Sie sind auf Seite 1von 73

US o z

136
roa** pnsj «
TR.ADUZIONE DEGLI

ECCELLENTI SIGNORI

M.M. R . R .

i SIMÓN CAL1MAKIÍ
E

Fattanella loroglovetuu, per ammaeftrarírento*j


de Joro Difcepoií.
5

1
4&>m —

i
CON L I C E N Z A D E S U P E R I O R ! .
•¡¡1
T lJL'i gPlídraeliti hanno parte nel Mondo Venti*.
giufta il verfcj, che dice»* Ed il tuo Popó-
lo tuttrgiufti in eterno erediteranno la térra, rain®
delle mié piante» opera delle míe mani per eííere
glorificara,.
- j w n * yvfirvh rrovn * ? D D mtn b p nton
rrnop c a r á i * o w a ? ? D^prr D^pf?
* c n ñ i rr¿fe TOÉ* on'* rft'nrj noD¿
.-itygl *n¿inDñ;pbn iTp^ní * p s b w p fin
T

T - - :

Mosé ricevetce la Legge da Dio in Sinaí, e ía


infegnó a Jeofcivang, e Jeofcivang ai Vecchjj,ed"i
Vecchj ai Profeti, ed i Profeti la infegnarono agli
Uomini deila magna Congregazione. Effi.folevano
diré tre cofe: Siare circofpetci .nel Giudizio, cd al-
levace moíti Difcepoü, e face fiepe alia L e g g e .
n;nK*n •n^iíannw:) n ^ p n;n p ^ n fí?p#

•T -: • • : - : T -: T - : T

Simngon il Gíufto, era uno de' rimáfíi della


magna Congreg-azione. Egli foleva diré: -Per tre
•cofe il Mondo íufliíte; per lo ftudio della Legge j
per ía ceremonia de'Sagrifizj; e per Tefercizio del-
la Pie t a .
•njjwn ' p ^ n ^ p t ^ p t e p ÜÍD DÍMÍOM*
n ¿ ^up&pn D^bys pnn ta "IDÍK
'^p^pnbHnvi iin ¿ta * bis teiwrob ^ a r t ,
• D ' E b N i i D Trío*© rótóy biri hi*

3 z 3 W Antigono
AntigonoSocorano, ebbe la rradizione da S¡mn*
g o n , il Giuílo, Egíi íoleva diré: Non ¡late come
que' Servi, che fervono il Padróne, coll'inrenz'on®
di ricevere premio; ma fíate come que* Serví, che
fervono il Padrone, fenza inrenzione di ricevere
premio, e fiar? timorati di D i o .

HT"$ £Tisí ITyf ]^ W **DDD fep


"nsv? p2MnD ^rn b ^ i r í -qn ricino V)

José figlio di [ongezer Tzt redaño, c José fí«


glio di Jocharían Geroíblirnitano cbb ro la tradi-
ziongí daí fuddeíto. José figlio di )ongezer T z e -
redario diceva : fia la rúa Caía ndorto de' Sav] s

ed i m polvera ti colla pclvere de'ioro piedi, e bevi


con fete le ¡oro parole,

•tranntf^iéiri^g IÍDÍ* « S O •ntianey


n n ^ n2")¿ e^jstitf )pj ifc-úzn ÍIEN |NSD

T .... • »

José figlio di jfochanan Geroíol imita no dice»


va- fia Ja rúa Caía aperta ípaziofameiüe, coíiccbi
ñaño i Poveri I U O Í famigliari: e non rnoltiplir.ar^
ragion amento colla Don n a . Coila propria Mogb'e
3 ptfin pIS
hafino detto, tanto maggíormente colla Moglie del
íuo Proífimo Da qui é> che difiero i S a v j : in ogní
terftpo, che V Uomo allunga ragionamento colla
D o n n a ¿ caufa tríale a fe íteíTbj fi iVia dallo iludía
d e l í a L e g g e , ed il íuo fine é ch'eredita l'Inferno»
3

¡ -í
1
T T T T V ' T

Jeofciva'hg figiio di Perachja, e Nitai ArbelL


ta ebb-*ro U rradd'i7iune dai íuddetti. Jecfcivang
üglio di P(r.;chja dicevas Procuran un Precetrore,
acquiítaci un Compaq n o , e giudica bene di ciafche-
duno.

Mitaí Arbelita diceva: Allontanati dal vicino


eattivo» non ti accompagñáre colP enripio» e noa.
ti dimeñticare del fuppiízio*

/eudá figlio di Tabbai, e Simngon figlio di


Sciatach ebbero la traddizione da*iuddetti. Jetadas
%Ho-di Tabbai dféeVaí qúando giudichi, non pa»
•- ' i • 3 3 Sí drocinar
paárocinar una p a r t e , e quando i c l i e n t i fono^Iía
tua prefenza, fi guardino da te egualmente con e
r e í , e quando par tono da t e , íianó; confiderati co-
me benemeriti, dopo che íi faranno raffegnati al-
ia f e n t e n z a .
.mi* ."-vipn? n a n o ^n—MiU nijtf ]S fiyotá

Simngon figlio di Sciarach diceva: Efamina


minutamente i Teftimonj, e fij avvertito nelle tue
parole; accioché da queJIe non apprendano a men-
tiré.

• fin n ¿ iaiítn • nbsiten n** nín^


TT — : • - :

Semahgjá,ed Abtaüón ebbero la tradizione da"


fuddetti. Semangja diceva; Ama i ' A r t e , odia la Gran*
dezza, e non ti famigliarizzare col Governo.

•irat^ipinnVt D%¿n D*rp?nn *rr¿¿i 'D^in


": í n n p W ¿ ? ^P?V '
Abtaljon diceva : O Savj, avvertite n e ' voílri
ragionamemi; perche forfe foggiacerete a trafmi-
grazione, e vi trasferirete in íuogo di acque catti--¡
v e , delle quali potrebbero bevere i Difcepoli, che
i pttfan pis
vi feguone, e moriré; fleche refterebbe profanara
il nome di Dio . . .
rTp?nn ^ n ^ p i a ? ? n ^ n p tep-^D^\íprr
* ütútí ^ T h v o f t t f ' a r r i a hmbió l

: m w pipoi T r i n a n ntt
T •" 'T ;!IT : ' ; • -

Hilél, e .Sciamai ebbero Ja traddiziorie dai fud«


«Jetti. Hilel diceva: fii de' Difcepoli di Aharon s

amante, e feguace della Pace, amante deIJe Per»


f o n e , tenendole vicine alia L e g g e .

¿stVri 'rvmj "-o?* un® npü* m

^ '"OK'T'NW * ^»i^ nrj


T ;
auna
Egli íbleva diré." Chi va in, traccia di nuová
f a m a , perde la fuá prima faínfT, e chi non aggiu-
gne nuovo iludió, perde il fuo primo iludió, e chi
non ha mai íludiato, é degno di Morte, e chi ufa
rnale lo iludió della: L e g g e , pafla da quefta Vita.
Egli foleva diré: Se io non fonoxper m e , chi é
per me? E quando io fono per me,"che cofa fo-
n o ? E fe nol fono adeífo, quando faro?
n^wvp TÍDK *yap ^ r n j n n ' ^ n p i ¿ "watí
• n a c a o í a n ^¿ Vap£ nii »'n^Ti

Sciamai diceva: Studia di profeífíone. XA po-


c o , ed opera moho; ed a'ccogli ogni perfona con
faccia aílegra.
1*
XS1 8 4 1
'ípgsfiipptetn* •np'fe*

liaban Gamliel diceva: Procurad üíi PrécetfO-


re i ficché ti fciolga ogni dübbioj e riori t'avvez*
>zare á levar le p e c i m e per congetfura *

Sirnrigori fuo flglio diceva: tütti I míéígíor»


ni fui allevato ira Savj, e non ho trovato alia per*
ftina fnigÜór ctífa, che il tíJcere¿ né lo Iludió dal-
le cdfe é il foridarheritó, bénsl J ' efecuzione di ef"
f e ; e chi moíro paría, fácilmente peccá¿

Rabán Sirringon figlio di Garrilieí diceva ¡ Per


tre cófe il Mondo ha durata. Per la Veritá, Giü*
íh'zia, e Pace: giufta il verfo, che dice: Veriráa
Giüftizia» e Pace,giudícate nelle Gittá vóítre.

tp1¿ K P ? h?n J! ^ S É * r-nin

fcaW
f »
Rabí Cháñánjá figlio diNgákafcia díCévá: H a
voluto il Santo Benedetto Signaré far merkevoJe
Ifraele; p eí do rnoínplicó loro Leggi, e P r e c e t f i ;
giuíla il Verfo, che dice: il Sigñore ha volata, pee
farlo m e n t a r e , che s' íngrandifca h L e g g e * e
áurneñtí«

*Di^n ií" í t ó ^ rnj^ .IJTT ÍPK ñpi'tf *srt


|p ^ n i K s n Y * n^¿iv? n ^ n - KT?¿ bar
r r a r ^ m - b r á D nbp rrñ¿bb TH? ^irii * ¿nstft
n p s n a#np m^p Stó jiatz; jinp jftí»
;

: bbnro isba TO3?jq t


'
Tn| Abl diceva: (¿ual é la yia recta che deé fce*
3

.Xv ^lierfi'í'Uomo? .'Queíla, che fi cdnfidera glo-


rióla da • e'ííb luí , e dagíi altri. Avvertifci nell'olfer-
vanza del precetto heve* qüañto dal grave, per»
che ta non (ai qúal fia il premio de' precetti, p
coníidera ció che puoi perderé per oífervare un
precetto in paragone di c i ó , che aVvanzi; e Ció*
che puoi avvánzare, facendo un peccato, in pa-
fagone di c i ó , che perdi. Rifletti rre cofe¿ e riort
vefrai al.csfo di p'eccato. Sappi c i ó , ch" efifte fo«
pra di t e , O c c h í o , che vede* O r e c c h i o , che ode»
q L i b r o , in ciú tucie le rae Opere fono feríete»
W.pns
n^—tttií* ^2?3rt ¡mir te ÍDS ^totea
¿rrctf n ^ r a • nyr. rnin 7-ID?H

^ «l^p
T
onVti niDlir' onjriii Dnrbn

Rabán Gamíiél figlio di Rabi Jeudá il Pren-


cipe diceva: Stá bene lo iludió deíla Legge coU"
arce; perché l'impiego allontana il p e c c a t c e d ogni
iludió, che non ha íeco Arte, finalrneate ceña, e
caufa delitti. E ,voi tutti che v* impiegate peí Pub»
b l i c o , impiegatevi con fine religiofo; parché quan-
tunque il mérito de'Ioro Padri fia che gli ajuta, e ¡a
loro carita, ch' eternamente dura, io vi reputo de*
gni di molto premio, come fe folo la voílra dUígerr
za avefíe operato.
D i ^ P T^yp
•Níjist T#p a nit^is H ' u ¡ fin
#p&ór? n ¿ ' r á p n i í ó pió? •• |¡d$¿ Tfíixíf
: ipnii n y t ó oiíjb i ? n ¿ i y
1

Siate avvertiti con certi Grandi,che non asear-


rezzano alcun Uomo fe non peí bifogno di le mede-
fimi; gli fi moílrano amici nel tempo del iqro utiJe,
e non raíTifíona ín. tempo di fuá difaílra .

^3 ;
131^1 '"OSD * ' .
Egli foleva diré: Vogli c i ó , che vuol D i o ; ae*
ciocché egli vóglia c i ó , che tu vuoi. Annulla ií tuo
volere peí volere di D i o ; acciocché aunulli il volere
, altrui peí rao volere,

r|i¿n n ¿ ' n n SKI ••qniD DT» ^ip^a

Hilél diceva; Non ti fegregare dal Pubblico, e


I1.Q.I1 ti fidare della tua bontá fino al giorno del tuo
moriré, e non giudicare ií tuo Proflimo» prima che
arrivi al fuo c a f o , e non diré : é impoffibile, che íi
fcuopra ció , che io dico, perché finalmente fará fco-
perto, e non diré: quando avró agio íludieró,perché
forfe non avrai agio.
yy*r\ ü¡i &>} ¿ton ira * ipi¿ rrn mn.
^vip"?p T$pTÍ iti? i^an íéi Tpn
J D ^ K ]\stá ¿íppai • b^np n'Tínpa naipn te

Egli foleva diré : Lo Stolido non é temente di


peccato, né il Plebeo c perfettamente Religiofo. Ií
Verecondo non puó apprendere, né l'Iracondo infe-
g n a r e né c h i é troppo dato alia mercatura, divenirá
s

L e t t e r a t o , e dove non vi fono Uomini di direzione»


.procura di eíferlo tu.
Éajipn *%$y¡i nsfi nm n p k n§i Rin

Egli puré vedando una cefta nacañte fu'H' acqúe,.


áiflfevertb h i ¡ perché hú fonmerfo a l t r i , foíli í b n r
merí'a,ed in fine i tuoi fommergenti faratínó .íorri*
merfi. , •
ranp• nm n s i p :kw% íisñp 'ipi)* n ^ : i # ?
n b i p . a ^ í r^áip *-ry&n nslú .' J

nano* * b^n nsnfi' rrtfft nabo*•'^ñ.nai»-


* niiin ns-iD m¿}/ naits •nübri raiD rdnb' 1

n ¿ g ato'ótp ütjg •'bW' pt-rfe •.Hgttf


T - T T TIT T •• : • TI+ j*:
Egli íbleva diré: Chi átéende ad ingraffarfi, mo&
típíica ií cibo ai Vermi, Chi aumenta Fácoltá» aü*
menta dolori. Ghi aumenta D o n n e a u m e n t a farüík
chieríe. Chi aumenta Anceíle , aumenta luflüriá»
Chi aumenta Ser vi, aumenta ufurpamenti. Cfii ái#,'
menta Studio delía Legge* aumenta Vira. Chi'au»
merrrá Accademie , aumenta Sapieríza .•' Chi auirienffi
Configlio, aumenta PVud-nza. Ghi aumenta Carita y
aunrenta Pace. Chi acquifta buona Fama, aequiíla
Gloría cemporaSe. Chi acqu-íía le parole delía divina
L e g g e , aequifta Gloria eterna-.

rrrr t m ^ a f pí ^nü
4
^ y p . ]T\v ]^
ILabán Jochanán figfco di Z a c c a i , ebbe la trad-
dizione da Hjlel e da Sciamai. Egli foleva direr
fe appr.endefti mólta X-egge, non l'attribuire a tua
bontá; che per ral fine fofti creato.

*]n t>H) ^3? p | a n > i ^ d ^ T O ^ ntgpn


ja ^ ; ¿tijjTÍn '|a*-vr^5« vjy
*'S^n3 °p ]íyp$ p*yi )Hari w P71 *n;m 9

^?^¿*jnaibn?ib rrn ^in ^ ^ P "itpk írrí


^/¡¡Jcfirr*nsb^?$¿ l*j*tftp «níaDiíjjñinp
T

Ü&n? p]i^p¿ *Tcn ]han 'br * inW "nw** rraprc


' i Vaanén roca P nry^i «cri « t ' - *
• o * o • ' « ? > ' •

Cinqueera.no i Difcepoli di Rabán Jochanan


Sglip di &accai e fono: Rahi Elingezer, figlio d*
í r c a n o . Rabí Jeoícivang figlio di Chananja, R a b í
José Sacerdote, Rabi Sirmigón figlio di Netanhél»
e Rabí EJngazár figliQ di Hgarach. Egli cosí fole*
v^i„ decantare la loro Jode: Elingezer figlio d'Irca»
no é qual Cifterna ben otrurata, che non perde
gocciola. Jeoícivang figlio di Chananja, rendebea?
ta la fuá Genitrice. José Sacerdote é religiofiflimp.
Simngon, figlio di Kfetanhe!, é aífai guardingo a
s o n peccare. Ejngazár figlio di í^grách, e quaí
Fonte inefaufta,
: ote m a-r? jthsd '
Egli foleva diré í Se foííero tütt' í Savj d'ÍFdrae*
le i n a a a parte della büáticia, - ed Elingezer figlio
d'Ireáno n e ü ' a l e r a , contrappeíerebbe egli a cacti
gli altru

VjíT ^:rt te Mü#9i$ltf fytfjí « j *

¿•n3D • n*3# *¿3 ing )3 TO&í ^11 *b¡i£>#


Aba Sciaül diceva per rióme del íiiddetto i Se
foflero tuct' i Savj d* ifdráéle ín una parte della
bilancia, ed anche Rabi Elingezer figlio d*Ircano
con eífi, ed R . EJngazár figlio di Ngarach íielF
altra parte» contrappeíerebbe egli a tucti gli altri*

j?3Tta w -qii w% «urji ürfy 15$


roiEn^/ iéjíx i t ^ k ^ i -£Htth na
;

•3ío fétfinig •-si/ 3ib 1311 iftitf £tWt


V i *i^iDri rus n^íin i¿i?* )ivwÍ3i
^ riKti ór?9 i ¿ í j * 3i£> 3$' t¡jik'
. 03^131 TOÍ 9?33ttf * D3^131d 11*7)3 ITptf
Difle loro una volta il fuddetto Máéftroí Üfei*
t e , confiderate, qual é fa via refta, á cui deeafte»
nerfi T U o m o . Rabí Elingezer diíTe; la Sobrietá" R¿
Jeofciuarig diíTe; la {celta d'un buon Compagn®,
R . J o s é diffej la fceíta d un buon víclno R.Simn-.;
1

gon diffe; ía previdenza delle c o f e . K , EJngazár


diííe -
diífe; la bontá di cuóre. Rifpofc loro: Approvo íe
parole d'Elngazár figlio di Ngarach, piü che le vo«
ftre; perche contengona le fue parole le voftre.

pnyvp n a n - ^ wftivx w% crr?ap


* njft n p i W ^ t a p") • o í a n nppp
]pp *npiK ^cv p y 3>Tian "o'¿ 3;¿h';r ^1
m
in¡x *£D¿>#p i ^ l njín npi¿ flyptf p i «jn
^ n f ? ip¿?& • Dipph ]p rn>3 Di^n \® rní
;

25 ípi« "ityta ^sn 'fnlDi ]pinVp'T^ D^ T

ijíta'npi ^ n¿/n cní? i d a vjrj

Tornó a diré loros U l c i r e , e fpeculate, quaí


¿ ía via catriva, da cui dee aílontanarfi i ' Uom-a.
¡iabl Elingezer diífe: rinfaziabilitá. R . Jeofciuang
diífe: la pratica di carrivo Compagno. .Rabí José
diiTe.*La vicinanza d uomo cattivo. RabiScimngon
1

diífe: ií prendere ad impreítitOíC non rendere;con«,


ciofiacché lo íkífo é prendere ad impreílito daH'CJo-
rao, quanto torre ad impreítito dal Signóte, giufta
la glofa del V e r f o , che dice: Pigiia ad impreílito
PEmpio, e non rende, edil Giufto concede, e do-
ria . R a b í Eíngazar diífe: La malignitá di Cuore.
Rifpofe loro, approvo le parole di Elngazár, figlio
di Ngarach piü che íe voftre, perché contengono
le fue parole le voííre. • .

ni) '•nn Sní rifos M r t V n n -rdá


OTO?
onnrii "75 T^gvh |n^n^ *
Ciafcheduno de' íuddetti Cíifeepoü foleva diré
«re cofe. Rabí Elingezer diceva: Abbi a cuore T
onore dei Proífimo quanta il t u o ; e pércíp non ef«
fer facile ad addirartio Pentiti de'tuoiíalli un gior»
no prima del tuo moriré; e rifcaldati al fuoco de'
S a v j , ma avvertifci, che la loro braggja non ti
ícotti; perche il loro morfico é quafi módico di Vol-
p e , il loro pizzico» quafi pizzico di Scorpione <, ed
il loro alito, qual alito d¡ Serpe, e tutee le íoro
parole quai bragge ardentiflime.

'i-üriyn rri'ómñ na runflo ntnan'


Rabí Jeoícivang diceva: L ' infaz,labi]itá,la va»
l u t t á , e la ruftichezza accelerano la Morte,

tfptis fty ppn ^nnn fino TT nplH W pi


*qí nttíTY nj'tfí? mfcí TÍDÍV T J D ^ )pnrn

Rabí José diceva: Prezza gli aven" del tuo


Proífimo qtianro i ruoi. Difponiti ad apprendere Ja
divina L e g g e , o i i non é ereditaria la cogniziq.
n e ; e tutte le tue operazioai fieno con fine reíi-
giofo.
W - •
n t e r a ynp rnpa th? •nn iDia* pyp$ ^"i t

#?p i r ^ p n &3¿é Sí* ^ s r b n n r ó i


• isnn -frn c i p a n "os? D ^ n n i ¿-prñ NJK

lT : - •• : • T T •• - ¡ vv
Rabí Simngón diceva: fíi puntúale nella Lec-
tura del Sciemáng, e nell' Orazione. Quando fas
Orazione, non orare per confuetudine ; ma per
chiedere pietá, e mifericordia dal Signore, giufta
il Verfo che dice; E ' c l e m e n t e , e pietofoegli; (o£-
f e r e n t e , e magno di Mifericordia. £ non ti diíE»
nire mai Reprobo.

n a jhi • niin ~riri?b i-pp \in npiK y¡vh#t *zrt


•'Spy'nna*''a ^s? y i ^ D i i i p s ^ 3 ^ n ¿ • s

: -jn>Tj7Di^ tj^dp;^' T j n p ^ p w n jpwi


Rabí EIngazár diceva: Sii indefeíTo per impa-
rare la divina L e g g e , finche faprai c i ó , che dov-
rai rifpondere ad un Epicúreo. Conofci avanti chi
tu t'arfattíchi¿ e c h ' é fe de le egli il Padrone della
tua Opera .che pagheratti ií premio del tuo operare.
;

.* n n - i p n s ^ p r n • Dtn •ipia ]isrp

Rabí Tarphón d i c e v a : Il giorno ¿ breve, I 9

opera Iunga, gli operaj pigri, il premio molto ed 3

il principale follecitan t e .
mr pía

n^in r r i p j o* *fibpp S e d ^ f-vin ]2


isjirf ip^pi * naSn tjb r?nl3 rnirt
|np ¿ni ^ n j í v b ' *—o\¿7 ifyi&wv

Egü foíeva diré: Non afpetta a ce terminare


i'operazione, né per ció fei in liberta di tralafcia-
re lo iludió- Se apprendefti molta L e g g e , avrai
molto premio; cflfendo egli fedele il Padrone della
lúa operazione, che pagheratti il premio del tuó
operare; e conofci ií premio de' Giuíli aell'altra vita.

t i w ]^p v i *.ny?3j ^ so nná ]"w


,
' "
* l'istfrn H Tn3J nní< ^p ^} j?p rim
DTpp>T|^n nn«* • pirro nbtsp n ^ r y ^ b '
H1*!?? "Pro; n n ¿ "ro ^D ;Inj&irn HOT IDV
L

: K-in 7¡rGtfiigríD\?¡?pn "óVp ^s? * j i ^ n i

N Gakaviá figlio di Mahalalél diceva : Rifletci


tre c o f e , che non verrai a pericolo di com-
mertej peccato: Sappi d*onde veniíli, ove vai, ed
avanti chi tu fei foggetto a reñdere ragione , e
contó D'onde veniíli; da una goccia pútrida. Do-
ve vai; a luogo di polvere, vermi, ed infetri. £ d
avanti chi tu fei foggetto a rendere ragione, e
conro
t o n t o ; ávaní! il R e di eutti i R e » il Santo Sene*
detto Signore.

ñ u t o s ^ s n p ^nipi^D^riprTpo t&yn

t »-
Rabí Chaniná Prefidente de' Sacerdori dice va 3
Fa orazione p: r la pace del Governo; perché fe
j

non fe líe ií timore, che ii ha di eífo, V uno V al-


tro vivo iniíhiorrirfbbe
V¡ní) fattfhtf o s # infc* j í r ó ja pi
i p j > w b ^ i D n H n rnin nrn°DHTO
t^j'fbOT^ e r ó fcis ' ¿ ^ . ^ 0 ^ 9 a^imi
'im;.© DHTOn¿TO riy^Vrjfci "nin c r o ó
;

• icb '¿ty'ln^ « raí? tí"ÓT i¿d ansí

Rabí Ghaniná figlio di Teradión diceva : Sé


due fiedono fenza dacorreré • della divina Legge»
ella é refidenza de' Beffatiori , giufta la gloía del
Verfo, che dice: Ed in reiidenza de'Beíratrori non
iftette ; ma fe due fiedono . e difeorrono della di-
vina L e g g e , la Divinira alberga fra effi, giufta il
V e r l o , che dice: Alíorché parlarono i tementi del
Signore ¡, uno coil'altr© afcoltó i! Signore, ed in¡»
9

•%• %• D, 3 ¿efe
nírttf pía
t e f e , e fúTTcrltto riel libro di memoria avanti elfo
a pro de'termfttí del" Signore» e d.¡ quelli, c h e ve-
nerano il fuo n o m ? . ísloa ho prova, ehe per d u e ¡
d'onde prova ¡i, ch'eziandio fe uno fedeffe, e s'im-
piegaífe nello iludió della divina i-egge, il Santo
Benedetto Signore gli d-rlHna premió ? Dalla glofa
del Verfo, che d i c e : ftará falo; e contcmplerá che
accettó fopra di luí.

•m *>y_toíjtynufrttf n a f a fyny raí


totd ^ % * n^Jn "nrri rh? -noN ¿^1.

CDÍpQ hp i:nbpDfo^'^Vp *nñin na- rjy T

: "osínifr*]nfennrV&-qtíidnjkzJ-wn rjna
v

Rabi Simngóo diceva - Tre , che avctfero man-


giato ad una menfa, e non averTfc.ro detto fopra di
eífa parole della divina L e g g e , é come aveífero
mangiato fagrifizj d'idolatri, giuíta il Verfo glofa*
t o : Che rucre le menfe fono piene di vomito, e
fíerco, quando non é nominato il nome d" Iddio;
m a tr/e, che aveflero mangiato ad una menfa , ed
aveíféro derto parole della divina L e g g e , é come
aveíTero mangiato dalla menfa del Signore, giuíta
ía glofa del Verfo: e parló a me quefta é la mea"
fa, ch' é avanti il Signore.

^ n s r n • n^ta ii^pn • T a t e w a n p xpn pi


n ? ñ r i • ró®3? taS todi ">Trv - ¡ ^ á
e
Rabí Chaniná figlio di Chachinái diceva; que*
g l i , che vegiia la n o t t e , o che va per viaggio fo«
l o , e fi applica a cofe vane, pone in pericoio la
fuá perfona;

W vhv teppntenpia njgn ]3


T arriro ^si

: pi>*
T
^ i
Rabí Nechunja figlio di Hakaná diceva: que-
g l i , che fi forropone al giogo della divina L e g g e ,
leva da fe íleífo il giogo d I governo, e del mon-
darlo e í e r c i z o : e ciafcheduno, che (carica, da fe
;

il giogo della divina Legge, carica fopra íe fteífo


i l giogo del governo, e del mundano efercizio»
fzvjvw irjzjy. * i r in *rr:n íes. Nnsfcn
i d ñ 3 $ •onrrb rpmtí riróü •'p3 o^óljñ
ipw¿? nttípn^SN p3!¿i m v s 3 ¿ ¿Tpi*
n p ^ n ^ t e i ^ r ^ psjri *t\id\ pK irra&í
?KÍ¿^;t¿; D :^ '¡Vén 'ffi' * ¿isttf cTfe* 3ipá
T. ; T :

T -v:v v : : • • v: v!v ;
n^T3TNv'i¿k Dip^n Srs Í E W t f •'iná IV'Éj*
Rabí Chala'phrá abitante della. villa di Chañan-
ja diceva; Se dieci ílanno affaccendati in Giudizio,
* j 5 3 ;la
t a Divinitá* alberga fra eífí; giufía la glofa del Ver.
i b , che dice: íddio é .affiftenre neíla Congrega de"
Giudici. D'onde provali, fe fbífero eziandio cinque?
Dalla glofa del Verfo, che dice: e la fuá compa-
gnía iopra la térra fondamentó. D ' o n d e provaü.»
íe foíTero eziandio tre ? Dalla glofa del Verfo,. che
d i c e : ira Giudici g i u d i c h e r á . D ' o n d e provaíi, fe
foíTero eziandio due ? dal Verfo che dice: 'Alloraché
fi parlaron© i ternenti del Signore uno ah" alero, af-
coltó il Signore, ed i n t e í e . D ' o n d e provafi, fe fof»
fe eziandio uno? Dalla glofa del Verfo, che dice í
In ogni luogo, che permetteró, che fi menzioni il
mió nome verró a r e , e ti benediró.

*a iníx ¿Nnn i r a ]D\ *ib¿ 7p¿n nmb

Rabí EIngazár Bartodano diceva. Da a Dio di


ció» c h ' e f u o ; perché t u , e ció che h a i , é f u o ; e
cosí appreífo David fi legge: Che da te viene iS
t u t t o , e di quello, ch'é tuo, diamo a t e .

p^spi i W i ra Tj'pnpn -O'K p'yptf w


ruó VID *nT HÍ^D HD -IJDTNI * i n : ^ ¿ D
: i^'SD2 rrrinD i t ó airón rby r w b MT TU
Rabí Simngón diceva; Chi va per viaggio me-
ditando della divina Legge, ed interrompe la fuá
meditazione e dicei O come é bdlo queñ'arbore?
é pur vago queíto folco/ lo condanna il Sacro te*
ílo come uüQí c h e aggrava ia propria anima.
3 1
-n£;w p*©

¿nan n¿£p * ínjttfpp Tiró nai rown


ntOEft ^ "ip¿n piTOWtfMÓ^jai^nne i u a .
T

• Y T ^ T ^ . anain r,k n*D¿to"j23 Tu» ^ s i


p'~->plí ^ b ? n í ñ ^ p " ^ nspn i^su fe^
litfssa rrnna un ^ n ^ te '^aata' m í
;

* : lato d t c h a#;# '


Rabí Doílái figlio di Janhaí per nome di Ra»
b\ Mehir diceva Chiunque ii fcorda qualche cofa
:

del fuo ftuJiOs lo coa dan na il Sacro teño come


u n o , che aggrava la propria a n i m a ; giufta il Ver*
f o , che d i c e ; fojamente ííi avvertito, ed avverti*
fci bene la tua anima, acciocché non ti fcordi le
c a f e , che viddero i tuoi occhj. Da ció potrebbefs
intendere eziandio quando la farragine degli ítudj
fuperaífe la fuá reminifcenza; roa ti toglie i'equi-
voco ció che fegue: ed acciocché non partano dal
tuo cuore tutt* i giorni di tua vita. Dunque non
aggrava la propria anima, fe viziofamente non 15
allontana dalla memoria'

noipluion myti ?a -IDÍU UDÍI ía H O T ^

: ñp^pnp inaan ;% • hxih npiip


Rabí Chaniná figíio dsDofsa diceva: In chiun-
que la fuá reügione precede la fuá fapienza, la di
luí fapienza fi conferva; e in chiunque la fuá fa-
s

pienza precede la fuá reügione, la di lui'fapienza


. 2 - 4 l a - non
e
inprnp fsip iWp# "-"pía nvrain
n ^ p ^ ' n D s n g ¿ f • np".pnp inpín

Egli foleva diré: In chiunque le fue buone


láperazioni fuperano*. la fuá fapienza, la di 1 ui fa>
piensa fi eonferva; e in chiunque la fuá fapienza
fupera le buoñe fue operazioni, la di lui fapienza
non fi eonferva» .

* Epvt nrn'3 ninan rvntf t? ipift ¡rn ron

mp^n nnl3Dij3^n nn j^ *-iDp^n nnlD ninan


T

Egli foleva diré." Di chiunque la volonrá delle


perfone fi compiace, la volontá d' Iddio puré íi
compiace di eífo, di chiunque la volontá umana
non é paga» né puré la volontá Divina é paga di
efib«

|p c j í j n ™ ^ ñtoi?

Rabí Dofsá figlio di Harchinás diceva: II fo-


yerchio fonno della martina» vino delmezzo gior-
210, cicaleccio de' Fanciulli, e la converfazione de*
Plebei, accelerano a chi gli fegue, la Mor^e.

••ottíii-n na ^ronTO'K"^níer? raí


roam
f^nn f s S ^ n i * Minian rus* fifoj&m
n^sni ••TON brroit te Iftns üStáñi •báiá
i T a V t f •>& * r o i r a ^ t e mirla D^jd
:«bnbW p^n t> m ••'Oto ¿"Wfíi rtriil
T — T : IV V I • • — - j -
Rabi Elngazár Modangita diceva: Quegíi, cíie
profana le cofe Sacre, oppure fprezza le folenni»
t á , ovvero fvergogna il fuo proffimo in pubbíico»
o abiura il patto dei Patriarca Abrarno, o fpiega
íiniflramente la divina L e g g e , febbene fofle in pof-
feífo di Sacro írudio, e buone operazioni, non ha
parte nel mondo venturo.
8
nTfrrorfc rm m*v *?p • t t IDÍN W a t o ^an , 1

i nnEtoa Dim te m *?apQ T I Y


Rabí Ifmangél diceva: umiliati al maggiore, e
fij docile colla Gioventü, ed accogli ciafcheduno
con allegrezza.

fwp 9
tüí<"i n^pT pinto • ~ipistf N a ^ ^
: noy ? Dikn h a
1

T :V : T T T

Rabí Ngakivá diceva: II rifo, e laimmodeftia 8

avvezzano FUomo alia lafcivia.


niT^o 4
rniini rniop * "ipitf nvr atin
T : T - - : *:- ~: • r: V T - J

Egli foleva diré- L a tradizione de* Savj é P


argine della Legge. fcritta , jLe Decimc fono argi-
m
fíe delía R i c c h e z z a . I voti fono riparo per I' afti».
n e n z a , ed il riparo della fapienza é il tacere.

rnn • ' p b s a arpptf 7 ? -^í" ^ "TD «ir?


D 5 n

^ *np$¿¿;' * c t a á *n¿# f? n^Tí: h t í v


T T

T T T v T T «v: Y Y :

Egli foleva diré; Amato é V U o m o , che fu


creato colla divina immagine, e maggiore amore
gli fu dimoftrato, notificandogli, che fu creato eol-
ia divina immagine, giufta il V e r f o , che dice;
Che con immagine divina fece 1' U o m o .

mrv ron * clppb o ^ a wip??; ppn


^éxip *Dip!Gí? p^dd wpstf' bn¡? n¿ií3
T

Y •• Y: T:~ Y - • T

Amati fono gi'Ifdraeliti, che furono chiamatí


figlf d'Iddio, e maggior amore fu loro dimoíírato,
notificando ad eííj, che fono chiamaci flgíi d'Iddio,
giufta il Verfo, che dice; Figlj fíete voi del Si-
gnore Iddio voitro.

rnr? nsn * rnpn ürh ]tw r~ ^0 ^yp]


• ¡ ^ ' • i r í p n íp b n j ' ] n : ¿
,L
nriís •nrh
p b j ""nnb b i ü npb ^ Hbttptzf • g ?í>*h 1

Amati fono gl'Ifdraelirí, a cui fu dato lo ñru-


rnento defiderabile, e maggior amore loro fu di-
moftrato, notificando ad effi che loro fu dato lo
¿frumento deCiderahile, c»l quale fu creato il Mon
da
d o , g'wña ía glofa del Verfo, cfie dice: Perchí.
«dottrina buona diede a v o i , la mia Legge non ab-
foandonate.
tónirft? &tyn . a t o h o t rvitfTn
4
tojc tórr
: nft^sn a-ft ^
Tutto é previfto, e i'arbitrio é conceífo, e coi?
la bontá divina il Mondo vien giudicato, ma il
tutto a mifura dell' operare.
nons mjra 'ríanla ^njtón ipiu ¡vn u-»i
^pp^iínni nnins hmh *D^nn ?a 5£

fjrjsDi oí* ^aa


;
p:inb r^?¿n * n.M

•% r\*r\ypi ]p inp tern rvpu


r
f i n r qaráp^i
Egli foleva diré: Tutto ci é conceífo in Depo*
lito, e la rete é ftefa per tutti i víventi. La Bot-
¿ega é aperta, ed il Bortegajo dá in credenza. II
Libro é a p e t t o , e la mano ferive, e chi vuole co-
ítituiríi debitore, vada, e fi coftituifea. Gli efatto-
ri girano turto il giorno, e fi pagano dall' Uomo
voglia o non voglia , avendo fopra che _ appoggiar-
fi. II giudizio é giudizio r e t t o , e ciafcheduno é
definato al Convito.
-pi fu rnin ]\» cu ipiu nnn7 ]a -it3??u
f ú ' o u *rnin yu p u t j y t ra jnú
.T

* n s a n ru p u t d u t i u t ru nban
fu
: n¿pj tf rnin
n
d& TiTín npp. fR-"
Rabi Elngazar figlio di Ngazarja diceva; C h i
Bon ha ftudio della divina Legge, non é fociabilej
Chi non é fociabíle, non ha ftudio della divina
L e g g e . Chi non ha virtü, non ha religione per-
fetta, chi non ha rel'gione perfetra, non ha virtü.
Chi non ha prudenza non ha fapere, chi non h a
fapere, non ha prudenza. Chi non ha fariña, n o a
fea ftudio; chi non ha iludió, non ha fariña.

TWpp n a i p i n m n t y ^a • "~>pi5* rrn Nift


fín'tyi fanp tbi^w f^so * npii hd ?1

• t d d ' S j ; iñpsini irnpiin Hsja,n:nni •pajTO

•nDii^nnD ? inDbno r a í a TWáttí ¿ ?a&


1

S i ^ s j k i *)pnp vp~yp] fípyr¡ v$ÍW


initfmbm ía 'nia^iDf niKa b^tyattí'hírTnri

t^D'*'fcóii i ^ t tih rirño rbtfa-i ín^?^

Egír foleva diré. Ciafcheduno che ha píül


s

di fapienza, che di buone opere, a cofa egl< é fi«


asile? Ad un ajrbore di cui i rami fono roolri, e
poclic
poche le radici,ecco íl vento v i a n e . í o fradica e lo
roveicia foíiopra ; giufta il Verlo che d/ce: E fará
qual faüce in pianura, e non yedra, quando venirá
bene * e albergherá nelle folitudini del De terco Ter-
ra árida, e diíabitata¿ ma chsunque ha piü di buone
operazioni, che di í'apienza, a qual cofa é egli íími-
l e ? Ad un arbore i di cui rami Ion pochi, e molte
l e r a d i c i , che s'eziandio t u t t ' i vent« del Mondo ve-
ntífero, e foffiaífero in eífo,nol moverebbero da 1 fuo
loco, giufta il Vetfo che d j e e : E fará qual arbore
piantato preífo I'acqua, e preífo il ruícelio ftende le
fue radici, che non fi rifente, fe vi-ne il caldo, e
conferva la füa foglia frefea, ed in anno di iiccitá
jion patilce»né lafcia di fare frutto.

-|n ni) rinsí pyp •ijdi'X mor\ ]2


miNisiDnlÑ^Q^i nísipn •nliAri ••sí p
T : T -

Rabí Elngazár figlio di Ghifmá diceva. Le L e -


jjioni dc'Sagnfizj d ' U c c e l l i , e d'accidenri de' me-
ftrui, fono Lezioni importantiííiime. L* Aftronomía
e Geometría fono condimenti alia fapienza.

•tfCn pIB

•nisVinri^ *T]" 2ton ^p^p ^sp. ipwto


i T

St3ap:D^2N Tfi^¿ .Dito IDÍOÁ * w nN'ibisi?


•iD'^ímmn # i n m «TÍ? - o t ó írrr© teíDi
ímrN *í>¿2n d ^ Í V ? -vtoi nfn Djiya
« n
^snD^Dtf
a a» *•
nVi3n'riN
s• "
n a«t ia b<rAí ' i i i D
.

r 1 O . . • <• • • o
*.
f»#
T*

I L figlio di Zoma diceva: Qual' é il favío? Quegl*


che fa apprendere da ciafchedunoj giufta ii Ver-
i b , che dice: Da tute'i miei Precettori ho apprefp*
Qual'é i! Forte Quegíi che vinee la fuá tentazione;
?

giufta il Verfo che dice: Meglio é il Sofferente, che


il F o r t e , e chi domina Ja fuá volontá piú di r h i
prende una Cittá. Qual'é il ricco? Qnegli che fa
contenta di fuá parte, giufta il Verfo, che dices
quando goderai la fatica delle tue m a n í , tu felice»
e bene per t e , che vale a diré, o tu felice in que*
lio Mondo! e bene per te nell'aítro. Qual é Pono»
rato? T o n o r a n t e ; giufta il Verfo, che dice: Per*
che i miei onoranti onorerd, e coloro, che mi
fprezzano, faranno avviliti»

ib rrvüi rho ntó? n e


*"o>* w v ia

T •• -•; T "~I ~ I T ; • T ; • - : v T "'-3

II figlio di Ngazái diceva; Corrí alP oftervatiza


del precetto Heve, efuggi'dal peccato; perché Foív
fervanza d*un precetto t' induce ad un* alrra, e la
commiíñone d'un peccato ne porta dietro un'aítraj)
la paga d'un*oífervaitza é un'altra oíTervanza e á* s

ona rrafgreflione un'altra trafgrefíione


rin * d i u bb> ra Tin * ipíu ¡rn a
•njjtfT:? j W d t n ^ [ \ n $ i^nhDb
t bip¡Df?'Wt¿ nní íjVVui
Egli foleva diré: Non difpregiare alcun Uom
nh trafcurare alcuna cofa; perché non v ' é Uor
che non abbia il f u o t e m p o , né cofa, che non í
bia il fuo luogo»
nn bsp^Tj '-te iup ipTu ira* t^u dept?
T . ... - | . . T T T T " : •

KabiLevitas Jabenita diceva:Sii umiliffimo,p<


che la'Maífa deH'uomoé un bulicame di Vermini

üyzp cp y?npn ?2> npiu nptia ]3 ):ny ^


.TriNj ^ inu * *¡^b -i2pp finéo- nnpn ;

' "*
T
: btén
T
* T?p
Rabí Jochanán figlio di Beroká dice v a : Se ale
no pecca con ifcandalo anche di pochi, Iddio fi p
ga di lui p u b l i c a m e n t e : tanto fe lo fcandalo feg
in errore quanto viziofamente.
"npft nsp ^ ipi^n * iplu 1D3
n:p ^ "ipi^rn •iplpV "ficto? rpspjp
: niiyyVi. m'ctífr'ip?? ! "rto?? iT?p p spp * hi&:
1 T N

Rabí Ifmangel fuo figlio diceva: Chi appren


la divina Legge con inrerzione d'inft gnarla, Idc
gli concede abilitád'apprendere,e d'infegnare;ec
apprendecon intenzione d'oííer;varIa,gH concedea
licád'apprendere, iníegnare ,confervare»edo.íferva!
pIS

ipi^Wn rrn pi bro -risn? DíTiípT#


ñ'ti

: D^iyn rn-m toft min ña~D


T T I• T - " T .. . . .

Rabí Tzadók diceva: Non ufare le parole delía


divina L e g g e , qual Corona per vanagloriarri con ef»
f e , né qual Vanga per cavarne alimento, e cosí ar>
punto foleva diré Hilél : Ghi ufa maíe lo ftudio deila
divina L e g g e , paila da quefta vita; Dunque appren-
deíti, che chiunque fi ferve della divina L e g g e , to«
gíie fe ftefib al Mondo •
*í3Dp is-uminn m laapn te IIDIN W W
> t'sV minn
;
Sfnpn tei * n ñ a n y%
: Hiñan ^ n n
: • ~ - T ••. :

Rabí José diceva: O g n u n o , che onora la divina


L e g g e , viene oncrato dalle perfone, e ciafchedu'
i\o, che la profana, vien vilipefo dalle perfone.
Hn imy "[toinn '—ugiN 133 SK^DE;? ••ai
-ia?parn v ^ n ^ D ^ i hn] n^Ñ -iDpp pnÍD-
nñ oji..y¿h nloito Venina
- : T T v T T " :

Rabí rfmangél fuo figlio diceva: Chi fi fcanfa di


giudicare, fi libera da nimicizie, fraudi, e fpergiuri,
e chi é vago nel dar S e n t e n z e , é Pazzo, Empio, e
Superbo.
•i-prp |?i i-rrv Tin )i
—irsieí n;n w n

i ™ 9 W l -itej^ np^ri Sai •rinN NJK


T T : ' • T -

Egli foleva d i r é ; N o n gmdicsre f o t o , perché


n o n puó giudicar folo c h e il folo Iddio; e n o n ob»
bligare i tuoi Colleghi ad accettare il tuo p a r e r e ,
perché deífi eífendo in maggior n u m e r o , h a n n o
quell' autoritá, c h e tu n o n h a i .

isiD^i^prninn™ nrppn b ipiK ]nw ra-j


V •• T V • • - ! . - T : V •• T :

: ^fyn n?toa> ÍBTD


Rabí Jonatán diceva; C i a f c h e d u n o , c h ' eferc]-
ta lo ftudio della divina L e g g e benché p o v e r o , fi-
n a l m e n t e í'eferciterá in r i c c h e z z a , e chi lo lafcia
per la r i c c h e z z a , il fuo fine fará lafciarlo per p o -
vertá:
*nrnjinapWippyztoyppipi&-mppi
|p' n?táa CT^rr Sa '^pá rvn
;

T
: ^ in^riánn 1?«í mina 1

RaM Mehir diceva: Diminuifci il N e g o z í b , ed


impiegati neilo ftudio, ed umiliad ad apprender da
t u t t i . Se ti fvii dallo, ftudio della divina L e g g e *
avrai ¡rnolti fviatori per tuo danno, e fe la ftudji»
ha Iddio molto premio per d a n ! .

r - m rr&p níyiyn ipia apr_ p "ny^g ra**

* crato b w o i nai^n « ' T O "TUTO iVnjD T


: r¥Ojhisrr ^s? b ^ r p
Mabi Eíirigezer fíglio di Jan'gákov diceva :"Chi
ortérva un divino precetto * s'acquiíht un Difenfo-
r e ; e chi commette üri peccato, $' acquifta qn A o*
cufatore; pero la penitériza, e büohe operación!
fono quale feudo in faccia al fupplizio. /

cp^" *^í}# tíjég 4 | ipítf i^srt ]jhf ^

Rabí Jocharían Calzolaja diceva: Qilaíünqué


riduzione é facta con fine religiofo, il fuá fine é
di mantener»; e qualafiqüe non é confine religión
f o , il fuo fine non é per mantenerfi»

^Tpfo TUS W;"SOÍtf JfiEtf' ]3 ^1

• - T T : 1
T -

Rabí Elngazár figlio di Sciamuangdiceva:Prez"


za 1'onore del tuo Difcepolo quanto il t u o , e l*
onore del tuoProífirrto come il timóte del tuo Pre»
oéteore, ed ií timore del tuo Precetoré come il t r
more d'Iddio.
TíD^n n^ü'TiDpnsTnT in noía finir ^si n

1
T T
Rabí Jeudá díceVa: avveríifci quando ííudii£
perché fefbagljperdifattenzione ,commetripeccato»
Sisa nrot • rvcfep—>roi- rimp
Rabí Simngón diceva: T r e Coroné vi fono,
della divina L e g g e , del Sacérdozio, e dell* Impe*
r i ó ; roa la Corona della buona fama fupera ciaf-
cheduna d* elle»

n-ib'^ Vü?D'^ T^OS uibn wryü '-o*ri


Rabí Nehórái diceva: Trasferifciri dove "v" é
Iludió della divina Legge* e non diré* c h ' e l l a ti
Ven irá dietro, cioé* che i iuoi Cómpagni ti merte*'
ranno in poífeffo d' eífaj e della tua capacita non tí

Rabí Jañhái diceva: Nott fappiarnó tender ra^


gione della felicita deglí E m p j , né de' flagelli de*
Giuftii .

tubm b^pp 1 0 ipiu tnri K W ••srv


•V •j -; T - ; - TT «—:- T T

Rabi Mátjá figlio di Charáfc diceva: Sii il pri-


rho á falütar ciafcheduno, e íatti Coda de*León?,
anzi che Capo delle VolpL

•na^ntnba"i&g iijr^n»tífiyft
T a i piD
:ppi^DDanto
Rabí Jangakov diceva: Quefto Mondo é fímt.
íe ad un Atrio, rifpetto al Mondo venturo; prepa»
rati nelPAtrio, per poter entrare nel Palazzo.

b w p i naitona r\m nyv ns^ ipitf rrn ntt

teso V í a n 0 ^ 3 rrnmip hm r r ó nsn


T T

Egli foleva diré.: Piü giova un'ora di peniten-


z a , e buone operazióni in quefta vita, che tutta
l'altra; e piü vale un'ora di felicita nelí'alera ¿che
tutta la prefente.
Tjnan DK nsnn npíN t j p n $ f i j w •w-

í?in&n Sai * Íttd ny^ai i ? ^ - ¿ f r v V i T*'r:^h


1

i ' n ^ p n¿to3inlió>
:
• * ;

Rabí Simngón figlio di Elngazár diceva: Non


placare il tuo Proífimo nel punto della-.fuá. collera;
né il confolare nel t e m p o , che il fuo morto gji-é
p r e f e n t e ; e non ti ftudiare di fciogliere il fuovotí>
nel punto del fuo votare; e non proccurare di ve»
derlo nel roíTore del fuo pee cato.

frtfsnainp&n^rrn'N hsyz -o"K )b¡jn bmap


.. I 1SNTOT '"-w
Samuel
W p*©
Samuel il minore foleva ripetere il detto del
Savio: Nel cadere del tuo Nemico non t'allegrare,
e nell'inciamparíi di elfo non giubili il tuo cuore,
acciocché non vegga il Signore a cui ció fpiace»
e faccia pallare da luí in te il fuo furore.

tofen ¿hn mina in*? NDIÍ rén


: p r o r»3 riama fiVnbnronnrf? ]p? rnín
Elifciáng figlio di Avuja diceva: Quegli, che
apprende mentr'é fanciullo, a che s'aflbmiglia? Ad
inchioílro fcrkto fopra carta nuova: e chi appren-
de fatto giá v e c c h i o , a che s'aflbmiglia?ad inchio-
Uro ícritto fopra carta imbratrata.

' wfcn * o ' K ^aan "isa &x n w P w "•ai


^atónpíi ÍSHHrvaj OOÜJPJIip'RRTIN
} P nj'n "NPIBRN i n a p ^ nni¿h ninp D P J ^
nikya capj^'^ai^ nplVmn noí o^prn

Rabí José figlio di Jeudá abitante della Villa


Babilonefe diceva: Chi apprende da i Piccioli, a
chi s'afíomiglia? ad u n o , che mangia uve acerbe,
¿ beve vino nuovo; e chi apprende da' V e c c h j , a
chi s'aflbmiglia? a chi mangia uve mature, e be-
ve vino vecchio .

la # ; ^ ™ a s&m ípspa b r r a h& ipía p i


: P1^. tf"¡ij )T ^I ?
:
T
1

3 3 3 5 Ra '*'
b
Rabí diceva: Non far cafó del "Vafo, ma di
c i ó , che contiene; giacclíé vi fará un Vaíb nuovo
pieno di Vino veccbio, ed un Vafo vecchio, in
cui non é per anche Vino nuovo,
rni^D-m/nwni n^Dpn npiK i£[?n iTjjta •on
•T T ' • T T T V ' • ' « ' . '

Rabí Elngazár il Kaphár diceva; L ' invidiá»


la concupifcenza, e T ambizione acceleranq la
mone.

niriní» w n a r n n t ó p ^ n npiN-.rjn .^n

* llin Tppn ron tallan ¡*in NTT

fsn'^p -íÍ-ti rrottf í $ i n S i j ; ra*? ] w


^ t ó n ^ T T i i f e ^¿n^'nnt? npp ¡6) otb
t)i3D H a S W n t f yiw ^TO^^viia^no
4
"i>i3 nm -¡nía ígn * niií nñ« '^rna hyw ^
S ^ v n p n m -jrña ^ 'Vi nn¿niró b ¿
^ató-^n 3sf |ia¿n{n ID^ Tn$ nna'^nla
s

Egli foleva dfre: f nati devon moriré; i mor.


ti rifuí"citare e i rifufcitati eífer giudicati; perché
?

ció fappiafi* ii faccia iapere, e fia fa puto, che Id-


dio é ij Formarore, Creatore, Intendente, e Giu-
dice in quefío Mondo, Teftimonio, Parte, e ,Giu°
dice
.dice neií'ñlrro. Oh egli Benedetto•! che non evvl,
avanti íui torró, dimenticanzas, rifpetto, né accetra*
zione di dono, perché tutto é f u o ; e fappii, che
d'ogni pjcciol deiirro tiene c o n t ó , e ncrn t'aíficuri
la tentazione, che la FpíTa üa tuo afilo; perché a
tua onta fofti formato, e nato; a rúa onta viyi» e ;

muori, ed a tua onta devi render contó avanti jl


. & e d e ' R e il Santo Benedettp Signore.

• npi? T¡b?n npi • uhrjy $rp3 nTina» m w s

• • r -: - y > • ;! : y

G
TT • • T : • •: T - T ' -

On dieci cpmandi d'lddiofu creato il Mondo,e


che apprendi da ció? Forfe con un comanda
non poteva eíler creato ? Ma ció fece per pagarfi
maggiprmente dagí' Empj» che diítruggono que!
Mondo» che fu creato con dieci comandi; e per
daré tanto maggior premio a'Giufti, che loítenta-
no queí Mondo,che fu creatp con dieci comandi«

T
: t e p n •'p o r r ^ kbnd
Dieci etá corferp d' Adarri fino a Noach; per
far faper¿ eiuanto. di foíferenza ut:. lddip» .nientre
3 4 1 3 Wic
cutce qaelle etá continuavano ad irritarlo, finochd
fecc ven iré fopra dí eú*e l'Acque del Diluvio.

noa ^iinbearnau lyi rtíDrvftfa n w

«•cte nab roy tapi ¡o™ DÍTÓN Nata iy


Dieci era corfero dopo Noach fino ad Abra»
h á m , per far fapere quanto di foñerenza ufi Iddiof
mentre tutte quelle etá continuavano ad irritarlo,
fino che venne Abrahám, e mérito per tutti loro„
oíos inyi omaa nom nisTuí tvtoyr
' - t o x ornau ^ inan 'rtás y-nní*
• -f T T : - V 1" - T - - •

Con dieci efperimenti fu efperimentato Abra-


foám noftro Padre, e fu coftante in tutti; e ció t i
fi dice per far fapere quant'era Tamore di Dio?
che aveva Abrahám noíiro Padre»

Dieci miracoli furono fatti a'noítri Padri n e i r


Egitto, e dieci fopra il Mare.

cnxpn ^ wsn -}ris &i"?¡5n joan níap

Dieci percollé conduííe il fanto Benedetto Si-


gnore fopra-gfi Egizj nell* E g i t t o e dieci fopra il
3

Mare.
£0 ^b°n pis¡
Con dieci prove, provarono i noílri Padri fe
pieú del Santo Benedetto Signore neí Deferto,
giuíra il verfo che dice: e provarono mé giá dieci
volre> é non ubbidirono alia mia r o c e .

n^sn séttftjjpnrvaa irrfció i&p_D^p: rn&y


i&a irían rabión ito'n'njeí nw**
•Dracppn n^aa aiar *D^yp urípr»
• l a a ^ ^ / D ^ s a n o f a 9ro }r\¿h np yvx V&i
h N n n n n m s ÑVrnañ^anW iw ¿ N omitía
cnpn w á i i p i V a > i D s ^ p 3 k ^ y ] ^ n t d ¿
•DTvn DinnupiD^is^ D H p i ^ ' b ^ s n Dn^a*i
.r~?N &éi d ^ ^ P ^ r a aipjn ^ n ^ V i ^ ^ l
T 9

I otárra dpsn ^ ix iran^ DIN


Dieci miracoli fucceflfero a' noílri Padri nel
Santuario. Non aborri Donna per V odore della
Carne de'Sagriñzj. Non divenne mai fétida la Car-
ne de'Sagrifizj. Non fi vidde mofea ne'luoghi dei
Mace lio Non fucceífe accidente d' immondizia al
íommo Pontefice nel giorno del Perdono. Non
eftinfero le pioggie il fuoco delle legna dell' ordi-
n a n z a . Non diiperfe 1' Aria la colon na di fumo.
Non fi trovó mai inconveniente nella mifura del
JNgórner, ne'due pañi di fermento nuovo, o nel
•pane facciato. Nel concorfo delle folennitáftavano
tutti in piedi afibllati, e s' inchinavano fpaziofa'
m e n t e . Non offefe fexpe, o feorpione mai in Ge-
íufalemme
rufalemme» e non difle a l o m o ; provo riiiretcezzí?
a dimorare in Gerufalemme.
&sn nitf n$n pa natf anya 4*ro3 D^a-r rnfrjr
* ntfpnyiíhKrT • "i«an \p¡jrj • ]H
*ninii! * anaprn; a'nani *Tpénr roani * ]^ni
•• ¡sai rrcfib S&'iiapi *fp rpn ónpiK
Y

n a * ^ ' o n p i i í t¿V*rat^ orna^ V¿; ifeíi


'í rr-ty^na^a ' " , T

Dieci cofe prodigiofe furono deflinate rielía


Vigilia del primo Sabbato nel crepufcoio deíla (era,
e fono." I'apertura della Terra per la follevazione di
K ó r a c h , La vena del Pozzo del D e f e r í a , ' L a paro-
la deíi' Afina di Bilngám. L ' Arco di Noach. La
Manna. La Verga di Mosé, Il Samiro. Il carattere
delle Tavoíe. La Lectura di eífe . Le Tavole fieífe „
Altri aggiungono anche i D e m o n j , il Sepoícro di
M o s é , ed il Montone di Abram noftro P a d r e ; ed
altri aggiungono, anco la prima forma d oqjú inven* y

Ztone. Anche la prima Tenagliají che coi inodello.


d' altra Tenaglia doveva faríi..

oan • caria nyattfi ofeaona^n^att*


* lispai nHana¥?¿pfewi#'••»' rjs? laip' " T

* a^n? feaí irw * íTafi. nrn '-¡in ? - oías I^NI 5

]rm"\ jimife^ipÍNV nateB^'p-i ] ^ a tei r

9
w p ^ N> ipiu ¿pt¿? fei; ]i"in^ ]í"ra fei T

:0513a,pn^ni • hps*nfenttot
5 c ttc?
22 ' r é n pía
Sette cofe •fi'-oflervano nell' Ignorante, e fetre
íiel Savio: II3ayip non parla ayanti chi é rnaggio*
re di luí di fapienza, o di e t á . Non entra nel^ra-
¡gionamento de! fuo compagno. Non e. impaziente
á rifppndére. Dirnanda a proppfito, e rifponde a
doyere. Difcprre con ordine . Per quello che non
capilce, dice non ho capito; e cede alia veritá,
L'oppofto di queftc cofe fi vede nell'Ignorante.

;*na.nj£tf D ^ r i s t a n i ^ i s ^ p rro&

, T T
.:j¿n nto¿ W ayi *rihriri hiD'h' tóti i
T T- ; v T T T • y:
Sette forte di fupplizj vengono al Mondo per
fette graviíTjmi peccati. Quando parte degli Uomi»
rii le.yáho le Decirne, e parte non le leva-no; Ca*
reftía per caufa di íiccitá viene, coíicché altri pe*
nurianp, ed altri abbondano* Se univerfalmente
non leyano íe D e c i m e ; CareÜía per caufa di defo-
lazione, e íiccitá v i e n e . Se neppure levano la
C h a l a , Careflia per caula di confumamento viene.
:rrjrotórn'Ts^i*^ 'rrd? ron:?
Viene la Peíte per quelle mprti minacciate nelía
divina Legge , di cui'npn fu comrneífa Y efecuzione
•agrUomini, e per quelli, che íi trattengono l'en»
:trate delí'anno Sabbaticp,
Viene la Guerra per il ritardo della Giúfíiz.ia,
per le ingiuftizie, e per quelli, e-be' fpieja-no. .finí-"
ftramente la divina L e g g e . (

*wé ny-iattf ty' s£ñ$h JIMS fm ?®


Viene Fiera rapace per il gíufáfíienft^ iistyé
e per lo (cándalo*
«ftafofi rníag nsnV í>? c6#tf

Viene cattivitá per rídoíatrra per 1'Aduíterio


y 3

per r O m i c i d i o , e per V innóUeívánza deli* ánrio


Sabbatico. ~
nTO^aT n^aia *rmm i S f j i ^ É fif
Saa^'jnn ^ i S a i n ^ p ¿ ' ^ | i D a i TT
' *-*
: :

In quatrrd eernpiv fe' v * é peíte, # aumenta?


NeíPanno quarto', nel fefrirnó, nelf'uícire def fcf*
timo , e nell'ufcire la Feita de Taberuacolí á'ógttl
5 s

a n n o . Nell'annoquarto per aver íratcenqte le dé*


c i m e c h e G dovevano al Pavee©' h'et fcrtStf* í í e l
5D
fettimo per le decime, che gli fi dovevano nel fe-
ño. Nell'ufcire il fettimo per il tratrenerii Tentra-
£é deir&nno Sabbatico; e nell'ufcire la Feíta de'
Tabernaeoli di ciafchedun anno per I* ufurpamen»
to de'doni dovuri a'Poveri-

B# ^ 1 ^ 1 i?y R i p i a n • DTOS nnip. yais*

... 1
T
. T
t jron "0$ w - t e • TPPI
Qpattro fono le qualitá degli Uomini nell'In»
tereffe: Chi dice: il mió é tuo, ed il tuo é m i ó ;
é un Ignoran*e. Chi dice; c¡ó ch* é mió é m i ó ,
e cid ch* é tup é t u o ; queft'é V ufo ordinario ;
ed altri d i c o n ó , queft'é l'ufo di Sedóm.Chi d i c e :
ció ch'é mió, é tuo, e ció c h ' é tuo, é tuo¿ é un
Hbuón n o m o . Chi dice: c i ó , c h ' é m i ó , é mió, é
ció che é tuo, é m i ó ; é un Empio.

^ j ^ . n W rtíDi.DiyaV nía 'niyna nfro yaia*

T
-typ-) rrirf?' n^piWa ? nía '
1 T

Quattro qualitá s'attrovano in una delle paf«


-ííoni» Chi e tacile ad adirarfi, e facile ad appla-
• -caríi-, compenfa il danno col fuo vantaggio. DiíH-
, ciíe a<i adirarfi, e diíficiie ad applacarfi, compenfa
i l vantaggio col danno. Difficile ad adirarfi, e fa»
n#pV ^HiMiDtriá* iioarf
ir * ihm ¿íDtpVwg * altó pbfl'if i ^ i é

Qijatrfó qüaíirá s'attrovancf tie ÍUfeépoti: Fa-' 4

ciíe a capire, e facüe a dimenticaffi eorfipenfa ü


varitaggio col fuo dan no.- Üifficiíe á capire* e dif*
íiciíé a di-menti¿árfi compenfa il danno' col van--
raggíd. Faciíe a cápire ,• e diíBcilé a dirnenticaríl
ha budn ingegno.Difficiíe a capire¿ e faciíe á di«
mentícaííí é uña parre pefllma. • , ,

mi ib) \mi ñ ) s i i r t n ^ «Sfifia ftfíJS jfcriK


v

* Tpnb^n'H^in^jny* i^in^ ife]ntaV^n|. T

T T ••• -R . . o í . . . _

Quartro fono íe opinióni degli Üorriiñi heldaf


Eíemofina: Chi vorrebbe darían e che altíi non Ja
daífefoy egli e iñvidiofo dell'alírui mefiró. Chi
vorrebbe, che altri la dcííTero', ma egli non vor-
rebbe daría, é avaro. Chi vorrebbe e darla,, e che
altri la daffero,-e reíigiofo'. Chi ríori vorrebbe daf-'
la, né che altri Ja dañero,- é un EmpiO.
*0 ^TOpIS
T T V

Quattro forte d' Üomini s* attrovano círca il


-portara al íuogo del Sagro iludió. Chi v a , e non
apprende, ha premio per elfervi andato. Chi a p ¿

prende/fenz'andarvi, ha premio per l'apprendere.


Chi va con volontá di apprendere, e apprende, é
buono. Chi non v a , né cura di apprendere, é un
empio,

r\2üm $ao*iDKm'v&> o&to m í a ysiu


•üon nu asió KTÍIV jísp * réy\ hiatfa
nawattí ma^a * ib rá'ai í?2 debatir -isiya
nu n^riati; nsiv ünaián nü npbipi'r^ ^ n

irHoti n& n¿£ípi napn'


Quattro qualitá s'attrovano tra quelli, che af-
coltano i S a v j . Spugna, Imbuto, Colatoio, e Stac-
ció.. La Spugna, che forbe o g n i c o f a . Imbuco,ché
riceve per una, parte, e lo riggetta dali'alíra. C o -
latojo, che riggetta il vino, e trattiene le f e c d e ,
e Sraccio, che riggetta la fariña, e ritíene il fio-
re ( * ) .
njdíi ^ i i r a rr^n «*ntó ronu ^
*D?iv? n í ¿ ¿ rró i r a " r n í n n>wi. * ranu •
i
.
]Í:DU nanu'iTira n^n ^n^/n^nu im
:inbirrnn r.nríu i ? • i r a rr^n iWtfriarví
' T T • • T . T ~\ ~ T T: T : T "Vi T T.
Ogni_
(*) Marine alPufo di Levante. Fanno il fiondd
grano» /"/ migliore ph)grafio deüa fariña comune.
bgri-i amore ». che dipende da/ quaíche caufa
v a n a , ceflata ía cante ceda a n c h ' e g l i ; e q u e l c h e
°íion dipehde da caufa vana non cefla mai. Qual 3

-ehiameraífi amore dipenden te da caufa vana f co*


m e i* amore d'Amnon per T a m a r , e í'indípendeñ-
t e da caúfa vana? come 1'amore di David* e lo»
i Batán.

;.. VQuaJptíq^.'^ifjRiltd s'inttaprende con fine re-


ligtofo, i l fiío intento fará per- íprtire;.' e quelía a

!>éhé t i o á á'iurraprende con fine, .religiofo, n o n for-


¡*irá'^aj^íQu.al^cíí.iameráfii, con fine religiofo? queí-
i a d ' l l i í e l , e Sciárfiai; e quelía c h e non ha finé
^ l l g j o f o t - C Q m e quella di Korachi e fuoi feguaci.

^5p $*~h^^ :
naipn te
^ i ^ i r o ^ s ^ ^ na* ¿ w é í ¡ . : - :

'S'SSjj .ndr D^ÍJ :


n^npTvhsr." n s $ a ;
n ¿ ^ n

Ñon W tob: .-ja D ^ Tti¿isní¿ -ip¿30 MÍá


T

T T
" '*>' : f e i - í l ^ ^ ü n n
: v
ntoi ' • -;
' ' • T'n.'I ' 1:J
5
v:v v -:~ .
Ciafcheduno,: c h e / a mentare il Pubblico., non
' p e c o a r i í f e a i i e 'c.isfchedttH.(P c b e j a peccare. i|. Pu6*
1
r " ' ' ' folio? *•
na v
Jron pis
blico, non avrá modo di far penitenza. Mosé mé-
rito, e fece mericare il Pubblico, il mérito del Pub-
blico fi applica a lui; giufta la glofa del Verfo»
che dice: La Giuftizia del Signore amminiftró, ed
i fuoi giudizj con lfrael. Jarovngám peccó, e f e c e
peccaré il Pubblico, il peccato del Pubblico li ap*
plica a l u i , giufia il Verfo, che dice .".Per i pee-
cati di Jarovngám, che p e c c ó , e fece peccare
lfrael. .
>p TTnypp úhn unzi ripbp ia *d
rirónpDnn^Dnai n ^ ^ r n r a í j urna**
ttísji/nato? ni"ivriav¿ ix*y&h ¿ybzbp.

' 7 f i n D ^ 2 >¿Wp^nE *nam ¿ssv nníai


hp vipy,rh iras* bnia^ ^ v T r ó n ^ " 1 » r

fhb-\HTOWD T O K bp vynb^ypyi

hp' vrnbñ'bhx Dirn^iNi prn'K


^pk^*h^t^í•^^a? pni*] bDT^^VyWnn oy)a
T ,

n m b í d ^ t ^ d ñ nn¿ i^a ?' DTiihD^N nn¿«


1

Ciafcheduno, che poflede quefte tre qualitá,


puó d'irfi de'PifcepoIi d'Abrahám noftro Padre, e
quefte tre altre qualitá, de' Difcepoli di Bilngám
E m p i o ; cioé chi ha liberta, umilrá, e morigeratez.
za, c de'Difcepoli d'Abrajhám noftro Padre* Ava«
4 i N 1 íizis
tizis-e fuperbiá e diífolutezza é ée'Difcepoli,di Biín-
f

gátrí f'empio; oh qual differen&í? v'. é fra i Difee-


poli d' Abfahá'm noítrd Padí'e,- éd i Difeepoii di
Bilrígám V'éfiñpioí í Difeepoii ¿F Abfá-hání rioítro
Padre godtfflo ií prefente Mondó', ed éredit'efañhtf
il futuro/ giúfía il ^ e r f ó , che] dice : tio per far
eredifafe í rnrei afniciV ed í Joro tefoii émpífó; ma
1

i Difeepoii di B-ifngáíft T e m p l ó ereditano ÍMrifer-


n o , e íeeiídórío' neí Baratío„• gíiífta ií' VerfóV che"
dice; e T u ¿ D i o , 1 i far a i difeéndere áíla fÓíTa in*
1

feriore, 0 o m i ñ í fanguinarj* e d'ingáñrio norí árri-


veranad' alte rnetá deploro giofni, ed- io fperéró in
1

re. f

J e u d í figlio di *íemá dícevá-" Sij árditO' come


ií Leopardo^ agiíe come V Aqúila; veloce cótne ií
Gervó, e foVfe* corríe il Leoñe;. per efégúiíe ií vo-
lere deí Padre ch'& iñ C í e l o . '

» 3 f . fífiáí osfr^j &i§ í£ rtjn wn'

Egíi foleva direí L o sfaccíato e per ['Inferno;


il Verecendo per ií Pafadifo. Sia ií tuo Volere»
noftro Signore Iddio. che fia áhhñáats ía Caía
fanra preflo ¿ líoíífi g i o f n i er da? a a g í par re íietfa
r

tua L e g g e .
*;IF'Mjia4 na ^isní na .^ISNNBÍN ja ja
fm - jftíH "njpi * Ha ri^ai a^pi. ^rjri nai
taiÉ? *ñpiá Nnkrtla/n^n naíb'nip i ?

., II íiglió di Bagbág diceva: Voígij é rivolgi if


Libró delía divina Legge ¿ Éhé tuttó contiene f., irí
etíó fpgc&niatij fatti vécCriio¿é logora gíi arinidie-
iró. di éflo¿ né mai dá qüéllo ti pSrtífe, perche hdri
v ' h á azidné* migliore di qüeílá ¡. II figlid "di tíehg
dicevá.° fecdndó il rrávaglid fará il premio.

ja 'xcpzh &ím $pn j£npiÑ rrn &rf


$ r*fí¿$? Hitójj tfetzi ja * útázh&ig
¿

|a*nin> rrfi% j|H?ib.Mí. n n ^ ^ f n


w s í b ^ a i ^ ' ja; r^antfSrcf ja ^írré. bn$#.
' fó^b^aty ja;n3pf? b ^ fa * H|yio^pr¡ jb
1

fl^p ja *. rj-M ja 'VnofV S^lptri ti


¿ P a r t i d Wóíibjft hib íftto
/Égíi fóleva diré. L ' e t á di cingue áiini e . p e f
tófludío delía Mikrá,. L ' e t á di dieci per la Mífnáv
L ' é t á di trédici per 1* ofíervan¿a de' precetti ; L ' . etá
deí quirídeci per ítí iíudió del Talmud - L ' etá di
dieci dtto per ío (póiai\i\d. V etá di veriti cápac'e
é\ pena. L'etá di írefítá entra íri forza. L ' é t á di
(ff'üár'a'nta rieííá prudeoza., L'eta, di círiqáa'ntá capa-
r é di dar conTiglid.. L ' e r a di íeflanta entra inveé-
¿ f í i e z z a . L ' etá di fettáñrá íri vetrezza. Chi arriva
4 * a l ágl*
agíi Qttams e Sfegr¿> di g ^ f i a r d ^ m ^ ^ e t í dia0*
K

vanta é per. il'./eppkro/Néiretá/d^'cVnfó' é'"TiSo-


uno come fe, foífe> giá m o r t o ^ l u p r i del Mónd<>. v

' , ; ; w : f i s -\";^;' .; : c

o n a ^na^/^na«njtóíi p'fe p^¿b'.W

H Anno infegnaío i. Savj" ció*,, che fégúe' colla


fraí'e della M i f n á . Benedetto quegli, che fé=
ce clíezione di e l i j r e . l o r o ftudio. .

icrfc np^. mina #ptyn te •'10* T&Q'


n)tyn-%# J¡¿$'"riy ^Vf nann:D'nai>.1 .

p p m ^ g ^ d m ^ * -Ñnp¡L i ^ n .'te jte ;

m npt^^DípDn r 4 np&p ••nfnsn ántÑ


rH^npiriwapi *níj-n rveg intfajjoi 'ñin^h
•frNííonrf ip" fnprnoi J D ^ V ;
H^rt-p^
n^ánj^hTn^jr/vDp ma\ T ? paipai T, t

^ r^ibí ' n ^ p n ^ n ^ p i .nd>¿


: nJyfti
í y ^ ' ^ n ^ i ^ainpn'.pfjóa ntygrniiiH '^n
*iDia^%, Msi^nri ?¿n!?tn[ ppis
7*. P ^ Í P l J ; te tó§pfiD\.i^afiT"
RafcP'Mehit'^liceivaí oél» . & j | i ^ g ¡ ^ R f c j í o ftudiG
4e(iá £@gge'per ii feo vero fine, é íperitevofe Wmo.V
c
$&vG($&*jofo{e che tutto il Mondo gíi é ten uro. Sí
pbia;Tia ^ m p á g ñ o , amato, amante d'Iddio, aman-
te 4 é g 1 ¿ u 6 m i n i , contenta Iddio, contenta gli Uo°
m i n i . EKo poi Ió"ádorná di urnilrá» e ti more d' id.
dio, e lo capacita a diyenire Giufto, Religio,íffimo ,
R e t t o , e Fedele, lsallorttana dal peccato, ed avvi-
cina „al . m e j i t o . Si valgóno di eflo gli Uomini per
cfonfigfio, -erudiz«*ne,, -prudenza , e forteiza gftrfb$
il V e r f o , che dice: di me il coníiglio, e l'erudizio-
n e , io ho la prudenza, di me la Forrezza ; e gíi
concede fovranitá* dominio, ed inquifizione, e fe
gli fcuoprono-i mifteri della-divina L e g g e ; e d i vie-
ne qual Fonte inefauftai, e come Fiurne, che IncéT 0

rfanternente feorre, egli pero é modeflo, p a z i e n t e , c


;

fimette le fue ofFefe ; e lo ingrandífee, ed efalta fo-


pra tutto il creato. .•:> ';'f: . u y - r, ,. •
1
¡v

,rtña> pr6 ik" rh^WfhnSpi^'niftti<


s

^ FVIN'já f ¡ 9 • fñWate'ntn:tptj
,
: , Dice Rabí leofciüahg figlío di Levi l a ciafche*
Váaü giorno s'ode una voce ncl Monte Chpreb, che
-•-•'••'-•4' • 3 * --
: ;
• " I - /¿ ?líl>li<í^r
>?
pybblica, e dice : Guai-.a coloro, c h e oíFendono
divina L e g g e ; che ciafcheduno che, non s' i.rnpie»
ga nel di leí iludió, di vien fcacciato dalla prefenz^
di D i o , giufta la gloía cfel Verfo che d j c e ; Cerchi el-
lo, d 0i o in Ñarice di Porco, e bella Don na per-
!

verfa di fentirriento; ed altrq Yerfppur.gjojatp : E l e


T a volé opera di D¡p quelle, ed il Caratcere carat-
íere di Diq quello fcolpito fopra le Tavole. Non
Jeggere Charur gipé fcolpito, ma Jeggi Cherut cipe
liberta, perche non v'há Upmo libero qyanto que-
g l i , che s' impiega nellp (ludio della divina L e g g e ,
iphe chi ^impiega nella divina Legge egü é certa-
mente efaltato,'giufta la gjofa del Verfo c h e . d i c e :
e da Mataná N^chalieJ > e da Nachaíiél Bampr,

pipsi^nn^ n-An 1** in»* pl? I^np inhn


13 jin¿. •qrra nnj*' nlK fcW i m
*ipj ' ^ñfcp i ? n ^ n i tym i¡¿¿ <TÍ32>
ls#á trf t^ip ib^a' ó r a i ^ H¡'£N tóinnNp
yivnvspx^iyip\?x hút$hnú& :
vjivhi
^p%ifi\ "^D'ii^np'r-iplm ^pjb^rn ¿?m
l3Yi*np ^ 3 ^ 3 t ^ n ' w ^inn¿¿ i d b
najn W i m pis t i n o HpíVb - lyirpVisftíí.
nlKiVsNiís'"in¿¿''lisViK^nN pipslá n.m.
< 1133 13 "JIIIDÍ? n?33\ n¿¿ nn¿ nn^
•ftn?':' craan H123 np^;|^ min -11.33, p^n
-iDK^Miin K^K 3i£ r¡ri oíd ^nb D^Dn» 1

O •
mw® win oa* nnD aleo np^ "a
a

-; r ' .-' * .• T V T '.'"r"T '-Y


Chi apprende dal fuo proffmp qual fifia Jeggen»
t da lezione, o un verfo, od e'zjan.djp una letrera, é
?

in debito d* pnprarlp, cosi avenejp per tradizio-


n e , che Pay.'d R e cpífrael, non apprefe á" Achito-
f e i , che due fole colé , lo chjamó'fuo Preccttore,
D u c e , e Conofcente, giufta ii Verlo che dice: T u
fei Uomo fecpndp il mió giudizio , mió Duce, ed
Eruditpre. Dal detto puoííi argumentare: fe unDa«
vid R e d" Ifrael non apprefe d'Achitoíeí che due fo»
le cofe, e.lo chiamp lup Precettore, P u c e , e Co-
npfcentej chi apprende dal fup compagno un Trat*
t a t o , lezione, Verfo, o eziandio unaJettera, quan*
tp piü íará tenucQ ad pnorarlp? Né merita onore,
íe non chi ha ftudip dejla divina L e g g e , giufta il
Verfo che dice: Onore i Sayj erediteranñp,ed i
perfetti eredirerannp il b e n e ; né v'ha í>e"ñe, qyanto
Ja divina L e g g e ; giufta M Verfo che dice; Gíacché
Doctrina bupha hp cpnceífp a v o i , la mía Legg'e
non abbandpnate.
p?pi ^sarí n^pa ns rntin j # n?75 ija
*m jnistn fe{r^¿n n^|?pa
fntfs* fafifriy nn^ P ¿ *tójjnm rnjiroi Hrin
^ a g o ^ ^ afe n?rj pjts?a T T ^ f ? ¿¿n
5

n r a t a ^ ¿ p ; n ^ n^nn tai n t ^ ¿ ; ^ ó ^ P

:*;n^sipty-j5p^td; ^naxjp ^ a
4- 4 1 1 Quefta
otip pis
Quena é" la "maniera d'impoííe^farfi <iel-!a divina
L e g g e : Se puré fofamente pane, e fale doveffiman-
giare> bere Acqua ;a mifura, fopra la íleffa Teirra dor-
m i r é , e p'atire per finta, la toa v i t a ; ;devi tatcayia
- arTatticarti per i' acquiflo di eífa; pero fe fái -/cOsíi
beato tu e bene per t e ; beato tu in-queftoMondo,
e bene per te, nell'. altro. Non neercare-dignjráj^ne
ambire onori, piü di ció che apprendi,-opera, e
non defiderare la Menfa de' R e ; perche é maggicfe
la raa Menfa che, la loro, é parimente la 4ua, Cóxp- :

« a ; eífehdo fedele il padrone della tua opera, che


pagheratti il premio del tuo operare.

•rojjontf •ro ?pn')m n^nan ]p"nnin n^ns


,

on&Va rvop:n3na^ '."


• onaV n>i¿#í

nnptrh • n i j í i nS"ra nb#a. * bVñ-rDm


v

^¿'teai: d í n a i r p ^ ^ ^
• mtripb^pa fp¿-pa \snpba *a^a * b ^ p ^ n T

¿-ijpipin^'ü^ba j^¿rí;£2^p3 *rijrtfw p a


;

D^pañ n^DÑa* aitp ate oteN ^ a ^ p t e "fn


;

ip^na'npty;n iDipp m rapn••Hró^ntepá


;

' M.D^y? naito pvn'p Í¿»KÍ> nal*? '.rp nüt^ri


1

3niN ° hiñan na arn'K - DipEpm a n k ^ n k *


™.ani^'* nirDinn r^^anik ' : n p - m n ^
;

ontrón - '
Dife'n ^n'Tpyp Tipan ^ ¿ ^ p y p ' r o q ¿ !

• ni&:¿ n : p ipfprr -TDW. n¿p ^ ipiín

ínptfni i p ^ ^ D ^ ' n ^ i «pp'tibia D $ $


: otid D r á ™ > "int»*

•¡ 5
E di maggior. Eccellenza la Divina L e g g e , che
il Sacerdozio e l'Imperio; perché-aírImperio fi arri-
va per trenca gradi, ed al Sacerdocio per ventiquat-
t r o : ma della Legge fi fa acquifto col mezto di qua-
rantaotto c o f e , cioé con Jo ftudio > con í' áttenzione
d'orecchio* con la pfonunzia delle. k b b r a , con l*
intelligenza, con timore, con iimHrá, con^allegrez-
za,_ col fervire a Savj, con l'acutezza de'Gétáápagni „
con le difpute de* Difcepoli, con pofatezza-di m e n t e ,
con lo ftudio del letterale, con lo ftudio della Mif*
na., col darfí poco allaMereatura, con poco fonno»
con poche defizi'e, con poco rifo, con praticar po-
co il Mondo, con efler fofferente, aver buon cuore»
credenza a' Savj , con fopportar i cailighi, ricono-
i c e r il fuo grado, contentarfr di cío che fi. h a ,
lar- riparo alie fue parole, non/attrrbuiré bontá a
fe fteftb, procurare d'eífer amato amando/ I d d i o ,
'amando le perfone, amando le Carita, amando J e
'•correzioni, amando J e .reitltudini, allontahando-
fi dagli oaoíí, n o n ' Infuperbmdofi per il fuo ftiv
~ dio
dio, non rallegrandofi nel dar Sentenza , foppcr*
rando ií giogo del fyo proffirno, giudicandolo n
buona parte,, ammaeílrandolo «ella Veritá, ed in»
fegnandogli a feguire la pace , quando da pati^
fa al fuo rtudio; che dimanda, riíponde, che af~
coica per ággiugnere Dotrrina, impara con inten-
2 i o n e d'infegnare, e impara con intenzione d'efe-
guire» con acuire Pingegno del Precettoré, e dili-
gentemente conferiré la fuá lezione». e recitando*
©gní cofa a nome del fuo aurore, Dal fucceffo ap-
prendí; che chi d¡ce cofa per nome del fue» autorév
ápporta redenzione al Mondo, giuíra ir Verfo c h e
dice; E dice Efter al R e per nome di Mordocai.

Dn^íioí ¿ n D ^ n ^ i p * b t ¿ * Kan d^ai T


-
^¡tei \ r ¡ h vin nwpi iplÑi * &£"ip Viba í>aX
rrpptnina Q^nnpj ^ n D ? r i f * j ? n p k ^ n Í D ¿ $ .
TnlnrA Ü ^ D V I I ^ H ^ en ]n rrb ^pi^n&< ¿b
•|D3pnñ")^pn rn?£ jn tvl? ^jÉfeí-fr. |nn. ipiWi
•-liaai tey ntabrá n r a a i r o f j)h ipiaj
: ía'of» D í t e ] b ^ n n i k f t D ^ 7 p " ¿ " i p i w '
E ' di gran dignitá la divina L e g g e ; che da vita '
a que i che la oíiervana nel prefente Mondo, e
nefPaítro, giufta il verfo che d i c e ; Che- vita fono^
a cada un o. d;e*|ora feguaci, ed a tutta la fuá Carne"
fono. Medicina. E dice aítro. V e r f o ; Medicina íirh'~
all'U'mbirico, t u o , e bevanda alte tue Offa- E. dice
alrro Verfo: Arbore di vita é a queJJi che fi ar. *
s

tengono
W pi§
fengono ad effa , e cadauno d e ' fuoi foílentatori e
beato. E dice alero Y e r f o : Che Ghirjanda di gra*
zia fono aj• tuo Capo, e Cpllana alia tua Gola. E
dice altro Y e r f o : dará al juo; Capo Ghirianda di
g r a z i a , cqrona di gfqria ti r i p a r ; á . E dice altrOf;

V e r f o ; lunghezza di giprni nella fuá d e l i r a , e


Helia fuá fiñiílra r i c c h e z z a , e onpre. E dice altro
V e r f o , c h e lunghezza di giorni ed anni di vita*
e Pace ti raggiugneranno ^

npanm ^iiram ^wyrn roni ijn ipiN .* 1

ipwtától^n^ji p^pi^n^ó 33ni ro^rn ,,

¿¿¿n npitf tj-113 nyty niÑán nip¿


?

i p l K r p ^ 3 ¿ D ^ ^ i ^ s n V o Í 3 ^ 3 ptfpr .ni¿¿
^plái tfafo ^pV'ilálPris p^ifi3 nií^sri
^n3'niK3^^Viteonanrtn^i3i n¿Vn nism
' 1' 5 ' T ; ti ••- T • . ' ' •x - - ' • • T ' • TT ; - • T : IT 5

: i Í 3 3 r j p t 'TDI p ^ T T O l ]T"5¿
Jtabl Simngó.n figlio di Menas ja per nome di
R a b í Simngqn figlio, di Jochai d i c e v a ; La beliezza,
la f o r z a , la riephezzaV r p n o r e , ja fapienza, la ve-
t r e z z a , ed i Figli fono cofe proprie per i giufti, e
flan no bene al Mpndo, giufta il' V e n o , che d i c e :
. C o r o n a ' d i ' g l o r i a e la v e t r e z z a , nella vía di Carita
yien trovará; e dice altro Verfo; Corpna de'Vecchj
fono, i Figli d e ' F i g l j , e gloria d e ' F i g l j fono. i. loro
Padri.' E dice alero Verfó: Gloria d e ' g i o v a n i é la
loro F o r z a r e decoro d e ' V e c c h j é la v e t r e z z a . E
dice altro V e r f o : E - f i vitupererá la L u n a , e íi
confonderá
cohfbnderá ií Solé, parché-'regnd ií Signore degíí
eferciti. nel Monte jdi Sióüy~e ^n/iGerufeialáiífi * e-
alla prefenza de* íuoi Yec,cbj^Cará*T onore^ " u

niip y a t . ^ ^ ^ ^ ^ ^ S l ^ l i W ^ ^ I

1
- Rabí Simngón ¡figlio di Menasjajdi<?gva: . Que»
:

fté fette qualitá i che appropriarona -i&S&yj, augiuft**


jtutte mantennérd ih :Ra;bji e.
?
fle^oi'pgl}. *". ¿1

^fe'hmj^ ^ , a 4 n n i a p a . a i n b ' ] ¿ ^ *nijh


T

•^s^^^ aid

O*^>N 'Hi^á'ipifiíaita'b^Bjfr'&i ' a n i ^ :

; n i n ^ n n n a ^ p ^ 3 f b p i b D^gp-l n"jrñ
n T

^n^n rJiSpnvfjjr -ip^n ^at¿¿ .1jnW :

••^%0^aaéa ntrt ü^sipjftí 8 « i a f e r r ó


;i

-y-
" *
3
ífifass ^:D$O n r ^ D s n ^ -miíO *
^ Dice Rabi Jofsé figlio di Kifma: Una volta andan*
í©^ysrC^ággT»\m''jneoítífró*'tírí* U o m o , mi falutó »
ed io^ljkrefi -i¡.-> f a í u « v Mi difie,:-Rabi, abitarefti
con nó'r che ib ti córrifponderei un rniiione di de*
'ñau' d'Orat^Edl id rifpofi: f e : t i r m i daffi -turto T
«rg^ntójcéd'oiroche trovad al Mondo, non abite»
. r e í , c h é ' j n ^ b g o i ove -prbfeflafi la Legge divina»
(Cosí-le^e,ndolÍ-nei libro de' Salmi di David R e d'
ífraele': Mt giovapiü ía Legge della tua bocea che
r

migliija'd'Qri,.. ed Argén f i : Poiché .nell' ora della


. ^ o r t e rion^ accompagna T Uomb né Argento, né
p r o , o Gíoje; ma folo la divina L e g g e , e le buO-
c
é e •pperaglbní; gíufta il Verfo» che dice,- nel tuo
fCammino-ti fará guida, nel tuo giacere, ti guar-
1

dara é qaandoT ti fveglierai, ragionerá t e c o ; quafí


9

yW¡céfí^>\ nel tütí Cahimino ti guidera, in queft©


f^pnlbr-^Nel tuo giacefe tí guarderá, nelfepolcrq;
E q u a n d b ti fveglierai, ella ragionerá teco, nell' al.
'Ctia vital"E dice a l t r o V e r f o ; di me é Y argento^'¡-C
rdi rae i'orno é detto del Signore degli eferciti.
:>

?hmf)$ H K J © 0 ^ 5 . n n ^ , f . 3 p rnin • jo ^ •

r r b ' ^ r © " * f3D V w U ' b d * TiNiñ.. T ^ $ p . PÍp„


* ^ p ^ n r i ^ D n ^ n o x t a efe -£T^3$?

T ¿ ¿írt^ j-áátaiizr.• jn§?l 6^5$ rap'itfe ta?.


p^-Hp? ÍD-ÍKV nríp if. 5¿ iÜi^ V j 1 ^ 'Shg
TT

ty^pm fr| • ¿3 "^¿n *j^sn ribn fta|tes?


tafféjj &ip6 * n f e é ^ ¿ ^ ' j i D Í a^n^ pig

¿ i^nr riñip ' ' •


,.Cirique cofe col nome di ácqiiiftó poffede il San»
íó Benedetto ,Signore del Mondó e fono.- La divi-
5

na Legge; í G i e í i j . é íá'Terr'á; ÁtitáÜáihi"• Ifr'áel;écl


il Santuario. CKe lá divina Legge chíárhaii acquift©
di Dio', onde prdvafi? Dal,verfo che dice: lí Signo-
re m'acquiñó principio deílá fuá liradaá prima dellé
fué, aríriche o p e r e I G i e í i , e la Tetra i onde pro-
valí? Dal Verfo, che dice: Cosí diffe ií Signdre: . í,
O e í i fono la rriiá ,Sediá ¿ e la .Ter.rá é lo Scab'ello de'
iiíieí piecíi,- qu'aí e la Cafa, che mi fabbricHeníte i e
.qu'áí ií íuogtí del mi o ripofo? E d'yze altro Verfo. 0

¿jüánto' fono' grándi íe tue opere, S ignore;, tütte


con fapierizá le facefti,- fi empí lá Terra del id&-
ácq'uiítp'.' Abráhám, onde pro'vaü?, Dal Verfo ¿ c h e
dice: É benedí queíld, e diífe i Be áedettcf Abrañi
da Dio aítiffiín'd acquiftatore.de'Cieíí, e delía "térra»
Ifráeí,- onde p'ro'vaíi? Dal Verfo che dice: fiñóehé
paffi il tuo p'opoío, o Signóte, finoche p'aíTi il popó-
l o , che acquiííati.. E dice áítro Verfo; Per i San«i
che ríeíía Terra fono', ed i forri> il.. mío défideri»' .jii
.eífi.- L á Santa, Gafa* onde provafi ? Dal Verf>» c h e
• z? *w pin
d i c e : Scabilirnenrb della tua fede operaftí, o Signo-
r e , il Santuario, Signore, ítabilírónO le tue m a n i ,
e dice altro Verfo: e gli conduífe al confine del fuo
Santuario, queíto Monte j che acquiftó ia lúa deítra.

Í ^ K tarta tih i¡r\z tfdgn *ro# na S |


Trina ^lápbi iopsn teipM¿ *iil3D^
T

Tutto ció che creó il Santo BenedettO Sigilo»


r e , non lo creó che per fuo onore* giufta ií Ver-
lo che dice: ruttocíój che vien chiamato in mió
lióme, e per mió onore lo creai, lo formai, ed an-
oche lo feci. E dice altro V e r f o : II Signore regne»
¡rá per fempre* ed in Eterno •

I L FINE.

ni . .// JI

• ^ • v j n p p i w v o : o *jN>mp»
, ^<¡H^'• - f ^ - . „/

: y - r c \ ' * ^ ^ ^ « £ í SÍ
¿

Das könnte Ihnen auch gefallen