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Heidegger Lettera sull umanismo Sartre esistenzialismo è un umanismo Rorty

Diego Fusaro, ESSERE SENZA TEMPO. ACCELERAZIONE DELLA STORIA E DELLA VITA , Bompiani, Milano 2010, prefazione di

Andrea Tagliapietra, 411 pagg., 12 euro., http://www.filosofico.net/esseresenzatempo.htm

Mi affretto dunque sono. Sembra questo il nostro destino. Vi siete mai chiesti perché ogni vostra giornata è all'insegna della fretta e dell'"essere-

senza-tempo"? Perché non abbiamo mai abbastanza tempo per fare ciò che vorremmo o dovremmo fare? Qual è il senso di questa accelerazione

di ogni settore della nostra esistenza? Sorge il sospetto - già messo a fuoco da Heidegger - che questa velocizzazione elettrificante sia

autoreferenziale, svuotata di ogni significato e volta a riprodurre a ritmi sempre più intensi la realtà così com'è, il "capitalismo assoluto-

totalitario". Ci affrettiamo senza sosta e, al tempo stesso, non sappiamo dove stiamo andando. La dimensione del futuro si è eclissata e viviamo

in un eterno presente, in cui l'orizzonte è sempre, immancabilmente, il presente stesso: l'eternizzazione del presente si accompagna alla

desertificazione dell'avvenire, in un mondo disincantato che ha smesso di credere a Dio ma non al mercato. Se la modernità aveva perseguito

futuri migliori, in nome dei quali accelerare la marcia, il nostro tempo vive del e nel presente, in una programmatica rinuncia all'avvenire e alle

promesse inevase del moderno. E non di meno sopravvive, e si fa anzi sempre più intensa, l'accelerazione dei nostri ritmi esistenziali. Il nesso tra

capitalismo e nichilismo dell'accelerazione risulta qui lampante, soprattutto se si esamina un fenomeno del paesaggio postmoderno: il cosiddetto

"consumismo". L'ideologia che serpeggia tra le pieghe della società consumistica è quella dell' emergenzialità assoluta e del tempo cairologico:

per poter essere sempre al passo coi tempi e con la moda, bisogna affrettarsi nell'acquistare le nuove merci (emergenzialità) e saper cogliere il

momento opportuno (il tempo cairologico) per arrivare primi, bruciando sul tempo gli altri consumatori, secondo una versione postmoderna

del carpe diem. Non stupisce, in quest'ottica, che le mode cambino sempre più in fretta, al punto da diventare "stagionali". Anche in questo

risiede, d'altro canto, la contraddittorietà della religione consumistica, che proclama a gran voce l'imperativo della soddisfazione dei clienti e che

in segreto coltiva l'obiettivo opposto, ossia la loro costante insoddisfazione, unica garanzia affinché essi non restino indifferenti alle nuove merci

che ogni giorno vengono al mondo. La soddisfazione dei desideri tramite le merci è sempre parziale, lascia ogni volta molto a desiderare, è

suscettibile di miglioramento e - questa la conseguenza - è sempre rinviata a un domani che, costantemente differito, non arriverà mai:

l'esistenza del consumatore non risiede nel godimento delle merci possedute, ma in una perenne quanto snervante condizione di fretta e di

dinamismo scaturente dal rincorrere le nuove merci che quotidianamente vedono la luce. Dopo un attimo, arriverà puntualmente un altro attimo,

denso di nuove promesse di soddisfazione e, dunque, tale da indurre a una corsa forsennata da una merce che non ha soddisfatto appieno i

nostri desideri a una nuova merce, non ancora collaudata ma analoga - nella sua struttura - a quella precedente; proprio come, del resto, nella

società consumistica, l'attimo successivo è sempre qualitativamente analogo a quello precedente. Il futuro ha cessato di essere pensabile,

secondo il pathos dell'escatologia benjaminiana, come "la piccola porta da cui poteva entrare il Messia" per trasformarsi in una porta infernale da

cui sempre rientra lo stesso presente, in una "danse macabre" di istanti che muoiono per poi rinascere tali e quali.
Diego Fusaro, "Essere senza tempo.
Accelerazione della storia e della vita" (Bompiani, 2010, 410 pagg., 12 euro, con prefazione di Andrea Tagliapietra):
http://www.filosofico.net/esseresenzatempo.htm

Viviamo nell'epoca della fretta, un "tempo senza tempo" in cui tutto corre scompostamente, impedendoci non soltanto di vivere pienamente gli
istanti presenti, ma anche di riflettere serenamente su quanto accade intorno a noi. L'endiadi di essere e tempo a cui Martin Heidegger aveva
consacrato il suo capolavoro del '27 sembra oggi riconfigurarsi nell'inquietante forma di un perenne essere senza tempo. Figlio legittimo
dell'accelerazione della storia inaugurala dalla Rivoluzione industriale e da quella francese, il fenomeno della fretta fu promosso dalla passione
illuministica per il futuro come luogo di realizzazione di progetti di emancipazione e di perfezionamento, la nostra epoca "postmoderna", che pure
ha smesso di credere nell'avvenire, non ha per questo cessato di affrettarsi, dando vita a una versione del tutto autoreferenziale della fretta: una
versione nichilistica, perché svuotata dai progetti di emancipazione universale e dalle promesse di colonizzazione del futuro. Nella cornice
dell'eternizzazione dell'oggi resa possibile dalla glaciale desertificazione dell'avvenire determinata dal capitalismo globale, il motto dell'uomo
contemporaneo - mi affretto, dunque sono - sembra accompagnarsi a una assoluta mancanza di consapevolezza dei fini e delle destinazioni
verso cui accelerare il processo di trascendimento del presente.

INDICE

Prefazione di Andrea Tagliapietra


1. Non c'è tempo! Modernità irrequieta.
1. Mi affretto dunque sono. Fenomenologia della fretta.
2. L'impazienza della storia: cenni sul moderno regime di temporalità.
3. Tutto corre. Ipertrofia dell'aspettativa e «futuro-centrismo» dei concetti.
4. The time is out of joint: tutto ciò che è solido si dissolve nell'aria.

2. Che fretta c'era? Genealogia dell'«essere-senza-tempo».


1. Rivoluzione industriale e velocizzazione della tecnica, della scienza e della produzione.
2. Dialettica dell'impazienza. Rivoluzione francese e accelerazione del mutamento socio-politico.
3. Lotte per il tempo. Accelerazione dei ritmi di vita e sindrome della fretta.
4. Le «locomotive della storia»: il treno come simbolo della temporalità moderna.

3. Sempre più veloce. Testimonianze moderne del tempo rapido.


1. Carpe diem. Tempo che stringe e passione per il futuro.
2. Il più veloce dei mondi possibili. Fretta e utopie del tempo nella letteratura.
3. «Come se la storiografia non riuscisse più a tenere il passo della storia»: il punto di vista degli storici.
4. «Verrò presto!»: la fretta come secolarizzazione di un'idea ebraica e cristiana.
5. La genesi dell'idea di «abbreviazione dei tempi» tra religione e scienza.

4. Tempus fugit. Filosofie della fretta.


1. Riguadagnare il tempo perduto: strategie dell'alta velocità.
2. Kant e l'accelerazione del progresso come imperativo categorico dell'umanità.
3. Hegel e lo «Spirito del mondo» con gli stivali delle sette leghe.
4. Il tempo delle merci: Marx e la concezione materialistica dell'accelerazione.
5. Time is money. Capitalismo e astuzia dell'accelerazione.
6. Lenin, Hitler e le «cronopolitiche» della fretta.

5. Accelerazione senza futuro e nichilismo della fretta.


1. Il disagio della velocità e la tirannia dell'istante.
2. Niente tempi morti, per favore! Internet e la fretta globalizzata.
3. Dal «futuro passato» all'«eterno presente»: accelerazione postmoderna.
4. Elogio della tartaruga. Cairologia consumistica e nuove emorragie di tempo.
5. Eternizzazione del presente, desertificazione dell'avvenire.

A. Pieretti – TV metafora del postmoderno

Capitolo primo – Nel segno del tempo

I. Il flusso come modello di programmazione

Nell'ultimo decennio la televisione si è trasformata, alcune caratteristiche possono far parlare di un inizio di
neo-televisione. In particolare, la ricerca del contatto con il pubblico è diventata predominante rispetto alla
funzione referenziale del discorso sul mondo.

La transizione non si può ancora dire definitiva, in quanto ancora deve arrivare la digitalizzazione con
l'interattività, e le differenze tra i generi sono ancora sensibili.

C'è però la tendenza a passare dall'”effetto programma” all'”effetto flusso”: è cambiato il modo di concepire i
palinsesti, e il modello concettuale di riferimento (spazio, tempo, comunicazione) è diventato più leggero ed
evanescente. Inoltre la TV sta influenzando il modo di guardare la realtà del suo pubblico.

Per capire queste trasformazioni, occorre prendere in considerazione la peculiarità della TV come medium.
E ciò che la contraddistingue è il fenomeno del flusso. Questo è dovuto sia a caratteristiche tecnologiche che
alla moltiplicazione delle reti e dei canali, che ha fatto sì che la TV sia in grado di disporre di una potenzialità
quasi illimitata di trasmissione.

La prima conseguenza di ciò è che il palinsesto è diventato ricorsivo: non c'è più soluzione di continuità tra
un giorno e l'altro, i programmi si susseguono ininterrottamente. Il dissolversi dei termini giornalieri
indebolisce l'unità testuale.

La stessa cosa avviene per i programmi, che sono sempre meno unità indipendenti e tendono sempre più,
tramite rimandi, richiami, a legarsi tra loro e ad assomigliarsi per forma e contenuto. Diventano “sequenze”.

La distinzione dei programmi secondo generi ben definiti non è più il paradigma principale della ricezione.
L'esperienza caratteristica diventa quella della sequenza o flusso.

Il flusso televisivo è indipendente tanto dall'informazione che trasmette che dai processi comunicativi che
determina. Opera come un modo specifico di segmentare e selezionare le unità testuali (o programmi) in
modo da disporle secondo un criterio che ne faciliti lo scorrimento. In questo suo carattere seriale e
processuale, è espressione diretta della specificità tecnologica del medium.

Dayan e Katz hanno fatto notare che il flusso televisivo in alcuni casi si interrompe: accade quando la TV
trasmette gli avvenimenti di grande importanza, come competizioni sportive mondiali, cerimonie solenni, ecc.
Questi eventi vengono trasmessi in diretta interrompendo “il normale flusso della vita”, introducono nella
programmazione un aspetto cerimoniale che richiede un trattamento reverenziale ed implica la risposta di un
pubblico devoto. Essi favoriscono un'esperienza comunitaria ed egualitaria, anche di integrazione sul piano
culturale. E producono un effetto ben preciso sulla memoria storica dell'intera umanità coinvolta.
Nell'attendere a questo ruolo determinano ciò che deve essere conservato negli “archivi elettronici”, al di là
dell'opinione degli storici.

Tali eventi non contraddicono la tesi del flusso come aspetto peculiare del medium TV. Si tratta solamente di
momenti in cui vengono alla ribalta programmi concepiti come “opere chiuse”, che richiedono anche
un'analisi di tipo pragmatico (in quanto richiedono la partecipazione del pubblico), e in cui l'aspetto
tecnologico svolge un ruolo più limitato.

Inoltre è da considerare che anche in questi eventi mediali il mezzo ha un ruolo importante, soprattutto nel
selezionare ciò che dell'evento sarà evidenziato e ciò che sarà scartato. Il dispositivo mediatico invade
l'evento, ne condiziona lo svolgimento e gli atteggiamenti degli attori. La TV diventa il soggetto principale
nella costruzione delle cerimonie pubbliche, trasformandone la natura.

Come si articola la specificità del flusso?

Sotto l'aspetto tecnologico, riflette la natura tecnologica del medium: funge da criterio di selezione e di
organizzazione di unità testuali (programmi), distinti e internamente omogenei, che si susseguono intervallati
dalle interruzioni pubblicitarie o dallo zapping.
Sotto l'aspetto culturale, il flusso è un riflesso della moltiplicazione dei generi e dei sottogeneri prodottasi nei
palinsesti televisivi in seguito all'aumento illimitato delle ore di trasmissione, e a causa delle nuove
concatenazioni sintagmatiche dovute al passaggio dalla discontinuità alla continuità. Esso rispecchia la
successione di programmi diversi tra loro ma articolati secondo un criterio di crescente omogeneità ed
equilibrio, e si dispiega come sequenza.

Il flusso equivale alla realizzazione di un palinsesto , ma si realizza con modalità diverse a seconda
dell'identità delle unità testuali:

 nel caso le unità si configurino come entità distinte ed omogenee al loro interno (opere chiuse) il
flusso svolge la funzione di salvaguardare questa loro identità, e di disporle in successione

 nel caso in cui invece le unità si dispieghino come sequenze, il flusso svolge la funzione di
connetterle e assicurarne la continuità.

Nella realtà non c'è contraddizione tra i due tipi di programmazione, e anzi essi si intrecciano molto più
frequentemente di quanto non si possa supporre, rendendo fluida e articolata la struttura del palinsesto.

Negli anni settanta era nettamente predominante il modello tipico delle “opere chiuse”, e il flusso operava nel
senso di assicurare la specificità dei singoli programmi.

Oggi invece la funzione del flusso, pur restando determinante, è diventata più “leggera”. Questo in quanto si
è intensificato il rapporto con i modelli di programmazione: se i palinsesti sembrano richiamarsi sempre alla
vecchia logica della TV generalista, i modelli sono però molteplici e diversificati.

 Un primo modello di programmazione è quello che fa affidamento sulla ripetizione e la ridondanza


che danno omogeneità a programmi “chiusi” (tipo show del sabato sera), oppure quello degli spettacoli-
contenitore della domenica pomeriggio, con formato caratterizzato da un'accurata scelta e
concatenazione dei generi. In entrambi i casi il flusso è incentrato su un numero limitato e stabile di
elementi, necessari per conferire al programma una completa strutturazione e per garantire un effetto
trascinamento sullo spettatore.

 Un altro modello è quello basato sull'aspetto concettuale o di contenuto. Esso è rivolto ad


assicurare il giusto scorrimento alle unità testuali o sequenze e ad evidenziare che sono connesse da una
logica di fondo (ad es. rievocazione storica, celebrazione di un personaggio, risultati elettorali, ecc.). In
questo caso il flusso è subordinato al tema, e alla sua capacità di rendere un programma omogeneo al
suo interno e diversificato rispetto al palinsesto.

 Un modello completamente diverso è quello in cui il flusso ha un ruolo predominante nei confronto
della struttura interna e dei contenuti. In particolare nella programmazione “a griglia”, si fa leva su
un'audience ben determinata e si distribuiscono i programmi in fasce orarie precise. In questo caso il
flusso è il cardine intorno al quale ruota la programmazione, per cui viene ridimensionato il ruolo delle
singole unità tematiche.

 Un caso estremo e non molto frequente è quello in cui la programmazione è finalizzata alla
costruzione di modelli di fruizione del mezzo televisivo stesso, più che dei programmi. Il flusso è
strettamente legato ai criteri di produzione: si dispiega in modo da determinare una diminuzione della
differenza tematica tra i programmi, e una rimozione degli ostacoli alla continuità della fruizione (vedi
canali di informazione mondiali, tipo CNN). Il segmento-opera scompare, inghiottito da uno scorrimento
che finisce con l'acquisire uno spessore in quanto tale e diventa testo. Il fenomeno si è ampliato
soprattutto con l'avvento delle televisioni tematiche.

 L'avvento del telecomando e il moltiplicarsi delle reti ha poi portato ad un nuovo modello di
programmazione, che è quello costruito dallo spettatore stesso. Egli può sottrarsi alla logica delle unità
testuali, assemblando frammenti di programmi e realizzando percorsi autonomi più o meno coerenti ma
comunque conformi ai suoi gusti e sensibilità. Il fenomeno dovrebbe intensificarsi con l'integrazione della
TV con il digitale, in grado di rafforzare il ruolo attivo dello spettatore.

Appare quindi evidente che il flusso televisivo accentua la tendenza, diffusa su tutti i piani culturali, a
indebolire il carattere discreto del paradigma testuale, a favore della continuità e costanza dello scorrimento.
A causa di ciò inevitabilmente si dissolvono i confini tra i generi (informazione, approfondimento, spettacolo,
ecc.), che sono sempre più difficilmente distinguibili. Il flusso ha infatti la caratteristica di un megagenere
“contenitore” rispetto al quale i generi particolari diventano microgeneri o sottogeneri.

Inoltre, a causa della proliferazione continua delle reti e dell'intervento interattivo degli spettatori, il flusso sta
assumendo sempre più la fisionomia di un grande racconto, che si sta allargando con la sua pretesa di
“raccontare tutte le storie possibili”.

2. La produzione del senso

Ma il flusso televisivo non può essere considerato solo nella sua natura sintattica (cioè in relazione al mezzo
che lo emette e alla modalità in cui si articola), ma anche considerando la sua natura semantica,
considerando cioè i significati che attiva.

Innanzitutto il flusso è connesso alla struttura tecnologica, e risponde ad un sistema determinato di regole.
Inoltre è legato all’investimento di valore che è alla base dell’interazione fra soggetti, e al mondo stesso degli
oggetti coinvolti nelle diverse unità narrative..

Un'altra nozione di senso del flusso è quella che si ricollega alla sua identità in quanto modello di
programmazione. Questa non dipende dalla natura o dal numero degli elementi (unità testuali o sequenze)
quanto piuttosto dal tipo di rapporto che li unisce: dall’articolazione del flusso e dalle sue modulazioni
temporali.

La relazione tra gli elementi enunciativi del flusso attiva un processo comunicativo, e perciò entra in gioco, al
di là della funzione denotativa, anche una forte azione performativa. Il ritmo, che può essere più o meno
accelerato, conferisce connotazione diversa ai racconti, eventi e notizie che scandisce. E siamo in presenza
di percorsi narrativi che non implicano più un emittente che informa un ricevente, ma un soggetto impegnato
in un’azione contrattuale o polemica nei confronti di un altro soggetto, e perciò rivolto a manipolare, nel
senso di far credere e far fare.

Inoltre, le unità testuali o sequenze che compongono il flusso prevedono un’organizzazione interna e
meccanismi di cooperazione che rispondono ad un “intentio operis”, e orientano e guidano l’interpretazione.
Lo spettatore può quindi mettere a nudo questa strategia, e far scaturire ulteriori percorsi di senso.

La produzione di significazione passa anche attraverso i diversi meccanismi di “consumo” del flusso:

 un primo caso, estremo e infrequente, è quello in cui lo spettatore costruisce i propri testi con lo
zapping

 un secondo caso, molto più diffuso, è quello in cui nella mente dello spettatore si configurano
aspettative in relazione al tempo che intercorre tra le diverse unità testuali o sequenze. Si tratterà in ogni
caso di significati relativi, un’anticipazione di quelli definitivi. Essi quindi saranno suscettibili di essere
rivisti e modificati con lo scorrimento del flusso, fino alla conclusione del testo che può permettere una
revisione finale.

Il flusso televisivo in sé non tende a richiedere un’attenzione intensa e costante, sono piuttosto i ritmi al suo
interno che suscitano aspettative e favoriscono l’insorgere del senso e del significato.

3. La ricezione

Il mezzo televisivo non si limita soltanto a “rappresentare” un processo comunicativo, ma lo attiva realmente,
incidendo anche sul piano sociale. Lo spettatore è chiamato a sottoscrivere un contratto enunciazionale, ed
è parte integrante della struttura e della sua funzione performativa.

La programmazione televisiva è concepita in funzione dell’effetto sul destinatario. E quindi a volte cerca di
costruirlo, facendo inferenze e congetture sulle sue possibili caratteristiche. Questo anche in relazione al
fatto che la TV non si limita a trasmettere messaggi, ma piuttosto a far credere e a far fare (far assumere
comportamenti sociali). Emblematici sono gli spot pubblicitari.
Non tutti gli studiosi sono d’accordo sulla possibilità di classificare le modalità di ricezione dei messaggi
televisivi. Alcuni la escludono completamente, altri hanno proposto alcune tassonomie. Ad es. Hall ipotizza
tre modalità: preferita, negoziata e di opposizione.

In ogni caso tutti sono d’accordo sul fatto che la ricezione non è un operazione passiva, ma comporta
sempre una rielaborazione dei modelli proposti nel senso di un nuovo percorso di senso e significazione.

Se quindi lo spettatore esercita un ruolo attivo nei confronti della programmazione, lo stile e la durata del
“consumo” influiscono sulla articolazione stessa del flusso. Basta vedere l’importanza che negli ultimi anni ha
assunto la rilevazione dell’audience.

Nell’epoca della TV generalista, si riteneva che lo spettatore avesse un interesse generalizzato nei confronti
della televisione, e si cercava di soddisfare l’esigenza di informazione, educazione e spettacolo
assemblando unità testuali ben definite e distinte tra loro.

Con la moltiplicazione delle reti e la concorrenza, il problema è diventato quello di attrarre lo spettatore e
tenerlo incollato ad uno stesso canale il più a lungo possibile. Si cerca quindi di assemblare le unità testuali
secondo le fasce orarie d’ascolto, con la logica dell’appuntamento. E si cerca di ridurre le discontinuità tra le
unità testuali con il ricorso agli annunci, rinvii, richiami, ecc., in modo da non “lasciarsi scappare”
l’ascoltatore.

L’uso del telecomando però rappresenta sempre uno strumento di scardinamento delle strategie di
fidelizzazione, dando al telespettatore la possibilità di sentirsi molto più parte attiva del processo semiotico
televisivo e permettendogli di sfuggire dalla gerarchia interna delle diversi reti.

Preso atto di questo comportamento, la Tv futura probabilmente andrà nella direzione di costruire reti
tematiche di flusso, con lo spettatore che sarà in grado di costruirsi, nelle ore e luoghi preferiti, il proprio
percorso virtuale.

4. La semiosi in atto

Il flusso televisivo è dunque un processo semiotico, che ha tre distinti aspetti: sintattico, semantico e
pragmatico. Questi aspetti sono strettamente congiunti e interdipendenti, e producono un processo unitario
ed organico.

Nel continuum del flusso viene introdotta una scansione temporale discreta, costruita in vista della ricezione
da parte dello spettatore.

Il tempo costituisce la materia di cui il flusso stesso si sostanzia, e ne determina la sintassi, la semantica e
anche la pragmatica. E’ proprio attraverso il tempo, quindi, che il flusso televisivo si configura come processo
semiotico.
In analogia con quanto si fa nei confronti di un testo letterario, ma tenendo conto del ruolo fondamentale
dello spettatore, si possono individuare nel flusso televisivo un tempo dell’enunciato, un tempo
dell’enunciazione e un tempo della ricezione.

Per tempo dell’enunciato si intendono tutte le modalità temporali connesse ai programmi previsti dal
palinsesto di una rete. Sono i vari tipi di tempo messi in scena dalle unità testuali o dalla sequenze e dai
relativi dispositivi sintattici o semantici attraverso i quali esse li esplicitano.

Gli enunciati in cui si articolano i programmi sono di varia natura, e quindi tali sono anche i tipi di temporalità
ad essi connessi:

 enunciati narrativi: la finalità è quella di raccontare storie. Vi sono quindi rinvii, riassunti, sommari e
una forma temporale stabile e di facile identificazione

 enunciati ideologici: discorsi che espongono una questione e vogliono convincere lo spettatore
della validità di una certa tesi. Ritmo incalzante

 enunciati espositivi: parti della storia vengono esposte in un ordine diverso da quello del racconto
principale. Temporalità discontinua e poco uniforme (flashback e flashforward)

 enunciati stilistici: discorsi rivolti ad assicurare la continuità dell’ascolto. Temporalità poco


manifesta.

Il tempo dell’enunciazione non è una temporalità “narrata”, rappresentata, ma costruita concretamente sulla
stessa enunciazione nel suo dipanarsi di processo semiotico. Non è il tempo “di” cui si parla, ma quello “in”
cui si parla. A livello sintattico si utilizzano accorgimenti tecnici che fluidificano lo scorrimento delle unità
testuali. A livello semantico si utilizza l’accelerazione o il rallentamento del flusso per attribuire connotazioni
di diverso tipo alle sequenze di immagini e suoni.

La principale di queste strategie è il ritmo, che stabilisce l’ordine di successione, la durata, la collocazione e
la ricorrenza degli elementi costitutivi delle unità testuali o delle sequenze di un programma. Numerosi sono i
tipi di ritmi, che si possono in generale classificare in:

 stabili: varietà, talk show, dibattiti, programmi di approfondimento

 calanti: notiziari

 crescenti: racconti, storie, ricostruzioni biografiche

Nel caso degli eventi agonistici, l’intensità del ritmo può variare in quanto la struttura narrativa è fluida e
soggetta continui mutamenti.
La struttura ritmica e qualificazione temporale del flusso televisivo non è un processo lineare e costante, ma
può assumere modulazioni sensibili.

La maggior parte degli enunciati tuttavia tende ad una semplificazione ritmica piuttosto accentuata allo scopo
di agevolare la ricezione.. In genere si ricorre alla ripetizione costante di situazioni con caratteristiche
ritmiche peculiari.

A livello pragmatico, la temporalità è ottenuta con atti linguistici performativi (accelerazione o rallentamento
dell’immagine, cambiamento di tono del commento musicale) che devono suscitare reazioni emotive o di
comportamento.

Il tempo della ricezione è connessa al consumo televisivo. E gli spettatori possono essere chiamati in causa
o come simulacri prefigurati all’interno del flusso stesso, o come entità reali individuali o collettive.

In entrambi i casi è ancora una volta il ritmo la componente fondamentale, ma bisogna tener conto anche
delle aspettative dello spettatore. Queste aspettative possono essere ricondotte a due motivi: interni
all’enunciato stesso e al suo svilupparsi nel tempo; oppure precedenti alla fruizione, dovuti a interessi,
preferenze e motivazioni personali, ideologiche, ecc. (il primo caso è quello della fiction, il secondo quello dei
notiziari).

Per ciò che riguarda la ricezione connessa al processo semiotico, si parla di ritmo incalzante quando il
coinvolgimento emotivo è provocato dalla combinazione di segmenti brevi ma ripetuti; di ritmo lento nel caso
si sottolinei la solennità di un evento oppure l’incapacità di tener desta l’attenzione; di caduta di ritmo nel
caso in cui l’eccessiva prolissità determini una totale perdita di attenzione.

E’ dunque l’intensità del ritmo che influisce sulla ricezione, a causa delle aspettative la cui soluzione si
avvicina o si allontana a seconda dell’intreccio.

Gli enunciati che non hanno una struttura narrativa hanno natura più varia ed articolata, e ancora più
rilevanza ha la modulazione temporale, ai fini di mantenere l’attenzione dello spettatore. I programmi-
contenitore di informazione e intrattenimento sono strutture che di volta in volta contengono elementi diversi.
Non è perciò la natura degli elementi a determinare gli effetti sullo spettatore, ma il modo in cui essi vengono
rappresentati. Si tratta quindi di sottolineare il carattere evenemenziale di questi elementi, che favoriscono la
partecipazione diretta ed immediata, come con i fatti della vita stessa.

Nei talk show, infine, più di quello che viene detto, importa che qualcuno lo dica. L’effetto infatti che ne
scaturisce è tale da soddisfare determinati tipi di aspettative che inducono lo spettatore ad immedesimarsi.

Per quanto riguarda le aspettative connesse ad aspetti extra-semiotici, il tempo della ricezione comprende
anche il tempo della “lettura” o interpretazione da parte dello spettatore dei singoli programmi televisivi. E
tale tempo deve essere rapportato a quello in generale speso per il consumo televisivo, e confrontato con il
tempo occupato dalle istanze personali dell’individuo, e al suo tempo sociale.
Tutte queste dimensioni temporali sono strettamente congiunte e interdipendenti, cosicché la loro
individuazione può essere non agevole. Esse acquistano rilevanza esclusivamente attraverso le modulazioni
che fanno assumere al flusso, mediante l’inserimento nel suo scorrere di elementi che determinano
mutamenti e trasformazioni indispensabili ai fini del processo semiotico.

Capitolo secondo – l”alleggerimento” del reale

1. L’effetto di globalizzazione

La televisione ha una potenzialità di mediazione quasi illimitata. Nel suo flusso si ciclano e riciclano qualsiasi
tipo di opera “chiusa” o evento processuale. Ed è capace di contenere qualsiasi altro medium, cosicché
qualsiasi forma di comunicazione è tenuta ad assumere anche una forma televisiva, per raggiungere
un’audience nazionale e sopranazionale.

La diffusione della TV ha portato allo sconvolgimento dei confini geografici, economici e politici imposti dalla
storia. Il villaggio globale non è più fantasia ma realtà: il discorso televisivo è uguale in tutto il mondo.

Ma l’innovazione non è soltanto sul piano dell’estensione. Sotto la spinta dello “sguardo televisivo” si è
cominciato a nutrire interesse anche verso ciò che non rientra nell’orizzonte del visibile, tramite le simulazioni
e l’ingrandimento, la multimedialità. E le possibilità si espandono con la sempre maggiore integrazione con le
tecnologie digitali.

Grazie alla TV ci siamo liberati dal condizionamento di una coincidenza storica e univoca tra luogo e tempo.
Il nostro io si è espanso al di fuori del nostro corpo, la nostra mente si è aperta a prospettive globali. E tutto
ciò rientra nella stessa natura della TV come mezzo.

Si sta avverando l’antico sogno dell’uomo di dominare l’intera realtà, almeno a livello di comunicazione.
Sotto l’aspetto economico, nuovi mercati si sono aperti. Sotto quello linguistico, si sta creando un linguaggio
comune che favorisce anche un contesto sociale di livello planetario. Sul piano politico, la comunicazione ha
provocato riflessi positivi nel favorire la caduta dei regimi autoritari e il dialogo fra le nazioni. Insomma, la
televisione fa sì che il grado di interazione e interdipendenza fra uomini di origine e culture diverse sia ormai
totale.

La globalizzazione così prodotta potrebbe però avere anche conseguenze negative. Ad es. in termini di
annullamento delle differenze culturali tra i popoli, che poi sono il presupposto stesso della comunicazione
intesa come confronto. Si verificherebbe in sostanza una colonizzazione culturale da parte del mezzo
televisivo. Questo potrebbe portare a nuove forme di separazione.
2. La smaterializzazione della realtà

La globalizzazione si basa quindi su una possibile omogeneizzazione della realtà. Il mezzo televisivo è
funzionale a ciò, in quanto riduce la varietà e molteplicità del reale ad un insieme ordinato di immagini che si
susseguono rapidamente. Sotto il profilo della comunicazione, tutti gli aspetti della realtà ridotti ad immagine
hanno le stesse caratteristiche e possono essere messi a disposizione di tutti.

La stessa immagine, perso qualsiasi riferimento ad una realtà esterna conosciuta, ha perso la sua identità
finendo per assorbire la realtà stessa. L’origine elettronica di queste immagini ne mina alla base la capacità
di informare sul reale. Esse piuttosto mirano alla sostituzione del reale, e alla rappresentazione anche della
sfera dell’immaginario, di ciò che finora non era rappresentabile.

Anche nella sua funzione informativa la TV ha smaterializzato la realtà, riducendola ad una successione di
immagini prive di un riferimento esterno al piano dell’enunciazione. La notizia non è lo specchio fedele della
realtà, anche se può sembrarlo. Essa è prima di tutto selezionata, ma poi confezionata, organizzata e
proposta nel modo più adeguato per suscitare interesse. E tutto ciò viene realizzato sfruttano la capacità
comunicativa e la costruzione di una messa in scena che inevitabilmente poco ha a che fare con la
ricostruzione dei fatti reali. La realtà a cui si riferisce è un puro e semplice effetto di strategie comunicative
volte a far fare o a far credere (indottrinamento e persuasione). Il problema della veridicità, al di là
dell’indeterminatezza della fonte, perde così di importanza, perché si riduce ad una pura questione di senso
all’interno del processo semiotico.

Anche la stessa funzione dei testimoni dei vari fatti riportati è ricostruita all’interno del percorso narrativo che
la televisione costruisce, tramite vari accorgimenti di tipo selettivo che agiscono sulle dichiarazioni e sulle
inquadrature.

Si dice comunemente che la TV può offrire la realtà in tempo reale, il “mondo in diretta”. E ad annullare la
discontinuità tra gli eventi e la loro riproduzione è diretta anche l’adozione delle tecnologie digitali. E questo
può essere importante per l’uomo di oggi e di domani, coinvolto da relazioni che non sono più limitate da
barriere geografiche e ideologiche, in cui determinante diventa essere informato in tempo reale sulle
situazioni che si determinano in altre parti del mondo.

Si tratta però di capire se ciò che la TV propone sia il mondo reale o solo una sbiadita copia di esso, e se
tutto questo profluvio di informazioni sia gestibile dalla nostra coscienza.

La dimensione globale della televisione sembra poi essere messa in dubbio da alcuni programmi che invece
sembrano cercare di rinsaldare e legittimare i confini del mondo “vicino” della quotidianità. E gli scarsi indizi
che ci vengono dati sulle realtà lontane dalla nostra, che inducono a generalizzazioni , fanno dubitare
dell’attendibilità della TV come fonte di informazione.
Il fatto che ci siano forti dubbi sull’oggettività, imparzialità e attendibilità delle informazioni televisive è
preoccupante, in quanto da esse sempre più dipendono i rapporti economici, politici e sociali.

L’informazione in tempo reale è fondamentalmente un’illusione, in quanto ci sono molti fattori che limitano ciò
che si può trasmettere. Alcune informazioni per passare attraverso il mezzo ne subiscono l’azione
deformante, altre non passano per niente. Per esempio si tendono a selezionare le immagini ben definite, il
cui contenuto sia chiaro, poco complesso, ovvio… Le emozioni e i sentimenti, per passare in televisione,
devono essere grossolane, plateali, rappresentabili con chiare espressioni facciali o movimenti del corpo. La
profondità viene eliminata, gli spazi ridotti, ecc.

E naturalmente l’informazione è costruita: prodotta, vagliata, performativamente interpretata al servizio di


forze e interessi prevalenti. L’attualità è il riflesso delle scelte personali di chi la considera tale, per quanto
questi possa essere onesto e professionalmente competente.

La diretta e il tempo reale dunque non assicurano né intuizione né trasparenza.

3. Una visione da nessun luogo

In quanto riduce tutto ad immagini, la televisione svincola lo spazio che offre allo spettatore da qualsiasi
rapporto con lo spazio esterno, quello ancorato a parametri fattuali di riferimento. Si spiega così l’effetto di
indeterminazione spaziale che caratterizza le notizie e le storie che la televisione propone: possono
appartenere a qualsiasi luogo, mentre di fatto non appartengono a nessuno.

Tutti gli individui, sotto il profilo dell’informazione, sono oggi spinti verso uno stesso luogo, senza identità. E’
una visione da nessun luogo. E per quanto riguarda il tempo, tutti i messaggi si trasformano in un flusso
ininterrotto dalla durata infinita, nel quale si ricicla qualsiasi evento sia del passato che del presente,
secondo criteri di omogeneità delle sequenze. Se si escludono gli “eventi mediali” di Dayan e Katz, tutto è
ricondotto ad un’unica dimensione temporale, scandita dal ritmo e contrassegnata da un forte senso di
prossimità e attualità.

Nella televisione lo spazio si dilata fino ad investire tutta la realtà, anche quella immaginaria, e il tempo
diventa infinito per identificarsi con il flusso delle immagini e dei suoni. Contemporaneamente però sia l’uno
che l’altro si restringono fino ad identificarsi con il “qui e ora” che sono percepiti dallo spettatore.

Questo tempo e questo spazio sono evanescente, puramente virtuali, e perciò molto lontani da quelli che
scandiscono la nostra esistenza. E’ l’estensione, come diceva McLuhan, del nostro sistema nervoso e dei
nostri processi di conoscenza a tutta la società umana.

4. La comunicazione come contatto


L’avvento della televisione moderna ha anche prodotto un mutamento nel modo di concepire la
comunicazione. Non si tratta più di una semplice circolazione di messaggi con conseguente incremento
dell’informazione, ma di un processo nella quale sono coinvolti soggetti con i loro punti di vista e valori. Data
la struttura polemica o contrattuale che la contraddistingue, in essa opera una strategia di manipolazione.
Ogni soggetto cerca di rendere credibili i propri “oggetti di valore” e attua tutte le strategie conseguenti.

Nella comunicazione mass-mediale, emittente e ricevente non hanno un’identità propria, ma intervengono
come immagini testuali. Nei programmi di intrattenimento, ad es., il pubblico è simulacro dell’enunciatario, il
conduttore dell’enunciatore. Anche l’interazione è un simulacro, ovvero un pallido sostitutivo di una
situazione comunicativa autentica, faccia a faccia..

Tutti i programmi sono concepiti in funzione del destinatario, e si configurano per adattarsi ad uno spettatore
ipotetico, un simulacro. Lo spettatore, dal canto suo, proietta all'interno dei programmi la propria immagine e
quella dell'interlocutore, e le ricerca nella lettura delle unità testuali/sequenze.

All'interno di questo gioco di simulacri il contatto con la realtà si allenta fino al punto che il mezzo è a volte
l'unico interlocutore: finestra sulla realtà e realtà allo stesso tempo. L'immagine elettronica tende a
dissolversi come un'illusione, un fantasma.

Il mezzo televisivo parla più al corpo che alla mente dello spettatore, ma è un vissuto “per procura”, non c'è
scambio e comunicazione. Questo fenomeno è destinato ad acuirsi con l'integrazione delle tecnologie
digitali, che mentalizzano ogni cosa e fanno scomparire la fisicità.

Non si assiste quindi alla nascita di un nuovo modello di comunicazione, ma alla scomparsa della
comunicazione ed alla sua sostituzione con un modello superficiale e fondamentalmente asociale. Con
l'eliminazione dello scambio faccia a faccia si fa strada il rischio della manipolazione, poiché prevale il punto
di vista del più forte, che non può che essere quello veicolato dalla TV.

Considerato quindi che la comunicazione che scaturisce dal processo semiotico televisivo perde la sua
natura di scambio di valori e di rapporto interpersonale e sociale, si può ritenere che la TV in realtà non
ricerca la comunicazione, ma il semplice mantenimento di un contatto.

Per la sua potenzialità trasmissiva, la televisione su un piano antecedente rispetto a quello semantico (che
comunque non esclude), che è quello sintattico. Il rapporto con la realtà si allontana, rimane quello con lo
spettatore. L'obiettivo è proprio quello di stabilire e mantenere un contatto il più a lungo possibile.

La televisione riesce comunque anche a costruire rapporti sociali. Nei programmi di intrattenimento si tende
sempre di più a rappresentare temi e problemi della quotidianità, cosa che avvicina lo spettatore.
L'interattività, pur limitata, di alcuni programmi dà la sensazione di “passare dall'altra parte dello schermo”, di
essere partecipi attivamente delle storie raccontate. Si cerca di dare la parola allo spettatore e valorizzarne
le qualità di “uomo comune”, si cerca la cooperazione, la solidarietà. Tutto però al fine ultimo di rafforzare il
ruolo di interlocutore unico e guida della TV.
Le regole infatti sono quelle del mezzo, e anche chi viene coinvolto in una trasmissione risulta credibile solo
se le osserva, e adotta le giuste procedure di comportamento. Nel momento in cui sembra dar credito al
destinatario, in realtà la TV celebra sé stessa e i propri rituali conformistici.

Anche la lingua che si usa in televisione risponde alla funzione di attivare e mantenere il contatto. Perciò si
tratta di un linguaggio molto vicino a quello della gente comune, pieno di slogan, frasi fatte, neologismi. Non
si tratta tuttavia di un linguaggio piatto o monotono, ma di uno stile brillante e anche paradossalmente
ironico, la cui funzione è quella di tenere desta l'attenzione e farsi riconoscere per un uso linguistico
leggermente deviante.

Per gli stessi motivi, sul piano contenutistico, i programmi si stanno appiattendo su temi “facili”, o ritenuti
universalmente appetibili, come il sesso, l'emozione, la violenza, l'occulto, ecc. Questo permette la
cooperazione di una vasta platea di spettatori, che condivide un livello di sapere assai modesto.

Infine, sempre allo scopo di attivare e mantenere il contatto, si lascia sempre più spazio a richieste d'aiuto,
appelli, promesse, minacce, ecc., che non fanno che confermare che la TV è il mezzo performativo per
eccellenza.

Capitolo terzo – Un nuovo paradigma culturale

1. Verso la “fine della realtà”

La TV ha sostituito il principio di realtà con il principio di simulazione. Con questo ribaltamento di prospettiva,
il mondo reale ha perso consistenza fisica, sostituito dalla sua copia. E anche la fantasia e l'immaginazione
sono state soppiantate dal potere televisivo.

Il mezzo televisivo è entrato nella vita dello spettatore, ma non l'ha resa più illuminata e consapevole.
Solamente più complessa e caotica.

Nel tentativo di rendere gli avvenimenti in tempo reale, la Tv li ha ridotti ad una sequenza ininterrotta di
immagini dai riferimenti empirici molto limitati: fa scomparire il mondo e lo sostituisce con quello fittizio
prodotto dal proprio processo semiotico. Essa quindi fa credere soltanto a ciò che fa vedere. Da specchio
della realtà a produttrice della realtà.

Il mondo clonato prodotto dalla televisione è molto simile a quello reale, ma meglio organizzato e più
funzionale. E' paradossalmente più credibile e più vero rispetto al primo.

Questo vale non solo per l'intrattenimento e la pubblicità, ma anche per i notiziari. Anche quando si fa una
diretta, non si rappresenta un evento, ma lo si crea, lo si fa esistere, conferendogli un'identità di tipo
semiotico. La realtà, ben lungi dall'essere restituita nella sua integrità, è sostituita da un sistema di segni.
Non si può ancora parlare di “fine della realtà”, ma in alcuni casi (intrattenimento e pubblicità), se ne vedono
già i segni. E questo processo porterà in prospettiva a trasformazioni etico-sociali profonde. Il rischio è quello
che si preferisca l'illusione virtuale alla realtà, con conseguente perdita di responsabilità. Il mondo virtuale,
con la sua liberazione da ogni vincolo e la possibilità di decidere del nostro destino, può portarci a guardare
meglio in noi stessi, o a identificarci in un semplice simulacro.

2. L'eclisse del soggetto

Il processo semiotico televisivo non vanifica solo la realtà, ma anche il soggetto, che viene identificato con
l'attività percettivo-sensoriale che esercita nei confronti del flusso, perdendo ogni caratteristica etico-sociale.

La televisione già è in grado di influire sulle modalità della nostra percezione visiva, che è sempre più a
“occhiate veloci” e non più sequenziali. Non solo, la TV interagisce con tutto il nostro corpo, ci sollecita
sensorialmente, quando ancora la mente non è in grado di mediare. Tutto ciò modella il nostro sistema
nervoso a immagine del medium.

La velocità del flusso delle immagini comporta l'eliminazione dell'”effetto di distanziamento”, ovvero
l'intervallo che nei processi percettivi sta tra lo stimolo e la reazione. Si provoca così un'eccitazione
fisiologica, e una rinuncia della mente alla decodifica che consente l'elaborazione dell'informazione. Ci
abbandoniamo alle immagini, ci lasciamo modellare dall'esperienza invece di governarla. Questo è l'effetto
ipnotico e subliminale dello schermo televisivo. Di fronte ad esso, siamo vulnerabili ed esposti alla seduzione
multisensoriale. E non dipende dalla nostra disposizione psicologica, ma dalla natura stessa del medium.

C'è il rischio allora che al brainframe si sostituisca il videoframe: la struttura televisiva minaccia l'autonomia
che abbiamo acquisito con la lettura e scrittura.

Attraverso gli effetti provocati dal tubo catodico, la coscienza individuale sfugge all'individuo stesso per
estendersi al mondo esterno. Si impone un punto di vista che non appartiene più al soggetto, ma è collettivo,
pubblico. Mentre guardiamo la televisione, le immagini dello schermo si sostituiscono alle nostre, e così
diventiamo partecipi di un immaginario comune.

Tramite le tecnologie elettroniche, siamo quotidianamente sommersi da enormi quantità di informazioni che
non siamo in grado di elaborare. Si fa strada così un atteggiamento di tipo “mordi e fuggi”, che si applica a
qualsiasi questione. Tutto attira l'attenzione, ma nulla ci interessa veramente.

La conseguenza prima è il trasferimento di responsabilità sul reale. La seconda è l'omologazione dei modi di
pensare, delle scelte e dei comportamenti. Si tende a perdere la propria autonomia critica e ad accettare
passivamente i messaggi standardizzati che arrivano dal mezzo televisivo.

L'universo mediatico quindi sfida tutto ciò che al soggetto umano era finora richiesto: razionalità delle scelte,
volontà, sapere, libertà. E l'obiettivo finale allora è proprio l'annientamento del soggetto stesso.
3. La sindrome di Proteo

Il mezzo televisivo produce immagini e cancella i concetti. Nel suo modo di funzionare ribalta il rapporto tra
vedere e capire, e riduce il sapere ad un sapere per immagini, che non è autentico sapere. Del resto sono le
immagini e i suoni che si succedono sullo schermo, e non la realtà, l'oggetto effettivo dell'esperienza che
essa attiva. Lo spettatore, mentre vede aprirsi di fronte a sé il mondo, di fatto ne percepisce solamente i
simulacri, e con essi si identifica come se fossero un suo prolungamento. Questa partecipazione avviene al
di fuori dello spazio e dal tempo, in un solo identico piano, nell'estasi della presenza, “qui e ora”.

In quanto si crede partecipe del mondo, lo spettatore può essere indotto a guardare lontano, vivendo
intensamente i grandi eventi proposti dalla TV, e a sentirsi estraneo o indifferente ai piccoli eventi di ogni
giorno.

Inoltre la televisione pone lo spettatore fuori dal flusso della storia, nella logica di un'attualità continua ed
inesauribile. La memoria collettiva allora si indebolisce, diventa volatile.

Le immagini televisive, quando arrivano in casa nostra, sono completamente separate dal loro contesto
spaziale e temporale, e rispondono solo ad un'istanza di ritmo, un'esigenza semiotica funzionale al processo
enunciazionale.

L'apparato concettuale che ci viene da secoli di storia viene così ad essere inutilizzabile, la nozione di verità
si stempera e si alleggerisce di qualsiasi implicazione che comporti un confronto con la realtà. E' sostituita
dall'effetto di realtà creato dal processo semiotico performativo. Il mezzo televisivo dà luogo ad una sorta di
identità collettiva che serve alla definizione e conferma della “realtà” degli eventi: se una cosa non è stata
detta in TV, sembra non esistere.

In teoria, con la televisione si sono ristabilite le condizioni per una conoscenza per contatto o partecipazione,
simboleggiata nella mitologia da Proteo. Ma nel caso della TV manca l'oggetto del contatto: c'è una realtà
virtuale, costruita. E i contenuti che ci propone non sono altro che la riproposizione di quanto di più abituale
c'è nella nostra vita quotidiana.

4. L'”arena collettiva”

La televisione moderna si è configurata in modo da non favorire l'analisi di temi ampiamente articolati,
quanto la produzione di blocchi di informazione. Nel corso della transizione, ha posto le condizioni per la fine
della realtà e l'eclissi del soggetto. Ma nello stesso tempo ha contributo alla nascita di una sorta di identità
collettiva.
La televisione tende a fondere situazioni sociali prima separate, comportamenti pubblici e privati, inserendo
tutti in un unico processo semiotico. Essa non sviluppa nessun senso di appartenenza o legame tra gli
spettatori, tuttavia produce una sorta di familiarità con determinati temi e persone. Un ruolo fondamentale lo
giocano i talk-show e altri programmi a forte connotazione patemica. E la presenza di persone comuni come
protagonisti attiva meccanismi di identificazione e di confronto.

La TV inserisce gli spettatori in un ambito pubblico, ma famigliare. Scandisce la vita quotidiana, con i
programmi che si ripetono alle stesse ore. Unisce persone di sesso, età, cultura, condizione economica
diversa in un unico processo comunicativo pubblico e simultaneo.

La Tv è inoltre il medium privilegiato per l'elaborazione del nostro rapporto con la realtà: ci parla delle cose
che dobbiamo conoscere, ci mostra comportamenti da prendere a modello, ci narra storie affascinanti, ecc.
In pratica ha creato una cultura di massa, rimuovendo la capacità di riflessione personale e
l'autodeterminazione.

Questi effetti non sono da imputare ad una scelta, ma sono direttamente determinati dalle caratteristiche del
mezzo. Essa crea un punto di vista sulla realtà che non è più frutto dell'esperienza individuale, ma proviene
dall'esterno. Condiziona i nostri atteggiamenti mentali, le nostre scelte. E anche il nostro comportamento.
Contribuisce allo sviluppo di una coscienza morale incentrata su bisogni e istanze dell'intera collettività
umana. Per questo ha favorito la crescita della coscienza ecologica, pacifista, ecc. Tutte cose che richiedono
una visione globale.

Il problema però è che questa coscienza non è interna agli individui, ma fuori di essi. Non comporta alcuna
responsabilità personale. L'eclisse del soggetto getta una pesante ombra sull'identità di questo presunto
impegno, riducendone la consistenza alla capacità performativa e al potere persuasivo della TV. C'è da
dubitare che possa far nascere autentici rapporti sociali, dato il carattere effimero e diversificato dei valori
che mette insieme, al solo scopo, tra l'altro, di mantenere una cooperazione comunicativa.

Capitolo 4 – L'imperativo della conversazione

1. L'ovvio in scena

La strutturazione temporale, l'alleggerimento del reale e l'eclissi del soggetto caratterizzano la televisione
come riflesso di alcuni aspetti del pensiero postmoderno. Si tratta ora di approfondire il suo carattere di
metafora di questo pensiero.

Innanzitutto occorre evidenziare quale tipo di informazione la Tv ci propone. Molto spesso, con la sua
propensione di parlare di tutto e di tutti, e a ridurre il riferimento alla realtà, la tv ci dà grandi quantità di
informazioni che si possono considerare inutili o superflue ai nostri fini. In conseguenza del fatto che tende a
mettere in scena la quotidianità con tutto ciò che di banale e ovvio la caratterizza, ha per noi scarso valore
conoscitivo, anche se pretende di “insegnarci a vivere”.

La sovrabbondanza di informazioni non è garanzia di completezza né di attendibilità. La “trasparenza


globale”, di fatto oggi garantita, ha trasformato tutto in informazione, ma si sono annullate tutte le differenze
etnico-sociali-spaziali-temporali, per cui non riusciamo più distinguere nulla , e nulla informa più davvero.

La TV inoltre tende a decontestualizzare i fatti, e perciò li deforma. E i contenuti vengono selezionati alla
fonte in modo da mandare in onda solo i cosiddetti “fatti omnibus”, quelli che non danno fastidio a nessuno.
La TV si presta a consolidare i più infondati pregiudizi e stereotipi sul reale, relativi alle classi sociali, alle
minoranze, all'appartenenza di genere, ecc. Inoltre si concentra prevalentemente sugli aspetti drammatici e
violenti, per cui la violenza in generale viene sovrarappresentata, soprattutto nella fiction. A tutti questi fattori
deformanti va aggiunta la tendenza dei giornalisti ad ossequiare il potere.

2. Più suggestione che informazione

Data la grande quantità di immagini che la TV è in grado di proporre su qualsiasi argomento, essa si
accredita anche come garante di quanto mostra. Si produce un “effetto verità” dovuto all'illusione della
riproposizione del fatto puro, incontaminato. Ed è abbastanza diffusa a livello sociale la tendenza ad
attribuire attendibilità ed esistenza solo a ciò che viene mostrato in TV, non solo per quanto riguarda
l'informazione, ma anche per i comportamenti o le credenze.

Si tende a credere che ciò che viene proposto dallo schermo esaurisca l'evento, mentre in realtà la
televisione esclude gran parte del reale, anche per evidenti limiti tecnici.

Lo strumento televisivo poi, sempre più stabilmente al centro di un sistema multimediale, si sta lentamente
trasformando in un grande gioco elettronico che rappresenta sé stesso, con effetti autoreferenziali di
mutamento di ritmo, improvvise accelerazioni o rallentatori. L'immagine diventa sempre più il tramite
attraverso il quale lo spettatore si deve rapportare con la realtà.

Il forte scarto che si verifica perciò tra la televisione e il reale riduce la potenzialità semantica del mezzo:
degli eventi ci viene mostrato solo ciò che ci è più vicino culturalmente e ideologicamente, senza mai
esplorare le motivazioni profonde. Queste perciò rimangono inaccessibili, ed è come se non esistessero.
Anche i servizi di informazione, con il loro linguaggio pragmatico, inducono a non cercare i significati, ma ad
arrestarsi alla rappresentazione. Si fa largo uso di un codice elementare, ripetitivo, farcito di luoghi comuni e
dalla scarsissima potenzialità informativa.

Appare evidente che la TV mira soprattutto a sollecitare l'emotività, a scapito di un controllo critico-razionale.
E questo da un lato attraverso un abile uso del rapporto tra parole e immagini, del montaggio e della
velocità, dall'altro tramite la selezione degli argomenti e l'uso di figure retoriche.
3. Nel nome dell'audience

Una delle cause principali della deriva culturale e sociale indotte dalla televisione è l'audience, ovvero la
necessità di inseguire a tutti i costi gli indici d'ascolto. E' questo il criterio con cui si decidono vita e morte di
un programma TV, il suo spostamento

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