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MODULO n° 3: IL TEATRO

1) IL TEATRO GRECO (caratteri generali)

2) IL TEATRO ROMANO
3) LA COMMEDIA : IL TEATRO COMICO DI PLAUTO E TERENZIO
4) PLAUTO
5) TERENZIO
6) CONFRONTO FRA PLAUTO E TERENZIO

7) LA TRAGEDIA (approfondimento)
8) IL TEATRO TRAGICO DI SENECA(approfondimento)
9) UNA PARTICOLARE FORMA DI SPETTACOLO: I GIOCHI GLADIATORII (caratteri
generali)

10)IL TEATRO DEL MEDIO EVO (caratteri generali)

1) IL TEATRO GRECO
Le prime manifestazioni del teatro furono dei popoli primitivi preistorici, ma solo nella Grecia
classica si possono ritrovare le radici del modo con cui noi occidentali pensiamo al teatro
poiché nel V e IV sec. a.C., soprattutto ad Atene, si sviluppò e perfezionò questo genere,
distinto in tragedia e commedia, simili fra loro nella struttura, ma assai diversi per nascita e
finalità culturali. L'invenzione del teatro rappresenta uno degli apporti più importanti trasmessi
dalla Grecia alla civiltà europea.
Fin dall'inizio il teatro fu un fenomeno anzitutto religioso che aveva luogo nelle feste in onore
del dio Dioniso. In origine i Greci a teatro sentivano di partecipare più ad un rito che ad uno
spettacolo.
L'intensa consapevolezza del carattere religioso del teatro, esercitò un influsso determinante
anche nella composizione del dramma: in genere i soggetti tragici erano ispirati al mito, ossia
rappresentavano episodi appartenenti alla storia sacra del popolo greco. Gli spettacoli erano
anche un fatto politico di gran rilievo ed avevano carattere agonistico. L'opera teatrale era
considerata una forma di insegnamento per la popolazione: si arrivò addirittura all'istituzione
del theoricon, sussidio messo a disposizione ai meno abbienti per accedere al teatro.
La tragedia- La tragedia nacque differenziandosi per impegno e gravità di toni dalla farsa e
fornì continue aspirazioni alla commedia. Essa ha origini magico-religiose derivate dalla
rappresentazione dei culti dionisiaci. Aveva temi spesso mitici e riconducibili a una sostanza
molto elementare ma di elevato interesse antropologico. La specificità contenutistica della
tragedia è data proprio dalla drammaticità delle situazioni e degli episodi ed è proprio ciò che
la differenzia dalla commedia. Il protagonista, e, di riflesso, lo spettatore, sono spinti a
meditare sull''inspiegabilità del fato e l'impotenza dell'uomo di fronte al destino e al divino e
perciò a purificarsi. Questo processo di purificazione che ha lo spettatore nel riflettere su
passioni e tragedie è la catarsi.
La commedia-La commedia greca è originata da riti antichissimi (come le falloforie che erano
processioni nelle quali gli attori indossavano elementi osceni), o da altre forme culturali laiche.
La commedia si differenzia principalmente dalla tragedia per il tono meno drammatico dovuto
al fatto che l'episodio non è irrimediabilmente tragico, ma la disavventura iniziale finisce
spesso con il rimediarsi. Tradizionalmente nella commedia greca si distinguono tre fasi: antica,
di mezzo e nuova. Abbiamo significative testimonianze solo della commedia antica,
(Aristofane), e nuova, (Menandro), e possiamo stabilire che la sostanziale differenza fra le due
fasi è di natura contenutistica: nella prima è fondamentale la vita politica, nella seconda è
fondamentale l'aspetto umano.
L'edificio teatrale -Il teatro, in quanto edificio architettonico, trae origine dalle primitive
sistemazioni dei luoghi all'aperto in cui si svolgevano danze e cori rituali: l'altare era
solitamente in un breve spazio, pianeggiante e circolare mentre i cittadini si raggruppavano nei
posti a sedere su un pendio circostante. In seguito venne introdotto il sistema della scalinata di

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pietre. Inizialmente la forma era quadrangolare, in seguito si costruirono strutture in forma
semi-circolare.
In un primo tempo la rappresentazione si svolgeva sul medesimo piano dell’orchestra, poi si
passò alla costruzione di un palco rettangolare di legno dietro al quale gli attori avevano un
magazzino nascosto da una tenda; l’orchestra era sistemata in un cerchio -a cui si attribuivano
poteri magici- davanti al palco. I posti a sedere nella cavea erano collegati da corridoi
orizzontali e verticali. Il pubblico aveva in questo modo un’ottima acustica e godeva di una
visuale che aveva come sfondo la tenda dipinta con immagini di roccaforti, accampamenti
militari, ecc…
Le parti principali del teatro erano il palco, l'orchestra dove stava il coro e la cavea, cioè gli
spalti.
I principali teatri, di cui ancora oggi abbiamo notizie, perché ottimamente conservati, sono
quello di Epidauro (350 a.C.), Delfi, Sparta, Efeso e, in Italia, quello di Siracusa (475 a.C.).
Gli attori, le maschere e l'abbigliamento Gli attori e il coro recitavano o cantavano
indossando appositi abiti e maschere. Le maschere erano estremamente importanti, in quanto
non solo permettevano di creare personaggi femminili (alle donne non era permesso recitare)
e maschili, ma grazie alla loro fattura erano una sorta di amplificatore per la voce. Le
maschere erano molto scomode da indossare e gli attori dovevano risolvere problemi di
rappresentazione di diversi stati d’animo con una forte gestualità. L'abbigliamento degli attori
era costituito da delle calzature alte, i coturni e da una veste lunga, il chitone. L'abito
convenzionale era una tunica lunga fino alle caviglie con vivacissimi disegni colorati, che
servivano a esprimere lo stato d’animo del momento, e sandali bassi ai piedi, inoltre un
mantello e determinati accessori per identificare un personaggio particolare (ad esempio una
corona identificava il re). Per aiutare gli attori nell’ambientazione simbolica, si usava una
piattaforma su ruote, mentre si preferiva non far vedere episodi di sangue, che venivano
introdotti tramite annunciatori o messi. Era inoltre presente una gru che serviva per tenere
sospeso in aria un personaggio, mentre le scenografie, alle spalle degli attori, erano dipinte.

2) IL TEATRO ROMANO
IL TEATRO ROMANO DELLE ORIGINI: DALLA FASE PRELETTERARIA ALLA PRODUZIONE
SCRITTA
La data di inizio della letteratura latina è il 240 a.C., anno in cui, secondo quanto riferisce
Cicerone viene rappresentata a Roma, nell'occasioni dei ludi romani, un'opera teatrale (fabula)
di Livio Andronico Naturalmente una letteratura non nasce all'improvviso e fissare un anno
preciso per la nascita della letteratura latina ispirata a modelli greci è soltanto un fatto
convenzionale. Anche se il contatto con la lingua, la letteratura e l'arte greca si fa più diretto e
più vivo dopo la conquista della penisola italica da parte dei Romani, la diffusione della cultura
greca ha origini più lontane. La data ha quindi un valore convenzionale per indicare l'inizio di
una produzione poetica in cui i fermenti letterari italici si incontrano, si fondono, si nobilitano a
contatto con la più complessa e codificata produzione greca. Durante i ludi Romani del 240
a.C. Livio Andronico fa rappresentare il primo dramma "regolare", cioè tradotto da un modello
greco.
La teatralità a Roma Il teatro, a Roma, non si limita al palcoscenico, ma abbraccia tutta la vita
pubblica di un cittadino: tutto è pervaso da una sorta di teatralità, dalla celebrazione del
trionfo, alle orazioni, alle cerimonie pubbliche. Il teatro non è un' immagine senza vita del
realtà, ma ne è un' interpretazione. Il primo elemento che si può considerare a supporto di
questa affermazione è la natura del cittadino romano: egli è tale in quanto "spettatore" della
"politica- spettacolo".
Le stesse magistrature adottano una vera e propria messa in scena (la toga, la porpora), che
conferisce auctoritas, in mancanza di altre possibili legittimazioni religiose o mitologiche.
In occasione del trionfo, mentre l'imperator celebra la sua vittoria, la città diventa uno scenario
e il popolo il pubblico: sfilano musici, danzatori, prigionieri, magistrati e non mancano neppure
veri e propri effetti scenici; questo spettacolo esprime la forza e l' ordine della res publica.
Quando muore un membro di una famiglia patrizia, il suo corpo viene trasportato attraverso
l'urbs, fino all' esterno della mura sacre, per essere sepolto. La processione si svolge con tanto
di musici, di "effetti scenici", che illudono il corteo che il cadavere possa stare ritto su se
stesso, di attori che portano le maschere di cera (imago) degli antenati illustri della famiglia,
ed è seguita da un' orazione nel foro, durante la quale il figlio declama la virtù del defunto.

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In sostanza, attraverso questa "pompa funebre" spettacolare, la nobiltà romana cerca una
sorta di legittimazione, esponendo alla vista di tutto il popolo la gloria dei suoi celebri antenati.
Il teatro a Roma
Il teatro romano non è, come si è soliti credere, una semplice imitazione della drammaturgia
greca; anzi è stato un fenomeno di peso piuttosto elevato nella vita quotidiana. Fino al 55 a.C.
non vi furono teatri stabili e neanche luoghi fissi dove erigere quelli temporanei. Fino a questo
momento esiste solo la scaena, una "baracca" di legno o muratura davanti alla quale gli attori
recitano. Essa rappresentava, nella sua temporaneità, quella dimensione illusoria caratteristica
del teatro romano: il pubblico si sedeva tutt'intorno, e in qualche caso su gradinate di legno.
Quando poi si giunge alla costruzione di teatri veri e propri, in legno o muratura, essi
mantengono le caratteristiche vere e proprie della scaena: gli architetti si pongono come primo
obiettivo quello di creare illusioni soprattutto sonore, come vasi di terracotta sotto ai sedili, per
mantenere quella "soffusa illusione" tipica del teatro: la natura effimera del teatro si esplica
anche nel fatto che i teatri non erano costruiti sfruttando la natura del terreno.
Precedentemente al 55a.C. i teatri provvisori erano diventati sempre più lussuosi, e quando
Pompeo riesce a costruirne finalmente uno stabile, esso non é veramente inserito nella città
ma è edificato all'esterno della cinta sacra, nel campo di Marte: è ormai il periodo dei triunviri
e dei principi, non più della repubblica.
U.E.Paoli Vita Romana,Firenze 1962

Le origini del teatro latino Il teatro latino è essenzialmente fondato sulla commedia, la
tragedia sarà assai più opera di imitazione. Virgilio sostiene che la commedia sarebbe nata
dalle feste organizzate per la vendemmia dei contadini (egli pensa ad una popolazione osca).
Tutte le forme popolari che sono all'origine del teatro romano sono fondate sull'italum acetum,
di cui ha parlato Orazio. I fescennini, la cui etimologia è incerta (forse dalla città di Fescennio
in Etruria), erano degli scambi di battute rozzi e grevi, ad opera dei contadini in onore del
raccolto. I fescennini in versi e la danza avrebbero dato origine alla satura; il suo significato
probabilmente deriva da lanx satura: "piatto farcito": per la varietà dei contenuti. Più
importante della satura è invece l'atellana, una sorta di farsa popolare il cui nome deriva
probabilmente da Atella, una città osca situata tra Capua e Napoli. Dagli storici moderni è
anche stato trovato un legame tra l 'Atellana e la Commedia dell'arte, che nasce nella metà del
‘500. Nelle origini del teatro latino ritroviamo anche il mimo, che nella tarda età repubblicana
aveva la funzione dell'exodium, cioè una farsa conclusiva di uno spettacolo, ma
successivamente avrà un ruolo più importante. Era una forma teatrale fondata sulla caricatura
violenta e licenziosa, con situazioni oscene e attrici senza maschera.
Differenze con il teatro greco
Anche il teatro romano, come quello greco, è strettamente connesso con feste religiose; ciò
che lo differenzia da quello greco è invece, un altro elemento. Il teatro greco, sia tragico che
comico, è strettamente legato alla vita politica e civile della città. Il teatro latino è, invece,
privo di questo intento. Anche i Romani dedicavano moltissimo tempo al teatro: nel periodo
della repubblica si contano 55 giorni di ludi scenici ufficiali su 77 giorni di ludi. Sotto l'impero ci
sono circa 101 giorni di ludi scenici su circa 165 giorni di ludi. Nel teatro romano purtroppo la
musica, il mimo, la pantomima avevano un ruolo fondamentale, mentre il testo aveva
un'importanza assai minore della sua messinscena.
Il ruolo dell'attore Nella società romana chi sale sul palcoscenico per recitare uno spettacolo
è bollato d'infamia. Questa infamia è molto più di una condanna morale: i censori cancellano
l'attore dai registri della sua tribù, lo dichiarano incapace giuridicamente e politicamente;
Tertulliano nel de spectaculis parla addirittura di diminutio capiti, che significa scomparire
come cittadino romano. A differenza di quanto avveniva nella Grecia classica, un attore
romano è un uomo disonorato agli occhi della morale e della legge. Con l'Impero cambia poi
l'atteggiamento di certi romani di fronte alla scena: quasi si compiacciano dell'immagine
disonorevole che si creano. Gli unici che rimarranno immuni dall'infamia saranno i musicisti,
nel periodo dell'impero, collocati nei settori della cavea. L'infamia posta sugli attori è il risultato
della paura che la loro auctoritas, ovvero la loro immagine civica, possa persuadere il pubblico;
infatti, togliendo al soggetto la sua auctoritas, si leva anche la sua forza di persuasione. Gli
unici attori che sfuggono all'infamia sono gli attori di atellana; e sono anche gli unici a portare
la maschera.

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Il pubblico Gli storici hanno accusato il pubblico romano di aver causato la morte del teatro
come genere letterario, anche prima della fine della repubblica. Incolto, rumoroso, volgare,
insensibile alla finezza delle commedie di Terenzio, questo pubblico avrebbe disertato i teatri a
vantaggio dei circhi. Esso sarebbe stato la causa della sparizione progressiva della commedia e
della tragedia. In realtà i ludi scenici rimangono vivi fino alla fine dell'impero, anche se nel
corso dei secoli il teatro perde progressivamente di importanza. Non è corretto definire il
pubblico romano rozzo e grossolano solo perché non si interessa di letteratura; semplicemente
la sua cultura è differente rispetto a quella ateniese: Atene era una cultura del discorso e del
giudizio, Roma una cultura della musica e della percezione immediata.

L'EDIFICIO TEATRALE: Le strutture teatrali a Roma


Le rappresentazioni teatrali sono organizzate all'interno dei ludi scaenici, inseriti nei principali
ludi (Romani, Megalenses, Apollinares, Florales, ludi trionfali e funebri). Gli spettacoli vengono
rappresentati in teatri con strutture mobili: in genere si tratta di strutture di legno provvisorie
allestite all'interno di spazi riservati ai ludi, come il Circo Massimo, in cui si tengono i ludi
Romani e Apollinares, oppure in luoghi adiacenti a templi o edifici pubblici.
La scena, che consiste inizialmente in un semplice palco intorno al quale si accalcano gli
spettatori, si trasforma progressivamente. Nel 154 a.C. viene fatto costruire un teatro con
sedili fissi ma questa struttura, appena iniziata, viene fatta demolire perché ritenuta
un'iniziativa dannosa per i publici mores e il pubblico continua quindi ad assistere in piedi agli
spettacoli. Dopo la distruzione di Cartagine, quando Roma ormai padrona del Mediterraneo ha
bisogno di dare alla propria cultura una dimensione nuova e più ampia, vengono fatti
rappresentare drammi greci da attori greci. In tali occasioni si cominciano ad imitare anche i
modi della rappresentazione in uso presso i Greci e gli spettatori assistono seduti in terra o,
come è probabile, su sedili mobili (subsellia) collocati nella cavea, lo spazio antistante alla
scena.
Un teatro in legno con palcoscenico (theatrum et proscaenium) viene fatto costruire dal
Pontefice Massimo nel 179 a.C.. Questo teatro, che viene smontato al termine delle
rappresentazioni, costituisce il primo esempio di teatro costruito appositamente per ospitare
ludi scaenici.
Altri tentativi di costruire strutture seppure temporanee per ospitare rappresentazioni teatrali
vengono effettuati nel II sec. a.C. La costruzione di edifici destinati stabilmente all'uso di teatro
risale al I secolo a.C quando il primo teatro stabile in muratura, situato nei pressi dell'attuale
Campo dei Fiori, è fatto erigere nel 55 a.C. da Pompeo
Il fatto che per moltissimo tempo i teatri siano a Roma edifici provvisori che vengono costruiti
all'occorrenza e poi abbattuti è espressione della scarsa considerazione di cui gode il teatro a
Roma. Guardato con diffidenza alle origini, il teatro assume una maggiore rilevanza sociale ed
istituzionale solo in seguito agli influssi della cultura greca, determinanti per l'ampliamento
dell'orizzonte culturale dei Romani. La coincidenza degli allestimenti scenici con le principali
solennità religiose è una conferma dell'affermarsi di tale ampliamento d'interessi, che porta i
ludi scaenici ad essere affiancati a tutti gli altri giochi nelle maggiori feste romane: il teatro, al
pari degli altri ludi, è divertimento, intrattenimento.
La struttura del teatro Il teatro consisteva soltanto nella scena, cioé in un palcoscenico
(pulpitum) su cui agivano gli attori, e nella scena vera e propria costituente lo sfondo. Pulpito e
scena erano di legno. Quello che sappiamo sulla struttura della scena riguarda quasi
esclusivamente la scena della commedia. Questa consisteva in un tavolato verticale di legno
innalzato nella parte del pulpito più distante dagli spettatori; nella scena si aprivano sul pulpito
tre porte, corrispondenti alle tre case contigue, dove si immaginava che abitassero i
personaggi che agivano nelle commedie. Se l'azione richiedeva che si avesse l'entrata di un
tempio, non era rappresentata la fronte del tempio, ma una porta, simile a quella delle case
vicine, praticata nel muro che cingeva il tempio. A distanza dal tempio, sul pulpito, poteva
esserci un altare. Dalla parete di sfondo, dove vi era l'apertura delle tre porte, avanzava sul
palcoscenico, in corrispondenza di ciascuna porta, un vestibolo che consisteva in una tettoia
piatta sostenuta da due colonne. Nell'età imperiale si ebbero tre tipi di scena: per la tragedia,
per la commedia, per i drammi satireschi. Quando poi si ebbero i teatri di pietra, le parti
essenziali erano la scaena, l'orchestra, la cavea (sedili). I cori che intervenivano nell'azione
agivano sul palcoscenico, non nell'orchestra. Inoltre a differenza dei Greci i Romani avevano il
sipario. Esclusivamente romano era anche l'uso di proteggere il pubblico mediante velaria.

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Adottati in età imperiale sono poi i periactoi,che avevano la funzione delle nostre quinte e di
cui Vitruvio fa un'ampia descrizione nel De Architactura (… secundum autem spatia ad ornatus
comparata, quae loca Graeci periactous dicunt ab eo quod machinae sunt in his locis versatiles
trigonos habentes in singula tres species ornationis, quae cum aut fabularum mutationes sunt
futurae seu deorum adventus cum tonitribus repentinibus ea versentur mutentque speciem
ornationis in frontes… che in italiano può essere tradotto: "aree disposte per apparati scenici,
luoghi che i Greci chiamano perìaktoi (attorno a un punto focale) per il fatto che in questi
luoghi vi sono macchine mobili triangolari aventi ciascuna tre campi ornamentali, le quali
quando stanno per verificarsi o cambiamenti nei drammi ovvero apparizioni di dei, con tuoni
improvvisi si girano verso tali parti e mutano il campo ornamentale sulle fronti") erano dei
prismi girevoli, probabilmente triangolari, di legno dipinto.(ripresi anch'essi dalla Grecia)
Sempre d'importazione greca i macchinari utilizzati anche in Roma per l'acustica.

3) LA COMMEDIA : IL TEATRO COMICO DI PLAUTO E TERENZIO


Il teatro latino, come abbiamo già detto, è essenzialmente un teatro comico; infatti l'italum
acetum era una componente fondamentale dei Romani: tanto è vero che ci sono pervenuti
venti testi di Plauto e sei di Terenzio, mentre per quanto riguarda la tragedia abbiamo solo
nove tarde opere di Seneca. Al contrario di quello che si è portati a credere, la commedia latina
non era affatto opera di imitazione, anzi la commedia di Plauto e di Terenzio ha avuto una sua
indiscutibile originalità. Tanto è vero che i modelli greci da essi adottati erano solo uno schema
drammaturgico su cui costruire commedie personalissime nello spirito, nella struttura
drammaturgica stessa, nella condizione dei personaggi. Le commedie possono essere divise in
due filoni: in un primo tempo si ha la fabula palliata, di argomento greco; successivamente con
Nevio si ha la commedia di argomento romano, chiamata fabula togata (entrambi i nomi si
riferiscono agli abiti indossati dagli attori). Il fondatore del teatro latino é Livio Andronìco,
vissuto nel III secolo a.C.: autore non solo di commedie ma soprattutto di tragedie. Se Livio si
limitò a tradurre per il pubblico romano le commedie greche della Commedia Nuova, invece
Gneo Nevio, vissuto fra il 270 e il 201 a.C., probabilmente nativo di Capua, è un autore più
libero nel tradurre e adattare i testi originali greci. Chi invece diede al teatro latino una svolta
fondamentale conducendolo ad un'autonomia e a un'originalità prima neppure immaginata, fu
Tito Maccio Plauto. E' stato addirittura paragonato ad Aristofane, il più grande commediografo
del mondo classico. Plauto visse tra il 255 e il 184 a.C. circa e, originario di Sarsina, venne a
Roma come attore prima di diventare autore di palliate. Le sue venti commedie che ci sono
pervenute sono: Amphitruo; Asinaria; Aulularia; Captivi; Curculio; Casina; Cistellaria;
Epidicus; Bacchides; Mostellaria; Menaechmi; Miles gloriosus; Mercator; Pseudolus; Poenolus;
Persa; Rudens; Stichus; Trinummus; Truculentus.

4) PLAUTO
Il nome preciso del poeta e la maggior parte delle informazioni sulla sua vita sono tra i dati
incerti e molte delle testimonianze antiche sono ricavate da allusioni contenute nelle
commedie. Sicuro sembra che il poeta fosse nativo di Sàrsina, un borgo dell’Umbria, dell’area
osca; Plauto è dunque il primo autore latino che non proviene da una zona di cultura greca. Nel
II secolo circolavano qualcosa come centotrenta commedie sotto il suo nome, ovviamente la
maggior parte apocrife, poiché egli era stato un autore di gran successo e molti autori
posteriori usarono il suo nome per attirare favore e simpatia sui propri allestimenti; ma grazie
all’enorme lavoro di identificazione delle opere originali da parte di Marco Terenzio Varrone, il
numero di commedie sicuramente riconducibili a Plauto si è ridotto a ventuno.
Le trame delle commedie plautine sono per la maggior parte riprese da esemplari greci, in
particolare da Menandro, il più importante tra i comici della cosiddetta Commedia nuova di
Atene, fiorita nel IV secolo a.C.. Ma sappiamo che Plauto scelse i suoi soggetti anche tra le
commedie di altri autori: Difilo, Alessi, Demofilo. Plauto si preoccupa poco di comunicare il
titolo, ed eventualmente la paternità della commedia greca su cui via via si è orientato; anche i
titoli di Plauto non sono quasi in nessun caso trasparenti traduzioni di titoli greci. E’ chiaro che,
a differenza di quello che avverrà per autori successivi come Terenzio, il teatro di Plauto non
presuppone un pubblico così ellenizzato da gustare minutamente il riferimento a certi modelli.
L’“originalità” di Plauto resta affidata in primo luogo alla sua straordinaria creatività linguistica
e metrica: neologismi, giochi di parole, maestria ritmica; l’inventività linguistica di Plauto si
manifesta anche nei nomi dei personaggi, cambiati rispetto agli originali greci. Un’altra

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particolare caratteristica delle commedie plautine è la presenza dei cantica, parti in metri lirici,
vivaci scene cantate e accompagnate dalla musica: essi sono diversi dai cori della tragedia
greca, perché non sono solo intermezzi mediativi, momenti in cui l’entusiasmo dei singoli
personaggi di scena, la loro emozione esagerata e caricata, vengono espressi da una forma
metrica diversa da quella del dialogo, bensì momenti dell’azione che spesso coinvolgono più
personaggi, producendo effetti di grande spettacolarità. Le commedie di Plauto, nella
realizzazione scenica e nello svolgimento delle vicende, tendono a porre in primo piano
elementi di comicità beffarda: la beffa, il travestimento, lo scambio di persona…Plauto sembra
alle prese con situazioni socio-antropologiche molto elementari: la rivalità che, nelle gerarchie
familiari, oppone padri e figli per il possesso della donna e anche la stessa “disponibilità” della
donna.
Lo spazio della commedia è un’astrazione fantastica, dove possono avvenire cose che la
normalità quotidiana a Roma non permetterebbe, infatti le trame appaiono spesso inverosimili
e meccaniche; il mondo della commedia è un mondo colto in aspetti tanto brutali e disgregati è
per questo che non deve esserci, tra il pubblico e i personaggi, nessuna piena identificazione.
Nonostante la grande originalità stilistica di Plauto, le trame e gli intrecci sono quelli delle
commedie greche e tutti, con poche variazioni, molto simili tra loro. Riassumendo, lo
svolgimento tipico delle commedie è questo: un giovane è innamorato di una fanciulla (per lo
più si tratta di una cortigiana) ma non può unirsi a lei; gli si oppongono altri amanti meglio
forniti di moneta, oppure, altre volte, un padre, che lo vorrebbe serio e obbediente, o che
addirittura gli è rivale; altro ostacolo fisso è il lenone, che rifiuta di cedere la ragazza se non gli
verrà consegnato il denaro. Mediatore e risolutore di queste tensioni è spesso il servus callidus,
il servo astuto: è lui la figura centrale e il punto di attrazione, per il pubblico e gli altri
personaggi, poiché è lui che produce la soluzione della crisi comica; altri personaggi sono: l’
adulescens, il protagonista della vicenda; la puella, la donna amata dal protagonista.
I personaggi plautini rappresentano uno stadio tanto elementare dei rapporti sociali che
devono apparire essenziali, privi di sfumature, perfino un poco uguali tra loro; anche gli
intrecci, per lo stesso motivo, sono prevedibili e ripetibili.
Le commedie della scelta varroniana, nel corso del Medioevo, sono state messe in disparte e
personaggi illustri come Dante Alighieri e i suoi contemporanei le hanno ignorate: è solo a
partire dal 1429 che le commedie plautine tornano in circolazione presso gli umanisti italiani.
Plauto deve la grande fortuna delle sue commedie all’utilizzo continuo della figura del servo
astuto (servus callidus), che, con le sue macchinazioni, disegna l’evoluzione della commedia e
dell’opera buffa fino all’Ottocento. Plauto è certamente ancora oggi il più rappresentato di tutti
i poeti scenici latini.
Una delle commedie plautine più famosa è l’Amphitruo, che occupa un posto particolare nel
teatro di Plauto, perché è l’unica a soggetto mitologico: in essa si racconta che Giove, con
l’aiuto del fedele Mercurio, giunge a Tebe per conquistare la bella Alcmena, impersonando il
marito di lei, Anfitrione, che in quel momento si trova in guerra. Ma improvvisamente il vero
Anfitrione ritorna dalla guerra e, dopo una brillante serie di equivoci, si placa, onorato di aver
avuto per rivale un dio. Altre commedie famose sono: Epidicus, in cui il protagonista è il servo;
Pseudolos, è tra i culmini del teatro plautino, lo schiavo del titolo è veramente una miniera di
inganni, il campione dei servi furbi di Plauto.

5) TERENZIO Publio Terenzio Afro, invece, realizzò un teatro di pensiero intimista e volto alla
psicologia; un autore molto diverso da Plauto, nell'intreccio, nell'invenzione comica, nei
caratteri, nell'idea stessa di commedia. Il suo teatro non si rivolse soltanto ai plebei, ma anche
alle classi colte. Nato a Cartagine, visse tra il 195 e il 159 a.C. Giunto a Roma come schiavo,
entrò a far parte del circolo scipionico, espressione di una cultura raffinata e filoellenica, che si
stava diffondendo nella classe dirigente e che si contrapponeva alla vecchia e severa tradizione
romana. Per questo motivo Terenzio ebbe vita difficile sia sui palcoscenici che nei confronti
degli altri autori che lo accusarono di essere un semplice prestanome dei suoi protettori;
un'accusa infondata, dal momento che dopo la sua morte nessuno più scrisse commedie con il
suo nome. E' stato definito da uno dei suoi più attenti studiosi (L. Perelli,Il teatro rivoluzionario
di Terenzio, Firenze 1973) l'unico drammaturgo latino che si sforzò deliberatamente di
realizzare una commedia latina che fosse artisticamente superiore al suo modello greco.
Rispetto a Plauto, Terenzio introduce nella commedia una serie di modifiche come il prologo
polemico (e non espositivo dell'intreccio), l'uso della contaminatio come mezzo per creare una

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commedia di preciso timbro morale, una lingua pura e limpida; ma soprattutto ciò che
contraddistingue Terenzio é la sua concezione di vita, espressa chiaramente in una battuta de
il punitore di se stesso:"Homo sum. Humani nil a me alienum puto.", ovvero: "Uomo sono. Non
mi è estraneo nulla di ciò che è umano. Si tratta dell'humanitas che nel teatro di Terenzio
rende sia i giovani che i vecchi, sia i servi che le cortigiane dei personaggi, con le loro
psicologie e con le loro debolezze, e mai dei tipi fissi o delle maschere, come accade in Plauto.
Così facendo, però, Terenzio deludeva le aspettative del pubblico, attratto maggiormente da un
altro genere di spettacoli. Le sei commedie da lui scritte sono: Andria; Heautontimorumenos;
Eunuchus; Phormio; Adelphoe; Hecyra.

Adelphoe Vi è senz’altro una forte incoerenza fra la parte finale (dove Demea sembra essere il
saggio e Micione lo sciocco) ed il resto della commedia. La critica ha proposto varie soluzioni
interpretative :
1) Il finale sarebbe un’appendice farsesca estranea all’azione, ma allora non si capisce la
“seria” battuta finale di Demea, che afferma di esser disposto di lasciare la donna (la
suonatrice) a Ctesifone, ma purché sia l’ultima.
2) il finale sarebbe una prova dell’imparzialità comica di Terenzio; ma anche questa tesi non è
convincente, perché, se si esclude il finale, l’autore parteggia senz’altro per i metodi educativi
di Micione
3) Terezio nel finale avrebbe volutamente ridicolizzato Micione e riabilitato Demea per
incontrare il consenso del pubblico, tradizionalista e conservatore (tesi più accettabile)

Hecyra. L’Hecyra è la commedia più lontana dagli schemi plautini, quasi del tutto priva di
spunti propriamente comici (forse proprio per questo non ebbe successo).
Grandi sono gli effetti di sospensione e di sorpresa (non si sa, ad esempio, perché Filumena
abbia volontariamente abbandonato la casa del marito e nel corso della commedia vengono
presentate varie ipotesi. Quando poi Panfilo rivela in un monologo ciò che ha appena appreso
(cioè che la moglie sta per partorire), aumentano gli effetti di ambiguità e di ironia, perché
sia i personaggi sia gli spettatori -ad esclusione di Mirrina, la madre della ragazza- conoscono
solo una parte della verità..
La soluzione giunge in modo inaspettato proprio dalla cortigiana Bacchide, con il
riconoscimento dell’anello strappato a Filumena e tutto si ricompone.
La tesi della commedia: poiché i fatti smentiscono le attese, i sospetti si dimostrano
infondati ed i presunti colpevoli si rivelano innocenti, gli spettatori sono portati a constatare
che l’apparenza inganna, che le persone e le situazioni, se analizzate nel profondo, risultano
diverse da come si presentano in apparenza, che anche chi riveste i ruoli più scomodi può
essere migliore dell’immagine che se ne ha abitualmente secondo il luogo comune: le suocere
possono essere affettuose e comprensive, e le prostitute possono dimostrare sentimenti
nobili (ad es. Bacchide si dimostra onesta e generosa e pronta a sacrificarsi per il bene del
giovane che un tempo l’aveva amata). La realtà è quindi complessa ed imprevedibile e non
può perciò venir racchiusa in schemi rigidi e assoluti;

6) CONFRONTO FRA PLAUTO E TERENZIO

Plauto: gli intrecci ed i personaggi


Gli intrecci di PL. sono quelli tipici della commedia nuova greca, a cui appartenevano i modelli
utilizzati, intrecci complicati ma anche molto ripetitivi. La maggio parte delle commedie (16),
presentano, infatti, una medesima situazione di base:un giovane (adulescens), innamorato
di una donna e ostacolato nel suo amore o perché lei è una cortigiana, o perché è sprovvista
di dote; o per motivi di carattere economico o sociale.
Il giovane, generalmente senza soldi, ha però degli aiutanti: un vecchio comprensivo, un
giovane amico, un parassita, o, più frequentemente, un servo astuto e audace (servus
callidus). Tutti questi personaggi normalmente si adoperano per proteggere il giovane dal
padre, sottrargli del denaro, oppure per farsi beffe e truffare altre due figure tipiche della
commedia: il lenone (ruffiano) ed il soldato, generalmente raffigurato come pieno di
autostima, borioso, stupido edanche prepotente. Padre, lenone e soldato sono quindi gli
antagonisti del giovane.

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L’intreccio complicato si conclude solitamente col lieto fine (per lo più il matrimonio) e la
riconciliazione fra i vecchi e i giovani, mentra le beffe ed i danni toccano generalmente ai
lenoni e al miles. Molto spesso il lieto fine, con il conseguente matrimonio, è reso possibile
dal riconoscimento (motivo assai frequente nella Commedia Nuova), che serve a sbloccare
anche le situazioni più intricate.
Plauto guarda in primo luogo alla comicità ed è molto meno interessato del suo modello,
Menandro, e di Terenzio, poi, alla coerenza e all’organicità dell’intreccio.
Poco gli interessano anche i conflitti psicologici tra i protagonisti (vecchi e giovani, padri e
figli, mariti e mogli, servi e padroni), mentre i conflitti psicologici avevano avuto grande
importanza in Menadro e la avranno poi ancor di più in Terenzio (ad es. “I fratelli”).
I personaggi di Plauto sono dei “tipi” caricaturali, dei veri e propri capolavori di esagerazione
grottesca (ad es. il soldato del “Miles gloriosus”).
Ma il personaggio che PL. predilige è senz’altro il servus callidus (lo schiavo astuto),
scaltro, esperto di inganni, spavaldo, sfrontato, sicuro di sé, insolente e straffotente,
generalmente vittorioso sul vecchio padrone.
La vittoria dello schiavo sul vecchio padrone, non vuole essere un atteggiamento critico o
polemico nei confronti dei rapporti sociali in atto, ma piuttosto la tendenza al rovesciamento
burlesco della realtà (aspetto caratteristico della commedia in generale e del teatro plautino
in particolare).
Per quanto riguarda i rapporti con i modelli greci , Pl. traduce, riprende, rielabora
commedie greche che non ci sono pervenute (in particolare Menandro, Commedia Nuova),
esercitando però la contaminazione (= inserzione in una commedia, derivata da un
determinato originale greco, di uno o più scene, o anche uno o più personaggi, tratti da
un’altra commedia, anch’essa greca). Ampio spazio è dato anche alla musica e al canto, che
invece avevano poco rilievo nella commedia greca.
L’ambientazione è greca e questo gli offriva anche il vantaggio di poter attribuire
comportamenti certo non esemplari ai Greci e non ai Romani.
Il prologo è generalmente espositivo

TERENZIO: gli intrecci ed i personaggi


elementi di distacco da Plauto: maggior fedeltà ai modelli, soppressione quasi totale dei
pezzi cantati, linguaggio della conversazione ordinaria (stile “puro”), senza esagerazioni per
potenziare la comicità, prolog ogeneralmente non espositivo, per consentire al poeta di
manifestare le proprie idee o di difendersi dai suoi detrattori. (ed in questo modo viene
coinvolto anche il pubblico)
Intrecci : è il solito schema tipico della Commedia Nuova, con i soliti personaggi già visti in
Pl. vecchi, giovani, cortigiane, lenoni, parassiti, schiavi astuti ecc. con i soliti motivi
tradizionali: inganni, riconoscimenti, equivoci.
Tutte le comm. si concludono con uno o due matrimoni, tranne “La suocera”, dopo si
ristabilisce un matrimonio già esistente. Terenzio tende a complicare le trame con
un’introduzione di una seconda coppia (l’unica dove manca è sempre “La suocera”). Rispetto
a Pl. gli intrecci sono più accurati ed organici e c’è una maggior attenzione alla
verisimiglianza.
Personaggi sono psicologicamente credibili, i tratti caricaturali sono attenuati, i caratteri
sono delineati con finezza. Il ruolo del servo è senz’altro ridimensionato rispetto a PL. e
vengono in primo piano specialmente i padri e i figli, rappresentati non come nemici (quindi il
conflitto generazionale è attenuato)
Messaggio morale (assente in Plauto) La visione di Ter. dell’uomo e dei rapporti
interpersonali corriasponde a quella di Menandro. Il messaggio centrale delle commedie si
può riassumere nell’esortazione alla filantropia , cioè all’amore e al rispetto per gli altri
(anche se i ruoli sociali non sono messi in discvussione).

7) LA TRAGEDIA
La tragedia, messa in secondo piano rispetto alla commedia ebbe però la sua importanza nel
periodo della repubblica. Anche le tragedie si possono differenziare a seconda che siano di
argomento greco, fabula cothurnata, o di argomento latino, fabula praetexta. Tra gli autori di
tragedie troviamo, oltre a Livio e Nevio, Ennio, nato nel 239 a.C. a Rudiae e morto a Roma nel

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169, fu il grande poeta ufficiale della Roma repubblicana, ma anche il teatro tragico fu per lui
assai importante. Anche Ennio, come Terenzio, mantenne sempre contatti con il circolo
scipionico. Pacuvio, figlio di una sorella di Ennio, fu suo erede nella tragedia. Nato a Brindisi nel
220 a.C., morì a Taranto intorno al 130. Anche Pacuvio, come Ennio, fu in stretto rapporto con
il circolo scipionico. Il maggiore esponente di questo genere letterario è, però, Seneca, grande
scrittore "morale" che fu maestro di Nerone e che visse dal 4 a.C. al 65 d.C. La sua influenza é
stata enorme su tutto il teatro tragico moderno: ha suggestionato profondamente i massimi
autori elisabettiani: Shakespeare, Marlowe, Webster. Il primo elemento distintivo é la
concezione del fato che "non solo non si identifica con il dio, ma é superiore a uomini e dei e li
travolge, il più delle volte, in una comune negatività" (G. Paduano, il mondo religioso della
tragedia romana, Firenze 1977, p.21). Il secondo elemento di rilievo è il gusto della violenza
più atroce, l'uso costante di fantasmi e di sogni premonitori, la rappresentazione in scena di
effetti sanguinari e truculenti degni di quelle battaglie fra gladiatori che avevano molto
successo nel circo. Seneca, con uno stile che passa dalla digressione alla battuta serrata e
folgorante, crea un teatro tragico che, pur nascendo dai modelli euripidei e solo in piccola parte
eschilei e sofoclei, ha un'originalità tutta sua, accenti inusitati ed emozioni particolarissime.

8) IL TEATRO TRAGICO DI SENECA


Ci è pervenuto sotto il nome di Seneca (nato tra il 12 e l’1 a.C., morto nel 65 d.C.) un corpus
di dieci tragedie (le uniche di tutta la letteratura latina che conosciamo non
frammentariamente): nove sono di argomento mitologico; una, dal titolo Octavia, è una
praetexta.
Incerta e discussa è la cronologia dei testi tragici senecani. L'ipotesi più probabile è che siano
stati scritti, almeno in gran parte, nel periodo in cui il filosofo era accanto a Nerone come
precettore e poi come consigliere. Il problema cronologico è strettamente legato a quello degli
intenti che il filosofo perseguiva e del significato ideologico che egli attribuiva a queste sue
opere.
Un illustre studioso di Seneca, Alfonso Traina, partendo dalla constatazione che in quasi tutte
le tragedie è presente la figura del tiranno, tratteggiata in termini violentemente negativi, ne
ha dedotto che le ipotesi possibili sono soltanto due: «o teatro di opposizione, quale avevano
fatto, pagando spesso con la vita, gli intellettuali aristocratici, o teatro di esortazione. Ma
Seneca non è mai stato un contestatore politico, neppure durante l'esilio .... Le tirate
antitiranniche delle tragedie potevano passare solo se rivolte non “contro” ma “al” potere,
come paradigmi negativi di un discorso parenetico» (ossia di ammonizione).
Del resto l'unico modo di giustificare la composizione di opere in versi, dal punto di vista di
Seneca (quale risulta dalle sue opere filosofiche), era quello di attribuire alla poesia uno scopo
pedagogico, di farne uno strumento di ammaestramento morale. Dunque le tragedie furono
composte con ogni probabilità anche e soprattutto per mettere dinanzi agli occhi del giovane
principe Nerone (molto amante delle lettere e particolarmente interessato al teatro) gli effetti
deleteri del potere dispotico e delle passioni sregolate.
Un altro problema molto dibattuto è se le tragedie siano state scritte per essere rappresentate
in teatro o per essere lette nelle sale di recitazione. Sappiamo infatti che in età imperiale, pur
non mancando sporadiche testimonianze di vere e proprie rappresentazioni teatrali, l'uso
prevalente era di leggere i testi tragici (poco graditi al vasto pubblico) in occasione di
recitationes che venivano organizzate in case private, in apposite sale o anche alla stessa corte
imperiale, per gruppi più o meno ristretti e scelti d'invitati.
Che anche le tragedie di Seneca siano state composte non per il teatro, ma per la lettura in
ambienti ristretti e davanti ad un pubblico selezionato, si deve presumere sulla base di alcune
loro caratteristiche tecniche che contrastano con le norme e le consuetudini del teatro antico
(specialmente il fatto che orribili delitti, invece di essere soltanto raccontati, si fingano
compiuti direttamente sulla scena). Inoltre non è assolutamente credibile che gli imperatori
consentissero la rappresentazione, dinanzi ad un pubblico vasto e indiscriminato, di drammi,
come questi, in cui i sovrani sono raffigurati come biechi, scellerati e odiosi tiranni.
Al centro di tutte le tragedie troviamo la rappresentazione dello scatenarsi rovinoso di sfrenate
passioni, non dominate dalla ragione, e delle conseguenze catastrofiche che ne derivano. Il
significato pedagogico e morale s'individua dunque, come si è già accennato, nell'intenzione di
proporre esempi paradigmatici dello scontro nell'animo umano di impulsi contrastanti, positivi
e negativi. Da un lato vi è la ragione, di cui si fanno spesso portavoce personaggi secondari,

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come le nutrici delle eroine (Clitennestra, Fedra e Medea), o il cortigiano consigliere del tiranno
(Atreo), che cercano di dissuadere i protagonisti dai loro insani propositi; dall'altra vi è il furor,
cioè l'impulso irrazionale, la passione (amore, odio, gelosia, ambizione e sete di potere, ira,
rancore), presentata, in accordo con la dottrina morale stoica, come manifestazione di «
pazzia» (furor, appunto: una parola chiave, continuamente ricorrente nelle tragedie), in quanto
sconvolge l'animo umano e lo travolge irrimediabilmente.
In questa lotta tra il furor e la razionalità, lo spazio dato al furor, al versante oscuro, alla
malvagità e alla colpa, è senza dubbio preponderante e va ben oltre i condizionamenti e le
esigenze imposti dal genere tragico. L'interesse per la psicologia delle passioni, che può
apparire quasi morboso, sembra talora far dimenticare al poeta le esigenze filosofico-morali.
Inoltre è caratteristica delle tragedie senecane, rispetto ai testi greci che conosciamo e che
trattano i medesimi miti, l'accentuazione delle tinte più fosche e cupe, degli aspetti più truci e
sinistri, dei particolari più atroci, macabri e raccapriccianti.
In realtà la visione pessimistica, l'accentuazione degli elementi cupi e la forte intensificazione
patetica, appaiono funzionali proprio a quel valore di esemplarità negativa che i personaggi
tragici rivestono agli occhi del filosofo; sono mezzi di cui l'autore si serve per raggiungere più
efficacemente il suo principale obiettivo, consistente nell'ammaestramento morale. Del resto il
pathos caricato, l'enfasi e il gusto dei particolari orridi e raccapriccianti erano già presenti (per
quanto possiamo giudicare dai frammenti) nei tragici latini arcaici, e trovavano piena
corrispondenza nel gusto dei tempi di Seneca, come conferma significativamente il poema di
Lucano.
Un'altra caratteristica vistosa delle tragedie senecane è l'interesse prevalentemente
concentrato sulla parola a scapito dell'azione. Il poeta rivolge scarsa cura all'articolazione
organica della trama e dà grande spazio ad elementi privi di funzionalità drammatica, come
lunghissime tirate moralistiche, ampie ed eruditissime digressioni mitologiche, racconti di
messaggeri molto dilatati rispetto alle tragedie greche con l'inserzione di vasti pezzi descrittivi.
Le vicende mitiche non interessano infatti al poeta come parti essenziali di un meccanismo
drammatico, ma come occasioni per sviluppare topoi letterari (con fitte reminiscenze ed
allusioni ad altri testi: i tragici greci, Virgilio, Ovidio, continuamente ripresi e rielaborati) e per
dibattere una serie di argomenti morali e politici, come quelli della colpa, del delitto, del
regnum, della fides.
Anche i personaggi, più che figure propriamente drammatiche (che si definiscono cioè
attraverso l'azione) o caratteri psicologicamente verosimili, sono innanzitutto portatori di
determinati temi, affidati loro dal poeta in base agli spunti offerti dalla tradizione mitico-
letteraria.
Ne deriva un tono magniloquente e declamatorio, che costituisce indubbiamente un ostacolo
per il lettore moderno, infastidito dalla ridondanza e dalla ripetitività connesse con la tecnica
della variazione sul tema (tipica della retorica di età imperiale, ed evidente anche nelle opere
filosofiche senecane) e dalla sovrabbondanza delle apostrofi, delle esclamative, delle
interrogative retoriche.
Nonostante gli eccessi `barocchi' (cioè l'enfasi, l'esuberanza espressiva, il gusto delle tinte
forti, dei toni accesi e dell'ornamentazione sovraccarica), nelle tragedie più riuscite (Fedra,
Medea, Le Troiane, Tieste) lo scavo negli abissi più tenebrosi dell'animo umano è profondo e
potente, e la tensione patetica raggiunge culmini d'intensa emozione e commozione. In tutti i
drammi, inoltre, la capacità del nostro autore, di condensare il pensiero in formule (sententiae)
semanticamente pregnanti ed incisive, produce risultati assai pregevoli.

9) UNA PARTICOLARE FORMA DI SPETTACOLO : I GIOCHI GLADIATORII


I giochi gladiatori
Come le gare con i carri, anche le lotte gladiatorie ebbero origine probabilmente come giochi
funebri privati, pur essendo molto meno antichi rispetto alle prime.
Il primo combattimento gladiatorio in Roma di cui si ha testimonianza ebbe luogo quando tre
coppie di gladiatori lottarono fino alla morte durante il funerale di Giunio Bruto nel 264 a. C.,
anche se è assai probabile che episodi simili si ebbero già in precedenza.
I giochi gladiatori (chiamati MUNERA poichè costituivano in origine una sorta di "tributo"
versato agli antenati defunti) gradualmente persero la loro connessione esclusiva con i funerali
di cittadini individuali e divennero una parte importante degli spettacoli pubblici finanziati dai

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politici e dagli imperatori. La popolarità di questi giochi è testimoniata dall' abbondanza di
dipinti murari e mosaici che ritraggono i gladiatori
I gladiatori
I gladiatori (il cui nome deriva da quello della spada romana chiamata gladius) erano
prevalentemente individui non liberi (criminali condannati, prigionieri di guerra, schiavi); alcuni
di essi erano volontari (per la maggior parte liberti o uomini liberi delle classi più basse) che
sceglievano di assumere lo stato sociale di uno schiavo per il compenso economico o per la
fama e l' eccitazione.
Chiunque diventasse gladiatore era automaticamente infamis per la legge e per definizione un
cittadino non rispettabile. In realtà anche un esiguo numero di esponenti delle classi più
elevate si confrontava nell' arena (benchè questo fosse esplicitamente proibito dalla legge), ma
costoro non vivevano con gli altri gladiatori e costituivano una particolare esoterica forma di
intrattenimento (così come le donne, estremamente rare per la verità, che combattevano nell'
arena).
Tutti i gladiatori pronunciavano un giuramento solenne (sacramentum gladiatorium), simile a
quello dei legionari ma assai più sinistro: "Sopporterò di essere bruciato, di essere legato, di
essere morso, di essere ucciso per questo giuramento" (Uri, vinciri, verberari, ferroque necari,
Petronius Satyricon 117). Paradossalmente, questo terribile giuramento forniva una sorta di
voluzione e di onore ai gladiatori; come afferma Carlin Barton: "Il gladiatore, attraverso il suo
giuramento, trasforma in volontario quello che in origine era un atto involontario, così che , nel
momento stesso in cui assume i panni di uno schiavo condannato a morte, egli diviene
contemporaneamente un uomo che agisce secondo la propria volontà"
(The sorrows of the Ancient Romans: The gladiators and the monsters Princeton University
Press, 1993 15).
Alcuni gladiatori non combattevano più di due o tre volte l' anno; i migliori tra essi divenivano
veri e propri eroi popolari e, in quanto tali, i loro nomi apparivano spesso nei graffiti: il
carnefice dell' arena diventava il carnefice dei cuori: decus puellarum, suspirium puellarum.
Grazie a questa popolarità e ricchezza, lo schiavo, il cittadino decaduto, il condannato per
delitti comuni eguagliava i pantomimi e gli aurighi di moda. I combattenti più abili infatti
potevano vincere una notevole somma di denaro e ricevevano la spada di legno (rudis) che
simboleggiava la libertà acquisita. I gladiatori liberati potevano continuare a combattere per
denaro, ma più di frequente divenivano istruttori nelle scuole gladiatorie o guardie del corpo
mercenarie per il compenso economico.
Tipi di gladiatori
Vi erano diverse categorie di gladiatori, distinte in base al tipo di armatura indossata, alle armi
utilizzate e allo stile del combattimento; gli incontri vedevano generalmente coinvolte due
diverse categorie di gladiatori.
I sanniti: portavano lo scudo(scutum) e la spada (spatha)
I traci: si proteggevano con una rotella(parma) e maneggiavano il pugnale(sica)
I murmillones: forniti di un casco su cui era dipinto un pesce di mare, la murma
I retiarii: di solito gli antagonisti dei precedenti, con la rete e il tridente.
L’arena
I combattimenti gladiatori, come le gare con i carri, si tenevano in origine in grandi spazi aperti
con dei sedili provvisori; è stato attestato che alcuni munera avevano luogo nel foro, ad
esempio. Quando ,in seguito, i giochi divennero più frequenti e popolari, si rese necessaria una
struttura più grande e permanente. Anche se a tale scopo veniva spesso usato il circus
maximus per via della sua maestosa capacità, i romani alla fine crearono un edificio
specificatamente per questo tipo di spettacoli (chiamato anfiteatro perchè i sedili erano
distribuiti tutti intorno alla struttura ovale o ellittica dell'area in cui avvenivano i combattimenti
l'harena, il cui terreno era ricoperto di sabbia).
I primi anfiteatri, tanto a Roma come altrove erano costruiti in legno, ma gli anfiteatri in pietra
dimostrarono di essere molto più duraturi.Il più antico anfiteatro in pietra, costruito a Pompei
nel I° secolo d.C.e con una capienza di circa 20.000 posti, è ancora ben conservato.
Si possono vedere attraverso il livello superiore delle arcate una serie di sedili in pietra disposti
a gradinate, oltre alle mura esterne. (immagine Anfiteatro Flavio)
Come i teatri Romani così gli anfiteatri erano delle strutture provvisorie: non essendo scavati
nel declivio naturale del terreno infatti, questi potevano essere costruiti ovunque.
Un giorno all’arena

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I giochi gladiatori avevano inizio con una elaborata processione che comprendeva i combattenti
ed era condotta da colui che finanziava la manifestazione, l'editor; in Roma, durante il periodo
imperiale, questo era di solito l'imperatore stesso, mentre nelle province era un magistrato
d'alto rango.
La parata e gli eventi successivi erano spesso accompagnati dalla musica.
Le manifestazioni della mattina potevano incominciare con combattimenti simulati (immagine);
a questi sarebbero seguiti esibizioni di animali, a volte consistenti in animali ammaestrati che
si cimentavano in giochi di abilità, ma più spesso organizzati come cacce (venationes) in cui
animali esotici sempre più numerosi venivano aizzati l'uno contro l'altro, oppure cacciati e
uccisi dai bestiarii.
L'ora di pranzo era dedicata alle esecuzioni dei criminali che avevano commesso crimini
particolarmente atroci:
omicidi incendi, sacrilegi (i Cristiani, ad esempio, erano considerati imputati per sacrilegio e
tradimento, in quanto rifiutavano di partecipare ai riti della religione di stato o di riconoscere la
natura divina dell'imperatore.
La natura pubblica dell'esecuzione la rendeva tanto più degradante quanto dolorosa , e mirava
a fungere da deterrente per gli altri.
Una forma di esecuzione nell' arena era la damnatio ad bestias, in cui i condannati erano
costretti ad entrare nell' arena con animali feroci, oppure a partecipare a rappresentazioni
drammatiche di racconti mitologici in cui i protagonisti morivano realmente (ne è un esempio il
mito di Dirce, ucciso dopo essere stato attaccato ad un toro). I criminali potevano anche
essere costretti a combattere nell' arena senza un precedente addestramento; in tali confronti
la morte era l' inevitabile conclusione, in quanto il victor doveva combattere con ulteriori
avversari finchè non moriva (tali combattenti non erano, naturalmente, gladiatori
professionisti).
In occasioni straordinarie, i criminali potevano essere costretti ad interpretare una complessa
battaglia navale (naumachia); queste, benchè generalmente si svolgessero sui laghi, si pensa
abbiano occasionalmente avuto luogo anche nel Colosseo.
Nel pomeriggio, i giochi raggiungevano il momento culminante: i combattimenti gladiatori
individuali. Questi consistevano generalmente in scontri tra gladiatori con differenti tipi di
armatura e stili di combattimento, arbitrati dal lanista.Si crede comunemente che queste lotte
cominciassero con l’ enunciazione da parte dei gladiatori di questa formula: "Coloro che stanno
per morire ti salutano": in realtà, l’unica testimonianza dell’utilizzo di questa espressione si
riscontra nella descrizione di una naumachia organizzata da Claudio con dei criminali
condannati in cui gli uomini, secondo quanto si è potuto desumere, dicevano: "Ave Imperator,
morituri te salutant", ma questo non era certamente un tipico combattimento gladiatorio, e
non può pertanto essere assunto come esemplare di una pratica usuale. Vi erano, comunque,
molti rituali nell’arena. Quando un gladiatore era stato ferito e intendeva dichiarare la resa,
sollevava il dito indice: a questo punto, la folla avrebbe manifestato con particolari gesti
simbolici la sua volontà riguardo alla sorte del gladiatore sconfitto: se cioè egli dovesse essere
ucciso o risparmiato. Secondo quanto si è soliti credere, "pollice verso"equivaleva alla morte,
"pollice alto"alla salvezza, ma non vi sono effettive testimonianze di questo fatto, e i testi
scritti riportano che, se "pollicem vertere" indicava la morte, era invece "pollicem premere"ad
esprimere la volontà di risparmiare il gladiatore. In ogni caso, il finanziatore dei giochi
decideva a questo punto se concedere o meno una sospensione della condanna (missio). Se il
gladiatore doveva essere ucciso, egli era tenuto a subire il colpo finale con una sorta di
ritualità, senza lamentarsi o tentare di sottrarvisi. Alcuni studiosi ritengono che si seguisse un
rituale anche per rimuovere il cadavere del gladiatore, con un uomo mascherato da Caronte
che tastava il corpo per accertarsi che fosse veramente morto, e quindi uno schiavo che lo
trascinava con un uncino attraverso un cancello chiamato Porta Libitinensis (Libitina era una
dea della morte).
10) IL TEATRO DEL MEDIO EVO Dopo la caduta dell'Impero (476) gli spettacoli furono
proibiti dalla Chiesa. Il Teatro scomparve. Verso l'anno 1000 si sviluppò il teatro sacro, che si
svolgeva all'interno della Chiesa, durante la Settimana Santa per rappresentare la Passione del
Cristo. Parallelamente, nelle corti feudali, si svilupparono intrattenimenti laici e forme di teatro
popolare.
BIBLIOGRAFIA:
G. Antonucci, Storia del teatro antico Grecia e Roma, Roma 1997
U.E. Paoli, Vita Romana, Firenze 1962, p.223

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