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Patrul Rinpoche

Un estratto da:

LE ISTRUZIONI ORALI
DEL MIO PERFETTO MAESTRO

Una guida ai preliminari del Longchen Nyingthig1 dello Dzogchen.


Titolo originale: Kun bzang lama’i zhal lung (Dzog pa chenpo longchen nyingthig gi nongdro’i khird yig
kun bzang lama’i zhal lung): Insegnamenti orali del maestro Samantabhadra (Insegnamenti orali del
maestro Samantabhadra sulle pratiche preliminari Dzogchen della serie “Essenza del cuore della vasta
estensione”)

Prima edizione tibetana: Gangtok 1974

Prima edizione occidentale: The Words of My Perfect Teacher, San Francisco 1996

Questa traduzione: Cristoforo Andreoli, © 2006

Pubblicato da: www.realizzazione.it

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Prologo:

Mi prostro dinanzi a voi, venerabili maestri, la cui compassione è infinita e


incondizionata.

Voi conquistatori del lignaggio della mente; voi Vidy dhara del lignaggio dei simboli;
voi fortunati fra gli esseri ordinari che,
Guidati dagli illuminati, hanno raggiunto il doppio traguardo2-
Maestri dei tre lignaggi, innanzi al vostro volto mi inchino.

Nell’estensione dove tutti i fenomeni si estinguono, voi


Incontraste la saggezza del dharmak ya;
Nella chiara luce dello spazio ove scorgeste il sambhogak ya
I campi dei Buddha3 si manifestano;
Per il beneficio degli esseri vi mostraste nella forma del nirm nak ya4.
Longchenpa, Onnisciente Sovrano del Dharma, mi prostro dinanzi a te.

Nella tua saggezza hai scrutato la vera natura5 di ciò che può essere conosciuto;
la luce del tuo amore ha irradiato benefici su tutti gli esseri;
hai illustrato gli insegnamenti del profondo sentiero, vertice di tutti i veicoli.
Rigdzin Jigme Lingpa, mi prostro dinanzi a te.

Sei stato il Signore Avalokite vara stesso nella forma di un amico spirituale;
Chiunque abbia udito i tuoi insegnamenti è stato introdotto nel sentiero della libertà;
Per soddisfare i bisogni di tutti gli esseri, la tua attività è stata incessante;
Grazioso maestro radice, mi prostro dinanzi a te.

Gli scritti dell’Onnisciente Longchenpa e il suo lignaggio contengono


L’intero magistero del Buddha:
Le istruzioni sulla realtà quintessenziale, che realizzano la Buddhità in una sola vita,
I preliminari ordinari, così come quelli esterni e interni del sentiero,
Con l’aggiunta dell’istruzione supplementare sul rapido sentiero del trasferimento.

Possano i Buddha ed i maestri benedirmi


Affinché esponga con compiutezza, così come le ricordo,
Le infallibili parole del mio perfetto maestro,
Meravigliosamente profonde, benché chiare e facili da capire.

2
Parte prima

PRELIMINARI ORDINARI O ESTERNI

DIFFICOLTÀ E VANTAGGI DEL CONSEGUIRE LA LIBERTÀ

L’IMPERMANENZA DELLA VITA

L’INSODDISFAZIONE DEL SAMS RA

AZIONI: IL PRINCIPIO DI CAUSA ED EFFETTO

I BENEFICI DELLA LIBERAZIONE

COME SEGUIRE UN AMICO SPIRITUALE

3
CAPITOLO PRIMO

Difficoltà e vantaggi del conseguire la libertà

L’argomento principale del capitolo, ossia l’insegnamento sulla difficoltà e i vantaggi


del conseguimento della libertà, è preceduto da una esposizione del modo corretto di
ricevere6 le istruzioni spirituali.

I. IL MODO CORRETTO DI RICEVERE GLI INSEGNAMENTI


SPIRITUALI
Il modo corretto di ricevere gli insegnamenti è costituito da due aspetti: giusto
atteggiamento e giusta condotta.

1. Atteggiamento

Il giusto atteggiamento combina la vasta attitudine del bodhicitta, la mente


dell’illuminazione, con la profonda efficacia dei mezzi del Mantray na Segreto.

LA VASTA ATTITUDINE DEL BODHICITTA

Non vi è un solo essere nel sams ra, questo immenso oceano di inappagamento, che
nel corso del tempo senza inizio non sia stato nostra madre o nostro padre. Quando
furono nostri genitori, l’unico pensiero di tali esseri era di prendersi cura di noi con la
massima gentilezza possibile, proteggendoci con amore e donandoci il meglio del loro
nutrimento e dei loro indumenti.
Tutti questi esseri, un tempo così gentili con noi, desiderano perseguire la felicità, ma
tuttora non hanno alcuna idea su come operare in modo da conseguirla, ossia,
applicando le dieci azioni positive. Nessuno di tali esseri, benché rifugga la sofferenza,
è in grado di interrompere l’applicazione delle dieci azioni negative che sono alla
radice di essa. Il loro più profondo desiderio e le loro effettive azioni si contraddicono:
poveri esseri confusi e sperduti, come un cieco abbandonato nel mezzo di una pianura
vuota!
Diciamo a noi stessi: “Per il loro beneficio ho deciso di ricevere il profondo Dharma e
metterlo in pratica. Condurrò tutti questi esseri, miei genitori, tormentati dalle miserie
dei sei reami di esistenza, verso lo stato di onnisciente Buddhità, liberandoli dai
fenomeni karmici che costituiscono le condizioni e le sofferenze di ciascuno dei sei
reami.” È importante mantenere tale atteggiamento mentre si ricevono insegnamenti
o li si mettono in pratica.
Ogni volta che agiamo in modo positivo, qualunque sia l’importanza dei nostri atti, è
indispensabile intensificarli con i tre metodi supremi. Ossia: prima di intraprendere
una azione, risvegliamo in noi il bodhicitta (la compassione), in modo da assicurarci
che da essa scaturiscano benefici per il futuro. Mentre eseguiamo l’azione, non
incorriamo nell’attaccamento e nell’ambizione, affinché i meriti non ne vengano
distrutti. Infine, sigilliamo l’azione in modo conveniente dedicando i meriti, ossia i suoi
effetti, al beneficio degli esseri, portandola così ad accrescersi di continuo.
Il modo in cui riceviamo il Dharma è molto importante. Più importante ancora è la
motivazione con cui lo accogliamo.

4
Cosa rende una azione buona o cattiva?
Non come essa appare, nemmeno se essa è grande o piccola,
Piuttosto, la buona o cattiva motivazione che ne è alla base.

Per quanti insegnamenti abbiamo ricevuto, la motivazione ordinaria con la quale ci


siamo avvicinati ad essi, ossia il desiderio di grandi cose, di fama o altro, non è la via
al vero Dharma. Anzitutto dunque, è essenziale esaminare la propria interiorità per
modificare la motivazione. Se saremo capaci di modificare il nostro atteggiamento,
l’efficacia dei metodi pervaderà ogni nostra azione positiva e saremo introdotti nel
sentiero dei grandi esseri. Se ciò non accade, lo studio e la pratica del Dharma non
sarà che una finzione con noi stessi. Ogni volta che studiamo o pratichiamo gli
insegnamenti, siano essi prostrazioni, circumambulazioni, meditazioni su un aspetto
del Buddha o recita di mantra, persino di un singolo mani, è dunque essenziale
generare il bodhicitta.

LA VASTA EFFICACIA DEI METODI: L'ATTITUDINE DEL MANTRAY NA SEGRETO

A proposito del Mantray na segreto, la Fiaccola dei tre metodi riferisce quanto segue:

Ha l'identico scopo, ma è libero da ogni confusione7,


È ricco nei metodi e privo di difficoltà 8,
È adatto a coloro che possiedono capacità penetranti,
[perciò] il Mantray na è sublime.

Il Mantray na può essere recepito attraverso molte vie e contiene svariati metodi per
l'accumulo di meriti e saggezza. Esso possiede inoltre profondi ed efficaci mezzi per
manifestare il potenziale che è in noi. Alcuni di essi prevedono pesanti sacrifici,
mentre altri perseguono i loro obbiettivi senza richiedere particolari rinunce. Tutti però
si fondano sul modo in cui indirizziamo le nostre aspirazioni:

Ogni cosa è condizionata dalle circostanze


E dipende interamente dalla propria aspirazione.

Il luogo in cui il Dharma è stato insegnato, il maestro che lo ha trasmesso e gli


insegnamenti stessi non vanno considerati come ordinari e impuri.
In particolare, il maestro incarna l’essenza di tutti i Buddha che si dispiega attraverso
i tre tempi (passato, presente e futuro) ed è l’unione dei Tre Gioielli; perciò il suo
corpo è costituito dal Sangha (l’assemblea dei discepoli), la sua voce o energia dal
Dharma (l’insieme degli insegnamenti) e la sua mente dal Buddha. Egli è anche
l’unione delle Tre Radici, perciò il suo corpo è quello del maestro in carne ed ossa, la
sua voce o energia è lo yidam (un aspetto del Buddha) e la sua mente è la d kin
(essere che incarna l’energia realizzatrice della pratica). Il maestro è poi l’unione dei
tre k ya, dunque il suo corpo è il nirm nak ya, la sua voce è il sambhogak ya e la
sua mente il dharmak ya. Egli è infine l’incarnazione di tutti i Buddha del passato,
sorgente di tutti i Buddha del futuro e modello di tutti i Buddha del presente. Dal
momento che egli si fa carico di discepoli degenerati quali siamo noi, cui nessuno dei
migliaia di Buddha del Buon Kalpa9 potrebbe soccorrere, la sua bontà e compassione
eccede quella di ogni altro Buddha.

Il maestro è il Buddha, il maestro è il Dharma,


Il maestro è pure il Sangha.
Il maestro è colui che porta tutto a buon fine.
Il maestro è il Glorioso Vajradhara.

5
Noi stessi, che formiamo l’assemblea riunita per l’ascolto degli insegnamenti,
utilizziamo la base della nostra natura di Buddha ed abbiamo il supporto della nostra
preziosa vita umana, delle circostanze che ci consentono di avere un amico spirituale
e dei metodi per seguire i suoi consigli per diventare i Buddha del futuro. Come scritto
nello Hevajra Tantra:

Tutti gli esseri sono Buddha,


ma questa realtà è celata da oscurità contingenti.
Quando tali oscurità sono purificate, la Buddhità degli esseri si rivela.

2. Condotta

La giusta condotta di chi riceve gli insegnamenti è presentata come una lista di
atteggiamenti che sono da evitare e altri che invece è bene perseguire.

ATTEGGIAMENTI DA EVITARE

L’elenco di atteggiamenti da evitare include le tre imperfezioni del vaso, le sei


macchie e i cinque modi errati di ricordare.

Le tre imperfezioni del vaso

Chi non ascolta è come un vaso messo a rovescio. Chi non è capace di ricordare ciò
che ascolta è come un vaso bucato. Chi mescola emozioni negative con ciò che ascolta
è come un vaso contenente veleno.
Il vaso messo a rovescio. Distrarsi mentre si ascoltano gli insegnamenti vuol dire
essere come un vaso che, rovesciato, perde tutto il suo contenuto: benché fisicamente
presenti, non riceviamo una parola di ciò che ci viene insegnato.
Il vaso bucato. Ricevere gli insegnamenti senza ricordare ciò che si è ascoltato e
appreso, vuol dire essere come un vaso che perde: per quanto liquido vi si versi, non
ne resta mai nulla. Non importa quanti insegnamenti riceveremo: non assimileremo,
né metteremo in pratica alcunché di essi.
Il vaso contenente veleno. Ascoltare con atteggiamento scorretto, desiderando ad
esempio di diventare grandi o famosi, oppure riempiendoci la testa con i cinque
veleni,10 farà si che, non solo il Dharma non potrà soccorrere la nostra mente, ma,
come nettare versato in un vaso pieno di veleno, esso sarà trasformato in qualcosa
che non è più Dharma.
Questo è ciò che il saggio Indiano Padampa Sangye ha affermato:

Ascolta gli insegnamenti come un cervo che ode la musica;


Contemplali come un nomade del nord che tosa una pecora;11
Medita su di essi come un muto che assapora il cibo; 12
Mettili in pratica come uno yak affamato che bruca l’erba;
Conquistane i risultati come il sole che riappare da dietro le nubi.

Quando si ascoltano gli insegnamenti, si dovrebbe essere come il cervo che,


ammaliato dal suono del , non si avvede del cacciatore che se ne sta appostato
per colpirlo con una freccia avvelenata. Congiungendo i palmi delle mani, si ascolti,
con tutti i pori del corpo frementi e gli occhi umidi di lacrime, senza permettere ai
pensieri estranei di manifestarsi.
Non è bene ascoltare col corpo mentre la mente corre dietro ai pensieri e la voce dà
vita ad un ricco repertorio di pettegolezzi, raccontando ciò che ci piace e guardandoci
intorno di continuo. Per ascoltare un insegnamento si devono persino interrompere le
orazioni, l’accumulo dei mantra e tutte le meritorie attività che avevamo già
intrapreso.
6
Dopo aver ricevuto correttamente un insegnamento seguendo tali suggerimenti, è
molto importante ritenere ciò che è stato detto senza mai dimenticarlo, mettendolo in
pratica di continuo. Difatti, come disse il Grande Saggio:

Vi ho mostrato i metodi
Che conducono alla liberazione.
Tuttavia non dovreste dimenticare
Che la liberazione dipende solo da voi stessi.

I maestri, mentre forniscono istruzioni per praticare correttamente, trasmettono


anche insegnamenti su come ascoltare il Dharma e come applicarlo, su come
abbandonare le azioni negative e attuare quelle positive. Il discepolo ha perciò il
compito di ricordare le istruzioni e metterle in pratica realizzandone gli scopi.
Il solo ascoltare il Dharma può essere di qualche beneficio. Se tuttavia non lo si serba
nella memoria, si perderà ogni cognizione delle parole e del significato con cui è stato
trasmesso; il che equivale a non aver appreso nulla.
Se si sono ricevuti gli insegnamenti mescolandoli con le emozioni negative, essi non
potranno rappresentare per noi il puro Dharma. Difatti, come l’impareggiabile Dagpo
Rinpoche disse:

Finché non praticate il Dharma secondo le prescrizioni del Dharma,


Il Dharma stesso sarà causa di empie rinascite.

Sbarazziamoci dunque di ogni opinione errata riguardo al maestro e al Dharma.


Evitiamo di criticare i nostri fratelli e compagni spirituali e non abusiamo di loro.
Liberiamoci dall’orgoglio e dal disprezzo, abbandonando i pensieri negativi. Ognuna di
queste cose infatti è causa di rinascita in dimensioni impure.

Le sei macchie

Nel testo intitolato L’argomentazione ben illustrata è scritto:

Orgoglio, mancanza di fede e di applicazione,


Distrazione per le cose esteriori, tensione interna e scoraggiamento;
Queste sono le sei macchie.

Sono dunque da evitare i sei seguenti atteggiamenti. Il primo consiste nel ritenersi
superiori al maestro che espone il Dharma, senza credere né a lui, né ai suoi
insegnamenti, mancando poi di applicare il Dharma a se stessi e lasciandosi distrarre
dagli eventi esterni. Si può inoltre commettere l’errore opposto di dirigere i propri
sensi troppo all’interno oppure di scoraggiarsi facilmente se, ad esempio, un
insegnamento risulta essere troppo lungo.
Di tutte le emozioni negative, l’orgoglio e l’invidia sono le più difficili da riconoscere.
Perciò, è necessario esaminare la propria mente con attenzione in modo da
individuare e prevenire il pensiero che le proprie qualità, siano esse mondane o
spirituali, possiedano la benché minima caratteristica speciale. Dal momento che
questo pensiero ci renderà ciechi ai nostri errori e inconsapevoli delle buone qualità
altrui, è meglio rinunciare all’orgoglio e scegliere di mantenere un basso profilo.
Se non si possiede fede, l’ingresso al Dharma è come ostruito. Dei quattro tipi di
fede,13 si deve ricercare la fede irreversibile.
Il nostro interesse nei confronti del Dharma è la base di tutte le nostre realizzazioni.
Nella misura in cui il nostro grado di attenzione per esso è eccelso, mediocre o scarso,
saremo praticanti profondi, ordinari o inetti. Se poi non abbiamo alcun interesse per il
Dharma, non otterremo alcun risultato dalle pratiche prescritte; così come indicato dal
proverbio:

7
Il Dharma non ha proprietari. Esso appartiene a chi più vi si applica.

Lo stesso Buddha ottenne gli insegnamenti al prezzo di centinaia di stenti e


privazioni. Per ricevere una singola quartina, egli scavò dei buchi nella propria carne
riempiendoli di olio e piantandovi migliaia di stoppini per trasformarli in lampade
votive, dopodiché si gettò negli abissi ardenti conficcandosi migliaia di aghi di ferro nel
corpo.14

Anche se devi affrontare inferni roventi o spade taglienti come rasoi,


Cerca il Dharma fino alla morte.

Perciò è bene ricevere gli insegnamenti con grande applicazione e senza curarsi del
caldo, del freddo o di altre avversità.
La tendenza della coscienza a farsi egemonizzare dagli oggetti percepiti dai sei
sensi15 è la radice di tutte le illusioni del sams ra e la sorgente di tutte le sofferenze.
La conoscenza visiva della falena, attratta dalle forme, porta l’insetto a bruciarsi sulla
fiamma della lampada; il cervo, il cui udito è soggiogato dai suoni, viene facilmente
ucciso dal cacciatore; gli insetti sono inghiottiti dalle piante carnivore perché attratti
dal loro odore; il pesce abbocca all’amo quando è sedotto dal sapore dell’esca;
l’elefante annega nella palude a causa della sua predilezione per il fango. Allo stesso
modo, ogni volta che si riceve, si insegna, si medita o si pratica il Dharma, è
importante evitare di seguire le tendenze abituali, senza indugiare sulle emozioni
legate alle preoccupazioni per l’avvenire, né farsi distrarre da ciò che accade intorno a
noi.
Come Gyalse Rinpoche ha affermato:

Le gioie o i dispiaceri del passato sono come disegni sull’acqua:


Non lasciano alcuna traccia, perciò non inseguiteli!
Riflettete piuttosto su di essi, per comprendere la natura effimera
del successo e del fallimento.
Sono forse queste cose degne di fede più del Dharma, o voi che ripetete mani?16

I vostri progetti futuri sono come reti lanciate su un fiume disseccato:


Essi non vi offriranno mai ciò che desiderate.
Limitate perciò brame e aspirazioni! E se esse si presentano alla mente,
Pensate all’incertezza su quando la morte verrà:
A cos’altro serve il tempo che vi resta,
se non all’ottenimento del Dharma, o voi che ripetete mani?

La vostra attuale occupazione è come un’opera realizzata in un sogno.


Dal momento che lo sforzo è privo di scopo, non dategli importanza.
Considerate i vostri onesti guadagni, ma senza attaccamento.
L’attività mondana è priva di fondamento ultimo, o voi che ripetete mani!

Tra una meditazione e l’altra, imparate il controllo dei pensieri


Che sorgono dai tre veleni;
Ogni volta che sarà necessario, è indispensabile ricordarlo:
Finché tutti i pensieri e le percezioni non appaiano come dharmak ya,
Non allentate la briglia dei pensieri illusori, o voi che ripetete mani!

È stato anche detto:

Non incoraggiare il futuro, perché se lo fai


Sei come il padre di Astro Famoso!

8
Ciò allude alla storia di un uomo privo di mezzi che si imbattè in un grosso mucchio
di orzo. Egli lo raccolse in un sacco, che appese ad un palo, dopodiché si adagiò sotto
di esso iniziando a sognare ad occhi aperti.
“Quest’orzo mi frutterà molti soldi,” pensava: “E, una volta ricco, prenderò moglie…e
lei mi darà un figlio…che nome gli darò?” Proprio allora, apparve la luna, ed egli decise
di chiamare suo figlio Astro Famoso. Nel frattempo, un topo stava rosicchiando la
corda che teneva appeso il sacco; e quando questa si spezzò, il sacco rovinò sull’uomo
uccidendolo.
Simili sogni sul passato e il futuro non si avverano mai e sono solo distrazioni.
Abbandoniamoli una volta per tutte, mentre restiamo presenti a noi stessi e
ascoltiamo attentamente il Dharma.
D’altra parte, non focalizziamoci troppo intensamente sui dettagli, selezionando
singole parole o concetti come un orso che scova marmotte sotto terra. Ogni volta che
afferriamo un’idea, ci lasciamo sfuggire quella precedente senza comprendere il
disegno d’insieme. Troppa attenzione produce anche sonnolenza; perciò è meglio
bilanciarci tra concentrazione e rilassamento.
Una volta, nanda insegnò a rona la meditazione, tuttavia quest’ultimo aveva
difficoltà a restare in posizione eretta. Talvolta infatti la sua postura era troppo rigida,
talvolta troppo rilassata. rona allora dicusse la cosa col Buddha, il quale gli chiese:
“Quando eri un laico sapevi suonare molto bene il , non è così?”
“Certo, lo suonavo bene.”
“Ora, ricordi se il tuo suonava meglio con le corde tese o allentate?”
“Il suono migliore si otteneva quando non erano né troppo tese, né troppo allentate.”
“Lo stesso accade con la mente,” replicò il Buddha.
Grazie a questo esempio, rona praticò fino ad ottenere la realizzazione.

Machik Labdrön ha infine dichiarato:

Concentrati con fermezza mentre agevolmente ti rilassi:17


Questo è un punto essenziale per ottenere la Visione Pura.

Non lasciate dunque che la vostra mente sia troppo tesa o interiormente concentrata.
Concedete ai vostri sensi di essere naturalmente a loro agio, bilanciando tensione e
rilassamento.
Non estenuatevi per ascoltare il Dharma. Se avete fame o sete durante un
insegnamento troppo lungo o se il vento, il sole o la pioggia vi causano fastidio, non
scoraggiatevi. Siate lieti dei vantaggi e delle libertà offerte dalla vostra attuale
condizione umana e gioite di aver trovato un maestro autentico del quale siete in
grado di seguire le penetranti istruzioni.
Il fatto che ora potete ascoltare il profondo Dharma è frutto di meriti accumulati in
innumerevoli kalpa.18 È come consumare un pasto dopo che nella vostra vita avete
potuto mangiare solo una volta ogni cento pranzi. Dunque, è vostro dovere ascoltare
con gioia impegnandovi ad affrontare il caldo, il freddo e qualunque altra difficoltà
possa comportare il ricevere questi insegnamenti.

9
I cinque modi errati di ricordare

Evita di ricordare le parole senza trattenerne il significato


O di ricordare il significato senza trattenere le parole.
Evita di ricordare entrambe senza averle comprese,
O di ricordarle in modo disordinato o impreciso.

Ciò che bisogna evitare è anzitutto di lasciarsi attrarre oltre misura dagli eleganti giri
di parole, come un bimbo che coglie fiori in un prato, senza tentare di analizzare il
reale significato del discorso. Le sole parole, infatti, non sono di alcun aiuto per la
mente. D'altra parte, è scorretto non prestare attenzione alla forma discorsiva con cui
un insegnamento viene trasmesso, come se si trattasse di una decorazione superflua.
Chi agisce così, anche se cogliesse il profondo significato delle parole, non sarebbe in
grado di esprimerlo, avendo perso la connessione tra parola e significato.
Ricordare un insegnamento non è sufficiente se non si identificano i suoi differenti
livelli di significato, ossia il suo senso reale, quello adattato e quello indiretto. 19 Senza
di ciò, il reale contenuto delle parole ci sfuggirà e di conseguenza ci allontaneremo dal
vero Dharma.
Chi ricorda le istruzioni in modo disordinato, mescolerà ben presto la loro sequenza
originaria, sicché ogni volta che mediterà su di esse, le ascolterà o ne parlerà, la
confusione ne risulterà moltiplicata. Ricordare infine in modo impreciso ciò che si è
appreso, darà luogo nel tempo ad una infinità di idee errate che distruggeranno la
nostra mente e degraderanno il Dharma.
È pertanto necessario evitare tali errori e tenere presente in modo corretto e senza
imprecisioni ogni elemento di ciò che ci viene insegnato, ossia le parole, il loro senso e
la sequenza nella quale esse sono state coordinate.
Per quanto un insegnamento possa risultare lungo e difficile, non bisogna
scoraggiarsi desiderando che finisca presto. Perseveriamo. Al contrario, per quanto
esso possa risultare conciso e agevole, non teniamolo in poco conto come qualcosa di
troppo facile per noi.
Ricordiamo con precisione la forma e il senso delle istruzioni, il loro ordine originario
e le connessioni corrette tra esse. Ciò è indispensabile.

ATTEGGIAMENTI DA PERSEGUIRE

La condotta da adottare mentre si ricevono gli insegnamenti è presentata sotto forma


di elenco delle quattro metafore, delle sei perfezioni trascendenti e di altre tipologie di
comportamento.

Le quattro metafore

Un testo intitolato Il s tra a forma di albero afferma:

O nobile, dovresti ritenere te stesso un ammalato


Il Dharma un rimedio,
I tuoi compagni spirituali abili dottori
E la pratica diligente la via verso la guarigione.

Siamo ammalati. In questo immenso oceano di inappagamento che è il sams ra, da


un tempo senza inizio, siamo tormentati dai morbi dei tre veleni e dai loro frutti, ossia
i tre tipi di sofferenza20.
Chi è seriamente infermo, si reca da un dottore e segue i consigli di quest'ultimo
assumendo le medicine prescritte. La sua unica preoccupazione è di fare qualunque
cosa per superare la malattia e ottenere la salute. Allo stesso modo dobbiamo curare
noi stessi dalle affezioni del karma, dalle emozioni negative e dalle sofferenze
10
seguendo le prescrizioni del medico esperto, il maestro autentico, facendo uso della
medicina del Dharma.
Seguire un maestro senza metterne in pratica i consigli è come disobbedire al dottore
senza dargli la possibilità di curare il nostro male. Evitare di fare uso della medicina
del Dharma, ossia, non mettere in pratica quest’ultimo, è come avere a disposizione
innumerevoli rimedi e prescrizioni accanto al letto e non toccarli nemmeno. Ciò non ci
porterà alla guarigione.
Molti dicono, in modo un po’ irresponsabile: “Oh, Lama, abbi compassione di me!”,
pensando che ciò basti ad evitare le conseguenze di azioni terribili da loro commesse
in passato. Essi si aspettano che il maestro, nella sua compassione, li scagli nei regni
celesti come se lanciasse un sasso. In realtà, quando diciamo che il maestro si prende
cura di noi con compassione intendiamo che egli ci accetta gentilmente come discepoli
ed è disposto a elargirci le profonde istruzioni, facendoci aprire gli occhi su ciò che è
bene o non è bene fare e mostrandoci la via della liberazione insegnata dal
Conquistatore (il Buddha). Quale compassione maggiore di questa? Sta a noi trarne i
frutti percorrendo realmente il sentiero verso la liberazione.
Ora che possiamo avvantaggiarci delle molteplici potenzialità connesse ad una
nascita nella libera condizione umana ed abbiamo appreso le condotte da perseguire e
quelle da evitare, la nostra decisione, potendo scegliere con libertà, segnerà la svolta
decisiva che determinerà il nostro destino per il peggio o per il meglio, fino nel lontano
avvenire. Pertanto è cruciale scegliere una volta per tutte tra sams ra e nirv na e
mettere in pratica gli insegnamenti del maestro.
Coloro che sovrintendono alle feste di villaggio vi hanno fatto credere che sul vostro
letto di morte potrete ancora andare su e giù come se teneste un cavallo per le
briglie. Purtroppo, in quel giorno, a meno che non abbiate imparato a padroneggiare il
sentiero, il vento impetuoso delle azioni passate vi inseguirà, mentre un’oscurità
terrificante irromperà su di voi come a gettarvi senza sostegni nel lungo e pericoloso
sentiero dello stato intermedio. Gli innumerevoli seguaci del Signore della Morte vi
perseguiteranno gridando: “Uccidi! Uccidi! Colpisci! Colpisci!” In simili istanti non ci
sarà dove scappare o nascondersi, i rifugi mancheranno e la speranza svanirà, mentre
voi, disperati, non saprete cosa fare. Pensate che proprio allora sarà possibile
scegliere con calma la propria direzione? Come disse il Grande di Oddiana:

Quando, dopo la morte, qualcuno tenterà di aiutarvi con un pezzo di carta col
vostro nome, sarà troppo tardi,21! La vostra coscienza, già sperduta nello stato
intermedio come un cane inebetito, troverà estremamente difficile il solo pensare ai
reami superiori.

Il vero punto di svolta, l’unico momento in cui potete realmente dirigere voi stessi
verso i reami superiori o quelli inferiori, come se teneste il cavallo per le briglie, è
proprio ora, mentre siete ancora vivi.
Come esseri umani, le vostre azioni positive sono più efficaci di quelle commesse da
altri esseri, dal momento che, in questa vita, esse vi danno l’opportunità di superare
la rinascita una volta per tutte. D’altra parte, però, anche le vostre azioni negative
hanno effetti più marcati, costituendo le premesse per una rinascita definitiva negli
abissi dei reami inferiori. Pertanto, ora che avete incontrato il medico capace, ossia il
maestro, e l’elisir che sconfigge la morte, ovvero il Dharma, è il momento di applicare
le quattro metafore mettendo in pratica gli insegnamenti per attraversare il sentiero
che porta alla liberazione.
Il tesoro delle preziose qualità descrive quattro nozioni errate da evitare che sono
l’esatto opposto delle quattro metafore che abbiamo citato in precedenza:

L’uomo superficiale e malvagio


Si avvicina al maestro come ad un cervo muschiato.
Dopo aver estratto dal suo cadavere il muschio, il perfetto Dharma,
Ebbro di gioia, abbandona con un sogghigno il samaya.
11
Persone simili, comportandosi come dei cacciatori, immaginano che il loro maestro
sia un cervo muschiato ed usano la pratica come una freccia o una trappola con cui
abbatterlo per poi estrarne il muschio, ovvero il Dharma. Evitando di seguire gli
insegnamenti ricevuti ed incapaci di provare gratitudine verso il maestro, costoro
usano il Dharma per l’accumulo di azioni negative che li fanno sprofondare nei reami
inferiori.

Le sei perfezioni trascendenti

Nel Tantra della totale comprensione delle istruzioni riguardanti le pratiche del
Dharma, si afferma quanto segue:

Compiere eccellenti offerte, quali fiori e cuscini,


Predispone al meglio l’ambiente e disciplina il vostro comportamento.
Non danneggiate alcun essere vivente,
Abbiate una fede sincera per il vostro maestro,
Ascoltatene gli insegnamenti senza distrarvi
E interrogatelo con compostezza per dissipare i dubbi;
Queste sono le sei perfezioni trascendenti di un buon discepolo.

Chi riceve gli insegnamenti di un maestro dovrebbe praticare le sei perfezioni


trascendenti come segue:
Si prepari il seggio per il maestro disponendovi dei cuscini. Si offri un mandala, dei
fiori e altre offerte. Questa è la pratica della generosità.
Si mantenga pulito l’ambiente o la stanza dopo aver rimosso la polvere con acqua e
ci si trattenga da ogni condotta irrispettosa. Questa è la pratica della disciplina.
Si eviti di danneggiare esseri viventi, anche il più piccolo insetto, e si sopporti il
freddo, il caldo ed altre eventuali avversità. Questa è la pratica della pazienza.
Si accantoni ogni idea errata riguardante il maestro e le sue istruzioni ascoltandolo
con gioia e fede sincera. Questa è la pratica della diligenza.
Si ascoltino le istruzioni del Lama senza distrarsi. Questa è la pratica della
concentrazione.
Si pongano domande per dissipare ogni dubbio o esitazione. Questa è la pratica della
saggezza.

Condotte differenti

Tutte le forme di comportamento irriguardoso sono da evitarsi. Il Vinaya afferma:

Non si insegni nulla a chi non ha alcun rispetto,


A chi si fascia la testa anche se è in buona salute,
A chi usa armi, bastoni e frivoli parasoli,
O la cui testa è orgogliosamente avvolta in un turbante.

I taka, dal canto loro, insegnano quanto segue:

Scegliete il posto più basso.


Coltivate un atteggiamento di assoluta disciplina.
I vostri occhi si colmino di gioia,
Bevete le parole come nettare
E siate del tutto concentrati.
Questo è il modo di ascoltare il maestro.

12
II. L’INSEGNAMENTO VERO E PROPRIO: SPIEGAZIONE SULLE
DIFFICOLTÀ DI OTTENERE LIBERTÀ E VANTAGGI
Il principale argomento del capitolo è ordinato in quattro sezioni: riflessioni sulla
natura della libertà di praticare il Dharma, riflessioni sui particolari vantaggi relativi
alla pratica del Dharma, riflessioni sulle immagini che mostrano quanto sia difficile
ottenere tali libertà e vantaggi e infine riflessioni sui paragoni numerici.

1. Riflessioni sulla natura della libertà

In tale contesto, il termine “libertà” viene inteso come lo stato di chi, non essendo
nato in una dimensione dell’esistenza o in un ciclo temporale in cui siano presenti gli
otto presupposti che glie lo impedirebbero, hanno l’opportunità di praticare il Dharma.
“Mancanza di libertà” suggerisce dunque la presenza dei seguenti otto presupposti:

Essere nato in una dimensione infernale o nel reame dei preta,


Come animale, un dio dalla vita inesausta o un selvaggio,
Essere nato con idee distorte o in un luogo privo di incarnazioni di Buddha
Oppure sordo o muto; questi sono le otto condizioni prive di libertà.

Rinascere in una dimensione infernale, continuamente tormentati da caldo o freddo


intensi, è una condizione che non consente in alcun modo di praticare il Dharma.
I preta sono anch’essi impediti dal praticare il Dharma, a causa del fatto che essi
soffrono di fame e sete inestinguibili.
L’ignoranza, la sottomissione all’uomo e l’essere vittime di continui attacchi da parte
dei loro simili nega anche agli animali l’identica opportunità.
Le divinità, dal canto loro, trascorrono la loro lunghissima esistenza in uno stato privo
di percezioni che non li stimola a praticare il Dharma.
Chi nasce poi in paesi marginali in cui la dottrina del Buddha è ignota, ugualmente
non ha modo di praticare il Dharma.
Le false credenze di coloro che sono nati come rthika22 o in ambienti pervasi da idee
errate impediscono chi le professa di avvicinarsi al Dharma.
I nati in un kalpa oscuro23 non verranno mai a conoscenza dei Tre Gioielli e saranno
incapaci di distinguere il bene dal male, perciò ovviamente non praticheranno mai il
Dharma.
I muti o coloro che posseggono deficienze mentali congenite, infine, non possiedono
le facoltà necessarie per comprendere e praticare il Dharma.

Gli abitanti dei tre reami inferiori soffrono, come risultato di azioni negative
commesse in passato, il caldo, il freddo, la fame, la sete e altri tormenti inestinguibili.
Essi perciò non hanno la possibilità di praticare il Dharma.
Il termine “barbari” indica coloro che vivono nei trentadue paesi marginali (non
raggiunti dalla predicazione del Dharma), nonché tutti i popoli le cui credenze
insegnano che un atto di fede possa implicare il danneggiare gli altri o che sia un bene
uccidere. Codesti popoli, pur avendo forma umana, possiedono una mente che, priva
del giusto orientamento, non è in grado di armonizzarsi col Dharma. Avendo ereditato
dai progenitori costumi perniciosi quali il matrimonio con la propria madre, il loro stile
di vita è del tutto in contrasto col Buddhismo, sicché tutto ciò che fanno è orientato al
male ed anzi eccellono in tecniche dannose quali l’uccisione di insetti e la caccia ad
animali selvaggi.24 La pratica del Dharma per essi è del tutto impossibile; il che, dopo
la morte, implica per tutti costoro la rinascita nei reami inferiori.
Gli dei dalla vita inesausta sono esseri che in una precedente esistenza hanno
meditato in accordo con l’idea che la liberazione sia uno stato di sospensione di tutte
le attività della mente. In conseguenza di ciò, essi, dopo la morte, si sono reincarnati
in una dimensione che comporta l’assorbimento in tale stato per molti kalpa
13
consecutivi. Una volta decaduto l’effetto delle loro azioni passate, le loro idee errate
determineranno una rinascita nei reami inferiori. Anch’essi, perciò, non potranno
praticare il Dharma.
Il termine “idee errate” include in genere le credenze eternaliste e nichiliste, 25 che
non fanno parte dell’insegnamento buddista ed anzi lo contraddicono del tutto. Tali
idee danneggiano la mente rendendo difficile l’aspirazione all’autentico Dharma, al
punto da impedire, alla lunga, di praticarlo. Il Tibet, grazie alla venuta del secondo
Buddha, Padmasambava di Oddiy na, che affidò questa terra alla protezione dei dodici
Tenma, è stato risparmiato dall’eventuale penetrazione dei t rthika, che professano
tali idee. Ad ogni modo, chiunque possieda idee simili a quelle dei t rthika in contrasto
con gli insegnamenti del maestro, è privo dell’opportunità di praticare secondo
l’autentico Dharma.
Il monaco Sunaksatra, pur avendo trascorso venticinque anni come attendente del
Buddha, a causa delle sue visioni errate e della sua debole fede, rinacque come preta
in un giardino fiorito.
Nascere in un kalpa oscuro vuol dire vivere in un’era in cui non è apparso alcun
Buddha e in cui non si è mai sentito parlare dei Tre Gioielli. Non essendovi alcun
Dharma, non vi è pertanto alcuna possibilità di praticarlo.
La mente di chi nasce sordo o muto non ha un funzionamento normale. L’ascolto
degli insegnamenti, la loro interpretazione, la riflessione su di essi e la loro messa in
pratica ne sono ostacolati. Il termine “sordo o muto” si riferisce perciò ad una
disfunzione della parola che diviene patologica fino a compromettere le capacità di
utilizzo e comprensione del linguaggio, rendendo impossibile l’assimilazione del
Dharma. Tale categoria include anche coloro le cui disabilità mentali rendano inadatti
a comprendere gli insegnamenti e, di conseguenza, a metterli in pratica.

2. Riflessioni sugli specifici vantaggi del Dharma

Questo paragrafo descrive i cinque vantaggi soggettivi e i cinque vantaggi legati alle
circostanze.

I CINQUE VANTAGGI SOGGETTIVI

rjuna ha elencato tali vantaggi come segue:

Nascere in una dimensione umana, in un luogo non periferico, con tutte le facoltà
intatte,
Privo di conflitti con lo stile di vita e la fede nel Dharma.

Senza una rinascita in forma umana sarebbe impossibile persino il semplice incontro
con il Dharma. Questo corpo umano dunque rappresenta il vantaggio del supporto.
Essere nato in un luogo periferico, lontano dalla manifestazione e dall’insegnamento
del Dharma, non permette di instaurare alcuna relazione con quest’ultimo. Pertanto, il
luogo in cui siete nati, centrale quanto alla manifestazione del Dharma, rappresenta il
vantaggio del luogo.
Non possedere le facoltà intatte è un ostacolo alla pratica del Dharma. La vostra
integrità fisica e mentale rappresenta dunque il vantaggio delle facoltà sensoriali.
Se avete uno stile di vita conflittuale potreste essere immersi in azioni negative in
contrasto col Dharma. Il vostro desiderio di commettere azioni positive rappresenta
dunque il vantaggio dell’intenzione.
Essere privi di fede negli insegnamenti del Buddha potrebbe lasciarvi senza alcun
desiderio del Dharma. Se non avete tale ostacolo, possedete il vantaggio della fede.
Poiché tali vantaggi sono relativi alla personale predisposizione di ciascuno di noi,
essi sono chiamati i cinque vantaggi soggettivi.
14
CINQUE VANTAGGI LEGATI ALLE CIRCOSTANZE

Un Buddha è apparso e ha predicato il Dharma,


I suoi insegnamenti sono ancora accessibili e possono essere appresi,
Laddove vi sono uomini che hanno buon cuore per i propri simili.

Diversamente da chi è nato in un kalpa oscuro, noi viviamo in un’epoca in cui Buddha
si è manifestato. Il nostro vantaggio è perciò il poter godere della presenza di uno
specifico maestro.
Dal momento che il Buddha non solo è apparso, ma ha anche fatto girare la Ruota
del Dharma secondo tre livelli di insegnamento, noi possediamo anche il vantaggio di
aver ricevuto l’insegnamento del Dharma.
L’estinzione o la perdita di codeste istruzioni le renderebbe del tutto inefficaci. Il fatto
dunque di vivere in un’epoca in cui ciò non è ancora accaduto, ci favorisce col
vantaggio del tempo.
Nel caso che l’insegnamento esista, è anche necessario che qualcuno lo recepisca e lo
metta in pratica. La nostra decisione di aver intrapreso questo sentiero ci sostiene
perciò col vantaggio della nostra buona sorte.
L’intenzione personale di avvicinarci al Dharma deve tuttavia coesistere con la
circostanza di essere accettati da un maestro, senza il quale non verremo mai edotti
sulla reale natura delle istruzioni spirituali. Questa circostanza ci fornisce il vantaggio
della straordinaria compassione.
I cinque fattori appena citati, che cooperano e si armonizzano con i vantaggi
soggettivi visti in precedenza, sono chiamati i cinque vantaggi legati alle circostanze.

Se la nostra vita possiede le otto condizioni di libertà e i dieci vantaggi, essa è ciò
che si chiama “vita umana dotata di diciotto libertà e vantaggi.” Tuttavia, Longchenpa,
l’Onnisciente Re del Dharma, aggiunge ad esse sedici ulteriori condizioni che
ostacolano qualunque realizzazione ottenibile con la pratica del Dharma. Esse
comprendono otto circostanze furtive (ossia, che irrompono nella mente senza
preavviso) e otto tendenze incompatibili nelle quali è importante non ricadere. Egli
dice, infatti:

Inquietudini derivanti dalle otto apprensioni,26 stupidità, predominio di cattive


influenze,
Pigrizia, l’essere sommersi dagli effetti delle azioni malvagie del passato,
Assoggettarsi agli altri, cercare una scappatoia dalle difficoltà, tenere condotte
ipocrite:
Queste sono le otto circostanze furtive che annullano la nostra libertà.

Essere vincolati a qualcuno, depravarsi in modo evidente,


Mantenere un certo apprezzamento per il sams ra, essere del tutto privi di fede,
Provare piacere nelle azioni negative, non avere alcun interesse per il Dharma,
Essere disattenti nel mantenere i voti e il samaya:
Queste sono le otto tendenze incompatibili che annullano la nostra libertà.

Le otto circostanze furtive che annullano la libertà di praticare il Dharma.

Chi si trova sotto il forte influsso dei cinque veleni, ossia di emozioni negative quali
l’astio per i nemici o la passione incondizionata per gli amici e i parenti, di tanto in
tanto vorrebbe praticare il vero Dharma, ma la sua mente, dominata per la maggior
parte del tempo da questi veleni, è ostacolata nella pratica corretta degli
insegnamenti.

15
Gli esseri completamente ottusi, sprovvisti della minima scintilla di intelligenza,
possono accostarsi al Dharma, ma non essendo in grado di capire il senso di una sola
parola di esso, sono del tutto incapaci di studiarlo e meditarlo.
I falsi amici spirituali insegnano punti di vista e pratiche distorte. La mente di chi si fa
loro discepolo viene in tal modo introdotta in un sentiero errato fino a trovarsi in
totale disaccordo col vero Dharma.
Coloro che, pur essendo desiderosi di apprendere il Dharma, sono troppo pigri e non
possiedono alcuna traccia di diligenza, irretiti dalla loro stessa indolenza e indecisione
non realizzeranno nulla.
L’influsso delle azioni negative è tale che, nonostante gli sforzi per accostarsi al
Dharma, coloro che le hanno commesse non riescono a sviluppare le buone qualità
che scaturiscono dalla sua pratica. Le conseguenze delle cattive azioni li sopraffanno
senza che essi se ne avvedano, ma anzi, facendo sì che essi ne attribuiscano la causa
all’inefficacia degli insegnamenti, pregiudicando la fiducia in essi.
Coloro che sono soggiogati a qualcuno ed hanno perso la loro autonomia, pur
volendo praticare il Dharma ne sono impediti dai loro dominatori.
Alcuni si accostano al Dharma per evitare ciò che temono possa accadere nella loro
vita attuale: scarsità di cibo o vestiti ed altre disgrazie. La loro insufficiente fiducia nei
confronti degli insegnamenti fa sì che essi, pur abbandonando le loro vecchie
abitudini, si applichino a qualcosa che non è il vero Dharma.
Altri infine agiscono da impostori simulando le pratiche del Dharma per ottenere beni,
comodità e prestigio. Pur essendo considerati dei praticanti, costoro sono solo
interessati ai benefici che si possono ottenere in questa vita. Pertanto essi sono molto
distanti dal sentiero della liberazione.
Le otto circostanze appena elencate, qualora si presentino, rendono impossibile
continuare la pratica del Dharma.

Le otto tendenze incompatibili che annullano la libertà di praticare il


Dharma

Coloro che sono troppo legati ai propri interessi mondani, quali la salute, i piaceri, i
figli, i parenti, applicano tutti gli sforzi possibili per queste cose e non hanno il tempo
di praticare il Dharma.
Vi sono persone sprovviste di umanità la cui natura è così depravata da non riuscire a
migliorare in alcun modo la loro condotta. Persino un autentico maestro spirituale
avrebbe serie difficoltà ad indirizzarli verso il giusto sentiero. A tale proposito, un
essere sublime del passato disse: “Le abilità di un discepolo possono essere
modellate, ma non il suo carattere.”
Chi non prova il minimo sconforto a sentir parlare dei regni inferiori e delle avversità
del sams ra, né è afflitto dai disagi della sua vita attuale, non ha alcuna
determinazione a liberare se stesso dalla presente condizione, perciò non trova alcun
motivo di intraprendere le pratiche del Dharma.
La totale assenza di fede nel vero Dharma e nel maestro impedisce ogni accesso alle
virtù dell’insegnamento sbarrando la porta alla liberazione.
Provare piacere nelle azioni negative o dannose e non essere capaci di controllare i
pensieri, le parole e il comportamento vuol dire essere privi di ogni nobile qualità
avendo voltato le spalle al Dharma.
Non essere in alcun modo interessati ai valori spirituali del Dharma, come un cane
non è attratto dall’erba, fa sì che non si provi alcun entusiasmo per esso e che, di
conseguenza, la propria mente non ne sviluppi le qualità.
Chiunque sia entrato nel Veicolo della Base27 e abbia rotto i voti e gli impegni del
samaya verso i maestri, i fratelli e le sorelle spirituali, non rinascerà se non nei reami
inferiori, dove non vi è più alcuna opportunità di praticare il Dharma.
Chiunque sia entrato nel Veicolo del Mantra Segreto28 ed abbia rotto gli impegni del
samaya verso il maestro, i fratelli e le sorelle spirituali sarà la causa della rovina
propria e di questi ultimi, distruggendo ogni prospettiva di realizzazione.
16
Le otto tendenze appena elencate conducono fuori dal Dharma e smorzano la
lampada della liberazione.

Si cerchino attentamente dentro di sé le tracce di questi sedici fattori che ostacolano


la pratica corretta. Solo allora, dopo averle individuate e rimosse, coloro che vivono in
quest’era di decadenza potranno considerare le opportunità conferite dalle otto
condizioni di libertà e dai dieci vantaggi e ritenersi qualificati per diventare autentici
seguaci del Dharma. Infatti, né il re sul suo trono, né il lama al riparo del suo
parasole, né l’eremita sulla montagna solitaria, né l’uomo che ha rinunciato al proprio
stato, nessuno insomma che abbia un’alta opinione del proprio valore può in realtà
ritenersi un praticante del Dharma se è ancora soggetto alle sedici condizioni limitanti
di cui abbiamo parlato.
Prima di accostarsi ciecamente al Dharma, è necessario esaminare con cura la
propria vita cercando di individuare la presenza di tutti gli aspetti legati alle libertà e
ai vantaggi. Se tale indagine ha un esito positivo, si gioisca e si rifletta più volte su
questa fortunata condizione, ricordando a se stessi la necessità di non sprecare simili
requisiti così difficili da ottenere. Si decida pertanto di praticare davvero, qualunque
cosa accada. E se qualcuno di tali fattori sembra a volte perduto, si cerchi di
riottenerlo con ogni mezzo possibile.
L’esame di se stessi volto a confermare la presenza o meno di tutte le qualificazioni
necessarie per la pratica deve essere condotto per tutta la vita, pena l’impossibilità di
continuare a esercitare il Dharma in modo adeguato. Dopo tutto, anche l’esecuzione
dei compiti più comuni della nostra ordinaria esistenza richiede una certa quantità di
presupposti e condizioni materiali. Nessuna meraviglia dunque che la realizzazione
dello scopo più elevato, ossia il Dharma, richieda la compresenza dei fattori citati
prima.
Esaminando con attenzione la propria mente, vedremo quanto sia difficile ottenere le
condizioni favorevoli definite dalle otto libertà e dai dieci vantaggi. Soprattutto questi
ultimi, rispetto agli otto fattori, sembrano ancora più rari se si considera, ad esempio,
che non tutti coloro che nascono in forma umana, con tutte le facoltà intatte e in un
luogo in cui il Dharma è ben conosciuto possiedono uno stile di vita adeguato e una
fede autentica nel Buddha. Molti esseri umani possiedono in realtà solo tre dei cinque
vantaggi soggettivi. Condurre una vita che non sia del tutto in conflitto col Dharma è
in effetti molto difficile, dal momento che ogni pensiero, discorso o comportamento
potrebbe creare nuovi attaccamenti a questa vita mondana anche in chi appare
moralmente e intellettualmente irreprensibile.
Per quanto riguarda poi i cinque vantaggi legati alle circostanze, non è detto che la
manifestazione di un Buddha, il suo insegnamento e la salvaguardia di esso nel tempo
assicurino l’avvicinamento di tutti gli uomini al Dharma. Di fatto, molte persone che se
ne tengono ben lontani conducono la loro vita godendo di soli tre dei cinque vantaggi.
Accostarsi al Dharma in realtà implica che dopo aver richiesto un insegnamento e lo si
abbia ricevuto, si giunga al genuino convincimento che l’intero sams ra non ha un
valore in sé stesso se non quello di fornire un supporto per il suo superamento. Il
sentiero del Buddismo Mahayana implica la generazione dentro di sé dell’autentico
bodhicitta; e il requisito minimo per ottenerlo è una fede incrollabile nei Tre Preziosi
Gioielli, ai quali non si deve rinunciare a costo della vita. Senza di essa, la recita di
preghiere e l’indossare tuniche gialle non provano in alcun modo che si è praticanti del
Dharma.
Assicuriamoci dunque di poter identificare con precisione ciascuno dei fattori legati
alle libertà e ai vantaggi e di riuscire a rintracciarli in noi stessi. Ciò è di importanza
cruciale.

17
La nostra attuale vita umana dotata di tutte le libertà e i vantaggi è il risultato dei
meriti accumulati in passato. Trascurare la cosa essenziale, ossia il Dharma, e
trascorrere la vita al solo scopo di procacciarsi cibo e indumenti lasciandosi distrarre
dalle otto preoccupazioni ordinarie è uno spreco superfluo. Quanto è inutile attendere
il momento della morte per battersi il petto in preda al rimorso! Le nostre scelte
sbagliate non ci saranno di alcun aiuto, com’è detto nella Via del Bodhisattva:

Avendo ottenuto le libertà della vita umana,


se fallissi nel cimentarmi con la virtù,
Che immensa follia sarebbe?
Potrei mai perdonarmi per questo?

La nostra vita attuale è dunque il luogo cruciale dove poter scegliere tra abbandonare
il male o tralasciare il bene. Se non usiamo correttamente le nostre opportunità per
guadagnarci in questa vita una dimora nella natura assoluta, sarà molto difficile in
futuro riottenere una simile libertà. Rinati in uno dei reami inferiori, non avremo più
alcun contatto col Dharma e, troppo confusi per decidere le cose giuste da fare,
cadremo sempre più in basso.
Diciamo dunque a noi stessi che è giunto il momento di fare uno sforzo, mentre
meditiamo più volte su questi argomenti applicando i tre metodi supremi. Iniziamo
cioè a generare il pensiero del bodhicitta, eseguiamo poi la pratica principale senza
lasciarci distrarre dai pensieri e alla fine, dedichiamo i meriti.
Per avere la misura di quanto il meditare su queste cose ci possa aver trasformato, si
consideri il dialogo in cui Geshe Chengawa, che praticò tutta la vita senza dormire, fu
interpellato da Geshe Tönpa, in questo modo: “Ora sarà meglio riposare, figlio mio,
altrimenti ti ammalerai.”
“È vero, potrei ammalarmi,” replicò Chengawa. “Ma se penso a quanto sia difficile
ottenere le libertà e i vantaggi che possiedo, mi sembra che non vi sia il tempo per
riposare.” Così, senza mai prendere sonno, egli per l’intera vita recitò novecento
milioni di mantra di Miyowa. A questo punto, meditiamo fino a generare dentro di noi
una convinzione analoga.

Benché abbia ottenuto queste libertà, non so nulla del Dharma,


che ne costituisce l’essenza.
Benché mi sia accostato al Dharma, ho sprecato la vita in una quantità di altre
cose.
Benedici me e tutti i miei simili
Affinché possiamo realizzare la vera essenza delle libertà e dei vantaggi.

18
CAPITOLO SECONDO

L’impermanenza della vita

Considerando questo triplice universo come una effimera illusione,


Hai gettato via le preoccupazioni mondane come uno sputo nella polvere.
Accettando le avversità, hai seguito le orme degli antichi maestri.
Impareggiabile guida, ai tuoi piedi mi prostro.

Nel capitolo precedente abbiamo illustrato il modo adeguato di ricevere gli


insegnamenti. Ora trattiamo invece l’insegnamento vero e proprio iniziando dalle sette
meditazioni, che riguardano i seguenti argomenti: l’impermanenza dell’universo
esteriore in cui vivono tutti gli esseri, l’impermanenza degli esseri stessi,
l’impermanenza degli esseri venerabili, l’impermanenza di coloro che sono in posizione
di preminenza, altri esempi di impermanenza, l’incertezza sulle circostanze che ci
porteranno alla morte e infine l’impermanenza come intensa consapevolezza.

I. L’IMPERMANENZA DELL’UNIVERSO ESTERIORE IN CUI VIVONO TUTTI GLI


ESSERI

Il nostro universo, questo ambiente esteriore forgiato dal buon karma degli esseri nel
loro insieme, con la sua solida struttura che oltrepassa i quattro continenti, il Monte
Meru e i reami celesti, è destinato a durare un intero kalpa. Nondimeno, esso è
impermanente e non sfuggirà al momento in cui esso sarà distrutto da sette fasi di
fuoco e una di acqua.
Quando il grande kalpa attuale si avvicinerà alla sua distruzione, i reami situati al di
sotto di quello degli dei e del primo stadio meditativo, spariranno uno dopo l’altro
assieme agli esseri che li contengono finché non sopravviverà più nessuno.
Dopo di ciò, sette soli sorgeranno nel cielo. Il primo brucerà tutte le foreste e gli
alberi da frutto. Il secondo farà evaporare l’acqua delle fonti, dei ruscelli e dei laghi; il
terzo disseccherà i fiumi; il quarto, tutti i grandi laghi, compreso quello di
Manasarovar. Quando apparirà il quinto sole, anche l’oceano si seccherà, dapprima
fino ad una profondità di cento leghe, poi di duecento, di settecento, di mille, di
diecimila e infine di diciottomila leghe. L’acqua rimanente si ridurrà fino a non restarne
abbastanza da riempire un’impronta di piede. Nel tempo in cui sei soli arderanno
contemporaneamente nel cielo, la terra e tutti i monti innevati saranno consumati
dalle fiamme. Quando infine il settimo sole sorgerà, esso brucerà il Monte Meru
assieme ai quattro continenti, agli otto sub-continenti, alle sette montagne dorate e al
massiccio circolare che delimita il margine del mondo. Tutto sarà ridotto ad una sola
massa infuocata che, bruciando al di sotto, consumerà tutti i reami inferiori, mentre in
alto inghiottirà il palazzo di Brahm , già deserto da tempo. Al di sopra di esso, le
giovani divinità del reame della Chiara Luce grideranno terrorizzati “Che immensa
conflagrazione!”, ma verranno rassicurati dalle divinità più antiche, che diranno loro:
“Non abbiate paura! Come è già successo in passato, una volta raggiunto il mondo di
Brahm , tutto ciò finirà.” Tuttavia, dopo le distruzioni per mezzo del fuoco, le nubi si
formeranno anche nel regno degli dei del secondo stato meditativo, nel quale avrà
luogo una pioggia torrenziale che scaverà un abisso dove tutto, compresi gli dei della
Chiara Luce, si disintegreranno come sale che si scioglie nell’acqua.
Dopo questa settima devastazione, il vajra incrociato fatto d’aria che è alla base
dell’universo si manifesterà; al che tutti gli stati di esistenza, compreso quello degli
dei del terzo stato meditativo, saranno spazzati via come polvere al vento.
Riflettiamo dunque sinceramente e profondamente sul fatto che, se tutti gli universi
che compongono il cosmo, ognuno dotato del proprio Monte Meru, dei quattro
19
continenti e dei cieli, possono essere distrutti simultaneamente e con tanta facilità,
come potrebbe il nostro corpo, che è come una foglia spazzata via dal vento
autunnale, avere qualche tipo di permanenza o stabilità?

II. L’IMPERMANENZA DEGLI ESSERI CHE ABITANO L’UNIVERSO

Dall’alto del più puro dei cieli fino al più basso degli stati infernali, non vi è un solo
essere che possa scampare alla morte. La Lettera della consolazione afferma:

Qualcuno ha mai visto, sulla terra o nel cielo,


Un essere venuto al mondo senza un destino mortale?
O ha mai saputo che qualcosa di simile sia mai accaduto?
O abbia mai sospettato che ciò possa mai accadere?

Tutto ciò che viene al mondo è destinato a morire. Nessuno ha mai visto o sentito
dire che qualche essere appartenente ad uno qualsiasi dei regni di esistenza,
compreso quelli divini, sia mai nato con la facoltà di non morire. In effetti nessuno di
noi si chiederebbe mai se questa o quella persona morirà o meno. La morte infatti è
una certezza, specialmente per chi, come noi, è nato nella parte finale di un’era e in
una dimensione dell’esistenza in cui la lunghezza della vita è particolarmente incerta e
breve. Fin dal momento della nascita, la morte inizia ad avvicinarsi sempre più,
mentre la vita non può che accorciarsi di ora in ora. Il procedere inesorabile della
morte non conosce soste o rallentamenti, proprio come l’ombra di una montagna al
tramonto.
Possiamo forse sapere con certezza quando e dove morremo? Non potrebbe essere
stanotte o domani? Siamo proprio certi che non morremo proprio ora, fra questo
respiro e l’altro? Come è riferito ne La raccolta dei detti ponderati:

Chi può essere certo di vivere fino a domani?


È oggi che bisogna prepararsi,
Poiché le legioni della Morte
Non sono dalla nostra parte.

Lo stesso N rjuna ha inoltre affermato:

Come un barlume in un turbine di mille montagne,


Più fragili di una bolla in un ruscello.
Nel sonno, ogni respiro se ne va senza fare più ritorno;
Che sorpresa essere ancora vivi al risveglio!

Respirando quietamente, l’uomo si gode il meritato riposo nel sonno. Tuttavia, fra un
respiro e l’altro non vi è garanzia che la vita resti ancora in lui. Risvegliarsi in buona
salute è un evento che merita di essere considerato un miracolo, più che una certezza.
Benché sappiamo di dover prima o poi morire, la nostra attitudine nei confronti della
vita non è influenzata da questo pensiero. Così trascorriamo tutto il tempo a
preoccuparci del nostro sostentamento futuro, come se dovessimo vivere per sempre
in questa forma. Siamo completamente immersi negli sforzi compiuti per il nostro
benessere, la nostra felicità e la nostra posizione sociale; finché all’improvviso la
Morte, brandendo il suo cappio e mostrando le sue zanne in un ghigno feroce, ci si
para davanti. In quel momento, né la legge, né gli eserciti, né il potere del denaro, né
la saggezza del filosofo, né il fascino della bellezza, né la forza dell’atleta, niente e
nessuno potrà soccorrerci. Possiamo proteggerci con una armatura metallica, guardati
a vista da centinaia di migliaia di uomini forti armati di lance e frecce appuntite, ma
questo non ci nasconderà e difenderà più di quanto possa farlo un sottile capello. Una
volta che il Signore della Morte avrà fatto passare il suo cappio tenebroso attorno al
20
nostro collo, il viso impallidirà, gli occhi saranno bagnati di lacrime, la testa e le
gambe cederanno e saremo trascinati a forza nel sentiero che ci condurrà alla nostra
prossima esistenza.
La Morte non può essere sconfitta da alcun guerriero, né venire dissuasa dal potere
umano o corrotta dal denaro. Ad essa non si può sfuggire in nessun luogo, né ci
possiamo celare ad essa o trovare un rifugio, una difesa o una guida che ci
consentano di evitarla. La Morte resiste ad ogni ricorso alla pietà o all’abilità umana.
Una volta conclusosi il suo ciclo vitale, neanche il Buddha della Medicina fu in grado di
ritardare la propria morte.
Riflettiamo e meditiamo con onestà sull’importanza del momento presente, senza
cadere nella pigrizia e nell’abitudine a rimandare, praticando la sola cosa che ci sarà di
aiuto al momento della morte, ossia il vero Dharma.

III. ALTRI ESEMPI DI IMPERMANENZA

Per meditare sull’impermanenza, si consideri il ciclo di crescita e declino che ha luogo


durante un kalpa. Molto tempo fa, all’inizio del kalpa attuale, non vi erano in cielo né
luna né sole e tutti gli esseri umani, rischiarati dalla loro intrinseca luminosità,
potevano muoversi miracolosamente attraverso lo spazio. Essi erano alti diverse leghe
e, nutrendosi di nettare divino, godevano di una felicità e un benessere perfetti, simili
a quelli degli dei. Tuttavia, l’influenza delle emozioni perturbatrici e delle azioni
negative portò l’umanità verso una degenerazione progressiva, fino allo stato attuale.
Nel tempo presente, divenendo le nostre emozioni sempre più grossolane, la vita
umana e la buona fortuna non cessano di declinare. Tale processo continuerà finché la
vita umana non durerà più di un decennio.
Molti esseri che attualmente vivono sulla terra sono destinati a scomparire a causa di
guerre, carestie e pestilenze; finché una emanazione del Buddha Maitreya predicherà
ai sopravvissuti l’astinenza dall’atto di uccidere. In quel tempo, l’altezza media di un
uomo non supererà il cubito. Da quel momento, la durata media della vita raggiungerà
i venti anni e continuerà ad aumentare fino a raggiungere gli ottocento anni. A quel
punto, il Signore Maitreya apparirà in persona diventando un Buddha e facendo girare
nuovamente la Ruota del Dharma. Dopo diciotto di questi cicli di crescita e declino, la
vita umana durerà un numero incalcolabile di anni e il Buddha dell’Infinita Aspirazione
si manifesterà vivendo lo stesso numero di anni di tutti i mille Buddha del Buon Kalpa
messi insieme. Anche le sue opere a beneficio dell’umanità uguaglieranno quelle dei
Buddha appena citati; ma dopo di ciò questo kalpa, come tutti gli altri, si avvierà alla
distruzione.

Esaminando tali cambiamenti, si può notare che gli eventi, anche considerati su una
scala temporale così vasta, non si sottraggono affatto all’impermanenza.
L’osservazione dell’alternarsi delle stagioni è un altro modo di meditare
sull’impermanenza. D’estate i prati sono verdeggianti e traboccano del nettare dei fiori
mentre tutti gli esseri viventi si crogiolano in un caldo e piacevole appagamento. Una
innumerevole varietà di infiorescenze sbocciano rendendo il paesaggio simile ad un
paradiso bianco, rosso, blu e dorato finché le brezze autunnali ne modificano il colore
facendo appassire fiori e frutti. Presto subentra l’inverno, che rende la terra dura e
secca come una roccia. I fiumi e gli stagni gelano mentre i venti glaciali spazzano il
suolo sul quale, anche camminando per giorni, non ritroverete nemmeno uno dei fiori
sbocciati d’estate. Così le stagioni si alternano, ognuna diversa dall’altra, ma tutte
ugualmente effimere.
Allo stesso modo, l’ieri e l’oggi, questo giorno e la notte che seguirà, l’anno appena
trascorso e quello venturo, tutto scorre senza sosta. Niente perdura e nulla è affidabile
nella sua apparente stabilità.
Si guardi il villaggio, il monastero o qualunque altro ambiente entro cui trascorriamo
la nostra vita. Persone che non molto tempo fa sembravano ricche e benestanti ora
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sono prossime alla rovina. Altri invece, poveri e senza mezzi, ora parlano con autorità
e godono di salute e potere. Nulla resta uguale e persino nella nostra famiglia
generazioni di genitori, nonni, bisnonni e trisavoli si sono succedute una dopo l’altra
ed ora per noi sono solo un elenco di nomi senza vita. Quando il loro tempo è venuto,
molti fratelli, sorelle e parenti a vario titolo sono morti ed ora nessuno sa dove essi
continuano la loro esistenza. Del popolo forte e invincibile che un secolo fa dominava
tutta la terra ora si ricorda appena il nome. Chi può sapere se la fama e il benessere
che fanno l’invidia del popolo minuto non cesseranno nel giro di un anno o forse di un
mese? Degli animali domestici che ci circondano – cani, pecore, capre -, quanti di essi
sono già morti e quanti sono ancora in vita? Nel considerare queste cose, non si può
non ravvisare che tutto si modifica senza sosta. Di tutti coloro che sono nati un secolo
fa neppure uno è scampato alla morte; così come di tutti noi che viviamo in questo
momento, fra cento anni neanche uno resterà in vita.
In tutto l’universo non vi è nulla, vivente o no, che resti stabile e permanente.

Tutto ciò che è nato è impermanente e destinato a morire.


Tutto ciò che è stato accumulato è impermanente e destinato a disperdersi.
Tutto ciò che è tenuto insieme è impermanente e andrà a pezzi.
Tutto ciò che è stato costruito è impermanente e crollerà.
Tutto ciò che si eleva è impermanente e cadrà in basso.
Così, l’amicizia e la contesa, la fortuna e l’afflizione, il bene e il male,
i pensieri che scorrono nella mente - tutto è in perenne cambiamento.

Potremmo essere sublimi come i regni celesti, possenti come il tuono, preziosi come
un naga, splendidi come un dio, incantevoli come l’arcobaleno; non importa chi e cosa
siamo: quando la morte sopraggiungerà, le nostre qualità non la ritarderanno neanche
un istante. Non avremo altra scelta che seguirla, nudi e freddi, con le mani vuote
serrate sotto le ascelle. Allora, ci sarà insopportabile il pensiero di doverci separare dal
nostro denaro, dalle cose amate, dagli amici, dagli amanti, dagli attendenti, dai
discepoli, dalla patria, dai possedimenti, dai sudditi, dalle proprietà, dal cibo, dalle
bevande e dal benessere. Estraniati da tutto, lasciamo sulla terra uno spazio vuoto,
come l’orma di un pelo che è stato rimosso da una fetta di burro. Se fossimo un lama
a capo di migliaia di monaci, nessuno di questi ultimi potrebbe accompagnarci. Se
governassimo sopra decine di migliaia di sudditi, neanche uno di essi potrebbe
diventare nostro servitore. Di tutto il benessere di questo mondo non porteremo con
noi neanche un capello.
Il nostro amato corpo dovremo lasciarcelo alle spalle. Questo stesso corpo che era
avviluppato in sete e broccati, che riempivamo di tè e birra e che un tempo aveva
l’aspetto gradevole di un dio, è ora un cadavere che se ne sta disteso orribilmente
livido, pesante e sfigurato. Come affermò Jetsun Mila:

Quella cosa che chiamiamo cadavere, così terribile a guardarsi,


è presente proprio qui ed ora: è il nostro corpo.

Il nostro corpo viene allora legato saldamente con una corda e coperto con un telo
prima di essere deposto fra la terra e le rocce. La ciotola che ci apparteneva viene
rovesciata e posta al nostro capezzale; mentre, nonostante la stima e l’amore che ci
circondava in vita, orrore e nausea ora si diffondono fra i presenti. Chi è vivo, una
volta distesosi per dormire su morbide pelli, non resiste a lungo nella medesima
posizione e deve spostarsi di continuo. Una volta morti invece, non ci importa di
giacere per sempre con la guancia su una pietra o un ciuffo d’erba ed i capelli coperti
di terra.
Qualcuno che è a capo di una grande famiglia o una tribù potrebbe preoccuparsi per
la sorte dei suoi protetti. “Essi, quando non sarò più qui, potrebbero morire di freddo o
di fame, oppure venire uccisi dai nemici o affogare in un fiume! Il loro benessere, la
loro agiatezza e prosperità non dipendono forse da me?” La verità invece è che
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costoro proveranno un certo sollievo ad occuparsi della eliminazione del nostro putrido
corpo, il quale verrà cremato o gettato in un fiume, oppure sarà deposto in un
cimitero.
Chi muore non ha altra scelta che vagare tutto solo nello stato intermedio senza che
alcuno lo accompagni. In quella circostanza, l’unico rifugio sarà il Dharma; perciò è
bene ripetere a se stessi che da adesso in poi faremo lo sforzo di portare a termine
almeno una pratica dell’autentico Dharma.
Tutto ciò che viene accumulato è destinato a disperdersi nuovamente. Un re può
governare il mondo intero e poi terminare la sua vita come uno straccione vagabondo.
Molti iniziano la loro vita circondati dal benessere e poi la terminano nella carestia
perdendo tutte le loro ricchezze. I proprietari di molti greggi un giorno potrebbero
essere ridotti a mendicare, rovinati dalle epidemie o dalle avversità del clima. Persone
agiate e potenti potrebbero da un giorno all’altro essere costretti a elemosinare a
causa della distruzione delle loro proprietà da parte dei nemici. Ognuno di noi può
constatare che queste cose accadono di frequente, perciò è impossibile fare
affidamento per sempre sulla prosperità e la ricchezza. Non si dovrebbe mai
dimenticare che il capitale più importante da accumulare in questa vita è la nostra
generosità.
La compagnia degli altri esseri umani non può durare per sempre e spesso la nostra
vita termina nella solitudine. Siamo come gli abitanti di diversi villaggi richiamati a
migliaia o a decine di migliaia da una grande fiera o da una importante cerimonia per
poi disperdersi ritornando ognuno a casa propria. Tutte le relazioni che abbiamo
instaurato, per quante affettuose esse siano – tra maestro e discepolo, tra padrone e
servo, tra il mecenate e i suoi protetti, tra gli amici spirituali, tra fratelli e sorelle, tra
marito e moglie – non sono soggette a durare per sempre e non vi è modo di
preservarle fino all’ultimo giorno. È sempre possibile infatti che domani la morte o
qualche altro evento terribile possa separarci dai nostri cari. Per questo motivo, finché
godiamo della loro compagnia, è preferibile non ricorrere alla rabbia alle dispute, alle
parole offensive e ai litigi. Non sappiamo infatti quanto durerà la loro presenza fra noi.
È bene perciò, per il breve tempo che ci resta, conformare la nostra mente all’affetto e
alla cura per gli altri. Padampa Sangye ad esempio, ha affermato:

Le famiglie sono effimere come una folla al mercato;


Gente di Tingri, non litigate e risolvete i conflitti!

Tutto ciò che viene edificato è destinato a crollare. I villaggi e i monasteri una volta
ricchi e famosi ora giacciono vuoti e abbandonati. Laddove vivevano i loro affezionati
possessori, ora gli uccelli fanno i loro nidi. Persino il celebre convento di Samye, coi
suoi numerosi ripiani, costruito dai favolosi operai apparsi durante il regno di Trisong
Detsen e consacrato dal Secondo Buddha di Oddy na, è stato distrutto dal fuoco in
una sola notte. Del Palazzo della Montagna Vermiglia, che ai tempi del Re Songtsen
Gampo rivaleggiava col palazzo di Indra stesso, non è possibile ora ritrovare
nemmeno le fondamenta.
Al confronto con questi celebri edifici, le nostre città, le case in cui abitiamo e i
monasteri che ci circondano sono simili a tane di insetti. Perché dunque dovremo
assegnare loro così tanta importanza? Non sarebbe forse meglio edificare il nostro
cuore sull’esempio dei Kagyupa del passato, i quali lasciarono le loro case dirigendosi
verso contrade selvagge? Essi abitarono ai piedi di precipizi rocciosi e la loro unica
compagnia era costituita da animali selvaggi. Senza alcuna preoccupazione per il cibo,
gli indumenti e la fama, questi sapienti si dedicarono interamente ai quattro scopi dei
Kadampa:

Basa la tua mente sul Dharma,


Basa il tuo Dharma sulla semplicità di vita,
Basa la tua umiltà sul pensiero della morte,
Fa che la tua morte sia in una sterile caverna vuota.
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Gli alti edifici e i più potenti eserciti non durano a lungo. M ndh tri, il re del mondo,
fece girare la ruota d’oro che gli diede potere sui quattro continenti. Egli, governando i
cieli abitati dalle Divinità dei Trentatre, condivise il suo potere con lo stesso Indra, il re
degli dèi, conducendo una vittoriosa battaglia sugli asura. Alla fine, però, anch’egli
precipitò sulla terra e morì senza soddisfare la sua immensa ambizione. Possiamo
renderci conto da soli che nessun re, lama, principe o governatore che eserciti un
potere su altri è capace di mantenere per sempre la sua autorità. Molti personaggi che
hanno imposto le loro leggi al mondo intero, da un anno all’altro si sono ritrovati a
languire in prigione. A cosa potrebbe servirci un potere così effimero? Dovremo invece
determinarci a perseguire lo stato della perfetta Buddhità esente da diminuzioni o
distruzioni e degno di venerazione da parte di uomini e dèi.
Amicizia e inimicizia sono di breve durata. Un giorno, mentre l’Arhat K ty yana era in
giro per le sue elemosine, si imbatté in un uomo che teneva un bimbo sulle ginocchia.
Costui, divorando un pesce con gran soddisfazione, gettava delle pietre a una cagna
che si avvicinava ai resti del suo pasto. L’Arhat, nella sua chiaroveggenza, vide che in
una vita precedente il pesce e la cagna erano stati rispettivamente il padre e la madre
di quell’uomo, mentre un acerrimo nemico da lui ucciso in una passata esistenza, a
guisa di riparazione karmica per quella vita sottratta, era rinato come suo figlio.
ty yana allora, gridando disse:

Mangia la carne di suo padre e scaccia via la madre,


Poi si trastulla tenendo sulle ginocchia il nemico che ha ucciso;
La moglie divora le ossa del marito.
Che spassoso spettacolo è il sams ra!

Anche nello spazio di una sola vita è possibile assistere alla riconciliazione fra
persone prima nemiche che, instaurando un’intima amicizia, entrano persino in
confidenza con le rispettive famiglie. D’altra parte, i coniugi o coloro che sono legati
da vincoli di sangue spesso litigano provocandosi reciprocamente tutto il male
possibile a causa di qualche futile ricchezza o eredità.
Gli sposi o gli amici fraterni possono separarsi per le ragioni più insignificanti, talvolta
giungendo persino all’omicidio.
Considerando dunque quanto siano effimere l’amicizia e la discordia, è bene ricordare
a se stessi l’importanza di trattare tutti con amore e compassione.

La buona fortuna e le privazioni non sono eterne. Spesso chi vive negli agi e
nell’abbondanza termina la propria vita in povertà; mentre altri che sopravvivono nella
miseria possono raggiungere invidiabili livelli di felicità e di benessere. Un mendicante
può benissimo diventare re: vi sono moltissimi esempi di tali rovesci di fortuna.
Lo zio di Milarepa, ad esempio, organizzò al mattino una festa per la nuora, ma sul
calare della sera pianse tristemente per il crollo della sua casa. Quando il Dharma vi
riserva delle avversità, pensate che per quante sofferenze possiate provare, alla fine,
come Jetsun Mila e gli antichi Conquistatori, la vostra felicità sarà incomparabile.
Quando invece accumulate ricchezze per mezzo di azioni negative, sappiate che i
temporanei appagamenti che avete ottenuto svaniranno e la vostra sofferenza sarà
infinita.
La fortuna e il dolore sono del tutto imprevedibili. Molto tempo fa, durante il regno di
Apar ntaka, ebbe luogo una pioggia di semi che continuò per sette giorni, seguita da
una pioggia di abiti e una di gioielli preziosi della stessa durata. Infine una pioggia di
terra seppellì l’intera popolazione, che in seguito rinacque nei reami superiori. Tali
repentine alternanze di felicità e sofferenza vengono spesso ignorate dai più, a causa
della paura e della speranza che sempre ci pervadono. In realtà, sarebbe auspicabile
che ciascuno di noi, abbandonati come uno sputo nella polvere gli agi, i piaceri e le
ricchezze superflui, si accinga a seguire le orme degli antichi Conquistatori, accettando
con coraggio qualunque avversità si presenti durante la ricerca del Dharma.
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Eccellenza e mediocrità sono impermanenti. L’autorità e l’eloquenza che dimostrate
nella vita quotidiana, per quanto supportate dall’erudizione e dal talento, dalla forza e
dalla capacità individuale, sono destinate a declinare. Una volta esauriti i meriti del
passato che vi hanno concesso tali doni, tutto ciò che penserete diverrà confutabile e,
causando mille controversie, non vi procurerà più alcun successo. La vostra infelicità si
farà strada nel generale disprezzo e, come spesso accade, smarrirete gli scarsi
vantaggi che avevate fino ad allora ottenuto.
D’altra parte, vi sono alcuni che, dapprima considerati falsi e bugiardi, privi di talento
e di buon senso, più tardi diventano ricchi e agiati dopo aver acquistato la fiducia e
l’apprezzamento delle persone stimate. Come dice il proverbio: “la fama onora il
vecchio impostore”
Passando poi all’ambito religioso, vi è un detto che afferma: “Con la vecchiaia, i saggi
diventano ignoranti, gli asceti ammassano ricchezze e gli abati si fanno capifamiglia.”
Coloro infatti che all’inizio della vita hanno rinunciato alle attività mondane, in seguito
possono aver accumulato beni e provvigioni; mentre chi è stato destinato ad
insegnare e trasmettere il Dharma può diventare prima o poi un ladro o un assassino.
I precettori eruditi dei monasteri che in gioventù fecero i voti del Vinaia, nel corso
della loro vita possono ritrovarsi ad aver generato molti figli; ma vi è d’altro canto chi,
dopo aver accumulato molte azioni negative, in seguito consacra la propria vita alla
pratica del sacro Dharma traendone, se non una completa realizzazione, almeno le
premesse per rinascite in dimensioni sempre più pure.
Dal momento che le qualità individuali sono del tutto transitorie e non possiedono
alcuna stabilità intrinseca, non bisogna lasciarsi impressionare dall’apparente bontà o
malvagità delle persone. Noi stessi potremmo sviluppare una parziale delusione verso
il sams ra ed un vago desiderio di liberarcene, assumendo le sembianze dello zelante
allievo del Dharma fino a destare una impressione favorevole nelle persone ordinarie,
le quali saranno spinte a chiederci insegnamenti o a mettersi sotto la nostra
protezione. In tal caso, senza un costante e rigoroso esame di noi stessi, finiremo per
guardarci con gli occhi di chi ci ammira e, gonfiati dalla superbia, ci lasceremo
persuadere dalle apparenze a ritenerci capaci di esaudire ogni nostro desiderio. Per
evitare dunque di essere del tutto ingannati dalle forze negative, disponiamoci a
bandire ogni pensiero egoistico manifestando la saggezza che contempla la vacuità
dell’io e dei fenomeni. Dal momento che non abbiamo ancora realizzato il sublime
livello dei Bodhisattva, consideriamo che nessuna apparenza, piacevole o esecrabile
che sia, è destinata a durare. Meditiamo costantemente sull’impermanenza e la morte
e analizziamo i nostri errori con modestia e semplicità. Alleniamoci a mantenerci
pacificati, diligenti e consapevoli coltivando l’insoddisfazione per il sams ra e il
desiderio della liberazione. Sviluppiamo un costante senso di profonda mestizia al
pensiero della natura insoddisfacente del sams ra e della transitorietà di tutti i
fenomeni relativi. Jetsun Milarepa disse:

Nell’aspra caverna di una contrada solitaria


La mia tristezza è incessante.
Costantemente mi struggo per te, o maestro,
Buddha dei tre tempi.

Se non manterremo costantemente questo stato d’animo, i mutevoli pensieri che


senza sosta si presentano alla nostra coscienza ci condurranno chissà dove. A tale
proposito, vi è una storia molto istruttiva che narra di un uomo che, dopo aver
condotto una lunga faida coi propri familiari, si era consacrato al Dharma diventando
noto come il Praticante Gelong Thangpa. Egli aveva appreso a controllare la mente e
l’energia fino a potersi librare nell’aria, senza saper tuttavia controllare le emozioni
perturbatrici né conoscere la natura della mente. Un giorno, osservando uno stormo di
piccioni radunatisi a beccare le offerte di cibo all’aperto, pensò che un’armata di
altrettanti uomini sarebbe stata in grado di sterminare tutti i suoi nemici. In quel

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momento, non sapendo come integrare tale pensiero nella via, egli abbandonò il
Dharma e tornò al suo paese, dove divenne comandante di un’armata.
Grazie al maestro ed ai compagni spirituali ora iniziamo a comprendere qualcosa del
Dharma. Tuttavia, tenendo presente la natura effimera dei nostri sentimenti,
integriamo i nostri pensieri e le nostre emozioni per mezzo degli insegnamenti e
sviluppiamo la determinazione di praticare per tutta la vita.
Riflettendo sugli esempi precedenti saremo certi che nulla, dalle dimensioni più pure
fino ai più bassi stadi infernali, presenta la minima traccia di stabilità. Tutto è soggetto
al cambiamento ed ogni cosa che nasce, prima o poi si estingue.

VI. L’INCERTEZZA DELLE CIRCOSTANZE CHE CI PORTERANNO ALLA MORTE

Ogni essere umano che viene al mondo è certo di dover morire. Il luogo, il tempo e
le modalità di tale evento sono tuttavia ignoti. Nessuno di noi può prevedere con
certezza la causa della propria morte; giacché pochi sono i fattori che favoriscono la
vita, mentre, al contrario, molti ne minacciano la perpetuazione. Il maestro ryadeva
rilevò che:

Le cause della morte sono innumerevoli;


Mentre quelle che perpetuano la vita sono scarse
Ed anche esse possono condurre al trapasso.

Il fuoco, l’acqua, i veleni, i dirupi, le bestie e gli uomini feroci, tutto ciò che arreca
danni mortali abbonda in questo mondo, mentre sono poche le cose che prolungano la
nostra esistenza. Persino ciò che consideriamo utile, come il cibo e gli indumenti, può
diventare causa di morte. Molte fatalità accadono per l’ingestione di cibo contaminato;
così come alcuni alimenti dotati di certe proprietà benefiche, in alcuni casi possono
diventare tossici o possono risultare intollerabili per alcuni individui. Ai nostri giorni è
poco diffusa l’abitudine a consumare con la dovuta circospezione alimenti a base di
carne, ignorando i possibili danni che possono essere causati dalla carne stantia o
dagli spiriti che abitano i tessuti e il sangue. Una dieta e uno stile di vita disordinati
possono dare luogo a tumori, disordini del flemma, idropisia e altre patologie
potenzialmente mortali. Inoltre la brama di fama, ricchezze e altre conquiste spinge
gli uomini a combattersi tra loro affrontando bestie feroci, fiumi impetuosi ed altri
pericoli senza curarsi delle conseguenze.
Un altro fattore del tutto imprevedibile è il momento in cui tali svariate cause mortali
potranno mostrare i loro effetti. Alcuni muoiono già nell’utero materno, subito dopo la
nascita o prima di imparare a camminare. Altri abbandonano la loro vita terrena in
gioventù oppure già vecchi e decrepiti. Altri ancora sono uccisi da una malattia prima
di poter fare uso delle medicine appropriate, oppure, immobilizzati da una lunga
infermità, trascinano per anni la propria esistenza in un letto come scheletri viventi,
guardando il mondo circostante con gli occhi della morte. Molti se ne vanno
all’improvviso, sorpresi al lavoro, mentre mangiano o camminano, oppure
interrompono volontariamente la propria vita.
Come una candela al vento, la nostra esistenza, circondata da così tante cause
mortali, ha poche possibilità di durare. Potremo morire proprio ora e risvegliarci
domani come animali dotati di corna e zanne. È bene perciò riflettere sulla
imprevedibilità del momento della morte e sulla impossibilità di conoscere la
destinazione della nostra prossima rinascita.

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VII. L’IMPERMANENZA COME INTENSA CONSAPEVOLEZZA

Meditate sulla morte in ogni tempo e in qualunque circostanza. Quando sedete, vi


alzate o state sdraiati, dite a voi stessi: “Questa è l’ultima cosa che faccio nella mia
vita” e restate per un po’ con questa acuta consapevolezza. Qualunque direzione
abbiate preso nel vostro cammino, dite a voi stessi: “Forse morirò adesso e non vi è
alcuna certezza che potrò ritornarmene da qui.” Quando partite per un viaggio o vi
fermate per una pausa, dite a voi stessi: “Morirò qui?” Ovunque voi siate, chiedetevi
se quello sarà il luogo della vostra morte. Di notte, chiedetevi se morirete nel sonno e
se perciò il vostro risveglio sia davvero così certo. Quando vi alzate, pensate se
durante la giornata non sarete colti alla sprovvista dalla morte e riflettete sul fatto che
non è per nulla assodato che a sera potrete tornare a casa per il meritato riposo.
Iniziate subito e con tutto il vostro cuore a meditare sulla morte. Praticate come gli
antichi Geshe dei Kadampa, che in ogni istante ponevano dinanzi a sé il pensiero della
morte. Di notte essi mettevano la loro ciotola a rovescio, come è usanza in Tibet per i
defunti, senza coprire le braci del focolare, pensando che da morti il giorno dopo non
avrebbero avuto alcuna necessità di riscaldarsi.
Il solo pensiero della morte tuttavia non basta, poiché, al momento del trapasso,
l’unica cosa che ci sarà davvero di aiuto sarà il Dharma. È bene dunque determinarsi a
praticare senza negligenze né distrazioni, ricordando che le attività condotte nel
sams ra sono effimere e prive di scopo intrinseco. Fare affidamento su questo
composto di corpo e attività mentale, del tutto impermanente nella sua essenza, è
pressoché inutile. Si tratta di una condizione provvisoria della nostra esistenza, come
una casa in affitto.
Tutte le vie ed i sentieri sono impermanenti; perciò, ovunque si vada, si prenda
sempre la direzione del Dharma. La sintesi della saggezza trascendente afferma
infatti:

Se procedete rivolgendo lo sguardo a non più di un tiro di sasso dinanzi a voi,


la vostra mente non sarà mai confusa.

I luoghi dove ci rechiamo nel corso della nostra vita sono impermanenti, perciò
teniamo ferma la nostra mente nel pensiero che tutto lo spazio si manifesta nei Campi
di Buddha. Cibo, acqua ed altre necessità sono impermanenti, dunque alimentiamoci
col nostro profondo raccoglimento. Il sonno è impermanente, perciò al risveglio
purifichiamo le illusioni del sogno nella chiara luce.29 La salute, per chi ce l’ha, è
impermanente, perciò sforziamoci di applicare le sette nobili ricchezze. 30 Gli amici, i
familiari e le persone che amiamo sono impermanenti, perciò in un luogo solitario
suscitiamo in noi il desiderio della liberazione dal sams ra. La fama e una posizione
sociale elevata sono impermanenti, così privilegiamo sempre un’attitudine umile e
priva di presunzione. La parola è impermanente, perciò destiamo in noi il desiderio di
recitare mantra e preghiere. La fede e il desiderio della liberazione dal sams ra sono
impermanenti, perciò trasformiamo il nostro impegno in una tendenza stabile del
nostro carattere. I pensieri e i concetti sono impermanenti, così sviluppiamo la nostra
buona indole. Le esperienze meditative e le realizzazioni sono impermanenti, dunque
perseveriamo nelle pratiche finché non diveniamo capaci di dissolvere tutti i fenomeni
nella loro essenza. In quel momento, il legame fra morte e rinascita si dissolverà e
raggiungeremo una tale fiducia da essere pronti in ogni momento ad accettare la
morte. Avendo raggiunto la cittadella dell’immortalità, saremo come l’aquila che si
libra nei vasti spazi celesti senza incontrare ostacoli. A quel punto, come disse Jetsun
Mila nella sua canzone, ogni meditazione sulla morte sarà inutile:

Temendo la morte, ho valicato montagne inaccessibili.


Sempre più in alto, ho meditato sull’imprevedibilità del mio trapasso
Fino a toccare la fortezza della natura immutabile.
Sono dunque al di là di paura e morte!
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L’imperituro Dagpo Rinpoche ha inoltre affermato:

All’inizio, come un cervo che tenta di evitare una trappola, dovremo farci scuotere
dalla paura per morte e rinascita. In seguito, come chi lascia un campo ben curato,
dovremo giungere a non avere più alcun rimpianto al momento della morte. Infine,
come chi ha appena terminato un’opera straordinaria, dovremo poter provare un
senso di sollievo e di felicità per la nostra dipartita.

All’inizio, come uno che è colpito da una freccia, il pensiero che non c’è tempo da
perdere è di estrema utilità. In seguito, come una madre che ha perso il suo unico
figlio, dovremo meditare sulla morte come se non avessimo più altro a cui pensare.
Infine, come un pastore il cui gregge è stato disperso dai nemici, dovremo avere la
sensazione che non vi sia rimasto più niente di cui occuparci.

Si mediti fermamente su morte e impermanenza finché non si raggiungano gli stadi


finali appena descritti dalle parole di Dagpo Rinpoche.

Il Buddha poi ha dichiarato:

Meditare senza sosta sull’impermanenza è come fare offerte a tutti i Buddha.


Meditare senza sosta sull’impermanenza è come essere sollevati dalla sofferenza
da parte di tutti i Buddha.
Meditare senza sosta sull’impermanenza è come ricevere la guida di tutti i Buddha.
Meditare senza sosta sull’impermanenza è come essere benedetti da tutti i
Buddha.

Di tutte le impronte, quelle dell’elefante sono le più notevoli. Allo stesso modo, per
un seguace del Buddha il pensiero dell’impermanenza oltrepassa tutti gli altri
oggetti di meditazione.

Nel Vinaya, il Buddha ha affermato:

Un istante di meditazione sull’impermanenza dei fenomeni relativi supera ogni


offerta fatta ad un centinaio fra i miei più perfetti discepoli, quali i bhiksu riputa e
Maudgaly yana, che ricevono il mio Dharma come dei purissimi vasi.

Un discepolo laico chiese a Geshe Potowa quale, fra le pratiche del Dharma, fosse
così importante da non poter essere trascurata essendo costretti a portarne a termine
una sola. Il Geshe replicò:

Se vuoi fare uso di una sola fra le pratiche del Dharma, la meditazione
sull’impermanenza è la principale.

All’inizio, la meditazione su morte e impermanenza ci fa intraprendere il sentiero


del Dharma; in seguito, ci conduce ad una pratica efficace; infine, ci aiuta a
realizzare l’identità di tutti i fenomeni.

All’inizio, la meditazione su morte e impermanenza ci induce a rompere i legami


con questo mondo; in seguito, essa ci ripulisce dalle tracce del sams ra; infine, ci
conduce sulla via del nirv na.

All’inizio, la meditazione su morte e impermanenza sviluppa la fede; in seguito, fa


crescere la diligenza nella pratica; infine, manifesta in noi la saggezza.

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All’inizio, la meditazione su morte e impermanenza ci coinvolge nella ricerca del
Dharma fino alla sua definitiva adozione; in seguito, ci orienta verso la pratica;
infine, ci conduce alla meta finale.

All’inizio, la meditazione su morte e impermanenza ci persuade a farci scudo di


una pratica perseverante fino a che essa non diventi la nostra ragione di vita; in
seguito, essa suscita in noi una perseveranza attiva; infine, ci aiuta a praticare con
perseveranza insaziabile.31

Padampa Sangye inoltre ha detto:

All’inizio, la certezza dell’impermanenza ci persuade a seguire il Dharma; in


seguito, sviluppa in noi la diligenza; infine, ci manifesta il raggiante dhamrak ya.

Finché non saremo del tutto persuasi del principio dell’impermanenza, qualunque
insegnamento riceveremo e metteremo in pratica ci porterà sempre più distanti dal
Dharma. Infatti, Padampa Sangye ha affermato:

Non ho mai visto un solo praticante tibetano pensare alla morte;


Né ne ho mai visto uno vivere in eterno!
Osservando come essi accumulano tesori, una volta indossato l’abito giallo,
mi chiedo - salderanno in cibo e denaro il loro debito con la morte?
Pensando a come non si fanno mai mancare le cose di valore,
mi chiedo – distribuiranno doni sotto banco all’inferno?
Ha-ha! Guarda come sono buffi, questi praticanti tibetani!
Il più dotto è anche il più altezzoso,
Il più bravo a meditare ammassa beni e ricchezze,
L’eremita solitario è assorbito in futili passatempi,
Chi ha rinunciato alla patria e alla famiglia è uno spudorato.
Tutti costoro sono totalmente impermeabili al Dharma!
Crogiolandosi in malefatte di ogni genere,
Essi hanno modo di constatare la morte altrui, ma non si preoccupano
Della loro stessa fine.
Ed è questo il loro primo errore.

La meditazione sull’impermanenza è dunque la porta che conduce tutti i praticanti del


Dharma sul giusto sentiero. Quando qualcuno chiese a Geshe Potowa un
insegnamento sul modo di disperdere le circostanze avverse, egli rispose:

Pensa a lungo all’impermanenza e alla morte. Una volta che ti sarai davvero
persuaso di dover morire, abbandonerai senza difficoltà le abitudini errate per
compiere buone azioni.
Dopo di ciò, medita a lungo sull’amore e la compassione. Una volta che l’amore
traboccherà dal tuo cuore, non sarà arduo per te agire a beneficio degli altri.
Infine, contempla a lungo la vacuità, che è lo stato naturale di ogni cosa. Una volta
che la comprenderai alla perfezione, disperderai facilmente ogni pensiero illusorio.

Modellati dal pensiero dell’impermanenza, riusciamo a percepire il lato ripugnante di


tutte le attività ordinarie, come un pasto troppo ricco che ci provoca nausea. Il mio
riverito Maestro, spesso diceva:

Lo spettacolo del potere, del prestigio, del benessere e della bellezza non
producono alcun desiderio in me. Guardando infatti alla vita che conducevano i
nobili esseri del passato, ho acquisito una vaga idea dell’impermanenza. Non ho
dunque alcun insegnamento più profondo di questo da offrirvi.

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Fino a che punto siamo stati permeati dalla contemplazione dell’impermanenza?
Dovremmo imitare Geshe Kharak Gomchung, che penetrò le solitudini montane del
Jomo Kharak, nella provincia dello Tsang, per immergersi in meditazione. Di fronte
alla caverna dove viveva, vi era un cespuglio spinoso. Il suo primo pensiero fu di
tagliarlo; tuttavia, egli si disse: “Non so quanto ancora durerà la mia vita. Dopotutto,
potrei morire all’istante, perciò è più urgente per me continuare a praticare.” Quando
egli, dopo aver meditato a lungo, fece per abbandonare la caverna, si trovò ancora di
fronte quel cespuglio e pensò: “Se esco di qui, non è certo che potrò farvi ritorno;”
sicché rimandò la sua decisione e praticò fino a diventare una esperta guida spirituale.
Quando egli lasciò quei luoghi, il cespuglio era ancora al suo posto.
Rigzin Jigme Lingpa trascorreva il periodo detto della costellazione dei Rishi, in
autunno, presso una certa sorgente di acqua calda. Poiché le sponde della piscina
erano prive di scale, non era agevole per lui immergervisi e sedersi nell’acqua.
Quando i suoi discepoli proposero di intagliare per lui dei gradini, egli disse, “Perché
darsi tanto da fare, visto che non sappiamo neanche se saremo qui l’anno prossimo?”
Secondo il mio Maestro, egli spesso usava parlare dell’impermanenza con simili
esempi.
Quanto a noi, finché non saremo pienamente assorbiti in tale attitudine, dovremmo
abituarci a meditare sull’impermanenza. Iniziando con lo sviluppo del bodhicitta, è
bene allenare la mente con le pratiche principali fino a che l’impermanenza davvero
permei ogni nostro pensiero. Ogni sessione infine, deve essere sigillata con la dedica
dei meriti. Praticando in questo modo, ci sforziamo di fare del nostro meglio per
emulare i grandi del passato.

L’impermanenza è ovunque, eppure mi illudo che ogni cosa possa durare.


Ho raggiunto un’età avanzata, eppure mi vedo ancora giovane.
Benedici e distogli gli esseri come me da queste idee errate,
affinché noi si possa abbracciare l’impermanenza.

30
CAPITOLO TERZO

L’insoddisfazione del sams ra

Comprendendo che le attività condotte nel sams ra sono prive di significato,


Con grande compassione, ti sforzi per attuare il beneficio degli esseri.
Senza aderire all’idea di sams ra e nirv na, agisci in armonia col Grande Veicolo.
Mi prostro dunque ai tuoi piedi, maestro impareggiabile.

Consulta questo capitolo con la stessa attitudine con cui ti sei avvicinato ai
precedenti. Oltre ad una riflessione generale sulle sofferenze del sams ra, esso
include specifiche considerazioni sulla sofferenza propria a ciascuno dei sei reami di
esistenza.

I. QUADRO GENERALE DELLE SOFFERENZE DEL SAMS RA


Come abbiamo già rilevato, se anche avessimo ricevuto una vita provvista di tutte le
libertà e i vantaggi così rari da ottenere, essa non durerebbe a lungo. Al suo termine,
ricadremo ben presto nel dominio dell’impermanenza e della morte, estinguendoci
come un fuoco che si consuma o l’acqua che svapora; mentre tutto ciò che ci circonda
svanirebbe. Dopo la morte, tuttavia, non ci dissolveremo nel nulla, ma saremo forzati
ad assumere una nuova nascita, la quale non avverrà in nessun altro luogo se non nel
sams ra.
Il termine sams ra, la ruota o il cerchio dell’esistenza, è qui usato per indicare il
ciclico ed infinito vagare degli esseri da una dimensione all’altra, simile all’incessante
moto del tornio del vasaio o della ruota di un mulino. Inoltre, come la mosca
intrappolata in un bicchiere non può uscirne per quanto voli di qua e di là; il fatto che
noi si nasca nei reami più bassi o in quelli più elevati dell’esistenza, non modifica la
nostra impossibilità di oltrepassare il sams ra. La parte alta del bicchiere corrisponde
alle dimensioni degli dèi e degli esseri umani, mentre la parte bassa ai tre sfortunati
reami degli esseri inferiori. Il sams ra viene rappresentato come un circolo a causa
del fatto che gli esseri rinascono ciclicamente al suo interno in ognuno dei sei reami
che lo compongono. Tali rinascite sono il risultato delle azioni positive o negative
compiute in vita, tutte contaminate dal senso di attaccamento all’esistenza.
Vaghiamo dunque da un tempo senza inizio in questi mondi samsarici in cui ogni
essere, senza eccezione, ha intessuto relazioni amichevoli, ostili o indifferenti con
ciascuno degli altri esseri che li abitano. Ognuno di noi è stato padre e madre di
qualcun altro. I s tra sostengono che se, per mezzo di palline di terra della misura di
una bacca di ginepro, volessimo contare tutte le madri avute in passato, l’intero
pianeta si consumerebbe prima di averne terminato la lista. Il Signore N rjuna ha
detto:

Consumeremmo l’intero pianeta se, per mezzo di palline di argilla simili a


una bacca di ginepro,
Volessimo fare il conto di quante madri abbiamo avuto in passato.

Non vi è una sola forma di vita che non abbiamo assunto durante questo sams ra
senza inizio. Durante le nostre innumerevoli rinascite, causate dall’attaccamento ai
fenomeni, abbiamo perso più volte la testa e gli arti, specialmente quando eravamo
formiche o altri piccoli insetti. Se volessimo accatastare una sull’altra queste parti
mancanti, formeremmo una pila alta quanto il monte Meru. Le lacrime che abbiamo
versato per la sete, il freddo e la fame quando eravamo nudi e senza cibo creerebbero
31
un mare più vasto di quelli che circondano tutte le terre emerse. Così come la quantità
di rame liquefatto da noi ingerito durante le ripetute permanenze negli stati infernali
sarebbe più estesa dei quattro grandi oceani.
In questo ciclo senza fine, tutti gli esseri, senza neanche un istante di rimorso, sono
spinti a vagare nei reami del sams ra a causa dell’attaccamento e del desiderio,
richiamando su di sé sempre nuove sofferenze.
Qualora ottenessimo, come risultato di qualche azione virtuosa, la lunga vita, la
forma perfetta, la fortuna e la gloria di Indra o Brahm , non saremmo mai in grado di
posporre la nostra morte; pertanto, dopo di essa, sperimenteremmo nuovamente le
sofferenze dei reami inferiori. Se, nella vita presente, ottenessimo per un anno, un
mese o un giorno qualche vantaggio in salute, benessere o autorità su altri esseri, una
volta esaurita la causa di tutto questo, relativa a qualche buona azione del passato,
sperimenteremmo ancora la povertà e la miseria, oppure l’intollerabile sofferenza dei
reami inferiori.
Qual è il senso di tutta la felicità mondana? Essa è come un sogno che si interrompe
a metà al nostro risveglio. Nessuno che goda della felicità e degli agi dovuti ad un
passato sufficientemente onesto può prolungare questo stato anche di un solo istante,
una volta che le cause di esso abbiano cessato i loro effetti. I re degli dèi, che si
dilettano nei piaceri dei cinque sensi seduti su alti troni di pietre preziose guarniti di
splendidi tessuti, quando il tempo loro concesso è scaduto, in un battito di ciglia
ricadono nel cocente metallo degli stati infernali. Gli stessi dèi del sole e della luna,
che illuminano i cinque continenti, potrebbero rinascere proprio in uno di questi ultimi,
precipitati in una tale oscurità da non poter capire nemmeno se i loro arti sono
ripiegati o distesi.
Non affidiamoci pertanto alle gioie apparenti del sams ra e prendiamo la decisione di
liberarci in questa stessa vita dell’infinito oceano di sofferenza che esso rappresenta,
conseguendo lo stabile e sereno appagamento della perfetta buddhità. Rendiamo
questo pensiero un esercizio costante, facendo uso dei metodi appropriati concernenti
l’inizio, la parte intermedia e il termine di ogni pratica.

II. IL REGNO UMANO


Gli esseri umani soffrono sia a causa dei tre tipi fondamentali di sofferenza, esposti
all’inizio di questo paragrafo, che delle quattro sorgenti di sofferenza, le quali sono
nascita, vecchiaia, malattia e morte. Ulteriori sofferenze possono derivare dal timore
di incontrare odiati nemici o di perdere le persone care, nonché dalla frustrazione
causata dal non ottenere ciò che si vuole o dal non poter evitare gli eventi e le cose
indesiderabili.

I TRE TIPI FONDAMENTALI DI SOFFERENZA

La sofferenza del cambiamento

La sofferenza del cambiamento consiste nell’insoddisfazione causata dall’alternarsi di


felicità e sofferenza. Una condizione di benessere, soddisfazione e pienezza a seguito
di un buon pasto può subito lasciare il posto a spasmi addominali causati dai parassiti
contenuti nel cibo. Se siamo felici, un nemico può saccheggiare i nostri beni o il nostro
bestiame, oppure un incendio può distruggerci la casa o possiamo ammalarci o
ricevere terribili notizie; il che ci getterà nella più cupa sofferenza.
Qualunque conforto, felicità o prestigio apparente, fondandosi sul sams ra, risulta
sprovvisto di ogni traccia di stabilità o permanenza e non resiste a lungo di fronte
all’eterno ciclo della sofferenza. Coltiviamo perciò il più completo disincanto nei
confronti di queste cose.

32
Sofferenza su sofferenza

Sperimentiamo sofferenza su sofferenza quando, dopo un periodo doloroso, ne


sopraggiunge subito un altro. Siamo sofferenti per la lebbra, quando all’improvviso la
nostra pelle si ricopre anche di verruche e subito dopo restiamo feriti in un incidente.
Nostro padre muore, ma dopo di ciò anche nostra madre ci lascia. Siamo perseguitati
dai nemici e per giunta una persona a noi cara muore. In qualunque regno del
sams ra si nasca, le occasioni dolorose si accavallano una sull’altra senza lasciarci un
solo momento di felicità.

La sofferenza in ciò che è composito32

Nel momento in cui leggiamo queste righe abbiamo l’impressione che le cose non
stiano andando male e che in fondo non si stia soffrendo granché. In realtà noi siamo
totalmente immersi nelle cause della sofferenza e persino le cose indispensabili, quali
il cibo, i vestiti e il tetto che abbiamo sulla testa, nonché le decorazioni e le feste che
appaiono così piacevoli, sono il prodotto di azioni svantaggiose. Tutto ciò che facciamo
è contaminato dalla negatività e può solo causare sofferenza o insoddisfazione. Si
pensi ad esempio al tè e alla farina per la tsampa. In molte zone della Cina, il tè viene
piantato, coltivato e raccolto; tuttavia il numero di piccole creature che soccombono in
queste operazioni per noi del tutto insignificanti è elevatissimo. Il tè viene in seguito
condotto fino a Dartsedo dai portatori. Ognuno di questi ultimi trasporta un peso
corrispondente a ventisei mattoni per mezzo di una fascia posta intorno alla testa, la
quale, poco a poco, logora la pelle della fronte. Tuttavia, anche se da quest’ultima
spuntasse il bianco cranio sottostante, a nessuno di loro sarebbe consentito
interrompere il lavoro. Da Dotok in poi, i portatori sono sostituiti da dzo, yak e muli
dalla schiena rotta, le pance perforate e il crine in pezzi, il cui stato servile è causa di
terribili sofferenze. Il baratto del tè coinvolge inoltre una serie di patti non mantenuti,
discussioni e battibecchi, finché la merce viene scambiata con prodotti animali, quali
lana e pelli di agnello. La lana, a sua volta, brulicante com’è in piena estate di pulci,
zecche e altre creature numerose quanto i fili di lana stessi, al momento della tosatura
perde molti dei suoi piccoli ospiti, che vengono decapitati, tagliati in due o sventrati,
mentre quelli che riescono a restare attaccati al pelo finiscono soffocati. Quanto alla
pelle di agnello, si ricordi che questi animali appena nati possiedono già tutti gli organi
di senso intatti e sono in grado di provare dolore e piacere. Per quanto non siano
intelligenti, il loro istinto produce in loro avversione per la morte e la sofferenza. Essi
dunque amano la vita e sono capaci di soffrire se torturati e macellati; nonostante ciò,
fin dai loro primi istanti di vita e nel pieno della salute fisica, vengono uccisi. Il
comportamento delle pecore femmine in tale occasione è l’esempio vivente del dolore
sperimentato da una madre che ha perso la prole. Di conseguenza, quando pensiamo
alla produzione e al commercio di tali prodotti, dovremo essere consapevoli che anche
un sorso di tè contribuisce alla rinascita di altri esseri nei reami inferiori.
Un ulteriore esempio è la tsampa. Prima della semina dell’orzo, l’aratura dei campi
porta alla luce una varietà di vermi e insetti del sottosuolo che vengono inghiottiti
incessantemente dai corvi e da altri uccelli. Durante l’irrigazione, molti esseri che
vivono nell’acqua vengono disseminati sul terreno asciutto, mentre altri animali
annegano a causa della piena improvvisa.
Allo stesso modo, tutte le altre fasi della semina, del raccolto e della trebbiatura
causano la morte di un numero incalcolabile di animali; sicché, in un certo senso,
quando ci nutriamo di prodotti a base di orzo è come se inghiottissimo insetti
polverizzati.
Il burro, il latte, i “tre cibi bianchi” e i “tre cibi dolci” considerati puri e incontaminati
dalle azioni dannose, non sono affatto tali. Molti fra i giovani yak, i vitelli e gli agnelli
vengono uccisi alla nascita, ma quelli che restano in vita, prima ancora di succhiare il
dolce latte materno si ritrovano con una corda al collo legati a un palo o a un loro
simile, mentre il latte cui avrebbero diritto viene rubato per farne burro e formaggi.
33
Togliendo loro l’essenza del corpo della madre, così vitale per la prole, li si lascia fra la
vita e la morte, finché, al ritorno della primavera, le loro madri anziane sono divenute
così deboli da non riuscire nemmeno a lasciare la stalla ed essi, ormai ridotti alla
fame, si aggirano barcollando come scheletri viventi.
Tutti i fattori che sono alla base della felicità di questo mondo – cibo, vestiti e
qualunque altro bene materiale – sono inevitabilmente un prodotto di azioni negative,
il cui risultato è ancora una volta l’infinito tormento dei reami inferiori. Sicché,
qualunque cosa appaia come lecita fonte di soddisfazione entra in realtà nel novero
delle sofferenze legate alla caratteristica impura e composita dei fenomeni mondani.

LE SOFFERENZE LEGATE ALLA NASCITA, ALLA MALATTIA, ALLA VECCHIAIA E ALLA


MORTE

La sofferenza legata alla nascita

Il tipo di nascita caratteristico dello stato umano è attraverso l’utero. In essa, la


coscienza di un essere che vive nello stato intermedio perviene ad una nuova nascita
interponendosi all’unione tra il seme paterno e il sangue materno. Seguono poi le
successive dolorose fasi embrionali, chiamate rispettivamente della gelatina sferica,
dell’ellisse viscosa, la fase spessa e oblunga, la fase ovale compatta, la massa
fortemente rotonda33 e così via. Una volta formati gli arti, gli annessi e gli organi di
senso, il feto, intrappolato nell’interno fetido, oscuro e soffocante dell’utero materno,
soffre come fosse rinchiuso in una angusta prigione. Se la madre inghiotte del cibo
caldo, il feto ha la sensazione di essere bruciato dal fuoco; mentre se il cibo della
madre è freddo, egli soffre come fosse immerso nell’acqua gelata. La pienezza dello
stomaco materno fa sentire il feto come in trappola fra le rocce; mentre se la madre
stende il suo corpo, egli si sente schiacciato da una montagna. La sensazione di fame
della madre si trasforma per lui in quella di cadere da un precipizio, mentre il suo
semplice camminare o stare seduta equivale all’essere schiaffeggiati da un forte
vento.
Quando la gravidanza sta per finire, le energie karmiche prodotte dalle azioni passate
provocano lo spostamento verso il basso della testa del feto, predisponendolo in tal
modo alla nascita. Mentre viene spinto verso la cervice uterina, il feto soffre come se
un gigante possente, tenendolo per le gambe, lo sbattesse violentemente contro un
muro. Forzato entro la struttura scheletrica della pelvi, egli si sente come spinto
attraverso una trafila. Inoltre, se l’apertura da cui dovrebbe uscire è troppo stretta,
egli non verrà partorito e sarà in pericolo di vita. Il parto infatti può essere mortale sia
per la madre che per il feto; e anche se costoro sopravvivono, in tale esperienza essi
sperimentano il medesimo dolore che precede la morte. Il Grande Maestro di
Oddiy na ha detto:

Madre e figlio stanno fra la vita e la morte,


E tutte le giunture della madre, tranne le mascelle, vengono fatte a pezzi.

Tutto ciò di cui il neonato fa esperienza, risulta doloroso. Egli viene fatto cadere su
un materasso, che risulta per lui come una fossa spinosa; mentre il suo corpo, ripulito
dai muchi incrostati, è come scorticato vivo. Anche il lavacro nell’acqua è per lui
lacerante come l’essere colpito da spine. Quando poi egli viene abbracciato dalla
madre, si sente come un piccolo uccello ghermito da un rapace. Il venire frizionato
con il burro alla sommità della testa34 lo fa sentire come legato e gettato in una buca.
La culla per lui è come un fango immondo che lo inghiotte. Infine, per calmare la
fame, la sete e il malessere fisico egli non può fare altro che piangere.
Dalla nascita in poi, maturando la nostra giovinezza, abbiamo l’impressione di
crescere e migliorare. In realtà la nostra vita si accorcia un giorno dopo l’altro fino a
raggiungere il momento della morte. Nel frattempo, senza alcuno scopo, gli affanni
34
della vita ci catturano susseguendosi uno dopo l’altro come cerchi nell’acqua. Dal
momento che tutto ciò si basa sul risultato delle nostre azioni negative del passato, il
suo esito non può che essere l’infinita sofferenza legata alla rinascita nei reami
inferiori.

La sofferenza legata alla vecchiaia

Mentre ci affanniamo dietro incoerenti e innumerevoli attività quotidiane, la


sofferenza della vecchiaia si fa strada in modo impercettibile. Poco alla volta, il corpo
perde il suo vigore. Non riusciamo più a digerire le nostre pietanze preferite; la vista si
indebolisce e non distinguiamo più con chiarezza le cose distanti o i piccoli oggetti.
L’udito inizia ad offuscarsi e non percepiamo correttamente i suoni e le parole. La
nostra lingua perde la sua capacità di saggiare ciò che beviamo o mangiamo, ma
anche la pronuncia delle parole risulta difficile. Mentre la mente si offusca, la nostra
memoria perde colpi e incorriamo nella confusione e nella dimenticanza. I nostri denti
cadono uno dopo l’altro, sicché riusciamo sempre meno a masticare cibo solido e le
parole che pronunciamo iniziano ad assomigliare ad un balbettio. Le forze ci
abbandonano e non ci scaldano più gli abiti leggeri, né riusciamo più a trasportare
grossi pesi. Abbiamo ancora il senso del piacere e del godimento, ma non abbiamo più
l’energia per soddisfarlo. Mente i canali energetici degenerano, diventiamo sempre più
irritabili e impazienti. Disprezzati da tutti, siamo ogni giorno più tristi e depressi. Gli
elementi del corpo si sbilanciano causando infermità e malattie. Ogni movimento ci
costa sforzi sempre maggiori e persino il sedersi o il camminare sembrano alla fine
attività inconcepibili. Jetsun Mila affermò in una sua canzone:

Uno, ti alzi in piedi a fatica come estraendo un palo da terra;


Due, ti trascini lentamente come stessi puntando un uccello;
Tre, ti siedi lasciandoti cadere come un sacco di patate.
Se ti capitano queste tre cose, nonnina,
Il tuo corpo illusorio è consumato e tu sei già vecchia e triste.

Uno, dall’esterno la tua pelle si raggrinzisce;


Due, dall’interno ti sporgono le ossa lì dove la carne si è ritirata;
Tre, nel frattempo sei anche lenta, mezza cieca, sorda e stupida.
Se ti capitano queste tre cose, nonnina,
La tua faccia è aggrottata da rughe disgustose.

Uno, i tuoi abiti sono logori e pesanti;


Due, il cibo è così freddo e insipido;
Tre, siedi sul tappeto puntellandoti sui quattro lati.
Se ti capitano queste tre cose, nonnina,
Sei inutile come uno yog in estasi calpestato da uomini e cani.

In età avanzata non riusciamo più a sollevarci in piedi con un solo movimento, ma
dobbiamo poggiare entrambe le mani a terra come se tentassimo di far uscire un palo
da un terreno compatto. Quando camminiamo, la schiena curva non ci permette di
sollevare la testa e, dal momento che l’andatura non è più spedita come prima, ci
trasciniamo con circospezione come un bambino che va a caccia di uccelli. Le giunture
delle braccia e delle gambe sono così piene di acciacchi che non riusciamo a sederci
con un movimento misurato. Ci lasciamo dunque cadere come un sacco di yuta
staccato dal suo sostegno.
Col consumarsi dei tessuti, la nostra pelle diventa flaccida mentre il corpo e il viso si
coprono di rughe. Le nostre ossa, circondate da sempre meno carne, si fanno più
prominenti. Gli zigomi e tutte le protuberanze ossee sporgono dalla pelle. La nostra
memoria si indebolisce e diventiamo tardi, sordi e mezzi ciechi. Non riusciamo più a
pensare con chiarezza e ci sentiamo storditi. Col declino del vigore fisico, non siamo
35
più interessati al nostro aspetto esteriore, sicché i nostri abiti si fanno più logori e
pesanti. Ci nutriamo degli avanzi e perdiamo il senso del gusto. Tutti i cibi sembrano
freddi e insipidi. La nostra rigidità ci rende qualunque compito un’impresa difficile. A
letto, ci puntelliamo su tutti e quattro i lati, ma non riusciamo ad alzarci. Il nostro
deterioramento fisico ci porta depressione e altre terribili sofferenze mentali. Lo
splendore del nostro volto si dissolve, la pelle si ricopre di rughe e la fronte è
aggrottata in un cipiglio che denota il nostro cattivo umore. Tutti ci disprezzano e se
anche qualcuno ci camminasse sulla testa, non riusciremmo a scansarci. I nostri tempi
di reazione sono lenti, come se avessimo realizzato per mezzo dello yoga una totale
indifferenza per le cose. In realtà, siamo del tutto incapaci a sostenere le sofferenze
dell’età avanzata e perciò alle volte desideriamo la morte; anche se più la avviciniamo
e più essa ci sembra terrificante.
Tutte queste sofferenze legate alla condizione di vecchiaia non sono molto dissimili
da quelle subite dagli esseri che abitano i tre reami inferiori.

La sofferenza legata alla malattia

Quando i quattro elementi che compongono il nostro corpo si sbilanciano, ogni sorta
di infermità, legate al vento, alla bile, al flemma35 e così via, sorgono arrecando
sensazioni di dolore e sofferenza.
Alla prima fitta dolorosa e al primo malessere, per quanto si sia giovani, robusti,
vitali e in perfetta salute, ci accasciamo su noi stessi come piccoli uccelli colpiti da un
sasso. Mentre la nostra forza svanisce, sprofondiamo nella solitudine del nostro letto
dove ogni movimento, anche lieve, diventa uno sforzo smisurato. Se qualcuno ci
chiede cosa succede, facciamo fatica a rispondergli. La nostra voce sembra fuoriuscire
dalle profondità di una caverna e si ode appena. Ci spostiamo di continuo sul lato
destro, poi sul sinistro, sulla schiena e infine sulla pancia senza trovare alcun sollievo.
Perdiamo l’appetito e non riusciamo a dormire. Il giorno e la notte sembrano
interminabili. Inghiottiamo farmaci amari, aspri o piccanti, mentre subiamo salassi,
cauterizzazioni e altri spiacevoli trattamenti. Il pensiero che questa malattia ci possa
condurre alla morte ci terrorizza. La nostra integrità, sotto l’influsso di forze morbose,
perde ogni controllo creando disordine nel corpo e nella mente, al culmine del quale
iniziamo a soffrire di allucinazioni. La malattia può perfino giungere a condizionare la
nostra intera vita. Coloro che soffrono di lebbra o epilessia sono abbandonati da tutti e
lasciati al loro destino. Essi, pur continuando a vivere, sono come già morti.
Le persone inferme sono di solito incapaci di badare a se stesse; tuttavia, rese
irascibili dalla malattia, sono spesso insofferenti rispetto a ciò che gli altri fanno per
loro, diventando sempre più pignoli e schizzinosi. Se la malattia si prolunga, molti si
stancano di loro e smettono di accudirle. Al contrario, il disagio causato dal loro stato
non le abbandona un istante.

La sofferenza legata alla morte

Quando la morte si avvicinerà, crolleremo nel nostro letto senza più avere la forza di
sollevarci. Non avremo più desiderio di cibo o bevande e saremo tormentati dalla
sensazione del morire. Ci sentiremo sempre più depressi mentre il coraggio e la
fiducia di cui eravamo capaci svaniranno. Sperimenteremo strani presentimenti e
allucinazioni riguardo ciò che ci aspetta. A quel punto, sarà giunto il momento del più
grande cambiamento della nostra vita. La famiglia e gli amici, riuniti al nostro
capezzale, non potranno fare nulla per ritardare la nostra dipartita. Andremo verso le
sofferenze della morte del tutto soli. Non vi sarà modo di portare con noi i nostri averi,
per quanto numerosi possano essere; sicché non ci persuaderemo a lasciarli pur
sapendo che presto non saranno più nostri. Il rimorso si impadronirà di noi mentre
torneranno alla memoria le azioni negative commesse in passato. Ci terrorizzerà il
pensiero di provare le sofferenze dei reami inferiori. Quando la morte si farà presente,

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lo spavento ci assalirà e le percezioni della vita scivoleranno via mentre diventeremo
sempre più freddi.
Un malfattore che muore si strazia il petto fino a lasciarvi i segni delle proprie
unghie. Il ricordo delle azioni negative infatti gli fa temere la rinascita nei reami
inferiori, mentre il pensiero di non aver praticato il Dharma quando era libero di farlo,
lo riempie di rimorso. Egli comprende che il Dharma è l’unica cosa che potrebbe
aiutarlo in quel momento; è per questa ragione che egli si lacera il petto lasciandovi i
segni delle unghie. Si dice perciò:

Guarda un malfattore che muore;


Egli è un maestro che ci rivela gli effetti delle azioni negative.

In realtà, anche prima della morte vera e propria i reami inferiori si rendono in
qualche modo percepibili al reprobo. Avvertendo la loro vicinanza come una confusa
minaccia, egli prova disagio mentre gli elementi del suo corpo si dissolvono, il suo
respiro è sempre più rauco e i suoi arti inflaccidiscono. In preda alle allucinazioni, i
suoi occhi ruotano verso l’alto ed egli abbandona questa vita incontrando al di là di
essa la Morte. Le apparizioni dello stato intermedio si rendono visibili. Di fronte ad
esse egli non ha né rifugio né protettori.
Non vi è certezza che il tempo in cui lasceremo la vita nudi e a mani vuote non sia
proprio oggi. Al momento della morte, il nostro solo soccorso, il nostro unico rifugio
sarà il Dharma. Si dice perciò:

Nell’utero di tua madre, volgi il tuo pensiero al Dharma;


Appena nato, ricordati del Dharma per prepararti alla morte.

Dal momento che la morte colpisce vecchi e giovani in modo così inaspettato, è
necessario iniziare a praticare il Dharma fin dal primo momento della nascita. Solo il
Dharma infatti ci sarà di aiuto al momento della morte. Nonostante ciò, ci attardiamo
ad occuparci della nostra casa e dei nostri beni, prendendoci cura esclusivamente
della famiglia e degli amici, interessandoci alla sconfitta dei nostri avversari e al
soccorso di coloro che ci possono essere utili nelle cose materiali. Trascorrendo tutta
la vita in tal modo, immersi nell’attaccamento e nell’ignoranza, astiosi a causa delle
preoccupazioni per i nostri cari, commettiamo il più grande dei nostri errori.

ALTRE SOFFERENZE LEGATE ALLO STATO UMANO

La paura di incontrare odiati nemici

La continua preoccupazione per i beni materiali non impedisce che talvolta si sia
costretti a condividerli coi nostri nemici. Banditi, scassinatori, lupi, cani randagi e
animali selvatici possono sopraffarci senza preavviso. Più beni e proprietà si
possiedono e più ci preoccuperemo per accumularne altri e conservarli.
rjuna ha scritto:

Ammassare ricchezze, proteggerle e incrementarle ti distruggerà.


Comprendi che i beni materiali sono causa di incessanti rovine.

Jetsun Milarepa ha detto inoltre:

All’inizio il benessere fa di te una persona felice e invidiata da tutti;


Tuttavia, per quante cose si abbiano, non sembrano mai abbastanza.
Perciò l’avarizia inizia a strangolarti:
Non puoi sopportare di dilapidare tutto in elemosine e offerte.
La tua ricchezza attira nemici e forze contrarie
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Che si approfittano di tutto ciò che avevi accumulato.
In realtà, il benessere è un demone capace di minacciare la tua vita.
Certo, è frustrante dover badare a tutto questo a causa dell’invidia altrui!
Mi sono perciò liberato di questo fardello che conduce al sams ra.
Mai più cederò alle lusinghe dei demoni.

Le nostre sofferenze sono direttamente proporzionali alla quantità di beni che


possediamo. Se ad esempio alleviamo un cavallo, lo accudiamo assicurandogli tutto
ciò di cui ha bisogno tentando di impedire che qualcuno ce lo porti via. Un singolo
cavallo è già causa di molte preoccupazioni. Ma anche se possediamo una pecora,
avremo tutte le ansie che ne derivano. Così, se possediamo una bustina da tè
dovremo far fronte alle cure richieste da una bustina da tè.
Si rifletta dunque sull’importanza di pacificare la propria vita seguendo l’antico
adagio: “nessun possesso, nessun nemico.” Ci si ispiri alle storie dei Buddha del
passato sradicando ogni attaccamento al denaro e alle proprietà. Come gli uccelli, si
viva di ciò che si ha, dedicando l’intera vita alla pratica del Dharma.

La paura di perdere le persone care

Vivere nel sams ra comporta il provare sia attaccamento per coloro con i quali ci
identifichiamo che avversione per tutti gli esseri umani che giudichiamo estranei.
L’amore per la famiglia, i seguaci, i compatrioti, gli amici e coloro cui siamo
affezionati, ci porta a sopportare ogni sorta di sofferenza. Tuttavia, dal momento che
nessuno di quelli che condividono con noi legami di parentela o amicizia è destinato a
vivere in eterno, prima o poi saremo costretti a separarcene. I nostri cari possono
morire o trasferirsi in altri paesi; possono essere minacciati da nemici o correre ogni
genere di rischio, a volte facendoci soffrire più profondamente che per noi stessi.
Nessuno più di un genitore è sottoposto a questo tipo di sofferenza. Egli è
costantemente preoccupato che il figlio possa prendere freddo, soffrire la fame e la
sete, che cada ammalato o sia in pericolo di vita.
Il suo affetto può spingersi al punto da fargli desiderare la morte pur di evitare
qualsiasi sofferenza al figlio. Per il bene di quest’ultimo, egli perciò trascorre l’intera
vita nell’angoscia.
Per quanto possa essere forte la sofferenza causata dal timore di essere separati da
parenti e amici, dovremmo riflettere attentamente su ciò. Siamo così sicuri che i nostri
cari ci siano davvero cari come pensiamo? I nostri genitori, ad esempio, ritengono di
amarci. Tuttavia il loro modo di amare può essere incauto ed avere effetti a lungo
andare deleteri. Spingendoci infatti al benessere, alla ricchezza o al matrimonio, essi
ci legano ancora di più al sams ra. Insegnandoci il modo migliore di sopraffare i nostri
avversari e blandire i nostri amici per assicurarci il benessere, un genitore potrebbe
incautamente istruirci su un vasto numero di azioni che conducono inevitabilmente
alla rinascita nei reami inferiori. Nei nostri confronti, non vi sarebbe azione peggiore di
questa.
I nostri figli, poi, al principio assorbono l’essenza del nostro corpo, in seguito ci
tolgono il pane di bocca e alla fine prosciugano le nostre ricchezze. In cambio di tutto
il nostro amore, essi ci si rivoltano contro.
Noi cediamo ai figli i beni accumulati in una vita intera dopo errori, dilapidazioni,
sofferenze e critiche ingiuste. Nonostante ciò, talvolta essi non mostrano la minima
traccia di gratitudine. Se anche donassimo loro un’intera partita di argento cinese, essi
ci sarebbero meno riconoscenti di un estraneo cui abbiamo regalato un pugno di tè. È
loro opinione infatti che tutti i beni paterni siano anche loro proprietà.
I nostri fratelli e sorelle tendono anch’essi a prosciugare le nostre fortune senza
alcuna gratitudine. Anzi, più cose concediamo loro, più essi ne pretendono da noi. Se
non ci restasse altro che un falso turchese inserito in una mala, desidererebbero
anche quello. Pur contribuendo nel migliore dei modi al benessere di persone

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estranee, essi non hanno alcun riguardo per noi. Non appena però le cose vanno
male, essi si rifugiano nella loro casa natale disonorando tutta la famiglia.
Quanto agli altri parenti ed amici, finché siamo felici e godiamo di salute e benessere,
essi ci lusingano come dèi aiutandoci in tutti i modi e regalandoci una quantità di cose
di cui non abbiamo alcun bisogno. Se invece cadiamo in disgrazia, pur non avendo
fatto loro alcun male, essi ci trattano come nemici restituendoci con cattiveria ogni
gentilezza mostrata nei loro confronti.
Dovremmo iniziare a considerare la possibilità che parenti, genitori, figli e amici non
sempre possiedono il valore che noi attribuiamo loro.

La sofferenza di non ottenere ciò che si desidera

Tutti in questo mondo vorrebbero sentirsi felici e in piena forma; anche se non vi è
nessuno che in questo mondo riesce ad ottenere ciò che vuole. Una famiglia costruisce
una casa più confortevole e questa crolla all’improvviso sterminando tutti i suoi
componenti. Qualcuno prende del cibo per soddisfare la fame, ma ciò che mangia lo fa
ammalare mettendo a repentaglio la sua vita. I soldati vanno in guerra sognando di
vincere, ma spesso vengono uccisi il primo giorno. Un gruppo di mercanti si mette in
viaggio nella speranza di ottenere alti profitti, ma le loro mercanzie sono depredate
dai briganti. Finché le nostre azioni passate non avranno esaurito i loro effetti, per
quanti sforzi facciamo, non riusciremo mai ad ottenere felicità e ricchezze in questa
vita. Tutto il nostro affannarci non farà che portare ulteriori preoccupazioni a noi stessi
e agli altri. L’unico risultato certo di queste nostre attività sarà la rinascita nei reami
inferiori. Per questo motivo, una briciola di meriti ottenuti con la pratica del Dharma
ha molto più valore di una montagna di attività mondane.
A che giovano le inconcludenti attività del sams ra? Tutti gli sforzi che da un tempo
senza inizio abbiamo applicato per soddisfare i nostri desideri non hanno fatto altro
che arrecarci sofferenza. Se in passato avessimo dedicato le stesse energie alla
pratica del Dharma, oggi saremmo dei Buddha o almeno avremmo eliminato del tutto
le cause di rinascita nei reami inferiori.
Meditiamo dunque come segue: ora che conosco la differenza tra ciò che va fatto e
ciò che va evitato, in luogo di riporre tutte le mie speranze nelle inconcludenti attività
del sams ra, praticherò il Dharma, che solo garantisce una realizzazione certa.

La sofferenza di non poter evitare le cose indesiderabili

Nessuno di noi vorrebbe che accadesse ciò che abbiamo descritto nei precedenti
paragrafi. Eppure, che lo si voglia o no, questo è ciò di cui facciamo esperienza ogni
giorno della nostra vita.
Vi sono alcuni di noi che, a causa delle loro azioni passate, sono destinati ad un ruolo
subalterno alle dipendenze di uomini più ricchi e potenti. Ridotti contro la loro volontà
in uno stato servile, costoro per tutta la vita non godono neanche di un istante di
libertà. Ogni minima mancanza fa ricadere su di loro punizioni esagerate e il loro stato
è tale da non presentare alcuna possibilità di cambiamento. Essendo la loro esistenza
in balia di altre persone, se venissero condannati a morte, essi saprebbero di non
avere alcuna possibilità di evitare tale destino.
Anche se non tutti condividiamo una tale impotenza nei confronti degli eventi, pure
quasi mai siamo in grado di orientare la nostra vita al punto da poter evitare le cose
indesiderabili. Il Grande Onnisciente Longchenpa ha infatti affermato:

Vorreste stare con la famiglia e gli amici


Per sempre, ma è certo che li lascerete.
Vorreste conservare la vostra bella casa
Per sempre, ma è certo che vivrete altrove.
Vorreste avere gioia, salute e prosperità
Per sempre, ma è certo che non sarà così.
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Vorreste vivere questa libera e preziosa condizione umana
piena di opportunità
Per sempre, ma è certo che morrete.
Vorreste studiare il Dharma col vostro eccellente maestro
Per sempre, ma è certo che ve ne separerete.
Vorreste convivere con i vostri soavi amici spirituali
Per sempre, ma è certo che li perderete.

Amici, che provate un profondo disincanto per il sams ra,


Io, da mendicante del Dharma, vi esorto:
A partire da oggi, indossate l’armatura dell’impegno,
È tempo, infatti,
Di percorrere la terra della grande beatitudine,
Là dove non vi è separazione.

Salute, ricchezze, benessere, felicità e fama sono gli effetti di azioni compiute nel
passato. Avendo accumulato azioni positive, che lo si voglia o no, tutte queste cose si
manifestano come loro esito scontato. In assenza di tali cause favorevoli, nessuno
sforzo da voi compiuto sarà abbastanza grande da assicurarvi ciò che desiderate. Al
contrario, tutto ciò che detestate si verificherà. Di conseguenza, quando si pratica il
Dharma è bene affidarsi all’inesauribile appagamento che sorge dall’essere soddisfatti
di qualunque cosa accada. In caso contrario, l’ambizione soffocherà la vostra pratica
con le preoccupazioni mondane, scontentando gli esseri celesti che la presiedono.
Un canto di Milarepa dice:

La principale istruzione del Conquistatore, Signore degli Uomini,


È stata la liberazione dalle otto preoccupazioni mondane.
Ma chi oggi pensa di averla compresa-
Forse non possiede tali apprensioni più di prima?

Il Conquistatore trasmise regole di disciplina


Che ci aiutano a limitare gli effetti delle azioni mondane.
Ma i monaci che oggi seguono tali regole-
Non affondano più di prima nelle loro quotidiane occupazioni?

Egli ci mostrò l’antico stile di vita dei rishi


Che ci permette di tagliare i legami con parenti e amici.
Ma coloro che ancora oggi lo imitano-
Non prestano attenzione più di prima al loro aspetto esteriore?

In breve, praticare dimenticandosi della morte,


rende il Dharma del tutto inefficace.

Gli esseri umani che in quest’epoca di decadenza abitano i quattro continenti sono
sprovvisti della più piccola opportunità di essere felici. Le loro vite sono immerse
nell’insoddisfazione. In più, la degenerazione di quest’era cosmica accelera non solo
ogni anno che passa, ma ogni mese, ogni giorno, ogni metà del giorno, ogni mattina e
ogni sera di più. Il kalpa va di male in peggio. Gli insegnamenti del Buddha e la felicità
degli esseri si eclissano progressivamente. È bene dunque meditare su queste cose
sviluppando un senso di disincanto riguardo al destino di questo mondo. Oggi più che
mai è necessario essere in grado di vedere le cose nella loro vera natura chiarendo a
se stessi cosa è bene fare e cosa invece va evitato. Si metta in pratica dunque il
consiglio dell’Onnisciente Longchenpa:

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Talvolta, osserva le cose che ritieni favorevoli;
Se sai che è solo la tua percezione,
ogni circostanza volgerà a tuo favore.

Talvolta, osserva le cose che ritieni dannose;


Stupirti per la falsità della tua visione è vitale.

Talvolta, confronta i tuoi amici spirituali con gli altri maestri;


Distinguere il vero bene dalle vie errate ispirerà la tua pratica.

Talvolta, ammira il sorgere dei fenomeni prodotti nello spazio dai quattro elementi;
Saprai in che modo l’energia riposa nella natura della mente.

Talvolta, osserva il tuo paese, la tua casa e i tuoi beni;


Riconoscendoli illusori, proverai orrore per averli percepiti diversamente.

Talvolta, volgiti al benessere e alle ricchezze altrui;


Pensando alla loro inconsistenza, ti libererai dall’ambizione mondana.

In breve, esaminando la natura dei fenomeni multiformi,


Non ti attaccherai ad ogni cosa come se fosse reale.

Sono dunque gli affanni e le occupazioni legati a questa vita che ci impediscono di
liberarci ora e per sempre dalle dolorose dimensioni del sams ra. Solo un autentico
maestro è in grado di mostrarci il metodo per tagliare i legami che ci incatenano al
mondo e raggiungere l'illuminazione nelle vite future. Non lasciamoci condizionare
dalle preoccupazioni della vita, considerando genitori, parenti e amici, compagni e
amanti, cibo, ricchezze e proprietà alla stregua di uno sputo nella polvere. Cerchiamo
di essere soddisfatti del cibo e degli abiti che la vita ci propone dedicando l'intera
esistenza al Dharma.
Padampa Sangye afferma:

Gli oggetti materiali sono come una nuvola di foschia: non pensare che durino.
La fama è come un'eco: non aspirare alla stima degli altri, ma alla tua vera natura.
I begli abiti sono come i colori dell'arcobaleno: indossali con semplicità e applicati
nella pratica.
Questo corpo è come un sacco pieno di sangue, pus e linfa: non invaghirtene.
Ogni pasto delizioso si trasforma in escrementi: non dare importanza al cibo.
I fenomeni si ergono come nemici: ritirati sulle montagne.
Le spine delle percezioni illusorie trapassano la mente: considerale tutte della
stessa natura.
Desideri e bisogni sono un tuo prodotto: serba la vera natura della mente.
Il gioiello più prezioso è dentro di te: non spasimare per cibo e vestiti.
Molte parole portano discordia: agisci come il muto.
Hai una mente idonea per natura: non ascoltare il tuo stomaco
Le benedizioni sorgono dalla mente: prega il lama e lo yidam.
Se stai troppo a lungo in un posto, troverai difetti persino nel Buddha: spostati di
frequente.
Agisci umilmente e abbandona l'orgoglio per la tua condizione.
Non vivrai in eterno: pratica senza interruzione.
Sei come un pellegrino in questa vita: non erigere castelli là dove non ti fermerai a
lungo.
Nessuna attività ti sarà di aiuto: porta a compimento la tua pratica.
Non sai quando il tuo corpo sparirà o sarà buono per i vermi: evita di lasciarti
distrarre dalle apparenze.
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Relazioni e amicizie sono come uccelli sul ramo di un albero: non restarvi
attaccato.
La fede è una base eccellente: non lasciarla fra le immondizie delle emozioni
negative.
Questa forma umana è come una gemma che esaudisce i desideri: odiando, non
lasciarla in mano al nemico.
Il Samaya è il nostro guardiano, non contaminarlo con le azioni negative.
Mentre il Maestro del Vajra è ancora fra noi, non abbandonare il Dharma alla
pigrizia.

Il segno di aver ben meditato su queste cose è sentirsi come Geshe Langri
Thangpa. Un giorno, il suo attendente gli rivelò un nomignolo con cui la gente lo
aveva soprannominato: "Langri Thangpa dalla faccia triste".
"Come posso avere un viso allegro e luminoso, quando ancora penso alle
sofferenze dei tre mondi del sams ra?", replicò il Geshe.
Si dice infatti che egli sorrise una sola volta nella sua vita. Egli scorse un topo che
tentava di trasportare un turchese poggiato sul suo mandala. Il roditore, non
potendo sollevare la pietra, chiamò in aiuto un suo simile. Sicché, l'uno spingeva la
pietra e l'altro la tirava. A quel punto Langri Thangpa sorrise.
La meditazione sulle sofferenze del sams ra è la base e il supporto di tutte le
buone qualità del sentiero e volge la nostra mente verso il Dharma. Essa ci
persuade sulla legge di causa ed effetto in tutte le sue forme e ci fa abbandonare le
preoccupazioni mondane suscitando amore e compassione per tutti gli esseri.
Il Buddha stesso, indicando l'importanza del riconoscere la sofferenza, diede inizio
a ciascuno dei tre cicli di insegnamento con queste parole: "Monaci, questa vita è
sofferenza."
Si metta in pratica il contenuto di questo capitolo fino ad essere persuasi della
realtà di tutto ciò.

Vedo che il sams ra è sofferenza, ma ancora lo desidero,


Percepisco gli abissi dei reami inferiori, ma continuo a peccare.
Benedici me e tutte le persone smarrite come me
Affinché si possa davvero rinunciare alle cose di quaggiù.

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Premessa al capitolo quarto (a cura del Traduttore)
Numerosi passi dei paragrafi I e II di questo capitolo possono suscitare una comprensibile
perplessità e a nostro avviso vanno opportunamente chiariti. Si tratta perlopiù degli esempi relativi
alle azioni negative da evitare. Nel paragrafo relativo all’atto di uccidere, ad esempio, accanto al
divieto, per noi comprensibile, di uccidere esseri umani in guerra o di macellare animali, si cita
anche l’eventualità di uccidere involontariamente insetti o altri esseri microscopici. Allo stesso
modo, nel paragrafo sull’atto del rubare, si considera il commercio come una attività irredimibile
che “inevitabilmente conduce a commettere tutte le dieci azioni negative”. Questi ed altri
numerosissimi esempi (l’allevatore che, tosando una pecora, uccide gli insetti presenti nel vello; il
contadino che, irrigando il campo, provoca l’annegamento delle piccole bestie annidate nei solchi)
danno l’impressione che, non solo gli atti che di solito riteniamo negativi, ma forse qualunque atto
conduca inevitabilmente alla rinascita nei livelli più bassi dell’esistenza. A pensarci bene, anche i
capitoli precedenti forniscono talvolta una visione pessimistica della vita ordinaria, come nel caso
della critica spietata che il Capitolo Terzo muove verso i cattivi sentimenti che si sviluppano in
ambito familiare o nelle amicizie e la visione funesta, fornita dallo stesso capitolo,
dell’impermanenza e della morte.
Ritornando agli esempi sulle azioni negative, un modo per superare l’avversione causata da
alcuni passi di questo capitolo è considerare il fatto che esso non costituisce un semplice decalogo
pratico di divieti e prescrizioni.
Il capitolo infatti si intitola “Karma, il principio di azione ed effetto”. Ora, la parola “karma” ha in
sanscrito una accezione molto estesa, equivalente al nostro termine “azione”; ed è l’intera
estensione del suo significato che dovremmo tenere presente.
L’autore del testo esprime la visione onnicomprensiva tipica del Buddismo, in cui si supera la
comune distinzione tra azione individuale buona o cattiva. Egli pertanto giunge a distinguere tra
“azione” (buona o cattiva) compiuta con i mezzi ordinari (vivere, far la guerra, lavorare, distruggere,
amare, sposarsi e così via) e l’ “azione” buona per eccellenza, ossia seguire un maestro e praticare
il Dharma.
Per tale motivo, egli include fra le azioni negative (ordinarie) non solo quelle ragionevolmente
evitabili da parte di chi intende migliorare se stesso e proteggere gli altri esseri, ma anche le azioni
ordinarie che la mente non illuminata non considera negative e che spesso sono indispensabili alla
nostra sopravvivenza e perciò non sono affatto evitabili. Queste ultime danno appunto l’idea che
per una mente illuminata che domina le cause e gli effetti più riposti e inafferrabili, nessuna azione
è in realtà esente da qualche effetto negativo. Pertanto, non basta semplicemente astenersi dalle
azioni negative evitabili e perseguire le azioni positive. L’unico modo per porre definitivo rimedio
anche agli errori inevitabili è la pratica del Dharma, l’ “azione” per eccellenza, pura ed esente da
involontari effetti negativi. Con essa, non solo si acquisisce la visione pura che consente di scoprire
la natura insoddisfacente del ciclo delle esistenze, ma si rende possibile anche alle persone
ordinarie trasformare tutte le azioni comuni in pratica costante.
Non dunque puro e semplice elenco di divieti per l’uomo ordinario, ma espressione della visione
della mente illuminata per mezzo di immagini ed esempi. In realtà, tutto il testo di Patrul Rinpoche,
anche nei momenti di apparente pessimismo presenti negli altri capitoli, si confà a questa
possibilità di interpretazione. Esso infatti intende spingere la nostra mente offuscata verso una
visione più chiara della realtà, facendoci soffermare sui più impercettibili palpiti di vita degli
animali, sull’imprevedibilità della condotta umana, sulla reale sofferenza di tutti gli esseri,
mostrandoci lo sguardo attento e compassionevole con cui la mente illuminata si sofferma su ogni
cosa. Pensare che ciò debba implicare una condotta rigidamente controllata e attenta al minimo
errore vuol dire snaturare l’essenza stessa dell’illuminazione. La mente illuminata non è rigida, ma
neanche si volta dall’altra parte di fronte alla sofferenza e alla morte di tutti gli esseri, pur se la
somma ripugnante di queste morti e sofferenze sembra al di là delle nostre forze. Essere
compassionevoli, implica davvero il doversi armare di un coraggio sovrumano:

Avvicina ciò che trovi ripugnante


Aiuta chi pensi non si possa aiutare
Non vedere le cose come appaiono
Visita i luoghi che ti fanno paura.
(Machik Labdrön)

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CAPITOLO QUARTO

Karma: il principio di causa ed effetto

Hai rinunciato al male per seguire il bene, come insegna la dottrina su causa ed
effetto.
Le tue azioni si confanno alle diverse parti del Veicolo.
La tua visione è libera dagli attaccamenti.
Maestro impareggiabile, ai tuoi piedi mi prostro.

Questo capitolo merita di essere esposto e studiato con la stessa attitudine degli altri.
L’argomento è stato suddiviso in tre paragrafi sulle azioni negative da abbandonare, le
azioni positive da adottare e le qualità universalmente determinanti delle azioni.

I. AZIONI NEGATIVE DA ABBANDONARE

La rinascita nei reami superiori o inferiori del sams ra è determinata dalle azioni
positive o negative accumulate. Il sams ra stesso è un prodotto di tali azioni e
consiste interamente degli effetti di queste ultime. Il nostro destino pertanto non è
affidato al caso, ma sono le azioni e niente altro che queste a condizionarlo facendoci
pervenire alle dimensioni più elevate o a quelle più infime dell’esistenza. In ogni
momento perciò è bene esaminare gli effetti delle azioni negative e positive, cercando
di evitare le prime e di perseguire le seconde.

1. Le dieci azioni negative da evitare

Delle dieci azioni negative da evitare, tre vengono commesse col corpo, ossia
uccidere, rubare e avere una condotta sessuale scorretta. Quattro vengono commesse
con la parola, ossia mentire, seminare discordia, parlare in modo offensivo e
abbandonarsi a chiacchiere inutili. Tre infine vengono commesse con la mente, ossia
provare cupidigia, desiderare il male altrui e avere opinioni errate.

UCCIDERE
Uccidere è agire intenzionalmente in modo da togliere la vita ad un altro essere, non
solo del regno umano, ma anche di quello animale o di altri stati dell’esistenza.
Un tipo di uccisione causata dall’odio è abbattere un nemico in battaglia. Un tipo di
uccisione causata dal desiderio è cacciare un animale per cibarsi delle sue carni o
indossarne la pelle. Un tipo di uccisione causata dall’ignoranza è togliere la vita senza
avere la cognizione né delle conseguenze, né della natura malvagia dell’atto compiuto.
Alcuni t rtika, ad esempio, sacrificano delle vite credendo di realizzare un’opera
virtuosa.
Le uccisioni chiamate “atti dalla retribuzione immediata” causano un’immediata
rinascita nei regni infernali senza passare per lo stato intermedio. Tre esempi di
queste sono: uccidere il padre, uccidere la madre e uccidere un Arhat.36
L’atto di uccidere non consiste soltanto nel togliere la vita con le proprie mani in
modo intenzionale, ma anche, ad esempio, lo schiacciare innumerevoli insetti quando
si cammina. In questo senso, nessuno di noi, che sia saggio o ignorante, fragile o
potente, è immune da tale fatalità.
Vi sono altri casi di responsabilità indiretta sulle uccisioni di esseri viventi. I lama ed i
monaci in visita ai loro benefattori vengono spesso ristorati con carni e sangue di
44
animali appositamente macellati e cucinati. Tale è la predilezione da parte dei religiosi
per quelle pietanze, che essi le divorano con gusto senza il minimo rimorso. In simili
casi, le conseguenze karmiche della macellazione ricade senza distinzione sia sui
benefattori che sui loro ospiti.
I viaggi di ufficiali governativi e di altre personalità di rango sono anch’essi causa
indiretta di macellazione di animali, che vengono serviti ai banchetti e ai ricevimenti in
loro onore. Le persone agiate di solito uccidono una quantità di bestie, non solo
animali selvaggi, ma anche i componenti del loro bestiame, che non muoiono mai di
morte naturale, ma vengono macellati uno dopo l’altro secondo l’età. In più, queste
stesse bestie uccidono durante il pascolo innumerevoli insetti, mosche, piccoli pesci e
rane, inghiottiti con l’erba, schiacciati sotto gli zoccoli o soffocati dai loro escrementi.
Le pecore in particolare, si trovano a determinare molteplici cause karmiche negative
sia per esse che per i loro proprietari. Esse infatti inghiottono indistintamente
qualunque cosa, fra cui anche piccoli animali come rane, serpenti e uccelli appena
nati. D’estate, durante la tosatura, gli innumerevoli insetti nascosti nel loro vello
periscono in molti modi. Le pecore femmine vengono utilizzate per partorire agnelli e
per produrre latte fino a che in vecchiaia vengono macellate per la carne e la pelle.
D’inverno, alla nascita degli agnelli, metà di questi vengono immediatamente uccisi. I
montoni invece, castrati o meno, vengono macellati appena raggiunta la maturità.
Ogni animale ucciso ospita poi innumerevoli pidocchi che periscono assieme a lui. Da
tutti questi esempi, si comprende che chiunque possieda un gregge di cento o più
animali è certamente destinato ad almeno una rinascita nei regni infernali.
Ad ogni matrimonio, la partenza della sposa e della sua dote dalla casa di origine,
così come la loro accoglienza nella famiglia dello sposo, vengono accompagnate da
molteplici macellazioni di pecore. Allo stesso modo, ogni volta che la sposa renderà
visita ai suoi genitori, altri animali verranno uccisi. Per giunta, quando verrà invitata
da amici e parenti a dei pasti in cui la carne non viene servita, lei disdegnerà quelle
pietanze, consumandole a fatica come se non sapesse più masticare. Se invece, dopo
aver uccisa una grassa pecora, le verrà presentato un grosso mucchio di costole e
trippa, quel mostro dalle gote arrossate coscienziosamente siederà dinanzi ad esse e,
brandendo il suo piccolo pugnale, le trangugerà facendo schioccare le labbra. Il giorno
dopo, come un cacciatore di ritorno dalle sue fatiche, lei si metterà in viaggio
trascinandosi il resto della carcassa sanguinolenta: ogni volta infatti che la sposa esce
di casa, si fa in modo che essa non resti mai a mani vuote.
I bambini sono a loro volta causa di morte per numerosi animali. Durante i loro giochi
infatti, essi li uccidono intenzionalmente o meno. Si pensi solo a quanti insetti
soccombono quando d’estate essi vagano per i campi battendo il suolo con una frusta
di cuoio o un bastone di salice.
Tutti gli esseri umani, dunque, come degli orchi, trascorrono la vita uccidendo altre
creature. Al solo scopo di gustarne le carni, togliamo la vita ad animali che come
madri ci hanno servito in tutti i modi nutrendoci col loro latte. Siamo dunque peggio di
orchi.
L’atto di togliere la vita ad un altro essere può dirsi completo se sono presenti i
quattro elementi che costituiscono un’azione negativa. A titolo di esempio,
consideriamo un cacciatore che uccide un animale selvatico. Anzitutto, avvistando un
daino, un cervo muschiato o qualunque altra preda e identificando l’animale senza
ombra di dubbio, egli ricade nell’elemento base di quell’atto. In seguito,
determinandosi ad uccidere un essere vivente, egli ricade nell’intenzione che precede
e mette in opera l’atto. Dopo di ciò, egli, colpendo l’animale in un punto vitale,
effettua la vera e propria esecuzione dell’atto. Infine, quando le funzioni vitali
dell’animale cessano e la congiunzione tra il corpo e la mente della bestia viene
troncata, ha luogo il compimento dell’atto di uccidere.
Un altro esempio è la macellazione di una pecora provocata dal suo proprietario per
cibarsi della sua carne. Per prima cosa, il padrone di casa si rivolge ad un suo
servitore o a un macellaio per eseguire l’atto. La base in tal caso consiste nel fatto che
il proprietario è a conoscenza che il suo atto sarà rivolto contro una creatura
45
senziente, ossia, la pecora. L’intenzione, l’idea stessa di uccidere, si manifesta nel
momento in cui egli decide che una data pecora piuttosto che un’altra seguirà la sorte
da lui stabilita. L’esecuzione concreta dell’atto ha luogo invece quando il macellaio
afferra il cappio per catturare la pecora che dovrà essere uccisa e lo lancia sul dorso
dell’animale legando le sue zampe con corregge di cuoio. Dopodiché, dopo averla
immobilizzata, egli soffoca la pecora con una corda attorno al muso. Nella violenta
agonia della morte, l’animale cessa di respirare mentre i suoi occhi sbarrati, versando
delle lacrime, si offuscano tingendosi di una sfumatura bluastra. Il suo corpo viene poi
trascinato fuori per essere portato a casa del proprietario, dove avvengono le fasi
terminali della sua uccisione, ossia, il compimento di essa. Immediatamente la bestia
viene scorticata con un coltello mentre le sue carni ancora hanno dei sussulti per la
presenza dell’energia che non ha ancora abbandonato il corpo. È come se l’animale
fosse ancora vivo. Nonostante ciò, esso viene arrostito sul fuoco o cotto in una pentola
per essere divorato. Se si riflettere sul fatto che la pecora viene in pratica mangiata
viva, si comprenderà che noi umani non siamo altro che animali predatori.
Supponiamo di avere l’intenzione di uccidere un animale, oppure di affermare di
avere in animo di farlo, senza che però in conseguenza di ciò abbia luogo una
uccisione effettiva. In tal caso, la base, cioè la conoscenza che il nostro atto è rivolto
contro un essere senziente, e l’intenzione, l’idea di uccidere quell’essere vivente, sono
entrambi presenti. Perciò, anche se le condizioni successive che determinano
l’uccisione concreta non avranno luogo, la messa in atto delle prime due provocherà
anch’essa delle conseguenze, seppur meno gravi; mentre l’impronta di tale azione
negativa, come un riflesso che appare in uno specchio, certamente rimarrà nel destino
della persona che l’ha commessa.
Se invece l’uccisione viene effettivamente portata a termine, si tenga presente che le
conseguenze karmiche relative a chi si è solo fatto carico di ordinare quell’atto non
saranno meno rilevanti di quelle che toccheranno al suo esecutore materiale. Tutti
coloro che a vario titolo ne sono coinvolti, persino chi si è limitato a provare piacere
alla vista di ciò che accadeva, ne subiranno le inevitabili conseguenze. Tali effetti
karmici, infine, non saranno distribuiti secondo le diverse responsabilità di ciascuno,
bensì ogni individuo subirà la pena derivante dall’intero processo dell’uccidere.

RUBARE

Impossessarsi di ciò che non ci appartiene può essere un’azione compiuta secondo
tre modalità: impossessarsi con la forza, furtivamente o con l’inganno.
Impossessarsi con la forza. La sopraffazione è l’atto, da parte di persone potenti
come re o governanti, di annettersi proprietà o possedimenti senza averne il diritto
legale. Ciò può avvenire anche con l’aiuto di numerose persone, come nei bottini di
guerra.
Impossessarsi furtivamente. Indica il prendere possesso in segreto, come un ladro,
senza essere visti da altri.
Impossessarsi con l’inganno. Implica l’uso di bugie e sotterfugi, come ad esempio
l’uso di pesi e misure contraffatti durante un affare commerciale.
Al giorno d’oggi l’inganno o la truffa nel commercio e nelle transazioni finanziarie
sono comunemente tollerati finché non ci toccano personalmente o non assumono una
evidenza eccessiva. In realtà il profitto ottenuto con la frode è un furto vero e proprio.
Allo stesso modo, i lama e i monaci che oggi si dedicano senza alcun ritegno ad
attività commerciali, fieri della loro abilità, trascorrono l’intera vita in queste cose
debilitando gravemente la loro mente. L’assorbimento in tali occupazioni indebolisce la
loro inclinazione allo studio e alla purificazione degli ostacoli alla liberazione, lasciando
sempre meno tempo disponibile per queste cose. Durante le ore del giorno fino a
notte fonda essi esaminano i loro conti, mentre ogni idea di devozione, rinuncia o
compassione si sradica dalle loro menti sopraffatte da costanti pensieri illusori.

46
Jetsun Milarepa giunse di notte presso un monastero, addormentandosi di fronte alla
porta di una cella. Il monaco che viveva all’interno giaceva a letto pensando al modo
in cui avrebbe venduto la carcassa di una vacca che avrebbe macellato l’indomani: “La
testa mi renderà tanto…la scapola costerà tanto…la spalla tanto…i garretti e gli stinchi
tanto…”pensava calcolando il valore delle singole parti esterne e interne dell’animale.
All’alba, dopo una notte insonne, egli calcolato che ebbe il prezzo di tutto eccetto la
coda, si alzò eseguendo le sue devozioni e le offerte dei torma.
Quando il monaco uscì dalla cella si imbatté in Jetsun che ancora dormiva; sicché,
rimproverandolo con disprezzo, disse: “Pretendi di essere un praticante del Dharma e
ancora dormi? Non hai recitato o praticato nulla finora?”
“Di solito non mi capita di dormire così” rispose Jetsun Mila, “ma il fatto è che ho
trascorso l’intera notte pensando a come avrei venduto una vacca che oggi avrei
macellato. Mi sono addormentato appena pochi minuti fa.” Così, rivelando la segreta
insensatezza del monaco, egli abbandonò il monastero.
I monaci di oggi, simili al personaggio di questo racconto, trascorro la notte e il
giorno nei loro interminabili calcoli finché la morte non li sorprende con la mente
totalmente immersa nell’illusione. Il commercio inoltre implica una serie di azioni
negative correlate. Chi ha da vendere merce scadente, ad esempio, tenta in tutti i
modi di mascherare la cattiva qualità dei suoi articoli. A tale scopo, egli è costretto a
mentire sostenendo, ad esempio, che un precedente compratore aveva già offerto una
data somma, da lui rifiutata, oppure di aver a sua volta acquistato quei beni ad un
prezzo esagerato. Tentando poi di accaparrarsi un articolo già conteso fra due
acquirenti, egli ricorre alla calunnia per seminare discordia fra le parti. Oppure parla in
modo offensivo per screditare la merce altrui o per estorcere un debito. Con le sue
chiacchiere insulse egli tenta di ottenere beni a prezzi ridicoli o mercanteggia il prezzo
di cose che poi non ha nessuna intenzione di acquistare. Egli invidia e brama le cose
altrui tentando di procurarsele ad ogni costo. Si augura la sfortuna dei suoi
concorrenti mancando sempre di ottenere il meglio da essi. Se infine commercia in
bestiame, egli è anche coinvolto nelle conseguenze relative all’uccisione di animali. Il
commercio dunque presuppone il coinvolgimento in tutte le dieci azioni negative,
anche se non implica necessariamente quelle relative alle idee distorte e alla condotta
sessuale disordinata. Sicché, quando gli affari vanno male, dopo aver perso tutte le
loro risorse, i commercianti terminano i loro giorni nella miseria dopo aver causato
danni a sé e agli altri. Se invece hanno qualche successo, essi, pur accumulando
ricchezze come Vai ravana, non si accontentano mai dei loro guadagni e continuano a
provare piacere nei loro nefasti affari. Alla fine, aprendosi dinanzi a loro le porte della
morte, essi si battono il petto in preda all’angoscia comprendendo che la loro vita,
interamente spesa in simili ossessioni, è come un peso che li trascinerà nei reami
inferiori dell’esistenza.
Niente è più efficace del commercio e gli affari nell’accumulare nella nostra vita azioni
eternamente dannose e contaminanti. Tali occupazioni riempiono la nostra mente di
incessanti riflessioni su come imbrogliare il prossimo. È come esaminare una
collezione di pugnali, asce e lance in cerca dell’arma più tagliente. Rimuginando di
continuo pensieri negativi, ci distogliamo dall’ideale del bodhicitta e della compassione
per moltiplicare all’infinito i nostri atti perniciosi.
Come nel caso delle altre azioni negative, l’atto di impossessarci di ciò che non ci
appartiene può essere rafforzato o meno dalla presenza variabile dei quattro elementi
che lo costituiscono. In ogni caso, qualsiasi tipo di partecipazione ad esso, persino una
semplice offerta di provviste a ladri o razziatori, è sufficiente a condividere gli effetti
delle azioni da questi commesse.

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CONDOTTA SESSUALE SCORRETTA

Le regole che seguono sono a beneficio dei soli laici. In Tibet, durante il regno del Re
del Dharma Songtsen Gampo, fu promulgata la legge ispirata alla dottrina delle dieci
azioni positive. Essa comprendeva sia regolamenti destinati ai laici, sia norme
dedicate alle comunità religiose. In questo paragrafo segnaliamo solo le restrizioni
destinate ai laici che, come padroni di casa, dovrebbero seguire un’etica appropriata al
loro ruolo. D’altra parte, monaci e monache sono del tutto interdetti da ogni atto
sessuale.
L’azione più grave in questo ambito è lo spingere qualcuno a rompere i voti. Vengono
poi incluse altre azioni associate a determinate persone, luoghi o circostanze: la
masturbazione, le relazioni con persone sposate o già legate a qualcuno, l’atto
sessuale in pubblico, durante un voto temporaneo, durante una malattia, un pericolo,
una gravidanza, una convalescenza dopo un parto, un lutto, un periodo mestruale.
Sono inoltre vietati gli atti sessuali in presenza di una immagine dei Tre Gioielli, le
unioni coi parenti, coi bambini in età pre-puberale, l’uso della bocca e dell’ano e così
via.

MENTIRE

Vi sono tre tipi di menzogne: ordinarie, gravi e quelle proferite da falsi lama.
Menzogne ordinarie. Includono tutte le affermazioni non vere pronunciate con
l’intenzione di ingannare il prossimo.
Menzogne gravi. Sono affermazioni quali l’inesistenza dei benefici legati alle azioni
positive e dei danni in conseguenza di quelle negative, oppure la negazione dei Campi
di Buddha, delle sofferenze dei reami inferiori o delle qualità dei Buddha. Queste
menzogne sono ritenute più gravi in quanto il loro potere corrompente è più
devastante.
Menzogne proferite da falsi lama. Includono tutte le pretese di possedere doti o
abilità quali l’aver raggiunto il livello dei Bodhisattva o il possedere la chiaroveggenza.
Dal momento che ai nostri giorni gli impostori hanno maggiore influenza sui pensieri e
le azioni umane conseguendo un successo maggiore dei veri lama, è sempre più
diffusa l’abitudine a dichiararsi maestri o siddha nel tentativo di ingannare il prossimo.
I racconti che riguardano fenomeni quali la visione di spiriti o divinità ai quali
sarebbero state elargiti, rispettivamente, castighi e offerte, sono per la maggior parte
bugie di falsi lama. Si faccia dunque attenzione a non cadere nella trappola di queste
chiacchiere di vani ciarlatani. Per evitare conseguenze in questa ed altre vite, è
importante riporre la nostra fiducia in maestri ben conosciuti il cui comportamento
umile e compassionevole è coerente con la loro intima natura.
In generale, è possibile che persone ordinarie possano avere doti di chiaroveggenza
di origine non spirituale che si manifestano in modo intermittente e senza alcuna
continuità. La pura chiaroveggenza, propria a coloro che hanno raggiunto livelli
sublimi di realizzazione, è al contrario molto difficile da ottenere.

SEMINARE DISCORDIA

È possibile seminare discordia apertamente o in segreto.


Apertamente. Si tratta di una strategia spesso usata da coloro che detengono una
qualche autorità. Consiste nell’incrinare i rapporti fra due persone parlando in loro
presenza e riferendo ad una delle due ciò che l’altra ha detto alle sue spalle. Il passo
successivo è rivelare le azioni o le parole che uno dei due ha compiuto o detto ai danni
dell’altro, magari chiedendo il motivo per cui, nonostante ciò, le due persone
continuino a comportarsi amichevolmente.
In segreto. Vuol dire provocare la separazione fra due persone amiche riferendo ad
una delle due, di nascosto all’altra, ciò che l’altra persona avrebbe detto su di lei in
barba alla stima che quest’ultima nutriva nei suoi confronti.
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La variante peggiore di questo tipo di azione è seminare discordia fra membri del
Sangha, in particolare, fra un maestro del Mantray na Segreto e i suoi discepoli o fra
la cerchia di fratelli e sorelle spirituali.

PARLARE IN MODO OFFENSIVO

Consiste ad esempio nel rimarcare apertamente i difetti fisici di qualcuno,


chiamandolo monocolo, sordo, cieco e così via, oppure citare i lati negativi di una
persona. Simili azioni, così come tante altre che in genere mettono gli altri a disagio o
ne provocano l’infelicità, possono anche venire eseguite con dolcezza anziché con
parole aspre.
Comportarsi in tal modo nei confronti di un maestro, un amico spirituale o un essere
realizzato è un errore particolarmente grave.

ABBANDONARSI A CHIACCHIERE INUTILI

Si intende con ciò parlare molto senza alcuno scopo. Parlare vanamente di cose che
suscitano desiderio o inimicizia, quali i racconti di prostitute, le canzoni libidinose,
racconti di rapine o guerre, sono una variante di tali comportamenti. In particolare, se
ciò avviene durante la recita di preghiere o mantra causando la distrazione di coloro
che vi sono impegnati, il danno è più grave in quanto impedisce loro l’accumulo dei
meriti.
I pettegolezzi che sembrano prodursi con tanta naturalezza fra le persone sono, a
ben guardare, motivati da rabbia o desiderio. La gravità di tale comportamento è
perciò commisurata alla proporzione di tali sentimenti presenti nella mente.
Mescolare vane chiacchiere alla recita di mantra o preghiere impedisce a questi
ultimi, per quanto prolungati essi siano, di produrre alcun effetto positivo. Ciò è vero
soprattutto per le maldicenze che tipicamente circolano nelle riunioni del Sangha. Un
solo fomentatore di pettegolezzi può causare la distruzione dei meriti di una intera
congregazione, vanificando gli atti meritori dei loro benefattori e patroni.
Nella nobile terra d’India solo coloro che avevano raggiunto le realizzazioni più
complete ed erano perciò liberi da dannose imperfezioni avevano il diritto di utilizzare i
fondi donati al Sangha. Il Buddha non permetteva a nessun altro di occuparsene. Oggi
chi ha appreso due o tre rituali tantrici e inizia a diffonderli si sente in diritto di fare un
uso improprio di qualsiasi offerta sia in grado di reperire. Ricevere offerte per eseguire
in modo meccanico i rituali tantrici alla stregua di uno stregone bönpo, senza aver
ottenuto alcun potenziamento spirituale, né aver soddisfatto tutti i samaya, né aver
padroneggiato le fasi di creazione e compimento della via tantrica o aver completato
la recita di tutti i mantra richiesti, è una trasgressione grave. L’uso di queste donazioni
improprie è paragonabile all’ingestione di una pillola infuocata. Le persone ordinarie
che avranno preso parte a tale trasgressione senza la protezione fornita dall’aver
completato le fasi di creazione e compimento della via tantrica, saranno anch’esse
bruciate e distrutte. È stato detto infatti:

Le offerte improprie sono letali come rasoi affilati:


Esse dapprima consumano e poi recidono l’arteria vitale della auto-liberazione.

Privi della minima dimestichezza con le due fasi della meditazione, queste persone
conoscono appena le parole dei rituali e non si preoccupano di recitarle nel modo
opportuno. Peggio ancora, quando viene il momento di pronunciare il mantra, ossia al
culmine del rituale, si abbandonano alle chiacchiere dando inizio ad un flusso
ininterrotto di maldicenze piene di rabbia e attaccamento che dura fino al termine del
rito. Ciò è disastroso per se stessi e gli altri. I lama e i monaci dovrebbero dunque
abbandonare questo genere di conversazioni concentrandosi sul rituale.

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PROVARE CUPIDIGIA

Si intende per cupidigia ogni genere di pensiero, per quanto moderato, che implichi
desiderio e possessività nei confronti di beni altrui. Immaginando quanto sarebbe
piacevole che tali proprietà fossero nostre, ci figuriamo continuamente di possederle,
inventando piani per appropriarcene e così via.

DESIDERARE IL MALE ALTRUI

Ciò include ogni pensiero malevolo nei riguardi del prossimo. Ad esempio, il
rimuginare con rabbia o odio sul modo migliore per danneggiare qualcuno, provando
disappunto per la sua prosperità o successo, desiderando che il suo benessere si
riduca, che sia meno felice o meno dotato di talento, oppure provando piacere quando
gli accade qualcosa di spiacevole.

AVERE OPINIONI ERRATE

Per “opinioni errate” si intendono sia l’idea che le azioni non producono effetti
karmici, sia le teorie eternaliste e nichiliste. 37
Secondo la prima di queste visioni fallaci, le azioni positive non arrecano alcun
beneficio, mentre quelle negative non danneggiano nessuno. Le seconde includono
invece tutti i trecentosessanta ingannevoli punti di vista e le sessantadue visioni
errate sostenuti dai t rtika, che possono essere sintetizzate nelle due categorie
dell’eternalismo e del nichilismo.
L’eternalismo crede in un sé permanente e in un creatore dell’universo eternamente
esistente, come vara o Visnu. Il nichilismo ritiene al contrario che tutte le cose
sorgono da se stesse e perciò non esistono né vite passate e future, né karma, né
liberazione dal sams ra, né libertà dalle oscurità della mente. Come recita la dottrina
dell’ vara Nero:

Il sorgere del sole, il flusso discendente delle acque,


La rotondità del pisello, il bordo ruvido di una spina tagliente,
La bellezza dell’occhio iridescente della coda del pavone:
Nessuna di queste cose è stata creata, bensì è sorta per natura.

I sostenitori del nichilismo ritengono che il sorgere del sole, così come la pendenza
del corso di un fiume non sono causati dalla volontà di qualcuno. Allo stesso modo,
nessuno ha appallottolato il pisello per arrotondarlo, né ha mai affilato le lunghe e
taglienti spine dei rovi. L’occhio multicolore della coda del pavone non è opera di un
pittore. Tutte le cose piacevoli o spiacevoli, buone o cattive di questo mondo sono
perciò determinate dalla loro stessa natura. I fenomeni sorgono dunque in modo del
tutto spontaneo. Il karma, le vite passate e quelle future non esistono.
Prendere in considerazione e aderire ai testi che professano tali dottrine oppure
semplicemente credere che le parole del Buddha, le istruzioni dei maestri e i
commenti alla dottrina siano errati e pertanto metterli in dubbio e criticarli, sono tutte
azioni che rientrano nel contesto delle visioni errate.38

Fra le dieci azioni negative, l’uccidere e l’avere opinioni errate sono ritenute le
peggiori. Si dice infatti:

Non vi è azione peggiore del togliere la vita;


Dei dieci atti non virtuosi, il più nefasto è l’avere opinioni errate.

Non vi è nessun essere, eccettuato che nei reami inferiori, che non indietreggi di
fronte alla morte o non tenga conto della propria vita come della cosa più preziosa di
tutte. Distruggere una vita è dunque un atto particolarmente crudele. Nel tra del
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Sublime Dharma del Limpido Raccoglimento, si afferma che una vita da noi sottratta
all’esistenza verrà ripagata con cinquecento delle nostre vite. Inoltre, l’uccisione di un
singolo essere porterà come conseguenza il dover trascorrere un intero kalpa
intermedio nei regni infernali.
Ancora peggio è giustificare un atto efferato qual’è l’uccidere con il pretesto di
compiere un’opera meritoria come il comporre una rappresentazione dei Tre Gioielli.
Padampa Sangye ha affermato:

Innalzare un supporto per i Tre Gioielli mentre si causano mali e sofferenze


È come gettare al vento la nostra prossima vita.

Ugualmente sbagliato è tenere per buona l’azione di togliere la vita ad animali


offrendo la loro carne e il loro sangue ai lama ospitati presso di noi o ad una
assemblea di monaci. In tal caso, gli effetti negativi dell’uccidere ricadrà su coloro che
offrono e su quelli che accettano un simile dono. Non si tratta infatti di dispensare un
nutrimento, ma di compiere un’offerta impura; così come chi riceve tale offerta ne
otterrà un ingiusto ristoro. Se vi è un effetto positivo in tale azione, esso verrà
surclassato dalle sue conseguenze negative. A meno di non avere il potere di
resuscitare all’istante le nostre vittime, non vi è dunque alcuna circostanza in cui l’atto
di uccidere non sia per noi fonte di contaminazione. Se siamo legati a un maestro, tale
gesto sarebbe certamente un forte ostacolo alla vita e alla attività di quest’ultimo. Chi
non ha ancora sviluppato la capacità di trasferire la coscienza degli esseri nello stato
della grande beatitudine dovrebbe perciò fare ogni sforzo per evitare di porre fine alle
vite degli stessi.
L’avere opinioni errate anche per un solo istante, è come rompere tutti i voti
esiliandoci dalla comunità buddista. Ciò implica la negazione delle libertà proprie allo
stato umano nei confronti della pratica del Dharma. Quando la mente è contaminata
da false idee, nessuna buona azione è più capace di condurci alla liberazione e i torti
commessi non potranno più essere purificati con la pratica della confessione.

2. Gli effetti delle dieci azioni negative

Ogni azione negativa produce quattro tipi di effetti karmici: l’effetto che matura
totalmente, l’effetto simile alla causa, l’effetto condizionante e l’effetto proliferante.

L’EFFETTO CHE MATURA TOTALMENTE39

Commettere una qualunque delle dieci azioni negative sotto la spinta dell’odio ha per
effetto la nascita nei regni infernali. Commetterla ispirati dal desiderio, ci farà
rinascere tra i preta, mentre la motivazione dell’ignoranza ci destinerà presso gli
animali. Una volta nati in tali reami, dovremo sopportarne le sofferenze ad essi
specifiche.
Un impulso molto forte quale un desiderio, uno scatto d’ira o una profonda ignoranza
capace di ispirare una prolungata e ininterrotta accumulazione di azioni negative,
causa anch’esso una rinascita negli stati infernali. Se l’impulso e il numero di azioni ad
esso correlate sono inferiori, la rinascita avverrà fra i preta o gli animali.

L’EFFETTO SIMILE ALLA CAUSA

Molti tormenti dei reami inferiori rispecchiano già in qualche modo le azioni passate
che li hanno determinati. In questo paragrafo tuttavia ci riferiamo alla condizione
ulteriore in cui, dopo aver esaurito la permanenza nei reami inferiori provocata dall’
“effetto che matura totalmente”, otterremo una forma umana con cui sperimenteremo
gli “effetti simili alla causa.” Questi ultimi possono essere suddivisi in azioni simili alla
causa ed esperienze simili alla causa.

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Azioni simili alla causa

Si tratta della propensione ad operare lo stesso tipo di azioni che avevano


determinato una causa karmica originaria. Se in passato abbiamo ucciso qualcuno, lo
rifaremo, se abbiamo rubato, proveremo piacere a ripetere questa azione; e così via.
Ciò spiega perché, ad esempio, alcuni sin da piccoli uccidono ripetutamente mosche,
insetti e altri piccoli animali. Tale predilezione corrisponde ad atti simili compiuti nelle
vite anteriori. Dalla culla in poi, infatti, i nostri comportamenti iniziano a modellarsi
sulla spinta delle nostre rispettive cause karmiche, in modo che alcuni si compiacciono
nel togliere la vita, altri nel rubare, altri invece non provano soddisfazione in simili
azioni e preferiscono seguire il bene.
Tali tendenze sono il residuo di azioni passate che determinano effetti simili alla
causa. Per questo motivo, si dice:

Guarda le tue azioni passate e comprenderai chi sei ora.


Guarda dove rinascerai e comprenderai cosa hai fatto oggi.

Gli esseri umani condividono tale destino con gli animali; sicché, ad esempio, l’istinto
assassino del falco e del lupo o la propensione del topo a rubare sono effetti di azioni
passate che ne rispecchiano fedelmente le caratteristiche.

Esperienze simili alla causa

Ciascuna delle dieci azioni negative si risolve in una coppia di effetti che si
manifestano nelle esperienze delle vite successive.
Uccidere. Avere ucciso in una vita precedente non solo abbrevia la nostra vita
presente, ma causa anche frequenti malattie. Il togliere la vita infatti può comportare
per molte esistenze successive l’eventualità di morire subito dopo la nascita. Le morti
di neonati sono ad esempio “effetti simili alla causa” derivanti dall’avere ucciso in
passato. Chi invece sopravvive fino all’età adulta, fin da piccolo viene incessantemente
perseguitato da una serie di malattie che si interrompe solo con la morte. Se si è
afflitti da simili circostanze, è meglio confessare con rammarico le azioni compiute che
cercare di intervenire su ogni singolo problema nel tentativo di risolverlo. Si confessi
perciò facendo voto di rinuncia a tali azioni, mentre, come antidoto agli effetti che ne
derivano, ci si sforzi di intraprendere azioni positive evitando quelle negative.
Rubare. L’aver rubato nelle vite precedenti può causare non solo una condizione di
povertà, ma anche l’inclinazione a subire ruberie, rapine e altre calamità che
disperdono i nostri beni a beneficio di nemici e avversari. Per questo motivo, chiunque
soffra nel presente di scarsità di mezzi farebbe bene ad ottenere almeno un barlume
di meriti derivanti dalla pratica piuttosto che smuovere montagne per conseguire la
ricchezza. Se, a causa della scarsa generosità mostrata nelle vite passate, il nostro
attuale destino non è godere di agiatezza e benessere, nessuno sforzo sarà capace di
modificare questo stato di cose. Si noti poi come coloro che vivono di rapina, pur
accumulando bottini tanto ingenti che nemmeno la terra riuscirebbe a contenere,
spesso finiscono la loro vita nell’indigenza. Per non parlare dei commercianti o di
coloro che si appropriano dei beni del Sangha, i cui guadagni, per quanto
considerevoli, alla lunga non costituiscono per loro alcun profitto. Al contrario, chi
sperimenta gli effetti della generosità operata nelle vite anteriori, senza alcuno sforzo
riesce ad ottenere per molte esistenze i mezzi di sostentamento necessari a
mantenere un buon tenore di vita. Chi dunque si prefigge di ottenere ricchezze, si
dedichi con tutte le sue forze alla carità e alle offerte!
Gli effetti karmici delle azioni negative potrebbero intrappolarci per molti kalpa nei
regni inferiori. Tuttavia, già verso la fine di questa vita subiremo alcuni di tali effetti
che ci renderanno sempre più indigenti e in preda a difficoltà di ogni tipo, perdendo il
controllo anche dei beni che ci restano. Anche se conservassimo un certo benessere,
la nostra avarizia ci farebbe sentire poveri e sfortunati. I nostri beni diverrebbero
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causa di rovine altrui, mentre diventeremo, come i preta, impossibilitati a godere dei
tesori posseduti. Se si guarda da vicino la vita delle persone ricche si nota che chi di
esse non fa uso dei suoi beni né per procacciarsi cibo e vestiti, né per sostenere il
Dharma, che è l’unica fonte di felicità e benessere in questa e nelle altre vite, non fa
che condurre la vita del più povero degli uomini. Questa esperienza, che ricorda
l’esistenza dei preta, rientra negli “effetti simili alla causa” ed è il risultato di una
generosità impura (ossia, non altruistica, ma interessata o abitudinaria) mostrata
nelle vite passate.
Condotta sessuale scorretta. Secondo la tradizione, un comportamento sessuale
impuro comporta l’essere destinati ad avere una sposa poco attraente, ostile e
dissoluta. In una coppia dove proliferano discussioni e litigi, i due sposi si rinfacciano
l’un l’altro il loro cattivo carattere. In realtà entrambi i coniugi stanno sperimentando l’
“effetto simile alla causa” relativo ai loro passati comportamenti impuri. Pertanto,
invece di provare odio reciproco, essi, riconoscendo le azioni che in passato hanno
determinato la situazione attuale, dovrebbero imparare a sopportarsi a vicenda. Il
Signore Padampa Sangye ha detto:

Le famiglie sono fugaci come una folla al mercato;


Popolo di Tingri, non litigate né bisticciate!

Mentire. L’aver mentito in passato comporta non solo il dover subire le critiche e il
disprezzo altrui, ma anche l’essere a nostra volta ingannati con la menzogna. Se ora
siamo biasimati o accusati ingiustamente, ciò è dovuto alle bugie da noi proferite nelle
vite anteriori. Non serve pertanto arrabbiarci o insultare a nostra volta coloro che ci
offendono. Dovremmo invece essere grati a costoro per averci dato la possibilità di
esaurire gli effetti di molte azioni negative. Esultiamo, dunque, pensando a ciò che
disse Rigdzin Jigme Lingpa:

Un nemico che ricambia la vostra bontà con un comportamento perfido


Accelera il vostro successo nella pratica.
Le sue ingiuste accuse sono la sferza che vi addestra alla virtù.
Egli è il maestro che distrugge i vostri attaccamenti e desideri.
La sua immensa generosità è impossibile da ripagare!

Seminare discordia. L’effetto di tale comportamento non implica solo il disaccordo e


la rivalità fra i nostri dipendenti e associati, ma anche il fatto che questi ultimi
mostrano nei nostri confronti un comportamento recalcitrante e polemico. La maggior
parte dei monaci sottoposti a un lama, degli attendenti di un capo o dei servi di una
casa convivono in perenne disaccordo e accettano con riluttanza e insolenza i compiti
assegnati. Se si impone loro una facile, ma noiosa incombenza, i domestici presi a
servizio dalle persone ordinarie fingono di non udire. Il padrone di casa, dopo aver
ripetuto due o tre volte l’ordine impartito, è infine costretto a minacciare o ingiuriare i
suoi servi; i quali, con lentezza e riluttanza, si mettono all’opera senza preoccuparsi di
avvisare il padrone una volta eseguito il compito. Il loro perenne cattivo umore non è
che l’effetto della discordia seminata dal padrone nelle vite anteriori. Costui pertanto
dovrebbe rammaricarsi per le azioni compiute in passato, operando per la risoluzione
dei dissapori che si determinano a discapito suo e di coloro che lo circondano.
Parlare in modo offensivo. Aver offeso qualcuno nelle vite passate comporta che nella
vita attuale, oltre ad essere noi stessi oggetto di insulti e offese, vedremo ogni nostra
parola suscitare continue discussioni.
Offendere gli altri è la peggiore fra le azioni compiute con la parola. Come dice il
proverbio:

Le parole, senza arco né spada, fanno a pezzi la mente.

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Provocare l’odio altrui o, peggio, pronunciare anche una sola parola offensiva
all’indirizzo di un essere venerabile, causa, senza possibilità di scampo, la permanenza
nei reami inferiori per numerose vite. Un racconto narra del bramino Kapila che,
avendo insultato i monaci del Buddha K yapa con nomignoli quali “teste d’asino”,
“teste di bue” e così via, rinacque come mostro marino a diciotto teste. Dopo aver
trascorso un intero kalpa in tale stato, egli poi rinacque negli stati infernali. Una
monaca che invece chiamò una sua consorella “prostituta” fu costretta a fare la
prostituta per undici vite. Storie simili sono presenti in molti altri testi, perciò si impari
a parlare con gentilezza in tutte le circostanze. Inoltre, dal momento che non siamo in
grado di riconoscere un essere venerabile o un Bodhisattva che incrociasse il nostro
cammino, ci si addestri a distinguere le qualità degli esseri puri, imparando a esaltare
con le lodi le doti e le realizzazioni di tali esseri. Pare infatti che criticare o offendere
un Bodhisattva sia peggio che togliere la vita agli esseri dei tre mondi:

Denigrare un Bodhisattva è una colpa più grave


Che uccidere tutti gli esseri che abitano i tre mondi.
Avendo accumulato simili errori, vani e irreparabili, umilmente li confesso.

Abbandonarsi a chiacchiere inutili. L’effetto simile alla causa provocato dalle


chiacchiere inutili è sia la scarsa considerazione in cui saranno tenute le nostre
opinioni, sia la perdita di risolutezza e autostima che subiremo nelle vite successive.
Se anche diremo cose vere, nessuno ci crederà e proveremo insicurezza nel parlare in
pubblico.
Provare cupidigia. I suoi effetti sono la frustrazione di tutte le nostre aspirazioni e il
veder realizzato tutto ciò che non desideriamo.
Desiderare il male altrui. Il suo risultato è una vita trascorsa tra continui pericoli,
reali e immaginari.
Avere opinioni errate. Ciò provoca sia il persistere in tali opinioni dannose che il
soffrire di raggiri e fraintendimenti prodotti dalla nostra mente.

L’EFFETTO CONDIZIONANTE

L’effetto condizionante influenza l’ambiente dove avverrà la nostra rinascita.


L’atto di uccidere causa la rinascita in terre fosche e cupe, piene di burroni e precipizi
mortali. L’atto di rubare è invece connesso ad aree frequentemente colpite da carestie
dove il gelo e la grandine distruggono i raccolti e gli alberi non producono frutti. Le
condotte sessuali disordinate obbligano a vivere in luoghi repellenti, pieni di sterco,
escrementi, paludi fangose e così via. L’atto di mentire provoca una vita trascorsa
nell’insicurezza e nel panico prodotti dalla mente a seguito di circostanze paurose e
incontri con esseri terrificanti. Seminare discordia ci porta ad abitare regioni difficili da
attraversare e continuamente interrotte da gole e burroni. L’uso di parole offensive
causa la rinascita in luoghi desertici, rocciosi e infestati dai rovi. Le vane chiacchiere
invece sono connesse a territori sterili che, a causa del clima imprevedibile, anche se
coltivati con cura non producono nulla. La cupidigia provoca una vita trascorsa in terre
e climi inospitali forieri di magri raccolti. Il desiderio del male altrui conduce ad una
rinascita fra mille afflizioni in luoghi dominati dalla paura. L’avere idee errate infine ci
condurrà verso un’esistenza prostrata, priva di rifugi e protettori.

L’EFFETTO PROLIFERANTE

L’effetto proliferante è la tendenza a reiterare all’infinito un’azione commessa in


passato. Si comprende come ciò conduca nelle vite future ad una altrettanto infinita
successione di sofferenze in cui le azioni negative proliferano senza posa causando
una incessante migrazione nei regni samsarici.

54
II. AZIONI POSITIVE DA ADOTTARE
In senso generale, le dieci azioni positive sono tutte comprese nell’esprimere il
voto di non commettere alcuna delle dieci azioni negative, quali l’uccidere, il rubare e
così via, avendone compreso gli effetti deleteri.
Non è strettamente necessario fare voti di fronte a un maestro o un precettore.
Assumere dentro di sé l’impegno di non uccidere certi animali o evitare di togliere la
vita a degli esseri in certe circostanze o certi luoghi è già lodevole. Tuttavia, compiere
tali promesse dinanzi a un maestro, un amico spirituale o una immagine dei Tre
Gioielli aumenta il potere di tale risoluzione.
Il semplice evitare di uccidere o di commettere ogni altra azione negativa, non è
abbastanza. Ciò che conta è impegnarsi nel voto di non commetterle a qualunque
costo. In tal modo, i laici incapaci di astenersi dall’uccidere in tutte le circostanze
possono avere dei benefici facendo voto di non togliere la vita per un dato periodo
dell’anno, che sia il primo mese, detto Mese Miracoloso, il quarto, detto Vai kha, ad
ogni luna nuova oppure in un giorno, un mese o un anno particolari.
Nei tempi antichi, un macellaio di villaggio fece voto dinanzi al nobile K ty yana che
non avrebbe ucciso di notte. Egli perciò rinacque in uno degli inferni effimeri, dove di
giorno subiva i tormenti connessi al vivere in una casa di metallo rovente e di notte
invece abitava un palazzo confortevole in compagnia di quattro divinità femminili.
Perseguire le dieci azioni positive vuol dire dunque evitare le dieci azioni negative
praticando le azioni contrarie come antidoti.
Riguardo al corpo, le tre azioni positive sono: (1) rinunciare ad uccidere e proteggere
le vite degli esseri; (2) rinunciare a rubare e praticare la generosità; (3) evitare le
condotte sessuali disordinate e seguire le regole di disciplina.
Le quattro azioni positive che riguardano la parola sono: (1) rinunciare a mentire e
dire la verità; (2) evitare di seminare discordia e risolvere le liti; (3) evitare le offese e
parlare con gentilezza; (4) abbandonare le chiacchiere insulse e recitare preghiere.
Le tre azioni positive condotte con la mente sono: (1) rinunciare alla cupidigia e
addestrarsi nella generosità; (2) evitare di desiderare il male altrui e coltivare il
desiderio di aiutare il prossimo; (3) evitare le opinioni errate e stabilire la salda
convinzione in un punto di vista autentico.
L’ “effetto che matura totalmente” legato a tali azioni è la rinascita nei tre reami
superiori.
L’ “effetto simile alla causa” riguardo all’azione è il provare piacere nel praticare il
bene in modo da incrementare i meriti nelle vite successive.
Gli “effetti simili alla causa” riguardo all’esperienza sono: per aver abbandonato le
uccisioni, una vita lunga con poche infermità; per aver evitato di rubare, prosperità e
assenza di ladri e nemici; per aver evitato condotte sessuali scorrette, una sposa
attraente e pochi rivali; per aver rinunciato a mentire, la lode e la benevolenza di
tutti; per aver evitato di seminare discordia, una cerchia rispettosa di amici e
servitori; per aver rinunciato alle offese, l’ascoltare piacevoli discorsi; per aver
abbandonato le chiacchiere insulse, essere ascoltato con rispetto; per aver evitato la
cupidigia, il compimento di tutti i desideri; per aver rinunciato ai pensieri malvagi nei
confronti del prossimo, la libertà da ogni male; per aver rinunciato alle idee errate, lo
sviluppo di un punto di vista corretto.
L’ “effetto condizionante” è, in ciascun caso, l’opposto di ciò che deriva dalle azioni
negative corrispondenti. Si rinasce, in sostanza, in luoghi dotati di tutte le condizioni
favorevoli.
L’ “effetto proliferante” infine consiste nella tendenza a moltiplicare le azioni positive
dando luogo ad un flusso ininterrotto di buona fortuna.

55
III. LE QUALITÀ UNIVERSALMENTE DETERMINANTI DELLE
AZIONI
L’inconcepibile varietà di soddisfazioni e frustrazioni sperimentate dagli esseri negli
stati più elevati fino a quelli più infimi dell’esistenza, sorgono esclusivamente dalle
azioni positive e negative accumulate in passato. Il tra delle cento azioni afferma:

Gioie e dolori degli esseri


Provengono tutte dalle loro azioni, dice il Buddha.
La varietà delle azioni
Crea la varietà di esseri
E determina le loro differenti migrazioni.
Vasto è infatti l’intreccio di tali azioni!

Qualunque sia la forza, il potere, il benessere o le ricchezze ora possedute, nulla di


tutto ciò ci seguirà dopo la morte. L’unica cosa che porteremo con noi sono le azioni
positive e negative accumulate in vita, le quali ci sospingeranno verso i reami più
elevati o quelli più infimi del sams ra. Nel tra delle istruzioni al re, leggiamo:

Quando viene il tempo di partire, o Re,


nessun bene, amico o familiare ci seguirà.
Invero, da qualunque luogo gli esseri torneranno,
In qualunque luogo essi si dirigeranno,
Le loro azioni li seguiranno come un’ombra.

Gli effetti delle nostre azioni positive o negative, pur non risultando immediatamente
evidenti e identificabili, sono ben lungi dall’essersi esauriti. Ogni azione da noi
commessa, senza alcuna eccezione, mostrerà prima o poi il suo risultato quando le
circostanze lo renderanno possibile.

Anche dopo un centinaio di kalpa


Le azioni degli esseri non andranno perdute.
Quando le circostanze lo permetteranno
Esse matureranno e daranno frutto.

Così afferma il tra delle cento azioni. A sua volta, il Tesoro delle preziose qualità
sostiene quanto segue:

Quando l’aquila si libra in volo, al di sopra della terra,


la sua ombra per un po’ non si vede;
ma l’uccello e la sua ombra sono ancora legati. Così le nostre azioni:
quando le circostanze si ripresentano, i loro effetti sono di nuovo evidenti.

L’uccello che, alzatosi in volo, plana molto in alto nel cielo, non proietta più la sua
ombra al suolo. Ciò tuttavia non vuol dire che l’ombra abbia cessato di esistere. Ogni
volta infatti che l’uccello raggiunge di nuovo la terra, la sua ombra riappare
esattamente come prima. Allo stesso modo, anche se le buone o cattive azioni del
passato possono sembrare al momento un ricordo, esse non mancheranno di rendere
manifeste le loro conseguenze in futuro.
Se persino i Buddha e gli Arhat, che si sono liberati da tutti gli ostacoli della mente e
del karma, accettano di sottostare agli effetti delle loro azioni, tanto più gli esseri
ordinari dovranno farlo.
Un giorno le armate di Vir dhaka, re di vast , raggiunsero la città dei kya 40
massacrando ottomila persone. Persino il Buddha, in quel momento, risentì della

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vicenda soffrendo di un gran mal di testa. Quando i discepoli glie ne chiesero il
motivo, egli rispose:
“Molte vite fa, codesti kya, essendo pescatori, uccidevano e mangiavano molti
pesci. Un giorno, catturati due pesci di grossa taglia, invece di ucciderli li lasciarono
agonizzanti appesi ad un palo. Gli animali, dimenandosi fuori dall’acqua, entrarono in
agonia con questo pensiero: 'Gli uomini ci uccidono senza che noi gli si abbia fatto
alcun male. In compenso, si possa noi un giorno ucciderli senza che essi ci abbiano
fatto alcun male.' Gli effetti dei pensieri di quei due pesci causò la loro rinascita
rispettivamente come il re Vir dhaka e il suo ministro M tropak ra, mentre tutti gli
altri pesci uccisi dai pescatori divennero il loro esercito. Oggi essi hanno massacrato i
kya.
“A quel tempo io stesso, figlio di uno dei pescatori, risi per l’agonia dei due pesci
predisponendo in tal modo le cause del mio attuale mal di testa. Di conseguenza, se
non avessi realizzato le qualità che attualmente possiedo, ora sarei morto anch’io per
mano delle truppe di Vir dhaka.”
In Kashmir viveva un monaco di nome Ravati, attorno al quale si erano radunati
molti discepoli. Egli, dotato di poteri miracolosi e munito del dono della
chiaroveggenza, un giorno, in un fitto bosco, tingeva con lo zafferano gli abiti dei suoi
monaci. In quello stesso momento, un laico dei dintorni, cercando un vitello smarrito e
scorgendo del fumo levarsi dal fitto della foresta, si avvicinò per curiosare. Avendo
visto il monaco che attizzava il fuoco, gli chiese cosa stesse facendo.
“Sto tingendo gli abiti,” rispose il monaco.
L’uomo, sollevato il coperchio del calderone della tintura, vi guardò dentro
esclamando: “Questa è carne!”.
Anche il monaco, a sua volta sportosi ai bordi della pentola, vide che il suo contenuto
era carne.
L’uomo allora trascinò il monaco dinanzi al re dicendo: “Sire, costui ha rubato il mio
vitello. Vi prego di punirlo;” al che il re fece gettare Ravati in una fossa.
Alcuni giorni dopo, la mucca che apparteneva a quell’uomo ritrovò da sola il suo
vitello. Il suo padrone si recò nuovamente dal re pregandolo di rilasciare il monaco,
ma il re, dimenticandosi dell’accaduto, lasciò Ravati per altri sei mesi nella fossa.
Un giorno, un folto gruppo di discepoli anch’essi dotati di poteri miracolosi si
librarono nell’aria planando proprio dinanzi al re.
“Ravati è un monaco puro e innocente,” dissero. “Vi preghiamo di liberarlo.”
Il re, rilasciando finalmente il monaco e constatando il suo stato di forte prostrazione,
fu assalito dai rimorsi: “Avrei voluto accorrere subito da te, e invece ti ho
abbandonato per tutto questo tempo. Ho commesso un peccato orrendo!”
“Non è stato commesso alcun peccato,” rispose il monaco. “È tutto frutto delle mie
azioni.”
“Di quali azioni parli?” chiese il re.
“In una vita anteriore ero un ladro e rubai un vitello. Quando il proprietario venne
presso di me, fuggii lasciando l’animale nei pressi di un pratyekabuddha che meditava
in un boschetto. L’uomo che mi inseguiva acciuffò il pratyekabuddha e lo gettò in una
fossa per sei giorni. Come esito totalmente maturo di questa azione, ho già trascorso
molte vite fra le sofferenze dei reami inferiori, mentre la parte finale di tali sofferenze
è stata la disavventura appena trascorsa.”

Se persino individui eccezionali quali N rjuna hanno sperimentato gli effetti delle
loro azioni passate, come potremmo noi, vagando da un tempo senza inizio nei regni
samsarici e avendo perciò accumulato innumerevoli azioni negative, anche solo
sperare di liberarci dal sams ra? Scampare ad una rinascita nei regni inferiori è già
per noi un’impresa ardua; perciò evitiamo a tutti i costi anche il minimo misfatto
dedicandoci ad ogni sorta di buona azione, per quanto insignificante possa apparire.
Finché non ci applicheremo in tale sforzo, le azioni negative ad ogni istante ci
sospingeranno verso molti kalpa di vita da trascorrere nei regni inferiori. È un grave
errore credere che gli effetti di una azione negativa, piccola quanto si vuole, non
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arrechino un danno molto profondo alla nostra vita. Il Bodhisattva ntideva ad
esempio ha detto:

Se un solo istante di malvagità


Implica un intero kalpa vissuto nel più profondo inferno,
I peccati commessi da un tempo senza inizio-
Mi terranno, inutile dirlo, ben lontano dai reami superiori!

Inoltre, il tra del saggio e del folle afferma:

Non trascurate i piccoli misfatti,


Pensando che siano innocui:
Una sola scintilla di fuoco
Brucia una montagna di fieno.

Allo stesso modo, dal momento che la minima condotta positiva causa enormi
benefici, non si deve sottovalutare alcuna buona azione ritenendola inutile.
Il re M ndh tri fu, in una vita precedente, un uomo che viveva nell’indigenza.
Recandosi un giorno a un matrimonio con un pugno di fagioli in mano, egli incontrò il
Buddha Ks nti arana che attraversava il villaggio. Mosso da intensa devozione, il
pezzente gettò su di lui i suoi fagioli, quattro dei quali caddero nella ciotola delle
offerte del Buddha e due colpirono la sua testa. L’effetto di ciò fu la rinascita di
quell’accattone come imperatore universale del continente Jambu. Per i quattro fagioli
caduti nella ciotola, il suo regno sui quattro continenti durò ottomila anni. Inoltre, uno
dei due fagioli che colpirono la santa testa causò per altri ottomila anni la sua rinascita
come sovrano sui regni dei Quattro Grandi Re; mentre il secondo fagiolo fece sì che
egli condividesse con trentasei reincarnazioni di Indra la loro supremazia sul Cielo dei
Trentatré.
Si dice pure che chi solo si limita a visualizzare il Buddha gettando fiori nel cielo
condividerà un regno di Indra per una durata di tempo difficile da immaginare. Per
questo motivo, il tra del saggio e del folle afferma:

Non tenete in poco conto le piccole buone azioni,


Pensando che difficilmente esse saranno di aiuto:
Le gocce d’acqua, una dopo l’altra,
Col tempo colmano un vaso gigantesco.

Il Tesoro delle preziose qualità a sua volta dice:

Da semi non più grandi di un chicco di mostarda


Il vasto albero ashota in un singolo anno
Cresce tendendo i suoi rami per una lega.
Più grande ancora è la crescita delle buone e cattive azioni.

Il seme dell’albero ashota non è più grande di un chicco di mostarda. L’albero invece
si sviluppa così velocemente che in un solo anno i suoi rami raggiungono la lunghezza
di una lega. Questo esempio tuttavia non è sufficiente per esprimere la crescita
copiosa dei frutti di buone e cattive azioni.
La minima trasgressione ai precetti dà luogo a danni incalcolabili. Un giorno, ad
esempio, Elapatra, re dei n ga, sotto forma di un Imperatore universale fece visita al
Buddha, che lo rimproverò dicendo: “Non ti basta il danno che hai arrecato agli
insegnamenti del Buddha K yapa? Ora vorresti corrompere i miei? Ascolta il Dharma
mostrando il tuo vero aspetto!”
“Se mi mostrassi come sono davvero, troppi esseri mi farebbero del male,” replicò il
ga. Il Buddha allora lo mise sotto la protezione di Vajrap ni, così il n ga si mostrò
nel suo aspetto di orribile serpente esteso per diverse leghe sulla cui testa crebbe un
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grande albero elapatra che lo schiacciò sotto il suo peso e le cui radici brulicanti di
insetti gli causarono terribili sofferenze.
Al Buddha fu chiesto il motivo della forma attuale toccata al n ga e delle sofferenze
che ne derivavano; ed egli così rispose: “Molto tempo fa, nell’era del Buddha K yapa,
costui era un monaco. Un giorno il suo abito, impigliandosi su un grande albero
elapatra che cresceva oltre il sentiero, si sfilò dal corpo del monaco, causando in
quest’ultimo una grande irritazione al punto che, violando i suoi precetti, egli tagliò
l’albero. Oggi assistite all’effetto di quell’atto.”
Riguardo alle azioni, l’intenzione è di gran lunga il fattore determinante per giudicare
se esse possano ritenersi positive o negative, lievi o fatali. Come nell’albero, la radice
curativa o tossica conferisce all’intera pianta le stesse caratteristiche,così le intenzioni
non completamente pure ispirate da rabbia o attaccamento, daranno luogo ad azioni
che, per quanto positive potranno apparire, saranno necessariamente destinate ad un
esito negativo. D’altra parte, l’atto a prima vista negativo ispirato da una intenzione
pura mostrerà di certo i suoi effetti positivi.
Il Tesoro delle preziose qualità afferma:

Se la radice cura, lo stesso fa l’intera pianta.


Se è velenosa, certo anche la pianta lo sarà.
Non è l’apparenza, né l’entità
Che rende un’azione positiva o negativa,
Ma l’intenzione buona o cattiva.

Per questo motivo, talvolta ai Bodhisattva, Eredi dei Conquistatori, è permesso


commettere le sette azioni nocive del corpo e della parola finché la loro mente resta
pura e libera da ogni desiderio egoistico. Ciò è illustrato dalle storie dell’uccisione del
Lanciere Nero da parte del Capitano dal Cuore Compassionevole e del giovane
bramino Amante delle Stelle che ruppe il voto di castità con una bramina sua
coetanea.
Il Buddha fu in una vita precedente un capitano detto Cuore Compassionevole. Egli,
navigando sull’oceano accompagnato da cinquecento mercanti, si imbatté nel pirata
malvagio chiamato Lanciere Nero, il quale minacciò di uccidere tutti i presenti. Il
capitano, guardando le vite passate dei suoi accompagnatori, comprese che, essendo
stati i mercanti dei Bodhisattva, chiunque li avesse uccisi avrebbe sofferto agli inferi
per un incalcolabile numero di kalpa. Mosso da intensa compassione, egli dunque
pensò: “Se uccido il pirata, impedirò che egli finisca agli inferi. Non ho altra scelta:
dovrò farlo anche se ciò comporterà che io stesso diventi un essere infernale.” Armato
del suo grande coraggio, egli uccise il Lanciere Nero, guadagnandosi un numero di
meriti per accumulare i quali sarebbero necessari settantamila kalpa. Il Bodhisattva,
commettendo senza la minima intenzione egoistica l’atto di uccidere, che è un’azione
nociva del corpo, produsse come effetto immediato la salvezza dei cinquecento
mercanti dalla morte, mentre in futuro risparmiò al Lanciere Nero le sofferenze degli
stati infernali. Ciò dimostra che la sua condotta in realtà conteneva un potenziale
altamente positivo.
La storia successiva tratta invece di un bramino, chiamato Amante delle Stelle, che
viveva da molti anni in una foresta perseverando nel suo voto di castità. Un giorno,
mentre egli raccoglieva le elemosine in un villaggio, una ragazza bramina si innamorò
così perdutamente di lui da decidere di uccidersi sapendo che non avrebbe mai potuto
sposarlo. Mosso a compassione, il bramino la ebbe in moglie, guadagnandosi in tal
modo quarantamila kalpa di meriti.
Anche se per tali esseri può essere lecito uccidere o rompere i voti, le azioni
commesse con intenzioni egoistiche e sulla spinta del desiderio, dell’odio o
dell’ignoranza, non sono permesse a nessuno.
Un Bodhisattva dalla mente aperta e priva di desideri egoistici può commettere dei
furti nei confronti di persone ricche e avare in modo che, per il loro beneficio, i beni
sottratti vengano offerti ai Tre Gioielli o siano distribuiti ai poveri.
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È ammissibile la menzogna commessa per proteggere qualcuno che rischia di venire
ucciso o per custodire beni che appartengono ai Tre Gioielli, ma in nessun caso è
permesso ingannare gli altri a proprio vantaggio.
Far nascere inimicizia tra due fratelli per impedire che uno di essi, di buon carattere,
venga corrotto dalla malvagità dell’altro, può essere lodevole, ma non è permesso
provocare la separazione tra due persone amiche.
Le parole offensive possono in alcuni casi essere efficaci per guadagnare al Dharma
coloro che un approccio più gentile non persuaderebbe. Esse possono anche
predisporre un discepolo a guardare ai propri errori nascosti. At a infatti ha detto:

Il maestro migliore fa guerra ai tuoi errori nascosti;


L’istruzione migliore affronta questi ultimi a viso aperto.

Tuttavia, le parole usate solo per insultare il prossimo non possono essere
giustificate.
Un approccio faceto e alla mano può diventare un abile mezzo per introdurre il
Dharma in chi ama la conversazione mondana e non è in grado di recepirlo altrimenti.
Non è al contrario mai permesso creare distrazioni per se stessi e gli altri.
Quanto alle tre azioni negative commesse con la mente, esse non sono permesse in
nessun caso, poiché l’ intenzione che le ispira possiede sempre una certa dose di
negatività. Una volta che un pensiero negativo è sorto, esso infatti reca sempre
conseguenze nocive.

La mente è l’unica fonte del bene e del male. In molte occasioni, pensieri che si
limitano a sorgere senza tradursi in parole o azioni possono determinare conseguenze
positive o negative molto profonde. Si esamini dunque la propria mente: se vi si
trovano pensieri buoni, si gioisca di ciò e ci si proponga di fare ancora meglio. Se vi si
scoprono pensieri negativi, li si confessi immediatamente, provando pena e vergogna
per aver permesso loro di manifestarsi nonostante gli insegnamenti ricevuti. Si dica a
se stessi che in futuro si farà di tutto per evitare che ciò si ripeta.
Prima di commettere un’azione positiva, si giudichi con cura l’intenzione che la ispira.
Se questa è buona, la si porti a compimento. Se invece siamo attirati dalla fama, dalla
competizione o dalla necessità di ottenere un guadagno, si faccia in modo da
modificare il nostro atteggiamento infondendovi la compassione del bodhicitta. Se non
riusciamo a trasformare la nostra motivazione, sarà meglio rimandare l’azione
meritoria ad un momento migliore.
Un giorno, Geshe Ben, attendendo la visita di un gran numero di benefattori, dispose
le offerte sull’altare di fronte alle immagini dei Tre Gioielli perfettamente pulite per
l’occasione. Esaminando la sua intenzione, egli capì che stava solo cercando di
impressionare i suoi ospiti; al che, preso un pugno di polvere, lo sparse sulle offerte
dicendo: “Monaco, resta ciò che sei e non darti delle arie!”.
Padampa Sangye, ascoltata questa storia, esclamò: “Quel pugno di polvere sparso da
Ben Kungyal fu la migliore offerta in tutto il Tibet!”
Si esamini dunque attentamente la propria mente. Nella nostra condizione di esseri
ordinari è impossibile evitare pensieri e azioni ispirati da intenzioni malvagie. Se
tuttavia siamo capaci di riconoscerli immediatamente, confessandoli e facendo voto di
non ripeterli più, riusciremo a prendere le distanze da essi.
Un’altra volta, Geshe Ben, facendo visita ai suoi benefattori, fu lasciato per un
momento solo in una stanza. In quella occasione, ricordandosi di aver terminato il tè,
pensò: “Ne prenderò un po’ per portarlo nel mio romitaggio.”
Quando tuttavia pose la mano nella sacca del tè, egli comprese all’istante ciò che
stava facendo e, chiamati i suoi benefattori, disse: “Venite a vedere cosa combino!
Dovete tagliarmi la mano!”
At a ha detto: “Da quando ho preso i voti della pr timoksa non ho commesso la
minima mancanza. Praticando i precetti del Bodhicitta, ho commesso uno o due errori.
Infine, da quando ho intrapreso il Vajray na del Mantra Segreto, sebbene abbia fatto
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ancora dei passi falsi, non ho mai permesso che un peccato o una colpa restassero
con me per più di un giorno.”
Quando At a viaggiava, non appena un pensiero negativo sorgeva in lui egli,
prendendo la base in legno del mandala41 che portava sempre con lui, confessava
tutto esprimendo il voto di non lasciare che ciò potesse accadere in futuro.
Una volta, Geshe Ben si recò ad un affollato convegno tenutosi a Penyulgyal. Dopo
un certo tempo, ai convenuti venne offerta della cagliata, ma Geshe Ben, seduto in
una delle file centrali, notò che i monaci situati ai primi posti ricevevano porzioni più
abbondanti.
“Questa cagliata sembra deliziosa…” pensò, “ma non riuscirò ad averne la parte che
mi spetta.”
All’improvviso, tornò in sé rimproverandosi: “Drogato di yogurt!”. Dopodiché rovesciò
la sua ciotola sul tavolo come se avesse già mangiato. Quando l’uomo che serviva la
cagliata volle offrirgliela, egli rifiutò dicendo: “Questa mente maligna ha già avuto la
sua parte.”
Per quanto non costituisse in sé un errore pretendere di condividere equamente il
cibo con gli altri monaci, l’atteggiamento egocentrico sotteso al suo desiderio della
deliziosa cagliata costrinse il geshe a mettere in secondo piano il proprio diritto di
avere la sua parte.
Se si esamina la propria coscienza in questo modo, accettando ciò che può essere di
beneficio e rifiutando ciò che è dannoso, la consapevolezza sulla nostra mente si
rafforzerà e tutti i pensieri finiranno per avere una origine positiva.
Tempo fa, un bramino di nome Ravi usava continuamente esaminare la propria
mente. Quando un pensiero negativo sorgeva in lui, egli metteva da parte un sasso di
colore nero, mentre di fronte ai pensieri positivi, faceva lo stesso con dei sassi bianchi.
All’inizio, la maggior parte dei sassi accumulati furono neri. Tuttavia, perseverando
nell’opporre antidoti ai suoi pensieri, nell’accumulo di buone azioni e nel rifiuto di
quelle malvagie, venne il momento in cui le pietre nere e quelle bianche si
eguagliarono. Alla fine, restarono solo quelle bianche.
Questo esempio mostra l’importanza di combinare la vigilanza e l’attenzione verso se
stessi con l’antidoto costituito dall’incremento di azioni positive e la rinuncia a
commettere la minima azione negativa.
Anche se non avessimo accumulato azioni negative in questa vita, non conosciamo il
vasto numero di errori accumulati nel sams ra senza inizio, né siamo in grado di
riconoscerne gli effetti che si rendono evidenti anche nel tempo presente. Per questo
motivo, chi si dedica interamente alla virtù e alla pratica della vacuità può essere
inspiegabilmente oberato di sofferenze. In questo caso, tuttavia, ciò è una fortuna,
perché gli effetti fino ad allora silenti delle azioni passate avrebbero causato delle
rinascite nei reami inferiori. A causa invece degli antidoti applicati nella vita presente,
tali effetti maturano e si esauriscono in questa vita senza danneggiare
irreparabilmente le vite future. Il tra a taglio di diamante afferma:

I Bodhisattva che praticano la saggezza trascendente saranno tormentati - a dire il


vero, essi saranno tormentati fino allo stremo - dalle azioni passate che avrebbero
causato loro sofferenze nelle vite future. È un vantaggio infatti che esse maturino
nella vita presente.

Alcuni al contrario, pur trascorrendo l’intera esistenza danneggiando gli altri,


sperimentano i frutti immediati di qualche azione positiva che avrebbe potuto
maturare molto più tardi. Ciò è accaduto nel paese chiamato Apar ntaka, dove per
sette giorni vi fu una pioggia di pietre preziose, seguita da una di tessuti durata sei
giorni e una di granaglie di altri sette giorni. Alla fine, una pioggia di terra schiacciò
tutti gli abitanti, la cui rinascita ebbe luogo agli inferi.
Tali evenienze in cui chi fa il bene soffre e chi si dedica al male prospera, hanno
luogo spesso come risultato di azioni passate. Le azioni da noi commesse ora
potranno mostrare i loro effetti nella nostra prossima vita o in quelle successive. È
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vitale perciò sviluppare la ferma convinzione dell’inevitabilità degli effetti delle nostre
azioni, comportandoci sempre di conseguenza.
Non si dovrebbe poi usare il linguaggio dei punti di vista più elevati del Dharma42 per
screditare il principio di causa ed effetto. Il Grande Maestro di Oddy na ha affermato:

Grande Re, in questo mio Mantray na Segreto, la visione è la cosa più importante.
Tuttavia, è bene non agire in conseguenza di tale visione per non cadere nei punti
di vista errati dei demoni, che ciarlano predicando la vacuità del bene e del male.
D’altro canto, è giusto non contaminare la visione con le nostre azioni, per non
cadere nel materialismo e nell’attaccamento alle nostre opinioni, smarrendo ogni
possibilità di liberarci…

Ecco perché, anche se la mia visione oltrepassa i regni celesti, la mia cura per le
azioni e i loro effetti è più fine della farina.

Per quanto profondamente si realizzi la visione della natura delle cose, l’attenzione
rigorosa e costante verso le azioni e i loro effetti non va mai abbandonata.
Fu chiesto a Padampa Sangye se, una volta realizzata la vacuità, si resti ancora
soggetti alle avversità provenienti dalle azioni negative.
“Una volta realizzata la vacuità,” rispose Padampa Sangye, “sarebbe assurdo
perseverare nelle azioni negative, dal momento che la compassione sorge assieme ad
essa.”
Se ci si propone di seguire l’autentico Dharma, è bene dare priorità alla scelta delle
azioni migliori in accordo col principio di causa ed effetto. Le azioni e la visione devono
perciò essere coltivate nei loro rispettivi ambiti.
Il segno che si è appreso il senso di queste istruzioni su causa ed effetto è avere una
condotta simile a quella di Jetsun Milarepa.
I suoi discepoli gli dissero un giorno: “Jetsun, la tua condotta è al di là della
comprensione degli esseri ordinari. O prezioso Jetsun, eri forse fin dall’inizio un
Buddha, un Bodhisattva o una incarnazione di Vajradhara ?”
Jetsun replicò: “Il fatto che mi prendiate per un Buddha, un Bodhisattva o una
incarnazione di Vajradhara, dimostra la vostra fede in me. Tuttavia, non può esservi
visone più errata del Dharma! Ho iniziato la mia vita accumulando azioni
estremamente negative per mezzo della magia. Dopodiché ho compreso che la mia
rinascita negli stati infernali sarebbe stata inevitabile; e per tale motivo ho iniziato a
praticare il Dharma senza un momento di riposo. Grazie ai profondi metodi del
Mantray na Segreto, ho sviluppato le mie eccezionali qualità.
Il motivo per cui non riuscite a sviluppate una ferma determinazione a praticare il
Dharma, è la vostra scarsa fiducia nella legge di causa ed effetto. Chiunque sia dotato
di una minima determinazione può sviluppare un coraggio pari al mio, purché abbia la
mia stessa fede incondizionata negli effetti delle proprie azioni. Se è così, è possibile
ottenere le mie medesime realizzazioni; finché anche voi sarete presi per Buddha,
Bodhisattva o incarnazioni di Vajradhara.”
La fede di Jetsun Mila nella legge di causa ed effetto lo aveva fermamente persuaso
del fatto che le azioni negative commesse in gioventù avrebbero causato la sua
rinascita negli stati infernali. A seguito di tale convinzione, egli praticò con tale
determinazione che il racconto delle sue prove e dei suoi sforzi non è stato mai più
eguagliato in India o in Tibet.
Si generi perciò dal profondo del cuore la fiducia in questo aspetto cruciale
dell’insegnamento, ossia, sulla legge di causa ed effetto. Ci si dedichi il più possibile
alle azioni positive, anche di poco conto, applicando i tre metodi supremi dell’inizio,
della parte centrale e del termine di ogni pratica.43 Infine, si mantenga il proposito di
non compiere neanche la minima azione negativa anche a costo della vita.
Quando ci si sveglia al mattino, non si salti fuori dal letto come una mucca o una
pecora dal suo recinto. Restando sdraiati, si rilassi dapprima la mente e ci si esamini
attentamente. Se nei sogni abbiamo commesso qualcosa di negativo, ci si rammarichi
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e si confessi. Se invece abbiamo compiuto azioni positive, ci si rallegri e si dedichino i
meriti di tali azioni a beneficio di tutti gli esseri. Si generi il bodhicitta pensando: “Oggi
mi sforzerò di comportarmi bene perseguendo le buone azioni ed evitando quelle
malvagie, affinché tutti gli esseri raggiungano la Buddhità.”
Di notte, quando si va a dormire, non si cada di colpo nell’incoscienza del sonno. A
letto ci si rilassi e si esamini ciò che è stato fatto durante il giorno pensando: “Come
ho utilizzato questa giornata? Cosa ho fatto di positivo?” Se qualcosa di buono è stato
fatto, ci si rallegri e si dedichino i meriti affinché tutti gli esseri ottengano la Buddhità.
Se qualcosa di male è stato compiuto, si pensi in questo modo: “Sono stato malvagio!
Ho contribuito a distruggere me stesso!” Si confessi perciò il proprio errore e si faccia
voto di non ripeterlo in futuro.
In ogni momento della giornata, si vigili in modo da non attaccarsi troppo alle proprie
percezioni del mondo e degli esseri che ci circondano come se fossero realtà solide e
indistruttibili. Ci si eserciti a guardare tutto come una apparizione irreale e a
mantenere la mente flessibile generando un comportamento retto e misurato.
Tale è lo scopo essenziale, nonché il frutto principale di ciò che stiamo trattando in
queste pagine, ossia, la pratica dei quattro pensieri che distolgono la mente dal
sams ra. In questo modo, tutte le azioni positive si connetteranno spontaneamente ai
tre metodi supremi. È stato detto infatti:

Chi fa il bene è come una pianta medicinale:


Tutti coloro che vi si affidano ne traggono beneficio.
Chi fa il male è come una pianta velenosa:
Tutti coloro che vi si affidano sono distrutti.

Quando possiederete in voi stessi una mente pacificata, volgerete al Dharma ogni
altra mente con cui verrete a contatto. In un accrescimento senza fine, immensi meriti
ne deriveranno per voi e gli altri esseri. Non rinascerete più nei regni inferiori, dove si
può solo peggiorare. Vostra costante prospettiva sarà la rinascita in forma umana o in
quella divina. Persino le regioni in cui il possessore di tale conoscenza nasce o abita
condividerà i suoi meriti assieme alla costante protezione degli dèi.

Conosco tutti dettagli del karma, ma non credo fermamente in esso.


Ho imparato molto sul Dharma, ma non ho messo in pratica nulla.
Benedici i malfattori come me
Affinché le loro menti e la mia si uniscano al Dharma

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CAPITOLO QUINTO

I benefici della liberazione

Istruito da molti esseri realizzati e ricchi di dottrina,


Hai messo in pratica e sperimentato le istruzioni dei tuoi maestri.
In modo infallibile conduci al sublime sentiero.
Maestro impareggiabile, ai tuoi piedi mi prostro.

Il modo di ricevere sia questo insegnamento sui benefici della liberazione che quello
sul modo adeguato di seguire un amico spirituale, presente nel capitolo successivo, è
lo stesso già illustrato nei capitoli precedenti.

Cos’è la liberazione? È affrancarsi da questo oceano di frustrazioni e sofferenza


chiamato sams ra ottenendo lo stato di vaka o di pratyekabuddha, oppure la
perfetta Buddità.

I. LE CAUSE CHE CONDUCONO ALLA LIBERAZIONE

Per ottenere la liberazione è anzitutto necessario educare la propria mente mediante


i quattro pensieri che distolgono dal sams ra, il primo dei quali è la difficoltà di
ottenere le libertà e i vantaggi dello stato umano. In secondo luogo, si deve
intraprendere ogni pratica necessaria, iniziando dalla presa del rifugio, che è il
fondamento di ogni sentiero, fino al perfetto compimento della pratica principale.
I benefici di ciascuna di queste pratiche sono esposti nei relativi capitoli della
Seconda Parte.

II. IL FRUTTO: I TRE LIVELLI DI ILLUMINAZIONE

Il frutto dell’aver realizzato lo stato di vaka o di pratyekabuddha, oppure la


perfetta Buddità, è una condizione di pace e appagamento libera dalle funeste
circostanze delle sofferenze samsariche. Quale profonda gioia!
Dal momento che, fra tutti i sentieri, abbiamo scelto di seguire quello del Mah na,
tutte le pratiche – le dieci azioni positive, le quattro qualità incommensurabili, le sei
perfezioni trascendenti, le quattro concentrazioni, i quattro stati senza forma, l’intensa
calma e il profondo discernimento – dovrebbero essere intraprese col solo scopo di
ottenere la perfetta Buddità. Conducendo tali pratiche, dobbiamo applicare i tre
metodi supremi: ossia dapprima suscitare in noi il bodhicitta, poi eseguire la
meditazione vera e propria libera dai concetti e infine terminare con le dediche dei
meriti ottenuti.

64
CAPITOLO SESTO

Come seguire un amico spirituale

I s tra, i tantra e gli stra non fanno alcuna menzione di esseri che abbiano
realizzato la perfetta Buddità senza aver seguito un maestro spirituale. Noi stessi
possiamo renderci conto che nessuno è in grado di sviluppare le qualità relative ai
diversi sentieri e alle diverse fasi della crescita spirituale soltanto grazie al proprio
valore e al proprio ingegno. Al contrario, tutti gli esseri, inclusi noi stessi, mostriamo
particolari abilità nel lasciarci sviare dalle vie errate, mentre, se ci imbattiamo nel
sentiero che conduce alla liberazione, lo seguiamo con la stessa incertezza di un cieco
che vaga da solo in una pianura deserta.
Nessuno può portare con sé i gioielli di un tesoro trovato su un’isola senza affidarsi
ad un navigatore esperto. Allo stesso modo, un compagno o un maestro spirituale,
essendo la vera guida per la liberazione e l’onniscienza, va seguito con il massimo
rispetto. Per fare ciò, è necessario impegnarsi in tre compiti essenziali: dapprima
esaminare il maestro, poi seguire i suoi passi e infine emulare le sue azioni e
realizzazioni.

I. ESAMINARE IL MAESTRO

Il motivo principale per cui è necessario seguire un maestro spirituale è che gli esseri
ordinari come noi sono facilmente influenzabili da parte di persone o circostanze con
cui entrano in contatto.
Nelle foreste di sandalo delle montagne M laya, quando un albero comune cade,
assorbe poco alla volta il dolce aroma degli alberi profumati che lo circondano; finché,
dopo qualche anno, il suo legno ne assume interamente la fragranza. Allo stesso
modo, studiando e vivendo accanto ad un maestro eccellente, saremo permeati dal
profumo delle sue qualità fino a colmarne il nostro intero essere.

Come il tronco di un comune albero


Caduto nelle foreste dei monti M laya
Assorbe il profumo di sandalo dalle foglie e i rami inumiditi,
Così vi renderete simili a chiunque voi seguiate.

In questa epoca degradata è difficile trovare un maestro dotato anche di una sola
delle qualità descritte nei preziosi tantra. Pertanto è indispensabile accertarsi che il
maestro che intendiamo seguire possegga almeno le seguenti caratteristiche.
Egli deve essere puro e non deve aver mai contravvenuto ad alcuno degli impegni e
delle proibizioni relativi ai tre tipi di voti, ossia i voti esterni del Pr timoksa, i voti
interni del Bodhisattva e i voti segreti del Mantray na Segreto. Egli deve possedere la
dottrina dei tantra, dei s tra e degli stra. Il suo cuore deve essere così pieno di
compassione da amare ciascuno degli esseri che lo circondano come un proprio figlio.
Un buon maestro deve essere versato nelle pratiche rituali – quelle esterne del
Tripitaka e quelle interne delle quattro sezioni dei tantra. Inoltre, mettendo in pratica
il senso degli insegnamenti, egli deve aver realizzato in se stesso tutte le straordinarie
qualità della liberazione e della saggezza. Dotato di un piacevole eloquio, egli deve
mostrare la sua generosità nel dirigere individualmente i propri discepoli tenendo
conto dei bisogni di ciascuno e comportandosi conformemente alle sue stesse
istruzioni. Codesti quattro modi di acquistarsi la fiducia degli esseri mettono in grado il
maestro qualificato di raccogliere intorno a sé i suoi fortunati discepoli.

65
La completezza di tutte le qualità secondo il più puro Dharma
In questi tempi degenerati sono difficili da trovare.
Ci si affidi tuttavia la maestro che, forte della pura osservanza dei tre voti,
È imbevuto di dottrina e grande compassione,
Esperto nei riti dei pitaka e tantra infiniti,
Ricco di frutti, effonde l’immacolata saggezza
Della liberazione e della consapevolezza.
Attratti dai fiori risplendenti delle sue quattro qualità
I fortunati discepoli, come api, lo attornieranno per seguirlo.

In particolare, riguardo agli insegnamenti quintessenziali sulla natura profonda del


Mantra Vajray na, il maestro dovrebbe possedere le seguenti qualità.
Versato nel prezioso tantra, egli dovrebbe aver maturato un flusso ininterrotto di
potenziamenti provenienti da un solido lignaggio. Non avendo mai trasgredito i
samaya e i voti proclamati nel corso del potenziamento, egli non sarà disturbato da
pensieri ed emozioni negative, mostrando una condotta serena e disciplinata. Egli
dovrà essere competente sul senso completo dei tantra della base, della via e del
frutto del Mantrayana Segreto del Vajray na, e aver ottenuto tutti i segni del successo
(quali, le visioni dell’yidam) nelle fasi di sviluppo e completamento della pratica. Il
maestro poi dovrebbe essersi autoliberato avendo sperimentato su di sé la natura dei
fenomeni. Suo unico assillo sarà il beneficio degli esseri, essendo il suo cuore colmo di
compassione. Avendo abbandonato ogni attaccamento agli eventi ordinari della vita,
egli dovrebbe provvedere solo ai suoi bisogni più necessari. L’esclusiva concentrazione
sulle vite future, farà si che il suo unico, risoluto pensiero sia il Dharma. Guardando
alla insoddisfazione del sams ra, egli proverà una grande tristezza per la sorte degli
esseri, incoraggiando lo stesso sentimento negli altri. Abile nel prendersi cura dei suoi
discepoli, egli dovrebbe fare uso dei metodi appropriati per ciascuno di essi; mentre
preserverà la benedizione del lignaggio mediante il completo appagamento dei
desideri del proprio maestro.

Il maestro straordinario che conferisce le istruzioni essenziali


Ha ricevuto il potenziamento, rispettato i samaya, ed è un uomo pacifico;
Ha approfondito il senso dei tantra della base, della via e del frutto;
Ha sviluppato tutti i segni delle fasi dello sviluppo e del completamento
E le sue realizzazioni lo hanno liberato;
Ha illimitata compassione e cura per ciascuno;
Ha semplificato le sue attività profane e bada fermamente al Dharma;
Ha maturato sazietà per questo mondo, comunicando agli altri lo stesso
sentimento;
È esperto nei metodi e possiede le benedizioni del lignaggio.
Con tale maestro, la realizzazione si compie rapidamente.

Vi sono, d’altra parte, certi maestri che vanno evitati. Le caratteristiche di questi
ultimi sono le seguenti.

Maestri simili a una macina di legno. In tali persone non vi è traccia delle qualità che
sorgono dallo studio, dalla riflessione e dalla meditazione. Ritenendo che, quali sublimi
discendenti di questo o quel lama, essi ed i loro successori siano superiori agli altri,
spalleggiano la loro casta come dei bramini. Pur dedicandosi per breve tempo alla
meditazione e allo studio, la loro motivazione non è assicurarsi la liberazione dalle vite
future, ma ottenere benefici terreni, quali la preservazione del feudo presbiterale di
cui sono eredi. La loro attitudine a formare discepoli è tanto insufficiente quanto lo è
una macina fatta di legno anziché di pietra.

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Maestri simili ad un rospo che vive in un pozzo. Privi delle qualità specifiche che li
distinguano dagli esseri ordinari, essi vengono tuttavia tenuti in alta considerazione da
persone incapaci di comprendere la loro vera natura. Esaltati dagli onori e dai profitti
ricevuti, costoro sono del tutto inconsapevoli delle reali qualità presenti nei grandi
lama. Per far comprendere la loro mente angusta, viene usato l’esempio del rospo che
vive in un pozzo.
Un giorno, un vecchio rospo che abitava all’interno di un pozzo ricevette la visita di
un altro rospo proveniente dalla spiaggia di un oceano.
“Da dove vieni?” chiese a quest’ultimo il rospo che viveva nel pozzo.
“Vengo dal grande oceano,” rispose il suo ospite.
“Quanto è grande questo oceano?” chiese ancora il primo rospo.
“Enorme!” replicò l’altro.
“Un quarto del mio pozzo?” indagò il primo.
“Molto di più!”
“Metà del mio pozzo?”
“No, molto di più!”
“Quanto il mio pozzo, dunque?”
“Molto, molto più grande!”
“Impossibile,” esclamò allora il rospo che abitava nel pozzo. “Devo vedere con i miei
occhi.”
Quando i due rospi giunsero sull’oceano; il primo rospo, di fronte alla vastità di quella
distesa d’acqua, morì per il distacco della sua testa dal corpo.

Cattivi precettori. Sono coloro che, senza aver mai seguito un maestro capace, né
aver studiato i s tra e i tantra, posseggono pochissime conoscenze. Le loro emozioni
negative, la loro scarsa attenzione e presenza mentale li rendono negligenti nel
rispetto dei samaya. Tuttavia, benché di mentalità più ristretta degli esseri ordinari,
essi, come se la loro visione avesse superato il piano concettuale, imitano i siddha
nell’eludere regole e convenzioni. Traboccanti di rabbia e invidia, essi non approfittano
dell’ancora di salvezza dell’amore e della compassione e inducono i loro seguaci a
seguire i loro stessi errori.

Precettori ciechi. Inferiori ai loro stessi seguaci in qualità umane e spirituali e privi
della compassione del bodhicitta, essi sono del tutto incapaci di indicare a chicchessia
ciò che va fatto e ciò che va evitato.

Come bramini, alcuni difendono la loro casta,


Oppure, pensando ai loro possedimenti,
Fingono di immergersi in studi e riflessioni;
Tali guide sono come una macina di legno.

Per quanto non dissimili dalla gente ordinaria,


Alcuni, assecondati dalla superstizione popolare,
Accrescono i guadagni, gli onori e le offerte.
Amici di tale risma sono come il rospo che abita un pozzo.

Scarsamente istruiti e negligenti nel soddisfare voti e samaya,


Alcuni, di mentalità ristretta, assumono tuttavia pose da uomini spirituali,
Rompendo i legami vitali con l’amore e la compassione-
Codeste guide malvagie sanno solo seminare il male.

Seguire chi non è migliore di noi,


Privo di bodhicitta ed attratto dalla fama,
È un incomparabile errore.
Come le vostre stesse guide cieche,
Tali frodi vi condurranno in tenebre ancora più profonde.
67
Il Gran Maestro di Oddy na avverte:

Trascurare l’esame dei nostri maestri


È come ingerire un veleno;
Trascurare di sondare i nostri discepoli
È come balzare da un precipizio.

Si ripone la propria fiducia in un maestro spirituale per tutte le vite future. Dal
maestro apprendiamo ciò che va fatto e ciò che va evitato. Tuttavia, se ci accostiamo
ad un amico spirituale senza averlo accuratamente esaminato, perdiamo la possibilità
di accumulare con la nostra fede i meriti di un’intera vita. Persino le libertà e i
vantaggi dello stato umano andranno perduti. Tutto ciò è come essere uccisi da un
serpente velenoso arrotolato su un albero dopo esserci accostati ad esso
scambiandolo per una fresca chiazza d’ombra.

Senza aver esaminato con cura il proprio maestro,


Il fedele perde i meriti accumulati.
Egli, come scambiando un serpente velenoso per l’ombra di un albero,
È derubato con l’inganno della libertà appena ritrovata.

Dopo un’attenta verifica, dal momento in cui avremo realmente accertato le qualità
positive sopra citate, non dovremmo mai mancare di considerare il nostro maestro
come il Buddha in persona. Il maestro che mostra tutte le qualità al completo è
l’incarnazione della saggezza compassionevole di tutti i Buddha delle dieci direzioni
che appare in forma umana a beneficio degli esseri.

Il maestro dalle infinite qualità


È la saggezza e la compassione di tutti i Buddha
Che appare in forma umana per tutti gli esseri.
Egli è l’ineguagliabile sorgente di ogni realizzazione.

Il vero maestro guida sapientemente le persone ordinarie bisognose del suo aiuto. La
sua condotta quotidiana è simile a quella dell’uomo comune; tuttavia la saggezza della
sua mente, del tutto straordinaria, è quella di un Buddha. La sua attività di essere
realizzato si adatta alla natura di coloro che beneficiano delle sue azioni. La sua
nobiltà è perciò unica. Come una madre verso i suoi figli, egli sopporta con pazienza
l’ingratitudine e lo scoraggiamento dei discepoli dissipandone dubbi e scoramenti.

In modo opportuno, nel guidarci condivide le nostre azioni.


Nella verità egli è del tutto diverso da noi.
Le sue realizzazioni lo rendono il più nobile.
Competente nel dissipare i nostri dubbi, egli sostiene con pazienza
Ogni nostro scoraggiamento e ingratitudine.

Un maestro che sia dotato di queste qualità è come un vascello che ci trasporta al di
là del vasto oceano del sams ra. Come un nocchiero, egli predispone in modo
infallibile la nostra rotta verso la liberazione e l’onniscienza. Come un diluvio di
nettare, egli estingue il fuoco delle azioni negative e delle emozioni perturbatrici.
Come il sole e la luna, egli irradia lo splendore del Dharma disperdendo la spessa
tenebra dell’ignoranza. Come la terra, egli sostiene con pazienza l’ingratitudine e lo
scoraggiamento, essendo le sue azioni conformi al più vasto orizzonte della sua
visione. Come l’albero che esaudisce i desideri, egli è la sorgente di ogni soccorso in
questa vita e di ogni felicità in quella futura. Come il vaso perfetto, egli è un tesoro
che racchiude l’inconcepibile varietà dei veicoli e delle dottrine che si adattano alla
varietà degli esseri. Come gemma sublime che estingue la bramosia di ogni altra
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gemma, egli dispiega gli infiniti aspetti delle quattro attività 44 a beneficio degli esseri.
Come padre o madre, egli ama in modo incondizionato ognuna delle creature viventi,
senza avversione per ciò che è distante, né preferenze per ciò che è più familiare.
Come un immenso fiume, la sua compassione è così estesa da includere l’infinità degli
esseri che eguaglia l’immenso spazio, ma è anche tanto veloce da soccorrere
all’istante ogni sofferente bisognoso di protezione. Come il re delle vette, la sua gioia
per la felicità altrui non è scalfita dall’invidia, né è scossa dall’attaccamento alle
apparenze. Come pioggia che bagna ogni cosa, la sua imparzialità non è mai
disturbata dal desiderio o dall’avversione.

Egli è il vascello che ci trasporta al di là dell’esistenza samsarica,


Il nocchiero infallibile del sublime sentiero,
Il sole e la luna che disperdono l’oscura ignoranza,
Egli è la terra, immensamente paziente,
L’albero che esaudisce i desideri, sorgente di conforto e felicità,
Il vaso perfetto che contiene il tesoro del Dharma.
Egli appaga ogni necessità, come una preziosissima gemma.
Egli è padre e madre, amando tutti allo stesso modo.
La sua compassione è rapida e vasta come l’acqua di un fiume.
La sua gioia non muta, come il re delle vette innevate.
La sua equanimità non è scalfita da nulla, imparziale come la pioggia.

Le benedizioni e la compassione di un simile maestro eguagliano quelle del Buddha.


Coloro che stabiliscono un legame positivo con lui possono realizzare la natura di
Buddha in una sola vita. Tuttavia, persino coloro che gli si oppongono potranno essere
condotti al di là del sams ra.

Un tale maestro eguaglia tutti i Buddha.


Se anche chi lo danneggia può intraprendere il sentiero verso la felicità,
Coloro che si affidano a lui con fiducia
Conosceranno la gioia dei più alti stati dell’essere e della liberazione.

69
II. SEGUIRE IL MAESTRO

O nobile, dovresti pensare a te stesso come a un ammalato…

Questo verso si trova all’inizio di una serie di paragoni presenti nel tra a forma di
albero. L’ammalato si affida alle cure di un medico competente. Chi viaggia in un
territorio ostile deve dotarsi di una scorta affidabile. Dovendo affrontare nemici,
rapinatori e bestie selvagge, ognuno di noi vorrebbe contare su un amico che ci
protegga. I mercanti diretti al di là dell’oceano si affiancano ad un capitano esperto.
Gli esploratori che attraversano un fiume con un battello, devono contare su un buon
barcaiolo. Allo stesso modo, per proteggerci dalla morte, dalla rinascita e dalle
emozioni perturbatrici, dobbiamo seguire un maestro, un amico spirituale.

Come l’ammalato ha fiducia nel suo medico,


Il viaggiatore sulla sua scorta,
Colui che è spaventato sul suo protettore,
I mercanti sulla loro guida,
E i passeggeri sul pilota-
Così, temendo nascita, morte ed emozioni perturbatrici,
affidiamoci al nostro maestro.45

Un discepolo coraggioso, armato della propria determinazione, non deluderà il


maestro a costo della vita. Egli sarà così stabile nei suoi propositi da non venire scosso
dalle circostanze, assecondando il maestro senza curarsi della propria vita o della
salute. La sua obbedienza verso ogni prescrizione del maestro non conoscerà
risparmio. Un discepolo simile otterrà la liberazione semplicemente in virtù della sua
devozione.

Coloro che, ben corazzati e con salde motivazioni,


Assecondano il maestro incuranti della salute e della vita,
Seguendone le istruzioni senza risparmiarsi,
Saranno liberati dalla sola forza della devozione.

Seguire un maestro implica aver fede in lui al punto da percepirlo come un vero
Buddha. A tale scopo, è necessario dotarsi di una saggezza e una sapienza tali da
poter riconoscere il senso profondo delle sue azioni e da recepire ogni suo
insegnamento. Inoltre, si percepiranno amore e compassione profondi per chi non
possiede alcuna protezione dalla sofferenza. Si rispetteranno i voti e i samaya
prescritti dal maestro, restando calmi e controllati nei proprie azioni, nei pensieri e
nelle parole. La propria visione sarà così aperta da accettare ogni evento che riguardi
il maestro e i compagni spirituali. La propria generosità sarà tale da poter offrire al
maestro ogni nostro bene. La propria percezione delle cose sarà pura, esente da
censure e deplorazioni. Ci si asterrà dal compiere azioni negative o dannose che
possano deludere il maestro.

Abbi fede incondizionata, saggezza, sapienza e compassione.


Rispetta i voti e i samaya. Regola corpo, energia e mente.
Sii di mente aperta e generosa.
Conserva moderazione e visone pura.

Il tra a forma di albero ed altri testi paragonano il seguire il maestro al modo in cui
il cavallo perfetto del Monarca Universale esaudisce i suoi voleri prima ancora che egli
li pronunci. Il discepolo agisce sempre in accordo coi desideri del maestro ed è esperto
nell’evitare tutto ciò che potrebbe deluderlo. Egli non prova rabbia o risentimento
quando viene rimproverato. Come un battello, non si stanca di andare di qua e di là
70
per portare messaggi o eseguire altri servizi per il maestro. Come un ponte, non vi è
nulla che egli non possa sostenere, portando a termine compiti piacevoli o ingrati.
Come l’incudine, resiste al caldo e al freddo, sopportando tutte le avversità. Egli
adempie ai suoi doveri come un servo ed è fiero di occupare sempre l’ultimo posto,
rispettando tutti e deponendo l’arroganza.

Sii accorto nel non scontentare il maestro,


Come il cavallo perfetto, non prendertela per i suoi rimproveri.
Non stancarti di vagare qua e là come un battello.
Come un ponte, sostieni ogni cosa, buona o cattiva.
Come l’incudine, sopporta il caldo, il freddo ed ogni avversità.
Come un servo, esaudisci ogni sua richiesta.
Come uno spazzino, elimina ogni traccia di orgoglio,
E sii libero dall’arroganza, proprio come un toro dalle corna mozzate.
Questo, secondo i pitaka, vuol dire seguire un maestro.

Vi sono tre modi di compiacere e onorare il maestro. Il modo migliore è chiamato


“l’offerta della pratica” e consiste nel mettere in pratica con determinazione e coraggio
ogni suo insegnamento. Il modo intermedio, noto come “servire col corpo e la mente”,
implica l’adempiere ogni sua richiesta servendolo col corpo, la voce e la mente. Il
modo meno elevato è “l’offerta materiale”, con la quale si compiace il maestro con il
dono di oggetti, cibo e denaro.

Offrire i propri averi al maestro, il Quarto Gioiello,


Onorarlo e servirlo col corpo e la parola:
Nessuna di queste azioni andrà perduta.
Praticare è però, fra tutti, il modo migliore di compiacerlo.

Il discepolo deve sviluppare una visione pura che gli permetta di riconoscere la
saggezza anche nei comportamenti più inspiegabili del proprio maestro.
Il grande pandita N ropa aveva ormai acquisito notevoli conoscenze e realizzazioni
quando il suo yidam, rivelandogli la necessità di cercare il grande Tilopa, suo maestro
già nelle vite precedenti, gli disse che per incontrarlo avrebbe dovuto recarsi nell’India
orientale. N ropa vi si recò subito, ma una volta sul posto, egli non aveva alcuna idea
di come trovare il maestro, peraltro del tutto ignoto alla gente del luogo.
Quando qualcuno gli disse di aver conosciuto un certo Tilopa il Fuoricasta o Tilopa il
mendicante, N ropa pensò: “Le azioni dei siddha sono incomprensibili alla gente
comune. Dunque potrebbe essere lui.” Egli dunque si informò dove vivesse Tilopa il
Mendicante e vi si recò, trovandolo seduto dinanzi ad una tinozza con dei pesci, alcuni
dei quali ancora vivi. Tilopa, afferrando un pesce e arrostendolo, lo divorò schioccando
le dita. Nonostante ciò, N ropa gli si prostrò dinanzi pregandolo di accettarlo come
suo discepolo.
“Di cosa stai parlando?” replicò Tilopa. “Sono solo un mendicante.” Tuttavia, N ropa
insisté finché non fu accettato dal maestro.
Tilopa non aveva ucciso quel pesce allo scopo di sfamarsi. I pesci da lui divorati
ignoravano la differenza tra buone e cattive azioni, tuttavia avevano accumulato in
passato molte azioni negative, dalle quali Tilopa li stava in quel modo liberando.
Nutrendosi della loro carne, egli stabiliva un legame tra essi e la sua coscienza,
capace di indicare loro la via verso un campo di Buddha.46Allo stesso modo, Saraha
visse come fabbro, varipa come cacciatore e molti altri sommi siddha dell’India
vissero da fuoricasta adottando uno stile di vita estremamente umile. Dunque è
importante evitare di fraintendere le azioni del proprio maestro, esercitandosi a
mantenere pure le nostre percezioni.

Non fraintendere le sue azioni.


Mosti siddha dell’India vissero
71
Come semplici malfattori e straccioni,
Più degenerati degli ultimi fra gli ultimi.

Coloro che ignorano questo aspetto sono portati a fraintendere e criticare i loro
maestri e, se vivessero abbastanza a lungo a contatto col Buddha, troverebbero errori
anche nella sua condotta.
Il monaco Sunaksatra era il fratellastro del Buddha e fu preposto al suo servizio per
ventiquattro anni. A causa di ciò, egli potè apprendere a memoria le venti categorie di
insegnamenti sui pitaka. D’altro canto, in quel lasso di tempo egli finì per ritenere
tutte le azioni compiute dal Buddha come false e ingannevoli, giungendo all’errata
conclusione che, a parte la presenza di un’aura larga sei piedi, non vi era alcuna
differenza tra lui e l’Illuminato.

Fuorché quella luce larga sei piedi attorno al tuo corpo,


In ventiquattro anni che sono al tuo servizio non ho visto nulla,
Neanche la minima qualità in te.
Quanto al Dharma, ormai ne so quanto te – pertanto
Non sarò più tuo servitore.

Così dicendo, egli partì; mentre nanda, prendendo il suo posto come attendente
personale del Buddha, chiese a quest’ultimo in qual luogo Sunaksatra sarebbe rinato.
“Tempo una settimana”, rispose il Buddha, “e la sua vita terrena cesserà, rinascendo
come preta in un giardino fiorito.”
nanda si recò da Sunaksatra riferendogli quanto aveva udito; sicché quest’ultimo
disse fra sé: “A volte le bugie si avverano, meglio dunque stare in guardia per l’intera
settimana. Dopodichè, fra otto giorni gli farò rimangiare quelle parole.” Egli allora
digiunò per sette giorni e alla sera dell’ultimo, essendo la sua gola divenuta arida e
secca, ingerì dell’acqua, che gli provocò una indigestione letale. In un giardino fiorito,
nanda si risvegliò come preta dotato delle nove brutture caratteristiche di questi
esseri.
Ogni volta che scorgiamo errori nelle azioni dei nostri sublimi maestri, dovremmo
provare profondo rincrescimento e vergogna. Riflettendo sulla possibilità che la nostra
percezione potrebbe essere impura, mentre le azioni del maestro sono infallibili e
impeccabili, dovremo rafforzare la fede migliorando la nostra capacità di
discernimento.

Prima di aver ben regolato la nostra percezione delle cose,


Scorgere mancanze negli altri è un imperdonabile errore.
Nonostante sapesse a memoria i venti tipi di insegnamenti,
Il monaco Sunaksatra, divorato dalla malvagità,
Scorgeva falsità nelle azioni del Buddha.
Rifletti attentamente su ciò, mentre correggi te stesso.

Se il maestro sembra essere adirato con noi, estinguiamo la rabbia ricordando che
egli ha probabilmente colto un nostro errore ed ha ravvisato il momento giusto per
correggerlo. Una volta che la sua ira è placata, confessiamogli l’errore facendo voto di
non ripeterlo più.

Se il maestro sembra adirato, rifletti sull’errore che egli ha scorto in te,


La cui aspra correzione non poteva essere rimandata.
Confessati e fai voto di non ripeterlo più.
In questo modo, la tua saggezza non cadrà nelle mani di M ra.

In presenza del maestro, alziamoci in piedi ogni volta che egli fa altrettanto. Quando
egli siede, preoccupiamoci del suo benessere e, se ha bisogno di qualcosa, offriamogli
al momento opportuno ciò di cui ha bisogno.
72
Se lo accompagniamo come suo attendente, evitiamo di camminare dinanzi a lui
mostrandogli la parte posteriore del corpo. Non seguiamolo restandogli dietro, per non
calpestare le sue orme benedette. Non poniamoci alla sua destra, occupando il posto
d’onore, manteniamoci invece alla sua sinistra, manifestando così il nostro rispetto. Se
la via da percorrere insieme a lui è pericolosa, chiediamogli il permesso di fargli
strada.
Evitiamo di calpestare i cuscini del suo seggio e di montare sul suo cavallo. Non
apriamo o chiudiamo l’uscio con violenza. In sua presenza, asteniamoci da ogni moto
di vanità o insoddisfazione. Evitiamo di mentire o di proferire parole insincere o
sconsiderate. Non comportiamoci da sciocchi ridendo, ammiccando o intrattenendo
chiacchiere inutili. Impariamo ad agire in modo controllato, trattando il maestro con
reverenza e rispetto ed evitando la noncuranza.

Non restare seduto quando il maestro è in piedi;


Quando egli siede, offrigli ciò di cui ha bisogno.
Non camminare di fronte o dietro a lui
E non collocarti alla sua destra.
Mancare di rispetto verso la sua cavalcatura o il suo seggio
Annullerà tutti i tuoi meriti.
Non sbattere gli usci; evita la vanità e l’orgoglio;
Le sciocche risa, le bugie, le sconsideratezze e le chiacchiere inutili
Sono del tutto fuori luogo.
Prodigati per il maestro con compostezza di corpo, di voce e di pensiero.

Non trattiamo da amici coloro che criticano o odiano il nostro maestro. Se siamo
capaci di modificare l’attitudine di coloro che non hanno alcuna fede in lui o lo
disprezzano, agiamo di conseguenza. Altrimenti, evitiamo la familiarità con essi.

Non trattare da amico colui che critica


Oppure odia il tuo maestro.
Cambia la sua mente, se puoi.
In ogni caso, una incauta familiarità
Accrescerà su di te la sua nefasta influenza
Danneggiando il tuo samaya.

Per quanto a lungo si frequenti l’ambiente del nostro maestro e dei nostri fratelli e
sorelle del vajra, evitiamo di esasperarci o irritarci. Trascorriamo con disinvoltura quei
piacevoli momenti, come indossando una comoda cintura. Estinguiamo dentro di noi
l’orgoglio trattando allo stesso modo chiunque ci si presenti e mescolandoci con tutti
come il sale nel brodo. Se qualcuno ci parla con durezza o tenta di litigare, oppure le
responsabilità che ci vengono affidate sono eccessive, siamo pronti a sopportare ogni
cosa come il pilastro di un ponte.

Come una cintura, legati confortevolmente a tutti;


Come il sale, impara a mescolarti con chiunque;
Come un pilastro, sopporta e sostieni senza stancarti;
Questo è il modo di servire i fratelli del vajra e gli attendenti del tuo maestro.

73
III. EMULARE LE REALIZZAZIONI E LE AZIONI DEL MAESTRO

Avendo appreso il modo corretto di seguire il maestro, dovremmo essere come un


cigno che plana soavemente su un lago immacolato, deliziandosi delle sue acque
senza agitarle. Oppure, dovremmo imitare l’ape che in un variopinto giardino passa
tra i fiori senza deturparne il colore e la fragranza. Per fare ciò dobbiamo eseguire gli
impegni assegnatici senza annoiarci o stancarci, recependo i desideri del maestro ed
assorbendo con fede e risolutezza le sue capacità di discernimento, la sua saggezza e
il suo talento meditativo. Ciò dovrebbe avvenire come versando in un recipiente il
contenuto di un vaso perfetto.

Come il cigno che nuota su un lago perfetto,


O l’ape che assaggia il nettare dei fiori,
Senza lamentarti, acuendo la tua percezione,
Servi il maestro con una condotta esemplare.
Una simile devozione ti infonderà le sue qualità.

Mentre il maestro accumula grandi meriti con la sua attività di Bodhisattva, noi,
partecipando anche solo con offerte materiali, impegnandoci semplicemente col corpo
e la parola oppure provando gioia per ogni sua azione, otterremo tutti i meriti che
scaturiranno dalla sua ineguagliabile dedizione.
Una volta, due uomini attraversavano il Tibet centrale. Uno di essi, che portava con
sé come unica scorta di cibo una manciata di scura tsampa di fagioli, incurante della
sua povertà di mezzi ne diede un pò all’altro viaggiatore, mescolandola con tsampa di
farina bianca. Diversi giorni dopo, il viaggiatore più facoltoso disse al suo compagno
più povero: “Ormai la tua stampa sarà terminata.”
“Diamo un’occhiata,” disse l’altro, constatando con sorpresa di avere nella bisaccia
ancora della tsampa di fagioli. Per tutto il resto del viaggio, la tsampa non accennò ad
esaurirsi e i due continuarono a consumarla insieme.
Allo stesso modo, il nostro minimo contributo ad una impresa molto meritevole
condotta da qualcun altro, può farci accumulare gli stessi meriti di quest’ultimo. In
particolare, servire quotidianamente il maestro, trasmettendo messaggi per lui o
semplicemente rassettando la sua stanza è un modo infallibile per accumulare gli
stessi suoi meriti. Pertanto, impegniamoci in tali attività ogni volta che possiamo.

Le azioni conformi agli scopi di un maestro venerabile


Impegnato nelle attività di bodhicitta
Piene di meriti e saggezza,
Gli sforzi per servire tale maestro,
Recapitarne i messaggi o rassettare la sua stanza,
Sono il vero sentiero per l’accumulo dei meriti, perciò daranno frutto.

Di tutte le sorgenti di rifugio e di meriti, nessuna è più grande del maestro. Ogni
volta che egli conferisce una iniziazione o un insegnamento, la compassione e le
benedizioni dei Buddha e i Bodhisattva delle dieci direzioni si incarnano nella sua sacra
persona, rendendolo inseparabile da tutti i Buddha. Di conseguenza, offrire al maestro
una minuscola particella di cibo durante tali attività vale più di centinaia di migliaia di
altre offerte.
Attireremo su di noi ogni tipo di benedizione se, durante la fase di “generazione”
(della pratica degli yidam), saremo consapevoli che la natura di tutte le “divinità” (in
realtà aspetti del Buddha) su cui meditiamo non è comparabile con quella del nostro
maestro radice. Nella fase di “completamento”, inoltre, l’efficacia dei metodi con cui si
sviluppa la saggezza dipenderà solo dal potere della nostra devozione al maestro e
dalle sue benedizioni. Sviluppare la saggezza vuol dire manifestare in noi stessi la
saggezza delle realizzazioni del maestro. Ciò che deve essere realizzato in tutte le fasi
della pratica, inclusa quelle di “generazione” e “completamento”, si trova perciò in
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essenza nella persona del maestro. Per tale motivo, tutti i s tra e i tantra descrivono
quest’ultimo come il Buddha in persona.

Perché egli è il rifugio e il campo dei meriti?


Gli yoga interni ed esterni delle realizzazioni del maestro
Contengono l’essenza di ciò che va realizzato
Nelle fasi di generazione e compimento.
Perciò i s tra e i tantra lo descrivono come il Buddha in persona.

Nonostante la mente di saggezza di un sublime maestro sia inseparabile da quella di


tutti i Buddha, egli appare nella forma umana ordinaria allo scopo di guidare discepoli
impuri come noi. Finché egli è qui, dunque, facciamo del nostro meglio per
compiacerlo, unendo la nostra mente alla sua mediante i tre tipi di servizio.47
Alcuni preferiscono meditare sull’immagine di un lama che ha già abbandonato
questa vita, piuttosto che servire e rispettare un maestro in carne ed ossa. Altri,
facendo mostra di restare in contemplazione dello stato naturale e familiarizzandosi
con profondi concetti presi qua e là, non pregano con devozione alfine di poter
acquisire le libertà e le realizzazioni della mente del maestro. Ciò vuol dire praticare
contravvenendo alla pratica stessa.
Si dice che il legame creato in vita dalla nostra illimitata devozione e dal potere della
preghiera e della compassione del maestro, faranno sì che, dopo la morte,
incontreremo il nostro maestro nello stato intermedio (o bardo) e saremo da lui
nuovamente guidati per quel nuovo sentiero. Tuttavia ciò non vuol dire che il maestro
fisicamente sarà presente con noi nel bardo. Se dunque in vita mancheremo di
devozione, non basteranno le perfette qualità del maestro affinché ciò si avveri.

Il folle ha con sé un suo ritratto e medita su di esso


Senza onorare il maestro mentre è davvero presente.
Egli affetta di meditare sullo stato naturale, ma
Non conosce la mente del maestro.
Che afflizione, praticare sconfessando la pratica!
Senza alcuna traccia di devozione, costui solo per miracolo
incontrerà il maestro nello stato intermedio!

In primo luogo, esaminiamo con cura il maestro. Ciò vuol dire che, prima di
impegnarci con lui ricevendo iniziazioni e insegnamenti, dobbiamo comprendere se
egli possiede le qualità necessarie di una guida autentica e compassionevole. Se
alcune di tali qualità sono assenti, non dobbiamo accingerci a seguirlo. In caso
contrario, dal momento in cui decidiamo di affidarci a lui, dobbiamo imparare a
sviluppare la fede mantenendo pura la nostra percezione delle sue virtù e dei suoi atti
positivi. Scorgere con compiacimento i suoi difetti ci arrecherà mali inconcepibili.
In senso generale, esaminare il maestro implica accertarsi se in lui esistono o meno
le qualità espresse nei s tra e nei tantra. In particolare, è necessario che egli possieda
il bodhicitta, ossia la mente dell’illuminazione. Si potrebbe dunque condensare tutto
l’esame in una sola domanda: egli possiede o meno il bodhicitta? Se lo possiede, egli
si prodigherà per i propri discepoli in questa e nelle altre vite; sicché i suoi seguaci
non avranno che benefici da lui. Il Dharma trasmesso da un maestro dotato di tali
qualità sarà conforme al Grande Veicolo e non potrà che condurre alla vera via.
D’altra parte, un maestro che non possiede il bodhicitta conserva ancora desideri
egoistici e non è in grado di modificare concretamente l’attitudine dei suoi discepoli. I
suoi insegnamenti, per quanto apparentemente profondi e meravigliosi, potranno nel
migliore dei casi essere di aiuto nelle circostanze ordinarie della vita. La questione del
bodhicitta dunque compendia ogni altro aspetto da esaminare nel maestro. Una volta
accertato che il cuore del maestro è pieno di bodhicitta, varrà la pena seguirlo
qualunque sia il suo carattere esteriore. Un maestro privo di bodhicitta al contrario

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andrà evitato anche se il suo distacco dalle cose mondane, la sua determinazione e la
sua pratica assidua sembreranno perfette.
Per le persone ordinarie come noi è difficile apprezzare appieno le straordinarie
qualità di tali esseri la cui vera natura non è mai del tutto manifesta. Per tale motivo, i
ciarlatani esperti nell’arte dell’inganno abbondano e costituiscono per noi un pericolo
costante. Il maestro migliore è colui al quale siamo legati dalle vite precedenti. Una
volta incontratolo, ogni esame è superfluo, dal momento che il solo suono della sua
voce, il solo fatto di incontrarlo o di ascoltare il suo nome risveglia all’istante una fede
da far rizzare i capelli.
Rongtön Lhaga disse a Jetsun Milarepa: “Il lama delle tue vite passate è quell’essere
eccellente, il re dei traduttori noto come Marpa. Egli vive da eremita nel sud, a
Trowolung, Recati da lui!”
Il solo udire il nome di Marpa fu sufficiente per suscitare in Milarepa una fede
straordinaria dal profondo del cuore, al punto che egli pensò: “Incontrerò questo lama
e sarò suo discepolo a costo della vita.” Come egli stesso racconta, la prima volta che
vide il maestro mentre era impegnato a dissodare un campo, non lo riconobbe, ma
per un istante i suoi pensieri ordinari cessarono ed egli restò come paralizzato.
In generale, il grado di purezza delle nostre percezioni e le nostre azioni passate
determinano il tipo di maestro che incontreremo. Pertanto, tralasciando le sue qualità
più appariscenti, è bene non stancarsi di considerare un autentico Buddha quel
maestro dalla cui compassione riceviamo le istruzioni personali che ci guidano verso
l’autentico Dharma. In assenza delle condizioni favorevoli create dalla nostre azioni
passate, non avremo la buona occasione di incontrare un maestro eccellente. Inoltre,
se la nostra percezione è debole, saremo incapaci di riconoscere le qualità del Buddha
in persona. Il maestro verso cui ci ha condotto il potere delle nostre azioni e dalla cui
compassione riceviamo ogni beneficio è per noi il più importante di tutti.
Nel mezzo del nostro cammino di perfezione, è bene seguire il maestro, compiacere i
suoi desideri e ignorare il caldo, il freddo, la fame, la sete ed altre difficoltà.
Preghiamo rivolgendoci a lui con fede e devozione. Consigliamoci con lui su ogni cosa
e mettiamo in pratica ogni suo suggerimento con completa fiducia.
Nella fase finale del nostro cammino, emulare le realizzazioni e le azioni del maestro
consiste nell’osservare attentamente ogni suo comportamento imitandolo alla
perfezione. Un proverbio dice: “Ogni azione è in realtà imitazione. Chi imita meglio, fa
meglio.” Si potrebbe dire infatti che praticare il Dharma non è altro che imitare i
Buddha e i Bodhisattva del passato. Dal momento che il discepolo non impara altro
che ad essere come il maestro, egli dovrà assimilare realmente le sue realizzazioni e
comportamenti. Il discepolo è infatti simile a uno tsa-tsa48 forgiato dallo stampo del
maestro. Come lo tsa-tsa riproduce fedelmente i contorni incisi nello stampo, così il
discepolo, qualunque siano le qualità del maestro, deve impegnarsi ad acquisirle nel
modo più fedele possibile.
Chiunque, avendo esaminato con cura le caratteristiche del maestro ed essendosi poi
impegnato a seguirlo con altrettanta cura emulando le sue realizzazioni e
comportamenti, qualunque cosa accada, non sarà mai distolto dalla via autentica.

All’inizio, esamina con cura il maestro;


Nel mezzo, lo segue con cura;
Infine, emula attentamente le sue azioni e realizzazioni.
Un tale discepolo, è sempre sul giusto sentiero.

Una volta incontrato un nobile amico spirituale dotato di tutti i requisiti e qualità,
seguiamolo abbandonando le cure eccessive per la nostra vita, proprio come il
Bodhisattva Sad prarudita fece con il Bodhisattva Dharmodgata, il grande pandit
ropa fece col supremo Tilopa e Jetsun Mila con Marpa di Lhodrak.
Il grande pandita N ropa, ad esempio, sopportò molte difficoltà prima di poter
seguire il suo maestro Tilopa. Come abbiamo già detto, N ropa incontrò Tilopa mentre

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viveva da mendicante e gli chiese di accettarlo come discepolo. Tilopa acconsentì
prendendolo con sé ovunque andasse, senza tuttavia insegnarli alcunché sul Dharma.
Un giorno, Tilopa condusse N ropa su una torre a nove piani dicendo: “Vi è qui
qualcuno capace di gettarsi dalla sommità di questa torre per obbedire al suo
maestro?”
ropa pensò tra sé: “Non vi è nessun altro qui; dunque la sua richiesta è rivolta a
me.” Così egli saltò dalla torre schiantandosi al suolo, provando sofferenze
inesprimibili.
Tilopa scese dalla torre e gli chiese: “Hai qualche dolore?”
“Più che dolore!” Mormorò N ropa. “Non vi è più niente di intero in me…” Tilopa
allora, guarendolo all’istante, lo condusse nuovamente con sé.
Un’altra volta, Tilopa ordinò: “N ropa, accendi un fuoco!”.
Quando le fiamme del falò divamparono, Tilopa vi bruciò delle schegge di bambù
dicendo: “Se intendi sottometterti in tutto al tuo maestro, devi sopportare anche
prove come queste.” Ciò detto, egli infilò le schegge infuocate nelle dita delle mani e
dei piedi di N ropa, le cui articolazioni si irrigidirono per i tormenti indicibili che
provava. Il maestro lasciò N ropa in quelle condizioni per una settimana, dopodichè,
liberandolo dalle schegge e facendo uscire dalle ferite del discepolo copiose quantità di
sangue e pus, lo guarì nuovamente.
“N ropa, ho fame!”, disse un giorno il maestro. “Cerca del cibo per me.”
Il discepolo si diresse verso dei braccianti intenti a fare colazione e riuscì a mendicare
una ciotola di zuppa, con la quale ritornò dal maestro. Tilopa divorò la zuppa con una
soddisfazione che il discepolo non aveva mai visto prima; sicché quest’ultimo pensò di
chiederne dell’altra. Egli si mosse con la sua ciotola ricavata da un teschio, tipica degli
yogi, ma non trovò più i braccianti, che avevano di nuovo raggiunto i campi
abbandonando il resto della zuppa. “Non devo fare altro che rubarla,” si disse N ropa,
correndo via col maltolto. I braccianti lo videro e, raggiuntolo, lo picchiarono a morte.
Per diversi giorni il discepolo non riuscì nemmeno ad alzarsi; tuttavia il maestro,
raggiuntolo, lo guarì e lo riportò nuovamente con sé.
“N ropa, guarda come sono povero! Puoi rubare qualcosa di prezioso per me?” fu
un’altra bizzarra richiesta del maestro. Naropa, volendo accontentare Tilopa, tentò di
rubare qualcosa ad un uomo molto ricco, ma, preso in flagrante, fu di nuovo picchiato
a morte. Tilopa, ritrovatolo dopo diversi giorni, lo guarì.
ropa subì in tutto dodici pesanti privazioni e altre dodici più lievi, prima di
raggiungere l’illuminazione. La sua definitiva realizzazione avvenne mentre Tilopa, che
stava attizzando un fuoco, ordinò al discepolo di attingere dell’acqua. Quando N ropa
tornò, il maestro saltò in piedi afferrandolo e orinandogli di mostrargli la fronte. Poi
con la destra si levò il sandalo colpendo il discepolo proprio su quella parte della testa.
ropa perse conoscenza e quando si risvegliò tutte le qualità della mente di saggezza
del maestro si erano destate in lui. Maestro e discepolo realizzati erano divenuti una
cosa sola. Fino ad allora, però, il maestro non aveva proferito una sola parola di
insegnamento a beneficio del suo discepolo, il quale non aveva eseguito alcuna pratica
ordinaria, neanche una semplice prostrazione. Tuttavia, le ventiquattro prove subite
da N ropa, che ai più potevano sembrare inutili supplizi, avevano agito come sublimi
istruzioni eliminando abilmente le oscurità del discepolo. N ropa, obbedendo con
dedizione al maestro tanto a lungo cercato, purificò se stesso fino a risvegliare in lui la
completa realizzazione.
Come dimostra questo episodio, i benefici dell’obbedienza al maestro sono immensi;
pertanto, non vi è pratica migliore di questa. D’altra parte, disobbedire anche
minimamente al maestro è un errore estremamente grave.
Un giorno Tilopa proibì a N ropa di accettare l’incarico di pandita guardiano a
Vikrama la.49 Tempo dopo tuttavia si liberò un posto analogo a Magadha, dove il
pandita locale era morto. Tutti pregarono insistentemente N ropa di sostituirlo, finché
egli accettò. Quando tuttavia un t rthika sfidò N ropa dibattendo con lui per giorni, il
discepolo di Tilopa fu sconfitto. N ropa allora pregò il suo maestro, finché questi gli
apparve guardandolo fisso negli occhi.
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“Perché hai tardato?” gli disse N ropa. “Non hai compassione di me?”
“Ed io non ti avevo proibito di accettare il posto di pandita guardiano?” Rispose
Tilopa. “Ad ogni modo, al prossimo dibattito visualizza me al di sopra della tua testa e
fai un gesto minaccioso al t rthika!”
ropa, eseguendo le istruzioni del maestro, vinse il dibattito mettendo fine a tutte le
argomentazioni dei t rthika.

Infine, occupiamoci di come Jetsun Milarepa si pose al seguito del suo maestro Marpa
di Lhodrak.
Nella regione di Ngari Gungthang viveva un uomo benestante di nome Mila Sherab
Gyaltsen, che aveva un figlio e una figlia. Il figlio maschio, chiamato Mila Thöpa-ga
(“Mila che si ascolta con gioia”), divenne in seguito Jetsun Mila.
Mentre i suoi figli erano ancora piccoli, il padre di Mila morì; sicché uno zio,
Yungdrung Gyaltsen, si appropriò dei suoi beni abbandonando senza mezzi i bambini e
la loro madre, i quali ebbero a soffrire numerosi patimenti. Crescendo, Mila apprese
da due maghi, Yungtön Throgyal di Tsang e Lharje Nupchung, l’arte di evocare
tempeste di grandine e altri incantesimi. Provocando il crollo di una casa, egli uccise il
figlio e la nuora dello zio assieme ad altre trentatrè persone; e quando i suoi
compaesani gli si rivoltarono contro, egli provocò una grandinata tale da lasciare a
terra uno strato di ghiaccio di circa tre metri.
In seguito, pentito per le sue azioni, egli decise di praticare il Dharma e, dietro
consiglio di Lama Yungtön, chiese di essere ammesso al seguito di un praticante di
Dzog Chen di nome Rongtön Lhaga.
“Il Dharma che ti trasmetto,” gli disse il Lama, è lo Dzog Chen. La sua radice è la
conquista dello stato originario, che è la vetta di ogni realizzazione e supera tutti gli
yoga. Se mediterai su di esso di giorno, diverrai un Buddha il giorno stesso. Se invece
mediterai di notte, diverrai un Buddha la notte stessa. Gli esseri fortunati che con le
vite passate hanno creato condizioni favorevoli, non hanno nemmeno bisogno di
meditare e saranno liberati semplicemente ascoltando le mie istruzioni. Ti trasmetterò
dunque questo prezioso Dharma destinato a coloro che sono dotati di facoltà
superiori.”
Dopo aver ricevuto le iniziazioni e le istruzioni, Mila pensò: “Mi ci vollero due
settimane per imparare le formule magiche e sette giorni per apprendere l’arte di far
grandinare. Questo Dharma sembra molto più facile. Inoltre, considerando il modo
con cui sono venuto a conoscenza di esso, potrei essere uno di quelli favorito dalle
azioni passate.” Così egli restò a letto senza meditare, non realizzando nulla di
quell’insegnamento.
Dopo alcuni giorni, il Lama gli disse: “Ciò che mi avevi detto di te è vero: sei un gran
peccatore. Non sono in grado di guidarti, ma ti consiglio di recarti all’eremo di
Trowolung in Lhodrak, dove vi è un discepolo diretto del siddha N ropa. Il re dei
traduttori Marpa è infatti un eccellente maestro e non ha rivali nei tre mondi. Dal
momento che con Marpa hai un legame derivante dalle vite passate, recati da lui!”
Il solo suono del nome Marpa infuse in Mila una gioia inesprimibile. Tutti i pori della
sua pelle fremettero per una improvvisa beatitudine e gli occhi gli si riempirono di
lacrime per l’intensa devozione sorta in lui. Egli dunque partì chiedendosi quando
avrebbe potuto incontrare di persona il maestro.
Quando Mila fu nei pressi del suo futuro maestro, Marpa e la moglie ebbero sogni
meravigliosi, dai quali il maestro comprese che il suo discepolo si stava avvicinando.
Così, egli scese a valle ad attenderlo, fingendo di dissodare un campo. Mila vide
dapprima il figlio di Marpa, Tarma Dodé, che badava al bestiame. Dopo un po’, egli
scorse Marpa intento a lavorare la terra. In quel momento, una gioia tremenda e
inesprimibile si impadronì di lui annullando per un istante tutti i suoi pensieri.
Tuttavia, egli non comprese di avere di fronte il maestro, perciò gli si rivolse
chiedendogli di Marpa.
“Ti condurrò io da lui,” rispose Marpa. “Intanto, dissoda questo campo per me;” e
lasciandogli una caraffa di birra, si eclissò. Mila, bevendo la birra fino all’ultima goccia,
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si mise all’opera, finché, quando ebbe finito, il figlio del lama lo andò a chiamare
accompagnandolo in casa.
Quando fu in presenza di Marpa, Mila pose i piedi del lama sul suo capo e gridò:
“Sono un gran peccatore e vengo dall’ovest! Vi offro il mio corpo, la mia parola e la
mia mente. Vi prego di nutrirmi, vestirmi e insegnarmi il Dharma. Datemi modo di
diventare un Buddha in questa vita!”
Marpa replicò: “Non è colpa mia se ti ritieni tanto malvagio. Non ti ho certo chiesto di
accumulare azioni cattive per mio conto! Cosa hai fatto di tanto grave, dunque?”
Mila gli raccontò la sua vita fin nei minimi dettagli; dopodichè, Marpa gli disse con
accondiscendenza: “Offrire il proprio corpo, la propria voce e la propria mente è in
ogni caso una buona cosa. Quanto al cibo, ai vestiti e al Dharma non potrai avere
tutte e tre le cose. Ti sfamerò e ti rivestirò, ma dovrai andare a cercare il Dharma da
qualcun altro. Allena la tua mente: se è il Dharma che cerchi, solo la tua perseveranza
farà sì che tu ottenga la buddhità in questa vita.”
“Se è così,” rispose Mila, “dal momento che ero venuto qui per il Dharma, cercherò
vestiti e provviste altrove!” Egli dunque, accomiatatosi dal maestro, restò un certo
tempo a mendicare nell’alto e basso Lhodrak racimolando ventuno misure di orzo. Con
quattordici di esse acquistò un vaso di rame a quattro manici, dopodichè mise le
restanti sei misure in un sacco e si diresse da Marpa per offrirgli il tutto.
Giunto nuovamente al cospetto del maestro, Mila mise giù le pesanti misure di orzo
scuotendo il pavimento della casa. Marpa si alzò: “Piccolo monaco forzuto, stai
tentando di seppellirci sotto le macerie di questa casa? Porta il tuo sacco fuori di qui!”
disse, dando un calcio al sacco d’orzo, che Mila fu costretto a portar via. Pertanto, Mila
dovette limitarsi al gesto, considerato scortese, di fare dono del vaso che aveva
acquistato lasciandolo vuoto. Egli dunque non riuscì a conquistarsi la benevolenza del
maestro.
Un giorno, Marpa disse al suo aspirante discepolo: “Certa gente di Yamdrok Taklung
e Lingpa hanno assalito alcuni discepoli venuti a farmi visita da U e Tsang, rubando
tutte le loro provviste e offerte. Fai cadere una tempesta di grandine sulle loro teste e,
come ricompensa, ti darò alcuni insegnamenti.”
Quando Mila, avendo fatto ciò che il maestro gli aveva detto, tornò per ricevere
quanto era stato promesso, Marpa disse: “Per pochi chicchi di grandine dovrei darti i
preziosi insegnamenti che ho faticosamente condotto qui dall’India? Se davvero vuoi
da me il Dharma, devi fare un maleficio alla gente delle colline di Lhodrak, che hanno
attaccato i miei discepoli di Nyaloro e continuano a trattarmi con assoluto disprezzo.
Quando avrò un segno che mi indicherà il buon esito del tuo maleficio, ti darò le
istruzioni orali di N ropa che fanno conseguire la buddhità in una sola vita.”
Tempo dopo, essendo apparso il segno del successo del suo maleficio, Mila chiese al
maestro il Dharma. “Stai scherzando?” disse il maestro, “per onorare il tuo accumulo
di atti negativi dovrei concederti queste istruzioni ancora calde del respiro delle d kin
e che ho ricevuto rischiando la vita? Questo è troppo! Prima che ti elimini dalla faccia
della terra, restituisci la vita a quelli che hai ucciso e fai riavere alla gente di Yamdrok
il loro raccolto! Se mi obbedirai, avrai i miei insegnamenti, altrimenti, sarà meglio che
non ti faccia più vedere!”
Mila, colpito da quell’aspro rimprovero, pianse amaramente.
Il giorno dopo, Marpa tornò da lui dicendo: “Sono stato troppo crudele con te, ma
non scoraggiarti. Poco alla volta, ti darò quello che chiedi. Sii paziente! Sei un buon
operaio, perciò ti chiedo di costruire una casa per mio figlio. Quando avrai finito, ti
darò gli insegnamenti e anche vestiti nuovi e cibo.”
Tuttavia Mila, ancora perplesso, gli chiese: “Cosa farò se nel frattempo morrò senza
aver ricevuto il Dharma?”
“Non preoccuparti,” rispose Marpa, “mi assumo la responsabilità che ciò non accada.
I miei insegnamenti non sono pura vanagloria: dal momento che sei così
perseverante, essi ti condurranno davvero alla Buddhità in una sola vita.”
Dopo ulteriori incoraggiamenti, egli costrinse Mila a costruire tre dimore: una
circolare ai piedi della collina orientale, un’altra semicircolare ad ovest e infine
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l’ultima, triangolare, a nord. Ogni volta che Mila stava per terminarne una, il maestro
lo rimproverava furiosamente, costringendolo a demolirla e a riportare tutte le pietre
necessarie alla sua costruzione nello stesso punto dove le aveva raccolte.
A causa delle sue fatiche, una piaga aperta si produsse sulla schiena di Mila. Egli
tuttavia pensò: “Se la mostro al maestro, finirà per scacciarmi. Potrei informarne la
moglie, ma rischierei di provocare solo un inutile trambusto.” Piangendo, senza
mostrare ad alcuno la sua ferita, egli dunque si limitò a pregare la moglie di Marpa di
intercedere presso il maestro affinché gli concedesse i suoi insegnamenti. Quando la
moglie lo accontentò, Marpa le disse: “Dai a Mila del buon cibo e conducilo da me.”
Finalmente, Mila ricevette dal maestro l’iniziazione e i voti del rifugio. “Questa è solo
la base del Dharma,” gli disse. “Per ricevere le straordinarie istruzioni del Mantray na
Segreto dovrai attraversare prove molto dure.” Per dargli un esempio di ciò, Marpa gli
narrò le traversie della vita di N ropa. “Sarà difficile per te emularlo,” concluse.
A quelle parole, Mila provò una devozione così intensa da non riuscire a trattenere le
lacrime. Infine, con fiera determinazione, fece voto di fare tutto ciò che il maestro gli
avrebbe detto.
Pochi giorni dopo, Marpa si mise in cammino prendendo con sé Mila come suo
attendente. I due si diressero a sud-est finché, giunti presso una zona situata in una
posizione favorevole, Marpa ordinò a Mila: “Costruisci per me una torre quadrata a
nove piani con un pinnacolo sulla cima. Non la butterò giù e, quando avrai finito, ti
trasmetterò gli insegnamenti e ti darò delle provviste per il tuo ritiro di pratica.”
Mila si mise al lavoro, scavando le fondamenta e iniziando a costruirvi sopra, quando
tre fra i discepoli più avanzati del maestro giunsero da quelle parti e, per gioco, fecero
rotolare una pietra enorme fino al luogo ove Mila era all’opera; sicché questi la
incorporò nelle fondamenta. Mila aveva già terminato i primi due piani quando Marpa,
giunto a visitarlo e scorgendo la pietra in questione, gli chiese da dove provenisse.
Mila gli raccontò l’accaduto; al che Marpa urlò: “I miei discepoli che praticano lo yoga
delle due fasi non sono i tuoi servi! Togli di là quella pietra e rimettila dov’era!” Così,
Mila demolì quanto aveva costruito, eliminando la pietra e riportandola nel luogo ove
era stata trovata. A quel punto, Marpa gli disse: “Ora, riporta qui quella pietra e
rimettila nelle fondamenta.” Cosa che Mila fece.
Proseguendo il suo lavoro, Mila innalzò sette piani quando gli si aprì nel fianco una
ferita. Marpa intanto interruppe la sua opera pretendendo che gli costruisse un tempio
con una sala a dodici colonne e un santuario sopraelevato.”
Mila pazientemente costruì il tempio, ma durante le ultime fasi dell’opera, un’altra
ferita gli comparve sul fondoschiena. Nel frattempo, Metön Tsönpo di Tsangrong e
Tsurtön Wangé di Döl giunsero presso Marpa per ricevere, rispettivamente,
l’iniziazione di Samvara e quella del Guhyasam ya. In entrambe le occasioni, Mila,
ritenendo di averne acquisito il diritto, tentò di prendere parte alle loro riunioni con
Marpa, ottenendo tuttavia solo rimproveri e busse dal maestro. La sua schiena era
ormai un’unica grande piaga sanguinante piena di pus. Nondimeno, egli proseguì il
suo lavoro trascinando dinanzi a sé i secchi di terra da costruzione.
Quando Ngoktön Chödor di Shung si recò da Marpa per ricevere l’iniziazione di
Hevajra, la moglie del maestro donò a Mila un grande turchese tratto dal suo tesoro
personale. Mila pensava di poter usare la pietra come offerta per la cerimonia di
iniziazione. Tuttavia, come le volte precedenti, Marpa lo scacciò via picchiandolo.
Quest’ultimo episodio convinse Mila che non ci fossero più speranze per lui: egli non
avrebbe mai ricevuto alcun insegnamento da Marpa, perciò si allontanò da quel luogo
vagando senza una meta precisa. Una famiglia di Lhodrak Khok lo assunse per leggere
loro La trascendente saggezza in ottocento versi. Durante la lettura, giunto alla
narrazione delle vicende di Sad prarudita, pensò che per trovare il Dharma egli
avrebbe dovuto accettare qualunque prova pregando il maestro di ordinargli ciò che
doveva fare. Egli perciò ritornò da Marpa, il quale, come benvenuto, lo riempì delle
consuete busse e rimproveri. Mila si disperò a tal punto che la moglie del maestro,
mossa a pietà, lo spedì presso Lama Ngokpa, il quale gli diede alcuni insegnamenti.
Tuttavia, mancando il consenso di Marpa, durante le meditazioni, Mila non ottenne
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alcun beneficio. In seguito Marpa richiamò a sé Mila assieme a Lama Ngokpa e,
durante una celebrazione delle offerte, rimproverò aspramente il Lama e altri discepoli
giungendo quasi al punto di picchiarli.
Mila allora pensò tra sé: “Col mio karma malvagio, non solo attiro su di me le
sofferenze causate dai miei errori passati e dalle mie oscurità, ma causo problemi
anche a Lama Ngokpa e alla moglie del mio maestro. Non faccio altro che accumulare
azioni cattive senza ottenere alcun insegnamento. Tutto ciò che devo fare è
uccidermi.” Egli dunque si preparò al suicidio, mente Lama Ngokpa tentava di
fermarlo. Marpa, a quella vista, si calmò e convocò entrambi alla sua presenza. Infine
egli accettò Mila come discepolo col nome di Mila Dorje Gyaltsen (“Mila Bandiera
Adamantina della Vittoria”) e gli elargì numerose istruzioni preziose.
Trasmettendo a Mila l’iniziazione di Samara, Marpa fece apparire il mandala delle sue
sessantadue divinità. In seguito, egli destinò a Mila il nome segreto di Shepa Dorje
(“Risata Adamantina”) conferendogli tutte le iniziazioni e gli insegnamenti come un
vaso che versa il suo contenuto in un altro. Mila praticò per tutta la vita nelle
condizioni più avverse ed ottenne infine le realizzazioni ordinarie e quelle supreme.

Le storie che abbiamo narrato mostrano il modo in cui i pandita, i siddha e i


vidy dhara del passato, affiancandosi ad un autentico maestro, conseguirono le stesse
realizzazioni del loro amico spirituale semplicemente esaudendo tutti i suoi desideri.
Seguire con mente insincera e con motivazioni impure un maestro autentico è un
grave errore. Al contrario, non scandalizzarsi per la sua condotta apparentemente
incomprensibile ed evitare di mentirgli sono atti altamente meritevoli.
Una volta, il discepolo di un grande siddha impartiva il Dharma ad una folla di
seguaci, quando il suo maestro apparve vestito come un mendicante. Imbarazzato
dall’aspetto repellente del maestro, il discepolo finse di non vederlo, finché, giunta la
sera, quando la folla di seguaci si disperse, si presentò a lui inchinandosi.
“Perché non ti sei prostrato prima?” gli chiese il maestro.
“Non vi avevo visto!” Mentì il discepolo.
Immediatamente, i suoi occhi caddero a terra ed egli si affrettò ad implorare il suo
maestro rivelandogli la verità. Dopo di ciò, il maestro gli restituì la vista.
Una storia analoga è quella del mah siddha indiano Krisn rya. Un giorno, mentre
egli navigava sul mare in compagnia di molti discepoli, un pensiero gli sorse nella
mente: “Il mio maestro è un grande siddha. Tuttavia, dal punto di vista mondano, lo
supero di gran lunga, essendo più ricco e onorato di lui.” All’improvviso,
l’imbarcazione affondò nell’oceano ed egli, annaspando nell’acqua, supplicò il suo
maestro che comparve portandolo in salvo. “Questa è la ricompensa per la tua grande
arroganza,” gli disse il maestro. “Avevo anch’io una volta beni e onori, ma ho deciso
poi di liberarmene.”

Una quantità inconcepibile di Buddha sono giunti su questa terra, ma la loro


compassione non è stata sufficiente a salvarci. Pertanto, siamo ancora preda delle
sofferenze del sams ra.
Dai tempi più remoti, innumerevoli maestri hanno insegnato il Dharma, ma non
abbiamo avuto la fortuna di incontrarli e godere delle loro compassionevoli cure.
Oggi gli insegnamenti del Buddha si avviano alla loro dissoluzione, mentre le cinque
degenerazioni sono sempre più evidenti.50Nonostante abbiamo ottenuto questa
preziosa vita umana, siamo del tutto soggetti alle conseguenze delle nostre azioni
negative e non abbiamo le idee chiare su ciò che va fatto e ciò che va evitato.
Vaghiamo alla ricerca di qualcosa come un cieco in una pianura vuota. Per questo
motivo, l’amico spirituale, il maestro eccellente, si prende cura di noi con compassione
infinita apparendo in forma umana. Per quanto sia un Buddha realizzato, egli agisce
adeguandosi alla nostra imperfetta natura. Con le sue indiscutibili qualità egli ci
accetta come discepoli e abilmente ci introduce nel supremo e autentico Dharma,
rendendoci edotti su ciò che ci sostiene e ciò che ci danneggia e indicandoci in modo
infallibile la via verso la liberazione e l’onniscienza.
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Davvero egli non è diverso dal Buddha in persona, tuttavia la sua gentilezza nel
prestarci soccorso è per noi superiore a quella di ogni altro essere realizzato.
Cerchiamo dunque di seguirlo nel modo migliore con i tre tipi di fede.51

Ho incontrato un maestro eccellente,


Ma non ho abbandonato le mie visioni errate.
Ho intrapreso il giusto sentiero,
Ma ancora mi attardo nelle vie traverse.
Benedici tutti coloro che, come me, hanno tendenze tanto scellerate,
Affinché le nostre menti si sottomettano al Dharma.

1
Lett.: “Essenza del cuore della vasta estensione”, indica la serie di pratiche e insegnamenti
dello Dzogchen trasmessa da Jigmed Lingpa.
2
Ossia, la realizzazione per sé e per gli altri esseri.
3
I “campi dei Buddha” sono gli infiniti mondi dove i Budda si manifestano ed insegnano. Il
mondo terrestre è il “campo del Buddha Sakyamuni”.
4
Nirmanakaya, sambhogakaya e dharmakaya sono i tre aspetti dello stato di Buddha. Il primo
è la compassione (con cui il Buddha ci soccorre col corpo materiale). Il secondo è la luminosità
(con cui il Buddha manifesta le forme della saggezza e della beatitudine). Il terzo è la vacuità
(il corpo assoluto e incondizionato del Buddha).
5
Ossia l’interdipendenza dei fenomeni e dunque la vacuità di tutto ciò che può essere oggetto
di esperienza.
6
Il verbo thos pa (ascoltare) in senso spirituale indica udire un maestro, ma anche leggere,
studiare, meditare e, in generale, “ricevere” un insegnamento.
7
Ossia, il Mantray na Segreto ha l’identico scopo dei s tra e dei tantra (la vacuità), ma non
considera illusoria la realtà ordinaria che sorge dalla vacuità. Tale realtà viene ritenuta una
manifestazione della saggezza e dunque potenzialmente capace di autoliberazione.
8
Ossia, non implica ascetismo e disprezzo del mondo.
9
L’era attuale.
10
Le cinque emozioni perturbatrici: confusione, ignoranza, attaccamento, avversione e invidia.
11
Ossia, senza distrazioni.
12
Si riferisce al fatto che le esperienze della meditazione non sono esprimibili a parole, come il
sapore dei cibi per un muto.
13
I primi tre tipi sono spiegati nella parte seconda del primo capitolo. Il quarto tipo, la fede
irreversibile, viene spesso aggiunto per indicare il culmine della fede, quando essa diviene
parte integrante dell’essere.
14
Questi esempi tratti dalle storie delle vite precedenti del Buddha illustrano il grado del suo
fervore, ma non sono da imitare allo scopo di condurre pratiche di ascetismo estremo.
15
Il sesto senso è la mente, dal momento che essa percepisce i suoi oggetti interni così come
gli altri cinque sensi percepiscono le cose esterne.
16
Si riferisce ai comuni abitanti del Tibet, devoti al Dharma e impegnati nella frequente recita
del ben noto mantra Om mani padme h m, privi tuttavia di una profonda conoscenza degli
insegnamenti Buddisti.
17
Ossia, scorgi dapprima la calma sottostante al flusso di pensieri ed emozioni. Dopodichè,
mantenendo acuta la tua attenzione, rilassati in essa.
18
Ere o cicli temporali.
19
Il senso reale esprime la verità dal punto di vista degli esseri realizzati. Il senso adattato si
riferisce ad istruzioni concepite per rendere assimilabile una verità da parte di chi, non essendo
ancora realizzato, la troverebbe difficile da accettare o comprendere. Il senso indiretto riguarda
insegnamenti che introducono ad una verità non espressa in modo esplicito.
20
Cfr. par. 1,Capitolo 3.

82
21
Si riferisce ad una pratica per i defunti in cui la persona morta viene rappresentata mediante
un cartiglio col suo nome.
22
Sostenitori di idee errate.
23
Un’era o ciclo temporale in cui il Dharma è dimenticato o estremamente corrotto.
24
Fino a metà del XX secolo, la caccia era proibita in tutto il Tibet.
25
Tradizionalmente, il Buddismo tibetano raggruppa le idee non Buddiste in tali categorie.
L’eternalismo prevede l’esistenza di una realtà eterna e immutabile (considerata, a seconda dei
casi, il sé eterno, l’essere supremo o la natura immutabile). Tale punto di vista è considerato
errato, perché ripone la causa dei fenomeni in un ente esterno alla mente e all’esperienza. Il
nichilismo (simile ad alcune concezioni estreme della scienza moderna) considera reale solo il
mondo materiale che cade sotto i nostri sensi. Dal momento che esso è considerato frutto del
caso, non avendo una causa, né un fine, tutti i fenomeni che lo compongono, compresa la vita
umana, si dissolvono senza lasciare traccia. Cfr. C.N.Norbu, Il vaso prezioso, Shang Shung
edizioni, 1999, pagg. 29-32.
26
Le otto comuni apprensioni che ci assalgono nella vita: piacere e dolore, guadagni e perdite,
elogi e critiche, gloria e infamia.
27
O “Veicolo delle Caratteristiche”. Tale veicolo comprende ciò che viene di solito chiamato
“Buddismo Hinayana e Mahayana” e segue gli insegnamenti elargiti dal Buddha durante la sua
vita terrena.
28
Detto anche Vajrayana, Mantrayana, Veicolo Adamantino, Buddismo tantrico, sviluppa gli
insegnamenti trasmessi da manifestazioni del Buddha non nel corpo fisico, ma nel
sambhogak ya.
29
Si riferisce ad una pratica ben precisa in cui, poco prima di cadere nel sonno e nell’attimo
precedente il risveglio, è possibile percepire la luce naturale della natura della mente. Cfr, C.N.
Norbu, Lo yoga del sogno e la pratica della luce naturale Ubaldini Editore, 1993.
30
Fede, disciplina, apprendimento, generosità, coscienziosità, modestia e saggezza.
31
Si tratta dei tre aspetti della perseveranza, una delle sei paramita. La perseveranza iniziale è
detta “simile a un’armatura” e consiste nel non impigrirsi, né scoraggiarsi o svalutarsi
applicandosi ai doveri quotidiani. La perseveranza attiva si esercita nell’applicazione costante
delle pratiche spirituali. La perseveranza insaziabile infine spinge alla pratica anche chi, non
avendo ottenuto la liberazione, ha tuttavia già conseguito dei risultati e potrebbe
erroneamente ritenersi appagato.
32
Ossia la sofferenza che pervade tutti i cicli di esistenza. Essa è chiamata “sofferenza in ciò
che è composito”, perché si ritiene che, qualunque sia lo stato di esistenza in cui ci si trovi, i
fenomeni che sorgono hanno tutti la stessa modalità di esistenza. Ossia, sono determinati da
una causa primaria (un’azione compiuta in passato) e una causa secondaria (le circostanze
contingenti che permettono la maturazione di quell’atto sotto forma di fenomeno). Il termine
“composito” si riferisce appunto al fatto che i fenomeni non hanno una realtà intrinseca, ma
sono il prodotto di queste due cause.
33
Si tratta di traduzioni approssimative dei termini tecnici che in medicina tibetana descrivono i
primi cinque stadi settimanali dello sviluppo embrionale.
34
In Tibet si considera un beneficio per la salute del neonato il massaggiare col burro la
sommità del suo capo per agevolare la chiusura della fontanella.
35
Per la medicina tibetana, gli elementi base che compongono tutte le parti materiali del corpo.
Essi sono la manifestazione grossolana degli elementi terra, aria, fuoco, acqua e spazio.
36
Altri due atti dalla immediata retribuzione sono: causare uno scisma nel Sangha e spargere il
sangue di un Buddha.
37
Cfr nota 25.
38
L’impermanenza, la vacuità, il rig-pa e tutti gli altri elementi che compongono la visione
buddista non sono solo concetti, ma anche realtà. È dunque possibile conoscerli in due modi:
attraverso la ragione logico-discorsiva oppure per esperienza diretta. Il primo modo è proprio
della mente ordinaria, che, incapace a coglierle nell’esperienza, intende tali realtà in modo
indiretto sotto forma di idee e concetti. Il secondo è una prerogativa della mente illuminata,
abile ad esperire le realtà non accessibili alla mente ordinaria. Il testo di Patrul Rinpoche si
riferisce proprio alla condizione della mente illuminata, la quale accetta senza ombra di dubbio
gli elementi del Buddismo, non perché se ne sia persuasa tramite un ragionamento che elimini
le idee errate, ma perché li ha sperimentati direttamente. “Come colori e forme possono essere
direttamente conosciuti per mezzo della vista, così la mente può conoscere direttamente e
precisamente la vacuità [e le altre realtà professate dal Buddismo]” (Kensur Lekden, si veda
oltre).
83
Il punto dunque non è accreditare le verità buddiste eliminando con dei ragionamenti ogni
possibile dubbio o idea contraria. Nemmeno si tratta di abolire le necessità della ragione con
un atto di fede. Si tratta invece di trasformare la mente in modo da esperire la verità dapprima
in modo imperfetto e incerto con la ragione, poi in modo diretto e incontrovertibile con
l’esperienza. Tale processo tuttavia, nei suoi stadi intermedi, non può fare a meno della
ragione (e del dubbio, da cui essa è ineliminabile).
Per una limpida e dettagliata disamina di questo processo, si veda la trascrizione di un
insegnamento orale di Kensur Lekden (1900 -1971, abate del Collegio Tantrico di Lhasa
inferiore) tradotto in italiano in: Tantra in Tibet (La grande esposizione del Mantra Segreto di
Tsong-ka-pa), Ubaldini, 1980, pagg. 153 -156.
39
Un’azione che produce direttamente il massimo effetto in termini di rinascita, senza essere
mitigata o accresciuta da altre azioni concomitanti. Si tratta, insomma, di un’azione talmente
grave da non essere giustificabile dalle circostanze concomitanti.
40
Il clan cui apparteneva il Buddha.
41
Si tratta della base circolare su cui si esegue l’offerta al mandala. La pratica è spiegata in
dettaglio al Capitolo Quarto della Parte Seconda.
42
Ossia usare il concetto di verità assoluta come pretesto per agire liberamente pretendendo
che non vi sia differenza tra bene e male, sams ra e nirv na, Buddha e gli esseri ordinari e
così via.
43
Si veda Capitolo V, par. 2.
44
Pacificare le emozioni, incrementare le qualità, temperare i disordini e domare il carattere
sono le quattro attività a beneficio degli esseri.
45
Tali esempi sono tratti dal Tesoro prezioso delle qualità di Jigmed Lingpa.
46
In sostanza, egli eseguiva per loro la pratica del trasferimento (Powa), di cui lo schioccare le
dita è parte integrante.
47
Come visto prima, i tre modi di compiacere il maestro sono: procurargli offerte materiali,
servirlo con il corpo e la voce ed eseguire le pratiche da lui prescritte.
48
Piccola immagine sacra ricavata da uno stampo.
49
Il pandita guardiano, versato nella dialettica, era incaricato di sostenere i dibattiti con
studiosi non buddisti.
50
Le cinque degenerazioni sono: riduzione della lunghezza della vita, aumento delle emozioni
negative, difficoltà a redimere gli esseri, crescenti disordini materiali e avversità, diffusione di
visioni errate.
51
Descritti nella seconda parte del testo, i tre tipi di fede sono: fede vivida, che si genera dalla
nostra ammirazione per un maestro o una rappresentazione del Dharma; fede appassionata,
nata dal nostro entusiasmo verso le qualità e le realizzazioni che si ottengono seguendo il
Dharma e dal desiderio di conseguirle; fede profonda, derivante dalla conoscenza del senso
reale delle verità del Dharma.

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