Beruflich Dokumente
Kultur Dokumente
E' stato osservato che "se la Russia non ci avesse dato che Dostoevskij, avrebbe con ciò stesso
offerto un contributo insostituibile nello sviluppo del pensiero universale" (1). Anche per questo, il
grande scrittore non é considerato oggi solo alla stregua di un letterato, ma anche un autentico filosofo
e teologo il quale, partendo dall'esistenza concreta dell'uomo, vuole comprendere il senso autentico
della sua vita, del suo rapporto con gli altri uomini, con Dio. Dostoevskij voleva insomma soprattutto
essere "un ricostruttore religioso che aveva sperimentato, dentro e fuori di se, la decostruzione religiosa
del suo tempo più in profondità e vastità degli atei suoi contemporanei e successivi"(2). Per mettere
mano ad una tale opera di ricostruzione religiosa, dopo aver esplorato "l'avventura dell'occidente
moderno la sua ricerca, il suo nichilismo, la sua esigenza nascosta"(3), non era tuttavia sufficiente la
fede in un generico deismo e nel suo Essere supremo, bensì la fede nel Cristo quale autentico salvatore
e liberatore degli uomini.
C'é un episodio della vita di Dostoevskij, raccontato dalla moglie Griegorev'na, che esprime, forse
meglio di qualunque altro, quale fosse il suo atteggiamento di fronte alla figura di Cristo. Nel 1867 egli
si recò a Basilea per visitare il locale museo in cui si trovava un quadro di cui aveva sentito parlare. "Si
trattava di una tela di Hans Holbein, raffigurante Cristo dopo il martirio inumano, già staccato dalla
croce e in via di decomposizione. La vista di quel viso tumefatto, pieno di ferite sanguinanti era
terribile. (...). Quando ritornai, dopo circa venti minuti, trovai ancora mio marito davanti al quadro
come se fosse incatenato. Nel suo viso pieno di spavento lessi la stessa espressione che avevo già
notato più d'una volta all'avvicinarsi delle crisi di epilessia. Allora lo presi delicatamente per il braccio
lo allontanai dalla sala e lo feci sedere su una panca, aspettando da un momento all'altro la crisi che per
fortuna non venne. F.M. si calmò un poco; ma, uscendo dal museo, insistette per tornare a rivedere
ancora una volta il quadro"(4).
In quel quadro Cristo é veramente morto e la decomposizione sta realmente aggredendo il suo
cadavere. E' proprio questa morte reale che Dostoevskij vuole prendere del tutto sul serio perché essa
rappresenta per lui il simbolo della morte di Cristo nei cuori e nella vita degli uomini. "Questo
cadavere, sotto gli occhi di coloro che avevano creduto nel Cristo, fa nascere un interrogativo terribile,
di fronte al quale la fede non può non vacillare"(5) e tuttavia, di fronte ad esso, egli vuole ripetere l'atto
di fede pura e cieca compiuto dai discepoli di Cristo. Ma la fede cieca e pura di Dostoevskij non é
quella del fideismo: se per lui "questo quadro é il punto simbolico diacritico tra fede e miscredenza,
cristianesimo e ateismo" (6).
La sua fede é piuttosto quella dei discepoli dopo la crocifissione quando, apparentemente, le potenze
del male sembravano avere avuto la meglio sulla natura umana del Figlio di Dio. Del resto la fede, per
lo scrittore russo, non é mai stata un qualcosa di scontato o, tantomeno, di banale: se é vero che egli, fin
dall'infanzia, "conosce benissimo il Vangelo, ha familiarità con la letteratura agiografica"(7) , é
altrettanto vero che quella stessa fede fu smarrita ben presto sotto l'influsso delle idee liberali del suo
tempo. Arrestato nel 1849 per aver frequentato un circolo di intellettuali socialisti, lo scrittore viene
condannato a morte e proprio davanti al plotone di esecuzione arriva la grazia dello zar; la condanna gli
viene mutata in quattro anni di deportazione in Siberia, una prova durissima che si rifletterà in tutta la
sua successiva produzione letteraria. Fu proprio durante il viaggio verso la lontana regione russa che
Dostoevskij ricevette in regalo dalle mogli degli altri condannati il libro che lo accompagnerà per il
resto della sua esistenza: "Esse ci benedissero sulla nostra nuova via e con un segno di croce regalarono
ad ognuno di noi un Vangelo, l'unico libro permesso nella prigione. Durante quattro anni esso rimase
sotto il mio cuscino in galera"(8).
E' ha contatto con le dure sofferenze di cui fu costellata la sua vita che lo scrittore ritrovò dunque
quella fede che non lo abbandonerà più per tutto il corso della sua esistenza; ed é per questo che egli
poté affermare: "Non dunque alla stregua di un bimbo io credo nel Cristo e lo professo, ma il mio
osanna é passato attraverso il grande crogiuolo dei dubbi"(9); ed é per lo stesso motivo che "i suoi
argomenti non sono argomenti, bensì esistenze" (10). La fede ritrovata non fu, per Dostoevskij, un
qualcosa di posseduto in modo definitivo, bensì qualcosa da riconquistare continuamente. Del resto egli
"sa, accetta, di essere in combattimento spirituale, per tutta la vita, con la miscredenza da cui é stato
prima toccato é che é il male del secolo di cui egli é figlio" (11) . Nondimeno, dal momento in cui la
figura del Cristo tornò a risplendere nella sua vita, fu essa il suo unico metro di giudizio e la sua
autentica guida, non riguardo alla sola moralità ma all'intera esistenza dell'uomo: "Molti pensano che
sia sufficiente credere nella moralità di Cristo, per essere cristiano. Non la morale di Cristo né
l'insegnamento di Cristo salveranno il mondo, ma precisamente la fede in ciò, che il Verbo si é fatto
carne" (12). E' proprio per questa sua alta concezione del Figlio di Dio che Dostoevskij poté affermare
che "se mi si dimostrasse che Cristo é fuori della verità ed effettivamente risultasse che la verità é fuori
di Cristo, io preferirei restare con Cristo anziché con la verità" (13). Il senso di questa affermazione,
paradossale solo in apparenza, é che se la verità esiste e se qualcuno l'ha mai posseduta, questi non
poteva essere altri che Cristo stesso perché se anch'egli fosse fuori della verità, questa non potrebbe
esistere affatto ed il nostro mondo sarebbe per ciò stesso invivibile. Non sembra esagerato affermare,
quindi, che "nel mondo di Dostoevskij la persona di Cristo costituisce un centro di gravità. Tutto ad
essa converge, in essa si spiega e si illumina"(14); e se pur egli non scrisse una vita di Cristo (genere
letterario che in quell'ottocento di cui fu figlio era molto in voga e impresa da cui fu in verità tentato) é
altresì vero che "se si raccogliessero le definizioni e gli appellativi dostoevskiani che riguardano Cristo,
ne verrebbe fuori una litania lunga e appassionata" (15). Il maggior rimprovero che il grande russo
muoverà alla società occidentale é precisamente questo: di aver rimosso la figura di Cristo dalle menti
e dai cuori degli uomini credendo con ciò stesso di renderli più liberi ed emancipati senza accorgersi,
invece, che questa rimozione é la causa prima se non unica dello smarrimento e del senso di vuoto che
accompagnano l'uomo contemporaneo. Il cristianesimo non rappresenta per Dostoevskij una via tra le
altre o semplicemente un'opzione da scegliere o tralasciare: esso é l'autentica "conditio sine qua non
dell'essere e dell'esistere, individuale e sociale, temporale ed eterno"(16) che gli fece affermare che "se
non prendiamo la nostra autorità dalla fede e dal Cristo smarriremo sempre la retta via"(17). Come per
tutti i grandi scrittori, anche per Dostoevskij "vi é di più, o altrettanto, nella sua opera che nella sua
biografia"(18) ma nella trama dei molti suoi scritti, Cristo personalmente non appare che una volta
soltanto. Ciò avviene in quello che é quasi unanimemente considerato il suo capolavoro, I fratelli
Karamazov, e precisamente nelle dense pagine che formano il poema noto sotto il titolo di "Leggenda
del Grande Inquisitore". Sarà quindi estremamente interessante verificare quale immagine del Cristo la
"Leggenda" ci presenti e come le tematiche maggiormente care allo scrittore (la necessità di
un'autentica fede e le conseguenze teoriche e pratiche dell'ateismo) emergano da questo testo che,
scritto l'anno precedente la morte, si potrebbe quasi considerare una sorta di testamento spirituale. Ci
accingiamo a fare ciò con la guida eccezionale di un grande pensatore che ha applicato la sua
intelligenza allo studio di queste tematiche con una profondità che, nel suo genere, non ha ancora
trovato eguali: il filosofo e teologo tedesco Romano Guardini.
Nella conclusione del suo studio dedicato a Dostoevskij, Guardini non nega le difficoltà che ha
dovuto superare nell'interpretazione dell'opera e, specificatamente, dei personaggi creati dalla fantasia
dello scrittore russo: "Appena si crede -egli afferma- di aver capito che cosa significhi un tratto
particolare nel carattere di un personaggio o una determinata azione nel complesso della sua vita, subito
ci si accorge che la spiegazione potrebbe anche essere diversa"(19). E' dunque necessario, a parere
dello studioso tedesco, un filo conduttore per non smarrirsi nell'universo dostoevskiano ed egli afferma
di aver trovato ciò "nel rapporto dei personaggi con la terra, col popolo e con le potenze fondamentali
dell'esistenza"(20). Ma, preliminarmente, Guardini ha avuto cura di chiedersi quale sia stata la
concezione antropologica dostoevskiana giungendo alla conclusione che i suoi personaggi "sono
animati da motivi e da potenze religiose; le loro decisioni più profonde vengono di là"(21). Rilevante, a
questo riguardo, é il fatto che i personaggi di Dostoevskij "non hanno alcuna occupazione precisa ma,
invece, sono occupati interamente dal problema del significato dell'esistenza"(22). Guardini nota
efficacemente come, in un simile mondo, "i veri elementi di difesa e di sostegno dell'esistenza
quotidiana, a cominciare dal lavoro, sembrano ignorati"(23). Questi personaggi, dunque (specie quelli
negativi) vivono in un universo irreale, presi totalmente dai loro problemi e dalle loro passioni
ignorando che proprio il fatto di essersi staccati dall'esistenza reale é la principale fonte di quegli stessi
problemi e che "solo il normale complesso delle attività esterne sembra mettere un certo ordine"(24)
nella loro vita. La lettura guardiniana dell'opera dello scrittore russo non ha di mira tanto
un'interpretazione orientata su linee esclusivamente filosofiche o teologiche: essa ha come obiettivo,
piuttosto, la possibilità di un incontro esistenziale con lo stesso, tenendo presente che, in tutte le sue
interpretazioni, Guardini "ha adempiuto il compito che egli assegnava all'università, quando dice
ch'essa é la sede in cui le cose umane sono misurate sul metro di un grande passato"(25). Notevole é,
del resto, la sintonia tra la sua visione della figura del Cristo e quella dello scrittore russo oggetto della
sua interpretazione: anche per Guardini, infatti, "per il cristiano tutto dipende dal fatto se la figura di
Cristo viva in lui nella sua originaria schiettezza e nella pienezza della sua potenza, o se vi si delinei,
invece, sbiadita e confusa"(26); ed é sempre stato lui a mostrare "all'uomo moderno come soltanto
nell'incontro religioso con Dio la persona umana possa raggiungere il massimo della sua perfezione e
dischiudere tutte le sue possibilità vitali"(27). Ha osservato uno dei massimi conoscitori del pensiero
guardiniano come per il pensatore tedesco "solo Cristo possiede una visione completa e autentica del
mondo e lo sguardo rivelativo sul mondo é lo sguardo di Cristo"(28) ed in ciò sembra di sentir
riecheggiare il Dostoevskij che afferma che "non basta definire la moralità con la fedeltà alle proprie
convinzioni. Bisogna continuamente tornare a chiedersi: sono vere le mie convinzioni? La loro unica
verifica é Cristo"(29).
E' stato in un certo senso quasi naturale, perciò, che questi due autentici giganti del pensiero si
incontrassero, se pure a distanza, per un dialogo che, date le premesse, non può che preannunciarsi
quanto mai stimolante.
1 Gino Piovesana, Storia del pensiero filosofico russo, Cinisello Balsamo (MI), Edizioni Paoline,
1992, p. 197.
2 Guido Sommavilla, Dostoevskij cristologo e demonologo, in "Letture", XXXVI (1981), pp. 645.
4 Anna Grigorev'na Dostevskaja, Dostoevskij mio marito, Milano, Bompiani, 1977, pp. 115-116.
5 Xavier Tilliette, Filosofi davanti a Cristo, Brescia, Editrice Queriniana, 1989, p. 303.
6 Hans Urs Von Balthasar, Gloria. Una estetica teologica, Vol. 5, Nello spazio della metafisica: l'epoca
moderna, Milano, Jaca Book, 1978, p. 177.
7 Eugenio Vaghin, Dostoèvskij e la cultura russa del XIX secolo, in: Eugenio Vaghin (et al.),
Dostoèvskij: il mistero dell'uomo, Assisi, Cittadella editrice, 1985, p. 13.
8 Fedor Dostoevskij, Diario di uno scrittore, a cura di Ettore Lo Gatto, Firenze, Sansoni, 1963, p. 14.
9 Lucio dal Santo (a cura di), Dostoevskij inedito. Quaderni e taccuini. 1860-1881, Firenze, Vallecchi,
1981, p. 424.
10 Guido Sommavilla, Il problema religioso in Dostoèvskij, in: E. Vaghin (et al.), cit., p. 85.
11 Giovanni Casoli, Presenza e assenza di Dio nella letteratura contemporanea, Roma, Città Nuova
Editrice, 1995, p. 35.
12 Fedor Dostoevskij, I Demoni. Taccuini per i Demoni, Firenze, Sansoni, 1958, p. 1027.
13 Id, Epistolario, a cura di Ettore Lo Gatto, vol. II, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1951, pp.
168-169. Lo stesso concetto si ritrova espresso anche sulla bocca di un protagonista di uno dei suoi
maggiori romanzi: cfr. Id, I Demoni, vol. I, undicesima edizione, Milano, Garzanti, 1993, p. 263 .
14 Ferdinando Castelli, Volti di Gesù nella letteratura moderna, vol. I, seconda edizione, Cinisello
Balsamo (MI), Edizioni Paoline, 1990, p. 23.
15 Ivi. p. 34.
16 Cfr: Dostoevskij, Epistolario, cit., p. 310.
20 Romano Guardini, Dostojevskij. Il mondo religioso, quinta edizione, Brescia, Morcelliana, 1995, p.
331.
21 Ivi, p. 10.
22 Ivi, p. 7.
23 Paul Evdokimov, Cristo nel pensiero russo, Roma, Città Nuova Editrice, 1972, p. 94.
24 R. Guardini, Cit., p. 9.
25 Ettore Lo gatto, Storia della letteratura russa, Firenze, Sansoni, 1943, p. 297
27 Romano Guardini, La figura di Gesù Cristo nel Nuovo Testamento, Brescia, Morcelliana, 1950, p.
11.
29Silvano Zucal, postfazione a: Romano Guardini, La visione cattolica del mondo, Brescia,
Morcelliana, 1994, p. 83.
1 FEDOR M. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, vol. primo, seconda edizione, Milano, Garzanti, 1992, p. 346.
2 F. CASTELLI, Cit., p. 44.
3 DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov,..., cit. p. 350.
4 Ivi, p. 352.
5 Ivi, p. 355.
dei Cesari privando così l'umanità di quell'esigenza di unione universale
che é da sempre insita nei cuori di tutti.
Egli avrebbe dunque fallito su tutta la linea e l'Inquisitore stesso si
sarebbe accollato l'onere di correggerne l'opera: "L'abbiamo fondata sul
miracolo, il mistero e l'autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere
guidati nuovamente come un gregge, si sono rallegrati che qualcuno avesse
finalmente tolto dal loro cuore un dono così terribile che aveva causato loro
tanto tormento" 6 . La felicità consisterebbe quindi (per essere autentica)
nell'affidare completamente le proprie capacità decisionali ad un potere
esterno e nell'identificarsi completamente con le norme di condotta
suggerite da questo potere. Solo agendo in tal modo l'uomo potrà evitare
l'angoscia di dover mettere continuamente in discussione le proprie scelte
con tutto ciò che ne consegue. Quando tutto sembrava andare per il meglio e
gli uomini si lasciavano guidare docili come agnelli, ecco che Cristo viene a
disturbare; perciò, afferma l'Inquisitore, "se mai c'é stato qualcuno che
meritasse più di tutti il nostro rogo, quello sei tu. Domani ti farò bruciare.
Dixi." 7 .
Di fronte a queste accuse, il Cristo non risponde nulla: tace soltanto e
bacia l'Inquisitore prima di essere da questi, inspiegabilmente, rilasciato. Il
motivo di questo silenzio (che ricorda quello analogo di fronte a Pilato)
può essere variamente interpretato: o nel senso che Cristo si rifiuta di
esercitare a sua volta un potere, quello della parola, o che "il positivo non
parla perché gli basta essere" 8 o, infine, che egli si renderebbe conto che
"anche la razionalizzazione dell'esistenza umana costituirebbe una
tentazione" 9 .
6 Ivi, p. 357.
7 Ivi. p. 361.
8 LUIGI PAREYSON, La sofferenza inutile in Dostoevskij, in "Giornale di Metafisica" (Nuova Serie), IV (1982), p.153.
9 PAVEL EVDOKIMOV, Dostoevskij e il problema del male, Roma, Città Nuova Editrice, 1995, p. 197.
I.1. LE INT E R P R E TA Z I O N I D E L L A "L EG G E ND A "
10 VITTORIO STRADA, Introduzione a: VASILJ ROZANOV, La leggenda del Grande Inquisitore, Genova, Marietti, 1989, p.
XII.
11 L. PAREYSON, cit., p. 142.
12 R. GUARDINI, Dostojevskij..., cit., p. 124.
13 JOSEF IMBACH, Dio nella letteratura contemporanea, Roma, Città Nuova Editrice, 1975, p. 45.
14 G. SOMMAVILLA, Dostoevskij cristologo..., cit., p. 646.
15 Cfr. F. DOSTOEVSKIJ, Diario..., cit., p. 334-335. In un altro passo del medesimo Diario affermerà che "il cattolicesimo, in
verità, non é già più cristianesimo e si va trasformando in idolatria...". (p. 1285).
cattolicesimo con quelle rivolte nei confronti del socialismo, dato che per
lui "di diverso tra imperialismo cattolico e socialismo materialista c'é
soltanto che il primo manteneva ancora la finzione delle speranze
ultraterrene e il secondo non più" 1 6 . Accuse, come si può vedere,
profondamente ingiuste, ma che bisogna leggere nel particolare contesto
storico in cui furono formulate e considerando che provenivano da un uomo
profondamente radicato nella cultura del suo tempo tanto che, é stato
efficacemente notato, "come la circoncisione per gli antichi cristiani
giudaizzanti, così la nazionalità russa é per Dostoevskij un passaggio
obbligato al cristianesimo" 1 7 . Piuttosto che il cattolicesimo, bersaglio dello
scrittore sarebbe piuttosto "il principio autenticamente 'cattolico' -cioè
universale- della Tentazione, quel principio che é insito in tutte le forme
della coscienza religiosa come pure in quella atea" 1 8 . Del resto, se
l'interpretazione della "Leggenda" fosse solo quella che vi vede unicamente
una polemica nei confronti del cattolicesimo, "rivendicheremmo il diritto di
interpretare Dostoevskij nonostante Dostoevskij. Poiché le creazioni di un
grande scrittore non gli ubbidiscono ma seguono le proprie leggi e sono più
profonde di lui" 1 9 .
Un'altra interpretazione vede nella figura del Grande Inquisitore una
prefigurazione del moderno dittatore, di colui che assomma su di se il
controllo del potere politico e delle scelte morali in nome di una verità
conosciuta solo da lui e che é sua cura dispensare al popolo nelle forme
determinate da egli stesso. Secondo questa interpretazione, l'Inquisitore
potrebbe, come Hitler, affermare: "Io libero l'uomo dalla costrizione di uno
spirito diventato scopo a se stesso; dalle sporche e umilianti autoafflizioni
di una chimera chiamata coscienza e morale e dalle pretese di una libertà e
autodeterminazione personale, di cui ben pochi possono essere
all'altezza" 2 0 . Per venire ad un altro tipo di dittatura, é senza dubbio
16 G. SOMMAVILLA, Dostoevskij cristologo..., cit., p. 648.
17 FRANCO ZOPPO, Il 'Cristo russo' di Dostoevskij, in "Humanitas", XIV (1959), p. 630. Nel suo Diario, cit., Dostoevskij
affermerà che "la perduta immagine di Cristo si é conservata in tutta la luce della sua purezza nell'ortodossia". (p. 1175).
18 P. EVDOKIMOV, Dostoevskij e il problema..., cit., p. 210.
19 R. GUARDINI, Dostojevskij..., cit., p. 131.
20 Cit. in: JOSEPH RATZINGER, Chiesa, ecumenismo e politica. Nuovi saggi di ecclesiologia, Cinisello Balsamo (Mi),
Edizioni Paoline 1987, p. 159.
limitativo affermare che "Dostoevskij colla Leggenda ha voluto presentarci
un quadro di quella che avrebbe dovuto essere la società comunista,
costruita sulle premesse dell'ateismo" 2 1 , anche se non si può negare che é
quanto meno impressionante constatare i riscontri che questa
interpretazione ha avuto, soprattutto alla luce dei fatti del 1989 nei Paesi
dell'Est europeo. Già un acuto osservatore come il De Lubac, fra l'altro,
osservava come il progetto illustrato dal Grande Inquisitore altro non fosse
che una forma di socialismo ateo 2 2 .
Simile a questa é l'interpretazione che vede nel Grande Inquisitore
l'autentico anti-Cristo che "personifica tutte le forme dell'ateismo
moderno" 2 3 , non più, quindi, solo quello derivante dal socialismo scientifico
(oggi tra l'altro pressoché inesistente nei nostri paesi occidentali) ma anche
quello che trae la sua linfa vitale dalla moderna società dei consumi.
Un'altra linea di lettura propone un'interpretazione di taglio più
esistenziale: l'Inquisitore "rappresenterebbe l'uomo nel suo sforzo immane,
ambivalente e contraddittorio, di trasformazione antropologica e di
controllo in senso morale e politico dei suoi impulsi vitali" 2 4 . Si tratta di
una proposta interessante in quanto, tenendosi lontana dalle troppo facili
schematizzazioni e semplificazioni, si propone di scavare nell'animo di
colui che, con tanta implacabilità, accusa Cristo per individuare le
autentiche ragioni di questa requisitoria.
Senza dubbio, tuttavia, l'interpretazione che ha avuto maggior corso
riguardo alla "Leggenda" é quella che vede nel suo Cristo nient'altro che la
più alta rappresentazione del Figlio di Dio uscita dalla penna di
Dostoevskij 2 5 . Secondo questa chiave di lettura, "il Cristo muto della
leggenda rappresenta il più bel ritratto di Cristo che lo scrittore abbia
tracciato, questo Cristo en abime nella requisitoria dell'Inquisitore" 2 6 . E'
forse in conformità a questa chiave di lettura che molti preferiscono leggere
21 GIUSEPPE CAMPORA, Comunismo e cristianesimo in Dostoevskij, in "Humanitas", VI (1951), p. 783.
22 Cfr.: HENRI DE LUBAC, Il dramma dell'umanesimo ateo, Milano, Jaca Book, 1992, p. 262.
23 GIUSEPPE MANZONI, La spiritualità della Chiesa ortodossa russa, in: L. Boujer, E. Ancilli, B. Secondin (a cura di),
Storia della spiritualità, vol. 9\B, Bologna, EDB, 1993, p. 453.
24 GIUSEPPE TRENTIN, Attualità di Dostoevskij per la teologia morale, in "Rivista di teologia morale", XIV (1982), p. 363.
25 Cfr.: NIKOLAJ BERDJAJEV, La concezione di Dostoevskij, Torino, Einaudi, 1977, pp. 65ss.
26 X. TILLETTE, cit., p. 309.
la "Leggenda" come opera a sé stante e fare del Cristo che vi é
rappresentato quasi un oggetto di meditazione. Si tratta di una
interpretazione, vale forse la pena ricordarlo, la quale, se per certi versi
risulta affascinante, é più adatta ad una lettura separata del poema dal resto
dell'opera e che, al contempo, rischia di sviare l'attenzione ed il giudizio
dall'autentico centro del problema.
I.2. L' INT E R P R E TA Z I O N E DI R OM ANO G UA RDI NI
33 GIORGIO CAMPANINI, "Libertà cristiana", in Nuovo dizionario di spiritualità, a cura di S. De Fiores e Tullo Goffi, quinta
edizione, Cinisello Balsamo (MI), 1989, p. 848.
34 R. GUARDINI, Libertà - grazia - destino, Brescia, Morcelliana, 1956, p. 58.
35 G. CAMPANINI, cit., p. 851
36 R. GUARDINI, Ansia per l'uomo, t. II, Brescia, Morcelliana, 1969, p. 121.
37 TOMAS SPIDLÌK, Il cammino dello Spirito, Roma, Lipa, 1996, p. 74.
esclusivamente morale, nel senso più restrittivo del termine, vale a dire che
consiste unicamente nella sola possibilità di scelta tra bene e male.
Guardini afferma, nella sua opera più celebre, che esistono due specie di
libertà: la seconda (che é quella autentica) consiste nell'essere liberi nella
verità in modo tale che, una volta conosciuto Dio, non si possa fare altro
che donarsi a Lui. Questa libertà, tuttavia, per essere autentica, presuppone
la prima, la quale consiste nel fatto che a Dio si possa dire tanto sì quanto
no: "é una tremenda possibilità, sulla quale però matura la serietà
dell'esistenza umana. Dio non poteva fare a meno di dotarne l'uomo" 3 8 . Il
Cristo della "Leggenda" consegna sì la libertà all'uomo ma essa é
esclusivamente della prima specie nel senso indicato sopra mancandole la
"tremenda possibilità". Ne consegue che "se l'uomo é ricolmo della libertà
annunciata da Cristo e incarnatasi nella sua persona, a maggior ragione egli
sarà impotente ad adempiere le esigenze di imperativi morali impersonali
privi di qualsiasi immagine concreta" 3 9 .
Guardini intravede pure nel cristianesimo della "Leggenda" una larvata
forma di catarismo in quanto il fatto cristiano sarebbe identificato con
l'ideale cristiano e verrebbero respinte tutte le gradazioni e le
approssimazioni. Cristo ha sì dichiarato che "Molti sono i chiamati ma
pochi gli eletti" (Mt 22.14) ma é sempre lui che ha dichiarato: "Venite a me
voi tutti" (Mt 11.18). I due aspetti non sono inconciliabili: "il primo é
comprensibile solo se assunto illuminato e risolto nel secondo, e in questo
anche superato, nel senso almeno che se é impossibile agli uomini non é
impossibile a Dio" 4 0 . La compassione (nel senso etimologico di comune
soffrire) che il Cristo della "Leggenda" sembra nutrire nei confronti
dell'uomo é quindi più apparente che reale. Si tratta in realtà di "un Cristo
distaccato. Un Cristo che esiste solo per sé. (...) Egli ci scuote ma per
lasciarci nell'incertezza della Sua provenienza e della Sua meta. Il
turbamento che suscita in noi ci rende perplessi e toglie in ultimo ogni
44 DIVO BARSOTTI, Cristianesimo e Chiesa in Dostoevskij, in "Rivista di ascetica e mistica", LXIII (1994), p. 342.
45 R. GUARDINI, Dostojevskij..., cit., p. 13-14.
46 F. DOSTOEVSKIJ, Diario..., cit., p. 52.
47 R. GUARDINI, Dostojevskij... cit., p. 55.
il proprio punto fermo, ella può quindi divenire, a sua volta, un punto fermo
per gli altri. Si può quindi a ben ragione affermare che quella di Sonia "é la
più soave tra le figure femminili di Dostojevskij. (...) Ella é creatura di Dio
in un senso del tutto particolare, in quanto cioè su di lei sta insondabile il
mistero della divina Provvidenza. In questo mondo ella é indifesa, eppure é
avvolta nella sollecita protezione del Padre" 4 8 .
In mezzo a questa folla semi-anonima che popola il mondo dei romanzi
dostoevskiani, ad un certo punto sembrano emergere delle figure: sono
coloro che Guardini ama definire come "uomini spirituali". La differenza
consiste nel fatto che "anche nella vita degli altri personaggi di
Dostojevskij prevale il fatto religioso, ma questo non si traduce in precisi
atti spirituali, opera piuttosto nel complesso dell'esistenza e l'orienta a Dio.
(...) Questi uomini, invece, esprimono direttamente il momento religioso. In
loro, esso appare in se stesso e domina su tutto il resto" 4 9 . Il più conosciuto
di questi "uomini spirituali" é senza dubbio lo starec Zosima de I fratelli
Karamazov. Costui non é stato sempre cristiano, ha anzi vissuto una
giovinezza dissoluta quando era arruolato come ufficiale nell'esercito ma,
una volta ritrovata la fede, decide di viverla nel modo più radicale possibile
facendosi monaco. Da quel momento, l'intera sua esistenza diventa una
splendida icona del Dio vivente che ha conosciuto ed in punto di morte
ripercorrerà i tratti fondamentali della sua vita e della sua spiritualità
fondata sulla compassione verso tutti gli uomini, sulla preghiera e sulla
Sacra Scrittura.
Un ulteriore passo avanti rispetto allo starec Zosima viene individuato
da Dostoevskij nella figura di Alesa Karamazov, la cui grandezza "non é
soltanto una qualità umana; ivi si esprime anche qualcosa di sovrumano, la
natura angelica" 5 0 . Ciò che nello starec risulta essere frutto di una lunga
ascesi, in questa figura appare piuttosto come una qualità originale e tutti
coloro che gravitano intorno a lui sembrano avvertire che dalla sua persona
promana una forza che va al di là dell'umano. Egli non giudica mai nessuno
48 Ivi, p. 48.
49 Ivi, p. 66-67.
50 Ivi, p. 110.
e mai nessuno condanna ma "vi é chiarezza in lui che porta la distinzione
tra il bene e il male su un piano di consapevolezza, sicché in presenza sua
questa differenza s'impone" 5 1 e la verità stessa sembra parlare con la sua
stessa bocca.
Guardini insiste molto sulla grandezza spirituale di Alesa in quanto
questo personaggio gli richiama alla mente quella che é da lui considerata la
figura più alta uscita dalla penna di Dostoevskij: il principe Myskin de
L'idiota , questo "figlio inquieto e beniamino dell'autore" 5 2 . Costui, nel
romanzo, giunge a Pietroburgo dopo un lungo ricovero in una clinica
svizzera e si trova al centro di una serie di intrighi. Rifiutandosi di
parteggiare per una fazione contro un'altra, il principe si mette piuttosto al
servizio di ciò che di buono riesce ad intravvedere in ogni uomo. Il suo
modo di agire risulta in tal modo disarmante: rifiuta di assumere un
atteggiamento calcolatore ed egoista, non si basa sulle apparenze nel suo
rapporto con gli altri, si dedica al prossimo con una dedizione totale. Allo
sguardo di Myskin il mondo appare come un miscuglio di potenzialità
positive e negative e ritiene suo preciso dovere fare tutto il possibile perché
le prime prevalgano sulle seconde. E' proprio perché, nel suo atteggiamento,
egli si differenzia da tanta parte dell'umanità che si vede affibbiata la
qualifica di "idiota", nel senso etimologico di "diverso", "straniero". La sua
grandezza consiste nel fatto che "a differenza di tanti che comprendono
l'errore, il peccato e perdonano perché comprendono, il principe Myskin
perdona non solo perché comprende la debolezza umana, ma perché ama, a
somiglianza di Cristo" 5 3 .
E' quindi perfettamente lecito chiedersi se il protagonista de L'idiota
non rappresenti che un cristiano (sia pure di un tipo tale che sia riuscito a
vivere la propria fede in maniera eminente) o non piuttosto qualcosa di
diverso e di maggiore. Per Guardini non sembrano esserci dubbi in quanto
"se cerchiamo di penetrare nell'intimo di questa esistenza, procedendo di
episodio in episodio, di avvenimento in avvenimento, avvertiamo subito che
51 Ivi, p. 103.
52 H. U. VON BALTHASAR, cit., p., 174.
53 G. MANZONI, cit., p. 445.
tutto -certe corrispondenze interiori, l'atmosfera, e così pure molti
particolari- sembra indicare qualcosa che trascende l'umano" 5 4 . Il principe
Myskin é dunque sì solamente un uomo ma, attraverso la sua figura,
Dostoevskij sembra spingere il lettore ad andare al di là delle apparenze
per contemplare l'immagine dell'Uomo per eccellenza: Gesù Cristo.
Impresa quanto mai ardua in quanto "si tratta di far passare la luce di Cristo
in un vaso d'argilla" 5 5 ma che allo scrittore sembra perfettamente riuscita.
Non che esista un parallelismo diretto in quanto "l'immagine dell'esistenza
di Cristo é qui tradotta nell'esistenza di quest'uomo, il che é forse possibile
solo se, da un punto di vista puramente umano, essa rimane una
'impossibilità'" 5 6 . Né bisogna lasciarsi fuorviare dal fatto che, in ultima
analisi, il principe, a differenza del Cristo, non salvi in definitiva nessuno
di coloro per i quali ha speso la propria esistenza. Dopo essersi infatti
messo al servizio del mondo corrotto in cui vive, senza chiedere nulla per sé
ed accettando sofferenze ed incomprensioni, la sua impresa fallisce ed egli
ricade nella sua malattia, apparentemente sconfitto. La spiegazione di tutto
ciò é nel fatto che "la perfezione del simbolo sta appunto in questo: che
nulla esso 'mima' di ciò che é divino" 5 7 , senza considerare che "non sono le
anime tortuose e perfette a dare il senso della presenza di Cristo; sono le
anime disordinate, il cui passaggio scompagina le nostre norme e
interrompe il nostro sonno teologico" 5 8 .
Questa rapida carrellata nel mondo dei personaggi dostoevskiani ci ha
permesso di appurare che "crede davvero solo colui che si colloca come
persona vivente sul quel punto fermo soprannaturale dove sta Cristo" 5 9 .
Questi stessi personaggi hanno trovato il loro punto fermo e lo sono a loro
volta diventati per coloro che gravitano intorno a loro. Appare evidente
85 Ivi. p. 175.
86 Ivi. p. 177.
87 Ivi, p. 113.
88 ID, La visione cattolica..., cit., p. 32.
89 DOSTOEVSKIJ, I demoni. Taccuini per i demoni. cit., p. 954.
perfetta della sfera. Il risultato di questo modo di vedere era che l'uomo
avvertiva nettamente che il mondo, pur essendo in se stesso finito, era una
creazione di Dio la cui influenza era avvertibile ovunque. La partecipazione
all'eterno era così possibile in quanto l'uomo si sentiva ordinato al suo
centro come un raggio rispetto alla sfera ed in tal senso egli era
autenticamente "somma, centro, culmine del creato, sacerdote della
creazione di fronte a Dio" 9 0 .
Le cose cambiano con l'inizio dell'età moderna quando, anche per
effetto della scoperta di nuove terre, si comincia a comprendere chiaramente
che la sola esperienza é impossibilitata a conoscere la totalità della realtà
mondana. Quel senso della presenza di Dio che, fino a tutto il medioevo, era
stato avvertito così nettamente, comincia a venir meno e, visto che il mondo
agli occhi umani diventa praticamente illimitato, in seguito a ciò le cose
vengono avvertite come finite in se stesse. Le conseguenze di ciò sono di
una portata incalcolabile in quanto "la consapevolezza che il mondo sia
senza limiti crea le prime condizioni psicologiche per il suo distacco da
Dio" 9 1 ed il mondo stesso comincia a sviluppare il senso della propria
autosufficienza.
Le cose non sono così semplici in quanto il sentire umano avverte
l'autosufficienza mondana come un'impossibilità e trova quindi come un
elemento compromissorio nella "'falsa infinità della continuità, indefinita,
unita alla 'falsa assolutezza' del matematicamente necessario nella scienza e
nella logica" 9 2 . Sentendosi in questo modo come abbandonato da Dio,
l'uomo si sente minacciato nel suo esistere e comincia a difendersi ma
avverte che la difesa, nella sua realtà finita, sarebbe vana e perciò
"incomincia con l'arrogarsi gli attributi di Dio, ponendo anzitutto se stesso
come 'assoluto'" 9 3 e a razionalizzare la finitezza sulla misura
dell'assolutezza. Da questo momento, tutta l'esistenza umana é vista come
valore autonomo e le conseguenze di ciò sono di così vasta portata che solo
94 Ivi, p. 215.
95 Ivi, p. 217.
esistenzialmente importante, e l'esistenza diventa banale" 9 6 . Guardini ha
anche individuato in maniera quanto mai lucida gli esiti pratici di tale
ateismo teorico: "Nella misura in cui svanisce la fede in Dio, il rapporto
con Lui, sentito in modo reale e vivo, decade la vera autorità. Subentrano
insensibilmente, dapprima forme attenuate che poi trapassano sempre più in
funzioni di carattere razionale e scompaiono concetti di reverenza, dovere,
colpa, punizione, espiazione e così via" 9 7 .
Preso atto che la nostra epoca vive oramai in maniera irreversibile in un
tale contesto culturale, quale sarà, di conseguenza, il compito della fede nei
suoi confronti? Proprio a tale riguardo, Guardini individua uno di quello
che é, a suo avviso, uno dei limiti del pensiero dostoevskiano. Abbiamo
notato sopra 9 8 come, nel pensiero dello scrittore russo, l'unica possibilità
che é data all'uomo per non allontanarsi da Dio stia nel mantenere vivo il
legame con la terra e con il popolo; spezzare questo legame significherebbe
anche spezzarlo con Dio stesso. Il limite di tale pensiero starebbe nel fatto
che "una fede che sopravviva a questa rovina, sorretta solo dalla grazia e
dalla semplice forza della persona dopo il dissolversi di ogni sostegno e
legame organico -quella fede che é il compito dell'epoca moderna e di
quella che la segue- non sembra esser stata intuita da Dostojevskij. In
questo egli resta un romantico" 9 9 . Su questo specifico problema, un altro
grande interprete dostoevskiano, Luigi Pareyson, la pensa in maniera
diametralmente opposta: a suo modo di vedere, nel pensiero dello scrittore
russo l'ateismo avrebbe invece il senso (e raggiungerebbe lo scopo) di
purificazione della fede stessa e non sarebbe che l'altra faccia dello stesso
problema. Senza l'ateismo, quindi, "l'affermazione dell'esistenza di Dio
sarebbe piatta e consolatoria; senza l'affermazione dell'esistenza di Dio
l'ateismo si risolverebbe in una mera negazione e distruzione" 1 0 0 . Differenti
interpretazioni che hanno almeno il merito di dimostrare quanto sia
profondo il pensiero dello scrittore russo.
106 F. DOSTOEVSKIJ, I demoni, vol. primo, undicesima edizione, Milano, Garzanti, 1993, pp. 120-121.
107 MARIANO VEZZALI, Le due vie della ragione in Dostoevskij, in "Vita e Pensiero", LXXII (1989), p. 119.
108 R. GUARDINI, Dostojevskij..., cit., p. 196.
109 Ivi, p. 194.
attuazione. La rivoluzione descritta ne I demoni mostra come il tentativo di
attuare una giustizia senza Dio si tramuta precisamente nel proprio
contrario. Paradossalmente, infatti, per Dostoevskij i "demoni" non sono
tanto coloro che vogliono il male, ma coloro che vogliono il bene, ossia
coloro che prima stabiliscono cosa é bene e cosa é male e quindi perseguono
l'attuazione del bene inesorabilmente ed in modo spietato; anche la figura
del Grande Inquisitore é una chiara dimostrazione di come ciò sia possibile.
Al fondo di tutte le rappresentazioni di Dostoevskij vi é la scelta che l'uomo
fa per la luce o per le tenebre, per Cristo o per tutto ciò che, direttamente o
indirettamente, lo combatte. Fuori di Cristo, nella sua visione, non c'é
salvezza e tutta la sua profetica condanna della vita anti-evangelica e della
cultura anticristiana dell'occidente si spiega a partire da qui, dalla
consapevolezza che "gli uomini trovano la pace non col progresso della
scienza e della necessità ma col riconoscimento morale di una superiore
bellezza, capace di servire da ideale a tutti, dinanzi alla quale tutti si
inchinino e trovino pace" 11 0 . Il grande Inquisitore ha quindi avuto ragione
quando ha affermato che uno dei più grandi desideri dell'uomo é quello di
trovare una realtà davanti alla quale inchinarsi; si é invece sbagliato
nell'individuare questa stessa realtà: essa può essere solo il Dio
trascendente del cristianesimo e non già una qualunque altra realtà creata
dall'uomo dal momento che quando egli "tradisce la sua naturale
inclinazione, ovvero smarrisce il sentimento immediato del bene (...) perde
ogni capacità di costruire un mondo a sua misura" 111 . E' per questo che
Dostoevskij (dopo le giovanili infatuazioni) combatterà sempre in maniera
netta il socialismo; per lui, infatti, esso " non é soltanto dottrina sociale, é
specialmente dottrina religiosa: della religione dell'uomo-dio, della scienza,
del nichilismo, della torre di Babele, dell'innocenza naturale" 11 2 e per ciò
stesso pericoloso come tutto ciò che, promettendo il paradiso in terra, non
riesce a fare di meglio che a trasformare la stessa in un inferno.
116 Perché non si crede? La risposta di Dostoevskij (Editoriale), in "La Civiltà Cattolica", CXL (1993), p. 212.
117 M. VEZZALI, cit., p. 123.
118 F. DOSTOEVSKIJ, I demoni,cit., p. 732.
dichiarandone l'autarchia, l'autonomia" 11 9 . Molti personaggi dostoevskiani
hanno optato per la seconda ipotesi e la loro esistenza é perciò diventata un
assurdo angosciante da cui hanno cercato di liberarsi togliendosi la vita.
Coloro che hanno cercato di sottrarsi a questo assurdo, hanno trovato la
forza per farlo solo a partire dalla luce di Cristo dal momento che "l'unica
via possibile per il superamento della menzogna in se stessi e nel mondo é
l'umiltà di fronte alla Verità" 1 2 0 .
Considerata la vastità delle problematiche sollevate dall'ateismo, sarà
ora comprensibile perché il Cristo tratteggiato da Ivàn Karamazov nella
"Leggenda" sia, di fatto, impossibilitato ad essere di alcun aiuto all'uomo.
Egli non é il Figlio di Dio (la compassione che nutre per gli uomini sembra
piuttosto condiscendenza) ma, parto della mente malata di un ateo, può
essere considerato al massimo un'aspirazione verso di Lui.
CONCLUSIONE
Ciò che é sin qui emerso avrà speriamo permesso di appurare chi era
veramente Cristo per Dostoevskij e qual é il senso autentico de "La
Leggenda del Grande Inquisitore". Soprattutto nella sua maturità, lo
scrittore russo era giunto alla piena consapevolezza che il Dio cristiano non
é il Dio della spada o del miracolo fine a se stesso, ma della comprensione
e della misericordia e che non é venuto ad eliminare il male ma ad
assumerlo su di sé. Il Dio in cui credeva era quello della Rivelazione
cristiana e non già il Grande Architetto di massonica memoria e per questo
"si ribella sia ad ogni forma di monofisismo che al monismo dell'idealismo
tedesco e, alla luce del dogma, scrive una grandiosa apologia dell'uomo e
del cosmo" 1 2 1 . Questa apologia ha avuto dei meriti grandissimi: soprattutto
l'aver dimostrato "che il problema dell'esistenza di Dio é una questione
fondamentale per ogni uomo, se ne renda conto o no" ed inoltre "l'aver
122 PIMEN - ALCESTE SANTINI, Il Patriarca risponde. Mille anni di fede in Russia, Cinisello Balsamo (MI), Edizioni
Paoline, pp. 38-39.
123 A. CALVET - G. AULETTA - B. MATTEUCCI, Il Cristo nella letteratura, in G. BARDY - A. TRICOT (a cura di),
Enciclopedia cristologica, seconda edizione, Alba-Roma, Edizioni Paoline, 1960, p. 1114.
124 L. PAREYSON, cit., p. 169.
dei suoi punti di forza. Del resto, "chi vuole soprattutto essere rassicurato,
non prenderà Dostoevskij per confidente" 1 2 5 .
I.A. Chiusano, seconda edizione, Cinisello Balsamo, (Mi), Edizioni Paoline, 1990, pagine
584.
-DOSTOEVSKIJ, Fedor M., Dostoevskij inedito, Quaderni e taccuini. 1860 - 1881, a cura
pagine. 1070.
-DOSTOEVSKAJA, Anna G., Dostoevskij mio marito, Milano, Bompiani, 1977, pagine
300.
-VAGHIN, Eugenio (et al.), Fedor Dostoevskij: il mistero dell'uomo, Assisi, Cittadella
Introduzione.............................................................................
Cap. I. Il Cristo della "Leggenda"......................................
I.1. Le interpretazioni della "Leggenda"...........................
I.2. L'interpretazione di Romano Guardini.......................
Cap. II. L'ateismo e le sue conseguenze................................
II.1. L'ateismo nel pensiero di R. Guardini........................
II.2. L'ateismo nel pensiero di F.M. Dostoevskij................
Conclusione...............................................................................
Bibliografia...............................................................................
Leggendo questo libro, non si ha solo l'impressione, ma la certezza, che la fase dell'allarmismo sia altamente
superata: ormai la situazione è grave.
Nel "conto ecologico" che ci sottopone l'autore, il "rigo" più preoccupante è quello del settore alimentare: la
domanda mondiale di risorse si è moltiplicata per effetto della crescita della popolazione e dell'aumento del reddito.
Qualche numero? Nel 1950 eravamo 2, 5 miliardi di persone, nel 2000 la popolazione mondiale aveva raggiunto 6,1
miliardi di unità: in 50 anni l'incremento demografico ha di gran lunga superato quello dei 4 milioni di anni legati
alla nostra specie. Ma ancora più inquietante sono gli aspetti legati al reddito pro-capite che, su scala mondiale, si è
triplicato. Questo fattore, legato al precedente, ha comportato un aumento impressionante dei consumi di cereali,
con una produzione che per stare al passo sta "consumando" la Terra.
Paesi come la Cina non hanno più risorse interne sufficienti per soddisfare il proprio fabbisogno e stanno per
rivolgersi alle riserve di cereali di Paesi terzi e l'effetto immediato sarà un rilevante aumento dei prezzi. Questo è
solo uno dei tanti esempi che vengono trattati in questo libro. Allora quale soluzione?L'autore ironicamente inserisce
l'espressione "Piano B" all'interno di una parte del titolo del libro per sottolineare il fatto che il "Piano A" è risultato
fallimentare (Lester intitola un suo capitolo "Piano A: far finta di niente"). Soccombere ai problemi non può essere
considerata una soluzione neanche in un'ottica estremamente egoistica del problema: lo stato attuale delle cose
non può essere considerato in un'ottica di quanto lasciare alle generazioni future, perché il problema è già presente.
Dopo una prima parte, in cui l'autore sottolinea la situazione in cui ci troviamo, capace di togliere il sonno anche ai
più distratti, il libro continua illustrando un Piano B che può essere la soluzione ai problemi.Il Piano B "èuna
massiccia mobilitazione tesa a sgonfiare la bolla economica internazionale prima che esploda", dove serve un livello
di cooperazione internazionale senza precedenti. Le scelte non devono essere dei miracoli o ricette visionarie, ma
una rilettura pragmatica dell´economia e dei dati della scienza. Già perché occorre inserire la variabile ambientale
fra le priorità delle scelte economiche politiche e aziendali: Lester ricorda che non è l'ambiente a essere una parte
dell'economia, ma viceversa. Accettando questo concetto, allora si diventa consapevoli che l'economia deve essere
programmata in modo compatibile con l'ecosistema in cui è inserita.
Altri sistemi suggeriti dal libro sono quelli di ridurre il numero e la grandezza delle
infrastrutture come le autostrade, per consentire più spazio al terreno coltivabile,
nonché a ubna riduzione dell'utilizzo di automobili. Per l'energia, è suggerito
caldamente un passaggio dall'energia a petrolio a quella eolica e solare. Questi
accorgimenti, insieme ai molti altri suggeriti dal libro che davvero consiglio caldamente,
potrebbero condurre, qualora applicati, a una riduzione dello sfruttamento del pianeta
e a una migliore razionalizzazione delle risorse e potrebbero consentirci di gestire
l'aumento della popolazione. La riduzione degli abitanti aiuta di sicuro. Ma con l'attuale
sistema economico, almeno secondo Lester Brown, faremo comunque una brutta fine,
anche rimanendo lo stesso numero di adesso. E dal suo libro non sembra che la colpa
specifica sia da addebitare alla sola Cina.
In ogni caso, quando il petrolio andrà alle stelle sul serio (e probabilmente ciò avverrà,
secondo lo studioso, entro il 2030) nessuno potrà più
permettersi un'automobile come noi la intendiamo oggi. Questo potrebbe comunque
influire in un modo drastico sul nostro modo di vivere e di pensare. Forse ci sono i
margini per evitare un'apocalisse, ma senza dubbio i nostri figli e nipoti vivranno in un
mondo i cui equilibri saranno molto diversi da adesso.