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CORSO DI ENDOCRINOLOGIA GERIATRICA

I disordini del
metabolismo lipidico in
età geriatrica

DOCENTE: TESINA DI:

Prof. S. Mariotti Dott.ssa Barbara Orani

ANNO ACCADEMICO 2009-2010


Le iperlipoproteinemie sono malattie del metabolismo lipidico che si manifestano con un
patologico aumento delle concentrazioni delle lipoproteine plasmatiche; possono essere
caratterizzate da ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia isolata o ambedue.
Le concentrazioni delle lipoproteine plasmatiche, fisiologicamente, possono subire delle
modifiche in rapporto a diverse variabili, come:
 razza
 sesso
 età
 abitudini dietetiche.
FISIOPATOLOGIA
Le lipoproteine sono macromolecole formate da lipidi e proteine che si trovano nel plasma.
I lipidi più importanti sono i trigliceridi, il colesterolo (libero ed esterificato) e i fosfolipidi; le
proteine, chiamate apolipoproteine o apoproteine, sono molecole polipeptidiche con struttura
variabile. Le lipoproteine svolgono l'importante funzione di trasportare in forma solubile nel
plasma i lipidi, notoriamente insolubili, in ambiente acquoso.
I lipidi hanno una densità inferiore rispetto a quella delle proteine, e questa loro caratteristica
fisica, permette di separare all'ultracentrifugazione le lipoproteine dalle altre proteine del
plasma, e di identificare le diverse classi di lipoproteine, in base alla loro densità (che è tanto
minore quanto maggiore è il contenuto in lipidi).
Le principali classi di lipoproteine del plasma (in ordine crescente di densità) sono:
1. chilomicroni
2. lipoproteine a bassissima densità (o VLDL)
3. lipoproteine a bassa densità (o LDL)
4. lipoproteine ad alta densità (o HDL)
All'interno di ciascuna di queste classi principali si possono distinguere ulteriori sottoclassi
(sempre in base alla diversa densità).
Chilomicroni: sono le particelle lipoproteiche di maggiori dimensioni. Il loro diametro,
piuttosto variabile, può oscillare da 75 a 60 nm; sono quindi visibili al microscopio ottico.
Sono costituiti per circa il 98% da lipidi e per l’l-2% da proteine.
La particolare ricchezza in grassi e la povertà in proteine conferisce al chilomicrone
caratteristiche fisiche peculiari, quali una densità molto bassa (<0.95 g/ml), responsabile del
fenomeno della flottazione, ossia del galleggiamento spontaneo che avviene quando il siero
viene lasciato a sedimentare per qualche ora, e l’immobilità elettroforetica, dovuta sia alle
dimensioni della particella che alla debole carica elettrica.
I chilomicroni vengono formati esclusivamente nelle cellule della mucosa del duodeno e del
digiuno, dove avviene l’assemblaggio dei lipidi assorbiti dall’intestino con le apoproteine
prodotte dagli enterociti stessi (l’apoA-I, l’AII, l’A-IV e la B-48). Dopo essere stati secreti dalle
cellule intestinali, i chilomicroni, attraverso i dotti linfatici, raggiungono il dotto toracico e la
grande circolazione, dove vengono arricchiti in apoC-II e apoE, cedute ad essi dalle HDL.
La presenza di apoC-II e di apoE è di estrema importanza per il destino metabolico dei
chilomicroni, infatti, l’apoC-II è il cofattore della lipasi lipoproteica, enzima prodotto dalle
cellule del tessuto adiposo e del tessuto muscolare che idrolizza i trigliceridi della particella,
liberando gli acidi grassi che vengono poi assunti dai vari tessuti (muscolo striato, miocardio,
polmone, ghiandola mammaria, tessuto adiposo) che li utilizzano per le loro necessità
energetiche, o per la costituzione di materiale energetico di deposito.
Il risultato dell’attività della lipasi lipoproteica non è solo una riduzione del volume centrale del
chilomicrone per l’impoverimento in trigliceridi, ma anche una perdita di componenti di
superficie che danno origine alle HDL.
I residui dei chilomicroni (remnants), relativamente più ricchi in esteri del colesterolo ed in
apoE rispetto alla particella originaria, vengono definitivamente captati (per mezzo di recettori
specifici per apoE) e degradati dagli epatociti. La captazione dei residui chilomicronici e, in
particolare, del colesterolo da essi veicolato, comporta una regolazione della sintesi epatica di
colesterolo per una soppressione dell’enzima 3-idrossi-3-metilglutaril-Coenzima A-reduttasi
(HMG-CoA-reduttasi).
II fegato dunque reagisce all’apporto di colesterolo esogeno bloccandone la produzione locale.
La scomparsa dei chilomicroni dal circolo ematico è piuttosto rapida. Si calcola che l’emivita del
chilomicrone sia di appena pochi minuti, così che, in condizioni normali, i chilomicroni sono
reperibili nel plasma solo dopo un pasto abbondante in grassi.
VLDL o pre-beta-lipoproteine: Oltre il 90% dei trigliceridi presenti nel siero, in condizioni di
digiuno, è sintetizzato dal fegato e secreto nel circolo ematico come componente delle VLDL.
Queste sono costituite, in media, per il 60-70% della massa da trigliceridi, per il 10-15% da
colesterolo e fosfolipidi e, per il 10% da proteine (30-35% apoB-100, 50% apoC e 10% apoE
ed altre apoproteine). Anche le VLDL, come i chilomicroni, subiscono l'azione della lipasi
lipoproteica che idrolizza i trigliceridi, così si formano delle lipoproteine via via più piccole con
meno trigliceridi, ma più ricche di colesterolo (VLDL remnants e Intermediate Density
lipoprotein = IDL) fino a trasformarsi in LDL. Una parte di VLDL non viene trasformata in
LDL, ma viene rimossa dal circolo e catabolizzata negli epatociti.

IDL o Intermediate Density Lipoprotein: Circa la metà delle particelle IDL viene
catabolizzata entro 2-6 ore dal fegato; le particelle IDL non captate dal fegato rimangono in
circolo a lungo, e subiscono altre trasformazioni che ne modificano ulteriormente la struttura,
fino ad essere convertite in LDL.

LDL o beta-lipoproteine: sono grosse particelle sferiche costituite da:


o una parte centrale, composta da lipidi altamente insolubili, come esteri del colesterolo e
trigliceridi
o un mantello, formato da fosfolipidi, colesterolo non esterificato e apoB-100.
La funzione biologica delle LDL è rappresentata dal trasporto del colesterolo dal fegato alle
cellule dei tessuti periferici che lo utilizzano per le loro necessità plastiche, come la costituzione
delle membrane plasmatiche, o per quelle metaboliche, come la sintesi di ormoni steroidei e di
acidi biliari, previo legame con il recettore specifico che riconosce l’apoB-100, cioè la
componente proteica principale della particella. Questo recettore viene chiamato anche
recettore per l’apoB,E perché è in grado di legare non solo l’apoB-100, ma anche l’apoE.
Le LDL, dopo il legame con questo recettore, vengono internalizzate nella cellula. All’interno
del lisosoma l’LDL viene scissa nelle sue componenti per azione degli enzimi acidi lisosomiali
(proteasi e lipasi); la componente proteica viene idrolizzata ad aminoacidi, e gli esteri del
colesterolo a colesterolo libero, che svolge, a sua volta, importanti compiti di regolazione:
1. inibisce la produzione locale del colesterolo, per soppressione dell’enzima 3-idrossi-3-
metilglutaril-Coenzima A-reduttasi (HMG-CoA-reduttasi)
2. promuove il proprio immagazzinamento, attivando l’enzima acil-colesterol-acil-
transferasi (ACAT), che lo esterifica
3. inibisce la produzione di nuovi recettori
Questo meccanismo di regolazione fa si che la cellula sia sempre in grado, modulando l’attività
recettoriale, o attivando la produzione locale di colesterolo, di provvedere al proprio
fabbisogno senza sovraccaricarsi.
Nel soggetto normale, ogni giorno, attraverso questo recettore, sono degradate circa 1/3 delle
LDL circolanti nel plasma, mentre un'altra piccola quantità, viene eliminata con meccanismo
indipendente dal recettore per apoB,E nelle cellule del sistema reticolo-endoteliale. Quando
l'attività dei recettori per apoB,E non è sufficiente a mantenere una normale concentrazione
delle LDL nel siero, si verifica un aumento compensatorio di altre vie cataboliche, in
particolare, tramite il recettore "scavenger" localizzato sulla membrana dei macrofagi. Dopo
endocitosi, le proteine LDL vengono degradate nei loro costituenti aminoacidici e gli esteri del
colesterolo vengono dapprima scissi e poi riesterificati per azione della acil-colesterol-acil-
transferasi e depositati nel compartimento citoplasmatico. Mentre però la via recettoriale è una
via "fisiologica" e non provoca un abnorme accumulo di colesterolo nelle cellule, la via
"scavenger" condurrebbe al deposito di colesterolo e alla formazione di cellule schiumose e di
depositi colesterinici nei tessuti.

Lipoproteina(a): è una lipoproteina di densità compresa tra quella delle LDL e quella delle
HDL, che ha suscitato un notevole interesse negli ultimi anni, poiché i pazienti con
compromissione vascolare aterosclerotica presentano livelli sierici più elevati di tale
lipoproteina. Contiene un’apoproteina specifica, apoLp(a), che rappresenta circa il 20% del
suo contenuto proteico, il rimanente è costituito da albumina (15%) e da apoB (65%).
La Lp(a) ha una via metabolica apparentemente individuale e poco conosciuta. Non deriva da
altre lipoproteine plasmatiche, e non viene convertita in alcuna lipoproteina di classe diversa. La
sua concentrazione sembra essere geneticamente predeterminata. Il suo ruolo nel trasporto dei
grassi non è ancora stato chiarito, mentre sembra probabile un suo effetto pro-aterogeno.

HDL o alfa-lipoproteine: sono costituite per circa il 50% del loro peso da apoproteine
(soprattutto apoA-I e A-II), e per l'altro 50% da lipidi (in particolare fosfolipidi ed esteri del
colesterolo). Le HDL sarebbero formate, in parte, dall'azione della lipasi lipoproteica
extraepatica su chilomicroni e VLDL, e in parte, dal fegato e dall'intestino per sintesi diretta. Le
HDL potrebbero essere il veicolo di rimozione del colesterolo dalle cellule periferiche al fegato
ottenendo così il "trasporto inverso" rispetto a quanto avviene con le LDL. Le HDL circolanti
sarebbero in grado di acquisire il colesterolo libero dalle cellule; su questo colesterolo libero
agisce l'LCAT (Lecitin-Colesterol-Acil-Transferasi) che lo esterifica, e quindi il colesterolo
esterificato, viene trasferito a VLDL e LDL. Lo scambio dei lipidi apolari (quali appunto il
colesterolo esterificato e i trigliceridi) tra le lipoproteine circolanti nel plasma viene favorito da
alcune proteine plasmatiche, chiamate Lipid Transfer Proteins, che hanno un ruolo specifico
nel facilitare questi trasferimenti da una lipoproteina ad un'altra.

CLASSIFICAZIONE ED EZIOLOGIA
Le iperlipoproteinemie possono essere:
o primarie, provocate solitamente da alterazioni geniche ereditarie che portano ad
un’alterazione propria del metabolismo lipidico; vengono classificate in base al pattern
dell’elevazione lipoproteica
o secondarie, quando son dovute ad un'alterazione del metabolismo lipidico causata da
altre malattie o condizioni patologiche (es. l'ipotiroidismo, la colestasi, la sindrome
nefrosica, l'uso di farmaci estroprogestinici ecc.).
Tuttavia, esiste spesso una correlazione tra fattori genetici e fattori secondari, come diversi
farmaci e patologie, la dieta, l’obesità, l’attività fisica, il consumo di alcool e il fumo di sigaretta.
Ogni variazione dei lipidi plasmatici è provocata da una modificazione della concentrazione
delle lipoproteine, e si può schematicamente considerare che:
o un aumento del colesterolo del siero è quasi sempre dovuto ad un incremento delle LDL
o un aumento dei trigliceridi è causato da un incremento delle VLDL (solo in pazienti non
a digiuno o con trigliceridemia superiore a 800-1000 mg/dl oltre alle VLDL si trovano
in circolo anche chilomicroni).
Da tempo è stata proposta una classificazione delle iperlipoproteinemie in 6 diversi fenotipi.
Questa classificazione, però, non stabilisce la causa (malattia genetica o altro) che determina
l'iperlipidemia.

Lipoproteine plasmatiche Fenotipo Nome generico Forme primitive Forme secondarie


elevate O.M.S.

CHILOMICRONI I Iperchilomicronemie Deficit LPL Paraproteinemie LES


Deficit apo-CII

LDL IIa Ipercolesterolemia familiare Nefrosi Ipotiroidismo


Ipercolesterolemia Ipercolesterolemia poligenica Paraproteinemie
Iperlipidemia a fenotipi Sindrome di Cushing
multipli Porfiria acuta int.

LDL+VLDL IIb Iperlipidemia Iperlipidemia a fenotipi Nefrosi Ipotiroidismo


combinata multipli Paraproteinemie
familiare Sindrome di Cushing

ß-VLDL III Malattia della larga Iperlipoproteinemia di tipo Ipotiroidismo LES


banda beta III

VLDL IV Iperlipidemia Ipertrigliceridemia familiare Diabete Glicogenosi-


endogena Iperlipidemia a fenotipi tipo I Lipodistrofia
multipli Ipertrigliceridemia Paraproteinemie
sporadica Uremia

VLDL+CHILOMICRONI V Iperlipidemia mista


Ipertrigliceridemia
sporadica
DISORDINI DEL METABOLISMO LIPIDICO IN ETA’ GERIATRICA

È ampiamente riconosciuto che nella popolazione generale il rischio cardiovascolare aumenta in


modo progressivo con l’aumentare dell’età in entrambi i sessi, seppure con un differente
andamento nell’uomo e nella donna (Fig. 2).

L’età rappresenta, con il sesso e la storia familiare, uno dei principali fattori di rischio
cardiovascolari non modificabili. L’anziano presenta quindi il più alto rischio assoluto di subire
un accidente vascolare cardiaco o cerebrale (infarto miocardico o ictus) e lo dimostrano, in via
definitiva, le rilevazioni sulle cause di morte accertate: dopo gli ottanta anni i decessi imputabili
ad eventi cardio-cerebrovascolari costituiscono il 60% del totale; tra sessanta ed ottanta anni il
35% e dai quaranta ai sessanta il 5% (Fig. 3).

L’alterato metabolismo del colesterolo è una delle principali cause di morbilità e mortalità
cerebro-cardiovascolare, oltre che uno dei fattori di rischio modificabili più conosciuti e
studiati.
Gli alti livelli di LDL e di Lp(a), insieme ai bassi livelli di HDL (< 35 mg/dl), sono fattori di
rischio positivi, indipendenti e significativi per la malattia coronarica e l’aterosclerosi carotidea.
Gli alti livelli di HDL (  60 mg/dl) sono, invece, un fattore di rischio negativo, significativo e
indipendente. In ogni modo, il rapporto tra colesterolo totale e HDL è un indice più attendibile
del rischio di malattia coronarica, rispetto ai livelli di colesterolo totale o di LDL presi
singolarmente; negli uomini, il rischio è più elevato quando il rapporto è > 6,4 e nelle donne
quando è > 5,6.
Nell’anziano, il valore predittivo di una colesterolemia elevata per determinare il rischio di
malattia coronarica non è del tutto chiaro e l’importanza di ridurre la colesterolemia (in termini
di qualità di vita, morbilità e mortalità) è in discussione. Alcuni studi suggeriscono che
l’ipercolesterolemia sia un importante fattore di rischio per malattia coronarica negli anziani,
altri che il rischio diminuisca con l’età e altri ancora l’esistenza di una relazione a U nella quale
sia i livelli di colesterolo elevati, sia quelli bassi, sono associati ad un aumento del rischio di
morbilità e mortalità. Da alcuni studi emergono differenze di sesso: negli uomini anziani, il
tasso di mortalità è risultato minimo con un livello di colesterolo totale di 215 mg/dl, mentre
nelle donne di 270-280 mg/dl.
In età geriatrica i principali disordini del metabolismo lipidico rientrano, principalmente, tra le
forme secondarie e sono:
 l’ipercolesterolemia
 l’ipertrigliceridemia (soprattutto le iperlipoproteinemie di tipo IV, caratterizzate da un
aumento delle VLDL, e di tipo V, caratterizzate da un aumento delle VLDL e dalla
presenza nel siero a digiuno di chilomicroni)
 l’ipoalfalipoproteinemia
 l’aumento dei livelli di lipoproteina(a).
Tuttavia, l’ipercolesterolemia e l’ipoalfalipoproteinemia possono non avere negli anziani la
stessa prevalenza che hanno nella popolazione generale, perché il rischio di mortalità è così
elevato che i pazienti affetti da queste patologie non sopravvivono fino all’età avanzata.
L’insorgenza delle iperlipoproteinemie può essere tardiva, o così precoce, da rappresentare il
primo sintomo di rilievo della condizione di base. Alcune forme di iperlipoproteinemia
secondaria sono sicuramente la conseguenza diretta di una malattia o di un altro evento causale,
altre, originano da una complessa interazione tra un evento considerato primario e un difetto
genetico che non raggiungerebbe, in assenza del primo, la sua piena evidenza clinica.
Si calcola che tali forme interessano il 3 – 5% della popolazione adulta.

L’ipercolesterolemia secondaria può essere di gravità variabile, isolata o associata ad


ipertrigliceridemia. L’anomalia lipoproteinemica di più frequente riscontro è 1’elevazione delle
LDL e delle VLDL. Tra le cause vi possono essere:
 dieta: la più comune e’ sicuramente l’alimentazione inappropriata, e cioè ricca in
colesterolo ed in grassi saturi. Il meccanismo patogenetico è da ricercare in una
diminuzione del catabolismo delle LDL per una ridotta espressione dei recettori B,E
dovuta all’arricchimento in colesterolo dietetico degli epatociti.
 ipotiroidismo: l’ipercolesterolemia è dovuta ad una elevazione delle LDL, ma non
infrequentemente il quadro lipoproteinemico è suggestivo di disbetalipoproteinemia.
Alla base vi sarebbe una ridotta espressione dei recettori cellulari per le LDL.
 malattie epato-biliari: l’ipercolesterolemia è dovuta all’aumento della concentrazione
sierica delle LDL, cui si associa la comparsa di una lipoproteina anomala, la lipoproteina
X. Tale lipoproteina è ricca in colesterolo non esterificato e fosfolipidi; la sua
componente proteica e’ costituita da albumina e da apo C-I, C-II, C-III e da apoD. La
LP-X sembra derivare dai lipidi biliari che, refluendo nel circolo in condizioni di
colestasi, si uniscono all’albumina sierica e si arricchiscono di apoproteine fornite dalle
altre lipoproteine sieriche. La LP-X non cede colesterolo agli epatociti, anzi ne aumenta
l’efflusso, e questo comporta un’attivazione della sintesi locale di colesterolo, aggravata
dal fatto che la LP-X interferisce con la captazione dei residui dei chilomicroni da parte
del fegato, impedendo in tal modo che questi regolino la colesterologenesi.
 sindrome nefrosica (patogenesi non chiara)
 disgammaglobulinemia: la patogenesi e’ da ricercare in un difetto del catabolismo
delle LDL per la formazione di un legame tra la lipoproteina e l’immunoglobulina
monoclonale che impedisce il riconoscimento della LDL da parte del recettore epatico.

L’ipertrigliceridemia secondaria può essere dovuta a:


 obesità: l’aumentata massa del tessuto adiposo e la relativa insulino-resistenza
comportano una tendenza all’elevazione della concentrazione plasmatica degli acidi
grassi liberi. Questi originano dall’idrolisi dei trigliceridi di deposito nel tessuto adiposo
periferico per attivazione della lipasi tessutale non bilanciata dall’azione inibitoria
dell’insulina. L’iperafflusso di acidi grassi al fegato, a cui si aggiunge un aumento della
neosintesi locale di acidi grassi, induce un aumento della produzione di trigliceridi che
vengono secreti dal fegato sotto forma di VLDL. All’incremento della sintesi delle
VLDL si associa una riduzione del loro catabolismo per un’insufficiente attività della
lipasi lipoproteica, anch’essa dipendente dall’insulino-resistenza. A quest’ultimo
fenomeno può essere attribuita anche la diminuzione della concentrazione sierica del
colesterolo HDL. Le alterazioni lipidemiche che si osservano nell’obeso non sono
tuttavia marcate.
 diabete: nel diabete, sia di tipo 1 che di tipo 2, anche in buon compenso metabolico, si
osserva spesso una moderata elevazione delle VLDL e, meno costantemente, delle LDL,
a cui può associarsi una riduzione o all’opposto un aumento delle HDL (nei pazienti
trattati con insulina), secondo il tipo della terapia antidiabetica.
Nel diabete scompensato, può invece essere presente un’elevazione cospicua delle
VLDL e dei chilomicroni, con lattescenza del siero (lipemia diabetica). La carenza
assoluta (nel diabete insulino-dipendente) o relativa (nel diabete non insulino-
dipendente) di insulina comporta un aumento del flusso di acidi grassi liberi al fegato per
disinibizione della lipasi ormono-sensibile del tessuto adiposo. L’aumentata disponibilità
di acidi grassi può derivare anche, limitatamente al diabete di tipo 2, dall’attivazione della
lipogenesi per l’iperinsulinizzazione epatica. All’aumento del substrato grasso, non
controbilanciato da un’adeguata stimolazione della beta ossidazione (ad opera del
glucagone), fa seguito un’accelerata produzione di trigliceridi e di VLDL. La rimozione
delle VLDL è, d’altra parte, compromessa per un difetto della lipasi lipoproteica. Il
difetto di rimozione delle lipoproteine ricche in trigliceridi può essere, soprattutto nel
diabete di tipo 1 mal controllato, di gravità tale da influire anche sul catabolismo dei
chilomicroni, risultandone un quadro da iperlipoproteinemia mista (fenotipo V).
All’ipertrigliceridemia si associa talvolta una modesta ipercolesterolemia, dovuta ad un
ridotto catabolismo delle LDL. Sul piano clinico, la dislipidemia del diabete può essere
del tutto asintomatica, oppure, manifestarsi con la xantomatosi eruttiva e gli altri segni
della sindrome da iperchilomicronemia, in modo analogo a quello delle
ipertrigliceridemie primitive.
 alcool: l’etanolo, inibendo l’ossidazione degli acidi grassi (per il consumo del NAD
ossidato durante l’ossidazione dell’etanolo ad acetaldeide) e stimolandone la sintesi
epatica, provoca un aumento della secrezione di VLDL da parte del fegato.
 IRC: l’ipertrigliceridemia sembra dovuta ad un difetto della conversione delle VLDL in
LDL.
 disgammaglobulinemie: son state descritte ipertrigliceridemie da aumento del livello
sierico di VLDL o, più raramente, di VLDL e chilomicroni. La causa è da ricercare nella
formazione di complessi globuline-lipoproteine che compromettono il normale
catabolismo delle lipoproteine.
 farmaci: estrogeni esogeni, corticosteroidi, -bloccanti, tiazidici, interferone.
L’età e il sesso hanno una notevole influenza sui livelli lipidici. Nelle persone che vivono nella
maggior parte dei paesi industrializzati, i livelli di colesterolo e di trigliceridi aumentano nel
corso dell’età media. Negli uomini, il livello medio del colesterolo totale aumenta fino a circa i
50 anni di età, dopo i quali rimane costante, per poi ridursi a partire dai 70 anni circa. Nelle
donne, il livello aumenta più gradualmente fino all’età di 65-69 anni, poi diminuisce. A partire
dall’età di circa 55-60 anni, le donne hanno una colesterolemia totale più alta degli uomini.
L’aumento del colesterolo totale legato all’età, particolarmente nelle donne, è la conseguenza
principale di un aumento dei livelli di LDL e, in misura molto minore, di un piccolo aumento
dei livelli di colesterolo delle VLDL.
I livelli di trigliceridi aumentano progressivamente dalla nascita all’età adulta e il tasso di
incremento è maggiore negli uomini che nelle donne. La trigliceridemia aumenta fino all’età di
55 anni negli uomini e pressappoco fino ai 70 anni nelle donne, poi diminuisce, più
gradualmente negli uomini.
Nel sesso maschile, i livelli medi di HDL si riducono al momento della pubertà, aumentano a
circa 45 anni e poi si stabilizzano intorno ai 50-59 anni. Queste modificazioni possono essere
un effetto del testosterone; generalmente, negli uomini adulti, i livelli plasmatici di testosterone
e di HDL sono correlati positivamente. Dopo la pubertà, le donne hanno livelli di HDL più
elevati rispetto agli uomini, nonostante una loro riduzione dopo i 65 anni.
Rispetto agli uomini, le donne in età fertile hanno livelli di LDL più bassi e livelli di HDL più
elevati, in parte per effetto degli estrogeni endogeni. Questa differenza può contribuire al tasso
inferiore di malattia coronarica che si osserva nelle donne prima della menopausa. Al momento
della menopausa (sia essa naturale o chirurgica), le donne perdono questo effetto protettivo nei
confronti della malattia coronarica: i livelli di LDL e di Lp(a) aumentano e quelli di HDL
diminuiscono.
DIAGNOSI

Solo occasionalmente le iperlipoproteinemie danno luogo a manifestazioni cliniche suggestive


del difetto metabolico. Nella maggior parte dei casi l’iperlipoproteinemia è un riscontro casuale
per l’osservazione di un siero lipemico o in occasione della determinazione di parametri
lipidemici suggerita o meno dalla presenza di una familiarità per le iperlipoproteinemie o
dall’evidenza clinica di una cardiovasculopatia aterosclerotica.
Nei pazienti che hanno avuto un infarto del miocardio, un ictus o altre manifestazioni di
aterosclerosi significativa (p. es., arteriopatia periferica, stenosi carotidea) prima dei 60 anni di
età, è necessario eseguire uno screening per le dislipidemie familiari. Nei pazienti con pregresso
infarto del miocardio, pregresso ictus o affetti da malattia coronarica, come pure in quelli che
hanno altri fattori di rischio maggiori per malattia coronarica, è necessario misurare i livelli
sierici di Lp(a), perché probabilmente il loro aumento ha un effetto sinergico con altri fattori di
rischio. Se viene identificata un’alterazione delle lipoproteine, bisogna stabilire se il disordine è
primitivo o secondario e valutare il paziente alla ricerca di altri fattori di rischio per malattia
coronarica (p. es., fumo, ipertensione arteriosa, dieta ricca di lipidi, inattività fisica). Se è
possibile escludere la presenza di cause secondarie, generalmente, il paziente è affetto da una
delle iperlipoproteinemie familiari comuni.
I criteri da utilizzare per lo screening e l’identificazione dell’ipercolesterolemia sono piuttosto
controversi.
Valori
Parametro desiderabili Valori a rischio moderato Valori a rischio elevato
(mg/dl)

Colesterolo totale <200 200-239 >240

Colesterolo LDL <130 130-159 >160

Uomini > 39 Uomini 35- 39 Uomini <35


Colesterolo HDL
Donne > 45 Donne 40-45 Donne <40
Trigliceridi <200 200-400 >400

Il National Cholesterol Education Program (NCEP) fornisce le linee guida per l’identificazione
dell’aumento dei livelli di colesterolo totale e di LDL e della riduzione e dell’aumento dei livelli
di HDL. Secondo il NCEP, per classificare un paziente dal punto di vista clinico non bisogna
utilizzare un unico valore di colesterolemia, perché i livelli possono variare da un giorno
all’altro. Se con il primo test di screening si rileva un’alterazione, è raccomandata l’esecuzione
successiva di altri due test. Il NCEP non fornisce linee guida differenziate in base alle diverse
fasce di età; le sue indicazioni si basano su dati relativi a persone di media età e non tengono
conto dell’aumento dei lipidi sierici che si verifica con il passare degli anni. In conseguenza di
ciò, il 60% degli individui con età superiore ai 65 anni verrebbe classificato tra i candidati al
trattamento.
Al contrario, le linee guida dell’American College of Physicians raccomandano soltanto l’esecuzione
di una singola determinazione del colesterolo totale, per l’identificazione dei pazienti che
potrebbero trarre beneficio dalla terapia ipolipemizzante. In queste linee guida si sottolinea che
non esistono prove sufficienti a raccomandare o a scoraggiare l’esecuzione di uno screening di
prevenzione primaria negli uomini e nelle donne di età compresa tra i 65 e i 75 anni e che lo
screening non è raccomandato nelle persone con età superiore ai 75 anni.
Quando si esegue lo screening nelle persone anziane, è necessario ottenere un profilo lipidico
completo. In molti anziani, il motivo principale della presenza di alti livelli di colesterolo totale
è l’aumento dei livelli di HDL, non di quelli di LDL; pertanto, il loro rischio di malattia
coronarica è diminuito, non aumentato. Alcuni soggetti hanno colesterolo totale e trigliceridi
normali, ma un livello di HDL al di sotto del 10%, di conseguenza hanno un rischio di malattia
coronarica particolarmente elevato.
La trigliceridemia può essere misurata con precisione soltanto dopo un digiuno. Se il suo valore
è < 400 mg/dl, la quota del profilo lipidico dovuta alle LDL può essere calcolata utilizzando
l’equazione di Friedewald: LDL = colesterolo totale - [HDL + (trigliceridi/5)].
In genere, il dosaggio delle lipoproteine basali non può essere determinato nelle seguenti
situazioni: durante un episodio febbrile o un’infezione importante; entro le 4 settimane
successive ad un IMA, ad un ictus o ad un intervento chirurgico; immediatamente dopo
l’ingestione acuta di quantità eccessive di alcool; nel diabete mellito gravemente non controllato
(glicemia a digiuno > 250 mg/dl , Hb glicosilata > 9%); durante un calo ponderale rapido.
Alcuni reperti caratteristici (p. es., xantomi tendinei, tuberosi o palmari piani; arco corneale
giovanile) sono utili dal punto di vista diagnostico. L’obesità (con o senza ipertensione
essenziale), l’intolleranza al glucosio e l’iperuricemia possono indicare la presenza di
un’ipertrigliceridemia o di un’ipoalfalipoproteinemia primitiva.
I disordini secondari delle lipoproteine sono piuttosto frequenti, anche tra i pazienti affetti da
un’alterazione lipoproteica primitiva ben definita, e possono esacerbare l’espressione della
patologia primitiva, particolarmente dell’ipertrigliceridemia grave. Di conseguenza, quando
viene diagnosticato per la prima volta un disordine primitivo delle lipoproteine, è necessario
eseguire l’esame obiettivo e raccogliere notizie anamnestiche riguardanti i farmaci, l’attività
lavorativa, la familiarità, l’alimentazione e il consumo di alcool. Bisogna inoltre dosare i livelli di
tiroxina e di ormone tireostimolante, l’azotemia, la creatininemia e la glicemia a digiuno ed
eseguire l’analisi delle urine e i test di funzionalità epatica.
TERAPIA
 Dieta
Il primo approccio terapeutico al paziente dislipidemico è di tipo dietetico; negli anziani, però,
che possono presentare difficoltà nel mantenere un apporto calorico e proteico adeguato ed
essere così a rischio di malnutrizione, in genere, è consigliabile un approccio piuttosto cauto alla
terapia dietetica. Si può consigliare loro di togliere il grasso dalla carne, di aumentare il consumo
di pesce, di alimenti ricchi di fibre solubili (p. es., crusca d’avena), evitare i cibi fritti e di usare i
grassi monoinsaturi (p. es., olio di oliva).
Nel programma di trattamento bisogna inserire un’attività fisica di tipo aerobico, poiché senza
di essa gli effetti benefici della dieta possono essere limitati. Prima di istituire una terapia
farmacologica, è bene fare un tentativo di 6 mesi con una dieta a basso contenuto di grassi
saturi e di colesterolo.
Raccomandazioni generali sono:
 riduzione dell’ apporto energetico totale nei soggetti in sovrappeso
 riduzione dei grassi totali della dieta a meno del 30% dell’energia totale; ridurre il
colesterolo della dieta a 300-500 mg/die
 riduzione dell’apporto di acidi grassi saturi (alimenti di origine animale, olii idrogenati ed
alcuni prodotti vegetali) a meno del 10% dell’energia totale
 prediligere il consumo di acido oleico e linoleico
 prediligere l’uso di carboidrati complessi
 aumentare il consumo di frutta, vegetali e legumi
 moderare l’apporto di sale
Una volta stabilito che la terapia dietetica non è sufficiente ad ottenere gli scopi desiderati si
associa l'uso di un farmaco, tenendo conto delle caratteristiche della dislipidemia e delle
proprietà dei diversi farmaci.

 Farmaci
La scelta del trattamento farmacologico pone problemi che riguardano l’efficacia del farmaco e
la sua tolleranza a breve e a lungo termine. Gli effetti del trattamento persistono fintanto che la
terapia viene continuata e regrediscono prontamente con la sospensione di questa. Non sono
pertanto mai consigliabili cicli terapeutici più o meno lunghi, intervallati da periodi di
sospensione. Anche se l’incidenza dei fenomeni indesiderati in corso di terapia con i farmaci
commercialmente disponibili è complessivamente bassa, è opportuno, come del resto per tutti i
trattamenti cronici, un controllo periodico del paziente (ogni 2-4 mesi) sia per valutare
l’efficacia terapeutica, sia per sorvegliare l’emergenza di segni di tossicità.
Alcuni farmaci (resine a scambio ionico, inibitori dell’HMG-CoA-reduttasi, probucoll,
neomicina, destrotiroxina, pantetina e acido idrossimetilglutarico) interferiscono pressoché
esclusivamente con il metabolismo del colesterolo e trovano pertanto indicazione negli stati
ipercolesterolemici. Altri (acido nicotinico e derivati, clofibrato e derivati, tiadenolo e
benfluorex), hanno un’azione più vasta che comprende anche il metabolismo dei trigliceridi e
sono perciò indicati nelle terapie delle dislipidemie più comuni, siano esse caratterizzate da
un’elevazione isolata della colesterolemia o della trigliceridemia o da entrambe.
I farmaci ipolipidemizzanti disponibili permettono nella maggioranza dei casi un agevole
controllo degli stati iperlipoproteinemici. Nei casi più gravi è indicato un tentativo di
associazione di più farmaci ipolipidemizzanti sfruttandone il diverso meccanismo di azione in
modo da ottenere un effetto terapeutico additivo. L’associazione più razionale è quella che
prevede l’uso combinato di una resina a scambio ionico (colestiramina o colestipol) e di un
farmaco assorbibile (un inibitore dell’HMGCoA-reduttasi, un derivato del clofibrato, l’acido
nicotinico o un suo derivato, il probucolo). Con l’associazione farmacologica si possono
ottenere riduzioni della colesterolemia anche superiori al 40-50%.

 Resine a scambio anionico (colestiramina ed il colestipol): sono idrofile ma


insolubili in acqua, non vengono modificate dagli enzimi digestivi, e non sono
riassorbibili dal tratto gastroenterico. Le resine legano, nell'intestino, i sali biliari
impedendone il riassorbimento a livello dell'ileo terminale ed aumentandone così
l'escrezione fecale. Anche una certa quota di colesterolo, che richiede la presenza di sali
biliari per oltrepassare la barriera intestinale, viene persa con le feci. In condizioni
normali, i sali biliari sono in grado di inibire l'attività dell'idrossilasi microsomiale,
enzima chiave nella sintesi di acidi biliari a partire dal colesterolo; la loro sottrazione
dall'organismo accelera pertanto questa tappa metabolica ed induce un consumo delle
riserve di colesterolo endocellulare epatocitario. Per far fronte alla riduzione del pool
intracellulare di colesterolo gli epatociti mettono in atto due meccanismi compensatori:
da un lato sintetizzano più colesterolo, e dall'altro sottraggono più colesterolo al sangue
circolante, attraverso un'aumentata attività dei recettori per le LDL. L'effetto ultimo è
quindi quello di una riduzione dei livelli di colesterolo LDL causato da un aumentato
catabolismo di queste lipoproteine. I livelli di trigliceridi in genere non sono influenzati
dalla somministrazione delle resine, ma nei soggetti predisposti all'ipertrigliceridemia si
sono osservati aumenti anche consistenti delle VLDL circolanti come conseguenza di
un'aumentata sintesi di queste lipoproteine. L'indicazione principale al trattamento con
tali farmaci è costituita dalle ipercolesterolemie pure, ossia senza contemporanea
ipertrigliceridemia. La colestiramina è l'unica resina attualmente disponibile in
commercio in Italia. Il dosaggio, che può andare da 8 a 32 grammi al dì, è molto spesso
determinato, più che dalla risposta terapeutica, dall'insorgenza di effetti collaterali
gastrointestinali. Infatti, mentre da un lato le resine, non essendo riassorbite, sono quasi
totalmente sprovviste di effetti indesiderati sistemici, dall'altro inducono spesso notevoli
fastidi locali gastroenterici come stipsi, flatulenza e nausea. Per ridurre l'incidenza di
questi effetti collaterali è consigliabile iniziare la terapia con dosi molto basse del
farmaco, incrementandole gradualmente. La colestiramina può essere assunta dopo
sospensione in acqua o anche in altre bevande, preferibilmente alla fine dei pasti
principali. L'eventuale comparsa di stipsi può essere alleviata da un maggiore introito di
acqua e soprattutto di fibre; talvolta può essere consentito l'uso di blandi lassativi. Le
resine a scambio anionico, legandosi ai sali biliari, possono indurre, nel loro uso a lungo
termine, malassorbimento delle vitamine liposolubili e di acido folico, per cui si
raccomanda il ricorso a supplementi vitaminici. Inoltre le resine possono interferire con
l'assorbimento di altri farmaci quali digossina, warfarin, tiroxina e numerosi altri. E'
opportuno, quindi, che eventuali altri farmaci vengano somministrati almeno 2 ore
prima o 4 ore dopo l'assunzione della resina.

 Fibrati (bezafibrato, clofibrato, fenofibrato, gemfibrozil): risultano particolarmente


efficaci nel ridurre i livelli di trigliceridi, mentre l'azione sul colesterolo è molto meno
marcata. Si ha, inoltre, quasi sempre un aumento del colesterolo HDL. Il meccanismo
d'azione non è ancora stato completamente chiarito, ma sembra che alla base
dell'effetto di questi composti vi sia l'attivazione dell'enzima lipoproteinlipasi, che
comporta l'accelerato catabolismo delle VLDL e così una diminuzione dei livelli di
queste lipoproteine e la conseguente riduzione dei livelli di trigliceridi plasmatici.
L'aumentata interconversione delle VLDL in IDL e LDL può tuttavia causare un
aumento, solitamente contenuto, dei livelli di queste ultime lipoproteine, specialmente in
presenza di una difettosa via catabolica per le LDL, oppure nelle condizioni di
trigliceridemia molto elevata. In questi casi si rende necessaria l'associazione di un
secondo farmaco a più spiccato effetto ipocolesterolemizzante. I fibrati sono
generalmente ben tollerati, ma occasionalmente, si possono riscontrare alcuni effetti
collaterali indesiderabili, sia clinici che di laboratorio. Per esempio, in corso di terapia
con clofibrato, sono stati riportati episodi di nausea, diarrea, rash cutanei, astenia,
impotenza con diminuzione della libido. Con una certa frequenza è stata anche notata la
comparsa di dolori muscolari accompagnati da una elevazione dell'attività
creatinfosfochinasica. Inoltre la somministrazione di clofibrato tende ad aumentare la
litogenicità della bile ed è stata associata ad un'aumentata incidenza di colelitiasi e
colecistite. Il clofibrato inoltre sembra interferire con l'azione farmacologica di alcuni
farmaci quali la tolbutamide, la difenilidantoina e i dicumarolici. Probabilmente tale
effetto è da ricondurre allo spiazzamento di tali farmaci dal legame con l'albumina. Gli
effetti collaterali dei fibrati di seconda e terza generazione, quali il bezafibrato, il
fenofibrato e il gemfibrozil, sono analoghi a quelli della molecola capostipite, anche se
si presentano con minore frequenza e gravità. Le indicazioni al trattamento
farmacologico con fibrati comprendono soprattutto gli stati di ipertrigliceridemia, o
comunque le iperlipidemie da un difettoso metabolismo delle VLDL.
I dosaggi variano a seconda del tipo di fibrato, e in genere, sono richieste due o tre
somministrazioni.

 Statine (simvastatina, pravastatina, atorvastatina, cerivastatina…): sono


attualmente i farmaci più largamente impiegati e studiati nella terapia delle
ipercolesterolemie. Esse hanno uno spiccato effetto ipocolesterolemizzante che si
esercita soprattutto sulla frazione LDL. I trigliceridi e le VLDL si riducono
generalmente solo in una quota modesta, mentre il colesterolo HDL aumenta
costantemente di circa il 10%. Le statine hanno una formula di struttura molto simile ad
un composto, l'idrossimetilglutaril-CoA (HMG-CoA), che è il substrato naturale
dell'HMG-CoA-reduttasi, enzima chiave nella sintesi endogena del colesterolo. L'affinità
delle statine per l'enzima è però molto superiore a quella del substrato naturale ed il
legame del farmaco all'enzima comporta l'inibizione di quest'ultimo ed il blocco della
cascata biosintetica che dall'acetil-CoA porta alla formazione di colesterolo. Con
l'inibizione di questa tappa cruciale nella biosintesi del colesterolo, prevalentemente a
livello epatico, tali farmaci riducono le riserve intracellulari di colesterolo. Per un
meccanismo di controllo retroattivo del numero di recettori epatici per le LDL, viene
espresso un maggior numero di tali recettori a livello epatico, con conseguente accelerata
clearance delle LDL dal plasma, che è il motivo ultimo della riduzione della
colesterolemia. Tali farmaci presentano una selettività d'azione a livello del fegato,
organo in cui principalmente avvengono sia la sintesi che il catabolismo delle LDL. Ciò
rende sufficientemente sicuro l'impiego routinario di questi potenti farmaci
ipocolesterolemizzanti, in quanto quei tessuti specializzati nella captazione del
colesterolo circolante per funzioni proprie, per esempio per la sintesi di ormoni
steroidei, non risentono di alcun danno specifico. Si tratta di farmaci generalmente ben
tollerati e la possibilità della monosomministrazione serale rende particolarmente alta
l'adesione dei pazienti al trattamento. Gli effetti collaterali sia clinici che di laboratorio
sono molto modesti. In meno del 5% dei casi è stata riportata la comparsa di nausea,
affaticamento, insonnia, eritema cutaneo e cefalea. Alterazioni riportate nelle analisi di
laboratorio sono un aumento, in genere transitorio, delle transaminasi, della
creatinfosfochinasi e della fosfatasi alcalina. Raramente si sono registrati incrementi
persistenti delle transaminasi e ciò ha comportato la necessità di interrompere la terapia.
L'unico effetto collaterale serio riportato in letteratura è stato quello di una miopatia
caratterizzata da dolore e debolezza muscolare. Si tratta di un evento molto raro,
riscontrato solo in pazienti che erano sottoposti a regimi terapeutici combinati, per cui
assumevano contemporaneamente ciclosporina, gemfibrozil o acido nicotinico. I
sintomi però sono totalmente regrediti alla sospensione del trattamento.

 Acido nicotinico: il meccanismo di azione si basa sull'inibizione della produzione dei


trigliceridi epatici e la secrezione delle VLDL, provocando indirettamente una riduzione
delle LDL. Viene anche osservato un aumento modesto delle HDL. I farmaci
promuovono anche l'aumento dei livelli dell'attivatore del plasminogeno e la riduzione
del fibrinogeno plasmatico portando così alla diminuzione del rischio di trombosi. Gli
effetti collaterali comprendono arrossamento del viso e del collo, palpitazioni e disturbi
gastrointestinali.

 Olii di pesce contenenti acidi grassi omega-3 sono disponibili come farmaci da
banco. I dati sull’efficacia a lungo termine e sugli effetti collaterali dei supplementi di
olio di pesce sono scarsi; comunque, per l’uso a breve termine, dosi di 15 g/die
sembrano essere sicure e sono in grado di ridurre i livelli dei trigliceridi, ma sono inutili
per la riduzione della colesterolemia. Nei pazienti con ipertrigliceridemia, essi possono
aumentare i livelli di HDL del 10-15%. Nei rari casi in cui vengono somministrate dosi
> 20 g/die, è necessario tenere sotto controllo la conta piastrinica e il tempo di
sanguinamento. A dosaggi di questo genere, gli olii di pesce possono interferire con il
controllo della glicemia nei pazienti diabetici.

 Terapia estrogenica sostitutiva: le donne in post-menopausa sottoposte a terapia


estrogenica sostitutiva hanno livelli di LDL più bassi (del 15-25%) e livelli di HDL più
elevati (del 16-21%), rispetto alle donne non sottoposte a tale terapia. Questa terapia
riduce anche i livelli di Lp(a). La terapia estrogenica sembra ridurre il rischio di morte
per cause cardiovascolari. La terapia estrogenica sostitutiva può essere impiegata da sola
o in associazione ad altri trattamenti ipolipemizzanti.

 Terapia antiossidante: la tossicità del LDL può essere ridotta mediante l’uso degli
antiossidanti. L’-tocoferolo (vitamina E) inibisce l’ossidazione delle LDL in vitro. In
diversi studi, il consumo di vitamina E sembra essere fortemente inversamente correlato
al rischio di malattia coronarica. I supplementi di vitamina E somministrati per brevi
periodi non hanno prodotto alcun beneficio, ma la terapia integrativa per almeno 2 anni
si è associata a una riduzione del rischio di malattia coronarica negli uomini e nelle
donne. La vitamina A, un -carotenoide, può influenzare l’aterosclerosi eliminando i
radicali liberi ossidanti.
L’acido ascorbico (vitamina C) è considerato un antiossidante secondario; esso opera
sinergicamente con la vitamina E rigenerandola dai suoi radicali. La vitamina C può
anche accrescere la trasformazione del colesterolo in acidi biliari.
 Terapia con statine (simvastatina e atorvastatina) ed eprotirome: nel Marzo 2010
nel “The New England Journal of Medicine ” è stato pubblicato uno studio molto
interessante che mostra l’associazione tra la riduzione dei livelli di colesterolo LDL e
l’aggiunta, nei pazienti già in terapia con statine, di un composto tireomimetico,
l’eprotirome. Sebbene l’efficacia delle statine nel ridurre i livelli sierici di colesterolo sia
ben conosciuta, per diversi motivi, non tutti i pazienti riescono a raggiungere gli obiettivi
desiderati. Per porre fronte a questo limite, si è pensato di aggiungere alla terapia con
statine nuovi agenti farmacologici che agissero sul metabolimo delle lipoproteine con
differenti meccanismi d’azione.
L’effetto ipocolesterolemizzante degli ormoni tiroidei è noto dal 1930. Il suo principale
effetto, la riduzione dei livelli sierici di LDL, è dovuto ad un aumento della clearance
epatica per un’aumentata espressione del gene del recettore LDL epatico. In passato, i
tentativi di imitare l’azione degli ormoni tiroidei tramite loro metaboliti e analoghi son
stati diversi, tuttavia, lo sviluppo di alcuni di questi farmaci è stato interrotto a causa
degli effetti negativi legati all’azione ormono-simile.
L’Eprotirome è un analogo degli ormoni tiroidei contenente due bromuri che, rispetto
alla triiodotironina, fanno si che la sua captazione a livello degli altri tessuti sia minima.
Una delle sue caratteristiche principali è quella di avere una maggiore affinità per il
recettore della triiodotironina (TR-isoforma ß), che gli permette di avere un’azione
ipolipemizzante simile agli ormoni tiroidei, rispetto all'isoforma TR- isoforma , che
troviamo a livello cardiaco. L'aggiunta di placebo o Eprotirome alla dose di 25, 50, o 100
g al giorno, nella terapia con statine, per 12 settimane ha ridotto il livello medio sierico
di colesterolo LDL da 141 mg per decilitro (3,6 mmol per litro) a 127, 113, 99, e 94
mg/dl (3.3, 2.9, 2.6, e 2.4 mmol/l), rispettivamente, (riduzione media rispetto al basale,
7%, 22%, 28% e 32%). Riduzioni simili sono state osservate anche nei livelli sierici di
apolipoproteina B, trigliceridi e Lp(a). La terapia con Eprotirome non è stata associata
ad effetti tireomimetici negativi sul cuore, sulle ossa e sull’ipofisi.

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