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Dico subito che sono grato a questo amico sconosciuto. Molti rimproveri che
Hitchens rivolge ai credenti di tutte le religioni (l’Islam non riceve nel libro un
trattamento migliore del cristianesimo, ciò che rivela una buona dose di coraggio
da parte dell’autore) sono fondati e vanno presi in considerazione per non ripetere
gli stessi errori del passato. Il concilio Vaticano II afferma che la fede cristiana può e
deve trarre profitto anche dalle critiche di coloro che la combattono, e questo è
certamente uno dei casi.
La sua critica non risparmia nessuno. Francesco d’Assisi? “Un mammifero che
credeva di parlare agli uccelli”! Madre Teresa di Calcutta? “Una ambiziosa monaca
albanese”, resa famosa dal libro “Qualcosa di bello per Dio” scritto su di lei da
Malcolm Muggeridge”. In altre parole, un prodotto come tanti dell’era mediatica!”
Pascal conclude il racconto della sua scoperta del Dio vivente con le parole: “Gioia,
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gioia, lacrime di gioia” e C. S. Lewis descrive la sua conversione come un essere
“sorpreso dalla gioia”; ma per Hitchens “c’è qualcosa di cupo e di incongruo” in
questi due autori, una fondamentale assenza di felicità come in tutti i credenti.
(“Perché una tale credenza non rende felici i suoi seguaci?”).
Tertulliano diventa un “padre della Chiesa”, in modo che il suo credo quia absurdum,
“credo perché è assurdo”, possa essere presentato come il pensiero dell’intero
cristianesimo, mentre si sa che, quando scrive quelle parole (interpretate, oltre
tutto, fuori del proprio contesto e in modo inesatto) Tertulliano è considerato dalla
Chiesa un eretico. Strana, oltre tutto, questa critica a Tertulliano, perché se c’è un
apologeta a cui Hitchens somiglia specularmente, dal versante opposto, è proprio
l’Africano: la stessa verve dialettica, la stessa volontà di trionfare dell’avversario,
seppellendolo sotto una massa di argomenti apparentemente -ma solo
apparentemente - inoppugnabili: la quantità sostituita alla qualità degli argomenti.
Un recensore inglese ha paragonato l’autore del libro a uno sfidante pugile che
nella palestra mena pugni furiosi contro un inerte sacco di sabbia, ignorando che il
vero campione da abbattere è altrove. Egli non demolisce la vera fede, ma la sua
caricatura. A me la lettura del libro ha fatto venire in mente lo sport del tiro al
piattello: si scagliano in aria bersagli artificialmente confezionati che il tiratore,
senza sforzo, manda in frantumi con tiri precisi.
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preceduto, e si è preoccupato di dare una spiegazione di questo fatto imbarazzante:
“La fede religiosa, scrive, è inestirpabile, perché siamo creature ancora in
evoluzione. Non si estinguerà mai, o almeno non si estinguerà finché non
vinceremo la paura della morte, del buio, dell’ignoto e degli altri”. La religione non
è che uno stadio intermedio provvisorio, legato alla situazione dell’uomo che è un
“essere in evoluzione”.