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Huntington

Nel 1993, la rivista Foreign affairs pubblica un articolo di Samuel Huntington intitolato “the clash of
civilisations?” , il quale scatenò numerosissime polemiche, ed è spesso citato in numerosi dibattiti odierni.
Il politologo analizza e descrive lo scenario politico internazionale post guerra fredda. La conclusione del
conflitto portò ad una situazione di scontro tra civiltà, dovuta principalmente a differenze di carattere etnico
culturale.
Ciò che si delinea quindi nel nuovo ordine mondiale è una riaffermazione di valori della propria cultura di
appartenenza da parte delle varie civiltà, a discapito di quella occidentale.
Cosa è quindi una “civiltà”?

Occorre scindere il concetto in due definizioni sulla base del numero:

La civiltà, ossia l’opposto delle barbarie e quindi all’inciviltà e Le civiltà, ossia una forma di identificazione
umana a valori culturali come religione, lingua e tradizioni che, accomunando le persone va a formare ciò
che viene definito come “popolo”.
Secondo Huntington ci sono sette importanti civiltà moderne:

1) La civiltà occidentale: scindibile a sua volta in europea, nordamericana e sudamericana.


2) La civiltà Sinica: che comprende la Cina e L’Asia Sudoccidentale
3) La civiltà Giapponese
4) La civiltà Indù
5) La civiltà latinoamericana: figlia di quella occidentale, ma con uno sviluppo a sé stante
6) La civiltà africana: non unanimemente riconosciuta in quanto alcuni pensano che la colonizzazione
europea possa averla cancellata.
7) La civiltà islamica: comprende numerose sottociviltà (vista la vastità del territorio che la riguarda) come
quella turca, araba, persiana e malaysiana.

Nel suo elaborato, lo scrittore osserva i tentativi di creare una civiltà universale che inglobi tutte le altre
presenti sulla Terra criticandone i presupposti, i metodi e gli esiti. Risulta assai improbabile, infatti dal punto
di vista pratico una costruzione di questo genere, in quanto vi sono degli ostacoli difficili da superare quali
quello della lingua e della religione. Considerare infatti la lingua inglese come lingua franca e quindi
potenzialmente universale potrebbe risultare un azzardo, poiché la maggior parte della popolazione
mondiale non la conosce e la sua diffusione su tutti il globo sta dando vita a delle varianti che presto si
evolveranno in altre lingue completamente diverse, esattamente come accadde con le lingue romanze
aventi come base comune il latino.
Inoltre, ciò che veramente spinge alla diffusione di una lingua nel mondo è il potere dello Stato da cui essa
proviene: se ci fosse un soppiantamento della civiltà dominante attuale, ossia quella occidentale, da parte di
quella cinese, il cinese mandarino sostituirebbe di diritto l’inglese.
La religione universale poi risulta equamente irrealizzabile, a causa del crescente sentimento religioso di
quest’ultima decade e della nascita di movimenti fondamentalisti.
La tesi di Huntington analizza inoltre il mutamento dei rapporti tra civiltà, notando una regressione di quella
occidentale a favore di quella asiatica e islamica.
La popolazione occidentale si trova demograficamente in minoranza, vivendo una depressione della natalità
in netta opposizione all’esplosione demografica e economica delle altre civiltà (nel caso della civiltà islamica
causato dal boom petrolifero degli anni Settanta), accompagnato da una crescita del livello di istruzione e
alfabetizzazione e di quello militare.
In questo frangente, Huntington analizza il concetto di Stato Guida, ossia il Paese che fa da riferimento agli
altri Paesi appartenenti alla medesima sfera culturale. Nel caso occidentale, possiamo sicuramente
individuare come Stato Guida gli USA e più recentemente l’asse franco-tedesco in Europa. La Turchia invece
rappresenta quello che può essere definito uno Stato in bilico, ossia capace di essere in grado di guidare
l’intera civiltà islamica, ma al contempo autoproclamandosi laica e desiderosa di entrare nell’Unione
Europea.
Il problema nei rapporti tra Occidente e il resto delle civiltà secondo l’autore risiede nella pretesa di
considerare la sua ancora una civiltà universalizzante, rifiutando la forte volontà delle altre culture di voler
essere indipendenti da essa. L’Occidente mira infatti a mantenere la propria supremazia di tipo militare, a
promuovere i propri valori democratici e a limitare l’immigrazione; ciò causa però un rapporto conflittuale
soprattutto con le civiltà sinica e islamica.
Quest’ultima ha posto seriamente in pericolo la sopravvivenza dell’Occidente, con il quale è da sempre in
conflitto seppur con livelli variabili nel corso dei secoli, a seconda di vari fattori come demografici,
economici, tecnologici e religiosi.
L’estremismo islamico quindi rappresenta un grande pericolo per la civiltà occidentale, e nel caso in cui
questo scontro possa portare ad una guerra, questa vedrà schierarsi su due fronti gli Stati musulmani contro
quelli non musulmani.

Dagli ultimi avvenimenti in materia di attacchi terroristici vi sono interpretazioni sempre più ricorrenti dove
l’islam viene associato ad essi.
Considerarla come una “religione della spada” , ossia una fede che ha lo scopo di sottomettere le altre
tramite le armi, non è totalmente priva di senso.
I musulmani fanno una distinzione tra dâr al-Islâm (‘casa dell’islam’, e quindi della pace) e dâr al-hârb (‘casa
della guerra’, quindi le aree non islamizzate da conquistare). La logica della jihad ha origine dunque da
questa partizione, anche se va segnalato che guerra in arabo si dice hârb, mentre jihad significa ‘sforzo’,
precisamente fî sabîl Allâh, ‘sulla via di Dio’. Tale sforzo è da compiersi con l’animo, con la parola, con
l’azione e solo in ultima istanza con la spada. La classica traduzione ‘guerra santa’ è di conseguenza
incompleta e fuorviante.
Nonostante ciò, il termine ha assunto una connotazione estremista a causa della lotta armata dei gruppi più
radicali come Al-Qâʿida, Hezbollah e Hamas.
Secondo queste organizzazioni, il terrorismo è una colonna importante nella diffusione dell’Islam, e
chiunque si rifiuti di attuarlo va eliminato. La causa di questo modo di pensare può essere ricondotta ad una
lettura distorta della shariʿa (che vieta le azioni suicide e l’uccisione di civili inermi) ben lontana
dall’approvazione della maggioranza dei musulmani.
L’attentato dell’11 settembre ha dato vita ad un’epoca di terrore, generando forti sentimenti di paura, rabbia
e diffidenza verso il mondo musulmano, rendendo maggiormente la questione dell’integrazione tra esso e
quello occidentale di difficile attuazione. Questo clima ha portato a considerare la costruzione di Moschee
in Europa come un gesto di invasione culturale, di contaminazione del territorio. Per questo motivo esse
sono spesso difficilmente distinguibili dal resto del paesaggio architettonico della città in cui sono costruite,
minimizzandone la presenza ed osteggiando la costruzione del minareto in quanto un simbolo di potenza, di
grandezza e forza.
Questo ma anche L’hijab (il velo), la richiesta di accesso da parte della Turchia all’Unione europea, la
rimozione dei simboli religiosi nelle scuole e nei luoghi pubblici, sono solamente i principali punti sulla quale
si dibatte in un occidente che vede nell’immigrazione (specialmente quella musulmana) una grave minaccia
alla sopravvivenza della propria civiltà.

Oriana Fallaci definì l’Europa come “vittima dell’invasione islamica” e l’immigrazione come “il cavallo di
Troia che ha penetrato l’Occidente e trasformato l’Europa in ciò che chiamo Eurabia”
La sua convinzione di una trasformazione in breve tempo dell’Europa in terra musulmana (avvalorata da dati
demografici e sull’immigrazione) si fonde con l’idea che l’integrazione, il dialogo e la moderazione non siano
propri dell’islam:

“Cari miei, l'Islam moderato è un'altra invenzione. [..] L'Islam Moderato non esiste. E non esiste perché non
esiste qualcosa che si chiama Islam Buono e Islam Cattivo. Esiste l'Islam e basta. E l'Islam è il Corano.
Nient'altro che il Corano. E il Corano è il Mein Kampf di una religione che ha sempre mirato a eliminare gli
altri. Una religione che si identifica con la politica, col governare. Che non concede una scheggia d'unghia al
libero pensiero, alla libera scelta. Che vuole sostituire la democrazia con la madre di tutti i totalitarismi: la
teocrazia”
In contrapposizione al pensiero della giornalista vi è quello Bassam Tibi, intellettuale liberale, musulmano,
siriano trapiantato in Germania. Secondo la sua visione della religione islamica, di cui è un acuto studioso e
conoscitore, l’Europa si trova di fronte a due opzioni: o L’Europa cambia l’islam, o l’islam cambierà l’Europa.
L’euro-islam, ossia una religione che si sviluppi tra gli immigrati di cultura musulmana sotto il segno della
tolleranza del pluralismo e della democrazia è la soluzione migliore, ottenibile solo abbandonando gli
aspetti della propria religione incompatibili con i valori occidentali come la jihad e la shari’a.

Secondo Tibi, il desiderio di integrarsi di chi professa la sua stessa fede non è così forte, ma questo dipende
in parte dalla scarsa capacità delle nazioni europee di favorire l’integrazione, privilegiando scelte rivelatisi
fallimentari come quella della ghettizzazione. Tibi fa riferimento al caso dei turchi in Germania, dove vi sono
quelli integrati, indistinguibili dai tedeschi, e vi sono delle comunità parallele come a Kreuzberg, un
quartiere di soli turchi dove si vive come in Turchia.

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