Band 1
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Walter de Gruyter · Berlin · New York
Democrito e l’Accademia
Studi sulla trasmissione dell’atomismo antico
da Aristotele a Simplicio
di
M. Laura Gemelli Marciano
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Walter de Gruyter · Berlin · New York
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앝 Gedruckt auf säurefreiem Papier,
das die US-ANSI-Norm über Haltbarkeit erfüllt.
ISBN 978-3-11-018542-3
쑔 Copyright 2007 by Walter de Gruyter GmbH & Co. KG, 10785 Berlin.
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Druck und buchbinderische Verarbeitung: Hubert & Co. GmbH & Co. KG, Göttingen
A Clarisse
Premessa
Introduzione
1. Considerazioni generali................................................................................... 1
2. Trasmissione e ricezione dell'atomismo antico
da Aristotele a Simplicio ..................................................................................... 4
2. 1. Democrito nella tradizione medica ............................................ 6
2. 2. Democrito nella tradizione bibliotecario-grammaticale ........ 10
2. 3. Democrito negli scrittori di trattati tecnici
e di storia naturale ............................................................................... 12
2. 4. Leucippo e Democrito nelle scuole filosofiche ...................... 13
3. Interpretazioni moderne dell'atomismo antico .......................................... 23
4. Democrito, l'Accademia e le interpretazioni dell'atomo........................... 29
5. Osservazioni metodologiche......................................................................... 34
1. Considerazioni generali
Il complesso di osservazioni e dottrine attribuite a Leucippo e Democrito
ha sofferto, forse più di altri, delle rielaborazioni e dei travisamenti della
trasmissione indiretta. La riemergenza in età ellenistica dell'atomismo nella
forma codificata da Epicuro ha contribuito in larga parte alla scomparsa
delle opere di questi autori dall'orizzonte dei dotti antichi. Il fatto poi che
nella biblioteca di Simplicio, la fonte più copiosa di citazioni letterali dei
presocratici, non si trovassero testi originali degli atomisti ha definitiva-
mente cancellato la possibilità di recuperarli. Di Leucippo non è rimasto
neppure un brandello1. Di Democrito, a fronte delle numerose gnomai
etiche, è sopravvissuta solo una manciata di frammenti fisici di cui è assai
difficile ricostruire il contesto. Tutto il resto sono resoconti mediati dalla
tradizione indiretta. Come è stato più volte sottolineato in questi ultimi
decenni negli studi sulla storiografia filosofica antica, gli interpreti antichi
non erano interessati ad una resa "alla lettera" degli autori di cui trattavano
le opinioni, ma ad un loro inserimento nella problematica di volta in volta
trattata secondo una certa ottica. E' sintomatico il fatto che Aristotele e
Teofrasto, coloro che hanno costituito il modello per questa storiografia
filosofica, raramente riportino citazioni letterali. I loro resoconti mirano
soprattutto a cogliere la diavnoia di quanto i loro predecessori hanno
detto, vale a dire ad estrapolare da testi talvolta oscuri e soprattutto nati in
un clima culturale diverso da quello dell'Atene del IV sec. a.C., quello che
essi hanno potuto comprendere nell'ottica del problema che stanno di-
scutendo. Questo è naturalmente gravido di conseguenze per la forma e
per il contenuto del resoconto stesso. L'immagine dell'atomismo antico
che ci rimandano Aristotele, Teofrasto e in generale le fonti antiche co-
stituisce dunque una visione filtrata da quelli che O'Brien ha indicato con
1 Quella che viene riportata da Stobeo 1,4,7c (67 B 2 DK; 22 L.) al Peri; nou' di Leucippo
(un'opera indicata invece come democritea nel catalogo di Trasillo) è sicuramente dovuta
ad una confusione di lemmi (la doxa precedente, quasi simile a questa, viene attribuita a
Parmenide e Democrito), cf. Diels 1879, 321 app. ad loc., Rohde 1881 [I, 1901, 249 n. 2].
2 Introduzione
Gli storici della filosofia tendono infatti a saltare il primo gradino dell'ana-
lisi, quello dell'empatia, del tentativo (per quanto difficile e limitato da
impedimenti oggettivi) di sintonizzarsi attivamente col contesto culturale
dell'autore esaminato, di capire quale mondo si nasconda al di là della
diavnoia che i vari interpreti antichi hanno attribuito alle sue affermazioni.
Come causa del rifiuto di penetrare in questa atmosfera viene general-
mente addotto il fatto che il materiale a disposizione per ricostruire il
contesto culturale dell'autore è scarso e parziale. Questo è vero solo in
parte. Spesso, anche quando c'è, si rifiuta insistentemente di prenderne
atto perché lo si giudica di scarso interesse filosofico4. In generale si ignora
la possibilità di aprire la prospettiva a testi di altro tipo, anche contempo-
ranei all'autore studiato, ad eventuali testimonianze storiche e archeologi-
che e si fa come se intorno a lui non ci fosse stata una vita sociale, politica
e un clima culturale specifico. Emarginare questo genere di ricerca dalla
storia della filosofia non è dunque una opzione giustificata dal taglio "filo-
sofico", ma una omissione che, oltre a perpetuare in modo irriflesso i
presupposti teorici su cui sono basati i giudizi e le analisi moderne, fa
perdere di vista le reali dimensioni della dottrina stessa.
La storia delle interpretazioni dell'atomismo antico da Aristotele fino
alla tarda antichità, per la natura stessa dei presupposti più o meno espli-
citati dagli autori, è dunque marcata dalla "traduzione anempatica" in cate-
gorie culturali eterogenee. Non si tratta qui di dare un giudizio di valore,
ma di riconoscere un dato di fatto che deve essere tenuto ben presente
all'atto della valutazione delle fonti. Anch'esse hanno bisogno di una con-
testualizzazione. Questo discorso vale non solo per i resoconti indiretti,
ma anche per le citazioni letterali. Anche queste si inseriscono in un con-
testo pre-supposto e vengono finalizzate alla dimostrazione di tesi diverse
da quella originaria. Dunque, laddove ci sono delle citazioni letterali o
presunte tali, in particolare negli autori tardi, non c'è necessariamente an-
4 Paradigmatica a questo proposito è la posizione di Barnes 1982, XVI: "In speaking sli-
ghtingly of history I had two specific things in mind—studies of the 'background' (econo-
mic, social, political) against which the Presocratics wrote, and studies of the network of
'influences' within which they carried on their researches. For I doubt the pertinence of
such background to our understanding of early Greek thought[…]. I am sceptical, too, of
claims to detect intellectual influences among the Presocratics. The little tufts of evidence
which bear upon the chronology of those early publications are, as I observed in more than
one connection, too few and too scanty to be woven into the sort of elegant tapestry which
we customarily embroider in writing the histories of modern philosophy. Much of the hi-
storical detail with which scolarship likes to deck out its studies is either merely impertinent
or grossly speculative". E' curioso osservare come proprio l'autore di una ricostruzione su
base analitica altamente speculativa del "pensiero" dei cosiddetti presocratici proietti questa
caratteristica sulle ricostruzioni del contesto storico-culturale di questi personaggi. Sull'in-
terpretazione decontestualizzata in particolare di Parmenide ed Empedocle, cf. Kingsley
1995a, 2002, 2003.
4 Introduzione
che una conoscenza diretta del testo integrale e, soprattutto, non c'è una
interpretazione neutrale. La citazione letterale, estrapolata già in origine
dal proprio contesto, si è spesso tramandata anche quando l'opera intera
non era più letta o era andata perduta5. La trasmissione all'interno di una
tradizione specifica ha giocato in alcuni casi un ruolo di primo piano e
talvolta si è imposta anche quando il citatore conosceva di prima mano i
testi: il famoso verso di Parmenide: ouj ga;r mhvpote tou't oujdamh'i ei\nai mh;
ejovnta (28 B 7,1 DK) citato in questa forma metricamente zoppicante da
Platone6, viene riprodotto tale e quale da Aristotele7 e da Simplicio che
pure riporta una porzione più ampia del testo parmenideo8. La presenza di
citazioni letterali non è dunque una prova inconfutabile della conoscenza
o dell'utilizzazione diretta da parte del citatore del testo integrale di un'o-
pera e tantomeno dell'intera produzione dell'autore citato e, soprattutto,
nasconde le stesse insidie del pre-giudizio e del pre-supposto della tra-
smissione indiretta.
Queste premesse sono indispensabili in quanto l'argomento discusso
nel presente lavoro è caratterizzato dal problema della trasmissione nella
sua più acuta ed estrema manifestazione, dunque può essere affrontato e
trattato solo attraverso una dettagliata analisi delle fonti, ma anche con lo
sguardo rivolto al contesto culturale del V sec. a.C. in cui Leucippo e De-
mocrito hanno vissuto e agito.
Leucippo era stato maestro dell'uno e modello per l'altro che lo aveva in
parte imitato10. Se Democrito nasce intorno al 460 a.C., la presunta data di
nascita di Leucippo dovrebbe cadere intorno al 500 a.C. e la sua attività
intorno agli anni '60 del V sec. a.C. Egli era dunque probabilmente un
contemporaneo di Anassagora e di Zenone e un poco più vecchio di Em-
pedocle e di Melisso. Epicuro e il suo discepolo Ermarco11 ne mettevano
tuttavia in dubbio l'esistenza e Trasillo inseriva nel catalogo delle opere di
Democrito anche il Mevga" diavkosmo". La questione della storicità di Leu-
cippo e della differenza fra le sue tesi e quelle democritee è stata molto
dibattuta alla fine del secolo scorso12. Oggi non è una priorità in quanto
non sembra possibile isolare l'uno dall'altro per lo meno per quanto ri-
guarda la concezione dell'atomo. Democrito si distingue piuttosto per una
vasta produzione libraria che abbraccia tutti i campi della polymathia del
suo tempo compresa la letteratura tecnica. Al di là delle possibilità di di-
stinzione delle dottrine vale però la pena tener conto di un fatto: se è Leu-
cippo il primo ad aver formulato l'ipotesi di un mondo fatto di "atomi",
l'atmosfera in cui egli l'ha sviluppata è quella degli anni '60 non degli anni
'20 del V sec. a.C. Difficilmente egli può aver tenuto conto degli scritti di
Zenone o di Melisso o di Anassagora. Si pone dunque il problema della
filiazione eleatica nella forma espressa da Aristotele e ripresa da Teofrasto.
Il fatto che di Leucippo sia rimasta una labile traccia anche nelle testimo-
nianze indirette è da imputare ad una specie di destino connaturato alla
storia stessa dell'atomismo: le versioni più recenti hanno infatti cancellato
quelle più antiche e l'avversione della grande maggioranza degli autori
antichi contro gli Epicurei ha fatto il resto. Democrito ha "riassorbito"
Leucippo, Epicuro ha praticamente eclissato ambedue e, a causa dell'osti-
lità verso le tesi atomistiche diffusa nelle scuole filosofiche e mediche di
età imperiale, sono spariti dall'orizzonte non solo i testi degli Epicurei e, in
parte, anche quelli del loro fondatore, ma anche quelli di medici che so-
stenevano tesi corpuscolariste come Erasistrato e Asclepiade. L'atomismo
accademico è, dal canto suo, naufragato molto presto sotto il peso del
giudizio aristotelico. Qui di seguito fornirò dunque una panoramica prin-
cipalmente della ricezione di Democrito in quanto Leucippo compare
solamente nella tradizione risalente a Teofrasto. Per il resto il suo nome è
veicolato da quello del suo più famoso successore.
Partendo da Aristotele, il primo che abbia trattato diffusamente degli
atomisti antichi, si possono distinguere grosso modo quattro filoni,
13 Non tutte quante le testimonianze su questo tema classificate da Diels e da altri come
spurie devono essere per forza tali. Se Democrito ha scritto opere di carattere medico spe-
cialistico come la Ihtrikh; gnwvmh non stupisce che egli abbia parlato delle malattie e di un
loro eventuale trattamento. Cf. su questo Gemelli Marciano 2007, 220-224.
14 Questo (e non ajpoplhxivh) è il termine riportato in tutte le fonti riconducibili ad una tradi-
zione medica. Il detto compare per lo più in contesti che sottolineano gli effetti negativi
dell'atto sessuale. Galeno, nei commenti al terzo e sesto libro delle Epidemie ne attribuisce la
citazione a Sabino, un medico vissuto nella prima metà del II sec. d.C. il quale utilizza
spesso un altro commentatore ippocratico, Rufo Efesio, a sua volta citatore di testimo-
nianze più antiche (cf. Deichgräber 1965, 29 n. 1.). Gal. In Hipp. Epid. III 1,4 (25,3 Wenke-
bach = XVII A,521 K.) (68 B 32 DK; 527 L.) sumbaivnei toi'" ojyimaqevsin ejnantiwvmata
levgein ajkaivrw" fluarou' sin. tiv" ga;r h\ n aj navgkh gravf ein Dhmovkriton me;n eijrhkev nai mi-
kra;n ejpilhyivan ei\ nai th; n sunousivan, Epivkouron de; mhdevpote me; n wjf elei'n ajfrodisivwn
crh'sin, ajgaphto; n dæ, eij mh; blavyeien… ejpi; ga;r tw'n ejx ajfrodisivwn ajmevtrwn noshsav ntwn
ejcrh'n eijrh'sqai tou;" lovgou", ouj k ejpi; tw'n ej nantivw" aujtoi'" diaithqevntwn. ajllæ o{mw" kai;
tau'tæ e[grayan oiJ peri; to;n Sabi'non, ouj k aijsqanovmenoi th'" ej nantiologiva" ª...º kai; tau'ta
gravfousin aujtoi; mnhmoneuvs ante" ej n th'i tw'n prokeimevnwn ej xhghvs ei Dhmokrivtou te kai;
Epikouvrou, mhdevpw mhde; n aj gaqo; n ejx ajfrodisivwn genevsqai faskov ntwn. Cf. Gal. In Hipp.
Epid. VI 3,12 (138,3 Wenkebach-Pfaff = XVII B,28 K.) A questa tradizione medica si rial-
lacciano anche gli autori latini che riportano il frammento. Così Plin. Nat. hist. 28,58; Gell.
Introduzione 7
19,2,8 che attribuisce la prima parte del detto a Ippocrate stesso. Cf. inoltre Stob. 3,6,28
che la riporta ad Erissimaco, il medico del Simposio platonico; Clem. Paed. 1,94; [Gal.] An
animal sit 5 (XIX,176 K). A questa citazione allude probabilmente anche il medico Zopiro
nelle Quaestiones convivales (653 Bss.) di Plutarco. La versione più precisa e più ampia veniva
invece riportata negli gnomologi. La lezione ajpoplhxivh si incontra infatti solo in Stob.
3,6,28 (xunousivh ajpoplhxivh smikrhv: ejxevssutai ga;r a[nqrwpo" ejx ajnqrwvp ou), in un conte-
sto etico, ed è sottesa alla citazione in Hippol. Ref. 8,14 che la attribuisce però all'eresiarca
Monoimo l'Arabo e la colloca sullo sfondo dell'interpretazione allegorica delle piaghe d'E-
gitto: Æa[nqrwpo" ãga;rà ejx ajnqrwvpou ejxevsãsÃutaiÆ, fhsivn, Ækai; ajpospa'tai, plhgh'i tini
merizovmeno"Æ. Anche costui potrebbe aver tratto la citazione da gnomologi. Sulla trasmis-
sione di questo frammento, cf. Gemelli Marciano 2007, 215-217.
15 La doxa sulla nutrizione dell'embrione attraverso piccole mammelle poste nell'utero viene
citata anonima in Arist. De gen. anim. B 4, 746a 19 (68 A 144 DK; 535 L.), ma attribuita a
Democrito da Ps.-Plut. 5,16, 907 D (68 A 144 DK; 536 L.), cf. [Gal.] Hist. Phil. 120. In P.
Flor. 115 B (Manetti 1985, 177) la stessa doxa è attribuita anche ad Alcmeone.
16 Cf. Soran. 3,4 (17,25 Bourguière-Gourevich = 105,1 Ilberg) (68 A 159 DK; 567a L.) che
critica l'eziologia democritea dell'infiammazione (flegmonhv) dal flegma (inteso evidente-
mente come elemento caldo, cf. anche Philol. 44 A 27 DK). A Sorano attinge Celio Aure-
liano quando attribuisce a Democrito la spiegazione dell'idrofobia come un'infiammazione
dei tendini e la rispettiva cura con decotto di origano (Acut. 3,14,112ss.). Questa testimo-
nianza è stata considerata spuria dal Diels e dagli altri editori senza una ragione precisa. Se
l'idrofobia come tale sembra essere stata riconosciuta solo alla fine dell'età repubblicana,
dal testo di Celio risulta chiaro che Democrito non si riferiva a questa malattia e alla sua te-
rapia, ma a due forme di spasmo come l'opistotono (Acut. 3,15,120) e l'emprostotono
(Acut. 3,14,112). Su questo, cf. Gemelli Marciano 2007, 221s.
17 Si trattava evidentemente di tendenze arcaizzanti che riprendevano in una certa ottica le
tematiche e gli autori presocratici. Anche Enesidemo, il fondatore del neopirronismo, si ri-
chiamava in molti punti ad Eraclito (cf. l'espressione di Sesto Aijnesivdhmo" kata; ÔHravklei-
ton, infra, n. 21).
18 Cic. Hort. Fr. 53 Straube-Zimmermann (Non. De comp. doctr. 418,13 Lindsay) Itaque tunc
Democriti manus urguebatur; est enim non magna.
19 Cic. Tusc. 1,34,82 (68 A 160 DK; 586 L.) Num igitur aliquis dolor aut omnino post mortem sensus
in corpore est? nemo id quidem dicit, etsi Democritum insimulat Epicurus, Democritii negant.
8 Introduzione
1980, 46, pone corpora come soggetto di faciant aggiungendo un complemento oggetto inesi-
stente nel testo latino (It is not illogical, says Asclepiades, that bodies with no quality should make up
the sensible world). Cf. su questo punto la critica a Gottschalk e la traduzione esatta del passo
di Stückelberger 1984, 109. Contro la svalutazione dei rapporti di Asclepiade con l'atomi-
smo anche Casadei 1997.
28 Walzer 1944; sulla presenza di Democrito nella medicina empirica, cf. anche Walzer 1932,
466ss.; Löbl 1976, 26ss.; 1987, 8ss.
29 Gal. De exper. med. 15,7, 114 Walzer (68 B 125 DK; 79-80 L.). Cf. su questo passo, Gemelli
Marciano 1998.
30 Gal. De exper. med. 9,5, 99 Walzer (68 A 171 DK Nachtr.; 558 L.) And in short, we find that
of the bulk of mankind each individual by making use of his frequent observations gains
knowledge not attained by another; for as Demokritos says, experience and vicissitudes
have taught men this, and it is from their wealth of experience that men have learned to
perform the things they do.
31 Cels. 2,6,13s. (68 A 160 DK; 586 L.) Illud interrogari me posse ab aliquo scio: si certa futurae mortis
indicia sunt, quomodo interdum deserti a medici convalescant? quosdamque fama prodiderit in ipsis funeri-
bus revixisse. Quin etiam uir iure magni nominis Democritus ne finitae quidem uitae satis certas notas esse
proposuit, quibus medici credidissent: adeo illud non reliquit, ut certa aliqua signa futurae mortis essent.
32 Su questo brano, v. infra, VI 3. 2. 3. Sul debito di Galeno nei confronti della tradizione
scettica, cf. Morel 1996, 375-91 e Gemelli Marciano 1998.
33 Cf. la critica al medico di età traianea Archigene per aver usato il termine in relazione alle
arterie piene di sangue in De dign. puls. 4,2 (VIII,931 K.) (68 A 46 DK) ejn touvtwi de; tw'i
lovgwi prw'ton tiv dhloi' to; nastotevr an ouj pavnu safw'" oi\da, dia; to; mhde; suv nhqe" ei\ nai
10 Introduzione
toi'" ”Ellhsin o[noma kata; tou' toiouvtou prav gmato" levgesqai. a[rton me; n gavr tina nasto; n
ejkavloun, ouj mh;n a[llo gev ti sw'ma pro;" auj tw'n ou{ tw" wjnomasmev non ejpivstamai. auj to;" de; oJ
Arcigevnh", dikaiovtaton ga;r th;n ej n toi'" oj novmasin aujtou' sunhvqeian par aujtou'
manqavnein, dokei' moi to; nasto; n ajnti; tou' plhvrou" oj nomav zein.
34 Callim. Fr. 456 Pfeiffer (Suda s.v. Kallivmaco") (68 A 31 DK; CXXIV L.). Questa formula-
zione ha creato difficoltà ad alcuni interpreti moderni e portato talvolta a tentativi di corre-
zione del testo. Oder 1890, 74 proponeva Pivnax tw'n Dhmokrivtou kai; glwssw'n suvntagma.
West 1969, 142 corregge glwssw'n in gnwmw'n con la motivazione che Democrito non era
famoso per le glosse, ma per le massime. Dato che dal IV sec. a.C. in poi si sarebbe diffuso
un gran numero di sentenze falsamente attribuite a Democrito, Callimaco avrebbe redatto
un inventario di quelle autentiche per mettere ordine in questa congerie. Il titolo dell'opera
viene tradotto generalmente Indice delle glosse e delle opere di Democrito (Diels-Kranz app. ad
loc.). Secondo questa traduzione, dunque, Callimaco avrebbe stilato, con l'elenco delle
glosse, anche quello di tutte le opere democritee. Cassio 1991, 11s., ha formulato invece l'i-
potesi che si trattasse di un elenco di glosse con il titolo delle rispettive opere da cui esse
erano tratte. Egli cita il parallelo di un glossario ippocratico di Glaucia, cui fa cenno Ero-
tiano (7,23 Nachmanson) compilato secondo questo criterio. Cf. anche O'Brien 1994,
699ss. L'ipotesi mi sembra verosimile in quanto anche le glosse di Antifonte Sofista ripor-
tate dai lessici sottendono un procedimento del genere (cf. 87 B 3-5, 11, 14-15, 17-19 al.
DK).
35 Cf. Schmid 1948, 245 n. 3.
36 Cf. Jacoby 1912.
Introduzione 11
37 Herodian. Peri; parwnuvmwn, 895,40 Lentz (68 A 32 DK; CXXV L.) ÔHghsiavnax gramma-
tiko;" gravya" Peri; th'" Dhmokrivtou levxew" biblivon e} n kai; Peri; poihtikw'n levxewn. h\ n de;
Trwiadeuv".
38 V. infra, 2. 4 n. 90.
39 Diog. Laert. 9,41 (68 A 1 DK; I, CXXVII L.) wJ" de; Qrasuvlo" ejn tw'i ejpigrafomevnwi Ta;
pro; th'" ajnagnwvsew" tw'n Dhmokrivtou biblivwn. Non ci sono testimonianze che possano far
risalire l'ordinamento tetralogico delle opere di Democrito ad un periodo anteriore, cf.
Mansfeld 1994, 101.
40 1987, 128.
41 Cf. Vetter 1936, 581.
42 L'attenzione di Bolo per Democrito in questo contesto non è così strana come si potrebbe
pensare se si tiene conto del fatto che la dottrina dei pori e degli effluvi, che caratterizza
gran parte delle eziologie democritee e in particolare la spiegazione dei sogni, delle appari-
zioni di fantasmi, del malocchio, sta alla base della magia, v. infra, VII 4.
43 Pitagorico: Suda s.v. Bw'lo" Mendhvsio". Democriteo: Schol. Nic. Ther. 764; Suda s.v. Bw'lo"
Dhmovkrito".
44 Cf. Kingsley 1995a, 326ss.
12 Introduzione
45 Una polemica contro questi autori in ambito medico, è evidente già nei trattati ippocratici
come ad esempio VM 20,1 (145,18 Jouanna = I,620 Littré) e Acut. 6,1 (38,11 Joly = II,238
Littré). Per quanto riguarda l'agricoltura se ne avvertono gli echi in Xen. Oec. 16 dove viene
loro rimproverato di trattare il tema da un punto di vista teorico, senza avere alcuna espe-
rienza pratica. Questa stessa obiezione sta alla base dell'ironica tirata socratica nel Lachete
platonico (183c-184a) contro il sofista Stesileo, che tiene conferenze dotte sull'oplomachia
e subisce una clamorosa smentita all'atto pratico quando tenta di usare (a sproposito) in
una battaglia navale una nuova arma. Nei Memorabili di Senofonte (3,1,1) Socrate ironizza
sul sofista Dionisodoro che insegna la tattica militare.
46 Cf. Oder 1890; Wellmann 1921. Cf. anche Hammer-Jensen 1924. Per una visione più
articolata del problema, cf. Sider 2002; Gemelli Marciano 2007, 224-228.
47 Cf. Vitruv. 7,pr. 11 (68 B 15b DK; 139, 160 L.); 9,5,4; 9,6,3 (68 B 14,1 DK; 424,1 L.). Alla
dossografia manualistica risale anche l'excursus sui principi di Vitruv. 2,2,1 Democritus quique
est eum secutus Epicurus atomos, quas nostri insecabilia corpora, nonnulli individua vocitaverunt; Pythago-
reorum vero disciplina adiecit ad aquam et ignem aera et terrenum. Ergo Democritus, etsi non proprie res
nominavit sed tantum individua corpora proposuit, ideo ea ipsa dixisse videtur, quod ea, cum sint disiun-
Introduzione 13
Anche Eliano (II sec. d.C.), che nelle Storie naturali riporta notizie piuttosto
dettagliate sulle cause di alcune caratteristiche di animali in diverse zone
climatiche48, difficilmente ha avuto accesso ai libri delle Aijtivai peri; zwviwn
(68 A 33 (VI) DK; CXV (VI) L = Diog. Laert. 9,47). e ha molto più
verosimilmente utilizzato materiale indiretto49.
cta, nec laeduntur nec interitionem recipiunt nec sectionibus dividuntur, sed sempiterno aevo perpetuo infi-
nitam retinent in se soliditatem. Il testo corrisponde grosso modo alla prima parte di Ps.-Plut.
1,3, 877 D, infra, VI 3. 2. 2. Alla letteratura pseudo-democritea è da riportarsi invece Vitruv.
9,14 (68 B 300,2 DK).
48 Aelian. Hist. nat. 12,17 (68 A 152 DK; 521 L.): perché ci sono più aborti nelle zone
meridionali che in quelle settentrionali del mondo. 12,16 (68 A 151 DK; 519, 545, 561 L.):
perché il cane e il maiale sono multipari. 12,18 (68 A 153 DK; 541 L.): perché ai cervi cre-
scono le corna. 12,19 (68 A 154 DK; 543 L.): perché i buoi arabi femmina hanno corna
sottili lunghe e storte. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.): spiegazione del fatto che ci sono tori
senza corna. Cf. inoltre 9,64 (68 A 155a DK; 554 L.): i pesci si nutrono dell'acqua dolce
che si trova nel mare. 5,39 (68 A 156 DK; 549 L.): il leone nasce con gli occhi aperti. In
quello che il Diels designa come Fr. 150a, Eliano cita in realtà Democrito solo come esem-
pio retorico di ricerca di cause e non come autore della doxa contenuta nel brano, Hist. nat.
6,60 (68 A 150a DK; 560 L.) ajlla; ei[te aijdw' famen ei[te fuvs ew" dw'ron ajpovrrhton, tau'ta
Dhmokrivtwi te kai; toi'" a[lloi" kataleivpwmen ejlev gcein te kai; ta;" aijtiva" levgein oi[esqai
iJkanoi'" uJp e;r tw'n aj tekmavrtwn te kai; ouj sumblhtw' n. Allo stesso modo procede Cicerone
in De orat. 2,58,235 (68 A 21 DK; LXI, 513 L.) Atque illud primum, quid sit ipse risus, quo pacto
concitetur, ubi sit, quo modo exsistat [...] viderit Democritus.
49 Cf. su questo Perilli 2007, 158s.
14 Introduzione
50 Eud. Fr. 75 Wehrli (Simpl. In Phys. 209a 18, 533,14) (251 L.).
51 Eud. Fr. 54a Wehrli (Simpl. In Phys. 196a 11, 330,14) (68 A 68 DK; 24, 99 L.), infra, VII 6.
1 n. 64. Cf. anche Fr. 54b Wehrli (Simpl. In Phys. 196b 10, 338,4).
52 Cic. Ac. 2,38,121 (68 A 80 DK; 26 L.). Per il testo e un esame più approfondito del passo,
v. infra, VI 3. 2. 1 n. 111.
53 Per le opere di Aristotele su Democrito, cf. Diog. Laert. 5,26s. (68 A 34 DK; CXVII L.).
Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 294,33) (68 A 37 DK; 172, 197 L.). Per
quelle di Teofrasto, cf. Diog. Laert. 5,43; 49 (68 A 34 DK; CXVIII L.). Ovviamente Teo-
frasto faceva testo anche col De sensu e con la sua raccolta di Physikai (o Physikon) Doxai.
54 V. infra, VI 1.
Introduzione 15
55 Per una esaustiva trattazione della posizione degli Epicurei nei confronti degli atomisti
antichi rimando a Morel 1996, 249-355.
56 V. supra, n. 11.
57 Ep. Ep. 2,88 (67 A 24 DK; 383 L. comm.) kovs mo" ejs ti; periochv ti" oujranou' a[stra te kai;
gh'n kai; pav nta ta; fainovmena perievcousa, ajpotomh; n e[cousa ajpo; tou' ajp eivrou ª...º o{ti de;
kai; toiou'toi kovsmoi eijsi;n a[peiroi to; plh'qo", e[s ti katalabei' n, kai; o{ti kai; oJ toiou'to"
duvnatai kovsmo" giv nesqai kai; ej n kovsmwi kai; metakosmivwi o} levgomen metaxu; kovs mwn
diavsthma ej n polukev nwi tovpwi kai; oujk ejn megavlwi kai; eijlikrinei' kenw' i, kaqavper tinev"
fasin, ejpithdeivwn tinw' n spermavtwn rJ uev ntwn ajfæ eJ no;" kovsmou h] metakosmivou h] kai; ajpo;
pleiovnwn ª...º ouj ga;r ajqroismo;n dei' mov non genevsqai oujde; di'non ejn w|i ej ndevcetai kovs mon
givnesqai kenw'i kata; to; doxazovmenon ejx aj nav gkh", au[xesqaiv te, e{w" a]n eJtevrwi
proskrouvshi, kaqavper tw'n fusikw' n kaloumev nwn fhsiv ti". tou' to ga;r macovmenovn ejsti
toi'" fainomevnoi". Cf. su questo passo, Silvestre 1985, 125-29. Per Leucippo, cf. Diog.
Laert. 9,33 (67 A 1 DK; 382 L.) kovsmou" te ejk touvtou ajpeivrou" ei\nai kai; dialuvesqai eij"
tau'ta. giv nesqai de; tou; " kovs mou" ou{tw: fevresqai kata; ajpotomh; n ejk th' " ajp eivrou polla;
swvmata pantoi'a toi'" schv masin eij" mev ga kenov n, a{per ajqroisqevnta divnhn ajp ergavzesqai
mivan kaqæ h}n proskrouvonta kai; pantodapw' " kuklouvmena diakriv nesqai cwri;" ta; o{moia
pro;" ta; o{moia. ei\naiv te w{sper genevsei" kovsmou, ou{tw kai; aujxhvs ei" kai; fqivsei" kai;
fqora;" katav tina ajnavgkhn. Cf. anche Hippol. Ref. 1,12 (67 A 10 DK; 23, 291 L.). Una pa-
noramica dei passi di Epicuro riferentisi a Democrito in Gigante 1981, 50-62.
58 Ep. Ep. 2,42s.
16 Introduzione
59 Philod. Ad contubernales Fr. 111,166s. Angeli æprºosevªtºaxa ª---ºON uJmi'n ª---º.. KTAª..---º
perievstaªi---º. A. ª...... to; perºi; ªSwºkravtªou" tou' Arºistivppou ªkºai; Speuªsivppou toºu'
Plavtwno" ªejgkwvmionº kai; Aristotevªlou" ta;º Analutika; kai; ªta; Peri;º fuvsew", o{saper
ejªnekrivnºomenæ: ejpi; d Eujbouvlªou: æth;º n ejpistolh; n PROSDª....ºGOIS kai; tw'n Dhªmokrivºtou
tinav, oujc oi|on...
60 Philod. De libert. dicendi Fr. 20 Olivieri (68 A 34 DK; 36a L.) e[ti de; th;ªnº merizomevnhn
sungªnºwvªmºhn ejn oi|" dievp eson, wJ " e[ n te toi'" pro;" Dhmovkriton i{stat ai dia; tevlou" oJ
Epivkouro" kªai; pro; "º ÔHr akleivdhn ej n…
61 Per la critica al determinismo contenuto nel concetto di ajnavgkh contro coloro "che hanno
ricercato le cause" (oiJ d aijtiologhvsante"), cf. Long-Sedley 1987, II,20C, 107 (Ep. Peri;
fuvsew" [34. 30] Arr.) (68 A 69 DK; 36a L.).
62 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,18-20) (68 A 37 DK; 293 L.); Arist.
Phys. B 4, 196a 24ss. (68 A 69 DK; 18, 288 L.).
63 Diog. Laert. 10,2 (68 A 52 DK; XCV L.).
64 Diog. Laert. 10,24 (68 A 34 DK; CXXIII L.)
65 V. infra, VI 2. 1. 2.
Introduzione 17
66 Lucr. 5,621-37 (68 A 88 DK; 380 L.); cf. Diog. Laert. 9,33 (67 A 1 DK; 382, 389 L.); Ps.-
Plut. 2,15, 889 B (68 A 86 DK; 390 L.).
67 Lucr. 3,370 (68 A 108 DK; 454 L.). Sulle concezioni dei medici che, secondo Sesto, Adv.
Math. 7,349, seguivano Democrito nell'affermare che l'egemonico è sparso in tutto il corpo,
v. supra, n. 21 e 23. Lucrezio allude, fra l'altro, nei versi precedenti (350-69), alle teorie di
Stratone che in Sesto sono attribuite anche ad Enesidemo "secondo Eraclito". Lucrezio se-
gue nell'esposizione anche lo stesso ordine: teoria di Stratone (in Sesto di Enesidemo)-teo-
ria di Democrito (in Sesto "alcuni secondo Democrito"). Una sequenza simile si trova an-
che nel passo parallelo di Tertulliano (De an. 15,5), supra, n. 23. La doxa potrebbe risultare
dallo sviluppo di una osservazione aristotelica in De an. A 5, 409b 2-4 (ei[per gavr ejstin hJ
yuch; ej n panti; tw'/ aijsqanomevnwi swvmati, aj nagkai'on ej n tw'i aujtw'i duvo ei\nai swvmata, eij
sw'mav ti hJ yuchv).
68 P. Herc. 1428 fr. 16, cf. Henrichs 1975, 96-106.
69 Sull'etica, cf. Philod. De ira P. Herc. 182, col. XXIX,20 Indelli (68 B 143 DK; 64 L.); De
adulat. P. Herc. 1457, col. X (Crönert 1906, 130) (68 B 153 DK; 611 L.). La stessa citazione
compare anche in Plut. Reip. ger. praec. 821 A. Considerazioni sulla morte, in Philod. De
morte, P. Herc. 1050, col. XXIX,27-32 e col. XXXIX,9-15 Mekler (68 B 1a DK; 587 L.).
Sull'origine della musica, Philod. De mus. IV, P. Herc. 1497, col. XXXVI,87 Neubecker (68
B 144 DK; 568 L.). Cf. l'ultima lettura del papiro in Gigante-Indelli 1980, 451-66.
70 Così l'accusa di sovvertire la vita (Diog. Oenoand. Fr. 7 II Smith = 61 L.), corrisponde
quasi perfettamente a quella di Colote (Plut. Adv. Colot. 1109 A-1110 F); quella al moto
"costretto" degli atomi (Diog. Oenoand. Fr 54 II-III Smith = 68 A 50 DK; 39 L.), riecheg-
gia un frammento del Peri; fuvs ew" di Epicuro ([34.30] Arr.). L'accenno agli idoli che com-
paiono nei sogni (Diog. Oenoand. Fr. 10 I,4ss.; IV,10ss. Smith) corrisponde alla descri-
zione data da Plut. Quaest. conv. 734 F (68 A 77 DK; 476 L.).
18 Introduzione
78 Cf. Clem. Strom. 1,14,64,2 (67 A 4 DK; VIII, 152 L.); [Gal.] Hist. phil. 3 (67 A 5 DK; 152
L.); Eus. Praep. Ev. 14,17,10 (VIII L.); cf. anche 14,18,27 (LXXXIII, XCIV L.); Epiph. De
fide 15, 505,30 Holl (VIII L.).
79 Il carattere principalmente etico della filosofia di Pirrone viene ribadito con energia da
Görler 1994, 735ss.
80 Diog. Laert. 9,67 (XCII L.).
81 Pyrrh. T 1 Decleva Caizzi (Diog. Laert. 9,61) oujde;n ga;r e[fasken ou[te kalo;n ou[t aijscro;n
ou[te divkaion ou[ t a[dikon: kai; oJmoivw" ejpi; pav ntwn mhde;n ei\nai th'i ajlhqeivai, nov mwi de; kai;
e[qei pav nta tou; " ajnqrwvpou" pravttein: ouj ga;r ma'llon tovde h] tovde ei\nai e{ kaston.
82 Cf. Hirzel III, 1883, 14 n. 2; Decleva Caizzi 1981, 144; 1984, 16-19; Di Marco 1989, 218s.
83 Tim. Fr. 46 Di Marco (68 A 1 DK; LXXX L.).
84 Sulle immagini di Democrito, v. infra, cap. VII.
85 Decleva Caizzi 1984, 18; Di Marco 1989, 218.
86 Cf. Sedley 1992, 27-44; Gemelli Marciano 1998.
20 Introduzione
87 E' questo ad esempio il caso dell'incipit dell'opera democritea che compare solo in Sext.
Emp. Adv. Math. 7,264 e in Cic. Ac. 2,23,73 (68 B 165 DK; 63, 65 L.). Per altre citazioni
comuni, cf. Decleva Caizzi 1980; Gemelli Marciano 1998.
88 Diog. Laert. 9,72 (68 B 117 DK; 51 L.); Cic. Ac. 1,12,44 (59 A 95 DK; II, 58 L.). Su questo,
cf. Gemelli Marciano 1998.
89 Arist. Metaph. G 5, 1009b 11 h[toi oujqe;n ei\nai ajlhqe;" h] hJmi'n gæ a[dhlon.
90 Cf. soprattutto l'affinità della sequenza Democrito-Platone-Aristotele in Cic. De orat.
1,11,49 e Dionys. De comp. verb. 24 (68 A 34 DK; 827 L.); la coppia Democrito-Platone ri-
torna ancora in Cic. Orat. 20,67 (68 A 34 DK; 826 L.).
Introduzione 21
91 Anche a tanta distanza di tempo, sulle fonti di Cicerone rimane fondamentale e insuperata
nella sua globalità Hirzel I, 1877, 32-45 per le fonti accademiche del primo libro del De na-
tura Deorum e III, 1883, 251-341 per le fonti degli Academica.
92 La menzione di Leucippo è un'ulteriore indicazione in questo senso. Sulla provenienza
teofrastea delle doxai di Ac. 2,37,118, cf. Mansfeld 1989 [1990b, 238-63].
22 Introduzione
mente. Un fatto tuttavia è certo: egli riporta una gran quantità di citazioni
letterali non reperibili in altre fonti. Questo non basta comunque per af-
fermare che egli abbia sempre attinto agli originali democritei. Infatti i
relativi contesti permettono di ipotizzare non una, ma due modalità di
acquisizione dei testi:
1. Una consultazione diretta di opere democritee. Il fatto che non citi
mai titoli particolari non è in sé rilevante in quanto, anche per altri autori
presocratici egli riporta raramente l'indicazione dell'opera.
2. Una consultazione di fonti molto dettagliate che riportavano anche
citazioni letterali democritee soprattutto nel caso di oggetti specifici quali
ad esempio la demonologia93.
Plutarco riutilizza comunque più volte nelle sue opere, secondo la sua
normale prassi, le citazioni democritee creando dei "doppioni" diversa-
mente ricontestualizzati94 e rendendo difficile l'eventuale ricostruzione del
contesto originale. Egli si serve però anche di resoconti di matrice dosso-
grafica laddove espone sinteticamente i fondamenti della dottrina demo-
critea con relativa critica come nella Contro Colote95. In questo caso ripro-
duce un modello di esposizione e critica dell'atomismo corrente
nell'Accademia di mezzo. Le argomentazioni fornite da Plutarco com-
paiono infatti anche in Cicerone e, per accenni, in Sesto Empirico.
Dopo Plutarco e, in generale, dopo il I sec. d.C., nei primi decenni del
quale Trasillo redige il suo catalogo, difficilmente si possono trovare indizi
di una conoscenza diretta delle opere fisiche democritee. Gli autori dal I
sec. d.C. in poi fanno ricorso, per lo meno per illustrare la dottrina fisica, a
fonti indirette siano esse pure di pregevole fattura come quella di ascen-
denza teofrastea utilizzata da Diogene Laerzio per la sua esposizione della
cosmogonia leucippea. Quest'ultimo usa solo fonti di seconda e di terza
mano96 e così fanno anche gli autori cristiani Ippolito e Clemente97, per
in una serie di esemplificazioni del comune concetto dell'esistenza degli dèi. Il corrispettivo
esempio latino (versi di Ennio) di ciò che nel modello greco andava sotto il nome di De-
mocrito compare in Cic. De nat. deor. 2,2,4. Allo stesso modo la citazione riguardante l'ispi-
razione del poeta in Clem. Strom. 6,18,168 (68 B 18 DK; 574 L.) proviene molto probabil-
mente in ultima istanza dall'opera sullo stile di Democrito di Egesianatte. Una simile
rappresentazione si ritrova infatti anche in Cic. De orat. 2,46,194; De div. 1,37,80; Hor. Ep.
2,3,295-97 (68 B 17 DK; 574 L.). Clemente conosceva le massime etiche democritee attra-
verso gnomologi del tipo di quelli che si trovano in Stobeo con il quale talvolta concorda,
cf. e.g. Strom. 4,23,149,3; Stob. 2,31,65 (68 B 33 DK; 682 L.).
98 Una eccezione è Morel 1996 il quale, però, è interessato soprattutto al contesto più stretta-
mente filosofico delle fonti.
99 Cf. Salem 1996, che cerca per lo meno di storicizzare le testimonianze e di precisare le
relazioni delle opere democritee nella loro globalità con altri testi a loro contemporanei.
24 Introduzione
100 Cf. ad es. Makin 1993, 12 "What recommends the account that will be given of Democri-
tean atomism is charity. The indifference arguments which generate, and practically con-
stitute, the basic atomic theory are cogent and stimulating arguments, and one should so
interpret a philosopher as to attribute the more cogent and plausible positions to him". E'
ovvio che qui la "cogenza" e la "plausibilità" pre-supposte sono quelle codificate dalle cate-
gorie del pensiero filosofico moderno. Sui problemi sollevati da questa "concezione crite-
riologica della razionalità", cf. Putnam 1985, 120-123; Tambiah 1993, 166s.
101 Cf. Brandis I, 1862, 303ss.
102 Schleiermacher 1839, 19; 72; 74ss. L'opera fu pubblicata postuma da Ritter stesso.
103 Ritter, 1829, 567; cf. anche Brandis I, 1862, 319s.
104 Ritter 1829, 574.
105 Ritter 1829, 576ss.
106 Ritter 1829, 581 "Überblickt man diese ganze Lehre des Demokrit, so läßt sich das
Antiphilosophische seiner Bestrebung nicht leicht verkennen. Denn nicht nur hebt er die
Einheit der Welt, sondern auch die Einheit der Seele und des Bewußtseins auf. An die
Einheit der Wissenschaft ist dabei nicht zu denken; Alles löst sich ihm in die unbestimmte
Vielheit der Atome und in das Unermeßliche des Leeren auf".
107 Zeller 1844, 195-200.
108 Hegel 1996, 355ss.
109 Zeller si rivolgeva contro queste tesi già nel 1843 in un excursus sulle "storie della filosofia"
pubblicate negli ultimi 50 anni (Zeller 1910, 46s.) e riprendeva con maggior dovizia di ar-
Introduzione 25
gomentazioni la critica a Ritter nell'edizione preliminare della Philosophie der Griechen I, 1844,
198ss.; cf. anche Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1166ss.
110 Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1171 "Ebenso ist es schief, wenn man wegen der Vielheit der
Atome behauptet, es fehle diesem System gänzlich an Einheit. Fehlt seinem Prinzip auch
die Einheit der Zahl, so fehlt doch nicht die Einheit des Begriffs; indem es vielmehr der
Versuch macht, alles ohne Einmischung weiterer Voraussetzungen aus dem Grundgegen-
satz des Vollen und des Leeren zu erklären, so erweist es sich eben damit als das Erzeugnis
eines konsequenten, nach Einheit strebenden Denkens und Aristoteles ist in seinem rechte,
wenn er gerade seine Folgerichtigkeit und die Einheit seiner Prinzipien rühmt und ihm in
dieser Beziehung vor der weniger strengen empedokleischen Lehre den Vorzug gibt".
111 Zeller 1844, 213s. Sul passo, infra, cap. III.
112 Questa evoluzione si riscontra confrontando l'edizione preliminare del 1844 con le succes-
sive. Così se in Zeller 1844 l'influsso eracliteo è dato per sicuro (216 "Eben dieser Satz
(Das Ichts sei nicht mehr als das Nichts) ist es aber nun auch, durch den die Atomistik
auf's Bestimmteste auf Heraklit zurückweist [...] Wenn daher die Atomisten dem eleati-
schen Sein das Nichtsein eben in der Absicht zur Seite setzen, um dadurch das Werden
und die Bewegung möglich zu machen, so sind wir durch den innern Zusammenhang die-
ser Idee mit der Heraklitischen Philosophie genöthigt, auch einen geschichtlichen Einfluß
des letzteren auf die Entstehung des atomistischen Systems zu vermuthen"), molto più
cauta è la formulazione nella sesta edizione (1920, 1177 ob bei dem Widerspruch der Ato-
miker gegen die Eleaten der Einfluß des heraklitischen Systems mitwirkte, läßt sich nicht
sicher bestimmen") dove anche un influsso degli ionici viene messo in discussione (1181,
"von einem Einfluß der älteren ionischen Schule zeigen sich in der atomistischen Physik
vereinzelte Spuren").
26 Introduzione
122 Su una rappresentazione alternativa a quella del Parmenide platonico, attestata già dal IV
sec. a.C. e in Platone stesso, che vede Zenone disputare in utramque partem, v. infra, III 2. 1.
n. 24.
123 Alex. Metaph. 985b 19, 36,25 (123 L.). Per la discussione del passo, v. infra, VI 3. 1 n. 77.
Introduzione 29
124 Furley 1967, cap. VI; 1987, 124-127. Per la discussione dei passi di Arist. De cael. G 4 e
Simpl. In Phys. 231a 21, 925,10 (67 A 13 DK; 113 L.) in particolare, v. infra, VI 3. 4.
125 Calogero I, 1967, 432; Baldes 1972, 16, 38, 43ss.; lo stesso Furley 1987, 130 sembra venti-
lare un'ipotesi di questo tipo per risolvere i problemi del rapporto con la matematica.
126 Mau 1954, 22ss.
127 Cf. Makin 1989; 1993, 54-62; Lewis 1998.
30 Introduzione
132 Questo assunto, fondamentale delle opere di Eusebio e Teodoreto, giustifica la dovizia di
informazioni sulle opinioni dei filosofi greci da loro offerta. Cf. Diels 1879, 47. Sull'uso
della diaphonia presso gli autori cristiani finalizzato alla confutazione delle dottrine pagane,
cf. Riedweg 1994, VI 3 con abbondante esemplificazione.
133 Ancora negli studi più recenti (cf. e.g. Löbl 1976, 1987, Nicolau 1994, Makin 1993, 49-53)
si continua sorprendentemente ad utilizzare ad esempio il Filopono nel quale non c'è la
minima traccia di contatto diretto coi testi non solo degli atomisti, ma neppure degli altri
presocratici più citati come Empedocle. Sullo scarso valore delle testimonianze del Filo-
pono in relazione all'indivisibilità dell'atomo, cf. anche Bodnár 1998. Simplicio poi conti-
nua a fare testo, cf. Makin 1993, Lewis 1998, Hasper 2002.
Introduzione 33
134 Cf. e.g. le dichiarazioni Simplicio nel suo commento alle Categorie (Prooem. 3,4 ejgw; ga;r
ejnevtucon me; n kaiv tisi tw'n eijrhmev nwn suggrav mmasin, ejpimelevsteron de; wJ" oi|ov" te h\ n toi'"
Iamblivcou parakolouqw'n ajpegrayavmhn, kai; aujth'i pollacou' th'i levxei tou' filosovfou
crhsavmeno"), su cui ha attirato l'attenzione Dillon 1998, 175. Simplicio continua affer-
mando che il suo scopo è quello di riassumere le opere dei suoi predecessori per comuni-
carne il contenuto anche a coloro che non sono in grado di leggerle per esteso. Sul metodo
di Simplicio, cf. anche Hadot 1987 e 2002.
135 Dillon 1998, 176.
34 Introduzione
5. Osservazioni metodologiche
Dato che alcuni problemi e concetti più generali concernenti la trasmis-
sione e l'interpretazione delle dottrine degli antichi e altri riguardanti più
specificamente l'atomismo sono stati e sono tuttora oggetto di discussione
e ridefinizione, ritengo opportuno fare alcune precisazioni sull'approccio e
la terminologia adottata nel presente studio.
Un punto fondamentale da chiarire poiché spesso, soprattutto in que-
sti ultimi anni, ha costituito un nodo cruciale e dibattuto nell'ambito del-
l'interpretazione dei presocratici e sul quale a mio parere vige attualmente
una certa confusione è la legittimità di un certo approccio "filosofico", in
particolare analitico, a questi autori. E' un problema antico che risale so-
prattutto ad Aristotele al quale più o meno consciamente si richiamano
tutti i difensori della tesi secondo cui i presocratici sono "filosofi" e come
tali vanno interpretati. Rimane tuttavia da definire se essi debbano consi-
derarsi "filosofi" nel senso moderno, cioè personaggi dediti alla discus-
sione speculativa e lontani dalle "cure" pratiche e se debbano quindi rien-
trare a questo punto in una storia della filosofia che si ostina a considerare
tale solo la discussione di questioni teoriche, o se invece si tratti di sapienti
radicati nel loro contesto culturale che li influenza e che essi stessi influen-
zano attivamente e dunque siano "filosofi" nel senso etimologico di
"amanti della sofiva" con tutte le connotazioni pratiche che questo ter-
mine comporta. E' questo infatti il nodo cruciale passato sotto silenzio
nell'approccio esclusivamente filosofico. Si deve dunque essere ben consci
del fatto che i loro testi sono stati, da Aristotele in poi, estrapolati a pia-
cere dal loro contesto culturale e continuamente riusati e manipolati ai fini
della discussione dialettica o della dimostrazione di determinate teorie o
della ricostruzione di un albero genealogico delle scuole filosofiche senza
alcuna considerazione per la loro diversità intrinseca e per il loro contesto
specifico. Essi sono stati per così dire "travolti dalla filosofia" e da testi
estremamente diversi fra loro per origine, scopi e destinazione pratica,
sono diventati appunto esercizi speculativi di personaggi che, come mo-
derni accademici, discutono fra loro più o meno a distanza di questioni
teoriche. Se questa immagine può attagliarsi alle scuole filosofiche elleni-
stiche (ma anche qui ci sarebbero da fare dei distinguo), è assolutamente
priva di fondamento per i presocratici, ma viene continuamente riproposta
nell'approccio filosofico analitico che può così prescindere dall'analisi
Introduzione 35
globale delle fonti e della tradizione indiretta, dall'esame di una più vasta
gamma di testimonianze di diverso genere fuori dell'ambito strettamente
filosofico, dal tentativo di ancorare i frammenti e le testimonianze ad un
contesto storico. La giustificazione generalmente fornita per questo tipo di
interpretazione è che in ogni caso non si può arrivare ad una ricostruzione
esatta del pensiero di questi autori e che dunque è legittimo spiegarli con
concetti a noi familiari per poterli comprendere (la cosiddetta "rational
reconstruction"136 ), ma su questo punto valgono le osservazioni fatte
all'inizio di questo capitolo. Questo tipo di approccio alla cultura antica, se
nell'immediato sembra produttivo e gratificante, a lungo termine non può
che portare alla cancellazione di ogni traccia delle dottrine originali. L'in-
terpretazione moderna di Democrito, condotta su questa linea, ha con-
dotto non solo a durissimi giudizi etici e filosofici e a successivi tentativi
altrettanto anacronistici di "salvataggio"137 , ma anche al rigetto e all'emargi-
nazione sistematica di aspetti importanti della sua opera quali quello "tec-
nico", un fatto che si è ripercosso anche sull'interpretazione della dottrina
dell'atomo. In questo lavoro ho quindi cercato, con tutti i limiti e le possi-
bilità di errore connaturati ad una ricerca a vasto raggio su un campo dis-
seminato di rovine, di affrontare l'analisi delle fonti antiche sull'indivisibi-
lità dell'atomo e di contestualizzarle ogni volta nell'ambito da cui esse
provengono.
Per tutto quanto ho ora esposto e nonostante ormai sia divenuto un
topos nella Sekundärliteratur sugli atomisti precisare tutte le possibili sfu-
mature del termine indivisibilità, ho deciso deliberatamente di tralasciare
questo tema non solo perché altri lo hanno già fatto138 , ma soprattutto
perché, in relazione all'atomismo antico, si tratta, a mio avviso, di distin-
zioni prive di qualsiasi fondamento storico139 . Rimando per questo alla
lettura del capitolo conclusivo in cui ho cercato brevemente di contestua-
lizzare le dottrine degli atomisti nell'atmosfera culturale del V sec. a.C.
sottolineandone in particolare il rapporto con la medicina e rivalutando
anche aspetti stilistici e testimonianze generalmente trascurate. In questo
contesto le speculazioni moderne sull'indivisibilità dell'atomo risultano
140 Cf. un excursus sugli usi moderni impropri del termine in Runia 1999, 33s.
141 Mansfeld 1999, 19.
142 Cui, secondo Mansfeld 1999, 19 e Runia 1999, 52 non si dovrebbe applicare questa "eti-
chetta".
143 Nel caso specifico di Democrito, cf. Gemelli Marciano 1998.
144 V. infra, III 2. 2. 1.
145 Cf. von Kienle 1961, Cambiano 1986, Mansfeld 1986 [1990b, 22-83].
Introduzione 37
146 Sulla necessità pratica dell'uso più ampio della denominazione di "dossografia", cf. Van der
Eijk 1999, 21s.
147 Sulla necessità di redigere tali appunti subordinatamente alla trattazione dei singoli pro-
blemi, cf. Top. 105b 12 e Mansfeld 1992b, 332.
148 Cf. in particolare le concordanze fra Arist. Fr. 208 Rose e De gen. et corr. A 8, infra, III 4. 3.
38 Introduzione
149 Cf. Mansfeld 1999, 29 il quale utilizza, per l'interpretazione data dai singoli autori all'in-
terno di una tradizione, il termine "ricezione". Per la discussione sui termini "fonte" e "tra-
dizione" in relazione a Plotino, cf. Harder 1957.
150 Se Arcesilao abbia posto per iscritto delle opere filosofiche, risulta ancora poco chiaro dalle
testimonianze, cf. Görler 1994, 786s.
Introduzione 39
151 Cf. Plut. De comm. not. 1079 E (68 B 155 DK; 126 L.); Archim. Mech. II,428,26 Heiberg (68
B 155 DK app.; 125 L.).
40 Introduzione
154 Nello Stobeo, come lo stesso Diels 1879, 56 osservava, il carattere antologico richiede una
strutturazione completamente diversa. Cf. Mansfeld-Runia 1997, cap. IV.
Capitolo primo
Platone e Democrito
1. Considerazioni generali
L'interrogativo sulla presenza di Democrito nell'Accademia si pone presso
le fonti più antiche nella forma del rapporto Platone/ Democrito. Cono-
sceva Platone Democrito e, se sì, perché non lo ha mai nominato? Platone
è, in generale, piuttosto parco di riferimenti diretti ad autori specifici e in
questo segue una prassi già consolidata negli autori del V sec. a.C.1 Inoltre,
frequentemente, critica un'idea diffusa sotto la quale raggruppa più autori
perché, in un contesto dialettico, sono più importanti le idee che le per-
sone2.
Quello di Democrito (o Leucippo), tuttavia, sarebbe per Platone
stesso un caso estremo. Egli infatti nomina Eraclito, Empedocle, Anassa-
gora, Parmenide, Zenone, Melisso, i Sofisti, ma non Democrito. Platone,
comunque, non menziona mai neppure Diogene di Apollonia che, se-
condo gli interpreti moderni, avrebbe goduto di una grande fama ad
Atene tanto da essere addirittura il bersaglio delle allusioni di Aristofane
nelle Nuvole3. Ora, nessuno degli antichi, si è mai chiesto perché Platone
non nomini mai Diogene4. Il fatto quindi che il quesito nelle fonti antiche
sia stato posto solo in relazione a Democrito, che Aristotele contrappone
spesso a Platone e agli Accademici, è un indizio per scoprire l'ambiente in
1 Erodoto, ad esempio, fa riferimento esplicito all'opera di Ecateo solo due volte (2,143;
6,137), pur alludendo spesso polemicamente a lui. Diogene di Apollonia menzionava gene-
ricamente dei Sophistai. Gli autori ippocratici sono anch'essi estremamente vaghi sull'iden-
tità dei loro avversari e solo raramente fanno dei nomi.
2 Cf. Cambiano1986, 69ss. Su questo procedimento dialettico, v. infra, III 2. 2. 1.
3 Questa opinione corrente va comunque ridimensionata in quanto le allusioni di Aristofane
potrebbero riguardare un'ampia gamma di personaggi che sostenevano teorie simili a quelle
di Diogene, cf. Orelli 1996, 94-109.
4 Fra i moderni solo Steckel 1970, 194s. rileva questo fatto.
Capitolo primo 43
cui esso si è originato. Un interrogativo che suona come una chiara pole-
mica nei confronti di Platone si adatta perfettamente all'atmosfera del
primo Peripato e in particolare alla vena antiplatonica che ne attraversa la
storiografia. In questa prospettiva si inquadra il resoconto di Diogene
Laerzio (9,40) risalente nel suo complesso ad Aristosseno: Platone non
nomina l'Abderita, in quanto era cosciente di non poter competere col
migliore dei filosofi5. Sul resoconto di Aristosseno tornerò comunque
diffusamente in seguito. Per ora mi limito a segnalare che il problema del
silenzio di Platone era già stato sollevato nell'antichità e che si è di volta in
volta riproposto fino ai giorni nostri.
Fra i moderni, Gigon (1972) ha avanzato l'ipotesi che Platone non
parli di Democrito in quanto Socrate, il protagonista dei suoi dialoghi, non
lo conosceva. Tuttavia le opere nelle quali si sono ravvisate allusioni alla
fisica democritea, sono, oltre al Cratilo e al Teeteto, anche il Sofista e il Timeo
dove il protagonista non è più Socrate. Secondo un articolo della Ham-
mer-Jensen divenuto famoso, il Timeo rivelerebbe una recente acquisizione
da parte di Platone di teorie che Aristotele attribuisce anche agli atomisti,
ma si distinguerebbe soprattutto per una valutazione diversa delle con-
cause rispetto al Fedone. Nel Timeo Platone avrebbe accettato anche una
spiegazione meccanicistica della formazione del mondo legata all'ananke,
pur subordinandola alla causa finale; il mondo si svilupperebbe infatti
inizialmente in modo del tutto meccanico senza l'intervento del dio6. A
parte le difficoltà di interpretazione della cosmogonia del Timeo (che dagli
allievi di Platone in poi è sempre risultata enigmatica), c'è tuttavia da os-
servare che la cosiddetta concausa non è rigettata neppure nel Fedone dove
(99a), come nel Timeo (46d), si afferma che essa può essere considerata
solo "ciò senza il quale", cioè una condizione necessaria, ma non una vera
causa. Sulla scia della Hammer-Jensen molti hanno ipotizzato che nel
Timeo Platone non solo abbia preso le mosse dall'atomismo di Democrito,
ma vi alluda criticamente7. Secondo Eva Sachs8 la critica alla dottrina dei
quattro elementi in Ti. 48b-c sarebbe rivolta espressamente contro Demo-
crito. Siccome in realtà la dottrina atomista diverge notevolmente da
quella criticata da Platone, la Sachs era necessariamente costretta, per sal-
vare l'ipotesi, ad attribuire forzatamente agli atomisti una dottrina dei
quattro elementi mutuata da Empedocle e inserita come un corpo estraneo
in quella atomista. Tutto questo sarebbe deducibile:
Per quanto riguarda altri dialoghi, Haag16 ha, ad esempio, voluto vedere in
certe etimologie del Cratilo e in una certa metodologia di scomposizione e
di analisi delle parole, l'influsso di una concezione atomista. Platone
l'avrebbe solo riecheggiata, ma non affrontata direttamente in quanto egli
si rivolgeva a dei lettori che non conoscevano i testi democritei, ma solo
quelli di Anassagora e di quegli "Eraclitei" che ad Atene andavano per la
maggiore. Singoli accenni come l'accusa contro Anassagora di aver
utilizzato delle teorie astronomiche antiche, la stessa che Apollodoro attri-
buiva a Democrito17, o l'etimologia di gunhv come gonhv (Crat. 414a), che è
anche democritea18, sono sì interessanti, ma rimandano probabilmente a
opinioni diffuse e non attribuibili specificamente ad un solo autore. Haag,
seguito poi da altri19, vedeva un'allusione a Democrito anche nella teoria
dei komyovteroi del Teeteto (156a), secondo cui le sensazioni non hanno
una loro essenza specifica, ma sono il prodotto temporaneo dell'incontro
di due dunavmei" provenienti rispettivamente dall'oggetto sensibile e dal
soggetto senziente. Haag vedeva una conferma nel fatto che ai sostenitori
di queste tesi viene attribuita una concezione corpuscolarista. Tutto:
l'uomo, la pietra e ogni essere vivente, sarebbe costituito da aggregati. A
prescindere dal fatto che le teorie esposte nel passo sembrano avvicinarsi
maggiormente a quelle dei cirenaici20, si potrebbe obiettare che, se c'è una
allusione a Democrito nel Teeteto, non è da individuarsi nelle tesi dei kom-
yovteroi, bensì in quelle di coloro che considerano sostanze solo i corpi e
ciò che si può afferrare con le mani21. Tali individui vengono infatti desi-
gnati con termini che sembrano ricordare le proprietà degli atomi demo-
critei: sklhroi; kai; ajntivtupoi. Richiama ancora le cosmogonie atomiste
che fanno nascere il mondo ajpo; taujtomavtou l'affermazione ironica di
Teodoro secondo cui i cosiddetti Eraclitei non sono allievi di nessuno,
"ma spuntano spontaneamente da dove capita" (180c ajll aujtovmatoi
ajnafuvontai oJpovq en a]n tuvchi). Tuttavia la caratterizzazione di costoro
come "ispirati" e critici gli uni nei confronti degli altri fa pensare piuttosto
ai dibattiti sofistici e all'immagine degli agoni retorici descritti nell'Encomio
di Elena di Gorgia22 che agli atomisti. L'allusione sembra coinvolgere più
16 Haag 1933.
17 Apollod. ap. Diog. Laert. 9,34s. (68 B 5 DK; 159 L.).
18 68 B 122a DK; 567 L.
19 Haag 1933, 60ss. Su questa linea anche Guthrie V, 1978, 78.
20 Cf. Natorp 1884, 24s. n. 1. Zeller, scettico su questo punto dalla prima alla quarta edizione
della sua Philosophie der Griechen, nella quinta edizione del 1892 (I. 2, 1098) accetta anch'egli
questa tesi. Per una storia di questa interpretazione e di quella contraria che invece nega il
riferimento ad Aristippo e ai Cirenaici, cf. Giannantoni 1968, 129-45. Cf. anche Friedlän-
der, III, 1975, 144.
21 Theaet. 155e. Si tratta di una tesi sostenuta a suo tempo da Duemmler 1882, 58.
22 82 B 11 (13) DK.
46 Platone e Democrito
23 Friedländer III, 1975, 144 sostiene una posizione estrema, secondo cui Platone non solo
non vorrebbe alludere a nessuna dottrina specifica, ma si costruirebbe un avversario non
filosofo con cui è impossibile ogni forma di discussione. Se tuttavia le posizioni descritte
da Platone si avvicinano in qualche modo alla tendenza eracliteggiante, è piuttosto impro-
babile che egli voglia dirigersi semplicemente contro un "non filosofo". Inoltre risulta
chiaro da Theaet. 152d che Platone cerca di inglobare sotto la denominazione di Eraclitei il
maggior numero possibile di predecessori: tutti i sapienti, tranne Parmenide, sarebbero in-
fatti d'accordo sul fatto che tutto diviene e nulla è mai. In questa schiera vengono annove-
rati non solo Protagora ed Eraclito, ma anche Omero ed Epicarmo.
24 Phaedr. 251c ejkei'qen mevrh ejpiovnta kai; rJevo nt—a} dia; dh; tau'ta i{mero" kalei'tai.
25 82 B 11 (8) DK lovgo" dunavsth" mevga" ejstivn, o}" smikrotavtwi swvmati kai; ajf anestavtwi
qeiovtata e[rga ajpotelei'.
26 In ogni caso difficilmente cade dopo il 415 a.C. in quanto le Troiane di Euripide, rappresen-
tate in quell'anno, ne presuppongono la conoscenza.
27 Cf. Mazzara 1984, 133.
28 Per la bibliografia su questo punto, cf. Ferwerda 1972, 359 n. 1 che accetta l'ipotesi di
un'influenza indiretta delle tesi atomiste su Platone.
29 Cf. Sinnige 1968, 199, il commento ad loc. di England 1921 e Tate 1936, 48-54. Anche
Furley 1987, 173 sottolinea la difficoltà di individuare gli atomisti come obiettivo dell'at-
tacco platonico. Una pluralità di personaggi fra cui, ma con molte riserve, potrebbe essere
compreso anche Democrito, indica Zeppi, 1989, 209-214.
Capitolo primo 47
30 Questa è anche la conclusione di Sinnige 1968, 187. Ferwerda 1972, 359 giudica molto
probabile la conoscenza degli atomisti da parte di Platone nonostante riconosca che nei
dialoghi platonici non si incontrano sicure allusioni. Cf. ora per una posizione critica e bi-
lanciata nei confronti delle presunte allusioni platoniche a dottrine democritee Morel 2003.
31 Un esempio tipico di questo scetticismo che riduce tutta la tradizione aneddotica sui rap-
porti Socrate/ Democrito e Platone/ Democrito ad un gioco di deduzioni di Diogene
Laerzio o a semplici topoi biografici è Chitwood 2004, 100-102.
32 Dem. Magn. ap. Diog. Laert. 9,36 (68 B 116 DK; XXIV L.).
33 [Pl.] Amat. 136a.
34 Thrasyll. ap. Diog. Laert. 9,37 (68 A 1 DK; 493a L.). In realtà Socrate nel dialogo si rivolge
ad un giovane ateniese che si atteggia a filosofo polymathes e mette in discussione proprio
attraverso la similitudine col pentatleta la concezione della filosofia come polymathia.
48 Platone e Democrito
35 Dem. Phaler. Fr. 93 Wehrli (Diog. Laert. 9,37) (68 A 1 DK; XXV, 493a L.).
36 Aristosseno aveva fornito di Socrate un quadro non propriamente edificante descrivendolo
come incontinente, collerico e ignorante, cf. Fr. 52b; 54a-b; 56 Wehrli.
37 Cic. Tusc. 5,36,104 (68 B 116 DK; XXIV L.); Val. Max. 7,7 ext. 4 (68 A 11 DK; XXIV L.);
cf. anche l'allusione anonima in Antonin. 7,67 livan ejndevcetai qei'on a[ndra genevsqai kai;
uJpo; mhdeno;" gnwrisqh'nai.
38 Gigon 1972, 155 sostiene che Demetrio Falereo o non conosceva la presunta frase di
Democrito, o la emarginava come invenzione. Il fatto che Demetrio negasse la presenza di
Democrito ad Atene proprio nell'Apologia di Socrate rende tuttavia più probabile la seconda
soluzione. Non solo egli conosceva la frase, ma sapeva che era finalizzata ad una svaluta-
zione della figura di Socrate.
Capitolo primo 49
39 Il valore ipotetico di ei[per è stato messo ultimamente in dubbio da Mansfeld 1994, 100 il
quale traduce con "because". Cf. tuttavia le convincenti controargomentazioni di Tarrant
1995, 150s.
40 Aristox. Fr. 131 Wehrli (Diog. Laert. 9,40) (68 A 1 DK; LXXX L.) Aristovxeno" dæ ejn toi'"
ÔIstorikoi'" uJpomnhvmasiv fhsi Plav twna qelh's ai sumflevxai ta; Dhmokrivtou suggravmmata,
oJpovsa ejdunhvqh sunagagei' n, Amuvklan de; kai; Kleinivan tou; " Puqagorikou;" kwlu's ai
aujtov n, wJ" oujde; n o[felo": para; polloi'" ga;r ei\nai h[dh ta; bibliva. kai; dh'lon dev: pav ntwn ga;r
scedo;n tw'n ajrcaivwn memnhmev no" oJ Plav twn oujd amou' Dhmokrivtou diamnhmoneuvei, ajllæ
oujdæ e[ nqæ aj nteipei' n ti aujtw'i devoi, dh'lonãovtià eijdw;" wJ" pro; " to;n a[riston auj tw'i tw'n filo-
sovfwn ãoJ ajgw; nà e[soito. Accetto il testo canonico, mantenuto anche nell'ultima edizione di
Diogene Laerzio del Marcovich, che presenta alcune correzioni, ma necessarie, contro l'in-
verosimile mantenimento del testo dei Mss. proposto da Bollack 1967, 243s. (dh'lon eijdw;"
wJ" pro;" to; n a[riston ou{tw tw'n filosovfwn e[soito. Sachant de toute évidence que quand il répon-
dait au meilleur, il serait de cette manière parmi les philosophes).
41 1972, 153s.
42 Wehrli 1967, II, ad loc., 87; Bollack 1967, 243s.
50 Platone e Democrito
quello subito dalla loro setta43. Gigon lascia in sospeso la questione dichia-
rando enigmatica la loro presenza.
Il problema sintattico e quello della coerenza contenutistica dell'aned-
doto possono essere chiariti attraverso il confronto con altri passi di Dio-
gene Laerzio. In un passo della vita di Platone ricompare infatti il quesito
del perché il filosofo non abbia menzionato Democrito. Il brano offre una
lista di "invenzioni" platoniche: Platone è stato il primo ad aver introdotto
nella filosofia il metodo dialettico, il primo ad aver usato termini specifici
come "elemento", "qualità", "dialettica", il primo ad aver studiato le po-
tenzialità della grammatica e, avendo egli per primo parlato contro quasi
tutti i suoi predecessori, ci si chiede perché non abbia ricordato Demo-
crito44. Questa lista risale a Favorino (II sec. d.C.), ma non è certamente
inventata da lui perché una variante della stessa viene riportata anche dal-
l'autore dei Prolegomena alla filosofia platonica45 e singole "invenzioni"
platoniche sono nominate anche da altri46. Favorino si è rifatto verosimil-
mente ai Peripatetici di cui, a detta di Plutarco47, era un fervido
ammiratore. L'immagine di Platone come prw'to" euJrethv" e "rinnovatore"
della filosofia circolava infatti sicuramente in ambito peripatetico, ma era
seguita talvolta da un giudizio negativo. Mentre infatti Eudemo aveva
attribuito a Platone l'introduzione di stoicei'on come termine tecnico per
"elemento", la fondazione di una nuova astronomia e, probabilmente,
anche di una nuova matematica48, Dicearco lo aveva definito nel con-
tempo rinnovatore e distruttore della filosofia in quanto, con il suo stile
raffinato, avrebbe creato una "moda" (la forma del dialogo) che allonta-
nava dalla vera filosofia (le ricerche specialistiche del Peripato)49. I
Peripatetici accettavano evidentemente alcuni assunti sviluppati dagli al-
lievi di Platone sulle innovazioni del maestro, ma ne mettevano in luce
43 Wehrli 1967, II, ad loc. 87; Bollack 1967, 242s. Wehrli si limita a formulare l'ipotesi, Bol-
lack interpreta invece sunagagei'n come "comprare" forzando il testo. La storia sarebbe
collegata con quella del famoso plagio del libro di Filolao, cf. Burkert 1972, 223ss.
44 Diog. Laert. 3,24 (LXXX L.) prw'tov" te ajnteirhkw;" scedo;n a{pasi toi'" pro; aujtou',
zhtei'tai dia; tiv mh; ejmnhmov neuse Dhmokrivtou.
45 Anon. Proleg. 5,1-46.
46 Cf. Barigazzi 1966, 219-20; Riginos 1976, 188.
47 Quaest. conv. 734 F.
48 Per il primo punto, cf. Eudem. Fr. 31 Wehrli, Burkert 1958, 174. Per l'astronomia, Eudem.
Fr. 148 Wehrli. Per la matematica, Eudem. Fr. 133 Wehrli. In Index Acad. P. Herc. 1021,
col. Y, nel quale Platone viene presentato come l'ispiratore di tutti i progressi compiuti
dalla matematica nell'Accademia, sono state fatte ipotesi diverse sulle fonti, ma il paralleli-
smo con la funzione attribuita a Platone da Eudemo nello sviluppo dell'astronomia ha fatto
propendere Gaiser 1988, 347 per Eudemo mediato da Dicearco. Cf. anche Dorandi 1991,
207s.
49 Ap. Philod., Index Acad. P. Herc. 1021, col. I. Che il testo riporti le parole di Dicearco ha
sostenuto Gaiser 1988, 314; cf. anche le considerazioni di Burkert 1993, 25s.
Capitolo primo 51
50 Diog. Laert. 9,39 (FGrHist 508 F 14) ejlqovnta dhv fhsin (scil. oJ Antisqevnh") aujto;n ejk th'"
ajpodhmiva" tapeinovtata diav gein, a{te pa'san th; n ouj sivan katanalwkovta: trevfesqaiv te dia;
th;n ajporivan ajpo; tajdelfou' Damavsou. wJ" de; proeipwvn tina tw'n mellovntwn eujdokivmhse,
loipo;n ejnqevo u dovxh" para; toi'" pleivstoi" hjxiwvqh.
51 Per Protagora, cf. Sext. Emp. Adv. Math. 9,56 (80 A 12 DK). Per Crizia, cf. Sext. Emp.
Adv. Math. 9,54 con la citazione dei versi del Sisifo (88 B 25 DK). Per Prodico Sext. Emp.
Adv. Math. 9,51; cf. anche 9,18 (84 B 5 DK). Queste accuse di empietà sono comunque
nella maggioranza dei casi un topos letterario.
52 Platone e Democrito
sono invece buone ragioni per riportarlo nella sua globalità ad Aristos-
seno.
Se tutto il resoconto risale a lui, il fatto che Democrito sia assente dal-
l'opera platonica, porta ad escludere il motivo del plagio52 come movente
del desiderio di Platone di bruciarne i libri. Il tono antiplatonico del brano
e la ricezione aristotelica di Democrito in funzione antiplatonica e antiac-
cademica suggeriscono invece un'altro motivo: Platone vuole toglierli dalla
circolazione perché li avverte come un pericolo per il suo prestigio anche
e soprattutto all'interno della sua scuola.
Un punto fondamentale per la comprensione e la contestualizzazione
del racconto è costituito dall'enigmatica figura dei due "Pitagorici" i cui
nomi non sono fatti a caso. Clinia è un personaggio citato anche altrove
da Aristosseno come modello di vita pitagorica53 e Amicla, soprattutto,
non è un pitagorico qualsiasi, ma uno dei fedelissimi discepoli di Platone.
Amicla di Eraclea nel Ponto era annoverato da Eudemo54, fra quei plato-
nici che avevano portato la geometria ad una maggiore perfezione. Una
variante del nome, “Amuklo", dovuta probabilmente ad una corruttela del
testo, ma con la stessa indicazione toponomastica, ÔHraklewvth", si trova
nel catalogo dei discepoli di Platone in Diogene Laerzio (3,46). Amicla
compare inoltre come fedele discepolo del vecchio Platone, accanto a
Speusippo e Senocrate, in un aneddoto di parte accademica nel quale
viene sottolineata l'arroganza di Aristotele e i suoi tentativi di mettere in
difficoltà il vecchio maestro, rintuzzati poi da Senocrate. Aristotele non
era amato da Platone per il suo comportamento e la sua eleganza troppo
raffinata e disdicevole per un filosofo. Il maestro quindi gli preferiva
Speusippo, Senocrate e Amicla. Durante un'assenza di Senocrate ed es-
sendo Speusippo malato e impossibilitato ad accompagnarlo, Platone uscì
nel peripato esterno della scuola senza i discepoli più fedeli. Aveva già
ottant'anni e una memoria ormai piuttosto labile. Aristotele gli si fece
incontro e, postoglisi dinanzi, cominciò a tendergli dei trabocchetti e a
porgli delle domande con un ben determinato intento confutatorio. Pla-
tone, comprendendone lo scopo, si ritirò all'interno. Quando Senocrate
ritornò, non lo trovò più ad insegnare nel peripato dove l'aveva lasciato; al
suo posto c'erano Aristotele e i suoi seguaci. Senocrate notò che quest'ul-
52 Accuse così velate non sono, del resto, nello stile di Aristosseno, il quale rinfacciava aperta-
mente a Platone di aver copiato di sana pianta la Repubblica dagli Antilogici di Protagora (Fr.
67 Wehrli).
53 Aristox. Fr. 30 Wehrli, da Spintaro che aveva conosciuto direttamente anche Socrate (Fr.
54a Wehrli). Clinia è menzionato anche da un altro peripatetico, Chamaileon (Fr. 4 Wehrli).
54 Eudem. Fr. 133 Wehrli che lo designa specificamente come ei|" tw'n Plavtwno" eJtaivrwn
distinguendolo ad esempio da Menecmo, allievo di Eudosso, che aveva solo "frequentato"
Platone (Plavtwni suggegonwv").
Capitolo primo 53
55 Ael. Var. hist. 3,19 (Xenocr. Fr. 11 IP; Arist. T 36 Düring). Sulla correlazione di questo
passo con quella serie di rappresentazioni dell'Accademia negli ultimi anni della vita di
Platone che compaiono nell'Index Academicorum e che risalgono alla generazione degli im-
mediati allievi di Platone o di Aristotele, cf. Burkert 1993, 18ss.
56 Per ulteriori aneddoti biografici sui rapporti fra Platone e Aristotele, cf. Düring 1957;
Swift-Riginos 1976.
54 Platone e Democrito
57 Diog. Laert. 9,38 (68 A 1 DK; XVII, 154 L.). La notizia di Duride di Samo (FGrHist 76 F
23; 154 L.), secondo cui Democrito era allievo di Arimnesto figlio di Pitagora è da spiegarsi
probabilmente come un tentativo di individuazione di questo generico pitagorico cui allude
Glauco.
58 51 1 DK (Hippol. Ref. 1,15); 51 2 DK (Aet. 1,3,19 [Stob. 1,10,16a]); 51 4 DK (Aet. 2,3,3 [Stob.
1,21, 6a]).
59 Metaph. A 6, 987b 10ss.
60 Cf. Annas 1976, 154 con riferimenti bibliografici.
Capitolo primo 55
partecipazione dei sensibili alle idee e l'idea del numero come principio. In
questo contesto non compare nessuna menzione di Democrito o di Leu-
cippo, anzi, poco prima, Aristotele sottolinea come solo i Pitagorici, fra i
presocratici, abbiano "cominciato a parlare di essenza e a definirla" anche
se lo hanno fatto in maniera troppo semplicistica61. Egli utilizza qui,
soprattutto per sottolineare la dipendenza di Platone dai Pitagorici, uno
schema canonico, probabilmente già accademico, concepito per presen-
tare la dottrina platonica come compendio e culmine di tutte le ricerche
precedenti62. Il fatto che Democrito non compaia affatto, significa che
Aristotele non vedeva fra la dottrina democritea e quella platonica alcun
rapporto genetico né tantomeno un influsso diretto dell'una sull'altra,
influsso che invece egli espressamente ribadiva nel caso dei Pitagorici.
In Metaph. M 4, 1078b 12ss. Aristotele ripropone lo stesso schema per
giustificare la nascita della dottrina delle idee. Questa ha le sue radici nella
fusione della dottrina eraclitea del continuo scorrere del sensibile e del-
l'impossibilità di averne conoscenza con quella socratica della definizione
dell'universale ricercata attraverso la dialettica. Fra i fisici Democrito (con
il tentativo di definizione del caldo e del freddo) e, prima di lui, i Pitagorici
(definendo alcuni concetti per mezzo di numeri) avrebbero solo sfiorato
in qualche modo il problema della definizione dell'essenza63. Si tratta di
una seconda fase di sviluppo dello schema, come si può dedurre dal ri-
chiamo alla precedenza dei Pitagorici su Democrito nella definizione del-
l'essenza. Quest'ultimo viene dunque inserito in uno schema già preesi-
stente, ma in una prospettiva ben lontana da una parentela genetica.
La stessa tipologia del confronto a posteriori, con gradazioni che
vanno dal parallelismo neutrale all'utilizzazione polemica della dottrina
atomista contro quella platonica, si incontra costantemente nell'opera
aristotelica. Mi limiterò a far riferimento ai brani senza affrontare la spi-
nosa questione della differenza fra Leucippo e Democrito che porterebbe
troppo lontano dal tema centrale. Si può qui solamente osservare che, in
effetti, il nome di Leucippo compare senza quello di Democrito per lo
meno in un testo considerato molto antico come il libro L della Metafisica.
Il confronto è neutrale, Leucippo e Platone si trovano appaiati e posti
61 Metaph. A 5, 987a 20-21 peri; tou' tiv ejstin h[rxanto me;n levgein kai; oJrivzesqai, livan d
aJplw'" ejpragmateuvqhsan.
62 Lo schema presenta infatti la dialettica platonica come sintesi e superamento delle ricerche
precedenti distinte in fisica ed etica, uno schema che persiste nella tradizione platonica e
che ritroviamo nella vita di Platone di Diogene Laerzio (3,56) ou{tw" kai; th'" filosofiva" oJ
lovgo" provteron me;n h\n monoeidh;" wJ " oJ fusikov", deuvteron de; Swkravth" prosevqhke to; n
hjqikovn, trivton de; Plav twn to;n dialektiko; n kai; ejtelesiouvr ghse th;n filosofivan.
63 Metaph. M 4, 1078b 19 tw'n mevn ga;r fusikw'n ejpi; mikro;n Dhmovkrito" h{yato movnon kai;
wJrivsatov pw" to; qermo;n kai; to; yucrovn: oiJ de; Puqagovr eioi provteron periv tinwn ojlivgwn,
w|n tou;" lovgou" eij" tou; " ajriqmou;" aj nh'pton, oi|on tiv ejsti kairo;" h] to; divkaion h] gav mo".
56 Platone e Democrito
sullo stesso piano per aver assunto l'eternità del movimento64 (Aristotele si
riferisce qui al movimento disordinato della Chora nel Timeo65). Il solo Leu-
cippo come rappresentante dell'atomismo compare un'altra volta nell'o-
pera aristotelica e precisamente in De generatione et corruptione A 866, che
verrà esaminato dettagliatamente nel terzo capitolo. In questo testo, che si
inserisce nella trattazione dell'agire e del patire, Aristotele sottolinea, senza
commenti particolarmente polemici, le similarità e le differenze fra la dot-
trina dei triangoli e quella dei corpi indivisibili. Platone si differenzia da
Leucippo per il fatto che pone come indivisibili delle superfici invece che
dei solidi, e perché assume forme prime limitate invece che infinite e am-
mette inoltre che la generazione e la separazione avvengano solo attra-
verso il contatto mentre Leucippo le fa avvenire attraverso il contatto e il
vuoto (325b 25-33)67. Per il resto ambedue pongono dei principi indivisi-
bili e definiti dalla forma.
Più apertamente polemici sono invece altri confronti riguardanti i
principi del mondo sensibile come in De gen. et corr. A 2. Qui infatti Ari-
stotele prende posizione, pur rilevandone l'incongruenza, a favore delle
tesi degli atomisti contro Platone. La divisione fino alle superfici è assurda,
quella fino ai corpi, pur essendo anch'essa poco conforme a ragione, ha
comunque il merito di giustificare la genesi e il cambiamento ipotizzando
delle differenze di figura di posizione e di ordine dei corpuscoli. Invece
quelli che mettono insieme dei triangoli possono ottenere solo dei solidi,
ma non dei corpi in quanto questi enti matematici non possono generare
alcuna affezione tipica del corpo. Rispetto all'altro passo, compare qui
anche Democrito che viene nominato addirittura prima di Leucippo. Al di
là delle differenze di tono, è comunque comune ad ambedue i brani il
confronto tipologico e non genetico delle tesi atomiste con quelle del
Timeo. Il tono di crescente polemica in questi brani del De generatione et
corruptione denota un dibattito sempre più acceso e ruotante intorno alle
dottrine del Timeo, o meglio, intorno all'interpretazione che di questo dia-
logo davano gli allievi di Platone. Quest'ultimo, infatti, non ha mai parlato
di triangoli indivisibili come invece costantemente si afferma nel De genera-
tione et corruptione e come interpretavano anche gli altri allievi di Platone. Se
inoltre Aristotele sottolinea con insistenza la superiorità delle dottrine
68 Arist. De cael. G 4, 303a 9-11 (67 A 15 DK; 109, 174 L.) trovpon gavr tina kai; ou|toi pavnta
ta; o[ nta poiou'sin ajriqmou; " kai; ejx ajriqmw' n: kai; ga;r eij mh; safw' " dhlou'sin, o{mw" tou'to
bouvlontai lev gein.
69 Su questo brano, v. infra, VII 5.
70 68 A 34 DK; CXIX L.
58 Platone e Democrito
3. Sintesi
L'aneddoto di Aristosseno e i brani aristotelici ora esaminati forniscono in
qualche modo degli indizi per porre l'entrata dell'atomismo nell'Accademia
durante gli ultimi anni della vita di Platone. Leucippo e Democrito sono
stati recepiti e discussi dai suoi allievi "pitagorizzanti" e da Aristotele.
Quest'ultimo in particolare se ne è servito per polemizzare contro il mae-
stro. Da questa atmosfera scaturisce l'aneddoto di Aristosseno sul deside-
rio di Platone di bruciare quei libri la cui diffusione avrebbe potuto infe-
rire un duro colpo al suo prestigio. Posto che comunque per lo meno gli
allievi pitagorizzanti di Platone devono aver conosciuto le dottrine atomi-
ste, come i criptici accenni aristotelici e l'aneddoto del salvataggio dei libri
di Democrito da parte dei "Pitagorici" sembra indicare, il problema è
quello di stabilire se, nell'ambito della ricezione dell'atomismo antico, da
Aristotele in poi, si possa ritrovare qualche traccia di una "lettura" acca-
demica degli atomisti. Questo è possibile per lo meno riguardo alla querelle
sui principi corporei o incorporei, impostata nel Sofista platonico, e pre-
sentata da Aristotele come dibattito fra Accademici e materialisti fra i quali
sono talvolta compresi anche gli atomisti. Lo stesso confronto riemerge in
Sesto Empirico, in un passo che riporta sicuramente anche dottrine acca-
demiche71, nella forma di una diaphonia fra gli "eredi dei Pitagorici", vale a
dire gli Accademici, e i sostenitori di dottrine corpuscolari, in particolare,
gli atomisti. Dalla critica alle dottrine che pongono come principi dei
corpi, ancorché invisibili, gli Accademici partono per ribadire la superio-
rità dei principi incorporei. Questo aspetto della ricezione di Democrito
verrà trattato nel capitolo successivo.
1 Sulla stretta correlazione fra l'ambito di ricerca e i suoi principi e sulla conseguente diffe-
renziazione negli obiettivi e nei metodi, cf. Wieland 1970, 52-58.
2 Cf. e.g. Phys. A 2, 184b 25s.
60 Principi corporei/ incorporei
3 Metaph. A 9, 992a 24-29 o{lw" de; zhtouvsh" th'" sofiva" peri; tw'n fanerw'n to; ai[tion, tou'to
me;n eijavkamen (oujqe; n ga;r levgomen peri; th'" aijtiva" o{qen hJ ajrch; th'" metabolh'"), th; n d
oujsivan oijovmenoi levgein aujtw' n eJ tevr a" me;n oujsiva" ei\naiv famen, o{pw" d ejkei'nai touvtwn
oujsivai, dia; kenh'" lev gomen: to; ga;r metevc ein, w{sper kai; provteron ei[pomen, oujqev n ejstin.
ª...º ajlla; gevgone ta; maqhvmata toi'" nu' n hJ filosofiva, faskov ntwn a[llwn cavrin aujta; dei'n
pragmateuvesqai.
4 Metaph. A 9, 992b 18-993a 10.
5 Phys. B 2, 193b 22-37.
6 De cael. G 7, 306a 5-26.
7 Ti. 51e-52a touvtwn de; ou{tw" ejcovntwn oJmologhtevo n e}n me;n ei\nai to; kata; taujta; ei\do"
e[con, ajgevnnhton kai; ajnwvl eqron, ou[te eij" eJ auto; eijsdecov menon a[llo a[l loqen ou[te aujto;
Capitolo secondo 61
metodo di ricerca dei fisici che si arresta ai principi corporei per rivolgersi
invece a quelle che sono le vere cause prime del reale, incorporee e intel-
legibili8. I fisici si arrestano al mondo del divenire, ma non raggiungono la
conoscenza vera che si può acquisire solo studiando le cose eterne e
prime in se stesse9. Questo ha come conseguenza anche la totale svaluta-
zione dell'aspetto empirico delle scienze in quanto l'empiria opera su sin-
goli oggetti corporei, in sé non conoscibili con sicurezza, senza astrarne le
forme eterne. Il vero geometra non studierebbe mai seriamente per sco-
prirvi i concetti geometrici disegni anche bellissimi fatti da un pittore
espertissimo così come il vero astronomo non studia i movimenti degli
astri reali nella loro corporeità, ma coglie teoricamente i rapporti numerici
fra questi astri e i fra i loro movimenti. Per Platone, dunque, bisogna pro-
cedere non con l'osservazione, ma formulando dei problemi e lasciar per-
dere sia le figure geometriche reali, che i corpi celesti reali se vogliamo far
funzionare davvero l'elemento intelligente dell'anima10.
In questa tensione fra il superamento della fisica da parte di Platone e
degli Accademici e il ritorno alla fisica su altre basi rispetto a quelle dei
filosofi della natura da parte di Aristotele si colloca il dibattito sugli atomi-
sti antichi.
eij" a[llo poi ijovn, ajovraton de; kai; a[llw" aj naivsqhton, tou' to o} dh; novhsi" ei[lhcen ejpisko-
pei'n: to; de; oJmwvnumon o{moiovn te ejkeivnwi deuvteron, aijsqhtovn, gennhtov n, peforhmev non aj ei;,
gignovmenovn te e[ n tini tovpwi kai; pavlin ejkei'qen ajpolluvmenon, dovxhi met ai[sqhvsew" pe-
rilhptovn. Cf. anche Resp. 524c-d.
8 Ti. 46d; 48a-b; 68e.
9 Phil. 58c-59b.
10 Resp. 529d-530c.
62 Principi corporei/ incorporei
guardando dall'alto in basso chi affermasse che qualcos'altro che non ha corpo è,
senza voler ascoltare null'altro — Teet. Parli sicuramente di uomini tremendi; in-
fatti anch'io ho già avuto occasione di incontrarne numerosi— Str. Per questo i
loro oppositori nel dibattito si difendono assai prudentemente dall'alto, da una
certa zona dell'invisibile, incalzandoli col dire che la vera essenza sono certe
forme intellegibili e incorporee e, facendo a pezzettini nelle loro argomentazioni i
corpi di quegli altri e quella che loro chiamano verità, li definiscono un divenire
incessante invece che un'essenza. Riguardo a queste cose c'è sempre stata fra gli
uni e gli altri, o Teeteto, un'accanita battaglia11.
Chi si debba identificare nei due gruppi è stato oggetto di infinite conget-
ture12. In ogni caso l'opposizione fra coloro che ammettono solo essenze
corporee e coloro che, al contrario, assumono come essenze forme incor-
poree è una novità introdotta da Platone accanto a schemi oppositivi
preesistenti e da lui stesso utilizzati13 e si inserisce nel quadro più generale
della ricerca dei principi ultimi del reale. In questo contesto tutti i fisici
sono coinvolti nella denominazione di materialisti in quanto il campo
comune della loro scienza è quello della natura e del sensibile e quindi dei
corpi, un modello superato solo da Platone e dai suoi allievi. Che la tipo-
logia dei materialisti fosse una struttura generica e aperta, passibile di rice-
vere qualsiasi contenuto a seconda della discussione e del contesto è di-
mostrato dal fatto che in Aristotele l'identità dei sostenitori di principi
corporei varia da testo a testo proprio perché tutti i cosiddetti "filosofi
della natura" vengono considerati "materialisti"14. La tipologia dei sosteni-
11 Soph. 246a XE. kai; mh;n e[oikev ge ejn aujtoi'" gigantomaciva ti" ei\nai dia; th;n ajmfisbhvthsin
peri; th'" oujsiva" pro;" ajllhvlou". ª...º oiJ me; n eij" gh' n ejx oujranou' kai; tou' ajoravtou pav nta
e{lkousi, tai'" cersi;n ajtecnw'" pevtra" kai; dru'" perilambav nonte". tw' n ga;r toiouvtwn
ejfaptovmenoi pavntwn diiscurivzontai tou'to ei\nai movnon o} parevc ei prosbolh;n kai; ejpafhv n
tina, tauj to;n sw'ma kai; oujsivan oJrizovmenoi, tw' n de; a[llwn ei[ tiv" ãtià fhvsei mh; sw'ma e[con
ei\nai, katafronou'nte" to; paravpan kai; oujde; n ejqevlonte" a[llo ajkouv ein. QEAI. h\ deinou;"
ei[rhka" a[ ndra": h[dh ga;r kai; ej gw; touvtwn sucnoi'" prosevtucon. XE. toigarou' n oiJ pro;"
aujtou;" ajmfisbhtou' nte" mavla eujl abw' " a[ nwqen ej x ajoravtou poqe; n ajmuvnontai, nohta; a{tta
kai; ajswv mata ei[dh biazovmenoi th; n ajlhqinh; n oujsivan ei\nai: ta; de; ejkeiv nwn swvmata kai; th;n
legomev nhn uJp auj tw'n ajlhvqeian kata; smikra; diaqrauvo nte" ej n toi'" lovgoi" gevnesin aj nt
oujsiva" feromev nhn tina; prosagoreuvousin. ej n mevswi de; peri; tau'ta a[pleto" aj mfotevrwn
mavch ti", w\ Qeaivthte, aj ei; sunevs thken. Per la definizione dei materialisti come "non ini-
ziati, uomini rozzi, duri e resistenti" i quali danno il nome di ousia solo a ciò che è corpo,
cf. anche Theaet. 155e.
12 Cf. in particolare la lista fornita da Diès 1925, 291-293; Friedländer III, 1975, 476 n. 44.
Ambedue sono però convinti dell'impossibilità di individuare l'identità di questo gruppo e
sottolineano il carattere generalizzante della descrizione platonica. Questa ipotesi è con-
fermata a mio parere dall'affermazione di Teeteto di avere incontrato spesso individui
come i materialisti descritti dallo straniero.
13 Sui modelli "dossografici" preplatonici utilizzati poi anche da Aristotele, cf. von Kienle
1961, 38-57; Mansfeld 1986 [1990b, 22-83].
14 In Metaph. A 5, 987a 3-5 i sostenitori di principi corporei sono in generale "i primi filosofi",
in G 5, 1010a 1-3 tutti i presocratici fino ad Omero. In De cael. G 1, 298b 15-26 rientrano in
Capitolo secondo 63
questa categoria anche Parmenide e Melisso pur avendo essi attribuito ai sensibili caratteri-
stiche tipiche degli enti eterni. In Phys. D 6, 213a 19ss. sono gli "uomini comuni" a soste-
nere che gli enti veri sono solo corpi.
15 Sulle varie identificazioni degli amici delle forme, cf. Diès 1925, 292 n. 1 e Friedländer III,
1975, 476 n. 44.
16 Metaph. B 5, 1001b 32-1002a 12 a} de; mavlist a]n dovxeie shmaivnein oujsivan, u{dwr kai; gh'
kai; pu'r kai; ajhvr, ej x w|n ta; suv nqeta swvmata sunevs thke, touvtwn qermovthte" me;n kai; yu-
crovthte" kai; ta; toiau'ta pavqh, oujk oujsiv ai, to; de; sw'ma to; tau' ta peponqo;" movnon uJpo-
mevnei wJ" o[ n ti kai; oujsiv a ti" ou\sa. ajlla; mh; n tov ge sw'ma h|tton oujsiva th' " ejpifaneiva", kai;
au{th th' " grammh' ", kai; au{th th'" monavdo" kai; th' " stigmh' ": touvtoi" ga;r w{ ristai to; sw'ma,
kai; ta; me; n a[neu swvmato" ejndev cesqai dokei' ei\nai to; de; sw' ma a[ neu touvtwn ajduv naton.
diovper oiJ me;n polloi; kai; oiJ provteron th; n oujsivan kai; to; o]n w[ionto to; sw'ma ei\nai ta; de;
a[lla touvtou pavqh, w{ ste kai; ta; " ajrca; " ta;" tw'n swmavtwn tw' n o[ntwn ei\ nai ajrcav ": oiJ d
u{steroi kai; sofwvteroi touvtwn ei\ nai dovxante" ajriqmouv".
17 Sulla definizione democritea della "sostanza", cf. Arist. Metaph. M 4, 1078b 19-21 (68 A 36
DK; 99, 171 L.), supra, I 2 n. 63; Theophr. ap. Simpl. In de cael. 299a 2, 564,24 (68 A 120
DK; 171 L.), infra, 6. 3 n. 137.
64 Principi corporei/ incorporei
fasi; fuvsin, ta; de; a[lla ejcovmena, gramma;" kai; ejpivpeda, mevcri pro;" th;n tou' oujranou'
oujsivan kai; ta; aijsqhtav.
22 Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279 b 12, 295,1-2) (68 A 37 DK; 172 L.) Dhmovkrito"
hJgei'tai th;n tw'n ajidivwn fuvsin ei\ nai mikra;" oujsiva" plhvqo" ajpeivrou".
23 De sens. 60 (68 A 135 DK; 71 L.) Dhmovkrito" kai; Plavtwn ejpi; plei'stovn eijsin hJmmevnoi,
kaq e{kaston ga;r ajforivzousi: plh;n oJ me;n oujk ajposterw'n tw'n aijsqhtw'n th; n fuvsin,
Dhmovkrito" de; pav nta pavqh th' " aijsqhvsew" poiw'n.
66 Principi corporei/ incorporei
scopi. In questa maniera Teofrasto pone sullo stesso piano le loro dottrine
e le accomuna nella critica. Altrove egli accennava, sulla scia di Aristotele,
a coloro che, considerando semplici affezioni le quattro qualità fonda-
mentali, proseguivano la ricerca al di là di queste fino alle cause prime24.
Platone è il primo referente, ma Democrito, che aveva cercato di definire
"la sostanza del caldo e del freddo"25, veniva in una certa misura inglobato
nello schema. Teofrasto riteneva tuttavia superfluo ricercare la causa di
questi fenomeni fisici e, altrove, criticava proprio per questo Platone so-
stenendo che è ridicolo domandarsi perché il fuoco brucia e la neve raf-
fredda26. Lo schema teofrasteo nel quale Platone e Democrito vengono
posti in maniera neutrale sullo stesso piano e criticati conseguentemente
per aver ricercato ulteriori cause delle qualità fondamentali determina poi
gran parte della tradizione posteriore.
Il quadro finora delineato, soprattutto attraverso Aristotele, con ri-
scontri nei testi platonici e con uno sguardo alla posizione di Teofrasto ci
offre dunque sostanzialmente tre modelli di confronto fra Platone/ Acca-
demici e gli atomisti.
1. Lo schema apertamente polemico di Aristotele che vede in Platone
e negli Accademici coloro che trattano la fisica coi logoi e assumono quindi
principi inadeguati per quest'ambito. Egli utilizza all'occasione le dottrine
atomiste in funzione antiplatonica e antiaccademica sottolineandone la
superiorità nel campo della ricerca fisica. Il confronto verte comunque
principalmente sulle dottrine del Timeo reinterpretate dagli allievi e, in
misura minore, su quella delle idee-numero. L'utilizzazione polemica delle
teorie atomiste contro Platone e gli Accademici da parte di Aristotele va
inquadrata nel contesto più vasto della concorrenza fra le due scuole:
dall'altra parte probabilmente, come si può dedurre dagli accenni aristote-
lici stessi, gli Accademici cercavano di dimostrare la superiorità delle loro
tesi su tutte quelle che ponevano principi corporei, in particolare l'atomi-
smo.
2. Il secondo modello di confronto consiste nell'opposizione critica
degli Accademici a tutte le dottrine materialiste, già adombrata nella gi-
gantomachia del Sofista. L'atomismo, in particolare, che poneva il corpo in
24 Theophr. De igne 7-8 ajlla; ga;r tau'ta e[oiken eij" meivzw tina; skevyin ejkfevrein hJma'" tw'n
uJpokeimev nwn, h} zhtei' ta; " prwvta" aijtiva". faiv netai ga;r ou{ tw lambavnousi to; qermo;n kai;
to; yucro;n w{sper pavqh tinw'n ei\nai kai; oujk ajrcai; kai; dunav mei".
25 Arist. Metaph. M 4, 1078b 19-21 (68 A 36 DK; 99, 171 L.), supra, I 2 n. 63; per l'opinione di
Teofrasto, cf. Simpl. In De cael. 299a 2, 564,24, infra, n. 137.
26 Theophr. Fr. 159 FHS&G (Procl. In Tim. II,120,18-22) toiau'ta me;n oJ Qeovfrasto" ejpiti-
ma'i tw'i Plav twni peri; th'sde th' " yucogoniva", oujde; ejpi; tw'n fusikw' n pav ntwn levgwn dei'n
hJma'" ejpizhtei'n to; dia; tiv: geloi'on gavr fhsin ajporei' n, dia; tiv kaivei to; pu'r kai; dia; tiv yuvc ei
hJ ciwvn.
Capitolo secondo 67
28 Sext. Emp. Adv. Math. 10,262s. kai; o{ti tai'" ajlhqeivai" au|taiv eijsin tw'n o{lwn ajrcaiv,
poikivlw" oiJ Puqagorikoi; didavskousin.
29 Cf. Hermod. Fr. 7 IP. Per i rapporti fra i due testi, cf. Heinze 1892, 38ss.; Wilpert 1941,
230; De Vogel 1949, 205ss.; Theiler 1964, 92; Krämer 1959, 284; Isnardi Parente 1979,
108s.; 1982 440s.
30 Cf. Burkert 1972, 54ss. La teoria della rJuvsi" del punto riportata nei § 281-283 era stata
comunque per lo meno sicuramente trattata e difesa anche da Eratostene (Sext. Emp. Adv.
Math. 3,28). Cf. Isnardi Parente 1992, 159-163.
Capitolo secondo 69
trodotto nella discussione sul tema del tempo trattato poco prima perché,
come osserva Sesto, è con i numeri che si misura il tempo31.
Egli passa poi ad una considerazione generale sull'importanza dei nu-
meri nella fisica dei "Pitagorici"
Dopo aver portato a termine l'esame di quel tema [il tempo], riteniamo oppor-
tuno fare un resoconto anche su questo [il numero], soprattutto perché i più sa-
pienti fra i fisici hanno attribuito ai numeri una tale importanza da farne i principi
e gli elementi di tutte le cose. Costoro sono i seguaci di Pitagora di Samo. Quelli
che filosofano veramente —essi dicono— sono simili a quelli che studiano il di-
scorso. Come infatti questi ultimi esaminano prima le parole (infatti il discorso è
composto da parole) e, poiché le parole sono composte da sillabe, esaminano
prima ancora le sillabe, siccome però le sillabe si risolvono nelle lettere della lin-
gua scritta, studiano ancor prima queste ultime, così —dicono i Pitagorici— i
veri fisici, quando ricercano i principi del tutto, devono in primo luogo esaminare
in quali elementi il tutto si scompone32.
Carattere distintivo di questa introduzione è la definizione dei Pitagorici
come "i più sapienti fra i fisici" che non si ritrova in nessun altro dei passi
paralleli di Sesto, né in Pyrrh. hyp. 3,151, né in Adv. Math. 7,93ss., né in
Adv. Math. 4,2ss. né è corrente nella tradizione tarda anche di ascendenza
neopitagorica. Questo giudizio, che riecheggia in certo modo quello del
Filebo (16c-e) sui saggi antichi che hanno elaborato la dottrina dei numeri
come intermedi fra l'uno e l'infinito, risale dunque ad un ambito platonico
che si poneva come alternativo alla concezione aristotelica del fisico: i
migliori fisici non sono quelli che si occupano dei fenomeni, ma quelli che
hanno scomposto il tutto fino ai suoi principi ultimi, i numeri. Di ascen-
denza platonica, sebbene mediata, è anche l'analisi grammaticale come
modello della scomposizione del mondo fino agli elementi primi33.
Di ben altro tenore è l'introduzione parallela di Pyrrh. hyp. 3,151. Qui
si passa ex abrupto dalla dichiarazione che l'estremismo dei dogmatici sui
numeri ha sollevato le critiche degli scettici, al semplice accenno al fatto
34 Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 3,151 ejp ei; oJ crovno" dokei' mh; a[neu ajriqmou' qewrei'sqai, oujk a]n ei[h
a[topon kai; peri; ajriqmou' bracev a diexelqei'n. o{son me; n ga;r ejpi; th'i sunhqeivai kai; ajdo-
xavstw" ajriqmei'n tiv famen kai; ajriqmo;n ei\ naiv ti aj kouvomen: hJ de; tw'n dogmatikw' n perier-
giva kai; to;n kata; touv tou kekiv nhke lovgon. aujtivka gou'n oiJ ajpo; tou' Puqagovrou kai; stoi-
cei'a tou' kovs mou tou;" ajriqmou; " ei\ nai levgousin.
35 Adv. Math. 10,250s. to; me;n ou\n fainomevnhn ei\nai levgein th;n tw'n o{lwn ajrch;n ajfusikovn
pw" ejstivn: pa' n ga;r to; fainovmenon ejx ajf anw'n ojfeivlei sunivstasqai, to; d e[k tinwn su-
nestw; " oujk e[stin ajrchv, ajlla; to; ej keivnou aujtou' sustatikov n. o{qen kai; ta; fainovmena ouj
rJhtevon ajrca;" ei\ nai tw'n o{lwn, ajlla; ta; sustatika; tw'n fainomevnwn, a{p er oujkevti h\n fai-
novmena. toivnun ajdhvlou" kai; ajfanei' " uJpevqento ta;" tw'n o[ntwn ajrcav" kai; ouj koinw' ".
36 L'assegnazione ai dogmatici di un passaggio non motivato dai fenomeni alle loro cause
nascoste è un procedimento tipico anche dei medici empirici, cf. Gal. De exper. med. 24,3,
133s.; 25,2, 136 Walzer.
37 Pyrrh. hyp. 3,152 fasi; gou'n, o{ti ta; fainovmena e[k tino" sunevsthken, aJpla' de; ei\nai dei' ta;
stoicei'a: a[dhla a[ra ejsti; ta; stoicei'a.
Capitolo secondo 71
sono parole, così anche gli elementi del corpo non sono corpi; ma devono essere
o corpi o incorporei, perciò certamente sono incorporei. E non è ammissibile
dire che gli atomi si trovano ad essere eterni e che, per questo, essi possono es-
sere principi di tutto pur essendo corporei. In primo luogo, infatti, anche coloro
che assumono come elementi le omeomerie e le "masse" e i minimi privi di parti
assegnano loro una esistenza eterna, talché gli atomi non sono più elementi di
questi. Secondariamente, si ammetta pure che gli atomi siano veramente eterni;
tuttavia, come coloro che ammettono che il cosmo sia ingenerato ed eterno, non
di meno ricercano con la mente i primi principi che lo compongono, così anche
noi, dicono i fisici Pitagorici, cerchiamo con la mente da quali principi sono
composti questi corpi eterni e visibili con la ragione. Dunque le loro componenti
saranno o corpi o incorporei. Ma non potremmo dire che sono corpi, poiché bi-
sognerebbe porre come componenti di quelli dei corpi e così, procedendo la
mente all'infinito, il tutto sarebbe privo di principio 38.
Questo brano, al di là dei rimaneggiamenti, contiene le linee generali di
quella che doveva essere una argomentazione originaria dei "Pitagorici".
Essi partivano dalla critica a coloro che ponevano principi corporei (esat-
tamente come gli Accademici di Aristotele), fossero essi pure invisibili,
sottolineando come l'eternità da loro attribuita a tali corpi fosse solo appa-
rente (in Aristotele Platone e i suoi allievi sottolineano che i loro principi
sono "più eterni" dei corpi39). La vera eternità e i veri principi si trovano
infatti negli incorporei cui si arriva attraverso un procedimento mentale
(kat ejpivnoian). Se inizialmente l'argomentazione sembra rivolta contro
tutte le dottrine atomiste e corpuscolariste, nella seconda parte è però
inequivocabilmente diretta contro gli atomisti che hanno posto gli atomi
corporei come sostanze eterne. I Pitagorici-Accademici prendono le di-
stanze da questi ultimi utilizzando un tipico argomento dialettico basato
38 Adv. Math. 10,252-256 oiJ ga;r ajtovmou" eijpovnte" h] oJmoiomereiva" h] o[gkou" h] koinw'" nohta;
swvmata pavntwn tw'n o[ ntwn a[rcein ph'i me; n katwvrqwsan, ph'i de; dievp eson. h|i me; n ga;r
ajdhvlou" ei\ nai nomivzousin ta;" ajrcav ", deov ntw" ajnastrevfontai, h|i de; swmatika;" uJpo-
tivqentai tauvta", diapivptousin. wJ " ga;r tw'n aijsqhtw'n swmavtwn prohgei'tai ta; nohta; kai;
a[dhla swvmata, ou{tw kai; tw' n nohtw' n swmavtwn a[rcein dei' ta; ajswvmata. kai; kata; lovgon:
wJ" ga;r ta; th' " levxew" stoicei'a oujk eijsi; levxei", ou{tw kai; ta; tw' n swmavtwn stoicei'a ouj k
e[sti swvmata: h[toi de; swvmata ojf eivlei tugcav nein h] ajswvmata: dio; pav ntw" ejsti;n ajswvmata.
kai; mh; n oujde; e[ nesti fav nai, o{ti aijwnivou" sumbev bhken ei\nai ta;" ajtov mou", kai; dia; tou' to
duvnasqai swmatika;" ou[sa" tw'n o{lwn a[rcein. prw'ton me;n ga;r kai; oiJ ta;" oJmoiomereiv a"
kai; oiJ tou;" o[gkou" kai; oiJ ta; ejl avcista kai; aj merh' lev gonte" ei\nai stoicei'a aijwvnion ajpo-
leivpousi touvtwn th; n uJpovstasin, w{ste mh; ma'llon ta; " ajtov mou" h] tau't ei\nai stoicei' a.
ei\ta kai; dedovsqw tai'" ajlhqeivai" aijw nivou" ei\ nai ta; " ajtovmou": ajl l o}n trovpon oiJ
ajgevnhton kai; aijwvnion ajpoleivponte" to;n kovsmon oujde; n h|tton pro;" ejpivnoian zhtou' si ta;"
prw'ton susthsamev na" aujto; n ajrcav ", ou{tw kai; hJmei'", fasi;n oiJ Puqagorikoi; tw'n fusikw'n
filosovfwn, kat ejpivnoian skeptovmeqa to; ejk tivnwn ta; aijwv nia tau'ta kai; lovgwi qewrhta;
sunevsthke swvmata. h[toi ou\n swvmatav ejsti ta; sustatika; aujtw' n h] ajswvmata. kai; swvmata
me;n oujk a]n ei[paimen, ejp ei; dehvsei kajkeivnwn swvmata levgein ei\nai sustatika; kai; ou{ tw"
eij" a[peiron probainouvsh" th'" ejpinoiv a" a[ narcon givnesqai to; pa'n.
39 Metaph. Z 2, 1028b 16ss., v. supra, n. 21.
72 Principi corporei/ incorporei
sulla scomposizione mentale dei composti nelle loro costituenti più sem-
plici. Come i sostenitori delle idee nel Sofista, essi "fanno in briciole nei
logoi" i corpi dei loro avversari e dimostrano che questi non sono vere
sostanze eterne, in quanto mentalmente possono sempre essere scomposti
in altri corpi in una infinita progressione che priva il tutto di un principio
e di un ordine (a[narcon givnesqai to; pa'n). E' un'immagine parallela a quella
della molteplicità senza l'uno fatta balenare da Platone nel Parmenide e
riemergente anche nelle presunte critiche degli Eleati ai pluralisti in De
generatione et corruptione A 8 di cui si parlerà nel terzo capitolo40.
Nel resoconto parallelo di Sesto in Pyrrh. hyp. 3,152 manca sia la critica
agli atomisti sia la conseguente spiegazione della sottrazione kat ejpivnoian
fino ai principi e rimane solo l'opposizione rigidamente binaria fra corpo-
reo e incorporeo nella forma tipica anche di altri passi dossografici di
Sesto e in generale di una certa tradizione sui principi: degli invisibili al-
cuni sono corporei (atomi, o[gkoi), altri incorporei (figure, idee, numeri).
Il brano di Sesto non riproduce comunque alla lettera il discorso dei
Pitagorici-Accademici come è evidente sia dallo stile che dagli incisi sparsi
qua e là. Uno di questi è il richiamo ad Epicuro al paragrafo 257. I "Pita-
gorici" concludono infatti la loro argomentazione contro i principi corpo-
rei ribadendo che l'unica possibile soluzione rimane quella di cercare dei
principi incorporei. A questo punto viene introdotta la seguente osserva-
zione completamente anacronistica in un discorso fatto da Pitagorici-Ac-
cademici:
Cosa che anche Epicuro ha ammesso, dicendo che il corpo è concepito per ag-
gregazione di figura, grandezza, solidità e peso41.
La proposizione relativa e per di più espressa all'aoristo segnala comunque
che si tratta di un inciso42. Il discorso dei Pitagorici-Accademici è infatti
condotto tutto al presente.
Che dunque i principi dei corpi visibili solo col pensiero debbano
essere degli incorporei è evidente, continua il testo, ma il solo fatto di
essere incorporei non li qualifica automaticamente come principi. Infatti
anche Platone ha riconosciuto che le idee, pur essendo incorporee e
preesistenti ai corpi, che si generano secondo il loro modello, non sono
principi in quanto ciascuna idea presa in sé è uno, ma in combinazione
con altre è due, tre o quattro; dunque esse sono governate dal numero43.
Nel resoconto parallelo degli Schizzi pirroniani mancano completamente le
osservazioni su Platone, le quali quindi risalgono con molta probabilità al
testo originario dei cosiddetti Pitagorici. Se Alessandro sosteneva che
Aristotele, nel Peri; tajgaqou', attribuiva a Platone il superamento della
dottrina delle idee verso i principi, uno e diade, Simplicio faceva risalire
questa notizia non solo al libello aristotelico, ma anche alle altre redazioni
della lezione platonica sia di Speusippo che di Senocrate e di altri allievi44.
Dunque questo passaggio dalle idee al numero si integra perfettamente
con l'ipotesi dell'utilizzazione di uno scritto degli allievi di Platone da parte
della tradizione cui la fonte di Sesto si richiama45.
Dopo l'accenno alla teoria platonica delle idee, i Pitagorici-Accademici
procedono ad esporre il passaggio dai corpi agli elementi incorporei fino
ai principi primi, l'uno e la diade indefinita:
e le figure solide, che hanno una natura incorporea, vengono pensate prima dei
corpi, ma ancora non sono i principi di tutte le cose; infatti nella rappresenta-
zione mentale vengono prima le superfici poiché i solidi sono formati da queste.
Ma neppure le superfici possono essere poste come principi di tutte le cose; in-
fatti ciascuna di esse a sua volta è composta da elementi che la precedono, le li-
nee, e le linee hanno come presupposti i numeri in quanto la figura composta di
tre linee si chiama triangolo e quella composta di quattro quadrangolo. E poiché
la semplice linea non viene pensata senza il numero, ma, condotta da un punto
all'altro, segue il due e tutti i numeri cadono anch'essi sotto l'uno (infatti la diade
è una diade e anche la triade è un uno e la decade è una somma di numeri). Pren-
dendo le mosse da queste considerazioni, Pitagora ha posto come principio delle
cose esistenti la monade per partecipazione alla quale ciascuna delle cose esistenti
si dice uno. E questa, pensata secondo l'identità con se stessa, viene pensata
come monade, aggiunta a se stessa secondo la diversità, costituisce la cosiddetta
diade indefinita in quanto non è nessuna delle diadi numerabili e definite, ma
tutte vengono pensate come tali per partecipazione a questa. Dunque due sono i
principi degli esseri: la prima monade, per partecipazione alla quale tutte le mo-
43 Adv. Math. 10,258 h[dh de; oujk ei[ tina proufevsthke tw'n swmavtwn ajs wvmata, tau't ejx
ajnavgkh" stoicei'av ej sti tw'n o[ntwn kai; prw'taiv tine" ajrcaiv. ijdou; ga;r kai; aiJ ijdevai ajswvma-
toi ou\sai kata; to; n Plav twna proufesta'si tw' n swmavtwn, kai; e{kaston tw'n ginomev nwn
pro;" auj ta; " giv netai: ajll ou[k eijsi tw'n o[ ntwn ajrcaiv, ejpeivper eJkavsth ijdev a kat ijdivan me; n
lambanomev nh e} n ei\nai levgetai, kata; suvllhyin de; eJ tevra" h] a[llwn duv o kai; trei'" kai;
tevssare", w{ste ei\naiv ti ejpanabebhko; " aujtw' n th'" uJpostavs ew", to; n ajriqmovn, ou| kata; me-
toch;n to; e} n h] ta; duvo h] ta; triv a h] ta; touvtwn e[ti pleivona ejpikathgorei'tai aujtw' n.
44 Xenocr. Fr. 98 IP (Simpl. In Phys. 187a 12, 151,6-11).
45 Gaiser 1968b, 66 emargina la notizia su Platone come aggiunta ellenistica. Se fosse tale,
non si capisce perché non dovrebbe comparire, per lo meno in accenno, anche nella ver-
sione degli Schizzi pirroniani.
74 Principi corporei/ incorporei
nadi numerabili sono pensate come monadi, e la diade indefinita, per partecipa-
zione alla quale le diadi definite sono diadi46.
Il resoconto è qui in alcuni punti sicuramente distorto in quanto la tetrade
nella dottrina delle idee-numero non ha come corrispettivo geometrico il
quadrangolo, ma la piramide e c'è una confusione fra la diade come primo
dei numeri e la diade-principio (v. infra), ma il procedimento di sottrazione
dal corpo alla linea riproduce quello che si trova anche in altre testimo-
nianze sulla dottrina delle idee-numero. Nel resoconto degli Schizzi ven-
gono assunti come principi incorporei, in sequenza, le figure, le idee e i
numeri47 senza alcun accenno al metodo di sottrazione, come se si trat-
tasse di entità a sé stanti.
Tra gli anni quaranta e cinquanta Paul Wilpert, nella sua opera di raccolta
di testimonianze sulla dottrina non scritta di Platone, aveva creduto di
individuare in questo brano di Sesto Empirico un frammento delle lezioni
Sul bene di Platone e ipotizzato conseguentemente una opposizione di
quest'ultimo a Democrito48. In seguito, tuttavia, anche chi ha riconosciuto
46 Adv. Math. 10,259-262 kai; ta; sterea; schvmata proepinoei'tai tw'n swmavtwn, ajswvmaton
e[conta th;n fuv sin: ajll ajnavpalin ouj k a[rcei tw'n pavntwn: proavgei ga;r kai; touvtwn kata;
th;n ejpivnoian ta; ejpivpeda schvmata dia; to; ejx ejkeiv nwn ta; sterea; sunivstasqai. ajlla; me;n
oujde; ta; ejpivpeda schvmata qeivh ti" a] n tw' n o[ ntwn stoicei'a: e{kaston ga;r aujtw'n pavlin ejk
proagovntwn suntivqetai tw'n grammw' n, kai; aiJ grammai; proepinooumevnou" e[cousi tou;"
ajriqmouv", parovson to; me; n ejk tw' n triw'n grammw'n trivgwnon kalei'tai kai; to; ej k tessavrwn
tetrav gwnon. kai; ejp ei; hJ aJplh' grammh; ouj cwri;" ajriqmou' nenovhtai, ajll ajpo; shmeivou ejpi;
shmei'on aj gomev nh e[cetai tw' n duei' n, oi{ te ajriqmoi; pav nte" kai; aujtoi; uJpo; to; e}n peptwv kasin
(kai; ga;r hJ dua;" miva ti" ejsti; duav ", kai; hJ tria; " e{ n ti ejstiv, triav ", kai; hJ deka; " e} n ajriqmou'
kefavl aion), e[nqen kinhqei;" oJ Puqagovra" ajrch; n e[fhsen ei\ nai tw' n o[ ntwn th; n monavd a, h|"
kata; metoch;n e{kaston tw' n o[ ntwn e}n levgetai: kai; tauvthn kat aujtovthta me; n eJauth'" no-
oumev nhn monavd a noei'sqai, ejpisunteqei's an d eJauth'i kaq eJterovthta ajp otelei'n th;n ka-
loumev nhn ajovriston duavda dia; to; mhdemiv an tw' n ajriqmhtw'n kai; wJrismevnwn duavdwn ei\ nai
ªth;n secl. Heintzº aujthv n, pavs a" de; kata; metoch;n aujth'" duavd a" nenoh'sqai, kaqw;" kai; ejpi;
th'" monavdo" ejlev gcousin: duvo ou\ n tw' n o[ ntwn ajrcaiv, h{ te prwvth monav ", h|" kata; metoch;n
pa'sai aiJ ajriqmhtai; monavde" noou'ntai monavde", kai; hJ ajovristo" duav", h|" kata; metoch;n aiJ
wJrismevnai duavde" eijsi; duavde".
47 Pyrrh. hyp. 3,152 tw'n de; ajdhvlwn ta; mevn ejsti swvmata, wJ" aiJ a[tomoi kai; oiJ o[gkoi, ta; de;
ajswvmata, wJ " schvmata kai; ijdev ai kai; ajriqmoiv. w| n ta; me;n swvmatav ej sti suv nqeta, sunestw'ta
e[k te mhv kou" kai; plavtou" kai; bavqou" kai; aj ntitupiva" h] kai; bavrou". ouj movnon a[ra a[dhla
ajlla; kai; ajswvvmatav ejsti ta; stoicei' a. ajlla; kai; tw'n ajswmavtwn e{kaston ejpiqewrouvmenon
e[cei to;n ajriqmovn: h] ga;r e{ n ejstin h] duvo h] pleivw. di w|n sunav getai o{ti ta; stoicei'a tw'n
o[ntwn eijsi;n oiJ a[dhloi kai; ajswv matoi kai; pa' sin ejpiqewrouvmenoi ajriqmoiv. kai; oujc aJplw'",
ajll h{ te mona;" kai; hJ kata; ejpisuv nqesin th'" monavdo" ginomev nh ajovristo" duav ", h| " kata;
metousiv an aiJ kata; mevro" givgnontai duavde" duavde".
48 Wilpert 1941, 229-248; 1949, 128ss.; 1950, 49-66.
Capitolo secondo 75
53 Su questa linea si pone la risposta data da Krämer 1964, 156ss. alle critiche rivoltegli da
Vlastos 1963, 644-648 il quale, adducendo l'argomento della rielaborazione tarda, negava la
possibilità di una eventuale presenza di materiale originale accademico nel brano. Ciò che
invece risulta più problematico della tesi di Krämer, come vedremo, è che il brano di Sesto
riporti effettiva dottrina platonica non filtrata dall'interpretazione degli allievi. Sull'amplifi-
cazione da parte della dossografia di problematiche e discussioni originarie, cf. Mansfeld
1992b e 2002 che tratta in particolare il materiale peripatetico.
54 Cf. e.g. quella fra Alessino il megarico e il suo contemporaneo Zenone stoico e degli stoici
successivi contro Alessino (Adv. Math. 9,108-110); fra Diogene di Babilonia e gli oppositori
di Zenone (9,133s.).
55 Metaph. A 9, 992a 24-29, v. supra, n. 3; cf. anche Phys. B 1, 193a 5ss.
Capitolo secondo 77
senza che possa mai venire dissolto"56. Tale esegesi dei principi empedo-
clei è tuttavia, molto probabilmente, già accademica e deriva da una rein-
terpretazione della dottrina empedoclea alla luce della teoria corpuscolare
di Eraclide Pontico. Egli aveva infatti assunto come componenti ultime
dei corpi piccole masse prive di connessioni al loro interno (a[narmoi
o[gkoi), e quindi ulteriormente scomponibili, separate da pori57. In Sesto i
"Pitagorici" fanno presente che l'assumere come principi dei corpi intelle-
gibili, siano essi atomi o corpuscoli ulteriormente divisibili come gli o[gkoi,
equivale ad una progressione all'infinito: in quanto corpi essi si possono
sempre immaginare composti di altri corpi senza poter arrivare ad un
principio ordinatore del tutto.
3. Il brano di Sesto si stacca da tutto il resto della tradizione dossogra-
fica tarda di marca teofrastea in quanto è l'unico non solo a presentare
una contrapposizione fra atomismo e dottrine "pitagoriche" dei principi,
superando lo schema della concordanza di fondo58, ma anche a confron-
tare gli atomi non con i triangoli del Timeo, bensì con la dottrina dell'uno e
della diade.
4. Sesto menziona fra coloro che hanno assunto come principi dei
corpi solo intellegibili gli atomisti, coloro che hanno posto le omeomerie,
o gli onkoi, o i minimi privi di parti secondo il normale schema presente
anche in altri autori tardi (v. infra). L'allusione ai sostenitori degli ejlavcista
kai; ajmerh' è, nel migliore dei casi, un anacronismo, in quanto questi prin-
cipi sono attribuiti nella lista dossografica corrente a Diodoro Crono po-
steriore a Senocrate59. Tuttavia, nel seguito del passo, la critica dei cosid-
detti Pitagorici è rivolta espressamente contro gli atomisti e non contro
tutte le tesi menzionate. Anzi, come risposta all'eternità dei loro atomi, si
obietta che, in fondo, anche i corpuscolaristi hanno considerato i loro
corpuscoli eterni; dunque gli atomi non sono "più elementi" dei corpu-
56 De cael. G 6, 305a 1-6 eij de; sthvsetaiv pou hJ diavlusi", h[toi a[tomon e[stai to; sw'ma ejn w|i
i{statai, h] diaireto;n me;n ouj mevntoi diaireqhsovmenon oujdevpote, kaqavper e[oiken
Empedoklh'" bouvlesqai levgein. a[tomon me;n ouj k e[stai dia; tou;" provteron eijrhmevnou"
lovgou": ajlla; mh; n oujde; diaireto;n me; n oujdevpote de; dialuqhsovmenon.
57 Heraclid. Fr. 118-123 Werhli. Sull'interpretazione degli a[narmoi o[gkoi di Eraclide, cf.
Stückelberger 1984, 17-19 con bibliografia. Sull'interpretazione corpuscolare di Empedocle
e sulle sue ascendenze accademiche, cf. Gemelli Marciano 1991a.
58 Anche Aristotele applica del resto lo schema "sinfonico" Pitagorici-atomisti nel breve
accenno congiunto a Democrito e ai Pitagorici di Metafisica M 4. Le differenze di questo
accostamento con lo schema diafonico del brano di Sesto sono evidenti. Innanzitutto i Pi-
tagorici di Aristotele vengono prima di Democrito e non possono essersi posti in posi-
zione critica nei suoi confronti. Inoltre sostengono anch'essi dei principi corporei in
quanto i loro numeri non sono separati dai sensibili. Aristotele li situa poi sullo stesso
piano di Democrito in quanto anch'essi hanno cercato in qualche modo di definire l'es-
senza.
59 V. infra, V 1 n. 12.
78 Principi corporei/ incorporei
60 Una conferma indiretta dell'autenticità della polemica antiatomista degli Accademici viene
poi dalla formulazione della dottrina dei minimi dell'atomo da parte di Epicuro che tiene
conto sia delle critiche accademiche che delle risposte aristoteliche agli Accademici stessi,
v. infra, VI 3. 1.
61 Wilpert 1949, 128ss.; 1950, 55.
62 Wilpert 1950, 56ss.
63 Wilpert 1949, 242-244; 1950, 62-65.
64 Il termine "tecnico" usato da Aristotele per questo modo di procedere è logikw'" skopei'n,
cf. De gen. et corr. A 2, 316a 5; Phys. G 8, 208a 14, v. infra, IV 2.
Capitolo secondo 79
65 Merlan 1960, 203s. accettava la tesi che il contenuto del brano di Sesto fosse basato su un
nucleo derivato dall'Accademia, ma non da Platone facendo notare, fra l'altro, che nel re-
soconto viene citato il nome di Platone stesso. Krämer 1964, 158 n. 56 e Gaiser 1968b,
passim, interpretano il riferimento come una aggiunta della fonte di Sesto, ma in realtà esso
rientra in un discorso originario e coerente che accoglie la dottrina delle idee, indicando nel
contempo anche le linee del suo superamento. Isnardi Parente 1982a lo ha riportato
espressamente a Senocrate inserendolo nella sua edizione. Cf. ultimamente anche Thiel
2006, III 6.
66 Isnardi Parente 1981, 41s.; 1982, 348-50.
80 Principi corporei/ incorporei
tarda nella quale Temistio espone72, le concezioni di fondo del brano com-
baciano comunque con la dottrina dei Pitagorici di Sesto se si esclude il
fatto che quest'ultimo o la sua fonte distorcono il concetto di triade e
tetrade applicandolo erroneamente a triangolo e quadrangolo e non a
triangolo e piramide. Ambedue i brani sottolineano comunque il chorismos
del mondo sensibile dalle entità geometriche che ne costituiscono il fon-
damento, un tratto tipico della dottrina di Senocrate73. La concezione del
solido come incorporeo non è dunque platonica né deriva da una even-
tuale contaminazione della fonte tarda in quanto, più oltre, nello stesso
resoconto il solido viene chiaramente definito come to; stereo;n sch'ma kai;
to; sw'ma 74, ma risale a Senocrate.
Un altro punto che porta ad escludere la provenienza del brano di Se-
sto dalle dottrine non scritte di Platone e a riportarlo invece a Senocrate è
l'allusione ad una interpretazione non letterale, ma kat ejpivnoian della na-
scita del cosmo e degli enti di per sé eterni. Essa infatti non può essere di
Platone per ovvie ragioni e difficilmente è inserzione della fonte interme-
dia. Se infatti l'interpretazione allegorica della nascita del cosmo è comune
nel medio- e neoplatonismo75, non è invece documentata in relazione alla
genesi dei solidi e dei numeri. Ambedue le interpretazioni, compresa la
generazione dei numeri qewrh'sai e{neka, sono invece attribuite nei testi
aristotelici espressamente ai sostenitori delle idee-numero, cioè a Seno-
crate76. Dunque l'accenno alla genesi del cosmo, ma anche al carattere
tou' eJ no;" ijdev an kai; th; n th'" prwvth" duavdo" kai; th;n th'" prwvth" triavdo" kai; th;n th'" prwvth"
tetravdo": ejp eidh; ga;r ej n tw'i nohtw'i kovsmwi dei' pavntw" ta; " ajrca; " paremfaiv nesqai tou'
aijsqhtou', oJ de; aijsqhto;" ej k mhvkou" h[dh kai; plavtou" kai; bavqou", tou' me;n mhv kou" ijdevan
ei\nai th; n prwvthn ajpefhv nanto duavda: ajpo; ga;r eJno; " ejf e} n to; mh'ko", toutev stin ajpo;
shmeivou ejpi; shmei'on: tou' de; mhvkou" a{ma kai; plavtou" th;n prwvthn triavda: prw'ton ga;r
tw'n ejpipevdwn schmav twn ej sti; to; trivgwnon: tou' de; mhvkou" kai; plavtou" kai; bavqou" th;n
prwvthn tetravda: prw'ton ga;r tw' n sterew' n ejsti; n hJ puramiv". tau'ta de; a{panta labei'n
e[stin ejk tw'n Peri; fuvsew" Xenokravtou".
72 Il brano di Temistio, che Saffrey 1955, 37-43 aveva considerato di scarsa affidabilità, è
stato riabilitato da Cherniss 1977, 427-429 nella recensione a Saffrey e accettato a pieno
titolo come testimonianza su Senocrate da Pines 1961, 15ss. e da Isnardi Parente 1982a,
429-431; 1992, 145 n. 36.
73 Cf. anche la netta separazione fra sostanza sensibile e intellegibile in Xenocr. Fr. 83 IP
(Sext. Emp. Adv. Math. 7,147-149). Cf. su questo punto anche la critica aristotelica alle
dottrine senocratee Metaph. N 3, 1090b 21-29.
74 Adv. Math. 10,280; cf. anche i passi paralleli Adv. Math. 7,100 e 4,5. Per altre testimonianze
che utilizzano la vulgata tarda e identificano il solido col corpo, cf. Philo Op. 49-51; Plut. De
E 390 D; Hippol. Ref. 6,23,3; Anatol. ap. Iambl. Theolog. arithm. 23, 29,10-12 De Falco.
75 Per un elenco esauriente degli autori che hanno affrontato questa problematica, cf. Cher-
niss 1976, 170 n. a.
76 Per la genesi del cosmo Arist. De cael. A 10, 279b 32 e il commento corrispondente in
Simpl. In De cael. 279b 32, 303,33 (Xenocr. Fr. 154 IP). Per la genesi dei numeri qewrh'sai
e{neka Metaph. N 4, 1091a 23-29 e il commento di Burkert 1972, 79s.
82 Principi corporei/ incorporei
77 Sext. Emp. Adv. Math. 9,363 (124, 169 L.) Dhmovkrito" de; kai; Epivkouro" ajtovmou", eij mhv ti
ajrcaiotevr an tauvthn qetevon th; n dovxan, kai; wJ" e[legen oJ Stwiko;" Poseidwvnio", ajpo;
Movcou tino;" aj ndro;" Foivniko" katagomevnhn, Anaxagovra" de; oJ Klazomevnio" oJ moiome-
reiva", Diovdwro" de; oJ ejpiklhqei;" Krovno" ejl avcista kai; ajmerh' swvmata, Asklhpiavdh" de;
oJ Biquno;" ajnavrmou" o[gkou", oiJ me; n peri; Puqagovr an tou;" ajriqmouv" e[lexan pav ntwn
a[rcein, oiJ de; maqhmatikoi; ta; pevrata tw'n swmavtwn, oiJ de; peri; to;n Plavtwna ta; " ijdeva".
Cf. Pyrrh. hyp. 3,32; Adv. Math. 10,318. [Gal.] Hist. phil. 18 (124 L.) Dhmovkrito" de; kai;
Epivkouro" ta;" ajtovmou" ajrca; " pav ntwn nomivzousin, ÔHrakleivdh" de; oJ Pontiko;" kai;
Asklhpiavdh" oJ Biquno;" aj navrmou" o[gkou" ta; " ajrca; " uJpotivqentai tw'n o{l wn, Anaxagovra"
de; oJ Klazomevnio" ta;" oJmoiomereiv a" Diovdwro" de; oJ Krov no" ejpikeklhmevno" aj merh' kai;
ejlavcista swvmata, Puqagovra" de; tou;" ajriqmouv ", oiJ maqhmatikoi; ta; pevr ata tw' n
swmavtwn, Strav twn de; oJ fusiko;" proswnomasmev no" ta;" poiovthta". Alex. De mixt. 213,18
(124 L.) w|n oiJ me;n a[toma swvmata a[p eira tw'i plhvqei, kata; sch'ma kai; mevgeqo" movnon th;n
pro;" a[llhla diafora; n e[ conta, ta;" ajrca;" kai; ta; stoicei' av fasin ei\ nai, kai; th'i touvtwn
sunqev sei te kai; poia'i periplokh'i e[ti te tavxei kai; qevsei ta\lla givnesqai: ejf h|" dovxh"
prw'toi me;n Leuv kippov" te kai; Dhmov krito" genevsqai dokou'sin, u{steroi de; Epivkourov" te
kai; oiJ th;n aujth; n touvtwi trapevnte": oiJ de; aujtw' n, ouj k ajtovmou", oJmoiomerh' dev tinav fasin
a[peira ei\nai swvmata, ejx w| n hJ tw' n aijsqhtw'n gev nesi" swmav twn ginomevnh kata; suv gkrisin
kai; suvnqesin, ãejfà h|" dovxh" Anaxagovra" te kai; Arcevlao" dokou'si gegonev nai: h[dh dev
tine" kai; ajmerh' tina swv mata ta; " ajrca;" kai; stoicei'a tw' n pav ntwn prohvcqhsan eijpei' n:
e[sti dev ti" dovxa kai; ej x ejpipevdwn th;n gevnesin poiou'sa tw'n swmavtwn kai; ejx ajriqmw'n ti"
a[llh. Cf. la versione riguardante i principi corporei di Calc. In Tim. 283,17-284,8 Waszink
Restat nunc, ut eorum quoque qui generatam esse corpoream silvam negant sententias exequamur; quorum
aeque diversae opiniones omnino sunt. Sunt enim qui textum eius et quasi continuationem quandam cor-
pusculis, quae intellegantur potius quam sentiantur, conexis sibi invicem assignent in aliquo modo positis et
aliquatenus figuratis, ut Democrito et Epicuro placet. Addunt alii qualitatem, ut Anaxagoras, sed hic
omnium materiarum naturam proprietatemque in singulis materiis congestam esse censet; alii propter exi-
guitatem individuorum corporum, quorum numerus in nullo fine sit, subtilitatem silvae contexi putant, ut
Diodorus et non nulli Stoicorum, quorum sit fortuitus tam coetus quam segregatio. Il resoconto di Cal-
cidio presenta le tipiche assimilazioni della trasmissione dossografica (ad alcuni stoici viene
addirittura attribuita una forma di atomismo e una formazione casuale dei corpi, ciò che
essi sempre criticano). Su questi schemi Mansfeld 1990a, 3070 n. 38 e 3158s.
Capitolo secondo 83
autori compaiono, però, il motivo della diaphonia dei Pitagorici con gli
atomisti e la caratterizzazione del solido come incorporeo.
2. Eudoro o un neopitagorico. E' la tesi più affermata da quando il Theiler
l'ha proposta leggendo in 10,260s. una reinterpretazione monistica della
dottrina dei principi tipica di Eudoro84. In realtà, nel brano di Sesto, come
è stato osservato, non c'è un monismo del tipo eudoreo che pone l'uno
come principio supremo, identificabile con il dio, al di là della dualità dei
principi uno e diade85, ma una predominanza dell'uno rispetto al secondo
principio che Aristotele stesso nella Metafisica attribuisce ad alcuni Pitago-
rici e agli Accademici86. Venuta meno dunque la motivazione principale
per far risalire ad Eudoro il resoconto di Sesto, non ci sono altri partico-
lari possano confermare questa tesi. La coloritura stoica del linguaggio è
infatti una caratteristica comune degli autori tardo-ellenistici87. Non c'è,
d'altra parte, neppure nessuna ragione per attribuire ad un non ben identi-
ficato neopitagorico un resoconto sui numeri solo perché vi si parla di
Pitagorici e viene riferita anche la vulgata pitagorizzante relativa alla te-
trade. Sesto, infatti, non si limita ad attingere alla sua fonte per il semplice
resoconto, ma, come vedremo in seguito, assume in blocco anche la parte
critica della dottrina dei cosiddetti Pitagorici. Soprattutto la prima parte
del brano, quella già commentata (248-262) e questa parte critica sono
importanti per individuare questa fonte che ha composto un resoconto
sui numeri pitagorici servendosi di materiali disparati: della vulgata tardo-
ellenistica, ma anche di altre fonti più antiche.
Alcuni indizi rimandano ad una fonte scettica, nella fattispecie Enesi-
demo88:
1. Enesidemo aveva preso in considerazione i numeri probabilmente
trattando il tema del tempo in quanto li annoverava nelle stesse categorie:
per lui sia la monade sia l'istante erano sostanze, gli altri numeri e il giorno
definizione di Posidonio (F 141a; T 45 E.-K.) (Plut. De an. procr. 1023 B ijdevan ei\nai tou'
pavnthi diastatou' kat ajriqmo;n sunestw' san aJrmonivan perievconta). Sulla provenienza po-
sidoniana della vulgata relativa alla tetrade pitagorica come espressione della formula del
corpo e dell'anima, cf. Merlan 1960, 51-53.
84 Theiler 1965, 208.
85 Cf. Burkert 1972, 54 n. 7; Isnardi Parente 1992, 150 n. 41.
86 Metaph. M 6, 1080b 6 scedo;n de; kai; oiJ levgonte" to; e}n ajrch;n ei\nai kai; oujsivan kai; stoi-
cei'on pavntwn, kai; ej k touvtou kai; a[llou tino; " ei\nai to;n ajriqmovn, e{kasto" touvtwn tina;
tw'n trovpwn ei[rhke. Ibid. 30-32 monadikou;" de; tou; " ajriqmou;" ei\nai pav nte" tiqev asi, plh;n
tw'n Puqagoreivwn, o{soi to; e} n stoicei'on kai; ajrchvn fasin ei\nai tw'n o[ntwn.
87 In particolare Theiler 1964, 90 si riferisce alla terminologia stoica della seconda parte del
brano di Sesto, quella riguardante la sistemazione categoriale. Egli stesso, però (p. 89), cita
un passo (Adv. Math. 8,161) che indica chiaramente come la terminologia stoica fosse im-
piegata anche dagli scettici.
88 A quanto mi risulta, finora solo il Krämer 1967, 29 n. 30; 1964, 157 n. 55 ha ventilato
questa ipotesi senza tuttavia soffermarvisi.
86 Principi corporei/ incorporei
il mese e l'anno solo dei multipli, cioè una quantità. L'introduzione del
brano sui numeri come attinenti alla definizione di tempo, ricorda inoltre
quella data da Enesidemo89.
2. In Adv. Math. 10,251-52, in un inciso non ben integrato con il di-
scorso dei Pitagorici, si sottolinea come coloro che hanno assunto ele-
menti invisibili lo abbiano fatto ouj koinw'"90. Questa espressione riecheggia
la formula del quinto tropo di Enesidemo contro le opinioni dogmatiche
secondo cui tutti coloro che assumono delle cause lo fanno ciascuno se-
condo proprie ipotesi sugli elementi, ma non secondo un metodo comune
e concordato91.
3. Ad Enesidemo rimanda anche la confutazione che Sesto fa seguire
all'excursus sui Pitagorici dove vengono utilizzati argomenti dei dialoghi
platonici in particolare del Fedone e del Parmenide92. Sesto confuta, utiliz-
zando un Platone "scettico"93, il dogmatismo dei Pitagorici. Particolar-
mente indicativo è l'uso dell'aporia del Fedone (96e-97b) per la critica al
concetto di diade. Nel dialogo platonico era impiegata per mostrare l'im-
possibilità della generazione meccanica da composizione o divisione di
entità preesistenti: come è possibile infatti che il due possa derivare da due
89 Sext. Emp. Adv. Math. 10,248 ejpei; e[ti tw'n suzugouvntwn tw'i crovnwi pragmavtwn ejsti; kai;
oJ ajriqmo;" dia; to; mh; cwri;" ejxariqmhvsew" th;n tou' crovnou givnesqai katamev trhsin, ka-
qavper wJrw'n kai; hJmerw' n kai; mhnw'n, e[ti de; ejniautw'n. Cf. Enesidemo in Adv. Math.
10,216s. th;n me;n crovno" proshgorivan kai; th;n mona;" ejpi; th'" oujsiva" tetavcqai fhsivn, h{ti"
ejsti; swmatikhv, ta; de; megevqh tw' n crov nwn kai; ta; kefavlaia tw'n ajriqmw'n ejpi; poluplasia-
smou' mavlista ej kfevresqai. to; me; n ga;r nu' n, o} dh; crovnou mhvnumav ejstin, e[ ti de; th; n monavda
oujk a[llo ti ei\ nai h] th;n oujsivan, th; n de; hJmevr an kai; to; n mh' na kai; to;n ejniauto; n polupla-
siasmo;n uJpavrcein tou' nu' n, fhmi; de; tou' crovnou, ta; de; duvo kai; triva kai; devka kai; eJkato; n
poluplasiasmo; n ei\ nai th'" monavdo".
90 La frase toivnun ajdhvlou" kai; ajf anei'" uJpevq ento ta;" tw'n o[ntwn ajrcav" kai; ouj koinw'" è una
riflessione della fonte sulla diaphonia fra dogmatici che sta per esporre. Segue infatti la cri-
tica dei Pitagorici alle tesi che sostengono principi invisibili corporei in generale e agli ato-
misti in particolare.
91 Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 1,183 pevmpton kaq o}n pavnte" wJ" e[po" eijp ei'n kata; ta;" ijdiva" tw'n
stoiceivwn uJpoqevs ei" ajll ouj katav tina" koina; " kai; oJmologoumev na" ej fovdou" aijtiolo-
gou'sin. Sulla eventuale trattazione diafonica dei "fisici" da parte di Enesidemo e sulle sue
ascendenze nell'Accademia scettica, cf. Mansfeld 1988, 250 [1990b, 211] e n. 47; 251
[1990b, 212] e n. 48-50.
92 In particolare l'aporia del Parmenide (131a-c) secondo cui i molti non possono partecipare
dell'idea né come tutto né come parte. Cf. Adv. Math. 10,293-298. Nel passo corrispon-
dente degli Schizzi pirroniani (3,159), per dimostrare che il concetto di partecipazione di-
strugge l'unità dell'idea, viene riportata una variante dell'esempio del velo del Parmenide
(uJpoteqevntwn gumnw'n ajnqrwvpwn, eJno;" de; o[nto" iJmativou kai; tou'to eJno;" ajmfiasamevnou,
gumnoi; menou'sin oiJ loipoi; kai; cwri;" iJmativou. eij de; mevrou" aujth'" metevc ei e{kaston,
prw'ton me;n e{xei ti mevro" hJ monav", kai; a[p eirav ge e{xei mevrh, eij " a} diairei' tai).
93 Sull'immagine e l'evoluzione dell'interpretazione scettica di Platone, cf. l'esauriente reso-
conto in Tarrant 1985, 71-88. Cf. anche Bonazzi 2003. Il Fedone e il Parmenide sembrano es-
sere stati utilizzati per tale rappresentazione.
Capitolo secondo 87
unità distinte, di cui ciascuna era uno prima di aggiungersi all'altra, se esse
rimangono tali e quali erano precedentemente, o che lo stesso due si ge-
neri semplicemente se una unità viene tagliata a metà? Si tratta di un
preambolo introduttivo alla critica alla spiegazione meccanicistica dei
fenomeni da parte di Anassagora e dei fisici come lui. Nel brano di Sesto
gli argomenti vengono ripresi, anche con una lunga citazione letterale
(Phaed. 97a), e ampliati94. Il Platone scettico che emerge da questo brano
non è quello di Sesto stesso, che lo considerava un dogmatico come gli
altri e lo criticava come tale95, ma risale a quell'esegesi scettica cui egli
allude nel primo libro degli Schizzi pirroniani e che è sempre stata oggetto
di controversa attribuzione. Secondo Sesto, alcuni interpretavano non
solo il Platone dei dialoghi aporetici, ma anche quello dei dialoghi dogma-
tici, come un puro scettico. Dato che i manoscritti esibiscono in questo
punto una irreparabile crux, si è posto il quesito se questa visione fosse
quella di Enesidemo o se costui, come Sesto, vi si opponesse96. L'espres-
94 Adv. Math. 10,302-307 eij de; mnhvmhi kat ejpisuvnqesivn tinwn e[gnwstai (scil. oJ ajriqmov"),
ajporhvsei ti" tw'n aijsqhtw'n ajpostav ", kaqw;" kai; oJ Plavtwn hjpovrei ejn tw'i Peri; yuch'" pw' "
ta; duvo kat ijdivan me; n o[ nta ouj noei'tai duvo, sunelqovnta de; eij" taujto; givnetai duvo ktl.).
Isnardi Parente 1992, 163ss. ipotizza per questo passo una polemica diretta di Sesto contro
Platone. Che questo sia impossibile risulta in primo luogo dal fatto che il passo viene ri-
portato come un sostegno alla confutazione dei Pitagorici come indicano le espressioni in-
troduttive dei singoli punti dell'aporia (cf. 10,302 e 305 oJ de; Plavtwn kai; a[llw" ejpiceirei'n
bouvletai... 308 toiou'to" me; n kai; oJ Plavtwn: e[ nesti kai; w|d e sunerwta'n), in secondo
luogo dal confronto con un passo parallelo (Adv. Math. 4,11ss.) dove effettivamente Sesto
polemizza contro Platone attribuendo a lui la dottrina dei numeri e sostenendo che pitago-
rizza (puqagorikwvteron oJ Plavtwn fhsivn...). Cf. in particolare Adv. Math. 4,21 (contro la
diade assunta da Platone come principio) a[poro" gavr pw" kai; au{th (scil. hJ duav") sunivsta-
tai kata; th;n tw' n monavdwn suvnodon, w{sper kai; Plavtwn dia; tou' Peri; yuch'" provteron
hjpovrhken). Il Fedone viene in questo secondo caso utilizzato espressamente per dimostrare
come Platone sia in contraddizione con se stesso.
95 Cf. la feroce critica contro la composizione e il carattere matematico dell'anima nel Timeo
in Pyrrh. hyp. 3,189. Una stessa differenza di giudizio su Platone in passi paralleli, da cui ri-
sulta chiaro che Sesto offre un'immagine scettica di Platone solo quando segue letteral-
mente la sua fonte, in Pyrrh. hyp. 1,28 e Adv. Math. 7,281. La stessa definizione di uomo
tratta dalle definizioni pseudo-platoniche viene interpretata nel primo passo alla luce del-
l'affermazione che nessuno dei sensibili esiste veramente: Platone fornisce la definizione di
uomo, non come un dato sicuro, ma solo, come è solito fare, secondo la verosimiglianza
(kata; to; piqanovn). Nel secondo caso (Adv. Math. 7,281), invece, Sesto critica la definizione
platonica come la peggiore di tutte in quanto non definisce affatto l'uomo, ma elenca solo
una serie di attributi positivi e negativi. Nel brano degli Schizzi pirroniani abbiamo proprio
un saggio interpretativo di quella corrente da cui Sesto prende le distanze, ma di cui nel
contempo si serve come fonte. Cf. su questo punto Tarrant 1985, 75-77; Decleva Caizzi
1980, 408s.; 1986, 175.
96 Pyrrh. hyp. 1,221s. to;n Plavtwna ou\n oiJ me;n dogmatiko;n e[f asan ei\nai oiJ de; ajporhtikovn, oiJ
de; kata; mevn ti ajporhtiko;n kata; dev ti dogmatikovn ª...º. peri; me; n ou\ n tw'n dogmatiko; n
aujto; n ei\nai legov ntwn, h] kata; mevn ti dogmatiko;n, kata; dev ti ajporhtikovn, perisso;n a]n ei[h
levgein nu' n: aujtoi; ga;r oJmologou'si th; n pro; " hJma'" diaforav n: peri; de; tou' eij e[stin eijli-
88 Principi corporei/ incorporei
krinw'" skeptiko;" platuvteron me; n ej n toi'" uJpomnhv masi dialambavnomen, nu'n de; wJ " ej n uJpo-
tupwvsei lev gomen † katapermhdoton† kai; Aijnhsivdhmon (ou|toi ga;r mavlista tauv th" pro-
evsthsan th'" stavsew") o{ti o{tan oJ Plavtwn ajpofaiv nhtai peri; ijdew'n h] peri; tou' provnoian
ei\nai h] peri; tou' to;n ejnavreton bivon aiJretwvteron ei\nai tou' meta; kakiw'n, ei[te wJ"
uJpavrcousi touvtoi" sugkatativqetai, dogmativzei, ei[te wJ" piqanwtevroi" prostivqetai, ejp ei;
prokrivnei ti kata; pivstin h] ajpistivan, ejkpevfeuge to;n skeptiko; n carakth' ra. Se il nome di
Enesidemo è chiaro, così non è né per il contesto, né per il nome di Menodoto, che si
sono voluti ricostruire dall'incomprensibile katapermhdoton dal Fabricius in poi. Nono-
stante tutti i tentativi di ripristinare il testo (kata; ãtw'nà peri; Mhnovdoton Heintz, Mau: kata;
ãtou;"Ã peri; Mhnovdoton Natorp, Mutschmann: kaqavper oiJ peri; Mhnovdoton Spinelli 2000),
la crux rimane, cf. Perilli 2004, 105-109; 2005.
97 Sesto usa anche altrove una espressione simile per definire una tendenza rappresentata da
Enesidemo e da altri da cui egli si dissocia. Cf. Adv. Math. 7,350 (identità fra anima e sen-
sazioni) h|" stavsew" h\rxe Stravtwn oJ fusiko;" kai; Aijnhsivdhmo". Inoltre con il termine
stavsi" Sesto indica sempre una posizione filosofica diversa dalla sua (cf. TLG da cui
traggo solo alcuni esempi Pyrrh. hyp. 3,131 Stoici; Adv. Math. 7,190; 202; 300 Cirenaici;
7,399 Seniade; 8,62 Democrito e Platone), cf. anche Heintz 1922, 30ss. Görler 1994, 840
osserva che un attacco ad Enesidemo da parte di Sesto non è fuori luogo in quanto poco
prima (Pyrrh. hyp. 1,210-212) egli polemizza contro Enesidemo e contro la sua interpreta-
zione di Eraclito in chiave scettica. C'è dunque una tendenza del fondatore del neopirroni-
smo ad attribuire posizioni scettiche ai predecessori. L'eventuale opposizione di Sesto ad
Enesidemo è stata rigettata sostanzialmente con l'argomentazione che quest'ultimo, ri-
chiamandosi a Pirrone e a Timone, difficilmente avrebbe potuto considerare Platone un
puro scettico (Decleva Caizzi 1992, 186s.; Isnardi Parente 1992, 122s. n. 3; Bonazzi 2003,
150ss.). Tuttavia coloro che sostengono questa tesi omettono, nella discussione del passo,
proprio l'analisi della frase che segue la menzione di Enesidemo tauvth" proevsthsan th'"
stavsew". Per quanto riguarda l'attribuzione ad Enesidemo dell'interpretazione di Platone
scettico, cf. Ioppolo 1992, 186ss. e Tarrant 1985, 74-77.
98 Cf. Cic. De or. 3,18,67 Arcesilas primum, qui Polemonem a udierat, ex variis Platonis libris
sermonibusque socraticis hoc maxime arripuit, nihil esse certi quod aut sensibus aut animo percipi possit.
Cf. Glucker 1978, 36ss.; Ioppolo 1984, 342. Sulla interpretazione aporetica di Platone nel-
l'Accademia di mezzo, cf. inoltre Annas 1992, 43ss.
99 Un corpo non può generarne un altro rimanendo in sé (dalla divisione di una unità non
possono risultarne due), né, congiungendosi con un altro, generarne un terzo diverso da
ambedue (da due unità non può generarsene un'altra diversa da ambedue). Infatti l'uno
non può generare il due se già prima non lo conteneva nella sua natura, né il due il tre. Ma
se così fosse ogni unità conterrebbe in sé numeri infiniti, cf. Sext. Emp. Adv. math. 9,220s.
Capitolo secondo 89
Il Fedone costituiva un testo fondamentale per l'interpretazione scettica di Platone, cf. Anon.
Proleg. 10,1ss. in cui vengono citati a questo proposito Phaed. 65b, 66b, 79c.
100 La terminologia dell'esposizione sulle categorie (263-276) rispecchia sicuramente una
rilettura posteriore pur basandosi sostanzialmente sulle teorie dell'allievo di Platone, Er-
modoro (Gaiser 1968b, 63ss., Isnardi Parente 1982a, 443; 1992, 152-157). Nel resoconto
sulla genesi delle figure dal punto (277-282) sono descritte due teorie distinte, una statica e
una dinamica, che compaiono anche in altri passi di Sesto e in autori tardi (Adv. Math.
7,99-100; 3,20-21; Philo, Op. 49; Theo Smyrn. Exp. rer. math. 93,21 Hiller): 1. quella di deri-
vazione speusippea, che si basa sulle analogie punto-monade, linea-diade, superficie-triade,
solido-corpo-tetrade (Speus. Fr. 84-85 IP), 2. quella della rJuvsi" del punto che origina di-
namicamente le varie dimensioni, risalente probabilmente al pitagorismo antico, ma ripresa
anche da Eratostene come si può ricavare da Sesto stesso (Adv. Math. 3,28).
101 Burkert 1972, 94 ipotizza che l'attribuzione della dottrina dell'uno e della diade a Pitagora e
la denominazione degli allievi di Platone come "pitagorici" risalga all'Accademica scettica
che voleva tenerli distinti da un Platone genuinamente "scettico" e rileva come questa tra-
dizione potrebbe aver influenzato anche il resoconto di Sesto Empirico.
90 Principi corporei/ incorporei
102 Nel brano di Sesto (Adv. Math. 10,253-257) compaiono ambedue le denominazioni.
Capitolo secondo 91
filosofi di età imperiale egli è poco più che un nome. Se mai viene letto,
l'ottica interpretativa è comunque quella della filosofia dominante legata al
fantasma di Platone. In questo clima si afferma un cliché che si riprodurrà
invariato per secoli, pur in contesti esegetici diversi, fino ai commentatori
di Aristotele.
103 Plut. De prim. frig. 948 C (506 L.) tw'i de; fusikw'i qewriva" e{neka metiovnti tajlhqe;" hJ tw'n
ejscavtwn gnw'si" ouj tevlo" ejs ti;n ajll ajrch; th'" ejpi; ta; prw'ta kai; aj nwtavtw poreiva". dio; kai;
Plavtwn ojrqw'" kai; Dhmovkrito" aijtivan qermovthto" kai; baruvthto" zhtou' nte" ouj katevpau-
san ejn gh'i kai; puri; to;n lovgon ajll ejpi; ta; " nohta;" aj nafevronte" ajrca; " ta; aijsqhta; mevcri
tw'n ejl acivstwn w{sper spermavtwn proh'lqon. Il termine spevrma richiama chiaramente Ti.
56b e[stw dh; kata; to;n ojrqo;n lovgon kai; kata; to;n ejoikovta to; me;n th'" puramivdo" stereo;n
gegono;" ei\do" puro;" stoicei'on kai; spevrma.
92 Principi corporei/ incorporei
principi del caldo e del peso richiama proprio il De sensibus che fa seguire
al confronto fra i due autori la trattazione del peso in Democrito. La di-
fesa di Plutarco presuppone poi la critica di Teofrasto a coloro che sono
andati a ricercare le cause del caldo e del freddo oltre il sensibile104 . Plu-
tarco confuta queste obiezioni ricordando che per il filosofo, il quale si
trova all'apice della piramide della conoscenza, i principi fisici sono solo
un punto di partenza verso la ricerca di cause più alte. Si tratta della con-
cezione della filosofia tipica di Posidonio che classifica le varie scienze
secondo un criterio gerarchico: la filosofia, la sola scienza in grado di
spiegare le cause e la physis di tutto sta al primo posto105 , le altre, come la
geometria e la matematica, sono scienze ausiliarie che non si occupano
della ricerca delle cause ultime, ma si basano sugli elementi di cui la filoso-
fia ha fornito la dimostrazione. Il brano di Plutarco si colloca dunque in
quella tradizione, che si irradia da Teofrasto e passa attraverso Posidonio,
che vede Democrito e Platone come sostenitori di principi "intellegibili".
106 Gal. PHP 8,3,1 (II,494,26 De Lacy = V,667 K.) dovxei d ejn tw'i mh; kalei'n aujta; (scil. pu'r,
ajhvr, u{dwr, gh') stoicei'a diafevresqai pro;" ÔIppokravthn: kaivtoi ge oujd ejkei'no" wj novmasen
aujta; stoicei' a, mov non d o{ti touv twn suniovntwn kai; kerannumevnwn ta; fusika; givgnetai
swvmata. kai; touvtwn proswtevrw cwrei' n oJ me; n ÔIppokravth" oujd emivan aj nav gkhn ei\ naiv fhsi,
praktikh;n ouj qewrhtikh; n metercov meno" tevc nhn: oJ de; Plavtwn wJ" a]n th; n qewrhtikh;n fi-
losofivan hJgouv meno" ei\nai timiwtavthn oujk hjrkevsqh movnai" tai'" fainomevnai" ej n toi'"
stoiceivoi" dunavmesin ajlla; kai; th;n aijtivan ejpizhtei' th' " genevsew" aujtw' n, a[crhston ija-
trw'i skevmma. dia; tiv ga;r uJgraiv nei me; n to; u{dwr, kaivei de; to; pu'r h] dia; tiv rJei' me;n to; u{dwr,
a[nw de; fevretai to; pu'r, eJdraiotav th de; kai; barutavth tw'n stoiceivwn ejsti; n hJ gh', pro;" ta;"
tw'n novswn ijavsei" oujde; n suntelei' ª...º to; d ejkzhtei'n ei[t ejk puramoeidw'n tw'i schvmati
morivwn suvgkeitai to; pu'r ei[t a[llh tiv" ejs tin aijtiv a di h}n tev mnei te kai; diairei' ta;
plhsiavzonta swvmata, th'" qewrhtikh'" filosofiva" e[r gon ejstivn, h}n metaceirizovmeno" oJ
Plavtwn ta; me;n tou' puro;" movria puramoeidh' fhsin ei\nai, ta; de; th'" gh' " kuboeidh', to; de;
kalouvmenon ojktavedron sch' ma tou' aj evro" i[dion ei\nai nomivzei kaqavp er kai; to; eijkosav e-
dron u{dato".
107 V. supra, n. 105.
108 Gal. PHP 8,3,7 (II,496,14 De Lacy = V,668 K.) diairei' de; tw'i lovgwi pavlin aujta; tau'ta
kat ejpivnoian ei[" te th; n u{lhn kai; to; sch'ma: kajpeidh; to; sch'ma suv nqetovn ejsti, to; me;n th'"
puramivdo" ejk tettavrwn ijsopleuvrwn trigwvnwn, to; de; ejxavedron tou' kuv bou tetragwv nwn
e{x,ª...º pavlin ejpiskopei'tai tw' n ta; sterea; schvmata periorizovntwn ejpipevdwn th;n tav xin
kaiv fhsi to; me;n ijsovpleuron trivgwnon ejk trigwv nwn ojrqogwnivwn duoi'n genevsqai, to; de; te-
travgwnon ejk tettavrwn. ejp ei; de; mhkev ti aj nwtevrw proelqei'n ei\c en, wJ " ej n ejlacivstoi"
94 Principi corporei/ incorporei
biamo una versione più diffusa di quello che Plutarco liquida con un ac-
cenno (Platone e Democrito sarebbero giustamente risaliti per i sensibili a
minimi intellegibili). Indicativo è il rilievo che Platone non ha di che an-
dare oltre le superfici nella ricerca dei principi. Si tratta di una interpreta-
zione scolastica stoicizzante della dottrina platonica basata esclusivamente
sul Timeo, che esclude ogni allusione agli a[grafa dovgmata. In questa ottica,
che concilia platonismo e aristotelismo, il corpo, nella sua unità di forma e
materia, viene assunto come fondamento della realtà. Le forme geometri-
che platoniche vengono invece relegate nell'ambito della pensabilità, fun-
zionale alla ricerca delle cause: la forma, infatti, è mentalmente analizzabile
nelle sue componenti geometriche pur non esistendo in sé, al di fuori di
un corpo. Tale esegesi, che risale a Posidonio, non ammetteva, però, che
si superasse nella ricerca dei principi del corpo l'ambito della geometria109
fondandosi su Ti. 53d: gli ulteriori principi, al di là dei triangoli, li conosce
solo il dio o chi fra gli uomini gli è caro110 . Questa interpretazione è
presupposta in Antioco di Ascalona, per quanto si può giudicare dal Varro
ciceroniano111 ed è corrente nel platonismo successivo; i commentatori
neoplatonici di Aristotele la utilizzano in particolare in difesa di Platone
dalle accuse aristoteliche di aver generato i corpi da elementi incorporei.
Così, nel commento al De caelo, Temistio giustifica la teoria della composi-
zione dei corpi da triangoli come una operazione mentale tesa alla ricerca
delle cause, che comunque non infirma la realtà del sinolo di forma e
materia112 .
i{statai touvtoi", kai; dia; tou't aujto; prosagoreuvei stoicei' a, to; me;n e{teron ijsopleuvrou
trigwvnou, to; d e{teron tetragwvnou.
109 Nella versione stoicizzante della dottrina del Timeo che si trova in Diogene Laerzio (3,67)
vengono distinti due ambiti, quello dell'anima, che avrebbe un principio di carattere mate-
matico, e quello dei corpi, invece, basato su principi geometrici. Cf. 3,70 per la descrizione
della composizione degli elementi da triangoli.
110 Questo presupposto viene esplicitato in Anon. Proleg. 11,27 tw'i d ajnalutikw'i (scil. trovpwi)
ejn Timaivwi kevcrhtai aj naluvwn ta; fusika; pav nta eij" dexamenh; n kai; ei\do" (dexamenh; n
kalw'n th;n u{lhn), to; de; ei\do" pavlin eij" schvmata, ta; de; schvmata eij" trivgwna, ta; de;
ejpevkeina touvtwn movnon qeo; n lev gwn eijdev nai kai; to; n touv twi fivlon. Cf. anche [Justin.] Co-
hort. ad Graec. 26,1.
111 Cic. Ac. 1,2,6 Nostra tu physica nosti, quae cum contineantur ex effectione et ex materia ea, quam fingit
et format effectio, adhibenda etiam geometria est.
112 Themist. In De cael. 299b 31, 158,23-159,2 Atque in universum modo aliquo absurdum non est, ut,
cum de prima forma, quae est in materia, quaesierit aliquis—et est id, quod tribus dimensionibus praedi-
tum est— quam reliquae naturae, nempe caliditas, frigiditas, siccitas, humiditas et qualitates, quae ex eis
constant, consequuntur —et ideo tantum invenitur forma per se, cum quaesierit primam formam, quae est
in materia, et formas dissolverit— <dico, absurdum non est> ut primo superficies sint et istae ante rectan-
gulos (ad eas namque sermo terminatur), quoniam ipsae longe plurimum praecedunt, in quantum etiam in-
veniuntur reliquas qualitates corpori impartiri, sed ea ratione, qua forma, non praecedunt, siquidem corpus
eis prius extitit.
Capitolo secondo 95
116 Simpl. In Phys. 184b 15, 36,15-32 ou{tw" ou\n oiJ me;n eij" nohtovn, oiJ de; eij" aijsqhto;n diavko-
smon ajforw'nte", kai; oiJ me;n ta; prosech' stoicei' a tw' n swmavtwn, oiJ de; ta; ajrcoeidevstera
zhtou'nte" ª...º kai; oiJ me; n stoicei' a mov non, oiJ de; pavnta ta; ai[tia kai; sunaivtia zhtou' nte"
diavfora me; n lev gousi fusiologou'nte", ouj me; n ejnantiva tw'i krivnein ojrqw' " dunamev nwi ª...º
ajlla; tau'ta me; n dia; tou; " euj kovlw" diafwniv an ej gkalou'nta" toi'" palaioi'" ejpi; plevon
hjnagkavsqhmen mhku' nai. ejpeidh; de; kai; Aristotevlou" ejl evgconto" aj kousovmeqa ta; " tw'n
protevrwn filosovfwn dovxa" kai; pro; tou' Aristotevlou" oJ Plavtwn tou'to faivnetai poiw'n
kai; pro; aj mfoi'n o{ te Parmenivdh" kai; Xenofav nh", ijstevon o{ti tw'n ejpipolaiovteron
ajkrowmev nwn ou|toi khdovmenoi to; fainovmenon a[topon ej n toi'" lovgoi" aujtw' n dielevgcousin,
aijnigmatwdw'" eijwqovtwn tw'n palaiw'n ta; " eJ autw'n ajpofaivnesqai gnwvma".
117 Cf. Olymp. In Cat. 4b 20, 81,21.
Capitolo secondo 97
118 Simpl. In Cat. 6a 36, 156,20 a[llw" tev, fasivn (scil. oiJ peri; to;n Louvkion) eij" duvo diairou-
mevnwn tw'n legomev nwn, ei[" te to; kaq auJto; kai; eij" to; pro;" e{teron, ajrxavmenon peri; tw'n
kaq auJto; lev gein, ej n oi|" hJ oujsiva kai; to; posovn, e[dei kai; to; poio;n prosqev nta ou{tw" ejpi; ta;
prov" ti metabh'nai. Cf. Moraux 1983, 547 n. 89; Gioè 2002, 151.
119 Per Eudoro, cf. Simpl. In Cat. 8b 25, 206,10. Per altri passi, risalenti probabilmente ad
Eudoro, in cui compare questo ordinamento, cf. Mansfeld 1992a, 68 n. 26. Per Pseudo-
Archita, cf. Ps.-Arch. Peri; tou' kaqovlou lovgou, 34,13ss. Szlezák (22,13ss. Thesleff); T 3
Szlezák (Dexipp. In Cat. 4b 20, 65,8-15); Simpl. In Cat. 4b 20, 121,14-18. Cf. anche Moraux
1983, 522; Dillon 1981, 24-27.
98 Principi corporei/ incorporei
la forma (la piramide o altre figure) alla base delle differenze qualitative
degli elementi, ritenendo la differenza di forma del corpo privo di qualità
più consona alla materia. Anche Democrito sembra aver visto giusto, ma,
rispetto agli altri, non ha proceduto alla scomposizione dei corpi semplici
in forma e materia120 .
L'interpretazione della materia sensibile primariamente come
"quanto" e non come "quale", si allinea sulle posizioni di coloro che ordi-
navano la quantità (come dimensionalità) prima della qualità consideran-
dola più adeguata al concetto di sostanza corporea. Quest'ultima, infatti,
non viene eliminata come tale se le si sottraggono tutte le qualità e le si
lasciano solo le dimensioni, mentre non esiste più se viene privata della
dimensionalità121 . Questa tendenza era seguita sicuramente da Porfirio122 il
quale si rifaceva comunque ad autori precedenti123 . Quando Simplicio, nel
brano del commento alla Fisica, dice che le figure (espressione della di-
mensionalità e quindi della quantità) "sono maggiormente adeguate alla
materia", segue dunque probabilmente una interpretazione porfiriana che
utilizzava il solito schema dossografico di derivazione teofrasteo/ posido-
niana per confermare l'esattezza dell'ordinamento aristotelico delle catego-
rie: la posizione della quantità prima della qualità si giustificava in quanto
la materia corporea, per sua stessa definizione, è inconcepibile senza la
dimensionalità. Non a caso nel brano di Simplicio non si fa cenno alla
scomposizione dei solidi in triangoli che non presentano la terza dimen-
sione.
120 Simpl. In Phys. 188a 17, 178,33-179,19 eij mh; a[ra kai; Anaxagovra" ta;" aJp la'" kai; ajrcoei-
dei'" poiovthta" uJpevqeto stoicei'a, ajlla; ta; suvnqeta (cit. 59 B 12 e B 15 DK) ª...º. ou{tw"
me;n ou\ n ejpi; ta; aJpla' ei[dh ajnadramw;n Anaxagovra" ajrcoeidev steron dovxei tou'
Empedoklevou" ta; peri; tw'n stoiceivw n filosofei'n. teleiovteron de; i[sw" Aristotevlh" kai;
Plavtwn kai; pro; ajmfoi'n oiJ Puqagovreioi stoiceiwvdei" ajrca; " th; n u{lhn kai; to; ei\do"
uJpevqento, kai; e[ti teleiovteron, o{soi th;n kata; ta; schvmata diafora; n tou' ajpoivou swvmato"
prosecestevran th'i u{lhi nomivs ante" uJpevqhkan tai'" kata; ta;" poiovthta" tw'n stoiceivwn
diaforai'", puramivda me; n tw'i puriv, a[llo de; a[llwi tw' n schmavtwn: o{p er kai; Dhmovkrito"
e[oike teqea'sqai kalw'", ejlleivpei de; to; mhkevti eij" ei\do" kai; u{lhn aj nalu's ai ta; aJpla'
swvmata.
121 Simpl. In Cat. 4b 20, 120,29-121,3 levgousin ou\n o{ti sunufivstatai tw'i o[nti to; posovn ª...º
o{ti prohgei'tai to; a[poion diastato;n th'" ejn aujtw'i ej gginomev nh" poiovthto", kai; o{ti tw'n me; n
a[llwn aj naireqev ntwn oujk aj nairei'tai hJ oujsiv a, eij to; diastato;n kataleiv poito, touvtou de;
ajnaireqev nto" sunanhvirhtai hJ swmatikh; ouj siva. Cf. Ibid. 8b 25, 207,19.
122 Porph. Isag. 4b 20, 100,13-16 to; sw'ma, i{na me;n sw'ma h\i, trich'i diastato;n ei\nai ojfeivlei,
i{na de; poio;n sw'ma h\i, tovte leuko; n h] mevlan ei\nai ojfeivlei. prohgei'tai de; to; sw'ma ei\nai
tou' poio;n ei\nai sw'ma. Cf. anche Ammon. In Cat. 4b 20, 54,4-9; 5a 3, 58,10-11.
123 Cf. la concezione della materia sensibile come "quanto" che accoglie ed è determinato da
estensione e molteplicità di Moderato che Porfirio stesso cita altrove (Porph. ap. Simpl. In
Phys. 191a 7, 231,6ss.).
Capitolo secondo 99
6. 2. Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22ss. (67 A 14 DK; 111, 247, 273 L.)
C'è però nella Fisica un altro passo molto più dettagliato di questo nel
quale compaiono tre ulteriori elementi:
1. la menzione di Timeo di Locri, autore dello pseudoepigrafo Sulla
natura del cosmo, come pitagorico e ispiratore di Platone,
2. l'interpretazione dei triangoli platonici come figure fisiche, aventi
cioè anche la terza dimensione,
3. l'attribuzione a Leucippo e Democrito di forme particolari del
freddo contrarie a quelle del caldo.
Il modello interpretativo di Simplicio per questo passo è diverso dal
precedente. L'autenticità dello scritto di Timeo, già sostenuta da autori
medioplatonici124 , ricorre in seguito, in particolare, in Giamblico125 il quale
è anche il primo a interpretare i triangoli platonici come tridimensionali
per difendere Platone dagli attacchi aristotelici alla generazione del sensi-
bile da corpi matematici126 .
Leucippo, Democrito e il pitagorico Timeo, dice Simplicio, non
negano che i quattro elementi siano principi dei corpi composti. Anche
costoro, come i Pitagorici, Platone e Aristotele, vedendo che il fuoco,
l'aria e l'acqua e forse anche la terra si cambiano l'uno nell'altro, cercavano
delle cause più principianti e più semplici che potessero giustificare anche
le differenze qualitative degli elementi. Dunque Timeo e Platone, che ne
segue la dottrina, hanno posto dei triangoli di figura differente e forniti
anche di profondità come "elementi degli elementi" ritenendo la natura
corporea con le figure corporee più principio e causa delle differenze qua-
litative127 .
Leucippo e Democrito, invece, che chiamano i corpi primi minimi, atomi, [af-
fermano] che dalla differenza delle loro figure, posizione e ordine derivano i
corpi caldi e infuocati, quelli che sono composti da corpi primi più acuti e sottili
e disposti in maniera omogenea, e i corpi freddi e acquosi, quelli che sono com-
124 Nicom. Encheir. Harm. 11,6; Taur. ap. Philop. De aet. mundi 6,8, 223,12. Cf. Baltes 1972, 20.
125 In Nicom. Intr. arithm. 105,11; 118,26.
126 V. infra, n. 129.
127 Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22-36,7 (273 L.) oiJ de; peri; to;n Leuvkippon te kai; Dhmovkriton
kai; to;n Puqagoriko;n Tivmaion oujk ejnantiou'ntai me; n pro;" ta; tevttara stoicei'a tw' n
sunqev twn ei\nai swmavtwn ajrcav". kai; ou|toi dev, w{sper oiJ Puqagovreioi kai; Plavtwn kai;
Aristotevlh", oJrw'nte" eij " a[llhla metabavllonta to; pu'r kai; to; n aj evra kai; to; u{dwr, i[sw"
de; kai; th;n gh' n, ajrcoeidevs terav tina touvtwn kai; aJplouvstera ejzhvtoun ai[tia, di w| n kai; th; n
kata; ta;" poiovthta" tw' n stoiceivw n touvtwn diafora; n ajpologhvsontai. kai; ou{tw" oJ me; n
Tivmaio" kai; oJ touv twi katakolouqw' n Plavtwn ta; ejpivpeda bavqo" ti e[conta kai; schmavtwn
diafora;" stoicei'a prw'ta tw' n tettavrwn touv twn e[qeto stoiceivwn th; n swmatikh; n fuvsin
meta; tw'n swmatikw' n schmavtwn ajrcoeidestevran kai; aijtivan th' " tw' n poiothvtwn diafora; "
nomivzwn.
100 Principi corporei/ incorporei
posti da forme contrarie, e gli uni sono luminosi e splendenti, gli altri foschi e
bui128 .
La sequenza soggiacente è quella già incontrata precedentemente per il
mondo sensibile: corpo (fornito di dimensioni)-figura-qualità. Tuttavia la
terminologia indica una fonte che riprende meno sobriamente di Porfirio i
dati della dossografia. Questa fonte immediata di Simplicio è sicuramente
Giamblico, come si può dedurre da un passo parallelo del commento
simpliciano alle Categorie nel quale egli viene citato espressamente e nel
quale ricompare l'interpretazione dei triangoli platonici "materiali".
E infatti [Giamblico] obietta che Platone spiega che le figure, precedenti alla
formazione dei corpi, sono cause dell'essere dei corpi e che le differenze di qua-
lità derivano dalle differenze di figura, dicendo che è caldo ciò che è composto da
figure con angoli acuti, quali le piramidi, e freddo ciò che è composto da figure
che ne hanno di meno, quali l'icosaedro, e ciò vale anche per le altre qualità, ma
non intende le figure matematiche; quelle infatti non sono né materiali, né fisi-
che, né sono osservabili in movimento come invece le superfici platoniche; Pla-
tone infatti pone queste ultime come materiali e fisiche129 .
Dato che questo passo viene citato a proposito del quarto genere della
qualità, la figura, si può dedurre che Giamblico accettava sì la teoria se-
condo cui le figure venivano prima delle qualità dei corpi elementari, ma
considerava anch'esse come qualità riallacciandosi ad Aristotele130 . Su que-
ste basi poteva anteporre le figure alle qualità fisiche degli elementi e so-
stenere nel contempo la precedenza della qualità sulla quantità nell'ordi-
namento delle categorie: le figure venivano prima "delle altre qualità".
Quando dunque in Simplicio si incontra la formula secondo cui le figure
sono "più principianti delle altre qualità", c'è, mediata o diretta, la mano di
128 Simpl. In Phys. 184b 15, 36,1-7 (67 A 14 DK; 111, 247 L.) oiJ de; peri; Leuvkippon kai;
Dhmovkriton ta; ejlavcista prw'ta swvmata a[toma kalou'nte" kata; th;n tw' n schmavtwn aujtw' n
kai; th'" qev sew" kai; th' " tavxew" diafora; n ta; me;n qerma; givnesqai kai; puvr ia tw'n swmav twn,
o{sa ejx ojxutevrwn kai; leptomerestevrwn kai; kata; oJmoivan qevsin keimev nwn suvgkeitai tw'n
prwvtwn swmavtwn, ta; de; yucra; kai; uJd atwvdh, o{s a ejk tw'n ej nantivwn, kai; ta; me; n lampra;
kai; fwteinav , ta; de; aj mudra; kai; skoteinav.
129 Iambl. Fr. 78 Larsen (Simpl. In Cat. 10a 11, 271,8-16) kai; ga;r ejfistavnei (scil. oJ Iavmbliko")
o{ti Plavtwn me; n ta; schvmata prohgouvmena th'" sustavsew" tw' n swmavtwn wJ" ai[tia toi'"
swvmasi tou' ei\nai kai; tw'n poiothvtwn ta; " diafora; " ajpo; th'" tw' n schmavtwn diafora' " ajpo-
logivzetai, qermo;n levgwn ei\nai to; ajpo; tw' n ojxugwnivwn schmavtwn sugkeivmenon, oi|aiv eijsin
aiJ puramivde", kai; yucro;n to; ajpo; tw'n h|tton toiouvtwn, oi|on to; eijkosav edron, kai; ejpi; tw' n
a[llwn wJsauvtw", ouj ta; maqhmatika; schvmata paralambav nwn: ejkei'na ga;r ou[te e[nulav
ejstin ou[te fusika; ou[te ej n kinhvs ei qewrouvmena, w{sper ta; Plav twno" ejpivpeda: tau'ta ga;r
kai; e[ nula kai; fusika; tivqhsin oJ Plavtwn. Cf anche Procl. In Tim. II,36,24, infra, n. 138.
Proclo stesso, cui Simplicio attinge nel commento al De caelo sostiene la tesi dei triangoli
"materiali" cioè forniti anche di profondità in quanto la materia prima è sì priva di qualità,
ma corporea e come tale tridimensionale. Simpl. In De cael. 306a 23, 648,19 pro;" tou'to
levgei oJ Provklo", o{ti ta; fusika; ejpivpeda ouj k e[s tin ajbaqh .
130 Cat. 10a 11ss.
Capitolo secondo 101
131 Simpl. In Cat. 15a 13, 431,24 kai; oiJ peri; Dhmovkriton de; kai; u{steron oiJ peri; Epivkouron
ta;" ajtovmou" ajp aqei'" kai; ajpoivou" uJpotiqevmenoi tw' n a[llwn poiothvtwn para; ta; schvmata
kai; th;n poia;n aujtw' n suv nqesin ejpigivnesqai levgousi ta; " a[lla" poiovthta", tav" te aJpla'"
oi|on qermovthta" kai; leiovthta", kai; ta; " kata; ta; crwvmata kai; tou; " cumouv ". O'Meara
2000, 246 suppone che in questo passo Simplicio utilizzi Giamblico. La formulazione usata
dal commentatore costituisce a mio avviso, una prova sicura. La stessa formula ricompare
ancora nel commento a De cael. 299b 23, 576,5ss. dove ad Aristotele viene attribuita una
teoria della precedenza della figura sulle "altre qualità" (o{ti de; ajrcoeidevsteraiv eijsin aiJ
kata; ta; schv mata aijtivai tw' n kata; ta; " poiovthta", dh'lon, ei[per kai; aujto; " oJ Aristotevlh"
pro; tw'n a[llwn poiothvtwn ej ggiv nesqai ta; schvmata th'i u{lhi nomivzei).
132 Plut. Adv. Colot. 1110 F (68 A 57 DK; 179 L.) ti; ga;r levgei Dhmovkrito"… oujsiva" ajpeivrou"
to; plh'qo" ajtov mou" te kai; ajdiafqovrou", e[ti de; ajpoivou" kai; ajp aqei'", ejn tw'i kenw'i fevr e-
sqai diesparmevna". Gal. De elem. sec. Hipp. 2,16 (60,19 De Lacy = I,418 K.) (68 A 49 DK;
112 L.) aiJJ me;n ou\n a[tomoi suvmpasai swvmata ou\s ai smikra; cwri;" poiothvtwn eijsiv. Sext.
Emp. Pyrrh. hyp. 3,33 ouj ga;r dhvpou dunhsovmeqa kai; toi'" peri; Asklhpiavdhn
sugkatativqesqai, qrausta; ei\nai ta; stoicei'a levgousi kai; poiav, kai; toi' " peri; Dhmovkri-
ton, a[toma tau' ta ei\nai favskousi kai; a[poia.
133 Iambl. De an. 26,13-18 Finamore-Dillon (Stob. 1,49, 363,11-18 Wachsmuth) tine;" eij" ta;"
tw'n tessavrwn stoiceivwn ajrca; " th; n oujsivan th' " yuch' " ajnafevrousin. ei\nai me;n ga;r ta;
prw'ta swvmata a[toma, pro; tw'n tessavrwn stoiceivwn stoiceiwdevstera: eijlikrinh' d o[nta
kai; peplhrwmev na pav nthi kaqara'" prwvth" oujsiv a" mh; devcesqai mhd oJpwstiou'n eij " aujta;
diaivresin. tau'ta toivnun a[peira e[c ein schvmata, e}n de; autw' n ei\nai to; sfairoeidev", ajpo;
de; tw'n sfairoeidw'n ajtov mwn ei\nai th;n yuchvn. Il riferimento all'infinità delle forme atomi-
che e alla forma sferica degli atomi dell'anima mostra chiaramente che il resoconto ri-
guarda solo gli atomisti antichi e non anche Epicuro. Giamblico segue qui Aristotele, cf.
Finamore-Dillon 2002, 78.
102 Principi corporei/ incorporei
dava una forma agli atomi del freddo134 perché è solo l'epigono di uno
schema dossografico ripetutamente rielaborato.
136 La linea è quella dell'esposizione delle teorie teofrastee fornita da Proclo (In Tim. II,120,18-
22 = Theophr. Fr. 159 FHS&G). Per quest'ultimo testo, v. supra, n. 26.
137 Simpl. In De cael. 299a 2, 564,24 (68 A 120 DK; 171 L.) Dhmovkrito" de;, wJ" Qeovfrasto" ejn
toi'" Fusikoi'" iJstorei', wJ" ijdiwtikw'" ajpodidovntwn tw' n kata; to; qermo;n kai; to; yucro;n kai;
ta; toiau'ta aijtiologouvntwn ejpi; ta; " ajtovmou" ajnevbh, oJmoivw" de; kai; oiJ Puqagovreioi ejpi; ta;
ejpivpeda nomivzonte" ta; schv mata ai[tia kai; ta; megevqh th' " qermovthto" ei\ nai kai; th' "
yuvxew": ta; me; n ga;r diakritika; kai; diairetika; qermovthto" sunaivsqhsin parevcesqai, ta;
de; sugkritika; kai; pilhtika; yuvxew": kai; ga;r pa' n sw'ma kat ouj sivan eujqu;" pepovswtai, to;
de; sch'ma, eij kai; poiovth" ejstivn, ajll ejk tou' gevnou" ei[lhptai tw'n posw' n, dio; tw'n swmavtwn
e{kaston posovn ejstin ej schmatismev non: hJ me;n ga;r u{lh kaq auJth; n aj swvmatov" ejs ti, to; de;
deuvteron uJpokeivmenon sw'ma me;n a[poion kaq auJtov, schvmasi de; poikivloi" memorfwmev non
kai; tou' maqhmatikou' swv mato" diafevron tw'i e[nulon kai aJpto; n ei\nai th' " aJfh' " kata; to; n
o[gkon ajntilambanomev nh" aujtou' kai; ouj kata; qermovthta h] yucrovthta. tou'to ou\ n to;
deuvteron uJpokeivmenon diafovroi" schvmasi diazwgrafouvmenon ta; tw' n tessavrwn stoi-
ceivwn fasi;n uJfistavnein ajrcoeidevs tera stoicei' a.
138 Cf. Procl. In Tim. II,36,24 oJ me;n qei'o " Iavmblico" ou|to" ga;r oJ ajnh;r diaferovntw"
ajntelav beto th'" toiauvth" qewriva", tw' n a[llwn w{ sper kaqeudovntwn kai; peri; to; maqhma-
tiko;n kalindoumev nwn mov non, diakriv nein moi dokei' ta; aJpla' tw' n sunqev twn kai; ta; mevrh
tw'n o{lwn kai; aJplw'" eijpei'n ta;" ej nuvlou" dunavmei" kai; ta; ei[dh ta; e[nula tw'n sumplhrou-
104 Principi corporei/ incorporei
cio in questo passo del De caelo. Da qui anche la differenza nel taglio ese-
getico.
In ogni caso lo schema di fondo di questi resoconti di Simplicio, pur
attraverso i vari rimaneggiamenti e adattamenti, permane quello di matrice
posidoniana che si ritrova anche nel De primo frigido Plutarco e nel De placi-
tis di Galeno. Elementi comuni a questi resoconti sono:
1. La individuazione dei principi ultimi di Platone in materia e forma
(u{lh e sch'ma in Galeno, u{lh e ei\do" in Simplicio).
2. L'accenno al fatto che i peripatetici si fermavano alle qualità ele-
mentari ritenendo inutile farsi domande sull'origine del caldo e del freddo.
3. La ricerca delle cause protratta invece da Democrito fino agli atomi
e dai Pitagorici, nella fattispecie Timeo di Locri, e da Platone fino ai trian-
goli elementari (in Plutarco compaiono Democrito e Platone, in Galeno
solo Platone).
Si può dunque a questo punto ricostruire l'iter di un brano dossogra-
fico sui principi di Platone e di Democrito da Teofrasto fino a Simplicio:
1. Brano della Fisica di Teofrasto nel quale Platone e Democrito ven-
gono presi come esempio di un procedimento contrario ai principi della
fisica in quanto hanno superato i limiti propri di questa scienza cercando
elementi di elementi.
2. Utilizzazione critica del testo teofrasteo da parte di Posidonio in un
contesto sulle finalità della filosofia come scienza universale delle cause:
Platone e Democrito hanno fatto quello che il vero fisico e il vero filosofo
devono fare, sono cioè risaliti alle cause ultime dei corpi. Per Platone tut-
tavia si tratterebbe sostanzialmente di una scomposizione mentale a fini
eziologici che non comporterebbe necessariamente l'esistenza della forma
separata dalla materia. Plutarco riporta, di questo testo, solo un breve
excursus nel quale compaiono sia Democrito che Platone. Galeno, dato il
carattere specifico della sua trattazione, si limita ovviamente alla dottrina
platonica, ma riproduce una versione più ampia del testo di matrice posi-
doniana.
3. Utilizzazione dello stesso testo nell'ambito del dibattito sull'ordi-
namento delle Categorie aristoteliche: la precedenza della quantità sulla
qualità viene dimostrata attraverso l'esempio delle figure di Democrito e
Platone. Questa potrebbe essere forse già la posizione di Andronico se-
guito da altri commentatori del secondo secolo e infine da Porfirio, una
delle fonti di Simplicio nel commento alla Fisica. Giamblico, dal canto suo,
riprende lo stesso modello spiegando, però, che la figura è una qualità e
mevnwn ajpæ aujtw' n oujsiw'n, kai; ta; me; n ejpivpeda kalei'n, ta; de; stereav: kaqavper ga;r to;
ejpivpedon e[scato" o{ro" ejsti; tou' maqhmatikou' swvmato", ou{tw dh; kai; to; e[nulon ei\do" kai;
hJ duvnami" hJ tw' n swmavtwn morfh; kai; pevra" ejsti; tw' n uJpokeimev nwn.
Capitolo secondo 105
non una quantità e che quindi Platone e Democrito hanno posto le figure
prima delle "altre qualità". Anche questa interpretazione riemerge nel
commento alla Fisica di Simplicio. Proclo, a sua volta, si riallaccia a Giam-
blico, ma ribadisce che le figure di Democrito e Platone sono una quan-
tità, non una qualità, una esegesi che Simplicio riprende nel commento al
De caelo.
E' superfluo sottolineare come in tutti questi contesti la funzione dei
principi democritei sia totalmente subordinata rispetto ai triangoli plato-
nici, tanto che, fuori dal nucleo teofrasteo vero e proprio, non vengono
neanche più presi in considerazione.
Se si confrontano i brani di Simplicio con la tradizione "diafonica"
presente in Sesto Empirico si può constatare dunque una diversità di im-
postazione nel rapporto Platone (Pitagorici)-Democrito. Da una parte, in
Sesto, abbiamo una opposizione di fondo basata su due concezioni di-
verse della realtà: una sostanzialmente materialista, quella atomista, una di
tipo matematico, quella dei cosiddetti Pitagorici i quali presenterebbero le
loro dottrine proprio come un superamento decisivo della mentalità sog-
giacente alla concezione atomistica antica. Solo nell'ambito dei principi
incorporei intellegibili si possono trovare i fondamenti di tutta la realtà,
anche di quella del mondo sensibile. E questo non è un assunto tardo
ellenistico, ma una problematica viva nell'Accademia platonica le cui
tracce sono ben individuabili sia nelle allusioni platoniche che negli excur-
sus aristotelici riguardanti le dottrine dell'Accademia. L'autore tardo elleni-
stico che ha rielaborato il resoconto originale ha aggiunto alla diaphonia
solo i caratteri superficiali tipici dell'ellenismo, ma ha riportato una pro-
blematica che non era tipica del suo tempo. Questo risulta dal confronto
con il filone rappresentato da Plutarco nel De primo frigido, da Galeno nel
De Placitis e dai brani dei commentari aristotelici di Simplicio. L'assunto
fondamentale di tutto questo filone è una sostanziale identità fra le conce-
zioni atomiste e quelle platoniche e pitagoriche. Il pitagorismo che com-
pare qui è però ben diverso da quello che si incontra in Sesto ed è in par-
ticolare legato al nome di Timeo di Locri, rappresentante di un
platonismo aristotelizzante. La somiglianza configurata in questi testi tardi
fra Platone, i Pitagorici e Democrito dipende da una visione condizionata
dall'immagine aristotelizzante e stoicizzante di Platone e basata principal-
mente sull'interpretazione del Timeo. Nell'ottica di una interpretazione che
attribuiva a Platone materia e forma come ultimi principi (u{lh a[poio" che
riceve le forme geometriche) e che arrestava la ricerca dei principi dei
corpi ai triangoli del Timeo, anche le distanze dei triangoli dai corpuscoli di
Democrito si accorciavano. L'unica effettiva mancanza di Democrito era
quella di non aver enunciato materia e forma come principi ultimi, ma in
sostanza la sua dottrina non si discostava molto da quella platonica. È un
106 Principi corporei/ incorporei
139 Alex. ap. Simpl. In De cael. 299b 23, 576,5 (122 L.) ajlla; tiv, fhsivn (oJ Alevxandro"), dioivsei
th'" Dhmokrivtou dovxh" hJ ejk tw'n ejpipevdwn levgousa, ei[per kai; auj th; kata; ta; schvmata
eijdopoiei'sqai ta; fusika; swvmatav fhsi…
140 Philop. In Phys. 184b 20, 25,19 (101 L.) ei[dou" ga;r lovgon ejn tai'" ajtovmoi" to; sch'ma e[cein
e[legen oJ Dhmovkrito". h] kai; ej nantiv a": h[toi tou'tov fhsin o{ti Dhmovkrito" e}n to; gevno" uJp e-
tivqeto tw'n aj tovmwn, diafevrein de; aujta;" kata; ta; schvmata, ouj movnon de; diafevrein, ajlla;
kai; ejnantiva" ei\nai (ejpeidh; ga;r qermovthta kai; yuv xin kai; leukovthta kai; melanivan oujk
e[legen ei\nai ej n tai'" ajtovmoi" oJ Dhmovkrito", ajll ejk tw' n schmavtwn ajp egev nna ta; pavqh kai;
th'" pro;" hJma' " tw' n ajtovmwn scevs ew": ta; " me;n sfairikav ", wJ" eujkinhvtou", qermovthto" kai;
tou' puro;" ei\nai aijtiva": wJ" ga;r eujkivnhtoi, diairou'si qa'tton kai; dieisduvnousi, tou'to de;
i[dion puro;" to; tmhtiko;n kai; eujkiv nhton: ta; " ga;r kubika;" de; fevr e eijpei'n, wJ" wjqouvs a"
ma'llon kai; pilouvsa", yuvxin ejr gav zesqai: pilhtiko;n ga;r to; yucrovn. oJmoivw" kai; ejpi; tw'n
crwmavtwn giv nesqai e[legen. o{tan me;n tw'n puramivdwn fevre eijpei'n aiJ korufai;
prosbavllwsi th'i o[yei, toiavnde poiei'n crwvmato" fantasivan, oi|on leukou': diakritiko;n
ga;r th'" o[y ew" to; leuko;n, diairetiko; n de; kai; to; ojxuv , oi{a ejsti; kai; hJ korufh; th'" pura-
mivdo": o{tan de; aiJ bavsei", mevl ano": sugkritiko;n ga;r to; mevl an, toiou'ton de; to; ajmbluv: pi-
lei' ga;r kai; eij" taujto;n th'i pilhvsei sunwqei' ta; diestw' ta. ejp ei; ou\ n toi'" diafovroi"
schvmasi tw'n ej nantivw n paqw'n poihtikaiv eijsin aiJ a[tomoi, ouj movnon diafevrein aujta;" toi'"
schvmasin ei\pen, ajlla; kai; ejnantiva" ei\nai)... Cf. anche Ibid. 188a 19, 116,28-117,10; 194a
20, 228,28-229,2; In De gen. et corr. 314b 15, 17,29-33.
Capitolo secondo 107
7. Sintesi
Se le ipotesi sviluppate in questo capitolo sono esatte, ci si trova di fronte,
per quanto riguarda il confronto fra i principi di Democrito e Platone
(Pitagorici), ad una doppia tradizione.
1. Quella dominante di matrice teofrastea che si fonda sulla ricerca
delle somiglianze fra l'atomismo di Democrito e la dottrina del Timeo.
Teofrasto criticava ambedue per aver ricercato "elementi di elementi"
violando quindi una concezione della fisica che Aristotele aveva elaborato,
secondo cui la ricerca fisica doveva arrestarsi ai quattro elementi. Aristo-
tele aveva finalizzato il confronto Democrito/ Platone alla sua polemica
contro i principi accademici preferendo ogni volta l'atomismo fisico del
primo rispetto a quello matematizzante del secondo. Teofrasto ha invece
posto Platone e Democrito sullo stesso piano criticandoli poi ambedue,
ma astenendosi dal prendere posizione a favore di uno o dell'altro. Da
Teofrasto si è sviluppata una linea conciliatoria che, attraverso Posidonio,
è passata in quasi tutta la tradizione successiva. La versione prettamente
manualistica di questo confronto è stata poi accolta e variamente utilizzata
nel dibattito sull'ordinamento delle categorie aristoteliche ed è arrivata
fino a Simplicio. Quest'ultimo, per questo confronto, non attinge diretta-
mente a Teofrasto, anche se lo conosceva di prima mano, ma ad altri
commentatori quali Porfirio, Giamblico e Proclo.
2. Se la tradizione ora esaminata propone una sostanziale similarità fra
i triangoli del Timeo e gli atomi di Leucippo e Democrito, nel decimo libro
Contro i Matematici di Sesto Empirico emerge invece la prospettiva "diafo-
nica". I Pitagorici, cioè gli allievi di Platone, avrebbero criticato e superato
le dottrine atomiste postulando, invece che dei corpi di per sé sempre
scomponibili e quindi non eterni per natura, delle sostanze incorporee ed
eterne in assoluto, gli oggetti matematici, e i numeri i cui principi ultimi
sono l'uno e la diade indefinita. Si tratta di uno schema di opposizione
corporeo/ incorporeo che riprende quello del Sofista platonico, arricchen-
dolo di nuovi contenuti e che emerge in Aristotele in brani che espon-
108 Principi corporei/ incorporei
1. Considerazioni generali
Sullo sfondo del confronto con le dottrine accademiche dei principi e con
le specifiche problematiche ad esse legate, anche i resoconti aristotelici che
individuano l'origine delle dottrine atomiste nella soluzione delle aporie
"eleatiche" sulla molteplicità e il movimento vanno viste in una diversa
prospettiva. L'immagine di un Leucippo che, in un confronto dialettico,
"concede" agli Eleati alcune premesse (non c'è movimento senza il vuoto),
ma nel contempo vuole accordare le sue dottrine con i fenomeni (il vuoto
esiste in quanto non essere e l'essere non è uno, ma molti simili all'uno
eleatico), presentata in un famoso passo del De generatione et corruptione (A
8), ha infatti segnato tutta la storia dell'interpretazione dell'atomismo an-
tico fino ai giorni nostri. La rappresentazione degli atomisti come Eleati
deviati è stata inoltre corroborata nei primi anni del novecento dall'indivi-
duazione, in un altro passo dello stesso trattato (A 2), di una presunta
argomentazione di Democrito a favore degli indivisibili come soluzione
dei paradossi zenoniani della divisione all'infinito1. La versione aristotelica
della nascita dell'atomismo è stata considerata dall'ottocento ad oggi quasi
un dogma. In realtà, come notava Solmsen2, e come si cercherà di mo-
strare con l'analisi dei due brani in questo capitolo e nel successivo, i due
resoconti sollevano più dubbi di quanti ne risolvano. Le aporie che essi
presentano necessitano però più che di una soluzione di un inquadra-
mento nel contesto nel quale Aristotele pensava, sviluppava le sue idee e
interpretava i predecessori. Tale contesto è costituito dalle discussioni
sulle presunte tesi eleatiche nell'Accademia platonica, che hanno portato
alla definizione del non essere come "altro dall'essere", alla distinzione fra
3 L'influsso della discussione dialettica sull'impostazione delle aporie in altri scritti aristotelici
è già stato più volte esaminato. Cf. le considerazioni generali in Krämer 1971, 27-32 e le
analisi particolari in Beriger 1989 e Föllinger 1993.
4 I dibattiti pubblici hanno nel V sec. a.C. una marcata forma agonale che non permette di
"concedere" nulla agli avversari. Cf. ad es. le violente polemiche nei trattati ippocratici e in
particolare gli agoni nella tragedia euripidea e nelle Nuvole di Aristofane che riproducono, se
pure in rielaborazioni letterarie, lo spirito di questi dibattiti. Aristotele stesso distingue net-
tamente nei Topici (Q 5,159a 26ss.) la discussione dialettica di scuola, che ha come scopo
l'apprendimento e che viene condotta cavallerescamente, rispettando regole ben precise, da
quella agonale che mira invece alla vittoria con qualsiasi mezzo.
Capitolo terzo 111
loro che hanno ammesso in qualche maniera degli indivisibili sono co-
munque partiti dalle tesi eleatiche accettandone certe premesse e cadendo
quindi in una aporia. E' l'accettazione non ponderata di alcune premesse
dell'avversario spesso a determinare il fallimento di una confutazione.
In un brano della Metafisica di cui si parlerà ancora in seguito6, Aristo-
tele traccia una netta linea di demarcazione fra il vecchio e il nuovo modo,
il suo, di affrontare le aporie riguardanti l'essere e l'uno. Platone e i suoi
allievi non sono arrivati ad una soluzione soddisfacente perché non hanno
definito prima correttamente i vari significati dell'oggetto di ricerca e
hanno quindi assunto, come gli Eleati, per l'essere e per l'uno un signifi-
cato univoco (per Aristotele essi si predicano in più modi). Così facendo
hanno dovuto dar ragione a questi ultimi su assunti fondamentali e am-
mettere l'esistenza del non essere assoluto per spiegare la molteplicità
rimanendo imprigionati nelle stesse aporie che intendevano risolvere.
L'ajporh'sai ajrcaikw'" è per Aristotele l'elemento che unifica tutte le solu-
zioni del problema dell'essere, della molteplicità e del divenire antecedenti
alla sua, in particolare quelle che presentano la maggiore affinità fra loro
come i due tipi di atomismo leucippeo-democriteo e accademico.
A questo si deve aggiungere una ulteriore considerazione sui metodi
espositivi aristotelici delle aporie stesse. Le formulazioni di base dei logoi
eleatici e quelle dei loro avversari che troviamo in Aristotele risalgono in
definitiva alla prassi dialettica platonica di unificare il più possibile sotto
una sola voce diverse teorie e di contrapporre fra loro quelle i cui fonda-
menti, in questo modo sintetizzati, sembrino opposti7. Lo scopo principale
di queste sintesi non è quello di dare un resoconto obiettivo dei testi presi
in considerazione, ma, al contrario, di coglierne il significato profondo, la
diavnoia, che gli autori non hanno potuto o non sono stati in grado di
esprimere esplicitamente8. Si tratta quindi in sostanza di adattare i testi di
volta in volta al tema in discussione trovandovi elementi comuni o oppo-
sizioni di fondo, la prassi dialettica usuale nei dialoghi platonici9 e
nell'Accademia codificata poi da Aristotele nei Topici10. Questa prassi di co-
struzione di logoi dialettici, che ha le sue radici nella sofistica11, sta alla base
del brano del De generatione et corruptione che espone la tesi eleatica e la ri-
sposta di Leucippo12. Il logos eleatico riportato da Aristotele costituisce un
caso di quella che in Top. A 11, 104b 19-22 viene definita una "tesi", vale a
dire un tipo particolare di teorema dialettico13:
Tesi è un'ipotesi contraria all'opinione generale di qualche personaggio famoso
nel campo della filosofia come [...] il fatto che tutto si muove, secondo Eraclito, o
che l'essere è uno, come dice Melisso14.
E ancora:
discende necessariamente da quanto si è detto che o la grande maggioranza delle
persone sia in disaccordo con i sapienti riguardo alla tesi o che all'interno di uno
qualsiasi di questi due gruppi (i molti e i sapienti) ci sia disaccordo giacché la tesi
è una ipotesi fuori del senso comune15.
Ciò significa che si potevano assumere come tesi quella eleatica e come
antitesi le opinioni di coloro che sostenevano il movimento incessante di
tutte le cose, oppure, all'inverso, porre queste ultime come tesi e attribuire
agli Eleati il ruolo di critici. In ogni caso i disputanti si mettevano nei
panni dell'uno o dell'altro autore le cui opinioni venivano poste come tesi
e, rispettivamente, come antitesi e si immedesimavano col suo presunto
85ss., Krämer 1971, 17ss. n. 68 con una ricca bibliografia; Flashar 1994, 326s. Sull'impor-
tanza dei passi dei Topici riguardanti la "tesi" per la definizione del carattere e della struttura
della dossografia peripatetica, cf. Mansfeld 1992b, 332ss. Sul problema della presenza in
Aristotele di interpretazioni dei cosiddetti presocratici correnti nell'Accademia, cf. anche
Gemelli Marciano 1991a, passim; 1991b, passim.
11 Cf. Arist. Soph. El. 34,183b 36ss. Cf. a questo proposito von Kienle 1961, 38-57; il volume
di Cambiano 1986 in generale e, in particolare, l'esauriente resoconto di Mansfeld 1986
[1990b].
12 Come si vedrà anche in seguito, coloro che hanno assunto il logos eleatico e la successiva
risposta di Leucippo se non come autentiche e dirette citazioni, per lo meno come una pa-
rafrasi diretta di testi di Eleati e di Leucippo (cf. e.g. Bollack 1969; Löbl 1976, 145-150),
hanno proprio tralasciato di considerare questo carattere schematico e topico dell'opposi-
zione e dei termini dell'opposizione stessa. Cf. anche la critica di De Ley 1972.
13 Il termine tecnico è già accademico: Senocrate aveva scritto venti libri di qevsei" oltre che
quattordici sulla dialettica (Xenocr. Fr. 2 IP) qevsewn bibliva k', th'" peri; to; dialevgesqai
pragmateiv a" bibliva id'.
14 Top. A 11, 104b 19-22 qevsi" dev ejstin uJpovlhyi" paravdoxo" tw'n gnwrivmwn tino;" kata;
filosofivan, oi|on ª...º o{ti pavnta kinei'tai, kaq ÔHravkleiton, h] o{ti e}n to; o[n, kaqavp er
Mevlissov" fhsin. Le due tesi vengono confrontate e poste sullo stesso piano da Aristotele
nel primo libro della Fisica (A 2). Sull'importanza di Top. A 11 nella impostazione della di-
scussione dei problemi fisici in Aristotele stesso e nella dossografia in generale, cf.
Mansfeld 1992b, 332ss. Per considerazioni generali, cf. anche Beriger 1989, 40ss.
15 Top. A 11, 104b 32-34 ajnavgkh ga;r ejk tw'n eijrhmevnwn h] tou;" pollou;" toi'" sofoi'" peri; th;n
qevsin ajmfisbhtei' n h] oJpoterousou' n eJ autoi'", ejp eidh; uJpovlhyiv" ti" paravdoxo" hJ qevsi"
ejstivn.
114 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
16 Cf. Top. Q 5, 159b 27 a]n dæ eJtevrou dovxan diafulavtthi oJ ajpokrinovmeno", dh'lon o{ti pro;"
th;n ejkeivnou diav noian ajpoblevponta qetevo n e{kasta kai; ajr nhtevo n ª...º poiou'si de; tou'to
kai; oiJ paræ ajllhvlwn decovmenoi ta; " qev sei": stocavzontai ga;r wJ " a] n ei[peien oJ qevmeno".
17 A questo carattere di logos dialettico-tipo fa probabilmente riferimento anche l'enigmatico
accenno ai logoi di Leucippo nel trattatello De Melisso Xenophane et Gorgia (980a 3-9) inter-
pretato spesso come allusione proprio al passo di De gen. et corr. A 8. Cf. Newiger 1973,
120-22, con rassegna critica di altre interpretazioni. Il carattere particolare dell'espressione
era già stato rilevato da Diels che tuttavia lo considerava un possibile termine leucippeo
(lettera a Zeller del 26 Aprile 1880, Ehlers II, 1992, 38 "aber da der betr. Ausdruck lovgou"
bei Aristoteles, soviel ich weiß, allerdings auffallend und vielleicht aus Leucipp selbst ge-
nommen ist…").
18 Cf. Phys. A 9, 191b 35ss. e Metaph. N 2, 1088b 35-1089a 6, infra, 3. 2 n. 83.
19 Cf. Arist. Top. Q 14, 163b 17 prov" te ta; pleistavki" ejmpivptonta tw'n problhmavtwn
ejxepivstasqai dei' lovgou", kai; mavlista peri; tw' n prwvtwn qevsewn. Poco prima (163b 4-9)
Aristotele raccomanda di scegliere e confrontare argomenti correlati ad una stessa tesi per-
ché questo fornisce una gran quantità di materiale per poter poi condurre più facilmente la
confutazione. Cf. su questo passo Balthussen 2000, 38.
20 Ryle 1968, 75s.
21 Cf. Ryle 1968, 76 (in relazione ad una tesi di tipo etico) "To ask whether the finally
crystallized refutation of the thesis that pleasure is not a good is the handiwork of Aristotle or
of someone else is to ask an unanswerable question. It has passed between all the mill-sto-
nes. Dialectic is a co-operative and progressive polemic—a polemic not between persons,
but between theses and counter-theses".
Capitolo terzo 115
22 La versione secondo cui Zenone vuole ajnairei'n to; e{n è quella che troviamo in Alessandro
il quale a sua volta la fa risalire ad Eudemo di Rodi (ap. Simpl. In Phys. 185b 25, 99,13 = 29
A 21 DK). Un'interpretazione di Zenone scettico negatore dell'uno, derivata da una dos-
sografia di matrice accademico-scettica, si ritrova anche in Sen. Ep. 88,44 (29 A 21 DK).
Simplicio rigetta questa esegesi perché segue l'interpretazione canonica platonizzante che
vede in Zenone il difensore delle dottrine parmenidee. Altre fonti (e.g. Philop. In Phys.
185b 5, 42,9 = 29 A 21 DK) riferiscono la confutazione all'uno della molteplicità: questa è
infatti composta di unità. La tradizione riguardante Zenone è stata più volte esaminata
sotto tutti questi aspetti. La tendenza prevalente è quella di dar credito alla versione del
Parmenide platonico e all'interpretazione ortodossa di Simplicio (così Fränkel 1975, 102-142;
Furley 1967, 63ss.). Un'analisi della tradizione zenoniana condotta "in utramque partem" da
Solmsen 1971, 116-141, si conclude con una sospensione del giudizio e allo stesso modo si
pronuncia anche Barnes 1986, 234s.
23 Il Parmenide monista è in realtà il risultato di tutta una tradizione interpretativa dovuta ad
un approccio esclusivamente filosofico e ha poco a che fare con lo stile del poema stesso
che si basa principalmente su "immagini" ed ha una marcata funzione evocativa: l'attributo
e{n fa parte di una sequenza di "immagini" di completezza dell'essere che vuole trasmettere
una esperienza e non una "dottrina" filosofica in senso platonico-aristotelico. Per un ap-
proccio a Parmenide che tiene conto della funzione e del contesto del poema, cf. Kingsley
2003.
24 Cf. Kingsley 2003, 295-302 e 585. Platone stesso, nel Fedro (261d = 29 A 13 DK), riferisce
che Zenone dava l'impressione ai suoi ascoltatori di affermare che le stesse cose sono uno
e molti. Una interpretazione simile si trova anche in Isocrate, Hel. 3 (pw'" ga;r a]n ti" uJper-
bavloito ª...º Zhvnwna to;n taujta; dunata; kai; pavlin ajduv nata peirwvmenon aj pofaivnein…) ed è
adombrata nell'epiteto ajmfoterovglwsso" affibiatogli da Timone (Fr. 45 Di Marco). Evi-
dentemente Zenone era famoso proprio per questa sua capacità di confondere.
116 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
25 Parm. 128a-e.
26 Cf. ad es. le discussioni delle teorie eleatiche in Phys. A 2-3; De cael. G 1, 298b 15ss.
27 Per un elenco dei vari autori che sono stati di volta in volta identificati nelle teorie esposte
da Aristotele, cf. Löbl 1976, 138ss. con relativa bibliografia.
28 Che il logos eleatico di Aristotele contenga argomentazioni contro l'atomismo è già stato
notato da Newiger 1973, 117-119 il quale vi vede una critica diretta di Melisso a Leucippo.
29 Il carattere dialettico degli argomenti esposti nel logos eleatico era stato notato da Joachim
1922, 159. L'argomentazione eleatica era diretta secondo lui contro i pluralisti le cui pre-
messe non potevano dar ragione della pluralità e del movimento. Due sono le tesi dei plu-
ralisti in questione: A. Che i molti sono separati dal vuoto. B. Che i molti sono unità di-
screte in contatto non separate dal vuoto. La prima sarebbe dei Pitagorici, l'altra di
Empedocle. L'Empedocle corpuscolarista (e atomista) che emerge talvolta in Aristotele è
un'interpretazione probabilmente già accademica (cf. Gemelli Marciano 1991a). La conce-
zione del vuoto che separa è sì di matrice pitagorica, ma si inserisce in un contesto di rein-
terpretazioni come si vedrà più oltre. L'unico motivo per cui Joachim negava categorica-
mente che nella critica eleatica fossero compresi gli atomisti era la successiva attribuzione a
Leucippo di una risposta agli Eleati. E' importante citare alla lettera il suo commento in
Capitolo terzo 117
quanto è un esempio di ragionamento seguito dalla gran parte degli interpreti moderni,
159s.: "The opponents in question cannot be the atomists: for atomism (cf. 25a 33ss.) was
developed under the influence of, and subsequently to, the Eleatic criticism of this parti-
cular theory of a many and void".
30 De gen. et corr. A 8, 325a 32-325b 5 poiei'n de; kai; pavscein h|i tugcavnousin aJptovmena ª...º
kai; suntiqevmena de; kai; periplekovmena genna' n ª...º ou{tw pa's an ajlloivwsin kai; pa'n to;
pavscein tou'ton givnesqai to;n trovpon, dia; tou' kenou' ginomev nh" th' " dialuvsew" kai; th' "
fqora'", oJmoivw" de; kai; th'" auj xhvsew", uJpeisduomev nwn sterew' n. Hussey 2004, 244 parla a
proposito di questo brano di una posizione a "sandwich" (The two parts of the discussion
of Empedocles begin and end the chapter, like the outside of a sandwich. Inside the san-
dwich is a long discussion (324b 35-326b 6) of atomism as a physical theory, which goes
well beyond the topic of 'action-passion').
118 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
strati del brano aristotelico e di inquadrarlo nel contesto più ampio del
dibattito con l'Accademia sulla questione dei principi.
2. 2. 1. Lo schema sofistico
31 Arist. De gen. et corr. A 8, 324b 35 (67 A 7 DK; 146 L.) oJdw'i de; mavlista kai; peri; pavntwn
eJni; lovgwi diwrivkasi Leuv kippo" kai; Dhmovkrito", ajrch; n poihsavmenoi kata; fuvsin h{per
ejstivn. ej nivoi" ga;r tw' n ajrcaivwn e[doxe to; o]n ejx aj nav gkh" e} n ei\ nai kai; ajkivnhton: to; me;n ga;r
keno; n oujk o[n, kinhqh'nai dæ oujk a] n duvnasqai mh; o[nto" kenou' kecwrismevnou. oujdæ au\
polla; ei\nai mh; o[ nto" tou' dieivrgonto": tou'to de; mhde; n diafevrein, ei[ ti" oi[etai mh; su-
nece;" ei\nai to; pa' n ajllæ a{ptesqai dihirhmevnon, tou' fav nai polla; kai; mh; e}n ei\nai kai; ke-
novn. eij me; n ga;r pav nthi diairetov n, oujde; n ei\nai e{ n, w{ste oujde; pollav, ajlla; keno; n to; o{lon:
eij de; th'i me; n th'i de; mhv, peplasmev nwi tini; tou'tæ ejoikev nai: mevcri povsou ga;r kai; dia; tiv to;
me;n ou{tw" e[cei tou' o{lou kai; plh'rev" ejs ti, to; de; dihirhmev non… e[ti oJmoivw" fav nai
ajnagkai'on mh; ei\nai kivnhsin. ejk me;n ou\n touvtwn tw' n lovgwn, uJperbav nte" th;n ai[sqhsin kai;
paridovnte" auj th;n wJ" tw'i lovgwi devon ajkolouqei'n, e}n kai; ajkivnhton to; pa' n ei\naiv fasi kai;
a[peiron e[nioi: to; ga;r pevra" peraivnein a] n pro;" to; kenov n. oiJ me; n ou\ n ou{tw" kai; dia; tauv ta"
ta;" aijtiva" ajp efhvnanto peri; th'" ajlhqeiva". e[ti de; ejpi; me; n tw' n lovgwn dokei' tau'ta sum-
Capitolo terzo 119
baivnein, ejpi; de; tw'n pragmavtwn maniv ai paraplhvsion ei\nai to; doxavzein ou{tw": oujd evna ga;r
tw'n mainomev nwn ejxestav nai tosou' ton w{ste to; pu'r e}n ei\nai dokei'n kai; to;n kruvstallon,
ajlla; movnon ta; kala; kai; ta; fainovmena dia; sunhvqeian, tau't ej nivoi" dia; th;n manivan oujqe; n
dokei' diafevrein. Per i problemi testuali e sintattici della seconda parte del brano (oiJ me; n
ou\n ª...º diafevrein), cf. Joachim, ad loc., 161s. Egli vede una lacuna dopo ajlhqeiva" e ipo-
tizza che uno o più argomenti contro l'eleatismo siano caduti. La lezione ejpei; per e[ti, sa-
rebbe un tentativo di ripristinare la logica del passo; cf. anche Löbl 1976, 146s. In realtà, se
si considera il fenomeno dello iotacismo, la lezione ejpei; potrebbe essere stata favorita dal
successivo ejpi; e il problema sintattico è solo apparente. Aristotele riprende e adatta infatti
un logos preesistente intercalandolo con osservazioni proprie e procedendo per accumula-
zione, non sempre ordinata, di argomenti. Egli sembra aver concluso il tema (oiJ me;n ª...º
ajlhqeiva") dopo un giudizio critico sulle argomentazioni eleatiche (ejk me;n ou\n ª...º e[ nioi) e
l'aggiunta di una ulteriore teoria fuori degli schemi uno/ molti e immobile/ in movimento,
quella cioè che pone l'uno come infinito (a[peiron... kenovn). In realtà egli riprende poi an-
cora la critica precedentemente espressa con la formula cumulativa tipica nei suoi scritti
(e[ti dev). Si tratta di un procedimento dialogico-discorsivo tipico delle discussioni dialetti-
che e funzionale al discorso orale. Su questo "residuo" di oralità nelle pragmateiai aristoteli-
che, cf. Föllinger 1993, 268. Non c'è dunque alcuna necessità di supporre una lacuna come
Joachim e Löbl, né di accettare la lezione ejp ei; di altri manoscritti come Rashed 2005, 38 e
138s. n. 6.
32 Isocr. Hel. 3 pw'" ga;r a[n ti" uJp erbavloito Gorgivan to;n tolmhvsanta levgein wJ" oujde;n tw'n
o[ntwn e[stin h] Zhv nwna to; n taujta; dunata; kai; pavlin ajd uvnata peirwvmenon ajpofaiv nein h]
Mevlisson o}" ajpeivrwn to; plh'qo" pefukovtwn tw' n pragmavtwn wJ" eJno; " o[nto" tou' panto;"
ejpeceivrhsen ajpodeivxei" euJrivskein;
33 Isocr. Antid. 268 (82 B 1 DK) ª...º tou;" lovgou" tw'n palaiw'n sofistw'n, w|n oJ me;n a[p eiron
to; plh'qo" e[fhsen ei\ nai tw'n o[ntwn ª...º Parmenivdh" de; kai; Mevlisso" e{ n, Gorgiva" de; pan-
telw'" oujdev n. Platone, nel Sofista (242c), fa ricorso ad una lista simile, ma senza contem-
plare i sostenitori dell'infinita pluralità e del numero zero.
120 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
34 Xen. Memor. 1,1,13 ejp ei; kai; tou;" mevgiston fronou'nta" ejpi; tw'i peri; touvtwn levgein ouj
taujta; doxavzein ajllhvloi", ajlla; toi'" mainomevnoi" oJmoivw" diakei'sqai pro;" ajllhvlou" […]
tw'n te peri; th'" tw' n pavntwn fuvs ew" merimnwv ntwn toi'" me; n dokei'n e} n mov non to; o] n ei\nai,
toi'" d a[peira to; plh'qo": kai; toi'" me;n ajei; pav nta kinei'sqai, toi'" d oujde;n a[ n pote
kinhqh'nai: kai; toi'" me; n pav nta giv gnesqai te kai; ajpovllusqai, toi'" de; ou[t a]n genevsqai
pote; oujde; n ou[te ajpolevsqai.
35 MXG 979a 13-18 kai; o{ti me;n oujk e[sti, sunqei;" (scil. Gorgiva") ta; eJtevroi" eijrhmevna, o{soi
peri; tw'n o[ntwn lev gonte" tajnantiva, wJ" dokou'sin, ajpofaivnontai auJtoi'", oiJ me;n o{ti e} n kai;
ouj pollav, oiJ de; au\ o{ti polla; kai; oujc e{n. Cf. Mansfeld 1986, 32ss. [1990b, 55ss.]
36 Cf. ad es. le obiezioni rivolte a Parmenide e Melisso in Phys. A 2-3. Aristotele rivolge una
accusa simile, ma più attenuata (debolezza mentale) ai sostenitori della stasi continua in
Phys. Q 3, 253a 32 to; me;n ou\n pant hjremei'n kai; touvtou zhtei'n lovgon ajfevnta" th;n
ai[sqhsin, ajrrwstiva tiv" ejsti dianoiv a". La stranezza dell'accusa di follia nel brano del De
generatione et corruptione viene notata anche da Hussey 2004, 250.
37 Cf. Xen. Memor. 1,1,13 supra, n. 34. Cf. ancora l'accusa del Socrate di Senofonte ad Anassa-
gora in Mem. 4,7,6. L'accusa di maniva viene utilizzata come strumento confutativo anche
nel trattato ippocratico De arte 8,2 (232,17 Jouanna = VI,12 Littré).
Capitolo terzo 121
38 Parm. 128c e[sti de; tov ge ajlhqe;" bohvqeiav ti" tau'ta ta; gravmmata tw'i Parmenivdou lovgwi
pro;" tou;" ejpiceirou'nta" aujto; n kwmwidei'n wJ " eij e{n ejsti, polla; kai; geloi'a sumbaiv nei
pavscein tw'i lov gwi kai; ej nantiv a aujtw'i. Quella di portare alle sue conseguenze paradossali
una tesi era una pratica sofistica (Arist. Soph. elench. 12, 172b 10s.) ampiamente utilizzata
nella dialettica accademica. Nelle Confutazioni sofistiche (12, 173a 6), Aristotele esemplifica
l'eij" paravdoxon a[gein con un esempio tratto dal Gorgia platonico. Cf. su questi punti Krä-
mer 1971, 45.
39 Aristotele, nel primo libro della Metafisica, cita come rappresentante di questa tesi Anassa-
gora (A 3, 984a 11-13), mentre ordina gli atomisti fra i dualisti, nel primo della Fisica, in-
vece, i sostenitori dell'infinita pluralità sono Democrito e probabilmente Anassagora (A 2,
184b 20) e all'inizio del De generatione et corruptione (A 1, 314a 17s.), in ordine: Anassagora,
Leucippo, Democrito.
40 Melisso parte dalla considerazione che tutto ciò che vediamo è molteplice e cambia. Se
tuttavia si ammette che ciò corrisponda alla verità, ma che, d'altra parte, esista una molte-
plicità di enti eterni che rimangono, si va incontro a due difficoltà principali: A. Che questo
va contro la verità dei fenomeni da cui si parte per affermare che c'è la molteplicità (com'è
possibile infatti dire che ci sono i molti perché noi vediamo che tutto cambia e poi affer-
mare nello stesso tempo che non è vero ciò che noi vediamo e che ci sono dei molti che
non cambiano?). B. Che questi enti eterni o hanno una massa, e quindi hanno parti e sono
una molteplicità soggetta alla dissoluzione come tutto il resto o, se non hanno parti, non
sono nulla perché sono incorporei (30 B 8 e B 9 DK). La priorità di Melisso o Leucippo è
ancora argomento di discussione, ma, se Melisso è il generale che ha combattuto contro
Pericle, Leucippo, contemporaneo di Anassagora, dovrebbe essere più vecchio di una ven-
tina d'anni. Questo non esclude naturalmente che egli potesse criticare un suo contempo-
raneo più giovane, ma il fatto che il nome di Melisso come rappresentante dell'uno e della
stasi emerga soprattutto negli autori di fine V-inizio IV sec. a.C. oltre che presso il Socrate
122 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
mente Melisso per gli autori di inizio IV sec. a.C. il sostenitore-tipo dell'u-
nicità dell'essere, come si può vedere dal passo dell'Elena e dallo scritto
ippocratico De natura hominis risalente a questo periodo41. In Isocrate gli
Eleati negano la realtà della molteplicità infinita posta da altri secondo uno
schema usato anche da Platone e Aristotele nell'ambito della problematica
della stasi e del movimento. Nel Teeteto "i Melissi e i Parmenidi" si oppor-
rebbero42 ai sostenitori del moto continuo ("Eraclitei" e loro predecessori)
e nel quarto libro della Fisica Melisso risponde a coloro che ammettono il
vuoto (fra i quali sono compresi anche gli atomisti) che quest'ultimo è un
non-essere43. In una problematica del movimento e della stasi o dell'uno e
del molteplice, il logos eleatico poteva comparire dunque tanto come tesi,
quanto come antitesi.
platonico, suggerisce in ogni caso che le sue dottrine hanno avuto una larga diffusione solo
in un periodo in cui Leucippo era presumibilmente già morto.
41 Nat. hom. 1 (166,9-11 Jouanna = VI,34 Littré), cf. Mansfeld 1986, 34 [1990b, 56s.]. Platone
stesso (cf. Theaet. 180e, nota seguente) menziona Melisso prima di Parmenide e Aristotele,
nel primo libro dei Topici (A 11, 104b 22), indica come sostenitore della tesi paradossale che
l'essere è uno Melisso e non Parmenide.
42 Plat. Theaet. 180e to; de; dh; provblhma a[llo ti pareilhvfamen para; me;n tw'n ajrcaivwn meta;
poihvsew" ejpikruptomev nwn tou; " pollouv", wJ" hJ gevnesi" tw' n a[llwn pavntwn Wkeanov" te
kai; Thqu;" rJeuvmata ão[ntaà tugcav nei kai; oujde; n e[ sthke ª...º ojlivgou de; ejpelaqovmhn, w\
Qeovdwre, o{ti a[lloi au\ tajnantiva touvtoi" ajp efhvnanto (cit. errata di 28 B 8,38 DK) kai;
a[lla o{sa Mevlissoiv te kai; Parmenivdai ejnantiouvmenoi pa'si touvtoi" diiscurivzontai, wJ"
e{n te pavnta ejsti; kai; e{sthken aujto; ej n auJ tw'i oujk e[con cwvr an ej n h|i kinei'tai. In questo
passo Platone traduce significativamente nel concetto più astratto di chora il vuoto di Me-
lisso (30 B 7 DK kenou' de; mh; ejovnto" oujk e[cei o{khi uJpocwrhvs ei).
43 Phys. D 6, 213b 4-14, v. infra, 4. 1. 1 n. 104.
44 Cf. anche Barnes 1986, 217s.; Curd 2004, 182 n. 7.
Capitolo terzo 123
denso e del rado, in quanto quest'ultimo è più vuoto del denso (30 B 7,6-9
DK). Nell'argomento riportato da Aristotele emergono tuttavia una impo-
stazione del problema e una terminologia che vanno ben oltre il fram-
mento di Melisso. Il vuoto è definito come "ciò che separa" (definizione
che non compare in Melisso), quindi, in seguito, equiparato alla divisione e
concepito come un sostrato della realtà: se il tutto fosse diviso in ogni
parte, esso si ridurrebbe a un tutto vuoto.
Per comprendere meglio i concetti soggiacenti a questa rielaborazione
di tesi eleatiche offerta nel logos aristotelico, è opportuno andare alla di-
scussione sul vuoto e sul luogo del quarto libro della Fisica. Aristotele
presenta qui due concezioni del vuoto: quella di Platone e dei Platonici e
quella attribuita a "Democrito, Leucippo e a molti dei fisici". I primi po-
stulerebbero un vuoto-spazio concepibile mentalmente come sostrato
"separato" di corpi e grandezze, ma nella realtà sempre pieno (la Chora del
Timeo e il vuoto come ipostasi fisica della diade indefinita dei Platonici45).
Per gli altri, invece, il vuoto esiste "in atto" e "divide l'intera massa corpo-
rea del tutto in modo che sia discontinua" o "si trova fuori della massa
corporea del tutto"46. Le definizioni del vuoto che Aristotele attribuisce
agli atomisti e ad altri fisici sono in realtà modellate su quelle pitagoriche,
come si può constatare dal seguito dell'esposizione. Egli riferisce infatti
poco dopo che nelle cosmogonie pitagoriche, l'universo respira dall'infi-
45 Phys. D 2, 209b 6-12, per il testo, v. infra, n. 59. Phys. D 7, 214a 13 diov fasivn tine" ei\nai to;
keno; n th;n tou' swvmato" u{lhn (oi{per kai; to;n tovpon to; aujto; tou'to), levgonte" ouj kalw'": hJ
me;n ga;r u{lh ouj cwristh; tw' n pragmavtwn, to; de; keno; n zhtou' sin wJ" cwristovn. Che questa
sia la concezione dei Platonici, derivata dall'interpretazione della Chora del Timeo alla luce
del secondo principio, la diade indefinita, è confermato dal commento di Simplicio In Phys.
cor. de loc., 618,16 (267 L.) pavlin de; au\ tw'n to; keno;n aujto; tiqemevnwn oiJ me;n a[peiron
ei\naiv fasi kai; uJperbavllon ajpeirivai ta; swvmata kai; dia; tou'to a[llo ejn a[lloi" eJautou'
mevresi katadecovmenon, wJ" a]n e[t ucen, ei[per mevrh levgein ejpi; tou' ajpeivrou kenou' dunatov n.
toiauvthn de; peri; aujtou' dovxan ejs chkev nai dokou'sin oiJ peri; Dhmovkriton ajrcai'oi fusio-
lovgoi. oiJ de; ijsovmetron aujto; tw'i kosmikw'i swvmati poiou'si, kai; dia; tou'to th'i me;n eJautou'
fuvsei keno; n ei\ nai lev gousi, peplhrw'sqai de; aujto; swmavtwn ajeiv, kai; movnhi ge th'i ejpi-
noivai qewrei'sqai wJ" kaq auJ to; uJfestwv", oi|oiv tine" oiJ polloi; tw'n Platonikw'n filosovfwn
gegov nasi. Cf. anche 601,17 (266 L.). Per "Platonici" sono intesi qui gli allievi diretti di
Platone, cf. la stessa denominazione in In De cael. 279b 32, 303,33 dokei' me;n pro;" Xeno-
kravthn mavlista kai; tou;" Platwnikou; " oJ lov go" teivnein. Per la concezione accademica del
vuoto come ipostasi della diade indefinita nel mondo fisico, cf. Theophr. Metaph. 6a 25
(Xenocr. Fr. 100 IP; Speus. Fr. 87 IP) tou;" ga;r ajriqmou;" gennhvsante" kai; ta; ejpivpeda kai;
ta; swvmata scedo;n ta\lla paraleivpousin plh;n o{son ejf aptovmenoi kai; tosou'ton movnon
dhlou'nte", o{ti ta; me;n ajpo; th'" ajorivstou duavdo", oi|on tovpo" kai; keno; n kai; a[peiron, ta; d
ajpo; tw' n ajriqmw' n kai; tou' eJ no;", oi|on yuch; kai; a[ll a{tta. Cf. anche Happ 1971, 111s.
46 Phys. D 6, 213a 31 ou[koun tou'to dei' deiknuvnai, o{ti ejstiv ti oJ ajhvr, ajllæ o{ti oujk e[sti
diavsthma e{teron tw' n swmav twn, ou[te cwristo;n ou[ te ej nergeivai o[n, o} dialambavnei to; pa'n
sw'ma w{s te ei\nai mh; sunecev", kaqavper lev gousin Dhmovkrito" kai; Leuvkippo" kai; e{ teroi
polloi; tw'n fusiolovgwn, h] kai; ei[ ti e[xw tou' panto; " swvmatov" ejstin o[nto" sunecou' ". Per la
traduzione, cf. Ross 1960, 582 ad loc.
124 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
nito il vuoto che entra e lo divide poiché "il vuoto è una separazione e una
delimitazione di parti contigue"47. La definizione del vuoto attribuita qui
agli atomisti non dà ragione della complessità della loro concezione, come
si vedrà in seguito48, ma, soprattutto, si basa sull'idea che esista una massa
omogenea primordiale dalla quale il cosmo si genera per divisione, tipica
dei Pitagorici. Gli atomisti in realtà partono dal principio opposto, da
corpuscoli che si muovono nel vuoto e generano per aggregazione. La
definizione "pitagorica" del vuoto come "ciò che separa" e che permette la
molteplicità sta alla base del discorso degli "Eleati" in De generatione et cor-
ruptione A 8. Secondo la prospettiva assimilante del quarto libro della Fisica,
la critica eleatica potrebbe, però, senza problemi essere rivolta anche con-
tro gli atomisti.
La seconda parte del logos eleatico è invece diretta contro presunte tesi
corpuscolariste, che, pur senza ammettere il vuoto, comporrebbero il tutto
da particelle separate, ma in contatto. La confutazione di queste tesi è
basata ancora sulla equivalenza vuoto-divisione, ma con l'aggiunta signifi-
cativa della concezione del vuoto come sostrato pensabile tipica degli
Accademici.
D'altra parte non c'è nessuna differenza fra il credere che il tutto non sia conti-
nuo, ma [fatto di parti che] si toccano rimanendo separate, e l'affermare che esi-
stono i molti, che non c'è un "uno" e che c'è il vuoto. Se infatti [il tutto] è divisi-
bile in ogni parte, non c'è un "uno", cosicché non ci sono neppure i molti, ma il
tutto è vuoto. Ammettere d'altra parte che è divisibile in un punto e non in un
altro è simile ad una spiegazione inventata ad arte; infatti fino a che punto e per-
ché una parte del tutto si trova in questa condizione ed è piena, un'altra parte in-
vece è divisa? Allo stesso modo è necessario affermare che non esiste il movi-
mento49.
L'equivalenza di vuoto e divisione, oltre che essere un concetto mutuato
dal pitagorismo, è in perfetta consonanza con la proiezione a livello fisico
del secondo principio accademico, la diade indefinita, quella che genera
divisione e molteplicità: il vuoto, sostrato pensabile del mondo sensibile,
ne è una manifestazione50 e l'infinita divisione lo farebbe emergere nella
sua attualità. L'equivalenza divisione-vuoto permette inoltre di porre sullo
47 Arist. Phys. D 6, 213b 22-27 (58 B 30 DK) ei\nai d e[f asan kai; oiJ Puqagovreioi kenovn, kai;
ejpeisievnai auj tw'i tw'i oujranw'i ej k tou' ajpeivrou †pneuv mato"† wJ " aj napnevo nti kai; to; kenovn,
o} diorivzei ta;" fuvsei", wJ" o[ nto" tou' kenou' cwrismou' tino" tw'n ejfexh'" kai; [th'"] dio-
rivsew". Sul problema testuale e i vari emendamenti, cf. Burkert 1972, 35 n. 35. Cf. inoltre
Arist. Phys. G 4, 203a 10ss.; Fr. 201 Rose.
48 V. infra, 4. 2. 2 e VII 2.
49 Per il testo greco, v. supra, n. 31.
50 V. supra, n. 45.
Capitolo terzo 125
51 Una unificazione fra atomismo e presunto corpuscolarismo in senso inverso, dove il vuoto
degli atomisti viene equiparato ad una divisione e quindi, di fatto, privato della sua fisicità si
trova ancora in un brano della Fisica sulla definizione di infinito: per Democrito e Anassa-
gora sarebbe "continuo per contatto", Phys. G 4, 203a 16 (68 A 41 DK; 145, 220, 237 L.)
o{soi dæ a[peira poiou'si ta; stoicei'a, kaqavper Anaxagovra" kai; Dhmovkrito", oJ me; n ejk tw'n
oJmoiomerw'n, oJ dæ ejk th' " panspermiva" tw'n schmavtwn, th'i aJfh'i sunece;" to; a[peiron ei\nai
fasivn. Schofield 1980, 47 ha notato questa strana assimilazione senza tuttavia fermarsi ul-
teriormente sul problema.
52 Sulle ascendenze accademiche di una tale interpretazione che emerge anche in altri scritti
aristotelici, cf. Gemelli Marciano 1991a. Cf. in particolare l'assimilazione dell'atomismo ad
un presunto corpuscolarismo empedocleo che postula corpuscoli indivisi anche se ulte-
riormente divisibili in De cael. G 6, 305a 1-6, supra, II 4. 1 n. 56.
53 Furley 1967, 80, che fa risalire a Zenone l'argomento dell'infinita divisione, trova infatti
strana l'equivalenza, non zenoniana, di "tutto diviso" e "tutto vuoto". Questo punto è in-
vece trascurato da Makin 1993, 27s. e Lewis 1998, 15ss. che, come Furley, attribuiscono
l'argomentazione a Zenone.
54 Mel. 30 B 10 DK. eij ga;r dihvirhtai, fhsiv, to; ejovn, kinei'tai: kinouvmenon de; oujk a]n ei[h.
55 MXG 980a 3-9 w{ste eij pavnthi kinei'tai, pavnthi dihvirhtai. eij dæ ou{tw", pavnta oujk e[stin.
ejklipe;" ga;r tauv thi, fhsivn, h|i dihvirhtai, tou' o[nto", ajnti; tou' kenou' to; dihirh'sqai levgwn,
kaqavper ej n toi'" Leukivppou kaloumev noi" lovgoi" gev graptai. Questo significa che Gorgia
evidentemente non impiegava il termine "vuoto" e che l'autore del trattatello si basa per la
sua deduzione su una equivalenza fra vuoto e divione presente in un "discorso-tipo" messo
in bocca a Leucippo (nei cosiddetti logoi di Leucippo). V. supra, 2. 1, n. 17.
56 Parm. 165a-b prov te th'" ajrch'" a[llh ajei; faivnetai ajrchv, metav te th;n teleuth;n eJtevr a
uJpoleipomevnh teleuthv, e[n te tw'i mevswi a[lla mesaivtera tou' mevsou, smikrovtera dev, dia;
to; mh; duv nasqai eJ no;" aujtw' n eJ kavs tou lambav nesqai, a{ te oujk o[ nto" tou' eJ nov".
126 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
ejsti;n e{n, a{panta oujdevn ejstin, w{ste oujd a]n polla; ei[h57. Nel brano
aristotelico quest'ultimo assunto è riprodotto quasi letteralmente: eij me;n
ga;r pavnthi diairetovn, oujde;n ei\nai e{n, w{ste oujde; pollav, ajlla; keno;n to;
o{lon. L'oujdevn platonico è sostituito dal vuoto, ipostasi fisica della diade
indefinita. Il tutto vuoto è infatti concepibile se si considera il vuoto un
sostrato spaziale pensabile delle grandezze, nella realtà sempre occupato.
Come già accennato, Aristotele esemplifica questo assunto nel quarto libro
della Fisica proprio parlando della concezione accademica del "luogo" che
equivarrebbe, secondo lui, al "vuoto"
In quanto sembra essere l'intervallo della grandezza, il luogo è materia/ sostrato58:
questo è infatti altro dalla grandezza, cioè è lo spazio occupato e delimitato dalla
forma, ad esempio da una superficie e da un limite. E questo è la materia/ il so-
strato e l'indefinito. Se si sottraggono la superficie delimitante e le proprietà della
sfera, non rimane nulla al di là della materia/ del sostrato. Perciò Platone nel Ti-
meo dice che la materia e lo spazio sono la stessa cosa…59
L'equivalenza fra tutto-diviso e tutto-vuoto di cui gli "Eleati" di Aristotele
si servono per criticare dottrine che ammettono una infinita serie di parti
che si toccano ha dunque le sue radici nelle concezioni accademiche del
vuoto come manifestazione fisica della diade indefinita.
Si può dunque concludere che il logos eleatico riportato da Aristotele
presenta tracce della rielaborazione accademica di uno schema sofistico di
opposizione degli Eleati (in particolare di Melisso) ai pluralisti. Il logos
prendeva di mira sia atomisti che presunti corpuscolaristi accusandoli di
introdurre il non essere, ridurre tutto a vuoto o postulare un arbitrario
arresto della divisione in un tutto omogeneo e dimostrava che costoro,
avendo ricercato dei principi corporei, erano criticabili dal punto di vista
eleatico, in quanto, in mancanza di ulteriori fondamenti logici e ontologici,
non spiegavano perché un essere omogeneo (corporeo) potesse essere da
una parte diviso e dall'altra no. Solo attraverso la ricerca di principi incor-
porei e la definizione di categorie logiche universali, anche la molteplicità
del mondo fisico poteva essere spiegata in modo soddisfacente.
57 Parm. 165e.
58 Lascio qui espressa la doppia valenza del termine perché la sola accezione "materia" po-
trebbe dare adito a fraintendimenti. Sul significato di "materia" in questo passo cf. Happ
1971, 129; Algra 1995, 114s.
59 Cf. Phys. D 2, 209b 6-12 h|i de; dokei' oJ tovpo" ei\nai to; diavsthma tou' megeqou", hJ u{lh: tou'to
ga;r e{teron tou' megevqou", tou'to dæ ejsti; to; periecovmenon uJpo; tou' ei[dou" kai; wJrismevnon,
oi|on uJpo; ejpipevdou kai; pevr ato", e[sti de; toiou'ton hJ u{lh kai; to; ajovriston: o{tan ga;r ajf ai-
reqh'i to; pevra" kai; ta; pavqh th'" sfaivra", leivpetai oujde;n para; th;n u{lhn. dio; kai; Plavtwn
th;n u{lhn kai; th; n cwvr an taujtov fhsin ei\nai ej n tw'i Timaivwi.
Capitolo terzo 127
60 Riguardo all'interpretazione degli indivisibili senocratei esiste una certa confusione nelle
fonti antiche. Se la tendenza dei neoplatonici è quella di trasporre l'indivisibilità della linea
nell'ambito delle forme intellegibili, il trattato pseudo-aristotelico De lineis insecabilibus pre-
senta invece un allargamento degli indivisibili anche a tutte le grandezze matematiche e ai
corpi postulando degli indivisibili ad ogni livello dell'essere come "misure" e ipostasi del-
l'uno. Cf. Krämer 1971, 356-362; 1983, 55; Heinze 1892, 62s.; Isnardi Parente 1974, 966ss.
con una esauriente bibliografia sull'argomento.
61 Di un logos sulla dicotomia parlano sia Aristotele (Phys. A 3, 187a 1-3, v. infra, 3. 2) che i
commentatori, ma Aristotele non sembra riferirsi a nessuno dei logoi di Zenone fra quelli
riportati da Simplicio. In Phys. Z 9, 239b 11-14 (29 A 25 DK) sembra identificarlo con il
primo argomento contro il movimento secondo cui un mobile che si muove lungo una li-
nea, prima di arrivare ad un dato punto, deve sempre percorrere la metà del segmento di
cui quel punto è l'estremo. Simplicio (In Phys. 187a 1, 140,27-141,8) invece, parlando del-
l'argomento della dicotomia, riferisce i frammenti 59 B 1 e B 3 DK che illustrano il pro-
cesso all'infinito nell'individuazione delle parti del tutto. A questo argomento si riferiscono
per lo più gli interpreti moderni, cfr. Ross 1936, 479s.; Furley 1967, 63-69; Baldes 1972,
30).
62 Aristotele stesso, quando nel terzo libro della Fisica ribadisce l'infinita divisibilità delle
grandezze, cita come esempio-tipo di soluzione atomista, le linee indivisibili e non gli atomi
di Democrito Phys. G 6, 206a 16-18 to; de; mevgeqo" o{ti me;n kat ejnevr geian oujk e[stin
a[peiron, ei[rhtai, diairevs ei d ejstiv n: ouj ga;r calepo;n aj nelei' n ta;" ajtovmou" grammav".
128 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
63 Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 139,24) (Xenocr. Fr. 139 IP) oJ mevntoi Por-
fuvrio" kai; to;n ejk th'" dicotomiva" lovgon Parmenivdou fhsi;n ei\nai e} n to; o]n ejk tauv th"
peirwmevnou deiknuv nai. gravfei de; ou{tw": Æe{tero" de; h\ n lovgo" tw'i Parmenivdhi oJ dia; th'"
dicotomiva" oijovmeno" deiknuvnai to; o]n e} n ei\nai movnon kai; tou'to ajmere; " kai; ajdiaivreton. eij
ga;r ei[h, fhsiv, diairetovn, tetmhvsqw divca, ka[peita tw' n merw' n eJkavteron divca, kai; touvtou
ajei; genomev nou dh'lovn fhsin, wJ" h[ toi uJpomenei' tina; e[scata megevqh ejl av cista kai; a[toma,
plhvqei de; a[peira, kai; to; o{lon ejx ejlacivstwn, plhvqei de; ajpeivrwn susthv setai: h] frou'don
e[stai kai; eij" oujqe; n e[ ti dialuqhvsetai, kai; ejk tou' mhdeno;" susthvs etai: a{per a[ topa. oujk
a[ra diaireqhvsetai, ajlla; menei' e{n. kai; ga;r dh; ejpei; pavnthi o{moiovn ejstin, ei[per diaireto;n
uJpavrcei, pavnthi oJ moivw" e[ stai diairetovn, ajll ouj th'i me; n th'i de; ou[. dihirhvsqw dh; pav nthi:
dh'lon ou\n pavlin wJ" oujde;n uJpomenei', ajll e[stai frou'don, kai; ei[per susthvsetai, pavlin ejk
tou' mhdeno;" susthvsetai. eij ga;r uJpomenei' ti, oujdev pw genhvsetai pav nthi dihirhmevnon.
w{ste kai; ej k touv twn fanerov n fhsin, wJ " ajdiaivretovn te kai; ajmere; " kai; e} n e[stai to; o[n.
Capitolo terzo 129
64 Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 140,5) (Xenocr. Fr. 139 IP) oiJ de; peri; to;n
Xenokravthn th; n me;n prwvthn ajkolouqivan uJp ei'nai sunecwvroun, toutevstin o{ti eij e{n ejsti to;
o]n kai; ajdiaivreton e[stai, ouj mh;n ajdiaivreton ei\nai to; o[n. dio; pavlin mhde; e} n movnon
uJpavrcein to; o[n, ajlla; pleivw. diaireto;n mev ntoi mh; ejp a[peiron ei\nai, ajll eij" a[tomav tina
katalhvgein. tau'ta mevntoi mh; a[toma ei\nai wJ" ajmerh' kai; ejlavcista, aj lla; kata; me; n to;
poso;n kai; th; n u{lhn tmhta; kai; mevrh e[conta, tw'i de; ei[dei a[toma kai; prw' ta, prwvta" tina;"
uJpoqevmeno" ei\nai gramma; " aj tovmou" kai; ta; ejk touvtwn ejpivpeda kai; sterea; prw'ta. th;n ou\n
ejk th'" dicotomiva" kai; aJplw'" th' " ejp a[p eiron tomh'" kai; diairevsew" uJp antw'san ajporivan oJ
Xenokravth" oi[etai dialuvesqai ta; " ajtovmou" eijsagagw;n gramma; " kai; aJ plw'" a[toma poi-
hvsa" megevqh, feuvgwn to; ãto;Ã o] n ei[per ejs ti; diaireto;n eij " to; mh; o]n dialuqh'nai kai;
ajnalwqh'nai tw'n aj tovmwn grammw' n ejx w| n uJfivstatai ta; o[ nta menousw' n ajtmhvtwn kai; ajdiai-
revtwnÆ.
130 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
65 Alex. ap. Simpl. In Phys. 187a 1, 138,10 (Xenocr. Fr. 138 IP) touvtwi de; tw'i lovgwi, fhsiv, tw'i
peri; th'" dicotomiva" ej ndou' nai Xenokravth to; n Kalchdovnion dexavmenon me; n to; pa'n to;
diaireto;n polla; ei\nai (to; ga;r mevro" e{teron ei\nai tou' o{lou) kai; to; mh; duvnasqai taujto; n
e{n te a{ ma kai; polla; ei\ nai dia; to; mh; sunalhqeuvesqai th; n ajntivf asin, mhkevti de;
sugcwrei'n pa' n mevgeqo" diaireto;n ei\nai kai; mevro" e[cein: ei\nai gavr tina" ajtovmou" gram-
mav", ejf w|n ouj kevti ajlhqeuvesqai to; polla;" tauvta" ei\nai. ou{tw" ga;r w[ieto th;n tou' eJno; "
euJrivskein fuvsin kai; feuvgein th; n aj ntivfasin dia; tou' mhvte to; diaireto; n e} n ei\nai ajlla; pol-
lav, mhvte ta;" aj tovmou" gramma;" polla; ajll e}n movnon.
66 Il valore fondamentale per il pensiero senocrateo della distinzione logica fra tutto e parte,
estesa a diversi ambiti, è stato messo in luce da Pines 1961, 5ss.
Capitolo terzo 131
67 Philop. In De gen. et corr. 325a 6, 157,12ss. oJ de; ajlhqh;" lovgo" e[cei o{ti kai; kenou' mh; o[nto"
oujde;n kwluv ei kai; diaivresin ei\ nai kai; kivnhsin, tw' n pragmavtwn dihirhmevnwn me; n aJpto-
mevnwn de; ajllhvlwn kai; kenw'i mh; dieirgomev nwn, tou'to aj nairw'n oJ Parmenivdh" fhsi;n o{ti to;
ou{tw" uJpotivqesqai oujd e;n diafevr ei tou' a[toma kai; keno;n eijsfevrein. povteron gavr, fhsiv, to;
o]n pav nthi ejsti; diaireto;n h] ou[ … eij me;n ga;r pavnthi ejsti; diairetovn, ouj movnon polla; oujk
e[stai ta; prav gmata, ajll oujde; e{ n (diaireqe; n ga;r pav nthi oujde; n e[s tai loipovn, ajlla; movnon
kenov n), eij de; mh; pav nthi diairetovn, peplasmev nwi to; toiou'ton e[oiken: dia; tiv ga;r ph'i mev n
ejsti diaireto;n ph'i d ou[… ou{tw de; kai; hJ tw'n aj tovmwn eijskwmavs ei dovxa, h|itini e{petai kai;
to; keno;n ei\nai.
68 Soph. 237a pezh'i te w|de eJkavstote levgwn kai; meta; mevtrwn.
69 Simpl. In Phys. 184b 15, 31,3 kai; dh; kai; katalogavdhn metaxu; tw'n ejp w'n ejmfevr etaiv ti
rJhseivdion wJ" auj tou' Parmenivdou e[con ou{ tw"...
70 Diog. Laert. 9,23 (30 A 1 DK) kai; prw'ton (scil. to;n Parmenivdhn) ejrwth'sai to;n Acilleva
lovgon, wJ " Fabwri'no" ej n Pantodaph'i iJstorivai. Cf. anche Diog. Laert. 9,29 (29 A 1 DK).
71 Egli aveva attinto ad opere di medioplatonici quali Dercillide che avevano letto diretta-
mente scritti degli allievi di Platone quali Ermodoro. Cf. Porph. 146 F Smith (Simpl. In
Phys. 192a 3, 247,30ss.; Hermod. Fr. 7 IP).
72 Simpl. In Phys., 202b 36, 453,27-454,14 (Porph. 174 F Smith) kai; to; mevga de; kai; to; mikro;n
tiqei;" a[p eiron ei\ nai e[legen ej n toi'" Peri; taj gaqou' lovgoi", oi|" Aristotevlh" kai; ÔHra-
kleivdh" kai; ÔEstiai'o" kai; a[lloi tou' Plavtwno" eJtai'roi paragenov menoi ajnegravyanto ta;
rJhqevnta aijnigmatwdw'", wJ " ejrrhvqh, Porfuvrio" de; diarqrou'n aujta; ejpaggellovmeno" tavde
132 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
peri; auj tou' gev grafen ej n tw'i Filhvbwi: ª...º tau'ta oJ Porfuvrio" ei\pen aujth'i scedo; n th'i
levxei, diarqrou'n ejpaggeilavmeno" ta; ej n th'i Peri; taj gaqou' sunousiv ai aijnigmatwdw' "
rJhqevnta.
73 Cf. anche Fedele 1999, 11s.
74 Arist. Soph. El. 33, 182b 22 ta; de; kai; tou;" ejmpeirotavtou" faivnetai lanqavnein (shmei'on de;
tou'tou o{ti mav contai pollavki" peri; tw'n ojnomavtwn, oi|on povteron taujto; shmaivnei kata;
pavntwn to; o]n kai; to; e{n, h] e{teron: toi'" me; n ga;r dokei' taujto; shmaivnein to; o]n kai; to; e{ n, oiJ
de; to;n Zhvnwno" lovgon kai; Parmenivdou luvousi dia; to; pollacw' " fav nai to; e}n levgesqai kai;
to; o[n). Sull'ambiente accademico in cui queste distinzioni vengono fatte Krämer 1971, 18
n. 69; Ryle 1968, 74.
75 Makin 1993, 24ss. attribuisce il logos tout-court a Zenone senza prendere in considerazione
né il contesto (che rimanda alla soluzione di Senocrate e comporta quindi la possibilità che
il logos sia stato rimaneggiato), né il fatto che la prima parte di questo passo contiene una
critica all'atomismo. Senocrate aveva del resto scritto un'opera Sulle dottrine di Parmenide (Fr.
1 IP Peri; tw'n Parmenivdou aæ). Sull'origine accademica del logos della dicotomia in generale
e sulle sue varie interpretazioni fino a Simplicio, cf. Fedele 1999.
Capitolo terzo 133
76 Phys. A 3,187a 1 e[nioi d ejnevdosan toi'" lovgoi" ajmfotevroi", tw'i me;n o{ti pavnta e{n, eij to; o]n
e}n shmaiv nei, o{ti e[sti to; mh; o[ n, tw'i d ejk th'" dicotomiva", a[ toma poihvsante" megevqh.
77 Alessandro (ap. Simpl. In Phys. ad loc., 134,21ss.) lo presuppone implicitamente; il Filo-
pono, richiamandosi ad Alessandro stesso e a Temistio, vi accenna esplicitamente (In Phys.
ad loc., 81,25-29 tau'ta dev fasin aujto;n aijnivttesqai eij" Plavtwna kai; oJ Alevxandro" kai; oJ
Qemivstio": uJpotiqevmeno" ga;r oJ Plavtwn, fasivn, ejn tw'i Sofisth'i ei\nai to; kaqovlou mh; o[n,
o{per th;n tou' o[nto" fuvsin ejkpevf eugen, aj nhvirei to; ta; pav nta e}n ei\nai levgwn ou{tw": æeij to;
o]n pa'n e{ n ejstin, oujk e[stai to; mh; o[n: ajlla; mh;n e[sti to; mh; o[n: oujk a[ra to; o]n pa' n e{ n ejstiæ.
Cf. Themist. In Phys. ad loc., 12,6-17; Simpl. In Phys. ad loc., 134,14ss. Solo Porfirio, che ri-
ferisce la dottrina platonica in termini aristotelici di forma e materia, si distanzia da quella
degli altri commentatori basandosi, invece che sul Sofista, sul Timeo e identifica il non essere
134 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
di Platone con la materia prima a[morfon kai; ajneivdeon, secondo principio metafisico (134
F Smith) (Simpl. In Phys. ad loc., 135,1-5 fhsi; de; oJ Porfuvrio" to;n Plavtwna kai; to; mh; o]n
levgein ei\nai, ou{tw" mev ntoi ei\nai wJ" mh; o[n. to; me;n ga;r o[ntw" o]n ajpefhvnato ei\nai th; n
ijdevan kai; tauvthn o[ntw" ei\nai oujsivan, th; n de; ajnwtavtw prwvthn a[ morfon kai; ajneivdeon
u{lhn ejx h|" ta; pavnta ejsti; n ei\nai mevn, mhde;n de; ei\ nai tw'n o[ ntwn. auj th; ga; r ejf eJauth' " ejpi-
nooumevnh dunav mei me; n pavnta ejstiv n, ejnergeivai de; oujd e;n. Per l'allusione al Timeo, cf. Ibid.
135,9).
78 Alex. ap. Simpl. In Phys. ad loc., 138,10 (Xenocr. Fr. 138 IP). Per il testo, v. supra, n. 65. Cf.
Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. ad loc., 140,6-18) (Xenocr. Fr. 139 IP); Themist. In
Phys. ad loc., 12,6-17 (Xenocr. Fr. 140 IP); Philop. In Phys. ad loc., 83,19-22 (Xenocr. Fr.
141 IP); Schol. In Arist. Phys. 334a 36ss. Brandis (Xenocr. Fr. 144 IP); Simpl. In Phys. ad loc.
142,16-27 (Xenocr. Fr. 145 IP).
79 Parm. 28 B 7,1-2 DK. Per il problema testuale costituito dalla lettura non metrica v. infra,
n. 84.
80 Soph. 258d hJmei'" dev ge ouj movnon ta; mh; o[nta wJ" e[stin ajp edeivxamen, ajlla; kai; to; ei\do" o}
tugcav nei o]n tou' mh; o[nto" ajpefhnav meqa: th; n ga;r qatevrou fuvsin ajpodeiv xante" ou\sav n te
kai; katakekermatismevnhn ejpi; pavnta ta; o[nta pro;" a[llhla, to; pro;" to; o]n e{kaston movrion
aujth' " ajntitiqevmenon ejtolmhvs amen eijpei'n wJ " auj to; tou' tov ejstin o[ ntw" to; mh; o]n.
81 Cf. Phys. A 8,191a 24-32 e b 31-33 dove il verbo ejktrevpein viene impiegato per indicare la
maniera fuorviante degli "antichi" di porre il problema dell'esistenza del non essere unica-
mente in antitesi all'essere. Si tratta di una obiezione che Aristotele mantiene, nella so-
stanza, anche contro gli Accademici.
82 La ragione dell'accusa di Aristotele di usare un sistema antiquato di porre i problemi, sta
anche nello schema topico dell'argomentazione dell'esistenza del non essere in quanto non
essere, tipico di una certa dialettica sofistica. Altrove Aristotele lo ritiene infatti un proce-
dimento eristico generatore di un sillogismo apparente (Rhet. B 24, 1402a 3-6 e[ti w{sper ejn
toi'" ejristikoi'" para; to; aJplw'" kai; mh; aJplw'", ajlla; tiv, givgnetai fainov meno" sullogismov",
oi|on ejn me;n toi'" dialektikoi'" o{ti ej sti; to; mh; o]n o[n, e[sti ga;r to; mh; o]n mh; o[ n...).
Capitolo terzo 135
loro che tutte le cose esistenti fossero uno, l'uno in sé, se non si fosse risolto e
confutato il logos di Parmenide "che infatti mai in nessun modo si verifichi questo,
che le cose che non sono siano", ma sembrò necessario dimostrare che il non es-
sere è; così infatti, dall'essere e da un "qualcos'altro" deriverebbero le cose esi-
stenti se sono molte"83.
Il passo di Parmenide proposto come aporia da risolvere è esattamente
quello citato da Platone nel Sofista, di cui mantiene persino la lettura non
metrica84. Evidentemente costituiva, dopo Platone, un modello-tipo di
aporia eleatica sul non essere proposto alla discussione nell'Accademia.
Non si tratta tuttavia di una semplice riproduzione dell'argomentazione
logico-dialettica del Sofista, ma della sua trasposizione al piano dei principi,
uno e diade indefinita. Un passo della Fisica insiste sullo stesso tema: gli
Accademici avrebbero concordato con Parmenide che la genesi deve deri-
vare dal non essere. Per risolvere il paradosso, avrebbero però attribuito a
questa natura, grande e piccolo o diade indefinita che dir si voglia, un
carattere di esistenza in assoluto senza distinguere i significati di non es-
sere assoluto e relativo come invece ha fatto Aristotele85. L'aspetto più
interessante del passo della Fisica per il tema qui trattato è la formulazione
della presunta risposta accademica al problema posto dagli Eleati: essi
"concordano" con Parmenide che, per giustificare la generazione, è neces-
sario ammettere l'esistenza del non essere. Si tratta dello stesso modo
arcaico di porre i problemi (ajporh'sai ajrcaiücw'") che Aristotele rimpro-
vera anche altrove in modo più o meno esplicito agli Accademici86.
83 Metaph. N 2, 1088b 35-1089a 6 polla; me;n ou\n ta; ai[tia th'" ejpi; tauvta" ta;" aijtiva" ejktro-
ph'", mavlista de; to; ajporh's ai ajrcaiükw'". e[doxe ga;r aujtoi'" pavnt e[sesqai e}n ta; o[ nta, aujto;
to; o[n, eij mhv ti" luvsei kai; oJmovse badiei'tai tw'i Parmenivdou lovgwi Æouj ga;r mhvpote tou't
oujdamh'i, ei\ nai mh; ejovntaÆ, ajll aj nav gkh ei\ nai to; mh; o]n dei'xai o{ti e[stin: ou{tw gavr, ejk tou'
o[nto" kai; a[llou tinov ", ta; o[nta e[sesqai, eij pollav ejstin.
84 La lezione tou'to damh' di E e J, accettata sia in Diels-Kranz 1952 per il Fr. 28 B 7,1 DK di
Parmenide, sia nell'edizione della Metafisica dello Jaeger, costituisce solo una correzione
tarda dell'evidente errore metrico tou't oujdamh'i riportato invece tale e quale in Ab (un co-
dice che risale ad una edizione papiracea per lo meno del I sec. d.C., cf. Jaeger 1957, IX-X).
Fra i codici di Simplicio, che cita tre volte il frammento nel commento alla Fisica (187a 1,
135,21; 143,31; 191b 35, 244,1), solo quello più dotto, E, riporta tou'to damh'i costante-
mente, una evidente correzione a posteriori di una metrica zoppicante da parte di un copi-
sta colto. Il codice D, inferiore ad E, ma ancora relativamente buono, oscilla: in 135,21 e
244,1 porta tou'to mhdamh'i, in 143,31 concorda con E. Il codice F, invece, il meno dotto,
presenta una lacuna in 135,21, tou'tou oujdamh; in 143,31 e tou't oujdamh'i in 244,1. Eviden-
temente non vede il problema metrico e riproduce fedelmente il testo che ha davanti. Ross
1924, ad loc., accetta la lezione tou'to damh'i dell'edizione dielsiana di Simplicio senza far
parola di questa oscillazione nei codici.
85 A 9, 191b 36 prw'ton me; n ga;r oJmologou'sin aJplw' " giv nesqai ejk mh; o[ nto", h|i Parmenivdh"
ojrqw'" lev gein. Aristotele rimprovera agli Accademici di non aver distinto non essere per
accidente (materia) e non essere assoluto (privazione).
86 Sull'ajporh's ai ajrcaikw'", cf. Merlan 1967, 120 il quale, però, non menziona questo passo
della Fisica.
136 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
87 Sedley, che ringrazio per avermi gentilmente messo a disposizione un suo articolo in corso
di stampa (Atomism's Eleatic Roots, in Curd-Graham), è anch'egli incline, per motivi di-
versi da quelli ora esposti, a vedere nel passo aristotelico una allusione agli Accademici e in
particolare a Senocrate.
88 Sintomatico a questo proposito è il commento al passo di Ross, 1936, 480s., che rispecchia
perfettamente questo tipo di ragionamento fondato essenzialmente su una valutazione uni-
direzionale delle testimonianze aristoteliche. Dopo aver affermato che tutto sembrerebbe
alludere a Platone e alla sua scuola sulla base del confronto con Metaph. N 2, 1089a 1ss. e i
commenti dei commentatori antichi che riferiscono l'allusione aristotelica a Platone e Se-
nocrate, Ross nota che Simplicio avanza delle riserve per quanto riguarda il riferimento a
Platone in quanto quest'ultimo non avrebbe assunto un semplice non essere, ma un non
essere qualcosa (In Phys. ad loc., 137,7-20). Da questa obiezione, che egli considera valida,
Ross parte per cercare un'alternativa e la trova nell'allusione agli atomisti fondandosi su De
gen. et corr. A 2. Ora, la critica di Simplicio (anche se centra il punto debole dell'interpreta-
zione aristotelica di Platone) è, come sempre, tesa alla difesa di Platone stesso e dunque
non può costituire l'unico elemento per rigettare delle testimonianze evidenti. In secondo
luogo, se così fosse, non si spiega come mai, lo stesso Ross non citi anche 191b 35ss. dove
compare la stessa formulazione del problema e che, secondo il suo stesso commento (ad
loc., 497), è un chiaro riferimento a Platone e all'Accademia, riferimento che Simplicio
ugualmente rigetta, contro tutti gli altri esegeti, sulla base delle stesse argomentazioni ad-
dotte per il brano precedente (Simpl. In Phys. 191b 35, 242,22ss.). Il ragionamento di Ross è
seguito evidentemente anche da Barnes 1986, 354 e 619 n. 26, il quale afferma che solo gli
atomisti avrebbero sostenuto ambedue le tesi cui Aristotele si riferisce. Tuttavia, quando
Aristotele allude alle dottrine accademiche, spesso considera in blocco determinate pro-
blematiche senza differenziare un autore dall'altro. Inoltre, come si è visto nei brani della
Metafisica e della Fisica esaminati sopra, attribuisce la ammissione del non essere (la diade
indefinita) a seguito dell'aporia eleatica principalmente agli Accademici.
89 Per l'attribuzione agli atomisti Burnet 1930, 173; Ross 1936, ad loc. 479-81; Cherniss 1962,
75 n. 303; Hirsch 1953, 66; Furley 1967, 81; Kirk-Raven-Schofield 1983, 409; Baldes 1972,
45 non si pone neppure il problema di una diversa esegesi; Barnes 1982, 354; secondo
Krämer 1971, 260 con bibliografia in n. 103, sarebbero sottintese ambedue le scuole. Per
l'attribuzione a Platone e ai Platonici, Nicol 1936, 120s.; Isnardi Parente 1982, 356.
Capitolo terzo 137
90 L'argomentazione dell'errore dei commentatori è il modo più sbrigativo per eliminare una
importante controprova. A Ross aveva già risposto Nicol 1936, 121 n. 1, facendo notare
che Aristotele, nel passo di Metaph. N 2 citato più sopra, si riferisce a Platone e non agli
atomisti. Furley 1967, 81s., che riprende il tema dell'errore dei commentatori, accenna a
questo passo come possibile supporto per la loro tesi, ma afferma comunque, senza ulte-
riori argomentazioni, che è più probabile che Aristotele pensi agli atomisti portando come
unica prova il brano del De generatione et corruptione A 2.
91 Aristotele impiega anche altrove questo procedimento di assimilazione di dottrine
presocratiche ed accademiche allo scopo di dimostrare che Platone e i suoi allievi hanno
riprodotto un modo di pensare antiquato, con l'aggravante di non accordare i loro principi
coi fenomeni. Un passo significativo a questo proposito è quello del primo libro della Me-
tafisica, in cui espone (considerandosi ancora un accademico e usando la prima persona plu-
rale "noi") l'interpretazione accademica di Anassagora. Anassagora, pur non avendolo
espresso chiaramente, avrebbe assunto due principi, l'uno (il nous), e l'"altro" (l'infinito).
Egli avrebbe dunque detto le stesse cose degli Accademici, ma col vantaggio di accordare
maggiormente coi fenomeni le sue teorie, Metaph. A 8, 989a 30-b 21 (59 A 61 DK)
Anaxagovr an d ei[ ti" uJpolav boi duvo levgein stoicei' a, mavlist a] n uJpolav boi kata; lovgon, o} n
ejkei'no" aujto; " me;n ouj dihvrqrwsen, hjkolouvqhse ment a]n ejx aj nav gkh" toi'" ejp avgousin
aujtov n ª...º ejk dh; touvtwn sumbaiv nei levgein aujtw'i ta; " ajrca; " tov te e} n (tou'to ga;r aJplou' n
kai; aj mige; ") kai; qavteron, oi|on tivqemen to; ajovriston pri;n oJrisqh'nai kai; metascei'n ei[dou"
tinov", w{ste levgei me; n ou[t ojrqw'" ou[te safw'", bouvletai mev ntoi ti paraplhvsion toi'" te
u{steron levgousi kai; toi'" [nu' n] fainomevnoi" ma'llon ãajkolouqei'Ã ). Platone aveva criticato
Anassagora per essere partito da principi giusti, ma per non averli poi in pratica applicati
138 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
(Phaed. 97c). Aristotele riprende una interpretazione accademica, per dimostrare invece im-
plicitamente che gli Accademici hanno riprodotto lo stesso modo di affrontare i problemi
con lo svantaggio di non accordare le loro teorie coi fenomeni.
92 Seguo qui il testo tradizionale e la punteggiatura del passo di Joachim e Diels (oJmologhvsa"
de; tau'ta me;n toi'" fainomev noi", toi'" de; to; e} n kataskeuavzousin wJ" ouj k a] n kivnhsin ou\ san
a[neu kenou', tov te keno; n mh; o] n kai; tou' o[ nto" oujqe; n mh; o[ n fhsin ei\nai: to; ga;r kurivw" o] n
pamplh're" o[ n ajllæ ei\ nai to; toiou'ton oujc e{ n, ajllæ a[peira to; plh'qo" v. nota seguente) per-
fettamente giustificabile alla luce della terminologia e del carattere dialettico del logos. La
proposta di una nuova lettura da parte di Rashed 2001, 323-25 (cf. anche 2005, 39 e 139 n.
ad loc.), seguito da Hussey 2004, 263s. non tiene conto né del senso generale del brano, né
dello stile aristotelico. Le ricerche di Rashed sulla tradizione testuale del De generatione et cor-
ruptione, per quanto estremamente documentate e importanti per il testo in generale, non
aggiungono in realtà su questo punto nulla di sorprendentemente nuovo. L'esistenza di
queste varianti era già ben documentata nell'apparato critico di Joachim e non è in sé parti-
colarmente rilevante. La tradizione manoscritta da sola non giustifica la scelta dell'una o
dell'altra, tanto è vero che Rashed stesso si basa abbondantemente su presupposti e inter-
pretazioni personali (cf. 2001, 324). Il testo offerto da Rashed è il seguente oJmologhvsa" ª...º
toi'" de; to; e} n kataskeuav zousin wJ" ou[t a] n kivnhsin ou\s an a[ neu kenou', tov te keno;n mh; o]n
kai; tou' o[ nto" oujq e;n mh; o[n, fhsin ei\ nai to; kurivw" e} n pamplh're" o[n (2001, 324 pam-
plh're"): ajll ei\nai to[ toiou'ton oujk e{n ... Hussey dà un testo che si discosta in parte da
questo (oJmologhvs a" ª...º toi'" de; to; e}n kataskeuavzousin wJ" oujk a]n kivnhsin ou\s an a[neu
kenou', tov te keno; n mh; o] n kai; tou' o[nto" oujqe; n mh; o[ n, fhsin ei\ nai to; kurivw" o]n pamplh're"
o]n: ajll ei\nai to; toiou'ton oujk e{ n. Un ou[te, da lui citato al posto di oujk, nella sua spiega-
zione del testo, non compare invece all'interno di quest'ultimo). La versione di Rashed è
estremamente problematica per il senso e per lo stile. A differenza di quanto afferma
Rashed, che fa dipendere, senza ulteriori argomentazioni, tutte le proposizioni da wJ" a
oujqe;n mh; o[n da oJmolovghsa", la costruzione tov te keno;n mh; o]n kai; tou' o[ nto" oujqe; n mh; o[n è
sintatticamente perfetta (te ... kai; retto da fhsin ei\nai) e coerente, anche dal punto di vista
dello schema dialettico, con una presunta risposta di Leucippo agli Eleati. Il fatto che il
vuoto sia non essere (e come tale esista) e che l'essere sia il tutto pieno e molteplice è, se-
condo le regole della discussione dialettica, la nuova riformulazione del problema da parte
di Leucippo che dopo aver concordato con una premessa degli Eleati (che non c'è movi-
mento senza il vuoto), ridefinisce le altre premesse (la concezione di essere e di non essere)
facendo le necessarie distinzioni. In questo contesto oujk, riportato da E e M, è perfetta-
mente corretto e notevolmente superiore a ou[te accolto da Rashed. Al sintagma fhsin
ei\nai egli attribuisce poi una posizione inusitata in Aristotele. Il sintagma (con l'altra va-
riante ei\naiv fhsin) è infatti frequentissimo nelle opere aristoteliche (come del resto in tutti
Capitolo terzo 139
infiniti per numero e invisibili per la piccolezza delle loro masse. Questi si muo-
vono nel vuoto —infatti il vuoto c'è— e producono, combinandosi, la genera-
zione, separandosi, la disgregazione. Essi agiscono e subiscono nella misura in cui
vengono fortuitamente a contatto; in questo modo infatti non formano una unità.
E, componendosi e intrecciandosi, generano. Ma da ciò che è veramente uno non
può generarsi una molteplicità né da quelli che veramente sono molti l'uno, ma
ciò è impossibile. Ma come Empedocle e alcuni altri dicono che le affezioni si
producono attraverso i pori, così [anche Leucippo sostiene che] ogni alterazione
e ogni affezione si produce in questo modo, dal momento che la dissoluzione e la
disgregazione si producono attraverso il vuoto, e allo stesso modo anche l'accre-
scimento, a causa della penetrazione delle particelle solide [negli spazi vuoti]. An-
che Empedocle deve però quasi necessariamente sostenere le stesse tesi di Leu-
cippo. Infatti ci devono essere certi corpi solidi, e per giunta indivisibili, se non ci
sono dovunque pori che si susseguono l'un l'altro. Questo è tuttavia impossibile:
infatti oltre ai pori non ci sarebbe qualcosa di solido, ma tutto sarebbe vuoto.
Dunque è necessario che le particelle a contatto siano indivisibili e che gli inter-
stizi fra l'una e l'altra, che egli chiama pori, siano vuoti. Così parla anche Leucippo
riguardo all'agire e al subire93.
gli autori greci), ma compare sempre (e non solo in Aristotele) o immediatamente dopo il
soggetto (espresso, e non sottinteso come qui), ma con fhsin in posizione enclitica (co-
struzione peraltro molto rara, cf. Hist. anim. Z 5, 563a 6 kai; dia; tou'to kai; ÔHrovdwro" oJ
Bruvswno" tou' sofistou' pathvr fhsin ei\nai tou;" gu'p a" ajfæ eJtevr a" gh'"), o, molto più fre-
quentemente, dopo il soggetto di ei\nai (Phys. A 5, 188a 22 kai; Dhmovkrito" to; plh're" kai;
kenov n, w|n to; me; n wJ" o]n to; de; wJ" oujk o]n ei\naiv fhsin. Cf. anche A 2, 185a 33 Mevlisso" de;
to; o]n a[peiron ei\naiv fhsin. D 2, 209b 11 Plavtwn th;n u{lhn kai; th;n cwvran taujtov fhsin
ei\nai ej n tw'i Timaivwi. De gen. et corr. A 5, 320b 33Dio; kai; croia;n ou[ fhsin ei\nai. A 8, 325b
32 Plavtwni de; kata; th;n aJfh;n movnon: keno;n ga;r oujk ei\naiv fhsin. Cf. anche Metaph. A 3,
983b 21 e passim), o comunque dopo il nome del predicato (Metaph. A 8, 989a 21
Empedoklh'" tevttarav fhsin ei\nai swvmata th;n u{lhn. De gen. et corr. A 8, 326a 9 kaivtoi
baruvterov n ge kata; th; n uJperochv n fhsin ei\nai Dhmovkrito" e{kaston tw' n ajdiairevtwn). La
posizione del sintagma proposta da Rashed e Hussey è dunque contraria all'uso aristotelico.
Per quanto riguarda la scelta di e{n per o[n è importante sottolineare che la tesi eleatica qui
discussa non è la natura dell'uno, ma quella dell'essere, se esso è uno o molti, immobile o in
movimento (ejnivoi" ga;r tw'n ajrcaivwn e[doxe to; o]n ejx ajnavgkh" e}n ei\nai kai; ajkivnhton).
L'inquadramento del brano nell'ambito della distinzione di essere e uno come risposta alle
aporie eleatiche giustifica, anche al di là delle considerazioni stilistiche, la lettura
tradizionale.
93 Arist. De gen. et corr. A 8, 325a 23-b 11 (67 A 7 DK; 146 L.) Leuvkippo" dæ e[cein wjihvqh
lovgou", oi{tine" pro;" th;n ai[sqhsin oJmologouvmena levgonte" oujk aj nairhvs ousin ou[te gevne-
sin ou[te fqora; n ou[te kivnhsin kai; to; plh'qo" tw'n o[ ntwn. oJmologhvs a" de; tau'ta me; n toi'"
fainomevnoi", toi'" de; to; e} n kataskeuavzousin wJ" oujk a] n kivnhsin ou\s an a[ neu kenou', tov te
keno; n mh; o] n kai; tou' o[ nto" oujqe; n mh; o[ n fhsin ei\nai: to; ga;r kurivw" o]n pamplh're" o[n, ajllæ
ei\nai to; toiou'ton oujc e{ n, ajllæ a[p eira to; plh'qo" kai; ajovrata dia; smikrov thta tw' n o[ gkwn.
tau'ta dæ ejn tw'i kenw'i fevresqai (keno;n ga;r ei\nai), kai; sunistavmena me;n gev nesin poiei'n,
dialuovmena de; fqoravn. poiei'n de; kai; pavscein h|i tugcav nousin aJptovmena: tauvthi ga;r oujc
e}n ei\nai. kai; suntiqev mena de; kai; periplekovmena genna' n: ejk de; tou' katæ ajlhvqeian eJ no;"
oujk a] n genevsqai plh'qo" oujdæ ejk tw' n ajlhqw'" pollw'n e{ n, ajllæ ei\nai tou'tæ ajduv naton: ajllæ,
w{sper Empedoklh'" kai; tw'n a[llwn tinev" fasi pavscein dia; povrwn, ou{tw pa'san ajlloivwsin
kai; pa'n to; pavscein tou'ton givnesqai to;n trovpon, dia; tou' kenou' ginomevnh" th'" dialuvs ew"
kai; th'" fqora' ", oJmoivw" de; kai; th'" aujxhvs ew", uJp eisduomevnwn sterew' n scedo; n de; kai;
140 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
4. 1. La prima parte del logos di Leucippo (De gen. et corr. A 8, 325a 23-30)
La prima parte del logos, che, in sostanza, inquadra in uno schema dialet-
tico incentrato sulla formulazione di un'antitesi quanto esposto nella se-
conda parte, risente ovviamente di una più profonda rielaborazione. La
terza parte riprende un assunto del logos eleatico (equiparazione di un pre-
sunto corpuscolarismo empedocleo all'atomismo) e fornisce una inter-
pretazione di Empedocle pressoché inusitata per lo stesso Aristotele.
La formulazione dell'antitesi alle tesi eleatiche della prima parte dei lo-
goi di Leucippo è fortemente marcata dalla terminologia tecnica della di-
scussione dialettica. Così l'espressione "avere dei logoi" indica, nei Topici, il
possesso di argomentazioni generali da usare in una disputa dialettica98. I
logoi di Leucippo non "confutano" (oujk ajnairhvsousin) la generazione, la
corruzione, il movimento e la molteplicità: ajnairei'n è un termine tipico
Empedoklei' aj nagkai'on levgein w{ sper kai; Leuvkippov" fhsin. ei\nai ga;r a[tta stereav,
ajdiaivreta dev, eij mh; pav nthi povroi sunecei'" eijsin. tou'to dæ ajduv naton: oujqe;n ga;r e[stai
e{teron stereo;n para; tou;" povrou", ajlla; pa' n kenov n. ajnavgkh a[r a ta; me; n aJptovmena ei\nai
ajdiaivreta, ta; de; metaxu; aujtw'n kenav, ou}" ejkei'no" levgei povrou". ou{tw" de; kai; Leuvkippo"
levgei peri; tou' poiei' n kai; pavs cein.
94 Ad esempio ajll ei\nai to; toiou'ton (scil. to; o]n) oujc e}n, ajll a[p eira to; plh'qo" è una
espressione tipica degli schemi prearistotelici che oppongono monisti a pluralisti (cf. Xen.
Mem. 1,1,13, supra, n. 34). Cf. a questo proposito Mansfeld 1986, 32-41 [1990b 55-63].
95 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,5-20) (68 A 37 DK; 293 L.).
96 Diog. Laert. 9,30ss. (67 A 1 DK; 289, 382 L.).
97 Hippol. Ref. 1,12 (67 A 10 DK; 16, 23, 291, 318 L.) Per quanto riguarda invece la testimo-
nianza su Leucippo attribuita a Teofrasto, v. infra, 5. 1.
98 Top. Q 14, 164b 16 dei' de; kai; pepoihmevnou" e[cein lovgou" pro;" ta; toiau'ta tw'n pro-
blhmavtwn ejn oi|" ejl acivstwn eujporhvsante" pro;" plei'sta crhsivmou" e{xomen.
Capitolo terzo 141
4. 1. 1. Vuoto e movimento
Come si è visto, Aristotele, nei Topici, porta come esempio di "tesi" e "an-
titesi" in una disputa dialettica le trattazioni del movimento: da una parte
la negazione assoluta dello stesso (Melisso), dall'altra la tesi del movimento
continuo (Eraclito). Nel primo brano del De generatione et corruptione gli
Eleati rispondono ai sostenitori del movimento, così come Melisso nel
99 I due termini compaiono appaiati in Top. B 3, 110b 9, 11; 7, 112b 29; 8, 113b 16; G 6, 119a
34 e passim.
100 Top. G 6, 120a 4; Z 13, 150b 31; H 3, 153b 29; Q 7, 160a 20.
101 Sulla necessità di "definire" i significati delle espressioni di una tesi per eliminarne le ambi-
guità e renderne più facile la confutazione, cf. Top. Q 3, 158b 8 tw'n de; o{rwn dusepi-
ceirhtovtatoi pavntwn eijsi;n o{soi kevcrhntai toiouvtoi" ojnovmasin a} prw'ton me;n a[dhlav ej stin
ei[te aJplw'" ei[te pollacw'" lev getai, pro;" de; touv toi" mhde; gnwvrima povteron kurivw" h] kata;
metafora;n uJpo; tou' oJrisamev nou levgetai…
102 Nel logos eleatico di Porfirio l'assunzione di grandezze atomiche infinite viene però rigettata
in quanto assurda, v. supra, n. 64.
103 Cf. anche Gomperz I, 1922, 279; Lewis 1990, 241-245.
142 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
104 Phys. D 6, 213b 4-14 levgousi d e}n me;n o{ti kivnhsi" hJ kata; tovpon oujk a]n ei[h (au{th d ejsti;
fora; kai; au[xhsi"): ouj ga;r a] n dokei'n ei\nai kivnhsin, eij mh; ei[h kenov n: to; ga;r plh're"
ajduv naton ei\nai devxasqaiv ti. eij de; devxetai kai; e[stai duvo ej n taujtw'i , ejndevcoit a] n kai;
oJposaou'n ei\ nai a{ma swvmata ª...º Mevlisso" me; n ou\n kai; deivknusin o{ti to; pa'n ajkiv nhton ejk
touvtwn: eij ga;r kinhvs etai, aj nav gkh ei\naiv fhsi kenov n, to; de; keno;n ouj tw'n o[ntwn. Aristotele
riproduce lo schema platonico di Theaet. 180d-e dove vengono contrapposti i sostenitori
dell'eterno movimento a Parmenide e Melisso, v. supra, n. 42.
105 Cf. già Gomperz I, 1922, 281-283. Cf. anche Morel 1996, 65 e Perilli 1996, 94-97.
106 Metaph. L 6, 1071b 31 (67 A 18 DK; 17 L.) dio; e[nioi poiou'sin ajei; ejnevrgeian, oi|on
Leuvkippo" kai; Plavtwn: ajei; ga;r ei\naiv fasi kivnhsin. ajlla; dia; tiv kai; tivna ouj lev gousin.
107 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,9-11) (68 A 37 DK; 293 L.) stasiavzein
de; kai; fevresqai ej n tw'i kenw'i diav te th; n anomoiovthta kai; ta;" a[lla" eijrhmevna" diaforav ".
108 Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,7) (67 A 8 DK; 147 L.) ejkeivnwn ga;r
e}n kai; ajkiv nhton kai; aj gev nhton kai; peperasmev non poiouv ntwn to; pa' n, ª...º ou|to" a[p eira
kai; aj ei; kinouvmena uJpevqeto stoicei'a ta; " ajtovmou". Su questo brano, v. infra, 5. 1 n. 164.
109 Hippol. Ref. 1,12 (67 A 10 DK; 151 L.) Leuvkippo" de; Zhvnwno" eJtai'r o" ouj th;n aujth;n
dovxan diethvrhsen, ajllav fhsin a[peira kai; ajei; kinouvmena kai; gev nesin kai; metabolh; n su-
necw' " ou\ san.
110 V. infra, 4. 2. 2 e cap. VII.
Capitolo terzo 143
111 Cf. Metaph. N 2, 1088b 35-1089a 6, supra, n. 83. La distizione fra un essere a pieno titolo
(o[ntw" o[n) e un essere di grado inferiore è comunque di ascendenza platonica (cf. e.g. la de-
scrizione della Chora in Ti. 52a-d). Cf. anche Owen 1960, 183s.
112 Phys. D 2, 209b 6-12 e supra, n. 59.
113 Sull'interpretazione del Chaos esiodeo in Aristotele e negli autori tardi, cf. Gemelli Marciano
1991b.
114 Arist. Phys. D 1, 208b 25-209a 1 e[ti oiJ to; keno;n favskonte" ei\nai tovpon levgousin: to; ga;r
keno; n tovpo" a] n ei[h ejs terhmevno" swvmato". o{ti me; n ou\ n e[sti ti oJ tovpo" para; ta; swvmata
kai; pa' n sw'ma aijsqhto; n ej n tovpwi, dia; tou'twn a] n ti" uJpolav boi: dovxeie dæ a]n kai; ÔHsivodo"
ojrqw'" levgein poihvsa" prw'ton to; cavo". levgei gou' n Æpavntwn me; n prwvtista cavo" gev netæ,
aujta;r e[p eita gai'æ eujruvsterno",Æ wJ" devo n prw'ton uJpavrxai cwvran toi'" ou\si, dia; to; no-
mivzein, w{sper oiJ polloiv, pavnta ei\naiv pou kai; ej n tovpwi. eij dæ ejsti; toiou' to, qaumasthv ti"
a]n ei[h hJ tou' tovpou duv nami" kai; protevr a pav ntwn: ou| ga;r a[ neu tw' n a[llwn oujde; n e[ stin,
ejkei'no dæ a[ neu tw'n a[llwn, ajnavgkh prw'ton ei\nai: ouj ga;r ajpovllutai oJ tovpo" tw'n ej n auj tw'i
fqeiromevnwn. Il linguaggio ispirato alla descrizione della Chora del Timeo (52b) è palese. Cf.
anche Simpl. In Phys. 209a 18, 533,35 mavlista de; teivnei pro;" to; mh; ei\nai ajrch;n aujtovn,
o{per ejdovkoun lev gein oiJ to; ÔHsiovdou cavo" kai; to; keno;n Dhmokrivtou profevronte" kai; th; n
fusikh;n tw' n swmavtwn kivnhsin wJ" ajp aijtiva" tou' tovpou ginomevnhn. L'autore del trattatello
pseudo-aristotelico De Melisso, Xenophane et Gorgia pone sia il vuoto che il Chaos esiodeo
come antitesi alle tesi di Melisso (non c'è il movimento perché non c'è il vuoto), interpre-
tandoli, sulla scia di Aristotele, come "un qualcosa", un non-corpo e uno spazio (MXG
976b 12-18 ajkivnhton d ei\naiv fhsin, eij keno;n mh; e[stin: a{panta ga;r kinei'sqai tw'i
ajllavttein tovpon. prw'ton me; n ou\ n tou'to polloi'" ouj sundokei', ajll ei\naiv ti kenovn, ouj
mevntoi tou'tov gev ti sw'ma ei\ nai, ajll oi|on kai; oJ ÔHsivodo" ejn th'i genevsei prw'ton to; Cavo "
144 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
4. 1. 3. Atomi e uno
Anche la dottrina degli atomi come tante unità aventi tutte le caratteristi-
che dell'essere eleatico che segue subito dopo, rientra in uno schema pree-
sistente di definizione dell'essere e dell'uno:
dell'essere niente è non essere perché l'essere propriamente detto è il tutto-pieno,
ma questo non è uno, ma infiniti per numero.
In termini dialettici si tratta infatti di una "ridefinizione" delle premesse
che porta ad una riformulazione della tesi eleatica. L'essere-uno eleatico è
solo quello propriamente detto, il pieno, e non è uno solo, ma una molte-
plicità. Il presupposto non espresso consiste nel fatto che questa moltepli-
cità è resa possibile dall'esistenza di un "altro dall'essere" (il vuoto). Ma c'è
di più. I singoli atomi possono essere paragonati all'essere-uno eleatico
solo eliminandone, come Aristotele fa ripetutamente e insistentemente, la
caratteristica naturale, il movimento, e facendone delle unità astratte. Egli
li interpreta infatti sullo sfondo della problematica più generale della defi-
nizione di essere e uno, uno dei punti-chiave delle discussioni accademi-
che che egli stesso riesamina più volte criticamente. Nella Metafisica Ari-
stotele distingue due impostazioni del problema: quella di Platone e dei
Pitagorici, che avrebbero posto l'uno e l'essere come sostanze in se stesse
distinte una dall'altra, e quella dei fisici che avrebbero considerato con-
giuntamente come essere e uno uno o più sostrati materiali senza fare al-
cuna distinzione fra i due concetti. Fra questi ultimi, dice Aristotele, co-
loro che hanno posto una pluralità di elementi devono necessariamente
sostenere che l'essere e l'uno sono tutti quegli elementi che essi hanno
posto come principi115 . Il presupposto della definizione degli atomi di
fhsi; genev sqai, wJ" devon cwvr an prw'ton uJp avrcein toi'" ou\si toiou'ton dev ti kai; to; kenovn,
oi|on ajggei'ov n ti ajna; mevson ei\ nai zhtou'men).
115 Metaph. B 4, 1001a 9-19 Plavtwn me;n ga;r kai; oiJ Puqagovreioi oujc e{terovn ti to; o]n oujd e; to;
e}n ajlla; tou'to aujtw'n th; n fuvsin ei\nai, wJ" ou[sh" th' " oujsiva" auj tou' tou' eJ ni; ei\nai kai; o[nti:
oiJ de; peri; fuvsew", oi|on Empedoklh'" wJ" eij" gnwrimwvteron aj nav gwn levgei o{ ti to; e{n ejstin:
dovxeie ga;r a]n levgein ti toiou'to th;n filivan ei\nai (aijtiva gou' n ejs ti;n au{th tou' e}n ei\nai
pa'sin), e{teroi de; pu'r, oiJ d ajevr a fasi;n ei\nai to; e}n tou'to kai; to; o[n, ejx ou| ta; o[ nta ei\naiv te
kai; gegonev nai. w{" d au[tw" kai; oiJ pleivw ta; stoicei'a tiqevmenoi: aj navgkh ga;r kai; touvtoi"
tosau'ta levgein to; e} n kai; to; o] n o{s a" per ajrca; " ei\ naiv fasin.
Capitolo terzo 145
116 Alex. ap. Simpl. In Phys. 187a 1, 138,10 (Xenocr. Fr. 138 IP). Cf. testo, supra, n. 65. Porph.
135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 140,6) (Xenocr. Fr. 139 IP) oiJ de; peri; to;n Xenokravthn
th;n me; n prwvthn ajkolouqivan uJpei' nai sunecwvroun, toutevstin o{ti eij e{n ejsti to; o]n kai;
ajdiaivreton e[stai, ouj me; n ajdiaivreton ei\nai to; o]n. dio; pavlin mhde; e}n mov non uJp avrcein to;
o[n, ajlla; pleivw. La formulazione della soluzione riecheggia da vicino quella attribuita da
Aristotele a Leucippo nel brano in questione.
146 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
Gli interpreti moderni hanno visto una conferma dello schema aristotelico
di soluzione delle aporie eleatiche attraverso l'introduzione del non essere
da parte di Leucippo in una famosa massima: mh; ma'l lon to; de;n h] to;
mhdevn che compare decontestualizzata, parafrasata o solo accennata nelle
testimonianze. In questa forma è riportata solo da Plutarco e attribuita
specificamente a Democrito e non a Leucippo117 , ma essa viene riecheg-
giata soprattutto da Aristotele e Teofrasto e nella tradizione successiva che
a loro si richiama. I termini isolati devn e mhdevn compaiono come denomi-
nazione degli atomi e del vuoto nel frammento dell'opera su Democrito di
Aristotele118 . Quest'ultimo fornisce tuttavia, nel resoconto su Leucippo e
Democrito del primo libro della Metafisica, una parafrasi del contesto in cui
presumibilmente la massima compariva. Qui, però, come anche altrove
nella Metafisica119 e nella Fisica120 , egli considera gli Abderiti da un'altra ottica
e cioè come dualisti che avrebbero posto principi contrari, e assegna con-
seguentemente agli atomi e al vuoto lo stesso grado di esistenza come
sostrato materiale
Leucippo e il suo discepolo Democrito dicono che sono elementi il pieno e il
vuoto, chiamando l'uno essere, l'altro non essere; di questi il pieno e solido è l'es-
sere, il vuoto e rado il non essere (perciò dicono anche che l'essere non è più del
117 Plut. Adv. Colot. 1109 A (68 B 156 DK; 7, 78 L.) oi|" oujdæ o[nar ejntucw;n oJ Kwlwvth" ejsfavlh
peri; levxin tou' ajndrov", ejn h|/ diorivzetai mh; ma'llon tov Æde;nÆ h] tov Æmhde; nÆ ei\nai, Æde; nÆ me; n
ojnomavzwn to; sw' ma Æmhde;nÆ de; to; kenov n, wJ " kai; touvtou fuvsin tina; kai; uJpovstasin ijdivan
e[conto". Le altre occorrenze del termine devn, se si eccettua un passo del Filopono (v. nota
seguente), sono dovute a congetture, in alcuni casi giustificate, in altri no. Nel testo di Ga-
leno De elem. sec. Hipp. 2,16 (60,17-19 De Lacy = I,418 K.) (68 A 49 DK; 90, 185, 197 L.)
kata; de; th; n ajlhvqeian e} n kai; mhdev n ejsti ta; pavnta. kai; ga;r au\ kai; tou'tæ ei[rhken auj tov", e} n
me;n ta; " ajtovmou" ojnomavzwn, mhdev n de; to; kenovn, i Mss. riportano concordemente e{n, che
Mullach, seguito poi da Diels, ha corretto in devn. Dato che Galeno concepisce sempre gli
atomi come unità che hanno tutte la stessa sostanza, ha sicuramente "normalizzato" lo
strano termine democriteo. La lezione dei manoscritti va quindi mantenuta (cf. De Lacy
1996, 167 ad loc.).
118 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,3) (68 A 37 DK; 172, 197 L.) prosago-
reuvei de; to;n me;n tovpon toi'sde toi'" ojnovmasi tw'i te kenw'i kai; tw'i ouj deniv ª...º, tw'n de;
oujsiw'n eJ kavs thn tw'i te dev n. Lo Heiberg ha emendato la lezione corrotta (tw'ite de; A) o al-
trimenti lacunosa (tw'i te seq. lac. 7 litt. D: lac. 8 litt. E) di questo passo in Simplicio,
rifacendosi ad un brano del Filopono che sicuramente lo riecheggia, In Phys. 188a 19,
110,10 (188, 197, 328 L.) to; de; plh're" kai; to; keno;n ejnantiva, a{tina o]n kai; oujk o]n ejkavl ei,
kai; de;n kai; oujdev n, de;n me;n to; plh're" to; de; keno; n oujdev n. Anche qui tuttavia compaiono
nei codici le lezioni de;n (K) e e}n (LMt).
119 Metaph. G 5, 1009a 22 (8, 143 L.).
120 Phys. A 5, 188a 19 (68 A 45 DK; 238 L.).
Capitolo terzo 147
non essere, perché neppure il vuoto è più del corpo), questi sono causa delle cose
esistenti come materia121 .
Questo testo ha sempre costituito un problema perché presenta una ver-
sione inusuale dell'atomismo. Accanto a pieno e vuoto, compaiono infatti
rispettivamente come essere e non essere, anche il solido, il corpo in gene-
rale, e il rado. Queste "devianze", sono state imputate per lo più alla tradi-
zione manoscritta, ma, molto più verosimilmente, derivano da una diffi-
coltà oggettiva di Aristotele di adattare a categorie fisse e ben delimitate
delle formulazioni probabilmente vaghe e di più ampio respiro del testo
originale. Due sono le principali difficoltà testuali del brano:
1. Il fatto che vengano indicati come essere e non essere prima il
pieno e il vuoto, poi, immediatamente dopo, il pieno e solido e il vuoto e
rado. In seguito a questa anomalia, che distingue questa dalle altre testi-
monianze su Democrito di tradizione aristotelica e teofrastea, dove solo il
pieno e il vuoto vengono definiti essere e non essere, la maggior parte
degli editori ha espunto te kai; manovn.
2. Il fatto che l'affermazione che l'essere non è più del non essere sia
giustificata da un apparente paradosso: perché neppure il vuoto è più del
corpo. Qui l'esistenza del pieno sarebbe misurata anche su quella del
vuoto e non solo viceversa. Anche in questo caso, già nell'antichità, il testo
è stato reinterpretato e normalizzato. Simplicio, che si richiama a Teofra-
sto, riferisce nel suo resoconto la frase con l'integrazione e[latton122 , Ales-
sandro, invece, nel suo commento al passo, aveva operato tacitamente una
metatesi dei casi123 . Gli editori moderni hanno adottato ora l'una, ora l'altra
121 Arist. Metaph. A 4, 985b 4 (67 A 6 DK; 173 L.) Leuvkippo" de; kai; oJ eJtai'ro" aujtou'
Dhmovkrito" stoicei'a me; n to; plh're" kai; to; keno; n ei\naiv fasi, levgonte" to; me;n o]n to; de; mh;
o[n, touvtwn de; to; me; n plh're" kai; stereov n, to; o[n, to; de; kenovn te kai; manovn, to; mh; o[n (dio;
kai; oujqe;n ma'llon to; o]n tou' mh; o[nto" ei\ naiv fasin, o{ti oujde; to; keno; n tou' swvmato"), ai[tia
de; tw'n o[ntwn tau'ta wJ " u{lhn.
122 Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,11) (67 A 8 DK; 147 L.) e[ti de;
oujde;n ma'llon to; o] n h] to; mh; o] n uJpavrcein, kai; ai[tia oJmoivw" ei\nai toi'" ginomev noi" a[mfw.
th;n ga;r tw'n ajtovmwn oujsiv an nasth;n kai; plhvrh uJpotiqevmeno" o]n e[legen ei\nai kai; ejn tw'i
kenw'i fevresqai, o{per mh; o]n ejkavlei kai; oujk e[latton tou' o[nto" ei\naiv fhsi. A questa rein-
terpretazione risale l'integrazione più in voga presso gli editori moderni del testo aristote-
lico oujde; to; keno;n ãe[l attonà tou' swmato" (cf. Zeller-Nestle 1920, I, 2, 2, 1056 n. 2; Diels
ad loc.; Taylor 1999, 72). Sulla paternità teofrastea (e non simpliciana, pace Schofield 2002)
del passo, v. infra, n. 168.
123 Alex. In Metaph. 985a 21, 35,24 (214 L.) eJxh'" de; th;n Leukivppou te kai; Dhmokrivtou peri;
stoiceivwn dovxan iJstorei', kai; safw' " ejktivqetai thvn te dovxan aujtw'n kai; th;n pro;" tou; "
a[llou" diaforav n te kai; koinwnivan th; n kata; th; n dovxan. plh're" de; e[legon to; sw'ma to; tw'n
ajtovmwn dia; nastovthtav te kai; ajmixivan tou' kenou' . ojnomavzonte" de; to; me;n plh're" o]n to; de;
keno; n mh; o[n, ejp ei; oJmoivw" aujtoi'" h\n ej n uJp avrxei tov te plh're" kai; to; kenov n, oujde; n ma'llon
e[legon ei\nai to; plh're" tou' kenou'. Fra i moderni hanno proposto questa soluzione Ross
1924, ad loc.; Lur'e 1970, ad loc.; Mansfeld II, 1986, 286; Curd 2004, 181 n. 4, 189. Ascle-
pio pur accogliendo quest'ultima interpretazione, la vede come l'affermazione di una ugua-
148 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
glianza quantitativa fra atomi e vuoto, cf. Ascl. In Metaph. 985b 4, 33,9 (177 L.) kai; e[legon
o{ti oujk e[stin ejpi; plevon to; o]n tou' mh; o[nto", ejp eidh; ou[te to; sw'ma, toutevstin aiJ a[tomoi,
pleivone" uJp avrcousi tou' kenou': pantacou' ga;r kai; keno;n kai; a[tomoi uJp av rcousin). Egli si
basa evidentemente su Metaph. G 5, 1009a 22. Sulla stessa lunghezza d'onda la correzione
del testo aristotelico (to; sw'ma tou' kenou') di Casaubon.
124 Un testo composto tra il XII e il XIV sec. Cf. l'introduzione di Ch. Lohr alla ristampa
dell'edizione del Patrizi del 1583, XII.
125 Cf. Ps.-Philop., In Metaph. vers. lat. Patritii, f. 3 Iam dicit et de Leucippo et Democrito qui dicebant,
plenum vel ens; et vacuum vel non ens, elementa. Ideo non plus tribuerunt enti, quam non enti. Quando
etiam ambo, elementa dixerunt. Quod vero neque vacuum corporis? irrisio est philosophi in illos.
126 Secondo Simplicio/ Teofrasto, Leucippo e Democrito avrebbero giustificato l'infinita
varietà delle forme atomiche col fatto che una cosa non è più di tal forma che di talaltra,
Theophr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,9-10; 28,25-26) (67 A 8 DK; 2, 147 L.)
kai; tw' n ej n tai'" ajtov moi" schmavtwn a[peiron to; plh'qov" fasi dia; to; mhde;n ma'llon toiou'ton
h] toiou'ton ei\nai. Per l'uso della massima in vari contesti, cf. in particolare De Lacy 1964,
Graeser 1970, che però si attiene all'esegesi tradizionale del passo della Metafisica con rela-
tive correzioni del testo, e Burkert 1997, 30s. che interpreta la frase come espressione posi-
tiva di equivalenza e argomenta a favore del mantenimento del testo tràdito.
127 Cf. anche Sedley 1982, 191s.; Waschkies 1997, 162. Ambedue sottolineano la vaghezza
della concezione di "vuoto" esteso anche al rado. Essi non mettono però in discussione la
valenza dell'interpretazione aristotelica perché tralasciano l'altro problema testuale e il fatto
che plh're" e stereovn indicano sia gli atomi che i corpi composti.
128 1957 app. ad loc.; 1917, 484. Jaeger non offre peraltro alcun argomento a sostegno della
sua tesi.
Capitolo terzo 149
129 L'immagine che si forma dalla compressione dell'aria all'atto della vista è "solida", Theophr.
De sens. 50 (68 A 135 DK; 478 L.). Per la durezza dei corpi composti, cf. Ibid. 62 (68 A 135
DK; 369 L.) sklhro;n me;n ga;r ei\nai to; puknovn, malako;n de; to; manovn ª...º sklhrovteron
me;n ei\nai sivdhron. Compattezza e durezza sono caratteristiche dei corpi anche nella testi-
monianza di Sen. Nat. quaest. 4,9,1 His, inquit (scil. Democritus), corporibus quae duriora et pres-
siora sunt necesse est minora foramina esse.
130 [Hippocr.] VM 22,6 (151,2 Jouanna = I,630 Littré) ajll o{tan pivhi kai; devxhtai aujto;" ej"
eJwuto; n to; uJ grovn, ta; kena; kai; ajraia; ejplhrwvqh kai; ta; smikra; pavnth, kai; ajnti; malqakou'
te kai; ajr aiou' sklhrov" te kai; pukno;" ej gev neto, kai; ou[t ejkpev ssei ou[t ajf ivhsi.
131 Phys. D 6, 213a 27-31 (67 A 19 DK; 255 L.) oiJ d a[nqrwpoi bouvlontai keno;n ei\nai
diavsthma ej n w|i mhdevn ejsti sw'ma aijsqhtovn: oijovmenoi de; to; o]n a{pan ei\nai sw'ma fasivn, ej n
w|i o{lw" mhdevn ejsti, tou't ei\nai kenov n, dio; to; plh're" ajevro" keno;n ei\nai. I Pitagorici iden-
tificavano del resto il vuoto con il pneuma Phys. D 6, 213b 22-24. Cf. anche De gen. et corr. A
3, 318b 19 dokei' de; ma'llon toi'" polloi'" tw'i aijsqhtw'i kai; mh; aijsqhtw'i diafevrein: ª...º to;
ga;r o] n kai; to; mh; o]n tw'i aijsqavnesqai kai; tw'i mh; aijsqav nesqai diorivzousin.
132 Cf. Plut. Quaest. conv. 653 F; cf. anche. De fort. Rom. 317 A.
133 30 B 7 DK, 7-8 oujde; keneovn ejs tin oujd evn: to; ga;r keneo;n oujd evn ejstin: oujk a]n ou\n ei[h tov
ge mhdev n ª...º pukno;n de; kai; ajr aio;n oujk a] n ei[h: to; ga;r ajr aio;n oujk aj nusto;n plevwn ei\nai
oJmoivw" tw'i puknw'i, ajllæ h[dh to; ajraiov n ge kenewvteron givnetai tou' puknou'.
150 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
massima del mh; ma'llon fosse rivolta contro questa tesi di Melisso, la de-
notazione di "non essere" presso gli atomisti sarebbe comunque più ampia
e si estenderebbe al di là dell'ambito dei principi cui Aristotele vorrebbe
ridurla. Essa costituirebbe inoltre una asserzione dogmatica dell'esistenza
del non essere decisamente opposta a quella di Melisso così come lo sa-
rebbe anche se si supponesse, come spesso viene fatto, che la massima
fosse diretta contro un Parmenide reinterpretato. Dunque gli atomisti non
avrebbero concesso nulla agli Eleati e non avrebbero nulla in comune con
loro, ma andrebbero esattamente nella direzione opposta.
Alcuni interpreti, nel tentativo di "salvare" il prestigio "filosofico" di
Leucippo e Democrito e di farne in qualche modo gli eredi degli Eleati,
ipotizzano però che la massima fosse solo la conclusione di una argo-
mentazione più ampia che è andata perduta134 , altri suppongono che gli
atomisti distinguessero due significati di ei\nai: uno più debole, "esserci"
(del vuoto e degli atomi) e uno più forte, "essere reale", (solo degli atomi
in quanto riempiono lo spazio). Il vuoto esisterebbe in un senso più de-
bole, in quanto spazio vuoto, ma non sarebbe "reale"135 . Tutto questo
riecheggia, in forme moderne, il tentativo di distinzione fra un significato
proprio e improprio di essere già aristotelico, ma non trova alcun riscon-
tro nelle testimonianze sugli atomisti. Il pre-supposto di queste ipotesi sta
nel rifiuto di collocare gli atomisti nel loro contesto storico. Se si esami-
nano i testi concernenti la natura dell'universo e dell'uomo più o meno
contemporanei a Leucippo o a Democrito come i frammenti di Anassa-
gora, di Ione di Chio, di Filolao e i trattati ippocratici, risulta subito chiaro
che affermazioni dogmatiche e lapidarie non vengono a conclusione di
un'argomentazione, ma introducono il discorso e non sono precedute da
definizioni e distinzioni (un tratto tipicamente platonico e aristotelico).
Talvolta sono seguite da qualche "prova" empirica (tekmhvrion, shmei'on,
martuvrion) o argomenti che, dal punto di vista degli interpreti moderni,
sono spesso del tutto insufficienti e nebulosi come le massime stesse136 .
Questo è dovuto al fatto che lo scopo dello scritto non è quello di pre-
sentare un trattato teorico redatto secondo i canoni della logica aristote-
lica, ma quello di influenzare e persuadere un pubblico che condivide gli stessi
pre-supposti culturali compresa la concezione di "argomento persuasivo".
137 La sua sequenza vocalica centrale (e-a-a-a-a) è degna della poesia (riecheggia infatti la
formula epica h{mata pavnta Hom. Il. 8,539 al.; Od. 4,209 al.; Hes. Th. 305 al.) e natural-
mente va persa nella versione che si ritrova più spesso nella tradizione antica oJmou' pavnta
crhvmata (e sostituita da Diels nel testo di Simpl. In Phys. 155,27 alla versione corretta ri-
portata dai codici in questo passo, cf. Rösler 1971 e Sider 2005, 69s.) che non tiene alcun
conto del suono e del ritmo.
138 Ion 36 B 1 DK (Harpocr. s.v. “Iwn) ajrch; dev moi tou' lovgou: pavnta triva kai; oujden plevon h]
e[lasson touv twn tw'n triw'n. eJ no;" eJkav stou ajreth; triav ": suv nesi" kai; kravto" kai; tuvch.
[Hippocr.] Genit. 1,1 (44,1 Joly = VII,470 Littré) novmo" me;n pavnta kratuvnei: hJ de; gonh; tou'
ajndro;" e[rcetai ajpo; panto; " tou' uJgrou' tou' ej n tw'i swv mati ejovnto", to; ijscurovtaton
ajpokriqevn. In questo trattato segue la "prova" (tou' tou de; iJstovrion tovde, o{ti ajpokrivnetai
to; ijscurovtaton): dopo il coito, pur eiaculando una piccola quantità di liquido, ci si sente
deboli.
139 Sext. Emp. Adv. Math. 7,53 (68 B 163 DK; 75 L.).
152 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
140 Phys. D 6, 213b 21-22 martuvrion de; kai; to; peri; th'" tevfra" poiou'ntai, h} devcetai i[son
u{dwr o{son to; aj ggei'on to; kenovn. Cf. [Arist.] Probl. 938b 24-27.
141 Phys. D 6, 213b 18-20 e[ti de; kai; hJ au[xhsi" dokei' pa'si givgnesqai dia; kenou': th;n me;n ga;r
trofh;n sw'ma ei\nai, duvo de; swvmata ajduv naton a{ma ei\nai.
Capitolo terzo 153
142 Sul contesto e la funzione di questa immagine, v. infra, VII 2. Orelli 1996, Parte II, assegna
a tutti i vuoti un effetto di "trazione", lo stesso esercitato dalle koilivai ippocratiche. Ber-
ryman 2002, 188-90, individua questo ruolo del vuoto nel movimento di corpi macrosco-
pici senza però prestare attenzione alla funzione specifica delle forme e delle dimensioni
dei vuoti.
143 Theophr. De caus. plant. 1,8,2 (68 A 162 DK; 557 L.) o{sa de; kata; ta;" ijdiva" fuvsei", wJ" a]n
gev no" pro;" gevno" ªoJº sugkrivnwn lavboi ti", povtera kata; ta; " eujquvthta" tw'n povrwn
lhptevon, w{ sper Dhmovkrito"… eu[rou" ga;r hJ fora; kai; aj nempovdisto" w{" fhsin.
144 Theophr. De sens. 65 (68 A 135 DK; 496 L.) uJgrainovmena de; kai; ejk th'" tavxew" kinouvmena
surrei'n eij " th;n koilivan: tauv thn ga;r eujporwvtaton ei\nai dia; to; tauv thi plei'ston ei\nai ke-
novn. Teofrasto nel De sensu non parla mai di atomi, ma di figure (schvmata).
145 Theophr. De sens. 56 (68 A 135 DK; 488 L.) eij" ga;r to; keno;n ejmpivptonta to;n ajevr a
kivnhsin ej mpoiei'n, plh; n o{ti kata; pa'n me; n oJmoivw" to; sw'ma eijsiev nai, mavlista de; kai;
plei'ston dia; tw' n w[twn, o{ti dia; pleivstou te kenou' dievrcetai kai; h{kista diamivmnei. ª...º
ajqrovon ga;r a] n ou{tw" eijsiev nai th; n fwnh; n a{ te dia; pollou' kenou' kai; aj nivkmou kai;
eujtrhvtou eijsiou's an.
146 Aelian. Hist. nat. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.) oiJ de; a[kerwi tau'roi to; tenqrhniw'de" (ou{tw
de; ojnomavzei Dhmovkrito") ejpi; tou' brevgmato" ouj k e[conte" (ei[h dæ a]n to; shraggw'd e" levgwn)
ajntituvpou tou' panto;" o[ nto" ojstevo u kai; ta;" surroiva" tw' n cumw' n ouj decomevnou gumnoiv te
kai; a[ moiroi givnontai tw' n ajmunthrivw n.
147 Theophr. De sens. 62 (68 A 135 DK; 369 L.) diafevrein dev ti th;n qevsin kai; th;n ejnapovlhyin
tw'n kenw' n tou' sklhrou' kai; malakou' kai; barevo" kai; kouvfou. dio; sklhrovteron me; n ei\ nai
154 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
sivdhron, baruvteron de; movl ubdon: to; n me;n ga;r sivdhron ajnwmavlw" sugkei'sqai kai; to;
keno; n e[c ein pollach'i kai; kata; megavl a, pepuknw'sqai de; kata; e[ nia, aJplw'" de; plevo n
e[cein kenov n. to;n de; movlubdon e[latton e[conta keno;n oJmalw' " sugkei'sqai kata; pa' n
oJmoivw": dio; baruvteron mevn, malakwv teron dæ ei\ nai tou' sidhvrou.
148 Theophr. De sens. 74 (68 A 135 DK; 484 L.).
149 Theophr. De sens. 75 (68 A 135 DK; 484 L.) to; de; clwro;n ejk tou' stereou' kai; tou' kenou'
sunestavnai megavlwn ejx ajmfoi'n, th'i qevs ei de; kai; tavxei aujtw' n th; n crov an. Diels, eviden-
temente ritenendo improbabile che Democrito tenesse conto anche della dimensione e di-
sposizione dei vuoti per la determinazione del colore e delle sue sfumature, ha cambiato e
integrato la lezione dei manoscritti in questo passo (to; de; clwro;n ejk tou' stereou' kai; tou'
kenou' sunestavnai mikto;n ejx aj mfoi'n, th'i qevsei de; kai; tavxei ãdiallavtteinà aujtw' n th;n
crovan). La correzione mikto;n non ha senso perché è chiaro che non solo il verde, ma ogni
colore come ogni altro oggetto o proprietà è fatto di atomi e vuoto, la seconda è superflua
perché Teofrasto non si riferisce al cambio di colore, ma alle sue varie sfumature: come ci
sono diversi bianchi e rossi (cf. 73; 75) così anche diversi verdi. Sassi 1978, 142 n. 111
cambia, evidentemente in base allo stesso presupposto, megavlwn in me;n gavr. Il passo così
come è tramandato dai manoscritti ha invece un senso perfetto se si tiene conto che la
forma e la disposizione dei vuoti hanno, insieme a quella degli atomi, una funzione fonda-
mentale.
150 68 A 93 DK; 415 L.
Capitolo terzo 155
151 Cf. anche Hussey 2004, 252 n. 18 "why the particles of 'what is' were supposed collectively
infinite in number and individually invisible because of their smallness il left unexplained".
156 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
152 Arist. De cael. G 4, 303a 6 (67 A 15 DK; 47, 292 L.) ou[t ejx eJno;" polla; givgnesqai ou[te ejk
pollw'n e{n. Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,12-14) (68 A 37 DK; 293 L.)
fuvsin mev ntoi mivan ejx ejkeivnwn kat ajlhvqeian oujd hJntinaou'n genna'i: komidh'i ga;r eu[hqe"
ei\nai to; duvo h] ta; pleivona genevsqai a[n pote e{n. Cf. Metaph. Z 13,1039a 7-14 (68 A 42 DK;
46, 211 L.). Come si vede la formulazione dell'enunciato varia a seconda del contesto.
Nella Metafisica, dove compare non più la molteplicità, ma il due, ha sicuramente influito il
confronto con le teorie senocratee delle idee numero che, secondo Aristotele, ponevano
contemporaneamente come unità sia l'idea-numero (la diade), sia le sue singole componenti
(su questo, v. infra, V 2 n. 27).
153 Cf. e.g. Bailey 1928, 87; Löbl 1976 Barnes 1982, 349; Curd 2004, 184 n. 12.
154 Philop. In De gen. et corr. 325a 32, 158,27-159,3.
155 Cf. l'analisi critica dettagliata della testimonianza del Filopono e dell'interpretazione mo-
derna in Bodnár 1998, 136-140; cf. anche Mansfeld 2007.
156 Cf. De gen. et corr. A 8, 326a 31-33 (critica agli atomisti) eij me;n ga;r miva fuvs i" aJpavntwn, tiv to;
cwrivsan… h] dia; tiv ouj giv netai aJy avmena e{ n, w{sper u{dwr u{dato" o{tan qivghi… cf. Metaph. H 2,
1042b 11-15; Phys. G 4, 203a 33-203b 1; De cael. A 7, 275b 30ss. L'interpretazione aristote-
lica ha condizionato non solo la concezione epicurea, ma tutta l'interpretazione dell'atomi-
smo antico fino ad oggi. Epicuro, quando accenna al vuoto che tiene divisi gli atomi (Ep.
1,44), presuppone la definizione aristotelica (usa lo stesso termine diorivzein). La conce-
zione degli atomi come "materia" e sostrato unico che deve essere tenuto diviso dal vuoto
è anche il pre-supposto più o meno esplicito delle interpretazioni moderne che accettano
come autenticamente democritea la testimonianza aristotelica sugli atomisti antichi di De
gen. et corr. A 8. Cf. e.g. Furley 1987, 118; Makin 1993, 13, 52s.; Algra 1995, 45; Pyle 1997,
46; Curd 2004, 187s. V. anche infra, VII 2.
157 Arist. Fr 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,11-18) (68 A 37 DK; 293 L.). Su
ajntivlhyi" come "sostegno", cf. Xen. Eq. 5,7; [Hippocr.] Off. 9 (II,36,10 Kühlewein =
III,302 Littré).
Capitolo terzo 157
158 Phys. G 4, 203a 33 (68 A 41 DK; 220 L.) Dhmovkrito" d oujde;n e{teron ejx eJtevrou givgnesqai
tw'n prwvtwn fhsiv n.
159 Cf. ad esempio la "traduzione" aristotelica di Diogene di Apollonia, in De gen. et corr. A 6,
322b 13 (64 A 7 DK) kai; tou't ojrqw'" levgei Diogevnh", o{ti eij mh; h\n ejx eJno;" a{p anta, oujk a]n
h\n to; poiei'n kai; to; pavs cein uJp ajllhvlwn. Cf. anche Theophr. De sens. 39 (64 A 19 DK). Il
testo di Diogene è invece il seguente (64 B 2 DK) pavnta ta; o[nta ajpo; tou' aujtou' eJte-
roiou'sqai kai; to; auj to; ei\ nai ª...º ajlla; pav nta tau'ta ejk tou' aujtou' eJ teroiouvmena a[llote
ajlloi'a givnetai kai; eij" to; aujto; aj nacwrei'.
160 Per la concezione dell'atto sessuale, cf. 68 B 32 DK (527; 804a L.), supra, Introduzione n.
14. Per l'estrema influenzabilità e mutevolezza dei corpi, cf. Arist. De gen. et corr. A 2, 315b
13-15 (67 A 9 DK; 70 L.); Theophr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,11) (68 A 8
DK; 147 L.).
161 La medicina si sofferma soprattutto sul carattere negativo del cambiamento prodotto in
uno stato di equilibrio per l'introduzione di qualcosa dall'esterno o per il prevalere di un
elemento all'interno del corpo, processi alla radice della malattia, cf. e.g. Alcmaeon 24 B 4
DK; [Hippocr.] Morb. sacr. 18,1 (31,16 Jouanna = VI,394 Littré); VM 14,4 (136,8 Jouanna
= I,602 Littré). Per il coito come forte alterazione dell'equilibrio corporeo, cf. Genit. 1,2-3
(44,10-45,8 Joly = VII,470-472 Littré). Cf. anche Schubert 1993, 158ss.
158 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
oJdovn, ajll wJ" dokei' th;n ejnantiv an. ejkeiv nwn ga;r e} n kai; ajkiv nhton kai; ajgevnhton kai; pepe-
rasmev non poiouv ntwn to; pa'n, kai; to; mh; o]n mhde; zhtei' n sugcwrouv ntwn, ou|to" a[p eira kai;
ajei; kinouvmena uJp evqeto stoicei' a ta; " aj tovmou" kai; tw' n ejn auj toi'" schmavtwn a[peiron to;
plh'qo" dia; to; mhde;n ma'llon toiou' ton h] toiou'ton ei\nai ªtauvthn ga;rº kai; gevnesin kai; me-
tabolh;n ajdiavleipton ej n toi'" ou\si qewrw'n. e[ti de; oujde; n ma'llon to; o]n h] to; mh; o] n
uJpavrcein, kai; ai[tia oJmoivw" ei\nai toi'" ginomevnoi" a[ mfw. th; n ga;r tw'n ajtovmwn ouj sivan
nasth; n kai; plhvrh uJpotiqevmeno" o] n e[legen ei\nai kai; ej n tw'i kenw'i fevresqai, o{per mh; o]n
ejkavlei kai; oujk e[latton tou' o[ nto" ei\naiv fhsi.
165 Io non credo che Teofrasto su questo punto si limiti a "tradurre" dei dati semplicemente
ricavabili da diverse trattazioni di Leucippo nell'opera aristotelica come pensava Mc
Diarmid 1970, 229. Secondo Mc Diarmid il resoconto teofrasteo sarebbe ricavato dalla
conflazione di Metaph. A 4, dove Leucippo e Democrito sarebbero posti fra gli ionici, e De
gen. et corr. A 8 nel quale appunto Leucippo è rappresentato come seguace degli Eleati. Teo-
frasto rielabora indubbiamente interpretazioni aristoteliche, ma si basa anche su schemi
provenienti da altre tradizioni quali quella sofistica e platonica. La classificazione che com-
pare in Metaph. A 4 è ben lungi, del resto, dal presentare una generazione "ionica" di filo-
sofi (Leucippo e Democrito compaiono fra Empedocle e i Pitagorici), anzi, Aristotele ha
difficoltà ad inserire gli atomisti. Inoltre, se l'origine milesia di Leucippo fosse dedotta uni-
camente dalle classificazioni aristoteliche, anche Democrito, che nella Metafisica viene no-
minato insieme a Leucippo, dovrebbe essere definito milesio oltre che Abderita, cosa che
non avviene. Dunque Teofrasto ha evidentemente accesso anche a delle notizie biografi-
che, per quanto inesatte possano essere, indipendenti dalle successioni dedotte da Aristo-
tele. Cf. anche Diels 1881, 98 [=1969, 187]. Le stesse ipotesi con l'aggiunta di Abdera come
luogo di provenienza sono presenti nel resoconto di matrice teofrastea in Diog. Laert. 9,30
(67 A 1 DK; 152 L.) Leuvkippo" Eleavth", wJ" dev tine", Abdhrivth", kat ejnivou" de;
Milhvsio".
166 L'espressione è stata considerata da Kranz 1912, 19 n. 3 un indizio del fatto che Leucippo
non è stato allievo diretto di Parmenide. Così anche Alfieri 1936, 16 n. 61. Teofrasto defi-
nisce fra l'altro con la stessa espressione il rapporto fra Anassagora e Anassimene (Simpl. In
Phys. 184b 15, 27,2 = 59 A 41 DK) che, chiaramente, non è di discepolo ad allievo. La lieve
differenza nell'espressione (koinwnhvs a" Parmenivdhi th'" filosofiva" per Leucippo, col da-
tivo della persona che sarebbe indice di un rapporto personale, koinwnhvs a" th'"
Anaximevnou" filosofiva" nel caso di Anassagora con il genitivo subordinato a filosofiva"
che sottolineerebbe solo il rapporto con l'oggetto) per la quale Burnet 1930, 392 n. 2, giu-
stificava il rapporto di discepolato di Leucippo con Parmenide, non è un motivo sufficiente
in quanto, come giustamente osservava Kranz, Teofrasto non si sarebbe certo servito, per
indicare il rapporto discepolo-maestro, di un'espressione così artificiosa.
160 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
contra nel brano dei Memorabili di Senofonte già citato (1,1,13)167 . Questo è
dunque lo scheletro originario del resoconto basato su una diaphonia, ma
non su una accettazione da parte di Leucippo di concetti eleatici, né tan-
tomeno su una dipendenza scuola. I modelli aristotelici di De generatione et
corruptione A 8 e del primo libro della Metafisica, del quale vengono mante-
nute in parte anche le formulazioni168 , agiscono comunque in sottofondo.
E' la tensione fra i due modelli, quello aristotelico e quello sofistico, a
creare l'impressione di una certa incongruenza fra la tesi iniziale di un Leu-
cippo seguace di Parmenide e l'esposizione successiva che ne fa pratica-
mente un avversario169 .
167 V. supra, 2. 2. 1 n. 34. l'opposizione Parmenide/ Leucippo si articola esattamente sui punti
indicati nel brano di Senofonte: Parmenide (e Senofane) sostengono che il tutto è uno,
immobile, ingenerato, finito, Leucippo che è infiniti, sempre in movimento e che nelle cose
esistenti c'è una continua genesi e cambiamento.
168 Schofield 2002 ha recentemente sostenuto la tesi che in questo brano Simplicio stesso
abbia operato un ampliamento del resoconto teofrasteo su Leucippo prendendo la mas-
sima del mh; ma'llon dal resoconto su Democrito che segue immediatamente (la spia sa-
rebbe il tauvthn ga;r già posto tra parentesi da Diels 1879, 484 come svista, però, di un co-
pista), e integrandolo con materiale aristotelico (Metaph. A 4, supra, n. 121) per sottolineare
maggiormente l'opposizione di Leucippo agli Eleati. Questa tesi mi sembra debole per due
motivi: perché Teofrasto stesso poteva aver assimilato nel suo resoconto le tesi di Leu-
cippo e Democrito pur mantenendo una lieve distinzione fra i due (anche Aristotele, del
resto, pur distinguendo in De gen. et corr. A 8 la posizione di Leucippo, aveva unificato nella
Metafisica le tesi di ambedue). Questo si ricava chiaramente dal resoconto parallelo di Ippo-
lito (citato anche da Schofield levgei de; oJmoivw" Leukivppwi peri; stoiceivwn) e non c'è nes-
suna ragione di escludere che Teofrasto stesso avesse attribuito la stessa massima a Leu-
cippo e a Democrito e di ipotizzare una macchinosa combinazione di Aristotele e
Teofrasto da parte di Simplicio. Il fatto che Eusebio e Ippolito non riportino per Leucippo
la massima del mh; ma'llon non è di per sé indicativo. Ippolito taglia inesorabilmente in
molti punti tanto da risultare quasi incomprensibile se non vi fosse il resoconto parallelo di
Diogene Laerzio. Non solo, ma sia lui che quest'ultimo sono concentrati soprattutto sulla
cosmogonia di Leucippo e quindi tendono ad eliminare tutto quanto non sia strettamente
connesso con questo tema. E' Teofrasto, su un modello sofistico di opposizione fra Eleati
e sostenitori del moto e non Simplicio su un modello aristotelico (che sarebbe piuttosto di
conciliazione come si è visto) a sottolineare la divergenza fra Leucippo e Parmenide. Que-
sto è confermato anche dall'origine "alternativa" proposta per Leucippo, Mileto.
169 Su questa incongruenza, cf. Mc Diarmid 1970, 228.
Capitolo terzo 161
170 Sul carattere di ricostruzione a posteriori delle diadochai, a cominciare da Teofrasto, cf. in
particolare von Kienle 1961, passim.
171 Clem. Strom. 1,14,64,2 (67 A 4 DK; VIII, 152 L.) th'" de; Eleatikh'" ajgwgh'" Xenofavnh" oJ
Kolofwvnio" katavrcei, ª...º Parmenivdh" toiv nun Xenofav nou" ajkousth; " giv netai, touvtou de;
Zhvnwn, ei\ta Leuv kippo", ei\ta Dhmovkrito". Cf. anche Diog. Laert. Prooem. 15 (152 L.);
9,30 (67 A 1 DK; 152 L.); Hippol. Ref. 1,12,1 (67 A 10 DK; 151 L.); Eus. Praep. Ev.
10,14,15s. (VIII L.).
172 Thrasyll. ap. Diog. Laert. 9,41 (68 A 1, B 5 DK; I L.) ei[h a]n ou\n katæ Arcevlaon to;n
Anaxagovrou maqhth;n kai; tou;" peri; Oij nopivdhn: kai; ga;r touv tou mev mnhtai. mevmnhtai de;
kai; th'" peri; tou' eJ no;" dovxh" tw' n peri; Parmenivdhn kai; Zhvnwna wJ " katæ aujto; n mavlista
diabebohmev nwn, kai; Prwtagovrou tou' Abdhrivtou, o}" oJmologei'tai kata; Swkravthn gego-
nev nai.
162 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
173 Per le lezioni dei codici, cf. Marcovich 1999, 659 in app. Per le versioni latine, cf. l'apparato
di Huebner 1831, 368 (De uno Ambrosius: deque Parmenidis ac Zenonis de uno sententia Aldo-
brandinus).
174 Per questi passi, v. supra, n. 22 e 24.
Capitolo terzo 163
6. Sintesi
La tesi della nascita dell'atomismo da una ripresa e correzione delle dot-
trine eleatiche dell'essere-uno dominante nell'interpretazione moderna
dell'atomismo antico si basa sostanzialmente sul resoconto aristotelico di
De generatione et corruptione A 8. Tale resoconto mostra però, sia nella pre-
sentazione delle dottrine eleatiche che in quella dei logoi di Leucippo, una
struttura marcatamente dialettica che ha le sue radici negli schemi opposi-
tivi sofistici rielaborati per le discussioni nell'Accademia e ampliati e codi-
ficati da Aristotele stesso nei Topici. A formulazioni di tesi e antitesi di
matrice accademica rimandano certi tratti del logos eleatico (cui risponde-
rebbe Leucippo), in particolare l'equivalenza vuoto-divisione di ascen-
denza pitagorica, ma influenzata dalla rappresentazione delle ipostasi fisi-
che della diade indefinita della scuola platonica. Questa assimilazione
permette di riunire sotto una sola voce tesi corpuscolariste e atomiste e
confutarle ambedue. Secondo la rappresentazione corrente nei commen-
tatori di Aristotele la confutazione delle tesi eleatiche e il superamento
delle posizioni atomiste e corpuscolariste in base a nuovi presupposti lo-
gico-ontologici (definizione di essere e di uno) costituisce il punto di par-
tenza per l'argomentazione di Senocrate a favore delle linee indivisibili.
Come il logos eleatico, anche la presunta risposta di Leucippo nel brano
aristotelico, è influenzata dagli schemi dialettici correnti (soluzione delle
aporie eleatiche) e dall'impiego di concetti di cui Aristotele stesso si serve
altrove per esporre le soluzioni accademiche delle aporie eleatiche: intro-
duzione del non essere (il vuoto), come un essere di grado inferiore, un
"altro" dall'essere vero e proprio, definizione di essere propriamente detto
come pieno (e uno come l'essere eleatico), molteplicità di queste "unità".
L'esame della parte espositiva del logos e di altri brani aristotelici e teo-
frastei sugli atomisti mostra che il resoconto sull'origine dell'atomismo da
una concessione/ correzione delle dottrine eleatiche sull'essere, la molte-
plicità e il movimento è piuttosto una costruzione dialettica che un dato di
fatto. Gli atomisti non si sono posti il problema del movimento e delle sue
cause perché il movimento è da sempre e non ha bisogno di giustifica-
zioni, né hanno attribuito al vuoto-non essere un'esistenza di grado infe-
riore rispetto al pieno, perché nella loro spiegazione dei fenomeni i vuoti,
con le loro forme e grandezze, hanno una funzione altrettanto importante
dei "solidi". Inoltre, con la loro massima "il devn non è più del mhdevn "
hanno inteso non solo l'atomo e il vuoto, ma anche il corpo in generale e
il rado rivolgendosi in primo luogo contro concezioni comuni che nega-
vano esistenza a tutto ciò che non era visibile o tangibile. Se essi hanno
polemizzato anche contro gli Eleati, lo hanno comunque fatto da posi-
164 Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
zioni dogmatiche già acquisite e non "riflettendo" sui problemi posti dalle
aporie eleatiche, un atteggiamento, questo, tipico della scuola platonica.
Capitolo quarto
1. Considerazioni generali
Come si è visto nel capitolo precedente, secondo tutti i commentatori
antichi l'aporia zenoniana cosiddetta "della dicotomia" aveva costituito il
punto di partenza per la teoria degli indivisibili di Senocrate. Una versione
di questa aporia, attribuita a Parmenide da Porfirio, da cui l'accademico
avrebbe preso le mosse, presenta strette affinità col logos eleatico di De
generatione et corruptione A 8. Questo contesto di soluzione di aporie eleati-
che nell'Accademia va tenuto presente anche quando si analizza la dimo-
strazione-tipo della necessità degli indivisibili di De gen. et corr. A 2. Il
punto di partenza è infatti un logos che ricorda sia quello eleatico di A 8,
sia quello riportato da Porfirio.
Questo brano sulla necessità degli indivisibili ha goduto sempre di una
grande fortuna presso gli interpreti e non c'è studio sugli atomisti che non
vi abbia dedicato almeno un piccolo spazio. La problematica che il reso-
conto aristotelico propone è quindi così nota che basterà riassumerla solo
brevemente. Aristotele pone il problema se, per spiegare la generazione, la
corruzione e l'alterazione, si debba ammettere l'esistenza di grandezze
indivisibili e presenta innanzitutto le tesi di coloro che hanno sostenuto
questa necessità. Egli distingue in questo ambito i due atomismi: quello
fisico di Democrito e Leucippo, che avrebbero assunto corpi indivisibili, e
quello matematico di Platone, che nel Timeo avrebbe posto triangoli indi-
visibili. Ambedue le teorie sono problematiche, ma per lo meno quella dei
corpi indivisibili è in grado di spiegare la generazione e l'alterazione dei
corpi fisici, l'altra no perché non ha una base fisica, ma dialettica.
La ragione per cui costoro hanno una minore capacità di vedere nel suo com-
plesso quanto concorda [coi fenomeni] è la mancanza di esperienza. Perciò co-
loro che hanno maggiore dimestichezza con la fisica sono maggiormente in
grado di postulare principi tali che possano abbracciare un maggior numero di
166 La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
fenomeni; quelli, invece, che a causa del loro perdersi in molte discussioni non
vedono i fatti concreti, sono più portati a fare affermazioni sulla base di un nu-
mero limitato di fatti. Si può vedere anche da questo in che cosa differiscano
quelli che fanno una ricerca su basi fisiche da quelli che invece la perseguono at-
traverso ragionamenti dialettici; infatti riguardo all'esistenza di grandezze indivi-
sibili gli uni dicono che il triangolo in sé sarebbe una molteplicità, Democrito, in-
vece, sembrerebbe essere stato persuaso da argomenti più appropriati e di
carattere fisico. Quello che andiamo dicendo risulterà chiaro nel seguito del di-
scorso1.
Nel seguito in realtà viene offerto innanzitutto un logos sulla necessità di
porre un limite, mentale prima che fisico, alla divisione all'infinito di corpi
e grandezze, dove non solo il nome degli atomisti, ma anche i tratti tipici
delle loro dottrine (come il vuoto, la differenza di forme, il movimento)
sembrano sparire nel nulla, mentre stile e argomenti sono quelli di una
dimostrazione dialettica-tipo. Nella seconda parte viene poi fornita una
dimostrazione "fisica" della necessità degli indivisibili nella quale fra l'altro
emergono anche i tipici concetti aristotelici di potenza e atto come si ve-
drà. Dunque nulla risulta chiaro proprio perché questo logos sembra invece
un modello generale di discorso sulla necessità degli indivisibili.
L'ipotesi che Aristotele si basi su materiale democriteo, ma da lui
reinterpretato è quella generalmente più accreditata presso i commentatori
moderni dalla Hammer-Jensen in poi2. Alcuni dei sostenitori questa tesi
intravvedono un ulteriore punto di appoggio nel commento al passo del
Filopono il quale attribuisce espressamente a Democrito la dimostrazione
della necessità degli indivisibili qui riportata3. Ora, il Filopono non solo
non aveva a disposizione alcun testo di Democrito (tutto ciò che egli
riferisce sugli atomisti o è frutto di proprie speculazioni o risale alla tradi-
zione dei commentari ad Aristotele o a resoconti di diversa provenienza),
ma aveva dietro di sé tutta la tradizione neoplatonica che identificava
l'atomismo principalmente con quello di Democrito e di Epicuro. I Neo-
1 Arist. De gen. et corr. A 2, 316a 5 ai[tion de; tou' ejpæ e[l atton duvnasqai ta; oJmologouvmena
sunora'n hJ ajp eiriva: dio; o{soi ejnwikhvkasi ma'llon ejn toi'" fusikoi'" ma'llon duv nantai uJpo-
tivqesqai toiauvta" ajrca;" ai} ejpi; polu; duvnantai suneivrein: oiJ dæ ej k tw' n pollw'n lovgwn
ajqewvrhtoi tw'n uJparcov ntwn o[nte", pro;" ojlivga blevy ante", ajpofaiv nontai rJa'ion. i[doi dæ a[n
ti" kai; ejk touv twn o{son diafevrousin oiJ fusikw'" kai; logikw'" skopou' nte": peri; ga;r tou'
a[toma ei\ nai megevqh oiJ mevn fasin o{ti to; aujtotrivgwnon polla; e[stai, Dhmovkrito" dæ a] n fa-
neivh oijkeivoi" kai; fusikoi'" lovgoi" pepei'sqai. dh'lon d e[stai o} levgomen proiou'sin.
2 Hammer-Jensen 1910, 103-105; 211-214; Joachim 1922, 76 ad loc.; Frank 1923, 52; Lur'e
1932, 129-138; 1970, 441-445; Alfieri 1936, 81s. n. 160; 1979, 63; Cherniss 1962, 113; Gu-
thrie II, 1965, 503s.; Stokes 1971, cap. 8; Baldes 1972, 64ss.; Löbl 1976, 150-156; 1987, 75-
81; Makin 1993, cap. 3; Curd 2004, 185s.; Sedley 2004; Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1058 n.
2.
3 Hammer-Jensen 1910, 103; Lur'e 1932, 130; 1970, 441-445; Furley 1967, 83; Löbl 1976,
151; 1987, 78.
Capitolo quarto 167
4 V. infra, VI 3. 4.
5 Cf. Philop. In De gen. et corr. 316a 12, 27,8ss. La sostanza dell'argomentazione è la seguente:
Platone non ha mai sostenuto l'esistenza di grandezze indivisibili. Tale tesi gli è stata attri-
buita da Aristotele nei resoconti sulle lezioni non scritte o, secondo l'opinione di alcuni, ri-
sale invece ai Platonici. Una giustificazione di questa presunta indivisibilità del triangolo
consiste nell'affermare che è la figura geometrica ultima non scomponibile in altre figure,
ma solo in un ordine di grandezze ad esso immediatamente successivo, cioè in linee. Il Fi-
lopono, però, la esclude e separa, seguendo una linea esegetica tipicamente neoplatonica,
l'idea del triangolo dalla figura geometrica: il triangolo in sé, in quanto logos del triangolo, si
trova fuori dell'ordine delle grandezze ed è quindi indivisibile. La stessa linea è tenuta da
Porfirio nei confronti delle linee indivisibili di Senocrate come si è visto nel capitolo pre-
cedente.
6 Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1058 n. 2; Mau 1952-53,12; 1954, 26; cf. anche Maccioni 1983,
44-53.
7 Sedley 2004 divide, come Lur'e 1932-1933, il resoconto aristotelico in due parti: una
"storica" (316a 15-b 19), dove non ci sarebbero "presupposti" aristotelici (con questo in-
tende evidentemente unicamente la dottrina della potenza e dell'atto), e una ricostruita da
Aristotele stesso (316b 20-34) nella quale egli consciamente fa sollevare a Democrito obie-
zioni contro la sua stessa teoria della potenza e dell'atto. Tuttavia nel contempo ammette di
sospendere il giudizio sul nodo cruciale del problema e cioè se la prima parte sia un reso-
conto diretto da Democrito o solo una ricostruzione aristotelica (68 n. 6). Ma se questa se-
conda ipotesi fosse vera, cadrebbe anche la divisione fra resoconto "storico" e resoconto
"ricostruito". Ambedue sarebbero in ogni caso ricostruzioni.
168 La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
affatto che il logos da cui avrebbe preso le mosse il discorso sugli indivisi-
bili sia di Zenone e Porfirio non lo attribuisce a Zenone, ma a Parmenide,
e ne fa, come si è visto, il punto di partenza della dimostrazione della
necessità degli indivisibili di Senocrate. Alessandro e Simplicio sostengono
che il logos della dicotomia è di Zenone, ma Simplicio, per confermare
questa tesi, non riesce a far di meglio che riportare i frammenti 29 B 2, 3,
1 DK in sequenza, nessuno dei quali coincide col logos riportato da Porfi-
rio e tantomeno con quello aristotelico. Nei frammenti di Zenone ripor-
tati da Simplicio non si parla affatto di "divisibilità", ma di un processo
progressivo di individuazione di parti intermedie in un "ente" che porta a
dilatarne all'infinito la dimensione (in quanto non si arriva mai alla fine del
processo), ma anche, nel contempo, siccome l'individuazione comporta
anche un movimento retrogrado, a dissolverlo in qualcosa nel quale non
sono più individuabili parti perché non ha più né estensione né spessore
alcuno. Questo qualcosa, come dimostra Zenone nel frammento B 2, non
è nulla perché, aggiunto ad una grandezza non la rende più grande, sot-
tratto, non la rende più piccola. Se si abbandona per un attimo il condi-
zionamento esercitato da tutte le trattazioni successive di questi fram-
menti alla luce del problema matematico dell'infinita divisibilità delle
grandezze e si guarda Zenone da un'altra angolazione, vediamo qui per-
fettamente rappresentato il percorso della mente che, concentrata sulla
concezione tradizionale di ciò che è, come corpo fornito di grandezza e
spessore, è costretta ad immaginarlo8 nello stesso tempo come infinita-
mente grande e come nulla. In definitiva, Zenone riproduce perfettamente
l'immagine dei dikranoi con una mente "vagante" incapaci di decidere fra
l'essere e il non essere, così efficacemente descritta nel Fr. 28 B 6 DK di
Parmenide, e demolisce le concezioni tradizionali di "essere". Simplicio
riporta questi frammenti perché evidentemente non aveva davanti a sé
nessun testo che corrispondesse al "logos della dicotomia", ma altri che
contenevano solo in parte argomenti assimilabili a quello che veniva desi-
gnato in questi termini. Nasce quindi il sospetto che il famoso argomento
della dicotomia e i logoi ad esso collegati siano una riformulazione dialet-
tica di testi zenoniani alla luce del problema della divisibilità all'infinito e
della definizione dell'uno e del molteplice discussi nella scuola platonica.
8 Lo spirito, se non la lettera, dei frammenti zenoniani è mantenuto da Platone nel Parmenide
(164c) nella descrizione del "sogno" della mente vagante in una molteplicità senza l'uno:
"ma ciascuna massa di questi (scil. dei molti senza l'uno), come sembra, è infinita per nu-
mero di parti, e se anche uno colga ciò che sembra la parte più piccola, come nel sonno un
sogno, compaiono improvvisamente, invece di ciò che sembrava uno, molti, e invece della
parte più piccola una massa enorme rispetto alle particelle che risultano dalla sua fram-
mentazione".
Capitolo quarto 169
9 De gen. et corr. A 2, 315b 28 kai; pavlin eij megevqh (scil. ajdiaivreta), povteron, wJ" Dhmovkrito"
kai; Leuv kippo" swvmata tau't ejstiv n, h] w{sper ejn tw'i Timaivwi ejpivpeda.
10 De gen. et corr. A 2, 316a 11-12 peri; ga;r tou' a[toma ei\nai megevqh oiJ mevn fasin o{ti to;
aujtotrivgwnon polla; e[stai. Questo breve accenno è stato interpretato in due maniere:
come una trasposizione dell'indivisibilità del triangolo in sé alla molteplicità dei triangoli fi-
sici (che sarebbero indivisibili in quanto sue ipostasi fisiche), cf. Heinze 1892, 58s.; Cher-
niss 1962, 127s.; Mugler 1966, ad loc., 7 e 80 n. 1; Hirsch 1953, 55s. Maccioni 1983, 32 e n.
21. Come riferimento all'indivisibilità del triangolo in sé (che altrimenti avrebbe parti e sa-
rebbe quindi una molteplicità), cf. Joachim 1922, 76; Barnes 1982, 354. Quest'ultima inter-
pretazione non solo è la più aderente alla sintassi del brano (l'apodosi del periodo ipotetico
della irrealtà al futuro è comunissima in Aristotele e la protasi è qui sottintesa: se non fosse
indivisibile il triangolo in sé sarebbe una molteplicità), ma trova corrispondenza negli ar-
gomenti che nel trattato pseudo-aristotelico De lineis insecabilibus vengono riferiti ai soste-
nitori delle linee indivisibili. Queste sono tali in quanto parti rispetto ad un tutto. Se infatti
così non fosse ed esse avessero parti, ci sarebbero altre grandezze prime rispetto a queste,
vale a dire esse risulterebbero una molteplicità (968a 9-14 = Xenocr. Fr. 127 IP).
11 Mau 1954, 26.
12 Cf. Metaph. G 4, 1006a 2 crw'ntai de; tw'i lovgwi touvtwi polloi; kai; tw'n peri; fuvsew".
170 La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
13 In Metaph. A 8, 989a 30ss. Aristotele "conduce" Anassagora a riconoscere che il suo oJmou'
pavnta e il suo nou' " corrispondono in realtà all'"altro" e all'"uno" dei Platonici
(Anaxagovran d ei[ ti" uJpolaboi duvo levgein stoicei'a, mavlist a]n uJpolavboi kata; lovgon, o}
ejkei'no" aujto;" me; n ouj dihvrqrwsen, hjkolouvqhse mev nt a] n ejx ajnav gkh" toi'" ejpavgousin
aujtov n).
14 Un esempio di questo procedimento e della maniera sbrigativa di trattare in generale il
preambolo si trova in Furley 1967, 83s. Dopo aver accennato alla formulazione dubitativa
di Aristotele riguardo a Democrito e al fatto che comunque il logos che segue contiene con-
cetti aristotelici così come era stato rilevato da Mau egli osserva: "All this is true: Aristotle
has certainly expressed the arguments in his own terms. But I still think it probable that
the logic of the argument belongs to Democritus. I cannot see why else Aristotle should
begin as he does", e cita 316a 11-14. Nessun altro argomento viene portato a sostanziare la
tesi che l'argomentazione sia di Democrito. Cf. anche Makin 1993, 49-55; Curd 2004, 186.
Sedley 2004 ritiene che la prima parte sia un resoconto storico democriteo senza presup-
posti aristotelici, ma è chiaro che non c'è nessuna testimonianza indipendente che per-
metta di attribuire a Democrito ad esempio l'argomentazione della dissoluzione del corpo
fino ai punti. V. infra, 4. 3.
15 Cf. Phys. G 5, 204b 4ss. dove si incontra la stessa contrapposizione in relazione all'infinito
per grandezza (l'altro corno del dilemma dell'infinità). L'argomentazione dialettica si basa
sulla definizione di corpo come "ciò che è delimitato da una superficie". In base a quest'ul-
tima non c'è dunque un corpo infinito né sensibile né intellegibile, ma neppure un numero
infinito esiste separatamente perché il numero in quanto numerabile può essere numerato
e non è possibile percorrere, cioè numerare, in un tempo finito un infinito. L'argomenta-
zione fisica si basa sul fatto che l'infinito non può essere né composto (due corpi infiniti si
limiterebbero a vicenda) né semplice (un corpo sensibile infinito dovrebbe essere diverso
dagli elementi, ma tale corpo non esiste nella realtà, e, d'altra parte, visto che i fenomeni si
Capitolo quarto 171
zione di ajporiva logikhv, fornisce due spiegazioni del termine che corri-
spondono perfettamente al concetto di argomentare "logico" sopra espo-
sto
la chiama logica […], o perché trae unicamente dal ragionamento la sua verosi-
miglianza e non trova sostegno nei fatti concreti (così infatti vengono definiti i lo-
goi di Zenone i quali confutano in modo verosimile il movimento), oppure defini-
sce logica una aporia più generale non aderente a, né specifica dell'oggetto in
discussione né tale da prendere le mosse dai principi che sono propri di quest'ul-
timo16.
Tutti gli interpreti moderni hanno riconosciuto che il resoconto sulla
dimostrazione della necessità degli indivisibili che segue la succitata affer-
mazione in De gen. et corr. A 2 è nettamente diviso in due parti chiaramente
delimitate da Aristotele stesso. Quello che invece è stato inspiegabilmente
trascurato è che le due parti nei loro oggetti e nei loro scopi corrispon-
dono perfettamente ai due tipi di argomentazione, logica e fisica, annun-
ciati nel preambolo. Questa specificità delle due parti è dunque estrema-
mente rilevante non solo per definire la reale importanza del passo
aristotelico ai fini della "ricostruzione" della nascita dell'atomismo dall'ele-
atismo, ma per ricollocare nel suo contesto reale il problema degli "indivi-
sibili".
Qui di seguito esaminerò dunque dapprima in maniera generale le ca-
ratteristiche delle due parti alla luce della distinzione fra argomentazione
logica e argomentazione fisica. In seguito prenderò in esame i punti so-
prattutto della prima parte che, in base a questa classificazione sono piut-
tosto attribuibili agli Accademici che a Democrito. Infine cercherò di
definire l'importanza del brano per l'inquadramento generale della dottrina
democritea nel contesto della discussione sugli indivisibili fra Aristotele e
l'Accademia.
generano sempre dai contrari, è impossibile che questo infinito sia uno solo degli ele-
menti). Mentre l'argomentazione "logica" si basa esclusivamente su ciò che si può pensare,
quella "fisica" considera (almeno nelle intenzioni) anche ciò che esiste in realtà. Sulla di-
stinzione fra argomentazione dialettica e fisica, cf. la dettagliata analisi di Algra 1995, 164ss.
dei contesti in cui l'opposizione ritorna. Egli sintetizza il problema come segue "A survey
of the way in which Aristotle contrasts physical and logical or general (katholou) problems
and arguments shows indeed that to his mind the distinction did not boil down to the
contrast between 'special empirical' arguments on the one and more general or theoretical
arguments on the other hand, but rather to a contrast between arguments (either directly
empirical or of a more theoretical character) which are, so to speak, embedded in a theory
about the physical world, and, on the other hand, those which are of a purely abstract cha-
racter, taking no recourse to the world as it actually appears to us or even flatly contra-
dicting common appearances. Among the latter kind he ranked tha arguments of the phi-
losophers of the Eleatic tradition".
16 Simpl. In Phys. 202a 21, 440,21. Il brano è segnalato e riportato in questo contesto in Algra
1995, 164 n. 106.
172 La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
17 Sedley 2004; cf. anche Atomism's Eleatic Roots (in corso di stampa).
18 Barnes 1982, 358s. tende a sottovalutare proprio il carattere mentale dell'operazione di
divisione sottolineato da formulazioni che insistono sulla possibilità di immaginarla anche
se non verrà mai eseguita nella realtà, cf. 316a 17-19 eij ga;r pavnthi diairetovn, kai; tou'to
dunatovn, ka]n a{ma ei[h tou'to dihirhmevnon, kai; eij mh; a{ ma dihviretai. 316a 22s. ejpei; oujd a] n
eij" muriv a muriav ki" dihirhmevna h\i, oude; n ajd uvnaton: kaivtoi i[sw" oudei; " a]n dievloi. Cf. il
passo della Fisica nella nota seguente che prospetta un'infinità per accrescimento th'i
nohvsei ed è diretto contro gli Accademici.
Capitolo quarto 173
Punto di partenza del logos sugli indivisibili, è una "tesi" (ei[ ti" qeivh), nel
senso tecnico dei Topici20, una formulazione paradossale, che contiene una
ajporiva (e[cei ajporivan). La tesi pone l'esistenza di un corpo e di una
grandezza divisibili per natura in ogni parte e la possibilità di compiere
19 Arist. Phys. G 8, 208a 14 to; de; th'i nohvsei pisteuvein a[topon: ouj ga;r ejpi; tou' pravgmato" hJ
uJperoch; kai; hJ e[lleiyi", ajll ejpi; th'" nohvsew". e{kaston ga;r hJmw' n nohvs eien a[ n ti" pol-
laplavsion eJautou' au[xwn eij" a[peiron: ajll ouj dia; tou'to e[xw tou' a[steov " tiv" ejstin h] tou'
thlikou'de megevqou" o} e[comen, o{ti noei' ti", ajll o{ti e[stin .
20 Top. A 11, 104b 19-22, v. supra, III 2. 1 n. 14.
174 La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
21 De gen. et corr. A 2, 316a 14-23 (68 A 48b DK; 105 L.) e[cei ga;r ajporivan, ei[ ti" qeivh sw'mav
ti ei\nai kai; mev geqo" pavnthi diaireto; n kai; tou'to dunatovn. tiv ga;r e[stai o{per th;n diaivre-
sin diafeuvgei… eij ga;r pav nthi diaireto; n kai; tou' to dunatovn, ka] n a{ma ei[h tou'to pav nthi
dihirhmevnon, kai; eij mh; a{ ma dihvirhtai. ka] n eij tou'to gev noito, oujd e;n a] n ei[h ajduv naton.
oujkou' n kai; kata; to; mevson wJ sauvtw". kai; o{lw" dev, eij pavnthi pevfuke diairetovn, a] n
diaireqh'i, oujde;n e[stai ajduv naton gegonov", ejp ei; oujd a]n eij" muriva muriavki" dihirhmevna
h\i, oujde; n ajduv naton: kaivtoi i[sw" oujdei;" a] n dievloi.
22 Parm. 165b qruvptesqai dh; oi\mai kermatizovmenon ajnavgkh pa'n to; o[n, o} a[n ti" lavbhi th'i
dianoivai: o[gko" gavr pou a[neu eJ no;" ajei; lambav noit a[ n. Cf. anche 158c.
23 Il passo è interessante in quanto Barnes 1982, 358s. e Sedley 2004, 69 concludono, in base
al fatto che in 316a 34ss. si immagina come risultato della divisione del corpo una specie di
segatura (e[kprisma), che nella prima parte del logos aristotelico non venga presa in esame
una divisione mentale, ma reale e se ne servono come argomento per attribuire a Demo-
crito il logos. Come dimostra l'esempio del Parmenide, tuttavia, l'uso di una terminologia fi-
sica non significa nulla. Platone usa infatti immagini estremamente concrete per indicare la
frammentazione mentale dei molti senza l'uno.
Capitolo quarto 175
24 Per quanto riguarda i commentatori, oltre al già citato logos di Porfirio che avrebbe costi-
tuito il punto di partenza dell'assunzione di linee indivisibili da parte di Senocrate, è inte-
ressante ad esempio un altro passo di Porfirio che riferisce della cosiddetta "divisione del
cubito" risalente alle lezioni non scritte di Platone (Porph. 174 F Smith = Simpl. In Phys.
202b 36, 453,30-454,14). Qui viene riproposto il tema della divisione progressiva delle
grandezze all'infinito con il suo corrispettivo, l'infinito per accrescimento: si assuma una
grandezza finita, come un cubito, la si divida in due parti lasciandone poi una intatta; se si
divide l'altra metà continuamente e si aggiungono le parti a questa sottratte alla metà rima-
sta intatta, si otterranno due parti, una che procede verso l'infinitamente piccolo e l'altra
che tende all'infinitamente grande. Platone avrebbe dimostrato con questo esempio la pre-
senza, anche nelle grandezze finite, di una tendenza verso l'infinitamente grande e l'infini-
tamente piccolo, effetto del secondo principio, la diade indefinita.
25 Phys. G 6, 206a 16-23 to; de; mevgeqo" o{ti me;n kat ejnevr geian oujk e[stin a[peiron, ei[rhtai,
diairevsei d ejstivn: ouj ga;r calepo;n aj nelei'n ta; " ajtov mou" grammav ": leivpetai ou\n dunav mei
ei\nai to; a[p eiron. ouj dei' de; to; dunav mei o]n lambavnein, w{sper eij dunato; n tou't ajndriav nta
176 La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
ei\nai, wJ " kai; e[stai tou't ajndriav ", ou{tw kai; a[peirovn ti, o} e[stai ej nergeivai: ajll ejpei;
pollacw'" to; ei\ nai, w{sper hJ hJmevra ejsti; kai; oJ ajgw; n tw'i ajei; a[llo kai; a[llo givnesqai,
ou{tw kai; to; a[peiron. Sulle teorie accademiche come obiettivo di Aristotele nei passi suc-
citati, cf. Krämer 1971, 296-297.
26 De gen. et corr. A 2, 317a 2-12.
27 Questo è stato notato da più parti. Baldes 1972, 44s., partendo dal presupposto che Aristo-
tele si riferisca a materiale democriteo, ipotizza, in modo piuttosto nebuloso, che si tratti di
grandezze matematiche concepite come immanenti ai corpi fisici indivisibili e, in quanto
tali, accidentalmente indivisibili. Lewis 1998, 19 n. 34 fa notare che kai; megevqh è estraneo
alla discussione seguente che riguarda solo la divisione dei corpi e ritiene l'espressione una
semplice aggiunta aristotelica in quanto per lui ogni corpo è anche una grandezza.
Capitolo quarto 177
un altro brano del capitolo nono dello stesso libro dove riassume il ragio-
namento che ha portato agli indivisibili28. Qui Aristotele sostituisce al
sintagma sw'mata ajdiaivreta kai; megevqh, sw'ma ajdiaivreton h] plavto" in
cui il riferimento ai triangoli platonici è palese. Il logos era evidentemente
un discorso generale sugli indivisibili che comprendeva sia la trattazione
dei corpi che quella dei triangoli. Come si vedrà nel cap. V, l'indivisibilità
(relativa) dei corpi e delle grandezze fino all'indivisibile assoluto, la linea, è
un assunto di Senocrate. Per ora comunque ci si può limitare a constatare
che nel logos aristotelico corpi e grandezze hanno due referenti diversi.
Vale la pena riesaminare ora singolarmente gli argomenti della prima parte
a favore di corpi e grandezze indivisibili in quanto questi sono un tipico
esempio di rielaborazione aristotelica di temi trattati nell'Accademia e più
volte ripresi da Aristotele in altre parti della sua opera. Da questo esame si
potrà constatare che, in tutto questo, di Democrito non c'è traccia.
L'argomento fondamentale della prima parte del logos è diretto contro
la divisione dei corpi e delle grandezze fino ai punti. Ammettere che que-
sto sia il risultato della divisione equivale a dissolvere i corpi e le gran-
dezze nel nulla e a volerli ricomporre dal nulla.
Poiché dunque il corpo è divisibile in ogni parte, lo si divida. Che cosa rimarrà
dunque? una grandezza? non è possibile perché altrimenti ci sarebbe qualcosa di
non diviso, ma era divisibile completamente. Se tuttavia non sarà né un corpo né
una grandezza, ma ci sarà la divisione, consisterà di punti, e ciò di cui è composto
saranno non grandezze, o nulla del tutto, talché sarà generato da nulla e compo-
sto da nulla e il tutto non sarà altro che apparenza. Allo stesso modo, se sarà
composto da punti, non avrà una estensione misurabile. Infatti quando i punti si
toccavano e la grandezza era un tutto unico e i punti erano insieme, non rende-
vano più grande il tutto. Infatti quando il tutto è stato diviso in due o in più parti,
non lo rendevano né più piccolo, né più grande di prima, talché, se tutti venissero
messi insieme, non produrrebbero una grandezza 29.
28 De gen. et corr. A 9, 327a 6 eij me;n ga;r mh; pavnthi diaireto;n to; mevgeqo", ajll e[sti sw''ma
ajdiaivreton h] plavto" oujk a]n ei[h pavnthi paqhtikovn, ajll oude; sunece; " ouj devn.
29 De gen. et corr. A 2, 316a 23-34 ejpei; toivnun pavnthi toiou'tovn ejs ti to; sw'ma, dihirhvsqw. tiv
ou\n e[stai loipovn… mevgeqo"… ouj ga;r oi|ovn te: e[ stai gavr ti ouj dihirhmev non, h\n de; pav nthi
diairetovn. ajlla; mh;n eij mhde;n e[stai sw'ma mhde; mevgeqo", diaivresi" dæ e[stai, h] ejk stigmw' n
e[stai, kai; ajmegevqh ejx w| n suvgkeitai, h] oujde;n pantavpasin, w{ste ka]n givnoito ejk mhdeno;"
ka]n ei[h sugkeivmenon, kai; to; pa'n dh; oujde; n ajllæ h] fainovmenon. oJmoivw" de; ka] n h\i ejk stig-
mw'n, oujk e[s tai posovn. oJpovte ga;r h{ptonto kai; e}n h\n mevgeqo" kai; a{ ma h\san, oujde; n
ejpoivoun mei'zon to; pa' n: diaireqev nto" ga;r eij " duvo kai; pleivw, oujde;n e[latton oujd e; mei'zon
to; pa' n tou' provteron, w{ste ka] n pa' sai sunteqw'sin, oujd e;n poihvsousi mevgeqo".
178 La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
In questo argomento viene scartata una prima soluzione, cioè che da una
divisione completa possa risultare una grandezza. "Grandezza" in questo
contesto viene generalmente interpretato come sinonimo di corpo, ma ciò
è inverosimile almeno per due ragioni: in primo luogo perché Aristotele
subito dopo distingue fra corpo e grandezza come possibile risultato della
divisione (se non ci sarà né un corpo né una grandezza), in secondo luogo
perché il caso della divisione fino ad una minuscola particella corporea
come segatura viene prospettato dopo, come alternativa distinta (316b 1).
Siamo dunque qui confrontati con due possibilità: quella della divisione
fino a corpuscoli e quella della divisione fino a grandezze geometriche.
Aristotele non spiega qui come si possa arrivare nella divisione ad una
grandezza, ma lo fa più volte altrove riferendo il metodo di sottrazione dei
Platonici: il corpo è divisibile in superfici, queste in linee e queste in
punti30. Quest'ultimo passaggio, la divisione in punti, tuttavia, non era
ammesso da chi sosteneva la dottrina delle linee indivisibili come limite
ultimo della realtà fisica. A detta di Aristotele lo stesso Platone avrebbe
polemizzato contro le tesi che ponevano il punto come principio della
linea e avrebbe posto l'arresto della divisione a linee indivisibili31. La-
sciando da parte la dibattuta questione se questa sia tesi platonica o derivi
da una interpretazione di Senocrate, che non è rilevante ai fini del pre-
sente argomento, rimane comunque il fatto che la divisione fino al punto
era stata criticata nell'Accademia nel contesto dell'assunzione di indivisi-
bili: la divisione doveva arrestarsi prima, pena la dissoluzione in una non-
grandezza.
L'identificazione del punto con la non-grandezza ritorna in Aristotele
anche in relazione a Zenone. In Metaph. B 4, in un contesto critico contro
30 Si tratta in particolare della tesi di Speusippo che genera dal punto la linea, da questa la
superficie e infine il solido, cf. Arist. Metaph. N 3, 1090b 5-7 (Speus. Fr. 81 IP); M 9, 1085a
31-34 (Speus. Fr. 84 IP); Iambl. De comm. math. sc. 4, 16,15ss. Festa (Speus. Fr. 88 IP). Un
passo aristotelico particolarmente indicativo perché ripropone la dissoluzione del corpo in
punti (in una critica ai triangoli e alle linee indivisibili) è De cael. G 1, 300a 7-12 o{lw" de;
sumbaivnei h] mhdevn pot ei\nai mev geqo", h] duvnasqaiv ge aj naireqh' nai, ei[ per oJmoivw" e[cei
stigmh; me;n pro;" grammhvn, grammh; de; pro;" ejpivpedon, tou'to de; pro; " sw'ma: pav nta ga;r eij"
a[llhla ajnaluovmena eij " ta; prw'ta ajnaluqhvs etai: w{st ej ndevcoit a] n stigma;" mov non ei\nai,
sw'ma de; mhqevn. Per critiche simili, cf. anche De cael. G 1, 299a 6-9; Metaph. K 2, 1060b 12;
Metaph. B 5, 1002a 4-6.
31 Metaph. A 9, 992a 19-24 e[ti aiJ stigmai; ejk tivno" ejnupavrxousin… touvtwi me;n ou\n tw'i gevnei
kai; diemavc eto Plavtwn wJ" o[nti gewmetrikw'i dovgmati, ajll ejkavlei ajrch; n grammh' "—tou'to
de; pollavki" ejtivqei—ta;" ajtovmou" grammav ". kaivtoi aj nav gkh touv twn ei\naiv ti pevra": w{st ejx
ou| lovgou grammhv ejsti, kai; stigmhv ejstin. Questo passo è stato molto discusso in quanto
contraddice le testimonianze tarde sul Peri; tajgaqou', in particolare quella di Alessandro,
dove il punto viene equiparato all'uno e definito "monade avente una posizione" (In
Metaph. 987b 33, 55,20-26; ap. Simpl. In Phys. 202b 36, 454,23-29). In generale, però, si
suppone che la testimonianza di Alessandro sia imprecisa e viziata da interpretazioni sue o
delle sue fonti, cf. De Vogel 1949, 306-311 e Burkert 1972, 18 n. 17.
Capitolo quarto 179
32 29 B 2 DK eij de; ajpoginomevnou to; e{teron mhde;n e[latton e[s tai mhde; au\ prosginomevnou
aujxhvs etai, dh'lon o{ti to; prosgenovmenon oujde; n h\n oujde; to; ajpogenovmenon.
33 B 4, 1001b 7 e[ti eij ajdiaivreton aujto; to; e{ n, kata; me; n to; Zhvnwno" ajxivwma oujqe;n a] n ei[h: o}
gavr mhvte prostiqevmenon mhvte ajf airouvmenon poiei' mei'zon mhde; e[latton, ou[ fhsin ei\nai
tou'to tw'n o[ntwn, wJ " dhlonovti o[nto" megevqou" tou' o[nto": kai; eij mev geqo" swmatikovn:
tou'to ga;r pav nthi o[n: ta; de; a[lla pw;" me; n prostiqevmena poihvsei mei'zon, pw;" d oujqevn,
oi|on ejpivpedon kai; grammhv , stigmh; de; kai; mona;" oujd amw' ". Su questo passo e sul suo con-
testo accademico, cf. Burkert 1972, 286. La decontestualizzazione del passo e l'errata attri-
buzione della definizione del punto come monade avente una posizione ai Pitagorici e non
agli Accademici è all'origine della tesi, sostenuta in primo luogo da Tannéry 1930, 258ss. e
Burnet 1930, 314-17 (cf. anche Alfieri 1979, 41ss.) secondo cui i paradossi di Zenone sa-
rebbero diretti contro una ipotetica matematica pitagorica. Lur'e 1932-1933, 108ss., non
devia sostanzialmente da questa linea in quanto mantiene l'ipotesi di una argomentazione
zenoniana contro il punto, cambiandone solo i presunti obiettivi polemici: invece che i Pi-
tagorici, la matematica del tempo. Cf. anche Mau 1954, 12ss. Per la critica dettagliata a
queste interpretazioni, cf. Burkert 1972, 285-289.
34 Cf. e.g. Furley 1967, 85; Sedley 2004, 70.
180 La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
crito di cui non vengono mai menzionate opinioni sul punto o su una
eventuale dissoluzione delle grandezze in punti.
La seconda ipotesi del logos della divisione all'infinito sembrerebbe più
vicina ad una possibile argomentazione democritea: la divisione all'infinito
non produce questa volta punti o nulla, ma un corpuscolo minuscolo,
simile ad una particella di segatura
Anche se comunque dalla divisione del corpo risulta qualcosa, una sorta di sega-
tura, e così dalla grandezza si stacca un corpo, vale per questo lo stesso argo-
mento, come è divisibile?35
Poiché tuttavia si era ammesso che un corpo, per quanto piccolo, poteva
essere per definizione diviso, sorge la domanda di come questo corpu-
scolo possa essere ancora diviso e si ricade nell'aporia precedente (divi-
sione fino ai punti e al nulla). La terminologia fisica, come si è visto, non è
necessariamente indice di una divisione reale. Una teoria corpuscolare che
ammetteva dei corpuscoli ulteriormente divisibili con la mente, ma mai
divisi era sostenuta nell'Accademia da Eraclide Pontico e, probabilmente
sulla sua scia, veniva attribuita anche ad Anassagora e ad Empedocle36.
Questa tesi, però, supponeva che un corpo in quanto tale fosse divisibile
all'infinito, dunque il corpuscolo non diviso deve essere ulteriormente
divisibile, per lo meno con la mente. Questo tema ritorna in forme diverse
nel logos eleatico di De generatione et corruptione A 2 e in quello di Porfirio. In
ambedue si afferma che l'essere non può essere diviso in una parte sì e in
un'altra no e Porfirio ne spiega anche la ragione col fatto che l'essere è
omogeneo. Uno dei capisaldi della critica all'atomismo e al corpuscolari-
smo dei Pitagorici-Accademici in Sesto Empirico era basato sulla tesi che i
corpi sono ulteriormente divisibili con la mente e quindi non possono
essere eterni37. In base a tutto questo, l'arresto della divisione in un corpu-
scolo minuscolo come segatura sarebbe non "reale", ma solo fisico in
quanto la mente può procedere oltre. Si può ricordare a questo punto
anche la frase di Platone riguardo agli "amici delle idee" nella gigantoma-
chia del Sofista: questi ultimi, secondo lo straniero di Elea, "fanno a pez-
zettini nei loro logoi i corpi di quegli altri" definendo un divenire incessante
quella che costoro chiamano essenza38. La prima parte del logos riportato
da Aristotele, che fa proprio questo, potrebbe ben figurare come punto di
35 De gen. et corr. A 2, 316a 34-b 2 ajlla; mh;n kai; ei[ ti diairoumevnou oi|on e[kprisma givnetai
tou' swvmato", kai; ou{tw" ejk tou' megevqou" sw'mav ti ajp evrcetai, oJ aujto;" lovgo", ejkei' no pw'"
diairetovn.
36 V. supra, II 4. 1 n. 56-57.
37 V. supra, II 4 n. 38.
38 Soph. 246b ta; de; ejkeivnwn swvmata kai; th;n legomevnhn uJp aujtw'n ajlhvqeian kata; smikra;
diaqrauvonte" ejn toi'" lovgoi" gevnesin ajnt oujsiva" feromevnhn tina; prosagoreuvousin. V.
supra, II 2 n. 11.
Capitolo quarto 181
partenza per un discorso sugli indivisibili dietro al quale sta, però, quello
sui principi: i corpi e le grandezze, in quanto formati anche dalla diade
indefinita, tendono all'infinità nei due sensi, per divisione e per aggiunta39,
essi vengono però limitati dall'uno, che si configura come misura indivisi-
bile. La necessità del triangolo indivisibile è data dal fatto che questo, in
quanto misura ultima della realtà fisica (nel Timeo la divisione viene pro-
tratta solo fino ai triangoli elementari), deve essere tale, altrimenti sarebbe
anch'esso una molteplicità.
Aristotele aggiunge poi un ulteriore argomento che allude a teorie
specifiche da lui criticate altrove: la divisione all'infinito di un corpo pro-
duce un ei\do" o un pavqo" separato che agisce su punti e contatti. In que-
sto caso si ricade nella prima ipotesi in quanto si deve presupporre una
divisione del corpo in punti (da cui si separerebbero poi forme e affezioni)
e quindi la dissoluzione nel nulla40. Egli attribuisce altrove una dottrina
della "mescolanza" di forme (nel senso platonico di idee) e affezioni sepa-
rate dalla materia ad Anassagora e a Eudosso. Quest'ultimo avrebbe so-
stenuto la tesi secondo cui le idee sarebbero immanenti nei sensibili in
quanto "mescolate" ad essi come il bianco al bianco ponendosi, secondo
Aristotele, sulla scia di Anassagora41. I dettagli di questa mescolanza, non
risultano affatto chiari né da qui né dalla lunga serie di critiche che Ari-
stotele esponeva nel Peri; ijdew'n42. Egli vi vedeva, però, la possibilità che,
in quanto "mescolate", le idee potessero anche essere separate dalla mate-
ria così come, secondo lui, si potevano separare le affezioni dal tutto in
tutto di Anassagora43. Nello stesso primo libro del De generatione et corrup-
tione Aristotele, più oltre, discutendo il concetto di mescolanza, si esprime
in modo altrettanto critico nei confronti di questa presunta teoria: le affe-
zioni non possono essere mescolate perché ciò che si mescola, si può
anche separare e nessuna di esse è separata dai sensibili44. Si spiega perciò
39 Cf. il già citato esempio della "divisione del cubito" attribuito a Platone da Porfirio e
derivante dal Peri; tajgaqou', supra, n. 24.
40 De gen. et corr. A 2, 316b 2-5 eij de; mh; sw'ma ajll ei\dov" ti cwristo;n h] pavqo" o} ajph'lqen, kai;
e[sti to; mevgeqo" stigmai; h] aJf ai; todi; paqou' sai, a[topon ej k mh; megeqw' n mev geqo" ei\nai.
41 Metaph. A 9, 991a 14 (Eudox. Fr. D 1 Lasserre) ou{tw me;n ga;r a]n i[sw" ai[tia dovxeien (scil.
ta; ei[dh) ei\nai wJ" to; leuko; n memigmevnon tw' leukw'i, ajll ou|to" me; n oJ lovgo" livan
eujkiv nhto", o}n Anaxagovra" me;n prw'to" Eu[doxo" d u{steron kai; a[lloi tine;" e[legon
(rJavdion ga;r sunagagei'n polla; kai; ajd uvnata pro;" th;n toiauvthn dovxan). Cf. anche 998a 35.
42 Arist. De ideis Fr. 5 Ross (Alex. In Metaph. 991a 14, 97,27-98, 24). Sui problemi di inter-
pretazione di tale dottrina attribuita da Aristotele ad Eudosso, cf. Krämer 1983, 74-77.
43 Metaph. A 8, 989a 30-b 4 (59 A 61 DK) ajtovpou ga;r o[nto" kai; a[llw" tou' favskein me-
mi'cqai th;n ajrch;n pavnta, kai; dia; to; sumbaivnein a[ mikta dei' n proupavrcein kai; dia; to; mh;
pefukevnai tw'i tucov nti mivgnusqai to; tucovn, pro;" de; touvtoi" o{ti ta; pavqh kai; ta; sumbe-
bhkovta cwrivzoit a] n tw' n oujsiw'n (tw'n ga;r aujtw' n mi'xiv" ejs ti kai; cwrismov").
44 De gen. et corr. A 10, 327b 13-22 to;n aujto;n de; trovpon ou[te tw'i swvmati th;n trofh;n ou[te to;
sch'ma tw'i khrw'i mignuvmenon schmativzein to; n o[gkon: oujde; to; sw'ma kai; to; leuko;n oujd
182 La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
o{lw" ta; pavqh kai; ta; " e{xei" oi|ovn te mivgnusqai toi'" pravgmasin: swzovmena ga;r oJra'tai.
ajlla; mh; n oujde; to; leukovn ge kai; th; n ejpisthvmhn ej ndevc etai micqh'nai, oujd a[llo tw' n mh;
cwristw'n oujd evn. ajlla; tou'to lev gousin ouj kalw'" oiJ pav nta pote; oJmou' favs konte" ei\nai kai;
memivcqai: ouj ga;r a{pan a{panti miktovn, ajll uJp avrcein dei' cwristo;n eJkavteron tw'n mic-
qevntwn: tw' n de; paqw'n oujqe; n cwristov n.
45 Sedley 2004, 71, riportando questo argomento a Democrito, ipotizzando che qui si voglia
parlare di "massa" o "solidità" o di qualche altra proprietà dei corpi, tralascia proprio di
considerare il carattere specificamente aristotelico dell'allusione all'ei\do" e al pavqo".
46 Top. Q 1, 157a 1 e[ti to; mhkuvnein kai; parembavllein ta; mhde;n crhvsima pro;" to;n lovgon,
kaqavper oiJ yeudografou'nte": pollw'n ga;r o[ ntwn a[dhlon ej n oJpoivwi to; yeu'do".
47 Il perfetto (pavnthi a[r a dihvirhtai dunavmei), che ha un valore risultativo, si spiega col fatto
che la divisione in potenza che si immagina avverrà di fatto è equivalente ad una divisione
già operata.
48 Questo argomento, che Sedley 2004, 72s. e 75s. vuole trasporre prima di 316b 28 sulla
base del fatto che non sarebbe "democriteo" e dunque non potrebbe stare nel contesto
precedente, è invece in perfetta consonanza con la strategia aristotelica delineata nel testo.
Capitolo quarto 183
49 Mau 1952-53, 12 aveva appunto rigettato per questo la paternità democritea di tutto il
passo di De generatione et corruptione A 2; cf. anche Sinnige 1968, 147. Coloro che, invece, ve-
dono nella prima parte del passo un resoconto "storico" delle tesi di Democrito spiegano
questo argomento come un rimaneggiamento aristotelico di tesi democritee (Furley 1967,
90s.; Baldes 1972, 38; Sedley 2004). Joachim 1922, 84 ipotizzava addirittura che si trattasse
in origine di una nota marginale di Aristotele stesso.
50 Arist. De gen. et corr. A 2, 316b 21-27 to; me;n ou\n a{p an sw'ma ai[sqhto;n ei\nai diaireto;n kaq
oJtiou'n shmei'on kai; ajdiaivreton oujde; n a[topon: to; me; n ga;r dunavmei, to; d ej nteleceivai
184 La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
L'obiezione che Aristotele muove alla sua soluzione dell'aporia (la possi-
bilità di distinguere fra divisione in atto e in potenza), si basa sui presup-
posti dell'argomentazione "dialettica", cioè sull'ipotesi che una divisione
attuabile col pensiero equivalga ad una divisione reale; in questo caso la
distinzione fra potenza e atto è nulla e si deve ammettere l'esistenza degli
indivisibili. Anche questa di muovere obiezioni alla propria tesi è un tipico
espediente dialettico, codificato nei Topici, il cui scopo è quello di rendere
l'avversario meno diffidente51. Aristotele ribatte però a questa obiezione
ritornando all'ambito concreto della fisica. In ossequio al principio
secondo cui, trattando di fenomeni fisici, ci si deve attenere a quanto è
realizzabile veramente e non a quanto si immagina, prospetta un altro
scenario. Come riguardo all'infinito per accrescimento osservava che uno
non è più grande di una città perché si immagina tale, così per quanto
riguarda la divisione si richiama a quanto accade in realtà: e di fatto si os-
serva che, quando si divide, si ottengono delle grandezze sempre più pic-
cole, ben distinte e separate (e non delle grandezze in cui non si arriva mai
a isolare veramente una parte come veniva ipotizzato nell'argomentazione
"logica" da Platone nel Parmenide e nel paradosso stesso di Zenone), non
solo, ma, anche che, dividendo progressivamente parte per parte, non si
può portare la frammentazione all'infinito né è possibile materialmente
dividere la grandezza simultaneamente in ogni punto. Ed è questo argo-
mento dell'impossibilità materiale che, nell'argomentazione fisica, porta a
postulare delle grandezze indivisibili nei corpi. Aristotele prosegue poi a
confutare sia l'argomento dialettico, sia quello fisico dimostrando che in
ambedue si nasconde un paralogismo. Ambedue partono infatti dalla
premessa che una grandezza sia costituita in ogni momento da un infinito
numero di punti contigui, ma questo è falso perché il punto non è una
sostanza, ma un limite e quindi non ha un'esistenza in atto. Non è possi-
bile dunque dividere in due o più punti simultaneamente (ad esempio nel
punto centrale della grandezza e in quello immediatamente successivo), o
anche successivamente, ma solo in uno. La grandezza è infinitamente
divisibile in quanto è divisibile in tutti i punti, ma ogni volta c'è su di essa
uJpavrxei. to; d ei\nai a{ma pavnthi diaireto;n dunavmei ajduv naton dovxeien a] n ei\nai. eij ga;r du-
nato; n, ka] n gevnoito, oujc w{ste ei\ nai a{ma a[mfw ej nteleceivai ajdiaivreton kai; dihirhmevnon,
ajlla; dihirhmevnon kaq oJtiou'n shmei'on: oujde;n a[ra e[stai loipovn, kai; eij" ajswv mata
ejfqarmev non to; sw'ma, kai; giv noito d a]n pavlin h[toi ejk stigmw'n h] oJlw" ejx oujdenov". kai;
tou'to pw' " dunatovn… ajlla; mh; n o{ti ge diairei'tai eij " cwrista; kai; ajei; eij " ejl avttw megevqh
kai; eij" ajpevconta kai; kecwrismevna fanerov n. ou[te dh; kata; mevro" diairou'nti ei[h a] n
a[peiro" hJ qruvyi", ou[te a{ma oi|ovn te diaireqh' nai kata; pa'n shmei'on, ouj ga;r dunatovn,
ajlla; mev cri tou: aj nav gkh a[ra ejnupavrcein a[toma megevqh ajovrata, a[llw" te kai; ei[per
e[stai gev nesi" kai; fqora; hJ me; n diakrivs ei hJ de; sugkrivsei.
51 Top. Q 1, 156b 18 dei' de; kai; aujtovn pote eJautw'i e[nstasin fevrein: ajnupovp tw" ga;r e[cousin
oiJ ajpokrinovmenoi pro;" tou;" dokou' nta" dikaivw " ejpiceirei'n.
Capitolo quarto 185
un solo punto, non infiniti. Dunque non c'è bisogno di porre alla base
della realtà delle grandezze indivisibili, anche perché la generazione e la
dissoluzione non avvengono per composizione e scomposizione.
Ritorniamo ora all'argomento "fisico". Se fosse democriteo, risulte-
rebbe che gli atomi sono tali solo perché sono le parti più piccole a cui
possa materialmente arrivare una divisione fisica, sono dunque degli
ejlavcista52 del tutto simili ai corpuscoli delle teorie corpuscolari, cioè a
quella segatura rigettata nell'argomento precedente. In Sesto gli Accade-
mici-Pitagorici rimproverano agli atomisti e ai corpuscolaristi di essersi
fermati nella scomposizione a corpuscoli indivisibili riconoscendo loro
una prerogativa, l'eternità, che in realtà, in quanto corpi, essi non hanno.
Infatti, anche se materialmente non si possono dividere, col pensiero sono
ulteriormente scomponibili fino ai limiti ultimi.
Aristotele rovescia invece la gerarchia dei "modelli" preferendo co-
munque quello "fisico", che bada alla realtà dei fatti, a quello "dialettico"
che sposta l'argomentazione fuori della realtà fisica perché ha come scopo
la ricerca dei principi universali. Ambedue sono però argomenti-tipo usati
con varianti nelle dispute dialettiche. Democrito "sembrerebbe essere
stato persuaso" dall'argomento fisico che in realtà non è suo, ma può
essere dedotto leggendo i suoi testi nell'ottica degli indivisibili. La parte
finale dell'argomentazione rivela infatti in certe piccole incongruenze che
Aristotele ha sì in mente la formulazione generale della dottrina democri-
tea, quella che egli espone nelle sue "schede" in altri punti della sua opera,
ma che l'ha "adattata" alla problematica degli indivisibili. In particolare
saltano agli occhi la menzione di grandezze "invisibili", che non ha nulla a
che fare col problema della divisibilità, e l'affermazione che la generazione
e la corruzione si verificano per composizione e, rispettivamente, per
separazione. La stessa ridondanza è presente nella presunta risposta di
Leucippo agli Eleati in A 8 dove, alla dichiarazione che l'essere propria-
mente detto non è uno, ma infiniti, segue inopinatamente (325a 30) kai;
ajovrata dia; smikrovthta tw'n o[gkwn, che nulla a a che fare con l'argo-
mento. Questa è però ogni volta la "spia" dell'adattamento della solita
"scheda" generale aristotelica sull'atomismo al problema in discussione,
così come lo è l'allusione alla generazione e alla corruzione per composi-
zione e disgregazione di particelle che si ritrova puntualmente anche nel-
l'altro brano del De generatione et corruptione così come in tutti i brani in cui
viene dato un sunto delle dottrine atomistiche53. Si tratta di quelle schede
52 Aristotele stesso critica più sotto nello stesso capitolo (326a 24-29) la tesi che l'indivisibilità
sia da attribuire solo ai corpuscoli piccoli e non a quelli grandi.
53 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279 b 12, 295,8-20) (68 A 37 DK; 293 L.) ejk touvtwn
(scil. mikrw'n oujsiw'n) ou\n h[dh (D E, Diels: h[/dei A Heiberg) kaqavper ejk stoiceivwn genna'i
kai; sugkriv nei (Diels: genna' n kai; sugkrivnein codd.) tou;" ojfqalmofanei'" kai; tou; "
186 La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
che Aristotele nei Topici raccomanda di redigere per poter poi utilizzare al
bisogno54.
L'affermazione che la generazione e la dissoluzione avvengono per as-
sociazione e dissociazione era una enunciazione dogmatica che non aveva
bisogno di dimostrazione perché era largamente condivisa. Né Empedo-
cle né Anassagora hanno dato alcuna giustificazione di questo loro as-
sunto. L'assunzione di minuscoli corpuscoli invisibili diversi dai corpi
visibili (i quali sono esposti a cambiamento, malattia e dissoluzione) e
dunque resistenti, compatti e non tagliati55 era perfettamente adatta a giu-
stificare la persistenza dell'universo. Non c'era bisogno di una trattazione
dialettica generale del problema dell'indivisibilità per questo. Aristotele ha
costruito su questa semplice base di dottrina atomistica una argomenta-
zione fisica da cui Democrito avrebbe potuto essere persuaso se avesse
formulato la sua tesi partendo dalla problematica degli indivisibili viva fra
gli Accademici e tesa alla soluzione delle presunte aporie eleatiche sulla
divisibilità all'infinito.
Se questo è vero, la dimostrazione dell'indivisibilità delle grandezze
come è delineata in De generatione et corruptione A 2 scaturisce da una pro-
blematica accademica e aristotelica, non democritea. Dunque questo
brano non ci dice nulla né su una ipotetica soluzione democritea dei para-
dossi zenoniani, né sul tipo di indivisibilità che Democrito attribuiva al-
l'atomo, ma ci informa unicamente sui presupposti interpretativi di Ari-
stotele e sul contesto in cui egli colloca e discute l'atomismo.
6. Sintesi
Il logos sulla necessità degli indivisibili di De generatione et corruptione A 2 è
stato considerato, come quello di A 8, una ulteriore prova del fatto che gli
atomisti sarebbero partiti dall'aporia zenoniana della divisibilità all'infinito
per formulare la loro dottrina degli indivisibili. In realtà Aristotele ripro-
duce nel suo resoconto sulla necessità degli indivisibili due tipi di argo-
aijsqhtou;" o[gkou" ª...º ejpi; tosou'ton ou\n crov non sfw' n aujtw'n ajntevc esqai nomivzei kai;
summevnein, e{w " ijscurotevra ti" ejk tou' perievconto" aj navgkh paragenomevnh diaseivshi kai;
cwri;" auj ta; " diaspeivrhi. La dichiarazione che generazione e corruzione non sono altro
che composizione e scomposizione di elementi già preesistenti è anche in Anassagora una
enunciazione dogmatica, cf. Anaxag. 59 B 17 DK to; de; givnesqai kai; ajpovllusqai oujk
ojrqw'" nomivzousin oiJ ”Ellhne": oujde; n ga;r crh'ma givnetai oujde; ajpovllutai, ajllæ ajpo;
ejovntwn crhmavtwn summivsgetaiv te kai; diakrivnetai. kai; ou{ tw" a]n ojrqw' " kaloi'en tov te
givnesqai summivsgesqai kai; to; ajpovllusqai diakrivnesqai.
54 Top. A 14, 105b 16-18.
55 Sul significato dell'aggettivo a[tomo" al tempo di Democrito e sulle denominazioni originali
del corpuscolo democriteo, v. infra, V 3.
Capitolo quarto 187
simili a quelle del passo del De caelo: il fuoco, l'acqua, l'aria e la terra, pos-
sono scomporsi a loro volta in particelle "elementi di elementi". Quest'ul-
tima definizione è profondamente influenzata dal Ti