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ROMANELLI MATTEO
BIANCONI MARIA CONCETTA
L’ALCHIMIA
L’alchimia venne all’inizio praticata da Arabi e Bizantini a partire dal V secolo, passando
successivamente anche nell’Europa occidentale. Lo scopo dell’alchimista era la scoperta della pietra
filosofale, una fantomatica sostanza in grado di trasformare ogni materiale in oro. Ovviamente
l’alchimia non raggiunse mai il proprio scopo, ma fu molto importante per l’eredità che lasciò ai
futuri chimici, come la scoperta delle proprietà di molte sostanze o la messa a punto di nuovi
strumenti. Inoltre nell’alchimia si trovano anche le radici delle odierne farmacologia e fisiologia. L’alchimia entrò in
crisi con la formulazione da parte di Galileo Galilei del metodo scientifico sperimentale e poi viene considerata
conclusa con l’opera di Robert Boyle.
metalli e combustibili erano ricchi di questa sostanza dalle straordinarie proprietà: aveva peso negativo, era il principio
dell’infiammabilità, aveva la facoltà di uscire da un corpo per entrare in un altro. Stahl dunque spiegò con queste due
reazioni i fenomeni di combustione e calcinazione:
METALLO – FLOGISTO = CALCE (avendo il flogisto peso negativo, la calce pesa più del metallo)
CALCE + COMBUSTIBILE = METALLO + CENERE (il combustibile è ricco di flogisto, lo cede alla calce, che così
riduce il suo peso e diviene metallo)
La teoria di Stahl può sembrare oggi abbastanza astrusa, ancora figlia di una mentalità alchimistica, piuttosto che di
una ricerca scientifica, ma ebbe grande successo specialmente in Inghilterra e in Francia. Solo nel 1770 alcuni
iniziarono a mettere in dubbio la validità di quella che a tutti gli effetti è stata la prima teoria chimica di ampie
proporzioni, ma si dovrà attendere Lavoisier nel 1789, perché la teoria venga del tutto superata. Per assurdo, però, oggi
si può dire che la teoria del flogisto sia stata anche di qualche utilità per la chimica: infatti le frenetiche ricerche fatte dai
chimici per tentare di isolare il flogisto (che ovviamente non fu mai trovato) produssero una serie di scoperte accessorie,
che furono humus necessario per il lavoro di Lavoisier.
Georg Ernst Stahl non deve però essere ricordato solamente per la sua teoria del flogisto, ma anche per i suoi studi
sulla fermentazione, che in alcuni punti restano ancora oggi validi, e per quello sui sali di potassio. Inoltre fu il primo ad
osservare che gli acidi possono avere differenti gradazioni di forza. Fu anche eccellente medico, tanto da divenire
dottore personale di Federico Guglielmo I di Prussia.
LA CHIMICA PNEUMATICA
È necessario, prima di approfondire la nascita della chimica moderna grazie alle prime tre leggi ponderali di
Lavoisier, Proust e Dalton, accennare rapidamente alle ricerche sui gas che alcuni scienziati compirono nel XVIII sec.,
ottenendo risultati fondamentali per lo sviluppo della disciplina.
Fino al XVI secolo, l’unica sostanza aeriforme conosciuta era l’aria, ritenuta, secondo la teoria aristotelica degli
elementi, non un miscuglio ma una sostanza pura. Poi ci fu il fondamentale lavoro del fiammingo Jan Baptist van
Helmont, che scoprì l’anidride carbonica dalla combustione del legno e per primo usò il termine gas, adattamento
fonetico al fiammingo della parola greca chaos, che nella cultura classica indicava la caotica sostanza primordiale che,
una volta ordinata, dette vita al kosmos.
Ricordiamo ora altri importanti ricercatori: Henry Cavendish, inglese, personalità poliedrica che, nonostante le nobili
origini, condusse una vita semplice per amore della scienza. Ottenne notevoli risultati: nel 1766 scoprì l’idrogeno
tramite la reazione: Me acido sale H 2 e poi fu anche il primo, nel 1784, a sintetizzare l’acqua. Oltre a questo, è
ricordato anche come grande fisico in quanto riuscì a determinare con un geniale esperimento basato su una bilancia a
m1m2 3
torsione il valore della costante di gravitazione universale G contenuta nella formula di Newton F G ma
r2
soprattutto compì ricerche sui circuiti elettrici con straordinari risultati che gli consentirono tra l’altro di anticipare le
leggi di Ohm. Purtroppo la morte lo sorprese nel 1810, prima che i suoi risultati potessero essere completamente
pubblicati. Sarà lo scozzese Maxwell a riscoprire, alla fine del XIX° secolo le sue ricerche in maniera completa.
La scoperta dell’ossigeno è dovuta a Priestley e Scheele, che in maniera indipendente giunsero, contemporaneamente
allo stesso risultato. Joseph Priestley (1733-1804), non fu solamente chimico, ma anche filosofo e teologo, pur non
raggiungendo in questi ultimi due campi i livelli di eccellenza che lo contraddistinsero nella ricerca scientifica, alla
quale tuttavia si dedicò solo negli ultimi anni della sua vita, quando fu costretto a rifugiarsi, per motivi politici, negli
Stati Uniti, appena divenuti indipendenti, collaborando con illustri personaggi come Benjamin Franklin. Karl Wilhelm
Scheele nacque in un sobborgo di Göteborg nel 1742, in una famiglia di umili condizioni. Studiò per otto anni farmacia,
trasferendosi a 27 prima a Stoccolma e poi alla prestigiosa università di Uppsäla. A soli 35 anni però, decise di ritirarsi
dalla carriera accademica, rifiutando addirittura un’offerta dall’università di Berlino, per potersi dedicare in tranquillità,
nella piccola cittadina di Köping, ai suoi studi di chimica, che furono molto fecondi: scoprì l’ossigeno, il cloro, dimostrò
che la grafite è composta da carbonio, scoprì l’acido cianidrico (HCN), quello ossalico (H 2C2O4) e quello lattico. Ancora
oggi l’arsenito rameoso (Cu3AsO3) è conosciuto come verde di Scheele. Il farmacista svedese inoltre dà il suo nome
anche ad un minerale, la scheelite, dal quale per primo estrasse il tungsteno (W). Nel 1779 ottenne la glicerina. Morì nel
1786.
N m2
3
G 6,67 10 11
kg 2
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 3
Antoine Laurent de Lavoisier segna una svolta decisiva nella storia della chimica. Nato in una ricca famiglia
borghese parigina nel 1743, si dedica inizialmente agli studi umanistici, particolarmente s’interessa di giurisprudenza.
Ma già a vent’anni i suoi interessi si erano spostati nelle materie scientifiche: anatomia, chimica e botanica. A 25 anni
iniziò un’indagine meteorologica assieme ad altri ricercatori dell’Accademia delle scienze, che portò ad un radicale
cambiamento nelle tecniche agricole della Francia. Si dedicò al perfezionamento della bilancia, che diventò strumento
insostituibile delle sue ricerche. Nel 1787 pubblicò un’opera sulla riforma della nomenclatura e del simbolismo chimici.
Ma la sua pubblicazione fondamentale è di due anni dopo: Traité Elémentaire de Chimie, dove espone le sue teorie
antiflogistiche, ma soprattutto enuncia la prima legge ponderale, nota come legge di conservazione della massa: in una
reazione chimica la massa totale delle sostanze reagenti è uguale alla massa delle sostanze prodotte.4 Con questa
affermazione Lavoisier confuta una volta per tutte le teorie flogistiche di Stahl, dimostrando che in realtà le reazioni
prese in considerazione da Stahl si potevano spiegare facilmente considerando l’intervento dell’ossigeno. Morì nel
1794, ghigliottinato, vittima del periodo del terrore.
Da ciò deriva che l’atomo è definibile come una particella di materia che durante le reazioni chimiche mantiene la
propria identità.
Dalton però sbagliò su un punto, e cioè sulla spiegazione della differenza tra composti ed elementi: infatti ignorava
l’esistenza delle molecole e sostenne l’esistenza di atomi composti, di peso uguale alla somma degli atomi elementari
che lo compongono.
Non è un errore da poco, infatti Dalton se lo portò dietro anche nella fase successiva della sua ricerca: si propose
infatti l’ambizioso obiettivo di massare tutti gli atomi allora conosciuti. Non esistendo strumenti così accurati da
permettere un’esatta misura del peso atomico. Poiché misurare una grandezza significa confrontarla con un’ unità di
misura data, riuscì comunque a superare il problema, decidendo di non utilizzare come termine di paragone il
kilogrammo ma la massa dell’atomo che entrava nei rapporti ponderali sempre con il numero minore e cioè l’H, che
divenne l’u.m.a. (unità di massa atomica) 8. Un atomo di H pesava 1 u. Gli altri atomi venivano massati in relazione
all’H. Il problema giunse quando si arrivò all’O. Nell’acqua il rapporto tra H e O era di 1:8, ma non conoscendo la
molecola (H2O) non si poteva escludere che l’atomo complesso di acqua fosse HO o addirittura HO 2. Ma Dalton
introdusse in maniera arbitraria (non empirica e dunque errata) il principio della massima semplicità: in assenza di
evidenze contrarie, si deve proporre la formula più semplice. Dunque l’acqua è HO e l’O ha massa 8u. Quest’errore
sarà corretto solo 50 anni dopo.
Dalton nella sua vita si occupò però anche di altro: fu eccellente meteorologo (e anzi in questa disciplina cominciò la
carriera), fisico (enunciò la legge della somma delle pressioni dei gas parziali) e si dedicò anche alla medicina,
studiando su sé stesso la malattia oggi nota come daltonismo. Morì a 78 anni nel 1844 nella sua città natale, Manchester.
del C? Esso si trova nel gruppo IVA della tavola periodica, e ciò gli garantisce caratteristiche favorevoli: - possibilità di
fare 4 legami; - possibilità di formare lunghe catene covalenti pure, anche con ramificazioni complesse; - un valore di
elettronegatività (2,1) tale da rendere covalenti (e poco polari) tutti i legami; - una stabilità dovute alla piccola
dimensione dell’atomo (77 pm) 13; - la possibilità di formare molecole isomere, cioè con stessa formula grezza 14 ma
diversa struttura. Dal 1828 dunque nasce la chimica del C su basi scientifiche. Vari studiosi hanno contribuito al suo
sviluppo, ma in particolare dobbiamo ricordare Friedrich August Kekulé von Stradonitz, professore di chimica prima
a Gand, in Belgio e poi a Bonn, nato a Darmstadt, in Germania nel 1829 e morto nel 1896. Egli è stato colui che ha
permesso di trovare ordine in quella che lo stesso Wöhler definì, in una lettera a Berzelius del 1835: “una primitiva
foresta tropicale […] dalla quale è impossibile districarsi e in cui è pauroso entrare”. Fu lui a teorizzare la tetravalenza
del C15 e a comprendere l’importanza di ideare una scrittura che evidenziasse anche la struttura delle molecole. Fu così
che nacquero le fondamentali formule di struttura. Kekulé stesso cercò di ricavarne il maggior numero possibile: nel
1867 ricavò il tetraedro del metano, ancora prima, nel 1862, scoprì i primi composti a catena ciclica e nel 1865 ricavò la
formula di struttura di quello più importante, il benzene (C6H6). Esso era stato scoperto nel 1825, ma fu Kekulé a
comprendere che esso aveva forma esagonale con tre legami semplici e tre doppi, non localizzabili precisamente, ma
delocalizzati (oggi sappiamo che tale fenomeno è causato da un’ibridazione laterali tra sei orbitali py). Sessant’anni
prima della VB, davvero una felice intuizione! Ma Kekulé deve molto al suo maestro, il barone Justus von Liebig
(1803-1873), di cui era concittadino. Egli fu il primo ad introdurre nelle facoltà scientifiche all’Università le lezioni in
laboratorio. Fu lui a scoprire il concetto di isomeria e, assieme a Wöhler, quello di radicale, ossia un gruppo di atomi
che può trasferirsi in blocco da un composto ad un altro durante una reazione. Nel 1831 isolò il titanio, poi sintetizzò il
cloroformio. Fu il primo a tentare una teoria sugli acidi, definiti composti in cui l’H è sostituibile con un metallo.
Pubblicò anche una rivoluzionaria teoria sugli alimenti, che suddivise in grassi, carboidrati e proteine secondo la loro
funzione. Fece scalpore la sua teoria secondo cui il calore animale deriva dalla combustione degli alimenti. Nell’ultima
fase della vita si occupo di chimica quotidiana, studiando il funzionamento dei concimi, le proprietà chimiche del vino e
quelle della carne.
Nell’ultimo secolo la chimica organica ha trovato applicazione specialmente in due settori:
quello industriale, soprattutto grazie allo studio delle reazioni di polimerizzazione, e quello
medico, grazie allo sviluppo della biochimica e lo studio della struttura delle molecole
necessarie alla vita più complesse. Per quanto riguarda il primo campo, dobbiamo ricordale
l’opera di Giulio Natta, nato ad Imperia nel 1903, professore presso il Politecnico di Milano,
vincitore del premio Nobel per la Chimica nel 1963. Egli partì dallo studio dei polimeri 16,
notando come fosse possibile produrli facendo reagire numerose volte tra loro molecole di
alcheni17. Notò poi che utilizzando alcuni catalizzatori organometallici18 combinati con metalli
di transizione come Ti o V, si ottenevano reazioni a catena che permettevano in maniera rapidissima la formazione di
lunghe catene polimerizzate. Oltre alla velocità, c’era poi un altro vantaggio forse ancora più importante: le molecole
ottenute dal prof. Natta erano altamente cristallizzabili, dunque eccezionalmente più stabili di polimeri a struttura
irregolare che erano quanto di meglio fin lì si era riusciti a produrre artificialmente. Questa scoperta ebbe ripercussioni
fondamentali nel mondo dell’industria: ancora oggi questa tecnica viene utilizzata per produrre materiali divenuti ormai
indispensabili come la plastica19.
Nel campo biochimico, nel corso del XX secolo si è cercato di ricostruire la struttura delle molecole
dei viventi, consci del fatto che da questa poi deriva la loro funzione. Un ruolo fondamentale
ricoprono in questo ambito le ricerche di Emil Fischer, professore bavarese Nobel per la Chimica nel
1902. Egli in gioventù aveva determinato la struttura di molecole complesse come la caffeina, ma i
risultati principali li ottenne studiando la sintesi proteica. In particolare, è considerato il padre della
chimica degli enzimi. Riuscì infatti ad identificarne un gran numero e fu il primo a definirne la
funzione. Partendo dai suoi studi, negli ultimi anni, i ricercatori sono riusciti a definire le differenze
tra le reazioni chimiche che avvengono in un essere vivente e quelle di laboratorio: 1) le reazioni
biochimiche si verificano a temperature relativamente basse20 e sono in genere abbastanza veloci. Ciò
13
1 picometro (pm) = 10-12 m
14
Il modo più semplice per descrivere un composto, che enuncia solo le specie chimiche coinvolte in esso.
15
Vale a dire la capacità del carbonio di formare contemporaneamente 4 legami covalenti
16
Grosse molecole organiche, a elevata massa molecolare, ottenute combinando tra loro piccole molecole, dette monomeri, che ne costituiscono le
unità fondamentali
17
Gli alcheni sono idrocarburi caratterizzati dalla presenza di un legame doppio nella catena di C
18
Molecole composte da un metallo e da un radicale organico, scoperte negli USA nel 1953-54
19
In particolare il prof. Natta vinse il Nobel per aver sintetizzato con tale procedimento il politene, con cui ancora oggi vengono prodotte le
bottiglie per l’acqua minerale.
20
Nell’uomo circa 37° C
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 6
avviene grazie alla presenza di speciali catalizzatori, gli enzimi appunto, dotati di alta specificità 21; 2) Quasi tutte le
sostanze che costituiscono le cellule sono complesse macromolecole (poliosi22, proteine, acidi nucleici, acidi grassi
ecc.); 3) Uno stesso composto può subire trasformazioni diverse a seconda dei casi, a causa della variazione delle
condizioni chimico-fisiche della cellula che permettono l’attivazione di enzimi diversi.
Negli ultimi anni, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i biochimici si sono dedicati allo studio delle più complesse
molecole organiche: gli acidi nucleici (DNA e RNA). Una pietra miliare nella ricerca è senza dubbio la scoperta del
modello a doppia elica del DNA da parte di James Watson e Francis Crick, nel 1953, che ha aperto la strada allo
studio dei meccanismi dell’ereditarietà biologica. Non c’è dubbio che oggi sia questo il campo su cui si stanno
concentrando gli sforzi dei ricercatori.
21
Ogni enzima è attivo per una sola reazione chimica
22
Cioè zuccheri polimerizzati
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 7
quantità di sostanza di massa in grammi pari alla sua massa molecolare (o atomica) relativa (cioè calcolata rispetto alla
u.m.a.).
23
Mr = Massa molecolare relativa; Ar = massa atomica relativa. Relative perché misurate rispetto all’u.m.a. e non al kg.
24
Il calore specifico è la quantità di calore necessaria per aumentare di 1° C la temperatura di 1 kg di una determinata sostanza
25
da I. Asimov, “Breve storia della chimica”, Ed. Zanichelli
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 8
elementi con stesse proprietà nel medesimo gruppo, Mendeleev dovette però lasciare dei buchi, che se il suo sistema si
fosse rivelato corretto, sarebbero dovuti essere occupati da elementi ancora non scoperti. Così quando furono isolati il
gallio, lo scandio e il germanio si vide che andavano a collocarsi nel posto lasciato libero per gli atomi di quelle
caratteristiche. La scoperta del cesio da parte di Bunsen26 e Kirchhoff27 fu la prova definitiva che sancì la validità del
sistema periodico di Mendeleev. La compilazione permise anche di risolvere un problema incontrato dal professore
russo: ad un certo punto dovette invertire le posizioni di tellurio Te e iodio I e di cobalto Co e nichel Ni mettendo prima
il più pesante, per inserire l’elemento nel gruppo che possedeva le sue stesse proprietà chimiche. Mendeleev però non
seppe dare una spiegazione a questa “eccezione”, che in realtà non era tale, perché, come spiegò il fisico inglese
Moseley: “Le proprietà degli elementi sono una funzione periodica del loro numero atomico Z”, cioè del numero dei
protoni, che nel frattempo erano stati scoperti.
Mendeleev continuò ad insegnare fino alla morte sopraggiunta a S. Pietroburgo nel 1907. In suo onore l’elemento con
Z=101, realizzato artificialmente nel 1957 con una reazione nucleare, è stato ribattezzato mendelevio. A pochi altri, cioè
Curie, Fermi, Einstein e Nobel, è toccato questo onore.28
4. eventuale presenza di catalizzatori (come MnSO 4, solfato manganoso, oppure gli enzimi del corpo umano) che
velocizzano la reazione
5. una maggiore superficie laterale dei reagenti, a parità di volume, fa aumentare v.
Nel 1918 il chimico americano William Lewis riassunse tali risultati in quella che è nota come teoria delle collisioni.
Infatti egli comprese che la reazione chimica avviene tramite una serie di collisioni tra le molecole dei reagenti. Tuttavia
gli urti devono essere efficaci, cioè capaci di determinare la rottura dei precedenti legami, rendendone possibile la
formazione di nuovi, con il variare la posizione iniziale degli atomi. L’efficacia degli urti è dovuta alla geometria della
collisione e dall’energia cinetica delle particelle. Poiché l’energia cinetica è direttamente proporzionale alla temperatura,
si spiega l’influenza della temperatura. Si capisce anche l’importanza della concentrazione e della superficie laterale:
rendono più probabili gli urti efficaci34.
Fino a qui abbiamo analizzato però reazioni complete ed irreversibili, vale a dire che trasformano tutti i reagenti in
prodotti, senza che sia possibile la reazione inversa 35. Tuttavia in natura le reazioni più numerose sono proprio quelle
incomplete e che dunque ammettono una reazione inversa che avviene contemporaneamente a quella diretta.
Empiricamente si osserva che all’inizio la velocità della reazione diretta è massima e quella inversa è minima. Se la
temperatura rimane costante le due velocità tendono sempre più allo stesso valore, fino a pareggiarsi ad un tempo
caratteristico per ogni reazione. Il chimico norvegese Peter Waage, docente di chimica all’Università di Oslo, nel 1868
enunciò pertanto la cosiddetta legge dell’azione di massa: ad una data T costante il rapporto tra le due velocità è
costante. Il suo collega di matematica applicata presso la stesso ateneo, Cato Guldberg, noto anche per studi sui moti
convettivi dell’atmosfera, si occupò della sua formulazione quantitativa: introdusse una costante K c, pari a al rapporto
tra le costanti cinetiche delle due reazioni diretta e inversa e la definì, per una reazione generica aA bB cC dD ,
così: K c
C c D d . Pertanto tale legge oggi è nota anche con il nome di legge di Guldberg-Waage.
A a B b
L’ultimo contributo fu quello del francese Henri Louis Le Chatelier. Il suo principio analizza infatti cosa avviene
quando viene turbato l’equilibrio raggiunto secondo la legge dell’azione di massa. In particolare esso afferma che
l’equilibrio si sposta verso la reazione che tende a contrastare il disturbo apportato. Ad esempio, se aumenta la
pressione, l’equilibrio si sposta verso la reazione che provoca una diminuzione del volume. Esso non è altro che la
lettura chimica del principio generale della fisica secondo cui in natura ciascun sistema tende spontaneamente
all’equilibrio.
L’ESPLORAZIONE DELL’ATOMO
Apparve chiaro che all’interno dell’atomo, in qualche modo, si dovesse trovare la spiegazione alla presenza di queste
cariche. Per fare ciò si inizio ad utilizzare un particolare strumento chiamato tubo di Crookes, riempito di gas.
Solitamente la materia allo stato aeriforme non conduce corrente, ma nei gas a volte assistiamo a delle ionizzazioni
spontanee, dovute all’azione di fattori esterni, come ad esempio i raggi cosmici (ultravioletti, gamma ecc.). Se poi si
applicano elettrodi con elevato d.d.p. (10.000 V), si assiste ad una valanga ionica, che provoca la creazioni di molti altri
34
Da un punto di vista matematico, si dimostrò che il termine A che compare nella formula della costante chimica di Arrhenius, è in realtà il
prodotto di , chiamato fattore sterico, cioè la probabilità che un urto, una volta avvenuto, sia efficace (varia da molecola a molecola a seconda
della struttura), e di un fattore Z, una funzione piuttosto complessa nella quale intervengono varie costanti (quella dei gas, il ecc.) e che dipende
linearmente dalla superficie laterale e sotto radice quadrata dalla temperatura.
35
Ne sono esempio le reazioni di combustione e di ossidazione
36
Famoso tra l’altro per aver formulato la prima teoria sul campo magnetico terrestre, secondo la quale esisteva all’interno del nostro pianeta una
gigantesca sbarra ferromagnetica
37
k= 8,99∙109 N∙m2/C2
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 10
ioni, detti secondari. Nel 1876 Goldstein osservò che, in particolari condizioni (d.d.p. 10.000 v, P 10 -6 atm), partivano
radiazioni giallo-verdi dal catodo (-) all’anodo (+), da lui chiamate raggi catodici. Quattro modifiche apportate al tubo
consentirono agli scienziati di comprendere meglio la natura di questi raggi. Per prima cosa si introduce nel tubo un
ostacolo. Questo consente di capire che i raggi si propagano in linea retta. Poi si applica un campo magnetico e si vede
che i raggi sono sensibili al magnetismo. Applicando invece un campo elettrico si osserva che i raggi sono carichi
positivamente. Nel 1891 così Stoney afferma che i raggi catodici non sono radiazioni ma particelle. Non ha però prove
empiriche. Una quarta modifica al tubo di Crookes consentirà di dimostrarlo. Si applica un mulinello all’interno del
tubo, realizzato in maniera da rendere minimo l’attrito. Il mulinello si muove. Dunque i raggi catodici hanno una
quantità di moto38, e dunque una massa. Sono dunque particelle.
L’ESPERIENZA DI MILLIKAN
Nel 1911 il 43enne fisico Robert Andrews Millikan, originario dell’Illinois, con un geniale esperimento ricava il
valore esatto della carica dell’elettrone, dimostrando allo stesso tempo come la carica sia una grandezza quantizzata,
cioè possa assumere solo valori discreti 40. L’apparato fondamentale dell’esperienza 41 è costituito da un condensatore
all’interno del quale sono spruzzate da un nebulizzatore alcune goccioline d’olio, fatte prima passare in un condotto che
le caricasse. In un primo momento non applico alcuna differenza di potenziale tra le due armature, in modo tale da non
avere campo elettrico. Pertanto il moto della gocciolina, una volta a regime, cioè stabilizzatosi su un valore costante,
sarà caratterizzato dall’equilibrio tra tre forze: la gravità, la spinta di Archimede e la resistenza dell’aria. La gravità è
4 3
mg, con la massa uguale a densità per volume: Fg r o g . La forza di Archimede sarà, per definizione,
3
4 3
Farch r a g . La resistenza dell’aria sarà, ancora per definizione, Fres 6ru0 Uguagliando a 0 la sommatoria
3
di questi tre vettori, che agiscono su un’unica direzione, possiamo ricavare il valore del raggio della gocciolina d’olio:
4 3 4 9u0
r o g r 3 a g 6ru0 0 r . Come si vede, si tratta di valori noti o comunque
3 3 2 o a g
facilmente misurabili. Se in un secondo momento applichiamo un campo elettrico, interverrà nel sistema una quarta
qV
forza, di natura elettrica, che avrà valore Fe q E (infatti V=Ed). Aggiungendo il valore di questa forza alla
d
sommatoria precedente, e sostituito u0 con u, dovrò ancora ottenere 0. A questo punto, conoscendo il valore del raggio,
d 4 3
possiamo ricavare la carica: q 6ru r o a g . Ogni esperimento dava sempre come risultato un
V 3
multiplo di 1,60∙10-19 C. Pertanto tale valore è la carica dell’elettrone, e non vi è carica in natura che non ne sia multiplo
intero.
38
La quantità di moto, che d’ora in poi indicheremo con p, è uguale al prodotto della massa per la velocità
39
Caratteristiche dell’elettrone: q= -1,60∙10-19 C; m=9,11∙10-31 kg.
40
Possiamo avere cioè solo cariche multiple intere di quella dell’elettrone: pertanto vi saranno cariche +3 e (per e si intende la carica dell’elettrone)
o -5e ma mai cariche +3,5e
41
Riportiamo la legenda dei simboli che useremo: r raggio della gocciolina, q carica gocciolina, d distanza armature condensatore, o densità olio
(800 kg/m3), a densità aria (1,2 kg/m3), viscosità dell'aria, g accelerazione di gravità (9,81 m/s2), V differenza di potenziale tra le armature, u0
velocità senza campo elettrico E, u velocità con campo elettrico. Si suppone sferica la gocciolina.
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 11
Millikan in seguito si dedicò a studi sull’equazione di Einstein e sulla fisica quantistica. Ottenne fra l’altro la prima
determinazione della costante di Planck. 42 Nel periodo bellico si occupò di strumentazioni militari, in particolare di
tecnologia sottomarina. Poi si dedicò, con ottimi risultati, allo studio dei raggi cosmici. Nel 1923 ricevette il Nobel per
la fisica. Morì a Pasadena, presso Los Angeles, nel 1953.
42
Il cui valore è h=6,63∙10-34 J∙s (d’ora in poi, se non chiaramente specificato, per h intenderemo tale valore)
43
Caratteristiche del protone: q= +1,60∙10-19 C; m=1,672∙10-27 kg.
44
Fenomeno che se oggi può apparire negativo, con il problema dell’eccessivo riscaldamento del pianeta (che tuttavia ha diverse concause e non
solo l’aumento delle immissioni umane di CO2) ma che in realtà è positivo, consentendo sulla Terra una temperatura adatta allo sviluppo della vita.
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 12
45
Nel 1795 la Polonia fu occupata e spartita tra Russia, Prussia ed Austria, a seguito di una crisi dinastica che dopo l’estinzione della dinastia
sassone al potere vide anche la destituzione del loro successore, il riformista di origini russe Poniatowski. Varsavia, dove era nata Marie Curie,
faceva in realtà parte della zona di occupazione prussiana, che tuttavia passò alla Russia dopo il Congresso di Vienna del 1815. La Polonia come
nazione indipendente fu ricostituita solo in seguito ai trattati di Versailles e St. Germain, alla fine della prima guerra mondiale.
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 13
riguardo il principio dell’entropia di Clausius46. Nel 1900 stava studiando, sempre in quest’ambito, il corpo nero. Con
questo termine si intende un corpo che assorbe tutta la radiazione incidente su di esso e, se portato all’incandescenza,
emette su tutte le frequenze dello spettro elettromagnetico 47.
Empiricamente, si realizzarono durante tutto l’Ottocento dei grafici, con la frequenza sull’asse delle scisse e
l’intensità dell’emissione su quello delle ordinate. Come risultato di vedeva che c’era una certa frequenza (e di
conseguenza una certa lunghezza d’onda) 48 , detta picco, a cui corrispondeva una intensità massima mentre ogni altra
frequenza aveva comunque un’intensità minore del picco ma diversa da 0. Il grafico aveva approssimativamente dunque
un aspetto a campana49. Si notò così che l’andamento dipendeva solo dalla temperatura del corpo e non dalla sua
composizione chimica o da altri fattori. Il già citato fisico Wien poté così ricavare la sua legge sul corpo nero:
Hz
f picco (5,88 1010 )T 50. Inoltre si vedeva che aumentando la temperatura aumentava l’area sottostante la curva e
K
dunque anche l’energia. Ludwig Stefan-Boltzmann notò che essa aumentava anche con l’aumento dell’area del corpo
nero. Pertanto enunciò la sua famosa legge: P AT 4 51.
Tali legge erano, come detto, empiriche. Da un punto di vista teorico invece c’erano seri problemi 52. Le leggi della
fisica newtoniana non erano infatti in grado di spiegare l’andamento dei grafici del corpo nero. Secondo queste infatti il
grafico avrebbe dovuto tendere all’infinito con una pendenza ripidissima, mentre alle alte frequenze essa tende a 0.
Questo problema fu definito perciò catastrofe ultravioletta. Planck per prima cosa riuscì a determinare una funzione
matematica che, rappresentata, desse come grafico la curva di emissione del corpo nero, che dunque in suo onore s’ora i
poi sarà chiamata curva di Planck. Ora però si doveva dare giustificazione fisica di questa funzione. L’unico modo per
spiegare ciò era assumere che l’energia fosse un multiplo intero del prodotto della frequenza per una costante che sarà
appunto chiamata costante di Planck, di valore h=6,63∙10-34 J∙s. Pertanto l’energia è quantizzata, potendo assumere solo
valori hf, 2hf, 3hf… La fisica classica, secondo cui invece poteva assumere qualsiasi valore era smentita. Tuttavia i
fisici, e Planck stesso, erano piuttosto scettici al riguardo: sembrava più un artificio matematico che una reale
rappresentazione della natura.
L’unico che pensava che tale teoria potesse essere valida fu un giovane fisico di nome Albert
Einstein. Egli, nato ad Ulm nel 1879, dovette a sedici anni emigrare con la famiglia a causa del
fallimento economico del padre, qui girovagò tra Milano, Pavia e Genova prima di emigrare di nuovo,
stavolta in Svizzera. Qui il giovane Albert potè studiare al Politecnico di Zurigo, dove si laureò nel 1900
in matematica e fisica. Nel 1902 accettò l’incarico di perito tecnico presso l’Ufficio brevetti. Gli anni dal
1902 al 1915 furono i più fecondi della sua vita di scienziato. In primo luogo pubblicò nel 1905 la sua
celebre teoria della relatività ristretta.53 Poi con l’applicazione del suo modello a fotoni all’effetto
fotoelettrico dette conferma della teoria di Planck. Nel 1911 riuscì a matematizzare il moto browniano 54, permettendo
Q
46
Secondo cui S , dove Q è il calore scambiato dal sistema e T la temperatura assoluta.
T
47
In natura non esistono corpi perfettamente neri, i quali sono dunque detti ideali, ma ne sono buona approssimazione corpi solidi e liquidi portati
all’incandescenza e gas ad alta T e P
48
Poiché v f
T
49
Tale definizione, data solo per facilitare la comprensione, non deve essere però presa alla lettera: in matematica il grafico a campana è tipico
x2
solamente della funzione gaussiana, di equazione
ye 2
2,89 10 3 m K
50
Ne esiste anche un’altra versione: picco , più utile per applicazioni, come l’astrofisica, dove si usa per calcolare la T
T
delle stelle, in cui si può ricavare più facilmente la
51
La potenza non è altro che energia fratto tempo; è la costante di Stefan-Boltzmann, di valore 5,67∙10 -8 W/(m2∙K4); in realtà tale formula è
applicabile a qualsiasi corpo aggiungendo una costante di emittività e, che per il corpo nero vale 1.
52
Solo oggi i fisici le hanno dimostrate anche in via teorica, rifacendosi proprio al lavoro di Plance. Il procedimento è molto complicato, ma per i
2 5 k 4 xk
lettori più curiosi forniamo i valori che così otteniamo per le due costanti: mentre per la legge di Wien C , dove x è la
15c 2 h3 h
radice dell’equazione trascendente 3 x e x 3 , risolvibile solo con i metodi di approssimazione numerica o per via grafica. k= 1,38•10 -23 J/K
(costante di Boltzmann)
53
la teoria si basa sul principio che le leggi fisiche devono essere le stesse per ogni sistema di riferimento inerziale e che la velocità della luce nel
vuoto è una costante ed è indipendente da quella della sorgente luminosa. Da questi postulati Einstein giunse a numerose concezioni del tutto
nuove che rivelarono i limiti della geometria euclidea, base della fisica classica. La conseguenza più importante, che ha favorito la scoperta e
l'utilizzazione dell'energia nucleare, fu quella dell'equivalenza tra massa ed energia espressa dalla celebre formula E= mc², dove E rappresenta
l'energia, m la massa e c la velocità della luce nel vuoto.
54
Il moto disordinato ed apparentemente casuale di particelle solide in sospensione in un liquido
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 14
così di calcolare il valore del numero di Avogadro. Ottenne cattedre prima a Praga e poi proprio a Zurigo. Nel 1915
pubblicò un ampliamento della sua teoria della relatività, nota con il nome di teoria della relatività generale55 . Tornò in
Germania per insegnare a Berlino, vinse il Nobel nel 1921, ma poi fu costretto a fuggire negli USA quando il nazismo
salì al potere. Era inviso ai nazionalsocialisti sia per le proprie origini ebraiche sia per le idee cosmopolite e pacifiste.
Assunse la cattedra di fisica a Princeton nel 1933, dove rimase fino alla morte nel 1955. Negli ultimi anni di vita si
allontanò dalla comunità scientifica internazionale, non riuscendo ad accettare l’idea di universo in espansione e quella
dell’incertezza della fisica quantistica.
Einstein fu il primo a pensare che la quantizzazione dell’energia potesse essere dovuta al fatto che la luce fosse
organizzata in “pacchetti” di energia, ciascuno dei quali aveva energia ricavabile dall’ipotesi di Planck 56. Secondo
Einstein, si poteva pensare alla luce come ad un fascio di particelle, ciascuna con un carico hf di energia. Aumentandone
l’intensità, aumenta il numero di fotoni. Così si spiega anche la curva di Planck: la frequenza di picco è quella alla quale
viene emesso il maggior numero di fotoni. La verifica sperimentale Einstein la ottenne così: fece colpire una superficie
di metallo da un raggio di luce incidente, provocando l’emissione di un elettrone. Per liberare un elettrone è necessario
una quantità di lavoro W0. Secondo la fisica classica, dunque, avremmo dovuto assistere ad un’emissione con qualsiasi
frequenza della luce, essendo sufficiente solamente che l’energia fosse superiore a W0 e l’elettrone avrebbe dovuto avere
energia cinetica pari alla differenza tra l’energia del fascio di luce e il W0: quindi ad una maggiore intensità
corrispondeva una maggiore K. Invece sperimentalmente si osservava che, indipendentemente dall’energia, l’emissione
W0
si aveva solamente se il fascio aveva una frequenza superiore ad un valore f 0 , mentre l’energia cinetica dipende
h
solo da f, un aumento di intensità provoca solo un aumento di elettroni emessi. Questo è considerata una verifica
sperimentale al modello a fotoni: infatti se la luce è un fascio di fotoni, aumentando l’intensità ne aumento solo il
numero, per aumentarne l’energia devo aumentarne la frequenza.
L’effetto Compton, dal nome del suo scopritore Arthut Holly Compton, ci mostra un’altra particolarissima
h
caratteristica dei fotoni: essi pur avendo massa 0, hanno una quantità di moto pari a . Tale valore si ricava
teoricamente applicando le equazioni della relatività ristretta e se ne ha verifica sperimentale, ed è ciò che fece
Compton, facendo scontrare un fotone ed un elettrone ed analizzando l’urto elastico che avviene tra i due.
L’ultima innovazione che dobbiamo qui ricordare è lo sviluppo della spettroscopia. Il primo spettro di emissione fu
ottenuto da Isaac Newton, quando con il prisma scompose la luce visibile. All’inizio del Novecento invece si usava la
spettroscopia per riconoscere i vari atomi. Ciascuno di essi infatti emette, se portato all’incandescenza, alcune righe
particolari, corrispondenti a determinate lunghezze d’onda, diversi da elemento a elemento. Fu proprio osservando nello
spettro del Sole57 alcune righe non note che nel 1868 Lockyer e Frankland scoprirono l’elio. Particolarmente
interessante era l’emissione dell’idrogeno, il quale emetteva nell’ultravioletto (serie di Lyman), nel visibile (serie di
Balmer, 4 righe viola, blu, verde mare, rosso) e nell’infrarosso (serie di Paschen) 58. Lo svizzero Johann Jakob Balmer
trovò anche, empiricamente, una formula che permetteva di prevedere la lunghezza d’onda delle righe di emissione
1 1 1
dell’H: R 2 2 , dove R è la costante di Rydberg 59 mentre n e n′ sono dei numeri naturali60. Tale strumento,
n' n
di vitale importanza in molti campi della scienza, come per esempio l’astrofisica, permise a Bohr di correggere il
modello di Rutherford, alla luce anche delle ultime scoperte della fisica, che lo scienziato neozelandese non aveva
considerato.
55
dove, in base al postulato dell'equivalenza fra tutti i sistemi inerziali e non inerziali, formulò una nuova teoria della gravitazione in cui il campo
gravitazionale generato da ogni corpo materiale è rappresentato come una modificazione delle proprietà geometriche dello spazio fisico. Come
conseguenza di ciò, la geometria euclidea risultò insufficiente a descrivere le leggi secondo le quali i corpi si comportano nello spazio: infatti, la
curvatura dello spazio, ipotizzata dalla teoria, induce a considerare la retta, il piano e le altre entità geometriche, il principio d'inerzia e le altre
leggi classiche della teoria newtoniana della gravitazione universale, come casi limite validi solo, con grandissima approssimazione, per lo spazio
del nostro sistema planetario. La formulazione matematica della teoria fu possibile, in quanto Einstein adottò la nuova matematica non euclidea
formulata da Riemann. La validità delle affermazioni contenute nella teoria della relatività generale fu confermata sperimentalmente dalla
rotazione delle ellissi delle orbite planetarie intorno al Sole (constatata per Mercurio); dal fenomeno dello spostamento verso il rosso delle righe
spettrali delle stelle; dalla curvatura dei raggi luminosi per effetto dei campi gravitazionali (constatata durante l'eclisse del 29 marzo 1919).
56
Il quale invece propose come spiegazione una particolare oscillazione degli atomi del corpo nero, simile a quella delle corde stazionarie
nell’ambito dell’acustica
57
Il quale tuttavia non è di emissione ma di assorbimento
58
Esistono anche una serie di emissioni alle bassissime frequenze, tra cui le più note sono quelle di Brackett e Pfund
59
R=1,097∙107 m-1
60
In particolare n′≥1 indica la serie della riga (per esempio Lyman è 1, Balmer 2 e così via) mentre n≥ n′+1 indica il numero della riga (per
esempio la riga rossa di Balmer vale 2+1=3)
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 15
primo livello il raggio ottenuto era di 5,29∙10 -11 m, perfettamente identico al valore che sarà poi misurato
sperimentalmente. Tuttavia ai tempi non c’erano strumenti tanto sofisticati da risolvere distanze così piccole, così non fu
possibile effettuare tale verifica. Bohr ne presentò però una molto convincente. Calcolò infatti l’energia meccanica
dell’elettrone, considerandola come somma di energia cinetica e potenziali, facilmente ricavabili con le leggi della fisica
2 2 mk 2e 4 1
classica. Ottenne il seguente risultato: En 2 . Anche qui si tratta di una serie di costanti. Se
h2 n
2 2 mk 2 e 4 1 1
considero ora 2 livelli energetici differenti, risulta chiaro che E E f Ei 2 2 . Tale energia,
h 2
n f ni
secondo il II postulato dovrà essere uguale all’energia dell’emissione elettromagnetica. Doveva dunque essere emesso
hc
un fotone con energia uguale al E. Sapendo che, secondo Planck, E hf posso sostituire tale valore. Se poi
1 2 2 mk 2 e 4 1 1
porto a secondo membro hc, allora ottengo: 2 2 . Il valore del primo fattore, formato solo da
n f ni
3
hc
costanti, è di R=1,097∙107 m-1. Dunque incredibilmente ho riottenuto l’equazione empirica di Balmer. Questa fu
considerata una formidabile dimostrazione della veridicità di tale modello, che ha avuto pure il merito storico non
indifferente di fungere da ponte tra la fisica classica di Newton e Maxwell e quella moderna.
L’ATOMO DI BOHR-SOMMERFELD
Anche il modello di Bohr però presentava dei difetti. Quando infatti cercò di espandere il suo
modello ad altri atomi (fu sufficiente aggiungere un fattore Z alla formula, indicante il numero
atomico), non ebbe problemi con l’He, ma incontrava incongruenze addirittura già considerando
il litio (Z=3). A risolverli pensò il suo amico e collaboratore Arnold Sommerfeld, che nel 1916
61
Anche il figlio Aage avrà quest’onore, nel 1975, per una teoria sull’organizzazione energetica dei nuclei atomici
62
Subendo quindi un’accelerazione centripeta
63
L=mvr (r è la distanza dall’asse di rotazione che, in questo caso, corrisponde al raggio dell’orbita)
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 16
propose delle correzioni che portarono ad un nuovo modello, chiamato appunto atomo di Bohr-Sommerfeld. Introdusse
altri numeri quantici: il numero l, da 0 a n-1, che indicava la forma dell’orbita e che serviva per correggere il momento
angolare e il numero m, da –l a +l, che indicava il suo orientamento, detto magnetico perché ricavato dallo studio delle
interazioni tra l’elettrone ed un campo magnetico esterno. Poi, nel 1924, un altro collaboratore di Bohr, lo svizzero
Wolfgang Pauli, introdusse un nuovo numero, detto magnetico, che identifica lo spin con cui ruota l’elettrone e stabilì
il principio di esclusione (in ogni orbita possono trovarsi solo due elettroni di spin opposto). Pauli sarà anche il primo a
sostenere l’esistenza del neutrino. Sommerfeld invece continuò le sue ricerche, perfezionando la diffrazione a raggi X
che poi nel 1953, tra le altre cose, servirà a Watson e Crick per scoprire la struttura a doppia elica del DNA. Mise
anche a punto una prima teoria delle bande per spiegare il legame metallico. Morì a Monaco nel 1951.
dimostrazione, che mette in dubbio le basi stesse della fisica newtoniana, che invece era basata sull’assoluto
determinismo delle sue leggi, è considerata l’atto di nascita della fisica quantistica, fondata invece sull’incertezza. Essa
si fonda sul dualismo onda-materia teorizzato da de Broglie.
Heisenberg partì dall’esperimento della diffrazione a singola fenditura di un fascio di elettroni. L’equazione che regola
66
questo fenomeno è sin . In questo caso possiamo conoscere la posizione dell’elettrone con
W
un’approssimazione di y W . Quando il fascio si sparpaglia si crea una quantità di moto py,, con relativa incertezza
p y . poiché è molto piccolo, possiamo approssimare sin 67 . Allora
. Applicando la trigonometria,
W
p y
vediamo che tan . Ma anche la tangente è approssimabile all’angolo per piccoli angoli. Quindi possiamo
px
p y h
uguagliare le due: . Ma dall’equazione di De Broglie ricaviamo p x e sapendo che y W abbiamo:
W px
p y
y h che con una semplice semplificazione diviene p y y h . Quindi il prodotto delle incertezze sulla
posizione e sulla quantità di moto è all’incirca uguale alla costante di Planck. Heisenberg, con una trattazione più
h
rigorosa ottenne la relazione più precisa. p y y . Tra l’altro il fisico tedesco dimostrò che tale relazione è un
2
principio generale del tutto indipendente dal sistema a singola fenditura utilizzato per la dimostrazione. È inoltre
interessante notare il fatto che se noi volessimo determinare con precisione assoluta uno dei due fattori, l’altro dovrebbe
tendere ad infinito, cioè l’errore sarebbe immenso. Anche questo ha valore importante per i sistemi microscopici, mentre
h
è del tutto trascurabile a livello macroscopico. È inoltre interessante notare come ricorra ancora il termine .
2
È chiaro a questo punto che il modello di Bohr debba essere completamente rivisto: parlare di orbite significa
sostenere di conoscere sempre con precisione ogni parametro dell’elettrone: velocità, posizione, energia… cosa che,
abbiamo visto, secondo Heisenberg è impossibile.
Si deve perciò cominciare a parlare di orbitali, i quali sono definiti zone di spazio nelle quali
ho almeno il 90% di possibilità di trovare l’elettrone. Per questi restano validi i 4 numeri
quantici introdotti da Sommerfeld, i quali indicano ancora livello energetico, forma,
orientamento e spin. Resta valido il principio di Pauli. Bisogna però trovare un modo
matematico per esprimerli
Chi arrivò a questo modello fu l’austriaco Erwin Schrödinger. Nato nel 1887 da una ricca
famiglia, compì studi umanistici ma decise poi di frequentare la facoltà di fisica all’Università
di Vienna. Nel 1914 fu costretto a partecipare alla prima guerra mondiale, combattendo sul
fronte italiano. Nel 1917 fu però richiamato in patria e poté così cominciare la carriera
accademica, prima in Austria, poi in Svizzera infine in Germania, finché nel 1926 assunse la
cattedra lasciata vacante da Planck a Berlino. L’ascesa di Hitler lo convinse a trasferirsi ad Oxford 68. Dopo
l’Anschluss69, Schrödinger fu esiliato come oppositore. Perciò si rifugiò a Dublino, dove rimase fino al 1957. Negli
ultimi 4 anni della propria vita tornò a Vienna. È importante anche per i suoi studi di biologia. Infatti è considerato il
padre della biologia molecolare: fu il primo a comprendere l’importanza di ricavare la struttura delle molecole
organiche ed il legame di questa con la loro funzione.
Ma il lavoro per cui è rimasto celebre è senza dubbio la funzione d’onda, con la quale riesce a descrivere il
comportamento dell’elettrone se lo intendiamo come un’onda di materia. Essa è considerata la base della meccanica
quantistica. L’equazione di Schrödinger ci permette di calcolare la probabilità che un elettrone si trovi in una data
posizione. Se consideriamo l’atomo di H e rappresentiamo tale funzione su un piano cartesiano con la posizione alle
ascisse e la probabilità alle ordinate, vediamo che essa presenta un massimo proprio a 5,29∙10 -11 m, come previsto anche
da Bohr. È per questo che il suo modello sembrava ben funzionare. Se invece rappresentiamo funzione in uno spazio
tridimensionale, disegnando delle nuvole di probabilità, esse ci rappresentano la forma tridimensionale degli orbitali.
66
Dove è la semiampiezza angolare della zona di massimo centrale e W la larghezza della fenditura
67
La relazione in particolare è valida per angoli minori di 22,5°
68
A suo merito, si deve precisare che Schrödinger non fu costretto a fuggire, fu lui che decise di andarsene perché aveva compreso la drammaticità
della situazione tedesca, a differenza di altri che, pur ideologicamente contrari ad Hitler, preferirono non palesare la loro avversione al regime ma
anzi, come Hiesenberg, accettarono cariche ufficiali.
69
L’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista nel 1938
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 18
Esse sono 4: s, p, d e f70. (Vedi immagine in figura). La funzione d’onda si ottiene risolvendo la seguente equazione,
2 8m( E U )
nota come equazione di Schrödinger: 0 71. Si tratta di un risultato molto difficile che
2 x2 h2
riportiamo solo come curiosità: è infatti un’equazione differenziale del secondo tipo la cui risoluzione richiede
conoscenze universitarie. Lo stesso Schrödinger all’inizio non sapeva quale valore dare a Fu Max Born che ne
dedusse il valore, sostenendo che non sia altro chela probabilità di trovare la particella in un determinato punto, in un
determinato istante.
legame covalente poteva essere puro se effettuato tra due atomi con elettronegatività uguale; altrimenti si dice polare ed
avremo nella molecola un dipolo positivo ed uno negativo.
75
Atomo che ha perso o acquistato uno o più elettrone e che dunque non è più elettricamente neutro ma avrà carica positiva o negativa multipla
intera di e.
76
Il normale sale da cucina
77
Per il legame ionico resta tuttora valido il lavoro di Kossel
78
Configurazione elettronica 1s2 2s2
79
Un corpo paramagnetico è attratto da un campo magnetico, uno diamagnetico respinto.
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 20
Il concetto-base della loro teoria poggia sul fatto che le due funzioni d’onda degli orbitali che si sovrappongono
possono essere in fase o fuori fase: nel primo caso avremo un’interferenza costruttiva, nel secondo una distruttiva. Così
dalla sovrapposizione di due orbitali atomici (AO) avremo sempre la formazione di due orbitali molecolari (MO), uno
costruttivo, detto di legame, con minore energia rispetto agli AO ed uno distruttivo, di antilegame, con maggior energia
rispetto agli AO80. Restano valide le regole per il loro riempimento ed anche la distinzione tra legame e della VB.
Vediamo che se gli elettroni più esterni vanno a disporsi su orbitali di antilegame, la molecola non può formarsi. Ecco
perché in natura non si trova He281. Se poi nell’ultimo livello energetico si troveranno elettroni solitari, allora la
molecola sarà paramagnetica, altrimenti diamagnetica. 82 La teoria inoltre riesce a spiegare bene anche il legame
metallico. Si tratta di un legame particolare, che provoca la creazione di un cristallo di ioni tutti però positivi. Ciò viene
spiegato dalla teoria delle bande che propone la formazione di grandi MO che coinvolgono tutto il cristallo, sui quali
sono liberi di muoversi gli elettroni, che fungono da collante tra le cariche positive. Ciò spiega anche il fatto che i
metalli siano ottimi conduttori.
80
Per convenzione si indicano gli MO antileganti con un asterisco *
81
Infatti He ha configurazione elettronica 1s2. Si formano due orbitali, uno di legame, uno di antilegame su cui devono disporsi i 4
elettroni, pertanto i due più esterni si troveranno sull’orbitale s*.
82
Il magnetismo della materia infatti dipende dal campo magnetico creato dallo spin dell’elettrone.
83
Questione ancora dibattuta, dalla sua risoluzione dipendono varie teorie fisiche, tra cui i modelli sulla fine dell’Universo ed anche
la validità del modello di struttura interna del Sole attualmente adottato dagli astrofisici.
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti 21
permettevano scontri ad altissime energie cinetiche di particelle, creando così energia che, ad un punto-limite, si
trasformava in nuove e diverse particelle. Non solo, assieme alla particella, si formava anche un’antiparticella. Per
questo oggi si sostiene che ad ogni particella corrisponde una propria antiparticella e non si produce materia senza
che si produca antimateria. L’incontro tra materia ed antimateria dà però luogo all’annichilazione, cioè alla
trasformazione delle particelle in energia85 secondo l’equazione E=mc2. Si sono identificate più di 200 coppie di
particelle-antiparticelle. Serviva perciò dare un’organizzazione. A fare ciò pensò Murray Gell-Mann, statunitense che
propose nel 1961 una classificazione che lo portò a vincere, nel 1969, il Nobel. Il risultato più importante del suo lavoro
fu la scoperta del quark: il protone ed il neutrone erano ulteriormente divisibili! I quark, cui ovviamente corrispondono
antiquark, possono essere di vario tipo: up, down, charm, strange, top, bottom o beauty; ciascuno di questi può poi
essere di tre colori86 . Combinati a tre a tre danno luogo ai barioni, cioè ai neutroni ed ai protoni 87. Essi hanno anche
carica frazionaria rispetto a quella dell’elettrone.
Negli anni ’70 ci si rese conto che le quattro forze fondamentali della natura, cioè gravità, elettromagnetismo, forza
nucleare debole88, forza nucleare forte89, sono mediate da particelle, dette mediatori. Per questo la chimica nucleare
diventa fondamentale per cercare di raggiungere il più grande obiettivo della scienza moderna: l’unificazione delle 4
forze, tramite lo studio di queste particolari particelle. Il primo mediatore scoperto fu il fotone,
che è vettore della forza elettromagnetica. I mediatori della forza nucleare forte furono invece
scoperti nel 1979 ad Amburgo dallo statunitense Samuel Ting, ed è chiamato gluone. Nel 1982
al CERN di Ginevra, fu l’italiano Carlo Rubbia ad identificare i mediatori della forza nucleare
debole, chiamati bosoni W e Z. Rubbia vinse il Nobel nel 1984. Grazie a tale scoperta, tre
fisici, gli statunitensi Alvin Weinberg e Shaldon Glashow e il pakistano Abdus Salam
riuscirono a proporre una teoria che unificava le forze elettromagnetica e nucleare debole.
Tuttavia oggi restano ancora problemi insoluti: per esempio si sta ricercando il vettore della
forza gravitazionale. È già stato definito gravitone, anche se nessuno è stato in grado di
identificarlo. Carlo Rubbia
CONCLUSIONI
Siamo così giunti al termine del nostro percorso lungo più di venti secoli, partito all’ombra delle piramidi e terminato
nei moderni laboratori. Abbiamo cercato di presentare il maggior numero di figure che hanno avuto un importante ruolo
nello sviluppo di questa scienza, cercando per ognuno di delineare un profilo che ne abbracciasse non solo l’attività di
scienziato, ma anche le esperienze di vita, dimostrando come la ricerca scientifica non sia avulsa dal contesto storico-
sociale ma anzi sia la linfa da cui una civiltà matura dovrebbe trarre nutrimento per continuare a prosperare. Abbiamo
cercato una trattazione completa ma che allo stesso tempo fosse il più possibile accessibile a tutti, credendo che lo scopo
principale di questa trattazione sia stato il cercare di coinvolgere il maggior numero di persone nello spirito che ha
animato questi uomini, ai quali dobbiamo l’agio di cui oggi godiamo grazie alla moderna tecnologia, sperando che
l’attività scientifica non resti, come sta avvenendo in questi ultimi anni, solo un’attività per pochi intimi.
84
Elemento numero 43. Dunque dovrebbe esistere in natura, prodotto dalle reazioni nucleari delle stelle. Tuttavia è talmente
instabile che è ottenibile solo artificialmente, in quanto quello naturale decade in brevissimo tempo
85
Qui nasce il famoso problema dell’asimmetria del Big Bang: infatti in quel momento si sarebbero dovute formare, secondo quanto
detto, tante particelle di materia quante di antimateria, che poi si sarebbero annichilite fra di loro. Tuttavia, poiché la materia esiste,
è evidente che per qualche motivo, si debba essere formata più materia che antimateria. Questo è uno dei più fitti misteri della
scienza moderna.
86
Ovviamente tale termine non ha significato cromatico
87
In particolare, un protone è composto da due up e un down, il neutrone da un up e due down.
88
La forza che si esercita tra i quark
89
La forza che permette ai protoni del nucleo di non respingersi, è la più forte di tutte