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SULL’INFLUENZA DI CARTESIO, LEIBNIZ E NEWTON NEL PRIMO APPROCCIO

DI KANT AL PROBLEMA DELLO SPAZIO E DELLA SUA DIMENSIONALITÀ

F. Caruso1,2,* & R. Moreira Xavier1

1. Centro Brasileiro de Pesquisas Físicas


R. Dr. Xavier Sigaud 150, 22290-180, Rio de Janeiro, RJ, Brasile

2. Instituto de Física da Universidade do Estado do Rio de Janeiro


R. São Francisco Xavier 524, 20559-900, Rio de Janeiro, RJ, Brasile

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* e-mail: caruso@lafex.cbpf.br
Riassunto

L’idea di relazionare la dimensionalità dello spazio ad una legge fisica, contenuta nel primo
scritto di Kant  Pensieri sulla veridica estima delle forze vive , svela un modo di
guardare i rapporti tra Fisica e Matematica così nuovo ed originale che potè essere
sviluppato e compreso nella sua plenitudine soltanto nel secolo XX. Ci riferiamo qui alla
prospettiva aperta da Ehrenfest nel suo “In what way does it become manifest in the
fundamental laws of physics that space has three dimensions?”. In questo saggio si cerca di
comprendere alcune delle radici fisiche, filosofiche e teologiche dell’approccio di Kant a
questo problema, e la sua inserzione nel dibattito delle idee che sostengono la concezione
meccanicista del Mondo. In primo luogo, si sottolinea che da una lettura attenta del suo
Gedanken von der wahren Schätzung der lebendigen Kräfte si può concludere che  al
contrario di quanto viene normalmente creduto  Kant non riuscì a dimostrare la sua
congettura che la tridimensionalità dello spazio possa essere fondata sulla legge di
gravitazione di Newton, secondo la quale la forza tra due corpi va come l’inverso del
quadrato della distanza che li separa; in realtà, egli si limitò a giustificare la tridimensionalità
della estensione. Dopo aver considerato la distinzione fra estensione e spazio, si fa notare
che la catena logica della congettura del giovane Kant, presuppone la forza come concetto
basilare, intrinseco alle sostanze. È mediante questa forza che si stabiliscono le relazioni tra
le sostanze, le quali, a sua volta, creano l’ordine su cui viene basato il concetto di spazio. Si
deve badare che la coerenza del suo argomento richiede, in ultima analisi, concepire la
percezione, cioè, l’interazione fra le sostanze e l’anima, come risultato della medesima forza
di lunga portata. Inoltre, si dimostra che l’argomento di Kant non poteva essere costrutto su
una intelaiatura puramente newtoniana nel 1747. Infatti, egli costruì sua dimostrazione a
partire da una concezione del mondo basata sul legato di Cartesio (soprattutto l’idea di un
ordine cosmico) e Leibniz (l’esistenza di una forza che precede l’estensione e l’idea di spazio
relativo) alla quale sovrappone, in modo ibrido, la legge di gravitazione di Newton. Si
argomenta che questa scelta fu fortemente influenzata da alcune idee teologiche del giovane
Kant che divergono da quelle di Cartesio, Newton e Leibniz. Fu questo carattere ibrido del
suo approccio che permise a Kant di trattare la questione della dimensionalità dello spazio
come un problema di fisica, ma, che, allo stesso tempo, a causa delle sue limitazioni
intrinsiche, portò Kant a provare appena la tridimensionalità della estensione.

Key-words: Spazio; Dimensionalità; Kant; Newton; Leibniz; Cartesio.


Abstract

The idea of relating space dimensionality to a physical law presented in Kant’s first written
work  Thoughts on the True Estimation of Living Forces  reveals such a new and
original way of looking at the relationship between Physics and Mathematics that only in the
twentieth century could be completely understood. We are thinking about Ehrenfest’s “In
what way does it become manifest in the fundamental laws of physics that space has three
dimensions?”. In this essay we try to understand some of the physical, philosophical and
theological foundations of Kant’s approach to this problem, and its place in the debate of
ideas which gave support to the Mechanicist Worldview. First of all, it is emphasized that a
careful reading of Kant’s Gedanken von der wahren Schätzung der lebendigen Kräfte leads
us to conclude that  differently from what is normally accepted  Kant did not prove his
conjecture that the tridimensionality of space could be found in Newton’s law of gravitation,
according to which the force between two bodies decreases with the square of the distance
separating them. It is shown here that he limited himself to justify the tridimensionality of
extension. After settling the distinction between extension and space, it is argued that the
logical chain of young Kant’s conjecture starts from the assumption that force is a basilar
concept, intrinsic to the substances. It is from this force that relations between the
substances are stablished, whereby order is created and space concept is ultimately found. It
must be stressed that the coherence of Kant’s argument requires, in the last analysis, that for
him perception, i.e., the interaction between substances and soul, results from the same long
range force. In addition, it is shown that Kant’s argument could not be constructed in a
purely Newtonian framework at that time (1747). Indeed, he built his proof on a world
conception extracted from Descartes’ legacy (mainly the idea of cosmic order) and Leibniz’s
heritage (the existence of a force that precedes extension, and that space is relative) on
which, in a hybrid way, Newton’s law of gravitation is included. It is argued that this choice
was strongly influenced by young Kant’s theological ideas which depart from those of
Descartes, Leibniz, and Newton. It was this hybrid character of his approach that allowed
Kant to raise the question of dimensionality of space as a physical problem, but, at the same
time, due to its intrinsic limitations, led him to prove only the tridimensionality of extension.

Key-words: Space; Dimensionality; Kant; Newton; Leibniz; Descartes.


È stato durante il periodo di consolidamento del programma meccanicista nel
Settecento, che il giovane Kant scrisse, nel 1747, il suo Gedanken von der wahren
Schätzung der lebendigen Kräfte [1], dove discusse il fondamento della tridimensionalità
dello spazio. Viene spesse volte  giustamente, a nostro parere,  attribuito a questo
lavoro il merito di aver lanciato le basi per la discussione della dimensionalità dello spazio
come un problema di Fisica [2-6]. Però, se uno dovesse sintetizzare l’idea di Kant in una
unica frase, potrebbe essere tentato a dire  come accade frequentemente  che la
ragione della tridimensionalità dello spazio si trova nella legge di gravitazione di Newton,
secondo la quale la forza tra due corpi va come l’inverso del quadrato della distanza che li
separa. Che affermazioni di questo tipo non sono corrette è stato dimostrato dagli autori
altrove [7]. Infatti, ciò che si può concludere da una lettura più attenta di questo testo di
Kant è che egli riuscí soltanto a giustificare la tridimensionalità della estensione, sebbene
non fosse questo il suo scopo, esplicitamente dichiarato, cioè, spiegare la tridimensionalità
dello spazio [8].

Questa limitazione, comunque, assolutamente non diminuisce l’impatto della idea,


proposta da Kant, che è possibile determinare la dimensionalità dello spazio a partire dalle
leggi fisiche. Mutatis mutandis, l’idea del giovane Kant  quantunque essa non trovi posto
nella filosofia del suo periodo critico  fu ripresa, nel contesto della Fisica Moderna, da
Ehrenfest [9] ed altri [4,10-13]. Un’analisi critica di certi aspetti epistemologici e
metodologici di questi nuovi contributi è stata fatta dagli autori in [6].

Un altro aspetto rilevante del contributo del giovane Kant nella trattazione del
problema della dimensionalità, è l’adozione di una concezione causale diversa da quelle di
Cartesio e Leibniz, prevalenti nel primo Settecento. In un altro lavoro [14] gli autori hanno
discusso come questo contributo si inserisce in un sistema esplicativo basato sulla causa
efficiens, dominante nel meccanicismo del tardo Settecento.

Nonostante la rilevanza del nuovo approccio introdotto da Kant, di per sé, sulla storia
e sulla filosofia del concetto di spazio e, in particolare, sul problema della dimensionalità
dello spazio, ci sono alcuni aspetti epistemologici che meritano di esser rivisitati e chiariti.
Questo è lo scopo principale di questo saggio.

Più specificamente, si discutono le ragioni per cui l’argomento di Kant, nel 1747, non
potè essere costrutto su una intelaiatura puramente newtoniana. Infatti, egli cercò di
costruire le basi per una spiegazione razionale della dimensionalità spaziale partendo da una
concezione di mondo fortemente calcata sul legato di Cartesio e Leibniz apponendoci, in
modo originale e ibrido, la legge di gravitazione di Newton. È stato proprio questo carattere
ibrido dell’approccio scelto da Kant che gli permise di considerare la questione della
dimensionalità dello spazio come un problema fisico ma, allo stesso tempo, dovuto a
limitazioni intrinseche del metodo stesso, ne risultò la dimostrazione della tridimensionalità
della estensione e non dello spazio.
Per cercare di capire meglio la struttura dell’argomento di Kant è necessario
ricapitolare, anche se in modo molto schematico, i principali punti della sua argomentazione
e, in seguito, cercare di mettere in evidenza quelli che possono essere considerati i maggior
contributi della filosofia cartesiana e leibniziana alla formazione dello spirito precritico del
giovane Kant, su ciò che riguarda la costruzione del concetto di spazio e la sfida di spiegarne
la dimensionalità.

Innanzi tutto, bisognerebbe capire il concetto di estensione adoperato da Kant. Si


sa che per Cartesio il concetto di estensione si lega intimamente a quello di corpo [15] ed
intorno ai concetti di estensione ed impenetrabilità riposa la base del suo progetto metafisico
di ridurre la materia alla geometria [16]. Restringendosi alla esperienza sensibile, estensione
e corpo sembrano essere concetti primi, adiacenti [17].

Ovviamente, questa opinione non esclude la possibilità di attribuire alla estensione una
causa che risalga a un nuovo concetto non diretamente estratto dalla esperienza sensibile.
Interessato in capire la natura fisica delle sostanze e delle sue relazioni, fu esattamente ciò
che fece Kant come si vedrà. Allontanandosi di Cartesio e avvicinandosi a Leibniz, egli
abbracciò l’idea di fondare l’estensione corporea su un prodotto dell’intelletto umano: il
concetto più astratto di forza. Si sfuma così la netta frontiera cartesiana fra res extensa e
res cogitans e addirittura nel primo scritto di Kant.

Mentre Kant scelse la forza di Newton come requisito essenziale della estensione e
dello spazio  come si vedrà più avanti , nella moderna teoria della struttura della
materia, la estensione risulta, in ultima analisi, da altre forze che non quella gravitazionale,
cioè dalle forze elettromagnetiche e nucleari tra particelle elementari, oltre che da principi di
simmetria come il ben noto principio di esclusione di Pauli. In questo modo ci si allontana
dall’atomismo greco e dal periodo ellenistico ove si omette dalla teoria della materia
qualunque riferimento a forze di azione continuata fra i costituenti ultimi della materia [18].

D’altra parte, il ruolo della forza nella filosofia del giovane Kant, in certo modo,
molto si rassomiglia all’idea stoica di una forza che tutto permea, dovuta all’interazione del
pneuma con la materia ponderabile, che crea un continuo ben ordinato chiamato spazio [18],
il che, come si vedrà, portò Kant a condividere il concetto di spazio relativo di Leibniz e
Huygens e non quello di spazio assoluto di Newton. Questi due tipi di spazio possono essere
contrapposti, secondo Einstein, nel modo seguente [19]: “(a) lo spazio come una qualità
relativa alla posizione del mondo degli oggetti materiali; (b) lo spazio come contenitore di
tutti gli oggetti materiali”. Entrambi i concetti di spazio, ancora secondo Einstein, “sono
libere creazioni dell’immaginazione umana, mezzi progettati per una più facile
comprensione della nostra esperienza sensibile” [19].

Non è il caso di discutere qui l’evoluzione del concetto di spazio nella fisica moderna
(rimettiamo il lettore interessato al libro di Max Jammer [2]) ma, per quanto riguarda
l’argomento di questo lavoro, un breve commento si fa ancora necessario, vis a vis ad
enfatizzare l’impatto del graduale abbandono di una concezione di spazio assoluto sulla
Epistemologia della Fisica, in generale, e, sul problema della dimensionalità dello spazio, in
particolare.

Dal punto di vista della Fisica Contemporanea, con gli sviluppi della Teoria
Elettromagnetica, della Teoria della Relatività e della Meccanica Quantistica, il ruolo che la
materia occupava nella Fisica del Settecento viene gradualmente usurpato dal concetto di
campo e da principi di simetria. Questo fatto portò ad un profondo cambiamento nel
concetto fisico di spazio nel secolo XX. Su questo punto, siamo d'accordo con Einstein
quando egli dice che “non esiste alcuno spazio ‘vuoto’, cioè, non esiste nessuno spazio
senza un campo” [19]. Quindi, tutta la discussione moderna del problema della
dimensionalità, in cui la materia e i suoi attributi come, per esempio, la estensione, non
occupano più una posizione centrale, passa a dipendere dalla struttura logica delle Teorie di
Campi definite nello spazio-tempo. Alcune conseguenze epistemologiche di questo
mutamento, in particolare il cambiamento della concezione causale del mondo che ne segue,
e il suo impatto sulla maniera di affrontare il problema della dimensionalità, sono state
discusse dagli autori altrove [14]. Dopo questa digressione si può tornare ora all’analisi del
contributo di Kant.

La questione della dimensionalità viene trattata da Kant nella sua prima opera,
Pensieri sulla veridica estima delle forze vive [1]. Partendo da considerazioni metafisiche
sulla forza, Kant fu portato a definire due tipi di moto: uno che cessa al cessare della forza
esterna che lo produce, mentre l’altro persiste nel corpo a cui è stato comunicato e che
continua indefinitamente. In questa maniera, Kant tenta di render giustizia sia ai cartesiani
che ai leibniziani, rispettivamente. Però, il titolo di questo scritto, di per sé, dimostra già
l’influenza di Leibniz nel suo pensiero. Infatti Kant accetta il concetto leibniziano di forza
viva in quanto essenziale alla materia e concorda con l’idea di Leibniz che la forza precede
l’estensione [25]:

“Est aliquid praeter extensionem, imo extensione prius.”1

Tuttavia, secondo Kant, il modo per stimare la forza della materia non è attraverso il moto
bensì a partire dell’effetto sulle altre sostanze. Ammettere che tutte le sostanze sono in
grado di interagire fra di loro attraverso forze è quindi il punto di partenza del suo
ragionamento, come viene suggerito dal titolo stesso del nono capitolo dell’opera di cui
sopra, e cioè:

“Se le sostanze non hanno una forza per mezzo della quale possono
agire al di fuori di se stesse, non ci sarebbe estensione, e di
conseguenza non ci sarebbe spazio”2.

Le preoccupazioni di Kant in questo momento sono legate alla materia corporea e alle
forme d’interazione delle sostanze fisiche. Come * e come la materia, “per intermezzo della
1
“C’è qualcosa oltre l’estensione, anzi prima dell'estensione.”.
2
Le sottolineature qui e nelle prossime citazioni di Kant sono degli autori.
forza che possiede nel suo moto, può alterare lo stato dell’anima”  anima intesa come
status repraesentativus universi [21]  furono questioni sulle quali egli ha riflettuto [22].
Kant, ad esempio di Leibniz e Boscovich [23], suggerisce, in ultima analisi, che il concetto di
forza sia un elemento primordiale della realtà fisica.

Il brano fondamentale, che sintetizza la catena logica del processo conoscitivo


proposto da Kant per spiegare la dimensionalità dello spazio, è il seguente:

“È facilmente dimostrato che non ci sarebbero né spazio né estensione,


se le sostanze non avessero una forza mediante la quale esse agiscono
al loro esterno. Infatti, senza una forza di tal genere, non si ha
connessione, senza connessione non si ha ordine, e senza quest’ordine
non si ha spazio.” [24].

Perciò, l'ordine gerarchico dell’argomentazione è:

forza  (estensione)  relazione tra le sostanze  ordine  spazio

Lo spazio è, quindi,  come ci fa notare Handyside nella introduzione alla sua


traduzione citata in [1] , per il giovane Kant, un fenomeno sussidiario, dipendente dalle
relazioni intelligibile di queste sostanze.

Nel trascorrere della sua argomentazione, Kant afferma nel nono paragrafo [1] che

“il fondamento della tripla dimensione dello spazio è ancora


sconosciuto”,

e nel titolo del paragrafo seguente (# 10) egli suggerisce una possibile relazione tra la
tridimensionalità dello spazio e la legge di attrazione mutua dei corpi:

“È probabile che la tridimensionalità dello spazio sia dovuta alla legge


secondo la quale le forze presenti nelle sostanze agiscono le une sulle
altre.” [25].

Il ruolo fondamentale che la forza ha nel suo sistema esplicativo viene appreso anche
dalla seguente citazione:

“Dato che tutto ciò che deve essere trovato tra le qualità di una cosa
deve essere in grado di essere derivato da ciò che contiene in se stesso il
fondamento più completo della cosa stessa, le qualità della estensione, e
di conseguenza sua tridimensionalità, saranno fondate sulle qualità
della forza che possiedono le sostanze in riguardo alle cose con le quali
esse sono connesse.” [25].

Quanto alla natura di questa forza, Kant afferma che

“La forza, attraverso la quale la sostanza agisce in unione con le altre,


non può essere pensata separatamente da una determinata legge che si
manifesta nel modo della sua azione. Dato che il carattere di queste
leggi secondo le quali le sostanze agiscono le une sulle altre deve anche
determinare il carattere dell’unione e composizione di una loro
molteplicità, la legge secondo la quale una collezione totale di sostanze
(cioè, lo spazio) è misurata, in altre parole, la dimensione della
estensione, sarà ugualmente dovuta alle leggi secondo le quali le
sostanze per mezzo dello loro forze essenziali cercano di unirsi.”

In seguito a queste considerazioni, Kant allude esplicitamente alla legge di


gravitazione di Newton  essenziale a tutte le sostanze del mondo esistente, dal quale tutti
noi (comprese le anime) ne facciamo parte:

“La tripla dimensione sembra risultare dal fatto che le sostanze nel
mondo esistente agiscono le une sulle altre in tal modo che l’intensità
dell’azione dipende inversamente dal quadrato delle distanze.” [25].

È importante badare alla doppia cautela con cui si esprime Kant in questo passaggio.
Da un lato non dice se la tridimensionalità qui si riferisce allo spazio oppure alla estensione,
e dall’altro conclude che essa sembra risultare dalla legge di gravitazione di Newton. Ma il
carattere di questa legge è arbitrario, dato che

“Dio avrebbe potuto scegliere un altro, ad esempio, la dipendenza


dall’inverso del cubo della distanza; e... che da una legge diversa, una
estensione con altre proprietà e dimensioni sarebbe risultata.” [26].

Un’altra allusione allo spazio, fatta da Kant nel paragrafo #10 delle Forze Vive, è
rilevante per lo scopo di questo saggio, e cioè, quando lui conclude sua speculazione
referendosi allo spazio, o meglio, ai diversi tipi di spazio come oggetti dello studio della
Geometria:

“Una scienza di tutti questi possibili generi di spazio sarebbe


indubitabilmente il più grande imprendimento che una comprensione
finita potrebbe occuparsi nel campo della geometria.” [26].
Perciò, il carattere euclideo della geometria trova qui la sua legittima spiegazione
nella struttura della fisica newtoniana [27]. D’altra parte, per arrivarci, Kant è costretto a
introdurre nell’argomentazione una componente metafisica e cioè, ad immaginare che anche
le relazioni di eccitazione e di sensazione sono governate da questa legge di attrazione:

“L’impossibilità che rimarchiamo in noi stessi di rappresentare uno


spazio con più di tre dimensioni mi sembra provenire dal fatto che la
nostra anima riceve giustamente le impressioni esterne in conformità
con la legge dell’inverso del quadrato delle distanze, e dal fatto che la
sua propria natura è cosiffatta non soltanto per patire, ma anche per
agire in questa maniera.” [26].

Sulla base di questa concezione geometrica siamo d’accordo con Vuillemin quando
lui afferma che

“Kant imagine la géométrie dans les limites euclidiennes du réalisme


physique que Descartes avait transmis à la philosophie, par delà la
méthode analytique. La raison d’être des mathématiques n’est rien
d’autre que la possibilité de la réalité, ici représentée par la perception
externe.” [27].

Questa è, senza dubbio, una importante influenza di Cartesio implicita nel tentativo
del giovane Kant di spiegare la tridimensionalità dello spazio. Eppure ce ne sono altre
essenziali nell’argomento kantiano che provengono da Cartesio, ma soprattutto anche da
Leibniz e Newton, e si intrecciano come frutto di un dibattito, iniziato all’epoca delle
pubblicazioni dei due Principia, e ancora molto vivo fino all’Ottocento.

A questo punto, cercheremo di elencare in breve alcuni aspetti del legato di questi tre
filosofi, che assolutamente non potevano essere trascurati da chiunque allora volesse
discutere i fondamenti della meccanica. Si enfatizzano quelli essenziali per la costruzione
dell’argomento kantiano riguardo la dimensionalità: forza, estensione, ordine e spazio.

È ben noto che la fisica geometrizzata di Cartesio è costruita intorno ai concetti di


estensione e impenetrabilità, come proprietà fondamentali della materia, e all’idea di
conservazione della quantità di moto [28]. In Cartesio, le origini di questa conservazione,
bensì dell’ordine, che traduce la perfezione cosmica, specchiano la perfezione di Dio [29].
D’altra parte, la forza cartesiana (prodotto della estensione per la velocità) si manifesta
appena nel’urto [30], e dunque non può produrre l’ordine (nel senso che Kant vuole
attribuire a questo termine). Infatti, la velocità per Cartesio viene definita in relazione alla
vicinanza del corpo immerso nel plenum e, perciò, la forza cartesiana viene limitata alle
frontiere del corpo stesso. Questi argomenti di per sè dimostrano che Kant non poteva
restringersi alla fisica geometrizzata di Cartesio per spiegare la dimensionalità. Innoltre, Kant
chiaramente cerca una alternativa per il sistema esplicativo cartesiano (fondato in Dio). Per
Kant, l’ordine risulta, in parte, dalle relazioni tra le sostanze, dovute a “forze che agiscono a
loro esterno”, come abbiamo segnalato. Comunque questo non è sufficiente per
comprendere l’ampiezza del concetto di ordine in Kant  possibile soltanto se si tiene in
conto entrambi i ruoli attivo e passivo dell’anima [31]. Per capire meglio questo punto
occorre esaminare alcuni aspetti della metafisica e della fisica di Leibniz.

Infatti, gran parte dell’argomento di Kant fu costruito con base nella filosofia naturale
di Leibniz. In particolare, egli utiliza l’idea leibniziana di forza come essenza della materia
[31] e di spazio come relazione [32]. Ogni massa corporea ha in sè tutte le forze che possa
acquistare nella sua esistenza, le quali si manifestano soltanto nella durata dell’urto [33].
Un’altra idea metafisica molto importante incorporata da Kant è l’idea che l’anima occupa
dei punti [34], mentre i corpi occupano dei luoghi [35]. Questo è il punto di partenza per
proporre che l’interazione corpo - anima, cioè la percezione, così come l’interazione fra i
corpi, sia dovuta ad una legge di forza di lunga portata. Ne segue che l’ordine del mondo
nel quale siamo inseriti risulta, non più da una armonia prestabilita da Dio, come per Leibniz,
ma simultaneamente dalla forza tra i corpi e dalle impressioni che essi causano sull’anima.
Questo fatto significa che l’argomento di Kant è essenzialmente basato sulla causa efficiens
[14].

La forza di lunga portata, di cui sopra, è quella della gravitazione di Newton, il che
significa che Kant accetta il concetto newtoniano di massa. Inoltre, per comprendere il fatto
che l’anima possa “patire ed agire secondo la legge dell’inverso del quadrato delle
distanze”, è sottointeso che lui ammetta la legge di azione e reazione. Ma Newton ricorre a
Dio come artefice dell’ordine, come una specie di orologiaio, che di tanto in tanto regola la
macchina del mondo. Una concezione diversa di Dio fa sì che Kant non possa accettare
questo orologiaio. Per questa ragione attribuisce l’origine dell’ordine del mondo alla forza di
gravitazione. Nell’argomento di Kant riguardo la dimensionalità, a Dio viene attribuita la
possibilità di aver scelto un’altra legge di gravitazione. Vediamo qui, in certo modo, una
possibile radice della riformulazione dell’argomento fisico-teologico della prova di Dio,
proposta da Kant, nel suo Der einzig möglische Beweisgrund zu einer Demonstration des
Daseyns Gottes, del 1763. L’argomento classico è basato sulla struttura e bellezza del
mondo, mentre quello di Kant attribuisce a Dio il fondamento del reale e delle sue leggi, che
a sue volte, creano l’ordine e la bellezza. Ma già nel 1747 Kant, per ragioni teologiche,
discorda da Newton ancora in un altro aspetto basico del suo sistema: l’essenza assoluta
dello spazio, che assieme al tempo assoluto sono, secondo Koyré,

“... réalités que Newton acceptait sans hésiter  puisqu’il pouvait les
appuyer sur Dieu et les fonder en Dieu ...” [36].

L’idea di fondare l’ordine non direttamente in Dio ma nelle relazioni intelligibili delle
sostanze, atraverso l’anima umana, il quale ordine è necessario per l’esistenza dello spazio,
porta Kant ad accettare la concezione leibniziana di spazio. Implicitamente, in questa
discordanza tra Kant e Newton ci sono tracce di due visioni diverse dell’uomo.
L’abilità con cui Kant construì la sua dimostrazione della tridimensionalità basandosi
su Cartesio, Leibniz e Newton, evidenzia la gran originalità caratteristica del suo pensiero.

Certamente, dal punto di vista epistemologico, due fatti si distaccano nel contributo
del giovane Kant a questo tema. Da un lato, la rottura con la concezione classica del
problema  nel suo aspetto generale (causa dello spazio) e particolare (causa della
dimensionalità) [14]  che risulta dalla introduzione della forza come causa efficiens dello
spazio, via il concetto di ordine. D’altro lato, quantunque in certo modo aristotelico nel
ruolo della sostanza nel suo sistema esplicativo, su ciò che concerne la dimensionalità dello
spazio, si deve notare che Kant considera nel suo primo scritto [1] la forza come generatrice
di ordine, in opposizione ad Aristotele, nel cui sistema, la forza (dynamis) induce la rottura
dell’ordine cosmico.

Insomma, concludiamo che Kant propone infatti una giustificativa per la


tridimensionalità della estensione. Fin dove sappiamo, e di accordo con Brittan [3], non
esiste un altro tentativo da parte di Kant per ottenere, dalla fisica, la tridimensionalità dello
spazio. Si sa che Kant ritornò a questo problema, come attestano i manoscritti raccolti
nell’Opus Postumum, ma, ironicamente, il testo presenta una interruzione in un punto
fondamentale, rendendo impossibile sapere in che modo il Kant maturo avrebbe rivisitato il
problema dello spazio nell’ambito della fisica. Concluderemo questo saggio con questa
reticente citazione di Kant:

“La qualità dello spazio e del tempo, ad esempio che il primo abbia 3
dimensioni mentre il secondo soltanto una, che la rivoluzione si regola
sui quadrati delle distanze sono dei principi che... [interruzione].” [37].

Ringraziamenti

È un piacere ringraziare i nostri amici Flora Simonetti Coelho ed Enrico Predazzi per
la lettura critica del manoscritto e per i validi commenti. Questo lavoro è stato parzialmente
finanziato dal CNPq  Brasile.

Bibliografia

[ 1] I. Kant, Gedanken von der wahren Schätzung der lebendigen Kräfte und Beurtheilung
der Beweise, deren sich Herr von Leibniz und andere Mechaniker in dieser Streitsache
bedient haben, nebst einigen vorhergehenden Betrachtungen, welche die Kraft der Körper
überhaupt betreffen, Königsberg, 1747; ristampato in: Kant, Werke, Band 1, Vorkritische
Schriften, Wissenschaftliche Buchgesellschaft Darmstadt, 1983. Traduzione in inglese di
parte di questa opera è stata fatta da J. Handyside e pubblicata in, Kant’s inaugural
dissertation and the early writings on space, Chicago, Open Court, 1929, ristampata da
Hyperion Press, 1979.
[ 2] M. Jammer, Concepts of Space: the History of Theories of Space in Physics, third
edition, New York, Dover, 1993.

[ 3] G.G. Brittan, Jr., Kant’s Theory of Science, Princeton, Princeton Univ. Press, 1978.

[ 4] J.D. Barrow, “Dimensionality”, Phil. Trans. Roy. Soc. London A310 (1983) 337.

[ 5] J.D. Barrow & F.J. Tipler, The Anthropic Cosmological Principle, Oxford, Claredon
Press, 1986.

[ 6] F. Caruso & R. Moreira Xavier, “On the physical problem of spatial dimensions: an
alternative procedure to stability arguments”, Fundamenta Scientiae, 8 (1) (1987) 73-91.

[ 7] F. Caruso & R. Moreira Xavier, “On Kant’s first insight into the problem of
dimensionality and its physical foundations”, submitted for publication. Una versione
preliminare di questo lavoro è stata publicata in portoghese in Scientia (UNISINOS, São
Leopoldo) 7 (2) (1996) 13-22.

[ 8] Ref. [1], paragrafo # 10.

[ 9] P. Ehrenfest, ``Welche Rolle spielt die Dreidimensionalität des Raumes in den


Grundgesetzen der Physik?", Ann. Physik 61, p. 440, (1920). Cf. anche suo “In what way
does it become manifest in the fundamental laws of physics that space has three
dimensions?”, Proc. Amsterdam Acad. 20, p. 200, (1917). (ristampato in M.J. Klein, (ed.)
Paul Ehrenfest  Collected Scientific Papers. Amsterdam: North Holland Publ. Co.,
(1959), pp. 400-409).

[10] W. Büchel, “Warum hat der Raum drei Dimensionen?”, Physikalische Blätter 19, pp.
547-49, 1963; tradotto e adattato da I.M. Freeman, con il titolo “Why is Space Three-
Dimensional”, American Journal of Physics 37 (1969) 1222.

[11] F.R. Tangherlini, “Schwarzschild Field in n-Dimensions and the Dimensionality of


Space Problem”, Nuovo Cimento 27 (1963) 636.

[12] . “Dimensionality of Space and the Pulsating Universe”, ibid 91B (1986) 209.

[13] F. Caruso, N.P. Neto, B. Svaiter & N. Svaiter, “Attractive or Repulsive Nature of
Casimir Force in D-Dimensional Minkowski Spacetime”, Physical Review D43, n. 4, (1991)
1300-6.

[14] F. Caruso & R. Moreira Xavier, “Causa Efficiens versus Causa Formalis: Origens da
Discussão Moderna sobre a Dimensionalidade do Espaço”, Cadernos de História e
Filosofia da Ciência, Campinas, série 3, 4 (2) (1994) 43-64.
[15] D. des Chene, Physiologia: Natural Philosophy in Late Aristotelian and Cartesian
Thought, Ithaca and London, Cornell Univ. Press, 1996.

[16] J. Powers, Philosophy and the New Physics, London and New York, Routledge, 1991.

[17] Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario delle Idee, Firenze, G.C. Sansoni
Editore, 1977, p. 370.

[18] S. Sambursky, The Physical World of Late Antiquity, London, Routledge and Kegan
Paul, 1987, p. 28.

[19] A. Einstein, Prefazione al libro di Jammer [2].

[20] G.W. Leibniz, “Specimen dynamicum”, p. 315 apud Jammer [23], p. 192; Cf. anche
Leibnizens mathematische Schriften, ed. C.J. Gerhardt, Halle, 1850-63, VI, p. 235, apud B.
Russell op. cit., p. 81.

[21] J. Vuillemin, Physique et Métaphysique Kantiennes, Paris, Press Univ. de France,


1955, p. 232.

[22] I. Kant, op. cit., pp. 7-8 dell’edizione curata da Handyside.

[23] M. Jammer, Storia del Concetto di Forza, Milano, Feltrinelli, seconda edizione, 1979.

[24] I. Kant, op. cit,, p. 10 dell’edizione curata da Handyside.

[25] I. Kant, idem, p. 11.

[26] I. Kant, idem, p. 12.

[27] J. Vuillemin, op. cit., p. 234.

[28] D. Garber, Descartes’ Metaphysical Physics, Chicago, Univ. Chicago Press, 1992,
capitolo 3.

[29] R. Descartes, \OE uvres, ed. C. Adam & P. Tannery, nouvelle présentation, Paris,
Vrin, 1964-1974, XI, 43. Cf. anche Garber, op. cit,, cap. 7.

[30] Descartes, idem, XI, 38. Cf. anche Garber, op. cit., cap. 7.

[31] B. Russell, The Philosophy of Leibniz with an Appendix of Leading Passages, London,
Routledge, 1992. Appendix, p. 218, G.IV.508 (Die philosophischen Schriften von G.W.
Leibniz, ed. C.J. Gerhardt, Berlin, 1875-90, IV, p. 508).

[32] B. Russell, op. cit., p. 119.


[33] B. Russell, idem, p. 237, G.II.116.

[34] B. Russell, idem, p. 122.

[35] B. Russell, idem, p. 123.

[36] A. Koyré, Études d’Histoire de la Pensée Philosophique, Paris, Gallimard, 1971, p.


269.

[37] E. Kant, Opus Postumum  passage des principes métaphysiques de la science de la


nature à la physique, traduzione, presentazione e note di F. Marty, Paris, Presses Univ. de
France, 1986, p. 131.

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