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TEORIA E RICERCA SOCIALE E POLITICA


Vol 1 • Teoria e ricerca sociale e politica

PRENDERSI CURA
DEL WELFARE
Le politiche sociali nella lente della pratica

a cura di Paolo Landri


Finito di stampare nel mese di dicembre 2016 presso Grafica Pollino s.r.l. (CS)
Libro a stampa: Prima edizione dicembre 2016
ISBN 978-88-95458-99-1
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Teoria e Ricerca Sociale e Politica
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Tommaso Visone (Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa)
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Anna Maria Paola Toti (Sapienza Università di Roma)
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La collana è aperta in senso ampio ed interdisciplinare a contributi di


teoria e ricerca sociale e politica, comprendendo dunque i diversi campi
in cui sono articolate sociologia, filosofia sociale e politica, epistemolo-
gia e metodologia della ricerca, scienza politica, storia delle dottrine po-
litiche, ma anche settori affini quali, ad esempio, la storia, l’antropolo-
gia del linguaggio, la sociolinguistica e la psicologia sociale. La curatela e
la traduzione di autori classici e contemporanei utili a stimolare il dibat-
tito scientifico italiano nei suddetti ambiti sono altrettanto benvenute.
Indice

Paolo Landri
Lo studio delle configurazioni situate di welfare . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

Tiziana Tesauro
L’autonarrazione come pratica di attivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

Silvia Gherardi, Giulia Rodeschini


Del curare e del prendersi cura: come la sociomaterialità dell’alimen-
tazione artificiale cambia le pratiche di cura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

Annabella Corcione
Decidere al triage.
Pratiche di decision-making e (dis)ordine negoziato . . . . . . . . . . . . . . . 93

Anna Milione
La governance dell’abbandono scolastico a Napoli:
oltre le metafore della guerra di trincea l’immagine della rete . . . . . . 121

Paolo Landri, Anna Milione


Le pratiche di comunità.
La costruzione di rete di educazione e politiche sociali . . . . . . . . . . . . 153

Andrea Salvatore Antonio Barbieri


Il corpo tra pratica medica e pratica del paziente.
Dal corpo malato al corpo testimone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173

Gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195


Paolo Landri
Lo studio delle configurazioni situate di
welfare

1. Introduzione

In questo libro si presentano alcuni studi empirici che sviluppano,


sul piano locale, l’analisi dei dispositivi di welfare. Diversamente
dagli studi classici sulle dinamiche dei modelli di welfare, che
privilegiano un approccio comparativo di tipo macro (livello
europeo, nazionale e globale), in questa prospettiva, studiare le
politiche sociali vuol dire de-costruire i modi di conoscenza, azio-
ne e potere che definiscono le configurazioni situate di welfare.
Significa, in altri termini, disvelare, sul piano micro, i dilemmi,
i paradossi, le resistenze, ma anche le occasioni e le possibilità
di cura e di welfare che si aprono, talora in modo emergente e
inatteso a dispetto degli orientamenti dominanti, nella dinamica
governamentale di una società e di una popolazione (Marston &
McDonald 2006).
Il passaggio all’analisi delle configurazioni situate di welfare è
un effetto della ‘svolta pratica’ nel campo degli studi organizzativi
(Gherardi 2005; Nicolini et al. 2003; Corradi et al. 2010) che indu-
ce a spostare l’attenzione (o di accompagnare le riflessioni sul fun-
zionamento delle politiche sociali) dalla modellistica del welfare alle
dinamiche della loro materializzazione locale. In questo modo, per
ciascuno degli ambiti di welfare diventano, quindi, oggetti di ricerca:
i saperi e le pratiche organizzative; i processi di apprendimento isti-
tuzionale ed organizzativo; i dispositivi tecnologici ed organizzativi;
gli spazi e la materialità del welfare; le professionalità del welfare; le
pratiche di accountability professionali ed organizzative; le traiettorie
teoriche e metodologiche di studio delle pratiche sociali e del welfare.
L’attenzione al welfare locale non è, naturalmente, una novità
sul piano della ricerca: il processo di strutturazione delle nuo-
12 Prendersi Cura del Welfare

ve politiche sociali ha, infatti, sollecitato la realizzazione di studi


che mettessero a fuoco le differenze regionali e locali nelle imple-
mentazioni delle politiche di welfare. La crisi del welfare state, ha
infatti innestato sia processi di devoluzione verso la dimensione
locale (municipale, regionale) per la crescente impossibilità dello
stato di gestire in modo efficiente i servizi sia processi di territo-
rializzazione del welfare accentuati delle politiche di integrazione
europea che ha in un certo senso minato gli argini della protezio-
ne sociale nei confini dello stato, avviando processi di regionaliz-
zazione competitiva dagli esiti incerti. Gli studi sul welfare locale,
tuttavia, analizzano le nuove configurazioni spaziali secondo una
prospettiva neo-istituzionalista che si muove pur sempre al livello
macro in una geografia di contenitori innestati gli uni sugli altri
(Stato, regione, comune), di cui si descrivono i processi di rideter-
minazione delle competenze e i relativi effetti in termini di policy
(Ferrera 2008). Ciò che risulta differente nel caso degli studi qui
presentati e nell’approccio che si propone è la scelta di assume-
re come unità di analisi, le pratiche attraverso le quali leggere le
configurazioni situate di welfare, una decisione che implica una
differente prospettiva epistemologica.
Per comprendere tale prospettiva può essere opportuno sia
pur brevemente ripercorrere il percorso del practice-turn, o del
return to practice, allo scopo di chiarire lo spazio di riflessione nel
quale si inseriscono i capitoli di questo volume. Lo studio delle
configurazioni situate di welfare prende le distanze dalla retorica
della evidence-based practice che, alimentata da una concezione
neopositivista dell’impresa scientifica, finisce per semplificare in
modo riduzionista la complessità della pratica, confusa a volte
nella nozione di ‘processo’, oppure intrappolata in una dimensio-
ne ‘tecnica’ che non dà conto delle opportunità che offre in chiave
conoscitiva, ma anche sul versante delle sue implicazioni politi-
che (I. Sanderson 2002; Ian Sanderson 2002; Gray et al. 2009;
Biesta 2007). Nelle pagine che seguono dopo aver presentato la
traiettoria del practice-turn, si introdurrano i capitoli del volu-
me descrivendo le configurazioni situate di welfare ed i risultati
emergenti.
I. Lo studio delle configurazioni situate di welfare 13

2. Uno sguardo sulla pratica

Il concetto di pratica è ampiamente diffuso nelle retoriche istitu-


zionali del cambiamento ed anche nei discorsi di senso comune
quando si voglia passare all’azione, soprattutto in contrapposizio-
ne a tradizioni che tendono a porre un’enfasi sugli aspetti teorici,
sulle continue discussioni che non conducono, peraltro, a mo-
menti di applicazione concreta. Ed è frequentemente associato
all’aggettivo ‘buona pratica’, soprattutto per sottolineare la neces-
sità del trasferimento di pratiche sociali che favoriscono percorsi
emancipativi e/o di innovazione a fronte della riproduzione di
dinamiche di ristagno o di diseguaglianze sociali che si ripetono
nel tempo. D’altro canto, una rapida rassegna della letteratura
sul concetto di pratica rivela una notevole pluralità di posizioni
ed un incontro di circuiti disciplinari diversi che se ne servono
in maniera in parte contrastante con i significati che ormai vi si
attribuiscono (Knorr Cetina et al. 2001).
In questo testo seguiremo il vocabolario del practice-turn negli
studi organizzativi, che si è sviluppato alla fine del secolo scorso
in modo da articolare una posizione critica nei confronti dei di-
scorsi dominanti della knowledge economy e del consolidamento
del knowing capitalism (Powell & Snellman 2004; Thrift 2005).
Nella prospettiva della knowledge economy la conoscenza è un fat-
tore fondamentale del processo di accumulazione capitalistica e
l’investimento in conoscenza, lo stock di conoscenze disponibili
e circolanti costituiscono nodi cruciali per garantire la compe-
titività dei sistemi economici contemporanei. Migliorare le co-
noscenze, accrescere le competenze, investire in capitale umano
permetterebbe, inoltre, non solo di aumentare l’efficienza, l’ef-
ficacia e la produttività delle società contemporanea, ma anche
di contrastare la riproduzione dei meccanismi di diseguaglianza
sociale, delineando scenari virtuosi di ricchezza e di equità sociale.
L’applicazione della conoscenza scientifica alle politiche dovrebbe
consentire, infine, lo sviluppo di policy validate su prove speri-
mentali (evidence-policy), investendo e replicando quelle che han-
no (il principio tecnico del what works) prodotto effetti desiderati
in termini di efficienza, efficacia ed equità. La conoscenza si rivela
14 Prendersi Cura del Welfare

importante sul piano economico, politico e sociale nella misura


in cui un miglioramento di conoscenza si traduce in maggiore
competitività, in una migliore qualità delle basi informative delle
policy (ciò che definisce la policy knowledge) e in uno scenario
sociale caratterizzato da una redistribuzione equa delle ricchez-
ze e delle competenze. In questo quadro si comprende, dunque,
come intorno alla conoscenza si giochi una partita cruciale che
riguarda le caratteristiche della conoscenza in quanto risorsa, le
modalità di produzione e circolazione delle conoscenze e i cri-
teri della sua validazione in modo che possano informare effica-
cemente le politiche. Da questo punto vista, si può notare come
lo shift verso la knowledge economy e il knowing capitalism sia
accompagnato dal dominio di una visione tecno-razionalista della
conoscenza che finisce per considerarla come un fatto cognitivo
individuale, cioè come qualcosa che si sviluppa in una mente e
che alimenta le dicotomie tra corpo vs mente, tra individuo e
società, tra natura e cultura – nella riconferma della Costituzione
Modernista (Latour 2010) – e come una merce, ovvero una risorsa
da scambiare sul mercato, codificabile e standardizzabile come
altri beni o risorse. Per criticare questa visione, il turn to practice
negli studi organizzativi mobilita risorse teoriche ed empiriche al
fine di problematizzarla, arricchirla e complessificarla. Le risorse
mobilitate, che provengono da diverse impostazioni teoriche e da
diversi orizzonti temporali (la teoria dell’attività, la teoria cultu-
rale dell’apprendimento organizzativo, l’actor-network theory, la
teoria situata dell’apprendimento), convergono nell’invito a leg-
gere le dinamiche della conoscenza nella società contemporanea
attraverso la lente della pratica (Nicolini et al. 2003). La pratica
si offre, infatti, come una prospettiva per individuare sia i luoghi
che i processi di fabbricazione della conoscenza (Gherardi 2000).
Si tratta, in definitiva, di un rovesciamento prospettico, nel quale
la conoscenza non è considerata in senso trascendentale, ma è un
effetto emergente, una realizzazione pratica che è situata in conte-
sti storico-culturali che è possibile descrivere e spiegare nelle loro
dinamiche sociomateriali.
I luoghi della conoscenza acquisiscono una dimensione con-
testuale che va oltre il confine di concettualizzazioni anguste
I. Lo studio delle configurazioni situate di welfare 15

dell’individuo o della mente: sono spazi sociali, che i ricercatori


denominano, a seconda della tradizione teorica, come comunità
di pratica, come sistemi di attività, come actor-network, che con-
corrono alla definizione di habitus – descrivendo una traiettoria
sociale ed essendo costitutivi di collettivi sociali – e che implicano
necessariamente una dimensione corporea, inevitabilmente situa-
ta, come sottolineano le ‘voci femministe’, in dinamiche e rela-
zione di potere e di genere. In questo modo si riconosce che ciò
che si definisce come conoscenza oggettiva e universale, ha una
sua spazializzazione, vale a dire è socialmente e corporealmente
situata ed ha senso chiedersi quali siano i luoghi della conoscenza
della knowledge economy, quali configurazioni assumano e con
quali effetti di potere e di genere.
La lente della pratica, inoltre, suggerisce di analizzare nel det-
taglio i processi di fabbricazione della conoscenza. Ci si concentra
su come si costruisce la conoscenza, con quali strumenti, in qua-
li condizioni materiali, in che modo emerge e si stabilizzi, qua-
li siano le controversie e in che maniera le soluzioni riescano a
risolverle in modo contingente. Si sviluppano, in questo senso,
delle descrizioni che danno conto delle relazioni tra ‘conoscere’ e
‘fare’, ripercorrendo foucaultianamente l’archeologia del presen-
te. Tali descrizioni non riguardano solo le conoscenze scientifiche,
ma anche le molteplici conoscenze (senso comune, professionali,
locali) che sono in gioco nei processi di costruzione del sapere. In
questo senso, da un lato, la conoscenza scientifica viene analizza-
ta nel suo farsi e la si riconnette, senza tuttavia necessariamente
dequalificarla, alle dinamiche sociali e materiali, e dall’altro, si
riconosce che le dinamiche conoscitive si producono nell’incon-
tro e nello scontro talora tra più saperi in un campo segnato da
dinamiche di potere, nel quale alcuni modelli conoscitivi finisco-
no per essere dominanti, seppur in concrete circostanze storiche,
rispetto ad altri. Si comprende, in questo modo, la natura aperta
dei processi di fabbricazione della conoscenza, il loro poter ‘esse-
re altrimenti’, valorizzando il ruolo giocato dai paradossi, dalle
controversie, dai dilemmi e dalle incoerenze. Ma si rivela come
la conoscenza e le conoscenze si intreccino con le dinamiche di
governamentalità, ovvero con le mentalità di governo (e quindi
16 Prendersi Cura del Welfare

con le policy-knowledge) che sono dominanti in un dato conte-


sto sociomateriale.
In questo primo quadro concettuale (i luoghi, la fabbricazione
della conoscenza) si sviluppa il bandwagon del practice negli studi
organizzativi (Corradi et al. 2010). Due Standing Group all’in-
terno dell’European Group of Organizational Studies opereranno
regolarmente come spazi aperti di conversazione sulla pratica e
nel corso di dieci anni un notevole numero di special issues sulla
pratica nelle organizzazioni e nei luoghi di lavoro saranno pub-
blicate in diverse prestigiose riviste accademiche (Organization,
Organization Studies, Management Learning, etc.) a testimonianza
del notevole interesse in questo circuito di riflessione e di ricerca
empirica che dimostra di mantenere originalità e vitalità nel cor-
so del tempo. In questi spazi si confrontano approcci che hanno
elaborato concettualizzazioni ed anche impostazioni metodolo-
giche diverse. Sono messe insieme, infatti, una prima generazio-
ne di studi sulla pratica (la teoria dell’attività, il pragmatismo)
ed una seconda generazione di ricerche che ritorna, invece, alla
pratica sulla scia di sociologi e filosofi come Bourdieu, Giddens,
Foucault, Garfinkel, Schatski, Latour (Miettinen et al. 2010). Ma
emergono anche differenze che riguardano l’approccio filosofico:
neoaristotelico da un lato, poiché attraverso la pratica viene risco-
perta la dimensione etica dell’agire organizzativo e post-cartesiano,
dall’altro, nella misura in cui l’attenzione alla pratica induce ad
elidere le dicotomie tra mente/corpo, individuo/società, strut-
tura/azione che hanno sin qui definito lo scenario modernista
(Green 2009). La descrizione delle sfumature del dibattito esula
dagli scopi di questa introduzione che presenta, invece, i principi
guida delle analisi delle configurazioni situate di welfare raccol-
te in questo volume. Tali principi costruiscono uno sguardo sulla
pratica (Hager et al. 2012).
Il primo principio che sintetizza, in effetti, il punto di par-
tenza del quadro concettuale da cui ha origine il practice turn è
l’attenzione al conoscere in pratica (knowing in practice). In parti-
colare, si riconosce che la pratica richieda qualcosa in più dell’ap-
plicazione della conoscenza teorica o della conoscenza scientifica
e non scaturisca in maniera automatica come un effetto dell’ap-
Fine anteprima...

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