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Dal russo all’italiano: gli itinerari linguistici di Moskva-Petuški

Ilaria Remonato, Università degli Studi di Verona

Citation: Remonato, Ilaria (2013), “Dal russo all’italiano: gli itinerari linguistici di
Moskva-Petuški”, mediAzioni 14, http://mediazioni.sitlec.unibo.it, ISSN 1974-
4382.

1. Il poema in prosa Moskva-Petuški (1970), su cui si basano la fama e l’aura


leggendaria che circondano lo scrittore russo Venedikt Erofeev (1938-1990), ha
suscitato negli ultimi anni un interesse sempre crescente, sia in Russia che in
Occidente, con un fiorire di letture, studi e interpretazioni. I lavori spaziano in
direzioni diverse e mettono in luce numerosi aspetti del testo, contribuendo ad
ampliarne la conoscenza inizialmente piuttosto lacunosa anche per ragioni di
carattere biografico e filologico1. Le analisi contemporanee permettono, inoltre,
una collocazione più coerente dell’opera nel contesto culturale sovietico coevo,
senza ridurne la complessità e la ricchezza semantiche.

L’interesse è stato testimoniato anche nel nostro paese dall’uscita a pochi mesi
di distanza di due nuove traduzioni italiane del poema: Tra Mosca e Petuški,
traduzione e cura di Mario Caramitti (Roma, Fanucci, 2003) e Mosca-Petuški e
altre opere, traduzione e cura di Gario Zappi (Milano, Feltrinelli, 2004). Queste
versioni si affiancano all’unica precedente, Mosca sulla vodka, traduzione e
cura di Pietro Zveteremich (Milano, Feltrinelli, 1977), e offrono oggi l’opportunità
di una comparazione a più livelli. Come ogni lavoro di traduzione, le opere in
questione si propongono lo scopo fondamentale di trasferire il testo dalla lingua
e dal contesto russi originari in una cultura diversa: per questo motivo
rappresentano un vero e proprio documento linguistico e letterario (cfr.

1
Le prime edizioni degli anni ’70, realizzate a partire da copie dattiloscritte, non riportavano
esattamente né la data (1939 anziché 1938, 26 anziché 24 ottobre) né il luogo di nascita di
Erofeev (veniva citata la città di Vladimir anziché la penisola di Kola, oltre il circolo polare
artico). Anche il periodo di composizione del testo, ritenuto in molte versioni il 1969, secondo
indagini più recenti sui manoscritti è da collocare nelle prime settimane del 1970.

1
Scandura 2002:12). Analizzando le scelte compiute attraverso il confronto fra le
tre traduzioni italiane si possono trarre alcune riflessioni generali sui criteri e
sulle modalità utilizzate dai traduttori, sugli obiettivi più rilevanti rispetto alla
lingua di partenza e a quella di arrivo2. È inoltre possibile individuare
l’interpretazione d’insieme del testo da parte del traduttore e quali sono le
caratteristiche generali della lingua italiana nelle singole versioni, anche
tenendo conto delle recenti acquisizioni e orientamenti della teoria della
traduzione.

2. La storia della diffusione e della ricezione di Moskva-Petuški si rivela di per


sé complessa e controversa, ed è importante sottolinearlo, dato che le
traduzioni italiane sono state condotte su versioni russe diverse, che
presentano numerose discrepanze e lezioni incerte. Il manoscritto originale fu
ritenuto a lungo perduto e la sua diffusione avvenne in copie dattiloscritte
attraverso i canali del samizdat. Si trattava, come è stato evidenziato
successivamente, di manoscritti “pirata”, redazioni non molto attendibili con una
serie di errori legati alle modalità clandestine attraverso le quali l’opera circolava
in patria e all’estero. Moskva-Petuški è stato infatti pubblicato per la prima volta
in russo sulla rivista Ami in Israele (1973), e in seguito a Parigi dalla casa
editrice YMCA-Press nel 1977: su questa versione sono state condotte la
traduzione francese (per i tipi della Albin Michel) e la prima italiana (entrambe
realizzate nel 1977). Solo alcuni anni dopo il testo è uscito anche in Russia,
prima in forma molto censurata sulla rivista Trezvost’ i kul’tura (1988 e 1989),
poi in veste integrale sull’almanacco Vest’ (1989). Nel 1990, l’anno della morte
dell’autore, il poema è stato pubblicato in volume a sé stante sia dalla casa
editrice moscovita Interbuk che da Prometej: quest’ultima edizione, curata da V.
S. Murav’ëv, è considerata attualmente su basi attendibili editio princeps, in
quanto si rifà al manoscritto originale di Erofeev, dato per perso e recuperato in
extremis dal curatore. Su di essa è stata condotta la traduzione di Gario Zappi,
che, benché pubblicata nel 2004, risale probabilmente all’inizio degli anni ’90,
come sembrano confermare la prefazione e l’apparato critico, nei quali non

2
Sarebbe necessario tener conto, se fosse possibile, anche degli orientamenti delle case
editrici, che probabilmente hanno avuto il loro peso nella redazione finale delle traduzioni,
determinando alcune scelte.

2
vengono citati edizioni, materiali o studi di rilievo apparsi dopo il 19953. In
Russia negli ultimi anni, in seguito all’uscita di vari contributi e ad alcuni eventi
di carattere mediatico in occasione del decennale della morte dell’autore, sono
state pubblicate presso Vagrius un’edizione in volume singolo con il commento
testuale di Èduard Vlasov4 (Vlasov 2000) e l’opera omnia di Erofeev in due
volumi (2001). Su questa versione è stata realizzata la traduzione di Mario
Caramitti.

3. Già a livello strutturale la classificazione di genere di Moskva-Petuški si


presenta ambigua e problematica, in quanto sfugge agli schemi più consueti e
oscilla, come già accennato, fra romanzo breve (in russo povest’) e poema in
prosa. Quest’ultimo termine appare particolarmente evocativo: in primis
richiama le opere di Puškin e Gogol’ e, in secondo luogo, era quello preferito
dall’autore, visto che sembra esprimere meglio le peculiarità stilistiche e
l’intentio della narrazione.

Com’è noto, le vicende descritte nel testo si svolgono per la quasi totalità – a
parte l’inizio e il concitato finale – a bordo di una èlektrička, un treno locale che
fa la spola fra Mosca a Petuški, cittadina dell’anello industriale a poco più di un
centinaio di chilometri dalla capitale. Il protagonista-narratore, Venja, vi sale per
recarsi a trovare l’amante e il figlioletto, come ogni venerdì, ma la meta e lo
scopo concreti del viaggio restano sullo sfondo: durante il percorso, infatti,
affiorano i ricordi, gli aneddoti e le bevute che costituiscono l’essenza
dell’opera. Come osserva Simmons, il viaggio da “pendolare dello spirito”
diventa cornice, espediente narrativo sospeso fra realtà e visione onirica
(Simmons1998: 59-90). Il treno si trasforma infatti nel background virtuale di un
dialogo artistico che sconfina di continuo in parodia, nel quale spiccano l’alcool
e la sua celebrazione, i cliché della pubblicistica sovietica, gli slogan politici, ma

3
Per una ricostruzione accurata delle vicende del manoscritto e delle varie edizioni a stampa si
veda Zappi 2004: 155-156 e 339-341.

4
Il commento all’opera di Vlasov, già edito precedentemente in Giappone (1998), rappresenta
una vera e propria miniera di informazioni per l’ampiezza e l’eterogeneità dei riferimenti. Le
osservazioni, infatti, comprendono citazioni e associazioni culturali, con approfondimenti
intertestuali in vari ambiti.

3
anche svariate immagini e citazioni provenienti dalle Sacre Scritture e dalla
letteratura mondiale.

Il fascino e la suggestione di Моskva-Petuški scaturiscono dalla coesistenza di


molteplici interpretazioni possibili del testo, in un intreccio apparentemente
senza fine. Un tipo di lettura non ne esclude un’altra, la stratificazione
semantica e simbolica del poema dà la possibilità al lettore di scegliersi, di volta
in volta, la prospettiva ermeneutica più congeniale, impedendo una frettolosa
semplificazione. L’eclettismo stilistico e la polifonia di toni che
contraddistinguono la scrittura di Erofeev la rendono una sfida ardua, ma allo
stesso tempo stimolante per un traduttore. Fra gli aspetti dell’opera più studiati
negli ultimi anni si evidenziano il motivo del viaggio, le componenti satiriche e
postmoderniste, il “sottotesto” costituito dai numerosi riferimenti (letterari,
religiosi, culturali, al byt sovietico), il tema dell’alcol e la tecnica del monologo
autobiografico, che permette all’io narrante di indossare alternativamente una
serie di maschere.

Il motivo del viaggio ricollega esplicitamente l’opera alla tradizione della


letteratura russa (si vedano Bonfiglio 1997; Maniscalco Basile 1995; Moskver
2000; Trainini 2007). Per la sua struttura Моskva-Petuški richiama prima di tutto
il Viaggio da Pietroburgo a Mosca di Radiščev (1790), del quale già a partire dal
titolo sembra la parodia; in modo più sottile e indiretto, l’itinerario circolare del
testo può ricordare anche le scorribande di Čičikov nel poema Le anime morte
di Gogol’ (1842), (cfr. Smirnova 1990). Fra Ottocento e Novecento l’immagine
del viaggio in treno compare a più riprese nella letteratura russa (cfr. Ceserani
2002): citando soltanto alcuni esempi, in un convoglio si svolge la scena
d’apertura del romanzo L’Idiota di Dostoevskij (1869), nel quale il contesto del
vagone diventa una cornice narrativa funzionale allo sviluppo dell’intreccio. Il
treno ritorna, inoltre, sia all’inizio, sia nel “doppio sogno”, che nel tragico finale a
segnare il destino di Anna Karenina di Tolstoj (1875-1877). L’atmosfera placida,
ovattata e al contempo claustrofobica del vagone ferroviario riveste infine un
ruolo importante anche nell’incipit del racconto Sonata a Kreutzer dello stesso
Tolstoj (1888).

4
La componente satirica ha un peso rilevante in Moskva-Petuški, in quanto in
numerosi passaggi la scrittura sembra smontare e decostruire dall’interno la
quotidianità sovietica: attraverso un’ironia dissacrante e a tutto tondo si realizza
infatti un puntuale rovesciamento dei riti e delle mitologie del regime, con la
trasformazione dei suoi operai eroici in una sorta di clowneschi beoni5, la
reductio ad absurdum del sistema lavorativo e del linguaggio solenne
dell’ufficialità (Ryan-Hayes 1995). Il potenziale parodico dell’opera di Erofeev
viene ulteriormente messo in luce da un altro filo conduttore: la vodka, o meglio
il tema alcolico in generale, che costituisce un Leitmotiv in grado di dar forma
unitaria alle innumerevoli micro-storie del poema. Il continuo ubriacarsi come
normale modus vivendi crea nel narratore e anche, parzialmente, nei
personaggi con cui duetta, uno stato simil onirico, quasi allucinato, una
sospensione costante fra sonno e veglia che ha l’effetto di avvolgere i singoli
racconti in una nebbia, gettando l’ombra del dubbio sulla loro effettiva
consistenza (Simmons 1990).

Per determinate caratteristiche strutturali, il testo si ricollega inoltre al


postmodernismo (Skoropanova 2002), di cui si può considerare un
antesignano, un pioniere nel contesto russo6. Si osservi, ad esempio, il
percorso del treno da Mosca a Petuški, che si muta in una cornice esteriore alla
Beckett e fa da sfondo alla narrazione. L’itinerario ferroviario tiene assieme il
flusso di monologhi del protagonista, che appare intessuto di frammenti
eterogenei: l’inizio in medias res, il carattere frastagliato delle vicende evocate,
nonché il finale a forti tinte con un brusco “ritorno alla realtà” da cinema

5
A questo riguardo si possono cogliere gli echi della lezione di Gogol’, che riduceva
magistralmente i suoi personaggi a pittoresche marionette o vuote sagome caricaturali: si pensi
agli impiegati statali, di cui Akakij Akakievič (Il cappotto, 1842) è probabilmente il modello più
emblematico, o al possidente Manilov nel poema Le anime morte (1842).

6
Rispetto all’Europa occidentale il contesto sovietico coevo al poema (1970) corrisponde agli
anni più grigi della stagnazione brežneviana, nei quali a livello ufficiale imperavano
l’immobilismo culturale e la censura, mentre le idee e le opere più innovative erano relegate alla
clandestinità del samizdat. Nel complesso il postmodernismo russo contemporaneo presenta
quindi caratteristiche tematiche e sviluppi temporali diversi, per certi aspetti, da quelli
occidentali, e secondo diversi studiosi affonda le radici proprio nello sperimentalismo di
Moskva-Petuški. Sull’argomento si vedano Possamai 2000; Bogdanova 2001; Genis 1997;
Lipoveckij 1997, 1998 e 2008.

5
espressionista costituiscono soltanto alcuni fra gli spunti postmodernisti presenti
nell’opera.

Una strategia compositiva che emerge in modo chiaro in Moskva-Petuški è


l’interpolazione di un “sottotesto” formato dalla fitta rete di riferimenti di cui la
scrittura di Erofeev è costellata. I due ambiti più significativi dal punto di vista
quantitativo e qualitativo sono la religione e la letteratura, da cui vengono tratti
svariati motivi: il Vangelo, il Cantico dei Cantici e il Libro dei Salmi
rappresentano le fonti principali delle citazioni (cfr. Paperno e Gasparov 1981).
Fra i referenti letterari compare prima di tutto Dostoevskij (soprattutto Delitto e
castigo, 1866, ma anche Il sosia, 1846, Le memorie del sottosuolo, 1864, e I
fratelli Karamazov, 1879-1880), poi Gogol’, Tolstoj e Puškin (Skaza 1995;
Bogomolov 2000), nonché una miriade di scrittori, pensatori e artisti più o meno
noti tirati in ballo apparentemente a caso nella narrazione. Questi frammenti
danno vita, insieme ad altri riferimenti coevi – la subcultura giovanile degli anni
’60, le canzoni di Vysockij e Okudžava, il linguaggio delle radio e della stampa –
al caleidoscopico contenuto, che influisce direttamente sul tessuto stilistico
dell’opera. Come scrive Levin nel suo commento al testo, la densità dei fattori
culturali disseminati fra le righe rende possibile la ricostruzione di una vera e
propria semiosfera (Levin 1992 e 1996; Bogomolov 1999).

Un altro tema essenziale in Moskva-Petuški è la presenza pervasiva dell’io


narrante, che si racconta attraverso un monologo pienamente “autobiografico"
per le sue qualità formali. Il narratore e il punto di vista, infatti, coincidono quasi
sempre con il protagonista Venička, che parla prevalentemente in prima
persona e talvolta in seconda, creando pseudodialoghi surreali con sé stesso.
In alcune occasioni il mattatore chiama in causa direttamente i lettori da quello
che definisce, con una sfumatura teatrale, il “palcoscenico della mia vita”, con
battute, spiegazioni erudite, piccoli sermoni, provocazioni, insulti, patetiche
richieste di scuse e comprensione (cfr. Remonato 2004b). A un’analisi attenta,
la cifra distintiva del poema è rappresentata proprio dalla sua peculiare orditura
linguistica, dal tono colloquiale che scandisce la narrazione sul piano ritmico e
sintattico. Si evidenzia, fra l’altro, l’utilizzazione di termini gergali e del
turpiloquio, con lo straniamento prodotto attraverso il loro accostamento ad altre
espressioni di registro aulico, come krylatye slova (“frasi fatte”), vale a dire

6
citazioni letterarie, storiche e dalle Sacre Scritture talmente popolari da essere
entrate nel linguaggio quotidiano dei russi. La scrittura si rivela eclettica, con
frequenti sbalzi: a esilaranti picchi di comicità si contrappongono pause liriche
sospese tra parodia e amara denuncia, tanto che per i guizzi e le iperboli il testo
potrebbe ricordare la pittura surrealista di Dalí. Tuttavia non è solamente
questione di perizia tecnica, dato che il narratore in prima persona mostra e allo
stesso tempo cela la propria fragilità psicologica ed emotiva. L’intreccio
costante di “alto” e “basso”, la presenza di registri diversi che si compenetrano
in modo inusuale per la coscienza linguistica di un lettore lontano da quel
contesto costituiscono alcuni degli aspetti più affascinanti dell’opera di Erofeev,
ma al tempo stesso ne denotano la difficoltà e l’ambiguità. Proprio per
l’eterogeneità del testo russo la sua traduzione in un’altra lingua è un compito
difficile, che rende necessarie riflessioni approfondite e scelte di base, dato che
è impossibile riuscire a mantenere intatto il complesso ordito di citazioni
rovesciate, ironia e doppi sensi dell’originale (sull’argomento cfr. Remonato
2005 e 2006). Come osserva Eco, al centro del processo traduttivo si colloca il
concetto di una continua negoziazione, sia sul piano semantico, sia su quello
linguistico: diventa essenziale scegliere il livello interpretativo e gli effetti più
rilevanti che si vogliono riprodurre nel contesto di arrivo, con la consapevolezza
di ciò che, inevitabilmente, passa in secondo piano o si rischia di perdere del
tutto (Eco 2003: 83-91).

4. Si possono confrontare i diversi orientamenti delle tre traduzioni italiane di


Moskva-Petuški già a partire dai titoli: la prima in ordine cronologico
(Zveteremich) ha fatto conoscere l’opera in Italia con l’appariscente titolo Mosca
sulla vodka7, mutuato dalla versione francese del 1977 (cfr. le recensioni di
Flores D’Arcais 1977; Strada 1977; Wainstein 1977). Si tratta di una decisione
probabilmente influenzata da strategie editoriali, che si rivela arbitraria, non solo
perché non corrisponde né al significato denotativo, né ai rimandi inter ed
extratestuali più immediati dell’originale, ma soprattutto perché ne dà una
visione univoca e riduttiva. La parola vodka inserita nel titolo attira infatti

7
La seconda edizione di questa traduzione italiana è uscita nel 1990, e propone in calce un
saggio sull’opera del noto slavista Michele Colucci (cfr. Colucci 1990). In merito si rimanda alle
recensioni di De Michelis 1990 e Martini 1990.

7
l’attenzione del lettore sul motivo alcolico, che è presente nel testo, ma non
predomina su altre istanze. Il rischio è di mettere in ombra la polisemia delle
immagini di Erofeev, influenzando troppo l’interpretazione dei lettori, fino alla
banalizzazione: l’alcolismo non è la sola caratteristica distintiva della
compiaciuta autodistruzione dell’antieroe. Come scrive Caramitti,

mai titolo è stato più obiettivo e infelice, più trasparente e infedele. Il poema
è in effetti uno sterminato catalogo di bevande alcoliche e criteri, ritualità e
conseguenze del loro consumo. […] In realtà però, nel poema, la vodka è
tutto fuorché un distillato di grano. È semplicemente la veste, fonica e
logica, che si getta addosso a qualsiasi cosa di cui si voglia parlare, e si
parla forse di tutto quello che c’è al mondo. Tanto forti, tanto netti ed
ingombranti sono i realia alcolici, quanto in ultima analisi irrilevanti.
(Caramitti 2003: 144-145)

La vodka perde a poco a poco i suoi significati reali per assumerne sempre più
di simbolici: la sua onnipresenza conferisce alla narrazione un alone pittoresco
e, all’epoca dell’uscita di questa prima traduzione, di “fascino maledetto”, in
quanto era un’opera proveniente dal samizdat, che si poneva in antitesi e
trasgressione rispetto all’ideologia sovietica. Inoltre, escludere dal titolo il
toponimo “Petuški”, forse ritenuto poco accattivante o incomprensibile per il
lettore straniero8, dal punto di vista attuale rappresenta una vistosa mancanza,
in quanto oscura totalmente l’orizzonte e il senso profondo del poema.
Numerose connotazioni, di natura concreta e soprattutto metaforica, si
intrecciano infatti attorno a questa anonima località, che nel testo rappresenta la
periferia remota e immobile, ma, allo stesso tempo, è posta costantemente in
dialettica con il centro, al quale viene contrapposta come Eden perduto, rifugio
e dimensione del sogno. La scelta di un titolo di questo tipo non appare
giustificata o coerente, come si vedrà, neppure nell’ambito di un’interpretazione

8
Il toponimo Petuški scompare anche nei titoli di alcune traduzioni in lingua inglese abbastanza
recenti: cfr. Erofeev 1981, Erofeev 1994 e Yerofeev 1997. Nelle ultime due versioni il titolo
mantiene un chiaro riferimento allo spunto reale della tratta ferroviaria, mentre sono i richiami
letterari a passare in secondo piano. La prima traduzione presenta invece un titolo piuttosto
sibillino, che si discosta nettamente dall’originale (Moscow Circles). Per una panoramica
aggiornata sulle traduzioni di Moskva-Petuški si veda il sito http://www.moskva-petushki.ru
(consultato il 30/10/2013), che fornisce informazioni anche sui dati biografici dell’autore e sulle
interviste.

8
unitaria del testo originale; rimane a sé, avulsa dal contesto, accentuandone
l’aspetto esornativo, di “specchietto per le allodole” rispetto a un mercato nel
quale l’opera sbucava letteralmente dal nulla. Nell’accostarsi alla traduzione di
Zveteremich, tuttavia, è necessario tener conto delle peculiari circostanze
legate alla diffusione clandestina del poema: a quell’epoca, come già detto, non
era facile reperire notizie precise – per non parlare di approcci filologicamente
rigorosi al testo in russo o di letture critiche – né sull’autore, semisconosciuto
anche in Unione Sovietica, né sul testo (cfr. Zveteremich 1980).

Le altre due traduzioni oggetto di confronto sono partite da tutt’altre basi e in


tutt’altro clima storico-culturale, hanno avuto a disposizione una serie di
commenti, verifiche testuali e analisi editi nel frattempo, hanno usufruito di
materiali bio-bibliografici ampiamente studiati, anche di prima mano. Bisogna
ricordare, inoltre, che negli ultimi trent’anni la teoria della traduzione si è
consolidata sempre più come settore disciplinare a sé stante a livello
internazionale sia in ambito letterario che linguistico, con lo sviluppo della
traduttologia (si vedano fra gli altri Lûdskanov 2008; Osimo 1998 e 2013;
Popovič 2996; Salmon 2003; Torop 2010). La disciplina ha quindi acquisito
solide basi scientifiche e si è arricchita di esperienze, riflessioni e dibattiti
confluiti in contributi di vasta portata, che oggi rappresentano punti di
riferimento importanti per un traduttore (cfr. Bassnett 1991; Berman 2003;
Neergard 1995; Steiner 1984; Venuti 1995).

Appare senz’altro migliore il titolo scelto da Caramitti, Tra Mosca e Petuški, che,
nonostante si discosti dall’equivalenza letterale all’originale, perdendo alcuni
riferimenti, lascia sospesi il “mistero”, la variopinta congerie di aneddoti, sogni,
ricordi e tirate pseudo- o autenticamente moraleggianti. Come messo in rilievo
dal traduttore nella “Postfazione” (Caramitti 2003: 146), in questo caso il titolo
sembra corrispondere a una scelta interpretativa coerente con la visione
complessivamente postmodernista dell’opera. Si potrebbe pensare, infatti, che
la preposizione “tra” stia a significare il superamento dei toponimi geografici
reali, evocando immediatamente il piano metaforico e quindi artistico, dato che
rende in modo efficace ciò che si dipana lungo il tragitto (cfr. le recensioni di
Bartoni 2004; Cikada 2004; Guagnelli 2004 e Remonato 2004a). Il titolo sembra
preludere al collocarsi della trama, delle vicende e anche dello stile “nel mezzo”

9
di due punti solo apparentemente stabiliti, quasi sospesi fra cielo e terra, che
perdono consistenza e concretezza per mutarsi in due estremità surreali9. In
sintonia con le traduzioni precedenti, il motivo alcolico, che aveva avuto un
certo successo e che evidentemente continua ad essere ritenuto affascinante
per i lettori, riaffiora nell’immagine in copertina, che raffigura una bottiglia di
vodka Stoličnaja10.

Il titolo scelto da Zappi riprende letteralmente quello originale, Mosca-Petuški, la


tratta ferroviaria suburbana: è importante segnalare che oltre al poema il
volume propone anche altre opere di Erofeev in traduzione11 e si presenta,
sostanzialmente, come edizione critica, con un ricco apparato di note e
un’accurata ricostruzione biografica e bibliografica (cfr. le recensioni di Martini
2004 e Remonato 2004a). Come si vedrà, anche in questo caso la natura del
titolo appare coerente con la concezione generale della traduzione, che già a
livello preliminare si può collocare, per stile e intenti, idealmente nel mezzo fra
le altre due, caratterizzate da marcate differenze.

9
Anche l’utilizzo da parte di Caramitti della barra verticale per le tratte ferroviarie al posto del
tradizionale trattino, che richiama esplicitamente il tragitto in linea retta del treno, sembra
sottolineare la carica metaforica e l’effetto straniante dei singoli percorsi. Nel testo, infatti,
queste “etichette” prese a prestito dalla realtà tendono sempre più a perdere i riferimenti
concreti.

10
L’illustrazione di copertina è tratta da un’opera di Leonid Sokov. Sarebbe interessante
confrontare anche le altre immagini scelte nelle varie edizioni e traduzioni del poema, dato che
si tratta di un aspetto che ha risvolti commerciali e rappresenta pertanto una spia di ciò che si
intende privilegiare presentandolo sul mercato. A titolo di esempio, l’edizione YMCA Press del
1981 propone la riproduzione di un quadro di Valerij Kalinin, L’uomo assetato (Žažduščij
čelovek, 1974), di soggetto decisamente bohémien. L’edizione italiana Feltrinelli 1977 mostra
invece una sorta di mélange di elementi architettonici tipicamente russi affastellati come ritagli
di giornale (copertina di Silvio Coppola). Le edizioni più recenti spostano invece l’attenzione
sull’autore e sui contenuti del poema, a testimonianza dell’interesse e della notorietà di cui lo
scrittore gode attualmente: la russa Vagrius (2000) propone un disegno di Vadim Gusejnov,
raffigurante un treno locale con svariate figure che compaiono nel testo. La traduzione italiana
Feltrinelli (2004), piuttosto sobria, riporta soltanto una delle fotografie più diffuse di Erofeev.

11
Le altre opere di Erofeev presenti in traduzione italiana in questa edizione sono il saggio
Vasilij Rozanov visto da un eccentrico (Vasilij Rozanov glazami ekscentrika, 1982), Saša Čërnyj
e gli altri (Saša Čërnyj i dr., 1982), la piéce La notte di Valpurga o I passi del commendatore
(Valpurgieva Noč, ili Šagi komandora, 1985) e la raccolta La mia piccola leniniana (Moja
malen’kaja Leniniana, 1988), di cui vengono accuratamente riportate le fonti, ovvero le versioni
russe sulle quali sono state condotte le traduzioni.

10
5. Date l’eterogeneità delle scelte linguistiche, la fitta presenza di citazioni più o
meno camuffate e la ricchezza di riferimenti culturali in Moskva-Petuški, uno dei
primi aspetti rilevanti per il confronto è costituito dagli apparati di note inseriti
nelle tre traduzioni. Attualmente in ambito teorico un ricorso frequente al
paratesto è considerato una “sconfitta” per il traduttore, in quanto viene visto
come la testimonianza delle difficoltà nella ricerca di espressioni equivalenti
nella lingua di arrivo. La rinuncia alla traduzione in favore dei termini originali
opportunamente glossati e spiegati comporta infatti un’interruzione nella lettura
e quindi nella ricezione immediata del testo. Un discorso diverso riguarda le
note di carattere storico-culturale o “didattico-esplicativo” rivolte al lettore di
arrivo, la cui quantità, qualità e tipologia sono variabili e strettamente legate agli
obiettivi generali del lavoro e ai rapporti fra i due contesti culturali.

Nella traduzione di Zveteremich le note si trovano a piè di pagina, sono in


quantità abbastanza limitata e di natura composita12: in alcuni casi forniscono
delucidazioni concrete sulla collocazione di luoghi, in altri evidenziano la
tendenza a lasciare nell’originale russo molti termini, ad esempio quelli relativi
alle varie tipologie di vodka e ad altre bevande (ad esempio ërš, p. 64, che
Caramitti rende con la perifrasi “un cocktail di birra e vodka”, p. 50). Questa
scelta non viene sempre mantenuta con coerenza, dato che in determinate
occasioni ugualmente “problematiche” si opta per la traduzione italiana. In
termini generali l’impostazione della traduzione crea un’atmosfera di esotismo
superficiale, di facciata, che non mira a rendere familiari al lettore italiano
eventuali aspetti ritenuti complessi per la loro singolarità, come sarebbe invece
possibile e auspicabile. In alcuni passi dell’opera, come nella nota al pronome
ničego, lasciato in russo e glossato con “il famoso ‘non importa’, ‘fa niente’ dei
russi” (p. 11), le soluzioni proposte appaiono un po’ incongruenti e difformi a
livello linguistico, in quanto potrebbero evocare nel lettore suggestioni o
interpretazioni fuorvianti. Esiti di questo tipo potrebbero essere ricondotti a una
malintesa fedeltà al testo originale, da riprodurre nelle sue forme e sfumature
semantiche più tipiche e lontane rispetto al contesto di arrivo. In altri punti del

12
Il traduttore, infatti, non include nelle note indicazioni sulle citazioni e sui riferimenti letterari,
che inserisce senza ulteriori approfondimenti dopo il testo; si veda Zveteremich 1977: 183-186.

11
poema, tuttavia, la traduzione modifica e, come si vedrà, per certi versi sembra
addirittura voler “correggere” o semplificare lo stile dello scrittore.

Nella traduzione di Caramitti le note, nove in tutto, si trovano alla fine del testo;
per la maggior parte non riguardano singoli termini, dato che si punta a tradurre
tutto o comunque il più possibile in italiano. Questo modus operandi appare
molto più accentuato rispetto alle altre due versioni: lo spirito profondamente
russo del capolavoro di Erofeev non viene reso attraverso un ambiguo
“esotismo linguistico”, che se non è ben motivato diventa di maniera, ma con
altri mezzi. Le note sono dense di informazioni di tipo storico-culturale, legate
però solo ad alcune fra le innumerevoli citazioni presenti nell’originale, ritenute
particolarmente utili per la comprensione o interessanti come approfondimenti.
Vi sono, inoltre, osservazioni sul processo traduttivo, sugli interrogativi che il
traduttore si è posto rispetto a certi passaggi problematici del testo e alle scelte
in merito a lezioni ancora incerte nell’edizione originale utilizzata. Come si può
desumere dalla “Postfazione”, l’autore ha avuto a disposizione vari materiali
critici, compreso il dettagliato commento di Vlasov, che rappresenta una
preziosa fonte di raffronto. Tuttavia ha deciso di selezionare i riferimenti,
mettendo al centro della traduzione l’opera in sé, piuttosto che i numerosi
sottotesti e contesti, proponendo, quindi, un’operazione diversa da un’edizione
critica. Questa impostazione appare coerente con l’interpretazione del testo: il
disegno che sottosta a questa traduzione non è mirato, infatti, a una esegesi o
a un puntiglioso commento testuale, ma alla fruizione estetica attuale del
poema nella lingua di arrivo.

Nella versione di Zappi l’apparato di note a fine testo è ampio e dettagliato, e


rispecchia l’orientamento complessivo della traduzione, che si potrebbe
riassumere nella volontà di un’estrema fedeltà filologica alla scrittura di Erofeev
attraverso una minuziosa verifica dei riferimenti culturali. La ricostruzione si
avvale, fra l’altro, di fonti di prima mano, come la consultazione dell’archivio
privato e della biblioteca dello scrittore, con la segnalazione delle edizioni delle
opere letterarie russe e straniere ivi presenti. Le note sono di carattere
eterogeneo: molte sono dedicate a rimandi storico-culturali, e riportano i titoli
delle opere dalle quali derivano le allusioni e le citazioni sia in traduzione
italiana, sia nell’originale. Per il livello di approfondimento la loro presenza

12
conferisce al lavoro una veste di serietà e attendibilità quasi specialistica. Altre
note contengono osservazioni sulla quotidianità sovietica dell’epoca, in qualche
caso frutto dell’esperienza diretta del traduttore: ci sfilano davanti agli occhi
orari dei negozi, particolari di luoghi, bevande e cocktail “fai da te”, usi e
costumi della gente, personaggi dello spettacolo, slogan della pubblicistica e
della politica. In quest’ambito, tuttavia, alcuni riferimenti non hanno riscontri
concreti e quindi appaiono superflui (vengono riportati, ad esempio, i gradi dei
vari tipi di vodka citati). Certe informazioni, invece, – come quelle relative a
Puškin (p. 61), o all’ubicazione dell’aeroporto internazionale di Šeremet’evo (p.
64) – si rivelano piuttosto generiche, di tipo divulgativo, non molto coerenti
rispetto al resto13. Vi sono, infine, svariate note nelle quali vengono glossati i
termini mantenuti in lingua russa nel testo rivelando poca originalità, dato che
sembrano riprendere fedelmente quelle presenti nella prima traduzione
(Zveteremich). L’impostazione dell’apparato paratestuale appare quindi valida
per il suo rigore metodologico, ma apprezzabile al meglio da un lettore in grado
di dare ai singoli elementi una sicura collocazione nelle proprie conoscenze e
nel proprio immaginario. Si presuppone una competenza tale che permetta
all’ipotetico implied reader di cogliere la sottigliezza dei giochi e dei riferimenti
dell’originale anche al di là della loro resa in italiano. Per un fruitore meno
esperto di letteratura e cultura russa, tuttavia, un commento di questo tipo può
fornire una mole di informazioni eccessiva, soprattutto in quanto slegata da un
contesto che renda i dettagli forniti realmente parte integrante dell’opera, visto
che per la maggior parte sono associazioni meno evidenti in traduzione. Si
rischia quindi di frammentare il flusso della narrazione attenuando gli effetti
ritmici legati all’oralità, in quanto, di fatto, il rimando a fine testo costituisce una
continua interruzione della lettura.

6. Si ritiene utile, a questo punto, proporre alcuni esempi particolarmente


indicativi tratti dal testo originale di Moskva-Petuški e dalle tre traduzioni
italiane, attraverso i quali si possono verificare le osservazioni di natura
comparativa oggetto del presente lavoro:

13
Per intendersi, appare un po’ singolare e incoerente che un lettore al quale si propongono
dettagliati rimandi ad alcuni brani tratti dai romanzi di Dostoevskij o da passi scelti della Bibbia
non conosca il nome di Puškin o quello dell’aeroporto internazionale moscovita.

13
Tabella I

Testo russo orig., (ed. Trad. Zveteremich, Trad. Caramitti, Trad. Zappi,
Vagrius 2000) 1977 2003 2004

1. Сколько раз уже Quante volte ormai Con tante volte Quante volte
(тысячу раз), (almeno mille volte), (mille?) che ho (mille volte), dopo
напившись или c ubriaco o in piena attraversato aver trincato o
похмелюги, проходил spighetta, ho Mosca, sbronzo o prima di avere
по Москве... (стр. 17) traversato Mosca… con la gola smaltito una
(p. 9) secca… (p. 11) sbornia, ho
attraversato
Mosca… (p. 35)
2. Вон – справа, у Ecco, a destra, vicino …Là a destra, Ecco là, a destra,
окошка – сидят двое. al finestrino, ci sono vicino al finestrino, due tipi seduti al
Один такой тупой- due seduti. Uno, sono seduti in finestrino. Uno è
тупой и в телогрейке. ottuso-ottuso, con un due. Uno scemo- proprio scemo-
А другой такой умный- giubbotto imbottito. scemo e con la strascemo e
умный и в L’altro, intelligente- palandrana. L’altro indossa un
коверкотовом пальто. intelligente, con un geniaccio e col giubbotto
И пожалуйста – paltò di covert-coat. cappotto di loden. imbottito.* L’altro
никого не стыдятся, E, prego, non si E tanto per gradire è proprio
наливают и пьют. vergognano davanti a non si vergognano intelligente-
Закусывают и тут же nessuno: mescono e neanche un po’, straintelligente e
опять наливают, не bevono. Non corrono se la versano e con un paltò di
выбегают в тамбур и fuori in corridoio e bevono. E subito covert-coat
не заламывают рук non si torcono le riversano. Non indosso. E,
(стр. 28) mani (p. 28) scappano mica prego, senza
sulla piattaforma vergognarsi di
ad attorcigliarsi i nessuno si
gomiti per coprirsi versano da bere
(p. 24) e bevono.
Mandano giù un
boccone e si
versano subito un
altro bicchiere.
Mica corrono fuori
sulla piattaforma
a torcersi le mani
(p. 48)

*Giubbotto imbottito
(in russo telogrejka):
tipico indumento
invernale russo usato
specialmente dagli
operai e dai contadini.
3. Итак. Неделю Dunque. Una Allora, una Dunque. Una
назад меня скинули с settimana fa mi settimana fa mi settimana fa
бригадирства, а пять hanno cacciato dal hanno cacciato dal m’hanno
недель тому назад posto di brigadiere*, posto di destituito dalla
- назначили. (стр. 32) mentre cinque caposquadra, carica di
settimane fa mi cinque settimane caposquadra,
avevano nominato dopo che mi ci mentre cinque
brigadiere. (p. 34) avevano settimane fa mi
nominato. (p. 29) c’avevano

14
*Capo di una squadra di nominato. (p. 52)
lavoratori.
4. До меня наш Prima di me, il nostro Prima del mio Prima di me il
производственный processo produttivo si avvento il nostro nostro processo
процесс presentava nel processo produttivo si
выглядел следующим seguente modo: al produttivo aveva presentava nel
образом: с утра мы mattino, appena più o meno questo modo seguente:
садились и играли в arrivati, ci mettevamo andamento. La al mattino ci
сику, seduti a giocare a mattina ci mettevamo a
на деньги (вы sika, a soldi (voi mettevamo a sedere e
умеете играть в sapete giocare a giocare a giocavamo a
сику?). Так. (стр. 32) sika?). Bene. (p. 35) zecchinetta, a sika*, a soldi (ci
soldi (voi ci sapete sapete giocare a
giocare a sika?). Bene. (p.
zecchinetta?). 52)
Benissimo. (p. 29)
*sika: gioco d’azzardo
simile al poker,
diffuso negli ambienti
della malavita
sovietica. La posta
finale è l’intero banco
o la vota del giocatore
che fa la puntata.
5. […] A Абба Эбан и [….] E Abba Eban e […] Non […] Abba Eban e
Моше Даян с языка у Moshe Dayan erano cessavano un Moshe Dayan poi
них не сходили. sempre sulle loro attimo di parlare di ce li avevano
Приходят они утром с labbra. Arrivavano, Abba Eban e sempre sulle
блядок, например, и per esempio, la Moshe Dayan. Te labbra. Al
один у другого mattina, di ritorno li vedevi come si mattino, per
спрашивает: “Ну как? dalle puttane, e uno domandavano l’un esempio, quando
Нинка из 13-й domandava all’altro: l’altro, al ritorno da tornavano dalle
комнаты даян эбан?”. “E allora? Ninka della una nottata a scopate e uno
А тот отвечает с camera 13 sempre la trombare in giro domandava: “Bè,
самодовольной dàyan?”. E l’altro per il nostro allora? Ninka
усмешкою: “Куда ж rispondeva convitto: “Bè, della camera 13
она, падла, денется? soddisfatto: “E che allora, Ninka della te la dayan-
Конечно, даян!” (стр. vuoi che faccia la camera 13 l’ha eban?” l’altro,
33) battona? Certo che la dayan al banan?”. sorridendo
dàyan!”. (p. 37) E l’altro, con un compiaciuto,
sorriso rispondeva: “E
compiaciuto: “Non che vuoi che
aveva scampo, la facesse, la
baldracchella. porcina! Certo
Sicuro che l’ha che la dayan!”. (p.
dayan!”. (p. 31) 54)
6. Или вот, например, Ecco, per esempio, il O prendiamo a O, ecco, il
одуванчик. Он все dente di leone. Lui esempio un soffione per
колышется и облетает ondeggia sempre e si soffione. Dondola, esempio. Non fa
от ветра, и грустно на dissipa al vento e fa dondola e poi il che agitarsi e
него глядеть... Вот и tristezza guardarlo… vento lo sfarfalla disseminarsi al
я: разве я не Così anch’io: non mi via, viene tristezza vento, e ci si
облетаю? Разве не polverizzo forse al a guardarlo… E sente tristi al solo
противно глядеть, как vento? Non fa forse anch’io: non guardarlo… E
я целыми днями все tristezza vedere sfarfallo forse nel anch’io: non mi
облетаю да come per giornate vento? Che schifo dissemino forse
облетаю?... (стр. 43) intere io mi polverizzo dev’essere anch’io? Non fa
sempre, mi guardarmi forse schifo
15
polverizzo… (p. 53) sfarfallare nel vedere come per
vento per giornate giorni interi non
intere… (p. 43) faccia che
disseminarmi e
disseminarmi?...
(p. 65)
7. … – то есть мужать ...rinvigorirete cioè …cioè rinvigorire …rinvigorire cioè
до того предела, за fino a quel limite dopo sino al limite oltre fino al limite oltre
которым следуют del quale seguono la il quale cui ci sono solo la
безумие и свинство. follia e la deboscia. intervengono la follia e
(стр. 51) (p. 66) follia e la l’abbruttimento
puzzoneria. (p. 52) assoluti. (p.73)
8. ...Вы к полуночи …Verso mezzanotte … A mezzanotte …Diventerete,
такой пламенный, что sarete così infuocato sarete così focosi verso
через вас девушки che le ragazze che le ragazze vi mezzanotte, così
могут прыгать в ночь potranno far salti potranno saltare focoso che le
на Ивана Купала. Вы, sopra di voi nella sopra come si fa fanciulle potranno
как костер, - сидите, а notte di Ivan Kupala. la notte di S. saltarvi sopra
они через вас E, chiaro, si faranno Giovanni. Voi ve come nella notte
прыгают. И, ясное saltar sopra se dal ne state accucciati di Ivan Kupala.
дело, они все-таки mattino a notte fatta come un falò e le Voi, come un falò,
допрыгаются, если бы avrete bevuto ragazze vi ve ne starete
с утра до ночи пили esclusivamente scavalcano seduto, e loro vi
исключительно белую vodka bianca. (p. 67) saltandovi sopra. salteranno sopra.
водку. (стр. 51) E non c’è dubbio E, chiaramente,
che a un certo alla fine sarete
punto smetteranno voi a saltar loro
di scavalcarvi e addosso, purché
cominceranno a da mane a sera
cavalcarvi, sempre non abbiate fatto
che dalla mattina altro che bere
a notte fonda vodka bianca. (p.
abbiate bevuto 74)
esclusivamente
vodka bianca
(p.53)
9. …– Знаем! – сказал …“Lo sappiamo!,” …“Lo sappiamo!” …– Lo sappiamo!
декабрист. – “Идет, disse il Decabrista. ha detto il – ha detto il
как пишет. А пишет, “Essa va come decabrista. Decabrista. – Oh,
как Лева. А Лева scrive. E scrive come “Cammina come guarda come
пишет хуево”. (cтр. Leva. E Leva scrive scrive. E scrive scrive. Scrive
70) da coglione.” (p. 99) come il Lev come Ottone. E
nazionale, che Ottone scrive da
scrive da orinale.” coglione. (p. 96)
(p. 76)
10. A тут мне “Ed ecco ti incontro …“E qui ti incontro Ed ecco che
встречается una donnetta, non una tipa, neanche t’incontro una
бабонька, не то чтоб che fosse poi tanto poi tanto vecchia, donnicciola, mica
очень старая, но уже vecchia, ma già ma ciucca come poi tanto vecchia,
пьяная-пьяная. ubriaca fradicia. una bietola. ma sbronza
“Рррупь мне дай, – ‘Dammi un r-rublo,’ ‘Dammi un rublo,’ fradicia. “Dammi
говорит. – Дай мне dice, ‘un r-rublo dice ‘da-a-ammi un rrublo” mi fa.
рррупь!”. И тут-то dammi!’. E qui mi un rublo’. Ho “Dammi un
меня осенило. Я дал venne avuto una rrrublo!” Venni
ей рупь и все ей un’illuminazione. Le folgorazione. Le colto da
объяснил: она, эта ho dato il rublo e le ho dato un rublo e un’illuminazione.

16
мандавошечка, ho spiegato tutto: lei, le ho spiegato Le diedi il rublo e
оказалась понятливее quella puttanella, si tutto quanto: le spiegai tutto: la
Эрдели, а для пущей dimostrò più quella sgualdrinella
убедительности я comprensiva della smandrappata si è risultò ben più
заставил ее взять с Erdeli e perché fosse rivelata più comprensiva
собой ancor più persuasiva comprensiva di della Erdeli e
балалайку…(стр. 72) la obbligai a portar Ol’ga Erdeli, e per affinché ogni
con sé una dare più tono alla cosa risultasse
balalajka… (p. 102) cosa le ho fatto ancor più
prender su una convincente le
balalajka… (p. 78) feci prender con
sé una
balalajka… (p.
98)
11. ...Тут он схватил …A questo punto mi …A questo punto …A quel punto
меня в охапку и куда- agguanta tutta e mi mi ha attorcigliato m’ha abbrancata
то поволок. А когда trascina via. E dopo in una morsa e mi per la vita e m’ha
уже выволок – я che m’aveva ha condotta da trascinata in un
ходила все дни сама trascinata, andavo in qualche parte. E posticino
не своя, все giro tutti i giorni che quando alla fine appartato. E
твердила: “Пушкин- non ero più io e mi ha storcigliato, quando m’ha
Евтюшкин-томил- continuavo a ripetere: sono andata in tirata fuori di là mi
раздавался”...(стр. 75) “Puškin-Evtjuškin- giro per giorni che son sentita come
langue-echeggia…” non ero più io, un pesce fuor
(p. 107) ripetendo di d’acqua e per
continuo: ‘Puškin- giorni e giorni non
Evtjuškin- ho fatto che
estenuato- ripetere: “Puškin-
risuonato.’… (pp. Evtjuškin-
82-83) languiva-
riecheggiava.”…
(p.102)

7. Per quanto riguarda i tratti salienti del confronto, l’analisi può prendere
spunto da un elemento concreto: come si è già accennato, nella traduzione di
Zveteremich molti termini vengono lasciati in russo anche quando sarebbe stato
possibile (e auspicabile) fornire degli equivalenti nella lingua di arrivo. Ciò
avrebbe contribuito a familiarizzare il lettore con alcuni realia ricorrenti nella
narrazione, come ad esempio i vari tipi di vodka e bevande, un particolare gioco
di carte (sika: cfr. Tabella I, es. 4), un determinato cappotto (che nella
traduzione di Zveteremich rimane “paltò di covert-coat”, mentre nella versione di
Caramitti diventa “cappotto di loden”: cfr. Tabella I, es. 2). Si pensi infine al
termine con cui in quel periodo si definiva il capo di una squadra di operai
sovietici: nella prima traduzione compare “brigadiere”, glossato in nota e calco
dall’originale russo brigadir, che in italiano, tuttavia, ha un significato diverso. La
soluzione preferita sia da Caramitti che da Zappi è infatti il più chiaro e lineare

17
“caposquadra” (cfr. Tabella I, es. 3). Si ha l’impressione che la sostanza
tipicamente russa e sovietica di Moskva-Petuški venga intenzionalmente
evidenziata a partire dalla presenza dei nomi stranieri e dalla loro fonetica,
anziché mirare alla ricostruzione dei campi semantici e dei contesti di
riferimento. In altri casi, invece, vengono forniti dei traducenti italiani poco
attendibili, che fanno sorgere dei dubbi su un’effettiva ricerca di equivalenti non
scontati, sulla documentazione linguistico-testuale e sulla comprensione delle
connotazioni profonde dell’opera.

Nel prendere in considerazione il tipo di lingua italiana che emerge dalla


traduzione di Zveteremich, risalente al 1977, è necessario tener conto che in
passato l’orientamento predominante nell’italiano scritto prevedeva l’uso di un
codice linguistico piuttosto uniforme e standardizzato, con la predilezione quasi
esclusiva per traducenti di ambito letterario. Le incursioni in altri registri non
erano considerate positivamente, e ciò era fonte di ulteriori difficoltà rispetto a
un testo di partenza imbevuto di lingua parlata e detti popolari come Moskva-
Petuški. Anche per questo motivo, probabilmente, la traduzione risulta poco
coesa, a tratti incoerente nelle scelte sintattiche e lessicali, orientata soprattutto
a comunicare il più possibile i significati dell’originale senza interrogarsi in modo
approfondito sulle caratteristiche stilistiche e di registro dei termini o sulle loro
ambiguità. All’epoca lo status della norma nella lingua italiana poneva limiti
abbastanza rigidi, soprattutto per le opere letterarie, e ciò costituiva a sua volta
un ostacolo al dialogo interculturale, in quanto rendeva problematica la resa
dell’oralità e delle sue forme, spesso liminali. Nel complesso nell’approccio alla
lingua letteraria prevaleva una “opacizzazione” della lingua, con poca varietà e
scelte di tipo prevalentemente normativo; nel caso della traduzione del poema,
tuttavia, ciò rischiava di attenuare i chiaroscuri, le invenzioni e gli accostamenti
insoliti della scrittura di Erofeev. Alcune espressioni proposte da Zveteremich,
inoltre, – come “babbeo” e “giubba” (“Ničego, ničego, dicevo a me stesso,
ničego. Ecco una farmacia, la vedi? E, lì fuori, quel babbeo con la giubba
marrone spazza il marciapiede”, p. 11) o “deboscia” (p. 66, cfr. Tabella I, es. 7)
– oggi appaiono piuttosto invecchiate, se non desuete, e lo stesso vale per
l’utilizzazione del passato remoto, poco efficace e già allora ai margini dell’uso
quotidiano.

18
Se ci si interrogasse sull’orientamento di fondo della prima traduzione in
relazione alla nota antitesi teorica contemporanea source-oriented o target-
oriented14, non sarebbe possibile dare una risposta ben definita. Questa
versione, infatti, non presenta organicità e coesione effettive, non appare
sorretta da un disegno o da un’interpretazione complessiva a cui ricondurre le
singole scelte. Per certi aspetti si potrebbe pensare che sia orientata al contesto
socio-culturale e alla lingua dell’originale, dato che l’obiettivo principale è la
riproduzione dei significati, al punto da ricalcare anche a livello sintattico, a
tratti, la struttura della lingua russa. D’altra parte, tuttavia, a un’analisi attenta si
può constatare che la fedeltà si ferma a elementi di superficie, senza cercare di
andare oltre. Manca l’individuazione di un quid fondante dell’opera, da
trasmettere prioritariamente, mentre si rincorrono una completezza e una
equivalenza assoluta utopistiche e in ultima analisi fittizie. Ad esempio nella
“Avvertenza dell’autore” che costituisce il prologo del poema il testo russo ripete
per quattro volte il titolo di uno dei capitoli, Serp i Molot-Karačarovo (Falce e
martello-Karačarovo): nella traduzione in questione il titolo appare una volta
sola, sostituito nelle righe successive con “quel capitolo”, “in tutto il capitolo” e “il
suddetto capitolo” (p. 7). Questa scelta sembra voler correggere l’originale,
forse percepito come ridondante, ma in questo modo annulla l’effetto fonetico e
ritmico dell’incipit narrativo. La ripetizione, infatti, rappresenta un tratto stilistico
costante della scrittura di Erofeev, ne contraddistingue il ritmo e il tono, tanto
che in alcuni casi attribuisce valore formulaico, di circolarità quasi onirica alle
simmetrie interne al testo, evidenziandone i Leitmotiv (si pensi al noto versetto
di origine biblica “vstan’ i idi”)15.

14
Tradizionalmente nella teoria della traduzione si fa risalire questa concettualizzazione al
pensiero di F. Schleiermacher (cfr. Schleiermacher 1835-1836).

15
Nel passaggio seguente si può osservare un altro esempio dell’eliminazione delle ripetizioni
da parte di Zveteremich: “Semënyč entrò nella vettura, sorridendo in modo sensuale. Già si
reggeva a malapena sulle gambe, perché di solito restava sul treno soltanto fino a Orechovo-
Zuevo, dove scendeva e se ne andava nel suo ufficio, sbronzo da vomitare…” (pp. 21-22). Sia
nell’originale che nelle altre traduzioni italiane compare la ripetizione della tratta ferroviaria
“Orechovo-Zuevo”, che scandisce in modo efficace il ritmo del brano; nella versione di
Zveteremich, invece, la seconda volta appare l’avverbio “dove”. Cfr. la versione di Caramitti:
“Semënyč entrò nel nostro vagone con un sorriso carnivoro. Faticava già a reggersi in piedi, e
difatti di solito arrivava solo fino a Orechovo-Zuevo, e a Orechovo-Zuevo saltava giù e se ne
andava nel suo ufficio inciuccato come un birillo…” (p. 93).

19
Nella traduzione di Caramitti, come già detto, prevale la tendenza a tradurre il
più possibile in italiano: fra i tre lavori a confronto è la versione con la quantità
minore di russismi, e ciò rappresenta un dato di partenza oggettivo. La
selezione degli equivalenti testimonia l’intenzione di rendere non solo
l’immediata denotazione, ma anche gli elementi connotativi più importanti o
evidenti nel contesto di arrivo. È il caso, ad esempio, dei vari tipi di vodka e altre
bevande (“vodka alle erbe”, “al coriandolo”, “d’iperico” e “moscato moldavo” al
posto del francesismo Albe-du-dessert ripreso nelle altre due versioni) e del
gioco di carte sika, che diventa l’italiano “zecchinetta” (cfr. Tabella I, es. 4).

Tornando al binomio concettuale relativo all’orientamento generale, si può


osservare che la traduzione di Caramitti appare decisamente target-oriented,
rivolta al contesto di arrivo: è individuabile infatti un quadro linguistico di fondo
legato all’interpretazione unitaria del poema, al quale è possibile ricondurre
coerentemente le singole soluzioni, ovvero l’idea, nelle parole di Benjamin, di
“…trovare quell’atteggiamento verso la lingua in cui si traduce, che possa
ridestare, in essa, l’eco dell’originale” (Benjamin 1976: 44). Leggendo il testo si
nota un anelito costante a “espandere” le possibilità comunicative dell’italiano
con costrutti ed espressioni pertinenti alla lingua parlata, qualche pregevole
ricorso ai dialettismi (ad esempio “infracichito”, p. 36, “roscia”, p. 44, “il
frescone”, p. 72, “giudìo”, p. 76), e scelte lessicali in direzione di una lingua
dinamica e vivace. Il quid di Moskva-Petuški, la lettura globale dell’opera che
contraddistingue questa versione è legata alla percezione della sua poliedricità
stilistica come corrispondente diretta della sfera semantica. Si cerca infatti di
riprodurre anche in italiano gli effetti degli sbalzi ritmici presenti nell’originale,
attraverso l’intreccio costante di registri alti/bassi e l’accostamento di elementi
gergali o del turpiloquio a termini letterari. Il colore tipico della scrittura di
Erofeev, sapientemente intrisa di oralità e scarti, rende il poema piuttosto
attuale: l’obiettivo principale della traduzione pare quello di mettere in luce la
sua originalità agli occhi dei lettori italiani contemporanei, sulla base di una
visione che ne coglie e sottolinea gli aspetti postmodernisti in linea con alcune
interpretazioni critiche (si vedano in particolare Epštejn 1995; Ryan-Hayes
1995; Lipoveckij 2008). Questo anche a costo di mettere in secondo piano i
riferimenti alla cultura russa classica e alla realtà sovietica, dato che gli elementi
di modernità del testo emergono dai procedimenti e dalle scelte traduttive:

20
come già detto, è un italiano ricco di contrasti, con un fitto ricorso, sul piano
lessicale e sintattico, al ritmo e all’intonazione della lingua parlata. Si nota lo
sforzo continuo di riprodurre i toni e le strutture dell’oralità, così diffusa nel testo
originale, con una lingua di arrivo altrettanto ricca e flessibile, partendo però
dalle sue risorse e caratteristiche (si pensi ad esempio alle incursioni nei
dialettismi, nonché all’uso di alcuni gergalismi regionali e modi di dire popolari).
La componente orale viene messa in primo piano da Caramitti attraverso un
reticolo di espedienti formali che agiscono anche a livello sintattico: fra questi si
segnalano le inversioni, la frequente interpolazione di particelle pronominali
tipiche dei costrutti parlati come “ci”, “ce”, “ne”, l’uso insistito del “più”, della
doppia negazione e della congiunzione “che”16. Spiccano inoltre l’onnipresenza
del verbo “dire” e l’uso frequente del “sì” come inciso. La ripetizione viene
rispettata e riprodotta quando è significativa per il ritmo all’interno di un singolo
contesto narrativo; nei casi in cui lo stesso termine compare in brani diversi del
testo originale si propongono invece variazioni lessicali, con esiti differenti e
creativi17. È una scelta innovativa che fa affiorare ulteriori sfumature del
linguaggio del protagonista, particolarmente affine a quello degli scrittori
postmodernisti, caratterizzato com’è dall’oscillazione e dall’ibridazione.

Altri elementi che si possono mettere in rilievo positivamente sono l’impiego


costante del passato prossimo rispetto all’ormai pressoché desueto remoto, e
qualche tentativo di rendere con verbi italiani prefissati la componibilità lessicale
tipica del russo (cfr. Tabella I, es. 8 e 11 e l’iterazione del verbo “sfarfallare” per
rendere il russo obletat’ nell’esempio 6). È degna di nota, inoltre, la molteplicità
di espressioni – di cui alcune provenienti dalla lingua parlata – relative al bere e
all’ubriacarsi: oltre agli standard “ubriacarsi”, “sbronza”, “sbornia” si trovano
anche in vari casi “ciucca”, “inciuccarsi”, “straciucchi”, “alzare il gomito”, sino

16
A titolo di esempio, si propone il brano seguente: “Che cari che sono! …Bé, dunque… non
resta che andare. E che ottima cosa che già ieri sera ho comprato i regali: non potevo certo
andare a Petuški senza regali.” (Erofeev 2003: 14-15; corsivi miei). La tendenza a un uso
piuttosto insistito e apparentemente “fuori norma” del pronome relativo “che” è uno dei tratti
caratterizzanti dell’italiano parlato attuale: i linguisti lo definiscono “che polivalente”, data la
perdita progressiva della sua funzione relativa rispetto a quella di congiunzione.

17
A seconda dei contesti e dei registri linguistici utilizzati nell’originale, il russo bljad’ viene reso
ad esempio, oltre che con il termine “puttana”, dominante nelle altre due versioni, anche con i
coloriti equivalenti italiani “mignotta”, “meretrice”, “troietta”, “fraschetta”, “battona”, “baldracca”.

21
alle colorite similitudini “ciucca come una bietola” (cfr. Tabella I, es. 9), “ubriaca
come una cucuzza” (p. 84), o “ciucco come una campana” (p. 112). Questi
ultimi esempi esplicitano la ricerca di costrutti accomunati dalla qualità visiva
delle immagini, che sembrano riecheggiare un aspetto specifico dello stile dello
scrittore russo: in effetti il testo di Erofeev è intessuto di elementi visivi
(l’attenzione per i colori e gli indumenti, l’alternanza di buio e luce, bianco e
nero, ecc.). I paragoni ricreati nella traduzione presentano allo stesso tempo
significati denotativi, legati agli oggetti reali, e sfumature di assurdo per il
contesto in cui sono inseriti, dato che intensificano l’atmosfera surreale del
poema e le iperboli della scrittura (cfr. la rima ricreata in Tabella I, es. 9). La
galleria di immagini variopinte che mirano a “illustrare scientificamente” i vari
stati di ebbrezza costituisce un tentativo di uscire dai binari linguistici standard,
più consueti, per approdare a una sorta di terra di confine ai limiti dell’idioletto
dei singoli personaggi. Nel flusso narrativo i realia alcolici d’uso quotidiano non
restano fini a se stessi, ma diventano gradualmente dei correlativi oggettivi degli
stati d’animo del protagonista. Per il reietto Venička, infatti, l’annebbiamento
alcolico rappresenta al contempo un torbido stato semi confusionale e la rara
possibilità di esprimere in modo autentico la propria anima.

Talvolta le singole soluzioni scelte da Caramitti possono risultare discutibili,


visto che la traduzione sembra “dire di più”, mettendo in rilievo coloriture e
sbalzi stilistici anche dove non ci sono. Ciò potrebbe dipendere, d’altra parte,
dalla volontà di compensare le difficoltà sorte in altri passi, nei quali il testo
russo presenta scarti lessicali o termini gergali difficilmente riproducibili in
italiano. Ad ogni modo l’effetto di sperimentalismo è piuttosto netto: abbiamo,
ad esempio, una voce toscana popolare come “coccolone” (p. 13), il curioso
neologismo “puzzoneria” (p. 52, cfr. Tabella I, es. 7), il singolare aggettivo dagli
echi anglofoni “idiotico” (con ben tre occorrenze: pp. 53, 58 e 91) e
l’espressione gergale “sciroccato” (p. 39). Si riscontrano anche risonanze dalla
lingua dei fumetti e da quella televisiva attuale (si pensi all’uso enfatico
dell’avverbio “assolutamente” e alla presenza insistita di certi superlativi). La
maggior parte degli esiti appare comunque riconducibile all’intenzione
complessiva del lavoro, che a uno sguardo d’insieme si rivela un tentativo
apprezzabile, in quanto il testo viene riletto in sintonia con alcune acquisizioni
contemporanee della teoria della traduzione. Come osserva Osimo, infatti, la

22
personalità del traduttore e la sua dimensione psicologica intervengono nel
processo traduttivo creando un “metatesto” intermedio nella sua mente:

La partecipazione attiva (e spesso inconscia) della mente del traduttore


nell’interpretare e nel rielaborare il testo, e la conseguente inevitabile
infiltrazione di materiali personali, privati del traduttore [...] fanno del
processo traduttivo una manipolazione (a prescindere dalla presenza di
una manipolazione anche voluta, esterna, guidata da ragioni ideologiche di
cui il traduttore è consapevole) inconsapevole e involontaria (Osimo
2002:152)

La fedeltà all’originale viene spostata a un livello più profondo, non alle sue
caratteristiche più immediate e di superficie, ma allo spirito: vi è un’immagine
nitida del senso recondito del poema di Erofeev, del suo dinamismo,
dell’atmosfera rutilante che lo pervade. Il valore a tratti quasi formulaico di frasi
ed espressioni, la sovversione manifesta e quella potenziale degli accostamenti
vengono ricreati con gli strumenti lessicali propri dell’italiano, lasciando spazio
alla fantasia del lettore. È un aspetto che un commento attento a ogni
riferimento documentabile e plausibile arriva invece a limitare. La traduzione di
Caramitti sembra porsi l’obiettivo di privilegiare la vitalità attuale del testo,
anche al di là di tutti gli strati socio-culturali di cui è densamente costellato. Se
si dovesse scegliere una parola-chiave che sintetizzi efficacemente le qualità di
questa versione, si potrebbe ricorrere al termine “funambolismo”: è funambolica
la dimensione linguistica sperimentale, lo sono le modalità dell’esperimento
traduttivo e la sfida interpretativa rappresentata dal dialogo intertestuale18.

Nel complesso la versione di Moskva-Petuški a cura di Zappi tende a tradurre in


italiano in misura maggiore e con dei criteri più rigorosi rispetto alla prima qui
analizzata (Zveteremich), anche se alcuni esiti rimangono gli stessi (come
“paltò di covert-coat”, p. 48, sika p. 52, ërš, p. 72). La lingua italiana utilizzata
appare stilisticamente più vicina alla traduzione di Zveteremich che alla
versione di Caramitti: non solo confrontandole si riscontrano delle invarianti, ma

18
L’espressione “Intertesti funamboli” compare in uno dei titoli dei paragrafi della “Postfazione”,
nella quale Caramitti parla della “sterminata foresta di intertesti e riferimenti” del poema di
Erofeev (Caramitti 2003:150). Il contributo offre un’interpretazione originale, ricca di spunti e
suggestioni postmoderne, ma anche di elementi collegati all’alcool, al mondo culturale e alla
dimensione psicologica dello scrittore russo. Dello stesso autore si segnala inoltre il capitolo
“Venedikt Erofeev (1938-1990). Tra Mosca e Petuški” (in Caramitti 2010: 74-85).

23
in entrambe gli scarti fra espressioni letterarie (predominanti) e vocaboli di
registro parlato vengono notevolmente attenuati.

Dal punto di vista dell’orientamento e dei destinatari, la collocazione della terza


traduzione del poema (probabilmente, come si diceva, precedente alla seconda
in realtà), è nettamente source-oriented, contraddistinta dall’attenzione filologica
nei confronti del testo e da un esame puntuale di sottotesti, riferimenti e
citazioni. Prevale l’inclinazione a collocare l’opera, anche nella sua veste
italiana, nella pienezza dei contesti culturali e socio-linguistici originali, ricreati
anche attraverso i colori, i sapori e gli odori tipici dell’epoca; vengono preferiti,
infatti, gli elementi maggiormente collegati alle abitudini della gente negli anni di
Brežnev. La traduzione di Zappi si pone l’obiettivo di svelare e ricostruire il
mondo sovietico di quel periodo tramite modi di dire, dettagli di stranovedenie
(l’equivalente russo di civilization) e dei comportamenti: vengono esplorati i
richiami letterario-religiosi e le citazioni di cui è intessuto il testo originale, dando
la possibilità di interpretarlo come proiezione e rielaborazione artistica della
vastissima erudizione dell’autore. Si tratta di un obiettivo ambizioso, che
risponde anche a delle esigenze di rigore filologico nei confronti di un’opera
circondata per lungo tempo da un’aura di incertezze e ambiguità (si pensi alla
sua circolazione attraverso i canali del samizdat).

Nella maggior parte dei casi le equivalenze proposte in questa versione


appaiono razionali, corrette e accettabili; proprio per la propensione a
privilegiare la soluzione più adatta alla comprensione denotativa del testo di
partenza si osservava che si potrebbe collocare la versione di Zappi,
idealmente, a metà fra le altre due. Se da un lato, infatti, si rivela più precisa e
affidabile della prima (Zveteremich) e più coerente nell’impianto generale a cui
ricondurre i singoli traducenti, dall’altro non rischia mai di “forzare la mano”
mettendo in primo piano lo stile e il ritmo a scapito della fedeltà semantica.

Per quanto riguarda l’apparato critico e la densità dei riferimenti il lavoro segue
le impostazioni delle edizioni russe recenti. La segnalazione delle citazioni di
altri autori, sui quali vengono fornite informazioni dettagliate, influenza in modo
evidente le singole scelte lessicali. La lingua italiana in cui si esprime Zappi si
presenta indubbiamente come un medium elegante e godibile dal punto di vista

24
estetico; la sua intelaiatura formale, tuttavia, appare standard, ovvero di natura
squisitamente letteraria: le poche concessioni nei confronti dell’oralità (come ad
esempio l’uso del “mica”, le elisioni “’sto”, “’sti” o il prefisso “stra-”) ne
rispecchiano la staticità. Nonostante la correttezza e la coesione generali,
quindi, gli sbalzi stilistici, i giochi di parole e gli accostamenti inconsueti presenti
nel poema di Erofeev perdono mordente, in sostanza vengono messi in ombra.
L’effetto alla lettura è di un italiano scorrevole e compatto, ma poco
caratterizzato, che non riflette la multiformità e le distonie della lingua parlata
attuale, preferendo sempre l’esito formalmente più elegante, a-problematico e
quindi neutrale sia a livello lessicale che sintattico. Le scelte del traduttore
appaiono direttamente legate alla sua visione dell’opera, alle componenti
culturali e individuali, nonché alle caratteristiche del metatesto che sta alla base
della traduzione definitiva. Nella versione di Zappi prevale l’attenzione costante
nei confronti dei significati; si ha l’impressione di un atteggiamento psicologico
quasi “sacrale” nei confronti del testo: non si vuole rischiare di modificarlo in
alcun modo, ma si aspira a sviscerarne la polisemia semantica, a far entrare il
lettore italiano in tutto e per tutto in quel mondo. Una conferma di questo
orientamento complessivo si può trovare nella parte finale della prefazione, in
cui il traduttore parla delle proprie esperienze e ricordi, e definisce il lavoro una
sorta di personale “compensazione interiore” (Zappi 2004a: 14). Come ha
scritto Montesano, l’ultima edizione in ordine di tempo sembra offrire la
possibilità al pubblico italiano di conoscere aspetti “altri” del poema:

[…] L’immagine che possiamo farci di Erofeev dopo questo Mosca-Petuški


e altre opere è una di queste occasioni, perché facendo venire fuori i pezzi
dell’iceberg Erofeev-scrittore, l’edizione curata con passione da Gario
Zappi lascia sprofondare tutto il vecchio livello di discorso superficialmente
“politico”: l’arte non può lasciarsi togliere le parole di bocca dalla politica.
(Montesano 2004: 24)

Il limite di un’impostazione di questo tipo è rappresentato dalla riduzione dello


spazio interpretativo del lettore, come ha segnalato anche Martini nella sua
recensione alla traduzione19. Se da un lato, infatti, la ricchezza e l’accuratezza

19
“Nel tentativo di cogliere tutti i nessi e tutti i passaggi si corre però il rischio da un lato di
consegnare irrimediabilmente Erofeev al passato di un’Urss ormai morta e sepolta, dall’altro di
smarrire la potenza innovativa della sua prosa” (Martini 2004: 60).

25
delle informazioni paratestuali ampliano la comprensione dell’opera, dall’altro
forniscono delle chiavi di lettura precise, univoche, che hanno l’effetto di
mettere in secondo piano possibili associazioni e collegamenti di natura diversa
da parte dei lettori. La vitalità e la dialogicità del testo rispetto ai contesti
culturali coevi vengono notevolmente approfonditi, ma ciò rischia di ridurre i
processi di attualizzazione e interiorizzazione individuali, ugualmente importanti.
Se si volesse far ricorso a un termine-chiave per definire questa traduzione,
l’immagine del “Vangelo apocrifo”, che dà il titolo alla “Prefazione” di Zappi,
appare particolarmente adatta a condensare sul piano simbolico la sostanza
della visione e delle scelte di massima. Come si è già osservato, la componente
religiosa è uno degli intertesti più rilevanti in Moskva-Petuški; considerare
l’opera una “versione apocrifa” rispetto alla cultura sovietica dominante ne
sottolinea quindi l’originalità, mettendone in luce al contempo la dimensione
intrinsecamente parodica e sovversiva.

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