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Il costituzionalismo
statunitense all’inizio
del nuovo secolo
1 L.H. Tribe, Toward a Model of Roles in the Due Process of Life and Law, in 87 Harv. L. Rev., 14,
1973.
2 F. R. Shapiro, The Most-Cited Law Review Articles, in 73 Cal. L. Rev., 1540, 1985.
3 A.R. Amar, The Document and the Doctrine, in 114 Harv. L. Rev., 26, 2000.
4 È bene sottolineare come il lemma inglese doctrine si traduce in italiano con l’espressione
«indirizzo giurisprudenziale». Curiosamente il lemma italiano «dottrina», nel senso giuridico di
elaborazione teorico-accademica, si traduce nell’inglese jurisprudence.
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i movimenti giovanili degli anni ’60 e quelli per i diritti civili – che hanno dato
vita alle parole della costituzione. Amar si prende cura di distinguere la sua
versione ampia del testualismo, dal costruzionismo stretto che domina la
giurisprudenza costituzionale dell’attuale Corte suprema: ciò che conta come
testo, così Amar, è il documento così come concepito dal popolo americano
che lo ha ratificato ed emendato, e ciò che conta come storia è un significato
pubblico e accessibile, non una segreta intenzione privata. Legare l’interpreta-
zione testuale a quella strutturale consente inoltre di evitare il rischio di
leggere isolatamente le singole disposizioni costituzionali, separandole l’una
dall’altra e dal contesto generale. Il popolo americano non ha ratificato la
costituzione di Filadelfia articolo per articolo, ma come un unico documento.
Generazioni successive hanno aggiunto singoli emendamenti, tuttavia non vi
è alcun emendamento che costituisce un regime giuridico isolato dagli altri.
Soltanto una lettura olistica può dunque rendere giustizia al documento
originario e far emergere i principi generali e l’architettura complessiva della
cultura costituzionale; d’altronde le espressioni «separazione dei poteri» o
«checks and balances» non appaiono in alcuna disposizione costituzionale,
tuttavia fanno senz’altro parte dei concetti organizzativi del documento, letto
olisticamente.
Mentre il doctrinalist basa le sue interpretazioni di questioni costituziona-
li sui precedenti giurisprudenziali che trova negli United States Reports,
decisioni a volte prese in decadi o secoli successivi all’adozione del testo
costituzionalmente rilevante, il documentarian comincia con il costruire
argomenti che derivano dal testo, dalla storia e dalla struttura, e che formano
un intreccio i cui tessuti si rafforzano reciprocamente.
Amar sottolinea le virtù del documento costituzionale, cominciando da
un’analisi del pronunciamento iniziale della missione democratica We the
People of the United States... do ordain and establish this Constitution... Molti
lettori moderni del documento hanno letto questo proclama con scetticismo
che talvolta ha sconfinato nella derisione. L’esclusione degli schiavi, delle
donne, i requisiti censitari, nonché la morte avvenuta più di due secoli fa dei
padri fondatori, sono i classici argomenti che vengono impiegati per squalifi-
care la pretesa identitaria del «Noi, il popolo». Tuttavia tale atteggiamento
critico tradisce una coscienza antistorica; in realtà nel 1788 il preambolo della
costituzione federale era l’atto di inclusione più democratico della storia del
mondo, ed in tal senso venne inteso dai suoi estensori. Centinaia di migliaia di
normali cittadini vennero invitati a votare, mentre nel vecchio mondo
consuetudini inegualitarie e monarchi non elettivi dominavano la scena.
Anche laddove vi erano state forme di autogoverno repubblicano, mai si era
realizzato un tale livello di partecipazione costituente come quello descritto
dal preambolo. Nessuna repubblica antica greca o romana aveva mai permes-
so alla cittadinanza di votare sulla costituzione; in Inghilterra nessuno aveva
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votato per Giorgio III. Nello stesso continente americano nessuna costituzio-
ne statale nel 1776 o nel 1777 era stata sottoposta al voto popolare, né
tantomeno ciò era avvenuto per la Dichiarazione di indipendenza o per gli
Articoli della Confederazione. La costituzione federale era dunque un atto
costituzionalmente rivoluzionario: il vecchio ordine veniva rovesciato e la
sovranità veniva fatta risiedere non nel Re o nello Zar o nell’Imperatore o
nella tradizione, ma nel popolo. Ciò che era autenticamente unico nell’atto
costituente statunitense non era l’estensione della sua esclusione, ma l’am-
piezza della sua inclusione. Rispetto alla grandezza storica del costituzionali-
smo delle origini, lo sviluppo giurisprudenziale contemporaneo dei diritti di
cittadinanza, rimesso alle sottili disquisizioni tecniche di pochi giudici che
dissentono tra loro, fa apparire il documento originario come un gigante
rispetto al piccolo cabotaggio di decisioni giurisprudenziali che pretendono di
parlare in nome del popolo.
Proprio sul versante dell’inclusione sociale, i doctrinalists concepiscono la
Corte suprema come una convenzione costituzionale permanente, che attra-
verso le sue massime rimedia alle esclusioni perpetrate dal documento
originario. Tuttavia un’attenta analisi della giurisprudenza costituzionale
mostra che le corti sono sempre state composte, ieri come oggi, più da uomini
bianchi che non da altri gruppi sociali, e che i giudici sono stati più disposti a
svalutare previsioni testuali che attribuiscono diritti ai neri o alle donne,
mentre hanno rafforzato pretese non fondate sul testo costituzionale che
beneficiano i ricchi e i potenti.
Anche dal punto di vista del procedimento deliberativo, il documento
originario mostra virtù maggiori rispetto all’elaborazione giurisprudenziale.
Dal testo originario sino agli emendamenti successivi (con il caso estremo del
XIX emendamento con la sua gestazione pluridecennale), il documento
costituzionale è stato il prodotto di una considerata elaborazione testuale
seguita da una partecipata deliberazione popolare in sede di ratifica. Questo
procedimento a due tappe incentiva una buona deliberazione: i proponenti
non possono mai essere sicuri della ratifica e quindi sono stimolati a redigere
un testo di buona qualità. Il gap tra proponenti e ratificatori crea una
incertezza salutare, un velo di ignoranza, che migliora la qualità del procedi-
mento deliberativo costituente. Benché Michelman abbia caratterizzato il
procedimento decisorio interno della Corte suprema come l’incarnazione
della polis deliberativa, un modello di virtù repubblicana 5, Hart ha offerto una
visione più disincatata della deliberazione giudiziale, raccontando una realtà
fatta di decisioni prese in poco tempo, da giudici informati non al meglio, che
5 F.I. Michelman, The Supreme Court, 1985 Term – Foreword: Traces of Self-Government, in 100
Harv. L. Rev. , 4, 1986.
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6 H.M. Hart, Jr., The Supreme Court, 1985 Term – Foreword: The Time Chart of the Justices, in 73
Harv. L. Rev., 84, 1959. Di recente tale lettura è stata confermata e rielaborata da M.C. Dorf, The
Supreme Court, 1997 Term – Foreword: The Limits of Socratic Deliberation, in 112 Harv. L. Rev., 4,
1998.
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13 United States v. Carolene Prods. Co., 304 U.S. 144, 152-53 n. 4 (1938).
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dato, Dr. Franklin?” “A republic” rispose “if you can keep it”. Ma lo abbiamo
fatto? Nonostante tutti i disaccordi intorno al significato del termine “repub-
blica” nessuno ha mai dubitato che l’autogoverno sia la sua essenza, e una
costituzione il suo distillato più puro. Che tipo di repubblica rimuove la sua
costituzione dal processo di autogoverno? Certamente non quella che i Padri
fondatori ci hanno dato. È quella che preferiamo? La scelta, dopotutto, è
nostra. La Corte suprema ha fatto la sua mossa per conquistare il potere. La
domanda è: glielo consentiremo?» 14.
14 Dopo la critica aggressiva mossa da Kramer, e dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, gli
editori della Harvard Law Review hanno invitato il presidente della Corte suprema israeliana a
scrivere il Foreword. O per recuperare una lettura positiva del ruolo della giustizia costituzionale, o
per diffondere la prudenza acquisita da un giudice che si è trovato più volte a dover giudicare della
tutela dei diritti fondamentali in tempi di emergenza terroristica, comunque, per la prima volta nella
storia dei Forewords, un giurista non americano ne è stato autore. L’impostazione del Foreword di
Barak, che sceglie di non commentare il Term della Corte suprema statunitense, si discosta talmente
tanto dagli altri Forewords, che ho scelto di darne conto solo in nota, non per un suo minor interesse
scientifico, ma perché totalmente estranea all’analisi di questo lavoro, incentrato sulle trasformazioni
dei rapporti tra giurisprudenza e dottrina costituzionalistica negli USA. Nel suo Foreword [A. Barak,
A Judge on Judging: The Role of a Supreme Court in a Democracy, in 116 Harv. L. Rev., 18, 2002]
Barak ribadisce l’importanza classica della giurisprudenza della Corte suprema americana come
fonte di ispirazione per i costituzionalisti del mondo intero e, dopo aver affermato che la ragione per
cui è talvolta critico della Corte americana è il rammarico per il fatto che essa sta perdendo il ruolo
centrale che un tempo aveva tra corti delle moderne democrazie, Barak costruisce tutto il suo
Foreword come un trattato di teoria costituzionale, supportato da giurisprudenza israeliana, da egli
stesso coniata, nonché da riferimenti ad orientamenti giurisprudenziali di altri paesi, principalmente
dell’area di common law. Comunque, a differenza di Kramer, per Barak la Corte suprema
statunitense ha fatto bene a decidere Bush v. Gore, perché, a suo dire, non esistono problemi che non
possano essere risolti tramite interpretazione giudiziaria, ed il problema principale delle democrazie
contemporanee è di trovare delle soluzioni a problemi politici che assumono dei caratteri giuridici.
Ciò è dovuto essenzialmente all’emergere di concezioni sostanziali della democrazia, che hanno
assunto la difesa dei diritti umani come compito centrale dei poteri pubblici, la emersione della
minaccia terroristica, un progressivo raffinamento delle riflessioni dottrinali sul ruolo e sulla
funzione dell’interpretazione giudiziaria, ed infine un diffuso ampliamento della zone di influenza
del potere giudiziario a scapito degli altri poteri statali. Proponendo una teoria sul ruolo delle corti
supreme nelle moderne democrazie costituzionali, Barak dichiara di voler scegliere un’impostazione
eclettica, capace di accogliere le istanze che provengono da tutte le altre teorie quali, tra le altre, il
realismo giuridico, il positivismo, il movimento del giusnaturalismo, il movimento del legal process, il
movimento degli studi critici. Tale aspirazione erculea spinge Barak a formulare una teoria
normativa del ruolo e degli strumenti appropriati dell’interpretazione giudiziaria ad un tempo
astratta e concreta, ricca di suggestive formulazioni dogmatiche ma supportata da precisi riferimenti
a casi concreti. Concettualizzando una teoria non formalistica dell’ermeneutica giuridica, Barak
riesamina i presupposti dell’indipendenza del potere giudiziario e, soprattutto, gli argomenti
impiegati dai giudici nell’interpretazione costituzionale. Rispetto alle riflessioni offerte dai costitu-
zionalisti statunitensi, Barak si distingue tanto per l’insistenza sulla centralità della metafora del
bilanciamento e dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, quanto per un’appassionata difesa
dell’importanza del metodo comparativo, sia in funzione epistemica, sia in funzione argomentativa.
Per quanto riguarda il bilanciamento, che Barak considera essenziale all’interpretazione giudiziaria,
e tuttavia non sufficientemente tematizzato dalla dottrina, esso trova posto in una visione non
normativistica dell’ordinamento giuridico, in cui le regole specifiche sono sempre espressione e
concretizzazione di più ampi principi e valori. Soprattutto nel bilanciamento tra libertà individuali ed
esigenza di sicurezza nazionali in tempi di emergenza terroristica, viene in primo piano il ruolo del
potere giudiziario in una democrazia costituzionale. Esso ha la responsabilità di proteggere la
democrazia sia dal terrorismo sia dai mezzi che lo Stato vuole usare per combattere il terrorismo. La
protezione dei diritti individuali è ancor più importante in tempi di guerra e di emergenza, perché se
fallisce in quel periodo, a maggior ragione sarà possibile ristabilirla in tempo di pace. Precisando che
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il confine tra stato di guerra e stato di pace è assai labile e mai precisamente individuabile, Barak
ribadisce la maggiore responsabilità che grava sul potere giudiziario in tempi emergenziali, perché
mentre le misure legislative e amministrative sono destinate a esaurire la loro forza normativa con il
ripristino della normalità, gli indirizzi giurisprudenziali che si consolidano nell’emergenza sono
destinati a rimanere, e possono essere sempre invocati anche una volta che lo stato di eccezione sia
terminato. Inoltre ciò che distingue la guerra dello Stato dalla guerra dei suoi nemici, è che lo Stato
combatte rispettando la legalità, mentre i suoi nemici combattono calpestando il diritto. È quindi
preciso dovere del potere giudiziario far sì che anche durante il periodo di battaglia le leggi
continuino ad essere rispettate, soprattutto da parte degli altri poteri statali.
15 R.C. Post, Fashioning the Legal Constitution. Culture, Courts, and Law, in 117 Harv. L. Rev., 4,
2003.
16 Nevada Department of Human Resources v. Hibbs, 123 S. Ct. 1972 (2003); Grutter v. Bollinger,
123 S. Ct. 2325 (2003); Lawrence v. Texas, 123 S. Ct. 2472 (2003).
17 Vedi le opinioni di Rehnquist in Bd. of Trs. v. Garrett, 531 U.S. 356, 360 (2001); United States v.
Morrison, 529 U.S. 598, 601 (2000) e di Scalia in Originalism: The Lesser Evil, 57 U. Cin. L. Rev. 849, 854
(1989).
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18 La citazione di apertura del Foreword è infatti «We must seek a conception of law which
realism can accept as true» di B.N. Cardozo, The Nature of the Judicial Process, 127 (Gaunt 1998)
(1921).
19 Il riferimento è a Lochner v. New York, 198 U.S. 45, 76 (1905) (Holmes, J., dissenting)
20 Il riferimento è a W. Wilson, Constitutional Government in the United States, 69 (1908).
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dalla prospettiva esterna dello storico che indaga l’evoluzione del diritto
costituzionale, quanto dalla prospettiva interna del giudice che cerca di creare
il diritto costituzionale. Tanto per i giudici quanto per gli storici la cultura
costituzionale è il medium all’interno del quale il diritto costituzionale è
foggiato. Ma siccome la cultura è sempre dinamica e contestata, così il diritto
costituzionale sarà sempre dinamico ed oggetto di contestazione. Tanto
all’interno della cultura quanto all’interno del diritto costituzionale non vi
sono punti archimedici, non ci sono posizioni neutrali o oggettive: ci sono solo
interpretazioni in conflitto all’interno dei diversi significati culturali.
Mostrando come tali concezioni siano all’opera nei casi discussi nel
dettaglio, Post costruisce una concezione normativa dell’interpretazione costi-
tuzionale, critica dell’autocomprensione della Corte Rehnquist, in cui i
processi storici e culturali confluiscono nella giurisprudenza costituzionale,
concepita come una combinazione tra principi del rule of law e dialogo della
Corte con gli altri attori della sfera politica.
21 McConnell v. FEC, 124 S. Ct. 619 (2003); Georgia v. Ashcroft, 123 S. Ct. 2498 (2003); Vieth v.
Jubelirer, 124 S. Ct. 1769 (2004).
22 R.H. Pildes, The Constitutionalization of Democratic Politics, in 118 Harv. L. Rev., 28, 2004.
23 J.H. Ely, Democracy and Distrust, Cambridge, 1980.
24 Termine intraducibile, esprime la delimitazione territoriale delle circoscrizioni elettorali
orientata dal criterio di blindare il risultato del voto, basandosi sugli orientamenti espressi nelle
precedenti tornate elettorali. Il termine fu coniato per irridere il provvedimento del Governatore del
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Massachusetts Elbridge Gerry, che nel 1811 sanzionò una circoscrizione elettorale, disegnata in
maniera talmente contorta, da richiamare alla mente la forma della salamandra. Da qui gerry-
mandering.
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26 Durante la presidenza Carter (1976-1980) non vi furono nomine da effettuare; durante i suoi
due mandati (1993-2000) Clinton ha potuto nominare solo due giudici.
27 V.M. Tushnet, T. Lynch, The Project of the Harvard Forewords: A Social and Intellectual
Inquiry, in 11 Const. Comment., 463, 1995.
28 Harvard Law Review – Supreme Court Term Forewords
1950 Jaffe, Louis L., Untitled, 65 Harv. L. Rev., 107 (1951).
1951 Freund, Paul A., The Year of the Steel Case, 66 Harv. L. Rev., 89 (1952).
1952 Howe, Mark DeWolfe, Political Theory and the Nature of Liberty, 67 Harv. L. Rev., 91 (1953).
1953 Sacks, Albert M., Untitled, 68 Harv. L. Rev., 96 (1954).
1954 Braucher, Robert, Untitled, 69 Harv. L. Rev., 120 (1955).
1955 Fairman, Charles, The Attack on the Segregation Cases, 70 Harv. L. Rev., 83 (1956).
1956 Sutherland, Arthur E., Jr., The Citizen’s Immunities and Public Opinion, 71 Harv. L. Rev., 85
(1957).
1957 Brown, Ernest J., Process of Law, 72 Harv. L. Rev., 77 (1958).
1958 Hart, Henry M., Jr., The Time Chart of the Justices, 73 Harv. L. Rev., 84 (1959).
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1960 Bickel, Alexander M., The Passive Virtues, 75 Harv. L. Rev., 40 (1961).
1961 McCloskey, Robert G., The Reapportionment Case, 76 Harv. L. Rev., 54 (1962).
1962 Pollak, Louis H., Public Prayers in Public Schools, 77 Harv. L. Rev., 62 (1963).
1963 Kurland, Philip B., Equal in Origin and Equal in Title to the Legislative and Executive
Branches of the Government, 78 Harv. L. Rev., 143 (1964).
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1964 Mishkin, Paul L., The High Court, the Great Writ, and the Due Process of Time and Law, 79
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1965 Cox, Archibald, Constitutional Adjudication and the Promotion of Human Rights, 80 Harv.
L. Rev., 91 (1966).
1966 Black, Charles L., Jr., «State Action,» Equal Protection, and California’s Proposition 14, 81
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1967 Henkin, Louis, On Drawing Lines, 82 Harv. L. Rev., 63 (1968).
1968 Michelman, Frank I., On Protecting the Poor Through the Fourteenth Amendment, 83 Harv.
L. Rev., 7 (1969).
1969 Tigar, Michael E., Waiver of Constitutional Rights: Disquiet in the Citadel, 84 Harv. L. Rev., 1
(1970).
1970 Kalven, Harry, Jr., Even When a Nation is at War – 85 Harv. L. Rev., 3 (1971).
1971 Gunther, Gerald, In Search of Evolving Doctrine on a Changing Court: A Model for Newer
Equal Protection, 86 Harv. L. Rev., 1 (1972).
1972 Tribe, Laurence H., Toward a Model of Roles in the Due Process of Life and Law, 87 Harv. L.
Rev., 1 (1973).
1973 Freund, Paul A., On Presidential Privilege, 88 Harv. L. Rev., 13 (1974).
1974 Monaghan, Henry P., Constitutional Common Law, 89 Harv. L. Rev., 1 (1975).
1975 Brest, Paul, In Defense of the Antidiscrimination Principle, 90 Harv. L. Rev., 1 (1976).
1976 Karst, Kenneth L., Equal Citizenship Under the Fourteenth Amendment, 91 Harv. L. Rev., 1
(1977).
1977 Ely, John Hart, On Discovering Fundamental Values, 92 Harv. L. Rev., 5 (1978).
1978 Fiss, Owen M., The Forms of Justice, 93 Harv. L. Rev., 1 (1979).
1979 Cox, Archibald, Freedom of Expression in the Burger Court, 94 Harv. L. Rev., 1 (1980).
1980 Sager, Lawrence Gene, Constitutional Limitations on Congress’ Authority to Regulate the
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1981 Chayes, Abram, Public Law Litigation and the Burger Court, 96 Harv. L. Rev., 4 (1982).
1982 Cover, Robert M., Nomos and Narrative, 97 Harv. L. Rev., 4 (1983).
1983 Easterbrook, Frank H., The Court and the Economic System, 98 Harv. L. Rev., 4 (1984).
1984 Bell, Derrick, The Civil Rights Chronicles, 99 Harv. L. Rev., 4 (1985).
1985 Michelman, Frank I., Traces of Self-Government, 100 Harv. L. Rev., 4 (1986).
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1987 Epstein, Richard A., Unconstitutional Conditions, State Power, and the Limits of Consent,
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1988 Chemerinsky, Erwin, The Vanishing Constitution, 103 Harv. L. Rev., 43 (1989).
1989 West, Robin, Taking Freedom Seriously, 104 Harv. L. Rev., 43 (1990).
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1992 Horwitz, Morton J., The Constitution of Change: Legal Fundamentality Without Fundamen-
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1994 Fried, Charles, Foreword: Revolutions? 109 Harv. L. Rev., (1995).
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