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CAPIRE LE PAROLE

Capitolo 1
1.
Negli studi la comprensione di parole o frasi è stata tradizionalmente oggetto di attenzione e di
analisi in una misura assai modesta.

Del resto, qualcosa del genere si verifica anche nella vita di tutti i giorni ovvero nelle innumerevoli
occasioni in cui il nostro rapporto con gli altri filtra attraverso la ricezione di parole o frasi scritte,
capita di rado che ci si debba interrogare su quello che si è compreso.

Capire le parole ci appare come una cosa normale e non capire è qualcosa di eccezionale, a meno
che non ci troviamo di fronte a persone con problemi di udito, vista o provenienti da altri paesi e
quindi con una lingua diversa e straniera alla nostra.

La ricezione delle parole altrui è la più primordiale delle attività che l’intelligenza di una creatura
umana impara a svolgere per sopravvivere nel mondo.

Dobbiamo la certezza di questa affermazione agli studi di un famoso psicologo, Jaques Mehler.
Oggi sappiamo che fin dalle prime ore di vita di un neonato, esso impara ad orientarsi nel mondo
tendendo l’orecchio alla voce materna, familiarizzando con essa ed imparando a riconoscerla.

2.

Vi è un ambito di studi in cui il pensiero umano ha generalmente avvertito la comprensione


linguistica come oggetto non banale e da sottovalutare ed è la filosofia.

Per il pensiero filosofico, la riflessione sull’essenza dell’essere e del cosmo è antica quanto la
riflessione sull’essenza ed origine del linguaggio. E possiamo aggiungere che tale riflessione fu,
altrettanto immediatamente, riflessione sulla comprensione ed incomprensione linguistica.

Da allora la riflessione filosofica di tradizione occidentale, non ha più abbandonato il tema della
comprensione o della incomprensione linguistica.
3.

Poco propensi al filosofare i linguisti hanno lasciato a margine le riflessioni ermeneutiche e


filosofiche sulla comprensione. Occorre però considerare un fatto rilevante, se si guarda alla
traduttologia, all’ermeneutica giuridica, religiosa, scientifica le riflessioni sulla comprensione sono
state largamente dedicate alla comprensioni di enunciati, testi, frasi in qualche modo eccezionali
perche lontani nello spazio linguistico e culturale del tempo storico e lontani dal comune parlare e
scrivere e quindi di difficile interpretazione.

Quindi possiamo affermare che la comprensione linguistica è avvertita come problematica soltanto
quando è vistosamente tale e dunque in casi eccezionali.

4.

Negli anni a noi più vicini questa immagine della comprensione linguistica come atto dovuto è
entrata in crisi. Essa ci si rivela non tanto falsa, quanto semplicistica.

A rompere con questa idea semplicistica della comprensione dei testi e delle parole sono serviti
alcune direzioni di ricerca ed ancor di più i grandi fatti della vita delle nostre culture e società:

1.Un primo fatto in ordine di tempo è stato il mutamento profondo di punti di vista sulla
comunicazione prodotto dall’irruzione della psicoanalisi nelle nostre culture. Freud e Jung hanno
insegnato a scorgere quanto siano impreviste e quanto siano profonde e nascoste nella nostra
storia intima di ciascuno le radici che ogni produzione linguistica, ha nella storia personale di
ognuno di noi.

2.Un secondo ampio ordine di fatti sociali e culturali ha contribuito a rompere con l’idea
semplicista della comprensione. Esso ha cominciato a farsi chiaro nel contesto di una cultura come
quella anglosassone, britannica ed americana.

Dagli anni venti e trenta del nostro secolo ha cominciato ad emergere la consapevolezza che delle
fratture comunicative e linguistiche in società aperte e multirazziali.

Negli anni seguenti con la conseguente diffusione dei mezzi di comunicazione di massa ed in
particolar modo della televisione, in tutti i paesi si è resa evidente l’esistenza di una disparità
profonda di modalità percettive e di effettiva comprensione di uno stesso identico messaggio.

Tutto ciò ha indotto ad acuire ed approfondire le ricerche sui livelli di effettiva comprensione o
incomprensione dei testi sia parlati che scritti, amministrativi, legislativi, informatici.

In questa direzione si erano già mossi studioso come Ogden e Richards, sviluppando il progetto di
selezionare 850 parole inglesi di base tali da soddisfare le esigenze comunicative quotidiane.

3.Più tecnico ma assai efficace per mettere in crisi la tradizionale visione semplicistica della
ricezione e comprensione linguistica è stato lo sviluppo degli studi sulla percezione grafica e su
quella uditiva.

Miller dimostra quanto le abitudini verbali pregresse, le conoscenze e attese di natura linguistica,

culturale e e valutazioni intuitive sul cotesto pesano nel favorire e orientare la ricezione oculare,
visiva, di lettere della scrittura e uditiva dei suoni della voce.

4.un quarto punto d’attacco è stato la riflessione sulle ambiguità strutturali delle frasi su cui ha
richiamato l’attenzione fin dai suoi primi lavori Noam Chomsky, l’idea è stat che la risoluzione di tali
ambiguità potesse avvenire sul terreno della loro disambiguazione calcolabile, formale,
automatica.

5. un quinto punto è lo sviluppo impetuoso degli studi di linguistica testuale, pragmatica e


cognitiva.

Per quanto riguarda più strettamente l’analisi della comprensione, ne abbiamo appreso che la
comprensione del senso di una frase o di una più ampia sequenza di frasi ovvero di un discorso o di
un testo, si compie tenendo conto del suo cotesto verbale anteriore o seguentedel suo
contesto situazionale, della situazione enunciativadegli scopi o sovra copi per i quali un
enunciato è realizzato o possiamo immaginare che sia realizzato.

ALLE ORIGINI DEL LINGUAGGIO

1.

Fondata nel 1866, la Societè de Linguistique de Paris è stata la per un secolo la più grande e
prestigiosa organizzazione nel campo degli studi linguistici. Ancora oggi nessuna organizzazione
sembra averla raggiunta e sostituita.

Per oltre un secolo, il medio cultore di studi linguistici ha guardato con sospetto a tutto ciò che in
qualche modo si connetteva al tema etichettabile come origine del linguaggio, oggi questo
sospetto viene meno ma alcuni buoni motivi resistono.

2.

Non possediamo un computo univoco sicuro delle lingue del mondo. A seconda dei criteri adottati,
le stime oscillano tra le sette, ottocento mila lingue. Il grande repertorio ometto tuttavia idiomi
come le varianti dialettali provenienti da dialetti maggiori.

Vale la pena sottolineare che queste lingue sono più o meno profondamente diverse tra loro, tali
diversità si manifestano nello spazio e nel tempo.

Esse sono tali da rendere non o mal utilizzabile una lingua fuori dal suo contesto spaziale e
temporale.

Gli studi linguistici d’età moderna non si sono limitati a descrivere ed analizzare le diversità, ma
hanno cercato vie attendibili per ridurle, nel senso epistemologico del termine.

La linguistica del novecento è riuscita in generale a stabilire in modo certo se ci sono e quali sono le
affinità tra delle lingue diverse, distinguendo tali affinità in puramente occasionali e affinità ben più
interessanti.

Già dal tardo settecento è statp possibile costruire e ricostruire l’esistenza di famiglie di lingue, di
gruppi di lingue le quali oggi assai diverse, risalgono all’unica tradizione del latino tardo e classico.

3.

Molte sono le direzioni di ricerca oggi in pieno sviluppo sotto l’etichetta delle origini del linguaggio,
ricerche in cui l’attenzione dalle lingue s sposta in direzione del linguaggio.

Ancora oggi il medio linguista svicola dinanzi al tema delle origini, pur con le precisazioni e cautele
dette, e pare mostrare scarso interesse.

Tutto iò appare fuori luogo, nel senso che la ricerca e l’integrazione dei dati di cui si diceva
costituiscono la proiezione, sul piano delle origini, di questioni e ipotesi che concernono la natura
più profonda del linguaggio.

Chiedersi a che punto della sua storia evolutiva l’uomo ha maturato caratteristiche anatomo-
neurologiche tali da padroneggiare una lingua, significa chiedersi oggi quali sono le condizioni
anatomo-neeurologiche necessarie all’uso del linguaggio.

Anche domande sulle caratteristiche del linguaggio verbale e quali funzioni determinante svolga
nell’organizzazione dei comportamenti umani e delle attiviità mentali sono domande molto
frequenti a cui la linguistica sta ancora cercando di dare risposte precise.

Perciò la linguistica può e deve contribuire in modo determinante alla risposta di queste domande
cruciali, di una linguistica che seguendo le indicazioni di Saussure e Hjelmslev si sappia collocare in
un orizzonte di teoria semiologica generale, di confronto tra funzionamento delle lingue e
funzionamento di grammatiche e linguaggi altri.

Con il suo contributo potrebbe prendere vigore una nuova disciplina come la paleontologia del
linguaggio o glossologenetica.

4.

Le risposte che si danno al quando della nascita della capacità d’uso di un lingua sono il detector, il
rivelatore delle qualità e varieta degli approcci epistemologici.

In generale chi tiene d’occhio come riferimento dominante i dati di ordine anatomico tende a
rispondere alla questione cronologica con una datazione bassa.

La proposta di uno studioso come Lieberman è che l’evoluzione degli ominidi verso un canale
vocalco simile a quello dell’omo sapiens affiora e si completa fra il 100.000 e i 30.000 anni fa, a
ridosso dell’ultima glaciazione che portò all’evoluzione dell’homo sapiens moderno.

Sono diverse e quasi opposte le considerazioni di chi prende in considerazione principalmente i


dati d’ordine culturale.

Nel ramo arcaico, o comunque nell’epoca arcaica, gli ominidi, ancora solo erbivori, capaci solo della
tecnica primitiva del choopers, possono anche immaginarsi dotati solo di codici semiologici
elementari.

Ma già circa due milioni di anni fa l’homo abilis, sembrava in grado di vivere una vita che implicasse
il bisogno di possedere dei codici semiologici di complessità simile a quella delle lingue storiche.

Da questo imponente complesso di ricerche, sono emerse acquisizioni che gettano nuova luce sui
rapporti tra attualità del linguaggio verbale e la sua filogenesi.

Animali diversi dall’uomo comunicano in natura con codici molto semplici, sono in più casi dotati d
una grande complessità combinatoria, di libertà di controllo di stimoli…

In alcuni casi intravediamo codici di complessità tale da resistere, esattamente come una lingua
umana, a una soddisfacente catalogazione dei significati in assenza di interpreti nativi o esperti
bilingui.

Attraverso l’addestramento numerose scimmie hanno appreso il linguaggio ASL ( la lingua gestuale
dei sordomuti americani) e altri complessi codici esemplati sulle lingue storico-naturali.

È ben vero che libere in natura le scimmie non paiono aver dato corso a siffatte capacità. Queste,
tuttavia, sono inscritte nelle potenzialità genetiche del loro patrimonio.

5.

L’ipotesi che vogliamo conclusivamente formulare è che questa scansione delle proprietà delle
lingue da quelle di massima generalità semiologica a quelle più specificatamente caratteristiche
delle lingue stesse possa avere un valore stratigrafico ed evolutivo.

Dopo la lunga fase iniziale di balbetti e dopo il successivo periodo di silenzio, intorno al decimo
mese l’infante impara a produrre le prime espressioni olofrastiche, si impadronisce poi dei
meccanismi art colatori e combinatori della frase e delle prime parole.

Di qui passa poi ad acquisire la distinzione tra elementi lessicali e operatori grammaticali,
imparando e sviluppando il possesso della grammatica.

Sono molto suggestive le ricerche di Mehnler sui primi giorni di vita del neonato. Esse ci rivelano
che, prima ancora di ogni percezione analitica, i piccoli già al terzo quarto giorno di vita imparano
non solo ad orientarsi con la voce della madre ma anche sulla struttura ritmica che quella lingua
esibisce. Possiamo dire che queste ricerche e scoperte sono un primo passo verso l’ontogenesi.

CAPITOLO TRE: la comprensione del linguaggio come


problema
della generale, quotidiana comprensione del parlare e scrivere corretti ci si è occupati in relazione
ad enunciati sintatticamente e lessicalmente ambigui a livello di langue.

In realtà ogni essere umano ha molte prove estemporanee della problematicità del comprendere
linguistico anche nella vita quotidiana, dalla lettura di giornali o avvisi pubblici.

Tuttavia, l’idea comune degli studi è che di norma la comprensione linguistica funzionerebbe come
semplice ed obbligato riflesso speculare della produzione.

Georges Mounin nella sua opera maggiore, I problemi teorici della traduzione, afferma che la
traduzione di testi classici è nient’alto che un caso particolare della difficoltà generale di ogni
traduzione ed inoltre ogni difficoltà di traduzione è a sua volta un caso particolare delle fisiologiche
difficoltà di comprendere ogni enunciato anche nella propria lingua e anche in apparenza banale.

Queste idee di Mounin sono centrali per la semantica e per una teoria analitica e sistematica del
comprendere linguistico.

Possiamo definire l’atto di parlare come l’utilizzazione individuale del patrimonio linguistico a
disposizione dei parlanti di una comunità.

Nella parole così intesa si rivelano proprietà e caratteri che nell’universo semiotico sono presenti
anche altrove. Alcune di queste proprietà sono presenti in ogni forma di semiosi nota ed
analizzata. Essa appaiono come caratteristiche costitutive della semiosi:

1. L’arbitrarietà radicale o organizzazione del comunicare per tipi e repliche.

2. La dualità tra entità indicante e entità indicata, tra espressione e contenuto.

3. L’arbitrarietà materiale o invertibilità tra le entità che in una semioso fungono da


espressione e entità che fungono da contenuto.

4. La pragmaticità radicale, cioè la necessaria presenza di soggetti della semiosi.

All’interno delle quattro proprietà costitutive di ogni semiosi che abbiamo definito, si colloca un
immenso eterogeneo universo di attività comunicative tra loro differenti.

Non ci sono mai un primus ed un posterius assoluto nell’attacco alla ricezione di un enunciato, si
può dire che il primus è la percezione di una increspatura del nostro orizzonte percettivo: un grido,
un sussurro, una voce, un graffito, una scritta o un gesto di un sordomuto.

Tuttavia questo primo appiglio non regge se non supponiamo insieme che ci troviamo dinanzi ad
un’espressione, ad una manifestazione semiotica.

Possiamo affermare che per comprendere un enunciato si possono seguire due vie: la prima ci
porta dapprima fuori da ogni stretta specificità linguistica, la seconda via invece ci porta ad
intravedere la possibilità di ricondurre l’espressione al significante di una certa frase o di una certa
lingua.

UN LINGUAGGIO, MOLTE LINGUE: PERCHE’?

La consapevolezza dell’esistenza di molte lingue diverse è assai antica. Ovviamente l’esistenza


effettiva di lingue diverse è certamente ancora più antica.

Oggi sappiamo dalla zoosemiotica che gli esseri umani non sono i soli ad avere per un linguaggio
della specie diverse lingue che lo realizzano. Ma sappiamo che nessuna specie ha una altrettanto
straordinaria varietà di lingue.

Utilizzando vari repertori possiamo stimare che siano oltre 8.000 le lingue diverse note, sia vive
che morte. Si tratta di stime prudenziali e c’è chi accentua tale prudenza.

Dinanzi alla pluralità linguistica i gruppi politici e intellettuali hanno avuto e hanno ancora
atteggiamenti molto diversi. A) scarso interesse allo studio pratico e teorico delle lingue diverse

B) piena accettazione e attiva promozione della diversità e forte interesse allo studio sia teorico
che pratico delle diverse lingue.

Gli studiosi di linguistica dovrebbero essere tra i più interessati allo studio del fenomeno, eppure
molti linguisti considerano la pluralità delle lingue un fatto non molto rilevante e addirittura un
ostacolo. Un incidente sul lavoro.

È bene vero che tutta la linguistica moderna, fonda il suo lavoro sul riconoscimento dell’evidenza
della pluralità di lingue. E anche chi lavora in direzione di rintracciare elementi universali sa che
questi rimangono sempre dei principi e parametri, entro cui oscillano e variano fortemente le
diverse singole lingue.

Una domanda cruciale e fondamentale inerente a questa questione è la seguente: perché è così
enorme la quantità di lingue profondamente diverse?

Vi sono almeno tre grandi tipi di risposte a questa domanda:

1. La diversità geografica e climatica è all’origine degli èthne diversi e quindi delle divesità di
costume e di lingua.

2. Una lingua è una Lebensform, aderente alle diversità di forme di vita delle diverse società,
la diversità storica della società sembrerebbe causare le diversità delle lingue.

3. Saussure riconduce la diversità geografica delle lingue al loro diversificato divenire nel
tempo e a sua volta questo è ricondotto al principio dell’arbitraire.

Le tre spiegazioni che, pur nella loro diversità, appaiono tutte insoddisfacenti, considerate nel loro
insieme esibiscono un tratto comune: esse cercano il motivo della diversità linguistica all’esterno
del linguaggio e delle lingue.

Per trovare una spiegazione più soddisfacente, una pista può essere scansare questo tratto comune
e dunque cercare all’interno delle lingue.

Il linguaggio verbale e le lingue esistono per soddisfare i bisogni comunicativi degli esseri umani e
cioè il bisogno di interagire tra lorodare forma significante a significati capaci di includere
sensi di ogni tipo.

SETTE FORME DI ADEGUATEZZA DELLA TRADUZIONE

Ogni questione di traduzione è anche una questione di linguaggio. E non ci si deve dunque stupire
se, per affrontare direttamente la questione o le questioni del tradurre, occorre mettere delle carte
in tavola e dichiarare alcuni più generali presupposti relativi a lingue e linguaggio.

Ogi parlante di ogni lingua dispone di un numero soltanto limitato di parole nel suo vocabolario
produttivo e anche nel suo pur ampio vocabolario mentale o ricettivo.
Un giovane italiano colto, laureato, è capace di riconoscere tra le sessantamila e ottantamila parole
circa, nell’insieme delle centodieci-ventimila parole registrate nel vocabolario italiano usuale.

I diversi tipi di “vocabolario”

vocabolario fondamentale, nucleo delle parole di una lingua note a tutti quanti i locutori.

Ammonta a non più di duemila parole in italiano ed in altre lingue.

vocabolario di base, nucleo di parole di una lingua non noto a tutti i locutori, ma soltanto a quelli
che hanno una compiuta istruzione di base, cioè il livello di una piena alfabetizzazione funzionale e
non supera le sei-settemila parole.

Il vocabolario di base è incluso nel vocabolario comune, il quale è l’insieme di parole che nelle
lingue dette di cultura si può stimare a trenta-cinquantamila arole, note allo strato più istruito e
colto di una popolazione.

Continuamente nel parlare dobbiamo muoverci tra due poli:

1. La nostra memoria linguistica di esseri umani ci mette a disposizione soltanto un numero


limitato di parole

2. Dobbiamo dare conto di esperienze, situazioni, oggetti e fatti nuovi.

La linguistica moderna è cominciata quando i traduttori anzitutto e poi i grandi filosofi e logici di
fine seicento inizio settecento hanno avvertito e spiegato che dire con sul o rex in latino non è lo
stesso che dire con sul o king in inglese, console o re in italiano.

La linguistica del novecento ha dato una più specifica spiegazione a questo problema: esso è
anzitutto il problema che Saussure definisce problema della identità diacronica.

Il fatto che di continuo si traduca da una lingua all’altra, anche nel caso di lingue dotate solo di
contiguità, ci spinge a riformulare in termini ancora pù generali il problema saussuriano, come
problema dell’identità traslinguistica.

Tutti il parlare secondo la geniale intuizione di Jakobson, si configura come un continuo lavoro e sia
pure di traduzione endolinguistica.

In questa prospettiva, il tradurre appare coesistivo al parlare. Parlando della traduzione in senso
restrittivo, Jakobson parla di esolinguistica.

Diciamo che la traduzione esolinguistica o traduzione in senso stretto, considerata in quanto


processo, è la ricerca ed ideazione di un testo di una lingua B, che offra ai locutori della lingua
almeno un senso e possibilmente più d’uno.
Anche restringendo l’attenzione alla sola traduzione in senso stretto come esolinguistica, non è
sbagliato affermare che l’attività traduttiva è coestensiva al linguaggio.

In senso etnografico non conosciamo gruppi umani di persone privi di linguaggio. Il dominio del
linguaggio è esteso dunque quanto oggi è esteso il genere umano.

IL PROBLEMA DEL PLURILINGUISMO

Nelle terre della mezzaluna fertile, le città a lungo non hanno sentito la necessità di mura, hanno
convissuto tradizioni linguistiche differenti:

il sumerico, lingua non semitica

l’accadico, lingua semiotica

l’egiziano

l’ittito, la lingua indoeuropea di più antica documentazione

Questa atmosfera di tolleranza tra etnie e lingue differenti ha altri riflessi nel mondo vicino-
orientale tra terzo e secondo millennio a.C.

Intorno al 1000 a.C. pare che una svolta nazionalistica e glottocentrica si colloca la redazione della
narrazione biblica della Torre di babele, dove la pluralità linguistica è vista come una maledizione.

Un’atmosfera propizia alla pluralità linguistica, si creò nuovamente dagli inizi dell’età ellenistica in
ambito greco e di qui passò alla cultura latina.

Le lingue viventi sono almeno 6.000 e rispetto alle lingue più importanti quelle poggianti su una
più modesta massa di parlanti, lungi dallo scomparire si rafforzano e, anche grazie alle nuove
tecnologie della comunicazione stanno conoscendo una nuova stagione di riaffermazione e
consolidamento.

Questo persistere del plurilinguismo già di per se comporta un espandersi delle attività di
traduzione; ce ne rendiamo conto osservando che se a fine ottocento erano 71 le lingue diverse in
cui le chiese cristiane avevano promosso una traduzione della bibbia e dei vangeli, nel 1979 esse
erano 1631 e dieci anni dopo 2011.

Tutto questo non basta a spiegare il fenomeno, infatti oggi viviamo nella società dell’informazione
e della comunicazione, inoltre abbiamo costruito u mondo caratterizzato dall’interdipendenza
produttiva, finanziaria e socioculturale.

Veniamo dunque a distinguere i sette punti di adeguatezza dell’evento traduttivo:

1. ADEGUATEZZA DENOTATIVA, è l’adeguatezza di F. Schleiermacher che individuato il senso,


con la maggior rapidità possibile cerca e produce un enunciato della lingua d’arrivo ch
possa veicolare un simile senso.
2. ADEGUATEZZA SNTATTICO-FRASALE, è quella di traduzioni che cercano di rispettare la
scansione in frase e di frasi in proposizioni di un discorso o d un testo scritto.

3. ADEGUATEZZA LESSICALE, essa mira a cercare di rendere il senso dell’originale rispettando


non solo la scansione frasale ma cercando per ogni parola uno e possibilmente sempre un
solo e stesso equivalete.

4. ADEGUATEZZA ESPRESSIVA, è quella che mira non solo al valore denotativo, ma a cogliere è
restituire ciò che Dolet chiamava la doucer del testo sorgente.

5. ADEGUATEZZA TESTUALE, la ricerca dell’adeguatezza espressiva in una prospettiva più


ampia può vedersi come nel caso particolare della ricerca di adeguatezza testuale.

6. ADEGUATEZZA PRAGMATICA, ogni testo, consapevolmente o meno, tende a selezionare i


suoi lettori, mira ad un effetto di natura pragmatica, sollecitando la presenza del lector in
fabula.

7. ADEGUATEZZA SEMIOTICA, un testo nn è fatto solo di parole e frasi in un certo stile, esso
nasce selezionando i suoi interlocutori e collocandosi in una cultura, in una rete peculiare di
usanze e valori simbolici. Qui la semiotica deve assumere su di se tutto il peso della
tradizione non solo linguistica, ma filologica e storica.

QUANTITA’ E QUALITA’, UN BINOMIO INDISPENSABILE

Il mondo delle lingue è considerabile in una dimensione quantitativa?

Il compito della linguistica è di ricostruire singolarmente tale risposta, essa può rintracciarsi
seguendo due filoni di riflessione e pensiero:

1. Il primo è di natura soprattutto stilistica e si concretizza nei testi di una lingua.

2. Il secondo filone parte dall’atomism antico, dalla vision epicurea e lucreziana. L’idea che
una quantità ridotta di atomi dia luogo ad un gruppo potenzialmente infinito di
raggruppamenti, forme ed oggetti, trova nella linguistica il suo terreno paradigmatico di
confronto. Un numero illimitato di lettere da luogo ad un vasto numero di parole differenti,
cosi come, un insieme limitato di parole da luogo all’infinita serie delle frasi e dei discorsi.

Su tali elaborazioni si è abbattuta la condanna di uno dei più importanti teorici del linguaggio della
seconda metà del secolo, Noam Chomsky.

Tale impostazione parve al linguista contrastare con l’idea saussuriana della lingua come sistema
potenziale, riproposta come centrale nei suoi primi lavori teorici, l’effettiva presenza di una forma
lessicale e di una combinazione di forme di una frase è un dato grezzo insignificante se non viene
correlata alle regole che la generano. Chomsky ha dunque negato credibilità allo studio osservativo
e statistico dei fenomeni linguistici.

Tuttavia in anni recenti, studiosi seppur vicini alle prospettive chiskiane hanno restituito alle
indagini quantitative l’onore scientifico che la condanna chomskiana aveva minacciato.

Un nuovo impulso è venuto dall’estesa utilizzazione del computer nella discrezione ed analisi di
importanti fenomeni linguistici: i computer si sono rivelati importanti soprattutto in sede di analisi
linguistica, per le crescenti esigenze di coerenza e rigorosità definitorie che hanno imposto alla
descrizione dei linguisti.

Sembra dunque indubbio che le ricerche di tipo quantitativo sono un correlato indispensabile nella
descrizione dei singoli testi, singole lingue.

Sono numerosi i casi in cui problemi diacronici o di funzionalità sincronica trovano soluzione
trovano spiegazione solo integrando le analisi sincroniche e diacroniche del tipo qualitativo con
analisi quantitative.

L’analisi quantitativa getta fasci di luce anche su aspetti generalmente rilevanti delle lingue e del
linguaggio. Soltanto l’analisi statistica ci consente di apprezzare la portata più che astronomica
della ridondanza che ci è tra forme possibili nel sistema e forme attualizzate nella norma.

Solo l’analisi statistica e le applicazioni connesse di lemmatizzazione automatica ci hanno fatto


rilevare che quali il cinquanta percento dei morfi individuabili in un enunciato italiano ammettono
doppie e triple etichettature.

Il diverso ruolo che usi scritti e usi parlati hanno nella effettiva dinamica di una lingua non è
apprezzabile se non partendo dalla considerazione della diversa distribuzione statistica di lessemi
e costrutti.

Infine è lecito dire che anche il linguista chomskiniano duro e pure deve sporcarsi le mani con
computi di natura statistica e socio statistica se vuole accertare il grado di integrabilità di questo o
quel giudizio del parlante nelle sue analisi e descrizioni.

INFORMATICA E LINGUISTICA

Informatica e linguistica sono, piuttosto che due discipline, due raggruppamenti di discipline,
ciascuno notevolmente eterogeneo sotto vari profili, sia il linguista sia l’informatico nel loro
vagabondare attraverso eterogenei domini delle rispettive discipline rischiano di incontrarsi.

Alcuni materiali di studio e di trattamento e/o trattazione sono necessariamente comuni,


entrambe le discipline hanno titolo ad occuparsi di linguaggi e del linguaggio per eccellenza.

linformatica come motore dell’intero complesso delle tecnologie della comunicazione ha un ruolo
centrale nell’innovazione radicale della realtà linguistica che possiamo cercare di condensare in
due punti:

1. Mai in passato strati altrettanto estesi delle varie popolazioni del globo sono stati esposti
alla necessità di ricevere ed intendere ed in misura crescente di produrre testi redatti in
lingue diverse dalle native.

2. Mai in passato strati altrettanto estesi delle varie popolazioni sono stati esposti alla
necessità di appropriarsi di estese sezioni delle terminologie scientifiche.

L’informatica fornisce anche la possibilità di ausili per controllare le conseguenze e fronteggiare i


problemi che ci si pongono dinanzi alla doppia concomitanza richiesta di farci tutti traduttori
poliglotti e di farci tutti plutilaureati in scienze diverse.

Decisivo è l’apporto informatico la dove è in gioco non la sola analisi interna di forme e strutture
linguistiche, un esempio è il volume curato da Franco Lo Piparo, La Sicilia linguistica oggi, che non
sarebbe stato possibile senza l’ausilio dell’ordinamento e dell’analisi computerizzata della immane
congerie di dati linguistici e sociologici.

Un carattere saliente del linguaggio verbale umano è la constante presenza, nelle sue realizzazioni,
di una componente riflessa, di autocontrollo.

Si tratta di una componente very deep, che non necessariamente lascia tracce specifiche in
superficie. L’area senso-motoria di Wernicke ne è la sede per quanto attiene alla produzione
fonetico-fonologica; essa, una rarità quasi unica nel cervello umano, esercita un costante
autocontrollo, sensorio e motorio, con immediate retroazioni sulla voce.

Questa continua attività di autocontrollo è stata finora esercitata per via intuitiva.

SAUSSURE E LA SEMANTICA

la teoria semantica di Saussure ha un centro: la distinzione di forma e sostanza. Se guardiamo ai


segni di una lingua, li vediamo costituiti da un versante esterno, fatto di suoni e grafie, e da un
versante interno, i sensi.

L’insieme dei versanti esterni sarà poi chiamato piano dell’espressione e quello dei versanti interni
sarà chiamato piano del contenuto.

Le singole emissioni foniche ed i singoli concreti sensi li incontriamo quando pronunciamo actes de
parole.

Se ci capiamo, ciò è possibile soltanto a condizione di ammettere che la infinita concreta diversità
dei sensi e delle emissioni foniche, si disciplini e ordini in un sistema di equivalenze, in una serie di
schemi o forme.

Tali schemi e forme, Saussure da i nomi di signifiant, per il versante esterno, e di signifié per il
versante interno, del contenuto.

Le forme del contenuto, cioè i signiféS dei segni, appartengono alla lingua. Nella parola individuale
non troviamo i signifiés ma ciò che Saussure chiama sens.

Per una lingua inoltre ciascun signifié ha un certo grado di stabiità.

Invece per capire la signification di un concreto enunciato o testo dobbiamo conoscere la lingua in
cui è stato formulato.

UN’ ETICA DAL LINGUAGGIO

È interessante osservare come nella letteratura specialistica più recente la sottolineatura vigorosa
delle interrelazioni tra linguaggio ed eticità non si deve soltanto e tanto a umanisitie filosofi del
linguaggio e della morale, ma a studiosi di formazione scientifico e naturale come E. Lenneberg e P.
Lieberman.

Grazi ad alcuni teorici del linguaggio del novecento, come Saussure, crediamo di aver individuato la
caratteristica che conferisce alle parole umane la loro potenza semantica.

Tale caratteristiche è la possibilità di ogni frase e di ogni parola oltre i limiti già dati, è la
metaforicità con cui ogni a ogni passo possiamo estendere i valori noti di ogni espressione.

Ma da questa radice non nascono soltanto le condizioni che ci permettono di costruire un comune
èthos.

Etica e politica non trovano qui soltanto lo strumento preliminare per porre e risolvere i loro
problemi.

LE PORTE DELLA COMRENSIONE

Nel vasto e vario trascorrere della riflessione di Croce sui problemi di linguaggio, un punto pare
oggi ancora ricco di interesse intrinseco e di capacità di sollecitare nuovi pensieri, ed è il punto
della comprensione linguistica.

Del comprendere linguistico Croce vede e mette in luce il carattere sempre processuale, mai
conchiuso e conchiudibile.

Croce rivendica l’accertabilità del segno, ma sottolinea la natura sempre rischiosa e problematica,
sempre revocabile in dubbio dell’accertamento.

Per chi guarda all’insieme degli studi che si vanno ora avviando circa i processi di comprensione
degli enunciati linguistici, si impone anzitutto la presa coscienza del fatto che dinanzi ai problemi
della comprensione linguistica siamo per così dire sguarniti ed impreparati.

Possiamo dire che il comprendere linguistico sia come per così dire “l’altra metà del cielo” del
linguaggio.

Il linguaggio ci si manifesta come produzione di enunciati, ma questa produzione ha come


complemento necessario quest’altra metà del cielo che è il comprendere.

Proviamo a delineare attraverso quali tappe occorre che proceda chi vuole capire il senso di un
qualunque enunciato linguistico, sia esso la realizzazione fonica o grafica della più banale delle
frasi.

Anzitutto occorre un primo passo:

1. percepire uditivamente il concreto e particolare segnale cui è affidata la realizzazione d’una


frase o di un testo, la sua enunciazione.

A questa seguono numerose altre tappe che elencheremo brevemente:

2. Ipotizzare la natura semiotica dell’individuato percettivo

3. Ipotizzare la natura linguaggistica dell’individuato espressivo

4. Ipotizzare l’appartenenza a una certa lingua

5. Distinguere e determinare i fonemi

6. Distinguere e determinare il profilo prosodico

7. Distinguere i morfi

8. Determinare l’eventuale valore metalinguistico dei morfi.

9. Individuare i morfemi

10. Individuare i sintagmi

11. Determinare i valori sintattici dei sintagmi

12. Determinare i valori extrafrastici contestuali

13. Determinare i valori illocutivi

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