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«Se fosse possibile assodare la questione mediante una qualche esperienza, io sarei pronto a
scommettere tutti i miei averi, che almeno in uno dei pianeti che noi vediamo vi siano degli abitanti.
Secondo me, perciò, il fatto che anche in altri mondi vi siano abitanti non è semplicemente oggetto di
opinione, bensì di una salda fede (sull’esattezza di tale credenza, io arrischierei infatti molti vantaggi
della vita).»
Immanuel KANT, Critica della ragione pura, Riga 1787 (1a ed. 1781)
«Come si spiega dunque la mancanza di visitatori extraterrestri? È possibile che là, tra le stelle, vi sia
una specie progredita che sa che esistiamo, ma ci lascia cuocere nel nostro brodo primitivo. Però è
difficile che abbia tanti riguardi verso una forma di vita inferiore: forse che noi ci preoccupiamo di
quanti insetti o lombrichi schiacciamo sotto i piedi? Una spiegazione più plausibile è che vi siano
scarsissime probabilità che la vita si sviluppi su altri pianeti o che, sviluppatasi, diventi intelligente.
Poiché ci definiamo intelligenti, anche se forse con motivi poco fondati, noi tentiamo di considerare
l’intelligenza una conseguenza inevitabile dell’evoluzione, invece è discutibile che sia così. I batteri se
la cavano benissimo senza e ci sopravviveranno se la nostra cosiddetta intelligenza ci indurrà ad
autodistruggerci in una guerra nucleare. [...] Lo scenario futuro non somiglierà a quello consolante
definito da STAR TRECK, di un universo popolato da molte specie di umanoidi, con una scienza ed
una tecnologia avanzate ma fondamentalmente statiche. Credo che invece saremo soli e che
incrementeremo molto, e molto in fretta, la complessità biologica ed elettronica.»
Stephen HAWKING, L’universo in un guscio di noce, Milano 2010 (ed. originale 2001
Quando la squadra di Neil Armostrong tornò dalla Luna, fu isolata in una sorta di quarantena
biologica di tre settimane che proteggesse la terra da ipotetici residui di forme di vita aliena. Per il
motivo inverso, nel 2003 si è preferito distruggere la sonda Galileo piuttosto che rischiare che, non
sterilizzata, portasse molecole organiche terrestri sulle lune di Giove.
Per quanto gran parte della comunità scientifica si dichiari scettica al riguardo, sono state assunte in
passato molte scelte basate sull’ipotesi che la vita possa svilupparsi o essersi sviluppata non soltanto
nella nostra galassia, ma perfino nel nostro stesso Sistema Solare.
Nel Novecento, l’astrofisico Frank Drake realizzò una formula, basata sulla stima e sul prodotto di sette
fattori, che calcolasse il numero di civiltà extraterrestri nella nostra Galassia con le quali si possa
pensare di comunicare. Il risultato ipotizzato da Drake era 10, ma i valori attribuiti ad ogni fattore
furono più volte oggetto di controversie; alcuni sostengono più probabile un prodotto dell’ordine di
0,0000001, altri di 600.000. Nel 1950, in una conversazione sull’argomento extraterrestri, Enrico
Fermi esclamò: where is everybody? Se l’Universo popolasse di civiltà che hanno avuto una decina di
miliardi di anni per evolversi e viaggiare, non dovremmo averne già trovato plausibili tracce?
Stephen Hawking risponde al paradosso di Fermi con due possibilità, senza escludere la più ovvia (che
l’Universo non popoli affatto di civiltà). Se gli alieni fossero a tal punto avanzati da poter coprire
distanze interstellari o intergalattiche, forse sarebbero troppo progrediti per interessarsi a forme di vita
primordiali come gli uomini. Al contrario, invece, potrebbero essersi evoluti in modo diverso da come
ci siamo evoluti noi: efficientissime macchine biologiche prive di coscienza, e quindi prive di ragioni
per esplorare lo spazio.
Questo è particolarmente plausibile considerando che, senza coscienza o intelligenza, l’uomo non
avrebbe avuto né un armamentario atomico capace di estinguere buona parte delle specie terrestri –
compresa la sua – né motivi per fare il tentativo. Molti dei principali pericoli per la Terra sono
conseguenza del pensare umano, e quei pericoli probabilmente ci porteranno a scomparire prima che
la nostra tecnologia progredisca fino al livello dei viaggi interstellari; anche ad altre presunte civiltà
aliene intelligenti potrebbe essere successo lo stesso.
Cosa implicherebbe essere davvero circondati da complessi, evoluti robot organici? Dimostrando che la
vita non sia rara e miracolosa come spesso si crede, la scienza – dopo l’ottimo risultato già conseguito
dalla teoria eliocentrica – potrebbe finalmente a spazzare via l’uomo dal suo posto al centro
dell’Universo; la coscienza diventerebbe un mero incidente biologico non molto vantaggioso.
L’astrobiologo Paul Davies osserva che se avessimo testimonianza, invece, dell’esistenza di altri esseri
senzienti come noi, questo proverebbe che la coscienza sia un prodotto di inesplorate leggi
dell’Universo – collegata alla natura stessa del Cosmo, un Cosmo che, nonostante tenda all’entropia,
ha creato noi dal caos primordiale. Certo non farebbe tornare i pianeti e le stelle a ruotare attorno alla
Terra, ma restituirebbe, alla nostra misteriosa esistenza, un significato più profondo della semplice
casualità.
La presenza e la natura di forme di vita extraterrestri probabilmente non sarà mai dimostrabile, per
quante teorie si possano formulare in merito; è per questo motivo che, come ha lasciato scritto Kant,
bisognerebbe considerare l’esistenza degli alieni non solo come oggetto di ricerche, ma come oggetto di
fede.
Il motivo del successo di programmi come Mistero e Voyager non è certo l’attendibilità dei loro dati:
l’umanità vuole avere fede, e il modo in cui si relaziona con l’idea di altri mondi abitati racconta molto
del nostro mondo. Basta prendere in esempio qualche film: paure e desideri umani sono proiettati nelle
creature di fantasia, elfi per la comunione con la natura, dei per l’immortalità, orchi per la violenza
irrazionale, e gli alieni? Pensando a nuovi visitatori in possesso di grandissime tecnologie, pensiamo al
pericolo.
Sembra un collegamento logico, scontato, ma riflettendoci non è così; l’istinto bellico è scontato
all’interno della nostra mentalità, è erede del nostro storico, ingiustificabilmente cruento colonialismo.
Dopotutto, la seconda idea che più immediatamente si associa agli alieni è che siano qui per aiutarci –
perché sentiamo di aver bisogno di aiuto. Abbiamo posto confini e barriere da uno Stato all’altro, ma
non abbiamo potuto fare lo stesso con la nostra Terra e i miliardi di pianeti nel cielo stellato: non si è
ancora deciso se considerarlo una debolezza o una speranza.
Stephen Hawking parla di autodistruzione nucleare, Paul Davies di riconquista della nostra dignità di
esseri pensanti, Kant di fede: forse c’è un filo sottile a unire ognuno di questi pensieri.
La scienza, la logica, gli studi, sono chiari: la possibilità su un milione di interagire con altre civiltà è
stata continuamente discussa e non ha mai raggiunto un numero a due cifre. Se anche il risultato di
Drake fosse veritiero, la grandezza della nostra Galassia è troppo immensa per sognare un contatto; se
anche entrassimo in contatto, la comunità scientifica ha spiegato che sarebbero forse forme di vita non
basate sul carbonio, forse fatte di materia oscura (la materia visibile è solo il 5% dell’Universo), forse
non coscienti, neanche vagamente umanoidi.
Eppure, sono questi stessi scienziati ad aver inserito il Golden Record nella sonda Voyager – la sonda
attualmente più lontana dalla Terra, più persa nella galassia – con informazioni sulla nostra civiltà, la
nostra storia, il nostro pensiero. E con una canzone in particolare: Dark was the night, cold was the
ground, di note semplici e malinconiche. E’ quasi schiacciante il messaggio di questa scelta: lo scopo di
Dark was the night è rappresentare, dell’umanità, la solitudine.
Se l’uomo, abbandonato a se stesso, riuscirà a distruggersi ed estinguersi, il Golden Record continuerà
per milioni di anni ad errare nel Cosmo; la solitudine sarà il nostro ultimo vessillo sull’Universo, le
nostre ultime parole, il nostro lascito.
«…Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini,
della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, ma potremmo farlo nei vostri.
Noi speriamo un giorno, dopo aver risolto i problemi che stiamo affrontando, di congiungerci in una comunità di civiltà galattiche.
Questa registrazione rappresenta il nostro sogno, la nostra determinazione e la nostra buona volontà in un vasto ed impressionante
universo. »
Giovanni Boccaccio,
La novella di Ciappelletto
-Analisi del testo
La Regina della Prima giornata del Decameron di Boccaccio è Pampinea, la ragazza che
per prima aveva avanzato la proposta di passare qualche settimana lontani dalla città, a
raccontarsi storie a vicenda e ricostruire linee comportamentali di ordine e decoro.
Pampinea non sceglie il tema della Prima giornata, invitando ciascuno a scrivere di ciò
che più gli aggrada; così, il Decameron inizia con la novella di Panfilo e il suo
protagonista, un notaio toscano chiamato Cepperello, ma conosciuto in Francia come
Ciappelletto. La fama di Ciappelletto è alquanto raccapricciante: allegramente pronto a
qualsiasi nefandezza, si svaga con l’omicidio, ama lo spergiuro, le false testimonianze e
la blasfemia, è incline alla rabbia, alla lussuria, alla truffa e ai piaceri mondani. Pur
essendo da molti considerato l’uomo più malvagio mai nato, Ciappelletto è riuscito ad
evitare qualsiasi problema con la giustizia grazie alla protezione del ricco mercante
Musciatta. E’ proprio per via della sua reputazione che Musciatta lo invia in Borgogna a
riscuotere i debiti dei Borgognoni, secondo lui altrettanto disonesti e intrattabili.
L’intento di Boccaccio, quindi, sembra voler scrivere più che altro di come la fortuna,
l’ingegno e l’arte della parola possano far trionfare il falso sul vero, rovesciare le
prospettive e fondare erronee certezze mai smascherate; la credulità dell’uomo è uno
dei motivi per cui non potrà mai comprendere il disegno divino, disegno che si attua
anche per mezzo di peccatori incalliti come Ser Cepperello di Prato.