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IL SUONO, LE ARMONICHE E LA SCALA NATURALE

Il suono è una variazione della pressione dell’aria e per potersi propagare nell’ambiente
circostante necessita di un mezzo, sia questo solido, liquido o gassoso come ad esempio l’aria,
purché sia dotato della particolare qualità fisica dell’elasticità (un mezzo è elastico quando, una
volta soppresse le forze che lo hanno deformato, esso riprende la sua forma originaria). Ed
abbisogna di un qualche dispositivo per prodursi, anche il più semplice, purché dotato anch’esso di
elasticità: un corpo assolutamente rigido non produce alcun tipo di forma sonora, ossia non può
essere una fonte sonora; al contrario, un corpo elastico, qualora venga sollecitato in qualche modo,
è in grado di mutare conformazione esterna e struttura interna e di comunicare all’ambiente
circostante questa sua modificazione. La comunicazione del mutato assetto del corpo elastico
all’ambiente in cui esso è immerso avviene grazie alla variazione concomitante della pressione
ambientale; tale variazione di pressione assume la forma di una serie di vibrazioni (compressione e
rarefazione) che dalla fonte sonora si propagano a distanza. Se nel loro viaggio dal centro alla
periferia le vibrazioni colpiscono un oggetto a sua volta elastico – sia questo ad esempio un
microfono o l’orecchio umano -, il processo di comunicazione del messaggio si compie: la
deformazione della fonte sonora, trasformatasi in un segnale che si propaga attraverso un mezzo, è
giunta al ricevente ed è pronta per essere decodificata.
Poiché il suono prodotto corrisponde alle variazioni impresse dalle modificazioni
meccaniche della fonte sonora alla pressione dell’aria circostante, ossia alle vibrazioni del mezzo di
trasmissione, le proprietà del suono dipenderanno proprio da tali vibrazioni. Se queste si ripetono
nel tempo sempre identiche a se stesse si dicono periodiche, in caso contrario si dicono aperiodiche.
Dal punto di vista della fisica acustica, si avrà suono quando questo è generato da vibrazioni
periodiche, mentre le vibrazioni aperiodiche saranno causa di rumore.
La distribuzione della compressione e decompressione dell’aria dovuta all’eccitazione
meccanica di una fonte sonora si dice onda sonora; è questa che trasporta attraverso un mezzo
elastico l’energia meccanica della vibrazione indotta nella sorgente sonora, destando a sua volta nel
sistema una vibrazione ondulatoria analoga.
Per capire meglio il processo di produzione e trasmissione del suono, si immagini che la
sorgente sonora sia una membrana elastica ben tesa: se percossa, essa si deforma, poi ritorna al suo
stato originale, si deforma poi nel modo opposto e ritorna di nuovo al suo stato originale, causando
un’alternanza di compressione e decompressione delle particelle dell’aria circostante, e il ciclo si
ripete fino all’esaurirsi del movimento a causa degli attriti. Lo stesso processo appena descritto si
verifica se la sollecitazione viene applicata ad esempio ad una corda di metallo sufficientemente

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tesa, ad una colonna d’aria contenuta in un tubo, ad una piastra di legno o di metallo. Un
movimento analogo di ciclico avvicinamento ed allontanamento da una posizione di equilibrio si
riscontra nel cosiddetto moto armonico semplice:

Fig.(2.a)

Il moto di un punto M che si muova di moto armonico semplice corrisponde alla proiezione
sull’asse y del moto di un punto P che si muova di moto circolare uniforme (cioè quando la
traiettoria percorsa è una circonferenza ad una velocità angolare costante) lungo un cerchio di
raggio A. Il punto P si muove di moto circolare uniforme, ad una velocità angolare costante e
formando un angolo di rotazione (fase) che si evolve nel tempo. Il tempo T impiegato da M per
compiere un giro completo attorno al punto di equilibrio O fra gli estremi della circonferenza
nella’asse y – tempo che è pari a quello che impiega P per percorrere l’intera circonferenza – si dice
periodo; il numero f di periodi compiuti nell’unità di tempo – ossia il numero di cicli completi
compiuti da P nell’unità di tempo – si dice frequenza.
L’onda sonora, ossia la distribuzione della pressione dell’aria circostante la fonte sonora, ha
nel tempo, un andamento del tutto simile a quello rappresentato nella fig.(2.a). La fonte sonora
infatti, una volta eccitata, vibra secondo la legge del moto armonico semplice e trasmette tale moto
all’ambiente circostante, facendone variare la pressione in maniera del tutto analoga; l’onda sonora
è dunque un’onda sinusoidale.
Il valore di y in un punto di massimo o di minimo si dice ampiezza dell’onda; a parità di
altre condizioni, maggiore è l’ampiezza dell’onda, più il suono viene percepito come forte e
viceversa, ossia l’ampiezza dell’onda sonora determina – entro certi limiti – la sensazione di
intensità di un suono.
In natura ogni fenomeno sonoro è un suono complesso, cioè costituito dalla combinazione di
un numero elevato di onde di frequenza, ampiezza e fase di grandezza diversa. Combinazione che
conferisce a quella manifestazione del suono il suo particolare carattere, la sua marca distintiva
(Timbro).

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L’analisi del suono naturale – ossia la sua scomposizione negli elementi costitutivi al fine di
studiarne le singole caratteristiche e le reciproche correlazioni – fa riferimento ad un modello
teorico, derivato dall’ipotesi che qualsiasi fenomeno sonoro periodico di periodo T – quindi
qualsiasi onda sonora, qualsiasi suono complesso – possa immaginarsi come la combinazione di un
numero finito o infinito di onde sinusoidali – di suoni puri – dotate ciascuna di parametri specifici
(teorema di Fourier).
Prove sperimentali, dimostrano che un suono complesso consta oggettivamente della
combinazione di suoni puri sinusoidali, dotati ciascuno di frequenza, ampiezza e intensità propria;
dunque si deve riconoscere che in natura un suono complesso è la combinazione di più suoni puri.
Se si osserva lo spettro delle frequenze dei suoni puri costitutivi (ossia la successione delle loro
frequenze ordinata in senso crescente) del suono prodotto da una corda o da un tubo sonoro, ci si
avvede che tali frequenze stanno fra loro in un rapporto che costituisce una serie armonica, ossia
ciascuna frequenza è un multiplo intero della frequenza più bassa. Quest’ultima la chiameremo
frequenza fondamentale del suono complesso e le altre frequenze – che sono tutte superiori alla
frequenza fondamentale – le diremo armoniche superiori. Se indichiamo con f1 la frequenza del
suono fondamentale, potremo dire che il suono emesso dalla sorgente sonora naturale presa come
esempio è costituito da suoni semplici le cui frequenze stanno fra loro nei rapporti seguenti:
f1, f2 = 2f1, f3 = 3f1, …, fn = nf1, …
Fig.(2.b)

Tali frequenze stanno tra loro in un rapporto che corrisponde ad una serie armonica, giacché
essendo f1 = (1/2)f2 = 1/3f3, … (1/n)fn, … la serie dei rapporti tra la frequenza fondamentale e quelle
superiori è 1, 1/2, 1/3 … 1/n …, che è appunto una serie armonica.

Fig.(2.c)

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I musicisti a volte preferiscono usare il termine di parziale (o componente parziale) invece
di armonica; è meglio distinguere fra i due termini, poiché le parziali di molti strumenti musicali
non sono in relazione armonica con la fondamentale. Ciò significa che le parziali possono avere
frequenze che non sono multipli interi esatti della fondamentale; si può comunque ottenere
ricchezza di tono anche senza rispettare un vero rapporto armonico. Ad esempio, le parziali di
campane, campanelli, strumenti a percussione in generale e note di pianoforte spesso non sono in
relazione armonica con la fondamentale.
Per fare un esempio pratico, immaginiamo che la nostra sorgente sonora naturale emetta un
DO1:

Fig.(2.d)

Esso è un suono complesso costituito dalla combinazione del suono fondamentale e dei suoi
armonici superiori. Se ad ognuna delle frequenze costitutive si fa corrispondere una nota sul
pentagramma, la serie degli armonici naturali di DO1, sviluppata fino al 40° armonico, assume
l’aspetto mostrato nell’esempio qui sopra, dove (1) è il suono fondamentale e (2), (3) … sono gli
armonici superiori. In realtà le note scritte sul pentagramma rinvierebbero per convenzione grafica
ad altrettanti suoni complessi, a loro volta costituiti ciascuno dal proprio suono fondamentale e dai
rispettivi armonici superiori; tuttavia in questa schematizzazione si deve immaginare che alle note
indicate equivalgono altrettanti suoni semplici, ossia le sole frequenze corrispondenti alle note
indicate. Si deve poi osservare che l’intonazione di tutti gli armonici naturali del DO1, ad esclusione

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delle sue ottave superiori (ma ciò vale per tutti i suoni, non soltanto per quello preso qui come
esempio), risulta più o meno calante o crescente rispetto a quella che avrebbero i suoni complessi
corrispondenti a quegli armonici qualora fossero accordati secondo il temperamento equabile; ciò è
messo in evidenza con una cifra negativa o positiva che indica la differenza in cents fra
l’intonazione naturale e quella equabilmente temperata.
Supponiamo ora che le frequenze f2, f3 … fn della (2.b) siano frequenze fondamentali, ossia
che ad esse corrispondano i suoni fondamentali di altrettanti suoni complessi, e ricaviamo i rapporti
esistenti tra le frequenze contigue:
f1/f1 = 1/1, f2/f1 = 2/1, f3/f2 = 3/2, f4/f3 = 4/3 … fn+1/fn = (n + 1)/n …
fig.(2.e)

Tali rapporti costituiscono allora delle relazioni fra suoni che nella teoria musicale corrente
vengono chiamati intervalli; di seguito ne vengono elencati alcuni a puro titolo esemplificativo:
1 / 1 = unisono giusto
2 / 1 = ottava giusta
3 / 2 = quinta giusta
4 / 3 = quarta giusta
5 / 4 = terza maggiore
6 / 5 = terza minore
5 / 3 = sesta maggiore
8 / 5 = sesta minore
9 / 8 = seconda maggiore
16 / 15 = seconda minore
15 / 8 = settima maggiore
16 / 9 = settima minore
Fig.(2.f)

I primi otto intervalli costituiscono delle consonanze, gli altri quattro delle dissonanze.
Se si confronta l’elenco degli intervalli della (2.f) con la serie degli armonici naturali di DO1
riportata in (2.d), ci si avvede immediatamente che ai rapporti di frequenze corrispondono
esattamente rapporti fra numeri d’ordine degli armonici naturali.
La spiegazione di questi rapporti intervallari è data dall’accordatura pitagorica. In questo
tipo di accordatura, dominante nella musica occidentale fino al XV secolo, la misura degli intervalli
costituenti la scala eptafonica viene stabilita sulla base delle proporzioni. Mediante l’impiego del

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monocordo, Pitagora (VI secolo a.C.) fu in grado di stabilire un numero notevole di intervalli. Il
principio base per ottenere tali intervalli è di estrema semplicità, e si fonda sulla legge fisica di
proporzionalità indiretta fra la lunghezza l della corda vibrante e la frequenza del suono ottenuto:
f = k · (1/l)
Fig.(2.g)

Se dunque da una corda vibrante di lunghezza l si ottiene il suono a di frequenza f, dalla


metà della stessa corda (l/2) si ottiene – a parità di altre condizioni (stessa tensione, stessa pressione
dell’aria, stesso procedimento di eccitazione della corda ecc.) – il suono b di frequenza 2f; dalla
terza parte della corda (l/3) si ottiene il suono c di frequenza 3f, e così via. Se ad esempio a = DO1,
allora b = DO2 (DO2 è l’ottava superiore di DO1) e c = SOL2 (SOL2 è la 12a superiore di DO1 –
ossia l’ottava superiore della sua 5a superiore):

Fig.(2.h)

Le proporzioni che definiscono l’8a e la 12a si ricavano dai rapporti tra le frequenze limite
degli intervalli, che per quanto detto sopra sono date dalle proporzioni inverse delle rispettive
lunghezze delle corde:
ottava = 8a = b/a = 2f/f = 2/1
dodicesima = 12a = c/a = 3f/f = 3/1
Fig.(2.i)

Poiché lungo la scala eptafonica gli intervalli si susseguono ripetendosi nello stesso ordine
di ottava in ottava, per delineare le caratteristiche di tale scala è sufficiente identificarne gli
intervalli all’interno di una sola ottava-tipo. Sia questa l’ottava DO1 – DO2, dove DO2 è l’8a
superiore di DO1. Per far rientrare nell’ottava-tipo il SOL2 occorre trasportarlo all’8a inferiore, ossia
togliere un’8a all’intervallo di 12a DO1 – SOL2; ne risulta il suono SOL1, che è compreso nell’8a-tipo
ed è la 5a superiore di DO1.

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Il suono SOL1, che si trova all’8a inferiore del suono SOL2, ha una frequenza pari alla metà
di quella di SOL2, ossia (3/2)f, in quanto è come se fosse stato generato da una corda lunga (2/3)l,
ossia il doppio di quella – pari a (1/3)l – che aveva generato SOL2. Se ne deduce, in generale, che
spostamenti d’8a di un suono verso l’acuto o verso il grave implicano rispettivamente il raddoppio
o il dimezzamento della frequenza iniziale: dato il suono a di frequenza f, la sua 8a superiore dà un
suono b di frequenza 2f, e la sua 8a inferiore dà un suono c di frequenza f/2.
Per ottenere la proporzione che definisce l’intervallo di 5a basta ora dividere la frequenza
superiore per quella inferiore dell’intervallo; si ottiene:
quinta = 5a = [(3/2)f] : (f) = 3/2
Fig.(2.l)

E’ proprio sulla proporzione 3/2 che definisce la 5a, che Pitagora basa il suo sistema di
accordatura per ricavare le proporzioni degli intervalli compresi nell’8a-tipo, che si ottengono per
successive sovrapposizioni di 5e e corrispondenti trasposizioni di 8e. La catena di 5e pitagoriche
della fig.(2.m), ottenuta mediante sovrapposizione di quattro 5e alla 5a DO1 – SOL1 e sottoposizione
di una 5a al DO1 per ottenere il FA, si trasforma così – previa aggiunta del DO2 a chiusura
dell’ottava DO1 – DO2 e mediante trasposizione di un congruo numero di 8e verso il grave dei suoni
ottenuti precedentemente, nonché trasposizione di un’8a verso l’acuto del FA per ottenere il FA1 –
nella scala eptafonica della fig.(2.n), caratterizzata da intervalli accordati pitagoricamente.

Fig.(2.m)

Fig.(2.n)

Si è osservato precedentemente come, a parità di altre condizioni, la frequenza di un suono


emesso sia inversamente proporzionale alla lunghezza del corpo vibrante che emette quel suono; se
come corpo vibrante si prende una corda tesa opportunamente e la si suddivide in segmenti sempre
più piccoli, da ciascuno di questi si ottengono frequenze sempre più elevate. Fra i diversi tipi di
suddivisione di una corda, quella che si basa sulla serie armonica 1, 1/2, 1/3, 1/4, 1/5, 1/6 … ha

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trovato particolare fortuna nelle culture musicali dell’Occidente (tale serie è quella che regola i
rapporti di frequenza dei suoni armonici naturali). Pitagora ne sfruttò solamente i primi quattro
elementi, ottenendo gli intervalli di unisono (1/1), 8a (2/1), 5a (3/2), 4a (4/3). Didimo (I secolo a.C.)
ne sfruttò anche l’elemento successivo della serie armonica, ottenendo la 3a magg. pura o naturale,
che è data dal rapporto 5/4. E’ proprio sulla proporzione 5/4 che si basa il sistema di accordatura per
3e magg. pure – la cosiddetta accordatura pura o naturale.
Una delle ragioni che condussero all’adozione della 3a magg. pura al posto di quella
pitagorica sta nel fatto che una triade maggiore risuona come consonanza perfetta – ossia è intonata
secondo l’accordatura pura – quando i suoi suoni costitutivi stanno fra loro nella serie di rapporti
4:5:6 (da cui la 5a = 6/4 = 3/2, la 3a magg. = 5/4 e la 3a min. = 6/5), ossia quando essi sono accordati
secondo le proporzioni che definiscono gli intervalli puri. In maniera analoga una triade minore
risuona come consonanza perfetta quando i suoi suoni consecutivi stanno fra loro nella serie di
rapporti 10:12:15 (da cui la 5a = 15/10 = 3/2, la 3a min. = 12/10 = 6/5 e la 3a magg. = 15/12 =5/4).

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Bibliografia

Loris AZZARONI, Canone infinito: Lineamenti di teoria della musica, Bologna, CLUEB, 1997

F. Alton EVEREST, MANUALE DI ACUSTICA, Milano, Ulrico Hoepli Editore S.p.A., 1996

Andrea FROVA, Fisica nella Musica, Bologna, Zanichelli editore S.p.A., 1999

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