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Paolo Merlo – Note a 1Re 17–19

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af Note a 1Re 17–19
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Subito dopo la notizia dell’ascesa al trono di Acab, re d’Israele (1Re 16,29), del suo empio
comportamento culminato nel matrimonio con la principessa fenicia Gezabele e nel culto al dio
fenicio Baal (16,30-31), compare – improvvisamente – il profeta Elia. Egli dominerà la scena
narrativa, con le ampie interruzioni di 1Re 20 e 22, da 1Re 17 fino a tutto 2Re 1. Qui infatti ha
propriamente termine il ciclo di Elia, poiché 2Re 2 appartiene piuttosto al ciclo di Eliseo e appare
come un tentativo di creare, a posteriori, un legame tra i due grandi profeti. Le narrazioni su Elia
raccolgono ed elaborano tradizioni narrative di tipo popolare; esse, con ogni probabilità, non
appartengono alla parte più antica del libro,1 e sono state inserite in quest’opera nelle fasi più
recenti.
L’insieme delle narrazioni su Elia – sebbene non appaiono interessate agli aspetti propriamente
storici, quanto piuttosto a quelli teologici e didattici – sono collocate nel contesto del regno di
Acab (ca. 874-853 a.C.) e Acazia (ca. 853-852 a.C.), un periodo in cui gli Assiri avevano cominciato a
esercitare una forte pressione verso la Siria-Palestina, mentre il regno d’Israele è ben inserito in
un quadro di alleanze e contatti con i vari regni vicini (aramei e fenici) per contrastare la potenza
assira. La minaccia di questi contatti per la religione yahwista è giudicata grave, soprattutto per la
diffusione del culto verso il dio Baal, il più importante dio della tempesta fenicio. Contro il culto a
Baal si erge il profeta Elia, il cui nome significa, per l’appunto, «il mio dio (è) Yhwh».
Nella loro redazione finale, 1Re 17–19 sono collegati tra loro dal punto di vista tematico e spaziale.
I cc. 17–18 sono legati tra loro dal tema della siccità annunciato in 17,1 e concluso con la pioggia
di 18,41-46, mentre i cc. 18–19 sono uniti tra loro dall’essere ambientati presso due montagne: il
Carmelo (monte di Baal) opposto all’Oreb (monte di Yhwh). L’insieme dei tre capitoli contengono
materiali narrativi originariamente appartenenti a diversi racconti, uniti poi assieme per tramite
di interventi redazionali e ampliati talvolta da più tarde espansioni. In linea generale gli studiosi
hanno distinto due diverse tradizioni narrative: quella di un racconto sulla siccità,
comprendendente 17,1-16; 18,1-17.41-46 e quella del confronto tra Elia e i profeti di Baal,
comprendente 18,19-40; 19,1-18. A tali due principali tradizioni narrative sarebbero in seguito
state aggiunte ulteriori scene come quella della resurrezione del figlio della vedova (17,17-24), più
varie altre espansioni, come ad esempio la menzione dei profeti di Ashera (18,19), la cornice alla
scena del Carmelo (18,19-20.40), la menzione delle dodici stele che compongono l’altare (18,31-
32), ed altre ancora.

1Re 17 - La siccità e il dono della vita

Dopo l’introduzione con l’indicazione del tema della siccità (v. 1), il capitolo unisce due narrazioni
diverse che, pur connesse tra loro, costituiscono due tipi differenti di leggende: il nutrimento
divino (vv. 2-16, prima a Elia e poi alla vedova di Zarepta) e la risurrezione del figlio della vedova
(vv. 17-24).
Queste due narrazioni, divise in tre episodi (vv. 2-7; 8-16; 17-24), sono ascrivibili al genere delle
leggende profetiche, anche se i vv. 2-16 appartengono al sottogenere delle leggende originate da
una supplica, mentre i vv. 17-24 appartengono al sottogenere di legittimazione profetica tramite
un miracolo.

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Elementi che indicano una redazione tardiva sono, per esempio, la ripresa di elementi leggendari dal ciclo di Eliseo
(1Re 17,8-16; cfr. 2Re 4,1-7), l’utilizzo del concetto teologico di «resto» (1Re 19,18); il topos della persecuzione dei
profeti (1Re 18,4; 19,10).
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af v. 1. Elia il Tisbita, <da Tisbe> di Galaad, disse ad Acab: «Per la vita di Yhwh, Dio d’Israele, alla cui
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presenza io sto,2 in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo comanderò io».
Elia irrompe inaspettatamente sulla scena (ricorre qui per la prima volta nella Bibbia), senza che
vi sia premessa una frase di ambientazione. Egli, con parole che appaiono potenti, annuncia al re
Acab (che però non sarà più presente in tutto il cap. 17 e riapparirà solo nel cap. 18) un lungo
periodo di siccità. Questo annuncio, che formalmente si presenta come un giuramento, deve
essere compreso anche come solenne comunicazione del volere divino. Il profeta Elia non
legittima la sua autorità con la consueta formula del messaggero, ma lascia intuire che le sue
parole derivano da un ordine divino con l’inciso «alla cui presenza io sto». Tali parole da una
parte richiamano l’assoluta superiorità di Yhwh dal quale dipendono il dono dell’acqua e della
fertilità (cfr. Sal 104,10-16), dall’altra parte assumono il tono dell’annuncio di una punizione
divina per il peccato commesso (cfr. le maledizioni di Lv 26,18-20 e Dt 28,24). Il tema della siccità
qui introdotto improvvisamente si rivelerà essere connesso con la critica al culto di Baal, il più
importante dio fenicio, considerato Signore della pioggia e della tempesta.

vv. 2-7. 2La parola di Yhwh gli fu poi rivolta: 3«Va’ via da qui e rivolgiti verso oriente, ti nasconderai
presso il torrente Kerìt che è a oriente del Giordano. 4Berrai dal torrente, io inoltre ho ordinato ai corvi
di portarti lì da mangiare». 5Egli si avviò e fece secondo la parola di Yhwh; egli andò a stabilirsi presso il
torrente Kerìt che è a oriente del Giordano, 6i corvi gli portavano pane e carne al mattino, pane e carne
alla sera, ed egli beveva dal torrente.
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Tracorso del tempo, il torrente si seccò, poiché non c’era stata pioggia nel paese.
Il v. 2 interrompe momentaneamente il tema della siccità, aprendo un nuovo inizio. Esso inizia in
modo solenne con la formula dell’evento della Parola: «la parola di Yhwh (fu rivolta) a lui» (cfr.
2Sam 7,4). Dio dispone a Elia l’ordine di andare a oriente del Giordano, in un luogo semi-desertico
percorso da un piccolo torrente stagionale (wadi), lontano dalla vita e dal controllo regale, in una
situazione di estrema fragilità fisica. La necessità di “nascondersi” non è ovvia dal racconto in sé,
ma trova giustificazione dal contesto ampio relativo all’opposizione di Acab e Gezabele contro
Elia (cfr. capp. 18–19); alcuni esegeti però ritengono che tale contrasto con la corte derivi dal v. 1
stesso, poiché nessun profeta di sventura era ben accetto a corte. In ogni modo, l’ordine divino
viene completato con delle istruzioni (v. 4) evidentemente di carattere miracoloso poiché, visto
anche il luogo dove era indirizzato, potranno essere realizzate solo con l’intervento di Dio: i
torrenti in assenza di piogge sono in genere secchi e i corvi non portano da mangiare agli umani.
Elia obbedisce ed esegue prontamente il comando di Yhwh (v. 5); Yhwh stesso in contraccambio
lo mantiene in vita miracolosamente (v. 6) facendogli portare da mangiare dai corvi, cioè da
animali considerati impuri (Lv 11,15) e quindi da evitare. L’impurità dei corvi pare però voluta,
come intenzionale sarà il successivo comando divino di recarsi presso Zarepta, una città straniera
in terra fenicia. L’obbedienza fiduciosa di Elia riceve così piena soddisfazione e il racconto sembra
giungere a una conclusione positiva (v. 6).
Improvvisamente però le cose si complicano: il torrente si secca (v. 7). La situazione del profeta,
come quella di Israele, dopo una prima conclusione positiva, si aggrava in modo repentino e
apparentemente senza soluzione. Questa inaspettata difficoltà – all’apparenza senza via di
soluzione e dall’alta tensione narrativa – apre la via al secondo intervento divino. Il v. 7
costituisce così un v. di transizione: da una parte chiude una prima scena, dall’altra apre verso la
continuazione della storia essendo, da un punto di vista narrativo, la «complicazione».

vv. 8-16. 8La parola di Yhwh gli fu rivolta: 9«Su, va’ a Sarepta di Sidone e prendi lì dimora; ecco, io ho
dato ordine là a una vedova di provvedere a te». 10Egli si alzò e andò a Sarepta. Giunto alla porta della
città, eccovi una vedova che raccoglieva legna. Egli si rivolse a lei dicendo(le): «Portami per favore un
po’ d’acqua con la brocca, perché io possa bere», 11e mentre andava a prenderla, le gridò: «Per favore,

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Il senso di questa espressione è: «di cui io sono il servitore», cfr. 1Re 1,2 e 10,8. Tale affermazione, come espressione
di giuramento compiuto da un profeta, evidenzia sia la stretta relazione che intercorre tra questi e la divinità, sia
l’ufficialità del pronunciamento fatto come se ci si trovasse di fronte a Dio stesso (cfr. anche 1Re 18,15; 2Re 3,14; 5,16).
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af prendi in mano anche un pezzo di pane per me». 12Quella rispose: «Per la vita di Yhwh, tuo Dio, non ho
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nulla di cotto, ma solo una manciata di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio, stavo giusto
raccogliendo due pezzi di legna per andare (a casa) e prepararmela, per me e per mio figlio3. La
mangeremo e poi moriremo». 13Elia le disse: «Non temere, va’ e fa’ come hai detto; prima però, da (ciò
che hai) là, fammi una piccola focaccia e portamela, poi ne farai per te e per tuo figlio, 14perché così dice
Yhwh, Dio d’Israele: “La giara della farina non si esaurirà e l’orcio dell’olio non si svuoterà fino al giorno
in cui Yhwh non manderà la pioggia sulla faccia della terra». 15Ella andò e fece come Elia le aveva detto:
mangiarono lei, lui e la sua famiglia per parecchio tempo. 16La giara della farina non si esaurì e l’orcio
dell’olio non si svuotò secondo la parola che Yhwh aveva pronunciata per mezzo di Elia».
La seconda scena è narrativamente molto simile al miracolo compiuto da Eliseo in 2Re 4,1-7 (e vv.
8-17).4 Questa scena sarà citata nel NT in Lc 4,26,5 e forse può aver avuto allusione nel racconto
della risurrezione del(l’unico) figlio della vedova di Nain (Lc 7,11-17)6.
Il v. 8, sempre con grande repentinità, introduce un nuovo messaggio di Dio (cfr. l’identico v. 2)
che comanda a Elia di recarsi presso una vedova a Zarepta: lì, fuori da Israele e presso un’anonima
vedova, l’uomo di Dio dovrebbe trovare ristoro (v. 9). Anche questo secondo ordine divino, come
il precedente, non è giustificabile secondo la logica umana. La costa fenicia è infatti molto lontano
dalla regione transgiordanica dove risiede attualmente Elia; inoltre essa è la patria del dio Baal e
della regina Gezabele (16,31) che sta cercando il profeta; infine, la condizione vedovile è da
sempre simbolo di debolezza e povertà. Da un punto di vista tematico, nel testo canonico,7 la
narrazione porrà così forte il contrasto tra la potente regina, che non riesce a soddisfare i suoi
sudditi a causa della siccità, e la debole vedova che, con l’aiuto divino, riuscirà a sfamare la sua
famiglia e il profeta (vv. 10-16).
Elia esegue l’ordine ricevuto (v. 10a), incontra la vedova e le chiede acqua con una domanda
simile a quella che il servo di Abramo pose a Rebecca, la futura sposa di Isacco (Gen 24,17). Nel v.
11 la richiesta di Elia si fa più esigente, richiedendo anche cibo da mangiare. Nonostante una
prima risposta di apparente chiusura (v. 12), l’agire della vedova si conformerà all’annuncio
profetico che nei vv. 13-14 proclama, con lo stile tipico degli oracoli di salvezza: «Non temere, va’
pure… così infatti dice Yhwh, Dio d’Israele…». La formula di rassicurazione «non temere», tipica
del deutero-Isaia (Is 41,10.13.14; 43,1; 44,2 ecc.), rimarca come una situazione a prima vista senza
speranza possa essere ribaltata dall’intervento divino.
Secondo alcuni esegeti, questa seconda scena del capitolo, dovrebbe essere una rielaborazione
delle tradizioni narrative appartenenti a Eliseo che troviamo in 2Re 4 (così Hentschel 1985; Rofé
1988). La menzione della siccità, ad esempio, ricorre solo nel v. 14b e non sembra essere originale
della scena, inoltre la lezione della Settanta dei «figli» unita alla menzione della «famiglia» della
vedova nel v. 15 lascia supporre che nella versione originaria della storia la vedova avesse più figli
(cfr. 2Re 4,1 «due bambini»). Come giudicava già A. Rofé 1991, questa scena appare essere una
rielaborazione di 2Re 4 dove si sviluppano maggiormente i temi morali e teologici che lì non sono
affatto approfonditi. In questo episodio, infatti, a differenza di quanto accade in 2Re 4, i

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Sia qui che nel v. 13, la LXX ha «per i miei figli», presupponendo lebānay. Anche la lezione «la sua famiglia» al v. 15
potrebbe far pensare a un plurale. Il plurale «figli» potrebbe essere un “relitto” del racconto che originalmente
apparteneva alla tradizione di Eliseo (cfr. 2Re 4,1-7 «due figli»), oppure il singolare «figlio» potrebbe essere una
correzione secondaria che intendeva connettere il presente episodio con il seguente in merito alla guarigione del
«figlio» della vedova (vv. 17-24).
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Poiché in 2Re 4 le due tematiche qui presenti sono separate: miracolo dell’olio (vv. 1-7) e poi alloggio del profeta
presso una donna (vv. 8-17), vari commentatori ritengono che l’autore di 1Re 17 conoscesse entrambi i motivi
letterari presenti in 2Re 4.
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Molto interessante che tale citazione serva all’annuncio cristologico: Gesù, come Elia (anzi, più di Elia), è inviato da
Dio (si noti il passivo divino ἐπέμφθη «fu mandato») ma è rifiutato dai suoi connazionali.
6
Si notino le seguenti somiglianze tra i due racconti: «unico figlio», «vedova», incontro alla porta della città, «e lo
diede a sua madre».
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Secondo alcuni autori la menzione della siccità, che in questa scena ricorre solo nel v. 14b, sarebbe un’inserzione
redazionale con l’intento di inserire il materiale letterario tradizionale – probabilmente appartenente alla tradizione
di Eliseo – all’interno del ciclo di Elia (così Hentschel 1985, 69). Tale inserzione non è da intendere come glossa,
poiché appartiene alla redazione originale del passo.
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personaggi assumono maggiore rilievo religioso e il linguaggio possiede maggiore sapore
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teologico. Ad esempio, il comportamento obbediente e sollecito8 della vedova di Sarepta si rivela
meritevole di ricevere il miracolo, mentre la richiesta della vedova in 2Re 4 ha minore
ragionevolezza religiosa; inoltre, la vedova di Sarepta invoca esplicitamente «Yhwh, tuo Dio» e il
miracolo di Elia non ha nulla di magico poiché è anticipato dalla consueta formula profetica «così
dice Yhwh»; infine l’autore accentua il senso religioso del pieno compimento delle parole divine
(v. 16 «secondo la parola di Yhwh che aveva pronunciata…»).
L’insieme del secondo episodio (vv. 8-16), al pari del primo, è pertanto guidato dalla «parola di
Yhwh» (vv. 2.5.8.16) trasmessa da Elia, e dall’obbedienza che verso di essa dimostrano i
personaggi. La conclusione dell’episodio (v. 16) dimostra che le forze contrarie alla vita (siccità,
Gezabele) non possono reggere il confronto con la potenza di Yhwh. Secondo le teorie redazionali
in merito alla cosiddetta “opera storiografica deuteronomistica”, queste due scene possono ben
essere attribuite al redattore DtrP cioè il “editore dtr-profetico”. La formula di giuramento della
vedova di Zarepta al v. 12 dimostra l’universalità di Yhwh, poiché il redattore attribuisce il culto a
Yhwh a una donna fenicia che, storicamente parlando, difficilmente può avere invocato il Dio
d’Israele.

vv. 17-24 17Dopo questi fatti, il figlio della padrona di casa si ammalò. La sua malattia era così tanto
grave che rimase senza respiro. 18Allora lei disse a Elia: «Che hai (a che fare) con me, uomo di Dio? Sei
forse venuto da me per rievocare il mio peccato e far morire mio figlio?». 19Egli le rispose: «Dammi tuo
figlio!». Glielo prese dal seno, lo portò nella stanza superiore dove egli abitava e lo coricò sul suo letto.
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Invocò Yhwh così: «Yhwh mio Dio, vuoi forse far del male proprio alla vedova dalla quale sono
ospitato, facendole morire il figlio?». 21Quindi si distese tre volte sul bambino e invocò Yhwh: «Yhwh,
mio Dio, che la vita di questo bambino torni nel suo corpo». 22Yhwh ascoltò l’invocazione di Elia; il
respiro del bambino tornò nel suo corpo ed egli riprese a vivere. 23Elia prese il bambino, lo portò dalla
stanza superiore giù nella casa e lo consegnò alla madre. «Vedi», disse (Elia), «tuo figlio è vivo». 24La
donna disse a Elia: «Davvero ora so che tu sei un uomo di Dio e che la parola di Yhwh sulla tua bocca è
verità».

Dopo avere operato il miracolo del cibo che mantiene in vita, nel terzo episodio del capitolo si
narra della malattia del figlio della vedova: ancora una volta, in un modo perfino più drammatico,
le forze contrarie alla vita si confrontano con il profeta.
Questo episodio è probabilmente un ulteriore inserto redazionale che riprende materiali peculiari
di Eliseo (cfr. 2Re 4,10-14)9. L’originaria autonomia di questo episodio rispetto ai precedenti, si
può inferire da alcuni indizi letterari quali ad esempio: l’iniziale formula temporale («Dopo questi
avvenimenti») che è di solito impiegata per unire materiali narrativi orginariamente diversi;
l’assenza del tema della siccità in tutta la scena; la dichiarazione della donna al v. 24 («Davvero
ora so che tu sei un uomo di Dio e che la parola di Yhwh sulla tua bocca è verità») è compiuta
come se il precedente miracolo della farina-olio non fosse mai avvenuto.
Raggiunta, da un punto di vista narrativo, una situazione di stabilità, improvvisamente giunge la
“complicazione” (v. 17) e la scena si apre con la notizia della malattia del figlio della donna10.

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Sollecitudine nel dare da bere e obbedienza è un tema che si ritrova anche in Gen 24,14.
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La dipendenza da 2Re 4,8-37 si può inferire, tra l’altro, dall’appellativo «padrona di casa» (v. 17) e dalla menzione
della «stanza superiore» (v. 19) che ben descrivono uno status di agiatezza (cfr. la ricca donna di Sunem 2Re 4,10), ma
non certo il misero contesto della vedova di Sarepta (cfr. A. Rofé 1991, 156). Anche in questo caso, come nella
precedente scena, 1Re 17 appare essere un’approfondimento teologico della più antica tradizione di 2Re 4. Si notino
infatti le seguenti differenze rispetto a 2Re 4,8-37: Elia prega Yhwh prima di compiere il miracolo; il nome Yhwh
ricorre più spesso; la presenza di una conclusione altamente teologica nel v. 24.
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Alcuni autori ritengono che originariamente la donna di questa scena non sia la vedova delle scene precedenti e
che solo tramite la preghiera di Elia del v. 20 (una composizione redazionale dove è nominata la «vedova») tale scena
è stata connessa alle precedenti.
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Paolo Merlo – Note a 1Re 17–19

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Questi si ammalò tanto gravemente da rimanere «senza respiro».11 Tale malattia è interpretata
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dalla madre, secondo l’usuale teologia del tempo, come la punizione derivata da un suo peccato
(v. 18). Elia, quale inviato di Dio, non aderisce a tale interpretazione degli eventi e si limita a
ordinare: «Dammi tuo figlio» (v. 19). Volendo utilizzare un’immagine evangelica, si potrebbe dire
che il narratore intende presentare la malattia non come il giudizio contro il peccato dei genitori,
ma come un evento utile «affinché si manifestassero in lui le opere di Dio» (Gv 9,1-3). Elia prende
così il figlio e, dopo avere invocato Dio, compie su di lui un rito di salute, simile agli atti di magia
terapeutica del tempo basati sul contatto (cfr. anche 2Re 4,33-34). Yhwh esaudisce la preghiera di
Elia e questi riporta guarito il giovane alla sua madre.
Il confronto tra questa scena con le precedenti rivela alcune peculiarità degne di nota: Elia appare
come potente taumaturgo e i suoi miracoli sono il segno della sua piena legittimazione divina;
non sono presenti le tipiche espressioni formulari della letteratura profetica come quelle
rinvenute nelle precedenti scene, solo alla fine, dopo la guarigione interpretata come «segno»
dell’identità autorevole di Elia, si trova il riferimento alla Parola divina (v. 24b); il miracolo
compiuto è orientato maggiormente a descrivere la potenza di Yhwh – unico dio che fa vivere (Dt
32,39) – piuttosto che confermare il compimento di una parola profetica.
La confessione della donna (v. 24) sembra essere la solenne conclusione redazionale della scena.
Attraverso di essa il redattore intende offrire al lettore il senso del miracolo appena compiuto e
così compone una solenne confessione (cfr. la solennità della dichiarazione corale del popolo in
18,39) che affermi l’affidabilità della parola divina trasmessa dal suo autorevole mediatore.
La teologia contenuta in questa seconda scena appare inserirsi nelle riflessioni compiute dalla
comunità dopo i tragici avvenimenti verificatesi all’epoca dell’esilio. Con questa piccola
narrazione l’autore biblico tenta di far identificare il fedele con la situazione della vedova che,
avendo già perso il marito, stava ora per perdere anche la speranza futura del figlio. A tale fedele,
che si chiedeva se le promesse divine potessero essere affidabili o meno, egli risponde
chiaramente che la parola di Yhwh è «verità».
L’insieme del capitolo 17 sembra così contenere materiali narrativi diversi. A un’antica tradizione
sul profeta Elia che annunciava con potenti parole la siccità e che successivamente veniva
miracolosamente nutrito nel deserto (17,1.5b-6), si sono aggiunte rielaborazioni di tradizioni
profetiche, alcune già conosciute nelle tradizioni su Eliseo (cfr. 2 Re 4), per creare un ampio
racconto sulla figura di Elia teologicamente ben sviluppato. Gli accenni alle azioni di tipo magico
compiute da Eliseo sono stati ridotti al minimo, mentre ben più sviluppati sono stati i messaggi
teologici riguardo alla fedeltà della parola divina, all’efficacia della preghiera e alla potenza
vivificante di Yhwh.

1Re 18 – L’opposizione contro il re Acab e il dio Baal

Il tema di Yhwh datore della vita e il suo confronto con il suo rivale divino Baal è il motivo
portante di 1Re 18. Il capitolo, certamente rielaborato, nella sua stesura finale può essere
suddiviso in varie scene: un’introduzione scenica (vv. 1-2a), il confronto tra Elia e il re Acab (vv.
2b-16); il dialogo tra Elia e Acab (vv. 17-18), il confronto con i profeti di Baal presso il Carmelo (vv.
19-40); la fine della siccità (vv. 41-46).
Il profeta Elia si oppone al re Acab in alcune di queste scene, mentre nei vv. 19-40 il conflitto
rimane solo a livello religioso tra Yhwh e Baal. Nonostante il capitolo abbia una sua struttura
coerente, i vv. 19-40 appaiono un’unità indipendente, poiché Acab scompare dalla scena ed
emerge sulla scena l’intero popolo d’Israele, inoltre, il monte Carmelo si trova ben distante dai
luoghi della siccità.

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La precedente traduzione della CEI rendeva l’espressione ebraica (lō’ nôterâ bô nešāmâ, alla lettera: «non rimase in lui
alcun respiro») con «spirare», ma il testo ebraico, evitando il verbo «morire», induce a pensare che il figlio sia
piuttosto «morente» o «incosciente», cioè senza forza vitale (cfr. Dn 10,17).
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vv. 1-18(19) 1Dopo molto tempo, nel terzo anno, la parola di Yhwh fu (rivolta) a Elia: «Va’ a presentati
ad Acab, allora io invierò la pioggia sulla faccia della terra». 2Elia andò a presentarsi ad Acab. La carestia
a Samaria era grave. 3Acab convocò Abdia, sovrintendente di palazzo – Abdia era molto timorato di
Yhwh, 4infatti quando Gezabele uccideva i profeti di Yhwh, Abdia prese cento profeti e li nascose
cinquanta <alla volta> in una caverna rifornendoli di cibo e di acqua –. 5Acab disse a Abdia: «Va’ nel
paese verso ogni fonte d’acqua e ogni torrente, forse troveremo dell’erba per tenere in vita cavalli e
muli, e non dovremo uccidere del bestiame». 6Si divisero tra loro il paese da percorrere: Acab se ne
andò per una strada da solo e Abdia se ne andò da solo per un’altra.
7
Mentre Abdia era in cammino, improvvisamente Elia gli venne incontro. Riconosciutolo, si gettò con il
viso (a terra) e disse: «Ma sei proprio tu, il mio signore Elia?». 8Gli rispose: «Sono io. Va’ a dire al tuo
signore: “Elia è qui”». 9Ma egli replicò: «Che peccato ho commesso perché tu consegni il tuo servo in
mano ad Acab per farmi uccidere? 10Per la vita di Yhwh, tuo Dio, non c’è nazione o regno dove il mio
signore non abbia mandato (qualcuno) a cercarti; e quando dicevano: «Non c’è», egli faceva giurare il
regno o la nazione che non potevi essere trovato. 11Ora invece tu dici: “Va’ a dire al tuo signore: Elia è
qui”, 12e non appena mi sarò allontanato da te, lo spirito di Yhwh ti porterà via chissà dove; poi, quando
andrò a riferirlo ad Acab, egli, non trovandoti, mi ucciderà. Eppure il tuo servo teme Yhwh fin dalla sua
giovinezza. 13Non è stato forse riferito al mio signore ciò che ho fatto quando Gezabele voleva uccidere i
profeti di Yhwh, come io nascosi un centinaio di profeti di Yhwh, cinquanta alla volta, in una caverna e
li rifornii di cibo e d’acqua? 14Ed ora tu dici: “Va’ a dire al tuo signore: Elia è qui”? Ma egli mi ucciderà!».
15
Elia però replicò: «Per la vita di Yhwh delle schiere alla cui presenza io sto: oggi stesso mi presenterò a
lui».
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Abdia andò così incontro ad Acab e lo informò. Acab si diresse allora incontro a Elia. 17Non appena
Acab vide Elia, Acab gli disse: «Sei proprio tu! Colui che rovina Israele». 18Ma questi rispose: «Non io
rovino Israele, ma piuttosto tu e la discendenza di tuo padre, avendo voi abbandonato i comandi di
Yhwh e essendo tu andato dietro ai Baal. 19Ora quindi chiama a raccolta presso di me sul monte Carmelo
tutto Israele e i quattrocentocinquanta profeti di Baal, e i quattrocento profeti di Ashera, che mangiano
alla mensa di Gezabele.

vv. 1-2a. Il capitolo inizia con la formula redazionale «Dopo molti giorni» che lo separa da quanto
precede. Immediatamente di seguito troviamo la formula dell’evento-parola (cfr. 17,2), tipica
della teologia profetica dell’autore deuteronomistico, che introduce il comando divino dato a Elia.
Il v. 2a con la breve affermazione «Elia andò a presentarsi ad Acab» costituisce da una parte il
compimento del comando divino, ma d’altra parte è anche un sommario prolettico (v. 2a) poiché
anticipa l’avvenimento dell’incontro tra i due personaggi che, in verità, avverrà solo nel v. 17,
dopo l’episodio dell’incontro tra Abdia ed Elia.
I vv. 1-2a costituiscono così l’introduzione scenica nella quale Yhwh comanda a Elia di presentarsi
al re Acab. L’annuncio divino in merito all’arrivo della pioggia (v. 1) troverà compimento solo alla
fine del capitolo (v. 45) e costituisce così – sebbene solo in modo superficiale – il motivo dell’unità
di tutto il capitolo.
vv. 2b-16. I vv. 2b-16 si compongono di un insieme alquanto complesso di scene dove alcune
ripetizioni (cfr. vv. 8.11.14) o interruzioni della narrazione (cfr. vv. 3b-4 o 12b-13), unite a un
periodare talvolta impacciato, lasciano ipotizzare l’esistenza di più strati redazionali nel processo
di composizione della pericope.
vv. 2b-6. La tremenda carestia ancora imperversa nel regno (v. 2b; cfr. 17,1), segno del perdurare
della punizione divina rivolta contro il re, incapace di intercedere a favore del popolo. Il re Acab
chiama l’alto ufficiale Abdia e lo invia alla ricerca di acqua (vv. 3-6). Il nome Abdia, che significa
«servo di Yhwh», anticipa la sua qualità di vero fedele ben tematizzata nell’inserzione secondaria
dei vv. 3b-4, dove l’espressione «era molto timorato di Dio», richiama l’atteggiamento
fondamentale di ogni fedele: il timore di Dio. Secondo il linguaggio biblico, il timore di Dio è
associato all’osservanza delle legge divina (cfr. Dt 4,10; 6,2; ecc.) così che tale espressione può
essere attribuita a un redattore DtrN, cioè un “redattore dtr-nomistico”. Se questo giudizio è vero,
allora i vv. 3b-4 assieme con 12b-13 dovrebbero essere considerati ampliamenti redazionali alla

6
Paolo Merlo – Note a 1Re 17–19

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af
storia originale. Questa impressione risulta avvalorata anche dall’osservazione che solo in questi
dr
due ampliamenti è citata Gezabele e la sua persecuzione verso «i profeti di Yhwh».
Dopo la parentesi sulla fedeltà di Abdia, i vv. 5-6 espongono con grande crudezza la situazione di
siccità esistente in Israele, descrivendo il re Acab sull’orlo della disperazione.
vv. 7-15. La prima scena della pericope si interrompe con l’introduzione dell’inaspettato incontro
tra il profeta Elia e Abdia (vv. 7-15). L’incontro, pur non facendo compiere alla narrazione alcun
significativo passo in avanti, descrive – con una certa vena comica – l’enormità dell’astio che il re
Acab serba per il profeta Elia. Il modello letterario impiegato nel presentare il dialogo tra Elia e
Abdia risponde – grosso modo – agli usuali canoni del genere “invio in missione” costituito da tre
momenti distinti: apparizione dell’inviato divino, Elia, che impartisce le istruzioni ad Abdia (v. 8);
opposizione di Abdia verso le istruzioni ricevute perché ritenute troppo difficili da eseguire (vv. 9-
14, contenenti alcune probabili espansioni costituite dai vv. 10-11; 12b-13 e v. 14); rassicurazione da
parte di Elia sul supporto divino alla missione richiesta (v. 15).
La descrizione dell’incontro tra Elia e Abdia, con la sua redazione stratificata, diviene l’occasione
da parte del redattore di inserire alcuni interessanti contenuti religiosi all’interno di una
narrazione che, in tutta probabilità, in origine era incentrata solo sulla tema della siccità. Ad
esempio, l’espansione costituita dai vv. 12b-14 (cfr. anche vv. 3b-4) enfatizza l’empietà della
regina Gezabele e propone al lettore come modello di comportamento la coraggiosa fedeltà
religiosa di Abdia che non esita a rischiare la propria vita per salvare i profeti di Yhwh.
Nel v. 7 Abdia riconosce Elia pur non avendolo mai visto prima, forse è un riferimento al mantello
(2Re 1,8)? Nel v. 12 Abdia sostiene che Elia verrà trasportato via dallo «spirito» di Yhwh, su questa
tradizione cfr. 2Re 2,16 ed anche quella riferita a Ezechiele in Ez 3,12; 8,3; 11,1; 43,5.
vv. 17-18. L’incontro tra Elia e Acab (vv. 17-18) assume toni di accusa drammatici. La reazione di
Acab appare inizialmente identica a quella di Abdia («Sei proprio tu»), ma poi aggiunge una forte
accusa contro Elia, quello di essere «colui che manda in rovina Israele». L’atteggiamento
favorevole di Abdia è così in stridente contrasto con l’opposizione di Acab. L’accusa di essere il
«‘ōkēr d’Israele», cioè colui che manda in rovina Israele richiama quanto fece Acan nel libro di
Giosuè (cfr. l’uso del verbo *‘ākar in Gs 6,18 e 7,25) il quale, agendo in modo sacrilego e per il
proprio tornaconto, corruppe e rovinò il benessere di tutto il popolo causando l’ira divina.
Nell’accusa di Acab, chiaramente, si deve pensare che sia Baal, considerato latore della pioggia, il
dio adirato. Al contrario, per Elia, è Acab la causa della punizione di Yhwh. Nell’accusa di Elia
verso Acab sorprende l’uso, dal sapore spregiativo, del plurale «i» Baal che contrasta con il
singolare «Baal» impiegato nella scena successiva; tale plurale può essere un indizio a favore della
recensiorità di questo v. rispetto all’originaria tradizione dei vv. 20-40.12
Il dialogo tra Elia e Acab in merito alla situazione di siccità si interrompe improvvisamente per
essere ripreso nei vv. 41-46, ma il contesto risulta perfetto per inserire a questo punto il
confronto tra le due divinità rappresentate dai due protagonisti: Baal e Yhwh.
Il successivo v. 19 pertanto, pur essendo la continuazione del discorso di Elia, costituisce il
preludio della scena successiva, quella del confronto tra Elia e i profeti di Baal. La figura di Acab
scompare dalla scena – lasciando per il momento congelato lo scontro con Elia – e appaiono altri
protagonisti nella narrazione.

vv. (19)20-40 19Ora quindi chiama a raccolta presso di me sul monte Carmelo tutto Israele e i
quattrocentocinquanta profeti di Baal, e i quattrocento profeti di Ashera, che mangiano alla mensa di
Gezabele».
20
Acab mandò (a chiamare) tutti gli Israeliti e radunò i profeti sul monte Carmelo. 21Elia si avvicinò a
tutto il popolo e disse: «Fino a quando continuerete a saltare tra le due parti? Se Yhwh è Dio, seguitelo!
Se invece lo è Baal, seguite lui!». Ma il popolo non pronunciò nemmeno una parola. 22Elia disse al
popolo: «Io sono il solo profeta di Yhwh rimasto, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta.
23
Dateci due giovenchi, poi loro se ne scelgano uno, lo squartino e lo pongano sulla legna, ma senza

12
L’idea di tipo “retributivo” che considera le calamità come punizione divina per i peccati religiosi commessi è tipica
del DtrN (cfr. 1Re 9,4-9).
7
Paolo Merlo – Note a 1Re 17–19

t
af appiccarvi il fuoco; io preparerò l’altro giovenco, lo collocherò sulla legna e non vi appiccherò il fuoco.
dr
24
Voi poi invocherete il nome del vostro dio e io invocherò quello di Yhwh. Il dio che risponderà col
fuoco, quello è il (vero) Dio!». Tutto il popolo rispose: «Va bene».
25
Allora Elia disse ai profeti di Baal: «Scegliete voi il giovenco e preparate(lo) per primi, visto che voi
siete più numerosi; invocate il nome del vostro dio, ma non appiccate alcun fuoco. 26Essi presero il
giovenco che era stato dato a loro, lo prepararono, poi invocarono il nome di Baal dal mattino fino a
mezzogiorno, dicendo: «O Baal, rispondici!», ma non vi fu voce, né chi rispondesse. Essi intanto
saltellavano attorno all’altare che <avevano> eretto. 27Venuto mezzogiorno, Elia cominciò a deriderli
dicendo: «Gridate più forte, visto che è un dio! Egli sarà trattenuto, sarà occupato, o è in viaggio; oppure
dorme, ma si sveglierà». 28Essi allora gridarono più forte e, secondo le loro consuetudini, si fecero
incisioni con spade e lance fino a farsi scorrere il sangue addosso. 29Passato mezzogiorno essi
continuavano a dimenarsi fino al momento di presentare l’offerta, ma non vi fu voce, né risposta, né
alcun segno di reazione. 30Allora Elia disse a tutto il popolo: «Avvicinatevi a me!». Tutto il popolo si
avvicinò a lui. Egli riparò l’altare di Yhwh che era in rovina. 31Elia prese dodici pietre, secondo il numero
delle tribù dei figli di Giacobbe, al quale Yhwh aveva detto: «Israele sarà il tuo nome» 32e con (tali)
pietre eresse un altare nel nome di Yhwh; scavò poi intorno all’altare un canaletto in grado di
contenere due sea di semenza. 33Dispose la legna, squartò il giovenco e (lo) pose sulla legna. 34Quindi
disse: «Riempite quattro giare d’acqua e versatele sull’olocausto e sulla legna». Poi aggiunse: «(Fatelo)
una seconda volta». Ed essi (lo fecero) una seconda volta. Disse ancora: «(Fatelo) una la terza volta!».
(Lo fecero) per la terza volta. 35L’acqua scorreva giù tutt’intorno all’altare e anche il canaletto si riempì
d’acqua. 36Giunto il momento di presentare l’offerta, [il profeta] Elia si avvicinò e disse: «Yhwh, Dio di
Abramo, di Isacco e d’Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo, e che su tuo
ordine ho fatto tutte queste cose. 37Rispondimi Yhwh, rispondimi! E questo popolo sappia che tu, Yhwh,
sei Dio, e che sei tu ad aver convertito il loro cuore». 38Discese allora il fuoco di Yhwh e consumò
l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l’acqua che era nel canaletto. 39Vedendo(lo),
tutto il popolo si chinò con la faccia (a terra) e disse: «Yhwh, lui è Dio! Yhwh, lui è Dio». 40Elia disse loro:
«Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi uno!». Ed essi li afferrarono. Elia li fece allora scendere al
torrente Kison, dove li scannò.

vv. 19-20.40. La cornice della scena (vv. 19-20.40) presenta alcuni motivi letterari simili con
l’uccisione degli adoratori di Baal narrata in 2Re 10,18-27 (richiesta di convocazione di una
celebrazione liturgica, raduno dei profeti, ordine di uccisione di tutti i partecipanti all’atto
religioso). Essa è in tutta probabilità una composizione redatta con l’intenzione di collegare a
narrazione di Elia e Acab con quella del sacrificio presso il Carmelo. La natura redazionale di
questo collegamento tra due narrazioni originariamente distinte è asserita fin dai tempi di A. Alt
(1953) e trova conferma nel fatto che Acab scompare immediatamente dalla scena, mentre la
narrazione si concentrerà esclusivamente sul confronto con i profeti di Baal.
L’introduzione scenica al confronto tra Elia e i profeti di Baal è costituita dal comando dato da Elia
ad Acab di radunare presso il Carmelo una parte dei numerosissimi profeti di Baal (la menzione
dei profeti di Ashera è un’evidente glossa) e la sua esecuzione da parte di Acab. Dal punto di vista
del racconto, il v. 19 è la continuazione del discorso di Elia, ma nell’intenzione del redattore esso
costituisce una sorta di ponte tra quanto precede e quanto succederà presso il Carmelo.
vv. 21-39 Il sacrificio di Elia. L’originaria tradizione narrativa del confronto tra Elia e i profeti di
Baal non sembra essere ambienta in un luogo preciso, poiché la menzione del monte Carmelo
ricorre solo nel v. 20 (redazionale). In ogni caso l’ambientazione su tale monte appare del tutto
giustificata, poiché esso è collocato in territorio fenicio, patria del culto al dio Baal. La sfida ha
così un chiaro interesse teologico, ponendo uno di fronte all’altro due mondi religiosi, il baalismo
fenicio e lo yahwismo d’Israele. Da un punto di vista stilistico, tutto il racconto della sfida sul
monte Carmelo ha i caratteri tipici dell’amplificazione drammatica: i grandi numeri, il raduno di
«tutto Israele», l’ambientazione sul monte Carmelo sono annotazioni che poco hanno a che fare
con una narrazione storica, quanto piuttosto paradigmatica.
vv. 21-24. Elia pone subito la questione essenziale al popolo: non si può tenere il piede in due
staffe adorando sia Baal sia Yhwh, ci si deve decidere, tributando il culto verso una sola divinità
(v. 21, cfr. nota). Il popolo inizialmente non risponde all’alternativa proposta.
8
Paolo Merlo – Note a 1Re 17–19

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Il v. 22, forse un’annotazione redazionale, intende sottolineare la sproporzione tra lui – unico
dr
fedele di Yhwh – e i quattrocentocinquanta profeti di Baal. Tale sproporzione tra l’unico profeta
di Yhwh e l’immensa folla avversa servirà per rendere ancora più impressionante la vittoria di
Yhwh. Elia, isolato, lancia la sfida che avrebbe dovuto manifestare il responso divino, ed essa
viene prontamente accolta dal popolo (vv. 23-24): solo «il Dio» (ha’ĕlōhîm) che «risponderà» questi
sarà davvero Dio, l’altro non lo sarà. Il verbo «rispondere» (*‘ānāh) costituisce un termine
centrale e unificante per l’insieme del racconto; esso è infatti usato dapprima in riferimento al
popolo silente (v. 21), poi in riferimento all’altrettanto taciturno dio Baal (vv. 24.26), ed infine
nella vittoriosa preghiera di Elia (v. 37).
vv. 25-29. Il secondo momento della scena (vv. 25-29) descrive il totale fallimento dei profeti di
Baal: contro ogni aspettativa umana, il dio Baal rimane impotente nonostante tutti i tentativi
operati dai suoi profeti che non riescono a far «rispondere» Baal tramite il fuoco (’ēš) che, come
spesso altrove nella Bibbia, è uno degli elementi tipici della teofania (cfr. Es 3,2; 19,18). Nel
contempo Elia può dare sfogo alla sua ironia. I rituali eseguiti dai profeti di Baal – danza,
invocazioni e incisioni corporali – sono tutte pratiche ben attestate nei culti vicino-orientali
antichi e sono, di conseguenza, oggetto indiretto della critica sarcastica di Elia: «Forse (Baal)
dorme e deve essere svegliato»! L’ironia del racconto può anche essere vista nel fatto che le
incisioni corporali compiute dai profeti di Baal fanno sembrare il rito sacrificale come un rito di
lutto in occasione della morte del dio Baal. L’uso di incidersi a sangue il proprio corpo, infatti, fa
parte dei riti di lutto (cfr. Dt 14,1). Anche le tavolette del cosiddetto ciclo di Baal rinvenute nella
città di Ugarit (XIII sec. a.C.) confermano tale prassi, poiché attestano la pratica di simili incisioni
corporali in occasione della momentanea morte del dio Baal (cfr. KTU 1.5.VI:17-25).
vv. 30-39. Giunge così il turno di Elia d’invocare Yhwh e di compiere il sacrificio. Egli chiama a sé
tutto il popolo come testimone. Avendo premura di attenersi alle norme sacrificali prescritte,
prepara un altare che richiama l’unità di tutto Israele e bagna il sacrificio più volte con acqua. Il
rito del versare acqua sulla vittima sacrificale assume molteplici importanti significati: da una
parte assolve la norme sacerdotale di lavare alcune parti dell’animale (cfr. Lev 1,9), dall’altra
rimarca l’impossibilità umana della sua esibizione poiché rende umanamente impossibile
l’impresa di accendere il fuoco.
La scena finale è la descrizione del trionfo di Yhwh e del suo profeta (vv. 36-39). Giunta l’ora
cultuale prescritta per l’oblazione, nel v. 36 Elia rivolge a Dio una preghiera, con l’invocazione
solenne che riassume i temi teologici principali del suo annuncio: Yhwh è il Dio dei patriarchi
d’Israele, solo lui è il Dio che deve essere «conosciuto», cioè adorato, e solo Elia è il vero profeta di
Yhwh. La richiesta di Elia è che tale riconoscimento avvenga «oggi», ponendo così l’attenzione del
lettore sul momento a lui presente, senza fermarsi al passato. Inoltre, c’è da notare che
l’espressione «Yhwh, Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele», con Israele al posto di Giacobbe, ricorre
nella Bibbia solo qui, in 1Cr 29,18 e 2Cr 30,6. Tale formulazione appare pertanto tardiva e induce a
supporre l’esistenza di una qualche rielaborazione redazionale post deuteronomistica di tutta la
scena.
Nel v. 37 Elia continua la sua preghiera chiedendo a Yhwh di «rispondere» (‘nh) tramite il fuoco
(cfr. v. 24), cioè di operare quanto Baal non era stato in grado di fare (cfr. v. 29), dimostrando in
questo modo di essere «il» Dio (ha’ĕlōhîm), cioè l’unico vero Dio. Nel v. 37 l’invocazione di Elia:
«che questo popolo sappia che tu, Yhwh, sei il (vero) Dio» richiama simili espressioni della
teologia deuteronomistica (cfr. Dt 4,35.39; 7,9; 1Re 8,60). Quanto avviene dopo, con la «risposta» di
Yhwh (vv. 37-38) non è tanto la dichiarazione che Yhwh non è un dio della fertilità (in verità, in
questo momento non avviene alcun dono della pioggia), ma la conferma che Yhwh è l’unico vero
Dio. Per questo il popolo proclama per due volte la professione di fede: «Yhwh egli (solo) è Dio»
(v. 39). La duplice risposta del popolo è la soluzione alla questione di Elia posta all’inizio della
scena: chi tra Yhwh e Baal è il vero Dio (v. 21)? Il versetto rappresenta così il punto finale, e
climatico, della scena.
L’insieme di questa seconda scena (vv. 21-39) è un ampio racconto didattico sulla ricostituzione
del corretto rapporto tra i fedeli e Yhwh e richiama quanto avvenuto presso il monte Sinai a
9
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t
af
opera di Mosè (Es 24 e 32): Elia è il nuovo Mosè che ricostituisce il rapporto di alleanza tra Israele
dr
(le dodici pietre) e Yhwh, che distrugge gli adoratori di altre divinità (cfr. il vitello d’oro in Es
32,26-28) e che guida il popolo a riconoscere che solo Yhwh è il vero Dio (cfr. Es 29,45-46). La
teologia presentata in questo capitolo, inoltre, si pone nel medesimo orizzonte della polemica
anti-idolatrica presente in Is 41,21-29 e in altri passi della seconda parte del libro di Isaia (cfr. ad
esempio 43,8-10) dove si può assaporare la medisima vena polemica contro gli dèi e dove
ricorrono simili espressioni teologiche riguardo la «conoscenza» dell’unico Dio.
v. 40. Il versetto, di chiaro sapore redazionale, appare come una seconda conclusione della scena
contenente l’ordine di Elia al popolo di distruggere i fedeli di Baal. Esso appartiene alla cornice
che ingloba la scena del sacrificio di Elia (vv. 19-20.40).

41-46. L’arrivo della pioggia.


41
Elia disse ad Acab: «Va’ su, mangia e bevi, perché c’è un rumore di pioggia scrosciante». 42Acab salì per
mangiare e bere. Elia invece salì sulla cima del Carmelo; si accucciò a terra ponendo il suo volto tra le
ginocchia. 43Poi disse al suo servo: «Su, sali e guarda in direzione del mare». Egli andò, guardò e disse:
«Non c’è nulla». (Elia) replicò: «Tornaci per sette volte». 44Alla settima volta riferì: «Ecco, una nuvola,
piccola come una mano d’uomo, sale dal mare». Disse allora (Elia): «Va’ a dire ad Acab: “Attacca i cavalli
e scendi perché non ti trattenga la pioggia”». 45Così, rapidamente, il cielo si oscurò per le nubi e per il
vento, e vi fu una grande pioggia. Acab salì sul carro e se ne andò a Izreèl. 46La mano di Yhwh fu sopra
Elia, che si cinse i fianchi e corse davanti ad Acab finché giunse a Izreèl.
v. 41-46. L’ultima scena del capitolo riprende il tema della pioggia affrontato nell’incontro tra
Acab ed Elia nella prima parte del capitolo ed interrotto dalla scena del sacrificio sul Carmelo.
Alcuni interventi redazionali – quali, per esempio, la menzione del Carmelo al v. 42 – servono per
amalgamare l’insieme del capitolo.
La scena presenta alcune tensioni narrative che hanno lasciato ipotizzare l’esistenza di due
distinte tradizioni letterarie: una riguardo il colloquio tra Acab ed Elia (vv. 41-42a.45a più il v. 46),
l’altra riguardo Elia e il suo servo (vv. 42b-44.45b). A favore di tale ipotesi si possono rilevare le
seguenti tensioni narrative: Elia esegue un rito propiziatorio della pioggia ai vv. 43-44 nonostante
egli abbia già avvertito l’arrivo della pioggia nel v. 41; la prolungata assenza di nuvole nel v. 43
contrasta con il rumore di pioggia del v. 41; Elia annuncia due volte l’arrivo della pioggia ad Acab
(vv. 41 e 44).
Nello stadio finale, la narrazione dell’arrivo della pioggia si articola in tre momenti: dopo la
disposizione impartita ad Acab e da questi ottemperata (vv. 41-42), il profeta Elia inizia una
potente preghiera e un rito dal sapore magico che lo raffigura come un grande profeta
taumaturgo (vv. 43-44) che porterà al giungere della pioggia (v. 45). Il v. 46 è la conclusione.
v. 41. L’ordine di «mangiare e bere» impartito da Elia ad Acab non sottintende che il re stesse
digiunando per motivi religiosi, ma deve essere riferito alla grave situazione di carestia presente
nel paese (v. 2) che aveva costretto anche il re a cercare alimento per i suoi animali (vv. 5-8); tale
comando, quindi, annuncia il ritorno alle normali condizioni di vita.
v. 46. La postilla sulla «mano di Yhwh» che guida il cammino di Elia appare come una tarda
annotazione teologica apposta alla scena. La peculiare espressione «la mano di Yhwh fu sopra…»
con riferimento a una persona, è utilizzata nella Bibbia quasi esclusivamente nel libro di Ezechiele
(cfr. Ez 1,3; 3,14.22; 8,1; 33,22; 37,1; 40,1) e sembra avere qui l’intento di contrassegnare quanto ha
appena compiuto Elia come un miracolo derivante dalla forza divina («la mano di Yhwh»),
piuttosto che dalla forza taumaturgica del profeta stesso.

10
Paolo Merlo – Note a 1Re 17–19

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1Re 19
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vv. 1-18 – Elia al monte Oreb
1
Acab riferì a Gezabele tutto ciò che aveva fatto Elia e come aveva ucciso di spada tutti i profeti.
2
Allora Gezabele mandò [un messaggero] a dire a Elia: «Che gli dèi (mi) facciano questo e anche
di peggio, se domani a quest’ora non avrò ti avrò ridotto come uno di loro». 3Allora (Elia),
<impaurito>, si alzò e se ne andò per (salvare) la sua vita.
Arrivò a Bersabea di Giuda e lasciò il suo servo là. 4Egli invece s’inoltrò nella steppa per un
giorno di cammino, andò a sedersi sotto una ginestra e chiese chi gli fosse tolta la vita e disse:
«Ora basta! Yhwh prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». 5Si coricò e si
addormentò <lì> [sotto la ginestra]. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Su, mangia!».
6
Egli guardò e lì, vicino alla sua testa, una focaccia (cotta) su pietre roventi e un orcio d’acqua.
7
L’angelo di Yhwh tornò una seconda volta, lo toccò e disse: «Su, mangia! Altrimenti il
cammino sarà troppo lungo per te». 8Si alzò, mangiò e bevve. Poi, con la forza di quel cibo,
camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb. 9Giunto lì, entrò in
una caverna per pernottarvi. Quand’ecco la parola di Yhwh gli fu rivolta in questi termini:
«Che fai qui, Elia?». 10Egli rispose: «Sono pieno di zelo per Yhwh, Dio degli eserciti, poiché gli
Israeliti <ti>13 hanno abbandonato, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi
profeti. Sono rimasto solo io, ed essi cercano di togliermi la vita».
11
Gli disse: «Esci e rimani in piedi sul monte alla presenza di Yhwh». Ed ecco che Yhwh passò.
Ci fu davanti a Yhwh un vento forte e gagliardo, da scuotere le montagne e spaccare le rocce,
ma Yhwh non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma Yhwh non era nel terremoto.
12
Dopo il terremoto, un fuoco, ma Yhwh non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il suono di una tenue
quiete. 13Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò in piedi all’ingresso
della caverna. Ed ecco (si rivolse) a lui una voce che diceva: «Che fai qui, Elia?».14Egli rispose:
«Sono pieno di zelo per Yhwh, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua
alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo io,
ed essi cercano di togliermi la vita».
15
Yhwh gli disse: «Va’, torna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco e giunto(vi) ungerai
Cazaèl come re di Aram; 16poi ungerai Ieu, figlio di Nimsì, re d’Israele e ungerai Eliseo, figlio di
Safat, di Abel-Mecolà, come profeta tuo successore. 17Chiunque scamperà alla spada di Cazaèl,
sarà ucciso da Ieu, e chiunque scamperà alla spada di Ieu, sarà ucciso da Eliseo. 18Io risparmierò
in Israele settemila persone, tutte le ginocchia che non si sono piegate di fronte a Baal e tutte
le bocche che non lo hanno baciato».

Il capitolo 19 presenta un fenomeno letterario molto tipico nelle narrazioni bibliche: i vv. 13b-14
riprendono, ripetendo quasi alla lettera, i vv. 9b-10. Tale espediente letterario è solitamente
impiegato dall’autore biblico per inserire nuovo materiale all’interno di una narrazione che
originariamente non lo conteneva. Nei commentari si discute se tale ripresa ripetitiva
(Wiederaufnahme) sia dovuto solo a motivi narrativi – per porre in enfasi i vv. 11-13a – oppure sia
il segno dell’esistenza di un originario testo più breve nel quale i vv. 11-13a sono stati inseriti in
un secondo tempo. Molti autori sostengono quest’ultima ipotesi, cioè che i vv. 13b-14 siano una
ripresa ripetitiva allo scopo di inserire i vv. 11-13, poiché nel v. 13b troviamo il termine qôl «voce»
(13b) al posto del consueto debar «parola» (9b), probabilmente proprio per riconnettersi alla
«voce» di Yhwh citata nei secondari vv. 11-12.
Il capitolo è composto, oltre all’introduzione vv. 1-3a, da tre racconti probabilmente indipendenti:
vv. 3b-6 con il soggiorno di Elia nel deserto (dove riceve cibo in modo miracoloso, cfr. 17,2-6); vv.

13
Seguendo la lezione breve della LXX (enkatélipón se) piuttosto che la più lunga del testo masoretico «hanno
abbandonato la tua alleanza» (berîtkā). La menzione dell’alleanza deriva probabilmente dal v. 14, essendo però
quest’ultimo posteriore (cfr. commento).
11
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7-18 il soggiorno presso l’Oreb (con espansioni redazionali nei vv. 11-14); vv. 19-21 la chiamata di
dr
Eliseo.
vv. 1-3a. L’ambientazione iniziale, da alcuni commentatori considerata una composizione
redazionale (Würthwein), con la menzione di Gezabele connette il cap. 19 con le narrazioni
precedenti ponendo la scena della fuga di Elia in sequenza temporale dopo le vicende della sfida
sul Carmelo. Questa introduzione tende a portare unità nei capp. 18-19.
All’inizio del v. 2 LXXL aggiunge una formula di giuramento peculiare: «com’è vero che tu sei Elia
e io sono Gezabele».
vv. 3b-6. Lo sconforto di Elia. Elia è descritto isolato, in fuga nel deserto meridionale (v. 3); qui si
siede stanco all’ombra di una ginestra ed è talmente sfiduciato da invocare a Dio la morte (vv. 4-
5). La scena riprende un motivo tradizionale e rammenta quanto occorso ad Agar, la serva
cacciata da Abramo che, finita l’acqua, si siede presso un cespuglio aspettando la morte del figlio
(Gen 21). L’espressione usata da Elia «io non sono migliore dei miei padri» stupisce un po’ il
lettore e il testo non fornisce una spiegazione chiara a cosa si riferisca qui Elia; Jones la avvicina a
Num 11,15 dove Mosè si lamenta con Dio che non ce la fa più a condurre il popolo che si lamenta e
che gli si oppone. In questo caso il riferimento sarebbe agli antichi profeti (?).
Alcuni commentatori (Steck; Jones) ritengono così che la scena di “Elia disperato” sia una
tradizione autonoma dal contesto attuale. Questa scena trova la sua conclusione con l’apparizione
dell’angelo e del cibo miracoloso (v. 6).
vv. 7-10.15-18 Elia presso l’Oreb.
vv. 7-9a. L’apparizione dell’angelo e del cibo miracoloso diviene l’occasione per inserire una
nuova scena: l’angelo parla una seconda volta a Elia, invitandolo a proseguire il viaggio (v. 7) che
lo porterà, quaranta giorni dopo, all’Oreb (v. 8; è il monte dove Yhwh si rivelò a Mosè, cfr. Es 3,1).
Anche questa seconda ambientazione scenica appare tradizionale e ricorda, volutamente, il
soggiorno di Mosè sul Sinai quando digiunò quaranta giorni e quaranta notti (Es 34,28).14 In questa
prima parte del capitolo si possono inoltre ritrovare i temi delle storie su Elia già incontrati nel
racconto della vedova di Sarepta: lo sconforto umano per la vita, Dio che dona il cibo e la vita
stessa.
vv. 9b-10. Nella terza scena del racconto, presenta il dialogo tra Elia, che si trova in una caverna
(v. 9) in anticipo rispetto alla teofania che avverrà dopo, e Yhwh. Yhwh pone a Elia una domanda
«che fai qui, Elia?» (v. 9b) che appare piuttosto un espediente per aprire il dialogo, in quanto Dio
sa bene che Elia si trova presso l’Oreb, avendocelo inviato per tramite del suo angelo (vv. 7-8
mal’ak «messaggero»). La risposta di Elia che segue (v. 10) pone in una luce molto negativa il
comportamento del popolo. In questo versetto Elia accusa gli Israeliti di aver distrutto gli altari di
Yhwh e di aver abbandonato la sua alleanza, mentre in 18,30-37 il popolo era stato istruito nel
culto e aveva rinnovato la sua fede. La frase «sono pieno di zelo per Yhwh...» è, alla lettera (inf.
ass. + perf. piel *qn’) «sono molto geloso per Yhwh...» con un umore che richiama quello divino in
Es 20,5 (cfr. Nm 11,29) e dove si vuole comunicare l’irritazione impetuosa contro coloro che
trattano male il proprio amato (cfr. Sal 69,10 «mi divora lo zelo per la tua casa, gli insulti di chi ti
insulta ricadono su di me»).
vv. 15-18. Nella redazione originale (senza l’aggiunta dei vv. 11-14) l’atteggiamento furioso di Elia
contro il popolo (v. 10) riceve una risposta precisa da parte di Yhwh. Yhwh si rivolge
direttamente a Elia e, invece di consolazione, gli affida un nuovo rischioso incarico apportatore
della punizione al popolo infedele. Tale incarico consiste in tre unzioni: «Torna sui tuoi passi
verso Damasco; giunto là ungerai Cazaèl… ungerai Ieu… ungerai Eliseo» (vv. 15-16) seguite da una
previsione di quanto accadrà in futuro (vv. 17-18). Vi sono gravi difficoltà nel comprendere
l’incarico divino, poiché nulla di tutto ciò accadrà: Elia non avrà mai alcun contatto con Cazaèl,
non sarà lui a ungere re Ieu (lo farà un servo di Eliseo, cfr. 2Re 9,6), né ungerà il profeta Eliseo (cfr.
v. 19; i profeti, al contrario dei sovrani, solitamente non ricevono unzioni). Per spiegare tutto ciò,
una soluzione ragionevole potrebbe essere quella di considerare questi versetti come l’opera di

14
Anche la menzione dell’angelo che nutre Gesù nel deserto in Mt 4,11 può essere avvicinata a questa scena.
12
Paolo Merlo – Note a 1Re 17–19

t
af
un redattore che, conoscendo già le storie di Eliseo e Ieu, abbia voluto connetterle con la figura di
dr
Elia, considerato ora come profeta per eccellenza. Anche l’idea di un «resto» di fedeli che Yhwh si
è riservato per la ricostruzione del suo popolo (v. 18, il numero «settemila» è certamente da
intendere come cifra tonda) è un concetto teologico che si sviluppò nella comunità esilica e post-
esilica dei ritornati (cfr. Ez 9) quando la comunità d’Israele si domandava se Yhwh, a causa del
peccato del popolo, avesse potuto davvero ripudiare la sua stirpe eletta. Questa idea di un «resto»
che Yhwh stesso provvede per il suo popolo sarà ripresa e approfondita in ambito cristiano da S.
Paolo (cfr. Rom 11,1-5).

vv. 11-14. Se questi vv. sono un’inserzione all’interno del racconto vv. 1-10.15-18, essi
costituiscono un’interessante aggiunta (seriore). Nel racconto originario Yhwh si rivela a Elia
mentre questi si trova nella caverna, senza che vi sia alcun riferimento a fenomeni atmosferici.
Diversamente i vv. 11-13a (essendo vv. 13b-14 la ripresa del precedente racconto) costituiscono
un’interessante tradizione teologica sulla teofania divina, poiché essi richiamano il linguaggio
delle teofanie divine ai tempi di Mosè, ma modo volutamente rovesciato: mentre vento
tempestuoso, terremoto e fuoco sono gli usuali effetti della manifestazione divina (Gdc 5,4-5; Is
29,6; Abc 3,3-6; cfr. Es 19,16-18) e ricordano l’azione divina in Egitto (il vento, Es 10,13.19) e sul
monte Sinai (il fuoco, Es 24,17), essi sono qui del tutto irrilevanti, poiché Yhwh non si manifesta in
questi potenti fenomeni, ma piuttosto nel «suono di una brezza leggera» (così traduce la Settanta).
L’espressione ebraica (qôl demāmâ daqqâ,15 alla lettera: «suono di una calma/silenzio tenue», cfr.
Sal 107,29) è difficile da interpretare e ha dato origine a molteplici controversie tra i biblisti,
soprattutto in merito al termine demāmâ. Quest’ultimo termine ricorre solo altre due volte nella
Bibbia e dovrebbe indicare il «silenzio», la «calma» dopo la tempesta (cfr. Sal 107,29 «la tempesta
fu ridotta a demāmâ, tacquero le onde del mare), ma anche qualcosa di udibile (cfr. Gb 4,16 «io udii
una demāmâ e una voce»). L’espressione è stata tradotta dalla Settanta con φωνὴ αὔρας λεπτῆς
«voce di brezza leggera»; mentre la Vulgata rende sibilus aurae tenuis. Qui, forse, si intendeva
indicare la sensazione di «sonora calma» o il suono leggero d’un «soffio di vento» che rimane
dopo la tempesta. Anche se il senso preciso dell’espressione non è del tutto chiaro, il contrasto
con le usuali imponenti e roboanti descrizioni di teofanie è certamente intenzionale. Elia si pone
così all’ingresso della caverna con il volto coperto per non vedere direttamente Yhwh (v. 13). La
tradizione di questo passo, oltre che a Es 19,16-18, può essere correlata anche con la teofania a
Mosè in Es 33,19-23 (notare le seguenti somiglianze: Yhwh «passa» *‘br rivelandosi; Mosè sarà
posto dentro una cavità nella rupe, cioè una caverna; Mosè avrà il volto coperto per non vedere
direttamente il volto di Dio); il presente passo si tratterebbe pertanto di una “revisione” di quanto
accaduto nell’Esodo.
Solo quando ogni potente fenomento atmosferico cessa Yhwh può rivelarsi a Elia, come novello
Mosè, iniziando a rivolgergli la sua «voce» (ebr. qôl, il medesimo termine impiegato poco prima).

vv. 19-21 La chiamata di Eliseo.


Questa scena, con tutta probabilità, deriva da una tradizione diversa da quanto narrato nei
versetti precedenti.16 Qui, infatti, Elia non adempie all’incarico divino assegnatogli in vv. 15-16,
ma, avendo incontrato Eliseo, lo chiama a sé con il gesto del gettare il proprio mantello sulle
spalle (v. 19). Il mantello di pelliccia come identificazione di Elia, e dei profeti in generale, è un
motivo biblico noto (cfr. 2Re 1,8; Zc 13,4), così come anche il trasferimento simbolico di
un’autorità verso il successore prendendone i vestiti su di sé è un gesto simbolico usuale (cfr.

15
qôl sostantivo «suono, voce, rumore».
demāmâ sostantivo, dovrebbe indicare il «silenzio», la «calma» (cfr. Sal 107,29 «la tempesta fu ridotta a demāmâ,
tacquero le onde del mare), ma anche qualcosa di udibile (cfr. Gb 4,16 «io udii una demāmâ e una voce»).
daqqâ aggettivo, indica una cosa «sottile, sbriciolata, scarsa» (cfr. Gen 41,3; Es 16,14; Is 40,15).
16
Tale tradizione appare differente – e forse più tarda – anche da quella attestata in 2Re 2 dove si narra che Eliseo
ricevette il suo potere profetico solo dopo l’ascensione di Elia. Il motivo del mantello miracoloso di Elia (2Re 2,13-15)
unisce i due racconti. Secondo A. Alt (ZAW 1912) questi vv. appartengono alle storie di Eliseo.
13
Paolo Merlo – Note a 1Re 17–19

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af
Eleàzaro, figlio di Aronne, in Nm 20,25-28). Nel v. 20 Elia concede a Eliseo di salutare i suoi parenti,
dr
in ossequio alle normali consuetudini, ricordando nel contempo a Eliseo il suo precedente gesto di
investitura. La scena si conclude con l’emblematico falò degli attrezzi da lavoro di Eliseo, segno
dell’abbandono della sua precedente occupazione e del porsi completamente al servizio di Elia (v.
21)17.
Quest’ultima scena, giustamente famosa, trova eco anche in alcuni passi del Nuovo Testamento,
quali ad esempio: la descrizione della veste di peli di Giovanni Battista (Mc 1,6), l’urgenza della
chiamata al discepolato di Gesù che non concede alcun saluto ai propri familiari (Lc 9,61-62), ed
infine la potenza del mantello di Gesù nell’episodio della guarigione dell’emorroissa (Mc 5,25-34).
Il ciclo di Elia continuerà con due ulteriori episodi: la denuncia e la condanna di Acab per aver
ucciso Nabot al fine di acquisirne la vigna (1Re 21), e la profezia sulla morte del re Acazia per aver
cercato la guarigione rivolgendosi al dio Baal (2Re 1).
Tutti gli episodi del ciclo di Elia convergono verso alcuni dati caratterizzanti. Innanzi tutto Elia è
considerato lo strenuo difensore della fede in Yhwh contro la diffusione del culto di Baal, inoltre
egli denuncia apertamente le malefatte dei re d’Israele che non rimangono fedeli alle esigenze di
giustizia religiosa e civile. Tutti questi caratteri non sono comunque descritti con interesse
storico – l’autore non intende compiere un resoconto esatto degli avvenimenti occorsi – ma sono
la cristallizzazione delle tradizioni concernenti Elia che offrono l’occasione all’autore di portare
avanti l’insegnamento teologico della fede in Yhwh con tutte le sue esigenze.

Commentari:
M. COGAN 2001 (AB); J. GRAY 21970 (OTL); G.H. JONES (1984); M. NOBILE 2010 (Paoline); M.A. SWEENEY
2007 (OTL); W. THIEL 2000ss (BK IX/2).

17
Reminiscenza di tale racconto di chiamata si ha in Lc 9,61-62 dove l’autorità di Gesù e le esigenze del Regno
appaiono maggiori rispetto a quelle di Elia.
14

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