Beruflich Dokumente
Kultur Dokumente
3
D. CERINI, Assicurazione e garanzia del credito, Milano, 2003, in particolare cap. I.
4
Nella parola religiosa, la remissione dei debiti coincide con la remissione dei peccati, D.
CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè
Editore, 2012
2
mercato nel suo complesso, benché - si ricorda - tale posizione trovi ancora
oggi, per vari motivi, il sostegno di molti.
Sul piano della filosofia antica, si ricorda Platone che, ne La Repubblica,
esprimeva la sua contrarietà al prestito ad interessi; Aristotele, muovendo da
un'impostazione assai più elitaria della realtà sociale, circoscriveva il divieto su
base classista, poi rimossa dalla morale cristiana attraverso la sublimazione
nella generale lotta all'usura.
È noto, del resto, come accuratamente evidenziato in dottrina 5, che -
nonostante la sistemologia giuridica, anche più moderna, collochi i Paesi
appartenenti alla Western Legal Tradition nell'alveo della rule of professional
law6, sì da evidenziarne una marcata distanza dalla componente religiosa quale
fonte del diritto - la tradizione cultural-religiosa continua ad avere un ruolo
determinante in molte scelte; così come è altrettanto risaputo che le
caratterizzazioni del passato governano le regole più attuali, rivelandone tracce
anche nei sistemi giuridici occidentali. Il rapporto creditore-debitore non
sfugge certamente a questa caratterizzazione.
I testi sacri della tradizione religiosa cristiana si soffermano più volte sulla
posizione del debitore al punto che si può constatare l'esistenza di una genetica
configurazione del debitore come un soggetto in default7, tanto che il termine è
comunemente interscambiabile con quello di peccatore8. Una siffatta
impostazione non è stata del tutto scardinata in quanto, anche nella letteratura
religioso-cristiana più moderna, lo status di debitore evoca una negatività che
si corrobora tutte le volte che il debitore sia anche bankrupt9.
Come accennato, non fu, però, solo la posizione debitoria ad interessare il
formante religioso, in quanto oggetto di reprimenda fu anche l'approfittamento
da parte del creditore, tanto da essere costantemente ribadito il divieto di usura,
che vanta una lunga ed illustre storia10.
È evidente, quindi, che, se da un lato il debitore viene percepito come un
"deviante", il creditore assume una dose di responsabilità per l'approfittamento
dello stato di bisogno di denaro in cui versa il debitore: approfittamento che,
come si è detto, è in re ipsa nell'erogazione del prestito ad interessi11.
Dal II secolo d.C., la Chiesa predicò la lotta contro l'usura con la diretta ed
immediata conseguenza che sulla “demoniaca coppia” interesse e prestito
usuraio venne riversato dell’odio di chiara matrice religiosa.
5
D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè
Editore, 2012.
6
L'adozione di questa terminologia si ritrova in P.G. MONATEM-U. MATTEI, Introduzione
breve al diritto comparato, Torino, 2000.
7
Si veda P.G. CARON, voce Usura (Diritto canonico), in Noviss. Dig. It., vol. XX, UTET,
Torino, 175, pagg. 378 ss.; J. DUNCAN- M. DERRET, Bankruptcy and the New Testament, in
The Downside Review, pagg. 173-182.
8
Essenzialmente, l'indebitamento era tollerato solo se scusabile e, dunque, se il prestito era
richiesto ed offerto al fine di fronteggiare sventure.
9
L.J. McINTYRE, A Sociological Perspective on bankruptcy, in Ind. L.J., 1989, pagg. 123 e
136: "Bankruptcy is an indication that one has betrayed (or is betraying) a trust that is judged
to be important by many. Thus, the debtor contemplating bankruptcy anticipates that betrayal
of this trust will lead to a shared outrage and stigma".
10
Nel Vecchio Testamento sono riportate molte affermazioni in tal senso: nel libro dell'Esodo
(22.25) si afferma che il prestito usurario è vietato dalla divinità; nel Deuteronomio (23:20-1)
si proibisce agli Ebrei il prestito ad interessi; nel libro di Ezechiele (18:7-8, 13) il divieto è
ulteriormente rafforzato dalla previsione di un'esecuzione corporale contro coloro che si
macchiano di usura, laddove, peraltro, questa coincida con il mero interesse.
11
La ricostruzione della letteratura religiosa in argomento si può leggere nell'opera di R.
TRAVENAUX, Jansénisme et prét a intérêt. Libraire J. Vrin, Paris, 1977, pagg. 13 ss.
3
Solo con gli Scolastici e in particolare con San Tommaso d'Aquino, fu
riconosciuto il diritto del creditore di ottenere un ristoro per la perdita subita
privandosi, per un certo lasso di tempo, del proprio denaro. Tale
ammorbidimento dell’impostazione dottrinaria consentì, poi, la nascita dei
Monti di Pietà. L'abbandono della repressione del prestito ad interessi si compì
definitivamente solo con il Calvinismo.
Analoga avversione per il prestito ad interessi si può rinvenire, ancor oggi,
nel diritto islamico. Emerge una costante di fondo, si argomenta in dottrina 12,
ossia un moralismo interreligioso nella lettura del rapporto credito-debito e dei
rapporti economici più in generale13: l'impatto della legge coranica sul mondo
finanziario è ben percepibile anche per l'effetto di una sempre viva volontà di
creare un Mercato Unico Islamico che possa contrapporsi al Mercato Unico
Europeo e, più in generale, alle altre forme di globalizzazione del commercio
di matrice marcatamente occidentale14.
Il divieto di interessi rappresenta, quindi, anche nell'ambito del dibattito
culturale islamico, il vero punctum pruriens15. Il dettame coranico, pur
proibendo le ribā, non la definisce in maniera puntuale, sicché, su questa
ambiguità genetica, è fiorita una letteratura assai ampia. Pur esistendo, in linea
di principio, una chiara e netta distinzione tra usura e prestito ad interessi, in
realtà, si tende a tradurre il temine ribā con usura16 ma, poiché il livello del
tasso usurario è equivocamente precisato, esso si fa coincidere con il mero
interesse sul credito17. Il divieto di usura dà forma al contratto di mutuo senza
12
D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè
Editore, 2012.
13
Il diritto islamico, come noto, si caratterizza per essere un diritto svincolato da un potere
sovranazionale statale e legato alla diffusione della religione islamica più che ai confini
politico-istituzionali. Esso dà vita ad un sistema giuridico a-territoriale, in quanto fondato sulla
fede dei suoi appartenenti. Si veda F. CASTRO, Il modello islamico, II ed., a cura di G.M.
Piccinelli, Torino, 2007.
14
La volontà di dar vita ad un Mercato Unico Islamico si presenta come movimento di
"reazione" attraverso il quale affermare e validare i valori del diritto islamico.
Un'attualizzazione di queste idee si ritrova nel circuito delle banche islamiche. Gli studiosi
della materia hanno ben sottolineato come il sistema bancario fondato sul rispetto delle norme
islamiche, pur sempre esistito, abbia avuto un enorme incremento per effetto dei mutamenti
economici degli anni ‘70 del XX secolo, che hanno visto protagonisti i Paesi del Golfo. I
maggiori centri finanziari sono situati nel Golfo Persico e in Malaysia, anche se il sistema
bancario islamico riscuote notevole successo tra i risparmiatori in tutti gli Stati laddove è
presente, in modo significativo, una popolazione di religione musulmana. Emblematico il caso
del Regno Unito: in tale Paese, che, come noto, è caratterizzato da un'accentuata cultura
dell'indebitamento volto all'acquisto dell'abitazione (home mortgage), ma anche al credito al
consumo, un altissimo numero di musulmani alimenta la domanda crescente di servizi
finanziari conformi alla legge islamica (per ulteriori approfondimenti sulle tematiche
finanziarie si veda anche F. MIGLIETTA, L'assicurazione in contesto islamico: l'istituto del
Takaful, in DEA, 2007, pagg. 473 ss.). Oltre alla Gran Bretagna, banche islamiche si stanno
diffondendo in Germania e Danimarca e, negli ultimi anni, Francia. Le potenzialità offerte
dalla "clientela islamica" sono ben note anche alle banche occidentali, le quali sempre più
spesso offrono linee di prodotti compatibili con le regole osservate da tale segmento di
mercato. Per maggiori dettagli su questo argomento si rinvia alla fonte da cui sono stati
prevalentemente tratti i dati e le indicazioni qui riportate, cioè G.M. PICCINELLI, Banche
islamiche in contesto non islamico. Il sistema bancario islamico, Milano, 2000, così come
richiamato da D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e
perdono, Giuffrè Editore, 2012.
15
Un’ampia trattazione del tema si ritrova in N. SALEH, Unlawful Gain and Legitimate Profit
in Islamic Law, Ribâ, Gharar and Islamic Banking, Cambridge 1986.
16
WEHR, A dictionary of Modern Written Arabic, pag. 324.
4
interessi o Qard Hasan18. I cultori del diritto islamico osservano come "l'invito
divino alla remissione del debito, in concomitanza con il divieto delle usure, è
stato comunemente interpretato come un appello alla generosità del creditore e
ha influenzato la dottrina giuridica classica, la quale ha costituito il mutuo
come contratto gratuito"19. Tali principi hanno trovato pratica attuazione, nel
mondo degli affari, nella regola per la quale le banche islamiche prevedono il
mutuo senza interessi a scopo benefico, con prelievo dal fondo della c.d. zakat
(la contribuzione volontaria dei musulmani per i poveri) o decima legale,
strumento che le banche stesse gestiscono per conto delle comunità locali o dei
governi.
Orbene, alla luce di quanto sinora esposto, è dato desumere che la censura
del prestito ad interesse determini un differente approccio al tema del debito
eccessivo. È evidente che in contesti che condannano il prestito ad interessi e,
più in generale, pongono disincentivi al credito, l'esasperazione
dell'indebitamento, sino ad arrivare a stati di insolvenza, risulta più circoscritta
in quanto fortemente intrisa di quei medesimi principi moralistici che hanno a
lungo caratterizzato (e oggi solo in parte contraddistinguono) i sistemi europei
continentali.
La mai del tutto epurata prospettiva gius-religiosa è stata agevolmente
traslata nella dimensione morale laica, che riproduce l'alternativa tra morality
of duty and morality of aspiration e che, a sua volta, porta inevitabilmente a
privilegiare nell'un caso la penalty e nell'altro l'elemento premiale20, applicabile
all'insieme dei rapporti giuridici e, dunque, anche a quelli di debito-credito21.
17
Si registra, infatti, un'interpretazione elastica del divieto di ribā che riguarda non solo gli
interessi eccessivi, ma qualsivoglia forma di lucro sul prestito di denaro, con un significativo
parallelismo con ciò che avveniva, di fatto, anche nell'insegnamento religioso cristiano, come
si è ricordato più sopra. A tal riguardo, esemplificativa, in funzione di contrappeso, è la regola,
seguita dalle banche islamiche, di c.d. profit no sharing, che mira a coinvolgere il cliente nel
rischio e nelle prospettive di guadagno. Si veda, sul punto, CHACHT, Ribā (voce), in
Encyclopoedia of Islam, Vol. III, pag. 1148; N.J. COULSON, Commercial Law in the Gulf
States, Londra, 1984, pag. 11.
18
Anche questa parte attinge alla puntuale analisi di G. M. PICCINELLI, al cui lavoro Banche
islamiche in contesto non islamico. Il sistema bancario islamico, si rinvia per più ampi
approfondimenti. L'Autore, in tale opera, rammenta che "(...) la conseguenza è stata la
formazione di una dottrina musulmana di taglio sia economico, sia giuridico che nell'ultimo
mezzo secolo ha rincorso il disegno di un'economia islamica che, in prevalenza su basi
ideologiche, costituisse una valida alternativa ai progetti sociali fondati sul liberismo
capitalista e sullo statalismo socialista. Da questo approccio teorico, unito al surplus
derivante dal mercato petrolifero, è nata l'esperienza delle banche islamiche". Attesa la
insostenibilità economica di un prestito gratuito erogato da soggetti professionisti, si
comprende agevolmente come le strategie contrattuali abbiano identificato altre forme
remunerative del prestatore di denaro. Sempre Piccinelli osserva che "In Pakistan,
considerando che si tratta di un'area economicamente depressa, il qard hasam è impiegato nel
credito a scopo di consumo per l'acquisto di beni mobili di necessità”, mentre sono di fatto
escluse altre forme di finanziamento.
19
Si veda ancora PICCINELLI, loc. cit.
20
In particolare, FULLER L., The Morality Of The Law, a pag. 30, scrive: "In the morality of
duty it is understandable that penalities should take precedence on rewards. We do not praise a
man or do not confer honour to him, because he has conformed with minimum conditions of
social living. Instead we leave him unmolested and concentrate our attention on the man who
has failed in that conformity, visiting on him our disapproval if not some more tangible
unpleasantness".
21
D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè
Editore, 2012.
5
La dottrina ha individuato, in letteratura, numerosi esempi a riprova di ciò:
valga per tutti la vicenda proposta da Shakespeare nel "Merchant of Venice"22.
Il conflitto tra regole e norme - che lo scrittore, anche in relazione alla allora
esistente distinzione tra corti di common law e corti di equity, pone
magistralmente in luce nella diatriba tra Shylock e Antonio 23 - emerge, in tale
opera, in tutta la sua evidenza: esemplare è la contrapposizione tra la strict
construction del common law, che impone la fully enforceable law derivante
dall'accordo concluso e l'intervento dell'equity.
Anche discostandosi dai dettami delle fonti religiose e moralistiche, si
osserva, ad ogni buon conto, come la componente cristiana sia oltremodo
radicata nella tradizione giuridica occidentale in quanto veicolata dal diritto
canonico e anche per effetto della inscindibilità, protrattasi per secoli, tra diritto
e religione24. Per avere contezza di ciò, basti qui richiamare alla memoria come
l’admonitio generalis di Carlo Magno del 789 contenesse un divieto di prestito
ad interessi del tutto analogo a quello religioso.
La nascita degli Stati moderni ha segnato il riscatto del diritto laico da
reprimenda religiose dell'usura. L'Usury Act inglese del 1571 è considerato tra
i primi esempi di come la sanzione trasli dalla morale religiosa alla coscienza
individuale laica.
Nel 1682 Jean Le Correur, nel suo "Traité de la pratique du billet entre les
négociants", stabilisce l'importante distinzione tra il prestito ai commercianti,
che consente la location de l'argent e, dunque, una remunerazione per tale
attività, e il prestito ai non commercianti, che deve rimanere essenzialmente
gratuito (prêt de charité)25.
In tale contesto, emergono progressivamente e contestualmente figure
professionali del settore: da un lato, i soggetti erogatori di credito (le banche)
dall'altro lato, gli assicuratori. Tali professioni fecero la loro apparizione,
strutturandosi, con il passare del tempo, in forma imprenditoriale, con il
progressivo erodersi delle barriere morali all'esercizio del prestito (per le
banche) ed all'assunzione dei rischi altrui dietro remunerazione (per gli
assicuratori)26.
22
La rappresentazione del fenomeno usuraio e dell'approfittamento da, parte del creditore si
trova magistralmente rappresentato nella scrittura shakespeariana. L'opera Merchant of Venice
è senza dubbio la più incline, tra le trial scenes, alla speculazione giuridica, poiché il cuore
della vicenda si svolge proprio in una corte. J. KORNSTEIN, Kill All the Lawyers?:
Shakespeare's Legal Appeal, Princeton, in Princeton UP, 1994, rileva che The Merchant of
Venice "has spawned more commentary by lawyers than any other Shakespeare play". L'Autore
osserva che "one con easily find a discussion of every legal concept raised in the course of the
play, a detailed legal dissection of the trial scene in Act IV, and even an imaginary appellate
strategy on behalf of Shylock". Su Merchant of Venice si vedano anche, con più specifica
attenzione ai profili tecnici di definizione degli accordi contrattuali e del modo con cui sfuggire
a clausole capestro, le riflessioni di M. BIANCHI, Tecniche di redazione dei contratti
internazionali. Alcune considerazioni critiche alla luce di un famoso caso giurisprudenziale
della Repubblica di Venezia: Shylock v. Antonio, in Contratto e Impresa/Europa, 2008, pagg.
170-179.
23
Quando Shakespeare scrisse l'opera era ancora esistente la distinzione tra corti di common
law e di equity, venuta meno solo a seguito dei Judicature Acts del 1875-78.
24
Si rinvia a G. ALPA, Laicità e diritto privato, in AA.VV., Laicità e stato di diritto. Atti del IV
convegno di facoltà. Università di Milano-Bicocca, 9-10 febbraio 2006, a cura di A. Ceretti e
L. Garlati, Milano, 2006, pagg. 209 ss.
25
D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè
Editore, 2012.
26
Cfr. A. LA TORRE, L'assicurazione nella storia delle idee, Milano, 2000, II ed., in partic.
Cap. I.
6
Un tempo colui che chiedeva credito era rifuggito come uno scocciatore;
oggi il mercato va alla ricerca dei debitori e vende il credito in cambio di un
prezzo, come qualsiasi altro bene27.
Allontanandosi dalle prospettive religiosa e filosofica or ora richiamate, si
nota, da un punto di vista prettamente storico, come il debitore sia percepito in
modo assai differente nei diversi contesti.
Nell’Antica Grecia, l'economia si basava sulla schiavitù: molti schiavi
erano proprio debitori insolventi poiché la loro persona, offerta inizialmente
quale garanzia del credito, veniva ceduta, in caso di mancato pagamento, al
creditore insoddisfatto. Stessa sorte toccava agli ectemori, così come ad ogni
altro debitore che contraesse debiti con un soggetto di rango sociale
superiore28.
Anche considerando il diritto romano e la posizione ivi assegnata al
debitore, si possono trarre utili considerazioni.
Non v'è dubbio che, in via generale, la posizione del debitore fosse
scomoda, specialmente laddove il mancato pagamento si accompagnasse ad
una situazione di insolvenza. Sin dalle Dodici Tavole, infatti, l'insolvente era
esposto alla manus iniectio, avente carattere personale e penale, che
comportava l'impossessamento, da parte del creditore, della persona del
debitore.
Va evidenziato, tuttavia, come i Romani avessero ben chiara la distinzione
tra sfortuna e frode, il che nei rapporti debitori portava ad importanti
conseguenze. Il diritto romano aveva, infatti, individuato una situazione in cui
le pretese dei creditori - che erano in grado di condurre, ut supra chiarito, il
debitore ad esiti fatali - potevano essere arginate. È ben noto, come di fronte ad
un debitore sfortunato esistesse, in primo luogo, la possibilità di intervento da
parte di un c.d. vindex, il quale poteva impedire la manus iniectionem pagando
il debito o contestando la fondatezza della pretesa creditoria 29. Inoltre, era
prevista la possibilità di presentarsi di fronte al locale praetor. Il debitore dava
tutti i propri beni attraverso la cessio bonorum; se i creditori accettavano, allora
la somma realizzata veniva distribuita e il debitore sfuggiva all'infamia. Il
debitore poteva, inoltre, ottenere il c.d. beneficium competentiae, attraverso il
quale gli era riconosciuta la possibilità di conservare una parte dei suoi averi
27
D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè
Editore, 2012.
28
ARISTOTELE, Gli ectemori nell'AT.P., in Riv. Di St. Antica, Anno VII, IV, 1903; v. amplius
F. CASSOLA, Solone, la terra e gli ectemori, 1964, pagg. 19 ss.; S. CATALDI, Contributo
alla storia del diritto creditizio. Symbolaia e synallagmata in Aristotele, in Apollinaris, 55,
pagg. 194-213; E. CANTARELLA, Diritto greco, Cuem, Milano,1994; La questione del debito
eccessivo e delle sue conseguenze sociali non è dunque nuova; secondo il Comitato economico
e sociale su Credito ed esclusione sociale in una società opulenta (2008/C44/19), pag. 75, la
sua origine può essere ricercata nell’antichità classica, più precisamente nella crisi agraria che
si verificò in Grecia nel VI secolo a.C. e nelle misure adottate da Solone (594/593 a.C.) per
cancellare i debiti dei piccoli produttori agricoli, ridotti in schiavitù, venduti e poi affrancati e
reinseriti nella vita sociale e produttiva di Atene come liberi cittadini. Lo riferisce Aristotele
nella sua Costituzione degli Ateniesi, in particolare al punto 6, in cui si legge: «Diventato
padrone della situazione politica, Solone rese libero il popolo per il presente e per l’avvenire
impedendogli di far uso del proprio corpo per garanzia, stabilì delle norme e la remissione dei
debiti sia privati che pubblici e chiamò questo provvedimento seisachtheia perché erano stati
liberati dal peso dei debiti».
29
PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano, Torino, 1991, in particolare pagg. 75-77. Ne
discute anche L. GHIA, L'esdebitazione. Evoluzione storica, profili sostanziali e procedurali,
TN, 2008, pag. 19.
7
per le spese necessarie al suo sostentamento 30. Questa soluzione era praticata,
ancor prima che dai Romani, nel diritto del Medio Oriente31.
Una visione assai negativa nei confronti del ricorso al credito da parte dei
privati persisteva ancora nell'Inghilterra del XVIII secolo: nei suoi
Commetaries on the Laws of England, Blackstone affermava che "for the law
holds it to be unjustifiable practice for any person but a trader to encumber
himself with debts of any considerable value"32.
Il radicato sfavore per il prestito ai privati 33 emerge anche dalla lettura di
altri testi dai quali si evince, altresì, che le leggi già esistenti che riferivano del
fallimento, pur non identificando sempre il merchant o trader quale possibile
fallito, si applicavano, in realtà, solo a tali soggetti: gli altri erano, di fatto,
esclusi dal circuito del credito e, per tal motivo, era superflua l'attivazione di
una procedura di bankruptcy.
Nel 1932, con la pubblicazione di più di trecento decisioni fu finalmente
possibile determinare l’apporto di Lord Bacon alla storia giuridica inglese della
bancarotta34 e, in particolare, emerse chiaramente la sua contrarietà ad un'unica
sorte per gli insolventi che si rendessero inadempienti in modo fraudolento ed i
debitori incolpevoli o comunque involontari35. Si rimarca, altresì, come, tra le
30
S. SOLLAZZI, Il concorso dei creditori nel diritto romano. Napoli, 1937-38. Cfr. anche G.
IUDICA, Cessione dei beni ai creditori (voce), in Digesto, Disc. Priv., vol. II, 1988, pag. 279;
per un'accurata ricostruzione ed analisi del rapporto creditorio si veda B. BISCOTTI, Curare
bona. Tutela del credito e custodia del patrimonio tra creditori e debitore. Aspetti generali,
Milano, 2008, in particolare pagg. 210 ss.; cenni alle soluzioni romanistiche, osservate da un
common lawyers, si trovano in J. KILBORN, Mercy, Rehabilitation, and Quid Pro Quo: A
Radical Reassessment of Individual Bankruptcy, 64 in Ohio St. L.J., 2003, pagg. 870-72. Già
nell'antichità il trattamento del soggetto sovraindebitamento supera la dimensione individuale
in quanto la solonica seisachteia (o remissione del fardello) si spiega essenzialmente per la
pressione politica posta dai debitori e dal timore di una loro rivolta quale pericolo per la Polis.
Il problema appare, dunque, politico e sociale. Nel diritto romano vi furono degli atti di
cancellazione collettiva di debiti: ad esempio, la lex Valeria aveva previsto una riduzione dei
tre quarti di ciascun debito, sebbene tale provvedimento si spieghi per il carattere eccezionale
del momento storico dovuto alla fase bellica con Mitridate. Le leggi approvate nel periodo di
Cesare introdussero ulteriori misure favorevoli ai debitori. Cfr. anche quanto osservato sul
"perdono" ed il "castigo", applicabile anche ai debitori, da E. CANTARELLA, Il ritorno della
vendetta, 2008.
31
Ovviamente, la cessione dei beni ai creditori disciplinata anche dal codice civile italiano
differisce sensibilmente dalla cessio bonorum, in quanto nel tipo contrattuale descritto dal
codice l'accordo interviene direttamente tra creditori e debitore e questi assumono più che altro
la veste di gestori, non di assegnatari della proprietà dei beni come nel diritto romano; sul
diritto italiano v. G. IUDICA, Cessione dei beni ai creditori, in Digesto, Disc. Priv., pagg. 279-
285. Le figure affini sono identificate nella prestazione in luogo di adempimento (art. 1197
c.c.), nonché in relazione alla possibilità dell'erede di rilasciare i beni ereditari a favore dei
creditori del de cuius ovvero dei legatari, come prevista dall'art. 570 c.c. (SPINELLI, Le
cessioni liquidative. Napoli, 1959-1962).
32
Si veda W. BLACKSTONE, Commentaries on the Laws of England, 1765- 1769 ai paragrafi
473-74.
33
G. CROMPTON, Practice Common-Placed: On the Rules and Cases of Practice in the
Courts of King's Bench and Common Pleas, 3rd ed. 1786, pag. XIX: "If persons in other
stations of life [non-traders] will run into debt without the power of judgment, the legislature
has wisely left them to take the consequences of their own indiscretion".
34
J. RICHIE, Reports of the Cases Decided by Francis Bacon, Baron Verulam, Viscount St
Albans, Lord Chancellor of England, in the High Court of Chancery (1617-1621) prepared
from record of that Court, Sweet & Maxell, London, 1932.
35
M. QUILTER, The quality of Mercy: The Merchant of Venice in the Context of the
Contemporary Debt and Barkruptcy law of England, in Insolvency Law Journal, 1998, n. 6,
pagg. 45 ss.; I.P. DUFFY, English Bankrupt, 1571-1861, in American Journal of Legal History,
24, 1980, pagg. 283 ss. È del 1622 una significativa petition proposta da Bacon, il quale
espresse con particolare convinzione la sua contrarietà all'uniformazione tra la posizione del
8
decisioni appuntate da Bacon, ve ne siano numerose in materia di insolvency
che testimoniano come, inevitabilmente, al tempo degli Stuart, vi fosse un
legame assai forte tra insolvenza e prestito di denaro. Non meraviglia, dunque,
la circostanza che, quando tra il 1543 ed il 1620 furono approvati numerosi
statutes sulla bankruptcy, allo stesso modo furono approvate le prime discipline
legislative in materia di usura.
Nello stesso periodo si tentò, inoltre, di abolire interamente la possibilità
per i creditori di chiedere l'imprigionamento del debitore senza un adeguato
vaglio giurisdizionale. Va sottolineato, invero, che l'avversione per il prestito
ad interessi e l'approccio più generale all'indebitamento non impedirono di
sviluppare e tenere ferma una disciplina in tema di bancarotta che assunse a
proprio fondamento l'idea di esdebitazione, anche laddove mancasse una vera
indagine sulla prospettiva morale del debitore e sulle ragioni dell'indebitamento
rovinoso36.
L'evoluzione registrata nei common law systems e la decisa e definitiva
virata in tal senso ad opera del modello nordamericano, hanno determinato la
progressiva perdita di pregnanza dello stigma correlato all'indebitamento e alla
sua situazione più patologica, il fallimento. Per avere contezza dell’avversione
fino a quel momento esistente, è utile riportare le parole - ricordate dallo stesso
Adam Smith37 - utilizzate da un giudice per descrivere il fallimento:
"Bankruptcy is perhaps the greatest and most humiliating calamity which can
befall an innocent man. The great part of men, therefore, are sufficiently
careful to avoid it. Some, indeed, do not avoid it; as some do not avoid the
gallows"38.
debitore sfortunato a quello che avesse fraudolentemente omesso di adempiere alle proprie
obbligazioni. La legge inglese, per contro, non distingueva in alcun modo le due posizioni.
36
Si osserva, tuttavia, come le esperienze passate riflettessero un'economia basata sulla moneta
metallica: oro, argento, rame erano i pilastri del sistema monetario. Le economie antiche erano
molto esposte localmente ed i fenomeni di deflazione avvenivano quando l'oro o altro
materiale, per qualunque ragione, veniva svalutato. Diametralmente opposto è lo scenario che
si staglia nell'epoca contemporanea, atteso che quest’ultima si fonda sul principio
nominalistico. L'inflazione del XVI secolo e la c.d. rivoluzione dei prezzi dovuta all'afflusso di
metalli preziosi dal Sud America verso l'Europa e l'Asia ha rappresentato un’anomalia.
L'economia monetaria moderna è inevitabilmente inflazionistica, con le seguenti implicazioni:
episodi di elevata inflazione premiano i debitori in modo significativo, sempre che il loro
debito non sia in qualche modo correlato al valore d'acquisto. Il rischio monetario si presenta,
pertanto, ad effetti rovesciati. La deflazione, per contro, danneggia i debitori senza che ad essi
sia imputabile una colpa specifica “se non quella di essere nel momento sbagliato nel mercato
economico sbagliato” D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione
e perdono, Giuffrè Editore, 2012.
37
Adam Smith ne tratta in An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 39
Great Books of the Western World 1, 148 (Robert M. Hutchins ed., 1952). Anche recentemente,
il consumatore indebitato è stato spesso accomunato alla cicala, sicché un giudizio morale si
innesta inevitabilmente in quello giuridico. Ciò è tanto più vero se ci si riferisce ai c.d. serial
defaulters, ossia a coloro che si trovano ripetutamente in condizione di sovraindebitamento in
quello giuridico. L'imprigionamento per debiti fu ereditato dalla madrepatria inglese e si
arricchì, anzi, in America di ancor più terribili conseguenze, dovute alle pessime condizioni di
detenzione del soggetto indebitato.
38
Per ulteriori note cfr. in JAMES Q. WHITMAN, The Moral Menace of Raman Law and the
Making of Commerce: Some Dutch Evidence, in Yale L.J., 1996, pagg. 1841-1871, il quale
aggiunge come "To European authors everywhere in the seventeenth century, the declaration
of bankruptcy was the single most scandalous phenomenon of commercial society … all of
whom regarded the declaration of bankruptcy as a ghastly evil". Conclude, con riferimento ai
tempi più recenti, che "the prejudicial effect of the evidence relating to the prior bankruptcy
was limited particularly in light of the reduced stigma associated with bankruptcy filing"; si
veda anche, sul cambio di prospettiva intervenuto, T. ARMBRISTER, Nation of Deadbeats?,
9
Tanto premesso da un punto di vista storico e filosofico-religioso, traendo
le fila di quanto sino ad ora esposto, si rileva come il passaggio dal debito al
fallimento sia breve: l'esasperazione dell'indebitamento ha come sbocco
l'insolvenza. È questo, invero, un dato empirico ovvio che, cionondimeno,
riceve un trattamento differenziato ad opera del diritto.
Storicamente, si registra come nei sistemi di civil law l’indebitamento
eccessivo dei commercianti fosse oggetto di maggiore preoccupazione rispetto
a quello dei debitori civili.
«Infatti, mentre la dimensione individualistica si impadronì ben presto
della dinamica creditori-debitori civili sottraendoli alle procedure concorsuali,
il debitore commerciante fu altrettanto celermente sottoposto, in un'ottica
prettamente punitiva, alla procedura concorsuale»39.
Una prospettiva decisamente afflittiva era quella dalla quale lo ius
mercatorum si poneva nel considerare l'insolvenza del mercante. Si partiva,
infatti, dall’assunto che, con la bancarotta, fraudolenta o meno che fosse, il
mercante metteva a rischio non solo la propria clientela ma pregiudicava anche
la credibilità della intera classe mercantile incrinandone dall'interno le regole.
Il fallimento era, dunque, percepito come momento sanzionatorio e di
autodisciplina del mercato40.
Diritto riservato ai commercianti e per i commercianti, la disciplina del
fallimento, così come delineata nella maggior parte degli ordinamenti,
reintroduceva la par condicio creditorum in deroga alla regola romanistica
prioritatis tempore.
Quanto all'Italia, superata l'esperienza delle leggi municipali medioevali, il
giurista che voglia indagare il tema del debito eccessivo deve prima di tutto
cercare coordinate di riferimento utili ad un inquadramento sistematico del
problema.
Benché “nuovo” per dimensioni e per caratterizzazione sociologica, il
fenomeno in questione richiama in realtà il tema “antico” dell’insolvenza.
Il termine insolvenza ricorre più volte nella nostra legislazione ed il
problema della sua delimitazione concettuale si intreccia con quello
in Reader's Digest, Sept. 1998, pag. 167: "There is no longer any stigma attached to declaring
personal bankruptcy, and some consumers now regard bankruptcy as the latest entitlement - a
cost-free way to enjoy the American Dream"; D. DARLIN, The Newest American Entitlement,
in Forbes, Sept. 8, 1997, pag. 113: ‘'With the stigma of debt any bankruptcy gone, an
increasing number of Americans are filing for bankruptcy". La iniziale censura del fallito ben
si accorda con l'origine del vocabolo bancarotta, il quale, come noto, deriva dall'italiano
medievale, poiché esisteva il costume di distruggere il banco del mercante o del banchiere che
si nascondeva lasciando i creditori insoddisfatti. Come rileva D. BAIRD, "as the roots of the
word suggest, the first English bankruptcy statutes were directed at merchant debtors, and they
are vicious punitive" (D. BAIRD, Elements of bankruptcy, in New York Foundation Press,
2001, pag. 4). Circa analisi dell'attuale peso sociale della dichiarazione di fallimento, si osserva
che l'approccio giuridico sembra essere, secondo taluni, fortemente influenzato dalla più
generale percezione che all'insuccesso, quale che sia, attribuisce una società. La percezione
sociologica dell'insuccesso come qualcosa di non penalizzante o umiliante si trasferisce
sull'eventuale fallimento. Specialmente nella società attuale che non attribuisce particolare
discredito alla insolvenza dell'impresa appare difficile attribuire, poi, maggior peso al
fallimento individuale.
39
D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè
Editore, 2012.
40
G. LUZZATTO, Storia economica d'Italia, Il Mediovevo, Firenze, 1967. Nello stesso senso
F. GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2001, pag. 53, il quale ricorda come il fallimento
"mira a riparare, nella misura più ampia possibile, il danno sociale prodotto dall'insolvenza
commerciale".
10
riguardante il non univoco utilizzo fattone dal legislatore 41, ossia, detto in altri
termini, cozza con l’anfibologia del termine in questione. Il campo di indagine
è infatti così ampio che «pervade e penetra quasi tutta la teorica delle
obbligazioni», dal momento che l'insolvenza, «anche nei rapporti tra creditore
e debitore, non dà luogo, nella nostra legge civile, ad un istituto speciale, che
ne stabilisca la nozione, ne fissi i criteri per determinarla, ne organizzi una
valida difesa per premunirsene, ma è la risultante di disposizioni sparse nel
codice civile, che ne fa menzione disciplinando solo taluni effetti senza
nemmeno una disposizione che accenni al suo contenuto intrinseco»42.
Vigente il codice del 1865, dottrina e giurisprudenza erano state
ampiamente coinvolte nel dibattito in ordine alla questione se l'insolvenza
rilevante ai fini della decadenza dal beneficio del termine di cui all'art. 1176 -
mutuata dall'art. 1188 del codice napoleonico - si identificasse o meno con
quella rilevante ai fini del fallimento e se la disposizione contenuta nel codice
civile potesse applicarsi anche ai "commercianti"43.
Scintilla che aveva ingenerato la discussione era la constatazione delle
modificazioni che la norma aveva subito nei vari passaggi.
In Francia, infatti, l'adozione del code de commerce del 1807 comportò il
superamento dell'Ordinanza regia del 1673, la quale, in caso di insufficienza
del patrimonio del debitore ,disponeva - indipendentemente dall'attività svolta -
l'applicazione della disciplina della déconfiture44, basata sul principio di parità
di trattamento tra i creditori anche in caso di riparto nel corso dell'esecuzione
individuale45, in deroga al principio della priorità dell'iniziativa processuale
espresso dal brocardo prior in tempore, potior in iure46.
Il codice di commercio francese, per contro, non facendo alcun cenno alla
déconfiture, richiamava la sola faillite e individuava nella cessazione dei
pagamenti il presupposto per la dichiarazione di fallimento.
Sull'originaria indistinta disciplina dell'insolvenza del debitore sia civile sia
commerciale - disciplina imperniata sul principio del concorso dei creditori su
base paritaria - si sovrappose un severo sistema di norme volto a regolare
esclusivamente i rapporti commerciali47.
Probabilmente la déconfiture non apparve idonea rispetto all'evoluzione
economica della società dell'epoca: il presupposto per la sua apertura -
consistente nell'insufficienza dei beni a soddisfare i creditori - mal si attagliava
alla rilevanza ormai assunta dal credito per la classe dei commercianti, in un
41
BOCCHIOLA, La nozione di «insolvenza» nell'art. 1186 c.c., in Riv. dir. civ., 1978, I, pag.
206.
42
DE VICENTIIS, Insolvenza colpevole, in Digesto it., XIII, Torino, 1902-1906, pag. 1202.
Analogamente PATRIOLI, Decozione, Digesto it., IX, Torino, 1887-1889, pag. 649;
VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, I, Milano, 1928, pag. 347.
43
G. BONELLI, La decadenza dal termine del debitore insolvente, in Giur. it., 1899, IV, c. 225
ss.; POLACCO, Sugli effetti della decadenza dal termine disposta dall'art. 1176 c.c., in Riv.
dir. comm., 1915, I, pagg. 93 ss.
44
Cfr. art. 180 della Costume de Paris: «il caso di déconfiture si verifica quando i beni del
debitore tanto mobili, tanto immobili, non sono sufficienti per soddisfare i creditori apparsi »:
BAUDRY-LACANTINEIRE, Delle obbligazioni, in Trattato di diritto civile, trad. di Stolfi, II,
Milano, 1915, pagg. 184 ss. La déconfiture è, quindi, un fenomeno proprio della fase di riparto,
che fece la sua apparizione nella procedura di esecuzione individuale.
45
Cfr. CARNACINI, Espropriazione individuale e pluralità di creditori, Bologna, 1941, pagg.
76 ss.; GARBAGNATI, Il concorso dei creditori nell'espropriazione singolare, Milano, 1938,
pagg. 47 ss.
46
Per un'approfondita ricostruzione storica si veda FRASCAROLI SANTI, Insolvenza e crisi
d'impresa, Padova, 1999, pagg. 8 ss.
47
FRASCAROLI SANTI, op. cit., pag. 49.
11
contesto nel quale cominciò ad assumere rilevanza - più che lo stato
patrimoniale del debitore - la sua possibilità di accesso al credito 48, sicché
"l'avere credito" divenne sinonimo di disponibilità (sia attingendo alla cassa,
sia rivolgendosi alle banche) di mezzi liquidi per i pagamenti49.
La déconfiture riapparve nel codice civile, ma con un significato differente:
non designava più il procedimento di liquidazione giudiziale dei beni del
debitore insolvibile, bensì lo stato di insufficienza dell'attivo del debitore civile
come presupposto della decadenza dal beneficio del termine di cui all'art.
118850.
Per parte sua il codice civile italiano del 1865 faceva riferimento solo
all'insolvenza, senza peraltro chiarire il significato da attribuire a tale
espressione. Inoltre, in disposizioni considerate di applicazione specifica del
principio della decadenza del termine - come in tema di vendita (art. 1469), di
rendita perpetua (art. 1786), di fideiussione (art. 1919) - veniva fatto esplicito
richiamo sia all'insolvenza sia al fallimento, denunciando la non coincidenza
dei due termini e la loro riferibilità a categorie differenti di debitori (civili e
commerciali)51. Per altro verso, il concetto di insolvenza, rilevante ai fini del
fallimento, era il prodotto dell'elaborazione dottrinale, dal momento che l'art.
683 del codice di commercio si limitava ad individuare nella cessazione dei
pagamenti il presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento.
Superata con il codice civile del 1942 la distinzione tra atti civili e atti di
commercio, la questione ha raggiunto un ulteriore grado di complicazione
dovuto a due ordini di motivi: innanzitutto, la consapevolezza che la pluralità
di disposizioni del codice civile in cui ricorre il riferimento all'insolvenza,
utilizza questo termine declinandolo in più accezioni; in secondo luogo, la
peculiare formulazione dell'art. 5 della legge fallimentare.
Quanto al primo ordine di problemi, l'insolvenza menzionata negli artt.
1186, 1461, 1626, 1833, 1868 e 1943 del codice civile non va confusa con
quella cui fanno riferimento gli artt. 1274, 1299, 1313 e 1954 c.c.: «le regole
del secondo gruppo riguardano situazioni già consumate ed esauritesi
nell'inutile escussione del patrimonio del debitore (sicché più appropriato
parrebbe il termine insolvibilità), mentre comune al primo gruppo di regole è
un sopravvenuto mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore - sia
pure variamente graduato - tale da mettere in pericolo il conseguimento della
prestazione da parte del creditore»52.
48
FRASCAROLI SANTI, op. cit., pag. 63.
49
LAURENT, Principes de droit par Laurent, Bruxelles-Paris, 1893, XVII, pagg. 207 ss.
50
D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè
Editore, 2012.
51
BOCCHIOLA, op. cit., pag. 207. La prevalente dottrina del tempo concordava nel ritenere la
diversità dei concetti di insolvenza: cfr. GIORGI, Teoria delle obbligazioni, IV, Firenze, 1925,
pagg. 507 ss.; POLACCO, Le obbligazioni nel diritto civile italiano, I, Roma, 1915, pagg. 302
ss.; RICCI, Indole e fonti delle obbligazioni e dei contratti, Torino, 1892, pagg. 88 ss.
52
D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè
Editore, 2012. Il mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore che legittima il creditore
alla sospensione dell'esecuzione della prestazione ai sensi dell'art. 1461 c.c., si differenzia dal
mutamento che è alla base della decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186 c.c. Nel primo
caso si tratta di «una situazione generale di sbilancio economico» che rende obiettivamente
inadeguata per il singolo creditore la garanzia generica del credito, nel secondo caso «è
sufficiente una minore gravita del fatto, e cioè il sopravvenire di circostanze (incidenti anche
sulla sostanza e, quindi, sulla qualità, e non solo sulla consistenza quantitativa del patrimonio
del debitore), tali da rendere soltanto più problematico e perciò più incerto il conseguimento
della controprestazione e, in prospettiva, l'utile esperimento della eventuale procedura
esecutiva ai fini del soddisfacimento dell'interesse del creditore per equivalente»: così
12
Manca tuttavia, nel codice civile, una definizione di insolvenza e anche
l'art. 5 della legge fallimentare non definisce cosa essa sia, bensì come si
manifesta53: «con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il
debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie
obbligazioni»54. Ulteriore momento di complicazione si è ravvisato a seguito
della mutuazione da parte del legislatore di un termine di matrice aziendalistica
– crisi55 - per indicare un'ampia gamma di situazioni, dalla vera e propria
insolvenza – irreversibile - al semplice squilibrio economico-finanziario che
pone l'impresa a rischio di insolvenza56.
specie" tra le due situazioni, nel senso che «l'insolvenza rappresenta una delle forme
(sicuramente la più grave) in cui può manifestarsi la crisi dell'impresa commerciale ». Si veda
anche TERRANOVA, Stato di crisi e stato di insolvenza, Torino, 2007; GUATRI, Crisi e
risanamento delle imprese, Milano, 1986; FRASCAROLI SANTI, Insolvenza e crisi
d'impresa, Padova, 1977.
56
Critico DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi d'impresa, Milano, 2011, pagg. 17 ss.,
rispetto all'impiego in ambito giuridico di un termine che nell'originario senso aziendalistico è
un predicato dell'attività e non del soggetto, mentre predicato del soggetto è propriamente il
termine insolvenza. Si veda anche PRESTI, Rigore è quando arbitro fischia?, in fall., 2009,
pagg. 25 ss., il quale coglie un ossimoro nell'espressione "stato di crisi", dal momento che la
crisi non è uno stato, ma una fase dinamica di cui è ancora ignota l'evoluzione finale.
57
La regolarità degli adempimenti è quindi elemento decisivo per l'accertamento dello stato di
insolvenza. Alcuni Autori sostengono che i pagamenti, per essere regolari, devono essere
tempestivi ed esatti alla stregua delle regole generali in materia di obbligazioni (FERRARA, Il
fallimento, IV ed., Milano, 1989, pag. 138), mentre secondo un'altra opinione la regolarità
deve essere apprezzata con riferimento alla normalità degli strumenti solutori, sulla falsariga
delle regole dettate in materia di azione revocatoria fallimentare (ANDRIOLI, voce
Fallimento (dir. priv.), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, pag. 317). Secondo altra opinione
ancora, il pagamento effettuato con mezzi regolari è quello che si collochi all'interno della
pianificazione finanziaria delle entrate e delle uscite, con la conseguenza che non sarebbe
regolare il pagamento effettuato con il disinvestimento di assets strategici, a meno che
l'operazione rientri in un processo razionale e pianificato di ristrutturazione. Sembra più
ragionevole ritenere che la regolarità vada valutata nel complesso, in maniera globale e
prospettica: «singoli ritardi, singole anomalie nell'adempimento vengono tollerate, purché il
quadro d'insieme appaia rassicurante, e purché, soprattutto, appaia imminente il ritorno ad
una situazione di piena tranquillità» (TERRANOVA, Lo stato di Insolvenza, cit., pag. 95).
Quanto alle cause di questa impossibilità di adempiere regolarmente, si contendono il campo
teorie patrimonialiste e personaliste. Per le prime, l'insolvenza consiste in uno stato
patrimoniale caratterizzato dall'insufficienza dell'attivo a soddisfare le obbligazioni (tale
maggioritario indirizzo non è però omogeneo, poiché alcuni Autori concentrano l'attenzione
sull'impresa e sulle sue caratteristiche funzionali: cfr. S. SATTA, op. cit., pag. 43; VASSALLI,
op. cit., pag. 86; altri guardano alla complessiva situazione patrimoniale del debitore: cfr.
FERRARA, op. cit., pag. 138; BONSIGNORI, op. cit., pag. 139); per le seconde occorre dare
rilievo alla condotta del debitore, valutando i singoli inadempimenti o i singoli fatti sintomatici
dell'insolvenza (AZZOLINA, op. cit., pag. 271; PROVINCIALI, op. cit., pag. 89; N. JAEGER,
op. cit., pag. 82). Nelle prassi dei tribunali fallimentari prevale un atteggiamento di sintesi, che
stempera la contrapposizione troppo enfatizzata dalle differenti ricostruzioni teoriche: la
qualificazione dell'insolvenza come mancanza di liquidità rappresenta certamente un dato
acquisito, sul quale tuttavia si innesta la valutazione della condotta del debitore. Convincente
appare pertanto il seguente sillogismo: «se l'insolvenza consiste in una generalizzata e
prolungata impossibilità di adempiere, e se l'adempimento si sostanzia in uno specifico
contegno del debitore, se ne deve dedurre che, per accertare il dissesto, occorre formulare un
giudizio prognostico sull'attività dell'obbligato» (TERRANOVA, op. cit., pag. 118), dando
adeguata rilevanza ad indici comportamentali e valutando l'attivo con riguardo alla concreta
disponibilità di risorse economiche.
Un'impresa la cui consistenza patrimoniale rimanga immutata può infatti andare comunque
incontro al dissesto per l'intervento di fattori esterni come la chiusura di mercati di vendita dei
prodotti, i ritardi con cui le pubbliche amministrazioni pagano i loro debiti, il blocco di una
14
invece bastare affinché si verifichino agli effetti della decadenza del debitore
dal beneficio del termine58.
Argomento addotto a suffragio della tesi della diversità concettuale sottesa
all’utilizzo del medesimo termine è quella che un'importante e risalente
dottrina riteneva essere la differenza tra garanzia dell'obbligazione
commerciale e garanzia dell'obbligazione civile; «la guarentigia delle
obbligazioni di un commerciante è principalmente nel credito personale di cui
gode (...) mentre il credito del non commerciante è misurato dalla potenzialità
di garanzia che offre il patrimonio»59. Il credito al commerciante non veniva
infatti concesso in proporzione ai beni che poteva offrire ai creditori, bensì in
funzione della stima sulla sua capacità di creare nuova ricchezza: «le
operazioni di credito a favore del commerciante si consideravano, pertanto,
piuttosto sconti sul patrimonio futuro, che anticipazioni su quello attuale»60.
Conseguentemente, si argomenta, mentre l'insolvenza disciplinata nel
codice civile esprime la sua essenza nel deterioramento della garanzia
patrimoniale61, l'insolvenza commerciale la esprime nella perdita del credito62,
che ancora oggi rappresenta una sorta di «bocciatura da parte del mercato
finanziario»63, che nega il credito allorché l'imprenditore non riesca a
convincere i potenziali finanziatori della convenienza dell'operazione, nel
rapporto tra livello di rischio e rendimento atteso 64. L'insolvente è tale proprio
perché il mercato finanziario ha espresso un giudizio negativo: nessun
potenziale finanziatore ha ritenuto conveniente finanziarlo, dal momento che le
prospettive di reddito non garantiscono che il prestito possa essere
rimborsato65.
A lungo trascurato, il tema dell’insolvenza è divenuto nuovamente oggetto
di riflessione in occasione della riforma delle procedure concorsuali.
principio si ispirò anche la primitiva legislazione romana: le leggi delle XII Tavole (453-452
a.C.) statuivano, infatti, che il debitore - se non pagava i suoi debiti entro trenta giorni o se
nessuno si presentava a pagare per lui - divenisse piena proprietà del creditore, che ne
diventava il padrone e poteva decidere se venderlo oppure ucciderlo, spartendone le membra
con altri creditori. Soltanto nel 326 a.C. una sommossa popolare, provocata dal continuo
susseguirsi del macabro rituale di cui erano vittime i debitori insolventi, portò all’emanazione
della «Lex Poetelia Papiria» che, ponendo il principio per cui la vera garanzia dei creditori
doveva ricercarsi nel patrimonio e non nella persona del debitore («pecuniae creditae bona
debitoris, non corpus obnuxium esse»), sovvertì radicalmente le basi del precedente regime
dell’insolvibilità. Non sparì, tuttavia, la pena dell’infamia che, sempre ed ovunque, marchiò i
debitori insolventi, denominati, nelle fonti romane di tutti i tempi, con i termini più
disonorevoli: infames, fraudatores, diminuentes patrimonium, deceptores, conturbatores. Cfr.
PORTALE, Dalla «pietra del vituperio» alle nuove concezioni del fallimento e delle altre
procedure concorsuali, in DI MARZIO-MACARIO (a cura di), Autonomia negoziale e crisi
d’impresa, Milano, 2010, pagg. 3 ss.
71
È la celebre massima di Baldo «falliti sunt infami et infamissimi, et more antiquissimae legis
deberent tradi creditoribus laniandi... nec excusantur ob adversam fortunam; est decoctor,
ergo fraudator»: BALDUS, Opera omnia super varias partes iuris romani, editio Venetiis
MDXCV Consiliorum, vol. V, cons. 399, n. 3. Equazione non dissimile era quella che il
Bankruptcy Act inglese del 1542 poneva tra insolvente e offender.
72
Si veda ad es. l'abrogazione o la mitigazione di alcune delle conseguenze sfavorevoli che in
modo automatico discendevano dalla qualità di "fallito": artt. 48 ss., 1.fall.
73
Cfr. il c.d. Progetto Best «Ristrutturazioni, fallimenti e nuovo inizio» elaborato nel settembre
2003 da un gruppo di esperti nominato nel 2002 dalla Direzione Generale per le Imprese presso
la Commissione Europea. La predisposizione di meccanismi di allarme precoce è ivi indicata
quale strumento idoneo per prevenire l'insolvenza ed eventuali procedure di ristrutturazione e
di salvataggio sono ritenute atte alla sua gestione.
74
STANGHELLINI, Le crisi di impresa fra diritto ed economia. Le procedure di insolvenza,
Bologna, 2007, pagg. 159 ss.
75
I nuovi criteri operano ai soli fini dell'assoggettabilità al fallimento e al concordato
preventivo. In continuità con la legge fallimentare del 1942, l'art. 1 identifica, infatti, una figura
di piccolo imprenditore rilevante ai soli fini delle procedure concorsuali, diversa da quella
definita dall'art. 2083 c.c. Il nuovo testo, inoltre, risolve la controversa questione relativa alla
possibilità di considerare anche le società - a determinate condizioni - come piccoli
imprenditori: imprenditore individuale e collettivo vengono equiparati, scompare la differenza
tra imprenditore commerciale e artigiano.
76
Nella stessa direzione va la previsione formulata dal Consiglio Superiore della Magistratura
con il parere approvato dal plenum del 9 novembre 2005 sulla riforma fallimentare. Il CSM ha
infatti osservato che, se da un lato ci sarà una diminuzione del carico degli uffici fallimentari,
ci sarà «parallelamente un aggravio in altri uffici, in quanto è evidente che l'innalzamento
della soglia di fallibilità attraverso l'allargamento della definizione di piccolo imprenditore
avrà la conseguenza che i creditori, per realizzare il loro credito, saranno costretti a
percorrere la via della procedura esecutiva ordinaria».
77
FALCONE, La posizione del consumatore e gli istituti esdebitatori nelle recenti evoluzioni
degli ordinamenti concorsuali, in Dir. fall., 2006, I, pag. 841.
17
al contempo, anche quella tra imprenditori commerciali piccoli e medio-
grandi78.
Questa differenza risalta in maniera vistosa con riguardo all'istituto
dell'esdebitazione79, introdotto anche nel nostro ordinamento - sia pure tra
numerose critiche80 - con la funzione di incentivare la collaborazione dei
debitori, garantendo loro la possibilità di un nuovo inizio senza la pressione dei
vecchi debiti. Il debitore imprenditore persona fisica81 viene liberato, in
presenza di alcune condizioni82, dai debiti residui nei confronti dei creditori
concorsuali non soddisfatti integralmente: con un evidente ribaltamento di
prospettiva rispetto a quanto previsto dal vecchio testo dell'art. 120 1.fall., ai
sensi del quale con la chiusura del fallimento i creditori riacquistavano il pieno
esercizio delle azioni nei confronti del debitore per la parte non soddisfatta dei
loro crediti per capitale e interessi.
All'originaria unità concettuale dell'insolvenza come dissesto patrimoniale
ha dunque fatto seguito una differente disciplina degli effetti, che rispecchia la
valutazione di differenti tipologie di rischio e di interessi83.
Il rischio oggetto di considerazione da parte del codice civile nelle norme in
cui si fa riferimento all'insolvenza è l'incapienza della garanzia patrimoniale:
l'obiettivo è rendere proficua l'esecuzione forzata. Il rischio valutato dall'art. 5
1.fall., è invece l'eventualità che il debitore alla scadenza non paghi. Se non c'è
78
La questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 3 Cost. è stata sollevata dal
Tribunale di Bolzano e dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza n. 411 della
Corte Costituzionale in data 30 novembre 2007 (in Foro it., 2008, I, c. 6, con nota di Fabiani):
la Corte non si è pronunciata nel merito, perché la questione risultava proposta in maniera
contraddittoria, dal momento che per un verso si denunciava l'incostituzionalità dell'istituto
dell'esdebitazione in quanto tale; per altro verso, si deduceva la violazione del principio di
eguaglianza in relazione alla inapplicabilità ai debitori non fallibili.
79
Un giudizio favorevole sull'esdebitazione - con specifico riguardo al concordato preventivo –
fu espresso da CARNELUTTI, Espropriazione del creditore, in Riv. dir. comm., 1931, I, pag.
676: «vi è un interesse superiore che va oltre quello dei creditori e che deve essere tutelato ed
è l'interesse alla produzione e all'economia o, più in generale, l'interesse pubblico», sicché non
è sbagliato che «di fronte all'insolvenza del debitore meritevole si pervenga alla sua
esdebitazione mediante il sacrificio almeno parziale dei creditori».
80
SCARSELLI, La esdebitazione della nuova legge fallimentare, in Dir. Fall., 2007, 1, pagg.
31 ss.; G. COSTANTINO, L’esdebitazione, in Foro it., 2006, V, c. 210.
81
Critico rispetto alla mancata estensione al debitore civile è PANZANI, L’esdebitazione. La
riforma del fallimento e delle procedure esecutive individuali: una riforma mancata, in Le
Società, 2007, pagg. 475 ss.
82
Il fallito è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti nei confronti dei creditori non
soddisfatti se ha cooperato con gli organi della procedura fornendo tutte le informazioni e la
documentazione utile all'accertamento del passivo, se non ha in alcun modo ritardato lo
svolgimento della procedura, se non ha violato le regole di cui all'art. 48 1.fall., se non ha
beneficiato di altra esdebitazione nell'arco degli ultimi dieci anni, se non ha distratto l'attivo o
dichiarato passività inesistenti, se non è stato condannato per bancarotta fraudolenta, se sono
stati soddisfatti - almeno in parte - i creditori ammessi alla procedura. Non viene però stabilita
una percentuale minima di soddisfacimento dei creditori, con la conseguenza che anche una
percentuale irrisoria apre la strada all'esdebitazione, così come non la preclude il fatto che il
soddisfacimento parziale riguardi solo alcuni creditori, mentre altri rimangano totalmente
insoddisfatti; così ad es. Cass., SS.UU., 18 novembre 2011, n. 24215, in Foro. it., 2011,1, c.
3272, e Cass., SS.UU., 18 novembre 2011, n. 24215, in Fall., 2012, pag. 283 (con nota di
FERRO, Il parziale soddisfacimento dei creditori nell'esdebitazione) che, richiamando «il
favor per l'istituto già formulato dalla legge delegante», ritengono sufficiente che «con i
riparti almeno per una parte dei debiti esistenti, oggettivamente intesi, sia consentita al
giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, una valutazione comparativa di
tale consistenza rispetto a quanto complessivamente dovuto», v. infra.
83
D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè
Editore, 2012.
18
rischio di incapienza del patrimonio, il debitore civile che non paghi i suoi
debiti alla scadenza sarà da considerare inadempiente ma non insolvente. A
diverse conclusioni si perverrà invece rispetto all'imprenditore.
Esemplificativamente, la dottrina espone la questione nei seguenti termini: se
un imprenditore con patrimonio 100 ha debiti per 50 e l'attivo è costituito
esclusivamente da immobilizzazioni materiali non facilmente liquidabili, quel
soggetto fallirà se è possibile formulare nei suoi confronti un giudizio
prognostico di illiquidità, ma non è insolvente dal punto di vista civilistico, in
quanto possiede beni di gran lunga sufficienti a soddisfare i suoi debitori84.
L'indebitamento dell'imprenditore, però, è evento fisiologico.
«L'imprenditore infatti ricorre al credito per realizzare un guadagno
differenziale tra costo del denaro e rendimento atteso: in ciò consiste il c.d.
effetto leva del debito (leverage), che fa aumentare il capitale investito senza
aumentare il numero di coloro che possono pretendere una quota dell'utile. Più
precisamente: gli utili andranno all'imprenditore, le perdite ai creditori, che di
fatto divengono fornitori di capitali di rischio senza i diritti tipici dei soci»85.
In condizioni non patologiche le imprese hanno una struttura finanziaria
mista di credito e debito che si riflette sulla distribuzione dei poteri tra creditori
e soci: il controllo dell'impresa spetta ai soci, i creditori possono scegliere se
fare oppure no credito all'impresa, eventualmente alzando il tasso d'interesse.
In condizioni di crisi, al contrario, il creditore si ritrova in certo qual modo
"prigioniero" del debitore-imprenditore, al quale fornisce capitale di rischio
senza avere alcun controllo sulle decisioni: una sorta di "socio senza diritti" 86,
nel più ampio contesto di una "esternalizzazione del costo del fallimento"87.
In questo contesto, il concetto di insolvenza ha la «funzione di cartina di
tornasole, rivelatrice della soglia di attenzione che l'ordinamento ha istituito
al fine di consentire l'intromissione negli interna corporis dell'impresa»88.
Dal momento che le procedure d'insolvenza limitano pesantemente la
libertà d'iniziativa economica, tutelata dall'art. 41 Cost., è agevole comprendere
che esse si giustifichino solo «quando sia in pericolo un bene di rilevanza
costituzionale altrettanto elevata»89: in questo senso il concetto di insolvenza
svolge la funzione di indicatore sufficientemente preciso della situazione di
84
GALGANO, Dichiarazione del fallimento e argomenti di prova dell'insolvenza, cit., pag. 2.
La differenza tra insolvenza dell'imprenditore e squilibrio patrimoniale è ripetutamente ribadita
in giurisprudenza, fin da Cass., 14 marzo 1985, n. 1980, in Giur. it., 1986, I, 1, c. 281. Non
mancano però, di recente, sentenze che - pur aderendo alla considerazione che un assai marcato
sbilanciamento tra l'attivo e il passivo non fornisca «di per sé solo, la prova dell'insolvenza» -
affermano che non se ne possa radicalmente prescindere, «perché l'eventuale eccedenza del
passivo sull'attivo costituisce pur sempre, nella maggior parte dei casi, uno dei tipici "fatti
esteriori" che, a norma dell'art. 5, l.fall., si mostrano rivelatori dell'impotenza
dell'imprenditore a soddisfare le proprie obbligazioni»: così Cass., 9 marzo 2004, n. 4727, in
Rep. Foro. it., voce Fallimento, n. 274.
85
D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè
Editore, 2012.
86
STANGHELLINI, op. ult. cit., pag. 23.
87
D'ALESSANDRO, La crisi dell'impresa tra diagnosi precoci e accanimenti terapeutici, in
Giur. comm., 2001, I, pag. 413, osserva che la leva finanziaria non è semplicemente uno
strumento per privatizzare gli utili e pubblicizzare le perdite, poiché «favorisce la nascita e la
crescita delle imprese in modo determinante, ed è perciò benefica, strumento fondamentale ed
irrinunciabile delle economie capitalistiche».
88
GALLETTI, La ripartizione del rischio di insolvenza. Il diritto fallimentare tra diritto ed
economia, Bologna, 2006, pag. 16.
89
STANGHELLINI, op. ult. cit., pag. 18.
19
pericolo ingeneratasi e che investe il credito come valore costituzionalmente
protetto per la sua essenziale funzione economica (art. 47 Cost.)90.
La circostanza che tale soglia di attenzione venga collegata al profilo
dell'adempimento - facendo coincidere l'insolvenza con l'incapacità
dell'imprenditore di soddisfare con regolarità le proprie obbligazioni – è
razionalmente fondata: il debitore che non paga alla scadenza produce una
evidente esternalità negativa per il creditore, il quale per il solo fatto del ritardo
sosterrà costi aggiuntivi in termini di diminuzione della propria redditività o di
necessità di riorganizzare la propria struttura finanziaria91.
«Inoltre, l'impresa insolvente in modo durevole genera danni che
colpiscono tutti i soggetti con i quali si pone in relazione, poiché continuerà ad
entrare in rapporto con altre sfere economiche impegnando flussi monetari
futuri che non sono razionalmente attendibili»92. Essa, detto in altri termini,
diventa un moltiplicatore degli effetti della propria crisi, aumentando le
passività nella ricerca di liquidità93: questa situazione di pericolo per tutti i
creditori giustifica la menomazione dell'autonomia privata che si realizza per il
tramite dell’applicazione della legge fallimentare e degli istituiti in essa
disciplinati94. La reazione dell'ordinamento è giustificata dalla «necessità di
evitare che la diseconomia si diffonda ed assuma pertanto un chiaro carattere
preventivo e cautelare»95.
Nel caso del codice civile, invece, come innanzi anticipato, l'interesse
protetto dalle norme che si riferiscono all'insolvenza e, in particolare, dall'art.
1186 c.c., è l'interesse del singolo creditore alla consistenza patrimoniale del
debitore in vista di una esecuzione forzata. La norma prende infatti in
considerazione la diminuzione delle garanzie su cui poggia l'affidamento del
creditore96.
In questa cornice, l'art. 1186 protegge soprattutto il creditore a lungo
termine (quello che sopporta il rischio più elevato), sollecitandolo a tenere
sotto costante osservazione le condizioni del debitore così da poter
tempestivamente richiedere l'immediata esecuzione della prestazione in caso di
deterioramento delle condizioni patrimoniali: in una logica squisitamente
individualistica, l'ordinamento "premia" il creditore più accorto - colui che per
primo scopre l'insolvenza - e per fare ciò altera anche la scansione temporale
delle scadenze (stante la anticipazione dell'esigibilità), senza tuttavia prevedere
alcuna cautela in favore degli altri creditori, esponendoli al rischio di una
infruttuosa esecuzione una volta che sia stato soddisfatto il creditore che ha
invocato la decadenza dal termine.
Procedendo con ordine, occorre a questo punto rammentare, in una
prospettiva che tenga conto della lunga e tortuosa evoluzione della percezione
del debitore strettamente connessa alla nozione di insolvenza nelle sue diverse
accezioni, che, complessivamente, la nuova disciplina fallimentare ha
90
STANGHELLINI, op. ult. cit., pagg. 117 ss.
91
GALLETTI, op. cit., pag. 43.
92
D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Giuffrè
Editore, 2012.
93
GALLETTI, op. cit., pag. 176.
94
STANGHELLINI, op. ult. cit., pag. 118.
95
GALLETTI, op. cit., pag. 44.
96
U. NATOLI, op. cit., pag. 126, sottolinea la differenza tra la prima ipotesi e le altre con
riguardo al requisito della colpa del debitore: solo rispetto alla diminuzione delle garanzie date
o alla mancata prestazione di quelle promesse viene in considerazione una condotta imputabile
al debitore, mentre la oggettiva insufficienza della garanzia patrimoniale generica potrebbe
dipendere anche da una causa di forza maggiore.
20
introdotto rilevanti novità: oltre all'estensione dei soggetti esclusi dal
fallimento sono stati previsti strumenti volti ad accelerare la procedura, alla
valorizzazione del ruolo e dei poteri del curatore fallimentare e del comitato dei
creditori, a fronte del ridimensionamento dei poteri del giudice delegato, alla
conservazione delle componenti positive per l'impresa (beni produttivi e livelli
occupazionali); soprattutto, è stata introdotta l'esdebitazione nei casi di buona
condotta del debitore in relazione ai debiti residuanti dopo il fallimento, oltre
ad una drastica riduzione delle ipotesi di incapacità del fallito allo scopo di
agevolarne il reinserimento sociale.
Ai fini che qui più interessano, le norme di maggior rilievo si collegano alle
ulteriori modifiche introdotte con il d.lgs. n. 5/2006 entrate in vigore dal 1°
gennaio 2008. La riforma in parola ha, infatti, introdotto un diverso approccio
all'insolvenza che si discosta sensibilmente dai parametri tradizionali del diritto
fallimentare italiano e che pare essersi incanalato lungo la via dell'indulgenza
legislativa per il fallito.
Si consideri, a questo proposito, che gli effetti personali del fallimento si
sono ridotti notevolmente grazie alla soppressione del pubblico registro dei
falliti, prima previsto dall'art. 5097. Ciò è riprova della non estraneità
dell'elemento moralistico e di come, al contempo, l'ordinamento si sia allineato,
quantomeno nell'ambito del fallimento dell'imprenditore, ai modelli legislativi
propri di altri Stati.
Si segnala, in particolare e a conclusione di questo lungo excursus, come il
nuovo testo dell'art. 142 l.fall. preveda una chiara regola di esdebitazione
attraverso la concessione del financial fresh start per l'imprenditore meritevole.
Nella legge novellata, come innanzi accennato, è ammessa la liberazione
del fallito a condizione che ricorrano una serie di requisiti soggettivi, riferiti
cioè al comportamento del debitore. Il beneficio dell'esdebitazione determina
l'inesigibilità dei crediti nei confronti del fallito, in netta antitesi con quanto era
stabilito dal previgente art. 120 l.fall. 98. In particolare, la previsione opera nei
confronti dei crediti concorsuali non soddisfatti e dei crediti pre-concorsuali
per i quali non sia stata presentata domanda di ammissione al passivo e nei
limiti della parte eccedente alla percentuale attribuita al concorso con i
creditori di pari grado (art. 144 l.fall.) 99. L'inesigibilità determina la
97
Sulla precedente disciplina v. SANTARELLI, Della riabilitazione, in Commentario, a cura di
Scialoja-Branca; AA.VV., Legge fallimentare, a cura di F. Bricola, F. Galgano, G. Santini, artt.
118-145, Bologna-Roma, 1977.
98
Il disposto dell'ultimo comma dell'art. 120 l.fall., ora superato, prevedeva che i creditori
riacquistassero il libero esercizio delle azioni verso il debitore fallito per la parte non
soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi.
99
L'art. 142 è titolato all'esdebitazione e prevede che "Il fallito persona fisica è ammesso al
beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non
soddisfatti a condizione che: 1) abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte
le informazioni e la documentazione utile all'accertamento del passivo e adoperandosi per il
proficuo svolgimento delle operazioni; 2) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a
ritardare lo svolgimento della procedura; 3) non abbia violato le disposizioni di cui
all'articolo 48; 4) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la
richiesta; 5) non abbia distratto l'attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o
aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del
movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito; 6) non sia stato condannato con
sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l'economia
pubblica, l'industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio
dell'attività d'impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il
procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all'esito di
quello penale". Il comma secondo stabilisce che “L'esdebitazione non può essere concessa
21
trasformazione delle residue obbligazioni gravanti sul debitore in obbligazioni
naturali100. Anche nella versione novellata, sono esclusi dall'esdebitazione i
crediti derivanti da responsabilità extracontrattuale, da sanzioni penali o
amministrative non accessorie a debiti estinti, nonché le obbligazioni derivanti
da obblighi di mantenimento o alimentari o relativi a rapporti estranei
all'esercizio del diritto dell'impresa (art. 142, comma 3).
Viene, inoltre, confermato che l'esdebitazione non opera nei confronti dei
coobbligati, degli obbligati in regresso e dei fideiussori del fallito (art. 142,
comma 4). Come rilevato, "si tratta in questo caso di pretese che si indirizzano
verso patrimoni di altri soggetti a favore dei quali non vi sarebbe ragione di
far operare un meccanismo liberatorio (...)". La posizione di tali soggetti è resa
però più onerosa rispetto a quella del debitore principale, denotando, anche in
tal caso, la scarsa attenzione del legislatore nei confronti dei garanti.
Ora, per la persona fisica l'esdebitazione conseguente al fallimento è
incentivo all'inizio di nuove attività imprenditoriali o altre attività economiche
produttive di ricchezza. Essa rappresenta, altresì, un elemento premiale per il
fallito che chieda tempestivamente l'attivazione della procedura al fine di
evitare l'aggravamento della posizione debitoria e la permanenza nel mercato di
società insolventi. La prospettiva retributiva e l'abbandono della funzione
punitiva del fallimento sono, dunque, evidenti e costituiscono, nel sistema
italiano, un precedente assai significativo.
Trova completamento, così, un percorso che nel tempo ha teso ad
assottigliare le sanzioni personali nell'ambito del fallimento e della bancarotta.
Si rammenti, ad esempio, che Candian, ancora nel commentare la disciplina del
Codice di Commercio in vigore sino al 1942, affermava che "L'insolvenza -
giudizialmente dichiarata con sentenza di apertura del fallimento - è per se
stessa un fatto punibile; una serie di sanzioni penali colpisce il fallito nel
momento e per il fatto stesso della apertura del concorso; un'altra serie di
sanzioni penali non gli si applicano automaticamente, bensì in quanto
all'illecito penale della insolvenza si assommino uno o più altri fatti, che
qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali”. Inoltre, al
comma 3 è previsto che restano esclusi dall'esdebitazione: a) gli obblighi di mantenimento e
alimentari le obbligazioni derivanti da rapporti non compresi nel fallimento ai sensi
dell'articolo 46; b) i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale
nonché le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a
debiti estinti. Infine, al comma 4, si chiarisce che sono salvi i diritti vantati dai creditori nei
confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso. L’art.
143 individua il procedimento di esdebitazione “I. Il tribunale, con il decreto di chiusura del
fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l'anno successivo, verificate le condizioni
di cui all'articolo 142 e tenuto altresì conto dei comportamenti collaborativi del medesimo,
sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara inesigibili nei confronti del debitore già
dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente. II. Contro il decreto che
provvede sul ricorso, il debitore, i creditori non integralmente soddisfatti, il pubblico ministero
e qualunque interessato possono proporre reclamo a norma dell'art. 26". L'art. 144 l.fall.,
rubricato ‘Esdebitazione per i crediti concorsuali non concorrenti’ prevede quanto segue: “Il
decreto di accoglimento della domanda di esdebitazione produce effetti anche nei confronti dei
creditori anteriori alla apertura della procedura di liquidazione che non hanno presentato la
domanda di ammissione al passivo; in tale caso, l'esdebitazione opera per la sola eccedenza
rispetto a quanto i creditori avrebbero avuto diritto di percepire nel concorso". È stato
abrogato l'art. 145, che individuava le condanne penali ostative alla riabilitazione.
100
Pertanto, in caso di pagamento spontaneo da parte del debitore, il credito non è ripetibile in
applicazione dell'art. 2034 c.c.
22
possono anche per comodità continuare a chiamare, secondo la terminologia
corrente, fatti di bancarotta"101.
Più precisamente, basti ricordare sul punto le sanzioni automatiche
applicate al fallito quali il divieto di allontanamento dalla residenza (art. 608
cod. comm.), l'iscrizione del nome nell'albo dei falliti e nel casellario
giudiziale, il divieto di entrare nei locali delle borse, l'interdizione dell'esercizio
di uffici giudiziari, l'incapacità elettorale attiva e passiva, l'inibizione ad
assumere numerose cariche pubbliche e societarie, l'esclusione dagli uffici
tutelari.
La natura penale di tali sanzioni era da più parti contestata, come osservava
lo stesso Candian, in quanto ben si poteva constatare, nella sostanza, la
vocazione punitiva delle norme citate, sebbene la loro applicazione non
conseguisse all'esito di uno specifico procedimento concluso con
provvedimento di condanna penale.
Orbene, se questo è il sostrato storico-culturale su cui si innesta
l’esdebitazione, le criticità dell’istituto riguardano l’assenza di alcuna
indicazione normativa circa la misura in cui debbano essere stati soddisfatti i
creditori al fine di ottenere la liberazione dai debiti residui.
È proprio il soddisfacimento dei creditori concorsuali ai fini della
concessione della esdebitazione ex artt. 142 e ss. l.fall. l’oggetto del
vivacissimo dibattito, ancora in corso, che anima dottrina e giurisprudenza, a
loro volta spaccate al loro interno e divise in fazioni ognuna delle quali
arroccata sulla propria posizione e forte degli appigli normativi e
giurisprudenziali a sostegno della propria tesi, potendosi i termini del dibattito
riassumere in poche chiare e concise battute: «Ubi lex voluit dixit, ubi noluit
tacuit» vs «Lex minus dixit quam voluit».
*********
soltanto di essi.
101
A. CANDIAN, Il processo di fallimento, cit., pag. 504.
102
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 18.11.2011, n. 24215, in www.unijuris.it.
23
La disputa è sorta, come anticipato poc’anzi, a seguito delle contrastanti
“l’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti,
letterale dell’art. 142, comma 2, l.fall., sia del dato sistematico delle
disposizioni di cui agli artt. 142, 143 e 144 l.fall., sia della ratio legis,
della norma.
cui all’art. 144 l.f., dovrebbe adottare una ricostruzione esemplificativa” della
citata norma “intesa solo come regola di disciplina del riparto ai privilegiati,
Altra parte della dottrina107 ritiene, invece, che la condizione oggettiva ex art.
142, comma 2, l.fall. sia integrata dal soddisfacimento, sebbene parziale, di una
sia della mancanza di univoche e precise indicazioni nel testo degli artt. 142,
comma 2, 143 e 144, l.fall., sia del contenuto dell’art. 1, comma 6, lett. a) n.
13, della legge delega n. 80/2005, sia della disciplina del concordato
fallimentare, sia della ratio legis consistente nella esigenza di liberare il fallito
dal peso dei debiti residui all’esito della procedura liquidatoria onde assicurare
105
Cfr., V. SANTORO, commento sub. art. 142 l.f., in La legge fallimentare dopo la riforma,
pag. 1869.
106
Cfr., M. FERRO, Commento all’art. 142 l.f., in La Legge fallimentare, pag. 1603.
107
Cfr., L. PANZANI, L’esdebitazione, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., pagg. 831 ss.; E.
FRASCAROLI SANTI, L’esdebitazione del fallito, cit., pag. 1420, la quale ha evidenziato che
“… sembra del tutto indifferente se siano rimasti insoddisfatti i creditori chirografari, purché
siano stati soddisfatti almeno in parte i creditori privilegiati, anche se la quota distribuita sia
risultata minima”; L. GHIA, L’esdebitazione: evoluzione storica, profili sostanziali,
procedurali e comparatistici, in La procedura fallimentare, cit., pag. 665; G. CAVALLI, Gli
effetti del fallimento per il debitore, pag. 109; V. ZANICHELLI, La nuova disciplina del
fallimento e delle altre procedure concorsuali, Torino, 2008, pag. 385.
25
L’orientamento che appare prevalente108 ritiene che, ai fini della concessione
agli artt. 143 e 144 l.fall., sia la lettura costituzionalmente orientata della norma
Altra parte della giurisprudenza di merito 110 ritiene, invece, che la norma ex art.
142, comma 2, l.fall. vada interpretata in termini estensivi, nel senso che, al
creditori.
francese), sia la disposizione di cui all’art.1, comma 6 lett. a) della legge delega
n. 80/2005, sia la eliminazione dal testo dell’art. 142 l.fall. della originaria
crediti chirografari almeno nella misura del 25%, sia l’ambiguità del dato
letterale delle disposizioni di cui agli artt. 142, 143 e 144 l.fall., sia la ratio
reinserimento del fallito nel mercato, sia la circostanza che nel concordato
110
Cfr., Tribunale Terni, 7.3.2011, in www.ilcaso.it; Tribunale Vicenza, 1°.12.2009, in Juris
Data, Redazione Giuffrè, 2010, in motivazione, secondo cui “… è sufficiente aver soddisfatto
mediante un riparto, almeno in parte, anche solo alcuni dei creditori concorsuali, senza
distinguere tra creditori privilegiati e chirografari”; Corte di Appello Bari, 14.4.2009, in
www.osservatorio-oci.org, 2010; Corte di Appello Ancona, 12.12.2008, in Fall., 2009, 1184;
Tribunale Taranto, 22.10.2008, in Fall., 2009, 1188; Corte di Appello Bologna, 8.7.2008, in
www.utetgiuridica.it; Tribunale Piacenza, 17.4.2008, in Juris Data, Redazione Giuffrè, 2009,
nonché in Fall., 2009, 1189; Tribunale Mantova, 3.4.2008, in Fall., 2009, 1193, secondo cui “è
sufficiente il pagamento di una parte dei crediti privilegiati”; Tribunale Mantova, 18.9.2008;
Tribunale Firenze, 2.4.2008; Tribunale Piacenza, 25.9.2006.
111
Cfr., ex plurimis, Tribunale Terni, 7.3.2011, cit., in motivazione, secondo cui va “…
valorizzata la portata innovativa dell’istituto dell’esdebitazione, adottato nel nostro
ordinamento sulla scorta delle positive esperienze maturate in altri ordinamenti, primo fra tutti
quello statunitense … accanto a quello tedesco …, o a quello inglese …, così come quello
irlandese … e a quello francese … Punto ineludibile di riferimento della ricostruzione
dell’istituto deve poi essere la corrispondente previsione della legge delega (l. 14 maggio
2005, n. 80), il cui art. 1 co. 6 lett. a) n. 13 prevede …; Corte di Appello Bari, 14.4.2009, cit.,
in motivazione.
27
fallimentare è possibile che si verifichi il soddisfacimento parziale, anche in
A seguito del ricorso, ex art. 111 Cost., avverso i decreti della Corte di Appello
di Milano del 17.7.2009 e della Corte di Appello di Firenze del 15.4.2009 - che
Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., considerata la novità della
fallimentari”.
qui rileva, che la ordinanza di rimessione della questione - nella parte in cui
senza, però, dare “l’opportuno rilievo alle profonde differenze tra i due istituti:
provenire solo dal fallito, il fallito deve risultare meritevole altresì per
30
eventualmente ipotizzato, e sia pure alla fine, nella procedura fallimentare, il
precedenti con nuovi impegni … ma chiede una misura umanitaria per sé (che
economico, essendo questa … una ratio nota nei lavori preparatori ma del
tutto priva, qui si osserva e per le ragioni appena dette, di qualsiasi tangibile
proiezione)”.
sentenza n. 24215/2011, dopo aver dato atto della esistenza, sia in dottrina, sia
sufficientemente chiari e univoci nella disciplina legislativa di cui agli artt. 142,
comma 2, 143 e 144 l.fall., va “considerata preferibile”, alla stregua della ratio
legis e del dato normativo di cui all’art 1, comma 6, lett. a), n. 13, legge delega
di interpretare la norma sia in termini restrittivi, nel senso che la “parzialità del
31
privilegiati e chirografari, sia in termini estensivi, nel senso che “la detta
Analoghe considerazioni valgono per i successivi artt. 143 e 144 l.fall., il cui
soddisfazione, sia della circostanza che la disposizione di cui all’art. 144 l.fall.
alcuna attinenza né con il numero dei creditori, né con la misura della loro
soddisfazione115.
114
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 18.11.2011, n. 24215, cit., in motivazione, secondo cui
“… la disposizione di cui si contesta la corretta applicazione … è quella contenuta nel secondo
comma dell’art. 142 l.fall. ... La detta formulazione, tuttavia, presenta evidenti margini di
equivocità e non consente quindi di ricostruire, con la certezza che viceversa è necessaria la
volontà del legislatore. Ed infatti l’avvenuta individuazione della condizione per il
riconoscimento della esdebitazione nella parzialità del soddisfacimento dei creditori
concorsuali può essere correttamente applicata, da un punto di vista prettamente letterale, in
un duplice senso, vale a dire: a) nel senso che la parzialità si riferisca al non integrale
soddisfacimento di ciascuno dei creditori esistenti …; b) nel senso che la detta parzialità sia
viceversa rapportata al numero complessivo dei creditori, interpretazione dalla cui
condivisione discenderebbe che l’esdebitazione sarebbe concedibile pur a fronte di un
soddisfacimento limitato ad una parte soltanto dei creditori ammessi, e che trova conforto
nell’avvenuto richiamo, da parte del legislatore, ai creditori anziché ai crediti, senza alcuna
specificazione in specificazione in ordine alla totalità di essi …”.
115
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 18.11.2011, n. 24215, cit., in motivazione, secondo cui
“… Non giova inoltre, ai fini ermeneutici, il dato testuale relativo agli altri due articoli (143 e
144) che il legislatore ha dedicato alla disciplina dell’istituto dell’esdebitazione, articoli che
secondo la Corte di Appello di Milano confermerebbero la subordinazione della concessione
del detto beneficio alla realizzazione dell’avvenuta condizione del pagamento parziale di tutti i
creditori, ma la cui formulazione letterale tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto, non
conferisce alcuna certezza sul piano interpretativo. Ed invero, per quanto riguarda l’art. 143,
primo comma, la disposizione prevede la declaratoria di inesigibilità dei <debiti concorsuali
non soddisfatti integralmente>, previsione che da un punto di vista lessicale appare di per sé
imprecisa, atteso che nel rapporto obbligatorio il soddisfacimento è riferibile ai crediti e non
ai debiti, come viceversa indicato. Inoltre occorre considerare che l’articolo in questione
disciplina il procedimento di esdebitazione e, per la parte di interesse, stabilisce quale è
l’effetto del provvedimento emesso al relativo esito, precisando in particolare, con una
connotazione cui è attribuibile una valenza puramente oggettiva, e non soggettiva, che la
prescritta liberazione opera per quanto concerne i debiti (che in realtà, come detto, sono i
crediti) insoddisfatti integralmente, e ciò quindi indipendentemente da ogni riferimento al
32
Le Sezioni Unite hanno quindi ritenuto, con le motivazioni della sentenza
dell’esdebitazione”.
che l’istituto della esdebitazione, già presente in altri Paesi (Stati Uniti,
che, per ciò solo, non può determinare la definitiva e automatica eliminazione
acquisite116.
attività, senza avere pendenze, ovvero senza dover subire limitazioni alle
In altri termini, secondo le motivazioni addotte dalle Sezioni Unite con la citata
del sistema a danno dei creditori” non costituisce il “punto di equilibrio” che il
117
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 18.11.2011, n. 24215, cit., in motivazione, secondo cui
“… In questo quadro complessivo di riferimento l’estinzione dei propri debiti (sia pur non
automatica ma subordinatamente all’esistenza di specifiche condizioni) assume per
l’imprenditore una valenza centrale, sia in termini di prospettiva che in relazione all’esito
venutosi a determinare. Quanto al primo punto, risulta di assoluta evidenza come la
consapevolezza dell’estinzione (sotto il profilo dell’inesigibilità) delle proprie esposizioni
debitorie possa favorire la tempestiva apertura di procedure concorsuali ed indurre comunque
il debitore a non porre in essere condotte dilatorie ed ostruzionistiche. Quanto al secondo,
appare altrettanto evidente che la cancellazione dei debiti pregressi costituisce la premessa in
punto di fatto che consente al debitore, che riprende la sua attività senza avere pendenze di
sorta, di poter espandere pienamente le proprie potenzialità, senza dover subire limitazioni
alle proprie iniziative, per effetto dei debiti precedenti …”.
118
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 18.11.2011, n. 24215, cit., in motivazione, secondo cui
“… L’eccezionalità dell’istituto è invero riconducibile all’avvertita esigenza (già sopra
richiamata) di consentire al debitore imprenditore di ripartire da zero (“fresh start”), dopo
aver cancellato i debiti pregressi (“discharge”), ed è il soddisfacimento di tale esigenza,
dunque, oggetto della mediazione che il legislatore ha attuato in relazione alla tutela dei
principi vigenti nel nostro ordinamento, potenzialmente contrastanti. Compito dell’interprete,
pertanto, è proprio quello di stabilire il punto di equilibrio individuato al riguardo dal
legislatore, punto di equilibrio che non appare individuabile in quello idoneo ad evitare uno
sbilanciamento del sistema in danno dei creditori, non risultando tale obiettivo né dal dato
testuale della legge delega, né dalla ratio dell’istituto …”.
34
dell’istituto non si pongono in sintonia con le opzioni effettuate dal legislatore
delegante”.
L’ulteriore elemento che, ad avviso delle Sezioni Unite, depone a favore della
consista nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei
tutti quelli chirografari”, per cui, una eventuale interpretazione restrittiva, che
Costituzione119.
L’altro dato che, secondo le motivazioni della citata sentenza, milita a favore
al 25%”.
Le Sezioni Unite hanno osservato, altresì, che gli argomenti, in senso contrario,
119
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 18.11.2011, n. 24215, cit., in motivazione, secondo cui
“… Nella specie, come sopra evidenziato, il legislatore delegante, che aveva disposto
l’introduzione dell’istituto dell’esdebitazione, non aveva posto limiti nella disciplina del
relativo procedimento e soprattutto, per la parte di interesse, nella individuazione dei
presupposti ai fini del relativo accesso, sicché ogni eventuale limite al riguardo (e quello
affermato dal giudice del merito risulta di significativa incidenza) desunto dal decreto
delegato si porrebbe in contrasto con la legge delega, e quindi con quanto prescritto dalla
Costituzione (art. 76 Cost)…”.
35
responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c. e di sopravvivenza
(“discharge”)120.
Inoltre, si legge nelle motivazioni della citata sentenza che “… una corretta
del ceto creditorio”, in quanto, fermo restando che, con l’art. 142, comma 2,
quantitativi, “… sarà compito del giudice del merito, con il suo prudente
“si tratta di affermazioni non connesse con il tenore della decisione adottata,
120
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 18.11.2011, n. 24215, cit., in motivazione.
36
L’ultimo argomento addotto dalle Sezioni Unite a sostegno della
sentenza, dopo aver rilevato che “il meccanismo esdebitatorio, pur essendo
(art. 184 l.fall.) e fallimentare (art. 135 l.fall.) ...”, hanno condiviso le
disposizione ex art. 142, comma 2, l.fall. non appaiono del tutto condivisibili.
142, comma 2, l.fall., fermo restando che la citata sentenza, come già
37
In tal senso depone, altresì, la interpretazione letterale – sistematica degli artt.
142, comma 1, 143 e 144 l.fall. che disciplinano l’istituto della esdebitazione.
144 l.fall. con riguardo alla ipotesi in cui vi siano creditori concorsuali non
percentuale attribuita121.
almeno parziale, dei “creditori concorsuali”, e non di una parte soltanto di essi.
grado ex art. 144 l.fall. fanno ritenere che, ai fini della concessione del
L’ulteriore dato che, a parere di scrive, milita a favore della interpretazione c.d.
121
Cfr., sul punto, M. FERRO, Commento all’art. 142 l.f., in La Legge fallimentare, cit., pag.
1601; Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo - Relazione n. 35 del
14.4.2011 su questione di massima e di particolare importanza, Red. M. FERRO, cit., pag. 18.
38
della esdebitazione e dalla lettura costituzionalmente orientata della norma in
esame.
Unite, destano qualche perplessità, atteso che, come emerge dal testo della
5/2005, la finalità (rectius: ratio) della esdebitazione, consiste non solo nella
nuovo inizio” (c.d. “fresh start” di ispirazione americana), “una volta azzerate
mercato”.
Infatti, si legge nella citata Relazione illustrativa del D.Lgs. n. 5/2006, con
122
V. supra.
39
modo tale da evitare che, nell’applicazione pratica, possa incentivare
solo del credito bancario e finanziario ma anche del sistema delle forniture,
vanno individuate sia nella esigenza, avvertita dal legislatore della riforma
economica dopo aver azzerato tutte le proprie posizioni debitorie 124, sia nella
Alla luce del contenuto della Relazione illustrativa del D.Lgs. n. 5/2006
economica del fallito per permettergli un nuovo inizio” (c.d. “fresh start” di
esdebitazione, oltre che dei principi costituzionali ex artt. 42, comma 3, 3 e 24,
comma 1, Cost.
reinserirsi nel mercato per iniziare una nuova attività d’impresa, nonché a
previsto dal legislatore della riforma, che l’istituto della esdebitazione “possa
125
Cfr., V. SANTORO, commento sub. art. 142 l.f., in La legge fallimentare dopo la riforma,
pagg. 1864, 1869; F. PASI, L’esdebitazione, in Fallimento e altre procedure concorsuali,
diretto da G. FAUCEGLIA e L. PANZANI; G. SCARSELLI, La procedura di esdebitazione,
Manuale di diritto fallimentare, pagg. 427, 433; G. FALCONE, L’esdebitazione del fallito, in
La riforma organica delle procedure concorsuali, pagg. 551 ss.
126
Cfr., G. CAPO, L’esdebitazione del fallito, in La custodia e l’amministrazione,
l’accertamento del passivo, la liquidazione e la ripartizione dell’attivo, la chiusura del
fallimento, cit., pag. 553; V. SANTORO, commento sub. art. 142 l.f., in La legge fallimentare
dopo la riforma, cit., pagg. 1871, 1878; A. CASTAGNOLA, L’esdebitazione del fallito, cit.,
pagg. 448 ss.; P. FILIPPI, La soddisfazione dei creditori concorsuali ai fini della concessione
del beneficio dell’esdebitazione, pag. 11; L. MARCHITTO, Appunti in tema di esdebitazione
del fallito, pagg. 843 e ss.
41
“uno squilibrio del sistema” economico – finanziario e creditizio a danno dei
insolvente.
fallimentare.
Tanto più che la finalità di consentire al solo debitore fallito persona fisica di
all’esito della procedura fallimentare ex art. 120 l.fall., atteso che, in mancanza
127
Cfr., sul punto, M. FERRO, Commento all’art. 142 l.f., in La Legge fallimentare, cit., pag.
1600, il quale ha evidenziato che, con l’esdebitazione, il fallito “… chiede una misura
umanitaria per sé (che non necessariamente lo condurrà a ripresentarsi sul mercato come
soggetto economico, essendo questa … una ratio nota nei lavori preparatori ma del tutto
priva, qui si osserva e per le ragioni appena dette, di qualsiasi tangibile collegamento con la
vita futura dell’esdebitato, dunque svalutabile a mera proiezione)”.
42
di qualsiasi meccanismo di tipo negoziale, ovvero di accordo, sia pure a
beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori
concorsuali, ai quali è precluso l’esercizio, nei confronti del debitore fallito che
massima utilizzata dai “tecnici” del diritto romano classico, che unisce alla
debet onera”: “chi gode dei vantaggi di una cosa deve sopportarne i pesi”.
liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali, peraltro a
concorsuali, i quali, a loro volta, per effetto della esdebitazione del fallito,
di recupero del credito nei confronti del debitore fallito che abbia ottenuto la
esdebitazione.
privilegio” per il fallito persona fisica, anche per colui che sia riuscito a
43
D’altra parte, sempre nell’ambito della ratio dell’istituto della esdebitazione e
l.fall.
Infatti, in relazione al rapporto esistente tra esdebitazione ex art. 142 ss. l.fall. e
area di fallibilità ex art. 1 l.fall., va tenuto conto del fatto che, ai sensi e per gli
un’attività commerciale.
Pertanto, per l’imprenditore debitore, anche per quello non fallibile, potrebbe
non apprestare alcuna difesa, o non provare la sussistenza dei requisiti idonei a
minima di uno solo dei creditori, ferme restando le ulteriori condizioni stabilite
proprio privilegio”, anche per il debitore non fallibile, con conseguente danno
per i creditori.
Cassazione a Sezioni Unite con la citata sentenza, secondo cui va, comunque,
delle posizioni delle parti in danno del ceto creditorio” poiché “… sarà
compito del giudice del merito, con il suo prudente apprezzamento, accertare
Tale principio, applicato ai casi concreti, non appare utile a escludere che si
creditori, né tanto meno appare idoneo, sotto il profilo del merito e del metodo,
esdebitazione ex art. 142 ss. l.fall., ma, evidentemente, non può rappresentare il
esame.
Infatti, quid iuris nel caso concreto in cui, a titolo esemplificativo, i pagamenti
applicando il suddetto principio enunciato dalle Sezioni Unite, “il giudice del
45
dovrebbe valutare il dato negativamente e, quindi, ritenere insussistente la
condizione in questione?
comma 6, lett. a), n. 13 della legge delega n. 80/2005, la quale “non prescrive
percentuale …” di cui all’art. 144 l.fall., non contrasta con la tesi restrittiva,
anzi induce a ritenere che, al fine della concessione del beneficio della
come evidenziato da una parte della dottrina128, “… rientra nelle facoltà del
128
Cfr., E. NORELLI, Contrasti giurisprudenziali in tema di esdebitazione, in Fall., 2009, pag.
1199.
46
all’avvenuto pagamento dei creditori chirografari nella misura non inferiore al
25%.
a contrariis, nel senso che non esclude la necessità del soddisfacimento di tutti
142, comma 2, l.fall. non può essere contraddetta dalle statuizioni della Corte
dell’art. 143 l.fall., “ha fatto espresso riferimento ai creditori concorrenti non
alla determinazione della portata normativa degli artt. 142 e seg. l.f.”.
occasionalmente senza una specifica rilevanza per il caso deciso, ciò comporta
solo che esse siano prive di forza vincolante, ma non esclude che possano
Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 181/2008 129, nelle cui motivazioni
si legge che “… attraverso l’istituto della esdebitazione, del tutto nuovo nel
129
Corte Costituzionale, 30.5.2008, n. 181, in Giur. comm., 2009, 2, 283.
47
successivamente alla chiusura del fallimento, alle eventuali parti di debito che,
Il tenore letterale della disposizione da ultimo citata non fa sorgere dubbio che
chiusura del fallimento, il pagamento del loro residuo credito da parte del
parziale, dei creditori concorsuali ammessi, e non di una parte soltanto di essi.
della esdebitazione130.
maggioranza.
contrattualistiche essenziali”.
soddisfacimento dei creditori, i quali esprimono il loro voto e, nel corso del
viene valutato con riguardo al debitore fallito persona fisica e non ai creditori.
sono state evidenziate non solo dalla dottrina131, ma anche dalla Suprema Corte
importanza”132 del 14.4.2011 con cui è stato espressamente rilevato, per quanto
Stanti le suddette “profonde differenze tra i due istituti del concordato e della
131
Cfr., V. SANTORO, commento sub. art. 142 l.f., pag. 1865.
132
Cfr., Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo - Relazione n. 35
del 14.4.2011 su questione di massima e di particolare importanza, Red. M. FERRO, cit., 16;
M. FERRO, Commento all’art. 142 l.f., in La Legge fallimentare, cit., 1599 e ss.
49
a “ritenere preferibile” la “interpretazione estensiva” dell’art. 142, comma 2,
Unite.
Infatti, a prescindere dal fatto che la portata innovativa dell’istituto non appare
ordinamenti degli altri Paesi europei e anglo-americani, tra cui Stati Uniti,
procedurale.
fisica133.
133
La riflessione su vecchie e nuove questioni non è stata tuttavia infruttuosa e, unita al rapido
peggioramento della situazione economica nazionale e internazionale, è sfociata di recente
nell'adozione di una specifica normativa in materia di sovraindebitamento. Questa normativa è
il punto di approdo di un percorso lento, accidentato e a tratti paradossale, avviato nel 2001 da
un progetto di legge depositato dall'Adiconsum presso il CNEL [il progetto prevedeva un
concordato - per tale intendendo un piano di ristrutturazione dei debiti approvato dal debitore e
dal 70% dei creditori che rappresentasse i ¾ dell'ammontare complessivo dei crediti - avente ad
oggetto i debiti «contratti per scopi non estranei ai bisogni della famiglia», rispetto ai quali il
debitore si trovasse in «una situazione di difficoltà finanziaria non temporanea, ma
permanente, ad adempiere alle obbligazioni assunte facendo ricorso ai redditi ed ai propri
beni mobili ed immobili». Sul modello francese si prevedeva la istituzione di una Commissione
nazionale per la risoluzione delle situazioni di sovraindebitamento (istituita presso il Ministero
degli affari sociali, presieduta da un rappresentante della Banca d'Italia e composta da otto
membri nominati dal Ministero, di cui cinque nominati su proposta delle «categorie di
creditori» individuate nei settori finanziario, assicurativo, della proprietà edilizia, delle utilities,
del fisco e della previdenza, nonché due membri nominati su proposta degli enti e delle
associazioni più rappresentative dei soggetti sovraindebitati) con il compito di esaminare le
domande di accesso alla procedura sottoposte alla Commissione dai Segretariati sociali dei
Comuni, o dagli altri enti abilitati a raccogliere le domande di accesso e istaurare innanzi a sé
50
Al contrario, nelle legislazioni dei Paesi europei e anglo-americani, la
Inoltre, nelle legislazioni degli altri Paesi sono previste, in relazione ai diversi
differenti rispetto a quelli previsti dalla normativa italiana per il debitore fallito
persona fisica.
Infatti, per quanto qui rileva, nel sistema statunitense 134, disciplinato dal
sia liberato dai debiti residui dopo un periodo di sei anni decorrenti dalla
debitore persona fisica è liberato dai debiti residui. In caso di esito negativo di
semplificata”.
“l’istituto del fallimento personale” del debitore persona fisica e sono state
135
Cfr., G. CAPO, L’esdebitazione del fallito, cit., pagg. 555 ss.; L. MARCHITTO, Appunti in
tema di esdebitazione del fallito, cit., pagg. 843 ss.; E. FRASCAROLI SANTI, L’esdebitazione
del fallito, cit., pagg. 1427 ss.; FERRI, L’esdebitazione, in Fallimento, 2005, pag. 1085; L.
GHIA, L’esdebitazione: evoluzione storica, profili sostanziali, procedurali e comparatistici, in
La procedura fallimentare, cit., pagg. 664 ss.
136
Cfr., E. FRASCAROLI SANTI, L’esdebitazione del fallito, cit., pagg. 1427 ss.; L. GHIA,
L’esdebitazione: evoluzione storica, profili sostanziali, procedurali e comparatistici, in La
procedura fallimentare, cit., pagg. 662 ss.
52
inserite procedure tese a risolvere, in via stragiudiziale, ovvero contrattuale, le
D’altra parte, non va sottaciuto che non è nemmeno pacifico che le esperienze
maturate negli altri Paesi, primo fra tutti quello statunitense, siano
effettivamente positive.
Infatti, a tal riguardo, è stato evidenziato, in dottrina 138, che “uno studio
137
Cfr., L. GHIA, L’esdebitazione: evoluzione storica, profili sostanziali, procedurali e
comparatistici, in La procedura fallimentare, cit., pag. 665.
138
Cfr., V. SANTORO, commento sub. art. 142 l.f., in La legge fallimentare dopo la riforma,
cit., pagg. 1864 ss., il quale fa riferimento allo studio empirico recente: HAN e LI, Fresh Start,
1.
53