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1. Introduzione
Una breve presentazione storica del problema sarà illustrativa riguardo alla
problematica che intendo presentare. Nella visione classica aristotelica l’uomo era
concepito come costituito da corpo ed anima. L’anima era il principio formale
primario che spiegava la totalità funzionale del corpo organico, una totalità
fisiologica e sensitiva, mentre allo stesso tempo conteneva un principio superiore,
l’intelletto o la ragione, intravvisto come qualcosa che oltrepassava la funzione di
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rendere organico il corpo. L’individuo umano, nella sua unità “ipostatica” irripetibile
sarà qualificato come persona dalla tradizione cristiana (persona essenzialmente
corporea).
Nell’antica medicina ben presto si scoprì l’importanza primaria del cervello nel
quadro di una visione gerarchica del corpo, dove alcuni membri sono funzionali ad
altri, mentre due di essi, cuore e cervello, apparivano come fondamentali. Il cuore lo
era in relazione al mantenimento della vita e anche in rapporto all’affettività e
all’amore. Così in certe antiche teorie mediche cardiocentriche, cui apparteneva lo
stesso Aristotele, un punto da cui proviene, peraltro, la semantica antropologica del
termine cuore (si pensi ad espressioni quali cordiale, con tutto il cuore, Cuore di
Cristo, ecc.). Nella medicina encefalocentrica (Ippocrate, i medici alessandrini,
Galeno) divenne chiara la funzione del cervello come sede delle funzioni cognitive
(sensibilità, immaginazione, memoria, estimativa, razionalità pratica o cogitativa; così
pure in Tommaso d’Aquino e tanti altri).
Se vogliamo fare una filosofia del cervello rilevante per l’antropologia conviene
distinguere tra ciò che chiamerei il corpo fenomenologico, cioè il corpo umano
vissuto, accessibile alla nostra esperienza, e il corpo fisiologico sottostante, che rende
possibile le operazioni corporee vissute. Così si può stabilire anche un rapporto tra la
fenomenologia come parte della filosofia e la visione scientifica del cervello. Non
sono naturalmente “due” corpi, bensì uno solo visto da due dimensioni diverse, anche
se la seconda è in funzione della prima. Il corpo fenomenologico è ciò che appare a
noi nell’esperienza di avere a disposizione il corpo proprio ed è anche quello che si
rende manifesto nell’incontro con le altre persone.
Due sono gli aspetti di questa dimensione fenomenologica del vissuto del
proprio corpo appartenente al nostro io e del corpo altrui che si qualifica come
persona corporea, con la quale stabiliamo un rapporto intenzionale. Un aspetto è
quello espressivo o manifestativo o corpo manifesto, come è principalmente il volto e
le sue espressioni, quali lo sguardo, il linguaggio e complessivamente gli
atteggiamenti significativi del corpo, delle mani, aspetti che si completano con gli
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abiti e il loro valore simbolico (corpo vestito). L’altro aspetto corrisponde a ciò che
potrebbe chiamarsi il corpo volontario, il quale consiste nella disponibilità che
abbiamo di muovere il corpo come vogliamo sia per comunicarci, sia per recepire
volontariamente i messaggi dell’ambiente, sia per azionare causalmente sulle cose del
mondo e per muoverci localmente nell’ambiente in cui viviamo.
4. Architettura cerebrale
modularità, più evidente negli strati di base e più flessibile e adattabile negli strati
superiori. La sua complessità biologica comprende un funzionamento a rete capace di
auto-organizzarsi a diversi livelli con una notevole flessibilità. Tale flessibilità,
ovviamente non assoluta, equivale alla sua plasticità biologica, base
dell’apprendimento e della memoria, anche se è pure la condizione delle sue possibili
disfunzioni e patologie.
dall’ambiente, sempre nella cornice delle condizioni dettate dal codice genetico e
della conseguente evoluzione dell’organismo.
Per una visione filosofica non dualista, mi sembra più utile la terminologia
aristotelica di organo. La nozione di organo suggerisce una causalità intrinseca
unitaria e nello stesso tempo materiale. Presuppone cioè la distinzione tra una base
materiale deputata all’esecuzione di un compito di cui è anche responsabile un’istanza
dinamica e formale più alta. È in questo senso come possiamo dire che gli occhi sono
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l’organo della vista e che il cervello, in generale, è organo di funzioni diverse sulle
quali adesso vorrei riflettere. Il carattere organico, pur derivando da una causalità
strumentale che potrebbe essere estrinseca, oggi connota piuttosto un’unità funzionale
intrinseca nel quadro di una divisione del lavoro. È un termine dal significato
biologico, anche se è stato trasferito al piano sociale e giuridico. Nella filosofia
aristotelica esso si potrebbe vedere legato all’ilemorfismo applicato
all’interpretazione dei fenomeni vitali. L’organo compie una funzione apportando una
causalità intrinseca di tipo materiale. La compie in subordinazione a ciò di cui è
organo, dove risiede la causalità principale. Il risultato quindi è dovuto sia all’influsso
dell’organo sia a quello di ciò che guida l’organo. Nel quadro dell’ilemorfismo,
tuttavia, la guida formale, essendo intrinseca, non si pone come un’attività diversa da
quella organica, bensì come l’aspetto formale dinamico di un’unica causalità
materiale-formale.
Non ritengo che quanto ho detto possa risolvere facilmente i noti problemi del
rapporto “mente/corpo”, “mente/cervello”. L’unica cosa che qui intendo suggerire è la
convenienza di vedere il cervello come l’organo delle attività vitali e psichiche della
persona e non semplicemente come sede o correlato. Peraltro, spesso si dice che il
cervello visto materialmente sarebbe come l’hardware di un software che sarebbe la
mente. Questa, però, è soltanto una metafora, perché il cervello non è un computer. Il
cervello processa informazione in un quadro vitale immanente, non al modo di una
macchina informatica che soltanto offre dei risultati ma non compie vere operazioni
vitali.
Il tema di queste mie riflessioni era il ruolo del cervello nella persona umana.
La risposta breve a questa domanda è che il cervello, in unione con tutto il corpo, è
organo o causa materiale complessiva della persona umana vivente. Si deve però
ricordare che nella persona esistono dei livelli, almeno quello vegetativo, quello
sensitivo e quello razionale. Essi si sovrappongono e sono naturalmente integrati,
eppure mantengono una loro autonomia relativa. Quindi la morte del cervello come
organo vegetativo determina la morte personale. Invece il cervello sensitivo e
razionale costituiscono la base organica che consente l’emergenza del corpo
fenomenologico e auto-cosciente, cioè l’io, o forse, detto meglio all’inversa, consente
l’emergenza di un io personale autocosciente di cui il corpo proprio è parte integrante,
e che si manifesta solo in parte come corpo volontario ed espressivo. La base
sottostante non è cosciente e agisce a titolo di causa materiale. Questa causalità
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materiale d’una parte consente la messa in atto delle operazioni coscienti dell’uomo.
Ma ad un livello fisico più profondo, al di sotto delle proprietà e capacità intenzionali,
la base organica cerebrale, come ho detto in precedenza, sostiene fisiologicamente la
permanenza in vita del soggetto personale e ne determina la morte quando il suo
funzionamento cessa.