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Sinistra mia, dove sei?

I partiti, il governo, la politica, il sindacato, la gente


Ecco come Luciano De Majo li raccontava sul Tirreno

a cura di Mauro Zucchelli


nel 7° anniversario della scomparsa del nostro collega
Una certa idea
Come tutti gli anni, in occasione di una data che ci fa ancora sanguinare
– quella dell’ultimo abbraccio al nostro carissimo Luciano De Majo, morto
a 40 anni, qualcosa di più di un collega di lavoro – offriamo
ai lettori un campionario di articoli scritti da lui. Quest’anno
abbiamo scelto, forzando un po’ la grammatica, “una certa idea di sinistre”
provando a declinare al plurale l’idea di sinistra che era molto cara a Luciano. Eccovi nel breve
volger di sette-otto anni il faro sullo stato di salute della sinistra livornese sul quale
De Majo aveva puntato i riflettori: ma uomo di sinistra con una chiara visione
del mondo eppure al tempo stesso senza indulgenze.
Presentiamo qui alcuni degli articoli che ha scritto per il Tirreno: un filo rosso,
inutile dirlo, c’è. Partiamo da quella certa idea di sinistra che aveva fatto
nascere il “nido delle aquile” (ma anche saputo confrontarsi con i giorni durissimi
del Cantiere), poi il caleidoscopio di tanti avvenimenti della vita del
maggiore partito del centrosinistra locale, quindi un po’ di storia e l’allargamento
anche alle altre anime della sinistra sempre più plurale e sempre più sfibrata.
Guai però se l’allargamento non avesse il coraggio di andare al di là
del recinto della “politica politicata”: ecco dunque quella
“certa idea di sinistre” che va ad ascoltare il mal di pancia dei portuali,
degli operai del Cantiere e degli ultrà.
Nient’altro che una raccolta di articoli senza nessuna ambizione
di scrivere la storia: anche perché, uno come Luigi Pintor
che i giornali li faceva, ripeteva che con le pagine di un quotidiano
“l’indomani ci si incartano i buzzi del pesce”. In realtà, non la diceva
così in livornese: ed è singolare che non fosse un motto di disprezzo.
Lo diceva immaginando che il giornale dovesse entrare così tanto nella
quotidianità della gente da avere una vita, una propria utilità anche
quando hai letto tutto. Se riproponiamo gli articoli di De Majo non è per
vederli cristallizzati in chissà cosa, ma quanto ci manca
quella capacità di raccontare e quella leggerezza ironica, così livornese,
in tempi che per le sinistre sono così ciechi e grami (m.z.)
E LA SINISTRA TORNA AL GOLDONI
20 febbraio 2004

E' un'emozione tornare al Goldoni 83 anni dopo la più famosa delle tante scissioni a sinistra. Lunedì
pomeriggio (inizio fissato per le 17) discuteranno del tema «Idee nuove per valori che uniscono» tre dei
maggiori calibri dei partiti della sinistra di oggi, come Piero Fassino, Fausto Bertinotti e Enrico Boselli, insieme
al sindaco Gianfranco Lamberti, in un dibattito coordinato dal direttore del Tg5 Enrico Mentana.

Un appuntamento di quelli da incorniciare, con una platea d'eccezione: è annunciata la presenza di Carla
Voltolina, vedova di Sandro Pertini, volto notissimo della sinistra e del giornalismo italiano, nata proprio in
quel fatidico 1921. Nell'occasione sarà anche proiettato un filmato risalente al Congresso della scissione, il
17º del Partito socialista di allora, opportunamente restaurato, proprio come il teatro, e ridotto a un quarto
d'ora circa.

Di proprietà di un soggetto privato, in queste ore il Comune sta valutando l'opportunità di acquistarlo,
portandolo così al patrimonio della Fondazione che gestirà il teatro. Di sicuro c'è che, finalmente, lunedì
pomeriggio sarà proiettato, prima dell'avvio del confronto vero e proprio fra gli ospiti d'onore.

La filosofia della scelta dei relatori è chiara: oltre al sindaco «padrone di casa», i segretari dei tre partiti della
sinistra italiana, eredi delle tradizioni di Pci e Psi. Non c'è Oliviero Diliberto, leader del Pdci, alle prese con il
congresso nazionale del proprio partito. E non c'è neppure il rappresentante del Nuovo Psi che pure, almeno
nel nome, si rifà alla tradizione socialista malgrado ora sostenga lo schieramento di centrodestra.

li uomini che lo compongono - fa notare l'assessore al turismo Marco Bertini, esponente dello Sdi - sono
sicuramente stati parte della storia socialista, ma questo soggetto non può esserne erede. Lo stesso Bettino
Craxi, all'epoca dello scontro Fini-Rutelli per il Campidoglio, disse da Hammamet che avrebbe votato senza
dubbio per Rutelli. E l'Internazionale socialista ha rifiutato l'ingresso del Nuovo Psi. Niente di più lineare,
dunque».

Lamberti ci tiene a sottolineare che non saranno «affari di famiglia» tutti a sinistra: «E' un momento di
confronto importante per tutta la città, non solo per i cittadini di sinistra. Vorremmo ripensare al contesto
del '21 con lo sguardo proiettato nel futuro. Senza tentazioni di egemonia, ma con una bussola ben precisa:
la capacità di misurarsi su progetti. Se potrà essere un contributo a superare il frazionamento presente nella
società e nella politica italiana, non potremo che esserne lieti». E Bertini sottolinea, citando Turati: «Agli
scissionisti disse che un giorno sarebbero tornati a casa. Non la casa che è stata, ma quella che sarà. E' venuto
il momento».

Luciano De Majo
«NOI GIOVANI NEL NIDO DELLE AQUILE»
21 gennaio 2005

«Cos'era il Nido delle Aquile? Era l'ultimo piano della federazione Pci, a quell'epoca in Corso Amedeo. Dove i
giovani discutevano di politica, di storia, di cultura. Lui fu un animatore instancabile di quel gruppo». Il "lui"
di cui parla Oriano Niccolai, storico dirigente Pci, è Nicola Badaloni.

Il "Nido delle Aquile" anni '50 l'ha conosciuto da vicino anche se, dice fra il serio e il faceto, «ero il più bimbo
di tutti e non è che ne facessi parte a tutti gli effetti: però mi piaceva annusare, qua e là, il clima che lì si
respirava».

«Non importa ricordare i nomi di chi lo frequentava: c'erano diversi compagni, molti dei quali ebbero anche
una carriera giornalistica importante», prosegue Niccolai. Si sa, però, che fra gli abituali ospiti di quell'ultimo
piano c'erano, ad esempio, Nelusco Giachini e Mario Lenzi ed altri militanti e dirigenti di allora. Badaloni non
era ancora sindaco, ma contribuì a creare questo gruppo di persone che, è ancora Niccolai a riferire,
«traduceva dal francese i testi di storia del Movimento operaio».

In quel ritrovo tutto particolare si parlava di politica, ma anche di spettacolo, di letteratura: «C'erano
appassionati di cinema che poi avrebbero fatto parte del Circolo del cinema di Silvano Filippelli, una delle mie
prime tessere».

Del "Nido delle Aquile" ha parlato anche Marco Ruggeri, il trentenne segretario della federazione diessina di
oggi. Lo ha fatto in una lettera, rimasta fin qui inedita, che ha inviato a Badaloni il 21 dicembre scorso, per i
suoi 80 anni. Un modo originale per fare gli auguri ad un personaggio così importante. Originale ma anche
pieno d'affetto, come testimoniano le parole contenute nel breve messaggio: «I più anziani - scriveva Ruggeri
- ci parlano di quel "Nido delle Aquile" nel quale voi giovani vi formavate nella conoscenza e nel confronto su
quanto animava i tempi nuovi portati dall'antifascismo, dalla Resistenza, dall'impegno nella ricostruzione».

«Vorremo avere anche noi un nostro Nido delle Aquile dove crescere con l'aiuto di chi ci ha preceduti.
Abbiamo bisogno di compagni e di maestri come te - scriveva rivolgendosi a Badaloni - e speriamo che vorrai
esserci d'aiuto».

Luciano De Majo
I 42 GIORNI CHE SCONVOLSERO IL CANTIERE
13 dicembre 2009

Quando rientrarono in fabbrica, dopo 42 giorni di sciopero, lo fecero cantando a squarciagola Bandiera rossa.
Non perché la bandiera rossa avesse davvero trionfato, come recita il vecchio inno comunista, ma perché la
prova di forza cui avevano dato vita i lavoratori del Cantiere Orlando (all'epoca si chiamava Ansaldo) aveva
mostrato una capacità di tenuta incredibile: dei 1175 che avevano scioperato il primo giorno, il 17 marzo del
1956, 1135 avevano resistito nell'astenersi dal lavoro fino al 27 aprile, ultimo giorno di lotta.

Il diario. Esiste un diario, dello sciopero più lungo che la storia della città ricordi. Un diario diventato un libro,
"I 42 giorni del Cantiere", scritto da Mario Pagliai, che di quegli avvenimenti fu diretto protagonista. Assunto
dal Cantiere nel 1937 come fuochista del reparto montaggio, vi lavorò fino al 1974. E nel 1981 realizzò il
sogno di veder pubblicato il libro che raccontava la lotta di 25 anni prima. Oggi di questo libro, andato ormai
esaurito, è stata effettuata una ristampa a cura della Erasmo edizioni, che comprende oltre alla prefazione
originale di Nelusco Giachini, una presentazione curata dal presidente dell'Anpi Vittorio Cioni e una
riflessione "fuorisacco" sul ruolo del Cantiere in città di Mauro Nocchi, storico dirigente del Pci e dell'Arci.

Lo sciopero. L'anno degli avvenimenti è il 1956. Un anno indimenticabile, per la storia del mondo: l'invasione
sovietica in Ungheria, il ventesimo congresso del Pcus con la denuncia delle purghe staliniane da parte di
Kruscev, ma anche, in Italia, una sostanziale limitazione delle libertà democratiche sancite dalla Costituzione.
A scatenare lo sciopero nella primavera del 1956 è una serie di provvedimenti disciplinari presi dalla direzione
del Cantiere Ansaldo, che sospende l'intera Commissione interna (compresi coloro che quel giorno non erano
al lavoro) e licenzia un operaio, Paolo Sarti, figlio di Urano Sarti detto Pappa, poeta operaio e direttore del
Martello, giornale di fabbrica del Cantiere. Qualche giorno dopo, i licenziati diventeranno due: oltre a Sarti,
anche Augusto Baldacci. Colpevoli entrambi, secondo i vertici dello stabilimento, di aver protestato durante
un'agitazione indetta per l'eccidio di Barletta: il 14 marzo la polizia aveva sparato su un corteo di lavoratori e
disoccupati, uccidendo due braccianti e ferendone sette.

La fortezza rossa. In quegli anni, il Cantiere navale ha oltre 1500 dipendenti ed è la fabbrica simbolo della
città. Lo scalo Morosini è stato appena ricostruito dopo le distruzioni della guerra grazie anche a una
sottoscrizione popolare, la produzione di grandi navi è ricominciata. Alle elezioni per la Commissione interna
del 1955, la Cgil ottiene l'84 per cento fra gli operai. E fra gli impiegati Cisl e Uil devono costituire una lista
unica per ottenere il 54 per cento in due.

42 giorni. Nel libro appena ristampato (operazione di valore storico e culturale indiscutibile, non avrebbe
guastato una migliore cura nella correzione degli errori di battitura) c'è la cronaca puntuale di ciò che avvenne
in quei tumultuosi 42 giorni. C'è il racconto delle cariche della polizia che disperdono i cortei spontanei dei
lavoratori e dei loro familiari, c'è il resoconto minuzioso delle iniziative cui quegli operai sanno dare vita per
creare un circuito di solidarietà incredibile. Ed è questo l'aspetto davvero straordinario che emerge dalla
lettura del diario di Mario Pagliai. Perché se il giudizio politico su quello sciopero, proclamato a tamburo
battente con l'obiettivo di far ritirare i due licenziamenti, e sui suoi risultati, non è mai stato così tenero
neppure da parte dei rappresentanti delle forze della sinistra (Sarti e Baldacci furono, sì, assunti, ma da
un'impresa privata e non dal Cantiere, e solo grazie all'intervento di monsignor Andrea Pangrazio, all'epoca
vescovo coadiutore), non vi sono dubbi sulla capacità mostrata da quei lavoratori e dai loro gruppi dirigenti
di coinvolgere in quella lotta tutta la città e gran parte dei lavoratori della Toscana.
Lascia o raddoppia? Ogni giorno si registrano assemblee di quartiere e riunioni di "caseggiato" alle quali
partecipano delegati dalla Commissione interna del Cantiere. Il giovedì sera, poi, le assemblee per
sensibilizzare la popolazione diventano ancora più numerose: gli operai vanno a presiederle nei bar, nei
circoli, negli spazi comuni dove la gente si riunisce per assistere allo spettacolo televisivo "Lascia o
raddoppia?" condotto da Mike Bongiorno. Durante l'arco dello sciopero, una sottoscrizione popolare frutta
una raccolta di circa 8 milioni di lire, che vengono distribuiti alle famiglie degli scioperanti insieme a 180
quintali di derrate alimentari anch'esse donate dai livornesi e non solo. Tantissime sono, infatti, anche le
iniziative che vengono svolte fuori città. I lavoratori del Cantiere vanno a parlare della loro lotta a Siena,
Poggibonsi, Arezzo, Cortona, Montevarchi, Grosseto, Ribolla, Pisa, Pontedera e in tantissimi altri centri
toscani. Si spingono fino nel napoletano, al Cantiere navale di Castellammare di Stabia e all'Ilva di Bagnoli.

Da Togliatti. Una delegazione di operai motociclisti l'11 aprile 1956 arriva a Roma dopo una serie di soste per
ricevere solidarietà e carburante lungo il tragitto. Il giorno seguente l'incontro con il sottosegretario al lavoro
Delle Fave e quello con il segretario del Pci Palmiro Togliatti, il quale dice ai lavoratori che potranno vincere
la loro battaglia solo rimanendo uniti, avendo piena consapevolezza della loro lotta e col sostegno
dell'opinione pubblica. Vittoria piena, per la verità, come detto, non c'è stata. Ma la nuova edizione del libro
sullo sciopero, la presenza in quelle pagine di decine di nomi di operai, impiegati e sindacalisti che condussero
quello scontro così aspro per quasi due mesi, sostenendo un braccio di ferro oggi impensabile, è un fatto di
assoluto rilievo per la salvaguardia della memoria degli avvenimenti che hanno caratterizzato la città dal
dopoguerra a oggi.

Luciano De Majo
OCCHI DI DESTRA SULL’EX TEATRO SAN MARCO
«CASO ASSURDO, È UN LUOGO DI VALORE STORICO»
18 ottobre 2010

«Non regge il paragone con Adro, non regge proprio». Il sindaco Alessandro Cosimi ha passato la giornata di
ieri a districarsi al telefono coi giornalisti di tutta Italia. E mai si sarebbe aspettato di dover dare conto del
perché sul muro del vecchio teatro San Marco sventola una bandiera con la falce e martello. «Mah - sospira
- forse qualcuno si è accorto solo oggi che il Partito comunista d'Italia è nato a Livorno nel 1921».

«Devono esser chiari due aspetti - dice Cosimi - il primo è che la facciata storica del teatro non è anche
l'ingresso dell'asilo, che avviene invece da un altro lato dell'edificio. Il secondo è che l'asilo non è stato
costruito per celebrare la storia dei comunisti d'Italia. Anche se ci fosse stato realizzato un condominio di
abitazioni oppure un bar, la facciata sarebbe rimasta in piedi, con tanto di lapide. Insomma, non ci vuole
molto per capire che in quel luogo nel 1921 accadde un fatto che ha influenzato fortemente la storia del
Novecento italiano».

Sull'ispezione ordinata dal ministro Gelmini, Cosimi afferma che «meglio farebbe a mandare i soldi per le
scuole dell'infanzia, anziché gli ispettori» e poi confessa che «ciò che mi delude è il tentativo del centrodestra
di rendere Livorno una macchietta». E adesso, che succederà? Le bandiere saranno tolte? «La verità è che
questa polemica rischia di fare di quelle bandiere dei simboli assoluti, una trincea», risponde il sindaco, che
aggiunge: «Non so quante persone avessero fatto caso, in passato, alla presenza di quelle bandiere. Credo
siano ormai entrate nell'immaginario della città, proprio per il valore storico di quel luogo».

E dalla sponda di Rifondazione comunista, il segretario provinciale Lorenzo Cosimi, tuona: «E' una squallida
contropartita politica per la questione di Adro. Comunque stiano tranquilli: noi saremo lì con le nostre
bandiere ogni 21 gennaio, perché in quel luogo è nato un partito che ha contribuito a restituire libertà e
dignità all'Italia, a farla progredire culturalmente e economicamente». Anche il Centro politico 1921 afferma
di avere le proprie bandiere «al fianco della lapide commemorativa». «Si cercano pretesti per coprire le
infondate istanze leghiste e per infangare la storia dei comunisti - conclude - ma Livorno e i livornesi sapranno
rispondere anche a questo attacco».

Luciano De Majo
“I MIEI CINQUANT'ANNI NEL PCI”
26 febbraio 2004

Mezzo secolo nel Pci, una militanza non comune quella di Emanuele Macaluso: dalle lotte contadine della
Sicilia alle stanze di Botteghe Oscure, dai banchi di Camera e Senato alla direzione dell'Unità. Tutto questo
ora è un libro: "50 anni nel Pci", edito da Rubbettino e presentato ieri al Lem per iniziativa della Libreria
Belforte e di un pool di soggetti politici che comprende l'associazione Libertà eguale, i circoli riformisti Pertini
e Modigliani e il Movimento 2000. Insieme all'autore, c'erano anche l'ex ministro socialista Lelio Lagorio, il
sindaco Gianfranco Lamberti e il direttore del "Tirreno" Bruno Manfellotto.

Proprio partendo dall'amicizia che lo lega a Macaluso, Manfellotto non si è limitato a ripercorrere il libro,
cercando di porre interrogativi sulle questioni fondamentali che ne emergono. Questioni e uomini (in questo
senso centrali sono le figure di Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer), idee e passioni, occasioni colte e perse
da un partito così fortemente radicato nella società italiana.

Prima di Macaluso, è toccato a Lagorio rievocare vecchi episodi ed esprimere giudizi sui rapporti a sinistra.
L'ex presidente della Regione ha distribuito al Pci lusinghieri elogi e forti critiche: se da una parte i comunisti
"raccolsero l'ansia di riscatto del proletariato italiano", dall'altra furono animati" dal culto della diversità
antisocialista, da una diffidenza costante nei confronti della socialdemocrazia e preoccupati solo dal rapporto
con il mondo cattolico".

Lagorio ha individuato almeno due occasioni perdute dal Pci per cambiare profondamente la propria
connotazione. La prima nel '56, quando "non bastò neppure la destalinizzazione" e negli anni'70, al momento
in cui Berlinguer "disse chiaramente no a una presidenza socialista di un possibile governo con Dc, Pci e Psi".

Macaluso ha concordato con alcune delle osservazioni di Lagorio. Ma non ha mancato di ricordare,
innanzitutto, come il Pci sia stato spesso presentato "come un'escrescenza della società italiana, una sorta di
agenzia di Mosca". Il libro scritto dall'ottantenne ex deputato siciliano parte dunque da un assillo, quale "la
perdita di memoria, nel paese e nella sinistra". Macaluso si è soffermato su Togliatti e Berlinguer. Del
"Migliore" ha ricordato il grande contributo alla costruzione della democrazia in Italia: "Rientrato nel '44,
disse subito che non avremmo fatto come la Russia e scelse la via parlamentare".

Di Berlinguer ha riaffermato il grande prestigio e indicato un limite: "Negli anni '70 - ha detto - capì come tutti
noi la situazione dell'Urss. Avremmo dovuto, tutti insieme, osare di più e scegliere con chiarezza la via
socialdemocratica. Ma Berlinguer, come e più di noi, era fortemente terzomondista e animato dalla cultura
dell'anticapitalismo". L'autore del volume attribuisce al Pci un merito essenziale, quello di "aver contribuito
in maniera determinante all'alfabetizzazione politica di grandi masse, soprattutto del Mezzogiorno".

E non risparmia critiche neppure a Achille Occhetto, padre del Pds scaturito dalla Bolognina: "Al 18º
congresso ribadì la validità del comunismo con il ‘Nuovo Pci', tanto che pensò di cancellare dal vertice l'ala
riformista. E anche la svolta, di cui pure intuì la necessità, non ebbe quei netti contenuti socialdemocratici
che erano necessari: il nome del nuovo partito neppure conteneva la parola socialista".

Luciano De Majo
LO STORICO STRAPPO
20 gennaio 2011

Nato al canto dell'Internazionale in un teatro fra i canali e i ponti del quartiere Venezia di Livorno, disciolto
settant'anni dopo in un capannone della fiera di Rimini sotto le note de "La storia" di De Gregori. La parabola
del Partito comunista ha appassionato e coinvolto migliaia di militanti e milioni di elettori nella storia grande
e terribile del '900 italiano, ha giocato un ruolo determinante nella lotta al fascismo e per la riconquista della
libertà, ha contribuito a cambiare il nostro paese.

La scissione. Novant'anni fa - era il 21 gennaio del 1921 - proprio a Livorno i comunisti decisero di rompere
con i socialisti e di formare un loro partito, pronto ad abbracciare i destini rivoluzionari della Russia sovietica.
Abbandonarono il teatro Goldoni dove era in corso il congresso del Partito socialista e, in corteo sotto la
pioggia cantando le note dell'Internazionale, andarono al teatro San Marco, dove nacque il Partito comunista
d'Italia. Non era il Pci che fu poi protagonista della storia del paese divenendo un architrave della nostra
democrazia: la nascita del "partito nuovo" guidato da Togliatti, che poi si presenterà alle elezioni per la
Costituente come Partito comunista italiano, è del 1944.

Bordiga e gli altri. Quello che nasce a Livorno è il partito dei "rivoluzionari di professione", il cui segretario è
Amadeo Bordiga, chiamato appunto l'Ingegnere della rivoluzione. E' lui a capitanare la frazione comunista,
della quale fanno parte, al congresso socialista, tanti altri delegati importanti, fra cui l'allora giovanissimo
Umberto Terracini, che sarà primo firmatario della Costituzione, e soprattutto Antonio Gramsci, destinato a
morire nelle carceri fasciste, la cui elaborazione intellettuale costituisce ancora oggi un patrimonio studiato
in tutto il mondo. E sul fronte dei riformisti che non vollero seguire la via della scissione non rinunciando alla
loro definizione di socialisti, ci sono personaggi del calibro di Turati e di Pertini. Da lì, insomma, passa davvero
la storia.

I luoghi. Del teatro San Marco, alle cui spalle è stato costruito un asilo, resta, oggi, soltanto la traccia della
facciata, balzata di recente agli onori delle cronache nazionali perché sopra all'edificio ci sventolano due
bandiere rosse che ricordano l'avvenimento storico e la cosa ha scandalizzato qualche esponente del
centrodestra. Tornato al suo splendore da sei anni, invece, è il teatro Goldoni. E ancora oggi è emozionante
ricordare le parole di Carla Voltolina, senatrice socialista e moglie di Sandro Pertini, il più amato dei presidenti
della Repubblica. Quando venne a Livorno per ascoltare un dibattito sulla sinistra che si svolgeva proprio al
Goldoni appena restaurato, Carla Voltolina rivelò che «entrando qui, in questa sala, mi è sembrato di
riascoltare i racconti del mio Sandro, di risentire le sue parole». «Furono giorni di grande partecipazione -
disse - di interventi pieni di passione da una parte e dall'altra. Sandro me lo ha detto tante volte,
emozionato».

La sinistra. Riflettere sul significato di quegli avvenimenti, e soprattutto della conclusione traumatica di quel
congresso dei socialisti, è un esercizio cui gli storici si sono dedicati a ogni anniversario che facesse segnare
una cifra tonda. Di certo, quella rottura la sinistra italiana, per lunghi anni ossessionata dall'idea di "tornare
a Livorno" (espressione cara a Giuliano Amato) per un processo di riunificazione non l'ha mai più riassorbita,
complice il fatto che il Pci seppe diventare il partito comunista più forte dell'occidente e che negli anni i
destini dei due principali partiti della sinistra si sono separati, con l'apice dello scontro fra il Pci di Berlinguer
e il Psi di Craxi, divisi da valori troppo distanti, negli anni '80. Né è facile ipotizzare uno scenario unitario per
la sinistra di oggi, che anzi in questi anni ha conosciuto altri momenti di divisioni, di scissioni e di mini-scissioni
che l'hanno resa ancora più frantumata. Qualcuno la chiama maledizione e forse non ha torto. Dimenticare
Livorno è un'impresa impossibile.

Luciano De Majo
QUEL CHE RESTA DI UN PARTITO CHE HA FATTO LA STORIA
21 gennaio 2011

Li hanno amati e odiati, temuti e rispettati. Di loro, dei comunisti, colpiva e faceva paura, fra gli avversari, la
grande organizzazione, la capacità di mobilitare migliaia di persone. Oggi ricorre il novantesimo anniversario
della nascita del Partito comunista, avvenuta proprio in città, al teatro San Marco, dove si riunì il manipolo
che promosse la scissione dal Partito socialista che stava tenendo il suo congresso al teatro Goldoni. E oggi
quali tracce restano della presenza del Pci in una Livorno che ha dato ai comunisti percentuali di consenso
altissime nel corso degli anni?

L'archivio. Le carte che ripercorrono la storia del Pci livornese sono, sostanzialmente, in salvo. Ed è l'Istituto
storico della Resistenza e della società contemporanea che le sta mettendo in ordine. Ha ottenuto, a questo
scopo, anche un finanziamento della Fondazione Monte dei Paschi di Siena per portare avanti l'opera di
catalogazione dei documenti, degli atti, del materiale filmato raccolto. Un patrimonio di valore assoluto, che
presto sarà sistemato.

Luoghi e oggetti. Qua e là, qualche insegna del vecchio Pci in città campeggia ancora. Prendete Borgo
Cappuccini: sulla facciata della sede di Rifondazione comunista la scritta è la solita degli anni passati, "Pci
Borgo". Perfino Virzì, nel suo ultimo film, ha voluto rendere omaggio al vecchio Partito comunista, piazzando
una sezione proprio sotto la casa della famiglia protagonista, a dimostrazione di quanto sia stata radicata la
presenza comunista fra i livornesi.

Da Borgo Cappuccini a Shangai: il circolo del Pd qui custodisce gelosamente ancora il busto in gesso di Palmiro
Togliatti. E poco distante, a Fiorentina, ecco comparire sul muro, sempre nella sede del Pd, un ritratto di
Oberdan Chiesa, il giovane partigiano ucciso sulla spiaggia di Rosignano, vera icona della storia comunista
livornese.

Guttuso addio. Non c'è più, invece, il quadro di Renato Guttuso che raffigurava le Acciaierie di Piombino. Ne
è rimasta una copia fotografica nella sede Pd di via Donnini. L'originale, infatti, ha preso il volo nel 1993,
quando il neonato Pds, alle prese con problemi economici, decise di venderlo, pur a malincuore. «Ci
ricavammo 35 milioni di lire dell'epoca - racconta Marco Susini, segretario del Pds di quegli anni - che
servirono per coprire un po' di debiti. Ci pensammo a lungo, poi insieme al tesoriere Emanuele Cocchella
facemmo la scelta di venderlo, insieme ad un altro quadro».

Le foto in casa. Dove la memoria del Pci è ancora viva e vegeta sono le case dei vecchi militanti, o quelle dei
loro figli. Numerose sono le abitazioni nelle quali si trovano, appese al muro o appoggiate su uno scaffale,
fotografie di Enrico Berlinguer, l'ultimo dei grandi leader comunisti.

Questione di affetto verso un personaggio politico capace di destare ammirazione anche fra gli avversari, ma
anche la volontà di rimarcare, come diceva Gaber, «il senso di appartenenza a una razza che voleva
veramente cambiare la vita».

E così, accanto alle foto di Berlinguer, ecco che non di rado spuntano anche vecchi puntali delle bandiere:
falce e martello che venivano messe in cima alle aste in occasione delle manifestazioni ufficiali. Materiale
buono, anche questo, per chi non vuole dimenticare.

Luciano De Majo
CENTROSINISTRA ALLO SPECCHIO, CERCASI SPRINT
LA SFERZATA DI MORETTI: NANNI HA RAGIONE MA...
6 febbraio 2002

Nanni Moretti: traditore, ingrato o semplicemente stanco dell'aria stagna che si respira nel centrosinistra?
Quali reazioni ha avuto in città l'esternazione del popolare regista, la seconda dopo pochi mesi da quella con
la quale definì Bertinotti "il miglior alleato di Berlusconi" all'indomani delle elezioni politiche che lanciarono
l'uomo di Arcore sullo scranno di presidente del Consiglio? A girare la domanda negli ambienti politici cittadini
si ottengono, com'è ovvio, risposte assai variegate. Marco Filippi, segretario dell'Unione comunale dei Ds
impegnato nella preparazione dell'ormai prossimo congresso, parla di «monito necessario».

«Devo aggiungere - prosegue Filippi - che ho apprezzato molto anche la risposta di Fassino». Ma, fuori dai
denti, Moretti è nel giusto o sbaglia? «Come si fa a dire che ha sbagliato - afferma - uno che lancia un grido
di dolore come il suo? Certo, quando le ho sentite, quelle parole mi hanno fatto male, perché non mi sento
estraneo ai Ds e all'Ulivo».

Restando sotto la Quercia, il consigliere regionale Virgilio Simonti non sembra troppo sorpreso dalle
affermazioni del regista: «Chi come me ha vissuto la campagna congressuale ha percepito fra i militanti uno
stato di disagio. Moretti l'ha espresso così. E d'altra parte non è la prima volta che tocca a un intellettuale il
ruolo di battistrada di certe idee. Casomai dovremmo chiederci: detto questo, come ci muoviamo per
ricostruire un progetto? Non è un compito di Moretti, è vero, ma io credo che siano da valutare anche le
parole di Paolo Villaggio, che ha detto che di questi tempi la sinistra non deve essere offesa, ma difesa».

Il segretario del Partito dei comunisti italiani Simone Bartoli non usa mezzi termini: «Quando ho sentito
Moretti ho pensato che una sparata del genere non aiuta. E' un'altra cosa da dire che abbia torto nel merito,
ma sicuramente non aiuta». Insomma, il centrosinistra e i suoi dirigenti, responsabilità ne hanno o no? «Errori
ne avremo pure commessi tutti quanti - è il giudizio di Bartoli - ma le cose in politica sono più complesse.
Lasciarsi andare a queste affermazioni credo sia fin troppo facile. E fra i nostri elettori uno stato diffuso di
malcontento c'è. Ma dire che non siamo capaci serve a qualcosa? Non credo».

E a proposito di elettori, ecco il giudizio di un paio di loro. Dario Menichetti, architetto, è stato anche fra gli
animatori dei comitato Rutelli a Livorno. E appare un "morettiano" di ferro: «Mi pare che si sia tolto qualche
sassolino dalle scarpe, in fondo credo abbia fatto bene. Diciamo la verità: chi fra di noi non pensa quelle cose?
Nanni Moretti ha avuto il coraggio che è mancato ad altri». Menichetti ci vede anche una sorta di continuità
con il suo lavoro di regista: «E' quasi un seguito dei suoi film. Prima "Palombella rossa", poi "Caro diario",
quindi "Aprile". Non si può certo dire che non abbia seguito passo dopo passo lo scivolare della sinistra».

Anche Maurizio Giacobbe ora è un militante del centrosinistra. Ambientalista convinto, è stato anche
portavoce dei Verdi in passato. «Quelle parole mi hanno un po' meravigliato - dice - perché non molto tempo
prima Moretti aveva pesantamente criticato Bertinotti, quindi le sue affermazioni secondo me acquistano
anche maggior valore». Ma la valutazione com'è: il trionfatore di Cannes ha ragione o no? «Penso che abbia
fatto bene, anche perché gli sviluppi successivi della situazione non dipendono da lui. Se una situazione di
crisi c'è, un'accelerazione non può che far bene. Sarà meno difficoltoso anche far maturare le risposte
necessarie».

Luciano De Majo
LA QUERCIA CANDIDA LE DONNE MA POI NE ELEGGE SOLO CINQUE
16 giugno 2004

L'operazione Ds in rosa si ferma alla composizione della lista: su venti candidate, ne entrano appena cinque
in consiglio, una in più di quante la pattuglia appostata sotto la Quercia ne aveva nel mandato appena chiuso.
Non cambia il numero dei seggi: 18, come nel quinquennio precedente. Il gentil sesso è rappresentato da
Silvia Fugi, che si piazza quarta, da Gabriella Aquilini proveniente dalla sezione Shangai, da Elena Uccelli,
avvocato come il padre Alberto, da Susanna Mainardi della sezione Corea e da Francesca Luschi.

Il segretario dell'Unione comunale Marco Filippi recita fino in fondo il suo ruolo di capolista e guida la fila di
coloro che hanno staccato il pass per Palazzo Civico. Lo segue Vittorio Vittori, capogruppo in pectore, mentre
il podio delle preferenze viene completato da Vezio Benetti, reduce da otto anni da assessore allo sport. Era
in lista al numero 17, ma il suo sprint personale gli ha garantito un piazzamento di rilievo, pur non all'altezza
del '95, quando si permise di superare addirittura il segretario-capolista Marco Susini.

I Ds avevano optato per una testa di lista di dieci candidati. La metà di questo drappello entra in consiglio:
oltre a Filippi, Vittori e Fugi anche il medico dermatologo Massimo Ceccarini e l'ostacolista Fabrizio Mori, sia
pure al diciassettesimo posto. Cinque, dunque, le esclusioni eccellenti: si va dal presidente della Camera
penale Marco Talini, ventunesimo, alla coordinatrice delle donne dell'Ulivo Daniela Bartalucci, ventitreesima,
che precede Laura Cini. Niente da fare anche per Paola Ciardi, figlia di Giotto, medaglia d'oro della Resistenza,
ventiseiesima, e per Maria Gabriella Lapi, imprenditrice di casa Cna, addirittura trentatreesima.

Torna in consiglio Amerigo Poggiolini, (ex Psdi e Psi, oggi diessino di area laburista), così come Fabio Altini
(sezione Salviano) e Marco Solimano (presidente dell'Arci). Ottima la performance di Matteo Ampola, sesto,
appena sei preferenze in più di Claudio Ritorni, presidente del Basket Livorno. New entry sono anche Stefano
Becagli (sezione Centro), Claudio Cecchi (sezione Borgo-San Jacopo) e Gabriele Cantù, pacifista storico.

Non ce l'ha fatta l'unico operaio in lista: Mirko Carovano è il primo dei non eletti.

Urne amare anche per Sergio Casarosa, segretario della sezione porto. Per la prima volta dal 1960, nessun
rappresentante della Compagnia portuali siede nel gruppo consiliare del maggior partito della città: l'eredità
di Vasco Jacoponi e di Italo e Roberto Piccini è raccolta da Enzo Raugei, ma nelle file del Pdci.

Luciano De Majo
NEL PD E IN UNA LOGGIA, SI PUÒ? LO STATUTO LO VIETA, PERÒ...
3 giugno 2010

A volte ritornano. Ritornano le tempeste di quasi estate sui rapporti fra massoneria e sinistra, in questo caso
col Partito democratico. Dopo le polemiche sulle espulsioni di due assessori Pd, uno di Scarlino (Grosseto) e
uno di Ancona, anche dalle nostre parti il dibattito prende quota: è possibile essere nel Pd e, al tempo stesso,
in una loggia?

Il primo a rispondere è il segretario democratico Marco Ruggeri, che parte dallo Statuto del partito («si parla
di incompatibilità, per cui c'è poco da dire di più: le regole si rispettano»), ma si concede anche una riflessione
più ampia. «Io non dimentico - spiega - che ad esempio il Grande Oriente d'Italia in questi anni ha fatto un
percorso culturale non banale, compiendo uno sforzo di trasparenza importante. Mi è difficile considerarlo
un'associazione segreta. Tanto per fare un esempio, mi sembra più grave non rendicontare le spese elettorali
che essere affiliati alla massoneria».

Giorgio Kutufà, presidente della Provincia, ammette che il tema «è assai delicato». E auspica che «possa
esserci un dibattito trasparente, alla luce del sole, che può risolvere tante incomprensioni». «Lo Statuto del
Pd parla chiaro - conclude Kutufà - se prevale il vincolo di segretezza, un massone non può essere iscritto.
Anche se è il caso di evitare ipocrisie: perfino nella vecchia Dc c'erano massoni». «Mai pensato che un
massone sia una persona poco pulita per il fatto di essere affiliato a una loggia - dice invece il sindaco
Alessandro Cosimi - però ritengo personalmente inopportuna la doppia appartenenza alla massoneria e al
Pd. C'è da dire che alcune associazioni, come il Grande oriente, pagano il fatto che non ci sia in Italia una
legge sulle associazioni, che consente a un gruppo di persone che si trovano e che sostengono di fondare una
nuova obbedienza di usare il termine massoneria, magari senza aver niente a che fare con la storia di questa
associazione». «In ogni caso - conclude il sindaco - sono convinto che un massone debba dichiarare la sua
appartenenza al momento di assumere incarichi pubblici».

Massimo Bianchi, per lunghi anni vicesindaco e oggi Gran maestro aggiunto del Grande oriente d'Italia,
sostiene che i massoni non vanno discriminati. E in questi giorni ha sostenuto anche una decisa polemica col
leader dell'Italia dei valori Antonio Di Pietro su questo argomento. «I massoni - ha spiegato Bianchi - sono
leali cittadini della Repubblica, che hanno giurato sulla Costituzione, osservano le leggi, pagano le tasse e
pretendono di fruire dei diritti riconosciuti agli altri cittadini. O si pensa, invece, che i "liberi muratori"
debbano girare con sulla giacca cuciti squadra e compasso, il che richiamerebbe alla memoria quella stella di
David che i nazisti volevano applicata sugli abiti degli ebrei?».

Il senatore Marco Filippi, che ha seguito da vicino il dibattito sviluppatosi a livello nazionale, ribadisce che «ci
sono regole da rispettare». E siccome «lo statuto parla di incompatibilità, anche in riferimento alla doppia
appartenenza con altre organizzazioni che non siano soltanto la massoneria, la questione è chiusa».

Ma al Pd livornese sono iscritti anche alcuni massoni o no? «Che io sappia no», risponde sicuro il segretario
Ruggeri. E in effetti, almeno a giudicare da coloro che ricoprono gli incarichi più importanti, non sembrano
essercene. Mentre Giovanni Battocchi, presidente della Circoscrizione 3 e iscritto al Partito democratico, alla
massoneria è stato affiliato in gioventù, per poi uscirne diversi anni fa. Impossibile, però, avere un suo
commento sul tema.

Luciano De Majo
NON VOTO, I DUBBI SOTTO LA QUERCIA
7 giugno 2003

L'indicazione che arriva dai vertici Ds è chiara: boicottare il referendum che vorrebbe estendere l'articolo 18
alle imprese con meno di 15 addetti, farlo fallire, rispedirlo al mittente facendo mancare il quorum. Ma un
confronto promosso dall'Unione comunale della Quercia, dall'eloquente titolo "Un referendum sbagliato" è
l'occasione giusta per avvertire gli umori di una platea che si trova, per la prima volta, a fare i conti con un
partito che indica la strada del non voto.

Dietro al tavolo c'è il senatore Lanfranco Turci, insieme all'assessore regionale Paolo Benesperi, al segretario
dell'Unione comunale Marco Filippi ed a Vito Borrelli, che ha curato l'organizzazione dell'iniziativa. Eppure, a
riempire la sala riunioni della federazione diessina di Via Fagiuoli, ecco un pubblico diviso fra dubbi e certezze.
Sfilano gli esponenti delle associazioni di categoria (Baldi della Cna e Mecacci della Confesercenti) e dei
sindacati (Corsi della Cisl e Morelli della Uil) alternandosi alla tribuna a spiegare il loro pieno sostegno alla
linea dei Ds. Così come Piero Nocchi, leader della Cgil locale, è chiamato a ribadire che la più grande
organizzazione di lavoratori ha scelto il "sì" pur senza condividere la genesi del referendum e lo sosterrà fino
in fondo. Lui che fino a pochi anni fa militava nel Psi ora rischia di passare per un rivoluzionario, e quando
glielo fanno notare non può fare a meno di unire le mani e di gettare lo sguardo in alto, quasi a sospirare un
«se me lo avessero detto...».

In fondo alla sala, l'onorevole Marco Susini parla ai vecchi compagni della sezione Shangai, di cui è stato
segretario ai tempi del Pci, negli anni '80, sussurrando che votare sì equivale a «rompere il fronte di chi si è
opposto alla modifica dell'articolo 18 voluta da Berlusconi». Ma che dire di Giovanni Senesi, che afferra per
un braccio il cronista presentandosi come «compagno che fra poco festeggia il mezzo secolo d'iscrizione al
partito» (attraverso le sue denominazioni, s'intende...) e che sarebbe intervenuto volentieri per dire che lui
al mare non ci andrà proprio per niente, pur non sapendo come voterà? E quanti Senesi c'erano, seduti ad
ascoltare, in cerca di una bussola capace di indicare la rotta da qui a domenica 15?

Il segretario cittadino Marco Filippi il dibattito, in effetti, non lo apre affatto agli interventi dei militanti. Non
servono altre manciate di pepe per far emergere tutto il carico di tensioni e divisioni che questo referendum
provoca nel popolo della sinistra. E' sicuramente azzardato dire che per i Ds il quesito sull'articolo 18 sia una
bomba a orologeria, ma a giudicare dalle battute che corrono in sala non è neppure un mortaretto da stadio.
Perché quando Nocchi inizia il suo intervento dicendo che sarà l'unico a sostenere il sì, qualche mano si alza
per dire «ci siamo anche noi». E non mancano neppure i riferimenti al fatto che «Cisl e Uil hanno firmato il
patto per l'Italia»: per chi lo avesse dimenticato, le divisioni non sono solo nei partiti, ma anche nei sindacati.

Dice Paolo Mecacci, della Confesercenti: «Il più grande partito della sinistra invita a non votare, non sfugga il
significato di questo gesto. Noi avremmo già apprezzato anche la libertà di scelta...». Baldi (Cna) puntualizza
che gli artigiani sono, sì, contro il referendum, «ma non a caccia di licenziamenti facili». Benesperi invece
ricorda che il sì disegna uno scenario «che non risponde alle esigenze di flessibilità, è una risposta brutale a
una domanda che pure esiste». E propone un sistema di tutele «a cerchi concentrici». Turci è sulla stessa
linea. E anzi sposta il traguardo ancora più avanti dicendosi «disponibile a discutere della riforma dell'articolo
18 anche nelle aziende che hanno più di quindici dipendenti».

Cgil a parte, insomma, è una raffica di voci contro il referendum. Neanche per il "no", ma per quella che
Filippi, riprendendo una definizione cara ai vertici nazionali del partito, chiama «astensione attiva», sia pure
in mezzo alle grandi difficoltà che, ammette, «si incontrano anche parlando in famiglia».
Come accade in ogni dibattito che si rispetti, niente è per sempre. Ed è proprio Nocchi a lasciarsi dietro il filo
d'Arianna del dialogo: «Dal 16 giugno, vada come vada il voto, tutti dobbiamo essere pronti a riprendere il
confronto dalla stessa parte». E' un'idea che Filippi coglie al volo. Dal 16, tutti uniti. E da qui a quella data?
Qualche santo, si dice in questi casi, ci penserà.

Luciano De Majo
AUTOGRAFI E SASSICAIA PER IL LEADER DELLA QUERCIA
27 luglio 2003

E' successo anche che la signora Leda non sapeva dove farsi mettere l'autografo del segretario. E allora ha
scelto l'ultima pagina del libro che stava leggendo, "Il Guardiano del faro" di Sergio Bambarém. Lui, Piero
Fassino, da quasi due anni al timone dei Ds, si è avvicinato e sorridendo ha messo la sua firma. Il suo pasto il
leader della Quercia l'ha consumato alla spaghetteria della sezione Colline alla Festa de l'Unità che stasera
chiuderà i battenti. Da solo no di certo: come ci si attendeva, l'abbraccio della base al leader c'è stato fino in
fondo. Fassino ha pranzato insieme a centinaia di persone, rivolgendo loro anche un piccolo saluto prima di
concludere la propria permanenza in città.

Il sole del mezzogiorno passato, rendeva quasi sonnolenti gli stand della Festa, in attesa dell'impegno serale.
Poi però la cittadella diessina si è come svegliata accendendosi all'improvviso, segno che il segretario stava
arrivando. E lui, puntuale, prima ha incontrato i rappresentanti del mondo della cooperazione e poi si è
avvicinato al luogo scelto dalla federazione per l'appuntamento con il numero uno nazionale. Il faccia a faccia
con i cooperatori guidati dal presidente del Comitato territoriale di Legacoop Ivano Martelloni si è svolto fra
i tavoli che la sera compongono il ristorante della sezione Corea. Fassino ha ascoltato, ha ribadito l'impegno
dei Ds a fianco di quella che ha definito "impresa sociale" e ha trovato il tempo di firmare una bandiera del
partito."Grazie Piero, questa ora l'appendiamo in sezione", è stato il saluto di una militante della sezione che
teneva stretto il drappo rosso con la Quercia in mezzo. Poi, finalmente, è venuto il momento del pranzo.

Il menu l'ha preparato la sezione Colline, che per svolgere si è avvalsa della collaborazione dei volontari di
altri stand. Una giornata corale, alla quale ha contribuito insomma tutto il corpo dei Ds della città. Per il
segretario i militanti livornesi avevano annunciato un pranzetto all'insegna della livornesità e sono stati di
parola. Penne al favollo, cozze ripiene e acciughe dorate e fritte hanno composto il pranzo di ieri. Strette di
mano, applausi, qualche frase lanciata qua e là, e anche un regalo niente male per il leader diessino: una
bottiglia di Sassicaia autentico. Lo stand di Colline è pieno come un uovo quando le portate vengono servite.
Fassino è seduto insieme ai segretari di Federazione e Unione comunale, Alessandro Cosimi e Marco Filippi,
e a quello regionale Marco Filippeschi. Al tavolo accanto ci sono due coppie di genitori e figli che contano: il
sindaco Gianfranco Lamberti col figlio maggiore Pasquale, insieme a Italo e Roberto Piccini, coppia di vertice
della Compagnia portuali.

L'accoglienza calorosa della base Fassino la ripaga con un saluto sobrio ma determinato. Prima un accenno
alle vicende del porto ("Ne abbiamo fatto un caso nazionale e continueremo a farlo") e poi un'iniezione di
fiducia: "Le amministrative ci hanno premiato, la destra non è in grado di guidare il paese - sono le parole del
segretario dei Ds - e lo sta dimostrando giorno dopo giorno. Il clima che si respira nelle Feste dell'Unità in
tutta Italia è buono, il momento del riscatto si avvicina sempre di più".

Luciano De Majo
RUGGERI: «E' L'ORA DI APRIRSI, IL PD È A UN PASSO»
30 marzo 2007

Non è più un novellino, anche se coi suoi 33 anni è ancora il leader di partito più giovane del nostro territorio.
Però l'apertura di un congresso è un banco di prova impegnativo per chiunque. Anche per Marco Ruggeri,
che ieri pomeriggio ha aperto un'assise, quella della federazione Ds, che si annuncia assai importante, per il
futuro della scena politica, locale e nazionale. Lui se l'è cavata evitando accuratamente di pronunciare, in
un'ora e cinque minuti di relazione, la parola «scissione».

Rischio scissione. Non che questo rischio non ci sia: il suo spettro, anzi, si aggira per i Ds in modo molto più
concreto di quanto non fosse quello del comunismo nell'Europa dell'epoca di Marx. E lo si vede anche a
occhio, con il manipolo dei delegati della mozione Mussi tutti riuniti, uno accanto all'altro, in un angolo della
sala della stazione marittima. Ruggeri, però, afferma di voler continuare a lavorare per evitare ogni
prospettiva di questo tipo. Un'impresa non facile, a giudicare dalle dinamiche nazionali.

Il Pd che verrà. Tutto sommato, al Partito democratico che verrà, il segretario dei Ds non dedica grande
spazio del suo discorso d'apertura. Dice, sì, che è un processo «che va ampliato senza timori», perché non
sarà solo la somma «fra noi e la Margherita». «Dobbiamo aprire un processo di dialogo e ascolto della società
- aggiunge - che farà bene a noi ma anche alla politica italiana».

La gestione dei Ds. E' proprio perché si sta avvicinando il congresso nazionale di fine aprile a Firenze che
Ruggeri dice, con grande chiarezza vuole attenderne gli esiti e gli approdi «prima di poter riproporre una
gestione unitaria del partito», ovvero la composizione di assetti che coinvolgano anche esponenti delle
minoranze Ds, a prescindere dal loro schieramento con questa o con quell'altra mozione gressuale, cosa che
è avvenuta fino alla celebrazione di questo congresso. «Ma proprio per questo - dice il segretario della
Quercia - nessuna occasione deve essere perduta per confrontarci e dibattere».

Rapporti a sinistra. Il nostro è un territorio particolare, dove l'Unione tocca percentuali altissime ma, di fatto,
nelle principali istituzioni locali (Provincia, Comuni di Livorno, Rosignano, Cecina e Piombino) non c'è. Ruggeri
dà appuntamento alle amministrative del 2009, su questo fronte. Dice che a quel momento «questo percorso
dovrà dare dei frutti». Ma non nasconde che è un percorso accidentato. Cita il voto contrario di Rifondazione
al bilancio del Comune della città capoluogo per dire che «alcune chiusure pregiudiziali mi paiono non una
sfida, ma un allontanamento preventivo» e fissa come base di partenza per il confronto «quei dodici punti su
cui l'Unione ha ritrovato l'unità, che non possono rappresentare in Toscana e a Livorno un elemento di
divisione.»

Energia e gas. Fra quei dodici punti, ormai è noto, c'è anche la questione dei rigassificatori, che per il governo
Prodi sono centrali. Ruggeri conferma il «sì» al progetto Olt e ribadisce che per quello di Rosignano non
sopporta «ogni tentativo di contrapposizione» con l'altro. E ricorda «l'attenzione» dei Ds «alle opportunità
che questo progetto riveste per il consolidamento e la qualificazione, anche ambientale, del polo Solvay».

Porto. Porto e infrastrutture sono un altro asse della relazione di Ruggeri. Che sottolinea, oltre al risultato
dell'insediamento di Piccini all'authority, l'importanza di un ammodernamento della Compagnia portuale,
attraverso «l'immissione in tempi brevi di nuovi giovani soci», proposta dalla sezione Ds.

Fede e politica. Ruggeri parte da lontano per tirare una bacchettata a chi, anche nella maggioranza di
centrosinistra, intende mettere da parte le questioni dei diritti civili. Ricorda le esperienze di padre Saglietto,
don Angeli, don Roberti e padre Davanzati, come figure di riferimento del tessuto popolare e culturale della
città. Ripercorre le vicende dell'ardente rapporto fra don Nesi e gli operai del quartiere di Corea. E quando
parla della nota dei vescovi dice di ritenere «del tutto legittimo che il clero si occupi delle questioni dell'Italia».
Allo stesso tempo, Ruggeri critica «quest'atteggiamento che va a insinuarsi nelle pieghe dell'opportunismo
di certa parte della politica che usa radici cristiane, famiglia, santità del matrimonio, diritto alla vita, come
strumenti per cercare di conquistare il consenso della Chiesa e averla al suo fianco per la conquista del
potere». Da qui, la difesa dei Dico e di una battaglia per la laicità dello Stato. Anche se per il segretario Ds
«sarebbe controproducente e sbagliato rispolverare una vecchia battaglia anticlericale».

Luciano De Majo
IL PD NON È ANCORA NATO MA CERCA GIÀ CASA
24 gennaio 2008

Quale sarà la casa livornese del Partito democratico? Non quella dei Ds di via Fagiuoli: la sede sarà venduta
per tamponare la situazione debitoria (che si aggira, migliaio più migliaio meno, attorno al milione di euro)
ed evitare che la fondazione cui è destinato il patrimonio immobiliare della Quercia parta con le spalle
appesantite da un notevole fardello finanziario. I vertici del Pd, dunque, sono già a caccia di una nuova sede
da prendere in affitto che abbia una superficie sufficiente ma non eccessiva.

Cambiano i tempi: passata l'epoca dei funzionari a tempo pieno e anche quella delle decine di migliaia di
tessere, servono strutture corrispondenti alla mole dei partiti. Snelle, poco pesanti, capaci di coniugare
l'esigenza di una presenza politica a quella di spese ridotte all'osso.

I Ds, nel frattempo, sono ormai pronti a parcheggiare il proprio patrimonio nel portafoglio di una fondazione.
A questa impresa stanno lavorando il responsabile dell'organizzazione Pierluigi Bosco e il tesoriere Alfredo
Barsaglini. E' recente la riunione della direzione diessina che ha approvato all'unanimità la bozza di statuto
della fondazione, che un notaio sta revisionando. Il nome è da decidere. Ma nel gruppo dirigente dei Ds c'è
chi pensa a intitolarla a un personaggio storico della sinistra livornese. Il più gettonato sembra essere Ilio
Barontini, ma anche Nicola Badaloni e Nelusco Giachini sarebbero scelte assai apprezzate dai militanti.

Anche perché alla fondazione, oltre al patrimonio immobiliare andrà la parte di archivio storico del Pci-Pds-
Ds che non fa parte della porzione già custodita dall'Istituto Gramsci, la biblioteca della federazione e altri
oggetti, fra cui la bandiera del Pci livornese del 1921, fra i pochissimi cimeli dell'epoca sopravvissuti, a livello
nazionale. Il consiglio d'indirizzo della fondazione avrà otto componenti nominati a vita. Toccherà a loro
nominare il consiglio d'amministrazione, che sarà chiamato a gestire un soggetto nuovo per la scena politica
livornese, il cui obiettivo non è solo quello di conservare il patrimonio, ma anche di garantire l'accesso ai
documenti a fini culturali e scientifici.

Luciano De Majo
PER I CIRCOLI DEL PD VOTANO 2 ISCRITTI SU 3
4 febbraio 2008

Volete cercare il cuore pulsante del Partito democratico in salsa livornese? Lasciate perdere le roccaforti
rosse dei quartieri nord o delle periferie tipo La Rosa, Leccia o Scopaia. Proprio così: il circolo nato con il
maggior numero di voti (e di iscrizioni, se così possono essere definiti i certificati di fondatore del Pd appena
rilasciati) non è né in Corea né a Salviano, ma a San Jacopo: 264 votanti, oltre 400 i certificati ritirati dagli
elettori in questo fine settimana.

In tutto, in città hanno votato in oltre 2600, a fronte di 3900 livornesi che hanno accettato di diventare
«fondatori» del Partito democratico. Due iscritti (o potenzali iscritti) su tre, insomma, hanno votato anche in
questa occasione. Certo, niente di paragonabile alla carica del 14mila che il 14 ottobre scelsero di portare il
loro contributo alla corsa per la segreteria nazionale del partito, la sfida vinta da Veltroni su Rosy Bindi e
Enrico Letta. Né poteva essere minimamente paragonabile la fase politica, vista la recente caduta del governo
Prodi che non ha certo giovato al morale di coloro che hanno il cuore nel centrosinistra. «Su questo non c'è
dubbio - dice il coordinatore territoriale del Pd, Marco Ruggeri - e anzi ritengo che queste cifre, i 2600 votanti
e i 3900 fondatori, rappresentino un punto di partenza di tutto rispetto. Noi continueremo la distribuzione
dei certificati di socio fondatore anche nelle prossime settimane. Non finiremo certo qui».

I numeri, fra l'altro, sono ancora ufficiosi. Quelli ufficiali il coordinamento del Pd, che ieri pomeriggio è
rimasto chiuso (incomprensibilmente, per la verità) li fornirà probabilmente nei prossimi giorni. I dati che
pubblichiamo li abbiamo raccolti e elaborati noi, grazie a una serie di chiamate seggio per seggio. In ogni
caso, alcuni segnali emergono con forza dalla lettura di queste prime cifre. Il Pd sembra trovare elementi di
radicamento, e in certi casi di entusiasmo, dove invece sulla carta aveva forti difficoltà (a Fabbricotti né Ds
né Margherita avevano sezioni organizzate, così come in Coteto e in Corea, dove nell'ultimo congresso dei
Ds aveva stravinto la mozione che poi non è entrata nel Pd scegliendo Sinistra democratica). E accusa, al
contrario, qualche problema dove invece la presenza sul territorio appariva garantita. Ne sono una prova il
basso numero di «fondatori» raccolto alla Cigna e a San Marco, ma anche al circolo Scopaia-Collinaia. «Tutti
elementi - conclude Ruggeri - su cui avremo modo di riflettere».

Luciano De Majo
NIENTE SORPRESE, IL PD SCEGLIE RUGGERI
23 febbraio 2008

Ore 23, minuto più minuto meno: nella sala convegni della Stazione marittima arriva l'annuncio. Marco
Ruggeri è il primo segretario della federazione livornese del neonato Partito democratico. Dall'urna nessuna
sorpresa: è stato eletto senza alcun voto contrario. 243 i votanti, 231 i voti validi tutti a favore di Ruggeri. Gli
altri 12 hanno scelto di votare scheda bianca (in 8 casi) oppure scheda nulla (in 4 casi), ma nessuno ha detto
«no» all'insediamento di Ruggeri.

Ruggeri riceve insomma un mandato ampio dall'assemblea territoriale del suo partito, al termine di una
mezza giornata di lavori nella quale molti degli interventi hanno avuto al centro l'imminente competizione
elettorale. C'è stato spazio anche per qualche momento di emozione, quando Ruggeri, nel presentare la sua
candidatura ha ricordato la figura di Bino Raugi, scomparso da pochi mesi. E la stessa cosa è successa quando
Michela Ria, segretaria del circolo di Venezia, ha fatto il nome di Rosanna Ponsinibio, anch'ella scomparsa
per una malattia terribile e fulminante.

In molti, fra coloro che sono intervenuti, hanno fatto un riferimento ai meccanismi di selezione delle
candidature per le politiche. E tutti hanno riscontrato un limite nel non aver fatto le primarie. Lo ha detto
Ruggeri, che già nei giorni scorsi l'aveva dichiarato al nostro giornale, lo ha ripetuto anche il senatore uscente
Marco Filippi, per il quale sembra profilarsi la riconferma. Particolarmente duro anche l'ex deputato Marco
Susini, che in un passaggio del suo intervento ha posto l'accento sulla necessità di partecipazione mettendo
in guardia dal «rischio di cesarismo». A parte questo accenno di Susini, verso la leadership di Walter Veltroni
sono arrivati soltanto elogi. Diretti a lui, alla sua candidatura alla presidenza del Consiglio, alla scelta di non
riproporre la maxi-alleanza dell'Unione optando per un accordo più stretto, con dipietristi e radicali. «Ma non
sarebbe male - ha fatto notare il consigliere regionale Virgilio Simonti - intraprendere un percorso analogo
anche con altre forze di ispirazione laica e socialista».

Per il resto, Ruggeri ha espresso fiducia per le elezioni che si avvicinano. Perché da un lato «la lista che unisce
Forza Italia e Alleanza nazionale è la riproduzione di una logica vecchia, senza respiro, di contrapposizione,
priva di un progetto di governo vero». E, sul fronte opposto, il cartello della sinistra alternativa non lo
convince. «Per fortuna - è la sua considerazione - leggo che molti esponenti sindacali che avevano aderito a
Sinistra democratica stanno cambiando idea, perché la loro cultura riformatrice che ai conflitti preferisce gli
accordi e gli aumenti economici rischia di smarrirsi in un contenitore contrassegnato dall'egemonia della
sinistra radicale».

Luciano De Majo
SI APRE L'ENIGMA DELLE CIRCOSCRIZIONI
16 giugno 2009

Trattative non ne sono ancora iniziate. «Nessuno ci ha cercati», dice Alessandro Trotta, segretario di
Rifondazione comunista. Domani, però, il Pd riunirà il suo esecutivo con il sindaco Cosimi e il presidente della
Provincia Kutufà. E a quel punto la parola «circoscrizioni» entrerà nel vocabolario del dopo voto. Ce ne sono
due dove non c'è maggioranza: oltre alla "storica" 3, da sempre croce più che delizia del centrosinistra,
stavolta anche la 2, centro storico e dintorni.

I candidati alla presidenza non parlano e, quando lo fanno con amici e compagni di partito, ostentano
sicurezza. Ma l'ipotesi ventilata nei giorni scorsi, secondo la quale democratici e rifondatori (nella foto i due
segretari Alessandro Trotta e Marco Ruggeri) erano pronti a sedersi a un tavolo per sbrogliare la matassa, è
tutta in salita. Vabbè che la campagna elettorale è stata all'insegna del fair play, fra queste due forze, ma per
aprire una stagione di collaborazione forse è ancora presto.

Dentro la coalizione che sostiene Cosimi, ad esempio, ci sarebbe più d'un mal di pancia: l'Italia dei valori, che
in consiglio comunale ha raddoppiato la sua presenza, non vede di buon occhio un'intesa politica con
Rifondazione. E, a dirla tutta, neanche nella compagine Rc-Pdci nascondono i problemi che ci sarebbero nella
costruzione di un'alleanza per dare un governo alle circoscrizioni. Anche perché il Pd sarebbe disposto a
ragionare di questo a condizione di mettere a punto un'alleanza che coinvolga non solo la 2 e la 3, dove
manca la maggioranza, ma anche gli altri quartieri, proprio per riempire di contenuti politici il riavvicinamento
con l' "altra sinistra".

Altro elemento da non sottovalutare: la contropartita. Il "via libera" per l'elezione dei presidenti da che cosa
dovrebbe essere compensato? Difficile che il Pd sia disposto a mollare una delle presidenze: prima del voto,
nel maggior partito della città c'era la consapevolezza che forse una circoscrizione poteva essere lasciata agli
alleati (e si parlava della 5), ma adesso che in due su cinque non c'è maggioranza, questo meccanismo è da
considerare saltato.

Andando a vedere nel dettaglio la situazione delle due circoscrizioni in bilico, alla 2 i potenziali alleati del
centrosinistra potrebbero essere Rifondazione-Pdci (2 seggi), ma anche la rappresentante della lista "Con
Cannito", la verde Silvana Cocorullo. Più difficile, almeno per ora, appare il dialogo con la lista "Confronto",
che proprio nella circoscrizione del centro ha strappato un consigliere. Uno solo, invece, il consigliere di Rc
alla Circoscrizione 3, dove c'è anche la novità della presenza di un consigliere dell'Udc, oltre al rappresentante
di "Con Cannito". Questi sono i numeri. Alla politica il compito di far quadrare il cerchio ed evitare lo
scioglimento anticipato (alla 3 lo si è già visto) delle circoscrizioni incerte.

Luciano De Majo
PD, RUGGERI SORPASSATO DA TORTOLINI
14 dicembre 2009

Le primarie del Pd premiano Matteo Tortolini. Ancora una volta, come cinque e come dieci anni fa (all'epoca
c'erano i Ds), il candidato piombinese supera quello livornese, nella competizione interna al partito. Stavolta
lo scarto è minore: 349 voti appena separano i due contendenti. Contendenti molto particolari, visto che
queste primarie, almeno per ciò che riguarda il Partito democratico, erano dipinte come un derby fra
segretari. Ruggeri da una parte e Tortolini dall'altra.

La sostanza delle cose cambia poco: Tortolini sarà capolista e Ruggeri numero due. E tutti e due, a fine marzo,
avranno il loro bel seggio in Consiglio regionale rappresentando in tandem gli elettori del Pd della provincia
di Livorno. Ma i numeri dicono che il segretario della federazione di Piombino, nelle dodici ore in cui i seggi
sono stati aperti nella giornata di ieri, ha preso 3439 voti e quello di Livorno 3090. Staccatissimi - nel pieno
rispetto delle previsioni della vigilia - tutti gli altri candidati, chiamati sostanzialmente a fare da comprimari
nella sfida fra i duebig. Chiara Di Cesare, di Castiglioncello, ha avuto 384 voti, a Donatella Becattini (livornese,
portacolori della mozione Marino durante la battaglia congressuale) ne sono andati 92. 74 preferenze per
Giovanna Meini, 53 per Maura Barachini e 28 per Alessandro Diari.

Partecipazione ko. Ma emergono anche altre cifre, da queste primarie del Pd. Su tutti, il dato della
partecipazione. I livornesi che hanno deciso di dire la loro sui candidati democratici per le regionali sono stati
(dato provinciale) 7.160. I voti validi per i candidati alla segreteria nazionale del Pd il 25 ottobre sono stati
27.618. Ciò significa che, nell'arco di poco più di un mese, si sono dissolti i tre quarti del cosiddetto "popolo
delle primarie". Un calo netto e diffuso ovunque in tutti i centri della provincia, tranne San Vincenzo di cui
parliamo a parte. La città di Livorno ha dato alla lista del Pd 2.075 voti validi, contro i 12.927 del 25 ottobre.
Il decremento, in questo caso, è dell'83,6 per cento.

Poche sorprese. Non ci sono stati particolari travasi di voti fra una zona e l'altra. Ruggeri ha avuto il controllo
del territorio della federazione livornese (da Collesalvetti a Castagneto Carducci, isola di Capraia compresa),
Tortolini invece ha trovato il suo consueto serbatoio di voti nella Val di Cornia e all'isola d'Elba, con l'eccezione
di Capoliveri, dove Ruggeri ha preso 19 voti su 20. Nella città di Livorno Ruggeri ha avuto 1.931 voti sui 2.075
espressi (il 93 per cento), ma il suo massimo l'ha toccato a Collesalvetti, dove è nato e cresciuto anche
politicamente. I 409 voti che ha ottenuto sono il 98 per cento del totale. Collesalvetti, fra l'altro, coi suoi 415
voti, ha fatto segnare un calo di partecipazione minore rispetto a Livorno: -71,9 per cento rapportato ai 1.479
voti della sfida Bersani-Frannceschini-Marino.

Sinistra e libertà. Mario Lupi, consigliere regionale uscente (eletto nel 2005 nelle liste dei Verdi) ha faticato
non poco per spuntarla nelle primarie di Sinistra, ecologia e libertà. Lupi ha preso 308 voti contro i 249 di
Maria Grazia Mazzei, elbana e direttrice amministrativa della scuola di Marciana, e contro i 123 di Carla
Bezzini, infermiera all'ospedale di Piombino. Una vittoria allo sprint, per l'esponente ecologista. In totale, i
voti raccolti da Sinistra, ecologia e libertà in queste primarie, che segnavano il debutto di questa formazione
politica che farà parte dell'alleanza a sostegno di Enrico Rossi alla presidenza della Regione, sono stati 818.

Luciano De Majo e Mauro Zucchelli


PD, CANDIDATURE CONGELATE PER UNA SETTIMANA
18 settembre 2010

Nessun rinvio dei congressi, la cui conclusione resta fissata al prossimo 18 ottobre, ma una settimana di
sospensione delle ostilità, col gruppo dirigente che si riverserà nei circoli, parlando coi militanti un po'
disorientati da tutto quello che si muove nel partito, sperando di non chiudere la stalla quando i buoi sono
già scappati. E' questo l'orientamento col quale il segretario del Partito democratico Marco Ruggeri si è
presentato, ieri sera, davanti alla direzione, conclusasi solo in nottata.

Stamani i dirigenti del Pd faranno ufficialmente il punto della situazione, spiegando nei particolari come e
quando prenderà ufficialmente il via questa tornata congressuale. Ma lo "stop and go" deciso nella direzione
di ieri ha come primo risultato quello di congelare la presentazione delle candidature. E se per il congresso
della federazione la situazione quasi sicuramente non ne risentirà, visto che ad oggi l'unico candidato in
procinto di scendere in pista è Filippo Di Rocca, qualcosa cambierà verosimilmente per l'Unione comunale,
dove l'obiettivo sarà quello di giungere a una soluzione unitaria.

Ciò significa che i due candidati in pectore, Marida Bolognesi e Adriano Tramonti, che erano prossimi al
deposito delle firme a loro sostegno, potrebbero anche farsi da parte in nome del raggiungimento di un'intesa
reale, capace di superare nervosismi nascenti - e in qualche modo conclamati - e di centrare il traguardo che
Ruggeri si era posto, cioè quello di individuare un candidato che possa mettere d'accordo tutti. Nessuna
preclusione, a quanto si è capito, sulla provenienza politica del candidato: resta intatta la disponibilità ad
accogliere la candidatura di un nome espresso dai filo-Franceschini. I filo-Bersani un'alternativa ce l'hanno
già: il nome di Alessio Ciampini circola da tempo anche se non è mai stato gettato in pasto al dibattito interno
al partito.

Ieri sera, intanto, l'aria respirata nella direzione ha risentito anche del documento Veltroni-Fioroni-Gentiloni
su cui sono confluiti 75 parlamentari democratici. Un fatto che aumenta le difficoltà del Pd: in molti, nel
chiuso della riunione andata in scena in via Donnini, hanno tuonato contro questa iniziativa. Difficile, in
momenti come questo, trovare nella geografia del Pd livornese, veltroniani che continuino a definirsi tali.

Luciano De Majo
PD, UN ISCRITTO SU TRE AI CONGRESSI
1 novembre 2010

Ora che le assemblee dei circoli del Pd sono terminate, è possibile affermare con certezza che Filippo Di Rocca
sarà segretario della federazione e Yari De Filicaia quello dell'Unione comunale. Niente di imprevedibile, visto
che si trattava di candidati unici, ma l'ufficialità c'è solo da poche ore, essendo finita la tornata di congressi
di circolo soltanto nella notte fra venerdì e sabato.

Di Rocca, 90 contras. Anche se i conteggi definitivi non sono ancora disponibili, dai primi dati che la
commissione per il congresso sta elaborando emerge che non sono state elezioni all'unanimità. Soprattutto
per ciò che riguarda la federazione. Nei vari circoli, la candidatura di Filippo Di Rocca ha raccolto una
novantina di voti contrari, la stragrande maggioranza dei quali concentrati nella città di Livorno, in alcuni
circoli in particolare. Gli osservatori della politica ci mettono pochi secondi a far rilevare che - guarda caso -
sono i circoli nei quali la ex mozione Franceschini era più forte, ma da qui a farne un caso politico ce ne corre.
Anche perché in città i votanti nei circoli democratici sono stati circa 1200 su 3500 iscritti (il 34 per cento,
poco più di un terzo) e una quota di contrari è fisiologica, soprattutto se si tiene conto dell'evolversi delle
dinamiche congressuali.

Circoli rivoluzionati. Sono quattordici (su ventiquattro) i coordinatori di circolo cambiati. Vale la pena,
dunque ricapitolarli tutti: a Shangai Matteo ha passato la mano a Gabriella Aquilini, alla Cigna Silvia Motroni
è subentrata a Luigi Pini. Al porto Mario Camici è stato eletto al posto di Yari De Filicaia, che sarà segretario
cittadino. A Ardenza La Rosa Simone Maltinti è il nuovo coordinatore, al posto di Angelo Di Cristo, mentre a
Colline Piero Tomei ha rilevato Rossella Lupi. Adriano Tramonti ha lasciato la guida del circolo di Salviano,
dove è stato eletto Valerio Ferretti. Cambio della guardia anche in Venezia (Davide Passetti al posto di
Michela Ria) e a Antignano, dove dall'unificazione col circolo di Montenero-Castellaccio è giunta l'elezione di
Marco Martelli (a Antignano c'era Maria Antonietta Maffei, al Castellaccio Marcello Faralli). Alla
componentistica auto Ilio Pancanti ha rilevato Federico Mirabelli e alla sanità Lorella Saviozzi ha preso il posto
di Massimiliano Cavaliere.

Dario Luchetti è il nuovo coordinatore di Coteto, al posto di Angelo Musmeci, Cristina Lucetti invece guida
Corea, dove è subentrata a Arianna Terreni, mentre Luciano Di Maria ha presto il posto di Bruno Failli al
circolo dei Ferrovieri e Alberto Silvestri è stato eletto in Borgo Cappuccini, rilevando Alessandra Del Bravo.
Ecco invece i circoli dove i congressi si sono conclusi con una conferma: Fabbricotti (Maria Lina Cosimi),
Centro città (Pietro Caruso), Fiorentina (Wladimiro Del Corona), San Jacopo (Spartaco Geppetti), Pontino (Edy
Simonini), Collinaia (Paolo Cecchi), Ambiente e servizi (Ilio Demi), Pubblico impiego (Carla Chiavacci),
Stazione-Sorgenti (Erika Gori) e Cantiere (Miriano Golfarini).

Comunale lontano. L'assemblea dell'Unione comunale non è stata ancora fissata. Dovrà esserci
necessariamente dopo quella della federazione perché servirà il "sì" di quest'ultima a creare la direzione
comunale, organo che al momento non è previsto ma che nascerà dopo l'insediamento del segretario Yari
De Filicaia.

Luciano De Majo
LA CHIAMANO UNIONE MA È DIVISA SU TUTTO
2 novembre 2006

Ma quest'Unione in salsa livornese s'ha da fare o no? Da Firenze piovono accuse piuttosto chiare: se gli
accordi fra centrosinistra e Rifondazione decollano con difficoltà, Livorno ha la sua buona parte di
responsabilità. Dei comuni con più di 15 mila abitanti del territorio livornese, solo Collesalvetti vede
Rifondazione partecipare attivamente al governo: il sindaco Nista ha scelto come sua vice Paola Turio,
portabandiera del partito guidato da Franco Giordano. Per il resto, Rifondazione è all'opposizione ovunque.

A cominciare dalla città capoluogo, dove ogni piccolo abbozzo di dialogo costa fatiche enormi. In due anni e
mezzo di mandato, il consiglio comunale di Livorno ha visto il centrosinistra unirsi solo su due questioni di
interesse locale: il commissariamento del porto e, giusto qualche settimana fa, un documento sul recupero
della ex caserma Lamarmora.

Fuori anche i Verdi. C'è da dire che per la costituzione dell'Unione a livello cittadino, ci sarebbe un altro
scoglio da superare: quello dei Verdi, che siedono sui banchi della minoranza di Palazzo Civico dopo essere
stati in giunta per sette-otto anni. E' un centrosinistra assai ristretto, insomma, quello guidato dal sindaco
Alessandro Cosimi, che nelle amministrative del 2004 ottenne il 54 per cento dei voti al primo turno pur
avendo contro i candidati di Rifondazione, dei Verdi e della lista civica d'ispirazione progressista «Città
diversa». In tutto, la cosiddetta «sinistra alternativa» conta in città su quasi il 20 per cento dei voti.

L'urbanistica divide. A rendere così difficile il cammino di questa possibile nuova alleanza per governare
Livorno sono proprio le diversità di valutazione sulle grandi scelte strategiche per il futuro della città.
L'urbanistica, per esempio, è un fattore di divisione costante fra il centrosinistra che governa e le minoranze
di sinistra: Salviano 2 è stato approvato coi voti contrari di Verdi e Rifondazione, i contratti di quartiere per
Shangai hanno sollevato lunghe polemiche, sulla Porta a mare pende addirittura un ricorso al Tar.

Energia e servizi. Per non parlare delle questioni che riguardano acqua, rifiuti ed energia. E' stata netta
l'opposizione di Rifondazione all'ingresso dei genovesi di Amga nel capitale sociale di Asa, considerato come
un cavallo di Troia per privatizzare la gestione di acqua e gas. Quanto all'energia, la protesta che non accenna
a scemare sulla realizzazione dell'impianto di rigassificazione off shore al largo della nostra costa è un altro
cuneo che allontana ancora di più giunta e opposizione.

Approfondimento. Guarda caso, proprio urbanistica, servizi pubblici, energia e mobilità saranno le questioni
al centro degli approfondimenti tematici cui Rifondazione ha dato il via in questi giorni, al termine della
riunione del proprio attivo cittadino. Non è esattamente un segnale di apertura di credito nei confronti dei
(possibili) futuri alleati, quanto la riaffermazione della volontà di discutere nel merito ogni questione, senza
deleghe in bianco per nessuno.

Luciano De Majo
LA FRONDA DEI FILO-MUSSI: «POCA DEMOCRAZIA DENTRO I DS»
4 marzo 2007

L'area Mussi-Spini dei Ds esce allo scoperto alla vigilia dell'avvio dei congressi di sezione del partito. Lo fa
presentandosi ufficialmente, con un documento nel quale ribadisce l'importanza del governo nazionale
dell'Unione e polemizza con le parole di D'Alema sull'«inaffidabilità di certa sinistra». Dal momento che non
si riferiva a Rifondazione, Verdi e Pdci, «viene da pensare che fosse impegnato in una disputa interna al nostro
partito», dicono i firmatari livornesi della mozione Mussi.

Non manca neppure una nota polemica tutta locale, che riguarda la gestione del partito. «Abbiamo sollevato
il problema anche nella riunione della direzione, alcune ore fa - diceva ieri mattina Vittorio Vittori - e stiamo
parlando della pari dignità di tutte le componenti che parteciperanno all'imminente congresso del partito».
Ciò che la mozione Mussi, che riunisce la cosiddetta «sinistra Ds» e i laburisti di Spini provenienti dal Psi,
rimprovera agli organismi dirigenti locali è il fatto di «non aver garantito la presentazione della mozione in
tutte le sezioni». «Era compito di chi dirige il partito - prosegue Vittori - agevolare un lavoro di preparazione
al congresso fatto di democrazia e di partecipazione. Questo tema lo avevamo posto anche nell'ultimo attivo
cittadino. Come si capisce, non è un fatto positivo. Si tratta di colmare un sostanzioso deficit di informazione».

Il primo elenco diffuso di coloro che hanno scelto la mozione che si oppone alla nascita del Partito
democratico comprende una trentina di dirigenti e militanti Ds. Ne fanno parte, fra le figure più note, il
capogruppo al Comune Vittorio Vittori e quello alla Provincia Marco Mazzi, i consiglieri comunali Mirko
Carovano, Franca Ragghianti e Susanna Mainardi, i consiglieri provinciali Mario Baldeschi, Franca Rossi e
Paola Sinatti. Poi altri personaggi conosciuti come il consigliere della Compagnia portuali Vladimiro Mannocci,
l'ex vicepresidente di Asa Silvano Cinuzzi, il presidente del Consabit Stefano Salvadorini, il segretario del Sunia
Giancarlo Braccini e altri ancora. Per domani sera la mozione Mussi organizza una cena al circolo Arci
«Norfini» di Colline, in via di Salviano 53.

Luciano De Majo
DISSIDENTI DS: «NOI, LA GAMBA SINISTRA DELL'UNIONE»
15 maggio 2007

Il debutto è andato oltre le più rosee aspettative, dicono dal quartier generale della Sinistra democratica.
Una volta erano i dissidenti Ds, ora sono qualcosa di più e di diverso. Il movimento che ha avuto il suo
battesimo ufficiale alla Fortezza Vecchia sembra avere un buon appeal, a sentire i suoi dirigenti, felici per
aver visto quasi 300 persone alla loro iniziativa.

E soddisfatti anche per il livello degli ospiti che non hanno fatto mancare la loro presenza. Vittorio Vittori,
capogruppo al Comune di questa nuova formazione politica, cita ad esempio l'intervento del segretario dei
Ds Marco Ruggeri, «ispirato a toni di franchezza e di rispetto» nonostante sia avvenuto a pochi giorni dalla
fine di un congresso doloroso, proprio per l'abbandono di una parte di militanti e di dirigenti. «E' stata - dice
Vittori - una manifestazione di civiltà del confronto politico molto apprezzata».

Alla fine della «due giorni», il Movimento della Sinistra democratica per il socialismo europeo, che nel
frattempo è arrivato a contare circa duecento adesioni, ha nominato un coordinamento, che nel giro di pochi
giorni provvederà anche a individuare un esecutivo. Del coordinamento fanno parte, attualmente, tutti
delegati della mozione Mussi ai congressi dei Ds e quelli della mozione Angius che poi hanno fatto la scelta
di non partecipare alla fase costituente del Partito democratico.

Nessuna sorpresa sulla collocazione di questo soggetto politico che muove i suoi primi passi. «Nei consigli e
nella società livornese - ha detto Vittori - lavoreremo perché si consolidi la gamba sinistra dell'Unione e quella
della coalizione di governo». E su questi punti sono arrivate anche proposte precise. La più importante,
annunciata nei giorni scorsi dal capogruppo in Provincia Marco Mazzi, è quella di una verifica programmatica
«al giro di boa delle amministrazioni locali». Tanto il sindaco Cosimi quanto il presidente della Provincia
Kutufà hanno mostrato attenzione per questa proposta, che da parte della Sinistra democratica è stata
dettagliata anche in relazione agli strumenti di programmazione regionale. Dal Piano di sviluppo al Piano di
indirizzo territoriale al Piano energetico: su tutto questo, e sull'intreccio con il Piano territoriale di
coordinamento cui sta lavorando la Provincia, la Sinistra democratica ha lanciato l'idea di un tavolo
provinciale «perché il centrosinistra si presenti ai cittadini livornesi con il proprio profilo di governo».

Fra gli ospiti che sono intervenuti, oltre a Ruggeri anche gli altri leader dei partiti dell'Unione: Pdci, Verdi e
Rc. E proprio verso Rifondazione, che rimane all'opposizione tanto nel Comune capoluogo quanto in
Provincia, è partito l'invito più accorato per cercare di dare una scossa a una situazione che non si muove da
anni. «Mettersi di traverso - sono state le parole di Vittori - alla prospettiva di costruire un quadro di governo
regionale più avanzato, trovando che tutto quello che si fa quand'anche non è da respingere non è mai
sufficiente per assumere un minimo di responsabilità, ha una conseguenza politica: una cospicua
rappresentanza elettorale e sociale spendibile per una politica di progresso rimane in un angolo». Chissà quali
potranno essere gli effetti reali determinati (anche in città) dalla nascita di questo nuovo soggetto, che pone
fra i suoi compiti quello, assai ambizioso, di provare a unire la sinistra.

Luciano De Majo
«LA SINISTRA SIAMO NOI, ORA UNIAMOCI»
13 dicembre 2007

«Con l'assemblea di Roma si è modellata la creta, ora bisogna metterci il respiro dentro». Sarà anche come
dice lui, Alessandro Trotta, e cioè che la citazione biblica non gli appartiene. Eppure è questo il più efficace
dei passaggi con cui il segretario di Rifondazione comunista valuta l'avvio del soggetto unitario che si muoverà
a sinistra del Pd: La sinistra, l'Arcobaleno. Non è da solo, Trotta. Insieme a lui, ci sono i numeri uno di Pdci
(Letizia Costa), Verdi (Angiolo Naldi) e Sd (Vittorio Vittori).

Tutti pronti a sostenere questo percorso che parte per arrivare a un approdo ancora non meglio definito.
Nessuno, per ora, parla di partito unico. Lo stesso Trotta ci tiene a ribadire che l'ipotesi federativa è quella
più adeguata, per una forza che muove i primi passi in mezzo a mille difficoltà. «La differenza col Pd - dice -
sta tutta qui: niente di predeterminato, non una sommatoria di partiti, ma un processo di apertura e di
ascolto reale. Poi assemblee cittadine, in tutta Italia, nelle quali capire a che punto siamo».

«Certo che i problemi ci sono - dice Letizia Costa, segretaria del Pdci - e neanche ce li nascondiamo. Ma non
possono diventare un alibi: il fatto vero, e nuovo, è che la sinistra era abituata frantumarsi, mentre ora si
ricompone. E lo fa partendo da una serie di argomenti concreti e importanti sui quali c'è una visione comune:
il lavoro, la pace, l'ambiente, i diritti». Angiolo Naldi, rappresentante dei Verdi, dice che «con questi compagni
di viaggio si sta bene: c'è disponibilità al dialogo e al confronto». «Ma per favore - precisa - non chiamateci
"cosa rossa", perché sarebbe limitativo delle tante sensibilità che ci sono. La sostenibilità dello sviluppo è uno
dei cardini di questo soggetto che nasce». Secondo Vittorio Vittori (Sd) «questo percorso è reso possibile da
due elementi: il primo è che, per la prima volta dopo 60 anni, tutta la sinistra è al governo; il secondo è che
le identità del '900 sono profondamente mutate, si sono intrecciate fra loro».

Ma a Livorno come la mettiamo con Rifondazione che è all'opposizione quasi in tutti gli enti locali e i Verdi
ne condividono spesso i destini? «Certo, lo sappiamo che quella livornese è un'anomalia», ammette Vittori.
«Specificità», lo corregge Trotta. Ma anche questo è un problema ritenuto secondario. «Perché - e su questo
tutti e quattro i soggetti federati nell'Arcobaleno sono d'accordo - la forza che nasce deve trovare sostanza e
legittimazione prima di tutto nella società». «Fosse il problema di un posto in più in questo o quel consiglio
comunale - conclude Vittori - un impegno del genere avrebbe poco senso».

Luciano De Majo
PDCI: RADIATO BARTOLI, SE NE VA MEZZO PARTITO
28 febbraio 2008

«Non intendiamo più essere iscritti al Partito dei comunisti italiani». In 70 sottoscrivono questa frase. 70
iscritti sui 215 della federazione livornese. E i numeri assumono dimensioni ancora più vistose se li si leggono
a livello comunale: 46 su 88 nella città di Livorno, 24 su 26 a Rosignano, 3 su 3 a Bibbona. E' questa la reazione
alla notizia, ormai ufficiale, della radiazione dal partito dell'assessore provinciale Simone Bartoli. Non
sospensione, come avvenuto per l'ex segretaria Letizia Costa, ma il provvedimento più duro: fuori dal partito
per ora e per sempre.

«Beh, ho precedenti illustri - commenta lui - come Umberto Terracini e Fabio Mussi, che furono espulsi dal
Pci e poi riammessi con tanto scuse. Ma non mi faccio illusioni: questo non è il Pci, nessuno mi chiederà
scusa». La lista dei dimissionari è lunga. E comprende nomi eccellenti, a cominciare dal vicesindaco
Alessandra Atturio. Poi l'assessore rosignanese Michele Bianchi, il capogruppo allo stesso Comune Diego
Giorgi. E ancora, tre capigruppo nelle Circoscrizioni livornesi: Dario Corso (alla 4), Maria Grazia Mencaraglia
(alla 3) e Manuela Atturio, che della Circoscrizione 2 è vicepresidente. C'è il vicepresidente dell'Aamps Cesare
Braccini, c'è il consigliere dell'Asa Valerio Cartei e quello della Labronica corse Mauro Bitossi, già della
segreteria della Cgil. Con questa serie di addii, il Pdci sparisce dai consigli comunali di Rosignano, Cecina e
Bibbona, dimezza la propria rappresentanza a Livorno, non c'è più nelle tre Circoscrizioni già citate. Insomma,
un terremoto niente male.

I retroscena. E' Simone Bartoli, l'esponente del Pdci colpito dal provvedimento più duro, a rievocare l'inizio
della vicenda, il sassolino diventato valanga col passare delle settimane: «Il 17 novembre il segretario
regionale Frosini venne a Livorno e disse con chiarezza che avrebbe voluto che il partito sostituisse la
segretaria Letizia Costa con il vice, Michele Mazzola, altrimenti saremmo stati commissariati. L'operazione,
spiegò Frosini, doveva essere fatta anche con consenso ampio. Noi gli rispondemmo che il congresso lo
avevamo già fatto». Da qui, partì l'ipotesi del commissariamento (poi concretizzatosi nella nomina di
Massimo Marconcini, responsabile regionale enti locali del Pdci), si svolse l'assemblea degli autoconvocati
nella quale lo stesso Bartoli parlò dei comportamenti di Frosini «degni di un piccolo Pinochet di provincia».
«E' questo - prosegue l'assessore provinciale - che mi è stato chiesto nell'interrogatorio al quale sono stato
sottoposto a Roma. Un colloquio surreale, coi toni ridicoli dell'inquisizione. Mi è stato chiesto se ero pentito
di ciò che avevo detto: ho risposto di no...».

Il futuro. «Questi compagni - stavolta a parlare è Letizia Costa - costituiscono il corpo militante vero del
partito. Sono quelli che hanno lavorato in tutti questi anni all'organizzazione delle nostre iniziative, nelle
campagne elettorali. Non se ne staranno con le mani in mano, ma andranno a far parte della Sinistra-
L'Arcobaleno, convinti che il compito dei comunisti italiani di oggi è quello di costruire un grande soggetto
collettivo di sinistra». Sulle possibili conseguenze che potranno esserci nelle istituzioni, la vicesindaco
Alessandra Atturio chiarisce ogni dubbio: «No, noi non ci dimettiamo. Siamo stati nominati dai sindaci o dal
presidente della Provincia ed è a loro che rimettiamo ogni valutazione. Abbiamo sempre lavorato con lealtà
e con impegno, non ci sottraiamo certo a questo passaggio. Lo dico per prima io che avevo la fiducia del
commissario Marconcini. E' una fiducia a senso unico, perché lui non ha la mia».

«Avremo da lavorare». Bartoli lascia la considerazione conclusiva alla situazione politica generale.
«Comunque vadano le elezioni - dice - non avremo più la sinistra al governo, in questo paese. Il nostro
compito è partecipare alla costruzione di un soggetto di sinistra che torni a riproporsi il tema del governo in
una alleanza con il Partito democratico. Sì, lo so che a rompere è stato proprio Veltroni, ma ho avuto la
sensazione che questa separazione sia stata consensuale, che qualcuno abbia preferito starsene dentro la
propria gabbia per contarsi. Io invece penso che dobbiamo fare tutt'altra cosa: sarà questo l'obiettivo per il
quale a mio avviso la sinistra deve lavorare».

Luciano De Majo
RIFONDAZIONE SULL'ORLO DELLA SCISSIONE
23 ottobre 2008

E' un cammino lungo, quello del possibile allargamento delle maggioranze dei nostri enti locali verso sinistra,
ma più passa il tempo e più sembra avvicinarsi il momento di una rottura traumatica dentro Rifondazione
comunista. Dopo il congresso che ha incoronato segretario Paolo Ferrero, l'area che fa riferimento al
principale sconfitto, il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, è ormai pronta alla resa dei conti, a
livello nazionale ma anche in periferia.

Ciò che si profila è, insomma, il decollo della «Costituente della sinistra» lanciata dalla Sinistra democratica.
Potrebbero approdarvi i «vendoliani» in uscita da Rifondazione e la minoranza del Pdci che seguirebbe l'area
guidata da Katia Bellillo: a Livorno, forse, questo potrebbe essere il destino dei fuoriusciti dai comunisti
italiani al momento del commissariamento del partito deciso dai vertici regionali.

Di annunci ufficiali, ovviamente, non si parla. Ma il dibattito organizzato ieri dall'associazione «Ziggurat»,
costituita proprio dagli ex Pdci con l'obiettivo di tener vivo il dibattito a sinistra, ha visto la partecipazione di
Marco Guercio, leader locale dell'area «Rifondazione per la sinistra». Alcuni dei passaggi dei suoi interventi
hanno, in effetti, confermato l'impegno a «fare di tutto perché Rifondazione possa riprendere una
elaborazione innovativa, come quella che abbiamo condiviso tutti». E se ciò non accadesse? Guercio non ha
fatto mistero che, a quel punto, «si porrebbe la necessità di fare scelte importanti», verificando «l'esistenza
di spazi politici» all'interno dello stesso partito. Più che un messaggio cifrato, insomma, è la certificazione
dell'apertura di una fase che potrebbe portare Rifondazione comunista alla spaccatura finale: da una parte
quelli pronti ad abbracciare il progetto di «costituente comunista» voluto anche da Oliviero Diliberto,
dall'altra quelli che intendono lavorare per quello che definiscono «un orizzonte più ampio».

D'altra parte, al di là dell'occasione pubblica di ieri, sono giorni che gli osservatori della politica, in questa fase
di avvicinamento alla campagna elettorale più attenti che in altri momenti, raccontano di incontri che hanno
visto la partecipazione di molti soggetti che si muovono nell'area che sta alla sinistra del Partito democratico.
E la novità che questa situazione è in procinto di portare sarebbe un allargamento dell'alleanza verso sinistra.
«Noi tenteremo di tenere vivo il dialogo con tutti - ha detto anche ieri Andrea Ghilarducci, coordinatore della
Sinistra democratica - per creare una sinistra che abbia un profilo chiaro e una cultura di governo».

La prossima tappa potrebbe essere la presentazione di un candidato di quest'area alle primarie di coalizione:
a quel punto, la presenza di un altro pezzetto di sinistra nell'alleanza che attualmente governa Comune e
Provincia sarebbe praticamente sicura.

Luciano De Majo
DECENTRAMENTO, A SINISTRA PROVE TECNICHE DI DIALOGO
25 giugno 2004

Elezioni passate da meno di due settimane e giunte locali da comporre (in certi casi, anche se non dalle nostre
parti, sono ancora da disputare i ballottaggi), ma nel campo del centrosinistra il confronto non si ferma
praticamente mai.

E' stata l'associazione "Aprile per la sinistra" a mettere attorno allo stesso tavolo Ds, Rifondazione, Pdci,
Margherita e Italia dei valori, in un confronto che voleva gettare lo sguardo su presente e futuro della
situazione politica. Una serata a metà fra analisi del voto e prospettiva, con l'incognita dell'alleanza fra Ulivo
e Rifondazione da qui alle politiche del 2006.

Gli spunti non sono mancati. E se, al di là degli auspici espressi, è possibile individuare un tratto comune fra
gli interventi dei rappresentanti delle varie forze, questo è indubbiamente la convinzione che, sì, Berlusconi
avrà pure perso, ma nel complesso le forze che appoggiano il suo governo a livello nazionale hanno mostrato
buona capacità di tenuta.

Così, se Letizia Costa, segretaria del Pdci, mette in luce «la difficoltà di spostare l'asse di un paese dove l'area
moderata rimane una presenza forte», Emiliano Chirchietti dell'Italia dei valori (in odore di ingresso nella
giunta comunale) lo dice ancora più chiaro: «I voti persi da Forza Italia rimangono nella coalizione di
centrodestra». Quindi sostiene un cambio di linea del suo partito: «Ci siamo presentati su posizioni di sinistra
e abbiamo raccolto un risultato deludente. Saremo più utili all'alleanza se sapremo intercettare i voti
moderati in libera uscita da Berlusconi». Ma non rinuncia all'idea di allargare l'intesa di governo locale a
Rifondazione: «Meglio non riempire tutte le caselle e lasciare qualche poltrona vuota, da riempire in futuro,
quando il quadro si farà completo».

Maurizio Scatena, leader locale della Margherita, compie una lunga riflessione sui flussi elettorali. Afferma
prima che il risultato della lista unitaria alle europee è da ritenere «un grande successo» e poi si lascia sfuggire
che «lo scivolamento a sinistra della coalizione è un elemento di preoccupazione», giusto pochi minuti prima
che intervenga Roberto Santi, dirigente di Rifondazione. Il suo intervento rende ancora più chiara la posizione
dei seguaci di Bertinotti: «Battere Berlusconi è una preoccupazione di tutti - dice - ma per farlo ci vogliono
progetti e politiche realmente alternativi a lui e alla destra».

A rappresentare i Ds, il segretario dell'Unione comunale (e da pochi giorni consigliere comunale anziano)
Marco Filippi. Prima una tiratina d'orecchie agli organizzatori dell'incontro («meglio invitare tutti, Sdi, Verdi
e tutte le altre forze del centrosinistra») e poi molte considerazioni a pochi giorni dall'apertura delle urne.

Sulle europee, Filippi ammette: «Non sono contento del risultato della lista unitaria, mi aspettavo qualcosa
di più», ma fa notare anche che «per la prima volta dal '94 a oggi il centrosinistra supera, sia pure di poco,
l'alleanza avversaria. Avevamo vinto nel '96, ma solo perché Polo e Lega erano ognuno per conto proprio».
E' sulle alleanze del futuro che il leader cittadino della Quercia individua i due punti di partenza: «Il
programma e le regole. Devono andare di pari passo - dice Filippi - in modo da stabilire meccanismi di
decisione sulle questioni che possono determinare giudizi non unanimi». E a livello locale, dove centrosinistra
e Rifondazione escono da una campagna elettorale che li ha visti divisi Filippi lancia una proposta per avviare
il disgelo con Rifondazione: «Ci sono livelli di governo dove è possibile lavorare insieme. Penso alle
circoscrizioni. Un segnale di questo tipo può aiutare a far crescere un'intesa più ampia».

Luciano De Majo
IL CONSIGLIO BALNEARE DI LIVORNO
3 agosto 2006

Quattro "buche" una dietro l'altra. Una serie degna di Paul Newman ai tempi dello «Spaccone». Ma la
quaterna, giurano al Comune di Livorno, non diventerà cinquina. E domani il Consiglio comunale si riunirà
regolarmente per dare il «via libera» alla costituzione di un consorzio necessario per mettere l'Atl, l'azienda
di trasporti, nelle condizioni di gestire le sue attività e di pagare gli stipendi ai dipendenti. Il tutto, contando
sulla totale autosufficienza di una maggioranza (l'alleanza Ds-Margherita-Pdci-Italia dei valori che sostiene il
sindaco diessino Alessandro Cosimi, 51 anni da compiere a novembre, eletto nel 2004 al primo turno con il
54% dei suffragi) che negli ultimi quindici giorni è andata incontro a quattro interruzioni consecutive del
Consiglio per mancanza di numero legale.

In due occasioni le sedute non sono neppure iniziate: una volta, addirittura, a rispondere «presente»
all'appello del presidente del consiglio Enrico Bianchi, sono stati appena 9 consiglieri. La volta successiva è
andata meglio (17 presenti), sempre meno dei 21 che rappresentano la quota minima per approvare delibere.
Gli altri due «rompete le righe» invece sono maturati dopo diverse ore di dibattito. Quando si è trattato di
andare al voto prima su un provvedimento urbanistico di un certo rilievo (una variante che fa riconverte il
complesso di una ex caserma a scopo abitativo per realizzare alloggi da assegnare a canone concordato) e
poi sull'adesione al Consorzio trasporti pubblici locali, le opposizioni, o almeno nel primo caso parte di esse,
hanno lasciato l'aula lasciando il Consiglio in braghe di tela, ovvero con 20 presenti, uno in meno del numero
legale.

Ciò che colpisce è, ovviamente, la regolarità e la sistematicità con le quali si è riscontrata la mancanza di
numero legale: quattro volte nelle ultime quattro sedute, con assessori e consiglieri «superstiti» che
rimangono di stucco mentre il presidente scioglie mestamente l'assemblea. Il fatto è che, negli ultimi quindici
giorni, questa maggioranza che nelle elezioni amministrative del 2004 si è assicurata 24 seggi sui 40 totali (25
su 41 contando anche il sindaco) si è scontrata con una strategia mai praticata prima dalle opposizioni, tanto
quella di centrodestra (Forza Italia, An, Udc, Amare Livorno, dieci consiglieri in tutto) quanto quella della
sinistra alternativa (Rifondazione comunista, Verdi, Città diversa, che mettono insieme sei seggi), che hanno
trovato il modo di creare difficoltà alla maggioranza di governo alle prese con un problema di presenza in
aula non indifferente.

Cose che accadono in piena estate, dicono le voci della maggioranza, che ci tengono a smentire nel modo più
categorico possibile la presenza del pur minimo problema politico. In effetti, almeno in un paio di casi, alcune
assenze sono state determinate proprio dal periodo tradizionalmente dedicato alle ferie: come quella dello
stesso sindaco, che si trovava in Sardegna per una breve vacanza ma che domani sarà regolarmente seduto
sul suo scranno.

Questa situazione, comunque la si veda, ha determinato un sostanziale blocco del funzionamento del
Consiglio, che dovrebbe essere interrotto proprio domani. «La maggioranza ha garantito 22 consiglieri
presenti», dice il presidente del consiglio Enrico Bianchi, che ha firmato la convocazione della seduta al
termine di una riunione dei capigruppo alquanto concitata, nella quale le opposizioni hanno ribadito la loro
contrarietà a questo ritorno in aula d'urgenza. Ma ciò che non va giù al centrosinistra «ristretto» che governa,
è che fra i protagonisti della sistematica uscita dall'aula ci siano anche Verdi e Rifondazione, oltre a «Città
diversa», una lista civica d'ispirazione progressista. Avanti di questo passo, il cammino dell'Unione, che a
Livorno, come in molte altre importanti città della Toscana, vede alcuni suoi pezzi al governo e altri
all'opposizione, appare più duro di una scalata dell'Alpe d'Huez.

Luciano De Majo
LA MAGGIORANZA SOFFRE IL MAL D'ESTATE
31 luglio 2007

Niente da fare: le variazioni al bilancio di previsione 2007 del Comune dovranno tornare in aula questa
mattina. Perché al momento di votare la ratifica della delibera di giunta del 7 giugno, nella tarda mattinata
di ieri, c'erano solo 19 consiglieri presenti, 2 in meno del numero minimo. Da qui, lo scioglimento della seduta
e il nuovo appuntamento a oggi, visto che la mancanza di numero legale impone al consiglio di non tornare
a riunirsi nella stessa giornata.

Che fosse una giornata difficile, per i numeri della maggioranza, lo si era intuito fin dalle prime votazioni, che
hanno sancito l'approvazione di alcune modifiche al piano triennale degli investimenti, che la commissione
aveva bocciato in quanto, pure lì, i consiglieri di maggioranza si erano presentati a ranghi ridotti. Dai banchi
delle opposizioni, man mano che il momento di votare si avvicinava, in molti controllavano il numero dei
consiglieri di maggioranza presenti. E quando ormai il consiglio sembrava in procinto di capitolare, ecco che
sono arrivati, in rapida successione, tre consiglieri pronti a garantire il numero legale: i diessini Gabriella
Aquilini e Massimo Ceccarini, e il rappresentante del Pdci Enzo Raugei, arrivato trafelato come un maratoneta
sulla linea del traguardo 5 minuti prima di votare.

«Mi chiedo se è un comportamento morale piombare in consiglio senza aver seguito il dibattito, votare e
prendere pure il gettone», tuonava il consigliere di Rifondazione comunista Otello Chelli. Il quale, insieme ai
colleghi del suo gruppo, dei Verdi, di Città diversa, di Forza Italia, An e Amare Livorno rimaneva comunque
fuori dall'aula. Il verdetto di queste prime votazioni, però, sorrideva alla maggioranza: 21 presenti, tutti del
centrosinistra e, naturalmente, tutti a favore. Per risparmiare tempo, il presidente del consiglio Enrico Bianchi
sceglieva di far votare per alzata di mano, anziché con l'apparecchiatura digitale che viene usato solitamente.
E rispondeva per le rime al capogruppo di Forza Italia Giuseppe Argentieri, che chiedeva conto di questo
comportamento inconsueto; «Non sta scritto da nessuna parte che si debba votare elettronicamente.
Abbiamo fatto così per guadagnare tempo, mentre voi siete usciti dall'aula».

Il provvedimento successivo, però, quello della ratifica alle variazioni al bilancio preventivo, è stato uno
scoglio insuperabile, visto che due consiglieri di maggioranza avevano lasciato la sala. «In commissione
andiamo sotto, in consiglio non vengono, ma che succede?», si lasciava sfuggire, visibilmente contrariata, la
vicesindaco Alessandra Atturio al momento di uscire dall'aula una volta ufficializzato il «rompete le righe».
Le ferie colpiscono senza pietà unendosi alle difficoltà di altro tipo che impediscono alla maggioranza di
garantire il numero legale (Susanna Mainardi, della Sinistra democratica, ha partorito da meno di un mese e
non è facile per lei presentarsi in consiglio). Forse evitare consigli comunali di questi tempi potrebbe essere
una scelta saggia.

Luciano De Majo
PROVE D'INTESA A SINISTRA
9 marzo 2009

Quasi vent'anni (diciotto, per l'esattezza) di divisioni e di scontri, dai toni a volte anche aspri. Tre campagne
elettorali amministrative (1995, 1999, 2004) combattute su sponde opposte, tanto nel Comune capoluogo
quanto nell'amministrazione provinciale. Una serie di distanze programmatiche notevoli su punti qualificanti
del futuro della città, sfociate anche in battaglie giudiziarie, come i ricorsi al Tar contro il rigassificatore e la
Porta a mare. Ora che si avvicinano le elezioni amministrative, Partito democratico e Rifondazione comunista
si parlano. Lo hanno fatto nei giorni scorsi e lo faranno ancora, nelle settimane che verranno. Con un obiettivo
chiaro, anche se nessuno ufficialmente lo conferma: battere tutte le strade possibili per arrivare a un accordo
per un sostegno comune alla candidatura del sindaco Alessandro Cosimi.

Se l'accordo ci sarà, non sarà soltanto fra Pd e Rc, ma con il cartello della cosiddetta sinistra alternativa, che
comprende anche Partito dei comunisti italiani e Sinistra democratica, due forze che fanno parte dell'attuale
maggioranza cittadina. Se invece le trattative si concluderanno con un niente di fatto nei rapporti fra
democratici e Rifondazione, non è detto che non si vada a costituire, comunque un'alleanza nella quale
saranno anche comunisti italiani e Sd. Ma si tratta di un'ipotesi nettamente subordinata a quella principale:
il proposito di tutti è chiudere un accordo, e al più presto, visto che ormai la campagna elettorale è alle porte.

E' una pluralità di fattori a spingere le due componenti a dialogare. Fattori che sono, prima di tutto, politici:
ora che la tendenza, nel paese, sembra comunque essere favorevole ancora al centrodestra, qui si fa largo la
volontà di presidiare un baluardo fondamentale, di far capire che difficilmente le armate berlusconiane, per
quanto attrezzate e disposte a riversare fiumi di soldi (sempre che lo facciano) per queste elezioni comunali,
potranno sfondare. E sfondare non vuol dire vincere: a Livorno, per fare notizia e ritagliarsi un posto al sole
nei tg nazionali sarebbe sufficiente costringere il centrosinistra al ballottaggio. Altro elemento, anche questo
da non sottovalutare, la partecipazione a queste elezioni dell'ex sindaco Gianfranco Lamberti, al quale
Rifondazione non ha mai concesso spiragli di dialogo avversando ogni sua scelta. Anche quelle che, negli anni
successivi, sono state poi confermate dall'amministrazione guidata da Cosimi.

Ed è qui, vale a dire il terreno programmatico, che possono sorgere le difficoltà maggiori, sulla strada
dell'accordo: non è facile capire quali siano i termini della possibile intesa. Dato per scontato che le scelte
approvate in passato (Porta a mare, rigassificatore, Nuovo centro) non possono tornare in discussione a ogni
piè sospinto, potrebbero essere due gli elementi su cui il centrosinistra, questa volta tutto unito, si accinge a
costruire una stagione nuova per la città: la questione della nuova manovra territoriale, e quindi una
valutazione attenta degli indirizzi sulla variante generale al Piano strutturale della quale si parla ormai da un
paio d'anni, e quella della ripubblicizzazione dell'acqua, non solo in termini di proprietà ma anche di gestione.

Il sindaco Cosimi ha ben presente che un accordo che includesse anche Rifondazione rappresenterebbe una
sorta di assicurazione sulla vita contro il ballottaggio, sulla sponda del partito guidato da Alessandro Trotta
c'è la consapevolezza che rimanendo fuori dai giochi per la quarta volta consecutiva c'è il rischio, assai
concreto, di ridursi al ruolo di una forza residuale e scarsamente capace di incidere.

Luciano De Majo
TRE SPINE NELLA MAGGIORANZA: RIMPASTO DI GIUNTA, PORTO
E REFERENDUM SULL'OSPEDALE
15 agosto 2010

L'acquazzone ferragostano avrà pure spento le velleità dei livornesi del tuffo di mezzanotte, ma gli spiriti
della politica restano bollenti, fra scelte sempre rimandate, scadenze da brivido e regolamenti di conti
all'orizzonte.

Cosimi, grane da sindaco. Il referendum sull'ospedale è sicuramente una delle gatte da pelare più
imbarazzanti per il sindaco Alessandro Cosimi. Ora che i referendari hanno ottenuto il sì ufficiale del collegio
di garanzia, tocca a lui prima di tutto indicare la data della consultazione e poi gestire una campagna
referendaria che vedrà l'amministrazione schierata a difesa della delibera che sancisce la scelta di Banditella
sud. Ma ad angustiare Cosimi nelle sue (per la verità brevi) vacanze è anche la questione dell'assetto di giunta.
L'assessore al sociale manca ormai da mesi, lui ha provato e riprovato a nominarlo, ma ha ricevuto diversi
"no", a cominciare da quello dell'ex presidente della Circoscrizione 4 Marco Cavicchi, per proseguire poi col
presidente del consiglio comunale Enrico Bianchi e con l'assessore Carla Roncaglia (che ha voluto mantenere
la delega alla scuola). È circolata anche l'ipotesi di Anna Aiello, della Comunità di Sant'Egidio: niente da fare
anche in questo caso. Ma il vero sogno di Cosimi, e non da oggi, era riuscire a imbarcare in giunta Marida
Bolognesi, troppo impegnata sul fronte della battaglia interna al partito, principale sostenitrice di
Franceschini all'epoca delle primarie. Forse, finito il congresso del Pd a ottobre, se lei diventasse disponibile
la quadratura del cerchio si avvicinerebbe: Bolognesi al sociale e Massimo Gulì ai quartieri nord, magari con
un occhio alla politica abitativa.

Pd, transizione eterna. E a proposito di congresso del Pd, un altro che si trova al centro di diversi attacchi è
Marco Ruggeri. E' ancora segretario dei democratici malgrado siano passati cinque mesi dalla sua partenza
per la Regione (e per la segreteria regionale del partito), il che non gli consente ancora di osservare la realtà
livornese con distacco. La festa che il Pd aprirà alla Rotonda giovedì prossimo non sarà solo un'occasione per
mangiare zuppa e salsicce guardando il mare, ma anche per avvicinarsi a un congresso che si pone un
obiettivo senza precedenti, per una forza che si è sempre divisa sulle mozioni: l'unità, almeno sul documento
politico d'indirizzo. E se il candidato alla segreteria sarà il solo Filippo Di Rocca, pronto a cominciare
ufficialmente la propria corsa davanti alla direzione, il rischio è che la partecipazione alle assemblee dei
democratici si abbassi sensibilmente.

Gianfranco il buonista. Questo Gianfranco non è Fini, ma Lamberti. Da acerrimo nemico del Pd, al punto da
candidarsi a sindaco contro l'alleanza guidata dai democratici, oggi è in fase buonista, come dice lui stesso.
Lo senti sostenere a spada tratta Roberto Piccini per la conferma all'Authority, talvolta più del partito cui
Piccini appartiene, lo vedi portare avanti la battaglia per la nomina di Solimano garante dei detenuti, in modo
da ricondurre a più miti consigli anche i "malpancisti" dell'Italia dei valori, capisci insomma che un anno dopo
la campagna elettorale le cose sono cambiate. Sulla vicenda del basket, Lamberti non molla d'una virgola e
chiede a gran voce chiarezza. Ma il "mai dire mai" su un possibile riavvicinamento al partito che del resto
aveva contribuito a fondare è un elemento importantissimo: non è un caso che parlerà alla festa democratica
della Rotonda, presentando un libro.

Pdl, guerra infinita. Più che una sede politica, quella del Pdl sembra una questura: un commissario (Massimo
Parisi) e un commissario vicario (Riccardo Migliori) saranno gli uomini incaricati di rimettere insieme i cocci.
Zingoni, l'ex coordinatore entrato nel novero dei vice coordinatori regionali, ha lasciato un partito percorso
da divisioni interne terribili, da lacerazioni difficilmente sanabili. Se il gruppo guidato da Marcella Amadio
guarda con favore al lavoro che potranno fare i commissari, quello avversario (Taradash-Tamburini) non esita
a chiedere l'espulsione dei dissidenti. E per il nome del nuovo coordinatore provinciale, dopo il congresso
che forse sarà svolto a primavera 2011, ecco spuntare il cecinese Paolo Barabino, gradito a Matteoli, l'uomo
che un anno fa ha costretto al ballottaggio il Pd a Cecina.

La sinistra che non c'è. Frattanto a sinistra del Pd i dolori sono sempre più vivi. Appena quattro anni fa,
Rifondazione e comunisti italiani mettevano insieme il 16 per cento dei voti alla Camera e addirittura il 21 al
Senato. Nelle regionali dello scorso marzo hanno ottenuto il 7,5. Lorenzo Cosimi e Michele Mazzola, leader
dei due partiti che ormai marciano verso una sostanziale unificazione, sono attesi davvero da un compito
impegnativo.

Luciano De Majo
PROVE DI DIALOGO TRA PARTITI E ULTRÀ
2 marzo 2003

Il rischio reale che la città corre è che ci sia una militarizzazione crescente attorno ad ogni partita del Livorno.
Cui si collega una diretta conseguenza: che lo stadio non sia più un posto per famiglie ma per gruppi che si
trovino a proprio agio in questa logica. Cosa fare per evitarlo? I tre principali partiti della sinistra (Ds, Prc,
Pdci) e l'associazione Aprile-Per la sinistra ne hanno discusso con i rappresentanti di club amaranto e Bal, le
brigate autonome livornesi, e col sindacato di polizia Cgil-Silp.

Il confronto, promosso da Rifondazione e diretto dal giornalista del "Tirreno" Federico Buti, era dedicato a
un argomento di estrema attualità, e anche di grande delicatezza. A nessuno, insomma, sfugge l'importanza
di questi temi: tantomeno ai leader provinciali delle tre forze politiche (Cosimi per i Ds, Trotta per il Pdrc e
Letizia Costa per il Pdci) che per la prima volta erano seduti attorno allo stesso tavolo in un dibattito pubblico,
cosa mai verificatasi neppure davanti ad emergenze socio-economiche non meno cruciali per la città.

Un confronto fuori dagli schemi e dai convenevoli. Non un salotto caratterizzato da colpi di fioretto, ma una
palestra di dibattito libera da ogni tipo di formalismo. Costante la condotta dei rappresentanti delle Brigate
autonome livornesi Lenny Bottai e Igor Nencioni: a chi invocava la necessità di dialogo fra tifosi, sindacati di
polizia e città, la risposta è stata chiara: "Il dialogo può esserci a partire dal ritiro delle diffide ingiustamente
comminate ai nostri compagni". Una frase dentro la quale si esprimono due concetti fondamentali: il primo,
secondo cui molti dei "Daspo" comminati dalla questura dopo Livorno-Sampdoria erano ingiustificati."Hanno
colpito - spiegano i due leader delle Bal - persone che erano in campo a togliere gli striscioni, muniti di
regolare pass". Con Alessandro Bini, dirigente del Livorno calcio, che ammette che "la società intendeva
mediare con la questura, ma non c'è stato niente da fare".

Il secondo è l'uso della parola "compagni": non è un mistero che la curva nord dello stadio si caratterizzi a
sinistra e che fra i personaggi più venerati ci siano Stalin e "Che" Guevara. Binomio improbabile da conciliare,
come azzarda Luca Filippi del Silp-Cgil? "Assolutamente no - risponde Bottai - leggete gli scritti del Che e ve
ne accorgerete".

Disquisizioni storiche a parte, il dibattito si è anche posto l'eterno interrogativo: quale legame fra stadio e
politica? Vittorio Vittori (Aprile-Per la sinistra) ha sostenuto che "le connessioni fra la proprietà delle società
e gli interessi politici generali sono evidenti: il tifo è soggetto politico e ha responsabilità di carattere
generale".

Tra i punti più dolenti, i rapporti con le forze di polizia. Rispetto a qualche tempo fa lo scontro si è
radicalizzato: perché? Dalla platea si alzano a ripetizione a dire che dopo il cambio di questore c'è stato anche
un mutamento di atteggiamento delle forze dell'ordine. In un caso, l'ennesima interruzione del dibattito da
parte di un ultrà tra il pubblico viene anche fermata con le maniere spicce dagli stessi «compagni». Ma Igor
Nencioni ribadisce:"C'è un disegno predeterminato, vogliono eliminarci tutti. La repressione contro le Brigate
autonome c'è anche fuori dallo stadio". Il perché lo si riconduce, da parte dei tifosi, alle motivazioni politiche.
"Sanno come la pensiamo - dice Lenny Bottai - e ce la fanno pagare. E magari poi vediamo gli uomini del
reparto celere con svastiche e distintivi della X Mas".

Alessandro Trotta prima e Alessandro Cosimi poi avvertono: "Volete dignità di soggetto politico? L'avrete,
ma sappiate che aumenteranno le vostre responsabilità". Cosimi insiste sul fatto che "un soggetto politico
vive se riesce a parlare con gli altri", Trotta sulla necessità di evitare "la divisione irreparabile dei fronti". Lo
stesso Patrizio Lo Prete, segretario del Silp Cgil, dice che"è necessario non bloccare il dialogo". E che questi
sono tempi difficili, con un governo di centro destra: "Non possiamo permetterci di sbagliare, tutti quanti. Il
rapporto con la piazza sta cambiando". E' passata l'una di notte quando si sente la melodia di "Bandiera
rossa", ma è solo la suoneria del telefonino di un tifoso. Il dibattito volge al termine e Trotta tenta di
valorizzare un elemento positivo della serata: "Fra noi si è incrinato il muro della diffidenza. Nessuno vi chiede
di cambiare, ma almeno ci siamo parlati. Dobbiamo continuare a farlo".

Luciano De Majo
ALL'OMBRA DELLA QUERCIA IL MAL DI PANCIA DEI PORTUALI
5 luglio 2003

Deve averne sofferto di caldo Vladimiro Mannocci, dirigente della Compagnia portuali, entrato nella sala
riunioni del quartier generale diessino di via Fagiuoli con tanto di giacca e cravatta, per uscirne cinque ore
dopo. E come lui decine di altri dirigenti della Quercia, che non hanno esitato a sfidare le temperature
tropicali di quest'estate appena iniziata, pur di discutere senza rete dell'Autorità Portuale e del suo
commissariamento.

E' stata la notte più lunga, almeno di questi ultimi tempi. Altro che scetticismi sui blocchi ai treni carichi di
armi in vista della guerra in Iraq, altro che divisioni referendum sull'articolo 18...

I Ds hanno discusso quasi fino alle 3 del mattino, in un'afosa serata di luglio che solo le raffiche del libeccio,
ogni tanto, hanno reso più accettabile. La direzione alla fine partorisce un documento che ribadisce tutti i
rischi connessi alla decisione del ministro di sciogliere il nodo gordiano dell'Authority alla maniera di
Alessandro Magno, con un colpo di spada ben assestato. Ventidue righe cui è affidato il gravoso compito di
sintetizzare una serata delle più delicate vissute dai Ds in questi ultimi tempi.

L'avvio. Poco dopo le 21 la federazione di via Fagiuoli inizia a riempirsi. Uno dopo l'altro, arrivano i big. Ci
sono tutti: segretario della federazione e dell'Unione comunale, sindaci di Livorno e di Rosignano, presidente
della Provincia, alcuni assessori, il deputato e il consigliere regionale, il presidente della Spil, il segretario della
Cgil, diversi dirigenti della Compagnia portuali fra cui il presidente e l'ex console, il direttore generale della
Cna, il presidente della Legacoop provinciale e quelli di Arci e Uisp. Manca solo il presidente uscente
dell'Authority Nereo Marcucci. Che però da tempo non si vede alle riunioni della direzione.

Notte da marciapiede. «La direzione è riservata», spiegano al cronista alcuni dirigenti, invitandolo ad uscire.
Non resta che trascorrere qualche ora sul marciapiede, col favore del caldo che costringe ad aprire le porte
e diffonde all'esterno qualche passo di un dibattito che si allarga anche fuori dai locali del partito, quando
qualche membro della direzione esce per la classica sigaretta. A domanda di prassi («come va?») fanno eco
risposte di prassi: «Dibattito sereno e unitario», seguita a volte da qualche sorriso ironico.

Mal di pancia. Non è un mistero che una riunione del genere faccia affiorare mal di pancia diffusi, per come
è andata a finire la vicenda dell'Autorità portuale. Normale che il segretario della federazione Alessandro
Cosimi insista sull'inaccettabilità del metodo di nomina adottato dal governo, altrettanto normale che sia
proprio la comunità portuale quella più in subbuglio, nel maggiore partito della città. Accade così che sia
Roberto che Italo Piccini intervengano e non manchino di segnalare, anche con toni decisi, le gravi
responsabilità del governo ma anche i limiti fatti segnare dal territorio, sia dal partito che dalle istituzioni. Ed
è difficile capire se sulla graticola siano più i vertici di via Fagiuoli o gli amministratori. Nei giorni scorsi anche
il segretario della sezione porto Sergio Casarosa aveva promosso una riunione per discutere del tema. E pure
lui non ha mancato di presentarsi alla tribuna degli oratori.

Che fare? La difficoltà dei Ds a rapportarsi con il tessuto economico-produttivo della città, ecco un altro
elemento risuonato in diversi passaggi carpiti, qua e là, nella lunga lista degli interventi. In molti hanno inteso
mettere in guardia il maggior partito della città dal condurre una battaglia contro Lenzi. Il nemico da battere
è, insomma, il commissariamento, non una persona. L'imperativo è superarlo al più presto, ma come?
Inconfondibile è la voce del consigliere regionale Virgilio Simonti quando dice di avvertire l'esigenza di una
riunione che veda coinvolti i gruppi dirigenti nazionali, regionali e locali dei Ds. E' l'unico modo, forse, per
trovare la difficilissima quadratura del cerchio: un nome unico su cui concentrare la spinta di tutta la città,
Camera di Commercio compresa, e anche dell'intero partito, dalla segreteria nazionale alla sezione porto di
Livorno. Per i portuali questo nome c'è già ed è quello di Franco Mariani.

Chiusura senza strappi. Alla fine tocca ancora a Cosimi tirare le somme. Diverse sono le interruzioni delle
conclusioni, che il segretario della federazione, più che subire, sembra auspicare, a conferma del bisogno di
unità che trasuda ben oltre le porte-finestre della sede Ds. Una chiusura all'insegna del "vietato sbagliare",
almeno di qui in avanti. Nella speranza che all'orizzonte possa spuntare una soluzione in grado di andare oltre
un presente ingarbugliato.

Luciano De Majo
PARLANO LE TUTE BLU DEL CANTIERE
«COSA CHIEDIAMO? CERTEZZE»
4 dicembre 2003

«Come ci sentiamo? Come prima. E ora che c'è stata la firma finirà che dovremo anche guardarci in cagnesco
fra di noi, fra noi lavoratori. Per sapere chi andrà con Azimut e chi con altre società. Una guerra fra poveri,
ecco che cosa sarebbe». Guai chiedergli di mettere nome e cognome sotto queste parole, ma la faccia è
quella di un impiegato che in Cantiere ha vissuto e vive da anni. Quando l'una è passata da una mezz'ora e la
pausa del pranzo volge al termine, quel circolo Astra che qualche anno fa brulicava di gente in attesa di
rientrare in fabbrica ora si presenta quasi deserto.

I lavoratori, i pochi che non sono in cassa integrazione, scendono alla spicciolata dal self-service dove
consumano il loro pasto.

Impiegati e operai, eccoli fianco a fianco: lo sanno che è il "day after". Hanno letto i giornali più e più volte,
ma in loro il disincanto è più forte della fiducia. Ne hanno viste tante, dalla fine dell'era Fincantieri alla grande
speranza della cooperativa, al naufragio con il fallimento evitato in extremis, all'odissea degli ultimi mesi.

«Ci sentiamo soli - dice un altro del gruppetto che si ferma a parlare con il cronista - neppure i sindacati sono
stati informati di quanto stava succedendo. Solo oggi (ieri pomeriggio, ndr) l'amministratore delegato li
convocherà». Ma sui sindacati c'è anche chi ironizza, senza perdere lo spiritaccio livornese: «Fino a qualche
giorno fa ti dicevano di stare buono perché c'era ancora da firmare. Oggi invece ti dicono che protestare è
inutile perché ormai tutto è già stato firmato».

Quello che chiedono i lavoratori del Cantiere è un futuro all'insegna della certezza. «Vogliamo sapere che
fine faremo», dice sicuro un operaio, la tuta verde sotto il giubbotto. «Qui volano cifre astronomiche, milioni
di euro come se piovesse. Ma su noi lavoratori, nessuna parola».

C'è anche chi accenna a possibili problemi di realizzazione del progetto Porta a mare: «Fra i tanti discorsi che
abbiamo sentito, ci sono stati anche quelli su aspetti non legali. Dicono che le case in questa zona non
potranno essere costruite. Ma gli yacht, quelli sì. E noi quelli dobbiamo fare», taglia corto un altro operaio,
quasi a voler chiudere esortando i compagni a rientrare.

Il fantasma del passato affiora qua e là. «Ce lo hanno promesso in tanti - è un altro operaio a prendere la
parola - che faranno chiarezza sul passato, su che cosa è successo. Ma intanto noi abbiamo paura. Paura per
ciò che potrà succederci: quando rientreremo, e dove?».

Le ultime parole sono quelle di un altro impiegato. Anche quelle piene di amarezza: «Abbiamo sbagliato
anche noi lavoratori? Magari. Sì, sarei stato contento di poter sbagliare. Invece non è mai successo: dal '96
in poi, dall'inizio della coop ad oggi. Tutte scelte obbligate, prendere o lasciare. Compreso quest'ultima su
Azimut. Mai una decisione libera».

Luciano De Majo

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