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Sandro Ciurlia

DISCORRENDO DI STORIA, METODI E STORIE …

I. Quando si cerca di definire la posizione del problema filosofico della


storia nella cultura contemporanea, ci si trova dinanzi ad una questione di
non trascurabile entità. Com’è noto, le grandi filosofie della storia hanno
letto gli eventi dell’umanità in chiave teleologica: c’è uno scopo finale
verso cui tendere; ogni accadimento depone, nel suo piccolo, alla realiz-
zazione di quelle condizioni atte a perseguire il Fine ultimo. Certo, lungo
tale articolata traiettoria non tutto ha significato. Ci s’imbatte, spesso, in
eventi che esondano dal giusto corso del Vero, in altri che ne curvano il
percorso ed in altri ancora che, magari, consolidano gli argini dell’alveo
principale lungo cui scorre il tempestoso flumen della Verità. I primi
diventano attardamenti di senso, i secondi validi precorrimenti, su cui è
necessario soffermarsi con enfasi per legittimare quel che viene dopo.
Comunque, scrive Hegel, «la storia del mondo è il progresso della
coscienza della libertà, un progresso che dobbiamo riconoscere nella sua
necessità»1.
Com’è evidente, l’impianto teleologico che alimenta questo modo d’in-
tendere la storia dell’umanità ha un robusto carattere ieratico-soteriologi-
co. I giudizi sulla sensatezza degli eventi vengono elaborati retroattiva-
mente. Una volta realizzatosi il Fine della Storia, diviene possibile rico-
struirne i significati, perimetrandoli. La prospettiva è quella di chi si pone
dal punto di vista dell’Assoluto, in un tempo cronologico che s’è ormai
inverato nell’Eternità. Il filosofo, cosí, diviene una ‘matita’ della Ragione
assoluta, lo strumento terreno teso a tesserne le lodi, a magnificarne le
solenni architetture. Solo quando il punto di vista dell’Assoluto s’è realiz-
zato, l’umanità può ritenere d’aver compiuto il suo corso, custodendo, nel
prezioso scrigno della propria memoria storica, le tappe di tale sviluppo
destinale. Sviluppo è sinonimo di Progresso, termine, quest’ultimo, intri-
so di innumerevoli valenze assiologiche. La Storia diviene, pertanto, il
luogo della progressiva acquisizione del Valore, dove ha sede il Lógos, che

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si fa nella Storia stessa. Questo circolo consente di cogliere le dimensioni


della Ratio che regge e governa gli eventi e fonda l’identità dell’individuo,
il quale costruisce la Storia. Ragione, Unità e Progresso, dunque, rappre-
sentano le categorie attraverso cui leggere e semantizzare il divenire
storico.
Alle spalle di quest’impostazione, è evidente lo schema di lettura dei fatti
del mondo tipico delle grandi religioni monoteistiche. Come aveva intuito
con finezza Karl Löwith, ogni storicismo è una forma di «filosofia teologa-
le»2. Seguirne le vicende nello sviluppo del mondo moderno significa trat-
teggiare le traiettorie d’evoluzione dello hegelismo in quanto sistema fon-
dato sulla secolarizzazione della tradizione ebraico-cristiana e sulla laiciz-
zazione del mondo borghese. Dalla crisi del sistema hegeliano
dell’Assoluto discenderebbero, a giudizio di Löwith, tanto il marxismo,
quanto l’esistenzialismo kierkegaardiano, ai quali interessa determinare non
piú l’assetto dell’infinito, ma lo statuto della «materia» e del «singolo»3.
Löwith coglie molto bene la dimensione messianica caratteristica delle
grandi metafisiche della storia: conoscere il fondamento posto a giustifica-
zione degli eventi equivale a dare un senso complessivo a quanto è accadu-
to, ma anche a fornire precise indicazioni in merito a quel che accadrà.
Amene illusioni, queste, contro cui proverà a reagire, qualche anno
dopo, Karl Popper, denunciando la «miseria» di ogni storicismo, legata
alla pretesa di saper leggere gli accadimenti cosí bene da poter prevedere
il futuro, con tutti i costi politico-sociali che ciò comporta4. Si tratterebbe
di una sorta di ontologia della previsione, parallela ad una metafisica della
speranza, che declina il divenire storico sul registro del contrasto tra prin-
cipî opposti, dalla cui relazione dialettica scaturirebbe il trionfo della
Claritas o del «positivamente razionale» di hegeliana memoria5. Proprio
come accade nell’opposizione tra Cristo ed Anticristo, tra Croce e
Resurrezione: lo schema, già presente nel conflitto agostiniano delle civi-
tates, rivive nella dialettica hegeliana come nello stesso materialismo mar-
xiano, il quale, secondo Löwith, si risolve in una «storia della salvezza»,
ispirata da «una fede escatologica», per quanto espressa attraverso il «lin-
guaggio dell’economia politica»6.
Dunque, lo storicismo è intimamente legato alle idee di Progresso, Fine,

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Discorrendo di Storia, metodi e storie ...

Avvento. Si tratta di semplici postulati di una mascherata teologia sote-


riologica, privi di valore conoscitivo: l’idea di creare l’uomo nuovo in
nome di un rinnovato sistema di valori ha una dimensione chiaramente
mistica. Cosí, la speranza da virtù teologale diviene virtù umana e rende
l’uomo il centro di in un mondo metafisicamente garantito.
La denuncia di Löwith è senz’altro forte. Certo, oggi si scorgono con
chiarezza i limiti di un’endiadi (storicismo uguale a filosofia della storia)
tutta da definirsi. Lo stesso discorso vale anche per Popper. Detto altri-
menti, il termine storicismo contiene al suo interno esperienze critiche
cosí variegate che è assai problematico renderlo esclusivo sinonimo di
visioni messianiche della Storia. Se quest’impianto interpretativo può
valere magari per Agostino e, in una certa misura, per Hegel e Marx, scric-
chiola alquanto quando si considerano, per esempio, i protagonisti dello
storicismo tedesco contemporaneo, che sorge proprio come negazione dei
grandi disegni delle filosofie della storia, a vantaggio di uno studio della
posizione dell’uomo, finito e fallibile, nel mondo e nel tempo.
Al di là di tali rilievi, quel che qui importa sottolineare è il pungolo cri-
tico contenuto nella riflessione löwithiana: smascherare le «illusioni»
delle filosofie della storia porta al loro superamento? Cosa rimane in piedi
dopo tanta furia iconoclasta? E soprattutto: è possibile fare filosofia senza
sistema? Tali domande rimangono vive ed ineludibili allorché la crisi delle
grandi filosofie della storia determina un fenomeno strano, anche se pre-
vedibile: da un lato, la pluralizzazione del senso della storia viene letto in
termini di emancipazione etico-politica dell’individuo e lascia spazio al
dialogo, alla pluralità delle interpretazioni; dall’altro, questo stesso pro-
cesso ingenera disorientamento ed alimenta una forma di anarchia teoreti-
ca, ora vezzosa e minimalista, ora cinica e circonfusa di odiosi bizantini-
smi, che spesso nasconde l’insensatezza di giustapporre sensi per il puro
piacere di farlo, senza alcuno scopo. I due momenti convivono, incapaci
di escludersi.
Ad ogni modo, la storia da sistema di eventi diviene racconto di vicen-
de individuali, caotiche ed inintenzionali. Il filosofo non interpreta piú le
«astuzie della Ragione», ma narra soltanto una serie di circostanze. In tal
modo, come fa rilevare Paul Ricoeur, si trasforma la condizione stessa d’e-

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spressione del divenire storico: tocca all’intreccio che s’è riusciti a trama-
re dare significato ai dati di cui si sta trattando, non viceversa7. Il muta-
mento di prospettiva è radicale. L’abdicazione delle grandi storie ‘a dise-
gno’ promuove una concezione della storia come narrazione di fatti indi-
viduali, legati a progetti, azioni e fallimenti. Categorie quali Unità,
Progresso, Sviluppo della Civiltà, Spirito del Tempo e del Popolo vengo-
no radicalmente problematizzate o, addirittura, quasi del tutto defenestra-
te. Lo studioso dei fenomeni storici si libera dalla megalomania dello
‘sguardo d’insieme’, si abitua alla costitutiva miopia insita nel suo porsi a
guardare il passato. Anzi, il passato diventa un certo passato, costruito da
uomini, collocati in date circostanze storico-culturali, affezionati ai loro
egoismi come ai loro slanci, alle loro acute letture dei processi socio-cul-
turali come ai loro frequenti fraintendimenti. In questo modo, il singolo si
appropria tanto della propria individualità, quanto della libertà di sceglie-
re. E anche di sbagliare.
L’immagine filosofica della storia assume tutt’altro assetto. In fondo,
vale per lo storico quanto Friedrich A. Hayek diceva fosse di pertinenza
delle scienze sociali, se è vero che «i problemi che [queste ultime] cerca-
no di risolvere si presentano solo in quanto l’azione cosciente di una mol-
teplicità di persone dà luogo a risultati imprevisti e in quanto si constata
l’esistenza di certe regolarità maturate spontaneamente al di fuori di ogni
deliberazione programmatica»8. Questa citazione chiarisce molte cose: un
problema storico, in quanto problema sociale, è spesso il frutto del com-
binarsi di conseguenze inintenzionali generate da atti intenzionali, ma
anche – andando oltre Hayek – caotici, fortuiti, fraintesi, incidentali rispet-
to ad altri proponimenti intenzionali. Tutto ciò non consente di stendere
una rete interpretativa di tipo sistematico sugli eventi, né di leggerli nel
segno di logiche prefissate, visto che non sempre l’azione è razionalmen-
te determinata. Per altro verso, una data serie di fatti in tanto è studiabile
in quanto presenta un certo numero di combinazioni tra gli stessi tali da
offrire una sorta di fondo di regolarità alla loro sequenza: si configura,
cosí, lo statuto di un «evento sovraindividuale». È possibile definirlo in tal
modo proprio perché interessa piú persone ed è il frutto della sintesi delle
loro azioni.

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Nel rintracciare i termini di tale «ordine di regolarità» non bisogna


lasciarsi prendere da alcun «pregiudizio scientista»9: si cadrebbe, altri-
menti, in una metafisica di verso opposto, dove l’articolazione dei dati
viene sacrificata non piú all’altare della categoria di Progresso, ma a quel-
lo di un’astratta idea di «fatto storico», nelle mani di una scienza finaliz-
zata a determinare «quel che è effettivamente stato»10. Si tratta di recupe-
rare la migliore lezione dell’individualismo metodologico, senza dimenti-
care, però, l’importanza dei fenomeni di lunga durata, dei lenti ed artico-
lati processi che costituiscono il sostrato materiale di certi accadimenti.
Non senza una punta di hegelismo, Braudel definiva «storia lentamente
ritmata»11 tale piano del divenire storico, per designare la persistenza di
certe condizioni storiche intese a rendere possibile la nascita e lo sviluppo
della civiltà.
Chiamare queste condizioni struttura, anche se il termine è logoro e
spesso fuorviante, non dovrebbe oltremodo scandalizzare. Non ci si sta
riferendo, infatti, al «nocciolo razionale» delle cose da svelare, ma alle
componenti che hanno permesso lo scorrere, nei decenni e nei secoli, di
particolari processi storici. Queste traiettorie piú o meno regolari consen-
tono di designare certi fenomeni particolarmente complessi. Del resto, la
storia rimane uno spazio sterminato di fatti, di cui lo storico, di volta in
volta, senza alcuna pretesa di esaustività, narra uno spicchio, impegnan-
dovi la propria intelligenza critica e, naturalmente, la massa delle proprie
«pre-comprensioni», sorte, spesso, crocianamente, da problemi di vita vis-
suta12, da cui ci si spinge a penetrare un altro presente13.
Tale mutata concezione filosofica della storia comporta una sostanziale
ridefinizione degli assetti sia della ricerca filosofica propriamente detta,
sia dell’indagine storiografica non piú storicisticamente orientata. Si pren-
da il primo versante. L’epoca del «disincanto» in cui ormai viviamo, figlia
della cultura della crisi, coincide con l’epoca volta a celebrare un sostan-
ziale risveglio di una cultura dell’utopia14. Il processo di secolarizzazione
dei principî dell’ontologia della storia ha scoperchiato il vaso di Pandora:
sono schizzati via elementi tra i piú vari, che riflettono i mutevoli umori
di una cultura, quella europea del secondo dopoguerra, alla ricerca di un’i-
dentità capace di far leva sul proprio passato, senza intenderlo come un

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retaggio del tutto desueto o, addirittura, ingombrante. Ne sono un’emble-


matica espressione le filosofie della responsabilità e della speranza.
Rispetto ad entrambe, il futuro diviene l’ontologia del non-ancora ed il
presente la condizione della sua possibilità. Scegliere bene oggi, agire
muniti di un accorto senso della prospettiva, cercando di prevedere – e di
controllare – gli effetti delle proprie azioni, progettare disegni di ampia
portata, stabilire un nesso tra sé come espressione culturale di una certa
tradizione ed un orizzonte futuro di idee e di azioni serve a non crogiolar-
si nell’anarchismo della crisi o nella languorosa fenomenologia del desi-
derio, che, alla fine, sfocia o nel vizio o nella frustrazione. E questo nostro
tempo, già affetto dalla sindrome della complessità, non ha certo bisogno
d’essere colpito da ulteriori patologie!
Tutto ciò costituisce una spia del bisogno di azione, il vero tarlo che
lavora nel presente per proiettarlo in avanti. In questo senso, per esempio,
l’idea blochiana di «utopia concreta» rappresenta un desiderio-progetto,
un modo per riappropriarsi del futuro partendo dall’oggi, ma senza ipote-
carlo. Cosí, si esplicitano le tendenze di un tempo, leggendo il futuro come
uno spazio, affascinante ed inquietante, di possibilità senza garanzie, per-
ché libera e senza garanzie è la vita. In fondo, l’elogio dell’azione serve a
comprendere come gli scenari aperti dal crollo dei sistemi metafisici pos-
sano essere laboriosamente trattati alla maniera di sequenze di occasioni:
quando il Weltgeist sonnecchia, gli stimoli bisogna darseli da sé, senza
chiedersi in maniera troppo insistente quanto durerà il suo sonno o se si
tratta davvero di una condizione di riposo oppure di un rassicurante mirag-
gio. Come ha ammonito Popper, «invece di posare a profeti, noi dobbia-
mo diventare i creatori del nostro destino»15.

II. Esiste un altro versante, strettamente legato al precedente, quello


delle implicazioni metodologiche di tale mutamento dell’asse semantico
del concetto di storia. Visto che il gesto storiografico è carico di teoria,
torna la vexata quaestio: in quale misura l’idea che lo storico ha della sto-
ria ne condiziona le scelte e, al limite, i risultati? Come reagisce lo stori-
co dinanzi al passaggio dallo storicistico circolo di filosofia e storia della
filosofia ad un’idea di storia come casuale e caotica galleria di dati e fatti

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particolari e contingenti? In qual modo egli ricalibra i propri strumenti? Il


paradigma della storia come racconto a quale modello di storiografia filo-
sofica corrisponde? Con quali nuove sollecitazioni metodologiche que-
st’ultima deve confrontarsi? Come si costruiscono le storie?
Stimolati da questi interrogativi, sin dagli anni Trenta e Quaranta, molti
storici inneggiano ad una «nuova storia». Come suggerisce Jacques Le
Goff, tale rinnovato approccio alla ricerca storica s’inserisce in una com-
plessiva temperie di rinnovamento del mondo delle «scienze dell’uomo»:
l’emersione di scienze nuove, il «rinnovamento» dei còmpiti attribuiti alle
discipline storico-umanistiche tradizionali, l’esigenza di interdisciplinari-
tà hanno permesso alla storia di assumere una posizione del tutto partico-
lare16. Tutto ciò è il frutto di una spinta al rinnovamento che parte da molto
lontano. Marc Bloch e Lucien Febvre avevano avviato l’esperienza delle
Annales all’insegna di un’idea di rinnovamento integrale della pratica sto-
riografica. Stranamente, si facevano avanti termini quali «storia globale»
o «storia totale», i quali, prima facie, potrebbero apparire in linea con
quella mentalità storicistica dei cui limiti la cultura europea cominciava,
proprio in quegli anni, a prendere coscienza.
Al di là di un certo indiretto hegelismo, pure presente nell’opera dei
corifei delle Annales17, studiando la curvatura semantica dell’aggettivo
‘totale’ ci si può rendere conto della portata del cambiamento. Non si trat-
ta piú di descrivere le grandi trame dello Spirito, le sue epocali proiezioni
di senso a cui ci aveva abituato l’idealismo spiritualistico. ‘Totale’ non è
piú sinonimo di ‘assoluto’. Al contrario, è la risposta alla presa di coscien-
za dei mezzi di cui disponiamo per fare luce sul passato. Data la comples-
sità dei fenomeni storici e le dense nebulose che ne avvolgono il divenire,
l’unica via capace di offrire qualche speranza di successo consiste nel
combinare le forze e le competenze degli studiosi, nell’ampliare l’oggetto
di applicazione delle singole scienze, nel trovare linguaggi di comunica-
zione tra le varie discipline per organizzare produttivi piani di ricerca, nel
mettere in condizione gli studiosi di aggredire i problemi da piú parti.
Cosí, le lacune o i coni d’ombra possono essere affrontati intrecciando,
correggendo o combinando tra loro le ipotesi degli specialisti.
Lo studio di una civiltà diviene, in una certa misura, un’impresa collet-

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tiva, guidata e corretta tanto da intuizioni, quanto da errori. La stranezza è


svelata: il termine ‘totale’ è l’omologo, sul piano metodologico, di ‘sin-
cronico’. Naturalmente, uno degli obiettivi polemici degli annalisti è la
metodologia positivistica dell’indagine storiografica, con quel suo culto
astratto del dato oggettivo e dell’evenemenziale, isolato in una cappa di
vetro e consegnato all’occhio acuto e imparziale dello storico18. Qui conta,
innanzitutto, sottolineare, però, la rinnovata idea di globalità dell’indagi-
ne storica a cui i teorici delle Annales danno origine. Infatti, «in una socie-
tà, qualunque essa sia, tutto si lega e si condiziona vicendevolmente: la
struttura politica e sociale, l’economia, le credenze, le manifestazioni piú
elementari come le piú sottili delle mentalità»19. In questo senso, emerge
«una storia non automatica, bensì problematica»20. Dunque, agli occhi
dello storico un fenomeno storico è un problema da affrontare. Un rapido
sguardo consente di valutarne l’estensione. Un programma d’indagine
congiunto permette di utilizzare il massimo numero possibile di strumen-
ti, per snidarne le componenti, analizzarne i motivi, studiarne le origini e
gli sviluppi, calibrare le ipotesi, com-prenderlo. Tali osservazioni possie-
dono un valore metodologico intrinseco, al di là degli annalisti e della sto-
riografia francese e di qualsivoglia altra area culturale21.
Problematizzare significa interagire, creare quel circuito di relazioni di
scambio che, con una certa enfasi, Le Goff definisce «collaborazione
internazionale» tra storici educati dalla mentalità della «storia totale»22. Il
percorso è pienamente comprensibile: data l’estensione dei problemi e
l’ampiezza delle ambizioni, solo un’azione sinergica può realizzare un
fronte comune contro le difficoltà. Un risultato parzialmente conseguito
diviene la premessa di un ulteriore programma di ricerca, elaborato con
spirito d’insieme, ma anche con paziente senso del dettaglio. Diviene pos-
sibile, cosí, valutare i dati di cui si dispone ed immergerli nei contesti di
cui sono espressione.
Ciò comporta un rinnovamento dei metodi d’indagine. Quando Le Goff
si richiama ad una «nuova concezione del documento accompagnata da
una nuova critica dello stesso»23 solleva una questione decisiva. La testi-
monianza del passato, diretta o indiretta, è l’unica traccia a cui lo storico
può affidarsi per ricostruire i termini di un dato problema. A cosa corri-

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Discorrendo di Storia, metodi e storie ...

sponde un approccio «critico» al documento? Non importa, in questa sede,


far luce sulle intenzioni di Le Goff. Interessa trarre spunto dalle sue osser-
vazioni per vedere cosa possa nascondersi dietro una forma di rinnova-
mento metodologico di questo tipo24.
Com’è noto, il moderno concetto di ‘critica’ è sinonimo di ‘condizione
di possibilità’. Ma non va colto in quest’accezione. Infatti, non è piú dato
perorare idee astratte del tipo «Verità storica» o «Filosofia», ma solo una
serie di approssimazioni a come si presume «siano veramente andate le
cose», focalizzando l’attenzione, nel fare storia delle idee, su un certo
numero di intellettuali cui si deve l’aver posto in essere alcune argomen-
tazioni razionali. A comporre tale mosaico di componenti depongono le
scelte dello storico, le sue convinzioni o pre-comprensioni, l’oculatezza o
meno di certe ipotesi interpretative25. Dunque, presenti i documenti, i pro-
fili derivano dai punti di vista ermeneutici dello storico. Quando quest’ul-
timo sente parlare di ermeneutica, però, avverte, in genere, un’intima
inquietudine. Teme che possa essergli sottratto il diretto rapporto con il
datum o che un simile stato di cose possa alimentare lo scomposto chiac-
chiericcio di interpreti non autorizzati di un autore o di un problema.
Ora, per fare lo storico non occorrono certificati intesi a comprovarne
l’iscrizione all’albo, altrimenti sarebbe utile sapere quale sia l’ente che li
rilascia. Certo, un tempo esistevano scuole che obbligavano ad una sorta
di militanza, dotate di una precisa prospettiva metodologica, a cui attinge-
re, per cosí dire, i «ferri del mestiere». Ma tutto ciò va visto ormai con una
certa flessibilità, perché non esistono perimetri, ancorché rigorosi o persi-
no raffinati, capaci di contenere e di esaurire l’intelligenza critica dello
storico. Ermeneutica non è, pertanto, sinonimo di libertà indisciplinata di
ricerca. Il criterio selettivo rimane il rigore del metodo. Senza dimentica-
re, però, che analizzare significa valutare. Una volta ricostruito il quadro,
lo storico giudica, difendendosi da quella sorta di hegelismo latente, che,
talvolta, ne caratterizza le piú profonde convinzioni. Cosí, continua ad
incuriosirsi, pur rischiando, ad ogni passo, di sbagliare26.
Nella fattispecie, lo storico delle idee definisce la caratura teorica dei
suoi auctores, collegandoli ai contesti ed incastonandoli nella storia dei
problemi: solo uno sguardo prospettico gli consente di avvedersi della sta-

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tura, della postura e della robustezza di ognuno. È ora di chiudere i con-


tatti, forse, con quelle devianti - e miopiche - forme di ossessione per le
ricapitolazioni o con quelle asettiche ricostruzioni di questioni in larga
parte risapute, che, con la loro presunta asetticità, pretendono di rispettare
le bronzee leggi del rigore filologico. La filologia è un’altra cosa.
Altrimenti, sarebbe troppo semplice: basterebbe parafrasare una serie di
libri per produrre un’opera di storia. Certo, molto spesso la larga parte di
quel che facciamo è la riproduzione del già detto, specie quando non si
hanno nuovi documenti da addurre. Ma, in questo caso, ciò deve servire
solo per costruire le premesse di un’ipotesi, di un sentiero interpretativo o
di un contributo inteso a chiarirne altri già consolidati, senza cadere nel-
l’eccesso opposto di schizzi problematici privi di adeguati scandagli stori-
ci, in nome di cervellotici schemi di lettura degli eventi.
Del resto, c’è un concetto storiografico ed uno ermeneutico di «scoper-
ta» storica. Promuovere un approccio critico ai documenti equivale ad un
invito a congetturare, ad isolare i problemi, a proporre intrecci volti ad
agguantarli, per alimentare la discussione tra gli specialisti ed ottenere
indicazioni adeguate a mettere a fuoco meglio l’oggetto. Ciò costituisce il
motivo della perenne rigenerazione della storiografia filosofica, perché
infiniti sono gli equilibri possibili tra gli elementi di una questione; questa
è la ragione per cui si continua a riflettere su Platone come su Kant, su
Demostene come sulla Versailles di Luigi XIV, su Pisistrato come sulla
Luxemburg: l’elenco potrebbe continuare quasi all’infinito.
Inserirsi nei contesti e fare appello alla lucidità dell’intelligenza valu-
tante dello storico significa capire che quest’ultimo non deve solo spor-
carsi le mani negli archivi o abituarsi agli odori stantii di secolari muffe
depositatesi tra gli interstizi delle scansie di vecchie biblioteche; egli ha,
piuttosto, il preciso dovere di formulare ipotesi e fare capire come, a suo
giudizio, «stanno le cose». Non bastano gli apparati, l’elenco delle varian-
ti o, peggio, la pedanteria ottusa di chi è attento solo a verificare l’esattez-
za formale delle annotazioni o è fedele ad un’angusta idea di chiarezza
espositiva. Certo, tutto questo ha un valore alto ed indecentrabile, ma,
accanto a ciò, conta accendere la fiamma dell’intelligenza, … supponen-
do, naturalmente, che qualche fuoco nella testa arda! Ormai, certi vezzi

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Discorrendo di Storia, metodi e storie ...

vetero-positivistici fanno solo sorridere. V’è di piú. Sortiscono un profon-


do disappunto, perché celano, spesso, una scoraggiante assenza di idee.
Eppure, il manto si presenta candido ed immacolato, anche se, magari,
sotto il vestito niente! Filologia e critica, rigore e raffinatezza degli
approcci rendono l’indagine storiografica un’impresa critica, perché inter-
pretativa27.
Lavorando in quest’ottica, sarà possibile frantumare la presunta unità
del Tempo della Storia nei tempi di cui è costituito. Il tempo nel corso del
quale fiorisce una cultura ha tante anime al suo interno. C’è la macchia
ridente degli eventi e c’è il folto, oscuro e misterioso sottobosco delle allu-
sioni, delle tendenze, delle credenze, le quali costituiscono, spesso, il
sostrato materiale su cui si erigono certe scelte o talune prese di posizio-
ne. In questo senso, lo storico si dispone ad offrire nuovo rilievo allo stu-
dio delle «mentalità»28, dell’«immaginario»29 o dei «contesti margina-
li»30, nella convinzione che la storia è il frutto dell’intersecazione delle
azioni di tutti, non il risultato delle gesta dei grandi protagonisti posti ad
agire sul palcoscenico della gloria in quanto strumenti terreni della
Ragione. Tutto ciò si persegue inseguendo i grandi progetti come i sogni
a cui ogni tempo risulta legato, intersecando di continuo il piano dell’in-
dividuale con quello del collettivo, sulla base di quella «passione delle
idee e delle teorie» che permette alla scienza storica di salire pian piano i
suoi «gradini»31.
Rimane una grande consapevolezza: l’estrema complessità del fenome-
no storico esige un approccio sincronico, un apparentamento di fondo tra
le scienze umane intese a dar fondo alle loro risorse euristiche per risol-
vere certe questioni. Come auspica Le Goff, si giungerà o ad una sorta di
«pan-storia, scienza globale dell’uomo, degli uomini, del tempo» oppure
ad una «fusione tra le tre scienze sociali piú vicine: storia, antropologia e
sociologia»32. In ogni caso, la storia conserverà sempre un ruolo di primo
piano.
Quest’esigenza di mettere in risalto competenze derivanti da àmbiti
disciplinari diversi allarga oggi il suo orizzonte, allorché s’infiamma il
dibattito sull’utilità dei mezzi informatici nell’attività di ricerca33 o sulla
necessità di combinare metodi all’altezza dei problemi, di definire «idee»

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e «teorie» adeguate alla loro difficoltà, di acquisire una flessibilità critica


che consenta di mutare strategia in corso d’opera qualora non si dimostri
efficace, di essere capaci di apprendere dai propri errori e di capire che il
confronto s’instaura sempre con la complessità delle vicende, non con
l’interpretazione rivale. In fondo, la cosiddetta «nuova storia» si riduce al
proposito di combinare le forze, aguzzare gl’ingegni, rendere duttili i
metodi senza perdere in rigore, per ridurre al minimo la possibilità del-
l’errore e moltiplicare al massimo il ventaglio delle soluzioni plausibili,
correggendole, allo scopo di perfezionare la migliore ed approssimarla
quanto piú possibile a fenomeni storici ancora oscuri.
In tal modo, si determina un «contatto»34 con il passato in grado di crea-
re circuiti di relazione tra autori, determinazioni problematiche e idee
delle epoche piú diverse. Tutto ciò non tanto per ricadere nel filosofema
della contemporaneità della storia, quanto per riflettere sulla centralità
della storia nel nostro sistema di costruzione delle identità culturali, visto
che la ricerca storica rimane un modo «per prendere posizione nei con-
fronti dei problemi fondamentali della società, della politica e della mora-
le»35. In fondo, «noi studiamo la storia perché siamo interessati ad essa, e
anche perché vogliamo imparare qualcosa sui nostri problemi»36.
Un tempo come il nostro, che pare aver perso di vista i punti cardinali
in funzione dei quali potersi orientare, ha bisogno di un confronto conti-
nuo con i classici e con i grandi sistemi culturali del passato. Ha modo,
cosí, di fluidificare i propri moduli d’interpretazione di sé e di compren-
dere quanto variegata sia l’esperienza della propria auto-rappresentazione.
E, soprattutto, può avvedersi del fatto che non c’è critica senza storia e
che ogni giudizio in tanto ha senso in quanto è storicamente determinato.
Dunque, quando si guarda al problema filosofico della storia e ci s’inter-
roga sulle ricadute metodologiche insite nell’idea di storia come racconto
di fatti individuali emerge un percorso parallelo. Dare scacco ai grandi
provvidenzialismi storicistici – s’è detto – significa accreditare un oriz-
zonte nel quale emerge la molteplicità dei punti di vista, la fallibilità dei
piani razionali, una concezione della storia come storia di uomini vincola-
ti ai contesti variabili dei loro tempi. Ora, se è implicita una qualche idea
di storia in chi la fa, a cosa corrisponde sul piano metodologico tale con-

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Discorrendo di Storia, metodi e storie ...

sapevolezza? Ad un’uguale apertura interpretativa, ad un’espansione del


concetto di ‘problema storico’, al superamento dell’idolum del fatto, alla
persuasione che non esiste un metodo mediante cui dare l’assalto alle que-
stioni irrisolte, ma tanti metodi, legati ad altrettanti acuminati strumenti di
ricerca, da cui trarre utili indicazioni per andare avanti. Ne rimane una
lezione di sobrietà ed un fondamentale insegnamento: leggere ogni cer-
tezza all’insegna della categoria della congettura, valida fino a prova con-
traria e giammai vera. Cosí, anziché presentarsi nei termini di ‘Sacerdote
del Vero’, lo storico può avanzare di sé l’immagine del segugio di imma-
gini sempre piú articolate delle varie realtà storiche, per cercare di resti-
tuire il passato a se stesso e noi alla nostra identità.

III. I singoli percorsi di ricerca raccolti in questo volume sono una con-
ferma delle inquietudini critico-metodologiche a cui s’è alluso e vogliono
essere un’indiretta risposta alle domande prima sollevate. Naturalmente,
al di là dei proclami metodologici, il mestiere dello storico si esplica nel
concreto confronto con i tanti quesiti a cui bisogna dare risposta.
L’obiettivo complessivo del volume non è quello di tentare un bilancio del
dibattito sulla metodologia dell’attività storiografica intesa ad investire
tematiche di carattere filosofico; ci si propone, piuttosto, di verificare
come il racconto storiografico sia legato alla concentrazione di ‘sforzi’
metodologici volti a definire la fisionomia del suo oggetto. Ecco perché
s’è fatto leva, nel sottotitolo, sull’espressione ‘storiografia filosofica’, da
intendersi come sinonimo di attività storiografica, di critica storica e di
teoria della storiografia. Il passaggio dalla Storia alle storie ne comporta
una significativa trasformazione. L’auspicio, dunque, è di fornire ai letto-
ri un momento trasversale di discussione intorno a questi temi, senza alcu-
na pretesa di produrre risposte, ma nel tentativo di problematizzare ulte-
riormente le questioni, valutandone la coerenza, le contraddizioni e l’uti-
lità in sede di ricerca.
Il rispetto dell’alterità del passato e della molteplicità dei punti di vista
interpretativi, l’approccio critico ai documenti, la prudenza nell’esprime-
re giudizi, la fedele militanza nelle fila della «scuola del sospetto» per dare
scacco ad aprioriche convinzioni o a pregiudizi che poco condividono con

19
Sandro Ciurlia

il lavoro di verifica incrociata dei dati sono i convincimenti – e lo stile di


ricerca – cui ciascun autore è rimasto fedele. In questo modo, indiretto per
l’appunto, s’è offerta un’occasione per celebrare il primato delle storie su
ogni radicalizzazione storicistica, esibendo una varietà di metodi e di
approcci che, nel fare il punto sui problemi trattati, segnala quanta strada
rimanga ancora da fare.
Sandro Ciurlia (Università di Lecce), facendo leva sulle metafore geo-
metriche della sfera e del punto, ha calibrato la sua attenzione sul muta-
mento dell’immagine filosofica della storia verificatasi nel corso del
Novecento. Studiando i variegati fermenti della crisi, si è soffermato a
riflettere sull’attualità delle filosofie della storia, sul senso di rassicurazio-
ne psicologica che ingenera l’idea di un comune destino storico cui si par-
tecipa e sui nuovi scenari aperti dalla mentalità globalizzante, rispetto alla
quale tendono a ricomporsi in una superiore e problematicissima unità i
tanti destini individuali.
Alberto Nave (Università di Cassino) sottopone ad analisi la dibattuta
questione crociana dello statuto del giudizio storico, inteso a riferire i fatti
della storia, eppure, a suo modo, «giudizio teoretico» a tutti gli effetti. Ne
emerge un quadro estremamente problematico, affrontato mediante la
chiarificazione dei livelli semantici che il giudizio storico assume nella
riflessione crociana sulla teoria della storiografia.
Paolo Pastori (Università di Camerino) analizza la questione della nasci-
ta della historia rerum gestarum come scienza. La definizione dei criteri
di una ricerca storica rigorosa nella cultura classica greco-romana, al di là
della mera agiografia e dell’aneddotica, lascia trasparire la comune ten-
denza a sottolineare il valore della virtù del singolo o della fortuna di un
popolo. Cosí, le seduzioni della filosofia della storia s’insinuano nelle
maglie della ricostruzione storiografica, dando vita alle prime compiute
forme di continuismo storico.
Antonio Quarta (Università di Lecce) si interroga sul senso della storia
nell’epoca del crollo della fiducia metafisica nell’unità del genere umano.
Si giunge ad individuare, cosí, una sorta di ‘terza via’ tra i fulgori ormai
superati dello storicismo assoluto e gli abbattimenti senza speranze di pro-
spettive meramente nichilistiche, creando «uno spazio aperto», fatto di

20
Discorrendo di Storia, metodi e storie ...

poche e finite certezze.


Massimo Sabbieti (Università di Camerino), prendendo le mosse dai
grandi paradigmi dello storicismo illuministico (Bossuet, Voltaire), affron-
ta i nuclei problematici relativi alla nascita del concetto hegeliano di
«Storia universale». Lo storicismo contemporaneo, a sua volta, riproble-
matizza il rapporto tra metafisica e storia, getta nuova luce sui criteri cui
deve attenersi lo storico nell’esercizio della sua attività di ricerca ed invi-
ta a continuare a riflettere sull’attualità delle filosofie della storia.
Domenico Scalzo (Università di Urbino e Università di Camerino)
affronta la spinosa tematica del compimento della storia come evento ori-
ginario nella filosofia di Heidegger, nel crogiolo dell’incessante dialettica
tra la permanenza dell’essere ed il divenire della temporalità. La Kehre
determina, poi, un riassetto della questione ed il confronto con i Beiträge
diviene inevitabile per definire gli articolati sottintesi mistico-ontologici
che alimentano la seconda meditazione heideggeriana. Ne discende un’i-
dea di storicità come inaggirabile banco di prova per una rinnovata meta-
fisica intesa a definire le condizioni della propria rappresentazione.
La seconda sezione della Rivista – Forum: sentieri del pensare – racco-
glie due contributi di storiografia della scienza.
Salvo D’Agostino (Università di Roma “La Sapienza”) ha concentrato
la sua ricerca sull’opera di Hertz, chiarendo come l’idea di esperimento
s’imperni sull’apparato teorico che guida lo scienziato a verificare le sue
congetture. Tutto ciò pone le premesse di un significativo mutamento di
prospettiva e di strategia euristica, dalla cui evoluzione sorge la fertile
parabola della ‘fisica teorica’ novecentesca.
Ubaldo Sanzo (Università di Lecce), ricostruendo le vicende relative
alla fondazione dell’École Polytechnique, ha avuto modo di riflettere, in
generale, sul modo in cui la ricerca scientifica è condizionata dalle istitu-
zioni responsabili della sua promozione e, in particolare, sulla maniera in
cui le vorticose vicende politiche della Francia rivoluzionaria abbiano
condizionato lo stesso assetto dei programmi didattici e formativi adottati
dalla celebre Scuola sul finire del XVIII secolo.
L’ultima sezione della Rivista – Effemeridi filosofiche –, di carattere
informativo, accoglie una serie di recensioni.

21
Sandro Ciurlia

Desidero dedicare questo volume di “’Αρχη” ´ che ho l’onore e la respon-


sabilità di curare alla memoria del Prof. Francesco Barone, la cui signori-
le acutezza di giudizio e la cui cordiale disponibilità sono state per me uno
stimolo importante a perseguire la curvilinea traiettoria degli studi
leibniziani.

NOTE

1 G.W.F. HEGEL, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, in Werke.


Vollständige Ausgabe durch einen Verein von Freunden des Verewigten, Bde. 18,
Herausgegeben von P. Marheineke, J. Schulz, E. Gans, L. von Henning, H.G. Hotho,
K.L. Michelet, F. Förster, Berlin, Duncker & Humblot, 1832-1845, Bd. IX, p. 22.
2 Cfr. K. LÖWITH, Significato e fine della storia. I presupposti teologici della
filosofia della storia, Milano, Edizioni di Comunità, 1963, pp. 23-44.
3 Cfr. K. LÖWITH, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pen-
siero del secolo XIX, Torino, Einaudi, 1949, soprattutto pp. 212 e sgg.
4 Cfr. K.R. POPPER, Miseria dello storicismo, Milano, Feltrinelli, 20023, pp.
17-8.
La prima edizione dei testi di Löwith e di Popper è datata, rispettivamente,
1949 e 1957.
5 Si allude al terzo momento della dialettica hegeliana in cui si realizza la sinte-
si razionale comprensiva degli opposti tetici: cfr. G.W.F. HEGEL, Enciclopedia
delle scienze filosofiche in compendio, voll. 2, Roma-Bari, Laterza, 19733, v. I,
pp. 86-8.
6 Cfr. K. LÖWITH, Il significato etc., cit., p. 74.
7 Cfr. P. RICOEUR, Temps et récit, voll. 3, Paris, Èdizions du Seuil, 1983.
8 F.A. HAYEK, L’abuso della ragione, Firenze, Vallecchi Editore, 1967, p. 43.
9 Ib.
10 Cfr. Id., pp. 44 e sgg.
11 F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino,
Einaudi, 1953, p. XXXII.
12 Sull’attualità, sul piano metodologico, della proposta crociana della celebre
idea secondo cui ogni storia è «storia contemporanea», cfr. G. GALASSO,
Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia, Bologna, Il
Mulino, 2000.
13 Cfr. P. ROSSI, Un altro presente. Saggi sulla storia della filosofia, Bologna, Il
Mulino, 1999. Mi sono occupato di discutere la suggestiva proposta di Rossi nel
saggio La storia: un altro presente o il nostro passato?, in “’Αρχη”, ´ III
(2000/2001), Lógos e storia, a c. di S. Ciurlia, pp. 169-222.
14 I termini utopia e disincanto vengono proposti in un significativo accostamen-

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Discorrendo di Storia, metodi e storie ...

to da C. MAGRIS nel volume Utopia e disincanto. Storie, speranze, illusioni del


moderno, Milano, Garzanti, 2001.
15 K.R. POPPER, Tutta la vita è risolvere problemi. Scritti sulla conoscenza, la
storia e la politica, Milano, Rusconi, 1996, p. 187.
16 Cfr. J. LE GOFF, La nuova storia, in AA.VV., La nuova storia, a c. di J. Le

Goff, Milano, Mondadori, 19984, pp. 7-46: 9-10.


17 Di recente, si è occupato di questo problema in relazione a Braudel, adducen-
do buone argomentazioni, G. MARI nello studio I vocabolari di Braudel. Lo spa-
zio come verità della storia, Napoli, Luciano Editore, 2001. Per un commento ana-
litico della proposta interpretativa di Mari si permetta di rinviare a S. CIURLIA, I
linguaggi della ricerca storica: i vocabolari di Braudel, in “Segni e comprensio-
ne”, XVI, 47, (2002), pp. 75-84.
18 Cfr. L. FEBVRE, Combats pour l’Histoire, Paris, A. Colin, 1953, p. 7.
19 M. BLOCH, Apologie pour l’histoire ou métier d’historien, Paris, A. Colin,
1964, p. 96.
20 L. FEBVRE, Combats pour l’Histoire, cit., p. 42.
21 Nel descrivere le componenti della Nouvelle histoire, J. LE GOFF tende a riba-
dire come quest’indirizzo di ricerca sia frutto «essenzialmente» della cultura fran-
cese, la quale «non è stata dominata da un Vico […], da un Hegel, da un Carlyle,
e piú vicino a noi da un Croce o da un Toynbee» (La nuova storia, cit., p. 30).
Nulla da dire sulla singolarità del movimento annalista, ma, forse, per rispondere
in modo adeguato alla domanda su cosa significhi «fare storia» oggi, contano poco
forme di nazionalismo culturale. Certo, la prima esperienza delle Annales è guida-
ta da intellettuali francesi, ma la loro proposta di rinnovamento metodologico, tra
luci ed ombre, ha alimentato un dibattito di lunga durata, dal quale sono scaturite
convinzioni, punti fermi ed affinamenti metodologico-critici che oggi fanno parte
del patrimonio degli «strumenti di ricerca» dello storico di ogni latitudine.
Dunque, andando oltre le origini, ci s’imbatte in un fenomeno di larghissima
portata. Le Goff s’appresta a ricordare che tutto ciò «non deve portare a una con-
cezione radicalmente nazionalista della nuova storia» (Ib.), anche se sopravvive il
sospetto della persistenza di un forte spirito di appartenenza nella sua concezione
della stessa. Certo, è legittimo stabilire, in linea di massima, l’identità culturale
delle tradizioni storiografiche francese, italiana e tedesca, ma, anche qui, il per-
corso non è del tutto indicativo, perché la stessa espressione ‘tradizione storiogra-
fica’ è un singolare collettivo ed è alquanto problematico avventurarsi in una defi-
nizione che non sia del tutto provvisoria.
D’altra parte, l’obiettivo di Le Goff è chiaro: definire la cultura francese come
il terreno piú fertile dove far prosperare una forma di ricerca storiografica sciolta
da ogni simpatia per lo storicismo. In questo, la Francia sarebbe un elemento di
singolarità nell’Europa del primo Novecento e l’annalistica ne sarebbe la confer-
ma ed il coronamento. Ora, pur prescindendo dallo “Hegel francese”, Michelet,
forse è difficile trascurare, nella delineazione di un equo quadro della questione,
l’influenza, per esempio, di un Kojève, di un Wahl e di un Hyppolite, che hanno

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Sandro Ciurlia

contribuito alla rinascita degli studi hegeliani in Francia e che hanno fornito non
pochi echi di categorie storicistiche ai concetti di «storia totale» o «storia univer-
sale» propugnati dai protagonisti delle Annales. Pertanto, l’orizzonte è assai varie-
gato, è arduo spingere troppo oltre le distinzioni. È opportuno, piuttosto, riflettere
sugli effettivi ausili che tale prospettiva di ricerca riesce ad offrire al faticoso
mestiere dello storico in termini di apertura ai tanti «contesti marginali» che, spes-
so, sfuggono o non sono adeguatamente considerati.
Sulla vicenda critico-metodologica dell’annalistica è utile consultare P.
BURKE, Una rivoluzione storiografica. La scuola delle “Annales” (1929-1989),
Roma-Bari, Laterza, 20027.
22 Cfr. J. LE GOFF, La nuova storia, cit., p. 30.
23 Id., p. 42.
24 Cfr. Ib.: Le Goff cita l’idea di «documento/monumento» di Foucault come
punto di partenza verso un completo «destrutturare il documento», inteso, que-
st’ultimo, alla maniera classica. In verità, convince lo sprone a risemantizzare il
concetto di documento, assai meno l’espressione «destrutturare», che, se non chia-
rita, può dar àdito, specie se utilizzata da uno storico di professione, a
fraintendimenti.
25 Scrive con acume lo storico francese: «Il documento non è neutro, non deriva
solo dalla scelta dello storico, egli stesso parzialmente condizionato dalla sua
epoca e dal suo ambiente» (Ib.).
26 Ha ragione P. ROSSI quando parla dell’intrinseca rischiosità del mestiere dello
storico (Introduzione, in AA.VV., Cinquant’anni di storiografia filosofica.
Omaggio a Carlo Augusto Viano, a c. di E. Donaggio e E. Pasini, Bologna, Il
Mulino, 2000, pp. 15-39: 39).
Belle pagine sull’avventurosità del lavoro di ricerca e sulla parzialità nell’in-
dividuazione dei dati ha scritto K.W. von HUMBOLDT, Il compito dello storico,
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1980, soprattutto pp. 119 e sgg.
27 Sul ruolo “attivo” della filologia come stimolante strumento di sorvegliamen-
to dell’esercizio storiografico e non come sinonimo di piatta erudizione, ha pro-
posto valutazioni ancora oggi significative E. GARIN nel volume La filosofia
come sapere storico, Roma-Bari, Laterza, 19902, soprattutto pp. 77 e sgg.
28 Cfr. P. ARIÈS, Storia delle mentalità, in AA.VV., La nuova storia, cit., pp.
141-66.
29 Cfr. E. PATLAGEAN, Storia dell’immaginario, in AA.VV., La nuova storia,
cit., pp. 289-317.
30 Cfr. J.-C. SCHMITT, La storia dei marginali, in AA.VV., La nuova storia, cit.,
pp. 257-87.
31 Cfr. L. FEBVRE, Combats pour l’Histoire, cit., p. 17.
32 J. LE GOFF, La nuova storia, cit., p. 45. Le Goff avanza anche una terza ipo-
tesi, quella di una storia orientata a ritagliarsi un «proprio territorio», dopo aver
operato una «nuova ‘frattura epistemologica’» rispetto alle altre scienze umane.
Soluzione, questa, un po’ troppo “filosofica” rispetto al piano concreto dell’eser-

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Discorrendo di Storia, metodi e storie ...

cizio storiografico, nella definizione del quale il rapporto con i contributi delle
altre scienze umane è a dir poco decisivo. Continuano, inoltre, a non convincere
espressioni quali «scienza globale dell’uomo»: il senso di tale locuzione in seno
alla prospettiva di Le Goff è chiaro, ma perché continuare ad usare aggettivi ambi-
gui, intrisi di rigurgiti di storicismo, che danno àdito ad equivoci, quando è proprio
dall’imperio delle filosofie totalizzanti della storia che ci si vuol definitivamente
liberare?
33 Cfr., a proposito del rapporto tra fonti storiche e supporti informatici, G.
GALASSO, Nient’altro etc., cit., pp. 293 e sgg.; sui media come strumento di con-
dizionamento critico e sociale si veda, tra gli altri, P. ORTOLEVA, Mediastoria.
Mezzi di comunicazione e cambiamenti sociali nel mondo contemporaneo, Milano,
Il Saggiatore, 20022.
34 Cfr. G. PIAIA, Il lavoro storico-filosofico. Questioni di metodo ed esiti didat-
tici, Padova, Cluep, 2001.
35 K.R. POPPER, Tutta la vita è risolvere problemi, cit., p. 161.
36 Id., p. 172.

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