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DIRITTO COMMERCIALE
LEZIONE I
“L’IMPRENDITORE E L’IMPRESA”
Indice
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Commerciale Lezione I
1. L’imprenditore e l’impresa
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In questo periodo i codici di commercio sono separati da quelli civili per poter essere più facilmente emendabili al fine
di soddisfare le mutevoli esigenze dei traffici.
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Commerciale Lezione I
Nell’ambito delle fonti legali, due sono, accanto alla Costituzione e accanto al codice civile, le
species cui occorre assegnare una posizione di preminenza:
a) la legislazione speciale, che in alcuni settori del diritto commerciale ha profondamente
innovato rispetto alla disciplina del codice civile, provocando mutazioni radicali;
b) la legislazione comunitaria, la quale soprattutto nel settore societario ha modernizzato la
preesistente disciplina.
Una seconda categoria di fonti è quella degli usi, prevista al numero 4 dell’art. 1 delle disposizioni
preliminari al codice civile. Gli usi di cui parliamo e che possiamo continuare a chiamare
commerciali, sono normalmente relativi ad aspetti contrattuali non disciplinati da norme scritte o
fatti salvi da esse. Comunque non sono da escludersi gli usi c.d. legali perché frutto di prassi
consuetudinarie, né le pratiche generali interpretative previste dall’art. 1368 c.c.. Uno degli
argomenti principali per negare la specificità del diritto commerciale dopo l’unificazione dei codici
è stato sempre quello della scomparsa di una norma come quella contenuta nel nell’art. 1 del codice
di commercio del 1882, che nell’ordine delle fonti anteponeva gli usi mercantili al diritto civile.
Non v’è dubbio che il netto ridimensionamento degli usi normativi (commerciali) nella unificazione
del 1942 è stato accompagnato da una sostanziale dilatazione della portata e della rilevanza degli
usi negoziali, tra i quali naturalmente occupano una posizione dominante le clausole d’uso di natura
commerciale. Occorre inoltre aggiungere che:
• sono frequenti casi in cui convenzioni internazionali o direttive comunitarie indicano le
norme usuarie come fonti primarie cui l’imprenditore deve far capo;
• non va sottovalutata la funzione che gli usi svolgono verso la tipizzazione di molti dei nuovi
rapporti commerciali;
• per molti comparti ed in particolare per quello dei contratti che possono considerarsi come
contratti di impresa (leasing, factoring), esiste un corpus codificato di usi (raccolte di usi, di
cui al n. 9 dell’art. 1 delle disposizioni preliminari).
Una terza categoria di fonti è costituita da quelli che denomineremo riassuntivamente codici. Questi
codici possono essere i più vari e possono, innanzi tutto, essere collettivi e individuali.
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Sotto il profilo economico, l’imprenditore si presenta come colui che utilizza i fattori della
produzione organizzandoli, a proprio rischio, nel processo produttivo di beni o servizi: egli è,
dunque, l’intermediario tra quanti offrono capitale e lavoro e quanti domandano beni o servizi.
Da un punto di vista giuridico, la nozione di imprenditore ha subito una profonda evoluzione. Si è
infatti passati da un imprenditore inteso come speculatore sul lavoro, una figura particolare di
commerciante, ad una visione completamente opposta che considera imprenditore e commerciante
in un rapporto da genere a specie: il commerciante è quel imprenditore la cui attività consiste nello
scambio di beni.
Per l'art 2082 del cod. civ. è imprenditore "colui che esercita professionalmente un'attività
economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi". Da tale
definizione si evincono i caratteri che qualificano l’attività imprenditoriale:
• l’attività economica, in quanto per creare nuova ricchezza, espone al rischio di perdere la
ricchezza utilizzata;
• l’organizzazione, che prescinde tuttavia dall’impiego o meno di collaboratori o di un
complesso di beni materialmente percepibile come invece si pensava in passato;
• la professionalità, risultante da un’attività costante e sistematica, non solo occasionale;
• il fine della produzione o scambio di beni o servizi;
• lo scopo di lucro, che tuttavia la dottrina dominante ritiene solo requisito naturale e non
necessario;
• la spendita del nome, requisito necessario in quanto determina l’assunzione del rischio
imprenditoriale 2 ;
2
Nel caso di imprenditore occulto (quando cioè è un prestanome a figurare come titolare dell’impresa), parte della
dottrina ritiene che sia il prestanome a ricoprire la qualifica dell’impren-ditore, salva la responsabilità in solido con
l’imprenditore occulto verso i creditori.
Alla tematica dell’imputazione appartengono anche
• la figura dell’impresa senza imprenditore, figura creata dalla dottrina: vi rientrerebbero le ipotesi dell’ente
pubblico, delle fondazioni o delle associazioni che esercitino attività di impresa ma non come oggetto
istituzionale esclusivo o prevalente, dell’impresa esercitata dall’incapace o dal rappresentante legale
dell’incapace senza la prescritta autorizzazione, delle entità prive della soggettività giuridica piena; ma
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Ai sensi dell’art. 2238, i liberi professionisti e gli artisti non sono mai – in quanto tali –
imprenditori: essi lo diventano solo se ed in quanto la professione intellettuale sia esercitata
nell’ambito di un’altra attività di per se qualificata come impresa 3 . Il motivo di tale esclusione è da
ricercare nel fatto che tali soggetti non assumono, nell’esercizio delle proprie attività, quel rischio
del lavoro che caratterizza la figura di imprenditore: si parla per essi di una “obbligazione di mezzi”
e non di una “obbligazione di risultati”. Quindi il professionista ha diritto al compenso per il solo
fatto di aver prestato la propria opera ed a prescindere dal risultato di essa, il cui rischio, pertanto,
grava sull’altra parte del rapporto obbligatorio.
secondo qualche autore un fenomeno di spersonalizzazione si può cogliere anche considerando il mondo della
grande impresa, nel quale non solo vi è spesso scissione tra coloro che hanno investito nel capitale sociale e chi
governa l’impresa;
• il caso dell’imprenditore che eserciti più attività d’impresa o addirittura più imprese. Occorre far riferimento al
concetto stesso di impresa e agli elementi costitutivi di esso: per cui si avranno imprese distinte, sia pur facenti
capo allo stesso soggetto, quando potranno riscontrarsi e pluralità di attività e pluralità di organizzazioni,
mentre dovrà parlarsi di impresa unica quando l’unica attività sia organizzata con articolazioni di stampo
autonomistico sul piano territoriale, amministrativo, contabile o addirittura aziendale, cui sarà più consono
attribuire la natura di settori o di rami d’impresa.
3
A titolo di esempio si consideri il medico che gestisce una clinica privata nella quale egli stesso opera.
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2. Le categorie imprenditoriali
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Per coltivazione del fondo deve intendersi il complesso unico e inscindibile del ciclo dei lavori svolti dall’agricoltore
per conseguire i prodotti immediati e diretti dalla terra, dalla rottura del suolo al raccolto. La giurisprudenza tende a far
rientrare nella nozione di attività agricole anche la floricoltura sempre che il fondo rappresenti realmente il fattore
produttivo e non sia solo lo strumento per la conservazione delle piante. La dottrina non ritiene verificate le condizioni
minime richieste dalla norma in relazione alle colture artificiali attuate fuori dal fondo (piante le cui radici sono
immerse in particolari soluzioni).
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La silvicoltura sta ad indicare l’attività tecnica volta al fine di ottenere il più conveniente prodotto del bosco entro cicli
regolari di tempo. Non rientra nell’attività di silvicoltura l’attività meramente estrattiva del legname, attività tipicamente
industriale se disgiunta dalla coltivazione.
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• una connessione soggettiva, in quanto il soggetto che esercita l’attività deve essere un
imprenditore agricolo;
• una connessione oggettiva, in quanto l’attività connessa non deve configurare un’autonoma
speculazione commerciale o industriale e, tramite la persona dell’agricoltore, deve essere
sempre collegata oggettivamente alla terra. Tale collegamento oggettivo viene individuato
per le attività connesse tipiche attraverso il criterio dell’esercizio normale dell’agricoltura;
per le attività connesse atipiche mediante il criterio dell’accessorietà.
L’imprenditore commerciale può essere individuato per via residuale allorché la sua attività non
costituisca “attività agricola”. In particolare, ai sensi dell’art. 2195, sono imprenditori commerciali
coloro che esercitano:
• attività industriali dirette alla produzione di beni o servizi: sono tutte quelle che si
propongono, attraverso la trasformazione di materie prime, la creazione di nuovi prodotti
ovvero, attraverso la organizzazione di capitale e lavoro, la predisposizione di servizi;
• attività intermediaria nella circolazione di beni, ovvero le attività commerciali;
• attività di trasporto per terra, per acque, per aria;
• attività bancaria, che si concreta nella raccolta di risparmio tra il pubblico e nell’esercizio
del credito;
• attività assicurativa, cioè quelle attività che consistono nell’esercizio delle assicurazioni
private 7 ;
• attività ausiliarie alla precedenti, cioè quelle attività che agevolano l’esercizio delle attività
specificamente indicate o comunque sono legate a queste ultime da un rapporto di
complementarità.
Occorre prestare attenzione ai casi particolari:
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deve considerarsi agricola la pastorizia anche se svolta in forma transumante, poiché assume importanza il fondo e non
la sua coltivazione; rientrano nel termine anche gli animali da pelliccia o da mero allevamento, le specie avicole e
l’apicoltura.
7
Ragion per cui non sono imprese di assicurazione quegli enti che gestiscono le c.d. assicurazioni sociali, le quali sono
vere e proprie forme pubbliche di assistenza e previdenza.
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• impresa civile, quale tertium genus tra le imprese agricole e le imprese commerciali.
L’imprenditore civile non sarebbe, dunque, né commerciale,né agricolo e sarebbe sottoposto
allo statuto generale dell’imprenditore, ma non a quello dell’imprenditore commerciale. Ciò
che si tradurrebbe, in concreto nella esclusione dell’assoggettabilità a fallimento.
Nell’ambito della categoria dovrebbero farsi rientrare tutte quelle imprese che svolgono
attività di servizi non definibili come attività industriali o comunque, più in generale, non
rientranti nelle attività contemplate dall’ art. 2l95 c.c.. (case di cura. istituti di istruzione
privata, imprese di pubblici spettacoli teatrali o sportivi, agenzie matrimoniali, investigative,
di disbrigo di pratiche e simili .
• enti pubblici economici, Si inquadrano nel fenomeno dell’impresa pubblica ed hanno ad
oggetto l’esercizio di attività di produzione e di scambio di beni e servizi, gestita in forma
imprenditoriale da strutture pubbliche.
La particolarità di tali organismi risiede nel fatto di essere svincolati dall’apparato
burocratico-amministrativo e nella possibilità di utilizzare strumenti privatistici. Queste
peculiarità fanno sì che gli enti pubblici economici agiscano in regime di concorrenza con le
imprese private,
La legge. n. 35/1992 ha previsto la possibilità che detti enti si trasformino in società per
azioni, e che le relative azioni siano dimesse sul mercato mediante offerta al pubblico
(privatizzazione).
• impresa pubblica, Mentre nell’impresa privata il soggetto che acquista la qualità di
imprenditore e un soggetto privato, nell’impresa pubblica è lo Stato che, in diverse forme,
esercita l’attività imprenditoriale. In particolare, quest’ultimo (o altro ente pubblico
territoriale) può svolgere attività di impresa direttamente (cd. imprese-organo), con finalità
secondarie ed accessorie rispetto a quelle istituzionali dell’ente: oppure intervenire
attraverso enti di diritto pubblico (cd. Enti pubblici economici), che hanno per oggetto
esclusivo o principale l’esercizio di un’attività imprenditoriale; o, ancora, intervenire
attraverso istituti privatistici (cd, società a partecipazione statale).
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con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia. La piccola impresa è caratterizzata da due
elementi:
-La prestazione diretta da parte dell’ imprenditore del proprio lavoro nel ciclo produttivo
-La prevalenza del lavoro dell’ imprenditore, ed, eventualmente dei suoi familiari, sia rispetto al
lavoro altrui, sia rispetto al capitale, proprio o altrui, investito nell’impresa.
E’ piccolo imprenditore nella legge fallimentare( D.Lgs. 5/2006) colui che esercita una attività di
impresa senza superare nessuno dei due seguenti limiti dimensionali:
-avere effettuato investimenti nell’ azienda per un capitale di valore superiore a trecento mila euro
-aver realizzato ricavi lordi, calcolati sulla media degli ultimi tre anni (o dall’inizio se di durata
inferiore), per un ammontare complessivo annuo superiore a duecentomila euro.
L’impresa familiare è stata introdotta con la riforma del diritto di famiglia del 1975, con
l’inserimento nel codice civile dell’art. 230 bis, il quale la definisce come l’impresa cui collaborano
il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo. L’impresa familiare non è
istituzionalmente impresa collettiva e la titolarità di essa deve imputarsi secondo le regole generali,
non competendo in particolare ai familiari prestatori di lavoro, i quali non hanno, come tali, diritti o
poteri né responsabilità di coimprenditori o soci. L’art. 3 del D.L. 853/84 prevede espressamente la
possibilità di costituire l’impresa familiare in forma di società in nome collettivo o in accomandita
semplice.
Quanto ai diritti patrimoniali, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di
collaborazione:
• ha diritto al mantenimento, secondo la condizione patrimoniale della famiglia;
• partecipa agli utili dell’impresa familiare, ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi
dell’azienda, anche in ordine all’avviamento.
Per quanto riguarda l’attività gestoria dell’impresa familiare, spettano al titolare le decisioni
concernenti l’ordinaria amministrazione; spettano invece alla maggioranza le decisioni concernenti:
• l’impiego degli utili e degli incrementi;
• la gestione straordinaria;
• gli indirizzi produttivi;
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• la cessazione dell’impresa.
Secondo parte della dottrina, solo nelle decisioni circa l’impiego degli utili e degli incrementi la
maggioranza si impone alla minoranza. Negli altri casi, tenuto conto che l’unico responsabile
dell’impresa è il titolare, non sembra accettabile che la maggioranza possa superare la contrarietà di
costui. Tuttavia, in quest’ultimo caso, le decisioni della maggioranza, qualora il titolare rifiuti di
adottarle, si pongono come giusta causa di immediato recesso dall’impresa familiare.
Tra i beni oggetto della comunione legale, vengono comprense anche le c.d. aziende coniugali. In
particolare:
• costituiscono oggetto della comunione le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite
dopo il matrimonio;
• qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma
gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.
Tali articoli hanno rotto l’argine divisorio, come afferma un illustre autore, tra comunione e impresa
collettiva, nel senso che mentre prima si riteneva che l’unico modello per la regolazione dei rapporti
patrimoniali non fosse quello della comunione ma quello associativo, ora invece si riconosce che
l’esercizio dell’azienda comune da parte dei coniugi non trasforma la comunione in società, come
del resto dimostrano le disposizioni degli art. 181 e 182 che inquadrano l’esercizio comune
nell’ambito della comunione.
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La disciplina essenziale che il codice detta per il registro delle imprese è la seguente:
a) obbligo di iscrizione:L’obbligo incombe su tutti gli imprenditori, sugli enti pubblici che
esercitino attività commerciale, nonché sulle società;
b) atti soggetti all’iscrizione:Sono soggetti all’iscrizione tutti gli atti e i fatti che concernono i
momenti più importanti della vita dell’ impresa (dal sorgere, alle modificazioni e trasformazioni,
fino all’estinzione)
c) modalità di iscrizione:L’iscrizione avviene su domanda dell’interessato, ma (essendo
obbligatoria) può essere eseguita anche di ufficio: in ogni caso è sottoposta al sindacato di
legittimità da parte del giudice, diretto ad accertare l’esistenza delle condizioni richieste dalla legge.
L’iscrizione ha efficacia, ex nunc (art. 2193):
- positiva, nel senso che i terzi non possono opporre l’ignoranza degli atti o dei fatti iscritti, che si
presumono ad essi noti (qualsiasi prova contraria sarà inutilmente data);
- negativa, nel senso che gli atti e i fatti non iscritti non sono, invece, opponibili ai terzi (a meno che
non si provi che i terzi stessi ne avevano egualmente effettiva conoscenza).
Una volta avvenuta l’iscrizione, la presunzione di conoscenza è assoluta (juris et de jure); in caso di
mancata iscrizione, invece, vi è solo una presunzione relativa di ignoranza del terzo (è ammessa,
cioè, la prova contraria).
L’efficacia dell’iscrizione, di regola. è solo dichiarativa, poiché si esaurisce nel campo della
opponibilità.
In alcuni casi particolari, tassativamente previsti, tuttavia, l’efficacia è costitutiva: come per le
società di capitali e per le società cooperative, che solo con l’iscrizione nel registro acquistano
personalità giuridica.
La tenuta della contabilità e la rivelazione periodica dello stato patrimoniale hanno una triplice
funzione:
• quella di consentire all’imprenditore di seguire costantemente l’andamento della gestione
per capire se l’impresa va bene o va male;
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• quella di informare i terzi che entrano in contatto con l’imprenditore ed hanno rapporti con
essa;
• in caso di dissesto, quella di permettere la ricostruzione della situazione debitoria
dell’imprenditore.
Fra la tenuta delle scrittura contabili e la redazione del rendiconto o del bilancio esiste un rapporto
di propedeuticità, nel senso che solo sulla base delle risultanze delle prime l’imprenditore può
compilare il secondo. Soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili sono, oltre che
l’imprenditore commerciale individuale, anche le società, qualunque sia l’attività esercitata, e gli
enti pubblici che svolgono attività commerciale non in via principale. Il legislatore italiano ha
adottato un sistema misto, stabilendo che, accanto all’obbligo di tenuta di scritture nominativamente
individuate, e delle quali viene descritta normativamente anche la funzione (libro giornale e libro
degli inventari), l’imprenditore debba necessariamente tenere le altre scritture contabili che siano
richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. Il minimo indispensabile è dunque costituito
dal libro giornale, dal libro degli inventari e dalla conservazione della corrispondenza. In
particolare:
• nel libro giornale le operazioni relative all’esercizio dell’impresa devono essere annotate
secondo l’ordine cronologico in cui sono compiute, con l’osservazione altresì del c.d.
criterio dell’immediatezza (ogni “affare” deve cioè essere annotato appena compiuto);
• nel libro degli inventari, devono essere indicate e valutate le attività e le passività relative
all’impresa, nonché le attività e le passività dell’impren-ditore estranee alla medesima 8 ;
• l’imprenditore deve conservare ordinatamente per ciascuna affare gli originali delle lettere,
dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle
fatture spedite.
Per ciò che riguarda il “nucleo mobile” delle scritture contabili, la scienza aziendalistica non ha
mancato di individuare i libri resi necessari sia dalle dimensioni dell’azienda sia dal ramo
merceologico in cui l’impresa opera (libro mastro, che segue l’ordine sistematico, il libro
magazzino). Il sistema normativo è completato dalle disposizioni relative alle modalità di tenuta
delle scritture contabili, la cui osservanza è indispensabile perché le scritture siano considerate
8
Esso si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite:
• il bilancio è un conto patrimoniale costituito dalla contrapposizione tra il complesso delle attività ed il
complesso delle passività: se il primo supera il secondo, il dato differenziale rappresenta l’utile dell’impresa;
se il secondo supera il primo, il dato differenziale rappresenta la perdita dell’impresa.
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regolari. Regolarità che costituisce presupposto indispensabile sia perché l’imprenditore possa
invocare come prova a suo favore le registrazioni, sia per essere ammessi, in caso di dissesto, al
beneficio del concordato preventivo o dell’amministrazione controllata. I principali punti sono:
• il libro giornale e il libro degli inventari devono essere progressivamente numerati in ogni
pagina e bollati in ogni foglio dall’ufficio del registro delle imprese o da un notaio;
• tutte le scritture contabili devono essere tenute secondo le norme di un’ordinata contabilità,
senza spazi in bianco, senza interlinee e senza abrasioni;
• la contabilità deve essere conservata per dieci anni.
Le scritture contabili possono essere utilizzate come mezzo di prova sia contro che a favore
dell’imprenditore 9 . I mezzi processuali di acquisizione delle scritture sono:
• l’esibizione, che può avere ad oggetto solo determinate registrazioni e viene ordinata dal
giudice anche su istanza di parte;
• la comunicazione integrale, la quale concerne l’integrale contabilità dell’imprenditore, ed è
ammessa, sempre su ordine del giudice, solo in caso di controversie relative allo
scioglimento della società, alla comunione dei beni e alla successione per causa di morte.
• il conto dei profitti e delle perdite, invece, è un conto economico ed indica le fonti dei ricavi e delle spese
pertinenti ad ogni esercizio.
9
In particolare, le scritture contabili:
• fanno sempre prova contro l’imprenditore, cioè possono sempre essere utilizzate dai terzi come mezzo
processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene. Chi vuole trarne vantaggio, tuttavia, non può scinderne
il contenuto ed avvalersi solo della parte a lui favorevole. L’imprenditore, inoltre, potrà dimostrare con
qualsiasi mezzo che le proprie scritture non rispondono a verità.
• non costituiscono prova, a favore dell’imprenditore, nei rapporti con i non-imprenditori e con gli utenti
dell’impresa: ad esse può essere attribuito soltanto il carattere ed il valore di elementi indizianti, idonei a dare
vita, in concorso con altri elementi, ad una valida prova per presunzioni ai sensi degli art. 2727 e seguenti.
• possono costituire prova, a favore dell’imprenditore, soltanto nei rapporti fra imprenditori inerenti all’esercizio
dell’impresa e purché si tratti di libri bollati e numerati nelle forme di legge e tenuti secondo le norme
prescritte.
Il valore probatorio spetta, in ogni caso, al giudice.
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4.1. L’institore
L’institore è la persona preposta dal titolare all’esercizio di un’impresa commerciale, o di una sede
secondaria o di un ramo particolare dell’impresa. La rappresentanza institoria è per sua natura
generale. La procura è la via maestra del conferimento dei poteri institori, ma non è
necessariamente l'unico mezzo. L'orientamento consolidato della Cassazione è ormai nel senso che
il fondamento della rappresentanza sta nel fatto stesso della preposizione. Tra i poteri dell'institore
vi sono:
• la rappresentanza dell'imprenditore;
• la corresponsabilità con l'imprenditore per l'osservanza delle disposizioni riguardanti
l'iscrizione nel Registro delle imprese e la tenuta delle scritture contabili;
• la c.d. contemplatio domini, in virtù della quale l'institore che omette di fare conoscere che
tratta per il proponente risponde personalmente.
Si noti infine che l’institore:
• non può nominare altri institori, in quanto i suoi poteri si estendono alla sola gestione
dell’attività cui è preposto;
• non può essere preposto ad una piccola impresa.
4.2. I procuratori
Sono procuratori coloro i quali, in base ad un rapporto continuativo, possono compiere per
l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur non essendovi preposti. La materia
dei procuratori è regolata dall'art. 2209. Egli – al pari dell’institore – è un rappresentante generale
dell’imprenditore a questi legato da un rapporto di lavoro subordinato. Non gravano sul procuratore
gli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili; né compete
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ad esso la rappresentanza processuale dell’imprenditore, neppure per gli atti da lui posti in essere, se
non per effetto di un apposito conferimento di potere.
4.3. I commessi
I commessi sono coloro che esercitano attività subordinata di concetto o di ordine, estranea però a
funzioni direttive. Essi possono essere:
• preposti alla vendita nei locali dell’impresa (commessi di negozio);
• incaricati della vendita da piazza a piazza (commessi viaggiatori);
I loro poteri rappresentativi sono strettamente collegati alle mansioni svolte potendo compiere solo
gli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di cui sono incaricati.
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