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CERVELLO E PERSONA

Juan José Sanguineti – Pontificia Università della Santa Croce- Roma


Relazione Pontificio Consiglio della Cultura, 17-11-2107.

Assemblea Plenaria “Il futuro dell’umanità. Le nuove sfide all’antropologia”.

1. Introduzione

La tematica del rapporto tra cervello e persona corrisponde all’antropologia


filosofica. Oggi possediamo una conoscenza scientifica ampia e sofisticata sul sistema
nervoso dal punto di vista neurobiologico e diamo per scontato che il cervello
costituisce la parte più importante del corpo umano, una parte che in un certo senso
definisce ciò che siamo, forse col rischio, in una visione materialista, di identificarlo
con la persona stessa.

I problemi filosofici –antropologici, etici– che emergono nello studio del


cervello sono noti nella filosofia della mente e della neuroscienza, ad esempio i
rapporti tra identità cerebrale e identità personale, tra processi mentali e neurali, o altri
relativi alla relazione tra cervello, io e spirito, o alla possibilità che il cervello possa
essere la sede di atti volontari veramente liberi. In questa sede vorrei presentare una
mia riflessione sulla funzione del cervello –ovviamente in collegamento con l’intero
sistema nervoso– nel contesto del corpo umano e più ampiamente della persona,
quindi includendovi le diverse capacità psicosomatiche della persona, le quali trovano
un radicamento materiale nel cervello.

2. Breve nota storica

Una breve presentazione storica del problema sarà illustrativa riguardo alla
problematica che intendo presentare. Nella visione classica aristotelica l’uomo era
concepito come costituito da corpo ed anima. L’anima era il principio formale
primario che spiegava la totalità funzionale del corpo organico, una totalità
fisiologica e sensitiva, mentre allo stesso tempo conteneva un principio superiore,
l’intelletto o la ragione, intravvisto come qualcosa che oltrepassava la funzione di
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rendere organico il corpo. L’individuo umano, nella sua unità “ipostatica” irripetibile
sarà qualificato come persona dalla tradizione cristiana (persona essenzialmente
corporea).

Il corpo appariva in questa prospettiva come lo strumento fisico –appunto


“organo”– intrinseco che consentiva la realizzazione di tutte le operazioni e le
funzioni dell’individuo della specie umana. Perfino fenomenologicamente, in modo
indipendente dalla scienza, si poteva pensare facilmente al ruolo centrale del cervello,
almeno guardando l’ovvia rilevanza della testa nell’insieme del corpo, al punto che
nel linguaggio sociale corrente spesso si parlava –come anche oggi si fa– della
funzione capitale di certi elementi o dei capi politici (basti badare alla ricca semantica
del termine latino caput).

Nell’antica medicina ben presto si scoprì l’importanza primaria del cervello nel
quadro di una visione gerarchica del corpo, dove alcuni membri sono funzionali ad
altri, mentre due di essi, cuore e cervello, apparivano come fondamentali. Il cuore lo
era in relazione al mantenimento della vita e anche in rapporto all’affettività e
all’amore. Così in certe antiche teorie mediche cardiocentriche, cui apparteneva lo
stesso Aristotele, un punto da cui proviene, peraltro, la semantica antropologica del
termine cuore (si pensi ad espressioni quali cordiale, con tutto il cuore, Cuore di
Cristo, ecc.). Nella medicina encefalocentrica (Ippocrate, i medici alessandrini,
Galeno) divenne chiara la funzione del cervello come sede delle funzioni cognitive
(sensibilità, immaginazione, memoria, estimativa, razionalità pratica o cogitativa; così
pure in Tommaso d’Aquino e tanti altri).

La neuroscienza moderna ha scoperto il ruolo fisiologico centrale del cervello,


senza togliere per questo motivo l’importanza di altre funzioni, specialmente quella
cardiaca, funzioni tutte regolate dai centri encefalici, motivo per il quale la morte del
cervello determina la distruzione di tutto il corpo, quindi causando pure la morte
personale. Di conseguenza, in una visione gerarchica del corpo che corrisponde anche
a una visione gerarchica della personalità, possiamo dire che il cervello è l’organo
centrale del corpo umano, da cui dipende complessivamente il funzionamento di tutto
il corpo.
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Tale funzione è duplice: vegetativa e sensitiva. Esiste dunque una certa


continuità con la visione della medicina antica del cervello, visione che in buona
misura perdurò sino alla fine del Settecento. Gli antichi concepivano il cervello, come
ho detto prima, come sede delle funzioni cognitive –e anche di quelle motorie–,
perfino con localizzazioni precise (naturalmente sbagliate), mentre soltanto non
conoscevano con chiarezza la funzione neurofisiologica vegetativa centrale del
cervello, ovviamente in connessione con il sistema nervoso autonomo e contando con
l’attività dei neurotrasmettitori.

La visione scientifica moderna del cervello, a differenza di quella antica, è


qualitativamente nuova, e non semplicemente per le scoperte anatomiche, come
quella del neurone come unità fisiologica del tessuto neurale, ma soprattutto perché ha
introdotto: 1) la comprensione biochimica, anzi elettrobiochimica del cervello
(l’impulso nervoso visto come onda elettrochimica), e 2) la comprensione del cervello
come organo di controllo dell’informazione che arriva al corpo e si trasmette lungo
tutto l’organismo per generare le risposte adeguate.

3. Cervello e corpo fenomenologico

Se vogliamo fare una filosofia del cervello rilevante per l’antropologia conviene
distinguere tra ciò che chiamerei il corpo fenomenologico, cioè il corpo umano
vissuto, accessibile alla nostra esperienza, e il corpo fisiologico sottostante, che rende
possibile le operazioni corporee vissute. Così si può stabilire anche un rapporto tra la
fenomenologia come parte della filosofia e la visione scientifica del cervello. Non
sono naturalmente “due” corpi, bensì uno solo visto da due dimensioni diverse, anche
se la seconda è in funzione della prima. Il corpo fenomenologico è ciò che appare a
noi nell’esperienza di avere a disposizione il corpo proprio ed è anche quello che si
rende manifesto nell’incontro con le altre persone.

Due sono gli aspetti di questa dimensione fenomenologica del vissuto del
proprio corpo appartenente al nostro io e del corpo altrui che si qualifica come
persona corporea, con la quale stabiliamo un rapporto intenzionale. Un aspetto è
quello espressivo o manifestativo o corpo manifesto, come è principalmente il volto e
le sue espressioni, quali lo sguardo, il linguaggio e complessivamente gli
atteggiamenti significativi del corpo, delle mani, aspetti che si completano con gli
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abiti e il loro valore simbolico (corpo vestito). L’altro aspetto corrisponde a ciò che
potrebbe chiamarsi il corpo volontario, il quale consiste nella disponibilità che
abbiamo di muovere il corpo come vogliamo sia per comunicarci, sia per recepire
volontariamente i messaggi dell’ambiente, sia per azionare causalmente sulle cose del
mondo e per muoverci localmente nell’ambiente in cui viviamo.

Dietro il corpo fenomenologico e disponibile, sia pure passibile di debolezze e


disabilità anche a livello di coscienza, si trova il corpo fisiologico, controllato dal
cervello, un corpo che funziona a nostra insaputa, nonostante sia conoscibile
scientificamente. Nel suo complesso possiamo controllarlo volontariamente entro
certi limiti. Il corpo fisiologico resta abbastanza in ombra, o almeno non è il centro
della nostra attenzione, perché la sua funzione è di supporto materiale. Il cervello anzi
non compare affatto quando compiano operazioni psichiche ed è un bene che sia così.
Attiviamo il cervello quando pensiamo, ricordiamo, parliamo, senza avvertirlo, per
cui si comprende quanto tempo sia stato richiesto per scoprirne il ruolo causale
riguardo agli atti mentali. Eppure siamo anche in grado di muovere il corpo
volontariamente tramite comandi cerebrali che passano inosservati, così come
guardiamo con la vista oggetti senza essere coscienti della base neurale sottostante al
processo psicologico visivo.

Per comprendere la personalità degli altri non ci è di aiuto la conoscenza dello


stato del loro cervello, anche se questa conoscenza potrebbe spiegarci alcuni aspetti
del loro modo di essere e di agire. La persona dell’altro si comprende nella misura in
cui si manifesta attraverso il suo corpo fenomenologico ed è così come possiamo
interagire personalmente con l’altro. È ovvio dunque che il cervello sta al servizio di
queste funzioni antropologiche. Senza il corpo personale –lo sguardo, la bocca, il
sorriso, le mani, l’andatura– un cervello isolato sarebbe mostruoso.

4. Architettura cerebrale

La conoscenza scientifica del cervello, presa complessivamente, è una guida per


capirne meglio la funzione in rapporto all’agire personale. Il cervello è un’entità
organica unitaria, con un’unità d’integrazione caratterizzata dalla complessità e da
una certa gerarchia funzionale e anche anatomica. Come organismo complesso
manifesta una configurazione funzionale unitaria nella cornice di una relativa
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modularità, più evidente negli strati di base e più flessibile e adattabile negli strati
superiori. La sua complessità biologica comprende un funzionamento a rete capace di
auto-organizzarsi a diversi livelli con una notevole flessibilità. Tale flessibilità,
ovviamente non assoluta, equivale alla sua plasticità biologica, base
dell’apprendimento e della memoria, anche se è pure la condizione delle sue possibili
disfunzioni e patologie.

L’estrema complessità del cervello costituisce la base materiale che consente il


suo continuo lavoro di integrazione a diverse riprese. Il cervello integra il corpo e
integra se stesso, pur nelle sue divisioni (lateralizzazione, pluralità di livelli che
partono dal tronco e arrivano alla neocorteccia, aree e circuiti).

Queste caratteristiche, direi passando a un piano più filosofico, fanno del


cervello un organo aperto o pluripotenziale, non super-specializzato, anzi
relativamente indeterminato e capace di conseguenza di specializzarsi fino a un certo
punto nel suo continuo dinamismo, finché la malattia o l’invecchiamento non lo
fermano o ne riducono le potenzialità. Vorrei insistere su questo punto: il cervello non
è un organo finito perché è massimamente potenziale. È un organo complessissimo,
un sistema dinamico adattativo sempre auto-organizzantesi dotato di innumerevoli
potenzialità che restano sempre aperte e che quindi mai arrivano ad un compimento
chiuso. Da qui nasce la singolarità del cervello di ogni individuo, coestensiva con la
ricchezza delle sue esperienze e dell’ambito di tutto ciò che ha imparato o può
imparare ancora, auto-correggendosi.

Le caratteristiche biologiche appena indicate dimostrano fino a che punto il


cervello riunisce delle note in apparenza opposte, come sono l’unità e la molteplicità,
il determinismo e l’indeterminazione, il centralismo e la decentralizzazione, la
specializzazione e la de-specializzazione, il funzionamento a rete e la gerarchia. È
notevole il fatto che non ci sia nessuna regione cerebrale fissa deputata alla funzione
di rendere autocosciente l’io che noi siamo. La coscienza è distribuita in molte aree e
circuiti cerebrali. Inoltre non esiste un solo livello o forma di coscienza ma molte,
senza pregiudizio dell’identità personale. Tutto ciò è al servizio della funzione
specifica fondamentale del cervello, quella cioè di controllare –recepire, elaborare,
trasmettere– l’informazione utile per l’organismo continuamente in arrivo
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dall’ambiente, sempre nella cornice delle condizioni dettate dal codice genetico e
della conseguente evoluzione dell’organismo.

Il dinamismo cerebrale comprende, per di più, una forma complessissima di


causalità, non facile da inquadrare secondo gli schemi classici della fisica. È una
causalità reciproca degli elementi sistemici del cervello, con un elevato indice di
ottimizzazione che consente di svolgere funzioni più alte in un modo più semplice,
nella misura in cui si creano circuiti stabili che sono la base di ciò che in antropologia
potrebbero chiamarsi gli abiti, cioè forme di memoria procedurale acquisite che
intervengono nel dinamismo causale e che così lo rendono più funzionale e più
disponibile per successive integrazioni.

Questa prodigiosa architettura cerebrale ci consente adesso di porre una


domanda che forse sta al nucleo della filosofia del cervello: che tipo di organo è il
cervello? In che senso e al servizio di che cosa il cervello è “strumento” organico?
Qual è la causalità propria del cervello riguardo al comportamento umano preso nel
suo insieme?

5. Il cervello come organo e causa materiale complessa

Tradizionalmente si parla delle parti anatomiche o funzionali del cervello come


la sede degli atti mentali o psichici. Un altro termine spesso usato è quello di base
neurale o di correlato neurale. La cornice di questa terminologia è il dualismo tra atti
psichici ed atti neurali, forse nella forma più debole di dualismo delle proprietà (non
della sostanza). Tale dualismo giustifica altresì il concetto di sopravvenienza cioè di
covarianza o di corrispondenza tra i due livelli, quello neurale e quello mentale. La
terminologia menzionata è congruente con la posizione dualista della filosofia della
mente e anche con quella parallelista, la quale non di rado è mantenuta anche tra
autori materialisti. Essa potrebbe essere filosoficamente neutra se venisse usata come
un modo di parlare senza implicazioni ontologiche.

Per una visione filosofica non dualista, mi sembra più utile la terminologia
aristotelica di organo. La nozione di organo suggerisce una causalità intrinseca
unitaria e nello stesso tempo materiale. Presuppone cioè la distinzione tra una base
materiale deputata all’esecuzione di un compito di cui è anche responsabile un’istanza
dinamica e formale più alta. È in questo senso come possiamo dire che gli occhi sono
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l’organo della vista e che il cervello, in generale, è organo di funzioni diverse sulle
quali adesso vorrei riflettere. Il carattere organico, pur derivando da una causalità
strumentale che potrebbe essere estrinseca, oggi connota piuttosto un’unità funzionale
intrinseca nel quadro di una divisione del lavoro. È un termine dal significato
biologico, anche se è stato trasferito al piano sociale e giuridico. Nella filosofia
aristotelica esso si potrebbe vedere legato all’ilemorfismo applicato
all’interpretazione dei fenomeni vitali. L’organo compie una funzione apportando una
causalità intrinseca di tipo materiale. La compie in subordinazione a ciò di cui è
organo, dove risiede la causalità principale. Il risultato quindi è dovuto sia all’influsso
dell’organo sia a quello di ciò che guida l’organo. Nel quadro dell’ilemorfismo,
tuttavia, la guida formale, essendo intrinseca, non si pone come un’attività diversa da
quella organica, bensì come l’aspetto formale dinamico di un’unica causalità
materiale-formale.

Non ritengo che quanto ho detto possa risolvere facilmente i noti problemi del
rapporto “mente/corpo”, “mente/cervello”. L’unica cosa che qui intendo suggerire è la
convenienza di vedere il cervello come l’organo delle attività vitali e psichiche della
persona e non semplicemente come sede o correlato. Peraltro, spesso si dice che il
cervello visto materialmente sarebbe come l’hardware di un software che sarebbe la
mente. Questa, però, è soltanto una metafora, perché il cervello non è un computer. Il
cervello processa informazione in un quadro vitale immanente, non al modo di una
macchina informatica che soltanto offre dei risultati ma non compie vere operazioni
vitali.

Nella riflessione storica sul rapporto mente/corpo è frequente il ricorso alle


metafore. L’anima o la mente è stata paragonata al cocchiere o al timoniere (Platone),
al citarista (Aristotele), al governo di una città (di nuovo Platone), all’idraulico
(Cartesio), al programma di un computer (funzionalismo computazionale), a una
società di agenzie (Minsky), a un gruppo di memi (Dennett). Queste due ultime
metafore perdono l’unità dell’io, il quale non sarebbe altro che la creazione fittizia,
operata dal cervello, di una sorta di unità risultante da una convergenza o da una
concorrenza darwiniana tra diverse istanze, come se ciascuna fosse una piccola mente
o un homunculus.
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La sola menzione di queste metafore, dietro le quali si celano le svariate


posizioni della filosofia della mente –dualismo, funzionalismo, monismo, ecc.–
dimostra la difficoltà filosofica di comprendere la funzione e precisa causalità dei
processi cerebrali e del cervello nel suo insieme nei confronti delle funzioni cognitive
ed affettive delle persone (anche degli animali) e dei loro comportamenti.

Per questo motivo, seguendo un’ispirazione aristotelica, mi sembra più


opportuno impostare la tematica presentata intorno alla nozione di causalità organica
complessa. Di conseguenza, almeno in un primo approccio che naturalmente non
risolve tutto, il cervello, in unione con la totalità del corpo e nella sua complessità, si
potrebbe vedere come l’organo primario –in quanto organizzatore e integratore– del
corpo personale.

6. Il cervello come organo di funzioni vegetative, sensitive e personali

In un primo livello, il cervello, come abbiamo detto, è organo di controllo


dell’informazione che serve da sostegno alle funzioni vegetative fondamentali che
consentono il mantenimento in vita dell’organismo. Se consideriamo l’organismo
come un corpo vivente che si auto-organizza, cresce, si mantiene e si riproduce, il
cervello svolge la funzione primaria che Aristotele assegna all’anima come principio
attivo vegetativo, responsabile anche dell’identità specifica e individuale del vivente,
anche della persona umana corporea. Non credo che il cervello “vegetativo”, se
possiamo chiamarlo così in questa sua funzione, renda inutile l’esigenza di un
principio formale attivo “animante” (l’anima).

In un secondo livello, il cervello appare come organo della sensibilità emergente


nella vita animale (e umana), la quale in un primo sotto-livello è riferita alla
condizione vegetativa del corpo (ad esempio sentire dolore per i danni dei tessuti,
sentire con piacere la nutrizione o la sessualità), mentre in un secondo sotto-livello vi
si aggiungono delle rappresentazioni e affetti relativi al rapporto intenzionale con
l’ambiente e in particolare con altri soggetti cognitivi.

Il cervello “sensitivo” dunque è quello in cui compare il fenomeno della


coscienza sensitiva del proprio corpo, cui si aggiungono le rappresentazioni che
“oggettivizzano” il mondo circondante per così consentire il comportamento animale
significativo nell’ambiente. L’insieme di queste rappresentazioni è spesso detto
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“mente”, o “vita psichica”. Ma la mente sensitiva e l’organismo non sono due


sostanze, bensì una sola realtà duale da cui promanano le operazioni sensitive (vedere,
percepire, provare emozioni), operazioni del cervello sensitivo preso, di conseguenza,
nell’unità di un organo materiale formalizzato dalla sensibilità e dalla coscienza
sensitiva, da cui risulta l’unità soggettiva individuale animale. Il principio animante
adesso risulta essere anche un principio di sensibilità. L’identità del soggetto quindi
ha due aspetti: una è l’identità vivente, che può funzionare anche in assenza di
attivazioni sensoriali e che si perde soltanto con la morte, la quale è un fenomeno
vegetativo; l’altra è l’identità “fenomenologica” del soggetto che sente se stesso,
un’identità che diventa più ampia man mano la vita psichica è più ricca.

Il terzo livello corrisponde alla razionalità, all’autocoscienza umana e alla


libertà del volere e dell’agire. Questo livello è pure “cerebralizzato” tramite il
rapporto con le attivazioni della sensibilità (altrimenti rimarrà solo potenziale, senza
sviluppo). È possibile argomentare la trascendenza sull’organicità del livello
razionale, il che è comunque compatibile con il fatto che esso sia pure essenzialmente
radicato nel cervello, come si può concludere dall’esperienza neurobiologica. Il
cervello sarebbe, allora, un organo della persona, ma a un titolo diverso per quanto
riguarda l’attività intellettuale e spirituale dell’uomo (sarebbe un organo non
proporzionato, ma essenziale). Con queste precisazioni intendo evitare sia il dualismo
sia il monismo materialista.

Il tema di queste mie riflessioni era il ruolo del cervello nella persona umana.
La risposta breve a questa domanda è che il cervello, in unione con tutto il corpo, è
organo o causa materiale complessiva della persona umana vivente. Si deve però
ricordare che nella persona esistono dei livelli, almeno quello vegetativo, quello
sensitivo e quello razionale. Essi si sovrappongono e sono naturalmente integrati,
eppure mantengono una loro autonomia relativa. Quindi la morte del cervello come
organo vegetativo determina la morte personale. Invece il cervello sensitivo e
razionale costituiscono la base organica che consente l’emergenza del corpo
fenomenologico e auto-cosciente, cioè l’io, o forse, detto meglio all’inversa, consente
l’emergenza di un io personale autocosciente di cui il corpo proprio è parte integrante,
e che si manifesta solo in parte come corpo volontario ed espressivo. La base
sottostante non è cosciente e agisce a titolo di causa materiale. Questa causalità
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materiale d’una parte consente la messa in atto delle operazioni coscienti dell’uomo.
Ma ad un livello fisico più profondo, al di sotto delle proprietà e capacità intenzionali,
la base organica cerebrale, come ho detto in precedenza, sostiene fisiologicamente la
permanenza in vita del soggetto personale e ne determina la morte quando il suo
funzionamento cessa.

Tradizionalmente, nella filosofia di Tommaso d’Aquino, si sostiene l’unità


sostanziale tra anima e corpo. Quanto ho cercato di illustrare in queste pagine
evidenzia il ruolo del cervello come causa materiale dinamica nel complesso delle
diverse attività umane cognitive, affettive e comportamentali.

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