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edizioni
~
SULLO SPIRITO DI DIO
GIACOMO BIFFI
Sullo Spirito
dI
Dio
Soliloquio
edizioni
~
Milano 1986
Proprietà letteraria riservata
l a ristampa 1986
CAPITOLO I pago
Perplessità 7
Soliloquio - Che giova al mondo, se conquisto tutto l'uo-
mo e perdo l'anima mia? - In solitudine - In silenzio -
1:.veramente mio solo quel che mi è donato - 1:.possibile
parlare dello Spirito?
CAPITOLO II
Un destino fuori misura 16
Un Dio che non rispetta i confini - Una luce troppo alta
per un mondo troppo brutto - Un dilemma sconvolgente
CAPITOLO III
Fuoco e acqua. 23
Il battesimo di fuoco - Un fuoco misericordioso - Un
fuoco che vuoi divampare - La sete dell'uomo - L'acqua
dello Spirito
CAPITOLO IV
Nube e colomba 31
Il segno di una presenza - Il Dio presente - Ambiguità
dei fatti compiuti - Maria e la nube - La colomba - I cie-
li squarciati
CAPITOLO V
I frutti dello Spirito 40
Principio di fecondità - L'eroe dei due mondi - L'accet-
tazione della realtà - I doni sono molti
CAPITOLO VI
I carismi dello Spirito 47
I «frutti» e i «carismi» - Il discernimento dei carismi
5
CAPITOLO VII pago
Gesù di Nazareth e lo Spirito Santo 53
Lo Spirito si rivela - Gesù pellegrino, condotto dallo
Spirito - Lo Spirito mandato da Gesù glorioso
CAPITOLO VIII
Lo Spirito unificatore . 58
L'unificazione dell'universo - Le effusioni unificanti - La
unità della Rivelazione e della fede - Spirito e ortodossia
- L'unificazione degli atti sacramentali - Unità dei cari-
smi e dei ministeri
CAPITOLO IX
Lo Spirito tra integralismo e secolarismo 69
L'unità dell'universo - Un dilemma imbarazzante - Il di-
vario si fa più profondo - Ognuno cita la sua Scrittura -
A ognuno è proposta la sua eresia - Dove ci porta lo
Spirito - Semplici norme di comportamento di fronte ai
valori «secolari»
CAPITOLO X
Lo Spirito e il prodigio dell'atto di fede . 81
La nuova storia del mondo comincia con l'atto di fede -
Integralità dell'atto di fede - L'atto di fede esige la «cri-
stianità» - Valore relativo delle cristianità - Un idillio e
un contrasto - Impossibilità e necessità del dialogo
CAPITOLO XI
Lo Spirito e il sacro 91
Sacro e profano - Una distinzione che sembrerebbe in-
fondata - ... ed è irrinunciabile - Il «sacro» nella econo-
mia della redenzione - Il sacro è ciò che è obiettiva-
mente santo
CAPITOLO XII
Lo Spirito e il prodigio della Chiesa . 99
Sacro più santo uguale Chiesa - «Come sei bella, amica
mia, come sei bella» (Cant. 1,15) - Nasce il corpo di
Cristo - La vita «secondo lo Spirito» - Capire le cose
dello Spirito - «Dove c'è lo Spirito, lì c'è la libertà»
6
I
PERPLESSIT A'
SOLILOQUIO
7
resto è parola di grande nobiltà nella storia della ri-
flessione cristiana. E poi esprime bene ciò che mi
sta a cuore di significare: e cioè che non sono ri-
cercati interlocutori umani in questo discorso; che
esso non è nato in seno alla comune ricerca di grup-
po; che neppure è destinato a una comunità. Al con-
trario, come clima proprio suppone silenzio e soli-
tudine, anche se un cristiano non può mancare di
portare pur nella solitudine il pensiero dei suoi fra-
telli: la nostra è sempre una vita ecclesiale.
8
vere; spesso è anche un dono per gli altri. Non ser-
virebbe neppure il pane, se insieme non si salvasse
l'idea che il pane si può e si deve trasformare in
vita interiore.
IN SOLITUDINE
9
Anche a questo proposito nasce una perplessità:
che cos'è la solitudine? è il segno della sconfitta o
il premio di chi è arrivato sulla vetta?
Comunque la si giudichi, la solitudine è una fata-
lità per l'uomo che abbia una sua interiore consi-
stenza. E in ogni caso, alla fine di tutto si è soli. Per-
ciò bisogna preparare lo spirito alla vita solitaria,
fin dall'inizio dell'esistenza consapevole. Bisogna al-
lenarsi fin dal principio, oltre che a star con gli al-
tri, anche a vivere soli.
Forse è anche, per l'uomo, la più autentica con-
dizione: una condizione che ha la sua pena e la sua
amarezza, ma anche la sua fecondità e la sua gioia.
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IN SILENZIO
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sa. C'è in questo senza dubbio una tragica nobiltà
di spirito, ma forse non c'è orrore più grande.
È VERAMENTE MIO
SOLO QUEL CHE MI È DONATO
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Lo Spirito è generalmente assente dalla predica-
zione corrente. Anch'io ne ho sempre parlato poco.
Chi ne tratta, ormai da molti decenni ne tratta co-
me del «grande sconosciuto» o del «grande dimen-
ticato» .
Qualche ragione può essere trovata in questa ri-
trosia a far della terza persona argomento dei pro-
pri discorsi.
Lo Spirito, più che oggetto di conoscenza, è co-
lui che ei fa conoscere il Figlio e, mediante la vi-
sione del Figlio, arriva a darei l'intelligenza del Pa-
dre, e così fa piovere la sua luce su tutte le cose,
disvelandocene il senso vero.
Più che il termine della nostra contemplazione,
è in noi comprincipio della contemplazione del Si-
gnore Gesù e del progetto d'amore deciso dal Dio
eterno. Più che il destinatario delle nostre suppliche,
è colui che dall'intimità profonda del nostro spirito
ci associa al suo gemere ineffabile e al suo deside-
rio di unità col Padre, fonte di tutta la vita divina:
desiderio sempre perfettamente appagato e sempre
vivo.
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nessuno si avvede del piacere che prova a respirare,
fino a che questo bene non appaia insidiato. Ma ci
sono momenti nei quali - o perché si è appena usci-
ti dall'ambiente malsano di una galleria satura di
esaltazioni nocive o perché si è da poco arrivati do-
ve l'aria è straordinariamente fresca, leggera, profu-
mata - il godimento di allargare i polmoni e di sen-
tirci ossigenare il sangue è grande, e volutamente lo
si ricerca e lo si assapora.
Certo parlare dello Spirito troppo frequentemen-
te può essere perfino pericoloso. Ci si può convin-
cere, quasi senza avvedersene, di essere per ciò stes-
so illuminati da lui. Il contrario purtroppo ha più
probabilità di essere vero: più che di sé, egli parla
di Cristo e di Dio, sicché se lo si nomina troppo
spesso, potrebbe essere indizio di non essergli ab-
bastanza vicini e di non averne assimilato le con-
suetudini e lo stile.
Senza dire che gli abbagli in questo campo han-
no effetti gravissimi e, secondo una severa parola
di Cristo, talvolta senza rimedio.
Il primo e fondamentale «discernimento degli spi-
riti» va chiesto in dono a proposito dello Spirito
di Dio, di cui va percepita la presenza e accertata
l'identità tra una moltitudine di spiriti vani o catti-
vi, che tentano con varia abilità di farsi confondere
con lui. Forse il segreto sta - su questo argomen-
to - di non proclamare a voce troppo alta le pro-
prie scoperte, ma di restare il più possibile entro i
confini, appunto, di un soliloquio.
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Anche il Signore Gesù ha parlato poco dello Spi-
rito. Però ne ha parlato. Su questo modello, se tutti
i nostri soliloqui vanno compiuti nello Spirito san-
to, qualcuno almeno può e deve fermarsi diretta-
mente su di lui. Col Padre e col Figlio egli è nella
Chiesa ugualmente adorato e glorificato. Perciò bi-
sogna che prenda per una volta tutta l'attenzione
dell'anima.
Senza dubbio, il modo migliore di crescere nella
sua conoscenza è quello di crescere nella conoscen-
za del Signore Gesù; la più perfetta forma di ren-
dergli onore è quella di unirsi a Cristo nel sacrifi-
cio che è perennemente offerto al Padre; il suo più
autentico e più alto riconoscimento sta nell'esercizio
quotidiano della fede, della speranza e della carità.
Ma è bene che almeno qualche volta io ricerchi una
più attuata consapevolezza della forza segreta che
ispira e sostiene tutti gli atti della esistenza redenta
e mi indugi a tributare allo Spirito «che è signore e
dà la vita» l'omaggio della mia preghiera solitaria.
1S
II
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sto? Che significa nativamente e globalmente que-
sto unico e multiforme sconfinamento della luce in-
creata nella nostra notte? Qual è il suo più imme-
diato ed elementare messaggio per la mia vita?
Mi pare debba essere la rivelazione del mistero
più grande e più abbagliante di questo strano mondo
in cui sono capitato; e cioè che tra me e Dio, anzi
tra l'universo e Dio, il rapporto non si esaurisce nel-
la relazione creaturale di dipendenza.
lo resto - ed è insieme inevitabile e spavento-
so - finito di fronte all'Infinito; effimero di fronte
all'Eterno; creatura quasi occasionale di fronte al-
l'Assoluto e al Necessario. Ma tutte le immagini
evocate dallo «Spirito» mi parlano di una soprag-
giunta effusione di Dio verso di me e verso il mon-
do; di un traboccare della divinità sulla creazio-
ne, che si riversa libero, a fiotti, ineguale, tende a
colmare felicemente l'abisso invalicabile che mi di-
stanzia all'infinito dal mio Creatore e aspira a uni-
ficarmi con le altre creature nell'intimità segreta del-
la vita divina.
17
UNA LUCE TROPPO ALTA
PER UN MONDO TROPPO BUIO
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demente ingiusti per arrivare a qualche briciolo
di giustizia: dov'è in questo sfacelo lo Spirito san-
to? Come è possibile che questo mondo scardinato
- che io - abbia in eredità la luce, il fuoco, la vi-
ta di Dio?
La rivelazione dello Spirito, come un bagliore im-
pietoso, porta all'evidenza, dentro e fuori di me,
tutto l'orrore di un mondo lontano dalla sua origi-
ne e dalla sua forma ideale.
Si capisce come Gesù abbia detto che lo Spirito
è l'accusatore del mondo (Gv. 16,8). E, più dolo-
rosamente, si capisce come la manifestazione dello
Spirito sia una provocazione, perché mi fa conosce-
re al tempo stesso una realtà umana troppo brutta
per avere un destino bello, e un destino troppo bel-
lo per poter essere mio.
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ipotizzare e di avverare una qualunque soluzione di
mezzo, che non faccia violenza alla mia piccola ani-
ma, che mi consenta di condurre una piccola vita,
che non mi abbandoni alla prospettiva di essere pre-
so e trasportato in un mondo che sarà anche bello,
ma non è costruito sul mio metro.
Ed è un passo necessario: la salvezza comincia
dalla accettazione senza riserve del mondo «ecce-
dente» che è stato voluto da Dio.
UN DILEMMA SCONVOLGENTE
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vamente, ma anche, per così dire, entitativamente,
fin dal primo istante di vita cosciente, dalla gioia
della prima luce, dal primo palpito d'amore, dalla
prima emozione regalatami dalla bellezza, dalla pri-
ma decisione di donarmi, dal primo vagheggiamen-
to di un grande destino: esperienze tutte che invece
al loro compimento sembravano avere dentro di sé
un pregio eterno, sicché l'irrisione di tutto il mio
povero essere sarebbe assoluta e totale. Se la mèta è
il nulla, il nulla è fin dal principio la sostanza del-
l'universo.
E c'è l'altra ipotesi, quella di essere ghermito
dallo Spirito e avviato a una vita piena e senza fine,
oltre ogni misura e ogni proporzione pensabile; e
anch'essa incute uno spavento, diverso ma non me-
no forte, al mio cuore che è piccolo e bisognoso di
continui traguardi ravvicinati.
Abituato come sono a bere a piccoli sorsi, mi ter-
rorizza, oltre al pensiero che la sorgente vitale per
una oscura crudeltà si possa inaridire, anche quel-
lo di dovermi abbeverare di colpo a un mare senza
confini: quel che è troppo, è troppo.
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do il suo Spirito - ed è l'unico Dio di cui ho qual-
che notizia - mi appaiono l'una e l'altra eccessive.
L'annientamento e la vita eterna sono ambedue
al di là della mia capacità di immaginazione e di
sopportazione.
In ogni caso, mi attende una sorte che mi oltre-
passa e mi è, in un modo o nell'altro, spaventosa.
Una condizione «naturale», prevedibile, misurata,
meditabile senza brivido, mi è comunque preclusa.
22
III
FUOCO E ACQUA
IL BATTESIMO DI FUOCO
23
il mio cuore non è innocente, per forza lo Spirito
scende su di me come un fuoco. Così viene indicata
la massima purificazione: una purificazioneche non
resti in superficie come un lavacro, ma arrivi alle
riposte fibre dell'essere; una purifìcazione tormento-
sa, che non si rassegni alle resistenze di corpi estra-
nei, ma bruci ogni scoria; una purifìcazione assolu-
ta. Il ferro, che ha già avuto una sua vicenda mon-
dana ed è perciò deteriorato e rugginoso, per il mar-
tirio del fuoco ricupera la lucentezza e la consisten-
za di origine.
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UN FUOCO MISERICORDIOSO
25
Al suo chiarore, io so che qualunque cosa fac-
cia e qualunque cosa non faccia, sono sempre per
qualche aspetto colpevole, ma un colpevole che, se
anche non gli riesce di reggersi, cade sempre però
«in grembo a-una immensa pietà».
Egli non mi inchioda alle mie responsabilità, piut-
tosto mi sospinge con l'impeto rovente dell'amore
sullo stesso patibolo, cui il Figlio di Dio per mio
amore ha voluto essere confitto.
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Chi è afferrato dallo Spirito, non può acconten-
tarsi di essere un solitario e segreto contemplatorc
della verità, ma - lo voglia o no - se ne fa annun-
ciatore per gli altri.
«Nel mio cuore c'era come un fuoco ardente,
chiuso nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo»
(Ger. 20,9).
Anche se, come Geremia, quanto preferirei di es-
sere lasciato in pace, lo Spirito trova mille occasio-
ni per costringermi a testimoniare. Egli né si cura
delle mie personali inclinazioni alla vita tranquilla
né rispetta i postulati, i miti, le suscettibilità di co-
loro che, senza desiderarlo, mi avvedo di importu-
nare.
LA SETE DELL'UOMO
27
tale io ho soltanto sete e non so di che cosa. Cioè
mi sento incompleto così come sono e perciò sono
tormentato dal desiderio e dalla necessità di qualco-
sa che possa compirmi nelle mie più radicali aspi-
razioni e alla fine placarmi.
I valori che sono -- e sono percepiti - «disse-
tanti» sono la conoscenza, l'amore e la gioia: non
ce ne sono altri. Di questi valori l'uomo ha sete.
Ogni sua ricerca - da quella più grossolana a quel-
la più raffinata - è ricerca di conoscenza, di amore,
di gioia.
Sono valori che si trovano nelle cose tra le quali
l'uomo conduce la sua appassionata esplorazione.
Ma si trovano a gocce, a piccole pozzanghere, a ri-
gagnoli presto esauriti; sono al di fuori di lui, sic-
ché lo obbligano a uscire dal proprio mondo interio-
re e a mendicare qualcosa all'esterno per la sua
gola riarsa; e talvolta, come per il mare e per le
paludi, sono dissetanti solo in apparenza, quando
non sono bevande morte e mortifere.
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ricevuto lo Spirito non vede più le pozzanghere che
prima lo ingolosivano, perché è come sommerso dal-
l'abbondanza del dono .
.È un'acqua che, pur avendo un'origine celeste,
scaturisce dal mistero del mondo interiore dell'uo-
mo (<<dalsuo ventre»): questo è sempre lo stile del-
lo Spirito, che agisce non solo su di noi, ma come se
fossimo noi ad agire dentro di noi; non facendoci
puramente oggetto della sua azione trasformante,
ma quasi eleggendoci a com principio delle sue stesse
donazioni.
.È un'acqua «viva» e perciò porta alla vita sem-
pre più piena e sempre più vera, ed è sempre fre-
sca, sempre nuova.
È un fiume che non inaridisce mai, ma scorre den-
tro di noi «per la vita eterna», cioè fino a quando
non saremo finalmente sommersi nel mare di luce,
di fuoco. di felicità, che è proprio di Dio.
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gono da tutti i suoi fratelli, vicini e lontani, vivi e
defunti; ma non come chi brucia dalla sete e si ab-
bevera a tutte le fontane, ma come chi vuoI conosce-
re tutto perché il suo amore possa raggiungere, in
forma il più possibile esplicita e consapevole, tutto.
È lieto di donare e di raccogliere affetto, ma non co-
- me chi spreme avidamente qualche stilla di umore
in un deserto, ma come chi è felice che la sua cop-
pa trabocchi - come su di lei è traboccata la cop-
pa di Dio - e si effonda senza riserve e senza pau-
re. E gode di tutto, non perché sia alla ricerca spa-
smodica della gioia, ma perché dovunque ci sia un
fremito di felicità si sente affine e come in sintonia,
si sente fratello, dal momento che il suo cuore è già
in festa.
30
IV
NUBE E COLOMBA
31
C'è tuttavia una differenza da rilevare: mentre il
popolo antico restava di fuori, nella vicenda evan-
gelica il nembo dello Spirito include in sé tutti i
personaggi interessati: Gesù, che è l'Emmanuele;
Maria, che è la vera aroa dell'alleanza e la tenda
dove la Parola di Dio ha preso dimora; i tre aposto-
li, che sono figura e primizia di tutto il nuovo po-
polo dei credenti.
Con timore essi entrano nella nube, ma vi entra-
no: «ebbero paura al loro entrare nella nube» (Le.
9,34). Nella nube non vedono molto più di prima;
sono essi piuttosto a scomparire alla vista del mon-
do, quasi partecipi dell'inconoscibilità del Dio che
si è fatto presente.
In realtà, se io sono raggiunto dalla discesa dello
Spirito, più che di capire qualcosa del segreto di
Dio, devo attendermi di diventare io stesso incom-
prensibile agli altri.
C'è qualcosa di patetico nell'ansia che talvolta mi
prende di riuscire compreso dagli uomini e credi-
bile, proprio nel momento in cui vengo fasciato dal
mistero e divento partecipe per qualche aspetto del-
la stessa naturale «incredibilità» di Dio.
IL DIO PRESENTE
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aperta una strada sola: quella che passa dal Golgo-
ta e che, se lo Spirito non mi illumina, mi appare
essa stessa improbabile e intransitabile.
Dalla strada del Golgota parlano appunto i glo-
riosi personaggi che stanno per essere presi dal nem-
bo dello Spirito (Le. 9,31). E alle sofferenze del
Servo di J ahvè allude la voce del Padre che risuo-
na dalla nube (Le. 9,36).
Poiché è suo compito proprio richiamarci le verità
incredibili che ci permettono di continuare a vivere,
lo Spirito attesta la presenza di Dio. Non una pre-
senza remota e in contaminata; che è una presenza
molto vicina all'assenza. Ma una presenza che si in-
treccia nel tessuto della storia umana, con le cose
e gli avvenimenti di questa vita.
33
dre; un segno che lo Spirito prima ci induce a cre-
dere, poi ci aiuta a scoprire e a contemplare.
La mia storia - tutta la storia umana - che agli
occhi di pensatori senza illusioni e senza miti ap-
pare troppo spesso opprimente come un incubo e
irragionevole come una farneticazione, alla luce del-
lo Spirito è una epifania del Padre.
34
volta ci incoraggia anche ad essere, senza timore
delle irrisioni, i paladini di ciò che avrebbe dovuto
essere e non è stato. Solo lui può sostenerci nella
convinzione che se grande - e per qualche aspetto
perfino santa - è la effettualità, più grandi e più
sante sono, anche quando non varcano i confini del-
l'ordine ideale, la verità e la giustizia.
MARIA E LA NUBE
LA COLOMBA
35
quattro le narrazioni evangeliche la ricordano: la
cristianità primitiva dunque è stata unanime nel
giudicarla importante e probabilmente anche di fa-
cile comprensione. Anche noi tenteremo di capirla,
benché non ci appaia più così trasparente.
La compresenza;assieme alla colomba, dell'acqua
donde risale secondo il rito il Figlio di Dio, ci av-
via a cogliere le allusioni contenute in questo qua-
dro. La narrazione sembra richiamare da un lato la
prima pagina della Genesi, dove lo Spirito è pre-
sentato come un uccello che aspetta sulle acque pri-
mordiali il mondo che sta per affiorare e iniziare
così la sua storia;" dall'altro la conclusione del di-
luvio, con la colomba che annuncia la fine del casti-
go e della morte e la rinascita dalle acque di una
terra purificata e pronta a ricominciare la vita. l
36
che è conforme all'eterno disegno di Dio e ciò che
possiede un futuro. Perciò le «novità» intese dal-
l'uomo sono per forza effimere: dopo un giorno sfio-
riscono e in ogni caso non sono più nuove. Le no-
vità dello Spirito restano e restano nuove, perché
per lo Spirito è giovane non chi ha corte radici nel
tempo, ma chi ha radici forti e profonde nella real-
tà eterna.
Per questo le opere ai cui inizi presiede lo Spirito
- come l'esistenza umana del Figlio di' Dio, la sua
azione messianica, la Chiesa - non sono soltanto
una novità inaspettata per il mondo, ma possiedono
anche la prerogativa di una freschezza senza data.
Si capisce come la vergine Maria - colei che con
cuore più indifeso ha incontrato lo Spirito - non
finisca mai di essere madre ed è sempre feconda.
37
umana, eppur semplici, perché sono il nutrimento
dei poveri); dove ci sono convinzioni solide e intat-
te sotto il fluire della volubilità senza pausa delle
opinioni e delle mode; dove ci sono valori che a
ogni epoca sembrano avvizziti e moribondi, eppure
si mantengono vivi e continuano ad affascinare; do-
ve c'è la fermezza delle verità e dove nascono e si
rinvigoriscono le certezze, in mezzo alla danza delle
supposizioni e delle fuggevoli assurdità multicolori,
Il c'è lo Spirito di Dio.
E probabile che lo spirito dell'uomo progredisca
nella scienza e nella tecnica per mezzo del succeder-
si delle ipotesi e si raffini culturalmente nel dubbio
e col dubbio, ma è sicuro che è nutrito soltanto dal-
la verità e può crescere solo in forza delle certezze
raggiunte: e la verità e le certezze discendono con
lo Spirito dal mondo eterno.
38
nuità sostanziale della vita della Chiesa - anche lì
c'è lo Spirito di Dio e lo devo riconoscere, anche se
a me, uomo effimero e istintivamente attaccato al
mio passato, sarà impresa ardua e perfino dolorosa
scoprirne e capirne l'esuberanza, la fantasia, la gio-
vanile vivacità, e sarò sempre tentato di non distin-
guere la voce dello Spirito rinnovatore nel chiasso
multiforme degli adora tori del progresso.
I CIELI SQUARCIATI
39
v
I FRUTTI DELLO SPIRITO
PRINCIPIO DI FECONDITÀ
40
misericordia verso le debolezze altrui e la troppa
comprensione verso le proprie, la ristrettezza di spi-
rito di chi non sa capire nessuno oltre a sé e la lar-
ghezza di idee così ampia che non si distingue più
dallo smarrimento nella fede. Che sono appunto i
guai che di solito accompagnano - ora gli uni ora
gli altri - un pneumatismo illusorio e i troppo fre-
quenti appelli allo Spirito di Dio.
41
L'EROE DEI DUE MONDI
42
bivalenza, comunicato dallo Spirito che è il pegno
della mia eredità. Piuttosto godo di questo duplice
esilio e di questa duplice fraternità, cui sono stato
chiamato, che mi consente di ritenermi coinvolto
- e non travolto - ovunque si svolga la storia in-
credibile di Dio e delle sue creature, in ogni angolo
della terra e in ogni luce del cielo.
43
biamo un altro sul quale esercitare la nostre attitu-
dini investigative.
Solo lo Spirito sa piegare gli animi di fronte al
mistero della croce, inducendoli ad accogliere un
mondo che - lo voglia o no - partecipa al destino
del Golgota. Solo dopo la Pentecoste, gli apostoli
accettano sul serio di essere gli annunciatori di un
crocifisso.
So benissimo che la mia ragione - da qualunque
parte si muova nel suo cammino - mi porta inevi-
tabilmente, se i procedimenti sono corretti, al Dio
creatore e signore di tutto. Ma so anche che il mon-
do sfigurato, sconvolto, senza significazione eviden-
te, che mi trovo di fronte, impedisce al mio essere
di seguire le concatenazioni necessarie della logica:
io so dire di no anche alla ragione.
44
tinuare a ritenere accettabile - di fronte al male -
l'esistenza di un Dio onnipotente e buono. Ed è un
dono dello Spirito l'ingresso in questa logica acci-
dentata che, al di sopra della pura ragione, è la sola
strada che ci pone in condizione di salvare la possi-
bilità di ragionare, di sperare, di esistere.
45
I DONI SONO MOLTI
46
VI
I «FRUTTI» E I «CARISMI»
47
E c'è una diversità ancora più stupefacente: sol-
tanto in chi si è aperto - o si sta per aprire - al-
l'azione di Dio e al fluire della vita rinnovata si ri-
trovano i frutti dello Spirito; al contrario i carismi
possono essere dati talvolta anche a 'chi rimane in-
teriormente irredento. Non si può escludere che ci
siano dei carismatici tra coloro che si avviano alla
perdizione.
I carismi per sé non sono dunque né giustificanti
né segno di giustificazione. Sono piuttosto segno del
grande e fantasioso amore di Dio per il suo popolo:
un amore che sa percorrere tutte le strade per arriva-
re al bene della Sposa amata e non teme di coinvol-
gere obiettivamente nell'opera di santificazione per-
fino quelli che non si lasciano santificare.
Proprio perché finalizzati all'utilità della Chiesa,
possono lasciare l'uomo che ne è investito nel suo
squallore originario, anche se è senza dubbio un ca-
so abnorme che colui che è, per così dire, attraver-
sato dall'energia divina, resti ad essa perfettamente
impermeabile e riesca a mantenersi chiuso a quel
dono di cui è stato designato portatore.
Ma anche questa anomalia può essere illuminan-
te: ci dimostra quanto sia grande la forza dello Spi-
rito, che nessuna cattiva volontà umana può osta-
colare nell'impeto con cui ravviva e ringiovanisce
la Chiesa; e al tempo stesso quanto sia spaventosa
la mia possibilità di resistere allo Spirito e di ren-
derlo inoperante nel mio mondo interiore.
Se non indicano necessariamente la presenza di
Dio nel cuore dell'uomo, i carismi - con la loro
48
abbondanza e la loro vivacità - sono però indizi
della presenza dello Spirito santo in una comunità
di credenti. Sono anzi una prova che le «ultime co-
se» già sono arrivate e il Regno di Dio è tra noi.
Perciò il loro multiforme di spiegarsi non deve essere
spento o anche soltanto guardato con fastidio: al
contrario rallegra ogni cuore che è stato raggiunto
dalla sobria ebbrezza dello Spirito.
49
dubbiamente dello Spirito, che con azioni diverse
edifica la stessa Chiesa: «Ognuno ha il suo carisma
proprio da Dio, chi in un modo, chi in un altro» (I
Cor. 7, 7). E ci sono carismi che sono congiunti ai
ministeri ecclesiali. Il caso più alto e più tipico è
quello dell'apostolato, che è conferito mediante l'im-
posizione delle mani (I Tim. 4, 14; II Tim. 1,6).
50
ed è quello dell'anticristo, di cui avete udito che
viene e che adesso è già nel mondo» (I Gv. 4, 1-3).
51
cosciente: in lui il dono ai fratelli si fa connaturale
e spontaneo e spesso nemmeno se ne avvede Q ci
pensa.
Un carismatico genuino non parla troppo del suo
carisma, non ne rivendica ogni momento la libertà
di esercizio, non si appella al suo dono come a un
titolo di merito per avere nella Chiesa un posto spe-
ciale, non esige riconoscimenti.
Non si affanna troppo né si amareggia quando la
sua autenticità non venga subito accolta. Piuttosto
si preoccupa costantemente di non ferire i fratelli
e di obbedire a coloro che lo stesso Spirito ha posto
a reggere la Chiesa di Dio, perché non ignora che
soprattutto qui la sua debolezza di uomo e la sua
corta pazienza potrebbero tradirlo.
Del suo carisma, della sua efficacia, della sua for-
za penetrante che si fa troppi problemi: sa che lo
Spirito - come l'amore o la luce o la bellezza -
non si imprigiona, ma arriva sempre dove vuole
arrivare, talvolta persino attraverso i malintesi, le
incomprensioni, le durezze di cuore.
Mi parrebbe anzi di capire che chi si muove se-
condo gli impulsi dello Spirito, si senta invincibil-
mente attratto a ricercare il conforto e la comunione
crescente con coloro che sono caricati del ministero
di guidare autorevolmente i fratelli, Lo stesso Spi-
rito che divide i vari compiti come vuole, unifica
poi tutto nel mistero bellissimo della Chiesa, e colo-
ro che in maniera diversa sono posti sotto l'azione
dell'unico Spirito, alla fine si riconoscono tra di
loro.
52
VII
LO SPIRITO SI RIVELA
53
mistero di Dio ha una sua provenienza e una sua
collocazione nell'ordine delle relazioni interne alla
natura divina.
Ed è sorprendente ed esaltante che sia il volto di
un uomo a introdurmi nell'intelligenza di una per-
sona divina e della stessa vita infinita. Proprio per
l'ingresso di Gesù di Nazaret nell'intimo della di-
vinità e per la sua collocazione all'origine eterna
dello Spirito, davanti a me lo Spirito si personalizza
e l'effusione di Dio nel mondo si chiarifica nel suo
significato e nella sua finalità.
Sono chiamato a riflettere distintamente - nel-
l'ambito dell'unica contemplazione del mistero di
Cristo - su Gesù, che è pellegrino come noi sulla
terra e ricercatore del Padre, ed è egli pure termine
e destinatario dell'azione pneumatica; e su Gesù,
collocato alla destra di Dio, che di questa stessa
azione diventa comprincipio.
54
Da allora lo Spirito lo guida sulla strada che gli è
prefissata dal Padre, e la prima tappa è la solitudine
e il silenzio. «E subito lo Spirito lo scaraventò nel
deserto», nota Marco (1,2) con una vivacità che gli
altri evangelisti si sentiranno in dovere di attenuare.
La prima mèta, proposta a chi è stato costituito
per noi ed è stato mandato a condividere senza ri-
serve la condizione umana, è il deserto, dove - pre-
senti le fiere e gli angeli - mancano solo gli uomi-
ni, e per questo i pensieri del Padre e del Regno si
fanno limpidi e vivi, e il cuore si dispone all'annun-
cio e all'opera di salvezza.
56
tello - partecipe della nostra stessa umanità -
può dire che l'effusione dello Spirito è fatta a nome
suo, come a dire: per sua richiesta e quasi per sua
autorità. Egli è dunque un uomo che gode di un
ascendente unico e inimmaginabile presso il Padre,
così da sollecitarne e ottenerne la massima e più
completa delle elargizioni: si comincia a capire co-
me mai lo Spirito di Dio debba essere anche - co-
me spesso fa Paolo - lo Spirito di Cristo.
Queste parole - «nel mio nome» - ci fanno pe-
netrare un po' di più nel mondo ineffabile dell'amo-
re e della sapienza di Dio e insieme ci preparano
alla più alta rivelazione, quella che ci porterà al
mistero centrale di questo ordine di provvidenza.
«Quando verrà il Parac1ito, che manderò a voi
dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal
Padre, egli renderà testimonianza di me» (15,
26).
Il Signore Gesù non solo strappa con 'le sue pre-
ghiere, coi suoi meriti, con la sua mediazione vitale
dal Padre per noi il dono del Parac1ito, ma si col-
loca all'origine di questa stessa donazione. Lo Spi-
rito è mandato da lui. Il vangelo di Luca raccoglie
dalle labbra del Risorto la stessa affermazione: «lo
manderò la promessa del Padre mio su di voi» (Le.
24,49).
Lo Spirito scaturisce da quest'uomo crocifisso e
glorificato, che perciò è entrato col Padre in una in-
timità che sta di là da ogni comprensione e, si di-
rebbe, di ogni possibilità: Gesù è, col Padre, alla
57
sorgente di questo «fiume di acqua viva» e il «pri-
mo Dono ai credenti» proviene anche da .lui. Qui
c'è la radice di tutto il mistero di Cristo. della Chie-
sa, della vita rinnovata. .
Lo Spirito è dunque di Cristo non solo perché è
ottenuto da Cristo, ma perché è il respiro del Risor-
to, che egli alita sulla sua Chiesa (cfr. Gv. 20,22),
rendendola un popolo vivo della stessa vita di Dio.
Un uomo è entrato nel gioco delle divine relazio-
ni; perciò questo gioco trabocca fino a raggiunger-
mi, coinvolgendo mi nella vita divina e coinvolgen-
dosi nella mia storia.
«Se io non andassi, il Paraclito non verrebbe
a voi; se io vado lo manderò a voi» (16, 7).
«Andare» ha per il Signore Gesù un senso deter-
minato: per lui significa affrontare i tormenti della
sua passione, morire sulla croce, risorgere nella glo-
ria; in una parola, operare il «passaggio» da questo
mondo al Padre.
Non c'è effusione dello Spirito di Dio nel mondo,
che non sia provocata dal sacrificio di Cristo. Al
momento della consumazione della sua offerta, se-
condo la discreta allusione di Giovanni, egli «emise
lo Spirito» (19,30), donandolo agli uomini e facen-
do di essi un popolo di redenti.
58
ne del Signore. Il quarto evangelo ci presenta questa
affermazione con una oertezza assoluta: «ancora non
c'era lo Spirito, poiché Gesù ancora non era stato
glorificato» (7,39).
Non si ha qui di mira ovviamente una successione
di carattere cronologico, ma si vuoI porre in eviden-
za l'ordine delle causalità: ogni donazione dello Spi-
rito, dal principio del mondo alla conclusione della
storia, proviene dal Cristo crocifisso e risorto, che
è «alla destra del Padre» e cioè partecipa della sua
prerogativa di essere la scaturigine del Paraclito.
Perciò non ci può essere meditazione sullo Spi-
rito, che "non sia al tempo stesso meditazione sulla
morte salvifica e sulla gioia pasquale; non c'è amo-
re per lo Spirito, che non sia insieme amore per co-
lui che ha versato il suo sangue per noi, «dalle cui
lividure siamo stati guariti»; non c'è devozione allo
Spirito, che non si risolva immediatamente nella de-
vozione al Signore crocifisso e sempre vivo.
«Non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà
udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi
glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo
annunzierà» (16, 13-14).
Lo Spirito viene a noi con tutte le ricchezze at-
tinte al tesoro di Dio. Ma non di una astratta essen-
za divina egli ci disvela i misteri: anzi, sotto que-
sto profilo non dice molto e non si dà troppo da fa-
re per appagare le nostre curiosità filosofiche.
Egli ci fa partecipi del colloquio d'amore tra il
Padre e il Signore glorificato. E poiché il destino di
59
noi, fratelli del Signore, è di sicuro argomento di
questo colloquio inesauribile, anche di questo lo
Spirito ci mette a parte: «vi annunzierà le cose fu-
ture»; e così, anticipando ci la conoscenza della no-
stra sorte beata, colma le nostre inquietudini e lievi-
ta dentro di noi la speranza.
60
e insieme il comprincipio della missione del Para-
clito, è la chiave di volta di questo nostro universo.
È ciò che è espresso con divina naturalezza nella
forma battesimale: «Nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito santo» (Mt. 28, 19). In essa si com-
pendia non solo il segreto dell'interna vita di Dio,
ma anche tutto il mistero della nostra salvezza.
La questione - di grande interesse culturale -
se sia stata posta sulle labbra di Cristo risorto per-
ché già così battezzava la Chiesa, o se la Chiesa bat-
tezzava così perché questo era l'ordine ricevuto dal
Risorto, è, agli effetti di una conoscenza vera e sa-
piente, del tutto irrilevante: la sua perfetta sempli-
cità e la sua straordinaria ricchezza ne attestano
in ogni caso la sostanziale origine rivelata.
61
VIII
LO SPIRITO UNIFICATORE
L'UNIFICATORE DELL'UNIVERSO
LE EFFUSIONI UNIFICANTI
62
gnore Gesù, sono radunati gli uomini di tutte le lin-
gue, p.erché da questa teofania - come da quella
del Sinai - nasce il vero popolo di Dio, che è ap-
punto una «convocazione», cioè una «chiesa».
Lo Spirito .unifica, animandola, tutta la moltepli-
cità dei mezzi di salvezza, coi quali ci raggiunge la
azione redentrice di Cristo.
Sono tutti riverberi, attuazioni, «epifanie» del-
l'unico Paraclito, che dalla destra del Padre non fini-
sce mai di investire e di soccorrere la varietà degli
uomini, dei momenti, delle necessità, riconducen-
dola all'unità senza stanchezze.
A ben guardare questa pluralità degli interventi
salvifici ha due diverse radici: l'una è propria della
realtà da redimere, che è molteplice e disgregata;
l'altra sta nella stessa ricchezza divina che, ecce-
dendo l'umana possibilità di comprensione, è costret-
ta per donarsi a farsi multiforme e successiva, sen-
za che nessuna complicazione si introduca nel pro-
getto e nell'amore del Padre e senza che si disperda
il Dono, che resta uno e unificante.
63
bro di Dio e, così organizzato, lo consegna al nuo-
vo Israele, assieme agli altri doni, come «Scrittura
divinamente ispirata» (Il Tim. 3, 16).
Agli uomini di tutte le stirpi e di tutte le culture
ispira l'identica accettazione dell'unica signoria del
Risorto, perché «nessuno può dire: Gesù è Signore,
se non nello Spirito santo» (I Coro 12,3); e al ba-
gliore di questa prima luce di fede, che rinnova
ogni prospettiva sul mondo, guida alla conoscenza
e al possesso vitale di tutto quanto è statoescogi-
tato per noi dall'amore inspiegabile del Padre: «vi
condurrà verso ogni verità» (Gv. 16, 13).
Né 'si tratterà soltanto di una esperienza interiore,
ma anche di una palese e impegnata testimonianza
di fronte agli altri: «renderà testimonianza di me
e anche voi mi renderete testimonianza» (Gv. 15,26-
27). Perciò nell'ora della prova i discepoli di Cri-
sto non devono preoccuparsi di cercare le parole
giuste per professare la loro adesione al Signore Ge-
sù: «non siete voi a parlare, ma lo Spirito santo»
(Me. 13,11).
Gli apostoli sono dall'inizio consapevoli di que-
sta loro solidarietà con lo Spirito nella testimonian-
za: «di queste parole siamo testimoni noi e lo Spi-
rito santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbe-
discono» (At. 5,32).
SPIRITO E ORTODOSSIA
64
ta la verità, in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue
implicazioni, è uno dei segni più sicuri della sua pre-
senza. Al contrario, il restare ammaliati dalle pro-
prie intuizioni balenanti e unilaterali, e compiacersi
della propria genialità, amplificandone il valore sen-
za coordinamenti e senza rispetto per la totalità, se-
condo la logica e la spaventosa libertà dei fenome-
ni tumorali, questo è malefizio caratteristico dello
Spirito del male.
Ed è un malanno fatale, che arriva a colpire per-
fino gli uomini spiritualmente più nutriti e più ric-
chi di vitalità. Tra i discepoli di Cristo il demonio
ottiene i più' vistosi successi non tanto con la disse-
minazione dell'errore quanto con l'esaltazione insi-
stita e ossessiva di qualche verità strappata all'or-
ganismo vivo e onnicomprensivo dell'ortodossia.
65
In realtà, in questa grigia epoca di pensatori ori-
ginali ad ogni costo, l'ortodossia è la sola originalità
che mi è consentita. Il suo fascino, per l'uomo
«pneumatico», si fa tanto più grande quant~ più. s!
generalizza sugli animi l'impero della eresia, cioe
della verità lacerata.
Niente rivela più chiaramente alla distanza la po-
vertà interiore quanto le «scoperte» luccicanti, uni-
laterali ed eccessive, che vogliono essere liberanti
e sono tiranniche. E niente è così forte e saziante,
come la verità che si offra senza clamori, in abiti
dimessi, e proprio col senso insieme della totalità
e della misura apre veramente sull'infinito.
Purché per ortodossia non si voglia intendere la
pigrizia mentale e l'incomprensione delle idee altrui,
che non sono tra i doni del-lo Spirito.
66
liturgie, nell'eucaristia l'azione dello Spirito tra-
sforma i doni terreni nell'offerta celeste e raduna
tutti i partecipanti in una «chiesa», associandoli al-
l'unico offerente, cioè al Pontefice dell'alleanza
eterna.
Così ogni remissione di colpa, ogni accrescimen-
to di vita divina è sempre effetto di questa inesauri-
bile Pentecoste, che va invisibilmente e tenacemente
trasformando il mondo nel Regno di Dio.
67
battesimo. Un solo Dio, Padre di tutti, che è al di
sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presen-
te in tutti» (Ef. 4,3-6).
68
IX
LO SPIRITO
TRA INTEGRALISMO E SECOLARISMO
L'UNITÀ DELL'UNIVERSO
69
tenazione, anche se non ne ha nessuna coscienza,
se non a prezzo di un fallimento esistenziale che
quasi lo snaturi.
UN DILEMMA IMBARAZZANTE
70
col fine ultimo che è soprannaturale, attraverso la
trama dei fini intermedi. «Omne quod non est pec-
catum, ex fide est», si potrebbe sentenziare, capo-
volgendo l'aforisma.
71
Il meccanico che fosse un perfetto meccanico, sa-
rebbe anche - magari «anonimamente» - cristia-
no e, senza saperlo, avrebbe raggiunto il possesso
di Cristo.
La contrapposizione, nella sua irritante astrattez-
za, è abbastanza illuminante: è necessario essere cri-
stiani per essere uomini; oppure è sufficiente essere
veri uomini per essere cristiani?
72
tà a favore dell'uomo e il proprio inserimento nel-
l'ordine soprannaturale.
E possibile ed è anche probabile che nella dona-
zione ai fratelli e nell'ossequio assoluto alla giusti-
zia uno arrivi a una fede almeno implicita, ma non
è detto che sia sempre così. E anche possibile - ed
è in molti casi probabile - che esista un impegno
terreno di progresso sociale e di dedizione all'uma-
nità che in faccia a Dio sia sterile e irrilevante.
In questo caso, proprio per l'unità dell'universo
e l'esistenza di un solo ordine di provvidenza, che
è sempre soprannaturale, ciò che è senza valore in
faccia a Dio, non riuscirà menomato anche in se
stesso? Non è pensabile che la mancanza di fede
- essendo obiettivamente una grave mutilazione
dell'uomo, come esiste in questo mondo concreto -
alteri o in qualche modo mortifichi in se stesso ogni
valore e perfino ogni attività che si svolge nell'am-
bito della convivenza umana?
73
lità di svolgersi positivamente, se non nell'ambito
delle strutture ecclesiastiche.
Su questa linea qualcuno è arrivato a dire che:
«omnia opera infidelium sunt peccata et philosopho-
rum virtute sunt vitia», suscitando il giusto sdegno
e provocando la condanna da parte del Magistero
della Chiesa.
74
pregiudizio, ogni ricerca che non sia della verità e
della conformità alla volontà del Padre.
75
senza della verità, qualche vena di buon senso, un
briciolo di bontà, un po' di affinità connaturale con
la bellezza eterna.
E nessuna sfumatura di bellezza, di bontà, di sag-
gezza, di virtù esiste di fatto in nessuna parte del
mondo, anche la più remota dalle espressioni socio-
logiche del cristianesimo, che non sia prodigio ope-
rato dallo Spirito e riverbero «anonimo» della ric-
chezza di Cristo. Nessun bene è puramente «natu-
rale», se con questa parola si intenda qualcosa che
nasca e si esprima sfuggendo all'azione dello Spi-
rito e non sia finalizzato alla gloria del Redentore.
76
della sua sapienza - non è un lusso o un abbelli-
mento superfluo, ma è una necessità vitale per tutti.
L'uomo può prendere parte alla vita della Chiesa
anche «anonimamente» e così salvarsi dalla rovina
totale; ma il fenomeno è obiettivamente aberrante
e il danno che egli subisce, anche come uomo, resta
grave e senza rimedio.
È vero che ci può essere chi è visibilmente inse-
rito nella Chiesa e nella sua organizzazione eppure
è vittima di uno squallore spirituale più grande di
chi ne è fuori; ma questo è un motivo per stimolare
e saggiare continuamente in tutti i cattolici una mi-
gliore autenticità cristiana; non è certo una ragione
per ignorare che la vita ecclesiale, partecipata in
tutta la sua compiutezza, è condizione assolutamen-
te inderogabile per il conseguimento di una esisten-
za umana ricca e feconda.
77
esplicitamente mentre distribuiamo il nostro pane;
come del resto il modo migliore per accertarsi che
il nostro amore per Cristo non sia illusorio, è di dar
da mangiare effettivamente ai nostri fratelli che han-
no fame.
78
Ma insieme la cosa più preziosa che egli impara
da tutti è quanto sia desolato, spento, deludente, il
possesso di qualunque tipo o grado di scienza, di ca-
pacità tecnica, di cultura, che non sia sostanzialmen-
te inverato dalla comunione personale col Signore
Gesù e dalla piena partecipazione alla vita della
Chiesa.
79
sono doverosi, se non voglio io stesso sottrarmi al-
l'azione pneumatica.
Non mi è consentito né uno svilimento a priori
delle richezze «secolari», quasi che io sia in pos-
sesso della sicurezza che il loro valore sia soltanto
apparente, né una assoluta esaltazione a priori, qua-
si che io sappia che si tratti senza dubbio di beni
autentici in faccia a Dio.
Mi è invece necessario accostarmi col rispetto che
mi è imposto dalla evidenza che vi sono in esse delle
forme obiettive di bene che non posso trascurare
e dalla speranza che insieme ci sia - anche se ano-
nimamente - già una vera partecipazione al mi-
stero di Cristo.
Ed è per me un dovere il tentativo di porle in
collegamento esplicito col Signore Gesù, almeno per
tre ragioni: in primo luogo, perché soltanto così si
ottiene di verificare l'esistenza di un pregio auten-
tico in faccia a Dio, che diversamente è solo ipote-
tico; in secondo luogo, perché questo sbocco sul
mistero salvifico porta a compimento e arricchisce
ogni possibilità umana; infine perché la connessione
anonima con Cristo, se può essere sufficiente per
essere collocati alla destra nel giorno del giudizio,
non è in sé conforme alla natura dell'uomo, che esi-
ge in ogni caso di arrivare a rapporti consapevoli e
liberamente decisi .alla luce di una esplicita cono-
scenza interpersonale.
80
x
LO SPIRITO
E IL PRODIGIO DELL'ATTO DI FEDE
81
tore - avvia l'opera di redenzione. E dal mio atto
di fede comincia, attorno a me e dentro di me, la
storia nuova del mondo.
82
prio, a Cristo, nel quale si ricapitola tutta la rivela-
zione del Padre, dalla creazione al giudizio.
In esso mi è data in qualche modo la conoscenza
dell'universo: ogni creatura mi appare nel suo vero
significato, e mi apparirà, quando l'atto di fede ger-
minerà la visione diretta, nel suo vero valore.
È dunque una prospettiva nuova e trasfigurante
su tutte le cose: nessun essere è più il medesimo -
anche se è molto più vero .di quanto lui stesso non
veda - quando è guardato dall'occhio del credente.
Perciò quando è pienamente consapevole ed è
svolto, almeno tendenzialmente, in tutte le sue impli-
cazioni, l'atto di fede raggiunge - e in misura di-
versa rinnova - tutta la conoscenza, tutta l'attività,
tutto l'impegno dell'uomo, senza alcuna esclusione.
C'è dunque una vocazione all'integralità che è
propria della fede, alla quale sono sollecitato a cor-
rispondere, senza che la paura di cadere nell'inte-
gralismo arrivi a giustificarmi se non lo faccio.
83
L'ATTO DI FEDE
ESIGE LA «CRISTIANITÀ»
84
parato, in un mondo costruito solo per lui. Ma pro-
prio per non snaturarsi fino alla scipitezza e per in-
saporare efficacemente tutta la realtà terrestre, aspi-
rerà sempre a instaurare qualche forma di società
cristiana. Un cristianesimo non sociologicamente di-
versificato, è un cristianesimo defunto.
Laddove ci fosse una generale accettazione del
messaggio cristiano, mirerà giustamente a dar vita
perfino a una società cristiana globale. Quando que-
sto non è possibile, si dovrà tendere a forme asso-
ciative parziali, cristianamente qualificate non tanto
per l'etichetta o per il battesimo richiesto agli ap-
partenenti, quanto per lo stile nuovo e diverso, che
è postulato e irraggiato dal fatto cristiano. E in-
sieme si dovrà tentare di segnare evangelicamente
il più ampio spazio possibile delle attività umane.
La stessa condizione di «diaspora», in cui vive di
fatto il credente, non solo non contraddice, ma av-
valora e rende più imperiosa la necessità di dare
alla vita nuova secondo lo Spirito ogni possibile
espressione sociologica.
Il Regno di Dio, ha detto Gesù, è come il fermen-
to che deve lievitare la massa della realtà umana.
Ma non è affatto incluso in questa parabola che i
credenti non debbano diversificarsi dai non credenti
e non debbano dar vita a una maniera nuova e dis-
simile di essere uomini.
Talvolta anzi è perfino storicamente rilevabile che
quanto più la comunità di Cristo ha ricercato la di-
versificazione - in qualche momento esasperandola
fino a segregarsi - in vista di un avveramento più
85
perfetto dell'idale evangelico, tanto più ha energica-
mente e positivamente influito su tutta l'umanità.
Al contrario è tragico - e un po' comico - rile-
vare quanto si faccia irrilevante per il mondo e alla
fine inutile la presenza di gruppi cristiani che nel
timore di non essere abbastanza efficaci mirano alla
piena assimilazione, considerando la peggiore delle
disgrazie il sentirsi messi da parte e relegati in un
angolo, come una fanciulla che paventi come una
catastrofe di restare esclusa da ogni giro di danza.
Sotto questo profilo, il fenomeno monastico -
lungi dall'essere aberrante ed eterogeneo rispetto
alle esigenze di immanenza tra gli uomini - è, nel-
la sua eccezionalità e nella sua esorbitanza, esempla-
re per ogni forma di vita cristiana. Il monastero è
una benedizione per tutto il popolo di Dio non solo
perché ricorda vigorosamente l'assoluta necessità di
far spazio a Dio e di dargli il primo posto nella di-
strazione e nell'affanno del mondo presente, ma an-
che perché richiama l'urgenza di esprimere la pro-
pria fede rinnovatrice con forme conseguenti e omo-
genee di convivenza.
86
Non ci potrà essere dunque in nessun caso uno
«stato cristiano», tale perciò da far sentire estraneo
o in condizione di inferiorità un uomo senza fede,
neppure nel caso - oggi molto ipotetico- di una
perfetta coincidenza tra i cittadini e i credenti.
87
ghetto - pone fra noi è il mondo barriere più alte
di quelle che sono elevate dalla fede, per la quale
inevitabilmente noi finiamo per apparire agli altri
strani, remoti, incomunicabili.
88
UN IDILLIO E UN CONTRASTO
89
I rapporti tra l'uomo «pneumatico» e l'uomo
«psichico» invece non sono così armoniosi.
Bisogna cominciare a dire che in genere la capa-
cità di ragionare non guasta mai: chi ragiona bene,
non si allontana mai per questo dalla fede, anche
se non è detto che vi approdi senz'altro e neppure
che vi si avvicini.
Inoltre tra chi ragiona credendo e chi ragiona sen-
za credere un certo dialogo è senza dubbio possibi-
le: li accomunerà se non altro lo stesso rispetto per
le leggi della logica. Tuttavia c'è da ricordare che,
mentre nessuna conoscenza che non nasca dalla fe-
de arriva a cogliere il progetto di Dio e quindi il
vero significato dell'universo, niente è di per sé sot-
tratto alla comprensione dell'uomo illuminato dallo
Spirito: «l'uomo psichico non percepisce le cose
dello Spirito di Dio: per lui sono una follia e non le
può comprendere, perché vanno giudicate pneumati-
camente. L'uomo pneumatico invece giudica tutto»
(I Coro 2, 14-15).
Ben diverso è invece il caso dei rapporti tra la
fede e l'incredulità, cioè tra chi vive di fede e chi,
per le ragoni più diverse, ha rifiutato la luce dello
Spirito. Qui il conflitto è netto e irriducibile: non c'è
nessuna speranza di intesa e un dialogo serio è poco
più che un miraggio.
Il credente e l'incredulo, anche se usano le stesse
parole, non vedono le stesse cose; o, se vedono le
stesse cose, non colgono in esse lo stesso senso; o,
se per caso convengono nella significazione imme-
diata, divergono nel finalizzarle: e il fine di una real-
90
tà è parte integrante e cospicua della realtà stessa,
sicché un dialogo approfondito e prolungato appare
possibile solo nella misura in cui il non credente
cominci a credere o, sventuratamente, il credente
cominci a vacillare nella fede.
91
tenersi egli stesso totalmente e perfettamente «pneu-
matizzato», dal momento che ci sono sempre nel no-
stro mondo interiore intere regioni che lo Spirito
ancora non è riuscito a illuminare.
92
XI
LO SPIRITO E IL SACRO
SACRO E PROFANO
93
Tutta la realtà, come s'è visto, è retta da un solo
ordine di provvidenza, con una sola origine e un so-
lo fine: tutte le cose vengono dall'unico Dio creato-
re, tutte sono connesse col Cristo, tutte cospirano
verso il Regno. Ogni cosa perciò è costituzionalmen-
te dedicata al servizio di Dio, senza che appaiano
né richieste né motivate ulteriori consacrazioni.
In questa prospettiva la sola distinzione veramen-
te fondata è quella tra ciò che è conforme e ciò che
è difforme in rapporto al fine, tra ciò che obietti-
vamente realizza e compie le cose secondo la loro
indole propria e ciò che mortifica l'insorgere e il li-
bero appagamento di tutte le aspirazioni degli esse-
ri, ostacolandone il pieno sviluppo; in una parola,
la sola distinzione comprensibile è quella tra il bene
e il male, tra la perfezione e l'imperfezione, tra il
giusto e l'ingiusto. Che senso ha, alla luce di queste
convinzioni, distinguere tra sacro e profano?
... ED È IRRINUNCIABILE
94
munione tra i fedeli e giovare alla solidarietà, solo
il gesto eucaristico - che è rituale - rende i molti
il «corpo di Cristo».
Ogni uomo è figlio di quel Dio che guarda soprat-
tutto la conversione dei cuori; eppure un'azione sa-
cra - il battesimo - è indicata come l'atto espres-
sivo e causativo della rinascita interiore.
Lo stesso popolo di Dio che è rigenerato nel bat-
tesimo, è un popolo preso e messo a parte, cioè «sa-
cro». Questo è anzi il significato vero di quel «sa-
cerdozio battesimale», che non è affatto un supera-
mento del sacerdozio rituale - come non lo era cer-
to nell'Antico Testamento, donde l'espressione è
stata mutuata dalla prima lettera di Pietro - ma è
piuttosto un invito a sceverare nella folla umana la
«gente sacra», cioè la Chiesa.
Mi avvedo che non è così facile ignorare o smi-
nuire il principio della sacralità, se si vuol rimanere
nell'ambito della Rivelazione cristiana .
95
gicamente, se insieme non si fosse rischiato di obnu-
bilare altre importanti verità ..
96
Certo nessuna «consacrazione» dispensa dalla ri-
cerca del significato, dell'indole, degli orientamenti
propri di ciascun essere, né dall'attendere allo svi-
luppo della realtà terrestre secondo le sue proprie
leggi. La sacralità non può essere mai una doratura
esteriore, ma sempre è e deve essere il segno di una
raggiunta consapevolezza del posto che ci è stato as-
segnato nell'ambito del progetto divino.
97
gnati dallo Spirito e con la loro stessa esistenza -
indipendentemente dalle oscillazioni alterne della
fede e dell'incredulità, della speranza e della dispe-
razione, dell'amore e dell'egoismo - contestano il
dominio del nemico e rianimano il piccolo gregge.
Appunto per adempiere a questa destinazione di
resistenza, la consacrazione è obiettiva ed è sottrat-
ta al fluttuare degli orientamenti dei cuori. Perciò
una persona sacra rimane tale anche se vive nella
colpa e smentisce con la vita ciò che afferma con
la missione di cui è stata caricata.
98
XII
99
stolica, la preghiera liturgica, i luoghi, i tempi, le
persone consacrate, la stessa vicenda storica del po-
polo di Dio. Ed è stupendo che così Dio si riservi
uno spazio e una presenza, che nessuna fragilità,
nessuna stoltezza, nessuna colpa degli uomini che
vi sono coinvolti, può distruggere e neppure insi-
diare .
. E tutto ciò che è santo - e oioé è di Dio e, per
l'apertura del cuore e l'accoglienza dell'uomo alla
proposta salvifica, anticipa il Regno - è dello Spi-
rito e quindi della Chiesa: ogni ricerca onesta della
verità, ogni impegno disinteressato per la giustizia
assoluta, ogni amore autentico per il Padre e per i
fratelli, ogni desiderio di conformarsi alla volontà
del Signore per poco che la si conosca, ogni eleva-
zione dell'animo nella preghiera.
Ed è stupendo che Dio arrivi ad avere dei figli
anche là dove niente di sacro sembra vicino e forse
neppure conosciuto.
100
«COME SEI BELl:A, AMICAMIA,
COME SEI BELLA!» (Cant. 1, 15).
101
Mentre non mi riesce proprio di vedere come si
possa discutere di «credibilità» della Chiesa (la qua-
le per chi non crede è del tutto incredibile e per chi
crede è una gioia per gli occhi e per il cuore), il
mondo - cioè la realtà che non vuoI farsi Chiesa -
con la sua prodigiosa stupidità mi sembra del tutto
improbabile e mi suscita mille dubbi e mille ango-
sciosi interrogativi.
Capisco che tutto ciò mi colloca spesso in condi-
zione di solitudine e mi estrania da molti miei fra-
telli, dei quali mi è incomprensibile anche il linguag-
gio, come credo ad essi riesca incomprensibile il
mio.
Ma non posso farei niente: non si può discono-
scere la bellezza né fingere di non esserne conqui-
stati, qualora si arrivi a vederla.
Forse ciò che oggi più divide gli spiriti è una que-
stione di natura estetica; a proposito cioè di che
cosa sia bello e di che cosa sia brutto. E le divergen-
ze estetiche sono purtroppo le più irriducibili.
102
to, cioè, al di fuori della metafora, vengono a lui
assimilati e congiunti.
L'uomo «pneumatico» è assimilato a Cristo, per-
ché l'effusione dello Spirito che gli accende nel cuo-
re la vita divina con le misteriose operazioni di co-
noscenza e di amore onde divampa dall'eternità la
vita trinitaria, gli dà per così dire, sul modello di
quanto avviene nel Figlio, una condizione teandrica.
Questa vita ci fa partecipi degli stessi atti vitali di
Cristo: della conoscenza che egli ha del Padre e del
suo progetto, attraverso la fede e il crescere in noi
della mentalità di Gesù; della tensione ardente e fi-
duciosa, sempre viva e sempre appagata, che gli fa
desiderare il Regno e il nostro inserimento nel Re-
gno, attraverso la speranza; soprattutto del suo amo-
re verso il Padre e verso i fratelli. L'uomo «pneu-
matico» viene anche congiunto con Cristo, perché
lo Spirito, che sovrabbonda nel cuore del Risorto e
prende possesso del nostro cuore, è il legame più
avvincente e tenace tra gli esseri che si possa pen-
sare.
103
LA VITA «SECONDO LO SPIRITO»
104
che sembra in noi farsi figlio e creatura, per scioglie-
re dal nostro cuore il canto appassionato al Padre
di Gesù e Padre nostro.
105
corre alle legioni degli angeli e viene ucciso «fuori
dalla vigna» che è la sua eredità.
E, nel Dio creatore e nel Figlio che redime, lo
stesso mistero, che non può essere intellettualmente
penetrato dagli uomini, se non da quelli che viven-
do «kata pneuma» tentano ogni giorno di accozlier-
lo e riviverlo serenamente nel buio di una esistenza
spesso umiliata e penosa.
Capiscono infine la gloria del Risorto e la sua
bellezza, che è il senso più alto e lo scopo dell'uni-
verso; .e: sapendo di essere destinati a parteciparvi,
ne anticìpano fin d'ora la gioia. Per chi vive secon-
do lo Spirito, la gioia - al di sotto di tutte le in-
quietudini, gli smarrimenti, le sofferenze - è il sen-
timento più profondo, più continuo, più certo.
Capiscono tutte queste cose, non perché siano
comprensibili alle nostre menti, ma perché in loro
vive lo Spirito e «lo Spirito scruta tutto, anche le
profondità di Dio» (I Coro 2, 10).
106
rito santo» hanno gustato non solo la «bella parola
di Dio», ma anche «le potenze del secolo futuro»
(Eb. 4,6).
108
L'effusione dello Spirito dà
all'universo un volto nuovo,
al rischio del!' esistenza umana
nuovi termini di scelta,
a colui che crede
un comportamento diverso in ogni
campo: una meditazione
che illumina e orienta
L. ,6.000 (i.i.)
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