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Intervento al convegno di Trieste per

i cento anni dalla nascita di Massimo Scaligero


8-9-10 dicembre 2006

di Maurizio Barut

Al contrario delle persone che mi hanno preceduto io sono l’ultimo degli ultimi, sono un nessuno,
non sono medico, non sono storico, non sono filosofo, sono un “niente”. Faccio il grafico, questo è il
mio mestiere, ed ho un mio percorso di ricerca interiore che si è relazionato con varie figure di persone,
incontrate nel corso degli anni, una delle quali è appunto quella di cui oggi vi è questa ricorrenza. Ha
detto bene chi ieri ha detto, che questa è quindi “un’occasione” per poter incontrare altre persone, che
hanno avuto più o meno lo stesso percorso, hanno lo stesso impulso e si muovono in una direzione
analoga.
Ci sono dei contenuti che volevo portarvi che sono quelli maturati in me e che si potrebbero
definire “la mia antropoSofia”.
Partiamo da qui. Io ho conosciuto la persona di cui oggi si parla proprio all’ultimo. Lui è morto
nell’80, io l’ho conosciuto nel dicembre del ’79. Sono stato uno degli ultimi proprio, e il percorso che
mi ha portato lì, era un percorso di questo tipo: arrivavo a Scaligero dopo frequentazioni della filosofia
indiana, che prendevano la figura di Paramahansa Yogananda, e passando attraverso altre esperienze
quali erano lo studio di un Jiddu Krishnamurti se non addirittura Osho Bhagwan Shree Rajnesh.
Percorso effettuato senza fare gli esercizi strani che questi proponevano, solo un gran interesse
sentimentale insomma, non grandi azioni interiori quindi ma più un gran sommovimento del
sentimento. Dopo queste frequentazioni, c’è stato l’incontro con questa persona, tramite un percorso
effettuato con degli amici, che vivevano e vivono nel mio stesso paese, io sono della bassa friulana,
quindi non triestino.
Dopo di che ho avuto modo di incontrare le persone che qui avete sentito, Renzo Arcon e Fabio
Buriana, come anche le persone che qui non ci sono, che non sono state invitate, quali Franco Giovi,
Barbara Serdi, dalle mie parti c’è Diego Pez, a Mestre ci sono altri amici, che qui non sono comparsi.
Cioè c’è tutto un insieme di persone che non sono state invitate per una impostazione che è stata data,
coerentemente a quanto si è pensato, che però hanno fatto parte della mia formazione e che qui in realtà
mancano proprio. Questo per dire che, quello che comunque si è sentito oggi o che si sentirà, sarà solo
“una parte” di quello che può essere l’esperienza in rapporto a questo percorso.
Ho notato negli anni che il percorso che mi riguarda, o “lo stile” del percorso che mi riguarda, è
analogo fra le persone che non vivono in una città, ma in un paese fuori di città, ed è particolare.
Avendo conosciuto Scaligero nel ’79, da allora a oggi ci sono stati diversi percorsi, esercitazioni
interiori, incontri, conquiste, disillusioni, relazioni, contrasti. La caratteristica principale di quello che
volevo portarvi a conoscenza della mia esperienza è sintetizzato in ciò che segue.
Come una persona inizialmente si approcciava a queste tematiche, abitando qui, questa incontrava
le persone citate. Queste persone a loro volta avevano il loro percorso e la loro personalità, che però
tendevano fondamentalmente a “segnare” i giovani che si avvicinavano a loro e a far fraintendere, da
parte dei giovani, la cosa. Questo non volutamente. Negli anni mi sono accorto che, quello che io
intendevo la cosa, un approccio alla cosa, in realtà era sulla scia di una persona piuttosto che di
un’altra. Di questo mi accorgevo, nel momento in cui io cominciavo a rendermi indipendente dalla
direzione che davano queste persone. Una direzione che, sinteticamente, veniva data a Trieste, ed è
quella impeccabile, quella che ha dato Scaligero, era quella che anche ha detto in conclusione Fabio
Burigana questa mattina e cioè che il percorso che si può fare nell’ambito della scienza è fermarsi alla
conoscenza dell’oggetto esterno. Però lo scienziato non si pone la domanda fatidica di conoscere lo
strumento che ci permette di conoscere: lì sta “la cosa”.
Anche Fabio ha ripetuto quello che veniva detto a noi da venti anni: “Ragazzi da oggi
concentrazione. Avete intuito questo concetto, la cosa è chiara, quindi concentrazione, concentrazione e
concentrazione. Fate anche l’atto puro, per chi li conosce ci sono ovviamente anche gli altri esercizi…
ma insomma l’importante è la concentrazione e l’atto puro”. Questa era l’impostazione, l’imprinting
che c’era dato a noi.
Io generalizzo dicendo questo “noi”, in realtà è un po’ un “me” condivisibile, a osservarlo, anche
con le persone amiche che frequento, e che hanno avuto lo stesso tipo di percorso. Da questa
impostazione in realtà è sorto un aiuto poderoso, cioè: quello che aveva dato Massimo Scaligero a
queste persone. Voi, in questi due giorni, avete sentito la vivezza proprio della relazione, e chi non ha
conosciuto Massimo Scaligero non comprenderà mai fino in fondo quella presenza di cui ha parlato
anche Fabio.
Io l’ho conosciuto una volta assieme ad altre persone. L’ho visto …intravisto …ho avuto due
lettere sue, ma “dopo” mi sono, come dire, approfondito in quel tipo di relazione. Quindi è come se
questa figura fosse filtrata dalla relazione viva che avevano avuto queste persone, rispetto a quello che
io di mio andavo costruendo nella lettura, negli esercizi e tutto il resto. Negli anni questo ho avuto
modo di osservare ciò in me e nelle persone che mi stavano vicino, generalizzandolo. Ho potuto fare
questo.
Oggi ho avuto un’illuminazione magnifica, quando Alessandro ha detto chi era il suo relatore.
Apro una piccola parentesi a proposito dei maestri. Io ho conosciuto la figura che è sintetizzata nel
nome di Heidegger, da un amico di una mia vecchia fidanzata che studiava a Trieste – si chiama Oscar
– e che mi parlava di questo Heidegger. Io là, per la prima volta, ho conosciuto questo Heidegger e ho
conosciuto questo Heidegger magnificato da questa persona, che ha avuto come insegnante lo stesso
insegnante di Alessandro. Quando Alessandro parlava questa mattina mi accorgevo che… (ero indeciso
se dire o non dire quello che sto per dirvi fino a che lui ha detto questo, quindi “scherzosamente” la
colpa è tutta sua) …in qualche modo ogni persona ha, in un approccio conoscitivo, in un’apertura in cui
si lancia nella ricerca sincera di un senso della propria vita, un impulso verso qualcuno che ad essa
sembra possa dare una risposta alle sue domande fondamentali. In questo “portarsi” si apre
sostanzialmente a quest’altra persona, e questa persona, se ha una forte personalità, tende a segnarlo. È
caratteristica di Trieste tendere a segnare le personalità. Caratteristica di Trieste avere delle persone che
hanno come riferimento, come nucleo aggregante, una persona che ha conosciuto Massimo Scaligero, e
queste persone insieme sono portatrici di un particolare stile, di una peculiare maniera di affrontare le
discipline e il senso della vita.
Questa è la caratteristica che ho avuto modo di incontrare, e ad un certo punto è possibile
incontrare anche tutta una serie di situazioni della vita che si portano oltre l’atto che uno attua con la
concentrazione e gli esercizi. L’atto oltre a quello che sono gli esercizi è la vita stessa che uno incontra
ogni giorno. Uno fa due volte, tre volte al giorno la concentrazione, si organizza la sua disciplina …e
ad un certo punto gli viene incontro tutta la vita. Allora se in quel momento riesce ad essere dinamico e
creativo, riesce a fare della vita stessa un insegnante per la sua disciplina …altrimenti ha tutta una serie
di grossi punti di domanda che si ripercuotono in lui e che lui piglia e porta al suo maestro di
riferimento per soluzione. Questo è un fenomeno tipico che ho avuto modo di osservare e in cui sono
stato coinvolto. Fino al punto in cui succede un qualcosa nella vita che scardina. Perlopiù è un dolore o
una malattia, un dolore dell’anima o un dolore fisico, una crisi: un qualcosa di drammatico in cui in
qualche modo uno viene percosso. Questo gli porta via, come una spolverata, tutte quelle che sono la
serie delle illusioni che uno si è creato e gli resta un’essenzialità con cui comincia ad avere a che fare,
in cui incomincia ad accorgersi che, partendo da quelle essenzialità, può cominciare a tornare a
relazionarsi con quelle persone. Si accorge che quello che era il riferimento si sposta: non è più un
riferimento che trova al di fuori, ma incomincia a trovare al di dentro.
A questo punto si situa la frase che ero indeciso se dire o meno (e che “scherzosamente”
Alessandro alla fine mi hai fatto decidere nel doverla dire) ed è questa: in realtà il maestro non è
Massimo Scaligero, come il Maestro non è Rudolf Steiner, loro sono dei poderosi indicatori, potenti
indicatori di questo tempo che però “indicano” Colui che è in realtà il Maestro. È quello ritrovabile da
ciascuno e che non sembra venire da fuori, anzi si può dire che la cosa che gli è più pertinente è che
non viene da fuori.
Questa era la cosa sostanziale che volevo dire.
A lato di questo volevo dirvi anche quanto segue. Il momento in cui una persona si rende
autonoma, può constatarlo lei stessa quando si torna a relazionare con queste persone accorgendosi che
queste non la segnano più, ma è capace di porsi vicino a loro con una certa indipendenza. A quel punto
si accorge di “cosa” la renda capace di questo. Ovviamente questo non è un qualcosa che avvenga in un
atto preciso, in un momento fulminante. È un percorso che ha un suo svolgimento ed è caratteristico ad
ognuno, peculiare ad ognuno, immagino, ma vi è per ciascuno una “porta” a questo: per me è stata la
relazione con la Donna. La mia piccola storia, osservandola, vede questa personcina che all’asilo
cercava la sua anima gemella, alle elementari guardava una ragazzina ed era innamorato perso di
questa, alle medie individuava l’amore della sua vita e alle superiori l’aveva trovato definitivamente,
per poi accorgersi che non era così. Questo naturale modo di approcciarsi mio all’altro sesso si è
portato a maggiore chiarezza nel momento in cui c’è stato un piccolo fatto, un piccolo grandioso fatto
che è successo ad un certo punto della mia vita, in cui è stato possibile come incontrare una sorta di
“femminilità assoluta” ad un determinato momento, che si rivelava come esterna a sé, ma nello stesso
tempo apparteneva alla più intima intimità, tanto che questa più intima intimità assomigliava tantissimo
a quello che è l’anima mia propria. Teniamola così, proprio sono parole che ovviamente sono scarse,
non rendono la cosa, però questo fatto ha avuto modo di farmi vedere come l’elemento che salva una
persona è l’approccio che si può avere con le proprie qualità, nel momento in cui, per tutta una serie di
motivi, sostenuto da una disciplina, da un tenore di vita, da uno stile o da una sensibilità, una persona si
porta ad un certo punto critico. Questo punto critico è capace, sulla scorta di quello che è, di aprire una
porticina che gli faccia vedere dove sono i suoi talenti. E sono tutti suoi, non glieli porterà mai via
nessuno, e di questi, con questi lui avrà a che fare da quel momento in poi.
C’è un’espressione magnifica che dopo, alla fine, ti trovi a rileggere, rileggendo i libri dell’amato
Scaligero su quel libro che, uno degli amici a cui voglio bene, che una volta erano i miei maestri, e che
io ho ucciso interiormente, diciamo così, non consideravano (“Ma sì …è l’ultimo libro, quello più
sentimentale”): Iside Sofia, che è l’ultimo pubblicato di Scaligero, quello delle Mediterranee, dove lui
accenna a questo mistero. Io con questo non voglio dire di aver neanche sfiorato questo mistero, ma in
realtà però ti accorgi di leggere in un altra maniera le cose che prima leggevi in tutt’altro modo. Non ti
accorgevi e, quando ti riapprocci a certe tematiche, le rivedi in un’altra maniera. Vedi altre cose che
prima non vedevi .Ti chiedi come è possibile che adesso io veda quello che prima non vedevo. Lì c’è
stata proprio un’immagine folgorante, che in quel momento in cui vi accennavo, in cui, in quello
spostamento dell’aria di questa veste che sembrava trattenere questo riverbero del femminile assoluto,
balenava. C’erano due persone, c’erano, in quel brevissimo attimo, tutta un’altra serie di contenuti, ma
uno spiccava sopra tutti ed è questo …non potevi che dire: “Ave Maria, piena di grazia”. Quello che è
l’elemento di questa grazia si ritrova, e l’ho ritrovato, sfogliando appunto questo libro di Scaligero, in
cui accenna al fatto che vi sia un mantra che descrive l’esperienza della Porta celeste, della Madre
celeste, ed è: “Ave Maria, piena di grazia”. Questo è il mantra, dice Massimo Scaligero in Iside Sofia.
Lo dice alla fine della sua vita, in un libro che non è considerato.
Questo, concludendo, vorrei indicare quale punto di partenza: il punto di partenza “è questo”.
Abbiamo quindi conosciuto Massimo Scaligero, tutte queste persone ci hanno raccontato le loro
esperienze, quello che hanno maturato o meno; sono stati dati o ripetuti dei metodi; sono sorte delle
originalità non viste prima. Ora da questo punto in poi, il movimento ulteriore, e adesso abuserò della
vostra pazienza dicendo che “può salvare”, scusate questa impertinenza, è quello che si porta lì, a
quella Porta.
Lì è anche dove sono gli altri tre esercizi, in realtà. Per i primi due, come accennava nei resoconti
di certi suoi colloqui con delle persone, Mimma diceva: “Avete capito benissimo la concentrazione e
l’atto puro, lo vedo dalle domande che ponete, da come vi ponete nei confronti degli altri e nei
confronti della disciplina: di ciò è stato parlato a sufficienza”. Questo l’ha detto negli anni novanta,
all’inizio del 1990, e continuava: “D’ora innanzi dovete portare la stessa intensità, lo stesso sviluppo di
attenzione e approfondimento anche sugli altri tre esercizi, che sono quelli dell’Anima”.
E chiudo volendo fare proprio l’antroposofo con una osservazione che fa proprio Mimma citando
il dottor Steiner. Mimma è la moglie, la sposa di Romolo Benvenuti, che è la cugina di Massimo
Scaligero, colei che nel libro Dallo Yoga alla Rosacroce lui definisce quale: “Essere più elevato del
nostro gruppo”. Io l’ho conosciuta poche volte e sulla base di un pregiudizio, non ho mai posto alcuna
domanda alla Mimma. Io l’ho scoperta, o riscoperta da qualche anno, da quando circolano dei resoconti
di suoi colloqui con delle persone. E ho visto cosa mi sono perso sulla base di un pregiudizio, perché
quella volta nei “maestri nostrani” c’era il pregiudizio che la Mimma, insomma, non fosse all’altezza di
Massimo Scaligero. Punto.
Mimma dice, parlando dell’azione di quell’altro mistero che è per me la figura di Michele: (qui
sono proprio antroposofo classico, pur non essendo neanche iscritto) “Michele agisce all’incirca in
circa trecento anni. Ogni spirito del tempo ha questo tipo di azione, e la sua azione si divide in tre parti:
la prima parte, che corrisponde circa a cento anni, è iniziata alla fine dell’800 ed è finita alla fine del
’900, quando è morto Massimo Scaligero. È quel periodo di tempo “dedicato” (queste sono mie scarse
parole) allo Spirito. Il secondo, la seconda tappa di approfondimento di questo arcangelo, è la parte
dedicata all’Anima; la terza parte è quella dedicata al Corpo”.
Qui il mistero persiste …era semplicemente un appiglio antroposofico a quello che vi dicevo.
Non ho detto tutto, ma mi fermo qui.

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