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Elementi di Economia della Previdenza

(di Sergio Nisticò)


1 Introduzione ........................................................................................................ 2
2 I quattro ‘modelli’ pensionistici .......................................................................... 2
3 I fondi a ripartizione e prestazione definita......................................................... 4
3.1 L’aliquota di equilibrio ................................................................................................... 6
3.2 Il rendimento implicito delle generazioni ...................................................................... 8
3.3 Sostenibilità ed equità prima delle riforme degli anni ‘90 ........................................... 9
3.4 Il debito (implicito) previdenziale................................................................................. 12
4 I sistemi a capitalizzazione e contribuzione definita......................................... 14
5 I sistemi a capitalizzazione e prestazione definita ............................................ 16
6 I sistemi a ripartizione e contribuzione definita ................................................ 17
6.1 Il rendimento sostenibile ............................................................................................... 17
6.2 Approfondimenti ............................................................................................................ 19
6.2.1 .......... Il problema delle pensioni d’annata ............................................................... 20
7 Lo schema NDC: modelli teorici e realizzazioni pratiche ................................ 22
7.1 Lo schema ‘canonico’ .................................................................................................... 26
7.1.1 .......... Equità e sostenibilità ...................................................................................... 26
7.1.2 .......... Commenti....................................................................................................... 26
7.1.3 .......... Equità e sostenibilità in assenza di steady state ............................................. 30
7.2 Le riforme contributive italiana e svedese ................................................................... 31
7.2.1 .......... Gli aspetti salienti .......................................................................................... 31
7.2.2 .......... Ulteriori aspetti .............................................................................................. 33
8 Appendice ......................................................................................................... 44
8.1 Il rendimento implicito in un progetto PIPO .............................................................. 44
8.2 Il rendimento implicito in un progetto CICO ............................................................. 46
8.2.1 .......... L’equazione che determina il rendimento implicito ...................................... 48
Bibliografia ............................................................................................................ 50

1
1 Introduzione
I sistemi pensionistici pubblici sono nati, a cavallo del XIX e del XX secolo, come
risposta di alcuni Stati, al fenomeno della diffusa povertà tra i lavoratori che
sopravvivevano al momento della raggiunta impossibilità, per ragioni anagrafiche, di
ottenere attraverso il mercato una contropartita per i propri servizi lavorativi. La
risposta dello Stato al problema della povertà ‘per vecchiaia’, un problema che era stato
precedentemente ‘gestito’ dall’organizzazione familiare e dalla carità, avrebbe potuto
prendere la forma di un reddito garantito, da finanziare attraverso la fiscalità generale,
al compimento di una determinata età. Ciò nonostante, la quasi totalità dei sistemi
pensionistici pubblici prese la forma dell’assicurazione obbligatoria per la vecchiaia
ovvero dell’obbligo da parte dei lavoratori e dei datori di lavoro di pagare un premio
(una contribuzione) ad un ente pubblico di previdenza per proteggere i lavoratori dal
cosiddetto ‘rischio di longevità’.
Le pagine che seguono contengono un’analisi delle proprietà economiche
essenziali di questa specifica forma di previdenza, la componente più importante e
‘costosa’ dei moderni sistemi di welfare.

2 I quattro ‘modelli’ pensionistici


Un sistema pensionistico si caratterizza sotto i due seguenti profili:
• il metodo di finanziamento;
• il metodo di aggiustamento dei contributi e delle prestazioni agli shock
economici e/o demografici.
Sotto il primo profilo, un fondo può essere a ripartizione o a capitalizzazione. Sotto
il secondo profilo, può essere a prestazione definita o a contribuzione definita.
Nei sistemi a ripartizione, le prestazioni da erogare in un qualsiasi periodo di tempo
sono finanziate dal gettito contributivo riscosso nello stesso periodo di tempo. Di
conseguenza, i sistemi a ripartizione si reggono su un patto tra le generazioni, garantito
dal gestore del fondo (lo Stato nei sistemi pubblici), in base al quale i lavoratori attivi
di ciascun periodo, i cui contributi sono ‘immediatamente’ trasferiti ai pensionati,
acquisiscono una sorta di diritto a vedersi trasferire sotto forma di pensioni i contributi
delle future generazioni di lavoratori attivi. Una caratteristica importante dei fondi a
ripartizione è che essi possono erogare prestazioni sin dal loro nascere anche alle
generazioni che non avevano precedentemente versato alcuna contribuzione. A fronte
di questa possibilità di elargire un dono alle prime generazioni di pensionati, i sistemi
a ripartizione non possono mai “essere chiusi”, pena l’impossibilità di rimborsare il
credito alle generazioni che hanno, in varia misura, contribuito al finanziamento delle
pensioni già erogate.
Nei sistemi a capitalizzazione, poiché i contributi versati da ciascuna generazione
di lavoratori sono accantonati in un fondo, le prestazioni da erogare in un qualsiasi
periodo di tempo a ciascuna generazione sono finanziate attingendo alle risorse che si
sono nel tempo accumulate per stratificazione di contributi versati dalla stessa
generazione al lordo degli interessi maturati sugli impieghi del fondo. In altre parole,
versando i contributi ad un sistema a capitalizzazione, ogni generazione acquisisce il
diritto, garantito dal gestore del fondo, a vedersi restituire sotto forma di rendite
pensionistiche, tutti e soli i contributi da essa versati al lordo degli interessi maturati e
al netto dei costi di gestione. Come si vedrà più avanti, tale diritto non è necessariamente
in capo ad ogni singolo individuo della generazione. La necessità di accantonare i
contributi versati da ciascuna generazione impedisce ai sistemi a capitalizzazione di

2
erogare prestazioni sin dal loro nascere. A fronte di questa impossibilità di elargire un
dono alle prime generazioni di pensionati, i sistemi a capitalizzazione possono “essere
chiusi” in qualsiasi momento, vista la possibilità di rimborsare il credito maturato da
ogni generazione di contribuenti.
Oltre a scegliere il metodo di finanziamento, i sistemi pensionistici devono darsi
delle regole per il calcolo della prestazione pensionistica e per la determinazione della
contribuzione (del premio assicurativo). In presenza di condizioni economiche e
demografiche stabili, tali parametri potrebbero essere stabiliti dal legislatore e non
essere soggetti a revisione se non per eventuali mutamenti di orientamento politico.
Nella realtà, tuttavia il rischio di longevità, e quindi l’eventualità che il sistema debba
effettivamente erogare una prestazione, nonché la durata della prestazione stessa, sono
grandezze tutt’altro che stabili. Esse sono strettamente legate alla cosiddetta speranza
di vita, ovvero il numero medio di anni di vita residuo di un individuo che abbia
raggiunto una certa età, che è in continuo aumento nella maggior parte dei paesi del
mondo. D’altra parte, non solo le uscite ma anche le entrate di un sistema pensionistico
sono tutt’altro che stabili. Esse dipendono dal numero e dal reddito medio dei lavoratori
chiamati ad assicurarsi nonché, per i sistemi a capitalizzazione, dal rendimento del
fondo. Per i sistemi a ripartizione, è in particolare la dinamica del cosiddetto quoziente
o indice di dipendenza degli anziani, ovvero il rapporto tra il numero di persone di età
superiore a 65 anni (potenziali pensionati) e il numero di persone in età compresa tra
15 e 64 anni (potenziali lavoratori), a richiedere periodiche modifiche delle regole al
fine di garantirne la loro sostenibilità finanziaria.
I sistemi a prestazione definita reagiscono agli shock economico-demografici
modificando l’importo della contribuzione a carico dei lavoratori ma non la regola di
calcolo della prestazione spettante ai pensionati. La pensione che i sistemi a prestazione
definita promettono di pagare può essere ‘retributiva’, se commisurata ai redditi
guadagnati durante il periodo di lavoro, oppure in somma fissa, indipendente dalla
storia retributiva del lavoratore. Le pensioni calcolate con la regola retributiva sono
anche dette ‘di tipo Bismarck’ con riferimento al sistema di assicurazione obbligatoria
contro la vecchiaia introdotta nel 1886 in Germania dal cancelliere Otto von Bismarck
(1815-1898). Le pensioni in somma fissa sono anche dette ‘di tipo Beveridge’ con
riferimento al noto Rapporto Beveridge, elaborato nel 1942 dall’economista e
funzionario governativo inglese William Beveridge (1879-1963), i cui principi
ispirarono la costituzione del welfare state britannico introdotto dal governo Attlee
all’indomani della fine della seconda guerra mondiale.
I sistemi a contribuzione definita reagiscono agli shock adeguando l’importo della
prestazione a favore dei pensionati senza modificare il prelievo contributivo a carico
dei lavoratori. In linea di principio, tali sistemi potrebbero adottare regole di calcolo
della prestazione sia di tipo retributivo sia in somma fissa, demandando a continue
riforme parametriche il compito di adeguarne il livello alle mutevoli condizioni
economiche e demografiche. D’altra parte, i sistemi a contribuzione definita hanno
tradizionalmente adottato una diversa regola, in Italia detta ‘contributiva’, che prevede
la corrispondenza tra le pensioni che il sistema si aspetta di dover corrispondere e il
valore dei contributi versati dal lavoratore fino al pensionamento. Infatti, come sarà
chiarito più avanti, tale regola consente di disegnare un sistema pensionistico la cui
sostenibilità finanziaria è garantita ‘automaticamente’ quale che sia l’aliquota
contributiva scelta dal legislatore e senza richiedere alcun tipo di riforma parametrica.
La combinazione dei due metodi di finanziamento di un sistema pensionistico con
i due metodi di aggiustamento agli shock genera i quattro schemi (o modelli)
pensionistici fondamentali presentati come elementi della matrice 2 ´ 2 nell’accluso

3
Quadro I.1. Possono essere definiti ‘tipici’ gli schemi A11 e A22, indicati lungo la
diagonale principale della matrice, in quanto ad essi si ispira, o si è ispirata, la maggior
parte dei sistemi conosciuti; invece, hanno avuto scarsa diffusione gli schemi ‘atipici’
A12 e A21 indicati lungo la diagonale secondaria.
Nell’ambito degli schemi tipici, lo schema A22 ha avuto diffusione nel periodo
compreso fra le due guerre, ma la quasi totalità dei sistemi pensionistici si è
successivamente convertita allo schema A11. A partire dai primi anni ‘90, allorché le
dinamiche demografiche sfavorevoli hanno determinato difficoltà crescenti per i
sistemi a ripartizione, il dibattito scientifico si è concentrato sull’opportunità di tornare
allo schema A22. Di fatto, lo schema A22 è stato reintrodotto solo in alcuni paesi
dell’america latina, tra i quali il Cile.

prestazione definita contribuzione definita

ripartizione A 11 A 12

capitalizzazione A 21 A 22

Quadro I.1

Nell’ambito degli schemi atipici, lo schema A21 (capitalizzazione e prestazione


definita) sopravvive ancora in ambito complementare (secondo pilastro) anche se tende
sempre più a lasciare il passo allo schema A22. Lo schema A12 (ripartizione e
contribuzione definita) è un’importante ‘innovazione genetica’ in vigore in Italia e in
Lettonia dal 1996, in Svezia dal 1998 e in Polonia dal 1999.
Di seguito sono analizzate le caratteristiche essenziali dei quattro schemi sotto
specifiche ipotesi di lavoro che rendono estremamente ‘stilizzati’ i quattro modelli.
Alcune ipotesi sono comuni, e cioè assunte per tutti e quattro gli schemi indicati nel
Quadro I.1; altre ipotesi sono specificamente assunte per uno o più di tali schemi. La
‘drasticità’ delle ipotesi consente di semplificare l’analisi ma non consente di cogliere
numerosi aspetti rilevanti la cui trattazione richiederebbe che sono invece evidenziati
all’occorrenza con linguaggio ordinario.
Le quattro ipotesi comuni a tutti e quattro gli schemi sono le seguenti:
Ipotesi 1: la vita umana dura due periodi (o fasi), per comodità chiamati ‘anni’, nel
primo dei quali si percepisce salario e nel secondo dei quali si percepisce
pensione;
Ipotesi 2: il salario è unico;
Ipotesi 3: il salario cresce ad un tasso annuo costante;
Ipotesi 4:-l’occupazione cresce ad un tasso annuo ugualmente costante.
Si osservi che la Ipotesi 1 implica che due sole generazioni ‘si sovrappongono’ in
ciascun periodo, mentre la Ipotesi 2 può essere associata all’esistenza di un’unica
mansione lavorativa.

3 I fondi a ripartizione e prestazione definita


Per analizzare lo schema A11 è assunta l’ulteriore ipotesi che le pensioni siano
calcolate in base alla seguente regola ‘retributiva’:

4
Ipotesi 5 - La pensione è una quota della (unica) retribuzione percepita nella fase
attiva.
La Ipotesi 5 sarà mantenuta anche per i sistemi del tipo A21.
Nel mondo reale, in cui vale l’accluso Quadro I.2 e cioè si percepiscono n
retribuzioni annue ed m rate annue di pensione indicizzate al tasso s, la regola
retributiva è la seguente:
n n +1
å wi × Õ 1 + g j ( )
i = n - r +1 j =i +1
(I-1) p = n×k ×
r

dove1:
• la frazione rappresenta la retribuzione pensionabile intesa come media delle ultime
r £ n retribuzioni annue rivalutate;
• wi rappresenta la retribuzione percepita nell’anno i;
• g j rappresenta il tasso utilizzato per rivalutare la retribuzione percepita nell’anno
j-1,
• k è la aliquota di rendimento, ovvero la percentuale della retribuzione pensionabile
con cui ciascun anno di anzianità contributiva concorre alla formazione della rendita
2
.

w1 … w n-r+ 1 … wn p p × (1 + s ) … p × (1 + s ) m -1 reddito

1 … n-r+ 1 … n n+ 1 n+ 2 … n+m tempo

Quadro I.2

In Italia, fino al 1992 compreso, era:


r = 5
(I-2) k = 0, 02 ( 2% )
gj = 0% reale (inflazione dell'anno j )

mentre a partire dal 1993 (limitatamente ai lavoratori più giovani e ai nuovi assunti) il
primo e l’ultimo di tali parametri vennero così modificati:

1
La forma estesa della formula (I-1) è:
1
p = n × k × × éë wn-r +1 × (1 + g n-r + 2 ) × (1 + g n-r +3 ) × × (1 + g n +1 ) +
r
+ wn-r + 2 × (1 + g n-r +3 ) × × (1 + g n +1 ) + + wn × (1 + g n +1 ) ùû .
Il Quadro I.2 e la formula (I-1) ignorano la cosiddetta ‘pensione di reversibilità’ e cioè la pensione
‘ereditata’ dal coniuge del pensionato alla morte di quest’ultimo. Prevista in Italia, la pensione di
reversibilità non è invece prevista in altri paesi.
2
In molti paesi, compreso il nostro, k è diversificato per scaglioni di retribuzione pensionabile al
fine di contenere le rendite di importo più elevato. La formula proposta nel testo trascura tali aspetti
assumendo l’unicità di k.

5
r = n
(I-3)
g j = 1% reale (inflazione dell'anno j + 1%)

Nella Ipotesi 1 si ha n = 1 (l’attività lavorativa dura un solo anno) e perciò anche


r = 1 cosicché la retribuzione pensionabile (media delle ultime r retribuzioni annue
rivalutate) coincide con l’unica retribuzione annua percepita. La formula (I-1) si riduce
quindi al prodotto di quest’unica retribuzione per l’aliquota di rendimento.3 In tale
contesto semplificato, quest’ultima si configura, al contempo, come il tasso di
sostituzione normalmente inteso come quoziente fra la prima annualità di pensione e
l’ultima retribuzione.
L’accluso Quadro I.3 descrive l’evoluzione del bilancio del fondo: sulla prima riga
è indicato il gettito mentre sulla seconda è indicata la spesa. Sono presi in
considerazione tre generici periodi indicati come t - 1 , t e t + 1 .
tempo t -1 t t +1
w L
gettito a× × a × w× L a × w × (1 + a ) × L × (1 + l )
1+a 1+ l
w L w L
spesa k× × k× × k × w× L
(1 + a )2 (1 + l )2 1+a 1+ l
Quadro I.3

Sono inoltre utilizzate le seguenti notazioni:


• a = aliquota contributiva;
• w = salario unitario al tempo t;
• L = numerosità della generazione4 che nasce al tempo t;
• a = saggio di crescita del salario;
• l = saggio di crescita della popolazione5;
• k = aliquota di rendimento.

3.1 L’aliquota di equilibrio


Imponendo l’equilibrio fra la spesa erogata e il gettito incassato al tempo t, si
ottiene:
w L
(I-4) k× × = a × w× L.
1+a 1+ l

Si osservi che, nella (I-4),


w
(I-5) k×
1+a

è l’importo della pensione (uguale per tutti in presenza di salario unico) mentre
L
(I-6)
1+ l

3
Per semplicità si assume g = 0 .
4
È assunta l’ipotesi che le generazioni siano ‘pienamente’ occupate, e cioè che tutti i loro membri
lavorino così da far coincidere, stante la Ipotesi 1, la numerosità della generazione che nasce nel periodo
t con il numero dei lavoratori in essere nel medesimo periodo.
5
Stante la Ipotesi 1, il saggio di crescita delle generazioni coincide con quello dell’occupazione.

6
è il numero dei pensionati (uguale al numero degli occupati al tempo t - 1 ). Perciò la
(I-4) è la forma cui, nelle ipotesi del modello, si riduce la nota condizione di equilibrio:
(I-7) p×R = a×w×L

dove R denota il numero dei pensionati (Retirees) mentre p e w denotano,


rispettivamente, la pensione e il salario medi. Dalla (I-7) segue:
p R
(I-8) a= × ,
w L

notoriamente interpretabile come la condizione che, in equilibrio, l’aliquota


contributiva è il prodotto tra il quoziente di dipendenza (R/L) e il reddito relativo dei
pensionati (p/w), ovvero la pensione media espressa in termini del salario medio.
Tenuto conto che, nella Ipotesi 2, p e R prendono le forme (I-5) e (I-6), è subito visto
che:
p k R 1
= e = ,
w 1+a L 1+ l

cosicché la (I-8) prende la forma:


k
(I-9) a = .
(1 + a )× (1 + l )
Dalla (I-9) si evince banalmente che:
¶a
>0
¶k

¶a
<0
¶a

¶a
<0
¶l

cosicché vale la seguente

Proposizione A11/1: l’aliquota di equilibrio di un sistema a ripartizione e


prestazione definita è tanto maggiore quanto più generoso è il tasso di
sostituzione e tanto minore quanto maggiori sono i tassi di crescita del salario e
dell’occupazione.

La prima parte della proposizione è piuttosto scontata, ma anche la motivazione


economica della seconda non è difficile. Si supponga, per cominciare, che a = l = 0 e
cioè che la massa salariale di un periodo sia identica a quella del periodo precedente.
Ad esempio, siano le due masse uguali a 100 euro. Se fosse k = 80% , la spesa corrente,
che è l’80% della massa salariale del periodo precedente, sarebbe pari a 80 euro. Per
finanziarla, occorre un gettito di pari importo il quale può essere ottenuto, dalla massa
salariale corrente, mediante un’aliquota esattamente uguale all’80%. Invece, se

7
(1 + a ) × (1 + l ) risultasse pari a 1,6 e quindi la massa salariale corrente fosse di 160 euro,
allora il gettito di 80 euro sarebbe garantito da un’aliquota del 50%.

3.2 Il rendimento implicito delle generazioni


Ciascuna generazione paga contributi nel primo anno di vita e riceve prestazioni
nel secondo. Mettendo a confronto i contributi collettivamente pagati con le prestazioni
collettivamente ricevute, si ricava il rendimento implicito che ciascuna generazione
ricava dalla partecipazione al sistema pensionistico, ovvero si ricava il tasso d’interesse
al quale il sistema remunera implicitamente i contributi collettivamente versati dalla
medesima generazione. Si dimostra la seguente:

Proposizione A11/2: un sistema a ripartizione e prestazione definita in equilibrio


offre alle generazioni un rendimento implicito uguale al tasso di crescita della
massa salariale (ottenibile componendo i tassi di sviluppo del salario e
dell’occupazione)6.

Per dimostrare la proposizione, si osservi che il rendimento implicito della


generazione che nasce al tempo t è:
k × w× L
p= -1 =
(I-10) a × w× L
k
= - 1.
a

Tenuto conto della (I-9), è subito visto che, in equilibrio, la (I-10) diventa:
(I-11) p = (1 + a )× (1 + l ) -1 .

A ulteriore chiarimento, il senso della proposizione A1,1/2 è il seguente: se il fondo


persegue lo scopo di garantire l’equilibrio, e perciò applica l’aliquota contributiva
necessaria, allora (dato k) finisce per assicurare un rendimento generazionale uguale al
tasso di crescita della massa salariale.
È inoltre possibile dimostrare il seguente:

Corollario A11/2: solo se le regole sono tali da remunerare le generazioni con un


rendimento implicito uguale al tasso di crescita della massa salariale, allora il sistema
è in equilibrio.

Per la dimostrazione basta porre:


k
- 1 = (1 + a ) × (1 + l ) - 1
a

da cui segue la (I-9). Inoltre, esplicitando la (I-10) rispetto ad a si evince


¶a ¶p < 0 ,

cosicché non esiste alcun valore del rendimento implicito generazionale diverso dal
secondo membro della (I-11) compatibile con la sostenibilità finanziaria del sistema.

6
La proposizione conferma un noto teorema. Cfr. P. Samuelson (1958) e H. Aaron (1966).

8
Si può dimostrare che la Proposizione e il Corollario A1,1/2 restano veri anche in
contesti più complessi e realistici di quello qui ipotizzato.

3.3 Sostenibilità ed equità prima delle riforme degli anni ‘90


La Proposizione A11/2 riguarda il rendimento delle generazioni e non dei singoli
individui ad esse appartenenti. Tuttavia, nelle ipotesi assunte dal modello, che
escludono la convivenza di individui con comportamenti e carriere lavorative
differenziate, il rendimento di ogni singolo individuo coincide con quello della
generazione di appartenenza. Infatti k a è anche il quoziente fra la pensione
individualmente percepita ( k × w ) e il contributo individualmente pagato ( a × w ). In altri
termini, i rendimenti ‘individuali’ sono uguali tra loro e coincidono con quello
‘generazionale’. In contesti meno semplici di quello considerato i rendimenti
individuali risultano, invece, diversi fra loro e quello generazionale ne costituisce una
media.
La diversità dei rendimenti individuali pone problemi di ‘equità attuariale’. Tali
problemi erano presenti nel sistema pensionistico italiano prima delle riforme degli anni
‘90. Il Quadro I.4 7 indica, per i due sessi, l’esito di un esercizio che calcola i rendimenti
reali (al netto dell’inflazione) implicitamente offerti dal Fondo Pensioni Lavoratori
Dipendenti dell’INPS anteriormente alla riforma varata dal Governo Amato nel 1992,
e cioè quando:
• l’aliquota contributiva, di gran lunga inferiore a quella di equilibrio, era del 28,4%;
• l’età pensionabile era di 60 anni per i maschi e di 55 anni per le femmine;
• la pensione era calcolata in base alla formula (I-1) secondo le specifiche (I-2) ed era
successivamente indicizzata ai salari.
I rendimenti sono riferiti a ‘carriere tipo’ caratterizzate da differenti durate (da un
minimo di 20 anni ad un massimo di 40) e/o dinamiche retributive reali (da un minimo
dello 0,5% ad un massimo del 3% all’anno). Essi sono calcolati mettendo a confronto
la rendita goduta dal pensionamento in poi (60 anni per i maschi, 55 per le femmine)
con la contribuzione effettuata in precedenza. Il Quadro indica anche, nell’ultima riga,
il rendimento implicito dei pensionati di anzianità, ovvero dei lavoratori cui era
consentito di andare in pensione anticipata (prima dell’età pensionabile) avendo
maturato 35 anni di attività lavorativa. Poiché l’età di pensionamento femminile era di
55 anni e poiché l’esercizio ipotizza l’ingresso in occupazione a 20 anni, non sono
indicati i rendimenti associati alla pensione di anzianità in campo femminile.
Si noterà la debole differenza che passa fra i rendimenti maschili (in media uguali
al 4,7%) e quelli femminili (in media uguali al 5,2%) nonostante la consistente
differenza che passa fra le speranze di vita dei due sessi all’età di pensionamento. La
spiegazione risiede nel fatto che i rendimenti impliciti tengono conto della pensione di
reversibilità e che la durata e la probabilità di tale pensione sono inferiori quando il
superstite è maschio.

7
Il quadro è estratto da S. Gronchi, “I rendimenti impliciti della previdenza obbligatoria: un’analisi
delle iniquità del sistema”, in Economia Italiana, 1995, n. 1.

9
I rendimenti impliciti anteriormente alla riforma
Amato del 1992
MAS CH I
Durata della Velocità della carriera coeff.
carriera 0,5% 1,0% 1,5% 2,0% 2,5% 3,0% media variaz.
20 4,4% 4,6% 4,8% 5,0% 5,2% 5,4% 4,9% 0,07
25 4,2% 4,4% 4,7% 4,9% 5,1% 5,3% 4,8% 0,08
30 4,0% 4,3% 4,5% 4,8% 5,1% 5,3% 4,7% 0,09
35 3,9% 4,2% 4,4% 4,7% 5,0% 5,3% 4,6% 0,10
40 3,8% 4,1% 4,4% 4,7% 5,0% 5,3% 4,5% 0,11
media 4,1% 4,3% 4,6% 4,8% 5,1% 5,3% 4,7%
coeff. variaz. 0,05 0,04 0,03 0,02 0,01 0,01 0,10
anzianità 4,3% 4,6% 4,9% 5,1% 5,4% 5,7% 5,0% 0,09

FE MMIN E
Durata della Velocità della carriera coeff.
carriera 0,5% 1,0% 1,5% 2,0% 2,5% 3,0% media variaz.
20 5,0% 5,2% 5,4% 5,6% 5,8% 6,0% 5,5% 0,06
25 4,8% 5,0% 5,2% 5,4% 5,6% 5,9% 5,3% 0,07
30 4,5% 4,8% 5,0% 5,3% 5,5% 5,8% 5,2% 0,08
35 4,4% 4,6% 4,9% 5,2% 5,5% 5,7% 5,0% 0,09
40 4,2% 4,5% 4,8% 5,1% 5,4% 5,7% 4,9% 0,10
media 4,6% 4,8% 5,1% 5,3% 5,6% 5,8% 5,2%
coeff. variaz. 0,06 0,05 0,04 0,03 0,02 0,02 0,09
anzianità - - - - - - - -

Quadro I.4

Il Quadro I.4 mette in evidenza due aspetti. In primo luogo, evidenzia


l’insostenibilità del sistema dovuta alla violazione della condizione di sostenibilità di
cui al Corollario A1,1/2. Infatti, il rendimento reale medio, che è lecito assumere come
una proxy sufficientemente attendibile di quello generazionale, si aggira intorno al 5%
mentre la massa salariale imponibile si prevede non possa crescere, nella prima metà di
questo secolo, oltre il 2-3%. In secondo luogo, il quadro denuncia formidabili disparità
di trattamento fra lavoratori. Inoltre le disparità sono in conflitto con i criteri
solidaristici e con le esigenze di tutela dei meno abbienti (carriere meno dinamiche) e/o
dei più meritevoli (carriere più lunghe che maggiormente contribuiscono al
finanziamento del sistema).
Il Quadro I.5 mostra i rendimenti impliciti in base alle nuove regole stabilite dalla
riforma Amato del 1992 la quale dispose che:
• l’età pensionabile fosse gradualmente elevata a 65 anni per i maschi ed a 60 anni
per le femmine;
• la pensione fosse calcolata in base alla formula (I-1) secondo le specifiche (I-3).

10
I rendimenti impliciti in base alla riforma Amato
del 1992
MAS CH I
Durata della Velocità della carriera coeff.
carriera 0,5% 1,0% 1,5% 2,0% 2,5% 3,0% media variaz.
20 3,6% 3,6% 3,8% 3,9% 4,0% 4,2% 3,9% 0,05
25 3,3% 3,5% 3,6% 3,8% 3,9% 4,0% 3,7% 0,06
30 3,2% 3,3% 3,5% 3,6% 3,7% 3,8% 3,5% 0,06
35 3,0% 3,2% 3,3% 3,4% 3,5% 3,6% 3,4% 0,06
40 2,9% 3,1% 3,2% 3,4% 3,5% 3,6% 3,3% 0,06
media 3,2% 3,4% 3,5% 3,6% 3,7% 3,8% 3,5%
coeff. variaz. 0,08 0,05 0,05 0,06 0,06 0,06 0,08
anzianità 4,0% 4,2% 4,3% 4,4% 4,5% 4,6% 4,3% 0,05

FE MMIN E
Durata della Velocità della carriera coeff.
carriera 0,5% 1,0% 1,5% 2,0% 2,5% 3,0% media variaz.
20 4,4% 4,5% 4,6% 4,7% 4,8% 5,0% 4,7% 0,04
25 4,1% 4,2% 4,3% 4,5% 4,6% 4,7% 4,4% 0,05
30 3,8% 4,0% 4,2% 4,3% 4,4% 4,5% 4,2% 0,05
35 3,7% 3,8% 4,0% 4,1% 4,2% 4,3% 4,0% 0,05
40 3,5% 3,7% 3,8% 4,0% 4,1% 4,2% 3,9% 0,06
media 3,9% 4,1% 4,2% 4,3% 4,4% 4,5% 4,2%
coeff. variaz. 0,08 0,06 0,06 0,07 0,06 0,07 0,08
anzianità 4,1% 4,3% 4,4% 4,5% 4,6% 4,7% 4,4% 0,05

Quadro I.5

In realtà, la riforma dispose anche che le pensioni non fossero più ‘agganciate’ ai
salari in via automatica (com’era stato fino ad allora). Più precisamente, dispose che le
pensioni fossero automaticamente indicizzate ai soli prezzi e che ulteriori perequazioni
reali avrebbero potuto essere concesse discrezionalmente.
È importante osservare che l’indicizzazione permanente ai soli prezzi rischia di
risultare socialmente insostenibile nel lungo periodo non solo perché produce
l’impoverimento relativo delle pensioni rispetto alle altre forme di reddito (in
particolare rispetto ai salari) ma anche, e soprattutto, perché genera il fenomeno delle
‘pensioni d’annata’, e cioè della differenziazione massiccia delle rendite in base
all’anno di decorrenza delle medesime8. Per questa ragione l’autore dei calcoli non ha
ritenuto credibile l’indicizzazione ai soli prezzi e ha calcolato i rendimenti esposti nel
Quadro I.5 prefigurando perequazioni discrezionali allineate con la dinamica salariale.
Il nuovo quadro indica che la riforma fu in grado di ridurre lo squilibrio strutturale
del fondo riducendo il rendimento medio senza però ricondurlo al valore sostenibile.
Anche le iniquità interne vennero in parte attenuate, come risulta dal contenimento del
coefficiente di variazione dei rendimenti individuali.

8
Di tale problema si darà maggior conto nella sezione Error! Reference source not found..
9
Cfr. Gronchi (1992), Ministero del Tesoro (1994) successivamente aggiornato da Gronchi (1995
11
3.4 Il debito (implicito) previdenziale
Tornando al modello a due generazioni sovrapposte, il gettito contributivo indicato
w L
nel Quadro I.3 al tempo t - 1 ( a × × ) è interpretabile come il provento di un
1+a 1+ l
ideale prestito obbligazionario emesso dal sistema e ‘collettivamente’ sottoscritto dalla
generazione attiva in quel periodo. Il Corollario A11/2 insegna che, in equilibrio, il tasso
d’interesse dell’emissione non può essere diverso dal rendimento sostenibile. Il prestito
verrà a scadenza al tempo t quando, al lordo della ‘cedola’, verrà rimborsato alla
generazione che lo possiede in forma di pensioni ad essa erogate. Il rimborso è
finanziato mediante il gettito contributivo incassato al tempo t (a × w × L) a sua volta
interpretabile come il provento di una nuova emissione ideale. I nuovi titoli saranno
rimborsati al tempo t + 1 , con la cedola nel frattempo maturata, utilizzando il gettito
corrente a × w × (1 + a ) × L × (1 + l ) interpretabile come il provento di un’ulteriore
emissione. Così di seguito.
In tal modo, un sistema a ripartizione in equilibrio viene concepito come un
soggetto economico perennemente indebitato il cui debito cresce, nel tempo, in base al
rendimento sostenibile. Al debito del sistema corrisponde il credito delle generazioni il
quale costituisce ‘ricchezza pensionistica’ posseduta dalle medesime.
Il Quadro I.6 offre un esempio numerico elativo ad un sistema a ripartizione e
prestazione definita che chiarisce ulteriormente questa ‘rappresentazione’. Il quadro
assume che:
• il tasso di crescita della massa salariale sia uguale al 20%;
• il tasso di sostituzione (k) sia il 60%.
In base alla formula (I-9) queste due ipotesi implicano un’aliquota di equilibrio del
50%.
Il sistema nasce al tempo 0 allorché eroga alla prima generazione, in quel momento
anziana, pensioni per 500 euro (pari al 60% della massa salariale di 833 euro percepita
da quella stessa generazione al tempo -1). Si osservi che al tempo -1 non sono versati
contributi (perché il sistema non è ancora istituito) cosicché le pensioni erogate al tempo
0 si configurano come un ‘dono’ (il cui ammontare è indicato tra parentesi in rosso
nell’ultima colonna della tabella) alla prima generazione. La possibilità di erogare
questo dono è una circostanza che ha storicamente favorito la diffusione dei sistemi a
ripartizione nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Per finanziare il dono,
occorre emettere un prestito forzoso di identico importo che viene sottoscritto dalla
seconda generazione. I contributi da questa pagati al tempo 0 si configurano come il
controvalore del ‘prestito obbligazionario’. Al tempo 1 il debito posseduto dalla
seconda generazione viene a scadenza e dovrà essere rimborsato pagando ad essa
pensioni per 600 euro. Il rimborso viene finanziato emettendo, per lo stesso importo,
nuovo debito il cui controvalore è rappresentato dai contributi versati dalla terza
generazione. Così di seguito.
È facile verificare che con un tasso di crescita della massa salariale costantemente
pari al 20%, un’aliquota contributiva del 50% è in ogni periodo esattamente sufficiente
a rimborsare il debito che il fondo ha contratto con i lavoratori del periodo precedente
promettendo loro una pensione pari al 60% del salario percepito. Pertanto, ogni
generazione sottoscrive titoli nella misura del 50% dei propri salari ricevendo rimborsi
nella misura del 60% dei salari stessi, cosicché l’equilibrio del fondo è compatibile con
k
un rendimento del prestito obbligazionario del 20% ( - 1 = 0, 2 ).
a

12
Parametri ipotizzati
crescita della massa salariale 20%
valore di k 60%
aliquota contributiva (di equilibrio) 50%

nuovi titoli vecchi titoli


emessi rimborsati
(contributi (pensioni
massa
tempo riscossi nella erogate nella
salariale misura del misura del
50% della 60% della
massa salariale massa salariale

-1 833 ... ...


0 1.000 500 (500)
1 1.200 600 600
2 1.440 720 720
3 1.728 864 864
4 2.074 1.037 1.037
... ... ... ...
(1) (2) (3)

Quadro I.6

Il Quadro I.7 analizza il caso in cui l’aliquota di fatto scelta dal Legislatore è i 4/5
di quella di equilibrio, e cioè è pari al 40% (anziché al 50%). In base alla (I-10) il
rendimento generazionale implicito è del 50%. Perciò è questo il tasso che remunera i
prestiti obbligazionari emessi del fondo. Diversamente dal caso precedente, il dono di
500 euro concesso alla prima generazione al tempo 0, è finanziato solo per 400 euro dal
prestito obbligazionario sottoscritto dalla seconda generazione (contributi) mentre i
restanti 100 euro sono coperti dal concorso statale. Poiché il prestito matura interessi al
50%, al tempo 1 il debito del fondo risulta cresciuto a 600 euro ed è rimborsato solo per
480 euro mediante emissione di nuovo debito (contributi) mentre i restanti 120 euro
sono coperti da un secondo contributo statale. Poiché l’emissione matura interessi al
50%, al tempo 2 il debito del fondo risulta di 720 euro ed è rimborsato per 576 euro
mediante emissione di nuovo debito (contributi) mentre i restanti 144 euro sono coperti
da un terzo contributo statale. E così di seguito.
Se non finanziati con le imposte, i contributi statali generano debito pubblico che
matura interessi. Il debito pubblico di ogni periodo si ottiene aumentando quello del
periodo precedente degli interessi maturati (20% secondo l’ipotesi assunta) e del
contributo corrente. Il debito pubblico passa in tal modo da 100 euro al tempo 0, a 240
euro al tempo 1, a 432 euro al tempo 2, etc. Dall’ultima colonna della tabella contenuta
nel Quadro I.7 si evince che il debito complessivamente contratto in ogni periodo, dal
fondo e dallo stato, è di gran lunga superiore al debito, indicato nella seconda colonna
della tabella contenuta nel Quadro I.6, che il fondo avrebbe se avesse applicato ogni
anno l’aliquota di equilibrio senza il concorso dello Stato.

13
Parametri ipotizzati
tasso di crescita della massa salariale 20%
valore di k 60%
tasso di interesse di mercato 20%
aliquota contributiva 40%

nuovi titoli vecchi titoli


emessi rimborsati
concorso
(contributi (pensioni debito
dello stato
tempo

massa riscossi nella erogate nella debito dello complessivo


salariale misura del misura del 60% (differenza fra stato (fondo +
40% della della massa pensioni e
stato)
massa salariale salariale contributi)
corrente) precedente)

-1 833 … … … …
0 1.000 400 … 100 100 500
1 1.200 480 600 120 240 720
2 1.440 576 720 144 432 1.008
3 1.728 691 864 173 691 1.382
4 2.074 829 1.037 207 1.037 1.866
... ... ... ... ... ...
(1) (2) (3) (4) (5) (6)

Quadro I.7

4 I sistemi a capitalizzazione e contribuzione definita


In ogni periodo, un sistema a capitalizzazione e contribuzione definita svolge le
seguenti fondamentali attività:
• incassa contributi dai lavoratori commisurati alle retribuzioni in ragione
dell’aliquota prescelta,
• incassa i rendimenti sul capitale gestito,
• paga rate di pensione,
• investe in attività finanziarie (disinveste) la differenza fra gli incassi e i pagamenti
(fra i pagamenti e gli incassi).
Per ogni iscritto la pensione è ottenuta imponendo l’equivalenza tra contributi e
prestazioni, ovvero ‘spalmando’ sulla vita residua al pensionamento il capitale che a
quella data risulta individualmente accumulato per ‘stratificazione’ delle contribuzioni
annue e degli interessi maturati sulle medesime. Ciò implica che l’unica pensione
percepita non è altro che il montante dei contributi versati, capitalizzati al tasso
d’interesse di mercato, dora in poi indicato con la lettera r.
Nelle Ipotesi 1-4 gli incassi e i pagamenti di un sistema a capitalizzazione e
contribuzione definita sono indicati nel Quadro I.8: sulla prima riga è quantificato il
gettito contributivo e sulla seconda gli interessi che maturano sul capitale accumulato
nel fondo. Sulla terza riga è indicata la spesa. Sono presi in considerazione tre periodi
indicati con t - 1 , t e t + 1 nel primo dei quali è immaginata la nascita del sistema.
Al tempo t - 1 , quando il sistema nasce, non vi sono ancora interessi da incassare
né pensioni da pagare. L’unico incasso, rappresentato dai contributi versati dagli iscritti,
è quindi interamente investito in titoli e, in questa forma, va a costituire il capitale
inizialmente accumulato nel fondo. Al tempo t, su quel capitale maturano gli interessi
al tasso r, indicati nella seconda riga della tabella i quali si aggiungono al nuovo gettito

14
contributivo. Detraendo da questo incasso complessivo la spesa indicata nella terza riga,
si ottiene l’incasso netto al tempo t
é w L w L ù
a × êw × L + r × × - (1 + r ) × × =
ë 1+a 1+ l 1 + a 1 + l úû
(I-12) ,
æ w L ö
= a ×çw× L - × ÷
è 1+a 1+ l ø

il quale si configura come il maggior gettito derivante dalla variazione che la massa
salariale subisce rispetto al periodo precedente. Tenuto conto che l’incasso netto (I-12)
del periodo t (uguale all’incremento di gettito fra i periodi t e t - 1 ) va ad accrescere il
capitale accumulato nel periodo t - 1 (uguale al gettito dello stesso periodo t - 1 ) si
ripete, nel periodo t, la coincidenza fra il capitale accumulato e il gettito contributivo,
il che spiega il valore degli interessi che maturano al tempo t + 1 . Ciò che più conta, il
capitale risulta cresciuto, fra i periodi t - 1 e t, al medesimo tasso al quale cresce la
massa salariale.
tempo t -1 t t +1
w L
gettito a× × a × w× L a × w × (1 + a ) × L × (1 + l )
1+a 1+ l
w L
interessi --- r×a× × r ×a × w× L
1+a 1+ l
w L
spesa --- a× × × (1 + r ) a × w × L × (1 + r )
1+a 1+ l
Quadro I.8

Analoghe conclusioni possono essere stabilite con riferimento al periodo t + 1 ,


cosicché vale la seguente:

Proposizione A22/1: il capitale gestito da un fondo a capitalizzazione e


contribuzione definita cresce in base al tasso di crescita della massa salariale.

Sotto la condizione che:


(I-13) r = (1 + a )× (1 + l ) -1

è subito visto che le pensioni erogate ad una generazione uguagliano i contributi versati
dalla successiva e perciò che le entrate nette coincidono con gli interessi. Vale quindi
la seguente altra proposizione:

Proposizione A22/2: nell’ipotesi che il tasso d’interesse coincida con il tasso di


crescita della massa salariale, i contributi finanziano le pensioni, proprio come
in un sistema a ripartizione in equilibrio, e il capitale accumulato nel fondo è
alimentato da (tutti e soli) gli interessi che maturano sul capitale iniziale.

Se, invece, il tasso d’interesse supera la crescita della massa salariale, allora la
spesa supera il gettito e perciò le pensioni devono essere in parte finanziate dagli
interessi. Infine, se il tasso d’interesse è superato dalla crescita della massa salariale,
allora il gettito supera la spesa e la parte eccedente concorre con gli interessi alla crescita
del capitale accumulato nel fondo. In tutti i casi, vale la Proposizione A22/1.

15
5 I sistemi a capitalizzazione e prestazione definita
Lo schema A21 si distingue dallo schema A22 per il metodo di calcolo della
prestazione pensionistica che torna ad essere quello già analizzato nell’ambito dello
schema A11. Nelle ipotesi assunte, la pensione percepita nel secondo anno di vita non si
configura più come il montante del contributo versato nel primo anno bensì come una
quota k del salario allora percepito il che implica che, come per i sistemi a ripartizione
e prestazione definita, i contributi individuali sono remunerati con rendimenti impliciti
differenziati in base ai diversi profili reddituali. Si ricorda che tale differenziazione dei
rendimenti impliciti non è ‘visibile’ nel nostro modello semplificato.
Il Quadro I.9 descrive l’evoluzione degli incassi (gettito e interessi) e dei
pagamenti (spesa). Sono presi in considerazione i consueti tre periodi nel primo dei
quali conviene immaginare che sia istituito il sistema.
tempo t -1 t t +1
w L
gettito a× × a × w× L a × w × (1 + a ) × L × (1 + l )
1+a 1+ l
w L
interessi --- r×a× ×
1+a 1+ l
r ×a × w× L
w L
spesa --- k× ×
1+a 1+ l
k × w× L

Quadro I.9

Affinché le generazioni siano ‘autosufficienti’, occorre e basta che, per ciascuna di


esse, le pensioni ricevute uguaglino la somma dei contributi versati e dei rendimenti
maturati. Per la generazione che nasce al tempo t-1 deve essere:
w L w L
a× × × (1 + r ) = k × ×
1+a 1+ l 1+a 1+ l

da cui:

(I-14) a × (1 + r ) = k .

e perciò:
k
(I-15) a= .
1+ r

Come già l’aliquota (I-9) nello schema A1,1, così l’aliquota (I-15) può essere definita ‘di
equilibrio’. Il senso di tale espressione è tuttavia diverso. Infatti, non si tratta più
dell’aliquota che garantisce, in ogni periodo, un gettito contributivo uguale alla spesa.
Piuttosto, si tratta dell’aliquota che garantisce ad ogni generazione di versare contributi
in grado di finanziare le proprie pensioni e quindi al sistema di rimanere a
capitalizzazione, ovvero con un valore del fondo pari alla ricchezza pensionistica degli
iscritti.
Dalla (I-14) è subito visto che le entrate nette al tempo t sono:
w L w L
a × w× L + r × a × × - a × (1 + r ) × × ,
1+a 1+ l 1+a 1+ l

cosicché assumono nuovamente la forma (I-12). Perciò, se l’aliquota viene fissata in


base alla (I-15), il capitale accumulato nel fondo cresce in base al tasso di crescita della

16
massa salariale, come nello schema A22. Ciò consegue dal fatto che il sistema A21, pur
differenziando i rendimenti impliciti individuali, eroga alle generazioni pensioni
complessive di importo pari a quelle erogate dal sistema A22.

6 I sistemi a ripartizione e contribuzione definita


Dovrebbe a questo punto essere chiaro che, al di fuori delle ipotesi semplificatrici
che sono state assunte, sia lo schema A11 sia lo schema A21 non garantiscono agli
individui rendimenti impliciti uguali a quello generazionale. Insorgono, anzi, forti
differenze le quali sollevano problemi che investono l’equità di tali schemi.
Anche al fine di superare tali problemi, in Italia fu proposto, fin dai primi anni ‘909,
di riformare il sistema pensionistico pubblico (che, come nella maggior parte dei paesi,
era del tipo A11) conservandone il metodo di finanziamento ‘a ripartizione’ ma
adottando, per il calcolo della prima annualità di pensione, il metodo della
contribuzione definita tipico dei sistemi a capitalizzazione. In base alla proposta, la
prima annualità di pensione avrebbe cessato di essere una quota della retribuzione
pensionabile per assumere un valore in grado di garantire che la prestazione
pensionistica globale (annualità indicizzate percepite dal pensionamento in poi) fosse
interpretabile come la graduale restituzione dei contributi aumentati dell’interesse
maturato sui medesimi. In assenza di capitale effettivamente accumulato nel fondo, il
tasso d’interesse sarebbe stato convenzionale, e perciò scelto dal Legislatore, ma la sua
unicità avrebbe garantito la parità di trattamento e perciò l’equità del nuovo schema.
La proposta trovò applicazione nella Legge n. 335 del 1995 che riordinò l’intero
sistema pensionistico. Si osservi che nella letteratura scientifica internazionale, i sistemi
a ripartizione e contribuzione definita di tipo ‘contributivo’ sono indicati con il termine
Notional Defined Contributions, Notional Accounts, Non-financial Defined-
Contributions o, semplicemente, con l’acronimo NDC. Per tali sistemi, il metodo di
calcolo della pensione è identico a quello indicato per lo schema a capitalizzazione e
contribuzione definita; perciò la pensione erogata nel secondo anno di vita è il montante
del contributo versato nel primo anno. Tuttavia, tale montante è calcolato in base al
tasso d’interesse convenzionale anziché in base al rendimento offerto dal mercato
finanziario.
Nel contesto a due generazioni sovrapposte fin qui utilizzato il metodo di calcolo
della pensione è identico a quello indicato per lo schema a capitalizzazione e
contribuzione definita; perciò la pensione erogata nel secondo anno di vita è il montante
del contributo versato nel primo anno. Tuttavia, tale montante è calcolato in base al
tasso d’interesse convenzionale anziché in base al rendimento offerto dal mercato
finanziario.

6.1 Il rendimento sostenibile


Il Quadro I.10 descrive l’evoluzione di un fondo a ripartizione e contribuzione
definita.

9
Cfr. Gronchi (1992), Ministero del Tesoro (1994) successivamente aggiornato da Gronchi (1995
a), Gronchi (1994 a), Gronchi (1994 b), Gronchi (1994 c), Gronchi (1995 b) e Gronchi (1995 d).

17
tempo t -1 t t +1
w L
gettito a× × a × w× L a × w × (1 + a ) × L × (1 + l )
1+a 1+ l
w L w L
spesa a× × × (1 + p ) a× × × (1 + p ) a × w × L × (1 + p )
(1 + a )2 (1 + l )2 1+a 1+ l
Quadro I.10

Imponendo l’equilibrio fra entrate e uscite al tempo t, si ottiene


w L
(I-16) a× × × (1 + p ) = a × w × L
1+a 1+ l

da cui, dividendo i due membri per a × w × L , segue


1+p
=1
(1 + a ) × (1 + l )
e perciò
(I-17) p = (1 + a ) × (1 + l ) - 1.

Si evince pertanto che:

Proposizione A12/1: condizione necessaria e sufficiente affinché un sistema a


ripartizione e contribuzione definita sia in equilibrio è che il tasso di rendimento
convenzionalmente usato per il calcolo della pensione sia uguale al tasso di
crescita della massa salariale.

Dal confronto tra la Proposizione A11/2 e la Proposizione A12/1 emerge che:


• nei sistemi a ripartizione e prestazione definita il rendimento sui contributi versati
è uguale al tasso di crescita della massa salariale se e solo se l’aliquota è determinata
in modo da garantire l’equilibrio;
• i sistemi a ripartizione e contribuzione definita sono in equilibrio, qualunque sia
l’aliquota, se e solo se il tasso di rendimento sui contributi versati è scelto uguale al
tasso di crescita della massa salariale.
Le ragioni economiche per le quali l’equilibrio dei sistemi a ripartizione e
contribuzione definita è unicamente determinato dal tasso di capitalizzazione dei
contributi sono piuttosto evidenti. In primo luogo, a parità di aliquota il gettito
contributivo corrente è quello del periodo precedente capitalizzato al tasso di crescita
della massa salariale (infatti, a parità di aliquota, il gettito cresce come la base
imponibile). D’altra parte, in base al metodo di calcolo della pensione, anche la spesa
corrente è uguale al gettito del periodo precedente capitalizzato al tasso convenzionale.
Pertanto, la spesa e il gettito corrente sono uguali se e solo se il tasso d’interesse
convenzionale è uguale al tasso di crescita della massa salariale. In considerazione della
Proposizione A12/1, il tasso (I-17) è definito rendimento sostenibile.
La condizione di sostenibilità (I-17) resta valida anche rimuovendo le Ipotesi 1-4
sotto le quali è stata dimostrata.

18
6.2 Approfondimenti
Si è visto che, nelle ipotesi assunte, un fondo a ripartizione e contribuzione definita
è uno nel quale l’unica pensione annua percepita è uguale all’unico contributo annuo
versato, capitalizzato in base al tasso di rendimento convenuto. Coerentemente, nel caso
più generale descritto dal Quadro I.2, dovrà valere l’uguaglianza fra lo sconto delle m
pensioni annue attese a partire dall’anno n + 1 e il montante degli n contributi annui
versati in precedenza. Sia il montante che lo sconto dovranno essere calcolati in base al
tasso di interesse convenuto che, per semplicità espositiva, conviene assumere costante
nel tempo. In formule
m -1
p × (1 + s ) p × (1 + s ) p × (1 + s )
2
p+ + + + m -1
=
1+ p (1 + p ) (1 + p )
2
n +1
n+ 2
n +3 n+m
n -1
= a × w1 × (1 + p ) + a × w2 × (1 + p ) + a × wn × (1 + p )
n
+
1 2 n

che, in forma compatta, diventa:


é n+ m æ 1 + s öi -( n+1) ù n
p × ê1 + å ç å
n +1-i
(I-18) ÷ ú = a × wi × (1 + p ) .
êë i =n+ 2 è 1 + p ø úû i =1

La (I-18) deve essere interpretata come un’equazione nell’incognita p risolvendo


la quale si ottiene la prima annualità di pensione che garantisce il rendimento
convenuto. Poiché tale rendimento è il medesimo per tutti gli individui, si usa dire che
lo schema a contribuzione definita garantisce l’equità attuariale.
Posti:
n
(I-19) M = a × å wi × (1 + p )n +1-i
i =1

e:
-1
é n+m æ 1 + s öi -( n+1) ù
(I-20) h = ê1 + å ç ÷ ú ,
ëê i =n+2 è 1 + p ø ûú

risolvendo la (I-18) si ottiene:


(I-21) p = h×M .

Pertanto la prima annualità di pensione risulta dalla ‘trasformazione in rendita’ del


montante contributivo (I-19) ottenuta moltiplicando quest’ultimo per il coefficiente di
trasformazione (I-20)10.
Si osservi che il coefficiente di trasformazione (I-20) dipende (oltre che da m) da
due parametri entrambi scelti dal policy maker: il tasso p al quale sono remunerati i

10
Nel modello a due generazioni sovrapposte, in cui n = m = 1, la (I-20) si riduce
all’unità.

19
montanti contributivi e il tasso s al quale sono indicizzate le annualità di pensione.
Sotto il profilo algebrico è immediatamente verificabile che:
¶h ¶h
<0; >0 .
¶s ¶p

Per spiegare il senso economico della prima derivata, si osservi che il montante
contributivo può essere diversamente ‘spalmato’ lungo la vita residua al pensionamento
e generare perciò diversi profili temporali della rendita: indicizzazioni più generose (a
parità di rendimento) devono essere compensate da una pensione inizialmente più bassa
e perciò da un coefficiente di trasformazione inferiore. Per spiegare il senso economico
della seconda derivata, si osservi che (a parità di indicizzazione) l’offerta di un
rendimento maggiore deve necessariamente prendere la forma di un coefficiente di
trasformazione più generoso che riduca il montante contributivo che residua dopo il
prelievo della prima annualità di pensione, consentendo così al maggior rendimento di
‘esplicare la propria azione’ finanziando l’indicizzazione prestabilita ‘a partire’ da un
montante residuo inferiore.

6.2.1 Il problema delle pensioni d’annata


Si supponga che il legislatore decida di avere un tasso di indicizzazione pari al
tasso di rendimento sostenibile. Sostituita nella (I-20), la condizione
(I-22) s =p

implica:
(I-23) h = m-1 ,

cioè implica che il coefficiente di trasformazione sia uguale al reciproco della speranza
di vita.
Per effetto dei rinnovi contrattuali, i salari crescono nel tempo al tasso a. Pertanto,
a parità di carriera lavorativa, il salario i.esimo percepito da chi va in pensione al tempo
t + 1 risulta 1 + a volte il corrispondente salario percepito da chi va in pensione al
tempo t. In simboli:
wi ,t +1 = (1 + a ) × wi ,t i = 1,!,n

Perciò, i montanti contributivi di chi va in pensione negli anni t e t + 1 si rapportano


nel modo seguente:
(I-24) M t +1 = (1 + a ) × M t .

Tenuto conto della (I-21), la (I-24) implica che gli importi iniziali (prime annualità)
delle rendite tendono a crescere al tasso annuale a. In simboli:
pt +1 = (1 + a ) × pt .

Per evitare che si formino pensioni d’annata, e cioè che le pensioni in essere ad
una data abbiano importi diversi a seconda dell’anno di decorrenza, occorre e basta che:
(I-25) s =a .

20
Se fosse s < a le pensioni in essere si disporrebbero in ordine crescente rispetto alla
data di decorrenza (sarebbe inferiore l’importo di quelle liquidate in anni più lontani).
Se fosse invece s > a accadrebbe il contrario.
La diversità delle pensioni in essere ad ogni data, unicamente determinata dalla
annata di appartenenza, è un fenomeno difficilmente tollerabile sotto il profilo sociale
e perciò denso di rischi ‘politici’ per l’equilibrio finanziario del fondo. Se esaudita dai
governi, la pressione sociale a perequare periodicamente le pensioni liquidate in anni
più lontani si tradurrebbe, di fatto, in maggiorazioni implicite del rendimento, che
tenderebbe quindi ad eccedere quello sostenibile. Perciò si dovrebbe, per quanto
possibile, indicizzare le pensioni in base alla (I-25), il che è compatibile con la (I-23)
solo quando l = 0 (occupazione stazionaria). Solo se l > 0 (occupazione crescente) si
può scegliere h > m-1 garantendo al contempo un’indicizzazione delle pensioni in linea
con il tasso di crescita dei salari. La riforma italiana del 1995
Come si vedrà più avanti, sulla scelta del tasso di indicizzazione il Legislatore del
1995 scelse l’indicizzazione ai prezzi ha trascurato di rispettare il vincolo (I-20). Al di
là di questo errore concettuale, per effetto di questa scelta, all’orizzonte del sistema
pensionistico pubblico riformato si addensano le nubi rappresentate dalle pensioni
d’annata. Per comprendere quanto il problema sia rilevante, si pensi che, in presenza di
dinamiche salariali reali del 2%, si registrerebbero differenze del 22% fra pensioni
liquidate a 10 anni di distanza; del 50% fra pensioni liquidate a 20 anni di distanza e
dell’80% fra pensioni liquidate a 30 anni di distanza. Sarebbe erroneo pensare che gli
esempi prodotti riguardino uno sparuto numero di pensionati particolarmente longevi,
tenuto conto che la durata media di una rendita liquidata a 57 anni d’età è ormai di 35
anni11 ed è destinata ad aumentare in futuro. Ove le differenze indicate dovessero essere
periodicamente colmate con interventi perequativi anche parziali, ne risulterebbe
implicitamente violata la condizione di sostenibilità (I-17) e l’equilibrio fra gettito e
spesa non sarebbe più strutturalmente garantito.
Inoltre, il Legislatore fece la scelta di consentire il pensionamento in età compresa
fra 57 e 65 anni indipendentemente dal sesso. Tenuto conto della diversa longevità fra
i due sessi ad una stessa età e fra le diverse età per uno stesso sesso, sarebbe stato
possibile indicare 2 ´ 9 = 18 coefficienti di trasformazione. Invece, si preferì accettare
forme implicite di redistribuzione fra sessi proponendo solo 9 coefficienti ottenuti
mediando, per ciascuna età, quelli maschili con quelli femminili corrispondenti. I valori
dei coefficienti approvati nel 1995 e quelli aggiornati successivamente sono riportati
nel Quadro I. 11.12
Nella successiva sezione 7 la riforma italiana del 1995 è posta a confronto con
quella svedese entrata in vigore nel 1998. Sono trascurati i dettagli delle modifiche
legislative successive in entrambi i paesi che non hanno, peraltro, modificato la sostanza
dei due impianti originari.

11
A questo dato si perviene sommando la durata della pensione di reversibilità (‘ereditata’
dall’eventuale coniuge sopravvissuto) a quella della pensione diretta.
12
In realtà, in base alla legge 335 del 95, i coefficienti di trasformazione aggiornati avrebbero
dovuto entrare in vigore il 1° gennaio del 2006 ma la prima revisione è stata effettuata con la legge 247
del 2007 che ha definito i nuovi coefficienti posticipandone l’entrata in vigore al 1° gennaio 2010 e
prevedendone l’aggiornamento con cadenza triennale anziché decennale. La legge 214 del 2011 (legge
Fornero) ha previsto l’aggiornamento biennale dei coefficienti a partire dal 2019.

21
COEFFICIENTI DI TRASFORMAZIONE
ETA'
Utilizzati fino al Utilizzati dal Utilizzati dal Utilizzati dal
31.12.2009 1.1.2010 1.1.2013 1.1.2016

57 4,720% 4,419% 4,304% 4,246%

58 4,860% 4,538% 4,416% 4,354%

59 5,006% 4,664% 4,535% 4,447%

60 5,163% 4,798% 4,661% 4,589%

61 5,334% 4,940% 4,796% 4,719%

62 5,514% 5,093% 4,940% 4,856%

63 5,706% 5,257% 5,094% 5,002%

64 5,911% 5,432% 5,259% 5,159%

65 6,136% 5,620% 5,435% 5,326%

66 5,624% 5,506%

67 5,826% 5,700%

68 6,046% 5,910%

69 6,283% 6,135%

70 6,541% 6,378%

Quadro I. 11

7 Lo schema NDC: modelli teorici e realizzazioni pratiche


Come è emerso nella sezione precedente, lo schema a ripartizione e prestazione
definita (NDC) immagina il sistema pensionistico a ripartizione come una ‘banca
virtuale’ che ad ogni individuo intesta un conto corrente fruttifero sul quale sono prima
‘depositati’ i contributi e dal quale sono poi ‘prelevate’ le annualità di pensione. I
prelievi soddisfano il ‘vincolo dell’esaustione’ dei depositi al lordo degli interessi,
cosicché l’ultimo prelievo azzera il saldo del conto virtuale.
Per tener conto delle specificità delle riforme italiana e svedese, occorre ammettere
che il ‘contratto’ di conto corrente possa prevedere due diversi tassi d’interesse: uno
per il periodo che precede il pensionamento e l’altro per quello che lo segue. È in altri
termini ammesso che, in un periodo, la banca virtuale possa accreditare ai pensionati
un tasso diverso da quello che nel medesimo periodo accredita ai lavoratori. Nell’ipotesi
che entrambi questi tassi siano variabili nel tempo anziché costanti come ipotizzato
finora, e che i versamenti e i prelievi annui avvengano ‘anticipatamente’ all’inizio di
ciascun anno, il menzionato vincolo dell’esaustione dei depositi prende la forma della
seguente equivalenza fra il montante delle contribuzioni annue versate fino al
pensionamento e lo sconto delle annualità di pensione percepite da quel momento in
poi:

22
( )(
a × w1 × 1 + p 1L × 1 + p 2L × ) (
× 1 + p nL + )
1

(
+ a × w2 × 1 + p 2L × 1 + p 3L × )( ) (
× 1 + p nL + ) ( )
+ a × wn × 1 + p nL =
2 n

p × (1 + s n+1 ) p × (1 + s n+1 ) × (1 + s n+ 2 )
= p+ + + +
n +1
1 + p n +1R
( )(
1 + p nR+1 × 1 + p nR+ 2 )
n+ 2 n +3

p × (1 + s n +1 ) × (1 + s n + 2 ) × × (1 + s n + m-1 )
+
(1 + p ) × (1 + p ) × × (1 + p
R
n +1
R
n+2
R
n + m -1
)
n+m

che in forma compatta diventa


n n é n + m i -1 (1 + s j ) ù
(I- 26) a × å wi × Õ (1 + p Lj ) = p × ê1 + å Õ ú.
êë i =n + 2 j = n +1 (1 + p j ) úû
R
i =1 j =i

La (I- 26) è la nuova forma che assume la (I-18) in un contesto nel quale i tassi di
rendimento e indicizzazione sono variabili di anno in anno e nel quale il rendimento pL
dei conti virtuali dei lavoratori può essere diverso da quello pR dei conti dei pensionati.
Anche in questo nuovo contesto la prima annualità di pensione può essere ottenuta
moltiplicando il montante contributivo al pensionamento per un coefficiente di
trasformazione13. Infatti, esplicitando la (I- 26) rispetto a p si ottiene
é n n ù
(I-27) p = ê a × å wi × Õ 1 + p Lj ú × h ( )
ëê i =1 j =i úû

dove

é n + m i -1 (1 + s j ) ù
-1

(I-28) h = ê1 + å Õ ú .
êë i = n + 2 j = n +1 (1 + p j ) úû
R

Al pensionamento, quando la prima annualità dovrebbe essere erogata in base alla


(I-27), il montante contributivo è noto, perché calcolabile sulla base delle retribuzioni
pregresse e della serie storica dei valori assunti dal rendimento accordato ai lavoratori
(ad esempio la crescita della retribuzione media) mentre il calcolo del coefficiente di
trasformazione richiederebbe la conoscenza dei valori che, negli m - 1 anni successivi,
assumeranno il tasso di indicizzazione s (ad esempio, il tasso di inflazione) e il
rendimento dei pensionati (uguale o diverso da quello dei lavoratori).
Il calcolo di h torna possibile ove si rinunci a scegliere l’indicizzazione e il
rendimento dei pensionati l’uno indipendentemente dall’altro. In particolare, è possibile
procedere in due modi. In base al primo, assunto dalla riforma italiana, il policy maker

13
Nell’uso svedese, la pensione è ottenuta rapportando il primo membro della Error! Reference
source not found.), chiamato ‘account balance’ al contenuto della parentesi al secondo membro della
stessa Error! Reference source not found.), denominato ‘annuitization divisor’ (cfr. National Social
Insurance Board 2002, p.61).
14 1+p
Più esattamente, la distanza fra le due annualità di pensione sarà .
23
1+ d
sceglie l’indicizzazione accettando che il rendimento sia ad essa ancorato mediante la
formula
( )
(I-29) p Rj = 1 + s j × (1 + d ) - 1 "j ,

dove d è anch’esso determinato dal policy maker. Poiché d è una differenza fra tassi (il
rendimento dei pensionati e l’indicizzazione) nel seguito verrà chiamato ‘scarto’.
Sostituendo la (I-29) nella (I-28), h diventa
1
1 1 1
1+ + + +
1 + d (1 + d )2 (1 + d )
m -1

che in forma compatta assume la forma


-1
ém 1-i ù
(I-30) h (d , m ) = êå (1 + d ) ú ,
ë i =1 û

riducendosi perciò ad una funzione dello ‘scarto’ d tra il rendimento (esogeno) e


l’indicizzazione (endogena), oltreché della durata m della rendita.
In base al secondo modo, assunto dalla riforma svedese, il policy maker sceglie il
rendimento dei pensionati accettando che l’indicizzazione sia ad esso ancorata mediante
la formula
1 + p Rj
(I-31) s j = - 1.
1+ d

Sotto il profilo algebrico, la (I-31) inverte semplicemente la (I-29). Perciò,


sostituendola nella (I-28), si ottiene nuovamente la (I-30).
Dovendo la banca virtuale escludere rendimenti suscettibili di assumere valori
economicamente non significativi, e cioè inferiori a –1, per garantire analoga
significatività delle indicizzazioni annue, dalle (I-29), (I-30) e (I-31) segue che il policy
maker deve scegliere d > -1 . Tale disuguaglianza identifica perciò il dominio della
funzione h definita dalla stessa (I-30). È subito visto che in tale dominio
¶h (d , m )
>0
¶d
h ( 0, m ) = m -1
(I-32)
lim h (d , m ) = 0
d ®-1
lim h (d , m ) = 1
d ®¥

come indicato in Figura 1. Le principali implicazioni delle (I-32) sono due:


• scegliendo d = 0 , la prima annualità si ottiene dividendo il montante
contributivo per la speranza di vita al pensionamento;
• al crescere di d la prima annualità cresce fino a diventare, per d = ¥ , una
lump sum che esaurisce l’intero montante contributivo.

24
Le ragioni economiche per cui la (I-32) fa dipendere la prima annualità di pensione
dalla scelta di d possono essere meglio comprese prendendo a riferimento il caso in cui,
nel contesto di una qualsiasi delle opzioni (I-29) o (I-31), sia scelto d = 0 . In tal caso
l’indicizzazione deve essere esattamente finanziata dal rendimento dei pensionati.
Affinché ciò avvenga è necessario che le risorse disponibili al pensionamento (il
montante contributivo) vengano idealmente suddivise in m porzioni tutte di uguale
misura delle quali una viene immediatamente prelevata all’inizio dell’anno n+1 per
finanziare la prima annualità di pensione. Dal momento che il montante contributivo
residuo cresce annualmente al tasso p R , allo stesso tasso crescerà anche ciascuna delle
m-1 porzioni ideali non prelevate e destinate a finanziare le successive annualità. La
circostanza che le porzioni idealmente accantonate fossero tutte di uguale misura ( 1 m
volte il montante) garantisce che quella prelevata nell’anno n + 1 + x sarà p R volte più
grande di quella prelevata nell’anno n + 1 + x - 1 che ha avuto un anno in meno di
tempo per crescere al tasso p R . Se invece si vuole d > 0 , ovvero che l’indicizzazione
sia di d punti inferiore al rendimento, le m porzioni del montante idealmente destinate
a finanziare le annualità di pensione non potranno essere tutte di uguale misura. In
particolare, la prima (quella che sarà prelevata all’inizio dell’anno n+1) dovrà essere d
volte più grande della seconda (quella che sarà prelevata all’inizio dell’anno n+2) che,
a sua volta, dovrà essere d volte più grande della terza (quella che sarà prelevata
all’inizio dell’anno n+3), e così di seguito. Dal momento che ogni porzione crescerà
ogni anno al tasso p R , quella prelevata nell’anno n + 1 + x non riuscirà ad essere p R
volte più grande di quella prelevata nell’anno n + 1 + x - 1 , ma soltanto p R - d volte,
dovendo recuperare la distanza d che, sin dall’inizio, da essa la divideva14.
L’indicizzazione risulterà pertanto di d punti inferiore al rendimento; e ciò proprio ‘in
virtù’ del fatto che la prima porzione del montante utilizzata per finanziare la prima
annualità di pensione è stata scelta più grande delle altre e quindi più grande di 1 m
volte il montante. Se infine si vuole d < 0 , la prima porzione (quella che finanzia la
prima annualità) dovrà essere di d volte più piccola della seconda, che, a sua volta,
dovrà essere d volte più piccola della terza, e così di seguito. L’indicizzazione supererà
di d punti il rendimento dei pensionati.

1
h æçè d , m ö÷ø

m -1

-1 d
Figura 1

14 1+p
Più esattamente, la distanza fra le due annualità di pensione sarà .
1+ d

25
Dalla (I-30) si evince anche che, per ogni valore dello scarto d, il coefficiente di
trasformazione è decrescente rispetto alla speranza di vita, cosicché aumenta (a parità
di sesso) con l’età di pensionamento ed è maggiore (a parità d’età) per i maschi.
E’ importante sottolineare che la scelta di d elevati, al fine di garantire coefficienti
di trasformazione (e perciò pensioni iniziali) più generosi, produce effetti diversi a
seconda che l’opzione assunta dal policy maker sia la (I-29) oppure la (I-31): nel primo
caso (in cui è predeterminato il tasso di indicizzazione) aumenta il rendimento dei
pensionati, nel secondo (in cui è predeterminato il rendimento dei pensionati) riduce
l’indicizzazione. Nel contesto dell’opzione (I-31) emerge quindi un trade-off tra la
prima annualità di pensione e l’indicizzazione mentre δ si configura come la ‘leva’
deputata a risolverlo.

7.1 Lo schema ‘canonico’


La definizione di schema contributivo appena introdotta è sufficientemente ampia
da comprendere, come casi particolari, le riforme italiana e svedese nonché lo schema
‘canonico’ di seguito discusso.

7.1.1 Equità e sostenibilità


Lo schema canonico si caratterizza, in primo luogo, per la scelta dell’opzione (I-
31), ovvero per la scelta esogena del rendimento dei pensionati e, in tale ambito, per
l’ulteriore scelta

( )( )
(I-33) p Rj = 1 + a j × 1 + l j - 1 "j ,

dove il secondo membro denota la crescita della massa salariale nell’anno j15. In
secondo luogo, lo schema canonico si caratterizza per la seguente condizione:
(I-34) p Rj = p Lj "j ,

la quale esclude che ai lavoratori e ai pensionati possano essere accordati rendimenti


diversi.
La condizione (I-34) garantisce l’equità ‘spaziale’, ovvero ‘orizzontale’, dello
schema contributivo. In un contesto di steady state, la (I-34) assume anche una
dimensione ‘temporale’, ovvero ‘verticale’, poiché il rendimento percepito ogni anno
sia dai lavoratori sia dai pensionati, è percepito anche da ogni individuo in tutti gli anni.
In tal modo, esso si configura come il rendimento implicito di tutti gli individui
indipendentemente dal loro comportamento e, in particolare, dall’età di pensionamento
prescelta. Dal momento che quella orizzontale è una forma ‘debole’ di equità, occorre
ammettere che l’equità in forma ‘robusta’ è garantita solo in steady state.

7.1.2 Commenti
Quello canonico è uno schema a ripartizione che garantisce l’equità orizzontale e
cioè l’uniformità anno per anno del rendimento erogato a lavoratori e pensionati. Ove

15
Si noti che in un contesto di tassi costanti il parametro l indica sia il tasso di crescita della
numerosità dei componenti delle generazioni sia il tasso di crescita dell’occupazione. Nel nuovo contesto
( )( )
di tassi variabili i due tassi non sono invece coincidenti, cosicché l’espressione 1 + a j × 1 + l j - 1
indica il tasso di crescita della massa salariale dell’anno j solo se l j indica il tasso di crescita
dell’occupazione (e non anche il tasso di crescita dei ‘nuovi assunti nell’anno j).

26
siano costanti i tassi a e l, lo schema garantisce anche la sostenibilità16 e l’equità in
forma robusta intesa come uniformità dei rendimenti impliciti individuali. Sembrano
utili alcuni commenti.
Il primo commento è di natura formale. Poiché il termine ‘equità’ è suscettibile di
interpretazioni più ‘impegnative’, per indicare la semplice uniformità del rendimento
sarebbe preferibile parlare di ‘neutralità’, un termine che meglio esprimerebbe l’assenza
di redistribuzioni implicite ed in particolare di quelle regressive che caratterizzano gli
schemi a prestazione definita.
Un secondo commento riguarda la circostanza, già evidenziata, che lo stesso
rendimento (il tasso di crescita della massa salariale) è contemporaneamente indicato
nelle proposizioni A11/2 e A12/1. Ciò rischia di generare infondate promiscuità laddove
esistono, invece, due differenze salienti. In primo luogo, il rendimento di cui alla
proposizione A11/2 è generazionale mentre quello di cui alla proposizione A12/1 è
individuale. Ciò non toglie che il rendimento individuale della proposizione A12/1 sia,
a fortiori, anche generazionale. In secondo luogo, occorre ricordare che il rendimento
di cui alla proposizione A12/1 è la conseguenza dell’equilibrio (più precisamente
dell’aliquota contributiva che garantisce l’equilibrio) mentre il rendimento di cui alla
proposizione A12/1 ne è la causa (indipendentemente dall’aliquota contributiva la cui
scelta determina solo la generosità della rendita).
Un terzo commento riguarda la natura attuariale del vincolo (I- 26) che, al secondo
membro, reca inevitabilmente le m annualità di pensione attese in base all’età di
pensionamento prescelta, e non quelle che risulteranno al termine della vita residua
effettiva. Ne segue che l’esatta restituzione dei contributi (al lordo degli interessi) è
garantita per l’individuo ‘rappresentativo’, la cui vita residua sia esattamente uguale a
m, ma non per la generalità degli individui: i più longevi prelevano in eccesso sui
contributi mentre i meno longevi prelevano in difetto.
In tal modo l’equità (neutralità) dello schema è compromessa nella accezione ex
post, mentre in quella ex ante resterebbe garantita se coloro che scelgono di andare in
pensione ad una stessa età potessero tutti sperare di vivere lo stesso numero di anni. In
altri termini, l’equità ex ante resterebbe garantita se ogni possibile sottoinsieme di
lavoratori avesse la stessa tavola di sopravvivenza.
Sfortunatamente non è così. Ad esempio, le femmine sono più longeve dei maschi;
i coniugati più dei single; i campagnoli più dei cittadini; i ricchi più dei poveri. In
particolare, la correlazione fra longevità e reddito, e perciò fra durata della rendita e
montante contributivo, nuoce non solo all’equità ma anche alla sostenibilità dello
schema perché ogni anno il valor medio delle annualità di pensione ‘guadagnate’ dai
più longevi supera il valor medio di quelle ‘perdute’ dai meno longevi. Lo squilibrio
può essere solo in parte compensato dalla compresenza di correlazioni ‘a contrasto’
come quella tra longevità e genere. Infatti le donne, più longeve, percepiscono salari
più bassi.
I problemi qui accennati potrebbero essere risolti dalla diversificazione dei
coefficienti di trasformazione per gruppi sociali a mortalità omogenea. Tuttavia, si tratta
di un’ipotesi impegnativa sul piano tecnico la cui accettabilità sociale è tutt’altro che
scontata.
Un quarto commento riguarda la presunzione di equivalenza, sostenuta da taluni,
fra lo schema contributivo ed una riforma parametrica dello schema retributivo la quale
imponesse r = n nell’equazione I-1. Secondo questa tesi, l’estensione all’intera vita

16
In realtà, la costanza di a non è necessaria per dimostrare la sostenibilità dello schema canonico.
Si veda Gronchi e Nisticò (2008).

27
lavorativa del periodo di calcolo della retribuzione pensionabile consentirebbe di
ottenere, per le vie brevi, gli stessi obiettivi dello schema contributivo (nella versione
canonica) evitando l’inutile annuncio di riforme falsamente innovative17. Su questo
erroneo convincimento furono in parte basate le resistenze opposte, in Italia, alla
riforma contributiva del 199518. Per r = n la I-1 diventa
n n
p = k × å wi × Õ (1 + g j )
i =1 j =i

da cui, moltiplicando e dividendo il secondo membro per a,


k é n n ù
(I-35) p = × ê a × å wi × Õ (1 + g j )ú .
a ë i =1 j =i û

Ne segue che la pensione retributiva risulta, come nello schema contributivo, dal
prodotto di un montante dei contributi (parentesi quadra) per un ‘coefficiente di
trasformazione’ ( k a ). Nonostante che a questa somiglianza formale non corrisponda
alcuna analogia sostanziale, dalla (I-35) si deduce che è possibile costruire lo schema
contributivo canonico con le sembianze di uno retributivo. Infatti è sufficiente

• scegliere g uguale alla crescita della massa salariale,


• differenziare per età l’aliquota di rendimento secondo l’equazione
k = h (d , m ) × a ,
• scegliere l’indicizzazione (I-31).

Tuttavia, il travestimento sarebbe presto scoperto. Come si potrebbe giustificare la


stravaganza dell’indicizzazione? Oppure il fatto che, data la mortalità, l’aliquota
contributiva non potrebbe essere aumentata senza aumentare contestualmente l’aliquota
di rendimento? O, ancora, che in presenza di una diminuzione della mortalità, le
aliquote di rendimento sarebbero automaticamente ridotte?
Infine occorre commentare l’ipotesi, adottata in questa lezione, che l’aliquota
contributiva sia totalmente a carico dei lavoratori nonostante che, nella generalità dei
paesi, la contribuzione sia invece ripartita fra i lavoratori stessi e le imprese. Se questa
ripartizione giuridico-formale fosse anche economico-sostanziale, e quindi se una parte
soltanto della contribuzione complessiva incidesse sul salario, lo schema contributivo
mancherebbe l’obiettivo fondamentale dell’equità19. Infatti, indicata con al l’aliquota a
carico dei lavoratori e con ad quella (in ipotesi non traslata) a carico delle imprese, i
montanti contributivi prenderebbero la forma

17
In tal senso si esprime Chicon (1999).
18
In particolare, se ne sostenne l’inutilità visto che solo tre anni prima un’altra riforma aveva
appunto ricondotto il parametro r al parametro n (cfr. nota Error! Bookmark not defined.).
19
Il problema è stato recentemente riproposto da Vitaletti (2000).

28
n
M = ( al + ad ) × å wi × (1 + p )
n +1-i
=
i =1

é æ a öù n
÷ ú × å wi × (1 + p )
n +1-i
(I-36) = ê al × ç1 + d =
ë è al ø û i =1
n +1-i
n é æ a öù
= å al × wi × (1 + p )
n +1-i
× ê1 + çç n +1-i 1 + d - 1÷÷ ú
ê è al ø úû
capitalizzazione del ë
i =1 contributo
versato dal contributo in
lavoratore base al rendimento ulteriore capitalizzazione in base al
nell'anno i .esimo sostenibile rendimento annuo implicitamente generato
dalla contribuzione del datore

da cui risulta che ogni contributo annuo versato da un lavoratore sarebbe capitalizzato
non solo in base al rendimento sostenibile (per semplicità supposto costante) ma anche
in base ad un ulteriore rendimento implicitamente generato dalla contribuzione a carico
del datore di lavoro. Dall’espressione algebrica di questo ‘extra-tasso’ (indicata entro
la parentesi tonda all’interno di quella quadra) si evince che esso aumenta al diminuire
della differenza fra n ed i. Pertanto sarebbero premiati:
• i pensionamenti precoci perché generano l’effetto di avvicinare n a ciascun i,
• le carriere a più elevata crescita salariale per le quali gli ultimi contributi,
meglio remunerati essendo i più vicino ad n, hanno un peso maggiore.
Riemergerebbero quindi le forme di iniquità che sono proprie degli schemi retributivi.
Lo sviluppo dei primi schemi di previdenza sociale, in Europa e negli USA tra la
fine del XIX e la prima metà del XX secolo20, dette luogo ad un primo corpo di
letteratura in cui prevale la tesi che le imprese traslino sui lavoratori l’onere contributivo
che la legge pone a loro carico21. La letteratura più recente distingue fra contribuzione
‘generale’ (general payroll tax) e contribuzione ‘specifica’ (benefit-linked payroll tax).
Nel primo caso trova conferma la tesi che, almeno nel lungo periodo, il contributo a
carico dei profitti incide, in realtà, sui salari. Questo risultato è rigorosamente
dimostrabile in un contesto di equilibrio parziale sotto le ipotesi che i mercati siano
concorrenziali, l’offerta di lavoro sia rigida o la domanda di lavoro sia perfettamente
elastica. Sotto altre ipotesi, si deve ammettere la traslazione parziale sui prezzi22 con gli
effetti distorsivi che essa provoca a causa della diversità delle propensioni individuali

20
Tappe significative di questo processo furono la legislazione sugli infortuni introdotta da
Bismarck intorno al 1880, il Workmen's Compensation Act del 1906 in Inghilterra e il Social Security
Act del 1935 negli USA.
21
Così Harris (1941, pp.285-6) il quale scrive: “The economists who, in the years preceding the
introduction of the Social Security Act, had given the problem of incidence careful consideration, seem
to have been in general agreement that a payroll tax, whether levied on the workers or the employer,
would be paid ultimately by the workers. [...] In the years that have passed since the Social Security Act
became law, the weight of informed opinion seems to be that the payroll tax is borne largely by the
workers”. In particolare, propendono per l’esclusiva incidenza sui salari Brown (1922), Hall (1938),
Meriam (1933), Bauder (1936), Castellino (1969). In verità, non mancano posizioni a favore della
traslazione congiunta sui salari e sui prezzi. Fra queste Bargoni (1968), Breack (1953), Conrad (1954),
Cosciani (1961), Dalton (1954), Fuà (1965), Harris (1941), Kimmel (1950), Musgrave et al. (1951),
Richardson (1960), Taylor (1953). Ad ogni modo, tutti gli autori escludono categoricamente l’incidenza
sui profitti. Ancor più esclusa è l’ipotesi che i lavoratori traslino sulle imprese i contributi che la legge
pone a loro carico. Sull’argomento, vedi, in particolare, Hicks (1948, p.251), Musgrave et al. (1951),
Taylor (1953, pp.471-2) e Peacock (1955).
22
Cfr. Blinder et. al (1980), Gordon (1983), Burkhauser e Turner (1985), Browning (1985).
Vitaletti (2000) sembra sostenere l’incidenza totale sui prezzi con argomenti che l’Autore deduce da
Leijonhufvud (1995).

29
al consumo23. Tuttavia, poiché le popolazioni dei lavoratori e dei consumatori sono
largamente sovrapposte, la tesi di totale incidenza (sia pure indiretta) sui salari resta
prevalente.
Nel caso di contribuzione specifica, e cioè che i lavoratori percepiscano
l’equivalenza attuariale fra i contributi versati ed i benefici promessi, non vi sono dubbi
che la contribuzione formalmente a carico dei profitti sia totalmente traslata sui salari.
A questa conclusione si perviene indipendentemente dall’elasticità delle curve di
domanda e offerta di lavoro24.
La tesi di totale incidenza sui salari è confermata dalla maggioranza delle indagini
empiriche25 ed è ‘avallata’ dal glossario usato dal Sistema Europeo dei Conti il quale
identifica i ‘redditi da lavoro’ con il ‘costo del lavoro’.
In conclusione, è possibile che l’incidenza sui salari dei contributi che la legge
pone a carico delle imprese sia parziale. ancorché prevalente, se lo schema a ripartizione
è di tipo retributivo; è invece totale nello schema contributivo in cui esiste, ed è
percepito dai lavoratori, un legame perfetto fra la contribuzione versata e la pensione
promessa.

7.1.3 Equità e sostenibilità in assenza di steady state


Occorre interrogarsi sulla capacità dello schema canonico di conservare le
proprietà indicate nella sezione 7.1.1 ove sia rimossa l’ipotesi di crescita costante della
massa salariale. In quella sezione, si è già detto che, in assenza di steady state, l’equità
(I-34) perde ogni dimensione temporale riducendosi alla sola garanzia che, nello stesso
anno, la banca virtuale accorda il medesimo tasso d’interesse a tutti i correntisti (siano
essi lavoratori o pensionati). Di conseguenza, i rendimenti impliciti degli individui
appartenenti ad una stessa generazione risulterebbero diversi a seconda del
‘comportamento’, ed in particolare a seconda dell’età di ingresso nel mercato del lavoro
o dell’età scelta per il pensionamento, nonché a seconda della dinamica retributiva. Ciò
nonostante, lo schema canonico tende a livellare i rendimenti impliciti individuali dal
momento che la banca virtuale accorda ogni anno lo stesso rendimento a tutti gli
individui. Il livellamento avviene differenziando drasticamente i tassi di sostituzione
che nello schema retributivo appaiono piuttosto omogenei anche quando nella formula
I-1 i parametri r ed n non siano molto diversi. In particolare, lo schema canonico
determina tassi di sostituzione maggiori per le carriere lavorative a bassa crescita
salariale.
Per ciò che concerne la sostenibilità, occorre distinguere il caso in cui le
accelerazioni, o decelerazioni, della massa salariale sono dovute ad una variazione del
tasso di crescita dei nuovi assunti26 da quello in cui esse sono invece dovute ad una
variazione del tasso di crescita dei salari.

23
Cfr. Pechman 1985. L’incidenza sui salari sembra esclusa nella sola ipotesi che le imprese
paghino salari di efficienza (cfr. Pisauro, 1991).
24
Per un’analisi di equilibrio parziale cfr. Browning (1975), Summers (1989) mentre per un’analisi
di equilibrio generale cfr. Auerbach e Kotlikoff (1985). Alesina e Perotti (1997, pp. 922-3) osservano
che l’equivalenza tra contributi e prestazioni è variamente percepita a seconda delle caratteristiche
istituzionali del mercato del lavoro ed in particolare che risulta meglio percepita nei paesi in cui la
contrattazione salariale è perlopiù centralizzata.
25
In proposito, si vedano Brittain (1971), Brittain (1972) che replica alle critiche di Feldstein
(1972), Gruber and Krueger (1991), Gruber (1994, 1997, 2000). Per una rassegna dei risultati e dei
problemi metodologici delle principali analisi empiriche si veda Kesselman (1997).
26
Cfr. nota 15.

30
Se cambia il tasso di crescita dei salari, l’equilibrio dello schema è comunque
garantito. Se, invece, cambia il tasso di crescita dei nuovi assunti, lo schema registra
temporanei disavanzi seguiti dal riequilibrio tra gettito e spesa.
Pertanto, occorre ammettere che in presenza di cicli economici l’equilibrio dello
schema canonico è garantito tendenzialmente ma non anche istantaneamente (momento
per momento). Ciò nondimeno, lo schema stesso risulta dotato di un ‘pilota automatico’
capace di intervenire prontamente sulla spesa evitando i tempi di attesa usualmente
necessari prima che i governi si rassegnino a sopportare i costi elettorali delle riforme
parametriche e i sindacati ad assumere la responsabilità del loro avallo. Poiché il ‘pronto
intervento’ prende la duplice forma del raffreddamento della indicizzazione delle
pensioni in essere e della riduzione dei montanti contributivi in formazione (con ciò
prefigurando il contenimento delle pensioni future) al sacrificio sono contestualmente
chiamati i pensionati e i lavoratori, così da consentire una qualche forma di equità
intergenerazionale. Questa stessa equità non è garantita dagli schemi a prestazione
definita che riducono lo squilibrio manovrando l’aliquota senza modificare la formula
di calcolo delle pensioni27.
L’equilibrio dello schema canonico è minacciato non solo dalla variabilità del
parametro l ma anche dal costante aumento della vita media il quale prolunga le rendite
oltre la durata che, per il calcolo della prima annualità, era stata desunta delle tavole di
mortalità allora disponibili. Perciò occorrono aggiornamenti frequenti delle tavole, cui
devono naturalmente seguire tempestive revisioni dei coefficienti di trasformazione.
D’altronde, il rimedio non può essere l’utilizzo di coefficienti ‘forward looking’, basati
su speranze di vita previste, anziché di quelli ‘backward looking’ basati su speranze di
vita storicamente rilevate. In primo luogo, la previsione perfetta è un’astrazione e perciò
i coefficienti forward looking (in quanto opinabili) pongono problemi di accettabilità
sociale. In secondo luogo, essi tendono a generare effetti di overshooting, e cioè avanzi
di bilancio, perché l’importo delle nuove pensioni verrebbe abbattuto prima che ad esse
sia consentito di durare più a lungo28.

7.2 Le riforme contributive italiana e svedese


Le riforme italiana e svedese degli anni ‘90 non hanno adottato lo schema
canonico. Pur con le specificità di seguito discusse, entrambe le riforme sono tuttavia
riconducibili alla nozione ampia di schema contributivo sopra delineata.

7.2.1 Gli aspetti salienti


Una prima, seppur lieve, differenza tra gli schemi contributivi italiano e svedese
riguarda la scelta dello scarto d per il calcolo dei coefficienti di trasformazione in base
all’equazione (I-30). La riforma italiana ha scelto d = 1, 5% e quella svedese d = 1, 6%
. Valori di d così elevati, molto simili nei due Paesi, perseguono lo scopo di garantire
tassi di sostituzione vicini a quelli esistenti prima delle riforme, sia pure limitatamente
alle età di pensionamento ‘meritevoli’ e cioè sufficientemente elevate.
Una seconda differenza, questa volta radicale, riguarda il modo in cui i due Paesi
si sono orientati nella scelta fra le opzioni (I-29) e (I-31):
• l’Italia ha scelto la (I-29) prevedendo, in tale ambito, un tasso di
indicizzazione uguale all’inflazione e lasciando perciò che il rendimento dei

27
Tale propensione è particolarmente spiccata in Italia dove l’aliquota contributiva ha raggiunto il
32,7%. Più di altri, il caso italiano dimostra anche la difficoltà di correggere prontamente i disavanzi
visto che, da anni, l’aliquota effettiva, per quanto alta, è largamente superata da quella di equilibrio.
28
Ad analoghe conclusioni si perviene in Valdés-Prieto (2000, pp.413-14).

31
pensionati resti residualmente determinato nella misura dell’inflazione
aumentata dell’1,5% (il valore scelto per d )29;
• la Svezia ha invece scelto l’opzione (I-31) garantendo ai pensionati un
rendimento uguale alla crescita del salario medio e lasciando che
l’indicizzazione risulti residualmente determinata nella misura della crescita
del salario medio diminuita dell’1,6% (il valore scelto per d ).
Si osservi che l’elevato valore di d comporta, in Svezia, il rischio di indicizzazioni reali
negative (non potendosi affatto escludere che la crescita del salario medio risulti talora
inferiore all’1,6%).
Una terza differenza riguarda il rendimento accordato ai lavoratori: in Svezia
questi ricevono un rendimento identico a quello dei pensionati, mentre in Italia ricevono
un rendimento diverso, uguale alla crescita nominale del Prodotto Interno Lordo (PIL).
Le scelte compiute nei due Paesi hanno implicazioni diverse sulla sostenibilità dei
rispettivi schemi contributivi. Per effetto della graduale riduzione delle forze di lavoro
annunciata dalle previsioni demografiche, la crescita del salario medio, assunta in
Svezia quale rendimento unico di lavoratori e pensionati, tenderà a superare, nei
prossimi decenni, il rendimento sostenibile che il Teorema 2 individua nel tasso di
crescita della massa salariale. Fin dal 2001, il Parlamento è tuttavia corso ai ripari
approvando un ingegnoso meccanismo di correzione automatica del rendimento
operante dal 200330.
In Italia, la sostenibilità non è garantita per la ragione che sono generalmente
diversi da quello sostenibile sia il rendimento accordato ai lavoratori sia quello
accordato ai pensionati. Il rendimento dei lavoratori diventa uguale a quello sostenibile
alla sola condizione che sia costante l’incidenza della massa salariale sul PIL. D’altra
parte, tenuto conto che la popolazione attiva diminuirà sensibilmente, il rendimento
garantito ai pensionati potrà essere raggiunto dal rendimento sostenibile solo in
presenza di crescite robuste del tasso di partecipazione e/o della produttività.
Sulla sostenibilità degli schemi italiano e svedese incombe anche il rischio
‘sociale’ derivante dalla eccessiva distanza che, in entrambi i Paesi, separa la crescita
delle nuove pensioni, tendenzialmente uguale a quella dei salari unitari, dalla
indicizzazione delle pensioni già esistenti. In Svezia, la distanza è dell’1,6% cosicché
il potere d’acquisto delle pensioni liquidate in un anno tenderà a superare dell’1,6%
quello delle pensioni liquidate un anno prima, del 17% quello delle pensioni liquidate
10 anni prima, del 37% quello delle pensioni liquidate 20 anni prima, del 61% quello
delle pensioni liquidate 30 anni prima. È possibile che disparità così marcate non siano
socialmente tollerabili e sfocino perciò in aumenti periodici delle pensioni di più antica
decorrenza. Violando il vincolo che impone l’esaustione dei contributi, tali aumenti
saranno fonte di squilibri rilevanti. Le ‘pensioni d’annata’ rischiano di creare, in Italia,
problemi analoghi e perfino maggiori tenuto conto che le pensioni sono indicizzate ai
prezzi e che la differenza fra la crescita (nominale) dei salari e l’inflazione supera
normalmente l’1,6%31.
29
In verità, fu confermata la previgente indicizzazione ‘a scaglioni’ la quale prevede che
l’indicizzazione ai prezzi sia accordata al primo scaglione nella misura del 100%, al secondo del 90%, al
terzo del 75%. Questa forma di indicizzazione decrescente implica che il rendimento reale dei pensionati
più ricchi sia inferiore a d. Il disordine normativo è accentuato dal fatto che il medesimo Legislatore non
ritenne di abrogare la norma che tuttora consente al Governo di concordare coi sindacati aumenti una
tantum delle pensioni già liquidate (cfr. Gronchi 1996 b, pp.126-130).
30
Cfr. Settergren (2001) e sezione 7.1.3.
31
In Italia, negli ultimi 30 anni, i salari reali sono mediamente cresciuti del 2% all’anno (cfr. ISTAT
2002). Per gli effetti che uno scarto del 2% tra la crescita dei salari e l’indicizzazione produce sulle
pensioni d’annata cfr. sezione 6.2.1.

32
Fra le pensioni d’annata italiane e svedesi esiste tuttavia un’importante differenza
riconducibile al diverso modo in cui i due Paesi si sono orientati nella scelta fra le
opzioni (I-29) e (I-31). In Italia il fenomeno (più precisamente la scarsa indicizzazione
che lo genera) sarà percepito dalla pubblica opinione come l’esito di una legge sbagliata
che i politici dovrebbero correggere indicizzando le pensioni ai salari, mentre in Svezia
potrebbero essere correttamente percepite come il costo che i lavoratori devono pagare
in cambio di tassi di sostituzione più generosi. È possibile che questa diversa percezione
consenta alle pensioni d’annata d’essere più facilmente tollerate in Svezia che in Italia.
Ancor meglio sarebbe se ai pensionandi svedesi fosse concesso di scegliere
indicizzazioni maggiori in cambio di coefficienti di trasformazione minori: più
difficilmente potrebbero poi lamentarsi per non averlo fatto32.

7.2.2 Ulteriori aspetti


Alle opzioni, assunte dalle riforme italiana e svedese, che sono state discusse nella
sezione precedente, se ne aggiungono altre non meno importanti. Degne di maggior
nota sono quelle che riguardano l’età pensionabile, la pensione al superstite, la
differenziazione per sesso dei coefficienti di trasformazione, il loro aggiornamento,
l’aliquota contributiva, l’invalidità, le spese di amministrazione, la frammentazione del
sistema pensionistico, la diversificazione del portafoglio previdenziale mediante uno
schema parallelo a capitalizzazione. L’esame delle scelte compiute nei due Paesi, in
ordine a ciascuno di questi argomenti, sarà l’occasione per approfondire aspetti
importanti, fin qui tralasciati, dello schema contributivo.
7.2.2.1 L’età pensionabile
La riforma italiana del 1995 aveva previsto l’accesso alla pensione contributiva fra
57 e 65 anni, fatta salva la possibilità, per i lavoratori dipendenti, di convenire col datore
di lavoro il rinvio del pensionamento oltre l’età normale. Per questo motivo sarebbe
stato necessario prevedere coefficienti di trasformazione per tutte le età da 57 anni in
poi. Tale ‘dimenticanza’ poneva un problema tecnico piuttosto serio per l’attribuzione
dei coefficienti ai lavoratori che andranno in pensione dopo il 65.esimo anno d’età. A
ciò si è parzialmente rimediato con i nuovi coefficienti calcolati per le età di
pensionamento fino a 70 anni (si veda il Quadro I. 11) che tengono conto
dell’innalzamento delle età pensionabili introdotte a partire dal 2012.
In Svezia non ci furono dimenticanze del genere: il pensionamento fu consentito
fra 61 e 67 anni essendone ammesso, come in Italia, il rinvio senza limite col consenso,
per i lavoratori dipendenti, del datore di lavoro33. Perciò i coefficienti di trasformazione
sono stati da subito calcolati per tutte le età di pensionamento ragionevolmente
prevedibili34. L’ampiezza dell’intervallo considerato impone coefficienti molto
differenziati. Ad esempio, il coefficiente relativo agli 80 anni supera di quasi 2 volte e
mezzo quello relativo ai 61 anni.

32
La libera scelta di d può generare fenomeni di selezione avversa, ovvero indurre alla scelta di
d maggiori chi sa di avere una speranza di vita inferiore alla media. Si tratterebbe, tuttavia, di fenomeni
circoscritti e perciò tali da indurre squilibri di gran lunga inferiori a quelli generati dalle perequazioni di
massa altrimenti necessarie per contrastare le pensioni d’annata. La selezione avversa può invece
produrre squilibri maggiori ove, come in Italia, sia ammessa la reversibilità della pensione senza che i
coefficienti di trasformazione siano differenziati in base all’esistenza e all’età del coniuge
(cfr. sezione 7.2.2.2).
33
Cfr. National Social Insurance Board (2002, p. 48).
34
Il calcolo è limitato alle sole età comprese fra 61 e 80 anni ma, su richiesta, è previsto anche per
le età superiori.

33
La riforma svedese consente anche forme di ‘pensionamento parziale’
tecnicamente ineccepibili che fanno sfumare la nozione stessa di età pensionabile.
Infatti, da 61 anni in poi, è consentito trasformare in rendita una quota del montante
contributivo maturato continuando l’attività lavorativa35. I contributi versati nella
condizione di ‘lavoratore-pensionato’ alimentano la quota del montante non trasformata
e il capitale virtuale totalizzato quando cessa l’attività lavorativa è convertito in un
supplemento di pensione utilizzando il coefficiente di trasformazione relativo all’età
posseduta in quel momento.
La libertà di scelta, cui entrambe le riforme sono ispirate, è un ‘valore’ che lo
schema NDC può permettersi di assumere senza compromettere gli obiettivi
fondamentali dell’equità e della sostenibilità. Infatti, chi sceglie di andare in pensione
prima lo fa a sue spese accettando un coefficiente di trasformazione minore. Tuttavia,
la sostenibilità può essere temporaneamente compromessa da improvvise modificazioni
dei comportamenti in grado di generare rilevanti variazioni dell’età media di
pensionamento. Va da sé che il rischio di tali variazioni è tanto maggiore quanto
maggiore è l’ampiezza della fascia d’età entro la quale è consentito il pensionamento36.
Limitatamente alla Svezia, è possibile che il rischio sia attenuato dall’istituto del
pensionamento parziale, il quale consente modificazioni comportamentali ‘morbide’.
7.2.2.2 La pensione al superstite
Riguardo alla reversibilità, le riforme italiana e svedese hanno confermato le scelte
fatte in precedenza: in Svezia è stata confermata la norma che dal 1990 aveva abolito
la pensione ai superstiti fino ad allora riservata al solo coniuge femmina; in Italia si è
conservato il diritto del coniuge, sia femmina sia maschio, al 60% della pensione goduta
dal pensionato defunto37.
La scelta di escludere la pensione ai superstiti addossa allo Stato l’onere della
assistenza ai coniugi indigenti. Tale onere può essere rilevante in un contesto (come
quello italiano) in cui sia ancora scarsa la partecipazione delle donne al mercato del
lavoro.
D’altra parte, la scelta di garantire la pensione ai superstiti solleva alcune questioni
rilevanti. In primo luogo, il coefficiente di trasformazione (e perciò la prima annualità
di pensione) è sensibilmente inferiore perché al secondo membro del vincolo (I- 26)
occorre aggiungere il peso della ‘prosecuzione’ della rendita a favore del superstite. Per
non deprimere i tassi di sostituzione, sono quindi necessarie aliquote contributive
sensibilmente maggiori. In secondo luogo, occorre decidere se i coefficienti di
trasformazione devono essere unicamente differenziati in base all’età del pensionando
oppure anche in base al suo stato civile e perfino all’età del coniuge.
La seconda soluzione deve fare i conti con l’accettabilità sociale dell’idea che un
individuo debba ricevere meno pensione di un altro per il ‘sol’ fatto di avere un coniuge
o di averlo più giovane. Tuttavia, tali resistenze potrebbero essere attenuate se ai
pensionandi fosse consentito di scegliere liberamente fra coefficienti (rendite) ‘su una
testa’ oppure ‘su due teste’38.
35
Le quote consentite sono un quarto, due quarti e tre quarti. Sull’argomento cfr. Palmer (2000) e
Settergren (2001 b).
36
Sulla questione cfr. Gronchi (1996 b), Beltrametti e Bonatti (1996), Bosi (1997).
37
In verità, il diritto è stato ‘attenuato’ nel senso che la menzionata percentuale spetta per intero
solo al coniuge che non possegga redditi propri superiori ad un certo tetto. Al diritto del coniuge si
aggiunge quello di eventuali figli minori entro un limite di spesa uguale al 100% della pensione in
precedenza erogata al defunto.
38
Anche allo scopo di non discriminare le coppie di fatto, la libera scelta potrebbe essere estesa ai
non coniugati. Occorre valutare che la rendita su una sola testa consentirebbe di anticipare la restituzione

34
La prima soluzione genera redistribuzioni rilevanti a favore dei coniugati,
soprattutto di quelli il cui coniuge è più giovane. Inoltre, pone problemi di ordine pratico
perché il calcolo dei coefficienti di conversione richiede informazioni particolareggiate
che non sono usualmente offerte dai servizi statistici nazionali, quali la probabilità che
il pensionato defunto lasci un coniuge e lo scarto d’età che separa il primo soggetto dal
secondo. Entrambi i dati possono variare in dipendenza dell’età del pensionato defunto
e la loro rilevazione diventa perciò necessaria per tutte le età possibili. In tale carenza
di dati si è esattamente dibattuta la scelta italiana di usare coefficienti esclusivamente
differenziati per età39.
In verità, sotto l’incalzare dei tempi stretti che le condizioni politiche generali
imposero al processo di riforma, la riflessione sulle due opzioni possibili (e sulle
complesse questioni, equitative e di calcolo, da ciascuna sollevate) non poté essere
esauriente. Infine, occorre menzionare che la legge italiana ammette la pensione al
superstite anche nei casi di premorienza. La pensione del coniuge sopravvissuto è il
60% di quella virtualmente spettante al defunto. In analogia al metodo utilizzato per
calcolare l’assegno di invalidità, del quale si dà conto nella sezione 7.2.2.5, tale
pensione virtuale è a sua volta calcolata moltiplicando il montante contributivo
maturato dal defunto per il coefficiente di trasformazione relativo al 57.esimo anno di
età.
Coerentemente con la scelta di escludere la pensione al superstite ‘di pensionato’,
il sistema svedese non riconosce pensione neppure al superstite ‘di lavoratore’. In caso
di premorienza, il coniuge superstite è assistito da apposito istituto del tutto estraneo al
sistema pensionistico, mentre il montante maturato dal defunto è distribuito ai membri
della stessa coorte sotto forma di occasionale maggiorazione del rendimento. Si noti
che la scelta svedese, contrariamente a quella italiana, non inficia la sostenibilità dello
schema.
7.2.2.3 La differenziazione per sesso dei coefficienti di trasformazione
Separati dalla scelta riguardante la pensione al superstite, gli schemi contributivi
italiano e svedese sono invece uniti da quella di evitare la differenziazione per sesso dei
coefficienti di trasformazione. Tenuto conto che le speranze di vita maschili e femminili
sono piuttosto diverse, tale scelta tende a premiare il sesso femminile40. Tuttavia, il
premio risulta sensibilmente attenuato nel caso italiano (che prevede la pensione al
superstite) per due ragioni:
• le femmine lasciano meno facilmente un coniuge superstite;
• il superstite femmina vive più a lungo del superstite maschio.

del montante contributivo e di ottenere poi l’assistenza della fiscalità generale per il coniuge superstite
rimasto privo di pensione. Non si tratta, però, di vantaggi certi: nel caso di morte prematura del
pensionato, si profila uno scenario ben diverso nel quale il coniuge sopravvissuto non ha ancora raggiunto
i limiti d’età usualmente richiesti per l’assistenza agli anziani indigenti (65 anni sia in Italia sia in Svezia).
Questo rischio dovrebbe indurre la generalità dei coniugati a scegliere rendite su due teste. D’altro canto,
l’obbligatorietà delle due teste, in presenza di coefficienti di trasformazione non differenziati per età del
coniuge, incentiva matrimoni ‘finalizzati’. In sede di revisione, i coefficienti di trasformazione si
ridurrebbero per effetto di questi comportamenti e l’esito conclusivo potrebbe essere una riduzione
generalizzata delle rendite.
39
Cfr. Gronchi (1998). Altre carenze informative furono determinate dall’ulteriore scelta di
commisurare la pensione al superstite ai redditi da questo autonomamente posseduti (cfr. nota 37). La
scelta fu assunta senza comprendere le rilevanti difficoltà che essa avrebbe implicato per il calcolo dei
coefficienti di trasformazione.
40
Cfr. Kruse (2002).

35
Entrambe le cause sono accentuate dalla maggiore età del marito rispetto alla moglie,
al punto che i lavoratori maschi potrebbero risultare infine premiati se la pensione al
superstite non fosse tradizionalmente inferiore (60% in Italia) a quella del pensionato
defunto.
7.2.2.4 L’aggiornamento
Si è detto che a causa del continuo aumento della vita media, i coefficienti
backward looking tendono a generare disavanzi i quali possono tuttavia essere contenuti
entro limiti accettabili mediante l’aggiornamento frequente dei coefficienti stessi41.
Si pone, d’altro canto, l’esigenza di tutelare il diritto dei lavoratori a programmare
l’età di pensionamento sulla base di coefficienti stabili. In altri termini, occorre evitare
che il rinvio del pensionamento, teso a raggiungere l’importo di pensione desiderato,
resti vanificato dall’aggiornamento al ribasso dei coefficienti di trasformazione42.
Infine, occorre evitare che siano utilizzati coefficienti di trasformazione
diversamente aggiornati per lavoratori della stessa coorte i quali scelgano di andare in
pensione ad età diverse. Ciò costituirebbe un’inaccettabile iniquità intra-generazionale
equivalendo, in ultima analisi, all’attribuzione di differenti valori della vita media a
lavoratori nati nello stesso anno.
La riforma svedese ha saputo mediare fra le tre esigenze escogitando un
meccanismo di ‘assegnazione per coorte’ dei coefficienti di trasformazione così
riassumibile:
• all’inizio dell’anno (ad esempio il 2017) che precede quello (2018) in cui una
coorte (i nati nel 1957) si affaccia all’età pensionabile, cioè compie 61 anni,
alla medesima coorte sono notificati i coefficienti di trasformazione relativi
alle sole età comprese fra 61 e 64 anni. Tali coefficienti sono calcolati
utilizzando le tavole di sopravvivenza basate sul quinquennio appena
concluso (2012-2016). I coefficienti hanno ‘valenza temporanea’ nel senso
che dovranno essere utilizzati per calcolare la rendita ‘provvisoria’ spettante,
fino al compimento del 65.esimo anno d’età, ai lavoratori che andranno in
pensione nei successivi quattro anni (2018-2021).
• All’inizio dell’anno (2021) che precede quello (2022) in cui la coorte compie
65 anni, sono annunciati i coefficienti per tutte le età da 65 anni in poi. Anche
questi ulteriori coefficienti sono calcolati utilizzando le tavole di
sopravvivenza basate sul quinquennio appena concluso (2016-2020).
• Nello stesso anno (2022) in cui la coorte compie 65 anni la rendita provvisoria
goduta dai lavoratori della coorte che sono già in pensione (avendo scelto di
andarci in età compresa fra 61 e 64 anni) è ricalcolata sulla base del primo dei
nuovi coefficienti di cui al punto precedente (relativo ai 65.enni) e del
montante contributivo che residua da quello originariamente vantato al
pensionamento, dedotte le annualità di pensione nel frattempo prelevate ed
aggiunti i rendimenti annuali nel medesimo tempo accreditati.
In pratica, la stabilità piena dei coefficienti, e perciò l’altrettanto piena
programmabilità del pensionamento, è assicurata solo a partire dal 65.esimo d’età.
Andare in pensione prima non è proibito, ma chi lo sceglie deve accettare che, a 65
anni, gli sia infine attribuita la stessa tavola di sopravvivenza usata per i coetanei che
hanno invece proseguito l’attività lavorativa43.
41
Cfr. sezione 7.1.3.
42
Oltretutto, il timore di quest’evento può incentivare l’anticipazione sistematica del
pensionamento la quale danneggerebbe il sistema consentendo l’uso di coefficienti più che mai obsoleti.
43
Ciò evita i rischi di cui alla nota 42.

36
Sfortunatamente, le modalità scelte in Italia per aggiornare i coefficienti di
trasformazione non soddisfano alcuna delle tre esigenze sopra prospettate. In primo
luogo, l’aggiornamento non riesce a contenere efficacemente gli squilibri perché la sua
cadenza, pur essendo stata ridotta a tre anni rispetto a quella decennale prevista dalla
riforma del 1995, continua a de essere ‘ritardata’ rispetto alle rilevazioni annuali della
mortalità.44 In secondo luogo, non sono evitate le accennate iniquità intra-generazionali
perché i nuovi coefficienti valgono erga omnes ovvero per tutti i lavoratori
(indipendentemente dalla coorte di appartenenza) che andranno in pensione nel
successivo decennio. Ad esempio, chi, essendo nato nel 1962, andrà in pensione a 64
anni nel 2026, avrà attribuita una vita media più lunga di quella del coetaneo andato in
pensione, a 63 anni, nel 2025. Ciò comporterà che i lavoratori saranno spinti ad andare
in pensione prima possibile cosicché l’obiettivo dello schema NDC di spingere, senza
obbligare, a posticipare il pensionamento non potrà essere raggiunto.
7.2.2.5 La contribuzione
In Italia è in vigore un’aliquota complessiva del 33% che, sotto il profilo formale,
è a carico dei lavoratori per il 27% circa del suo valore e delle imprese per il restante
73%. In Svezia il prelievo complessivo è del 14,884%45 che compete ai lavoratori per
il 40% circa del suo valore e alle imprese per il restante 60%.
Per i lavoratori autonomi non appartenenti ad ordini professionali la riforma del 95
aveva previsto, a regime, un’aliquota del 19%46, mentre la Svezia previde, fin dal 1998,
un’aliquota identica a quella complessivamente a carico dei lavoratori dipendenti
(compresa la quota formalmente a carico dei datori di lavoro). Successivi interventi
legislativi hanno poi posto in essere un progressivo allineamento della contribuzione
degli autonomi con quella a carico dei lavoratori dipendenti. Restano invece esentati
dal processo di livellamento i lavoratori autonomi iscritti agli ordini professionali per i
quali è prevista una copertura previdenziale gestito da Casse privatizzate soggette al
controllo dei Ministeri vigilanti.
Da segnalare, infine, che l’Italia e la Svezia hanno entrambe ritenuto di porre un
limite alla base imponibile della contribuzione esentando la quota eccedente un tetto,
pari a circa 100.000 euro in Italia e circa la metà di questa cifra in Svezia47.
7.2.2.6 L’invalidità
Alla copertura del rischio di invalidità la Svezia e l’Italia hanno dato soluzioni
diverse. In Svezia gli assegni ai lavoratori disabili sono erogati dal sistema di sicurezza
sociale nell’ambito di uno speciale programma del tutto separato da quello che finanzia
le pensioni di vecchiaia. Il programma per i lavoratori disabili è finanziato da

44
È stata la legge 247 del 2007 a prevedere l’aggiornamento triennale dei coefficienti in luogo di
quello decennale previsto dalla riforma del 1995.
45
All’aliquota del 14,884%, che finanzia lo schema obbligatorio a ripartizione, occorre aggiungere
quella del 2,326% che alimenta lo schema a capitalizzazione, ugualmente obbligatorio, cui si fa cenno
nella sezione 7.2.2.8. Il prelievo obbligatorio complessivo è perciò del 17,21%. Le fonti ufficiali
menzionano un prelievo del 18,5%. In National Social Insurance Board (2002, p. 33) è spiegato che la
differenza dipende dalla inusuale base imponibile che, per l’aliquota maggiore, è il salario al netto del
contributo versato dal lavoratore.
46
A tale valore unico si sarebbe comunque pervenuti gradualmente. Ad esempio, per l’anno 2003
era dovuta un’aliquota del 16,8% dagli artigiani e del 17,19% dai commercianti.
47
Le imprese svedesi pagano i contributi anche sulla quota di salario eccedente il tetto. Tuttavia,
tali contributi si risolvono in una vera e propria tassa a carico delle imprese in quanto sono versati allo
Stato, anziché al sistema pensionistico, senza concorrere alla formazione del montante.

37
un’apposita contribuzione formalmente a carico delle sole imprese. Gli aspetti salienti
di questo programma sono tre:
• L’assegno è equiparato al salario nel senso che, come il salario, è assoggettato
alla contribuzione previdenziale. Più esattamente, lo speciale programma che
finanzia l’assegno finanzia anche la relativa contribuzione in ragione della
stessa aliquota che compete ai datori di lavoro, mentre il disabile versa
contributi previdenziali in ragione della stessa aliquota che compete ai
lavoratori dipendenti. La contribuzione complessiva (del programma e del
disabile) alimenta il montante contributivo insieme con l’eventuale altra
contribuzione versata in dipendenza di un’attività lavorativa (dipendente o
autonoma) continuata o intrapresa nonostante lo stato di invalidità.
• L’assegno di invalidità è corrisposto fino all’età scelta per il pensionamento
di vecchiaia, e comunque non oltre il 65.esimo anno d’età, quando cede il
posto alla pensione di vecchiaia normalmente calcolata sulla base del
montante contributivo maturato in quel momento (grazie ai contributi versati
sia prima sia dopo l’evento invalidante).
• Coerentemente col punto che precede, l’assegno ai disabili non compete
quando lo stato di invalidità intervenga dopo il compimento del 65.esimo
anno.
La soluzione svedese è razionale: da un lato, gli assegni di invalidità non gravano
sul sistema pensionistico essendo finanziati da una contribuzione distinta da quella che
finanzia le pensioni di vecchiaia; dall’altro, l’inclusione degli assegni nella base
imponibile della contribuzione previdenziale conferisce al sistema pensionistico le
giuste risorse per finanziare le pensioni di vecchiaia dei disabili.
In Italia il sistema pensionistico riformato conserva la preesistente natura ‘mista’
erogando pensioni di vecchiaia ed offrendo anche copertura al rischio di invalidità.
Nonostante che dal 1984 siano in vigore requisiti di accesso più restrittivi, gli assegni
ai lavoratori disabili tuttora concorrono in modo rilevante alla formazione della spesa
complessiva.
La riforma contributiva delle pensioni di vecchiaia avrebbe richiesto per
l’invalidità un programma separato ‘alla svedese’; in alternativa, sarebbero state
quantomeno necessarie procedure in grado di finanziare gli assegni ai disabili mediante
i contributi sociali complessivamente versati al sistema misto. Per comprendere che
così non è stato, basta ricordare che48:
• l’assegno è determinato moltiplicando il montante contributivo, maturato nel
momento in cui l’invalidità insorge, per il coefficiente di trasformazione
previsto per calcolare la pensione di vecchiaia di un lavoratore 57.enne;
• l’assegno di invalidità è corrisposto fino al momento in cui matura il diritto
alla pensione di vecchiaia normalmente calcolata sulla base del montante
contributivo maturato in quel momento grazie ai contributi versati sia prima
dell’evento invalidante sia dopo (nel caso in cui l’invalido abbia proseguito
l’attività lavorativa;
• coerentemente col punto che precede, ed analogamente a quanto accade in
Svezia, l’assegno ai disabili non compete quando lo stato di invalidità
intervenga dopo il compimento del 57.esimo anno.

48
Cfr. Gronchi (1996 b, 1997).

38
È pertanto evidente che l’assegno di invalidità non ha alcun corrispettivo nella
contribuzione versata dal disabile prima dell’evento invalidante perché questa concorre
interamente a generare la successiva pensione di vecchiaia49.
Pur accettando di conservare la natura mista del sistema pensionistico italiano, per
rimediare ai difetti sopra evidenziati, occorrerebbe almeno finanziare gli assegni di
invalidità mediante una ‘riserva di aliquota’, cioè una quota della contribuzione
complessiva esclusa dalla formazione del montante contributivo che genera la pensione
di vecchiaia. Inoltre, l’assegno di invalidità dovrebbe essere determinato in modo
indipendente dalla storia contributiva del disabile.
7.2.2.7 Le spese di amministrazione
Lo schema contributivo offre due opzioni per finanziare le spese di
amministrazione, ivi comprese quelle per recuperare i crediti contributivi e per dare
copertura a quelli divenuti inesigibili. In base alla prima, le spese sono finanziate
mediante una riserva di aliquota simile a quella di cui si è detto nella sezione 7.2.2.6,
che dovrebbe finanziare gli assegni d’invalidità. In base alla seconda, le spese di
amministrazione sono portate in detrazione al rendimento offerto a lavoratori e
pensionati50.
La Svezia ha scelto la seconda opzione51 mentre in Italia il problema della
copertura delle spese di amministrazione è stato semplicemente ignorato con la
conseguenza che tali spese, tutt’altro che trascurabili, accresceranno il disavanzo
generato dalle altre imperfezioni già discusse.
7.2.2.8 La diversificazione del portafoglio previdenziale
Nella irrisolta battaglia intellettuale fra i fautori della ripartizione e quelli della
capitalizzazione, molti paesi hanno scelto, o stanno scegliendo, sistemi pensionistici
obbligatori di tipo misto che consentano di diversificare il portafoglio previdenziale dei
lavoratori. La Svezia è uno di questi paesi. Infatti, al ‘pilastro’ a ripartizione di tipo
contributivo, la riforma del 1998 ha affiancato un evoluto pilastro a capitalizzazione
alimentato da un contributo obbligatorio pari al 2,326% del salario, che compete ai
lavoratori per il 40% e alle imprese per il restante 60%52. In contrapposizione al primo
pilastro a ripartizione, che è unico e garantito dallo Stato, il secondo a capitalizzazione
è perlopiù organizzato su base privatistica e frammentato in una molteplicità (circa 500)
di fondi aperti in autentica concorrenza fra loro. La competizione è soprattutto
assicurata dalla possibilità che i lavoratori hanno di trasferirsi da un fondo all’altro
senza costi (individualmente sostenuti) né ritardi53. Inoltre, per consentire la
diversificazione del rischio, i lavoratori possono ripartire fra più fondi (non oltre
cinque) il risparmio previdenziale accumulato, così come la nuova contribuzione.

49
Per completare il quadro normativo italiano, occorre precisare che nel caso in cui il disabile
prosegua l’attività lavorativa, l’assegno d’invalidità è decurtato in dipendenza del salario percepito.
L’ordinamento prevede anche il cosiddetto assegno di inabilità il quale è calcolato con regole più
generose ed è concesso ai disabili particolarmente gravi. Nonostante che la speranza di vita dei destinatari
sia normalmente breve, gli assegni di inabilità implicano una spesa aggregata non trascurabile in
considerazione della loro reversibilità.
50
Nel caso dei pensionati, la decurtazione del rendimento prende la forma di un abbattimento del
tasso di indicizzazione.
51
In realtà, la Svezia ha deciso di esentare i pensionati per i quali non è previsto alcun abbattimento
dell’indicizzazione.
52
Cfr. nota 45.
53
La legge prevede che l’ordine di trasferimento impartito dal lavoratore sia eseguito entro 24 ore
(cfr Palmer 2000, p.33).

39
Fra i lavoratori ed i fondi si interpone una agenzia pubblica che persegue i
seguenti cinque obiettivi principali:
• offrire informazioni, standardizzate e certificate, sulle reali performance dei
fondi concorrenti, così da consentire ai lavoratori di scegliere
consapevolmente fra i fondi stessi;
• centralizzare le operazioni connesse all’esazione dei contributi e alla mobilità
del risparmio previdenziale, così da ridurne i costi sopportati dai lavoratori
mediante un prelievo sui rendimenti lordi realizzati dai fondi;
• garantire ‘l’anonimato delle utenze’ ovvero impedire che i fondi conoscano i
nominativi degli iscritti, così da evitare costose forme di promozione (rivolte
ai lavoratori non affiliati) le quali ridurrebbero i rendimenti netti;
• svolgere il ruolo di annuity provider mentre i fondi continuano a gestire il
capitale che residua dopo ogni annualità di pensione;
• su richiesta del lavoratore, assumere la gestione del capitale accumulato al
pensionamento garantendo un rendimento fisso nominale del 3% 54.
Il panorama dei soggetti nei quali si articola il secondo pilastro è completato da un
fondo pensione pubblico, a carattere ‘residuale’, in cui confluiscono le contribuzioni
relative ai lavoratori che, per una ragione o per l’altra, non scelgano alcuno dei fondi
privati autorizzati55.
La riforma svedese ha relegato al ruolo di terzo pilastro i fondi pensione
preesistenti. A tali fondi, spontaneamente nati negli anni “70 per effetto di libere intese
fra le parti sociali e perlopiù a carattere categoriale, risulta iscritto l’80-90% dei
lavoratori. Le aliquote contributive che, in regime di esenzione fiscale, alimentano il
terzo pilastro sono comprese fra il 2,5% ed il 4,5%56.
In Italia non esistono, al momento, autentiche forme di previdenza obbligatoria a
capitalizzazione. Esiste tuttavia una forma previdenziale obbligatoria denominata
Trattamento di Fine Rapporto (TFR). Lo schema prevede, in regime di esenzione
fiscale, contribuzioni piuttosto elevate, intorno al 7% del salario, che sono accantonate
dal datore di lavoro (da lui versate nelle proprie mani) e remunerate (ai lavoratori) ad
un tasso pari ai 3 4 dell’inflazione aumentato dell’1,5%. Quando il rapporto di lavoro
cessa per qualsiasi motivo (non solo in occasione del pensionamento) l’impresa
rimborsa il credito maturato dal lavoratore con una lump sum.
Oltre che ai lavoratori, questa forma anomala di secondo pilastro è gradita anche,
e soprattutto, alle imprese consentendo loro di finanziarsi a buon mercato57 e comunque
ovviando, almeno in parte, al razionamento del credito cui esse, specie se
medio-piccole, sono usualmente assoggettate.
A partire dal 1993, ed in particolare nel 2005, la legislazione sul TFR è stata
modificata al fine di prevedere la possibilità per i lavoratori di devolvere il TFR alla
previdenza complementare, ovvero in uno schema pensionistico a capitalizzazione,
‘chiuso’ o ‘aperto’.

54
Questa opzione è scelta dai pensionati che desiderano evitare ulteriori rischi dopo il
pensionamento. I loro soldi sono investiti a basso rischio ed i rendimenti eventualmente eccedenti il 3%
possono essere loro girati a discrezione della PPA. Per evitare rischi di selezione avversa, è consentita
una sola modalità di indicizzazione delle rendite. In particolare, è stata scelta l’indicizzazione nulla (che
implica annualità costanti).
55
Per una descrizione più approfondita del secondo pilastro svedese, cfr. Palmer (2000, pp. 30-42)
e Premium Pension Authority (2001).
56
Per una descrizione più approfondita del terzo pilastro, cfr. Palmer (2000, pp. 4, 8-9 e 2002,
pp. 180-2).
57
Con l’inflazione al 2,5% il finanziamento ‘da TFR’ costa lo 0,875% in termini reali.

40
7.2.2.9 La transizione
In generale, l’introduzione di nuove regole pensionistiche solleva la complessa
questione della tutela dei diritti maturati sotto le regole precedenti58. Nel caso specifico
delle riforme italiana e svedese, i due Paesi hanno affrontato la questione con criteri
assai diversi.
La riforma svedese ha scelto di:
• escludere da ogni tutela i lavoratori nati dopo il 1953, che nel 1998 (l’anno
della riforma) hanno perciò compiuto età non superiori a 44 anni;
• tutelare pienamente (escludere dall’applicazione della nuova formula di
calcolo della pensione) i lavoratori nati prima del 1938, che nell’anno della
riforma erano già in età pensionabile oppure vi sono entrati compiendo 61
anni;
• tutelare parzialmente i lavoratori nati fra il 1938 e il 1953 (estremi compresi)
assicurando loro il 5% della pensione retributiva, che sarebbe spettata in
assenza di riforma, per ciascuno degli anni che concorrono a formare l’età
compiuta nel 1998, con l’esclusione di una ‘franchigia’ pari a 44 anni. Ad
esempio, alla coorte nata nel 1950, che nel 1998 ha compiuto 48 anni, è
assicurata una quota della pensione retributiva così calcolata:
5% ´ ( 48 - 44) = 20% .
L’applicazione di questi criteri produce gli esiti dettagliatamente indicati nelle
colonne (2) e (5) dell’acclusa Tavola 1. Si osservi che il ‘sistema di tutele’ testé descritto
si applica anche a chi non aveva ancora avviato l’attività lavorativa quando la riforma
entrò in vigore.
L’Italia ha preferito assumere il criterio dell’anzianità contributiva anziché
dell’età. In particolare è stata fatta la scelta di
• tutelare pienamente (escludere dall’applicazione della nuova formula di
calcolo della pensione) i lavoratori qui definiti ‘senior’, che alla riforma
potevano vantare anzianità contributive almeno uguali a 18 anni;
• tutelare parzialmente gli altri lavoratori, qui definiti ‘junior’, consentendo
che, per ciascuno anno di anzianità contributiva maturato alla riforma, fosse
loro garantita una quota della pensione retributiva (che sarebbe spettata in
assenza di riforma) pari al reciproco dell’anzianità contributiva
complessivamente vantata al pensionamento59.
È in primo luogo importante osservare che la transizione italiana ha totalmente
esentato dalla formula contributiva il 40% degli occupati mentre quella svedese ha
riservato l’esenzione totale al solo 7%. Tuttavia la diversità dei criteri (l’età nell’un
caso, l’anzianità nell’altro) non consente confronti puntuali se non ipotizzando l’inizio
e la durata dell’attività lavorativa, così da poter convertire l’anzianità in età o viceversa.
Se il 24.esimo anno di vita fosse il primo di attività lavorativa e se questa si protraesse
per 40 anni (cioè terminasse quando è compiuto il 63 esimo anno d’età) le regole di

58
Sugli effetti equitativi delle modifiche normative in materia fiscale, cfr. Graetz (1985) e Kaplow
(1986) che criticano le tesi espresse in Feldstein (1976 a, b). Per un’analisi specifica degli effetti del
mutamento normativo in materia previdenziale cfr. Giovannoni (2000).
59
Infatti, indicata con n ' l’anzianità contributiva maturata alla riforma, ai lavoratori junior è
assicurata una pensione retributiva pari a n '× k volte la retribuzione pensionabile contro le n × k volte che
sarebbero spettate in assenza di riforma (cfr. equazione I-1 della Lezione I).

41
tutela italiane produrrebbero gli esiti ‘per età’ dettagliatamente indicati nelle colonne
(3) e (6) della Tavola 1. Tali esiti confermano, con grande evidenza, la maggiore
rapidità della transizione svedese.
Quota della pensione Quota della pensione
Età alla retributiva garantita Età alla retributiva garantita
riforma dalla riforma riforma dalla riforma
in Svezia in Italia in Svezia in Italia
24 0% 2,5% 43 0% 100,0%
25 0% 5,0% 44 0% 100,0%
26 0% 7,5% 45 5% 100,0%
27 0% 10,0% 46 10% 100,0%
28 0% 12,5% 47 15% 100,0%
29 0% 15,0% 48 20% 100,0%
30 0% 17,5% 49 25% 100,0%
31 0% 20,0% 50 30% 100,0%
32 0% 22,5% 51 35% 100,0%
33 0% 25,0% 52 40% 100,0%
34 0% 27,5% 53 45% 100,0%
35 0% 30,0% 54 50% 100,0%
36 0% 32,5% 55 55% 100,0%
37 0% 35,0% 56 60% 100,0%
38 0% 37,5% 57 65% 100,0%
39 0% 40,0% 58 70% 100,0%
40 0% 42,5% 59 75% 100,0%
41 0% 45,0% 60 80% 100,0%
42 0% 100,0% over 60 100% 100,0%
(1) (2) (3) (4) (5) (6)
Tavola 1: la tutela dei diritti acquisiti in Svezia e in Italia

Sotto il profilo equitativo, il criterio scelto dall’Italia per tutelare i diritti acquisiti
appare insoddisfacente per due ragioni:
• la prima è riconducibile all’inaccettabile salto generazionale fra i lavoratori
junior più vecchi (che alla riforma vantano 17 anni di anzianità contributiva
ed hanno perciò 41 anni nell’ipotesi che l’attività lavorativa sia avviata a 24
anni) ed i lavoratori senior più giovani (18 anni di anzianità e 42 d’età)
essendo i primi tutelati al 45% e i secondi al 100%.
• La seconda ragione è che due lavoratori junior con la stessa anzianità
contributiva alla riforma sono diversamente tutelati nel caso che, dopo la
riforma stessa, lavorino un diverso numero di anni. Ad esempio, di due
lavoratori che vantino 10 anni di anzianità alla riforma continuando a lavorare
per 10 anni l’uno e per 30 l’altro, il primo è tutelato al 50%
(
10 ´ 1
10 + 10
= 0,5 ) mentre il secondo è tutelato al 25%

(
10 ´ 1
10 + 30 )
= 0, 25 . Per applicare equamente il criterio dell’anzianità
contributiva, sarebbe stato necessario emulare le modalità con cui, in Svezia,
è stato applicato il criterio dell’età, e prevedere cioè che, per ogni anno di
anzianità alla riforma, fosse garantita una quota della pensione retributiva
indipendente dall’anzianità al pensionamento. Ad esempio, garantendo il 3%,
i due lavoratori junior di cui sopra sarebbero entrambi tutelati al 30%
(avrebbero entrambi diritto al 30% della pensione retributiva spettante in
assenza di riforma).

42
Diverso è anche il modo in cui, per i lavoratori parzialmente tutelati, i due paesi
hanno ‘costruito’ la parte contributiva del trattamento pensionistico complessivo. In
Svezia essa è una quota della pensione contributiva complessivamente generata dai
contributi versati sia prima della riforma sia dopo. Tale quota è il complemento a 100
delle percentuali indicate nelle colonne (2) e (5) della Tavola 1. In Italia ai lavoratori
junior spetta la pensione contributiva esclusivamente generata dai contributi versati
dopo la riforma (anziché una quota di quella complessivamente generata dai contributi
versati sia prima della riforma sia dopo).
Riguardo all’età pensionabile, l’Italia ha fatto la scelta di escludere tutti i lavoratori
in essere dalla nuova età introdotta dalla riforma (57-65 anni per maschi e femmine).
Costoro restano perciò tenuti alla vecchia età pensionabile di 65 anni per i maschi e 60
per le femmine, potendo tuttavia ricorrere al pensionamento anticipato ove l’anzianità
contributiva sia almeno di 35 anni e l’età abbia superato soglie progressivamente
crescenti e diversificate per categorie, che solo dal 2006 saranno unificate a 57 anni per
tutti i lavoratori60. Al contrario, la Svezia ha fatto la scelta di estendere immediatamente
la nuova età pensionabile (61-67 anni) alla totalità dei lavoratori in essere. La
precedente età era di 65 anni per entrambi i sessi.
Riguardo all’indicizzazione, si osservi infine che la Svezia non ha esitato ad
estendere il nuovo tasso previsto per le pensioni contributive (rendimento diminuito
dell’1,6%) alle pensioni retributive in essere, fino a quel momento indicizzate ai prezzi,
alle pensioni interamente retributive che sarebbero state liquidate nella fase transitoria
nonché alla componente retributiva delle pensioni miste che sarebbero state liquidate
nella medesima fase. Ha prevalso, infatti, la preoccupazione di evitare la coesistenza di
due diversi regimi di indicizzazione.
In Italia è probabile che la medesima preoccupazione abbia concorso alla scelta
opposta, di estendere la preesistente indicizzazione ai prezzi alle pensioni contributive
ed alla componente contributiva delle pensioni miste da liquidare nella fase transitoria.
Ad un’esigenza di medio periodo è stata così sacrificata, in via permanente, la corretta
indicizzazione delle pensioni contributive che avrebbe garantito la sostenibilità e
l’equità del sistema.
A partire dal 2012, i contributi versati da tutti i lavoratori, compresi quelli che la
riforma del 1995 aveva del tutto esentato dall’applicazione del nuovo metodo di
calcolo, generano crediti pensionistici in base alle regole ‘contributive’.

60
Nel 2003 la soglia anagrafica è di 55 anni per gli operai, di 57 per gli impiegati del settore privato
e di 56 per gli impiegati del settore pubblico.

43
8 Appendice
8.1 Il rendimento implicito in un progetto PIPO
Un progetto Point Input - Point Output, indicato con la sigla PIPO, è una
‘operazione’ di qualsivoglia natura che preveda l’impiego (investimento) al tempo
presente di un capitale iniziale k0 e la restituzione dopo n anni di un capitale finale kn
accresciuto al tasso annuo p . Il capitale impiegato k0 vien detto input del progetto, il
capitale restituito kn vien detto output, il tasso di crescita p viene detto tasso di
rendimento, la crescita del capitale impiegato, cioè la differenza k n - k 0 , vien detta
rendimento, il numero n degli anni che intercorrono fra l’impiego e la restituzione del
capitale vien detto durata del progetto. Per brevità, il tasso di rendimento verrà talora
chiamato semplicemente ‘tasso’ o semplicemente ‘rendimento’. Dal contesto risulterà
chiaro quando quest’ultimo termine indicherà il tasso di crescita del capitale impiegato
e quando indicherà invece la crescita assoluta di tale capitale.
Dall’equazione in forma implicita
k 0 × (1 + p) - k1 = 0

si possono esplicitare le equazioni


(I-37) k1 = k 0 × (1 + p)

e
k1
(I-38) k0 = ,
1+ p

la prima delle quali consente di determinare il capitale finale, dati quello iniziale e
il (tasso di) rendimento, mentre la seconda consente di determinare il capitale iniziale,
dati quello finale e il rendimento. In pratica, la prima equazione è utile a chi voglia
sapere di quanto disporrà dopo un anno investendo una data somma ad un dato tasso di
rendimento; la seconda equazione è utile a chi voglia sapere quanto occorre investire
ad un dato tasso per disporre di una data somma dopo un anno.
Si osservi che l’equazione implicita può essere esplicitata anche rispetto a p
ottenendo la forma:
k1
(I-39) p= -1
k0

che consente di calcolare il rendimento offerto da un progetto di cui siano noti il


capitale da investire e quello che sarà restituito dopo un periodo.
La (I-39) è utile a chi debba decidere se ‘accettare’, cioè intraprendere, un progetto.
Nel caso che costui possegga il capitale k 0 ‘chiesto’ dal progetto, il tasso di rendimento
calcolato mediante la (I-39) dovrà essere confrontato con il tasso di interesse offerto da
un investimento alternativo, ad esempio il tasso sui depositi offerto dalla propria banca.
Nel caso che l’investitore non possegga il capitale k 0 , il confronto dovrà essere
instaurato con il tasso d’interesse richiesto dalla forma di finanziamento disponibile, ad
esempio dalla banca sui prestiti concessi alla clientela.

44
Un caso concreto varrà a chiarire questi concetti. Supponete che un amico vi chieda
in prestito 300.000 euro promettendo di restituirne 330.000 fra un anno. In sostanza,
l’amico vi sta proponendo un progetto PIPO del quale la somma chiesta in prestito
rappresenta l’input e la somma promessa in restituzione dopo un anno rappresenta
l’output. Utilizzando la (I-39) si ottiene:
330.000
p= - 1 = 0,1 .
300.000

Se disponete dei 300.000 euro chiesti in prestito, avendoli per il momento


depositati su un conto corrente bancario, e se la banca vi sta offrendo un interesse, per
voi attivo, del 15% (pari a 0,15 euro per ogni euro depositato) non vi converrà
soddisfare la richiesta del vostro amico perché perdereste 0,15 - 0,10 = 0,05 euro per
ogni euro prestato. Essendo gli euro in numero di 300.000, la perdita complessiva
sarebbe di 15.000 euro. Invece, se la banca vi sta offrendo un interesse del 5% (pari a
0,05 euro per ogni euro depositato), il prestito diventa allettante in quanto vi consente
di guadagnare 0,10 - 0,05 = 0,05 euro per ogni euro prestato e perciò 15.000 euro in
totale.
Se non possedete i 300.000 euro, potete sempre pensare di svolgere il ruolo di
intermediario facendoveli prestare dalla banca per poi darli in prestito all’amico. Nel
caso che la banca vi chieda un interesse, per voi passivo, del 15%, il gioco non vale la
candela; anzi, perdereste 0,05 euro per ogni euro ‘intermediato’ (15.000 euro in tutto).
Invece, se il tasso d’interesse preteso dalla banca è del 5%, allora l’operazione vi
conviene perché guadagnate 0,05 euro per ogni euro intermediato (15.000 euro in tutto).
Comunque stiano le cose (che abbiate o non abbiate i soldi da dare in prestito
all’amico) la regola è sempre la stessa: conviene ‘accettare il progetto’ se e solo se il
rendimento implicito in tale progetto supera l’interesse bancario, attivo o passivo a
seconda dei casi.
Si consideri ora un progetto PIPO di durata pluriennale. Si supponga siano noti
l’input e il tasso di rendimento. L’equazione che consente di calcolare l’output è:
(I-40) k n = k 0 × (1 + p)n .

La seguente tabella, basata su un esempio numerico in cui k 0 = 100.000 , p = 0,1


e n = 3 , mostra che la (I-40) può essere ricavata applicando ripetutamente la (I-37):

Progetto: capitale dopo 1 anno capitale dopo 2 anni capitale dopo 3 anni
k0 = 100.000 110.000 = 121.000 = 133.100 =
p = 0,1 = 100.000 × (1 + 0,1) = 110.000 × (1 + 0,1) = = 121.000 × (1 + 0,1) =
n=3 = 100.000 × (1 + 0,1) × (1 + 0,1) = = 100.000 × (1 + 0,1) × (1 + 0,1) =
2

= 100.000 × (1 + 0,1)
2
= 100.000 × (1 + 0,1)
3

Esplicitando la (I-40) rispetto a k 0 , si ottiene:


kn
(I-41) k0 =
(1 + p )
n

mentre rispetto a p si ottiene:

45
kn
(I-42) p=n - 1.
k0

Le (I-40), (I-41) e (I-42), generalizzano, rispettivamente, le (I-37), (I-38) e (I-39),


consentendo n > 1 .
Occorre ora introdurre alcune definizioni. Si usa dire che la (I-40) determina il
valore futuro, o montante, di k0 e che la (I-41) determina il valore attuale, o sconto, di
kn . Si usa anche dire che la (I-42), determina il rendimento implicito nel progetto,
oppure il rendimento interno al progetto. Si tratta del rendimento che il progetto
‘nasconde’ e che l’equazione (I-42), consente di ‘svelare’ o ‘esplicitare’ (in vista del
confronto con il tasso d’interesse bancario che consente di valutarne la convenienza).

Esercizi
1. Qual è il capitale finale (output) generato da un capitale iniziale (input)
di 1.000.000 di euro impiegato per 5 anni al 4%?
2. Qual è il capitale iniziale (input) che, impiegato per 4 anni al 5%,
genera un capitale finale (output) di 24.310.125 euro?
3. Calcolare il rendimento implicito nel progetto
k0 = 200.000; k3 = 266.200 .

8.2 Il rendimento implicito in un progetto CICO


Per progetto CICO (Continuous Input-Continuous Output) si intende un progetto
caratterizzato da più flussi di cassa parte dei quali in uscita e parte dei quali in entrata.
La determinazione del tasso di rendimento implicito nei progetti PICO è più complicata
rispetto al caso dei progetti PIPO: in generale, non è possibile determinare una formula
del tipo (I-42) cosicché p può essere trovato solo con la procedura di seguito descritta.
Considerate nuovamente l’amico che vi chiede un prestito. Questa volta, però,
immaginate che vi chieda un prestito in due tranche, una di 200.000 euro subito e una
di 100.000 euro a distanza di un anno. L’amico promette inoltre il rimborso del prestito
in altrettante tranche così articolate: 252.000 euro fra due anni e 110.000 fra tre. Siete
di fronte ad un vero e proprio progetto CICO. Per valutare questo progetto dovete in
primo luogo determinarne il rendimento implicito.
Notate che la somma degli output (252.000+110.000) supera la somma degli input
(200.000+100.000) l’input di oltre il 20%. Tuttavia sarebbe un grave errore pensare che
il rendimento implicito sia di quest’ordine di grandezza. Per scoprire quale
effettivamente sia, occorre svolgere un ragionamento piuttosto complesso che prende
avvio dalla formulazione di un’ipotesi ‘qualsiasi’: ad esempio, che il rendimento sia del
9%. Il secondo passo consiste nella ‘verifica’ di quest’ipotesi che è svolta nella parte
alta del Quadro I.12.

46
Quadro I.12

Se il tasso di rendimento fosse davvero del 9%, i 200.000 euro investiti al tempo 0
maturerebbero, al tempo 1, un montante di 218.000 euro. Naturalmente, quest’importo
si ottiene con la formula (I-40) ponendo k0 = 200.000, p = 0,09 ed n = 1 . Ma l’amico
(più impersonalmente, si potrebbe dire ‘il progetto’) al posto di promettervi la
restituzione di questa somma, all’inizio del secondo anno vi chiede altri 100.000 euro.
Il vostro credito diventa quindi di 318.000 euro. Al 9%, tale somma produrrebbe alla
fine del tempo 2 un montante di 346.620 euro. Poiché l’amico vi restituirà, a quel
momento, solo 252.000 euro, tratterrebbe in prestito la differenza di 94.620 euro che al
9% genererebbe al tempo 3 un montante di 103.135,8 euro.
È cruciale il significato esatto di quest’ultimo montante: si tratta di quanto l'amico
(il progetto) dovrebbe pagare alla scadenza se il rendimento implicito fosse davvero del
9%. A quella data l'amico (il progetto) è invece più generoso perché pagherà una somma
superiore, pari a 110.000 euro. Se ne deduce che l'ipotesi ammessa è errata per difetto,
e perciò che il vero rendimento implicito è superiore.
Occorre allora formulare una seconda ipotesi che corregga l’errore commesso dalla
prima. Ad esempio, ha senso ipotizzare un rendimento dell’11%. Se il rendimento fosse
davvero questo, parte centrale del Quadro I.12 mostra che, alla scadenza, l’amico (il
progetto) vi sarebbe debitore di 117.016,2 euro mentre è previsto un saldo di soli
110.000 euro. Questa è la prova che anche il nuovo tasso è errato, ma questa volta
l’errore è per eccesso anziché per difetto.
Poiché il 9% è un’ipotesi errata per difetto mentre l’11% è errata per eccesso, ha
senso verificare una terza ipotesi intermedia fra le precedenti due: ad esempio, che il
rendimento sia del 10%. La parte bassa del Quadro I.12 mostra che, se il rendimento
fosse davvero questo, alla scadenza l’amico (il progetto) vi sarebbe esattamente
debitore della somma prevista a saldo. Ciò dimostra che, finalmente, il tasso ipotizzato
è quello vero.
La parte bassa del Quadro I.12 indica che il progetto CICO triennale propostovi
dall’amico è idealmente scomponibile in tre progetti PIPO annuali e consecutivi (nel

47
senso che il secondo comincia quando finisce il primo mentre il terzo comincia quando
finisce il secondo). Più in dettaglio, il progetto CICO ha una ‘struttura temporale’ che
prevede
• un capitale investito di 200.000 euro al tempo 0 seguito dall’ulteriore investimento
di 100.000 euro al tempo 1;
• un capitale investito di 320.000 euro al tempo 1 seguito dalla restituzione di 252.000
euro al tempo 2;
• un capitale investito di 100.000 euro al tempo 2 seguito dalla restituzione di 110.000
euro al tempo 3.
Perciò l’analisi svolta per determinare il rendimento implicito del 10% consente
anche di verificare che il capitale impiegato nel progetto non è costante.

8.2.1 L’equazione che determina il rendimento implicito


La procedura ‘per tentativi ed errori’ (trials and errors) utilizzata per la ricerca del
rendimento implicito ha avuto termine quando il montante del capitale investito nel
terzo e ultimo anno è risultato uguale all’ultimo output del progetto (110.000 euro).
Si osservi ora che, in ciascuno dei tre tentativi, tale montante è stato determinato
mediante la formula
(I-43) 200.000 ∙ 1 + 𝜋 + 100.000 ∙ 1 + 𝜋 − 252.000 ∙ 1 + 𝜋

cosicché la ricerca del rendimento implicito equivale alla ricerca di una soluzione
all’equazione che vede al primo membro la (I-43) e al secondo membro il terzo e ultimo
output del progetto.
Svolgendo i prodotti nella (I-43), l’equazione in oggetto può essere facilmente
ridotta alla forma
* +
(I-44) 200.000 ∙ 1 + 𝜋 + 100.000 ∙ 1 + 𝜋 − 252.000 ∙ 1 + 𝜋 = 110.000

da cui si deduce il seguente risultato importante: il rendimento implicito può essere


ricondotto alla soluzione dell’equazione che uguaglia all’ultimo output il montante
degli input diminuito dei montanti di tutti gli output ‘intermedi’ (escluso l’ultimo).

Dividendo i due membri per (1 + p )3 e riordinando, dalla (I-44) segue facilmente

252.000 110.000 100.000


+
+ *
= 200.000 +
1+𝜋 1+𝜋 1+𝜋

da cui si deduce che il rendimento implicito può anche essere ricondotto alla soluzione
dell’equazione che uguaglia lo sconto degli output allo sconto degli input.
In generale, il rendimento implicito in un progetto PICO il cui input sia k 0 ed i cui
output siano k1 , k 2 ,!, k n è la soluzione dell’equazione

k1 k2 kn
+ + ! + - k0 = 0
1 + p (1 + p)2 (1 + p)n
ovvero, in forma compatta61

n
61
Si ricorda che, in generale, il simbolo åb
i =1
i denota la somma b1 + b2 + ! + bn .

48
n
k
(I-45) å (1 + ip)i - k0 = 0 .
i =1

È importante comprendere la ‘utilità’ dell’equazione (I-45). Risolvendola, diventa


possibile determinare più ‘speditamente’ il rendimento implicito senza passare per la
scomposizione in progetti PIPO indicata nella sezione precedente. Tuttavia, per
risolvere l’equazione, occorre nuovamente procedere per tentativi ed errori poiché essa
non possiede, in generale, una ‘formula risolvente’ non essendo esplicitabile rispetto
all’incognita p. La collocazione di p al denominatore indica che, ove l’ipotesi ammessa
circa il possibile valore di p facesse risultare positivo/negativo il primo membro,
l’ipotesi successiva dovrebbe prevedere un valore più alto/basso.

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