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SENSIBILIA 9 2015

GENIUS LOCI
A cura di
Silvia Pedone e Marco Tedeschini

MIMESIS
MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)
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Isbn: 9788857540894

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INDICE

INTRODUZIONE 9
di Silvia Pedone e Marco Tedeschini

ESPORTARE LO SPIRITO DEL GENIUS LOCI. UN PROGETTO IRREALIZZABILE


NELLA ROMA DI FILIPPO NERI 13
di Giulia Andioni

IL GENIUS LOCI NELL’EPOCA DELLA SUA DIGITALIZZAZIONE 25


di Karim Ben Hamida

LEOPARDI. DA L’INFINITO AL NULLA 39


di Stefano Bevacqua

L’ARTISTA COME GENIUS LOCI. L’ESEMPIO DI LORENZO DA VITERBO 51


di Gerardo de Simone

I LUOGHI COMUNI DELL’ARTE. SI PUÒ FARE UNA TEORIA


DELLA GEOGRAFIA ARTISTICA? 75
di Michele Di Monte

LUOGHI DI UNA PEDAGOGIA ECCENTRICA. LO ZAUBERBERG


DI THOMAS MANN 93
di Silvia Ferretti
IL SENSO DEI LUOGHI, I LUOGHI DEL SENSO. SEGNI E AISTHESIS
TRA NATURA E TECNICA 109
di Riccardo Finocchi

L’EUROPA COME GENIUS LOCI 123


di Elio Franzini

GENIUS LOCI E PITTURA IN KANDINSKY. LO SPIRITUALE E LE FORME 137


di Federica Frattaroli

TROVATO O CREATO? IL GENIUS LOCI COME ESPERIENZA (ATMOSFERICA) 155


di Tonino Griffero

GENIUS LOCI E PSICOPATOLOGIA 183


di Marco Innamorati

IL DEMONE DELLA MONTAGNA.


A PROPOSITO DELLA NOVELLA LENZ DI GEORG BÜCHNER 195
di Micaela Latini

GENIUS LOCI E fūdo: la filosofia mesologica di Watsuji tetsurō 211


di Lorenzo Marinucci

APPUNTI SUL GENIUS LOCI. SPAZIO, NARRAZIONE, AUTENTICITÀ 225


di Massimiliano Napoli

GENIUS, ANIMA, daimon E PROCREAZIONE. ORIGINI DI UN CONCETTO 243


di Lorenzo Perilli

«BIANCO SU BIANCO». L’ASTRAZIONE CONCRETA


DA GILLES DELEUZE A MICHELANGELO ANTONIONI 263
di Giulio Piatti
LA CASA COME LUOGO DI DECIFRAZIONE DELLO SPAZIO NATURALE.
CHRISTIAN NORBERG-SCHULZ E HANS VAN DER LAAN 275
di Tiziana Proietti

GENIUS LOCI E/O “LOCUS GENIALIS”? QUALCHE RIVERBERO


LEVINASSIANO E PLATONICO 299
di Vittorio Ricci

GENIUS LOCI E L’ESTETICA DEL GIARDINO 311


di Mateusz Salwa

SOMA E UTOPIA. RIFLESSIONI SU UN GENIUS LOCI ZEN 325


di Richard Shusterman

PIERO DORAZIO. L’ASTRATTISMO MEDITERRANEO


DALLA VOCAZIONE INTERNAZIONALE 335
di Gabriele Simongini

LA DIFFERENZA DEL GENIO. PROBLEMA TEORICO, SOLUZIONE ESTETICA 351


di Marco Tedeschini

PER UN PAESAGGIO DEL TUTTO NUOVO E ALLO STESSO TEMPO ANTICO 367
di Franco Zagari

AUTORI 379
GENIUS, ANIMA, DAIMON E PROCREAZIONE.
ORIGINI DI UN CONCETTO
di Lorenzo Perilli

1.

Every being has its ‘genius’, its guardian spirit. This spirit gives life to people
and places, accompanies them from birth to death, and determines their charac-
ter … ancient man experienced his environment as a revelation of definite ‘ge-
nii’… [he] understood that it is an existential necessity to come to terms with
the ‘genius’ of the locality where his life takes place… The ‘genius’ thus cor-
responds to what a thing ‘is’, or what it ‘wants to be’. (Norberg-Schulz 1979b:
45)

Identificarsi con un luogo, per Christian Norberg-Schulz, significa aprir-


si al suo carattere, cosicché precipuo compito dell’architettura è quello di
dare senso ai luoghi dando visibilità allo specifico genius loci, solo così
creandosi luoghi dotati di significato in cui la vita dell’uomo trovi adegua-
ta collocazione. L’entità di un luogo si definisce attraverso la sua identità,
e tale identità va ricercata nello specifico carattere ad esso assegnato dal
proprio genius.
Era il 1979-80 quando Norberg-Schulz proponeva il suo personale per-
corso verso una fenomenologia dell’architettura. Allo scopo, non trovò di
meglio che rivitalizzare, brillantemente anche se tra qualche alzata di ci-
glia, quella nozione di genius loci che era stata tipica dello spirito dell’an-
tica Roma, con radici che si prolungavano in territori storici, culturali e an-
tropologici inesplorati e inesplorabili, per mancanza di documentazione
(Norberg-Schulz 1979)1.
È stata lunga la strada percorsa dal piccolo genius, il discreto compagno
che si manifesta con un rossore sul volto e si placa sfregando la fronte, l’a-

1 L’ispirazione fu heideggeriana, in un’epoca in cui questa era la tendenza, ma su


ciò sia consentito sorvolare. Su Norberg-Schulz e la sua interpretazione cfr. an-
che, con sguardo critico, Reza Shirazi (2008).
244 Sensibilia 9 2015 - Genius loci

mico mutevole ma rassicurante, umano e divino ad un tempo, e anzi dio


della stessa natura mortale dell’uomo – giacché anche nell’uomo può es-
servi una scintilla divina –,

Genius, natale comes qui temperat astrum,


naturae deus humanae mortalis, in unum quodque
caput voltu mutabilis, albus et ater,

il Genio, compagno che regola la stella natale,


dio mortale di natura umana, che muta
sempre volto, ora bianco, ora nero (Orazio, Epistole, II 2 187-9)2,

l’amichevole serpentello che i Romani usavano dipingere sui muri delle


case auspicando protezione, cresciuto accanto al medico al quale da sem-
pre si accompagna assicurando guarigione, avvolgendosi silenzioso attor-
no al caduceo, il serpente che nelle cerimonie di guarigione dei santuari si
insinua sotto il velo che copre la testa dell’infermo e ne lecca le palpebre
guarendolo dalla cecità, come nel caso del Pluto della commedia greca, dio
della ricchezza, cieco e dunque incapace di distribuirla equamente tra gli
uomini, pertanto condotto al santuario del dio della medicina Asclepio per
essere curato e riacquistare la vista: e Asclepio

gli siede accanto,


e prima gli appoggia la mano sulla testa, poi piglia
un cencio pulito e glielo passa sulle palpebre.
Panacea gli stende un panno rosso sulla testa,
compresa la faccia: allora il dio fa un fischio,
dal tempio schizzano fuori due serpenti,
di grandezza enorme …,
si infilano tranquillamente sotto lo
straccio rosso e gli leccano le palpebre, torno torno:
almeno mi pareva. Il tempo che tu scoli due ciotole di vino,
e Pluto, padrona mia, si alza e ci vede!
Io batto le mani per la gioia e sveglio il padrone.
Il dio subito sparisce e con lui i serpenti, dentro al tempio.
(Aristofane, Pluto, 728-741)

Che il genius sia identificato con il serpente, e che ciò appaia rassicuran-
te, non sorprenderà chi consideri l’immaginario degli antichi legato a que-

2 Incongrua è l’interpretazione del passo oraziano secondo cui il Genio è per


ciascuno anche apportatore di morte, come ancora si legge nella Enciclopedia
dell’Arte Antica dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, s.v (Fuchs 1960).
L. Perilli - Genius, anima, daimon e procreazione 245

sto animale, pericoloso e tuttavia affascinante, che già un antichissimo trat-


tato egizio di ofiologia del grande tempio di Eliopoli classificava in ogni
dettaglio, con sorprendente precisione zoologica e medica, descrivendone
caratteristiche, ma anche la tipologia del morso e le cure specifiche per cia-
scuno, incluse formule di invocazione magica3. E Roma, diceva Plinio, era
ormai invasa da serpenti proprio a seguito di una sorta di infatuazione per
quel che l’animale rappresentava, il genius. Ma andiamo per gradi.

2.

Da genius a genius loci il passo si può spiegare, ma non è breve – per


quanto lo sia sembrato.
Il concetto è antico, ma non antichissimo. Si incontra già nella prima let-
teratura romana (dico romana e non latina perché qui interessa non la lin-
gua ma il luogo), al tempo della seconda guerra punica, un’epoca di inquie-
tudine religiosa, accresciuta dal susseguirsi di eventi inspiegabili se non
miracolosi, considerati segno dell’ira degli dei che si cercava di placare
con offerte e preghiere (Livio, Ab urbe condita, XXII 56). Cresceva la pau-
ra di fronte al divino, idee provenienti da paesi lontani trovavano facile ac-
cesso nella società romana, tra i timori di perdere quei rassicuranti mores
maiorum che saranno al centro di ogni dibattito politico. Tra i soggetti che
entrano in scena, spicca il Genio.
Gli viene in genere recisamente negata ogni ascendenza greca, per rico-
noscerne piuttosto, tentativamente, una etrusca. Quest’ultima poggia però
su fondamenta assai labili; l’altra, invece, permette di spiegare molto più di
quanto appaia, dimostrandosi che sotto un nome del tutto originale – ge-
nius, il genitore, nel senso letterale di colui che genera – e iconicamente ce-
lato sotto fattezze varie e diverse e non stabili, riaffiorano concezioni che
sono invece tipicamente greche, ma che rivelano anche, e sempre di più ri-
acquistano, tratti propri della religiosità ebraica che, attraverso la media-
zione cristiana, vanno a mescolarsi con i tratti locali romani: non si vorrà
infatti trascurare che la nozione cristiana di angelo, e poi di angelo custo-
de, ha il suo diretto antecedente nella concezione ebraica già prototesta-
mentaria di una entità intermedia tra dio e uomo, che penetrerà più tardi
nella cultura araba con la figura dello jinn, figura però negativa, caratteriz-
zata dalla cattiveria, ma anche etimologicamente legata al genius romano.

3 Si tratta del Papiro del Museo di Brooklyn n. 47.218.48 + 85, Trattato egiziano di
ofiologia, egregiamente edito, tradotto e annotato da Sauneron 1989.
246 Sensibilia 9 2015 - Genius loci

Il genius rientra, non v’è dubbio su questo, tra le più importanti e più an-
tiche componenti della religione di Roma4, e trova la rappresentazione più
efficace nei testi più tipicamente e sapidamente romani, quelle commedie
di Plauto che – siamo nel terzo secolo a.C., inizio del secondo, Plauto na-
sce intorno al 250: se si considera che la letteratura latina si fa iniziare con
il 240 (Livio Andronico), si vede come si tratti di testimonianze tanto più
preziose perché arcaiche – lo fanno esordire sul palcoscenico del teatro,
sempre accanto alla persona a cui si accompagna: di cui è appunto comes,
come in Orazio, tenuto magari per mano (teneo dextra Genium meum,
Plauto, Menaechmi, I 2 138-139), oppure felice all’aumentare della ric-
chezza (nunc et amico meo prosperabo, et Genio meo multa bona faciam –
per ora arricchirò il mio amico e farò del gran bene al mio Genio, Plauto,
Persa, II 3 263-264), o defraudato quando il denaro viene a mancare (ego-
met me defraudam, amicum meum Geniumque meum – o me sventurato,
con il mio amico e il mio Genio, Plauto, Aulularia, IV 9 724), coinvolto
quando qualcuno sa apprezzare il buon cibo (sapis multum ad Genium, che
si dovrà rendere con un banale ma non aggirabile «sai vivere bene, tu»,
Plauto, Persa, I 3 108), cercato quando si ha bisogno di un amico e sodale
(ecquis est qui mihi commostret Phaedromum, Genium meum? – qualcuno
sa dirmi dove trovare Fedromo, il mio Genio? Plauto, Curculio, II 3 301),
identificato con la natura dell’uomo e il suo destino (nam hic quidem me-
liorem Genium tuum non facies – qui non renderesti migliore il tuo Genio,
Plauto, Stichi, IV 2 622), e destinatario di sacrifici nel culto domestico,
come nei Captivi:

Genio suo ubi quando sacruficat, / ad rem divinam quibus est opus Samiis va-
sis utitur, / ne ipse Genius surripiat.

Se mai offre un sacrificio al suo Genio, per la cerimonia usa vasi di Samo per-
ché lo stesso Genio non se ne approprii. (II 2 291-3)

Già nell’età più antica, dunque, è presente un intero ventaglio di opzio-


ni, che conferma piena cittadinanza al concetto di genio come compagno
dell’individuo, con lui anzi identificato. Interessa qui aggiungere che ge-
nius si alterna talora, in Plauto, ad animus, avvicinandosi così, almeno
quanto al contenuto, al concetto di anima – qualunque cosa essa sia. Se sus-
sista anche una connessione con il concetto greco di ψυχή è apparso incerto,
piuttosto negato che riconosciuto: sbagliando, probabilmente. La mancan-

4 Riassumo qui le risultanze dei principali studi sul tema e delle testimonianze antiche.
L. Perilli - Genius, anima, daimon e procreazione 247

za di chiarezza dipende innanzitutto dalla necessità di una definizione uni-


voca di psyché, di cui non disponiamo; è risultato dubbio in particolare se
il genius debba essere pensato come originatosi da una proiezione esterna
della psyché interna e autonoma propria dell’individuo: per certo, esso di-
spone di una sua propria individualità ben distinta da quella di chiunque al-
tro, ed è dunque in relazione con i tratti profondi della persona a cui si ac-
compagna.
Il genius è chiamato deus, e comes dell’uomo, compagno cioè dello spe-
cifico individuo al quale pertiene (o appartiene), come nell’Orazio citato; a
lui si rivolgono preghiere, si presentano offerte, in suo nome si giura e si
maledice.
Tipicamente romana è la concezione del Genius come un principio vita-
le personificato che accompagna l’uomo standogli accanto e, appunto, te-
nendolo per mano come sulla scena plautina. Non va trascurato che alla
stessa età di Plauto risale presumibilmente la stesura del deuterocanonico
Libro di Tobia compreso nella Bibbia cristiana (ma non in quella ebraica),
nel quale all’esortazione del padre di cercare, prima di mettersi in viaggio,
«un uomo di fiducia che ti faccia da guida», il giovane Tobia «uscì in cer-
ca di uno pratico della strada che lo accompagnasse nella Media. Uscì e si
trovò davanti l’angelo Raffaele, non sospettando minimamente che fosse
un angelo di Dio», il quale «conosce tutte le strade» (Tb 5, 3-6). Le due
concezioni romana (cioè pagana) e cristiana procedono in parallelo, inevi-
tabilmente incrociandosi, e nel quarto secolo d.C. un Padre della Chiesa
come Basilio di Cesarea dirà esplicitamente che «ogni fedele ha al proprio
fianco un angelo come protettore e pastore per condurlo alla vita» (Basil.
Adv. Eunomium III 1): ma già Matteo 18,10 ne assegnava uno a ciascun
fanciullo.
Oltre che all’angelo del Cristianesimo, è fuor di dubbio la vicinanza
all’ἀγαθὸς δαίμων dei Greci, a cui il genius somiglia anche nella forma in
cui si presenta, quella di serpente; i romani chiamano genii i serpenti, e i
serpenti in greco erano talora chiamati con il nome di ἀγαθοὶ δαίμονες, de-
moni buoni, come esplicitamente ricorda il grammatico Servio nel suo
commento alle Georgiche di Virgilio (III 417), dove trattando di varie spe-
cie di serpenti tra cui la vipera, richiama il comportamento degli ἀγαθοὶ
δαίμονες, quos latine genios vocant. Non solo dunque la connessione con
il mondo greco è evidente – non potendosi qui rifarne la storia, si pensi sol-
tanto al Fedone platonico, e agli altri dialoghi socratici –, ma è anche espli-
citamente richiamata dagli autori latini. Sono autori tardi, si dirà, influen-
zati dalla sempre maggiore penetrazione della filosofia greca nel mondo
romano: è vero; ma altrettanto vera è la presenza di tratti che già nel periodo
248 Sensibilia 9 2015 - Genius loci

arcaico rinviano a un analogo modo di intendere. Con il tempo, effettiva-


mente, al genio si vengono sempre più attribuendo le caratteristiche del
δαίμων dei Greci, sorta di spirito custode strettamente legato all’uomo nel-
la sua individualità: lo stesso – non si dovrà mancare di sottolinearlo – ac-
cadeva con la psyché.

3.

Si diceva: genius vale genitore, letteralmente. Lo scrive Censorino, in


quella curiosa opera che è il De die natali, redatto nel 238 d.C.:

Genius est deus, cuius in tutela ut quisque natus est vivit. Hic sive quod ut ge-
namur curat, sive quod una genitur nobiscum, sive etiam quod nos genitos sus-
cipit ac tutatur, certe a genendo genius appellatur.

Il genio è quel dio sotto la cui protezione ognuno vive una volta nato. Si
occupa del fatto che noi siamo generati, viene generato insieme con noi, ci
accoglie e protegge una volta generati; si chiama genius da generare. (Cen-
sorin. De die natali 3,1)

Ne conferma Paolo Diacono (nella Epitome – da lui predisposta per Car-


lo Magno alla fine del sec. VIII – del perduto De verborum significatione
di Festo, II sec. d.C.):

Genius meus nominatur, quia me genuit.

È chiamato il mio genio, perché mi ha generato. (Paul. Diac. 95,1)

Il genius ha un ruolo nella generazione, e questo ruolo sembra essere at-


tivo, di soggetto che genera o presiede alla generazione (si ricorderà che
anche il greco usa la stessa radice gen- per γένεσις, γενέσθαι); sebbene,
evidentemente sotto l’influenza del passo di Censorino, sia stato proposto
di interpretare la connessione con il generare anche nel senso di colui che,
al momento della generazione (nascita), prende sotto la sua protezione co-
lui che nasce, oppure nel senso che il genius nascerebbe insieme con la per-
sona a cui appartiene.
Spirito vitale in tutti gli aspetti della vita, destinata a finire: come il
δαίμων, il genius è legato alla condizione di mortalità dell’uomo (è in Iso-
crate il δαίμων θνητός, Evag. 72), anche se non muore con lui: piuttosto si
L. Perilli - Genius, anima, daimon e procreazione 249

disgiunge dal mondo della vita, proseguendo il suo cammino, così come
l’anima – una concezione tipica di tutta la grecità, che ancora una volta si
può osservare magistralmente raffigurata da Platone. Attraverso il suo ge-
nius si maledice il nemico, per tuom te genium obsecro (è ancora Plauto,
Captivi, 977); come al genius, al δαίμων si rivolgono offerte votive. Il nes-
so con la grecità è innegabile.
Essendo il genius il principio capace di generazione presente nell’uomo,
la vita dell’uomo è detta avere inizio con l’ingresso del genius in lui; o an-
che, viceversa, l’ingresso del genius nell’uomo è detto avvenire al momen-
to della nascita: il principio generatore di chi nasce risiede infatti in colui
che genera, il padre, non in colui che è generato (si vedrà meglio il rilievo
di questa distinzione). Il genius opera anche nel godere della vita, ed è fe-
lice di chi sia propenso a spendere denaro (Plauto, Trucul., 183); ha un ruo-
lo nel preservare la vita, e in questo modo si spiega forse il fatto che esso
sia frequentissimamente collegato al cibo, come ancora nelle commedie di
Plauto ma anche ad esempio nella espressione homines geniales, che defi-
nisce non intelletti brillanti ma coloro che sono particolarmente pronti e di-
sposti ad invitandum et largius apparandum cibum (così il grammatico di
età ciceroniana Satra, citato da Nonio nel De compendiosa doctrina,
168,15).
Spirito vitale in ogni senso, il genius gioisce per tutte le forme di piace-
re che alimentano la vita. A lui è sacro perciò il letto nuziale, che di qui trae
il nome, lectus genialis: tutto ciò che viene alla vita deve avere il suo ge-
nio, ed è pertanto comprensibile che esso venga onorato proprio laddove si
prevede che abbia inizio la nuova esistenza dell’uomo, il letto nuziale ap-
punto. In assenza del marito (lontano o morto che fosse), il genio ne pren-
de il posto: e lo fa sotto forma di serpente, intorno e nel letto, unendosi alla
donna per concepire, come nel caso della nascita di Scipione Africano mi-
nore, il conquistatore di Cartagine. In altri casi, due sono i serpenti che ap-
paiono, dunque due genii, maschio e femmina, ancora sul letto, simboleg-
giando l’uomo e la donna. Si è pensato che per le donne fosse la Iuno a
prendere il posto che il genius ha per l’uomo: ma la distinzione non è così
rigida, non mancano eccezioni e specialmente nel periodo più antico il ge-
nius vale per entrambi i sessi. La Iuno ad ogni modo esiste, ed è di esclusi-
va pertinenza femminile (cfr. Plinio, Naturalis Historia, II 16), nominan-
dosi come la dea (Giunone) protettrice del matrimonio e del parto, e poi
anche dello Stato: la distinzione sarebbe allora tra il principio maschile,
che genera, e quello femminile, che riceve. In realtà, il genius si sottrae a
questo tipo di distinzione.
250 Sensibilia 9 2015 - Genius loci

4.

La conferma della femminilità del genius coincide con l’associazione


della nozione di genio a quella di luogo, del luogo per eccellenza: la città
di Roma. Si ha allora il genius loci, di un luogo per il quale maschio e fem-
mina non hanno più senso, e coincidono: «Sul Campidoglio – scrive Ser-
vio, stavolta nel commento all’Eneide, II 351 – fu consacrato uno scudo, In
Capitolio fuit clipeus consecratus, sul quale vi era un’iscrizione: genio ur-
bis Romae, sive mas sive femina, al genio della città di Roma, maschio e
femmina insieme».
Dunque non soltanto l’uomo, l’individuo, ha il proprio genius, ma an-
che, e già in età molto antica, ogni locus, nel qual caso esso appare di nuo-
vo in forma di serpente, e anche ogni edificio, ogni città, ogni associazione
di persone; persino gli dei hanno i loro genii.
Come un’anima, il genius accompagna il singolo individuo dimorando
nel suo corpo, in quello stesso modo nel quale siamo abituati a pensare la
ψυχή; ma esso è anche uno spirito che protegge qualunque entità, sia essa
personificata o meno, nella quale si sviluppa la vita: questa sì, è idea pecu-
liarmente romana. Il genio si accompagna allora a tutto ciò che possiede un
esserci autonomo e determinato, tutto ciò che ha una personalità, una enti-
tà e identità, un certo carattere. Gli spiriti protettori dei luoghi fanno parte
delle concezioni più antiche e già primitive, ma chiamarli genii significa un
passaggio dalla sfera dell’individuale umano a una dimensione condivisa,
collettiva, sociale. Esiste, così, un genius populi romani, e insomma ge-
nium dicebant antiqui naturalem deum uniuscuiusque loci vel rei vel homi-
nis, «gli antichi chiamavano genio il dio naturale di qualunque luogo o
cosa o persona» (così Servio a Virgilio, Georgiche, I 302).
Massima diffusione e significato ebbe proprio il concetto di genius loci.
La descrizione più famosa e più espressiva di questo concetto è da conside-
rarsi quella offerta da Virgilio nel quinto libro dell’Eneide, quando raffigu-
ra Enea che celebra il funerale del padre Anchise. Verso la fine della scena,
si legge:

Qui (sul tumulo) offre due coppe di vino puro,


lo versa in terra, e due di fresco latte,
due di sangue sacro, e sparge fiori purpurei,
e dice: «Salve, santo genitore, di nuovo salve, ceneri
ritrovate invano, anima e ombra del padre.

Aveva detto così, quando dai profondi recessi
un viscido grande serpente trasse sette cerchi,
L. Perilli - Genius, anima, daimon e procreazione 251

sette volute, aggirando quietamente il tumulo,


strisciando fra le are, macchiato il dorso da segni
cerulei, e un fulgore gli accendeva d’oro le squame,
come l’arcobaleno tra le nubi rifrange mille diversi
colori dal sole. Enea stupì alla vista.
Quello, con lungo snodarsi tra i calici e le terse coppe,
libò le vivande e innocuo discese di nuovo
nel profondo del tumulo, e lasciò i degustati altari.
Perciò ancor più rinnova gli onori al genitore,
incerto se pensare che sia un genio del luogo o un aiutante
del padre; uccide secondo il rito una coppia di bidenti,
e altrettanti maiali e giovenchi dalle nere terga;
versava vino dalle coppe, e chiamava lo spirito
del grande Anchise e i Mani evocati dall’Acheronte. (V 77-99)

Su cui Servio commenta: nullus enim locus sine genio, qui per anguem
plerumque ostenditur, «non esiste luogo senza un suo genio, che quasi
sempre si mostra in forma di serpente» (V 95).
I serpenti venivano dipinti al fine di indicare la sacralità del luogo e pro-
teggerlo da tutto ciò che di impuro avrebbe potuto contaminarlo: forse il
più noto è il dipinto parietale di Ercolano (fig. 1) che raffigura il genius loci
in forma di serpente che si attorciglia intorno all’altare e mangia i frutti che
su di esso sono depositati come offerta, a fianco la didascalia di genius
huius loci montis:

Fig. 1. Riproduzione tratta da Hild (1896: 1491)


252 Sensibilia 9 2015 - Genius loci

È attestata, soprattutto per via epigrafica, l’esistenza di genii di ogni


tipo, genius curiae, domus, thesaurorum, horreorum, theatri, thermarum,
macelli, e così in ambito militare, dove esistono genii exercituum, legionis,
cohortis, etc. Lo stesso vale anche per le città e per ogni agglomerato urba-
no, i cui genii vengono a volte ad essere identificati con delle divinità. In
un passo del Contra Symmachum di Prudenzio (IV sec. d.C.) si legge:

cum portis, domibus, thermis, stabulis soleatis adsignare suos genios, perque
omnia membra urbis perque locos geniorum milia multa fingere, ne propria
vacat angulus ullus ab umbra.

e siete soliti assegnare a porti, case, terme, ricoveri i loro genii, e a creare mi-
gliaia e migliaia di genii per ogni parte della città e per ogni luogo, cosicché
neppure un angolino resti privo della propria ombra. (II 446-449)

Ma si tratta sempre di uno sviluppo del concetto di genio personale


dell’individuo.

5.

Si giunge così al punto in cui la filosofia inizia a giocare la sua parte. S’è
detto del δαίμων, che la filosofia e la teologia dei romani chiama genius, e
che lo stoicismo di età romana considerava la parte più elevata dell’uomo
e il suo spirito. Seneca – siamo dunque nel primo secolo d.C. – ricorda che

maiores nostros qui crediderunt Stoicos fuisse; singulis enim et Genium et


Iunonem dederunt,

i nostri antenati che credevano (a quelle idee) erano Stoici; essi assegnarono a
ciascuno il suo genio e la sua iuno; (Epistole a Lucilio, XIX 1)

le idee in cui gli Stoici credevano erano quelle del popolo minuto, che cioè

unicuique nostrum paedagogum dari deum, non quidem ordinarium, sed hunc
inferioris notae ex eorum numero quos Ovidius ait ‘de plebe deos’,

ciascuno di noi abbia come guida e istruttore un dio, e non uno dei degli dei
veri e propri, ma uno di grado inferiore, di quelle che Ovidio chiama ‘divinità
plebee’. (Ibidem)
L. Perilli - Genius, anima, daimon e procreazione 253

La filosofia dunque, e in particolare quella dominante a Roma, lo stoici-


smo, si accoda alle credenze popolari, accetta l’idea che ciascuno di noi sia
accompagnato da una divinità subordinata, non θεός ma δαίμων, per dirla
alla greca, di quelle buone per il popolino, de plebe deos. È il genius. Di cui
Varrone scriveva, prima di Seneca, che

genium esse uniuscuiusque animum rationalem et ideo esse singulos singulo-


rum, talem autem mundi animum deum esse,

il genio coincide con l’anima razionale di ciascuno e ciascuno ha pertanto il


suo, e una tale anima, che è un dio, è propria anche del mondo; (Varrone, Anti-
quitates, fr. 237, cit. da Agostino, De civitate dei, VII 13)

e il genio – è ancora Varrone, nello stesso passo di Agostino –

deus qui praepositus est ac vim habet omnium rerum gignendarum,


è il dio che sovraintende e ha il potere della generazione di tutte le cose.

Chiarissimo è ancora Apuleio, che, si ricorderà, era un platonico del se-


condo secolo d.C., l’epoca di Marco Aurelio, di Galeno, della rinascita di
platonismo, pitagorismo e aristotelismo accanto all’universo stoico:

Nam quodam significatu et animus humanus etiamnunc in corpore situs dae-


mon nuncupatur. … eum nostra lingua … poteris Genium vocare, quod is deus,
qui est animus sui cuique, quamquam sit inmortalis, tamen quodam modo cum
homine gignitur,

Ebbene in un certo senso anche l’animo umano collocato nel corpo viene chia-
mato daimon … nella nostra lingua … si potrebbe chiamarlo genius, cioè dio,
che è l’anima di ciascuno e che, sebbene immortale, tuttavia in qualche modo
è generata insieme con l’uomo. (Apuleio, De deo Socratis, 45)

Si tratta qui di concezioni in cui si fa sempre più evidente la penetrazio-


ne della tradizione filosofica greca nel mondo romano, sebbene non man-
chi di riaffiorare l’esigenza di ridefinire con gli strumenti della lingua e
della visione latina una costellazione concettuale non banale. Bisogna tor-
nare indietro fino a Platone, di nuovo, per fare il passo successivo, e ulti-
mo: il δαίμων, per lui, è interamente contenuto nella testa. Il corpo – defi-
nito altrove prigione dell’anima, secondo il dettame pitagorico – non fa che
fornire il mezzo di locomozione, umile quanto indispensabile. È la testa a
fare la differenza: e l’intuizione è tutt’altro che banale, o scontata.
254 Sensibilia 9 2015 - Genius loci

6.

Prima, infatti, che avvenisse l’unificazione sincretistica di animus e ge-


nius, quale appare in Apuleio e negli altri filosofi del tempo, i due concet-
ti esprimevano un dualismo irriducibile: l’animus come mente cosciente
ordinaria, come io cosciente, era associato al petto, sede della coscienza,
mentre alla testa era assegnato il genius in quanto anima vitale procreati-
va5. Anche in questo senso tale spirito vitale attivo nella procreazione pre-
senta tratti affini a quelli della ψυχή dei Greci; non solo è rappresentato,
come questa, in forma di serpente, e come questa è destinato a non cedere
alla morte, ma come questa ha sede appunto nella testa: una collocazione
decisiva per intendere la nozione di genius, la sua estraneità rispetto all’io
cosciente. Perché il genius, si è visto, è associato alla procreazione; ma
sede della procreazione è la testa, non altro. L’associazione, che è indubbia,
del genius con la generazione si esprime già nella etimologia, poi ad
esempio nella ricordata definizione del letto nuziale come genialis, o nel
ruolo del serpente che sostituisce il marito assente nell’unirsi alla moglie;
ma anche la chioma è chiamata genialis (di genialem caesariem si parla in
Apuleio) e così la canizie (la genialem canitiem dell’anziano, ancora in
Apuleio), perché la crescita dei capelli è tipicamente concepita in relazione
con la sostanza vitale che ad essi sottostà, e con l’anima generativa. Quan-
do muore Giulio Cesare, quell’imperatore che era stato «il solo, fra tutti i
sovvertitori dello Stato, a compiere la sua opera senza essere ubriaco»
(Catone il Censore stando a Svetonio, De vita caesarum, Divus Iulius 53),
si vuole che una stella chiomata (stella crinita, o cometa) sia apparsa nel
cielo. Essa rappresentava la sua anima confermandola ormai accolta tra
gli immortali: perché anche il genius, anima umana e divina, mortale e im-
mortale, usava mostrarsi sotto forma di fuoco intorno alla testa, sua sede
naturale.
La chioma, proprio perché espressione della capacità generativa, è desti-
nata a essere coperta da un velo, sia nel rito del matrimonio che in altre cir-
costanze nelle quali questa sorta di pudore sia richiesta; e pudore relativo
alla generazione è anche quello che motiva il gesto di portarsi la mano alla
fronte quando si voleva onorare il genius, poiché al genius la fronte era sa-
cra. Lo stesso significato ha il rossore improvviso e incontrollabile che de-
nota imbarazzo, e che si verifica solo sul viso e su nessun’altra parte del
corpo; mentre gesti e reazioni che siano fuori del controllo dell’io coscien-
te, come lo starnuto, sono considerati espressione di un genius inquieto, e

5 Su questi temi si veda Onians (1951), a cui si fa qui riferimento.


L. Perilli - Genius, anima, daimon e procreazione 255

allo starnuto – a differenza di ogni altra manifestazione involontaria – si ri-


spondeva infatti augurando “salute”, salutem ei imprecari. Lo stesso vale
per il cenno della testa che indica approvazione e impegna chi lo compie a
rispettare l’impegno, giacché nella promessa era coinvolto il genius, come
per i Greci la ψυχή.
Tipico dei Greci era anche il toccarsi il mento per fare riferimento alla
capacità generativa: e mento è γένειον, la cui radice γεν- lo associa diret-
tamente al genius. Mentre il movimento involontario è associato al ge-
nius, e alla testa, come una sorta di attività psichica inconscia che condi-
ziona e determina l’azione del soggetto senza essere sottoposta al
controllo dell’io, il linguaggio, che può esprimere a volte le stesse cose,
è associato all’io cosciente, e dunque al petto. «Teste» erano chiamate
dai Greci le ψυχαί dopo la morte, nell’Ade, e analogamente i Romani im-
maginavano e raffiguravano lo spirito del defunto dopo la morte, il suo
genius, come una testa senza corpo, perché separata ormai dalla coscien-
za ordinaria.

7.

Si tratta di concezioni profondamente radicate, che resistettero alla


modernissima e sorprendente intuizione dell’ippocratico autore del trat-
tato Sulla malattia sacra redatto nel quinto secolo a.C., epoca aurea del
mondo antico e perciò anche del pensiero occidentale, opera-manifesto
della razionalità scientifica: nella quale si afferma che quella singolare
massa umida e poco compatta presente nella testa, il cervello, è respon-
sabile della più inspiegabile, e perciò sacra, delle malattie, l’epilessia, le
cui impressionanti manifestazioni sono totalmente al di fuori del control-
lo dell’io cosciente. Non il dio è responsabile, come tutti credono, dice
l’ignoto autore; bensì una alterazione fisiologica o strutturale del cervel-
lo. Il cervello diventa allora anche l’interprete delle informazioni prove-
nienti dagli organi di senso, il mediatore tra esterno e interno. Uno spe-
ciale ruolo al cervello aveva assegnato, oltre mezzo secolo prima, già
Alcmeone di Crotone, filosofo e forse medico, del quale non restano però
che pochi frammenti e una importante testimonianza contenuta nel Fedo-
ne platonico (95 b 5-8). È La malattia sacra a proporre con convinzione
la svolta alla fine del secolo: una svolta alla quale tuttavia non si diede
sèguito alcuno, lasciando ad Aristotele il compito di riaffermare piuttosto
la centralità del cuore, e con esso del petto, in cui ha sede per i romani
l’animus.
256 Sensibilia 9 2015 - Genius loci

Il cervello ha nell’uomo il potere più grande – afferma il Maestro del De


morbo sacro –:

esso è per noi l’interprete di ciò che viene dall’aria, se è sano. L’aria fornisce la
facoltà di pensare; gli occhi, le orecchie, la lingua, le mani e i piedi svolgono
ciò che il cervello conosce. La facoltà di pensare infatti è in tutto il corpo, fino
a che in esso vi sia aria, ma il cervello è il messaggero per l’intelligenza. (Ivi:
cap. 19)

Bisogna sapere che è dal cervello, e solo dal cervello, che derivano il piacere,
la gioia, il riso, così come il dispiacere, il dolore, la sofferenza e le lacrime. At-
traverso di esso noi soprattutto pensiamo, vediamo, udiamo, e distinguiamo il
brutto dal bello, il cattivo dal buono, il piacevole dallo sgradevole … Esso ci
rende folli o deliranti, ci ispira terrore e paura, di notte o di giorno, porta inson-
nia, errori inopportuni, ansie senza motivo … Tutte queste cose ci derivano dal
cervello, quando non è sano. (Ivi: cap. 17)

Il tradizionale ruolo del cuore è negato, e così quello delle phrenes, che
non sarebbero allora connesse con il pensiero (phronesis), nonostante il
nome, che è scorretto:
Alcuni affermano che il cuore è l’organo con cui pensiamo, e che esso perce-
pisce dolore e paura: ma non è così. Esso, come il diaframma (phrenes), ha
soltanto delle contrazioni… Le phrenes hanno un nome improprio, acquisito
per caso e per l’uso, ma che non corrisponde alla realtà: io davvero non so
quale sia il potere delle phrenes per la facoltà di pensare e per l’intelligenza.
(Ivi: cap. 20)

Si nega qui, di conseguenza, che il petto sia sede di organi e funzioni


connessi con la coscienza e la conoscenza: è invece il cervello l’organo
fondamentale per la conoscenza e la elaborazione delle sensazioni. Esso
è così importante, che le malattie che lo colgono sono le più acute, le più
gravi, spesso mortali, e le più difficili da giudicare. Il tono è quello apo-
dittico di chi ha pronta una prova incontestabile, che consiste nella ripro-
va empirica: aprire la testa di una capra malata di epilessia e osservare di
persona.
Tuttavia, il caso de La malattia sacra resta straordinario quanto isolato:
sarà piuttosto la concezione opposta ad imporsi, come si diceva, per la forza
della tradizione, per l’autorità di Aristotele, per la difficoltà di interpretare la
struttura anatomica e il ruolo fisiologico del cervello. Essa rispondeva assai
meglio, del resto, alle concezioni diffuse, quelle più familiari al popolo e or-
mai consolidate, tra cui proprio quella del genius e della generazione.
L. Perilli - Genius, anima, daimon e procreazione 257

Accantonata la proposta dei medici ippocratici, il cervello, unito al mi-


dollo spinale che da esso si diparte e che risulta della sua stessa natura (a
cerebro medulla descendente, Plinio, Naturalis historia IX 37, 178), tor-
na infatti ad essere, insieme alla testa (caput, κεφαλή) che lo contiene, la
fonte del seme, strumento di generazione – così come caput si chiama la
sorgente dei fiumi. È, questa, la dottrina encefalomielogena, che si oppo-
ne a quella pangenetica degli atomisti e a quella ematogenetica di Dioge-
ne di Apollonia e di Aristotele (cfr. Lesky 1951). La dottrina pangenetica
voleva il seme, strumento di generazione, originato da ogni parte del cor-
po, sia del padre che della madre, due diversi tipi di seme la cui unione e
mescolanza generava l’embrione; la dottrina ematogenetica vedeva l’ori-
gine del seme nel sangue. La teoria encefalomielogena prevedeva invece
che il seme fosse originato dal cervello e dal midollo, e che dunque con
il cervello fosse connessa la generazione, e tutto ciò che la riguarda: ivi
compreso il genius.
Si spiega così il fatto che il genius avesse sede nella testa, e fosse con-
nesso proprio con il cervello. Si guardi del resto già al nome. L’etimologia,
si sa, è scienza dell’approssimazione e dell’ipotesi, spesso inverificabile.
Essa, applicata alla lingua latina, pretende che la parola cerebrum sia da
spiegare per connessione con il sanscrito çíraḥ e con il greco κάρα, la te-
sta, con l’aggiunta del suffisso brum, per analogia con termini come can-
delabrum6. Spiegazione tradizionale e consolidata, che si direbbe impec-
cabile: se non fosse che tace totalmente l’alternativa, almeno altrettanto
se non più fondata, che vuole il termine derivato invece da cereo, forma
arcaica di creo, cioè creare, generare, dare vita; il cervello, infatti, per i
Greci e in particolare in Attica non doveva essere mangiato7. Il velo che
copre il capo diventa allora – specie nell’uomo – anche una protezione
del genius e del suo potere generativo, e spiega la raffigurazione del ge-
nio dell’imperatore Augusto (fig. 2) che tiene una cornucopia nella mano
sinistra – il genio ama l’abbondanza e la vita – e nella destra la patera sa-
crificale, con cui si offrivano bevande agli dei: la statua ha infatti il capo
coperto dalla toga, come è tipico delle statue di genii rappresentati con
fattezze umane.

6 Così Ernout, Meillet (2012: s.v.).


7 L’ipotesi etimologica è ricordata da Onians (1951:153-154).
258 Sensibilia 9 2015 - Genius loci

Fig 2. Statua togata, Roma, Musei Vaticani, Rotonda (Genio di Augusto)

Quando allora nel mondo romano al morbo tipico del cervello, l’epiles-
sia, oggetto del citato De morbo sacro, viene assegnato il nome di morbus
comitialis, è da chiedersi se davvero l’etimologia già antica, quanto corri-
va, sia convincente. Essa vuole che tale nome derivasse dal fatto che quan-
do si verificava un attacco nel corso di una seduta pubblica – i comitia – la
seduta veniva sospesa, essendo l’attacco epilettico un segno di cattivo au-
spicio, che richiedeva purificazione, o comunque impediva di continuare.
Piuttosto, e sia pure paretimologicamente (o forse no?), si potrebbe vedere
nel morbus comitialis la malattia del comes, di quel compagno insediatosi
nella testa e nel cervello, di quel genius che si manifesta ora con un inno-
cuo starnuto, ora con manifestazioni più violente e altrettanto incontrolla-
bili come sono gli attacchi che aggrediscono chi è sopraffatto, perché pos-
seduto da una forza interiore su cui non è in grado di esercitare alcun
controllo: l’epilettico appunto, dal greco ἐπι–λαμβάνειν, dove il verbo
λαμβάνειν è afferrare, tenere stretto, e il preverbo ἐπι- esprime l’insepara-
bile prossimità, ora innocua, ora aggressiva, comunque senza rimedio né
via di scampo. L’epilessia reca infatti con se un rischio di infertilità, la-
sciando intendere un qualche coinvolgimento del principio generativo nel-
la malattia.
L. Perilli - Genius, anima, daimon e procreazione 259

La collocazione nella testa chiude dunque il cerchio: lì, nella sede della
potenza generativa (cerebrum), risiede la personalità, il carattere, la speci-
fica identità dell’individuo: il genius. Con l’uomo nasce, cresce, ad esso si
accompagna: e sotto forma di testa, o di stella chiomata, gli sopravvive.

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