà; all'interno di
questa, pur nella sua varietà di livelli, non sussiste uno scarto qualita-
tivo ontologicamente rilevante poiché essa promana da un'unica fon-
te dalla quale però si distingue in maniera radicale, sia nella compo-
nente materiale sia in quella spirituale, in virtù della sua consistenza
creaturale. In tale prospettiva è dunque dominante la nozione della
assoluta trascendenza ed incommensurabilità di Dio rispetto alla
creazione; in sede antropologica, di conseguenza, non è tanto rile-
vante una tensione di componenti (spirituale e materiale) all'interno
dell'uomo stesso, quanto la consapevolezza della sua condizione di
creatura, ossia dell' alterità essenziale ed insieme del rapporto intimo
che lo lega al Creatore, il quale non è un principio astratto ma una
persona da accettare o da respingere. La corporeità in sé non è quin-
di ~'un dato che possa fare ostacolo al rapporto con Dio, cosÌ come
l'elemento spirituale non ne è la base esclusiva. La prospettiva bibli-
ca, pertanto, può contemplare la resurrezione dei corpi che, nel con-
testo cristiano, si lega intimamente al mistero dell'incarnazione del
56
Figlio e della sua resurreZ1One, (primizia» della futura resurrezione
dei credenti.
Dall'altra p<\.rte c'è la tradizione filosofica greca, di ascendenza
orfico-pjt-agorica e platonica, per la quale la linea discriminante passa
tra il visibile e l'invisibile, il corporeo e l'incorporeo, il materiale e lo
spirituale. Il secondo termine di ciascun binomio, in pari tempo, rap-
presenta uno specifico attributo divino.
L'uomo, che comprende in sé entrambe le componenti, spirituale
e somatica, identifica nella prima di esse l'elemento esclusivo di affi-
nità col divino e, nello sforzo di assimilarsi a quest'ultimo, considera
il corpo come un ostacolo o comunque un dato da superare 59. L'ani-
ma o l'intelletto, dotato di sussistenza propria, anteriore ed indipen-
dente dal corpo, unitosi a questo per un periodo limitato, se ne libera
per ritornare alla condizione primitiva e a lui congeniale di perfetta
spiritualità.
Posto dinnanzi a queste due soluzioni del problema, Origene
non pare sia riuscito a trovare una formula definitiva che, fatto salvo
il principio biblico della assoluta trascendenza di Dio creatore e l'in-
segnamento della Chiesa sulla resurrezione dei corpi, entrambi ele-
menti irrinunciabili del suo credo, potesse in pari tempo soddisfare
l'esigenza di spiegare, secondo le categorie filosofiche dell' epoca che
gli erano familiari, come l'uomo, essere composito e immerso nel
mondo della diversità, possa comunicare con Dio, invisibile e incor-
poreo 60. La nozione biblica dell'uomo creato (secondo l'immagine e
la somiglianza» di Dio che, qualunque fosse il significato originario
dell'espressione 61, indubbiamente indica uno speciale rapporto del-
l'uomo, a differenza di tutto il resto della creaz.ione, con il suo crea-
tore, e che Origene attinge nella forma, già mediata da categorie e
linguaggio greci, della traduzione dei LXX 62, offre un primo ed es-
senziale avvio alla soluzionendi tale problema. Sull' esempio di Filo-
ne 63 e a differenza di autori cristiani anteriori o contemporanei 64,
Origene rifiuta di ammettere che la condizione di eiK.wv possa rife-
rirsi al corpo dell'uomo o comunque all'insieme delle sue componen-
ti, ma soltanto all'intelligenza. Recuperata in tal modo la nozione
greco-platonica della distinzione fra elemento spirituale ed elemento
57

somatico e della superiorità del primo rispetto al secondo, Origene
attribuisce alla mens la qualità di intellectualis imago di Dio, il quale a
sua volta, secondo le categorie medio-platoniche, è definito mens ac
fons, ex quo initium totius intellectualis naturae vel mentis est 6'. È dun-
que l'intellige1).za che, per natura invisibile e incorporea, può «cono-
scere qualcosa della natura divina, soprattutto se è il più possibile pu-
rificata e separata dalla materia corporea» 66.
Il riconoscimento dell' affinità esclusiva fra la mens e la natura di-
vina, fondamento della conoscenza, pur espresso nella formula bibli-
ca dell'«immagine», induce Origene ad accentuare, nella linea plato-
nica, il distacco fra l'elemento spirituale e la «materia corporea» di
cui l'uomo egualmente partecipa. Su quella medesima linea si spiega-
no le complesse discussioni a proposito della corporeità iniziale e fi-
nale delle creature razionali, una volta che Origene, per salvaguarda-
re la bontà e giustizia divine e la libertà delle creature intelligenti
contro il diteismo e il determinismo delle nature proclamato dagli
gnostici, ipotizza una condizione di iniziale equalità di tutte le creatu-
re intelligenti e attribuisce la causa ultima delle diversità ai loro liberi
«movimenti». Queste diversità, da parte loro, hanno diretto rappor-
to con la cosmologia e l'antropologia, in relazione alle quali non ha
rilevanza la questione di una eventuale corporeità «eterea» o «spiri-
tuale» dei noes, che sarebbe in ogni caso diversa dalla corporeità pro-
pria del mondo attuale, alla quale si riferisce il problema in discussio-
ne. Infatti, nello schema cosmologico origeniano è fondamentale la
distinzione di un prima e di un post metafisici 6 7, tra i quali c'è posto
per una «caduta» che giustifica l'attuale diversità di condizioni degli
esseri razionali; l'accento batte dunque soprattutto sulla distinzione
fra una prima e una seconda conditio. La prima creazione scaturisce
dalla assoluta bontà e giustizia divine, le quali pongono in essere del-
le creature perfettamente eguali e libere; il decadimento delle nature
intellettuali impone un cambiamento al piano divino, che si piega ad
una «seconda creazione» di cui è autore lo stesso Dio, il quale prov-
-idenzialmente fornisce di una materia corporea, soggetta al cambia-
.. lento e alle trasformazioni, le creature venute meno all'iniziale unità
pe~ un «raffreddarsi» dello slancio d'amore che avrebbe dovuto farle
58
~
I persistere nel bene. Ecco dunque il nous diventare psyché 68, l'anima
assumere, oltre la «parte migliore», una parte «amica e cara alla so-
tanza corporea» e finalmente ricevere un corpo più o meno pesante e
consistente secondo la gravità della caduta e la misura della perdita
dell'iniziale calore di amore divino.
Il mondo materiale, nella varietà delle sue componenti, e il cor-
po umano sono infatti il risultato di quella originaria «caduta» delle
intelligenze, senza la quale queste realtà non sarebbero venute in es-
sere.
Possiamo ora ritornare a chiederci se questo schema cosmologi-
co, nelle intenzioni di Orig'ene, trovasse un supporto scritturistico nel
racconto del Genesi relativo alla creazione e alla trasgressione di
Adamo. I passi già esaminati hanno posto in luce una nozione fonda-
mentale, sulla quale non vi saranno oscillazioni né mutamenti nel
corso della produzione origeniana: la creazione «ad immagine e so-
miglianza» di Cen: 1,26 definisce la qualità e lo status ontologico
dell'intelletto dell'uomo, ovvero di quella parte superiore dell' anima
che conserva in sé la sostanza razionale, immortale, libera e dotata di
una certa affinità con Dio, quale è stata creata all' «inizio», essendo
tale inizio inteso sia in senso temporale sia - ciò che più importa -
nell'ordine della dignità e della intenzionalità divina.
Una velata polemica contro quanti attribuiscono alla figura cor-
porea il carattere di «immagine» traspare da P.A. IV, 4, lO 69; nel-
le opere esegetiche questo motivo sarà chiaramente sviluppato in
un'aperta confutazione delle posizioni antropomorfite e in genere di
ogni interpretazione che riferisca al corpo umano la qualità di «im-
magine» divina. In P.A. II, lO, 7 e III, 6, l la creazione di Ceno I,
26 è definita una prima conditio con riferimento, esplicito nel primo
dei due pas~~ citati, ad una seconda creazione per la quale, sia essa
intesa come rdativa alla parte inferiore dell' anima ovvero al corpo
più o 1l1eno op ... co e spesso delle creature razionali, non si rimanda
tuttavia al testo scritturistico di Ceno II, 7 che altrove Origene, sul-
l'esempio di Filone, interpreterà nel senso della creazione del corpo
I umano. Di fatto, nel Trattato «Sui Principi» Origene, pur utilizzan-
I do volentieri Cen. I, 26 per affermare la primarietà, nell'ordine del
I
,I
59
i
J
prius temporale e del valore, dell'intelletto umano rispetto alla crea-
zione materiale e quindi per fondare su base scritturistica la dottrina
della preesistenza, non intende svolgere un' analisi esegetica del rac-
conto biblico della creazione dell'uomo. Per tale esegesi, del resto,
egli esplicitamente rimanda al Commentario al Genesi, la cui stesura
appare contemporanea a quella del De Principiis, almeno per i primi
quattro libri 70. Il resto della produzione origeniana a noi pervenuta
permetterà di constatare che l'interpretazione del duplice racconto
del Genesi relativo alla creazione dell'uomo e della successiva narra-
zione della cacciata di Adamo dal Paradiso non è univoca, ma si at-
teggia diversamente in relazione alle varie prospettive secondo le
quali è affrontato il testo biblico. Nel De Principiis, in cui lo schema
della doppia creazione è svolto in tutta la sua ampia problematica
speculativa, mentre è abbastanza frequente e indicativo 1'appello a
Ceno I, 26 per fondare la nozione di una creazione iniziale perfetta e
caratterizzata da profonda affinità tra la creatura razionale ed il
Creatore, non appare utilizzato il testo di Ceno II, 7 relativo all'uo-
mo plasmato. Ad esso Origene appella, nello stesso trattato, in un
contesto strettamente antropologico e non cosmologico, e con speci-
fico riferimento ad Adamo 71
È comunque significativa una menzione abbastanza esplicita di
Ceno II, 17 là dove si definisce la colpa delle creature razionali come
«bisogno di mangiare dell'albero della scienza del bene e del ma-
le)) 72. Nel quadro della prospettiva escatologica di reintegrazione
della creatura nella iniziale perfezione, prendendo le mosse da una ci-
tazione paolina (I Cor. 1 5, 28), Origene dichiara: «infatti non ci
sarà più distinzione fra bene e male, poiché il male non ci sarà più
(infatti Dio è tutto, che il male non tocca) né desidererà più di man-
giare dall'albero della scienza del bene e del male chi è sempre nel
bene e per cui Dio è tutto. Pertanto se alla fine del mondo, che sarà
simile all'inizio, sarà reintegrata quella condizione che la natura razio-
nale aveva avuto quando non aveva sentito ancora il bisogno di
mangiare dall'albero della scienza del bene e del male, allontanato
ogni senso di malvagità, solo colui che è l'unico Dio buono diven-
terà tutto per la creatura tornata ad essere schietta e pura)) 73.
60
Sembra dunque che per Origene la situazione paradisiaca di
Adamo sia figura dello status iniziale di purezza ed integrità della na-
tura rationabilis, al quale pone fine quella caduta che, espressa altrove
in termini di «negligenza)) o (<trascuratezza)) del bene 74, è ora de-
scritta, sulla base del testo biblico relativo alla trasgressione dei pro-
toplasti, con l'immagine di un desiderio o indebito bisogno 75 di gu-
stare il frutto dell' albero proibito.
Emerge qui una interferenza, che ricorre altrove nell' opera esege-
tica origeniana, tra lo schema di doppia creazione fondato sui due
racconti di Ceno I, 26-27 e II, 7 e articolato sull'opposizione fra
uomo ad immagine ed uomo plasmato, di ascendenza filoniana, e
quello che oppone la situazione paradisiaca di Adamo alla dimora
sull'«arida)). In entrambi questi schemi è fondamentale il ruolo della
«colpa)) o «caduta)) della creatura razionale nel determinare il pas-
saggio dal primo status al secondo. Si noterà allora che là dove si
contrappone l'uomo ad immagine di Ceno L 26 all'uomo plasmato di
II, 7 il motivo della trasgressione appare una sovrapposizione evi-
dente della nozione origeniana della «colpa antecedente)) al dato te-
stuale. Nel secondo schema, che distingue ed oppone il Paradiso al
mondo, l'esegesi origeniana aderisce con maggiore legittimità al rac-
conto del Genesi; la sua insistenza sul momento della «caduta)) come
causa decisiva di un mutamento profondo di status della creatura,
esprimendosi in termini di abbandono della condizione paradisiaca
per accedere a quella terrestre, attuale, appare più profondamente ra-
dicata in una prospettiva biblica e sostanziata di dati scritturistici. In
entrambi i casi, comunque, l'interpretazione di Origene è guidata dal
presupposto metodologico che, enunciato sistematicamente nel IV li-
bro del Peri Archon, sorregge ed ispira tutta la sua produzione esege-
tica: la Scrittura contiene «ineffabili misteri)) che bisogna penetrare
passando, con un costante sforzo di meditazione e di purificazione
interiore, attraverso la lettera del testo per giungere al significato
«spirituale)). Ciò non significa, come è stato ormai ampiamente chia-
rito, che il significato letterale non abbia rilevanza: al contrario, esso
fonda l'esegesi allegorica che si sviluppa a partire da esso attraverso
un serrato argomentare sui dati testuali anche i più minuti e apparen-
61
temente trascurabili 76. In alcuni casi, peraltro, Origene ammette la
possibilità che la lettera non sia in sé significante, o perché manife-
stamente incoerente e contraddittoria ovvero perché sembra contene-
re affermazioni sconvenienti sulla natura e l'operato divini 77. Se
dunque il significato «spirituale» è sempre presente nel testo sacro,
poiché ad esso è finalizzata la rivelazione medesima, lo sforzo dell'in-
terprete consiste nel portarlo alla luce, sia là dove quello letterale e
morale sono egualmente possibili e validi, sia là dove il primo di
questi significati non risulta accettabile. Questo principio fondamen-
tale dell' esegesi origeniana è esemplificato nel Peri Archon a proposi-
to del racconto sulla creazione dell'uomo, in due luoghi che chiari-
scono in maniera significativa le intenzioni dell' autore nella utilizza-
zione dei dati offerti dal Genesi.
Dopo aver affermato che «lo scopo cui mirava lo spirito quando
illuminava ..... i ministri della verità, profeti ed apostoli, riguardava
primariamente (1TpOrrYOV/lÉvwç) gli ineffabili misteri della condizio-
ne umana», Origene dichiara che tali misteri venivano espressi dai
sacri autori «< simbolicamente sotto forma sia di imprese di uomini
sia di prescrizioni e norme legali, perché non avvenisse che qualun-
que persona li avesse come posti dinanzi ai suoi piedi per calpestarli,
ma "> affinché colui che fosse in condizione di ricevere l'insegnamen-
to, esaminando e applicandosi alle profondità [I Coro 2, lO] del sen-
so delle parole potesse diventare partecipe di tutto l'insegnamento ri-
guar dante la valonta'd"lVma» 78 .
O ggetto precipuo della rivelazione divina sono dunque gli à 1T ci p-
P'T7Ta /lVUT1zPW T(;;V J<aTà TOÙç àVtJPW1TOVç 1Tpa'Y/làTWv, ma Ori-
gene ha cura di precisare, coerentemente con 1'antropologia elaborata
nel corso dell' opera, che intende per «uomini le anime che si servono
dei corpi» 79. Quindi egli enuncia il complesso delle verità rivelate
dallo Spirito, le quali, pur avendo lo scopo precipuo di illuminare
l'uomo sulla sua origine e natura, contemplano anche nozioni sulla
~hatura divina e sul!' opera redentrice del Figlio, senza la cui cono-
scenza non si può attingere la perfezione 80. Tutte queste conoscenze,
tramesse ai «ministri della verità», sono esposte nei testi sacri ma, «a
. causa di coloro che non possono sostenere lo sforzo necessario per
62
scoprirle, suo (se. dello Spirito) secondo scopo è stato quello di celar-
ne il senso in parole che presentano racconti sulle opere visibili di
Dio e sulla creazione dell'uomo e sugli avvenimenti accaduti via via
dal tempo dei progenitori fino a che gli uomini si sono moltiplica-
ti» 81.
n racconto biblico sulla creazione dell'uomo, pertanto, sottinten-
de una realtà «spirituale» profonda che si discopre soltanto a quanti
sono capaci di penetrarla con esercizio assiduo di meditazione e di
studio. Tale realtà, conformemente al precedente enunciato, sarà per-
tinente a quella storia delle creature intelligenti che, mentre in alcuni
casi implica un progresso verso l'unità con Dio 82, più generalmente
contempla cadute più o meno gravi, in conseguenza delle quali si
configurano tra di esse differenze di grado e di situazione, all' origine
e natura del mondo, alla presenza in esso del male 83.
Senza negare la validità della lettera, Origene afferma dunque il
diritto dell'esegeta di trovare nelle Scritture quel complesso di cono-
scenze su Dio, il mondo e l'uomo che, mentre risponde agli interro-
gativi fondamentali sull'esistenza, trova la sua unica fonte e garanzia
di veridicità nella parola divina. Lo Spirito ha parlato ai profeti e agli
apostoli non solo per narrare vicende umane, di epoche lontane o
prossime, ma per comunicare, sotto il velo di tali vicende complesse,
verità fondamentali di ordine religioso, la cui conoscenza permette
all'uomo di purificarsi per giungere, attraverso una lunga e tormenta-
ta lotta contro le passioni e le forze demoniache, all'unione con Dio.
n racconto sulla creazione dell'uomo rientra nella categoria dei fatti
in cui, al di là della lettera, urge più forte il significato pregnante di
una verità esistenziale. Ci si chiede allora se, in questo caso, la lettera
mantenesse per Origene un suo significato autonomo ovvero se essa
ne fosse del tutto priva, essendo rilevante soltanto il significato «spi-
rituale».
n passo in esame non sembra escludere il significato letterale
del racconto, limitandosi ad includerlo nella categoria degli eventi
che sono stati narrati allo scopo di suggerire sub praetexto historiae
euiusdam et narrationis rerum visibilium arcana mysteria 84. Tuttavia
più oltre, allo scopo di mostrare l'impossibilità di intendere letteral-
63
mente alcuni passi scritturistici, Origene adduce ad esempio il rac-
conto biblico relativo al Paradiso e alla colpa di Adamo. ((Chi è tan-
to sciocco da credere che Dio a mo' di agricoltore abbia piantato il
paradiso nell'Eden ve\so Oriente e in questo abbia creato l'albero di
vita visibile e sensibile sÌ che chi ne avesse gustato il frutto con i
denti corporei ne avrebbe ricevuto la vita? E ancora, chi potrebbe
credere che uno possa partecipare del bene e del male per aver masti-
cato il frutto preso da questo albero? Se la scrittura dice che Dio di
sera passeggiava nel paradiso e che Adamo si nascose sotto l'albero,
nessuno dubiterà che qui sono simbolicamente indicati alcuni misteri
per mezzo di un fatto apparente ma che in realtà non è avvenu-
to» 85.
Il brano citato non riguarda la creazione di Adamo ma piuttosto
le modalità con cui il testo biblico presenta la sua situazione origina-
ria e la trasgressione; Origene sottolinea quei particolari che più net-
tamente mostrano il carattere figurato del racconto, per rendere evi-
dente l'impossibilità che si tratti di circostanze o eventi realizzatisi
a wJ.1aTLJ<wç
La simbologia del Paradiso, ampiamente sviluppata in tanti luo-
ghi della produzione origeniana, conosce vari i esiti, in senso etico o
allegorico come figura della situazione celeste originaria 86.
N elIo stesso Peri Archon abbiamo visto l'immagine della mandu-
cazione del frutto proibito applicata alla vicenda di decadimento del-
le creature razionali. Ciò dà ragione della certezza dell' autore, secon-
do cui figurali tropo haec ab scriptura proferantur, quo per haec quaedam
mystica indicentur 87.
Riconosciuta la primari età del significato ((mistico»), tuttavia,
non sembra opportuno sopravvalutare l'affermazione conclusiva, con-
servata nel testo della Philocalia ma prudentemente omessa da Rufi-
no, ossia che la historia narrata dall' autore biblico è solo ((apparen-
te)). N on si tratta infatti per Origene di negare la storicità di tutto il
contesto scritturistico ma solo di quella cornice narrativa che contie-
ne dei particolari evidentemente inaccettabili perché danno un'imma-
gine antropomorfica di Dio e del suo operato. Ciò conformemente al
pri.~cipio esegetico origeniano che non esclude la storicità, variamen-
64
te determinabile secondo i casi, di eventi e personaggi che sono (cfi-
gure» di verità spirituali. Il racconto della creazione dell'uomo e del-
la sua trasgressione rientra fra gli eventi in cui il carattere figurativo
e simbolico è più evidente e, sotto alcuni profili, pressoché esclusivo
proprio perché in esso è adombrata quella verità fondamentale della
creazione perfetta della creatura razionale e del suo decadimento, sul-
la quale si incentra tutta la vicenda cosmica. Tuttavia Origene am-
mette la storicità di Adamo e della sua personale vicenda quale è
narrata nel testo biblico, come risulta, nello stesso trattato, dai mol-
teplici riferimenti al protoplasto, ora menzionato come primo fa i
((giusti») di cui parla il testo sacro 88, capostipite dell'umanità 89, do-
tato, secondo una tradizione giudeo-cristiana, di capacità profeti-
ca 90. Tale nozione è espressa nel contesto della discussione relativa
.al rappor:o delle tre persone divine con l'umanità: mentre il Padre e
il Figlio esercitano la loro azione sia sui peccatori che sui giusti, la
partecipazione allo Spirito è riservata solo ai santi (P.A. I, 3, 6).
Origene viene allora al passo del Genesi in cui si legge: (cE soffiò
nella faccia un soffio di vita e l'uomo diventò un essere vivente))
(Gen. II, 7) e ne propone una duplice interpretazione. ((Se si intende
che il soffio sia stato dato genericamente a tutti gli uomini, tutti gli
uomini partecipano di Dio; se invece bisogna intenderlo detto dello
Spirito Santo, poiché vediamo che Adamo ebbe una certa capacità
profetica, allora si può intendere che sia stato dato non a tutti ma
solo ai santi» 91.
Conformemente alla natura dell'opera, che vuole svolgere una
discussione ampia ed articolata su alcune dottrine fondamentali del
credo cristiano e non un' esegesi sistematica delle Scritture a cui conti-
nuamente appella, Origene utilizza i dati biblici in relazione ai parti-
colari sviluppi delle singole argomentazioni, da prospettive e a fini
diversi. Il passo di Gen. II, 7 gli interessa qui non in funzione della
distinzione, altrove elaborata, tra uomo ad immagine ed uomo pla-
smato, ma per determinare le modalità del rapporto fra l'uomo attua-
le e le persone della Trinità, dal quale dipende la sua vita spirituale e
la salvezza. È tuttavia significativa l'utilizzazione del testo relativo
alla creazione dell'uomo; risulta confermato che, al di là del valore
65

(( spirituale)) attribuito al racconto biblico in quanto figura dei pro-
fondi misteri concernenti l'origine e la condizione dell' anima, esso
per Origene mantiene il valore di narrazione di un evento storica-
mente significante. Tale evento riguarda la creazione di un personag-
gio, Adamo, che, mentre per un verso è figura dell'umanità intera,
per 1'altro è il primo di una serie di uomini che da lui ripetono alcu-
ne caratteristiche naturali e costitutive (per il soffio dato ad Adamo
tutti partecipano di Dio) e come individuo è dotato di prerogative
specifiche e irrepetibili (capacità profetica).
Altrove Adamo è ancora ricordato per alcuni aspetti peculiari
della sua storia: egli è padre di Seth 92 e autore, per istigazione dia-
bolica, della trasgressione del precetto divino 93. Per confermare su
base scritturistica la dottrina delle potenze demoniache come avver-
sarie del genere umano, Origene adduce, infatti, quale primo esem-
pio, il passo del Genesi da cui risulta che «il serpente ingannò E va))
(Gen. III, l sgg.), e quindi appella all' apocrifa «Ascensione di
Mosé)) in cui si narra che ((l'arcangelo Michele, disputando col dia-
volo per il corpo di Mosé, dice che ispirato dal diavolo (quel serpen-
te) era stato la causa del peccato di Adamo ed Eva)).
Infine, confutando la teoria stoica del periodico ritorno di mon-
di sempre uguali, Origene obietta che, se essa fosse esatta, si dovreb-
be ammettere che ((Adamo ed E va faranno una seconda volta le
stesse cose che hanno fatto)) 94.
In conclusione, nel Peri Archon sono annunciati, a proposito dei
primi capitoli del Genesi relativi alla creazione e colpa di Adamo, al-
cuni temi esegetici che saranno svolti con maggiore ampiezza e con
più diretto rapporto con lo schema narrativo del testo biblico nel re-
sto della produzione origeniana. La struttura e le finalità del trattato
non consentono un'interpretazione continua e sistematica della Scrit-
tura, alla quale Origene rimanda però constantemente a sostegno e
~'conferma delle proprie argomentazioni dottrinali. Si tratta di una se-
rie di prove scritturistiche che, mentre illuminano i fondamenti bibli-
ci della spiritualità origeniana, obbediscono al preciso impegno del-
J'autore di essere un interprete della rivelazione, un instancabile servi-
66
tore della Parola e indagatore dei «misteri spirituali)) celati sotto la
lettera dei testi sacri. Nello sforzo di proporre una soluzione raziona-
le del grave problema della diversità e del male nel mondo, la quale
non inficiasse la giustizia e la bontà divine, Origene ritenne di acco-
gliere l'ipotesi della preesistenza delle creature razionali e la nozione
di una ((colpa antecedente)), entrambe riconducibili ad una struttura
di pensiero di ascendenza platonica. N e risulta uno schema cosmolo-
gico implicante due ~omenti successivi e graduati nel valore e nella
dignità: ad una prima èreazione di esseri intelligenti, eguali e liberi,
segue, in conseguenza dei diversi movimenti delle libere volontà
esprimenti un maggiore o minore allontanamento dal bene e dall' a-
more divino, una ((creazione seconda)), quella di questo mondo vario
e molteplice in cui la diversità trova fondamento e manifestazione
nella sostanza corporea, più o meno consistente ed opaca secondo la
gravità delle cadute 95. È legittimo dunque parlare di una «doppia
creazione)) a proposito di questa dottrina che, per essere formulata
come personale ipotesi, non cessa di caratterizzare il pensiero del
maestro aless~ndrino e di rivelarne i presupposti platonizzanti.
Tra le prove scritturistiche addotte a sostegno di tale ipotesi,
non certo per un formale desiderio di rivestirla con l'autorità della
Scrittura, ma nel sincero convincimento che la rivelazione biblica fos-
se conciliabile con essa, Origene ripetutamente ricorre a Gen. I, 26
in cui la creazione dell'uomo «secondo l'immagine e la somiglianza))
di Dio gli appare non solo riferibile all'anima ad esclusione del cor-
po, ma espressione di quella prima condi/io nella quale le creature ra-
zionali godevano di perfezione e beatitudine, possedendo intatto il
dono dell'((immagine)) del Creatore. Non appare invece sviluppata
l'esegesi del racconto biblico sulla plasmazione di Adamo (Gen. II,
7) che altrove Origene, sulle orme di Filone, utilizzerà per illustrare
la ((seconda creazione)). Piuttosto, in rapporto alla nozione fonda-
mentale della ((colpa)) come elemento determinante il passaggio degli
esseri razionali dallo status iniziale di beatitudine a quello attuale, ap-
pare un secondo schema esegetico, abbastanza frequente nei Com-
mentari e nelle Omelie origeniane, implicante l'opposizione Paradiso-
mondo e l'interpretazione dell'episodio della trasgressione di Adamo
67
come figura del decadimento delle creature intellettuali nella esisten-
za pre-cosmlCa.
Altro motivo familiare alla problematica dell' alessandrino è la
fusione della tematica dell'uomo ad immagine con quella paolina del-
l'uomo interiore contrapposto all'uomo esteriore; tale commistione di
motivi nel Peri Archon è solo rapidamente evocata (IV, 4, 9), men-
tre altrove avrà ampia elaborazione insieme con il tema parimenti
paolino dell'opposizione dell'immagine del celeste a quella del terre-
stre, denso di sviluppi significativi nel contesto dello schema della
{(doppia creazione». Egualmente, nei commentari esegetici e nella
produzione omiletica di Origene sarà possibile constatare la persi-
stenza del duplice valore, spirituale e storico - sia pure di una stori-
cità sui generis - del racconto biblico della creazione e della caduta
dell'uomo. Adamo, infatti, ha doppio significato paradigmatico: «fi-
gura» delle creature razionali, le quali sono passate dalla condizione
iniziale di «immagine» a quella attuale caratterizzata dalla diversità e
dalla corporeità, è più specificamente figura e prototipo di quelle in-
telligenze che, raffreddandosi, sono divenute anime e quindi hanno
assunto un corpo umano. D'altronde, il personaggio di Adamo man-
tiene un suo carattere di individualità, persistendo il dato biblico di
un protoplasto da cui ha inizio la lunga storia dell'umanità e che pre-
senta alcune connotazioni personali, pur nel fondamentale significato
prototipico della sua vicenda.
l La théologie de l'image de Dieu, in «Revue des sciences philosophiques et
théologiques» (RSPhTh) 40 (1956), pp. 443-471.
2 Op. cit., Paris 1956, p. 222. In Crouzel, peraltro, l'espressione addotta dal
Camelot ricorre in un diverso contesto. Essa infatti intende spiegare una certa am-
biguità del pensiero origeniano riguardo al rapporto fra l' «immagine» e la «somi-
glia\}!-a» (cfr. ibid., pp. 217-245).
3 Art. cit., p. 467 n. 40.
4 Cfr. H. Crouzel, Origène est-il un systématique?, in «Bulletin de Littératu-
re Ecclésiastique» (BLE) 60 (1959), pp. 81-116 rist. in Origme et la philosophie,
Par~~ 1962, pp. 179-215; Id., Un nouveau plaidoyer pour un Origène systémati-
68
que, in ((BLE)) 68 (1967), pp. 128-131; Qu'a voulu faire Origène en composant
le Traité des Principes, in «BLE» 76 (1975), pp. 16-1-169; 241-260.
5 H. Crouzel, L'anthropologie d'Origène dans la perspective du combat spi-
rituel, in «Revue d'Ascétique et de Mystique» (RAM), 31 (1955), p. 369; cfr.
Id., art. cit., in BLE 76 (1975), pp. 175-177 dove lo studioso riconosce che, pur
nella sua forma di ipotesi, da préexistence est pour Origène une doctrine favorite
et il ne discute pas les autres positions... On la retrouve dans toutes les oeuvres
d'Origène)).
6 Si veda in proposito la comunicazione di U. Bianchi (Presupposti platonici
e dualistici di Origene, De Principiis) al II Convegno di studi origeniani, Barì 20-
2 3 settembre 1977.
7 Si veda W. V6lker, Das Vollf<.ommenheitsideal des Origenes. Eine Untersu-
chung zur Geschichte der Frommigf<.eit und zu den Anfangen christlicher Mystif<. (Bei-
trage zur historischen Theologie 7), Tlibingen 1931, per il quale cfr. H. Ch.
Puech, Un livre récent sur la mystique d'Origène, in «Revue d'Histoire et de Phi-
IG>sophie religieuses» (RHPhR) 13 (1933), pp. 508-536. A Lieske, Die Theologie
der Logos-mystif<. bei Origenes (Mlinsterische Beitrage zur Theologie 22), Mlinster i
W. 1938; M. Harl, Origène et la fonction révélatrice du Verbe incarné (Patristica
Sorbonensia 2), P aris l 958; H. Crouzel, Origène et la ccconnaissance mystique~)
(Museum Lessianum, Sect. Théol. 56), Bruges 1961. Per un' ampia panoramica
degli studi origeniani cfr. H. Crouzel, Bibliographie critique d' Origène (Instrumenta
patristica VIII), La Haie 1971.
8 Cfr. G. Bardy, Origène (Les moralistes chrétiens. Textes et commentaires),
Paris 21931; J. Daniélou; Origène, Paris 1948; H. De Lubac, Histoire et Esprit.
Intelligence de l'Écriture d'après Origène, Paris 1950.
9 L'obiettivo perseguito nella composizi.one del Peri Archon è enunciato a
conclusione della Prefazione (ed. P. Koetschau, De Principiis, GCS 22, Origenes
Werf<.e Bd. V, Leipzig 1913, p. 16; tr. it. M. Simonetti, I Principi di Origene, To-
rino 1968, p. 126). Per le questioni relative al testo rufiniano, eccessivamente de-
prezzato dal Koetschau, cfr. G. Bardy, Le texte du nEPI APXilN d'Origène et
Justinien, in «Recherches de Science Religieuse» (RechSR) lO (1920), pp. 224-
252; Id., Recherches sur l'histoire du texte et des versions latines du De Principiis d'O-
rigène, Lille 1923. Si vedano anche le osservazioni del Simonetti (op. cit., pp. 1 3-
26 e passim nelle ampie note di commento al testo) e la recente traduzione francese
a cura di M. Harl-G. Dorival-A. Le Boulluec, Origène, Traité des Principes (Peri
Archon), Paris 1976. Una nuova edizione critica con traduzione tedesca è quella
di H. G6rgemanns-H. Karpp (Texte zur Forschungen, Bd. 24), Darmstadt 1976
per la quale si veda E. Junod, Entre deux éditions du De principiis d'Origène, in
«BLE)) 78 (1977), pp. 207-220.
lO Cfr. A.J. Festugière, La révélation d'Hermès Trismégiste, voI. III, Les doctri-
nes de l'ame, Paris 1953. Come ha sottolineato A. Orbe (Inserci6n e importancia
69

de la metensomatosis en el esquema origeniano De anima, in {(Estudios Eclesiasti-
cos» 31 (1957), pp. 75-88), Origene mostra di. conoscere il comune schema in
quattro sezioni (natura dell'anima, incorporazione, destino dell'anima incarnata,
escatologia) secondo cui veniva affrontato e discusso il problema dell'anima, quale
è attestato nel De anima tertullianeo (cfr. ed. A. Waszink, Amsterdam 1947; Fe-
stugière, op. cit., pp. 3-26). Tale schema traspare infatti da un passo fondamentale
del Com. in Joh. (VI, 14, 85-87 ed. C. Blanc, t. II [SC 157], Paris 1970, pp.
l 90-19 3) ed è parzialmente evocato nel II libro del Commento al Cantico dei Can-
tici (v. l, 8 ed. W.A. Baehrens, Homilien zu Samuel I, zum HoheUed und zu den
Profeten, Kommentar zum Hohelied in Rufins und Hieronimus' Uebersetzungen, GCS
33, Origenes Werke Bd. VIII, Leipzig 1925, pp. 146, 16-148, 4).
Il P.A. I, Praef ed. Koetschau p. Il sg.: {(Post haec iam quod anima substan-
tiam vitamque habens propriam, cum ex hoc mundo discesserit, pro suis meritis dispensa-
bitur, sive vita e aeternae ac beatitudinis haereditate potitura, si hoc ei sua gesta praestite-
rint, sive igni aeterno ac suppliciis mancipanda, si hoc eam scelerum culpa detorserit; sed
et quia erit tempus resurrectionis mortuorum ... Est et illud defi.nitum in ecclesiastica
praedicatione, omnem animam rationabilem esse liberi arbitri et voluntatis».
12 Trad. Simonetti p. 123 sg.; ed. Koetschau p. l 3. La mancanza di una
chiara definizione del problema relativo all'origine dell'anima nella tradizione apo-
stolica era egualmente sottolineata nel Commento all'Epistola a Tito di cui Pamfilo
riferisce due brevi passi (Apol. 9, P.G. XVII, col. 604 A-C; cfr. P.G. XIV, col.
1306 B-C). Lo stesso Pamfilo sottolinea il carattere ampiamente problematico
delle argomentazioni origeniane sul tema della natura ed origine dell' anima, le qua-
li sono sempre presentate come opinioni personali, soggette a continua verifica e
sostenute da riferimenti scritturistici (cfr. Apol. 8, P.G. XVII, col. 603 B-C). A
conferma di ciò Pamfilo adduce la mancanza di un trattato De anima fra gli scritti
origeniani (ibid., col. 603 C-604-A). La difficoltà del problema è sottolineata dal-
lo stesso Origene nel passo citato di Com. in Joh., in cui parimenti si afferma la
necessità di dedurre dalla Scrittura gli elementi necessari alla sua definizione (VI,
14, 87 ed. C. Blanc p. 192 sg.).
13 All'analisi delle varie formulazioni del pensiero origeniano riguardo alla
(( doppia creazione e peccato di Adamo» andiamo dedicando una più ampia ricer-
ca, rispetto alla quale il presente lavoro è un primo approccio, limitato al Peri Ar-
chon.
14 Per le speculazioni sulla angelologia e la demonologia nel tardo giudaismo
e nel cristianesimo primitivo cfr. J. Daniélou, Théologie du Judéo-christianisme,
TOUJ".nai 1958, passim; Id., Message évangélique et culture hellénistique, Tournai
1961 sulle dottrine relative ai demoni presso gli Apologisti (pp. 391-397) e lo
stesso Origene (pp. 397-403). Per quest'ultimo si veda in particolare E. Betten-
court, Doctrina ascetica Origenis seu quid docuerit de ratione animae humanae cum
dae"!.onibus (Studia Anselmiana 16), Roma 1945.
70
l j Cfr. F. Cumont, Astrology and Religion among the Greeks and the Romans,
New York-London 1912; A.J. Festugière, La révélation d'Hermès Trismégiste,
voI. I, L'astrologie et les sciences occultes, Paris 1950.
16 Sul valentinianismo si vedano in particolare l'ampia analisi del Sagnard
(La gnose valentinienne et le témoignage de Saint Irénée, Paris 1947) e gli Estudios
valentinianos di A. Orbe (cinque volumi, Roma 1955 -1966). L'opera ((classica» su
Marcione di A. von Harnack (Marcion. Das Evangelium vom fremdem Gott, Lei-
pzig 21924), ancora fondamentale per l'ampia documentazione raccolta, è tuttavia
superata per la tesi di fondo che vede nel personaggio un {(teologo biblico» piutto-
sto che uno gnostico. La bibliografia sullo gnosticismo è troppo vasta perché si
possa tentare qui di indicarne le voci principali. Rimandiamo soltanto ai risultati
del Colloquio internazionale di Messina (ed. U. Bianchi, Le origini dello gnostici-
smo, Leiden 1967) e alle periodiche rassegne di studi di K. Rudolph nella {( Theo-
logische Rundschau», a partire dal 1969.
17 I numerosi riferimenti polemici alle dottrine gnostiche sono sottolineati nel
commento del Simonetti. Cfr. inoltre R. Cadiou, Introduction au système d'Origine,
Piuis 1932, pp. 20-23; 95-107; Id., La jeunesse d'Origène. Histoire de l'École
d'Alexandrie au début du nJC siècle, Paris 1935, pp. ] 30-167; H. Crouzel, art.
cit., in ((BLE» 1975, pp. 169-171 e 241-245; A. De Boulluec, La pIace de la
polémique antignostique dans le Peri archon, in H. Crouzel-G. Lomiento-J. Rius-
Camps (edd.), Origeniana. Premier Colloque international des études origéniennes
(Quaderni di {(Vetera Christianorum» 12), Bari 1975, pp. 47-61; J. Rius-Camps,
Origenes y Marcian. Caracter preferentemente antimarcionita del prefacio y del
segundo ciclo del Peri Archon, ibid., pp. 297-312; A. Le Boulluec, Y a-t-il des
traces de la polémique antignostique d'Irénée dans le Péri ArchOn d'Origène?, in
M. Krause (ed.), Gnosis and Gnosticism, Papers read at the Seventh International
Conference on Patristic Studies (Oxford, September 8th-13th 1975), Leiden
1977, pp. 138-147.
N on entriamo qUl in merito alla questione delle eventuali influenze del pensie-
ro o della problematica gnostica sulle dottrine origeniane che, fortemente sottoli-
neate dal De Faye (De l'influence du gnosticisme sur Origène, in ((Revue de l'Hi-
stoire des Religions» [RHR], 87, 1923, pp. 181-235; Origène. Sa vie, son oeuvre,
sa pensée, voI. III, La do ctrin e, Paris 1928) e da H. Jonas (Gnosis und spiitantiker
Geist, voI. II, l, Von der Mythologie zur mystischen Philosophie, Gottingen 21966,
pp. 171-223) sono state recentemente rivendicate dal Quispel (Origen and the
Valentinian Gnosis, in ((Vigiliae Christianae» [VigChr], 28, 1974, pp. 29-42).
18 Sulla formazione culturale di Origene cfr. E. De Faye, Origène, voI. II,
L'ambiance philosophique, Paris 1927; R. Cadiou, La jeunesse d' Origène, cit., pp.
169-262; J. Daniélou, Origène, cit., pp. 85-108.
19 R. Cadiou, La jeunesse d'Origène, cit., pp. 204-230; J. Daniélou, Message
évangélique, cit., p. 389 sg.; H. Crouzel, Théologie de l'image, cit., pp. 41-45.
20 R. Cadiou, La jeunesse d'Origène, cit., pp. 184-203 e, per il problema del-
71
l'Origene pagano che alcuni distinguono, come allievo di Ammonio, dal nostro,
ibid., pp. 231-262. Si vedano anche le recensioni al volume del Cadiou di E.
Amann (<<Revue des Sciences religieuses» [RSR], 16, 1936, p. 402 sg.) e di J. De
Labriolle (<<RechSR», 26, 1936, p. 201 sg.). Cfr., in ultimo, H. Crouzel, Origène
et Plotin élèves d'Ammonios Saccas, in «BLE» 57 (1956), pp. 193-214 e F.H.
Kettler, War Origenes Schiiler des Ammonios Sakkas?, in J. Fontaine-Ch. Kassen-
giesser (edd.), Epektasis. Mélanges patristiques offerts au Cardinal Jean Daniélou, Pa-
ris 1972, pp. 327-334. Il Daniélou, dapprima assai critico sulla possibilità di rap-
porti di Origene con il maestro di Plotino (Origène, cit., pp. 88-90), appare più
tardi propenso ad ammetterne l'esistenza (Message, cit., p. 390). Per i contatti di
Origene col platonismo, ampiamente sottolineati dagli autori che insistono sul ca-
rattere sistematico del pensiero origeniano (cfr. H. Koch, Pronoia und Paideusis.
Studien tiber Origenes und sein Verhaltnis zum Platonismus, Berlin-Leipzig 1932; E.
von Ivanka, Zur geistgeschichtlichen Einordung des Origenismus, in «Byzantini-
sche Zeitschrift», 44, 1951, pp. 291-303; Id., Der geistige Ort von 7rEpt ùPXwv
zwischen dem N euplatonismus, der Gnosis und der christlichen Rechtglaubigkeit,
in «Scholastik» 3 5, 1960, pp. 481- 502 rist. in Plato christianus, Einsiedeln 1964,
pp. 101-144), si veda anche P. Kiibel, Schuld und Schicksal bei Origenes, Gnostikern
und Platonikern, Stuttgart 1973, pp. 103-116.
21 Sul problema del carattere universale o meno della «caduta» si veda oltre.
22 Per la nozione di «colpa antecedente», ossia di un «peccato» o «incidente»
che, commesso in una fase anteriore all'esistenza umana da parte di esseri non
umani (dèi, eroi mitici etc.) o non ancora diventati tali (le anime platoniche, gli
stessi noes origeniani), condiziona radicalmente le modalità e la struttura di questa
esistenza nella sua attualità cfr. U. Bianchi, Péché originel et péché "antécédent",
in «RHR» 170 (1966), pp. 117-126.
Tale nozione, che ricorre in vari contesti religiosi ai quali conferisce una preci-
sa connotazione dualistica, è da distinguere dall'idea di un «peccato originale»
compiuto da un «primo uomo» già costituito nella sua struttura psico-fisica e nelle
sue modalità di esistenza, delle quali partecipa l'umanità attuale. Su quest'ultima,
peraltro, si riflettono le conseguenze di quel peccato, in virtù di una profonda soli-
darietà fra il primo di una serie storica di individui e la sua discendenza. Si tratterà
poi di vedere se e in quali casi la stessa idea di «peccato originale», in quanto ac-
centui la differenza ed opposizione fra lo status iniziale del primo uomo e quello
successivo alla colpa, di cui partecipano gli uomini attuali, non presenti anch' essa
qualche aspetto o «forma» comparabile alla nozione, sopra accennata, di «colpa
antecedente». Cfr. in proposito U. Bianchi, Prometeo, Orfeo, Adamo. Tematiche re-
ligiosE. sul destino, il male, la salve:aa, Roma 1976, p.268 sg.
Per la definizione, in sede storico-religiosa, della nozione di dualismo, che ine-
risce a quei contesti che implicano l'idea di una «colpa antecedente» come elemen-
to condizionante nel profondo la vita e la stessa natura dell'uomo e del mondo, si
veda.: dello stesso Bianchi, Il dualismo religioso. Saggio storico ed etnologico, Roma
72
1958; Le dualisme en histoire des religions, in «RHR)). 159 (1961), pp. 1-46.
23 I principali loci filoniani relativi alla distinzione fra i «due uomini» di Gen.
I, 26-27 e II, 7 sono, come è noto, De opi[. mundi 69 (<<uomo ad immagine» =
voliç) e 134 dove, mentre l'uomo «plasmato» è l'essere sensibile, fatto di corpo ed
amma, distinto in maschio e femmina, quello fatto Karà rÌ/v ElKova è i8éa nç t1
'}'évoç ti o<.ppa'}'tç, vO'T)roç, aow/J.aroç, oìJr' appEv ovre f)17À.v, a<.pf)aproç
<.pVOEL. Si delinea qui la nozione di un uomo «celeste», idea esemplare e modello
dell'uomo terrestre, quale appare anche nelle Leg. Allegoriae I, 31. In entrambi i
contesti citati, l'idea di un Adamo «ideale» alterna con quella di un Adamo-nous,
una volta che l'avf)pw1Toç oÌJpavwç di cui secondo Filone si parla in Gen. 1, 26
è l'intelletto ((nato ad immagine e somiglianza di Dio» (Leg. Ali. I, 33), ossia il
vovç Karà rÌ/v i8éav (ib. I, 42; cfr. I, 88). La distinzione fra «uomo ad imma-
gine» e «uomo plasmato» si configura quindi come contrapposizione fra intelletto
ideale, puro da ogni contatto con la materia, e intelletto '}'Ew8'T)ç, destinatI" ad es-
sere introdotto nel corpo, identificato all'avf)pw7roç 'Y'r]i'voç -li Gen. II, 7 (Leg.
Ali. I, 31-32). Questo intelletto è talora chiamato «intermedio» (ò /J.éooç
volid, poichè posto nella condizione di scegliere il bene o il male. Per questa no-
zione cfr. M. Harl' Adam et les deux arbres du Paradis (Gen. II-III) ou l'homme
milieu entre deux termes (/J.éooç - /J.E f)opwç) chez Philon d'Alexandrie, in
«RechSR» 50 (1962), pp. 321-388. Sul tema della «doppia creazione» si veda
Ch. Kannengies,Ser, Philon et les Pères sur la double création de l'homme, in Phi-
lon d'Alexandrie, Colloques Nationaux du Centre National de la Recherche Scien-
tifique, Lyon 11-15 Septembre 1966, Paris 1967, pp. 277-296.
24 Cfr. R. Cadiou, Introduction au système d'Origène, pp. 11-14; Id., La jeu-
nesse d'Origène, pp. 82-129, 169-184, 263-276. Per le vicende biografiche e la
cronologia delle opere di Origene si veda ora P. Nautin, Origène, voI. I, Sa vie et
son oeuvre, Paris 1977.
2) Eusebio, Hist. Ecci. VI, 24, 2 ed. G. Bardy [SC 15], Paris 1955, p. 124
sg. Cfr. R. Devreesse, Les anciens commentateurs grecs de l'Octateuque et des Rois
(Fragments tirés des chalnes), Città del Vaticano 1959 [Studi e Testi 201], p. 26.
26 Ed. Koetschau p. 34, 15-18; tr. Simonetti, p. 148.
27 P.A. I, 3, 3 ed. Koetschau p. 52, 3-7; tr. Simonetti p. 168: «Comunque
credo che lo Spirito di Dio che, come è scritto, passava sulle acque all'inizio della
creazione del mondo non sia altri che lo Spirito santo, secondo quanto possa capi-
re io e come ho anche dimostrato quando ho interpretato questo passo, non tutta-
via secondo l'interpretazione letterale, ma secondo quella spirituale». Cfr. anche
P.A. II, 3,6 ed. Koetschau p. 123,13-15; tr. Simonetti p. 259: «Ma di questa
teoria abbiamo trattato più a fondo quando abbiamo esaminato che cosa significas-
se In principio Dio ha fatto il cielo e la terra [Gen. I, l]».
28 P.A. I, l, 6 ed. Koetschau p. 21, 11: «Intellectualis natura simplex»; tr.
Simonetti p. 1 33.
29 P.A. I, l, 7: «Et nolunt hoc intellegi, quod propinquitas quaedam sit menti ad
73
deum, cuius ipsa mens intellectudtis imago sit, et per hoc possit aliquid de deitatis sentire
ì
,
natura, maxime si expurgatior ac' segregatior sit a materia corporali» (ed. Koetschau
p. 24, 18-21; tr. Simonetti p. 137). Cfr. anche P.A. III, 1, 13 dove si afferma
che Dio «ha creato incorruttibile la natura intellettuale ed a lui affine» (a.pt)apTov
"(àp .pvaw 1TE1Toirll<E TTjv vOEpàv Kaì aiJTC:;; a v"{"{Ev11 , ed. Koetschau p. 218,
11 - sg:; tr. Simonetti p. 384). La traduzione di Rufino reca l'esplicita menzione
dell'((immagine» e della ce somiglianza» secondo cui la natura intellettuale è stata
creata da Dio (ccIncorruptibilem namque fecit esse rationabilem naturam, quam et > ad
imaginem suam ac similitudinem condidit <»). La mancanza della citazione scritturi-
stica nel testo tramandato nella Philocalia induce a ritenere che qui Rufino abbia
amplificato, per assonanza con altri luoghi origeniani (cfr. Simonetti, op. cit.,
p. 384 n. 86).
30 P.A. I, l, 8 ed. Koetschau p. 24 sg.; tr. Simonetti p. l 37: «Ma forse
queste spiegazioni non hanno molto valore presso coloro che dalla sacra scrittura
vogliono essere istruiti sulle cose di Dio e di lì cercano la dimostrazione di come la
natura di Dio sia superiore alla natura dei corpi». L'argomentazione procede con
la citazione di Col. l, l 5, a cui seguono numerosi testi neotestamentari.
31 P.A. II, Il,2 ed. Koetschau p. 184,5-7; tr. Simonetti p. 345. Si tratta
dei millenaristi, contro la cui visione materialistica del Regno futuro Origene si
scaglia spesso con particolare vigore (cfr. Com.Mt. XVII, 35 P.G. XIII, col.
l 596 A-B; in Canto Cant., Prol. ed. Baehrens p. 66; Sei. in Ps. 4, 6 P. G. XII,
col. 1160C).
32 P.A. II, Il, 3 (ed. Koetschau p.186, 11-13; tr. Simonetti p. 347):
ceQuibus > sapientiae < escis nutrita mens ad integrum et perfectum, sicut ex initio fa-
ctus est homo, > ad imaginem < dei et> similitudinem <:. reparetur». Abbiamo modi-
ficato la traduzione di Simonetti là dove per mens, che evidentemente rende il gre-
co voti ç,dà ((anima» invece che ce intelligenza» (o ((intelletto»).
33Cfr. anche P.A. IV, 4, 9 (ed. Koetschau p. 363, 4-11; tr. Simonetti
p. 562 sg.). Dopo aver definito empia l'opinione secondo cui l'intelligenza (mens)
possa essere soggetta alla morte per quanto riguarda la sostanza, continua: «Infat-
ti, anche se l'intelligenza per trascuratezza (per neglegentiam) perde la capacità di ac-
cogliere Dio in sé in maniera pura ed integra, conserva però in sé la possibilità di
recuperare una migliore conoscenza, allorchè l'uomo interiore [Rom. 7, 22] che è
detto anche razionale, viene reintegrato nell'immagine e nella somiglianza di Dio
che lo ha creato (... cum > ad imaginem et similitudinem < dei qui creavit eum, >
interior homo < qui et rationabilis dicitur, revocatur)). In questo passo, come in
numerosi altri contesti origeniani (cfr. ad esempio Hom. in Num. XXIV, 2 ed.
W.A. Baehrens, Homilien zum Hexateuch in Rufins Uebersetzung, GCS 30, Origenes
Werke Bd. VII, Leipzig 1921, p. 227,22-228,25; in Canto Cant., Prol. ed. Baeh-
rens p. 67, 3-7; Dia/. con Eraclide Il,20-12,14 e 15,28-16,4 (ed. J. Scherer,
[SC 67], Paris 1960, pp. 78-81 e 88 sg.), il tema dell'uomo «ad immagine» si
fonde con la tematica paolina dell'((uomo interiore» contrapposto a quello «este-
riore?>.
74
34 Si tratta di una tipica oscillazione del pensiero origeniano, opportunamente
sottolineata dal çrouzel che, a tal riguardo, parla di quella «contraddizione non
superata tra visione platonica», per la quale si tratta di ritornare ad essere ciò che
si era all'inizio sicchè tutto lo sforzo umano tende ad una «purificazione» dell'ani-
ma da elementi estranei, e la ((visione cristiana del mondo», di cui si è detto all'i-
nizio (Théologie de l'image, cit., pp. 217-245 dove sono addotti numerosi esempi
della duplice possibilità, spesso conviventi nella stessa opera).
31 Per i problemi relativi alla struttura del trattato Sui Principi e alla coerenza
delle varie tematiche ivi svolte cfr. B. Steidle, Neue Untersuchungen zu Origenes'
TIEpì àpxwv, in ceZeitschrift fiir Neutestamentliche Wissenschaft» 40 (1941),
pp. 236-243; M. Harl, Recherches sur le TIEPi àpx wv d'Origène en vue d'une
nouvelle édition: la divis)on en chapitres, in FL. Cross (ed.), Studia Patristica,
voI. III, l Berlin 1961, pp. 57 -67; Ead., Structure et cohérence du Peri archOn in
Origeniana, dt., pp. 11-32; M. Simonetti, Osservazioni sulla struttura del De Prin-
cipiis di Origene, in aRivista di Filologia e di Istruzione classica», N.S. 40
(1962), pp. 273-290,372-393; P. Kiibel, Zum Aufbau von Origenes' De Princi-
più, in (( VigChr» 2 5 (1971), pp. 3 1- 39; G. Dorival, Remarques sur la forme du
Peri archon, in Origeniana, pp. 33-45.
36 Teeteto 176 b. Per la fortuna di questo testo platonico presso i Padri cfr.
H. Merki, 'S2JJ.oiwaLç eEC:;;. Von der platonischen Angleichnung an Gott zur Got~­
ahn/ichkeit bei Gregor von NJssa, Freiburg 1952; J. Daniélou, Message évengélique,
cit., p.114 sg.
37 Tr. Simonetti p. 463 sg. Ed. Koetschau p. 280,6-17: « ... Hoc namque in-
dicat MOJses ante omnes, cum primam conditionem hominis enarrat dicens: "Et dixit
deus: Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram". Tum deinde addit:
"Et fecit deus hominem, ad imaginem dei fecit illum, masculum et feminam fecit eos, et
benedixit eos". Hoc ergo quod dixit, "ad imaginem dei fecit eum" et de similitudine si-
luit, non aliud indicat nisi quod > imaginis <: qut'dem dignitatem in prima conditione
percepit, :::> similitudinis < vero ei perfeètio in consummatione servata est: scilicet ut ipse
sibi eam propriae industria e studiis ex dei imitatione conscisceret, quo possibilitate sibi
perfectionis in initiis data p-er > imaginis <::" dignitatem, in fine demum per operum
expletionem perfectam sibi ipse > similitudinem < consummaret».
38 Cfr. Hom. in Ex. 6, 5 ed. Baehrens p. 196 sg.;frag. in Eph. l in((Journal
of Theological Studies» (JTS) III (1901-1902), p. 235.
39 P.A. II, 10,7 ed. Koetschau p. 181, 1-5; tr. Simonetti p. 340.
40 Loc. cito ed. Koetschau p. 181; tr. Simonetti p. 340 sg.
41 Cfr. H. Crouzel, L'anthropologie d'Origène, cit., pp. 364-369. L'autore, a
proposito della natura dello pneuma nell'uomo, ritiene che esso abbia un certo rap-
porto con lo Spirito Santo, dal quale però Origene in più luoghi lo distingue espli-
citamente (ibid., p. 368). Tuttavia nel passo in esame, se la traduzione rufiniana
rende fedelmente l'originale, Origene afferma l'identità dello spirito presente nel-
l'uomo con lo Spirito Santo: ((Qui spiritus si quidem divinae naturae, id est Spiritus
75
 l
sanctus intel/egendus est, sentiemus hoc dictum de donò Spiritus sancti». Si tratterebbe
allora qui non dello pneuma dell'uomo, sia pure esso un elemento non costitutivo
della sua personalità ma dono divino, bensì dello Spirito Santo di cui Origene a
P.A. I, 3, 5-7 dice che è comunicato solo ai santi (ed. Koetschau pp. 54-60; tr.
Simonetti pp. 171-178).
42 P.A. II, 10,7 ed. Koetschau p. 181, 13-19; tr. Simonetti p. 341: «Si vero
hoc non de dei spiritu, sed de natura ipsius animae intel/egendum est, pars eius melior
illa dicetur quae > ad imaginem < dei > et similitudinem < facta est, alia autem
> pars < ea, quae postmodum per liberi arbitrii lapsum contra naturam prima e condi-
tionis et puritatis adsumpta est, qua e utique pars utpote amica et cara materiae corporalis
> cum infidelium < sorte multatur)).
43 Per questa nozione cfr. H. Crouzel, L'anthropologie d'Origène, cit.,
p. 375 sgg.
44 Ed. Koetschau p. 107, 11-15; tr. Simonetti, p. 234: «Quod utique si conse-
quenter dictum videtur [[quam aliam, ut diximus, causam putabimus tantae huius mun-
di diversitatis, nisi diversitatem ac varietatem motuum atque prolapsuum eorum, qui ab
il/a initii unitate atque concordia, in qua a deo primitus procreati sunt, deciderunt]] l).
Alla traduzione rufianiana corrisponde un passo più breve dell' Epistola ad Mennam
(M ansi IX, col. 529 B; P.G. LXXXVI, col. 985 C): "OìfTw oil 1TOLKLÌl.WTliTOV
Koa/J.ov rV'YxavovTo" Kaì roaavra odL\{Jopa Ìl.O'YLKà 1TEpLÉxovro" ri aÌl.Ìl.o
XPf1 Ìl.É'Y€W a'L'TWV 'YE'YovÉvaL roti ù1ToarftvaL avròv, tì rò 1ToLKiÌl.ov rft<:
à1To1TrwaEw<: rwv ovx ò/J.o{w<: rft<: Èvaoo<: à1ToPPEovrwv;".
4l Ed. Koetschau p. 114, 5 sg.; tr. Simonetti p. 247. Sulle diverse cadute
delle creature razionali e la costituzione delle varie categorie di esseri (angeli, uo-
mini, demoni) cfr. P.A. I, 6, 2-3 (ed. Koetschau pp. 79, 19-84, 21; tr. Simonetti
pp. 201-207). Sebbene alcuni passi sembrino implicare l'idea di una universale ca-
duta degli esseri intelligenti, ad eccezione di quella che sarebbe divenuta l'anima di
Cristo, altrove si dichiara che alcune creature non solo non sono decadute dalla
condizione iniziale di perfezione ma hanno anche progredito nel bene (cfr. P.A.
II, 9, 6 ed. Koetschau p. 169, 28-170, 2; tr. Simonetti p. 324). Sul problema si
veda M. Simonetti, Due note sull'angelologia origeniana, II. Sulla caduta degli
angeli, in {(Rivista di cultura classica e medievale» 4 (1962), pp. 180-208.
46 P.A. I, 6, 2 ed. Koetschau p. 79, 19-80, 11; tr. Simonetti p. 201 sgg.;
II, 1, 3 ed. Koetschau p. 109, 1-4; tr. Simonetti p. 237.
47 Sul problema cfr. H. Cornélis, Les fondements cosmologiques de l'eschato-
logie d'Origène, in {(RSPhTh» 43 (1959), pp. 32-80, 201-247; Simonetti, op.
cit., pp. 64-69; M. Alexandre, Le statut des questions concernant la matière· dans
le Per,i Archon, in Origeniana, cit., pp. 63-81 e la comunicazione di D.G. Bostock
(Quality and Corporeity in Origen) al secondo Congresso internazionale di studi
origeniani, Bari 20-2 3 settembre 1977.
48 Per la nozione origeniana del Paradiso ci permettiamo di rinviare ad un
nostrI?, lavoro (Variazioni esegetiche sulla parabola del buon Samaritano: dal pre-
76
sbitero di Origene ai dualisti medievali) in Studi in onore di A. Ardizzoni, Roma
1978. Qui basti citare Contra Celsum IV, 40 (ed. M. Bo.rret, voI. II [SC 136,
Paris 1968, pp. 288-291) e Rom. in Num. XXVI, 5 (P.G. XII, col. 778 A; tr.
A. Méhat, [SC 29], Paris 1951, p. 506), entrambi luoghi in cui Origene fa riferi-
mento alla vicenda di Adamo scacciato dal {(giardino)) e inviato sull' «arida)) (Gen.
III, 23). Per la simbologia paradisiaca nella letteratura patristica cfr. J. Daniélou,
Terre et Paradis chez les Pères de L'Église, in {(Eranos-Jahrbuch» 22 (1953), pp.
433-472.
49 La nozione della preesistenza fu accolta e sistematizzata, con esiti diversi,
in un'ampia corrente della spiritualità m~nastica del IV e V sec., sulla cui storia si
veda A. Guillaumont, Les.' Kephalaia gnostica' d'Évagre le Pontique et l' histoire de
l'origénisme chez les grecs et chez les syriens (Patristica Sorbonensia 5), Paris 1962.
Per quanto riguarda Origene, le fonti polemiche sottolineano l'opposizione tra lo
status iniziale, celeste, dell'anima e la caduta nel corpo umano in conseguenza della
colpa, senza accennare alla possibilità di una «corporeitàn spirituale originaria alla
quale si sostituisce la corporeità più o meno consistente, secondo la gravità delle
cadute, che caratterizza la condizione attuale degli angeli, degli. uomini e dei demo-
ni. Cfr. Epifanio, Panarion, haer. XLIV sive LXIV, 4 P.G. XLI, col. lO76 D-
1077 B; Epist ad Johannem episcopum apud Gerolamo, Epist. LI, 4 (ed. Labourt,
voI. II, Paris 1951, p. 162); Metodio, de murr. apud Fozio, Biblioth., Cod.
CCXXXIV, P.G. CIII, col. 1109/A-B :1{(On 'n,PL'YÉv'Y/' OEO/J.ÒV rò aW/J.a eÌl.E-
'YE oEooa1'1aL rft l/;vxfl /J.ETà rilv 1Tapa{3aaw, 1Tpìv oÈ àaw/J.arov avrf1v
(3wrElJELV!)); Gregorio di Nissa, De opi[ homo 28 P.G. XLIV, col. 229 B-C e
232 B che non menziona esplicitamente Origene, anche se il riferimento al mae-
stro alessandrino è abbastanza trasparente per la menzione di un logos TI E P ì rwv
àpxwv. Ancora, Gerolamo, Epist. LXXXIV ad Pammachium et Oceanum, 7 (ed.
Labourt, voI. IV, Paris 1954, p. 133); contra Johannem Rierosol. 7 P.L. XXIII,
col. 376 B-C; § 16 ibid. col. 384 B-C e § 17, col. 385 B-C; Giustiniano, Epist.
ad Mennam P.G. LXXXVI, coli. 945 D-981 A (in particolare col. 947 D-949
A).
Per l'accusa mossa ad Origene di aver negato la resurrezione dei corpi si veda
ancora Epifanio, Panarion, haer. XLIV sive LXIV, 4 P.G. XLI, col. lO77 B;
Metodio, de resurr. apud Epifanio, loc. cit., coli. 1088 B-I096 A; Teofilo, Synod.
Epist. ad Palaestinos et ad Cyprios episcopos missa apud Gerolamo, Epist. XCII, 2
(ed. Labourt, voI. IV p. 150); Epist. paschalis ibid., Epist. XCVI, 17-18 (ed. La-
bourt, voI. V, Paris 1955, pp. 27-28); Epist. Paschalis ibid., Epist. XCVIII, 10-
12 (ed. Labourt, voI. V, pp. 46-49). Sulla nozione origeniana della resurrezione
cfr. H. Chadwick, Origen, Celsus, and the Resurrection of the Body, in {(Har-
vard Theological Review», 41 (1948), pp. 83-102; A.J. Festugière, De la doctri-
ne «origéniste)) du corps glorieux sféroide, in «RSPhTH« 43 (1959), p. 81-86.
la Gerolamo, Epist. CXXIV ad Avitum (ed. Labourt, voI. VII, Paris 1961,
pp. 95-114); Giustiniano, Epist. ad Mennam P.G. LXXXVI, col. 947 C-D e
77

collo 981 B-989 A. Sui problemi relativi alla lettera di Giustiniano, diretta al sino-
do del 543, la quale è seguita da dieci Anatemi anti-origeniani (ibid., col. 989 A-
D) da distinguere dai quindici Anatemi emessi in occasione del concilio ecumenico
del 553, relativo all'origenismo del VI sec. (M:msi.IX, collo 396 A-400 E) cfr.
G. Bardy, Le texte du nEPI APXn.N, cit., pp. 224-252; Recherches sur l'histoi-
re du texte et des versions latines du De principiis d'Origène, cit., pp. 49-86; A. Guil-
laumont, Évagre et les anathématismes antiorigénistes de 553 in Studia Patristica
voI. III, l cit., pp. 219-226; Id., Les 'Kephalaia gnostica', cit., pp. 124-170.
li Soprattutto P.A. II, 3, 1-7 ed. Koetschau pp. 106-126; tr. Simonetti pp.
246-262; III, 6, 1-9 ed. Koetschau pp. 279-291; tr. Simonetti pp. 463-480.
12 P.A. 1,6,4 ed. Koetschau p. 85, 18-10; tr. Simonetti p. 208; cfr. II, 2,
2 ed. Koetschau p. 112, 15-22; tr. Simonetti p. 243 sg.: «Se poi è assolutamente
impossibile affermare che qualche altra natura possa vivere senza corpo oltre il Pa-
dre, il Figlio e lo Spirito Santo, la coerenza del ragionamento spinge a ritenere che
gli esseri razionali siano stati creati primariamente, ma che la sostanza materiale
solo in teoria e col pensiero possa essere separata da loro e sembrare creata prima
o dopo, perché essi non possono vivere né aver vissuto senza materia: infatti solo
la Trinità può vivere priva di corpo». Ancora, P.A. IV, 3, 15 ed. Koetschau p.
347, 17-22; tr. Simonetti p. 540. Tuttavia, in P.A. III, 6, l (ed. Koetschau p.
281, 13-282, 20; tr. Simonetti p. 466), passo conservato nella traduzione di Ge-
rolamo (Epist. CXXIV, 9) (cfr. G. Bardy, Recherches, cit., p. 195 sg.), Origene in-
terpreta Rom. 8,21 «ut primam creaturam rationabilium et incorporalium esse dica-
mus, quae non (nunc) serviat corruptioni, eo quod [non] sit vestita corporibus et ubicum-
que corpora fuerint, statim corruptio subsequatur».
13 Tr. Simonetti p. 238; ed. Kùetschau p. 109, lO sg.
14 Per la definizione origeniana di k.osmos cfr. P.A. II, 3, 6 ed. Koetschau pp.
121-124; tr. Simonetti pp. 256-260; II, 9,3 ed. Koetschau p. 166 sg.; tr. Simo-
netti p. 3 19 sg.
11 P.A. II, 9, 6 ed. Koetschau p. 169, 22-27; tr. Simonetti p. 324. Si
veda anche II, l, l che, dopo il passo sopra citato (p. 41 n. 44), continua riba-
dendo la nozione di uno status originario di unità e mancanza di distinzione fra le
creature. « ... et ab illo bonitatis statu commoti atque distracti, diversis dehinc animo-
rum motibus ac desideriis agitati, unum illud et indiscretum naturae suae bonum pro in-
tentionis suae diversitate in varias deduxerunt mentium qualitates?» (ed. Koetschau p.
107; tr. Simonetti p. 235). Cfr. P.A. I, 6, 2 ed. Koetschau p. 80, 6-11; tr. Si-
monetti p. 202 dove il testo di Phil. 2,10 è addotto ad esemplificare «il comples-
so di tutti gli esseri creati, cioè tutti coloro che avendo avuto unica ed eguale origi-
ne, v\U'iamente spinti ognuno dai suoi impulsi, sono stati distribuiti in diversi ordi-
ni a seconda dei loro meriti, poiché in tutti costoro il bene non era presente in ma-
niera sostanziale, come invece in Dio, in Cristo e nello Spirito Santo».
16 P.A. II, 9,2 ed. Koetschau p. 165; tr. Simonetti p. 318.
l.~ Loc. cit., p. 165, 27 sg.: «Sed desidia et laboris taedium in servando bono et
78
aversio ac neglegentia meliorum initium dedit recedendi a bono» Sulle cause della cadu-
ta delle intelligenze cfr. M. Harl, Recherches sur l'origénisme d'Origène: la «sa-
tiété (KOPOc;) de la contemplation comme motif de la chute des ames, in Studia Pa-
tmttca (ed. EL. Cross), voI. VIII, Berlin 1966, pp. 373-405.
18 In tal senso si esprime E. De Faye, Origène, voI. III, cit., pp. 73-78.
19 Sul tema orfico-platonico del corpo-tomba o prigione dell'anima cfr. P.
Courcelle, Connais-toi toi-méme de Socrate à Saint Bernard, voI. II, Paris 1975, pp.
295-414.
60 Sul tema della incorporeità divina che Origene ritiene oggetto importante
di discussione, sebbene il termine «incorporeo» (à a wJ.,LaToc; )sia «inusitato e scono-
sciuto ... nelle nostre scritture» (P.A., Praef. ed. Koetschau p. 14, 16-18; tr. Simo-
netti p. 124 sg.), cfr. P.A. I, 1-9 ed. Koetschau pp. 16-27; tr. Simonetti pp.
127-140.
61 Cfr. H. Crouze( La théologie de l'image, cit., pp. 46- 52.
62 Oltre Crouzel, loc. cit., si veda in proposito P. Th. Camelot, La théologie
de l'image de Dieu, cito pp. 451-456.
63 De opi[. mundi 69:"T'lÌv D' ÈJ.,L'PÉPELaV J.,Ll1DEÌc; EìKatÉTw aWJ.,LaTOC; xa-
PClKTf!pto OV'TE 'Yàp av{}pw1TOJ.,LOp'P0C; Ò {}EÒC; OV'TE {}EOEtDÈC; TÒ àv{}pw-
1TEWV aWJ.,La. 'H DÈ EÌKwv Ì\ÉÌ\EKTat KaTà TÒV T77C; ljJvxf!c; Ti'YEJ.,LOVa Vl)vv".
Vi si nota la medesima punta polemica contro un'interpretazione antropomor-
fica di Dio e ogni tentativo di attribuire al aWJ.,La la qualità di ElKWV che, presen-
te già nel Peri Archon, sarà uno dei motivi ricorrenti dell' esegesi origeniana di
Gen. I, 26. Tra i numerosi luoghi filoniani in cui si afferma la medesima nozione
basti qui rimandare a Leg. All. I, 31, 33,42,88. Non è possibile stabilire in que-
sta sede un diretto confronto fra la dottrina origeniana e quella filoniana intorno
alle nozioni di «immagine)) e di «doppia creazione». Oltre quanto accennato sopra
alla nota 23, diremo soltanto che, accanto ad innegabili analogie, sussistono anche
rilevanti differenze che solo un'analisi puntuale dei rispettivi contesti permette di
porre in luce. Si veda intanto J. Giblet, L'homme image de Dieu dans les com-
mentaires littéraux de Philon d'Alexandrie, in Studia Hellenistica 5 (1948), pp.
93-118. Esprimiamo però forti riserve sulle conclusioni del Laporte intorno alla
dottrina filoniana ed origeniana della «caduta», dottrina strettamente connessa in
entrambi gli autori alle nozioni di «uomo ad immagine» e di «doppia creazione»
dell'uomo (La chute chez Philon et Origène, in P. Granfield-J.A. Jungmann
(edd.), Kyriak.on, Festschrift J. Quasten, voI. I, Munster i W. 1970, pp. 320-335.
64 Sulla dottrina di Melitone, contro la quale lo stesso Origene polemizza
(Sei. in Gen., P.G. XII, col. 93 A-96 A), e di Ireneo cfr. H. Crouzel, La théologie
de l'image, cito pp. 63-67. Clemente aveva però energicamente affermato che solo
l'intelletto umano è stato creato «ad immagine e somiglianza» del Logos divino
(~rotr. X, 98, 4 ed. C. Mondésert [SC 2], Paris 2 1949, p. 166 sg.; Strom. V,
14,94,3-5 ed. O. Stiihlin p. 388,9-16; VI, 9, 72, 2 ibid., p. 468, 4-7; VI, 16,
136,3 ibid., p. 500,31-501, l dove si polemizza contro quanti attribuivano al
corpo la qualità di «immagine»). Si veda anche H. Crouzel, op. cit., pp. 67-69.
79
 6) P.A. I, 1, 6 ed. Koetschau p. 21. In Contra Ceisum VII, 38 (ed. M. Bor-
ret, vol. IV [SC 15 O], Paris 1969 ,p. 100 Dio, «semplice, invisibile e incorpo-
reo», è detto {(intelletto» (vovç) ovvero {(al di là dell'intelletto e della sostanza»;
nel proposito di sottolineare ancora più nettamente la sua trascendenza rispetto alle
categorie umane di pensiero, secondo una tendenza già presente in Platone (Rep.
509 b), cui Origene espressamente si appella (Contra Celsum VI, 64 ed. M. Bor-
ret, vol. III [SC 147], Paris 1969, pp. 338-341), e familiare al platonismo tar-
do.
66 I, 1, 7 ed. Koetschau p. 24, 19-21: {( ... et per hoc possit aliquid de deitatis
sentire natura, maxime si expurgatior ac segregatior sit a materia corporali». Tr. Simo-
netti p. 1 37. . 7l Loc. cit.: {(Nec ultra ex arbore sciendi bonum et malum edere concupiscet .....
67 P.A. II, 2, 2 ed. Koetschau p. 112, 17-20. Cfr. la traduzione di M. Harl
et alii, p. 85: {(... la nécessité de la logique et du raisonnement contraint à com-
prendre que si les natures douées de raison ont été créées pour elles-memes.à titre
essentiel, seule une vue de l'esprit permet cependant de considérer la substance ma-
térielle séparée d'elles». Anche in questo passo, in cui Origene dichiara che l'incor-
poreità assoluta è solo del Padre, del Figlio e dello Spirito, leggiamo che le ratio-
nabiles naturae sono state principaliter creatae, sicché c'è sempre una primarietà, nel-
l'ordine e nella sostanza, dell'elemento spirituale e intellettuale rispetto a quello
corporeo. In proposito cfr. anche P.A. I, 2, 2 ed. Koetschau p. 30, 2-4: «omnis
virtus ac deformatio futurae inerat creatura e, vel eorum quae principaliter existunt vel
eorum quae accidunt consequenter». Vero è che lo stesso passo sembra sostenere solo
un'anteriorità logica e non- cronologica delle nature intellettuali rispetto alla mate-
ria corporea, senza la quale, si dice, esse numquam .... vixisse vel vivere. Tuttavia è
affermata una gradualità nel piano divino che, diretto primariamente alla creazione
degli esseri razionali, implica uno scarto fra la prima e la seconda creazione, il qua-
le non è solo di ordine logico e di valore, una volta che nel medesimo contesto
Origene dichiara che la sostanza materiale, pur separabile solo «in teoria e col pen-
siero» dalle nature intelligenti pro ipsis vel post ipsas effectam videri. Rimane quindi
un {(dopo» a qualificare la natura corporea, il quale segna la sua inferiorità rispetto
alla natura intellettuale e per il quale essa, pur derivando da un atto creativo di
Dio, si pone come una sostanza {(seconda», connessa alla mutabilità intrinseca de-
gli esseri creati e a quella ((diversità» che, posta in essere dalla colpa e dalla cadu-
ta, è un dato costitutivo del mondo attuale.
68 Cfr. P.A. II, 8,3 ed. Koetschau p. 155,7-161,15; tr. Simonettipp.
307-312.
69 Ed. Koetschau p. 363, 19-22: {( ... in quo et manifeste divinae imaginis co-
gnoscutLtur indicia, non per effigiem corporis, quae corrumpitur, sed per animi pruden-
tiam, per iustitiam, per moderationem, per virtutem, per sapientiam, per disciplinam, per
omnem denique virtutum chorumJJ.
70 Ved. sopra e note 25-27. In P.A. I, 2, 6 si afferma che, in senso lato,
la qualità di immagine si può riferire a due casi: ((Talvolta diciamo immagine
80
quella che è dipinta o scolpita in qualche materia, legno o pietra; talvolta diciamo
che il figlio è immagine del padre poiché i lineamenti del padre sono esattamente
riprodotti nel figlio. Credo che al primo esempio si possa adattare colui che è stato
fatto ad immagine e somiglianza di Dio, l'uomo, del quale tratteremo più accurata-
mente, con l'aiuto di Dio, quando cominceremo ad esporre questo passo della Ge-
nesi (((tr. Simonetti p. 148).
71 Vedo oltre.
72 P.A. III, 6, 3 ed. Koetschau p. 283, 21-284, 7.
73 Tr. Simonetti p. 468 sg. con qualche modifica.
74 Vedo sopra n. 57.
cum de ligno sciendi bonum et malum edere non egebat».
76 Sotto questo profilo Origene si pone sulla stessa linea di Filone per il qua-
le, come per la tradizione rabbinica, ogni elemento del testo sacro, in quanto ispi-
rato, deve essere esaminato attentamente. Cfr., ad. esempio, De fuga 54 (ed. E.
Starobinski-Safrau, Paris 1970, p. 138 sg. e nota ad locum); De con! 191 (ed.
J.G.Kahn, Paris 1963, p. 150 sg.), dove si afferma che nel racconto mosaico l'uso
di alcuni termini particolari è importante perché offre spunto al passaggio dall'in-
terpretazione letterale a quella più profonda, allegorica. Sul metodo esegetico filo-
niano e i suoi antecedenti nel mondo giudaico si veda J. Daniélou, Philon d'Ale-
xandrie, Paris 1958, pp. 102-142; J. Pépin, Remarques sur la théorie de l'exégèse
allégorique chez Philon, in Philon d'Alexandrie, cit., pp. 131-167.
77 Cfr. P.A. IV, 2, 5 ed. Koetschau p. 314, 22-26; tr. Simonetti p. 504.
78 P.A. IV, 2, 7 ed. Koetschau p. 318 sg.; tr. Simonetti p. 507 sg. La tra-
duzione rufiniana contiene alcune linee non riprodotte nella Philocalia, che pure
presentano concetti tipicamente origeniani (cfr. Simonetti, loc. cito n. 48).
79 "'AV1JPW1TOVç 8È vvv À.É'yw ràç XPwJ,J.€vaç I/;vxàç aWJ,J.aaw", loc.
cito (nella traduzione di Rufino: {(Homines autem nunc dico a~imas in corporibus posi-
tas»). Per una simile definizione cfr. Contra Celsum VII, 38 (ed. M. Borret, voI.
IV, p. 100): "Kal av1Jpw1Toç J,J.Èv ovv, rovTÉan I/;vxil XPWJ,J.€Vl1 aWJ,J.an".
La quasi identità della formula conferma la sostanziale corerenza del pensiero ori-
genia no in materia antropologica fino alla sua opera più tarda.
80 P.A. IV, 2, 7 ed. Koetschau p. 319, 3-16; tr. Simonetti p. 508 sg.
81 P.A. IV, 2, 8 ed. Koetschau p. 320, 2-7; tr. Simonetti p. 509.
82 Sulla possibilità che il movimento iniziale delle creature razionali non sia
stato un generale motus di caduta bensì abbia implicato per alcuni noes un progres-
so nel bene si veda il lavoro di M. Simonetti citato nella n. 45. Si ricorda poi la
dottrina origeniana del carattere provvidenziale e {(ministeriale» che riveste la pre-
senza sulla terra di alcuni uomini santi, quali il Battista e i Profeti (Com. Joh. II,
29-31 ed. C. Blanc, vol. I [SC 120], pp. 326-335; Com. Mt. XII, 30 ed. Klo-
stermann p. 1 33 sgg.). Cfr. Simonetti, art. cit., p. 206 sgg.
83 P.A. IV, 2, 7: {( ... Conseguentemente, in quanto si tratta di realtà affini,
81
dobbiamo ricevere gli insegnamenti divini sugli altri esseri intellettuali, sia quelli
più divini sia quelli decaduti dalla beatitudine, e sulle cause di quella caduta; dob- UGO BIANCHI
biamo imparare a conoscere le differenze fra le anime e di dove queste differenze
derivino, che cosa sia il mondo e perché sia stato creato, e ancora di dove derivi PRESUPPOSTI PLATONICI E DUALISTICI
tutto questo male che sta sulla terra e se esso nOll sia limitato solo alla terra ma si NELL'ANTROPOLOGIA DI GREGORIO DI NISSA
trovi anche altrove».
84 Loc. cit., ed. Koetschau p. 320, 21-23. Il testo della philocalia enuncia lo
«scopo secondo» dello spirito in questi termini: " ... KpvI/Jat TÒV 1r€pì TWV
1rPO€tPllJ.J.€VWV À6)'ov €V À€~€Gtv €J.J.lPawovGat<; otrl'YllGtv 1r€Pt€xovGav
àrra)')'€Àlav T1!V 1r€P l TWV aiG~llTWV ollJ.J.toVP),llJ.J.clTWV Kal àv~pw1roV
,
KTta€W<; "
••.•
8) P.A. IV, 3, l ed. Koetschau p. 323, 7-324, 4; tr. Simonetti p. 514. La
traduzione rufiniana e il testo della Philocalia corrono paralleli senza apprezzabili
differenze, salvo l'affermazione decisa del testo greco, secondo cui i 'misteri' in
questione sono significati "otà OOKOVGll<; ìGTOpta<;, Kaì OV GWJ.J.anKw<; )'€)'€-
VllJ.J.€Vll<;".
86 Vedo sopra n. 48.
87 Loc. cit., ed. Koetschau p. 324, 18-20.
88 P.A. Prael, 3 ed. Koetschau p. 9, l 5 sgg.; tr. Simonetti p. 121.
89 P.A. I, 5, 2 ed. Koetschau p. 71, 6 sg.; tr. Simonetti p. 189 sg.; IV, 3, 7
ed. Koetschau p. 33 3, 23 sg.; tr. Simonetti p. 523 sg.
90 P.A. I, 3, 6 ed. Koetschau p. 58, 5. Cfr. Com. in Canto II vs.!, 11-12

ed. Baehrens p. l 57, 23-25.

9\ Tr. Simonetti p. 174 sg.

92 P.A. I, 2, 6 ed. Koetschau p. 34, 19-23; tr. Simonetti p. 149.

93 P.A. III, 2, l ed. Koetschau p. 244, 16-20; tr. Simonetti p. 406 sg.
94 P.A. II, 3, 4 ed. Koetschau p. 119, 6 sg.; tr. Simonetti p. 253.
9) Ciò è detto senza pregiudizio della questione, sopra enunciata, se abbiano
peccato tutti gli esseri intelligenti o solo alcuni, rimanendo altri nella condizione
originaria o meglio, poiché Origene sembra affermare una universalità di «movi-
menti», progredendo nel bene e nell'unione con Dio. Rimane infatti indiscutibile la
circostanza che, per il nostro autore, sono stati i motus varii e diversi, nel senso del
decadimento, a provocare un secondo intervento divino e la formazione del mon-
do attuale, caratterizzato dalla diversità e dai corpi.

82
 La tematica di Gregorio di Nissa intorno al peccato e alla finale
restaurazione, che si svolge con tratti caratteristiche nelle opere siste-
matiche, t= in particolare nel de hominis opificio, si annunzia già nel
de virginitate. Il che ha la sua importanza, perché mostra la tematica
nissena facilmente coinvolta in un tema, la verginità, che nel de opi-
ficio è un aspetto di tutto il complesso trattato.
Così due, e tra loro connessi, saranno i dati da far risultare da
una analisi del de opificio: il concetto di una storia che, sofferta, e
incarnata, realizza, con il suo sbocco finale, quello stato di compiu-
tezza e di stabilità che fin dal principio, in maniera potenziale, ineri-
sce all'uomo in quanto immagine di Dio; e il concetto della verginità
come anticrpata realizzazione di questa completezza che è anche (re-
staurata) integrità. Questi due dati, anzi, sono tra loro talmente con-
nessi da essere in qualche modo la doppia faccia di una unica conce-
zione, quella che unisce essere a divenire, stabilità a movimento, e
che è il senso ultimo, paolino ma con determinanti riferimenti onto-
logici platonici, della speculazione del Nisseno. Questa tematica Gre-
gorio interpreta nel senso di un farsi provvidenziale attraverso il
tempo, che traduce in attuazione una situazione di pienezza e inte-
grità pensata da Dio per l'umanità fin dal principio e che non si è
potuta realizzare a causa del peccato. L'uomo avrebbe potuto fin dal-
l'inizio unire le due prospettive del farsi e dell' essere, ma non ha vo-
luto, o non vi è riuscito. Le due prospettive sono allora divaricate at-
traverso la storia, che quindi ha un carattere •sofferto', perché si qua-
lifica come attraversamento del tempo in uno stato di pesante corpo-
reità, di partecipazione alla vita animale, caratterizzata dalla procrea-
zione e dalle altre funzioni corporee, nonché dalle passioni connesse,
un tutto che di per sé è estraneo all'immagine di Dio che è l'uomo, e

85
 l
I
che a questo avrebbe potuto essere stato risparmiato se non fosse in-
l (e già in qualche passo di Filone) la corporeità come elemento nega-
tervenuta la caduta.
Questo ci porta al tema della cosiddetta' doppia creazione' del-
l'uomo secondo Gregorio l.
Così questi interpreta i passi biblici sulla creazione dell' uomo (de
opif. 180 d ss.). Dio ha creato l'uomo a sua immagine: da questa, e
quindi dall'uomo secondo il primo progetto di Dio, rimane fuori la
partecipazione alla vita animale, caratterizzata dalla distinzione dei
sessi. Ma Dio, prevedendo che 1'umanità non sarebbe rimasta a que-
sto livello, la dota fin dall'inizio (o meglio in un 'poi' che è ontologi-
co più che cronologico) della distinzione dei sessi, in ordine alla ca-
pacità di procreazione per via sessuale, capacità che sarà necessaria
all'umanità, una volta decaduta con il peccato dalla sua situazione di
integrità quasi angelica, per potersi ugualmente moltiplicare e arriva-
re alla pienezza finale del numero di individui previsto nella primor-
diale creazione dell'umanità totale operata in un solo istante da Dio.
Quando si sarà arrivati a questo, la storia sarà finita e con essa la
partecipazione dell'uomo al regime animale e sessuale, e sarà restau-
rato e insieme portato ad effetto il progetto iniziale di Dio (integrità
dell'uomo come immagine di Dio).
Siamo dunque di fronte a una doppia creazione sul piano ontolo-
gico e su quello provvidenziale, più che su quello cronologico. Fon-
damentale è poi in Gregorio la prospettiva cristologica: la realizza-
zione del Cristo totale, dell'unità del corpo di Cristo, sarà quando
tutta l'umanità sarà tutta in Lui: quel Cristo che è immagine di Dio
(Col. l. 1 5), e a immagine del quale l'uomo è stato creato; quel Cri-
sto in cui non vi è né maschio né femmina (Gal. 3, 28).
In Gregorio è dunque presente la tematica di Filone 2 e di Ori-
gene 3 sulla 'doppia creazione' (da una parte l'uomo ad immagine,
dall'altra l'uomo corporeo). Ma si presenta differentemente. A diffe-
renza di Filone, e più nettamente di Origene, Gregorio distingue tra
la corporeità in sé e quello che si potrebbe chiamare lo spessore den-
so e pesante della corporeità attuale umana, che egli - in altre opere
- trova simboleggiata, nel racconto biblico, dalle 'tuniche di pelle'
date "ad Adamo ed E va dopo il peccato. Di più, mentre in Origene
86
tivo viene assegnata alle anime dopo la loro caduta, in Gregorio la
«seconda creazione» è contestuale alla prima, a seguito della sopra
accennata previsione da parte di Dio della caduta: quella caduta, ar-
gomenta Gregorio a titolo di ipotesi, che avrebbe reso impossibile
una moltiplicazione dell'umanità secondo una maniera angelica, cor-
rispondente alla sua originaria, integra maniera di essere (de op. 188
A ss.). In altre parole, la 'doppia creazione' in Gregorio non implica
propriamente, nel fatto, una serie cronologica, ma una prospettiva di
ipotesi e tesi.
Sorge ora la questione: come è da intendersi questa umanità
creata all'origine da Dio, e quali sono i suoi rapporti con Adamo
come primo uomo e autore del peccato?
Prima di rispondere soffermiamoci ancora sul paragone tra Filo-
ne e Origene da un lato e Gregorio dall' altro. Come si è già detto,
in Origene vi è serie cronologica (preesistenza delle anime e loro ca-
duta nei corpi). Per quanto riguarda Filone, non risulta chiaramente
se fra l'uomo 'a immagine' e l'uomo 'plasmato' vi sia serie cronologi-
ca oppure contestualità; ma il problema risulta alquanto modificato
dal fatto che in Filone l'uomo 'a immagine' è piuttosto l'idea platoni-
ca dell'uomo, che ha quindi una precedenza ontologica rispetto al-
l'uomo terreno, in carne e ossa; oppure è la parte superiore, 'divina'
dell'uomo, il nous o l'anima, che è la parte egemonica dell'uomo stes-
so. In Gregorio, invece, l'uomo a immagine fatto all'origine da Dio
non è né una idea platonica dell'uomo, né la somma delle anime
preesistenti, ma l'umanità nella sua totalità numerica 4 che Dio crea e
conosce, e che si dovrà disporre progressivamente lungo tutto il tem-
po della storia, secondo il concetto del diastema, quell'intervallo che
è proprio del tempo dell'uomo se paragonato all'eternità di Dio, in
cui tutto è presente e simultaneo. La divisione filoniana viene in que-
sto modo sostanzialmente modificata; e un indizio ne è la critica che
Gregorio rivolge all'affermazione di Filone secondo cui l'umanità si
andrebbe progressivamente allontanando dal prototipo, essendo ogni
uomo copia di una copia, a sua volta immagine di Dio. Gregorio af-
frrma invece (de op. 195 C.D.) che «non c'è differenza tra l'uomo
che è apparso alla fondazione del mondo e quello che nascerà quan-
do tutto sarà al compimento: tutti portano ugualmente l'immagine
divina».
Insomma, mentre (enoi siamo condotti a supporre che ... per la
prescienza e potenza divine (un'espressione chiave, in questo concetto
di Gregorio) tutta l'umanità è compresa in questa (sua) prima istitu-
zione (primordiale creazione)) (185 B), perché «per la potenza di
Dio non c'è passato né futuro» (185 D), se si guarda dalla parte de-
gli uomini, che sono nel tempo, il progetto, anzi la creazione, pusta
in opera da Dio, si realizza invece attraverso il tempo 5. Tempo che
avrebbe potuto essere costituito da una successione di uomini in stato
di integrità, in stato paragonabile a quello degli angeli, e invece si
realizza, da parte dell'uomo, in uno stato misto, per cui «la natura
umana sta in mezzo tra la natura divina e incorporea e la vita dell'ir-
razionale e del bruto» (181 B) 6. E' a quest'ultima componente che
vanno ascritte la procreazione per via sessuale, le passioni del piacere
e della collera, passioni che in sé non sono negative, ma indifferenti,
e suscettibili di portare al bene o al male, secondo l'orientamento
della libertà umana. E resta che quella che avrebbe potuto essere e
quella che è stata sono entrambe storia (possibile o reale). In questa,
come si è detto, i vergini anticipano lo stato di integrità, non corrut-
tibilità (aphtharsia) che sarà proprio della situazione finale e che era
proprio della situazione originaria (sia quella dell'uomo puramente
'ad immagine', sia quella di Adamo prima della caduta).
Qui sorge un problema: che rapporto c'è tra a) lo stato iniziale
dell'umanità, consistente nell' essere puramente 'ad immagine', stato
che non si è di fatto realizzato, avendo Dio, in previsione della futu-
ra deviazione umana, 'aggiunto' alla natura umana la sessualità, e b)
lo stato integro di Adamo, prima della caduta? Gregorio infatti di-
stingue esplicitamente l'umanità, come designazione universale della
natura creata tutta insieme all'origine da Dio cui fu aggiunta la ses-
sualità, e l'uomo singolo, particolare, come è il primo uomo Adamo;
ed è di Adamo che Gr. dice - in altre opere - che ricevette la 'tuni-
ca di pelle', cioè il complesso della corporeità passionale. Sembra
quindi che siano come due soggetti del dramma: l'umanità origina-
88
ria, l'intera natura umana, quale avrebbe potuto essere e non è mai
stata, e Adamo, quale fu (sessuato, ma senza la tunica di pelle, che
egli assume a causa dell'avvenuta caduta) e quale con il peccato cessò
di essere 7.
Naturalmente, non si dovrà insistere su questa sfasatura, che sul
piano formale vede un Adamo già sessuato (e quindi non più solo ad
'immagine') ma nello stesso tempo ancora in situazione di integrità
pre-lapsaria (cioè anteriore al peccato) e senza la 'tunica di pelle'. Si
dovrà badare anzitutto al senso generale della posizione del Nisseno,
secondo cui, nello stato 'attuale, che fa seguito al peccato (e - per
anticipazione - già nella primordiale aggiunta del carattere sessua-
to), ((la natura umana è in posizione media tra la natura divina e in-
corporea e la vita dell'irrazionale e del bruto» (de op. 181 B).
Si tratta qui di una posizione 'paolina': «sopportiamo dunque il
tempo che si stende necessariamente lungo lo sviluppo dell'umanità»,
con la speranza che fu quella dei patriarchi, e non ci scoraggiamo «se
la realizzazione delle nostre speranze tarda un po' l), pensando piutto-
sto a non restare esclusi dalla realizzazione di queste speranze, e a
preparare il 'raccolto' (208 A - 209 A). Ma, detto questo, dobbia-
mo però chiederci quanto .questa umanità primordialmente fatta a
immagine, che non è un'idea né un archetipo, ma che tuttavia esclu-
de di per sé il carattere sessuato, oltreché la corporeità esprimentesi
nelle passioni (in sé neutre ma possibile fomite di male) e in genere
nelle funzioni fisiologiche (riproduzione, nutrizione) sia condizionata
dal dualismo ontologico platonico tra l'intelligibile e il sensibile 8; e
quanto sia presente, nella tematica antropologica del Nisseno, quel
concetto - sia pure modificato in profondità - della 'colpa antece-
dente' che abbiamo generalmente constatato nella tematica platonica.
Per giustificare l'inserzione di questa tematica nell'interpretazio-
ne del pensiero di Gregorio occorre insistere su un' analisi della "dop-
pia creazione". È infatti in questa che il Nisseno, esplicitamente,
pone la chiave della sua interpretazione dell'uomo e della sua vicen-
da: l'uomo fatto secondo l'immagine, spiega Gregorio (de op.
181 a), è una creazione perfetta, ha raggiunto la perfezione fin dal
primo momento. Invece, il carattere sessuato dell'uomo «è escluso
89
dal prototipo» (che è Cristo, secondo l'interpretazione di Gregorio
ì
l
di Gal. 3,28). Dunque, argomenta Gregorio, «doppia è in qualche
modo la creazione della nostra natura: quella che ci rende simili alla
Divinità e quella che stabilisce la divisione dei sessi». Questa inter-
Il
pretazione - come abbiamo già detto - si fonda su una analisi del
testo del Genesi che riprende in parte Filone, da esso peraltro sepa-
randosi sotto un profilo di estrema importanza. Mentre Filone di-
stingue staticamente, in pura metafisica, tra l'uomo creato ad imma-
gine, che è per lui un'idea, un archetipo, un genere (nel quale, si noti,
sono già comprese le due specie prossime, maschio e femmina, an-
ch'esse a livello ideale, archetipico), e l'uomo "plasmato" di terra (in
cui Dio infonde lo spirito alitando - essere anche questo di gran di-
gnità, ritenuto degno, più che l'idea, di ricevere lo spirito di Dio),
Gregorio introduce lo iato proprio a metà dell' espressione biblica
("facciamo l'uomo a nostra immagine ... , maschio e femmina li creò")
che Filone aveva considerato unitariamente come riferita all' archeti-
po. Così infatti commenta Gregorio: (Altra cosa è ciò che è a im-
magine, altra cosa ciò che vediamo ora nella disgrazia» (181 A): e
questo uomo nella "disgrazia" è appunto quello che conosce la di-
stinzione sessuale, la capacità di procreare animalmente e tutte le pas-
sioni 9. Propriamente, la "disgrazia" è ciò che si associa al cattivo
uso delle passioni; ma, data la sua opposizione allo stato "ad imma-
gine", ci si' può chiedere se essa non esprima anche globalmente il
complesso delle condizioni escluse dall'immagine, cioè la corporeità
"pesante". Così infatti fin dall'inizio del de op. si esprime Gregorio:
«In particolare, a prima vista, ci sono nell'uomo delle contraddizio-
ni: i caratteri presenti della sua natura e quelli che egli ebbe all' origi-
ne non hanno apparentemente tra essi alcun legame necessario ... »
(128 B) lO. Il carattere dualistico della dottrina qui abbozzata sta nel
fatto che si tratta di una modifica in peius della natura dell' uomo, e
che questa modifica avviene durante il processo creativo, tanto più
che hl posteriorità del secondo intervento creativo è più antologica
che cronologica.
Ma quali sono le radici ontologiche di questa instabilità e decli-
naziqne al male, al piacere, che Dio prevede nell'uomo fin dall'inizio
90
e che lo porta a ~odificare previamente la struttura della sua creatu-
ra? E come può avvenire che una creatura solo ad immagine, o co-
munque una creàtura che è integra come l'Adamo prelapsario, risenta
dell'impulso al piacere (anche se la sua caduta non è da identificare
come peccato di sessualità, ma più generalmente, se stiamo a certe
formulazioni del N azianzeno, di sensualità e ghiottoneria, sulla base
della lettera del testo biblico)?
L'essere "ad immagine di Dio" non implica naturalmente nel-
l'uomo una identità con Dio: ne lo separa l'immensa distanza che c'è
tra il creatore e la creatura. Ciò implica che, essendo Dio perfezione
e stabilità assoluta, (tla natura creata non può avere consistenza che
nel cambiamento» (184 C); ma questo cambiamento ha a sua volta
connessione con il corpo: «Questa vita materiale e fluida di corpo,
, sempre sottomessa al cambiamento, non trova la possibilità di esiste-
re che nella perpetuità del suo movimento)) (165 A). (Filone, de op.
67: il movimento è meglio del riposo negli esseri creati). Questo ri-
ferimento al movimento interviene come motivazione dinamica nel-
l'affermazione del carattere misto dell' uomo, e l'unione di queste due
linee viene a formare appunto la tematica della" doppia creazione":
« Vista la direzione che prenderà... il movimento della libertà uma-
na», Dio, «nella sua conoscenza dell' avvenire, stabilì nella sua imma-
gine la divisione in maschio e femmina, divisione che non riguarda
più il modello divino, ma, come è stato detto, ci allinea nella fami-
glia degli esseri senza ragione)) (185 A). La doppia creazione non è
dunque solo un artifizio per motivare il carattere misto dell'uomo e il
primato dell'immagine sull' animalità, come nel caso della posizione
filoniana che distingue tra l'uomo idea e l'uomo concreto, oppure tra
parte divina e parte terrena nell'uomo. Qui si tratta invece di inserire
la dimensione storica e l'effetto, sia pure anticipato attraverso la pre-
scienza, del cattivo uso della libertà da parte dell'uomo, dimensione
storica che, vista dalla parte di Dio, in cui non c'è passato né futuro,
si realizza nella pratica contestualità delle due creazioni, ma che co-
nosce pur sempre il peccato come atto distinto e a modo suo effica-
ce.
Dobbiamo dunque soffermarci sulla natura e i modi di questo
91
"cambiamento", di questa tropé, che costitUIsce condizione fonda-
mentale della creatura, e vedere se essa non ripeta i dati fondamenta-
li del pensiero origeniano che prima abbiamo cercato di porre in lu-
ce, con le sue implicanze dualistiche (v. sopra, pp. 1 ss.).
Il Daniélou ha certamente ragione di porre in rilievo la linea
paolina e ireneiana di Gregorio, cioè la visuale storico-salvifica e, in
termini ontologici, il fatto che la troPè si realizzi nel miglioramento,
come attuazione di una integrità escatologica attraverso e oltre tutto
il tempo della storia: insomma, quella tematica di L'Etre et le temps,
di Zeit und Sein. Ma in questa visione del cambiamento come mi-
glioramento c'è il pericolo di una riduzione 11: infatti la troPè può es-
sere anche rhopé, inclinatio, caduta, perdita di una originaria integrità
quale espressa dallo stato prelapsario di Adamo, stato che, nonostan-
te le "due creazioni" e la loro contestualità, resta un dato di riferi-
mento costante in Gregorio. Ed è proprio l'inclinatio che, trasferita
dal piano origeniano heilsmetaphysisch a quello nisseno heilsgeschi-
chtlich, fonda in Gregorio, come in Origene, l'escatologia come com-
pimento che è restél:urazione e ritorno all' origine: telos come archè; re-
staurazione di una integrità che si è posseduta, anche se ambigua-
mente, data la presenza in Adamo prelapsario dell' elemento sessuale
creato in previsione della sua caduta; restaurazione che - come co-
rollario dell'infinita santità di Dio - è anche insaziabile tensione ver-
so di essa.
Il Daniélou osserva giustamente che la libertà dell'arbitrio uma-
no toglie nel Nisseno tutta quella fatalità che secondo i platonici in e-
riva nella caduta; toglie cioè l'idea di una troPè come necessaria decli-
natio. Ma è proprio e soltanto così? Come vedremo, proprio alcune
dichiarazioni di Daniélou permettono di dubitarne. Ci chiediamo
quindi: troviamo nel Nisseno una posizione come quella di Origene,
che, unendo elementi biblici ed elementi platonici, vede nella mute-
volezza della creatura non solo una possibilità di male, ma addirittu-
ra, de facto, una inevitabilità di esso, anzi la ratio stessa della creazio-
ne di un mondo vario e sensibile (cc .. necessario convertibiles et- mu-
tabiles... In quo utque pro motibus suis unaquaeque vel amplius vel
parcius bonum neglegens ... »)?12.
!
l
92
I
J
Ora in Gregorio, fatte le debite variazioni (~egazione della pree-
sistenza delle _anime e di questo particolare aspetto della colpa ante-
cedente), il quadro mentale è analogo, per quanto riguarda il punto
di partenza; come abbiamo visto, egli dichiara che «la natura creata
non può avere consistenza che nel cambiamento» (184 C); ma ins!e-
me egli situa precisamente in relazione al corpo questa caratteristica
della mutevolezza: «questa vita materiale e fluida di corpo, sempre
sottomessa al cambiamento, non trova la possibilità di esistere che
nella perpetuità del suo movimento» (165 A). Il che ci autorizza a
costruire la seguente serie: creaturalità, movimento, cambiamento,
corporeità; cui possiamo aggiungere: declinazione nel male, intesa
come inadeguatezza, incapacità - sia pure di fatto, - di rimanere al
livello di integrità originaria, e possibilità - tipicamente - di r-ag-
I giungerlo solo çon la sofferenza della storia.
Che cosa significa infatti il concetto di una troPè "ascendente"
affermato dal Daniélou, se non proprio il concetto che il bene, l'inte-
grità, la perfezione, sono raggiungibili solo, pedagogicamente, con lo
sforzo, il tempo, la storia? E che quindi - dato il concetto base (di
origine biblica) di una integrità originaria - l'imperfezione degli ini-
zii, anzi una primordiale "inadeguatezza" e caduta sono presupposti
nel sistema? Si vedono qui tutte le fondaziùni.origeniane del sistema,
pur una volta rimosse le proposizioni dell'Alessandrino che si erano
rivelate incompatibili con i presupposti teologici ortodossi.
Questo aspetto in qualche modo "fatale" della caduta sembra
emergere dal modo come Gregorio presenta il peccato di Adamo.
Questo modo è piuttosto povero di particolari esegetici (il N azianze-
no aveva insistito per suo conto sulla sensualità e la ghiottoneria);
laddove le formulazioni platonizzanti sono in prima linea, come quel-
la già citata: «Altra cosa è ciò che è a immagine, altra cosa ciò che
vediamo ora nella disgrazia» (181 A).
Emerge qui chiaramente una situazione analoga a quella che si
verifica nella motivazione addotta da Filone per introdurre, in de op.
mundi 15 1, la_ menzione del peccato e infelicità di Adamo: «ma
poiché niente è stabile di ciò che è sottomesso al divenire, e poiché
gli esseri mortali sono necessariamente soggetti ai cambiamenti e alle
93
variazioni, bisognavà' che il primo uomo, anche lui, provasse qualche
disgrazia». Certo, la situazione non è identica in Filone e in Grego-
rio: in Filone si tratta della caduta dell'uomo "plasmato" (essendo
1'uomo a immagine idea e come tale non suscettibile di caduta), men-
tre in Gregorio si tratta dell'umanità còncreta, seppure "anticipata"
dalla potenza creatrice e sopratemporale di Dio: ma la meccanica de-
gli eventi è analoga, cioè tagliata espressamente sul dualismo di rife-
rimento fondamentale, sulla dialettica di una mutabilità che, come si
è osservato, non è solo quella della creaturalità e annessa fallibilità,
ma quella, appunto dialettica, di una mutazione che è insieme inevi-
tabile (alla lunga, almeno) e in peius. Quella stessa dialetticità che
viene assunta esplicitamente da Filone allorché nel de fuga, 63, -ri-
porta in extenso il passo famoso del Teeteto (176 A-B): « ... Non è
possibile che (i mali) risiedano tra gli déi (Filone: le cose divine), ma
percorrono la natura mortale e questo luogo ove noi siamo; cosÌ bi-
sogna tentare di fuggire il più presto possibile di quaggiù verso lassù.
Fuggire, è assimilarsi a Dio nella misura del possibile ... » (definizione
quest'ultima accolta, come è noto, da Gregorio, de virg. 99) 13.
N on possiamo dunque accettare !'idea del Daniélou che la troPè
di Gregorio sia essenzialmente mutazione verso il meglio, verso 1'alto
(possibilità che: sotto il profilo dell'inesauribilità della ricerca del me-
glio, si trova del resto anche in Origene). E proprio il Daniélou ad-
duce argomenti nel senso della nostra interpretazione. In Sources
chrétiennes, vol. VI, p. 45, egli osserva che «da questa eterogeneità
fondamentale tra Dio e noi deriva una conseguenza importante: ve-
nendo all' esistenza a seguito di una creazione, noi cominciamo con
un cambiamento e naturalmente gli restiamo sottomessi» (in nota il
D. osserva l'uso di termini come trept6s, rhopé, diastema, alloiosis),
e questo cambiamento ha la «forma di una scelta morale»; ma que-
sto non gli impedisce (p. 59) di trattenersi su quella che egli chiama
una "spiegazione metafisica del male" in Gregorio: basta un piccolo
impUlso (quella che abbiamo chiamato declinazione) per far deviare,
e la caduta di uno produce lo squilibrio degli altri; cosÌ in Plotino e
in Gregorio. Mentre in Plotino, aggiunge Daniélou, «il male è ne-
cessano, benché noi non vi siamo costretti», «giacché la tendenza
94
dei Greci è "di fare del peccato un atto inevitabile, analogo agli ac-
cidenti della 'natura; la colpevolezza non è mai per essi molto lontana
dalla fatalità"}) (Daniélou cita qui Guitton), in Gregorio invece v'è
primato della libertà d'arbitrio, e il male è male morale, la materia è
fuori causa. Ma - di nuovo - il Daniélou non si astiene dal notare
che, in Gregorio, il peccato è sì causato dalla libertà, ma anche da
mancanza di esperienza: e in questo egli vede una certa contraddizio-
ne che lo porta a ritenere che «è sempre possibile pensare che Grego-
rio sacrifichi qui alle idee greche sul peccato, che sarebbe soprattutto
una mancanza di conoscenza»; il male si presenta così come mancan-
za di attenzione ai veri beni, ricerca di beni mescolati (a mali, non
integri) e transitorii. Nel che si potrebbe vedere, a nostro avviso,
non solo la "pigrizia" e "sazietà" (sia pure intesa come "stanchez-
, za") nel bene in cui Origene vede il motivo della caduta degli spiriti,
ma anche un accenno a quella teorica o pratica identificazione tra
congenita mutevolezza e caduta / declinazione di cui si parlava a pro-
posito di Origene. Il che suppone una ontologia platonica di livelli, e
la vicenda dell' anima inscritta in essa, vicenda di allontanamento
(non definitivo), cioè di caduta e di ritorno (apocatastasi).
Che le cose stiano così, una riprova ne viene dal fatto che la ca-
duta di Adamo è nello stesso tempo vista da Gregorio (come da Fi-
lone e Origene) come un cedimento al sensibile e come motivo del-
l'accrezione del sensibile (della sessualità o delle tuniche di pelle) al-
1'uomo, secondo un vero e proprio circolo logico, la cui soluzione sta
- sia pure tramite il ricorso alla previsione da parte di Dio - nella
dialettica platonica implicita nel concetto nisseno dell' uomo come es-
sere misto, fatto di due elementi che dissentono tra loro per natura e
che, uniti tra loro a seguito di un N achdenken di Dio, sono orientati
a una futura piena dissociazione. Insomma, del peccato di Adamo
Gregorio, non meno che Filone, dice che fu causato dal piacere, dal-
la sensibilità. Ma come, se per Gregorio l'umanità era "a immagine"
e se Adamo era integro? (fosse la sua integrità segnata da quella cor-
poreità aerodes. che verrà restaurata alla fine e che quindi era già pre-
sente· all'origine; o fosse altra cosa - dato che la corporeità aerodes
male si concilia con il carattere sessuato del corpo aggiunto a un
95
Adamo ancora integro, sia pure in prevlslOne del peccato). Non è
piuttosto da ritenere che il sensibile, in quanto contrapposto all'intel-
ligibile ed espressione platonica (e non .pi~ biblica) della mutabilità,
sia il punto di riferimento, il baricentro, di tutto il processo? Un sen-
sibile, dico, paradossalmente (dualisticamente) "attivo" già prima del
suo sussist~re storico, e ratio di una colpa che, condizionando e mo-
dificando il progetto e l'attività creativa di Dio (o quanto meno
complicandola), ha il carattere di un "principio", cioè di una "colpa
antecedente", invocata a spiegazione della attuale "natura" dell' uo-
mo come essere misto (di sessualità / corporeità pesante)? Laddove il
"misto" non è il "composto" della comune filosofia aristotelica e po(
scolastica, ma il dualisticamente aggregato o accreto, destinato alla
dissoluzione? È qui che si gioca l'antropologia di Gregorio, come
quella di Filone e di Origene, e non in relazione a quel corpo aero-
des che già Origene ammetteva e che ha tutt' altra funzione, in una
dottrina che pur deve salvare la realtà della risurrezione, sia pure del
corpo "spirituale" di Paolo, e la realtà della corporeità di Cristo (ma
non ci furono in questa le funzioni biologiche? E infatti il corpo ter-
restre fu sordes (non peccatum) per Gesù, sec. Origene, Horn. 14 in
Luc., 5, SC 87 p. 220).
In conclusione, non ci si sottrae all'idea che la caduta di Adamo
sia funzionale al sistema del Nisseno, iscritta nel riferimento ideologi-
co di base, quello della polarità dualistico-platonica tra l'intelligibile
e il sensibile e della instabilità e della mutevolezza cui l'anima, o co-
munque il soggetto integro originario, è assoggettato inevitabilmente
(sia pure in pratica, ma una "pratica" molto teoreticamente fondata),
una volta considerato sullo sfondo di quel riferimento. Espressione
chiara di questa situazione - ripetiamo - è il carattere di colpa ante-
cedente che paradossalmente - tramite la prescienza divina - viene
dato al peccato di Adamo: un peccato che costituisce motivazione (e
quindi parziale fondamento) dell' attuale (e sia pure transitoria) natu-
ra (kataskeuè) di lui e delle sue (attualmente) fondamentali e naturali
condizioni d'esistenza: un peccato, diciamo, che, non ancora compiu-
to (e paradossalmente, perché Adamo lo compirà con quella sensibi-
lità ~he d'altra parte è solo la conseguenza - sia pure prevista - del
96
peccato), è già non solo presente nella prescienza divina, ma anche
attivo, perché induce la potenza presciente di Dio a dotare l'uomo di
quella sessualità che egli eserciterà dopo il peccato e a causa del pec-
cato: Ora, questo' intervenire di qualcuno e qualche cosa nel contesto
dell' effettivo processo creativo dell'uomo, qualcuno o qualcosa che
disturba il progetto creativo e lo modifica, sia pure con prospettive
provvidenzialistiche, è un tipico aspetto della antropogonia dualisti-
ca. Certo, il tema della prescienza è originale e dà un aspetto tutto
particolare a questa "colpa antecedente" nel Nisseno: si potrebbe
parlare di una colpa che è "antecedente" nel contesto di una efficacia
ante praevisa demerita.
Riassumendo: la tematica biblica di Gregorio (il logion di Luca
20,3 5, che inserisce l'espressione "infatti non potranno più mori-
I re" nell'espressione corrispondente di Matteo: nella risurrezione
"non sposeranno né saranno date in spose, ma saranno come ange-
li di Dio, nel cielo Mt. 22,30), e l'affermazione paolina di Gal.
3,28 che in Cristo, immagine del Padre (Col 1,15), non v'è né
uomo né donna) è inserita in una tematica platonica fondata sulla
contrapposizione dell'intelligibile e del sensibile (questa in Gregorio,
almeno in due passi 14, sopravvanza la distinzione stessa tra creatore
·e creatura, alla quale in altri passi invece si subordina). In questo, e
nell' affermazione che il telos sarà come l'arché, egli resta sulla linea
ongemana.
N ello stesso tempo, e in connessione almeno parziale con l'ispi-
raziolle platonica (e come già Origene stesso) egli risente di una con-
cezione analoga a quella già attiva sugli encratiti del secolo preceden-
te, allorché, associando la procreazione per via sessuale (e, in pro-
spettiva, la sessualità stessa) alla mortalità, alla passione (sia pure in
senso moralmente neutro) e a una animalità non congrua con l'imma-
gine di Dio - e in genere associando la procreazione alla tematic a -
negativamente reinterpretata - di genesis e phthorà, anch' essa di ori-
gine platonica - egli concepisce l'esercizio (anzi, in radice, l'appara-
to) della sessualità e della procreazione per via animale come incom-
patibili con lo stato della prima creazione. Naturalmente, Gregorio
resta lontano dagli encratiti, quando questi deducono da quei dati la
97
condanna delle nozze, viste come caduta nella genesis, phthorà e
porneia. Al contrario, le nozze sono viste:: da lui come necessarie e
utili nell' attuale regime (salvo che per i vergini). Per quanto conten-
gano in sé un ineliminabile riferimento alla morte, che ~ contenut~
nella nascita stessa per via animale e che è connessa con l evento pn-
mordiale del peccato, e il cui regime è prorogato dalla genesis, le noz-
ze sono, sec. Gregorio, anche un rimedio e una consolazione nei con-
fronti del destino di morte, un mezzo per assicurare il necessario pro-
seguimento della vita e con esso la manifestazione di tutte ~e. vite
umane previste nel piano creativo di Dio, - mentre la ve~gmltà ~
sua volta pone un argine alla morte arrestando la connesslO~e eSl-
stente tra questa e la procreazione, anticipando il futuro della nsurre-
zione e restaurando lo stato iniziale di integrità.
N aturalmente, tutte queste osservazioni non aboliscono l'origina-
lità e la pertinenza evangelica della spiritualità di Gregorio, laddove
essa esprime quella tensione alla santità, alla conversione e all' essere
di Cristo in tutto, anche se esse non sono irrilevanti quanto all' analisi
dèlle motivazioni e delle forme in cui Gregorio incarna quella tensio-
ne. Una analisi di questo genere, se condotta pertinentemente, non è
che benefica allo studio della storia e dei caratteri della spiritualità
cristiana e in particolare di quella monastica. Le parole di J. Da-
niélou nella sua relazione al convegno di Chevetogne, citate - si
veda sopra, n. 5 - e relative a Origene e Gregorio, sono certo sinto-
matiche.
98
ADDENDUM I
Origene, Gregorio di N issa e il platonismo
Volendo tradurre in formtÙe nette quanto osservato circa i temi
della corporeità e della colpa antecedente in Origene e in Gregorio
di Nissa osserveremo quanto segue. In Origene la corporeità, almeno
la corporeità dell' uomo e indirettamente quella del mondo visibile, è
fondata su una colpa pregressa, su una caduta. In questo, essa è col-
legata ontologicamente con il male, e nel prosieguo, per una specie
di effetto di ritorno, essa è fomite di male (almeno: fomite possibile,
ma anche tipico, di male). Poiché la caduta - pregressa ("colpa an-
tecedente") - è causa di corporeità per quei noes primordiali che tale
caduta hanno sperimentato, non si può dire che la materia sia causa
della caduta; e chequindi essa sia principio di male; essa ne è piutto-
sto la conseguenza. Ma poiché ne è una conseguenza immediata e, si
direbbe, contestuale, oltreché connaturale, resta che si può parlare di
una "caduta nell~ corporeità", quasi che questa corporeità, almeno
stù piano logico, sia il punto di riferimento della caduta, il polo ver-
so il quale la caduta si realizza - anche se, sotto altro aspetto e in
qualche modo, essa è "prodotto" della caduta stessa.
Insomma, la corporeità, specie quella spessa, umana, è un effetto
collaterale, e in tale sua qualità sono i limiti del sopra menzionato
suo carattere "polare" (che a modo suo è un "principio", un "secon-
do principio", in quanto punto di riferimento essenziale, ratio del si-
stema). Quello che più propriamente e direttamente è nella cosmolo-
gia e antropologia origeniane un principio, un "secondo principio",
in quanto ratio dell' esistenza del mondo visibile e dell'uomo terreno,
è il principio di declinazione, rhopé, tropé, come principio e struttura
della varietà, senza la quale né l'uomo né il mondo sussistono.
Un corollario di tutto questo è che tutta la vita dell'uomo nel
corpo risente di questo principio e di questa colpa d'origine - che è
una vera "colpa antecedente" -; ne risente nel senso che questo
principio e questa colpa trascendono la vita corporea, sono anteriori
99
ad essa per due motivi connessi: poiché la colpa si identifica con la
colpa (pre-storica ma puntuale) dei noese si radica nella ontologica-
mente connaturata situazione di questi. Se tale principio e tale colpa
restano validi anche al di là della attuale vicenda corporea è questio-
ne di sviluppo ulteriore del sistema.
Tutto questo, si noti, non impedisce che la struttura nella quale
- sec. Grigene - la materia e la corporeità si inseriscono abbia un
aspetto provvidenziale e sia sotto questo profilo occasione di bene,
senza peraltro perdere quell' aspetto di principio di polluzione che ad
essi per natura inerisce. Non si arriva certo a quelle posizioni tipiche
del dualismo nelle quali, come bene osservava il de Menasce 15, il
male finalizza, cioè condiziona, in quanto preesistente, razione del
bene e l'azione di Dio, destinata appunto all' evizione di tale preesi-
stente male (si ha presente qui in particolare il dualismo radicale, in
cui bene e male hanno, quanto all'origine loro, una coeternità). Tut-
ta via, resta che 1'aspetto polare, quale 1'abbiamo constatato nella dot-
trina origeniana della corporeità, e il carattere di colpa antecedente
proprio della caduta dei noes secondo la stessa dottrina, costituisco-
no qualcosa di più e di diverso rispetto alla pura mutevolezza e falli-
bilità intrinseche nella natura di essere creato e dotato di libero arbi-
trio; essi realizzano invece una forma del dualismo, secondo la nostra
definizione di quest'ultimo. La provvidenzialità che colora di sé tutto
il procedimento non toglie ad esso questo carattere, anzi in qualche
modo lo sottolinea, essendo al tempo stesso manifestazione del pote-
re sovrano e benevolo di Dio e funzione di quel condizionamento
ontologico, tale davanti a Dio, che è la connessione intrinseca tra va-
rietà, caduta, corporeità (spessa): condizionamento e connessione in-
trinseca che costituiscono una ratio e un principio sia rispetto all' an-
tropogonia che alla cosmogonia.
N é, quanto alla negatività della corporeità, si deve accentuare
tro~po la distanza tra Grigene e il platonismo, sia quello di Platone
sia quello di Plotino (lasciamo qui da parte i medio-platonici). Per
Platone, si dovrà infatti ricordare che la negatività non aderisce tan-
to al corpo come tale (nonostante i riferimenti indiscriminati e "orfi-
ci" "'al soma-sema) quanto alla corporeità, appunto, spessa che è quel-
100
la degli uomini. Gli dèi astrali, infatti dice Platone, hanno corpi di
fuoco, ben diversi da quei corpi solidi, corpi di terra, corpi, dunque,
"spessi", che sono i corpi umani. È la stessa distinzione di un Grige-
ne, e anche di un Gregorio di Nissa, che contrappone il corpo spiri-
tuale e "aereo" (altri: etereo etc.) al corpo terreno e "pesante". An-
che in Platone, la corporeità non è la causa della caduta delle anime
preesistenti, ma il luogo dove esse cadono: ma ciò, come per Grige-
ne, non toglie che essa sia pur sempre un punto di riferimento polare
e implicito nel sistema. Quanto alla dottrina platonica della chora, il
"ricettacolo materiale", essa certo non ha un corrispettivo preciso in
Grigene, che non ammette alcuna materia eterna. Ma resta il fatto
che il principio costituito dalla necessaria connessione colpa-varietà-
corport:'ità-cosmo è pur sempre un suo parziale corrispettivo in Gri-
gene, nonostante la radicale diversità rappresentata, in Grigene ri-
spetto a Platone, dalla presenza del concetto creazionistico.
Per quanto concerne il paragone con Plotino, certo manca in
Grigene l'idea di una hyle come "ultima spiaggia" della proodos che
si diparte dall'Uno e dal divino. Non è in questo senso che la corpo-
reità è "polare" in Grigene; ma resta che Grigene assegna "una" po-
larità alla corporeità; e resta che neppure in Plotino la materia è sim-
pliciter la causa della caduta. È causa della caduta delle anime il loro
voler essere per conto loro, separate dall'unità di base tra di esse e
con l'Anima del Mo"ndo. Mutatis mutandis, è la stessa situazione in
Grigene, là dove le anime, appunto, variano con il porsi in stato
di varia caduta, cui si accompagna, come segno e conseguenza, la
corporeità. E anche in Plotino, come del resto in Grigene, si dànno
anime astrali, la cui corporeità leggera è, per contrasto, rivelazione
della negatività intrinseca (anche se accompagnata da motivazioni
provvidenziali) che è nella corporeità pesante che affligge le anime
incarnate.
P er quanto concerne Gregorio, la caduta, in quanto prevista da
Dio, è causa o occasione a che Dio crei la sessualità umana, come
forma della corporeità, almeno di quella "spessa" che è tipica del-
l'uomo quale di fatto si manifesta nella storia. Essa è causa sul piano
effettuale; assunta dalla prescienza e volontà divina, essa è attiva ed
101

efficace prima della sua stessa storica esistenza (se per storica esisten-
za si intende la sua attuazione e non solo la sua presenza nella pre-
scienza di Dio); in questo essa realizza pienamente il concetto di
"colpa antecedente". Non si tratta infatti solo, con la prescienza di-
vina in questione, di una prescienza che, anticipando sugli avveni-
menti futuri (nel senso che questi sono tutti compresenti agli occhi di
Dio) esprima contestualmente un onnicomprensivo piano di salvezza
e di provvidenzialità. Si tratta invece di una .prescienza che, espri-
mendosi anche come "potenza" (secondo l'espressione tipica del Nis-
seno: la "prescienza potente" di Dio), motiva già, primordialmente,
un intervento creativo ulteriore rispetto a quello relativo all' umanità
.. ad immagine". In tal modo, la prevista futura colpa, a suo modo, è
indirettamente creativa, rispetto alla consistenza ontologica (naturale)
attuale dell'uomo (il suo apparato corporeo-sessuale). Cioè la colpa,
pe; tramite della prescienza e potenza divina, entra nel contesto del
processo creativo, come una vera e propria archè e seconda archè
(cioè motivazione consistente in qualcosa che non è Dio e che anzi
dipende, sia pure per il tramite della previsione, da qualcosa che si
oppone aDio). E vi entra sulla base di un principio come quello del-
la tropè. che ha i presupposti del dualismo ontologico platonico. Sot-
to questo profilo, si può parlare, anche per il Nisseno, di un .. duali-
smo" che concerne cosmogonia e antropogonia. In questo dualismo
sussiste sia la "colpa antecedente" sia la connessione colpa / corpo-
reità (sessuata) / costituzione attuale del mondo, con particolare riferi-
mento alla tematica della procreazione per via sessuale vista come in-
compatibile con ~a natura umana in quanto fatta ad immagine di Dio
- una incompatibilità che, formalmente, è un avatar della contrappo-
sizione platonica fra intelligibile e sensibile.
102
1:
f
i
r
I
I ADDENDUM II
I
I
Ci sono ragioni per escludere in Gregorio di N issa.la teoria della doppia
I
creazione' dell'uomo?
Una recente interpretazione dell'antropogonia del de hominis opi-
ficio è quella di E. Corsini (negli atti del colloquio di Chevetognt':
M. Harl (Ed.), Écriture et culture ... , cit., p. 111 ss.). Il Corsini nega
semplicemente che in quest'opera si possa parlare di due creazioni
dell'uomo, rispettivamente per i due aspetti che compongono l'attua-
le natura umana, cibè. quello 'a immagine' di Dio e quello che com-
prende la differenziazione sessuale. Secondo la sua interpretazione,
Gregoriò direbbe semplicemente ((che ci sono due espressioni della
Scrittura per indicare che ratto creatore di Dio si è portato su due
aspetti differenti dell'uomo)). Né Gregorio direbbe che ((l'uomo 'se-
condo l'immagine' non era sessuato; egli vuoI dire che nell' archetipo
(Dio) non c'è sesso, e che il sesso è, per conseguenza, 'escluso dal
kat' eikona \) (cioè da quello che nell'uomo è secondo l'immagine di
Dio, p. 115).
Questa interpretazione del Corsini è all'interno di una più vasta
spiegazione da lui data dell'importanza tutta particolare del pensiero
di Gregorio nella storia del pensiero teologico; Gregorio, afferma il
Corsini, ha rovesciato il concetto medio- e neo-platonico, cui faceva-
no ancora riferimento gli ariani, di un Logos mediatore tra Dio e il
mondo (essendo invece per l' ordodossia e per Gregorio il Logos
uguale e consustanziale aDio); e, analogamente, Gregorio ha rove-
sciato il concetto di un mondo intelligibile (contenuto nel Logos)
come legame tra Dio e il creato. È nell'uomo, invece, che Gregorio
trova il passaggio dall'ordine superiore a quello inferiore, cioè il lega-
me tra i due: il vero methorios (cioè l'essere 'liminare' tra i due livelli
o ordini) non è costituito per Gregorio dal 'secondo dio' (o dio in-
termediario, insomma il Logos dei medio-platonici), ma proprio dal-
l'uomo.
A nostro avviso, questa interpretazione dell' antropogonia di
Gregorio è però 'riduttiva'. Il Corsini infatti sembra porre tra paren-
103
tesi tutto il drammatico che c'è nelle circostanze dell' 'aggiunta' della
costituzione sessuata fatta da Dio all'uomo, al di là di ciò che la pura
immagine divina comporterebbe in lui. Manca cioè, nell'interpreta-
zione del Corsini, una adeguata valutazione delle motivazioni di que-
sto 'secondo' intervento di Dio (secondo non necessariamente nel
tempo, l'abbiamo chiarito, ma nell' ordine ontologico): e queste moti-
vazioni comprendono, in prima linea, il (futuro, ma efficace ante
praevisa demerita) peccato dell'uomo, e, più precisamente, di Adamo.
E sì che il riferimento più generale alla tragicità della condizione esi-
stenziale umana, in relazione alle due diverse componenti dell'uomo
(quella 'a immagine' e quella inferiore), non manca neppure nel mate-
riale addotto dal Corsini nel contesto della sua discussione: egli in-
fatti, p. 115, menziona pure il concetto di una 'divinità felice' e di
una 'umanità infelice', citando opportunamente la frase di Gregorio,
da noi sopra riportata, che altro è ciò che è stato fatto' a immagine',
altro ciò che noi vediamo ora nella 'disgrazia'. Certo, ben a ragione
il Corsini può far valere che qui si tratta di una condizione che di-
pende dal peccato di Adamo: ma dove la sua interpretazione appare
inadeguata è quando egli separa l'instaurazione di questa condizione
umana di 'disgrazia' - dovuta al peccato - dalla tematica relativa
alla creaziohe. Perché il punto fondamentale del discorso (o, se si
vuole, dell'ipotesi) di. Gregorio è che la previsione del futuro peccato,
fatta da Dio, è determinante al fine della creazione da parte di Dio
della sessualità umana come aggiunta all'immagine. Giustamente il
Corsini nota una distinzione tra il concetto di ktisis (creazione) e
quello di kataskeuè, piuttosto 'costituzione' dell'uomo e della natura
umana, e vede in kataskeuè, i quale usato di preferenza, ciò che egli
preferisce chiamare la 'seconda creazione', cioè 'lo sviluppo dell' atto
divino istantaneo attraverso il tempo': ma ciò non può abolire il
dato fondamentale, che la 'doppia natura' dell'uomo è dovuta, for-
mal~ente, a due atti di Dio (perchè una 'aggiunta' non può intender-
si che come un distinto, sia pure solo formalmente o ontologicamente
e non cronologicamente distinto, atto di Dio). Si può ammettere che
tale distinzione sia tale se vista a parte hominis, e non a parte Dei,
dove tutto è atemporale e contestuale: ma rimane che la motivazione
104
1
I
I
l
dell'aggiunta, cioè in ultima istanza il peccato di Adamo, e quindi
l'aggiunta medesima, è a sè, non perde la sua propria e non elimina-
bile consistenza.
Ritornando al concetto di una 'umanità infelice' in contrapposto.
alla felicità divina, osserveremo che tale concetto, anche se motivato
dalla nozione del peccato, non è lontano dalle motivazioni ontologi-
che di un Filone, risalenti in definitiva al Teeteto platonico (v. so-
pra, p. 94), secondo cui i mali devono per necessità abitare non nel
mondo divino, ma in quello terreno (ove è la mutabilità). Rimarrà
dunque vero che, come ricorda il Corsini, dalla considerazione della
natura 'doppia' dell'uomo (di immagine divina e di partecipante alla
vita animale) nasca, come si esprime Gregorio, 'una dottrina grande
e sublime' (che implica 1'uomo come 'liminare' tra la vita divina e
quella irrazionale comprendente la divisione sessuale, ove la prima ha
il primato e la seconda è aggiunta): ma, come si è detto, manca nella
interpretazione del Corsini tutto quel drammatico, tutto quello stori-
co, e tutto quel 'lato oscuro' che invece emerge sia dal testo gregoria-
no, sia dall'indagine del Daniélou (Glaube, Geist, Geschichte, Studii in
ono di E. Benz, Leidèn 1967, pp. 355-367) sulle 'tuniche di pelle' in
Gregorio di Nissa; e diciamo ciò pur riconoscendo che con le tuni-
che di pelle il discorso gregoriano si sposta in buona parte sulla si-
tuazione post-Iapsaria, ma, si noti, rimane pur sempre sul piano della
tematica creazionistica, tanto è vero che si pone il problema come
possa la tunica, implicante mortalità e passionalità, derivare da Dio.
Come si è accennato, il Corsini preferisce parlare di 'due creazio-
ni' in altro senso: la creazione vista a parte Dei, istantanea perchè
Dio è fuori del tempo, e la creazione vista a parte hominum, che si
sviluppa lungo la storia. Ora, questa alternativa esiste, ma è diversa
dall' altra, quella tra creazione 'a immagine' e creazione dell' aggiunta.
Mescolare le due alternative porta fuori strada: a nulla vale spiegare
l'alternativa 'creazione a immagine / creazione aggiuntiva' con la pur
giusta osservazione che «la necessità di adattare la verità intelligibile
a delle mentalità chiuse nel sensibile porta con sè l'uso di categorie
105
storiche, e dunque di successione cronologica» (Corsini, op. cit.,
p. 122). È infatti indubbio che il peccàto d'Adamo, che motiva a
posteriori raggiunta fatta da Dio, è inteso in Gregorio come fatto
storico, cioè intervenuto a un certo momento, e libero, e quindi come
motivazione ulteriore e 'esterna' (se non altro perchè riferibile a un
fatto libero e moralmente censurabile quale appunto il peccato, certo
non imputabile aDio) rispetto a quella che è 1'intenzionalità sia pure
previdente e provvidente di Dio stesso. (E il Corsini medesimo, ov-
viamente, avverte che Dio 'non ha reso necessario il peccato'). Non
è dunque rilevante per la questione della 'doppia creazione' dell'uo-
mo quanto osserva il Corsini, che cioè per Gregorio ((non c'è che
l'uomo concreto, 'storico', quello che noi conosciamo ora in questa
'condizione penosa\). Non solo, ma questa argomentazione dello stu-
dioso pone in evidenza una contraddizione del pensiero gregoriano,
che Corsini di fatto segnala, ma senza farne conto, allorchè (p. 12 1)
osserva che (( ... l'uomo nel paradiso, anche se già dotato del sesso,
avrebbe potuto vivere una vita di perfezione, nella quale non ci sa-
rebbe stato 'nè' maschio nè femmina' l). Ora, è inevitabile osservare
l'assurdità, o meglio la contraddizione logica di una situazione in cui
il protoplasta, già dotato dell' 'aggiunta' della sessualità a rimedio
del suo futuro peccato e per lo scopo, oramai non altrimenti ottenibi-
le dopo il peccato, della propagazione dell'umanità, sarebbe stato
tuttavia impegnato a una vita esente dall' esercizio della sessualità me-
desima (se questo è il senso della formulazione del Corsini or ora ci-
tata; ma il nostro argomento vale anche nell'altra alternativa: v. ol-
tre).
È ovvio che non si può attribuire a Gregorio una tale contraddi-
zione formale: resta solo, accanto al carattere non del tutto sistemati-
co delle sue dichiarazioni, l'ovvio riferimento della sessualità alla cor-
poreità pesante motivata a posteriori dal peccato, e ciò anche se -
come di fatto avviene - Gregorio distingue tra sensibilità e passio-
nalità, tra passione neutra e passione peccaminosamente esercitata
etc. (per cui si veda lo studio, già citato, del Daniélou su L' etre et le
temps etc.).
E ancora: è giusto scrivere, come fa Corsini, che ((lo stato ideale
dell\.lomo perfetto, totalmente secondo l'immagine, privo di sesso, è
106
una astrazione gratuita, perchè Gregorio non ne parla in alcun luo-
go», e che (d'unico stato di perfezione che egli conosce è quello dei
protoplasti' nel Paradiso)) (p. 122). Ma da ciò non segue che ((l'uni-
ca' distinzione che fa Gregorio è questa: prima e dopo la caduta))
(p. 123). Infatti, si può ben ammettere che la creazione 'a immagine'
e la creazione 'aggiuntiva' siano contestuali (a parte Dei e anche a
parte hominis), in quanto il peccato, che motiva a posteriori l'aggiunta,
è previsto eternamente da Dio (come immersa nell'eternità è ogni
operazion"e divina): ma questo non autorizza a non porre 'in serie' le
due creazioni neppure in senso logico e ontologico. Quindi resta, in
questi amplissimi limiti, una distinzione tra la 'creazione a immagine'
e la 'creazione aggiuntiva', tra la 'prima' e la 'seconda' creazione: di-
stinzione nella quale si dà piena rilevanza al peccatv, ma non in
quanto già avvenuto bensì in quanto previsto da Dio. Per cui i 'pri-
ma' e 'poi' (sia pure nel senso ontologico, per quanto riguarda la
'doppia cre~zione ') sono due: quelli tra prima creazione, 'a immagi-
ne', e seconda creazione, 'aggiuntiva' (conferimento del sesso), e
quelli tra situazione di Adamo prima della caduta e situazione dopo
la caduta. E nulla toglie a questa argomentazione il fatto che l'Ada-
mo prelapsario ma già sessuato (e sessuato per motivo della previsio-
ne del suo libero peccato) pone una aporia - non per la questione
del rapporto tra previsione divina e libertà, ma per la questione di
una essere che, sessuato, sarebbe come se non lo fosse. È certamente
chiaro che il peccato d'Adamo, per Gregorio, non è specificamente
un peccato sessuale, e tanto meno si identifica con l'esercizio della
sessualità di cui il protoplasta era stato dotato; ma resta che il pecca-
to d'Adamo è, per i Cappadoci, nell' ordine della sensibilità divenuta
viziosa e intemperante (il N azianzeno parla di 'ghiottoneria'). Ma è
altrettanto chiaro che, come abbiamo più volte ricordato, nel Nisse-
no l'attribuzione della sessualità all'uomo è motivata dal futuro pec-
cato: essa è dunque connessa con la tematica torbida della sensibilità
disordinata: e questo vale per le due ipotesi: quella secondo cui l'A-
damo innocente si s.arebbe astenuto dall' esercizio della sessualità e
quella secondo cui l'Adamo innocente avrebbe avuto un ordinato
esercizio della sessualità.
E si noti infine un'ultima aporia, che rivela, ci sembra, l'inevita-
107

bilità della nostra interpretazione dell' antropogonia (o dell'ipotesi an-
tropogonica) di Gregorio: questi non spiega come mai la sensualità
disordinata, la voluttà, possa nello stesso tempo essere effetto e causa
del peccato di Adamo (cfr. de homo op. 521 D- 524 A, cito da Da-
niélou, Glaube ... p. 360: (c .. Ma quando, per l'inganno del nemico
della nostra vita,. l'uomo inclinò (rhoPè) volontariamente verso ciò
che è bestiale e animale ... »). Come potè far questo l'uomo? In base a
quella sua mutabilità ontologica, certo, ma una mutabilità già orien-
tata (secondo il noto modulo platonico dell'opposizione tra incorpo-
reo e sensibile) alla sensualità disordinata come sua peculiare manife-
stazione (non dunque la superbia, almeno qui): il tutto (ovviamente,
anche se circolarmente) non senza connessione con la qualità del pre-
visto peccato (l'intemperanza e il piacere in genere: v. sopra) e con
la qualità dell'aggiunta fatta da Dio in previsione della futura caduta
di livello dell'uomo; appunto la sessualità come via animale alla pro-
creazione (non necessariamente come via all'immoralità). Perchè è
appunto come via animale alla moltiplicazione, via che non sarebbe
stato necessario percorrere senza il peccato di Adamo (peccato non
specificamente sessuale per Gregorio, lo ripetiamo), che Gregorio
vede là sessualità (sia pure dando a questa anche lo scopo consolato-
rio nei confronti di una immortalità perduta e in qualche modo recu-
perata anche in questo mondo tramite la prole).
Naturalmente, il discorso non finisce qui: anzitutto, occorrerebbe
chiarire ulteriormente la tematica delle 'tuniche di pelle', in quelle
opere di Gregorio in cui esse in un modo o nell' altro vengono teoriz-
zate. Ma questo implica ulteriori distinzioni che non tolgono la vali-
dità di quanto finora detto (anzi: le 'tuniche di pelle' introducono
elementi ancora concernenti l'attività creativa e non solo l'aspetto
etico e comportamentale, quindi possono approfondire e non atte-
nuare quella tematica che abbiamo chiamata dualistica in Gregorio,
per~hè attinente alle modalità dell' atto creativo e della ak,oluthia in
cui esso è inserito).
In secondo luogo, siamo ben lungi dal misconoscere l'importan-
za del tentativo di Corsini, e in particolar modo la rilevanza della te-
108
matica spirituale nelle argomentazioni di Gregorio (soprattutto te-
nendo conto di certe oscillazioni concettuali nei riguardi delle richie-
ste sistematiche). M'a l'un aspetto, quello delle motivazioni spirituali-
stiche (e di teologia della storia, come progressiva· edificazione di
una umanità che dovrà essere in Cristo), non deve far dimenticare
l'altro, non meno oggettivo, e comunque non meno interessante la ri-
cerca storico-religiosa, quello cioè delle complete motivazioni dottri-
nali e ideologiche, e delle eredità concettuali e esperienziali del Nis-
seno. Il fatto che molte delle questioni qui discusse vengano addotte
dal Nisseno a proposito della tematica della verginità sta a indicarlo;
- e ciò sia detto senza voler ridurre a questa tematica della 'doppia
creazione' la tematica più vasta della verginità stessa, sia in Gregorio
sia, a maggior ragione, nel cristianesimo dei suoi tempi.
Ma quello che importa di più per il tema del presente volume è
riaffermare che in Gregorio di Nissa la tematica della 'dùppia crea-
zione' dell'uomo implica sì il concetto di una fine che - per un
aspetto - implica un 'di più' rispetto al cominciamento (e qui sta il
paolinismo della sua visione della teologia della storia, e già la speci-
ficità della sua propria (di Gregorio) concezione della storia come un
. compiersi, attraverso il tempo, non solo del 'piano' ma anche della
azione creativa esercitata atemporalmente da Dio all'inizio dei
secoli) -. Anzi, si potrà anche ammettere che questa tematica del te-
los che va oltre l'archè possa essere riconosciuta anche in qualche pas-
so di Origene (v. sopra). Ma tutto questo non abolisce che tipica te-
matica di Gregorio, e tipica eredità origeniana, sia il concetto che la
fine dovrà restaurare il principio: e che quindi questa 'vita materiale
e fluida di corpo', quale la definisce Gregorio (de homo op. 165 A), o
- comunque - la sessualità, o quanto meno l'esercizio di essa, come
sarà esclusa dall'uomo risorto, così è stata estranea, o avrebbe dovuto
essere estranea, al!' uomo prelapsario. Di qui il concetto di un Adamo
cui si sarebbe appropriata la verginità. Quanto poi in quest'ultimo
tema di Gregorio influisca la tradizione encratita (certo non dell' en-
cratismo assoluto condannante le nozze - V. oltre) e quanto invece
motivazioni platoniche, è tema per ulteriori ricerche (come anche, del
resto, la questione dei rapporti tra encratismo nelle sue varie accezio-
109

ni [v. oltre] e tradizione platonica stessi). Quello che conta è affer-
mare che il tema telos / archè ha in Gregorio ampio effetto.
E finalmente una parola sulla corporeità. Si deve riconoscere che
nelle osservazioni di Daniélou e di Corsirii riguardo a una corporeità
non condannata, anzi. valorizzata in Gregorio c'è un dato pienamen-
te autentico (non per nulla Gregorio è un campione dell' ortodossia,
che non può certo rinunziare, come fa il docetismo, alla carne di Cri-
sto, e quindi alla resurrezione e alla corporeità umana (comunque
questi dati vengano teorizzati, in Gregorio o altrove); ma resta che
la 'vita di corpo' di cui parla il Nisseno per escluderla dall'uomo ri-
sorto ma anche dall'uomo primordiale (riguardo al quale ultimo la
tradizione ortodossa non condivide affatto necessariamente le posi-
zioni dei Cappadoci), se non significa certo condanna del corpo, si-
gnifica pur sempre esclusione, per l'uomo risorto ma anche per l'uomo
prelapsario, di tutto il carattere fisiologico della vita umana terrestre
(nascere, crescere, generare, allattare, nutrizione, escrezione, invec-
chiamento, morte: v. il noto passo 148 C-149 B; Daniélou, op. cit.,
p. 363). Che tutto questo sia escluso dall'uomo risorto è concetto
comune del giudaismo e del cristianesimo, a cominciare dai noti logia
Matt. 22,30, Lc. 20, 34-36, Marco 12,25 sull'isangelia dei risorti (e
il testo di Luca pone forse una questione a sé, in quanto ampliato ri-
spetto agli altri due); ma che tutto questo fosse escluso per l'uomo
prelapsario, è invece tipico tratto origeniano, quindi platonico e, in
qualche senso, encratita, sia dell' encratismo assoluto, che non è di
Origene nè dei Cappadoci, sia dell' encratismo moderato, che potrem-
mo definire (nella misura in cui ciò non costituisca un argomento cir-
colare) proprio come la teoria dell'Adamo prelapsario uguale all'Ada-
mo risorto.
La posizione estrema per affermare questa uguaglianza fu forse
quella degli gnostici (l'Anthropos pneumatico), ben lontana, s'inten-
de, da Gregorio; ma ci si può chiedere quanto anche l'idea di un
Adamo prelapsario così estraneo alla 'vita di corpo' sia coerente con
la lettera e con la comune tradizione della Bibbia (come p. es. vista
in Ireneo). E ciò sia detto senza dimenticare che la tematica paradi-
110
siaca del tardo giudaismo e del cristianesimo dei primi secoli è da
studiare pur in qu~sta prospettiva, con tutta attenzione ai dettagli 16.
U n punto fermo, si potrebbe dire: un minimo storicamente indi-
scutibile, rimane per tutta l'ortodossia e storicamente la caratterizza:
l'umanità non apparente, e quindi la corporeità di Cristo, della sua
incarnazione, passione, morte e risurrezione. Qui si giocò, da parte
della Grande Chiesa, la gara contro la riduzione platonica del cristia-
nesimo. E qui la 'scelta di campo' dei Cappadoci è ben chiara. Ma
questo non significa che al di là di questo minimo e dei suoi corolla-
rii antropologici più evidenti non si pongano problemi; e l'antropo-
gonia di Gregorio, pur' con tutte le sue valenze cristiane (riduzione
dell'origenismo, teologia della storia, tematiche ascetiche e mistiche
non riducibili al postulato telos - archè etc.) è appunto uno di questi.
l Si vedano - per questo e per altri punti toccati in questo capitolo - le con-
siderazioni introduttive, sopra, pp, l ss.
2 V. sopra, p.' l ss. e, in questo stesso volume, l'articolo dedicato a Filone.
3 Y sopra, p. 1 ss. e l'articolo dedicato a Origene in questo volume.
4 CosÌ argomenta Gregorio: ((Quando la Scrittura dice: 'Dio creò l'uomo',
con l'indeterminatezza di questa formula essa designa tutta l'umanità. Infatti, in
questa creazione Adamo non è nominato, come invece avviene nel seguito ... dun-
que, con la designazione universale della natura, siamo condotti a supporre qualco-
sa di simile: a causa della prescienza e della potenza divina (una formula che tor-
nerà anche più oltre, in Gregorio), è tutta l'umanità che è compresa in questa pri-
ma istituzione». (de homo op. 185 B). Non si tratta quindi, osservano giustamente
il Von Balthasar (Présence et pensée, Paris 1942, p. XVII) e il Daniélou (SC 6, ad
locum) del 'tipo ideale' ma della 'totalità concreta dell'umanità' (Daniélou), l' 'uni-
versale concreto' della medesima, come si esprime il Von Balthasar, p. 22, quel
corpo (cfr. de homo op. 185 C) che la storia guidata dalla Provvidenza condurrà
poi alla piena sua statura.
5 Indicazioni importanti sul tema del tempo in Origene e Gregorio, del telos
come equivalente o no all'archè, del progresso continuo, dei rapporti con Ireneo,
sono, oltre Daniélou, L'etre et le temps chez Grégoire de Nysse, Parigi 1970 (cfr. p.
VII, p. 26 etc.), quelle di Balas, in Crouzel-Lomiento-Rius Camps, Origeniana,
Bari 1975, p. 274, di Lebeau, in Epek.tasis (Mélanges Daniélou), p. 125, di Van
111
Eijk (il tempo e il matrimonio in Gregorio), ib., p. 233, di B. Otis, in Studia Pa-
tristo XIV p. 330 (relativizza le differenze tra Ireneo e Origene), di L Escribano-
Alberca, ib. XI, p. 42 sS., di E. Ferguson, ib. XIV, pp. 307 e 314, di E. Corsini,
in Epektasis (Mélanges Daniélou) p. 456. H.J. Vogt, Vas &rchenverstandnis ~es
Origenes , 1974, nega l'esistenza dell'idea dell' eterno ritorno in Origene e pone in
rilievo che, per Origene, la fine è superiore al principi9 (cit. da G. M. de Durand,
nel Bulletin de Patrologie in «Rev. des sciences philos. et théol.n 60 (1976), p.
5 19 sS. Tutto sommato, è però da prendere cum grano salis quella certa visuale ot-
timistica che emerge dall'interpretazione della teologia della storia in Gregorio
data dal Daniélou in L' etre et le temps (specialmente a p. 184, ove la frase «Les tu-
niques de peau ne sont pas l'expression d'une humanité déchue, mais d'une huma-
nité commençante» è evidentemente esagerata e errata). (V. del resto le parole più
equilibrate del Daniélou stesso al convegno gregoriano di Chevetogne: «Le pro-
blème qui reste le plus difficile est celui de la condition biologique de l'homme, des
'tuniques de peau'. Il semble qu'il y ait une opposition entre l'affirmation que
l'homme est placé dans le monde pur y rendre la connaissance de Dieu présente, et
celle qui y voit un état contraire à la nature de l'homme, mais permis par Dieu
comme remède au péché. Il semble qu'ici Grégoire n'ait pas choisi entre~ le tradi-
tion d'Irénée et celle de Philon et d'Origènen [apud M. Harl (Ed.), Ecriture et
culture philosophique, Leiden 1971, p. 13]). Analoga riserva va fatta per quanto
concerne il V. Balthasar (Présence et pensée, pp. XVIII e 22-24), che, dopo aver
parlato di 'ricettacolo' e di un rapporto con il movimento, che è benefico e pro-
gressivo pur essendo fondato sul carattere della creatura come diversa radicalmente
da Dio, aggiunge: «Toute la beauté du monde ... , cette harmonie qui ressort du
rythme du d'evenir, est fondée sur ce qui eri lui est proprement opposé au divinn
(p. 13), al punto che la mutabilità delle creature ragionevoli è ala verso il divino
(p. 17, un'immagine opposta a quella platonica). Il fatto è che la caduta come
'colpa antecedente' resta come elemento ineliminabile della visuale gregoriana del
cosmo e della storia. Anzi, mi chiedo se la diastasis nissena come 'spaziatura'
(espacement) e quindi mediazione tra archè e telos (cfr. Balthasar p. 24) non sia
una maniera per 'pagare' l'eliminazione dei mediatori tra Creatore e creatura, che è
caratteristica di Gregorio, richiesta dalle esigenze dell'opposizione all'arianesimo.
Sintomo di questo limite profondo dell'ottimismo del Nisseno sono quelle stesse
osservazioni che il V. Balthasar aggiunge: cioè che si dà «une certaine dualité dans
la fondation de notre nature» (de op. 16), corrispondente ai due racconti del Ge-
nesi (p. 25); che risulta una certa oscurante ambivalenza, se il peccato sia dell' 'u-
m~p.ità' (questo universale concreto) o del primo uomo Adamo (p. 29); e ag-
giungiamo che c'è un paradosso (cioè un circolo) nel peccato di sensualità di un es-
sere come Adamo ancora integro (per quanto già sessuato).
6 Il fatto che la 'medietà' dell'uomo concerna l'alternativa 'virtù/vizio' ma
an.~he quella 'intelligibile / sensibile', e ciò sia in Filone de op. mundi 74 s. combi-
112
nato con de fuga 69 [e conf. ling. 174 S. e 181 s.], sia in Gregorio di Nissa (cfr.
Da-niélou, in Kyriakon [Studi Quasten] p. 338) è pure sintomatico del carattere
platonico (sia pure combinato, per il primo aspetto, con 'le idee giudeo-cristiane
sulle due vie e i due spiriti) delle loro argomentazioni (anche se in L' etre et le temps
il Daniélou, p. 116, sostiene che methorios, ('liminare': V. in questo volume il capi-
tolo di A.M. Mazzanti) si riferisce più al libero arbitrio che all' alternativa 'sensibi-
lità/ intelletto'. Oltre la discussione di Corsini, in Epektasis (Mélanges Daniélou),
p. 456, si veda per questo problema e per quanto concerne la distinzione tra vizio
e sensibilità nonchè le 'tuniche di pelle' (che per Gregorio non sono il corpo ma la
mortalità della natura irrazionale, animale) J. Daniélou, L'itre et le temps pp. 26,
31 s., 156, 163-166, 174 S. e 184 [con la riserva da noi fatta sopra, n. 5; e V.
anche infra, n. 9: il Dani610u separa nettamente la sensibilità e le 'tuniche']. E op-
! portunamente il Daniélou ricorda ap.· Dorrie (Ed.), Gregor von Nyssa und die phi-
I losophie (Atti del Convegno di Miinster), pp. 10-12, la dichiarazione di Grego-
rio,secondo cui è empio insegnare che nessun essere venga a nascere senza che sia
il vizio a dare il segnale del suo inizio alla natura di ciascuno (diversa è la posizio-
ne di Origene: cfr. sul tema Crouzel, nel voI. in collaborazione Théologie de la vie
monastique, Parigi 1,961, p. 15 ss.). Certo, la ripartizione degli esseri in Gregorio
di Nissa è fondamentalmente tra l'increato e le creature, cui si subordina quella
platonica tra l'intelligibile e il sensibile (dove l'intellegibile, i logikoi, si dividono a
loro volta in corporei e incorporati): cfr. Daniélou, Studia Patrist. XI, p. 134 s.;
L'etre et le temps, pp. VIII, 6, 75 ss.; Von Balthasar, Présence et pensée, p. 1. Ma a
.p. XIX il Von BaJ.thasar osserva anche che Dio, l'anima e gli angdi compongono
in Gregorio il kosmos noetos. E almeno in due passi, argomenta lo Stead (ap. Dor-
rie, op. cit., p. 108), la divisione sembra quella tra intelligibile e sensibile (cfr. a
questo proposito anche Daniélou, L'etre et le temps, p. 124; ibid. p. 75 ss. Da-
niélou osserva d'altronde che il termine hyperkosmia indica in Gr. una delle due
parti della creazione, quella degli angeli, ma mai la natura divina, mentre in Orige-
ne indica al contrario il mondo divino e non gli angeli). Stead deduce (p. 107)
che non si può parlare in Gregorio di ontologia, nè di coerente sistema ftlosofico,
il che pare esagerato. (Posizione opposta a quella di Stead in Otis, Vunbarton Oaks
Papers 12, cito in Studia Patrist. XIV, p. 327 ss.). Comunque anche la contrappo-
sizione intelligibile / sensibile si presta a interpretazioni su modulo biblico (cfr. M.
Alexandre, in Origeniana pp. 64 e 81). Resta però che questa contrapposizione
platonica comanda molto del pensiero antropologico e soteriologico del Nisseno.
, In Gregorio risulta, attraverso varii testi, una tensione nell'Adamo prela-
psario e nella sua struttura: Adamo è già sessuato ma vergine, o meglio non as-
soggettato alla corporeità pesante. Tenendo conto di quanto Gregorio dice dell'uo-
mo 'a immagine', si potrebbe vedere quella tensione risolversi nel senso che l'uomo
'a immagine' è la trascrizione e fondazione platonizzante del concetto di origine
encratita dplla incompatibilità tra attività sessuale e status paradisiaco e pre-
113
 fondamentali, nel de morto 529 le tuniche sono il corpo in condizione animale (Ale-
lapsario. Certo, per Gregorio l'uomo come universale e, insieme, come 'a immagi- xandre, -5tudia Patrist. X, p. 41, con cit.), mentre in 5Ol C-D si teorizza 1'elimina-
ne', non è mai esistito separatamente dalla 'aggiunta' fattagli da Dio a séguito zione dei perittd alla risurrezione, con una dialettica tra bene e male, questa Vita e
della previsione del peccato (come abbiamo osservato, le 'aggiunte' sono più un l'altra (Alexandre, p.' 38), che, se per un verso è platonica, per un altro è paoli-
poi metafisico che non cronologico); ma Adamo integro è esistito. C'è dunque un na (come paolìna, sec. la stessa A., p. 42, più che origeniana, è l'insistenza in 529
aspetto ontologico e uno cronologico nella vicenda di Adamo, secondo Gregorio. sul 'cambiamento'). Sul tema del platonismo del Nisseno nel de anima et resurr. V.
8 V. la nota precedente. l'omonimo, equilibrato articolo di M. Pellegrino in «Rivista di filosofia neoscola-
9 Come si è vistò, l'esercizio della sessualità, la procreazione per via animale, stica~), 1938, p. 437 ss.
saranno la conseguenza, non la causa della caduta di Adamo, per quanto conse- IO Dalla trad. Se.
guenza già prefigurata dall'attribuzione della sessualità già ab initio (v. la n. 7), a Il V. sopra, n. 5.
séguito della provvidente prescienza di Dio. Così la procreazione sessuale assi~u­ 12 De princ. II, 9, 2.
rerà all'uomo il modo di attraversare il tempo della storia e, insieme, sarà il segno 13 Questo passo è citato anche da Origene: v. Crouzel, Origène et la philoso-
più evidente della provvisoria composizione in lui dell' 'immagine' divina e della phie, p. 64.
natura animale (cosicchè la corporeità che resta finalmente all'uomo - alla quale 14 V. la nota 6.
Gregorio non può ovviamente rinunciare - è quella coerente e compossibile con 15 Shik.and-gumJnfk.lvijtfr, Friburgo (Sv.) 1945, p. 84 s.
l' 'immagine' e non quella 'pesante' cioè animale). Se c'è un'aporia, in tutto questo 16 Cfr. in proposito il mio contributo al volume L'uomo nella Bibbia e nelle
(c'è, se l' 'immagine' - contrariamente a quanto pareva avere affermato perfino il culture contemporanee, Brescia 1975, pp. 209-223 (Adamo e la storia della salvez-
platonico Filone, de op. mundi 76 [v. però, contra, ibid. 12 s. 69. 13 4] - è in- za: Paolo e i 'libri di A.damo'), ripubbl. in U. Bianchi, Prometeo, Orfeo, Adamo,
compossibile con l'essere maschio o femmina), essa dipende dalla stridente fusione, cit., pp. 242-258. E si v., in quést'ultimo volume, pp. 265 sS.
in Gregorio, della tematica platonica dell'asomatos e di quella paolina del 'corpo Sui concetti di encratismo sopra menzionati V. il nostro contributo al conve-
spirituale', del corpo di risurrezione (e ciò sia detto pur senza dimenticare che aso- gno patristico dell'AugllStinianum, Roma 1978 (in stampa in 'Augustinianum').
matos, nei platonici, non significa necessariamente immateriale in ogni senso). (E
ciò a prescindere dalla osservazione del Daniélou, L' étre et le temps, p. 163,
cfr. p. 26, secondo cui, in Gregorio, «la sensibilità non fa parte delle tuniche»,
una solo il pathos; v. anche sopra, n. 5). Riguardo poi alla positività della procrea-
zione in Gregorio (essa, oltre a permettere di raggiungere nell' attuale economia la
totalità del genere umano, ha nei Cappadoci anche un carattere compensatorio per
la perdità dell'immortalità prelapsaria; cfr. Greg. N. de virg. XII, 4, 13-23), si
deve notare che in questi autori anche la morte può"3.vere un aspetto provvidenzia-
le, perthè con essa si disfa il corpo contaminato e si rende possibile, per così dire,
un 'rimpasto' restauratore dell'uomo (cfr. ap. Daniélou, L'étre et le temps, pp. 164,
175 e 184). La morte diviene, così, morte a se stessa (questo, di per sè, può essere
un tema tardo-giudaico [con la finale risurrezione finisce il regime punitivo / espia-
torio della morte, cfr. i 'libri di Adamo' apocrifi] e paolino [la risurrezione di Cri-
sto ha tolto fin da ora il suo pungiglione alla morte]; ma in Gregorio la cosa resta
coinvolta in tematiche dualistiche, a séguito di quanto osservato nella prima parte
di questa nota). Del resto, anche per altri aspetti la tematica di Gregorio sulla cor-
pèreità è oscillante. Egli in de ano et res./148 s. parla dellalpevoT11 !pVOtç TWV
OWu.aTwv, in adv. Maced. (PG. 45, 1320) parla dell'uomo completo con i 071I'€ia
T71 ç !pvo € wç ,con tutte le sue tipiche attribuzioni (fino a quelle della risibilità e della
forma piatta, dunque non ferina, delle unghie). E come in quello stesso celebre
passo del de ano et reso collega alle aggiunte tuniche di pelle i fenomeni fisiologici

114
115
 MARIA VIITORIA CERurn
LA DOPPIA CREAZIONE
NELL'ANTROPOGONIA MANDEA

,
., o'··
..
t
.
,

.ì
 Il presente studio si propone di delineare il processo di creazione
dell'uomo quale è presentato nei testi dottrinali dei mandei, e di mo-
strare come in tale processo creativo, che si presenta molto comples-
so, intervengano dati che configurano una antropogonia dualistica, la
quale non contempla nell'uomo una semplice contrapposizione
anima-corpo, bensì una complessità di struttura e inassimibilità dei
vari elementi costitutivi e precisamente di soma, psycbé, pneuma (in
termini mandei ustuna, nisimta, ruba).

Antropologia in un testo exoterico

D n complesso mito cosmogonico e antropogonico contenuto nel

. GinZfi narra come il demiurgo Ptahil, incaricato da una entità divina,
Abatur, di creare il mondo, scenda nel luogo ove non vi è nessun
mondo, entri nello sterco e nell'acqua torbida, e, mentre alloro con-
tatto il suo splendore si attenua, si accinga a creare la terra, ma non
vi riesca. Accortasi di ciò Ruha, sovrana infernale, gioisce ed invita il
figlio Dr ad unirsi con lei, per poter diventare padrone del mondo e
poter generare esseri che a loro volta domineranno il mondo. Vengo-
no così concepiti i Cinque (i Pianeti) e i Dodici (i Segni dello Zodia-
co), esseri spregevoli da cui deriva il difetto del mondo. Ruha li vede
e piange, perché sperava di procreare esseri simili agli esseri della
luce (cioè agli esseri del mondo divino) e avere in qualche modo par-
te alla casa della luce. Ptahil riesce a formare la terra dopo avere in-
dossato un abito di fuoco vivo. I Pianeti si dichiarano suoi servitori
e disposti ad aiutarlo. Egli accetta i loro servigio Ben presto però la
sua casa (il mondo) gli viene tolta e i 'caduchi' regnano su di essa.
Ptahil decide allora di tornare da suo padre l

119
 Interrompiamo la narrazione, prima che si giunga al momento
dell'antropogonia, per fare due osservazioni. La prima è che il parti-
colare dell'attenuarsi dello splendore di Ptahil è assai interessante
perché anticipa, in qualche modo, e prepara la catastrofe successiva.
La seconda è che come in questo testo cosmogonico mandeo i Piane-
ti e i Segni dello Zodiaco nascono dall'unione incestuosa di Ruha
con Dr, così in una mitologia mazdaica minore il Sole, la Luna e le
Stelle sorto generati dalle nozze di Ormazd, l'essere supremo, con sua
madre. È un incesto primordiale ad aver dato origine ad esseri cele-
sti 2.
Ptahil viene di nuovo con l'intento di creare Adamo e comunica
tale progetto ai Pianeti, i quali decidono di creare da loro Adamo ed
Eva. Ptahil non vuole accettare la loro collaborazione, ma ecco che
nel frattempo Adamo viene da quelli creato. Adamo non ha però l'a-
nima ed essi non riescono a farlo stare in piedi finché il padre degli
uthras (la divinità suprema) non immette in lui 1'anima 3.
Un' altra versione contenuta nel Ginza fornisce ulteriori partico-
lari sulla formazione di Adamo.
Ptahil getta in Adamo una specie di spirito di se stesso e i Pia-
neti gettano ciascuno qualcosa del proprio 'mistero'. Però Ptahil e i
Pianeti non sono in grado di fare stare ritti Adamo ed E va. Ptahil
va a prendere un mana (anima) alla Casa di Vita e lo getta in Ada-
mo dicendo: (( Vivi, Adamo» 4.
È possibile a questo punto sviluppare le seguenti osservazioni.
Innanzitutto appare affatto fondamentale il particolare del mana im-
messo dalla divinità suprema al fine di vivificare il corpo inerte di
Adamo. Siamo in qualche modo in presenza di quella componente
vitalistica dello gnosticismo per la quale il mondo inferiore, pur nella
sua negatività e provvisorietà, deve ciò che ha di vita al mondo divi-
no. Componente che risalta, a mio giudizio, oltre che in questi mo-
menti antropogonici, anche nei momenti escatologici, allorché i testi
paragonano l'uscita dell'anima dal corpo allo spegnersi delle lampade
in una casa e allo sprofondare della casa nel buio e nel silenzio 5.
N el contesto in cui vediamo agire il padre degli uthras il fatto
cl.ella presenza di un' anima in un corpo appare essere a prima vista
120
lontano da ogni accento di deprecazione. Presenza dunque, o anche
immissione, ma non discesa o decadimento o imprigionamento. 'pre-
senza' all'interno della quale il corpo pare assumere un ruolo passivo,
di elemento che ha bisogno di essere vivificato; elemento, a voler
ben vedere, in sè neutro, lontano da connotazioni positive o negati-
ve, o tutt'al più in qualche modo annunciante il ruolo di 'ricettacolo'
o 'custodia'. di cui qui pare esserci come un'eco lontana. Ma se tutto
ciò è vero, è vero anche il fatto che la vicenda che stiamo conside-
rando appare pur sempre deprecabile nelle sue premesse: si tratta in-
fatti sì di una iniziativa divina, ma di una iniziativa resa necessaria
da malaugurate premesse, cioè da difettose e anche un poco oscure
azioni dei Pianeti e di Ptahil. E ancora: altra cosa è che sia la supre-
ma divinità a vivificare Adamo immettendo in lui l'anima, come nel-
la prima versione, altro è invece che sia il demiurgo medesimo a far-
lo dopo parziali fallimenti nella sua creazione, come nella seconda
versione. Sempre da questa seconda versione apprendiamo che Pta-
hil, dopo aver formato l'uomo, getta in lui 'una specie di spirito di se
stesso'. I pianeti pure, ora sembra con l'incauto permesso di Ptahil,
ora invece quasi approfittando di una sua distrazione, gettano in
~damo qualcosa del proprio 'mistero'. Ci piace riportare quanto uno
studioso osserva a questo proposito: «Ciò vuoI dire che ciascun Set-
timano (Pianeta) dotò Adamo di un poco della propria natura mali-
gna, del proprio carattere e modo di agire. Adamo ha dunque in sè
qualcosa o parecchio di demoniaco» 6.
Da parte nostra vorremmo inveçe soffermarci sull'analogo gesto
di Ptahil. Come qualificare quel quid che il demiurgo getta nell'uo-
mo? Non vi vedremo qualcosa di totalmente negativo, ma piuttosto
un certo spirito di imperfezione, di mancanza o di difetto: un qualco-
sa di analogo a ciò che il mandeo sente nel cosmo che lo circonda. E
questo sentimento trova più volte espressione nelle preghiere rituali,
allorché l'anima si lamenta perché costretta a vivere in un mondo ca-
ratterizzato dalla imperfezione, in una 'casa futile' ove imperversano
ogni giorno i Pianeti 7. Quel quid sembra un sigillo che nella creazio-
ne resta dell' artefice suo, quasi a conferma della signoria di quest'ul-
timo. Ricordiamo a questo proposito che nei testi mandei Ptahil e i
121
Pianeti vengono nominati 'signori' o 'reggitori' del cosmo 8 o della
,casa', per usare un termine squisitamente mandeo che indica il co-
smo visibile.
Cenni comparativi
Il salire a prendere qualcosa nel 'mondo superiore', immediata
conseguenza della limitazione delle possibilità creatrici del demiurgo,
è una immagine presente in vari contesti storico-religiosi, che siamo
lungi dal voler acco~tare fra di loro in modo troppo immediato, ma
che tuttavia rivelano, sotto questo aspetto dell' andare a prendere
qualcosa alla 'casa della Vita' una qualche consonanza. Così Paliyan,
il demiurgo che compare in miti dell'Australia del S.E., si rivolge al-
l'essere supremo per ottenere la vivificazione di alcuni esseri da lui
tratti dalle acque 9. Così il Coyote degli indiani Wappo deve recarsi
presso la Luna al fine di ottenere da lei uno 'stimolo' che muova gli
uomini da lui creati lO. E ancora il demiurgo bogomilico, dopo aver
modellato l'uomo e aver tentato invano di insufflare la vita nel nuo-
vo essere, si vede nella necessità di ricorrere a Dio per ottenere la vi-
vificazione della creatura Il. Al Corvo presente in vari miti di crea-
zione ciukci viene espressamente attribuita una attività demiurgica, la
quale ad un certo punto viene guastata da incidenti provocati dalla
inettitudine del corvo stesso 12. Alcuni miti dei Kato e dei Tatari co-
noscono l'episodio del demiurgo, avversario dell' essere supremo, che,
operando per proprio conto, non riesce a dar vita all'uomo: N agai-
co, nella mitologia kato, afferma di essere capace di modellare l'uo-
mo, ma non di far entrare in esso la vita 13; Ulgen, in un mito tata-
ro, si reca a prendere l'anima per l'uomo da Kudai, l'essere supre-
mo 14.
L'insufficiente capacità di vivificazione dell'uomo da parte del
ciemiurgo Ptahil, se da un lato trova ampi riferimenti in ambito etno-
logico ad insufficienze anologhe da parte di demiurghi (che in recenti
studi sono stati assimilati alla tipologia del demiurgo-trickster), dal-
l'altro lato se ne differenzia per non essere Ptahil assimilabile in toto
122
ad un demiurgo-trickster; infatti Ptahil conserva tratti che lo rendono
più vicino, per esempio, ad un Prometeo, così coinvolto col destino
dell'uomo pur rimanendo essenzialmente un dio, e un dio rimane pur
sempre Ptahil (e direi anche entità divine, seppure di una divinità in-
fera, rimangono i Pianeti). Va sottolineato ancora che Ptahil ha un
qualcosa in più rispetto a Prometeo; ha un quid che lo può rendere
più di Prometeo solidale con l'uomo, e questo quid è in riferimento
alla prospettiva gnostica di una parentela dell'uomo con il divino,
per quella scintilla divina che l'uomo ha in sé l j •
C'è da dire inoltre, per precisare ulteriormente la tipologia di
questo demiurgo, che se il momento antropogonico lo vede impor-
tante protagonista, anche il momento escatologico lo vede tale. In-
fatti Ptahil, oltre ad essere colui che immette la scintilla divina nel-
l'uomo (il che significa anche porre l'anima in un mondo inferiore; in
alcune versioni egli non opera direttamente in questo senso, ma al-
meno pone delle premesse che hanno come conseguenza inevitabile la
discesa dell'anima in un corpo) 16, è anche colui che istituisce e defi-
nisce il cammino che l'anima dovrà percorrere per la risalita nel
mondo della luce, cammino che egli rende difficoltoso e arduo, cam-
mino infine che lo vede tuttora come 'gestore' accanto ai suoi figli e
ai Pianeti 17. Questo dato permette di avvicinare Ptahil ad un essere
che ha una funzione particolare all'interno di un' altra speculazione
gnostica. Si tratta del Logos Serpente ofitico, con tipiche funzioni di
demiurgo, dal carattere tipicamente .. ~mbivalente: 'come demiurgo
imprime le forme divine nella materia; in quanto salvatore le reinte-
gra la cielo' 18.
Verifica dell'ipotesi di lavoro: alcune dualità.
Le narrazioni relative alla creazione dell' uomo precedentemente
presentate, e altre contenute nei testi mandei e che suonano in modo
simile a quelle citate, integrano un chiaro esempio di antropogonia
dualistica, di antropogonia, cioè, che vede alle origini dell'uomo due
principii creativi, o comunque produttivi di esistenza. Tale antropo-
123
 gonia si presenta quanto mai complessa: essa infatti fa sì costante ri-
ferimento a una' dualità di principii, Ptahil da una parte e i Pianeti
dall' altra.
Ma varie possibilità complicano questa dualità di riferimenti di
base. Innanzitutto si inserisce il rapporto mosso e vario che lega Pta-
hil ai Pianeti, per cui talora è il demiurgo a permettere incautamente
l'intervento dei Pianeti nel momento antropogonico, talora invece
essi intervengono senza il suo consenso, oppure lo precedono.
In secondo luogo l'insufficienza creativa, dei Pianeti e di Ptahil,
introduce un' altra dualità, la quale si rivela nella necessità della im-
missione nel corpo inert~ di un' anima vivificante. I due poli di que-
sta dualità sono: da, un lato l'iniziativa del mondo superiore (mi rife-
risco al testo ove si parla dell'invio dell' anima come deciso dal padre
degli uthras) 19, dall'altro l'iniziativa del mondo inferiore (mi riferi-
sco al testo dove si parla della salita del demiurgo alla casa della
Vita per prende;vi un'anima) 20: Si potrebbe a questo punto dire che
l'antropogonia mandea conosce una prima dualità di riferimenti, ed è
quella di Ptahil e dei Pianeti, dualità nella quale i due poli si situano
come allo stessp livello (nonostante il carattere di divinità celeste nel
caso di Ptahil, infera nel caso dei Pianeti) e agiscono nella medesima
direzione (creazione di un essere umano e immissione in lui di un mi-
sterioro quid tratto dalla propria natura). Se si potesse rappresentare
graficamente questi due poli della prima dualità, mi pare si potrebbe-
ro raffigurare come due segmenti orientati nel medesimo senso.
Ma, come si è detto, la stessa antropogonia mandea conosce una
seconda dualità di riferimenti: l'invio dell' anima dall' alto, la richiesta
dell' anima dal basso. Si tratta di due riferimenti, o meglio sarebbe
definirli due momenti, uno dall'alto e uno dal basso, tra loro connes-
si, perché siamo in un contesto dualistico, anzi gnostico. Il primo
movimento ci riporta alla gnosi di tipo iranico (all'interno della qua-
le si può reperire un esempio di iniziativa dall' alto nella vicenda del-
l'uomo primordiale manicheo), mentre il secondo ci riporta alla gnosi
di tipo siro-egizio (all'interno' della quale si può reperire un esempio
di iniziativa dal basso nell'Ipostasi degli Arconti). Ecco che i due ti-
p.~, quello iranico e quello siro-egizio, si combinano nel mandeismo
124
con diverse accentuazioni, all'interno delle. quali ci pare di scorgere, a
causa dell'insistenza di testi, che non possiamo qui riferire per esteso,
sull' attività del demiurgo Ptahil e quindi sull'iniziativa dal basso 21,
il prevalere del modello siro-egizio. Se volessimo rappresentare grafi-
camente anche questi due poli della seconda dualità, li potremmo
forse rappresentare come due segmenti che partono da due piani di-
versi (non dimentichiamo che il demiurgo si situa ad un livello infe-
riore nella gerarchia del pantheon mandeo, rispetto all' essere supre-
mo) e che sono rientati l'uno in senso discendente (iniziativa dall'alto
e invio dell'anima divina), l'altro in senso ascendente (iniziativa dal
basso e richiesta dell' anima divina).
Se consideriamo poi non solo i testi a carattere dottrinale, quale
è il Ginza (da cui erano tratti i brani relativi all' antropogonia rias-
I sunti nel paragrafo iniziale), ma anche i testi a carattere liturgico
(quale è il Qolasta, raccolta di inni e preghiere) e i testi a carattere
esoterico (cioè i testi cui possono avvicinarsi solo gli iniziati alla dot-
trina segreta, la Nasiruta), vediamo come a proposito dell'invio del-
l'anima dall' alto, cioè a proposito di quel primo polo della dualità
«invio dall'alto - richiesta dal basso», si possa parlare di una ulterio-
re dualità: ci accorgiamo cioè come il quadro cosmogonico si faccia
sempre più complesso. Vediamo più da vicino questa ultima dualità.
Ci pare che essa non si situi più a livello di personaggi attivi ai pri-
mordi, come avveniva per la prima dualità che avevamo notato,
quella che vedeva contrapposti Ptahil e i Pianeti; e neppure si situi a
un livello che vorremmo definire 'dinamico', come avveniva per la
seconda dualità notata, quella che contrapponeva l'invio dall' alto alla
richiesta dal basso; ci pare invece che si situi a un livello che vorrem-
mo definire 'eziologico', cioè viene introdotta a spiegare le cause del-
l'invio dell' anima dall' alto.
E a questo proposito i testi parlano di due motivazioni. La pri-
ma motivazione è maggiormente (ma non esclusivamente) presente in
testi exoterici: l'invio dell'anima dall'alto è visto come un deprecabi-
le e deprecato allontanamento, avvenuto come conseguenza o, direi
meglio, reso necessario dagli imperfetti tentativi di creazione del de-
miurgo e dei Pianeti. La seconda motivazione è maggiormente (ma
125
non esclusivamente) presente in testi esoterici: l;invio dell' anima dal-
l'alto è visto come una missione, un incarico affidato all' anima dalla
divinità suprema stessa. Dunque è un invio non reso necessario dal
basso, ma voluto dall' alto 22.
Questa dualità, invio necessitato / invio voluto, proiettata al mo-
mento escatologico, fa sì che l'escatologia individuale, cioè la reinte-
grazione dell' anima all' alto, si qualifichi in due modi: nel primo caso,
cioè nel caso dell'invio reso necessario da difettose azioni dei Pianeti
e di Ptahil, la reintegrazione dell' anima è vista come il risolversi di
un evento dolorosq, il ristabilirsi di quella situazione che precedeva il
malaugurato incidente (la difettosa creazione dell'uomo). Grafica-
mente questa soluzione potrebbe essere rappresentata dal richiudersi
di un cerchio. Nel secondo caso, cioè nel caso dell'invio voluto dal-
l'alto, la reintegrazione dell' anima è vista come il compiersi felice di
una missione affidata all'anima, come l'acquisizione di un novum che
arricchisce o addirittura completa l'anima. Graficamente questo
modo di vedt:re la reintegrazione dell'anima potrebbe essere rappre-
sentato non più come il richiudersi di un cerchio, bensì come un se-
gmento orientato. Si noti come le conseguenze (modi di reintegrazio-
ne dell'anima) coincidano con le premesse (modi di allontanamento
dell'anima dal regno della luce). Resta da dire che il primo modo di
vedere la reintegrazione dell'anima è maggiormente presente (anche
se non esclusivamente) in ambito exoterico; il secondo invece è mag-
giormente presente (anche se non esclusivamente) in ambito esoteri-
co.
Verifica dell'ipotesi di lavoro: dualismo antropogonico.
Al di là delle espressioni di dualità che si sono via via intraviste
nella tematica mandea relativa alla creazione dell'uomo, vale ora la
pena ritornare al punto fondamentale di tutto il discorso antropogo-
nico: e il punto fondamentale è quello della presenza nella tematica
mandea relativa alla creazione dell'uomo di un ineliminabile duali-
SJllO, un dualismo antropogonico appunto, nel senso di una duplicità
126
cooperante di artefici dell'uomo: Ptahil e i Pianeti. Tale duplicità
ben presto si articola ulteriormente e / o diversamente, allorché la di-
fettosa creazione di Ptahil e dei Pianeti rende necessario l'intervento
dell' essere supremo, che si inserisce come terzo punto di riferimento,
con l'immissione dell'anima nell'inerte corpo umano, in quel comples-
so quadro antropogonico che si è cercato di delineare.
Conseguenze del dualismo antropogonico.
A causa di questa molteplicità di riferimenti presenti nel quadro
antropogonico, sembra che la figura dell'uomo, del primo uomo, o
meglio della prima coppia umana, ne esca come frantumata: essa in-
I fatti vede, e in momenti successivi, la plasmazione del soma, o, per
usare il termine mandeo, dell'ustuna, poi l'immissione di quel miste-
rioso quid di malvagità, o, per usare il termine mandeo, del raza, e
infine l'immissione della scintilla divina vivificante, dell' anima, in
mandeo mana o niJimta. Fra questi elementi non vi è quella contrap-
posizione che può conoscere invece la prospettiva biblica fra anima e
corpo, non tanto perché gli elementi costitutivi l'uomo non sono solo
due, appunto 1'anima e il corpo, - e infatti abbiamo già visto ag-
giungersi il raza e vedremo anche aggiungersi un altro elemento, lo
spirito, in mandeo ruha - quanto perché tali elementi non rimanda-
no ad un unico fattore, quale può essere il creatore biblico, ma a più
fattori, quali appunto, nelle narrazioni antropogoniche mandee, sono
Ptahil, i Pianeti e il padre degli uthras.
Ruha e niJimta.
Il momento antropogonico e m alcuni testi vieppiù complicato
dalla presenza di un' altra componente della natura umana: ruha.
Essa è lo spirito vitale presente nell'uomo, il principio della vitalità
fisica 23. Sulla sua formazione all'interno dell'uomo i testi non danno
spiegazioni esplicite. Pare che si formi nell'uomo al momento in cui
127
in lui entra l'anima 24. N otiamo subito nella terminogia mandea, che
contrappone, o talora meglio giustappone, anima (m"simta) a spirito
(ruha), uno spostamento di significato rispetto alla più generale ter-
minologia gnostica, nella quale l/;vxi7 è inferiore alla scintilla divina
incorruttibile. Nel mandeismo invece è l'anima la stessa scintilla divi-
na. A parte pochi e oscuri accenni sulla sua formazione, ruha non ha
una importanza rilevante nel momento antropogonico. L'ha invece
nel momento soteriologico, allorché i testi dicono che ruba esce dal
corpo insieme con l'anima al momento della morte, dall' anima si se-
para per poi ricongiungersi, e questa volta definitivamente, con essa,
essendo ormai ruba purificata e priva di quella negatività che la ca-
ratterizzava quando· era nel corpo 25. Questa presenza nel mandeismo
di una soteriologia relativa ad un elemento di natura inferiore quale
è ruha è molto interessante. Ed è altresì interessante notare che se la
soteriologia relativa all' anima presenta una duplice valenza, da un
lato restaurazione di uno status originario, dall'altro conseguimento
di un novum, anche la soteriologia relativa allo spirito presenta una
duplice valenza: è il ristabilimento di uno status originario quando si
considera che nel regno della luce si dà per ruba un ricongiungimen-
to con l'anima da cui era stata separata al momento della morte; è
invece l'acquisizione di una novità quando si consideri il suo ingresso
nel regno della luce dopo un cammino di purificazione 26.
Antropogonia in un testo esoterico.
L'antropogonia presente nei testi esoterici non conosce quel dua-
lismo che abbiamo visto caratterizzare l'antropogonia dei testi exote-
rici. Tuttavia essa utilizza, reinterpretandole in funzione di un diver-
so contesto, alcune immagini che rientrano nel quadro dualistico del-
la formazione di Adamo. Il testo esoterico che riferisce più compiuta-
m~nte su una tematica antropogonic~ è l'Alma Risaia Rba. In esso
si dice che il primo uomo Adamo venne alla luce uscendo da una
fonte, Aina, simbolizzante il principio cosmico femminile. Alzatosi
subito in piedi, incomincia un lungo viaggio che lo porta fino sulla
128
sommità di un' alta montagna. Qui prostratosi implora di poter vede-
re, se mai esista, colui da cui trae origine •quel fiume di acque viven-
ti, di bianche acque che scorre senza limite' che egli vede di fronte a
lui. Viene allora una voce dall' alto ed egli cade viso a terra, né è più
capace di rialzarsi finché non giunge a lui uno spirito di luce che gli
porge una lettera nella mano destra. La vicenda prosegue con l'invio
ad Adamo di un altro spirito di luce .che lo istruisce riguardo alla
N asiruta (il sapere segreto) 27.
N otiamo dunque come l'antropogonia delineata in questo testo
esoterico non conosca i presupposti dualistici dell' antropogonia pre-
sentata nel Gin'lil. Soprattutto non conosce i particolari dei difettosi
tentativi del demiurgo, del malaugurato intervento dei Pianeti, della
discesa dell'anima divina nel corpo da vivificare. L'antropogonia
I esoterica fa riferimento non a un dualismo nel senso di una duplicità~
cooperante alla formazione dell'uomo, ma a una dualità di natura ge-
nerativa, che ha come suo fulcro il riconoscimento nel cosmo di un
lato materno, chiamato Aina o Fonte, e di un lato paterno, chiama-
to Sindirka o Palma, di un principio generativo maschile e di uno
femminile, la cui giustapposizione sostituisce in questo e in altri testi
esoterici la contrapposizione presente nei testi exoterici fra luce e te-
nebre, spirito e materia, o meglio, secondo quanto notato prima, fra
spirito, anima e materia.
Costituirebbe. un interessante problema storico-religioso l'indaga-
re attraverso quali vie si sia giunti a questa dualità padre-madre, a
quale livello si situi rispetto a quella luce-tenebre e se eventualmente
sia possibile gettare un ponte fra le due. Nel quadro cosmogonico
esoterico si potrebbe infine sottolineare due aspetti: il primo riguarda
l'unitari età della figura del primo uomo. Adamo è frutto di un unico
principio generativo e non di più artefici, come accadeva invece nel-
l'antropogonia presentata dal Gin'lil. Tuttavia sulla sua formazione,
pure unitaria e non frammentata, getta pur sempre un' ombra di ne-
gatività il fatto che nasca dal principio femminile cui non è estranea;
nell'impostazione generale dei testi esoterici, una tinta negativa, che
non conosce invece il principio maschile 28. Il secondo aspetto ri-
guarda il fatto che la concezione cosmogonica di natura generativa,
129
cui sopra si è accennato, sembra allacciarsi direttamente alla situazio-
ne concreta della comunità mandea, comunità che ha problemi di
composizione con il mondo e li risolve in senso positivo, soprattutto
per quanto riguarda 1'accettazione delle pozze e della generazione, in
contrasto con quanto sarebbe 'tipico' di una spiritualità gnostica anti-
cosmlCa.
La dopPia creaZIone nella cosmogonia mandea.
Desideriamo ora ampliare la visuale dalla antropogonia alla co-
smogonia mandea é chiederci: la visione che il mandeo ha del cosmo
è una visione dualistica, implica cioè una ineliminabile dualità di rife-
rimenti cosmogonici, di principii creatori o comunque plasmatori di
ciò che esiste e si manifesta nel cosmo? La risposta è affermativa. La
visione cosmogonica mandea, quale è espressa in vari e complessi
miti del Gin~ nonché di altri testi dottrinali, ci sembra una visione
tipicamente, e aggiungerei drammaticamente, dualistica e tale da im-
plicare altresì, in alcune narrazioni, il concetto di doppia creazione,
cioè di un intervento, da parte di un demiurgo o di un secondo crea-
tore, intervento non previsto o non voluto da colui che si potrebbe
definire creatore di base, oppure di un secondo intervento creativo
da parte del creatore di base che si vede costretto, ed è inutile ricor-
dare che in questa necessità che lo lega batte il cuore di una visione
tipicamente dualistica, a modificare parzialmente o totalmente l'origi-
nario disegno creativo.
Ciò premesso, non scorgeremo allora tanto una frattura dualisti-
ca in quella contrapposizione tipica della cosmologia mandea fra un
mondo della luce, di sostanza luminosa 29, e un mondo delle tenebre,
dj,. acqua nera e materia più spessa 30, abitati entrambi da un sovrano
e da schiere di spiriti (o demoni, rispettivamente), mondi che in alcu-
ne narrazioni sono presentati come coeterni, 31 mentre in altre si teo-
rizza l' originarietà del primo e la derivazione da questo del mondo
t~nebroso 32.
130
I~co~in~e.remo invece a vedere una frattura dualistica in quelle
narraZIOni mltlche ove leggiamo che i due mondi diventano titolari
di una loro propria creazione, eventualmente voluta ed eseguita in
ape:to contrasto con la creazione che si compie, rispettivamente,
nell altro mondo. Ho presente a questo proposito la narrazione miti-
ca .secbndo la quale i Pianeti e i Segni dello Zodiaco sono stati gene-
r~t1. dalla sovrana del regno infernale, Ruha, dopo un incesto con il
flgho Ur, allo scopo di poter avere in loro dei validi aiutanti nella
lotta contro il regno della luce 33.
Una. fratt~ra dualistica, a mio giudizio più significativa e~ più
drammatIca, SI apre altresì nel mondo della luce in narrazioni mitiche
quali, quelle cui ora farò rapido accenno.
. E frequente negli scritti mandei il tema della discordia, della ri-
bellIOn~ (fra gli spiriti che abitano il regno della luce ed anche) fra le
succeSSIve emanazioni della Prima Vita (entità suprema del pantheon
mande~). ~l fatt~ ~he tali episodi, che vedono protagonisti le prime
emanaZIOni del divmo, terminino generalmente con una riconciliazio-
ne co~ l~ divinità .suprema, non vale certo a cancellare la gravità di
t~le sC1s~IO~e c~e SI ~pre nel divino. S,oprattutto quando tale scissione
SI ma.tenahzz~ m un opera creativa. E il caso di un passo del Ginuz
ove. SI parla dI come tre uthras, emanazioni della Seconda Vita, desi-
denno creare delle skinas, abitazioni nel mondo della luce, esclusiva-
mente per sé; intendano cioè dare vita ad una creazione privata, ad
un personale dommlO " 34 . CreaZIone
. privata che, in un altro testo
culmina nella creazione dell'uomo, cui viene data la vita dalle inferio~
ri emanazioni del divino perché, l'uomo, possa lodare solo esse e non
la divinità suprema, la Prima Vita 3'.
.Oltre a ~uesti esempi di testi che narrano di una ribellione pro-
duttIva sul plano cosmogonico, vorrei ricordare che esistono altre
narrazioni che contengono esempi di incidenti malaugurati i quali in-
t~:v:ngo~o ~ guasta~e o comunque a modificare un piano creativo
gla m VIa dI attuazIOne.
È il caso di una passo del Ginuz 36, ove si narra come Ptahil,
nel corso della sua opera creativa, o sarebbe forse più corretto dire
plasmatrice, si lasci ingannare dai Pianeti e dai Segni dello Zodiaco,
131
e come conseguenza di ciò gli venga tolta la sua 'casa' (il mondo
creato) e su di essa regnino i 'caduchi' (termine con cui si designano
talora i Pianeti e i Segni dello Zodiaco). Similmente si legge in un
altro testo: Ptahil, inviato dalla Seconda Vita a 'creare i mondi e
tutte le creature', vede la sua creazione ad un certo momento guasta-
ta dall'intervento dei Pianeti, che 'seminano la loro porzione' nella
creazione incominciata dal demiurgo, con il seguente risultato: la pri-
ma creazione, cioè la parte di cosmo creata prima dell'intervento dei
Pianeti, appartiene al regno della luce, la seconda invece appartiene
ai Pianeti 37. Ed infine, in un mito riferito da Teodoro bar Konai 38,
Abatur ordina a Ptahil di creare la terra e di formare gli uomini;
Ptahil nella sua creazione non· rispetta i disegni del padre; Abatur si
vede costretto a maledire Ptahil e il suo operato.
Volendo precisare l'impressione che si ricava dalla lettura delle
narrazioni cosmogoniche fin qui ricordate, bisogna dire che vi è va-
rietà di giudizi sull'operato degli esseri in relazione al.decorso del
processo creativo: si va da una condanna decisa del demiurgo che
guasta l'opera di per sè buona (perché voluta dalla divinità suprema)
della creazione, trasgredendo ordini ricevuti o ribellandosi. ad una
attenuazione delle sue responsabilità, fino al riconoscimento che il
male e il difetto avrebbe fatto la loro comparsa a creazione già ulti-
mata, ,quindi al di fuori del quadro cosmogonico vero e proprio 39.
Come vario è il modo di vedere l'operato di coloro che furono
protagonisti del quadro cosmogonico, così vario è il modo di vedere
il frutto del loro operato, vale a dire il cosmo quaJ.e risulta a creazio-
ne ultimata: si passa da una condanna recisa, che sa trovare accen-
ti 40 degni del più acceso anticosmismo, tipico di alcune speculazioni
gnostiche, ad una deprecazione, fortemente ambigua, dellà fugacità e
provvisorietà di ciò che è in questo mondo (dico ambigua perché nel
contempo condanna ciò che loda e loda ciò che condanna) 41, a testi
in cui si riscontra una visione decisamente pro-cosmica, che si avvale
'di immagini non prive di un certo afflato poetico.
È molto interessante seguire nei testi come l'ago della bilancia su
cui pesare la valutazione che il mandeo dà del cosmo visibile si
vrienti verso i due poli opposti dell' anticosmismo e della visione po-
132
sitiva del cosmo. Ciò avviene in obbedienza a premesse di carattere
dottrinale (se in un testo si considerano. il cosmo e il corpo umano
come prodotti di una difettosa e malaugurata iniziativa demiurgica,
l'ago della bilancia della Weltanschauung mandea si orienterà verso
un deciso ~nticosmismo e antisomatismo; in un testo, invece, ove si
consideri il cosmo e il corpo come 'ricettacoli' destinati ad accogliere
l'anima inviata dall' alto per compiere una missione, l'ago della bilan-
cia si orienterà verso una valutazione procosmica e prosomatica). Ma
avviene anche in base ad esigenze che vorremmo definire di' carattere
esistenziale. Queste ultime motivazioni si possono ben individuare
nei testi liturgici, data la finalità di questi. In essi, che scandiscono
ogni momento della vita del mandeo, l'ago della bilancia si orienta a
seconda della utilizzazione del testo. Un esempio: i tratti di più acce-
so anticosmismo e antisomatismo si trovano nei passi degli inni fune-
bri, di quegli inni, cioè, nei quali si parla di un' anima che già ha ab-
bandonato questo mondo e i suoi 'signori' (cioè il demiurgo e i Pia-
neti) e dal di là - cioè dal regno della luce o comunque dal cammi-
no ascensionale che reintegra l'anima al mondo superiore - vede ciò
èhe resta al di qua con tinte fortemente negative 42. Al contrario gli
accenti più procosmici si possono trovare negli inni nuziali, in quei
momenti liturgici cioè nei quali più fortemente si esplica l'impegno
'storico' del mandeo, la sua 'connivenza' .con questo mondo 43.
l M. Lidzbarski, Ginm. Der Schatz oder das grosse Buch der Mandaer, G6ttin-
gen 1925, Parte Destra, pp. 97, 21-105, 22.
2 Cfr. U. Bianchi, Zaman i Ohrmazd. Lo Zoroastrismo nelle sue origini e nel-
la sua essenza, Torino 1958, p. 152.
3 Ginm PD pp. 107, 12-111,5.
4 Ginm PD pp. 242, 27-243, 2.
, Ginm Parte Sinistra pp. 5 16-5 17.
6 G. Furlani, I Pianeti e lo Zodiaco nella religione dei Mandei, in: Memorie
dell'Accademia Nazionale dei Lincei, Sezione di Scienze morali, storiche e fùosofi-
che, 1950, p. 158.
133
 7 E.S. Drower, The Canonieal Prayerboo/c ofthe Mandaeans, Leida 1959, pp.
144, 200.
8 GinZA PD p. 323, 30. Vedi inoltre: Drower, Shafta d Pishra d Ainia, in:
Journal of the Royal Asiatic Society, 1937, p. 598.
9 Brough-Smith, The Aborigenes of Vietoria, I, Londra 1878, p. 427; citato
da: Bianchi, Le dualisme en historie des religions, in: Revue de l'histoire des reli-
gions, 15 9-160, 1961, p. 13 nota 1.
IO P. Radin, Wappo texts, Univo of. Calif. Publications in Amer. ArchaeoI.
and EtnoI., XLX, l, p. 45; citato da Bianchi, ibid.
II Bianchi, op. cit., p. 12.
12 Bianchi, Il dualismo religioso. Saggio storico ed etnologico, Roma 1958,
pp. 58 sg.
13 Bianchi, op. cit., p. 70.
14 Bianchi, op. cit., p. 185.
l' Va sottolineato ancora che la divinità di Ptahil è una divinità sui generis, in
quanto non le sono estranee connotazioni infere. Infatti di Ptahil i testi danno due
genealogie: secondo la prima egli è una emanazione della Terza Vita (cfr. Drower,
The Can. Prayer. pp. 36 sg.; p. 292); secondo l'altra egli è il frutto dell'unione di
uno spirito della luce (pare la Terza Vita medesima) con una entitià femminile di
carattere infero, Zahariel, sorella di Ruha (cfr. Drower, op. cit., p. 151).
16 Cfr. nota. 3.
17 Drower, Diwan Abatur or Progress through the Purgatories, Città del Vatica-
no 1950 (Studi'e Testi 151), p. 18.
18 Bianchi, Le origini dello gnosticismo, in: Studies in the history of religions
(Supplements to NUMEN) XII, Leida 1967, p. 18.
19 Cfr. nota 3.
20 Cfr. nota 4.
21 Notiamo per inciso che si tratta sì di una iniziativa dal basso, ma di una
iniziativa di carattere' divino': Ptahil andando alla Casa del Padre, va in qualche
modo a casa sua.
22 Drower, Alf Trisar Sualia (The Thousand and Twelve Questions), Berli-
no 1960, p. 188.
23 Cfr. Drower, The Seeret Adam. A study of Nasoraean Gnosis, Oxford
1960, p. 46.
24 «Quando il corpo fu formato, un'anima fu formata, e quando l'anima prese
posto nel corpo, il corpo formò lo spirito vitale)) (Drower, Alf Trisar Sualia, cit.,
p. 164).
, 2' «E lo spirito di N. Andò e divenne della stessa natura dell'anima e fu sta-
~"bilito nella Casa della Vita)) (Drower, The Can. Prayer., cit., p. 44).
26 Un problema che non si presenta di facile soluzione, e al quale vorremmo
solo accennare, è costituito dal rapporto fra ruha, spirito, e Ruha, signora del re-
gno delle tenebre. Non ci sembra che tale problema si possa risolvere affermando
134
che Ruha è la personificazione di tuha (come sostiene la Drower in The Seeret
Adam, cit., p. 45). Meglio sarebbe forse (come ho suggerito in: Ptahil e Ruha.
Per una fenomenologia del dualismo mandeo, in: NUMEN, voI. XXIV, fasc. 3, p.
198) parlare di Ruha come di una ipostasi di ruha, ma mantenendo ben ferma la
distinzione dei due concetti, e soprattutto non dimenticando che se ruha conosce
una finale assoluzione previa purificazione, Ruha conosc~ so16 una sorte di condan-
na.
27 Drower, A Pair of Nasoraean Commentaries. The Great First World and
The Lesser First World, Leida 1963, pp. 4 sgg.
28 I testi, e non 'solo quelli esoterici, si esprimono talora per una associazione
del Padre o Sindirk.a con la Destra, lo spirituale (Diwan Abatur, cit., p. 14), la
luce e il bene (Drower, The Mandaeans of Iraq and Iran, Oxford 1937, p. 242);
della Madre o Aina con la Sinistra, la materia, le tenebre e il male (ib.). All'inter-
no della figura della Madre si incrociano un aspetto positivo (allorché viene pre-
sentata come elemento cosmogonico) e uno negativo (quando viene associata con
la Sinistra). Vero è che è rintracciabile in alcune concezioni orientali (Parsi, Mao-
mettani ecc .... ) l'indeficazione di destra-padre-est-positivo e di sinistra-madre-ovest-
morte o negativo.
29 Drower, The Mandaeans of Iraq and Iran, cit., p. 199.
30 GinZA PD pp. 71, 17; 5l, 22.
3\ Lidzbarski, Das Johannesbueh der Mandeaer, Giessen 1905 e 1915, p. 54.
32 GinZA PD p. 67, 19.
33 GinZA PD p. 175, 12.
34 GinZA PD pp. 66 sg.
3' Si narra infatti nel VI trattato del GinZA che la Seconda Vita concepì il di-
segno di ~reare un mondo i cui abitanti riconoscessero e venerassero soltanto la Se-
conda Vita; autore di tale creazione, avvenuta mediante il consolidamento di una
massa di acque (carattere infero, dunque, del nostro mondo e particolare, quello
d.el consoli.damento, comune ad ambiti etnologici vari) e mediante la sovrapposi-
Z10ne del f1rmamento luminoso, è Ptahil, il quale agisce per istigazione degli spiriti
malvagi e contro le intenzioni della Grande Vita (pp. 206 sg.)
36 GinZA PD pp. 97, 21-105, 22.
37 Drower, Diwan Abatur, cit., pp. Il sg.
38 Apud H. Pognon, Inseriptions mandaites des eoupes de K.houabir, Parigi
1898-99, p. 50.
39 In un passo del GinZA si legge che Ruha, i Pianeti, i demoni e le dodici
stelle si riunirono sul Monte Carmelo per un banchetto, durante il quale tramarono
per 'introdurre lite eterna nella casa, sedurre il mondo e far passare Adamo dalla
loro parte' (Pd pp. 119,22-127,21). Non ci sembra questo un quadro dualistico
vero e proprio, in quanto quello che altrove è il secondo principio, i Pianeti e i de-
moni e i Segni dello Zodiaco, non è, in questo testo, produttivo sul piano cosmo-
gonico, non è un principio di esistenza.
135
 40 Il mondo è definito talora 'vaso di mescita della morte'. l'anima come il baco fece i suoi gieli e la sua terra, proprio come il bozzolo fu for-
41 In preghiere rituali più volte si contemplano con ammirato stupore i colori, mato dal mo che usciva dalla bocca del baco». «E allora essa lo apre con la sua
le forme e i profumi di fiori e frutti; ma un testo dice: 'Tutti i frutti periscono; tut- bocca ed esce fuori e vola nel sublime etere» oppure « ... e vola fuori come una co-
ti i dolci profumi svaniscono, ma il profumo della Vita dura in eterno .. .' (Drower, lomba». L'immagine, se appare costruita secondo il modulo non tanto del corpo-
The Can. Prayer. cito p. 6). tomba, quanto del corpo-carcere, tuttavia, rispetto ad esso, è caratterizzata in
42 Questi testi sembrano una eco lontana di un testo riportato nel florilegio di modo diverso, se non addirittura opposto: sembra Infatti piegarsi ad esprimere il
Stobeo (IV, p. 1089 H.) e da attribuire a Plutarco e precisamente alla sua opera concetto di un corpo inteso quale 'custodia' dell'anima. Una 'custodia' inoltre che
de anima. Esso ci dà una idea di quello che dovette essere un concetto fondamen- l'anima si è costruita da sé, dunque non le è estranea. Una 'custodia' tuttavia l'u-
tale della spiritualità platonica quale era sentita all' epoca di Plutarco, concetto fon- scita dalla quale ~ vista come una liberazione ('vola nel sublime etere', 'vola fuori
dato a sua volta su una nozione tipica della spiritualità orfica (o misteriosofica): come una colomba'); una similitudine infine il cui suggello è dato, ci sembra, dalla
che cioè la vita corporea è morte e che solo la reintegrazione dell' anima (di origine maggiore 'eccellenza' del baco ormai farfalla rispetto al baco ancora verme rinchiu-
divina) nel mondo superiore (reintegrazione di cui la morte corporea è un momen- so nel bozzolo.
to fondamentale) è veramente vita. Il contesto del passo plutarcheo utilizza prirr.a
riferimenti misterici (probabilmente riferimenti ai misteri eleusini) e in un secondo
momento riferimenti ormai nettamente misteriosofici. Il punto più interessante del
passo così suona: 'Il morto (iniziato) vede qui (nel mondo dei viventi) la folla dei
viventi (concepiti come. quelli che non sono iniziati e purificati) che si schiaccia e si
pigia nel fango e nelle tenebre e per paura della morte si attarda nei mali, perché
non crede ai beni di là'.
43 Rimane da notare che le due valutazioni, la pro-cosmica e l'anti-cosmica,
sono collegate non-solo dal quadro generale, ma anche da signoli passaggi logici e
sintattici, indi.zi di profonde connessioni ontologiche. Un esempio. In una preghie-
ra liturgica l'anima si lamenta di essere stata costretta ad abitare in una 'casa futi-
le', in un 'luogo che è tutto male e che fuoco divora' ove essa non desiderava vive-
re. Tuttavia ha vigilato e si è tenuta aliena dal mondo nel quale vive al pari di 'un
bimbo senza padre'. Un salvatore, inviatole dalla Vita, la esorta a non temere:
«Non dire 'Sono sola'! Perché per te il firmamento fu aperto, i cieli furono distesi
e in essi le stesse vennero cr~ate. Per te questa terra venne all'esistenza. (... ) In tuo
favore venne il sole e la luna si rivelò. Per te vennero i Sette e i Dodici con loro.
Ma quando la tua misura sarà compiuta, io stesso verrò a te e ti porterò abiti di
luce. (... ) Ti libererò dal malvagio e ti salverò dai peccatori». I Pianeti all'udire
queste parole rivolte all'anima si lamentano per non avere, come l'anima, un padre
che si prenda cura di loro. (Drower, The Can. Prayer., p. 145). Ci sembra di no-
tare che nelle parole che il salvatore rivolge all'anima vi sia l'invito a non sentire il
mondo del tutto nemico. Ad indicare la totalità di questo si menzionano la terra,
le acque, il firmamento sopra di esse. Non solo, ma nel quadro di un cosmo così
conciliato, o conciliabile, con l'anima, hanno diritto di cittadinanza pure i Sette e i
Dodici. Tuttavia il quadro si caratterizza per una notevole tensione escatologica;
esSe non è in se stesso autonomo, ma sfocia in una conclusione la quale. notiamo,
sembra renderlo in qualche modo vano. Un testo esoterico (Drower, Alf Trisar
Sualia, cit., p. 116) sviluppa la similitudine dell'anima col baco da seta. L'anima
al momento di lasciare il corpo è paragonata al verme che esce dal bozzolo. «E

136
137
 CONCETTA ALOE SPADA
IL PERSONAGGIO DI ADAMO NEL MANDEISMO
 Parecchie comunità gnostiche, prendendo le mosse dal racconto
della creazione dell'Antico Testamento (Genesi I, 26 sg). hanno svi-
luppato una dottrina sull'Anthropos primordiale, spesso chiamato
Adamo, considerandolo, in genere, come l'archetipo dell' umanità.
La letteratura mandea, di carattere mitologico, cosmologico, cul-
tuale, escatologico ci offre diversi racconti su Adamo e sulla sua
creazione. «Adamo' l'uomo ed Eva sua moglie furono formati e l'ani-
ma (ni"simta) cadde nel corpo. E quando l'anima cadde nel corpo,
seppero discernere e capire tutto» l. Con questa semplice affermazio-
ne· un brano del Ginza riferisce l'avvenuta creazione di Adamo se-
condo una concezione che si inserisce in una prospettiva armonistica
della antropogonia, per la quale l'attività creativa è espletata su inca-
rico dell'Essere Supremo 2 da parte di un suo inviato 3.
In questa' medesima tradizione 4 si inserisce un altro brano del
Ginza in cui si legge: «Adamo ed Eva furono formati; attraverso la
forza dell'alto Re della Luce l'anima cadde in Adamo ed Eva» ':
un' espressione impersonale che non dice esplicitamente chi li abbia
creati 6, ma soltanto che essi «furono formati».
Secondo un' altra versione del mito, è Yawar che provvede a
«gettare» l'anima, presa nella casa della Vita, nel corpo fatto dai
Pianeti 7. Si legge infatti: «Allora io, Yawar, pensai in me e dissi
«lo creerò Adamo». Poi chiamai i Pianeti e dissi loro: «F.ate la figu-
ra corporea». Essi la fecero come io avevo detto loro. Allora io presi
l'anima dalla casa della potente Vita ... e la gettai in Adamo» 8.
Questo particolare, che corrisponderebbe alla metafora della «caduta
dell' anima» usata nei testi precedenti per indicare, sia pure implicita-

141

mente, l'originaria estraneità di corpo e anima, lascia intravedere la
tradizione dualistica 9 soggiacente a entrambe le narrazioni, sia pure
in un contesto che riflette gli sviluppi e le evoluzioni subiti dalla setta
nel corso della sua storia lO.
Il racconto più completo, dettagliato e in alcuni punti contrad-
dittorio, che sì trova nel III libro del Ginza di destra rispecchia la
concezione, verosimilmente più antica, in cui appare più evidente e
netta la differenza tra la creazione del corpo o tronco di Adamo, ese-
guita dal demiurgo Il e dai Pianeti, e la immissione in esso dell' ani-
ma per l'intervento di un essere della Luce.
Vi si narra come Ptahil 12, disceso per effettuare la condensazio-
ne nell' acqua torbida, si renda colpevole di un compromesso con Ru-
ha 13, la diavolessa infernale, e i Pianeti, acconsentendo alla loro ri-
chiesta di essere suoi servitori: «Voi siete miei figli. / Se fate opere
. , d 11' 14
buone, / Vl enumerero a a mla parte» .
In seguito, manifestato il proposito di creare Adamo affinché di-
venti ((Re nel mondo», i Sette Pianeti guidati da Ruha lo aiutano a
formare il corpo 15, ma con scarso successo, poiché a loro riesce solo
una figura ((senza anima», immobile, benché tutti gli elementi (vento,
fuoco, acqua) vi abbiano avuto parte. I Pianeti si rivolgono allora a
Ptahil, questa specie di ((spiritus rector» 16 di tutta l'impresa e gli
chiedono di gettare in Adamo di ((quell' anima» che egli ha portato
dalla casa paterna, ma nonostante tutti i loro sforzi non riescono a
metterlo in piedi. A Ptahil non rimane che ricorrere al padre Aba-
thur 17, cui comunica il proprio insuccesso « ... la tua e la mia imma-
gine non è riuscita»; con il suo aiuto ottiene un ((mana» 18. Intanto
la Vita ha chiamato i tre Uthras 19 Hibil, Sitil e Anos, come ((aiu-
tanti», per affidare loro la custodia e la protezione dell' anima. «Il
cattivo Ptahil non deve sapere / come 1'anima cade nel corpo» 20.
Come custode speciale dell' anima viene nominato Adakas-Mana, che
fu~ge da messaggero dell' anima ed è anche «Padre di Adamo» 21.
Giunti gli aiutanti nella Tibil, Ptahil vuole gettare 1'anima nel corpo,
ma Manda dHaije 22 gliela sottrae: ((Mentre (Ptahil) prendeva Ada-
mo/ ho eretto le sue ossa./ Mentre metteva le mani sopra di lui / gli
142
feci odorare il profumo della potente Vita. / Il corpo si consolidò / e
lo splendore della Vita parlò in lui. / Quando lo spendore della Vita
in lui parlò, / Adakas-Ziwa salì al suo luogo. / lo lo condussi al suo
luogo, alla casa della potente Vita / al luogo dove troneggia la gran-
de Vita / ... La Vita ringraziò l'Uthra / che portò 1'anima. / La grande
(Vita) mi chiamò per darmi un comando / e disse: « Vai, lancia una
voce grandiosa. / Lancia una voce maestosa, affinché i Cattivi non
sappiano nulla dell' anima» 23.
Troviamo qui enunciata la tipica dottrina gnostica dell'antropo-
logia: creazione dell'uomo, fatto a immagine della dinività, da parte
del demiurgo in collaboràzione con gli esseri inferiori; incapacità di
dargli la vita e, quindi, intervento dall' alto per animare il plasma
inerte. Il testo mandeo, pur attenendosi a questo schema, conosce
I tuttavia uno sviluppo particolare; infatti, mentre in altri sistemi si ha
l'intervento spontaneo della divinità 24, qui è Ptahil che, resosi conto
di aver fallito nell'impresa, ricorre al padre Abathur e ottine un ((ma-
na» cioè 1'anima, che riceve la denominazione di Adakas, contrazio-
ne di Adam-Kasia (Adamo nascosto). L'animazione di Adamo impli-
ca allora la (( discesa» 2 5 dell' Anthropos celeste (Adakas) verso il li-
vello inferiore e', quindi, il suo imprigionamento nel corpo che, per
essere stato plasmato dagli esseri inferiori e per la sua natura intrinse-
ca, è visto in luce negativa. Esaurito il suo compito Adakas ritorna
«al suo luogo», vale a dire nel mondo dove ha sede la Vita, in attesa
che, acquisita la conoscenza della propria origine, 1'anima possa libe-
rarsi dai vincoli che la legano al corpo e si ricongiunga con la pro-
pria ((copia» o «controparte» (dmuta) 26. Come negli altri sistemi
gnostici, anche nel Mandeismo è centrale, a questo riguardo, la figu-
ra di un salvatore, cioè di un personaggio appartenente al mondo di-
vino, che ha il compito di risvegliare, mediante la gnosi, la scintilla
divina assopita nel corpo e a lui consustanziale 27.
In un' altra redazione del mito 28 ritornano, insieme ad alcuni ,de-
gli elementi già noti, come ad esempio 1'incapacità del demiurgo di
animare la sua creatura 29, anche delle varianti. Molto significativo è
il fatto che secondo questa versione lo stesso Ptahil interviene diret-
tamente recandosi a prendere il ((mana» e, successivamente, a gettar-
143
lo in Adamo, dopo aver tentato, ma inutilmente, di farlo stare in pie-
di, gettando egli «una certa specie di spirito di se stesso e i Pianeti
ciascuno qualcosa del proprio mistero» 30. Il racconto prosegue con
l'invio da parte della Vita di un messaggero, qui Hibil-Ziwa, verso il
quale Adamo volge lo sguardo: «Hibil gettò a lui splendore, Adamo
sternutì e si affacciò alla vita» 31. Questo induce a ritenere che sotto
l'intervento di. Ptahil si celi l'azione della Vita; Cloè è la Vita stessa
che si serve di Ptahil come di un suo messaggero per insufflare in
Adamo l'elemento vitale. Inoltre è importante sottolineare che nono-
stante l'iniziativa di Ptahil solo con l'intervento di Hibil si realizza
l'animazione di Adamo, il quale, rispondendo all' esortazione di Pta-
hil e dei Pianeti (<<Vivi, Adamo») si rivolge loro in questi termini:
« ... lo sono venuto dalla casa della Vita e la Vita era (con me) ***
cadde in me e mi portò qui. Poi venne il buon messaggero, mi portò
fuori, verso il luogo dal quale sono venuto» 32. In altri termini, Ada-
mo avverte in sé la presenza di un elemento diverso che lo pone al di
sopra del suo creatore, lo fa sfuggire al dominio del demiurgo e lo
induce a riconoscere la propria origine e natura interiore «altra»,
«straniera» rispetto al mondo e ai suoi signori. Egli proclama di es-
sere «Adakas-Ziwa venuto dal luogo segreto», il quale è identico al
mafia caduto nel «tronco-Adamo»: «Allora parlò Adakas-Mana ai
Pianeti e a tutti i mondi: «Quando non mi avevano ancora portato e
gettato in Adamo ed Eva sua moglie, ... egli non aveva aperto gli
occhi, non stava in piedi, non apriva la bocca, e non parlava ... ,
finché io Adakas-Mana non venni dal luogo segreto» 33. Adakas è
pertanto il vivificatore di Adamo e quindi la vita e l'elemento di luce
nel tronco o corpo; egli è il celeste Primo Uomo Adamo, che è pari-
menti Anima (in Adamo corporeo) e Messaggero (Adakas mlala) 34:
è l'Adamo celeste, il mistico o segreto Adamo, prototipo dell'Adamo
umano, detto «Adamo pagria» (uomo fisico) 31•
, Sul Primo Adamo presentato come «una vasta forma che ab-
br~~cia tutto ciò che esisterà nei cosmi futuri» 36 ci informa l'Alma
Risaia Rba (Il grande 'Primo mondo') 37: «Quando cercò di espan-
dersi, egli (Adamo) 38 venne ed entrò nella Fonte perenne e vi rima-
se finché tutte le cose furono formate - uno spazio di trecentosessan-
144
ta giorni. Così entrò in essa, e si sollevò e si elevò all' orlo della Fon-
te .. ~i co~seguenza la sua luce risplendette su tutti i mondi. Ed egli
pOI SI levo e sed.ette presso la fonte di Vane-concezioni e disse «lo
sono un re senza pari! lo sono signore di tutto il inondo!» 39. In al-
tri termini, in questo testo, la creazione di Adamo procede parallela-
mente. a. quella del cosmo; è cioè Adamo che per «espandersi», «in-
grandIrsI», opera la creazione del mondo, cosa che suscita il suo
inorgoglirsi, sì da esclamare di essere re del mondo in virtù della
~ropria ~randezza ~ superiorità. Ma, prosegue il testo, «Egli viaggiò
In tutto Il mondo fmché giunse e si fermò sulla Montagna e poi vide
ed osser.vò un t,orre~te che stava venendo da sotto la Montagna 40.
Allor~, SI prostro ~,Sl gettò a te~:a con la faccia in giù e disse: «(Se)
non c e nessuno plU grande o plU potente di me, da dove viene que-
sto corso d'acqua vivente, acque bianche che vengono senza limite e
mis~ra?». Così il suo pensiero fu turbato e ponderò nella sua mente
e dIsse: «1.0 ho detto che non esiste un re più grande di me! Ora
(so) che eSIste Uno che è più grande di me! lo chiedo di vedere la
sua immagine e di prenderlo come mio compagno» ... Poi una voce
~enne ~a~l' alto .ed egli cadde sulla sua faccia e fu incapace di rialzar-
SI. EglI rImase I~ tale posizione finché non venne il Puro-Etere por-
tando una lettera nella sua mano destra. Ed egli (Adamo) prese la
lettera nella sua mano destra, e la odorò e starnutì e fece istanza e
lodò il Re che è tutto luce» 41.
Si tratta, secondo questo testo, di un personaggio avente caratte-
r~stiche demiurgic~-cosmiche, un Adamo che, nell' atto di «espander-
SI», opera la creaZlOne del mondo, cioè esplica la sua attività creatri-
ce al fine di manifestare la propria grandezza. In altri termini, il Pri-
m? ~damo è pre.se.n~ato con prerogative e con attributi, quali· orgo-
glIo, 19n.or~nza,. tIpICI piuttosto del demiurgo 42, figura molto impor-
tante nel SIstemI gnostici, cui è attribuita la creazione del mondo in-
feriore, e per questo corrispondente al Dio dell'Antico Testamen-
to 43. ~damo rivela l.' atteggi~mento arrogante proprio del demiurgo
allorche, osservando Il proprIo operato, si inorgoglisce e si esalta al
punto da proclamarsi «re senza pari» 44, ignorando, invece, l'esisten-
za di «qualcuno» a lui superiore, che non tarda a manifestarsi 41. A
145
questo punto osservia.mo come dal Primo Adamo (demiurgo) si pas-
si, verosimilmente, all'Adamo fisico 46 una volta che si fa riferimento
alla metafora della ((caduta sulla sua faccia», e quindi all'incapacità
di Adamo di rialzarsi fino al momento in cui arriva il Puro-Etere 47
portando una lettera: Adamo la oclorà, starnutisce e viene alla vi-
ta 48. La (dettera»sarebbe da interpretare in maniera simbolica, essa
cioè corrisponderebbe all' insufflazione dell'anima, di quell' Adakas
che costituisce nell'Adamo fenomenico la parte spirituale 49, una vol-
ta che solo in seguito allasua immissione nel tronco corporeo l'uomo
diventa un essere vivente, nel senso che vive e partecipa della Vita e
del mondo della Luce.
La condizione di Adamo nel mondo è descritta con una seri~ di
metafore esprimenti da un lato sentimenti di ((disperazione», ((pau-
ra», ((nostalgia», dall' altro come ((torpore», ((sonno», ((ubriachezza».
Per spiegare il modo in cui si è verificato lo stato di incoscienza è
usata molto frequentemente l'immagine del ((sonno». L'anima son-
necchia nella materia, Adamo giace in uno stato di profonda sonno-
lenza che esprime il totale abbandono dell'uomo al mondo. In parti-
colare la metafora dell'ubriachezza ha lo scopo di mostrare la condi-
zione di Adamo, come essere intossicato, stordito e divenuto uno dei
figli di questo mondo j o.
N egli scritti mandei ricorre costantemente la descrizione della fe-
sta orgiastica preparata dai cattivi padroni del mondo per la seduzio-
ne di Adamo: (cSu! Vogliamo fare una celebrazione, / su, vogliamo
fare una festa da bere. / Vogliamo praticare i misteri d'amore / e se-
durre l'intero mondo / ... La chiamata della Vita noi faremo tacere /
... N oi uccideremo lo straniero j l/e toglieremo via tutta la sua stir-
pe. / Noi faremo Adamo nostro seguace / e vedremo chi allora sarà
suo salvatore» j2. Oppure: ((Presero il capo della stirpe B / e pratica-
rono su lui il mistero dell' amore e della brama, / attraverso il quale
tutH i mondi sono infiammati. / Praticarono su di lui la seduzione, /
con la quale tutti i mondi sono sedotti. / Praticarono su di lui il mi-
stero dell'ubriachezza / con la quale tutti i mondi sono resi ubria-
chi.» j4.
146
A queste frasi molto incisive possiamo aggiungere che viene usa-
ta come arma principale per la seduzione di Adamo il mistero dell' a-
more e del piacere in genere al quale nessuno é in grado di resistere.
Inoltre con la celebrazione di tali feste i Cattivi mirano da un lato a
provocare 'lo stato di ebbrezza in Adamo, dall' altro a coprire col loro
clamore la chiamata della Vita che si configura sempre come una
((chiamata dall'esterno» j j . ((Essi (Adamo ed Eva) non debbono
ascoltare le parole dell'uomo straniero, che è venuto qui, e non devo-
no sentire ,il suo insegnamento. Giacché noi abbiamo creato Adamo,
egli dovrà ubbidire a noi e a nostro padre Ptahil» j6.
Senonché il clamore dei Pianeti non produce l'effetto sperato o,
piuttosto, spaventa Adamo; ma lo spinge nello stesso tempo a rivol-
gersi verso l'alto, il luogo della Luce, donde proviene un' altra voce:
(cCome il loro clamore piombò sopra 1'orecchio di Adamo, / Adamo
si svegliò dal suo sopore. / Adamo si destò dal suo sopore / e sollevò
lo sguardo verso il luogo della Luce» n. In tal modo Adamo, de-
standosi, è pronto a ricevere la ((chiamata dall' esterno» pronunziata
da un messaggero appositamente mandato nel mondo, in rapporto al
quale è straniero» : (( Un U thra chiama dall' esterno / ed istruisce
(C
Adamo, l'~omo / Egli dice ad Adamo: / Non sonnecchiare e non dor-
mire / .,. Non essere un figlio della casa (terrena) / e non essere chia-
mato un peccatore ·nella Tibil / ... Adamo, guarda il mondo, che è
una cosa vuota e senza sostanza. È una cosa vuota e senza sostanza /
sulla quale tu non devi fare affidamento ... Tutte 10 opere passano,
'I prendono la loro fine e sono come se non fossero mai esistite» j 8 .
I
J
Talvolta la chiamata al risveglio è connessa con la chiamata a la-
sciare il mondo, come in questo brano: ((Il salvatore si avvicinò, si
fermò presso il giaciglio di Adamo, al giaciglio di Adamo si avvicinò
l e lo svegliò dal sonno. Disse a lui: ((SU, alzati, Adamo, togliti il cor-
po puzzolente, l'abito di creta, in cui tu ti trattieni. Togliti l'abito
corporeo, il corpo che perisce e nel quale tu ti trattieni ... Lascia su-
bito nel mondo il corpo, perché il tuo tempo è venuto, la tua misura
è piena per lasciare questo mondo. La Vita mi ha mandato a te
perché ti richiede. Il tuo viaggio j9 è verso il luogo della Vita, verso
147
il luogo in cui prima abitavi, verso la dimora in cui tuo padre abi-
ta» 60.
Secondo una nozione familiare a mòlti· contesti di ispirazione
gnostica 61, condizione indispensabile alla salvezza di Adamo è che
egli deponga l' «abito corporeo», i cui epiteti (puzzolente, che peri-
sce) ne indicano la negatività. Si allude alla tematica relativa alla
((veste», nel duplice senso di involucro corporeo da cui bisogna libe-
rarsi oppure di una sostanza luminosa di cui bisogna rivestirsi, come
di un abito. Questa immagine del corpo inteso come vestito trova
una chiara esemplificazione nell'Inno della Perla, contenuto negli
Atti di Tommaso, dove, circa alla fine della vicenda, il Principe vie-
ne esortato dagli inviati del re ad abbandonare il «vestito immondo»
e indossare il «vestito di luce» 62 •
Sull' esempio di Adamo tutti i perfetti mandei abbandoneranno
il mondo e faranno ritorno alla dimora luminosa: «Stai calmo e taci,
Adamo, e la pace del bene di abbracci. Tu vai e sali al tuo luogo, e
tua moglie salirà dopo di te. Tutta la tua stirpe salirà, seguendo te.
Allora tutte le generazioni prenderanno una fine e tutte le creature
periranno... Non preoccuparti, Adamo, per questo mondo che hai
abbandonato. Dopo di te lo abbandoneranno i piccoli ... , gli adole-
scenti e le ragazze, i giovani e le giovani che non hanno festeggiato
il fidanzamento, sposi e spose» 63.
La vicenda di Adamo, oltre a costituire una situazione particola-
re e primordiale, riveste una funzione prototipica e simbolica nella
misura in cui essa rappresenta la condizione tipica di tutti gli uomini.
In altri termini, come Adamo così ogni uomo è formato da due com-
ponenti: ad una natura somatica, destinata alla distruzione, si con-
trappone una sostanza pneumatica, la «scintilla luminosa» consustan-
ziale all'Anthropos celeste, di cui si può intendere come una emana-
zi()ne 64. Questa concezione esprime un preciso carattere dualistico,
perché il corpo e l'anima non solo sono di natura diversa, ma anche
contrapposti fino a quando l'elemento divino, finalmente liberato
dalla prigionia corporea, ascenderà alla dimora originaria. La sote-
riologia mandea si incentra di fatto sulla dottrina dell' anima e della
sua natura: essa è la scintilla divina nell' uomo, il cui corpo rappre-
148
senta uno strumento di prigionia ed una temporanea struttura mate-
riale assunta da un' entità che quanto all' origine e al proprio destino,
appartiene al regno della Luce.
Numerosi inni del Ginza di sinistra hanno come oggetto la con-
dizione dell' anima, della quale espongono l'origine e la vicenda.
Ventotto di essi cominciano con queste parole: «sono un "mana"
della grande Vita, / un "mana" della potente Vita io sono, / un "ma-
na" sono della grande Vita», e contengono l'amaro lamento dell'ani-
ma: (cChi mi ha lasciato abitare nella Tibil, / e chi mi ha gettato nel
tronco corporeo?» 6:; oppure: «Chi mi portò via dalla mia casa del
tesoro, / chi mi gettò' nella casa della quarta Vita (Ptahil)?» 66.
Inno dopo inno troviamo, subito dopo il lamento e il pianto del
(Cmana» imprigionato, il conforto dell' aiutante che viene a recare sol-
lievo all' anima, la esorta ad alzarsi e a cercare la sua casa, il ritorno
alla quale le è assicurato. L'inviato, inoltre, mette l'anima a cono-
scenza della sua origine dicendo: «Tu, eletta, non vieni da qui, / e la
tua piantagione non è piantata da qui. / Il tuo luogo è il luogo della
Vita, / la tua dimora è la dimora luminosa» 67.
L'idea che nel corpo di Adamo - e conseguentemente negli uo-
mini - si trovi imprigionata una particella divina, intesa come con-
troparte terrena dell'Uomo primordiale celeste ed esiliata nel mondo,
appartiene alla quasi totalità dei sistemi gnostici 68. Una narrazione
particolarmente vicina a quella mandea, peraltro, è contenuta nell'A-
pokryphon Johannis, la cui importanza fra i documenti gnostici è
ben nota 69. Qui Adamo, come primo uomo, è una creatura dei Setti
Arconti (corrispondenti ai Sette Pianeti mandei), ma plasmata secon-
do l'immagine riflessa del Primo Uomo santo e perfetto. «Il beato
(paKupwc;) mostrò loro il suo sembiante e acconsentì a tutta la schie-
ra degli arconti delle sette potenze. Videro nell' acqua la forma del-
l'immagine e si dissero a vicenda: Creiamo un uomo conforme al-
l'immagine e al sembiante di Dio» 70. L'essere che riescono a pla-
smare è però solo una copia imperfetta, informe, inerte e immobile;
solo in seguito, attraverso la dynamis di Sophia, insufflata dal de-
miurgo J aldabaoth (che è figlio di Sophia), il corpo acquista movi-
mento e quindi vita 71.
149
 Nel racconto dell'Apokryphon Johannis, dunque, le Potenze in-
feriori intraprendono la creazione di Adamo secondo l'immagine ri-
flessa del «Padre santo perfetto, del Primo Uomo nella forma di un
uomo» 72 . P OlC. h'e ottengono solo una copla. .lmper f etta, che neppure
la forza degli Arconti riesce ad animare, interviene Sophia, che, at-
traverso il demiurgo, (csoffiò del suo spirito - è questo la forza della
madre - dentro nel corpo ed egli si mosse all'istante» 73. Si ha quin-
di anche qui la concezione secondo la quale Adamo, fatto a immagi-
ne della divinità dalle Potenze inferiori, diventa. un essere animato
solo per intervento della divinità medesima, la quale, o dopo esserne
richiesta dallo stesso plasmatore dell'uomo, come nel Mandeismo, o
spontaneamente, come nel testo in esame, provvede all' animazione
del corpo inerte, il quale dopotutto vuole essere una sua copia. Il rac-
conto dell'Apokryphon Johannis, insomma, è, sotto questo profilo,
molto vicino a quello mandeo, se consideriamo J aldabaoth come il
corrispettivo di Ptahil, i Sette Arconti corrispondenti ai Sette Piane-
ti, e al posto della figura di Sophia mettiamo Abathur, il padre degli
Uthras, cui Ptahil si rivolge dopo il fallimento del suo operato. Un
altro elemento in comune è dato dal fatto che l'animazione di Ada-
mo avviene dopo il tentativo non riuscito degli Arconti di vivificare
Adamo infondendogli la loro forza, ovvero secondo il Ginza, dopo
che i Pianeti hanno gettato in Adamo «ciascuno del proprio miste-
ro», ma inutilmente 74.
Poichè il sistema enunciato nell'Apokryphon Johannis sembra
una forma arcaica del Valentinianesimo, si può porre il problema di
eventuali rapporti o contatti tra esso e i testi mandei o si penserà, più
verosimilmente, ad un materiale comune cui entrambi avrebbero at-
tinto per elaborare le proprie dottrine relative all' antropogonia 7'.
Un' altra direzione verso la quale rivolgersi per individuare dei
paralleli specifici con l'antropogonia mandea è quella che porta al-
l'ambiente manicheo, col quale il Mandeismo mostra punti di contat-
to ~ia nella impostazione generale del sistema (opposizione di due
mondi in lotta tra loro), sia in alcuni aspetti particolari 76.
Per quanto riguarda l'antropologia manichea, sappiamo dal rac-
cou.to di Teodoro bar Konai che, per contrastare il piano aggressivo
150
della Materia, il Padre di Grandezza «evoca» 77 l'Uomo primordia-
le 78. Questi, indossata l'armatura, composta di cinque elementi lumi-
nosi (etere, vento, luce, acqua, fuoco) «che formano insieme anche la
sua essenza, il suo "io", la sua "anima" (possono quindi essere chia-
mati suoi figli)) 79, discende nel mondo tenebroso, ma subisce una
sconfitta e rimane assorbito nelle tenebre, in un sonno profondo. Per
recuperare l'Uomo primordiale rimasto intorpidito nel mondo infe-
riore, il dio della Luce (Cevoca» altri personaggi, tra cui lo Spirito
Vivente, il quale lancia un alto e penetrante grido all'Uomo primor-
diale, che aveva sacrificato la sua anima alle Tenebre, gli tende la
mano destra, lo libera dalla morsa delle Tenebre e lo riconduce alla
sua patria nel regno della. Luce. Il dialogo che avviene tra l'Appello
dall'alto e la Risposta da parte dell'Uomo è molto importante,
perché rappresenta il prototipo della salvezza; esso si rinnova ogni
volta che un' anima invoca la liberazione e ottiene la risposta libera-
trice. (cE lo Spirito Vivente chiamò ad alta voce, e la voce dello Spi-
rito Vivente diventò simile ad una spada affilata e rivelò il suo aspet-
to all'Uomo Primevo. E gli diss·e: «Pace su di te, buono in mezzo ai
cattivi, luminoso in mezzo alle Tenebre, Dio tra le belve dell'ira, che
ignorano la sua magnificenza» 80.
In queste parole si accentua il contrasto tra la situazione attuale
e quella originaria dell'Uomo, il quale, dopo avere chiesto se il suo
sacrificio è valso a salvare il mondo della Luce, afferra la m~no de-
stra dello Spirito Vivente, suo salvatore, e sale sempre più in alto
fino a raggiungere la sede che gli è propria. Tuttavia rimangono nel-
la Materia i cinque elementi luminosi, ossia l'anima dell'Uomo pri-
mordiale, ed è nel tentativo di recuperarli che, dopo una serie di av-
venimenti che portano alla creazione del mondo, dei vegetali e degli
animali, si giunge alla creazione della prima coppia umana 81. Essa
avviene in seguito all'accoppiamento di due demoni, l'uno maschile
(Ashqalun) e l'altro femminile (Namrael), dopo che ognuno di essi
aveva divorato tutti i feti rispettivamente di sesso maschile e femmi-
nile, nel tentativo di incorporare le particelle di luce cadute sulla ter-
ra e contenute nei feti medesimi 82.
Il primo uomo Adamo è dunque formato dal corpo di origine
151
demoniaca, perciò materiale e negativo 83, e contemporanemente dal-
la maggior parte della luce rimasta nella Nlateria, e pertanto non può
essere abbandonato al potere delle fo~ze' demoniache. A tale scopo
viene mandato dal regno della Luce uri salvatore, che è una manife-
stazione del Terzo Inviato e che è chiamato con vari nomi «figlio di
Dio» o (cOhrmizd» nelle fonti orientali, oppure «Gesù splendore» in
quelle occidentali 84.
L'incontro tra il salvatore e Adamo ricorda la situazione origina-
ria: infatti, come l'Uomo primordiale è ridestato dal sonno in segui-
to alla chiamata dello Spirito Vivente, così Adamo, creato cieco, sof-
do e del tutto inconsapevole della scintilla divina presente in lui, gia-
ce immerso in un sonno profondo da cui è risvegliato dalla chiamata
del salvatore che gli comunica la «gnosi». Adamo apprende così la
situazione di prigionia dell' anima racchiusa nella materia e conosce la
sua doppia origine, cioè come il corpo, con la concupiscenza che gli
è propria, sia prodotto dalle forze demoniache, e come la sua anima
invece derivi dal regno della Luce. Si afferma, in altri termini, «la
consustanzialità tra Dio e le anime; le anime non sono che frammen-
ti della sostanza' divina» 85 che, in seguito alla sconfitta dell'Uomo
primordiale, giacciono intorpidite, stordite nella prigionia corporea e
quindi nel mondo. L'atto salvifico consiste in un conoscere o più
propriamente in un ((riconoscersi», cioè prendere coscienza della pro-
pria essenza e intima natura: «Allora Adamo si interrogò e si rico-
nobbe e disse: ((Guai, guai a colui che fece il mio corpo e tiene in
catene la mia anima e guai ai ribelli che la soggiogarono!» 86.
Se questa situazione coincide con quella del risveglio di Adamo
mandeo, tuttavia è diversa la vicenda con la quale si intende spiegare
e motivare la presenza del divino nell'uomo. Nel Mandeismo Ptahil
vuole creare Adamo affinchè diventi «Re nel mondo», ed il suo in-
successo implica la discesa e l'invio dall'alto della sostanza pneumati-
ca, di Adakas, inteso come portatore dell' anima umana, come «tipo»
e, <\.pcora, come prototipo dell'uomo terrestre; nel ManicheisIlW è la
sfortunata discesa dell'Uomo primordiale che causa, per così dire, la
creazione di Adamo.
L'antisomatismo, che nel Mandeismo è affermato in maniera de-
152
cisa e netta, non vi raggiunge tuttavia i toni aspri del Manicheismo,
dove tra l' ~ltro è sottolineato dal processo che porta alla formazione
del corpo umano. L'irriducibile avversione per il corpo implica per i
fedeli di Mani una prassi che comporta rigido astensionismo, rifiuto
delle nozze e della generazione, estranea al Mandeismo, che piutto-
sto insiste sul tema della purezza rituale; tale astensionismo è peraltro
rifiutato dai Mandei che condannano anzi il celibato, ritenendolo ad-
dirittura un peccato 87. Ciò non è senza rapporto con il fatto che i
Mandei costituiscono un gruppo etno-sociale ben definito ed endoga-
mo.
Insieme, - Adakas 88 (Mandeismo) e Uomo primordiale (Mani-
cheismo) in quanto ((anima)) si trovano imprigionati nel corpo di
Adamo, - è centrale per entrambe queste religioni il tema della sal-
vezza, della redenzione, che si attua mediante la gnosi. Come nel
Mandeismo anche nel ~1anicheismo essa è elargita da un personag-
gio appartenente al mondo ,divino, che, in quanto consustanziale al-
l'elemento da salvare, realizza il mitologema gnostico del salvator-
salvandus.
Le affinità sopra notate pongono la questione di eventuali rap-
porti storici tra le due religioni. Essa coinvolge il problema dell' ori-
gine del movimento, mandeo, sulla quale molte e varie ipotesi sono
state formulate. Mentre Rudolph 89 e Macuch 90 propendono per
un' origine pre-cristiana, altri, come Yamauchi 91, pongono come ter-
minus a quo per l'origine della setta il 3° sec. d.C. e forse anche il
2°. Comunque per quanto riguarda i rapporti del Mandeismo con la
dottrina manichea non si può oggi prescindere né dalla notizia offer-
ta da al-Nadim nel Fihrist 92, secondo la quale Patek, ìl padre di
Mani, avrebbe fatto parte di una setta di battezzatori, in arabo al-
Mughtasila (<<coloro che si lavano» o «coloro che si bagnano»), né
dal recentemente discusso codice di Colonia 93. Una caratteristica
prassi battista ben si addice ai nostri Mandei, e in sette di questo
tipo si può cercare «una forma primitiva del mandeismo propriamen-
te detto)) 94. D'altra parte, anche accogliendo tale identificazione,
non si può ritenere che «il Manicheismo come sistema sia spiegabile
come un calco del Mandeismo)) 9 5 .
153
 Per quanto riguarda 1'antropologia, accanto alle innegabili diffe-
renze relative alle diverse modalità di formazione dell'uomo, rimane
la sostanziale affinità nella descrizione dèllo status originario di Ada-
mo, a cui corrisponde la condizione dell'ubmo attuale, come immerso
in un mondo a lui estraneo, in cui solo una «chiamata dall' alto» lo
restituisce alla coscienza della sua origine divina.
I Ginza D. I, 13 tr. di M. Lidzbarski, Ginza. Der Schatz oder das grosse Buch
der Mandiier, Gottingen 1925 p. 15, 24-26.
2 Riceve diversi appellattivi: «Vita» (Ginza D. III, 70 Lidzbarski p. 67,
16); «Grande Vita» (Ginza D. II, 61 Lidzbarski p. 54, 18); «Re della Luce»
(Ginza D. I, 3 Lidzbarski p. 6, 20); «Signore della Grandezza» (Ginza D. II, 30
Lidzbarski p. 3 l, l 3).
3 Si tratta in genere di Hibil-Ziwa, di cui si dice «Da parte del Signore della
Grandezza fu creato e mandato un Uthra, il cui nome è Hibil-Ziwa, che è detto
Gabriele, l'inviato» Ginza D. I, Il, 79 Lidzbarski p. 14, 25-27.
4 Rudolph definisc~ «monistische» questa concezione in cui la creazione del
mondo e dell'uomo è deputata a un essere della Luce, facendo uso di una termino-
logia, per ·la verità, poco pertinente alla nozione di «monismo» in sede storico-
religiosa. (K. Rudolph, Theogonie, Kosmogonie und Anthropogonie in den mandiii-
schen Schriften, G6ttingen 1965 p. 306).
5 Ginza D. II, 34, 22 Lidzbarski p. 34, 10-11.
6 Anche se all'inizio della narrazione cosmogonica la funzione demiurga è at-
tribuita a Hibil-Ziwa, in seguito è menzionato Ptahil.
7 Sono ritenuti animati da potenze che esercitano un influsso malefico sulla
terra, e, anzi, sono ((la quintessenza della malignità e cattiveria» (G. Furlani, I
Pianeti e lo Zodiaco nella religione dei Mandei, in «Atti della Accademia Nazio-
nale dei Lincei» serie VIII vol. II (195 O) p. 119).
8 Ginza D. V, II, 172 Lidzbarski p. 176, 31-36.
9 Sul significato di ((dualismo» in sede storico-religiosa, si veda U. Bianchi, Il
dualismo religioso, Roma 1958; Id., Le dualisme en histoire des religions, in «Re-
vue~.de l'Histoire des Religions» CLIX (1961) pp. 1-46.
lO Si possono distinguere, sulle orme di Widengren, due sistemi principali:
uno «dualistico assoluto» e uno ((temperato» più recente. (G. Widengren, Die
Mandaer, in «Handbuch der Orientalistik» ed. B. Spuler, Leiden 1961 vol. VIII
2a ~erie p. 85).
154
II È questa la concezione che Rudolph chiama «streng dualistische». (Theogo-
izie, cito p. 248' sg.).
12 Lidzbarski lo identifica al demiurgo egiziano (Das J ohannesbuch der Man-
diier, Giessen 1905 p. XXVII). Cfr. M.V. C erutti , Ptahil e Ruha: per una feno-
menologia del dualismo mandeo, in ((Numen» vol. XXIV, Fasc. 3 (1977) pp.
186-192.
13 Essa è pure madre dei Pianeti e di Ur, il principe delle Tenebre. Cfr. M.V.
Cerutti, art. cito pp. 195-199.
14 Ginza D. III, 98 Lidzbarski p. 105, 8-10.
15 Da che cosa il corpo o tronco è formato risulta da pochi luoghi. Secondo il
Ginza da ((un ammasso d'argilla» (Ginza S. 158,133 Lidzbarski p. 590, 12);
nel «Libro di Giovannl» si danno due affermazioni: secondo la prima ((Adamo
nacque dalla creta» (M. Lidzbarski, Das Johannesbuch, cito I, 4, lO sg. p. 8 sg);
secondo l'altra: ((Dal fuoco e dall'acqua fu formato l'Adamo corporeo» (Ibidem,
13,52,2 p. 57).
16 L'espressione è di K. Rudolph, Ein grundtyp gnostischer Urmensch-Adam-
I Spekulation, in ((Zeitschrift rur Religion und Geistgeschichte» 9 (1957) p. 12.
17 ((La terza Vita» (Ginza D. XIII, 285 Lidzbarski p. 283, 8).
18 Sul significato di mana gli studiosi sono discordi. Un sacerdote mandeo ha
indicato quattro significati: l'anima, una colomba, un vestito, una casa. (E.S. Dro-
wer, The Mandaeans o[ Iraq and Iran, Oxford 1937 p. 93 nota l).
19 Cioè ((ricchezza».
20 Ginza D. III, 102 Lidzbarski p. 109, 23-24.
21 Ginza D. III, 104 Lidzbarski p. 112, 36-37 «Egli lodò Adakas-Ziwa, il
padre dal quale era venuto».
22 Letteralmente ((conoscenza di vita», la gnosi personificata. Egli è il salva-
tore per antonomasia, colui al quale la Vita ha affidato il compito di rivelare la
gnosi. a.Schmitt, S.V. Mandéisme, in Dictionnaire de la Bible, Supplément, Paris
1957 VI col. 776).
23 Ginza D. III, lOO-lO2 Lidzbarski pp. 107-111.
24 Cfr., ad esempio, il sistema elaborato da Saturnino, dove appunto la divi-
nità superiore «avendo misericordia di lui, perché era fatto a sua somiglianza,
emanò una scintilla di vita la quale drizzò l'uomo, e lo mise in movimento e lo
fece vivere» (Ireneo, Adv. Haer. I, 24, l in P.G. VII, col. 674).
25 Essa si può intendere anche come un ((decadere».
26 «lo vado incontro alla mia immagine e la mia immagine viene incontro a
me» (Ginza S. III, 113 Lidzbarski p. 559, 29-30).
27 In questa identità si esprime il concetto del «salvator-salvandusD. Cfr. R.
Reitzenstein, Das iranische Erlosungmysterium, Bonn 1921 p. 59.
28 Ginza D. X, 241 Lidzbarski p. 242, 25-243, 9.
29 Questa concezione ricorre anche nel Qolasta «Adamo il primo uomo fu bat-
tezzato da Hibil-Ziwa quando soffiò in lui il puro mana ed egli si alzò, sternutì e
155
visse» (E.S. Drower, The Canonical Prayerbook. o[ the Mandaeans, Leiden 1959
p.29).
30 Forse è da collegare a questo particolare l'idea diffusa tra i Mandei della
influenza che i Pianeti esercitano sugli uomini. Infatti ogni mandeo ha due nomi:
il Malwasha o nome zodiacale, usato in tutte le occasioni religiose e magiche e il
Laqab o nome terreno, usato per ogni scopo laico.. E.S. Drower, The Mandaeans,
cito p. 8l.
31 Ginuz D. X, 241 Lidzbarski p. 242, 35-243, l.
32 Ginuz D. X, 241 Lidzbarski p. 243, 2-9.
33 Ginuz D. X, 244 Lidzbarski p. 245, l-IO.
34 K. Rudolph, Die Mandaer. I. Prolegomena: Das Mandaerproblem, G6ttin-
gen 1960 p. 152.
35 E.S. Drower, The Seeret Adam. A Study o[ Nasoraean Gnosis, Oxford
1960 p. 22.
36 E.S. Drower, The Secret Adam, cito p. 26.
37 E.S. Drower, A Pair o[ Nasoraean Commentaires, Leiden 1963 pp. l-53.
38 Qui presentato come figlio di Yawar-Ziwa «Allora fu prodotto il seme nel-
la Fonte Perenne, così egli (Yawar-Ziwa) pensò di creare Adamo, suo primogeni-
to, che i mondi venerano». Alma Ri"saia Rba, 70 in E.S. Drower, A Pair o[ Na-
soraean, cito p. 5).
39 Cfr. Isaia 45,5 «lo sono il Signore e nessun altro; non c'è alcun Dio, al
di fuori di me».
40 In esso scorre l'acqua della Vita.
41 Alma Risaia Rba 100-120 in E.S. Drower, A Pair o[ Nasoraean, cito
p.6.
42 Sull'origine di questa figura si veda G. Quispel, The Origins of the gnostic
Demiurge, in P. Granfield - lA. Jungmann (edd.) Kyriak.on, Festschrift J. Qua-
sten, Miinster 1970 voI. I pp. 271-276.
43 W. Foerster, Gnosis, Oxford 1972 voI. I p. Il.
44 Questo atteggiamento, insieme alla convinzione di essere unico dio si tro-
va, ad esempio, nel racconto di Ireneo sugli Ofiti «Jaldabaoth, esultando e glorifi-
candosi di tutto ciò che era sotto di lui, disse: «lo sono Padre e Dio e nessuno è
sopra di me». (Ireneo Adv. Haer I, 30, 6 in P.G. VII, col. 697 sg., tr. di M. Si-
monetti, Testi gnostici cristiani, Bari 1970 p. 64).
45 Si veda a tal proposito l'Ipostasi degli Arconti, dove, all'affermazione di
Samael «lo sono Dio, non c'è altri fuori di me», segue infatti «dali'indistruttibilità
... up'a voce: «Ti sei ingannato, Samael!». (M. Erbetta, Gli Apocrifi del Nuovo
Testamento, voI. l/l: Vangeli, Torino 1975 pp. 187 segg.).
46 Del medesimo parere è la Drower, A Pair o[ Nasoraean, cito p. 6 nota 6.
47 «È la personificazione di una atmosfera divina e assolutamente pura». E.S.
DrQ.wer, The Seeret Adam, cito p. 15.
156
48 Si noti la corrispondenza verbale col racconto, già esaminato, del X libro
del Ginza.
49 «L'homme essentiel, l'homme vrai, est aussi bien l'homme divin, la su-
b~tance divine de l'homme: cette substance anima le corps et (en meme temps) est
((punie» ou {(enfermée». (U. Bianchi, Perspectives de la recherche sur les origines
du gnosticisme. in U. Bianchi (ed.) «Le origini dello Gnosticismo» Colloquio di
Messina 13-18 aprile 1966, Leiden 1970 pp. 719 sgg.).
50 H. Jonas, The Gnostic Religion, Boston 1958 pp. 68-70.
H Si allude all'Inviato della Vita, che è «straniero» in rapporto al mondo.
52 Ginuz D. III, 109-110 Lidzbarski p. 120,25-121, lO.
53 Adamo, considerato capostipite dei Mandei (<<Adamo, il capo di tutta la
stirpe» Ginuz S. I, 2, 16 Lidzbarski p. 435, 32-33).
54 Ginuz D. III, 111 Lidzbarski p. 123, 25-31.
55 H. Jonas, op. ci~. p. 76 sg.
56 Ginuz D. X, 243-244 Lidzbarski p. 244, 32-35.
57 Gi,!uz D. III, 113 Lidzbarski p. 126, 3-6.
58 Ginuz D. XVI, 364-365 Lidzbarski p. 387, 1-388, 2.
59 Si tratta del viaggio che l'anima intraprende, dopo aver lasciato il mondo,
verso il luogo della Luce, attraverso i {(matarata», che Lidzbarski traduce con
((Wachthause» (Ginuz D. XVI, I Lidzbarski p. 383, 29), e la Drower con «Pur-
gatories» (E.S. Drower, Diwan Akathur or Progress through the Purgatories, Città
del Vaticano 1950 p. 24 sg.). Su questo argomento si veda W. Brandt, Das Schi-
ksal der Seele nach dem T ode nach mandaischen und persischen V orstellungen, in
«Jahrbiicher fiir protestantische Theologie», 18 (1892) pp. 405 -4 38 e 57 5-60 3
rist. anast. Darmstadt 1967.
60 Ginuz S. I, 2, lO Lidzbarski p. 430, 31-431, 3.
61 Citiamo come esempi il Vangelo di Tommaso « ... Quando vi spoglierete
della vostra vergogna e deporrete i vostri vestiti e li metterete ai vostri piedi alla
maniera dei bambini e li calpesterete». (J. Ménard, L' Évangile selon Thomas, Lei-
den 1973 p. 62 log. 37); i Bogomili « ... svestendosi senza fatica di questo involu-
cro di fango e carne e rivestendo la veste incorruttibile di Cristo» (Eutimio Ziga-
beno, Pan dogo XXVIII, 23, in P.G. CXXX, 1317 C); i Manichei «Che io possa
svestirmi della immagine della carne e deporre la veste della umanitàn (Salmo II,
26-28).
62 A.F. l Klijn, The Acts o[ Thomas, Leiden 1962 pp. 120-125.
63 Ginuz S. I, 2, 16-17 Lidzbarski p. 435, 33-38; p. 436, 16-21.
64 «lo sono il mio nome segreto dalla Casa della Vita, io sono Adakas-Ziwa,
che è venuto dal luogo segreto. Mi portarono qui i miei fratelli, gli Uthras, figli
della Luce, miei buoni amici, che sono venuti di là. Furono mandati da me e mi
portarono qui. Essi decretarono per me la morte per la dimora corporea, nella qua-
le sono cresciuto». Ginuz D. 245 Lidzbarski p. 246, 6-11.
157
 Ginza S. II, 1, 38 Lidzbarski p. 454, 15-17.
6)

Ginza S. II, 42 Lidzbarski p. 459,23-25.

66
67 Ginza S. III, 4, 80 Lidzbarski p. 513, 7-10.
68 Cfr. ad. esempio, la notizia sui Naasseni di Ippolito, Re[. Qtnn. haer. V, 7
in W. V61ker, Quel/en zur Geschichte der christlichen Gnosis, Tiibingen 1932 p. Il
sg.
.87 .Il rifiuto de~'~scetismo non si traduce, comunque, in un comportamento li-
bert,In~, del resto, ~l ~ generalmente concordi nel giudicare alto e coerente il tono
. D rower, Th e M an-
dell etIca .mandea, IspIrata spesso a motivi biblici . Cfr.E. S
doaeans, m. p. 41.
« D'le gott1"1Che Hauptgestalt, Manda dHaije, ist vielleicht mit der Gestalt
88

69 Una delle prime redazioni del testo è stata utilizzata da Ireneo. Cfr. C.
Schmidt, Irenaeus und seine Quelle in Adv. Haer. I, 29, in' «Philotesia: Paul Klei-
nert zum 70 Geburtstag dargebracht» Berlino 1907 pp. 317.-336; W.C. Till, The
gnostic Apocryphon of John, in «The Journal of Ecclesiastical History» 3 (1952)
pp. 14-22; G. Quispel, Der gnostische Anthropos und die jiidische Tradition, in
«Eranos Jahrbuch» 22 (1953) p. 197.
70 Ed. W. Till, Die gnostischen Schriften des k.optischen Papyrus Berolinensis
SJ02, Berlin 1972 fol. 48, 4-14 p. 137; Cfr. M. Erbetta, op. cit., p. 175.
des Urmenschen irgendwie verwandt, aber doch nicht identisch». W. Bousset
Hauf;probteme der Gnos~s, G6ttingen 1907 rist. 1973 p. 176. '
K. Rudolph, Dte Mandaer, cito voI. I p. 101.
90 ~. Macuch, Anfange der Mandaer, in F. Altheim-R. Stiehl (edd.), Die
Araber In der alten Welt, Berlino 1965 p. 79.
. 91 E.~. Yamauchi, Gnostic Ethics and mandaean Origins (Harvard Theolo-
glcal StudI es XXIV) Cambridge 1970 p. 9.
92 B. Dodge (ed.), The Fihrist o[ al-Nadim, New York-London voI. II

71 Apokryphon Johannis ed. W. Till, fol. 48, 14~ 51, 1 pp. 137-145; Cfr.
p.774.
M. Erbetta, op. cito p. 175 sg. 93 A .. Henrichs-~. Koenen, Ein griechischer Mani-Codex, in «Zeitschrift fiir
72 Apokryphon Johannis ed. W. Till, fol. 48,1-4 p. 137; Cfr. M. Erbetta, Papyrologle und Epigraphik» (1970) band 5 heft 2 pp 97 216' . . l
p. 118 sg. e 133-140. " . - , In partlco are
op. cito p. 175.
73 Apokryphon Johannis ed. W. Till, fol. 51, 17-52, 1 pp. 143-145; Cfr. 94H. Ch. Puech, op. cito p. 41.
M. Erbetta, op. cito p. 176. 9)L. Tondelli, Il Mandeismo e le origini cristiane, in «Orientalia» 33, Roma
74 Vedi p. 79. 1928 p. 44.
7) Per eventuali rapporti col mondo giudaico, cfr. H.M. Schenke, Der Gott

(~Mensch~) in der Gnosis, Gottingen 1962 pp. 64-93.

76 Somiglianza dell'appellativo Jivino «Signore di Grandezza» col «Padre di

Grandezza» di Mani, analoga descrizione del mondo delle Tenebre, terminologia

simile, etc.).
77 «qa(l» , usato anche nel Mandeismo con la stessa accezione «chiamare all' e-
sistenza».
78 Teodoro bar Konai, Libro degli Scolii, XI (H. Pognon, Inscriptions mandai-
tes des coupes de Khouabir, Parigi 1898 pp. 181-193), in F. Cumont, Recherches
sur le Manichéisme, Bruxelles 1908 pp. 7 -5 3.
79 G. Widengren, Mani und der Manichaismus, Stuttgart 1961, tr. it. Milano
1964 p. 64.
dO Teodoro bar Konai, op. cit., in F. Cumont, Recherches, cito p. 24.
81 Cfr. E. Buonaiuti, La prima coppia umana nel sistema manicheo, in Saggi
sul Cristianesimo primitivo, Città di Castello 1923 pp. 15 0-171.
82 Si allude al mito relativo alla cosiddetta «Seduzione degli Arconti».
~.. 83 Da ciò deriva l'antisomatismo e il rifiuto delle nozze e della generazione
prescritto da Mani.
84 G. Widengren, Mani, cito p. 76.
8) H. Ch. Puech, Le Manichéisme, Paris 1949 p. 71.

86 Teodoro bar Konai, op. cit., in F. Cumont, Recherches, cito pp. 47-49.

158
159
I: ;aJh

CONCETTA GIUFFRÈ SCIBONA

LA COSMOGONIA E L'ANTROPOLOGIA AHL I HAQQ:

ELEMENTI IRANICI E GNOSTICI

I
 Già da tempo V1adimir Minorsky l e, più recentemente, Mu-
hammad Mokri 2 hanno richiamato 1'attenzione degli studiosi sulle
complesse tematiche di una tra le più singolari religioni «nuove» sor-
te dall'Islam, quella degli Ah1 i Haqq (<<Fedeli di Verità»).
Diffusi in Iraq, Turchia orientale, Siria, essi hanno però il loro
centro nella zona occidentale dell'Iran (Kirmanshan, Luristan), dove
sono costituiti in massima parte da tribù kurde.
Vene diverse di religiosità islamica si sono sovrapposte, in ma-
niera talora inestricabile, nell'ideologia e nel rituale - strettamente
connessi tra loro - di questa setta. Vi compaiono in primo piano
forme di sciismo estremo. Per quanto sotto il profùo della discenden-
za non abbiamo rapporto con la corrente ismailita, tuttavia alcuni
elementi fondamentali della loro dottrina sono profondamente calati
in forme prettamente ismailite: tale è per esempio la credenza nelle
sette incarnazioni successive della Divinità e lo strutturarsi della
realtà in forma esotericamente triplice. Su tutto si dispiega 1'elemento
sufi, che si mostra, tra 1'altro, nell' affermazione continua, in varie
forme mitiche, della unicità e dell'inconoscibilità di Dio.
Ma, come è stato già notato 3, inquadrati in questa complicata
costruzione persistono elementi di sapore singolare e nuovo anche ri-
spetto a quelli di altre sètte che per molti versi si muovono in am-
bienti simili a questa degli Ah1 i Haqq.
M. Mokri, cui specialmente siamo debitori di una veramente
grande quantità di ((materiale» ah! i Haqq, ritiene, senza purtroppo
fornire sempre dei precisi riferimenti, che alla base delle loro creden-
ze stiano molte tradizioni dell'Iran preislamico. A noi qui interessa
vedere, più concretamente, se si possano rinvenire, nell'ideologia ah!

163
i H aqq, elementi di origine iranica, sia pure mediati, come sembra,
da forme gt;lostiche-manichee.
Il mito cosmogonico degli Ahl i Haqq, fondato sul tema della
Perla, trova il suo pendant nel mito simile degli Yezidi e, almeno in
parte, si ritrova in forma pressochè identica in un trattatello sciita
duodecimano sui miracoli di Ali 4. N on ci fermeremo sul valore co-
smogonico del concetto della Perla e sulla diffusione enorme di que-
sto motivo in altri mondi religiosi. Sulla base delle molteplici varian-
ti del mito ci interessa anzitutto sottolineare come nella cosmogonia
ahI i H aqq si faccia specifico riferimento al concetto di una doppia
creazione: la prima spirituale, la seconda materiale. La mente corre
subito alla doppia creazione operata da Ohrmazd al livello meno* e,
poi, geti*, documentata nelle fonti mediopersiane. Ci si rende subito
conto però che ci muoviamo qui in una impostazione diversa: là il
menok, contiene già in sé il geti* ed è anzi finalizzato al gumlcishn, che
solo permetterà poi 1'annientamento finale di Ahriman. Il fulcro della
vicenda è in questo mondo, in cui le creature di Ohrmazd, allo stato
gefi*, solidali con lui, lottano contro l'opera mortificatrice di Ahri-
mano Qua invece la realtà fondamentale sta nella creazione spirituale,
la quale si riferisce, come risulta dalle diverse varianti dei miti, agli
angeli.
La doppia struttura della realtà è un concetto già presente nel
primo ismailismo persiano 5, e si ritrova poi ancora nel sufismo 6. E
tuttavia, nelle forme in cui si presenta presso gli Ahl i Haqq, è dato
trovare alcuni tratti particolari che ci richiamano in qualche modo
l'ambiente iranico.
Il modo in cui la creazione spirituale avviene nello Shdhndma-y
Haqiqat, pur rientrando nelle tematiche della «metafisica della luce»
della là/sala 7, presenta delle somiglianze notevolissime col passo pa-
rallelo del Bundahishn.
Così suona il testo ahl i Haqq:
«Per fare apparire la sua prima creazione nel mondo spirituale, Dio fissò il
suo sguardo sulla Perla. Un baleno bruciante ne sorse, brillò, turbinò e
splendette. Dalla sua sostanza sorse la luce dell'Essenza divina» 8.
164
E il Bundahishn:
«Dalla sua essenza che è luce materiale, Ohrmazd trasse la forma delle sue
creature, una forma di fuoco splendente, bianco, rotondo e visibile da lon-
tano» 9.
L'analogia risulta ancora evidente dalla seguente variante del
mito cosmogonico nella versione del Ketab-e Serendjam:
«Nella sua prima manifestazione (lett. "primo vestito") egli (se. Dio) creò
dalla sua luce infiammata gli amici-angeli e le cinque persone della famiglia
del Profeta» lO.
Ma oltre che nella forma di fiamma splendente e luminosa; l'es-
senza divina si manifesta, presso gli Ahl i Haqq, anche sotto l'aspet-
to di una goccia «gettata dentro la gemma», da cui derivano il Cielo
e la Terra. Questa versione del mito cosmogonico si trova nel tratta-
to persiano del derviscio Golshir Sabzavari:
«N el giorno in cui non c'era né Terra né Cielo, il re del mondo era una
gemma dentro la conchiglia; in seguito, per mezzo della sua potenza egli
gettò una goccia della sua sostanza nella gemma ed essa si depose nel seno
"della gemma. Allora Dio tuonò e quella divenne l'acqua. I cieli furono for-
mati dal suo vapore e la terra dalla sua schiuma» Il.
Ora si dà anche nel Bundahishn, per quanto in una menzione se-
condaria, il concetto di una goccia d'acqua da cui avrebbe origine
tutta la realtà, esclusa quella animale e umana:
«La prima creazione tra tutte fu una goccia d'acqua, poichè tutte le cose
sorsero dall'acqua eccetto il seme dell'uomo e del bestiame, poichè quel
seme ha il seme del fuoco» 12.
Tuttavia questa tematica della goccia è piuttosto marginale nella
cosmogonia ahl i Haqq.
L'impostazione centrale e privilegiata, pur nelle diverse varianti
del mito cosmogonico, è invece quella in cui l'elemento luminoso,
165
come sostanza divina 13, è connesso con una forma di creazione spi-
rituale prettamente emanazionistica o evocativa.
Una tale impostazione si trova, e ciò è estremamente significati-
vo, nell'Ummu' l-k,itab, testo sacro di un gruppo isolato di ismailiti
abitanti la regione dell'Oxus superiore ed il Pamir, attribuito dall'l-
vanow 14 al X-XI sec. ed in cui il Bausani ha ritrovato, insieme ad
innegabili (presenze linguistiche» iraniche, numerosi concetti iranico-
manichei 15.
N el dare la prima notizia di questo testo, l'lvanow aveva già ri-
levato evidenti analogie tra le dottrine ivi illustrate e quelle dei N u-
sairi e degli AhI i H aqq 16.
N ella prefazione alla traduzione italiana, P. Filippani Ronconi
crede di poter affermare che l'Ummu'I-k,itab è il «testo di una scuola
persiana di origine manicheo-mazdaica» l 7 la quale si sarebbe succes-
sivamente islamizzata per «simbiosi con sette eretiche musulma-
ne» 18, simbiosi dello stesso tipo di quelle avvenute nei primi 15 O
anni dell'Egira tra zoroastriani, mazdakiti e musulmani ribelli.
L'appartenenza all'lslam ismailita costituisce però un elemento
quasi del tutto esteriore alla sostanza dell'Ummu' l-k,itab, il quale, se-
condo Filippani Ronconi, si potrebbe definire senz' altro un' opera
( gnostico-m~nichea» 19.
Il sostrato iranico, che costituisce la parte più antica del testo e
quella che più lo qualifica in senso gnostico-manicheo, è comparabile,
in alcune sue strutture essenziali, al contesto ideologico ahl i Haqq.
Insieme con quest'ultimo esso è riconducibile, a nostro avviso, nelle
sue origini, ad un fondo di religiosità popolare iranica, che avrebbe
costituito l' humus su cui si sarebbe impiantato il proto-ismailismo in
Persia 20.
Riportiamo qui alcuni passi del mito di creazione del trattato
ismailita che ci sembrano estremamente significativi per la compara-
zioee con il mito cosmogonico ahI i Haqq:
«Nel primo ~ri~cipio che è l'Eterno Signore (Khuddvand-i jdvfd) non v'e-
ra altra cosa InSleme con quelle cinque luci elette (nt2r-i khass) fra le quali si
maQifestò il Re Altissimo (malik ta dia) ... Dopo questi eletti degli eletti ap-
166
pa:vero i. c.inque colo~i di qu~l Consesso Giudicante (dtvan) del Termine
del Terffiln1 f..t,hdyatu l-ghdydt) eterno, in centoventiquattromila sfumature
di color-e trasmutantesi l'una nell'altra ad ogni istante ... D 21.
, Ci troviamo di fronte ad un tipo singolare di creazione che ha
l aspetto di un'evocazione quasi illusionistica. in cui Dio, di natura lu-
~in~sa, dà or~gine alle prime creature in forma di successive appari-
ZIOnI. Se legglamo la seguente variante del mito cosmogonico ahl i
Haqq ci accorgiamo di muoverci nella stessa atmosfera:
<dI creato:e dell'universo, all'inizio della creazione, con la sua perfetta po-
tenza, creo una Perla, nella quale fece apparire cinque immagini della sua
propria immagine 22• Esse gli offrirono un sacrificio, poi, per mezzo del
suo potere sovrano, esse si fusero in una sola immagine che era Dio stesso
I e la Perla disparve. Dio restò solo, eterno, unicoD 23.
Il mito continua con l'apparizione e successiva sparizione a di-
stanza di settantamila anni, di sette, dodici, quattordici, fino a cento-
ventiquattromila immagini, finchè Dio decide di manifestarsi alle
creature e crea dalla sua pura luce una Perla in forma di lampada 24.
La Perla, che in questa variante del mito deriva dalla sostanza
di Dio 25, è quasi sempre, presso gli AhI i Haqq, l'involucro della
realtà divina e dei cinque o sette angeli che costituiscono la creazione
spirituale. Questa pentade angelica, che è presente in pressochè tutti i
miti ahI i Haqq, corrisponderebbe ai cinque puri della tradizione scii-
t~:_ Muhamma~, Ali, Fatima, Hasan e Husain, i quali nell'Ummu'l-
Jettab sono le cmque membra (ajzJ) luminose 26 di Dio stesso, perso-
na di luce (shak,hs-i nuranf) 27 e sono paragonati anche agli «alberi
del Paradiso derivati dalla luce di Dio» 28.
Ora, secondo l'informazione raccolta dall' armeno Adjaran presso
Tumari, una setta identificata dal Minorsky 29 con i nostri AhI i
Haqq, . «les .qu:tre ensemble (se. gli angeli, che qui sono quattro)
sont Dleu lU1-meme et sont nommés Tcharthen (" quaternité"), littéra-
1ement " quatre-corps» " 30 .
Emerge dunque chiaramente dai due contesti non solo la stretta
connessione dei cinque personaggi con la sostanza di Dio, ma ancne
167
l'immagine, tipicamente manichea, di essi come «membra» di Dio 31.
Il quinto personaggio angelico ahI i Haqq, Ramzbar, ha un no-
tevole rilievo nei testi e nel culto. Si tratta di una figura femminile il
cui IJ.ome indica s'pesso anche le madri «vergini» delle varie teofanie.
Essa è perciò detta anche «madre di Dio» 32 ed è identificata a Ma-
ria, madre di Gesù la quale - si dice - è una sua manifestazione 33.
Ma in alcuni testi il suo sesso appare indistinto e talora si dice persi-
no che è androgina 34.
Un tale atteggiamento nei riguardi di Ramzbar si accompagna
all'idea di una certa negatività o comunque inferiorità del femmini-
le 3 j.
Un'impostazione abbastanza simile troviamo in altre sètte islami-
che estreme 36 (per esempio presso i Nusairi) e nell'Ummu'l-*itab nei
riguardi di Fatima. Come si è detto, Fatima è nel testo ismailita una
delle cinque luci divine: ma, insieme a questa particolare glorificazio-
ne del personaggio, notiamo che il suo nome è spesso trasforma~o
nel ma~chile Fdtir (<<creatore» o «forma creatrice») 37, così come av-
viene presso i Nusairi 38. A ciò si accompagna un atteggiamento
esplicitamente negativo dell' elemento femminile 39. Quest'imposta-
zione dialettica richiama immediatamente l'analoga prospettiva gno-
stica 40, ma, più in particolare, ci induce a postulare un «milieu» ma-
nicheo o manicheizzante cui i due ambienti (degli Ah! i H aqq e
dell'Ummu'l-*ititb) potrebbero avere attinto.
Tra gli altri elementi comparabili notiamo presso gli Ah! i Haqq
un atteggiamento singolare nei riguardi di Ali, il quale costituisce
una delle incarnazioni di Dio stesso 41. Una così alta glorificazione
di questo personaggio, che ha valso agli Ah! i Haqq la denominazio-
ne di Ali-llahi (<<divinizzatori di Ali»), si ritrova anch' essa nel trat-
tato ismailita, in cui Ali è la prima manifestazione di Dio all'inizio
del mondo 42.
Il motivo tipicamente manicheo del valore ontologico, oltre che
sal\tifico, del grido divino (cfr. il «grido affùato» dello Spirito Vi-
vente) 43 emerge ancora dalla comparazione tra un passo del trattato
ismailita e una versione del mito cosmogonico ahI i Haqq, comunica-
to ~ Minorsky dal seyyed di ,Kélardesht. Nell'Ummu'l-*itab, dopo
168
la creazione delle Cinque Luci, Dio crea altre creature tramite un
grido creante (dvdz-i dferinish) 44. Così anche nel mito ahI i Haqq,
dopo la creazione dei cinque angeli nella Perla, è con un grido (Hu,
il grido tipico dei mistici islamici) che vengono creati il mondo ed
Adamo, una specie di Protoanthropos con ,caratteri divini 4j.
Come vedremo meglio in seguito, in altre versioni del mito co-
smogonico ahi i Haqq riferite da Mokri, è Gabriele-Benyamin, il
primo angelo creato, che assume anche il ruolo dell'uomo primordia-
le, l'Adamo spirituale (Adam-e ruhdnf) ed è la prima creatura che en-
tra in rapporto col Creatore. Egli ha anéhe la funzione fondamentale
di guida (muqtadd) di tutte le creature 46. In modo analogo l~ stesso
angelo viene designato nell'Ummu'l-*itab: «Manderò a voi Gibri'l,
cioè la guida divina» (hidayat-i-ilahi) 4 7.
Un'altra analogia, infine, si può osservare nel concetto della in-
carnazione, indicata nell'Ummu'l-*itab con termine tecnico (hijdb)
((vestito», dal significato analogo a quello ahI i Haqq (jamé = «ve-
stito» ) 48.
È difficile stabilire attraverso quali vie tali concetti, alcuni in
corrispondenze quasi precise, siano giunti all' ambiente ahI i Haqq. È
certo comunque che' le analogie di impostazione e di immagini che
abbiamo visto emergere dalla comparazione tra il testo ismailita ed i
miti cosmogonici ahi i Haqq, se da una parte mostrano gli aspetti
chiaramente manicheizzanti delle dottrine della nostra setta, dall' altra
pongono il problema dell'origine storica di questi aspetti comuni. Si
potrà allora ipotizzare un rapporto' con quei nuclei di religiosità
proto-ismailita, non ancora «raffinata» e sistematizzata dall'influsso
greco e forse intrisa dei fermenti di quella religiosità popolare iranica
di cui si è detto, la quale, pur svelandosi in qualche tratto 49, per
molti altri ci sfugge ed andrebbe sistematicamente studiata.
Ma nel patrimonio mitologico ahI i Haqq sono confluiti anche
degli aspetti della tradizione zoroastriana codificata, e ciò in forma
abbastanza chiara. Essi risultano da altri tratti del mito cosmogoni-
co.
Nel poemetto del didadar (<<veggente») ahi i Haqq Shéikh
Amir w compare innanzitutto il solito tipo di creazione a carattere
169
evocativo. Vediamo poi però il concetto di «patto», tipico, anche se
in forme diverse, della tradizione zoroastriana. Esso ricorre continua-
mente nelle narr~zioni cosmogoniche ah! i Haqq ed ha almeno tre ri-
ferimenti: il termine che lì viene usato, eqrar, indica infatti insieme:
a) il patto pretemporale tra Dio e il primo angelo Benyamin (Ga-
briele), con cui quest'ultimo diventa guida (pir) inviata da Dio, b) il
patto tra Dio e gli angeli, con cui Dio promette di manifestarsi nella
creazione e c) un tipo di unione mistica che si contrae tra uno o più
uomini e una 40nna, chiamato «matrimonio della verità», che si dice
fatto per il «giorno della resurrezione» e che nello stato pretempora-
le è esemplificato dall'unione tra i due angeli Mustafa e Ramzbar 11.
Una funzione tutta particolare nella cosmogonia ah! i Haqq ri-
veste, come si è detto, Gabriele-Benyamin, il primo angelo creato.
La sua creazione è cosÌ descritta nello Shdhndma-y Haqlqat: ,
«Dio, il giudice, nel suo «vestito» di segreto gettò uno sguardo nel seno
della Perla e scel~e in questa un granello, suscettibile di diventare un uomo
degno, vi gettò uno sguardo di grazia e lo rivestì di un' apparenza simile al
sole splendente. Così fu creato Pir-Benyamin. Poi egli cambiò il suo nome
e gli diede quello di Gabriele. Gabriele fu il signore e la guida dei due
mondino
La dignità superiore di -Gabriele, prima manifestazione di Dio e de-
legato dalla divinità al governo dei due mondi, considerata, col suo
contesto, comparativamente con i testi che citeremo, costituisce il
presupposto per lo svolgersi della tensione, talora, almeno per impli-
cito, dualistica che, nel seguito del racconto mitico, sorgerà tra i due
personaggl.
Gabriele, ignaro di Dio, vaga attraverso il mare in forma di uc-
cello e una voce potente gli chiede di riconoscerlo; ma egli risponde
che non conosce altri che se stesso; segue la punizione: Dio gli bru-
cia le ali, ma poi, con uno sguardo di misericordia, gliele ridà. L'epi-
sodio si ripete finchè appare a Gabriele un fanciullo bello come il so-
le, il quale gli si presenta come guida inviata da Dio, gli insegna
qual' è la risposta che dovrà dare e gli dà da bere una coppa di «ac-
170
qua di vita» che gli coml,lnicherà la conoscenza di sé, come angelo, e
di Dio 52.
Il mito, che è documentato in questa forma nello Shdndma-y
Haqiqat e, con qualche variante, nel Tadhk.,ira-y a Id ed in una tradi-
J
zione orale, è presente, con caratteri analoghi, in ambiente yezidi-
co 53. Il contrasto del Creatore con Gabriele, il quale talora si alter-
na a Melek Ta'us (l'Angelo Pavone), assume però nei testi yezidi un
rilievo più marcatamente dualistico per le funzioni demiurgiche attri-
buite al «secondo».
Come è noto, il motivo di una autoaffermazione, che diventa ta-
lora un diverbio originario tra l'Essere supremo e il collaboratore-
avversario, fondato sulla pretesa «autonomia» di quest'ultimo, è pre ..
sente in numerosi ambienti etnologici 54. N ella vasta area di diffusio-
I ne in cui lo troviamo, dall'Europa orientale all'Asia centro-
settentrionale, è importante notare gli esempi che presentano tratti
analoghi a quelli del mito ah! i Haqq: l' ornitomorfismo dell' avversa-
rio, lo scenario del mare primordiale, l'ignoranza e la protervia del
«secondo».
CosÌ nella Leggenda del Mare di Tiberiade il dialogo tra Dio
ed il suo interlqcutore, Satanael, in forma di uccello acquatico, si
svolge sulla distesa del mare. A Dio, che gli chiede chi sia, Satanael
risponde: « lo sono Dio». Ed al C~eatore che replica: «E me allora,
come mi chiami?» Satanael risponde: «Tu sei il Dio degli dèi e il Si-
gnore dei signori». Dopo questa risposta Dio ordina a Satanael il
pescaggio della terra 55 che il «secondo» opera sulla base di sue in-
tenzioni in contrasto con quelle di Dio.
Ancora in forma di uccello si presenta l'avversario in una leggen-
da della Grande Russia 56 , mentre ambedue i personaggi sono pre-
sentati nella medesima forma sul mare primordiale in una leggenda
della Russia settentrionale 57 ed in due miti rispettivamente dei Tata-
ri dell'Abakan 58 e dei Tatari dell'Altai 59 di carattere chiaramente
dualistico.
I termini della comparazione ci rimandano al più vasto proble-
ma, già più volte dibattuto 60 e sul quale perciò non ci fermeremo, se
questa ampia tematica dualistica, presente, oltre che nel folk1ore del-
171
 fanciullo divino che ammaestra l'angelo sulla risposta da dare al
l'area in oggetto, anche in queste sètte musulmane dissidenti e nei te-
Creatore è identificato con Ali, proprio perché l'opera è volta all' e-
sti bogomili, sia da ricondurre ad antichi temi etnici o ad influenze,
saltazione di questo personaggio.
più tarde, di dualismi culti. . .
Possiamo pertanto ritenere che questa tematica, ed altre ad essa
La consistenza ampiamente sincretistica della tematlca ah1 l
collegate cui sopra abbiamo accennato, già ampiamente diffuse in àm-
Haqq risulta comunque confermata da vari indizi che ci mostrano al-
bito popolare, furono assorbite da diversi ambienti culti che le ac-
trettante linee di provenienza o di collegamento di singoli temi.
colsero in modo diverso e conforme alle loro particolari ideologie.
In particolare il mito in questione, quanto all' ambientazione, alla
Ma se l'impianto generale del mito 67 sarà confluito nella mito-
forma ed allo stile chiaramente folklorico, si può collegare all'antico
logia ah1 i Haqq dalla tradizione sciita, i caratteri particolari di esso
diffusissimo motivo del ((pescaggion della terra da parte di un colla-
ci permettono di ritrovare dei paralleli più precisi con la tradizione
boratore o avversario di Dio. E una conferma della diffusione di
iranica.
questo quadro cosmogonico ci proviene dallo studio del Roux 61, il
Mokri 68 sottolinea infatti che proprio Gabriele, che nella tradi-
quale ritrova, identica presso i turchi, l'immagine ah1 i Haqq e yezi-
zione ah1 i Haqq rappresenta l'uomo primordiale, l'Adamo spirituale
di 62 della divinità in forma di uccello sopra un albero radicato nel
(Adam-e ruhdnt) , entra in relazione con Dio tramite questa manife-
fondo del mare primordiale.
stazione divina del fanciullo bello come il sole. Ora, nel Bundahishn
Quanto poi ad una versione piuttosto isolata del mito cosmogo-
è detto che Vayu, il Vento, è creato da Ohrmazd in forma di fan-
nico ahI i Haqq 63, che il Roux pone in rapporto di analogia, anzi di
ciullo in aiuto all'uomo giusto 69. Ancora nel Bundahishn 70, a pro-
identità, con un mito dei Bektashi, esso ci apre altre prospettive di
posito del Sonno, si" dice che esso fu creato da Ohrmazd in forma di
comparazione'. Secondo questo racconto Dio, dopo aver creato il
fanciullo per il riposo di Gayomart.
mondo manda Gabriele a cercare un pugno di terra per creare l' uo-
Gli sviluppi ulteriori del mito presentano altri elementi di no-
mo. Ma la terra, lamentandosi per le conseguenze future di questa tevole interesse per un certo più o meno implicito dualismo cosmolo-
creazione, ri,cusa di essere presa, e Gabriele, avuta pietà di essa, tor-
glCO.
na da Dio a mani vuote. Viene inviato allora Michele con lo stesso
Una volta che tutti gli angeli sono stati creati, chiedono a Dio
risultato. Alfine è Azraele che riesce nell'impresa e che pertanto viene
di creare l'universo e l'uomo 71. Egli acconsente, a condizione che gli
delegato da Dio a prendere le anime degli uomini, dopo la morte. angeli osservino la sua legge e accettino d'incarnarsi, subendo tutte le
Tutto questo racconto, identico fin nei particolari, si ritrova in sofferenze inerenti all'umanità. Si prospetta dunque, anzi di fatto si
una tradizione musulmana trasmessaci da Tabari 64 e nella letteratura instaura, un diverso regime, quello materiale e mondano, in cui le so-
extrabiblica relativa alla tradizione giudaica circa la creazione di
stanze angeliche, incarnandosi, si trovano in una situazione diversa
Adamo 65. Ci si può chiedere quale sia il ruolo che la versione giu-
da quella che era loro propria alle origini, e dichiaratamente negati-
daica abbia avuto rispetto a quella islamica, e se proprio a partire da va, anche se non opposta, rispetto ad essa. Tuttavia questa nuova
quest' ultima il mito sia stato assunto nel patrimonio mitologico degli condizione è sentita, in qualche modo, come necessaria. Infatti si in-
Ah1 i Haqq. siste a lungo in più versioni del mito cosmogonico sul disagio di Ga-
Tornando poi al motivo particolare della discussione originaria briele nello stato spirituale:
di Dio con l'angelo, è interessante osservare che, come si è detto, un
racconto con caratteri identici a quelli del mito ah1 i Haqq appare in «Egli percorreva il mondo da una regione all'altra, non conosceva il segre-
un tr:attatello sciita a tendenza estremista del 1591/92 66. In esso il to del Giudice (se. Dio), errava in questo mare, non aveva un luogo dove

172 173
 l
riposarsi. Non poteva né mangiare, né dormire, non aveva né compagni,
né eguali (hamsar) , né confidenti, né una persona con cui parlare salvo
•
Dio» 72.
Gabriele stesso perciò sollecita Dio alla creazione di altri esseri:
«Allora Gabriele disse a Dio il Giudice: Tu mi hai creato solo uomo in
questo mare illimitato, io non ho né tranquillità, né un luogo per riposarmi,
dove potrei lodare la tua Essenza, pregarti? Come posso vivere solo?
Come servirti? lo non, ho la forza di ringraziarti, la mia lingua non basta a
pregarti, tu sei Onnipoténte su ogni creatura, un solo servitore non può
contenere tutta la divinità. lo spero che tu creerai per me dei compagni
(yar) e degli amici intimi con cui parlare, in modo da essere associati nel
tuo servizio, confidenti discreti del Segreto della vita e della religione. O
Creatore del mondo, esaudisci con generosità la domanda di questo picco-
lissimo» 73.
Segue nel testo la creazione degli altri quattro angeli, del mondo ma-
teriale e dei corpi, in cui gli angeli, insieme agli uomini, si incarnano.
In definitiva, dunque, la creazione del mondo materiale e del-
l'uomo costituisce automaticamente una situazione dialettica in cui la
seconda faccia della realtà (elementi negativi connessi allo «status»
umano) è in eliminabile , anzi, in certo senso provvidenziale.
Ma se la qualità dualistica di questo quadro cosmogonico e an-
tropogonico si rivela tutta particolare, l'immagine degli angeli che
accettano di scendere sulla terra, concludendo con Dio un patto che
sarà prototipico per l'umanità futura, richiama da vicino il noto epi-
sodio della scelta delle fravashi nel Bundahishn:
«Ed egli (Ohrmazd) si consigliò con la coscienza e la fravashi dell'uomo e
infuse onnisciente saggezza nell'uomo e disse: "Che cosa vi sembra più uti-
le, che io vi destini al mondo materiale e che voi lottiate, facciate corpo
con la druj e la distruggiate, e che noi vi facciamo risorgere alla fine integri
e immortali e vi ricreiamo di nuovo in forma materiale e per sempre voi
siate~'esenti da morte e da vecchiezza e da nemici, o che voi restiate in eter-
no preservati dall' aggressione?" E le fravashi degli uomini videro, con
quella onnisciente saggezza, il male che sarebbe loro venuto dalla druj e da
Ahriman nel mondo materiale, ma, a causa della preservazione dall'inimici-
174
zia dell'avversario e del loro essere di nuovo integre e immortali al tempo
del corpo futuro fino ai secoli dei secoli, accettarono di andare nel mondo
materiale» 74.
Un concetto in parte simile compare anche nel trattato apocalit-
tico mediopersiano Ayat/e.ar-i Zamaspi/e.:
«Disse (Ohrtnazd): Chi conviene che sia il primo signore e giudice? Allora
gli Amesha Spenta, specialmente Artvahist, dissero: "Che sia tu o creatore
Ohrmazd, quel signore nostro e giudice, l'unico, l'eterno che è sempre stato
e sempre sarà e che tu sia il nostro creatore, tu che ci hai prodotti e creati
col tuo stesso eccellente sentire". Ed essi furono consenzienti l'uno con l'al-
tro» 7'.
Come è già stato osservato 76, questo concetto era entrato nella
tradizione islamica fin dalla composizione del Corano, come mostra
il famoso versetto della sura di Araf (Cor. VII, 172) 77. Nel passo
coranico, come del resto in ZamilSpl/e., 1'accento, piuttosto che sul
concetto della scelta, tipico della concezione iranica, si fonda sull' ac-
cettazione dell' atto della creazione e delle conseguenze che ne derive-
ranno. Ed è proprio in questa forma che esso è confluito nella mito-
lògia ahl i Haqq.
II
Il livello antropologico è quello dal quale emergono forse ancora
più chiaramente alcuni elementi singolari della ideologia ah! i Haqq
che richiamano più da vicino immagini di tipo iranico e concetti tipi-
ci della gnosi.
Una insistenza continua sulla natura e la salvezza dell'uomo si
nota infatti nei vari Qalam e trattati ahl i Haqq, in cui si specula
molto sulle componenti animiche dell'uomo, sulla loro origine, sull' e-
tica e sulla soteriologia. Bisogna subito dire che ci troviamo qui, al-
meno apparentemente, fuori dall'impostazione fondamentale dello
gnosticismo: non si dà, a prima vista, nessuna forma di dualismo an-
175
ticosmico e antisomatico. Tuttavia, citando una testimonianza anoni-
ma per chiarire quale fosse la concezione ahl i Haqq sull' origine del
male, Minorsky faceva notare che le passioni umane, causa di male
per l'uomo, ~i dividono presso gli AhI i, Haqq in due categorie, chia-
mate «creazioni spirituali» (makblouqé-roubdni) e «creazioni di fuo-
co» (makblouqé-ndri) 78. Torneremo sull'imponanza di questa secon-
da categoria. Vediamo intanto come i contorni dualistici di questa
concezione si vadano più chiaramente configurando nel Firk.an al
Ak.bbar, trattato scritto dal saggio ahl i Haqq Hadjdji Ni 'mat Al-
lah (1871-192 O), il quale credette giunto il momento di rivelare gli
«arcana» della sua setta. In quest'opera si afferma infatti che gli es-
seri umani si dividono in due distinte categorie: gli esseri fatti di cre-
ta gialla (Zilrda-gil) e quelli fatti di terra nera (siyak-kbak) 79. N ono-
stante le mille e una incarnazioni purificatrici cui tutti gli uomini
sono sottoposti, il destino delle due categorie è ineluttabilmente con-
dizionato dalla materia che ha dato loro origine.
Eccoci dunque dinanzi ad una delle strutture fondamentali dello
gnosticismo: la natura. ontol<:>gica del male spiega le diverse categorie
umane e ne determina automaticamente la sorte futura. Gli apparte-
nenti alla prima classe, infatti, ontologicamente buoni, nel corso della
vita, attraverso le sofferenze, diventano sempre più luminosi e si av-
vicinano a -Dio. Gli altri, i «tenebrosi», ontologicamente malvagi,
non vedranno mai la luce divina. O gni categoria mostra poi un' ulte-
riore specificazione comprendendo la prima i Salvati e i Luminosi,
capeggiati da Benyamin, una delle sette incarnazioni angeliche, e da
Sayyid Muhammad - l'altra gli Esseri di Fuoco e di Tenebra, ca-
peggiati da Iblis e da Khaunas 80.
N el trattato del didadar (veggente) ahl i H aqq N fu Ali Shah
Elahi, figlio dell'autore del Fir*an, pubblicato da Mokri in un volu-
me dal titolo «L'Ésotérisme kurde», si dà ampio spazio all'approfon-
dimento di questi concetti, sia da parte del saggio ahl i H aqq, sia
sulla.·.base di notizie che lo stesso Mokri fornisce sull' argomento. La
quadruplice divisione delle anime si specifica ulteriormente in tal sen-
so: la categoria delle anime luminose comprende i puri e i giusti,
que~a delle anime redentrici si riferisce ai santi e profeti. Ambedue
176
hanno alla loro testa i sette angeli creati alle origini, che, in qualità
di profeti della prossima incarnazione di Dio, si manifestano ad ogni
ciclo. A capo delle anime tenebrose, ontologicamente malvage, stan-
no invece 81 i Sette Capi delle Tenebre (Haft~Sarddr e Zulmdnl), e
tale opposizione si ricostituisce in corrispondenza ad ogni ciclo di in-
carnazione della divinità.
Le tre cat'egorie, come si vede, possono agevolmente ridursi a
due, quanto alla loro qualità ontologica.
La sostanza di questa concezione ahl i Haqq può dunque com-
pararsi legittimamente a quella che è a base dei vari sistemi gnostici;
la forma che essa assume però nel Firk/ln e nel trattato di Nfu Ali
Shah Elahi, esprimente una dicotomia così sistematica, con i sette
che capeggiano le due schiere di anime, richiama chiaramente la crea-
~ione luminosa di Ohrmazd, capeggiata dai sette Amesba Spenta e
quella parallela, tenebrosa, di Ahriman, capeggiata dai sette primi
demoni 82.
Accanto a quest'impostazione così chiaramente dualistica, subito
s'introduce però l'ulteriore alternativa di una terza categoria: le ani-
me ihfernali, infatti, partecipando del carattere duplice del fuoco 83,
pres~ntano due parti, "l'una tenebrosa, l'altra luminosa; dal soprav-
vento dell'ima o dell' altra dipende la loro salvezza. Una quarta cate-
goria è data poi dalle anime dei discendenti di Adamo (l'Adamo ce-
leste), anch' esse non buone, né malvage per essenza, ma aperte ad
ogni influsso 84.
Questi due tipi ulteriori, sostanzialmente affini, presentano anco-
ra una situazione che richiama da vicino note posizioni gnostiche: si
può ricordare la categoria degli psichici destinati alla /J€OOTllC; della
gnosi valentiniana 85 e la triplice ripartizione del tutto nella dottrina
dei Naasseni testimoniata da Ippolito (Re[. V, 6). Per essi, come è
noto, l'uomo è composto da tre elementi: spirituale, psichico, terre-
stre. (<Infatti, secondo loro - scrive Ippolito (loc. cit.) - tre sono le
specie di tutte le cose: angelica, psichica, terrestre».
Ma, come si è già osservato, a questa impostazione ternaria delle
realtà animiche soggiace sempre - come anche nei sistemi gnostiCi
suindicati - una struttura chiaramente dualistica.
177
 N el capitolo 41 del trattato di cui si è detto, infatti, N fu Ali
Shiih, rispondendo alla domanda di Mokri, afferma che (de anime
redentrici sono state create dalla mabda (<<origineD) di Dio, cioè dal
suo essere e dalla sua essenza che è luminosità, mentre le anime tene-
brose egli le ha create da un' altra essenza, cioè dalle tenebreD 86.
Questa essenza delle tenebre, la cui origine sta nella parte di tenebra
che è nel fuoco 81, lascia emergere chiaramente il sostrato dualistico.
Inoltre, l'attribuzione, da parte degli Ah1 i Haqq, di alcune realtà ne-
gative come la zanzara, il verme, lo scorpione, animali ahrimanici
nella tradizione iranica, non a Dio, ma alla natura, e così pure 1'idea
della doppia qualità del fuoco, idea presente, come è noto, anche nel-
la tradizione iranica 88 mazdea e manichea, sottolineano la presenza
di un certo speculatore di tipo dualistico anche nella cosmologia ahl i
Haqq 89.
U n concetto molto particolare degli Ah1 i Haqq, relativo sempre
alla sfera animica, è quello del dhdt (<<essenza»), elemento atempora-
le che è presen.tato come una specie di supporto dell' anima ed il cui
rapporto rispetto all'anima medesima è esemplificato coll'immagine
delle due asticelle del compasso 90. (Il compasso è immagine comune
nella mistica islamica; compare, tra l'altro, nell'Intelletto Rosso di
Suhravardi) 91,. N ella prospettiva incarnazionistica il dhdt è un ele-
mento che soltanto alcuni esseri possiedono, i Dhdt-dhdr, tra cui gli
Haftan, cioè i Sette Angeli creati da Dio alle origini e le anime re-
dentrici (quelle dei Santi, cioè, e dei profeti). Anche nell' ambito dei
possessori del dhdt esiste però una gerarchia, essendo il dhdt di Dio
e di Sultan Sohak la principale teofania degli Ah1 i Haqq, superiore
ai dhdt degli Angeli. , di particelle di divinità». Una tale definizione avvicinerebbe, secon-
Mokri paragona questo concetto alla nozione di XVar~nah della
tradizione iranica: «la luce - egli scrive - di gloria e di vittoria che
accompagna alcuni esseri privilegiati» 92. Roux 93 riconosce la possi-
bilità di questa comparazione, sottolineando come il xVaranah, da
part~, sua, sia stato posto in rapporto 94 con il qut, un concetto degli
antichi turchi, studiato dal Bombaci 9', che lo ha definito «principio
vitale». Così il vero significato di qut varrebbe a chiarire meglio il
concetto di dhdt come «dono vitale del cielo, viatico di vita».
178
A noi pare che attribuire un tale valore a dhdt - a parte 1'analo-
gia col concetto di qut nella quale non entriamo - significhi porre
come altro termine di paragone il xVaranah inteso come «fortuna,
prosperità data, dal cielo», sulla base della etimologia data dal Bai-
ley 96, il quale parte dalla radice hvar «prendere», che egli trova nel
khotanese e in certe forme del verbo persiano xVardan «nutrirsÌ».
StÙla base della vecchia etimologia che'mette in connessione xVa-
ranah con la radice hvar «sole» (skr. svar) , Duchesne-Guillemin ha
fatto un riesame della questione del significato di questo concetto, ri-
tornando all'antica connessione xVaranah - «luce», che dava alla pa-
rola il significato di «fuoco celeste» 91, «splendore luminoso» che si
comunica ad alcuni uomini. Egli, su questa linea interpretativa, pro-
cede ancora più avanti per approfondire il significato della parola e,
sulla base di fonti avestiche e pahlaviche, giunge a porre una stretta
connessione tra il xVaranah e la sostanza luminosa di Ohrmazd da cui
deriva la creazione. Il xVaranah sarebbe dunque un fuoco e un fluido
vitale posseduto da Ahura Mazdah «per creare tutte le cr.eatureD 98.
E quèsto fuoco vitale, stando alle argomentazioni che ad esso si rife-
riscono nel D'énkart, a proposito del processo creativo 99, risiedereb-
be nel seme da cui derivano le stesse creature.
Visto in questa luce, il concetto di xVaranah si può meglio com-
parare al dhdt ahl i H aqq: come il xVatlmah questo deriva da Dio,
«dalla sua stessa origine» ed è stato «precreatoD per manifestarsi agli
occhi del mondo 100, Stando poi alla testimonianza di Mokri, presso
i Gurani ed altre sottosette degli Ah1 i Haqq, le anime dotate di
dhdt sono chiamate anche Dharra-ddr, cioè «coloro che sono dotati
do Mokri, il dhdt al concetto manicheo delle particelle di luce impri-
gionate nella materia 101, - e, aggiungiamo noi, anche allo «pneu-
ma» gnostico. Non si può negare un' affinità tipologica tra i due con-
cetti, ma si deve dire che si tratta solo del riflesso di una concezione,
che, avulsa ormai dal suo contesto, ha assunto un altro significato:
quello di un'aristocrazia mistica di anime partecipi, più che le altre,
della sostanza di Dio; manca completamente qui l'idea di un impri-
gionamento della sostanza divina. D'altronde, accanto al concetto di
dhat delle anime redentrici e luminose, si pone quello di dhat delle
anime tenebrose~ particelle di tenebra di cui sarebbero in possesso i
capi delle anime tenebrose. Ciò qualifica in maniera molto specifica
la sostanza dualistica di questa concezione ah! i Haqq.
Molto significativa è peraltro l'idea che il dhat è posseduto an-
che dalle anime Batin-dar (anime redentrici), le quali sono partecipi
dell' essenza divina o angelica 102; ma esse, per assolvere alla loro
funzione in quest'abito umano, devono essere «svegliate e illumina-
te» dalla essenza divina.
A questo «risveglio e illuminazione» di un' anima che ospita
un'essenza angelica o divina è connesso anche il concetto di Dhat-
mehman 103 che indic:a l'anima che accoglie temporaneamente l'essen-
za medesima. Tali anime vengono rese coscienti di questa realtà da
un'esperienza che è chiamata spesso «risveglio e illuminazione im-
provvisa» 104. Il concetto richiama naturalmente l'immagine mani-
chea della risposta di Adamo alla chiamata dall'alto 105 e l'equivalen-
te immagine gnostica 106. Ma l'impostazione è qui chiaramente di-
versa. Si tratta di elementi estratti dal loro contesto e calati in conte-
nuti e prospettive diversi.
Le stesse considerazioni valgono per certa terminologia di sapo-
re gnostico, per certe immagini che saranno giunte all' ambiente ah! i
Haqq già dal primo Islam non ignaro delle ideologie gnostiche pul-
lulanti nellimes arabo o dalla tradizione iranico-manichea che, alme-
no in certe aree marginali della Persia (e quella abitata dagli Ah! i
Haqq è di queste), dovette perdurare, sia pure in forme particolari,
in alcuni strati di quella religiosità popolare iranica che, dicevamo, ci
rimane in gran parte ignota.
Un'immagine tipicamente gnostica che ritroviamo presso gli Ah!
i Haqq è quella del «vestito», con cui si indica una duplice realtà:
più spesso nei testi ah! i Haqq esso è il corpo di cui si veste l'anima
umana nel cielo delle mille e una incarnazioni d'obbligo durante l'esi-
stenza, o Dio, o gli Angeli che s'incarnano nei sette cieli d'incarna-
zione della divinità. Il termine tecnico qui adottato è dun, lebos, o
jamé 107. Ma il «vestito» indica talvolta anche la sostanza divina o
angel.ica di cui r anima si riveste 108.
180
La tematica del vestito, in questo duplice senso, si ritrova, come
è noto, in molti contesti gnostici: in particolare possiamo osservarla
in alcuni salmi maniche i in lingua copta 109 e nel famosissimo «Inno
della P erla» contenuto negli Atti di Tommaso 11 o. N el contesto ah! i
Haqq però il ((vestito», come immagine del corpo, non assume valo-
re negativo.
Si può dunque notare anche qui solo l'affinità tipologica dell'im-
magine gnostica trasferita in un diverso contesto.
Conelu'diamo qui la nostra scorsa su questa singolare «setta».
Scendendo al fondo della sua natura estremamente composita abbia-
mo potuto scorgere, come nel taglio di uno scavo archeologico, tutta
una serie di strati che talora si distinguono, talora si intersecano con-
fondendosi tra loro. Abbiamo visto emergere una lunga serie molto
significativa di concetti ed immagini che si riallacciano abbastanza
chiaramente ora a tematiche etnologiche e folkloriche, ora alla tradi-
zione iranica, ora a strutture e sistemi gnostici.
N on ci nascondiamo, naturalmente, che è molto difficile ritrova-
re i tramiti storici attraverso i quali essi sono giunti alla religione ah!
i Haqq. Confidiamo comunque che nel futuro l'infaticabile Mokri ci
rivelerà altri squarci di questo mondo complesso. A noi basta avere
cominciato ad esplorarlo, con l'intento di comprendere meglio la
straordinaria stratificazione religiosa che si operò nel Vicino Oriente
sotto l'impulso di sempre nuove e vigorose forme religiose.
l Notes sur la secte des Ahlé-Haqq, in «Revue du Monde Musulman», XL,
1920, pp. 19-97 e XLIV-XLV, 1921, pp. 205-302; Études sur les Ahl-i Haqq
in «Revue de l'Histoire des Re1igions» (= R.H.R.), XCVII,!, 1928, pp. 90-
105; Ahl i Hakk (s.v.) in Encyclopaedia o[ Islam, Leiden 1960, voI. I, pp. 260-
63.
2 Cinquante deux versets du Cheikh Amir in «Journal Asiatique», CCXLIV,
1956, pp. 391-422; L'idée de l'incarnation chez les Ahl-i Haqq in A*ten des
V ierundzwanzigsten Intern. Orientalisten-Kongr. M unchen 1.9 J 7, Wiesbaden 1959,
pp. 496-99; Le Symbole de la Perle dans le Folk1ore Persan et chez les Kurdes
181

Fidéles de Verité (Ahl-e Haqq) in «Journal Asiatique», CCXLVIII, 1960, pp.
463-81; Le {(Secret Indicible» et la «Pierre Noire» en Perse dans la tradition des
Kurdes et des Lurs Fidéles de Verité (Ahl-e Haqq) in «J ournal Asiatique», CCL,
1962, pp. 369-433; La naissance du monde chez les Kurdes Ahl-e Haqq in Tru-
dj XXV Mezdunarodnogo Kongressa Vostokovedov, Moskva 1963, tomo II, pp.
159-68; Kalam sur L'Aigle divin et le Verger de Pirdiwar in «Journal Asiatique»,
CCLV, 1967, pp. 361-74; Le Chamur de Dieu et le mythe du Roi-Aigle, Wiesba-
den 1967.
3 V. Minorsky, S.V. Ahl i Hakk in Enc. 151., p. 261; Nfu- Ali Shah Elihi,
L'Ésotérisme kurde, Paris 1966 (cit. in seguito Ésotérisme), p. Il; A. Bausani, Per-
sia religiosa, Milano 1959, pp. 381-84; Idem, Religioni nuove sorte dall'Islam, in
Storia delle religioni (ed G. Castellani) 6 a ed., Torino 1971, vol. V, pp. 366-69.
4 A. Bausani, Persia religiosa, pp. 336-69.
l Ibidem, p. 193 e 206.
6 Ibidem. p. 277.
7 Ibidem, p. 229. ~ Menasce, Une apologétique mazdéenne du IX siécle, Fribourg 1945, pp. 34 sg.) in-
8 Dist. 1008-10 lO in M. Mokri, La naissance du monde, p. 193; Esotérisme,
p. 19.
9 Bundahishn I 26 in R.e. Zaehner, Zurvan. A Zoroastrian Dilemma. Oxford
1955, p. 281 e 316; cfr. Zand-Akasih (ed. B.T. Anklesaria), Bombay 1956, I
44, p. 14 sg. La. presenza della tematica nella tradizione iranica è confermata da
Datastan i Denik 64 e da una Rivajat pehievi in cui la «forma di fuoco» si confi-
gura come un {(macrocosmo» con funzione cosmogonica: cfr. J. Duchesne-
Guillemin, La religion de l'Iran ancien, Paris 1962, p. 315 sS.
lO Testo in Ketab-e Serendjam ms. p. 60; cfr. V. Minorsky, Notes I, p. 25.
11 Testo irr W. Ivanow, The Truth Worshippers o[ Kurdistan, Leiden 1953,
p. 190; cfr. M. Mokri, Cinquante deux versets, p. 406; Idem, La naissance du
monde, p. 160; Ésotérism-e, p. 14.
12 Bundahishn I 41 in R.e. Zaehner, op. cit., p. 283 e 318; cfr. Anklesaria,
op. cit., la, 3, p. 20 sg.
13 Già S.G. Wilson (Persian Life and Customs, Paris 1896, pp. 234-242), fra
gli altri, aveva notato nella setta degli Ali-Allahis (che presentano in quest'opera
dei caratteri tali da identificarli agli Ahl i Haqq) la forte connessione tra l'essenza
divina e la luce. Cfr. V. Minorsky, Notes II, p. 217 e n. 2.
14 Notes sur l'Ummu' l-kitib des Ismaeliens de l'Asie Centrale in «Revue des
Études Islamiques», VI, 1932, pp. 419-81; Idem, Ummu' l-kitib in «Der
Islam}), XXIII, 1936, pp. 1-132.
l L A. Bausani, Persia religiosa, p. 183 SS.
16 V. Ivanow, Notes, p. 431.
17 P. Filippani Ronconi, Ummu' l-I(itdb, Napoli 1966, p. XI.
18 P. Filippani Ronconi, op. cit., p. XII.
19 P. Filippani Ronconi, op. cit., p. XXXIV.
182
~
I
i
i 20 Cfr. A. Bausani, Religioni nuove sorte dall'Islam, p. 221; 242.
21 Testo in V. Ivanow Ummu' l-kitib, p. 26 sg. e 81 sg.; cfr. A. Bausani,
Persia religiosa, p. 187; cfr. P. Filippani Ronconi, op. cito p. 57.
22 Il concetto della creatura come immagine del Creatore è comune a molti
contesti religiosi. In alcuni ambienti di tipo dualistico l'immagine del Creatore di-
venta talvolta il suo avversario: cfr. W. Schmidt, Der Ursprung!der Gottesidee, Miin-
ster 1935, vol. VI, p. 568 e vol. XII, p. 49; M. EÙade, Mythologies Asiatiques
et Folklore Sud-est européen, in «R.H.R.D CLX, 1969, p. 163 e n. 2.
23 Tadhl(ira-y-a'ld, testo in W. Ivanow, op. cit., pp. 6-8; cfr. M. Mokri, La
naissance, p. '162; Ésotérisme, p. 18.
24 M. Mokri, La naissance, p. 162 sg.; Ésoterisme, p. 18 sg. Per il concettç>
della lampada cfr. il versetto coranico della Luce (XXIV, 35) (II Corano, trad.
A. Bausani, Firenze 1961, p: 256).
2l Sulla base di questa connessione è interessante notare come la parola
(gouhar «perla») nei testi pahiavici (cfr. p. es. Sl(and gumanll( vi'"car II, in J. P. De
dichi anche il concetto di «sostanza». (Cfr. H. W. Bailey, Zoroastltian Problems in
the Ninth-Century Books, Oxford 1943, p. 83). Nel celebre «Inno della PerlaD
degli Atti di Tommaso (E. Hennecke, New Testament Apocrypha, ed. W.
Schneemelcher, London 1965, vol. II, p. 499 sgg.; cfr. anche M. Erbetta, Gli
Apocrifi del N uovo Testamento, Torino 1966, vol. II, p. 351 sgg.) la Perla è piut-
tosto l'anima divina imprigionata nella materia (non la «conoscenzaD mistica come
argomenta Mokri, Le Symbole de la Perle, p. 468). Per un repertorio di esempi
dell'immagine della Perla come sostanza divina cfr. K.E. M iiller , Kulturhistorisehe
Studien zur Genese pseudo-islamiseher Sel(tengebilde in Vorderasiens, Wiesbaden
1967, p. 37 5 sgg.; V. anche G. Sfameni G asparro, Miti cosmogonici degli Yezi-
di, in «Numen» XXI, 3, 1974, p. 197-227. Per l'immagine della Perla nella liri-
ca mistica persiana cfr. A. Bausani, Persia religiosa, p. 316 sgg.; A. Pagliara-A.
Bausani, Storia della letteratura persiana, Milano 1960, p. 260 sgg. Per la Perla
con valore cosmogonico nel sufismo si v. ancora A. Bausani, Persia religiosa,
p. 343; una variante del mito cosmogonico ahi i Haqq (trattato persiano del der-
viscio Golshtr Sabzvid, - cfr. infra -) richiama abbastanza chiaramente un
distico del mistico persiano Gialaloddin Rum!: «L'unica sostanza (gouhar - «Per-
la») bollì come un uovo e divenne mare, il mare schiumò e la schiuma divenne ter-
ra e dal fumo suo sorse il cielo» (cfr. R.A. Nicholson, Seleeted Poems [rom the Di-
vani Shamsi Tabriz, Cambridge 1898, repr. l 9 52, p. 3 34 sg.). Il valore cosmogo-
nico della Perla è però piuttosto sporadico presso gli Ahi-i Haqq (cfr. M. Mokri,
Cinquante deux versets, p. 395), come pure il rapporto Perla-sostanza divina, dan-
dosi piuttosto il concetto della Perla come luogo privilegiato che racchiude Dio e
gli Angeli.
26 V. Ivanow, Notes, p. 444, 450 e p. 448 n. l; cfr. P. Filippani Ronconi,
op. cit., p. 39 e 40 n. 8.
183

27 V. Ivanow, Notes, p. 444; cfr. P. Filippani Ronconi, ibidem.
28 V. Ivanow, ibidem, p. 447; cfr. P. Filippani Ronconi, op. cito p. 49 sgg.
29 Études, 'pp. 96-101.
30 H. Adjaran, Gyorans and Tumaris. A newly found secret Religion in Per-
sia, in «Bulletin de l'Univo d'Etat R.S.S. d'Arménie», Erivan 1925, 1, pp. 86-98,
trad. da F. Mader, Une religion nouvelle. Le Thoumaris, in «R.H.R.» XCIII,
1926, p. 296.
3 I Kephalaia XXI, 17 -2 3; cfr. Kephalaia (ed. A. B6hlig) Manicbiiische H an-
dschrift der Staatl. Mus. Berlin, Stuttgart 1940, p. 64; cfr. Acta Archelai, cap. X
(IX), p. 15 (ed. C.H. Beeson, in Auftrage d. Kirchenvater, «Comm. d. K6n.
Preuss. Ak d. Wiss.», Leipzig 1906); Theodoro bar Khonay, in H. Pognon, In-
scriptions mandaites des coupes de Khouabir, Paris 1898, p. 184; V. anche Fih,ist di
an-Nadim in G. Fliigel, Mani, seine Lehre U. seine Schriften, Leipzig 1862, p. 52
sg. e 86; cfr. F. Cumont, Recherches sur le Manichéisme, Bruxelles 1908, p. 8-11.
32 M. Mokrì, Le Symbole, p. 464; Idem, Le «Secret Indicible», strofa 7 e
p. 407; Idem, La naissance, p. 167; Ésotérisme, p. 26 sg. Cfr. anche V. Minor-
sky, Notes I, p. 30 e M. Mokri, Cinquante deux versets, p. 389, 410.
33 Ésotérisme, p. 107.
34 V. Minorsky, Études, p. 94; Idem, Notes I, p. 30 n. 2; II, p. 225 n. 2.
3' V. Minorsky, Notes II, p. 212, 214, 224; Ésotérisme, p. 128 sg.
36 Cfr. L. Massignon, La notion du voeu et la dévotion musulmane à Fatima,
in Studi in onore di G. Levi della Vida, Roma 1956, voI. II, p. 102 sgg; Idem,
Der gnostische Kult der Fatima in schiitischen Islam, in «Eranos Jahr.» VI,
1938, p. 167· sgg.
37 V. Ivanow, Notes, p. 460 n.l. Cfr. P. Filippani Ronconi, op. cit., p. 6
e 19.
38 Cfr. A. Bausani, Religioni nuove sorte dall'Islam, p. 233.
39 Cfr. p. es. P. Filippani Ronconi, op. cit., p. XL, 95 sg., 99.
40 Cfr. p. es. la Sophia dei Valentiniani (Exc. ex. Theod. 21,3) ed il Vangelo
di Tommaso log. 114, dove si tratta di essere «cambiate in uomini».
41 Su quest'ultima credenza si fonda anzi proprio il nome che in passato fu
spesso dato agli AhI i Haqq: Alf-Ildhf (<<Divinizzatori di Ali»). Cfr. V. Minor-
sky, Notes I, p. 26 sg., 30, 68 sgg e 86; Idem, AhI i Hakk (s.v.) in Enc. 151.
p.260 e 262; Ésotérisme, p. 11,39,55.
42 V. Ivanow, Notes, p. 440. Cfr. P. Filippani Ronconi, op. cit., p. 25 sgg.
43 Kephalaia cap. III, 13; cfr. A. B6hlig, op. cit., p. 24; cfr. anche p. 43, 49,
53, ;].6, 79, 82. Acta Archelai cap. VII (XXV), 6 (ed. C.H. Beeson p. lO); cfr.
Fihrist in G. Fliigel, op. cit., p. 100 e 343; cfr. anche F. Cumont, op. cit., p. 14.
44 V. Ivanow, Notes, p. 451; cfr. P. Filippani Ronconi, op. cito p. 58 e 60.
4' V. Minorsky, Notes I, p. 25 sg.; M. Mokri, La naissance du monde,
p. 166; Ésotérisme, p. 24.
184
46 Ésotérisme, p. 22, 24.
47 Cfr. V. Ivanow, Notes, p. 459; cfr. P. Filippani Ronconi, op. cito p. 94.
48 Cfr. V. Ivanow, Notes, p. 436; Ésotérisme, p. 73-75.
49 Cfr. U. Bianchi, Alcuni aspetti abnormi del d~alismo persiano, in Atti del
Convegno «La Persia nel Medioevo», Roma, Accad. Lincei 1970, Roma 1971,
p. 149-164; V. anche C. Scibona Giuffrè, Il tema dell'insufficienza del creatore in
alcune testimonianze sulla cosmogonia iranica, in Umanità e Storia. Scritti in onore
di A. Attisani, Napoli 1971, voI. II, pp. 669-696.
w M. Mokri, Cinquante deux versets, p. 394 sgg., 416 sgg.
n V. Minorsky, Notes I, p. 30 sg.; II p. 228 sgg.; cfr. Ésotérisme, p. 163
sg. Un tale costume si trova anche presso gli Yezidi, cfr. M. Lidzbarski, Ein
Exposé der Yeziden, in Zeit. Deut. Morg. Ges., LI, 1897, p. 599.'
'2 M. Mokri, La naissance du monde, p. 163 sg.; Ésotérisme, p. 19 sgg.
B G. Furlani, Testi religiosi dei Yezidi, Bologna 1930, p. 36. Cfr. G. Sfame-
ni Gasparro, I miti cosmogonici degli Yezidi, in «Numen» XXII, 1, 1975 p. 29
sgg.
H Cfr. U. Bianchi, Il dualismo religioso. Saggio storico ed etnologico, Roma
1958, p. 5 1 sg. Idem, Pour l'histoire du dualisme: un coyote africain: le renard
pale, in Liber Amicorum. Studies in honour of Prof. C.J. Bleeker, Leiden 1969,
pp. 27-43.
" O. Dahnhardt, Natursagen. Eine Sammlung Naturdeutender Sagen, Miirchen,
Fabeln und Legenden. VoI. I Sagen zum Alten Testament, Leipzig-Berlin 1907,
p. 45. Cfr. Eliade, art .. cit., p. 175. L'ornitomorfismo dell'avversario che effettua
il· «pescaggio» della terra è frequente nell'area di diffusione indicata: cfr. M. Elia-
de, art. cit., p. 188.
'6 Cfr. M. Eliade, art. èit., p. 176.
n O. Diihnhardt, op. cit., p. 47; cfr. U. Harva, Die religiosen Vorstellungen
der altaischen valkern, trad. fr., Paris 1959, p. 71; cfr. M. Eliade, art. cit.,
p. 177.
'8 W. Radlov-H.T. Katanov, Problem aus der Vollesliteratur der turleischen
Stiimme Sud-Sibiriens, IX Teil, Saint Petersburg, 1907, p. 222 sg.; cfr. W.
Schmidt, op. cit., voI. IX (1949), p. 512 sg.; voI. XII (1955) p. 22 sg.; cfr. M.
Eliade, art. cit., p. 181 sg.
'9 W. RadIov, op. cit., I pp. 175-184; W. Schmidt, op. cit., voI. IX, pp. 102
sgg.; p. 126 sg.; voI. XII, pp. 15-17; O. Dahnhardt, op. cit., p. 3 sgg.; cfr. U.
Harva, op. cito p. 70; U. Bianchi, Il dualismo religioso, p. 182 sg.; M. Eliade, art.
cito p. 182.
60 Cfr. U. Bianchi, Il dualismo religioso, cap. II; Idem, Le dualisme en histoi-
re des religions, in «R.H.R.» CLIX, l, 1961, pp. 1-46; O. Diihnhardt, op. cit.;
J. Feldmann, Paradies und Sundenfall, Miinster 1913; M. Eliade, art. cit., ripr. in
De Zalmoxis à Gengis-Khan, Paris 1970, cap. III; Idem, The Quest. History and
Meaning in Religion, Chicago and London 1969, pp. 127-175.
185
 61 J. P. Roux, Les Fidèles de Vérité et les croyances religieuses des Tures, in
«R.H.R.)), CLXXVI, l, 1969.
62 Idem, art. cit., p. 77 sgg. Per la rappresentazione di Dio in forma di Aqui-
la o di Falco presso gli AhI i Haqq cfr. M. Mokri, Le Chasseur de Dieu, p. 23-43.
63 M. Mokri, Cinquante deux versets, p. 410; cfr. J. P. Roux, art. cit., p. 75.
64 Tabari, Annales (ed. de Goeje, I, 87) cito da H. Schwarzbaum, The over-
crowded earth, in «Numen)) IV, 1957, p. 64.
6) L. Ginzberg, The Legends oj the Jews, Philadelphia 1937, voI. I p. 54 sg.
66 Cfr. A. Bausani, Persia religiosa, p. 365.
67 L'immagine del fanciullo divino, identificato al Logos, appare però anche
nella gnosi valentiniana (Ippolito, Con! VI, 42, 2).
68 M. Mokri, La naissance du monde, p. 166; Ésotérisme, p. 24; cfr. V. Mi-
norsky, Notes I, p. 26.
69 Bundahishn I, 42, in-R.e. Zaehner, op. cito p. 283 e 318; cfr. Anklesaria,
op. cito I a 4, p. 22 sg.
70 Bundahishn I, 5.1, in R.C. Zaehner, op. cit., p. 284 e 320; cfr. Anklesaria,
op. cito I a 13, p. 26 sg.
71 M. Mokri, Cinquante deux versets, p. 394 sg. e 410 sg.; Idem, L'idée de
l'incarnation, p. 496; Idem, Le «Secret Indicible», p. 388.
72 ShJhnJma-) Haqfqat disto 690-96; cfr. Ésotérisme, p. 22.
73 ShJh"Jma-y Haqfqat disto 709 sgg.; cfr. Ésotérisme, p. 25.
74 Bundahishn III, 21-22, in R.e. Zaehner, op. cit., p. 324 e 336; cfr. An-
klesaria op. cit., III 23-24, p. 44 sg.
7) G. Messina, Libro apocalittico persiano A yatl@r i Zamasp,k, Roma 1939,
cap. III 8-9, p.' 37 e 87.
76 A. Bausani, Persia religiosa, p. 139; cfr. J. Duchesne-Guillemin, op. cit.,
p. 358.
77 Versetto del giorno di «a lastu» (ed. Bausani, p. 21).
78 V. Minorsky, Notes II, p. 249.
79 V. Minorsky, AhI i Hakk (s.v.), in Enc. Isl., p. 260 e 262.
80 Cfr. nell'Ummu'l kitab la vicenda di Iblis e le sue schiere «forme create dal
fuoco)), trasformate poi in corpi tenebrosi: V. Ivanow, Notes, p. 459; cfr. P. Fi-
lippani Ronconi, op. cit., p. 92 sg.
81 Ésotérisme, p. 67 sgg., 128 sg.
82 Bundahishn 1,32-33 e 36, in R.C. Zaehner, op. cito p. 282 e 317; cfr.
Anklesaria, op. cit., cap. I 5 3 e 5 5, p. l 7 sgg.
83 Ésotérisme, p. 77. Si noti qui il valore ambiguo del fuoco come realtà posi-
tiva iU. vari contesti (cfr. A.L: M. Nicolas, Seyyed Ali Mohammed dit le Bab, Paris
1905, p. l 32, cito in J.P. Roux, art. cito p. 89) e negativa in quanto sostanza costi-
tutiva di queste anime tenebrose; cfr. S.G. Wilson, op. cit., p. 234 sg.
84 Una triplice classificazione degli uomini si trova anche in Dén!(art ed. Sun-
jana, .,Bombay 1876, voL II, p. 121 sg.
186
8) M. Simonetti, 'ltvXT1 e I/lvXLKO<; nella gnosi valentiniana, in «Rivista di
Storia e Letter. relig., II, l, 1966, pp. 1-47.
86 Ésotérisme, p. 154.
87 Cfr. nota 83.
88 Cfr. Bundahishn IV A 27; XVIII, in Anklesaria, op. cit., p. 53 e 157 sgg.
89 Ésotérisme, p. 146.
90 Ibidem, p. 139.
91 A. Bausani, Persia religiosa, p. 246.
92 Ésotérisme, p. 141.
93 J.P. Roux, art. cit., p. 89.
94 Sul concetto di X a1'anah cfr. H. Corbiri, Terre céleste et corps de Resurrec-
V
tion, Paris 1960, p. 35 sgg.
9) A. Bombaci, Qutlug Boisun l, in «Ural-Altaische Jahrb.», 36, 3-4, pp.
284-91 e in 38, pp. 13-43 cito in J.P. Roux, art. cit., p. 89 n. 2.
96 H.W. Bailey, op. cit., pp. 1-77.
97 Yast lO, 127 in cui il XVatlmah è un «fuoco bruciante»; cfr. J. Duchesne
Guillemin, Le xVarnah, in «Ann. 1st. Univo Or. Napoli», sez. Ling., V, Napoli
1963, p. 22 n. 1. Sul rapporto tra la forma di luce di Bundahishn I 29 e il XV a11;)-
nah ed in genere sul rapporto luce-seme nelle cosmogonie iranica e manichea cfr.
G. Gnoli, Un particolare aspetto del simbolismo della luce nel Mazdeismo e nel
Manicheismo, in «Ann. 1st. Univo Or. Napoli», N.S. XII, 1962, pp. 95-128.
98 Yast 19,10; cfr. J. Duchesne-Guillemin, art. cito p. 30.
99 Dénk.art 347, lO sg.
100 Ésotérisme, p. 142.
101 Ibidem, p. 141; cfr. F. Cumont, op. cito p. 18; H. Pognon, op. cito p. 186.
102 Ésotérisme, p. 95 sgg.
103 M. Mokri, L'idée de l'incarnation, p. 497 sg.; Ésotérisme, p. 77 sg.; 135
sg.; 154. M. Mokri, Kalam sur l'Aigle divin, p. 364 sg. Il concetto di Dio o del-
l'angelo ospiti del corpo - non dell'anima - dell'uomo appare anche nel Mazdei-
smo e precisamente in Denk.art 216, 15-16 (ed. Madan): Yazdan pat xvel-tan me-
hman k.unet ut k.ad-tan pat xVeS-tan mehman !(art even-tan pat hamak. gehan mehman
k.art bavet. «Fate gli déi ospiti nel vostro corpo e quando voi (li) fioJ'ete ospiti nel
vostro corpo, allora in tutto il mondo ospiti saranno fatti». Cfr. A. Bausani, Persia
religiosa, p. 109. V. anche J. P. De Menasce, op. cit., p. 229.
104 M. Mokri, L'idée de l'incarnation, ibidem.
IO) Theodoro bar Khonay in H. Pognon, op. cit., p. 192; cfr. anche F. Cu-
mont, op. cit., p. 46 sg. Cfr. Atti di Tommaso, Inno della Perla in M. Erbetta, op.
cit., vol. cit., p. 353; cfr. E. Hennecke, op. cit., p. 501.
106 Cfr. H. J onas, The gnostic religion, Boston 1963, p. 74 SS.
107 V. Minorsky, Notes I, p. 24 n. 2 e p. 25; Idem, Études, p. 92; M. Mo-
kri, Cinquante deux versets, p. 413; cfr. Esotérisme, p. 73-75.
108 Ésotérisme, p. 196 sg.
187
 109 Salmo CCL 8-10 e Salmo CCLIV 23-24 (in e.R.e. Alberry, A Mani- MARIADELE CIGOGNINI
chaean Psalm Bool{, Stuttgart 1938, p. 59, 64). Cfr. anche Salmo II 26-28.
110 Atti di Tommaso, 108-113 in M. Erbetta, op. cit., vol. cit., pp. 351-55; IL CATASTERISMO DI DEUCALIONE.
cfr. E. Hennecke, op. cit., pp. 498-504. ULTIMO O PRIMO, L'EROE DEL DILUVIO?

188
 Scopo di questo studio è di studiare una tipologia, quella della
sorte dell'eroe del diluvio, in un ambiente circoscritto, ma dove sono
presenti tradizioni religiose diversissime, e in un momento particola-
re l.
L'ambito è il bacino del Mediterraneo, sul quale si affacciano
I mondi religiosi diversi e· ricchissimi (la Mesopotamia, la Palestina, la
Grecia); il momento particolare è 1'età ellenistica ed ellenistico-
romana, durante la quale questo ambiente è unificato dal greco della
KOLVr, OUiÀfK70~.
Interessa cioè osservare questo motivo in una situazione che è, ci
sembra, poco comune: il caso di testi più o meno contemporanei,
scritti nella stessa lingua, ma che fanno parte di religioni molto di.
verse, ognuna delle quali ha una sua lunga e ricca storia di tradizioni.
Si tratta dunque di testi sul diluvio in greco. C'è da dire che la
scelta dei testi 'e la determinazione cronologica non sono casuali o ar-
bitrarie, ma derivate dall'esame diretto del materiale: è infatti intor-
no al III-II sec. a.O. che compaiono i racconti (in greco) più com-
pleti sul diluvio:
la traduzione dei Settanta sul testo ebraico della Bibbia;
la versione di B erosso che riflette le narrazioni orientali;
il racconto di Apollodoro che riporta le credenze greche 2.
I testi esaminati sono i seguenti:
- Bibbia: Gen. 6, 1-9, 17 3;
- Apollodoro: Biblioteca I 7, 2-3 4 e le fonti greche e latine
sul diluvio;
Berosso: Ba,BvÀwVtaKa II (n. tra il 350 e il 340 a.C.;
sacerdote di Bel, cioè Marduk, a Babilonia) '.

191
 I racconti mesopotamici sul diluvio sono i seguenti:
La leggenda sumera edita da A. Poebel, in PBS, V (1914),
I;
L'epopea di Gilgamesh, tav. XI (il testo viene dalla biblio-
teca di Assurbanipal (668-627 a.C.) ma la data originale della com-
posizione accadica è da porre al termine del 2° millennio a. C.) ;
Il mito di Atrahasis:
fr. A, B versione antico-babil.: circa 1600 a.C.;
. fr. X, versione antico-babil.;
fr. C, D versione assira: 668-ca. 633 a.C. 6.
Dato l'aspetto che particolarmente ci interessa nell' eroe del dilu-
vio, concentreremo l'attenzione particolarmente sulla sua sorte finale,
nei diversi racconti e nelle diverse versioni.
I ((Allora Enlil salì a bordo della barca.
Due possibili conclusioni della vicenda: a) diviniZZAzione dell'eroe;
b) nuova generazione.
In tutte le tradizioni esaminate è presente un eroe scampato al
disastro per volere divino: N oè con la moglie, i tre figli e le rispetti-
ve mogli; Deucalione e Pirra; Xisuthros in Berosso (Utnapishtim
nell'Epica di Gilgamesh, Ziusudra nella versione sumerica e Atra-
hasls nel mito omonimo).
La distruzione era stata totale 7, tanto che «tutta l'umanità or-
mai era mutata in fango» 8 e ora la divinità deve attribuire la sorte
finale a coloro che ha salvato.
a) Secondo Berosso e la tradizione babilonese l'eroe viene diviniZZAto.
- Berosso: dopo aver sacrificato, Xisuthros «divenne invisibile
(à!pa vT7 »)9 con quelli sbarcati con lui; ... e proprio «per la sua reli-
giosità andò ad abitare tra gli dèi (ùtà T1zV evaÉ(3eLav 1Topevea{}at
J.J.e~à TWV {}ewv oiKflaavTa); e dello stesso onore partecipavano
la moglie, la figlia e il timoniere» lO.
- Nel mito di Atrahasls non si dice nulla dell' eroe dopo la ca-
tastrofe.
192
- Versione sumerica Il: Ziusudra si prostra davanti ad Anu
Enlil 12 e ottiene ((una vita simile a quella di un dio, eterno respiro
com; ~uello di un dio»; e a Ziusudra, ((colui che preservò il nome
(~ l eSis.ten~a) della :eg~tazione e il seme dell'umanità, nel paese di
passaggio, il paese di Dilmun, il luogo dove sorge il sole, essi 13 die-
dero dimora» (linee 254-261).
. Il luogo in questione, il paese di Dilmun, collocato, pare, sulle
nve del Golfo Persico 14, è il ((paradiso» sumerico, ((un paese che ri-
guarda più gli dèi che gli uomini, un paese che è ((puro», «pulito» e
((splendente»; un «paese dei vivi» che non conosce né malattia né
morte» 15.
-. Epica di Gilgamesh, tav. XI: Utnapishtim racconta a Gilga-
mesh il modo con cui ha ottenuto l'immortalità 16:
Presomi per mano, mi portò a bordo.
Mi portò a bordo con mia moglie e la fece inginocchiare al mio fian-
co.
Stando in mezzo a noi ci toccò la fronte e ci benedisse: 'Finora Ut-
napishtim era solo un uomo.
Ora Utnapishtim e sua moglie diverranno simili a noi dèi.
Utnapishtim abiterà lontano, alla bocca dei fiumi l'.
Quindi mi presero e mi fecero abitare lontano, alla bocca dei fiumi»
(Gilg. XI, linee 189-196).
Dun~ue la tradizione mesopotamica collocava l'eroe in un posto
lontano, isolato dagli altri uomini, una specie di «altro» mondo ma
a~cor.a con notazioni geografiche (((alla bocca dei fiumi», «nel paese
di Dilmun»), anche se si tratta di una geografia «sacraleD .
. Si .~oti l' ~tteggiamento quasi affettuoso del dio verso i suoi pro-
t~tti; CiO che ~~~rta ~om~que è che si dice che l'eroe e sua moglie
diVer:ranno ((SimilI aglI dei», non che vanno tra gli dèi.
Berosso invece, riprendendo il mito, opera un cambiamento im-
p~rtante: l' ~roe viene co~ocato direttamente tra gli dèi, anzi, va pro-
pno ad abitare con eSSi (J.J.eTà TWV {}ewv oiKflaaVTa) 17.
Solo qui allora c'è la divinizzazione vera e propria: nella lettera-
193
MS 11 . ,
tura cuneiforme si tratta più precisamente di trasferimento e immor-
talizzazione 18.
Il destino dello scampato al diluvio è comunque un' eccezione nel
pensiero babilonese: secondo tale concezione gli uomini per natura
sono mortali e restano tali anche se uno di loro, e uno solo, proprio
Utnapishtim (o Ziusudra) ha avuto il privilegio di una sorte diversa,
senza morte.
È sufficiente ricordare l'Epica di Gilgamesh o il mito di Adapa.
Come si sa, Gilgamesh, l'eroe babilonese del quale si raccontano le
vicende nel poema a lui intitolato, si reca da U tnapishtim per poter
ottenere l'immortalità. Sta quasi per' ottenerla in qualche modo (in-
fatti riesce a strappare dal fondo del mare la «pianta della vita»), mé!
alla fine il serpente gli carpisce l'erba magica e Gilgamesh è costretto
a rinunciare. La sua ricerca affannosa è stata inutile: Shamash, il dio
Sole, lo aveva già avvisato: «Gilgamesh, dove corri? La vita che tu
cerchi, non la troverai» 19 (e così gli ripete poco dopo l'ostessa Sidu-
ri).
Anche il mito di Adapa è su questa linea: si tratta della vicenda
del saggio di Eridu, il quale, per aver spezzato le ali di Sutu (il Ven-
to) causando la sua inattività, viene condotto al cospetto di Anu, il
dio supremo. Questi gli offre «il cibo della vita» e «l'acqua della vi-
ta», ma Adapa rifiuta perché così gli aveva consigliato il dio Ea e
perde la vita eterna. Quasi tutti gli studiosi considerano questo un
mito dell'immortalità perduta 20. Secondo P. Xella si tratta, più pre-
cisamente, del mito «dell'umanità ritrovata e confermata» 21: Adapa
infatti, che è sinonimo di "saggio per eccellenza" nella tradizione ba-
bilonese, rifiutando gli alimenti offertigli da Anu «segue la via della
saggezza perché sceglie la sua condizione umana (e mortale) restando
al suo posto» 22. In altri termini, sia Gilgamesh che Adapa accettano
la morte come indispensabile complemento della condizione di uo-
mo :~,.e questa accettazione deriva «dall' avere (Adapa) o dall' avere
conquistato (Gilgamesh) una saggezza superiore» 23. Insomma, «la
vita eterna è negata per definizione all'uomo e Adapa, scegliendo di
rim~nere mortale, agisce da saggio, quale in effetti egli è, offrendo
194
all'umanità un esempio paradigmatico che rappresenta insieme una ri-
valutazione della natura umana» 24.
Il mito di Adapa ci confermerebbe dunque che nella religione
.mesopotamica. non c'è nessuna prospettiva di immortalità per l'uomo,
che. quindi è inutile ogni tentativo per ottenerla (v. Gilgamesh), e
che anzi è saggio proprio colui che accettava la sua condizione di es-
sere mortale. La sorte dell' eroe scampato al diluvio è dunque ecce-
zionale e si caratterizza in opposizione alla comune sorte umana.
b) Secondo la tradizione biblica e quella greca lo scampato al diluvio
provvede a una nuova generazione.
- Il comando dei Dio biblico alla fine della catastrofe era sta-
to: « Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra» (Gen. 9, l; 9,
7): dunque è questo che Dio vuole, un ripopolamento della terra at-
traverso Noè e i suoi figli. La loro vita dopo l'avvenimento del dilu-
vio non ha un esito diverso da quello degli altri esseri umani: Noè
continua a vivere fino a 950' anni e poi muore (Gen. 9, 29). Sono i
figli di Noè - che c'erano già prima dell'evento - a provvedere al
ripopolamento della terra e ciò avviene nel modo normale tra gli uo-
mini, per atFo coniugale.
- Secondo le credenze greche riferite da Apollodoro, la nuova
generazione avviene addirittura in due modi. Secondo il mitografo
erano saliti nell'arca solo Deucalione e la moglie Pirra, quindi senza
figli: è solo dopo il 1e.ataclysmos che ne vengono generati. Cessate le
acque torrenziali, infatti, Zeus fa chiedere da H ermes a Deucalione
che cosa desiderasse: Ò De aiT€iTat àv'IJpwrrov<: ar'JTci; 'Y€vÉa'IJat
(Bibl. I, 7, 2). Allora Zeus gli consiglia di gettare pietre dietro la te-
sta: quelle gettate da Deucalione diventarono uomini, quelle gettate
da Pirra, donne.
È dunque una generazione avvenuta per via straordinaria, diver-
sa dal consueto: è stato un prodigio, la trasformazione di sassi in es-
seri umani che ha reso la terra ancora abitata 2'. Così, Pindaro (01.
IX, 44-45) afferma che la riproduzione attuata da Deucalione e Pir-
ra è avvenuta aT€p €vva<: (= senza rapporti coniugali: «[Deucalio-
195
,e: ,
ne e Pirra] a Tep o' eùvaç òJ.1ooaJ.1ov KTwaaaf}av ÀW~vov -yovov:
Àaoì o' òvvJ.1aaf}ev» 26.
Il tema della discendenza dalle pietre è antico: forse già in Esio-
do, se è da credere al fr. 234 già ricordato (v. nota 25), dove sem-
bra esserci anche il gioco di parole "popoli': l''pietre''. Se non è que-
sta la prima versione, dobbiamo scendere ad Acusilao, V a.C. (F. Ja-
coby, FGrHist, l A, n. 2, fr. 35, p. 56); dopo di lui Pindaro (01.
IX, 40 ss.); a sua volta Ovidio (Met. 1,253-415) descrive la meta-
morfosi delle pietre in esseri umani.
Le pietre, ossa della (Cmagna parens», come dice Ovidio (Met.
I, 393-4) ci portano direttamente alla concezione della Terra come
Tellus Mater: in Grecia, Gaia era considerata la madre p~r eccellen-
za, ma il tema è diffusissimo nelle religioni di vari popoli e in varie
epoche storiche 27.
Per concentrarci sull'elemento che a noi interessa, la pietra, è in-
teressante un passo di Omero, Odissea XIX 163: Penelope sta par-
lando con Ulisse, senza averlo ancora riconosciuto, e gli chiede di
quale stirpe egli sia: ((non infatti sei nato dalla quercia di cui parla la
tradizione né dalla pietra»; secondo M. Guarducci, è evidente che
questo passo si riferisce a tradizioni che consideravano querce e roc-
ce progenitrici del genere umano 28. Del resto già in Esiodo (Opere
e giorni, v. 145) ·si dice che gli uomini della razza di bronzo vengo-
no dai frassini.
N on si deve dimenticare che la mitologia greca conosce altri due
capostipiti che usano mezzi particolari di generazione: Cadmo, l'eroe
nazionale tebano, abbatte il drago che sta presso la fonte Dircea, gli
strappa i denti e li semina a terra (Euripide, Fenicie 656 ss.); dai
denti seminati nascono uomini armati, detti Sparti (Spartoi), appun-
to (ci seminati»; e Giasone nella Colchide, costretto dal re Eeta, se-
minò tra le zolle i denti del drago e vinse gli armati che da questi
denti derivarono 29.
Ampliando la prospettiva in ambito etnologico, troviamo qual-
cosa di interessante: (da storia greca di Deucalione e Pirra e delle
pietre ha una esatta analogia nella storia dei Maipuri nella quale le
noci di cocco gettate dall'uomo diventano uomini e quelle gettate
dalla donna, donne» 30.
196
In una favola della Guaiana l'uomo sopravvissuto al diluvio
creò uomini gettando pietre dietro di sé e in una leggenda di alcune
tr\bù dell'Orino<;:o l'uomo e la donna operano la stessa creazione ma
gettando dietro di sé i frutti della palma Mauritia,: ((chi potrebbe
mai ne'gare l'analogia perfetta di questi due miti con quello del greco
Deucalione ?» 31.
Ma subito dopo Apol1odoro riferisce che «da Deucalione e Pirra
nacquero dei figli»: dunque c'è anche una generazione per via sessua-
le. I figli nati sono El1eno - che dà il nome a quel1i che prima erano
detti «Greci» -, Arnfizione e una figlia, Protogeneia. Da El1eno
nacquero Doro, Xuto e Eolo; Xuto generò Acheo e Ione: da essi
dunque derivarono le stirpi dei Greci. Così, secondo la linea genea-
logica riferita da Apol1odoro, i popoli del1a Grecia sono da ricondur-
re al1' eroe del diluvio e, più in là, a Prometeo perché, sempre secon-
do il mitografo, il titano è padre di Deucalione 32.
Riassumendo, nel1a Bibbia e in Grecia 1'eroe, dopo la catastrofe,
genera una nuova 'stirpe, in questo modo: Bibbia: - Noè aveva già
dei figli, salvati con lui. Le nuove genti nascono non proprio diretta-
mente dal patriarca ma dai suoi figli (cfr. Tavola del1e nazioni a
Gen. lO); è comunque chiaro che, anche se avvenuta attraverso i fi-
gli, la nuova generazione fa capo a N oè;
- questa nuova generazione avviene nel modo comune al-
l'uomo, per via coniugale.
Grecia: - la nuova generazione è tutta dopo il diluvio: prima ci
sono solo i due privilegiati, Deucalione con la moglie;
- e soprattutto il ripopolamento del mondo avviene con due
tipi di generazione;
- per via coniugale;
- aTep eùvaç (v. Pindaro), cioè attraverso il prodigio, vo-
luto da Zeus, del1a trasformazione di pietre in esseri umani.
Dal canto suo, invece, l'eroe mesopotamico viene tolto dal mon-
do e trasferito in un mondo «altro» dove vive una vita immortale:
egli dunque e viene trasferito e diventa immortale. Questo protago-
nista del1a storia del diluvio non ha più ormai nessun rapporto con
gli uomini: esso, il privilegiato degli dèi, ottiene una sorte speciale,
197
 ,
'1
I Deucalione sono nello stesso tempo «l'ultimo» uomo e «il primo»,
in conseguenza della quale egli è ormai lontano dagli uomini e non
solo materialmente. A nostro parere infatti l'allontanamento dell' eroe
nei racconti mesopotamici del diluvio avviene non solo all' atto del
trasferimento dopo il cataclisma, ma già quando il protagonista viene
avvisato dell'imminenza del fatto, lui solo tra tutt.i gli altri uomini:
fin da qui è preparato per lui un destino speciale, completamente di-
verso da quello del resto dell'umanità. Anche l'eroe di Berosso, Xisu-
thros, viene tolto .dal mondo degli uomini diventando «invisibile» e
viene divinizzato. Proprio questa ci sembra la caratteristica dei testi
mesopotamici: fin dall'inizio la vicenda dell' eroe si muove su un bi-
nario diverso da quella dell'uomo comune; e-l'esito della vicenda ri-
guarda l'eroe solo, che viene divinizzato senza che si parli più di un
suo rapporto con gli uomini.
Si potrebbe obiettare che anche nelle altre tradizioni il protago-
nista è in una situazio~e diversa rispetto al resto dell'umanità perché
lui, e lui solo (con la famiglia) sfugge alle acque. Questo è senz' altro
esatto; ma bisogna ricordare ciò che avviene dopo il diluvio: nella
Genesi e nel racconto di Apollodoro lo stesso scampato provvede
alla nuova umanità e anzi ne diventa il capostipite. Si potrebbe allora
dire che quella di N oè e Deucalione è una situazione privilegiata
(( temporanea», limitata al periodo dell;J. catastrofe, dopo la quale essi
riprendono la vita comune agli uomini; al contrario, quella dell' eroe
mesopotamicò è una situazione privilegiata «definitiva», continuata
anche dopo il fatto, giungendo persino alla divinizzazione.
Il protagonista dei testi sumero-babilonesi è solo «l'ultimo» degli
uomini di prima; è l'unico rimasto e viene portato via dal mondo.
Ma allora cosa avviene del mondo e nel mondo? A. Heidel e
A.G. Capomacchia, in base al frammento finale del mito di Atra-
hasis 33, affermano che dopo il diluvio c'è stata una nuova creazione
di esseri umani: sono Ea e la dea Mami (o Mama), una volta cessata
la ~atastrofe, a provvedere ad una nuova umanità «per ripopolare in
frctta la terra» 34. Ma quello che interessa è osservare che questa
creazione è compiuta dagli dèi e che in essa il protagonista del dill.!~
vio non ha alcuna parte. Al contrario, nella tradizione biblica e greca
è lo stesso scampato che provvede alla nuova generazione: N oè e .
198
colui che sopravvive alla catastrofe e colui dal quale nasce la nuova
stirpe.
ci' dobbiamo chiedere a questo punto quali siano le implicanze
storico-religiose del fatto che Deucalione, a modo suo (per via ordi-
naria e per via straordinaria) e Noè, oltre a salvarsi, siano anche i
progenitori di una nuova stirpe, mentre in Mesopotamia le cose sono
diverse. E ci si può chiedere se sia valida qui una teoria espressa da
P. Xella 35 a proposito di un altro eroe della mitologia babilonese,
Adapa 36, cui puré sarebbe stata sottratta la funzione di procreatore
dell'umanità, - e ciò allo scopo di assegnare tale funzione agli dèi.
Per lo X ella, la cosa sarebbe imposta dalla struttura della religione
politeistica babilonese, la quale «nòn poteva ammettere che agli dèi
del pantheon sfuggissero tali imprese fondamentali per la creazione e
la stabilizzazione della realtà del cosmo».
A. G. Capomacchia riprende questa idea e la riferisce proprio al
mito del diluvio: ((la creazione e l'ordinamento della nuova umanità
dopo il diluvio viene compiuta daglì dèi, ai quali non possono essere
sottratte azioni ordinatrici o di creazione ... Quindi il personaggio (=
l'eroe del diluvio) ha perduto le sue funzioni procreatrici origina-
rie» 37. La studiosa crede dunque a un processo di trasformazione
che non condividiamo. Ella suppone un motivo arcaico, quello del
personaggio che scampa al diluvio e salva l'umanità (chiaramente un
tipo di ((antenato mitico» - dice la Capomacchia): questo motivo,
riscontrabile nell' etnologia, venutosi a trovare in un ambito politeisti-
co, sarebbe stato opportunamente riadattato, e il personaggio avreb-
be ((perso» una delle sue funzioni fondamentali, quella di iniziatore
della nuova umanità, perché questa doveva essere attributo degli dèi.
Ma perché deve esserci un nucleo originario configurato in un
certo modo, che poi subisce varianti o modifiche a contatto con il
mondo religioso babilonese? E, per restare nel nostro caso, perché
l'eroe del diluvio deve necessariamente essere anche il progenitore?
A nostro avviso, e fatta salva naturalmente la questione della dimo-
strabilità storico-filologica di influssi e di diffusione nelle tematiche
medio-orientali e mediterranee relative al diluvio e al suo eroe, -
199
questo è invece un caso netto in cui è evidente la differenza del me-
todo storico-comparativo rispetto ad altri: dall' esame dei testi si
vede che qui, nel contesto babilonese, la figura dell' eroe del diluvio
ha - direi "nativamente" - una sua fisionomia precisa che è diversa
da quella che si riscontra presso altri àmbiti storico-religiosi. E non si
deve supporre che sia una variante di qualcosa che deve esserci all' o-
rigine e che condizioni per via di "aggiunta" o di "sottrazione" ciò
che viene "dopo".
Come si diceva, qui nel testo babilonese il protagonista del dilu-
vio ha un destino eccezionale. Egli vive. una situazione particolare, e
fin dall'inizio, ed essa si conclude in modo particolare: l'eroe è fin
dal principio lontano dagli uomini, e in questa prospettiva non è in-
dispensabile - anzi è escluso - che egli provveda ad una nuova ge-
nerazione.
Un accostamento fra le due tradizioni: il catasterismo di Deucalione e
l'episodio di Enoch.
Si sono dunque delineate due diverse soluzioni della vicenda del-
l'eroe del diluvio; ma, a ben guardare, queste due diverse tipologie
non sono rigorosamente delimitate ognuna nei confini della propria
tradizione religiosa: è conosciuta anche per 1'eroe greco una sorte
speciale, e forse il ricordo di un destino diverso è presente anche nel
testo biblico.
In un testo di Publio Nigidio Figulo, erudito del I a.C. 38, Deu-
calione era trasformato nella costellazione dell'Acquario: «Nigidius
H ydrochoea sive Aquarium existimat esse Deucalionem Thessalum,
qui maximo cataclysmo fertur relictus cum uxore Pyrrha, ... », al che
segue il racconto tradizionale 39. La tradizione è confermata da Igi-
no (I sec. d.C.) 40, che la attribuisce ad Egesianatte 41: «Aquarium ...
Hegè'sianax autem Deucalion dicit esse quod eo regnante ... ». E Am-
pelio (II o III d.C.) afferma in più che Deucalione ottenne questa
sorte per la sua religiosità, proprio come nei testi mesopotamici 42:
«Aquarius, qui putatur esse Ganymedes, dicitur Deucalion Thessàlus,
200
qui maximo cataclysmo cum uxore Pyrra solus evasisset. hic pietatis
causa inter sidera locatus est».
Secondo questi testi, dunque, Deucalione, un essere umano, vie-
ne . trasformato tn una costellazione, viene cioè immortalizzato.
n mondo ,greco conosce vari tipi di immortalizzazione o «trasfe-
rimento», non mediato dalla morte, sul piano dell'immortalità 43 :
- trasferimento nel Campo Elisio (O mero) o nelle Isole dei Beati
(Esiodo); questo trattamento è riservato ad alcuni degli eroi; Pinda-
ro (01. II, 75 ss.) utilizza (e modifica) il tema in senso misteriosofi-
co: nelle sue Isole dei Beati vanno coloro che si sono dimostrati per-
fettamente pii per tre vite consecutive 44 (essi quindi, a differenza de-
gli eroi di Omero e ,Esiodo, hanno attraversato la morte);
- trasferimento in cielo: è il caso di Ganimede, rapito dagli dèi
per la sua bellezza e andato a vivere tra gli immortali (Omero, n.
xx, 231-235) e di Pelope (Pindaro, 01. I, 37 ss.);
- catasterismo: il tema è presente nei Phaenomena di Arato e nel-
le Metamorfosi di Ovidio; anche Eratostene di Cirene (III-II a.C.)
scrisse un'opera di tale genere, Karaor€pWIlOi (stando a Suida, s.
voce 'EparootJev'Tl<:).
Per quanto riguarda il catasterismo, non bisogna dimenticare che
esso, se da una. parte è un trasferimento verso il divino e l'immortale,
è anche un fenomeno che per qualche aspetto si avvicina alla meta-
morfosi, che talora è tutt'altro che divinizzante 45.
Ora il catasterismo di D eucalione , e la specificazione che esso è
stato ottenuto per la sua pietas, ricorda da vicino i testi mesopotami-
ci: ma non è la stessa cosa. L'immortalizzazione, come era intesa nel-
1'àmbito greco, non è da confondere infatti con la divinizzazione vi-
sta nella letteratura orientale.
La distinzione è già nelle parole: l'immortalizzazione permette
appunto di non passare attraverso la soglia della morte e di essere
trasferiti in un "altro" mondo; con la divinizzazione si ottiene invece
una vita simile a quella degli dèi, come chiaramente esprimono i testi
babilonesi, in base ai quali Ziusudra e Utnapishtim e sono resi im-
mortali (Ziusudra: «una vita simile a quella di un dio»; Utnapi-
shtim: « Utn. e sua moglie diverranno simili a noi dèi»), e vengono
201

trasferiti (Ziusudra ((nel paese di Dilmun», U tn. ((alla bocca dei fiu-
mi}}). Del resto, non si può confondere immortalizzazione e diviniz-
zazione neppure all'interno del mondo greco. Le due cose sono di-
stinte: Menelao, dice l'Odissea, viene trasportato vivo nell'Elisio,
ma non diventa un dio. In questi luoghi (Campo Elisio in Omero,
Isole dei Beati in Esiodo), posti ((agli estremi del mondo», si vive
una vita ricca di mezzi e felice, che però non è mai quella degli dèi;
è sÌ un "altro" mondo, certo più vicino a quello degli dèi del mondo
in cui vivono gli uomini, ma esso non viene mai confuso nella mito-
logia greca con la sede della divinità né i suoi abitanti diventano
dèi 46.
Se dunque divinizzazione, immortalizzazione e catasterismo cer-
tamente non sono la stessa cosa, ci sembra di poter dire che il mon-
do greco abbia espresso il tema della sorte speciale ai Deucalione se-
condo le proprie concezioni.
Allo stesso modo la vicenda di Enoch biblico può forse testimo-
niare il ricordo del destino eccezionale dell' eroe del diluvio mesopo-
tamico.
Come si è visto, nel racconto biblico Noè, dopo essere stato sal-
vato con la famiglia perché era uomo ((giusto)), continua la vita da
mortale finchè muore all'età di 950 anni (Gen. 9, 29). Ma del pa-
triarca si dice che ((camminava con Dio» (Gen. 6, 9); la stessa
espressione ....,. ripetuta due volte (Gen. 5, ,22 e 24) è riferita ad
Enoch, antenato di N oè: e di Enoch si dice che ((non fu più visto,
perché Dio l'aveva preso» (Gen. 5, 24). Ci domandiamo allora che
cosa si intende con questo accenno oscuro riferito a N oè, e se c'è un
rapporto di analogia tra i due patriarchi a causa dell' espressione
((camminava con Dio}) riferita ad ambedue.
P. Grelot, a questo proposito 47, afferma che c'è stato uno sdop-
piamento: ciò che originariamente era attribuito all' eroe del diluvio
venne anticipato, nel racconto biblico, applicandolo al patriarca
EnÒth. Egli parte dall'esame dei testi apocrifi dei Giubilei e di I
Enoch, dai quali sarebbe evidente come la tradizione giudaica abbia
operato ((da una parte lo sdoppiamento dell' eroe mesopotamico
Ziu{ìudra-Utnapishtim in Noè ed Enoch, dall'altra il raggruppamen-
202
~
I
to nel personaggio di Enoch delle caratteristiche divise in origine su
I Utnapishtim e Enmeduranki» 48 (il settimo re nella lista acca dica dei
I re ante-diluviani, che nella tradizione mesopotamica era il simbolo
della saggezza e delle conoscenze del periodo pre~edente il diluvio).
Una simile tradizione sarebbe presente già nel testo biblico, appunto
nel brevissimo passo: (((Enoch) non fu più visto, perché Dio l'aveva
preso}). Su questo punto, che è il più importante per noi, la spiega-
zione di Grelot cì convince anche perché l'autore fa notare che nel-
l'espressione ((Dio lo portò via}) (Gen. 5, 24) il ve~bo ebraico ldqab
è lo stesso usato nell'Epopea di Gilgamesh: il-qu-in-ni ((essi mi tra-
sferirono(( 49. Avremmo dunque il ricordo del destino eccezionale
dell' eroe del diluvio m esopotamico: il patriarca Enoch viene "trasfe-
rito" .
Sostanzialmente della stessa opinione è E.G. Kraeling, secondo
il quale nella redazione ((p)) di Gen. 5, 24 Enoch si presenta come
l'eroe del diluvio babilonese ((in nuce» 10. Di più, in comparazione
con il passo che ci interessa si può citare un passo del Libro della Sa-
pienza (4, 7-10): ((Il giusto, anche se muore prima del tempo, tro-
verà il riposo... Egli piacque a Dio che lo amò; e poichè viveva tra i
peccatori, venne trasferito.». Viene usato il termine greco J,1€7€fJéfhl
da J,1€7a7tfJrllH (= trasferire) che è lo stesso usato in Gen. 5, 24
(J,1€7éfhlK€v) dal testo greco dei Settanta 11.
N aturalmente il tema del trasferimento viene usato dal - o dai
- redattori biblici diversamente che dagli autori r.nesopotamici. L'e-
pisodio di Enoch, benchè ((molto oscuram~nte}), comincia a rivelare
la natura della ((vera vita» che è quella vicina a Dio '2. Anche Gre-
lot conclude affermando che ((per gli autori ispirati dell'Antico Te-
stamento e gli autori degli apocrifi ... il trasferimento del Giusto anti-
diluviano (appunto Enoch) non è più solamente il ricordo di un so-
gno impossibile (come nell'epopea di Gilgamesh), ma al contrario la
descrizione anticipata del destino che Dio riserva ai suoi fedeli}) '3.
Riassumendo: nell' ambiente del Mediterraneo, nell' epoca consi-
derata e nelle precedenti, sulla sorte finale dell' eroe del diluvio le tra-
dizioni presentano due grossi moni: o l' ((allontanamento}) o la fun-
zione di essere capostipite del nuovo genere umano.
203
 Epopea di Gilgamesh: R. Campbell Thompson, The Epic of Gilgamesh,
Sono due tradizioni diverse e ben chiare, ognuna delle quali è 1930.
ricca di tanti altri motivi collegati, le quali però non hanno procedu- Mito di Atrahasis:
to separatamente. Tra l'altro, il catasterismo di Deucalione e l'episo- fr. A: A. T. Clay, YOS, V, 3 (1922).
fr. B: A. Boissier, RA, XXVIII (1931), pp. 92-95.
dio di Enoch - indizio di una sorte straordiQaria dell'eroe del dilu- fr. X: H. V. Hilprecht, BE, D, V, (1910), I.
vio anche all'interno del mondo religioso greco e di quello biblico, fr. C: F. Delitzsch, Assyrische Lesestiick,e (1885), p. 101.
che invece non conoscevano affatto tale esito - rivelano una circola- fr. D: L. W. King, CT, XV (1902), p. 49.
zione di idee. più diffusa forse di quanto si credesse. L'epica completa di Atrahasis è stata pubblicata in una recente edizione da W.
G. Lambert e A. R. Millard, Atrahasis, the Babylonian Story of the Flood, Oxford,
1969.
7 Solo second~ la tradizione greca il diluvio è stato antropologicamente e
geograficamente limitato: ma qui interessa meno.
8 Epica di Gilgamesh,. tav. XI, 1. 133.

9 L'a'PaVLaJ,.LOc; (= diventare invisibili) è tema conosciuto anche in altre tra-

dizioni: è, per es., il caso di Romolo (Ov. Fasti II, 491 ss., in particolare v. 509).
IO Anche Abideno (II d.C.), che riassume Berosso in dialetto pseudo-ionico,
I Il motivo mitico del diluvio è ricchissimo per gli studiosi di diverse discipli-
usa il verbo a'Pavl~w, dunque sempre nel significato di «fendere invisibile)).
ne. Lo storico delle religioni rileva che il tema ha una diffusione pressochè univer-
II La traduzione è quella di E. A. Speiser in ANET, come anche per l'Ep. di
sale dato che è presente sia nelle culture cosiddette «primitive)) (America, Indone-
Gilg.
sia, Africa ... ) sia nelle «alte)) culture (India, Iran, area mesopotamica ... ) e continua
12 J. B. Pritchard (op. cit., p. 43,n. 7) suggerisce di leggere così invece di
a studiare i rapporti tra tutto questo immenso materiale.
«Anu ed Enlil)); lo stesso in A. Heidel (op. cito pp. 102-105).
2 Interessanti sono anche le tradizioni sul diluvio della Fenicia e della Siria,
13 Probabilmente Anu ed Enli1.
rappresentate rispettivamente da Filone da Byblos (<POLVLKLK-r7 larop{a) e da Lu-
14 A. Heidel, op. cit., p. 104.
ciano (De dea Syria 12~13), ma nel nostro caso non molto utili: infatti l'una (Lu-
Il S. N. Kramer, I Sumeri agli esordi della civiltà, Milano, 1958, p. 139.
ciano) non dice nulla di Deucalione dopo il diluvio, l'altra (Filone) non è chiara e
16 Proprio per questo, per sapere come Utnapishtim fosse divenuto immorta-
comunque risente fortemente dell' evemerismo (la teoria che intendeva spiegare
le, Gilgamesh, nell'epopea omonima, va a rendergli visita: ma non riuscirà a rag-
molti degli dei come antichi personaggi e re celebri in seguito divinizzati).
giungere lo scopo.
3 Testo edito da A. Rahlfs, Septuaginta, Stuttgart 1965 8 (1935 1).
17 C'è da dire che Berosso opera anche un altro cambiamento poichè accomu-
4 Ci riferiremo sempre ad «Apollodoro)), anche se l'attribuzione della «Bi-
na all'eroe in questa sorte privilegiata (appunto la divinizzazione) anche la moglie,
blioteca)) a questo autore non è sicura. Testo in Apollodori Bibliotheca, R. Wa-
la figlia e il timoniere: ma è meno importante.
gner, Mythographi graeci, l, Leipzig (Teubner) 1926 2 .
18 Su divinizzazione, trasferimento e immortalizzazione v. più avanti.
l Testo edito da F. Jacoby, FGrHist, n. 680, F 4, p. 380.
19 ANET, p. 89, X, i.
6 Tutti questi testi sono raccolti e tradotti in J. B. Pritchard, Ancient N ear
20 Su questo v. P. Xella, L' (~inganno~) di Ea nel mito di A dapa , OA, 12
Eastern Texts relating to the Old Testament (ANET), 1969 (Princeton 1950 1), pp.
(1973), pp. 257-266, al quale si rimanda anche per la discussione sull'intervento
42-44, 72-73, 93-97, 104-106; la datazione e la grafia dei termini babilonesi
di Ea, se cioè il dio abbia deliberatamente ingannato Adapa o no.
sono quelle riportate dal medesimo autore. La traduzione dei testi mesopotamici è
21 P. Xella, op. cit., p. 265.
anche in A. Heidel, The Gilgamesh Epic and Old Testament Parallels, Chicago,
22 Op. cit., p. 263.
y
1949.2 . (1946 1); G. Lambert, Il n aura plus jamais de déluge, NRTh 77 (195 5),
23 Op. cit., p. 264; per il tema della morte accettata come dato caratteristico
pp. 693-703; in parte anche G. Pettinato, Die Bestrafung des Menschengeschlechts
umano v. i paralleli etnologici cito dallo Xella sempre a p. 264.
durch die Sintjlut, in Or. 37 (1968), pp. 165-200. Le edizioni dei singoli testi
24 P. Xella, Problemi del mito nel Vicino Oriente Antico, «Annuali dell'Istituto
sono le seguenti:
Orientale di Napoli)), vol, 36 (1976), fasc. 2, pp. 48-49.
Leggenda sumera: A. Poebel, PBS, V (1914), I.

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i).!.
.25 Apollodoro prosegue dicendo che è per questo che la parola Àaol (popoli)
denv~ da (Ò.) Àaa~ = Ò Àl,')o~,(pietra). Il gioco di par~le «popolijJietre» è piutto-
sto diffuso m ambito greco: gia Omero lo conosce (IlIade 24, 611); in seguito,
Esiodo (se è da credere alla ricostruzione in Fragmenta Hesiodea, Merk.-West, Ca-
taloghi, fr. 234), Pindaro (01. IX, 44-45) e Schol. Pind. 01. IX, 69, Callimaco
(fr. ;:6 ,:feiffer), . Eu~tazio ~i Tessalonica (Comm. Il. I, lO, pp. 23. 30-44).
C e anche il giOCO di parole «popoli/ pietre»: v. la n. precedente.
27 Sull'idea di Tetra-Madre e le credenze sorte intorno ad essa, importantissi-
mo è ,il libro di. A: Diet.erich, ~~tter Erde, Darms~adt, ristampa 1967 (Leipzig
1905 ); ~er la bibhografia, vastIssIma, v. quella nell opera di Dieterich; cfr. anche
M. Eliade, Trattato di Storia delle Religioni, cap. VII, in particolare pgf. 87, e bi-
bliografia.
28 M. Guarducci, Leggende dell'antica Grecia relative all'origine dell'umanità e
analoghe tradizioni di altri paesi, Roma, 1927, p. 393.
2.9 L'episodio è narrato da Ferecide (schol. Apoll. Rod. III, 1179) che lo ri-
conglUnge alla tradizione tebana: i denti seminati da Cadmo e da Giasone app·ar-
tenevano allo stesso drago.
30 F. H. Woods, ERE, Deluge, p. 547.
31 M. Guarducci, op. cit., p. 414; v. anche gli esempi riportati da A. G. Ca-
pomacchia, L' (~eroe del diluvio~) nella tradizione mesopotanica: contributo a uno studio
storico di un personaggio mitico, Studi Storico-Religiosi, l', 1977, p. 13, n. 23.
32 Apollod., Bibl. I, 7, 2; ma la tradizione è antica: dicono Prometeo padre
di Deucalione Esiodo (Fragm. Hes. Merk.-West, HOIAI, n. 2, p. 4), Ellanico
(F. Jacoby, FGr Hist, lA, n. 4, fr. 6 b, p. 109), Acusilao (F. Jacoby, FGr Hist,
lA, n. 2, fr. 34, p. 56), Apollodoro, come detto, e Ovidio, Met. I, 363-4. Secon-
d~ al~ri, Prometeo è marito di Pirra e padre di Elleno e quindi collegato ancora
plU dIrettamente alla nuova umanità seguita al diluvio: Scol. ad Apoll. Rodio III,
1086 e Scol. a Pind. 01. IX, 68 b.
33 A. Heidel, op. cit., pp. 259-260 (per il mito di Atrahasis si basa sul testo
da lui stesso riportato alle pp. 115-116); A. G. Capomacchia, cit., si basa sull'edi-
zione W. G. Lambert - A. R. Millard, Atrahasis... , III, vi, 45-50, p. 103.
34 A. Heidel, op. cit., p. 260.
35 Problemi del mito, cit., p. 59.
36 ANET2, pp. 101-103.
37 A. G. Capomacchia, in «Studi storico-religiosi» cito p. 14.
38 Per le notizie su questo autore, v. PW, S.V. Nigidius, col. 200-212.
39 A. Swoboda, P. N igidii Figuli operum reliquiae, Amsterdam, 1964, fr. 99,
p. 125.
4G Hygini Astronomica, a cura di E. Chatelain e P. Legendre, Paris 1909 II
29, 23-24. ' "
41 Non si sa con certezza chi sia questo Egesianatte: «che sia lo stesso ..:he
scrisse le TPWLKet non è certo» (C. Robert, Eratosthenis Catasterismorum reliquiae,
206
Berlino, 1963, p. 222). Egesianatte dovrebbe essere la fonte anche del testo di P.
Nigidio Figulo (C. Robert, loe. cit.).
42 Berosso: oLà r7?v EvaÉ{3ELaV, La versione sumerica insiste sul fatto che
Ziusudra era un re ((umile, obbediente, rispettoso, occupato ogni giorno costante-
mente alla ricerca di rivelazioni divine nei sogni». L'Epica di Gilgamesh, invece, e
il mito di Atrahasis, non riportano nessuna particolare connotazione di «pietà» per
l'eroe: sembra quasi che questi due racconti, che non conoscono qualità morali del-
l'eroe, vogliano invece insistere sulla sua intelligenza o abilità.
43 Sul concetto di 'trasferimento' V. U. Bianchi, SMSR 35 (1964), pp. 168-
170.
44 V. U. Bianchi, La religione greca, UTET Torino, 1975, pp. 85-93.
41 C'è nel mondo greco un altro tipo di immortalizzazione (- trasferimento)
significativamente non riuscito: è il tentativo di immortalizzazione compiuto, se-
condo la leggenda, da Demetra verso Demofonte, il figlio del re di Eleusi di cui la
dea era ospite; ella tentava di rendere immortale il bambino immergendolo di not-
te nel fuoco; ma l'interv'ento della madre spaventata spezzò l'incantesimo e Demo-
fonte restò mortale. Sul senso di questo episodio V. U. Bianchi, Saggezza olimpica
e mistica eleusina nell'inno omerico a Demetra, SMSR 35 (1964), pp. 172-177.
46 Per una trattazione delle differenze tra descrizione dell'Olimpo e descrizio-
ne dei Campi Elisi in Omero V. U. Bianchi, Razza aurea ... ,SMSR 34 (1-963),
pp. 143-210; id., La religione greca, Torino 1975, pp. 85-93.
47 P. Grelot; La légende d'Hénqch dans les Apocryphes et dans la Bibie: origine
et signification, Rech. Se. ReI. 46 (1958), pp. 5-26, 181-210.
48 P. Grelot, cito
49 P. Grelot, cito p. 190.
lO E. G. Kraeling, The Earliest Hebrew Flood Story, JBL 1947, p. 292.
2
li F. Festorazzi, La Bibbia e il problema della origini, Brescia, 1966-1967 , p.
247.
52 F. Festorazzi, loc. cito
l3 P. Grelot, cit., p. 210.
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 TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

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