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I disordini del
metabolismo lipidico in
età geriatrica
IDL o Intermediate Density Lipoprotein: Circa la metà delle particelle IDL viene
catabolizzata entro 2-6 ore dal fegato; le particelle IDL non captate dal fegato rimangono in
circolo a lungo, e subiscono altre trasformazioni che ne modificano ulteriormente la struttura,
fino ad essere convertite in LDL.
Lipoproteina(a): è una lipoproteina di densità compresa tra quella delle LDL e quella delle
HDL, che ha suscitato un notevole interesse negli ultimi anni, poiché i pazienti con
compromissione vascolare aterosclerotica presentano livelli sierici più elevati di tale
lipoproteina. Contiene un’apoproteina specifica, apoLp(a), che rappresenta circa il 20% del
suo contenuto proteico, il rimanente è costituito da albumina (15%) e da apoB (65%).
La Lp(a) ha una via metabolica apparentemente individuale e poco conosciuta. Non deriva da
altre lipoproteine plasmatiche, e non viene convertita in alcuna lipoproteina di classe diversa. La
sua concentrazione sembra essere geneticamente predeterminata. Il suo ruolo nel trasporto dei
grassi non è ancora stato chiarito, mentre sembra probabile un suo effetto pro-aterogeno.
HDL o alfa-lipoproteine: sono costituite per circa il 50% del loro peso da apoproteine
(soprattutto apoA-I e A-II), e per l'altro 50% da lipidi (in particolare fosfolipidi ed esteri del
colesterolo). Le HDL sarebbero formate, in parte, dall'azione della lipasi lipoproteica
extraepatica su chilomicroni e VLDL, e in parte, dal fegato e dall'intestino per sintesi diretta. Le
HDL potrebbero essere il veicolo di rimozione del colesterolo dalle cellule periferiche al fegato
ottenendo così il "trasporto inverso" rispetto a quanto avviene con le LDL. Le HDL circolanti
sarebbero in grado di acquisire il colesterolo libero dalle cellule; su questo colesterolo libero
agisce l'LCAT (Lecitin-Colesterol-Acil-Transferasi) che lo esterifica, e quindi il colesterolo
esterificato, viene trasferito a VLDL e LDL. Lo scambio dei lipidi apolari (quali appunto il
colesterolo esterificato e i trigliceridi) tra le lipoproteine circolanti nel plasma viene favorito da
alcune proteine plasmatiche, chiamate Lipid Transfer Proteins, che hanno un ruolo specifico
nel facilitare questi trasferimenti da una lipoproteina ad un'altra.
CLASSIFICAZIONE ED EZIOLOGIA
Le iperlipoproteinemie possono essere:
o primarie, provocate solitamente da alterazioni geniche ereditarie che portano ad
un’alterazione propria del metabolismo lipidico; vengono classificate in base al pattern
dell’elevazione lipoproteica
o secondarie, quando son dovute ad un'alterazione del metabolismo lipidico causata da
altre malattie o condizioni patologiche (es. l'ipotiroidismo, la colestasi, la sindrome
nefrosica, l'uso di farmaci estroprogestinici ecc.).
Tuttavia, esiste spesso una correlazione tra fattori genetici e fattori secondari, come diversi
farmaci e patologie, la dieta, l’obesità, l’attività fisica, il consumo di alcool e il fumo di sigaretta.
Ogni variazione dei lipidi plasmatici è provocata da una modificazione della concentrazione
delle lipoproteine, e si può schematicamente considerare che:
o un aumento del colesterolo del siero è quasi sempre dovuto ad un incremento delle LDL
o un aumento dei trigliceridi è causato da un incremento delle VLDL (solo in pazienti non
a digiuno o con trigliceridemia superiore a 800-1000 mg/dl oltre alle VLDL si trovano
in circolo anche chilomicroni).
Da tempo è stata proposta una classificazione delle iperlipoproteinemie in 6 diversi fenotipi.
Questa classificazione, però, non stabilisce la causa (malattia genetica o altro) che determina
l'iperlipidemia.
L’età rappresenta, con il sesso e la storia familiare, uno dei principali fattori di rischio
cardiovascolari non modificabili. L’anziano presenta quindi il più alto rischio assoluto di subire
un accidente vascolare cardiaco o cerebrale (infarto miocardico o ictus) e lo dimostrano, in via
definitiva, le rilevazioni sulle cause di morte accertate: dopo gli ottanta anni i decessi imputabili
ad eventi cardio-cerebrovascolari costituiscono il 60% del totale; tra sessanta ed ottanta anni il
35% e dai quaranta ai sessanta il 5% (Fig. 3).
L’alterato metabolismo del colesterolo è una delle principali cause di morbilità e mortalità
cerebro-cardiovascolare, oltre che uno dei fattori di rischio modificabili più conosciuti e
studiati.
Gli alti livelli di LDL e di Lp(a), insieme ai bassi livelli di HDL (< 35 mg/dl), sono fattori di
rischio positivi, indipendenti e significativi per la malattia coronarica e l’aterosclerosi carotidea.
Gli alti livelli di HDL ( 60 mg/dl) sono, invece, un fattore di rischio negativo, significativo e
indipendente. In ogni modo, il rapporto tra colesterolo totale e HDL è un indice più attendibile
del rischio di malattia coronarica, rispetto ai livelli di colesterolo totale o di LDL presi
singolarmente; negli uomini, il rischio è più elevato quando il rapporto è > 6,4 e nelle donne
quando è > 5,6.
Nell’anziano, il valore predittivo di una colesterolemia elevata per determinare il rischio di
malattia coronarica non è del tutto chiaro e l’importanza di ridurre la colesterolemia (in termini
di qualità di vita, morbilità e mortalità) è in discussione. Alcuni studi suggeriscono che
l’ipercolesterolemia sia un importante fattore di rischio per malattia coronarica negli anziani,
altri che il rischio diminuisca con l’età e altri ancora l’esistenza di una relazione a U nella quale
sia i livelli di colesterolo elevati, sia quelli bassi, sono associati ad un aumento del rischio di
morbilità e mortalità. Da alcuni studi emergono differenze di sesso: negli uomini anziani, il
tasso di mortalità è risultato minimo con un livello di colesterolo totale di 215 mg/dl, mentre
nelle donne di 270-280 mg/dl.
In età geriatrica i principali disordini del metabolismo lipidico rientrano, principalmente, tra le
forme secondarie e sono:
l’ipercolesterolemia
l’ipertrigliceridemia (soprattutto le iperlipoproteinemie di tipo IV, caratterizzate da un
aumento delle VLDL, e di tipo V, caratterizzate da un aumento delle VLDL e dalla
presenza nel siero a digiuno di chilomicroni)
l’ipoalfalipoproteinemia
l’aumento dei livelli di lipoproteina(a).
Tuttavia, l’ipercolesterolemia e l’ipoalfalipoproteinemia possono non avere negli anziani la
stessa prevalenza che hanno nella popolazione generale, perché il rischio di mortalità è così
elevato che i pazienti affetti da queste patologie non sopravvivono fino all’età avanzata.
L’insorgenza delle iperlipoproteinemie può essere tardiva, o così precoce, da rappresentare il
primo sintomo di rilievo della condizione di base. Alcune forme di iperlipoproteinemia
secondaria sono sicuramente la conseguenza diretta di una malattia o di un altro evento causale,
altre, originano da una complessa interazione tra un evento considerato primario e un difetto
genetico che non raggiungerebbe, in assenza del primo, la sua piena evidenza clinica.
Si calcola che tali forme interessano il 3 – 5% della popolazione adulta.
Il National Cholesterol Education Program (NCEP) fornisce le linee guida per l’identificazione
dell’aumento dei livelli di colesterolo totale e di LDL e della riduzione e dell’aumento dei livelli
di HDL. Secondo il NCEP, per classificare un paziente dal punto di vista clinico non bisogna
utilizzare un unico valore di colesterolemia, perché i livelli possono variare da un giorno
all’altro. Se con il primo test di screening si rileva un’alterazione, è raccomandata l’esecuzione
successiva di altri due test. Il NCEP non fornisce linee guida differenziate in base alle diverse
fasce di età; le sue indicazioni si basano su dati relativi a persone di media età e non tengono
conto dell’aumento dei lipidi sierici che si verifica con il passare degli anni. In conseguenza di
ciò, il 60% degli individui con età superiore ai 65 anni verrebbe classificato tra i candidati al
trattamento.
Al contrario, le linee guida dell’American College of Physicians raccomandano soltanto l’esecuzione
di una singola determinazione del colesterolo totale, per l’identificazione dei pazienti che
potrebbero trarre beneficio dalla terapia ipolipemizzante. In queste linee guida si sottolinea che
non esistono prove sufficienti a raccomandare o a scoraggiare l’esecuzione di uno screening di
prevenzione primaria negli uomini e nelle donne di età compresa tra i 65 e i 75 anni e che lo
screening non è raccomandato nelle persone con età superiore ai 75 anni.
Quando si esegue lo screening nelle persone anziane, è necessario ottenere un profilo lipidico
completo. In molti anziani, il motivo principale della presenza di alti livelli di colesterolo totale
è l’aumento dei livelli di HDL, non di quelli di LDL; pertanto, il loro rischio di malattia
coronarica è diminuito, non aumentato. Alcuni soggetti hanno colesterolo totale e trigliceridi
normali, ma un livello di HDL al di sotto del 10%, di conseguenza hanno un rischio di malattia
coronarica particolarmente elevato.
La trigliceridemia può essere misurata con precisione soltanto dopo un digiuno. Se il suo valore
è < 400 mg/dl, la quota del profilo lipidico dovuta alle LDL può essere calcolata utilizzando
l’equazione di Friedewald: LDL = colesterolo totale - [HDL + (trigliceridi/5)].
In genere, il dosaggio delle lipoproteine basali non può essere determinato nelle seguenti
situazioni: durante un episodio febbrile o un’infezione importante; entro le 4 settimane
successive ad un IMA, ad un ictus o ad un intervento chirurgico; immediatamente dopo
l’ingestione acuta di quantità eccessive di alcool; nel diabete mellito gravemente non controllato
(glicemia a digiuno > 250 mg/dl , Hb glicosilata > 9%); durante un calo ponderale rapido.
Alcuni reperti caratteristici (p. es., xantomi tendinei, tuberosi o palmari piani; arco corneale
giovanile) sono utili dal punto di vista diagnostico. L’obesità (con o senza ipertensione
essenziale), l’intolleranza al glucosio e l’iperuricemia possono indicare la presenza di
un’ipertrigliceridemia o di un’ipoalfalipoproteinemia primitiva.
I disordini secondari delle lipoproteine sono piuttosto frequenti, anche tra i pazienti affetti da
un’alterazione lipoproteica primitiva ben definita, e possono esacerbare l’espressione della
patologia primitiva, particolarmente dell’ipertrigliceridemia grave. Di conseguenza, quando
viene diagnosticato per la prima volta un disordine primitivo delle lipoproteine, è necessario
eseguire l’esame obiettivo e raccogliere notizie anamnestiche riguardanti i farmaci, l’attività
lavorativa, la familiarità, l’alimentazione e il consumo di alcool. Bisogna inoltre dosare i livelli di
tiroxina e di ormone tireostimolante, l’azotemia, la creatininemia e la glicemia a digiuno ed
eseguire l’analisi delle urine e i test di funzionalità epatica.
TERAPIA
Dieta
Il primo approccio terapeutico al paziente dislipidemico è di tipo dietetico; negli anziani, però,
che possono presentare difficoltà nel mantenere un apporto calorico e proteico adeguato ed
essere così a rischio di malnutrizione, in genere, è consigliabile un approccio piuttosto cauto alla
terapia dietetica. Si può consigliare loro di togliere il grasso dalla carne, di aumentare il consumo
di pesce, di alimenti ricchi di fibre solubili (p. es., crusca d’avena), evitare i cibi fritti e di usare i
grassi monoinsaturi (p. es., olio di oliva).
Nel programma di trattamento bisogna inserire un’attività fisica di tipo aerobico, poiché senza
di essa gli effetti benefici della dieta possono essere limitati. Prima di istituire una terapia
farmacologica, è bene fare un tentativo di 6 mesi con una dieta a basso contenuto di grassi
saturi e di colesterolo.
Raccomandazioni generali sono:
riduzione dell’ apporto energetico totale nei soggetti in sovrappeso
riduzione dei grassi totali della dieta a meno del 30% dell’energia totale; ridurre il
colesterolo della dieta a 300-500 mg/die
riduzione dell’apporto di acidi grassi saturi (alimenti di origine animale, olii idrogenati ed
alcuni prodotti vegetali) a meno del 10% dell’energia totale
prediligere il consumo di acido oleico e linoleico
prediligere l’uso di carboidrati complessi
aumentare il consumo di frutta, vegetali e legumi
moderare l’apporto di sale
Una volta stabilito che la terapia dietetica non è sufficiente ad ottenere gli scopi desiderati si
associa l'uso di un farmaco, tenendo conto delle caratteristiche della dislipidemia e delle
proprietà dei diversi farmaci.
Farmaci
La scelta del trattamento farmacologico pone problemi che riguardano l’efficacia del farmaco e
la sua tolleranza a breve e a lungo termine. Gli effetti del trattamento persistono fintanto che la
terapia viene continuata e regrediscono prontamente con la sospensione di questa. Non sono
pertanto mai consigliabili cicli terapeutici più o meno lunghi, intervallati da periodi di
sospensione. Anche se l’incidenza dei fenomeni indesiderati in corso di terapia con i farmaci
commercialmente disponibili è complessivamente bassa, è opportuno, come del resto per tutti i
trattamenti cronici, un controllo periodico del paziente (ogni 2-4 mesi) sia per valutare
l’efficacia terapeutica, sia per sorvegliare l’emergenza di segni di tossicità.
Alcuni farmaci (resine a scambio ionico, inibitori dell’HMG-CoA-reduttasi, probucoll,
neomicina, destrotiroxina, pantetina e acido idrossimetilglutarico) interferiscono pressoché
esclusivamente con il metabolismo del colesterolo e trovano pertanto indicazione negli stati
ipercolesterolemici. Altri (acido nicotinico e derivati, clofibrato e derivati, tiadenolo e
benfluorex), hanno un’azione più vasta che comprende anche il metabolismo dei trigliceridi e
sono perciò indicati nelle terapie delle dislipidemie più comuni, siano esse caratterizzate da
un’elevazione isolata della colesterolemia o della trigliceridemia o da entrambe.
I farmaci ipolipidemizzanti disponibili permettono nella maggioranza dei casi un agevole
controllo degli stati iperlipoproteinemici. Nei casi più gravi è indicato un tentativo di
associazione di più farmaci ipolipidemizzanti sfruttandone il diverso meccanismo di azione in
modo da ottenere un effetto terapeutico additivo. L’associazione più razionale è quella che
prevede l’uso combinato di una resina a scambio ionico (colestiramina o colestipol) e di un
farmaco assorbibile (un inibitore dell’HMGCoA-reduttasi, un derivato del clofibrato, l’acido
nicotinico o un suo derivato, il probucolo). Con l’associazione farmacologica si possono
ottenere riduzioni della colesterolemia anche superiori al 40-50%.
Olii di pesce contenenti acidi grassi omega-3 sono disponibili come farmaci da
banco. I dati sull’efficacia a lungo termine e sugli effetti collaterali dei supplementi di
olio di pesce sono scarsi; comunque, per l’uso a breve termine, dosi di 15 g/die
sembrano essere sicure e sono in grado di ridurre i livelli dei trigliceridi, ma sono inutili
per la riduzione della colesterolemia. Nei pazienti con ipertrigliceridemia, essi possono
aumentare i livelli di HDL del 10-15%. Nei rari casi in cui vengono somministrate dosi
> 20 g/die, è necessario tenere sotto controllo la conta piastrinica e il tempo di
sanguinamento. A dosaggi di questo genere, gli olii di pesce possono interferire con il
controllo della glicemia nei pazienti diabetici.
Terapia antiossidante: la tossicità del LDL può essere ridotta mediante l’uso degli
antiossidanti. L’-tocoferolo (vitamina E) inibisce l’ossidazione delle LDL in vitro. In
diversi studi, il consumo di vitamina E sembra essere fortemente inversamente correlato
al rischio di malattia coronarica. I supplementi di vitamina E somministrati per brevi
periodi non hanno prodotto alcun beneficio, ma la terapia integrativa per almeno 2 anni
si è associata a una riduzione del rischio di malattia coronarica negli uomini e nelle
donne. La vitamina A, un -carotenoide, può influenzare l’aterosclerosi eliminando i
radicali liberi ossidanti.
L’acido ascorbico (vitamina C) è considerato un antiossidante secondario; esso opera
sinergicamente con la vitamina E rigenerandola dai suoi radicali. La vitamina C può
anche accrescere la trasformazione del colesterolo in acidi biliari.
Terapia con statine (simvastatina e atorvastatina) ed eprotirome: nel Marzo 2010
nel “The New England Journal of Medicine ” è stato pubblicato uno studio molto
interessante che mostra l’associazione tra la riduzione dei livelli di colesterolo LDL e
l’aggiunta, nei pazienti già in terapia con statine, di un composto tireomimetico,
l’eprotirome. Sebbene l’efficacia delle statine nel ridurre i livelli sierici di colesterolo sia
ben conosciuta, per diversi motivi, non tutti i pazienti riescono a raggiungere gli obiettivi
desiderati. Per porre fronte a questo limite, si è pensato di aggiungere alla terapia con
statine nuovi agenti farmacologici che agissero sul metabolimo delle lipoproteine con
differenti meccanismi d’azione.
L’effetto ipocolesterolemizzante degli ormoni tiroidei è noto dal 1930. Il suo principale
effetto, la riduzione dei livelli sierici di LDL, è dovuto ad un aumento della clearance
epatica per un’aumentata espressione del gene del recettore LDL epatico. In passato, i
tentativi di imitare l’azione degli ormoni tiroidei tramite loro metaboliti e analoghi son
stati diversi, tuttavia, lo sviluppo di alcuni di questi farmaci è stato interrotto a causa
degli effetti negativi legati all’azione ormono-simile.
L’Eprotirome è un analogo degli ormoni tiroidei contenente due bromuri che, rispetto
alla triiodotironina, fanno si che la sua captazione a livello degli altri tessuti sia minima.
Una delle sue caratteristiche principali è quella di avere una maggiore affinità per il
recettore della triiodotironina (TR-isoforma ß), che gli permette di avere un’azione
ipolipemizzante simile agli ormoni tiroidei, rispetto all'isoforma TR- isoforma , che
troviamo a livello cardiaco. L'aggiunta di placebo o Eprotirome alla dose di 25, 50, o 100
g al giorno, nella terapia con statine, per 12 settimane ha ridotto il livello medio sierico
di colesterolo LDL da 141 mg per decilitro (3,6 mmol per litro) a 127, 113, 99, e 94
mg/dl (3.3, 2.9, 2.6, e 2.4 mmol/l), rispettivamente, (riduzione media rispetto al basale,
7%, 22%, 28% e 32%). Riduzioni simili sono state osservate anche nei livelli sierici di
apolipoproteina B, trigliceridi e Lp(a). La terapia con Eprotirome non è stata associata
ad effetti tireomimetici negativi sul cuore, sulle ossa e sull’ipofisi.