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A
Aaronne Tema: Rimanete fedeli nonostante le debolezze umane
Abdia (n.4) Tema: Siate intrepidi e mostrate amore ai servitori di Dio
Abednego Tema: Giovani, onorate Geova con la vostra lealtà
Abele Tema: La fede che Dio gradisce
Abiatar Tema: La slealtà può vanificare anni di fedele servizio
Abigail Tema: Qualità che onorano Geova
Abisai Tema: Siate leali a quelli che prendono la direttiva
Abiu Tema: La preminenza non giustifica la disubbidienza
Abner Tema: Quelli che prendono la spada periranno di spada
Abraamo Tema: Vivere per fare la volontà di Dio
Absalom Tema: Egoismo e ambizione portano alla rovina
Il re Acab Tema: Non può esserci pace per i malvagi
Acan Tema: Chi deruba Dio va incontro a tragiche conseguenze
Il re Acaz Tema: L’idolatria fa incorrere nel disfavore divino
Adamo Tema: Perché dobbiamo mettere Dio al primo posto nella nostra vita
Agar Tema: Una schiava e il suo ruolo profetico
Aggeo Tema: Perseverate nel compiere la volontà di Dio
Ahitofel Tema: Geova frustra le trame dei traditori
Aman Tema: Orgoglio e odio contraddistinguono i figli del Diavolo
Amnon Tema: L’amore erotico basato sull’egoismo porta alla rovina
Anna Tema: La devozione altruistica reca benedizioni
Anun (figlio di Naas) Tema: Attenti a giudicare i motivi altrui!
Aquila Tema: Predicate con zelo e siate ospitali
Il re Asa Tema: Zelanti per la pura adorazione
La regina Atalia Tema: L’influenza di Izebel, un pericolo da cui guardarsi
Azael Tema: Uno spietato oppressore adempie una profezia biblica
B
Balaam Tema: L’avidità acceca
Baldassarre Tema: Imparate l’umiltà per non andare incontro alla rovina
Barnaba Tema: Siate cordiali e generosi nel vostro ministero
Baruc
(segretario di Geremia) Tema: Servite Geova per altruismo
Betsabea Tema: I trasgressori pentiti possono ottenere il favore di Dio
Boaz Tema: Siate moralmente puri e accettate la vostra responsabilità dinanzi a Dio
C
Caino Tema: Il modo in cui reagiamo ai consigli rivela molto della nostra personalità
Caleb
(figlio di Iefunne) Tema: Geova rende potenti coloro che lo seguono pienamente
Cam Tema: La mancanza di rispetto può avere tristi conseguenze
Ciro Tema: La parola di Dio si avvera sempre
Cora (n. 3) Tema: Non cedete all’invidia
Cornelio Tema: Geova Dio non è parziale
D
Daniele
(profeta di Dio) Tema: Geova benedice la devozione resa con tutta l’anima
Davide Tema: Giovani, preparatevi ora per servire Geova coraggiosamente
Debora
(la profetessa) Tema: Donne fedeli lodano Geova
Dina Tema: Le cattive compagnie possono avere tragiche conseguenze
Doeg Tema: Guardatevi da quelli che amano il male
E
Ebed-Melec Tema: Siate intrepidi e onorate i servitori di Geova
Eleazaro
(figlio di Aaronne) Tema: Rimanete saldi nel servire Geova
Eli
(il sommo sacerdote) Tema: Il permissivismo disonora Dio
Elia (il profeta) Tema: Non sottovalutate il potere della preghiera
Elifaz (il temanita) Tema: Geova odia la lingua falsa
Elisabetta Tema: Temete Dio e siate irriprovevoli
Eliseo Tema: Abbiate profondo rispetto per i servitori di Geova
Eliu
(figlio di Barachel) Tema: I veri amici dicono la verità
Enoc
(figlio di Iared) Tema: Camminate con Geova
Epafra Tema: Pregate per i fratelli e prodigatevi per loro
Epafrodito Tema: Tenete cari gli uomini fidati
Erode il Grande Tema: Dalle opere di un uomo si capisce chi sta servendo
Erode Antipa Tema: Le conseguenze di un’empia ambizione
Erode Agrippa I Tema: Ipocrisia e orgoglio conducono alla morte
Erode Agrippa II Tema: Per avere il favore di Dio non basta la curiosità intellettuale
Erode Filippo e
Filippo il tetrarca Tema: Intrighi di famiglia e posizione mondana sono vanità
Erodiade Tema: Inseguire la preminenza è una follia
Esaù Tema: Le nostre decisioni rivelano se apprezziamo le cose sacre
Esdra
(sacerdote aaronnico) Tema: Abbiate zelo per la pura adorazione
Ester Tema: Come si manifesta la vera bellezza
Eud
(figlio di Ghera) Tema: Geova libera il suo popolo
Eunice Tema: Un esempio per le madri cristiane
Eva Tema: Rispettate l’autorità teocratica
Ezechia
(re di Giuda) Tema: Fede e zelo non sono caratteristiche ereditarie
Ezechiele Tema: Come rimanere liberi dalla colpa del sangue
F
Febe Tema: Difendete i fratelli con coraggio
Felice Tema: Giuste o corrotte, le autorità superiori vanno rispettate
Festo Tema: Risultati di un’intrepida testimonianza
Filippo (n.1) Tema: Usate tatto e siate prudenti
Filippo (n. 2) Tema: Siate persone spirituali
Fineas (n.1) Tema: Mostrate decisione a favore di ciò è giusto
Fineas (n.2) Tema: Non mancate mai di rispetto a Geova
G
Gabriele Tema: Trasmessi fedelmente i messaggi di Dio
Gazzella
(cristiana di Ioppe) Tema: I veri cristiani abbondano in opere buone
Gedeone Tema: Dio approva chi è fedele e modesto
Geremia (n. 6) Tema: Geova dà potenza oltre ciò che è normale
Geroboamo (n. 1) Tema: L’ambizione egoistica può portare all’idolatria
Gheazi Tema: Il vostro cuore sia libero da avidità e inganno
Ghedalia
(figlio di Aicam) Tema: Quando viene dato un avvertimento bisogna prendere delle precauzioni
Giacobbe
(figlio di Isacco) Tema: Siate irriprovevoli e perseguite mete spirituali
Giacomo
(figlio di Zebedeo) Tema: Siate zelanti seguaci di Cristo
Giacomo (figlio di
Giuseppe e Maria) Tema: Mai perdere la speranza che i familiari accettino la verità
Gioab (n. 2) Tema: La vendetta appartiene a Geova
Giobbe Tema: L’incrollabile integrità reca il favore di Geova
Giona (n. 1) Tema: Adempite le responsabilità che Dio vi ha affidato
Gionadab
(figlio di Recab) Tema: Sostenete lealmente quelli che prendono la direttiva
Gionatan (n. 1) Tema: Guardatevi dall’egoismo
Gionatan (n. 2) Tema: Un vero amico è altruista e leale
Giosafat (n. 3) Tema: Guardatevi dalle cattive compagnie
Giosia (n. 1) Tema: Mantenetevi puri dall’idolatria
Giosuè (n. 1) Tema: Non dubitate mai delle promesse di Geova
Giovanna Tema: Servite premurosamente i santi di Dio
Giovanni (n. 1) Tema: Compite con zelo il vostro ministero
Giovanni (n. 3) Tema: Siate leali a Dio e amate i fratelli
Giuda, I (n. 1) Tema: Qualità che Geova benedice
Giuda, I (n. 12) Tema: Le persone possono cambiare
Giuda
(parr. 2-4 della voce
Giuda, Lettera di) Tema: Siate modesti, non cercate la preminenza
Giuda Iscariota Tema: Non siamo predestinati
Giuseppe (n. 1) Tema: Manifestate le qualità dell’uomo spirituale
Giuseppe (n. 8) Tema: Siate ubbidienti e giusti
Giuseppe (n. 9) Tema: Non rinunciate alla speranza che i vostri parenti accettino la verità
Giuseppe (n. 10) Tema: Siate coraggiosi e vincete il timore
Golia Tema: Confidate in Geova, non nella vostra forza
H
Hiram (re di Tiro) Tema: I vicini amichevoli possono essere utili
Husai Tema: Un amico leale agisce intrepidamente
I
Iael Tema: Un’azione coraggiosa e decisa adempie una profezia
Iafet Tema: Agire in modo rispettoso reca benedizioni
Iairo Tema: Esercitate fede in Gesù Cristo
Iedutun
(musicista levita) Tema: Lodate Geova con la musica
Iefte Tema: I voti vanno presi seriamente
Ieoiada
(sommo sacerdote) Tema: Promuovete la vera adorazione con saggezza e coraggio
Ieoram (figlio di Acab) Tema: Chi è senza fede non può aspettarsi la benedizione di Dio
Iesse Tema: Collaborate e abbiate uno spirito generoso
Iesua (n. 4) Tema: Sostenete pienamente la pura adorazione
Ietro Tema: Non siate troppo orgogliosi per ascoltare i suggerimenti
Ieu (n. 3) Tema: Lo zelo può essere rovinato dal permissivismo
Imeneo Tema: Guardatevi dagli apostati!
Ioanan (n. 5) Tema: Seguite il consiglio di Geova
Ioas (re di Giuda) Tema: Rispettate tutti i fedeli servitori di Geova
Ioas (re di Israele) Tema: Geova non benedice chi agisce con scarsa convinzione
Iochebed Tema: Fate del vostro meglio e confidate in Geova
Ioiachim Tema: Nulla può impedire l’adempimento della parola di Dio
Ioiachin Tema: La parola di Geova non viene mai meno
Iotam (n. 3) Tema: Imparate dagli errori altrui
Isacco Tema: L’ubbidienza rivela la qualità della fede
Isaia Tema: “Manda me”, uno spirito da coltivare
Is-Boset Tema: Un uomo timoroso ma giusto
Ismaele
(figlio di Abraamo) Tema: Benedetto da Dio, ma non come erede di Abraamo
Ittai Tema: Siate leali a quelli che prendono la direttiva
Izebel (n. 1) Tema: I malvagi non sfuggiranno al giudizio di Geova
L
Labano (n. 1) Tema: Siate onesti nei rapporti con gli altri
Lamec (n. 1) Tema: La violenza genera violenza
Lazzaro (n. 1) Tema: L’ospitalità reca benedizioni
Lea Tema: Un punto di vista scritturale riguardo all’odio
Levi (n. 1) Tema: L’ira violenta procura biasimo
Lidia Tema: L’ospitalità sincera è apprezzata
Loide Tema: Condividete la vostra fede con i familiari
Lot Tema: Nel mondo, ma senza farne parte
Luca Tema: Siate collaboratori fedeli
M
Mala (n. 1) Tema: Geova è giusto
Manasse (n. 4) Tema: La misericordia di Geova è grande
Manoa Tema: Siate pronti a conformarvi alla volontà di Dio
Marco Tema: Non rivangate gli errori passati
Mardocheo (n.2) Tema: Le ricompense della lealtà
Marta Tema: L’amorevole ospitalità è apprezzata
Maria (n. 1) Tema: Fede e devozione recano ricompense
Maria (n. 2) Tema: La spiritualità sia il vostro interesse principale
Maria (n. 3) Tema: Apprezzate ciò che Geova e Gesù hanno fatto per voi
Maria (n. 4) Tema: Siate costanti nei vostri atti di devozione
Matteo Tema: Dio non è parziale
Mattia Tema: Dio richiede che i sorveglianti siano uomini spirituali
Mefiboset (n.2) Tema: L’amorevole benignità contraddistingue i veri servitori di Dio
Melchisedec Tema: Gesù Cristo, Sommo Sacerdote alla maniera di Melchisedec
Mesac Tema: Le ricompense del mantenere l’integrità da giovani
Micaia Tema: Predicate con coraggio
Michea Tema: Il potere delle illustrazioni
Miriam (n.1) Tema: Guardatevi dal mormorare
Mosè Tema: Apprezzate l’addestramento provveduto da Geova
N
Naaman (n.2) Tema: L’umiltà reca ricche benedizioni
Nabal Tema: Non ripagate il bene col male
Nabucodonosor Tema: Geova umilia quelli che camminano nell’orgoglio
Nadab (n.1) Tema: Chi abusa dei privilegi incorre nel disfavore di Geova
Natan (n.2) Tema: Non trattenetevi dal correggere chi ne ha bisogno
Natanaele Tema: Mantenetevi liberi da inganno
Nebuzaradan Tema: La parola di Geova non viene mai meno
Neemia (n.3) Tema: Siate esempi per il gregge
Nicodemo Tema: Tremare davanti agli uomini è ciò che tende un laccio
Noè Tema: L’ubbidienza è essenziale per vivere
O
Obab Tema: Prendiamo la decisione di servire Geova
Ofni Tema: Ricoprire un incarico importante non autorizza ad agire empiamente
Onesimo Tema: Mantenete una buona coscienza
P
Paolo Tema: I nemici della verità possono cambiare
Pietro Tema: Siate coraggiosi ed energici nel sostenere la vera adorazione
Pilato Tema: Cedere alla folle è una grave responsabilità
R
Raab (n.1) Tema: La fede senza opere è morta
Rabsache Tema: Dio non è da beffeggiare
Rachele Tema: Accettate le avversità della vita senza provare gelosia o disperazione
Rebecca Tema: Tenete conto di Geova nella scelta del coniuge
Roboamo Tema: Non siate arroganti e respingete i cattivi consigli
Ruben (n.1) Tema: Le azioni errate possono avere conseguenze permanenti
Rut Tema: Il vero amore è leale
S
Sadrac Tema: Rimanete senza macchia in un mondo empio
Saffira Tema: Non agite con inganno
Salome (n.1) Tema: Servite Geova con modestia
Samuele Tema: Servite Dio dalla giovinezza
Sansone Tema: Salvaguardate la vostra preziosa relazione con Geova
Sara Tema: La bellezza di una moglie timorata di Dio
Saul Tema: Il potere distruttivo dell’invidia e della presunzione
Seba (n.1) Tema: Chi istiga altri a fare il male raccoglie ciò che semina
Sennacherib Tema: Geova libera il suo popolo
Sichem (n.1) Tema: L’immoralità sessuale può avere conseguenze devastanti
Simei (n.12) Tema: L’ubbidienza può salvarvi la vita
Simeone (n.1) Tema: L’ira incontrollata reca dolore e disonore
U
Ulda Tema: Geova ispira un’intrepida profetessa
Aaronne — Tema: Rimanete fedeli nonostante le debolezze umane 2°CORINTI 12:9 ,10
w96 15/1 24-5 Mosè e Aaronne, coraggiosi proclamatori della parola di Dio
Fecero la volontà di Geova
Mosè e Aaronne, coraggiosi proclamatori della parola di Dio
IMMAGINATE la scena: L’ottantenne Mosè e suo fratello Aaronne sono davanti all’uomo più potente della
terra, il faraone d’Egitto. Per gli egiziani quell’uomo non è solo un rappresentante degli dèi. Sono convinti
che sia egli stesso un dio. Viene ritenuto l’incarnazione di Horus, dio con la testa di falco. Insieme a Iside
e a Osiride, Horus formava la principale triade d’Egitto.
Chiunque si avvicinasse al faraone non poteva non notare la ferale testa di cobra che sporgeva dal
centro del copricapo regale. Si pensava che quel serpente potesse sputare fuoco e distruggere qualsiasi
nemico del faraone. Ora Mosè e Aaronne sono davanti a questo re divinizzato per presentargli una
richiesta inaudita: quella di lasciar andare gli schiavi israeliti perché possano celebrare una festa al loro
Dio, Geova. — Esodo 5:1.
Geova aveva già predetto che il cuore del faraone sarebbe stato ostinato. Perciò Mosè e Aaronne non si
stupirono della sua risposta provocatoria: “Chi è Geova, perché io debba ubbidire alla sua voce e
mandare via Israele? Non conosco affatto Geova e, per di più, non manderò via Israele”. (Esodo 4:21;
5:2) Si preparò così lo scenario per uno scontro drammatico. Nella successiva udienza Mosè e Aaronne
fornirono al faraone prove schiaccianti che essi rappresentavano il vero Dio onnipotente.
Un miracolo
Seguendo le istruzioni di Geova, Aaronne compì un miracolo che dimostrò la superiorità di Geova sugli
dèi d’Egitto. Gettò la sua verga di fronte al faraone e immediatamente essa divenne una grossa serpe!
Perplesso a causa di questo miracolo, il faraone convocò i suoi sacerdoti che praticavano la magia. Con
l’aiuto di forze demoniche quegli uomini riuscirono a fare qualcosa di simile con le loro verghe.
Se il faraone e i suoi sacerdoti gongolarono, l’entusiasmo fu solo momentaneo. Immaginate le loro facce
quando la serpe di Aaronne inghiottì le loro serpi, una dopo l’altra! Tutti i presenti videro che gli dèi
egiziani non potevano competere col vero Dio, Geova. — Esodo 7:8-13.
Ciò nonostante, il cuore del faraone continuò a essere ostinato. Solo dopo che Dio ebbe colpito l’Egitto
con dieci piaghe devastatrici il faraone si decise a dire a Mosè e ad Aaronne: “Levatevi, uscite di mezzo
al mio popolo, voi e gli altri figli d’Israele, e andate, servite Geova, proprio come avete dichiarato”. —
Esodo 12:31.
Lezioni per noi
Cosa permise a Mosè e ad Aaronne di recarsi davanti al potente faraone d’Egitto? Dapprima Mosè
espresse mancanza di fiducia nelle proprie capacità, asserendo di essere “lento di bocca e lento di
lingua”. Anche dopo che Geova gli ebbe garantito il suo sostegno, Mosè lo implorò dicendo: “Manda, ti
prego, per mano di colui che manderai”. In altre parole, supplicò Geova di mandare qualcun altro. (Esodo
4:10, 13) Tuttavia Geova si servì di un uomo mansueto come Mosè, dandogli la sapienza e la forza
necessarie per adempiere il suo incarico. — Numeri 12:3.
Oggi i servitori di Geova Dio e di Gesù Cristo adempiono il comando di ‘fare discepoli di persone di tutte
le nazioni’. (Matteo 28:19, 20) Per assolvere dovutamente questo incarico dovremmo fare il miglior uso
della conoscenza scritturale e delle capacità che abbiamo. (1 Timoteo 4:13-16) Invece di preoccuparci
delle nostre carenze, accettiamo con fede qualsiasi incarico Dio ci affidi. Egli può renderci idonei e
rafforzarci per compiere la sua volontà. — 2 Corinti 3:5, 6; Filippesi 4:13.
Dovendo affrontare l’opposizione di uomini e di demoni, Mosè aveva sicuramente bisogno di un aiuto
sovrumano. Di conseguenza Geova gli assicurò: “Vedi, ti ho costituito Dio per Faraone”. (Esodo 7:1) Sì,
Mosè aveva l’autorità e l’appoggio di Dio. Avendo su di sé lo spirito di Geova, Mosè non aveva nessun
motivo di temere il faraone o le schiere di quel superbo governante.
Anche noi, per compiere il nostro ministero, dobbiamo confidare nello spirito santo, o forza attiva di
Geova. (Giovanni 14:26; 15:26, 27) Con l’appoggio di Dio possiamo far nostre le parole di Davide, che
cantò: “Ho confidato in Dio. Non avrò timore. Che mi può fare l’uomo terreno?” — Salmo 56:11.
Compassionevolmente, Geova non lasciò Mosè da solo nell’adempiere il suo incarico. Gli disse:
“Aaronne tuo proprio fratello diverrà il tuo profeta. Tu, tu pronuncerai tutto ciò che ti comanderò; e
Aaronne tuo fratello parlerà a Faraone”. (Esodo 7:1, 2) Come fu amorevole da parte di Geova tenere
conto di ciò che Mosè, con i suoi limiti, poteva ragionevolmente fare!
Dio ci ha provveduto un’associazione di conservi cristiani che accettano la sfida di essere testimoni di
Geova, l’Altissimo. (1 Pietro 5:9) Perciò, nonostante gli ostacoli che possiamo incontrare, sforziamoci di
imitare Mosè e Aaronne, coraggiosi proclamatori della parola di Dio.
[Nota in calce]
La parola ebraica resa ‘sacerdoti che praticano la magia’ si riferisce a un gruppo di stregoni che
pretendevano di possedere poteri soprannaturali superiori a quelli dei demoni. Si credeva che questi
uomini avessero il potere di farsi ubbidire dai demoni e che i demoni non avessero alcun potere su di
loro.
[Figura a pagina 25]
Mosè e Aaronne rappresentarono coraggiosamente Geova davanti al faraone
Abdia (n.4) --- Tema: Siate intrepidi e mostrate amore ai servitori di Dio SALMO 138:3
it-1 20
ABDIA (Abdìa) [servitore di Geova].
4. Economo in casa del re Acab. Nonostante la malvagità del re Acab e di Izebel, Abdia aveva grande
timore di Geova e, quando Izebel ordinò di uccidere tutti i profeti di Geova, egli ne nascose cento,
“cinquanta alla volta in una caverna”. Durante la siccità voluta da Dio e predetta da Elia, questi si imbatté
in Abdia, col quale il padrone Acab aveva diviso un territorio dove entrambi cercavano erba per sfamare il
bestiame. Mentre perdurava la siccità, per un periodo di tre anni circa, Elia non si era fatto vedere da
Acab. Quando gli fu detto di informare Acab che Elia era tornato, Abdia, per il gran timore, esitò finché
non ebbe l’assicurazione che il profeta non se ne sarebbe andato, perché Acab avrebbe certo ucciso il
suo servitore se l’informazione si fosse dimostrata falsa. — 1Re 18:1-16.
it-1 31 Abisai
ABISAI
(Abìsai) [forse, padre è (esiste)].
Figlio di Zeruia, sorella o sorellastra di Davide, e fratello di Gioab e Asael. — 2Sa 2:18; 1Cr 2:15, 16.
Abisai si distinse per il suo valore più dei 30 potenti guerrieri di cui era il capo, e la sua reputazione era
quasi pari a quella dei tre uomini più potenti al servizio di Davide. Infatti una volta abbatté 300 nemici con
una mano sola, ma “non pervenne al rango dei primi tre”. — 2Sa 23:18, 19.
Abisai sostenne lealmente Davide, suo zio, in tutte le campagne militari, ma aveva la tendenza a essere
impulsivo e spietato, e a volte doveva essere tenuto a freno. Per esempio, quando lui e Davide
penetrarono di notte nell’accampamento di Saul, Abisai avrebbe inchiodato a terra Saul, “l’unto di
Geova”, mentre dormiva, con la lancia di quest’ultimo, se Davide non glielo avesse impedito. (1Sa 26:6-9)
Quando Absalom si ribellò, Abisai dovette essere trattenuto due volte dal decapitare Simei che
malediceva il re. Davide non riuscì però a impedire che Abisai partecipasse all’uccisione di Abner. — 2Sa
3:30; 16:9-11; 19:21-23.
Abisai divenne famoso per aver preso l’iniziativa nell’abbattere 18.000 edomiti e per aver provocato in
un’altra occasione la disfatta degli ammoniti. Collaborò pure alla repressione della rivolta di Seba, un
beniaminita buono a nulla. Nell’ultima battaglia combattuta da Davide, se Abisai non fosse intervenuto, il
re avrebbe perso la vita per mano di un filisteo di grande statura. — 1Cr 18:12; 19:11-15; 2Sa 20:1, 6;
21:15-17.
w89 1/7 18-23 Abraamo: Un esempio per tutti quelli che cercano l'amicizia di Dio
Abraamo: Un esempio per tutti quelli che cercano l’amicizia di Dio
‘Non si indebolì nella fede, essendo pienamente convinto che ciò che Dio aveva promesso era anche in
grado di fare’. — ROMANI 4:19-21.
LA PAROLA divina espressa nelle Scritture “è vivente ed esercita potenza”. (Ebrei 4:12) Pertanto il
racconto dei rapporti fra Geova ed Abraamo, pur essendo stato scritto più di 3.500 anni fa, è fonte di
incoraggiamento per tutti quelli che cercano l’amicizia di Dio. (Romani 15:4) L’arcinemico, Satana, lo sa,
e ha usato capi religiosi per cercare di screditare tale racconto facendolo passare per un mito. — 2
Corinti 11:14, 15.
2 Essendo parte di “tutta la Scrittura . . . ispirata da Dio”, la storia di Abraamo è vera e “utile” per
l’istruzione dei cristiani. (2 Timoteo 3:16; Giovanni 17:17) I primi discepoli di Gesù erano senz’altro di
questo avviso, perché nelle Scritture Greche Cristiane Abraamo viene menzionato 74 volte. L’undicesimo
capitolo di Ebrei, particolarmente rafforzante per la fede, dedica più spazio a lui che a qualsiasi altro
servitore di Dio dei tempi precristiani.
3 Abraamo non era un comune “profeta”, poiché Geova lo impiegò per recitare un grande “dramma
simbolico” in cui il patriarca ebbe il grande onore di raffigurare profeticamente Dio stesso. (Genesi 20:7;
Galati 4:21-26) Pertanto, quando Gesù volle riferirsi a una posizione di favore presso Dio parlò della
“posizione del seno di Abraamo”. — Luca 16:22.
Il suo primo atto di fede
4 Abramo, come si chiamava in origine, fu allevato a “Ur dei caldei”. Mentre dimorava lì Geova Dio gli
apparve dicendogli: “Esci dal tuo paese e dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre e va al paese che io ti
mostrerò; e farò di te una grande nazione e ti benedirò e davvero farò grande il tuo nome; e mostrati una
benedizione. E certamente benedirò quelli che ti benediranno, e maledirò colui che invocherà su di te il
male, e tutte le famiglie del suolo certamente si benediranno per mezzo di te”. — Genesi 12:1-3; 15:7; Atti
7:2, 3.
5 Che sfida accettare questo invito! Per Abramo questo significava lasciare un ambiente raffinato e i
parenti per andare a vivere lontano, in un paese straniero. Ma il suo cuore fu toccato profondamente
dall’amorevole promessa di Dio. Abramo era vecchio e senza figli, e aveva una moglie sterile, per cui il
suo nome sembrava destinato ad essere presto dimenticato. La promessa di Dio garantiva il contrario: da
lui sarebbe discesa “una grande nazione”. Inoltre, la promessa di Dio includeva una meravigliosa buona
notizia per tutta l’umanità, additando un tempo in cui tutte le nazioni sarebbero state benedette. (Galati
3:8) Abramo esercitò fede nella promessa di Geova e abbandonò la città progredita in cui viveva. “Uscì”,
ci dice la Bibbia, “benché non sapesse dove andava”. — Ebrei 11:8.
6 La fede di Abramo influì su altri. Con lui partì anche la sua famiglia, nonché suo padre Tera e suo nipote
Lot. Comunque, essendo Tera il capofamiglia patriarcale, la partenza viene attribuita a lui. (Genesi 11:31)
Degno di nota è il sostegno che Abramo ricevette da sua moglie, Sarai, in seguito chiamata Sara. Essa si
accontentò di un tenore di vita più basso per il resto della sua vita. (Genesi 13:18; 24:67) Non c’è da
stupirsi se quando Sara morì “Abraamo entrò a fare lamento per Sara e a piangerla”. (Genesi 23:1, 2) A
motivo della sua forte fede e sincera sottomissione in qualità di moglie, Sara viene indicata come
esempio di vera bellezza spirituale per le donne cristiane. — Ebrei 11:11, 13-15; 1 Pietro 3:1-6.
7 Oggi molti cristiani hanno mostrato una fede simile offrendosi come volontari per diffondere il
messaggio di Dio in luoghi dove c’è grande bisogno di proclamatori del Regno e per costruire e far
funzionare nuovi impianti per la stampa e la spedizione di letteratura biblica. (Matteo 24:14) Questi
cristiani hanno ubbidito al comando: “Andate . . . fate discepoli di persone di tutte le nazioni”.
Trasferendosi in un paese sconosciuto, spesso hanno dovuto adattarsi a un tenore di vita diverso. Altri
hanno fatto notevoli sacrifici materiali per poter fare discepoli nella zona in cui vivono. — Matteo 28:19,
20.
Altri atti di fede
8 Abramo si fermò nella città di Haran fino alla morte di suo padre Tera. (Genesi 11:31, 32) Poi con tutta
la famiglia attraversò l’Eufrate e si diresse a sud. Infine giunsero al “sito di Sichem” in mezzo al paese di
Canaan. Che paesaggio meraviglioso dev’essersi offerto ai loro occhi! Sichem giace in una fertile valle fra
due catene montuose che culminano nel monte Ebal e nel monte Gherizim. È stato definito “il paradiso
della Terra Santa”. Appropriatamente, qui Geova riapparve ad Abramo e disse: “Darò questo paese al tuo
seme”. — Genesi 12:5-7.
9 Abramo rispose con un altro atto di fede. Il racconto dice: “Edificò là un altare a Geova”. (Genesi 12:7)
Probabilmente questo incluse l’offerta di un sacrificio animale, poiché in ebraico “altare” significa “luogo di
sacrificio”. In seguito Abramo ripeté questi atti di fede in altre parti del paese. Inoltre, ‘invocò il nome di
Geova’. (Genesi 12:8; 13:18; 21:33) L’espressione ebraica “invocare il nome” significa anche “dichiarare
(predicare) il nome”. La famiglia di Abramo come pure i cananei devono averlo udito dichiarare
intrepidamente il nome del suo Dio, Geova. (Genesi 14:22-24) Similmente, tutti quelli che oggi cercano
l’amicizia di Dio devono invocare con fede il suo nome. Questo include che partecipino alla predicazione
pubblica, ‘offrendo sempre a Dio un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che fanno pubblica
dichiarazione del suo nome’. — Ebrei 13:15; Romani 10:10.
10 Abramo esercitò fede in Geova in molti altri modi. Fece delle rinunce pur di mantenere la pace e
tuttavia affrontò con coraggio le situazioni critiche. (Genesi 13:7-11; 14:1-16) Pur essendo ricco non era
materialista. (Genesi 14:21-24) Piuttosto, era ospitale e sostenne generosamente l’adorazione di Geova.
(Genesi 14:18-20; 18:1-8) Ciò che più conta, era un capofamiglia esemplare e seguiva le istruzioni di
Geova comandando ai suoi figli e alla sua casa dopo di lui in modo che si attenessero “alla via di Geova
per praticare giustizia”. (Genesi 18:19) In ciò, la casa di Abramo intraprese una condotta nettamente in
contrasto con quella dei pervertiti cananei nelle vicine Sodoma e Gomorra. Abramo di certo non avrebbe
tollerato tali flagranti peccati entro la sua casa. Che egli abbia diretto la sua casa in maniera eccellente è
evidente dal modo in cui i membri di tale casa lo imitarono invocando con fede il nome di Geova. —
Genesi 16:5, 13; 24:26, 27; 25:21.
‘Non si indebolì nella fede’
11 Abramo visse per cento anni fra persone che si consideravano i padroni del paese, ma sopportò le
difficoltà grazie alla sua forte fede. (Genesi 12:4; 23:4; 25:7) La Bibbia dice: “Risiedette come forestiero
nel paese della promessa come in un paese straniero, e dimorò in tende con Isacco e Giacobbe, eredi
con lui della stessa promessa. Poiché aspettava la città [il Regno di Dio] che ha reali fondamenta, il cui
edificatore e costruttore è Dio”. ‘Eppure, se in realtà avesse continuato a ricordare quel luogo dal quale
era uscito, avrebbe avuto l’opportunità di tornarvi’. — Ebrei 11:9, 10, 15; confronta Ebrei 12:22, 28.
12 Abramo non era da molto in Canaan quando una grande carestia gli offrì un’‘opportunità di tornare’. Ur,
rifornita dalle abbondanti acque dell’Eufrate, non dipendeva dalla pioggia. Ma anziché farvi ritorno,
Abramo ripose fede in Geova e andò nella direzione opposta, in Egitto. Era un rischio. Avendo una
moglie molto bella il forestiero, Abramo, rischiava la vita in quel paese straniero. Ciò nonostante, egli
prese le sue precauzioni chiedendo a Sarai di non rivelare che erano sposati. Geova benedì Abramo per
la sua fede, e ben presto egli poté tornare nella Terra Promessa con ricchezze più grandi che mai. —
Genesi 12:10–13:2; 20:12.
13 Anche questo faceva parte del dramma profetico che Abramo inconsapevolmente recitava per nostra
istruzione. Sarai, ancora sterile, raffigurava l’organizzazione celeste di Geova composta di angeli leali,
simile a una moglie. Questa bella moglie simbolica dovette aspettare oltre 4.000 anni prima di poter
provvedere il vero seme del più grande Abraamo, Geova Dio. L’aperta persecuzione dei fedeli servitori di
Dio durante tutti questi anni di attesa talvolta faceva sembrare che Geova avesse nascosto la sua
relazione maritale con lei. — Genesi 3:15; Isaia 54:1-8; Galati 3:16, 27, 29; 4:26.
14 Dopo esser vissuto come residente forestiero per dieci anni, Abramo ancora non aveva un figlio come
erede. Disperata, Sarai lo pregò di avere una progenie dalla sua serva, Agar. Abramo fu d’accordo e
nacque Ismaele. (Genesi 12:4; 16:1-4, 16) Ma il promesso seme che avrebbe portato la benedizione
doveva venire attraverso qualcun altro. Quando Abramo aveva 99 anni il suo nome fu cambiato in
Abraamo, perché Dio gli disse: “Ti farò padre di una folla di nazioni”. Il nome di Sarai fu cambiato in Sara
con la promessa che avrebbe partorito un figlio. — Genesi 17:1, 5, 15-19.
15 Abraamo, e in seguito anche Sara, risero al pensiero, perché le facoltà riproduttive di entrambi erano
cessate. (Genesi 17:17; 18:9-15) Ma tale risata non rivelava incredulità e mancanza di fede. Come
spiega la Bibbia, Abraamo ‘non si indebolì nella fede. Ma a motivo della promessa di Dio divenne potente
mediante la sua fede, dando gloria a Dio ed essendo pienamente convinto che ciò che egli aveva
promesso era anche in grado di fare’. (Romani 4:18-21) Quello stesso giorno, Abraamo diede prova della
sua forte fede. Come segno del suo patto con lui, Geova disse ad Abraamo di circoncidersi e di
circoncidere ogni maschio nella sua vasta casa. (Genesi 15:18-21; 17:7-12, 26) Come reagì a questo
comando doloroso? “Circoncise la carne del loro prepuzio in quel medesimo giorno, proprio come Dio gli
aveva parlato”. — Genesi 17:22-27.
16 Isacco, il cui nome significa “risata”, nacque a Sara l’anno seguente. (Genesi 21:5, 6) Ben presto arrivò
il tempo di svezzarlo. Durante la festa, il geloso Ismaele perseguitò Isacco. A ciò Sara esortò vivamente
Abraamo a cacciare la schiava Agar e suo figlio dalla casa, e Geova Dio appoggiò la richiesta di Sara.
Anche se addolorato, Abraamo ubbidì prontamente. (Genesi 21:8-14) Secondo Galati 4:21-30, questo
raffigurò come il più grande Abraamo avrebbe troncato la sua relazione con la nazione dell’Israele
naturale. Come il resto dell’umanità, gli israeliti erano nati schiavi del peccato. (Romani 5:12) Ma allo
stesso tempo rigettavano Gesù Cristo, il vero Seme di Abraamo che era venuto per liberarli. (Giovanni
8:34-36; Galati 3:16) E come Ismaele perseguitò Isacco, essi perseguitarono la neocostituita
congregazione cristiana dell’Israele spirituale, che era la parte secondaria del seme di Abraamo. —
Matteo 21:43; Luca 3:7-9; Romani 2:28, 29; 8:14-17; 9:6-9; Galati 3:29.
La più grande prova di fede
17 È difficile che un padre umano abbia amato suo figlio più di quanto l’anziano Abraamo amò Isacco.
Che terribile colpo dovette essere dunque per lui ricevere questo comando: “Prendi, suvvia, tuo figlio, il
tuo figlio unico che ami tanto, Isacco, e fa un viaggio nel paese di Moria e là offrilo come olocausto su
uno dei monti che io ti designerò”. — Genesi 22:1, 2.
18 Dovette essere difficile per Abraamo capire il motivo di questo penoso comando. Tuttavia, ancora una
volta, fu pronto a ubbidire. (Genesi 22:3) Gli ci vollero tre angosciosi giorni per arrivare al monte
prescelto. Lì costruì un altare e vi pose sopra la legna per il fuoco. A un certo punto avrà dovuto spiegare
il comando di Dio a Isacco, il quale sarebbe potuto facilmente scappare via. Isacco, invece, permise che il
suo anziano padre gli legasse mani e piedi e lo ponesse sull’altare. (Genesi 22:4-9) Come mai fu così
ubbidiente?
19 Abraamo aveva fedelmente assolto le sue responsabilità nei confronti di Isacco, come indica Genesi
18:19. Senza dubbio aveva inculcato in Isacco il proposito di Geova di risuscitare i morti. (Genesi 12:3;
Ebrei 11:17-19) Isacco, da parte sua, era l’oggetto del profondo amore di Abraamo e avrà voluto
compiacere suo padre in qualsiasi cosa, specialmente se si trattava di fare la volontà di Dio. Che
eccellente esempio per le odierne famiglie cristiane! — Efesini 6:1, 4.
20 Ora veniva la parte più difficile della prova. Abraamo afferrò il coltello per scannare. Ma quando fu sul
punto di uccidere suo figlio, Geova lo fermò e disse: “Ora davvero so che temi Dio, in quanto non hai
trattenuto tuo figlio, il tuo unico, da me”. (Genesi 22:11, 12) Che ricca ricompensa, per Abraamo, udire
Dio stesso che lo dichiarava giusto! Ora poteva esser certo di essere stato all’altezza di ciò che Dio
richiede dagli esseri umani imperfetti. Cosa ancora più importante, era stata dimostrata la giustezza del
giudizio che Geova aveva espresso in precedenza riguardo alla sua fede. (Genesi 15:5, 6) Dopo ciò
Abraamo sacrificò un montone provveduto miracolosamente al posto di Isacco. Poi udì Geova
confermare, con un giuramento, le promesse del patto. In seguito divenne noto come amico di Geova. —
Genesi 22:13-18; Giacomo 2:21-23.
21 Il sacrificio di Abraamo era “illustrativo”. (Ebrei 11:19) Rappresentava il doloroso e prezioso sacrificio
che Geova Dio fece quando mandò il suo amato Figlio sulla terra per morire come “l’Agnello di Dio che
toglie il peccato del mondo”. (Giovanni 1:29) E il fatto che Isacco fosse disposto a morire illustra come il
più grande Isacco, Gesù Cristo, si sottomise amorevolmente al compimento della volontà del suo Padre
celeste. (Luca 22:41, 42; Giovanni 8:28, 29) Infine, proprio come Abraamo ricevette suo figlio vivo
dall’altare, Geova ricevette il suo amato Figlio dai morti come gloriosa creatura spirituale. (Giovanni 3:16;
1 Pietro 3:18) Com’è incoraggiante tutto questo per quelli che oggi cercano l’amicizia di Dio!
22 Esercitando fede in questo supremo atto di amore da parte del più grande Abraamo, Geova Dio, un
gruppo scelto di esseri umani sono stati dichiarati giusti come figli di Dio. (Romani 5:1; 8:15-17) Essendo
presi prima di fra gli ebrei e poi di fra i gentili, questi sono stati davvero benedetti per mezzo del Seme di
Abraamo, Gesù Cristo. (Atti 3:25, 26; Galati 3:8, 16) Da parte loro, formano la parte secondaria del seme
di Abraamo. (Galati 3:29) Costoro sono in tutto 144.000 e, come Gesù, vengono risuscitati alla vita
celeste dopo essersi mostrati fedeli sino alla morte. — Romani 6:5; Rivelazione 2:10; 14:1-3.
23 Nel frattempo milioni di persone di tutte le nazioni si stanno ‘benedicendo’ accettando l’amorevole
ministero del piccolo rimanente del seme di Abraamo. (Genesi 22:18) Sono state entusiaste di
apprendere com’è possibile che esseri umani peccatori siano dichiarati giusti come amici di Dio. Come
risultato, “una grande folla . . . di ogni nazione” sta godendo del favore di Dio, in quanto queste persone
“hanno lavato le loro lunghe vesti e le hanno rese bianche nel sangue dell’Agnello”. Seguendo la guida
del rimanente, anch’esse rendono a Dio “sacro servizio giorno e notte”. Dinanzi a questa grande folla è
posta la meravigliosa speranza della vita eterna nel Paradiso come “figli di Dio” terreni. (Rivelazione 7:9-
17; 21:3-5; Romani 8:21; Salmo 37:29) Ma prima che tali benedizioni divengano realtà devono aver luogo
avvenimenti più importanti, come apprenderemo nel prossimo articolo.
w89 1/7 23-8 Un matrimonio da cui traggono beneficio milioni di persone ora in vita
Un matrimonio da cui traggono beneficio milioni di persone ora in vita
“Geova il nostro Dio, l’Onnipotente, ha cominciato a regnare. . . . Diamo a lui la gloria, perché è arrivato il
matrimonio dell’Agnello e la sua moglie si è preparata”. — RIVELAZIONE 19:6, 7.
QUESTE entusiasmanti parole fanno parte di un profetico cantico di vittoria. Quando si comincerà a
cantarlo? Dopo la distruzione della nemica di vecchia data dell’adorazione di Geova, “Babilonia la
Grande”, la simbolica “grande meretrice” che rappresenta tutte le forme di falsa religione. Su di lei
dev’essere eseguito il giudizio a motivo del modo in cui ha mal rappresentato Dio. Come ha sviato
l’umanità con la sua ingerenza nella politica, la sua avidità materialistica e il suo odio omicida per i veri
adoratori di Geova! — Rivelazione 17:1-6; 18:23, 24; 19:1, 2; Giacomo 4:4.
2 Ben presto Geova Dio indurrà i capi politici del mondo a distruggerla. (Rivelazione 17:12, 16, 17) Ma
coloro che distruggeranno la falsa religione non si uniranno nel cantare il grande cantico di vittoria.
Piuttosto, sotto l’influenza di Satana, vale a dire Gog, attaccheranno coloro che praticano la vera
religione, che vivono in pace e si mantengono separati dalla malvagità di questo mondo. — Isaia 2:2-4;
Ezechiele 38:2, 8-12; Giovanni 17:14; Giacomo 1:27.
3 Questo attacco blasfemo da parte dei governanti politici scatenerà la battaglia di Armaghedon, che
eliminerà per sempre le nazioni antireligiose. Dopo ciò, la terra sarà liberata dalla malvagia influenza di
Satana e dei suoi demoni. (Rivelazione 16:14, 16; 19:11-21; 20:1, 2) Col cuore colmo di gratitudine, tutti
gli esseri umani che sopravvivranno si uniranno al coro celeste nell’esclamare: “Lodate Iah, perché
Geova il nostro Dio, l’Onnipotente, ha cominciato a regnare”. (Rivelazione 19:6) In effetti, tali avvenimenti
che scuoteranno il mondo segneranno l’inizio di una nuova epoca. Geova avrà rivendicato la sua
sovranità e tolto dalla faccia della terra tutti quelli che sfidano il suo dominio. Sarà finalmente arrivata l’ora
del matrimonio celeste. Come dice la continuazione del cantico profetico: “Rallegriamoci ed esultiamo, e
diamo a [Geova] la gloria, perché è arrivato il matrimonio dell’Agnello e la sua moglie si è preparata”. —
Rivelazione 19:7, 8.
4 L’Agnello non è altri che il glorificato Gesù Cristo, e la sua “moglie” sono tutti i suoi 144.000 unti seguaci
fedeli ora uniti a lui in cielo. Insieme, questi coniugi celesti compongono il numero completo dei membri
del Regno di Dio, che eleverà l’umanità, compresi i morti risuscitati, alla perfezione umana. (Rivelazione
5:8-10; 14:1-4; 20:4, 12, 13; 21:3-5, 9, 10; 22:1-3) Avranno successo gli avvenimenti che conducono a
tale matrimonio benedetto? Come potete trarre beneficio da questo matrimonio? Per trovare risposta a
tali domande, esaminiamo gli avvenimenti legati al matrimonio di Isacco, riportati nel capitolo 24 di
Genesi.
Dio sceglie una sposa per Isacco
5 Il racconto inizia con Abraamo che dà istruzioni al servitore che amministrava la sua casa,
evidentemente Eliezer. (Genesi 15:2; 24:2) “Devo farti giurare per Geova”, disse Abraamo, “che non
prenderai una moglie per mio figlio dalle figlie dei cananei fra i quali dimoro, ma andrai al mio paese e dai
miei parenti, e certamente prenderai una moglie per mio figlio, per Isacco”. — Genesi 24:3, 4.
6 Perché Abraamo insistette tanto che suo figlio non sposasse una cananea? Perché i cananei
discendevano da Canaan, che fu maledetto da Noè. (Genesi 9:25) Inoltre, i cananei erano noti per le loro
pratiche depravate, e soprattutto non adoravano Geova. (Genesi 13:13; Levitico 18:3, 17-28)
Comprensibilmente, Abraamo voleva che suo figlio sposasse una donna che apparteneva alla sua stessa
famiglia, una discendente di Sem, il quale aveva ricevuto l’ispirata benedizione di Noè. (Genesi 9:26) Che
ottimo esempio per i cristiani che oggi decidono di sposarsi! — Deuteronomio 7:3, 4.
7 Così Eliezer intraprese un viaggio di oltre 800 chilometri fino in Mesopotamia. Andò ben equipaggiato,
con dieci cammelli carichi di doni. (Genesi 24:10) In aggiunta, poteva meditare su queste incoraggianti
parole del suo padrone: “Geova, l’Iddio dei cieli, . . . manderà il suo angelo davanti a te, e certamente di
là prenderai una moglie per mio figlio”. — Genesi 24:7.
8 Alla fine giunse alla città di Nahor, nella Mesopotamia settentrionale. Eliezer lasciò che gli stanchi
cammelli si inginocchiassero per riposare a un pozzo fuori della città. Era l’ora in cui le donne andavano
ad attingere l’acqua: davvero un’ottima occasione perché Eliezer cercasse una possibile moglie! Ma che
tipo di donna doveva essere? La più attraente? No. Ad Eliezer interessava soprattutto una donna dalla
personalità devota. Lo si capisce dall’umile preghiera di fede che a questo punto egli pronunciò: “Geova,
Dio del mio padrone Abraamo, fallo avvenire, ti prego, davanti a me quest’oggi e usa amorevole benignità
al mio padrone Abraamo. Ecco, sto fermo presso una fonte d’acqua e le figlie degli uomini della città
escono ad attingere acqua. Ciò che deve avvenire è che la giovane alla quale dirò: ‘Abbassa la tua giara
d’acqua, ti prego, perché io beva’, e che veramente dirà: ‘Bevi, e darò da bere anche ai tuoi cammelli’,
questa è quella che devi assegnare al tuo servitore, a Isacco; e da questo fammi sapere che hai usato
amore leale col mio padrone”. — Genesi 24:11-14.
9 Era senz’altro una buona prova. Secondo un’enciclopedia (The New Encyclopædia Britannica), un
cammello molto assetato può bere 95 litri d’acqua in dieci minuti. Può darsi che i cammelli di Abraamo
non avessero tanta sete, ma le donne di quel tempo conoscevano senz’altro quanta acqua potevano bere
tali animali. Di certo una donna doveva essere molto gentile, altruista e laboriosa per offrirsi di attingere
acqua per dieci cammelli stanchi di proprietà di un estraneo.
10 La preghiera di Eliezer fu esaudita ancor prima che egli l’avesse completata, in quanto il racconto dice:
“Ecco, usciva Rebecca . . . Ora la giovane era di aspetto molto attraente, vergine, e nessun uomo aveva
avuto rapporti sessuali con lei; e scese alla fonte e riempiva la sua giara per l’acqua e quindi salì. Subito il
servitore le corse incontro e disse: ‘Dammi, ti prego, un piccolo sorso d’acqua della tua giara’. A sua volta
essa disse: ‘Bevi, mio signore’. Allora abbassò prontamente la sua giara sulla mano e gli diede da bere.
Quando ebbe finito di dargli da bere, disse: ‘Attingerò acqua anche per i tuoi cammelli finché abbiano
bevuto abbastanza’. Così vuotò prontamente la sua giara nell’abbeveratoio e corse ripetute volte al pozzo
ad attingere acqua, e ne attingeva per tutti i suoi cammelli”. — Genesi 24:15-20.
11 Eliezer “la fissava con meraviglia”, osservando questa miracolosa risposta alla sua preghiera. Quando
la lodevole vergine ebbe finito, la ricompensò con un anello da naso e due braccialetti d’oro e le chiese di
chi era figlia. Scoprendo che era pronipote di Abraamo, Eliezer si inchinò a Geova in riverente
adorazione, dicendo: “Benedetto sia Geova, l’Iddio del mio padrone Abraamo, che non ha lasciato la sua
amorevole benignità e la sua fidatezza verso il mio padrone. Essendo io per via, Geova mi ha guidato alla
casa dei fratelli del mio padrone”. — Genesi 24:21-27.
12 Eccitata, Rebecca corse a casa a raccontare l’accaduto alla sua famiglia. In seguito, quando il padre e
il fratello di Rebecca udirono dalla bocca stessa di Eliezer lo scopo del suo viaggio e come Geova aveva
risposto alla sua preghiera, acconsentirono senza esitazione a che Rebecca andasse in moglie a Isacco.
“E avvenne che quando il servitore di Abraamo ebbe udito le loro parole, si prostrò subito a terra davanti
a Geova. E il servitore tirava fuori oggetti d’argento e oggetti d’oro e vesti e li dava a Rebecca; e diede
cose scelte al fratello e alla madre di lei”. — Genesi 24:52, 53.
La risposta della sposa e delle sue serve
13 Come considerava Rebecca il privilegio di essere stata scelta da Dio come sposa di Isacco? Il giorno
seguente accadde qualcosa che rivelò i suoi veri sentimenti. Avendo raggiunto lo scopo del suo viaggio,
Eliezer desiderava tornare dal suo padrone senza indugio. Ma la famiglia di Rebecca voleva che la sposa
restasse con loro almeno dieci giorni. Perciò si lasciò decidere a Rebecca se era pronta a partire
immediatamente. “Sono disposta ad andare”, disse. Accettando di lasciare immediatamente la famiglia
per andare in un paese lontano a sposare un uomo che non aveva mai visto Rebecca dimostrò di avere
grande fede nella guida di Geova. Questo confermava che lei era la persona giusta. — Genesi 24:54-58.
14 Rebecca non fece il viaggio da sola. Il racconto ci spiega: “Rebecca e le sue serve si levarono e
montavano sui cammelli”. (Genesi 24:61) Così la carovana di cammelli intraprese un viaggio pericoloso di
oltre 800 chilometri in territorio straniero. “La velocità media dei cammelli carichi”, afferma un libro (The
Living World of Animals), “è di circa [4 km/h]”. Se i cammelli di Abraamo viaggiarono a tale velocità per
otto ore al giorno, avranno impiegato più di 25 giorni per raggiungere la loro destinazione nel Negheb.
15 Sia Eliezer che Rebecca e le sue serve confidavano pienamente nella guida di Geova: un ottimo
esempio per i cristiani odierni! (Proverbi 3:5, 6) Inoltre, questo racconto è un dramma profetico che
rafforza la fede. Come abbiamo visto, Abraamo rappresenta Geova Dio, che offrì il suo diletto Figlio, il più
grande Isacco, affinché gli uomini peccatori potessero ottenere la vita eterna. (Giovanni 3:16) I preparativi
per il matrimonio di Isacco furono fatti qualche tempo dopo che egli era stato risparmiato dalla morte
sull’altare per il sacrificio. Questi preparativi raffiguravano profeticamente quelli per il matrimonio celeste,
che ebbero inizio in piena misura dopo la risurrezione di Gesù.
Il matrimonio del più grande Isacco
16 Il nome Eliezer significa “Il mio Dio è un soccorritore”. Sia col nome che con le azioni, Eliezer
rappresenta in maniera appropriata lo spirito santo del più grande Abraamo, Geova Dio, che egli mandò a
questo paese distante, la terra, per scegliere una sposa adatta per il più grande Isacco, Gesù Cristo.
(Giovanni 14:26; 15:26) La classe della sposa è “la congregazione”, composta di discepoli di Gesù
generati dallo spirito santo come figli spirituali di Dio. (Efesini 5:25-27; Romani 8:15-17) Proprio come
Rebecca ricevette costosi doni, così i primi membri della congregazione cristiana, alla Pentecoste del 33
E.V., ricevettero doni miracolosi come prova della loro chiamata divina. (Atti 2:1-4) Come Rebecca, sono
stati disposti ad abbandonare tutto ciò che li legava al mondo e alla carne per essere infine uniti al loro
Sposo celeste. I singoli membri della classe della sposa devono custodire la loro verginità spirituale da
quando vengono chiamati fino alla morte, mentre viaggiano attraverso il pericoloso e seducente mondo di
Satana. (Giovanni 15:18, 19; 2 Corinti 11:3; Giacomo 4:4) Piena di spirito santo, la classe della sposa
invita fedelmente altri a valersi dei provvedimenti di Geova per la salvezza. (Rivelazione 22:17) Seguite il
suo esempio accettando anche voi la guida dello spirito?
17 La classe della sposa dà grande valore a ciò che è raffigurato dai dieci cammelli. Nella Bibbia il
numero dieci è usato per indicare perfezione o completezza riguardo a cose terrene. I dieci cammelli si
possono paragonare alla completa e perfetta Parola di Dio, attraverso la quale la classe della sposa
riceve sostentamento spirituale e doni spirituali. (Giovanni 17:17; Efesini 1:13, 14; 1 Giovanni 2:5)
Commentando l’abbeveraggio dei cammelli da parte di Rebecca, La Torre di Guardia del 15 giugno 1949
fece questa applicazione a quelli della classe della sposa: “Riguardano con amore la Parola di Dio che
reca loro molto del suo spirito. Prendono interesse alla sua Parola scritta, servendola e rianimandola con
la loro assistenza, e manifestano un sincero interessamento per il suo messaggio e il suo proposito,
cercando di credervi”. Che le cose stiano così lo si può notare ad esempio dal fatto che il rimanente della
classe della sposa ha amorevolmente reso disponibile a milioni di persone la moderna e aggiornata
Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture. Sia che questa ottima traduzione sia disponibile nella
vostra lingua o no, mostrate apprezzamento esaminando regolarmente la Bibbia insieme agli strumenti di
studio provveduti dalla classe della sposa? — 2 Timoteo 3:16.
Il matrimonio dell’Agnello si avvicina
18 In questi ultimi giorni del mondo di Satana, al rimanente della classe della sposa si è aggiunta “una
grande folla”, paragonabile alle “serve” di Rebecca. Come nel caso di Rebecca, questa è molto più
numerosa della classe della sposa, il cui numero completo è di 144.000 membri. È la “grande folla” delle
“altre pecore” di Gesù Cristo. (Rivelazione 7:4, 9; Giovanni 10:16) Come leali serve della sposa, anche i
membri di questa folla devono evitare di essere contaminati dal malvagio mondo di Satana. Anch’essi
devono accettare le direttive dello spirito di Geova e della sua Parola come viene loro spiegata dalla
classe della sposa. Ma la loro ricompensa è diversa. Se persevereranno nel sostenere lealmente la
sposa di Cristo, sopravvivranno alla fine del mondo di Satana e avranno la meravigliosa opportunità di
vivere per sempre su una terra paradisiaca. — Rivelazione 21:3, 4.
19 Riuscirono Rebecca e le sue “serve” a raggiungere la loro meta? Sì. La Bibbia riferisce: “E Isacco era
fuori a passeggiare, per meditare nel campo sul far della sera. Quando alzò gli occhi e guardò, ebbene,
ecco, venivano dei cammelli! Quando Rebecca alzò gli occhi, scorse Isacco e si lasciò scivolare dal
cammello”. Dopo che Eliezer ebbe spiegato come era riuscito a portare a termine il suo incarico, Isacco
accettò in moglie Rebecca e “si innamorò di lei”. — Genesi 24:63-67.
20 Similmente, il proposito di Geova riguardo alla sposa di Cristo non può fallire. (Isaia 55:11) Fra poco,
dopo che Babilonia la Grande sarà giudicata e distrutta, gli ultimi componenti del rimanente della sposa
completeranno il loro viaggio. Sarà giunto per loro il momento di essere separati dalle loro serve
compagne per essere uniti in matrimonio, in cielo, con il più grande Isacco. Che grandiosa occasione di
gioia universale sarà quella! — Rivelazione 19:6-8.
21 Nel frattempo, milioni di persone si stanno benedicendo accettando il ministero del sempre più esiguo
rimanente della sposa. Prima che tutti questi finiscano la loro vita terrena con la morte, la devastazione
dell’impero mondiale della falsa religione simile a una prostituta segnerà l’inizio della “grande tribolazione
come non è accaduta dal principio del mondo fino ad ora”. Rimane poco tempo. Se volete sopravvivere, è
essenziale ubbidire ai comandi divini! (Matteo 24:14, 21; Marco 13:10; Luca 21:15; Giovanni 13:34) Tali
comandi valgono in special modo nei nostri tempi difficili. Perciò, che facciate parte del rimanente della
sposa o della sua “grande folla” di serve, continuate ad ubbidire a Geova, a sua gloria e a vostra felicità
eterna. Che prospettiva grandiosa sarà per i membri della grande folla, già considerati amici di Dio,
continuare a vivere mentre Geova ‘farà ogni cosa nuova’ e benefìci eterni saranno estesi a milioni di
persone in una terra paradisiaca! — Rivelazione 21:5; 22:1, 2, 17.
w79 15/8 9-12 Acan, un uomo che mise in difficoltà l'intera nazione
Acan, un uomo che mise in difficoltà l’intera nazione
GEOVA DIO desidera sempre dare cose buone al suo popolo. (Luca 11:13; Giac. 1:17) Ma a volte deve
disciplinarlo in modi che non recano gioia né a lui né a loro. (Ebr. 12:11) Gli dispiace, e se ci fosse
qualche altro modo per migliorare un individuo o una nazione, egli si servirebbe di quel modo. (Gen. 6:6;
Isa. 63:10) In ogni caso, comunque, i risultati dimostrano che ha compiuto l’azione giusta.
Un caso pertinente è quello in cui disciplinò la nazione d’Israele in relazione ad Acan della tribù di Giuda.
Acan faceva parte dell’esercito israelita che combatteva al comando di Giosuè per il possesso della Terra
Promessa. Allora essa era occupata dai cananei, dagli amorrei e da altri popoli ostili a Geova e alla sua
adorazione. Queste nazioni praticavano forme di adorazione idolatriche e avevano pratiche immorali. Dio
aveva comandato a Israele di cacciarle dal paese. — Lev. 18:24, 28.
Dio aveva compiuto miracoli facendo attraversare a Israele il Mar Rosso al comando di Mosè, dando da
mangiare al popolo e impedendo che i loro abiti si consumassero durante i 40 anni che avevano trascorsi
nel deserto. Aveva combattuto per loro, sconfiggendone i nemici. (Eso. 14:21-28; Deut. 8:3-5; 29:5) La
notizia di questi fatti suscitò uno spirito di abbattimento e il timore di Geova cadde su tutte le città di
Canaan. — Gios. 2:8-11; 5:1.
Avevano attraversato il Giordano ed erano stati oggetto delle meravigliose cure di Geova che li aveva
guidati alla conquista di Gerico. Lì Geova l’Iddio degli eserciti aveva miracolosamente fatto cadere di
piatto le mura di Gerico. Non era perito un solo soldato israelita. — Gios. 6:20, 21.
Secondo il comando di Dio, Gerico, come primizia di Canaan, doveva essere interamente votata a
Geova; tutto ciò che era in essa doveva essere distrutto e bruciato col fuoco. Gli oggetti metallici — di
oro, argento, rame e ferro — dopo l’incendio, dovevano essere consegnati al tesoro del tabernacolo di
Dio. (Gios. 6:17-19, 24) Secondo il patto che Dio aveva stipulato con Israele, ogni cosa “votata” era sotto
un’interdizione o sotto una maledizione. Chi avesse preso una cosa interdetta sarebbe stato “votato” o
maledetto come quella cosa, votato alla distruzione. — Deut. 7:25, 26.
SCONFITTI AD AI
La città di Ai si trovava sul cammino degli eserciti d’Israele. Ma lì ci fu un’umiliante sconfitta. Il racconto
biblico dice perché: “I figli d’Israele commisero un atto d’infedeltà rispetto alla cosa votata alla distruzione
in quanto Acan figlio di Carmi, figlio di Zabdi, figlio di Zera, della tribù di Giuda, prese parte della cosa
votata alla distruzione. A ciò l’ira di Geova si accese contro i figli d’Israele”. — Gios. 7:1.
Ai era più piccola di Gerico, quindi le spie mandate da Giosuè raccomandarono: “Non salga tutto il
popolo. Salgano circa duemila uomini o circa tremila uomini e colpiscano Ai. Non affaticare tutto il popolo
facendolo andare là, poiché sono pochi”. — Gios. 7:2, 3.
Il racconto biblico prosegue: “Vi salirono dunque circa tremila uomini del popolo, ma si diedero alla fuga
dinanzi agli uomini di Ai. E gli uomini di Ai abbatterono d’essi circa trentasei uomini, e li inseguirono
d’innanzi alla porta fino a Sebarim [cave di pietra] e continuarono ad abbatterli per la discesa. Di
conseguenza il cuore del popolo si struggeva e diveniva come acqua”. — Gios. 7:4, 5.
Cos’era andato storto? Geova li aveva forse abbandonati? La cosa più grave non era tanto la perdita di
36 soldati, poiché in qualsiasi battaglia di solito c’erano almeno alcune vittime. La vera calamità era che
Israele, l’esercito di Geova, era fuggito sconfitto davanti al nemico. — Gios. 7:8.
GIOSUÈ SUPPLICA GEOVA
Perciò Giosuè era in grande angustia. Egli “si strappò i mantelli e cadde con la faccia a terra dinanzi
all’arca di Geova fino alla sera, egli e gli anziani d’Israele, e si mettevano polvere sulla testa”. (Gios. 7:6)
Questi uomini eminenti della nazione provavano grande dolore e temevano che, per qualche ragione, Dio
si fosse dispiaciuto; non solo fecero cordoglio, ma fecero anche penitenza dinanzi a Dio, fortemente
convinti che qualche peccato lo avesse indotto a ritirare il suo appoggio. Il fatto che rimasero lì fino a sera
rivelò la loro profonda preoccupazione e il timore che Dio fosse adirato. Non diedero la colpa al
suggerimento delle spie né accusarono i soldati di codardia, ma si rivolsero a Dio per scoprire la causa e
perché mostrasse loro ciò che dovevano fare per riconquistare il suo favore.
Giosuè disse a Dio: “Ohimè, Signore Geova, perché hai fatto passare a questo popolo il Giordano,
proprio per darci nelle mani degli Amorrei perché ci distruggano? E avessimo noi assunto l’impegno di
continuare a dimorare dall’altra parte del Giordano! Scusami, o Geova, ma che cosa posso dire dopo che
Israele ha voltato il dorso dinanzi ai suoi nemici? E i Cananei e tutti gli abitanti del paese lo udranno, e
per certo ci circonderanno e stroncheranno il nostro nome dalla terra; e che cosa farai tu per il tuo grande
nome?” — Gios. 7:7-9.
Non si può giustamente accusare Giosuè d’essersi lamentato di Geova in questa occasione. Come fanno
notare i commentatori biblici Keil e Delitzsch, Giosuè usava semplicemente il coraggioso linguaggio della
fede pregando Dio con fervore — fede che non riusciva a comprendere le vie del Signore — e rivolgendo
al Signore l’urgentissimo appello di portare a termine la Sua opera nello stesso glorioso modo in cui
l’aveva cominciata. (Confronta Genesi 18:23-26). Forse Giosuè pensò che il desiderio del popolo prima di
entrare in Canaan fosse misto a egoismo, e non fosse un desiderio del tutto sincero di fare la volontà di
Dio. Si augurava che Israele tornasse in buoni rapporti con Dio come lo era stato dall’altra parte del
Giordano.
Vediamo che Giosuè aprì il suo cuore ed espresse senza riserve i suoi sentimenti, come si deve fare in
preghiera. (Confronta Ebrei 10:19-22). Quindi, comprendendo che quanto stava per dire poteva suonare
come un rimprovero a Geova, come se Dio avesse dimenticato il Suo proprio onore, Giosuè chiese a Dio
come Egli stesso poteva ora sostenere il Suo “grande nome” davanti al mondo. Il nome di Geova era
legato alla nazione israelita, e, per Giosuè, l’onta che la notizia della sconfitta d’Israele avrebbe recato sul
nome di Geova era la parte più dolorosa dell’intera questione. — Confronta le parole di intercessione di
Mosè a favore d’Israele dopo che il popolo aveva commesso un grave peccato. — Eso. 32:11-14.
DIO RIVELA LA CAUSA DELLA SUA IRA
Dio rispose a Giosuè: “Levati! Perché cadi sulla tua faccia?” Era come dire: ‘Sei rimasto a giacere
abbastanza a lungo. Devi capire che io non sono cambiato. È tempo di scoprire la causa della difficoltà,
cioè il peccato del popolo’. Dio disse quindi chiaramente: “Israele ha peccato, e hanno anche trasgredito
il mio patto che ho imposto loro come comando; e hanno pure preso parte della cosa votata alla
distruzione e hanno pure rubato e l’han pure tenuta segreta e l’hanno pure messa fra i loro propri oggetti”.
— Gios. 7:10, 11.
Israele aveva (1) infranto il patto disubbidendo ai comandi di Dio (Eso. 24:7, 8), (2) preso una cosa
proibita, (3) rubato ciò che in effetti apparteneva a Dio, (4) tenuto nascosto il fatto, come se Geova non
vedesse (probabilmente Giosuè aveva chiesto a tutto il popolo, dopo la caduta di Gerico, se avevano
ubbidito votando ogni cosa alla distruzione ma, se Giosuè l’aveva chiesto, Acan aveva tenuto nascosto il
suo peccato), (5) e messo gli oggetti proibiti fra le loro cose, come se appartenessero loro, rendendosi
così una cosa detestabile come ciò che avevano preso. — Gios. 6:18, 19.
Dato che il colpevole o i colpevoli non si erano fatti avanti per confessare il proprio peccato, bisognava
smascherarli. Anche allora, Geova fece sì che Giosuè scoprisse il trasgressore in modo progressivo,
dando a questi l’opportunità di attenuare fino a un certo punto la sua colpa con una confessione
volontaria. Dio, naturalmente, avrebbe potuto indicare subito il nome del trasgressore. Ma fece chiamare
il popolo da Giosuè, tribù per tribù, famiglia per famiglia, casa per casa e uomo per uomo. Si fece questo
tirando a sorte, sotto la direttiva di Geova. — Gios. 7:14; Prov. 16:33.
Qualcuno può chiedere: Perché Dio si adirò con la nazione a causa di quello che fece un uomo? Gli
eruditi biblici riconoscono che si trattò di un peccato della comunità dinanzi a Dio. Gli israeliti come
nazione avevano su di sé il nome di Dio. Ciò che essi facevano rappresentava il loro Dio e le sue vie, agli
occhi delle altre nazioni. Un atto di avidità, di furto e di menzogna da parte di un uomo si ripercuoteva
sulla reputazione dell’intera nazione, e perciò sul nome dell’Iddio che servivano. — Deut. 21:1-9.
IL PECCATO DI UN MEMBRO METTE IN PERICOLO L’INTERO CORPO
Inoltre tale peccato, se non fosse stato corretto, avrebbe contagiato tutto il popolo. La nazione avrebbe
finito per combattere le battaglie non per sostenere il nome di Dio e la vera adorazione, ma per pura
conquista egoistica. L’apostolo Paolo mostrò che permettere o condonare un grave peccato è una cosa
insidiosa e pericolosa quando scrisse alla congregazione cristiana di Gerusalemme di badare che “non
spunti nessuna radice velenosa e non causi difficoltà e affinché molti non ne siano contaminati; affinché
non vi sia fornicatore né alcuno che non apprezzi le cose sacre, come Esaù, che in cambio di un pasto
cedette i suoi diritti di primogenito”. — Ebr. 12:15, 16; confronta I Corinti 5:6, 7, 13.
Quando la sorte cadde direttamente su Acan, Giosuè fu gentile, pur sapendo che Acan era colpevole.
Disse ad Acan: “Figlio mio, ti prego, rendi gloria a Geova l’Iddio d’Israele e fagli confessione, e
dichiarami, ti prego, che cosa hai fatto? Non me lo occultare”. (Gios. 7:19) Allora Acan ‘rese gloria a Dio’
in quanto riconobbe che Geova Dio aveva diretto correttamente la sorte e che era giustamente adirato
con lui. Acan aveva “commesso una vergognosa follia in Israele”, un delitto che recava grande disonore
su Dio poiché arrecava onta a Israele che allora rappresentava Dio sulla terra. — Gios. 7:15.
RIMOSSA LA COLPA DALLA NAZIONE
Per dimostrare a tutto Israele la causa della loro sconfitta ad Ai, e per dare la prova che Acan era il
colpevole, Giosuè mandò a prendere dalla tenda di Acan gli oggetti rubati e li mostrò al popolo. (Gios.
7:22, 23) In base al comando di Dio, Acan doveva esser messo a morte. Anche la sua famiglia, la sua
tenda e i suoi averi dovettero essere bruciati, per togliere da Israele questo elemento contaminato e
simile a lievito, poiché anche la menzione del nome di Acan sarebbe stata un abominio. Il racconto dice
che, messo a morte Acan con la lapidazione e poi bruciato, fu eretto sopra le sue ceneri un grosso
mucchio di pietre e il luogo fu chiamato Acor (ostracismo, difficoltà) a rammentare la calamità che egli
aveva attirata su Israele. — Gios. 7:24-26.
Alcuni possono pensare che l’esecuzione della famiglia di Acan e la distruzione dei suoi beni siano state
ingiuste. Ma considerate il biasimo e i guai causati da questo avido desiderio di Acan. Non solo, ma 36
uomini avevano perso la vita. Inoltre, era difficile che la famiglia di Acan ignorasse il fatto che le cose
maledette e rubate erano sepolte in terra sotto la tenda di Acan. — Gios. 7:21.
Giosuè agì giustamente e questo è indicato dal fatto che successivamente Geova recò la sconfitta di Ai. Il
giudizio di Geova fu una benedizione e una protezione per Israele che proseguì nella conquista del
paese, sconfiggendo un re dopo l’altro, per sei anni. Non c’è nulla a indicare che qualcuno commettesse
un’altra azione simile a quella di Acan. Anche in seguito, al tempo dei giudici, quando fu commesso un
grave peccato, la nazione mostrò grande zelo nel discolparsi dinanzi a Dio eliminando la malvagità,
anche a costo di molte vite. — Giud., cap. 20.
W68 P.495-496
Adamo — Tema: Perché dobbiamo mettere Dio al primo posto nella nostra vita MATTEO 6:33
w89 1/8 10-15 Dio si propone che l'uomo viva felice in un paradiso
Dio si propone che l’uomo viva felice in un paradiso
“E Geova Dio prendeva l’uomo e lo poneva nel giardino di Eden perché lo coltivasse e ne avesse cura”.
— GENESI 2:15.
IL PROPOSITO originale del Creatore, tuttora valido, era che gli esseri umani ubbidienti vivessero felici
senza invecchiare, sempre nel pieno del vigore giovanile, una vita senza noia, ricca di mete significative,
una vita in cui amare ed essere amati con sincerità e altruismo, nella perfezione, in un paradiso! —
Genesi 2:8; confronta Luca 23:42, 43.
2 Per convincervene, pensate a quando Adamo, appena creato, prese coscienza per la prima volta,
quando osservò il suo corpo e tutto ciò che vedeva, udiva e sentiva intorno a sé, quando ad un tratto capì
di essere vivo! Questo avvenne circa 6.000 anni fa, nell’anno 4026 prima della nostra era volgare,
secondo il computo del tempo riportato nella Sacra Bibbia. Avvenne nella regione attualmente nota come
Turchia, nella parte sudoccidentale di quella che oggi chiamiamo Asia, in qualche luogo nei pressi
dell’Eufrate e del Tigri, dunque nell’emisfero settentrionale del nostro globo. Sarà stato più o meno il 1°
ottobre, giacché i più antichi calendari dell’umanità cominciavano a contare il tempo grosso modo da
quella data.
3 Il primo uomo venne alla vita già adulto, perfettamente formato e sano, dotato di una perfetta moralità. Il
nome che il racconto biblico gli attribuisce ripetute volte richiama l’attenzione alla sostanza da cui fu
formato: si chiamava ’Adhàm. La terra, o suolo, da cui fu formato si chiamava ’adhamàh. Perciò si
potrebbe ben dire che il suo nome significava “uomo terreno”. Questo divenne il nome proprio del primo
uomo: Adamo. Che profonda impressione deve aver fatto ad Adamo venire alla vita, divenire una
persona conscia ed intelligente!
4 Quando questo primo uomo, Adamo, venne alla vita, si destò alla consapevolezza intelligente e aprì gli
occhi, non si trovò a giacere in un grembo peloso, cullato dalle lunghe e possenti braccia di qualche
creatura scimmiesca, aggrappandosi ad essa, gli occhi fissi nei suoi occhi, chiamandola teneramente
Mamma. Il primo uomo Adamo non ebbe questo strano tipo di risveglio alla vita. Non sentì alcun legame
di parentela con le scimmie, neanche quando in seguito ne vide una per la prima volta. Nel giorno in cui
fu creato nulla suggeriva che discendesse anche lontanamente da una scimmia o da una qualsiasi
creatura del genere. Tuttavia il primo uomo, Adamo, doveva rimanere perplesso quanto al modo in cui
era venuto all’esistenza? No.
5 È chiaro che egli aveva motivo di sentirsi perplesso chiedendosi come erano venute all’esistenza tutte
le cose meravigliose che guardava. Si ritrovava in un parco, un paradiso che non era stato lui a
progettare e realizzare. Com’era venuto all’esistenza tutto questo? Essendo un uomo perfettamente
intelligente e razionale, l’avrà voluto sapere. In precedenza, egli non aveva avuto alcuna esperienza.
Sapeva di non essere un uomo che si era fatto o sviluppato da sé. Se era in quella condizione, non era
davvero opera sua. — Confronta Salmo 100:3; 139:14.
6 Il primo uomo Adamo era vivo, felice, in una dimora terrena perfetta: forse sulle prime sarà stato troppo
eccitato per chiedersi da dove era venuto e perché. Non poteva quasi fare a meno di gridare di gioia.
Scoprì che le parole gli uscivano di bocca. Si udì parlare nella lingua dell’uomo, commentando le cose
belle che vedeva e udiva. Com’era bello essere vivo lì in quel giardino paradisiaco! Ma mentre gioiva
nell’acquisire informazioni osservando, ascoltando, annusando e toccando tutto ciò che gli stava intorno,
sarà stato spinto a fare dei ragionamenti. Per noi, se ci fossimo trovati al posto suo, tutto sarebbe stato
avvolto nel mistero, un mistero che non avremmo potuto risolvere da noi stessi.
Nessun mistero riguardo all’esistenza dell’uomo
7 La perplessità che il primo uomo Adamo provava ritrovandosi in vita e solo, senza vedere nessun altro
simile a lui in quel giardino paradisiaco, non durò a lungo. A un certo punto egli udì la voce di qualcuno
che parlava. L’uomo la capiva, ma dov’era colui che parlava? L’uomo non vedeva parlare nessuno. La
voce proveniva dal reame invisibile, e si rivolgeva a lui. Era la voce del Fattore dell’uomo, del suo
Creatore! E l’uomo poteva rispondergli nella stessa lingua. Si trovò a parlare con Dio, con il Creatore.
L’uomo non aveva bisogno di alcun sofisticato radioricevitore per udire la voce divina. Dio conversava
con lui come sua creatura in maniera diretta.
8 Ora l’uomo sapeva di non essere solo, e questo deve averlo fatto sentir meglio. Mille domande
affollavano la sua mente: poteva formularle all’Essere invisibile che parlava con lui. Chi l’aveva fatto, e chi
aveva fatto quel bel giardino? Perché era stato messo lì, e cosa doveva fare della sua vita? Vivere aveva
qualche scopo? Questo primo uomo Adamo fu oggetto di un’attenzione e un interesse paterni, in quanto
la sua mente indagatrice ricevette risposte soddisfacenti alle sue domande. Come sarà stato contento il
suo Fattore e Datore di vita, il suo Padre celeste, di udire l’uomo pronunciare le sue prime parole! E come
fu felice il Padre celeste di udire suo figlio parlare con lui! Per logica, la prima domanda sarà stata: “Come
sono venuto all’esistenza?” Il Padre celeste rispose con piacere a questa domanda, riconoscendo così
quel primo uomo come Suo figlio, un “figlio di Dio”. (Luca 3:38) Geova si identificò come il Padre di quel
primo uomo, Adamo. Ecco in sintesi la risposta che Adamo ricevette dal suo Padre celeste e che
tramandò alla sua progenie:
9 “E Geova Dio formava l’uomo dalla polvere del suolo e gli soffiava nelle narici l’alito della vita, e l’uomo
divenne un’anima vivente. Inoltre, Geova Dio piantò un giardino in Eden, verso oriente, e vi pose l’uomo
che aveva formato. Così Geova Dio fece crescere dal suolo ogni albero desiderabile alla vista e buono
come cibo e anche l’albero della vita nel mezzo del giardino e l’albero della conoscenza del bene e del
male. Ora c’era un fiume che usciva dall’Eden per irrigare il giardino, e di là si divideva e diveniva, per
così dire, quattro capi”. — Genesi 2:7-10.
10 La mente lucida ed elastica di Adamo assimilava con enorme interesse queste informazioni
soddisfacenti. Ora egli sapeva di non essere venuto da quel reame invisibile dal quale il suo Creatore e
Formatore stava parlando. Era stato formato invece dalla terra sulla quale viveva, e pertanto era terreno.
Il suo Datore di vita e Padre era Geova Dio. Egli era “un’anima vivente”. Avendo ricevuto la vita da Geova
Dio, era un “figlio di Dio”. Gli alberi intorno a lui nel giardino di Eden producevano frutti che erano buoni
come cibo, perché egli li mangiasse e si sostenesse in vita come anima vivente. Ma perché doveva
mantenersi in vita, perché era stato posto sulla terra, in quel giardino di Eden? Era un uomo adulto,
intelligente e capace, e aveva il diritto di sapere. Altrimenti, come avrebbe potuto realizzare lo scopo della
sua vita e in questo modo compiacere il suo Fattore e Padre compiendo la volontà divina? Le risposte a
queste legittime domande furono date nelle informazioni seguenti:
11 “E Geova Dio prendeva l’uomo e lo poneva nel giardino di Eden perché lo coltivasse e ne avesse cura.
E Geova Dio impose all’uomo anche questo comando: ‘Di ogni albero del giardino puoi mangiare a
sazietà. Ma in quanto all’albero della conoscenza del bene e del male non ne devi mangiare, poiché nel
giorno in cui ne mangerai positivamente morirai’”. — Genesi 2:15-17.
12 Adamo deve aver ringraziato il suo Creatore per aver ricevuto un’occupazione che lo tenesse
impegnato in maniera costruttiva in questo meraviglioso giardino di Eden. Ora conosceva la volontà del
suo Creatore, e poteva fare qualcosa per Lui sulla terra. Ora gli era stata affidata una responsabilità,
quella di coltivare il giardino di Eden e di averne cura, ma era una cosa piacevole. Adempiendo tale
responsabilità avrebbe fatto sì che il giardino di Eden mantenesse un aspetto tale da recare gloria e lode
al suo Fattore, Geova Dio. Ogni volta che Adamo, dopo aver lavorato, aveva fame, poteva mangiare a
sazietà dagli alberi del giardino. In questo modo poteva rinnovare le sue forze e continuare a vivere felice
a tempo indefinito, in eterno. — Confronta Ecclesiaste 3:10-13.
La prospettiva della vita eterna
13 In eterno? Che pensiero quasi incredibile doveva essere questo per l’uomo perfetto! Ma perché no? Il
suo Creatore non aveva la minima intenzione di distruggere quel giardino di Eden, frutto di un magistrale
disegno. Perché mai avrebbe dovuto distruggere il proprio lavoro, se era così buono ed esprimeva così
bene la sua creatività artistica? Logicamente, egli non si sarebbe proposto di fare una cosa del genere.
(Isaia 45:18) E dato che questo incomparabile giardino doveva continuare ad essere coltivato, avrebbe
avuto bisogno di qualcuno che lo coltivasse e ne avesse cura, qualcuno come il perfetto uomo Adamo. E
se quest’uomo non avesse mai mangiato del frutto proibito dell’“albero della conoscenza del bene e del
male” non sarebbe mai morto. L’uomo perfetto poteva vivere per sempre!
14 Adamo aveva davanti a sé la vita eterna nel paradisiaco giardino di Eden! Poteva goderne in eterno, a
patto di rimanere perfettamente ubbidiente al suo Creatore, non mangiando mai del frutto che era stato
proibito dal Creatore dell’uomo. Costui desiderava che l’uomo perfetto rimanesse ubbidiente e
continuasse a vivere in eterno. La proibizione del frutto dell’“albero della conoscenza del bene e del male”
non doveva essere una causa di morte. Serviva semplicemente a mettere alla prova la perfetta
ubbidienza dell’uomo a suo Padre. Dava all’uomo l’occasione di dimostrare il suo amore per Dio, il suo
Creatore.
15 Profondamente soddisfatto di non essere solo il risultato di una combinazione fortuita ma di avere un
Padre celeste, illuminato in merito allo scopo della sua vita, con la prospettiva di vivere per sempre nel
Paradiso, l’uomo perfetto aveva dinanzi a sé un futuro luminoso. Mangiava il frutto degli alberi buoni
come cibo ed evitava l’“albero della conoscenza del bene e del male”. Voleva che fosse il suo Creatore a
fargli conoscere ciò che era bene. Lavorare, non per qualcosa di nocivo ma per coltivare il giardino di
Eden, era bene, e l’uomo perfetto lavorava.
Nessuna necessità di spiegazioni
16 La luce del giorno calava mentre il grande luminare diurno, di cui l’uomo poteva seguire il moto nel
cielo, tramontava. Caddero le tenebre, la notte, ed egli poteva scorgere la luna. Questa non gli ispirava
un senso di timore; era il luminare minore che illuminava la notte. (Genesi 1:14-18) Probabilmente nel
giardino volavano delle lucciole, emettendo a intermittenza la loro debole luce fredda.
17 Quando si fece notte e caddero le tenebre, egli sentì il bisogno di dormire come gli animali intorno a lui.
Al risveglio cominciò a sentir fame, e mangiò con buon appetito il frutto degli alberi non proibiti facendo
quella che si poteva chiamare una colazione.
18 Rinnovate le proprie forze e ben ristorato dal riposo notturno, il suo pensiero andò al lavoro del giorno.
Nell’osservare tutta la verde vegetazione che lo circondava non pensò di dover investigare il mistero di
ciò che uomini che sarebbero vissuti migliaia di anni dopo avrebbero chiamato fotosintesi, quel processo
enigmatico in virtù del quale il pigmento verde delle piante, la clorofilla, sfrutta l’energia della luce solare
per produrre sostanze utili per l’alimentazione umana e animale, assorbendo nel contempo l’anidride
carbonica che uomini e animali espirano e liberando ossigeno perché essi lo possano respirare. Gli
uomini lo possono definire un mistero, ma Adamo non aveva alcun bisogno di risolverlo. Era un miracolo
del Creatore dell’uomo. Egli lo capiva e faceva sì che funzionasse a beneficio delle creature in vita sulla
terra. Pertanto, per l’intelligenza perfetta del primo uomo bastava sapere che Dio, il Creatore, faceva
crescere le cose e aveva affidato all’uomo il compito di aver cura di queste forme di vita vegetale che
crescevano nel giardino di Eden. — Vedi Genesi 1:12.
Solo, ma per nulla infelice
19 L’istruzione dell’uomo da parte del suo Padre celeste non era finita. L’uomo aveva cura del giardino di
Eden senza che sulla terra ci fosse alcun suo simile che si unisse a lui o lo aiutasse. Per quanto
riguardava la sua specie, la specie umana, era solo. Ma non cominciò ad andare in cerca di un suo simile
per avere una compagnia terrena. Non chiese a Dio, il suo Padre celeste, di dargli un fratello o una
sorella. Pur essendo solo come uomo non divenne pazzo e non perse la gioia di vivere e di lavorare.
Godeva della compagnia di Dio. — Confronta Salmo 27:4.
20 Adamo sapeva che gli occhi del suo Padre celeste erano su di lui e sul suo lavoro. La sua più grande
soddisfazione era far piacere al suo Dio e Creatore, le cui meravigliose qualità erano rivelate da tutte le
bellissime opere creative di cui l’uomo era circondato. (Confronta Rivelazione 15:3). Continuare a vivere
in questo modo non sarebbe stato una sofferenza insopportabile o un dovere noioso per quest’uomo
perfettamente equilibrato che poteva conversare con il suo Dio. E Dio aveva dato ad Adamo un lavoro
interessante e affascinante che sarebbe stato fonte di grande soddisfazione e piacere. Il prossimo
articolo dirà di più sulle benedizioni del Paradiso e sulle prospettive che Adamo aveva ricevuto dal suo
amorevole Creatore.
[Note in calce]
Questa è, nella lingua originale, la parola che ricorre nel racconto della creazione riportato nella Sacra
Bibbia. — Genesi 1:26, Traduzione del Nuovo Mondo con riferimenti, nota in calce.
Riguardo a questo fiume edenico il profeta Mosè, che mise per iscritto queste informazioni nel libro di
Genesi nel XVI secolo prima della nostra era volgare, aggiunse le seguenti informazioni in base alla
conoscenza del suo giorno:
“Il nome del primo è Pison; è quello che circonda l’intero paese di Avila, dov’è l’oro. E l’oro di quel paese
è buono. Ci sono anche il bdellio e la pietra di onice. E il nome del secondo fiume è Ghihon; è quello che
circonda l’intero paese di Cus. E il nome del terzo fiume è Iddechel; è quello che va ad oriente
dell’Assiria. E il quarto fiume è l’Eufrate”. — Genesi 2:11-14.
[Referenza fotografica a pagina 10]
NASA photo
it-1 81 Ahitofel
AHITOFEL
(Ahìtofel).
Nativo di Ghilo sulle colline di Giuda (2Sa 15:12), padre di uno degli uomini potenti di Davide di nome
Eliam, e forse nonno di Betsabea. (2Sa 11:3; 23:34) I sagaci consigli di Ahitofel, consigliere personale di
Davide, erano stimati come se fossero la diretta parola di Geova. (2Sa 16:23) In seguito, pur essendo
stato intimo amico di Davide, divenne traditore e si unì ad Absalom, figlio di Davide, nell’insurrezione
contro il re. Essendo fra i promotori della rivolta, consigliò ad Absalom di violare le concubine di Davide, e
chiese il permesso di radunare un esercito di 12.000 uomini per dare immediatamente la caccia a Davide
e ucciderlo mentre era ancora debole e disorganizzato. (2Sa 15:31; 16:15, 21; 17:1-4) Quando Geova
sventò questo piano ben architettato, e venne seguito il consiglio di Husai, Ahitofel evidentemente si rese
conto che la ribellione di Absalom sarebbe fallita. (2Sa 15:32-34; 17:5-14) Si suicidò e fu sepolto con i
suoi antenati. (2Sa 17:23) Tranne che in tempo di guerra, questo è l’unico caso di suicidio menzionato
nelle Scritture Ebraiche. Il suo tradimento a quanto pare è ricordato nel Salmo 55:12-14.
w79 1/11 8-9 Anna, una donna che trovò conforto nella preghiera
ANNA, una donna senza figli, viveva in un tempo in cui le donne consideravano la sterilità una terribile
maledizione. I loro sentimenti erano simili a quelli di Rachele, che, in preda alla disperazione, disse al
marito Giacobbe: “Dammi dei figli, altrimenti sarò una donna morta”. (Gen. 30:1) Anche Anna pensava
che la sua femminilità fosse incompleta perché non aveva figli. Il problema era aggravato dal fatto che lei
non era l’unica moglie di Elcana. Egli aveva sposato anche Peninna, dalla quale invece aveva avuto figli
e figlie.
Quando Elcana e la famiglia si recavano al santuario di Silo per adorare, Peninna approfittava della
situazione per umiliare Anna, tormentandola con riferimenti alla sua sterilità. Anna si abbandonava al
pianto e non mangiava la sua porzione del pasto sacrificale. Allora il marito cercava di confortarla,
dicendo: “Anna, perché piangi, e perché non mangi, e perché il tuo cuore si sente male? Non ti sono io
meglio di dieci figli?” — 1 Sam. 1:2-8.
Infine Anna confidò tutte le sue preoccupazioni a Geova Dio. Trovandosi a Silo in una certa occasione,
lasciò la tavola e “pregava Geova e piangeva grandemente”. (1 Sam. 1:9, 10) Con vero fervore Anna
supplicò: “O Geova . . . se guarderai senza fallo l’afflizione della tua schiava ed effettivamente ti ricorderai
di me, e non dimenticherai la tua schiava ed effettivamente darai alla tua schiava una progenie maschia,
io la dovrò dare a Geova per tutti i giorni della sua vita, e nessun rasoio verrà sulla sua testa”. — 1 Sam.
1:11.
Siccome Anna muoveva solo le labbra mentre confidava intimamente la sua angustia a Geova Dio, il
sommo sacerdote Eli pensò erroneamente che fosse ubriaca, e la rimproverò. Ma Anna si affrettò a
spiegare: “No, mio signore! Sono una donna dallo spirito molto depresso; e non ho bevuto vino né
bevanda inebriante, ma verso la mia anima dinanzi a Geova. Non fare della tua schiava una donna
buona a nulla, poiché fino ad ora ho parlato dall’abbondanza della mia preoccupazione e della mia
vessazione”. — 1 Sam. 1:15, 16.
Riconoscendo il suo errore, egli le augurò la benedizione di Dio, dicendo: “Va in pace, e l’Iddio d’Israele
esaudisca la richiesta che tu gli hai fatta”. — 1 Sam. 1:17.
Che effetto ebbero su Anna la sua preghiera e le parole di Eli? Anna trovò vero conforto. Riprese a
mangiare e “la sua faccia non fu più preoccupata”. (1 Sam. 1:18) Avendo messo la questione nelle mani
di Geova Dio, fu liberata dal profondo dolore interiore. Anna capì che l’Altissimo si interessava di lei come
persona e confidò nel suo aiuto. Pur non sapendo esattamente quale sarebbe stato l’esito, Anna si sentì
intimamente in pace. Dovette pensare che la sua sterilità sarebbe cessata o che Geova Dio avrebbe in
qualche altro modo colmato il vuoto che ne derivava.
La fiducia di Anna nell’Altissimo non era certamente malriposta. Diede alla luce un bambino e lo chiamò
Samuele. Dopo averlo svezzato, Anna portò Samuele al santuario perché vi prestasse servizio. (1 Sam.
1:19-28) Dal momento che la Bibbia menziona una registrazione genealogica dei leviti “dai tre anni d’età
in su”, può darsi che il bambino avesse a quel tempo almeno tre anni. — 2 Cron. 31:16.
Riconoscente per la benignità che Geova le aveva mostrato, Anna fece una preghiera di ringraziamento.
Questa preghiera glorificava Geova come Colui che è senza pari. Anna disse: “Nessuno è santo come
Geova, poiché non c’è nessuno eccetto te; e non c’è nessuna roccia simile al nostro Dio”. (1 Sam. 2:2)
Nel suo proprio caso, Anna aveva visto che l’Altissimo è come una ferma roccia. Su di lui si può davvero
fare affidamento.
Per Anna erano in serbo ulteriori benedizioni. Una volta, recatasi con il marito a Silo, Eli li benedisse
entrambi dicendo: “Geova ti assegni una progenie da questa donna in luogo della cosa prestata
[Samuele], che è stata prestata a Geova”. (1 Sam. 2:20) Anna ebbe la gioia di veder realizzata quella
benedizione. Infine divenne madre di altri tre ragazzi e due ragazze. — 1 Sam. 2:21.
Come Anna trovò conforto nella preghiera, anche noi possiamo trovare incoraggiamento se mettiamo tutti
i nostri problemi nelle mani di Geova Dio. Egli risponderà a ogni richiesta che è in armonia col suo
proposito. Per cui, quando apriamo il nostro cuore al nostro Padre celeste, sia concesso anche a noi,
come ad Anna, di ‘non essere più preoccupati’, fiduciosi che egli eliminerà il nostro peso, qualunque sia,
o ci metterà in condizione di poterlo sopportare.
w80 1/10 12-13 Attenti a non attribuire agli altri motivi errati (W97 15-5 P.26-29)
Una volta il re Davide mandò i suoi servitori a confortare il re Anun di Ammon per la morte di suo padre.
Ma gli ammoniti, invece, sospettarono che Davide avesse mandato gli uomini per spiare, e quindi li
umiliarono profondamente. Questo portò a una guerra, in cui gli ammoniti e i siri subirono una grande
disfatta. Che disastrose conseguenze per aver dubitato dei motivi altrui! — II Sam. cap. 10.
MALINTESI
Cosa possono imparare i cristiani dal racconto biblico? Per esempio che è possibile fraintendere lo spirito
e i motivi delle azioni altrui. Questo fecero gli ammoniti quando Davide mandò gli uomini a confortare il re
Anun. Oggi un individuo può essere timido e riservato. Forse ha anche un’espressione facciale seria. Altri
potrebbero ingiustamente concludere che è una persona fredda, orgogliosa ed egoista, anche se forse è
tutto il contrario.
A volte si accusa qualcuno di pigrizia. Ma forse il presunto pigro sta già facendo del suo meglio. A causa
di qualche debolezza fisica o problema di salute può non essere in grado di fare di più o di lavorare più in
fretta. È bene quindi comprendere che, per molte ragioni, non tutti sono ugualmente efficienti o produttivi.
A volte si mettono in dubbio i motivi di qualcuno che sta solo cercando di rendersi utile ad altri. Per
esempio, in un certo ufficio diverse persone fanno a turno per rispondere al telefono dopo il normale
orario di lavoro. Non sono tenute a stare sedute accanto al telefono in attesa delle chiamate, ma possono
fare qualcos’altro in una stanza vicina. Un giorno uno dei responsabili, che non era di turno, si trovò
proprio vicino al telefono quando cominciò a squillare. Gentilmente rispose, affinché la persona di turno
non fosse costretta a interrompere la sua attività nella stanza vicina. Purtroppo però l’individuo che era di
turno, anziché ringraziare l’altro per il suo amorevole aiuto, pensò che l’avesse fatto per un motivo errato.
Una questione di scarsa importanza? Sì, ma illustra il bisogno di stare attenti ai malintesi nel valutare gli
atteggiamenti e i motivi degli altri.
CONCEDIAMO AGLI ALTRI IL BENEFICIO DEL DUBBIO
Comprendendo le spiacevoli conseguenze che possono derivare dal mettere in dubbio la buona fede
degli altri, vogliamo certamente evitare di farlo. I cristiani fanno bene a concedere agli altri il beneficio del
dubbio. Questo è in armonia con il principio divino espresso dall’apostolo Paolo secondo cui l’amore
“crede ogni cosa”. (I Cor. 13:7) Attenersi a questo principio significa senza dubbio aver fiducia di un
conservo cristiano in caso di dubbio, anziché sospettare ingiustamente di lui.
Cercare di conoscere meglio gli altri può aiutarci a evitare di dubitare di loro. Questo può richiedere mesi
o anche anni. Ma in molti casi, più informazioni abbiamo, meno corriamo il pericolo di attribuire ad altri
motivi errati.
QUANDO SONO MESSI IN DUBBIO I NOSTRI MOTIVI
Che dire se siamo noi quelli di cui si dubita? Come dovremmo reagire? È bene non offendersi, perché
Ecclesiaste 7:9 dice: “Non t’affrettare nel tuo spirito a offenderti”. Col tempo l’altra persona può imparare
a conoscerti meglio e può cambiare idea. Rendendosi conto di quanto si sbagliasse, ti amerà ancora di
più, specialmente per il fatto che non hai reagito con ira. I cristiani desiderano imitare Dio, che esercita
padronanza di sé anche quando viene accusato. Inoltre, Geova conosce i nostri motivi e ci darà conforto.
Proveremo gioia se continueremo a ‘confidare in Geova e fare il bene’. Se ritiene opportuno dimostrare la
nostra buona fede in una certa questione, Geova può farlo al momento giusto. — Sal. 37:3-8; Atti 15:8; II
Cor. 7:6.
Una situazione particolarmente difficile si verifica quando qualcuno riceve un consiglio da una persona
che dubita ingiustamente dei suoi motivi. Qualsiasi cosa il primo possa dire a sua discolpa rischia di
essere considerato un tentativo di giustificarsi. In effetti, però, il consiglio potrebbe essere fuori luogo per
il fatto che non sono stati presi in considerazione certi fattori. Oppure la persona che dà il consiglio, per
quanto benintenzionata, può essere portata a diffidare di voi se cercate di spiegare come stanno
effettivamente le cose. Perciò, se il punto in questione è di scarsa importanza, potreste preferire di non
aggiungere altro per far cambiare idea a chi vi ha dato il consiglio, sempre che, tacendo, non ne derivino
conseguenze dannose. Ma se la vostra posizione o i vostri motivi sono stati fraintesi, non è sempre il
caso di stare zitti. È ovvio che sarebbe moralmente sbagliato cedere il campo a una menzogna senza
dire nulla. Vi sono circostanze in cui è appropriato che spieghiate con calma la vostra posizione o il vostro
atteggiamento, affinché la vostra coscienza sia tranquilla sapendo di avere almeno cercato di chiarire le
cose, anziché sentirvi in colpa per avere debolmente acconsentito a una falsa accusa. Questo può anche
essere utile a chi ha dato il consiglio, perché anche lui impari a essere equilibrato nel dare consigli.
Un proverbio tedesco dice: “Chi mente una volta non viene più creduto anche quando dice la verità”. Ma
questo non dovrebbe accadere fra i cristiani. Se qualcuno commette un errore che diviene noto agli altri e
un successivo sviluppo ricorda ad alcuni quel vecchio sbaglio, dovrebbero forse sospettare di lui a causa
di quel precedente errore? Non necessariamente, poiché l’amore non giudica una persona in quattro e
quattr’otto. Se noi, pur essendo innocenti, fossimo sospettati di qualcosa solo perché l’abbiamo fatta nel
passato, non saremmo addolorati di tale sfiducia nei nostri confronti? Certamente, perché sotto l’influsso
dello spirito santo di Dio le persone fanno enormi cambiamenti in meglio. È anche bene ricordare che
“l’amore . . . non tiene conto dell’ingiuria”. — I Cor. 6:9-11; 13:4, 5.
w72 15/7 436-42 Fate del proposito di Geova il vostro modo di vivere
Fate del proposito di Geova il vostro modo di vivere
LA FEDE non è posseduta da tutti”. Così disse l’apostolo Paolo. (2 Tess. 3:2) Tra le numerose ragioni di
ciò una rimarchevole è lo spirito di autodeterminazione divenuto così forte nel nostro ventesimo secolo.
Questo desiderio di piacere personale è divenuto una religione, mentre l’amore verso il Creatore è stato
accantonato e l’indifferenza verso il suo proposito sovverte il cuore e la mente. Come deve ristorare
Geova, e quale esempio è per noi, osservare quelli che hanno altruisticamente accettato la sfida del
servizio di Geova e hanno fatto del suo proposito il loro modo di vivere. Un notevole esempio è quello di
Rut dei tempi antichi che lasciò il suo popolo e la sua casa a Moab e accompagnò la suocera vedova
Naomi a Betleem. Ella pure vedova, avrebbe potuto benissimo interessarsi di trovare marito a Moab e di
stabilirsi in un ambiente noto per allevare una famiglia. Ma l’amore di Rut per Naomi e per l’adorazione di
Geova la spinse ad abbandonare tutto e ad accompagnare Naomi che tornava in Israele. In questo
ambiente sconosciuto il suo altruistico amore fu provato sino al limite, ma il suo sincero desiderio di fare
del proposito di Geova il suo modo di vivere la sostenne e la spinse ad affrontare questa sfida senza un
attimo di esitazione. L’esito che ne ebbero Rut e Naomi, nonché gli avvenimenti stessi che portarono a
esso, ci danno un’incoraggiante lezione di zelo e devozione.
2 È il tempo della raccolta dell’orzo il che significherebbe che è dopo la celebrazione della Pasqua. È
primavera, le piogge invernali sono finite, e ora c’è qualche cosa da mietere in Betleem–Giuda. È di
nuovo il luogo del pane dopo dieci lunghi anni di carestia. Naomi aveva trascorso quegli anni in Moab,
dove aveva perso il marito Elimelec e i suoi due figli, uno dei quali era Malon, marito di Rut. Ora Naomi è
di nuovo a casa, con Rut, e ha il favore divino. Sono tornate nel suo paese natale, sono di nuovo nel
possedimento ereditario di Naomi. (Rut 1:22) A che cosa si riferisce questo nei tempi moderni?
Nell’antitipo storico d’oggi questo richiamerebbe l’attenzione sulle parole di Gesù riguardo al
radunamento di tutti gli eletti, il rimanente dei suoi unti discepoli, per mezzo degli angeli. Quando? Dopo
la caduta di Babilonia la Grande (l’impero mondiale della falsa religione) ad opera dell’antitipico Ciro il
Grande. Allora era il tempo che doveva adempiersi la profezia di Gesù riguardo alla fine del sistema di
cose. — Matt. 24:29-31.
3 Isaia 12:1, 2 parla della gioia che ci fu a quel tempo in cui il rimanente fu radunato fuori di Babilonia la
Grande. “E in quel giorno di sicuro dirai: ‘Ti ringrazierò, o Geova, poiché sebbene tu ti adirassi con me, la
tua ira gradualmente si stornò, e mi confortavi. Ecco, Dio è la mia salvezza. Io confiderò e non avrò
nessun terrore; poiché Iah Geova è la mia forza e la mia potenza, e di me è stato la salvezza’”. Queste
parole sono ripetute dal rimanente raffigurato da Naomi, a cominciare dal 1919 con la sua restaurazione
nel favore divino e con il ristabilimento nel servizio di Dio secondo il suo proposito per loro.
LO ZELO NELLA MIETITURA DÀ FRUTTO
4 Ora, nel dramma tipico, era in corso la mietitura dell’orzo. Rut abitava con la suocera, ma non voleva
esserle di peso. Voleva contribuire al mantenimento di Naomi. Con il consenso di Naomi, si valse dunque
della legge d’Israele sulla mietitura (Lev. 19:9, 10) e “andò ed entrò e spigolava nel campo dietro i
mietitori. Così capitò per caso nel tratto di campo che apparteneva a Boaz, il quale era della famiglia di
Elimelec”. (Rut 2:1-3) Boaz era un vero adoratore di Geova e rispettava la legge di Geova. (Rut 2:4-7)
Quando apprende l’identità di Rut dispone che Rut continui a lavorare nei suoi campi, sia per tutta la
mietitura dell’orzo che per la mietitura del grano che sarebbe seguìta e sarebbe durata fino alla festa di
Pentecoste nel mese di maggio. Così facendo dice a Rut: “Mi è stato pienamente riferito tutto ciò che hai
fatto a tua suocera dopo la morte di tuo marito, e come lasciavi tuo padre e tua madre e il paese dei tuoi
parenti e venivi a un popolo che in precedenza non avevi conosciuto. Geova ricompensi il tuo modo di
agire, e vi sia per te un perfetto salario da Geova l’Iddio d’Israele, sotto le cui ali ti sei venuta a rifugiare”.
(Rut 2:8-13) Favorendo Rut con questa disposizione, egli pensa alla suocera di lei, l’anziana Naomi, per
recare beneficio anche a lei.
5 I drammatici avvenimenti del giorno in adempimento di ciò sono in armonia con quanto disse Gesù: “Il
campo è il mondo . . . La mietitura è il termine di un sistema di cose, e i mietitori sono gli angeli”. (Matt.
13:38, 39) I membri della sposa di Cristo non erano ancora completi nell’anno 1919. Ne dovevano essere
radunati altri e, come Rut si unì a Naomi, lavorando diligentemente con lei nell’attività di mietitura,
lealmente anche fino alla morte, così dal 1919 in poi cominciò ad apparire una più nuova aggiunta alla
classe del rimanente. Questa classe addizionale fu raffigurata da Rut.
6 Quell’anno, il sabato pomeriggio, 6 settembre 1919, fu tenuto nel lago Erie un battesimo collettivo, al
tempo del congresso generale di Cedar Point, nell’Ohio, e ci furono più di 200 battezzati. Questi si
aggiunsero al precedente, originario rimanente, raffigurato da Naomi, della sposa di Cristo. Fra gli
spettatori c’erano i funzionari della Società liberati dalla prigione federale di Atlanta il martedì 25 marzo di
quell’anno. Ora godevano di una nuova libertà e operavano ancora a favore degli interessi del Regno del
teocratico governo di Geova Dio. Tre anni dopo, nel 1922, fu tenuta a Cedar Point, nell’Ohio, un’altra
assemblea generale. Il sabato 9 settembre 1922, ci furono 361 battezzati. Col passar del tempo
continuava ad aggiungersi la classe di Rut. Ora, come Rut la Moabita, la moderna classe di Rut
determinò di lavorare con zelo insieme alla classe di Naomi sino alla fine della mietitura di Dio sulla terra,
sia della mietitura dell’orzo che della mietitura del grano, come raffigura il dramma profetico. E come
accadde a Rut, che Boaz dichiarò una donna eccellente, così accadde a questa nuova aggiunta al
rimanente. Essa fu un’eccellente donna antitipica di esclusiva devozione a Geova Dio.
LA SPERANZA DI NAOMI METTE ALLA PROVA LA DEVOZIONE DI RUT
7 Ora, come risultato dell’industriosità di Rut e della generosità di Boaz, Naomi e Rut hanno da mangiare.
Tuttavia, Naomi è un’anziana vedova che ha superato l’età di partorire figli e ha questo possedimento
ereditario che fu di suo marito Elimelec. Ora non ha nessun aiuto se Rut non agisse quale sua
rappresentante o in sostituzione di lei. Naomi vede la soluzione. Decide di vendere questo possedimento,
pensando particolarmente ai vantaggi per Rut, che deve impiegare in questa trattativa. Per di più,
essendo vedove, Naomi e sua nuora Rut non potrebbero apportare nessun contributo alla discendenza
reale della tribù di Giuda che porta al promesso Silo. Naomi deve avere un figlio; deve avere un figlio
adottato, un figlio di Rut nella tribù di Giuda, perché quel possedimento ereditario non potrebbe uscire
dalla tribù di Giuda. Perciò Rut deve sposare un uomo nella tribù di Giuda e conservarvi la proprietà. Ma
prima, Rut deve accettare questo modo di vivere per sé, rinunciando a qualsiasi desiderio di un uomo più
giovane che non l’attempato Boaz. Come accoglierà la proposta?
8 Naomi le presenta la sfida molto chiaramente. Ella le dice: “Figlia mia, non dovrei cercarti un luogo di
riposo, affinché ti vada bene? Ed ora, non è Boaz, con le giovani del quale sei stata, nostro congiunto?
Ecco, egli questa sera ventila l’orzo nell’aia. E tu devi lavarti e spalmarti d’olio e metterti addosso i
mantelli e scendere all’aia. Non farti conoscere dall’uomo finché non abbia finito di mangiare e di bere. E
dovrebbe accadere che quando si mette a giacere, tu devi pure prendere nota del luogo dove giace; e
devi andare e scoprirlo ai piedi e metterti a giacere; ed egli, da parte sua, ti dichiarerà ciò che dovresti
fare”. Come rispose Rut? “Allora ella le disse: ‘Farò tutto ciò che mi dici’. Ed ella scendeva all’aia e faceva
secondo tutto ciò che sua suocera le aveva comandato”. — Rut 3:1-6.
9 Naomi è come l’apostolo Paolo. Nella sua relazione con la chiesa o congregazione, Paolo dice: “Vi ho
personalmente promessi in matrimonio a un solo marito onde vi presenti come casta vergine al Cristo”. (2
Cor. 11:2) Similmente, Naomi dispone per il matrimonio di Rut con l’uomo appropriato. Rut va dunque nel
campo e si mette a giacere ai piedi di Boaz. Quando egli si sveglia nel cuore della notte ella gli propone
di prenderla in moglie per suscitare un seme al morto Elimelec. — Rut 3:7-9.
SI FRAPPONE UN ALTRO “GO’EL'”
10 Questa non fu un’azione immorale da parte di Naomi e di Rut. Manifestò semplicemente fiducia
nell’onore di colui che era nella posizione di ricompratore, di go’el'. Che Boaz non fraintendesse il suo
motivo o non interpretasse erroneamente la sua proposta di matrimonio per levirato come un’impudica
offerta si capisce dalla sua risposta. “Allora [Boaz] disse: ‘Sii benedetta da Geova, figlia mia. Hai
espresso la tua amorevole benignità meglio in questo ultimo caso che nel primo, non andando dietro ai
giovani, miseri o ricchi. Ed ora, figlia mia, non temere. Tutto ciò che dici io ti farò, poiché ognuno alla
porta del mio popolo è consapevole che sei una donna eccellente. Ed ora mentre io sono infatti un
ricompratore, c’è anche un ricompratore che è parente più stretto di me. Passa qui la notte, e in mattinata
deve accadere che se egli ti ricompra, bene! Faccia la ricompra. Ma se non prova diletto nel ricomprarti,
per certo ti ricomprerò io, io stesso, com’è sicuro che Geova vive’”. — Rut 3:10-13.
11 Boaz è un uomo onorato, un uomo di grande padronanza di sé, e rammenta a Rut che nella relazione
familiare c’è un uomo più prossimo a Naomi di lui. Egli stesso è nipote di Naomi, mentre questo parente
più stretto è cognato di Naomi. È colui che dovrebbe avere la prima opportunità di comprare questo
possedimento ereditario di Naomi, di agire quale ricompratore, il go’el'. Ciò non significa che Boaz, dopo
essere stato per così lungo tempo un vecchio scapolo senza responsabilità familiari, non sia disposto a
fare il suo dovere, anche se significa diventare padre di famiglia. È disposto ad apportare il suo contributo
alla discendenza reale che conduce al promesso Silo della tribù di Giuda, a cui appartiene Boaz.
Nell’antitipo questo si applica al Signore Gesù Cristo quale celeste go’el', il Ricompratore o Redentore.
Ma prima di tutto lascia la classe di Naomi e la classe di Rut alla mercé di chiunque sia raffigurato dal
“Tal dei tali”, cognato di Naomi. Questo mette alla prova la suddivisione di Naomi e di Rut dell’odierno
rimanente. Chi vince? Chi perde? Il racconto ce lo dice.
12 Rut se ne va da sua suocera avanti che i primi raggi del sole mattutino illuminino la città. È piena di
gioia mentre porta avvolte nel mantello le sei misure d’orzo che Boaz le ha dato come pegno della sua
promessa. È salutata dall’anziana Naomi con le parole: “Chi sei tu, figlia mia?” Riconoscendo il significato
dell’espressione di Naomi, ella spiega che non è ancora la moglie di Boaz, ma narra tutto ciò che è
accaduto e che Boaz le ha detto. Quindi Naomi dice: “Sta tranquilla, figlia mia, finché tu sappia come la
cosa andrà a finire, poiché l’uomo non avrà riposo a meno che egli non porti oggi a termine la cosa”. Rut
attende ansiosamente, con una luminosa speranza per il futuro; Naomi attende con la speranza di
realizzare il desiderio di tutta la sua vita. — Rut 3:14-18.
AL RICOMPRATORE SI PRESENTA UNA SFIDA
13 Ora si sta rapidamente per giungere al culmine degli avvenimenti di questa significativa giornata. “In
quanto a Boaz, salì alla porta e lì sedeva. Ed ecco, passava il ricompratore, che Boaz aveva menzionato.
Quindi disse: ‘Vieni, siedi qui, “Tal dei tali”’. Per cui egli venne e sedette. . . . Disse ora al ricompratore: ‘Il
tratto del campo che appartenne al nostro fratello Elimelec, Naomi, che è tornata dal campo di Moab,
deve venderlo. In quanto a me, ho pensato di dovertelo rivelare, dicendo: “Compralo di fronte agli abitanti
e agli anziani del mio popolo. Se tu lo ricompri, ricompralo; ma se tu non lo ricompri, dichiaramelo,
affinché io lo sappia, poiché non c’è nessun altro che te a fare la ricompra, e io vengo dopo di te”’. Allora
egli disse: ‘Sarò io a ricomprare’”. — Rut 4:1-4.
14 Ah, sì, il “Tal dei tali” è disposto a comprare la proprietà; così accrescerà i possedimenti che ha a
Betleem. E in quanto a questa donna anziana, Naomi, ha perso la sua facoltà di riproduzione, per cui non
c’è pericolo di avere un figlio da lei a cui trasmettere la proprietà; quindi egli avrà l’intera proprietà di
Naomi per sé, oltre a quella che ha già. “Quindi Boaz disse: ‘Il giorno che tu acquisti il campo dalla mano
di Naomi, lo devi pure acquistare da Rut la Moabita, moglie del morto, in modo da suscitare il nome del
morto sulla sua eredità’”. Ah, ora la cosa è diversa. Comporta troppa responsabilità: le cose potrebbero
complicarsi. Di fronte a questa inaspettata sfida, il ricompratore risponde a Boaz: “Non sono in grado di
ricomprarlo per me stesso, onde io non rovini la mia propria eredità. Ricompralo tu per te stesso con il
mio diritto di ricompra, perché io non sono in grado di fare la ricompra”. Si toglie dunque un sandalo e lo
dà a Boaz come attestazione dell’accordo. — Rut 4:5-8.
15 Il “Tal dei tali” ha mancato di sostenere la sfida. Ma non Boaz. Egli accetta la disposizione; è felice di
accettarla. E dice al parente più stretto e a tutto il popolo: “Voi siete oggi testimoni che in effetti io
acquisto tutto ciò che appartenne a Elimelec e tutto ciò che appartenne a Chilion e a Malon dalla mano di
Naomi. E acquisto in effetti per me stesso come moglie pure Rut la Moabita, moglie di Malon, per
suscitare il nome del morto sulla sua eredità e affinché il nome del morto non sia stroncato di fra i suoi
fratelli e dalla porta del suo luogo. Voi siete oggi testimoni”. Pertanto Boaz adempie il proposito di Geova
riguardo alla responsabilità verso un fratello, mentre il “Tal dei tali” è disonorato agli occhi di tutto il popolo
che è alla porta. — Rut 4:9-12.
16 Ma, chi rappresenta il “Tal dei tali” nei tempi moderni? E che effetto ha su di noi questa sfida, circa
trenta secoli dopo? Giacché il “Tal dei tali” ostacolò per un po’ Boaz, egli rappresenta una classe qui sulla
terra che ostacola Gesù Cristo lo sposo a cui sia quelli della classe di Naomi che quelli della classe di Rut
sono spiritualmente fidanzati. Questo “Tal dei tali”, che era cognato di Naomi e che avrebbe potuto
prendere il posto di Elimelec e suscitargli un seme, raffigura uno che viene meno al suo dovere, uno che
semplicemente simula d’essere Cristo, un falso profeta, di cui il Signore Gesù Cristo avvertì i suoi
seguaci, dicendo: “Poiché [nel tempo della fine] sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti che faranno grandi
segni e prodigi da sviare, se possibile, anche gli eletti”, cioè la classe di Naomi e la classe di Rut. (Matt.
24:24) Così avviene con questa odierna classe del falso Cristo. Oh, essi vogliono impadronirsi della
congregazione, del rimanente sposato al Signore Gesù Cristo, e vogliono il suo patrocinio e appoggio,
ma non vogliono la responsabilità di far produrre alla classe di Naomi e alla classe di Rut i frutti degli
interessi del Regno; comporterebbe troppo lavoro. Diminuisce troppo i loro egoistici interessi. Essi non si
interessano del regno di Dio. Preferiscono la Lega delle Nazioni e ora le Nazioni Unite del tempo attuale.
Non vogliono avere niente a che fare con la stirpe reale di Silo, il Re Gesù Cristo. Questa attitudine
mentale e questa linea d’azione potrebbero corrispondere solo al clero religioso della cristianità. Esso
non ha accettato la sfida del servizio di Geova e non ha fatto del suo proposito il proprio modo di vivere.
Gesù avvertì di fuggire da costoro! — 2 Tim. 3:5; Riv. 18:4.
ACCETTANDO LA VIA DI GEOVA SI È BENEDETTI
17 D’altra parte, Boaz, mantenendo la sua promessa, prende Rut in moglie secondo la disposizione del
levirato. (Rut 4:13-15) Il loro matrimonio non produsse un re o il Silo; il tempo del Regno d’Israele non era
ancora cominciato. Ma produssero uno che divenne nonno del re Davide, l’undicesimo nella linea di
Giuda e col quale Geova fece un patto per un Regno eterno (Matt. 1:3-6; 2 Sam. 7:12, 13), uno la cui
discendenza porta infine al Signore Gesù Cristo, il permanente erede del re Davide. (Luca 3:23-31;
20:41-44) Gli interessi di Rut e gli interessi di Naomi sono tutti collegati. Rut è la madre, ma Naomi adotta
il bambino e gli fa da balia, come se fosse figlio del suo proprio defunto marito Elimelec, colui che
riceverà il possedimento ereditario di Elimelec. Conformemente le vicine dicono: “‘È nato un figlio a
Naomi’. E gli davano nome Obed [che significa “servitore” o “chi serve”]”. (Rut 4:16, 17) Pertanto,
accettando la sfida presentata loro, e avendo a cuore gli interessi del proposito di Geova, Boaz e Rut
dedicano altruisticamente la loro vita all’adempimento di quel proposito e Geova li benedice permettendo
loro di produrre uno che ha realmente prospettive reali nella discendenza del promesso Silo, il cui “scettro
non si allontanerà da Giuda, né il bastone del comandante di fra i suoi piedi, . . . e a [cui] apparterrà
l’ubbidienza del popolo”. — Gen. 49:10.
18 Infine, ora, nel nostro stesso giorno la classe di Naomi e la classe di Rut del rimanente spirituale hanno
la prospettiva di divenire la sposa di Cristo, il Silo della profezia di Giacobbe. Ma non producono l’unto re
del messianico Regno di Dio, non più di quanto lo producessero Boaz e Rut. Producono però una classe
che serve Dio. Come il bambino che nacque a Rut in Betleem ricevette il nome di Obed, che significa “chi
serve” o “servitore”, così le moderne classi di Rut e di Naomi producono o formano una classe descritta
nella profezia di Gesù in Matteo, capitolo 24, come la classe dello “schiavo fedele e discreto”. Ed
entrambe le parti del rimanente spirituale d’oggi, la parte di Rut e la parte di Naomi, hanno intenso amore
l’una per l’altra come l’incrollabile amore di Rut verso l’anziana vedova Naomi, per la quale Rut “è meglio
di sette figli”. Nulla eccetto la morte può produrre una separazione fra loro due.
TEMPO DI ZELO E DEVOZIONE
19 Quale lezione di zelo e devozione si trova nel drammatico eppur commovente libro biblico di Rut! E
quale esempio forniscono le moderne classi di Naomi e di Rut a quelli che vivono ora nel tempo della fine
di questo malvagio sistema di cose! Questo non è il tempo di volgersi a una condotta di
autodeterminazione, preferendo una via di propria scelta a motivo di egoistici interessi od occupazioni.
Ne è il tempo di mostrare indifferenza verso il proposito di Dio che ora si approssima al culmine per
questo sistema di cose. Naomi si rese sicuramente conto che avrebbe potuto non sapere mai se era
stata effettivamente impiegata nella discendenza di Silo, tuttavia fu disposta a dedicare tutta la sua vita
per renderlo possibile. E Rut, che era una giovane donna, avrebbe potuto sposare qualsiasi giovanotto,
un ricco se l’avesse voluto o un povero se lo avesse amato, ma fu invece disposta a sposare un vecchio
solo perché suo figlio potesse divenire il figlio di Naomi. Ma lo fecero entrambe perché amavano Geova e
volevano partecipare all’adempimento del proposito di Geova. Che esempio di altruistico amore! Eppure
sia Naomi che Rut, nel loro tempo e fra i loro vicini, poterono essere considerate solo persone “comuni”.
20 Oggi viviamo nel “tempo della fine”, nel tempo in cui tutte queste profezie hanno un così meraviglioso
adempimento. Paolo scrisse questo avvertimento per noi: “Inoltre, dico questo, fratelli, che il tempo
rimasto è ridotto. Da ora in poi quelli . . . che fanno uso del mondo [siano] come quelli che non ne usano
appieno; poiché la scena di questo mondo cambia”. (1 Cor. 7:29-31) Se pensiamo di poter vivere come la
gente di questo sistema, impiegando il nostro tempo solo nelle occupazioni della vita, allora avremo un
brusco risveglio perché, come fa pensare Paolo, questo mondo sta rapidamente per scomparire e presto
non ci sarà in esso nessuna vita. Oggi, c’è tanto per cui vivere in vista delle prospettive delle benedizioni
del Regno messianico che presto saranno elargite in tutta la terra, ed è rimasto così poco tempo per
vivere in questo presente sistema malvagio. Anche se rinunciassimo a tutto ciò che questo sistema ha
per noi, ‘facendo uso del mondo’, come disse Paolo, “come quelli che non ne usano appieno”, come
potrebbe questo paragonarsi alla condotta seguìta da Rut, e dalla classe di Rut che ha già trascorso anni
nell’adempimento del proposito di Geova? Tuttavia come Geova ha benedetto con i frutti del Regno sia la
parte di Naomi che la parte di Rut dell’unto rimanente, così benedirà chiunque accetta ora pienamente la
sfida del servizio di Geova e fa del proposito di Geova il proprio modo di vivere. Quale ricompensa
migliore di questa si potrebbe ricevere?
[Figura a pagina 441]
Rut presentò altruisticamente il suo bambino a Naomi, che lo adottò come se fosse il proprio figlio; il
bambino divenne antenato del Messia.
W65 P.423-424
W57 P.625, 626
Cornelio — Tema: Geova Dio non è parziale ATTI 10:34, 35
w81 15/4 3-7 Violenza carnale: una tragedia che si può evitare
Violenza carnale: una tragedia che si può evitare
L’ESPERIENZA insegna. Ma quando si tratta di violenza carnale, quanto è meglio imparare
dall’esperienza altrui anziché esserne personalmente vittime. Per questo motivo riportiamo di seguito due
episodi realmente accaduti.
Una bella ragazza adolescente viveva con la sua numerosa famiglia in una zona di campagna. Non era
soddisfatta della compagnia dei suoi familiari. Aveva preso l’abitudine di uscire da sola per andare a
trovare alcune ragazze della zona.
Non si sa bene quali fossero i veri motivi di queste sue visite. Forse voleva semplicemente trovare nuove
amiche. Ma fu notata da un giovane. Non si sa se l’avesse conosciuto prima e se avesse fatto qualcosa
per incoraggiare il suo interesse. Resta il fatto che questa volta egli la costrinse ad avere rapporti sessuali
con lui.
Pare che questa violenza non fosse premeditata, a differenza di quella subita da un’altra ragazza. Un
giovane nutriva un morboso desiderio per la sua sorellastra. Un giorno fece finta d’essere malato e
chiese al padre di mandare a casa sua la sorella perché gli preparasse da mangiare. Quando furono soli
egli l’afferrò. Nonostante le sue implorazioni, ebbe la meglio su di lei e la violentò.
Molti di voi avrete già letto riguardo a questi casi di violenza. Le ragazze erano Dina, figlia di Giacobbe, e
Tamar, figlia di Davide. I due episodi sono narrati nella Bibbia. — Gen. 34:1-7; II Sam. 13:1-14.
UN REATO IN RAPIDO AUMENTO
I casi di stupro sono sempre più frequenti. Uno dei motivi principali sembra ovvio. Sesso e violenza
vengono propagandati in continuazione da TV, cinema, radio, giornali, riviste e manifesti. Immoralità e
violenza esistono in città, in campagna, praticamente ovunque. E la gente fa ciò che sente e vede. Ai
nostri giorni ben si addice la descrizione biblica del mondo anteriore al diluvio universale: “La malvagità
dell’uomo era abbondante sulla terra . . . e la terra fu piena di violenza”. — Gen. 6:1-5, 11; Giuda 6, 7.
È probabile che anche allora la violenza includesse quella di natura sessuale. “Negli Stati Uniti”, afferma
The World Book Encyclopedia, “la violenza carnale è il reato che aumenta più velocemente”. “Gli esperti
calcolano che l’effettivo numero di stupri sia almeno quattro volte maggiore di quello denunciato”. Dato
che i casi denunciati sono circa 70.000 all’anno, la cifra effettiva potrebbe anche superare i 250.000. Ciò
significa che negli Stati Uniti si verifica un caso di violenza carnale ogni due minuti!
Inoltre alcune violenze di natura sessuale di solito non vengono nemmeno considerate stupri. A questo
proposito il sociologo Richard Gelles della Rhode Island University afferma: “Non posso pensare che in
un matrimonio in cui il marito picchia la moglie non si verifichino a volte anche costrizioni di natura
sessuale. Nell’ambito coniugale si verificano forse 40.000 casi di violenza sessuale all’anno, ma se si
includono i rapporti estorti con l’intimidazione — la minaccia di violenze — è probabile che arrivino a un
paio di milioni”.
L’aspetto più triste, però, è l’enorme numero di reati sessuali commessi a danno di giovani, spesso
semplici bambini. Le vittime sono decine di migliaia ogni anno. Bart Delin, in un recente libro intitolato The
Sex Offender scrive: “Si calcola che una ragazza su sei sarà molestata prima di arrivare ai sedici anni”.
Dina, la figlia di Giacobbe, forse era appena adolescente quando fu costretta ad avere rapporti sessuali.
Perché la Bibbia narra tragedie del genere? La risposta ce la dà l’apostolo Paolo, quando dice: “Tutte le
cose che furono scritte anteriormente furono scritte per nostra istruzione”. — Rom. 15:4; I Cor. 10:11.
Cosa possiamo imparare da tali racconti biblici?
AGIRE CON PRUDENZA E DISCREZIONE
Dina non usò buon giudizio. La Bibbia dice che “usciva per vedere le figlie del paese”. (Gen. 34:1) Gli
abitanti di Canaan erano gente immorale e pare che la prostituzione fosse comune. (Gen. 34:31; 38:21)
Dina non aveva evidentemente alcun motivo per uscire da sola e andare da loro. Probabilmente i genitori
l’avevano messa in guardia circa il pericolo della compagnia delle ragazze della zona. In tal caso la figlia
non prestò ascolto e si mise nei guai.
In modo analogo oggi molte ragazze subiscono violenza per essersi messe in situazioni pericolose.
Questo può dirsi di chi fa l’autostop. Si dice che nella Contea di Multnomah, nell’Oregon, si verifichi uno
stupro al giorno. E più della metà delle vittime sono giovani autostoppiste!
Molti uomini vanno semplicemente in cerca di qualcuno con cui avere rapporti sessuali e presumono che
se una donna fa l’autostop vuol dire che ci sta. Per esempio un giudice della California, spiegando il
motivo dell’annullamento di una condanna per violenza carnale, ha scritto: “Non è irragionevole che un
uomo nella posizione dell’imputato potesse credere che la donna [autostoppista] acconsentisse al
rapporto sessuale”. Un’opinione del genere può sembrare ottusa e sbagliata, ma illustra la realtà del
mondo d’oggi.
Anche se un uomo non ha alcun diritto, in nessuna circostanza, di costringere una donna ad avere
rapporti sessuali con lui, le donne devono usare discernimento, cercando di prevedere in che modo le
loro azioni potranno essere interpretate dagli uomini. Il figlio del capotribù che violentò Dina pensava
forse che se Dina usciva da sola doveva essere una ragazza di facili costumi. Forse si era convinto che
lo scopo delle sue visite non era tanto quello di incontrare le amiche quanto di vedere lui. Perciò poté
pensare che Dina desiderasse proprio fare ciò che aveva in mente lui.
DISCREZIONE E PRUDENZA OGGI
Oggi è ancor più necessario che le donne evitino di comportarsi in un modo che gli uomini possano
scambiare per un invito ad avere rapporti sessuali con loro. Frederic Straska, che ha studiato a lungo il
problema della violenza carnale, afferma:
“Indirettamente le donne stimolano gli uomini ogniqualvolta fanno qualcosa in pubblico che possa far
credere che hanno avuto o vorrebbero avere rapporti sessuali con qualcuno. Mi riferisco in particolare a
pubbliche manifestazioni d’affetto, ma ci sono altre cose che potrebbero dare questa impressione.
“Oggigiorno molti giovani di entrambi i sessi convivono senza essere sposati, e questi sono
indubbiamente affari loro. Ma lì vicino potrebbero esserci uomini di diverso avviso. Questi presumono che
qualsiasi donna accetti di vivere, e quindi di dormire, con un uomo che non sia suo marito, costituisca un
facile obiettivo”.
Senz’altro voi, per rispetto verso le leggi divine sulla moralità, non acconsentireste mai ad avere rapporti
sessuali con un uomo che non è vostro marito. Eppure un certo comportamento potrebbe far pensare che
siete persone poco serie. Per esempio, se andate in certi locali o discoteche frequentate da donne di
dubbia moralità, è comprensibile che qualcuno possa scambiarvi per quel tipo di donna.
Anche l’indossare abiti immodesti e provocanti può costituire uno stimolo o un “invito” per gli uomini. A
questo riguardo la Bibbia dà un consiglio molto utile e specifico: “Le donne si adornino con veste
convenevole, con modestia”. — I Tim. 2:9.
SITUAZIONI PERICOLOSE
La prudenza è particolarmente importante quando si comincia a frequentare un uomo. Una notevole
percentuale di violenze carnali, secondo alcuni la maggioranza, si verifica in queste occasioni. Perché?
Innanzi tutto perché può capitare che la donna esca con un uomo che non ha rispetto per le norme morali
della Bibbia. Lei può pensare che quell’uomo sia degno di fiducia perché forse assiste ad adunanze
religiose. Ma di per sé questo non garantisce che egli creda o pratichi ciò che insegna la Bibbia. Anche
nella congregazione cristiana del I secolo c’erano persone che erano spinte da motivi errati. Di loro
l’apostolo Pietro scrisse: “Hanno occhi pieni d’adulterio . . . e adescano anime instabili”. (II Piet. 2:14) È
quindi importante determinare quali sono i veri motivi di un giovane prima di uscire con lui.
Molti inoltre considerano il fatto di frequentare qualcuno dell’altro sesso come una sorta di gioco, anziché
un mezzo per conoscere meglio un probabile coniuge. Ma cosa accade spesso quando una donna
accetta di recarsi insieme a un uomo in un luogo isolato, dove forse si abbandonano a baci e abbracci
appassionati? Per molti uomini dell’odierna società immorale questi giochi sessuali preliminari sono una
“promessa” di rapporti sessuali, per cui sono capaci di costringere la donna a mantenere la “promessa”.
Anche se il giovane ha tutte le intenzioni di comportarsi bene, lo stimolo sessuale prodotto dai baci e
dalle carezze può fargli dimenticare le buone intenzioni e indurlo ad abusare della ragazza.
Che dire dei sentimenti di lei in una situazione simile? Che dire se una ragazza come te si lasciasse
coinvolgere in una situazione del genere con un giovane che le piace? Potrebbero derivarne le difficoltà
descritte da Straska: “Visto che potreste dover lottare non solo per dire di no all’uomo, ma anche a voi
stesse, potreste avere serie difficoltà a determinare se si è davvero trattato di un caso di violenza carnale
oppure no. Potreste voler placare la vostra coscienza cercando di convincervi che lo fosse”.
Non illudetevi di poter frequentare in questo modo persone del sesso opposto come se si trattasse di un
gioco, o di mettervi altrimenti in situazioni compromettenti senza dover poi affrontare conseguenze
spiacevoli. Più volte ragazze, fra cui alcune appartenenti alla congregazione cristiana che pensavano di
poter controllare la situazione, hanno subìto terribili conseguenze. Siate sagge. Usate discrezione.
Imparate dalle lezioni contenute nelle Scritture, ed evitate situazioni che potrebbero coinvolgervi in
rapporti sessuali illeciti.
SIATE DESTE
Imparate anche dalla triste esperienza di Tamar, la giovane che fu attirata dal fratellastro Amnon in un
luogo isolato, dove fu violentata. Questo caso illustra la necessità di essere deste, cercando di discernere
i pensieri e i sentimenti degli altri nei vostri confronti. Se Tamar si fosse accorta prima dei sentimenti
passionali che Amnon provava per lei, forse sarebbe riuscita ad evitare di trovarsi in quella situazione.
Certo non sempre una donna può prevedere tutte le possibilità. Per esempio una ragazza andò a
trascorrere il fine settimana a casa di un’amica. Al mattino, quand’era ancora a letto, l’amica andò con la
madre a far spesa, lasciandola sola in casa col padre. Questi entrò nella stanza in cui dormiva la ragazza
e si sedette sul letto. Quando le disse che voleva avere rapporti con lei, la ragazza rimase così
sconcertata e confusa che oppose poca resistenza.
Cosa avrebbe potuto fare questa ragazza? Cosa potrebbe fare una donna se qualcuno cercasse di
violentarla? Ci sono diverse cose che può fare.
LA CONDOTTA GIUSTA E MIGLIORE
Innanzi tutto non dovrebbe lasciarsi intimidire. Dovrebbe dire immediatamente che per nessun motivo
accetterà di avere rapporti. Alcuni inviati dello Star di Toronto, dopo aver interpellato diversi centri che
studiano il problema negli Stati Uniti e nel Canada, sono giunti a questa conclusione:
“Il momento cruciale in un tentativo di violenza carnale è il primo minuto. Se a questo punto la donna non
reagisce fisicamente e mentalmente, le sue probabilità di sfuggire all’aggressione sessuale diminuiscono
sempre di più”.
Gli esperti di uno di questi centri (Cleveland Rape Crisis Center) hanno detto:
“Prima lo stupratore scruta la vittima per cercare di determinare le probabili reazioni. Non vuole guai; la
vuole intimorire senza chiasso. Più la donna appare spaventata, più si rende vulnerabile. Più tempo fa
passare, più si trova in difficoltà”.
Perciò la ragazza menzionata prima avrebbe dovuto reagire immediatamente alla minaccia di violenza, e
avrebbe dovuto farlo con decisione e risolutezza, non assumendo un atteggiamento passivo e incerto.
Avrebbe forse potuto dire qualcosa del genere: “Che penserebbe se al mio posto ci fosse sua figlia? Lo
sa che secondo alcuni sua figlia ed io ci assomigliamo molto?”
Anche se questo non avesse fermato l’aggressore, se la ragazza si fosse mostrata immediatamente un
bersaglio difficile e aggressivo senza dubbio lo stupro avrebbe potuto essere evitato. Susan Brownmiller,
che si batte attivamente contro la violenza carnale, spiega:
“Gli stupratori si fanno coraggio man mano che gli istanti passano. È proprio così. Nella maggioranza dei
casi l’aggressore è molto meno sicuro di sé di quanto la vittima non pensi. Se si accorge che è riuscito a
terrorizzare del tutto la vittima, egli acquista più fiducia”.
Nell’agosto del 1974 la rivista Svegliatevi! descrisse l’episodio di un uomo armato di pistola che aveva
sequestrato due ragazze testimoni di Geova in una stanza d’albergo. Quando egli cercò di aprire la
chiusura lampo della camicetta di una di loro, la ragazza esclamò: “No! No! Quello no!” Gli disse che se
l’avesse toccata avrebbe gridato come non aveva mai udito nessuno gridare. Spiegò che, se non avesse
gridato, avrebbe compromesso la sua relazione con Geova Dio e con la congregazione cristiana.
(Confronta Deuteronomio 22:22-29). La sua decisa richiesta: “Non mi tocchi e non si avvicini” tenne a
bada l’uomo.
Questa donna fece la cosa scritturalmente giusta, che in effetti è poi la cosa migliore da fare. La donna
cristiana ha l’obbligo di opporsi, perché è implicata l’ubbidienza alla legge di Dio di ‘fuggire la
fornicazione’. (I Cor. 6:18) Per nessun motivo sarebbe appropriato cedere volontariamente alla violenza
carnale.
Sia dall’esperienza di persone vissute nei tempi biblici che da quella di persone viventi oggi si può quindi
imparare molto su come evitare questo tipo di violenza. Poiché in certi luoghi la violenza carnale è il reato
che aumenta più velocemente, le donne fanno senz’altro bene a riflettere su ciò che possono fare per
opporvisi.
[Nota in calce]
Per una trattazione più approfondita dell’argomento, si veda Svegliatevi! del 22 novembre 1980.
[Figura a pagina 3]
Dina fece amicizia con persone che non servivano Dio
[Figura a pagina 4]
Tamar subì l’umiliazione di essere violentata dal fratellastro Amnon
[Figura a pagina 5]
Fare l’autostop può essere pericoloso
[Figura a pagina 7]
Sin dall’inizio la donna dovrebbe opporsi con decisione allo stupratore, se necessario urlando
w80 15/2 12-14 Eli, un sacerdote che venne meno alla sua responsabilità di padre
Eli, un sacerdote che venne meno alla sua responsabilità di padre
NESSUN uomo arriva mai al punto di non aver più bisogno di disciplina. La disciplina ci addestra ad agire
nel modo più giusto e benefico. Affrontando la vita, ci imbattiamo di continuo in una varietà di situazioni,
alcune delle quali nuove per noi, e non poche difficili. Il fatto di fare queste esperienze ci disciplina.
Se questo vale per gli adulti, un bambino ha molto più bisogno di disciplina. Qualsiasi esperienza per lui è
nuova. Inoltre, avendo ereditato l’imperfezione dai genitori, “la stoltezza è legata al cuore del ragazzo; la
verga della disciplina è ciò che la rimuoverà lungi da lui”. — Prov. 22:15.
Per questa ragione Dio rammenta ai genitori la seria responsabilità di insegnare ai propri figli a essere
rispettosi della legge, a mantenersi moralmente puri e ad amare Dio. Se non imparano questi principi
insegnati loro dai genitori con le parole, ma sono disubbidienti e sfrenati, si deve ricorrere a qualche
forma di disciplina. La trascuratezza o il non farlo produrrà figli che in seguito non daranno minimamente
retta ai genitori, con la possibilità di conseguenze tragiche sia per i figli che per i genitori.
TRASCURARE LA DISCIPLINA RECA DOLORE
Eli era un padre dell’antico Israele. Era anche sacerdote, il sommo sacerdote della nazione. Come tale,
era ben versato nella legge di Dio. Nella sua vita personale è possibile che assolvesse molto fedelmente i
suoi doveri sacerdotali. Forse aveva anche insegnato ai figli tutta la legge di Dio. Ma evidentemente era
troppo debole, fiacco, indulgente con i figli, non stando loro dietro né amministrando la necessaria
disciplina, col risultato che incorse nel disfavore di Dio e si procurò serie difficoltà. Ma egli venne meno in
una cosa molto più importante: non si mostrò zelante per la vera e pura adorazione quando i suoi figli
cominciarono a violare la legge di Dio.
I PECCATI DEI FIGLI DI ELI
Quando i suoi figli erano già cresciuti e sposati, ed egli era molto vecchio, cominciarono a giungergli
notizie sulla vergognosa condotta dei figli. Il racconto afferma: “Ora i figli di Eli erano uomini buoni a nulla;
essi non riconoscevano Geova. In quanto al diritto dovuto ai sacerdoti dal popolo, ogni qualvolta un uomo
offriva un sacrificio, un servitore del sacerdote veniva col forchettone a tre denti in mano, proprio quando
la carne bolliva, e lo ficcava nel bacino o nella pentola o nel paiolo o nella marmitta. Qualsiasi cosa il
forchettone traesse fuori il sacerdote se lo prendeva per sé. Facevano in questo modo in Silo a tutti gli
Israeliti che vi andavano”. — I Sam. 2:12-14.
La legge provvedeva al mantenimento del sacerdozio in questo modo: nelle offerte di comunione, quando
l’adoratore presentava il suo sacrificio dalla mandria o dal gregge, ai sacerdoti spettava il petto
dell’animale. Il sacerdote officiante riceveva come sua porzione la zampa destra. Ma Ofni e Fineas, i figli
di Eli, mandavano i loro servitori a prendere dalla pentola qualsiasi cosa il forchettone infilzasse,
mancando così di rispetto a Dio, violandone la disposizione, e maltrattando gli israeliti che portavano i
sacrifici. Quel ch’è peggio, derubavano Dio, prendendosi la porzione dell’offerta prima che le parti grasse
fossero offerte sull’altare, il che costituiva una violazione della legge. — I Sam. 2:15-17; Lev. 7:32-34;
3:3-5.
In aggiunta a tale peccato, questi uomini malvagi commettevano atti di immoralità con le donne che
prestavano servizio al tabernacolo, così che tutto Israele venne a saperlo. E la notizia della loro orribile
profanazione del santuario di Dio giunse agli orecchi di Eli. — I Sam. 2:22.
Qui sta la più grave mancanza di Eli. Come padre di Ofni e Fineas e, cosa più seria, come sommo
sacerdote d’Israele unto da Dio, egli avrebbe dovuto intraprendere immediatamente un’azione
disciplinare contro i due figli, rimuovendoli dall’incarico sacerdotale e impedendo loro di prestare servizio
nel santuario. Inoltre avrebbero dovuto essere puniti secondo la legge per i loro reati. Invece Eli si limitò
semplicemente a dire loro:
“Perché continuate a fare cose come queste? Poiché le cose che odo intorno a voi da tutto il popolo sono
cattive. No, figli miei, perché non è buona la notizia che odo, che il popolo di Geova fa circolare. Se un
uomo dovesse peccare contro un uomo, Dio farebbe da arbitro per lui; ma se un uomo dovesse peccare
contro Geova, chi pregherebbe per lui?” — I Sam. 2:23-25.
IL GIUDIZIO DI DIO CONTRO LA CASA DI ELI
Comunque, Dio non dormiva, ma si interessava della faccenda e aveva già giudicato quegli uomini
corrotti. “Geova si compiaceva ora di metterli a morte”, dice la Bibbia, e in armonia col suo giudizio egli
mandò “un uomo di Dio” da Eli con un terribile messaggio. (I Sam. 2:25) Il profeta disse a Eli:
“Geova ha detto questo: ‘Non mi rivelai io alla casa del tuo antenato [Aaronne] mentre si trovavano in
Egitto come schiavi della casa di Faraone? Ed egli fu scelto da tutte le tribù d’Israele per me, perché
facesse il sacerdote e salisse sul mio altare per far ascendere il fumo dei sacrifici, per portare dinanzi a
me l’efod, affinché io dessi alla casa del tuo antenato tutte le offerte fatte mediante il fuoco dai figli
d’Israele. Perché continuate voi a dar calci al mio sacrificio e alla mia offerta che io ho comandato nella
mia dimora, e tu continui a onorare i tuoi figli più di me ingrassandovi del meglio di ogni offerta d’Israele
mio popolo?
“‘Perciò l’espressione di Geova, Dio d’Israele, dice: “In realtà io dissi: In quanto alla tua casa e alla casa
del tuo antenato, cammineranno dinanzi a me a tempo indefinito”. Ma ora l’espressione di Geova dice: “È
impensabile, da parte mia, perché onorerò quelli che mi onorano, e quelli che mi disprezzano saranno di
poco conto”. Ecco, vengono i giorni quando per certo reciderò il tuo braccio e il braccio della casa del tuo
antenato, così che non ci sarà vecchio nella tua casa. E guarderai effettivamente un avversario nella mia
dimora in mezzo a tutto il bene che è fatto a Israele; e nella tua casa non ci sarà mai un vecchio. Eppure
c’è un uomo dei tuoi che non stroncherò dall’essere al mio altare in modo da far venire meno i tuoi occhi
e da far languire la tua anima; ma il maggior numero della tua casa morranno tutti mediante la spada
degli uomini. E questo è per te il segno che verrà ai tuoi due figli, Ofni e Fineas: In un solo giorno
morranno entrambi. E per certo mi susciterò un sacerdote fedele. Egli farà secondo quanto è nel mio
cuore e nella mia anima; e per certo gli edificherò una casa durevole, e per certo camminerà dinanzi al
mio unto per sempre. E deve accadere che chiunque resti nella tua casa verrà e s’inchinerà a lui per
pagare il denaro e il pane rotondo, e per certo dirà: “Ammettimi, ti prego, a uno degli uffici sacerdotali per
mangiare un pezzo di pane”’”. — I Sam. 2:27-36.
Questa profezia fu parzialmente adempiuta quando, poco tempo dopo, i due figli di Eli furono uccisi in
battaglia contro i filistei, e l’arca, che avevano portato in battaglia, venne catturata. Avutane notizia, Eli
cadde all’indietro dal suo seggio alla porta e si ruppe la nuca. — I Sam. 4:10, 11, 18.
I discendenti di Eli ricoprirono ancora per anni l’ufficio di sommi sacerdoti, ma i loro occhi videro molte
calamità, come il massacro dei sacerdoti per ordine di Saul. (I Sam. 22:11, 16-18) Un’ulteriore parte del
giudizio si ebbe anni dopo quando il re Salomone ‘cacciò Abiatar [il sommo sacerdote, discendente di Eli]
dal servire come sacerdote di Geova, per adempiere la parola di Geova che egli aveva pronunciata
contro la casa di Eli in Silo’. Salomone sostituì nell’incarico Abiatar con Zadoc. (I Re 2:27, 35) Zadoc era
discendente di Aaronne attraverso il figlio Eleazaro, mentre Eli era della linea di Itamar, altro figlio di
Aaronne. (I Cron. 6:50-53; 24:1; I Sam. 14:3; 22:9) Anche allora Dio permise ad alcuni discendenti di Eli
di prestare servizio come sottosacerdoti. Ma videro il declino dell’adorazione al tempio durante il regno
dei re, quando il sacerdozio non ricevette il dovuto sostegno dal popolo. — II Cron. 29:3, 6; 33:7; 34:8-11.
La storia di Eli mette vigorosamente in risalto fatti che non possiamo ignorare: come servitori di Dio,
dobbiamo seguire il consiglio della Bibbia di insegnare la Parola di Dio ai nostri figli ogni giorno e, pur
mostrando loro amore e considerazione, dobbiamo ‘allevarli nella disciplina e nella norma mentale di
Geova’. (Efes. 6:4, Traduzione del Nuovo Mondo, ediz. inglese del 1971; Deut. 6:4-9) Se i genitori
condonano il male commesso dai loro figli, perderanno senz’altro il rispetto dei figli. Simili genitori
riscontreranno in seguito di aver distrutto le linee di comunicazione, e vedranno tristemente i propri figli
abbandonarli per seguire le vie del mondo.
Cosa ancora più importante, l’esempio dei figli di Eli ci fa capire chiaramente il fatto che sfruttare in
qualsiasi modo la propria posizione di servitori di Dio per tornaconto egoistico recherà l’avverso giudizio
di Dio. “Se alcuno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui”. — I Cor. 3:17.
cj 208-10 Capitolo 5
La preghiera è potente. Ottiene molto da Dio. La persona giusta agli occhi di Dio Gli è ben accetta, e le
sue preghiere sono esaudite. L’apostolo Pietro disse: “Gli occhi di Geova sono sopra i giusti, e i suoi
orecchi sono volti alla loro supplicazione”. (1 Piet. 3:12) L’apostolo Giovanni descrive l’efficacia della
preghiera: “Questa è la fiducia che abbiamo verso di lui, che qualunque cosa chiediamo secondo la sua
volontà, egli ci ascolta. Inoltre, se sappiamo che egli ci ascolta circa qualunque cosa chiediamo,
sappiamo che avremo le cose chieste giacché le abbiamo chieste a lui”. (1 Giov. 5:14, 15) E il fatto che la
preghiera a favore di un fratello può significare per lui la vita è indicato da Giovanni: “Se uno scorge il suo
fratello peccare di un peccato che non incorre nella morte, chiederà, ed egli gli darà la vita”. (1 Giov. 5:16)
Perciò, nella congregazione ciascuno dovrebbe manifestare questo amorevole interesse per chi sbaglia,
pregando Dio per lui.
Giacomo ora prosegue facendo un vigoroso esempio della forza che ha la preghiera del giusto, e indica
che chiunque nella congregazione abbia una buona posizione dinanzi a Dio può aver fiducia nell’efficacia
delle proprie preghiere. E anche chi ha bisogno della preghiera d’intercessione può avere la stessa
fiducia. Infatti scrive:
17 Elia fu un uomo con sentimenti simili ai nostri, eppure in preghiera pregò che non piovesse; e non
piovve sul paese per tre anni e sei mesi.
17 Elia fu un uomo con sentimenti simili ai nostri
Giacomo fa l’esempio di Elia, evidentemente perché Elia era tenuto in grande stima dagli ebrei. Alcuni
avevano pensato che Gesù fosse Elia ritornato. (Matt. 16:14) Elia era considerato il rappresentante
dell’intera linea dei profeti. (Come tale apparve nella visione della trasfigurazione. [Mar. 9:4]) Quando
Gesù, morente sul palo, gridò “Eli, Eli, lama sabactani?” (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?”), gli ebrei pensarono che stesse chiamando Elia. (Mar. 15:34, 35) Giacomo dice che Elia
fu un uomo con sentimenti simili ai nostri, volendo dire che, pur essendo un profeta e avendo ricevuto il
potere di fare miracoli, aveva gli stessi sentimenti umani, le debolezze e le sensazioni che tutti hanno.
Infatti non pronunciava sempre profezie ispirate né compiva sempre miracoli, e, quando lo faceva, non
era con la propria forza o per la propria bontà personale, ma grazie allo spirito di Dio che operava in lui.
(Confronta I Re 17:20-22). Ne consegue che se Elia, che gli ebrei tenevano in tanta considerazione,
aveva sentimenti come tutti gli uomini, allora tutti i profeti provavano gli stessi sentimenti. Non erano
uomini soprannaturali. (Confronta Atti 14:15, dove l’apostolo Paolo e Barnaba parlano in modo simile di
se stessi).
cj 210-2 Capitolo 5
eppure in preghiera pregò che non piovesse
Le Scritture Ebraiche stesse non fanno particolare menzione delle preghiere di Elia perché non piovesse,
benché egli avesse annunciato la siccità in anticipo. (1 Re 17:1) Ma Elia era un uomo di preghiera, che
aveva invocato Dio riguardo alla prova del fuoco nella contesa con i profeti di Baal, ed era stato esaudito
mediante un miracolo di Dio. (1 Re 18:36-38) Geova aveva promesso la pioggia, in I Re 18:1; questo
incoraggiò Elia a pregare perché questa ponesse fine alla siccità. E che Elia pregasse è sottinteso in I Re
18:42: “In quanto ad Elia, salì in cima al Carmelo e si chinava a terra e teneva la faccia fra le ginocchia”.
Certo tutti i profeti agirono nel nome di Dio e grazie alla fede, alla relazione e alla comunicazione che
avevano con Dio. L’esempio delle preghiere di Elia nel trattenere e mandare la pioggia è vigoroso, e
Giacomo era ispirato e non sbagliava nell’attribuire il miracolo al potere della preghiera.
e non piovve sul paese per tre anni e sei mesi
Giacomo dice che non piovve per tre anni e mezzo. Il racconto di I Re 18:1 menziona la venuta della
pioggia nel “terzo anno”, forse riferendosi al terzo anno di effettiva siccità. La stagione asciutta in Israele
dura sei mesi, da aprile a settembre. Sembrerebbe dunque che, dopo di ciò, seguirono tre anni
consecutivi di siccità, per un totale di tre anni e mezzo senza pioggia. La pioggia stessa era cessata tre
anni e mezzo prima, quindi in effetti trascorsero tre anni e mezzo fra una pioggia e l’altra. Tuttavia,
benché si potesse calcolare la siccità da quando aveva smesso di piovere, forse non fu evidente e non
provocò disagio finché non si prosciugarono i corsi d’acqua e cominciò a mancare davvero l’acqua, forse
sei mesi più tardi. Pur avendo smesso di piovere, la popolazione poteva vivere del raccolto dell’anno
precedente per un periodo di tempo abbastanza lungo prima di risentire della siccità; e questa può essere
la ragione dell’espressione “nel terzo anno”, in I Re 18:1, anziché ‘nel quarto anno’. Ma abbiamo la fonte
più autorevole di tutte in Gesù Cristo, che disse: “Il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi, tanto che una
grande carestia si abbatté su tutto il paese”. (Luca 4:25)
18 E pregò di nuovo, e il cielo diede la pioggia e il paese produsse il suo frutto.
18 E pregò di nuovo, e il cielo diede la pioggia e il paese produsse il suo frutto
Con questo notevole esempio Giacomo riesce a illustrare bene il grande potere della preghiera di
qualsiasi giusto, se fatta secondo la volontà di Dio.
W68 P.211-212
W98 1-1 P.30-31
Elifaz (il temanita) — Tema: Geova odia la lingua falsa PROVERBI 6:16, 17
Eliu (figlio di Barachel) — Tema: I veri amici dicono la verità PROVERBI 27:6 N.T.
w74 15/5 298 Semina dei semi della buona notizia in un mondo afflitto dalla guerra
‘CRESCE IN TUTTO IL MONDO’
9 Che la preannunciata predicazione della buona notizia del Regno fosse compiuta prima della
distruzione di Gerusalemme nel 70 E.V. fu attestato pure anni prima di quella calamità giudaica. Attestato
da chi? Dal cristiano apostolo Paolo. Verso l’anno 60 o 61 E. V., egli si trovò sotto custodia romana in
una casa privata a Roma e in catene. Durante i suoi due anni o più di arresti domiciliari in Roma egli
scrisse lettere ispirate alle congregazioni cristiane della Grecia e dell’Asia Minore. Una di queste lettere fu
inviata alla congregazione che era nella città di Colosse in Asia Minore, presso le città di Laodicea e di
Ierapoli, dov’erano pure congregazioni cristiane. Queste località appartengono ora alla moderna Turchia.
L’apostolo Paolo manda questa lettera a nome suo e di Timoteo, un conservo missionario. Paolo non
aveva fondato la congregazione di Colosse, e la sua lettera indica che non vi era mai stato. Ma per
mezzo di un conservo cristiano che era venuto a visitarlo, Paolo aveva udito di questa congregazione
colossese. Fu così commosso da questa notizia giuntagli per mezzo di Epafra, da sentirsi indotto a
scrivere questa lettera a cristiani a lui sconosciuti. Egli si presenta, dicendo:
10 “Ringraziamo sempre Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, quando preghiamo per voi, da che
abbiamo udito della vostra fede riguardo a Cristo Gesù e dell’amore che avete per tutti i santi a causa
della speranza che vi è riservata nei cieli. Di questa speranza avete già udito mediante l’annuncio della
verità di quella buona notizia che s’è presentata a voi, come sta portando frutto e crescendo in tutto il
mondo, come fa anche tra voi, dal giorno che udiste e imparaste a conoscere l’immeritata benignità di Dio
in verità. Questo è ciò che avete imparato da Epafra nostro diletto compagno di schiavitù, che è un fedele
ministro del Cristo a nostro favore, e che ci ha rivelato il vostro amore in modo spirituale”. — Col. 1:3-8.
w74 15/5 300 Semina dei semi della buona notizia in un mondo afflitto dalla guerra
17 Secondo ciò che l’apostolo Paolo aveva udito dal suo visitatore, Epafra, i componenti della
congregazione cristiana di Colosse avevano un cuore simile al “terreno eccellente” descritto da Gesù.
Quindi, la “parola del regno” seminata sul loro cuore portava frutto e produceva in varie quantità, il cento,
il sessanta, il trenta. L’apostolo Paolo non aveva seminato il seme del Regno nel cuore dei Colossesi,
ma, evidentemente, l’aveva seminato questo Epafra di Colosse, poiché nella lettera ai Colossesi Paolo
parla di lui come di “Epafra, che è dei vostri, schiavo di Cristo Gesù”. Inoltre Paolo dice loro: “Questo è
ciò che avete imparato da Epafra nostro diletto compagno di schiavitù, che è un fedele ministro del Cristo
a nostro favore, e che ci ha rivelato il vostro amore in modo spirituale”. (Col. 4:12; 1:7, 8; Filem. 23)
Questo “ministro del Cristo” agiva solo come agente del grande Seminatore del seme, Gesù Cristo. Gesù
disse: “Il seme è la parola di Dio”. (Luca 8:11) È la “parola del regno”. Ma non è seme in un deposito,
bensì è seme che viene “seminato”, vale a dire la divina “parola del regno” che è predicata, proclamata,
insegnata.
18 Quei discepoli che si uniscono sotto il grande Seminatore, Gesù Cristo, nella semina, predicazione,
proclamazione, insegnamento del seme della “parola del regno” sono, come li chiama l’apostolo Paolo,
“miei compagni d’opera per il regno di Dio”. (Col. 4:11) Anche mentre era nella casa di custodia lì a
Roma, Paolo fece più che scrivere lettere, come quella ai Colossesi. Egli “riceveva benignamente tutti
quelli che [come Epafra] venivano da lui, predicando loro il regno di Dio e insegnando le cose inerenti al
Signore Gesù Cristo con la più grande libertà di parola, senza impedimento”. (Atti 28:30, 31) Poiché
questo “seme” spirituale è la “parola di Dio”, la “parola del regno”, contiene in sé la buona notizia, un
messaggio di speranza, un messaggio del più grande governo per la benedizione di tutto il genere
umano, il messianico regno di Dio. Questo messaggio contenuto nel “seme” è qualche cosa che chi
riceve il “seme” deve capire e apprezzare. Deve afferrarne il significato, il senso, con il cuore. In tal modo
il “seme” mette radici nel suo cuore.
Nome di una famiglia di uomini politici che governarono gli ebrei. Erano idumei, edomiti, ebrei solo di
nome poiché, secondo Giuseppe Flavio, verso il 125 a.E.V. il maccabeo Giovanni Ircano aveva imposto
loro la circoncisione.
A parte la breve menzione che ne fa la Bibbia, quasi tutte le informazioni sul loro conto si devono a
Giuseppe Flavio. Il capostipite della famiglia fu Antipatro (Antipa) I, che il re asmoneo (maccabeo)
Alessandro Ianneo aveva nominato governatore dell’Idumea. Il figlio di Antipatro, anch’egli chiamato
Antipatro o Antipa, era il padre di Erode il Grande. Secondo Giuseppe Flavio, lo storico Nicola
Damasceno dice che Antipatro (II) era della stirpe degli ebrei illustri tornati da Babilonia nel paese di
Giuda. Ma, dice Giuseppe Flavio, Nicola voleva soltanto far cosa grata a Erode, che in realtà era un
edomita sia da parte di padre che di madre.
Antipatro II, uomo ricchissimo, e politico intrigante, aveva grandi ambizioni per i suoi figli. Diede il suo
appoggio a Ircano II, figlio di Alessandro Ianneo e di Alessandra Salome, aiutandolo a conquistarsi la
posizione di sommo sacerdote e re dei giudei a danno del fratello Aristobulo. In effetti, però, Antipatro
agiva per ambizione personale, e alla fine ottenne da Giulio Cesare la cittadinanza romana e il
governatorato della Giudea. Antipatro nominò il proprio figlio Fasael governatore di Gerusalemme e un
altro figlio, Erode, governatore della Galilea. La sua carriera terminò quando fu avvelenato da un sicario.
it-1 836-8 Erode
2. Erode Antipa, figlio di Erode il Grande e di una samaritana, Maltace. Fu educato a Roma insieme al
fratello Archelao. Erode aveva stabilito nel suo testamento che il regno passasse ad Antipa, ma poi
all’ultimo momento cambiò il testamento designando Archelao. Antipa impugnò il testamento davanti a
Cesare Augusto, che sostenne i diritti di Archelao, ma divise il regno nominando Antipa tetrarca della
Galilea e della Perea. “Tetrarca”, che significa ‘governatore di un quarto’ di una provincia, era un titolo
dato al governatore di un distretto minore o a un principe locale. Tuttavia, è possibile che comunemente
fosse chiamato re, come Archelao. — Mt 14:9; Mr 6:14, 22, 25-27.
Antipa sposò la figlia di Areta, re d’Arabia, la cui capitale era Petra. Ma durante uno dei suoi viaggi a
Roma, Antipa fece visita al fratellastro Filippo, figlio di Erode il Grande e di Mariamne II (non Filippo il
tetrarca). Durante la visita si invaghì della moglie di Filippo, Erodiade, donna molto ambiziosa. Egli la
portò con sé in Galilea e la sposò, dopo aver divorziato dalla figlia di Areta e averla rimandata a casa.
Questo insulto scatenò una guerra. Areta invase il dominio di Antipa e gli inflisse gravissime perdite, tanto
da riuscire quasi a spodestarlo. Antipa si salvò appellandosi a Roma e ottenendo che l’imperatore
ordinasse ad Areta di sospendere le ostilità.
Antipa godette di grandi favori presso Tiberio, successore di Augusto. Costruttore al pari del padre, anche
se su scala molto più limitata, Antipa edificò una città sul lago di Gennezaret (il Mar di Galilea o di
Tiberiade) e la chiamò Tiberiade, in onore dell’imperatore. (Gv 6:1, 23) Chiamò un’altra città Giulia in
onore della moglie di Augusto, Giulia (meglio nota come Livia). Costruì anche fortificazioni, palazzi e
teatri.
Mette a morte Giovanni il Battezzatore. La relazione adulterina di Erode Antipa con Erodiade fu
condannata da Giovanni il Battezzatore. Giovanni poteva giustamente riprendere Antipa al riguardo
poiché di nome era ebreo e professava di osservare la Legge. Antipa lo gettò in prigione con l’intenzione
di metterlo a morte, ma aveva timore del popolo che considerava Giovanni un profeta. Ciò nonostante,
durante la celebrazione del suo compleanno, Antipa rimase così affascinato dalla figlia di Erodiade che
giurò di darle qualunque cosa avesse chiesto. Erodiade disse alla figlia di chiedere la testa di Giovanni.
Erode, benché dispiaciuto, acconsentì vigliaccamente per salvare la faccia di fronte ai presenti alla festa
e a motivo del giuramento fatto. (Tuttavia sotto la Legge un giuramento non l’avrebbe impegnato a
compiere un atto illegale come un omicidio). — Mt 14:3-12; Mr 6:17-29.
In seguito, quando sentì parlare del ministero di Gesù, cioè che predicava, sanava malati e scacciava
demoni, Antipa ne fu spaventato, temendo che Gesù fosse in effetti Giovanni risuscitato dai morti. Perciò
desiderava moltissimo vedere Gesù, non tanto per sentirlo predicare, quanto forse per accertarsi della
sua identità. — Mt 14:1, 2; Mr 6:14-16; Lu 9:7-9.
Fu probabilmente in un’occasione in cui Gesù si trovava a passare dalla Perea diretto a Gerusalemme
che i farisei gli dissero: “Esci e vattene di qui, perché Erode ti vuole uccidere”. Può darsi che Erode
stesso avesse sparso tale voce, sperando di indurre Gesù a fuggire impaurito dal suo territorio, perché
forse temeva di avere di nuovo l’ardire di alzare la mano per uccidere un profeta di Dio. Riferendosi
evidentemente all’astuzia di Erode, Gesù rispondendo ai farisei lo chiamò “quella volpe”. — Lu 13:31-33.
Il “lievito di Erode”. Sempre durante il dominio di Erode Antipa, Gesù avvertì i suoi seguaci dicendo:
“Tenete gli occhi aperti, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode”. (Mr 8:15) Entrambe queste
fazioni, i farisei e gli erodiani, vale a dire i seguaci del partito di Erode, si opponevano a Gesù e ai suoi
insegnamenti, e sebbene fossero in lotta fra loro, vedevano in Cristo un nemico comune e facevano lega
contro di lui. Gli erodiani erano un gruppo più politico che religioso; asserivano di seguire la Legge ma
ritenevano lecito che gli ebrei riconoscessero un principe straniero (gli Erode non erano veri ebrei, ma
idumei). Gli erodiani erano molto nazionalisti e non appoggiavano né l’idea di un governo teocratico sotto
re ebrei né il governo romano, ma auspicavano la restaurazione del regno nazionale sotto uno dei figli di
Erode.
Un esempio che rivela il loro “lievito” nazionalistico è la domanda tranello che, insieme ai farisei, posero a
Gesù nella speranza di prenderlo in trappola: “È lecito pagare il tributo a Cesare o no? Dobbiamo pagare
o non dobbiamo pagare?” (Mr 12:13-15) Gesù li definì “ipocriti”, e mostrò che si guardava attentamente
dal loro “lievito”, poiché la sua risposta li lasciò senza parole e sventò il loro tentativo di accusarlo di
sedizione o di sollevare il popolo contro di lui. — Mt 22:15-22.
Schernisce Gesù. L’ultimo giorno della sua vita terrena Gesù fu portato davanti a Ponzio Pilato; saputo
che Gesù era galileo, Pilato, che aveva già avuto problemi con i galilei, lo mandò da Erode Antipa,
tetrarca della Galilea, il quale si trovava momentaneamente a Gerusalemme. (Lu 13:1; 23:1-7) Vedendo
Gesù, Erode si rallegrò, non perché si preoccupasse per lui o volesse veramente appurare se le accuse
mosse contro di lui dai sacerdoti e dagli scribi fossero vere o false, ma perché desiderava vedere Gesù
compiere qualche segno. Gesù si rifiutò di farlo e, quando Erode lo interrogò “con molte parole”, rimase in
silenzio. Gesù sapeva di essere stato costretto a presentarsi a Erode per una specie di beffa. Erode,
deluso, screditò Gesù e si prese gioco di lui, rivestendolo di uno sgargiante mantello e rimandandolo a
Pilato, autorità superiore per quanto concerneva Roma. Pilato ed Erode erano stati nemici, forse per
certe accuse che Erode aveva mosso contro Pilato. Ma quest’azione di Pilato piacque a Erode e i due
divennero amici. — Lu 23:8-12.
In seguito alla scarcerazione di Pietro e Giovanni poco dopo la Pentecoste del 33 E.V., i discepoli dissero
in preghiera a Dio: “Sia Erode [Antipa] che Ponzio Pilato con gli uomini delle nazioni e con i popoli
d’Israele si sono effettivamente radunati in questa città contro il tuo santo servitore Gesù . . . E ora,
Geova, presta attenzione alle loro minacce, e concedi ai tuoi schiavi di continuare ad annunciare la tua
parola con ogni intrepidezza”. — At 4:23, 27-29.
In Atti 13:1 è menzionato un cristiano, Manaen, che era stato educato insieme a Erode il tetrarca. Poiché
Antipa era stato allevato a Roma insieme a un privato cittadino, le parole della Bibbia potrebbero indicare
che anche Manaen era stato educato a Roma.
Esiliato in Gallia. Quando Caligola nominò Agrippa I re della tetrarchia di Filippo, Erodiade moglie di
Antipa rimproverò il marito dicendo che solo per la sua indolenza non aveva ricevuto un regno. Secondo
lei, dal momento che era già tetrarca, mentre Agrippa non aveva precedentemente ricoperto nessun
incarico, Antipa doveva andare a Roma e chiedere a Cesare un regno. Alla fine Antipa cedette alle
continue pressioni della moglie. Ma Caligola, adirato dall’ambiziosa richiesta di Antipa, prestò ascolto alle
accuse mosse da Agrippa ed esiliò Antipa in Gallia (nella città di Lione, in Francia); egli infine morì in
Spagna. Erodiade, anche se avrebbe potuto sfuggire alla punizione in quanto sorella di Agrippa, rimase
al fianco del marito, probabilmente per motivi d’orgoglio. La tetrarchia di Antipa e, dopo il suo esilio, il suo
denaro e le proprietà di Erodiade, vennero dati ad Agrippa I. A Erodiade si devono quindi le due principali
calamità che colpirono Antipa: la sconfitta quasi completa inflittagli dal re Areta e il suo esilio.
Erode Agrippa I — Tema: Ipocrisia e orgoglio conducono alla morte 2°TIMOTEO 3:4, 5;
MATTEO 15:8, 9
Nome di una famiglia di uomini politici che governarono gli ebrei. Erano idumei, edomiti, ebrei solo di
nome poiché, secondo Giuseppe Flavio, verso il 125 a.E.V. il maccabeo Giovanni Ircano aveva imposto
loro la circoncisione.
A parte la breve menzione che ne fa la Bibbia, quasi tutte le informazioni sul loro conto si devono a
Giuseppe Flavio. Il capostipite della famiglia fu Antipatro (Antipa) I, che il re asmoneo (maccabeo)
Alessandro Ianneo aveva nominato governatore dell'Idumea. Il figlio di Antipatro, anch'egli chiamato
Antipatro o Antipa, era il padre di Erode il Grande. Secondo Giuseppe Flavio, lo storico Nicola
Damasceno dice che Antipatro (II) era della stirpe degli ebrei illustri tornati da Babilonia nel paese di
Giuda. Ma, dice Giuseppe Flavio, Nicola voleva soltanto far cosa grata a Erode, che in realtà era un
edomita sia da parte di padre che di madre.
Antipatro II, uomo ricchissimo, e politico intrigante, aveva grandi ambizioni per i suoi figli. Diede il suo
appoggio a Ircano II, figlio di Alessandro Ianneo e di Alessandra Salome, aiutandolo a conquistarsi la
posizione di sommo sacerdote e re dei giudei a danno del fratello Aristobulo. In effetti, però, Antipatro
agiva per ambizione personale, e alla fine ottenne da Giulio Cesare la cittadinanza romana e il
governatorato della Giudea. Antipatro nominò il proprio figlio Fasael governatore di Gerusalemme e un
altro figlio, Erode, governatore della Galilea. La sua carriera terminò quando fu avvelenato da un sicario.
Erode Agrippa II — Tema: Per avere il favore di Dio non basta la curiosità intellettuale
1°CORINTI 1:19, 20
Nome di una famiglia di uomini politici che governarono gli ebrei. Erano idumei, edomiti, ebrei solo di
nome poiché, secondo Giuseppe Flavio, verso il 125 a.E.V. il maccabeo Giovanni Ircano aveva imposto
loro la circoncisione.
A parte la breve menzione che ne fa la Bibbia, quasi tutte le informazioni sul loro conto si devono a
Giuseppe Flavio. Il capostipite della famiglia fu Antipatro (Antipa) I, che il re asmoneo (maccabeo)
Alessandro Ianneo aveva nominato governatore dell'Idumea. Il figlio di Antipatro, anch'egli chiamato
Antipatro o Antipa, era il padre di Erode il Grande. Secondo Giuseppe Flavio, lo storico Nicola
Damasceno dice che Antipatro (II) era della stirpe degli ebrei illustri tornati da Babilonia nel paese di
Giuda. Ma, dice Giuseppe Flavio, Nicola voleva soltanto far cosa grata a Erode, che in realtà era un
edomita sia da parte di padre che di madre.
Antipatro II, uomo ricchissimo, e politico intrigante, aveva grandi ambizioni per i suoi figli. Diede il suo
appoggio a Ircano II, figlio di Alessandro Ianneo e di Alessandra Salome, aiutandolo a conquistarsi la
posizione di sommo sacerdote e re dei giudei a danno del fratello Aristobulo. In effetti, però, Antipatro
agiva per ambizione personale, e alla fine ottenne da Giulio Cesare la cittadinanza romana e il
governatorato della Giudea. Antipatro nominò il proprio figlio Fasael governatore di Gerusalemme e un
altro figlio, Erode, governatore della Galilea. La sua carriera terminò quando fu avvelenato da un sicario.
W54 P.649
Esaù — Tema: Le nostre decisioni rivelano se apprezziamo le cose sacre EBREI 12:14-16
[Note in calce]
I pali sacri erano probabilmente simboli fallici, associati con pratiche gravemente immorali come le orge
sessuali. — 1 Re 14:22-24.
Chemos era la principale divinità moabita. (Numeri 21:29; Geremia 48:46) È probabile che, almeno in
alcuni casi, bambini venissero sacrificati a questo dio falso e detestabile. — 2 Re 3:26, 27.
[Foto a pagina 31]
Eud e i suoi uomini presentano il tributo al re Eglon
[Referenza fotografica]
Riprodotto da Illustrirte Pracht - Bibel/Heilige Schrift des Alten und Neuen Testaments, nach der
deutschen Uebersetzung D. Martin Luther’s
Eunice — Tema: Un esempio per le madri cristiane 2°TIMOTEO 1:5
CONSEGUENZE TRAGICHE
Quale fu il risultato? L’effetto immediato fu spiacevole. Adamo ed Eva non riuscirono più a guardare in
modo puro il corpo nudo l’uno dell’altro. La coscienza turbata li fece sentire impuri, suscitando sensazioni
mai provate prima. Si coprirono con foglie di fico. — Gen. 3:7.
In seguito, udendo la voce di Dio, Eva e il marito si nascosero fra gli alberi del giardino. Rispondendo alla
domanda del Creatore sul perché delle loro azioni, Eva ammise: “Il serpente, mi ha ingannata e io ho
mangiato”. — Gen. 3:8-13.
Tragiche furono le conseguenze per quella prima coppia umana. Eva aveva scavalcato il ruolo
assegnatole da Dio e si era arrogata il compito di agire da insegnante rispetto al marito. La sentenza che
il Creatore pronunciò contro di lei rivelò il dannoso effetto che tale comportamento avrebbe avuto sul suo
matrimonio. Adamo l’avrebbe ‘dominata’, a indicare che da allora in poi avrebbe esercitato la sua autorità
in maniera tirannica. Ciò nonostante Eva avrebbe bramato il marito, provandone intensamente il bisogno.
— Gen. 3:16.
Anche la maternità avrebbe avuto i suoi problemi. Il decreto divino fu: “Aumenterò grandemente la pena
della tua gravidanza; con doglie partorirai figli”. (Gen. 3:16) Nel suo stato ormai imperfetto, Eva dovette
provare un dolore tale nel partorire da capire che poteva risultarne la morte per lei e la sua progenie.
Infine sia lei che il marito sarebbero morti. I loro corpi si sarebbero decomposti tornando agli elementi del
suolo. — Gen. 3:19.
Oltre a questo, Eva e il marito vennero espulsi dalla loro bella dimora paradisiaca, per cominciare una
vita in condizioni difficili in un territorio incolto. Tuttavia il Creatore fornì amorevolmente loro delle lunghe
vesti di pelle. — Gen. 3:21-24.
A suo tempo Eva divenne madre di Caino e Abele, come pure di altri figli e figlie. (Gen. 4:1, 2; 5:4)
Immaginate come dovette sentirsi quando seppe che Caino aveva assassinato suo fratello Abele. Che
tragica impressione dovette produrre quel primo caso di morte fra gli uomini! In seguito, quando Adamo
aveva 130 anni, Eva diede alla luce un altro figlio. Lo chiamò Set, dicendo: “Dio ha costituito un altro
seme al posto di Abele, perché Caino l’ha ucciso”. — Gen. 4:25; 5:3.
Il caso di Eva illustra molto chiaramente che chi trascura la legge di Dio va incontro a gravi problemi.
Ogni volta che qualcuno cerca di farci sembrare allettante l’errore, non dimentichiamo quello che accadde
a Eva. La felicità non può mai derivare dal disprezzo per le norme che il Creatore ha stabilito riguardo al
bene e al male. Cerchiamo di non essere come Eva per non cedere all’inganno a nostra eterna rovina.
w94 1/4 10-13 L'insegnamento divino in contrasto con gli insegnamenti dei demoni
Resi manifesti gli insegnamenti dei demoni
4 Ciò che accadde è descritto nella Bibbia in Genesi 3:1-5. Servendosi di un serpente, Satana si rivolse
alla donna, Eva, e le chiese: “È realmente così che Dio ha detto, che non dovete mangiare di ogni albero
del giardino?” Una domanda apparentemente innocente, ma riflettiamo un attimo: “È realmente così?”
Satana sembrava sorpreso, come a dire: ‘Perché mai Dio avrà detto una cosa del genere?’
5 Nella sua innocenza Eva rispose che era effettivamente così. Conosceva l’insegnamento divino al
riguardo. Sapeva che Dio aveva detto ad Adamo che se avessero mangiato dell’albero della conoscenza
del bene e del male sarebbero morti. (Genesi 2:16, 17) Evidentemente la domanda di Satana destò il suo
interesse, per cui lo ascoltò mentre arrivava al punto: “A ciò il serpente disse alla donna: ‘Positivamente
non morirete’”. Che perfida dichiarazione! Satana accusava Geova, il Dio di verità, il Dio di amore, il
Creatore, di aver mentito ai Suoi figli umani! — Salmo 31:5; 1 Giovanni 4:16; Rivelazione 4:11.
6 Ma Satana non si limitò a questo. Aggiunse: “Poiché Dio sa che nel medesimo giorno in cui ne
mangerete i vostri occhi davvero si apriranno e voi sarete davvero simili a Dio, conoscendo il bene e il
male”. Secondo Satana, Geova Dio — che aveva provveduto così generosamente per i nostri
primogenitori — voleva privarli di una cosa meravigliosa. Voleva impedire loro di diventare come dèi.
Così facendo, Satana mise in discussione la bontà di Dio. Incoraggiò inoltre ad appagare se stessi e a
ignorare deliberatamente le leggi di Dio, dicendo che agire in tal modo sarebbe stato benefico. In effetti
Satana sfidò la sovranità di Dio sulla Sua creazione, asserendo che Dio non aveva diritto di imporre dei
limiti all’uomo.
7 Con quelle parole di Satana si cominciarono a udire gli insegnamenti demonici. Questi insegnamenti
malefici continuano ancora a promuovere simili princìpi empi. Proprio come fece nel giardino di Eden,
Satana, a cui nel frattempo si sono aggiunti altri spiriti ribelli, continua a contestare il diritto di Dio di
stabilire norme di comportamento. Continua a sfidare la sovranità di Geova e cerca di spingere gli uomini
a disubbidire al loro Padre celeste. — 1 Giovanni 3:8, 10.
8 In quel primo scontro della battaglia fra insegnamento divino e insegnamenti demonici, Adamo ed Eva
presero una decisione errata e persero la speranza della vita eterna. (Genesi 3:19) Col passar degli anni,
e man mano che il loro corpo si deteriorava, ebbero la chiara prova di chi aveva mentito e di chi aveva
detto la verità nell’Eden. Comunque, centinaia d’anni prima che morissero in senso fisico, divennero le
prime vittime del conflitto fra verità e menzogna quando furono giudicati indegni di vivere dal loro
Creatore, la Fonte della vita. Fu allora che morirono in senso spirituale. — Salmo 36:9; confronta Efesini
2:1.
Gli insegnamenti dei demoni oggi
9 Com’è descritto nel libro di Rivelazione (Apocalisse), l’apostolo Giovanni fu portato mediante ispirazione
nel “giorno del Signore”, che iniziò nel 1914. (Rivelazione 1:10) In quel tempo Satana e i demoni furono
espulsi dal cielo e scagliati nelle vicinanze della terra: una sonora sconfitta per l’avversario del nostro
grande Creatore. In cielo non si udì più la sua voce che accusava di continuo i servitori di Geova.
(Rivelazione 12:10) Ma fino a che punto si erano propagati sulla terra gli insegnamenti dei demoni dal
tempo dell’Eden? La Bibbia dice: “Il gran dragone fu scagliato, l’originale serpente, colui che è chiamato
Diavolo e Satana, che svia l’intera terra abitata”. (Rivelazione 12:9) Il mondo intero era caduto vittima
delle menzogne di Satana! Non sorprende che Satana sia chiamato “il governante di questo mondo”! —
Giovanni 12:31; 16:11.
10 Satana ammise la sconfitta dopo l’espulsione dal cielo? Niente affatto! Decise di continuare a
combattere contro l’insegnamento divino e coloro che vi si attengono. Dopo essere stato espulso dal
cielo, Satana continuò la sua guerra: “Il dragone [Satana] si adirò contro la donna, e se ne andò a far
guerra contro i rimanenti del seme di lei, che osservano i comandamenti di Dio e hanno il compito di
rendere testimonianza a Gesù”. — Rivelazione 12:17.
11 Oltre a combattere contro i servitori di Dio, Satana inonda il mondo con la sua propaganda, cercando
di mantenere la presa sull’umanità. In una delle visioni relative al giorno del Signore contenute nella
Rivelazione, l’apostolo Giovanni vide tre bestie selvagge che simboleggiano Satana, la sua
organizzazione politica sulla terra e la potenza mondiale dominante dei nostri giorni. Dalla bocca di
queste tre uscirono delle rane. Cosa simboleggiano queste ultime? Giovanni scrive: “Esse sono, infatti,
espressioni ispirate da demoni e compiono segni, e vanno dai re dell’intera terra abitata, per radunarli alla
guerra del gran giorno dell’Iddio Onnipotente”. (Rivelazione 16:14) È chiaro che gli insegnamenti dei
demoni hanno molto potere sulla terra. Satana e i demoni combattono ancora contro l’insegnamento
divino e continueranno a farlo finché non verranno fermati con la forza da Gesù Cristo, il Re messianico.
— Rivelazione 20:2.
Identificati gli insegnamenti dei demoni
12 Possono gli uomini timorati di Dio resistere agli insegnamenti dei demoni? Sì, certo, per due motivi:
primo, perché l’insegnamento divino è più potente; secondo, perché Geova ha smascherato le strategie
di Satana per consentirci di resistere. Come disse l’apostolo Paolo, “non ignoriamo i suoi disegni”. (2
Corinti 2:11) Sappiamo che uno dei mezzi che Satana usa per conseguire i suoi fini è la persecuzione. (2
Timoteo 3:12) Ma in modo molto più subdolo cerca di influire sulla mente e sul cuore di coloro che
servono Dio. Sviò Eva e mise desideri errati nel suo cuore. Oggi cerca di fare la stessa cosa. Ai corinti
Paolo scrisse: “Temo che in qualche modo, come il serpente con la sua astuzia sedusse Eva, le vostre
menti siano corrotte e distolte dalla sincerità e dalla castità che son dovute al Cristo”. (2 Corinti 11:3)
Riflettete su come ha corrotto il modo di pensare dell’umanità in generale.
13 Parlando a Eva, Satana accusò Geova di mentire e disse che gli uomini avrebbero potuto essere come
dèi se avessero disubbidito al loro Creatore. L’attuale condizione degradata del genere umano è la prova
che chi mentiva era Satana, non Geova. Oggi gli uomini non sono affatto dèi! Comunque, a quella prima
menzogna Satana ne fece seguire altre. Promosse l’idea che l’anima umana era immortale, imperitura.
Lasciò così intravedere agli uomini la possibilità di divenire come dèi in un altro modo. Poi, sulla base di
quella falsa dottrina, promosse insegnamenti quali l’inferno di fuoco, il purgatorio, lo spiritismo e il culto
degli antenati. Centinaia di milioni di persone sono ancora schiave di queste menzogne. — Deuteronomio
18:9-13.
14 Naturalmente ciò che Geova disse ad Adamo era la verità. Dopo aver peccato contro Dio, Adamo morì
sul serio. (Genesi 5:5) Quando Adamo e i suoi discendenti morirono, divennero anime morte, inconsce e
inattive. (Genesi 2:7; Ecclesiaste 9:5, 10; Ezechiele 18:4) A causa del peccato ereditato da Adamo, tutte
le anime umane muoiono. (Romani 5:12) Nell’Eden, comunque, Geova promise la venuta di un seme che
avrebbe combattuto contro le opere del Diavolo. (Genesi 3:15) Quel Seme fu Gesù Cristo, l’unigenito
Figlio di Dio. Gesù morì senza peccato e la vita che offrì in sacrificio divenne il riscatto per redimere il
genere umano dalla sua mortifera condizione. Coloro che ubbidientemente esercitano fede in Gesù
hanno l’opportunità di ricevere la vita eterna persa da Adamo. — Giovanni 3:36; Romani 6:23; 1 Timoteo
2:5, 6.
15 La vera speranza per il genere umano è il riscatto, non qualche vaga idea di una sopravvivenza
dell’anima. Questo è un insegnamento divino. È la verità. È anche una meravigliosa dimostrazione
dell’amore e della sapienza di Geova. (Giovanni 3:16) Come dovremmo essere grati di aver appreso
questa verità e di essere stati liberati dagli insegnamenti dei demoni su tale argomento! — Giovanni 8:32.
16 Mediante le menzogne che pronunciò nel giardino di Eden, Satana incoraggiò Adamo ed Eva ad
ambire all’indipendenza da Dio e a confidare nella loro sapienza. Oggi ne vediamo i risultati a lungo
termine nella criminalità, nelle difficoltà economiche, nelle guerre e nelle sfacciate disparità che affliggono
il mondo odierno. Non fa meraviglia che la Bibbia dica: “La sapienza di questo mondo è stoltezza presso
Dio”! (1 Corinti 3:19) Eppure la maggioranza degli esseri umani preferisce stoltamente soffrire anziché
prestare attenzione agli insegnamenti di Geova. (Salmo 14:1-3; 107:17) I cristiani, avendo accettato
l’insegnamento divino, evitano di cadere in questa trappola.
Ezechia (re di Giuda) — Tema: Fede e zelo non sono caratteristiche ereditarie EBREI 12:1;
GIOVANNI 2:17
it-1 903
FEBE [pura; luminosa; raggiante].
Cristiana della congregazione di Cencrea nel I secolo. Nella lettera scritta ai cristiani di Roma, Paolo
‘raccomanda’ loro questa sorella, e chiede che le sia dato tutto l’aiuto di cui poteva avere bisogno, poiché
aveva “mostrato di difendere molti, sì, me stesso”. (Ro 16:1, 2) Può darsi che Febe abbia portato a Roma
la lettera di Paolo o abbia accompagnato il latore della stessa.
Paolo chiama Febe “ministro della congregazione di Cencrea”. Questo induce a chiedersi in che senso
sia usato qui il termine diàkonos (ministro). Alcune traduzioni gli danno un significato ufficiale e perciò lo
rendono “diaconessa” (CEI, VR). Ma le Scritture non prevedono servitori di ministero donne. Altri
attribuiscono al termine significato generico e lo traducono “al servizio” (Ga). Comunque Paolo si riferiva
evidentemente a qualche cosa che aveva a che fare con la divulgazione della buona notizia, il ministero
cristiano, e parlava di Febe come di una donna ministro associata alla congregazione di Cencrea. — Cfr.
At 2:17, 18.
Febe aveva “mostrato di difendere molti”. Questa espressione traduce il sostantivo greco prostàtis, che
fondamentalmente significa “protettrice” o “soccorritrice”, e quindi non si limita al mostrare cordialità, ma
comporta il venire in aiuto di altri nel bisogno. Può anche essere tradotto “patrona”. Il fatto che fosse
libera di viaggiare e rendere notevoli servizi nella congregazione potrebbe indicare che Febe era vedova
e anche piuttosto ricca. Quindi poteva essere in grado di far valere l’influenza che aveva nella comunità a
favore dei cristiani che erano accusati ingiustamente, difendendoli; oppure poteva aver offerto loro rifugio
in momenti di pericolo, proteggendoli. La Bibbia comunque non fornisce particolari in merito.
Felice — Tema: Giuste o corrotte, le autorità superiori vanno rispettate ROMANI 13:1
it-1 933-4
FILIPPO [amante dei cavalli].
1. Uno dei primi discepoli fra i dodici apostoli di Gesù Cristo. Nei Vangeli di Matteo, Marco e Luca, Filippo
è menzionato per nome solamente nell’elenco degli apostoli. (Mt 10:3; Mr 3:18; Lu 6:14) Solo Giovanni
fornisce su di lui qualche informazione particolareggiata.
Filippo era dello stesso villaggio di Pietro e Andrea, cioè Betsaida sulla riva N del Mar di Galilea.
Sentendo l’invito di Gesù, “sii mio seguace”, Filippo fece proprio come aveva fatto Andrea il giorno prima.
Andrea era andato a cercare suo fratello Simone (Pietro) e l’aveva condotto da Gesù, e Filippo fece la
stessa cosa con Natanaele (Bartolomeo) dicendo: “Abbiamo trovato colui del quale scrissero Mosè, nella
Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret. . . . Vieni e vedi”. (Gv 1:40, 41, 43-49) La frase
“trovato Filippo, Gesù gli disse”, come pure le parole rivolte da Filippo a Natanaele, possono indicare che
si conoscevano già, in quanto Filippo menzionò il nome, la famiglia e la residenza di Gesù. Non è
precisato se tra Filippo e Natanaele (Bartolomeo) esistesse qualche rapporto oltre l’amicizia, ma nella
Bibbia sono sempre elencati insieme, tranne in Atti 1:13.
Quando Gesù entrò trionfalmente in Gerusalemme cinque giorni prima della Pasqua del 33 E.V. (Mr
11:7-11), alcuni greci volevano vederlo. Essi chiesero a Filippo di essere presentati, forse incoraggiati dal
suo nome greco, oppure semplicemente perché per caso si trovava lì. Ad ogni modo Filippo
evidentemente non si sentì autorizzato a esaudire la richiesta di quei greci (forse proseliti). Prima conferì
con Andrea, insieme al quale è menzionato anche in un’altra occasione (Gv 6:7, 8) e che forse era più in
confidenza con Gesù. (Cfr. Mr 13:3). Insieme presentarono a Gesù la richiesta, ma non i richiedenti. (Gv
12:20-22) Questo atteggiamento cauto e circospetto si nota anche nella risposta di Filippo alla domanda
di Gesù su come sfamare la moltitudine, e anche nella sua richiesta (fatta dopo le domande piuttosto
brusche di Pietro e Tommaso): “Signore, mostraci il Padre, e ci basta”. (Gv 6:5-7; 13:36, 37; 14:5-9) Il
tatto di Filippo è in netto contrasto con la schiettezza un po’ brusca di Pietro, e questi brevi accenni
rivelano che gli apostoli scelti da Gesù avevano personalità diverse.
A motivo dell’intimità che aveva con Natanaele (Bartolomeo) e con i figli di Zebedeo, può darsi che
Filippo fosse uno dei due discepoli non identificati che si trovavano sulla riva del Mar di Galilea quando
apparve il risuscitato Gesù. — Gv 21:2.
g79 22/7 27
"Chi ha veduto me, ha veduto il Padre": In che senso? ‘Ciò che dice la Bibbia’
IN UNA occasione Filippo, discepolo di Gesù, chiese: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. (Giov. 14:8)
Rispondendo a questa domanda, Gesù dichiarò: “Sono con voi da tanto tempo e non mi hai conosciuto,
Filippo? Chi ha veduto me, ha veduto il Padre”. (Giov. 14:9) Cosa intese dire Gesù con queste parole?
Prima di rispondere a questa domanda, consideriamo una particolare interpretazione delle parole di
Gesù. Alcuni credono che, se chi ha visto Gesù ha visto anche il Padre, Gesù debba essere
l’Onnipotente Dio, del tutto uguale al Padre, Geova.
Chi crede a questo cita anche molti passi del “Vecchio Testamento” che si riferiscono a Geova Dio, ma
che gli scrittori biblici cristiani (nel “Nuovo Testamento”) applicano a Gesù Cristo. Facciamo un esempio:
Per mezzo del profeta Isaia, Dio disse: “Io, sì, io sono il Signore e fuori di me non c’è Salvatore”. (Isa.
43:11) E in preghiera a Dio il salmista dichiarò: “Presso di te è la sorgente della vita, e nella tua luce noi
vediamo luce”. (Sal. 36:10) Tuttavia, gli scrittori biblici cristiani dichiarano che il salvatore dell’umanità e la
sorgente della vita e della luce è Gesù Cristo. — Giov. 1:4; 5:26; 8:12.
Brani paralleli come questi e il fatto che il Figlio di Dio disse: “Chi ha veduto me, ha veduto il Padre”,
provano forse che Gesù sia l’Onnipotente Dio? Vediamo.
Le Scritture si riferiscono ripetutamente a Gesù Cristo come a colui che Dio ha “mandato” come suo
principale rappresentante. (Vedi, ad esempio, Giovanni 3:17, 28, 34; 5:23, 24, 30, 37). Fatto degno di
nota, la Bibbia descrive spesso coloro che rappresentano altri come se fossero quelli rappresentati.
Considerate due esempi:
(1) Il Vangelo di Matteo narra che, dopo aver pronunciato il sermone del monte, Gesù entrò in
Capernaum, dove “gli venne vicino un centurione che lo supplicava” di guarire il suo schiavo. (Matt. 8:5-
13) Tuttavia, dal racconto parallelo di Luca 7:1-10 apprendiamo che il centurione “inviò [a Gesù] alcuni
anziani dei Giudei, per pregarlo che venisse a salvare il suo servo”.
(2) Nel Vangelo di Marco leggiamo che “gli si accostano Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo”,
chiedendo: “Concedi a noi di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e un altro alla sinistra”. (Mar.
10:35-37) Tuttavia, Matteo narra che in effetti questa richiesta fu fatta a Gesù dalla “madre dei figli di
Zebedeo”, come loro rappresentante. — Matt. 20:20, 21.
Naturalmente, nessuno concluderebbe da questi racconti biblici che quegli anziani giudei e il centurione
fossero coeguali, o che la madre di Giacomo e Giovanni e i suoi figli fossero coeguali. Allo stesso modo,
nessuno dovrebbe concludere che Gesù e Dio siano coeguali semplicemente perché certe cose dette di
Geova Dio in certe parti della Bibbia sono applicate a Gesù Cristo in altre parti. La vera ragione è che
Gesù rappresenta Dio.
È questo il motivo per cui il Figlio di Dio disse: “Chi ha veduto me, ha veduto il Padre”? Sì, ma questa
espressione non indica solo che lo rappresentava. La richiesta: “Signore, mostraci il Padre”, fa pensare
che Filippo chiedesse a Gesù di dare ai discepoli una manifestazione visibile di Dio, come quella che era
stata concessa in visione a Mosè, Elia e Isaia nei tempi antichi. (Eso. 24:10; 1 Re 19:9-13; Isa. 6:1-5)
Tuttavia, in tali visioni i servitori di Dio videro non Dio stesso, ma rappresentazioni simboliche di lui. (Eso.
33:17-22; Giov. 1:18) La risposta di Gesù indicò che Filippo aveva già qualcosa di meglio che visioni di
quel genere. Dato che Gesù rifletteva alla perfezione la personalità del Padre suo, che solo il Figlio
‘conosceva’ pienamente, vedere Gesù Cristo era come vedere Dio stesso. — Matt. 11:27.
I miracoli del Figlio di Dio, per esempio, manifestarono l’amore e la tenera compassione per il benessere
dell’uomo che sono tipici di Geova Dio. Non è strano che dopo avere Gesù risuscitato il figlio morto di una
vedova della città galilea di Nain, gli osservatori esclamassero: “Dio ha visitato il suo popolo”! — Luca
7:11-16.
Le parole che Gesù disse, sia per il significato che per il modo in cui le pronunciò, diedero ulteriori
opportunità di ‘vedere il Padre’ (cioè capire la sua personalità, la sua volontà e il suo proposito). Chi
ascoltò Gesù apprese che Dio giudica secondo la condizione del cuore, anziché da cose esterne come
ricchezza, istruzione, purezza cerimoniale od origine nazionale. (Matt. 5:8; 8:11, 12; 23:25-28; Giov. 8:33-
44) Che differenza rispetto al punto di vista dei capi religiosi giudei! — Nota Giovanni 7:48, 49.
Anche il modo in cui Gesù parlava fece capire ai suoi ascoltatori che udivano un messaggio da Dio,
poiché “insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi”. (Matt. 7:29) Anziché parlare
indirettamente, nel nome di altri insegnanti umani (com’era usanza tra gli scribi), Gesù parlò spesso in
prima persona, dicendo: “Io vi dico”, “In verità vi dico”, e “In verità, in verità vi dico”. (Si noti Matteo 5:20,
22; 6:2, 5, 16; Giov. 1:51; 3:3, 5, 11; 5:19, 24, 25). A volte Gesù dichiarò perfino che i peccati di certuni
erano perdonati, cosa per cui alcuni lo accusarono di usurpare in modo blasfemo una prerogativa che
apparteneva esclusivamente a Dio. — Mar. 2:1-7; Luca 5:17-21; 7:47-49.
Ma Gesù non usurpò mai la posizione di Dio. Ammise prontamente che l’autorità con cui parlava e agiva
non aveva origine da lui. Era un’autorità che gli era stata delegata, poiché “tutto il Padre gli aveva dato
nelle mani”. (Giov. 13:3; confronta Matteo 11:27; 28:18; Giov. 3:35; 17:2). Pertanto Gesù dichiarò: “In
verità, in verità vi dico, il Figlio nulla può fare da se stesso se non vede che il Padre lo fa: poiché quanto
egli fa, questo anche il Figlio similmente fa”. — Giov. 5:19; confronta Giovanni 5:30; 8:28, 42.
Dato che Gesù faceva tutto in piena armonia con la volontà di Dio, chi osservava Gesù in un certo
senso osservava Dio all’opera. Nelle sue note su Giovanni 14:9, il commentatore biblico Albert Barnes
esprime bene questo pensiero: “Ha visto il Padre. Questo non può riferirsi all’essenza o alla sostanza di
Dio, poiché egli è invisibile, e sotto questo aspetto nessun uomo ha in nessun tempo veduto Dio. Quando
dice che Dio è visto, significa solo che è stata data qualche manifestazione di Lui; o che è stata data
qualche dimostrazione del genere affinché conosciamo il suo carattere, la sua volontà e i suoi propositi. .
. . Conoscere il Figlio significava, naturalmente, conoscere il Padre. C’era un’unione così intima nella loro
disposizione e nei loro intenti, che chi capiva l’uno capiva anche l’altro”. — Confronta Giovanni 10:30.
[Note in calce]
Tutte le citazioni scritturali di questo articolo sono prese dalla Bibbia Concordata (Mondadori, 1968);
questa versione è approvata sia dalle autorità cattoliche che da quelle protestanti.
Ulteriori esempi di rappresentanti dei quali si parla come di coloro che essi rappresentano si trovano in
Matteo 10:40; 18:5; Luca 9:48; Giov. 4:1, 2.
Filippo (n. 2) --- Tema: Siate persone spirituali 1CORINTI 2:14-16
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FILIPPO [amante dei cavalli].
2. Evangelizzatore e missionario del I secolo. Come Stefano, Filippo fece parte dei sette ‘uomini che
avevano buona testimonianza, pieni di spirito e sapienza’ scelti per la quotidiana, imparziale distribuzione
di viveri fra le vedove cristiane di lingua greca e di lingua ebraica di Gerusalemme. (At 6:1-6) L’attività di
Filippo (come del resto quella di Stefano) una volta terminato questo servizio speciale conferma la grande
spiritualità degli uomini che avevano tale mansione amministrativa; infatti Filippo svolse un’opera simile a
quella svolta in seguito dall’apostolo Paolo, benché più limitata.
Quando la persecuzione disperse tutti, tranne gli apostoli che rimasero a Gerusalemme, Filippo andò a
Samaria e là proclamò la buona notizia del Regno e, grazie al miracoloso potere dello spirito santo,
scacciò demoni e guarì paralitici e zoppi. Traboccanti di gioia, moltissimi accettarono il messaggio e
furono battezzati, incluso un certo Simone che aveva praticato le arti magiche. (At 8:4-13) Perciò quando
gli apostoli udirono “che Samaria aveva accettato la parola di Dio, inviarono loro Pietro e Giovanni”,
affinché quei credenti battezzati potessero ricevere il gratuito dono dello spirito santo. — At 8:14-17.
Filippo fu poi condotto dallo spirito di Geova incontro all’eunuco etiope sulla strada di Gaza, dove in
breve tempo quell’“uomo al potere sotto Candace regina degli etiopi” ripose fede in Gesù e chiese a
Filippo di essere battezzato. (At 8:26-38) Di lì Filippo si diresse ad Asdod e raggiunse poi Cesarea
‘dichiarando la buona notizia in tutte le città’ incontrate per via. (At 8:39, 40) La sua fu davvero l’opera di
un “evangelizzatore”. — At 21:8.
A Cesarea, centro di scambi internazionali, circa 20 anni dopo Filippo svolgeva ancora attivamente il
ministero, ed era ancora noto come “uno dei sette uomini” scelti dagli apostoli. Luca, che verso il 56 E.V.
rimase per qualche tempo in casa di Filippo insieme a Paolo, riferisce che “quest’uomo aveva quattro
figlie, vergini, che profetizzavano”. (At 21:8-10) Poiché le quattro figlie di Filippo avevano già un’età che
consentiva loro di svolgere un’opera profetica, è possibile che Filippo fosse già sposato all’epoca della
sua precedente attività.
it-1 937-8
FINEAS (Fìneas).
1. Figlio di Eleazaro e nipote di Aaronne; sua madre era figlia di Putiel e suo figlio si chiamava Abisua.
(Eso 6:25; 1Cr 6:4) La rapida azione del giovane Fineas pose fine alla piaga mandata da Geova, dopo
che nella pianura di Moab erano già morti 24.000 israeliti per avere commesso fornicazione ed essersi
uniti al Baal di Peor. Quando scorse Zimri portare la madianita Cozbi nella sua tenda, Fineas li trafisse
entrambi con una lancia, “la donna per le parti genitali”. Questo zelo nel ‘non tollerare rivalità alcuna’ nei
confronti di Geova “gli fu attribuito a giustizia”, e Dio fece un patto in base al quale il sacerdozio sarebbe
rimasto nella sua discendenza “a tempo indefinito”. — Nu 25:1-3, 6-15; Sl 106:30, 31.
Durante la sua vita Fineas ebbe vari incarichi. Rappresentò il sacerdozio nell’esercito che eseguì la
vendetta di Geova su Madian. (Nu 31:3, 6) Quando sembrava che tre tribù avessero abbandonato
l’adorazione di Geova, fu responsabile del gruppo incaricato di investigare la cosa. (Gsè 22:9-33) Era
capo dei custodi del tabernacolo. (1Cr 9:20) Dopo che suo padre fu sepolto sul Colle di Fineas, egli
prestò servizio come sommo sacerdote. (Gsè 24:33; Gdc 20:27, 28) Il suo nome figura in diverse
genealogie posteriori all’esilio. — 1Cr 6:4, 50; Esd 7:5; 8:2.
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FINEAS (Fìneas).
2. Il minore dei due figli “buoni a nulla” del sacerdote Eli. (1Sa 1:3; 2:12) Mentre prestavano servizio come
sacerdoti, lui e il fratello Ofni avevano rapporti con donne presso il santuario e “trattavano l’offerta di
Geova senza rispetto”. (1Sa 2:13-17, 22) Debolmente ripresi dal padre, rifiutarono di dare ascolto. Per la
loro malvagità Dio pronunciò un giudizio contro di loro, che si adempì quando entrambi furono uccisi lo
stesso giorno mentre combattevano contro i filistei. (1Sa 2:23-25, 34; 3:13; 4:11) La notizia della cattura
dell’Arca e della morte del suocero e del marito fu fatale per la moglie di Fineas che, colta
prematuramente dalle doglie, morì nel dare alla luce Icabod. — 1Sa 4:17-21.
Gabriele — Tema: Trasmessi fedelmente i messaggi di Dio EBREI 1:14
W67 P. 58-62
Geremia (n. 6) — Tema: Geova dà potenza oltre ciò che è normale 2°CORINTI 4:7
w93 15/7 25-6 Abbiate tenera cura delle preziose pecore di Geova
Si deve rendere conto
Un altro ben noto pastore fu il patriarca Giacobbe. Egli si sentiva personalmente responsabile di ciascuna
pecora affidatagli. Era stato così scrupoloso nel badare ai greggi di suo suocero Labano, che dopo 20
anni trascorsi al suo servizio poté dirgli: “Le tue pecore e le tue capre non hanno abortito, e non ho mai
mangiato i montoni del tuo gregge. Non ti ho portato alcun animale sbranato. Ne subivo io la perdita. Se
uno era rubato di giorno o era rubato di notte, lo richiedevi dalla mia mano”. — Genesi 31:38, 39.
I sorveglianti cristiani manifestano una preoccupazione anche maggiore per le pecore che il Pastore delle
nostre anime, Geova Dio, “acquistò col sangue del suo proprio Figlio”. (Atti 20:28; 1 Pietro 2:25; 5:4)
Paolo mise in risalto la serietà di questa responsabilità quando, parlando degli uomini che prendono la
direttiva nella congregazione, ricordò ai cristiani ebrei: “Essi vigilano sulle vostre anime come coloro che
renderanno conto”. — Ebrei 13:17.
L’esempio di Giacobbe fa anche capire che l’opera del pastore non conosce sosta. Si svolge giorno e
notte e spesso richiede spirito di sacrificio. Giacobbe disse a Labano: “La mia esperienza è stata che di
giorno mi consumava il caldo e di notte il freddo, e il sonno fuggiva dai miei occhi”. — Genesi 31:40.
Oggi si può sicuramente dire altrettanto di molti amorevoli anziani cristiani, come illustra la seguente
esperienza. In seguito a complicazioni sopraggiunte dopo una biopsia per un tumore al cervello, un
fratello fu ricoverato nel reparto di terapia intensiva di un ospedale. I familiari disposero di stargli vicino
giorno e notte. Per dar loro il necessario incoraggiamento e appoggio morale, uno degli anziani locali
modificò il suo programma denso di impegni in modo da andare a trovare tutti i giorni il malato e i suoi
familiari. A motivo però della terapia intensiva, non sempre l’anziano poteva fare la visita di giorno. Perciò
spesso doveva andare all’ospedale la sera tardi. Ma fu felice di farlo, sera dopo sera. “Mi rendevo conto
che dovevo fare la visita in un momento adatto per il paziente, non per me”, disse l’anziano. Quando il
fratello si riprese abbastanza da essere trasferito in un altro reparto, l’anziano continuò le sue
incoraggianti visite quotidiane di giorno.
W59 P.333-335
W65 P.263-264
Giacomo (figlio di Giuseppe e Maria) — Tema: Mai perdere la speranza che i familiari accettino la verità
1°CORINTI 7:12-15
W55 P.109-111
W56 P.425
W65 P.434
Giobbe — Tema: L’incrollabile integrità reca il favore di Geova GIOBBE 27:5b
W67 P.138-145
W98 1-5 P.30, 31
Giona (n. 1) — Tema: Adempite le responsabilità che Dio vi ha affidato 2°TIMOTEO 1:13, 14
w76 15/7 435-6 Rimanete saldi come vedendo Colui che è invisibile
13 Anche Giosuè, successore di Mosè, manifestò fede. Egli pure ‘vide’ Geova. Quando i sacerdoti che
trasportavano l’arca del patto entrarono nel fiume Giordano, le acque a monte si fermarono
miracolosamente. Mentre i sacerdoti erano sull’asciutto in mezzo al fiume Giordano, gli Israeliti ne
attraversarono il letto prosciugato. La presenza di Geova fu realmente sentita da quegli Israeliti. Avanti
verso Gerico! Lì, per sei giorni consecutivi, fecero un giro ogni giorno attorno alla città e poi, il settimo
giorno, fecero sette volte il giro intorno alla città. Quando i sacerdoti suonarono il corno e il popolo gridò,
le mura di Gerico apparentemente imprendibili crollarono. Veramente gli Israeliti poterono ‘vedere’ Geova
in tutto questo. (Gios. 3:15-17; 6:10-16) Ma in quell’occasione anche qualcuno che era dentro Gerico
‘vide’ Geova. Fu Raab. Avendo ella riposto fede nella grande potenza di Geova, fu risparmiata, insieme
alla sua famiglia. Aveva dimostrato la sua fede con le opere che aveva compiute nascondendo i
messaggeri di Geova. — Gios. 2:1-21; 6:25; Giac. 2:25; Ebr. 11:30, 31.
L’insuccesso di un apostata
18 Poco tempo dopo la clamorosa vittoria ottenuta a Gerico, si verificò un fatto sorprendente. Le forze
d’assalto che Giosuè aveva inviato ad abbattere la vicina città di Ai vennero messe in rotta! “Di
conseguenza il cuore del popolo si struggeva e diveniva come acqua”. Sconvolto, Giosuè esclama in
preghiera: “Ohimè, Signore Geova, . . . che cosa farai tu per il tuo grande nome?” — Giosuè 7:2-9.
19 Geova quindi rivelò a Giosuè che in Israele era stata commessa “una vergognosa follia”. Il
trasgressore fu scoperto: era Acan, della tribù di Giuda. Aveva rubato dalle spoglie di Gerico una “bella”
veste babilonese, oro e argento. Geova ‘diede l’ostracismo’ ad Acan, e lui e la sua famiglia vennero
lapidati. Quindi essi e i loro beni furono bruciati col fuoco. A durevole testimonianza di quell’esecuzione
del giudizio di Geova, sul corpo di Acan fu messo un grosso mucchio di pietre e quella località fu
chiamata “Bassopiano di Acor”, nome che significa “ostracismo; afflizione”. Ancora una volta Geova disse
a Giosuè: “Non aver timore e non ti atterrire”. Il nome di Geova fu esaltato: infatti Giosuè non subì più
sconfitte in battaglia. — Giosuè 7:10–8:1.
20 Esiste un parallelo moderno del peccato di Acan? Sì. L’apostolo Paolo mise in guardia contro
“oppressivi lupi” che non avrebbero tenuto conto dell’ordine teocratico e avrebbero cercato il proprio
tornaconto egoistico. Dal 1919, di tanto in tanto, in mezzo al popolo di Dio si sono manifestate simili
persone avide. Per fare un esempio recente, verso la metà degli anni ’70 alcuni anziani piuttosto in vista
si fecero prendere dal malcontento. Pensavano non fosse consono alla loro “dignità” dare testimonianza
di casa in casa e proclamare il messaggio del Regno secondo l’esempio lasciato dagli apostoli di Gesù.
(Atti 5:42; 20:20, 21, 29, 30) Ritennero opportuno volgersi nuovamente a insegnamenti babilonici.
Subdolamente cercarono di insinuare dei dubbi in merito agli “ultimi giorni” e di far rallentare l’opera dei
testimoni di Geova. (II Pietro 3:3, 4) Infine, li si dovette disassociare. — II Giovanni 10, 11; confronta
Filippesi 1:15-17; Ebrei 6:4-8.
21 La Torre di Guardia del 1° gennaio 1980 mostrò molto chiaramente qual è la base scritturale del nostro
ministero di casa in casa e quanto esso sia quindi importante. I Testimoni leali si inoltrarono con vigore
negli anni ’80! È probabile che la presenza di un piccolo numero di apostati abbia contribuito al
rallentamento dell’opera di Geova durante la seconda metà degli anni ’70, allorché l’aumento medio
annuo nel numero di testimoni di Geova attivi scese addirittura a meno dell’1 per cento. Invece, negli
scorsi cinque anni l’aumento annuo medio è stato superiore al 6 per cento. A livello mondiale è stato
raggiunto un massimo di 3.024.131 proclamatori nel 1985, rispetto ai 2.179.256 del 1975. Geova
continua ad ‘affrettare’ la sua opera! — Isaia 54:2, 3; 60:22.
22 Il nome di Geova è divenuto realmente maestoso in tutta la terra! Ma, mediante il libro di Giosuè, egli
‘annuncia’ molte altre cose, come vedremo. — Isaia 42:8, 9.
Giovanni (n. 1) — Tema: Compite con zelo il vostro ministero TITO 2:14
Giovanni (n. 3) — Tema: Siate leali a Dio e amate i fratelli SALMO 18:25; 1°GIOVANNI 4:11
W59 P.333-334
Giuda, I (n. 1) — Tema: Qualità che Geova benedice RIVELAZIONE 5:5
W62 P.461-464
Giuda, I (n. 12) — Tema: Le persone possono cambiare EBREI 4:12
w77 1/5 283-4 Giuda mette in guardia contro l'infiltrazione di uomini malvagi
Giuda mette in guardia contro l’infiltrazione di uomini malvagi
“ODIATE ciò che è male”. “Aborrite ciò che è malvagio”. Perché la Parola di Dio ci dà questi avvertimenti?
Perché ciò che è male o malvagio, pur promettendoci spesso piaceri o vantaggi mondani, può
allontanarci dalle giuste norme di Geova. — Sal. 97:10; Rom. 12:9.
In tutta la storia biblica i fedeli portavoce di Dio hanno espresso forte odio per ciò che è cattivo, malvagio.
Un eccellente esempio di ciò si trova nel breve libro biblico di Giuda.
Chi era Giuda? Egli parla di sé come del fratello di Giacomo; questo Giacomo poteva essere solo il ben
noto Giacomo (di cui si fa menzione nell’ultima parte del libro di Atti), che era fratellastro di Gesù. È vero
che Giuda non dice di essere fratellastro di Gesù, come non lo dice Giacomo, e indubbiamente per la
stessa ragione, per modestia. Inoltre Giuda poté pensare che non fosse appropriato vantare la propria
parentela carnale, ora che il suo fratellastro Gesù era una persona spirituale nei cieli.
La lettera di Giuda è indirizzata ai cristiani che sono chiamati da Dio e che hanno un’amorevole relazione
con lui. Molto probabilmente Giuda scrisse la sua lettera in Gerusalemme e prima della distruzione del 70
E.V., poiché non accenna minimamente che sia già avvenuta. Inoltre, poiché evidentemente cita la
seconda lettera di Pietro, sembra che debba aver scritto la sua lettera verso il 65 E.V.
Giuda è molto indignato perché certi uomini malvagi si sono infiltrati nella congregazione cristiana,
“uomini empi, che mutano l’immeritata benignità del nostro Dio in una scusa per condotta dissoluta e
[così] si mostrano falsi [a] . . . Gesù Cristo”. (Giuda 4) Egli cita poi esempi ammonitori: gli Israeliti che
morirono nel deserto per la loro mancanza di fede; gli angeli che presero forma umana per coabitare con
le donne, per cui ‘Dio li ha riservati con legami sempiterni sotto dense tenebre per il giorno del giudizio’; e
gli abitanti di Sodoma e Gomorra che similmente praticarono grande immoralità e furono distrutti.
Questi uomini che si sono insinuati nelle congregazioni cristiane non solo sono molto immorali, ma anche
orgogliosi e ribelli. Essi trascurano la signoria e parlano ingiuriosamente dei gloriosi nella congregazione
cristiana. Perfino l’arcangelo Michele non osò parlare in termini ingiuriosi quando disputava col Diavolo
per il corpo di Mosè, ma disse: “Ti rimproveri Geova”. — Giuda 9.
Quindi Giuda li paragona a Caino, che assassinò il suo fratello che era giusto, a Balaam che avidamente
cercò il guadagno egoistico, e a Cora che si ribellò contro Mosè nel deserto, solo per essere consumato
dal fuoco.
Con crescente indignazione Giuda li descrive come infidi scogli, nascosti sott’acqua; come nubi che
promettono pioggia ma sono senz’acqua e come alberi sradicati perché non portavano frutto. Sono come
impetuose onde del mare, schiumanti di sudiciume e sono pure come stelle vaganti, da cui nessun
marinaio oserebbe lasciarsi guidare. Egli inoltre definisce o stigmatizza questi malcontenti come
mormoratori, lamentatori, che sono guidati da desideri egoistici, dicono grandi parole gonfie, ammirano le
personalità per guadagno egoistico, essendo animaleschi, privi di spiritualità. Non vi è dubbio che Giuda
odia ciò che è male, e rende un buon servizio a tutti i cristiani mettendoli in guardia contro tali uomini
malvagi. — Giuda 11-13, 16.
Dopo aver completamente smascherato questi malvagi e messo in guardia contro di loro, Giuda consiglia
ai fedeli cristiani di rimanere nell’amore di Dio. In che modo? Rafforzandosi nella fede, con la preghiera e
l’aiuto dello spirito santo di Dio. Inoltre consiglia ai cristiani di aiutare quelli che potrebbero avere dubbi,
onde strapparli per così dire dal fuoco, e anche di aiutare quelli la cui condotta è stata impura, ma di farlo
con timore, per non lasciarsi trascinare nella via errata. — Giuda 17-23.
Giuda menziona alcuni avvenimenti di cui non si parla nelle Scritture Ebraiche, come la disputa di
Michele col Diavolo per il corpo di Mosè e la profezia di Enoc. Egli poteva esser venuto a conoscenza di
questi fatti per ispirazione diretta oppure è possibile che avesse a disposizione fonti fidate, diverse dalle
Sacre Scritture, che contenevano la profezia di Enoc. Si può trovare un parallelo nel riferimento di Paolo
a certuni che contrastarono Mosè, persone che non sono menzionate in Esodo, e a certe parole di Gesù
che non si trovano in alcuno dei Vangeli. — Atti 20:35; 2 Tim. 3:8.
Si potrebbe ben dire che le severe condanne di Giuda non sono mai state più appropriate di ora quando
la malvagità abbonda e l’amore di molti si è raffreddato. Per non aver compreso questi fatti, non pochi
hanno trasformato l’immeritata benignità di Dio in una scusa per condotta sfrenata, o si sono lasciati
prendere da uno spirito di ribellione. Davvero questi esempi dovrebbero essere per tutti i dedicati cristiani
un incentivo a fare il possibile per rimanere nell’amore di Dio e stare in guardia contro gli uomini empi che
potrebbero infiltrarsi nella congregazione cristiana.
w86 1/11 19-20 Giovani: il vostro ruolo in una famiglia felice e unita
Imparate a ‘portare il giogo durante la giovinezza’
13 Quando ricevette il suo incarico da Geova, il profeta Geremia esclamò: “Effettivamente io non so
parlare, poiché non sono che un ragazzo”! Ma Geova lo rassicurò e lo rafforzò. A motivo delle sofferenze,
dei timori e dello scoraggiamento, a volte Geremia provò il desiderio di smettere, e in un’occasione disse:
“Maledetto sia il giorno in cui nacqui!” (Geremia 1:6, 19; 20:7-9, 11, 14) In seguito, scrisse: “È bene che
l’uomo robusto porti il giogo durante la sua giovinezza”. (Lamentazioni 3:27) Ma in che senso può essere
utile portare un giogo di afflizioni? La vicenda di Giuseppe ce lo fa capire molto bene.
14 A 17 anni Giuseppe ricevette in sogno la promessa divina secondo la quale lui avrebbe occupato una
posizione importante. Ma purtroppo i fratelli, gelosi, lo vendettero in schiavitù. Finì in Egitto e
successivamente fu gettato in catene in una prigione sotterranea dietro la falsa accusa di tentata violenza
carnale. (Genesi 37:2, 4-11, 28; 39:20) Questo giovane esemplare, erede di una straordinaria promessa,
era ora rinchiuso tra le squallide pareti di una segreta! Poiché si trovava in terra straniera, non aveva
neppure un amico che si preoccupasse del suo caso o intercedesse per lui.
15 “Afflissero con i ceppi i suoi piedi [di Giuseppe], la sua anima venne entro i ferri; fino al tempo che
venne la sua parola, il detto di Geova stesso lo raffinò”. (Salmo 105:17-19) Giuseppe soffrì come schiavo
e prigioniero per 13 anni prima che si avverasse la promessa di Geova. Questa esperienza lo raffinò.
Geova permise queste difficoltà per uno scopo, anche se non fu lui a provocarle. Avrebbe Giuseppe
continuato a riporre la propria speranza nel “detto di Geova” pur se sottoposto a questa durissima prova?
Sarebbe riuscito a far maturare le sue buone qualità e a conseguire la pazienza, l’umiltà, la forza
spirituale e la determinazione necessarie per superare questa difficile situazione? Ebbene, Giuseppe uscì
da quella prova come l’oro dopo che è stato raffinato dal fuoco: più puro e ancor più prezioso agli occhi di
Dio, che lo avrebbe poi usato in maniera meravigliosa. — Genesi 41:14, 38-41, 46; 42:6, 9.
16 Sia Giuseppe che Geremia non soffrirono per colpa loro. Avevano già coltivato delle qualità sante. Ma
si raffinarono ancora di più man mano che fronteggiarono le avversità. Quanto più hanno bisogno di
essere raffinati quei giovani che hanno sbagliato! Se lasciate che essa vi addestri, la disciplina — a volte
molto difficile da accettare — produrrà giustizia. (Ebrei 12:5-7, 11) Questo addestramento può produrre
una forza interiore simile a quella dell’acciaio temperato. Così come “Geova continuò ad essere con
Giuseppe e gli mostrava amorevole benignità”, egli vi darà forza oltre ciò che è normale e vi
ricompenserà riccamente per la vostra perseveranza. — Genesi 39:21; II Corinti 4:7.
17 Per esempio, una ragazza pensò di andarsene di casa perché le sembrava che il suo nuovo patrigno
fosse troppo rigido e non capisse come lei si sentiva dopo la morte del suo amatissimo padre.
Rendendosi conto però che questo non avrebbe fatto altro che aggravare i problemi, rimase a casa e
perseverò. Ora, quasi 13 anni dopo, dice: “La disciplina del mio patrigno mi ha reso una persona migliore.
Quando vivevo sola con mia madre, ero viziata e ribelle. Volevo sempre fare le cose a modo mio. Ho
imparato a tener conto degli altri. Geova ha esaudito le mie molte preghiere per avere la forza di
abituarmi alla morte di mio padre e di avvicinarmi di più al mio patrigno”. Certo, se imparerete a vivere
con le avversità, vi avvicinerete di più a Geova. Egli potrà così divenire vostro Amico, ‘la vostra fiducia
dalla giovinezza’. — Salmo 71:5.
18 Non dimenticate mai che non è l’ambiente familiare da solo a determinare quanto valete come
persona, né quale sarà il vostro futuro. Ma “mediante le sue pratiche il ragazzo [o la ragazza] fa
riconoscere se la sua attività è pura e retta”. (Proverbi 20:11) Le vostre pratiche rette vi renderanno cari a
Dio e daranno un senso e un significato alla vostra vita. Nessuna famiglia è perfetta, ma cercate le qualità
positive che esistono in casa vostra. Pensate ai sacrifici che i vostri genitori hanno fatto per fornirvi cibo,
vestiario, un tetto, cure mediche, e cose del genere. Anziché ripagarli con l’ingratitudine, ‘onorate vostro
padre e vostra madre’. Teneteli in gran conto, considerateli preziosi. — Efesini 6:1-3; Proverbi 16:20;
17:13.
19 Se avrete un buon dialogo con i genitori, li amerete di più. Ubbidirete così di cuore. “Figlio mio [o figlia
mia], non dimenticare la mia legge, e il tuo cuore osservi i miei comandamenti”, esorta il padre saggio,
che specifica poi quali ricompense ci saranno, “perché ti saranno aggiunti lunghezza di giorni e anni di
vita e pace”. — Proverbi 3:1, 2.
[Nota in calce]
Lo studioso A. Cohen commenta così questo versetto: “Nel cuore del nostro amico vediamo riflesso il
nostro stesso carattere. . . . È grazie a un aperto e cordiale rapporto di amicizia che impariamo a
conoscere noi stessi e a capire cosa abbiamo dentro”. (Proverbi, Soncino Press) La versione biblica di W.
F. Beck dice in parte: “Così puoi vedere te stesso riflesso nel cuore di un altro uomo”.
[Figura a pagina 18]
Come il giogo delle difficoltà raffinò la personalità di Giuseppe, così la vostra personalità sarà raffinata se
sopporterete le difficoltà mentre siete giovani
Giuseppe (n. 8) — Tema: Siate ubbidienti e giusti MATTEO 1:18; ESODO 24:7b
Giuseppe (n. 9) — Tema: Non rinunciate alla speranza che i vostri parenti accettino la verità
1°CORINTI 13:7
2. Esperto artigiano che fece molti degli arredi del tempio di Salomone. Suo padre era di Tiro, mentre sua
madre era una vedova “della tribù di Neftali” (1Re 7:13, 14), “dei figli di Dan”. (2Cr 2:13, 14) Questa
apparente discrepanza si risolve se si suppone, come fanno alcuni studiosi, che essa fosse per nascita
della tribù di Dan e che, rimasta vedova di un primo marito della tribù di Neftali, si fosse quindi risposata
con uno di Tiro.
Hiram, il re di Tiro (n. 1), mandò questo Hiram a sorvegliare i lavori di costruzione di Salomone a motivo
della sua abilità ed esperienza nel lavorare materiali come oro, argento, rame, ferro, pietra e legno. Hiram
era inoltre insolitamente abile nella tintura, nell’incisione e nel fare progetti di ogni sorta. Sin dall’infanzia
doveva aver fatto esperienza tecnica nelle arti decorative dell’epoca lavorando col padre originario di
Tiro, egli stesso esperto nel lavorare il rame. — 1Re 7:13-45; 2Cr 2:13, 14; 4:11-16.
Il re di Tiro chiama evidentemente quest’uomo Hiram-Abi, appellativo che alla lettera significa “Hiram mio
padre”. (2Cr 2:13) Con questo il re non voleva dire che Hiram fosse letteralmente suo padre, ma forse
che era il “consigliere” o l’“artefice” del re. Sembra che anche l’espressione Hiram-Abiv (lett. “Hiram suo
padre”) voglia dire ‘Hiram è il suo artefice’, cioè l’artefice del re. — 2Cr 4:16.
g95 8/9 21 Cosa possiamo fare perché le nostre preghiere vengano esaudite
Agite!
Anche se è vero che la sua relazione con Dio ebbe un ruolo essenziale, Davide riconobbe che non
poteva starsene passivamente a osservare i risultati della sua preghiera. Al contrario, Davide assunse un
ruolo attivo come è evidente dal modo saggio in cui agì dopo aver pregato.
Fra i leali amici di Davide c’era un archita di nome Husai. Husai incontrò il re fuggiasco sul Monte degli
Ulivi. Anche se desiderava andare in esilio insieme a lui, Husai ubbidì all’esortazione di Davide e rimase
in città. Doveva fingere lealtà ad Absalom, cercare di frustrare il consiglio del traditore Ahitofel e tenere
informato Davide. (2 Samuele 15:32-37) Come sperato, Husai riuscì a guadagnarsi la fiducia di Absalom.
Ora sarebbe intervenuto Geova.
Ahitofel, uomo ingegnoso anche se infido, propose un ottimo piano. Esortò Absalom a dargli 12.000
uomini per attaccare Davide quella notte stessa mentre era in fuga, disorganizzato e vulnerabile: sarebbe
stato il colpo di grazia che avrebbe suggellato il successo della ribellione! Tuttavia, con sorpresa di molti,
Absalom chiese consiglio a Husai. Questi lo esortò a prendersi il tempo di radunare un esercito molto
numeroso, di cui lui stesso, Absalom, avrebbe assunto il comando. Grazie alla guida di Geova, il
consiglio di Husai venne accettato. Ahitofel, evidentemente comprendendo che seguire il consiglio di
Husai significava andare incontro a una sicura sconfitta, tornò a casa e si suicidò. — 2 Samuele 17:1-14,
23.
Non c’era dubbio che Geova aveva esaudito la preghiera di Davide, proprio come egli aveva chiesto.
L’esempio di Davide in quanto all’agire in armonia con ciò per cui si prega costituisce una preziosa
lezione per tutti quelli che chiedono aiuto a Dio in preghiera.
Iael — Tema: Un’azione coraggiosa e decisa adempie una profezia GIUDICI 4:9, 21, 22
w84 1/4 12-13 Milioni di persone ora viventi continueranno a vivere sulla terra per sempre
20 Quei milioni di superstiti ricorderanno che Gesù, subito dopo aver risuscitato il caro amico Lazzaro
dalla tomba situata a Betania, vicino a Gerusalemme, comandò ai testimoni di quel miracolo di sciogliere
Lazzaro dalle sue bende funebri. Similmente, quando Gesù risuscitò la figlia del governante ebreo Iairo,
“ordinò che le si desse qualche cosa da mangiare”. (Luca 8:55; Giovanni 11:44) Senz’altro ai superstiti
saranno date istruzioni dal cielo perché facciano i dovuti preparativi per il ritorno dei miliardi di morti
umani.
21 Ci sarà anche una grande opera educativa da compiere. Questo è in armonia col proposito divino
secondo cui i morti umani torneranno per valersi pienamente del sacrificio di riscatto di Gesù Cristo. Solo
facendo la sua volontà saranno autorizzati a continuare a vivere su una terra edenica nella perfezione
umana. Già i componenti della “grande folla” di probabili superstiti della “grande tribolazione” si preparano
a partecipare a quello splendido programma di istruzione. Essi si sono personalmente valsi dei benefìci
della morte sacrificale dell’“Agnello di Dio”, Gesù Cristo. (Giovanni 1:29) Questo è quanto viene indicato
in Rivelazione 7:9-14, dove, fra l’altro, è detto di loro: “Questi sono quelli che vengono dalla grande
tribolazione, e hanno lavato le loro lunghe vesti e le han rese bianche nel sangue dell’Agnello”. Avendo
ricevuto i benefìci del riscatto di Cristo, sono descritti come “vestiti di lunghe vesti bianche”.
Iedutun (musicista levita) — Tema: Lodate Geova con la musica EFESINI 5:19; COLOSSESI 3:16
W67 P.186-190
Ieoiada (sommo sacerdote) — Tema: Promuovete la vera adorazione con saggezza e coraggio
ESODO 20:4, 5
W59 P.402-403
Ieoram (figlio di Acab) — Tema: Chi è senza fede non può aspettarsi la benedizione di Dio EBREI 11:6
Ietro — Tema: Non siate troppo orgogliosi per ascoltare i suggerimenti PROVERBI 19:20
w79 1/6 16 Uomini saggi, discreti ed esperti per guidare il popolo di Dio
Uomini saggi, discreti ed esperti per guidare il popolo di Dio
“E di sicuro vi darò pastori secondo il mio cuore, ed essi per certo vi pasceranno con conoscenza e
perspicacia”. — Ger. 3:15.
IL POPOLO d’Israele era sulle pianure di Moab, pronto per attraversare il Giordano ed entrare nel paese
di Canaan. Nel loro interesse, Mosè narrò ciò che Dio aveva fatto per loro nei 40 anni che erano stati nel
deserto del Sinai. La prima parte di quel periodo era stata turbolenta, particolarmente per Mosè, a causa
degli errati atteggiamenti prevalenti nella nazione. Quindi Mosè rammentò loro che, non essendo in grado
di continuare a portare da solo il peso di un popolo litigioso, aveva seguito il consiglio di Ietro e aveva
detto al popolo: “Prendete uomini saggi e discreti ed esperti delle vostre tribù, affinché io li ponga come
capi su di voi”. — Deut. 1:3, 12, 13; Eso. 18:17-26.
W66 P.31, 32
W69 P.751-752
Ieu (n. 3) — Tema: Lo zelo può essere rovinato dal permissivismo ESDRA 4:22
W69 P.5-8
W98 1-1 P.12-17
Imeneo — Tema: Guardatevi dagli apostati! GIOBBE 36:13; PROVERBI 11:9
it-2 34 Ioanan
IOANAN
(Iòanan) [forma abbreviata di Ieoanan, che significa “Geova ha mostrato favore; Geova è stato benigno”].
5. Uno dei capi delle forze militari che rimasero in Giuda dopo la grande deportazione in Babilonia
nell’estate del 607 a.E.V. Questo figlio di Carea appoggiò prontamente la nomina di Ghedalia e, venuto a
conoscenza del complotto di Ismaele per assassinare il governatore, chiese invano a Ghedalia il
permesso di uccidere di nascosto Ismaele. (Ger 40:7, 8, 13-16) Ghedalia fu assassinato, Ioanan e i suoi
soldati mossero contro Ismaele per vendicarlo e liberarono alcuni prigionieri; l’assassino però riuscì a
fuggire nel paese di Ammon. (Ger 41:11-16) Temendo rappresaglie da parte dei babilonesi, Ioanan e gli
altri chiesero al profeta Geremia cosa fosse meglio fare, ma, invece di seguire il consiglio di Geova di
rimanere nel paese, fuggirono in Egitto, portando con sé Geremia. — Ger 42:1–43:7; 2Re 25:23-26.
w80 15/8 15-16 Dove andare dopo la distruzione della religione organizzata?
L’ASSASSINO COLPISCE!
10 Che miserevole condizione religiosa si presentava alla vista di quei “poveri del paese” lasciati rimanere
nel territorio di Giuda! (Ger. 40:7, Diodati [Di]) Non c’era più il tempio di Gerusalemme verso il quale
rivolgere le preghiere a Geova! Ad eccezione di Geremia, non c’era più alcun sacerdote, alcun levita!
Nessun altare su cui offrire sacrifici! Sì, nessuna “arca del patto” sormontata dalle due figure angeliche,
verso la quale il sommo sacerdote potesse spruzzare il sangue dei sacrifici nel Giorno di Espiazione, il 10
tishri. Era sparita finendo in un luogo tuttora sconosciuto. — Osea 3:4.
11 A questo punto entra in scena uno scellerato! Si tratta di Ismaele figlio di Netania. Probabilmente il re
degli ammoniti, Baalis, presso il quale Ismaele si era rifugiato per non cadere in mano ai babilonesi,
ritenne che Ismaele fosse la persona adatta da assoldare per assassinare Ghedalia, governatore della
provincia di Giuda nominato da Nabucodonosor. Perché la persona adatta? Perché Ismaele era “della
progenie reale”. Perciò Ismaele, tramite il nonno Elisama, era imparentato con la casa reale ed era uno
degli “uomini principali del re”. (Ger. 41:1) Come parente del deposto re Sedechia, egli poteva perciò
essersi risentito del fatto che Ghedalia fosse stato nominato governatore pur non essendo “della progenie
reale”. Perciò il re ammonita Baalis, che si era rallegrato della distruzione di Gerusalemme, si servì di
Ismaele come di una pedina per togliere di mezzo Ghedalia. — Sal. 83:7, 8; Ger. 40:14.
12 Benché Ioanan figlio di Carea lo avesse avvertito, Ghedalia ospitò Ismaele e dieci dei suoi uomini a un
pranzo nella nuova città governativa di Mizpa, alcuni chilometri a nord delle rovine di Gerusalemme.
Nonostante fossero presenti alcuni soldati babilonesi, Ismaele e la sua banda colsero di sorpresa tutti i
commensali e quelli che si trovavano nelle vicinanze e li uccisero tutti a tradimento. (Ger. 41:2, 3) Altri
ancora caddero vittime di Ismaele e della sua perfida schiera. Questo avvenne nel 7° mese lunare, tish ri,
il mese che era normalmente caratterizzato dalla festa delle capanne per sette giorni. Gli abitanti di Mizpa
si videro costretti a seguire l’usurpatore come prigionieri. Ma quando sopraggiunse Ioanan figlio di Carea
e si oppose a Ismaele, allora Ismaele e otto dei suoi uomini fuggirono nel paese di Ammon, non ancora
soggiogato dal re babilonese Nabucodonosor. — Ger. 41:10-15; 49:1-5.
13 A causa di ciò che era accaduto al governo provvisorio istituito dai babilonesi, Ioanan e il popolo
pensarono di avere buone ragioni per temere la nuova potenza mondiale babilonese, che Geova Dio
stava impiegando come esecutrice dei suoi giudizi in Medio Oriente. Dove avrebbero dovuto andare ora?
Ioanan e i suoi subalterni interpellarono formalmente Geremia, che aveva così accuratamente
profetizzato la rovina di Gerusalemme. Gli promisero che, sia che il messaggio di Geova tramite Geremia
fosse stato di loro gradimento o no, lo avrebbero seguito. Dieci giorni dopo che avevano consultato
Geremia, questi ricevette il messaggio da Geova. Non avrebbero dovuto cedere al timore ma rimanere
nel paese sottomessi ai babilonesi. Se invece per mancanza di fede si fossero trasferiti in Egitto,
sarebbero stati raggiunti dalla vittoriosa spada del re di Babilonia e dalla carestia e dalla pestilenza. Salvo
un piccolo rimanente, sarebbero periti nel condannato paese d’Egitto. Non sarebbero tornati in pace nella
provincia di Giuda dopo il rovesciamento dell’impero babilonese. Ioanan e i suoi seguaci prestarono forse
ascolto a questo messaggio divino? Niente affatto! Lo definirono una falsità. Dissero che Geremia era un
bugiardo. — Ger. 42:1–43:3.
14 Ma chi era il bugiardo se non ciascuno di loro, dal momento che avevano fatto voto di ubbidire al
messaggio trasmesso loro da Geremia anche se non fosse stato di loro gradimento? Erano già in viaggio
verso sud, diretti in Egitto, e ora erano decisi a continuare ad andare avanti fino al paese del Nilo. Non
volevano sottomettersi al dominio della Terza Potenza Mondiale, l’impero babilonese. Tempo addietro
l’Egitto era stato loro alleato contro l’espansionismo della potenza mondiale di Babilonia. Ora che il paese
di Giuda si trovava sotto la dominazione babilonese, erano decisi a non lasciare nessuno nel paese, onde
non si sottomettesse ai babilonesi. I sostenitori della necessità di sottomettersi a Babilonia, cioè Geremia
e il suo segretario Baruc, non furono lasciati rimanere. Questi servitori di Geova furono trascinati insieme
agli altri. Senza farlo apposta, ma proprio verso il tempo in cui il paese di Giuda avrebbe dovuto celebrare
con allegrezza la festa della raccolta o delle capanne dal 15 al 21 tishri del 607 a.E.V., quei ribelli contro
la volontà di Geova lasciarono il paese nella condizione da lui predetta, desolato, senza uomo né animale
domestico. — Ger. 43:4-7.
15 È impossibile opporsi con successo alla volontà dell’Iddio Onnipotente. È impossibile che la sua parola
profetica si mostri inesatta. Con l’abbandono del paese di Giuda da parte dei giudei ribelli, iniziarono i
predetti 70 anni di desolazione del paese senza residente israelita o animale domestico. Allora
cominciarono anche i 2.520 anni dei simbolici “sette tempi”, circa i quali il re Nabucodonosor ebbe un
sogno da Geova, sogno che venne interpretato dal profeta Daniele. (Dan. 4:13-27; Luca 21:24) Non fu
quindi un caso che nel 1914 E.V. scoppiasse in un mondo pacifico la prima guerra mondiale, per
contrassegnare la fine di quei “sette tempi” nel mese lunare di tishri. C’è perciò un nesso fra gli
avvenimenti del tempo di Geremia e quelli dei nostri giorni. Il significato di quegli avvenimenti ci interessa
da vicino!
16 Dopo il crollo, avvenuto nel 607 a.E.V., della religione organizzata a Gerusalemme dai giudei violatori
della Legge, quei giudei che fuggirono in Egitto riuscirono forse ad evitare ciò che temevano? Scelsero la
via migliore, la via giusta? Difficilmente, visto che divennero un terrificante esempio di ciò che accade alle
persone religiose che rifiutano di ubbidire alla Parola di Geova. Geremia, sebbene costretto ad abitare in
Egitto, non smise di profetizzare. Lo spirito di Geova continuò a spingere Geremia a profetizzare proprio
agli increduli profughi giudei e contro il paese in cui avevano scelto di risiedere. I suoi scritti ispirati sono
giunti fino ai giorni critici in cui viviamo. Servono di monito alle moderne controparti di quei giudei ribelli
del tempo di Geremia. Tenendo conto di questo, cosa c’è da aspettarsi nell’immediato futuro?
Ioas (re di Giuda) — Tema: Rispettate tutti i fedeli servitori di Geova MATTEO 26:52
it-2 35 Ioas
IOAS
(Iòas) [ebr. Yehoh´àsh].
2. Re di Israele, figlio di Ioacaz e nipote di Ieu. Nel testo masoretico il suo nome compare anche nella
forma abbreviata Yoh´àsh (reso “Joas” in Os 1:1 e Am 1:1). Questo Ioas (figlio di Ioacaz) regnò per 16
anni, verso la metà del IX secolo a.E.V. Nei primi anni del suo governo sul regno settentrionale di Israele,
Ioas figlio di Acazia era re del regno meridionale di Giuda. — 2Re 13:10.
Per lo più Ioas fece ciò che era male agli occhi di Geova e permise che l’adorazione dei vitelli
continuasse in tutto il paese. Tuttavia, quando il profeta Eliseo si ammalò e stava per morire, Ioas andò a
trovarlo e piangendo disse: “Padre mio, padre mio, carro da guerra d’Israele e suoi cavalieri!” (2Re 13:11,
14) In risposta alla richiesta del profeta, Ioas tirò una freccia dalla finestra verso la Siria, e poi colpì la
terra con le sue frecce. Ma la colpì solo tre volte. Eliseo si indignò per questo perché, disse, se avesse
continuato a colpire la terra cinque o sei volte Ioas avrebbe riportato una completa vittoria sui siri; ma,
dichiarò il profeta, così avrebbe avuto solo tre vittorie parziali. (2Re 13:15-19) Nelle tre campagne contro i
siri Ioas ebbe un certo successo e riconquistò alcune città del regno settentrionale d’Israele che Azael
padre di Ben-Adad aveva conquistato. — 2Re 13:24, 25.
Centomila uomini dell’esercito di Ioas furono assoldati dal re di Giuda per combattere gli edomiti.
Tuttavia, dietro consiglio di un “uomo del vero Dio” furono rimandati a casa e, benché fossero stati pagati
in anticipo cento talenti d’argento (1.026.000.000 di lire), si adirarono, probabilmente perché non
avrebbero avuto la sperata parte di bottino. Perciò dopo essere tornati a N saccheggiarono alcune città
del regno meridionale, da Samaria (forse la base delle loro operazioni) fino a Bet-Oron. — 2Cr 25:6-10,
13.
Probabilmente per vendicarsi di questo il re di Giuda incitò Ioas a combattere. Nella battaglia che seguì,
Amazia re di Giuda fu catturato a Bet-Semes, dopo di che le truppe di Ioas aprirono una breccia nelle
mura di Gerusalemme, presero l’oro e l’argento del tempio e della casa del re e portarono ostaggi a
Samaria. (2Re 14:8-14; 2Cr 25:17-24) Infine Ioas morì e fu sepolto a Samaria; gli succedette il figlio
Geroboamo II. — 2Re 13:12, 13; 14:15, 16.
W69 P.44-46
Iochebed — Tema: Fate del vostro meglio e confidate in Geova PROVERBI 3:5, 6
it-2 36 Iochebed
IOCHEBED
(Iòchebed) [forse, Geova è gloria].
Figlia di Levi, moglie di Amram della stessa tribù, e madre di Miriam, Aaronne e Mosè. (Eso 6:20; Nu
26:59) Iochebed era una donna di fede; confidava in Geova suo Dio. Sfidando il decreto del faraone si
rifiutò di uccidere il piccino, che fu poi chiamato Mosè, e tre mesi dopo, quando non poté più tenerlo
nascosto in casa, lo depose in un’arca di papiro che mise fra le canne lungo la riva del Nilo. La figlia del
faraone trovò il piccino e lo volle per sé, ma in seguito fu chiesto proprio alla madre di Mosè di allattarlo.
Mentre il bambino cresceva, Iochebed e il marito furono molto diligenti nell’insegnare ai figli i princìpi della
pura adorazione, come fu evidente in seguito nella loro vita. — Eso 2:1-10.
Secondo il testo masoretico, Iochebed era sorella di Cheat padre di Amram; in tal caso Amram avrebbe
sposato una zia, cosa a quel tempo lecita. (Eso 6:18, 20) Tuttavia alcuni studiosi ritengono che Iochebed
fosse cugina di Amram e non sua zia, come si legge nella Settanta greca; lo stesso concetto si trova
anche nella Pescitta siriaca e nelle tradizioni ebraiche. Nella Settanta Esodo 6:20 dice in parte: “Iochebed
figlia del fratello di suo padre”. (LXX, ed. Bagster) La versione a cura del Pontificio Istituto Biblico, pur
avendo “zia” nel testo, osserva nella nota in calce: “LXX e Volg. però traducono ‘cugina’”. Questa è infatti
l’idea espressa dalle traduzioni della Vulgata latina: “Amram prese per moglie Jochabed, figliuola di suo
zio paterno”. (Ma) “Amram prese in moglie Iocabed sua cugina”. (Ri) “Amram prese in moglie Iocabed,
figlia del suo zio paterno”. (Ti) In una nota all’espressione “sorella di suo padre”, il traduttore biblico
Rotherham scrive: “Prob. solo un componente di sesso femminile della famiglia di suo padre”. Nelle sue
Explanatory Notes (1832) Thomas Scott dice: “Secondo la Settanta e le tradizioni ebraiche, Iochebed era
cugina, non zia, di Amram”. “I migliori critici ritengono che Iochebed fosse cugina di primo grado di
Amram e non sua zia”. (Clarke, Commentary) Quando Numeri 26:59 afferma che Iochebed era “figlia di
Levi”, può anche voler dire “nipote”, come avviene in tanti altri passi delle Scritture dove “figlio” sta per
“nipote”. Nella sua traduzione, Ferrar Fenton osserva che l’espressione ‘nata a Levi’, “propria dell’ebraico,
non significa a Levi personalmente, ma solo discendente della Tribù. Il fattore tempo rende impossibile
che fosse figlia di Levi in persona”.
Se viceversa il testo masoretico di Esodo 6:20 è esatto, Iochebed era davvero zia di Amram e non sua
cugina. Quindi, ammesso che Levi potesse essere padre di Iochebed, la madre doveva essere una
donna più giovane della madre di Cheat. In tal caso Iochebed, benché solo sorellastra di Cheat, sarebbe
stata zia di Amram.
Ioiachim — Tema: Nulla può impedire l’adempimento della parola di Dio ISAIA 55:11; EBREI 6:18
W65 P.182-184
Ioiachin — Tema: La parola di Geova non viene mai meno GIOSUÈ 24:15; 21:45
Iotam (n. 3) — Tema: Imparate dagli errori altrui PROVERBI 22:3; 16:18
w89 1/7 25-8 Un matrimonio da cui traggono beneficio milioni di persone ora in vita
Dio sceglie una sposa per Isacco
5 Il racconto inizia con Abraamo che dà istruzioni al servitore che amministrava la sua casa,
evidentemente Eliezer. (Genesi 15:2; 24:2) “Devo farti giurare per Geova”, disse Abraamo, “che non
prenderai una moglie per mio figlio dalle figlie dei cananei fra i quali dimoro, ma andrai al mio paese e dai
miei parenti, e certamente prenderai una moglie per mio figlio, per Isacco”. — Genesi 24:3, 4.
6 Perché Abraamo insistette tanto che suo figlio non sposasse una cananea? Perché i cananei
discendevano da Canaan, che fu maledetto da Noè. (Genesi 9:25) Inoltre, i cananei erano noti per le loro
pratiche depravate, e soprattutto non adoravano Geova. (Genesi 13:13; Levitico 18:3, 17-28)
Comprensibilmente, Abraamo voleva che suo figlio sposasse una donna che apparteneva alla sua stessa
famiglia, una discendente di Sem, il quale aveva ricevuto l’ispirata benedizione di Noè. (Genesi 9:26) Che
ottimo esempio per i cristiani che oggi decidono di sposarsi! — Deuteronomio 7:3, 4.
7 Così Eliezer intraprese un viaggio di oltre 800 chilometri fino in Mesopotamia. Andò ben equipaggiato,
con dieci cammelli carichi di doni. (Genesi 24:10) In aggiunta, poteva meditare su queste incoraggianti
parole del suo padrone: “Geova, l’Iddio dei cieli, . . . manderà il suo angelo davanti a te, e certamente di
là prenderai una moglie per mio figlio”. — Genesi 24:7.
8 Alla fine giunse alla città di Nahor, nella Mesopotamia settentrionale. Eliezer lasciò che gli stanchi
cammelli si inginocchiassero per riposare a un pozzo fuori della città. Era l’ora in cui le donne andavano
ad attingere l’acqua: davvero un’ottima occasione perché Eliezer cercasse una possibile moglie! Ma che
tipo di donna doveva essere? La più attraente? No. Ad Eliezer interessava soprattutto una donna dalla
personalità devota. Lo si capisce dall’umile preghiera di fede che a questo punto egli pronunciò: “Geova,
Dio del mio padrone Abraamo, fallo avvenire, ti prego, davanti a me quest’oggi e usa amorevole benignità
al mio padrone Abraamo. Ecco, sto fermo presso una fonte d’acqua e le figlie degli uomini della città
escono ad attingere acqua. Ciò che deve avvenire è che la giovane alla quale dirò: ‘Abbassa la tua giara
d’acqua, ti prego, perché io beva’, e che veramente dirà: ‘Bevi, e darò da bere anche ai tuoi cammelli’,
questa è quella che devi assegnare al tuo servitore, a Isacco; e da questo fammi sapere che hai usato
amore leale col mio padrone”. — Genesi 24:11-14.
9 Era senz’altro una buona prova. Secondo un’enciclopedia (The New Encyclopædia Britannica), un
cammello molto assetato può bere 95 litri d’acqua in dieci minuti. Può darsi che i cammelli di Abraamo
non avessero tanta sete, ma le donne di quel tempo conoscevano senz’altro quanta acqua potevano bere
tali animali. Di certo una donna doveva essere molto gentile, altruista e laboriosa per offrirsi di attingere
acqua per dieci cammelli stanchi di proprietà di un estraneo.
10 La preghiera di Eliezer fu esaudita ancor prima che egli l’avesse completata, in quanto il racconto dice:
“Ecco, usciva Rebecca . . . Ora la giovane era di aspetto molto attraente, vergine, e nessun uomo aveva
avuto rapporti sessuali con lei; e scese alla fonte e riempiva la sua giara per l’acqua e quindi salì. Subito il
servitore le corse incontro e disse: ‘Dammi, ti prego, un piccolo sorso d’acqua della tua giara’. A sua volta
essa disse: ‘Bevi, mio signore’. Allora abbassò prontamente la sua giara sulla mano e gli diede da bere.
Quando ebbe finito di dargli da bere, disse: ‘Attingerò acqua anche per i tuoi cammelli finché abbiano
bevuto abbastanza’. Così vuotò prontamente la sua giara nell’abbeveratoio e corse ripetute volte al pozzo
ad attingere acqua, e ne attingeva per tutti i suoi cammelli”. — Genesi 24:15-20.
11 Eliezer “la fissava con meraviglia”, osservando questa miracolosa risposta alla sua preghiera. Quando
la lodevole vergine ebbe finito, la ricompensò con un anello da naso e due braccialetti d’oro e le chiese di
chi era figlia. Scoprendo che era pronipote di Abraamo, Eliezer si inchinò a Geova in riverente
adorazione, dicendo: “Benedetto sia Geova, l’Iddio del mio padrone Abraamo, che non ha lasciato la sua
amorevole benignità e la sua fidatezza verso il mio padrone. Essendo io per via, Geova mi ha guidato alla
casa dei fratelli del mio padrone”. — Genesi 24:21-27.
12 Eccitata, Rebecca corse a casa a raccontare l’accaduto alla sua famiglia. In seguito, quando il padre e
il fratello di Rebecca udirono dalla bocca stessa di Eliezer lo scopo del suo viaggio e come Geova aveva
risposto alla sua preghiera, acconsentirono senza esitazione a che Rebecca andasse in moglie a Isacco.
“E avvenne che quando il servitore di Abraamo ebbe udito le loro parole, si prostrò subito a terra davanti
a Geova. E il servitore tirava fuori oggetti d’argento e oggetti d’oro e vesti e li dava a Rebecca; e diede
cose scelte al fratello e alla madre di lei”. — Genesi 24:52, 53.
La risposta della sposa e delle sue serve
13 Come considerava Rebecca il privilegio di essere stata scelta da Dio come sposa di Isacco? Il giorno
seguente accadde qualcosa che rivelò i suoi veri sentimenti. Avendo raggiunto lo scopo del suo viaggio,
Eliezer desiderava tornare dal suo padrone senza indugio. Ma la famiglia di Rebecca voleva che la sposa
restasse con loro almeno dieci giorni. Perciò si lasciò decidere a Rebecca se era pronta a partire
immediatamente. “Sono disposta ad andare”, disse. Accettando di lasciare immediatamente la famiglia
per andare in un paese lontano a sposare un uomo che non aveva mai visto Rebecca dimostrò di avere
grande fede nella guida di Geova. Questo confermava che lei era la persona giusta. — Genesi 24:54-58.
14 Rebecca non fece il viaggio da sola. Il racconto ci spiega: “Rebecca e le sue serve si levarono e
montavano sui cammelli”. (Genesi 24:61) Così la carovana di cammelli intraprese un viaggio pericoloso di
oltre 800 chilometri in territorio straniero. “La velocità media dei cammelli carichi”, afferma un libro (The
Living World of Animals), “è di circa [4 km/h]”. Se i cammelli di Abraamo viaggiarono a tale velocità per
otto ore al giorno, avranno impiegato più di 25 giorni per raggiungere la loro destinazione nel Negheb.
15 Sia Eliezer che Rebecca e le sue serve confidavano pienamente nella guida di Geova: un ottimo
esempio per i cristiani odierni! (Proverbi 3:5, 6) Inoltre, questo racconto è un dramma profetico che
rafforza la fede. Come abbiamo visto, Abraamo rappresenta Geova Dio, che offrì il suo diletto Figlio, il più
grande Isacco, affinché gli uomini peccatori potessero ottenere la vita eterna. (Giovanni 3:16) I preparativi
per il matrimonio di Isacco furono fatti qualche tempo dopo che egli era stato risparmiato dalla morte
sull’altare per il sacrificio. Questi preparativi raffiguravano profeticamente quelli per il matrimonio celeste,
che ebbero inizio in piena misura dopo la risurrezione di Gesù.
Il matrimonio del più grande Isacco
16 Il nome Eliezer significa “Il mio Dio è un soccorritore”. Sia col nome che con le azioni, Eliezer
rappresenta in maniera appropriata lo spirito santo del più grande Abraamo, Geova Dio, che egli mandò a
questo paese distante, la terra, per scegliere una sposa adatta per il più grande Isacco, Gesù Cristo.
(Giovanni 14:26; 15:26) La classe della sposa è “la congregazione”, composta di discepoli di Gesù
generati dallo spirito santo come figli spirituali di Dio. (Efesini 5:25-27; Romani 8:15-17) Proprio come
Rebecca ricevette costosi doni, così i primi membri della congregazione cristiana, alla Pentecoste del 33
E.V., ricevettero doni miracolosi come prova della loro chiamata divina. (Atti 2:1-4) Come Rebecca, sono
stati disposti ad abbandonare tutto ciò che li legava al mondo e alla carne per essere infine uniti al loro
Sposo celeste. I singoli membri della classe della sposa devono custodire la loro verginità spirituale da
quando vengono chiamati fino alla morte, mentre viaggiano attraverso il pericoloso e seducente mondo di
Satana. (Giovanni 15:18, 19; 2 Corinti 11:3; Giacomo 4:4) Piena di spirito santo, la classe della sposa
invita fedelmente altri a valersi dei provvedimenti di Geova per la salvezza. (Rivelazione 22:17) Seguite il
suo esempio accettando anche voi la guida dello spirito?
17 La classe della sposa dà grande valore a ciò che è raffigurato dai dieci cammelli. Nella Bibbia il
numero dieci è usato per indicare perfezione o completezza riguardo a cose terrene. I dieci cammelli si
possono paragonare alla completa e perfetta Parola di Dio, attraverso la quale la classe della sposa
riceve sostentamento spirituale e doni spirituali. (Giovanni 17:17; Efesini 1:13, 14; 1 Giovanni 2:5)
Commentando l’abbeveraggio dei cammelli da parte di Rebecca, La Torre di Guardia del 15 giugno 1949
fece questa applicazione a quelli della classe della sposa: “Riguardano con amore la Parola di Dio che
reca loro molto del suo spirito. Prendono interesse alla sua Parola scritta, servendola e rianimandola con
la loro assistenza, e manifestano un sincero interessamento per il suo messaggio e il suo proposito,
cercando di credervi”. Che le cose stiano così lo si può notare ad esempio dal fatto che il rimanente della
classe della sposa ha amorevolmente reso disponibile a milioni di persone la moderna e aggiornata
Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture. Sia che questa ottima traduzione sia disponibile nella
vostra lingua o no, mostrate apprezzamento esaminando regolarmente la Bibbia insieme agli strumenti di
studio provveduti dalla classe della sposa? — 2 Timoteo 3:16.
Il matrimonio dell’Agnello si avvicina
18 In questi ultimi giorni del mondo di Satana, al rimanente della classe della sposa si è aggiunta “una
grande folla”, paragonabile alle “serve” di Rebecca. Come nel caso di Rebecca, questa è molto più
numerosa della classe della sposa, il cui numero completo è di 144.000 membri. È la “grande folla” delle
“altre pecore” di Gesù Cristo. (Rivelazione 7:4, 9; Giovanni 10:16) Come leali serve della sposa, anche i
membri di questa folla devono evitare di essere contaminati dal malvagio mondo di Satana. Anch’essi
devono accettare le direttive dello spirito di Geova e della sua Parola come viene loro spiegata dalla
classe della sposa. Ma la loro ricompensa è diversa. Se persevereranno nel sostenere lealmente la
sposa di Cristo, sopravvivranno alla fine del mondo di Satana e avranno la meravigliosa opportunità di
vivere per sempre su una terra paradisiaca. — Rivelazione 21:3, 4.
19 Riuscirono Rebecca e le sue “serve” a raggiungere la loro meta? Sì. La Bibbia riferisce: “E Isacco era
fuori a passeggiare, per meditare nel campo sul far della sera. Quando alzò gli occhi e guardò, ebbene,
ecco, venivano dei cammelli! Quando Rebecca alzò gli occhi, scorse Isacco e si lasciò scivolare dal
cammello”. Dopo che Eliezer ebbe spiegato come era riuscito a portare a termine il suo incarico, Isacco
accettò in moglie Rebecca e “si innamorò di lei”. — Genesi 24:63-67.
20 Similmente, il proposito di Geova riguardo alla sposa di Cristo non può fallire. (Isaia 55:11) Fra poco,
dopo che Babilonia la Grande sarà giudicata e distrutta, gli ultimi componenti del rimanente della sposa
completeranno il loro viaggio. Sarà giunto per loro il momento di essere separati dalle loro serve
compagne per essere uniti in matrimonio, in cielo, con il più grande Isacco. Che grandiosa occasione di
gioia universale sarà quella! — Rivelazione 19:6-8.
21 Nel frattempo, milioni di persone si stanno benedicendo accettando il ministero del sempre più esiguo
rimanente della sposa. Prima che tutti questi finiscano la loro vita terrena con la morte, la devastazione
dell’impero mondiale della falsa religione simile a una prostituta segnerà l’inizio della “grande tribolazione
come non è accaduta dal principio del mondo fino ad ora”. Rimane poco tempo. Se volete sopravvivere, è
essenziale ubbidire ai comandi divini! (Matteo 24:14, 21; Marco 13:10; Luca 21:15; Giovanni 13:34) Tali
comandi valgono in special modo nei nostri tempi difficili. Perciò, che facciate parte del rimanente della
sposa o della sua “grande folla” di serve, continuate ad ubbidire a Geova, a sua gloria e a vostra felicità
eterna. Che prospettiva grandiosa sarà per i membri della grande folla, già considerati amici di Dio,
continuare a vivere mentre Geova ‘farà ogni cosa nuova’ e benefìci eterni saranno estesi a milioni di
persone in una terra paradisiaca! — Rivelazione 21:5; 22:1, 2, 17.
“Manda me”
16 Oggi ci sono milioni di cristiani devoti che nutrono la speranza biblica di vivere eternamente sulla terra.
In base al sangue versato in sacrificio da Gesù, i peccati di questa “grande folla” possono essere
perdonati nella misura oggi necessaria. Questi cristiani ricevono inoltre potenza e sostegno tramite lo
spirito di Dio mentre si uniscono al rimanente degli unti cristiani nel dire: “Eccomi! Manda me”. Mandarli a
fare che cosa? In Romani 10:13-15 Paolo dice: “‘Chiunque invoca il nome di Geova sarà salvato’.
Comunque, come invocheranno colui nel quale non hanno riposto fede? Come, a loro volta, riporranno
fede in colui del quale non hanno udito parlare? Come, a loro volta, udranno senza qualcuno che
predichi? Come, a loro volta, predicheranno se non sono stati mandati? Come è scritto [in Isaia 52:7]:
‘Come sono piacevoli i piedi di quelli che dichiarano la buona notizia di cose buone!’” — Rivelazione 7:9-
15.
17 Ricordate che Isaia disse “Eccomi! Manda me” prima ancora di conoscere l’intero contenuto del
messaggio. Al contrario, noi sappiamo ciò che Dio vuole venga ora dichiarato da quelli che accolgono il
suo invito: “Chi manderò, e chi andrà per noi?” Vi è incluso l’avvertimento circa “il giorno di vendetta da
parte del nostro Dio”. Il messaggio però include anche “la buona notizia di cose buone”. Per esempio,
quelli che sono “mandati” partecipano alla proclamazione della “libertà a quelli che sono in schiavitù e la
completa apertura degli occhi anche ai prigionieri”. Non dovrebbe essere fonte di grandi soddisfazioni
farlo? — Isaia 61:1, 2.
18 Se già state dichiarando “la buona notizia di cose buone”, questo esame di Isaia capitolo 6 potrebbe
indurvi a chiedere: Come posso manifestare più pienamente lo spirito di Isaia 6:8? Come nel caso della
coppia menzionata all’inizio, centinaia di persone hanno partecipato a un tale programma internazionale
di costruzione. Molti altri, che non sono esperti nel campo edilizio, si sono trasferiti in paesi dove c’è più
bisogno di proclamatori del Regno. Prima di farlo è meglio chiedere consiglio alla filiale della Società
(Watch Tower). Ovviamente è indispensabile fare i piani in anticipo, perché in un paese straniero ci può
essere grande diversità di lingua, tenore di vita, prospettive di lavoro e altro. Tuttavia non escludete a
priori questa possibilità solo perché potrebbe richiedere notevoli adattamenti. Molti che hanno lo spirito
dell’“Eccomi! Manda me” si sono trasferiti a questo scopo e sono stati riccamente benedetti da Dio per
averlo fatto. — Confronta Proverbi 24:27; Luca 14:28-30.
19 Altri ancora — fratelli o sorelle non sposati, coppie di sposi, persino famiglie intere — si sono trasferiti
all’interno del proprio paese o della propria zona per andare dove c’era più bisogno di predicatori del
Regno o di sorveglianti cristiani. (Atti 16:9, 10) Questo può aver richiesto dei sacrifici, come procurarsi un
lavoro secolare diverso, forse meno retribuito. Altri hanno ottenuto il pensionamento anticipato con una
pensione limitata e hanno trovato un lavoro a mezza giornata per poter avere più tempo da dedicare al
ministero. Com’è rallegrante vedere famiglie intere dire: ‘Eccoci! Manda noi’. Anche questo ricalca la
situazione di Isaia. Sua moglie ebbe una parte attiva nel compiere la volontà di Dio come profetessa, e i
suoi figli furono impiegati in messaggi profetici. — Isaia 7:3, 14-17; 8:3, 4.
20 Anche se le vostre attuali circostanze non vi permettono di fare grandi cambiamenti come questi,
potete chiedervi: ‘Sto facendo tutto il possibile, imitando la prontezza di Isaia?’ Impegnatevi strenuamente
nel dichiarare il messaggio di Dio, anche se il tempo è inclemente o le persone sono indifferenti;
certamente Isaia fece la stessa cosa. Siate zelanti nel parlare ad altri della “buona notizia di cose buone”!
Geova ha detto: “Chi manderò?” Dimostrate che, come Isaia nell’antichità, anche voi rispondete: “Eccomi!
Manda me” a proclamare il messaggio divino.
[Figura a pagina 17]
Isaia fu purificato e mandato a predicare
[Foto a pagina 18]
Molti hanno risposto: “Eccomi! Manda me”
it-2 55 Is-Boset
IS-BOSET
(Is-Bòset) [uomo di vergogna].
Il minore dei quattro figli di Saul e suo successore al trono. Dalle genealogie risulta che si chiamava
anche Esbaal, che significa “uomo di Baal”. (1Cr 8:33; 9:39) Ma altrove, per esempio in 2 Samuele, è
chiamato Is-Boset, nome in cui “baal” è sostituito da “Boset”. (2Sa 2:10) Il termine ebraico bòsheth ricorre
in Geremia 3:24 dove è reso “cosa vergognosa” (Di, NM), “vergogna” (Ga, VR). In altri due casi bà`al e
bòsheth vengono accostati in un parallelismo, in cui un termine spiega e identifica l’altro. (Ger 11:13; Os
9:10) Altre volte in certi nomi propri di persona bòsheth, o una forma derivata, sostituisce bà`al, ad
esempio “Ierubbeset” per “Ierubbaal” (2Sa 11:21; Gdc 6:32) e “Mefiboset” per “Merib-Baal”, quest’ultimo
nipote di Is-Boset. — 2Sa 4:4; 1Cr 8:34; 9:40.
Non si conosce la ragione di queste sostituzioni o doppi nomi. Secondo una teoria proposta da alcuni
studiosi, i doppi nomi si spiegherebbero con un’alterazione fatta quando il nome comune “baal”
(proprietario; signore) cominciò a identificarsi quasi esclusivamente con l’abominevole dio cananeo della
fertilità, Baal. Tuttavia, nello stesso libro biblico di 2 Samuele in cui si trova la storia di Is-Boset, si legge
che Davide, in onore del Signore Geova, dà a un luogo di battaglia il nome Baal-Perazim (che significa
“proprietario di brecce”), poiché, dice, “Geova ha fatto irruzione fra i miei nemici”. (2Sa 5:20) Un’altra
ipotesi è che il nome Is-Boset potesse essere profetico dell’ingloriosa morte di quell’uomo e della tragica
fine della dinastia di Saul.
Dopo la morte di Saul e degli altri suoi figli sul campo di battaglia di Ghilboa, Abner, parente di Saul e
comandante del suo esercito, portò Is-Boset a Maanaim, oltre il Giordano, dove fu acclamato re di tutte le
tribù tranne Giuda, che aveva riconosciuto Davide come re. In quel tempo Is-Boset aveva 40 anni, e
viene detto che regnò per due anni. Poiché la Bibbia non dice esattamente dove collocare questi due
anni nei sette anni e mezzo durante i quali Davide regnò a Ebron, non c’è modo di risolvere le divergenze
d’opinione che esistono fra gli studiosi a questo riguardo. Tuttavia sembra più ragionevole pensare che
Is-Boset sia stato fatto re poco dopo la morte del padre (piuttosto che cinque anni dopo), nel qual caso ci
sarebbe stato un intervallo di circa cinque anni fra il suo assassinio e l’insediamento di Davide quale re su
tutto Israele. — 2Sa 2:8-11; 4:7; 5:4, 5.
Il breve regno di Is-Boset fu contrassegnato da difficoltà sia all’interno che all’esterno. La guerra fra la sua
casa e quella di Davide “si protrasse a lungo”; in uno scontro egli perse 360 uomini e Davide solo 20.
(2Sa 2:12-31; 3:1) Nel frattempo Abner, parente di Is-Boset, continuava a rafforzarsi a sue spese, al
punto di avere rapporti con una delle concubine di Saul, cosa che, secondo l’usanza orientale, equivaleva
a un tradimento. Rimproverato per questo da Is-Boset, Abner gli tolse il suo appoggio e fece un patto con
Davide, che prevedeva fra l’altro la restituzione della moglie di Davide, Mical, sorella dello stesso Is-
Boset. (2Sa 3:6-21) La morte di Abner, ucciso da Gioab, indebolì ulteriormente la posizione di Is-Boset,
che poco dopo fu assassinato da due dei suoi stessi capitani mentre prendeva il suo riposo pomeridiano.
(2Sa 3:22-27; 4:1, 2, 5-7) Quando però i due assassini portarono a Davide la testa di Is-Boset per avere
una ricompensa, egli li fece mettere a morte e ordinò che la testa fosse deposta nella tomba di Abner a
Ebron. — 2Sa 4:8-12.
Così la dinastia di Saul, che sarebbe potuta durare “a tempo indefinito”, ebbe una fine repentina e
ingloriosa, non per i peccati di Is-Boset, ma per quelli di suo padre. (1Sa 13:13; 15:26-29) Benché Is-
Boset fosse un sovrano debole, che ottenne e conservò il trono principalmente grazie all’appoggio di
Abner, Davide nonostante tutto lo considerò “un uomo giusto”. — 2Sa 4:11.
W65 P.255
W56 P.298
Ismaele (figlio di Abraamo) — Tema: Benedetto da Dio, ma non come erede di Abraamo
PROVERBI 10:22
Ittai — Tema: Siate leali a quelli che prendono la direttiva EBREI 13:17
it-2 76 Ittai
ITTAI
(Ittài) [forma di Itiel].
1. Guerriero gattita, presumibilmente della città filistea di Gat, molto leale a Davide. Quando Davide e la
sua corte fuggirono da Gerusalemme a motivo della ribellione di Absalom, 600 gattiti, incluso Ittai, lo
seguirono. Davide tentò di dissuadere Ittai dall’abbandonare la città, ma egli espresse la sua grande
devozione in questi termini: “Come Geova vive e come vive il mio signore il re, nel luogo dove sarà il mio
signore il re, sia per la morte che per la vita, lì sarà il tuo servitore!” Allora Davide permise a Ittai di
proseguire con lui. — 2Sa 15:18-22.
Dopo aver fatto il censimento delle sue forze armate, Davide nominò questo non israelita, Ittai, insieme a
Gioab e Abisai, comandanti ciascuno di un terzo dell’esercito. — 2Sa 18:2, 5, 12.
dx86-96 Davide
lealtà di Ittai a Davide: it-2 76
Izebel (n. 1) — Tema: I malvagi non sfuggiranno al giudizio di Geova ISAIA 57:20, 21
Labano (n. 1) — Tema: Siate onesti nei rapporti con gli altri EBREI 13:5, 17
it-2 88 Lamec
LAMEC
(Làmec).
1. Figlio di Metusael e discendente di Caino. (Ge 4:17, 18) Lamec nacque mentre Adamo era ancora in
vita. Lamec ebbe contemporaneamente due mogli, Ada e Zilla, ed è il primo poligamo menzionato nella
Bibbia. (Ge 4:19) Da Ada ebbe i figli Iabal, “fondatore di quelli che dimorano in tende e hanno bestiame”,
e Iubal, “fondatore di tutti quelli che maneggiano l’arpa e il flauto”. (Ge 4:20, 21) Da Zilla ebbe Tubal-Cain,
“forgiatore di ogni sorta di arnese di rame e di ferro”, e una figlia di nome Naama. — Ge 4:22.
La poesia che Lamec compose per le mogli (Ge 4:23, 24) riflette lo spirito violento dell’epoca: “Udite la
mia voce, mogli di Lamec; prestate orecchio al mio dire: ho ucciso un uomo perché mi ha ferito, sì, un
giovane perché mi ha dato un colpo. Se Caino dev’essere vendicato sette volte, allora Lamec settanta
volte e sette”. Lamec evidentemente sosteneva che il suo era stato un caso di legittima difesa e si
giustificava dicendo che non era stato un omicidio volontario come quello di Caino. Affermava che, nel
difendersi, aveva ucciso l’uomo che l’aveva colpito e ferito. Perciò nella sua poesia chiedeva protezione
da chiunque desiderasse vendicarsi su di lui perché aveva ucciso il suo assalitore.
A quanto pare nessuno dei discendenti di Caino, compresa la progenie di Lamec, sopravvisse al Diluvio.
W60 P.233
Levi (n. 1) — Tema: L’ira violenta procura biasimo ROMANI 12:17-19; PROVERBI 22:24
W62 P.720-724
“Adoratrice di Dio”
Lidia era “adoratrice di Dio”, ma probabilmente era una proselita del giudaismo alla ricerca della verità
religiosa. Nonostante avesse un buon lavoro, Lidia non era materialista. Anzi riservava del tempo per le
cose spirituali. “Geova le aprì pienamente il cuore affinché prestasse attenzione alle cose che erano dette
da Paolo”, e Lidia accettò la verità. Infatti sia lei che “la sua casa” si battezzarono. — Atti 16:14, 15.
La Bibbia non specifica chi fossero gli altri componenti della famiglia di Lidia. Non si parla del marito, per
cui poteva essere nubile o vedova. Può darsi che “la sua casa” fosse formata da parenti, ma potevano
esservi inclusi anche schiavi o servitori. In ogni caso, Lidia parlò con zelo di ciò che aveva imparato con
coloro che vivevano con lei. E che gioia dovette provare quando essi pure credettero e abbracciarono la
vera fede!
“Ci costrinse ad accettare”
Prima di conoscere Lidia, forse i missionari avevano dovuto accontentarsi di un alloggio a proprie spese.
Ma Lidia fu ben felice di poter offrire un’altra sistemazione. Il fatto che dovette insistere, però, implica che
Paolo e i suoi compagni fecero una certa resistenza. Perché? Paolo voleva ‘fornire la buona notizia
senza costo, al fine di non abusare della sua autorità’ e non diventare un peso per nessuno. (1 Corinti
9:18; 2 Corinti 12:14) Ma Luca aggiunge: “Ora essendo stata battezzata, lei e la sua casa, supplicò
dicendo: ‘Se mi avete giudicata fedele a Geova, entrate nella mia casa e restate’. E ci costrinse ad
accettare”. (Atti 16:15) Lidia si preoccupava soprattutto di essere fedele a Geova e offrire ospitalità era
una manifestazione della sua fede. (Confronta 1 Pietro 4:9). Quale ottimo esempio! Usiamo anche noi i
nostri averi per promuovere gli interessi della buona notizia?
I fratelli di Filippi
Quando furono liberati dalla prigione dopo l’episodio della serva indemoniata, Paolo e Sila tornarono a
casa di Lidia, dove trovarono alcuni fratelli. (Atti 16:40) I credenti della nascente congregazione di Filippi
forse avevano usato la casa di Lidia come regolare luogo di adunanza. È logico pensare che la sua casa
rimanesse un centro di attività teocratiche della città.
L’iniziale calorosa ospitalità di Lidia si dimostrò una caratteristica dell’intera congregazione. Nonostante la
loro povertà, diverse volte i filippesi mandarono a Paolo le cose di cui aveva bisogno, e l’apostolo ne fu
riconoscente. — 2 Corinti 8:1, 2; 11:9; Filippesi 4:10, 15, 16.
Lidia non è menzionata nella lettera inviata da Paolo ai filippesi verso il 60-61 E.V. Le Scritture non
rivelano cosa le successe dopo gli eventi descritti in Atti capitolo 16. Comunque la breve menzione di
questa donna dinamica ci spinge a voler ‘seguire il corso dell’ospitalità’. (Romani 12:13) Come siamo
grati di avere fra noi cristiani come Lidia! Il loro spirito contribuisce a rendere calorose e amorevoli le
nostre congregazioni, alla gloria di Geova Dio.
[Nota in calce]
Tra le più importanti città della Macedonia, Filippi era una colonia militare relativamente prospera retta
dallo ius italicum (diritto italico). Questa legislazione garantiva ai filippesi privilegi pressoché uguali a
quelli dei cittadini romani. — Atti 16:9, 12, 21.
w90 15/4 16-21 Preparatevi per essere liberati ed entrare nel nuovo mondo
Preparatevi per essere liberati ed entrare nel nuovo mondo
“Ricordate la moglie di Lot”. — LUCA 17:32.
DOPO aver parlato della meravigliosa liberazione che Geova compì a favore di Noè e della sua famiglia,
l’apostolo Pietro citò un altro esempio storico. Richiamò l’attenzione su come fu conservato in vita il
giusto Lot al tempo in cui Sodoma e Gomorra furono ridotte in cenere, come leggiamo in 2 Pietro 2:6-8. I
particolari di quell’avvenimento sono stati preservati per nostro beneficio. (Romani 15:4) Prendere a
cuore ciò che accadde in occasione di quella liberazione ci sarà d’aiuto per poter sperare di essere
salvati ed entrare nel nuovo mondo di Dio.
L’effetto che ha su di noi lo stile di vita del mondo
2 Perché quelle città e i loro abitanti furono distrutti? L’apostolo Pietro menziona la loro “condotta
dissoluta”. (2 Pietro 2:7) Come indica l’uso del termine greco così tradotto, gli abitanti di Sodoma e
Gomorra praticavano il male in maniera sfacciata, rivelando mancanza di rispetto, addirittura disprezzo,
per la legge e l’autorità. Giuda 7 dice che ‘commisero fornicazione in eccesso e andarono dietro alla
carne per uso non naturale’. La gravità della loro condotta fu evidente quando “gli uomini di Sodoma, . . .
dal ragazzo al vecchio, tutto il popolo in una turba”, circondarono la casa di Lot chiedendo a gran voce
che egli consegnasse loro i suoi ospiti per poter soddisfare le loro brame pervertite. E quando Lot si
oppose alle loro depravate richieste, gli gridarono minacce. — Genesi 13:13; 19:4, 5, 9.
3 Inizialmente Lot si era trasferito nei dintorni di Sodoma perché la zona offriva buone prospettive di
benessere materiale. In seguito andò ad abitare nella città stessa. (Genesi 13:8-12; 14:12; 19:1) Ma egli
non approvava le vergognose pratiche degli uomini di Sodoma, ed essi non lo consideravano uno di loro,
evidentemente perché Lot e la sua famiglia non partecipavano alla loro vita sociale. Come dice 2 Pietro
2:7, 8, “Lot . . . era grandemente afflitto dalla condotta dissoluta delle persone che sfidavano la legge . . .
poiché quel giusto, a causa di ciò che vedeva e udiva mentre dimorava fra loro, si tormentava di giorno in
giorno l’anima giusta a causa delle loro opere illegali”. Quelle condizioni costituivano una dura prova per
Lot, perché, essendo un uomo giusto, egli aborriva tale condotta.
4 Anche ai nostri giorni il livello morale della società umana è molto basso. In molti paesi sempre più
persone hanno rapporti prematrimoniali o extraconiugali. Persino molti giovani a scuola sono
profondamente coinvolti in questo modo di vivere e scherniscono quelli che non agiscono come loro.
Omosessuali si vantano di essere tali e percorrono le vie delle grandi città chiedendo a gran voce di
essere accettati. Anche il clero fa la sua parte. Ufficialmente non sono molte le chiese che ordinano come
ministri religiosi omosessuali e fornicatori dichiarati. Ma in realtà, come si apprende spesso dai mezzi
d’informazione, non è affatto difficile trovare omosessuali, fornicatori e adulteri nelle file del clero. Alcuni
esponenti religiosi sono stati trasferiti o addirittura costretti a dimettersi in seguito a scandali di natura
sessuale. Coloro che amano la giustizia non solidarizzano con tale malvagità; ‘aborriscono ciò che è
malvagio’. (Romani 12:9) Sono specialmente angustiati quando la condotta di individui che asseriscono di
servire Dio reca biasimo sul suo nome e induce persone disinformate ad allontanarsi disgustate da ogni
forma di religione. — Romani 2:24.
5 La situazione peggiora di anno in anno. Ci sarà mai una fine? Sì, ci sarà! Ciò che Geova fece alle
antiche Sodoma e Gomorra mostra chiaramente che, al tempo da lui stabilito, egli eseguirà il giudizio.
Distruggerà completamente i malvagi, ma libererà i suoi leali servitori.
Chi o che cosa ha il primo posto nella vita?
6 Solo quelli che avranno manifestato vera santa devozione saranno risparmiati. A questo riguardo,
considerate ciò che gli angeli di Geova dissero a Lot prima della distruzione di Sodoma e Gomorra. “Hai
qualcun altro qui? Fa uscire dal luogo il genero e i tuoi figli e le tue figlie e tutti quelli che sono tuoi nella
città! Poiché stiamo per ridurre in rovina questo luogo”. Lot andò quindi a parlare ai giovani che dovevano
sposare le sue figlie. Li esortò ripetutamente: “Levatevi! Uscite da questo luogo, perché Geova sta per
ridurre in rovina la città!” Grazie ai rapporti che avevano con la famiglia di Lot, veniva offerta loro una
speciale opportunità di salvezza, ma dovevano agire personalmente. Dovevano dare prova tangibile di
ubbidienza a Geova. Invece, ai loro occhi Lot “sembrò come un uomo che scherzasse”. (Genesi 19:12-
14) Potete immaginare cosa provarono le figlie di Lot quando vennero a saperlo. La loro lealtà a Dio fu
messa alla prova.
7 La mattina dopo, all’alba, gli angeli sollecitarono Lot, dicendogli: “Levati! Prendi tua moglie e le tue due
figlie che si trovano qui, affinché tu non sia spazzato via nell’errore della città!” Ma ‘egli indugiava’.
(Genesi 19:15, 16) Perché? Cosa lo tratteneva? Erano forse gli interessi materiali che aveva a Sodoma,
proprio ciò che lo aveva indotto inizialmente a trasferirsi in quel luogo? Se non si fosse staccato da essi
sarebbe stato distrutto insieme a Sodoma.
8 Mostrando compassione, gli angeli afferrarono per mano i componenti della famiglia di Lot e li
condussero in fretta fuori della città. Raggiunta la periferia, l’angelo di Geova comandò: “Scampa per la
tua anima! Non guardare indietro e non fermarti in tutto il Distretto! Scampa nella regione montagnosa
affinché tu non sia spazzato via!” Lot esitava ancora. Infine, quando gli fu concesso di recarsi in una
località non troppo lontana, lui e la famiglia fuggirono. (Genesi 19:17-22) Non era possibile indugiare
ulteriormente; era indispensabile ubbidire.
9 La liberazione però non era ancora completa quando essi si allontanarono da Sodoma. Genesi 19:23-
25 dice: “Il sole si era levato sul paese quando Lot arrivò a Zoar. Quindi Geova fece piovere zolfo e fuoco
da Geova, dai cieli, su Sodoma e Gomorra. Egli rovesciò dunque queste città, sì, l’intero Distretto e tutti
gli abitanti delle città e le piante del suolo”. Ma dov’era la moglie di Lot?
10 Era fuggita insieme al marito. Ma era pienamente d’accordo con ciò che egli stava facendo? Non c’è
nulla che indichi che essa approvasse in alcun modo l’immoralità di Sodoma. Ma il suo amore per Dio era
più forte del suo attaccamento per la casa e i beni materiali che aveva lì? (Confronta Luca 17:31, 32).
Sotto pressione, ciò che aveva nel cuore divenne manifesto. Dovevano essere già nei pressi di Zoar,
forse in procinto di entrare nella città, quando lei disubbidì, voltandosi e guardando indietro. Il racconto
biblico dice che “divenne una colonna di sale”. (Genesi 19:26) Ora a Lot e alle sue figlie si presentava
un’ulteriore prova di lealtà. L’attaccamento di Lot per la moglie deceduta, o quello delle figlie per la
madre, era più forte del loro amore per Geova, che aveva preso tale drastica misura? Avrebbero
continuato a ubbidire a Dio anche se qualcuno così vicino a loro gli si era mostrato sleale? Confidando
pienamente in Geova essi non guardarono indietro.
11 Geova sa dunque come liberare le persone di santa devozione dalla prova. Sa come liberare intere
famiglie che sono unite nella pura adorazione; sa anche come liberare singoli individui. Mostra grande
considerazione per coloro che veramente lo amano. “Egli stesso conosce bene come siamo formati,
ricordando che siamo polvere”. (Salmo 103:13, 14) Ma egli libera solo le persone di santa devozione,
quelle la cui devozione è sincera, la cui ubbidienza è un’espressione di lealtà.
Preparativi amorevoli per una liberazione più grande
12 Con ciò che fece ai giorni di Noè e di Lot, Geova non eliminò per sempre tutti i malvagi. Come dice la
scrittura, stabilì semplicemente un modello di cose avvenire. Prima del sopraggiungere di queste cose,
Geova intendeva fare dell’altro per il bene di quelli che lo amano. Avrebbe mandato sulla terra il suo
unigenito Figlio Gesù Cristo. Qui Gesù avrebbe cancellato il biasimo dal nome di Dio mostrando il tipo di
devozione che Adamo, come uomo perfetto, avrebbe dovuto e potuto rendere a Dio, con la differenza
che Gesù l’avrebbe manifestata in condizioni molto più difficili. Gesù avrebbe deposto in sacrificio la sua
perfetta vita umana affinché i discendenti di Adamo che avrebbero esercitato fede ricevessero ciò che
Adamo aveva perso. Poi un “piccolo gregge” di esseri umani leali sarebbe stato scelto da Dio per
partecipare con Cristo al Regno celeste, e “una grande folla” sarebbe stata radunata da tutte le nazioni
come fondamento di una nuova società umana. (Luca 12:32; Rivelazione 7:9) Una volta fatto questo, Dio
avrebbe compiuto la grandiosa liberazione prefigurata dagli avvenimenti relativi al Diluvio e alla
distruzione di Sodoma e Gomorra.
Perché è urgente agire ora
13 Coloro che studiano la Parola di Dio sanno che Geova intervenne per liberare il suo popolo in
numerose occasioni. Tuttavia, nella maggioranza dei casi la Bibbia non dice: ‘Come fu a quel tempo, così
sarà la presenza del Figlio dell’uomo’. Perché l’apostolo Pietro, ispirato dallo spirito santo, isolò solo due
esempi? Cosa c’era di diverso in ciò che accadde ai giorni di Lot e ai giorni di Noè?
14 Una precisa indicazione la troviamo in Giuda 7, dove leggiamo che “Sodoma e Gomorra e le città
vicine . . . ci son poste davanti come esempio ammonitore, subendo la punizione giudiziaria del fuoco
eterno”. Sì, la distruzione degli incalliti peccatori di quelle città fu eterna, come lo sarà la distruzione dei
malvagi alla fine dell’attuale sistema di cose. (Matteo 25:46) Anche del Diluvio dei giorni di Noè si parla in
contesti che hanno a che fare con giudizi eterni. (2 Pietro 2:4, 5, 9-12; 3:5-7) Perciò, mediante la
distruzione degli empi ai giorni di Lot e ai giorni di Noè, Geova dimostrò che libererà i suoi servitori
distruggendo per sempre coloro che praticano l’ingiustizia. — 2 Tessalonicesi 1:6-10.
15 La distruzione dei malvagi non reca piacere né a Geova né ai suoi servitori. Mediante i suoi Testimoni
Geova esorta: “Volgetevi, volgetevi dalle vostre cattive vie, poiché per quale ragione dovreste morire?”
(Ezechiele 33:11) Nondimeno, quando le persone non mostrano alcun desiderio di dare ascolto a questo
amorevole appello, ma persistono nel loro egoistico modo di vivere, Geova, per rispetto verso il suo santo
nome e per amore dei suoi leali servitori che soffrono per mano degli empi, è costretto a fare giustizia.
16 Il tempo stabilito da Dio per portare la liberazione è molto vicino! Gli atteggiamenti e gli avvenimenti
predetti da Gesù come segno della sua presenza e del termine del sistema di cose sono chiaramente
evidenti. Gli aspetti di questo segno cominciarono a manifestarsi più di 75 anni fa, e Gesù disse che
“questa generazione” non sarebbe passata affatto prima che Dio eseguisse il giudizio su questo mondo
empio. Quando Geova deciderà che il messaggio del Regno sarà stato proclamato a sufficienza in tutta
la terra abitata in testimonianza a tutte le nazioni, allora verrà la fine di questo mondo malvagio e con
essa la liberazione per le persone di santa devozione. (Matteo 24:3-34; Luca 21:28-33) Liberazione da
che cosa? Dalle prove che avranno dovuto subire per mano dei malvagi, e dalle situazioni che ogni
giorno hanno causato loro afflizione, visto che amavano la giustizia. Sarà anche la liberazione che
permetterà di entrare in un nuovo mondo in cui le malattie e la morte saranno cose del passato.
Aiuto divino in vista della liberazione
17 Ciò che dobbiamo individualmente chiederci è: ‘Sono pronto per questo atto di Dio?’ Se confidiamo in
noi stessi o nel nostro proprio concetto di giustizia, vuol dire che non siamo pronti. Ma se, come Noè,
nutriamo “santo timore”, allora stiamo ubbidendo con fede alla guida che Geova ci dà, e questo porterà
alla nostra liberazione. — Ebrei 11:7.
18 Descrivendo in maniera molto bella quelli che godono della protezione che Geova offre fin d’ora,
Salmo 91:1, 2 dice: “Chiunque dimora nel luogo segreto dell’Altissimo si procurerà albergo sotto la
medesima ombra dell’Onnipotente. Certamente dirò a Geova: ‘Sei il mio rifugio e la mia fortezza, il mio
Dio in cui di sicuro confiderò’”. C’è quindi un gruppo di persone che sono protette da Dio come piccoli
uccelli sotto le poderose ali della madre. Esse ripongono piena fiducia in Geova. Riconoscono in lui
l’Altissimo, l’Onnipotente. Di conseguenza rispettano l’autorità teocratica e si sottomettono ad essa, sia
che venga esercitata dai genitori o dallo “schiavo fedele e discreto”. (Matteo 24:45-47) Può dirsi questo di
noi individualmente? Come Noè, stiamo imparando a fare ‘tutto ciò che Geova ci comanda’ e a farlo
come vuole lui? (Genesi 6:22) In caso affermativo, stiamo reagendo positivamente alla preparazione cui
Geova ci sottopone per liberarci e introdurci nel suo giusto nuovo mondo.
19 Questa preparazione include anche il prestare attenzione al nostro cuore simbolico. “Geova è
l’esaminatore dei cuori”. (Proverbi 17:3) Egli ci aiuta a comprendere che quello che conta non è ciò che
sembriamo esteriormente, bensì ciò che siamo interiormente, ciò che abbiamo nel cuore. Pur non
prendendo parte alla violenza e all’immoralità del mondo che ci circonda, dobbiamo stare in guardia per
non essere noi stessi allettati o attratti da queste cose. Come Lot, dovremmo sentirci angustiati per il fatto
stesso che queste opere illegali esistono. Quelli che odiano ciò che è male non cercheranno i modi per
compierlo; al contrario, coloro che non odiano il male potrebbero trattenersi dal commetterlo
materialmente, ma desiderare mentalmente di farlo. “O voi che amate Geova, odiate ciò che è male”. —
Salmo 97:10.
20 Geova ci sta amorevolmente educando a rifuggire non solo dalla condotta immorale, ma anche da un
modo di vivere materialistico. ‘Accontentatevi di avere di che nutrirvi e di che coprirvi’, consiglia la sua
Parola. (1 Timoteo 6:8) Quando entrarono nell’arca, Noè e i suoi figli dovettero abbandonare le loro case.
Anche Lot e la sua famiglia dovettero abbandonare la casa e i beni per mettersi in salvo. Dove sono
riposti i nostri affetti? “Ricordate la moglie di Lot”. (Luca 17:32) Gesù esortò: “Continuate dunque a
cercare prima il regno e la Sua giustizia”. (Matteo 6:33) Lo stiamo facendo? Se ci facciamo guidare dalle
giuste norme di Geova e se la proclamazione della buona notizia del suo Regno è al primo posto nella
nostra vita, allora stiamo davvero reagendo positivamente a ciò che egli fa per preparare un popolo da
liberare e introdurre nel suo nuovo mondo.
21 Alle persone di santa devozione che avrebbero visto adempiersi il segno della sua presenza nel potere
del Regno, Gesù disse: “Alzatevi e levate in alto la testa, perché la vostra liberazione si avvicina”. (Luca
21:28) Avete visto questo segno avverarsi nei minimi particolari? Allora abbiate fiducia che la liberazione
promessa da Geova è veramente prossima! Siate pur certi che “Geova sa liberare le persone di santa
devozione dalla prova”! — 2 Pietro 2:9.
[Figura a pagina 18]
Il popolo di Dio è protetto da lui come piccoli uccelli sotto le poderose ali della madre
W62 P.489-492
Mala (n. 1) — Tema: Geova è giusto DEUTERONOMIO 32:4; SALMO 37:28
w75 1/7 390-3 Siete troppo cattivi per essere perdonati da Dio?
IN TUTTO il mondo milioni di persone, di ogni condizione, odono la buona notizia del regno di Dio.
Vengono a conoscenza delle benedizioni che esso recherà: Morte, dolore e pena saranno eliminati; e
ogni uomo sederà sotto la sua vite e sotto il suo fico, senza che alcuno lo spaventi. Tutte queste
promesse sono offerte a chi cerca umilmente Geova e la sua giustizia. — Isa. 2:4; Sof. 2:3; Riv. 21:4.
Pur avendo udito anche voi questa buona notizia, forse pensate che queste promesse non siano per voi
a causa della vostra condotta passata. Se aveste conosciuto prima Dio e le benedizioni del suo regno, la
vostra vita avrebbe potuto essere diversa, ma non è stato così. Forse voi, vedendo condizioni ingiuste, vi
sentiste giustificati a farvi giustizia da soli, ricorrendo perfino alla disonestà o alla violenza. E può anche
darsi che, come molti altri, foste allevati in un cattivo ambiente, essendo così indotti a compiere azioni
scorrette di vario genere, e può anche darsi che seguiste tale condotta per vari anni. Come dice la Bibbia:
“Le cattive compagnie corrompono le utili abitudini”. — 1 Cor. 15:33.
Forse ripensandoci vi rendete conto di esservi fatti una cattiva reputazione. Vorreste poter cambiare, ma
può darsi pensiate che sia inutile, che Dio non potrebbe perdonare una persona come voi. Tuttavia, la
Bibbia mostra che Geova, pur non approvando la trasgressione e i trasgressori, non è un Dio vendicativo,
che chieda pienamente conto a ognuno di tutti gli errori commessi.
No, Dio non è affatto così. Come disse molto tempo fa il salmista: “Se tu guardassi gli errori, o Iah, o
Geova, chi starebbe?” Invece egli ci assicura che, se realmente lasciamo le nostre vie cattive e dannose
e ci volgiamo a lui, “egli perdonerà in larga misura”. — Sal. 130:3; Isa. 55:7.
Potete esserne certi perché la Bibbia ci dà notevoli esempi che Dio perdonò anche certuni che avevano
gravemente peccato ma che si erano veramente pentiti. Fra questi ci fu il re Manasse di Giuda. Fu uno
dei re più malvagi che regnassero in Gerusalemme. Per la sua grande malvagità Dio permise che fosse
portato prigioniero in Assiria. Ma quando Manasse si pentì, si umiliò e Lo pregò con fervore, Geova udì le
sue preghiere e lo ristabilì nel favore divino e nel suo regno. — 2 Re 21:2-16; 2 Cron. 33:2-13.
E l’esempio e l’insegnamento di Gesù e dei suoi apostoli vi danno un simile incoraggiamento. Gesù offrì
la speranza del perdono anche alle prostitute e agli esattori di tasse (considerati nel suo giorno fra i più
ignobili peccatori) che comprendevano d’aver bisogno di lui e si pentivano della loro precedente linea di
condotta. Come disse ai suoi critici: “I sani non hanno bisogno del medico, ma quelli che si sentono male
sì. . . . Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. In un’altra occasione disse: “Vi dico che così
ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si pente anziché per novantanove giusti che non hanno
bisogno di pentirsi”. — Matt. 9:11-13; Luca 15:7.
In particolare la bella parabola del figlio prodigo narrata da Gesù dovrebbe rassicurarvi. Il minore di due
figli chiese a suo padre la parte dell’eredità di famiglia che gli spettava e poi andò all’estero e “sperperò la
sua proprietà, vivendo una vita dissoluta”. In seguito, tornato in sé, si pentì e tornò umilmente a casa da
suo padre che, lungi dal respingerlo, lo accolse a braccia aperte. — Luca 15:11-32.
Un altro motivo di conforto e speranza sono le parole dell’apostolo Paolo in I Corinti 6:9-11. Poiché lì,
dopo aver ammonito i Corinti dei gravi peccati che avrebbero impedito loro di ereditare il regno di Geova
Dio, egli prosegue dicendo: “E questo eravate alcuni di voi. Ma siete stati lavati”.
SONO PERDONABILI TUTTI I PECCATI?
Vuol dire questo che si può essere perdonati indipendentemente dai peccati commessi? No, non è così.
Gesù lo rese chiaro nei commenti che rivolse ai suoi ipocriti oppositori, dicendo: “Vi dico: Ogni peccato e
ogni bestemmia saranno perdonati agli uomini, ma la bestemmia contro lo spirito non sarà perdonata. Per
esempio, a chiunque dica una parola contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato; ma a chiunque parli
contro lo spirito santo non sarà perdonato, no, né in questo sistema di cose né in quello avvenire”. —
Matt. 12:31, 32.
Che cosa spinse Gesù a fare questi commenti? Il contesto mostra che quegli ipocriti religiosi videro
compiere da Gesù, il Figlio di Dio, ogni sorta di miracoli, incluso quello di espellere i demoni, per mezzo
del potere dello spirito santo di Dio, eppure attribuirono ostinatamente e malignamente questo potere a
Satana il Diavolo.
Altri i cui peccati non saranno perdonati sono quelli che una volta vennero alla conoscenza della verità
intorno a Geova Dio, esercitarono fede nel sangue sparso di Cristo e poi la ripudiarono o tornarono a
praticare la malvagità. Ma supponete di pensare d’aver commesso tale peccato: è necessariamente
così? Non se avete il sincero desiderio di pentirvi e di fare ciò ch’è giusto, poiché questo indica che forse
non siete andati troppo lontano, come mostra pure l’esempio del re Manasse. — Ebr. 6:4-6; 10:26, 27.
La concessione del perdono nonostante la condotta passata si basa su due fattori rassicuranti e
confortanti. Uno è la misericordia di Geova. Egli prova diletto a essere generoso, clemente, come ci
assicura la sua Parola: “Chi è Dio come te, che perdoni l’errore e passi sopra alla trasgressione . . .? Ci
mostrerà di nuovo misericordia; assoggetterà i nostri errori. E getterai nella profondità del mare tutti i loro
peccati”. — Mic. 7:18, 19.
L’altro fatto è dato dalle circostanze attenuanti. Il re Davide, benché peccasse gravemente contro Geova
riguardo a Betsabea, moglie di Uria, fu perdonato, ma non senza severo castigo. Perché? Perché era
nato nel peccato. Inoltre, ammise prontamente la sua trasgressione ed ebbe un pentimento sincero,
come leggiamo in Salmo 51. (2 Sam. 12:1-23) Accadde la stessa cosa all’apostolo Paolo. Un tempo
aveva perseguitato mortalmente i cristiani, ragione per cui si definisce il “principale” dei peccatori. Ma,
com’egli stesso dice: “Tuttavia, mi fu mostrata misericordia, perché ero nell’ignoranza e agivo per
mancanza di fede”. Sì, fu onesto e sincero nella sua opposizione al cristianesimo, benché fosse
grandemente in errore. Gli fu anche mostrata misericordia affinché, com’egli dice ancora, “per mezzo di
me quale caso principale Cristo Gesù dimostrasse tutta la sua longanimità a modello di coloro che
riporranno la loro fede in lui per la vita eterna”. — 1 Tim. 1:13-16; Atti 26:9-18.
ESEMPI MODERNI
Oggi, come nei tempi biblici, alcuni che sono stati grandissimi peccatori possono pentirsi ed essere
perdonati. I fatti lo mostrano. Ci fu pertanto un uomo che per la natura dei suoi reati fu condannato a
scontare la sua pena in una prigione dello Stato di New York dove c’erano massime misure di sicurezza
per impedire l’evasione. In seguito alla predicazione occasionale di un istruttore della prigione, un
testimone di Geova, la sua coscienza cominciò a rimordergli. La sua vita di un tempo lo affliggeva
grandemente. Si chiedeva se Dio potesse mai perdonarlo dei molti errori e gravi reati da lui commessi.
Ma gli fu assicurato che se si pentiva sinceramente poteva essere perdonato. Questo egli fece. Cambiò
del tutto la sua condotta errata, dedicò la sua vita a Geova Dio e fu battezzato. Ora è un cristiano molto
gioioso con la coscienza pura.
Considerate pure il caso dell’uomo che era un pericolosissimo componente della mafia siciliana.
Arrestato, fu condannato all’ergastolo. In prigione venne a contatto con un testimone di Geova che gli
parlò del solo vero Dio, della pura adorazione e delle meravigliose benedizioni che Dio ha in serbo per
l’umanità. Quando faceva parte della mafia era un “buon” cattolico eppure non vedeva nessuna
contraddizione fra i due ruoli che svolgeva. Ma convintosi della veracità del messaggio biblico che il
Testimone gli recava, si pentì sinceramente, si convertì e si dedicò a fare la volontà di Geova Dio. Il
cambiamento che operò nella sua vita fu così notevole che egli venne intervistato dalla televisione
italiana.
Sì, potete sperare di ottenere il perdono, una coscienza pura e l’approvazione di Dio anche se in passato
avete commesso gravi errori. Ma dovete fare dell’altro oltre a dire solo che vi rammaricate della vostra
condotta passata. Dovete acquistare conoscenza di Geova Dio e apprendere quali sono le sue giuste
esigenze. I cristiani testimoni di Geova del vostro quartiere sono pronti ad aiutarvi conducendo uno studio
biblico personale in casa vostra e mediante le adunanze nelle loro Sale del Regno.
Mentre studierete con loro potrete provare a voi stessi qual è per voi la giusta e santa volontà di Dio.
(Rom. 12:2) Sarete aiutati a nutrire odio per ciò che è male e sincero amore per la giusta volontà di Dio.
(Sal. 97:10) Non solo imparerete ad astenervi da ciò che è male, ma sarete aiutati ad apprendere come
fare ciò che è giusto agli occhi di Dio. Ed esercitando fede nel valore espiatorio del sacrificio di Cristo,
potrete fare queste cose con la coscienza pura, poiché “il sangue di Gesù, suo Figlio [di Dio], ci purifica
da ogni peccato”. — 1 Giov. 1:7.
È vero che mentre cominciate a rinnovare la vostra vita in armonia con le giuste esigenze di Dio, è molto
probabile che ogni tanto veniate meno. Ma questo non è un motivo per scoraggiarsi, poiché il salmista
Davide scrisse in modo confortante: “Quanto il levante dista dal ponente, tanto distanti da noi [Dio] ha
posto le nostre trasgressioni. Poiché egli stesso conosce bene come siamo formati, ricordando che siamo
polvere”. (Sal. 103:12, 14) Quest’assicurazione vi rafforzi per perseverare nella via giusta.
La Parola di Dio è veramente piena di confortanti assicurazioni per quelli che desiderano sinceramente
fare ciò ch’è giusto, qualunque sia stata in passato la loro condotta!
Nel sesto capitolo di Giudici abbiamo un altro esempio di un uomo che parlò a Dio tramite un
rappresentante angelico. Il versetto 11 ⇒di Giudici 6 ⇐chiama il latore del messaggio “l’angelo di
Geova”. Qui leggiamo: “In seguito l’angelo di Geova venne e sedette sotto il grosso albero che era a
Ofra, appartenente a Joas l’abiezerita, mentre Gedeone suo figlio batteva il frumento nello strettoio per
toglierlo presto alla vista di Madian”. Questo messaggero, “l’angelo di Geova”, viene poi descritto come
se fosse Geova Dio stesso. Ai versetti 14 e 15 ⇒di Giudici 6 ⇐si legge: “Allora Geova si voltò verso
[Gedeone] e disse: ‘Va con questa tua potenza, e certamente salverai Israele dalla palma della mano di
Madian. Non ti mando io?’ A sua volta egli gli disse: ‘Scusami, Geova. Con che cosa salverò Israele?’”
L’angelo materializzato che Gedeone vedeva e col quale parlava, perciò, viene descritto nel racconto
biblico come se fosse stato Dio stesso. Al versetto 22 ⇒di Giudici 6 ⇐Gedeone dice: “Ho visto l’angelo di
Geova faccia a faccia!” L’angelo riferì esattamente ciò che gli aveva detto Dio. Gedeone, pertanto, parlò
con Dio tramite questo portavoce angelico.
Prendete poi l’episodio di Manoa e sua moglie, i genitori di Sansone. Anche nella narrazione che li
riguarda il messaggero angelico viene definito “angelo di Geova” e “angelo del vero Dio”. (Giudici 13:2-
18) Come si legge al versetto 22⇒ di Giudici 13⇐, Manoa disse alla moglie: “Noi positivamente
moriremo, perché abbiamo visto Dio”. Anche se in effetti non avevano visto Geova Dio, i sentimenti di
Manoa erano dovuti al fatto che aveva visto il materializzato portavoce personale di Dio.
Maria (n. 1) — Tema: Fede e devozione recano ricompense GALATI 5:22, 23; 2°PIETRO 1:6
Maria (n. 2) — Tema: La spiritualità sia il vostro interesse principale 1°CORINTI 2:13,14
w97 15/10 13-18 Geova apprezza il servizio reso con tutta l'anima
Geova apprezza il servizio reso con tutta l’anima
“Qualunque cosa facciate, fatela con tutta l’anima come a Geova, e non agli uomini”. — COLOSSESI
3:23.
SERVIRE Geova è il più grande privilegio che si possa avere. Giustamente questa rivista incoraggia da
tempo i cristiani a impegnarsi nel ministero, servendo anche “più pienamente” ogni volta che è possibile.
(1 Tessalonicesi 4:1) Non sempre però siamo in grado di fare nel servizio di Dio tutto ciò che il nostro
cuore desidera. “Le circostanze mi costringono a lavorare a tempo pieno”, spiega una sorella nubile che
si battezzò quasi 40 anni fa. “Non lavoro per farmi un guardaroba lussuoso o per fare una crociera, ma
per far fronte alle spese necessarie, comprese quelle mediche e dentistiche. Tuttavia mi sembra di dare a
Geova l’avanzo”.
2 L’amore per Dio ci spinge a voler fare tutto ciò che possiamo nell’opera di predicazione. Ma spesso le
circostanze della vita limitano quello che possiamo fare. Assolvere altre responsabilità scritturali, inclusi
gli obblighi familiari, può consumare gran parte del nostro tempo e delle nostre energie. (1 Timoteo 5:4,
8) In questi “tempi difficili” la vita presenta continuamente nuove sfide. (2 Timoteo 3:1) Quando non
riusciamo a fare nel ministero tutto ciò che vorremmo, possiamo sentirci turbati. Forse ci chiediamo se
Dio si compiace della nostra adorazione.
La bellezza del servizio reso con tutta l’anima
3 In Salmo 103:14 la Bibbia ci incoraggia assicurandoci che Geova “conosce bene come siamo formati,
ricordando che siamo polvere”. Egli comprende i nostri limiti meglio di chiunque altro. Non richiede da noi
più di quello che possiamo dare. Cosa si aspetta da noi? Qualcosa che tutti, indipendentemente dalla
nostra situazione nella vita, possiamo fare: “Qualunque cosa facciate, fatela con tutta l’anima come a
Geova, e non agli uomini”. (Colossesi 3:23) Sì, Geova si aspetta che noi — tutti noi — lo serviamo con
tutta l’anima.
4 Cosa significa servire Geova con tutta l’anima? Il termine greco reso “con tutta l’anima” significa alla
lettera “dall’anima”. L’“anima” è l’intera persona, con tutte le sue facoltà fisiche e mentali. Servire con tutta
l’anima significa quindi spendersi, usando tutte le proprie facoltà e impiegando le proprie energie nella
misura più piena possibile nel servizio di Dio. In parole semplici, significa fare tutto ciò che la nostra
anima può fare. — Marco 12:29, 30.
5 Servire con tutta l’anima significa forse che dobbiamo dedicare tutti la stessa quantità di tempo al
ministero? Difficilmente, perché le circostanze e le capacità cambiano da anima ad anima. Considerate i
fedeli apostoli di Gesù. Non tutti potevano fare le stesse cose. Per esempio, sappiamo pochissimo di
alcuni apostoli, come Simone il cananita e Giacomo il figlio di Alfeo. Forse le loro attività come apostoli
erano piuttosto limitate. (Matteo 10:2-4) Pietro invece fu in grado di accettare molte responsabilità
gravose: Gesù gli affidò addirittura “le chiavi del regno”! (Matteo 16:19) Ma Pietro non fu elevato al di
sopra degli altri. Quando Giovanni, nella Rivelazione (verso il 96 E.V.), ebbe la visione della Nuova
Gerusalemme, vide 12 pietre di fondamento sulle quali erano incisi “i dodici nomi dei dodici apostoli”.
(Rivelazione [Apocalisse] 21:14) Geova apprezzava il servizio di tutti gli apostoli, anche se evidentemente
alcuni erano in grado di fare più di altri.
6 Similmente Geova non pretende che dedichiamo tutti la stessa quantità di tempo alla predicazione.
Gesù lo indicò nell’illustrazione del seminatore, in cui paragonò l’opera di predicazione alla semina. Il
seme cadde su diversi tipi di terreno, che illustrano le varie condizioni di cuore manifestate da coloro che
odono il messaggio. “In quanto a quello seminato sul terreno eccellente”, spiegò Gesù, “questo è colui
che ode la parola e ne afferra il significato, il quale veramente porta frutto e produce, questo il cento,
quello il sessanta, l’altro il trenta”. (Matteo 13:3-8, 18-23) Cos’è questo frutto, e perché viene prodotto in
quantità diverse?
7 Dato che il seme che viene seminato è “la parola del regno”, portare frutto significa diffondere tale
parola, dichiararla ad altri. (Matteo 13:19) La quantità di frutto prodotta varia — dal trenta al cento —
perché le capacità individuali e le circostanze della vita cambiano da persona a persona. Una persona
energica e in buona salute può essere in grado di dedicare alla predicazione più tempo di chi ha poche
energie a causa di un problema di salute cronico o dell’età avanzata. Una persona giovane senza
responsabilità familiari può essere in grado di fare di più di chi deve lavorare a tempo pieno per
mantenere la famiglia. — Confronta Proverbi 20:29.
8 Agli occhi di Dio, la persona che serve con tutta l’anima e che produce il trenta è meno devota di quella
che produce il cento? Niente affatto! La quantità di frutto può variare, ma Geova se ne compiace purché il
servizio reso sia il meglio che la nostra anima può dare. Ricordate, le diverse quantità vengono tutte
prodotte da cuori che sono “terreno eccellente”. La parola greca (kalòs) resa “eccellente” descrive
qualcosa di “bello”, che “diletta il cuore ed è piacevole agli occhi”. Com’è confortante sapere che quando
facciamo del nostro meglio il nostro cuore è bello agli occhi di Dio!
Non fare paragoni
9 Il nostro cuore imperfetto, comunque, può vedere le cose in modo diverso. Può paragonare il nostro
servizio con quello di altri. Può fare questo ragionamento: ‘Nel ministero altri fanno molto di più di quello
che faccio io. Come può Geova compiacersi del mio servizio?’ — Confronta 1 Giovanni 3:19, 20.
10 I pensieri di Geova e le sue vie sono molto più alti dei nostri. (Isaia 55:9) Siamo aiutati a capire come
Geova considera i nostri sforzi individuali da 1 Corinti 12:14-26, dove la congregazione è paragonata a un
corpo con molte membra: occhi, mani, piedi, orecchi, ecc. Pensate per un attimo al corpo fisico. Come
sarebbe ridicolo paragonare gli occhi alle mani o i piedi agli orecchi! Ciascun membro svolge una
funzione diversa, ma tutte le membra sono utili e apprezzate. Similmente Geova apprezza il servizio che
gli rendete con tutta l’anima sia che altri facciano di più o di meno. — Galati 6:4.
11 A causa dei limiti imposti dalla salute cagionevole, dall’età o da altre circostanze, a volte alcuni di noi
possono pensare di essere “più deboli” o “meno onorevoli” di altri. Ma non è così che Geova vede le
cose. La Bibbia ci dice: “Le membra del corpo che sembrano essere più deboli sono necessarie, e le parti
. . . che pensiamo siano meno onorevoli, le circondiamo di più abbondante onore . . . Tuttavia, Dio
compose il corpo, dando più abbondante onore alla parte che ne mancava”. (1 Corinti 12:22-24) Perciò
ogni persona può essere preziosa agli occhi di Geova. Egli considera prezioso il servizio che gli rendiamo
tenendo conto dei nostri limiti. Non vi sentite spinti a fare di cuore tutto il possibile per servire un Dio così
amorevole e comprensivo?
12 Ciò che conta per Geova, quindi, non è che facciate quanto fa qualcun altro, ma che facciate ciò che
voi — la vostra anima — potete fare personalmente. Che Geova apprezzi i nostri sforzi individuali fu
dimostrato in maniera molto toccante da ciò che Gesù disse riguardo a due donne molto diverse negli
ultimi giorni della sua vita terrena.
Il dono “molto costoso” di una donna riconoscente
13 La sera del venerdì 8 nisan Gesù arrivò a Betania, un piccolo villaggio sul fianco orientale del Monte
degli Ulivi, a circa tre chilometri da Gerusalemme. In quel villaggio Gesù aveva degli amici intimi: Maria,
Marta e il loro fratello Lazzaro. Gesù era stato ospite a casa loro, forse di frequente. Ma il sabato sera
Gesù e i suoi amici cenarono a casa di Simone, un ex lebbroso che forse era stato guarito da Gesù.
Mentre Gesù giaceva a tavola, Maria compì un umile gesto che rivelò il suo profondo amore per l’uomo
che le aveva risuscitato il fratello. Aprì un’ampolla di olio profumato, “molto costoso”. Era davvero
costoso! Valeva 300 denari, pari a circa il salario di un anno. Versò l’olio profumato sulla testa e sui piedi
di Gesù. Addirittura gli asciugò i piedi con i capelli. — Marco 14:3; Luca 10:38-42; Giovanni 11:38-44;
12:1-3.
14 I discepoli erano indignati! ‘Perché questo spreco?’, chiesero. Giuda, nascondendo il suo intento
ladresco dietro un suggerimento caritatevole, disse: “Perché quest’olio profumato non si è venduto per
trecento denari e dato ai poveri?” Maria rimase in silenzio. Gesù però disse ai discepoli: “Lasciatela stare.
Perché cercate di darle fastidio? Essa ha fatto verso di me un’opera eccellente [kalòs]. . . . Essa ha fatto
ciò che poteva; si è impegnata a mettere in anticipo olio profumato sul mio corpo in vista della sepoltura.
Veramente vi dico: Dovunque la buona notizia sarà predicata, in tutto il mondo, anche ciò che questa
donna ha fatto sarà detto in ricordo di lei”. Che effetto rassicurante dovettero avere sul cuore di Maria le
affettuose parole di Gesù! — Marco 14:4-9; Giovanni 12:4-8.
15 Gesù era stato profondamente toccato dal gesto di Maria. A suo giudizio Maria aveva compiuto
un’azione davvero encomiabile. Per Gesù non contava tanto il valore materiale del dono quanto il fatto
che ‘essa aveva fatto ciò che poteva’. Aveva colto l’opportunità per dare ciò che poteva. Altre traduzioni
rendono così le sue parole: “Ha fatto tutto quello che poteva”, o: “Ha fatto ciò che era in suo potere”. (An
American Translation; CEI97) Maria fece quel dono con tutta l’anima perché diede il meglio che aveva.
Questo è ciò che significa servire con tutta l’anima.
Le “due monetine” della vedova
16 Un paio di giorni dopo, l’11 nisan, Gesù trascorse una lunga giornata nel tempio, dove la sua autorità
fu contestata ed egli dovette affrontare domande problematiche su tasse, risurrezione e altri argomenti.
Gesù condannò gli scribi e i farisei perché, fra l’altro, ‘divoravano le case delle vedove’. (Marco 12:40) Poi
si mise a sedere, evidentemente nel Cortile delle donne, dove, secondo la tradizione giudaica, c’erano 13
casse del tesoro. Rimase seduto per un po’, osservando attentamente la gente che metteva le
contribuzioni. Vennero molti ricchi, alcuni forse con l’aria di chi si sente giusto, o addirittura ostentando le
loro offerte. (Confronta Matteo 6:2). Gesù concentrò lo sguardo su una donna. Forse una persona
comune non avrebbe notato nulla di particolare in lei o nel suo dono. Ma Gesù, che poteva conoscere
cosa c’era nel cuore delle persone, sapeva che era “una povera vedova”. Sapeva pure l’esatto valore del
suo dono: ‘due monetine di minimo valore’. — Marco 12:41, 42.
17 Gesù chiamò a sé i discepoli, perché voleva che vedessero con i loro occhi la lezione che stava per
insegnare. La vedova, disse Gesù, “ha gettato più di tutti quelli che hanno gettato denaro nelle casse del
tesoro”. Secondo la sua valutazione, la donna aveva dato più di tutti gli altri messi insieme. Aveva dato
“tutto quello che aveva”, fino all’ultimo spicciolo. Così facendo si era messa nelle amorevoli mani di
Geova. Perciò la persona che venne additata come esempio di generosità verso Dio era una il cui dono
non aveva quasi nessun valore materiale. Ma agli occhi di Dio era di valore inestimabile! — Marco 12:43,
44; Giacomo 1:27.
Impariamo dal modo in cui Geova considera il servizio reso con tutta l’anima
18 Da ciò che Gesù disse riguardo a queste due donne possiamo imparare alcune lezioni incoraggianti
circa il modo in cui Geova considera il servizio reso con tutta l’anima. (Giovanni 5:19) Gesù non paragonò
la vedova con Maria. Apprezzò le due monetine della vedova tanto quanto l’olio “molto costoso” di Maria.
Avendo ciascuna donna dato il meglio che aveva, i loro doni furono entrambi di valore agli occhi di Dio.
Perciò qualora cominciaste a sentirvi inutili perché non siete in grado di fare nel servizio di Dio tutto ciò
che vorreste, non scoraggiatevi. Geova accetta volentieri il meglio che potete dare. Ricordate: Geova
“vede il cuore”, per cui conosce perfettamente i desideri del vostro cuore. — 1 Samuele 16:7.
19 Il modo in cui Geova considera il servizio reso con tutta l’anima dovrebbe influire sul modo in cui ci
consideriamo e ci trattiamo a vicenda. Sarebbe davvero poco amorevole criticare gli sforzi di altri o fare
paragoni fra il servizio di una persona e quello di un’altra! Purtroppo una cristiana ha scritto: “A volte ho
l’impressione che o fai la pioniera o non sei nessuno. Anche noi che lottiamo per continuare ad essere
‘semplici’ proclamatori regolari del Regno abbiamo bisogno di sentirci apprezzati”. Dobbiamo ricordare
che non siamo autorizzati a giudicare se un altro cristiano serve con tutta l’anima. (Romani 14:10-12)
Geova apprezza il servizio reso con tutta l’anima da ciascuno dei milioni di fedeli proclamatori del Regno,
e dovremmo apprezzarlo anche noi.
20 Che dire però se sembra che nel ministero qualcuno faccia meno di quello che può? Un calo
nell’attività di un compagno di fede può sicuramente indicare agli anziani premurosi che c’è bisogno di
aiuto o di incoraggiamento. Al tempo stesso non dobbiamo dimenticare che il servizio reso con tutta
l’anima da alcuni può assomigliare più alle monetine della vedova che all’olio costoso di Maria. Di solito è
meglio partire dal presupposto che i nostri fratelli e sorelle amano Geova e che tale amore li spinge a fare
tutto quello che possono, non meno. Di sicuro nessun coscienzioso servitore di Geova sceglie
intenzionalmente di fare nel servizio di Dio meno di quello che può! — 1 Corinti 13:4, 7.
21 Comunque, per molti servitori di Dio servire con tutta l’anima ha significato intraprendere una carriera
che dà straordinarie soddisfazioni, il ministero di pioniere. Quali benedizioni ricevono? E che dire di quelli
che finora non sono riusciti a fare i pionieri? Come possiamo mostrare di avere lo spirito di pioniere? Il
prossimo articolo risponderà a queste domande.
[Note in calce]
Dato che fu Mattia a sostituire Giuda come apostolo, dobbiamo ritenere che il suo nome — e non quello
di Paolo — figurasse fra quelli scritti sulle 12 pietre di fondamento. Paolo, pur essendo un apostolo, non
era uno dei dodici.
Ogni moneta era un lepton, la più piccola moneta ebraica in circolazione a quel tempo. Due lepton
equivalevano a 1/64 del salario di una giornata. Secondo Matteo 10:29, con una moneta da un asse (pari
a otto lepton), si potevano acquistare due passeri, che erano fra gli uccelli più economici che i poveri si
potevano permettere come alimento. Perciò questa vedova era davvero povera, perché aveva soltanto la
metà della somma necessaria per comprare un solo passero, a malapena sufficiente per un pasto.
[Figura a pagina 15]
Maria diede il meglio che aveva, profumando il corpo di Gesù con olio “molto costoso”
[Figura a pagina 16]
Le monetine della vedova: quasi prive di valore materiale, ma di valore inestimabile agli occhi di Geova
Maria (n. 3) — Tema: Apprezzate ciò che Geova e Gesù hanno fatto per voi
GIOVANNI 3:16; 15:13
Maria (n. 4) — Tema: Siate costanti nei vostri atti di devozione 2°CORINTI 9:7
W59 P.334
it-2 235
MATTEO
[prob., forma abbreviata di Mattitia, “dono di Geova”].
Ebreo, chiamato anche Levi, che diventò apostolo di Gesù Cristo e scrittore del Vangelo che porta il suo
nome. Era figlio di un certo Alfeo e prima di diventare discepolo di Gesù faceva l’esattore di tasse. (Mt
10:3; Mr 2:14; vedi ESATTORE DI TASSE). Le Scritture non rivelano se Levi si chiamasse Matteo anche
prima di diventare discepolo di Gesù, se tale nome gli sia stato dato allora o se glielo abbia dato Gesù nel
nominarlo apostolo.
All’inizio del ministero in Galilea (30 o inizio 31 E.V.) Gesù Cristo chiamò Matteo, che lavorava
nell’ufficio delle tasse situato a Capernaum o nei dintorni (Mt 9:1, 9; Mr 2:1, 13, 14), “ed egli, lasciandosi
dietro ogni cosa, si alzò e lo seguì”. (Lu 5:27, 28) Forse per festeggiare il fatto che era stato invitato a
seguire Cristo, Matteo ‘imbandì un grande banchetto’, a cui parteciparono Gesù e i discepoli e anche
molti esattori di tasse e peccatori. Ciò infastidì i farisei e gli scribi che protestarono perché Gesù
mangiava e beveva con esattori di tasse e peccatori. — Lu 5:29, 30; Mt 9:10, 11; Mr 2:15, 16.
Poi, dopo la Pasqua del 31 E.V., Gesù scelse i dodici apostoli, e Matteo era fra questi. (Mr 3:13-19; Lu
6:12-16) Anche se ci sono diversi riferimenti agli apostoli come gruppo, la Bibbia non menziona più per
nome Matteo fin dopo l’ascensione di Cristo al cielo. Matteo vide il risuscitato Gesù Cristo (1Co 15:3-6),
ricevette le sue ultime istruzioni e lo vide ascendere al cielo. Dopo di che lui e gli altri apostoli tornarono a
Gerusalemme. Là gli apostoli stavano in una stanza al piano superiore di una casa, e fra loro è
menzionato anche Matteo, il quale perciò doveva essere uno dei circa 120 discepoli che ricevettero lo
spirito santo il giorno di Pentecoste del 33 E.V. — At 1:4-15; 2:1-4.
Mattia --- Tema: Dio richiede che i sorveglianti siano uomini spirituali 1°CORINTI 2:14-16
it-2 238
MATTIA
[prob., forma abbreviata di Mattitia, “dono di Geova”].
Discepolo scelto a sorte come apostolo per sostituire Giuda Iscariota. Dopo l’ascensione di Gesù al cielo,
Pietro, osservando che il salmista Davide non solo aveva predetto il tradimento di Giuda (Sl 41:9) ma
aveva anche scritto (Sl 109:8): “Prenda qualcun altro il suo incarico di sorveglianza”, propose ai circa 120
discepoli radunati di riassegnare l’incarico vacante. Furono suggeriti i nomi di Giuseppe Barsabba e di
Mattia; dopo una preghiera, si tirò a sorte e venne scelto Mattia. Questo è l’ultimo caso riportato dalla
Bibbia in cui si ricorse alla sorte per determinare la scelta di Geova su una determinata questione, e
questo solo pochi giorni prima che fosse versato lo spirito santo. — At 1:15-26.
Secondo le parole di Pietro (At 1:21, 22), Mattia era stato seguace di Cristo Gesù per tutti i tre anni e
mezzo del suo ministero, era intimo compagno degli apostoli, e molto probabilmente era uno dei 70
discepoli o evangelizzatori inviati da Gesù a predicare. (Lu 10:1) Dopo essere stato scelto, Mattia “fu
annoverato con gli undici apostoli” dalla congregazione (At 1:26), e quando in Atti immediatamente dopo
si parla degli “apostoli” o dei “dodici”, era incluso Mattia. — At 2:37, 43; 4:33, 36; 5:12, 29; 6:2, 6; 8:1, 14;
9:27; vedi PAOLO.
Mefibòset (n.2) --- Tema: L’amorevole benignità contraddistingue i veri servitori di Dio SALMO 23:6
Melchisedec –- Tema: Gesù Cristo, Sommo Sacerdote alla maniera di Melchisedec EBREI 6:20
it-2 249-51
MELCHISEDEC
(Melchìsedec) [re di giustizia].
Re dell’antica Salem e “sacerdote dell’Iddio Altissimo”, Geova. (Ge 14:18, 22) È il primo sacerdote
menzionato nelle Scritture e svolgeva questo incarico qualche tempo prima del 1933 a.E.V. Essendo re di
Salem, che significa “pace”, Melchisedec viene definito dall’apostolo Paolo “Re di pace” e, a motivo del
suo nome, “Re di giustizia”. (Eb 7:1, 2) Si pensa che l’antica Salem sia stata il nucleo della successiva
città di Gerusalemme, e il suo nome fu incorporato in quello di Gerusalemme, che a volte è chiamata
anche “Salem”. — Sl 76:2.
Dopo aver sconfitto Chedorlaomer e i re suoi alleati, il patriarca Abramo (Abraamo) giunse nel
Bassopiano di Save o “Bassopiano del Re”. Là Melchisedec “portò pane e vino” e benedisse Abraamo
dicendo: “Benedetto sia Abramo dall’Iddio Altissimo, che ha fatto il cielo e la terra; e benedetto sia l’Iddio
Altissimo, che ha consegnato i tuoi oppressori nella tua mano!” Allora Abraamo diede al re-sacerdote “un
decimo di ogni cosa”, cioè delle “spoglie principali” prese nel vittorioso combattimento contro i re alleati.
— Ge 14:17-20; Eb 7:4.
Tipo del sacerdozio di Cristo. In una notevole profezia messianica Geova giura al “Signore” di Davide:
“Tu sei sacerdote a tempo indefinito alla maniera di Melchisedec!” (Sl 110:1, 4) Questo salmo ispirato
diede agli ebrei ragione di aspettarsi che il promesso Messia sarebbe stato sia sacerdote che re.
L’apostolo Paolo, nella lettera agli Ebrei, elimina ogni dubbio circa l’identità di colui che era stato predetto,
parlando di “Gesù, che è divenuto sommo sacerdote alla maniera di Melchisedec per sempre”. — Eb
6:20; 5:10; vedi PATTO.
Nomina diretta. Melchisedec era stato evidentemente nominato sacerdote da Geova. Parlando della
posizione di Gesù, il grande Sommo Sacerdote, Paolo spiegò che un uomo non prende l’onore “da sé,
ma solo quando è chiamato da Dio, come lo fu anche Aaronne”. E aggiunse che “il Cristo non glorificò se
stesso divenendo sommo sacerdote, ma fu glorificato da colui che disse a suo riguardo: ‘Tu sei mio figlio;
io, oggi, ti ho generato’”, e quindi applicò a Gesù Cristo le parole profetiche di Salmo 110:4. — Eb 5:1, 4-
6.
‘Ricevette le decime da Levi’. Il sacerdozio di Melchisedec non aveva niente a che fare con il
sacerdozio di Israele e, come rilevano le Scritture, era superiore al sacerdozio aaronnico. Ciò è indicato
fra l’altro dalla deferenza di Abraamo — antenato dell’intera nazione d’Israele, inclusa la tribù sacerdotale
di Levi — verso Melchisedec. Abraamo, “amico di Geova”, diventò “il padre di tutti quelli che hanno fede”
(Gc 2:23; Ro 4:11), e diede un decimo, o la “decima”, a questo sacerdote dell’Iddio Altissimo. Paolo
spiega che i leviti riscuotevano le decime dai loro fratelli, anch’essi usciti dai lombi di Abraamo. Tuttavia
fa notare che Melchisedec pur non essendo “annoverato nella loro genealogia prese le decime da
Abraamo”, e “per mezzo di Abraamo anche Levi che riceve le decime ha pagato le decime, poiché era
ancora nei lombi del suo antenato quando Melchisedec lo incontrò”. Perciò, anche se i sacerdoti leviti
ricevevano le decime dal popolo d’Israele, essi, nella persona del loro antenato Abraamo, pagarono le
decime a Melchisedec. Inoltre la superiorità del sacerdozio di Melchisedec è dimostrata dal fatto che egli
benedisse Abraamo, e Paolo fa notare che “il minore è benedetto dal maggiore”. Questi sono alcuni
aspetti che rendono Melchisedec un appropriato tipo del grande Sommo Sacerdote, Gesù Cristo. — Eb
7:4-10.
Senza predecessori né successori. Paolo indica chiaramente che non si poteva raggiungere la
perfezione per mezzo del sacerdozio levitico, per cui era necessario l’intervento di un sacerdote “alla
maniera di Melchisedec”. Egli fa notare che Gesù Cristo era discendente di Giuda, tribù non sacerdotale,
ma, indicando l’analogia con Melchisedec, spiega che divenne sacerdote “non secondo la legge di un
comandamento che dipende dalla carne, ma secondo il potere di una vita indistruttibile”. Aaronne e i suoi
figli erano diventati sacerdoti senza giuramento, mentre il sacerdozio conferito a Cristo fu stabilito
mediante un giuramento di Geova. Inoltre, mentre i sacerdoti leviti morivano e dovevano avere
successori, il risuscitato Gesù Cristo, “siccome rimane vivente per sempre, ha il proprio sacerdozio senza
successori”, e perciò è in grado di “salvare completamente quelli che si accostano a Dio per mezzo suo,
perché è sempre vivente per intercedere a loro favore”. — Eb 7:11-25.
In che senso Melchisedec non ebbe “né principio di giorni né fine di vita”?
Riguardo a Melchisedec, Paolo mette in risalto un fatto degno di nota: “Essendo senza padre, senza
madre, senza genealogia, non avendo né principio di giorni né fine di vita, ma essendo stato reso simile
al Figlio di Dio, egli rimane sacerdote in perpetuo”. (Eb 7:3) Come gli altri esseri umani, Melchisedec
nacque e morì. Tuttavia non conosciamo il nome di suo padre e di sua madre, né la sua discendenza, né
la sua posterità, e le Scritture non forniscono alcuna informazione circa l’inizio dei suoi giorni o la fine
della sua vita. Perciò egli poté appropriatamente prefigurare Gesù Cristo, il cui sacerdozio non ha fine.
Come Melchisedec, che nel sacerdozio non ebbe nessun predecessore o successore conosciuto, così
anche Cristo non è stato preceduto da alcun sommo sacerdote simile a lui, e la Bibbia spiega che non
avrà successori. Inoltre, poiché per nascita Gesù apparteneva alla tribù di Giuda e alla discendenza
regale di Davide, i suoi antenati carnali non ebbero nulla a che fare con il suo sacerdozio, e non fu in virtù
di antenati umani che riunì in sé l’incarico sia di sacerdote che di re. Queste cose dipendevano dal
giuramento di Geova.
Un’idea presente nel Targum di Gerusalemme e in quello di Gionata, e che ha raccolto ampi consensi
fra gli ebrei e altri, è che Melchisedec fosse Sem figlio di Noè. Sem era ancora in vita e sopravvisse
anche a Sara moglie di Abraamo. Inoltre Noè benedisse Sem in modo particolare. (Ge 9:26, 27)
Comunque una simile identificazione non è stata confermata. Resta il fatto che la nazionalità, la
genealogia e la discendenza di Melchisedec non vengono rivelate nelle Scritture, e a ragione, poiché in
tal modo poteva essere un tipo di Gesù Cristo, che mediante il giuramento di Geova “è divenuto sommo
sacerdote alla maniera di Melchisedec per sempre”. — Eb 6:20.
w90 1/7 20-1 Si sta per scrivere l'ultimo capitolo del "libro delle Guerre di Geova"
Il più grande Melchisedec, un guerriero
12 Dopo che Abraamo sconfisse Chedorlaomer e i re suoi confederati, Melchisedec lo benedisse. Il re-
sacerdote Melchisedec raffigurava profeticamente Colui che sarebbe stato Sommo Sacerdote dell’Iddio
Altissimo e allo stesso tempo un potente guerriero che avrebbe avuto il sostegno dell’Iddio Supremo. Il
Salmo 110, composto sotto ispirazione dal re-guerriero Davide, si rivolge a Colui che è più grande di
Melchisedec di Salem quando dice: “La verga della tua forza Geova manderà da Sion, dicendo:
‘Sottoponi in mezzo ai tuoi nemici’. Geova ha giurato (e non si rammaricherà): ‘Tu sei sacerdote a tempo
indefinito alla maniera di Melchisedec!’ Geova stesso alla tua destra certamente farà a pezzi i re nel
giorno della sua ira”. — Salmo 110:2, 4, 5.
13 L’ispirato scrittore del libro di Ebrei rivelò l’identità di Colui al quale erano rivolte in realtà queste parole
dicendo: “Un precursore è entrato a nostro favore, Gesù, che è divenuto sommo sacerdote alla maniera
di Melchisedec per sempre”. (Ebrei 6:20) Nel successivo capitolo di Ebrei viene spiegata la grandezza
dell’antico Melchisedec. Tuttavia, Melchisedec prefigurava un Sacerdote ancora più grande: il risuscitato
e glorificato Gesù Cristo, che entrò alla santa presenza di Geova Dio stesso con il valore di un sacrificio
molto più grande di qualsiasi cosa il re-sacerdote Melchisedec di Salem abbia mai potuto offrire. — Ebrei
7:1–8:2.
14 Il re-sacerdote Melchisedec benedisse un guerriero, il vittorioso Abraamo. Ma che dire del più grande
Melchisedec, il Fondatore del vero cristianesimo? Il clero della cristianità pretende di rappresentare Gesù
Cristo quando benedice gli eserciti di nazioni cosiddette cristiane e prega per loro. Ma il Sommo
Sacerdote di Geova ha forse sostenuto dal cielo gli ecclesiastici della cristianità in queste azioni? Si è
forse assunto in questo modo la responsabilità di tutto il sangue che è stato versato durante la cosiddetta
era cristiana, compreso quello versato durante la prima e la seconda guerra mondiale? Assolutamente
no! Egli non ha mai autorizzato i suoi veri discepoli a far parte di questo mondo e a partecipare al suo
sanguinario militarismo.
Mesac --- Tema: Le ricompense del mantenere l’integrità da giovani GIOBBE 27:5 b
it-2 265-6
MESAC (Mèsac).
Nome babilonese che il capo dei funzionari di corte di Nabucodonosor diede a Misael, compagno di
Daniele. Il significato di questo nuovo nome è incerto, ma poteva contenere un riferimento ad Aku, dio
sumero.
Da giovane mantiene l’integrità. Nel 617 a.E.V. Mesac (Misael) fu portato prigioniero da Gerusalemme
a Babilonia insieme a Ioiachin e altri. Misael, Azaria, Hanania e Daniele furono sottoposti a un triennio di
addestramento dai reali babilonesi, al termine del quale si dimostrarono superiori anche ai consiglieri del
re. (2Re 24:1, 6, 8, 12-16; Da 1:1-7, 17-20) Per tutto questo tempo i quattro giovani rimasero saldi nella
loro devozione a Dio, rifiutando di contaminarsi persino con i cibi prelibati del re. — Da 1:8-16.
Ci sono tre probabili ragioni per cui ritenevano ‘contaminanti’ i cibi prelibati del re: (1) I babilonesi
mangiavano animali dichiarati impuri dalla Legge mosaica; (2) non si preoccupavano di assicurarsi che gli
animali fossero dovutamente dissanguati, e forse a volte questi venivano strangolati; (3) spesso i pagani
prima sacrificavano gli animali ai loro dèi, e il mangiarne la carne era considerato parte dell’adorazione
resa agli dèi. — Da 1:8; cfr. 1Co 10:18-20, 28.
In seguito, dopo che Daniele era stato promosso a un alto incarico governativo alla corte del re
Nabucodonosor, questi, su richiesta di Daniele, nominò Mesac, Sadrac e Abednego amministratori del
distretto giurisdizionale di Babilonia. — Da 2:48, 49.
Rifiuta di inchinarsi davanti all’immagine. Mesac e i suoi due compagni si fecero nuovamente notare
dal re Nabucodonosor perché rifiutarono, al cospetto di tutti gli altri funzionari governativi, di inchinarsi
davanti alla grande immagine che egli aveva eretto. Con piena fede in Geova dissero a Nabucodonosor
che non avrebbero servito i suoi dèi. Anche se il loro Dio non li avesse liberati dalla fornace, sarebbero
comunque rimasti fedeli a lui piuttosto che fare compromesso per essere liberati. (In Eb 11:34, 35 si fa
menzione di coloro che “resisterono alla forza del fuoco” e “non accettarono la liberazione mediante
qualche riscatto, per ottenere una risurrezione migliore”). Per la loro fede Geova li preservò mediante il
suo angelo. Infatti quando uscirono dalla fornace “su di loro non era venuto nemmeno l’odore del fuoco”.
Nabucodonosor, che si era adirato al punto di ordinare che la fornace venisse riscaldata sette volte più
del consueto prima che vi fossero gettati dentro i tre uomini, comandò allora che chiunque avesse detto
qualcosa di male contro il Dio di Mesac venisse smembrato e la sua casa trasformata in una latrina
pubblica. — Da 3:1-30.
Michea --- Tema: Il potere delle illustrazioni MATTEO 13:34, 35 MARCO 4:2a MARCO 4:33,34
it-2 276
MICHEA [forma abbreviata di Michele o di Micaia].
Scrittore del libro biblico che porta il suo nome e profeta di Geova all’epoca dei re di Giuda Iotam, Acaz
ed Ezechia (777-717 a.E.V.). Contemporaneo dei profeti Osea e Isaia. Non si conosce la durata esatta
della sua attività profetica. A quanto pare Michea smise di profetizzare alla fine del regno di Ezechia,
quando fu ultimata la stesura del suo libro profetico. — Mic 1:1; Os 1:1; Isa 1:1.
Michea era nativo del villaggio di Moreset, a SO di Gerusalemme. (Ger 26:18) Poiché abitava nella
fertile Sefela, il profeta conosceva bene la vita rurale, da cui fu ispirato a trarre notevoli illustrazioni. (Mic
2:12; 4:12, 13; 7:1, 4, 14) Michea profetizzò in tempi assai turbolenti, quando la falsa adorazione e la
corruzione morale prevalevano in Israele e in Giuda, e anche quando il re Ezechia diede corso alle
riforme religiose. (2Re 15:32–20:21; 2Cr 27–32) A ragione “la parola di Geova che fu rivolta a Michea”
avvertiva che Dio avrebbe fatto di Samaria “un mucchio di rovine del campo”, e prediceva inoltre: “Sion
sarà arata come un semplice campo, e Gerusalemme stessa diverrà semplici mucchi di rovine”. (Mic 1:1,
6; 3:12) Anche se la devastazione di Giuda e di Gerusalemme sarebbe avvenuta molti anni dopo, nel 607
a.E.V., probabilmente Michea era ancora in vita quando fu distrutta Samaria nel 740 a.E.V. — 2Re 25:1-
21; 17:5, 6.
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MIRIAM (Mìriam) [forse, ribelle].
1. Figlia di Amram e di sua moglie Iochebed, entrambi della tribù di Levi; sorella di Mosè e di Aaronne.
(Nu 26:59; 1Cr 6:1-3) Anche se non è menzionata per nome, era senza dubbio la “sorella di lui” che stava
a vedere cosa sarebbe successo al piccolo Mosè deposto in un’arca di papiro fra i canneti del Nilo. (Eso
2:3, 4) Scoperto il piccino, la figlia del faraone “provò compassione” per lui e riconobbe che si trattava di
“uno dei piccoli degli ebrei”; allora Miriam chiese se doveva chiamare una donna ebrea per allattare il
bambino. Per ordine della figlia del faraone, “la fanciulla andò e chiamò la madre del piccolo”. Iochebed
ebbe l’incarico di occuparsi di Mosè finché non fosse cresciuto. — Eso 2:5-10.
Dirige il canto delle donne d’Israele. Molti anni dopo, avendo assistito al trionfo di Geova sulle forze
militari del faraone al Mar Rosso e udendo il cantico di Mosè e degli uomini d’Israele, “Miriam, la
profetessa”, guidò le donne d’Israele che suonavano gioiosamente il tamburello e danzavano. In risposta
al cantico diretto da Mosè, Miriam cantò: “Cantate a Geova, poiché si è altamente esaltato. Ha lanciato in
mare il cavallo e il suo cavaliere”. — Eso 15:1, 20, 21.
Protesta contro Mosè. Mentre gli israeliti erano nel deserto, Miriam e Aaronne cominciarono a parlare
contro Mosè a motivo della moglie cusita. L’importanza e la fama di cui godeva Mosè presso il popolo
potevano aver creato in Miriam e Aaronne il desiderio egoistico di avere più autorità, tanto che
continuavano a ripetere: “Forse Geova ha parlato solo mediante Mosè? Non ha parlato anche mediante
noi?” Ma Geova ascoltava e ordinò immediatamente a Mosè, Miriam e Aaronne di recarsi alla tenda di
adunanza. Là Dio ricordò ai mormoratori che Mosè loro fratello era Suo servitore, e che a lui Dio non
parlava indirettamente, ma “bocca a bocca”. Quindi Geova chiese a Miriam e ad Aaronne: “Perché,
dunque, non avete temuto di parlare contro il mio servitore, contro Mosè?” L’ira di Dio divampò contro di
loro e, mentre la nuvola sopra la tenda si allontanava, “Miriam era colpita da lebbra bianca come la neve”.
Aaronne implorò misericordia, Mosè intercedette per lei, e Geova permise a Miriam di tornare
all’accampamento dopo un’umiliante settimana di isolamento. — Nu 12:1-15.
Il fatto che solo Miriam sia stata colpita dalla lebbra può far pensare che in quell’occasione sia stata lei
l’istigatrice della condotta sbagliata. (Vedi AARONNE). Il suo peccato nel mormorare contro Mosè può
essere stato più grave di quello di Aaronne, trattandosi forse di gelosia nei confronti di un’altra donna
(dato che cominciarono a parlare contro Mosè a motivo della moglie cusita); da parte sua Aaronne
avrebbe preso le parti della sorella anziché quelle della cognata. Poiché era considerata una profetessa,
Miriam poteva aver avuto un ruolo di primo piano in Israele. Perciò forse temeva che la moglie di Mosè
potesse eclissare il suo prestigio. Ma indipendentemente da ciò, e benché fosse del tutto fuori luogo che
sia Miriam che Aaronne mormorassero contro Mosè, per Miriam fu particolarmente sbagliato farlo a
motivo del ruolo di sottomissione all’uomo assegnato da Dio alla donna. (1Co 11:3; 1Tm 2:11-14) La
condotta peccaminosa di Miriam fu in seguito usata come esempio ammonitore, e infatti alla fine della
peregrinazione nel deserto Mosè disse al popolo di seguire le istruzioni dei sacerdoti relative alla lebbra e
lo esortò a ricordare ciò che Geova aveva fatto a Miriam mentre uscivano dall’Egitto. — De 24:8, 9.
Miriam morì e fu sepolta a Cades, nel deserto di Zin, poco prima della morte di Aaronne. (Nu 20:1, 28)
Secoli dopo, per mezzo del profeta Michea, Geova ricordò il privilegio che Miriam aveva avuto insieme ai
suoi fratelli quando Israele era uscito dall’Egitto: “Poiché ti feci salire dal paese d’Egitto, e ti redensi dalla
casa degli schiavi; e mandavo davanti a te Mosè, Aaronne e Miriam”. — Mic 6:4.
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Miriam, privilegiata in gioventù e nella vecchiaia
MIRIAM, la figlia del levita Amram e della sua moglie levita Iochebed, ebbe un ruolo importante nella
storia dell’antico Israele. Il modo in cui Geova Dio impiegò Miriam diede prova del suo interesse per la
nazione. Tramite il profeta Michea, l’Onnipotente dichiarò: “Ti trassi fuori del paese d’Egitto, e ti redensi
dalla casa degli schiavi; e mandavo dinanzi a te Mosè, Aaronne e Miriam”. — Mic. 6:4.
IN GIOVENTÙ
Sin da bambina Miriam ebbe il privilegio di partecipare allo svolgimento del proposito di Geova riguardo
a suo fratello Mosè. Il Faraone d’Egitto aveva decretato che ogni maschio nato fra gli ebrei doveva
essere gettato nel Nilo. Non temendo l’ordine del re, Iochebed tenne il bambino nascosto per tre mesi.
Ma quando non fu più in grado di tenerlo nascosto, fece un’arca di papiro e la impermeabilizzò con
bitume e pece. Mise poi l’arca, con dentro il piccino, fra i canneti lungo la sponda del Nilo. Dopo di che
Miriam rimase nei pressi per vedere cosa sarebbe successo. — Eso. 2:1-4; 6:20; Ebr. 11:23.
Quando la figlia di Faraone, accompagnata dalle sue servitrici, venne a bagnarsi nel fiume, vide l’arca e
chiese che le fosse portata. Alla vista del bimbo che piangeva fu mossa a compassione. Miriam agì con
prontezza. Rivolgendosi alla figlia di Faraone, chiese: “Andrò a chiamarti specialmente una nutrice fra le
donne ebree affinché ti allatti il piccino?” Grazie alle parole di Miriam quella nutrice poté essere la madre
stessa. Che gioia e gratitudine dovette provare Iochebed nel suo cuore! Così Mosè fu salvato dalla morte
e allevato onde divenisse colui per mezzo del quale gli israeliti furono condotti fuori dell’Egitto fino ai
confini della Terra promessa. Certo poche fanciulle hanno preso parte in modo così diretto come Miriam
all’attuazione della divina provvidenza. — Eso. 2:5-10.
NELLA VECCHIAIA
Ottant’anni dopo, gli israeliti lasciarono l’Egitto come popolo libero al comando di Mosè. Quando
Faraone e le sue forze militari si lanciarono all’inseguimento, Geova Dio compì uno spettacolare
miracolo, aprendo il Mar Rosso e permettendo che il Suo popolo l’attraversasse. Gli inseguitori egiziani
invece furono tutti distrutti, perché immediatamente il passaggio fu inondato dalle acque. Dall’altra parte
del mare, Miriam condusse le donne israelite nel canto e nella danza, glorificando Geova per averli
liberati. A quel tempo aveva circa 90 anni e serviva come profetessa in Israele. — Eso. 15:20, 21.
Tuttavia l’anno seguente la posizione privilegiata di Miriam le divenne causa d’inciampo. Cominciò a
parlare pubblicamente contro suo fratello Mosè e convinse Aaronne a unirsi a lei nelle lagnanze. Oggetto
della critica era la moglie cusita di Mosè, e questo fu preso quale spunto per sfidare il suo particolare
incarico. Il racconto biblico ci dice: “E dicevano: ‘Ha Geova parlato solo mediante Mosè? Non ha parlato
anche mediante noi?’” Queste domande insinuavano che Mosè mostrava poco riguardo per il fratello e la
sorella maggiori e si innalzava come unico portavoce di Dio. — Num. 12:1-3.
La lamentela non aveva assolutamente alcun fondamento, e l’Altissimo disse ad Aaronne e Miriam:
“Udite le mie parole, suvvia. Se ci fu un profeta dei vostri per Geova, mi facevo conoscere a lui in una
visione. Gli parlavo in un sogno. Non così il mio servitore Mosè! A lui è affidata tutta la mia casa. Gli parlo
a bocca a bocca, così mostrandogli, e non mediante enigmi; ed egli vede l’apparenza di Geova. Perché,
dunque, non avete temuto di parlare contro il mio servitore, contro Mosè?” (Num. 12:6-8) Sì, Mosè non
aveva usurpato una posizione superiore ad Aaronne o a qualsiasi altro membro della nazione d’Israele.
Era stato nominato direttamente da Geova. Ecco perché sia Aaronne che Miriam erano colpevoli di aver
parlato contro l’Altissimo.
Nel caso di Miriam, il suo mormorio fu forse suscitato dalla gelosia per la sua reputazione di profetessa.
Forse temeva che la cognata ricevesse maggiore preminenza nella nazione. Evidentemente l’orgoglio di
Miriam le fece perdere di vista la vera questione, l’importanza dell’umile sottomissione alle disposizioni di
Geova.
Per non aver mantenuto il posto assegnatole da Dio e per aver mosso ingiustificate critiche contro suo
fratello, Miriam fu colpita dalla lebbra. Che terribile segno del disfavore divino! Aaronne invocò
misericordia, e Mosè implorò ardentemente Geova a favore della sorella, dicendo: “O Dio, ti prego!
Sanala, ti prego!” Miriam fu sanata, ma dovette sottomettersi all’umiliazione di una quarantena di sette
giorni fuori del campo di Israele. (Num. 12:9-15) Comunque, nell’anno in cui gli israeliti entrarono in
Canaan, Miriam morì nel favore di Geova. — Num. 20:1.
Tutti i servitori dell’Altissimo possono trarre un’importante lezione dall’esperienza di Miriam. Anche se
una persona gode di molte benedizioni, di per sé questo non la rende immune da gravi errori. Abbiamo
veramente bisogno di lottare per mantenerci umili davanti al nostro Dio, non permettendo all’orgoglio di
dominarci. Teniamo sempre presenti le ispirate parole: “Dio si oppone ai superbi, ma dà immeritata
benignità agli umili”. — Giac. 4:6.
[Nota in calce]
Miriam non è menzionata per nome nel racconto, che parla semplicemente della “sorella di Mosè”.
Tuttavia, dato che non vi è alcuna indicazione che Mosè e Aaronne avessero altre sorelle, dobbiamo
ritenere che si tratti di Miriam. — Num. 26:59.
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MOSÈ [tratto fuori [cioè, salvato dall’acqua]].
“Uomo del vero Dio”, condottiero della nazione d’Israele, mediatore del patto della Legge, profeta,
giudice, comandante, storico e scrittore. (Esd 3:2) Mosè, figlio di Amram, nipote di Cheat e pronipote di
Levi, nacque in Egitto nel 1593 a.E.V. Sua madre Iochebed era sorella di Cheat. Mosè aveva tre anni
meno di suo fratello Aaronne. Miriam loro sorella aveva qualche anno di più. — Eso 6:16, 18, 20; 2:7.
Primi anni di vita in Egitto. Mosè, bambino “divinamente bello”, fu sottratto al genocidio decretato dal
faraone che aveva ordinato di uccidere ogni maschio ebreo appena nato. La madre, dopo averlo tenuto
nascosto per tre mesi, lo depose in un’arca di papiro fra le canne lungo la riva del Nilo, dove la figlia del
faraone lo trovò. Grazie alla saggezza della madre e della sorella, Mosè fu allattato e allevato dalla
propria madre al servizio della figlia del faraone, la quale lo adottò come figlio suo. Facendo parte della
famiglia del faraone, Mosè fu “istruito in tutta la sapienza degli egiziani” e diventò “potente in parole e in
opere”, poiché senza dubbio aveva notevoli doti fisiche e mentali. — Eso 2:1-10; At 7:20-22.
Nonostante la posizione privilegiata e le opportunità offerte a Mosè in Egitto, il suo cuore era con il
popolo di Dio reso schiavo. Infatti egli sperava di essere usato da Dio per liberarlo. All’età di quarant’anni,
mentre osservava i carichi che gli ebrei suoi fratelli portavano, vide un egiziano colpire un ebreo. Per
difendere l’israelita uccise l’egiziano e lo seppellì nella sabbia. A questo punto Mosè prese la decisione
più importante della sua vita: “Per fede Mosè, quando fu cresciuto, rifiutò di esser chiamato figlio della
figlia di Faraone, scegliendo di essere maltrattato col popolo di Dio piuttosto che avere il temporaneo
godimento del peccato”. In tal modo rinunciò all’onore e alla ricchezza che avrebbe potuto avere quale
componente della famiglia del potente faraone. — Eb 11:24, 25.
In realtà Mosè aveva pensato che fosse venuto il momento di intervenire per salvare gli ebrei. Ma essi
non apprezzarono i suoi sforzi e, quando il faraone seppe dell’uccisione dell’egiziano, Mosè fu costretto a
fuggire dall’Egitto. — Eso 2:11-15; At 7:23-29.
Quarant’anni in Madian. Dopo un lungo viaggio nel deserto, Mosè cercò rifugio in Madian. Là, presso un
pozzo, furono di nuovo evidenti il suo coraggio e la sua prontezza ad agire risolutamente per aiutare
quelli che subivano ingiustizie. Quando dei pastori scacciarono le sette figlie di Ietro e il loro gregge,
Mosè aiutò le donne e abbeverò per loro il gregge. Perciò fu invitato in casa di Ietro, fu assunto come
pastore del suo gregge e infine sposò una delle sue figlie, Zippora, che gli diede due figli, Ghersom ed
Eliezer. — Eso 2:16-22; 18:2-4.
Addestrato per il servizio futuro. Benché fosse proposito di Dio liberare gli ebrei per mano di Mosè,
non era ancora arrivato il momento da Lui stabilito; e Mosè non era ancora qualificato per essere
preposto al popolo di Dio. Doveva sottoporsi ad altri 40 anni di addestramento. Perché fosse idoneo per
guidare il popolo di Dio, in lui si dovevano sviluppare maggiormente le qualità di pazienza, mansuetudine,
umiltà, longanimità, mitezza, padronanza di sé, e la capacità di saper aspettare Geova. Doveva essere
addestrato e preparato a sopportare lo scoraggiamento, le delusioni e le difficoltà che avrebbe incontrato,
e a risolvere con amorevole benignità, calma e vigore i numerosi problemi che una grande nazione
avrebbe presentato. Mosè era molto colto, e la sua educazione quale componente della famiglia del
faraone gli aveva senza dubbio conferito dignità, fiducia ed equilibrio e aveva accentuato le sue doti di
organizzatore e comandante. Ma l’umile lavoro di pastore in Madian provvide l’addestramento necessario
a sviluppare ottime qualità ancora più importanti per svolgere il compito che lo attendeva. Similmente
Davide fu sottoposto a un rigoroso addestramento, anche dopo essere stato unto da Samuele, e Gesù
Cristo venne messo alla prova per essere perfezionato come Re e Sommo Sacerdote per sempre.
“[Cristo] imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì; e dopo essere stato reso perfetto divenne per tutti
quelli che gli ubbidiscono responsabile di salvezza eterna”. — Eb 5:8, 9.
Nominato liberatore. Verso la fine dei 40 anni trascorsi in Madian, Mosè stava pascolando il gregge di
Ietro presso il monte Horeb quando rimase sbalordito alla vista di un roveto in fiamme che non veniva
però consumato dal fuoco. Come si avvicinò per osservare questo grande fenomeno, l’angelo di Geova
parlò dalla fiamma, rivelando che era giunto il tempo stabilito da Dio per liberare Israele dalla schiavitù, e
dando a Mosè l’incarico di presentarsi nel memorabile nome di Dio, Geova. (Eso 3:1-15) Così Dio nominò
Mosè suo profeta e rappresentante, e ora Mosè poteva giustamente essere definito unto, o messia, o
“Cristo” come in Ebrei 11:26. Geova, per mezzo dell’angelo, provvide le credenziali che Mosè avrebbe
potuto presentare agli anziani d’Israele: come segno Mosè avrebbe compiuto tre miracoli. Questa è la
prima volta che le Scritture parlano di un essere umano che ricevette il potere di compiere miracoli. —
Eso 4:1-9.
Non viene squalificato per la sua riluttanza. Mosè comunque si mostrò restio ad accettare, adducendo
la scusa che era incapace di parlare correntemente. Era cambiato, era molto diverso dal Mosè che, di
propria iniziativa, si era offerto di liberare Israele 40 anni prima. Continuò a muovere obiezioni a Geova,
chiedendogli infine di dispensarlo dall’impresa. Anche se questo suscitò la Sua ira, Dio non rigettò Mosè
ma gli diede suo fratello Aaronne come portavoce. Così, essendo il rappresentante di Dio, Mosè diventò
come “Dio” per Aaronne, che parlava in vece sua. Durante i successivi incontri con gli anziani d’Israele e
con il faraone, sembra che Dio desse le istruzioni e i comandi a Mosè, e questi a sua volta li riferisse ad
Aaronne; quindi in effetti fu Aaronne a parlare davanti al faraone (un successore del faraone a cui Mosè
era sfuggito 40 anni prima). (Eso 2:23; 4:10-17) Successivamente Geova disse che Aaronne era “profeta”
di Mosè, nel senso che, come Mosè era profeta di Dio, guidato da Lui, così Aaronne doveva essere
guidato da Mosè. Inoltre a Mosè fu detto che veniva costituito “Dio per Faraone”, cioè gli era data
potenza e autorità divina sul faraone, e quindi non c’era nessun motivo di averne paura. — Eso 7:1, 2.
Dio riprese Mosè per la sua riluttanza ad assumere l’arduo compito di liberatore d’Israele, ma non gli
tolse l’incarico. Mosè non aveva esitato a motivo della vecchiaia, anche se aveva 80 anni. Quarant’anni
dopo, all’età di 120 anni, Mosè era ancora pieno di vigore e vitalità. (De 34:7) Durante i 40 anni trascorsi
in Madian aveva avuto molto tempo per meditare, e aveva capito l’errore che aveva fatto cercando di
liberare gli ebrei di propria iniziativa. Ora si rendeva conto della propria inadeguatezza. E, dopo tutto il
tempo trascorso lontano dagli affari pubblici, fu senza dubbio uno shock ricevere improvvisamente questo
incarico.
In seguito la Bibbia dice: “L’uomo Mosè era di gran lunga il più mansueto di tutti gli uomini che erano
sulla superficie del suolo”. (Nu 12:3) Essendo mansueto, riconobbe di non essere che un uomo, con
difetti e debolezze. Non si spinse avanti come invincibile condottiero d’Israele. Dimostrò non di avere
paura del faraone, ma di essere ben consapevole delle proprie limitazioni.
Davanti al faraone d’Egitto. Mosè e Aaronne erano ora figure chiave in una ‘battaglia degli dèi’. Per
mezzo dei sacerdoti che praticavano la magia, i cui capi a quanto pare si chiamavano Ianne e Iambre
(2Tm 3:8), il faraone fece appello alla potenza di tutti gli dèi d’Egitto per contrastare la potenza di Geova.
Il primo miracolo che Aaronne compì per ordine di Mosè davanti al faraone dimostrò la supremazia di
Geova sugli dèi d’Egitto; il faraone comunque diventò ancora più ostinato. (Eso 7:8-13) Poi, quando ci fu
la terza piaga, gli stessi sacerdoti furono costretti ad ammettere: “È il dito di Dio!” E furono colpiti così
gravemente dalla piaga dei foruncoli da non essere neanche in grado di comparire davanti al faraone per
opporsi a Mosè durante quella piaga. — Eso 8:16-19; 9:10-12.
Effetto delle piaghe. Mosè e Aaronne annunciarono ciascuna delle dieci piaghe. Le piaghe vennero
come annunciato, a riprova che Mosè era il rappresentante di Geova. Il nome di Geova era proclamato e
se ne parlava molto in Egitto, e questo ebbe sia un effetto positivo che un effetto negativo: positivo sugli
israeliti e su alcuni egiziani, negativo sul faraone e sui suoi consiglieri e sostenitori. (Eso 9:16; 11:10;
12:29-39) Gli egiziani non pensavano di essere incorsi nell’ira dei loro dèi: sapevano che Geova stava
giudicando i loro dèi. Dopo la nona piaga anche Mosè era diventato “molto grande nel paese d’Egitto, agli
occhi dei servitori di Faraone e agli occhi del popolo”. — Eso 11:3.
C’era stato un netto cambiamento anche negli uomini di Israele. In un primo momento essi avevano
accettato le credenziali di Mosè ma, visto che per ordine del faraone il loro lavoro era diventato più duro,
si erano lamentati contro Mosè al punto che questi, scoraggiato, si era rivolto a Geova. (Eso 4:29-31;
5:19-23) L’Altissimo allora l’aveva rafforzato rivelandogli che stava per adempiere quello che Abraamo,
Isacco e Giacobbe avevano atteso, cioè la piena rivelazione del significato del suo nome, Geova,
liberando Israele e facendone una grande nazione nel paese della promessa. (Eso 6:1-8) Neanche allora
gli uomini di Israele avevano dato ascolto a Mosè. Ma poi, dopo la nona piaga, furono tutti solidali con lui,
pronti a collaborare, così che, dopo la decima piaga, egli poté organizzarli e condurli via in modo
ordinato, “in formazione di battaglia”. — Eso 13:18.
Coraggio e fede per affrontare il faraone. Solo con la forza di Geova e grazie al suo spirito che
operava su di loro Mosè e Aaronne furono all’altezza del compito che li attendeva. Immaginate la corte
del faraone, il re dell’incontrastata potenza mondiale dell’epoca. Lo sfarzo era senza pari, e il superbo
faraone, ritenuto lui stesso un dio, era circondato da consiglieri, comandanti militari, guardie e schiavi. E
poi c’erano i capi religiosi, i sacerdoti che praticavano la magia, i principali oppositori di Mosè. Costoro,
dopo il faraone stesso, erano gli uomini più potenti del reame. Tutto questo solenne schieramento aveva
lo scopo di sostenere il faraone a difesa degli dèi d’Egitto. Inoltre Mosè e Aaronne si presentarono al
faraone non una ma molte volte, e ogni volta il cuore del faraone s’indurì, perché egli era deciso a tenere
in suo potere i preziosi schiavi ebrei. Infatti, dopo l’annuncio dell’ottava piaga, Mosè e Aaronne furono
scacciati dalla presenza del faraone, e dopo la nona piaga ricevettero l’ordine di non cercare più di
vedere la sua faccia pena la morte. — Eso 10:11, 28.
Ciò premesso, si capisce benissimo perché Mosè supplicasse ripetutamente Geova di rassicurarlo e
rafforzarlo. Ma va notato che non mancò mai di eseguire alla lettera quello che Geova aveva comandato.
Mosè non tralasciò una parola di ciò che Geova lo incaricò di dire al faraone, e, grazie alla sua guida, al
tempo della decima piaga “tutti i figli d’Israele fecero dunque proprio come Geova aveva comandato a
Mosè e ad Aaronne. Fecero proprio così”. (Eso 12:50) Mosè è additato ai cristiani quale esempio di
straordinaria fede. L’apostolo Paolo dice di lui: “Per fede lasciò l’Egitto, ma non temendo l’ira del re,
poiché rimase saldo come vedendo Colui che è invisibile”. — Eb 11:27.
Prima della decima piaga, Mosè ebbe il privilegio di istituire la Pasqua. (Eso 12:1-16) Presso il Mar
Rosso dovette affrontare nuove lamentele del popolo, che pensava di essere intrappolato e sul punto di
venire massacrato. Ma, sotto la potente mano di Geova, Mosè espresse la fede di un vero condottiero,
rassicurando Israele che Geova avrebbe annientato l’esercito egiziano inseguitore. In quel momento
critico evidentemente invocò a gran voce Geova Dio, che gli disse: “Perché continui a gridare a me?”
Quindi Dio gli comandò di alzare la verga, stendere la mano sul mare e dividere le acque. (Eso 14:10-18)
Secoli dopo l’apostolo Paolo disse a proposito del passaggio di Israele attraverso il Mar Rosso: “I nostri
antenati furono tutti sotto la nube e tutti passarono attraverso il mare e tutti furono battezzati in Mosè
mediante la nube e il mare”. (1Co 10:1, 2) Fu Geova a battezzarli. Per essere liberati dagli spietati
inseguitori, quegli antenati ebrei dovettero unirsi a Mosè loro capo e seguire la sua direttiva mentre egli li
guidava attraverso il mare. L’intera congregazione di Israele fu così in effetti immersa in Mosè, loro
liberatore e condottiero.
Mediatore del patto della Legge. Nel terzo mese dopo l’esodo dall’Egitto, Geova dimostrò di fronte a
tutto Israele la grandezza dell’autorità e della responsabilità che aveva affidato al suo servitore Mosè, e
l’intima posizione di cui egli godeva presso Dio. Davanti a tutto Israele, radunato ai piedi del monte
Horeb, Geova invitò Mosè a salire sul monte e, per mezzo di un angelo, gli parlò. In un’occasione Mosè
ebbe il privilegio di avere quella che probabilmente fu l’esperienza più straordinaria che qualsiasi uomo
abbia mai avuto prima della venuta di Gesù Cristo. Sul monte, Geova diede a Mosè, mentre era solo, una
visione della sua gloria, mettendo su di lui la sua “palma” per fargli schermo, consentendogli di vederlo “di
dietro”, evidentemente di vedere il riflesso di quella divina manifestazione di gloria. Poi, per così dire,
parlò personalmente a Mosè. — Eso 19:1-3; 33:18-23; 34:4-6.
Geova disse a Mosè: “Tu non puoi vedere la mia faccia, perché nessun uomo può vedermi e vivere”.
(Eso 33:20) E secoli dopo l’apostolo Giovanni scrisse: “Nessun uomo ha mai visto Dio”. (Gv 1:18) Il
martire cristiano Stefano disse agli ebrei: “[Mosè] è colui che fu tra la congregazione nel deserto, con
l’angelo che gli parlò sul monte Sinai”. (At 7:38) Sul monte, Geova era dunque rappresentato da un
angelo. Tuttavia la gloria di Geova manifestata dal suo rappresentante angelico era tale che la pelle del
volto di Mosè emetteva raggi e i figli d’Israele non potevano sostenerne la vista. — Eso 34:29-35; 2Co
3:7, 13.
Dio costituì Mosè mediatore del patto della Legge stipulato con Israele, posizione di grande fiducia che
nessun uomo ha mai avuto davanti a Dio, tranne Gesù Cristo, il Mediatore del nuovo patto. Mosè asperse
con il sangue dei sacrifici animali sia il libro del patto, che rappresentava un contraente, Geova, sia il
popolo (senza dubbio gli anziani che lo rappresentavano), l’altro contraente. Lesse il libro del patto al
popolo, che rispose: “Siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito e a ubbidire”. (Eso 24:3-8; Eb
9:19) In qualità di mediatore Mosè ebbe il privilegio di sovrintendere all’erezione del tabernacolo e alla
fabbricazione dei suoi utensili, di cui Dio gli fornì il modello, e di insediare il sacerdozio, ungendo il
tabernacolo e il sommo sacerdote Aaronne con olio speciale. Quindi presiedette alle prime funzioni
ufficiali del sacerdozio appena consacrato. — Eso capp. 25–29; Le capp. 8, 9.
Mediatore idoneo. Mosè salì più volte sul monte Horeb, e in due occasioni vi rimase 40 giorni e 40 notti.
(Eso 24:18; 34:28) La prima volta ritornò con due tavolette di pietra, “scritte col dito di Dio”, che
contenevano le “Dieci Parole” o Dieci Comandamenti, le fondamentali leggi del patto della Legge. (Eso
31:18; De 4:13) In quella prima occasione Mosè dimostrò di essere idoneo quale mediatore fra Geova e
Israele e quale condottiero di quella grande nazione composta forse di tre milioni di persone o più. Mentre
Mosè era sul monte, Geova lo informò che il popolo si era volto all’idolatria, e disse: “Or dunque, lasciami
stare, affinché la mia ira divampi contro di loro e io li stermini, e lascia che io faccia di te una grande
nazione”. L’immediata risposta di Mosè rivelò che la santificazione del nome di Geova aveva per lui la
massima importanza, che era assolutamente altruista e che non andava in cerca di fama. Mosè non
chiese nulla per sé, ma piuttosto si preoccupava per il nome di Geova che Egli stesso aveva poco prima
esaltato col miracolo del Mar Rosso, e aveva a cuore la promessa che Dio aveva fatto ad Abraamo,
Isacco e Giacobbe. Geova, accogliendo la supplica di Mosè, risparmiò il popolo. Evidentemente Geova
riteneva che Mosè stesse assolvendo in modo soddisfacente il ruolo di mediatore, e rispettava la
disposizione che aveva preso affidandogli tale incarico. Infatti Geova “provava rammarico del male che
aveva proferito di fare al suo popolo”, cioè, a motivo delle mutate circostanze, decise di non fare loro del
male. — Eso 32:7-14.
Quando scese dal monte, Mosè manifestò il suo zelo per la vera adorazione schierandosi dalla parte di
Dio. Alla vista degli idolatri che gozzovigliavano gettò per terra le tavolette, spezzandole, e chiamò a sé
quelli che volevano stare dalla parte di Geova. La tribù di Levi si unì a Mosè ed egli comandò loro di
mettere a morte quelli che erano caduti nella falsa adorazione, con il risultato che furono uccisi circa
3.000 uomini. Poi tornò da Geova, riconoscendo il grave peccato del popolo, e lo supplicò: “Ma ora, se
perdoni il loro peccato . . . e se no, cancellami, ti prego, dal tuo libro che hai scritto”. L’intercessione
supplichevole di Mosè non dispiacque a Dio, che anzi rispose: “Chi ha peccato contro di me, quello
cancellerò dal mio libro”. — Eso 32:19-33.
In molte occasioni Mosè rappresentò la parte di Geova nel patto, prendendo la direttiva nella vera, pura
adorazione ed eseguendo il giudizio sui disubbidienti. Più di una volta si interpose affinché la nazione o i
singoli individui non fossero distrutti per mano di Geova. — Nu cap. 12; 14:11-21; 16:20-22, 43-50; 21:7;
De 9:18-20.
Altruismo, umiltà, mansuetudine. I principali interessi di Mosè erano il nome di Geova e il Suo popolo.
Perciò non cercava gloria o preminenza. Quando lo spirito di Geova scese su certi uomini
nell’accampamento ed essi cominciarono a comportarsi come profeti, Giosuè, aiutante di Mosè, voleva
trattenerli, evidentemente pensando che sminuissero la gloria e l’autorità di Mosè. Ma Mosè replicò:
“Provi gelosia per me? No, io vorrei che tutto il popolo di Geova fossero profeti, perché Geova porrebbe
su di loro il suo spirito!” — Nu 11:24-29.
Pur essendo il condottiero nominato da Geova della grande nazione d’Israele, Mosè era pronto ad
accettare consigli, specie quando potevano essere utili per la nazione. Poco dopo che gli israeliti avevano
lasciato l’Egitto, Ietro, accompagnato dalla moglie e dai figli di Mosè, gli fece visita. Osservò come fosse
duro il lavoro di Mosè che si consumava per risolvere i problemi di chiunque venisse da lui. Saggiamente
gli suggerì di delegare una certa autorità ad altri per alleggerire il proprio carico. Mosè accettò e seguì il
consiglio di Ietro: organizzò il popolo in gruppi di mille, di cento, di cinquanta e di dieci, costituendo un
capo o giudice per ciascun gruppo. Solo i casi difficili venivano sottoposti a Mosè. Va inoltre notato che
Mosè, spiegando a Ietro ciò che faceva, disse: “Allorché sorge fra loro una causa, essa deve venire a me
e io devo giudicare fra una parte e l’altra, e devo far conoscere le decisioni del vero Dio e le sue leggi”.
Così dimostrò di riconoscere che aveva il dovere di giudicare non secondo le proprie idee, ma secondo le
decisioni di Geova e, soprattutto, che aveva la responsabilità di aiutare il popolo a conoscere e a
rispettare le leggi di Dio. — Eso 18:5-7, 13-27.
Mosè ripetutamente indicò che il vero Condottiero era Geova e non lui. Quando il popolo cominciò a
lamentarsi per il cibo, Mosè disse: “I vostri mormorii non sono contro di noi [Mosè e Aaronne], ma contro
Geova”. (Eso 16:3, 6-8) Forse perché Miriam pensava che la sua importanza potesse essere eclissata
dalla presenza della moglie di Mosè, sia lei che Aaronne per gelosia e per mancanza di rispetto
cominciarono a parlare contro Mosè e contro la sua autorità. Il fatto che proprio a questo punto la Bibbia
dica che “l’uomo Mosè era di gran lunga il più mansueto di tutti gli uomini che erano sulla superficie del
suolo”, rende ancora più indegne le loro parole. A quanto pare Mosè esitò a imporsi, sopportando con
mansuetudine l’offesa. Ma Geova si indignò perché in realtà questo era un affronto fatto a Lui. Si occupò
lui stesso della cosa e punì severamente Miriam. L’amore per la sorella spinse Mosè a intercedere per
lei, gridando: “O Dio, ti prego! Sanala, ti prego!” — Nu 12:1-15.
Ubbidienza e sottomissione a Geova. Mosè serviva Geova. Anche se è chiamato legislatore d’Israele,
riconobbe che le leggi non avevano avuto origine da lui. Non agiva in modo arbitrario, decidendo in base
alla propria conoscenza. Nei casi giudiziari, quando non c’era un precedente o non riusciva a capire
esattamente come applicare la legge, presentava la cosa a Geova affinché emanasse un giudizio. (Le
24:10-16, 23; Nu 15:32-36; 27:1-11) Seguiva con cura le istruzioni. Nel complesso lavoro per costruire il
tabernacolo e fare i relativi utensili e gli abiti sacerdotali, Mosè esercitò scrupolosa sorveglianza. La
Bibbia dice: “E Mosè faceva secondo tutto ciò che Geova gli aveva comandato. Fece proprio così”. (Eso
40:16; cfr. Nu 17:11). Più volte troviamo ripetuto che ogni cosa veniva fatta “proprio come Geova aveva
comandato a Mosè”. (Eso 39:1, 5, 21, 29, 31, 42; 40:19, 21, 23, 25, 27, 29) Questo è un ottimo esempio
per i cristiani; infatti l’apostolo Paolo fa notare che queste cose erano “un’ombra” e una figura di cose
celesti. — Eb 8:5.
Mosè sbaglia. Mentre gli israeliti erano accampati a Cades, probabilmente nel 40° anno della loro
peregrinazione, Mosè commise un grave errore. Un esame dell’episodio dà risalto al fatto che Mosè non
solo aveva una posizione di grande prestigio, ma quale condottiero e mediatore per la nazione aveva
anche una grave responsabilità di fronte a Geova. A motivo della mancanza di acqua il popolo cominciò a
litigare aspramente con Mosè, incolpandolo di averli condotti fuori dell’Egitto in un deserto desolato.
Mosè, che aveva mostrato molta pazienza sopportando la caparbietà e l’insubordinazione degli israeliti,
condividendone le privazioni e intercedendo per loro quando peccavano, qui perse momentaneamente la
sua mansuetudine e mitezza. Esasperati e amareggiati, Mosè e Aaronne si posero davanti al popolo
come Geova aveva comandato. Ma invece di richiamare l’attenzione sul fatto che era Geova a
provvedere l’acqua, parlarono duramente al popolo e richiamarono l’attenzione su di sé. Infatti Mosè
disse: “Udite, ora, ribelli! Vi faremo uscire acqua da questa rupe?” Al che colpì la rupe e Geova fece
scaturire acqua sufficiente per la moltitudine e per i loro greggi. Dio comunque si dispiacque del
comportamento di Mosè e Aaronne, perché erano venuti meno alla loro principale responsabilità, quella
di magnificare il Suo nome. Avevano ‘agito indebitamente’ nei confronti di Geova, e Mosè aveva ‘parlato
aspramente con le sue labbra’. In seguito Geova decretò: “Poiché non avete mostrato fede in me per
santificarmi davanti agli occhi dei figli d’Israele, non introdurrete questa congregazione nel paese che
certamente darò loro”. — Nu 20:1-13; De 32:50-52; Sl 106:32, 33.
Scrittore. Mosè scrisse il Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e
Deuteronomio. In ogni epoca gli ebrei l’hanno riconosciuto come lo scrittore di questa parte della Bibbia
che chiamano la Torà o Legge. Gesù e gli scrittori cristiani attribuiscono spesso la Legge a Mosè.
Generalmente Mosè è ritenuto lo scrittore del libro di Giobbe e anche del Salmo 90 e forse del 91. — Mt
8:4; Lu 16:29; 24:27; Ro 10:5; 1Co 9:9; 2Co 3:15; Eb 10:28.
Morte e sepoltura. Aaronne, fratello di Mosè, morì all’età di 123 anni mentre Israele era accampato
presso il monte Hor, alla frontiera di Edom, nel quinto mese del 40° anno del loro viaggio. Mosè
accompagnò Aaronne sul monte, gli tolse gli abiti sacerdotali e con questi rivestì Eleazaro, il maggiore dei
figli di Aaronne rimasti in vita e suo successore. (Nu 20:22-29; 33:37-39) Circa sei mesi più tardi Israele
giunse nelle pianure di Moab. Là Mosè con una serie di discorsi spiegò la Legge alla nazione radunata,
soffermandosi sugli aggiustamenti che sarebbero stati necessari quando Israele sarebbe passato dalla
vita nomade dell’accampamento a una vita stabile nel proprio paese. Nel 12° mese del 40° anno (nella
primavera del 1473 a.E.V.), Mosè annunciò al popolo che, per volere di Geova, Giosuè avrebbe preso il
suo posto di condottiero. Giosuè ricevette quindi l’incarico e fu esortato a essere coraggioso. (De 31:1-3,
23) Infine, dopo aver pronunciato un cantico e aver benedetto il popolo, Mosè salì sul monte Nebo
secondo il comando di Geova; là poté ammirare il panorama della Terra Promessa e poi morì. — De
32:48-51; 34:1-6.
Mosè aveva 120 anni quando morì. La Bibbia attesta che era ancora forte, precisando: “Il suo occhio
non si era indebolito, e la sua forza vitale non l’aveva abbandonato”. Fu sepolto da Geova in un luogo
rimasto sconosciuto. (De 34:5-7) Questo probabilmente per impedire che gli israeliti cadessero nel laccio
della falsa adorazione venerando la sua tomba. Evidentemente il Diavolo desiderava servirsi del corpo di
Mosè per uno scopo del genere, poiché Giuda, discepolo cristiano e fratellastro di Gesù Cristo, scrisse:
“Quando l’arcangelo Michele ebbe una controversia col Diavolo e disputava intorno al corpo di Mosè, non
osò portare un giudizio contro di lui in termini ingiuriosi, ma disse: ‘Ti rimproveri Geova’”. (Gda 9) Prima di
entrare in Canaan sotto la guida di Giosuè, Israele osservò 30 giorni di lutto per Mosè. — De 34:8.
Profeta che Dio conobbe “faccia a faccia”. Quando Miriam e Aaronne misero in dubbio l’autorità di
Mosè, Geova disse loro: “Se ci fosse un vostro profeta per Geova, mi farei conoscere a lui in una visione.
Gli parlerei in un sogno. Non così il mio servitore Mosè! A lui è affidata tutta la mia casa. Gli parlo bocca a
bocca, così mostrandogli, e non mediante enigmi; ed egli vede l’apparenza di Geova. Perché, dunque,
non avete temuto di parlare contro il mio servitore, contro Mosè?” (Nu 12:6-8) Gli ultimi versetti del libro di
Deuteronomio descrivono la privilegiata posizione di cui Mosè godeva presso Geova: “Ma non è più sorto
in Israele un profeta come Mosè, che Geova conobbe faccia a faccia, in quanto a tutti i segni e i miracoli
che Geova lo mandò a fare nel paese d’Egitto a Faraone e a tutti i suoi servitori e a tutto il suo paese, e
riguardo a tutta la mano forte e a tutto il grande terrore che Mosè esercitò davanti agli occhi di tutto
Israele”. — De 34:10-12.
Secondo le parole di Geova, Mosè, anche se non vide mai letteralmente la persona stessa di Geova,
come si è già detto, ebbe con lui un rapporto più diretto, costante e intimo di qualsiasi profeta vissuto
prima di Gesù Cristo. Dicendo “gli parlo bocca a bocca”, Geova rivelò che Mosè comunicava
personalmente con lui (per mezzo di angeli, i quali hanno accesso alla presenza stessa di Dio; Mt 18:10).
(Nu 12:8) Quale mediatore di Israele, Mosè poteva sempre comunicare con Dio. In qualunque momento
poteva presentare a Dio problemi d’importanza nazionale e ricevere la sua risposta. Geova affidò a Mosè
‘tutta la sua casa’, servendosi di lui come suo stretto rappresentante nell’organizzare la nazione. (Nu
12:7; Eb 3:2, 5) I profeti successivi continuarono semplicemente a edificare sul fondamento posto per
mezzo di Mosè.
Il modo in cui Geova comunicava con Mosè produceva una tale impressione che era come se Mosè
avesse visto effettivamente Dio con i propri occhi, invece di avere una semplice visione mentale o un
sogno in cui udiva parlare Dio, modo questo in cui Dio comunicava normalmente con i suoi profeti. I
rapporti di Geova con Mosè erano così reali che Mosè reagiva come se avesse visto “Colui che è
invisibile”. (Eb 11:27) L’impressione fatta su Mosè dovette essere simile all’effetto che secoli più tardi la
visione della trasfigurazione ebbe su Pietro. Per Pietro la visione era così reale che cominciò a
immedesimarvisi, parlando ma senza rendersi conto di ciò che diceva. (Lu 9:28-36) E anche l’apostolo
Paolo ebbe una visione così reale che in seguito disse di sé: “Se nel corpo non lo so, o fuori del corpo
non lo so; Dio lo sa”. — 2Co 12:1-4.
Senza dubbio lo straordinario successo che Giosuè ebbe nell’introdurre Israele nella Terra Promessa
dipese, in certa misura, dalle ottime qualità inculcate in lui dall’insegnamento e dall’esempio di Mosè.
Giosuè era stato ministro di Mosè “dalla sua giovinezza”. (Nu 11:28) Evidentemente era stato
comandante dell’esercito sotto Mosè (Eso 17:9, 10) ed era stato vicino a Mosè come suo servitore in
molte occasioni. — Eso 24:13; 33:11; De 3:21.
Prefigurò Gesù Cristo. Gesù Cristo spiegò chiaramente che Mosè aveva scritto di lui; infatti in
un’occasione disse agli oppositori: “Se credeste a Mosè credereste a me, poiché egli ha scritto di me”.
(Gv 5:46) “Cominciando da Mosè e da tutti i Profeti”, Gesù, quando era con i discepoli, “interpretò loro le
cose che lo concernevano in tutte le Scritture”. — Lu 24:27, 44; vedi anche Gv 1:45.
Fra le cose che Mosè scrisse di Cristo Gesù ci sono queste parole di Geova: “Susciterò per loro di
mezzo ai loro fratelli un profeta come te; e in realtà metterò le mie parole nella sua bocca, ed egli
certamente pronuncerà loro tutto ciò che io gli comanderò”. (De 18:18, 19) Nel citare questa profezia
l’apostolo Pietro non lasciò dubbi che si riferisse a Gesù Cristo. — At 3:19-23.
Nella trasfigurazione, Pietro, Giacomo e Giovanni, che ebbero il privilegio di assistervi, videro Mosè ed
Elia parlare con Gesù. Per i tre apostoli Mosè rappresentava il patto della Legge, la disposizione
teocratica della congregazione, la liberazione della nazione e il suo sicuro trasferimento nella Terra
Promessa. Quindi la visione indicava che Gesù Cristo avrebbe compiuto un’opera simile a quella di
Mosè, ma più grande; inoltre la presenza di Elia nella visione mostrava che Gesù Cristo avrebbe
compiuto un’opera simile a quella di Elia, ma su scala maggiore. Quindi era chiaro che il Figlio di Dio era
davvero il ‘profeta più grande di Mosè’ e meritava il titolo di Messia. — Mt 17:1-3; vedi
TRASFIGURAZIONE.
Sotto molti aspetti ci fu una marcata corrispondenza fra questi due grandi profeti, Mosè e Gesù Cristo.
Entrambi nell’infanzia sfuggirono a una strage ordinata dai rispettivi sovrani del tempo. (Eso 1:22; 2:1-10;
Mt 2:13-18) Mosè fu chiamato dall’Egitto insieme al “primogenito” di Geova, la nazione d’Israele, di cui
era il condottiero. Gesù fu chiamato dall’Egitto quale Figlio primogenito di Dio. (Eso 4:22, 23; Os 11:1; Mt
2:15, 19-21) Entrambi digiunarono per 40 giorni in luoghi desertici. (Eso 34:28; Mt 4:1, 2) Entrambi
vennero nel nome di Geova, e il nome stesso di Gesù significa “Geova è salvezza”. (Eso 3:13-16; Mt
1:21; Gv 5:43) Gesù, come Mosè, ‘dichiarò il nome di Geova’. (De 32:3; Gv 17:6, 26) Entrambi erano di
una mansuetudine e di un’umiltà eccezionali. (Nu 12:3; Mt 11:28-30) Entrambi avevano le credenziali più
convincenti per dimostrare che erano stati mandati da Dio: straordinari miracoli di ogni genere, in cui
Gesù Cristo superò Mosè riportando in vita persone morte. — Eso 14:21-31; Sl 78:12-54; Mt 11:5; Mr
5:38-43; Lu 7:11-15, 18-23.
Mosè fu il mediatore del patto della Legge fra Dio e la nazione d’Israele. Gesù fu il Mediatore del nuovo
patto fra Dio e la “nazione santa”, lo spirituale “Israele di Dio”. (1Pt 2:9; Gal 6:16; Eso 19:3-9; Lu 22:20;
Eb 8:6; 9:15) Entrambi furono giudici, legislatori e condottieri. (Eso 18:13; 32:34; Da 9:25; Mal 4:4; Mt
23:10; Gv 5:22, 23; 13:34; 15:10) Mosè fu fedele economo della ‘casa di Dio’, cioè la nazione, o
congregazione, d’Israele. Gesù mostrò similmente fedeltà nel presiedere la casa di Dio che, in qualità di
Figlio di Dio, edificò, cioè la nazione, o congregazione, dell’Israele spirituale. (Nu 12:7; Eb 3:2-6) E anche
nella morte ci fu un parallelo: Dio eliminò sia il corpo di Mosè che quello di Gesù. — De 34:5, 6; At 2:31;
Gda 9.
Verso la fine dei 40 anni che Mosè trascorse nel deserto, mentre pascolava il gregge di suo suocero,
l’angelo di Dio gli si manifestò miracolosamente in un roveto ardente ai piedi del monte Horeb. Là Geova
lo incaricò di liberare il Suo popolo dall’Egitto. (Eso 3:1-15) Quindi Dio lo nominò Suo profeta e
rappresentante, per cui Mosè poté giustamente essere definito un unto, o “Cristo”. Per poter avere tale
privilegio Mosè aveva dovuto rinunciare ai “tesori d’Egitto” ed essere “maltrattato col popolo di Dio” e
quindi biasimato. Ma per Mosè “il biasimo del Cristo” era ricchezza maggiore di tutta la ricchezza d’Egitto.
— Eb 11:24-26.
Questo trova un parallelo in Gesù Cristo. Come aveva annunciato l’angelo alla sua nascita avvenuta a
Betleem, Gesù doveva diventare “un Salvatore, che è Cristo il Signore”. Diventò il Cristo o l’“Unto” dopo
che il profeta Giovanni l’ebbe battezzato nel Giordano. (Lu 2:10, 11; 3:21-23; 4:16-21) Successivamente
egli dichiarò di essere “il Cristo” o il Messia. (Mt 16:16, 17; Mr 14:61, 62; Gv 4:25, 26) Gesù Cristo non
perse mai di vista il premio e, come aveva fatto Mosè, disprezzò la vergogna che gli uomini gli
addossarono. (Flp 2:8, 9; Eb 12:2) La congregazione cristiana è battezzata in questo più grande Mosè, in
Gesù Cristo, il Profeta, Liberatore e Condottiero promesso. — 1Co 10:1, 2.
W 66 pag.729-33
Naaman (n.2) --- Tema: L’umiltà reca ricche benedizioni PROVERBI 22:4
it-2 352-3
NAAMAN (Naàman) [da una radice che significa “essere piacevole”].
2. Comandante dell’esercito siro nel X secolo a.E.V., durante i regni di Ieoram in Israele e di Ben-Adad II
in Siria. Per mezzo di Naaman, ‘uomo grande, potente, valoroso e stimato’, “Geova aveva dato salvezza
alla Siria”. (2Re 5:1) La Bibbia non fornisce particolari su come o perché Naaman fosse stato lo
strumento per recare questa salvezza alla Siria. Una possibilità è che comandasse le truppe sire che
riuscirono a sventare i tentativi di Salmaneser III re d’Assiria di invadere la Siria. Dato che, rimanendo
libera, la Siria costituiva uno stato cuscinetto fra Israele e l’Assiria, ciò servì forse a rallentare la spinta
aggressiva dell’Assiria verso O fino al tempo stabilito da Geova perché il regno settentrionale fosse
portato in esilio.
Guarito dalla lebbra. Naaman era lebbroso, e anche se i siri non mettevano in isolamento i lebbrosi
come richiedeva invece la legge di Geova in Israele, venire a sapere che poteva essere guarito da quella
malattia ripugnante era senz’altro una notizia piacevole. Questa notizia gli giunse tramite una ragazzina
israelita, schiava di sua moglie, che parlava di un profeta di Samaria in grado di guarire la lebbra.
Naaman partì immediatamente alla volta di Samaria con una lettera di presentazione di Ben-Adad II.
Ieoram re di Israele, dopo averlo accolto con freddezza e sospetto, lo mandò da Eliseo. Questi non andò
incontro a Naaman di persona, ma gli fece dire dal suo servitore di bagnarsi sette volte nel Giordano.
Ferito nel suo orgoglio e pensando evidentemente di essere stato trattato con scarso riguardo e di essere
stato costretto a correre inutilmente da una parte all’altra, Naaman se ne andò infuriato. Se i suoi servitori
non avessero ragionato con lui e non gli avessero fatto notare la ragionevolezza delle istruzioni, Naaman
se ne sarebbe tornato al suo paese ancora lebbroso. Invece si bagnò sette volte nel Giordano e fu
miracolosamente purificato. Fu l’unico lebbroso guarito per mezzo di Eliseo. — 2Re 5:1-14; Lu 4:27.
Diventa adoratore di Geova. Pieno di gratitudine e di umile riconoscenza, il comandante dell’esercito
siro tornò allora da Eliseo, percorrendo forse 50 km, e gli offrì un munifico dono, che il profeta rifiutò
categoricamente. Naaman chiese quindi un po’ di terra di Israele, “il carico di un paio di muli”, da portare
a casa, per poter offrire sacrifici a Geova su suolo di Israele, facendo voto che da allora in poi non
avrebbe più adorato nessun altro dio. Forse Naaman intendeva offrire sacrifici a Geova su un altare di
terra. — 2Re 5:15-17; cfr. Eso 20:24, 25.
Naaman chiese poi che Geova lo perdonasse quando, nell’adempimento dei suoi doveri civili, si
sarebbe inchinato davanti al dio Rimmon insieme al re, che evidentemente era vecchio e infermo e si
appoggiava a Naaman. Se le cose stavano così, il suo inchino sarebbe stato un gesto puramente
meccanico, non avendo egli altro scopo che quello di sostenere il re, com’era suo dovere, e non di
compiere un atto personale di adorazione. Eliseo credette alla sincerità della richiesta di Naaman e
rispose: “Va in pace”. — 2Re 5:18, 19.
Dopo essersene andato, Naaman venne raggiunto da Gheazi, avido servitore di Eliseo, il quale,
mentendo, gli diede a intendere che Eliseo avesse cambiato idea e che, dopo tutto, avrebbe accettato
qualche dono. Naaman fu lieto di dargli in dono argento e abiti. Ma per la sua avidità e per aver mentito
nel tentativo di trarre profitto dall’operato dello spirito di Geova, abusando dell’incarico di servitore di
Eliseo, Gheazi fu punito da Geova, che rese lebbroso lui e la sua progenie a tempo indefinito. — 2Re
5:20-27.
Nabal --- Tema: Non ripagate il bene col male ROMANI 12:21
it-2 354
NABAL (Nàbal) [insensato; stupido].
Ricco proprietario di pecore di Maon che faceva pascolare e tosare i suoi greggi a Carmelo in Giuda.
Nabal era pure chiamato calebita, cioè discendente di Caleb. Pochi personaggi biblici sono descritti con
tanto disprezzo quanto Nabal: “Era aspro e cattivo nelle sue pratiche”, “troppo un buono a nulla [figlio di
Belial] per parlargli”, ‘ripagava col male in cambio del bene’ e ‘presso di lui era l’insensatezza’. — 1Sa
25:2, 3, 17, 21, 25.
Gli uomini di Davide avevano protetto da bande di predoni i greggi di Nabal, che contavano 3.000
pecore e 1.000 capre. Avendo mostrato tale benignità e non essendo colpevole di alcuna appropriazione
indebita, Davide chiese a Nabal di provvedere un po’ di aiuto materiale a lui e ai suoi uomini al tempo
della tosatura, tempo in cui era consuetudine festeggiare e mostrare ospitalità. Ma Nabal ‘gridò parole di
rimprovero’ ai messaggeri di Davide e li mandò via a mani vuote. Gli stessi uomini di Nabal temevano la
reazione di Davide, ma non osavano parlarne. Uno di loro lo disse però ad Abigail, moglie di Nabal.
Mentre Davide si avvicinava con l’intenzione di uccidere Nabal, essa gli andò incontro con abbondanti
cibi e bevande e lo persuase a non macchiarsi della colpa di spargimento di sangue. Tornata a casa,
trovò Nabal “ubriaco fradicio”, per cui attese l’indomani mattina per parlargli del suo incontro con Davide e
di come per causa sua avevano tutti rischiato di essere uccisi. Allora ‘il cuore di Nabal divenne morto
dentro di lui, ed egli stesso divenne come una pietra’; questa espressione forse indica una specie di
paralisi oppure l’effetto prodotto sulle più intime emozioni di Nabal. (Cfr. De 28:28; Sl 102:4; 143:4). Una
decina di giorni dopo Nabal fu colpito a morte da Geova. (1Sa 25:2-38) Davide allora prese in moglie la
saggia e coraggiosa Abigail. — 1Sa 25:39-42; 27:3; 30:5; 2Sa 2:2; 3:3.
w80 15/12 28-30
Abigail, una donna davvero giudiziosa ‘La Parola di Dio è vivente’
NELLA persona di Abigail, la bellezza fisica o la discrezione trovavano un piacevole equilibrio. Questa
donna giudiziosa di Carmel divenne moglie di un ricco della vicina Maon. Il marito era un uomo brusco,
irragionevole, degno del nome “Nabal”, che significa “stolto” o “Insensato”. — I Sam. 25:2, 3, “Diodati”.
La saggezza di Abigail si può notare nel suo intervento decisivo in una situazione in cui fu implicato
Davide. La situazione era così grave che avrebbe potuto rendere Davide colpevole di spargimento di
sangue davanti a Dio e avrebbe potuto significare la morte di ogni uomo della casa di Nabal.
Nel periodo in cui fu dichiarato fuorilegge dal re Saul, Davide continuò ad aver cura degli interessi dei
suoi compagni israeliti. Per esempio, egli e i suoi uomini protessero i pastori e i greggi di Nabal da bande
di predoni. Per questo motivo Davide pensò che fosse giusto dare a Nabal l’opportunità di esprimere la
sua gratitudine per tutto ciò che era stato fatto a suo favore. Il tempo della tosatura delle pecore sarebbe
stato per Nabal l’occasione ideale per mostrare la sua riconoscenza. La tosatura era considerata quasi
alla stessa stregua della mietitura, ed era accompagnata da festeggiamenti. — I Sam. 25:4-8.
Quindi, dal deserto di Giuda, Davide inviò una delegazione di dieci uomini a Carmel, al confine del
deserto. Era lì che Nabal dirigeva la tosatura delle pecore. Invece di ricevere benignamente gli uomini,
Nabal si mise a inveire contro di loro. Venuto a conoscenza della sua accoglienza ostile, Davide, con
circa 400 dei suoi uomini, armati di spada, decise di uccidere Nabal e tutti gli uomini della sua casa. — I
Sam. 25:9-13.
I pastori di Nabal capirono che il modo spietato in cui il loro padrone aveva trattato gli uomini di Davide
non poteva che procurar loro guai. Ecco perché uno dei servitori raccontò l’accaduto ad Abigail.
Immediatamente la donna capì quale pericolo correvano tutti per colpa di Nabal. Sapendo che sarebbe
stato inutile cercare di far ragionare il marito, Abigail prese l’iniziativa per risolvere appropriatamente la
questione. Per lei, rispettare un giusto principio era più importante che far piacere a un uomo che aveva
mostrato disprezzo per la legge di Dio ripagando il bene col male. Dalle abbondanti scorte per il
banchetto del marito, Abigail prese duecento pani, due grosse giare di vino, cinque pecore preparate, uno
staio di grano arrostito, cento masse d’uva secca e duecento pani di fichi pressati. Caricato il tutto su
asini, i servi portarono la roba a Davide. Abigail li seguì. — I Sam. 25:14-19.
Incontrato Davide, la donna si inchinò e lo supplicò di non vendicarsi. La sua supplica si basava sui
seguenti punti: Nabal era uno stolto, un “uomo buono a nulla”. Quindi egli era disapprovato da Dio, per
cui Geova avrebbe agito contro di lui. Tramite queste spiegazioni, Davide era trattenuto da Geova
“dall’entrare nella colpa del sangue”. Abigail lo pregò quindi di accettare le provviste per i suoi uomini. — I
Sam. 25:23-27.
Poi, con piena fede nel fatto che Geova si serviva di Davide, Abigail proseguì dicendo: “Geova farà
senza fallo una casa durevole per il mio signore, perché il mio signore combatterà le guerre di Geova; e
in quanto alla malizia, non si troverà in te per tutti i tuoi giorni. Quando l’uomo si leva per inseguirti e per
cercare la tua anima, l’anima del mio signore sarà per certo avvolta nella borsa della vita presso Geova
tuo Dio; ma in quanto all’anima dei tuoi nemici, egli la frombolerà come dal cavo della fionda. E deve
accadere che, siccome Geova farà al mio signore il bene verso di te secondo tutto ciò che egli ha
proferito, per certo ti costituirà quale condottiero su Israele. E non ti sia questo causa di esitazione né
pietra d’inciampo al cuore del mio signore, con lo spargimento di sangue senza causa e facendo venire la
stessa mano del mio signore alla sua salvezza. E Geova per certo farà del bene al mio Signore, e tu ti
devi ricordare della tua schiava”. — I Sam. 25:28-31.
In base alla reputazione che Davide si era fatta come valente guerriero, Abigail riconobbe che era l’unto
di Geova. Le sue parole assunsero toni profetici, additando il giorno in cui vi sarebbe stata una casa
reale, una dinastia, di Davide. Abigail aveva fiducia che Geova lo avrebbe protetto, ne avrebbe custodito
la vita o anima come in una “borsa” in cui si avvolge qualcosa di valore. Ma questo si sarebbe avverato
solo se Davide non avesse cercato di procurarsi salvezza o liberazione con le sue stesse mani,
indipendentemente dall’aiuto di Dio. Davide reagì positivamente. — I Sam. 25:32-35.
Quando Abigail tornò a casa, trovò Nabal ubriaco. La mattina dopo, quando il marito era sobrio, Abigail
gli raccontò tutto. “Il suo cuore divenne morto dentro di lui”, evidentemente nel senso che, venendo a
conoscenza dell’intera situazione, gli prese un colpo. Circa dieci giorni dopo pare che Nabal avesse un
altro attacco di cuore, questa volta fatale. — I Sam. 25:36-38.
Dopo di ciò, Davide chiese ad Abigail di sposarlo. Accettando, Abigail disse umilmente: “Ecco, la tua
schiava come serva per lavare i piedi dei servitori del mio signore”. Si dichiarò quindi disposta a svolgere
il più umile dei compiti. Con cinque donne di servizio cominciò a condividere la vita movimentata di un
uomo costretto a vivere come fuorilegge per colpa del re Saul. Per qualche tempo visse nella città filistea
di Gat e in seguito a Ziclag. Fra le difficoltà che dovette sopportare vi fu quella d’essere presa prigioniera
da una banda di amalechiti. Felicemente, però, fu liberata indenne. — I Sam. 25:39-42; 30:1-19.
La vita di Abigail dimostra chiaramente ciò che rende una persona retta agli occhi di Dio. Abigail fu umile
e mise la lealtà a Dio al di sopra della lealtà a un uomo. Fu la sua sottomissione alla guida divina a
renderla una donna saggia.
w96 15/9 23-4 È davvero necessario chiedere scusa?
Chiedere scusa vuol dire molto nel matrimonio
Il matrimonio fra due persone imperfette offre inevitabilmente occasioni per chiedere scusa. E se marito e
moglie hanno i medesimi sentimenti, ciò li spingerà a chiedere scusa se per caso hanno parlato o agito
sconsideratamente. Proverbi 12:18 rileva: “C’è chi parla sconsideratamente come con i colpi di una
spada, ma la lingua dei saggi è salute”. I ‘colpi sconsiderati’ non si possono annullare, ma si possono
sanare con scuse sincere. Naturalmente ciò richiede attenzione e sforzo continui.
Parlando del suo matrimonio, Susanna dice: “Giacomo ed io siamo sposati da 24 anni, ma ognuno di
noi impara ancora cose nuove sul conto dell’altro. Purtroppo qualche tempo fa ci separammo e vivemmo
lontani alcune settimane. Però seguimmo i consigli scritturali degli anziani e ritornammo insieme. Ora ci
rendiamo conto che, poiché abbiamo personalità molto diverse, è probabile che avvengano degli scontri.
Quando ciò accade, chiediamo subito scusa e ce la mettiamo tutta per capire il punto di vista dell’altro.
Sono felice di dire che il nostro matrimonio è migliorato considerevolmente”. Giacomo aggiunge:
“Abbiamo anche imparato a riconoscere i momenti in cui siamo più inclini a litigare. In quelle occasioni ci
trattiamo con maggiore sensibilità”. — Proverbi 16:23.
Ci si dovrebbe scusare se si pensa di non essere in colpa? Quando sono in gioco sentimenti profondi, è
difficile essere obiettivi e capire di chi è la colpa. Ma la cosa importante è la pace del matrimonio.
Considerate Abigail, un’israelita il cui marito aveva trattato male Davide. Benché non avesse colpa della
stupidità del marito, essa chiese scusa. “Perdona, ti prego, la trasgressione della tua schiava”, supplicò.
Davide rispose trattandola in modo riguardoso, ammettendo umilmente che, se non fosse stato per lei,
avrebbe sparso sangue innocente. — 1 Samuele 25:24-28, 32-35.
Similmente una cristiana di nome June, sposata da 45 anni, pensa che per avere un matrimonio felice
bisogna essere pronti a chiedere scusa. Essa afferma: “Dico a me stessa che il nostro matrimonio è più
importante dei miei sentimenti personali. Perciò quando chiedo scusa, sento che contribuisco a rafforzare
il matrimonio”. Un uomo d’età avanzata di nome Jim afferma: “Chiedo scusa a mia moglie anche per cose
da nulla. Da quando ha subìto una grave operazione, si offende facilmente. Perciò di solito la abbraccio e
dico: ‘Mi dispiace, cara. Non intendevo offenderti’. Come una pianta che viene innaffiata, lei
immediatamente si sente sollevata”.
Se abbiamo ferito la persona che amiamo di più, è molto efficace chiedere prontamente scusa. Milagros
ne conviene di cuore, dicendo: “Per carattere sono insicura e una parola secca di mio marito mi snerva.
Ma quando lui chiede scusa, mi sento subito meglio”. Appropriatamente le Scritture ci dicono: “I detti
piacevoli sono un favo di miele, dolci all’anima e salute alle ossa”. — Proverbi 16:24.
L’arte di chiedere scusa
Se prendiamo l’abitudine di chiedere scusa quando è necessario, probabilmente riscontreremo che la
gente reagisce in modo positivo. E magari si scuserà a sua volta. Quando sospettiamo di aver turbato
qualcuno, perché non prendere l’abitudine di chiedere scusa anziché fare di tutto per evitare di
ammettere qualsiasi colpa? Il mondo può pensare che chiedere scusa sia segno di debolezza, ma in
realtà dà prova di maturità cristiana. Certo non vogliamo essere come chi ammette un errore ma
minimizza la propria responsabilità. Per esempio, ci capita di non essere sinceri nel dire che ci dispiace?
Se arriviamo in ritardo e ci profondiamo in scuse, decidiamo di essere più puntuali?
Allora, è necessario chiedere scusa? Sì. Lo dobbiamo a noi stessi e agli altri. Chiedere scusa può
alleviare la pena causata dall’imperfezione e può appianare rapporti tesi. Ogni volta che chiediamo scusa è
una lezione di umiltà e impariamo a essere più sensibili ai sentimenti altrui. Di conseguenza, i compagni di fede, il
nostro coniuge e altri ci considereranno persone che meritano il loro affetto e la loro fiducia. Avremo pace mentale e
Geova Dio ci benedirà.
Nabucodonosor --- Tema: Geova umilia quelli che camminano nell’orgoglio PROVERBI 16:18
GIACOMO 4:16,17
it-2 357-9
NABUCODONOSOR
(Nabucodònosor), o anche Nabucodorosor (Nabucodòrosor) [da un nome accadico che significa “O
Nebo, proteggi l’erede!”].
Secondo sovrano dell’impero neobabilonese; figlio di Nabopolassar e padre di Awil-Marduk (Evil-
Merodac), che gli succedette al trono. Nabucodonosor regnò 43 anni (624-582 a.E.V.), periodo che
include i “sette tempi” durante i quali mangiò vegetazione come un toro. (Da 4:31-33) Per distinguere
questo monarca da un omonimo sovrano babilonese d’epoca molto precedente (dinastia di Isin), gli
storici lo chiamano Nabucodonosor II.
Cenni storici su Nabucodonosor desunti da iscrizioni cuneiformi giunte fino a noi integrano la storia
biblica. Esse affermano che nel 19° anno di regno N abopolassar radunò il suo esercito, e lo stesso fece
suo figlio Nabucodonosor, allora principe ereditario. I due eserciti erano indipendenti l’uno dall’altro e,
dopo che Nabopolassar, tempo un mese, ebbe fatto ritorno a Babilonia, Nabucodonosor riportò alcune
vittorie in una zona montuosa, tornando poi a Babilonia con un ingente bottino. Nel 21° anno del regno di
Nabopolassar, Nabucodonosor marciò con l’esercito babilonese su Carchemis, dove combatté
vittoriosamente contro gli egiziani. Ciò ebbe luogo nel quarto anno del regno di Ioiachim re di Giuda (625
a.E.V.). — Ger 46:2.
Le iscrizioni indicano inoltre che avendo avuto notizia della morte del padre, Nabucodonosor tornò a
Babilonia e, il 1° elul (agosto-settembre), salì al trono. Durante questo suo anno di ascesa al trono egli
tornò in Hattu e, “nel mese di shebat [gennaio-febbraio del 624 a.E.V.], portò a Babilonia il vasto bottino
di Hattu”. (A. K. Grayson, Assyrian and Babylonian Chronicles, 1975, p. 100) Nel 624 a.E.V., primo anno
ufficiale di regno, Nabucodonosor alla testa del suo esercito penetrò nuovamente in Hattu; conquistò e
saccheggiò la città filistea di Ascalon. (Vedi ASCALON). Durante il secondo, terzo e quarto anno di regno
intraprese altre campagne in Hattu, e a quanto pare nel quarto anno rese suo vassallo Ioiachim re di
Giuda. (2Re 24:1) Sempre nel quarto anno Nabucodonosor si spinse con il suo esercito in Egitto e nel
conflitto che seguì entrambe le parti subirono pesanti perdite.
Conquista di Gerusalemme. In seguito alla ribellione di Ioiachim re di Giuda contro Nabucodonosor i
babilonesi cinsero d’assedio Gerusalemme. Sembra che Ioiachim sia morto durante questo assedio; sul
trono di Giuda salì suo figlio Ioiachin. Ma solo tre mesi e dieci giorni dopo, il regno del nuovo re ebbe fine
con la resa di Ioiachin a Nabucodonosor (nel mese di adar [febbraio-marzo] durante il settimo anno di
regno di Nabucodonosor [che terminò nel nisan 617 a.E.V.], secondo le Cronache babilonesi).
Un’iscrizione cuneiforme (British Museum 21946) afferma: “Il settimo anno: Nel mese di chislev il re di
Akkad radunò il suo esercito e marciò verso Hattu. Si accampò contro la città di Giuda e il secondo giorno
del mese di adar catturò la città (e ne) afferrò il re [Ioiachin]. Costituì nella città un re di sua scelta
[Sedechia] (e) prendendo il grosso tributo lo portò in Babilonia”. (Assyrian and Babylonian Chronicles, cit.,
p. 102; ILLUSTRAZIONE, vol. 2, it-2 p. 326) Insieme a Ioiachin, Nabucodonosor portò in esilio a
Babilonia altri componenti della famiglia reale, funzionari di corte, artigiani e guerrieri, e costituì re di
Giuda Mattania, zio di Ioiachin, a cui diede nome Sedechia. — 2Re 24:11-17; 2Cr 36:5-10; vedi
CRONOLOGIA; IOIACHIM; IOIACHIN.
Dopo qualche tempo Sedechia si ribellò a Nabucodonosor, alleandosi con l’Egitto per avere protezione
militare. (Ez 17:15; cfr. Ger 27:11-14). Questo provocò il ritorno dei babilonesi e, il 10 tebet (dicembre-
gennaio) del nono anno del regno di Sedechia, Nabucodonosor assediò Gerusalemme. (2Re 24:20; 25:1;
2Cr 36:13) Tuttavia, la notizia che un esercito del faraone era in marcia dall’Egitto indusse i babilonesi a
togliere temporaneamente l’assedio. (Ger 37:5) Le truppe del faraone furono poi costrette a tornare in
Egitto e i babilonesi cinsero nuovamente d’assedio Gerusalemme. (Ger 37:7-10) Infine, nel 607 a.E.V., il
9 tammuz (giugno-luglio) dell’11° anno del regno di Sedechia (19° anno di Nabucodonosor contando dal
suo anno di ascesa al trono o suo 18° anno di regno ), fu aperta una breccia nelle mura di Gerusalemme.
Sedechia e i suoi uomini fuggirono ma furono raggiunti nella pianura desertica di Gerico. Poiché
Nabucodonosor si era ritirato a Ribla “nel paese di Amat”, Sedechia fu portato lì davanti a lui.
Nabucodonosor fece trucidare tutti i figli di Sedechia, poi fece accecare e incatenare Sedechia e lo portò
prigioniero a Babilonia. Dei particolari successivi alla conquista, inclusi l’incendio del tempio e delle case
di Gerusalemme, la confisca degli utensili del tempio e i prigionieri, si occupò Nebuzaradan, capo della
guardia del corpo. Ghedalia fu nominato da Nabucodonosor governatore di quelli che non erano stati
presi prigionieri. — 2Re 25:1-22; 2Cr 36:17-20; Ger 52:1-27, 29.
Il sogno di un’immensa statua. Il libro di Daniele precisa che Nabucodonosor sognò una statua con la
testa d’oro nel “secondo anno” del suo regno (probabilmente contando dalla distruzione di Gerusalemme
nel 607 a.E.V. e quindi in realtà nel suo 20° anno di regno). (Da 2:1) I sacerdoti che praticavano la magia,
gli evocatori e i caldei non furono in grado di interpretare il sogno, ma il profeta ebreo Daniele sì. Questo
spinse Nabucodonosor a riconoscere che il Dio di Daniele era “un Dio di dèi e un Signore di re e un
Rivelatore di segreti”. Quindi costituì Daniele “governante su tutto il distretto giurisdizionale di Babilonia e
prefetto principale su tutti i saggi di Babilonia”. Inoltre affidò cariche amministrative anche ai tre compagni
di Daniele: Sadrac, Mesac e Abednego. — Da 2.
Ebrei esiliati in seguito. Circa tre anni dopo, nel 23° anno del regno di Nab ucodonosor, altri ebrei furono
portati in esilio. (Ger 52:30) Si trattava probabilmente di ebrei che erano fuggiti in paesi conquistati in
seguito dai babilonesi. Questa conclusione è avvalorata dalla seguente dichiarazione di Giuseppe Flavio:
“Nel quinto anno dopo la distruzione di Gerusalemme, che era il ventitreesimo del suo regno,
Nabucodonosor fece una spedizione contro la Celesiria; e quando se ne fu impadronito, mosse guerra
contro gli ammoniti e i moabiti; e quando ebbe assoggettato tutte queste nazioni, attaccò l’Egitto, per
soggiogarlo”. — Antichità giudaiche, X, 181, 182 (ix, 7).
Conquistata Tiro. Qualche tempo dopo la caduta di Gerusalemme nel 607 a.E.V., Nabucodonosor iniziò
l’assedio di Tiro. Durante quell’assedio la testa dei suoi soldati fu “resa calva” a motivo dello sfregamento
degli elmi, e le loro spalle furono ‘scorticate’ a forza di portare materiali per costruire opere d’assedio.
Poiché Nabucodonosor non ricevette nessun “salario” per aver servito come strumento di Dio
nell’eseguire il giudizio contro Tiro, Geova promise di dargli la ricchezza dell’Egitto. (Ez 26:7-11; 29:17-
20; vedi TIRO). Un frammento di un testo babilonese, datato al 37° anno di Nabucodonosor (588 a.E.V.),
menziona infatti una campagna contro l’Egitto. (Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard,
1974, p. 308) Non si può tuttavia stabilire se si tratti della conquista originale o di una successiva azione
militare.
Opere architettoniche. Oltre a conseguire numerose vittorie militari e a estendere l’impero babilonese in
adempimento della profezia (cfr. Ger 47–49), Nabucodonosor intraprese una notevole attività edilizia. Si
dice che Nabucodonosor abbia costruito i giardini pensili, considerati una delle sette meraviglie del
mondo antico, per accontentare la regina, che aveva nostalgia della Media. Molte delle iscrizioni
cuneiformi di Nabucodonosor giunte fino ai nostri giorni parlano delle sue opere architettoniche, fra cui la
costruzione di templi, palazzi e mura. Una di queste iscrizioni fra l’altro dice:
“Sono Nabucodonosor, re di Babilonia, restauratore dell’Esagila e dell’Ezida, figlio di Nabopolassar. A
protezione dell’Esagila, affinché nessun potente nemico e distruttore potesse prendere Babilonia, e la
linea di battaglia non si avvicinasse a Imgur-Bel, [edificai] le mura di Babilonia, ciò che nessun re
precedente aveva fatto; come recinzione per Babilonia feci un robusto muro di cinta sul lato orientale.
Scavai un fossato, raggiunsi il livello dell’acqua. Quindi vidi che il muro eretto da mio padre era troppo
piccolo in quanto a costruzione. Edificai con bitume e mattoni un possente muro che, come una
montagna, non si poteva spostare e lo collegai con il muro di mio padre; ne posi le fondamenta sul seno
del mondo sotterraneo; ne elevai la sommità come un monte. Lungo questo muro, per rafforzarlo, ne
costruii un terzo e alla base di un muro di protezione posi un fondamento di mattoni e lo costruii sul seno
del mondo sotterraneo e ne posi le fondamenta. Consolidai le fortificazioni dell’Esagila e di Babilonia e
stabilii il nome del mio regno per sempre”. — G. A. Barton, Archaeology and the Bible, 1949, pp. 478,
479.
Quanto precede è in armonia con la vanteria manifestata da Nabucodonosor poco prima di perdere
l’uso della ragione, allorché disse: “Non è questa Babilonia la Grande, che io stesso ho edificato per la
casa reale con la forza del mio potere e per la dignità della mia maestà?” (Da 4:30) Ma quando, in
adempimento del sogno di origine divina circa l’albero reciso, riacquistò l’uso della ragione,
Nabucodonosor dovette riconoscere che Geova sa umiliare quelli che camminano nell’orgoglio. — Da
4:37; vedi PAZZIA.
Molto religioso. Sembra che Nabucodonosor fosse estremamente religioso. Infatti eresse o abbellì i
templi di numerose divinità babilonesi. Era particolarmente devoto a Marduk, il principale dio di Babilonia.
A lui Nabucodonosor attribuiva il merito delle sue vittorie militari. Trofei di guerra, fra cui i sacri vasi del
tempio di Geova, sembra venissero deposti nel tempio di Marduk (Merodac). (Esd 1:7; 5:14) In
un’iscrizione di Nabucodonosor si legge: “A tua gloria, o eccelso MERODAC, ho eretto una casa. . . .
Possa accogliere al suo interno l’abbondante tributo dei re di nazioni e di tutti i popoli!” — Records of the
Past: Assyrian and Egyptian Monuments, Londra, 1875, vol. V, p. 135.
L’immagine d’oro eretta da Nabucodonosor nella pianura di Dura era forse dedicata a Marduk e
destinata a promuovere l’unità religiosa dell’impero. Infuriato perché Sadrac, Mesac e Abednego si erano
rifiutati di adorare l’immagine anche dopo aver ricevuto una seconda opportunità, Nabucodonosor ordinò
che fossero gettati in una fornace ardente riscaldata sette volte più del solito. Ma quando i tre ebrei
furono liberati dall’angelo di Geova, Nabucodonosor fu costretto a riconoscere: “Non esiste un altro dio
che possa liberare come questo”. — Da 3.
Sembra inoltre che Nabucodonosor facesse molto affidamento sulla divinazione nel decidere le sue
mosse strategiche. La profezia di Ezechiele, per esempio, diceva che il re di Babilonia avrebbe fatto
ricorso alla divinazione per decidere se muovere contro Rabba di Ammon o contro Gerusalemme. — Ez
21:18-23.
Nadab (n.1) --- Tema: Chi abusa dei privilegi incorre nel disfavore di Geova ECCLESIASTE 5:8
it-2 360
NADAB (Nàdab) [volenteroso; nobile; generoso].
1. Figlio primogenito di Aaronne ed Eliseba. (Eso 6:23; 1Cr 6:3) Nadab nacque in Egitto e partecipò con
Israele al grande Esodo. Insieme ad Abiu, suo fratello più giovane, e ad altri 70 israeliti, fu invitato a salire
con Aaronne e Mosè sul Sinai, dove ebbe una visione di Geova. (Eso 24:1, 9-11) Nadab e i suoi tre
fratelli furono insediati come sacerdoti insieme al padre. (Eso 28:1; 40:12-16) Tuttavia non passò un
mese che Nadab e Abiu abusarono del loro incarico offrendo fuoco illegittimo. Non è detto cosa avesse
reso illegittimo quel fuoco, ma probabilmente non si era trattato di un semplice stato di ubriachezza
(come potrebbe indicare l’immediato divieto imposto ai sacerdoti di bere vino o altri alcolici mentre
svolgevano le loro mansioni). L’ebbrezza però può aver contribuito alla loro trasgressione. A motivo di
questa furono uccisi da fuoco mandato da Geova, e i loro cadaveri furono portati fuori
dell’accampamento. (Le 10:1-11; Nu 26:60, 61) Nadab e Abiu morirono senza figli, lasciando i loro fratelli
Eleazaro e Itamar come capostipiti delle due case sacerdotali. — Nu 3:2, 4; 1Cr 24:1, 2.
Natan (n.2) --- Tema: Non trattenetevi dal correggere chi ne ha bisogno GALATI 6:1
it-2 362-3
NATAN (Nàtan) [[Dio] ha dato].
2. Profeta di Geova durante il regno di Davide; forse della tribù di Levi. Quando il re parlò al profeta Natan
del suo desiderio di costruire un tempio per l’adorazione di Geova, egli rispose: “Tutto ciò che è nel tuo
cuore, va, fallo”. (2Sa 7:1-3; 1Cr 17:1, 2) Ma quella notte Geova informò Natan che anziché essere
Davide a costruire un tempio, sarebbe stato Geova a edificare per Davide una casa durevole, e che in
seguito un discendente di Davide avrebbe costruito la casa di Geova. Così, per mezzo di Natan, Geova
annunciò a Davide un patto per un regno “a tempo indefinito” nella sua discendenza. — 2Sa 7:4-17; 1Cr
17:3-15.
Successivamente Natan fu inviato da Geova a mettere in evidenza sia l’enormità del peccato commesso
da Davide contro Uria l’ittita riguardo a Betsabea sia la relativa punizione divina. Egli lo fece con tatto ma
vigorosamente, mediante un’illustrazione. In tal modo Davide fu spinto a esprimere inconsapevolmente e
senza preconcetti il suo giudizio personale su un’azione del genere. Quindi Natan gli disse: “Tu stesso sei
l’uomo!” Poi espresse il giudizio di Geova su Davide e sulla sua casa. — 2Sa 12:1-18; vedi anche Sl
51:sopr.
Col tempo a Davide e Betsabea nacque un secondo figlio, che fu chiamato Salomone. Geova amava
quel bambino; perciò mandò il profeta Natan che, “per amore di Geova”, chiamò il bambino Iedidia, che
significa “diletto di Iah”. (2Sa 12:24, 25) Negli ultimi giorni della vita di Davide, quando Adonia tentò di
usurpare il trono, Natan fece i passi necessari per portare la cosa all’attenzione di Davide, dopo di che
prese parte all’unzione e all’insediamento di Salomone quale re. — 1Re 1:5-40.
Sembra che Natan, insieme a Gad, abbia consigliato a Davide come collocare opportunamente gli
strumenti musicali impiegati in relazione al santuario. (2Cr 29:25) Natan e Gad furono evidentemente
coloro che misero per iscritto le informazioni contenute negli ultimi capitoli di 1 Samuele e in tutto 2
Samuele. (1Cr 29:29) “Fra le parole di Natan il profeta” è inclusa anche la narrazione “dei fatti di
Salomone”. — 2Cr 9:29.
Questo Natan potrebbe essere il padre di Azaria e Zabud, che ebbero posizioni importanti durante il
regno di Salomone. Azaria era un principe preposto ai delegati, mentre Zabud prestava servizio come
sacerdote e consigliere del re, di cui era intimo amico. — 1Re 4:1, 5.
W 69 pag. 697-8
it-2 363-4
NATANAELE (Natanaèle) [da un nome ebraico che significa “Dio ha dato”].
Nome, si presume, di Bartolomeo, uno dei dodici apostoli di Gesù. Bartolomeo, che significa “figlio di
Tolmai”, era un patronimico (cioè un nome derivato da quello del padre). L’apostolo Giovanni usa il nome
Natanaele, mentre Matteo, Marco e Luca lo chiamano Bartolomeo. Essi menzionano Filippo e
Bartolomeo insieme, proprio come fa Giovanni parlando di Filippo e di Natanaele. (Mt 10:3; Mr 3:18; Lu
6:14; Gv 1:45, 46) Non era insolito essere conosciuti con più nomi. Per esempio “Simone, il figlio di
Giovanni”, era chiamato anche Cefa e Pietro. (Gv 1:42) Non era dunque strano che Natanaele fosse
chiamato Bartolomeo, o “figlio di Tolmai”, così come un altro era chiamato semplicemente Bartimeo, cioè
“figlio di Timeo”. (Mr 10:46) I due nomi, Natanaele e Bartolomeo, sono usati scambievolmente da scrittori
cristiani dei secoli successivi.
Natanaele era originario di Cana di Galilea. (Gv 21:2) Cominciò a seguire Gesù all’inizio del suo
ministero. Filippo, dopo aver accettato l’invito di Gesù, “Sii mio seguace”, cercò immediatamente il suo
amico Natanaele e gli disse: “Vieni e vedi” il Messia. Natanaele chiese: “Può qualcosa di buono venire da
Nazaret?” Tuttavia accolse l’invito. Gesù, vedendolo avvicinarsi, osservò: “Ecco per certo un israelita, in
cui non c’è inganno”. Natanaele doveva essere un uomo eccezionale se Gesù fece una dichiarazione del
genere. Poiché Gesù disse questo e affermò di averlo visto sotto il fico prima che Filippo lo chiamasse,
Natanaele confessò che Gesù era senz’altro “il Figlio di Dio, . . . il Re d’Israele”. Gesù gli assicurò che
avrebbe visto “cose più grandi di queste”. — Gv 1:43-51.
Essendo uno dei dodici, Natanaele rimase sempre insieme a Gesù durante tutto il suo ministero, e fu
addestrato per il servizio futuro. (Mt 11:1; 19:25-28; 20:17-19, 24-28; Mr 4:10; 11:11; Gv 6:48-67) Dopo la
morte e la risurrezione di Gesù, Natanaele e altri apostoli tornarono a dedicarsi alla pesca, e una mattina,
mentre si avvicinavano con la barca alla riva, Gesù li chiamò. Natanaele, a differenza di Pietro, rimase
nella barca finché giunse a riva, e poi fece colazione con gli altri e assisté all’importante conversazione
fra Gesù e Pietro. (Gv 21:1-23) Era presente insieme agli altri apostoli anche quando si radunavano per
pregare e il giorno di Pentecoste. — At 1:13, 14; 2:42.
Nebuzaradan --- Tema: La parola di Geova non viene mai meno GIOSUÈ 23:14
it-2 374
NEBUZARADAN (Nebuzaradàn) [da un nome babilonese che significa “Nebo ha dato progenie”].
Capo della guardia del corpo e figura di primo piano dell’esercito di Nabucodonosor durante l’effettiva
distruzione di Gerusalemme nel 607 a.E.V. Sembra che Nebuzaradan non fosse presente all’assedio
iniziale di Gerusalemme, dato che “venne a Gerusalemme” circa un mese più tardi, dopo che il re
Sedechia era stato condotto alla presenza di Nabucodonosor e accecato. — 2Re 25:2-8; Ger 39:2, 3;
52:6-11.
Dall’esterno Nebuzaradan diresse le operazioni di demolizione della città, che iniziarono “il settimo
giorno del mese” (il quinto mese, ab); in quell’occasione i tesori del tempio furono portati via, le mura
abbattute, i prigionieri condotti in esilio: furono lasciati rimanere solo alcuni dei più miseri. (2Re 25:8-20;
Ger 39:8-10; 43:5, 6; 52:12-26) Tre giorni dopo, il decimo giorno del mese, Nebuzaradan a quanto pare
“entrò a Gerusalemme” e, dopo un’ispezione, appiccò il fuoco alla casa di Geova e ridusse la città in
cenere. (Ger 52:12, 13) Giuseppe Flavio osserva che nello stesso giorno, il decimo giorno del quinto
mese, in cui era stato incendiato il tempio di Salomone, nel 70 E.V. venne incendiato anche il tempio
ricostruito da Erode. — Guerra giudaica, VI, 250 (iv, 5); VI, 268 (iv, 8); vedi AB.
Nebuzaradan, per ordine di Nabucodonosor, rimise in libertà Geremia, gli parlò in tono amichevole
lasciandogli scegliere cosa voleva fare, si offrì di occuparsi di lui e gli diede delle provviste. Nebuzaradan
rappresentò il re di Babilonia anche nella nomina di Ghedalia a governatore dei superstiti. (2Re 25:22;
Ger 39:11-14; 40:1-7; 41:10) Circa cinque anni dopo, nel 602 a.E.V., Nebuzaradan portò in esilio altri
ebrei, probabilmente quelli che erano fuggiti nei paesi circostanti. — Ger 52:30.
W 65 pag: 223-4
Neemia (n.3) --- Tema: Siate esempi per il gregge 1° PIETRO 5:1, 3
it-2 375-7
NEEMIA (Neemìa) [Iah conforta].
3. Figlio di Acalia e fratello di Hanani; coppiere del re persiano Artaserse (Longimano) e poi governatore
degli ebrei: fu lui a dirigere la ricostruzione delle mura di Gerusalemme e a scrivere il libro biblico che
porta il suo nome. — Ne 1:1, 2, 11; 2:1; 5:14, 16.
Durante il 20° anno di Artaserse, nel mese di chi slev (novembre-dicembre), Neemia, che si trovava nel
castello di Susa, ricevette la visita di suo fratello Hanani e di altri uomini giunti da Giuda, i quali, da lui
interrogati, gli riferirono la triste situazione degli ebrei e gli dissero che le mura e le porte di Gerusalemme
erano ancora in rovina. Neemia si commosse fino alle lacrime. Per giorni fece cordoglio, digiunando e
pregando di continuo. Confessò il peccato di Israele e, in base alle parole che Dio aveva detto a Mosè
(De 30:1-4), supplicò Geova di ‘renderlo oggetto di pietà’ davanti al re Artaserse, affinché il suo piano di
ricostruire le mura di Gerusalemme potesse avere successo. — Ne 1.
In seguito, nel mese di nisan (marzo-aprile), le preghiere di Neemia furono esaudite. Il re notò che il suo
volto era abbattuto e gliene chiese la ragione. Neemia allora lo informò della triste situazione esistente a
Gerusalemme. Quando gli fu chiesto cosa cercasse di ottenere, Neemia, rivoltosi immediatamente in
preghiera a Dio, chiese al re il permesso di tornare a Gerusalemme per ricostruire la città. La richiesta fu
accolta. Inoltre Neemia ricevette dal re lettere che gli consentivano di attraversare liberamente i territori
sotto la giurisdizione dei governatori a O dell’Eufrate e anche di procurarsi il legname necessario per la
costruzione. Partì per Gerusalemme accompagnato da comandanti militari e cavalieri. — Ne 2:1-9.
Ricostruite le mura di Gerusalemme. Neemia, che da tre giorni si trovava a Gerusalemme all’insaputa
di tutti tranne dei pochi che erano con lui, ispezionò nottetempo la città. Mentre gli altri erano a piedi, egli
cavalcava forse un cavallo o un asino. Arrivato in un punto in cui le rovine ostruivano il passaggio,
Neemia scese e proseguì a piedi. — Ne 2:11-16.
Completata l’ispezione, Neemia rivelò il suo piano agli ebrei, facendo notare loro che nella faccenda
c’era la mano di Geova. Incoraggiati, essi risposero: “Leviamoci, e dobbiamo edificare”. Nonostante le
parole di scherno dell’oronita Sanballat, dell’ammonita Tobia e dell’arabo Ghesem, i lavori di ricostruzione
iniziarono verso il 4 ab (luglio-agosto). — Ne 2:17-20; cfr. Ne 6:15.
Mentre il lavoro procedeva, Sanballat e Tobia continuavano a deridere e a schernire gli sforzi degli ebrei
per ricostruire le mura di Gerusalemme. Neemia menzionò questo fatto in preghiera, “e il popolo continuò
ad avere a cuore il lavoro”. Quando le mura raggiunsero metà dell’altezza prevista, Sanballat, Tobia e i
popoli vicini intensificarono l’opposizione al punto di coalizzarsi per combattere contro Gerusalemme.
Neemia ne fu ripetutamente informato dagli ebrei che abitavano nei pressi della città. Ancora una volta
Neemia manifestò in preghiera la sua fiducia in Geova. Per affrontare la critica situazione armò gli operai,
dispose che altri uomini facessero la guardia e organizzò un sistema di allarme. Neemia non si svestiva
neanche di notte, evidentemente per essere pronto a combattere nel caso che la guardia desse l’allarme.
— Ne 4.
Per quanto la situazione fosse pressante, Neemia non era talmente occupato da non tener conto delle
proteste degli ebrei. Sentendo che si lamentavano a motivo dei gravosi interessi che erano costretti a
pagare, egli rimproverò i nobili e i governanti delegati, tenne una grande assemblea e, dopo aver
denunciato questa grave situazione, ordinò che vi si ponesse rimedio. — Ne 5:1-13.
I nemici tentarono poi di fermare i lavori di ricostruzione. Quattro volte cercarono di distogliere Neemia
dall’impresa, ma egli li informò che non poteva assentarsi da quella grande opera. Allora Sanballat inviò
una lettera aperta che conteneva false accuse e invitava Neemia a incontrarsi con loro. Neemia rispose:
“Cose come quelle che tu dici non sono state compiute, ma le inventi dal tuo proprio cuore”. Ricorrendo a
un altro stratagemma ancora, Tobia e Sanballat assoldarono un ebreo per spaventare Neemia e fargli
commettere l’errore di nascondersi nel tempio. Ma Neemia non cedette alla paura, e l’opera di
ricostruzione fu portata a termine con successo il 25° giorno di elul (agosto-settembre), in soli 52 g iorni.
Comunque Tobia continuò a inviare a Neemia lettere intimidatorie. — Ne 6.
Completate le mura, Neemia si accinse a organizzare il servizio del tempio. Poi affidò il comando della
città a due uomini, uno dei quali era suo fratello Hanani. Neemia diede pure disposizioni relative
all’apertura, alla chiusura e alla sorveglianza delle porte della città. — Ne 7:1-3.
Registrazione genealogica. A quel tempo la popolazione di Gerusalemme era abbastanza esigua.
Sembra che questa fosse la ragione per cui Dio mise in cuore a Neemia di radunare i nobili, i governanti
delegati e il popolo affinché si iscrivessero nei registri genealogici, in quanto quelle informazioni
avrebbero potuto essere usate per incrementare la popolazione di Gerusalemme. Pare che proprio
mentre era intento a soprintendere a quella registrazione genealogica, Neemia abbia trovato il registro
degli esiliati che erano tornati da Babilonia con Zorobabele. — Ne 7:4-7.
Ripristinata l’osservanza della Legge. Probabilmente per ordine di Neemia si tenne un’assemblea nella
pubblica piazza presso la Porta delle Acque. Anche se fu soprattutto il sacerdote Esdra a insegnare la
Legge, Neemia pure vi prese parte. (Ne 8:1-12) Poi fu tenuta per otto giorni la festa delle capanne. Due
giorni dopo gli israeliti si radunarono nuovamente. Durante questa assemblea fu fatta una confessione
generale dei peccati di Israele, e fu redatto un documento con la confessione scritta. Questo documento,
o “disposizione degna di fede”, fu autenticato dai principi, dai leviti e dai sacerdoti. Neemia, il “Tirsata
[governatore]”, fu il primo ad autenticarlo imprimendovi il sigillo. (Ne 8:13–10:1) Tutto il popolo si impegnò
a non contrarre matrimoni misti con stranieri, a osservare i sabati e a sostenere il servizio del tempio.
Quindi venne scelta a sorte una persona su dieci perché risiedesse a Gerusalemme in modo
permanente. — Ne 10:28–11:1.
Vennero poi inaugurate le mura di Gerusalemme. Per l’occasione Neemia dispose che due grandi cori
di rendimento di grazie e processioni facessero il giro delle mura in direzioni opposte. Così avvenne e
tutti si incontrarono presso il tempio per offrire sacrifici. Alcuni uomini inoltre furono incaricati di occuparsi
delle contribuzioni per i sacerdoti e i leviti. — Ne 12:27-47.
Circa 12 anni dopo, nel 32° anno di Artaserse, Ne emia lasciò Gerusalemme. Al suo ritorno trovò fra gli
ebrei condizioni deplorevoli. Il sommo sacerdote Eliasib aveva costruito nel cortile del tempio una sala da
pranzo per Tobia, l’uomo che un tempo si era perfidamente opposto all’opera di Neemia. Neemia
intervenne senza indugio. Scaraventò tutti i mobili di Tobia fuori della sala da pranzo e diede ordine che
questa venisse purificata.
Inoltre Neemia prese provvedimenti per assicurare le contribuzioni per i leviti e far osservare
rigorosamente il sabato. Adottò pure misure disciplinari nei confronti di coloro che avevano preso mogli
straniere e i cui figli, avuti da queste donne, non erano neanche in grado di parlare la lingua dei giudei. “E
trovavo da ridire su di loro e invocavo su di loro il male e ne colpivo alcuni e strappavo loro i capelli e li
facevo giurare dinanzi a Dio: ‘Non dovreste dare le vostre figlie ai loro figli, e non dovreste accettare
alcuna delle loro figlie per i vostri figli o per voi stessi’”.
Il fatto che Neemia ‘trovasse da ridire’ su quegli uomini significa senza dubbio che li riprese e li
rimproverò mediante la legge di Dio, denunciando il loro errore. Costoro attiravano il disfavore di Dio sulla
nazione ristabilita, dopo che Dio li aveva benignamente fatti tornare da Babilonia per ripristinare la vera
adorazione a Gerusalemme. Neemia ‘invocò su di loro il male’ nel senso che pronunciò i giudizi della
legge di Dio contro quei trasgressori. Li ‘colpì’, probabilmente non di persona, ma ordinando che
venissero fustigati nel corso di un’azione giudiziaria ufficiale. ‘Strappò loro [parte dei] capelli’, in segno di
indignazione morale e ignominia di fronte al popolo. (Cfr. Esd 9:3). Neemia poi scacciò il nipote del
sommo sacerdote Eliasib, che era diventato genero dell’oronita Sanballat. — Ne 13:1-28.
Il notevole esempio di Neemia. Neemia è uno straordinario esempio di fedeltà e devozione. Fu altruista
poiché abbandonò l’importante posizione di coppiere alla corte di Artaserse per intraprendere la
ricostruzione delle mura di Gerusalemme. Nonostante i molti nemici, Neemia non esitò a esporsi al
pericolo per difendere il suo popolo e la vera adorazione. Non solo diresse i lavori di ricostruzione delle
mura di Gerusalemme, ma vi prese parte personalmente. Non perse tempo, fu coraggioso e intrepido,
confidò pienamente in Geova e agì sempre con avvedutezza. Zelante per la vera adorazione, Neemia
conosceva la legge di Dio e la applicava. Si preoccupò di rafforzare la fede degli altri israeliti. Dimostrò di
avere giusto timore di Geova Dio. Pur facendo rispettare con zelo la legge di Dio non tiranneggiava
egoisticamente gli altri, ma si occupava degli oppressi. Non chiese mai il pane che spettava al
governatore, anzi provvide a proprie spese viveri per un buon numero di persone. (Ne 5:14-19)
Giustamente Neemia poté pregare: “Ricordati di me, sì, o mio Dio, in bene”. — Ne 13:31.
Nicodemo --- Tema: Tremare davanti agli uomini è ciò che tende un laccio PROVERBI 29:25
it-2 388
NICODEMO (Nicodèmo) [conquistatore del popolo].
Fariseo e maestro di Israele, “governante dei giudei” (cioè membro del Sinedrio), menzionato solo nel
Vangelo di Giovanni. Nicodemo rimase colpito dai segni che Gesù compì a Gerusalemme nel periodo
della Pasqua del 30 E.V. Perciò una sera andò da Gesù e riconobbe che doveva essere venuto da Dio.
(Probabilmente per timore degli ebrei preferì fare quella prima visita col favore delle tenebre). A
Nicodemo Gesù disse che per vedere il Regno di Dio bisognava “nascere di nuovo”, e che nessun uomo
era asceso al cielo; parlò dell’amore che Dio aveva manifestato mandando il Figlio sulla terra, e della
necessità di esercitare fede. — Gv 2:23; 3:1-21.
Circa due anni e mezzo più tardi, alla festa delle capanne, i farisei inviarono degli ufficiali ad arrestare
Gesù. Quando questi tornarono a mani vuote, i farisei li disprezzarono perché avevano parlato bene di
Gesù, al che Nicodemo disse: “La nostra legge non giudica un uomo se prima non ha udito da lui e non è
venuta a sapere ciò che fa, non è così?” Per questo gli altri lo schernirono. (Gv 7:45-52) Dopo la morte di
Gesù, Nicodemo venne insieme a Giuseppe d’Arimatea (il discepolo timoroso) a portare un costoso
rotolo di mirra e aloe del peso di circa 100 libbre (33 kg), con cui preparare il corpo di Gesù per la
sepoltura. (Gv 19:38-40) Non ci sono prove scritturali a favore o contro le tradizioni secondo cui in seguito
Nicodemo diventò un discepolo, fu espulso dal Sinedrio e da Gerusalemme, morì martire e via dicendo.
W 62 pag. 523
w92 15/11 4-6
Perché alcuni nascono di nuovo
“A MENO che uno non nasca di nuovo, non può vedere il regno di Dio”. (Giovanni 3:3) Queste parole, da
che Gesù Cristo le pronunciò più di 1.900 anni fa, hanno entusiasmato e allo stesso tempo lasciato
perplessi molti.
Per capire correttamente le affermazioni di Gesù circa il nascere di nuovo dobbiamo prima rispondere a
queste domande: Qual è il proposito di Dio per il genere umano? Cosa accade all’anima dopo la morte?
Cosa dovrà fare il Regno di Dio?
Il proposito di Dio per il genere umano
Il primo uomo, Adamo, fu creato come perfetto figlio umano di Dio. (Luca 3:38) Geova Dio non si era mai
proposto che Adamo morisse. Adamo e sua moglie, Eva, avevano la prospettiva di generare una famiglia
umana senza peccato che sarebbe vissuta per sempre e avrebbe riempito una terra paradisiaca. (Genesi
1:28) La morte non faceva parte del proposito originale di Dio per l’uomo e la donna. Fece la sua
comparsa sulla scena umana solo come conseguenza della ribellione alla legge divina. — Genesi 2:15-
17; 3:17-19.
Questa ribellione sollevò questioni morali di enorme importanza, come la legittimità della sovranità di
Dio e la capacità degli uomini di rimanere fedeli alle sue leggi. Ci sarebbe voluto del tempo per risolvere
tali questioni. Ma il proposito di Geova Dio per il genere umano non cambiò; quando egli si accinge a fare
una cosa non può non riuscire a portarla a termine. Dio ha ogni intenzione di riempire la terra di una
famiglia umana perfetta che otterrà la vita eterna nel Paradiso. (Salmo 37:29; 104:5; Isaia 45:18; Luca
23:43) Dobbiamo tenere presente questa verità fondamentale quando consideriamo le parole di Gesù
circa il nascere di nuovo.
Cosa accade all’anima quando si muore?
Non conoscendo ciò che lo spirito santo di Dio aveva rivelato agli scrittori biblici, i filosofi greci si
arrovellarono il cervello nel tentativo di scoprire il significato della vita. Non potevano credere che l’uomo
fosse stato fatto solo per vivere pochi anni, spesso in condizioni misere, e poi cessare di esistere. In
questo avevano ragione. Ma nelle loro conclusioni sulle prospettive dell’uomo dopo la morte avevano
torto. Conclusero che dopo la morte l’esistenza umana continuasse in qualche altra forma, che ogni
uomo avesse dentro di sé un’anima immortale.
Ebrei e sedicenti cristiani subirono l’influsso di tali idee. In un libro si legge: “Ovunque gli ebrei della
Diaspora incontrassero gli intellettuali greci, affiorava l’idea di un’anima immortale”. (Heaven—A History)
Il libro aggiunge: “Le dottrine greche sull’anima lasciarono un’impronta profonda sulle credenze giudaiche
e poi su quelle cristiane. . . . Riunendo in una sintesi singolare filosofia platonica e tradizione biblica,
Filone [filosofo ebreo alessandrino del I secolo] preparò il terreno ai pensatori cristiani d’epoca
posteriore”.
Cosa credeva Filone? Lo stesso libro prosegue dicendo: “Per lui la morte riporta l’anima al suo stato
originale, prenatale. Dato che l’anima appartiene al mondo spirituale, la vita nel corpo non è altro che una
breve e spesso triste parentesi”. Tuttavia lo ‘stato prenatale’ di Adamo era l’inesistenza. Secondo la
Bibbia, Dio non si propose mai che alla morte avvenisse un trasferimento automatico in qualche altro
reame, come se la terra fosse solo un passaggio obbligato per raggiungere un’esistenza superiore o
inferiore.
L’ispirata Parola di Dio, la Bibbia, non insegna la dottrina dell’immortalità dell’anima umana.
L’espressione “anima immortale” non vi ricorre nemmeno una volta. La Bibbia dice che Adamo fu creato
come anima, non con un’anima. Genesi 2:7 dice: “Geova Dio formava l’uomo dalla polvere del suolo e gli
soffiava nelle narici l’alito della vita, e l’uomo divenne un’anima vivente”. All’umanità non fu mai offerta la
prospettiva di vivere eternamente in cielo o di subire il tormento eterno all’inferno. La Bibbia mostra che,
una volta morta, l’anima, la persona, non ha nessuna esistenza cosciente. (Salmo 146:3, 4; Ecclesiaste
9:5, 10; Ezechiele 18:4) Di conseguenza le idee dei filosofi sull’anima sono antiscritturali. Dobbiamo
guardarci da idee fuorvianti che potrebbero impedirci di comprendere le parole di Gesù circa il nascere di
nuovo.
Nati di nuovo per essere re
Gesù disse a Nicodemo che quelli che ‘nascono di nuovo entrano nel regno di Dio’. (Giovanni 3:3-5)
Cos’è questo Regno? Agli albori della storia umana, usando un linguaggio simbolico, Geova Dio rese
noto il suo proposito di servirsi di un “seme” particolare — un futuro governante — per schiacciare la
testa all’originale Serpente, Satana il Diavolo. (Genesi 3:15; Rivelazione 12:9) Come fu progressivamente
rivelato nelle Scritture, questo “seme” è Gesù Cristo, che regna insieme ad altri in una incomparabile
espressione della sovranità di Dio, il Regno messianico. (Salmo 2:8, 9; Isaia 9:6, 7; Daniele 2:44; 7:13,
14) Questo è il Regno dei cieli, un governo celeste che rivendicherà la sovranità di Geova e libererà il
genere umano dalla schiavitù del peccato e della morte. — Matteo 6:9, 10.
Con Gesù regnano 144.000 persone comprate di fra il genere umano. (Rivelazione 5:9, 10; 14:1-4) Dio
ha infatti scelto alcuni componenti dell’imperfetta famiglia di Adamo perché divengano i “santi del
Supremo” e governino con Cristo nel Regno messianico. (Daniele 7:27; 1 Corinti 6:2; Rivelazione 3:21;
20:6) Questi uomini e donne ripongono fede in Gesù Cristo, il quale disse che sarebbero ‘nati di nuovo’.
(Giovanni 3:5-7) Come e perché ha luogo questa nascita?
Queste persone sono state battezzate in acqua come seguaci di Cristo. Dio ha perdonato i loro peccati
in virtù del sacrificio di riscatto di Gesù, li ha dichiarati giusti e li ha adottati quali figli spirituali. (Romani
3:23-26; 5:12-21; Colossesi 1:13, 14) A loro l’apostolo Paolo dice: “Avete ricevuto uno spirito di adozione
come figli, mediante il quale spirito gridiamo: ‘Abba, Padre!’ Lo spirito stesso rende testimonianza col
nostro spirito che siamo figli di Dio. Se, dunque, siamo figli, siamo anche eredi: eredi in realtà di Dio, ma
coeredi di Cristo, purché soffriamo insieme per essere insieme anche glorificati”. — Romani 8:15-17.
Come seguaci di Cristo, questi hanno ricevuto una nuova nascita, un nuovo inizio nella vita. Ciò ha
prodotto in loro la convinzione che condivideranno l’eredità celeste di Gesù. (Luca 12:32; 22:28-30; 1
Pietro 1:23) L’apostolo Pietro descrisse la rinascita in questo modo: “Secondo la sua grande misericordia
[Dio] ci ha dato una nuova nascita per una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai
morti, per un’eredità incorruttibile e incontaminata e durevole. Essa è riservata nei cieli per voi”. (1 Pietro
1:3, 4) Questa nuova vita in cielo diviene possibile per queste persone perché Dio le risuscita come
risuscitò Gesù. — 1 Corinti 15:42-49.
Che dire della terra?
Questo non significa che alla fine tutta l’umanità ubbidiente nascerà di nuovo per lasciare la terra e
andare in cielo. Questa idea errata è simile a quella di filosofi come Filone, il quale pensava che “la vita
nel corpo non è altro che una breve e spesso triste parentesi”. Ma nell’originale creazione terrestre di
Geova Dio non c’era nulla di errato. — Genesi 1:31; Deuteronomio 32:4.
La vita umana non doveva essere affatto un’esperienza breve e dolorosa. Gesù Cristo e quelli nati di
nuovo per servire come re e sacerdoti con lui in cielo elimineranno ogni conseguenza dannosa della
ribellione di Satana. (Efesini 1:8-10) Mediante loro quale promesso “seme di Abraamo” “tutte le nazioni
della terra certamente si benediranno”. (Galati 3:29; Genesi 22:18) Per l’umanità ubbidiente ciò
significherà vivere su una terra paradisiaca, ben diversa dall’attuale breve esistenza carica di pene. —
Salmo 37:11, 29; Rivelazione 21:1-4.
Chi ne trarrà beneficio?
Fra coloro che beneficeranno del provvedimento di Dio per la benedizione del genere umano ci saranno
i morti risuscitati che eserciteranno fede nel sacrificio di riscatto di Gesù. (Giovanni 5:28, 29; Atti 24:15)
La maggioranza d’essi non ha mai conosciuto davvero Dio e Cristo e quindi non ha potuto esercitare fede
in Gesù. Fra i risuscitati ci saranno pure uomini e donne fedeli come Giovanni il Battezzatore, che morì
prima che la morte di Gesù aprisse la via alla vita in cielo. (Matteo 11:11) Oltre a questi, ‘una grande folla
di persone di tutte le nazioni hanno lavato le loro lunghe vesti e le hanno rese bianche nel sangue
dell’Agnello’, Gesù Cristo. Costoro rispondono favorevolmente all’opera di predicazione del Regno che
viene oggi promossa dai “fratelli” di Gesù nati di nuovo e sopravvivranno alla guerra divina di
Armaghedon per vivere su una terra purificata. (Rivelazione 7:9-14; 16:14-16; Matteo 24:14; 25:31-46)
Secondo la disposizione di Dio, quindi, milioni di persone, pur non essendo nate di nuovo per regnare
con Cristo nei cieli, saranno salvate. — 1 Giovanni 2:1, 2.
Sarete fra coloro che erediteranno la vita su una terra paradisiaca? Potrete esserci se esercitate fede
nel sacrificio di Gesù Cristo e vi unite attivamente alla vera congregazione cristiana. Essa non è stata
corrotta da filosofie ma è rimasta “colonna e sostegno della verità”. (1 Timoteo 3:15; confronta Giovanni
4:24; 8:31, 32). Potrete così guardare avanti verso un futuro meraviglioso in cui i figli di Dio nati di nuovo
governeranno dal cielo e tutti i figli terreni di Dio saranno riportati alla perfezione su una meravigliosa
terra paradisiaca. Non fatevi quindi sfuggire l’opportunità di vivere in quel nuovo mondo con le sue
benedizioni eterne! — Romani 8:19-21; 2 Pietro 3:13.
[Figura a pagina 6] Adamo non fu mai posto davanti all’alternativa di vivere in cielo o di subire il
tormento eterno all’inferno
Noè --- Tema: L’ubbidienza è essenziale per vivere EBREI 11:7
it-2 397-9
NOÈ [ebr. Nòach; prob., riposo, consolazione].
Figlio di Lamec e decimo nella discendenza di Adamo tramite Set; nacque verso il 2970 a.E.V., 126 anni
dopo la morte di Adamo. Nel mettergli nome Noè, suo padre Lamec disse: “Questi ci recherà conforto dal
nostro lavoro e dal dolore delle nostre mani derivante dal suolo che Geova ha maledetto”. — Ge 5:28-31.
Senza difetto fra i suoi contemporanei. Il mondo in cui visse Noè era degenerato. In quel periodo gli
angeli che avevano abbandonato la loro posizione originale e il loro legittimo luogo di dimora avevano
sposato delle donne e generato una progenie, “uomini famosi”, che avevano fatto aumentare la violenza
sulla terra (Ge 6:1-4; Gda 6), al punto che ‘ogni inclinazione dei pensieri del cuore dell’uomo era solo
cattiva in ogni tempo’ e la terra “era rovinata, perché ogni carne aveva rovinato la sua via sulla terra”. (Ge
6:5, 11, 12) Ma Noè non si lasciò corrompere, e la Parola di Dio dice di lui: “Noè fu uomo giusto. Si
mostrò senza difetto fra i suoi contemporanei. Noè camminò con il vero Dio”. (Ge 6:8, 9) Poté essere
definito “senza difetto” perché, a differenza di quel mondo empio, fu pienamente all’altezza di ciò che Dio
richiedeva da lui. — Cfr. Ge 6:22; vedi PERFEZIONE.
Geova decide di distruggere quel mondo. Geova Dio stabilì un limite di tempo per l’esistenza di quel
mondo empio, dicendo: “Il mio spirito non agirà certo indefinitamente verso l’uomo, in quanto egli è anche
carne. Pertanto i suoi giorni dovranno ammontare a centoventi anni”. (Ge 6:3) Questo era un decreto
giudiziario di Dio. Circa 20 anni dopo (2470 a.E.V.) nacque il primo figlio di Noè (probabilmente Iafet), e
dalla narrazione si desume che un altro figlio, Sem, nacque due anni più tardi. L’epoca della nascita di
Cam non è precisata, ma i tre figli erano adulti e sposati quando Noè ricevette da Dio l’ordine di costruire
un’arca. È quindi probabile che allora mancassero solo 40 o 50 anni al Diluvio. (Ge 6:13-18) Ora che
Geova aveva fatto un patto con lui (Ge 6:18), e con l’aiuto della famiglia, Noè si mise all’opera come
costruttore e “predicatore di giustizia”, avvertendo quella generazione malvagia dell’incombente
distruzione. — 2Pt 2:5.
Noè sopravvive al Diluvio. La gente non credeva che Dio sarebbe intervenuto per distruggere quel
mondo malvagio. Fu dunque per la sua forte fede che Noè, con assoluta ubbidienza, fece “secondo tutto
ciò che Dio gli aveva comandato. Fece proprio così”. (Ge 6:22) Per la sua incrollabile fede in Geova, Noè
fu incluso dallo scrittore cristiano della lettera agli Ebrei in quel “così gran nuvolo di testimoni”: “Per fede
Noè, dopo aver ricevuto divino avvertimento di cose non ancora viste, mostrò santo timore e costruì
un’arca per la salvezza della sua casa; e per mezzo di questa fede condannò il mondo e divenne erede
della giustizia che è secondo la fede”. — Eb 11:7; 12:1.
Sette giorni prima che cominciassero a cadere le acque del Diluvio, Geova ordinò a Noè di radunare gli
animali nell’arca. Il settimo giorno di quella settimana “entrò dunque Noè, e i suoi figli e sua moglie e le
mogli dei suoi figli con lui, nell’arca davanti alle acque del diluvio. . . . Poi Geova chiuse la porta dietro di
lui”. Quello stesso giorno “venne il diluvio e li distrusse tutti”. — Ge 7:1-16; Lu 17:27.
Con gli abitanti dell’arca fu assicurata la continuità della vita umana e animale. Sopravvisse anche la
vera adorazione, e per mezzo di Noè e della sua famiglia Dio preservò la storia della creazione — come
pure una cronologia che permette di risalire fino alla creazione dell’uomo — e la lingua originale
(chiamata poi ebraico). Mentre era nell’arca Noè prese accuratamente nota di tutti gli avvenimenti
importanti. — Ge 7:11, 12, 24; 8:2-6, 10, 12-14.
Benedizione e patto dell’arcobaleno. Trascorso circa un anno nell’arca, Noè e la sua famiglia uscirono
su una terra completamente ripulita. L’arca si era fermata sulla catena montuosa dell’Ararat.
Riconoscente per l’amorevole benignità, la misericordia e la protezione di Geova, Noè costruì un altare e
immolò in sacrificio a Geova “alcune di tutte le bestie pure e di tutte le creature volatili pure”. Geova Dio
ne fu compiaciuto e rivelò a Noè che mai più la terra sarebbe stata maledetta e che egli non avrebbe mai
più distrutto ogni cosa come aveva fatto. Ci sarebbero sempre stati “semina e raccolta, e freddo e caldo,
ed estate e inverno, e giorno e notte”. — Ge 8:18-22.
Geova benedisse i superstiti del Diluvio ordinando loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la
terra”. Quindi emanò nuovi decreti per il loro bene: (1) permise benignamente loro di aggiungere la carne
animale alla loro dieta; (2) poiché l’anima è nel sangue, decretò che non si doveva mangiare sangue; (3)
istituì la pena capitale per mano dell’autorità debitamente costituita. Queste leggi dovevano essere
rispettate da tutto il genere umano, poiché tutti sarebbero discesi dai tre figli di Noè. — Ge 1:28; 9:1-7;
10:32.
Dopo aver dato questi comandi, Geova proseguì: “E in quanto a me, ecco, stabilisco il mio patto con voi
e con la vostra progenie dopo di voi, e con ogni anima vivente che è con voi, fra i volatili, fra le bestie e
fra tutte le creature viventi della terra con voi . . . Sì, veramente stabilisco il mio patto con voi: Ogni carne
non sarà più stroncata dalle acque di un diluvio, e non accadrà più un diluvio per ridurre in rovina la
terra”. L’arcobaleno è tuttora un “segno”, o rammemoratore, di questo patto. — Ge 9:8-17; Isa 54:9.
Noè si ubriaca. Dopo il Diluvio Noè visse 350 anni. La Bibbia, con candore e onestà, riferisce: “Ora Noè
cominciò come agricoltore e piantava una vigna. E beveva del vino e s’inebriò, e quindi si scoprì nel
mezzo della sua tenda”. (Ge 9:20, 21) Questo non vuol dire che Noè avesse l’abitudine di ubriacarsi.
L’episodio viene riportato per spiegare l’incidente che seguì, dati gli importanti risvolti per la storia
mondiale. Prima del Diluvio Noè non indulgeva nel ‘bere’ come la società malvagia di quel tempo, che
senza dubbio andava agli estremi nel gozzovigliare. Cose del genere intorpidirono la loro sensibilità e
senz’altro contribuirono a far ignorare loro l’avvertimento di Dio, dato che non si avvidero di nulla “finché
venne il diluvio e li spazzò via tutti”. — Mt 24:38, 39; Lu 17:27.
Mentre Noè dormiva nella sua tenda, Cam, forse insieme a suo figlio Canaan, in qualche modo gli
mancò di rispetto. Il racconto dice: “Infine Noè si svegliò dal suo vino e seppe ciò che gli aveva fatto il suo
figlio più giovane”. Comunemente si pensa che per “figlio più giovane” qui si intenda Cam. Nella Bibbia
però l’espressione si riferisce a volte a un nipote, che in questo caso sarebbe stato Canaan. Comunque
si siano svolte le cose, Cam padre di Canaan andò a raccontare il fatto ai suoi due fratelli invece di
coprire egli stesso Noè come poi fecero loro. Venuto a conoscenza dell’episodio, Noè maledisse Canaan
e benedisse Geova, l’Iddio di Sem. — Ge 9:20-27.
La ribellione di Nimrod. Noè fu il primo patriarca della società postdiluviana. (Ge 10:1-32) Tuttavia
durante la sua vita la falsa religione si affermò di nuovo fra coloro che seguivano Nimrod, come risulta dal
ribelle tentativo di costruire “una torre con la sua cima nei cieli” per non essere dispersi “su tutta la
superficie della terra”. Questo era in aperto contrasto col comando di Dio di ‘riempire la terra’, ed era
anche una ribellione contro Noè quale profeta di Dio. Noè morì circa due anni prima della nascita di
Abraamo. Perciò vide il giudizio di Geova sui costruttori della torre di Babele, e la dispersione di quei
ribelli sulla faccia della terra. Noè e Sem non ebbero nulla a che fare con la costruzione della torre e di
conseguenza la loro lingua non dovette essere confusa: essi continuarono a parlare la lingua originale
dell’uomo, quella che Dio aveva dato ad Adamo. — Ge 9:1, 28, 29; 11:1-9.
Modello profetico. I profeti Isaia ed Ezechiele, Gesù Cristo e gli apostoli Pietro e Paolo parlarono tutti di
Noè, servitore di Dio. Gesù e Pietro spiegarono che i giorni di Noè erano un modello profetico della
“presenza del Figlio dell’uomo” e di un futuro “giorno del giudizio e della distruzione degli uomini empi”.
Risparmiando Noè e la sua famiglia quando distrusse quel mondo empio, Geova stabilì “per gli empi un
modello di cose avvenire”. — 2Pt 3:5-7; 2:5, 6; Isa 54:9; Ez 14:14, 20; Mt 24:37-39; Eb 11:7; 1Pt 3:20, 21.
w80 15/2 13 Eli, un sacerdote che venne meno alla sua responsabilità di padre
La legge provvedeva al mantenimento del sacerdozio in questo modo: nelle offerte di comunione, quando
l’adoratore presentava il suo sacrificio dalla mandria o dal gregge, ai sacerdoti spettava il petto
dell’animale. Il sacerdote officiante riceveva come sua porzione la zampa destra. Ma Ofni e Fineas, i figli
di Eli, mandavano i loro servitori a prendere dalla pentola qualsiasi cosa il forchettone infilzasse,
mancando così di rispetto a Dio, violandone la disposizione, e maltrattando gli israeliti che portavano i
sacrifici. Quel ch’è peggio, derubavano Dio, prendendosi la porzione dell’offerta prima che le parti grasse
fossero offerte sull’altare, il che costituiva una violazione della legge. — I Sam. 2:15-17; Lev. 7:32-34;
3:3-5.
In aggiunta a tale peccato, questi uomini malvagi commettevano atti di immoralità con le donne che
prestavano servizio al tabernacolo, così che tutto Israele venne a saperlo. E la notizia della loro orribile
profanazione del santuario di Dio giunse agli orecchi di Eli. — I Sam. 2:22.
Qui sta la più grave mancanza di Eli. Come padre di Ofni e Fineas e, cosa più seria, come sommo
sacerdote d’Israele unto da Dio, egli avrebbe dovuto intraprendere immediatamente un’azione
disciplinare contro i due figli, rimuovendoli dall’incarico sacerdotale e impedendo loro di prestare servizio
nel santuario. Inoltre avrebbero dovuto essere puniti secondo la legge per i loro reati. Invece Eli si limitò
semplicemente a dire loro:
“Perché continuate a fare cose come queste? Poiché le cose che odo intorno a voi da tutto il popolo sono
cattive. No, figli miei, perché non è buona la notizia che odo, che il popolo di Geova fa circolare. Se un
uomo dovesse peccare contro un uomo, Dio farebbe da arbitro per lui; ma se un uomo dovesse peccare
contro Geova, chi pregherebbe per lui?” — I Sam. 2:23-25.
it-2 433
ONESIMO (Onèsimo) [vantaggioso].
Schiavo fuggitivo che Paolo aiutò a diventare cristiano. Onesimo era stato servitore di Filemone, un
cristiano di Colosse, ma di là era fuggito a Roma. Può darsi che prima di fuggire avesse anche derubato il
padrone per pagarsi il viaggio. (Col 4:9; Flm 18) È possibilissimo che avesse conosciuto Paolo, o almeno
ne avesse sentito parlare, tramite Filemone; infatti, anche se non è specificato se Paolo durante i suoi
viaggi missionari si sia recato a Colosse, effettivamente era stato da quelle parti e conosceva Filemone.
(At 18:22, 23; Flm 5, 19, 22) Ad ogni modo, non si sa come, Onesimo venne in contatto con Paolo a
Roma e ben presto diventò cristiano. (Flm 10) Mentre in precedenza non era stato utile a Filemone come
schiavo, ora era utilissimo a Paolo come ministro, “fedele e diletto fratello” che Paolo chiama “miei propri
teneri affetti”. — Col 4:9; Flm 11, 12.
Tuttavia Onesimo era sempre uno schiavo fuggitivo e l’ordine sociale allora vigente imponeva a Paolo di
rimandarlo al suo proprietario, benché con riluttanza dal momento che era diventato un così valido
compagno. L’apostolo però non poteva costringerlo a tornare, per cui tutto dipendeva dalla buona volontà
di Onesimo. Nell’accomiatarsi da lui Paolo dispose che Tichico accompagnasse Onesimo e che i due
portassero una lettera e sue notizie a Colosse. (Col 4:7-9) Inoltre consegnò a Onesimo la sua lettera per
Filemone, anche se era quasi alla fine della detenzione e si aspettava di essere rimesso in libertà e di
poterlo visitare personalmente. (Flm 22) Quest’ultima lettera si potrebbe definire di ripresentazione e
raccomandazione per Onesimo: Paolo rassicurava Filemone circa il buon ministero cristiano e la nuova
personalità di Onesimo, e auspicava che la loro fosse la riunione di due cristiani più che di uno schiavo
col suo padrone. L’apostolo Paolo chiedeva che qualsiasi debito Onesimo avesse contratto con Filemone
fosse addebitato a lui. (Flm 12-22) Fra parentesi, nella lettera ai Colossesi di cui Onesimo e Tichico erano
latori, Paolo tratta i princìpi cristiani che regolano i rapporti tra schiavi e padroni. — Col 3:22–4:1.
Paolo --- Tema: I nemici della verità possono cambiare MATTEO 5:44, 45 a
it-2 477-82
PAOLO [piccolo].
Israelita della tribù di Beniamino e apostolo di Gesù Cristo. (Ef 1:1; Flp 3:5) Può darsi che fin dall’infanzia
avesse sia il nome ebraico Saulo che quello romano Paolo (At 9:17; 2Pt 3:15), ma forse l’apostolo
preferiva farsi chiamare col nome romano, dato il suo incarico di annunciare la buona notizia ai non ebrei.
— At 9:15; Gal 2:7, 8.
Paolo era nato a Tarso, importante città della Cilicia. (At 21:39; 22:3) I suoi genitori erano ebrei e
aderivano evidentemente al farisaismo, un ramo del giudaismo. (At 23:6; Flp 3:5) Era cittadino romano
dalla nascita (At 22:28), avendo forse suo padre ottenuto la cittadinanza per servizi resi allo stato
romano. Paolo probabilmente imparò il mestiere di fabbricante di tende dal padre. (At 18:3) Ma a
Gerusalemme fu educato dal dotto fariseo Gamaliele, e questo fa pensare che fosse di una famiglia
importante. (At 22:3; 5:34) In quanto alle lingue, Paolo conosceva bene almeno il greco e l’ebraico. (At
21:37-40) Nel periodo in cui viaggiò come missionario non era sposato. (1Co 7:8) In quel periodo, se non
anche prima, aveva una sorella e un nipote a Gerusalemme. — At 23:16-22.
Con le sue lettere, l’apostolo Paolo ebbe il privilegio di contribuire più di chiunque altro alla stesura delle
Scritture Greche Cristiane. Ebbe visioni soprannaturali (2Co 12:1-5) e, mediante lo spirito santo, fu in
grado di parlare numerose lingue straniere. — 1Co 14:18.
Persecutore; conversione e ministero. La Bibbia presenta per la prima volta Saulo o Paolo come il
“giovane” ai cui piedi deposero i mantelli i falsi testimoni che lapidarono Stefano, discepolo di Cristo. (At
6:13; 7:58) Paolo approvava l’omicidio di Stefano e, per zelo mal riposto basato sulla tradizione, iniziò
una campagna di crudele persecuzione contro i seguaci di Cristo. Quando si trattava di condannarli a
morte, votava contro di loro. Durante i processi nelle sinagoghe cercava di costringerli ad abiurare.
Estese la persecuzione ad altre città oltre Gerusalemme, e si procurò perfino un’autorizzazione scritta del
sommo sacerdote per andare a scovare i discepoli di Cristo fino a Damasco in Siria, molto più a N, e
portarli in catene a Gerusalemme, probabilmente perché fossero processati dal Sinedrio. — At 8:1, 3; 9:1,
2; 26:10, 11; Gal 1:13, 14.
Mentre Paolo si avvicinava a Damasco, Cristo Gesù gli si rivelò in una luce sfolgorante e gli diede
l’incarico di essere servitore e testimone delle cose che aveva visto e di quelle che doveva ancora
vedere. Anche coloro che erano con Paolo caddero a terra a motivo di questa manifestazione e udirono
qualcuno parlare, ma solo Paolo capì le parole e rimase accecato, così che dovette essere
accompagnato per mano a Damasco. (At 9:3-8; 22:6-11; 26:12-18) Per tre giorni non mangiò né bevve.
Poi, mentre pregava in casa di un certo Giuda a Damasco, vide in visione Anania, discepolo di Cristo,
entrare e ridargli la vista. Quando la visione divenne realtà, Paolo fu battezzato, ricevette lo spirito santo,
mangiò e riacquistò le forze. — At 9:9-19.
Secondo Atti 9:20-25 Paolo rimase per un po’ con i discepoli di Damasco e “immediatamente” cominciò
a predicare nelle sinagoghe del posto. Continuò l’attività di predicazione finché dovette lasciare Damasco
a motivo di un complotto per ucciderlo. Nella lettera ai Galati, però, Paolo dice di essere andato in Arabia
dopo la conversione, e di essere poi tornato a Damasco. (Gal 1:15-17) Non è possibile stabilire quando
ebbe luogo il viaggio in Arabia nel corso degli avvenimenti.
Può darsi che Paolo sia andato in Arabia subito dopo la conversione per meditare su ciò che Dio voleva
da lui. In questo caso, l’uso del termine “immediatamente” da parte di Luca significherebbe che,
immediatamente dopo il suo ritorno a Damasco, Paolo cominciò a predicare insieme ai discepoli.
Tuttavia, in Galati 1:17 Paolo vuole evidentemente sottolineare che non salì immediatamente a
Gerusalemme; che l’unico luogo oltre Damasco dove andò in quel periodo era l’Arabia. Quindi non è
detto che il viaggio in Arabia sia avvenuto immediatamente dopo la conversione. Può darsi che prima
Paolo sia rimasto qualche giorno a Damasco e abbia subito ripudiato pubblicamente la sua precedente
condotta di oppositore, parlando della sua fede in Cristo nelle sinagoghe. Poi può aver fatto il viaggio in
Arabia (l’effettivo scopo del quale non è rivelato) e al suo ritorno può aver continuato a predicare a
Damasco, facendolo con tale vigore che i suoi oppositori cercarono di metterlo a morte. Le due versioni si
completano anziché contraddirsi, e l’unica incertezza riguarda il preciso ordine degli avvenimenti, che
semplicemente non è indicato.
Giunto a Gerusalemme (forse nel 36 E.V.; i tre anni menzionati in Galati 1:18 potrebbero essere parte di
tre anni), Paolo constatò che i fratelli di quella città non credevano che fosse un discepolo. Tuttavia,
“Barnaba venne in suo aiuto e lo condusse dagli apostoli”, evidentemente Pietro e “Giacomo il fratello del
Signore”. (Giacomo, anche se non era uno dei dodici, poteva essere chiamato apostolo essendo tale per
la congregazione di Gerusalemme). Per 15 giorni Paolo rimase con Cefa (Pietro). Mentre era a
Gerusalemme parlò con franchezza nel nome di Gesù. Quando i fratelli appresero che per questo gli
ebrei di lingua greca cercavano di uccidere Paolo, “lo condussero a Cesarea e lo mandarono a Tarso”. —
At 9:26-30; Gal 1:18-21.
A quanto pare Paolo (verso il 41 E.V.) ebbe il privilegio di avere una visione soprannaturale così reale
da non sapere se era stato rapito al “terzo cielo” corporalmente o no. Il “terzo cielo” sembra riferirsi al
grado superlativo dell’estasi nella quale egli ebbe la visione. — 2Co 12:1-4.
In seguito Barnaba condusse Saulo da Tarso ad Antiochia per promuovere l’opera fra la popolazione di
lingua greca. Verso il 46 E.V., dopo un anno di lavoro ad Antiochia, Paolo e Barnaba furono inviati dalla
congregazione a Gerusalemme per portare soccorsi ai fratelli di quella città. (At 11:22-30) Fecero ritorno
ad Antiochia insieme a Giovanni Marco. (At 12:25) Dopo ciò lo spirito santo ordinò che a Paolo e Barnaba
fosse affidata un’opera speciale. — At 13:1, 2.
Primo viaggio missionario. (CARTINA, vol. 2, it-2 p. 747) Seguendo la direttiva dello spirito, Paolo, in
compagnia di Barnaba, e con Giovanni Marco come servitore, iniziò il primo viaggio missionario (ca. 47-
48 E.V.). Imbarcatisi a Seleucia, porto di Antiochia, salparono per Cipro. Cominciarono a ‘proclamare la
parola di Dio’ nelle sinagoghe di Salamina, città sulla costa E di Cipro. Attraversata l’isola, giunsero a
Pafo sulla costa O. Là lo stregone Elima cercò di impedire che venisse data testimonianza al proconsole
Sergio Paolo. Allora Paolo fece sì che Elima fosse colpito temporaneamente da cecità. Stupito
dall’accaduto, Sergio Paolo diventò credente. — At 13:4-12.
Da Pafo, Paolo e i suoi compagni salparono per l’Asia Minore. Quando giunsero a Perga, nella provincia
romana della Panfilia, Giovanni Marco li lasciò e tornò a Gerusalemme. Paolo e Barnaba invece si
diressero a N verso Antiochia di Pisidia. Vi trovarono molto interesse, ma alla fine furono scacciati dalla
città dietro istigazione degli ebrei. (At 13:13-50) Impavidi, si diressero a SE verso Iconio, ma anche là gli
ebrei aizzarono la folla contro di loro. Saputo di un tentativo di lapidarli, Paolo e Barnaba fuggirono a
Listra nella Licaonia. Quando Paolo guarì un uomo zoppo dalla nascita, la popolazione di Listra pensò
che Paolo e Barnaba fossero dèi incarnati. Più tardi però ebrei di Iconio e di Antiochia di Pisidia
sobillarono la folla contro Paolo così che lo lapidarono e lo trascinarono fuori della città, credendolo
morto. Tuttavia, quando fu circondato dai conservi cristiani, Paolo si alzò e rientrò a Listra. L’indomani lui
e Barnaba partirono per Derbe. Dopo avervi fatto numerosi discepoli, tornarono a Listra, Iconio e
Antiochia (in Pisidia), per rafforzare e incoraggiare i fratelli, e per nominare anziani che prestassero
servizio nelle congregazioni stabilite in quelle località. In seguito predicarono a Perga, e poi si
imbarcarono nel porto di Attalia diretti ad Antiochia di Siria. — At 13:51–14:28.
Il problema della circoncisione. Certuni, giunti ad Antiochia dalla Giudea (verso il 49 E.V.),
sostenevano che per essere salvati i non ebrei dovessero farsi circoncidere in ottemperanza alla Legge
mosaica. Paolo e Barnaba non erano d’accordo. Ma Paolo, pur essendo un apostolo, non si assunse la
responsabilità di risolvere la cosa da solo. Accompagnato da Barnaba, Tito e altri, si recò a Gerusalemme
per esporre il problema agli apostoli e agli anziani di quella congregazione. La decisione fu che i credenti
gentili non erano tenuti a circoncidersi, ma dovevano astenersi dall’idolatria, dal mangiare e bere sangue
e dall’immoralità sessuale. Oltre a redigere una lettera per esporre questa decisione, i fratelli della
congregazione di Gerusalemme inviarono come loro rappresentanti Giuda e Sila per spiegare la cosa ad
Antiochia. Inoltre, in un incontro con Pietro (Cefa), Giovanni e il discepolo Giacomo, venne convenuto che
Paolo e Barnaba avrebbero continuato a predicare ai gentili incirconcisi. — At 15:1-29; Gal 2:1-10.
Qualche tempo dopo, Pietro si recò personalmente ad Antiochia di Siria e stava in compagnia dei
cristiani gentili. Ma quando arrivarono certi ebrei da Gerusalemme, egli, evidentemente per timore degli
uomini, si separò dai non ebrei, agendo così contrariamente alla direttiva dello spirito, dato che per Dio
non esistevano distinzioni carnali. Persino Barnaba fu sviato. Notando questo, Paolo con coraggio riprese
pubblicamente Pietro, poiché il suo comportamento nuoceva al progresso del cristianesimo. — Gal 2:11-
14.
Secondo viaggio missionario. (CARTINA, vol. 2, ⇒it-2 ⇐p. 747) In seguito Paolo e Barnaba
pensarono di rivisitare i fratelli nelle città in cui avevano predicato durante il primo viaggio missionario.
Una discussione sull’opportunità di portare con loro Giovanni Marco, visto che la prima volta li aveva
lasciati, provocò una frattura fra Paolo e Barnaba. Paolo allora scelse Sila (Silvano) e si recò in Siria e in
Asia Minore (ca. 49-52 E.V.). A Listra Paolo dispose che il giovane Timoteo lo accompagnasse, e lo
circoncise. (At 15:36–16:3) Benché la circoncisione non fosse un requisito cristiano, se Timoteo, che era
per metà ebreo, fosse rimasto incirconciso, questo avrebbe senza dubbio fatto sorgere pregiudizi fra gli
ebrei nei confronti della predicazione di Paolo. Perciò, per evitare questo possibile ostacolo, Paolo si
comportò in conformità a ciò che scrisse poi ai corinti: “Ai giudei divenni come un giudeo”. — 1Co 9:20.
Una sera, a Troas sul Mar Egeo, Paolo vide in visione un macedone, che lo supplicava: “Passa in
Macedonia e aiutaci”. Concludendo che questa era la volontà di Dio, Paolo e i suoi compagni missionari,
ai quali si era unito il medico Luca, si imbarcarono per la Macedonia, in Europa. A Filippi, la principale
città della Macedonia, Lidia e la sua famiglia divennero credenti. Per aver fatto perdere i poteri di
predizione a una ragazza espellendo da lei un demonio, Paolo fu arrestato insieme a Sila. Ma entrambi
furono liberati da un terremoto, e il carceriere e la sua famiglia diventarono cristiani. A motivo
dell’insistenza di Paolo, che disse di essere cittadino romano, i magistrati civili vennero personalmente a
liberare lui e Sila dalla prigione. Dopo aver incoraggiato i fratelli, Paolo e i suoi compagni passarono per
Anfipoli e Apollonia e giunsero a Tessalonica, dove fu formata una congregazione. Ma ebrei invidiosi
istigarono un tumulto contro Paolo. Per questa ragione i fratelli mandarono lui e Sila a Berea. Anche qui
molti divennero credenti; tuttavia difficoltà causate dagli ebrei di Tessalonica costrinsero Paolo ad
andarsene. — At 16:8–17:14.
I fratelli accompagnarono l’apostolo ad Atene. Qui, in seguito alla predicazione nella piazza del mercato,
venne condotto all’Areopago. La sua difesa indusse Dionisio, uno dei giudici della corte che vi teneva le
udienze, e altri ad abbracciare il cristianesimo. (At 17:15-34) Paolo si recò poi a Corinto, dove trovò
alloggio presso una coppia di ebrei, Aquila e Priscilla, con i quali lavorò parte del tempo come fabbricante
di tende. Da Corinto a quanto pare Paolo scrisse le due lettere ai Tessalonicesi. Dopo aver insegnato a
Corinto per un anno e mezzo e avervi stabilito una congregazione, fu accusato dagli ebrei davanti a
Gallione. Ma questi dichiarò il non luogo a procedere. (At 18:1-17) In seguito Paolo si imbarcò per
Cesarea, fermandosi prima a Efeso, dove predicò. Da Cesarea l’apostolo “salì e salutò la
congregazione”, senza dubbio quella di Gerusalemme; quindi proseguì per Antiochia di Siria. (At 18:18-
22) Forse in precedenza da Corinto o forse a questo punto da Antiochia di Siria scrisse la lettera ai
Galati.
Terzo viaggio missionario. (CARTINA, vol. 2, ⇒it-2 ⇐p. 747) Durante il terzo viaggio missionario (ca.
52-56 E.V.) Paolo tornò a Efeso e vi rimase per tre anni circa. Da Efeso scrisse la prima lettera ai Corinti
e, pare, inviò Tito ad aiutare i cristiani di quella città. Dopo un tumulto contro di lui fomentato
dall’argentiere Demetrio, Paolo partì da Efeso diretto in Macedonia. Ricevute notizie da Corinto per
mezzo di Tito, Paolo, dalla Macedonia, scrisse la seconda lettera ai Corinti. Prima di lasciare l’Europa con
una contribuzione dei fratelli della Macedonia e dell’Acaia per i cristiani bisognosi di Gerusalemme, e con
tutta probabilità mentre si trovava a Corinto, scrisse la lettera ai Romani. — At 19:1–20:4; Ro 15:25, 26;
2Co 2:12, 13; 7:5-7.
Durante il viaggio a Gerusalemme, Paolo tenne un discorso a Troas e ridiede la vita a Eutico, perito
accidentalmente. Si fermò anche a Mileto, dove incontrò i sorveglianti della congregazione di Efeso, parlò
del ministero che aveva svolto nel distretto dell’Asia e li incoraggiò a imitare il suo esempio. — At 20:6-
38.
Arresto. Mentre Paolo proseguiva il suo viaggio, alcuni profeti cristiani predissero che a Gerusalemme lo
aspettavano i legami della prigionia. (At 21:4-14; cfr. 20:22, 23). Le loro profezie si adempirono. Mentre
Paolo si trovava nel tempio per compiere la propria purificazione cerimoniale, ebrei dell’Asia incitarono la
folla contro di lui, ma i soldati romani lo trassero in salvo. (At 21:26-33) Mentre saliva le scale del
quartiere dei soldati, Paolo ottenne il permesso di parlare agli ebrei. Appena menzionò il suo incarico di
predicare ai gentili, ci fu una nuova esplosione di violenza. (At 21:34–22:22) Una volta nella caserma
Paolo venne disteso per essere fustigato nel tentativo di accertare la natura della sua colpa. L’apostolo si
oppose facendo notare che era cittadino romano. L’indomani il suo caso fu presentato al Sinedrio.
Rendendosi evidentemente conto che non sarebbe stato ascoltato con imparzialità, Paolo cercò di creare
una spaccatura tra farisei e sadducei basando il suo argomento sulla risurrezione. Poiché credeva nella
risurrezione ed era “figlio di farisei”, Paolo si dichiarò fariseo e così facendo riuscì a mettere i sadducei,
che non credevano nella risurrezione, e i farisei gli uni contro gli altri. — At 22:23–23:10.
Un complotto contro Paolo prigioniero rese necessario trasferirlo da Gerusalemme a Cesarea. Qualche
giorno dopo, il sommo sacerdote Anania, alcuni anziani degli ebrei e l’oratore Tertullo giunsero a Cesarea
per accusare Paolo davanti al procuratore Felice di aver fomentato un’insurrezione e cercato di profanare
il tempio. L’apostolo dimostrò che non esisteva una sola prova a sostegno delle accuse che gli venivano
mosse. Ma Felice, sperando in un regalo, tenne Paolo in prigione per due anni. Quando Felice fu
sostituito da Festo, gli ebrei rinnovarono le loro accuse. Il caso venne riaperto a Cesarea e Paolo, per
impedire il trasferimento del processo a Gerusalemme, si appellò a Cesare. Quindi, dopo aver esposto il
suo caso al re Erode Agrippa II, Paolo e altri prigionieri furono inviati a Roma, verso il 58 E.V. — At
23:12–27:1.
Prima e seconda detenzione a Roma. Durante il viaggio, Paolo e gli altri passeggeri fecero naufragio
sull’isola di Malta. Dopo aver svernato nell’isola, giunsero infine a Roma. (CARTINA, vol. 2, it-2 p. 750)
Paolo ebbe il permesso di stare in una casa da lui affittata, ma con un soldato di guardia. Poco dopo il
suo arrivo convocò gli ebrei più in vista; solo alcuni però credettero. Per due anni, dal 59 circa al 61 E.V.,
l’apostolo continuò a predicare a tutti quelli che andavano da lui. (At 27:2–28:31) Nel frattempo scrisse le
lettere agli Efesini (4:1; 6:20), ai Filippesi (1:7, 12-14), ai Colossesi (4:18), a Filemone (v. 9) e
probabilmente anche quella agli Ebrei. (ILLUSTRAZIONE, vol. 2, it-2 p. 750) Sembra che Nerone abbia
riconosciuto l’innocenza di Paolo e lo abbia rimesso in libertà. Paolo evidentemente riprese l’attività
missionaria, insieme a Timoteo e a Tito. Dopo aver lasciato Timoteo a Efeso e Tito a Creta, Paolo,
probabilmente dalla Macedonia, scrisse loro lettere relative ai loro incarichi. (1Tm 1:3; Tit 1:5) Non si sa
se l’apostolo abbia potuto estendere la sua attività alla Spagna prima dell’ultima detenzione a Roma. (Ro
15:24) Durante questa detenzione (ca. 65 E.V.), Paolo scrisse la seconda lettera a Timoteo, nella quale
accennò alla sua morte imminente. (2Tm 4:6-8) Probabilmente di lì a poco Paolo subì il martirio per mano
di Nerone.
Un esempio da imitare. Data la fedeltà con cui seguiva l’esempio di Cristo, l’apostolo Paolo poté dire:
“Divenite miei imitatori”. (1Co 4:16; 11:1; Flp 3:17) Era pronto a seguire la direttiva dello spirito di Dio. (At
13:2-5; 16:9, 10) Non era un venditore ambulante della Parola di Dio, ma parlava mosso da sincerità.
(2Co 2:17) Benché fosse colto, Paolo non cercava di impressionare altri con le sue parole (1Co 2:1-5) né
cercava il favore degli uomini. (Gal 1:10) Non insisteva nel fare ciò che aveva diritto di fare, ma si
adattava alle persone a cui predicava, badando di non fare inciampare altri. — 1Co 9:19-26; 2Co 6:3.
Nel corso del suo ministero Paolo s’impegnò con zelo, percorse migliaia di chilometri per mare e per
terra, stabilì molte congregazioni in Europa e in Asia Minore. Perciò non aveva bisogno di lettere di
raccomandazione scritte con inchiostro, ma poteva presentare lettere viventi: persone che erano
diventate credenti grazie ai suoi sforzi. (2Co 3:1-3) Eppure riconosceva umilmente di essere uno schiavo
(Flp 1:1), obbligato ad annunciare la buona notizia. (1Co 9:16) Non si attribuì merito alcuno, ma rese ogni
onore a Dio come a Colui che era responsabile della crescita (1Co 3:5-9) e che l’aveva reso
adeguatamente qualificato per il ministero. (2Co 3:5, 6) L’apostolo apprezzava molto il proprio ministero,
lo glorificava e lo riconosceva come un’espressione della misericordia di Dio e del Figlio suo. (Ro 11:13;
2Co 4:1; 1Tm 1:12, 13) A Timoteo scrisse: “Per questo mi fu mostrata misericordia, affinché per mezzo di
me quale caso principale Cristo Gesù dimostrasse tutta la sua longanimità a modello di coloro che
riporranno la loro fede in lui per la vita eterna”. — 1Tm 1:16.
Poiché aveva perseguitato i cristiani, Paolo non si riteneva degno di essere chiamato apostolo e
riconosceva di essere tale solo per immeritata benignità di Dio. Poiché non voleva che questa immeritata
benignità gli fosse stata manifestata invano, Paolo si diede da fare più degli altri apostoli. Eppure si
rendeva conto che solo per immeritata benignità di Dio era in grado di svolgere il suo ministero. (1Co
15:9, 10) “Per ogni cosa”, disse Paolo, “ho forza in virtù di colui che mi impartisce potenza”. (Flp 4:13)
Soffrì molto, ma non si lamentò. Paragonando le sue esperienze con quelle di altri, verso il 55 E.V.
scrisse: “In fatiche più abbondantemente, in prigioni più abbondantemente, in percosse all’eccesso, in
pericoli di morte spesso. Dai giudei ricevetti cinque volte quaranta colpi meno uno, tre volte fui battuto
con le verghe, una volta fui lapidato, tre volte subii naufragio, ho trascorso una notte e un giorno nel
profondo; in viaggi spesso, in pericoli di fiumi, in pericoli di banditi di strada, in pericoli da parte della mia
razza, in pericoli da parte delle nazioni, in pericoli nella città, in pericoli nel deserto, in pericoli nel mare, in
pericoli tra falsi fratelli, in fatica e lavoro penoso, in notti insonni spesso, nella fame e nella sete,
nell’astinenza dal cibo molte volte, nel freddo e nella nudità. Oltre a queste cose di fuori, vi è ciò che mi
assale di giorno in giorno, l’ansietà per tutte le congregazioni”. (2Co 11:23-28; 6:4-10; 7:5) Oltre a tutto
ciò e ad altre difficoltà che incontrò negli anni successivi, Paolo dovette lottare con una “spina nella
carne” (2Co 12:7), forse un disturbo agli occhi o d’altro genere. — Cfr. At 23:1-5; Gal 4:15; 6:11.
Essendo imperfetto, Paolo provava un continuo conflitto fra la mente e la carne peccaminosa. (Ro 7:21-
24) Ma non si arrese: “Tratto con durezza il mio corpo e lo conduco come uno schiavo”, disse, “affinché,
dopo aver predicato agli altri, io stesso non divenga in qualche modo disapprovato”. (1Co 9:27) Aveva
sempre davanti a sé il glorioso premio della vita immortale nei cieli. Considerava tutte le sofferenze come
nulla in paragone con la gloria che avrebbe ricevuto quale ricompensa della fedeltà. (Ro 8:18; Flp 3:6-14)
Perciò, evidentemente non molto prima di morire, Paolo poté scrivere: “Ho combattuto l’eccellente
combattimento, ho corso la corsa sino alla fine, ho osservato la fede. Da ora in poi mi è riservata la
corona della giustizia”. — 2Tm 4:7, 8.
Paolo, essendo un apostolo ispirato, aveva l’autorità di comandare e di impartire ordini, e la esercitava
(1Co 14:37; 16:1; Col 4:10; 1Ts 4:2, 11; cfr. 1Tm 4:11); preferiva però rivolgersi ai fratelli con amore,
supplicandoli “per le compassioni di Dio” e “per la mitezza e per la benignità del Cristo”. (Ro 12:1; 2Co
6:11-13; 8:8; 10:1; Flm 8, 9) Era gentile e manifestava loro tenero affetto, esortandoli e consolandoli
come un padre. (1Ts 2:7, 8, 11, 12) Pur avendo diritto di ricevere aiuto materiale dai fratelli, preferiva
lavorare con le sue mani per non essere finanziariamente di peso. (At 20:33-35; 1Co 9:18; 1Ts 2:6, 9)
Perciò fra Paolo e quelli che serviva esisteva uno stretto vincolo di affetto fraterno. I sorveglianti della
congregazione di Efeso furono molto addolorati e piansero quando seppero che forse non lo avrebbero
più rivisto. (At 20:37, 38) Paolo si preoccupava molto del benessere spirituale dei compagni di fede e
desiderava fare il possibile per aiutarli a rendere certa la loro chiamata celeste. (Ro 1:11; 15:15, 16; Col
2:1, 2) Li ricordava sempre nelle sue preghiere (Ro 1:8, 9; 2Co 13:7; Ef 3:14-19; Flp 1:3-5, 9-11; Col 1:3,
9-12; 1Ts 1:2, 3; 2Ts 1:3) e chiese che anch’essi pregassero per lui. (Ro 15:30-32; 2Co 1:11) Trasse
incoraggiamento dalla fede degli altri cristiani. (Ro 1:12) D’altra parte Paolo si atteneva con fermezza a
ciò che era giusto, non esitando a correggere un altro apostolo quando ciò era necessario per il
progresso della buona notizia. — 1Co 5:1-13; Gal 2:11-14.
Paolo era uno dei dodici apostoli?
Pur essendo fermamente convinto del proprio apostolato e avendone le prove, Paolo non si incluse mai
fra “i dodici”. Prima della Pentecoste, in seguito all’esortazione scritturale di Pietro, l’assemblea cristiana
aveva cercato un sostituto dell’infedele Giuda Iscariota. Due discepoli erano stati scelti come candidati,
forse mediante il voto dei componenti maschi dell’assemblea (Pietro si era rivolto a loro chiamandoli
“uomini, fratelli”; At 1:16). Poi avevano pregato Geova Dio (cfr. At 1:24 con 1Sa 16:7 e At 15:7, 8) affinché
fosse Lui a designare quale dei due aveva scelto per sostituire l’apostolo infedele. Dopo aver pregato
tirarono a sorte, e “la sorte cadde su Mattia”. — At 1:15-26; cfr. Pr 16:33.
Non c’è ragione di dubitare che Mattia fosse stato scelto da Dio, anche se è vero che, una volta
convertito, Paolo divenne un personaggio di spicco e le sue fatiche superarono quelle di tutti gli altri
apostoli. (1Co 15:9, 10) Tuttavia nulla indica che Paolo fosse personalmente predestinato a divenire un
apostolo così che in effetti Dio non avrebbe esaudito la preghiera dell’assemblea cristiana, ma avrebbe
tenuto vacante il posto di Giuda fino alla conversione di Paolo e reso pertanto la nomina di Mattia una
semplice decisione arbitraria dell’assemblea cristiana. Al contrario, ci sono validi motivi per ritenere che
Mattia venisse scelto da Dio come sostituto.
Alla Pentecoste il versamento dello spirito santo conferì agli apostoli poteri straordinari; essi sono gli
unici di cui si dica che potessero imporre le mani sui nuovi battezzati e trasmettere loro i miracolosi doni
dello spirito. (vedi APOSTOLO [Poteri miracolosi]). Se Mattia non fosse stato realmente scelto da Dio, la
sua incapacità di far questo sarebbe stata evidente a tutti. La Bibbia mostra che non fu così. Luca, lo
scrittore di Atti, fu compagno di viaggio di Paolo e partecipò con lui a certe missioni, per cui il libro di Atti
rispecchia senz’altro l’opinione di Paolo stesso. Il libro dice che “i dodici” nominarono i sette uomini
incaricati di risolvere il problema della distribuzione dei viveri. Questo avvenne dopo la Pentecoste del 33
E.V. ma prima della conversione di Paolo. Perciò qui Mattia viene incluso fra “i dodici”, e insieme agli altri
apostoli impose le mani sui sette prescelti. — At 6:1-6.
Quale nome appare dunque fra quelli scritti sulle “dodici pietre di fondamento” della Nuova
Gerusalemme vista in visione da Giovanni, quello di Mattia o quello di Paolo? (Ri 21:2, 14) Secondo una
certa logica, sembrerebbe che Paolo fosse il più probabile. Col suo ministero egli contribuì moltissimo al
progresso della congregazione cristiana, in particolare scrivendo gran parte delle Scritture Greche
Cristiane (sono 14 le lettere a lui attribuite). Sotto questo aspetto Paolo ‘eclisserebbe’ Mattia, che dopo il
capitolo 1 di Atti non viene più menzionato.
Ma se si considera bene la cosa bisogna dire che Paolo ‘eclissò’ anche molti dei dodici apostoli originali,
alcuni dei quali raramente vengono menzionati al di fuori dell’elenco degli apostoli. Quando Paolo si
convertì, la congregazione cristiana, l’Israele spirituale, era stata istituita o fondata forse già da un anno o
più, ed era già in fase di crescita. Inoltre la prima lettera canonica di Paolo non fu evidentemente scritta
se non verso il 50 E.V. (Vedi TESSALONICESI, LETTERE AI), ovvero ben 17 anni dopo la fondazione
della nuova nazione dell’Israele spirituale alla Pentecoste del 33 E.V. Questi fatti, oltre a quelli già trattati
in questa voce, chiariscono quindi la questione. Sembra perciò ragionevole concludere che Mattia, colui
che Dio scelse in origine come sostituto di Giuda fra i “dodici apostoli dell’Agnello”, sia rimasto saldo e
che la sua posizione non sia stata intaccata dal successivo apostolato di Paolo.
A che serviva dunque l’apostolato di Paolo? Gesù stesso gli disse che doveva servire a uno scopo
particolare, non per sostituire Giuda, ma affinché Paolo prestasse servizio come ‘apostolo [inviato] alle
nazioni’. (At 9:4-6, 15) Paolo riconobbe che questo era lo scopo del suo apostolato. (Gal 1:15, 16; 2:7, 8;
Ro 1:5; 1Tm 2:7) Stando così le cose, il suo apostolato non era necessario come fondamento quando
alla Pentecoste del 33 E.V. fu istituito l’Israele spirituale.
Pietro --- Tema: Siate coraggiosi ed energici nel sostenere la vera adorazione SALMO 31:24
it-2 589-92
PIETRO [frammento di roccia].
Apostolo di Gesù Cristo chiamato nelle Scritture in cinque maniere diverse: “Simeone”, “Simone”
(rispettivamente nome ebraico e greco derivati da una radice ebraica che significa “udire; ascoltare”),
“Pietro” (nome greco che solo lui ha nelle Scritture) e “Cefa”, l’equivalente semitico (forse analogo
all’ebraico kefìm [rocce] usato in Gb 30:6 e Ger 4:29), e anche “Simon Pietro”. — At 15:14; Mt 10:2;
16:16; Gv 1:42.
Pietro era figlio di Giovanni, o Giona. (Mt 16:17; Gv 1:42) Inizialmente risiedeva a Betsaida (Gv 1:44),
ma in seguito lo troviamo a Capernaum (Lu 4:31, 38), località che si trovavano entrambe sulla riva N del
Mar di Galilea. Pietro e suo fratello Andrea avevano un’impresa di pesca, evidentemente in società con
Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, “che erano soci di Simone” (CEI). (Lu 5:7, 10; Mt 4:18-22; Mr 1:16-
21) Pietro dunque non pescava da solo, ma faceva parte di una società piuttosto attiva. Anche se ebrei
autorevoli consideravano Pietro e Giovanni “uomini illetterati e comuni”, questo non vuol dire che fossero
analfabeti o impreparati. Del termine agràmmatos riferito a loro, un dizionario biblico (A Dictionary of the
Bible, a cura di J. Hastings, 1905, vol. III, p. 757) dice che per un ebreo “significava chi non aveva
ricevuto istruzione nello studio rabbinico della Scrittura”. — Cfr. Gv 7:14, 15; At 4:13.
Pietro era sposato e, almeno negli ultimi anni, sembra che la moglie lo accompagnasse nelle sue
missioni (per lo meno in alcune), come facevano le mogli di altri apostoli. (1Co 9:5) Sua suocera viveva
con lui, e nella stessa casa viveva anche il fratello Andrea. — Mr 1:29-31.
Ministero con Gesù. Pietro fu uno dei primissimi discepoli di Gesù, a cui fu presentato da Andrea,
discepolo di Giovanni il Battezzatore. (Gv 1:35-42) In quell’occasione Gesù lo soprannominò Cefa
(Pietro) (Gv 1:42; Mr 3:16), nome probabilmente profetico. Gesù, che fu in grado di discernere che
Natanaele era un uomo ‘in cui non c’era inganno’, poteva discernere anche la personalità di Pietro. Pietro
manifestò senz’altro qualità simili a quelle della roccia, specie dopo la morte e risurrezione di Gesù,
rafforzando i compagni di fede. — Gv 1:47, 48; 2:25; Lu 22:32.
Qualche tempo dopo, in Galilea, Pietro, suo fratello Andrea e i loro soci Giacomo e Giovanni ricevettero
da Gesù l’invito a diventare “pescatori di uomini”. (Gv 1:35-42; Mt 4:18-22; Mr 1:16-18) Gesù aveva scelto
la barca di Pietro per parlare alla folla radunata sulla riva. Dopo fece fare una pesca miracolosa, e ciò
indusse Pietro, che in un primo momento si era mostrato dubbioso, a cadere pieno di timore ai suoi piedi.
Quindi lui e i tre soci abbandonarono senza esitazione la pesca per seguire Gesù. (Lu 5:1-11) Dopo
essere stato discepolo per quasi un anno, Pietro fu incluso fra i dodici scelti come “apostoli” o ‘inviati’. —
Mr 3:13-19.
Fra gli apostoli, Gesù scelse più volte Pietro, Giacomo e Giovanni perché lo accompagnassero in
occasioni speciali, come nel caso della trasfigurazione (Mt 17:1, 2; Mr 9:2; Lu 9:28, 29), della risurrezione
della figlia di Iairo (Mr 5:22-24, 35-42) e della prova personale di Gesù nell’orto di Getsemani (Mt 26:36-
46; Mr 14:32-42). Furono questi tre in particolare, più Andrea, a interrogare Gesù circa la distruzione di
Gerusalemme, la sua futura presenza e il termine del sistema di cose. (Mr 13:1-3; Mt 24:3) Anche se
Pietro compare insieme a suo fratello Andrea negli elenchi degli apostoli, la descrizione degli avvenimenti
più spesso lo unisce a Giovanni, sia prima che dopo la morte e risurrezione di Gesù. (Lu 22:8; Gv 13:24;
20:2; 21:7; At 3:1; 8:14; cfr. At 1:13; Gal 2:9). Non è spiegato se ciò fosse dovuto ad amicizia e affinità
naturale o se Gesù li avesse incaricati di lavorare insieme. — Cfr. Mr 6:7.
Nei Vangeli Pietro è citato più spesso di qualunque altro degli undici. Egli aveva senz’altro un
temperamento dinamico, non era timido o esitante. Questo indubbiamente lo induceva a parlare per
primo o a esprimersi quando altri rimanevano in silenzio. Fece domande che spinsero Gesù a chiarire e
ampliare delle illustrazioni. (Mt 15:15; 18:21; 19:27-29; Lu 12:41; Gv 13:36-38; cfr. Mr 11:21-25). A volte
era impulsivo, anche impetuoso, nel parlare. Fu Pietro che ritenne di dover dire qualcosa vedendo la
visione della trasfigurazione. (Mr 9:1-6; Lu 9:33) Osservando con una certa eccitazione che valeva la
pena di essere là e offrendosi di erigere tre tende, sembra volesse dire che la visione (in cui Mosè ed Elia
stavano ora per separarsi da Gesù) non doveva terminare ma continuare. La sera dell’ultima Pasqua,
Pietro in un primo momento protestò vivacemente all’idea che Gesù gli lavasse i piedi, ma poi, essendo
stato ripreso, chiese a Gesù che gli lavasse anche la testa e le mani. (Gv 13:5-10) Come si può notare,
però, le espressioni di Pietro erano motivate da vivo interesse e riflessione, insieme a profondo
sentimento. Il fatto che le sue parole siano riportate nella Bibbia dimostra il loro valore, anche se a volte
rivelano certe debolezze umane.
Per esempio, quando molti discepoli inciamparono a motivo di ciò che Gesù insegnava e lo
abbandonarono, Pietro parlò a nome di tutti gli apostoli dichiarando che erano decisi a rimanere con il
loro Signore, Colui che aveva “parole di vita eterna . . . il Santo di Dio”. (Gv 6:66-69) Dopo che gli apostoli
in generale avevano risposto alla domanda di Gesù su ciò che la gente diceva di lui, ancora una volta fu
Pietro a esprimere la ferma convinzione: “Tu sei il Cristo, il Figlio dell’Iddio vivente”. Per questo Gesù
dichiarò Pietro “felice” o benedetto. — Mt 16:13-17.
Essendo il primo a parlare, Pietro fu anche più spesso corretto, ripreso o rimproverato. Benché fosse
spinto dalla compassione, ebbe l’ardire di prendere in disparte Gesù e addirittura di rimproverarlo per
aver predetto le proprie future sofferenze e la propria morte quale Messia. Gesù voltò le spalle a Pietro,
definendolo un oppositore, o Satana, che contrapponeva un ragionamento umano ai pensieri di Dio
contenuti nelle profezie. (Mt 16:21-23) Si noti però che nel far questo Gesù ‘guardò gli altri discepoli’,
probabilmente per indicare che sapeva che Pietro esprimeva sentimenti condivisi dagli altri. (Mr 8:32, 33)
Quando Pietro pensò di poter parlare a nome di Gesù circa il pagamento di una certa tassa, Gesù lo
aiutò con delicatezza a rendersi conto della necessità di riflettere di più prima di parlare. (Mt 17:24-27)
Pietro rivelò di essere troppo sicuro di sé e di provare un senso di superiorità nei confronti degli altri
undici quando affermò che, se anche loro avessero inciampato riguardo a Gesù, lui non l’avrebbe mai
fatto, poiché era pronto ad andare in prigione con Gesù o anche a morire con lui. È vero, tutti gli altri si
unirono nel fare tale affermazione, ma Pietro la fece per primo e “con più insistenza”. (Ga) Gesù allora
predisse che Pietro avrebbe rinnegato tre volte il suo Signore. — Mt 26:31-35; Mr 14:30, 31; Lu 22:33,
34.
Pietro non si limitava a parlare ma era anche un uomo d’azione; manifestò spirito d’iniziativa e coraggio,
e anche grande attaccamento per il suo Signore. Quando una volta, prima dell’alba, Gesù cercava un
posto solitario per pregare, Simone alla testa di un gruppo riuscì ben presto a rintracciarlo. (Mr 1:35-37) E
fu Pietro che chiese a Gesù di ordinargli di camminare sulle acque tempestose per andargli incontro,
facendo qualche passo prima di cedere al dubbio e cominciare ad affondare. — Mt 14:25-32.
Nell’orto di Getsemani, l’ultima notte della vita terrena di Gesù, Pietro, insieme a Giacomo e Giovanni,
ebbe il privilegio di accompagnare Gesù fino al luogo in cui si immerse in fervida preghiera. Pietro, come
gli altri apostoli, vinto dalla stanchezza e dal dolore, cedette al sonno. Senza dubbio per il fatto che Pietro
aveva con tanta insistenza espresso la determinazione di restare con Gesù, questi si rivolse a lui in
particolare quando chiese: “Non avete potuto vigilare con me nemmeno un’ora?” (Mt 26:36-45; Lu 22:39-
46) Pietro non aveva ‘pregato di continuo’ e ne subì le conseguenze.
I discepoli, vedendo che la folla stava per prendere Gesù, chiesero se dovevano combattere; ma Pietro,
senza aspettare la risposta, agì staccando con la spada l’orecchio a un uomo (intendendo probabilmente
infliggere un danno maggiore) e fu quindi ripreso da Gesù. (Mt 26:51, 52; Lu 22:49-51; Gv 18:10, 11)
Anche se, come gli altri discepoli, Pietro abbandonò Gesù, seguì poi “da lontano” la folla che l’aveva
arrestato, evidentemente combattuto fra la paura di rischiare la vita e la profonda preoccupazione per ciò
che sarebbe accaduto a Gesù. — Mt 26:57, 58.
Aiutato da un altro discepolo, che l’aveva seguito o accompagnato fino all’abitazione del sommo
sacerdote, Pietro entrò fin dentro il cortile. (Gv 18:15, 16) Non rimase tranquillo in disparte in un angolo
buio ma si fece avanti per scaldarsi al fuoco. La luce del fuoco permise ad altri di riconoscerlo come
compagno di Gesù, e il suo accento galileo confermò i loro sospetti. Accusato, Pietro negò tre volte
persino di conoscere Gesù e infine si mise a maledire, tanta era la veemenza con cui negava. Da
qualche parte in città un gallo cantò una seconda volta e Gesù, “voltatosi, guardò Pietro”. Pietro allora
uscì, si accasciò e pianse amaramente. (Mt 26:69-75; Mr 14:66-72; Lu 22:54-62; Gv 18:17, 18; vedi
CANTO DEL GALLO; GIURAMENTO). Tuttavia la precedente intercessione di Gesù a favore di Pietro fu
esaudita e la fede di Pietro non venne meno del tutto. — Lu 22:31, 32.
Dopo la morte e la risurrezione di Gesù, l’angelo disse alle donne che erano andate alla tomba di
portare un messaggio “ai suoi discepoli e a Pietro”. (Mr 16:1-7; Mt 28:1-10) Maria Maddalena portò il
messaggio a Pietro e a Giovanni, che si avviarono di corsa alla tomba. Pietro fu superato da Giovanni.
Mentre però Giovanni si fermò davanti alla tomba e si limitò a guardare dentro, Pietro vi entrò subito,
seguito poi da Giovanni. (Gv 20:1-8) Prima di apparire ai discepoli in gruppo, Gesù apparve a Pietro.
Questo, oltre al fatto che l’angelo lo aveva specificamente menzionato per nome, avrebbe dovuto
rassicurare il pentito Pietro che il Signore, benché da lui rinnegato tre volte, non l’aveva respinto per
sempre. — Lu 24:34; 1Co 15:5.
Prima che Gesù si manifestasse ai discepoli presso il Mar di Galilea (Tiberiade), l’energico Pietro aveva
detto che andava a pescare, e gli altri si erano uniti a lui. Quando più tardi Giovanni riconobbe Gesù sulla
spiaggia, Pietro impulsivamente raggiunse la riva a nuoto, lasciando che gli altri portassero a riva la
barca; e quando Gesù chiese del pesce fu Pietro che trasse a riva la rete. (Gv 21:1-13) In quell’occasione
Gesù interrogò tre volte Pietro (che tre volte aveva rinnegato il suo Signore) circa il suo amore per lui,
dandogli l’incarico di ‘pascere le sue pecore’. Gesù inoltre gli predisse come sarebbe morto, per cui
Pietro, scorto l’apostolo Giovanni, chiese: “Signore, che farà quest’uomo?” Ancora una volta Gesù
corresse il punto di vista di Pietro, sottolineando la necessità di ‘essere suo seguace’ senza preoccuparsi
di quello che avrebbero fatto gli altri. — Gv 21:15-22.
Ministero successivo. Pietro, “una volta tornato” dall’essere caduto nel laccio della paura a motivo
dell’eccessiva sicurezza di sé (cfr. Pr 29:25), doveva ‘rafforzare i suoi fratelli’ adempiendo l’esortazione di
Cristo (Lu 22:32) e svolgere opera pastorale fra le Sue pecore (Gv 21:15-17). In armonia con ciò vediamo
che Pietro ebbe una parte importante nell’attività svolta dai discepoli dopo l’ascensione di Gesù al cielo.
Prima della Pentecoste del 33 E.V. Pietro sollevò la questione della sostituzione dell’infedele Giuda,
presentando prove scritturali a sostegno di questa azione. L’assemblea seguì la sua raccomandazione.
(At 1:15-26) Di nuovo, alla Pentecoste, Pietro, guidato dallo spirito santo, prese la parola a nome degli
apostoli e usò la prima delle “chiavi” affidategli da Gesù, aprendo così la via perché gli ebrei potessero
entrare a far parte del Regno. — At 2:1-41; vedi CHIAVE.
La sua preminenza nella primitiva congregazione cristiana non terminò alla Pentecoste. Degli apostoli
originali, solo lui e Giovanni sono nominati in seguito nel libro di Atti, fatta eccezione per l’accenno
all’esecuzione capitale di “Giacomo fratello di Giovanni”, l’altro dei tre apostoli che erano stati più vicini a
Gesù. (At 12:2) Sembra che Pietro fosse particolarmente noto per i suoi miracoli. (At 3:1-26; 5:12-16; cfr.
Gal 2:8). Con l’aiuto dello spirito santo, egli si rivolse intrepidamente ai governanti ebrei che avevano fatto
arrestare lui e Giovanni (At 4:1-21); in un’altra occasione parlò a nome di tutti gli apostoli davanti al
Sinedrio, dichiarando con fermezza la loro determinazione di “ubbidire a Dio come governante” anziché
agli uomini che si opponevano alla volontà di Dio. (At 5:17-31) Pietro in particolare deve aver provato
grande soddisfazione nel manifestare un atteggiamento così diverso da quello della notte in cui aveva
rinnegato Gesù, e anche nel sopportare la fustigazione inflittagli dai governanti. (At 5:40-42) Prima di
questo arresto Pietro era stato ispirato a smascherare l’ipocrisia di Anania e Saffira e a pronunciare il
giudizio di Dio su di loro. — At 5:1-11.
Non molto tempo dopo il martirio di Stefano, avendo Filippo (l’evangelizzatore) aiutato e battezzato
diversi credenti a Samaria, Pietro e Giovanni andarono in quella città affinché quei credenti potessero
ricevere lo spirito santo. Lì Pietro usò la seconda ‘chiave del regno’. Quindi i due apostoli, durante il
viaggio di ritorno a Gerusalemme, ‘dichiararono la buona notizia in molti villaggi samaritani’. (At 8:5-25)
Pietro evidentemente partì di nuovo; durante questa missione, a Lidda, sanò Enea, paralizzato da otto
anni, e risuscitò una donna di Ioppe, Tabita. (At 9:32-43) A Ioppe Pietro ricevette istruzioni di usare
un’altra ‘chiave del regno’, recandosi a Cesarea per predicare a Cornelio e ai suoi amici e parenti, che
divennero i primi credenti gentili incirconcisi a ricevere lo spirito santo quali eredi del Regno. Al suo
ritorno a Gerusalemme, Pietro dovette affrontare coloro che non erano d’accordo con questa azione, ma
essi si acquietarono dopo che egli ebbe spiegato loro che aveva agito per ordine del cielo. — At 10:1–
11:18; cfr. Mt 16:19.
Fu forse verso lo stesso anno (36 E.V.) che Paolo si recò per la prima volta a Gerusalemme come
cristiano convertito e apostolo. Andò da “Cefa” (Pietro) e rimase con lui 15 giorni; vide anche Giacomo (il
fratellastro di Gesù), ma nessun altro degli apostoli originali. — Gal 1:18, 19; vedi APOSTOLO (Apostoli
delle congregazioni).
A quanto si sa, nel 44 E.V. Erode Agrippa I condannò a morte l’apostolo Giacomo e, visto che questo
faceva piacere alle autorità ebraiche, arrestò anche Pietro. (At 12:1-4) La congregazione ‘pregò
intensamente’ per Pietro, e un angelo di Geova lo liberò dalla prigione (e probabilmente dalla morte).
Dopo aver riferito la sua liberazione miracolosa a quanti si trovavano in casa di Giovanni Marco, Pietro
chiese che la notizia fosse comunicata “a Giacomo e ai fratelli”, dopo di che si recò “in un altro luogo”. —
At 12:5-17; cfr. Gv 7:1; 11:53, 54.
Pietro è menzionato di nuovo in Atti in occasione dell’assemblea tenuta a Gerusalemme, probabilmente
nel 49 E.V., “dagli apostoli e dagli anziani” per discutere la questione della circoncisione dei gentili
convertiti. Dopo che la discussione si era protratta per un po’, Pietro si alzò e diede testimonianza circa il
modo in cui Dio considerava i credenti gentili. Il fatto che “l’intera moltitudine tacque” dimostra la forza del
suo argomento e, probabilmente, anche il rispetto che avevano per lui. Pietro, come Paolo e Barnaba che
testimoniarono dopo di lui, si trovava in pratica ‘sul banco dei testimoni’ di fronte all’assemblea. (At 15:1-
29) Riferendosi evidentemente a quell’occasione Paolo parla di Pietro nonché di Giacomo e Giovanni
come di “uomini preminenti”, “che sembravano essere colonne” della congregazione. — Gal 2:1, 2, 6-9.
Dalle informazioni bibliche nell’insieme, è chiaro che Pietro, anche se era molto rispettato e aveva una
posizione preminente, non ebbe mai il primato sugli apostoli nel senso o in virtù di un grado o incarico
particolare. Infatti, quando l’opera svolta da Filippo a Samaria si dimostrò fruttuosa, la Bibbia dice che gli
apostoli, evidentemente come corpo, ‘inviarono Pietro e Giovanni’ in missione a Samaria. (At 8:14) Pietro
non rimase in permanenza a Gerusalemme come se la sua presenza fosse indispensabile per il buon
andamento della congregazione cristiana. (At 8:25; 9:32; 12:17; vedi anche ANZIANO;
SORVEGLIANTE). Pietro (Cefa) fu attivo ad Antiochia, in Siria, quando c’era anche Paolo, che una volta
ritenne necessario riprenderlo “faccia a faccia . . . davanti a tutti loro” perché si vergognava di mangiare e
anche di stare in compagnia dei cristiani gentili a motivo della presenza di certi cristiani ebrei che erano
venuti da parte di Giacomo da Gerusalemme. — Gal 2:11-14.
Ulteriori informazioni circa la posizione di Pietro nella congregazione cristiana si trovano alla voce
MASSO DI ROCCIA. L’idea che Pietro fosse a Roma e vi dirigesse la congregazione si basa solo su una
tradizione dubbia che non corrisponde alle indicazioni ricavabili dalle Scritture. Su questo argomento e a
proposito della permanenza di Pietro a Babilonia, da dove scrisse le sue due lettere, vedi PIETRO,
LETTERE DI.
Pilato --- Tema: Cedere alla folla è una grave responsabilità ESODO 23:2
it-2 596-8
PILATO
Procuratore romano della Giudea durante il ministero terreno di Gesù. (Lu 3:1) Dopo la deposizione di
Archelao, figlio di Erode il Grande, re della Giudea, l’imperatore affidò il governo della provincia a
procuratori. Il quinto di questi fu Pilato, nominato da Tiberio nel 26 E.V., che rimase in carica per dieci
anni.
Si sa poco della storia personale di Ponzio Pilato. Il solo periodo della sua vita che abbia qualche
importanza storica è quello del suo mandato in Giudea. L’unica iscrizione conosciuta che porti il suo
nome è quella scoperta nel 1961 a Cesarea. In essa è menzionato anche il “Tiberieum”, un edificio
dedicato a Tiberio da Pilato.
Quale rappresentante dell’imperatore, il procuratore era la massima autorità della provincia e poteva
infliggere la pena di morte. Secondo quanti sostengono che il Sinedrio poteva condannare a morte, per
essere valida la condanna emessa dalla corte ebraica doveva essere ratificata dal procuratore. (Cfr. Mt
26:65, 66; Gv 18:31). Dato che Cesarea era la residenza ufficiale del procuratore romano (cfr. At 23:23,
24), vi era stanziato il grosso delle truppe romane, mentre un contingente più piccolo presidiava
Gerusalemme. Abitualmente però durante le feste (come la Pasqua) il procuratore si trasferiva a
Gerusalemme e portava con sé rinforzi militari. La moglie di Pilato era con lui in Giudea (Mt 27:19), cosa
possibile in virtù di un precedente mutamento della politica romana nei confronti dei procuratori che
risiedevano in zone pericolose.
Il mandato di Pilato non fu pacifico. Secondo lo storico ebreo Giuseppe Flavio, i suoi rapporti con i sudditi
ebrei erano iniziati male. Pilato aveva mandato di notte a Gerusalemme soldati romani che portavano
stendardi con l’effigie dell’imperatore. Questo provocò grande risentimento; una delegazione di ebrei si
recò a Cesarea per protestare contro la presenza degli stendardi e chiedere che venissero ritirati. Dopo
cinque giorni di discussione, Pilato cercò di spaventare i delegati minacciandoli di morte, ma la loro
determinazione lo indusse ad accogliere la loro richiesta. — Antichità giudaiche, XVIII, 55-59 (iii, 1).
Filone, scrittore ebreo di Alessandria d’Egitto del I secolo E.V., descrive un’analoga azione di Pilato che
suscitò proteste: questa volta si trattava di scudi d’oro con i nomi di Pilato e di Tiberio, che Pilato fece
portare nella sua residenza a Gerusalemme. Gli ebrei fecero ricorso all’imperatore a Roma, e Pilato
ricevette l’ordine di riportare gli scudi a Cesarea. — De legatione ad Caium, XXXVIII, 299-305.
Giuseppe Flavio cita ancora un altro incidente. Per costruire un acquedotto e portare l’acqua a
Gerusalemme da una distanza di circa 40 km, Pilato attinse denaro dal tesoro del tempio. Grandi folle
protestarono contro questa azione durante una visita di Pilato a Gerusalemme. Pilato aveva sparpagliato
in mezzo alla folla soldati in abiti civili. A un segnale convenuto essi attaccarono, facendo morti e feriti fra
gli ebrei. (Antichità giudaiche, XVIII, 60-62 [iii, 2]; Guerra giudaica, II, 175-177 [ix, 4]) L’impresa a quanto
pare fu portata a termine. Quest’ultimo incidente è stato spesso identificato con la circostanza in cui
Pilato ‘mescolò il sangue dei galilei con i loro sacrifici’, com’è riportato in Luca 13:1. Da questa
espressione sembra di capire che quei galilei vennero uccisi proprio nell’area del tempio. Non è possibile
stabilire se si tratta dello stesso incidente descritto da Giuseppe Flavio o di un’altra circostanza.
Comunque, dato che i galilei erano sudditi di Erode Antipa, tetrarca della Galilea, quell’eccidio può avere
almeno in parte contribuito all’inimicizia esistente fra Pilato ed Erode fino all’epoca del processo di Gesù.
— Lu 23:6-12.
Processo di Gesù. Il 14 nisan del 33 E.V., all’alba, le autorità ebraiche portarono Gesù da Pilato. Poiché
non potevano entrare in casa di un governante gentile, Pilato uscì fuori e chiese loro quale accusa
muovessero contro Gesù. Le accuse erano: attività sovversiva, incitamento a non pagare le tasse e il
fatto che Gesù si era dichiarato re, quindi rivale di Cesare. Quando fu detto loro di prendere Gesù e
giudicarlo essi stessi, gli accusatori risposero che la legge non consentiva loro di giustiziare qualcuno.
Pilato allora portò Gesù all’interno del palazzo e lo interrogò su queste accuse. (ILLUSTRAZIONE, vol. 2,
it-2 p. 741) Tornato dagli accusatori, Pilato annunciò di non aver trovato nessuna colpa nell’accusato. Le
accuse continuavano, e Pilato, saputo che Gesù era della Galilea, lo mandò da Erode Antipa. Erode,
contrariato del fatto che Gesù rifiutasse di compiere qualche segno, lo maltrattò, lo schernì e lo rimandò
da Pilato.
I capi degli ebrei e la popolazione furono nuovamente convocati e Pilato rinnovò i tentativi per evitare di
condannare a morte un innocente, chiedendo alla folla se volevano che Gesù fosse liberato secondo la
consuetudine di rimettere in libertà un prigioniero in occasione della Pasqua. La folla, invece, aizzata dai
capi religiosi, chiese a gran voce la liberazione di Barabba, ladro, assassino e sedizioso. I ripetuti tentativi
di Pilato per assolvere l’accusato non fecero che alimentare le grida che Gesù fosse messo al palo.
Temendo un tumulto e volendo placare la folla, Pilato cedette ai loro desideri, e si lavò le mani come per
purificarle dalla colpa di spargimento di sangue. Poco prima la moglie aveva avvertito Pilato di essere
rimasta turbata da un sogno relativo a “quel giusto”. — Mt 27:19.
Pilato allora fece flagellare Gesù e i soldati gli misero sul capo una corona di spine e gli fecero
indossare un manto regale. Ancora una volta Pilato si presentò alla folla, ripeté che non aveva trovato
nessuna colpa in Gesù e lo presentò loro con il manto e la corona di spine. Al grido di Pilato, “Ecco
l’uomo!”, i capi del popolo ripeterono la richiesta che fosse messo al palo, muovendogli ora per la prima
volta l’accusa di bestemmia. L’accenno al fatto che Gesù si dichiarava figlio di Dio accrebbe
l’apprensione di Pilato, che lo fece rientrare per interrogarlo di nuovo. L’ultimo tentativo per rimetterlo in
libertà provocò da parte degli oppositori ebrei la minaccia che Pilato avrebbe potuto essere accusato di
opporsi a Cesare. Udito ciò, Pilato condusse fuori Gesù e si sedette nel tribunale. Il grido di Pilato, “Ecco
il vostro re!”, non fece che accrescere il clamore perché Gesù venisse messo al palo e li indusse a
dichiarare: “Non abbiamo altro re che Cesare”. Pilato allora consegnò loro Gesù perché fosse messo al
palo. — Mt 27:1-31; Mr 15:1-15; Lu 23:1-25; Gv 18:28-40; 19:1-16.
Scrittori ebrei, come Filone, descrivono Pilato come un uomo inflessibile e ostinato. (De legatione ad
Caium, XXXVIII, 301) È possibile comunque che le misure repressive adottate dal procuratore contro gli
ebrei fossero in gran parte dovute alle loro stesse azioni. Ad ogni modo i Vangeli permettono di capire la
sua mentalità. Il suo modo di affrontare le cose era tipico delle autorità romane; le sue parole erano
brusche e concise. Pur manifestando esteriormente l’atteggiamento scettico del cinico — come quando
disse: “Che cos’è la verità?” — mostrò tuttavia timore, probabilmente un timore superstizioso, quando
seppe di avere a che fare con uno che affermava di essere figlio di Dio. Anche se non era certo un tipo
condiscendente, come uomo politico rivelò mancanza di integrità. Si preoccupò prima di tutto della sua
posizione, di quello che i suoi superiori avrebbero detto se avessero avuto notizia di nuove agitazioni
nella sua provincia, temendo di apparire troppo indulgente verso persone accusate di sedizione. Pilato
riconobbe l’innocenza di Gesù e l’invidia che spingeva gli accusatori. Ma cedette alla folla lasciando che
venisse ucciso un innocente piuttosto che rischiare di danneggiare la propria carriera politica.
Poiché faceva parte delle “autorità superiori”, Pilato esercitava il suo potere per divina tolleranza. (Ro
13:1) Fu responsabile della decisione presa, responsabilità che l’acqua non poteva lavare via. Il sogno
della moglie era evidentemente di origine divina, come lo furono il terremoto, l’insolita oscurità e la
lacerazione della cortina che avvennero quel giorno. (Mt 27:19, 45, 51-54; Lu 23:44, 45) Il sogno della
moglie avrebbe dovuto far capire a Pilato che non si trattava di un processo qualsiasi, di un accusato
comune. Tuttavia, come disse Gesù, chi l’aveva consegnato a Pilato ‘aveva commesso un peccato
maggiore’. (Gv 19:10, 11) Giuda, che aveva tradito inizialmente Gesù, fu definito “il figlio della
distruzione”. (Gv 17:12) I farisei che erano colpevoli di complicità nel complotto per mettere a morte Gesù
furono dichiarati meritevoli del “giudizio della Geenna”. (Mt 23:15, 33; cfr. Gv 8:37-44). E in modo
particolare il sommo sacerdote, quale capo del Sinedrio, era responsabile di fronte a Dio per aver
consegnato il Figlio di Dio a questo governante gentile affinché fosse messo a morte. (Mt 26:63-66) La
colpa di Pilato non fu pari alla loro; nondimeno la sua azione fu estremamente riprovevole.
L’avversione di Pilato per i promotori di questo crimine fu evidente dall’insegna che pose sul palo di
Gesù, identificandolo quale “Re dei giudei”, e anche dal suo secco rifiuto di modificarla, dicendo: “Quello
che ho scritto, ho scritto”. (Gv 19:19-22) Quando Giuseppe di Arimatea chiese la salma, Pilato, dopo aver
manifestato la meticolosità tipica di un funzionario romano nell’assicurarsi che Gesù fosse morto,
acconsentì alla richiesta. (Mr 15:43-45) La preoccupazione dei capi sacerdoti e dei farisei per
un’eventuale sottrazione del cadavere provocò la secca risposta: “Avete una guardia. Andate, rendetelo
sicuro come sapete”. — Mt 27:62-65.
Destituzione e morte. Giuseppe Flavio riferisce che Pilato fu poi destituito in seguito alle accuse
presentate dai samaritani al suo immediato superiore, Lucio Vitellio, legato di Siria. La protesta verteva
intorno all’uccisione da parte di Pilato di diversi samaritani, che un impostore aveva indotto a radunarsi
presso il monte Gherizim nella speranza di scoprire presunti tesori sacri nascostivi da Mosè. Vitellio
mandò Pilato a Roma per presentarsi a Tiberio e mise al suo posto Marcello. Tiberio morì nel 37 E.V.
mentre Pilato era in viaggio per Roma. (Antichità giudaiche, XVIII, 85-89 [iv, 1, 2]) La storia non fornisce
informazioni attendibili sul risultato definitivo del suo processo. Lo storico Eusebio, della fine del III e inizio
del IV secolo, sostiene che Pilato fu costretto a suicidarsi sotto Caligola, successore di Tiberio. — Storia
ecclesiastica, II, VII, 1.
[Foto a pagina 596]
Iscrizione rinvenuta nel 1961 a Cesarea in cui compare il nome di Ponzio Pilato
Raab (n.1) --- Tema: La fede senza opere è morta GIACOMO 2:17, 24-26
it-2 691-2
RAAB (Ràab).
1. [Ebr. Rachàv; forse, ampia; larga]. Prostituta di Gerico che diventò adoratrice di Geova. Nella
primavera del 1473 a.E.V. due spie israelite giunsero a Gerico e trovarono alloggio in casa di Raab. (Gsè
2:1) La durata della loro permanenza non è precisata, ma Gerico non era così grande da richiedere molto
tempo per spiarla.
Alcuni, specie fra gli ebrei tradizionalisti, negano che Raab fosse veramente una prostituta nel senso
comune della parola, ma la realtà non sembra sostenere questa tesi. Il termine ebraico zohnàh implica
sempre una relazione illecita, sia in campo sessuale che come figura di infedeltà spirituale, e quando si
riferisce a una donna immorale viene sempre tradotto prostituta. Non viene mai reso “ospite”, “locandiera”
o con termini simili. Inoltre presso i cananei la prostituzione non era un mestiere infamante.
I due ospiti di Raab furono riconosciuti come israeliti da altri, che riferirono la cosa al re. Tuttavia Raab
nascose prontamente gli uomini fra gli steli di lino messi ad asciugare sul tetto e quando gli inseguitori
vennero per catturarli poté indirizzarli altrove senza destare sospetti. In questo modo Raab mostrò
maggiore devozione al Dio di Israele che ai suoi concittadini condannati. — Gsè 2:2-7.
Non si sa in quale preciso momento Raab si sia resa conto dell’obiettivo delle spie e delle intenzioni di
Israele riguardo a Gerico. Ma a un certo punto confessò alle spie che la città era in preda a grande timore
e terrore a motivo delle notizie riguardanti gli atti salvifici compiuti da Geova a favore di Israele nei
precedenti 40 anni o più. Chiese loro di giurarle che sarebbe stata risparmiata la vita a lei e a tutta la sua
famiglia: padre, madre e tutti gli altri. Le spie acconsentirono, a patto che lei radunasse tutta la famiglia in
casa sua, calasse una corda scarlatta dalla finestra e non dicesse nulla della loro visita, tutte cose che
Raab promise di fare. Per proteggere ulteriormente le spie, le fece uscire da una finestra (la casa si
trovava sulle mura della città) e disse loro come potevano evitare gli inseguitori che si erano diretti verso i
guadi del Giordano. — Gsè 2:8-22.
Le spie riferirono a Giosuè tutto l’accaduto. (Gsè 2:23, 24) Quindi dopo la caduta delle mura di Gerico,
la casa di Raab, “su un lato delle mura”, non venne distrutta. (Gsè 2:15; 6:22) In base all’ordine di Giosuè
di risparmiare la famiglia di Raab, le stesse due spie la fecero uscire e mettere in salvo. Dopo un periodo
di esclusione dall’accampamento di Israele, Raab e la sua famiglia ebbero il permesso di dimorare fra gli
israeliti. (Gsè 6:17, 23, 25) Quella ex prostituta divenne quindi moglie di Salmon e madre di Boaz,
antenato del re Davide; essa è una delle quattro donne menzionate per nome nella genealogia di Gesù
riportata da Matteo. (Ru 4:20-22; Mt 1:5, 6) È anche un notevole esempio di persona non israelita che
mediante le opere dimostrò di avere piena fede in Geova. “Per fede”, spiega Paolo, “Raab la meretrice
non perì con quelli che agirono disubbidientemente, avendo ricevuto le spie in modo pacifico”. “Raab la
meretrice non fu forse dichiarata giusta per le opere, dopo che ebbe ricevuto i messaggeri con ospitalità e
li ebbe mandati fuori per un’altra via?” chiede Giacomo. — Eb 11:30, 31; Gc 2:25.
it-2 694-5
RABSACHE (Rabsàche) [da un termine accadico che probabilmente significa “capo coppiere”].
Titolo di un alto funzionario assiro. (2Re 18:17) In un’iscrizione di Tiglat-Pileser III re d’Assiria rinvenuta
su un edificio si legge: “Ho inviato uno dei miei funzionari, il rabsaq, a Tiro”. E un’iscrizione del re
Assurbanipal su una tavoletta conservata al British Museum dice: “Ho ordinato di aggiungere alle mie
precedenti forze (militari in Egitto) il funzionario-rabsaq”. — Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B.
Pritchard, 1974, pp. 282, 296.
Mentre assediava la fortezza giudea di Lachis, Sennacherib re d’Assiria mandò un forte contingente
militare a Gerusalemme, affidandolo al comando del Tartan, comandante in capo, e di due alti funzionari,
il Rabsaris e il Rabsache. (2Re 18:17; l’intero episodio è riportato anche in Isa capp. 36 e 37). Di questi
tre ufficiali superiori assiri, Rabsache fu quello che prese l’iniziativa nel tentativo di costringere il re
Ezechia alla resa. (2Re 18:19-25) I tre si fermarono presso la conduttura della piscina superiore. Questo
Rabsache, il cui nome personale non è rivelato, parlava correntemente sia l’ebraico che il siriaco. Chiamò
in ebraico il re Ezechia, ma tre funzionari di Ezechia gli uscirono incontro e gli chiesero di parlare con loro
in siriaco anziché nella lingua degli ebrei dato che la gente sulle mura ascoltava. (2Re 18:26, 27) Ma
questo era proprio lo scopo propagandistico che Rabsache si era prefisso. Egli voleva che il popolo
ascoltasse, e si scoraggiasse. Con parole destinate a incutere terrore, con false promesse e menzogne,
schernendo e vituperando Geova, Rabsache parlò ancora più forte in ebraico, esortando in sostanza la
popolazione a tradire il re Ezechia e ad arrendersi all’esercito assiro. (2Re 18:28-35) Comunque la
popolazione di Gerusalemme rimase fedele a Ezechia. — 2Re 18:36.
Le parole di scherno di Rabsache furono riferite a Geova in preghiera da Ezechia, e una delegazione fu
inviata dal profeta Isaia per conoscere la risposta di Geova. (2Re 18:37; 19:1-7) Nel frattempo Rabsache
fu richiamato all’improvviso dalla notizia che il re d’Assiria si era ritirato da Lachis e stava combattendo
contro Libna. Continuando da lontano la sua campagna propagandistica contro Ezechia, Sennacherib
inviò messaggeri a Gerusalemme con lettere di scherno e gravi minacce per costringere Ezechia alla
resa. (2Re 19:8-13) Ezechia portò le lettere nel tempio di Gerusalemme e le spiegò dinanzi a Geova,
pregandolo nel contempo di intervenire con urgenza in suo aiuto. (2Re 19:14-19) Riferendosi al re
d’Assiria, Geova rispose tramite il profeta Isaia: “Non entrerà in questa città né vi tirerà una freccia né
l’affronterà con uno scudo né eleverà contro di essa un bastione d’assedio. Tornerà per la via per la
quale è venuto, e non entrerà in questa città, è l’espressione di Geova”. (2Re 19:32, 33) Quella notte
l’angelo di Geova colpì a morte 185.000 soldati assiri. Questa batosta inaspettata spinse Sennacherib re
d’Assiria a ritirarsi immediatamente e a tornare a Ninive, capitale dell’Assiria, dove qualche tempo dopo
fu assassinato. (2Re 19:35-37) Le minacce di Rabsache, blasfemo schernitore dell’Iddio vivente, Geova,
non ebbero nessun effetto.
w87 1/9 20-3 Guardatevi dalla "Pace e sicurezza" prospettata dalle nazioni
Confidate in Geova per avere pace e sicurezza
14 Prima del tempo di Isaia la nazione delle dodici tribù d’Israele si era divisa sulla questione del regno.
Questo avvenne dopo il glorioso regno del re Salomone. Le dieci tribù secessioniste del nord istituirono
quello che fu poi chiamato il regno d’Israele, con capitale Samaria. Le due restanti tribù, Giuda e
Beniamino, rimasero leali alla dinastia reale di Davide, che regnava a Gerusalemme. Il regno delle dieci
tribù d’Israele divenne ostile al regno di Giuda, formato dalle due tribù. Col tempo il regno d’Israele si
alleò con quello di Siria, la cui capitale era Damasco. L’idea era di rovesciare il regno di Giuda e
soggiogarlo. Avrebbe dunque il regno di Giuda dovuto allearsi con qualche altra nazione potente allo
scopo di resistere al furioso assalto della nazione d’Israele e del suo alleato pagano, la Siria? — Isaia
7:3-6.
15 Nel piccolo regno di Giuda c’erano quelli che avevano perso la fede nel Dio nazionale, Geova. Questi
erano favorevoli a un’alleanza, o cospirazione, con un potente regno pagano di questo mondo. Nel
promuovere una siffatta unione infedele tra il divino regno di Giuda e un regno del mondo empio, alcuni
dicevano agli indecisi nel regno di Giuda: “Cospirazione!” Tradivano così la loro mancanza di fede e
fiducia nell’Iddio il cui tempio si trovava a Gerusalemme. Il profeta Isaia fu ispirato a denunciare tale
cospirazione, dicendo nel capitolo 8, versetto 12⇒ di Isaia⇐: “Non dovete dire: ‘Cospirazione!’ rispetto a
tutto ciò di cui questo popolo continua a dire: ‘Cospirazione!’ e non dovete temere l’oggetto del loro
timore, e non dovete tremare davanti a esso”.
16 Il fatto di essere in una relazione di patto con Geova significava per il popolo pace e sicurezza. Se ne
ebbe una prova quando il monarca assiro Sennacherib inviò un comitato di tre alti ufficiali per intimare la
resa al re Ezechia e al popolo di Gerusalemme. L’ufficiale e portavoce assiro Rabsache si piazzò davanti
alle mura di Gerusalemme e schernì arrogantemente Geova Dio nell’intento di indebolire o distruggere la
fiducia dei giudei in Lui. Grandemente addolorato per questa offesa nei confronti del vivente e vero Dio
Geova, e giustamente consapevole del fatto che Gerusalemme era in pericolo davanti alla travolgente
orda assira, Ezechia si recò al tempio e mise la questione nelle mani di Geova Dio. Compiaciuto di
questa espressione di grande fede in lui e di questa invocazione perché desse prova della sua sovranità
universale, Geova rispose in maniera favorevole. Il suo profeta Isaia li rassicurò ulteriormente. Al
minaccioso assiro Rabsache non fu data nessuna risposta, proprio come aveva ordinato Ezechia. — 2
Re 18:17-36; 19:14-34.
17 Indubbiamente molto sorpreso da questo, Rabsache tornò all’accampamento di Sennacherib, che
stava allora combattendo contro Libna. (2 Re 19:8) Udito il rapporto di Rabsache, Sennacherib inviò a
Ezechia lettere di minaccia, avvertendolo: “Non ti inganni il tuo Dio in cui confidi, dicendo: ‘Gerusalemme
non sarà data in mano al re d’Assiria’”. (2 Re 19:9, 10) Calata la notte, Geova Dio provvide a rispondere a
modo suo al portavoce assiro Rabsache ed Egli stesso diede una risposta alle minacciose lettere di
Sennacherib, confermando la propria superiorità rispetto al dio imperiale dell’Assiria. La conclusione del
racconto di questo episodio, riportata in 2 Re 19:35, dice: “E avvenne quella notte che l’angelo di Geova
usciva e abbatteva centottantacinquemila nel campo degli assiri. Quando il popolo si alzò la mattina di
buon’ora, ebbene, ecco, erano tutti cadaveri, morti”. Quando all’alba gli assiri superstiti, incluso il re
Sennacherib e forse Rabsache, si svegliarono, videro tutt’intorno l’orrendo spettacolo delle vittime della
guerra contro Geova Dio.
18 Sconfitto nei suoi ambiziosi progetti contro l’organizzazione di Geova e tremendamente umiliato,
Sennacherib se ne tornò di corsa e “con la vergogna in faccia” nella capitale del suo paese, Ninive, solo
per esservi assassinato da due dei suoi figli. (2 Cronache 32:21; 2 Re 19:36, 37) L’impero assiro non
costituì mai più una minaccia per la visibile organizzazione di Geova. Quella fu una rivendicazione in
grande stile della sovranità universale dell’Iddio Altissimo. Inoltre, la protezione concessa a Gerusalemme
è un eccellente esempio che mostra in chi gli odierni testimoni di Geova dovrebbero riporre piena fiducia
per godere una continua e imperturbabile pace e sicurezza: non in una cospirazione politica, ma in
Geova Dio.
Rachele --- Tema: Accettate le avversità della vita senza provare gelosia o disperazione
GIACOMO 1:2, 3
it-2 697-8
RACHELE [pecora].
Figlia di Labano; sorella minore di Lea; cugina di Giacobbe e sua moglie prediletta. (Ge 29:10, 16, 30)
Nel 1781 a.E.V. Giacobbe fuggì perché suo fratello Esaù intendeva ucciderlo e giunse a Haran in
Paddan-Aram, “il paese degli orientali”. (Ge 28:5; 29:1) Rachele, ragazza “bella di forme e bella di viso”
che faceva la pastorella per il padre, incontrò Giacobbe presso un pozzo nelle vicinanze di Haran.
Giacobbe venne accolto in casa dello zio e un mese dopo accettò di servire Labano per sette anni onde
poter sposare Rachele, di cui si era innamorato. In quei sette anni il suo amore non si affievolì e infatti per
lui “furono come alcuni giorni”. Tuttavia la sera delle nozze lo zio gli diede, al posto di Rachele, la figlia
maggiore Lea, che evidentemente si prestò all’inganno. L’indomani mattina, accusato di frode da
Giacobbe, Labano fece appello alla consuetudine locale per giustificarsi. Giacobbe acconsentì a
celebrare per un’intera settimana il matrimonio con Lea prima di avere Rachele e poi di lavorare altri sette
anni per Labano. — Ge 29:4-28.
Rachele non deluse Giacobbe come moglie, e Giacobbe l’amava più di Lea. Geova allora benedisse
Lea, per la sua posizione svantaggiata, dandole quattro figli, mentre Rachele rimase sterile. (Ge 29:29-
35) Rachele era gelosa della sorella e anche disperata per la propria sterilità, considerata una grande
vergogna per una donna. La sua stizzosa impazienza fece adirare anche l’amorevole marito. Per
compensare la propria sterilità essa diede la propria serva a Giacobbe affinché avesse figli da lei (come
aveva già fatto Sara con la propria schiava Agar) e i due figli che nacquero furono considerati figli di
Rachele. La serva di Lea e Lea stessa ebbero complessivamente altri quattro figli prima che la speranza
di Rachele finalmente si realizzasse ed essa partorisse il suo primo figlio, Giuseppe. — Ge 30:1-24.
Giacobbe, ormai in procinto di lasciare Haran, fu convinto dal suocero a rimandare ancora la partenza, e
solo sei anni dopo, per ordine di Dio, Giacobbe partì. A motivo dei raggiri di Labano, Giacobbe non lo
avvertì della partenza, e in questo ebbe l’appoggio sia di Lea che di Rachele. Prima di andarsene,
Rachele rubò i “terafim” del padre, evidentemente qualche tipo di immagini idolatriche. Quando Labano in
seguito li raggiunse e menzionò il furto (la cosa che a quanto sembra lo preoccupava di più), Giacobbe,
ignaro della colpa di Rachele, espresse la sua disapprovazione per l’azione stessa, decretando che il
colpevole, se si fosse trovato fra il suo seguito, sarebbe stato messo a morte. La ricerca portò Labano
nella tenda di Rachele, la quale però riuscì a non farsi scoprire dichiarando di essere indisposta a motivo
delle mestruazioni, e rimanendo così seduta sulla sella che conteneva i terafim. — Ge 30:25-30; 31:4-35,
38.
In occasione del suo incontro con il fratello Esaù, Giacobbe dimostrò ancora la sua preferenza per
Rachele, mettendo lei e il suo unico figlio all’ultimo posto in ordine di marcia, posizione senza dubbio più
sicura in caso di attacco da parte di Esaù. (Ge 33:1-3, 7) Dopo essere rimasto per qualche tempo a
Succot, poi a Sichem e infine a Betel, Giacobbe si diresse ancora più a S. Tra Betel e Betleem, Rachele
diede alla luce il suo secondogenito, Beniamino, ma morì di parto e ivi fu sepolta. Giacobbe eresse un
cippo sulla sua tomba. — Ge 33:17, 18; 35:1, 16-20.
I pochi particolari menzionati possono dare solo un’idea frammentaria della personalità di Rachele. Era
un’adoratrice di Geova (Ge 30:22-24), ma aveva debolezze umane: il furto dei terafim e l’astuzia con cui
evitò di essere scoperta vanno forse attribuiti almeno in parte al suo ambiente familiare. Nonostante i suoi
difetti, fu teneramente amata da Giacobbe, che, anche in tarda età, la considerava la sua vera moglie e
voleva bene ai figli di lei più che a tutti gli altri. (Ge 44:20, 27-29) Le parole che Giacobbe rivolse a
Giuseppe poco prima di morire, benché semplici, rivelano il profondo affetto che aveva avuto per
Rachele. (Ge 48:1-7) Di lei e di Lea viene detto che “edificarono entrambe la casa d’Israele [Giacobbe]”.
— Ru 4:11.
Alcune scoperte archeologiche possono far luce sull’episodio dell’appropriazione dei “terafim” paterni da
parte di Rachele. (Ge 31:19) Una delle tavolette cuneiformi trovate a Nuzi, nella Mesopotamia
settentrionale, datate all’incirca alla metà del secondo millennio a.E.V., rivela che presso alcuni popoli
antichi il possesso delle divinità domestiche costituiva il titolo legale per ereditare i beni familiari. (Ancient
Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, pp. 219, 220) Alcuni avanzano l’ipotesi che Rachele
possa aver pensato che Giacobbe aveva diritto a una parte dell’eredità dei beni di Labano come un figlio
adottivo e che quindi possa aver preso i terafim a titolo di garanzia o anche per avvantaggiarsi rispetto ai
figli maschi di Labano. Oppure Rachele può aver pensato che il possesso dei terafim fosse un mezzo per
impedire qualsiasi tentativo legale del padre di reclamare parte delle ricchezze accumulate da Giacobbe
mentre era al suo servizio. (Cfr. Ge 30:43; 31:1, 2, 14-16). Queste possibilità dipendono naturalmente
dall’esistenza o no di tale usanza fra la gente di Labano e dal fatto se i terafim erano veramente
considerati divinità domestiche.
La tomba di Rachele “nel territorio di Beniamino a Zelza” era conosciuta ancora ai giorni di Samuele,
circa sei secoli dopo. (1Sa 10:2) Il sito tradizionale della tomba si trova circa 1,5 km a N di Betleem.
Questo però la porrebbe nel territorio di Giuda, non di Beniamino. Perciò altri ipotizzano una collocazione
più a N, benché oggi non si possa essere precisi al riguardo.
Perché la Bibbia, secoli dopo la morte di Rachele, disse che essa avrebbe pianto i suoi figli?
In Geremia 31:15 Rachele è descritta nell’atto di piangere i suoi figli che sono stati portati in un paese
nemico, e il suo lamento si ode a Rama (a N di Gerusalemme nel territorio di Beniamino). (Vedi RAMA n.
1). Poiché nel contesto (Ger 31:6, 9, 18, 20) viene menzionata diverse volte la tribù di Efraim, i cui
discendenti collettivamente sono spesso usati per rappresentare il regno settentrionale d’Israele, alcuni
studiosi ritengono che questa profezia si riferisca all’esilio in Assiria della popolazione del regno
settentrionale. (2Re 17:1-6; 18:9-11) D’altra parte si potrebbe riferire all’esilio sia degli abitanti di Israele
che di quelli di Giuda (questi ultimi a Babilonia). Nel primo caso, la figura di Rachele sarebbe molto
appropriata, dato che era l’antenata di Efraim (tramite Giuseppe), la tribù più importante del regno
settentrionale. Nel secondo caso, come madre non solo di Giuseppe ma anche di Beniamino, tribù che
faceva parte del regno meridionale di Giuda, Rachele sarebbe stata un appropriato simbolo delle madri di
tutto Israele, che ora sembrava avessero generato figli invano. La confortante promessa di Geova era
tuttavia che gli esiliati sarebbero certamente tornati “dal paese del nemico”. — Ger 31:16.
Questo versetto è citato da Matteo a proposito della strage dei bambini avvenuta a Betleem per ordine
di Erode. (Mt 2:16-18) Dato che la tomba di Rachele era relativamente vicina a Betleem (anche se, a
quanto pare, non si trovava nel luogo indicato dalla tradizione), la figura di Rachele che piange esprimeva
in modo appropriato il dolore delle madri dei bambini uccisi. Ma la citazione della profezia di Geremia era
ancor più appropriata data l’analogia della situazione. Gli israeliti erano soggetti a una potenza straniera. I
loro figli erano stati nuovamente portati via. Questa volta però il “paese del nemico” dove erano andati
non era un paese letterale come in precedenza. Era la tomba, il reame della ‘Morte’ (cfr. Sl 49:14; Ri 6:8),
morte che sarà distrutta come “ultimo nemico”. (Ro 5:14, 21; 1Co 15:26) Il ritorno da tale “esilio” comporta
naturalmente una risurrezione dai morti.
W 65 pag.553
Rebecca --- Tema: Tenete conto di Geova nella scelta del coniuge GENESI 24:63
PROVERBI 19:21 PROVERBI 28:24
it-2 713-4
REBECCA (Rebècca) [forse, vacca].
Figlia di Betuel figlio di Nahor, e dunque pronipote di Abraamo. Aveva un fratello di nome Labano. — Ge
22:20-23.
Nel 1878 a.E.V. Abraamo mandò il servitore che amministrava la sua casa, probabilmente Eliezer, a
cercare una moglie adatta per suo figlio Isacco (ormai quarantenne). Eliezer giunse alla “città di Nahor”
nell’alta Mesopotamia. Là, presso un pozzo, pregò Geova di indicargli la ragazza prescelta facendo in
modo che questa, alla sua richiesta, non solo desse da bere a lui ma si offrisse anche di abbeverare i
suoi dieci cammelli. (Ge 24:1-14) Mentre pregava, giunse al pozzo Rebecca con una giara per l’acqua.
Quando Eliezer le chiese un sorso d’acqua, gentilmente Rebecca gli diede da bere e quindi “vuotò
prontamente la sua giara nell’abbeveratoio e corse ripetute volte al pozzo ad attingere acqua, e ne
attingeva per tutti i suoi cammelli. Intanto l’uomo la fissava con meraviglia, tacendo per sapere se Geova
aveva fatto riuscire o no il suo viaggio”. Rebecca si dimostrò gentile, ospitale, modesta nei modi e
operosa; inoltre “la giovane era di aspetto molto attraente”. — Ge 24:14-21.
Il servitore di Abraamo, riconoscendo che la sua preghiera era stata esaudita, donò a Rebecca un
prezioso anello d’oro da naso e due bei braccialetti d’oro (del valore attuale di oltre 1.900.000 lire).
Rebecca li mostrò alla famiglia, a sua madre e al fratello Labano, il quale, a sua volta, offrì ospitalità nella
sua casa al visitatore e ai servitori che erano con lui. (Ge 24:22-32) Ma prima di mangiare, l’uomo rivelò
lo scopo della sua missione: Labano e suo padre Betuel diedero il consenso al matrimonio di Rebecca
con Isacco; a Rebecca e alla sua famiglia furono presentati doni consistenti in preziosi oggetti d’oro e
d’argento e abiti raffinati, dopo di che tutti mangiarono insieme. (Ge 24:33-54) Tutto questo costituì un
onorevole contratto matrimoniale, non fra Rebecca e Isacco, ma fra i loro genitori, secondo la
consuetudine dell’epoca. Rebecca fu così promessa sposa a Isacco e, da quel momento in poi, fu in
effetti sua moglie.
Con il consenso di Rebecca, la carovana partì l’indomani mattina per il lungo viaggio fino al Negheb, nei
pressi di Beer-Laai-Roi, dove in quel tempo risiedeva Isacco. Prima della partenza, la famiglia benedisse
Rebecca con queste parole: “Possa tu, sorella nostra, divenire migliaia di volte diecimila, e il tuo seme
prenda possesso della porta di quelli che lo odiano”. La accompagnarono la sua nutrice Debora e altre
ancelle, nessuna delle quali, pare, tornò mai nel proprio paese. — Ge 24:55-62; 35:8.
Giunti a destinazione, Rebecca si coprì il capo nel presentarsi al suo sposo, Isacco, e dopo che il
servitore di Abraamo ebbe riferito tutti gli sviluppi della sua missione, descrivendo come Geova aveva
guidato la scelta, Isacco portò Rebecca nella tenda di sua madre affinché divenisse sua moglie. Isacco
amava teneramente Rebecca, e in lei “trovò conforto dopo la perdita di sua madre” Sara, morta tre anni
prima. — Ge 24:63-67.
Come Sara, anche Rebecca per molto tempo rimase sterile. Dopo circa 19 anni, durante i quali Isacco
continuò a supplicare Geova, essa concepì e diede alla luce i gemelli Esaù e Giacobbe. La gravidanza fu
così penosa, dato che i due lottavano tra loro nel suo grembo, che Rebecca si chiese: “Perché mai vivo?”
In risposta Geova le assicurò che sarebbe diventata la madre di due grandi nazioni, e che ‘il figlio
maggiore avrebbe servito il minore’. (Ge 25:20-26) Questo, dice Paolo, per dimostrare che la scelta del
‘seme della promessa’ dipendeva interamente da Dio. — Ro 9:6-13.
Sempre come Sara, in un’occasione anche Rebecca nascose la propria identità, facendosi passare per
la sorella di suo marito. Questo accadde quando una carestia nel paese costrinse la sua famiglia a
stabilirsi per qualche tempo in territorio filisteo, dove regnava Abimelec. Rebecca doveva essere assai
avanti negli anni, eppure a motivo della grande bellezza della moglie, Isacco, erede designato del patto
abraamico, pensò che la sua vita sarebbe stata in pericolo se si fosse saputo che era il marito. — Ge
26:1-11.
Quando Isacco, divenuto vecchio, si accingeva a benedire Esaù suo primogenito, Rebecca intervenne
con prontezza affinché l’agognata benedizione andasse a Giacobbe. (Ge 25:28-34; 27:1-5) Non
sappiamo se Rebecca fosse a conoscenza del fatto che Giacobbe aveva acquistato il diritto legale alla
primogenitura, ma era ben consapevole di ciò che le aveva detto Geova, cioè che il figlio maggiore
avrebbe servito il minore. Agì quindi affinché Giacobbe si assicurasse la benedizione paterna. Il risultato
fu conforme al proposito di Geova. — Ge 27:6-29; vedi GIACOBBE.
In seguito, quando apprese che Esaù intendeva uccidere Giacobbe, Rebecca persuase Isacco a
mandare Giacobbe nel paese di lei per cercarsi moglie. Sia Rebecca che Isacco erano molto addolorati
che Esaù avesse preso due mogli fra gli odiati cananei. — Ge 26:34, 35; 27:41-46; 28:1-5; 29:10-12.
Non si sa quando Rebecca sia morta, ma forse morì prima del ritorno di Giacobbe dalla Mesopotamia.
(Ge 35:27) Fu sepolta nella tomba di famiglia, la caverna di Macpela, con Abraamo e Sara, dove più tardi
furono sepolti Isacco, Lea e Giacobbe. — Ge 49:29-31; 50:13.
Roboamo --- Tema: Non siate arroganti e respingete i cattivi consigli PROVERBI 29:19
it-2 793
ROBOAMO (Roboàmo) [allarga (rendi spazioso) il popolo].
Figlio che Salomone ebbe dalla moglie ammonita Naama. Nel 997 a.E.V., all’età di 41 anni, succedette al
padre sul trono e regnò per 17 anni. (1Re 14:21; 1Cr 3:10; 2Cr 9:31) Roboamo si distinse essendo
l’ultimo re della monarchia unita e il primo sovrano del regno meridionale delle due tribù di Giuda e
Beniamino; infatti, poco dopo la sua incoronazione a Sichem come re di tutto Israele, il regno unito di
Davide e Salomone si divise. Dieci tribù negarono il loro appoggio a Roboamo e fecero loro re
Geroboamo, proprio come Geova aveva predetto per mezzo del profeta Ahia. — 1Re 11:29-31; 12:1; 2Cr
10:1.
La secessione avvenne dopo che una delegazione del popolo, di cui Geroboamo era il portavoce,
supplicò Roboamo di revocare alcune misure oppressive imposte da Salomone. Roboamo chiese
consiglio in merito. Prima consultò gli anziani, che gli suggerirono di prestare ascolto al grido del popolo e
di ridurre i loro pesi, dimostrando così di essere un re saggio, che il popolo avrebbe amato. Ma Roboamo
respinse questo maturo consiglio e si rivolse ai giovani con i quali era cresciuto. Essi dissero al re che
avrebbe dovuto rendere il suo dito mignolo più grosso dei fianchi di suo padre, aumentando il peso del
loro giogo e castigandoli con flagelli anziché con fruste. — 1Re 12:2-15; 2Cr 10:3-15; 13:6, 7.
L’atteggiamento arrogante e tirannico assunto da Roboamo gli alienò completamente la maggioranza
della popolazione. Le uniche tribù che continuarono a sostenere la casa di Davide furono quelle di Giuda
e di Beniamino, nonché i sacerdoti e i leviti di entrambi i regni, oltre a singoli cittadini delle dieci tribù. —
1Re 12:16, 17; 2Cr 10:16, 17; 11:13, 14, 16.
In seguito, quando il re Roboamo e Adoram (Hadoram), soprintendente dei coscritti per i lavori forzati,
penetrarono nel territorio dei secessionisti, Adoram venne lapidato, e il re riuscì a malapena a mettersi in
salvo. (1Re 12:18; 2Cr 10:18) Allora Roboamo radunò un esercito di 180.000 uomini di Giuda e
Beniamino, deciso ad assoggettare con la forza le dieci tribù. Ma Geova Dio, per mezzo del profeta
Semaia, vietò loro di combattere contro i loro fratelli, dato che Egli stesso aveva decretato la divisione del
regno. Anche se così si evitò uno scontro aperto, le ostilità fra le due fazioni continuarono per tutti i giorni
di Roboamo. — 1Re 12:19-24; 15:6; 2Cr 10:19; 11:1-4.
Per qualche tempo Roboamo si attenne abbastanza fedelmente alle leggi di Geova, e all’inizio del suo
regno costruì e fortificò diverse città, in alcune delle quali immagazzinò riserve di viveri. (2Cr 11:5-12, 17)
Ma una volta che il suo regno fu saldamente stabilito, abbandonò l’adorazione di Geova e indusse Giuda
a praticare l’abominevole adorazione del sesso, forse a motivo dell’influenza ammonita della famiglia
materna. (1Re 14:22-24; 2Cr 12:1) Ciò provocò l’ira di Geova, che fece intervenire il re d’Egitto, Sisac, il
quale nel quinto anno del regno di Roboamo invase insieme ai suoi alleati il paese e conquistò diverse
città di Giuda. Se Roboamo e i suoi principi non si fossero umiliati in segno di pentimento, neanche
Gerusalemme si sarebbe salvata. Comunque i tesori del tempio e della casa del re, inclusi gli scudi d’oro
fatti da Salomone, furono presi da Sisac come bottino. Roboamo allora sostituì quegli scudi con altri di
rame. — 1Re 14:25-28; 2Cr 12:2-12.
Durante la sua vita Roboamo ebbe 18 mogli, fra cui Maalat nipote di Davide, e Maaca nipote di
Absalom, figlio di Davide. Maaca era la moglie favorita e la madre di Abia (Abiam), uno dei 28 figli di
Roboamo e il legittimo erede al trono. Della famiglia di Roboamo facevano parte anche 60 concubine e
60 figlie. — 2Cr 11:18-22.
Prima di morire all’età di 58 anni, e prima che Abia salisse al trono nel 980 a.E.V., Roboamo distribuì
molti doni fra gli altri suoi figli, forse per impedire che insorgessero contro Abia dopo la sua morte. (1Re
14:31; 2Cr 11:23; 12:16) Nel suo insieme, la vita di Roboamo si può meglio riassumere con questa
osservazione: “Egli fece ciò che era male, poiché non aveva stabilito fermamente il suo cuore per
ricercare Geova”. — 2Cr 12:14.
Ruben (n.1) --- tema: Le azioni errate possono avere conseguenze permanenti GALATI 6:7, 8
it-2 803-4
RUBEN (Rùben) [Vedi, un figlio!].
1. Il primogenito dei dodici figli di Giacobbe. Sua madre Lea, la moglie meno amata da Giacobbe, gli
diede nome Ruben “perché”, come ebbe a dire lei stessa, “Geova ha guardato la mia sventura, in quanto
ora mio marito comincerà ad amarmi”. (Ge 29:30-32; 35:23; 46:8; Eso 1:1, 2; 1Cr 2:1) Grazie al continuo
favore di Geova su sua madre, Ruben e i suoi cinque fratelli (Simeone, Levi, Giuda, Issacar e Zabulon)
costituirono la metà degli originali capi delle tribù di Israele; gli altri sei (Giuseppe, Beniamino, Dan,
Neftali, Gad e Aser) erano suoi fratellastri. — Ge 35:23-26.
Ruben manifestò alcune delle sue buone qualità quando persuase i suoi nove fratelli a non uccidere
Giuseppe ma a gettarlo in una cisterna asciutta, con l’intenzione di tornare segretamente a liberarlo. (Ge
37:18-30) Più di 20 anni dopo, quando gli stessi fratelli pensarono che l’accusa di spionaggio mossa loro
in Egitto fosse la conseguenza del maltrattamento che avevano inflitto a Giuseppe, Ruben ricordò agli
altri che non aveva attentato con loro alla sua vita. (Ge 42:9-14, 21, 22) E anche quando Giacobbe rifiutò
di lasciare che Beniamino accompagnasse i fratelli la seconda volta che si recarono in Egitto, Ruben offrì
come garanzia i propri due figli, dicendo: ‘Puoi metterli a morte se non ti riconduco Beniamino’. — Ge
42:37.
Essendo il figlio primogenito di Giacobbe, Ruben naturalmente aveva i diritti riservati al primogenito.
Come tale gli spettavano due parti della proprietà lasciata dal padre. L’incognita, quando Giacobbe poco
prima di morire benedisse i suoi figli, era: Ruben sarebbe entrato in possesso dei diritti del primogenito? Il
patriarca Giacobbe, essendo il capo della famiglia, fungeva da sacerdote di Geova per tutta la famiglia,
per la quale aveva offerto sacrifici sull’altare, aveva pregato e impartito istruzione religiosa. Come padre
era anche il signore della famiglia e di tutti i servi e il bestiame e la proprietà. Queste responsabilità
sarebbero passate a Ruben?
Giacobbe si occupò di lui per primo, dicendo: “Ruben, tu sei il mio primogenito, il mio vigore e il principio
del mio potere generativo, l’eccellenza della dignità e l’eccellenza della forza. Con avventata sfrenatezza
simile ad acque, non eccellere, perché sei salito sul letto di tuo padre. In quel tempo profanasti il mio
giaciglio. Egli vi salì!” — Ge 49:3, 4.
Giacobbe ricordò un’azione che squalificava Ruben e influiva sui suoi privilegi futuri. Ruben aveva
disonorato suo padre. Si era reso colpevole di incesto con la concubina di suo padre, Bila, serva di
Rachele, la moglie prediletta di Giacobbe. Questo era accaduto poco dopo che Rachele era morta nel
dare alla luce Beniamino. La Bibbia non spiega se il primogenito Ruben violò la serva Bila per impedire
che prendesse il posto di Rachele nell’affetto di Giacobbe e divenisse così più favorita di sua madre, Lea,
oppure se agì per brama incontrollata. Dice semplicemente: “E avvenne mentre Israele risiedeva in quel
paese che una volta Ruben andò e giacque con Bila concubina di suo padre, e Israele lo venne a
sapere”. (Ge 35:22) La Settanta greca aggiunge: “E sembrò male ai suoi occhi”. — Ge 35:21, LXX, ed.
Thomson.
Ruben non venne ripudiato e scacciato per questo. Solo anni dopo, nel benedire i figli, Giacobbe sotto
ispirazione divina disse a Ruben: “Non eccellere”. Così Ruben fu privato dei privilegi che altrimenti
avrebbe avuto come figlio primogenito. Questo perché aveva agito “con avventata sfrenatezza simile ad
acque”. Si era dimostrato instabile come acque oppure turbolento e precipitoso come acque che
travolgono una diga o scendono impetuose nella valle di un torrente. Ruben avrebbe dovuto esercitare
padronanza di sé. Avrebbe dovuto mostrare rispetto filiale per la dignità di suo padre e per l’onore dei due
figli di Bila, concubina di suo padre.
W 62 pag: 717-722
it-2 809-10
RUT
Donna moabita che aveva sposato Malon, dopo la morte del padre di lui, Elimelec. Questo era avvenuto
mentre Malon, sua madre Naomi e suo fratello Chilion vivevano in Moab, a causa di una carestia che li
aveva indotti a lasciare la nativa Betleem di Giuda. Il cognato di Rut, Chilion, aveva sposato la moabita
Orpa. In seguito i due fratelli morirono, lasciando le vedove senza figli. Saputo che il favore di Geova era
di nuovo evidente in Israele, Naomi, accompagnata dalle due nuore, si accinse a tornare in Giuda. — Ru
1:1-7; 4:9, 10.
Manifesta amore leale. Mentre Orpa, cedendo all’insistenza di Naomi, alla fine tornò dal suo popolo, Rut
rimase con la suocera. Il profondo amore per Naomi e il sincero desiderio di servire Geova insieme al
Suo popolo permisero a Rut di lasciare i genitori e il paese nativo, pur avendo scarse probabilità di
trovare la sicurezza che il matrimonio poteva darle. (Ru 1:8-17; 2:11) Il suo amore per la suocera era tale
che in seguito altri poterono dire che per Naomi lei era meglio di sette figli. — Ru 4:15.
Giunta a Betleem all’inizio della mietitura dell’orzo, Rut uscì nei campi per procurare da mangiare per
Naomi e per sé. Per caso capitò nel campo di Boaz, un parente di Elimelec, e chiese al sorvegliante dei
mietitori il permesso di spigolare. La sua diligenza nello spigolare doveva essere veramente notevole,
dato che il sorvegliante ne parlò a Boaz. — Ru 1:22–2:7.
Quando Boaz le mostrò benignità, Rut rispose con gratitudine, riconoscendo di essere meno di una
delle sue serve. All’ora del pasto egli le provvide grano arrostito in tale quantità che ne rimase anche per
Naomi. (Ru 2:8-14, 18) Anche se Boaz aveva disposto le cose in modo da renderle più facile spigolare,
Rut non smise in anticipo ma continuò a spigolare fino a sera, “dopo di che batté ciò che aveva spigolato
e fu circa un’efa [22 l] d’orzo”. Su richiesta di Boaz, Rut continuò a spigolare nel suo campo durante il
resto della mietitura dell’orzo e quella del grano. — Ru 2:15-23.
Chiede a Boaz di agire da ricompratore. Desiderando trovare un “luogo di riposo” o una casa per la
nuora, Naomi suggerì a Rut di chiedere a Boaz di ricomprarla. Perciò Rut si recò nell’aia di Boaz. Dopo
che questi si era coricato, Rut si avvicinò di nascosto, gli scoprì i piedi e si coricò anche lei. A mezzanotte
Boaz si svegliò tremando e si chinò in avanti. Non riconoscendola nell’oscurità, chiese: “Chi sei?” “Sono
Rut la tua schiava”, fu la sua risposta, “e devi stendere il tuo lembo sulla tua schiava, poiché tu sei un
ricompratore”. — Ru 3:1-9.
L’azione di Rut, secondo le istruzioni di Naomi, doveva essere conforme alla consuetudine seguita dalle
donne che intendevano affermare il proprio diritto al matrimonio del cognato. A questo proposito un
commentatore biblico, Paulus Cassel, osservò: “Senza dubbio questo metodo simbolico di affermare il
più delicato di tutti i diritti presuppone modi di una semplicità e virtù patriarcale. La fiducia della donna si
basa sull’onore dell’uomo. Il metodo, tuttavia, non era di facile attuazione. Infatti qualsiasi anticipazione o
segno premonitore al riguardo avrebbe strappato il velo del silenzio e del riserbo nuocendo alla modestia
della richiedente. Ma una volta preso il via, la richiesta privilegiata non poteva essere negata senza
disonorare la donna o l’uomo. Quindi possiamo esser certi che Naomi non mandò la nuora con questa
ambasciata senza la massima fiducia che avrebbe avuto successo. Infatti è sicuro che nel caso in
questione a tutte le altre difficoltà si aggiungeva anche questa: cioè che Boaz, come Rut stessa dice, era
sì un goel [un ricompratore], ma non il goel. Anche la risposta di Boaz lascerebbe intendere che tale
richiesta non gli giungeva del tutto inaspettata. Non che egli si fosse messo d’accordo con Naomi e
avesse così fatto in modo di trovarsi da solo sull’aia, perché il fatto che egli fu colto di sorpresa nel sonno
mostra che non prevedeva affatto quella visita notturna. Tuttavia l’idea che prima o poi Rut gli facesse
presente il proprio diritto basato sui vincoli di sangue poteva essergli passata per la mente. Ma anche
questa congettura sulla possibilità o probabilità che ciò avvenisse non può essere usata per sollevare Rut
dall’onere di manifestare il proprio libero arbitrio seguendo questa procedura simbolica”. — J. P. Lange,
Theologisch-homiletisches Bibelwerk, Das Buch Ruth, 1865, p. 226.
Dalla sua reazione è evidente che Boaz considerò il gesto di Rut assolutamente virtuoso: “Sii benedetta
da Geova, figlia mia. Hai espresso la tua amorevole benignità meglio nell’ultimo caso che nel primo, non
andando dietro ai giovani, miseri o ricchi”. Rut scelse altruisticamente Boaz, un uomo molto più anziano,
perché era un ricompratore, al fine di suscitare un nome per il marito defunto e per la suocera. Poiché
sarebbe stato naturale per una giovane come Rut preferire un uomo più giovane, Boaz considerò il suo
gesto un’espressione di amorevole benignità addirittura superiore alla scelta di rimanere con l’anziana
suocera. — Ru 3:10.
Senza dubbio la voce di Rut dovette tradire una certa preoccupazione, dal momento che Boaz la
rassicurò: “Ora, figlia mia, non temere. Tutto ciò che dici lo farò per te, poiché alla porta del mio popolo
tutti si rendono conto che sei una donna eccellente”. Data l’ora tarda, Boaz disse a Rut di coricarsi.
Tuttavia entrambi si alzarono mentre era ancora buio, evidentemente per evitare qualsiasi insinuazione
che potesse nuocere al buon nome dell’uno o dell’altra. Boaz diede inoltre a Rut sei misure di orzo.
Questo poteva significare che, come sei giorni lavorativi erano seguiti da un giorno di riposo, così per Rut
era prossimo un giorno di riposo, poiché egli avrebbe fatto in modo che avesse un “luogo di riposo”. —
Ru 3:1, 11-15, 17, 18.
Al ritorno di Rut, Naomi, forse non riconoscendo nell’oscurità la donna che chiedeva di entrare,
domandò: “Chi sei tu, figlia mia?” Oppure può darsi che la domanda si riferisse all’eventuale nuova
identità di Rut in relazione al suo ricompratore. — Ru 3:16.
Più tardi, quando il parente più stretto rifiutò di contrarre il matrimonio del cognato, Boaz fu pronto a
prendere il suo posto. Così Rut divenne la madre di Obed figlio di Boaz e un’antenata sia del re Davide
che di Gesù Cristo. — Ru 4:1-21; Mt 1:5, 16.
[Nota in calce]
Per la considerazione del significato profetico del libro di Rut, vedi La Torre di Guardia del 15 luglio 1972,
w72 pagg. 428-442, e il libro Preservation, pagg. 169-335, pubblicato nel 1932 dalla Watch Tower Bible
and Tract Society.
[Figura a pagina 17]
Rut implora Naomi: ‘Non mi far premura di abbandonarti, poiché dove andrai tu andrò io’
Sadrac --- Tema: Rimanete senza macchia in un mondo empio FILIPPESI 2:15
it-2 828-9
SADRAC (Sàdrac).
Nome babilonese di un esiliato ebreo elevato a un alto incarico nel governo di Babilonia. Sadrac, Mesac
e Abednego — i tre compagni di Daniele — sono sempre menzionati insieme, e Sadrac sempre per
primo, forse perché i corrispondenti nomi ebraici — Hanania, Misael e Azaria — compaiono sempre in
ordine alfabetico secondo le iniziali ebraiche. I nomi babilonesi furono dati loro dopo che erano stati
portati a Babilonia. Là ricevettero speciale istruzione, dato che si erano distinti come giovani intelligenti, di
bell’aspetto e senza difetti. Dopo tre anni di studio, Sadrac, Mesac e Abednego risultarono dieci volte
migliori dei saggi di Babilonia. Essi avevano la benedizione di Geova, senza dubbio in parte dovuta al
loro costante rifiuto di contaminarsi con i raffinati cibi babilonesi. (Da 1:3-20) In seguito ricevettero
incarichi nell’amministrazione del distretto giurisdizionale di Babilonia. (Da 2:49) Essi persero
temporaneamente il favore del re quando rifiutarono di inchinarsi davanti alla grande immagine che egli
aveva eretto, ma, dopo che Geova li fece uscire indenni dalla fornace ardente, furono reintegrati nei loro
incarichi. — Da 3:1-30.
it-2 829
SAFFIRA (Saffìra) [da un termine aramaico che significa “bella”].
Moglie di Anania. Insieme al marito architettò un inganno che fu la causa della loro morte. Essi
vendettero un campo di loro proprietà e ipocritamente asserirono di aver portato l’intero ricavato agli
apostoli, come avevano fatto altri cristiani di Gerusalemme per far fronte all’emergenza che era sorta
dopo la Pentecoste del 33 E.V.
Il peccato di Anania e Saffira non fu di non aver dato l’intera somma ricavata dalla vendita della
proprietà, ma di avere falsamente affermato di averlo fatto, evidentemente per avere il plauso degli
uomini anziché per onorare Dio e fare del bene alla sua congregazione. La loro disonestà fu smascherata
da Pietro, guidato dallo spirito santo, che disse: “Anania, perché Satana ti ha imbaldanzito da farti mentire
allo spirito santo, trattenendo segretamente parte del prezzo del campo? Finché rimaneva presso di te
non rimaneva tuo? e dopo che era stato venduto non rimaneva sotto il tuo controllo? Perché ti sei messo
in cuore di fare un’azione come questa? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio”. Udite le parole di
Pietro, Anania cadde a terra e spirò.
Circa tre ore dopo entrò Saffira che ripeté la menzogna. Pietro allora le chiese: “Perché vi siete messi
d’accordo fra voi due di mettere alla prova lo spirito di Geova?” Anche Saffira cadde a terra e spirò.
Questo episodio fu una lezione per la congregazione, inducendola ad avere grande timore, e senza
dubbio grande rispetto e apprezzamento per il fatto che Geova veramente dimorava nella congregazione
mediante lo spirito. — At 4:34, 35; 5:1-11; 1Co 3:16, 17; Ef 2:22; cfr. 1Tm 1:20.
Salome (n.1) --- Tema: Servite Geova con modestia MICHEA 6:8
it-2 840-1
SALOME (Salòme) [probabilmente da un termine ebraico che significa “pace”].
1. Confrontando Matteo 27:56 con Marco 15:40 risulterebbe che Salome era la madre dei figli di
Zebedeo, Giacomo e Giovanni, apostoli di Gesù Cristo. Il primo versetto menziona due Marie, cioè Maria
Maddalena e Maria madre di Giacomo (il Minore) e di Iose; insieme a queste menziona anche la madre
dei figli di Zebedeo, anch’essa presente quando Gesù venne messo al palo. Il secondo versetto invece
chiama Salome la donna che si trovava insieme alle due Marie.
Facendo un ragionamento simile si giunge alla conclusione che Salome fosse anche sorella carnale di
Maria, madre di Gesù. Questa ipotesi è suggerita dal fatto che in Giovanni 19:25 sono menzionate le
stesse due Marie, cioè Maria Maddalena e “la moglie di Clopa” (ritenuta in genere la madre di Giacomo il
Minore e di Iose), e viene anche detto: “Presso il palo di tortura di Gesù stavano comunque sua madre e
la sorella di sua madre”. Se questo versetto (a parte la madre di Gesù) parla delle stesse tre donne
menzionate da Matteo e da Marco, Salome sarebbe la sorella della madre di Gesù. Comunque Matteo
27:55 e Marco 15:40, 41 dicono che erano presenti molte altre donne, le quali avevano accompagnato
Gesù, per cui Salome poteva essere una di loro.
Salome era discepola del Signore Gesù Cristo; era una delle donne che lo accompagnavano e lo
servivano con i loro averi, come indicano Matteo, Marco, e anche Luca (8:3).
Se si tratta veramente della madre dei figli di Zebedeo, fu lei che si rivolse a Gesù per chiedere che ai
suoi figli fosse concesso di sedere alla destra e alla sinistra di Gesù nel suo Regno. Matteo riferisce che
fu la madre a fare la richiesta, mentre Marco spiega che furono Giacomo e Giovanni. Questo a quanto
pare era il loro desiderio, ed essi convinsero la madre a fare la richiesta. Ciò è confermato dal fatto che
Matteo riferisce che, udendo la richiesta, gli altri discepoli non si indignarono con la madre, ma con i due
fratelli. — Mt 20:20-24; Mr 10:35-41.
All’alba del terzo giorno dopo la morte di Gesù, Salome era fra le donne che andarono alla tomba per
spalmare il corpo con aromi, ma che trovarono la pietra rotolata via e, all’interno della tomba, un angelo
che annunciò loro: “Egli è stato destato, non è qui. Vedete il luogo dove lo posero”. — Mr 16:1-8.
it-2 853-5
SAMUELE [nome di Dio].
Noto profeta (At 3:24; 13:20), tradizionalmente ritenuto lo scrittore dei libri biblici di Giudici, Rut e di parte
di 1 Samuele. (Cfr. 1Sa 10:25; 1Cr 29:29). Suo padre Elcana era un levita della famiglia non sacerdotale
di Cheat. (1Cr 6:27, 28, 33-38) Samuele ebbe poi tre fratelli e due sorelle carnali. — 1Sa 2:21.
Prima del concepimento, la madre Anna promise di dedicarlo al servizio di Geova quale nazireo (1Sa
1:11), perciò Samuele fu portato al tabernacolo di Silo appena svezzato (forse all’età di almeno tre anni;
cfr. 2Cr 31:16) e affidato al sommo sacerdote Eli. (1Sa 1:24-28) Così Samuele, cinto di un efod di lino,
‘servì Geova’ fin da piccolo. Ogni anno sua madre andava a trovarlo e gli portava un manto senza
maniche nuovo. (1Sa 2:18, 19) Man mano che cresceva, Samuele diventava “sempre più gradito sia dal
punto di vista di Geova che da quello degli uomini”. — 1Sa 2:26.
Diventa profeta in giovane età. La notte Samuele dormiva “nel tempio di Geova, dov’era l’arca di Dio”, e
sembra che la mattina il suo primo compito fosse quello di aprire “le porte della casa di Geova”. (1Sa 3:3,
15) Evidentemente le parole “dov’era l’arca di Dio” si riferiscono all’area del tabernacolo e non vanno
intese nel senso che Samuele dormisse nel Santissimo. Essendo un levita cheatita e non un sacerdote
non aveva diritto di vedere l’Arca né alcun altro arredo sacro all’interno del santuario. (Nu 4:17-20)
L’unica parte della casa di Geova a cui Samuele aveva accesso era il cortile del tabernacolo. Perciò
doveva aprire le porte che immettevano nel cortile, ed era lì che doveva dormire. Durante il periodo in cui
il tabernacolo rimase stabile a Silo, probabilmente furono aggiunte varie costruzioni, e Samuele poteva
alloggiare in una di queste.
Una notte, dopo essersi coricato, Samuele udì una voce che lo chiamava per nome. Immaginando che a
parlare fosse stato il sommo sacerdote Eli, corse da lui; e questo per tre volte. Allora Eli comprese che
Samuele era stato chiamato da Geova e gli diede le istruzioni del caso. Geova rese quindi noto a
Samuele il suo giudizio contro la casa di Eli. Intimorito, Samuele non disse nulla della parola di Geova
finché Eli non glielo chiese. Così ebbe inizio l’opera profetica di Samuele, e tutto Israele finì per rendersi
conto che era davvero un profeta di Geova. — 1Sa 3:2-21.
Guida Israele nella vera adorazione. Più di 20 anni dopo, esortati da Samuele, gli israeliti
abbandonarono l’adorazione idolatrica e cominciarono a servire solo Geova. Successivamente Samuele
fece radunare gli israeliti a Mizpa. Approfittando della situazione, i filistei invasero il paese. Intimoriti, i figli
di Israele chiesero a Samuele di invocare l’aiuto di Geova. Egli lo fece e inoltre offrì in sacrificio un
agnello da latte. (1Sa 7:2-9) Naturalmente, essendo un levita cheatita, non un sacerdote, Samuele non
era autorizzato a officiare presso l’altare del santuario (Nu 18:2, 3, 6, 7), e non c’è alcuna indicazione che
l’abbia mai fatto. Tuttavia, quale rappresentante e profeta di Geova, poteva offrire sacrifici altrove
ubbidendo agli ordini di Dio, come Gedeone (Gdc 6:25-28) ed Elia. (1Re 18:36-38) Geova esaudì la
preghiera di Samuele gettando nella confusione i filistei e permettendo così agli israeliti di riportare una
vittoria decisiva. A ricordo di ciò, Samuele eresse una stele tra Mizpa e Iesana, e la chiamò Ebenezer
(pietra dell’aiuto). (1Sa 7:10-12) Senza dubbio dalle spoglie di questa e di altre guerre Samuele santificò
e mise da parte delle cose per mantenere il tabernacolo. — 1Cr 26:27, 28.
Ai giorni di Samuele i filistei subirono altre sconfitte (1Sa 7:13, 14), e furono tenute speciali celebrazioni
pasquali. (2Cr 35:18) Sembra inoltre che Samuele abbia preso delle disposizioni per i portinai leviti, le
quali forse furono la base per l’organizzazione attuata da Davide. (1Cr 9:22) Dalla sua città, Rama, nella
regione montagnosa di Efraim, Samuele ogni anno faceva un giro recandosi a Betel, Ghilgal e Mizpa, per
giudicare Israele in tutte quelle località. (1Sa 7:15-17) Non abusò mai della sua posizione e fu
irreprensibile nel suo servizio. (1Sa 12:2-5) Invece i suoi figli, Gioele e Abia, pervertivano la giustizia. —
1Sa 8:2, 3.
Unge Saul come re. L’infedeltà dei figli di Samuele e la minaccia di una guerra con gli ammoniti
indussero gli anziani di Israele a chiedere a Samuele di nominare su di loro un re. (1Sa 8:4, 5; 12:12)
Geova rispose alla preghiera di Samuele a questo proposito dicendogli di accogliere la richiesta del
popolo, sebbene questa mostrasse mancanza di fede nel Suo potere regale, di indicare quali sarebbero
stati i diritti del re. Benché informati da Samuele che la monarchia avrebbe comportato la perdita di certe
libertà, essi insisterono per avere un re. Dopo che Samuele ebbe congedato gli uomini di Israele, Geova
fece in modo che ungesse quale re il beniaminita Saul. (1Sa 8:6–10:1) Poi Samuele dispose che gli
israeliti si radunassero a Mizpa dove Saul fu designato re a sorte. (1Sa 10:17-24) Di nuovo Samuele
parlò dei diritti del regno, e ne fece anche un elenco scritto. — 1Sa 10:25.
Dopo la vittoria di Saul sugli ammoniti, Samuele ordinò agli israeliti di andare a Ghilgal per riconfermare
il regno. In quell’occasione Samuele riepilogò il proprio passato e anche la storia di Israele, e mostrò che
per continuare ad avere l’approvazione divina era necessario che sia il re che il popolo ubbidissero a
Geova. Per ribadire la gravità di avere rigettato Geova quale re, Samuele pregò che venisse un
temporale fuori stagione. Geova esaudì la richiesta e ciò spinse il popolo a riconoscere la gravità della
propria trasgressione. — 1Sa 11:14–12:25.
In seguito, due volte Samuele dovette riprendere Saul perché aveva disubbidito a un comando di Dio.
Nel primo caso Samuele annunciò che il regno di Saul non sarebbe durato perché egli presuntuosamente
non aveva esitato a fare un sacrificio invece di aspettare come gli era stato comandato. (1Sa 13:10-14) Il
secondo messaggio di condanna pronunciato da Samuele avvertì Saul che Geova l’aveva rigettato come
re perché aveva disubbidito lasciando in vita il re Agag e il meglio dei greggi e delle mandrie degli
amalechiti. In seguito alla richiesta di Saul, Samuele si presentò insieme a lui davanti agli anziani di
Israele e al popolo. Quindi Samuele ordinò che Agag fosse condotto da lui e ‘lo fece a pezzi dinanzi a
Geova a Ghilgal’. — 1Sa 15:10-33.
Unge Davide. Una volta che si furono separati, non ci furono più contatti tra i due. Samuele tuttavia fece
cordoglio per Saul. Ma Geova Dio lo interruppe, incaricandolo di andare a Betleem per ungere uno dei
figli di Iesse quale futuro re di Israele. Geova ordinò a Samuele di portare con sé una giovenca per fare
un sacrificio, onde evitare qualsiasi sospetto da parte di Saul, che avrebbe potuto costare la vita a
Samuele. Forse pensando che Samuele fosse venuto per rimproverare o punire qualche trasgressione,
gli anziani di Betleem tremavano per la paura. Ma egli li rassicurò che la sua venuta significava pace e
quindi dispose che Iesse e i suoi figli partecipassero a un pasto sacrificale. Colpito dall’aspetto di Eliab, il
primogenito di Iesse, Samuele pensò che quel figlio doveva certo essere stato scelto da Geova per il
regno. Ma né Eliab né alcun altro dei sei figli di Iesse presenti era stato scelto da Geova. Perciò, a motivo
dell’insistenza di Samuele, fu chiamato il figlio minore, Davide, che stava pascolando le pecore, e quindi
fu unto in mezzo ai suoi fratelli. — 1Sa 15:34–16:13.
In seguito, dopo che il re Saul aveva attentato più volte alla sua vita, Davide si rifugiò da Samuele a
Rama. I due si recarono poi a Naiot, e Davide vi rimase finché Saul non venne personalmente a cercarlo.
(1Sa 19:18–20:1) A motivo di Saul, Davide aveva ancora una libertà limitata quando “Samuele morì; e
tutto Israele si radunava e faceva lamento per lui e lo seppelliva nella sua casa a Rama”. (1Sa 25:1)
Quindi Samuele, approvato servitore di Geova Dio, morì dopo una vita di fedele servizio. (Sl 99:6; Ger
15:1; Eb 11:32) Egli aveva manifestato perseveranza nell’assolvere il suo incarico (1Sa 16:6, 11),
devozione per la vera adorazione (1Sa 7:3-6), onestà nei rapporti con gli altri (1Sa 12:3) e coraggio e
fermezza nell’annunciare e sostenere i giudizi e le decisioni di Geova (1Sa 10:24; 13:13; 15:32, 33).
Circa la richiesta di Saul che la medium di En-Dor gli evocasse Samuele, vedi SAUL.
Sansone --- Tema: Salvaguardate la vostra preziosa relazione con Geova PROVERBI 3:5, 6
it-2 862-4
SANSONE [da un termine che significa “sole”].
Uno dei più noti giudici di Israele; figlio di Manoa, danita di Zora. Prima della nascita di Sansone un
angelo apparve a sua madre e le annunciò che avrebbe avuto un figlio che doveva essere nazireo dalla
nascita e doveva “prendere la direttiva per salvare Israele dalla mano dei filistei”. (Gdc 13:1-5, 24; 16:17)
Poiché sarebbe diventato una figura di primo piano nella lotta contro i filistei, Sansone si sarebbe
necessariamente trovato vicino ai cadaveri degli uccisi in battaglia. Perciò la natura stessa del suo
incarico indicava che non era soggetto alla legge che vietava ai nazirei di toccare corpi morti. (Nu 6:2-9)
Si noti inoltre che questa legge si applicava a coloro che facevano volontariamente voto di nazireato; nel
caso di Sansone invece i requisiti validi erano quelli specificamente indicati a sua madre dall’angelo di
Geova.
Appena raggiunta l’età di sposarsi, Sansone chiese ai genitori di prendergli in moglie una certa filistea di
Timna. Questo era in armonia con la direttiva dello spirito di Dio, poiché doveva offrire a Sansone
l’occasione per combattere contro i filistei. (Gdc 13:25–14:4) In seguito, nei pressi di Timna, Sansone
incontrò un leone. Reso potente dallo spirito di Dio, squarciò l’animale in due con le sole mani. Poi
proseguì per Timna, dove parlò con la ragazza filistea che voleva prendere in moglie. — Gdc 14:5-7.
Qualche tempo dopo, Sansone, accompagnato dai genitori, si recò a Timna per portare a casa la
fidanzata. Durante il tragitto lasciò la strada per dare un’occhiata alla carcassa del leone che aveva
ucciso in precedenza e vi trovò dentro uno sciame di api e del miele. Sansone mangiò un po’ del miele e,
raggiunti i genitori, ne offrì anche a loro. Durante il banchetto nuziale fece di questo episodio il soggetto di
un enigma che propose ai 30 filistei che assistevano alle nozze. Ulteriori sviluppi causati dall’enigma
offrirono a Sansone l’occasione di uccidere 30 filistei ad Ascalon. — Gdc 14:8-19.
Sansone ebbe un’altra opportunità ancora di intervenire contro i filistei quando il padre della sua
fidanzata diede la ragazza a un altro uomo e non permise a Sansone di vederla. Servendosi di 300 volpi,
diede fuoco ai campi di grano, alle vigne e agli oliveti dei filistei. Adirati i filistei bruciarono la ragazza e il
padre di lei, poiché le loro perdite erano la conseguenza del trattamento da lui riservato a Sansone. Con
questa azione i filistei diedero una volta di più a Sansone motivo di vendicarsi su di loro. Egli ne uccise
molti, “ammucchiando gambe su cosce”. — Gdc 14:20–15:8.
Per vendicarsi contro Sansone, i filistei si recarono a Lehi. Tremila uomini di Giuda, intimoriti da ciò,
ebbero la meglio su Sansone e lo costrinsero alla resa presso la rupe di Etam, quindi lo legarono con due
funi nuove e lo condussero dai filistei. Esultanti, questi si prepararono ad accogliere Sansone. Ma “lo
spirito di Geova divenne operante su di lui, e le funi che erano sulle sue braccia si fecero come fili di lino
che siano stati bruciati dal fuoco, così che i suoi ceppi si fusero dalle sue mani”. Presa una mascella
d’asino fresca Sansone abbatté mille uomini, poi attribuì questa vittoria a Geova. In quell’occasione
Geova, in risposta alla richiesta di Sansone, provvide miracolosamente acqua per dissetarlo. — Gdc
15:9-19.
Un’altra volta Sansone andò in casa di una prostituta nella città filistea di Gaza. Saputolo, i filistei gli
tesero un’imboscata, con l’intenzione di ucciderlo la mattina. Ma a mezzanotte Sansone si alzò e divelse
la porta della città, i pilastri laterali e la sbarra, e li portò “in cima al monte che è di fronte a Ebron”. (Gdc
16:1-3; vedi GAZA n. 1). Questa fu una grande umiliazione per i filistei, poiché lasciava Gaza indifesa e
alla mercé dei nemici. Il fatto che Sansone fosse in grado di compiere un’impresa così straordinaria
indica che aveva ancora lo spirito di Dio. Ciò dimostra che non era andato in casa della prostituta per
scopi immorali. A questo proposito il commentatore Paulus Cassel osservò: “Sansone non si recò a Gaza
per andare da una meretrice: infatti viene detto che ‘vi andò e lì vide una [prostituta]’. . . . Ma quando volle
trascorrere là [a Gaza] la notte, non c’era per lui, il nemico nazionale, altra alternativa che alloggiare
presso la [prostituta]. . . . La sua permanenza è descritta con un linguaggio non diverso da quello
impiegato a proposito della sosta delle spie in casa di Raab. Le parole, ‘egli la vide’, indicano solo che
quando vide una donna di quel genere, seppe dove poteva trovare riparo per la notte”. (J. P. Lange,
Theologisch-homiletisches Bibelwerk, Das Buch der Richter, 1865, p. 43) Inoltre, si noti, viene detto che
“Sansone continuò a giacere fino a mezzanotte” e non che ‘Sansone continuò a giacere con lei fino a
mezzanotte’.
Andando in territorio nemico, Sansone dimostrò la sua intrepidezza. Può darsi che fosse andato a Gaza
per ‘cercare un’opportunità contro i filistei’, come era avvenuto in precedenza quando aveva cercato
moglie fra loro. (Gdc 14:4) In tal caso, a quanto pare Sansone intendeva trasformare qualsiasi azione
rivolta contro di lui in un’occasione per colpire i filistei.
Tradito da Dalila. Dopo questo episodio Sansone si innamorò di Dalila. (Vedi DALILA). Per interesse
materiale essa cercò di scoprire il segreto della forza di Sansone. Tre volte egli le diede risposte
fuorvianti. Ma a motivo della fastidiosa insistenza di lei, alla fine cedette e le rivelò che la sua forza
derivava dal fatto che era nazireo dalla nascita. Dalila allora si mise in contatto con i filistei per
consegnarlo loro e ricevere la ricompensa. Mentre Sansone dormiva sulle sue ginocchia, Dalila gli fece
radere i capelli. Al suo risveglio, egli non aveva più lo spirito di Geova, poiché si era lasciato attirare in
una situazione che provocò l’interruzione del suo nazireato. La sua forza non dipendeva dai capelli stessi,
ma da ciò che rappresentavano, cioè la speciale relazione che Sansone aveva con Geova in qualità di
nazireo. Interrotta quella relazione, Sansone non era diverso da qualsiasi altro uomo. Perciò i filistei lo
poterono accecare, legare con ceppi di rame e costringere a far girare la macina nella prigione. — Gdc
16:4-21.
Mentre Sansone languiva in prigione i filistei disposero di tenere un grande sacrificio in onore del loro
dio Dagon, a cui attribuivano il merito di aver catturato Sansone. In gran numero, inclusi tutti i signori
dell’asse, si radunarono nella casa usata per l’adorazione di Dagon. Solo sul tetto c’erano 3.000 uomini e
donne. Gli allegri filistei fecero condurre fuori della prigione Sansone, i cui capelli nel frattempo erano
ricresciuti, perché contribuisse al loro divertimento. Giunto sul posto Sansone chiese al ragazzo che lo
accompagnava di lasciargli toccare le colonne che sostenevano l’edificio. Quindi pregò Geova: “Ricordati
di me, ti prego, e rafforzami, ti prego, solo questa volta, o tu, il vero Dio, e lascia che mi vendichi sui
filistei con la vendetta per uno dei miei due occhi”. (Gdc 16:22-28) Può darsi che abbia pregato per
vendicarsi di uno soltanto dei suoi occhi riconoscendo che la loro perdita era dovuta in parte al suo
stesso errore. O può darsi che ritenesse impossibile vendicarsi completamente quale rappresentante di
Geova.
Sansone si appoggiò alle due colonne di sostegno e “si curvò con potenza”, facendo crollare la casa.
Questo provocò la sua stessa morte e quella di più filistei di quanti egli non ne avesse uccisi in tutta la
sua vita. I parenti lo seppellirono “fra Zora ed Estaol nel luogo di sepoltura di Manoa suo padre”. Quindi
Sansone morì fedele a Geova dopo avere giudicato Israele per 20 anni. Perciò il suo nome viene
giustamente menzionato insieme a quello di uomini che, grazie alla fede, furono resi potenti. — Gdc
15:20; 16:29-31; Eb 11:32-34.
Sara --- Tema: La bellezza di una moglie timorata di Dio 1PIETRO 3:3-6
it-2 882-3
SARA [principessa], Sarai (Sarài) [forse, litigiosa].
Sorellastra e moglie di Abraamo e madre di Isacco. (Ge 11:29; 20:12; Isa 51:2) In origine si chiamava
Sarai. (Ge 17:15) Aveva dieci anni meno di Abraamo (Ge 17:17) e lo sposò quando vivevano nella città
caldea di Ur. (Ge 11:28, 29) Rimase sterile finché le sue facoltà procreative furono miracolosamente
ravvivate dopo che aveva già smesso di avere le mestruazioni. — Ge 18:11; Ro 4:19; Eb 11:11.
È possibile che Sara fosse sulla sessantina quando partì da Ur insieme ad Abraamo e si stabilirono ad
Haran. A 65 anni accompagnò il marito da Haran al paese di Canaan (Ge 12:4, 5), dove rimasero per
qualche tempo a Sichem, nella regione montagnosa a E di Betel e in varie altre località, prima che una
carestia li costringesse ad andare in Egitto. — Ge 12:6-10.
Benché avanti negli anni, Sara era molto bella. Perciò Abraamo in precedenza le aveva chiesto che,
qualora fosse stato necessario nel corso dei loro viaggi, dicesse che era suo fratello, affinché altri non lo
uccidessero per prendersi lei. (Ge 20:13) Per questo in Egitto Sara fu condotta nella casa del faraone
dietro raccomandazione dei suoi principi. Ma l’intervento di Dio impedì che il faraone la violasse. Egli
restituì quindi Sara ad Abraamo, ordinando loro di lasciare il paese. Inoltre provvide un salvacondotto per
Abraamo e per tutto ciò che aveva. — Ge 12:11-20.
Degno di nota è il fatto che un antico papiro menziona un faraone che ordinò ai suoi uomini di acciuffare
una donna attraente e uccidere suo marito. Quindi il timore di Abraamo di essere ucciso a motivo di Sara
non era infondato. Invece di mettere in pericolo la propria vita nel vano tentativo di salvare l’onore della
moglie in un paese straniero, Abraamo seguì quella che gli parve la condotta più sicura. Si ricordi che
Sara, in quanto moglie, era proprietà di Abraamo. Sara fu felice di servire Geova e Abraamo in questo
modo. Le Scritture non rimproverano mai questa azione ad Abraamo.
Dieci anni dopo essere giunti per la prima volta in Canaan, Sara, ormai 75enne, volle che Abraamo
avesse rapporti con la propria schiava egiziana Agar per avere figli da lei. (Ge 16:1-3) Le difficoltà che ne
derivarono dimostrarono che non era così che Geova intendeva adempiere la promessa del “seme” fatta
in precedenza ad Abraamo. (Ge 15:1-16) Resasi conto di essere incinta, Agar cominciò a disprezzare la
sua padrona. Quando Sara si lamentò, Abraamo concesse alla moglie piena autorità di trattare Agar
come sua schiava. Umiliata da Sara, Agar fuggì via dalla padrona; comunque ritornò ubbidendo al
comando di Dio, dopo di che diede alla luce Ismaele. — Ge 16:4-16.
Circa 13 anni dopo la nascita di Ismaele, quando Abraamo ricevette da Dio il comando di circoncidere
tutti i maschi della sua casa, gli venne detto anche di non chiamare più sua moglie “Sarai”, ma “Sara”,
che significa “principessa”. A proposito di Sara, Dio disse: “Certamente la benedirò e anche ti darò da lei
un figlio; e certamente la benedirò ed essa diverrà nazioni; re di popoli verranno da lei”. (Ge 17:9-27) Non
molto tempo dopo, a Mamre, uno dei tre visitatori angelici confermò che Sara avrebbe dato alla luce un
figlio. Udito ciò, “Sara rideva dentro di sé, dicendo: ‘Dopo essermi consumata, avrò realmente piacere,
essendo per di più vecchio il mio signore?’” Rimproverata per aver riso, Sara intimorita negò di averlo
fatto. (Ge 18:1-15; Ro 9:9) Dal momento che Sara è menzionata in Ebrei 11:11 come un esempio di fede,
evidentemente il suo ridere non era un’espressione di completa incredulità, ma indicava semplicemente
che l’idea di avere un figlio in tarda età a quanto pare le sembrava un po’ umoristica. Il fatto che Sara
riconosceva (dentro di sé) Abraamo quale suo signore era segno della sua ubbidienza e sottomissione al
proprio marito e capo, ed essa è un esempio per le mogli cristiane. — 1Pt 3:5, 6.
Sara e suo marito si trasferirono a Gherar. Come in precedenza, Abraamo presentò la moglie come sua
sorella. Quindi il re di Gherar, Abimelec, prese Sara. Ancora una volta l’intervento di Geova evitò che
fosse violata. Restituendo Sara ad Abraamo, Abimelec gli diede bestiame e servi e serve, forse come
compenso per averlo temporaneamente privato della moglie. Inoltre diede ad Abraamo mille pezzi
d’argento (ca. 3.420.000 lire). Questi pezzi d’argento dovevano dimostrare che Sara era una donna
virtuosa a cui non si poteva rimproverare nulla. — Ge 20.
A 90 anni Sara ebbe la gioia di dare alla luce Isacco. Allora esclamò: “Dio ha preparato per me di che
ridere: chiunque lo udrà riderà di me”. Questo ridere era evidentemente dovuto al piacere e alla sorpresa
per la nascita del bambino. Sara allattò il figlio per cinque anni circa. Quando alla fine Isacco fu svezzato,
Abraamo fece una gran festa. In quell’occasione Sara osservò che Ismaele, il figlio di Agar, che ormai
aveva circa 19 anni, “si prendeva gioco” di Isacco o scherzava con lui in modo insolente. Temendo, pare,
per il futuro di suo figlio Isacco, Sara chiese ad Abraamo di allontanare Agar e Ismaele. Abraamo lo fece,
dopo aver avuto l’approvazione di Dio. — Ge 21:1-14.
Circa 32 anni dopo Sara morì, all’età di 127 anni, e Abraamo la seppellì “nella caverna del campo di
Macpela”. — Ge 23:1, 19, 20.
Figura in un dramma simbolico. Scrivendo la lettera ai Galati, l’apostolo Paolo spiegò che Sara moglie
di Abraamo rappresentava la “Gerusalemme di sopra”, la madre dei cristiani unti dallo spirito, lo spirituale
“seme” di Abraamo. Come Sara, la “Gerusalemme di sopra”, la simbolica donna di Dio, non è mai stata in
schiavitù e perciò anche i suoi figli sono liberi. Per diventare un libero figlio della “Gerusalemme di sopra”,
e avere ‘la sua libertà’, uno dev’essere liberato dalla schiavitù del peccato dal Figlio di Dio. (Gal 4:22-31;
5:1, nt.). Cristo Gesù disse ai discendenti naturali di Abraamo: “Verissimamente vi dico: Chiunque opera il
peccato è schiavo del peccato. Inoltre, lo schiavo non rimane nella casa per sempre; il figlio rimane per
sempre. Se perciò il Figlio vi rende liberi, sarete realmente liberi”. — Gv 8:34-36; vedi AGAR; DONNA
LIBERA.
w95 1/10 12-13 Dio viene al primo posto nella vostra famiglia?
20 Anche le mogli devono considerare l’esempio di Gesù, che non dimenticò mai che “il capo del Cristo è
Dio”. Egli fu sempre sottomesso al suo Padre celeste. Similmente, le mogli non dovrebbero dimenticare
che “il capo della donna è l’uomo”, sì, che il marito è il loro capo. (1 Corinti 11:3; Efesini 5:23) L’apostolo
Pietro esortò le mogli cristiane a considerare l’esempio delle “sante donne” dell’antichità, specialmente
quello di Sara, che “ubbidiva ad Abraamo, chiamandolo ‘signore’”. — 1 Pietro 3:5, 6.
21 A quanto pare Sara rinunciò a una casa comoda in una città prospera per vivere in tende in un paese
straniero. Perché? Forse perché preferiva quel tipo di vita? Probabilmente no. O forse perché il marito le
aveva chiesto di andare là? Sicuramente questo fu uno dei fattori, dato che Sara amava Abraamo e lo
rispettava per le sue sante qualità. (Genesi 18:12) Ma la ragione principale per cui andò con il marito fu
l’amore per Geova e il sincero desiderio di seguire la guida divina. (Genesi 12:1) Provava diletto
nell’ubbidire a Dio. La moglie di Lot, invece, esitò a fare la volontà di Dio e così guardò indietro con
rimpianto alle cose che aveva lasciato a Sodoma, la sua città. (Genesi 19:15, 25, 26; Luca 17:32) Che
tragico epilogo ebbe quel matrimonio, tutto a causa della sua disubbidienza a Dio!
22 Perciò, sia che siate mariti o mogli, è essenziale che vi chiediate: ‘Dio viene al primo posto nella nostra
famiglia? Mi sforzo veramente di assolvere nella famiglia il ruolo che Dio mi ha affidato? Mi sforzo
sinceramente di amare il mio coniuge e di aiutarlo a stringere o a mantenere una buona relazione con
Geova?’ Nella maggioranza delle famiglie ci sono anche i figli. Nel prossimo articolo analizzeremo il ruolo
dei genitori e la necessità che sia loro che i figli mettano Dio al primo posto.
Saul --- Tema: Il potere distruttivo dell’invidia e della presunzione PROVERBI 21:24
it-2 891-3
SAUL (Sàul) [chiesto [a Dio]].
Beniaminita discendente di Ieiel (presumibilmente chiamato anche Abiel) tramite Ner e Chis (1Cr 8:29-33;
9:35-39; vedi ABIEL n. 1); primo re di Israele scelto da Dio. (1Sa 9:15, 16; 10:1) Saul era di famiglia ricca.
Era un bell’uomo, dotato di grande forza fisica e agilità, e i suoi connazionali non gli arrivavano neanche
alla spalla. (1Sa 9:1, 2; 2Sa 1:23) Il nome di sua moglie era Ahinoam. Saul ebbe almeno sette figli:
Gionatan, Isvi, Malchi-Sua, Abinadab, Is-Boset (Esbaal), Armoni e Mefiboset, e due figlie, Merab e Mical.
Abner, evidentemente zio del re Saul (vedi ABNER), era comandante dell’esercito israelita. — 1Sa 14:49,
50; 2Sa 2:8; 21:8; 1Cr 8:33.
Saul crebbe in un’epoca turbolenta della storia d’Israele. L’oppressione filistea aveva ridotto la nazione
in uno stato di impotenza militare (1Sa 9:16; 13:19, 20), e gli ammoniti sotto il re Naas erano una
costante minaccia. (1Sa 12:12) A differenza di Samuele che aveva sempre giudicato fedelmente Israele, i
suoi figli pervertivano la giustizia. (1Sa 8:1-3) Considerando la situazione da un punto di vista umano e,
perciò, non tenendo conto della capacità di Geova di proteggere il suo popolo, gli anziani di Israele
rivolsero a Samuele la richiesta che nominasse su di loro un re. — 1Sa 8:4, 5.
Unto re. Allora Geova fece in modo che si presentasse l’occasione di ungere Saul quale re. Insieme al
suo servitore, Saul cercava le asine smarrite del padre. Poiché la ricerca risultò vana, egli decise di
tornare a casa. Ma il servitore suggerì di chiedere l’aiuto dell’“uomo di Dio”, che si trovava in una città
vicina. Questo portò all’incontro di Saul con Samuele. (1Sa 9:3-19) Nella sua prima conversazione con
Samuele, Saul mostrò di essere un uomo modesto. (1Sa 9:20, 21) Dopo aver consumato un pasto
sacrificale insieme a Saul, Samuele continuò a parlare con lui. L’indomani mattina Samuele unse Saul
quale re. A conferma del fatto che Dio era con Saul, Samuele gli diede tre segni profetici, che si
adempirono tutti quel giorno. — 1Sa 9:22–10:16.
In seguito, a Mizpa, quando venne scelto a sorte quale re (1Sa 10:20, 21, CEI, VR), Saul timidamente si
nascose fra il bagaglio. Trovato, fu presentato al popolo che espresse la sua approvazione gridando:
“Viva il re!” Scortato da uomini valorosi, Saul tornò a Ghibea. Per quanto uomini buoni a nulla parlassero
di lui in tono denigratorio e lo disprezzassero, Saul rimase in silenzio. — 1Sa 10:17-27.
Prime vittorie. Circa un mese dopo (secondo la lezione della Settanta greca e del Rotolo del Mar Morto
4QSama in 1Sa 10:27b) Naas re di Ammon chiese la resa di Iabes di Galaad. (Vedi NAAS n. 1). Quando
alcuni messaggeri portarono la notizia a Saul, lo spirito di Dio divenne operante su di lui. Saul radunò
subito un esercito di 330.000 uomini e lo guidò alla vittoria. Questo rafforzò la sua posizione di re, e il
popolo richiese che coloro che avevano parlato contro di lui fossero messi a morte. Ma Saul,
riconoscendo che era stato Geova a concedere la vittoria, non acconsentì. In seguito, a Ghilgal, il potere
regale di Saul fu nuovamente confermato. — 1Sa 11:1-15.
Quindi Saul si accinse a infrangere la dominazione filistea su Israele. Scelse 3.000 israeliti, 2.000
comandati da lui stesso e gli altri da suo figlio Gionatan. Agendo evidentemente sotto la direttiva del
padre, “Gionatan abbatté la guarnigione dei filistei che era a Gheba”. Per rappresaglia i filistei radunarono
un potente esercito e si accamparono a Micmas. — 1Sa 13:3, 5.
Pecca per presunzione. Frattanto Saul si era ritirato da Micmas a Ghilgal nella valle del Giordano. Là
attese per sette giorni Samuele. Ma Samuele non venne al tempo stabilito. Temendo che il nemico
potesse piombare su di lui mentre non si era assicurato l’aiuto di Geova e che un ulteriore ritardo gli
facesse perdere il suo esercito, Saul ‘si fece forza’ e offrì il sacrificio bruciato. Samuele al suo arrivo
condannò ‘l’azione stolta’ di Saul, un’azione peccaminosa. Evidentemente il peccato di Saul consisté
nell’offrire presuntuosamente il sacrificio senza ubbidire al comando di Geova, impartito per mezzo del
suo rappresentante, Samuele, di attendere che questi offrisse il sacrificio. (Cfr. 1Sa 10:8). A motivo di
questa azione il regno di Saul non sarebbe durato. — 1Sa 13:1-14.
Nel corso della campagna contro i filistei, Saul maledisse chiunque avesse preso cibo prima che fosse
stata fatta vendetta sul nemico. Quel giuramento sconsiderato ebbe terribili conseguenze. Gli israeliti si
stancarono e anche se ebbero la meglio sui filistei la loro vittoria non fu grande come avrebbe potuto
essere. Affamati, essi non attesero che il sangue degli animali scannati scolasse, violando così la legge
di Dio sulla santità del sangue. Non avendo udito il giuramento del padre, Gionatan mangiò del miele.
Saul perciò lo condannò a morte. Ma il popolo redense Gionatan, poiché per mezzo suo Israele aveva
riportato la vittoria. — 1Sa 14:1-45.
Rigettato da Dio. Tutto il regno di Saul fu contrassegnato da un susseguirsi di combattimenti contro i
filistei e altri popoli, fra cui moabiti, ammoniti, edomiti e amalechiti. (1Sa 14:47, 48, 52) Nella guerra
contro gli amalechiti Saul trasgredì al comando di Geova risparmiando il meglio dei loro greggi e delle
loro mandrie e anche il loro re, Agag. Quando gli fu chiesto perché non avesse ubbidito alla voce di
Geova, Saul si dichiarò innocente e incolpò il popolo. Solo dopo che Samuele ebbe sottolineato la gravità
del peccato ed ebbe detto che, a motivo di ciò, Geova lo rigettava come re, Saul riconobbe che il suo
errore era dovuto al fatto che aveva avuto timore del popolo. Avendo Saul supplicato Samuele di onorarlo
di fronte agli anziani e di fronte a Israele accompagnandolo, Samuele si presentò insieme a lui. Quindi
Samuele stesso mise a morte Agag. Dopo di che si separò da Saul ed essi non ebbero altri contatti. —
1Sa 15:1-35.
Dopo ciò e dopo l’unzione di Davide quale futuro re d’Israele lo spirito di Geova abbandonò Saul. Da
allora in poi “lo terrorizzò uno spirito cattivo da parte di Geova”. Avendo ritirato il suo spirito da Saul,
Geova rese possibile che un cattivo spirito si impossessasse di lui, privandolo della pace mentale ed
eccitando in modo sbagliato i suoi sentimenti, i suoi pensieri e la sua immaginazione. Non ubbidendo a
Geova, Saul mostrò una cattiva inclinazione di mente e di cuore, contro la quale lo spirito di Dio non gli
offriva alcuna protezione o forza di resistere. Ma dal momento che Geova aveva permesso che lo “spirito
cattivo” prendesse il posto del Suo spirito e terrorizzasse Saul, si poteva definirlo uno “spirito cattivo da
parte di Geova”, tanto che i servitori di Saul ne parlavano come dello “spirito cattivo di Dio”. Dietro
consiglio di uno dei suoi servitori, Saul chiese che Davide divenisse musicista di corte e lo calmasse
quando era turbato dallo “spirito cattivo”. — 1Sa 16:14-23; 17:15.
Contatti con Davide. Di nuovo i filistei minacciavano la sicurezza di Israele. Mentre questi erano
accampati da una parte del bassopiano di Ela e l’esercito del re Saul dalla parte opposta, Golia, per 40
giorni, mattina e sera, uscì dall’accampamento filisteo e sfidò Israele a trovare un uomo disposto a
cimentarsi con lui in duello. Il re Saul promise che avrebbe stretto un’alleanza matrimoniale con qualsiasi
israelita capace di abbattere Golia e che lo avrebbe anche reso ricco. Inoltre la casa del padre del
vincitore sarebbe stata ‘resa libera’, probabilmente esentata dal pagamento delle tasse e dal servizio
obbligatorio. (Cfr. 1Sa 8:11-17). Quando Davide arrivò sul posto con provviste di viveri per i suoi fratelli e
con certe porzioni per il capo di migliaia (forse il comandante agli ordini del quale prestavano servizio i
fratelli di Davide), le sue domande diedero a quanto pare l’impressione che volesse accettare la sfida.
Perciò fu condotto da Saul e in seguito riportò la vittoria su Golia. — 1Sa 17:1-58.
Diventa nemico di Davide. Allora Saul affidò a Davide il comando degli uomini di guerra, col risultato
che si inneggiò a Davide più che al re stesso. Perciò Saul cominciò a vedere Davide con sospetto e odio
alimentato dall’invidia. In un’occasione, mentre Davide suonava l’arpa, Saul ‘cominciò a comportarsi
come un profeta’. Non che cominciasse a pronunciare profezie, ma evidentemente manifestò una
particolare commozione e un turbamento fisico simile a quello di un profeta prima di profetizzare o nel
profetizzare. In preda a quell’insolito turbamento, Saul due volte scagliò una lancia contro Davide. Falliti i
suoi tentativi di inchiodarlo al muro, Saul acconsentì poi a dargli sua figlia Mical in sposa se gli avesse
portato i prepuzi di cento filistei. L’intento di Saul nel fare questa offerta era che Davide morisse per mano
loro. Il piano fallì perché Davide presentò non 100 ma 200 prepuzi per stringere un’alleanza matrimoniale
con Saul. Il timore e l’odio del re nei confronti di Davide si intensificarono. Con il figlio Gionatan e con tutti
i suoi servitori Saul parlava del suo desiderio di mettere a morte Davide. In seguito all’intercessione di
Gionatan, Saul promise di non uccidere Davide. Tuttavia questi fu costretto a fuggire per mettersi in
salvo, poiché Saul per la terza volta scagliò contro di lui una lancia. Saul fece persino sorvegliare la casa
di Davide da messaggeri e comandò che fosse messo a morte la mattina. — 1Sa 18:1–19:11.
Quella notte Davide fuggì da una finestra della sua casa e corse a Rama, dove risiedeva Samuele. Poi
insieme a Samuele si stabilì a Naiot. Quando ne ebbe notizia, Saul inviò messaggeri a prendere Davide.
Ma, una volta arrivati, essi “si comportavano da profeti”. Evidentemente lo spirito di Dio operava su di loro
in modo tale che dimenticarono completamente lo scopo della loro missione. Quando la stessa cosa
accadde anche ad altri due gruppi di messaggeri inviati da lui, Saul si recò personalmente a Rama. Egli
pure venne a trovarsi sotto il potere dello spirito di Dio, e ciò per parecchio tempo, cosa che
evidentemente diede a Davide la possibilità di fuggire. — 1Sa 19:12–20:1; vedi PROFETA (Nomina e
ispirazione).
Davide risparmia la vita a Saul, l’unto di Dio. Dopo questi vani tentativi di sopprimere Davide,
Gionatan per la seconda volta parlò in suo favore. Ma Saul si adirò al punto di scagliare una lancia contro
il proprio figlio. (1Sa 20:1-33) Da quel momento in poi Saul inseguì Davide senza posa. Saputo che il
sommo sacerdote Ahimelec aveva aiutato Davide, Saul ordinò che lui e gli altri sacerdoti fossero messi a
morte. (1Sa 22:6-19) Poi decise di attaccare la città giudea di Cheila perché Davide era là, ma rinunciò
all’impresa quando Davide fuggì. Saul continuò a dargli la caccia, inseguendolo nelle regioni desertiche.
Tuttavia un’incursione filistea interruppe l’inseguimento e permise a Davide di rifugiarsi nel deserto di En-
Ghedi. Due volte Saul venne a trovarsi in una situazione in cui Davide avrebbe potuto ucciderlo. Ma
Davide rifiutò di stendere la mano contro l’unto di Geova. La seconda volta Saul, saputo che Davide si
era trattenuto dall’ucciderlo, promise perfino di non fargli del male. Ma non era una promessa sincera,
perché abbandonò l’inseguimento solo quando seppe che Davide era fuggito nella città filistea di Gat. —
1Sa 23:10–24:22; 26:1–27:1, 4.
Saul ricorre allo spiritismo. Un anno o due dopo (1Sa 29:3) i filistei mossero contro Saul. Privo dello
spirito e della guida di Geova, e abbandonato in un disapprovato stato mentale, egli ricorse allo
spiritismo, trasgressione che prevedeva la condanna a morte. (Le 20:6) Saul, travestito, andò da una
medium a En-Dor e le chiese di evocargli il defunto Samuele. Dalla descrizione che la medium fece di ciò
che vedeva, Saul concluse che si trattasse di Samuele. Ma si noti che Geova non aveva risposto quando
Saul lo interrogava e ovviamente non lo fece mediante una pratica condannata dalla Sua legge, per la
quale era prevista la pena capitale. (Le 20:27) Perciò quello che la donna disse doveva avere origine
demonica. Il messaggio non recò alcun conforto a Saul, anzi lo riempì di timore. — 1Sa 28:4-25; vedi
SPIRITISMO.
Morte di Saul. Nel successivo conflitto con i filistei, Saul fu gravemente ferito sul monte Ghilboa e tre
suoi figli rimasero uccisi. Poiché il suo scudiero rifiutò di metterlo a morte, Saul si gettò sulla propria
spada. (1Sa 31:1-7) Circa tre giorni dopo un giovane amalechita andò da Davide vantandosi di aver
messo a morte il re ferito. Questa era una menzogna, che nelle sue intenzioni doveva servire a
procurargli il favore di Davide. Davide invece comandò che l’uomo fosse messo a morte in base alla sua
affermazione, perché Saul era stato l’unto di Geova. — 2Sa 1:1-15.
Intanto i filistei avevano fissato i cadaveri di Saul e dei suoi tre figli alle mura di Bet-San. Coraggiosi
uomini di Iabes-Galaad ricuperarono però i corpi, li bruciarono e poi seppellirono le ossa. — 1Sa 31:8-13.
Anni dopo, durante il regno di Davide, la colpa del sangue in cui erano incorsi Saul e la sua casa in
relazione ai gabaoniti fu vendicata con l’uccisione di sette suoi discendenti. — 2Sa 21:1-9.
Seba (n.1) Tema: Chi istiga altri a fare il male raccoglie ciò che semina GALATI 6:7
it-2 913-4
SEBA
1. Beniaminita figlio di Bicri che perse la vita in una rivolta contro Davide. (2Sa 20:1, 2) Mentre Davide
tornava a Gerusalemme dopo la ribellione di Absalom, Seba, “un uomo buono a nulla”, si rese conto
dell’animosità di dieci tribù nei confronti degli uomini di Giuda, la tribù di Davide. (2Sa 19:40-43) Seba
alimentò quell’ostilità, dicendo che le altre tribù non avevano “parte in Davide” e incalzando: “Ognuno ai
suoi dèi”! Gli uomini di Giuda rimasero fedeli al re, ma “tutti gli uomini d’Israele” abbandonarono Davide
per seguire Seba. Un motivo di questa ribellione poteva essere quello di ridare alla tribù di Beniamino
parte dell’importanza che aveva avuto sotto Saul.
Davide disse al suo generale, Amasa, di radunare entro tre giorni gli uomini di Giuda per combattere e
così soffocare l’insurrezione di Seba. Quando Amasa non si presentò in tempo, il re mandò Abisai a
inseguire Seba in fuga (sembra però che Gioab fratello di Abisai abbia assunto il comando durante
l’inseguimento). Seba e i suoi parenti che lo sostenevano fuggirono a N fino ad Abel-Bet-Maaca, città
fortificata di Neftali. Gli inseguitori cinsero d’assedio la città e cominciarono a scalzarne le mura. Allora
una donna saggia della città si rivolse a Gioab chiedendo la pace. Gioab replicò che l’esercito si sarebbe
ritirato se la città avesse consegnato il ribelle Seba. Udito ciò, gli abitanti della città tagliarono la testa a
Seba e la gettarono a Gioab dalle mura della città. — 2Sa 20:1-8, 13-22.
Sennacherib --- Tema: Geova libera il suo popolo SALMO 34:7 SALMO 34:19 SALMO 97:10
it-2 934-6
SENNACHERIB
(Sennàcherib) [da un termine accadico che significa “Sin (il dio-luna) ha preso per me il posto di fratelli”].
Figlio di Sargon II; re d’Assiria. Ereditò dal padre un impero potente, ma per quasi tutta la durata del suo
regno dovette sedare rivolte, specie nella città di Babilonia.
Durante il regno del padre, Sennacherib a quanto sembra era governatore o generale nel N dell’Assiria.
Dopo la sua ascesa al trono quella regione evidentemente gli diede poche preoccupazioni: le sue
difficoltà venivano più che altro da S e da O. Il caldeo Merodac-Baladan (Isa 39:1) abbandonò il suo
rifugio nell’Elam, dove Sargon, padre di Sennacherib, l’aveva relegato, e si proclamò re di Babilonia.
Sennacherib marciò contro di lui e contro i suoi alleati elamiti, sconfiggendoli a Kish. Merodac-Baladan
riuscì tuttavia a fuggire, e si diede alla macchia per altri tre anni. Sennacherib entrò in Babilonia e mise
sul trono come viceré Bel-ibni. Altre spedizioni punitive furono effettuate in seguito per tenere a bada le
popolazioni delle regioni collinari circostanti l’Assiria.
Poi, in quella che Sennacherib chiama la sua “terza campagna”, mosse contro “Hatti”, nome che in quel
tempo si riferiva evidentemente alla Fenicia e alla Palestina. (Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B.
Pritchard, 1974, p. 287) La regione era in uno stato di generale rivolta contro il giogo assiro. Uno di quelli
che avevano rifiutato la sua dominazione era Ezechia re di Giuda (2Re 18:7), anche se non ci sono prove
che si fosse alleato con altri regni in rivolta.
Nel 14° anno del regno di Ezechia (732 a.E.V.) gl i eserciti di Sennacherib avanzarono verso O,
conquistando Sidone, Aczib, Acco e altre città della costa fenicia, e poi si diressero a S. Sono elencati
diversi regni, fra cui quelli di Moab, Edom e Asdod, che intimoriti mandarono un tributo in segno di
sottomissione. La recalcitrante Ascalon fu presa con la forza insieme alle vicine città di Ioppe e Bet-
Dagon. Un’iscrizione assira accusa la popolazione e i nobili della città filistea di Ecron di avere
consegnato il loro re, Padi, a Ezechia, il quale, secondo Sennacherib, “lo teneva in prigione,
illegalmente”. (Ancient Near Eastern Texts, cit., p. 287; cfr. 2Re 18:8). Viene menzionato il fatto che gli
abitanti di Ecron avevano chiesto aiuto all’Egitto e all’Etiopia per evitare o respingere l’attacco assiro.
Secondo la Bibbia fu più o meno a questo punto che Sennacherib attaccò Giuda, assediando ed
espugnando molte città fortificate e villaggi. Ezechia allora mandò un’ambasciata agli assiri a Lachis
offrendosi di pagare qualsiasi tributo Sennacherib avesse imposto. (2Re 18:13, 14) La conquista di
Lachis da parte di Sennacherib è rappresentata in un fregio in cui lo si vede seduto su un trono davanti
alla città vinta, nell’atto di ricevere le spoglie della città mentre alcuni prigionieri vengono torturati.
La Bibbia non dice se il re Padi, ammesso che sia veramente stato prigioniero di Ezechia, venne
rimesso in libertà, ma indica che Ezechia pagò effettivamente il tributo imposto da Sennacherib di 300
talenti d’argento (più di 3.000.000.000 di lire) e 30 talenti d’oro (oltre 16.400.000.000 di lire). (2Re 18:14-
16) A questo punto comunque Sennacherib mandò una delegazione composta da tre funzionari a
intimare al re e alla popolazione di Gerusalemme di arrendersi e quindi di consentire a farsi portare in
esilio. Il messaggio degli assiri era particolarmente sprezzante nei confronti di Ezechia per la fiducia che
questi aveva in Geova. Per mezzo del suo portavoce, Sennacherib si vantò che Geova si sarebbe
mostrato impotente come gli dèi dei paesi che erano già caduti davanti alla potenza assira. — 2Re 18:17-
35.
La delegazione assira era tornata da Sennacherib, che combatteva contro Libna, quando giunse la
notizia “circa Tiraca re d’Etiopia: ‘Ecco, è uscito a combattere contro di te’”. (2Re 19:8, 9) Le iscrizioni di
Sennacherib parlano di una battaglia combattuta a Elteche (ca. 15 km a NNO di Ecron) nella quale egli
afferma di avere sconfitto un contingente egiziano e l’esercito del “re d’Etiopia”. Quindi sono descritti la
conquista di Ecron e il ritorno al trono di Padi, liberato da Sennacherib. — Ancient Near Eastern Texts,
cit., pp. 287, 288.
Geova sconfigge l’esercito di Sennacherib. Benché Sennacherib avesse inviato lettere minacciose per
avvertire Ezechia che non aveva rinunciato al suo proposito di conquistare Gerusalemme, la capitale di
Giuda (Isa 37:9-20), la Bibbia indica che gli assiri ‘non tirarono neanche una freccia né elevarono un
bastione d’assedio contro di essa’. Geova, che Sennacherib aveva schernito, mandò un angelo il quale,
in una sola notte, abbatté “centottantacinquemila [uomini] nel campo degli assiri”, costringendo
Sennacherib a ritirarsi “con la vergogna in faccia al suo proprio paese”. — Isa 37:33-37; 2Cr 32:21.
Le iscrizioni di Sennacherib non fanno menzione della disfatta subita dal suo esercito. Ma, come
osserva Jack Finegan, “dato il tono vanesio che permea le iscrizioni del re assiro, c’è . . . da aspettarci
che Sennacherib non avrebbe raccontato una simile sconfitta”. (Luci del lontano passato, trad. di G.
Cambon, Milano, 1957, p. 182) Tuttavia è interessante notare la versione di Sennacherib, scritta su
quello che è noto come il Prisma di Sennacherib ora conservato nell’Istituto Orientale dell’Università di
Chicago. Egli dice in parte: “In quanto a Ezechia, il giudeo, che non si sottomise al mio giogo, io assediai
46 delle sue città forti, fortezze cinte da mura e innumerevoli villaggi dei dintorni, e (le) conquistai
mediante rampe (di terra) ben battute, e arieti portati (in tal modo) vicino (alle mura, e con) l’attacco di
soldati a piedi, (mediante) gallerie, brecce e anche impiego di genieri. Deportai (da queste) 200.150
persone, giovani e vecchi, maschi e femmine, innumerevoli cavalli, muli, asini, cammelli, bestiame grosso
e minuto, e (li) considerai bottino. Lui stesso [Ezechia] imprigionai a Gerusalemme, la sua residenza
reale, come un uccello in gabbia. . . . Le sue città che avevo saccheggiate, tolsi dal suo territorio e le diedi
a Mitinti, re di Asdod, a Padi, re di Ecron, e a Sillibel, re di Gaza. . . . Ezechia stesso, . . . mi inviò, poi, a
Ninive, mia sfarzosa città, insieme a 30 talenti d’oro, 800 talenti d’argento, pietre preziose, antimonio,
grossi tagli di pietra rossa, divani (intarsiati) d’avorio, sedili-nimedu (intarsiati) d’avorio, pelli di elefante,
ebano, bosso (e) ogni specie di tesori preziosi, le sue (stesse) figlie, concubine, musicisti uomini e donne.
Per pagare il tributo e per rendere omaggio come uno schiavo egli inviò il suo messaggero (personale)”.
— Ancient Near Eastern Texts, cit., p. 288.
Questa versione vanagloriosa gonfia il numero dei talenti d’argento inviati, facendoli salire da 300 a 800,
e senza dubbio fa la stessa cosa con altri particolari del tributo; ma sotto altri aspetti conferma in modo
notevole la narrazione biblica e mostra che Sennacherib non si attribuì la conquista di Gerusalemme. Va
però notato che Sennacherib presenta il pagamento del tributo da parte di Ezechia come se fosse
avvenuto dopo la minaccia assira di assediare Gerusalemme, mentre la Bibbia indica che fu pagato
prima. Un dizionario biblico fa questa osservazione circa la probabile ragione di questa inversione: “La
conclusione di questa campagna di [Sennacherib] è poco chiara. Quello che fece dopo la conquista di
Ecron . . . è ancora un mistero. Nei suoi annali [Sennacherib] colloca a questo punto la punizione da lui
inflitta a Ezechia, l’invasione del paese di Giuda, e il riassetto del territorio e delle città di Giuda.
Quest’ordine degli avvenimenti sembra voler nascondere qualche cosa che preferisce non menzionare”.
(Funk and Wagnalls New Standard Bible Dictionary, 1936, p. 829) La Bibbia spiega che Sennacherib,
dopo la disfatta delle sue truppe determinata da Dio, si affrettò a tornare a Ninive, e quindi il resoconto di
Sennacherib, invertendo l’ordine degli avvenimenti, convenientemente dice che il tributo di Ezechia gli fu
pagato a Ninive per mezzo di un messaggero speciale. È certo significativo il fatto che antichi documenti
e iscrizioni non menzionino altre campagne di Sennacherib in Palestina, benché gli storici sostengano
che regnò per altri 20 anni.
Giuseppe Flavio, storico ebreo del I secolo E.V., sostiene di citare il babilonese Beroso (vissuto, si
pensa, nel III secolo a.E.V.) che avrebbe riportato l’episodio come segue: “Quando Sennacherib tornò a
Gerusalemme dalla sua guerra con l’Egitto, vi trovò l’esercito sotto Rabsache in pericolo per una piaga,
poiché Dio aveva fatto abbattere una pestilenza sul suo esercito, e la prima notte dell’assedio
centottantacinquemila uomini erano periti con i loro comandanti e ufficiali”. (Antichità giudaiche, X, 21 [i,
5]) Alcuni commentatori cercano di spiegare la disfatta citando il resoconto scritto da Erodoto (II, 141) nel
V secolo a.E.V. nel quale egli afferma che “un gran numero di topi di campagna durante la notte
avventatisi contro di loro, ne rosicchiarono le faretre, gli archi e le cinghie degli scudi”, così che non
furono in grado di portare a termine l’invasione dell’Egitto. Questo documento naturalmente non coincide
con la storia biblica, e la descrizione di Erodoto della campagna assira non concorda neanche con le
iscrizioni assire. Comunque gli scritti di Beroso e di Erodoto in effetti ammettono che durante questa
campagna le forze di Sennacherib incontrarono un’improvvisa e calamitosa difficoltà.
I guai di Sennacherib non erano però finiti, e dopo il suo ritorno in Assiria dovette sedare un’altra rivolta
a Babilonia, provocata da Merodac-Baladan. Questa volta Sennacherib costituì il proprio figlio,
Assurnadin-sumi, re di Babilonia. Sei anni dopo Sennacherib si imbarcò in una campagna contro gli
elamiti, ma questi per rappresaglia invasero la Mesopotamia, catturarono Assurnadin-sumi e misero il
proprio re sul trono di Babilonia. Seguirono diversi anni di lotta per il dominio della regione, finché alla fine
Sennacherib adirato si vendicò su Babilonia radendola al suolo, azione senza precedenti visto il ruolo di
Babilonia, “città santa” di tutta la Mesopotamia. I restanti anni del regno di Sennacherib furono a quanto
pare privi di episodi di rilievo.
Sembra che Sennacherib sia morto circa 20 anni dopo la sua campagna contro Gerusalemme. Questa
data è desunta da documenti assiri e babilonesi di dubbia attendibilità. Ad ogni modo va notato che la
Bibbia non dice che Sennacherib sia morto immediatamente dopo il suo ritorno a Ninive. “In seguito entrò
nella casa del suo dio”, Nisroc, e i suoi figli, Adrammelec e Sarezer, “lo abbatterono con la spada”, e
fuggirono nel paese di Ararat. (2Cr 32:21; Isa 37:37, 38) Questo è confermato da un’iscrizione di Esar-
Addon, suo figlio e successore. — D. D. Luckenbill, Ancient Records of Assyria and Babylonia, 1927, vol.
II, pp. 200, 201; vedi ESAR-ADDON.
Opere architettoniche. L’impero assiro non ebbe dunque una particolare espansione sotto Sennacherib.
Egli tuttavia portò a termine ambiziose opere architettoniche a Ninive, alla quale aveva restituito il ruolo di
capitale. L’immenso palazzo da lui erettovi era un complesso di sale, cortili e locali da cerimonia con
un’area di 450 m per 210. Per portarvi l’acqua, costruì un acquedotto lungo 48 km, che passava sopra il
fiume Gomel e serviva sia per irrigare giardini e parchi che per rafforzare il sistema difensivo della città
alimentando il fossato che la circondava.
w87 1/9 20-3 Guardatevi dalla "Pace e sicurezza" prospettata dalle nazioni
Confidate in Geova per avere pace e sicurezza
14 Prima del tempo di Isaia la nazione delle dodici tribù d’Israele si era divisa sulla questione del regno.
Questo avvenne dopo il glorioso regno del re Salomone. Le dieci tribù secessioniste del nord istituirono
quello che fu poi chiamato il regno d’Israele, con capitale Samaria. Le due restanti tribù, Giuda e
Beniamino, rimasero leali alla dinastia reale di Davide, che regnava a Gerusalemme. Il regno delle dieci
tribù d’Israele divenne ostile al regno di Giuda, formato dalle due tribù. Col tempo il regno d’Israele si
alleò con quello di Siria, la cui capitale era Damasco. L’idea era di rovesciare il regno di Giuda e
soggiogarlo. Avrebbe dunque il regno di Giuda dovuto allearsi con qualche altra nazione potente allo
scopo di resistere al furioso assalto della nazione d’Israele e del suo alleato pagano, la Siria? — Isaia
7:3-6.
15 Nel piccolo regno di Giuda c’erano quelli che avevano perso la fede nel Dio nazionale, Geova. Questi
erano favorevoli a un’alleanza, o cospirazione, con un potente regno pagano di questo mondo. Nel
promuovere una siffatta unione infedele tra il divino regno di Giuda e un regno del mondo empio, alcuni
dicevano agli indecisi nel regno di Giuda: “Cospirazione!” Tradivano così la loro mancanza di fede e
fiducia nell’Iddio il cui tempio si trovava a Gerusalemme. Il profeta Isaia fu ispirato a denunciare tale
cospirazione, dicendo nel capitolo 8, versetto 12 di Isaia: “Non dovete dire: ‘Cospirazione!’ rispetto a tutto
ciò di cui questo popolo continua a dire: ‘Cospirazione!’ e non dovete temere l’oggetto del loro timore, e
non dovete tremare davanti a esso”.
16 Il fatto di essere in una relazione di patto con Geova significava per il popolo pace e sicurezza. Se ne
ebbe una prova quando il monarca assiro Sennacherib inviò un comitato di tre alti ufficiali per intimare la
resa al re Ezechia e al popolo di Gerusalemme. L’ufficiale e portavoce assiro Rabsache si piazzò davanti
alle mura di Gerusalemme e schernì arrogantemente Geova Dio nell’intento di indebolire o distruggere la
fiducia dei giudei in Lui. Grandemente addolorato per questa offesa nei confronti del vivente e vero Dio
Geova, e giustamente consapevole del fatto che Gerusalemme era in pericolo davanti alla travolgente
orda assira, Ezechia si recò al tempio e mise la questione nelle mani di Geova Dio. Compiaciuto di
questa espressione di grande fede in lui e di questa invocazione perché desse prova della sua sovranità
universale, Geova rispose in maniera favorevole. Il suo profeta Isaia li rassicurò ulteriormente. Al
minaccioso assiro Rabsache non fu data nessuna risposta, proprio come aveva ordinato Ezechia. — 2
Re 18:17-36; 19:14-34.
17 Indubbiamente molto sorpreso da questo, Rabsache tornò all’accampamento di Sennacherib, che
stava allora combattendo contro Libna. (2 Re 19:8) Udito il rapporto di Rabsache, Sennacherib inviò a
Ezechia lettere di minaccia, avvertendolo: “Non ti inganni il tuo Dio in cui confidi, dicendo: ‘Gerusalemme
non sarà data in mano al re d’Assiria’”. (2 Re 19:9, 10) Calata la notte, Geova Dio provvide a rispondere a
modo suo al portavoce assiro Rabsache ed Egli stesso diede una risposta alle minacciose lettere di
Sennacherib, confermando la propria superiorità rispetto al dio imperiale dell’Assiria. La conclusione del
racconto di questo episodio, riportata in 2 Re 19:35, dice: “E avvenne quella notte che l’angelo di Geova
usciva e abbatteva centottantacinquemila nel campo degli assiri. Quando il popolo si alzò la mattina di
buon’ora, ebbene, ecco, erano tutti cadaveri, morti”. Quando all’alba gli assiri superstiti, incluso il re
Sennacherib e forse Rabsache, si svegliarono, videro tutt’intorno l’orrendo spettacolo delle vittime della
guerra contro Geova Dio.
18 Sconfitto nei suoi ambiziosi progetti contro l’organizzazione di Geova e tremendamente umiliato,
Sennacherib se ne tornò di corsa e “con la vergogna in faccia” nella capitale del suo paese, Ninive, solo
per esservi assassinato da due dei suoi figli. (2 Cronache 32:21; 2 Re 19:36, 37) L’impero assiro non
costituì mai più una minaccia per la visibile organizzazione di Geova. Quella fu una rivendicazione in
grande stile della sovranità universale dell’Iddio Altissimo. Inoltre, la protezione concessa a Gerusalemme
è un eccellente esempio che mostra in chi gli odierni testimoni di Geova dovrebbero riporre piena fiducia
per godere una continua e imperturbabile pace e sicurezza: non in una cospirazione politica, ma in
Geova Dio.
State in guardia
19 Per aiutarvi a stare in guardia, la Società (Watch Tower) continuerà a stampare nelle sue pubblicazioni
opportuni avvertimenti per il pubblico dei lettori, affinché non siate colti impreparati dalla pretenziosa
proclamazione futura di “Pace e sicurezza” da parte delle nazioni di questo vecchio sistema di cose.
20 I dedicati testimoni di Geova non possono in alcun modo incoraggiare la fiducia nella “Pace e
sicurezza” che sarà ottimisticamente proclamata dalle nazioni del mondo; né possono congratularsi con
gli ideatori di tale “Pace e sicurezza” internazionale e rimanere nel contempo dalla parte di Geova Dio. Si
guardano bene dal far lega con le nazioni di questo vecchio sistema di cose. Non dimenticano che
nell’anno postbellico del 1919 venne all’esistenza una nuova “nazione”, separata e distinta dalla Lega
delle Nazioni. Questa nuova “nazione” continua a crescere e ad espandersi in tutta la terra, proprio come
fu predetto in Isaia 60:22: “Il piccolo stesso diverrà mille, e l’esiguo una nazione potente. Io stesso,
Geova, l’affretterò al suo proprio tempo”. Sì, ora è per tutti il tempo di guardarsi dall’imminente “Pace e
sicurezza” prospettata dalle nazioni.
Sichem (n.1) --- Tema: L’immoralità sessuale può avere conseguenze devastanti EBREI 13:4
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SICHEM (Sìchem) [spalla [di terra]].
1. Figlio di Emor, capo principale ivveo. (Ge 33:19; Gsè 24:32) Dopo che Giacobbe si era stabilito nei
pressi della città di Sichem (vedi n. 4), sua figlia Dina cominciò a frequentare le ragazze della città.
Sichem, descritto come l’uomo “più onorevole dell’intera casa di suo padre”, vide Dina e “giacque con lei
e la violentò”. Poi, innamoratosi di lei, chiese di sposarla. Ma i figli di Giacobbe, adirati per tutta la
faccenda, “con inganno” dissero che potevano prendere accordi matrimoniali solo con uomini circoncisi.
Questo sembrò giusto a Sichem e a suo padre Emor, ed essi convinsero i sichemiti a farsi circoncidere.
Tuttavia, prima che gli uomini di Sichem potessero rimettersi dalla circoncisione, Simeone e Levi, figli di
Giacobbe, attaccarono la città e uccisero Emor, Sichem e tutti gli altri uomini. — Ge 34:1-31.
W 62 pag. 721
Simei (n.12) --- Tema: L’ubbidienza può salvarvi la vita 1° SAMUELE 15:22
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SIMEI (Simèi) [forse, forma abbreviata di Semaia, che significa “Geova ha udito (ascoltato)”].
12. Beniaminita del villaggio di Baurim. Simei, figlio di Ghera, di una famiglia della casa del re Saul, per
anni dopo la morte di Saul e la rimozione del potere regale dalla sua casa nutrì rancore nei confronti di
Davide. Simei colse l’opportunità di dar libero sfogo alla collera a lungo repressa quando Davide e quelli
con lui fuggivano da Gerusalemme a motivo della ribellione di Absalom. Appena a E del Monte degli Ulivi,
Simei prese a seguirli gettando pietre e polvere contro di loro e maledicendo Davide. Abisai chiese a
Davide il permesso di uccidere Simei, ma Davide rifiutò di darglielo, sperando che Geova trasformasse la
maledizione di Simei in una benedizione. — 2Sa 16:5-13.
Al ritorno di Davide, quando la situazione si era capovolta, Simei e altri mille beniaminiti furono i primi ad
andargli incontro, e Simei s’inchinò davanti a lui e dichiarò di essersi pentito dei propri peccati. Di nuovo
Abisai voleva ucciderlo, ma ancora una volta Davide non lo permise, e in questo caso giurò che non
avrebbe messo a morte Simei. (2Sa 19:15-23) Tuttavia prima di morire Davide disse a Salomone di “far
scendere i suoi capelli grigi nello Sceol col sangue”. — 1Re 2:8, 9.
All’inizio del suo regno Salomone chiamò Simei e gli ordinò di trasferirsi a Gerusalemme e di non
lasciare la città: se lo avesse fatto sarebbe stato messo a morte. Simei accettò queste condizioni, ma tre
anni dopo lasciò la città per ricuperare due schiavi che erano fuggiti a Gat. Informato di questa violazione,
Salomone chiese a Simei per quale ragione avesse infranto il giuramento fatto a Geova e ordinò a
Benaia di metterlo a morte. — 1Re 2:36-46.
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SIMEONE [da una radice ebraica che significa “udire; ascoltare”].
1. Il secondo dei dodici figli di Giacobbe; così chiamato perché, come disse sua madre Lea, “Geova ha
ascoltato, in quanto ero odiata ed egli mi ha dato anche questo”. — Ge 29:32, 33; 35:23-26; 48:5; Eso
1:1-4; 1Cr 2:1, 2.
Quando suo padre Giacobbe era accampato nei pressi di Sichem, Simeone, insieme al fratello minore
Levi, manifestò furore vendicativo, con irragionevole asprezza e crudeltà. In modo arbitrario, senza che il
padre ne fosse a conoscenza o acconsentisse, si accinsero a vendicare l’onore della loro sorella minore,
Dina, uccidendo i sichemiti, cosa che causò l’ostracismo dell’intera famiglia. — Ge 34:1-31.
In seguito Simeone commise un’altra trasgressione tramando insieme ai fratelli per uccidere Giuseppe.
(Ge 37:12-28, 36) Non è precisato se Simeone, il secondogenito, fosse o meno l’istigatore di questo
attentato alla vita di Giuseppe. Anni dopo, quando Giuseppe, amministratore annonario d’Egitto, mise alla
prova i fratelli, Simeone venne scelto da lui per essere legato e imprigionato finché gli altri fratelli non
avessero condotto Beniamino in Egitto. — Ge 42:14-24, 34-36; 43:15, 23.
Poco prima di morire, Giacobbe, nel benedire i figli, ricordò con disapprovazione la violenza con cui
Simeone e Levi avevano agito molti anni prima nei confronti dei sichemiti: “Le loro armi per scannare
sono strumenti di violenza. Nel loro intimo gruppo non entrare, o anima mia. Non ti unire alla loro
congregazione, o mia disposizione, perché nella loro ira uccisero uomini, e nel loro arbitrio tagliarono i
garretti ai tori. Maledetta sia la loro ira, perché è crudele, e il loro furore, perché opera aspramente.
Fammeli spartire in Giacobbe e fammeli disperdere in Israele”. (Ge 49:5-7) In tal modo Giacobbe eliminò
qualunque speranza Simeone potesse avere di ricevere la primogenitura persa dal fratello maggiore
Ruben. Simeone ebbe sei figli, uno dei quali da una cananea. Come era stato profetizzato, la parte
spettante alla tribù di Simeone non era unita a quella di Levi, anzi i due furono ‘dispersi’; anche
internamente la parte di Simeone era divisa, essendo costituita da città isolate entro il territorio di Giuda.
— Ge 46:10; Eso 6:15; 1Cr 4:24; Gsè 19:1.
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Ulda — Tema: Geova ispira un’intrepida profetessa 2°RE 22:14, 15
w95 15/7 14 Il dignitoso ruolo delle donne fra gli antichi servitori di Dio
Secoli dopo, il re Giosia, per interrogare Geova, mandò dalla profetessa Ulda una delegazione di cui
faceva parte il sommo sacerdote. Ulda poté autorevolmente rispondere: “Geova l’Iddio d’Israele ha detto
questo”. (2 Re 22:11-15) In quell’occasione il re comandò alla delegazione di andare da una profetessa,
ma allo scopo di ricevere istruzioni da Geova. — Confronta Malachia 2:7.