Recensione ad un saggio di L. Messinese su Bontadini, in L.
Messinese, Stanze della
Metafisica, Brescia, Morcelliana, 2012.
Nel presente saggio Messinese delinea il percorso filosofico di Gustavo Bontadini da
cui emerge la centralità e l’importanza della speculazione del filosofo milanese nel panorama filosofico del Novecento, un’importanza che non sempre gli è stata riconosciuta ma che va aumentando nel corso degli anni. Il rilievo di tale pensatore è testimoniato, tra l’altro, dal suo essere protagonista di due importanti confronti con altrettante posizioni filosofiche le quali hanno avuto maggiore attenzione e notorietà tra gli addetti ai lavori e non solo. Negli anni della giovinezza infatti Bontadini si è confrontato con la filosofia di Giovanni Gentile, mentre nella maturità si è misurato con il sistema filosofico del suo ex allievo Emanuele Severino. Questi confronti sono stati sempre portati avanti con l’obiettivo di dare nuovo lustro alla metafisica classica, attraverso una attenta opera di rigorizzazione della medesima: l’originalità di Bontadini sta, tra l’altro, nel tentativo di riproporre la metafisica di trascendenza al culmine del pensiero moderno, sfruttando i guadagni speculativi che potevano essere rintracciati anche all’interno di un orizzonte filosofico che si presentava come negatore della possibilità della metafisica come scienza (Kant) o che comunque proponeva una metafisica dell’immanenza (Gentile). In riferimento all’incontro con l’idealismo, l’acquisizione maggiore che viene assimilata dal giovane Bontadini è l’affermazione dell’assolutezza del conoscere, cioè la dimensione trascendentale del pensiero, la sua inoltrepassabilità e quindi la negazione dell’esistenza di un essere che sia “al di là” rispetto al pensiero, esterno e quindi da esso irraggiungibile. In questo modo viene superato il fenomenismo tipico della filosofia moderna, che porterà Kant a sostenere l’impossibilità della metafisica come scienza, proprio a motivo del fatto che il pensiero non coglie l’essere ma il fenomeno, la rappresentazione dell’essere, il quale invece rimane come tale sconosciuto. L’idealismo di Hegel e in modo ancor più rigoroso l’attualismo di Gentile mostrano come non ci sia una realtà che non sia pensabile dal pensiero, che rimanga esterna e sconosciuta ad esso, ma al contrario ciò che il pensiero pensa è l’essere stesso e non una sua immagine: in questo modo si riapre la possibilità della metafisica come scienza dell’essere in quanto essere. Ciò che invece viene respinto da Bontadini dell’attualismo gentiliano è l’identificazione che questo afferma tra l’Unità dell’Esperienza, cioè la totalità dell’essere presente e l’Assoluto, la totalità dell’essere: è questo aspetto “teologico” dell’idealismo che non viene accettato. Anzi, l’evolversi più coerente dell’attualismo è, secondo Bontadini, il problematicismo in particolar modo quello situazionale sostenuto da Ugo Spirito, ovvero il riconoscere che la situazione in cui ci si trova è problematica rispetto all’affermazione che l’Unità dell’Esperienza faccia equazione o meno con l’Assoluto. E’ di particolare interesse il paragrafo quarto nel quale Messinese prende in considerazione i rilievi critici che Mario Ruggenini solleva nei confronti di Bontadini e che si trovano raccolti in un saggio pubblicato nel 2008: Bontadini ritiene che all’interno dell’attualismo gentiliano sia possibile distinguere e successivamente separare il momento gnoseologico (non taletiano) da quello metafisico (taletiano). Per l’idealismo pensiero ed essere non si identificano solo sul piano gnoseologico ma soprattutto sul piano ontologico ed è proprio in tale identità che consiste la risoluzione hegeliana della scissione tra pensiero e realtà. Ruggenini ritiene indebita la separazione operata da Bontadini e ricorda come non sia possibile separare questi due aspetti, neutralizzando la portata ontologica dell’idealismo. Con l’idealismo si ha una radicale soggettivazione dell’essere, una comprensione dell’essere come soggettività; ma se si concepisce la realtà come spirito il tentativo di armonizzare l’idealismo e la metafisica classica è destinato al fallimento: con il ripristino dell’ontologia la realtà non è intesa come spirito ma come essere e la sintesi operata da Bontadini non riuscirebbe perché presuppone il primato dell’ontologia. Messinese risponde a tali obiezioni portando degli argomenti a favore dell’impianto speculativo bontadiniano che provano l’impegno di Bontadini di discutere l’idealismo anche sul piano metafisico e lo fa prendendo spunto dal saggio intitolato Idealismo e realismo. L’idealismo si presenta come una dottrina, una concezione della realtà, cioè come una metafisica della mente e in questo si oppone alla metafisica dell’essere; ma se si sta al suo effettivo realizzarsi l’idealismo è una “situazione della mente” per la quale il pensiero non può arrestarsi in nessuna delle sue determinazioni: è cioè nella situazione di sforzo che non trova appagamento ed è per questo che non si può sostenere che “l’Assoluto sia lo stesso sforzo”. Ipostatizzando la situazione del pensiero come sforzo di comprensione, verrebbe compromesso anche l’aspetto più significativo dell’idealismo, cioè l’idealismo considerato come sapere dell’essere. Anzi l’autentica risoluzione dell’idealismo è proprio il toglimento della situazione di sforzo, cioè il toglimento della dialettica posta come l’Assoluto. A questo punto il saggio di Messinese riprende con l’esposizione del momento costruttivo della filosofia di Bontadini, nel quale il filosofo dà l’avvio al suo intento di rigorizzazione della metafisica classica riuscendo così ad “uscire” dal problematicismo in cui si era arrestata la sua riflessione: il frutto di questo lavoro si ha con il saggio intitolato La metafisica nella filosofia contemporanea che contiene appunto l’inferenza speculativa della trascendenza dell’Assoluto, alla quale il filosofo è pervenuto utilizzando sinergicamente il referto fenomenologico che attesta il divenire della realtà e il principio logico dell’incontradditorietà dell’essere (l’essere è e non può non essere). Se il divenire fosse originario il non essere limiterebbe originariamente l’essere, ma questo significa fare del non essere un positivo, violando il principio di Parmenide: per tale ragione il divenire attestato dall’esperienza non può essere identificato con l’Assoluto, al contrario questo sarà inferito come trascendente l’esperienza. Il secondo passaggio dell’argomento è quello per cui l’essere trascendente è affermato come Creatore dell’essere diveniente, dato che se quest’ultimo fosse semplicemente giustapposto all’immutabile, il non essere in lui limiterebbe originariamente l’essere. Nell’ultima fase del suo pensiero Bontadini perviene ad una ulteriore “prova dell’esistenza di Dio” questa volta confrontandosi con le obiezioni mossegli dal suo ex allievo Emanuele Severino a partire dal saggio del 1964 intitolato Ritornare a Parmenide. Alcuni studiosi hanno sottolineato la discontinuità tra la seconda e la terza fase del pensiero bontadiniano, Messinese al contrario ravvisa una sostanziale continuità tra questi diversi momenti, secondo la quale il parziale avvicinamento di Bontadini a Severino non costituisce una svolta, per di più infelice, ma un ulteriore passo nella rigorizzazione della teologia razionale. Al termine del saggio Messinese mette in evidenza quello che considera il punto di forza e allo stesso tempo il limite del pensiero di Bontadini e cioè il rigore con cui ha inteso razionalizzare il non essere relativo agli enti in virtù del Principio di Creazione affermando l’immutabilità di tutto il reale. L’aspetto meno convincente è invece l’avere considerato che tale non essere è quello relativo al divenire ontologico per cui gli enti escono e tornano nel nulla. Messinese sostiene invece che il non essere razionalizzato dal Principio di Creazione è quello del variare innegabile dell’esperienza rispetto all’essere come tale. Il non essere che viene razionalizzato con il Principio di Creazione è quello della creatura indipendentemente dal Creatore, dove questo nulla è la facies negativa di quel positivo che è la totale dipendenza nell’essere da parte degli enti, cioè di quel positivo che è l’atto Creatore. Inoltre è tale dipendenza che permette di affermare tanto la contingenza degli enti quanto la distinzione tra essenza ed esistenza. Come considerazione conclusiva Messinese tende a mostrare il grande merito di Bontadini nell’avere conciliato il Principio di Parmenide con il Principio di Creazione, quest’ultimo considerato come la concreta esplicitazione del primo. L’articolo di Messinese ripercorre l’itinerario filosofico di Gustavo Bontadini mettendone il luce di volta in volta i punti di merito e le acquisizioni teoretiche principali relativamente al suo progetto di rigorizzazione della metafisica classica. Va ascritto inoltre a questo saggio il merito di confrontarsi con le obiezioni sollevate al filosofo milanese da Mario Ruggenini, in un saggio pubblicato nel 2008: Messinese analizza i singoli punti in questione offrendone le relative soluzioni, riprendendo e sviluppando gli argomenti che lo stesso Bontadini ha utilizzato nel contestare la legittimità dell’idealismo nel suo versante metafisico. La ripresa e il successivo approfondimento del dettato bontadiniano che Messinese svolge nel suo saggio, sembrano essere maggiormente aderenti all’integralità del magistero del filosofo della “Cattolica” e ci permettono di avere un quadro più ampio e solido del percorso teoretico di tale autore, di quanto non faccia Ruggenini; offre inoltre uno scenario del modo rigoroso e preciso del fare filosofia di Gustavo Bontadini che rimane un lascito notevole della lezione di tale pensatore. Altro aspetto degno di nota è lo sviluppo originale fatto dall’autore, relativamente al rapporto che intercorre tra il Principio di Parmenide e il Principio di Creazione; Messinese non vede il Principio di Parmenide come distinto dal Principio di Creazione, ma ritiene che questo sia la concretizzazione del primo: pertanto non sarebbero due principi distinti ma due momenti dell’unico Principio. Il secondo punto in cui Messinese si distanzia da Bontadini per rigorizzare ulteriormente il progetto metafisico di questi, è relativo al non essere che viene razionalizzato tramite il Principio di Creazione: il non essere che va giustificato non è quello relativo al divenire ontologico ma è il non essere testimoniato dalla variazione, dal mutamento che si constata nell’esperienza. La variazione è il lato negativo di quel positivo originario che è l’Atto Creatore, è la testimonianza, il segno che l’esperienza non è il “tutto” dell’essere, ma che dipende totalmente, quanto al suo essere, da quel tutto che è l’Atto della Creazione. Questa proposta di Messinese, combinando simultaneamente le acquisizioni della filosofia di Bontadini con le obiezioni mosse a questi da Severino (per cui non si può intendere il divenire in senso nichilistico, cioè come entrare e uscire degli enti dal non essere), ci fornisce una “dimostrazione dell’esistenza di Dio” di estremo rigore teoretico e rappresenta un termine irrinunciabile di confronto per quanti si dedicano alla metafisica classica.