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Di Alice Spadaro
L’ombra di Barnum
Phineas Taylor (per tutti P.T.) Barnum, nato nel 1810, era diventato pubblicitario improvvisandosi autore di
manifesti e volantini promozionali per i negozi per i quali era impegnato e poi per un emporio acquistato
con i risparmi accumulati come lavoratore dipendente. Di qui era passato a fare continue rappresentazioni
nel mondo dei teatri e dello spettacolo popolare. Locandine, manifesti, inserzioni sui giornali si erano
rivelati un buon mezzo per attirare l’attenzione dei passanti e portarli a teatro.
I temi trattati da Barnum erano il suffragio femminile, la battaglia contro l’alcolismo. La sua popolarità gli
permisero di intraprendere una breve carriera a livello politico: sindaco repubblicano di Bridgeport e
deputato al parlamento del Connecticut. La figura di Barnum fu anche oggetto di ampie critiche, al centro vi
erano attività commerciali e le accuse di truffa collegate ad operazioni immobiliari o ai suoi musei.
L’articolo scritto da un anonimo su “Printers Ink” del 1910 aveva proprio come oggetto la frode, il gusto
dell’esagerazione di Barnum. Egli veniva definito come “deplorevolmente volgare e fuorviante rispetto agli
sviluppi moderni”. Probabilmente, l’articolo fu scritto da quei pubblicitari che dirigevano o lavoravano per le
agenzie (affermatesi negli 80/90 del ‘800 e che divennero il principale promotore commerciale nel ‘900).
Come si è arrivati alle agenzie pubblicitarie?
- ‘700/’800 : la pubblicità sui giornali , i manifesti per le strade, per richiamare l’attenzione del pubblico su
un prodotto, era strettamente collegata alle aste di schiavi e soprattutto alle descrizione di schiavi
fuggiaschi.
- Questi tipi di annunci si diffusero ancor di più quando negli anni 50 dell’800 , le comunicazioni commerciali
a pagamento si ritagliarono uno spazio specifico, ospitato dai giornali in una sezione nettamente divisa da
quella degli annunci giudiziari, grazie all’avanzamento della rivoluzione industriale. Sempre in questi anni si
diffuse l’esperimento delle riviste illustrate, avviato da Frank Leslie, protetto di Barnum.
Gli attori che animavano il meccanismo pubblicitario si dividevano tra coloro che volevano fare propaganda
( come i produttori di medicinali, aziende produttrici di vino..) e coloro che volevano realizzare la pubblicità
( come giornalisti, editori, tipografi..).
In questo contesto, si inserisce, inevitabilmente, l’età vittoriana – forte sviluppo economico ed processo di
trasformazione industriale e sociale che alimentava l’attività pubblicitaria.
- ‘900 : esplosione della carta stampata - supporto mediatico e un fattivo stimolo alla trasformazione in
corso. In questo periodo si sviluppano mezzi rivoluzionari, come il telefono, il fonografo, il grammofono … in
questo contesto Barnum rifletteva e articolava la transizione dalla cultura popolare delle fiere di paese e di
strada alla cultura commerciale della performance a pagamento, in uno spazio pubblicitario privatizzato. Egli
proponeva un contatto ravvicinato ma al riparto del chiuso di un teatro, con il pericolo tenuto sotto
controllo, l’esoterico addomesticato, l’ignoto e il magico risolti in un sorriso.
Fino agli anni 70/80 i più diffusi strumenti pubblicitari statunitensi furono i volantini, le brochures, i
cataloghi e soprattutto le stampe e le cosidette trade cards ( fatte dai tipografi su commissione e
personalizzate per imprenditori). La collaborazione più importante a livello pubblicitario era quindi quella
tra imprenditore e tipografi. Barnum aveva insegnato un nuovo modo di leggere il mondo attraverso la
pubblicità. Egli aveva avuto un ruolo fondamentale nella creazione di slogan, nell’uso pioneristico
dell’illuminazione a sostegno della comunicazione pubblicitaria, nell’utilizzo di eventi e segmenti dello show
business a fine promozionali. I tipografi detenevano la chiave , tecnica e culturale, del mestiere
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pubblicitario. Fra questi: George P. Rowell, veniva dall’editoria e si era formato in una delle piccole agenzie
create negli anni a cavallo della Guerra Civile, col compito di gestire spazi pubblicitari sui giornali. Gli agenti
mettevano gli spazi a disposizione degli inserzionisti. Rowell ebbe la capacità di ribaltare i rapporti di forza
con giornali e stampatori (avvisi sui giornali fino ad allora erano una parte molto limitata delle attività
promozionali).l’occasione si presentò quando alcune imprese manifatturiere di beni di consumo a domanda
anelastica come le saponette, i medicinali, cibi in scatola, con un potenziale produttivo su grandi volumi
grazie alla recente messa a punto di macchinari a ciclo continuo, si videro costrette, dalla concorrenza, a
cercare elementi di differenziazione del prodotto che consentissero loro di aumentare il fatturato,
sfruttando appieno le economie di scala. Ne nacque una domanda di servizi pubblicitari più specialistici di
quelli di cui avevano usufruito fino a quel momento. Servizi capaci di raggiungere, in tempi rapidi e su tutto
il territorio nazionale, il pubblico di ceto medio.
Alcuni incominciarono ad abbandonare il rapporto di dipendenza coi giornali e a rivolgersi direttamente agli
inserzionisti. Gli agenti consegnavano alle imprese un’inserzione, da loro redatta e già piazzata su una
determinata pubblicazione, in cambio di una commissione fissa. Negli anni ’80 crescevano le riviste che
curavano le vendite per corrispondenza e aumentava la sensibilità dei quotidiani per gli annunci
commerciali a pagamento. All’inizio del decennio successivo apparsero riviste mensili a basso costo e
altissima tiratura: pubblicità come principale fonte di sostentamento.
Fra il 1890 e il 1910 – nuovo assetto della pubblicità : ruolo centrale delle agenzie , fuoco comunicativo sul
veicolo giornalistico, ridefinendo la funzione dei tipografi e al tempo stesso aggirando i giornali presso gli
inserzionisti.
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responsabilizzazione del dipendente. Egli si rivolse all’agenzia di Ayer. L’approccio iniziale che Vail voleva era
improntato a sottolineare la dimensione della compagnia , le chiamate interurbane e interstatali. Era però
difficile tenere traccia del successo delle campagne pubblicitarie fino a che nel 1909 A. propose una
completa innovazione: se fino ad allora al centro delle storie di AT&T vi era stato l’uomo d’affari che usava il
telefono, egli propone l’inserimento dell’immagine della donna. A. era convinto che la donna dischiudesse
un ampio uditorio perché tutti hanno una casa. Gli uffici li hanno solo gli uomini.
La collaborazione tra Ayer e AT&T durò fino agli anni 20.
Radio days
Con la crisi del 1929 le principali agenzie di advertising si ridussero e diminuirono il loro fatturato.
Conseguenze della crisi sul modo di fare pubblicità:
- prezzo -> emerge una preoccupazione per l’aspetto economico. Inizia ad essere indicato il prezzo dei beni.
- stile realistico -> era che non autorizzava fronzoli e metteva con le spalle al muro gli art directors visionari.
Importante era ingenerare la sensazione di veridicità e impressionare i lettori
Si apriva così la strada alle agenzie particolarmente agguerrite che diffondevano la così detta “scare
advertising” – pubblicità che mette paura. Le loro campagne mostravano regolarmente incidenti d’auto o
persone costrette a letto da una grave malattia , suggerendo come le difficoltà fossero il frutto
dell’imprevidenza personale e della mancata sottoscrizione di una polizza. Con la crisi questa tendenza
aumentò diventando un elemento dominante. Il fenomeno toccò il medium della radio, assunto come
strumento di lavoro dalle agenzie solo a partire dagli anni 30. La radio raggiungeva tutta la popolazione,
anche gli immigrati che sino a quel momento erano stati esclusi. NBC e CBS erano i due grandi networks
radiofonici che si costituirono negli anni 20. Nonostante la volontà di gruppi popolari antimonopolistici di
accaparrarsi frequenze radio, la politica di Roosevelt favorì la privatizzazione. I networks erano indotti dalla
minaccia di intervento pubblico all’autoregolamentazione e alla produzione di una certa quota di programmi
di interesse civico e pubblico non sostenuti da sponsor commerciali. La radio non fu da subito apprezzata
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come mezzo di comunicazione con il grande pubblico -> intrusione nella vita della gente e possibili reazioni
negative. I tipi di annunci adottati erano principalmente 4:
- monologo di un esperto
- dialogo fra persone famose ed autorevoli
- breve sketch
- jingle musicale
In origine le trasmissioni erano prodotte direttamente dalle stazioni radio. Presto, però, emersero
divergenze con agenzie e sponsor, preoccupati di esercitare il controllo sui flussi comunicativi. Finchè le
agenzie presero la situazione in mano, imponendo la loro capacità di combinare al proprio interno risorse di
ordine artistico e organizzativo tali da fornire, d’intesa con gli studios hollywoodiani, una trasmissione chiavi
in mano, secondo un modello che garantiva benefici abbastanza equamente distribuiti per tutti gli attori.
Alle agenzie i ne work offrivano un veicolo per raggiungere un mercato di massa senza bisogno di ricerche. I
network ne traevano la base dei loro utili e in caso di programmi poco gradevoli all’opinione pubblica
potevano scaricare la colpa sulle agenzie e sugli sponsor. La scansione dei programmi in radio si divise tra
programmi serali , con prevalenza di numeri musicali e di lavori teatrali, e la programmazione diurna,
comprendente fiction, drammi popolari tradizionali e soprattutto la soap opera. Quest’ultima era indirizzata
alle casalinghe nelle ore di punta del mattino e del pomeriggio, durava dal quarto d’ora alla mezz’ora.
Emersero in queste periodo: Young&Rubicam , B-S-H, e B&B.
Y&R fondata nel 1923 – tratti distintivi con JWT: approccio che privilegiava in tutti i sensi il primato dei copy,
incoraggiando la loro ascesa anche a livello manageriale e azionario, rispetto agli account, resposabili dei
rapporti coi clienti. – tratti distintivi con la BDO: struttura direzionale e organizzativa meno monocentrica e
più informale, e per un taglio degli annunci ironico e anticonformista. Come Resor, per avere feedbacks, Y&R
si mosse verso i nascenti studi sul giornalismo e la pubblicità, assumendo Gallup specializzato in rilevazioni
di mercato. Esse furono condotte per via telefonica a campione. Col tempo divennero il principale mezzo di
valutazione : in testa vi erano le soap che offrivano al 50% della popolazione femminile elementi di interesse
e stimoli non irrilevanti. Scritte spesso da donne per altre donne, inscenavano quadri della vita quotidiana e
affrontavano nodi cruciali delle dinamiche di genere come le tensioni nel matrimonio. Agenzia e sponsor
non mancavano a tenere sottocontrollo le soap per evitare risvolti di genere. Pubblicitari e sponsor finirono
a più riprese nel mirino delle critiche e per correre ai ripari si ricorse alla pubblicità istituzionale:
legittimazione e miglioramento dell’immagine del business fortemente incrinata dalla crisi. Negli anni 30,
reparti di public relations nacquero presso diverse corporations per gestire campagne ed “eventi” non
strettamente di prodotto ma di costruzione dell’immagine. La radio fu assunta come medium privilegiato di
queste campagne percè con essa si potevano raggiungere gli strati più modesti della popolazione. Mediante
queste iniziative il mondo pubblicitario non solo trovò un modo per sbarcare il lunario in tempi di magra,
ma ridefinì i propri orizzonti rispetto alla deriva tematica ed espressiva in cui era scivolato con le
esagerazioni e gli strepiti nel tentativo di cavalcare la crisi es: American Family Robinsonche cercava di
rendere accettabile il mondo del business e Cavalcade , un settimanale di pagine gloriose di grandi e piccoli
eroismi statunitensi.
Sottomarini e frigoriferi
La mostra Better living American way of life (EXPO) nonostante non ebbe un gran successo nel rilancio
commerciale di New York , fu un oggetto di una massiccia operazione di pubblicità e PR. L’operazione fu
condotta dalle principali corporations. I caratteri che fino ad oggi avevano caratterizzato questi tipi di mostre
vomr le dichiarazioni sui principi di pace, i simboli scultorei ecc.. passarono in secondo piano per lasciare
spazio ai padiglioni sponsorizzati dalla grandi imprese. La più importante fu General Motors. In omaggio al
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tema centrale della mostra, che era “il Mondo del Futuro” , la principale attrazione dell’impresa d’auto di
Detroit si chiamava Futurama (leggo pag 96).
Il pubblico non identificava più l’azienda con la produzioni di armamenti per la quale era finita sul banco
degli imputati solo qualche anno prima.
Questa fiera fu un vero e proprio botteghino per gli affari. L’expo aveva riservato alle organizzazioni dei
consumatori una collocazione secondaria , tanto da indurre quelle principali a non partecipare.
La fiera incarnò l’immagine di una nazione di famiglie di consumatori-cittadini, che guardavano con fiducia a
un futuro intessuto di avveniristiche realizzazioni, frutto dell’applicazione sistematica dei ritrovati della
scienza, sotto l’egida delle grandi imprese, alla vita quotidiana, alla domesticità e al tempo libero. La dura
realtà del paese rimaneva quella di una recessione che non era ancora stata debellata e che anzi, dopo una
piccola ripresa tra il 1935-36, vide di nuovo una ricaduta nel 37. Questo portò ad un ridimensionamento del
new deal da parte di Rosevelt ma non tranquillizzò i pubblicitari, soprattutto alla luce delle iniziative prese
nel biennio del 1938-40 dalla Federal Trade Commission . La commissione aveva censurato diverse forme di
scare advertising. Inoltre, la guerra, affermavano i pubblicitari, avrebbe portato ad una contrazione degli
affari. Per discutere le minacce che incombevano sul settore, l’AAAA, convocò un congresso a Hot Springs.
Alla fine del congresso ciò che emerse era che era necessario da un lato , rinnovare la battaglia contro gli
eccessi e le distorsioni di alcuni operatori, e dall’altro, intensificare e rendere organiche le campagne di
pubblicità istituzionale e di PR volte a chiarire il ruolo indispensabile dell’advertising “nell’interesse
pubblico”. Nemmeno un mese dopo il convegno vi fu l’attacco a Pearl Harbour e, come già era accaduto
nella guerra precedente, da Hot Springs uscì il progetto di un nuovo organismo pubblicitario , l’Advertising
Council, volto a promuovere la causa del settore. Esso, per la prima volta, riuniva in se anche i media e gli
inserzionisti. Con Roche , ex manager Y&R, si trovò una prima linea nella mobilitazione di guerra. Venne
ribattezzato War Advertising Council, l’organismo pubblicitario si affiancò all’Office of War Information,
struttura costituita nel 1942 a livello federale per coordinare l’attività di propaganda. Rispetto al CPI della
1GM, la nuova struttura raccoglieva la promessa originaria di trasparenza , ribattezzata dall’OWI come
“strategia della verità”, per rimarcare la differenza della propaganda dei regimi autoritari contro i quali si era
in guerra. Alla CPI , durante il primo conflitto mondiale, era stata data l’autorizzazione di censurare e
manipolare le informazioni finendo nel mirino con l’accusa di favorire il fascismo o il comunismo, per questo
motivo all’OWI venne affidata solo una funzione di coordinamento e non di controllo assoluto. Il compito
dell’OWI era reso ancor più difficile dalla presenza degli altri media che rispetto al conflitto precedente
erano maggiormente strutturati e si erano rinforzati, specialmente il cinema e la radio. La prima parola
d’ordine della propaganda statunitense fu la lotta contro il fascismo. La retorica della libertà e della
democrazia si scontrò contro le barriere razziali. Sugli schermi i neri aderivano alla chiamata antifascista in
nome dei valori e del dovere e della fede. Per il solo fatto che si parlasse di neri, i bianchi del sud si
ribellarono e sparavano a zero sulle campagne dell’OWI. In evidente difficoltà, OWI finì con l’appoggiarsi
sempre più al WAC. Dal 1943 la presenza dell’Advertising Council divenne cruciale per il funzionamento
della macchina propagandistica. Quest’ultimo metteva in calendario l’iniziativa e la assegnava alle agenzie
pubblicitarie , che trovavano in questa occasione, la possibilità di tenere il marchio delle agenzie dinanzi agli
occhi del pubblico. Il council forniva materiali propagandistici , sui temi ritenuti importanti dal governo,
direttamente ai media. Il potere federale era sempre dunque responsabile degli input di base che
informavamo le campagne. Questo sistema trasferiva un notevole grado di controllo sulla propaganda di
guerra dal settore pubblico a quello privato. Questo controllo si esercitava ad un libello istituzionale-
organizzativo. I pubblicitari potevano mettere a disposizione della mobilitazione un tema capace di
soddisfare due bisogni cruciali del discorso pubblico dell’epoca. Un’esigenza era quella di individuare una
componente della vita statunitense da tutti sentita come centrale , evitando, però, la dimensione pubblica e
statalistica che poteva suscitare accuse di fascismo e comunismo. L’altra era quella di ridare fiducia agli
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americani rispetto al futuro. La formula propagandistica adottò l’idea di una guerra combattuta per la
sicurezza presente e futura delle famiglie. I referenti principali erano quindi le famiglie da proteggere
nell’immediato contro l’autoritarismo nazifascista e di rassicurarle con la promessa di una vita migliore in
futuro. L’obiettivo della better life , sostenuto dall’Advertising council, divenne presto il secondo tema-guida
della mobilitazione, dopo quello della lotta del mondo libero contro la schiavitù.
I sacrifici richiesti alla popolazione statunitense e delle opportunità ad essa riservate in caso di vittoria
vennero rappresentate nelle tavole delle “quattro libertà” di Rockwell. Le immagini da esso rappresentate
vennero inserite ufficialmente nella propaganda governativa. In campo radiofonico, venne lasciato spazio
alle trasmissioni che si tingevano di una patina di patriottismo mediante l’incorporazione di messaggi seri
nella parte promozionale. In generale gli annunci invitavano a lavorare o a comprare le cartelle del debito
pubblico pensando ai soldati al fronte e al futuro. Col procedere della guerra, a favore degli Alleati, il tema
del futuro riempiva l’orizzonte visivo ed uditivo. I messaggi erano volti a dimostrare come le stesse imprese
che avevano messo momentaneamente da parte la produzione di merci di uso quotidiano per dedicarsi alla
causa nazionale erano pronte a circondare i consumatori-cittadini americani, tornati a casa vincitori, di ogni
benessere (pag 106).
Nonostante il problema delle esagerazione, i pubblicitari uscirono con una reputazione più che positiva dalla
mobilitazione. In termini discorsivi, gli admen avevano contribuito in maniera profonda alla mobilitazione,
incidendo sulla sostanza dei messaggi con temi e stilemi attinti alla propria più recente tradizione
professionale. Avevano trasferito nella comunicazione pubblica un progetto di futuro economico e sociale
capace di stringere, in tutto un organico, la promessa di beni di consumo, il mondo corporate che quei bene
produceva e gestiva, la pubblicità e i media che servivano a promuoverli . Le foto di dipendenti aziendali, al
contrario della 1GM, si erano insinuate nella propaganda corporate. Allo spiccato ruolo esercitato dai
pubblicitari sul piano culturale, corrispondeva un loro insediamento istituzionale anch’esso inusuale. Era
basato su una struttura che sanciva lo stretto legame tra admen, imprenditori e media ed era destinata a
proiettare la propria attività di intervento anche dopo il conflitto.
3. IL SECOLO AMERICANO
Nel 1945 la JWT , nonostante la depressione ed il conflitto mondiale, aveva all’estero più fatturato, più
personale, e una più forte lista di commesse che all’inizio della guerra. Tutto ebbe inizio nel 1927 , quando
GM affidò a JWT il sostegno pubblicitario per le sue ambiziose strategie di esportazione dell’azienda leader
dell’auto all’estero. Alla fine della guerra , l’estensione ottenuta da GM all’estero fu più ampia di quella
ottenuta sul mercato. Il dopoguerra confermò il ruolo fondamentale che il commercio con l’estero aveva per
l’agenzia. Si parlava, in questo periodo, di “secolo americano” per la grande espansione economica che gli
USA ebbero nel post-guerra. I concetti che dominavano la discussione pubblica dell’epoca erano
principalmente due : crescita e consumo chiavi della prosperità. Nel clima dopo guerra anche le famiglie
andavano formandosi a rimi inauditi. Aumentarono le coppie giovani sposate e la natalità crebbe così
rapidamente che di li a poco si sarebbe parlato di baby boom. In meno di un decennio la città ideale di
Futurama sembrava essersi materializzata. Si espanse il mercato delle costruzioni: da un lato aumentava la
richiesta da parte delle nuove famiglie, dall’altro l’offerta proveniva dalle grandi imprese. Quest’ultime
utilizzavano la catena di montaggio per la costruzione degli edifici , riducendo tempi e costi di produzione;
inoltre, costruttori e immobiliaristi premevano sul governo federale perché assicurasse mutui agevolati ai
compratori. Aumentò drasticamente la % di possessori di casa. Aumentò il consumo dell’auto, specialmente
anche grazie all’aumento delle abitazioni in periferia, proprio perché quest’ultima permetteva di
raggiungere le residenze. Aumentò la domanda dei beni tradizionali per la casa come il frigorifero.
Lo scoppio della guerra fredda segnò l’aumentare delle divisioni ideologiche all’interno del mondo del
lavoro. Le divisioni incisero sulla razza degli operai e sulla loro partecipazione ai movimenti sindacali.
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Nonostante le difficoltà, l’aumento delle retribuzioni medie del 20% permise agli operai di portare avanti la
loro prima esperienza di consumo e di permettere ai figli di avere un’istruzione superiore.
Come in passato, con la crescita economica arrivò un aumento delle spese in pubblicità. BBDO fu l’agenzia
con maggior successo, quest’ultima recuperò le posizione che aveva precedentemente perso grazie a un
profondo cambiamento strategico e organizzativo che accompagnò e seguì il ritiro dalle scene di Barton. Le
redini, passarono al socio Osborn e da questi a Duffy che divenne presidente dell’agenzia nel 1946. Egli la
trasformò in un’agenzia capace di seguire anche il mercato dei bene di maggior consumo come gli alimenti o
le sigarette. Per sostenere questa strategia mediante un più inteso coinvolgimento del personale, Duffy
imitò la Y&R, aprendo il pacchetto azionario ai dipendenti col maggior potenziale di crescita professionale.
Rafforzò le sezioni di marketing e ricerca, in sintonia con l’esigenza, espressa da numerosi osservatori del
mondo corporate nell’immediato dopo guerra, di fare indagini di mercato e dei reparti di marketing una
risorsa assolutamente indispensabile per le decisioni della direzione aziendale.
Sulla ricerca di mercato puntava McCann-Erickson, un’agenzia nata nel 1930 dalla fusione tra due piccoli
operatori del settore che si unirono nel tentativo di sopravvivere alla crisi. Ciò che distingueva la ricerca di
mercato di McCann da quelle di altre agenzia come la JWT era il fatto che McCann utilizzava un approccio
meno quantitativo e più psicologico. L’assunzione di Herta Herzog segnò sicuramente la svolta per l’agenzia.
Allieva di uno psicanalista e dell’esperto sociologo Lazarsfeld, che aveva seguito e sposato negli Usa,
scappando dal nazismo, aveva collaborato col marito a un vasto progetto di analisi delle motivazioni sottese
all’ascolto delle soap radiofoniche. Di qui, assunta dall’agenzia, creò al suo interno un piccolo dipartimento
di ricerca psicologica. La Herzog rappresentava uno dei tre filoni della cosi detta “ricerca motivazionale”,
cioè di una serie di tentativi di analisi di mercato che si diffusero nel dopoguerra per rispondere alla
domanda sul “perché” del consumo. La Herzog , insieme al sociologo Merton, inspirati da Lazarfeld, elaborò
durante la seconda guerra mondiale le “interviste focalizzate di gruppo” applicate a piccole unità di 6-7
membri in un arco variabile da 2 a 4 ore, il lavoro di Herzog era basato su una combinazione di strumenti
quantitativi e qualitativi procedeva in quattro tappe. Dapprima, usando tradizionali procedure di indagine di
mercato, Herzog individuava i potenziali universi di consumo da studiare a partire da un prodotto
determinato. Poi raccoglieva e studiava le reazioni e motivazioni d’acquisto su un campione di 300-400
persone sottoposte a interviste. A quel punto verificava i risultati su un campione molto più esteso di 1200-
3000 intervistati. Infine, individuato un forte fattore motivante per il prodotto oggetto dell’indagine, la
ricercatrice collaborava con gli altri uffici dell’agenzia a tradurre i risultati in messaggi pubblicitari. Il secondo
filone era rappresentato da Dichter: egli sosteneva che i consumatori associavano un modello decapottabile
all’eccitazione che si aspettavano da un’amante, salvo poi, al momento dell’acquisto, ripiegare su una più
comoda e rassicurante berlina, che invece identificavano mentalmente con la moglie (ricerca basata
sull’esame delle associazioni mentali manifestate dagli intervistati). Egli fondò Institute for Motivational
Research e maturò la convinzione che la sua era una funzione “terapeutica”, di “liberazione” dei
consumatori americani dalla pesante coltre moralistica puritana. Individuate le motivazioni più volete date
dalle persone, secondo Dichter bisognava stabilere una connessione fra tali motivazioni e le merci,
definendo le “funzioni” di un prodotto e i “reali”, cioè psicologi e in larga parte inconsci, meccanismi di
acquisto da parte del consumatore. Sulla scorta di questa rilevazione si poteva aiutare un’impresa a piazzare
il prodotto. La presenza degli psicologi in campo pubblicitario non era nuova, ma nuovo era l’approccio.
Dicheter e Herzog erano esponenti del processo di “democratizzazione della psicologia”. Il terzo filone della
RM era incarnato dalla Social Research, uno spin-off universitario, una piccola impresa nata nel 1946. Il
lavoro di questo gruppo si basava su ricerchè di comunità effettuate su una popolazione raggruppata in sei
classi in base a criteri non strettamente economici, ma anche culturali e di abitudini di consumo.
La promessa di tutti e tre i filoni era quella di garantire alle imprese, che seguivano le orme della GM di altre
ziende sulla strada della diversificazione dei prodotti , tentativi di suddivisione dell’universo dei consumatori
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secondo categorie meno rigide. Alle soglie degli anni 50, l’unica agenzia di spicco che faceva uso di queste
tecniche era la McCann-Erickson.
L’era della TV
All’inizio il reddito costituì un limite significativo alla diffusione della Tv. Presto però, il costo pur sempre
elevato non ne impedì il dilagare verso il mercato famigliare di massa. Lo favorirono:
- sistema degli acquisti a rate
- baby boom
- suburbs
La tv rappresentava una fonte di divertimento e informazione naturale per le famiglie delle città satellitari.
Offriva agli abitanti di queste città l’opportunità di intrattenimento serale casalingo. Prometteva di tenere
occupati i pomeriggi dei ragazzini in una forma “sana” e controllata. Non mancarono anche riguardo alla TV
dibattiti e progetti di uso non commerciale o speranze di salvare la televisione dal destino della radio. Ma
finirono soffocati dalla soglia di ingresso economica nel settore, decisamente proibitiva, e dal fatto che il
nuovo medium poteva sottrarsi all’influenza della sfera pubblica commerciale ormai del tutto consolidata e
anzi in costante crescita attorno a enti come l’Advertising Council. Non stupisce quindi che Truman, come
Roosevelt per la radio, favorì l’oligopolio dei due giganti NBC e CBS. I due giganti utilizzarono gli utili
accumulati con la radio per sviluppare la televisione e non si fermarono dinanzi ai problemi. Il cinema
incominciò a vedere la televisione come un piccolo rivale. Uno dei problemi più importanti che si verificò nel
mondo della televisione era il rapporto conflittuale network-sponsor. I costi esorbitanti dei programmi
inducevano infatti le imprese a chiedere una forte voce in capitolo nella loro realizzazione. Nel primo
decennio di vita del medium , gli inserzionisti esercitarono una decisa influenza sulle trasmissioni. Essi le
appaltavano alle agenzie pubblicitarie o a produttori indipendenti. L’imprinting della radio si faceva sentire
anche nella struttura del palinsesto in corrispondenza con il miglioramento delle tecniche di ripresa e di
diffusione del segnale e della qualità di ricezione degli apparecchi. Alcune soap e sitcom, cioè programmi
serali diurni, furono trasferiti dalla radio alla TV. Come in radio, la giornata era divisa in 3 segmenti: mattina
(talk show/giochi), pomeriggio (programmi-serie), sera (programmi più impegnativi). Rispetto alla radio,
però, minore era la programmazione giornalistico-informativa. La ridotta programmazione informativa era
dovuta principalmente a dei motivi tecnici, di complessità delle riprese e del loro montaggio.
Quali conseguenze ebbe l’avvento della televisione sulla pubblicità?
Essa si rivelò una formidabile fonte di introiti e uno strumento irrinunciabile per il settore. Già a metà degli
anni 50 aveva superato la radio come medium principale nei budget delle maggiori agenzie. La sua capacità
di esibire le merci in modo tale da trasformare l’intrattenimento casalingo in un glorioso catasto di vendite si
impose presto sulle incertezze e sulle preoccupazioni che i pubblicitari all’inizio nutrivano nei suoi confronti,
soprattutto in considerazione dei costi e delle inedite professionalità specifiche che richiedeva.
Rapidamente si scoprì che le pubblicità che venivano mandate in onda durante le soap attiravano
l’attenzione del consumatore. Ad esempio una pubblicità di mobili, aumentava l’attenzione del consumatore
sui mobili presenti durante la soap. Le agenzie aggiunsero così un reparto televisivo alle loro strutture, che
nel frattempo si stavano ampliando e articolando anche su altri fronti e venivano assumendo la rigida e
parcellizzata configurazione dei loro clienti corporate. Ci fu chi addirittura, come Young, abbandonò la
propria agenzia per fondarne una di PR. La televisione aggiungeva tensioni ai pubblicitari perché richiedeva
una riconversione profonda delle tecniche e delle professionalità. Con l’avvento della TV, la fotografia si
impose come definitivamente e la televisione sostituì le riviste e i libri come principale fonte di fantasie e
intrattenimento drammatico.
Il dipartimento televisivo di un’agenzia pubblicitaria doveva essere composto da:
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- story-board: autori delle sceneggiature a fumetti che traducevano in dettagli segmenti da filmare i progetti
di spot pubblicitari elaborati dai visual writer: autore del soggetto di base
- time-buyer: il capocommessa, che gestiva il rapporto col cliente e col network e coordinava l’attività degli
altri 5 membri del reparto.
-merchandising man: studiava come compatibilizzare l’esibizione della merce in TV e la sue effettiva
esposizione negli spazi vendita
- assistente generale
- segretaria
I tratti prevalenti di visualità, velocità ed immediatezza, che caratterizzavano la Tv e ne facevano il potenziale
collante della società di massa, esaltarono la sensibilità di un copy che affermava di voler rinnovare i fasti
della grande pubblicità reason – why : Reeves. Egli sosteneva che era necessario un perentorio ritorno al
prodotto secondo il principio, da lui coniato, della unique selling proposition o hard selling, ossessiva
ricerca della formula per far breccia nel messaggio che incalzava il consumatore medio. a quest’ultimo
bisognava fornire un solo e unico elemento forte che lo potesse spingere all’acquisto. La pubblicità doveva
mostrargli un beneficio chiaro; il beneficio doveva essere unico, cioè al di fuori della portata della
concorrenza; il messaggio andava martellato senza scrupoli rispetto alla ripetitività. Non c’era spazio per lo
humor. La campagna elettorale di Eisenhower, confezionata da Reeves, fu la prima in cui si fece un massiccio
ricorso alla Tv. La serie inventata da Reeves si chiamava “Eisenhower risponde all’America”: telegrafici botta
e risposta fra una voce fuoricampo e il candidato su temi di attualità. Le polemiche che nacquero a seguito
degli spot di Reeves non lo smossero dalle sue convinzioni. Il successo commerciale del modello USP di
Reeves non significava, d’altra parte, che la pubblicità “atmosferica” fosse stata spazzata via di colpo. Nella
USP il prodotto costituiva sulla carta la “sostanza dell’annuncio”. Esso era avvolto dalle classiche frasi
metaforiche tipiche della tradizione reason-why, ma si discostava nettamente dalla tradizione classica.
Reeves, infatti, spostava completamente l’asse dell’attenzione, allontanandosi non solo dalla qualità effettiva
del prodotto ma anche dalle sensazioni prevalenti, che esso, di per se, per quanto lo si potesse
rappresentare in maniera imbellita e artificiosa, era comunque in grado di suscitare. Egli, d’altro canto, si
avvicinava alla classica tradizione reason-why nel “differenziare” una particolare marca come strategia di
appello al mercato generale di massa. Questa logica sopravvisse anche quando Reeves si ritirò di scena. Essa
si materializzò con Ogilvy. Egli contrappose all’USP una proposta che si definiva anche’essa di prodotto, ma
era esplicitamente “atmosferica”, incentrata sul brand e focalizzata su merci di “fascia alta”. Egli concepiva la
marca come “personalità con un carattere individuale”. Tale carattere andava evidenziato facendo scattare
nel consumatore l’associazione fra brand e un personaggio-personalità, cioè una faccia, una storia, un tratto
inusuale, che identificava quella marca in modo indelebile. Le fot del personaggio-personalità erano
l’elemento chiave, rispetto ai lunghi titoli e agli altrettanto lunghi testi non particolarmente brillanti o
fantasiosi, sulle caratteristiche, la diffusione e l’uso del prodotto.
Esempio camicie di Hathaway – Ogilvy inventa la “personalità” del “signor Hathaway”.
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vedevano invece la volontà di assunzione dei neri nelle grandi agenzie e, più in generale, l’apertura di
opportunità, per loro, come professionisti nel settore.
Come reagirono le agenzie?
Dal punto di vista dell’immagine, sino alla metà degli anni 60, anche se ci furono alcuni segnali innovativi, il
cambiamento ebbe comunque un andamento contradditorio. A partire dagli anni 70, interessato alla
conquista del mercato negro, il settore pubblicitario incominciò a non usare più le immagini peggiori e
discriminatorie, ma, preoccupato per la reazione del mercato bianco, aveva finito col togliere la maggior
parte dei neri dalle pubblicità. Invero, le continue pressioni delle associazioni nere portarono verso il 75 alla
comparsa sulle riviste nazionali di inserzioni integrate nelle quali neri e bianchi sono rappresentati come
uguali ma raramente rappresentati in atto di interagire.
Per quanto riguarda le richieste di assunzione: un prima fase della presenza nera nel settore si era
dispiegata negli anni 50 quando le grandi agenzie come la BBDO avevano incominciato ad assumere i grandi
pubblicitari neri. L’obiettivo era quello di raggiungere il mercato nero. Holt fu il primo afroamericano
assunto in una grande agenzie, dalla BBDO. Egli venne messo alla guida dell’apposita sezione “Negro
Markets”. Nel frattempo, a metà anni 50, Y&R aveva stabilito un’altra “prima volta”, usando il talento di un
nero per campagne indirizzate ai bianchi. Era Roy Eaton, principale autore di Jingles in agenzia. Egli rimase
un fenomeno del tutto isolato. Le agenzie erano concentrate sul “Negro Markets” e su indagini tese a
verificare in che misura la casalinga nera e la sua famiglia avessero assimilato i moderni modi di vita
americani, emancipandosi dalle origini sudiste e della schiavitù. Sempre in quell’anno, la medisima agenzia
avviò una seconda fase dell’impiego dei neri in pubblicità, una fase che prometteva di radicarne la presenza
ed estenderla al di la dello stretto ambito razziale. JWT lanciò un progetto di reclutamento e formazione
sistematica di afroamericani. Sullo sfondo di questa scelta c’erano le pressioni degli organismi neri e il clima
generale creato dalla crescente attenzione rivolta alla questione razziale dai presidenti Kennedy e Johnson.
Una terza fase incominciò sul finire degli anni 70 : cominciarono a sperimentare una propria presenza
indipendente nel settore.
La rivoluzione creativa
DDB era una media agenzia nata a fine anni 40 grazie all’inventiva di Bernbach. Ebbe un improvviso
successo con Volkswagen che si può spiegare facendo riferimento allo scetticismo diffusosi verso la
pubblicità ingenerato dal libro di Packard e da uno scandalo televisivo avvenuto nel 1959.
Lo scandalo riguardava un trasmissione televisiva – lo sponsor, l’agenzia pubblicitaria e il produttore furono
denunciati pubblicamente dalla Commissione Commercio della Camera per aver manipolato l’andamento
del programma, favorendo indebitamente alcuni concorrenti, con l’obiettivo di aumentare la spettacolarità
dello show. Questo scandalo ebbe un duplice effetto:
- i network ne approfittarono per prendere in mano il controllo delle operazioni e gestire la
programmazione in prima persona , vendendo il tempo della singola trasmissione non più a un singolo
sponsor, ma a diversi inserzionisti contemporaneamente.
- appantanò maggiormente l’immagine del mondo pubblicitario, già incriminato dal libro di Packard.
La contrapposizione al “conformismo” della professione, in nome dell’esplorazione di possibilità espressive
che parevano inconciliabili con l’impersonalità delle grandi aziende, era alla base delle caratteristiche
dell’agenzia DDB. Fu proprio questo l’elemento che le consentì di interpretare e produrre in opportunità di
affari il senso di inquietudine che si avvertiva nel settore.
La DDB si basava su 3 principi:
- snellimento della struttura e valorizzazione del lavoro creativo rispetto ai manager
- abbattimento delle barriere che separavano da sempre il lavoro del copy e quello degli artisti grafici (si
trovavano in dipartimenti differenti dell’agenzia) copy e art lavoravano in coppia per tutto il progetto
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- rapporto col clienti più assertivo volto a difendere l’approccio ironico, anticonformista, eccentrico che
costituiva il marcio DDB
Con Volkswagen l’agenzia non correva pericoli di scontro col cliente perché quest’ultimo aveva già una
tradizione di pubblicità lieve e permeata di humor in Germania e Svizzera. Inoltre Volkswagen capì
immediatamente i vantaggi che il progetto e il modo di lavorare DDB avrebbero portato. (pag 155
descrizione pubblicità)
Il maggiolino divenne il mezzo di trasporto ideale per i giovani e punteggiò dimostrazioni, concerti e festival.
La popolarità del maggiolino fra la gioventù contestatrice solleva la questione del rapporto esistente tra la
“rivoluzione creativa” di DDB e la “controcultura” giovanile. Secondo Frank, la “rivoluzione creativa”
pubblicitaria avviata da DDB incontrò la cultura alternativa giovanile e vi si mescolò dalla metà degli anni 60.
Da quando , cioè, la psichedelica e i colori hippieggianti del flore power dilagarono nel varco dischiuso
all’interno del mondo pubblicitario dalla presa di parola anticonformista di DDB. Le loro erano campagna
che si discostavano dagli schemi, utilizzando metafore giovanili, linguaggio giovanile e affrontavano temi
scomodi – pubblicità per risollevare il panificio Levy’s : non c’è bisogno di essere ebrei per amare Levy’s. in
questo modo l’agenzia entrò nella classifica dei top ten. Molti clienti incominciarono ad inseguire l’agenzia
per pubblicizzare i prodotti in modo moderno.
In pubblicità, Think Young pareva la parola d’ordine. L’aveva lanciata BBDO già nei primi anni 60, in una
campagna per Pepsi-Cola. La Pepsi battagliava contro il colosso della Coca-cola cercando addirittura di dare
il nome ad una generazione , si parlava , infatti, di Pepsi Generation. In questo periodo non mancarono le
resistenze, come quelle di Reeves.
Dal punto di vista organizzativo, tutte le principali agenzie provarono a fluidificare le strutture.
Contemporaneamente mutava l’apparato immaginifico e discorsivo. Uso frequente de termini “libero” e
“libertà” . la pubblicità che più incarnava l’anticonformismo di quei tempi fu la pubblicità dei cosmetici
LOVE. Combinava l’abitudine allo scarto metaforico e allo straniamento di DDB con immagini di ragazze ,
che suggerivano una speciale affinità generazionale con le consumatrici. Anche se poi, uno dei tre titolari
dell’agenzia che l’aveva creata, Mary Wells, si affrettò a rassicurare la clientela mainstream che i prodotti
sono creati per una donna con uno speciale atteggiamento verso sé stessa piuttosto che per un’età
specifica. L’agenzia era la WRG, capitana da 30enni , si distingueva per il carattere destrutturato e l’elevata
informalità. WRG e soprattutto la posizione di Wells al suo interno erano comunque un fatto assolutamente
eccezionale. Le donne, infatti,continuavano ad affrontare discriminazioni di genere . Anche nelle
rappresentazioni, la donna continuava ad essere rappresentata come “dipendente dall’uomo”. Di qui
venivano le critiche e le manifestazioni contro la pubblicità a opera delle organizzazioni femminili.
La lotta agli stereotipi informava le iniziative sulla pubblicità lanciate in questo stesso periodo dagli
afroamericani. Approfittando dello spazio aperto dalla “rivoluzione creativa” sul piano del linguaggio e della
sensibilità per la diversità, essi, da un lato, continuavano il lobbying, culturale e occupazionale verso le
agenzie maggiori e gli organismi professionali, e, dall’altro, cercavano soluzioni alternative mediante la
creazione di piccole agenzie di boutique indipendenti, usando in maniera innovativa le riviste e la radio. La
citata campagna DDB del 1963 per la Levy’s si poteva considerare un frutto indiretto del primo tipo di
azione. La parola d’ordine orgoglio nero influenzava l’operato delle agenzie afroamericane indipendenti.
Zebra, la più importante, fondata nel 1969, da Raymond League. Egli aveva tre obiettivi principali:
- contribuire alla crescita delle minoranze nel settore mediante un programma di formazione rivolto ai
giovani neri e portoricani orientato a superare le barriere di genere ancora così forti nelle agenzie maggiori
- rafforzare lo status dei media neri fra gli inserzionisti corporate
- sostenere le piccole imprese afroamericane e “latine” mediante l’offerta di tariffe ridotte.
Mentre Zebra aveva come punto di riferimento il pubblico popolare nero e multietnico delle inner cities in
difficoltà, altri viravano i temi dell’orgoglio nero e del black is beautiful , propagandati contemporaneamente
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da leader politici radicali come Carmichael e da artisti come Baraka, in una chiave di consumo indirizzata
all’emergente ceto medio afroamericano.
Particolare attenzione merita l’agenzia Vince Cullers che commercializzava l’estetica espressa nel movimento
delle arti Nere. Per Cullers i neri erano una popolazione urbana di ceto medio che aveva un chiaro senso
della propria storia e della cultura africana.
Questa convulsa dialettica fra “politica dell’identità” nera, il veicolo pubblicitario e il mondo corporate
bianco avviato sulla strada del segmented marketing pareva cristallizzare il mondo pubblicitario.
4. CONSUMER NATION
nella primavera del 1970 , a capo della JWT vi era Seymour. Egli dichiarò che la tradizione di JWT e le sua
tradizione a rinnovarsi erano garanzia che anche nel nuovo ,avveniristico decennio l’agenzia avrebbe svolto
la propria funzione persuasiva di ponte, canale di informazione, strumento di connessione fra la gente e il
mondo degli affari nonostante una certa patina di staticità e ripetitività. Nel frattempo, l’economia del paese
verteva in una crisi profonda, portata dai costi della Guerra Fredda e dalla guerra in Vietnam. Per ovviare
alla crisi Nixon svalutò il dollaro per ben due volte. Vi era la necessità di un “ritorno all’economia” che
avrebbe sancito una drastica riconfigurazione dell’assetto capitalistico statunitense e mondiale. Con lo shock
petrolifero del 1973, gli USA scivolarono in una completa recessione. Ebbe definitivamente fine il “secolo
americano”. L’economia che emergeva dalla crisi era sempre più basata sui servizi e venne definita “post-
industriale”.
Anche la pubblicità fu investita da questa faticosa transizione. E ragioni della “rivoluzione creativa”
trascolorarono nella preoccupazione per la contrazione dei consumi e della spesa promozionale e nella
ricerca di strategie e linguaggi in sintonia con un paese che cambiava pelle, spostava l’industria all’interno e
all’esterno dei suoi confini in cerca di lavoro a basso prezzo, trasferiva il proprio baricentro verso l’Ovest e il
Sud. Dove crescevano economia terziaria, la neoindustria dell’elettronica e dell’informatica. I primi anni 70
furono anche testimoni dei continui sforzi di alcune donne, dentro e fuori dell’apparato pubblicitario , per
tenere il settore sotto tiro e modificarne contenuti e metodi di lavoro. Ann Tolstoi Foster indirizzò ai colleghi
e alle colleghe, dalle colonne di “Advertising Age” , un articolo di denuncia contro il carattere, a suo dire
ancora ben poco realistico, dell’immagine femminile negli spot televisivi. La Foster criticava la presunzione
sottesa a quegli annunci che le spettatrice fossero talmente lente di testa che occorreva gridare i messaggi,
tanto incapaci di attenzione da far pensare che non li avrebbero recepiti se non li si ripeteva
incessantemente. Contemporaneamente la Foster lavorava a una campagna istituzionale a sostegno
dell’importante organizzazione riformatrice di classe media, fondata da Betty Friedan, della National
Organization for Women (NOW). Lo slogan che animava la campagna era: questo bambino è nato sano ma
ha un handicap. È nato donna. accolto in maniera favorevole dai movimenti femministi, piano piano
dilagò anche su altre riviste.
A metà decennio il National Advertising Review Board (NARB), un organismo di autoregolazione del settore
composto dai rappresentanti dei principali operatori, pubblicava un rapporto sui persistenti pregiudizi di
genere che emergevano nella grande maggioranza degli annunci. Ralph Nader , importante membro
dell’organizzazione, aveva combattuto contro la tendenza di grandi imprese come GM a privilegiare gli
investimenti in pubblicità e design piuttosto che quelli nella sicurezza delle auto. Erano sorte dispute intese
sui contenuti delle pubblicità, culminate con la decisione del Congresso di bandire qualsiasi promozione di
sigarette attraverso il sistema radiotelevisivo. Questi parziali successi delle agitazioni non ressero molto nel
tempo. La recessione e le polemiche contro le grandi corporations petrolifere che la accompagnarono ,
anche negli USA, parvero nell’immediato fornire ulteriore alimento alle voci critiche e alle associazioni dei
consumatori. In realtà la stretta economica, con la ristrutturazione delle imprese e il taglio delle risorse
pubbliche e comunitarie locali che la accompagnarono , logorò e fece precipitare le contraddizioni e i limiti
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del consumerism, il frastagliato arcipelago di organismi dei consumatori. Fallì quindi il progetto della
creazione di una Consumers Protection Agency federale, incapaci di reggere la controffensiva di lobbying e
PR sviluppata dal mondo imprenditoriale, col pieno appoggio della comunità pubblicitaria, nella seconda
metà degli anni 70.
La recessione, comunque, non lasciò da parte il settore pubblicitario. Zebra, la punta del black advertising,
fallì proprio in questi anni. Anche la DDB scivolò dal settimo al decimo posto in fatturato, si ritirarono i due
manager e soci fondatori lasciando tutto in mano a Bernbach, mente produttiva dell’agenzia. Negli anni 70
videro perfezionarsi e ampliarsi le attività di marketing. Erano aumentate le indagini, in larga misura
demografiche, con forte impronta qualitativa. Erano state create direzioni aziendali di marketing, collocate
immediatamente sotto i vertici delle imprese, con il compito di coordinare anche gli uffici pubblicità interni,
fino a quel momento separati e indipendenti. Era quindi fiorita un’ulteriore sistemazione teorica della
materia , strutturata intorno al marketing mix analisi delle interazioni fra le cosidette “quattro P” :
product, price, place e promotion. L’obiettivo era quello di individuare nicchie di consumatori che si
distinguevano sulla base delle emozioni e dei desideri (come aveva già precedentemente fatto Ogilvy). Il
risultato erano una serie di tipi di consumatori il cui profilo veniva accoppiato con un prodotto, cercando di
trasformare le esperienze e gli orientamenti emotivi del profilo in una proprietà del prodotto medesimo,
che perciò si presentava come la soluzione alle attese e aspirazioni di consumatori specifici. Decisivo
risultava il supporto dei computer ormai capaci di processare un numero fino a quel momento impensabile
di dati e di mettere i ricercatori in condizione di lavorare su centinaia di variabili. Le parole d’ordine
divennero dunque ricerca e sobrietà. E soprattutto con un termine che venne introdotto dalla grande
impresa alimentare General Foods per indicare la diversificazione dei prodotti delle sue divisioni,
positioning. Con questa espressione, Al Ries e Jack Trout intendevano la strategia di collocare la marca nella
sua specifica nicchia di mercato, individuata in base psicografica. Il registro discorsivo doveva essere diretto.
Il che richiama Reeves. si puntava ad una sana concorrenza. Nel 1981 ufficiale sanzione legislativa in
favore delle forme più esplicite.
La pepsi rifece la propria pubblicità abbandonando il tema dei giovani a favore di una strategia che
sembrava dettare il positioning.
Il tempo avrebbe dimostrato che si sbagliavano un po tutti, sia i sostenitori del posizionamento che i
creativi: si sbagliavano entrambi i gruppi perché , anche se indubbiamente c’era molto meno humor negli
annunci degli anni 70 , quella cifra stilistica era tutt’altro che cancellata.
Esempio : Cosby punta il dito contro un rivenditore Pepsi - pag 175
È anche vero che avevano ragione un po tutti perché l’impatto potenzialmente più sovversivo degli anni 60
era e veniva assorbito dalla macchina dei segmented marketing. Questa macchina era spinta da elementi
strutturali quali l’economia dei servizi e il faticoso riassetto tecnologico e organizzativo in atto al settore
manifatturiero. La segmentazione era sollecitata dalle richieste dei consumatori.
Nonostante Y&R fu il primo operatore pubblicitario a sperimentare la cable Tv, il suo successo in questi anni,
che la riportarono ad essere agenzia leader, è motivato dalla dalle innovazioni a livello di struttura e
organizzazione. Il nuovo amministratore delegato , Ney, procedette sul doppio binario della ristrutturazione,
con un taglio dell’organico degli uffici di NY di un terzo, e delle acquisizioni di altre agenzie.
Frammentati e globali
Nel 1982 le cronache dell’advertising statunitense furono agitate dalla notizia dell’acquisizione della
Compton , agenzia emersa nella produzione di soap fra le due guerre, da parte della S&S, forza emergente
fra le strutture pubblicitarie britanniche. L’ascesa di questa piccola agenzia va ricondotta alla co-evoluzione
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fra pubblicità e sistema dei media – hanno fatto del media buying una priorità assoluta. Secondo l’esperto di
marketing Levitt le aziende dovevano perseguire una “convergenza globale” dei gusti, in base a categorie di
consumatori identificate da un certo livello di reddito indipendentemente dal paese di appartenenza.
Questo fu l’elemento distintivo della S&S , che riuscì a battere sul tempo tutte le altre agenzie. A questo si
aggiungevano la personalità e le professionalità specifiche dei due fratelli: la nuova agenzia inaugurava
un’attenzione inaudita nel settore alla dimensione finanziaria e alle operazioni di borsa. L’agenzia si inserì
nella svolta del “capitalismo del mercato finanziario” , ovvero, crescente centralità dei mercati borsistici
internazionali , fluidificati dalle incipienti politiche neoliberaliste britanniche e statunitensi. Il circuito faceva
perno sulla borsa di Wall Street che metteva in contatto i petrodollari aravi con urgente domanda di capitali
di aree piegate dalla crisi come l’America Latina. S&S introduceva l’idea di un’agenzia come “mucca da soldi”
che poteva essere munta per finanziare l’acquisizione di agenzie concorrenti, di consulenti, di management,
agenzie di PR e banche. Questo significava muoversi tra i mercati finanziari e le borse. Essi miravano a
combinare la lezione USP di Reeves con un rilancio dello spirito di creatività. Fiorisce in questo periodo il
linguaggio cinematografico pubblicitario. Già nel 1983 S&S gestiva più marchi Americani numero uno di ogni
altra agenzia del paese. Questi la ritenevano particolarmente adatta a operare sul mercato internazionale, in
virtù del suo fiuto finanziario, dell’originalità delle proposte retoriche dei suoi creativi , dell’estensione degli
interessi e delle connessioni sui mercati che prometteva di attivare. Ne usciva modificato il volto della
pubblicità statunitense, capibile guardando al cambiamento economico che stava avvenendo negli anni 80:
economia progressiva ripresa grazie all’impulso della spesa militare reaganiana e dalla crescita delle attività
finanziarie e informatiche. Metà decennio: USA trasformati da impero della produzione a impero dei
consumi. Da esportatori di capitali divennero una potenza finanziaria.
I consumi tornarono a crescere negli anni 80 , spiccavano oggetti che modificano il rapporto col tempo
libero e col mezzo televisivo e corrispondevano a una ridefinizione della mappa dei media: apparecchi tv via
cavo, telecomando (zapping), videoregistratori..
Con l’avanzare del decennio si configurava dunque un sistema dei media pluralizzato e frammentato nelle
forme; con un forte potenziale di ibridazione tecnologica ; proiettato vs una dimensione globale. Questo
processo non si fermò nemmeno con la caduta di Wall Street nel 1987.
Conseguenze sulla pubblicità: alla prima metà degli anni 80 risalgono timori di inserzionisti e pubblicitari
rispetto ad un ambiente in così rapida trasformazione preoccupazione per il fenomeno come lo zapping.
L’espansione del direct marketing rientrava nella tendenza più ampia all’incremento degli investimenti PR,
eventi, promozioni di vendita e in generale in quello che gli esperti chiamano below the line express, cioè in
tutte le attività che stanno al di sotto della linea ideale che, in molti bilanci, separa l’investimento in
comunicazione dalla spesa per favorire le vendite: annunci a pagamento su commissione nei media. Queste
iniziative davano agli inserzionisti un duplice vantaggio:
- costava meno e aumentava il potere negoziale degli inserzionisti nei confronti delle agenzie e dei network
-dischiudeva contatti più ravvicinati , incisivi e in tempo reale con consumatori che le ricerche di mercato
rilevavano mutevoli e sfuggenti nelle loro subculture di gruppo e nei comportamenti individuali. Tali
ricerche accentuavano nel frattempo il carattere di indagini antropologiche sul campo. Venivano svolte
secondo i principi del cosiddetto cool hunting e trend scounting., mediante l’uso di una rate capillare di
informatori, i “cacciatori di tendenze”, che scivolavano fra gruppi di consumatori d’avanguardia loro amici e
coetanei. Già nel 1982 ¾ delle agenzie pubblicitari statunitensi avevano comprato o creato una struttura di
direct marketing per intercettare gli investimenti below the line. Oppure si dotarono dell’account planner,
cioè colui che fa da tramite fra il reparto di ricerca, la sezione creative e il cliente. La prima ad adottare
l’account planner fu Chiat. Egli serviva a ricomporre un’organizzazione del lavoro ancora più flessibile di
quella di DDB.
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Si sviluppò sempre in questo periodo l’event advertising , le pubblicità erano studiate per essere d’impatto e
venivano trasmesse durante i grandi eventi come il Super Bowl. Accanto a questa parola, la’ltra espressione
chiave dell’epoca era yuppie. Indicava i giovani professionisti urbani. Essi erano definiti dalle agenzie
pubblicitarie gli “ultra consumatori” con volontà di acquisto apparentemente illimitate. Il corrispettivo
femminile dello yuppismo era costituito dalla “super donna” che appariva disinvolta e appagata fra una
professione di successo, la gestione della casa e la cura del corpo.
La pubblicità vi individuò una ghiotta opportunità di promozione segmentata. Al tempo stesso vi colse una
categoria analitica e operativa che pareva comunque utile a comprendere e stabilizzare almeno sul piano
concettuale un mercato caotico. Molto importante fu la mossa strategica di Sorrell che, uscito dalla S&S,
acquisì la WPP e si lanciò con successo nella scalata del JWT Group. Questa manovra sanciva l’adozione di
una logica finanziaria. Piano piano acquisì diverse agenzie e solo la Y&R, Burnett, Grey e McCann-Erickson
chiudevano il decennio con il medesimo assetto proprietario col quale lo avevano iniziato.
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