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Quello vero. Quello che asciuga ogni fronzolo per ridurre
tutto all’essenziale.
Quello che cambia la vita.
Ma cos’è il dolore?
È così facile rispondere?
Il dolore non è mai uguale a se stesso, ogni volta ti
sorprende e supera le tue difese con una facilità che ti fa sentire
piccolo piccolo. Anche quando la vita ti ha allenato ben bene,
devi fare i conti con un avversario che ne sa sempre una più di
te.
Ognuno lo vive a suo modo.
Ognuno ha una propria soglia di sopportazione.
Ognuno reagisce diversamente da chiunque altro.
Nicolò lo ha guardato dritto negli occhi e io mi ritrovo qui a
scrivere per non morire.
Ho sempre pensato che la penna avesse poteri ancora
inesplorati, ma non ho mai immaginato che potesse addirittura
salvare la vita.
Queste pagine raccontano di sentimenti, più che di
avvenimenti. Un percorso di vita insieme interrotto in un
normale pomeriggio di una calda giornata estiva.
Di quelle in cui il canto delle cicale dà l’illusione di un
tempo fermo ed immutabile.
Di quelle in cui non può succedere nulla di importante.
È lì che si nasconde. Pronto ad aggredirti quando meno te lo
aspetti.
Presuntuoso come sempre.
Convinto del suo ruolo di insegnante di vita.
Il dolore.
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A Nicolò.
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6 ottobre 2013
Lettera a Nicolò
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proprio questo, di sciocchezze nella vita ne facciamo tutti, ma
non dobbiamo privarci della possibilità di riparare.
Questa possibilità tu non l’hai voluta, io non so il perché, ci
ho pensato tanto e non sono giunto a grandi conclusioni. Non
mancherò di chiederti tutto per benino quando ci rivedremo,
ma per il momento devo accontentarmi di quello che so: che ti
amavo profondamente e ne ero ricambiato ed è per questo che
ti immagino a guardarmi dall’alto con lo sguardo di chi sa di
averla fatta grossa e con il cuore pesante per il dolore causato.
È proprio questo che non hai pensato in quel momento: il
dolore che avresti provocato in chi ti voleva bene. Sono
convinto che, se il pensiero ti avesse solo sfiorato, ti saresti
fermato, ma non è stato così. Non è mai così. Purtroppo lo
testimoniano tanti casi come il tuo, in cui i ragazzi non trovano
vie d’uscita che potrebbero essere dietro l’angolo e che invece
appaiono così lontane, inarrivabili.
Volevo dirti che non devi essere preoccupato per me. Mi fa
male pensarti sopraffatto dai sensi di colpa, io lo so bene. È una
sensazione che non ti molla mai e che ti toglie il fiato ogni
momento e non c’è modo di farla affievolire. C’è sempre un
qualche “perché” e un qualche “se” e “ma” che si incunea nella
tua mente, arrivando all’improvviso e con la violenza di una
coltellata al cuore.
Non posso pensarti così. Sei nel posto giusto per trovare
quella serenità che qui ti è mancata ed è per questo che ti
voglio pensare tranquillo. Voglio pensarti conscio del fatto che
il mio cuore è forte, sicuramente ferito, non dico di no, ma per
ogni cicatrice che ne atrofizza una parte, sento rinvigorirsi ciò
che resta e questo mi dà la speranza di ritrovare la strada giusta
per affrontare i giorni a venire con la giusta dose di amore nel
cuore.
Lo devo a tutte le persone che mi vogliono bene e quindi lo
devo anche a te.
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Sono giunto alla conclusione che è inutile sforzarsi di capire
se ho delle colpe in quello che è successo. Certamente credo sia
normale cercare di farlo, ma alla fine di ogni ragionamento
giungo sempre alla stessa conclusione: ero io l’unica persona
ad avere la responsabilità, da ogni punto di vista la si voglia
guardare, della tua crescita come bambino, ragazzo e, di
conseguenza, come uomo, per cui:
Ti chiedo perdono per non avere trovato la porta giusta.
Quella aperta sui tuoi bisogni più intimi e profondi. Quella che
mi avrebbe permesso di farti da spalla. Che mi avrebbe reso
credibile ai tuoi occhi, come una persona che avrebbe capito i
tuoi problemi, le tue insicurezze e le tue speranze. Quella porta
l’ho cercata tanto, ma inutilmente. Era difficile da trovare?
Forse, ma sono convinto che cercando meglio sarei potuto
riuscire.
Ti chiedo perdono per non aver capito fino in fondo il
disagio che portavi nel cuore. È vero, non mi facilitavi il
compito, ma penso che tu abbia semplicemente fatto bene il tuo
mestiere di
ente, mentre io non tanto quello di padre. Non so ancora in
che cosa ho sbagliato, ma potevo certamente fare meglio.
Ora, Nicolò, mi resta da farti solamente una preghiera:
guarda con attenzione nel mio cuore e lì cerca quello che può
servirti a trovare tutta la serenità che ti meriti. Sicuramente non
troverai tutto ciò che ti serve, ma ti ricordo quello che ti ho
detto tante volte:
non fare passi troppo lunghi, falli piccoli, fai solo attenzione
di farli nella giusta direzione.
Ciao Nicolò
Il tuo papà
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Ecco, l’ho scritta. Adesso devo pubblicarla. Apro Facebook
e vado sul profilo che ho creato solo alcune settimane fa.
Non avrei mai pensato di farlo, in fondo non ho mai capito
cosa ci sia di così piacevole nel confrontarsi in questo modo.
Manca il filtro delle espressioni del viso, delle intonazioni della
voce e di quella gestualità che parla, racconta e svela mille
volte più di un “mi piace” o di un commento di tre righe.
È il linguaggio dei giovani e mai come in questo momento
mi accorgo di esserne lontano.
Forse proprio per questo mi sono iscritto.
Un futile tentativo di accorciare questa distanza.
Ma perché?
Per chi?
Con quale obiettivo?
Tutte domande a cui non riesco a dare risposte precise.
È il mio cervello che non le vede, la parte razionale che ho
sempre messo davanti a ogni mia azione. A volte reprimendo le
mie emozioni. Senza esagerare, per carità, tutto all’insegna
dell’equilibrio. Elemento fondamentale di tutta la mia
esistenza.
Ora no! Ora sento forte il cuore che batte e che reclama il
suo spazio, pompa pompa e non ammette repliche:
Devi farlo perché così dico io!
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Quando apri gli occhi è svanita ogni possibilità di sperare.
Nei pochi istanti prima, invece, quando le percezioni sono
ancora intorpidite e il sogno si mischia con la realtà, hai
l’impressione di poter cambiare il corso della storia.
Credi di avere la possibilità di scegliere la faccia preferita di
quella medaglia che non vuol saperne di cadere e decidere così
il tuo destino.
Ecco, quello è un momento prezioso. Soffiando bene, posso
farla cadere dalla parte giusta.
È un’illusione, certo, ma mi basta.
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19 settembre 2001
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Oggi è il nostro giorno.
Il giorno della mamma. Ci ha lasciati dopo due anni vissuti
in modo straordinario. Non ha mai lesinato un sorriso, neppure
nei momenti peggiori.
Quando il dolore le traspariva dal viso, si girava subito per
evitare che tu, soprattutto tu, lo potessi notare. Sin dal primo
momento, non ha fatto altro che pensare a te, a cosa poteva fare
per aiutarti (aiutarci) nel caso non fosse guarita.
Il tuo giorno. Diventi orfano. È vero è una brutta parola, ma
è quello che sei. Non avrai le attenzioni che solo una mamma è
in grado di dare. Una mamma ti porta in grembo nove mesi e ti
fa da angelo custode tutta la vita.
Il mio giorno, quello in cui sono stato costretto a diventare
uomo.
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Visita, controllo delle pulsazioni e flebo, ma, mentre
l’infermiere termina il suo lavoro, lei smette di respirare.
BUIO.
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Dal momento in cui sono arrivati li ho osservati bene. Credo
non mi sia sfuggita una sola inclinazione anomala del labbro o
un battito di troppo delle palpebre.
Misuravo con precisione cronometrica i tempi di pausa tra
una parola e l’altra.
Soppesavo con il bilancino l’intonazione che veniva data ad
ogni parola.
Non mi sfuggiva il leggero rossore che compariva sulle loro
guance, anche se ho poi capito che la causa poteva essere il
mio sguardo.
Così diritto nei loro occhi, che pareva volessi leggere tutta la
storia della loro vita.
Sono talmente concentrato nel tentativo di non crollare che
potrei sedermi su una siringa senza rendermene conto. È come
se volessero entrarmi in testa più pensieri di quelli che posso
contenere.
Devo combattere per trattenere quelli più sensati.
No, quello che provo non è come me lo aspettavo. Io non
sono come quella rana e mi rendo ben conto di quello che sta
succedendo.
Tutto il castello che mi ero costruito e che mi dava solidità è
completamente crollato. Avverto nitidamente la disgregazione
del mio corpo. È come se la carne, le ossa, i muscoli si fossero
fusi in un’unica entità, formatasi dall’esplosione di tutte le
molecole in singoli atomi, legatisi nuovamente in un ammasso
informe e casuale.
Mi sembra tutto così strano. Come può essere che sia così
diverso. Cosa è cambiato rispetto a pochi secondi fa. È vero, lei
non c’è più, ma io mi ero preparato bene e avevo già sotterrato
ogni illusione.
Mi aspettavo il dolore, non la disperazione.
BUIO.
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Il giorno dopo non ti ho portato alla scuola materna e siamo
andati a pescare. Ho pensato che fosse il posto ideale per
spiegarti quello che era successo. Un posto dove saresti stato a
tuo agio e che mi avrebbe dato tutto il tempo di scegliere il
momento giusto e le parole giuste.
Le parole giuste?
Da un attimo dopo che la mamma è morta ho cominciato a
pensare alle “parole giuste” e ora sono qui con la testa
completamente vuota. Non è come quando ti prepari per un
esame e stai per alzarti dal banco. In quel momento tutto quello
che hai studiato si è volatilizzato e non ricordi più nulla, ma
dalla prima domanda, se hai studiato bene, tutto riaffiora come
nelle vecchie polaroid.
Un attimo prima sono nere e poi appare la foto che hai
appena scattato.
Io le “parole giuste” non le ho proprio trovate. Sto
affrontando l’esame più difficile e non sono pronto. Continuo a
pensarci mentre preparo le canne, inserisco l’esca, lancio la
lenza e aspettiamo che il pesce abbocchi, ma proprio non trovo
le parole. La mia loquacità non mi è d’aiuto, per fortuna lo è il
tempo a disposizione. Prima o poi ci riuscirò, abbiamo tutto il
giorno.
Quando provo ad affrontare l’argomento, solo per il fatto di
pensarci, mi scendono immediatamente le lacrime. Devo
girarmi per non farmi vedere, non perché un figlio non debba
vedere un padre che piange, ma perché alla tua richiesta di
spiegazioni dovrei anticiparti tutto.
“Qualcuno può suonare il campanello del momento giusto?
Grazie”.
Come sarebbe comodo se funzionasse così, quando c’è
bisogno di aiuto basta chiederlo e… tac, ecco fatto.
Anche potendo però, non lo farei mai. Ci sono momenti in
cui devi venirne fuori con le tue forze e questo è uno di quelli.
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Passano un paio d’ore e numerosi tentativi bloccati dalle
lacrime, ma finalmente ci riesco:
“Nicolò, ho una cosa importante da dirti”.
Mi guardi distrattamente. Il galleggiante in acqua è
decisamente più interessante di me.
Cambi espressione quando ti accorgi che non ti sollecito
ulteriormente. Non sei preoccupato, ma certo incuriosito. In
genere, quando non mi consideri, mi faccio sentire bene, ma
ora no, ora il nodo che ho in gola lascia passare a malapena
l’aria per respirare.
“Sai Nicolò, ieri mattina la tua mamma è andata in cielo”.
Che originalità. Un giorno intero a pensarci e me ne esco
con la frase più scontata. La scansione delle frasi acute e
indovinate non ha portato a nulla di meglio.
Chissà. Forse è perché si tratta proprio della frase giusta.
Non gira attorno al problema e lancia un messaggio di
speranza.
Mi guardi intensamente, come quella volta che siamo andati
a trovare la mamma in ospedale. Lei era su una carrozzina e
portava un ingombrante collare. Ti sei zittito appena l’hai vista.
L’hai guardata e poi, senza dire una parola, le sei andato
incontro e sei salito sulle sue ginocchia.
Hai toccato il collare che le sosteneva la testa, con
l’espressione di chi aveva un’idea precisa della situazione.
Sei sceso e hai ripreso a giocare.
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PRIMO ASSUNTO:
Siamo stati tutti figli, per cui basta non ripetere gli errori dei
nostri genitori.
Bene.
Constatazione di disarmante lucidità, forse un tantino
superficiale, ma si può cominciare da lì.
Ricordo i comportamenti che mi hanno ferito e quindi è
sufficiente evitare di ripeterli a mia volta.
Non mi posso lamentare, ho poco da rimproverare ai miei.
Un paio di cose però mi sento di dirle.
Mio padre era un uomo dei suoi tempi, alla famiglia pensava
la moglie e lui doveva solo portare a casa lo stipendio. Non si è
mai intromesso negli scontri casalinghi e non ha mai nascosto
la sua neutralità.
Direi che “disinteressato” esprime bene il suo modo di
intendere la vita famigliare. Non perché non gliene importasse
nulla, ma perché aveva totalmente demandato a mia madre il
ruolo di educatrice.
Ricordo l’unica volta che sono andato con lui al luna park,
un vero avvenimento. Avrò avuto otto o nove anni ed ero
totalmente eccitato da quella novità. Ci andammo a piedi e,
nonostante fosse vicino a casa nostra, ci mettemmo un po’ a
raggiungerlo. Ad ogni passo sentivo aumentare la mia
eccitazione, al punto che, quando arrivammo, faticavo a stare
fermo per la troppa energia incamerata.
“Papà papà, andiamo sull’ottovolante?”
“Dopo Marco, facciamo prima un giro”.
Dieci minuti.
“Papà papà, andiamo sulla ruota?”
“Non è una giostra per bambini, è pericolosa”.
Altri dieci minuti.
“Papà papà, andiamo sull’autoscontro?”
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“Accidenti, non vedi quanta coda?”
Quel giorno ho fatto un bel giro al luna park e ho visto tanti
bambini divertirsi sulle giostre.
È evidente che quel giro non era stata una sua idea.
Non gliene voglio, era fatto così.
No Nicolò, questo no. Cercherò di essere un padre presente
e accompagnare ogni tuo passo.
La cosa che mi lascia perplesso è che devo riconoscere a
mio padre un animo gentile e una grande onestà. Doti
apparentemente incompatibili con la freddezza che ha sempre
dimostrato.
Forse anche lui era partito con le mie stesse intenzioni e poi
il tempo ha cambiato le cose. Chissà. Magari era anche
convinto che il suo fosse il metodo giusto.
Non so.
Se questo era, però, spero tanto di non farmi accecare dalle
sue stesse illusioni.
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Pensava che dirmi, solo perché non facessi storie (avevo
cinque anni):
“Vieni con me in clinica che devo farmi visitare?”
“Sì mamma. Ti accompagno io”.
(sono tornato a casa con due tonsille in meno)
…passasse inosservato.
Ricordo ogni momento e ogni sensazione come se fosse
oggi.
Nulla è passato inosservato.
SECONDO ASSUNTO:
Cerca di ascoltarli e capirli. Non sarà sempre facile, ma
provaci.
TERZO ASSUNTO:
Il papà educa i figli insieme alla mamma.
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Gli anziani restano i depositari del nostro passato e quindi
bisogna sempre tenere orecchie e cervello bene aperti quando
parlano, ma non possono stare al passo con una società che
cambia a una velocità tale da far apparire inutile l’esperienza di
una vita intera.
Inutile.
Esiste una sensazione peggiore?
Anna.
Anna è la moglie di Massimo, il fratello di Laura.
Quante volte mi ha ascoltato. Quante volte ha resistito al
mio pianto. Quante volte mi ha sollevato. Quante volte mi ha
bastonato.
Una persona insostituibile.
La forza devi trovarla dentro di te, ma se non hai chi ti
accompagna rischi di perderti.
Questo è stata Anna per me. Un filo teso che mi ha
permesso di ritrovare la strada.
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Non sono mai riuscito a ringraziarla per questo, ma forse
non era necessario.
A volte le cose è bello dirsele, a volte è bello solo
percepirle.
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La scuola
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Che senso ha ripetere degli anni in un posto dove non vuoi
stare?
Meglio violentarsi e andare avanti. Una volta arrivati in
fondo si vedrà.
Ecco, questo ero io.
Solo il tempo di lasciare i calzoni corti, che ho congegnato il
sistema del “perfetto attendista”.
Ripetevo ogni anno lo stesso stanco rituale.
Primo quadrimestre: 5/6/7 insufficienze.
Secondo quadrimestre: tutti 6.
Il massimo risultato con il minimo sforzo. Questo era il mio
obiettivo.
Quando mi capitava di prendere un bel voto ero quasi
infastidito.
Avevo perso nello studio più tempo del dovuto.
Ecco Nicolò, mi piacerebbe che tu avessi un approccio
diverso con la scuola. Non dico di metterla in cima ai tuoi
pensieri, ma avere un po’ di consapevolezza in più, sì, questo
mi piacerebbe.
In fondo il messaggio che arrivava a me era molto chiaro:
l’importante è il pezzo di carta, dopo di che qualsiasi lavoro
va bene. L’obiettivo è portare a casa la pagnotta.
Credo fosse normale per la mia generazione. I nostri genitori
avevano superato la guerra e patito la fame, per cui è
comprensibile che la vedessero in questo modo.
Per fortuna le cose sono cambiate e oggi vorrei darti un
messaggio diverso:
la scuola non è tutto, ma è una parte fondamentale della tua
crescita.
L’obiettivo non deve essere solo la promozione, ma anche
vivere con partecipazione quello che sta nel mezzo.
Bisogna impegnarsi, perché non c’è altro modo di affinare
quegli strumenti che aiutano a far emergere attitudini e
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passioni.
I lavori non sono tutti uguali.
Fare un lavoro che piace ti fa crescere giorno dopo giorno.
Fare un lavoro che non piace, giorno dopo giorno ti uccide.
Non pretendo che tu capisca subito. Ci mancherebbe altro.
Cercherò di accompagnarti poco alla volta.
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Non volevo ergermi con il dito accusatore. Ho pensato di
dare fiducia all’istituzione.
“È il loro mestiere, non fare il solito genitore che incolpa gli
insegnanti delle mancanze dei propri figli!”
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È vero, durante la settimana non sei mai a casa, perché sono
i nonni che vengono a prenderti da scuola.
Io, però, passo sempre a prenderti presto e rientriamo che il
parco è ancora pieno di potenziali compagni di giochi.
Preferisci stare in casa.
Quando ti sollecito a buttarti nella mischia, scendi sempre
con un po’ di ritrosia.
Spesso ti ho osservato e raramente ti ho visto giocare con gli
altri.
Certo non è facile.
Tutti giocano a calcetto e tu lo detesti. Non sei molto dotato
e probabilmente ti mette a disagio essere la schiappa di turno.
Non mi dai però l’impressione che sia solo questo. Se fossi
interessato a entrare in quel gruppo cercheresti altre strade,
invece sembri semplicemente interessato ad altro.
Ti piace osservare le piante e gli animali. Vai spesso a
guardare dalla recinzione che impedisce l’accesso a una piccola
zona protetta, adibita al ripopolamento delle specie autoctone.
Non c’è nulla di male, ma non sono tranquillo.
I tuoi risultati a scuola continuano a essere deludenti. Sono
molto preoccupato. Per quanto ci provi, non riesco a scalfire la
tua testardaggine
Ho cercato di farti capire.
Ho provato a farti ragionare.
Non ho ottenuto granché.
Alla fine ho intrapreso quella che consideravo l’ultima
spiaggia: pretendere risultati con il piglio severo di chi riduce
la scuola al mero risultato numerico.
Ogni sera studiamo insieme e poi ti interrogo. Non pretendo
che tu sappia tutto alla perfezione, ma non mi accontento di
risposte confuse.
Sono vere e proprie battaglie all’arma bianca.
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Tutti i tuoi giochi rimanevano sotto sequestro sino al
termine dell’interrogazione. Questo era l’accordo. Il punto è
che spesso si andava avanti fino a tarda sera e quindi restava
solo il tempo di lavarsi i denti e andare al letto.
Io con il fegato spappolato e tu… probabilmente anche
peggio.
Siamo andati avanti in questo modo per due mesi e poi sono
tornato a colloquio dalle insegnanti.
Tutto uguale a prima.
Il sospetto che ci siano strascichi legati alla mancanza della
mamma si fa ogni giorno più credibile e pressante.
Mi decido e ti porto da uno psicologo.
Dopo tre incontri mi dice che non è necessario continuare e
mi rilascia il referto.
22/09/03
“Un comportamento e una struttura di personalità del
ragazzo che rientra ampiamente nei limiti della norma, pur
evidenziando alcune caratteristiche originali, forse in parte
legate all’esperienza di dolore fatta con la perdita della madre,
delle quali il ragazzo è consapevole ed esprimono il suo volere
essere autentico”
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Speravo di prenderti alla sprovvista e carpirti un’espressione
traditrice dei tuoi pensieri, ma, come al solito, non ti lasci
sorprendere.
In questi tre anni mi sono reso conto che le tue insegnanti
non meritavano la fiducia che ho concesso loro. In molte
occasioni ho avuto modo di notare la loro incapacità.
Insegnare è un mestiere difficile.
Conoscere la materia è importante, ma non serve a nulla se
non la sai trasmettere.
Saperla trasmettere è importante, ma non serve a nulla se
non sai renderla stimolante.
Avere un buon metodo per renderla piacevole ai ragazzi non
serve a nulla se non sai conquistare il loro rispetto e la loro
stima.
Un giorno come tanti, sono venuto a prenderti da scuola e
sono entrato nel corridoio principale per parlare con una di
loro. Mi sei corso incontro con un grande sorriso e mi hai
raccontato come eri stato bravo nel compito in classe che
avevate fatto quella mattina stessa.
Mi ha riempito di gioia vederti così entusiasta.
Sono stati pochi i momenti, legati alla scuola, degni di
essere ricordati e questo era uno di quelli.
La tua insegnante ti ha guardato e, mentre trafficavi con il
tuo zaino, mi ha detto:
“Bravo? Ma pensa davvero di essere stato bravo? Ben ben”.
Il suo sorriso era inequivocabile. Non ti dava alcun credito e
le tue illusioni la divertivano non poco.
Ma come. Anche se eri stato meno bravo di quello che
pensavi, non era il caso di cogliere l’occasione per stimolarti e
gratificarti?
Non ci sono dubbi.
Dovevano fare un mestiere diverso.
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Siamo seduti uno di fronte all’altro. È la prima volta che
sento il bisogno di parlarti da uomo a uomo. Hai solo nove
anni, ma nei tuoi occhi riconosco i miei.
Alla tua età detestavo essere trattato da bambino.
Sono molto nervoso, stai crescendo e non so se esserne
compiaciuto o intristito. Da sempre attendo gli anni giusti,
quelli che dovrebbero facilitare il nostro rapporto.
Ho sempre trovato estremamente difficile costruire
quell’immagine di padre che mi ero proposto sin dalla tua
nascita.
Non ho mai avuto l’obiettivo di esserti amico.
Ho sempre sperato di essere considerato un padre che
potesse aiutarti nelle tue scelte.
Per riuscirci dovevo rendermi credibile e conquistare la tua
fiducia.
Sino ad ora non ci sono riuscito.
34
Susi
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L’obiettivo è lo stesso. Accompagnare i nostri ragazzi alla
maturità, ma cambiare metodo durante il percorso nasconde
delle insidie che temiamo di affrontare.
Il pensiero di innescare una miccia che, per quanto lunga,
potrebbe provocare un’esplosione letale, ci ha trattenuto.
Abbiamo preferito fare i fidanzati e la cosa sembrava non
dispiacere anche ai ragazzi.
Ci saremmo aggiornati strada facendo.
Circa un anno dopo abbiamo avuto una piccola flessione,
nulla di preoccupante per carità, ma abbiamo preferito non
sentirci per qualche giorno.
La domenica, verso le due di pomeriggio, mentre cercavo di
resistere all’abbiocco post pranzo, sento squillare il telefono.
“Pronto?”
“Ciao Marco, sono io (Susi)”.
Non mi aspettavo quella telefonata.
È vero che ha una capacità molto superiore alla mia nello
sbollire le incazzature, ma è troppo presto anche per lei.
“Cosa vuoi?” mi chiedi.
Come: cosa voglio? È lei che chiama e lo chiede a me?
“Non capisco. Cosa significa: cosa voglio?”
“Nicolò mi ha chiamata con il tuo cellulare. Mi ha detto che
gli avevi chiesto di chiamarmi perché non riuscivi in quel
momento. Però non mi ha spiegato il motivo”.
Nicolò? Ma pensa te questo filibustiere. Ha capito che tirava
brutta aria e ci ha voluto mettere lo zampino. Si è inventato
tutto perché sapeva che se avessimo cominciato a parlare ogni
cosa si sarebbe sistemata e lui avrebbe passato una domenica
come tutte le altre.
È stato proprio così. Abbiamo parlato e un’ora dopo tu e Ale
eravate a casa nostra.
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Nicolò voleva Ale lì con lui e ha pensato a questo
stratagemma, ma credo che la sua iniziativa sia stata anche una
precisa scelta nei tuoi riguardi.
“Sì papà, è questa la mamma che voglio!”
Sei una donna che sa cosa significa amare
incondizionatamente. Sai dare il giusto peso alle cose e io non
posso fare a meno di essere travolto e coinvolto da te.
Sono sicuro che non te ne rendi conto, ma ti osservo sempre
con molta attenzione. Non posso fare a meno di confrontare i
miei pensieri con i tuoi.
A volte ti sembro presuntuoso, quante volte me lo hai detto,
perché hai l’impressione che voglia fare sempre di testa mia.
Non è così. Non mi capita mai di decidere una cosa senza
prima aver pensato cosa avresti fatto tu.
Rimango sempre stupito dalla semplicità con cui affronti le
situazioni, anche quelle più complicate.
Non sempre hai la soluzione in tasca, ma non hai mai la
presunzione di attaccare solo perché non sai come difenderti.
I tuoi occhi sono quelli di chi non si è fatto traviare dai
miraggi degli adulti.
Non potevamo resisterti. Io e Nicolò proprio non potevamo.
Sei entrata nella nostra vita con la leggerezza di un passero, ma
con la sicurezza di un’aquila.
Ci hai preso e portato nel tuo nido.
In quel nido abbiamo trovato Arianna e Alessandro.
Tutti insieme lo abbiamo rafforzato e consolidato.
Un mattone dopo l’altro abbiamo costruito il nostro nido
d’amore.
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07 gennaio 2013
Sono a casa.
È stata una normale giornata di lavoro.
Visto il periodo post festività, direi una giornata più che
tranquilla. Ci vuole sempre un po’ per smaltire le fatiche dei
pranzi e delle cene tipiche del periodo.
Mi servono almeno quindici giorni per tornare alla mia
normale reattività. A onor del vero è già normalmente piuttosto
bassa, ma in questi giorni credo di capire bene cosa prova un
bradipo intento nelle pulizie quotidiane.
Giro la chiave nella toppa della serratura. La porta non si
apre subito, devo fare i tre giri necessari per aprirla quando è
stata chiusa dall’esterno.
Strano, normalmente Nicolò è già a casa a quest’ora.
Entro in casa.
Accendo la luce e chiudo la porta mentre mi chiedo dove
potrà mai essere. Non sono preoccupato. A volte tarda perché
gli piace fare lunghi giri a piedi per le vie del quartiere, quelle
secondarie. Quelle che nelle sere di foschia o nebbia sembrano
catapultarti in un mondo parallelo dove tu sei l’unico abitante.
È lì, sotto quella fioca illuminazione, con i contorni sfumati
dei palazzi vicini, che riesce a immergersi completamente nei
suoi pensieri.
Quasi ogni giorno si dedica a questa attività.
Proseguo nel corridoio sino al soggiorno. Accendo la luce e
mi accingo a togliermi il giaccone quando noto un biglietto sul
tavolo.
Che strano, in genere quando mi lascia scritto qualcosa lo fa
su biglietti piccoli, tagliando a metà quelli in formato A4,
questo invece è intero.
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Non mi faccio particolari domande sul punto, ma noto che la
parte scritta ricopre quasi completamente il foglio.
Ecco perché.
“Ciao Papà
Negli ultimi mesi sono stato malissimo, non sono mai stato
così male in vita. È da ottobre che ogni giorno fino ad oggi ho
pianto per questo mio malessere.
Ho cercato di nasconderlo finché ho potuto perché so che
vedermi star male ti dispiace davvero.
Ho cercato di superare la cosa, ma non ci sono riuscito, non
ancora.
Più il tempo passava e più la cosa peggiorava, nell’ultimo
mese non mi sono neanche impegnato a scuola, anzi, molto
spesso sono rimasto a casa a non fare niente, proprio perché è
la scuola a farmi principalmente male.
Non c’è nessuno che fa il bullo con me o che mi prende in
giro, i motivi sono ben altri e riguardano principalmente errori
che ho fatto.
Non riesco a stare qui, non ora almeno. Ho deciso di
andarmene. È stata una decisione lunga e dolorosa.
Sono mesi che ci penso, ma mi ha sempre frenato il pensiero
di lasciare le persone che mi vogliono bene. Sarei un egoista,
per voi, però più il tempo passava e più realizzavo che era la
cosa giusta da fare per superare questa situazione.
Se tutto va bene tornerò presto, anzi ne sono convinto. So
che ti preoccuperai per me, ma me la caverò, non starò in
grandi città, ma in posti pacifici.
Ti chiedo solo di lasciarmi fare e tutto andrà bene. Non
puoi immaginare quanto sia stato difficile tutto questo… a
presto.
Nicolò”
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Nicolò è scappato di casa.
Le ginocchia cominciano a intorpidirsi e fatico a stare
diritto. Devo fare uno sforzo per rimanere in equilibrio, come
se al posto delle gambe avessi dei trampoli. Non cadi solo se,
con movimenti appena accennati, sposti il peso del corpo dalla
parte giusta, prima su un lato e poi sull’altro.
Guardo ancora il foglio. Non vedo parole, punti, virgole,
vedo solo linee storte, che pendono verso destra, sfumate nei
vari toni di grigio.
Voglio rileggere bene, devo concentrarmi, devo capire, devo
decidere, ma soprattutto…
devo stendermi sul letto.
Mi sdraio.
Ho ancora il giaccone addosso.
Mi concentro e rileggo il messaggio.
Apro le braccia tenendo ancora in mano il foglio. Guardo il
soffitto e mi rendo conto di non riuscire a infilare due pensieri
per volta. Il cervello è immerso in una melassa che gli
impedisce di trasmettere ogni minimo segnale al corpo.
Leggo di nuovo.
Fatico enormemente ad accettare quello che sto leggendo. È
vero che, negli ultimi tempi, Nicolò era particolarmente teso.
Non mi erano sfuggiti i problemi che, dopo un inizio
incoraggiante, si evidenziavano anche nel rendimento
scolastico.
È tutto così assurdo.
Avevo indagato sui suoi silenzi cercando di non essere
troppo invadente, quindi tutto potevo pensare tranne che la casa
fosse diventata un problema.
Ero convinto di aver scalfito il suo guscio.
Ora tutto è diventato un punto interrogativo.
43
Le mie certezze si sono dissolte in un momento.
All’improvviso mi ritrovo in una situazione che va oltre i miei
incubi peggiori.
Chi avrebbe mai pensato che Nicolò potesse scappare di
casa? Scappare da questo nido d’amore?
Non si scappa dal proprio rifugio. Nei momenti di difficoltà
è proprio il luogo dove rannicchiarsi in un angolo e riscaldarsi
con il calore di chi ti vuole bene.
Nido d’amore?
Cosa ho mai visto in questi anni?
Sono completamente disorientato.
La Susi, devo chiamare subito la Susi, alzo il telefono fisso,
faccio il numero e fortunatamente mi risponde subito:
“Nicolò è scappato di casa”.
“Cosa, come?”
Spiego il tutto e le dico di venire subito, ragioneremo sul da
farsi al suo arrivo.
Quando riattacco riapro le braccia, sempre tenendo il foglio
stretto in mano, ed è così che sono rimasto sino al trillo del
campanello.
È arrivata.
Mi alzo per aprire il cancelletto e la porta di casa, ma torno
come un automa a sdraiarmi sul letto. Scommetterei di aver
ricoperto esattamente la sagoma rimasta impressa nello strato
in memory del materasso.
Pochi secondi e mi raggiunge.
È con Arianna, era in casa e quindi sono venute insieme.
Tendo la mano verso la Susi e le porgo il biglietto.
Cerco aiuto nei suoi occhi, ma trovo lo stesso smarrimento
che avvolge me da quando ho letto il messaggio di Nicolò.
Legge anche Arianna.
Restiamo in camera da letto.
44
Mi sposto leggermente e la Susi mi si siede vicino, l’Ari
invece resta in piedi appoggiata al comò.
Farfugliamo parole slegate tra loro, come se le tirassimo
fuori a casaccio nella speranza di trovare uno spunto
intelligente.
Sono molto più significativi i nostri occhi che si incrociano
continuamente.
Smarrimento totale.
Nel contempo però i nostri sguardi cercano e trovano la
forza di farci uscire da questa impasse.
Cominciamo a ragionare sul pomeriggio appena trascorso.
“A che ora sarà partito?”
“Per dove?”
Io l’avevo sentito al telefono verso le 15, era ancora in casa
e quindi non poteva essere lontano. Probabilmente era ancora
in treno.
Troviamo il suo cellulare.
Cavolo! Se non si è portato il cellulare vuol dire che ha
intenzioni serie. Ma perché? Aveva paura che potesse servire a
rintracciarlo?
Il fatto di non averlo preso indica una volontà che non lascia
spazio a ripensamenti.
Trovo il suo borsellino. Non è vuoto, come mi aspettavo. Ci
sono circa 30 euro.
“Non ha preso tutti i soldi”.
Siamo sempre più in confusione.
Provo a mettermi nei suoi panni. Se volessi scappare di casa,
la prima cosa a cui penserei è partire con più soldi possibile.
Cerchiamo qualche indizio nella cronologia di internet e
nella posta elettronica.
Negli ultimi giorni aveva fatto ricerche sul sito delle FF.SS.
e aveva cercato informazioni su Ponte nelle Alpi.
45
“Potremmo telefonare in stazione e avvisare la polizia
ferroviaria”.
È la prima cosa che mi viene in mente, ma le idee sono
ancora confuse. Meglio chiarirsele prima di fare passi
avventati.
Cerchiamo di accedere anche a Facebook. Conosciamo lo
username: NICO27, ma non ci ricordiamo la password.
Che fare?
Telefoniamo agli amici?
Telefoniamo alla polizia?
E se è stata solo una ragazzata? Magari si trova a
cinquecento metri da casa.
Il fatto che non avesse preso i soldi ci faceva sperare in una
soluzione di questo tipo.
“Se non prendi i soldi è perché non ti servono”.
Questo pensiero non smetteva di rodermi il cervello.
“Com’è possibile che non gli servano?”
“Dovrà pur mangiare, dormire, viaggiare”.
L’unica ragione per cui non gli servono è che non ha
intenzione di usarli.
Suicidio?
Ma figuriamoci.
Proprio Nicolò.
Se c’è una persona al mondo sulla quale metterei la mano
sul fuoco è proprio lui.
Troppe volte mi ha dimostrato la sua forza e la sua
determinazione.
Troppe volte l’ho visto uscire da situazioni complicate con
la tranquillità di un politico affermato.
La resa scolastica è modesta, è vero, ma le sue qualità
intellettive e morali sono fuori discussione.
Nell’ultimo periodo non stava bene, ma chi è il ragazzo che
non ha momenti di crisi?
46
E poi ci siamo noi.
Come potrebbe farci una cosa del genere?
Ci vuole bene e non potrebbe mai.
Nonostante tutti i miei sforzi, però, non riuscivo a escludere
una simile eventualità.
Suicidio.
Questa parola continuava a girarmi per la mente.
Mi sembrava di avere due angioletti sulle spalle.
Uno diceva:
“Non preoccuparti, si risolverà tutto presto. Devi solo
aspettare”.
L’altro:
“Fai presto, vai alla polizia e fai denuncia. Forse riescono a
bloccarlo quando scende dal treno”.
Decidiamo di telefonare ai suoi amici. Non ne sanno nulla, o
almeno così dicono.
Dobbiamo fare denuncia.
Esitiamo all’idea.
Se è una ragazzata, rischiamo di sputtanarlo. Non so di
preciso cosa comporterebbe, ma il pensiero di metterlo in
difficoltà mi frena. In questo momento non ne ha proprio
bisogno.
Penso anche che con la denuncia parte obbligatoriamente la
segnalazione ai servizi di assistenza sociale.
Non temo che si indaghi sulla mia famiglia. Non ho nulla da
nascondere. Temo di incappare in un funzionario incapace che
si crede Savonarola.
Se non è una ragazzata?
Suicidio?
Andiamo in caserma dai Carabinieri.
47
Ci riceve il maresciallo di turno. È un uomo sui 40 anni,
robusto e con lo sguardo vivace. Spieghiamo quanto successo e
gli mostriamo il messaggio di Nicolò.
Lui si dimostra subito tranquillizzante. Non capisco se lo fa
per noi o se è veramente convinto che tutto si risolverà per il
meglio.
“È un uomo di esperienza”, penso. “Cerchiamo di non fare i
presuntuosi e affidiamoci a chi ne sa più di noi”.
Mi accorgo però che non riesco a convincermi. Non posso
affidarmi completamente a un’altra persona. Devo fare in
modo che non si lasci nulla di intentato.
Siamo seduti di fronte a lui.
Provo una certa irritazione per il modo in cui gestisce la
cosa. Questo essere così tranquillizzante lo porta a qualche
battuta di troppo. Sarà anche il metodo che gli hanno insegnato,
ma non sta funzionando per niente.
Io sono molto preoccupato e preferirei che il mio sentimento
non fosse banalizzato.
“Posso chiedervi di lasciarmi solo col padre?”
Mi sorprendo di questa richiesta. Penso di impormi nel
rifiutare l’invito, ma lui è bravo a giustificarlo
immediatamente.
“Devo approfondire degli aspetti molto delicati, meglio non
sia presente la ragazza. Stia con lei signora, così la
tranquillizza”.
Rimaniamo soli.
Il maresciallo si sta chiedendo la ragione di un simile gesto
ed evidentemente si è dato qualche risposta.
Nella mezz’ora precedente deve aver capito che non c’erano
motivi legati a scuola o famiglia, per cui si è fatto un’idea
diversa.
48
La prende un po’ larga, ma capisco dove vuole arrivare:
“Nicolò può essere scappato per la vergogna inconfessabile
di un rapporto omosessuale?”
Mi sorprendo.
Era l’ipotesi più attendibile a cui avevo pensato anch’io.
L’unica che sembrava dare un senso a tutto questo. Non avevo
mai avuto questa impressione, Nicolò mi è sempre parso un
etero deciso, ma tutto è possibile.
È scappato di casa non perché questa fosse il problema, ma
perché si sentiva indegno di abitarla e di viverla nella
menzogna.
Non avrei mai visto le cose in questo modo, ma lui che ne
sapeva? Non abbiamo mai affrontato un simile argomento.
La cosa che non mi torna è che non ho mai giudicato gli
omosessuali. È un argomento che non è mai stato oggetto né di
discussione, né di scherno, né di semplice commento. Non
perché sia un tabù, ma semplicemente perché mi è sempre
parso naturale che ognuno segua le tracce che la natura gli ha
proposto.
Chi sono io per giudicare?
Nicolò è un buon osservatore e sono convinto che non gli
sia sfuggito il mio pensiero.
E i messaggi che gli arrivano dall’esterno?
Non lo so. Ormai metto in discussione ogni cosa.
Chiamiamo la Susi, Arianna è andata a prendere Ale, e
formalizziamo la denuncia.
Siamo ancora nell’ufficio del maresciallo quando chiama
l’Ari:
“Nicolò è tornato a casa, mi ha risposto su Facebook. Ci sta
aspettando”.
Su Facebook? Certo, ho io il suo telefono e quello fisso non
può chiamare i cellulari. Non aveva altro modo di contattarci.
49
Mi accordo con il maresciallo di tornare subito dopo con
Nicolò e partiamo verso casa.
Sono poche le parole che ci scambiamo io e la Susi. Quel
viaggio verso casa ha un sapore dolce-amaro che merita di
essere pienamente gustato e interpretato.
Non c’è bisogno di molti commenti.
Parcheggio in strada. Non entro nel parcheggio interno,
tanto devo ripartire poco dopo.
Susi mi precede sulle scale, io sento il bisogno di abbassare
la pressione e rallento il passo.
È davanti a me seduto sulla poltrona. Piange. Arianna e
Alessandro sono già lì e lo rincuorano.
Lo guardo per qualche secondo.
“Vieni qui!”
Lo abbraccio forte e piangiamo insieme.
51
Durante le due ore trascorse in caserma, all’incalzare del
maresciallo, ho notato che ti confidavi con lui più di quanto tu
abbia mai fatto con me.
Hai spiegato che la ragione del tuo gesto era legata a una
ragazza. Hai confidato che non eravate mai stati insieme e che
non avevi mai avuto rapporti completi né con lei né con
chicchessia.
Con me avresti sicuramente divagato.
Quando mai saresti stato così esplicito? Già mi sorprende
che tu abbia parlato con tanta naturalezza a un estraneo in mia
presenza.
Durante il confronto sono intervenuto ben poco.
Non tanto perché cercassi di demandare a qualcun altro il
compito che era indiscutibilmente mio - farti capire che razza
di stupidaggine avessi fatto - ma perché ho cercato di sfruttare
quella rara occasione.
Non ti eri mai trovato in una situazione simile.
Dopo una giornata vissuta pericolosamente, eri sotto il
fuoco dell’autorità riconosciuta. Speravo che abbassassi la
guardia, in modo da permettermi di dare un’occhiata dietro le
tue linee difensive.
Circa alla tua età avevo avuto un’esperienza simile.
Eravamo andati a pescare in territorio bolognese, in un canale
che ci avevano indicato come molto pescoso. In quattro amici
avevamo raggiunto il posto con i nostri motorini. Eravamo in
estate e la pesca in notturna era uno dei nostri hobby preferiti.
Appena calata la lenza, eravamo all’imbrunire, ci siamo
accorti che, dalla campagna circostante, si ergevano i classici
canneti che contornano i maceri e i laghetti tipici della zona.
Incuriositi, io e un mio amico siamo andati a verificare di cosa
si trattasse.
Poteva essere un’alternativa in caso il canale non si fosse
rivelato così pescoso.
52
Arrivati sul posto e superati i canneti, ci siamo trovati di
fronte a un laghetto che sembrava sposare perfettamente le
nostre aspettative. Quattro baldi giovani che desideravano solo
passare una bella serata in compagnia, prendendo magari
qualche bel pesce.
Mentre stavamo valutando la situazione, abbiamo sentito il
rumore di un motorino, prima da lontano e poi sempre più
vicino, sino a fermarsi proprio alla nostra altezza.
“Cosa fate qui!?”
Mi sono avvicinato.
“Stiamo pescando nel canale e…”
“Fermo lì che ho una pistola in mano!”
Il mio sguardo si è abbassato quel tanto che bastava per
verificare che non stava mentendo.
Anche se ormai era buio, il luccichio della pistola era
inconfondibile.
“Venite con me! Si va dai carabinieri”.
È stato proprio così. Pistola in pugno ci ha intimato di
seguirlo e ci ha condotto dai carabinieri.
Senza rendercene conto eravamo entrati nella proprietà
privata del procuratore della Repubblica di Bologna e il John
Wayne della situazione era la guardia giurata che doveva
difendere il forte a costo della vita.
Ora ci scherzo, ma quando mi hanno portato davanti al
maresciallo ero così nervoso che ho scordato il nome di mia
madre e il cognome di mio padre.
Alla faccia del sangue freddo.
In quelle due ore ti sei trovato nella mia medesima
situazione e quindi confidavo che, anche tu, perdessi un po’ del
tuo solito controllo.
Ti ho osservato con molta attenzione.
53
Non esprimevi l’atteso terrore per le spalline graduate.
Ricordavi perfettamente il mio cognome e il nome della
mamma.
Eri fin troppo sicuro di te, sembravi perfettamente a tuo
agio.
È stato subito chiaro che, anche in quella occasione, avresti
brillantemente depistato le indagini.
54
Le indecisioni di questi anni sono crollate come un muro
marcio.
Non vedo alternative.
Sei in zona pericolo.
Hai bisogno di una valvola di sicurezza.
Devi andare da uno psicologo.
Non ti posso obbligare, ormai sei grande. Come posso
convincerti?
Sono fortunato, sei tu che, qualche giorno dopo, mi dici che
a scuola c’è uno psicologo che, ogni giovedì, riceve gli studenti
e sei intenzionato ad andarci.
Bene, finalmente un raggio di sole.
La tua richiesta mi riempie il cuore di speranza. Il primo
passo nella soluzione di ogni problema è sempre quello di
riconoscerne l’esistenza.
Fuggire da casa non è stata una grande idea, ma forse ha
piantato un seme. Per fare una cosa del genere hai sicuramente
sofferto molto. Hai resistito quel che potevi e poi sei esploso
come un vulcano dormiente da migliaia di anni. Ora la
pressione si è abbassata e ti permette di pesare meglio quello
che prima pareva impossibile sostenere.
Dai Nicolò, sorprendimi. Sono stufo di sbattere
continuamente la testa contro un muro.
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Cosa si deve fare quando un figlio scappa di casa?
Inutile cercare soluzioni miracolose. Si può solo tentare di
mettere a frutto l’unico aspetto positivo di un’esperienza del
genere: ti segnala, in modo inequivocabile, il suo disagio. Ha
l’effetto di una secchiata d’acqua ghiacciata. Ti sveglia e ti
costringe ad affrontare il problema.
Dovrò tenerlo più sotto controllo?
Mah, non mi sembra il metodo migliore. Deve imparare a
camminare da solo e portarlo ancora a spasso in passeggino
non lo aiuterebbe di certo.
Dovrò essere più permissivo?
Non saprei rispetto a cosa. Non gli consento di fare tutto
quello che vuole e vorrei ben vedere.
Non l’ho mai punito con bacchettate sulle dita, come ai bei
tempi andati (si fa per dire) e ho già chiuso un occhio in
svariate occasioni. Certo non li ho mai chiusi tutti e due,
perché, quando hai il volante in mano, si rischia solo di finire
nel fosso.
Dovrò fargli pesare quello che ha fatto?
Rischierei di fare la figura del padre bacchettone che non è
in grado di capire e accettare gli errori dei figli. Potrei perdere
ogni speranza di conquistare quella complicità a cui ambisco
da tempo.
Però non posso neppure far finta di niente. Una cosa del
genere non può passare sotto silenzio.
Dovrò essergli complice nel tenere tutto nascosto?
È un segreto di Pulcinella. I parenti lo sanno già perché il
maresciallo mi ha fatto telefonare agli zii di Padova. Avendo
un appartamento nelle vicinanze di Ponte nelle Alpi, poteva
essere che lo avessero assecondato nella fuga.
Idea bizzarra, ma tant’è. Era lui l’esperto.
I tuoi amici lo sanno già perché sono stato io a telefonargli
nel tentativo di avere informazioni. Però non è detto che la
56
voce si sia sparsa in ogni angolo del globo. Se non lo
alimentiamo, il chiacchiericcio potrebbe smorzarsi
rapidamente.
Te lo chiedo espressamente e mi sorprendo della decisione
con cui mi dici:
“Non c’è problema. Puoi raccontare tutto a chi vuoi, anche a
scuola”.
Credevo che provassi un po’ di vergogna per un gesto così
sciocco e invece leggo nei tuoi occhi una certa soddisfazione.
“Accorrete, accorrete. Voglio raccontarvi che figo sono
stato. Sareste capaci voi di scappare di casa? Beh, io sì!”
Anche questo, in fondo, è un modo di affermarsi nel gruppo.
Fare cose che dimostrano un grande coraggio. Non importa se
sono totalmente insensate.
Elevano di grado.
“Onore a te. Ti sei meritato il nostro rispetto”.
Non ti vedranno come un eroe, ma certo hai dimostrato di
saper affrontare situazioni che non sono pane per tutti i denti.
57
26 gennaio 2013
58
Non capisco la dinamica dell’incidente. Il corpo si trova nel
controviale, dove non passano macchine, e quindi non si spiega
la violenza con cui deve essere stato sbattuto a terra quel
povero ragazzo.
Forse è stato colpito in strada e la violenza dell’impatto lo
ha fatto volare sin qui. Però, nel caso, ci sarebbe del sangue
sull’asfalto e invece niente.
Fermo la macchina e scendo.
Nel preciso momento in cui ho messo il piede a terra, mi
sono balenate in mente altre soluzioni all’enigma. Uno si sdraia
in mezzo alla strada e i compari aggrediscono chi si ferma.
Cavoli! Ma è il mio quartiere, mica siamo a New York.
E poi, che senso avrebbe studiare una simile sceneggiata in
una posizione così nascosta. Si sarebbe steso in bella vista.
Posso scendere tranquillo.
Comunque mi guardo attorno.
Mi avvicino.
“Ma, è Nicolò!”
La Susi e Ale scendono dalla macchina con la tranquillità di
chi pensa ad uno scherzo.
“Ma dai, ci ha visti arrivare e ha voluto spaventarci, aspetta
che ci avviciniamo e poi ci fa: buuuuuuu”.
Questo hanno pensato.
Strano, era evidente che non si trattava di uno scherzo.
È vero che a lui piace farmi paura, ma non in questo modo.
Si nasconde dietro una porta o sotto il letto per poi saltare fuori
all’improvviso. Gli piace guardare la mia reazione da Gatto
Silvestro che si attacca con le unghie al soffitto. Quante volte
gli ho detto:
“Occhio Nicolò, che una di queste volte mi fai stramazzare a
terra, non esagerare”.
Questa scena è troppo forte anche per lui.
59
E poi l’avrebbe costruita meglio. Si sarebbe steso in modo
da rendere impossibile non vederlo. Ce ne siamo accorti per
puro caso.
È chiaro che in certi momenti sei così spaventato da quello
che vedi che cerchi di nascondere la verità in ogni modo,
confondendo i tuoi occhi con la tua mente.
Mi avvicino. Penso sempre a un incidente, ma non sono
terrorizzato come sarebbe normale aspettarsi.
Sono totalmente inerte.
Mio figlio potrebbe essere morto. È lì, davanti a me, steso
sull’asfalto in questa fredda notte d’inverno e io mi avvicino
come se stessi a un passo dal suo lettino in spiaggia, per
svegliarlo dal torpore e incitarlo a prepararsi per il ritorno a
casa.
Sto nascondendo la verità esattamente come loro.
62
Ormai sono pronto a tutto. Certo che ci vorrebbe una bella
faccia tosta a fingere che questa domenica mattina sia uguale a
tutte le altre.
Ripenso con un po’ di rabbia alle mie illusioni notturne:
“Caro Nicolò, starai così male domani che aspetterai un bel
pezzo prima di annusare un altro po’ di alcol”.
Ora ho bisogno di capire.
Ti chiedo cosa è successo la notte prima. I tuoi ricordi si
fermano a quando hai accompagnato a casa il tuo amico e lo
hai salutato.
Mi racconti che siete stati in casa nostra tutta la sera a
giocare con i videogiochi e a montare alcuni video che avevi
girato. L’idea della bottiglia di vodka è venuta a te, tanto per
provare una cosa nuova, solo che poi la cosa ti è scappata di
mano e hai esagerato.
Non ho motivo di dubitare delle tue parole.
A ben vedere ti sarebbero mancate anche le occasioni per
consolidare una simile abitudine. Uscivi raramente di sera, il
momento più a rischio, e durante il giorno eri spesso in giro in
bicicletta.
Quando non andavi a trovare i tuoi amici, ti piaceva vagare
per le vie nascoste della campagna ferrarese.
Certo, nulla ti impediva di portarti dietro una bottiglia e
bertela in santa pace sotto una quercia, ma mi sembra una
lettura più adatta a un vecchio ubriacone che a un giovane dalla
vita normale come la tua.
Sei un uomo ormai e non posso farti la solita predica che,
peraltro, ti aspetti.
A cosa servirebbe?
Ci sediamo sul divano e parliamo.
Ti ho raccontato del paio di sbronze che ho preso anch’io da
ragazzo. Può capitare, ma non deve diventare un’abitudine.
63
Intanto penso:
“Io però il giorno dopo mi sentivo come crocifisso a testa in
giù. Dolori di testa lancinanti per il sangue depositato nel
cranio, esofago e gola corrosi dagli acidi fuoriusciti dallo
stomaco.
Tu non ricorderai neppure la doccia gelata”.
64
19 giugno 2013
Sono le 12.30.
Mi piacerebbe chiamarti, ma è troppo presto. A quest’ora
stai mangiando o guardando un film. In genere Lost, la serie
per cui hai una gran passione.
Quando è capitato mi hai sempre risposto frettolosamente,
cercando di nascondermi di essere scocciato.
È un vano tentativo, quando chiamo a quest’ora ti rompo le
palle.
Ok, lo farò dopo. Come al solito, del resto. Preferisco
chiamarti dopo che hai mangiato. In cucina sei bravo e attento,
ma saperti ai fornelli mi mette sempre un po’ d’ansia. Mi
tranquillizzo quando so che non sei più alle prese con fiamme e
coltelli.
Vado in mensa. Come ogni giorno mi siedo con lo stesso
gruppo di colleghi. Mangio, caffè, boccata d’aria e torno al PC.
Mi immergo nel lavoro e mi sfugge l’ora. Quando me ne
accorgo sono già le 14.45. Prendo il telefono e chiamo.
Nessuna risposta.
Non mi preoccupo, è già successo altre volte. Sono
comunque travolto da un senso di insicurezza. È la
conseguenza dei telefonini. Siamo abituati ad essere
immediatamente rintracciabili.
“Ma perché non hai risposto? Fai attenzione a quel
telefono!”
Quante volte abbiamo subito o detto parole del genere. Con
chicchessia siamo disposti a qualche concessione, ma con i
nostri figli l’ansia ci fa diventare insistenti.
È troppo forte il bisogno di sentirli e di tranquillizzarci.
Sono le 15.15, richiamo.
65
Nessuna risposta.
La tensione aumenta.
Cerco di tenerla sotto controllo. Mi ripeto che è successo
altre volte.
Sono le 16, richiamo.
Nessuna risposta.
Comincio a innervosirmi decisamente. Forse sei in giro in
bicicletta e quindi il rumore del vento nelle orecchie non ti
permette di sentire il telefono.
Quante volte ti avevo chiesto di prestare più attenzione. Mi
dispiaceva comportarmi come tutti i telefonino-dipendenti, ma
non potevo farne a meno.
Mi sento un po’ in colpa quando realizzo che non è stato
necessario rimproverarti più di tanto. Di cosa posso
lamentarmi. Capitava spesso che, quando ti accorgevi che ti
avevo cercato, mi richiamavi:
“Ciao papà, tutto bene?”
Tendevi a esagerare nell’enfasi che mettevi in quelle parole,
soprattutto negli ultimi tempi. Sembrava che non ci sentissimo
da tempo immemore.
Non ho mai colto pienamente la ragione di questo tuo
comportamento, ma credo che fosse conseguente al malessere
che ti trascinavi da qualche mese. Cercavi di nasconderlo, un
po’ per il tuo carattere ermetico, un po’ per tranquillizzarmi.
Trovavo molto tenero questo tuo tentativo.
“Gli faccio credere che sto benone e che avevo voglia di
sentirlo, così non si preoccupa”.
Provo sul telefono fisso.
Davo per scontato che fossi fuori in bicicletta, ma magari sei
in casa e non ti sei accorto di avere il cellulare con il volume
basso. Ti è già capitato di perderti nella realizzazione dei tuoi
video e quindi, …quindi un corno, non ne posso più.
Per quanto ci pensi non so che fare, chi contattare.
66
Avevi più giri di amici e quindi rischio di perdere tempo
prezioso cercando di contattarli tutti. Devo correre a casa e poi
deciderò il da farsi nel caso non ti trovi.
Chiudo il PC, timbro e vado. Avrei delle commissioni da
fare, ma ci penserò dopo.
Non ho mai provato una simile sensazione di inquietudine.
Nelle altre occasioni in cui non mi rispondevi mi preoccupavo,
ma ora è diverso, ho la salivazione azzerata e un bruttissimo
presentimento.
Non credo ai presagi. Semplicemente mi rendo conto che è
tutto più strano del solito. Negli ultimi tempi trovavi sempre il
modo di richiamare o di chiamare per primo se io tardavo.
È tutto molto insolito.
Cerco di tranquillizzarmi pensando che le cose insolite
capitano e quasi mai ci sono ragioni che non siano semplici
coincidenze.
Certo, quasi mai.
Arrivo a casa, parcheggio in strada e apro il portoncino di
ingresso. Per prima cosa vado sul retro ad aprire la porta del
garage, voglio verificare se c’è la bicicletta. Apro il portone e
la vedo, quindi non sei uscito in bici.
In un primo momento mi rallegro, lo scenario peggiore a cui
avevo pensato era un incidente stradale, ma poi mi rendo conto
che è ancora più strano che tu sia in casa e non risponda.
Chissà, magari sei andato a fare un giro a piedi, ma allora
come mai non hai sentito il telefono?
Salgo le scale a due gradini per volta, apro la porta e ti
chiamo e, mentre ti chiamo nuovamente, entro nel disimpegno
che dà sulle camere da letto.
71
aveva intenzione di comprare per scattare foto anche sott’acqua
nella vacanza già programmata in Sardegna.
“Ma come, la sera prima faceva programmi per l’estate e il
giorno dopo si suicida?”
Mi sento sdoppiare nella mente e nel corpo. Riesco a essere
contemporaneamente lucido, razionale, forse addirittura acuto,
e totalmente rallentato nell’elaborare anche le cose più
semplici.
Le gambe e le braccia sono forti, eppure mi muovo con una
lentezza innaturale. Sembro aver perso la capacità di sollecitare
più muscoli contemporaneamente. Somiglio molto a quei robot
giocattolo che si spostano con pochi movimenti e quasi mai
contemporanei.
Nel giro di pochi minuti arriva la polizia.
Prima due agenti, che evidentemente erano di pattuglia nelle
vicinanze, poi altri in borghese, prima due e poi altri due. In un
attimo la casa è piena di gente che va avanti e indietro.
La porta d’entrata rimane sempre spalancata, alla mercé di
chiunque salga le scale. Lo noto, ma non sono interessato a
socchiuderla, non sono interessato alla privacy, non sono
interessato a nulla.
Dobbiamo avvisare. Faccio un paio di telefonate, una a mio
fratello e una ad Anna. Mi sorprendo della mia calma, sono io
che li devo rincuorare. D’altronde loro hanno appena ricevuto
un gancio micidiale e sono andati KO. Io l’ho già ricevuto e
sono in ginocchio ad attendere che contino il nove per potermi
rialzare.
Davvero voglio rialzarmi?
La Susi completa il giro di telefonate.
72
Il giorno dopo
È inutile.
Sto immaginando la soluzione meno dolorosa, ma devo
scontrarmi con l’evidenza dei fatti.
Era tutto davanti ai miei occhi fin dal primo momento.
Ti sei impiccato utilizzando lo spacco sulla parete che avevo
fatto due mesi prima sopra la porta della tua camera. Quello
74
che serviva per la canalizzazione del condizionatore dell’aria.
Già da un anno ne parlavamo. La disposizione del vecchio
condizionatore non permetteva di rinfrescare adeguatamente la
tua camera e te ne lamentavi giustamente.
La soluzione del problema non era semplice e quindi ne ho
parlato più volte anche con te perché, a seconda della decisione
presa, potevano esserci delle modifiche da apportare alla
disposizione dei mobili della tua camera.
Come potevi non pensare a me mentre passavi il cavo
attraverso lo spacco?
Realizzo che non avrebbe dovuto esserci. I lavori non erano
stati ancora ultimati a causa di un problema nella fornitura dei
materiali.
Se lo spacco non ci fosse stato, dove ti saresti attaccato?
Scorro a memoria tutta la casa e non trovo un altro appiglio
che avresti potuto utilizzare.
Nelle case di una volta c’erano le travi a vista e quindi non
ci sarebbe stato problema. Nelle case a più piani ci sono le
ringhiere delle scale che hanno la forza e l’altezza sufficiente.
Nel mio modesto appartamento non c’è nulla di tutto ciò.
Sul momento mi sembra un dettaglio di poco conto. Chi
vuol farla finita un modo lo trova, ce ne sono un’infinità.
A ben pensarci però, immagino che, anche in un momento
così folle, si mantenga una certa lucidità.
Quella che ti fa scegliere un modo piuttosto che un altro.
Se soffri di vertigini non ti butti di sotto e se hai il terrore
dell’acqua non ti getti nel fiume.
Se non avessi trovato l’appiglio giusto, cosa avresti fatto?
Potevi andare nel parco vicino a casa nostra e girare la corda
attorno a un ramo robusto. In quell’area boschiva non mancano
angoli nascosti che ben si prestano allo scopo.
Sono però convinto che l’idea non ti avrebbe soddisfatto.
75
Avrebbe avuto il sapore di una cosa fatta di nascosto e tu hai
sempre avuto il coraggio delle tue azioni.
Potevi anche cambiare metodo.
Un bel salto nel vuoto. In fondo non soffrivi di vertigini.
Però dal secondo piano non si è certi del risultato.
Tagliarsi le vene? Roba da femmine.
Insomma, non trovare il piatto pronto nel momento in cui
hai la testa che ribolle e la vista annebbiata, avrebbe potuto
darti il tempo di svegliarti dal torpore in cui eri caduto.
Se già prima mi sentivo in colpa, ora mi sento anche parte
attiva nel tuo suicidio.
Quello stramaledetto spacco nel muro, rimasto aperto troppo
tempo per colpa di un’impresa incompetente.
76
In casa nostra non esistevano quegli attriti tra genitori che
spesso minano l’equilibrio dei figli. La dolcezza della Susi
aveva conquistato me, ma anche tu ne eri stato contagiato.
Lo hai dimostrato in tante occasioni.
Sempre senza slanci eccessivi, non era nel tuo stile, ma in
modo più che evidente.
E quindi cosa ha determinato il tuo gesto?
O meglio, cosa non lo ha impedito?
Da adolescenti si vivono crisi di identità così forti che ogni
ragazzo o ragazza ha pensato almeno una volta di farla finita,
solo che poi prevale l’istinto di autoconservazione.
Per fare un gesto del genere non è sufficiente la disperazione
che ti nasconde il futuro, bisogna superare anche la paura
dell’ignoto e del semplice dolore fisico.
Tu non hai avuto paura.
Sei sempre stato molto sicuro di te. Non ti ho mai visto
intimorito di fronte a nulla, quasi fossi refrattario a questo
sentimento così naturale. Solo ora mi appare, in tutta la sua
evidenza, la stranezza di questa mancanza.
Un campanellino d’allarme che avrei dovuto sentire.
Come può un bimbo non avere paura del buio?
Come può, magari per un brutto sogno, non correre mai
sotto le coperte nel lettone sicuro del papà?
È capitato che, sbagliando percorso su un sentiero di
montagna, ci siamo trovati in pericolo. Eravamo insieme a Susi
e Ale e dovevamo scendere avendo il precipizio a un passo.
Avevi solo 14 anni, ma sei stato l’unico a non avere alcun
timore, come se fossi stato una esperta guida alpina.
Mille sono gli aneddoti che si accavallano nella mia mente.
Ognuno di questi sembra svelare una sfaccettatura della tua
personalità, ma puntualmente ne spunta un altro che mette in
dubbio le conclusioni del precedente.
77
Avverto in modo sempre più nitido che lo scopo principale
per cui ho subito acconsentito alla terapia, non è tanto il timore
di “sbarellare” e mettermi a cantare per le vie della città come
un gallo isterico, ma il tentativo di capire mio figlio.
Non ci sono riuscito da vivo.
Posso tentare ora che è morto.
Rabbia.
La rabbia che provo mi fa sentire in colpa.
Mi sembra un sentimento innaturale a fronte della morte di
un figlio, ma non posso farci nulla. Devo prenderne atto e
tentare di capirla e di placarla.
In fondo l’hai fatta bella grossa.
Hai distrutto la tua vita e, forse, anche la mia.
Passano i giorni e le sensazioni che provo seguono
l’alternanza del giorno con la notte. Quello che costruisco di
giorno si scioglie di notte e quello che costruisco di notte si
scioglie con il giorno.
Ogni pensiero che sembra consolidare la mia tenuta nervosa
si disgrega come una costruzione di sabbia fatta sul
bagnasciuga.
Non ha la minima speranza di resistere all’alzarsi della
marea.
Devo cogliere i pochi momenti positivi per rinvigorirmi. So
benissimo che, come quella costruzione, non dureranno.
Ho anche cominciato gli incontri con lo psicologo.
Mi sono sentito subito a mio agio. Perlomeno si parte con il
piede giusto. Quando sono in seduta cerco in ogni modo di
sviscerare aspetti che riguardano Nicolò, ma non riesco a
fregarlo.
Lui vuole conoscere me e non si lascia imbrigliare dai miei
giri di parole.
Meglio così.
78
È uno con le idee chiare.
Spero però che, quando lo riterrà opportuno, mi permetterà
di affrontare anche gli aspetti relativi alla personalità di mio
figlio.
È vitale che riesca a capirne qualche cosa.
Mi sto impegnando per uscire da questo tunnel con una
caparbietà che non mi è congeniale. Ho sempre affrontato la
vita con una buona dose di approssimazione. Mi è sempre
piaciuto non avere in mano tutte le carte, per la soddisfazione
di risolvere il problema del giorno improvvisando al momento.
Ora non me lo posso permettere, sono totalmente
concentrato sull’obiettivo, ma, forse per la prima volta, non
sono fiducioso sul risultato.
Sono costantemente accompagnato da cattivi pensieri e devo
continuamente combattere contro le spinte del mio cuore: il
fortissimo desiderio di morire.
Quando morì Laura ero ancorato alla vita da Nicolò.
Mi è capitato di pensare che, se non ci fosse stato lui, l’avrei
fatta finita. Ho sempre avuto la sensazione però che fosse una
convinzione che si sarebbe sciolta come neve al sole nel
momento decisivo. Quello in cui ti trovi in piedi sulla balaustra
del balcone o con la scatola di barbiturici in mano e la bocca
aperta.
Oggi non è così.
Sono ancorato alla vita dalla Susi, ma se fossi libero non
esiterei un secondo.
Il giorno dopo l’impiccagione di Nicolò mi è capitata in
mano la lettera dell’USL che mi invitava a fare gli accertamenti
per il tumore al colon. A cinquant’anni ti arriva a casa l’invito
per la visita di controllo gratuita e ho sempre rinviato per colpa
della mia inguaribile pigrizia.
L’ho guardata e ho sorriso.
Per quale ragione dovrei andare a fare gli accertamenti?
79
Per prevenzione?
Ma io desidero ardentemente averlo quel tumore.
L’ho pensato come si pensa alla donna di cui sei
innamorato, con gli occhi di chi non desidera altro che
abbracciarla.
“Sì. Voglio il tumore! Lo voglio! Lo desidero!”
Ma il tumore ti fa soffrire.
Il pensiero del dolore non mi spaventa, anzi desidero
soffrire.
Una sofferenza fisica, intensa.
Meravigliosamente insopportabile.
Il dolore è un fuoco purificatore e io mi sento sporco.
Pretendo di essere messo al rogo.
Sono convinto che non farei un solo lamento.
“Sono un vigliacco”.
Perché devo desiderare di morire in questo modo? Solo
perché mi assolverebbe agli occhi della Susi?
“È capitato, cosa potevo farci?”
Certamente non mi darebbe delle colpe, ma non
cambierebbe un bel niente.
Sarei morto comunque.
Non è la sua disapprovazione che temo, in questo momento
la paura di essere giudicato è l’ultimo dei miei pensieri.
Il punto è che non me la sento di darle un simile dolore.
Semplicemente.
Noi siamo così.
Non potremmo vivere uno senza l’altra.
Come è possibile che un legame così meraviglioso mi
appaia oggi come una condanna?
Sì, mi fai rabbia anche tu.
Mi impedisci di fare la cosa che più desidero al mondo.
Mi condanni alla vita.
80
Non meriti un uomo del genere. Non meriti un involucro
vuoto e arido. Uno zombie che non sa dare gioia. Meriti di
avere al fianco l’uomo di cui ti sei innamorata.
Devo ritrovarlo con tutte le mie forze.
81
Il diario
83
Siamo stati aiutati da uno dei due, perché sia io che la Susi,
avendo ancora i cellulari di vecchia generazione, non
conoscevamo questa messaggeria gratuita utilizzata dai
giovani.
Per fortuna sono arrivati con qualche minuto di anticipo
rispetto ai loro colleghi ispettori, perché ho avuto la netta
sensazione che, diversamente, gli altri agenti lo avrebbero
subito catalogato e imbustato come prova da non sfiorare
neppure con lo sguardo.
Non sono riuscito a esprimere loro il mio ringraziamento per
la sensibilità che hanno dimostrato. Non so neppure se fossero
autorizzati a farlo, ma quel che è certo è che senza quella
concessione oggi sarei sull’orlo della follia.
Come è possibile digerire la morte per suicidio di un figlio
quando non intravedi la più piccola ragione?
Mi sembravi sereno, per quello che poteva permetterti la tua
adolescenza, amato e amante della tua famiglia e apprezzato
dal tuo gruppo di amici.
Abbiamo capito subito che lo avevi fatto per lei, la ragazza
di cui ti eri invaghito mesi prima.
Pensavo fosse un discorso chiuso e invece eccolo lì, risorto
in un istante. Il mio disorientamento nasce dal fatto che avevi
coperto con molta attenzione e abilità i sentimenti che provavi.
Il tuo malessere sembrava storia vecchia.
Negli ultimi tempi avevi persino ampliato il tuo giro di
amici. Avevi anche cominciato a portarti a casa, il venerdì
pomeriggio, i tuoi compagni di classe per delle ripetizioni di
informatica che tu stesso tenevi.
Era l’unica materia che ti piaceva e, non a caso, avevi ottimi
voti.
Un venerdì sono venuti in dodici.
Non so dove tu abbia potuto farli stare.
84
La casa è piccola e non è adatta a simili assemblee. I ragazzi
però sanno stringersi. Si saranno dati il cambio tra il divano, le
seggiole e il tappeto.
Non posso nascondere che ero un po’ preoccupato. Dodici
ragazzi liberi di scorazzare senza controllo qualche danno lo
avrebbero fatto di sicuro.
Non mi importava.
Ero totalmente rapito dall’entusiasmo che vedevo nei tuoi
occhi.
Preparavi tutto già dal giorno prima.
Ti accertavi che in casa ci fosse tutto l’occorrente per
preparare l’amatriciana. I ragazzi venivano subito dopo la
scuola. Appesantiti dai loro zaini, ma spinti da un formidabile
appetito.
La sapevi fare molto bene perché ti piaceva e quindi la
preparavi spesso. Fare il ristoratore però non è come prepararsi
il pranzo. Le pentole e i fuochi non sono adatti a simili quantità
e organizzare correttamente i tempi di cottura non è pane per
cuochi improvvisati.
Per quel che ne so, comunque, te la sei cavata sempre molto
bene sia in cucina che nella gestione del campo.
Non ho mai ritrovato la casa spianata come dopo una
battaglia.
Evidentemente sapevi tenerli a bada.
Tutto questo mi sembrava un regalo venuto dal cielo.
Ti stavi sciogliendo all’ardore dei tuoi sedici anni e, passo
passo, ti immaginavo buttarti nel gruppone per condividere le
gioie e i dolori tipici dell’età.
Mi piaceva pensarti nel ruolo di insegnante.
Lo facevi con illustrazioni che, collegando il PC alla TV, ti
permettevano di far vedere a tutti i documenti che avevi
preparato.
85
Ti immaginavo con la bacchetta in mano a spiegare i
passaggi del linguaggio di programmazione, riprendendo, nel
caso, gli alunni disattenti.
A scuola non mi hai mai riservato grandi soddisfazioni e
quindi ero compiaciuto da questa nuova e inaspettata passione.
Nulla di paragonabile però alla gioia che mi dava vederti
così partecipe con i tuoi coetanei, senza quei filtri che hai
sempre interposto anche con loro.
Ora mi faccio infinite domande e quei pochi messaggi,
rubati alla magistratura, non mi bastano più.
Hanno arginato un fiume in piena, ma senza un’ulteriore
opera di contenimento il traboccamento è assicurato.
Ho bisogno di fare un passo in più.
Devo capire chi eri prima di quella istantanea che rimarrà
per sempre nella mia memoria.
Un cavo nero che ti stringe il collo e ti obbliga a quella
posizione innaturale.
Mi davi la schiena, quasi a nascondere il viso per la
vergogna di un gesto così incurante dei miei sentimenti.
Ho bisogno di risposte.
Cerco nei tuoi armadi, nello zaino di scuola, nel quadernone
che utilizzavi per scrivere le sceneggiature dei film che
costruivi insieme ai tuoi amici.
Il mitico quadernone.
Lo avevi sempre in mano.
Ci scrivevi e rileggevi per ore con un impegno inusuale.
Mi piaceva vederti così impegnato, così appassionato.
Quante volte abbiamo parlato dell’importanza di capire e
coltivare le nostre passioni. Una cosa così naturale, eppure così
difficile da mettere in pratica.
86
Fin da piccolo hai dimostrato interesse per il mondo della
celluloide. Non tanto nella prospettiva dell’attore, quanto in
quella del regista.
Nel quadernone c’erano tutti i tuoi lavori. Le sceneggiature
che avevi scritto e che pensavi di fissare su pellicola con l’aiuto
di amici/attori.
Lo apro, ma rimango di stucco nel constatare che hai
strappato tutte le pagine scritte. Qualcuna in verità l’hai
lasciata, ma non quelle che riportavano la sceneggiatura di un
film che avevi scritto da poco. Sapevo che ci stavi lavorando e
che avevi già girato alcune scene.
Come mai le avevi stracciate?
Quando?
Scommetterei che lo hai fatto quel giorno stesso, nel preciso
momento in cui hai deciso di toglierti la vita.
Non conosco i particolari della sceneggiatura. Qualcosa
avevo letto e ne ero rimasto favorevolmente colpito.
Non avevi mai brillato nei temi di italiano, ma qui riuscivi a
esprimerti con una chiarezza e una pulizia che mi stupivano.
Ne ho lette solo delle piccole parti, eri geloso del tuo lavoro
in costruzione e mi avresti fatto vedere tutto una volta ultimate
le riprese e finito il montaggio.
Almeno così mi avevi detto.
Oggi capisco che la tua riservatezza non era legata solo alla
naturale ritrosia di chi desidera condividere il proprio lavoro
solo dopo che è stato ultimato, visto, rivisto e approvato.
È evidente che nella storia c’era un’eroina.
Lei.
Ti scocciava che potessi capire i tuoi sentimenti.
Note e appunti
Remember: quando hai dei dubbi, ricordati che hai avuto la
risposta che cercavi. Se qualcosa non l’accetti, piuttosto che
insabbiare tutto di nuovo, ingoia l’aria e attendi.
9 ottobre 2012
Perché lo hai fatto? Non ricordi questo giorno? No?
88
20 febbraio 2013
Mi manca… mi manca da morire.
Vorrei solo tornare da lei, andare d’accordo e
abbracciarla, perché nessun viaggio, anche il più bello e
appagante, riuscirà ad eguagliare quel momento.
21 febbraio 2013
Ridatemi un mondo… voglio svegliarmi.
Tutti quei terremoti, tutti quei meteoriti che sono precipitati
con una tale aggressività che hanno ucciso ogni essere vivente.
…ma davvero non è rimasto neanche un piccolo seme su cui
ricominciare? Davvero è finito tutto?
Mi manca …mi manchi.
22 febbraio 2013
L’inferno… l’inferno non è affatto come lo descrivono… è
freddo, gelido... fa male.
Nella vita abbiamo bisogno delle persone che amiamo, ma
dopo la vita questo non è più possibile.
Un uomo per morire non deve necessariamente non
rimanere in vita, anche se corpo e mente ci sono ancora, a
volte basta meno, ma a questa condizione ha la fortuna di
rinascere… ma solo se se lo merita.
Ora non me lo merito
20 marzo 2013
Quanto tempo è passato… quanto ne passerà ancora?
30 aprile 2013
Ormai è arrivato il momento di scrivere la parola fine.
Fine? Vediamo…
90
due coppe vinte in altrettante gare di sci, varie miniature: il
Colosseo, la torre di Pisa, le navi da crociera, un delfino con
scritto il tuo nome, una piccola anfora greca, un posacenere di
ceramica raffigurante un kilt, il mostro di Lockness.
Mi accorgo che manca la miniatura della torre Eiffel che
comprasti a Parigi. È stata l’ultima vacanza che abbiamo fatto
tutti insieme.
Siamo partiti lo scorso 26 dicembre e tornati il 30. Tu eri in
piena crisi, ma non hai fatto pesare la tua condizione. Sei stato
il Nicolò di sempre. Qualche ombra negli occhi si vedeva, ma
nulla più di questo.
Ci sono anche quegli inspiegabili sassi che raccoglievi e a
cui tenevi tanto. Non ho mai capito cosa ci trovassi. Erano
belli, è vero, ma sassi erano e sassi rimanevano.
Abbiamo girato tanto Nicolò. I tuoi souvenir testimoniano
solo una parte dei viaggi che abbiamo fatto insieme. Mi
piaceva farti girare il mondo.
Sono sempre stato convinto dell’importanza di vedere cosa
c’è attorno a noi. Confrontarsi con culture diverse aiuta a
capire che non sempre “gli altri” hanno torto o sono strani,
semplicemente hanno visioni diverse dalle nostre.
Girare il mondo aiuta a non cadere nella superficialità.
Rileggo.
Lo faccio più lentamente, soffermandomi su ogni periodo,
nel tentativo di carpire il vero significato di ogni parola. Spero
di scoprire qualcosa che apra uno spiraglio di speranza in
quella che mi pare essere una conclusione inesorabile.
Non ho capito un cazzo di mio figlio.
Ma come è possibile?
Sei sempre stato il primo dei miei pensieri. Ho cercato di
capirti con tutto me stesso, nella speranza di saperti appoggiare
nel modo giusto quando fosse servito.
Mi rendevo conto che mi sfuggivano tante cose, ma questo è
decisamente troppo.
Non ho mai banalizzato le crisi d’amore.
Sono sempre traumi profondi che ti annientano nel cuore e
nell’anima. Ti fanno sentire inadeguato e immeritevole di ogni
cosa che ti circonda.
Ancora non conosco l’evoluzione del tuo rapporto con
questa ragazza. Ho sempre avuto l’impressione che le cose
fossero ancora quelle confessate al maresciallo.
Un ragazzo che si è preso una cotta e sta cercando di
conquistare la sua bella.
Ma ora?
Ora tutto è diverso.
Come puoi aver fatto una cosa del genere se non c’è stato
nulla di più del tuo corteggiamento?
93
Per decidere che non si può vivere senza una persona,
bisogna aver provato cosa significa starci insieme. Avvertire
che solo lei ti completa, smussando i tuoi angoli e
punzecchiandoti quando ce n’è bisogno. Una persona che ti
entra dentro così in profondità da non riuscire a distaccartene.
Solo così potrei dare un senso a tutto questo.
Non sei il primo e non sarai l’ultimo.
Viene naturale pensare che sia l’inesperienza a farti crollare
il pavimento sotto i piedi quando ti lascia la persona che ami.
Non è così.
Il pavimento crolla ad ogni età, solo che, con il passare degli
anni, la ridotta capacità di reazione limita il rischio di colpi di
testa.
Da adulti si è più fantasiosi. Si trovano altri modi per
suicidarsi.
Non lo fai con una corda, ma spegnendo dentro di te ogni
stilla di entusiasmo.
Avrei scommesso sul tuo status di single, ma ora non ne
sono più tanto sicuro. Eravate una coppia e qualcosa si è rotto.
Non le do colpe.
Se avesse persino giocato con i tuoi sentimenti, cosa
avrebbe fatto di diverso rispetto a tante e a tanti suoi coetanei?
Chissà, forse anche tu ti sei comportato così. Sono cose che
fanno parte della vita. In particolare da adolescenti, dove, più
che mai, è necessario mettersi alla prova per ricercare se stessi.
È normale soffrire e far soffrire.
“Solo il cellulare può aiutarmi!”
Sono sicuro che lì troverò le risposte che cerco.
94
La dedica
96
Ma, porca miseria, quando ti chiedevo cosa te ne facevi, ci
voleva tanto a dirmi che servivano per un film che stavi
girando?
Non è facile comprenderne il filo conduttore, sarebbe
necessario vedere anche la seconda parte, ma riconosco il tuo
modo di fare.
Parola d’ordine: ERMETISMO.
La seconda parte non l’hai mai ultimata.
Negli spezzoni che ho trovato si vedono tutti i ciak che
avresti dovuto montare.
Che professionalità dimostravi.
Mi ha colpito soprattutto la caparbietà con cui riuscivi a
coinvolgere nel progetto tutti gli “attori”.
Guardando le scene che avevi girato, appare evidente che lei
era la protagonista.
Sembrava esserci una bella intesa tra di voi.
Tu la incoraggiavi con la sapienza di un consumato regista e
lei ti seguiva con la professionalità e i vezzi di una diva
affermata.
È una bella ragazza, ma sono colpito soprattutto dal suo
modo di fare. Ha un bel sorriso e non lo risparmia.
Non è quel modo tipico di chi vuole esaltare le proprie
qualità estetiche. Quel modo, per così dire: “impostato”. Lo fa
con dolcezza, lasciando intravedere una serenità che non ti
aspetti in una ragazza così giovane.
Ho visto e rivisto quelle sequenze.
Mi piaceva vedervi insieme e immaginare i sussulti del tuo
cuore a ogni suo sguardo o sorriso particolarmente
ammiccante.
I lavori si sono interrotti il 26 settembre.
Non erano ancora conclusi, per cui è chiaro che è successo
qualcosa di così grave da rendere impossibile (o inutile)
continuare.
97
…
9 ottobre 2012
Perché lo hai fatto? Non ricordi questo giorno? No?
99
In realtà è solo il preludio, come se negli ultimi istanti della
nostra vita avessimo la possibilità di dare una sbirciatina
dall’altra parte.
Nella scena successiva muori realmente, mentre in
sottofondo suona, sempre più forte, un pezzo di musica classica
che non mi permette di trattenere le lacrime.
101
Mi colpisce anche una parte della lettera:
“La canzone di sottofondo è strana (il testo), ma ha un
senso. Te lo dirò quando tutto tornerà a posto”.
Cosa intendevi dire?
Devo rintracciare subito il testo.
Mi collego a Google e digito: traduzione still alive.
Sono fortunato.
Il primo collegamento che compare è quello buono. Si tratta
di un filmato senza immagini che serve solo come supporto alla
canzone.
La riconosco. È la stessa.
In primo piano scorre la traduzione in italiano.
Sembrano i titoli di coda dei vecchi film, quando ancora si
riuscivano a leggere.
105
Il cellulare
108
non sono tutti lì, ma mi sfugge come fare per esplorare tutta la
corrispondenza.
A un certo punto noto, in alto in posizione centrale:
CARICA MESSAGGI PRECEDENTI.
Indicazione evidente e messaggio chiaro.
Mi sfugge un sorriso amaro.
Mi sembra di avere centosei anni mal portati. Occhi e
cervello dovrebbero essere sempre ben collegati, ma non
sempre è così.
Apro tutte le sezioni con decisione, sento l’angoscia
stringermi la gola.
Non posso aspettare oltre.
A un certo punto, per quanto tenti, non riesco più ad
arretrare. Sono arrivato al giorno in cui iniziano i messaggi.
Siamo al 30 maggio.
In effetti avevi appena acquistato il nuovo telefono e quindi
sono certo che non si può andare più indietro.
Comincio a leggere.
Lo faccio con calma, cercando di cogliere quante più
sfumature possibile.
Non esagero nel tentativo.
Rischierei di perdere di vista il senso stesso delle vostre
conversazioni. Soffermarmi sui dettagli sarebbe solo una
perdita di tempo.
Ci sarà tempo e modo.
111
che ne sente l’odore, ma non ha scelta, ogni tanto li deve
abbandonare per procurarsi il cibo.
Sicuramente non si è fatta tante domande, ma verrebbe da
chiedersi se poteva resistere ancora un po’ prima di andare a
caccia, oppure se poteva partire dopo aver meglio perlustrato il
territorio.
E io?
Avrei potuto fare e dire tante cose. Cose che non ho detto e
che non ho fatto e che, chissà, potevano cambiare il corso degli
eventi.
Potevo prevedere il futuro?
Sicuramente no.
Mi sento assolto per questo?
Sicuramente no.
Colpevole.
Colpevole.
Colpevole.
112
25 novembre 2013
114
Non so perché, ma la sensazione prevalente è che, anche
qui, tu non mi abbia considerato. Più lo guardo e più mi
convinco che non sarò l’oggetto dei tuoi scritti.
La possibilità di scoprire risentimenti o, peggio, accuse nei
miei confronti, a ogni modo, mi fa tremare le gambe.
Lo adagio sul tappeto del salotto. Lo stendo cercando di
tirarlo in qua e in là in modo da stirare bene le pieghe. Non
sarebbe necessario, noto che è stato scritto in caratteri della
grandezza di circa venti centimetri, per cui si legge bene
comunque, ma sento il desiderio che tutto sia perfetto e poi…
le gambe devono ancora smettere di tremare.
E quell’ultimo pomeriggio?
Quante volte mi sono chiesto come è stata l’ultima ora.
Come è stato l’ultimo minuto.
L’ultimo istante.
Come posso immedesimarmi in chi ha deciso di suicidarsi e
si prende il tempo di preparare tutto per benino, come se
dovesse imbandire la tavola del pranzo di Natale?
Non è possibile, ma come posso non provarci?
Non ci saranno mai risposte, questo è chiaro. Saranno solo
supposizioni che galleggeranno per sempre nel limbo dei miei
pensieri.
118
A volte mi solleveranno.
A volte mi spingeranno all’inferno.
Ok Nicolò. Hai deciso. Il futuro non ti interessa.
Hai ancora molto da fare. Di sicuro avevi immaginato tutto
già da tempo: il perché, il come, il dove.
Ti mancava solo il “quando”.
Ora hai deciso e non si torna indietro.
Come un automa cominci a mettere in pratica il disegno che
avevi già costruito nella tua mente. Prendi il lenzuolo, lo stendi
sul pavimento, prendi le misure e poi scrivi.
Forse no. Forse le misure le avevi già prese. Sì, credo che
avessi già il modello bene impresso nella tua mente.
Scrivi il messaggio, ma ora il problema è attaccarlo
saldamente alle ante dell’armadio perché rimanga in bella
evidenza. Sono convinto che non avessi pensato di attaccarlo
con la tracolla del tuo borsello. Riflettendoci in anticipo avevi
sicuramente trovato un metodo migliore, ma in quel momento
ti è mancato qualche cosa.
Quello è stato il momento decisivo.
Se ancora c’era un minimo di dubbio, è venuto meno nel
momento stesso in cui hai tagliato la prima fettuccia.
È stato il punto di non ritorno.
Ti sarai fermato qualche secondo prima di farlo, ma poi
l’unico modo per fermarti sarebbe stato un mio rientro
improvviso a casa.
Non conosco con precisione il momento in cui hai spento
definitivamente la luce, ma partendo prima dal lavoro, chissà,
sarei potuto arrivare in tempo.
Bastava solo un po’ di decisione in più.
Con i “se” e con i “ma”, però, non si fa la storia.
119
L’ho sempre pensato e applicato con convinzione in ogni
situazione che la vita mi proponeva:
“È inutile pensare a quello che poteva essere, le cose non
cambieranno”.
I “se” e i “ma” mi sono sempre scivolati addosso.
Ora mi rimangono appiccicati come la pece. Hanno persino
lo stesso colore e la stessa puzza pungente.
121
Natale 2013
124
Essere oggetto di un attacco terroristico, quello del Gazala
Garden a Sharm el Sheik, è stata un’esperienza che pochi
possono vantare.
Che culo.
All’epoca ricordo di aver pensato:
“Più di così cosa può succedermi? Che dici Nicolò? Hai
voglia se è successo altro”.
125
Ancora non so come Ale e Nicolò abbiano potuto non farsi
neanche un graffio. Il loro letto era a pochi centimetri dalla
vetrata.
Per qualche strana ragione avevamo trovato comodo
metterlo proprio lì.
La tenda era di quelle grosse, per non far passare il minimo
raggio di luce, e ha trattenuto le lame di vetro.
Forse qualcuno li ha protetti.
Essere rimasti illesi ha avuto dell’incredibile.
Qualche ora dopo, ripensando al giorno precedente, mi sono
ritrovato a riflettere su quanto tutto sia relativo.
La nostra stanza era nella parte posteriore del resort, lontana
dall’entrata principale. Quando ci siamo resi conto della
posizione ci siamo detti:
“Ma che stanza sfigata ci hanno dato”.
Il panorama era costituito da un campo di calcio e dalla
recinzione in muratura. Lontana dalle piscine, dal bar e dal
ristorante.
Come era diventata bella quella stanza sfigata. Il suo
peggior difetto si era trasformato nel suo maggior pregio.
Eravamo i più distanti dall’esplosione.
Solo il tempo di organizzare i soccorsi e ci hanno radunati
tutti nel campo da calcio.
Quasi sotto al nostro balcone e alla tenda miracolosa.
128
A mano a mano che comparivano sul nastro trasportatore, si
diradava sempre più il capannello dei viaggiatori in attesa.
Il nastro è vuoto e siamo rimasti solo noi.
“Ci manca solo che abbiano perso le valigie”.
Sembrava una continua sfida alla voglia di imprecare contro
il mondo, ma in fondo eravamo quasi a casa.
Il resto non contava.
Le valigie compaiono miracolosamente.
Ci pareva di sentire una vocina pizzicare la nostra
impazienza:
“Avete visto? Basta avere fede e le cose si sistemano”.
Usciamo.
I giornalisti!
Non avevo pensato ai giornalisti.
Quante volte avevo visto in TV le interviste agli scampati da
qualche catastrofe.
A volte mi è anche capitato di provare un po’ di invidia.
Erano lì senza aver subito conseguenze e finivano sulle
maggiori reti nazionali.
Ai miei tempi era un avvenimento comparire in TV.
In quel momento non avevo voglia di affrontarli. Volevo
solo arrivare al pullman per giungere a casa nel più breve
tempo possibile.
Sono uscito a mano con Nicolò, gli altri erano pochi passi
dietro. Mi sono trovato una luce puntata negli occhi. Così forte
da non riuscire a vedere chi avevo davanti.
Il giornalista:
“Avete avuto paura?”
“NO! Perché paura? Se ci fossi stato anche tu, sono
convinto che ti saresti divertito un mondo. Dopo i primi fuochi
di artificio, avresti potuto finire la serata con un africano
superdotato”.
129
Così avrei voluto rispondergli.
Ma che razza di domanda è? Se già ero maldisposto, dopo
quell’uscita lo avrei mandato tranquillamente a quel paese. Ma
in fondo sono di animo gentile.
L’ho liquidato rapidamente.
Non siamo stati tra quelli trasmessi nei TG nazionali.
E tu Nicolò?
Tu cosa ne pensavi?
Qualche giorno dopo mi hai confessato che ti sarebbe
piaciuto comparire in TV. Avresti preferito che rispondessi in
modo ruffiano, così da essere tra i prescelti per le trasmissioni
di tutta la settimana successiva.
Mi brucia Nicolò. Tanto.
Non perché non mi sia comportato come avresti preferito o
perché tema che il trauma dell’occasione fallita ti abbia
perseguitato per tutti gli anni successivi.
Il fatto è che non ho considerato il tuo punto di vista.
Quando mai poteva capitarti un’occasione simile?
Potrei mentire e dirmi che non ci avevo pensato.
Non è così.
Sentivo quello che avresti preferito, ma hanno prevalso la
stanchezza e le stupide domande di un giornalista da
parrocchia.
Questa è la vita.
Dobbiamo prenderla come viene.
Non si può riconoscere la gioia se non si passa per la
sofferenza. Se riusciamo a capirlo, potremmo persino imparare
ad allentare quel nodo che ci stringe la gola, quando le cose
prendono una brutta piega.
Ogni tempesta disperde semi che coglieranno l’occasione
per germogliare. Se ci fosse sempre bel tempo cadrebbero tutti
nello stesso posto rubandosi la possibilità di crescere.
130
Sì, sì. Sarà anche così, ma se arriva un bell’incendio, che
fine faranno quei semi? Bruciati irrimediabilmente come tutto
il resto.
I nodi alla gola non sono tutti uguali.
Questa proprio non la mando giù.
Non so neanche definire quello che si aggira ancora tra il
cervello, il cuore e lo stomaco. Sono passati sei mesi e c’è
ancora molta confusione.
L’unica cosa di cui sono certo è che non si tratta di una cosa
naturale. I figli devono andare al funerale dei genitori e non
viceversa.
È una cosa troppo grande.
Troppo più grande di noi e della nostra capacità di
comprendere.
131
che ho cercato di farne una vera ragione di vita. Prestavo
particolare attenzione a non cadere in contraddizione.
Quante volte capita di avere un comportamento adeguato
per lunghi periodi e bruciarsi tutto per un colpo di testa. Magari
ampiamente giustificato dalle circostanze, ma non conta, ti fa
perdere la faccia. È un meccanismo spietato che non consente
eccezioni.
Ho partorito anche altri sistemi intelligenti.
Come mi sentivo illuminato quando studiavo il modo, non
riuscendo a sfondare al centro, di superare l’ostacolo con una
calibrata manovra di accerchiamento.
“Eh sì Nicolò, tu sei un duro, ma il tuo papà la sa lunga”.
Ho cominciato a suonare la chitarra per coinvolgerti nel
mondo della musica. Un mondo ricco e stimolante. Una
passione che, se ti prende, non ti molla per tutta la vita.
Ho suonato per sette anni.
Mi hai sentito farlo mille volte.
Non te ne è mai fregato niente.
“Cavolo! Forse sono state proprio le mie performance a
stimolarti nel modo sbagliato”.
So che non è così, è stata solo una battuta che ha preso
corpo all’improvviso e mi ha strappato un sorriso. Però, ancora
una volta, mi sbatte in faccia la fragilità delle mie illusioni.
Come per la chitarra, mi sono mosso anche su molti altri
fronti. L’intento era sempre quello. Aprirti il ventaglio delle
opportunità. Illuminandolo bene, per aiutarti a scegliere la
strada più adatta alle tue scarpe e alla tua voglia di correre.
Non ho mai creduto nella figura del papà-amico.
Sono ruoli incompatibili.
Ciò non toglie che si possa cercare di essere un po’ uno e
po’ l’altro. Impresa non da poco, di quelle da medaglia d’oro.
132
Devi cedere su alcune cose, lasciando intendere che per altre
non esiste possibilità di compromesso. Un amico può esserti
complice al 100%, un papà no.
Un papà deve imporre dei confini.
So bene che li supererai. È normale. Anzi, non mi auguro
certo che tu mi segua a bacchetta. Scavalcare le recinzioni aiuta
a crescere, ma deve trattarsi di eccezioni.
Riuscire a camminare sul filo tagliente della complicità al
50%, senza farsi male, ha del sovrannaturale, ma il gioco vale
la candela.
In tante occasioni ti ho assecondato.
In altrettante mi sono proposto.
Non ho mai ottenuto granché.
Non dico che gli scarsi risultati siano dipesi solo da te, come
se fossi refrattario per costituzione genetica. La mia incapacità
di cogliere nel segno si è dimostrata al di là di ogni ragionevole
dubbio.
Quando avevi 15 anni ti ho regalato una scatola di
preservativi. Volevo solo che capissi che erano importanti, ma
mi pareva anche un modo per accorciare le distanze.
Mi hai guardato come se te li stesse dando un amico e con
l’espressione vanitosa di chi vuol far intendere che gli
serviranno proprio quella sera.
“Grazie”.
Li hai portati in camera e hai ripreso l’attività che avevi
interrotto.
133
Tutti a scuola
134
Ascoltarli mi ha sollevato non poco. Mi trovavo d’accordo
su tutta la linea e mi pareva di aver sempre (o quasi) messo in
pratica i criteri che stavano illustrando.
E quindi?
L’ingannevole sensazione dei primi momenti ha lasciato il
posto a un inatteso senso di smarrimento. Sarebbe stato meglio
trovarsi una pagella piena di insufficienze. Mi avrebbe aiutato a
capire su quali aspetti dovevo intervenire.
Nel primo incontro, come relatore, c’era un professore
dell’università di Padova. Non sono rimasto colpito dal suo
intervento, ma ha raccontato un aneddoto che mi ha fatto
pensare molto: un genitore, che era in terapia da lui, aveva
problemi di comunicazione con il proprio figlio e la cura che
gli ha consigliato è stata quella di partire, loro due soli, per
qualche giorno di vacanza.
Mi è parsa subito un’ottima idea.
137
19 giugno 2014
Oggi è un anno.
Un anno vissuto senza te.
Non è esatto, continuo a sentirti al mio fianco. Continuo a
sentire la tua forza, quella che mi permette di salire su pendii
che diversamente mi sarebbero improponibili.
Non so dove tu sia in questo momento. Chi crede ha la
fortuna delle proprie convinzioni, chi non crede li invidia.
Sono arrivato a cinquantatre anni senza avere idee precise
sull’argomento, come su tante altre cose per fortuna.
Non riesco a credere solo perché mi hanno detto di fare così
sin da bambino. Non posso chiudere gli occhi davanti
all’incongruenza di mille religioni, una diversa dall’altra, che
spadroneggiano in giro per il mondo. E ogni credente di questa
o quella è convinto che la sua sia quella giusta.
Più si è in difficoltà e più si cerca un aiuto, da qualunque
parte arrivi. La religione serve ad aiutare i popoli a controllare
le proprie paure e in tanti hanno approfittato di questo enorme
potere. Gli stessi che hanno costruito i vari testi sacri.
Le religioni sono un prodotto dell’uomo.
È dunque solo questo?
Si tratta solo del risultato del disorientamento di questo
essere che non capisce la ragione della sua unicità?
Siamo figli di un’enorme botta di culo che ha fatto scoccare
una scintilla che aveva quell’unica possibilità?
Non credo.
Sono convinto che l’anima esista e che ci sia un mondo
dopo la morte, solo che nessuno è mai tornato per
raccontarcelo.
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Sarà per questo che continuo a sentirti al mio fianco?
Ho così tanto bisogno di credere solo per dare un senso alla
mia vita?
No.
Non sei un ologramma che si specchia nei miei ricordi. In
questo anno come avrei potuto ricostruirmi, un pezzettino dopo
l’altro, con l’abilità e la pazienza di un certosino? Non ne ho il
carattere e la mia capacità di sopportazione è decisamente
limitata. Lo sai bene. Avrei già buttato il puzzle giù per il
water, tirando subito lo sciacquone per evitare ripensamenti.
No Nicolò. Qualcuno ha soffiato nella mia direzione.
Chi, se non tu?
Sono un uomo fortunato. Sì, è vero. Sono fortunato perché
ho tante persone intorno che mi sorreggono e mi spingono a
ritrovare me stesso, ma sarebbe un tentativo inutile senza un
aiuto sovrumano.
Il tuo.
Se la fortuna ha girato le spalle a qualcuno, quello sei stato
tu. Quel giorno tutto ha congiurato per portarti a fare quel gesto
irrecuperabile. Bastava poco per farti aprire gli occhi.
Quel poco che non è mai arrivato.
Quel poco che se n’è andato a braccetto con la fortuna.
Con testardaggine hai fatto la tua scelta. Però, diciamocelo
Nicolò, ora puoi ammetterlo: hai fatto una bella cazzata. Avrai
anche trovato quella tranquillità che qui ti era negata, ma hai
bruciato l’unica possibilità che avevi di riempire questo
passaggio terreno.
Oggi avrai capito che quaggiù era il caso di fare altri quattro
passi.
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convincermi di avere avuto sempre e solo nel mirino la tua
educazione.
Falso.
È successo tante volte che ti ho sgridato più di quello che
meritavi.
È successo tante volte che ti ho dato una sberla esagerata per
la marachella del giorno.
È successo tante volte che ho messo in dubbio le tue parole,
per poi scoprire che dicevi il vero.
Anch’io sono un uomo con tutto il suo corredo di debolezze
e non sono riuscito a limitarle.
“Avrei dovuto, cazzo! Avrei dovuto”.
145
Non eri certo ordinato, anche tu avevi l’angolo del disonore.
Quello in cui si butta tutto alla rinfusa, ma alle cose a cui tenevi
riservavi un posto speciale.
Mi è capitato di chiederti se potevo buttarne alcune ormai
imbruttite dal tempo e in procinto di sgretolarsi.
Sembrava quasi che fossero loro stesse a chiederlo:
“Tiratemi giù! Ho maturato la pensione".
Ma tu preferivi averle attorno a te, come quel lavoro che
avevi fatto all’asilo. Raffigura la maschera sorridente di un
pagliaccio e ti piaceva tenerla in bella vista attaccata all’anta
dell’armadio.
L’abbiamo rammendata con del nastro adesivo, ma è
rimasta al suo posto.
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Con gli occhi chiusi non ho perso una sola parola, un solo
fruscio, un solo colpo di tosse o un minimo brusio nel silenzio
totale delle pause liturgiche.
Ero come un cieco dalla nascita. I suoi occhi sono le
orecchie, il naso, i peli sulla pelle che vibrano al minimo
spostamento d’aria.
Con gli occhi chiusi ci vedevo benissimo.
Eri lì, chiuso in quella bara di legno e ferro e io non riuscivo
a pensare ad altro che alla vita che non vivrai.
Non mi è facile, ma devo ammettere che riesco ancora ad
apprezzarla persino io.
Certamente dovrò fare i conti con quello che è stato. Non
vivrò mai più una vita intera. D’ora in poi sarà solo una vita a
metà. Tutto ha un sapore diverso, ma il mio palato ne distingue
ancora le differenze.
Il giorno del tuo funerale ti ho detto una cosa che vale anche
oggi e varrà sino all’ultimo dei miei giorni:
“Comincia a correre ora, perché, quando arriverò anch’io, ti
rincorrerò e ti darò tanti di quei calci nel culo che farai fatica a
sederti per un bel pezzo”.
Dopo sarà il momento più atteso di una vita intera, quello in
cui ti riabbraccerò e ti stringerò fino a farti perdere il respiro.
150
Sommario
Introduzione 1
6 ottobre 2013 4
19 settembre 2001 9
La scuola 26
Susi 35
07 gennaio 2013 41
26 gennaio 2013 58
19 giugno 2013 65
Il giorno dopo 73
Il diario 82
La dedica 95
Il cellulare 106
25 novembre 2013 113
Natale 2013 122
Tutti a scuola 134
19 giugno 2014 138
151