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// caso Heidegger
e la coscienza
delta Germania
F I L 0 S 0 F I A / F I L 0 S 0 F 1E
Un impegnativo, polemico saggio nazista si intreccia con i caratteri
di JUrgen Habermas, destinato a autoritari e non comunicativi del
riaccendere la discussione suo pensiero. II libro di Farias e le
sull'adesione di Martin Heidegger discussioni da esse suscitate
alio hitlerismo. Lo straordinario rivelano quanto sia ancora attuale
rilievo di un pensatore che ha il hisogno di una assimilazione
segnato la cesura piii, profonda critica di tutte quelle tradizioni
nella fisolosofia tedesca dai tempi di che hanno reso i tedeschi ciechi di
Hegel. 11 sua sostegno al regime fronte al nazismo.
ILFILOSQFQEIL NAZISTA
Dal 1929 in poi il pensiero di Heidegger si trasforma in
ideologia, si apre agli influssi neoconservatori e
antidemocratici. Esiste una relazione interna fra la sua
simpatia per il movimento nazionalsocialista e la sua critica
della ragione.
JURGEN HABERMAS
Premessa
II testo e nato in occasione deU'edizione tedesca (Fischer, 1988) del
libro di V. Farias Heidegger et le Nazisme. Ma considero valido pub-
blicarlo indipendentemente da quel contesto, perche nella discussione
quale si e sviluppata fino ad oggi non sono stati tenuti sufficientemen-
te distinti alcuni aspetti. II giudizio morale dei posted, provocato piu
dal comportamento del filosofo dopo il 1945 che dal suo impegno
politico durante il periodo nazista, non puo offuscare lo sguardo sul
contenuto obiettivo dell'opera filosofica. Tanto meno la distinzione
96 legittima fra persona e opera puo impedire di chiedersi se — ed even-
tualmente fino a che punto — I'opera stessa non sia stata inquinata
nella sua sostanza da contenuti propri di una ideologia. Grazie alle
indagini storiche di H. Ott e V. Farias, questa domanda acquista con-
torni piu chiari. Ad essa, pero, non si pu6 rispondere soltanto con gli
strumenti dell'analisi storica.
(10) Sui motivi pragmatici in Heidegger, cfr. C.F. Gethmann, Vom Bewusstsein zum
Handeln, in: H. Stachowiack,Pragmatife, vol. II, Hamburg 1987, pp. 202 e ss.
(11) 0 . Poggeler (a cura di), Heidegger, Koln 1969.
poteva significare altro che una tardiva normalizzazione dello stato 99
delle cose. Piu importante ancora dell'influenza accademica esercitata
su parecchie generazioni di allievi e I'ispirazione che I'opera heideg-
geriana irradia su spiriti indipendenti, che ne estrapolano singoli mo-
tivi e li rendono sistematicamente produttivi aU'interno del proprio
contesto di pensiero. E in questo modo che, in un primo tempo, il
giovane Heidegger ha influito innanzitutto suUa filosofia dell'esistenza
e sull'antropologia fenomenologica di Sartre e di Merleau-Ponty. Lo
stesso puo dirsi, in Germania, per I'ermeneutica filosofica di Hans-
Georg Gadamer. Sviluppi produttivi ce ne sono stati anche nella mia
generazione, per esempio con Karl-Otto Apel, Michael Theunissen ed
Ernst Tugendhat (12). La critica heideggeriana della ragione e stata
recepita piii energicamente in Francia e negli Usa, per esempio da
Derrida, Richard Rorty e Hubert Dreyfus.
Certamente il discutibile comportamento politico di un autore getta
un'ombra sulk sua opera. Ma I'opera di Heidegger, anzitutto il pen-
siero di Essere e tempo, ha un valore posizionale cosi elevato nel pen-
siero filosofico del nostro secolo che e fuorviante supporre che, a di-
stanza di piu di cinque decenni, la sostanza di quest'opera possa essere
screditata da valutazioni politiche dell'impegno fascista di Heideg-
ger.
Ma allora quale interesse puo avere oggi, se si prescinde da quello
storicamente distaccato dell'attivita scientifica, occuparsi del passato
politico di Heidegger, ed occuparsene qui nella Repubblica Federale?
Penso che queste cose meritino il nostro interesse da due punti di
vista. Anzitutto, I'atteggiamento di Heidegger dopo il 1945 nei riguar-
di del passato e esemplare di un atteggiamento spirituale che ha im-
prontato durevolmente, sin dentro gli anni Sessanta, la storia della
Repubblica Federale, ed e stato capace di imporre una mentalita che
arriva fino ai nostri giorni, come dimostra la cosiddetta battaglia degli
storici (13). Per coglierne I'elemento sintomatico nel rifiuto di ricreder-
si, nella persistente prassi della negazione (14), bisogna informarsi su
cio che Heidegger, fino alia sua morte, ha rimosso, attenuate e falsato.
In secondo luogo, in Germania c'e bisogno di una assimilazione criti-
ca, o meglio diffidente, di tutte quelle tradizioni che hanno reso ciechi
di fronte al regime nazionalsocialista. Cio vale certamente per una
(12) Lo studio intense dei primi scritti di Heidegger ha lasciato tracce anche nei miei
lavori, sino a Conoscenza e interesse (1968); cfr. I'indicazione bibliografica in W. Fran-
zen (1976); mi ha affascinato il marxismo heideggeriano del giovane Marcuse, cfr. A.
Schmidt, Ontologia esistenziale e materialismo storico in H. Marcuse, in: J. Habermaa
(a cura di), Risposte a Marcuse, Bari, Laterza, 1969, pp. 13-47.
(13) H.-U. Wehler, Entsorgung der deutschen Vergangenheit?, Miinchen 1987. Ancora
in Hillgniber si trova, nel 1986, lo stesso confronto fra i crimini tedeschi e I'espulsione
dalle regioni tedesche orientali, che Heidegger obietta a Marcuse.
(14) Karl Jaspers e I'arcivescovo Grober soUecitarono, o per lo meno si attendevano, dal
loro amico Heidegger nel 1945 persino «un'autentica rinascitas, o comimque un «profon-
do cambiamento spirituale*, Cfr. Ott in: Gethmann-Siefert, Poggeler (1988), p. 65.
100 filosofia che financo nei suoi mezzi di espressione retorici ha assorbito
gli irapulsi derivanti dalle ideologic del suo tempo. Cosi come non si
puo screditare il contenuto di verita di una teoria associando la teoria
stessa a qualcosa che le e estrinseco, alio stesso modo una figura dello
spirito obiettivo, complessa e di imponente tradizione, non puo e non
deve essere posta in toto sotto tutela naturale, e immunizzata dalla
domanda circa I'eventuale intreccio in essa di motivi obiettivi e motivi
ideologici (14a). Cio che qui da noi e sempre stato lecito riguardo alio
stalinismo, deve essere consentito riguardo al fascismo.
Manfred Frank, riferendosi alle varianti della critica della ragione hei-
deggeriana attualmente diffuse in Francia, ha recentemente espresso
I'opinione che la questione del riformarsi della sindrome di una ideo-
logia di matrice tedesca, neoconservatrice, non e affatto risolta: «Le
nuove teorie francesi vengono recepite da molti nostri studenti come
un messaggio salvifico... Mi sembra che i giovani tedeschi tornino ad
attingere avidamente, col pretesto dell'apertura francese-internaziona-
le, alia loro propria tradizione irrazionalistica, interrottasi dopo il Ter-
zo Reich» (15). Con le osservazioni seguenti, integrative della ricerca
di Farias, vorrei soUevare una questione che ho gia affrontato in altro
luogo(16): se, cioe, ci sia stata un'mferraa connessione tra la filosofia
di Heidegger e la percezione politica che Heidegger ha avuto della
situazione storica del suo tempo (17).
2,- Nei 1963 Otto Poggeler aveva esposto «lo sviluppo del pensiero di
Martin Heidegger» in una versione, autorizzata dallo stesso Heideg-
ger, che rispecchiava I'interpretazione stessa dell'autore. Venti anni
piu tardi, proprio questo fedelissimo e assalito da dubbi: «Non fu forse
a causa di un determinato orientamento del suo pensiero che Heideg-
ger fini — non casualmente — con I'awicinarsi al nazionalsocialismo,
senza mai piu riuscire a trarsi realmente fuori da questa vicinan-
za?» (18). Da questo momento Poggeler assume una prospettiva in ba-
se alia quale la storia dell'opera di Heidegger si intreccia, piu salda-
mente di quanto si sia visto sino ad ora, con le crisi della storia della
sua vita.
Egli distingue anzitutto la crisi religiosa personale, nella quale Heideg-
ger incorse nei 1917, dalla generale atmosfera di crisi dell'anno 1929,
(14a) Anche R. Rorty misconosce il fatto che il problema non h il rapporto fra persona
e opera, ma la mescolanza di filosofia e ideologia: R. Rorty, «Taking Philosophy Seriou-
sly*, The New Republic, April 11, 1988, pp. 31 e ss.
(15) M. Frank, «Philo8ophie heute und jetzt». Frankfurter Rundschau del 5 marzo
1988.
(16) J. Habermas, II discorso filosofico della moderniti, Laterza, Ban 1987, pp. 158 ss.
(17) A suo tempo, purtroppo, non mi erano note n6 raccurata indagine di W. Franzen,
Von der Existentialontologie zur Seinsgeschichte, Meisenheim a. Glan 1975, terza parte,
pp. 69 e ss., n6 la postfazione alia 2.edizione di O. Poggeler, Der Denkweg M. Heideg-
gers, Pfullingen 1983, pp. 319 e ss.
(18) Poggeler (1983), p. 335.
nella quale poi Heidegger venne coinvolto politicamente. Quando Hei- 101
degger, nel 1919, su propria richiesta, si ritira dal seminario filosofico
per teologi cattolici, motiva questo passo sostenendo che «convinzioni
gnoseologiche... (gli) hanno reso problematico e inaccettabile il sistema
del cattolicesimo — non pero il cristianesimo e la metafisica (intesa
naturalmente in un senso nuovo)...» (19). Se a cio si aggiunge la suc-
cessiva riflessione sul Lutero riformatore e su Kierkegaard e, piu tardi,
I'incontro con Bultmann a Marburgo, risultano plausibili i motivi e la
prospettiva da cui Heidegger si pose il problema della mediazione del
pensiero storico con la metafisica; I'atteggiamento di ateismo metodi-
co non precludeva affatto I'orizzonte di esperienza autenticamente
cristiana. Heidegger perseguiva una «fenomenologia della vita» basata
su esperienze-limite dell'esistenza personale. L'esperienza della storia
scaturisce dall'autoconsapevolezza dell'individuo concreto nella sua
situazione momentanea. Essa implica (a) la reinterpretazione ermeneu-
tica del metodo fenomenologico di Husserl, obbliga (b) alia interpreta-
zione della domanda metafisica suU'essere a partire dall'orizzonte di
esperienza del tempo, e ottiene (c) una trasformazione densa di conse-
guenze delle operazioni dell'io trascendentale nel progetto di vita,
storicamente situato, di un esserci che, di fatto, si trova gia nel mondo.
II legame di (b) e (c) spiega, infine, il motivo per cui I'interesse di
Heidegger rimase orientato fondamentalmente suUa costituzione del-
l'esistenza umana, e perche esso richiese una netta delimitazione della
ontologia esistenziale dalle coeve elaborazioni della filosofia dell'esi-
stenza (Jaspers). L'analitica dell'esserci attuata in Essere e tempo, per
quanto radicata esistentivamente, rimase pur sempre una teoria del-
I'essere-nel-mondo in generale. Questo spiega il contrasto, ripetuta-
mente rilevato, fra la pretesa di un pensiero radicalmente storico e
I'ostinata e persistente astrazione della storicita (in quanto condizione
per l'esperienza storica in generale) dagli stessi processi storici.
L'operazione pionieristica di Essere e tempo consiste nel fatto che
Heidegger con quest'opera compie un passo argomentativo risolutivo
per il superamento dell'approccio coscienzialistico della filosofia (20).
Tale operazione puo magari essere illuminata dai retroscena di una
crisi personale che la motiva, ma non e stata compromessa da tale
contesto, in cui pure nasce. Naturalmente, anche in quest'opera cen-
trale si rispecchia quelle spirito del tempo al quale I'autore era legato.
Una critica della cultura borghese alia civilizzazione di massa si espri-
me in particolare nel tono di diagnosi epocale che caratterizza I'analisi
del «si» anonimo; la lamentela elitaria sulla «dittatura della sfera pub-
blica» fu il patrimonio comune dei mandarini tedeschi degli anni Ven-
(21) F.K. Ringer, The Decline of the German Mandarins. The German Academic Com-
munity 1890-1933, Cambridge, Mass. 1969; su cid la mia recensione in: J. Habermas,
Philosophisch-politische Profile, Frankfurt 1981, pp. 458 e ss.; cfr. anche H. Brunk-
horst, Der Intellektuelle im Land der Mandarine, Frankfurt 1987.
(22) Franzen, (1975), pp. 47 e ss. Questo, del resto, I'ha gia notato Adomo nella sua
lezione inaugurale del 1930: Th. W. Adomo, Die Aktualitat der Philosophie, Gesammel-
te Schriften, vol. I, pp. 325 e ss.
(23) M. Theunissen, Der Andere, Berlin 1977, pp. 182 e ss.
(24) E. Tugendhat, Die Idee von Wahrheit, in: Poggeler (1969), p. 286; cfr. anche K.O.
Apel, Transformation der Philosophie, Frankfurt 1973, vol. I, seconda parte.
(25) C.F. Gethmann, Heideggers Konzeption des Handelns in «Sein und Zeitx, in: Geth-
mann-Siefert, Poggeler (1988), pp. 140 e ss.
critica risulta perche «la filosofia di Essere e tempo non parve mani- 103
festamente in grado di predisporre, ne per Heidegger ne per tutta una
serie di coUeghi e scolari a lui vicini, un potenziale critico contro il
fascismo» (26). Cosi anche W. Franzen giunge al giudizio «che molto
di cio che Heidegger ha detto e scritto nel 1933-'34, se non doveva
necessariamente risultare da cio che era contenuto in Essere e tempo,
poteva tuttavia almeno risultarne spontaneamente» (27).
Desidero colmare la lacuna lasciata da questa spiegazione negativa
formulando la tesi che, a partire dal 1929, comincia una trasformazio-
ne della teoria in ideologia. Da quel momento in poi, nel cuore stesso
della filosofia si insinuano motivi di una confusa diagnosi dell'epoca
di matrice neoconservatrice. E soltanto allora che Heidegger si apre
interamente al pensiero antidemocratico, a quel pensiero che nella
repubblica di Weimar aveva trovato eminenti sostenitori fra i gruppi
di destra e aveva persino attratto spiriti originali (28). Le manchevolez-
ze immanenti dimostrabili in Essere e tempo non potevano essere per-
cepite da Heidegger in quanta manchevolezze, perche egli condivideva
i sentimenti antioccidentali del suo ambiente, e perche riteneva il pen-
siero metafisico piii originario dell'insulso universalismo deU'illumini-
smo. Per lui, la storia concreta rimase un accadimento meramente
ontico, il contesto sociale della vita una dimensione dell'inautentico,
la verita dell'enunciato un fenomeno derivato, e la moralita era solo
un modo diverse di dire valori reificati. Sulla base di tali prevenzioni
e possibile chiarire i punti ciechi nell'attuazione dell'impostazione in-
novatrice di Essere e tempo. Ma e soltanto dopo Essere e tempo che
la sotterranea corrente anticivilizzatrice della tradizione tedesca
(Adorno) avrebbe scalzato la stessa impostazione dell'opera (29).
nicato il contenuto di una lettera di Heidegger a Carl Schmitt del 22 agosto 1932 (!).
L'ultimo capoverso dice: «Oggi desidero solo dirle che spero molto nella sua convinta
collaborazione, giacch6 h necessario ricostruire interamente daU'intemo la tacolta di giu-
risprudenza second© il suo indirizzo scientifico e pedagogico. Qui purtroppo la situazione
h molto sconfortante. Diventa sempre pifi urgente raccogliere le forze spirituali che de-
vono preparare il futuro. Per oggi chiudo con cordiali saluti. Heil Hitler. Suo Heideg-
ger».
(37) Questa h una figura ideale centrale del corso di lezioni Introduzione alia metafisica
del 1935; cfr. anche A. Schwan, Politische Philosophic im Denken Heideggers, Opladen
1%5.
(38) G. Schneeberger, Nachlese zu Heidegger, Bern 1%2, pp. 149 e ss.; connessioni fra
la prolusione per il rettorato e Essere e tempo sono indagate da K. Harries, Heidegger
as a Political Thinker, in: M. Murray (a cura di), Heidegger and Modem Philosophy,
N.Y. 1978, pp. 304 e ss.
108 Heidegger I'idea di voler condurre il «duce». Su questi awenimenti
oggi non c'e piu alcuna controversia.
(411 Heidegger, Introduzione alia metafisica, Mursia, Milano 1972 (2. ed.), p. 60.
(42) ivi, p. 52.
(43) ivi, p. 55.
(44) Poggeler (1983), pp. 340 e ss.
110 estivo 1943, quando aveva sotto gli occhi il pianeta in fiamme e lo
vedeva scompaginarsi, Heidegger ripete la sua interpretazione: «Dai
tedeschi soltanto, posto che essi trovino e preservino relemento"tede-
sco", puo venire il ripensamento della storia del mondo» (44a).
C) Dopo il ritiro dal rettorato nell'aprile del 1934, Heidegger e deluso.
Egli e convinto che questo momento storico era, per cosi dire, desti-
nato a lui e alia sua filosofia; e resta anche convinto, fino alia amara
conclusione, del peso storico mondiale e dell'importanza metafisica
del nazionalsocialismo. Ancora nell'estate del 1942, in un corso su
Holderlin, egli parla in maniera inequivoca della «unicita storica del
nazionalsocialismo» (44b). Esso e caratterizzato, per cosi dire, da un
rapporto particolarmente intimo con il nichilismo dell'epoca, e tale
resta anche quando Heidegger, presumibilmente soltanto sotto I'infu-
riare degli eventi bellici, impara a stimare diversamente il valore po-
sizionale del nazionalsocialismo nella storia dell'essere.
Anzitutto, nel 1935, il discorso suir«intima verita e grandezza» del
movimento nazionalsocialista» (45) tradisce una presa di distanza da
certe forme fenomeniche e da certe pratiche che secondo lui non han-
no nulla a che fare con lo spirito del movimento stesso. II filosofo lo
sa senz'altro meglio; lui conosce il rango metafisico della rivoluzione
nazionale. Non tutto e ancora perduto, quantunque i capi politici si
facciano ingannare dai falsi filosofi, dai Krieck e dai Baumler, sulla
loro autentica missione. Walter Brocker, che allora frequentava il cor-
so, ricorda che Heidegger aveva parlato dell'interna verita e grandezza
«del» — e non come si legge nel testo — «di questo» movimento: «E
con "il movimento" egli indicava gli stessi nazisti, e 50/0 essi, il nazio-
nalsocialismo. Per questo il "del" di Heidegger fu per me indimenti-
cabile» (46). Se questo e vero, nel 1935 I'identificazione ancora non
puo essere stata seriamente incrinata. Poggeler (47) riferisce poi di un
passaggio delle lezioni su Schelling dell'estate 1936, eliminate in se-
guito (a quanto si asserisce, all'insaputa di Heidegger) dal testo pub-
blicato nel 1971. «I due uomini che, ciascuno in modo diverse, hanno
avviato una reazione contro il nichilismo, Mussolini e Hitler, hanno
entrambi imparato da Nietzsche, sebbene in maniera essenzialmente
diversa. Ma con cio ancora non si e resa giustizia all'autentico ambito
metafisico di Nietzsche». Abbiamo di nuovo qui lo stesso quadro che
concorda con quanto riferisce Lowith a proposito di un suo incontro
con Heidegger a Roma nello stesso periodo. I capi del fascismo sanno
della loro missione; naturalmente, dovrebbero dare ascolto al filosofo
per conoscere il precise significate di questa missione. Soltanto egli
(44a) Heidegger, Gesamtausgabe, vol. 55, p. 123; per I'indicazione di passaggi analoghi,
cfr. Poggeler (1983), p. 344.
(44b) Heidegger, Gesamtausgabe, vol. 53, p. 106.
(45) Heidegger, Introduzione alia metafisica, p. 203.
(46) Poggeler (1988), nota 11, p. 59.
(47) Poggeler (1985), pp. 56 e ss.
potrebbe illuminarli su che cosa significa, in una prospettiva storico- 111
metafisica, superare il nichilismo e mettere in opera la verita. Egli, per
lo meno, intravede precisamente il fine, che e quello del modo in cui
i capi fascisti potrebbero superare il nichilismo della «furia desolante
della tecnica scatenata e dell'organizzazione priva di radici dell'uomo
normalizzato», a patto che riescano a risvegliare I'eroica volonta di
esistenza dei loro popoli.
Non so esattamente quando sia cominciato lo stadio successivo di ela-
borazione della delusione, presumibilmente dopo I'inizio della guerra,
forse soltanto dopo la deprimente consapevolezza dell'inevitabilita
della sconfitta. Negli aforismi Per I'oltrepassamento della metafisica
(che risalgono agli anni successivi al 1936, ma per la maggior parte
sono stati scritti durante il periodo della guerra), si impongono sempre
piii fortemente i tratti totalitari di un'epoca che mobilita senza riguar-
di tutte le risorse. Soltanto adesso I'atmosfera di rottura messianica
del 1933 si capovolge in un'aspettativa apocalittica di salvezza: ormai
solo nell'estrema emergenza cresce anche cio che salva. Solo nella
catastrofe storico-mondiale scocca I'ora del superamento della metafi-
sica. «Soltanto dopo questo tramonto awerra sul lungo periodo il mo-
mento improwiso deirinizio» (48). Con questo cambiamento della di-
sposizione spirituale muta ancora una volta il giudizio sul nazionalso-
cialismo. La presa di distanza successiva al 1934 aveva portato ad una
differenziazione fra le manifestazioni incresciose della prassi nazional-
socialista e il suo contenuto essenziale. Ora Heidegger intraprende un
capovolgimento di valutazione piu radicale, che investe r«interna ve-
rita» dello stesso movimento nazionalsocialista. Egli redistribuisce i
ruoli all'interno della storia dell'essere. Mentre finora la rivoluzione
nazionale, con al vertice i suoi capi, ha rappresentato una reazione al
nichilismo, ora Heidegger ritiene che essa sia una espressione partico-
larmente caratteristica, quindi un mero sintomo, di quell'infausto de-
stino della tecnica che essa un tempo avrebbe dovuto contrastare. La
tecnica, divenuta il marchio dell'epoca, si manifesta nel totalitario
«movimento circolare della utilizzazione esaustiva a fini di consumo».
E «le "nature di capi" sono quelle che, in base alia sicurezza del loro
istinto, si fanno adibire, da questo processo, ad organi di manovra.
Essi sono i primi addetti all'interno di quel processo affaristico di
incondizionata utilizzazione esaustiva dell'essente in funzione di ga-
ranzia del vuoto determinate dalla diserzione dell'essere)) (49). Resta
intatto il connotato nazionalista dei tedeschi quale «umanita» idonea
a «realizzare storicamente il nichilismo assoluto)) (50). In cio consiste
ora r«unicita» del nazionalsocialismo, mentre «i detentori del potere
nazionalsocialista... vengono in un certo qual modo stilizzati quali fun-
(64) Anche un'altra frase di Lewalter merita di essere ricordata: «Fino a che punto I'ac-
cusatore di Heidegger sia caduto nella mania persecutoria, lo dimostra una osservazione
particolarmente astiosa della sua critica. "Intelligenza fascista come tale", dice Haber-
mas, "non ci fu per I'unico motivo che la mediocriti del gruppo dirigente fascista non
poteva accettare I'offerta degli intellettuali. Le forze c'erano. Solo la levatura modesta dei
funzionari politici le ha spinte aU'opposizione". In altre parole: Heidegger si offri a Hit-
ler, Hitler per6, nella sua mediocrity, rifiut6 I'offerta e spinse Heidegger aU'opposizione.
Cosi presenta le cose Habermas...». Lewalter non poteva sospettare che Heidegger stesso
avrebbe confermato la mia osservazione, p i t perspicace che astiosa: «E vero che il nazio-
nalsocialismo h andato nella (giusta, J.H.) direzione; ma queste persone erano troppo
sprowedute per poter stabilire un rapporto realmente esplicito con ci6 che oggi awiene
e che h in cammino da tre secoli* {Der Spiegel, numero 23, 1976, p. 214).
(65) Die Zeit del 24.9.1953.
(66) Franzen (1975), p. 93.
(67) Poggeler (1983), pp. 341 e ss.
tonde quel commento controverso, sul quale, poi, si sono potute basare 117
sia I'interpretazione di Lewalter sia I'esposizione, cronologicamente
fuorviante, che Heidegger stesso ne ha dato (68).
£ interessante osservare che, nella controversia del 1953, la domanda
originaria e andata persa nel corso della disputa filosofica. Alia doman-
da sulla sua posizione riguardo ai crimini di massa del nazionalsocia-
lismo, Heidegger non ha dato alcuna risposta, ne allora, ne dopo. Ab-
biamo buoni motivi per supporre che essa, di nuovo, sarebbe risultata
molto generale. AH'ombra del «dominio universale della volonta di
potenza all'interno della storia vista nella sua dimensione planetaria»,
tutto si unifica. «In questa realta, oggi, ci sta tutto, si chiami comuni-
smo, fascismo o democrazia mondiale» (69). Cosi scriveva Heidegger
nel 1945, e cosi ha ripetuto continuamente: astrazione per via di essen-
zializzazione, appunto. Sotto lo sguardo livellatore del filosofo dell'es-
sere, anche lo sterminio degli ebrei sembra essere un evento libera-
mente intercambiabile (70). Che si tratti dell'annientamento degli
ebrei, o deU'espulsione dei tedeschi — I'uno vale I'altra. II 13 maggio
1948 Herbert Marcuse risponde a una lettera nella quale Heidegger
aveva appunto sostenuto questo: «Lei scrive che tutto cio che io dico
suUo sterminio degli ebrei e valido anche per gli alleati, se solo al posto
di "ebrei' si mette "tedeschi dell'Est". Ma con questa affermazione
Lei non si pone al di fuori della dimensione stessa nella quale e ancora
possibile un dialogo fra uomini — e cioe al di fuori del logos? Giacche
solo al di fuori di questa dimensione "logica" e possibile spiegare,
equiparare, "concepire" un crimine con la motivazione che anche altri
avrebbero fatto qualcosa del genere. E ancora: come e possibile met-
tere suUo stesso piano la tortura, la mutilazione e I'annientamento di
milioni di uomini con il trasferimento forzato di gruppi etnici, in cui
non e accaduto nessuno di questi misfatti (tranne forse alcuni casi
eccezionali)?» (71).
(68) R. Marten, «Ein rassistisches Konzept von Hiunanitat», in: Badische Zeitung del
19-20 dicembre 1987. Su mia richiesta R. Marten mi ha confermato questa versione delle
cose in una lettera del 28.1.1988: «A quel tempo abbiamo corretto le bozze per Heideg-
ger: per la preparazione della nuova edizione di Essere e tempo (Tiibingen 1953) e,
appunto, per la prima pubblicazione del corso di lezioni del 1935. II passaggio, a quanto
ricordo, non era evidenziato da una parentesi esplicativa, ma soltanto dalla enormita del
sue contenuto, che sorprese tutti e tre».
(69) Heidegger (1983), p. 25.
(70) Conosco solo una dichiarazione di Heidegger sullo sterminio degli ebrei (sullo Spie-
gel del 18 agosto 1986). Egli sostiene I'identita, dal punto di vista dell'essenza, della
meccanizzazione dell'agricoltura e dello sterminio industrializzato delle camere a gas.
(71) Pflasterstrand, gennaio 1988, pp. 48 e ss.
118 chi e le sue manipolazioni, il suo rifiuto di prendere pubblicamente le
distanze dal regime al quale aveva pubblicamente aderito. E quest'ul-
timo ci riguarda come contemporanei. Finche condividiamo insieme
con altri un contesto di vita e una storia, abbiamo il diritto di chiederci
reciprocamente conto delle nostre azioni. La lettera con la quale Hei-
degger adotta quel tipo di compensazione che ancor oggi e diffusa nei
circoli accademici, era la replica ad una soUecitazione di Marcuse, suo
ex-allievo: «Molti di noi hanno aspettato a lungo una parola da Lei,
una parola che La liberasse in modo netto e definitivo da tale identi-
ficazione, una parola che esprimesse la Sua effettiva posizione attuale
rispetto a cio che e accaduto. Questa parola Lei non I'ha detta — o
per lo meno essa non e mai uscita al di fuori della Sua sfera priva-
ta» (72). Sotto questo riguardo Heidegger rimase legato alia sua gene-
razione e al suo tempo, al clima di rimozione che segno I'era Ade-
nauer. Egli non si comporto diversamente dagli altri, era uno dei tanti.
Non convincono quasi per nulla le scuse che circolano tra le persone
a lui vicine: che Heidegger si sarebbe dovuto difendere dalle calunnie,
che qualsiasi ammissione sarebbe stata intesa come segno di una nuo-
va adesione, che Heidegger sia rimasto muto a causa della inadegua-
tezza di qualsiasi spiegazione possibile, e cosi via. II ritratto morale
che, anche pubblicamente, si viene man mano delineando, fa apparire
estremamente plausibile quanto ha riferito un amico di Heidegger, e
cioe che egli non abbia visto alcun motivo per una «andata a Canossa»,
perche non era stato nazista; e inoltre che abbia temuto, se lo avesse
fatto, di distogliere i giovani dalla lettura dei suoi libri (73).
Un atteggiamento autocritico, il rapporto aperto a scrupoloso con il
proprio passato, avrebbe richiesto a Heidegger qualcosa che doveva
riuscirgli penoso: la revisione del suo ritenersi un pensatore con acces-
so privilegiato alia verita. Dal 1929 Heidegger si e allontanato sempre
piu dalla sfera della filosofia accademica; dopo la guerra si e smarrito
persino nei meandri di un pensiero al di la della filosofia, al di la di
qualsiasi argomentazione. Non si trattava piii dell'autoconsapevolezza
elitaria di un ceto accademico, ma della coscienza di una missione
specificamente ritagliata suUa sua persona, con la quale sarebbe stata
inconciliabile I'ammissione di un errore, o magari di una colpa. Come
contemporaneo, Heidegger viene raggiunto e messo in una luce ambi-
gua dal suo passato, perche non ha saputo rapportarsi ad esso quando
tutto era finito. Anche alia luce dei criteri posti da Essere e tempo, il
suo comportamento e rimasto astorico. Ma cio che fa di Heidegger un
fenomeno cronologicamente tipico di una mentalita postbellica che ha
avuto una vasta incidenza, riguarda la sua persona, non la sua opera.
Le condizioni di ricezione di un'opera sono largamente indipendenti
(76) £ . Nolte conclude in questo senso il suo saggio su filosofia e nazionalsocialismo, in:
Gethmann-Siefert, Poggeler (1988), p. 355, con la frase: «Credo che I'impegno di Heideg-
ger del 1933 c la comprensione nel 1934 del suo errore, fossero piii filosofici della corret-
tezza deU'atteggianiento, invariabilmente distaccato e oltremodo rispettabile, di Nicolai
Hartmann».
(77) Cfr. su questo H. Ott, «Wege und Abwege», Neue Ziircher Zeitung del 27 novembre
1987, p. 39; questo saggio contiene anche accenni critici di un esperto al libro di Farias.
cazione dell'edizione francese in Germania dimostra che I'apologia di 121
Heidegger, alia quale Hugo Ott attribuisce tratti magistrali e di por-
tata strategica, ha lasciato anche qui un certo bisogno di chiarimento.
Con la ristampa dello studio accurato di Nicolas Tertulian, solo la
Frankfurter Rundschau (del 2 febbraio 1988) ha dato un certo contri-
buto a tale chiarimento.
AU'edizione tedesca del libro va augurato un secondo giro di discus-
sioni, non dominate ne da una apologia giustificazionista (78), ne da
una trasparente pianificazione ideologica (79), ne dal gesto contraffat-
to (80), o addirittura da sordido rancore (81).