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// caso Heidegger
e la coscienza
delta Germania

F I L 0 S 0 F I A / F I L 0 S 0 F 1E
Un impegnativo, polemico saggio nazista si intreccia con i caratteri
di JUrgen Habermas, destinato a autoritari e non comunicativi del
riaccendere la discussione suo pensiero. II libro di Farias e le
sull'adesione di Martin Heidegger discussioni da esse suscitate
alio hitlerismo. Lo straordinario rivelano quanto sia ancora attuale
rilievo di un pensatore che ha il hisogno di una assimilazione
segnato la cesura piii, profonda critica di tutte quelle tradizioni
nella fisolosofia tedesca dai tempi di che hanno reso i tedeschi ciechi di
Hegel. 11 sua sostegno al regime fronte al nazismo.

ILFILOSQFQEIL NAZISTA
Dal 1929 in poi il pensiero di Heidegger si trasforma in
ideologia, si apre agli influssi neoconservatori e
antidemocratici. Esiste una relazione interna fra la sua
simpatia per il movimento nazionalsocialista e la sua critica
della ragione.
JURGEN HABERMAS
Premessa
II testo e nato in occasione deU'edizione tedesca (Fischer, 1988) del
libro di V. Farias Heidegger et le Nazisme. Ma considero valido pub-
blicarlo indipendentemente da quel contesto, perche nella discussione
quale si e sviluppata fino ad oggi non sono stati tenuti sufficientemen-
te distinti alcuni aspetti. II giudizio morale dei posted, provocato piu
dal comportamento del filosofo dopo il 1945 che dal suo impegno
politico durante il periodo nazista, non puo offuscare lo sguardo sul
contenuto obiettivo dell'opera filosofica. Tanto meno la distinzione
96 legittima fra persona e opera puo impedire di chiedersi se — ed even-
tualmente fino a che punto — I'opera stessa non sia stata inquinata
nella sua sostanza da contenuti propri di una ideologia. Grazie alle
indagini storiche di H. Ott e V. Farias, questa domanda acquista con-
torni piu chiari. Ad essa, pero, non si pu6 rispondere soltanto con gli
strumenti dell'analisi storica.

1. Nella sua eccellente bibliografia ragionata degli scritti heideggeria-


ni, W. Franzen introduce la sezione «Heidegger e il nazionalsociali-
smo» con le parole: «Frattanto anche nella Repubblica Federale si
riscontra tutta una serie di autorevoli contributi sul "caso Heidegger".
A tutt'oggi, pero, non ha avuto luogo una discussione realmente aperta
e priva di inibizioni, anzitutto nel "campo" della scuola heideggeria-
na». Era il 1976(1). Da allora la situazione e cambiata. Fra I'altro, le
note pubblicate nel 1983 (insieme con la ristampa della prolusione per
il rettorato), con le quali Heidegger, dalla prospettiva del 1945, ha
giustificato il suo atteggiamento politico del 1933-'34, hanno soUecita-
to una rinnovata discussione (2). Nuovi fatti sono stati portati alia luce,
grazie soprattutto ai lavori dello storico di Friburgo Hugo Ott (3) , e
del filosofo Otto Poggeler (4), che per decenni e stato vicino a Heideg-
ger, ma anche grazie al resoconto di Lowith (scritto nel 1940) su un
suo incontro con Heidegger a Roma nel 1936(5). Inoltre, I'edizione
completa tuttora in corso degli scritti di Heidegger ha consentito il
formarsi di un'idea piu precisa suUe lezioni e i manoscritti degli anni
Trenta e Quaranta, non ancora integralmente pubblicati (6). Nondime-
no, ci sono voluti gli sforzi di un collega cileno perche, per la via
indiretta di una traduzione dal francese (riscontrata sull'originale spa-
gnolo), anche da noi si potesse disporre di una biografia politica di
Heidegger. Lo straniamento insito nella prospettiva di uno straniero
e I'adeguata risposta a quell'inibizione che Franzen aveva osservato
nel nostro paese. La distanza creata dalla nazionalita di Farias puo
giustificare il mio tentativo di mettere questo lavoro, che non ha biso-
gno di perorazioni a suo favore, in rapporto con I'attuale contesto
tedesco.

(1) W. Franzen, Martin Heidegger, Sammlung Metzler, Stuttgart 1976, p. 78.


(2) M. Heidegger, Die Selbstbehauptung der deutschen Universit&t. Das Rektorat 1933-
'34, Frankfurt 1983.
(3) H. Ott, «Martin Heidegger und die Universitat Freiburg nach 1945», Historisches
Jahrbuch, 1984, pp. 95 e ss.; del medesimo, Martin Heidegger und der Nationalsozia-
lismus, in: A. Gethmann-Siefert, 0 . Poggeler, Heidegger und die praktische Philosophie,
Frankfurt 1988, pp. 64 e ss.
(4) O. Poggeler, «Den Fiihrer fiihren? Heidegger und kein Ende», Philosophische
Rundschau, 1985, pp. 26 e ss.; del medesimo, Heideggers politisches Selbstverstandnis,
in: Gethmann-Siefert, Poggeler (1988), pp. 17 e ss.
(5) K. Lowith, La mia vita in Germania prima e dopo il 1933, Mondadori, Milano 1988,
pp. 85 e ss.
(6) Cfr. N. TertuUian, «Heidegger-oder: Die Bestatigung der Politik durch Seinsge-
schichte. Ein Gang zu den Quellen», Frankfurter Rundschau del 2 febbraio 1988.
Se si guarda la cosa dal punto di vista di un lettore tedesco contem- 97
poraneo, e importante una considerazione preliminare. La chiarifica-
zione del comportamento politico di Heidegger non deve servire ai fini
di una diffamazione globale. Come personality della storia contempo-
ranea, Heidegger sottosta al giudizio dello storico come chiunque al-
tro. Anche in questo libro vengono in discussione azioni e modi di
comportarsi che suggeriscono una valutazione distaccata del carattere.
Ma come posteri che non possono sapere come si sarebbero comportati
essi stessi nelle condizioni della dittatura politica, e opportuna una
certa cautela in sede di valutazione morale delle azioni e delle omis-
sioni durante il periodo nazista. K. Jaspers, ramico e coetaneo, si
trovava in un'altra posizione. In un parere richiestogli sul finire del
1945 dalla «Commissione di epurazione politica» deU'Universita di
Friburgo, egli, giudicando il «modo di pensare» di Heidegger, scrive
che gli appare «sostanzialmente non libero, dittatoriale, non comuni-
cativo» (7). Ma tale giudizio vale per lo stesso Jaspers non meno che
per Heidegger. In siffatti giudizi Jaspers, come si puo constatare dal
suo libro su Schelling, si attiene rigidamente alia massima per cui il
contenuto di verita di una dottrina filosofica deve rispecchiarsi nella
mentalita e nell'ambito di vita del filosofo. A mio parere, questa rigida
concezione dell'unita tra opera e persona non tiene nel debito conto
I'autonomia del pensiero, e ancor piii, la storia della sua influenza (8).
Con cio non intendo in alcun modo negare qualsiasi interna connessio-
ne fra I'opera filosofica e il contesto biografico da cui e sorta — e
neanche il grado di responsabilita di un autore che, nel corso della sua
vita, puo pur sempre reagire alle conseguenze non intenzionali delle
sue dichiarazioni.
Ma da tempo I'opera di Heidegger si e separata dalla sua persona. A
ragione Herbert Schnadelbach comincia la sua esposizione della filo-
sofia in Germania con I'avvertenza che «il nostro odierno filosofare e
determinato in maniera decisiva dagli impulsi che allora provennero
dal Tractatus logico-philosophicus (1921) di Ludwig Wittgenstein, da
Storia e coscienza di classe (1923) di Gyorgy Lukacs e da Essere e
tempo (1927) di Martin Heidegger» (9). Con Essere e tempo Heidegger

(7) Ott (1988), p. 65.


(8) La cautela nella valutazione politico-morale del comportamento di allora dovrebbe
includere anche la rinuncia ai confronti troppo facilmente istituiti all'insegna della com-
pensazione. Un esempio ammonitore lo offre persino una persona equilibrata come 0 .
Poggeler, il quale non solo confronta I'impegno di Heidegger a,favore di Hitler con
I'opzione di E. Bloch e G. Lukdcs a favore di Stalin, ma in questo contesto chiama in
causa una recensione con la quale Th. Adorno, senza comprendere assolutamente la
situazione del 1934, aveva creduto di poter soprawivere alle vicende tedesche. Messo di
fronte alia sua recensione del 1934 (dal giomale studentesco di Francoforte, Discus),
Adorno reagisce con una lettera aperta le cui parole non potrebbero contrastare in ma-
niera piii impressionante con I'umiliante silenzio di Heidegger. Cfr. la postfazione edito-
riale di R. Tiedemann in: Th.W. Adorno, Gesammelte Schriften, vol. 19, pp. 633 e ss.
Ivi anche la lettera di Adorno e una presa di posizione di M. Horkheimer.'
(9) H. Schnadelbach, Philosophie in Deutschland 1831-1933, Frankfurt 1983, p. 13.
98 si e imposto, per cosi dire, da un giorno all'altro come filosofo di
rango. Anche colleghi distanti da lui, come Georg Misch, riconobbero
immediatamente il «lungo respiro» e la «magistrale capacita» di un
filosofo che sapeva indicare una direzione. In effetti, Heidegger ha
fuso e ricombinato in modo originale gli indirizzi concorrenti dell'er-
meneutica di Dilthey e della fenomenologia di Husserl, al punto che
ha potuto assumere i motivi pragmatici di un Max Scheler e metterli
a profitto per un superamento della filosofia del soggetto in una pro-
spettiva storica (10). Questa nuova impostazione del pensiero appariva
tanto piu sconvolgente, in quanto apparentemente permetteva di rifor-
mulare le problematiche classiche della metafisica aristotelica con i
motivi virulenti della dialettica esistenziale di Kierkegaard. Ancor og-
gi, bisogna constatare che questo nuovo inizio costituisce la cesura
sicuramente piu profonda nella filosofia tedesca dai tempi di Hegel.
Mentre la detrascendentalizzazione dell'io costitutivo del mondo at-
tuata in Essere e tempo non trovava termini di paragone, la successiva
critica della ragione che si riallacciava a Nietzsche formava I'inevita-
bile contraltare idealistico ad una critica materialistica della ragione
reificante o strumentale, che, sia pure ancora legata a Hegel, coniuga-
va proficuamente Marx con Weber. La ricchezza delle singole analisi,
le quali fra I'altro hanno portato alia luce le premesse ontologiche del
pensiero moderno, e stata pagata da Heidegger con la limitazione
dello sguardo alia dimensione di una storia della metafisica decisamen-
te stilizzata. Questa astrazione dai contesti della vita sociale ha avuto
ripercussioni sulla maniera sociologicamente non filtrata con la quale
Heidegger ha affrontato le diagnosi dell'epoca allora circolanti. Quan-
to piii la storia reale spariva dietro la «storicita», tanto piu facilmente
Heidegger poteva concedersi ad un uso ingenuo-pretenzioso delle dia-
gnosi del presente selezionate ad hoc.
Con il suo indirizzo di pensiero detrascendentalizzante e critico della
metafisica, Heidegger — la cui opera, certamente criticata, ha conser-
vato tuttavia un rango indiscutibile per tutti gli anni Trenta e Quaran-
ta — ha esercitato nelle universita tedesche una influenza ininterrotta.
Questa influenza, che ha formato una scuola, si spinge fino ai tardi
anni Sessanta. II suo peso e ben documentato in una raccolta dai titolo
Prospettive di interpretazione della sua opera, edita da Poggeler per
I'ottantesimo compleanno di Heidegger (11). Per tutto il lungo periodo
della latenza della Repubblica Federale, fino all'inizio degli anni Ses-
santa, la scuola heideggeriana ha mantenuto una posizione dominante;
il fatto che poi anche la filosofia analitica del linguaggio (con Wittgen-
stein, Carnap e Popper) e il marxismo occidentale (con Horkheimer,
Adorno e Bloch) abbiano rimesso piede nelle universita tedesche, non

(10) Sui motivi pragmatici in Heidegger, cfr. C.F. Gethmann, Vom Bewusstsein zum
Handeln, in: H. Stachowiack,Pragmatife, vol. II, Hamburg 1987, pp. 202 e ss.
(11) 0 . Poggeler (a cura di), Heidegger, Koln 1969.
poteva significare altro che una tardiva normalizzazione dello stato 99
delle cose. Piu importante ancora dell'influenza accademica esercitata
su parecchie generazioni di allievi e I'ispirazione che I'opera heideg-
geriana irradia su spiriti indipendenti, che ne estrapolano singoli mo-
tivi e li rendono sistematicamente produttivi aU'interno del proprio
contesto di pensiero. E in questo modo che, in un primo tempo, il
giovane Heidegger ha influito innanzitutto suUa filosofia dell'esistenza
e sull'antropologia fenomenologica di Sartre e di Merleau-Ponty. Lo
stesso puo dirsi, in Germania, per I'ermeneutica filosofica di Hans-
Georg Gadamer. Sviluppi produttivi ce ne sono stati anche nella mia
generazione, per esempio con Karl-Otto Apel, Michael Theunissen ed
Ernst Tugendhat (12). La critica heideggeriana della ragione e stata
recepita piii energicamente in Francia e negli Usa, per esempio da
Derrida, Richard Rorty e Hubert Dreyfus.
Certamente il discutibile comportamento politico di un autore getta
un'ombra sulk sua opera. Ma I'opera di Heidegger, anzitutto il pen-
siero di Essere e tempo, ha un valore posizionale cosi elevato nel pen-
siero filosofico del nostro secolo che e fuorviante supporre che, a di-
stanza di piu di cinque decenni, la sostanza di quest'opera possa essere
screditata da valutazioni politiche dell'impegno fascista di Heideg-
ger.
Ma allora quale interesse puo avere oggi, se si prescinde da quello
storicamente distaccato dell'attivita scientifica, occuparsi del passato
politico di Heidegger, ed occuparsene qui nella Repubblica Federale?
Penso che queste cose meritino il nostro interesse da due punti di
vista. Anzitutto, I'atteggiamento di Heidegger dopo il 1945 nei riguar-
di del passato e esemplare di un atteggiamento spirituale che ha im-
prontato durevolmente, sin dentro gli anni Sessanta, la storia della
Repubblica Federale, ed e stato capace di imporre una mentalita che
arriva fino ai nostri giorni, come dimostra la cosiddetta battaglia degli
storici (13). Per coglierne I'elemento sintomatico nel rifiuto di ricreder-
si, nella persistente prassi della negazione (14), bisogna informarsi su
cio che Heidegger, fino alia sua morte, ha rimosso, attenuate e falsato.
In secondo luogo, in Germania c'e bisogno di una assimilazione criti-
ca, o meglio diffidente, di tutte quelle tradizioni che hanno reso ciechi
di fronte al regime nazionalsocialista. Cio vale certamente per una

(12) Lo studio intense dei primi scritti di Heidegger ha lasciato tracce anche nei miei
lavori, sino a Conoscenza e interesse (1968); cfr. I'indicazione bibliografica in W. Fran-
zen (1976); mi ha affascinato il marxismo heideggeriano del giovane Marcuse, cfr. A.
Schmidt, Ontologia esistenziale e materialismo storico in H. Marcuse, in: J. Habermaa
(a cura di), Risposte a Marcuse, Bari, Laterza, 1969, pp. 13-47.
(13) H.-U. Wehler, Entsorgung der deutschen Vergangenheit?, Miinchen 1987. Ancora
in Hillgniber si trova, nel 1986, lo stesso confronto fra i crimini tedeschi e I'espulsione
dalle regioni tedesche orientali, che Heidegger obietta a Marcuse.
(14) Karl Jaspers e I'arcivescovo Grober soUecitarono, o per lo meno si attendevano, dal
loro amico Heidegger nel 1945 persino «un'autentica rinascitas, o comimque un «profon-
do cambiamento spirituale*, Cfr. Ott in: Gethmann-Siefert, Poggeler (1988), p. 65.
100 filosofia che financo nei suoi mezzi di espressione retorici ha assorbito
gli irapulsi derivanti dalle ideologic del suo tempo. Cosi come non si
puo screditare il contenuto di verita di una teoria associando la teoria
stessa a qualcosa che le e estrinseco, alio stesso modo una figura dello
spirito obiettivo, complessa e di imponente tradizione, non puo e non
deve essere posta in toto sotto tutela naturale, e immunizzata dalla
domanda circa I'eventuale intreccio in essa di motivi obiettivi e motivi
ideologici (14a). Cio che qui da noi e sempre stato lecito riguardo alio
stalinismo, deve essere consentito riguardo al fascismo.
Manfred Frank, riferendosi alle varianti della critica della ragione hei-
deggeriana attualmente diffuse in Francia, ha recentemente espresso
I'opinione che la questione del riformarsi della sindrome di una ideo-
logia di matrice tedesca, neoconservatrice, non e affatto risolta: «Le
nuove teorie francesi vengono recepite da molti nostri studenti come
un messaggio salvifico... Mi sembra che i giovani tedeschi tornino ad
attingere avidamente, col pretesto dell'apertura francese-internaziona-
le, alia loro propria tradizione irrazionalistica, interrottasi dopo il Ter-
zo Reich» (15). Con le osservazioni seguenti, integrative della ricerca
di Farias, vorrei soUevare una questione che ho gia affrontato in altro
luogo(16): se, cioe, ci sia stata un'mferraa connessione tra la filosofia
di Heidegger e la percezione politica che Heidegger ha avuto della
situazione storica del suo tempo (17).

2,- Nei 1963 Otto Poggeler aveva esposto «lo sviluppo del pensiero di
Martin Heidegger» in una versione, autorizzata dallo stesso Heideg-
ger, che rispecchiava I'interpretazione stessa dell'autore. Venti anni
piu tardi, proprio questo fedelissimo e assalito da dubbi: «Non fu forse
a causa di un determinato orientamento del suo pensiero che Heideg-
ger fini — non casualmente — con I'awicinarsi al nazionalsocialismo,
senza mai piu riuscire a trarsi realmente fuori da questa vicinan-
za?» (18). Da questo momento Poggeler assume una prospettiva in ba-
se alia quale la storia dell'opera di Heidegger si intreccia, piu salda-
mente di quanto si sia visto sino ad ora, con le crisi della storia della
sua vita.
Egli distingue anzitutto la crisi religiosa personale, nella quale Heideg-
ger incorse nei 1917, dalla generale atmosfera di crisi dell'anno 1929,
(14a) Anche R. Rorty misconosce il fatto che il problema non h il rapporto fra persona
e opera, ma la mescolanza di filosofia e ideologia: R. Rorty, «Taking Philosophy Seriou-
sly*, The New Republic, April 11, 1988, pp. 31 e ss.
(15) M. Frank, «Philo8ophie heute und jetzt». Frankfurter Rundschau del 5 marzo
1988.
(16) J. Habermas, II discorso filosofico della moderniti, Laterza, Ban 1987, pp. 158 ss.
(17) A suo tempo, purtroppo, non mi erano note n6 raccurata indagine di W. Franzen,
Von der Existentialontologie zur Seinsgeschichte, Meisenheim a. Glan 1975, terza parte,
pp. 69 e ss., n6 la postfazione alia 2.edizione di O. Poggeler, Der Denkweg M. Heideg-
gers, Pfullingen 1983, pp. 319 e ss.
(18) Poggeler (1983), p. 335.
nella quale poi Heidegger venne coinvolto politicamente. Quando Hei- 101
degger, nel 1919, su propria richiesta, si ritira dal seminario filosofico
per teologi cattolici, motiva questo passo sostenendo che «convinzioni
gnoseologiche... (gli) hanno reso problematico e inaccettabile il sistema
del cattolicesimo — non pero il cristianesimo e la metafisica (intesa
naturalmente in un senso nuovo)...» (19). Se a cio si aggiunge la suc-
cessiva riflessione sul Lutero riformatore e su Kierkegaard e, piu tardi,
I'incontro con Bultmann a Marburgo, risultano plausibili i motivi e la
prospettiva da cui Heidegger si pose il problema della mediazione del
pensiero storico con la metafisica; I'atteggiamento di ateismo metodi-
co non precludeva affatto I'orizzonte di esperienza autenticamente
cristiana. Heidegger perseguiva una «fenomenologia della vita» basata
su esperienze-limite dell'esistenza personale. L'esperienza della storia
scaturisce dall'autoconsapevolezza dell'individuo concreto nella sua
situazione momentanea. Essa implica (a) la reinterpretazione ermeneu-
tica del metodo fenomenologico di Husserl, obbliga (b) alia interpreta-
zione della domanda metafisica suU'essere a partire dall'orizzonte di
esperienza del tempo, e ottiene (c) una trasformazione densa di conse-
guenze delle operazioni dell'io trascendentale nel progetto di vita,
storicamente situato, di un esserci che, di fatto, si trova gia nel mondo.
II legame di (b) e (c) spiega, infine, il motivo per cui I'interesse di
Heidegger rimase orientato fondamentalmente suUa costituzione del-
l'esistenza umana, e perche esso richiese una netta delimitazione della
ontologia esistenziale dalle coeve elaborazioni della filosofia dell'esi-
stenza (Jaspers). L'analitica dell'esserci attuata in Essere e tempo, per
quanto radicata esistentivamente, rimase pur sempre una teoria del-
I'essere-nel-mondo in generale. Questo spiega il contrasto, ripetuta-
mente rilevato, fra la pretesa di un pensiero radicalmente storico e
I'ostinata e persistente astrazione della storicita (in quanto condizione
per l'esperienza storica in generale) dagli stessi processi storici.
L'operazione pionieristica di Essere e tempo consiste nel fatto che
Heidegger con quest'opera compie un passo argomentativo risolutivo
per il superamento dell'approccio coscienzialistico della filosofia (20).
Tale operazione puo magari essere illuminata dai retroscena di una
crisi personale che la motiva, ma non e stata compromessa da tale
contesto, in cui pure nasce. Naturalmente, anche in quest'opera cen-
trale si rispecchia quelle spirito del tempo al quale I'autore era legato.
Una critica della cultura borghese alia civilizzazione di massa si espri-
me in particolare nel tono di diagnosi epocale che caratterizza I'analisi
del «si» anonimo; la lamentela elitaria sulla «dittatura della sfera pub-
blica» fu il patrimonio comune dei mandarini tedeschi degli anni Ven-

(19) Cit. da Poggeler (1983), p. 327.


(20) Habermas, // discorso filosofico della modemitk, pp. 145 e ss.; sulla controversa
preistoria di Essere e tempo cfr. i contributi di H.-G. Gadamer, C.F. Gethmann e Th.
Kisiel in: Dilthey - Jahrhuch vol. 4, 1986-87.
102 ti e si ritrova con caratteristiche simili in K. Jaspers, E.R. Curtius e
in molti altri. L'ideologia iscritta nel curriculum dei licei tedeschi ha
plasmato intere generazioni — a destra come a sinistra. Di questa
ideologia fa parte I'intellettualismo elitario degli accademici, il fetici-
smo dello spirito, I'idolatria della lingua madre, il disprezzo di ogni
dimensione sociale, I'assenza completa di un orientamento sociologi-
co, come al contrario si e formato da tempo in Francia e negli Usa,
la polarizzazione fra scienze dello spirito e scienze della natura, e cosi
via. Tutti questi motivi si ritrovano irriflessi in Heidegger. Qualcosa
di piu specifico sono le connotazioni singolari che egli gia allora attri-
buiva a concetti quali Schicksal e Geschick, ossia «destino» e «manda-
to». IIpathos del nichilismo eroico associa Heidegger agli spiriti affini
della rivoluzione conservatrice quali Spengler, i fratelli Junger, Carl
Schmitt, e a coloro che si raggruppavano attorno alia rivista Die Tat.
Ma I'irruzione di questi motivi ideologici nella consapevolezza che
Heidegger aveva di se come filosofo, e persino nei suoi pensieri filo-
sofici essenziali, viene datata con piena ragione da Poggeler soltanto
al 1929, al tempo della crisi economica mondiale, in generale al tempo
del crollo della repubblica di Weimar.
Se si intende l'ideologia dei mandarini tedeschi nel senso in cui I'in-
tende F.K. Ringer (21), si possono vedere connessioni fra la coscienza
di mandarino del professore tedesco Heidegger, e le barriere oltre le
quali I'argomentazione di Essere e tempo non e andata. Ma neanche
un'indagine di sociologia del sapere potrebbe mostrare piu di quanto
non abbia fatto in ogni caso la critica filosofica. Heidegger, con il suo
drastico intervento suUa costituzione fondamentale invariante dell'es-
serci, si e sbarrato sin dal principio la strada per avanzare dalla sto-
ricita alia storia reale (22). Poi, con lo status meramente derivato del
Mit-sein, dell'essere-con, Heidegger fallisce la dimensione della socia-
lizzazione e della intersoggettivita (23). Inoltre, con I'interpretazione
della verita come inascosita, Heidegger ignora il momento dell'incon-
dizionatezza di una pretesa di validita che, in quanto pretesa, trascen-
de tutti i criteri meramente locali (24). II suo solipsismo metodico,
infine, impedisce a Heidegger di prendere sul serio le pretese di vali-
dita normative e il senso delle obbligazioni morali (25). Gia da questa

(21) F.K. Ringer, The Decline of the German Mandarins. The German Academic Com-
munity 1890-1933, Cambridge, Mass. 1969; su cid la mia recensione in: J. Habermas,
Philosophisch-politische Profile, Frankfurt 1981, pp. 458 e ss.; cfr. anche H. Brunk-
horst, Der Intellektuelle im Land der Mandarine, Frankfurt 1987.
(22) Franzen, (1975), pp. 47 e ss. Questo, del resto, I'ha gia notato Adomo nella sua
lezione inaugurale del 1930: Th. W. Adomo, Die Aktualitat der Philosophie, Gesammel-
te Schriften, vol. I, pp. 325 e ss.
(23) M. Theunissen, Der Andere, Berlin 1977, pp. 182 e ss.
(24) E. Tugendhat, Die Idee von Wahrheit, in: Poggeler (1969), p. 286; cfr. anche K.O.
Apel, Transformation der Philosophie, Frankfurt 1973, vol. I, seconda parte.
(25) C.F. Gethmann, Heideggers Konzeption des Handelns in «Sein und Zeitx, in: Geth-
mann-Siefert, Poggeler (1988), pp. 140 e ss.
critica risulta perche «la filosofia di Essere e tempo non parve mani- 103
festamente in grado di predisporre, ne per Heidegger ne per tutta una
serie di coUeghi e scolari a lui vicini, un potenziale critico contro il
fascismo» (26). Cosi anche W. Franzen giunge al giudizio «che molto
di cio che Heidegger ha detto e scritto nel 1933-'34, se non doveva
necessariamente risultare da cio che era contenuto in Essere e tempo,
poteva tuttavia almeno risultarne spontaneamente» (27).
Desidero colmare la lacuna lasciata da questa spiegazione negativa
formulando la tesi che, a partire dal 1929, comincia una trasformazio-
ne della teoria in ideologia. Da quel momento in poi, nel cuore stesso
della filosofia si insinuano motivi di una confusa diagnosi dell'epoca
di matrice neoconservatrice. E soltanto allora che Heidegger si apre
interamente al pensiero antidemocratico, a quel pensiero che nella
repubblica di Weimar aveva trovato eminenti sostenitori fra i gruppi
di destra e aveva persino attratto spiriti originali (28). Le manchevolez-
ze immanenti dimostrabili in Essere e tempo non potevano essere per-
cepite da Heidegger in quanta manchevolezze, perche egli condivideva
i sentimenti antioccidentali del suo ambiente, e perche riteneva il pen-
siero metafisico piii originario dell'insulso universalismo deU'illumini-
smo. Per lui, la storia concreta rimase un accadimento meramente
ontico, il contesto sociale della vita una dimensione dell'inautentico,
la verita dell'enunciato un fenomeno derivato, e la moralita era solo
un modo diverse di dire valori reificati. Sulla base di tali prevenzioni
e possibile chiarire i punti ciechi nell'attuazione dell'impostazione in-
novatrice di Essere e tempo. Ma e soltanto dopo Essere e tempo che
la sotterranea corrente anticivilizzatrice della tradizione tedesca
(Adorno) avrebbe scalzato la stessa impostazione dell'opera (29).

3. Molto giustamente Poggeler sottolinea la cesura biografica del


1929. Tre cose confluiscono insieme. Anzitutto, Holderlin e Nietzsche
furono considerati allora come autori destinati a dominare i decenni
venturi. Prese avvio con cio quella svolta neopagana che respingera
sullo sfondo i motivi cristiani a favore di un mitologizzante regresso
nell'arcaico. Ancora sul finire della sua vita, Heidegger ripone la spe-
ranza in «un» Dio che ci puo salvare. POggeler si pone la domanda:
«Non c'era... la via da Nietzsche a Hitler? Non cerco Heidegger a
partire dal 1929 di ritrovare con Nietzsche, attraverso I'opera dei gran-

(26) ivi, p. 142.


(27) Franzen (1975), p. 80.
(28) K. Sontheimer, Antidemokratisches Denken in der Weimarer Republik, Munchen
1962; Ch. V. Krockow, Die Entscheidung, Stuttgart 1958.
(29) Gli apologeti francesi di Heidegger invertono le cose quando pretendono di spiegare
I'opzione di Heidegger a favore del nazionalsocialismo con rargomentazione che il pen-
siero di Essere e tempo sarebbe stato ancora troppo radicate nel «pensiero metafisicos,
e ancora troppo legato al destine del nichilismo. Cfr. Ph. Lacoue-Labarthe, La fiction
du politique, Paris 1987. In polemica con questa tesi L. Ferry, A. Renaut, Heidegger
et les Modernes, Paris 1988.
104 di creatori, I'esperienza tragica del mondo, e quindi una grandezza
storica, [per] riattingere in tal modo nei tedeschi, trasformato, I'inizio
del pensiero greco, e un orizzonte circondato di miti?» (30).
In secondo luogo, si modifico I'interpretazione che il filosofo dava di
se stesso. Durante il suo incontro a Davos con Cassirer, Heidegger
aveva formulato un brusco rifiuto nei confronti del mondo di Goethe
e dell'idealismo tedesco. Era il marzo del 1929. Alcuni mesi piu tardi,
dopo la lezione inaugurale a Friburgo, nei luglio, si compie la rottura
col maestro Husserl. Nello stesso periodo Heidegger tiene una confe-
renza su un tema che aveva trattato per I'ultima volta dieci anni prima:
«L'essenza deH'universita e lo studio accademico». Sembra che egli
abbia allora realizzato consapevolmente la rottura con la filosofia ac-
cademica, per filosofare, da quel momento in poi, in un senso diverso,
non professionale — nei confronto diretto con quelli che venivano
sentiti come pressanti problem! del tempo. L'universita gli apparve,
come sarebbe emerso nella prolusione per il rettorato del 1933, come
il luogo istituzionale privilegiato per un rinnovamento spirituale da
awiare in maniera non convenzionale.
In terzo luogo, anche dalla cattedra Heidegger si apri ad una serie di
diagnosi del presente di matrice neoconservatrice (31). Nelle lezioni
del semestre invernale 1929-30 sui «Concetti fondamentali della meta-
fisica», Heidegger fa riferimento ad autori come Spengler, Klages e
Leopold Ziegler, e invoca I'eroismo di un'esistenza audace contro la
disprezzata moralita della miseria borghese: «Manca il mistero nella
nostra esistenza, e con cio manca I'interiore spavento che ogni mistero
porta con se e che da all'esistenza la sua grandezza» (32). Negli anni
seguenti Hidegger studia gli scritti di Ernst Jiinger: Guerra e guerriero
(1930) e I'o/jemJo (1932).
Ma il processo di trasformazione della filosofia di Essere e tempo in
ideologia non si chiarisce solo suUa base di una coscienza della crisi,
che rende Heidegger sensibile alia critica nietzscheana della metafisi-
ca, suggerisce ad una filosofia liberata dalle pastoie accademiche e al
suo luogo, l'universita, il ruolo del salvatore nell'emergenza estrema,
e spalanca porte e finestre alia critica della civilizzazione che via via
ha captato. II torrente di motivi ideologic! si incontra, inoltre, con un
fondo problematico che era il risultato della stessa incompiutezza in
cui era rimasta I'opera Essere e tempo.
L'ontologia esistenziale aveva a tal punto obbedito all'impostazione

(30) Poggeler (1985), p. 47.


(31) Una delle analisi piti perspicaci resta tuttora il saggio giovanile di Marcuse, «Der
Kampf gegen den Liberalismus in der totalitaren Staatsauffassung», Zeitschrift fiir So-
zialforschung, 3, 1934, pp. 161 e ss., che rinvia alia prolusione di Heidegger per il ret-
torato e al suo articolo sulla Freiburger Studentenzeitung del 10 novembre 1933.
(32) M. Heidegger, Gesamtausgabe, voU. 29-30, p. 244. Per I'analisi del paragrafo 38,
cfr. W. Franzen, Die Sehnsucht nach Harte und Schwere, in: Gethmann-Siefert, Pogge-
ler (1988), pp. 78 e ss.
trascendentale, che le strutture che essa aveva scoperto dovevano es- 105
sere attribuite in generale all'esserci, quindi dovevano esse stesse con-
servare un carattere metastorico. Con cio Heidegger non aveva tenuto
fede alia pretesa di una radicale temporalizzazione dei concetti meta-
fisici fondamentali. A quella pretesa cercano ora di tener fede due
lavori degli anni 1930-'31 (che sono disponibili solo in una successiva
rielaborazione).
Nelle due conferenze «Sull'essenza della verita» e «La dottrina di Pla-
tone suUa verita», gli esistenziali, che erano, una costituzione fonda-
mentale dell'esserci, si trasformano nel risultato di un processo che
viene da lontano. Essi provengono da una storia, posta in un ciclo
idealistico, che si sarebbe realizzata nel medium del mutamento delle
categorie metafisiche fondamentali, dietro o al di sopra della storia
reale. Ora la dialettica di disvelamento e nascondimento non e piii
pensata come I'ingranarsi di possibilita invarianti dell'essere, che co-
munque tiene aperta al singolo individuo la prospettiva dell'autenti-
cita, ma come storia della caduta che inizia con il pensiero metafisico
di Platone e ha i suoi eventi epocali nelle «umanita». Con cio Heideg-
ger guadagna una dimensione suUa base della quale I'analitica dell'es-
serci puo accertare le condizioni della propria genesi. La teoria si fa
riflessiva, in un modo analogo a quella dello hegelo-marxismo di un
Lukacs — con la differenza sostanziale pero che la teoria sociale si
concepisce in base ad un contesto storico concrete accessibile all'inda-
gine sociologica, mentre il pensiero esistenzial-ontologico si smarrisce
ascendendo ad un ambito originario sublime, preliminare, sottratto ad
ogni empirica comprensione (in ultimo anche a quella argomentativa).
In questo ambito domina soltanto la filosofia; ed e cosi che essa, del
tutto indisturbata, puo torbidamente coniugarsi con diagnosi epocali
prive di qualsiasi riscontro scientifico. La ricostruzione attualizzata
del dispiegamento della metafisica antecedente ad ogni storia, realiz-
zata da Heidegger, e guidata dalla coscienza della crisi del momento
storico continuamente dilazionata, cioe da una interpretazione della
situazione tedesca all'inizio degli anni Trenta che era tipica dell'idea
della rivoluzione conservatrice.
Gli interpreti condividono oggi I'autointerpretazione retrospettiva di
Heidegger, secondo la quale egli, con i suoi due testi del 1930-'31,
avrebbe compiuto la «svolta» dall'ontologia esistenziale all'idea della
«storia dell'essere)). Questo non e completamente vero, giacche con
questi due scritti si imbocca soltanto il cammino che, attraverso parec-
chie fasi, conduce infine alia Lettera suU'umanismo del 1946. l\pathos
della soggezione e del lasciar essere, la concezione quietistica dell'uo-
mo come pastore dell'essere, la tesi del linguaggio come «casa dell'es-
sere, abitando la quale I'uomo esiste, e nella quale I'uomo appartiene
alia verita dell'essere in quanto la custodisco) (33): tutto questo e sol-
(33) M. Heidegger, Segnavia, Adelphi, Milano 1987, p. 287.
106 tanto il tardive risultato di un pensiero filosofico che si consegna ad
un «destino mondiale» che, fra il 1930 e il 1945, prescrive le sue tor-
tuosita ad un filosofo disposto ad adeguarvisi.
All'inizio degli anni Trenta manca non solo il termine, ma anche il
concetto di «storia deU'essero). Cio che allora si modifica nella conce-
zione filosofica non e affatto ancora la pretesa attivistica di decisiona-
lita e progetto; si modifica soltanto I'orientamento sul criterio di au-
tenticita della storia della propria vita assunta responsabilmente. Ad
essere liquidato e ancora quel momento critico di Essere e tempo che
comunque ha costituito il contenuto dell'eredita individualistica della
filosofia dell'esistenza. II concetto di verita subisce, allora, una trasfor-
mazione tale che la sfida storica, per cosi dire, passa al comando at-
traverso un destino collettivo. Ora non e piu il singolo individuo, ma
una «umanita storica» che e-siste. Non noi in quanto singoli, ma noi
con una «N» maiuscola ci vediamo esposti «allo stato di necessita della
costrizione» e air«imperio del mistero». Non pertanto la decisione ci
viene sottratta: «L'errare domina I'uomo. Ma come aberrazione I'erra-
re contribuisce nello stesso tempo a creare la possibilita — che I'uomo
riesce a cavare dall'e-sistenza — di non lasciarsi fuorviare, in quanto
egli stesso fa esperienza dell'errare stesso e non si inganna sul mistero
deiresser-ci» (34).
Dopo il 1929 la «svolta» si compie anzitutto soltanto nel senso che
Heidegger (a) riferisce riflessivamente I'analitica dell'esserci ad un
movimento del pensiero metafisico interpretato come una storia della
caduta; che egli (b) fa affluire su questa ricostruzione attualizzata i
motivi di una diagnosi della crisi non depurata scientificamente, pro-
prio perche sono motivi fondati su una ideologia; e che egli (c) disgiun-
ge la dialettica di verita e non verita dalla cura individuale per il
proprio esserci, e la interpreta come un accadere che chiama ad un
confronto risoluto con un destino storico che e sempre collettivo (35).
Con cio sono poste le linee per una interpretazione nazional-rivoluzio-
naria dell'autoconsapevolezza e dell'autoaffermazione che in Essere e
tempo erano state tracciate in senso esistenziale. Cosi Heidegger, che
gia prima del 1933 si era deciso a favore della NSDAP, pub far rien-
trare la «presa del potere» entro i concetti fondamentali della sua
analisi dell'esserci che ha sempre mantenuto (36). Ma si aggiunge un

(34) M. Heidegger, Dell'essenza della veriti, in: Segnavia, p. 152.


(35) Alcuni interpreti heideggeriani propendono ad intendere gli ultimi capitoli di Essere
e tempo, in particolare il discorso di «niandato» e «destino», gik in un senso collettivisti-
co, ma 6 un tipo di lettura che non fa che ripetere I'autostilizzazione retrospettiva di
Heidegger. Cfr. il mio accenno in J. Habermas, II discorso filosofico della modernitk,
p. 161, nota 50.
(36) Johannes Gross, un testimone non sospetto, nella 62. puntata della nuova serie del
suo «Taccuino» pubblicato nell'inserto della Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha comu-
ulteriore elemento: il marchio nazionalistico del destine tedesco, I'as- 107
segnazione delle categoric deir«csserci», reinterpretate collettivistica-
mente, all'esistenza del popolo tedesco, e la introduzione delle figure
mediatrici dei «capi e custodi del destino tedesco», le quali muteranno
lo stato di indigenza e fonderanno il nuovo, a condizione che i seguaci
si lascino disciplinare.
I capi sono ora i grandi creatori che mettono in opera la verita (37).
Ma il rapporto fra capo e seguaci concretizza solo, come sempre, la
decisione formale «che I'intero popolo voglia, o non voglia, la propria
esistenza». NeU'impegno attivistico di Heidegger a favore del Fiihrer
e del «completo rivolgimento della nostra esistenza tedesca», e ricono-
scibile, sia pure in toni osceni, la semantica di Essere e tempo; cosi,
per esempio, durante la «manifestazione elettorale della scienza tede-
sca» tenuta a Lipsia I ' l l novembre 1933, egli afferma che dalla «ob-
bedienza compatta dinanzi all'esigenza incondizionata di essere re-
sponsabili di se, nasce in primo luogo la possibilita di prendersi reci-
procamente sul serio, e quindi, anche, di affermare una comunita...
Che cosa e dunque questo evento? II popolo riguadagna la verita della
sua volonta di esistere, perche la verita e il momento di manifestazione
di cio che rende un popolo sicuro, schietto e forte nel suo agire e nel
suo sapere. Da una tale volonta scaturisce I'autentico voler sape-
re...» (38).
Su questo sfondo, I'assunzione del rettorato e la relativa prolusione
risultano non solo spontaneamente, ma ineluttahilmente dal commiato
di Heidegger dalla filosofia accademica «posta al servizio di un pen-
siero sradicato e impotente», risultano dalla sua concezione elitaria,
tutta interna alia tradizione mandarinesca dell'universita tedesca; da
una sfrenata feticizzazione dello spirito e dall'idea missionaria che egli
ebbe di se, la quale gli consent! di vedere il ruolo del proprio filosofare
soltanto nel contesto di un destino mondiale escatologico. £ dawero
una foUia professorale specificamente tedesca quella che suggeri a

nicato il contenuto di una lettera di Heidegger a Carl Schmitt del 22 agosto 1932 (!).
L'ultimo capoverso dice: «Oggi desidero solo dirle che spero molto nella sua convinta
collaborazione, giacch6 h necessario ricostruire interamente daU'intemo la tacolta di giu-
risprudenza second© il suo indirizzo scientifico e pedagogico. Qui purtroppo la situazione
h molto sconfortante. Diventa sempre pifi urgente raccogliere le forze spirituali che de-
vono preparare il futuro. Per oggi chiudo con cordiali saluti. Heil Hitler. Suo Heideg-
ger».
(37) Questa h una figura ideale centrale del corso di lezioni Introduzione alia metafisica
del 1935; cfr. anche A. Schwan, Politische Philosophic im Denken Heideggers, Opladen
1%5.
(38) G. Schneeberger, Nachlese zu Heidegger, Bern 1%2, pp. 149 e ss.; connessioni fra
la prolusione per il rettorato e Essere e tempo sono indagate da K. Harries, Heidegger
as a Political Thinker, in: M. Murray (a cura di), Heidegger and Modem Philosophy,
N.Y. 1978, pp. 304 e ss.
108 Heidegger I'idea di voler condurre il «duce». Su questi awenimenti
oggi non c'e piu alcuna controversia.

4. Le lezioni e gli scritti che segnano I'evoluzione filosofica di Heideg-


ger durante il periodo nazista non sono ancora interamente pubblicati.
Tuttavia, una lettura attenta dei due volumi su Nietzsche e stata suf-
ficiente a farci capire che Heidegger, fino al termine della guerra, non
si e mai svincolato dalla sua opzione politica iniziale. I lavori di Fran-
zen (1975-'76) e di Poggeler (1983-'85-'88) confermano I'impressione
«che negli anni Trenta sia stato Heidegger stesso a porre la decisione
sulla verita dell'essere, nel mode come egli la cercava, aH'interno di
un contesto politico)) (39). L'orientamento del suo pensiero che lo ha
condotto «vicino al nazionalsocialismo)) gli ha poi sempre impedito di
«trarsi realmente di nuovo fuori da questa vicinanza» (40). II percorso
del suo pensiero filosofico fra il 1935 e il 1945 si presenta come un
processo di elaborazione del disinganno particolarmente improvvido,
giacche prosegue quella «svolta» avviata dagli scritti del 1930-'31. In
cio bisogna distinguere tre aspetti: (A) il dispiegamento storico-meta-
fisico della critica della ragione, (B) I'apprezzamento nazionalistico,
sostanzialmente invariato, dei tedeschi come «cuore dei popoli)> e (C)
la posizione nei confronti del nazionalsocialismo. £ soltanto in relazio-
ne a questo terzo aspetto che si verifica quella diversa dislocazione,
ricca di conseguenze, grazie alia quale la concezione della storia del-
l'essere acquista finalmente la sua forma definitiva.
A) Stimolato da un confronto sempre piii intense con Nietzsche —
figura di riferimento autorevole anche per la filosofia nazionalsociali-
sta ufficiale — Heidegger si costruisce la prospettiva a partire dalla
quale egli puo attuare la completa fusione tra una «distruzione della
metafisica)) precocemente intravista, e i ben noti motivi della sua cri-
tica epocale. II pensiero di Platone, immemore dell'essere e teoretica-
mente oggettivante, nell'epoca moderna si irrigidisce (attraverso varie
tappe) nel pensiero della soggettivita. Le analisi che illuminano detta-
gliatamente questo pensiero «rappresentativo)) hanno di mira I'inter-
pretazione del mondo dal cui orizzonte scaturiscono le potenze spiri-
tuali determinanti della modernita, la scienza della natura e la tecnica.
In questo tipo di considerazione ontologica il termine «tecnica)) e I'e-
spressione di una volonta di volere che si afferma praticamente nella
reiterata critica dei fenomeni della scienza positivistica, dello sviluppo
tecnico, del lavoro industriale, dello Stato burocratico, del bellicismo
meccanicistico, dell'industria culturale, della dittatura della sfera pub-
blica, e in generale della civilta di massa urbanizzata. In questo mo-
dello dell'epoca delle masse si inseriscono i tratti totalitari della poli-

(39) P6ggeler(1983), p. 343.


(40) Poggeler formula la proposizione come domanda, la quale k senz'altro pensata re-
toricamente, ivi, p. 335.
tica, ivi compresi quelli della politica razziale del nazionalsocialismo. 109
Sicuramente Heidegger, malgrado la sua ininterrotta relazione con
uno dei principali teorici nazionalsocialisti della razza, non era razzi-
sta; il suo antisemitismo, posto che sia dimostrabile, era senz'altro di
stampo culturale piuttosto consueto. Comunque sia, dal 1935 e negli
anni successivi, Heidegger sussume bruscamente la prassi politica e
sociale sotto alcune parole-guida stereotipe, senza neanche intrapren-
dere il tentativo di una descrizione differenziata, per non dire poi di
un'analisi empirica. II discorso ontologizzante «della» tecnica in quan-
to destine, che alio stesso tempo deve essere mistero, garanzia e peri-
colo, penetra globalmente con categoric fortemente essenzialistiche la
superficie dell'ontico. Alio sguardo innovativo suUa storia della meta-
fisica si dischiudono, pur all'interno di questa ideologia di cui si arma,
prospettive di critica della ragione che ancor oggi restano insuperate.
B) II rude nazionalismo cui Heidegger aderisce anche pubblicamente
dal 1933 resta una costante del suo pensiero, pur nelle forme piii o
meno sublimate da Holderlin. Dal 1935 lo schema interpretativo si
fissa. Nella Introduzione alia metafisica il popolo dei tedeschi e carat-
terizzato come il popolo metafisico succeduto ai greci, e dal quale
soltanto c'e da attendersi una svolta nel destino planetario. Sulle orme
di una ideologia del «paese di Centro», formatasi gia da tempo, la
posizione geografica centrale forma la chiave della vocazione storico-
mondiale dei tedeschi: «La possibilita di imbrigliare il pericolo della
devastazione del mondo» Heidegger se I'aspetta soltanto dair«assun-
zione della missione storica del nostro popolo in quanto popolo del
Centro deH'OccidentO) (41). Cosi Heidegger riconnette «la domanda
sull'essere al destino dell'Europa dove si decide il destino della terra,
mentre per I'Europa stessa e la nostra esistenza storica che costituisce
il Centro» (42). E «rEuropa e presa nella morsa fra la Russia e 1'Ame-
rica, che metafisicamente sono la stessa cosa, ossia in relazione al loro
carattere mondiale e al loro rapporto con lo spirito» (43). Poiche il
bolscevismo e scaturito dal marxismo occidentale, Heidegger vede in
esso solo una variante del — piii perverso — americanismo. Poggeler
riporta un passaggio del manoscritto che Heidegger ha, pero, avuto il
buon gusto di non pubblicare. Si riferisce a Carnap, che nel frattempo
era emigrato: «La sua filosofia», vi si dice, «mostra "I'estremo appiat-
timento e sradicamento della tradizionale dottrina del giudizio sotto
I'apparenza di scientificita matematica"...; non e un caso che questa
specie di filosofia stia "in intima ed estrema connessione" con il "co-
munismo russo", e che in America celebri i suoi "trionfi"» (44). Ancora
nelle lezioni su Parmenide del 1942-'43 e su Eraclito del semestre

(411 Heidegger, Introduzione alia metafisica, Mursia, Milano 1972 (2. ed.), p. 60.
(42) ivi, p. 52.
(43) ivi, p. 55.
(44) Poggeler (1983), pp. 340 e ss.
110 estivo 1943, quando aveva sotto gli occhi il pianeta in fiamme e lo
vedeva scompaginarsi, Heidegger ripete la sua interpretazione: «Dai
tedeschi soltanto, posto che essi trovino e preservino relemento"tede-
sco", puo venire il ripensamento della storia del mondo» (44a).
C) Dopo il ritiro dal rettorato nell'aprile del 1934, Heidegger e deluso.
Egli e convinto che questo momento storico era, per cosi dire, desti-
nato a lui e alia sua filosofia; e resta anche convinto, fino alia amara
conclusione, del peso storico mondiale e dell'importanza metafisica
del nazionalsocialismo. Ancora nell'estate del 1942, in un corso su
Holderlin, egli parla in maniera inequivoca della «unicita storica del
nazionalsocialismo» (44b). Esso e caratterizzato, per cosi dire, da un
rapporto particolarmente intimo con il nichilismo dell'epoca, e tale
resta anche quando Heidegger, presumibilmente soltanto sotto I'infu-
riare degli eventi bellici, impara a stimare diversamente il valore po-
sizionale del nazionalsocialismo nella storia dell'essere.
Anzitutto, nel 1935, il discorso suir«intima verita e grandezza» del
movimento nazionalsocialista» (45) tradisce una presa di distanza da
certe forme fenomeniche e da certe pratiche che secondo lui non han-
no nulla a che fare con lo spirito del movimento stesso. II filosofo lo
sa senz'altro meglio; lui conosce il rango metafisico della rivoluzione
nazionale. Non tutto e ancora perduto, quantunque i capi politici si
facciano ingannare dai falsi filosofi, dai Krieck e dai Baumler, sulla
loro autentica missione. Walter Brocker, che allora frequentava il cor-
so, ricorda che Heidegger aveva parlato dell'interna verita e grandezza
«del» — e non come si legge nel testo — «di questo» movimento: «E
con "il movimento" egli indicava gli stessi nazisti, e 50/0 essi, il nazio-
nalsocialismo. Per questo il "del" di Heidegger fu per me indimenti-
cabile» (46). Se questo e vero, nel 1935 I'identificazione ancora non
puo essere stata seriamente incrinata. Poggeler (47) riferisce poi di un
passaggio delle lezioni su Schelling dell'estate 1936, eliminate in se-
guito (a quanto si asserisce, all'insaputa di Heidegger) dal testo pub-
blicato nel 1971. «I due uomini che, ciascuno in modo diverse, hanno
avviato una reazione contro il nichilismo, Mussolini e Hitler, hanno
entrambi imparato da Nietzsche, sebbene in maniera essenzialmente
diversa. Ma con cio ancora non si e resa giustizia all'autentico ambito
metafisico di Nietzsche». Abbiamo di nuovo qui lo stesso quadro che
concorda con quanto riferisce Lowith a proposito di un suo incontro
con Heidegger a Roma nello stesso periodo. I capi del fascismo sanno
della loro missione; naturalmente, dovrebbero dare ascolto al filosofo
per conoscere il precise significate di questa missione. Soltanto egli

(44a) Heidegger, Gesamtausgabe, vol. 55, p. 123; per I'indicazione di passaggi analoghi,
cfr. Poggeler (1983), p. 344.
(44b) Heidegger, Gesamtausgabe, vol. 53, p. 106.
(45) Heidegger, Introduzione alia metafisica, p. 203.
(46) Poggeler (1988), nota 11, p. 59.
(47) Poggeler (1985), pp. 56 e ss.
potrebbe illuminarli su che cosa significa, in una prospettiva storico- 111
metafisica, superare il nichilismo e mettere in opera la verita. Egli, per
lo meno, intravede precisamente il fine, che e quello del modo in cui
i capi fascisti potrebbero superare il nichilismo della «furia desolante
della tecnica scatenata e dell'organizzazione priva di radici dell'uomo
normalizzato», a patto che riescano a risvegliare I'eroica volonta di
esistenza dei loro popoli.
Non so esattamente quando sia cominciato lo stadio successivo di ela-
borazione della delusione, presumibilmente dopo I'inizio della guerra,
forse soltanto dopo la deprimente consapevolezza dell'inevitabilita
della sconfitta. Negli aforismi Per I'oltrepassamento della metafisica
(che risalgono agli anni successivi al 1936, ma per la maggior parte
sono stati scritti durante il periodo della guerra), si impongono sempre
piii fortemente i tratti totalitari di un'epoca che mobilita senza riguar-
di tutte le risorse. Soltanto adesso I'atmosfera di rottura messianica
del 1933 si capovolge in un'aspettativa apocalittica di salvezza: ormai
solo nell'estrema emergenza cresce anche cio che salva. Solo nella
catastrofe storico-mondiale scocca I'ora del superamento della metafi-
sica. «Soltanto dopo questo tramonto awerra sul lungo periodo il mo-
mento improwiso deirinizio» (48). Con questo cambiamento della di-
sposizione spirituale muta ancora una volta il giudizio sul nazionalso-
cialismo. La presa di distanza successiva al 1934 aveva portato ad una
differenziazione fra le manifestazioni incresciose della prassi nazional-
socialista e il suo contenuto essenziale. Ora Heidegger intraprende un
capovolgimento di valutazione piu radicale, che investe r«interna ve-
rita» dello stesso movimento nazionalsocialista. Egli redistribuisce i
ruoli all'interno della storia dell'essere. Mentre finora la rivoluzione
nazionale, con al vertice i suoi capi, ha rappresentato una reazione al
nichilismo, ora Heidegger ritiene che essa sia una espressione partico-
larmente caratteristica, quindi un mero sintomo, di quell'infausto de-
stino della tecnica che essa un tempo avrebbe dovuto contrastare. La
tecnica, divenuta il marchio dell'epoca, si manifesta nel totalitario
«movimento circolare della utilizzazione esaustiva a fini di consumo».
E «le "nature di capi" sono quelle che, in base alia sicurezza del loro
istinto, si fanno adibire, da questo processo, ad organi di manovra.
Essi sono i primi addetti all'interno di quel processo affaristico di
incondizionata utilizzazione esaustiva dell'essente in funzione di ga-
ranzia del vuoto determinate dalla diserzione dell'essere)) (49). Resta
intatto il connotato nazionalista dei tedeschi quale «umanita» idonea
a «realizzare storicamente il nichilismo assoluto)) (50). In cio consiste
ora r«unicita» del nazionalsocialismo, mentre «i detentori del potere
nazionalsocialista... vengono in un certo qual modo stilizzati quali fun-

(48) Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 47.


(49) ivi, p. 61.
(50) ivi, p. 59.
112 zionari di vertice della diserzione dell'essere)) (51).
Ai fini del nesso interne fra impegno politico e filosofia di Heidegger,
mi sembra della massima importanza il fatto che solo il distacco dal
movimento nazionalsocialista, esitante e sorprendentemente ritardato
in confronto a quelle di altri fiancheggiatori intellettuali del regime —
e il cambiamento di giudizio sul movimento nazionalsocialista stesso
— provoca la revisione che poi principalmente fonda quel piano della
storia dell'essere con il quale Heidegger emerge dopo la guerra. Fino
a che Heidegger ha potato illudersi che la rivoluzione nazionale, con
il progetto di una nuova esistenza tedesca, avrebbe trovato una rispo-
sta alia sfida obiettiva della tecnica, la dialettica fra pretesa e confor-
mita poteva essere pensata ancora in accordo con il tratto fondamen-
talmente attivistico di Essere e tempo, per I'appunto in modo nazional-
rivoluzionario. Solo dopo aver rinunciato a questa speranza, Heideg-
ger dovette svalutare il fascismo e i suoi capi a sintomi di quella ma-
lattia che un tempo essi avrebbero dovuto curare; soltanto dopo tale
mutamento di atteggiamento il superamento della soggettivita moder-
na riceve il significato di un evento che si puo soltanto subire. Fino
ad allora, il decisionismo dell'esserci che afferma se stesso aveva man-
tenuto una funzione di apertura dell'essere non solo nella versione
esistenzialistica di Essere e tempo, ma anche nella versione nazional-
rivoluzionaria degli scritti degli anni Trenta (con certi spostamenti di
accenti). Soltanto nell'ultima fase di elaborazione della delusione, il
piano della storia dell'essere acquista la sua figura fatalistica (52).

5. II fatalismo che permea la storia dell'essere, per esempio nel 1943,


nella postfazione a Che cos'e metafisica, ha gia acquistato contorni
netti. Dopo la fine della guerra, naturalmente, la disposizione spiritua-
le di oscuramento apocalittico si ribalta ancora una volta. Una apoca-
lissi e determinata dall'attesa della catastrofe imminente. La quale, gia
momentaneamente sventata all'atto dell'ingresso delle truppe francesi
a Friburgo, era stata comunque rinviata a tempo indeterminato. Ave-
vano vinto le potenze sostanzialmente affini, I'America e la Russia, che
si dividono il dominio mondiale. Agli occhi di Heidegger, la seconda
guerra mondiale non aveva deciso nulla di essenziale. Percio, dopo la
guerra, il filosofo si accinse a perseverare quietisticamente all'ombra
di un destine irrisolto. Nel 1945 non gli resto altro che ritrarsi dalla
deludente storia mondiale. Cio che resta, pero, e la cenvinzione che
la storia dell'essere perviene al linguaggio nella parela dei pensatori
essenziali — e che questo pensiero e I'evento dell'essere stesso. Per un
decennio e mezzo Heidegger aveva lasciato che il sue pensiero fosse
sotto la pressione degli eventi pelitici. Nel 1946 questo iter mentale si
riassume nella lettera suU'umanismo, ma in modo tale per cui cancella,

(51) Franzen (1975), p. 99.


(52) Cfr. Habermas, // discorso filosofico della modemitA, p. 163.
alio stesso tempo, il contesto politico da cui e sorto e — abolito ogni 113
luogo storico — si scioglie da ogni riferimento alia realta storica tan-
gibile.
Nella Lettera sulVumanismo le orme del nazionalsocialismo sono or-
mai cancellate. Lo spazio di esistenza del popolo si sublima e diventa
la terra natia (Heimat): «Questa parola e pensata qui in un senso es-
senziale, non patriottico, non nazionalistico, ma nel senso della storia
dell'essero) (53). La missione storica universale del popolo che abita
il cuore dell'Europa resta valida sul piano grammaticale; essa soprav-
vive nella connotazione metafisica della lingua tedesca, nella quale
Heidegger vede come sempre I'unica erede legittima della lingua gre-
ca. Ancora nell'intervista alio Spiegel Heidegger e molto chiaro; biso-
gna parlare tedesco per poter intendere Holderlin. Anche lo spazio
intermedio dei «semidei», dei capi creatori, scompare senza lasciare
traccia. I grandi creatori si sublimano in poeti e pensatori; il filosofo
diventa, per cosi dire, partecipe diretto dell'essere. Quella che una
volta era I'aderenza politica, viene ora generalizzata per tutti trasfor-
mandosi in obbedienza alia decretazione dell'essere: «Solo tale decre-
to e in grado di sorreggere e vincolare» (54).
Con I'ausilio di un'operazione che si potrebbe chiamare di «astrazione
per via di essenzializzazione», Heidegger riesce a disgiungere la storia
dell'essere dall'accadere storico-politico. Questa operazione, a sua vol-
ta, permette una suggestiva autostilizzazione del proprio sviluppo filo-
sofico. Da questo momento in poi, Heidegger sottolinea la continuita
nel modo di porre i problemi, e si sforza di depurare dagli elementi
ideologici proditori il piano della storia dell'essere, tramite una retro-
proiezione all'opera Essere e tempo rimasta incompiuta. La presunta
«svolta» attuata gia nel 1930 «non e un cambiamento del punto di
vista di Essere e tempos (55).
Heidegger tratta il tema deH'umanismo in un momento in cui le im-
magini raccapriccianti apparse agli occhi degli alleati, ad Auschwitz
e altrove, erano arrivate anche nel piu sperduto villaggio della Germa-
nia. Se il discorso deir«evento essenziale» avesse avuto un senso de-
terminato, I'evento singolare dell'annientamento degli ebrei avrebbe
dovuto attirare su di se I'attenzione del filosofo (se non quella dell'uo-
mo partecipe del suo tempo). Ma Heidegger, come sempre, si mantiene
sulle generali. Cio che gli interessa e che I'uomo sia il «vicino dell'es-
sere» — e non il vicino dell'uomo. Egli si volge impassibile contro le
«interpretazioni umanistiche dell'uomo come animale razionale, come
"persona", come essenza psico-fisico-spirituale», perche «le piu alte
determinazioni umanistiche dell'essenza dell'uomo non conoscono an-

(53) Heidegger, Lettera sulVumanismo, in: Segnavia, p. 290.


(54) ivi, p. 312.
(55) Su questa discussione, che non posso riprendere in questa sede, cfr. Franzen (1975),
pp. 152 6 ss.
114 cora I'autentica dignita deU'uomo) (56). La lettera sull'umanismo spie-
ga anche perche i giudizi morali in genere debbano restate al di sotto
del livello del pensiero essenziale. Gia Holderlin aveva abbandonato
I'astratto «cosmopolitismo di Goethe». E il filosofare heideggeriano,
divenuto devoto, travalica ancor piu r«etica», e addita, al suo posto,
«ci6 che conviene»: «In quanto il pensiero come memoria storica e
attento al destine dell'essere, si e gia vincolato a cio che conviene, e
che e conforme al destino» (57). In questa proposizione il filosofo deve
essersi imbattuto nel ricordo della «sconvenienza» del movimento na-
zionalsocialista, poiche immediatamente aggiunge: «I1 pericolo e ri-
schiare la discordia, per dire il medesimo» (giacche I'essere e pur
sempre lo stesso). «C'e la minaccia dell'ambivalenza e della disputa
puramente astratta». Sul suo errore personale Heidegger non ha da
dire niente di piu. II che non e affatto incoerente. Perche la posizione
di ogni pensiero essenziale rispetto all'evento dell'essere porta il pen-
satore ad errare. Egli e sospeso da ogni responsabilita personale,
perche nell'errore egli incorre comunque gia obiettivamente. Solo ad
un intellettuale, ad un pensatore inessenziale potrebbe essere imputa-
to un errore soggettivo. Anche dopo la guerra, Heidegger vede «nel
caso, per se irrilevante, del rettorato 1933-'34», solo «un segno dello
statuto metafisico della scienza» (58). Egli considera «sterile frugare
nei tentativi e nei provvedimenti del passato che, all'interno del mo-
vimento complessivo della volonta planetaria di potenza, sono cosi
insignificanti che non mette conto neanche definirli inezie» (59).
I Fatti e pensieri che Heidegger annoto nel 1945 e una intervista alio
5/jiege/(numero 23, 1976, pp. 193-219), anch'essa, come gli altri, pub-
blicata postuma, e nella quale Heidegger ripete sostanzialmente cio
che asseriva nel 1945, danno modo di formarsi un'idea della sua valu-
tazione retrospettiva del proprio comportamento. Proprio in base alle
premesse di un'obiettiva irresponsabiUta del pensare essenziale, e del-
la indifferenza morale dei coinvolgimenti personali, non puo non sor-
prendere il carattere giustificativo di questo modo di presentare le
proprie vicende. Invece di dare un disincantato resoconto dei fatti,
Heidegger si rilascia da se un certificate di non compromissione con
il regime nazista. Gia il discorso di rettorato egli lo intende come
«opposizione», e I'ingresso nel partito, che pure awenne in circostan-
ze spettacolari, come una pura «formalita». Per gli anni successivi
sostiene che r«opposizione iniziata nel 1933 si mantenne e si raf-
forz6» (60). «Messo a tacere» nel proprio paese, egli si considero vit-
tima di una «spietata persecuzione». Certo, si parla anche di una«epu-
razione» accaduta durante il suo rettorato, e che «spesso minaccio di

(56) Lettera sull'umanismo, in: Segnavia, p. 283.


(57) ivi, p. 314.
(58) Heidegger (1983), p. 39.
(59) ivi, p. 40.
(60) Heidegger (1983), pp. 30, 33, 41, 42.
travalicare fini e confini»; ma solo una volta si p a r k di «colpa», e 115
riguarda la colpa degli altri «che allora avevano attitudini cosi profe-
tiche da prevedere tutto cio che sarebbe accaduto» e che tuttavia «han-
no aspettato quasi dieci anni per muoversi contro quella sciagu-
ra» (61). Per il resto, Heidegger sa soltanto protestare contro il fatto
che oggi si attribuisca un significato completamente false alle sue pa-
role militanti di allora: «Non ho parlato del "servizio di difesa" ne in
un senso militarista, ne in un senso aggressive, ma I'ho pensato come
difesa per legittima difesa» (62). Dopo le indagini di Hugo Ott e Victor
Farias, non resta molto di tutti i dettagli attenuanti. Ma Heidegger non
si e reso colpevole di falsificazioni solo nelle giustificazioni pubblicate
postume. Heidegger ha pubblicato nel 1953 il suo corso di lezioni del
1935, VIntroduzione alia metafisica. A quell'epoca io ero studente ed
ero talmente prevenuto in favore di Essere e tempo che rimasi sbalor-
dito dalla lettura di queste lezioni, impregnate di fascismo persino nei
dettagli stilistici. Questa impressione I'ho poi manifestata in un artico-
lo di giornale {Frankfurter Allgemeine Zeitung del 25.7.'53)(63) — e
in quel caso mi riferii anche alia frase circa r«interna verita e gran-
dezza del movimento». Cio che piii mi colpi fu la circostanza che
Heidegger, nel 1953, pubblicasse senza commento un corso di lezioni
del 1935 che, come dovevo presumere, era rimasto inalterato. Anche
la prefazione non contiene neanche una frase su cio che intanto era
accaduto. Rivolsi cosi a Heidegger la domanda: «£ possibile compren-
dere sul piano della storia dell'essere anche I'omicidio pianificato di
milioni di uomini, di cui oggi siamo tutti a conoscenza, considerandolo
una aberrazione fatale? Non e piuttosto il crimine effettivo di colore
che responsabilmente I'hanno perpetrate — e la cattiva coscienza di
un intero popole?». Non fu Heidegger a rispondere ma Christian E.
Lewalter (in Die Zeit del 13 ageste 1953).
Egli lesse il corso di lezioni con occhi diversi dai miei. Lo intese come
un documento che attestava come allora Heidegger avesse cencepite
il regime hitleriane non «ceme presagio di una nuova salvezza» ma
come «un ulteriore sintomo della caduta» nell'ambito della storia della
caduta della metafisica. Per dire questo, Lewalter si appoggiava ad
un'aggiunta al testo, messa tra parentesi tonde, che caratterizzava il
movimento nazionalsocialista come r«incontro fra la tecnica su scala
planetaria e I'uomo occidentale». Lewalter interpretava cosi: «Questo
movimento nazionalsocialista e un sintomo dell'urto tragico fra la tec-
nica e I'uomo, e come tale sintomo esso ha "grandezza", perche la sua
azione si estende a tutto I'Occidente e minaccia di trascinarlo nel

(61) ivi, pp. 32, 26.


(62) ivi, p. 27.
(63) Ristampato in J. Habemias, Philosophisch-poUtische Profile, Frankfurt 1981, pp.
65 e 98.
116 declino» (64). In maniera sorprendente si pronuncio anche Heidegger,
e lo fece con una lettera al giornale (65) a proposito dell'articolo di
Lewalter: «L'interpretazione di Christian E. Lewalter della frase tratta
dal corso di lezioni (p. 152) e pertinente sotto ogni riguardo... Sarebbe
stato facile cancellare dal teste per la stampa la frase estrapolata in-
sieme con le altre da Lei citate. Non I'ho fatto ne lo faro in futuro.
Perche, da un lato, quelle frasi fanno storicamente parte del corso di
lezioni, per I'altro sono convinto che, per un lettore che abbia appreso
I'arte del pensare, il corso sia perfettamente compatibile con le frasi
menzionate».
Possiamo supporre che in seguito Heidegger non abbia proceduto in
questo modo, ma anzi che abbia soppresso frasi politicamente imba-
razzanti, senza dar conto delle omissioni; o Heidegger non era al cor-
rente di questa prassi editoriale? Ancor piii notevole e la circostanza
che Heidegger abbia approvato esplicitamente I'interpretazione di Le-
walter, che retroproiettava falsamente al 1935 una autointerpretazione
del filosofo che e posteriore, sebbene essa si basasse soltanto su un'ag-
giunta che lo stesso Heidegger aveva inserito nel manoscritto nel 1953.
E ben vero che, come emerge dalla «awertenza» del 1953 al libro,
Heidegger ha espressamente chiarito che tale aggiunta fra parentesi
tonde fa parte del corso originario, e che su tale versione fuorviante
egli insiste ancora nell'intervista alio Spiegel; ma la verita peu a peu
e venuta in luce. W. Franzen, nel 1975, suUa base di un'accurata ana-
lisi del testo, ha reso piu consistente il dubbio «che Heidegger abbia
effettivamente pensato cio che egli, nel 1953, asserisce di aver pensa-
to» (66). Nel 1983, 0 . Poggeler informa che nell'archivio manca la
pagina manoscritta con il passaggio controverso. Anch'egli ritiene che
la frase tra parentesi sia una aggiunta piu tarda, ma non la considera
ancora una deliberata manipolazione (67). Dopo la pubblicazione del-
I'edizione francese di questo libro, Reiner Marten, della cerchia delle
persone piu vicine a Heidegger, ha infine raccontato che Heidegger,
nel 1953, non avrebbe seguito il consiglio dei suoi tre collaboratori di
cancellare la frase imbarazzante e avrebbe invece inserito tra parentesi

(64) Anche un'altra frase di Lewalter merita di essere ricordata: «Fino a che punto I'ac-
cusatore di Heidegger sia caduto nella mania persecutoria, lo dimostra una osservazione
particolarmente astiosa della sua critica. "Intelligenza fascista come tale", dice Haber-
mas, "non ci fu per I'unico motivo che la mediocriti del gruppo dirigente fascista non
poteva accettare I'offerta degli intellettuali. Le forze c'erano. Solo la levatura modesta dei
funzionari politici le ha spinte aU'opposizione". In altre parole: Heidegger si offri a Hit-
ler, Hitler per6, nella sua mediocrity, rifiut6 I'offerta e spinse Heidegger aU'opposizione.
Cosi presenta le cose Habermas...». Lewalter non poteva sospettare che Heidegger stesso
avrebbe confermato la mia osservazione, p i t perspicace che astiosa: «E vero che il nazio-
nalsocialismo h andato nella (giusta, J.H.) direzione; ma queste persone erano troppo
sprowedute per poter stabilire un rapporto realmente esplicito con ci6 che oggi awiene
e che h in cammino da tre secoli* {Der Spiegel, numero 23, 1976, p. 214).
(65) Die Zeit del 24.9.1953.
(66) Franzen (1975), p. 93.
(67) Poggeler (1983), pp. 341 e ss.
tonde quel commento controverso, sul quale, poi, si sono potute basare 117
sia I'interpretazione di Lewalter sia I'esposizione, cronologicamente
fuorviante, che Heidegger stesso ne ha dato (68).
£ interessante osservare che, nella controversia del 1953, la domanda
originaria e andata persa nel corso della disputa filosofica. Alia doman-
da sulla sua posizione riguardo ai crimini di massa del nazionalsocia-
lismo, Heidegger non ha dato alcuna risposta, ne allora, ne dopo. Ab-
biamo buoni motivi per supporre che essa, di nuovo, sarebbe risultata
molto generale. AH'ombra del «dominio universale della volonta di
potenza all'interno della storia vista nella sua dimensione planetaria»,
tutto si unifica. «In questa realta, oggi, ci sta tutto, si chiami comuni-
smo, fascismo o democrazia mondiale» (69). Cosi scriveva Heidegger
nel 1945, e cosi ha ripetuto continuamente: astrazione per via di essen-
zializzazione, appunto. Sotto lo sguardo livellatore del filosofo dell'es-
sere, anche lo sterminio degli ebrei sembra essere un evento libera-
mente intercambiabile (70). Che si tratti dell'annientamento degli
ebrei, o deU'espulsione dei tedeschi — I'uno vale I'altra. II 13 maggio
1948 Herbert Marcuse risponde a una lettera nella quale Heidegger
aveva appunto sostenuto questo: «Lei scrive che tutto cio che io dico
suUo sterminio degli ebrei e valido anche per gli alleati, se solo al posto
di "ebrei' si mette "tedeschi dell'Est". Ma con questa affermazione
Lei non si pone al di fuori della dimensione stessa nella quale e ancora
possibile un dialogo fra uomini — e cioe al di fuori del logos? Giacche
solo al di fuori di questa dimensione "logica" e possibile spiegare,
equiparare, "concepire" un crimine con la motivazione che anche altri
avrebbero fatto qualcosa del genere. E ancora: come e possibile met-
tere suUo stesso piano la tortura, la mutilazione e I'annientamento di
milioni di uomini con il trasferimento forzato di gruppi etnici, in cui
non e accaduto nessuno di questi misfatti (tranne forse alcuni casi
eccezionali)?» (71).

6. Una cosa e il coinvolgimento di Heidegger nel nazionalsocialismo,


la cui valutazione storica dobbiamo lasciare con fiducia al giudizio
storico dei posteri, libero da valutazione morale; un'altra cosa e il
comportamento apologetico di Heidegger dopo la guerra, i suoi ritoc-

(68) R. Marten, «Ein rassistisches Konzept von Hiunanitat», in: Badische Zeitung del
19-20 dicembre 1987. Su mia richiesta R. Marten mi ha confermato questa versione delle
cose in una lettera del 28.1.1988: «A quel tempo abbiamo corretto le bozze per Heideg-
ger: per la preparazione della nuova edizione di Essere e tempo (Tiibingen 1953) e,
appunto, per la prima pubblicazione del corso di lezioni del 1935. II passaggio, a quanto
ricordo, non era evidenziato da una parentesi esplicativa, ma soltanto dalla enormita del
sue contenuto, che sorprese tutti e tre».
(69) Heidegger (1983), p. 25.
(70) Conosco solo una dichiarazione di Heidegger sullo sterminio degli ebrei (sullo Spie-
gel del 18 agosto 1986). Egli sostiene I'identita, dal punto di vista dell'essenza, della
meccanizzazione dell'agricoltura e dello sterminio industrializzato delle camere a gas.
(71) Pflasterstrand, gennaio 1988, pp. 48 e ss.
118 chi e le sue manipolazioni, il suo rifiuto di prendere pubblicamente le
distanze dal regime al quale aveva pubblicamente aderito. E quest'ul-
timo ci riguarda come contemporanei. Finche condividiamo insieme
con altri un contesto di vita e una storia, abbiamo il diritto di chiederci
reciprocamente conto delle nostre azioni. La lettera con la quale Hei-
degger adotta quel tipo di compensazione che ancor oggi e diffusa nei
circoli accademici, era la replica ad una soUecitazione di Marcuse, suo
ex-allievo: «Molti di noi hanno aspettato a lungo una parola da Lei,
una parola che La liberasse in modo netto e definitivo da tale identi-
ficazione, una parola che esprimesse la Sua effettiva posizione attuale
rispetto a cio che e accaduto. Questa parola Lei non I'ha detta — o
per lo meno essa non e mai uscita al di fuori della Sua sfera priva-
ta» (72). Sotto questo riguardo Heidegger rimase legato alia sua gene-
razione e al suo tempo, al clima di rimozione che segno I'era Ade-
nauer. Egli non si comporto diversamente dagli altri, era uno dei tanti.
Non convincono quasi per nulla le scuse che circolano tra le persone
a lui vicine: che Heidegger si sarebbe dovuto difendere dalle calunnie,
che qualsiasi ammissione sarebbe stata intesa come segno di una nuo-
va adesione, che Heidegger sia rimasto muto a causa della inadegua-
tezza di qualsiasi spiegazione possibile, e cosi via. II ritratto morale
che, anche pubblicamente, si viene man mano delineando, fa apparire
estremamente plausibile quanto ha riferito un amico di Heidegger, e
cioe che egli non abbia visto alcun motivo per una «andata a Canossa»,
perche non era stato nazista; e inoltre che abbia temuto, se lo avesse
fatto, di distogliere i giovani dalla lettura dei suoi libri (73).
Un atteggiamento autocritico, il rapporto aperto a scrupoloso con il
proprio passato, avrebbe richiesto a Heidegger qualcosa che doveva
riuscirgli penoso: la revisione del suo ritenersi un pensatore con acces-
so privilegiato alia verita. Dal 1929 Heidegger si e allontanato sempre
piu dalla sfera della filosofia accademica; dopo la guerra si e smarrito
persino nei meandri di un pensiero al di la della filosofia, al di la di
qualsiasi argomentazione. Non si trattava piii dell'autoconsapevolezza
elitaria di un ceto accademico, ma della coscienza di una missione
specificamente ritagliata suUa sua persona, con la quale sarebbe stata
inconciliabile I'ammissione di un errore, o magari di una colpa. Come
contemporaneo, Heidegger viene raggiunto e messo in una luce ambi-
gua dal suo passato, perche non ha saputo rapportarsi ad esso quando
tutto era finito. Anche alia luce dei criteri posti da Essere e tempo, il
suo comportamento e rimasto astorico. Ma cio che fa di Heidegger un
fenomeno cronologicamente tipico di una mentalita postbellica che ha
avuto una vasta incidenza, riguarda la sua persona, non la sua opera.
Le condizioni di ricezione di un'opera sono largamente indipendenti

(72) ivi, p. 46.


(73) H.W. Petzet, Auf einen Stern zugehen. Begegnungen und Gesprache mit Martin
Heidegger, Frankfurt 1983, p. 101.
dal comportamento dell'autore. Cio vale senz'altro per gli scritti fino 119
al 1929. Fino a Kant e il problema della metafisica, I'opera filosofica
di Heidegger insegue con ostinazione i problemi, al punto che le parti
spiegabili in termini di sociologia della conoscenza, e cioe quelle che
rinviano al contesto d'origine, non pregiudicano il contest© che la
giustifica. In tal senso si rende un servizio a Heidegger quando si
valorizza I'autonomia del pensiero in questa fase estremamente pro-
duttiva — nel 1929 Heidegger aveva gia 40 anni — anche contro la
successiva stilizzazione che Heidegger ha dato di se stesso, contro una
eccessiva accentuazione delle continuita. Anche dopo I'inizio di un
processo di trasformazione della teoria in ideologia — un processo
dapprima strisciante e poi apertamente spettacolare — Heidegger na-
turalmente e rimasto quel fecondo filosofo che e sempre stato. Anche
alia sua critica della ragione, che inizia con I'interpretazione di Plato-
ne del 1931, e che si sviluppa tra il 1935 e il 1945, anzitutto nel con-
fronto con Nietzsche (74), siamo debitori di prospettive permanenti.
Tali prospettive, che raggiungono il loro punto piii alto nella feconda
interpretazione di Descartes, sono diventate punti di partenza per svi-
luppi interessanti, e impulso per nuovi approcci altamente produttivi.
Ne e un esempio I'ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer, una
delle innovazioni filosofiche piu importanti del dopoguerra. Altre vi-
stose testimonianze di una influenza della critica heideggeriana della
ragione non pregiudicata dalla ideologia sono, in Francia, la fenome-
nologia del tardo Merleau-Ponty e le analisi di Foucault delle forme
del sapere; in America, la critica del pensiero rappresentativo di R.
Rorty o I'analisi della prassi del mondo vivente di Hubert L. Drey-
fus (75).
Fra opera e persona non si puo stabilire un corto-circuito. L'opera
filosofica di Heidegger, come ogni altra, deve la sua autonomia alia
forza dei suoi argomenti. Ma naturalmente un approccio produttivo
puo riuscire solo se si affrontano gli argomenti — estrapolandoli pero
dal contesto della ideologia che li awolge. Quanto piu la sostanza
argomentativa sprofonda nell'ideologia, tanto maggiore e I'esigenza
della forza critica di una assimilazione selettiva. Questa evidenza er-
meneutica perde la sua banalita in particolar modo la dove la ricezione
dei posteri si rifa piu o meno alle stesse tradizioni dalle quali l'opera
stessa ha tratto i suoi motivi. In Germania, percio, 1'assimilazione cri-
tica di un pensiero inquinato da una ideologia puo avere buon esito
solo se noi, che impariamo da Heidegger, prendiamo atto delle relazio-
ni interne che esistono fra I'impegno politico di Heidegger e il muta-
mento del suo atteggiamento verso il fascismo, da una parte, e il per-
corso argomentativo di una critica della ragione motivata anche poli-

(74) M. Heidegger, Nietzsche, voll. 1 e 2, Pfullingen 1961.


(75) H.L. Dreyfus, sHolism and Hermeneutic8», Review of Metaphysics, sept. 1980,
pp. 3 e ss.
120 ticamente, dall'altra. £ controproducente ridurre sdegnosamente que-
sta problematica a un tabii. Prima di penetrare la sostanza del proble-
ma, ci si deve anzitutto sottrarre all'autointerpretazione, al gesto e alia
pretesa che Heidegger ha associate al suo ruolo. Una recinzione pro-
tettiva dell'autorita del grande pensatore — solo chi pensa in grande,
puo errare in grande (76) — potrebbe unicamente portare a disperdere
I'assimilazione critica di certi argomenti in cambio di un confuso gioco
di parole collettivo. Le condizioni entro le quali noi possiamo imparare
da Heidegger sono incompatibili con I'atteggiamento mentale anti-oc-
cidentale che ha profonde radici in Germania. Con esso, fortunatamen-
te, abbiamo rotto dopo il 1945. Tale atteggiamento mentale non do-
vrebbe neanche riprendere vigore con un Heidegger mimetizzato. Pen-
so soprattutto al gesto di Heidegger per cui «c'e un pensiero che e piu
rigoroso di quello concettuale». A questo si associa, in primo luogo,
la pretesa che solo pochi possiedono un accesso privilegiato alia verita;
essi dispongono di un sapere infallibile e si possono sottrarre alia ar-
gomentazione pubblica. In secondo luogo, al gesto autoritario si asso-
ciano i concetti di morale e verita, che disgiungono il sapere valido
dall'esame e dal riconoscimento intersoggettivi. Ad esso si associano,
infine, il distacco del pensiero filosofico dall'operare egualitario della
scienza, lo sradicamento di cio che e enfaticamente al di fuori del
quotidiano dal terreno di esperienza della prassi comunicativa di tutti
i giorni, e la distruzione dell'uguale rispetto per tutti.
L'edizione francese di questo libro ha avuto una larga eco. Lo stesso
Victor Farias entra nel merito delle diverse reazioni. In Germania la
corporazione dei filosofi si e astenuta dal prendere posizione. Con un
certo buon diritto si e fatto notare che nella Repubblica Federale il
tema «Heidegger e il nazionalsocialismo» e stato trattato di frequente,
a cominciare da Gyorgy Lukacs e Karl Lowith, attraverso Paul Hiihner-
feld. Christian von Krockow, Theodor W. Adorno e Alexander Schwan,
fino a Hugo Ott, mentre in Francia Heidegger e stato subito denazi-
ficato, e perfino promosso a combattente della resistenza (77). Anche
da noi, pero, I'opera della critica e stata scarsa. Ne I'esposizione critica
di W. Franzen dello sviluppo filosofico di Heidegger, ne le piii recenti
acquisizioni di Hugo Ott e 0 . Poggeler a proposito dell'impegno po-
litico di Heidegger, hanno oltrepassato la cerchia degli addetti ai lavo-
ri. Sicche l'edizione tedesca di questo libro si giustifica non solo
perche offre la prima esposizione complessiva dell'evoluzione politica
di Heidegger, fondata su un'ampia base di fonti. Piuttosto, la pubbli-

(76) £ . Nolte conclude in questo senso il suo saggio su filosofia e nazionalsocialismo, in:
Gethmann-Siefert, Poggeler (1988), p. 355, con la frase: «Credo che I'impegno di Heideg-
ger del 1933 c la comprensione nel 1934 del suo errore, fossero piii filosofici della corret-
tezza deU'atteggianiento, invariabilmente distaccato e oltremodo rispettabile, di Nicolai
Hartmann».
(77) Cfr. su questo H. Ott, «Wege und Abwege», Neue Ziircher Zeitung del 27 novembre
1987, p. 39; questo saggio contiene anche accenni critici di un esperto al libro di Farias.
cazione dell'edizione francese in Germania dimostra che I'apologia di 121
Heidegger, alia quale Hugo Ott attribuisce tratti magistrali e di por-
tata strategica, ha lasciato anche qui un certo bisogno di chiarimento.
Con la ristampa dello studio accurato di Nicolas Tertulian, solo la
Frankfurter Rundschau (del 2 febbraio 1988) ha dato un certo contri-
buto a tale chiarimento.
AU'edizione tedesca del libro va augurato un secondo giro di discus-
sioni, non dominate ne da una apologia giustificazionista (78), ne da
una trasparente pianificazione ideologica (79), ne dal gesto contraffat-
to (80), o addirittura da sordido rancore (81).

(traduzione di Paolo Amari)

(78) K. Bernath, «Martin Heidegger und der Nationalsozialismusx, Siiddeutsche Zei-


tung del 30-31 gennaio e 6-7 febbraio 1988.
(79) H. Ritter, «Bruder Heidegger», Frankfurter AUgemeine Zeitung del 2 febbraio
1988; F. Fellmann, «Ein Philosoph im trojanischen Pferd», Frankfurter AUgemeine Zei-
tung del 2 marzo 1988. Qui il filosofo di Miinster prende spunto da un saggio italiano
8u Karl Lowith per ritornare 8u Farias. Egli dispone di una ridistribuzione dei ruoli, che
a suo tempo erano abbastanza nettamente ripartiti fra colpevole e vittima: «Filosofica-
mente piii interessante della palese seduzione di Heidegger ad opera del demone nazista
6 la seduzione che si nasconde dietro I'assoluta pretesa husserliana di scientificita fonda-
tiva di ultima istanza». Di fronte al demone nazista, Husserl non ha preservato solo la
nascita ebraica, ma anche il suo umanismo — perch6 questo non dovrebbe essere inte-
ressante?
(80) J. Baudrillard, «Zu spat!», Die Zeit del 5 febbraio 1988.
(81) J. Busche, «Also gut. Heidegger war ein Nazi», Pflasterstrand, gennaio 1988.

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