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René

Guenon e il Tarocco
I residui di una scienza tradizionale indiscutibile
di Gerardo Lonardoni
L’opera e la figura del celebre tradizionalista francese René
Guenon (1886-1951) sono troppo conosciute perché sia
necessario spendervi più di poche parole; ma non è altrettanto
noto che fosse un buon conoscitore del simbolismo dei
Tarocchi.
Guènon dedicò la sua vita allo studio dei molteplici aspetti
assunti, nel corso delle civiltà, dalla “tradizione primordiale”,
che considerava caratteristica dell’umanità vissuta nell’età
dell’oro. Questa tradizione primordiale costituiva il patrimonio
spirituale e la sostanza stessa di quell’umanità ancora
congiunta al Sacro; era al tempo stesso dottrina e modo di vita
di un’epoca in cui l’uomo viveva consapevolmente secondo lo
spirito. Ma con il trascorrere delle età in senso involutivo -
dell’argento, del bronzo e del ferro - e la degenerazione
progressiva dell’umanità quella tradizione primordiale
dapprima si frammentò in molteplici rivoli costituenti
altrettante tradizioni minori, quindi giunse fino quasi alla
sparizione, specialmente nell’Occidente materialista moderno.
Le religioni del pianeta - induismo, cristianesimo, Islam, etc. -
sono forme di quella tradizione primordiale di cui peraltro
costituiscono soltanto un riflesso; attraverso di loro tuttavia
l’uomo interiormente qualificato può ritornare alla sorgente e
ritrovare la Via che conduce al Sacro.
Guénon approfondì lo studio delle forme di spiritualità che
riteneva ortodosse, per trovarne l’origine comune nella
tradizione delle origini, la cui sede era stata un centro
spirituale ormai passato in occultamento. Egli affermava che la
reintegrazione dell’uomo decaduto della nostra epoca può
avvenire solo mediante una iniziazione regolare, come quella
massonica oppure il battesimo cristiano, conferita da un
maestro qualificato e seguita dalle pratiche spirituali previste
nella forma tradizionale cui appartiene quell’iniziazione.
Nel corso della sua ricerca René Guénon incontrò ovviamente
anche l’opposto della tradizione primordiale, che definì
“l’Antitradizione” (cfr. Il Regno della quantità e i segni dei tempi,
citato in bibliografia): ovvero forme completamente
degenerate e “invertite” di essa, che potevano condurre l’uomo,
anziché a ritrovare la via verso il Sacro, alla definitiva
disgregazione spirituale e morale. Questa Antitradizione
avrebbe trovato il suo culmine nel materialismo della nostra
epoca, che avrebbe anche avuto l’effetto di far risorgere quegli
aspetti psichici inferiori che costituiscono l’antitesi della vera
spiritualità. Di queste forme antitradizionali secondo Guénon
fa parte anche l’occultismo, nel senso di dottrine o pratiche
apparentemente spirituali ma sganciate e avulse da qualunque
contesto realmente tradizionale e quindi atte a spingere l’uomo
ancora più lontano dal proprio centro interiore.
Con queste premesse, ci si potrebbe aspettare che Guénon
respingesse con sdegno come “occultista” e antitradizionale il
Tarocco, di cui nessuno conosce l’esatta origine e che oggi
viene purtroppo usato soprattutto dai cartomanti per predire il
futuro. Ma la realtà è ben diversa, come subito vedremo.
Dobbiamo anzitutto precisare che la conoscenza del Tarocco
da parte di Guénon si rivela tutt’altro che superficiale, ma
risente dei limiti dell’epoca in cui scriveva: al suo tempo
mancava quasi completamente uno studio sul Tarocco accurato
dal punto di vista storico e simbolico, a parte le speculazioni
più o meno accettabili degli esoteristi. Il tradizionalista
francese infatti si avvale palesemente delle opere scritte da
questi ultimi, spesso per criticarli, allorché parla del Tarocco.
Dal punto di vista storico Guénon non appare in grado di
aggiungere alcunché alle conoscenze della sua epoca sul
Tarocco; tuttavia la sua posizione riguardo agli Arcani e alla
sapienza che celano in sé è molto interessante. I suoi brani che
andiamo a citare si troveranno riportati per esteso nella
seconda parte del presente articolo.
Anzitutto Guénon vede nel Tarocco “i residui di una scienza
tradizionale indiscutibile, qualunque sia stata la sua origine
reale, benché caratterizzata da aspetti assai tenebrosi”; questa
frase merita una considerazione approfondita. “Residui di una
scienza tradizionale indiscutibile” significa che l’origine del
simbolismo del Tarocco affonda nella notte dei tempi,
risalendo nientemeno che alla tradizione primordiale; e ciò
contraddice totalmente gli storici moderni che invece
sostengono che il Tarocco è un mero gioco di carte
d’invenzione moderna. Guénon non è in grado di spiegare o
anche solo di intuire la esatta origine degli Arcani - “qualunque
sia stata la sua origine reale” - ma è certo per lui che sono
sopravvivenze di una sapienza autentica e antichissima.
Secondariamente, egli ritiene sorprendentemente che le figure
del Tarocco siano state poco modificate dal corso del tempo,
anzi che offrano “una grande possibilità nel loro insieme di
conservare più fedelmente il simbolismo originale. In fondo, la
trasmissione del Tarocco è alquanto paragonabile a quella del
“folklore”, anzi costituisce un semplice caso particolare di esso, e
la conservazione dei simboli è salvaguardata nel medesimo
modo; in un dominio simile, ogni innovazione dovuta a una
iniziativa individuale è sempre pericolosa, e come nelle
sistemazioni letterarie dei racconti detti “popolari”, può appena
indebolire od oscurare il senso, mescolando “abbellimenti” più o
meno fantasiosi e in ogni caso superflui”.
Il tradizionalista francese pensa quindi che il mazzo classico -
si fa qui evidentemente riferimento ai Tarocchi di Marsiglia -
conservi integralmente o quasi tutta la propria valenza
simbolica originaria, il che non è poco per uno strumento
passato attraverso decine di disegnatori e stampatori di ogni
epoca; e in tal modo si dimostra del tutto contrario ai tentativi
di “ricostruire” la supposta forma originaria del Tarocco, in cui
si sono cimentati gli occultisti di ogni epoca successiva a Court
de Gébelin: Etteilla, Wirth, Jodorowsky e quant’altri. Questi
tentativi gli appaiono superflui o dannosi, conservando il realtà
il Tarocco odierno tutta la sua valenza esoterica.
Ma se mettiamo in relazione fra loro queste due affermazioni
nel loro pieno valore, la conclusione è una sola: il mazzo dei
Tarocchi di Marsiglia rappresenta una completa via simbolica
tradizionale, pochissimo alterata rispetto ad un originale che
affonda le proprie origini nella tradizione primordiale.
Perché dunque René Guénon non ha maggiormente
approfondito lo studio di queste misteriose e antiche carte?
Una spiegazione si ricava facilmente dai suoi stessi scritti: egli
infatti sostiene che la scienza del Tarocco, benché tradizionale,
è “caratterizzata da aspetti assai tenebrosi; non pretendiamo di
fare allusione con ciò alle abbondanti elucubrazioni occultiste
cui ha dato luogo e che in gran parte mancano di qualunque
spessore, bensì a qualcosa ben più reale, che rende il suo uso ben
più pericoloso per chiunque non stia abbastanza in guardia
contro le “forze dal basso”.
Possiamo ipotizzare che secondo Guénon il Tarocco, residuo di
forme tradizionali ormai privo di rapporto diretto con ogni
iniziazione ortodossa, esponga chi lo pratica al rischio di venire
risucchiato dalle “forze dal basso” contro le quali egli mette in
guardia chiunque si avventuri sulla via spirituale senza essere
saldamente ancorato ad una tradizione regolare. Guénon
doveva vedere nella pratica della divinazione o della
meditazione con le carte un inutile aprirsi a pericolose
influenze psichiche contro le quali gli arcani stessi a suo parere
non offrivano alcun valido scudo. Da questo punto di vista la
sua posizione era coerente con la sua impostazione generale
rispetto ai pericoli che presenta ogni tentativo dell’uomo di
riaccostarsi al proprio centro interiore.
Sul piano pratico notiamo che Guénon correttamente
riconosceva il Tarocco cosiddetto di Marsiglia come l’unica
forma autentica del suo simbolismo; lo si ricava “a contrario”
dalla sua affermazione che “il numero 8 può qui avere una certa
relazione con il simbolismo cristiano del Sol Iustitiae o Sole di
Giustizia (confronta il simbolismo dell’VIII arcano del Tarocco)”,
in cui l’ottava lama è attribuita alla Giustizia e non alla Forza
come oggi avviene nei mazzi di origine anglosassone, secondo
lo schema in uso nella Golden Dawn.
Per parte nostra, non possiamo che ribadire quanto abbiamo
già scritto in altri articoli pubblicati su questo sito, e nel nostro
testo La Via del Sacro - I simboli dei Tarocchi fra Oriente e
Occidente: l’esoterismo del Tarocco non fu “inventato” da Court
de Gébelin come vogliono gli storici contemporanei (ma si
stanno ricredendo: si veda il nostro articolo “Court de Gébelin
e la tradizione occulta”). La tradizione esoterica concernente
gli Arcani era custodita all’interno delle consorterie
settecentesche e fu dalle conoscenze segrete che vi circolavano
che Court de Gébelin trasse il materiale per il suo saggio “Il
gioco del Tarocco” che lo rese celebre. È comunque nostro
parere che de Gébelin non avesse una completa conoscenza di
questa tradizione, e che nell’attribuire a sé la scoperta di ciò
che invece era un sapere condiviso abbia commesso un falso,
cui si sono accompagnati diversi errori nell’esposizione.
Trascriviamo di seguito i brani in cui René Guénon si riferisce
al Tarocco. Ringraziamo doverosamente il prof. Federico
Gonzàlez, dal cui sito http://www.simbolismoyalquimia.com/
abbiamo tratto l’elenco delle citazioni.
Dalle opere di René Guénon

1) Il re del Mondo, cap. XI: “d’altra parte, ricorderemo una volta


di più che possono anche esistere simultaneamente, fuori del
centro principale, molti altri centri che si relazionano con esso,
e che sono come altrettante sue immagini, il che è una fonte di
confusioni abbastanza facili da commettere, tanto più nella
misura in cui questi centri secondari - essendo più esteriori -
sono per tale motivo più visibili del centro supremo”. 1
2) Il regno della quantità e i segni dei tempi, cap. XXXVII: “la
peggior cecità sarebbe quella che consistesse nel vedere qui
nient’altro che una mera questione di “moda” senza reale
importanza; d’altra parte potrebbe dirsi altrettanto della
crescente diffusione di certe “arti divinatorie” che certamente
non sono così inoffensive come possono sembrare a tutti quelli
che mai arrivano al fondo delle cose; in generale si tratta dei
resti incompresi delle antiche scienze tradizionali quasi
completamente perdute, cosicché, oltre al pericolo inerente
alla loro natura “residuale”, si dispongono e combinano in
forma tale che la loro messa in funzione, sotto pretesto della
“intuizione” (coincidenza con la “nuova filosofia” che risulta già
abbastanza degna di nota in se stessa) apre la porta
all’intervento delle influenze psichiche di carattere più
dubbio”.2

1 Secondo l’espressione che Saint-Yves prende dal simbolismo del Tarocco, il centro

supremo sta fra gli altri centri come “lo zero chiuso dai ventidue arcani”.
2 Ci sarebbe molto da dire a questo riguardo, soprattutto dell’uso del Tarocco in cui

si incontrano i residui di una scienza tradizionale indiscutibile, qualunque sia stata


3) La grande triade, cap. XV: “un punto che dà motivo di un
paragone particolarmente rimarchevole tra la tradizione
estremo orientale e le tradizioni iniziatiche occidentali, è ciò
che concerne il simbolismo del compasso e della squadra:
questi come abbiamo già indicato, corrispondono palesemente
al cerchio e al quadrato, cioè alle figure geometriche che
rappresentano rispettivamente il cielo e la terra. Nel
simbolismo massonico, conforme a questa corrispondenza, il
compasso si colloca normalmente sopra e la squadra sotto; in
genere fra entrambi si raffigura la Stella risplendente, simbolo
dell’Uomo, e più precisamente dell’ "uomo rigenerato” e che
così completa la rappresentazione della Grande Triade.3
In effetti, il compasso, simbolo “celeste”, poi yang o maschile,
appartiene propriamente a Fo-Hi, e la squadra, simbolo
“terrestre”, poi yin o femminile, a Niu-kua; però al contrario
quando vengono rappresentati congiunti e uniti per le loro
code di serpente (corrispondendo così esattamente ai due
serpenti del caduceo), è Fo-hi quello che porta la squadra e
Niu-kua il compasso. Questo si spiega in realtà con uno
scambio paragonabile a quello di cui si è trattato in precedenza
per ciò che concerne i numeri “celesti” e “terrestri”, scambio
che, in un caso simile, può qualificarsi molto appropriatamente
come “ierogamico”: non si vede come, senza un simile scambio,
il compasso potrebbe corrispondere a Niu-kua, tanto più che le
azioni che le si attribuiscono la rappresentano soprattutto
mentre esercita la funzione di assicurare la stabilità del mondo,

la sia origine reale, benché caratterizzata da aspetti assai tenebrosi; non
pretendiamo di fare allusione con ciò alle abbondanti elucubrazioni occultiste cui ha
dato luogo e che in gran parte mancano di qualunque spessore, bensì a qualcosa ben
più reale, che rende il suo uso ben più pericoloso per chiunque non stia abbastanza
in guardia contro le “forze dal basso”.
3 Quando si inverte questa posizione, il simbolo prende un significato particolare

che deve essere posto in relazione con l’inversione del simbolo alchemico dello Zolfo
per rappresentare il compimento della “Grande Opera”, così come con il simbolismo
della lama 12 del Tarocco.
funzione che si riferisce al lato “sostanziale” della
manifestazione, e che la stabilità si esprime nel simbolismo
geometrico mediante la forma cubica”.4
4) La Grande Triade, cap. XXIII: “l’idea della ruota, inoltre,
evoca immediatamente per se stessa quella di “rotazione”: tale
rotazione è la raffigurazione del cambiamento continuo cui è
sottomessa tutta la manifestazione, e perciò si parla anche
della “ruota del divenire”; in un movimento del genere, non c’è
che un solo punto che rimanga fisso e immutabile, e quel punto
è il centro”.5
5) Simboli della Scienza Sacra, cap. III: “In effetti, in tutte le
parti vediamo, non solo in Egitto, l’assimilazione simbolica
stabilita fra il cuore e la coppa o il vaso; in tutte le parti il cuore
è considerato come il centro dell’essere, centro al tempo stesso
divino e umano nelle applicazioni molteplici che permette; in
tutte le parti, inoltre, la coppa sacrificale rappresenta il Centro
o il Cuore del Mondo, la “dimora d’immortalità”.6
6) Simboli della Scienza Sacra, cap. XXV: “in un articolo del

4 Con l’inversione degli attributi tra Fo-Hi e Niu-kua occorre porre in relazione il

fatto che, nelle lame 3° e 4° del Tarocco, si attribuisce all’Imperatrice un simbolismo


celeste (stelle) e all’Imperatore un simbolismo terrestre (pietra cubica); inoltre,
numericamente e per il grado di queste due lame, l’Imperatrice è in corrispondenza
col tre, numero dispari, e l’Imperatore col numero 4, numero pari, il che riproduce di
nuovo la stessa inversione”.
5 “confronta la “Ruota della Fortuna” nell’antichità occidentale, e il simbolismo della

lama 10° del Tarocco”.


6 “avremmo potuto ricordare anche l’ athanor ermetico, il vaso in cui si compie la

“Grande Opera” il cui nome, secondo alcuni, deriverebbe dal greco athanathos,
“immortale”; il fuoco invisibile che si mantiene perpetuamente in esso corrisponde
al calore vitale che risiede nel cuore. Avremmo potuto ugualmente stabilire
collegamenti con un altro simbolo assai diffuso, quello dell’ uovo, che significa
resurrezione e immortalità e sul quale avremo forse occasione di tornare.
Segnaleremo d’altronde, quanto meno a titolo di curiosità, che la coppa del Tarocco
(la cui origine è, per il resto, assai misteriosa) è stata rimpiazzata dal cuore nelle
carte francesi, il che è un altro indice dell’equivalenza di entrambi i simboli.”
numero speciale di Le Voile d’Isis dedicato al Tarocco, il signor
Auriger, a proposito dell’arcano XVI, ha scritto ciò che segue:
“Sembra esistere una relazione fra le pietre di grandine che
circondano la Torre colpita dal fulmine e la parola Beyt-el,
“dimora divina”, da cui si è ricavata “betilo”, parola con cui i
semiti designavano gli aeroliti o “pietre del fulmine”. Questa
relazione è stata suggerita dal nome di “dimora di Dio” dato a
quell’arcano, nome che è, in effetti, la traduzione letterale del
Beyt-el ebreo; però a noi sembra che ci sia in quella
considerazione una confusione fra cose diverse abbastanza
differenti, e che potrebbe offrire un certo interesse
puntualizzare questo argomento”.
7) Simboli della Scienza Sacra, cap. XXXI: “questo triangolo
rovesciato è ugualmente lo schema del cuore, e quello della
coppa, che è assimilata a quello nel simbolismo, come abbiamo
mostrato particolarmente in ciò che concerne il Graal”.7
8) Simboli della Scienza Sacra, cap. XXXVII: “ come le porte
solstiziali danno accesso, come abbiamo detto sopra, alle due
metà ascendente e discendente del ciclo zodiacale, che in esse
hanno i loro rispettivi punti di partenza, Giano, che abbiamo
già visto apparire come “il Signore del triplice tempo”
(designazione che si applica anche a Shiva nella tradizione
indù) è altresì, per quanto abbiamo detto, il “Signore delle due
vie”, quelle due vie, di destra e di sinistra, che i pitagorici
rappresentavano con la lettera Y 8 , e che sono in fondo
identiche rispettivamente al deva-yana e al pitr-yana. È quindi


7 “nell’antico Egitto il vaso era il geroglifico del cuore. La “coppa” del Santo Tarocco,

corrisponde altresì al “cuore” delle carte comuni francesi”.


8 “è quello che rappresentava anche, in forma exoterica e “moralizzata”, il mito di

Ercole fra la Virtù e il Vizio, il cui simbolismo si è conservato nel sesto arcano del
Tarocco. L’antico simbolismo pitagorico per il resto ha mantenuto altre
“sopravvivenze” assai curiose; lo si ritrova così nell’epoca rinascimentale nel
marchio dello stampatore Nicolas du Chemin, disegnato da Jean Cousin”.
facile comprendere che le chiavi di Giano sono in realtà quelle
stesse che, secondo la tradizione cristiana, aprono e chiudono il
“Regno dei cieli” (corrispondendo in questo senso al deva- yana
la via per cui vi si giunge), e ciò tanto più in quanto quelle due
chiavi, da un altro punto di vista, una d’oro e l’altra di argento,
erano anche rispettivamente quella dei “grandi misteri” e
quella dei “piccoli misteri”.
9) Simboli della Scienza Sacra, cap. LIX: “il Màkara è il
coccodrillo (çiçumara) dalle fauci aperte che si sostiene “contro
la corrente” e rappresenta la via unica per la quale ogni
creatura deve necessariamente passare, presentandosi così
come il “guardiano della soglia” che quella deve attraversare
per liberarsi dalle condizioni limitanti (simbolizzate anche dal
paça di Varuna) che lo trattengono nel dominio dell’esistenza
contingente e manifestata”.9
10) Simboli della Scienza Sacra, cap. LX: “il sole è stato
rappresentato spesso, in tempi e luoghi diversi incluso il
Medioevo occidentale, con raggi di due tipi, alternativamente
rettilinei e ondulati; un esempio notevole si trova in una
tavoletta assira del Museo Britannico che data al I sec. a.C.; in
essa il sole appare come una specie di stella a otto raggi”.10


9 Vedere “l’attraversamento delle acque” [cap. LVI]; questo coccodrillo è l’ ammit

degli antichi egizi, mostro che attende il risultato della “psicostasis” o “pesatura
delle anime” per divorare quelli che non hanno passato soddisfacentemente questa
prova. È anche lo stesso coccodrillo che, aperte le fauci, spia il “folle” del primo
arcano del Tarocco; il “folle” si interpreta generalmente come l’immagine del
profano che non sa da dove viene né dove va, e procede ciecamente senza coscienza
dell’abisso in cui sta per precipitare”.
10 il numero 8 può qui avere una certa relazione con il simbolismo cristiano del Sol

Iustitiae o Sole di Giustizia (confronta il simbolismo dell’8° arcano del Tarocco); il


Dio solare di fronte al quale è collocata questa raffigurazione ha, per il resto, in una
mano “un disco e una barra, che sono rappresentazioni convenzionali della riga e
della misura di giustizia”; rispetto al primo di questi due emblemi, ricorderemo la
relazione che esiste fra il simbolismo della misura e quello dei “raggi” solari”.
11) Simboli della Scienza Sacra, cap. LXVII: “W. Deonna, che ha
avuto l’opportunità di citare il “quattro numerale” fra altri
simboli che figurano in armi antiche, si riferisce, in modo per il
resto assai sommario, all’origine e al significato di quel
contrassegno e menziona l’opinione secondo la quale esso
rappresenta ciò che denomina in modo ben più stravagante “il
valore mistico della cifra 4”; senza respingere del tutto questa
interpretazione, ne preferisce tuttavia un’altra, e suppone “che
si tratti di un segno astrologico”, quello di Giove. Questo, in
effetti, presenta nel suo aspetto generale una certa somiglianza
con la cifra 4; ed è altresì sicuro che l’uso di questo segno può
avere qualche relazione con l’idea di “maestria”; però,
nonostante ciò, e contro l’opinione del sig. Deonna, pensiamo
che non si tratta che di un’associazione secondaria, che, per
legittima che sia, non fa tuttavia che aggiungersi al significato
primario e principale del simbolo”.11
12) Studi sulla Massoneria e il Compagnonaggio, Vol. II, pag.
147: “uno studio di J.-H Probst-Biraben su “l’esoterismo
araldico e i simboli” riunisce nei numeri da luglio a ottobre
(rivista Symbolisme 1947) una documentazione considerevole
su questo soggetto: insiste soprattutto sull’origine orientale
delle insegne araldiche e le loro relazioni con l’ermetismo, che
sono inoltre comuni a “le figure del Tarocco, gli emblemi delle
corporazioni” e, senza dubbio con altre cose che nel Medio Evo
avevano un carattere simile: “senza la conoscenza del
simbolismo ermetico, l’arte araldica si riduce la maggior parte
delle volte a essere incomprensibile”.
Ciò che troviamo ben più sorprendente è che l’autore non
voglia ammettere che “simboli esoterici siano stati introdotti
nelle insegne dagli stessi nobili” perché costoro “non erano in

11 “troviamo, del resto, un altro caso della stessa associazione fra il simbolismo di

Giove e quello del quaternario nel quarto arcano del Tarocco”.


generale né istruiti né soprattutto iniziati” e non avrebbero
pertanto nemmeno sospettato il senso reale; non ha udito mai
parlare di una iniziazione cavalleresca, e immagina forse che
l’istruzione esteriore debba
costituire una condizione preliminare all’iniziazione? Che dei
chierici e degli artigiani abbiano talvolta collaborato alla
composizione degli stemmi è certamente possibile, ma questo
non accadeva semplicemente perché dovevano esserci fra
costoro e i nobili delle relazioni d’ordine iniziatico come si
trovano in tanti altri indizi, soprattutto proprio nel dominio
dell’ermetismo?”.
13) Forme tradizionali e cicli cosmici, cap. “la tomba di Ermete”:
“Non è il corpo di Idris quello che si seppellì nella Grande
Piramide, ma la sua conoscenza; e, con ciò, alcuni intendono
che si tratta dei suoi libri; però, che verosimiglianza ha che
alcuni libri siano stati seppelliti così, puramente e
semplicemente, e che interesse avrebbe potuto offrire ciò da
qualunque punto di vista? (non occorre far notare che il caso
dei libri depositati ritualmente in una vera tomba è diverso da
questo). Disgraziatamente per la supposizione, non ci sono
nella Grande Piramide né iscrizioni né rappresentazioni
simboliche di alcun genere”.12
14) Comptes Rendus, recensione sulla Cabala mistica di Dion
Fortune: “consideriamo allo stesso modo l’esagerazione che
esiste nel considerare l’ “albero della vita” da un punto di vista
esclusivo come costituente la base unica di tutto il simbolismo,

12 “Su questo fatto si trovano a volte affermazioni singolari e più o meno

completamente fantasiose; così nello Occult Magazine, organo della H.B. di L.,
abbiamo incontrato una allusione alle “78 lame del libro di Hermes che giace sepolto
in una delle piramidi” (numero di dicembre 1885, pag. 87); si tratta qui chiaramente
del Tarocco, ma questo non ha mai rappresentato un libro di Hermes, di Thoth o di
Enoch, all’infuori di certe concezioni molto recenti, e non è più egizio degli zingari
cui a volte si è dato tale nome” (Sulla H.B. di L., cfr. il nostro libro La Teosofia)”.
così come l’importanza un po’ eccessiva attribuita al Tarocco”.
15) Comptes Rendus, recensione su Le Tarot. Histoire,
iconographie, èsoterisme di Gérard Van Rijnberk: “questo gran
volume è il risultato di lunghe e pazienti investigazioni su tutto
ciò che riguarda da vicino o da lontano il Tarocco. Nella prima
parte, ha riunito tutto ciò che è possibile trovare in libri e
documenti d’archivio sull’origine del Tarocco e delle carte da
gioco e l’epoca della sua apparizione in differenti paesi
d’Europa, e bisogna dirlo, non ha potuto giungere ad alcuna
conclusione sicura. Tutto ciò che si può affermare, è che le
carte da gioco sono state conosciute verso la fine del secolo
XIII; soprattutto nei paesi mediterranei, e che la parola
“Tarocco”, la cui etimologia è inoltre impossibile scoprire, non
cominciò a essere utilizzata che a partire dal secolo XV, benché
la cosa sia di per sé sicuramente più antica. L’ipotesi di
un’origine orientale, sulla quale alcuni hanno tanto insistito,
non è in alcun modo provata; e noi aggiungeremo che, in ogni
caso, anche se fosse vero che gli arabi avessero svolto qui un
ruolo di “trasmettitori”, non sarebbe per questo meno
inconcepibile, per più di una ragione, che le carte abbiano
avuto nascita in un ambiente islamico, cosicché la difficoltà
sarebbe semplicemente spostata più indietro. Inoltre,
contrariamente alle affermazioni di Vaillant, il Tarocco era
conosciuto in Europa occidentale prima dell’arrivo degli
zingari; ed è così che tutte le “leggende” occultiste evaporano
appena le si sottopone a un serio esame!”.
Nella seconda parte, l’autore esamina tutto ciò che, in scritti e
opere d’arte dell’antichità classica e del Medioevo, gli sembra
presentare qualche relazione con le idee espresse dal
simbolismo degli arcani del Tarocco; alcune somiglianze sono
abbastanza nette, però ce ne sono altre che sono ben più vaghe
o lontane. Va da sé, inoltre, che questi accostamenti sono
sempre molti frammentari, e non raggiungono che certi punti
particolari; inoltre, occorre non dimenticare che l’uso degli
stessi simboli non costituisce mai la prova di una filiazione
storica. Non abbiamo ben compreso perché, a proposito di
questi accostamenti e delle idee cui si riferiscono, il signor Van
Rijnberk parla di “exoterismo del Tarocco” né cosa intende
esattamente con questo, né che differenza vede con ciò che al
contrario designa come il suo “esoterismo”.
16) Comptes Rendus, recensione su Il Tarocco. Saggio
d’interpretazione secondo i principi dell’ermetismo, di Jean
Chaboseau: “questo libro sul Tarocco è scritto da un punto di
vista ben diverso dal precedente, e sebbene sia molto meno
voluminoso, ha pretese apparentemente maggiori, malgrado la
sua modesta qualifica di “saggio”; noi non discuteremo del
resto che possa essere legittimo cercare una interpretazione
astrologica e anche qualcun’altra ancora, con la condizione di
non presentare nessuna di esse come esclusiva; però questa
condizione è soddisfatta quando si considera l’ermetismo come
“la base stessa del simbolismo del Tarocco?” è vero che
occorrerebbe anzitutto intendersi sul senso delle parole;
l’autore a noi sembra voler estendere troppo ciò che egli
attribuisce all’ermetismo, al punto d’inglobare quasi tutto il
resto, compresa la Cabala; e sebbene egli rimarchi
sufficientemente bene la relazione e la differenza fra
l’ermetismo e l’alchimia, non è meno vero che esiste la pretesa
di una forte esagerazione, così come lo fa, identificando il
primo con la “conoscenza totale!” Di fatto, i suoi commenti
sulle lame del Tarocco non si limitano inoltre strettamente
all’ermetismo, perché, anche prendendolo come punto di
partenza, effettua numerosi accostamenti a dati provenienti da
tradizioni assai differenti; non è certamente questo ciò che gli
rimprovereremo, ben lungi da ciò, ma che a volte non abbia
verificato sufficientemente se erano tutti ben giustificati e,
nella forma in cui tutto questo è presentato, si sente un po’
troppo la persistenza dello spirito “occultista”: sarebbe bene,
per esempio, rinunciare a utilizzare la figura di Adda-Nari (cioè
Ardha-Nari, combinazione androgina di Shiva e Parvati) che
non ha più relazione col Tarocco degli strani assemblaggi che le
ha fatto sopportare Eliphas Lèvi. Le intenzioni dell’autore non
sempre si sviluppano, d’altra parte, con la sufficiente chiarezza
che si potrebbe desiderare, e particolarmente quando cita
alcuni brani di nostri scritti non siamo molto sicuri, vedendo il
contesto, che li intenda come li intendiamo noi stessi. Il sig.
Chaboseau ha tentato inoltre, dopo un certo numero di altri, di
“ricostituire” a suo modo le figure del Tarocco; va da sé che, in
casi simili, ciascuno include sempre molte delle sue idee
particolari e non c’è ragione per considerare queste
“ricostituzioni” come le une più o meno valide di altre; noi
riteniamo che è molto più sicuro rimettersi semplicemente alle
figure ordinarie, che sono rimaste poco deformate dal corso del
tempo e offrono una grande possibilità nel loro insieme di
conservare più fedelmente il simbolismo originale. In fondo, la
trasmissione del Tarocco è alquanto paragonabile a quella del
“folklore”, anzi costituisce un semplice caso particolare di esso,
e la conservazione dei simboli è salvaguardata nel medesimo
modo; in un dominio simile, ogni innovazione dovuta a una
iniziativa individuale è sempre pericolosa, e come nelle
sistemazioni letterarie dei racconti detti “popolari” non si può
più che appena indebolire od oscurare il senso mescolando
“abbellimenti” più o meno fantasiosi e in ogni caso superflui.
Queste ultime riflessioni, sia chiaro, non si rivolgono al sig.
Chaboseau più che ai suoi predecessori, e noi riconosciamo
anche con piacere che lo stile “medievalista” che ha adottato
per le sue illustrazioni non ha la inverosimiglianza di un
Tarocco detto egizio o indù, però questa non è che una
questione di grado. Tuttavia noi ci poniamo qui nel punto di
vista del valore simbolico; in un ordine di considerazioni più
“pratico”, si può credere che le influenze psichiche che sono
incontestabilmente unite alle lame del Tarocco, qualsiasi siano
inoltre la sua origine e qualità, possano incontrare tuttavia un
supporto efficace in tutte queste modificazioni arbitrarie delle
figure tradizionali?”.
Bibliografia
1. Le Roi du Monde, Librairie Charles Bosse, «Les Cahiers du
Portique», 1927, Éditions Gallimard, Paris
2. Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, Éditions
Gallimard, Paris, 1945
3. La Grande Triade, Revue de la Table Ronde, Nancy, 1946
4. Symboles fondamentaux de la Science sacrée, Éditions
Gallimard, Paris, 1962
5. Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, (2
vol.), Éditions Traditionnelles, Paris, 1964
6. Formes traditionnelles et Cycles cosmiques, Éditions
Gallimard, Paris, 1970
7. Comptes Rendus, Éditions Traditionnelles, Paris, 1973
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