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Voci del verbo discernere

Voci del verbo discernere

Salvato in: Blog


scritto da Aldo Maria Valli

Una delle parole centrali nell’insegnamento di papa Francesco è


certamente «discernimento». Da buon figlio di sant’Ignazio,
Bergoglio conosce le regole scritte nel XVI secolo dal fondatore
dei gesuiti e di conseguenza ha ben presente l’importanza del
discernere nella vita spirituale. Discernere significa setacciare: si
tratta dunque di distinguere, di scegliere. In che senso? Scegliere
il bene e rifiutare il male. Scegliere ciò che ci avvicina a Dio e
rifiutare ciò che ci allontana da Lui. Scegliere la virtù e rifiutare il
peccato.
Nel magistero di Francesco, tuttavia, il concetto di
discernimento sembra aver preso una connotazione diversa, al
punto da lasciar intendere che discernere significa soprattutto
vedere fino a che punto è possibile seguire la dottrina e in quale
misura sia invece possibile aderire a ciò che la coscienza
suggerisce. In questo senso il discernere assomiglia sempre di
più a un giustificare il limite umano e un separare quella che
sarebbe la fredda legge «rigida», lontana dall’uomo e in sostanza
impossibile da osservare, rispetto a una accompagnamento
amichevole e comprensivo, in grado di cogliere i
condizionamenti ai quali la creatura è esposta e quindi di
scagionarla dalla colpa.
Affrontare il tema del discernimento nel quadro dell’attuale
magistero pontificio significa entrare in uno degli aspetti decisivi
del modello di fede e di pastorale che Francesco sta indicando
alla Chiesa.
Ritengo dunque altamente istruttivo il saggio che propongo qui
di seguito. Opera del professor Benedetto Rocchi, dell’Università
di Firenze, non nasconde lo sconcerto per l’abuso del termine
discernimento che oggi si fa in molti ambienti ecclesiali. Scrive il
professore nella premessa al testo che mi ha gentilmente
inviato: «Ho fatto parte delle Comunità di Vita Cristiana e ho
avuto la fortuna di praticare gli esercizi spirituali secondo
sant’Ignazio: ma lì il discernimento è un’altra cosa».
Propongo il saggio del professor Rocchi, che ringrazio, come un
contributo al dibattito.

Aldo Maria Valli

***

Il discernimento secondo Ignazio di Loyola

Una parola risuona sempre più frequentemente nella Chiesa al


tempo di papa Francesco: discernimento. La si invoca
sopratutto nelle rinnovate controversie sui temi più scottanti
della morale, in particolare relativi a matrimonio e sessualità, ma
ormai il suo uso sconfina nei terreni più squisitamente legati alla
dottrina, come nel caso dell’accesso all’Eucaristia per i divorziati
risposati o, più recentemente, per i protestanti sposati ad un
cattolico. Certe interpretazioni permissive dei passaggi meno
chiari della Amoris laetitia, certe esternazioni progressiste in
materia morale, ad esempio sugli atti omosessuali, invocano
sempre più spesso il primato della coscienza sulle formulazioni
della dottrina, descrivendo in genere quest’ultima come una
fredda lista di norme e divieti invece che come il cuore pulsante
del cristianesimo, dove fede e ragione si abbracciano
sostenendosi a vicenda. Nel discernimento, si dice, la coscienza
può guidare il credente attraverso e oltre la dottrina, verso una
comprensione “dinamica” di quella che è la volontà di Dio per lui,
nella sua concreta condizione esistenziale. Lo ha fatto
recentemente monsignor Paglia (ma è in ottima e qualificata
compagnia tra i suoi confratelli vescovi), durante un incontro
formativo organizzato dalla diocesi di Oppido Palmi a Gioia
Tauro (Avvenire, 17/05/2018) affermando che Amoris laetitia
inviterebbe la Chiesa “…ad operare un ulteriore discernimento
pastorale e personale che preveda, all’interno di un cammino di
accompagnamento e in casi specifici la possibilità che i due
accedano ai sacramenti mantenendo a tutti gli effetti … una vita
coniugale”. Questo servirebbe a superare “facili schematismi”
che a volte chiuderebbero “… la via della grazia e della crescita” e
scoraggerebbero “… percorsi di santificazione che danno gloria a
Dio”.
Non mi interessa discutere la forzatura di un passo (pure in sé
ambiguo) dell’enciclica fatta da Paglia, un passo peraltro che lo
stesso Papa non ha mai voluto chiarire ufficialmente, lasciando
così a ciascuno la libertà di intenderlo come reputa giusto. Per
quanto mi riguarda monsignor Paglia è chiaramente in errore. Mi
sembra però urgente riflettere sul tema sempre più abusato del
discernimento perché la coscienza è luogo essenziale del nostro
rapporto personale con Dio ed un insegnamento erroneo sul
discernimento potrebbe allontanare tanti cristiani dalla giusta
strada verso il Padre.
Poiché il Papa regnante è un gesuita la rinnovata enfasi sul
discernimento non deve stupire. Il “discernimento degli spiriti”
(Esercizi spirituali 176b) è un tratto caratteristico
dell’insegnamento di Sant’Ignazio di Loyola ed una esperienza
tipica di chi pratica gli esercizi spirituali da lui proposti. Poiché
ho fatto parte delle Comunità di Vita Cristiana durante gli anni
della mia formazione, ho avuto il dono di sperimentare più volte
gli esercizi e la fecondità della spiritualità ignaziana. Eppure non
ricordavo un tale incoraggiamento ad una esame della
coscienza totalmente svincolato dall’insegnamento ormai
consolidato della Chiesa. Così, dopo tanti anni, ho cercato nella
libreria gli Esercizi Spirituali per controllare cosa Ignazio
scrivesse sul discernimento. E quello che ho trovato non
assomiglia neanche un po’ a ciò di cui parlano monsignor Paglia
e altri prelati come lui.
Alla fine della seconda settimana di esercizi Ignazio spiega
come il cristiano deve affrontare una scelta che riguarda il suo
stato di vita. Nel suo stile asciutto ed allo stesso tempo pieno di
fuoco e di tensione a Dio, Ignazio guida l’esercitando, cioè
qualsiasi cristiano che capisca di dover fare una scelta
importante per la sua vita e desideri farla davanti a Dio. Al punto
169 parte da una premessa fondamentale: In ogni buona scelta,
per quanto dipende da noi, l’occhio della nostra intenzione deve
essere puro, badando solo al fine per cui siamo stati creati, cioè
per la lode di Dio Nostro Signore e per la salvezza della nostra
anima. (ES, 169a)
Qualunque scelta dovrebbe essere subordinata a questo fine.
Con il suo sano realismo Ignazio riconosce che molto spesso gli
uomini fanno esattamente il contrario: prima compiono le scelte
in base ai loro “desideri disordinati” e poi cercano di servire Dio
dentro tali scelte.
In pratica, invece, succede che molti scelgono di sposarsi e poi
di servire nel matrimonio Dio Nostro Signore, mentre servire Dio
è il fine … In tal modo questi non vanno con rettitudine a Dio ma
vogliono che Dio vada di filato ai loro desideri disordinati, e
perciò fanno del fine un mezzo e di un mezzo il fine e così quello
che avrebbero dovuto considerare dopo lo considerano prima.
(ES, 169b-c)
Questa è una premessa “generale” a tutte le scelte, per vivere in
modo orientato “al servizio di Dio Nostro Signore” (ES, 169e) ma
vale anche quando le scelte sono richieste dalle conseguenze di
precedenti scelte che si è compreso non essere state
rettamente orientate alla volontà di Dio. Come ad esempio
quando constatiamo il fallimento del rapporto umano con il
coniuge e sopratutto quando comprendiamo che la scelta di
sposarlo non è stata fatta “… per dare lode a Dio e per la
salvezza della nostra anima” ma semplicemente per
assecondare quello che era un nostro desiderio.
L’ideale proposto al cristiano da Ignazio è una vita in cui ogni
scelta, grande o piccola che sia, è fatta per dare lode a Dio. Nella
realtà, poiché siamo peccatori, prima o poi tutti ci troviamo a
riconsiderare le nostre scelte passate, a valutarne le
conseguenze per la nostra anima, a cercare di recuperare un
orientamento alla volontà di Dio. Ignazio, che è un vero maestro
d’anime, ne è ovviamente consapevole e guida l’esercitando ad
affrontare anche questi snodi difficili e talvolta dolorosi della vita
di fede. In questo caso introduce una distinzione fondamentale
tra scelte “immutabili” e scelte “mutabili”: Ci sono delle cose
oggetto di una scelta immutabile come il sacerdozio, il
matrimonio, ecc, e ce ne sono altre oggetto di una scelta
mutabile come accettare o lasciare benefici, prendere o rifiutare
beni temporali. (ES, 171).
Nel primo caso per Ignazio è chiaro che non possiamo tornare
indietro:
In caso di scelta immutabile, quando cioè già sia stata fatta la
scelta, non vi è più nulla da scegliere, perché quella non si può
annullare, come è per il matrimonio, il sacerdozio ecc. (ES, 172a)
Mi sembra significativo che nel giro di poche righe Ignazio ripeta
come unici due esempi di scelte immutabili gli “stati di vita” che
per i cattolici vengono assunti in forza di un sacramento. Sono
scelte che coinvolgono non solo la nostra volontà ma anche
quella del Padre. In sostanza il santo dice: il Signore ci chiama,
per amore verso di noi, ad uno stato di vita che Lui ha pensato
per noi e per il nostro bene. A tale chiamata dovremmo
conformare la nostra scelta (e proprio a questo, per inciso,
dovrebbe servire il discernimento). Tuttavia Dio rispetta la nostra
libertà ed opera attraverso i sacramenti con la sua potenza
creatrice e redentrice anche quando la nostra scelta è
“disordinata e distorta” (ES, 172c) dai nostri desideri e non è la
risposta ad una “…vocazione divina, come alcuni pensano
erroneamente” (ES, 172c).
E’ questo rispetto di Dio per noi che fa sì che le scelte di vita che
implicano una specifica grazia di stato, come nel caso del
matrimonio e del sacerdozio, siano “immutabili”. Perciò quando
si comprende che la scelta è stata fatta per seguire i nostri
desideri piuttosto che quello che Dio stesso ha desiderato per
noi, non possiamo tornare indietro. Non ci resta che servire Dio
nella condizione nella quale abbiamo in qualche modo “preteso”
che Dio ci ponesse: Se quella scelta non è stata fatta con
rettitudine e nel modo dovuto, cioè senza inclinazione
disordinata, si dovrà cercare dopo essersi pentito, di condurre
una vita onesta in quella propria scelta. (ES, 172b)
Questa interpretazione dei passi degli Esercizi Spirituali che ho
citato è coerente con quanto Ignazio afferma altrove nello
stesso libro. I consigli sulle scelte seguono gli esercizi relativi
alla considerazione sugli “stati di vita”. Al punto 135d il santo
fondatore dei Gesuiti propone un esercizio che riguarda il “come
dobbiamo comportarci per arrivare alla perfezione in qualunque
stato e condizione di vita Dio Nostro Signore ci concedesse di
scegliere (ES, 135d). Dio per Ignazio “ci concede di scegliere” in
senso pieno: scegliere anche quella che NON è la nostra
vocazione divina. Drammatica libertà davvero, quella che ci
viene concessa!
Nel caso di scelte immutabili fatte seguendo inclinazioni
disordinate, per tendere alla perfezione, dobbiamo condurre “una
vita onesta in quella propria scelta”. Come dobbiamo dunque
interpretare questa onestà della vita raccomandata da Ignazio?
Nel caso di un matrimonio che ormai appare un errore, una
scelta non corrispondente alla vera vocazione, cosa significa
vivere “onestamente”? Non mi sembra plausibile alcuna
interpretazione che ammetta una relazione di tipo coniugale con
qualcuno che non sia colui che Dio ha reso nostro coniuge. Non
vorrei davvero essere nei panni di Monsignor Paglia se per
ventura gli toccasse di spiegare la sua interpretazione di Amoris
laetitia a Sant’Ignazio! Vivere “onestamente” per Ignazio non può
significare che vivere nella fedeltà al significato sacramentale
del matrimonio stesso: che ci piaccia o meno siamo ormai una
sola carne con il nostro coniuge anche se non lo amiamo più, in
modo del tutto evidente quando ci sono figli ma altrettanto vero
anche quando non ci sono. Dio infatti non ritira i suoi doni, e la
grazia concessa per quel matrimonio che forse abbiamo
“preteso” come un diritto invece che “accolto” come un dono
rimane comunque viva, pronta ad agire in noi.
A queste premesse fondamentali sul giusto orientamento da
seguire nel caso di scelte immutabili seguono una serie di
suggerimenti bellissimi su come fare discernimento riguardo
alle scelte mutabili, nel caso delle quali non solo si deve cercare
di “perfezionarsi al massimo” quando le abbiamo fatte “con
rettitudine e nel modo giusto, senza tenere conto della
sensualità e del mondo” (ES, 173) ma si può in qualche modo
correggere scelte sbagliate o abbandonandole oppure
scegliendole nuovamente ma questa volta con il giusto
orientamento: … se quella scelta mutabile non è stata fatta
rettamente e sinceramente, allora è utile farla come si deve
qualora si desideri che da essa nascano frutti notevoli e molto
graditi a Dio. (ES, 174)
Nelle agili annotazioni di Ignazio (ES, 173 – 189) la ragione
dialoga e si pone al servizio della fede e la fede illumina
continuamente la ragione. Il discernimento secondo Ignazio di
Loyola non è un narcisistico interrogarsi su quali siano i propri
veri desideri, come molta sentimentale catechesi di oggi sembra
credere, ma piuttosto, al contrario, è un cercare di distaccarci per
quanto possibile dai nostri desideri per consentire a Dio di
farceli guardare con i suoi occhi, secondo verità. Dopo avere
ricordato il fine per cui è stato creato il cristiano deve … in base a
ciò, rimanere indifferente, senza nessuna propensione
disordinata, in modo tale da non essere incline o mosso a
prendere la cosa in esame piuttosto che a lasciarla, nè a
lasciarla piuttosto che a prenderla. (ES, 179b)
Solo quando saremo “indifferenti” verso di essa, infatti, potremo
chiedere a Dio di orientare la nostra scelta pregando (ES, 180a) e
“riflettendo bene e fedelmente col proprio intelletto” (ES, 180b).

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