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PANDOLFI
3
4 INDICE
Capitolo 1
Nel caso delle funzioni di una sola variabile, è stato naturale definire l’integrale su
un intervallo. Nel caso di funzioni di più variabili una scelta ragionevole per il
dominio di integrazione non è ovvia. Noi sceglieremo come domini di integrazione
gli insiemi che sono delimitati da grafici di funzioni continue (si veda più avanti per
una definizione più precisa). Tali insiemi si chiameranno domini di integrazione.
Indicheremo con D un generico dominio di integrazione.
Studieremo la definizione dell’integrale di di una classe di funzioni che saranno
costruite a partire da funzioni continue su insiemi chiusi e limitati.
0 ≤ max f − min f ≤ ǫ .
R R
5
6 CAPITOLO 1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
0.8
0.6
0.4 D2
0.2
D1 D3
0
−0.2
D4
−0.4
m −0.6
−0.8
x −1
−1 −0.8 −0.6 −0.4 −0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
T = {(x, y) , 0 ≤ a ≤ b, m ≤ g(x) ≤ M }
Figura 1.2:
3.5 3.5
3 3
2.5 2.5
2 2
1.5 1.5
1 1
0.5 0.5
0 0
−0.5 −0.5
−0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5
Figura 1.3:
3.5
2.5
1.5
0.5
−0.5
−0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5
In particolare
0 ≤ SN0 ,L0 − sN0 ,L0 ≤ {somma delle aree dei rettangoli} ǫ ≤ [(b − a)(M − m)] ǫ .
Ma,
Dunque
inf{SN,L } = sup{sN,L }
e questo numero si chiama l’ integrale di f (x, y) sul trapezoide T . Esso si indica col
simbolo Z
f (x, y) dx dy .
T
10 CAPITOLO 1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
Anche il teorema della media si può riformulare. Indichiamo con A(D) l’area
di D. Vale:
Z !
A(D) · inf f (x, y) ≤ f (x, y) dx dy ≤ A(D) · sup f (x, y)
(x,y)∈D D (x,y)∈D
ossia !
1
Z
inf f (x, y) ≤ f (x, y) dx dy ≤ sup f (x, y) .
(x,y)∈D A(D) D (x,y)∈D
Osservazione 3 Nel caso degli integrali semplici si definisce anche l’integrale “orien-
tato”. Noi non studiamo ora questo aspetto della teoria dell’integrazione doppia, che
però comparirà nel momento in cui associeremo la teoria delle superfici con quella
dell’integrazione.
Si noti però che φ−1 (a) può anche essere maggiore di φ−1 (b), ciò che è lecito perché
nel caso degli integrali semplici abbiamo definito l’integrale orientato. Nel caso degli
integrali doppi bisogna usare maggior cautela perchè non abbiamo introdotto un
analogo dell’integrale iterato. Inoltre, la dimostrazione delle formule che si ottengono
è assai complessa e ci limitiamo ad illustrarle.
Ricordiamo che una trasformazione lineare, descritta mediante una matrice A,
trasforma un rettangolo di area a in un parallelogramma di area a · | det A|. Inoltre
ricordiamo che sotto ipotesi di regolarità, (continuità delle derivate prime) una tra-
sformazione da R2 in sé si può sviluppare mediante la formula di Taylor ed è uguale,
a meno di termini infinitesimi di ordine superiore al primo, ad una trasformazione
lineare. Sulla base di queste considerazioni si potrebbe provare il teorema seguente:
14 CAPITOLO 1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
x = x(u, v) , y = y(u, v)
x = ρ cos θ , y = ρ sin θ , 0 ≤ ρ ≤ 1, 0 ≤ θ ≤ 2π .
come estremo comune ai due insiemi {sN,L,K } ed {SN,L,K } che ora verranno a
dipendere da tre indici N , L, K.
Si ottiene cosı̀ un integrale che si chiama anche integrale triplo .
Vogliamo calcolare Z
f (x, y, z) dx dy dz (1.5)
D
ove f (x, y, z) è una funzione continua.
L’intersezione è un intervallo,
Si calcola
Z
I(x, y) = f (x, y, z) dz .
S(x,y)
Z Z Z "Z #
f (x, y, z) dx dy dz = I(x, y) dx dy = f (x, y, z) dz dx dy .
D D0 D0 S(x,y)
Anche in questo caso, potrà convenire calcolare l’integrale doppio col metodo di
riduzione, riducendo (in un secondo modo) il calcolo dell’integrale triplo al calcolo
di un integrale iterato.
Nel piano
coordinate jacobiano
polari ρ
ellittiche abρ
Nello spazio
coordinate jacobiano
cilindriche ρ
sferiche ρ2 sin φ
Si noti che nella formula di cambiamento di coordinate per gli integrali multipli
compare il valore assoluto dello jacobiano, mentre la tavola precedente riporta
lo jacobiano per sottolineare che i sistemi di coordinate che abbiamo introdotto,
con le coordinate che si susseguono nell’ordine usualmente scelto, hanno
jacobiano positivo. Dunque la matrice jacobiana di tali trasformazioni non altera
l’orientazione di R3 .
Capitolo 2
Studiamo ora gli integrali definiti, invece che su intervalli o su parti di piano, su
curve e su superfici Cominciamo dal caso delle curve.
E’ utile ricordare alcune considerazioni sulle curve piane, che abbiamo già visto.
19
20 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE
integrale curvilineo;
integrale di curva di
integrale curvilineo di prima
prima specie
specie.
integrale di linea;
integrale di curva di
integrale di linea di seconda
seconda specie
specie.
integrale di superficie
integrale superficiale.
di prima specie
integrale di superficie;
integrale di superficie
integrale di flusso.
di seconda specie
• abbiamo notato che R2 può venire orientato scegliendo un ordine tra gli
elementi di una sua base.
Quando gli elementi della base sono rappresentati sui due assi cartesiani della
geometria analitica, usa rappresentare il primo vettore sull’asse orizzontale ed
il secondo sull’asse verticale. Ciò fatto, diremo che una coppia di vettori v
e w, presi in quest’ordine, è orientata positivamente quando la semi-
retta che congiunge v all’origine deve ruotare in verso antiorario per
portarsi su quella che congiunge w all’origine, percorrendo l’angolo
2.1. RICHIAMI RELATIVI ALLE CURVE 21
Figura 2.1:
2 y
0
x
−1
−2
−3
−3 −2 −1 0 1 2 3
minore possibile. Si veda la figura 2.1. Si noti che la rotazione che porta il
versore i, primo elemento della base canonica, su j secondo l’angolo minore è
la rotazione di π/2 in verso antiorario. Per questo diremo che l’orientazione
positiva in R2 è quella subordinata dalla base canonica.
• Sia ora γ una curva semplice. Ricordiamo che il suo sostegno è sostegno,
oltre che di γ, soltanto di una seconda curva γ̃, (che ovviamente può essere
parametrizzata in più modi) che si ottiene “andando all’indietro”. Quando
si conosce un insieme γ e si sa che questo è sostegno di curva semplice, per
esempio un quadrato, allora informalmente si può confondere la curva col suo
sostegno.
ne (s)
Figura 2.2:
z
2
1.5
0.5
y
0 x
−0.5
−1
−1.5 2
1
−2 0
3 2 −1
1 0 −1 −2 −2
−3
una curva di Jordan regolare, ossia con r′ (t) 6= 0 per ogni t. Si potrebbe provare
che il sostegno è localmente un grafico e si potrebbe provare che il sostegno
è grafico di un numero finito di funzioni. Dunque, l’unione della regione Ωγ ,
interna alla curva γ e del suo sostegno è un dominio di integrazione. Diremo che la
regione Ωγ stessa è un dominio di integrazione e quindi è possibile:
Con lo stesso abuso di linguaggio diremo ancora che una regione di Jordan si
può approssimare mediante rettangoli.
24 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE
m(h)
ρ(r0 ) = lim .
h→0 l(h)
N
X −1 N
X −1
ρ(r(si ))[si+1 − si ] = ρ(r(si ))L/N .
i=0 i=0
Sia ora f (r) una generica funzione a valori reali, per semplicità continua e sia
r(s), s ∈ [0, L] la rappresentazione canonica di un arco. L’esempio precedente
suggerisce di definire Z
f ds (2.1)
γ
2.2. GLI INTEGRALI DI CURVA 25
come segue:
Z Z L
f ds =def f (r(s)) ds . (2.2)
γ 0
Questa è una definizione suggerita dal significato fisico che vogliamo attribuire
all’integrale. Per il calcolo pratico conviene però evitare di rappresentare in forma
canonica l’arco. Conviene di più lavorare con la parametrizzazione r(t), t ∈ [a, b],
inizialmente assegnata. Notiamo che si passa dalla parametrizzazione r = r(t)
alla parametrizzazione canonica per mezzo del cambiamento di variabile t = t(s).
Dunque l’integrale a destra di (2.2) è, in realtà,
Z L
f (r(t(s))) ds .
0
Se la curva è in R3 ,
r(t) = x(t)i + y(t)j + z(t)k ,
quest’integrale è
Z b p
f (x(t), y(t), z(t)) [x′ (t)]2 + [y ′ (t)]2 + [z ′ (t)]2 dt .
a
r′ (ti )(ti+1 − ti )
F(r(t)) · r′ (t) =
= f (x(t), y(t), z(t))x′ (t) + g(x(t), y(t), z(t))y ′ (t) + h(x(t), y(t), z(t))z ′ (t) .
Nel caso particolare n = 3 e V(x, y, z) = f (x, y, z)i + g(x, y, z)j + h(x, y, z)k si
trova:
Z
V(r) · dr
γ
Z b
f (x(t), y(t), z(t))x′ (t) + g(x(t), y(t), z(t))y ′ (t) + h(x(t), y(t), z(t))z ′ (t) dt .
=
a
Diciamo infine che una curva chiusa si chiama anche un circuito e che l’integrale
di un campo vettoriale V(r) lungo una curva chiusa si chiama anche la circuitazione
del campo vettoriale lungo γ.
Non vogliamo dare nessun significato particolare ai simboli dx, dy e dz. Essi
sono suggeriti dalla formula (2.3). Ricordiamo però che nel caso dell’integrale su
un intervallo, si conserva la notazione “ dx” perché questa aiuta a ricordare certe
formule. Vedremo che qualcosa di analogo accade anche in questo caso.
1
noi non tratteremo forme differenziali per esempio su superfici. Quindi potremo chiamare
“forme differenziali” le 1-forme differenziali.
28 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE
Figura 2.3:
0.8
0.6
0.4
0.2
−0.2
−0.4
−0.6
−0.8
−1
−1 −0.8 −0.6 −0.4 −0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Figura 2.4:
6
−2
−4
−6
−6 −4 −2 0 2 4 6
Figura 2.5:
0.9
0.8
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1
Osservazione 22 Si noti che [gx (x, y) − fy (x, y)] è la componente lungo il versore
k del rotore del campo vettoriale V(x, y) = f (x, y)i + g(x, y)j. La formula (2.8) si
scrive quindi come
Z Z
(rot V) · k dx dy = V · dr . (2.9)
Ω ∂Ω
Col linguaggio dei campi vettoriali la formula si interpreta come segue: il flus-
so del rotore del campo vettoriale V(x, y) attraverso la superficie pia-
na Ω è uguale alla circuitazione del campo vettoriale stesso lungo ∂Ω.
Naturalmente si sottintende che ∂Ω sia positivamente orientata.
La formula di Stokes è stata provata per una regione molto particolare. In realtà
vale:
Teorema 23 La formula di Stokes (2.9) vale per ogni regione Ωγ , con γ curva
regolare a tratti.
Torniamo ora alle uguaglianze (2.6) e (2.7). Invece di sottrarle l’una dall’altra,
sommiamole. Si trova
Z Z
[gx (x, y) + fy (x, y)] dx dy = [g(x, y) dy − f (x, y) dx] (2.10)
Ω ∂Ω
Figura 2.6:
6 6
4 4
2 2
0 0
−2 −2
−4 −4
−6 −6
−6 −4 −2 0 2 4 6 −6 −4 −2 0 2 4 6
Quando S1 ed S2 tendono l’uno all’altro gli integrali lungo i due segmenti si elidono,
gli integrali sui due tagli tendono a zero e l’integrale sulla regione interna a γ̃ tende
all’integrale su Ω. Si trova quindi
Z Z Z
(rot V) · k dx dy = V · df − V · df ,
Ω γ2 γ1
Z Z Z
div V dx dy = V · ne ds − V · ne ds .
Ω γ2 γ1
Si noti che il segno negativo viene perchè la curva interna Rva considerata orientata
negativamente, mentre abbiamo convenuto che nel simbolo γ la curva debba essere
orientata positivamente.
Nel caso particolare in cui si abbia
gx = fy
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 35
Se invece la divergenza è nulla si trova che il flusso del campo vettoriale entrante
attraverso γ1 è uguale a quello uscente attraverso γ2 .
ove N(0, 0) indica la normale alla superficie nel punto (0, 0, f (0, 0)).
Si ripeta questo argomento per ciascuno dei quadrati e si sommino i risultati.
Quello che si trova è una somma di Riemann per l’ integrale della funzione |N(x, y)|.
Ciò giustifica la definizione seguente:
36 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE
Definitione 1 Sia
z = f (x, y) (x, y) ∈ Ω
una superficie grafico di una funzione di classe C 1 . Sia γ una curva semplice e chiusa
con sostegno in Ω e sia
Σ : z = f (x, y) (x, y) ∈ Ωγ ∪ γ
la calotta corrispondente.
Si chiama area della calotta Σ il numero
Z
|N(x, y)| dx dy .
Ωγ
Teorema 25 Sia z = f (x) il grafico di una funzione continua sull’intervallo [a, b].
Il volume del solido che si ottiene ruotando il grafico intorno all’asse delle ascisse è
dato da Z b
V =π f 2 (x) dx .
a
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 37
z = z(x, y) , (x, y) = Ωγ ∪ γ
(con f (x, y, z) funzione continua definita sulla calotta) si chiama integrale di super-
ficie di prima specie.
E’ chiaro che il valore dell’integrale non cambia cambiando l’orientazione della
normale alla superficie, dato che nell’espressione dell’integrale figura non diretta-
mente N, ma il suo modulo. Oltre a ciò si potrebbe provare:
38 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE
(A iniziale di “area” ).
Naturalmente, considerazioni analoghe si ripetono per superfici “cartesiane” ri-
spetto ad altri piani coordinati ed anche per superfici che cartesiane non sono. Per
esempio, consideriamo il cilindro di equazione
x2 + z 2 = 1 .
E’ un cilindro circolare retto le cui generatrici sono parallele al piano (x, y) e quindi
questa superficie non è cartesiana rispetto a nessun piano coordinato. Si può però
considerare come unione di due superfici cartesiano, il “mezzo cilindro di sopra” ed
il “mezzo cilindro di sotto”. Se una calotta è ottenuta come unione di due calotte
cartesiane Σ1 e Σ2 , tratte dai due semicilindri, l’ integrale su tale calotta sarà per
definizione la somma dei due integrali su Σ1 e Σ2 .
Figura 2.7:
0.5
−0.5
−1
1
0.5 1
0.5
0
0
−0.5
−0.5
−1 −1
Il volume va calcolato ora con segno perché non è indifferente che il fluido entri
o esca, ed è dato da
V(x0 , y0 , z0 ) · N(x0 , y0 , z(x0 , y0 ))
(si ricordi che |N(x0 , y0 , z(x0 , y0 ))| è circa l’area di P e quindi N(x0 , y0 , z0 ) è l’area
“con segno” ). Sommando i contributi di tutti i parallelogrammi si trova una delle
somme di Riemann che approssimano l’integrale di V(x, y, z(x, y)) · N(x, y, z(x, y)).
Ciò suggerisce di definire l’integrale di superficie di seconda specie mediante la
formula seguente:
Z
V(x, y, z(x, y)) · N(x, y, z(x, y)) dx dy . (2.14)
Ω
Una notazione più semplice che si usa per indicare questo integrale è3
Z
V · dN . (2.15)
Σ
= [−f (x, y, z(x, y))zx (x, y) − g(x, y, z(x, y))zy (x, y) + h(x, y, z(x, y))] dx dy .
Ωγ
(2.17)
(e quindi z(x, y) = z(x(u, v), y(u, v))). Supponiamo che la trasformazione sia conti-
nua su Ωγ̃ ∪ γ̃, di classe C 1 su Ωγ̃ , invertibile e con determinante jacobiano positivo.
Si ricordi che il determinante jacobiano ha segno positivo quando la trasformazione
lascia invariata l’orientazione di R2 . Si prova:
Teorema 28 Il valore dell’integrale di superficie di seconda specie non muta sotto
l’azione di tale cambiamento di coordinate. Cambia segno cambiando il verso sulla
normale alla superficie.
Anche in questo caso, la definizione si può adattare al caso di superfici cartesiane
rispetto ad altri piani coordinati, o che sono unione di un numero finito di superfici
cartesiane.
Indichiamo con Σ0 e Σ1 le calotte definite dalle due funzioni z0 (x, y) e z1 (x, y), che
“chiudono” il cilindro da sopra e da sotto.
Sia f (x, y, z) una funzione di classe C1 ed applichiamo la formula di integrazione
per parti all’integrale
"Z #
Z Z z1 (x,y)
fz (x, y, z) dx dy dz = fz (x, y, z) dz dx dy =
C Ωγ z0 (x,y)
Z Z
= f (x, y, z1 (x, y)) dx dy − f (x, y, z0 (x, y)) dx dy . (2.19)
Ωγ Ωγ
4
analogo aell’unione di due trapezoidi di funzioni di una variabile.
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 41
Si noti ora che la normale alla superficie “laterale” del cilindro è orizzontale, e
quindi perpendicolare a k. Dunque, un modo veloce di scrivere (2.19) è il seguente:
Z Z
fz (x, y, z) dx dy dz = f (x, y, z)k · dNe
C Σ
div∇φ(x, y, z) = ∇ · ∇φ(x, y, z)
= φxx (x, y, z) + φyy (x, y, z) + φzz (x, y, z) = ∆φ(x, y, z)
e quindi si trova:
Z Z
∆φ(x, y, z) dx dy dz = ∇φ · dNe .
Ω ∂Ω
Questo caso particolare del Teorema della divergenza va sotto il nome di Formula
di Gauss ed è importantissima per esempio in elettrostatica.
z = z(x, y) , (x, y) ∈ Ω
ed una sua calotta Σ1 . La calotta è costruita in questo modo: si considera una curva
di Jordan γ
γ : x = x(t) , y = y(t) t ∈ [a, b] .
Supponiamo che
Ωγ ∪ γ ⊆ Ω.
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 43
Figura 2.8:
1.5
0.5
0
1
0.5 1
0.5
0
0
−0.5
−0.5
−1 −1
Figura 2.9:
1.8 1.8
1.6 1.6
1.4 1.4
1.2 1.2
1 1
0.8 0.8
0.6 0.6
0.4 0.4
0.2 0.2
0 0
1 1
0.5 1 0.5 1
0.5 0.5
0 0
0 0
−0.5 −0.5
−0.5 −0.5
−1 −1 −1 −1
il moto di un punto sulla curva, le due orientazioni sono concordi quando il pollice
punta nella direzione positiva della normale alla calotta.
Vale:
Teorema 29 (di Stokes ) Valgano le ipotesi dette sopra, in particolare sia iniet-
tiva e di classe C 2 la parametrizzazione della superficie.
Sia γ1 il bordo di Σ1 e Σ1 e γ1 abbiano orientazioni concordi. Sia V(x, y, z) un
campo vettoriale di classe C 1 , definito su una regione di R3 contenente la calotta
Σ1 . Vale Z Z Z
∇ ∧ V · dN = rot V · dN = V · dγ . (2.20)
Σ1 Σ1 γ1
2.4.7 Estensioni
Una prima estensione della formula di Stokes si incontra nel caso in cui la calotta è
delimitata da due curve, come nella figura 2.9 a sinistra.
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 45
Procedendo come nel caso piano (paragrafo 2.3.3), ossia operando due tagli vicini
come nella figura a destra, ci si riconduce al caso che abbiamo già trattato e quindi
per una superficie siffatta la formula di Stokes assume l’aspetto
Z Z Z Z
dω = ω= ω− ω.
Σ ∂Σ γ1 γ2
Il segno negativo di fronte al secondo integrale dipende dal fatto che la curva γ2 va
orientata in modo discorde rispetto a quello della superficie, si veda la figura.
In questo caso diremo che il bordo di Σ è costituito dalle due curve γ1 , orientata
in modo concorde, e γ2 , orientata in modo discorde, rispetto a Σ.
Si estendono facilmente queste considerazioni al caso in cui il bordo è costituito
da più curve.
Un altro esempio è quello della superficie in figura 2.10. In questo caso la super-
ficie non si può rappresentare come grafico di una funzione regolare e il suo bordo
non è una curva regolare (in particolare con parametrizzazione ovunque derivabile).
Però gli integrali si possono definire, sommando gli integrali sui due rettangoli e sui
segmenti che li delimitano. Esaminando i versi di percorrenza, si vede facilmente
che il segmento comune ai due rettangoli è percorso due volte in verso opposto, e
quindi il suo contributo si elide.
Infine sottolineiamo che abbiamo esplicitamente supposto che sia possibi-
le orientare la calotta ed il suo bordo in modo concorde. Ciò è certamente
possibile se la calotta è grafico di una sola funzione. Problemi possono nascere se la
calotta si ottiene riunendo più grafici. In tal caso il bordo potrebbe essere composto
da varie curve prive di punti comuni (e questo non è un gran problema, come mostra
l’esempio in figura 2.9 a destra. Il problema però è che quando si costruisce una
superficie incollando vari “pezzi” di grafici, potrebbe non essere più possibile trovare
una orientazione della superficie, che permette di usare la formula di Stokes e questo
è tanto più importante perchè molto spesso in pratica è necessario usare il teorema
di Stokes nel caso in cui la superficie è ottenuta in tal modo.
Per renderci conto delle difficoltà, cerchiamo di applicare il Teorema di Stokes
alle superfici nelle due figure 2.11. Queste sono superfici regolari, il cui bordo è una
curva regolare a tratti, e quindi l’applicazione della formula di Stokes non presenta
problemi.
Modifichiamo ora le superfici come in figura 2.12. E’ ancora ovvio che la formula
di Stokes vale. Ma, modifichiamo ulteriormente le superfici, portando i segmenti
affiancati a coincidere.
In questo modo, i due segmenti non “si vedono più”, ossia non fanno più parte del
bordo della superficie che, nel caso a sinistra, viene ad essere costituito da due cir-
conferenze disgiunte; nel caso della figura di destra è costituito da due circonferenze
deformate e percorse una dopo l’altra.
Proviamo ad integrare il campo vettoriale sul bordo, cosı̀ ottenuto. Nel caso
di sinistra, l’integrale del campo vettoriale è ancora uguale al flusso del suo rotore
46 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE
Figura 2.10:
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
1
0.8
0.6
0
0.4 0.2
0.4
0.2 0.6
0.8
0 1
Figura 2.11:
0.3
0.4 0.2
0.3 0.1
0.2 0
0.1 −0.1
0
−0.2
−0.1
−0.3
−0.2
−0.4
−0.3 2
−0.4
1 1
0.8 1 0
0.6 0.5
1.5
0.4 0 −1 1
0.5
0.2 0
−0.5 −0.5
−2 −1
0 −1 −1.5
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 47
Figura 2.12:
4
0.4
3
0.2
2
0
1
1.5
−0.2
0 1
1 −0.4 0.5
−1.5
0.5 1
−1 0
0.5 −0.5
0 −0.5
0 0
−0.5 0.5 −1
−0.5 1
−1 −1 1.5 −1.5
Supponiamo che il campo vettoriale F(r) definito su una regione Ω sia il gradiente
di una funzione scalare V (r). Calcoliamo il suo integrale sull’arco γ. Sia
Si trova
Z
Vx dx + Vy dy + Vz dz =
γ
Z b
[Vx (x(t), y(t), z(t))ẋ(t) + Vy (x(t), y(t), z(t))ẏ(t) + Vz (x(t), y(t), z(t))ż(t)] dt
a
Z b
d
= V (x(t), y(t), z(t)) = V (x(b), y(b), z(b)) − V (x(a), y(a), z(a)) .
a dt
49
50 CAPITOLO 3. CAMPI CONSERVATIVI E POTENZIALE
è univoca. Mostriamo che essa è derivabile e che le sue derivate parziali sono le
componenti di F. Consideriamo per questo la derivata rispetto ad x,
V (r + h) − V (r)
Vx (r) = lim , h = (h, 0, 0) .
h
Calcoliamo V (r + h) percorrendo prima la curva γr , che congiunge r0 con r, e poi
il segmento
r + th , t ∈ [0, 1] .
Indichiamo con S questo segmento, cosı̀ che
Z Z Z
V (r + h) − V (r) = F(r) · dr + F(r) · dr − F(r) · dr
γr S γr
Z Z h Z h
= F(r) · dr = u(r + th) dt = u(x + s, y, z) ds .
S 0 0
Grazie al Teorema fondamentale del calcolo integrale,
1 h
Z
Vx (r) = lim u(x + s, y, z) ds = u(x, y, z) ,
h→0 h 0
Teorema 32 Due diversi potenziali del medesimo campo vettoriale, definiti su una
medesima regione Ω, hanno differenza costante.
u y = vx , uz = wx , vz = wy (3.1)
u y = vx , u x = vy . (3.2)
Figura 3.1:
25
20
15
10
0
0 5 10 15 20 25
si trova Z
sin2 t + cos2 t dt = 2π 6= 0 .
γ
e quindi vale Z Z
V · dr = V · dr .
∂Ω1 ∂Ω2
Interpretando la circuitazione come lavoro che il campo di forza compie su un
punto materiale che percorre la curva, segue che il campo compie il medesimo
lavoro sia che il punto materiale si muova su ∂Ω1 che su ∂Ω2 .
caso il potenziale V (r) si ottiene come integrale di F sul segmento che congiunge r0
con r.
Per concludere notiamo che la costruzione del potenziale presentata nel teore-
ma 30 non è l’unica e non è la più semplice. In generale è più semplice risolvere,
con successivi calcoli di primitive, le equazioni
Esempio 40 Sia
r
F(x, y, z) = .
r3
In questo caso,
x
u(x, y, z) = ,
(x2 + y 2 + z 2 )3/2
y
v(x, y, z) = 2 ,
(x + y + z 2 )3/2
2
z
w(x, y, z) = 2 .
(x + y + z 2 )3/2
2
Si noti che la funzione non è definita nell’origine. Quindi il suo dominio non è né
convesso né stellato rispetto ad un punto. Però si intuisce che su ogni curva di
Jordan regolare che non passa per l’origine si possa appoggiare una calotta regolare
che non incontra l’origine, alla quale applicare il Teorema di Stokes. Inoltre, si vede
facilmente che il campo vettoriale verifica le uguaglianze (3.1). Si può quindi sperare
di costruirne un potenziale (probabilmente non definito nell’origine).
Per questo si noti che integrando rispetto ad x l’uguaglianza
x
Vx (x, y, z) = u(x, y, z) =
(x2 + + z 2 )3/2
y2
si trova
1
V (x, y, z) = − p + Φ(y, z) .
x2 + y 2 + z 2
Derivando rispetto ad y ed uguagliando a v(x, y, z) si trova
Φy (y, z) = 0
Φ(y, z) = Φ(z) .
Φ′ (z) = 0
55
Figura 3.2:
12
10
0
0 2 4 6 8 10 12
e quindi Φ(z) viene ad essere costante. il campo vettoriale proposto ammette quindi
come potenziali le funzioni
1
V (x, y, z) = − p +c
x2 + y2 + z2