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Evoluzione verso la normotonia

In questi pazienti lo stato di ipotonia iniziale viene seguito a breve a


scadenza da una ricomparsa della motricità globale degli arti con una
sequenza motoria normale; spesso tale ripresa si verifica a partire dall’arto
superiore. In questo tipo di evoluzione è possibile la ricomparsa della
motricità fine della mano, benché inizialmente con forza ed ampiezza ridotte.
Su questa base è chiaro che potrà prevedersi un recupero ottimale della
funzione, fino al ripristino completo delle attività motorie. L’impegno
terapeutico avrà il compito di guidare e facilitare le sequenze motorie normali.

Evoluzione verso l’ipotonia prolungata

E’ caratterizzata dal prolungato permanere dello stato iniziale di flaccidità al


tronco e agli arti senza accenno ad alcuna ripresa motoria entro il normale
limite della II-IV settimana. Tale scelta può evolvere verso:

- ipotonia prolungata pseudo periferica: la caratteristica peculiare


consiste nella presenza del cosiddetto ‘piede cadente’ che richiama la
lesione dei II neuroni di moto, e non una lesione centrale; da qui la sua
denominazione. Il paziente incontrerà notevole difficoltà ad iniziare il
cammino, caratterizzato dal lancio dell’arto e dalla caduta dell’anca con
ginocchio in recurvatum.;
- forma mista: gli arti permangono ipotonici sia al fulcro prossimale che a
quello intermedio. All’arto inferiore vi è grave difficoltà per la ripresa del
cammino, la cui integrazione presenterà sempre il problema del
recurvatum del ginocchio; sarà necessario l’appoggio di un tripode e
l’ausilio di scarpe correttive, in quanto il piede non avrà nessuna
risposta volontaria o funzionale. A livello dell’arto superiore sarà
possibile evocare qualche movimento del gomito e della spalla che, pur
senza rendere l’arto funzionale, possono servire a renderlo più gestibile
da parte del paziente; la mano tenderà a rimanere in un atteggiamento
di semiflessione;
- ripresa disto prossimale: è caratterizzata da un’evoluzione che inizia
con i movimenti fini e selettivi della manbo. Tale ripresa coinvolge in
seguito i restanti fulcri con progressione verso la spalla . E’ un tipo di
ripresa che, benché si presenti spesso tardivamente, a diversi mesi
dall’ictus, ha una prognosi molto favorevole, potendo portare alla
completa reintegrazione delle funzioni persre;
- ripresa disto prossimale con evoluzione verso la distonia: il
comportamento motorio si presenta come l’evoluzione del precedente,
ma quando i movimenti coinvolgono il fulcro intermedio e soprattutto
quello prossimale, si possono osservare delle oscillazioni dell’arto nel
tentativo di compiere un movimento finalistico. Tale deficit, di tipo
qualitativo, si verifica per un alterato controllob del gioco tra agonisti ed
antagonisti, da lesione del sistema extrapiramidale. In tale situazione se
non si riesce ad ottenere un discreto controllo della spalla non sarà
possibile utilizzare funzionalmente la motricità della mano:

Evoluzione verso l’ipertonia

In questi pazienti le prime attività motorie si manifestano a partire dai fulcri


prossimali, dapprima all’arto inferiore, secondo gli schemi patologici tipici
delle sinergie primitive che continueranno ad impedire le normali scelte
posturali e motorie, interferendo in ogni tipo di prestazione. In questo caso
le possibilità di recupero della funzione saranno più limitate soprattutto per
la motricità fine deela mano. Nel cammino il paziente tenderà ad usare
movimenti globali e non selettivi; l’arto verrà portato avanti esteso ed in
intrarotazione, con l’elevazione dell’anca che indurrà un movimento ‘a
falce’; il piede solitamente equino avrà un appoggio anteriore senza
partecipazione del tallone.
La forma ipertonica è stata, ed è tuttora, considerata tra le forme più
frequenti dell’evoluzione, tanto da essere paradigmatica. Questa idea è da
sfatare, in quanto l’esperienza ha insegnato che solo una parte dei casi
evolve spontaneamente verso questa forma ( secondo le nostre statistiche
circa il 30% ). La maggior parte vi è indotta da una serie di interventi
erronei o ritardati.

Evoluzione verso la distonia

Ciò che si definisce come ripresa distonica è soprattutto un disturbo


qualitativo del movimento, che si manifesta nel momento esecutivo. Ad
esempio nell’atto della prensione il gesto in fase iniziale può seguire la
normale sequenza motoria, ma poi la mano devia, non raggiungendo lo
scopo, e se lo raggiunge lo fa in modo improprio, non perché difettino la
forza e l’ampiezza del movimento, ma perché non si realizza l’esatto gioco
tra agonisti ed antagonisti che consente, nella normale sequenza motoria,
la fissazione di un segmento e il movimento di un altro. Viene quindi a
mancare il normale rapporto di innervazione reciproca. Questo disturbo si
estrinseca nel tempo ed è caratterizzato da oscillazioni incontrollate e
rapide degli arti, con movimenti abnormi ed involontari, configurando il
quadro più propriamente definito come distonia ipercinetica. Può accadere
però che l’ammalato tenda a fissarsi in posture abnormi, imprevedibili,
caratterizzate da posizioni estreme ( iperestensione delle dita, massima
estensione ed intrarotazione della spalla etc.), con un disturbo che si
configura di tipo spaziale o ipocinetico. Il malato presanta allora deficit sia
dei movimenti volontari che di quelli involontari con iniziativa motoria
ridotta e gesti rallentati. Si può avere anche diminuzione o perdita dei
movimenti associati, come la mancanza del penzolamento degli arti
superiori durante il cammino. Spesso il movimento si realizza solo sotto
richiesta con difficoltà di inizio che di programmazione. Esiste poi un tipo di
distonia intermedia in cui l’ammalato pur assumendo delle posizioni
abnormi, riesce ad uscirne con facilità, nonostante abbia discronometria
nell’eseguire il movimento, e possa restare in bilico tra terminare l’azione e
ricadere nella situazione patologica. L’evoluzione distinica si può
configurare come scelta primaria, subito dopo l’ictus, o secondaria, dopo
un periodo di ipotonia. Nel primo caso, peraltro piuttosto raro, l’ammalato
giunge al cammino abbastanza velocemente, ma con il caratteristico
fenomeno del tallonamento: quando l’arto inferiore, esteso al ginocchio,
viene portato avanti tocca terra con il tallone assumendo una flessione
dorsale del piede abnorme ( tipo passo dell’oca ). Durante la
deambulazione di solito l’arto superiore entra in sinergia flessoria od
estensoria. La flessoria presenta l’arto abdotto semiflesso al livello del
gomito e del polso, a volte con deviazione ulnare; la mano è anch’essa
semiflessa con pollice addotto. In situazione di difficoltà tale atteggiamento
tende ad accentuarsi, tanto che la mano si chiude a pugno con il pollice al
suo interno. Nella sinergia estensoria invece l’arto si presenta addotto
esteso ed intraruotato; il gomito può essere semiflesso ma più spesso con
avambraccio pronato; la mano può essere sia semiflessa che chiusa a
pugno.
Nel caso invece in cui la distonia si presenti come II scelta, è preceduta da
un periodo di ipotonia prolungata a cui segue una ripresa disto-prossimale.
Nel momento in cui riappare anche la tenuta al livello prossimale ecco che
l’arto compie oscillazioni interpretabili come dovute all’ipostenia, ma che
invece progrediscono proporzionalmente all’aumentare della forza. Al
momento di iniziare la deambulazione il paziente presenta un cammino
discronometrico, caratterizzato dal fatto che tende ad alzare la punta del
piede con ritardo rispetto al momento sequenziale del passo. Questa
caratteristica determina uno strisciamento del piede stesso ed
un’oscillazione esagerata dell’arto nel momento del distacco ( definita da
Soriani distacco distonico ). Questo, associato alla componente ipotonica,
rende insicuro il cammino.
L’evoluzione distonica sembra avere ultimamente una prevalenza sulle
altre scelte. Le ipotesi sulle possibili cause che potrebbero essere alla
base di questo quadro sono diverse. Tra queste una delle più accreditate
ipotizza un coinvolgimento prevalente del sistema extrapiramidale. La
lesione cerebrale potrebbe coinvolgere tale via polisinaptica interferendo
sull’equilibrio del sistema di eccitazione –inibizione del motoneurone con
conseguente tono fluttuante. Un secondo fattore coinvolto potrebbe essere
il deficit sensitivo, frequentemente presente nel paziente diatonico, sia
come disturbo della sensibilità superficiale che di quella profonda; tale
mancanza di feed-back afferenziale può rendere difficoltosa la
coordinazione del movimento.
Frequentemente tali disturbi sono conseguenti ad una lesione della
regione parietale, tendendo ad interessare più spesso il viso e gli arti,
soprattutto nella loro parte distale e volare. Si possono anche riscontrare
disturbi sensitivi a livello del palmo della mano e della pianta del piede con
indennità delle altre zone. E’ inoltre spesso positivo il fenomeno
dell’estinzione: apportando uno stimolo sensitivo bilateralmente queso
viene percepito solo al livello deel’emilato sano, mentre lo stesso tipo di
stimolo portato esclusivamente sull’arto colpito, riesce ad essere percepito
correttamente.

Scelte miste

Spesso le lesioni del SNC non interessano in modo selettivo le aree


cerebrali o i sistemi di fibre, soprattutto se la patogenesi è di origine
vascolare. Ne consegue che, frequentemente, ci si trova di fronte a
situazioni che associano le caratteristiche di più forme patologiche, da qui
la definizione di forme miste. Una delle possibilità è rappresentata dalle
forme di ipotonia prolungata, che dopo un certo periodo di tempo tendono
a cristallizzare presentando un quadro di ipotonia del fulcro prossimale
intermedio con schema flessorio del fulcro distale. Tale situazione è più
spesso da imputare a retrazioni muscolo-tendinee per mancanza di
espressione motoria che non ad un’ipertonia vera e propria, anche se le
due cose si sommano. Un’altra possibilità è dovuta al sovrapporsi di
lesioni piramidali ed extrapiramidali che possono assumere caratteristiche
prevalentemente dell’una o dell’altra forma. Questa situazione si riscontra
spesso nella distonia ipocinetica. Infine vi possono essere forme dovute
all’associarsi di più patologie che assommano lesioni centrali e periferiche,
verificatesi prima, dopo o durante l’evento ictale, complicando ovviamente,
l’intervento terapeutico.

Il cammino

Accade spesso che il paziente, seguendo la motivazione interiore di


riprendere il più in fretta possibile la funzionalità per le attività della vita
quotidiana, incominci a deambulare quando ancora non è pronto; può
succedere anche che sia la stessa équipe riabilitativa a spingere in tal
senso il paziente, senza accettare pazientemente di costruire giorno dopo
giorno i prerequisiti necessari ad un cammino il più possibile fisiologico. Si
assiste così a degli schemi motori e funzionali inquinati non soltanto dalla
disabilità di base con le relative scelte e i conseguenti, inevitabili
meccanismi compensatori, ma anche da atteggiamenti errati messi in atto
dal paziente per aggirare le difficoltà, in quanto sottoposto al carico e al
cammino troppoprecocemente rispetto alla fase evolutiva della sua
emiplegia.
Per chiarezza di termini si ricorda che l’analisi del cammino viene
suddivisa in due fasi principali per ognuno dei due arti: di appoggio ( in cui
si sostiene il peso del corpo ) e di oscillazione ( in cui si ha
l’avanzamento ). La fase di appoggio inizia con il contatto del tallone al
suolo, seguito dall’abbassamento della punta e il conseguente appoggio di
tutta la pianta; poi si ha il sollevamento del tallone e infine delle dita. Inizia
così la fase di sospensione, distinta in un passo posteriore in cui l’arto
raggiunge l’altro arto in appoggio ( passaggio dalla verticale ), e in un
passo anteriore in cui il piede va a toccare il suolo davanti all’arto in
appoggio, riprendendo così il ciclo. Grossolanamente viene in prima
istanza osservata la necessità di appoggio o sostegno, la lunghezza e la
simmetria del passo: in genere la fase oscillante dell’arto inferiore sano è
meno ampia e più breve di quella controlaterale per i problemi di carico
dell’arto in appoggio ( che in questo caso è quello paretico ) e a volte per
lo scatenarsi di una spasticità estensoria da risposta allo stiramento degli
estensori plantari del piede in appoggio. Frequente è il segno di
Trendelemburg, ovvero dell’abbassamento del bacino della parte sana
durante l’appoggio sull’arto inferiore colpito, poiché non intervengono
sufficientemente gli abduttori- intrarotatori per carenza del supporto della
funzionalità del medio gluteo. Va osservatala presenza di sincinesie
pendolari degli arti superiori che fisiologicamente accompagnano la marcia
secondo lo schema crociato: sono generalmente assenti nell’arto
superiore paretico perché impedite da schemi patologici; possono essere
assenti in entrambi gli arti superiori in pazienti bradicinetici in cui al
disturbo piramidale si accompagna anche quello extrapiramidale. E’
importante valutare l’atteggiamento assunto da tutto il corpo durante il
cammino e l’aumento, come spesso accade degli schemi patologici e del
disallineamento, soprattutto in caso di affaticamento, difficoltà, ostacoli,
cambi di direzione imposti, alterazioni dello stato emotivo. Riguardo
all’esame dettagliato dell’arto inferiore in questa attività ci rifacciamo alle
diverse scelte.

Scelta ipotonica

Nella fase oscillante l’arto ipotonico viene portato in avanti tramite


l’inclinazione del tronco e l’elevazione dell’emibacino corrispondente, per il
mancato reclutamento dei flessori dell’anca. Il piede è cadente, per
assenza di flessione dorsale; all’inizio della fase di carico il piede poggia al
suolo dapprima con la parte latero-esterna e con l’estremità distale delle
dita, poi prende contatto anche il lato interno. Per il deficit della
muscolatura abduttoria dell’anca nella fase di carico si verifica il fenomeno
di Trendelemburg; il deficit degli estensori dell’anca provoca una flessione
a questo livello, responsabile, insieme all’insufficiente cocontrazione degli
ischiocrurali, dell’iperestensione del ginocchio favorita dalla prevalenza
degli estensori. Il tronco, seguendo lo schema del bacino, rimane arretrato;
l’arto superiore paretico rimane esteso ed inerte ai lati del tronco, con
avambraccio pronato. Nei casi molto gravi, quando il paziente non riesce a
far avanzare l’arto inferiore paretico mediante l’oscillazione del tronco, lo
trascina, tenendolo sempre posteriormente al corpo.

Scelta distonica

Il difetto consiste in un’alterata sequenza temporale dei movimenti, i quali


comunque sono presenti ma non coordinati. Già si è parlato del distacco
diatonico di Soriani, che avviene all’inizio della fase oscillante,
caratterizzato dalla difficoltà del piede a staccarsi da terra, specie con la
parte laterale, probabilmente per una incoordinazione tra flessori dorsali
ed estensori plantari del piede. La dorsiflessione del piede non è
esattamente simultanea al distacco dell’arto da terra e ciò si manifesta con
l’incertezza di questo momento; spesso, per superare questo problema, il
paziente utilizza maggior forza per sollevare l’arto, ma così facendo ne
ottiene un movimento esagerato che determina, tra l’altro, la supinazione
del piede. Subito prima dell’appoggio del piede al suolo si ha un
movimento scoordinato sul piano orizzontale; il piede viene a toccare il
suolo ora sul bordo esterno, ora in appoggio completo: ciò dipende molto
dallo stato emotivo del paziente; un’altra modalità di appoggio del piede è
invece col tallone, per un’esagerata dorsiflessione, sempre legata a difetti
di coordinazione. Questa variabilità di schemi di movimento all’interno
dello stesso paziente, rende molto instabile e precario il cammino,
minacciando notevolmente le possibilità di autonomia del soggetto spesso
rendendo necessario l’aiuto di un appoggio.

Scelta ipertonica

Si ha la classica andatura “falciante”, caratterizzata da una fase di


sospensione con arto paretico rigido ed in extrarotazione, con il piede che
spinge contro il terreno; l’arto viene fatto avanzare sollevando il bacino
omolateralmente e circonducendo la gamba; nel tentativo di tenere il piede
in appoggio con il tallone si ha pronazione.
Il carico su questo arto è molto difficile: si ha estensione della gamba e
spinta dell’avampiede contro il terreno; ciò impedisce però la flessione
dorsale del piede; per tenere allora in appoggio il tallone, il paziente flette
l’anca e iperestende il ginocchio. Nei casi di minor ipertono nella fase
oscillante, il paziente inclina posteriormente il tronco e spinge in avanti il
bacino e l’arto inferiore, oppure riesce a flettere leggermente l’anca e il
ginocchio ma, se il piede è equino-supinato, non può ugualmente
appoggiare il tallone. Lo sforzo compiuto per avanzare l’arto inferiore
comporta in ogni caso l’aumento del tono generalizzato in tutto il corpo
evocando, tra l’altro, le reazioni associate.

I problemi della spalla

Le manifestazioni dolorose appartengono costantemente al quadro clinico


dell’emiplegia e costituiscono un problema a più incognite, sia per ciò che
riguarda la patogenesi, sia per la scelta dei provvedimenti terapeutici.
Tra le manifestazioni dolorose hanno importanza prevalente, per
l’incidenza statistica e per l’interferenza con il programma rieducativo,
quelle a localizzazione articolare, e in particolare quelle a carico
dell’articolazione scapolo-omerale. Nei pazienti emiplegici infatti possono
instaurarsi quadri patologici diversi a carico della spalla in relazione a vari
fattori (situazioni predisponenti e precedenti all’insorgenza dell’ictus) con
possibilità che si inneschi un meccanismo che tenda ad autoalimentarsi,
con esiti ulteriormente invalidanti. Si verifica così una situazione in cui il
paziente non potrà utilizzare l’arto superiore neppure quando gli sarebbe
consentito dalla situazione neurologica, tendendo a mantenerlo sempre
più fisso in schema patologico, con un incremento del dolore stesso.
Questo favorirà anche quadri psicologicamente negativi, con forte calo
della spinta motivazionale.
E’ importante sottolineare come spesso responsabili di una spalla che
diventa dolorosa siano inopportune sollecitazioni, durante quello che
dovrebbe essere il momento rieducativo, durante attività quotidiane mal
gestite dal paziente stesso, dai suoi familiari o da personale non
sufficientemente competente. L’articolazione della spalla è comunque
predisposta a questa situazione per le particolarità anatomiche del cingolo
scapolare di cui si ricordano in questo ambito solo alcune caratteristiche di
rilievo:
- L’importante sproporzione nella distanza tra la testa dell’omero e la
cavità glenoidea, con conseguente stress delle strutture capsulari e
legamentose (diastasi)
- L’importante azione del basculamento della scapola e della cuffia dei
rotatori nell’ancoraggio dell’omero.
I più frequenti quadri clinici che si possono riscontrare in relazione anche
alla ripresa del tono muscolare sono:

Fase ipotonica
Durante questa fase la muscolatura fortemente ipotonica non protegge
l’articolazione che rimane soggetta passivamente alla forza di gravità,
inoltre la matrice ossea va incontro a fenomeni di osteoporosi. Già in
questo periodo devono essere tempestivamente poste in atto le misure
terapeutiche adeguate e deve essere invece evitato qualsiasi tipo di
intervento lesivo, a cui soprattutto in questa fase la spalla è
particolarmente sensibile, potendo andare incontro a danni da trazione
eccessiva. E’ proprio in questa fase che può instaurarsi la sub-lussazione.
Questa situazione non è di per sé dolorosa, almeno finchè la scapola si
mantiene mobile, in quanto lo stiramento delle strutture articolari avviene
gradualmente. Altri fattori associati e favorenti tale quadro sono il deficit
del trapezio e del gran dentato, la prepotenza del romboidi che spesso
risultano retratti.
Per ovviare a questo problema è molto importante la cura di un adeguato
posizionamento in tutte le posture e in particolare quando il paziente è
seduto, oltre ad una precoce ed adeguata evocazione del movimento
attivo.
- indicazioni al Taping
- controindicazioni al tutore

Fase ipertonica

La situazione della spalla si modifica diversamente da paziente a paziente


a seconda della modalità di ripresa del movimento e delle variazioni del
tono.
I muscoli più frequentemente interessati da un aumento del tono
muscolare sono i depressori del cingolo scapolo-omerale e i fissatori della
scapola; tra questi ricordiamo:
- il gran pettorale
- il bicipite
- il gran dorsale
- i pronatori
- i flessori del carpo e delle dita
la prevalenza dei quali configura poi i quadri sinergici.

Ciò che tende a provocare il dolore in questa situazione di squilibrio è il


prevalere degli intrarotatori sugli extrarotatori, peggiorata dalla ridotta
rotazione scapolare per azione dei romboidi; questo comporta
un’alterazione della cinetica del movimento.
E’ necessario considerare inoltre che un ridotto movimento diminuisce un
normale apporto nutrizionale e metabolico alle strutture articolari. Da qui la
facilità con cui si innescano meccanismi di tipo infiammatorio degenerativo
che possono configurare quadri di periartrite scapolo-omerale fino alla
capsulite adesiva.
Valutazione del deficit distale dell’arto superiore

Anche quando si riesce ad ottenere un buon recupero funzionale nell’attività


di trasferimento, ci si trova spesso di fronte ad un’incompleta ripresa
dell’autonomia nelle attività di vita quotidiana per il mancato ripristino della
motilità selettiva della mano.
Bisogna tener conto che la gestualità propria dell’uomo non ha solo
significato funzionale, ma è ricca di contenuti conoscitivi, relazionali ed
affettivi.
Per poter svolgere tutti questi compiti la mano è dotata di una fine capacità di
coordinazione che permette anche di isolare singoli movimenti molto precisi.
Questo è possibile innanzi tutto per l’ampiezza dell’area di rappresentazione
corticale motoria della mano da cui partono le vie piramidali, per la più
elevata velocità di conduzione di queste ultime e per la loro peculiare
monosinapticità.
Il sistema extrapiramidale è coinvolto in modo meno elettivo nella specificità
del movimento distale e viene più facilmente vicariato in caso di lesione dai
contingenti omolaterali, che sono invece assenti, almeno a livello distale, nel
sistema piramidale.

Un altro dato particolarmente significativo è l’osservazione che lo stesso


movimento, con lo stesso scopo, viene eseguito a partire dall’attivazione di
aree diverse a seconda dell’orientamento spaziale che il gesto dovrà
assumere. Per l’uso della mano è infatti necessaria in primo luogo una sua
esatta collocazione nello spazio rispetto al fine da raggiungere; devono
avvenire una serie di aggiustamenti posturali dei segmenti prossimali e del
tronco con fissazione degli stessi, che precedono e accompagnano la
presa.
Quindi il problema della prensione dell’emiplegico non consiste solo in un
deficit di reclutamento muscolare distale, ma ancor prima in una difficoltà
globale di tutto l’arto superiore.
Ci può essere infatti lo scatenamento della sinergia patologica nel tentativo
di compiere un movimento distale o l’irradiazione dell’ipertono fino alla
mano nel tentativo di fissare i fulcri prossimali ipostenico. In altri casi
invece la difficoltà può essere legata alla necessità di mettere in atto dei
compensi di un fulcro rispetto all’altro per poter garantire un minimo di
funzionalità.

Sergio Soriani- Emiplegia e riabilitazione – Bi & Gi Editori 1991

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