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“Ulisse e le Sirene”

L’esegesi di un mito in Franz Kafka e in


Theodor Adorno

Ludovica Adamo

Estetica 101727
Indice

1. L’episodio mitico: Ulisse e le sirene nel canto XII dell’Odissea

2. Esegesi e riformulazione del mito: “Il silenzio delle sirene” di Franz


Kafka

3. “Odisseo, o mito e illuminismo”. L’interpretazione del poema


omerico in Theodor Adorno.

4. Conclusione

In Copertina: Ancora, Ulisse e le sirene. Decorazione di un vaso ateniese, tardo VII


– primo V secolo a.c. British Museum, Londra.
Bibliografia
- ABBAGNANO N. – FORNERO C., Itinerari di filosofia, vol. 3°, Paravia, Varese,
2003
- APOLLONIO RODIO, Argonautiche, ed.it., a cura di Alberto Borgogno,
Mondadori, Milano, 2003
- CAMBIANO G. – MORI M., Tempi del pensiero. Storia e antologia della
filosofia, vol. 3, Laterza, Bari, 2012
- HARVEY D., La crisi della modernità, ed.it., Il Saggiatore, Milano, 2010
- HORKHEIMER M. – ADORNO T., Dialettica dell’Illuminismo”, ed.it., sl, Giulio
Einaudi editore, 1971
- KAFKA F., Tutti i racconti, trad. it., Milano, Mondadori, 2013
- MOSES S., Exégèse d’une légende. Lectures de Kafka, Eclat, 2006
- OMERO, Odissea, ed.it., intr. di Maria Grazia Ciani, Venezia, Marsilio editori,
1994

Sitografia
www.treccani.it
1

L’episodio mitico: Ulisse e le sirene nel canto XII dell’Odissea

“ Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλά


πλάγχθη, ἐπεί Τροίης ἱερὸν πτολίεθρον ἔπερσεν”

“L’uomo, cantami, dea, l’eroe del lungo viaggio1, colui che errò per tanto tempo dopo che
distrusse la città di Ilio2”. Questi sono i versi che aprono il canto I dell’Odissea, il poema epico
attribuito ad Omero. L’opera appartiene al genere dei “nostoi” (ritorni), che ingloba tutti i poemi
che narrano del ritorno in patria dei vari eroi dalla guerra di Troia3. Ulisse, il protagonista
dell’opera omerica, dopo dieci anni di combattimenti a Troia, dovrà affrontare altri dieci anni di
viaggio per poter tornare in patria, a Itaca. Il ritorno è reso così lungo e difficile dall’odio che il dio
del mare Poseidone prova nei confronti di Ulisse: quest’ultimo attira l’astio della divinità dopo
averne accecato il figlio, il ciclope Polifemo. Durante il percorso da Troia a Itaca Ulisse e i suoi
compagni si troveranno ad affrontare molte peripezie e soprattutto a combattere con potenti
mostri mitologici.

L’incontro con le sirene è situato a metà dell’opera, nel canto XII. Dopo che Ulisse ha trascorso un
anno in compagnia della maga Circe sull’isola di Ea, quest’ultima acconsente a lasciarlo andare e
gli indica la via del ritorno, enumerando i pericoli che lui e i compagni troveranno lungo la rotta:

“Giungerai per prima cosa dalle Sirene che incantano tutti gli uomini che passano
loro vicino. Chi senza saperlo si accosta e ode la voce delle Sirene, non torna più a
casa, i figli e la sposa non gli si stringono intorno, festosi: le Sirene lo stregano con il
loro canto soave, sedute sul prato; intorno hanno cumuli d’ossa di uomini
imputriditi, dalla carne disfatta. Va oltre, dunque, e chiudi le orecchie dei tuoi
compagni con della morbida cera, perché nessuno di loro le oda; tu ascolta, se vuoi,
ma fatti legare con i piedi e le mani alla base dell’albero, sulla nave veloce, all’albero
siano attaccate le funi, perché possa godere ascoltando la voce delle Sirene” (vv. 39-
52)4.

Questi versi del poema insistono su un tema molto importante e ricorrente in tutta l’opera: quello
della conoscenza. È fondamentale che Ulisse sia ben consapevole di quali sono i pericoli che dovrà

1
L’espressione “Ἄνδρα πολύτροπον” può anche essere tradotta come “l’uomo dall’ingegno multiforme” o “l’uomo
dalla grande astuzia”
2
OMERO, Odissea, ed. it., a cura di Maria Grazia Ciani, Venezia, Marsilio Editori, 1994 pp. 38-39
3
http://www.treccani.it/enciclopedia/nostoi/ , consultato il giorno 18 Maggio 2014 alle ore 18:00
4
OMERO, Odissea, cit. pp- 406-407
affrontare, in modo tale da riuscire ad elaborare, attraverso la sua astuzia e la sua razionalità, delle
strategie che gli consentiranno di superarli. È Circe qui ad assumere il ruolo di locutrice e a
veicolare la conoscenza.

Il valore fondamentale della conoscenza è sottolineato anche nei versi che seguono:

“Amici, non è giusto che una persona o due soltanto sappiano quello che mi ha
rivelato Circe divina. Io ve lo dirò, affinchè, consapevoli, possiamo affrontare la
morte o sfuggire al destino fatale” (vv. 154-157)5.

Ulisse, che nel passo precedente era il destinatario di un messaggio e qui diventa locutore,
comunica quello che Circe gli ha rivelato ai compagni, ammonendoli a prestare attenzione e ad
essere vigili durante il cammino per mare. È proprio grazie al fatto che è coadiuvato dagli amici
fedeli e non è solo che Ulisse riuscirà a sfuggire agli innumerevoli pericoli che le divinità lo
costringeranno ad affrontare. L’importanza della conoscenza, l’astuzia di Ulisse e la collaborazione
con i fedeli compagni sono i tre elementi chiave del passo che descrive l’incontro con le sirene:

“Così ai miei compagni parlavo e dicevo ogni cosa. Rapidamente intanto all’isola
delle Sirene giunse la nave ben costruita: la spingeva il vento propizio. Ma
all’improvviso il vento cessò e fu calma bonaccia, un dio placò le onde del mare.
Balzarono in piedi i compagni, ammainarono tutte le vele e sulla concava nave le
posero, poi si misero ai remi e con i legni ben levigati sollevavano la bianca schiuma.
Io presi intanto un grande disco di cera e con il bronzo lo feci a piccoli pezzi, che
premetti con le mie mani. Rapidamente fondeva la cera, alla vampa del sole, ai raggi
di Iperione sovrano. Sulle orecchie di tutti i compagni la spalmai, uno per uno. Sulla
nave poi mi legarono, coi piedi e con le mani, alla base dell’albero, e ad esso furono
fissate le corde. Poi si sedettero e battevano il mare con i remi. Ma quando fummo
a un tiro di voce, pur navigando veloci, non sfuggì alle Sirene la nave che passava
vicina: intonarono un canto dolcissimo: <<Avvicinati dunque, glorioso Odisseo,
grande vanto dei Danai, ferma la nave, ascolta la nostra voce. Nessuno mai è
passato di qui con la sua nave nera senza ascoltare il nostro canto dolcissimo: ed è
poi ritornato più lieto e più saggio. Noi tutto sappiamo, quello che nella vasta terra
troiana patirono Argivi e Troiani per volere dei numi. Tutto sappiamo quello che
avviene sulla terra feconda>>. Così cantavano con voce bellissima. E il mio cuore
voleva ascoltare, ordinavo ai compagni di sciogliermi, accennando loro con gli occhi.
Ma sui remi si curvavano essi. Ed Euriloco e Perimede si alzarono e con altre funi mi
legarono e ancor più mi strinsero. Ma quando le oltrepassammo e più non
sentivamo la loro voce né il canto, subito i miei fedeli compagni si tolsero la cera
che sulle loro orecchie spalmai e sciolsero me dalle funi.” (vv. 165-200)6.

5
Ivi, pp. 414-415
6
Ivi, pp. 415-417
Le sirene sono figure mitologico/religiose presenti nei racconti mitici e in molti poemi e opere
della letteratura greca e latina. Nelle credenze popolari greche del VII- V secolo a.c. vengono
associate alla morte e alle anime dei defunti che non sono state placate con i giusti rituali funebri:
dal momento che non hanno ricevuto le esequie, perseguitano gli uomini, ammaliandoli e
seducendoli, poiché hanno sete del loro sangue. Per quanto riguarda l’etimologia, la parola sirena
potrebbe derivare da una radice semitica, “sir”, che vuol dire canto, oppure dal termine greco
σειρά. “Seira” vuol dire fune,corda e dunque la sirena sarebbe colei che canta e attira a sé i
naviganti, legando la loro anima attraverso dolci melodie7. Omero, nei versi precedentemente
analizzati, non fa una descrizione fisica delle sirene ritenendo che il lettore medio di allora
conoscesse bene i racconti mitologici che erano alla base di molte delle opere della letteratura
greca. Apollonio Rodio, invece, nel canto IV delle “Argonautiche”, ce le presenta come figlie di
Acheloo e della musa Tersicore, descrivendole come simili in parte ad uccelli e in parte a fanciulle,
capaci di ammaliare intere ciurme di navi con il canto soave8.

Nell’Odissea, Ulisse riesce a sconfiggerle e ad uscire indenne dal confronto/scontro con queste
creature. Omero presenta Ulisse come astuto e razionale. Queste due qualità, sono quelle che lo
aiutano sempre a sciogliere i nodi problematici delle situazioni e a trionfare: sia che si tratti di
sconfiggere i Troiani con lo stratagemma del cavallo di legno, sia che si tratti di sfuggire alla
melodia mortifera delle cantatrici marine. Sono i pezzi di cera posti nelle orecchie dei compagni e
le funi che questi utilizzano per legarlo all’albero maestro, i mezzi usati per aggirare l’isola delle
sirene. Proprio perché coraggioso e astuto, Ulisse non decide di cambiare rotta o di far passare la
nave lontano dagli scogli delle sirene. Egli opta invece per un confronto diretto con il pericolo e
riesce a sopravvivere proprio grazie alla collaborazione dei compagni fedeli e alla cera e le corde,
quei mezzi che Omero presenta come artifici raffinatissimi. Le sirene, di contro, vengono descritte
da Omero non soltanto come potenti cantatrici marine in grado di attirare gli uomini e sbranarli:
sono dotate di una conoscenza sovrumana. Cercano di attirare Ulisse affermando di conoscere
“tutto quello che avviene sulla terra feconda”, lusingandolo con dolci parole (“glorioso
Odisseo,vanto dei Danai”) e spingendolo a conoscere sempre di più. Simboleggiano, in definitiva,
tutto ciò che tiene l’eroe lontano da casa: conoscenza, gloria, fama e poesia. Se da un lato Ulisse
cerca di tornare in patria, ai propri doveri di sovrano, di marito e di padre, dall’altro viene
continuamente distolto dalla sua rotta, attirato da mostri marini o divinità, desideroso di
conoscere e appagare la sua insaziabile curiosità. Ulisse è da una parte astuto e razionale, dall’altra
curioso e desideroso di conoscenza. Questa duplicità nell’eroe è sottolineata molto bene
dall’episodio dell’incontro con le sirene: l’astuzia gli permette di sfuggire al pericolo facendo
ricorso agli artifici raffinatissimi che sono la cera e le corde; la curiosità e la sete di conoscenza lo
spingono a decidere di non tappare le proprie orecchie con la cera ma di ascoltare il canto e,
legato, sfuggire alla morte.

7
http://www.treccani.it/enciclopedia/sirena_(Enciclopedia_Italiana)/, consultato il giorno 18 Maggio 2014,alle ore
19:40
8
APOLLONIO RODIO, Argonautiche, ed.it., a cura di Alberto Borgogno, Mondadori, Milano, 2003 pp. 276-279
2

Esegesi e riformulazione del mito: “Il silenzio delle sirene” di Franz Kafka

Franz Kafka, tra i suoi racconti, compone quattro testi che vanno a formare un gruppo di scritti in
cui egli si rifà ad una fonte tradizionale: il mito. I quattro racconti in cui appunto si citano dei
frammenti di un mondo culturale anteriore sono “Prometeo”, “Poseidone”, “Il nuovo avvocato” e
“Il silenzio delle Sirene”. Quest’ultimo è dedicato ad Omero e all’Odissea e riprende l’episodio
mitico dell’incontro tra Ulisse e le Sirene descritto nel paragrafo precedente. “Il silenzio delle
Sirene” viene pubblicato per la prima volta nel 1931, il titolo viene apposto da Max Brod (amico di
Kafka e curatore delle sue opere postume) e fa parte della raccolta “Durante la costruzione della
muraglia cinese”9.

Il racconto si presenta come un apologo, ossia un breve scritto di intento morale contenente una
massima (insegnamento morale) che dovrà essere rispettata e confermata nel corso del racconto.
Il testo di Kafka inizia proprio con la massima dell’apologo:

“Per dimostrare che anche mezzi insufficienti, persino puerili, possono procurare la
salvezza”10.

I mezzi insufficienti e puerili non sono altro che le funi e i pezzetti di cera utilizzati da Ulisse e dai
compagni per sfuggire alle sirene. Subito dopo la massima, Kafka introduce la seguente citazione
mitologica, che non è altro che una parafrasi di quanto accade nel canto XII dell’Odissea:

“Per difendersi dalle sirene Ulisse si empì le orecchie di cera e si fece incatenare
all’albero maestro”11.

Si può notare subito un elemento nuovo introdotto da Kafka, non presente nell’Odissea: il fatto
che Ulisse non si fa solo incatenare, ma tura le proprie orecchie con la cera allo stesso modo dei
compagni. Il motivo di questa innovazione verrà spiegato quando si analizzerà la prima esegesi
kafkiana del mito. Tra la massima dell’apologo e la citazione mitologica vi è una contraddizione
fondamentale. La citazione si rifà appunto al poema epico di Omero, all’interno del quale Ulisse è
presentato come astuto e razionale e i mezzi che utilizza contro le sirene sono descritti come
artifici raffinatissimi. Tuttavia, nella massima, Kafka descrive quegli stessi mezzi come insufficienti
e puerili. Questa contraddizione ci fa capire che Kafka intende dare una nuova interpretazione al
frammento mitico. La divergenza tra la massima e la citazione mitologica può sussistere all’interno
di uno stesso brano perché viene presentata come una contrapposizione tra un tempo passato e
uno presente. La massima e le esegesi sono al presente e si configurano come una situazione
narrativa differente inventata da Kafka; la citazione mitologica è al passato e rappresenta il tempo

9
S. MOSES, Exégèse d’une légende. Lectures de Kafka, Eclat, 2006 pp. 17-20
10
F. KAFKA, Il silenzio delle sirene, in F. KAFKA, Tutti i racconti, ed.it., a cura di Ervino Pocar , Oscar Mondadori, Milano,
2013, p. 368
11
Ivi, p. 368
del mito12. Quello che l’autore intende dimostrare con il suo racconto è che il mito non è
apodittico, infallibile, certo e univoco come la tradizione ce l’ha sempre tramandato. Le verità
mitiche non sono assolute e universali. Kafka intende mostrare come ci possano essere
interpretazioni anche contrastanti dello stesso frammento, proprio perché la materia mitica è
relativa e non assoluta, piena di contraddizioni. Al fine di confermare tutto ciò egli propone due
diverse esegesi del mito di Ulisse e le sirene, reinterpretando totalmente il racconto omerico.

La prima esegesi è la più lunga e occupa gran parte del testo di Kafka. In questa reinterpretazione
del mito l’autore riprende lo schema base del racconto omerico: ci sono sempre i due avversari,
Ulisse e le sirene, ognuno con i propri mezzi e l’esito dello scontro è lo stesso, ovvero la vittoria di
Ulisse. Tuttavia Kafka introduce due innovazioni importanti, non presenti nella versione
tradizionale del mito. La prima riguarda il fatto che nessun artificio consente di scappare al canto
delle sirene:

“Il canto delle sirene penetrava dappertutto, e la passione dei sedotti avrebbe
spezzato altro che catene e alberi maestri!”13 .

È questo il motivo per cui anche Ulisse tura le proprie orecchie con la cera. Nell’Odissea non si dice
che è impossibile scappare dal canto delle sirene, infatti Circe stessa consiglia a Ulisse di utilizzare
la cera come strumento adeguato ad isolare le orecchie dalla voce di quelle creature marine. Kafka
presenta invece il canto come una forza violenta in grado di penetrare qualsiasi cosa, senza
possibilità di salvezza. Il secondo elemento innovativo introdotto è il fatto che le sirene non hanno
solo il canto come arma, ma anche il silenzio:

“Sennonchè le sirene possiedono un’arma ancora più temibile del canto,cioè il loro
silenzio”14.

Quello del silenzio è un dato narrativo nuovo, totalmente assente nella versione originale del mito.
Così come è impossibile sfuggire al canto, lo è anche sfuggire al silenzio:

“Nessun mortale può resistere al sentimento di averle sconfitte con la propria forza
e al travolgente orgoglio che ne deriva”15.

Ingannati dal fatto che le sirene non emettono suoni e tacciono, i mortali pensano di averle
battute e vengono travolti da un carico emotivo forte che li rende vulnerabili e facili prede delle
sirene16. Kafka arriva poi a ribaltare completamente il rapporto tra Ulisse e le sue avversarie.
Nell’Odissea le sirene sono necessitate, in quanto non possono far altro che cantare ogni volta che
una nave passa vicino la loro isola; Ulisse invece è libero di scegliere se porre la cera nelle sue
orecchie, oppure farsi legare in modo tale da poter contemporaneamente ascoltare il canto e
sfuggire al pericolo mortale. Di contro, nel racconto di Kafka, le sirene sono libere dal momento

12
S. MOSES, Exégèse d’une legende, cit. pp. 25-28
13
F. KAFKA, Il silenzio delle sirene, cit. p. 368
14
Ivi, p. 368
15
Ivi, p. 368
16
S. MOSES, Exègése d’une legende, cit. pp. 28-32
che possiedono due armi, il canto e il silenzio, tra le quali possono scegliere liberamente; Ulisse
invece è necessitato e destinato al fallimento in entrambi i casi (dal momento che sia il canto che
penetra dappertutto, sia il silenzio non possono essere evitati dagli uomini). In Kafka, a differenza
che in Omero, sono le sirene ad essere potenti. In questa prima esegesi dell’episodio mitico, la
figura di Ulisse viene totalmente ribaltata: l’Odissea ce lo presentava come astuto e razionale
(appunto l’uomo dal multiforme ingegno), mentre Kafka lo descrive come ingenuo, puerile, un
uomo inconsapevole della gravità dei pericoli che dovrà affrontare. Nel poema epico di Omero la
vittoria e la sopravvivenza di Ulisse appaiono quasi scontate sin dall’inizio dell’episodio, dal
momento che l’eroe possiede l’astuzia e degli artifici raffinatissimi (la cera e le corde). Nella
situazione kafkiana il trionfo dell’eroe sembra quasi impossibile, tuttavia l’esito cui si approda è
comunque quello della salvezza17. Come si salva l’Ulisse di questa prima esegesi?

Il personaggio epico può arrivare a salvarsi mediante un procedimento messo a punto dal
narratore del racconto. È necessario che quest’ultimo annulli le due armi delle sirene per
consentire ad Ulisse di intraprendere una via di fuga. Per comprendere i processi attuati dal
narratore bisogna riprendere la distinzione tra tempo verbale passato e tempo verbale presente
fatta all’inizio tra la citazione mitologica e la massima dell’apologo. Tra queste due vi era una
contraddizione in quanto la citazione del frammento mitico è al passato mentre l’insegnamento
dell’apologo e le esegesi sono al presente e vanno appunto a costituire un nuovo contesto
narrativo. Allo stesso modo, l’Ulisse della prima esegesi kafkiana del mito è un eroe del passato
che viene scaraventato dal narratore in un nuovo contesto narrativo. Quest’ultimo è la dimensione
del presente, caratterizzata dagli elementi innovativi introdotti da Kafka (il silenzio delle sirene e
l’ineluttabilità del canto). Il dato importante da sottolineare è che l’Ulisse del passato è ingenuo e
puerile, totalmente ignaro dei cambiamenti apportati dal narratore. È proprio la sua ignoranza a
configurarsi come strumento di salvezza. Infatti Ulisse si salva dal canto delle sirene dal momento
che le creature difatti non cantano in sua presenza: si riesce ad evitare la melodia ineluttabile delle
sirene proprio perché queste ultime non emettono alcun suono. Al contempo riesce a salvarsi dal
silenzio perché egli non sa che le sirene tacciono, ritiene anzi che queste stiano cantando e che
soltanto lui, per qualche strano motivo, è impossibilitato ad udirle. Il sentimento di orgoglio che
deriva dall’aver sconfitto le sirene non può toccare Ulisse, il quale appunto non si rende conto di
quanto sta accadendo attorno a lui. Non sono l’astuzia e la razionalità dell’eroe a essere strumento
di salvezza, bensì l’ignoranza rispetto al contesto narrativo nuovo in cui Ulisse è fatto precipitare
dal narratore. Questa prima esegesi si presenta come conforme alla massima dell’apologo18.

Ci sono altri aspetti che devono essere presi in considerazione. Alla fine della prima
interpretazione del mito, dopo che Ulisse ignaro e inconsapevole della situazione riesce a sfuggire
alle cantatrici marine, Kafka porta il lettore a notare che queste ultime si sentono quasi inferiori ad
Ulisse e alla sua risolutezza:

“le sirene scomparvero, per così dire, di fronte alla sua risolutezza […] Esse invece,
più belle che mai, si stirarono, si girarono, esposero al vento i terrificanti capelli

17
S. MOSES, Exégèse d’une legende, cit. pp. 33-35
18
Ivi, pp. 36-38
sciolti e allargarono gli artigli sopra le rocce. Non avevano più voglia di sedurre,
volevano soltanto ghermire il più a lungo possibile lo splendore riflesso dagli occhi
di Ulisse”19.

A mio avviso, il sentimento di orgoglio che i mortali provano dinanzi al silenzio delle sirene,
credendo a torto di averle sconfitte, in questo caso colpisce le stesse sirene che, da potenti e
infallibili come vengono presentate inizialmente, si ritrovano ad essere battute a causa di un
processo narrativo. Questo le spiazza e arriva quasi ad annientarle anche se non periscono:

“Se le sirene fossero esseri coscienti, quella volta sarebbero rimaste annientate.
Sopravvissero invece, e avvenne soltanto che Ulisse potesse scampare”20.

La seconda esegesi del mito omerico proposto da Kafka si situa esattamente alla fine del racconto
e si presenta come totalmente opposta alla prima. La situazione di fondo rimane invariata dal
momento che ci sono sempre i due avversari che si contrappongono, Ulisse e le sirene, e l’esito è il
medesimo: la vittoria dell’eroe mitico. Qui Ulisse però non è più ingenuo, puerile e ignaro della
situazione: al contrario sa benissimo che le sirene tacciono. Da naive e puerile si trasforma in un
uomo dotato di una potenza sovrumana e si avvicina molto al concetto dell’eroe proposto da
Omero nell’Odissea. L’elemento innovativo della seconda esegesi non è un dato oggettivo, ma
soggettivo: a cambiare è infatti l’atteggiamento interiore del protagonista. Quest’ultimo arriva a
salvarsi ora utilizzando la propria astuzia e fingendo di non sapere che le sirene tacciono.
L’ignoranza, che era vera nel caso dell’Ulisse della prima esegesi, è qui soltanto simulata e
utilizzata come uno strumento di salvezza. Si può dunque affermare che è sempre l’ignoranza a
giocare un ruolo chiave, anche se in questo caso fa parte di una messa in scena che ha come scopo
quello di riuscire a scampare alla morte. Infatti gli dei non tollerano che li si possa sconfiggere con
l’astuzia e la ragione21.

“Odisseo, o mito e illuminismo”.

L’interpretazione del poema omerico in Theodor Adorno


La “Dialettica dell’Illuminismo” (1947) di Max Horkheimer e Theodor Adorno è forse una delle
opere più importanti della filosofia moderna e contemporanea. È rilevante ai fini di questa
trattazione in quanto contiene un excursus, scritto da Adorno, intitolato: Excursus I, “Odisseo, o
mito e illuminismo”. Prima di esporre l’interpretazione che fa Adorno dell’Odissea è necessario
inquadrare storicamente la “Dialettica dell’Illuminismo” e fornirne delle coordinate critico-
filosofiche.

19
F. KAFKA, Il silenzio delle sirene, cit. p. 369
20
Ivi, p. 369
21
S. MOSES, Exègése d’une legende, cit. pp-38-46
Adorno e Horkheimer, insieme ad altri pensatori come Herbert Marcuse, Erich Fromm e Walter
Benjamin, appartengono alla corrente filosofica neomarxista della Scuola di Francoforte, il cui
nucleo originario si costituisce nel 1923 attorno all’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte. A
causa dell’avvento del nazismo questi stessi pensatori emigrano dapprima a Ginevra, poi a Parigi e
infine a New York. Soltanto alcuni di loro, tra cui Adorno e Horkheimer, hanno fatto ritorno in
Germania nel 2° dopoguerra. Le tematiche principali trattate dagli esponenti della Scuola sono
incentrate sulla critica della società di allora e sulla volontà di smascherare le contraddizioni della
vita moderna22. L’obiettivo polemico è la società di massa, quella tecnologica e opulenta che inizia
a configurarsi dai primi anni del 900’ in poi. Quest’ultima produce individui alienati, massificati,
omologati, schiavi della stessa ragione e dello stesso progresso tramite i quali dovevano
emanciparsi dalla natura e dalla religione. La “Dialettica dell’Illuminismo” fa riferimento proprio
alla società industriale e avanzata. La produzione e il consumo di massa iniziano a investire presto
anche l’ambito dell’arte e della cultura e si forma la cosiddetta “industria culturale”, tanto criticata
dai due autori. L’interrogativo principale cui si cerca di rispondere nell’opera è il seguente: perché
l’umanità, in seguito ai progressi tecnico-scientifici, non si evolve ma sprofonda e regredisce?

Con il termine illuminismo Adorno e Horkheimer fanno riferimento all’intera storia della civiltà e
del pensiero occidentale, la quale ha visto l’uomo come padrone unico e assoluto del mondo.
Inteso come “metanarrazione”, ovvero come sistema di pensiero che abbraccia la realtà in modo
onnicomprensivo, l’Illuminismo si prefigge il compito di liberare l’umanità dalle sue catene,
rappresentate da mito, religione, superstizione e natura e creare una società (una società della
modernità) nuova fondata sulla ragione e sul progresso23. Il progetto illuministico si snoda
attraverso varie fasi. Dapprima mira a liberare gli uomini dalle paure per renderli padroni e
controllori della natura. Gli idoli che l’Illuminismo dovrebbe abbattere (mito, superstizione e
religione) vengono però semplicemente sostituiti da altri miti: progresso, velocità, macchina e la
razionalità stessa diventando dei surrogati delle antiche credenze e, piuttosto che “abbattere Dio”,
si trasferisce il dominio sulle cose da questo agli uomini. Il presunto trionfo della razionalità
scientifica produce un uomo che esercitando il dominio si aliena e si estranea dalla natura. La
ragione che doveva emancipare arriva a sottomettere e si reifica in un apparato di dominio che
produce uniformità e conformismo. Il progetto illuministico fallisce in quanto non cerca di
comprendere il mito e la religione attraverso la razionalità, pretende solo di superarli creando dei
miti sostitutivi. È l’illuminismo stesso che finisce per trasformarsi in un mito24.

“Come la storia delle Sirene adombra il nesso inestricabile di mito e lavoro


razionale, così l’Odissea, nel suo complesso, testimonia della dialettica
dell’illuminismo.”25

Secondo la critica letteraria e la filologia classica i poemi omerici rappresentano la fusione e la


compenetrazione di epos e mito. Quest’ultimo nell’Iliade e nell’Odissea diventa oggetto dell’epos,
22
N. ABBAGNANO – C. FORNERO, Itinerari di filosofia, vol. 3°, Paravia, Varese, 2003 p. 479
23
D. HARVEY, La crisi della modernità, ed.it., Il Saggiatore, Milano, 2010 pp. 23-56
24
G. CAMBIANO – M. MORI, Tempi del pensiero. Storia e antologia della filosofia, vol. 3, Laterza, Bari, 2012 pp. 362-
364
25
M. HORKHEIMER – T. ADORNO, Dialettica dell’illuminismo, ed.it., sl, Einaudi, 1971 p. 52
dal momento che le trame dei due poemi derivano dall’intreccio di più storie mitiche. Tuttavia, per
Adorno, epos e mito non arrivano ad unirsi nel senso in cui la letteratura ci vuole far credere. La
critica filosofica sottolinea il fatto che nelle opere di Omero si crea un nesso tra la ragione e il mito.
È sì vero che l’epica attinge alla materia mitica per le sue trame, ma finisce per riorganizzarla
razionalmente in una elaborazione scritta. Questa manipolazione cambia il mito che arriva infatti
ad essere razionalizzato, in questo caso dalla mano di Omero. Epos e mito non possono essere
dunque più distanti: il mito ricorda la dimensione primigenia,irrazionale e aurorale dell’umanità,
mentre l’epos rappresenta un ordine razionale in cui viene ingabbiata la materia mitica. Omero
segna dunque il passaggio ad un approccio illuministico in cui l’uomo si configura come
dominatore della natura26. Il concetto di Illuminismo viene esteso fino all’inizio della storia
tramandata e dunque si può affermare che l’universo omerico è il prodotto della ragione
ordinatrice che distrugge il mito intrappolandolo in un ordine logico-razionale.

Odisseo rappresenta il Sé (lo spirito della società moderno-borghese) che mira a liberarsi dal mito,
dalla superstizione e dalla religione attraverso un processo dialettico di
sottomissione/emancipazione dalla natura. L’itinerario da Troia ad Itaca è la metafora della
dialettica dell’illuminismo. Il tragitto pone dinanzi all’eroe e ai suoi compagni innumerevoli figure
mitologiche (le Sirene, Polifemo, Circe, Scilla e Cariddi ad esempio) e Ulisse, il soggetto, deve
sottrarsi a queste potenze mitiche per prendere coscienza di sé ed emanciparsi attraverso la
ragione. Itaca rappresenta la meta, il punto di arrivo di questo processo teleologico del sé. Non si
tratta semplicemente della patria cui l’eroe anela a ritornare: Itaca rappresenta la stessa società
borghese moderna con tutte le sue istituzioni patriarcali (Stato, politica, matrimonio e famiglia).
Per raggiungere la meta occorre confrontarsi con le potenze mitiche e questo scontro non può mai
essere fisico e diretto, si tratta piuttosto di un confronto morale in cui Odisseo utilizza come
strumento e arma l’astuzia. In un certo qual modo l’astuzia rappresenta il lume della ragione
contrapposto alla “brutalità” dell’era mitica. Il sé non accetta di piegarsi all’ineluttabilità del
destino e dunque vi oppone l’universalità razionale.

Ogni creatura mitica, secondo Adorno è portatrice di una sorta di contratto giuridico. Ulisse, per
salvarsi, deve scovare la fallacia, il punto debole del contratto su cui far leva per volgere la
situazione a suo favore. Il sé non può opporre la forza alle potenze primigenie e vi oppone dunque
l’astuzia anche perché per raggiungere la consapevolezza di sé e terminare il processo dialettico, il
soggetto deve prima piegarsi al mito e poi emanciparsi da esso. Ad esempio, nell’episodio delle
Sirene, Ulisse fa ricorso all’astuzia e decide di legarsi all’albero maestro: in questo modo si piega al
mito e alla forza del canto, senza tuttavia arrivare a perire27.

Vi sono anche altri episodi nel poema che testimoniano della dialettica dell’illuminismo. Quello
dell’incontro con il ciclope Polifemo, ad esempio, rappresenta il trionfo della parola sulla forza.

26
Ivi, pp. 52-56
27
Ivi, p. 68
Nell’inganno del nome, nel gioco dell’assonanza fonetica tra il termine greco Ulisse e quello greco
nessuno, risiede la chiave della vittoria dell’eroe28.

Un altro incontro chiave è quello con la maga Circe sull’isola di Ea. La donna trasforma i compagni
di Ulisse in bestie e questa metamorfosi rappresenta un regresso dalla razionalità ad uno stato di
natura (quello dei bruti). La trasformazione della maga fa emergere l’istinto che il sé invece
reprime per potersi emancipare dalla natura29.

Anche il rapporto stesso tra Ulisse e i suoi fedeli compagni di viaggio presenta al suo interno degli
elementi della moderna società borghese. Ulisse è il capo, colui che può dare ordini, l’unico che
può ascoltare il canto delle Sirene mentre i suoi sottomessi sono costretti a porre la cera nelle
orecchie e a remare. In ultima istanza Odisseo è l’homo faber, l’homo aeconomicus per
eccellenza30.

Conclusione
Nel corso di questa breve trattazione è stato messo in evidenza il cambiamento che il mito
omerico ha subito nel corso del tempo. Ho utilizzato la parola cambiamento proprio perché
quando si fa l’esegesi di un brano si finisce per crearne una nuova versione, la quale assume vita
propria e si contrappone al testo originale. Ulisse viene gettato dapprima all’interno dell’universo
kafkiano e si ritrova in un mondo in cui la logica causale viene meno, non esiste più il rapporto
causa-effetto e crolla anche il principio aristotelico di non contraddizione. Per Kafka non c’è
speranza, non esiste possibilità di salvezza in un mondo che è caotico e frammentario: eppure
Ulisse si salva, paradossalmente grazie alla sua ignoranza. In Adorno troviamo l’eroe mitico nei
panni dell’homo faber, del borghese che esercita il proprio controllo sulla natura: l’astuzia,
presente anche in Omero, è l’elemento chiave dal momento che il principio della società borghese
è “ingannare o perire”. L’Ulisse di Adorno, uomo astuto e razionale, intraprende un processo
dialettico per elevare il suo sé dalla natura e dal mito. Ma ci riesce veramente? È davvero possibile
portare avanti questa cesura tra il soggetto e l’oggetto e sganciarsi totalmente dalla natura? La
Dialettica dell’illuminismo mostra come quest’ultimo si capovolge e finisce per diventare il suo
opposto: l’uomo non riesce davvero ad emanciparsi dai vecchi idoli, piuttosto li sostituisce con
nuovi miti (il progresso, la macchina, la ragione). Io ritengo che l’uomo rimanga sempre
intimamente legato al passato, comprensivo di storia, mito e religione. Questa dimensione
primigenia e aurorale rappresenta ciò che in fondo Carl Gustav Jung definisce come archetipi.
Questi retaggi culturali del passato si compenetrano totalmente con la cultura popolare, entrano a
far parte del sentire comune e influenzano il nostro modo di pensare e concepire la realtà. In
passato i miti, in quanto racconti fantastici, servivano a spiegare la creazione, i fenomeni naturali,

28
Ivi, p. 74
29
Ivi, pp. 78-80
30
Ivi, p. 70
l’esistenza delle divinità e tanti altri aspetti del mondo che l’uomo non era in grado di
comprendere con la sola ragione. Oggi, dopo aver attraversato l’Illuminismo e il Positivismo, dopo
aver raggiunto un certo livello di progresso nelle nostre società tecnocratiche e avanzate, non
abbiamo certo bisogno di un mito per spiegare quello che non capiamo. Tuttavia siamo sempre
affascinati da quell’universo misterioso, primitivo, “irrazionale” , che fa comunque parte di noi e
della nostra cultura. Ogni civiltà umana ha prodotto dei miti e li ha tramandati alle generazioni
successive. Il legame che manteniamo con essi e la forza che riescono a sprigionare sono i motivi
per i quali continuiamo a produrne esegesi e a farli rivivere continuamente.

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