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EDITORIALE

Tra rancore e nuova speranza

Pigi Colognesi

lunedì 1 gennaio 2018

Secondo il recente Rapporto Censis noi italiani ereditiamo dal 2017 ed affrontiamo il 2018 determinati da una
percezione dell'esistenza, dei rapporti, del futuro descritta dalla parola "rancore". Il dizionario lo definisce come
"risentimento tenace che non si scorda" e i redattori del Rapporto spiegano che esso è prodotto da speranze
deluse: la ripresa economica c'è ma non ha ancora raggiunto me o almeno non come lo desidero, i rapporti
affettivi si moltiplicano in proporzione alla loro provvisorietà frutto di ripetute delusioni, dietro le promesse di
democrazia diretta, di informazione pulita e senza confini, di apertura globale offerte dalla rete si vede l'ombra di
raffinate manipolazioni e ben confezionate falsità; e tanto altro.
L'etimologia della parola può aiutare a capire meglio la dinamica del fenomeno del rancore. Deriva da un verbo
latino caduto in disuso che indicava l'andare a male di una sostanza oleosa, il suo diventare "rancida". L'olio, oltre
che per condire e cucinare, è fondamentale per la conservazione dei cibi: se la sostanza che dovrebbe proteggere
dal degrado imputridisce essa stessa, tutto va a male ed è da buttare. Da qui il rancore, cioè l'olio della nostra
speranza che si è tramutato nel suo aspro, immangiabile, puzzolente contrario. Succede nei grandi scenari
descritti prima e succede anche nelle quisquilie quotidiane; si diventa rancorosi perché il pranzo o il film di
Natale non è piaciuto come si sperava, perché nel gruppo di amici non si è trattati come si pensa di meritare,
perché la compagnia piccola o grande cui si partecipa sottolinea una cosa diversa da quella che si ritiene più
necessaria, perché il nuovo acquisto della squadra del cuore si è rivelato un brocco.
L'elenco potrebbe proseguire a lungo, ma è interessante cogliere un elemento costante di questa dinamica: la
delusione produttrice di rancore è più frequente quando si vuol rinchiudere la speranza in precostituite
immagini, inevitabilmente troppo rigide e difficilmente realizzabili esattamente come le si prevede. La speranza,
invece, è una apertura di credito sul futuro che non fissa a priori le modalità della sua realizzazione, anzi se ne
lascia sorprendere. Essa è ragionevole perché c'è ora qualcosa (qualcuno) che dà garanzia: so che il desiderio che
mi muove ora verrà compiuto, ma non so come.
Rimanendo nella metafora dell'olio mi è tornata in mente una bellissima preghiera nella quale si dice che Cristo
"ancora oggi come buon samaritano viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue
ferite l'olio della consolazione". Come sempre il realismo cristiano non nega affatto la presenza di difficoltà e
dolori, non edulcora la situazione, né promette soltanto futuri generici miglioramenti: offre un olio che consola
nel presente e lenisce ora le ferite. E perché l'impazienza su forme, tempi e modalità della guarigione non
facciano irrancidire quest'olio, peggiorando la situazione di partenza, il buon samaritano — conclude la preghiera
— offre anche "il vino della speranza". Con tale vino possiamo, senza alcun rancore, brindare all'anno che
incomincia.

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