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Studente:
Damiano Giannelli
Docenti:
Prof. Ing. Piero Sirini
Prof. Ing. Riccardo Gori
A.A. 2017/2018
Indice
Sommario
1 Generalità sulle barriere reattive permeabili ...................................................................... 4
3 Caso di studio................................................................................................................... 27
Conclusioni ......................................................................................................................... 33
1.1 Introduzione
Le barriere reattive permeabili (PRB-Permeable Reactive Barriers) rappresentano una delle
tecnologie di bonifica più utilizzate ed anche una delle più promettenti per il futuro. Esse
permettono di effettuare il trattamento in situ delle falde contaminate in modo passivo.
Le prime sperimentazioni relative alle barriere reattive permeabili risalgono ai primi anni
90 negli Stati Uniti sotto forma di impianti pilota (Borden, 1991) per la rimozione dalle
falde di solventi clorurati; sempre negli USA è stato installato il primo impianto su scala
reale (Sunnyvale, 1995). Da questo momento in poi il numero delle applicazioni è cresciuto
rapidamente, specialmente alla fine degli anni 90, con il numero totale di applicazioni che
nel 2002 era arrivato a 40.
Ad oggi nel mondo sono presenti moltissimi impianti, di cui la stragrande maggioranza
negli Stati Uniti, ed una ventina in Europa. Il primo impianto in Italia è stato quello di
Avigliana, in provincia di Torino, del 2005, che verrà approfondito in seguito.
In figura 1.1 è riportato uno schema di funzionamento delle barriere reattive permeabili.
Il funnel and gate risulta più economico rispetto alla configurazione a trincea continua in
quanto utilizza una minore quantità di materiale e minimizza il volume di suolo asportato
per la realizzazione della trincea. Il sistema nel suo complesso è, infatti, più voluminoso ma
richiede allo stesso tempo l’inserimento di una minor quantità di materiale reattivo.
1.3.3 GeoSiphon
Una configurazione innovativa è quella denominata GeoSiphon, in cui il flusso di acqua
attraverso il materiale reattivo viene indotto mediante un sistema a sifone che collega il
materiale stesso con un punto a carico idraulico più basso. La differenza di carico viene
accentuata realizzando un pozzo di grande diametro collegato ad un sifone (GeoSiphon) o
ad un canale aperto (GeoFlow). In questo modo, le portate che attraversano la barriera
risultano essere superiori rispetto a quelle che si otterrebbero in condizioni di flusso
naturale.
In genere gli organo-clorurati mostrano una particolare stabilità indotta dal legame
carbonio-cloro; la presenza del cloro, infatti, riduce notevolmente la reattività degli altri
legami presenti nelle molecole organiche, riducendo la biodegradabilità; per questo motivo
essi tendono ad accumularsi nell’ambiente. Inoltre, come si nota nella figura1.8, gli
idrocarburi alogenati hanno struttura apolare, e per questo motivo risultano (chi più chi
meno) idrofobi, cioè non si sciolgono facilmente in acqua, ma diventano solubili solo se
immersi in mezzi idrocarburo-simili (apolari) come oli o tessuti adiposi (lipofilia), ed hanno
un ottimo potere solvente nei confronti di queste specie. Anche se comunque poco solubili,
la loro bassa solubilità è tale da essere assai maggiore del limite di tossicità, per cui sono
inquinanti assai pericolosi per i potenziali recettori. Oltre a questo, i solventi clorurati
mostrano una volatilità variabile ed una densità solitamente maggiore di quella dell’acqua;
per tale motivo, e per la bassa solubilità in acqua, tendono a depositarsi nelle porzioni più
basse dell’acquifero come fluidi in fase separata (DNAPL: Dense Non Aqueous Phase
Liquid) quando la loro concentrazione supera certi livelli. Un inquinante più denso
dell’acqua, oltre a spostarsi lateralmente, tende infatti ad “affondare” verso la base
dell’acquifero, andando a riempire le depressioni eventualmente presenti, rimanendo
intrappolato anche negli strati a bassa permeabilità.
I solventi clorurati vengono rimossi dall’acqua di falda attraverso una serie di reazioni di
ossido-riduzione, le quali riducono le sostanze alogenate a idrocarburi mediante
l’eliminazione di ioni cloruro. Sono state osservate tre principali reazioni di riduzione dei
contaminanti clorurati nel sistema Fe0 -H2 O :
1. la riduzione è provocata dal ferro metallico Fe0 , il quale si ossida cedendo due
elettroni alla sostanza clorurata adsorbita su di esso:
Fe0 + RCl + H + → Fe2+ + RH + Cl- ;
2. la riduzione è provocata dagli stessi ioni Fe2+ (ioni ferrosi) prodotti dall’ossidazione
del ferro metallico; essi si ossidano ulteriormente a ioni ferrici Fe3+ :
2Fe2+ + RCl+H + → 2Fe3+ + RH + Cl- ;
3. la riduzione avviene anche per trasferimento di elettroni dall’idrogeno, prodotto dalla
corrosione del ferro da parte dell’acqua, alla sostanza clorurata:
H2 + RCl → RH + H + + Cl- .
Il maggior contributo alla degradazione dei contaminanti descritti è dato dal primo
meccanismo di reazione. Secondo quanto visto, il processo dovrebbe dare luogo ad una serie
di reazioni a catena con la progressiva declorurazione dei contaminanti, fino alla formazione
di alcani e alcheni. Tuttavia è stata notata, in ogni caso, la permanenza in soluzione di
prodotti derivanti da una degradazione incompleta dei solventi clorurati, e la formazione di
composti che non seguono lo schema descritto. Ad esempio, nella degradazione del
tetracloroetilene (PCE) e del tricloroetilene (TCE), si rileva, oltre che etene ed etano anche
la formazione di acetilene, non previsto dalla teoria precedente.
Si è giunti alla conclusione che esistano due principali meccanismi di degradazione (Fig.):
a) idrogenolisi sequenziale (vista sopra): due elettroni e uno ione idrogeno attaccano la
molecola di solvente provocando l’eliminazione di uno ione cloruro e la formazione
di un prodotto a minor grado di sostituzione;
b) β-eliminazione riduttiva: due elettroni vengono trasferiti dal ferro all’etene clorurato
provocando la perdita di due atomi di cloro dalla molecola sotto forma di ioni e la
Figura 1.9 – Percorsi principali di degradazione del TCE in una barriera reattiva permeabile
a ferro zero-valente
Il processo che porta alla realizzazione e all’entrata in funzione di una barriera reattiva
permeabile è costituito da una serie di passaggi (figura 2.1), ognuno dei quali risulta
fondamentale per il raggiungimento del risultato desiderato,
Prove di laboratorio
Dimensionamento
Realizzazione
Monitoraggio
Figura 2.1 – Le fasi della progettazione delle PRBs
dove:
o 𝑅𝑅𝑖𝑖 è il fattore di ritardo;
o 𝐶𝐶𝑖𝑖 è la concentrazione della specie i-esima;
o 𝑦𝑦𝑖𝑖/𝑗𝑗 è il fattore di resa, che descrive la massa della specie i prodotta dalla specie j
(reazioni a catena);
o 𝜆𝜆𝑖𝑖 è il tasso di degradazione della specie i-esima;
o 𝐷𝐷𝑥𝑥 , 𝐷𝐷𝑦𝑦 , 𝐷𝐷𝑧𝑧 sono i coefficienti di dispersione idrodinamica;
o 𝑛𝑛 è il numero totale delle sostanze coinvolte nel processo di degradazione a catena.
Per la risoluzione di tale sistema risulta necessaria l’implementazione di appositi codici di
calcolo alle differenze finite o agli elementi finiti, attraverso i quali si possono effettuare
delle simulazioni di flusso e di trasporto dei contaminanti.
I modelli di flusso permettono di simulare il comportamento ideodinamico dell’aera in
esame tenendo conto della presenza della barriera, mentre i modelli di trasporto dei
contaminanti permettono di studiare i processi di degradazione delle sostanze inquinanti che
avvengono all’interno della barriera. Attraverso tali modellazioni di flusso e di trasporto, si
possono determinare:
• la localizzazione e la configurazione ideale della barriera in relazione al deflusso
sotterraneo e alla disposizione del plume inquinato;
• le dimensioni della cella reattiva tali da ottenere i risultati desiderati in termini di
degradazione dei contaminanti (spessore) e tali da impedire fenomeni di underflow,
overflow e aggiramento della barriera (sezione trasversale);
La velocità effettiva all’interno del gate 𝑣𝑣𝑒𝑒,𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔 può essere espressa in funzione di quella
dell’acquifero, secondo la relazione:
𝑣𝑣𝑒𝑒,𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓 𝑛𝑛𝑒𝑒
𝑣𝑣𝑒𝑒,𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔 = ,
𝜀𝜀
con 𝑛𝑛𝑒𝑒 e 𝜀𝜀 rappresentano la porosità efficace del sistema acquifero e del gate reattivo. In
questo modo è possibile riscrivere la relazione per il calcolo dello spessore della barriera:
𝑣𝑣𝑒𝑒,𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓 𝑛𝑛𝑒𝑒 𝐶𝐶𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜 𝑘𝑘𝑘𝑘 𝐶𝐶𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜
𝑆𝑆 = − ln � � = − ln � �,
𝜆𝜆𝜆𝜆 𝐶𝐶𝑖𝑖𝑖𝑖 𝜆𝜆𝜆𝜆 𝐶𝐶𝑖𝑖𝑖𝑖
Dove k è la conducibilità idraulica dell’acquifero e i il gradiente idraulico.
In certi casi, al fine di stabilizzare le pareti del foro, può essere inserito nel terreno un
cassone, generalmente di forma cilindrica e con diametro intorno ai 2 m. Inserito il cassone,
è possibile rimuovere il materiale all’interno di esso, e sostituirlo con il materiale reattivo.
Questa tecnica è generalmente economica, ma la profondità di scavo non supera i 15 m.
2.5 Monitoraggio
Realizzata l’opera, è importante effettuare controlli mirati a verificare il corretto
funzionamento della barriera reattiva; in particolare occorre verificare:
• la cattura del plume da parte della barriera come da progetto (per evitare i fenomeni
di bypass del flusso come underflow, overflow e aggiramento laterale della
barriera);
• l’efficienza di trattamento dei contaminanti presenti;
• il rispetto dei parametri progettuali fondamentali per la rimozione degli inquinanti,
come il tempo di residenza dei contaminanti all’interno della barriera;
• il funzionamento della barriera a lungo termine mediante monitoraggio (longevità).
A tale scopo si effettua una campagna di monitoraggio mediante dei pozzi, disposti nella
trincea prima dell’inserimento del materiale reattivo in posizioni diverse a seconda di ciò
che si vuole monitorare: ai lati della barriera o dei funnel per monitorare fenomeni di bypass
laterale, all’interno e in uscita della cella reattiva per verificare la presenza di fenomeni di
underflow e overflow, a monte e a valle delle barriere di funnel per controllare la perfetta
tenuta impermeabile di tali barriere, in entrata e in uscita della barriera per monitorare l’
abbattimento delle concentrazioni dei contaminati.
I campionamenti devono avvenire con cadenza mensile nei mesi immediatamente
successivi all’installazione, per poi dilatarsi progressivamente nel tempo (generalmente con
frequenza trimestrale).
Tra tutti i materiali utilizzati nelle barriere, il ferro granulare è quello più economico; la
quantità di ferro necessaria dipende dalla concentrazione iniziale di inquinante, dai tempi di
residenza necessari per conseguire gli obiettivi di bonifica prefissati, dalla velocità delle
acque sotterranee, dall’estensione del plume e dalla profondità del substrato impermeabile.
I costi di investimento e di manutenzione, invece, possono essere scomposti in:
• costi di monitoraggio a breve e a lungo termine;
• costi di manutenzione periodica.
I costi di una barriera reattiva permeabile, se paragonati con quelli del pump and treat, sono
molto bassi in quanto non sono richieste spese energetiche né frequenti interventi di
manutenzione, data la longevità (5-10 anni per il Fe0) del materiale reattivo. A supporto di
quanto detto, si riportano in figura i costi di realizzazione di una barriera reattiva realizzata
per la bonifica di un sito contaminato da TCE (Allen Bradley in New Jersey, 1998),
confrontati con una stima dei costi nel caso in cui fosse stata adottata la tecnologia del pump
and treat.
Come emerge dai dati in tabella 2.8, le barriere permeabili reattive offrono, a fronte di un
maggior investimento iniziale, un notevole risparmio in termini di spese annuali di esercizio,
risultando una valida alternativa rispetto alle tecnologie di bonifica tradizionali.
Figura 2.8 – Confronto dei costi fra barriere reattive e pump and treat
3 Caso di studio
Il caso di studio riportato si riferisce alla prima barriera reattiva permeabile costruita in
Italia. Questa consiste in una barriera a trincea continua e a ferro zero-valente, ed è stata
realizzata nel 2005 ad Avigliana, in provincia di Torino, per la bonifica di un sito
contaminato da solventi clorurati.
Figura 3.1 – Inquadramento del sito.1: vecchia discarica non impermeabilizzata per
terre esauste e rifiuti di fonderia. 2: Vasca in cls utilizzata come discarica per morchie
di lavorazione. 3: discarica impermeabilizzata. 4: discarica per inerti divisa in due
settori. 5: area utilizzata per lo stoccaggio di terre esauste di fonderia.
Per quanto riguarda la caratterizzazione della contaminazione, sono stati effettuati prelievi
di suolo, gas interstiziale e acqua di falda in corrispondenza di numerosi punti. I risultati
hanno evidenziato, in falda, la presenza di due plume contaminati caratterizzati dalla
presenza di solventi clorurati in concentrazioni superiori a quelle limite stabilite dal D.M.
471/99. I contaminanti presenti in concentrazioni più elevate sono risultati essere il
percloroetilene, il tricloroetilene ed i relativi sottoprodotti di biodegradazione. Anche nelle
matrici ambientali suolo e sottosuolo è stata riscontrata la presenza di solventi clorurati, ma
a concentrazioni inferiori a quelle limite di legge.
60 cm; a partire da qui, la barriera si estende fino alla massima quota di escursione della
falda, con un’ altezza del tratto riempito dal ferro zero-valente compresa fra 9 e 11 m.
Infine lo spessore della barriera è pari a 60 cm.
L’ubicazione della barriera è stata individuata in modo tale che essa sia disposta:
• in direzione ortogonale alle linee di flusso, in modo da minimizzarne la lunghezza;
• in una posizione la più a valle possibile nel senso del deflusso minimo sotterraneo,
in modo da garantire l’intercettazione di tutte le sorgenti contaminanti;
• in una posizione tale da non dover intaccare, con lo scavo, l’impermeabilizzazione
delle discariche limitrofe.
𝑡𝑡𝑝𝑝 𝑘𝑘𝑘𝑘
𝑆𝑆 = ,
𝜀𝜀
dove S è lo spessore del ferro zero-valente ed ε la porosità dello stesso. Il risultato ottenuto
dal calcolo è uno spessore di 0,5 m, ma la barriera è stata realizzata con uno spessore di 0,60
m, per tenere conto della larghezza standard dei mezzi da scavo. L’incremento di spessore è
stato compensato realizzando una miscela ferro zero-valente (83%) sabbia (17%).
Conclusioni
Le barriere reattive permeabili rappresentano quindi una valida tecnologia per il trattamento
delle falde contaminate. Come visto infatti, il loro raggio d’azione è molto ampio, in quanto
al variare del materiale reagente di cui sono costituite, possono essere utilizzate per
l’abbattimento delle concentrazioni di diverse tipologie di contaminanti, organici e non.
Inoltre, il fatto di essere un trattamento in situ ne costituisce un altro vantaggio, in quanto
le normative vigenti privilegiano tali interventi rispetto a quelli ex situ. Inoltre i costi
complessivi, a fronte di un investimento iniziale, risultano inferiori rispetto ad altri
trattamenti di bonifica delle falde come il pump and treat.
Per tutti questi motivi il loro impiego sta trovando sempre più spazio anche in Italia, dove,
in seguito al caso di studio descritto in questa relazione, sono stati effettuati altri interventi.
Fra questi si citano le barriere a funnel and gate realizzate a Pianoro (BO), per un sito
contaminato da tetracloroetilene e tricloroetilene, e a Cento (FE), in un progetto di messa in
sicurezza operativa per un sito contaminato da solventi clorurati.
Riferimenti