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ovvero
Come tentare di trasformare un viaggio ‘Alpitour’ in un’esperienza
cul-tu(r)ale
Invece sì. Leggete la seconda pagina del sito ufficiale della città
di Nashville!
The Athena Statue
Athena Parthenos is 41 feet, 10 inches tall. There are about 12
inches between the top of her helmet and the ceiling beams. Her
weight is estimated at 12 tons. The statue of Nike, the goddess of
victory, in Athena's right hand is 6 feet 4 inches tall. Nike holds a
wreath of victory preparing to crown Athena. This is the story of how
the Athena statue was built in Nashville.
The Athena Project
In the 1920s the Parthenon was rebuilt as a full-scale replica of
the ancient Parthenon with one large exception. The colossal statue
of Athena from ancient times was not in this replica. In 1982, the city
commissioned Alan LeQuire to build a full-scale replica of Athena
Parthenos. Soon after, a group of concerned citizens formed the
Athena Fund. Starting with funds accumulated over the years from
the nickels and dimes of school children and tourists, the Athena
Fund grew rapidly through private and commercial donations.
The Artist
In 1982 seven sculptors submitted proposals to recreate the
Athena statue in Nashville. Alan LeQuire won the commission
because of his skill and commitment to accuracy. LeQuire attended
Vanderbilt University and received his MFA from University of North
Carolina, Greensboro in 1981.
LeQuire, a Nashville native, began his journey by researching the
Athena statue of antiquity. What we know about the Athena statue
from the ancient Parthenon is somewhat limited. The gold and ivory
statue was lost by the 400 A.D., so historical documentation is brief,
but does exist. LeQuire also depended on modern classical scholars
for the most recent archaeological information.
The Original Sculptor
Pheidias, the greatest sculptor of classical antiquity, constructed
the Athena Parthenos on a wooden framework with carved ivory for
skin and a gold wardrobe. The statue was unveiled and dedicated in
438 or 437 B.C. We can depend on this date based on the building
accounts of the temple. Other sources are equally important. For
example, there are ancient authors, such as Pausanias, who referred
to the Athena statue in writings. Athena appears on Athenian coins of
the second and first centuries B.C. Later, Romans copied the statue in
small-scale. Even today on the Acropolis you can see the outline of
Athena’s base on the floor of the Parthenon. All of this evidence is
culminated in LeQuire's Athena.
The Re-creation
After exhaustive research, Alan LeQuire created two small-scale
versions of the statue out of clay. First, he created a 1:10 model from
clay. Later, he sculpted a 1:5 scale model. From this later model
LeQuire spent about three years enlarging and casting the full-size
Athena Parthenos. Athena was cast out of gypsum cement in many
molds and assembled inside the Parthenon. Each section was
attached to a steel armature for support.
The Athena statue was constructed from 1982 to 1990. It stood in
Nashville’s Parthenon as a plain, white statue for 12 years. In 2002
the Parthenon gilded Athena with Alan LeQuire and master gilder
Lou Reed in charge of the project. The gilding project took less than
4 months and makes Athena appear that much closer to the ancient
Athena Parthenos. In addition to gilding, the project included painted
details on her face, wardrobe and shield.
3° giorno - mercoledì
Facciamo colazione con la coppia di signori che ieri dietro il
Partenone ci aveva chiesto una foto. Lui, sopra la testa calva, ieri
portava un panama simile al mio, elemento che ci distingue dal
gruppo: oggi in comune abbiamo anche la camicia bianca e i
bermuda chiari; del resto, sotto il solo di Atene, il nostro è l’unico
abbigliamento possibile, perché «mentre gli altri parteciperanno alla
“mini crociera alle isole di Egina, con il tempio di Mea (V sec. a.C -
visita facoltativa), Poros con il caratteristico porticciolo, e Hydra con
le sue dimore patrizie, e neoclassiche, meta di artisti di tutto il
mondo”», noi e loro ce ne andremo in giro per Atene: in fondo
abbiamo visto solo il Parthenone e il Museo Archeologico Nazionale,
e sul biglietto del Parthenone ci sono ancora sei tagliandini, sei zone
da vedere. Maddalena non sta benissimo, le sono venute le
mestruazioni: aveva calcolato che le venissero prima di partire…
L’«accidenti!» è diminuito dalla considerazione che erano in ritardo di
cinque o sei giorni…
Decidiamo che cominceremo dalla zona dell’Agorà. Scesi a piazza
Monastiraki saliamo alla chiesa bizantina trasformata in museo della
ceramica: ma vogliono un biglietto d’ingresso e decidiamo che la cosa
non c’interessa molto; scendiamo la scalinata e accediamo
all’adiacente area archeologica della biblioteca di Adriano. Stanno
togliendo delle impalcature, hanno appena rimesso in piedi alcune
colonne del pronao, integrando i pezzi mancanti… Anche alcuni
gradini sono stati interamente rinnovati… Fanno bene: è così che ci si
forma un’idea di quello che era, non con quattro pietre rimaste a
segnare le fondamenta. L’architettura è spazio e volume, non pianta.
La biblioteca tornò alla luce dopo che andò a fuoco una serie di
case costruite sopra. Nell’angolo del pronao era incastrata una
moschea.
Ad un signore seduto all’ombra apparentemente lì per caso
(scopriremo più avanti che i signori seduti sotto gli alberi sono tutti
controllori) chiediamo indicazioni per il foro romano. Lungo la strada
passiamo davanti alla chiesa degli Arcangeli (Tαξιάρχες) dov’è
conservata l’icona della Vergine “Grigorussa” che offre rapido
rimedio alle malattie umane: c’è una funzione in corso e rimaniamo
nel portico-nartece; su di un tavolo appoggiato alla parete stanno le
offerte, dolci di vario tipo. Dalla navata giunge il canto baritonale e
suggestivo del salmista.
Eccoci all’ingresso del foro romano, proprio davanti alla Torre dei
Venti: ci staccano un tagliandino; fotografo Maddalena davanti al lato
sud della Torre dei Venti; e scendiamo i gradini che portano al foro
assolato: colonne e tronchi di colonne, ma è tutto lì ed è sempre la
stessa storia, dato che mancano i volumi attorno. Risalendo
incontriamo la coppia con cui abbiamo fatto colazione: probabilmente
per tutta la giornata di oggi non faremo che rincorrerci.
Quindi scendiamo verso l’ingresso dell’Agorà: secondo
tagliandino. Sulla sinistra è la chiesa bizantina dei Santi Apostoli,
fotografiamo per terra un tombino che ha la forma del fiore “padano”,
fotografiamo la volta della chiesa; quindi ci portiamo all’ombra della
Stoà di Attalo, interamente ricostruita dalla Scuola Archeologica
Americana. La si critica perché è posticcia. Ma le notizie e i reperti
erano più che sufficienti a dare un’idea chiara di com’era, e dunque
hanno fatto bene: il soffitto in legno, il lungo portico diviso in due
navate, ma soprattutto l’ombra e il fresco… sono gli stessi
dell’antichità: c’è più antichità qui che nelle pietre a terra che
disegnano le piante: la praticabilità ne ha restituito la perenne
bellezza, la perenne modernità: oggi la Stoà di Attalo è moderna
come doveva apparire moderna agli antichi, quindi è antica! Ma
allora anche il Pantheon di Nashville… no, no… il Pantheon di
Nashville no: lì è una copia fuori contesto, lì non c’entra perché
tutt’intorno è aria falsa…
L’Agorà è attraversata dalla strada delle Grandi Panatenee che
giunge fino al Partenone: entrando ne abbiamo percorso un pezzo,
ora noi ne scendiamo un altro pezzo e ci dirigiamo al Teseion. Batte il
sole e Maddalena ha perso il suo cappellino bianco dopo aver fatto la
foto al soffitto della chiesa dei Santi Apostoli e non l’abbiamo
ritrovato.
Mentre tento di salire su di un basamento per una foto “classica”
una voce tra gli alberi urla: “Get dàun, ser!”
4° giorno - giovedì
Comincia il grande tour: prima tappa Atene/Olympia, dice la
guida che ci è stata fornita. Km 370. Sono tanti ma distribuiti in tutta
la giornata e con tante tappe di mezzo: sopportabile. Di fatto
attraverseremo orizzontalmente il Peloponneso, da est a ovest
Maddalena sta ancora un poco male per le mestruazioni.
Fortunatamente siamo riusciti a prendere i due posti a metà
pullmann vicino alla porta col tavolinetto di fronte che ci offre quindi
un po’ di spazio e di visibilità.
Uscendo dalla colata abitatizia di Atene, Ares indica verso nord
un quartiere del pari cementificato: è Colono, dove venne a morire
Edipo (Sofocle). Cieco, cacciato dal figlio Polinice, che a sua volta era
poi stato cacciato dal più giovane Eteocle, Edipo era stato guidato qui
dalla figlia Antigone; qui aveva chiesto ospitalità al re di questa terra
che era Tèseo, re di Atene; qui era poi giunta l’altra figlia Ismene, e
qui Polinice aveva rapito le sorelle per convincere Edipo a tornare ma
Teseo, rispettando i doveri dell’ospitalità, le aveva liberate; qui era
giunto Polinice a supplicare il padre di tornare con lui a Tebe dopo
che un oracolo aveva predetto che la vittoria sarebbe arrisa al
fratello che avesse avuto dalla sua parte il padre; qui Egeo aveva
maledetto entrambi i figli, vaticinando ad entrambi la morte per
mano del fratello e qui Polinice, ormai rassegnato a condurre sé
stesso alla morte nel condurre gli altri sei contro Tebe, aveva rifiutato
i consigli di Antigone di desistere dalla spedizione; qui, in un luogo
noto solo a Teseo e che mai egli avrebbe rivelato per garantire pace e
prosperità ad Atene, era morto finalmente in pace il vecchio Edipo.
5° giorno - venerdì
Prima colazione in albergo, ancora con Simona e Stefania. Per
non perdere la bella abitudine Simona fotografa anche il tavolino
della colazione.
La mattinata sarà dedicata alla visita di Olympia, il grande
santuario panellenico, sede degli antichi giochi olimpici.
Olympia, posta nell’Elide (Peloponneso) sulla riva destra
dell’Alfeo, a ovest di Pisa, capitale dell’Elide. Vi sorgevano numerosi
templi, tra cui celebre l’Olimpieion dedicato a Zeus e al suo culto, in
un recinto sacro denominato Altis. Il tempio di Zeus, quello di Hera,
Heraion, e altri edifici monumentali dell’Altis, i più antichi datati a
partire dal sec. VIII a.C., furono frequentati fino al IV sec. a.C. Nello
stadio e nell'ippodromo di Olimpia si svolgevano ogni 4 anni i celebri
Giochi Olimpici (Olimpiadi). Questo centro non assunse mai la
configurazione di città vera e propria, rimanendo sempre un
agglomerato di templi, boschi, terreni sacri, centro religioso anche
dei popoli che nel tempo la occuparono e che vi istituirono i propri
culti. Gli scavi archeologici iniziarono nella seconda metà del XVIII
sec. e furono ripresi nel 1875. Conseguenza degli scavi, fu la
riesumazione dei Giochi Olimpici dell'era moderna, che si svolsero la
prima volta ad Atene nel 1896.
Nel corso delle esplorazioni sono stati messi in luce resti che dal
medio e tardo elladico arrivano all'età romana tardo-imperiale. I
giochi olimpici venivano celebrati ogni quattro anni in onore di Zeus
a Olimpia, sede del più importante santuario della divinità. Nel 776
a.C. fu compilato per la prima volta l’elenco dei vincitori, conservato
sino al 217 d.C. , nelle opere di Eusebio di Cesarea. Eccetto la
sacerdotessa di Demetra, nessuna donna poteva assistere ai giochi.
I giochi olimpici venivano celebrati in estate. All’inizio dell’anno
in cui avrebbero avuto luogo venivano inviati emissari per invitare le
diverse città-stato a partecipare al versamento del tributo pagato a
Zeus; queste mandavano quindi le proprie delegazioni, rivaleggiando
l’una con l’altra nell’esibizione dell’equipaggiamento e nelle imprese
atletiche. La durata dei giochi olimpici venne ampliata notevolmente:
inizialmente erano concentrati in un giorno, con gare di atletica e di
lotta; successivamente – forse per opera del tiranno di Argo Fidone
(VII secolo a.C.) – vennero introdotte le corse ippiche; a partire dal
472 a.C. gli agoni furono portati a cinque giorni. Anche se non è nota
con esattezza la loro sequenza, sappiamo che il primo giorno era
dedicato ai sacrifici; nel secondo si svolgeva la più importante
competizione dei giochi, la gara di corsa, che si disputava nello
stadio. Negli altri giorni avevano luogo la lotta, il pugilato e il
pancrazio (una specialità che combinava insieme le due discipline
precedenti). Nella lotta l’obiettivo era mettere a terra l’avversario tre
volte. Il pugilato divenne sempre più brutale con il tempo: all’inizio i
pugili si avvolgevano cinghie di morbido cuoio intorno alle dita della
mano, allo scopo di attutire i colpi, mentre in epoca posteriore
usavano cuoio più duro, a volte reso più pesante dall'inserimento di
parti di metallo. Nel pancrazio, lo sport certamente più violento, il
combattimento proseguiva fino a che uno dei contendenti non
soccombeva ammettendo la sconfitta. Le corse dei cavalli, nelle quali
ogni concorrente doveva essere proprietario del cavallo, erano
riservate ai più abbienti. Dopo le corse ippiche si svolgeva la gara del
pentathlon, competizione che univa cinque specialità (la corsa veloce,
il salto in lungo, il lancio del giavellotto, il lancio del disco e la lotta).
I vincitori a Olimpia ricevevano corone di ulivo selvatico e onori, il
più ambito dei quali era l’erezione di una statua nel recinto del
santuario di Zeus; per il lustro che davano alla loro città spesso
venivano celebrati dai versi dei poeti con gli epinici (celebri quelli di
Pindaro) e per il resto della vita erano mantenuti dalla comunità.
Paiono, scultore greco della metà del V sec. a.C., scolpì la celebre
“Nike” (oggi nel Museo Archeologico a Olimpia), eseguita per
celebrare la vittoria dell'ateniese Sfacteria nella guerra del
Peloponneso del 425 a.C. Venne posta davanti al tempio di Zeus a
Olimpia.
Secondo la tradizione Paiono scolpì un’altra Nike per la storia
degli ateniesi a Delfi e collaborò probabilmente all'esecuzione del
fregio del Partenone.
Pranziamo
Nel pomeriggio proseguimento per Delfi (250 km dice la guida
Alpitour) dove arriveremo in serata. Durante il lungo tragitto in
autobus tocchiamo Patrasso, la città dove fu martirizzato l’apostolo
Andrea. Il suo corpo fu però trafugato dagli Amalfitani (mi ricordo di
averlo visto nella chiesa di Sant’Andrea ad Amalfi…): Aris ci dice che
la Chiesa Cattolica, come gesto di distensione nei confronti della
Chiesa Ortodossa, ha restituito alcuni anni fa la testa dell’apostolo,
che ora riposa nella chiesa di Patrasso. Mi torna in mente il grido il
Pio II, che nel nome di sant’Andrea da Patrasso cercò invano di
organizzare la sua ormai anacronistica crociata (doveva essergli caro
questo santo se poi volle farsi seppellire nella chiesa di Sant’Andrea
della Valle).
6° giorno - sabato
Preparate le valigie saliamo in autobus. Riesco a prendere il
nostro bel posto col tavolinetto vicino alla porta posteriore. Vi lascerò
il cappello o lo zaino e sarà nostro per tutto il giorno.
Ora ci aspetta il santuario di Delfi, una delle più importanti
zone archeologiche del mondo, «uno dei principali luoghi di culto
della Grecia: anticamente qui c’era per tutto il mondo ellenico
l’oracolo del Dio Apollo» dice Alpitour.
Il santuario risale molto probabilmente all’età micenea, ma in
origine non era adibito al culto di Apollo: prima di lui si erano infatti
succeduti a Delfi la Terra, Temi e Febe, come alcuni miti eziologici
lasciano presumere. Resta quindi aperto il problema circa la
collocazione cronologica della attribuzione dell’oracolo ad Apollo.
Omero chiama il santuario col nome di Pito. Stando a quanto dice
l’inno omerico ad Apollo, “Pito” deriva da pythesthai, che in greco
significa “marcire”. Per comprendere il perché dobbiamo,
ovviamente, far riferimento al mito; esso narra che Apollo, una volta
accolto sull’Olimpo, ne discese in cerca della sua dimora sulla terra
per erigervi un santuario; dapprima si diresse alla fonte Telfusa (o
Tilfussa), ma l’incauta sorgente lo convinse a dirigersi alle pendici del
Parnaso dove vi era un’altra sorgente, la fonte Castalia; questa però
era protetta dalla Dracena, un drago femmina; Dracena non era solo
la custode della fonte, visto che le fu affidato anche il mostro Tifone,
generato autonomamente da Hera per rivalersi contro il marito Zeus
dopo che questi, altrettanto autonomamente, generò Atena dalla
propria testa… Apollo, che non desiderava evidentemente la sua
compagnia, uccise Dracena con una potente freccia «…e da allora
Pito ha tale nome, e chiamano il dio con l’epiteto di Pizio, perché in
quel luogo la forza del Sole ardente fece marcire il mostro» (Inno
omerico ad Apollo).
Ma le origini dell’oracolo di Delfi risalgono all’epoca stessa in cui
gli dei emergevano dal caos e la prima dea a possedere il suolo
delfico fu la Terra; essa lo passò poi alla figlia Themis, la quale a sua
volta lo cedette alla titanide Febe che successivamente lo offerse
come dono di nascita ad Apollo, che da lei prese anche l’epiteto di
Febo Apollo. Tutto ciò ce lo racconta Eschilo nelle Eumenidi…
Ma abbiamo anche una versione meno ‘divina’ dell’oracolo di
Delfi. Infatti secondo altre fonti, tra cui Diodoro, fu Coreta, un
pastore del luogo, a scoprire le virtù profetiche di Delfi. Questi notò
che le sue capre, avvicinandosi a un particolare crepaccio del suolo
andavano in eccitazione, quindi, per capirne il motivo, andò a
guardare nel crepaccio e immediatamente iniziò a profetizzare. Su
quello stesso crepaccio fu collocato il famoso tripode, dove da allora
in poi si sarebbe seduta la profetessa Pizia, per assorbire meglio i
vapori emessi ed essere più vicina al dio.
Il mito spiega anche l’origine del nome Delfi: Apollo, fondato il
santuario, andò alla ricerca dei sacerdoti a cui affidarlo, e la scelta,
per oscuri motivi, ricadde sui mercanti di una nave cretese; il dio non
tentò neanche di convincerli a divenire suoi sacerdoti, ma si tramutò
in un’enorme delfino e li trascinò con tutta la nave fino al porto di
Crisa, quindi si trasformò in un bel giovane e spiegò ai mercanti
cretesi la vita che aveva scelto per loro, rassicurandoli che avrebbero
avuto tutto da guadagnarci; li condusse al santuario e decretò che
quel luogo si chiamasse Delfi, in quanto sotto forma di delfino era
apparso per la prima volta ai suoi devoti.
Tornando alla Dracena, vi è da dire che questa era considerata un
essere primordiale e quindi sacro, per questo motivo Apollo dovette
purificarsi per averla uccisa; a tale scopo egli fece da mandriano a
Admeto, re di Fere in Tessaglia, il quale si guadagnò l’amicizia e la
protezione del dio. Per questo motivo a Delfi ogni otto anni si
svolgeva la Septerione, una festa che celebrava l’espiazione del
delitto di Apollo e di cui tralasciamo il rituale per amore di sintesi.
Va’ o passeggero,
narra a Sparta
che noi qui morimmo
in obbedienza alle sue leggi
8° giorno - lunedì 25
Dopo la prima colazione, torniamo in camera a preparare le
valigie. Le portiamo giù nella hall, un fattorino ce le sistema in una
stanzetta. Prima di uscire saliamo all’ultimo piano dove c’è la piscina
per salutare Simona e Stefania che hanno deciso di concedersi un
bagno. Con loro c’è la ventottenne “un po’ in ritardo” che altresì
salutiamo, ovviamente con meno trasporto. Loro partiranno alle 11,
noi alla sera. Abbiamo l’ultimo giorno da trascorrere ad Atene.
Vogliamo rifare alcune delle foto che abbiamo perduto. Ci restano
due coupon nel gran biglietto e vogliamo tornare all’Acropoli e
all’Agorà.
Col metrò scendiamo ad Acropoli ed entriamo presso quello che
crediamo uno degli accessi all’area del Partenone. Poi scopriamo che
stiamo visitando l’area del teatro di Dioniso: certo, vederlo da sotto è
bello… ma l’avevamo già visto dall’alto, non volevamo sprecare un
tagliando qui…stiamo quasi per tornare indietro e farcelo restituire…
ma è ridicolo. Rinunceremo all’Agorà… Ci portiamo quindi all’accesso
all’Acropoli, ma scopriamo che non ci vuole un tagliandino
qualunque, bensì il tagliandone che ci è stato strappato il primo
giorno. Rifare un biglietto da 12 € solo per rifare le foto perdute? Non
ci pare conveniente. Ritorna in gioco l’Agorà. Ci dirigiamo quindi
verso l’Odeion di Erode Attico, saliamo all’Areopago per rifare la foto
con la tetta fuori andata perduta. Ma due birrazzati continuano a
guardare Maddalena e non vogliamo scatenare i loro bassi e
imprevedibili istinti. Scendiamo quindi con cautela dalla collina
rocciosa, troviamo una zona dove le foto le possiamo fare, e ci
riportiamo all’ingresso dell’Agora.
Pranziamo in un ristorante dove ci portano un vassoio con dieci
vassoietti di pietanze diverse: possiamo sceglierne cinque, con acqua
vino pane e dessert, per 10 € a testa.
Chiacchieriamo con una slava in inglese e con una famiglia di
francesi in francese. O meglio: ci proviamo.
Attraversiamo la Plaka, passiamo davanti al monumento di
Lisicrate. Dalla Porta di Adriano ammiriamo il Tempio di Zeus
Olimpico. Sfruttiamo le fontanelle che bagnano l’erba per rinfrascarci
collo e piedi… e sandali.
Giriamo attorno al monumento a Byron e cerchiamo una
panchina nei giardini del Zappio; mentre Maddalena si distende sulla
panchina, io a una fontanella tiepida lavo accuratamente i miei
sandali, che dopo l’ultima innaffiata hanno il colore del fango.
Maddalena deve andare in bagno. Assolutamente.
Ci portiamo in Piazza Sindagma dove ci sono dei bagni pubblici.
Ci beviamo una Coca Cola mentre un signore recupera dai sacchetti
delle immondizie tutte le lattine che trova. Maddalena e io
commentiamo i fisici delle ragazze e delle donne che attraversano la
piazza.