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L.

PANDOLFI

Integrazione di funzioni di più variabili

L. Pandolfi: Dipartimento di Scienze Matematiche “Giuseppe Luigi


Lagrange”, Politecnico di Torino
2
Indice

1 Integrazione delle funzioni di più variabili 5


1.1 Integrazione delle funzioni di due variabili . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.1.1 La definizione di integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.1.2 Le proprietà dell’integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.1.3 Integrali doppi ed integrali iterati . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.1.4 Cambiamento di variabili negli integrali doppi . . . . . . . . . 13
1.2 Integrazione delle funzioni di tre variabili . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.3 Formula di riduzione per gli integrali tripli . . . . . . . . . . . . . . . 16
1.4 Cambiamenti di coordinate comuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

2 Integrali di curva e di superficie 19


2.1 Richiami relativi alle curve . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2.1.1 Domini di integrazione definiti mediante curve di Jordan . . . 23
2.2 Gli integrali di curva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.2.1 Integrali di curva di prima specie . . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.2.2 Integrali di curva di seconda specie . . . . . . . . . . . . . . . 26
2.2.3 Integrali di curva di seconda specie e forme differenziali . . . 27
2.3 Le formule di Green e di Stokes nel piano . . . . . . . . . . . . . . . 29
2.3.1 Le forme differenziali e le aree piane . . . . . . . . . . . . . . 29
2.3.2 Formula di Stokes nel piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.3.3 Le ipotesi e le estensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
2.4 Integrali di superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
2.4.1 Area di una calotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
2.4.2 Il caso dei solidi di rotazione ed i teoremi di Guldino . . . . . 36
2.4.3 Integrali di superfici di prima specie . . . . . . . . . . . . . . 37
2.4.4 Integrale di superficie di seconda specie . . . . . . . . . . . . 38
2.4.5 Formula di Gauss e formula della divergenza . . . . . . . . . 40
2.4.6 La formula di Stokes nello spazio . . . . . . . . . . . . . . . 42
2.4.7 Estensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

3 Campi conservativi e potenziale 49

3
4 INDICE
Capitolo 1

Integrazione delle funzioni di


più variabili

Nel caso delle funzioni di una sola variabile, è stato naturale definire l’integrale su
un intervallo. Nel caso di funzioni di più variabili una scelta ragionevole per il
dominio di integrazione non è ovvia. Noi sceglieremo come domini di integrazione
gli insiemi che sono delimitati da grafici di funzioni continue (si veda più avanti per
una definizione più precisa). Tali insiemi si chiameranno domini di integrazione.
Indicheremo con D un generico dominio di integrazione.
Studieremo la definizione dell’integrale di di una classe di funzioni che saranno
costruite a partire da funzioni continue su insiemi chiusi e limitati.

Dovremo usare la seguente proprietà delle funzioni che sono continue su


un qualsiasi insieme insieme chiuso e limitato D:

per ogni ǫ > 0 esiste δ > 0 con questa proprietà:


se R è un qualsiasi rettangolo contenuto in D le cui diagonali hanno
lunghezza minore di δ allora

0 ≤ max f − min f ≤ ǫ .
R R

La proprietà importante è che la posizione di R in D non ha importan-


za. Inoltre, non abbiamo indicato esplicitamente le variabili della funzione
perché questo risultato vale per funzioni di un qualsiasi numero di variabili
(anche per funzioni di una sola variabile. In questo caso R = [a, b], nonostan-
te che questo risultato non sia stato provato nel corso di Analisi Matematica
1.)
Questa proprietà delle funzioni continue su insiemi chiusi e limitati si chiama
continuità uniforme.

5
6 CAPITOLO 1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI

Introduciamo prima l’integrale di funzioni di due variabili, che presenteremo con


maggiori dettagli, e poi l’integrale delle funzioni di tre variabili, che presenteremo
in modo più conciso.

1.1 Integrazione delle funzioni di due variabili


Chiameremo dominio di integrazione semplice un insieme che ha una delle pro-
prietà seguenti:

• è trapezoide di una funzione y = g(x) continua definita su un intervallo limitato


e chiuso (dell’asse delle ascisse) oppure x = g(y) continua su un intervallo
limitato e chiuso (dell’asse delle ordinate);

• oppure è differenza insiemistica di trapezoidi.

Va notato esplicitamente che ogni dominio di integrazione semplice è limita-


to, per il Teorema di Weiestrass. Inoltre, assumiamo che il dominio di
integrazione semplice sia chiuso, ossia contenga i punti della sua
frontiera. Nel caso specifico di un dominio di integrazione semplice com-
preso tra due grafici di funzioni della variabile x ∈ [a, b], includeremo nel
dominio sia i due grafici che i due segmenti che lo delimitano a destra (punti
di ascissa a) ed a sinistra (punti di ascissa b).

Un insieme chiuso e limitato D si chiama dominio di integrazione quando


si può rappresentare come unione di domini di integrazione semplici in modo tale
che due qualsiasi di essi non hanno punti interni comuni (ossia, gli eventuali punti
comuni a due domini di integrazione semplici appartengono alle rette o ai grafici che
li delimitano).
Per brevità un dominio di integrazione semplice si chiamerà “dominio semplice”
ma è importante ricordare che è un caso speciale di dominio di integrazione.
In conclusione, un dominio di integrazione si rappresenta (non in modo unico)
come unione di domini semplici

D = D1 ∪ D2 ∪ · · · ∪ Dn Di ∩ Dj privo di punti interni. (1.1)

La figura 1.1 mostra esempi di domini di integrazione. Quello a sinistra è la


parte del trapezoide di una funzione y = g(x) x ∈ [a, b] che è sopra alla retta
orizzontale y = m ed automaticamente sotto alla retta y = M = max g(x). E’
quindi la differenza insiemistica tra il trapezoide di g(x) e quello della funzione che
vale costantemente m. Il dominio di integrazione a destra è più complesso, suddiviso
mediante grafici di varie funzioni y = y(x), oppure x = x(y), ciascuna continua e
definita su un opportuno intervallo limitato e chiuso.
1.1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI DUE VARIABILI 7

Figura 1.1: Domini di integrazione


y
M 1

0.8

0.6

0.4 D2

0.2

D1 D3
0

−0.2

D4
−0.4

m −0.6

−0.8

x −1
−1 −0.8 −0.6 −0.4 −0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Introduciamo ora la classe di funzioni per cui definiremo l’integrale1 . Chiamiamo


integrabile una funzione f (x, y) definita su un dominio di integrazione D (o almeno
nei suoi punti interni) e con questa proprietà: E’ possibile trovare una rappresen-
tazione di D come in (1.1) in modo tale che per ogni indice i la funzione f|Di (x, y)
ammetta estensione continua al dominio semplice Di . Ossia, gli eventuali punti
di discontinuità della funzione f (x, y) devono essere sulle rette o grafici
che delimitano i domini semplici che compongono D .

1.1.1 La definizione di integrale


Sia f (x, y) una funzione integrabile. Per definirne l’integrale, procediamo in questo
modo: definiamo l’integrale di f (x, y) su ciascuna dei domini semplici Di e quindi
definiamo l’integrale su D come somma degli integrali sui domini Di .
Si noti che il dominio D si potrà decomporre in più modi e quindi andrebbe
provato che l’integrale di f (x, y) non dipende dalla decomposizione scelta per il
dominio. Questo è vero ma noi non lo proveremo.
Per semplicità limitiamoci a illustrare la definizione dell’integrale di f (x, y) sul
dominio semplice rappresentato nella figura 1.1 a sinistra. Indichiamo con T tale
dominio semplice,

T = {(x, y) , 0 ≤ a ≤ b, m ≤ g(x) ≤ M }

Si segua il procedimento guardando la figura 1.2.


1
si potrebbe definire l’integrale anche per funzioni con proprietà assai più generali, ma questa
classe di funzioni è sufficiente praticamente per tutte le applicazioni.
8 CAPITOLO 1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI

Figura 1.2:
3.5 3.5

3 3

2.5 2.5

2 2

1.5 1.5

1 1

0.5 0.5

0 0

−0.5 −0.5
−0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5

Dividiamo [a, b] in N parti uguali con i punti a0 = a, ak = k b−a N . Consideriamo


quindi i segmenti verticali i cui punti hanno ascissa ak e che sono contenuti in T ,
come in fig. 1.2, a sinistra.
Suddividiamo ora anche il segmento [m, M ] dell’asse delle ordinate in L tratti
uguali. Le rette orizzontali i cui punti hanno ordinata uguale ai punti di suddi-
visione dell’intervallo [m, M ] disegnano una divisione dell’insieme T in rettangoli
completamente contenuti in T , e inoltre certi sottoinsiemi a lati non rettilinei,
che escludiamo. Si guardi la figura 1.2, a destra.
In questo modo il trapezoide della funzione viene ad essere approssimato da una
rete di al più N L rettangolini, che indichiamo con Ri,j , 0 ≤ i ≤ N −1, 0 ≤ j ≤ L−1.
Ciascuno di questi rettangoli ha area b−a N
M −m
L . Indichiamo con U− la loro
unione.
Notiamo che nessuno dei rettangolini è a cavallo del grafico di g(x) e che U− ⊆
T . D’altra parte, orlando U con rettangolini ciascuno di area b−a N
M −m
L si trova
un insieme U+ che contiene T . La differenza tra le aree di U+ e di U− è al più
2(b − a)(M − m)/L e quindi tende a zero per L → +∞. Si veda la figura 1.3.
Quest’osservazione ci autorizza a considerare i soli rettangoli che compongono
U− .
Per ipotesi, la funzione f (x, y) appartiene alla classe delle funzioni integrabili
e quindi la sua restrizione a T ammette estensione continua a tutti i punti del
dominio di integrazione T , che è chiuso e limitato. Indichiamo ancora con f (x, y)
tale estensione.
Costruiamo ora le somme
X M −m b−a
sN,L = min f (x, y) · ·
(x,y)∈Ri,j L N
i,j
X M −m b−a
SN,L = max f (x, y) · ·
(x,y)∈Ri,j L N
i,j
1.1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI DUE VARIABILI 9

Figura 1.3:
3.5

2.5

1.5

0.5

−0.5
−0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5

Queste somme sono estese a tutti i rettangoli che appartengono ad U− .


Ora usiamo il risultato richiamato nell’introduzione. Si fissi un qualsiasi ǫ > 0
e il corrispondente δ > 0. Se N ed L sono abbastanza grandi, diciamo N ≥ N0 ,
L ≥ L0 , la diagonale di ciascuno dei rettangoli costruiti misura meno di δ e quindi
per N ≥ N0 , L ≥ L0 si ha

0 ≤ [max f (x, y) − min f (x, y)] < ǫ .


Ri,j Ri,j

In particolare

0 ≤ SN0 ,L0 − sN0 ,L0 ≤ {somma delle aree dei rettangoli} ǫ ≤ [(b − a)(M − m)] ǫ .

Ma,

0 ≤ inf{SN,L } − sup{sN,L } ≤ SN0 ,L0 − sN0 ,L0 ≤


≤ {somma delle aree dei rettangoli} ǫ ≤ [(b − a)(M − m)] ǫ .

Dunque
inf{SN,L } = sup{sN,L }
e questo numero si chiama l’ integrale di f (x, y) sul trapezoide T . Esso si indica col
simbolo Z
f (x, y) dx dy .
T
10 CAPITOLO 1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI

In modo analogo si definisce l’integrale su ogno altro dominio Di . Si definisce


quindi Z XZ
f (x, y) dx dy = f (x, y) dx dy .
D i Di

Estendendo in modo qualsiasi f (x, y) ad una funzione limitata su un aperto


che contiene T (anche non continua sulla frontiera di T ) si può ripetere la stessa
costruzione a partire dalla quadrettatura U+ . Grazie al fatto che la differenza tra
le aree di U+ ed U− tende a zero, si potrebbe mostrare che questi due procedimenti
conducono allo stesso numero. Dunque, l’integrale non cambia se si cambia
arbitrariamente la definizione della funzione f (x, y) su ∂T , purché la nuova
funzione sia limitata.
Osservazione 1 E’ ovvio dalla costruzione che abbiamo fatto che se f (x, y) ≥ 0
allora il suo integrale si interpreta come il volume del solido compreso tra l’insieme
D del piano z = 0 ed il grafico della funzione. Se in particolare si sceglie f (x, y)
identicamente uguale ad 1, si trova una numero che ha senso interpretare come area
del dominio di integrazione. Ossia per definizione:
Z
area di D = 1 dx dy . (1.2)
D

Se accade che D è grafico di una funzione y = g(x) ≥ 0 continua su [a, b] abbiamo


due diverse definizioni di area: quella appena scritta e quella data durante il corso
di Analisi Matematica 1: area del trapezoide di una funzione positiva uguale (per
definizione!) al suo integrale. Si tratta di due definizioni diverse ma vedremo che
Rb
conducono al medesimo numero. Un fatto da sottolineare è questo: a g(x) dx è
l’area del trapezoide solo se g(x) ≥ 0. Invece, la (1.2) dà il valore dell’area
anche quando D è trapezoide di una funzione che cambia segno.
Talvolta, un integrale di una funzione di due variabili si chiama anche “integrale
doppio”. Per contrasto, l’integrale di una funzione di una sola variabile,
Z b
f (x) dx
a

si chiama anche “integrale semplice”.

1.1.2 Le proprietà dell’integrale


Le proprietà dell’integrale sono le stesse come nel caso degli integrali semplici:

• la linearità: se α e β sono numeri e f (x, y), g(x, y) sono funzioni integrabili


sullo stesso dominio di integrazione D, vale
Z Z Z
[αf (x, y) + βg(x, y)] dx dy = α f (x, y) dx dy + β g(x, y) dx dy ;
D D D
1.1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI DUE VARIABILI 11

• monotonia: f (x, y) ≤ g(x, y) per ogni (x, y) ∈ D implica


Z Z
f (x, y) dx dy ≤ g(x, y) dx dy .
D D

• Dalla monotonia si deduce


Z Z

f (x, y) dx dy ≤ |f (x, y)| dx dy .

D D

Anche il teorema della media si può riformulare. Indichiamo con A(D) l’area
di D. Vale:
  Z !
A(D) · inf f (x, y) ≤ f (x, y) dx dy ≤ A(D) · sup f (x, y)
(x,y)∈D D (x,y)∈D

ossia   !
1
Z
inf f (x, y) ≤ f (x, y) dx dy ≤ sup f (x, y) .
(x,y)∈D A(D) D (x,y)∈D

Si lascia per esercizio di interpretare geometricamente la media integrale, sulla


falsariga di quanto fatto per le funzioni di una variabile.
Anche nel caso di funzioni di più variabili, si potrebbe provare che la media
integrale di una funzione continua è uno dei valori della funzione.
Segue dal Teorema della media:

Teorema 2 Se Dǫ è una circonferenza di raggio ǫ e centro fissato vale


Z
lim f (x, y) dx dy = 0 .
ǫ→0 Dǫ

Osservazione 3 Nel caso degli integrali semplici si definisce anche l’integrale “orien-
tato”. Noi non studiamo ora questo aspetto della teoria dell’integrazione doppia, che
però comparirà nel momento in cui associeremo la teoria delle superfici con quella
dell’integrazione.

1.1.3 Integrali doppi ed integrali iterati


Consideriamo ancora l’integrale costruito sul dominio semplice della figura 1.1 a
sinistra. Torniamo a considerare le somme sN,L ed SN,L che servono per definire
l’integrale doppio. Consideriamo per esempio le sN,L :
X M −m b−a
sN,L = min f (x, y) · · .
(x,y)∈Ri,j L N
i,j
12 CAPITOLO 1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI

Calcoliamo le somme prima di tutto sommando i termini che corrispondono a


rettangolini che appartengono alla stessa striscia verticale, ossia scrivendo
X M −m b−a
sN,L = min f (x, y) · ·
(x,y)∈Ri,j L N
i,j
 
N −1 L−1
X X M − m b − a
= min f (x, y) · · .
 (x,y)∈Ri,j L  N
i=0 j=0

Si mostra che per L → +∞ tende a zero la differenza tra la parentesi graffa e


l’integrale
Z g(ai )
f (ai , y) dy
m
(ricordiamo che gli ai sono i punti di divisione sull’asse orizzontale, ma l’asserto vale
anche sostituendo f (ai , y) con f (xi , y), xi ∈ [ai , ai+1 ] qualsiasi, grazie alla proprietà
delle funzioni continue richiamata nell’introduzione).
e quindi che
N −1
M −m b−a b − a g(ai )
X X Z
sN,L = min f (x, y) · · = f (ai , y) dy + ǫ(L, N )
(x,y)∈Ri,j L N N m
i,j i=0
con
lim ǫ(L, N ) = 0 ;
Ma, per N → +∞, le somme
N −1 g(ai )
b−a
X Z
f (ai , y) dy
N m
i=0

convergono all’integrale della funzione di x


Z g(x)
x 7→ f (x, y) dy ,
m

ossia all’integrale iterato di f (x, y)


Z b "Z g(x) #
f (x, y) dy dx
a m

Se il dominio di integrazione T è delimitato sia da sotto che da sopra da grafici


di funzioni le considerazioni precedenti si adattano facilmente. Si ha quindi:
Teorema 4 Supponiamo che per ogni x ∈ [a, b] la retta verticale per x intersechi la
frontiera di D nei punti h(x) e k(x), con h(x) ≤ k(x). Si ha:
Z Z b "Z k(x) #
f (x, y) dx dy = f (x, y) dy dx . (1.3)
D a h(x)
1.1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI DUE VARIABILI 13

E’ facile estendere il teorema precedente al caso in cui le intersezioni delle rette


con la frontiera di D siano più di due.

Osservazione 5 Si noti il significato diverso dei simboli di integrali a destra e


sinistra in (1.3): a sinistra figura un integrale doppio mentre a destra si calcolano
iterativamente due integrali, prima si calcola l’integrale rispetto alla variabile y
ottenendo una funzione di x che viene a sua volta integrata. Per questa ragione
chiameremo integrale iterato l’integrale che figura a destra in (1.3)

Consideriamo un caso particolare: supponiamo che D sia il trapezoide della


funzione k(x), x ∈ [a, b], e che la funzione integranda sia identicamente uguale ad 1.
Sia inoltre k(x) non negativa. In tal caso,
Z Z b "Z k(x) # Z b
1 dx dy = 1 dy dx = k(x) dx ,
D a 0 a

in accordo con l’Osservazione 1.


E’ da osservare che questo teorema riconduce il calcolo di un integrale doppio
a quello di un integrale iterato, e quindi a quello di due integrali semplici. Però
esso può anche usarsi al contrario, per ricondurre il calcolo di un integrale iterato
calcolato prima rispetto ad x e poi rispetto ad y al calcolo di un integrale doppio; e
quindi al calcolo di un integrale iterato calcolato prima rispetto ad y e poi rispetto
ad x. Quando si opera in questo modo su un integrale iterato si dice che si scambia
l’ordine di integrazione .

1.1.4 Cambiamento di variabili negli integrali doppi


Nel caso degli integrali semplici, sotto opportune ipotesi si prova la formula
Z b Z φ−1 (b)
f (x) dx = f (φ(t))φ′ (t) dt .
a φ−1 (a)

Si noti però che φ−1 (a) può anche essere maggiore di φ−1 (b), ciò che è lecito perché
nel caso degli integrali semplici abbiamo definito l’integrale orientato. Nel caso degli
integrali doppi bisogna usare maggior cautela perchè non abbiamo introdotto un
analogo dell’integrale iterato. Inoltre, la dimostrazione delle formule che si ottengono
è assai complessa e ci limitiamo ad illustrarle.
Ricordiamo che una trasformazione lineare, descritta mediante una matrice A,
trasforma un rettangolo di area a in un parallelogramma di area a · | det A|. Inoltre
ricordiamo che sotto ipotesi di regolarità, (continuità delle derivate prime) una tra-
sformazione da R2 in sé si può sviluppare mediante la formula di Taylor ed è uguale,
a meno di termini infinitesimi di ordine superiore al primo, ad una trasformazione
lineare. Sulla base di queste considerazioni si potrebbe provare il teorema seguente:
14 CAPITOLO 1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI

Teorema 6 Siano D ed D1 due domini di integrazione. Sia

x = x(u, v) , y = y(u, v)

una trasformazione invertibile da D1 su D. Supponiamo che questa trasformazione


sia di classe C 1 su una regione Ω che contiene D1 .
Sia det J(u, v) lo jacobiano della trasformazione. Supponiamo che det J(u, v)
non si annulli su D1 . Sotto queste condizioni vale:
Z Z
f (x, y) dx dy = f (x(u, v), y(u, v)) · | det J(u, v)| du dv .
D D1

Osservazione 7 Come abbiamo detto, questo teorema estende il teorema di cam-


biamento di variabili negli integrali semplici. Nell’uso però esso ha un ruolo diverso.
Nel caso degli integrali semplici il metodo di cambiamento di variabili si usa per
trasformare la funzione in una di cui sia più facile trovare la primitiva. Nel caso
degli integrali doppi è più frequente usare la trasformazione di variabili per passare
da un dominio più complicato ad uno più semplice.

Esempio 8 Si voglia calcolare


Z p
x2 + y 2 dx dy
D

con D la circonferanza x2 +y 2 ≤ 1. Esprimendo x ed y mediante le coordinate polari


ρ e θ, si trova

x = ρ cos θ , y = ρ sin θ , 0 ≤ ρ ≤ 1, 0 ≤ θ ≤ 2π .

Notando che lo iacobiano della trasformazione è semplicemente ρ, il calcolo richiesto


si riduce a quello dell’integrale iterato
Z 2π Z 1 
2 2
ρ dρ dθ = π . (1.4)
0 0 3

La definizione di volume mostra che l’integrale calcolato è il volume di un certo


solido. Si cerchi di capire di quale solido si tratta e si ottenga il risultato precedente
a partire dalle formule note per i volumi del cilindro e del cono.

Osservazione 9 Si noti che lo jacobiano della trasformazione a coordinate polari


si annulla nell’origine e quindi il Teorema 6 non può applicarsi. Si applichi però il
teorema ad una corona circolare ǫ ≤ ρ ≤ 1 e poi si mandi ǫ a zero. Il Teorema 2
mostra che il contributo della circonferenza di raggio ǫ tende a zero e ciò giustifica
l’uso delle coordinate polari per il calcolo precedente.
1.2. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI TRE VARIABILI 15

1.2 Integrazione delle funzioni di tre variabili


L’integrazione delle funzioni di tre variabili si introduce in modo del tutto analogo
a quella relativa a funzioni di due variabili. Prima di tutto si scelgono i domini di
integrazione semplici: questi sono i solidi delimitati dai grafici di due funzioni, per
esempio
φ(x, y) ≤ z ≤ ψ(x, y)
con (x, y) ∈ D, dove D è un dominio di integrazione semplice per funzioni di due
variabili.
Anche i domini di integrazioni semplici per funzioni di tre variabili sono insiemi
chiusi.
Come dominio di integrazione per funzioni di tre variabili intendiamo l’unione
di un numero finito di tali domini semplici, purché l’intersezione tra due qualsiasi
di essi non contenga punti interni.
Definiamo ora l’insieme delle funzioni integrabili. Una funzione definita su un
dominio di integrazione si dice integrabile quando la sua restizione all’interno di cia-
scuno dei domini semplici ammette estensione continua al dominio semplice stesso.
Ciò detto è facile dividere un dominio di integrazione in “piccoli” parallelepipedi
e costruire le analoghe delle somme sN ed SN e quindi definire
Z
f (x, y, z) dx dy dz
D

come estremo comune ai due insiemi {sN,L,K } ed {SN,L,K } che ora verranno a
dipendere da tre indici N , L, K.
Si ottiene cosı̀ un integrale che si chiama anche integrale triplo .

Osservazione 10 Per definizione, il volume di un dominio di integrazione D ⊆ R3


è Z
1 dx dy dz .
D
Le proprietà elencate al paragrafo 1.1.2 per gli integrali doppi valgono anche per
gli integrali tripli. Per gli integrali tripli, il Teorema 6 si riformula come segue:
Teorema 11 Sia (u, v, w) 7→ (x(u, v, w), y(u, v, w), z(u, v, w)) una trasformazione
continua da un dominio di integrazione D1 ad un dominio di integrazione D. Sup-
poniamo che la trasformazione ammetta derivate parziali continue nei punti interni
di D1 e che le derivate abbiano estensione continua alla frontiera, e che il suo
determinante jacobiano J(u, v, w) non si annulli.
Per ogni funzione f (x, y, z) continua su D si ha:
Z Z
f (x, y, z) dx dy dz = f (x(u, v, w), y(u, v, w), z(u, v, w)) J(u, v, w) du dv dw .
D D1

Invece, il metodo di riduzione va esaminato esplicitamente.


16 CAPITOLO 1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI

1.3 Formula di riduzione per gli integrali tripli


Il calcolo degli integrali tripli si può ricondurre al calcolo di integrali iterati. Però
nel caso degli integrali tripli ciò può farsi in due modi e solo la pratica può dire
quale è più comodo.
Illustriamo i due modi nel caso particolare in cui il dominio di integrazione D sia
un dominio di integrazione semplice compreso tra i grafici di due funzioni φ(x, y) e
ψ(x, y) definite sul dominio di integrazione D0 del piano z = 0:

D = {(x, y, z) | φ(x, y) ≤ z ≤ ψ(x, y) , (x, y) ∈ D0 } .

Vogliamo calcolare Z
f (x, y, z) dx dy dz (1.5)
D
ove f (x, y, z) è una funzione continua.

Primo metodo, integrazione per strati Si consideri l’intersezione del dominio


di integrazione col piano orizzontale a quota z:

Sz = {(x, y, z) : (x, y, z) ∈ D} (per ogni fissato z) .

Quest’insieme può essere vuoto. Se non è vuoto, è un dominio di integrazione piano


e quindi si può calcolare, con z costante,
Z
I(z) = f (x, y, z) dx dy .
Sz

Si trova quindi una funzione di z il cui dominio è l’intervallo

[a, b] = [min φ(x, y), max ψ(x, y)] .


D0 D0

Si potrebbe provare che questa funzione è continua e quindi integrabile, e che


Z Z b Z b Z 
f (x, y, z) dx dy dz = I(z) dz = f (x, y, z) dx dy dz .
D a a Sz

Naturalmente, potrebbe convenire calcolare l’integrale doppio riducendolo a due


integrali semplici, e quindi ridurre il calcolo dell’integrale triplo al calcolo di tre
integrali iterati.

Secondo metodo: integrazione per fili Lo scopo è ancora il calcolo dell’inte-


grale triplo (1.5). Si fissi (x, y) ∈ D0 e si consideri ora l’intersezione tra D e la retta
verticale per (x, y):
S(x,y) = {z , : (x, y, z) ∈ D}
1.4. CAMBIAMENTI DI COORDINATE COMUNI 17

L’intersezione è un intervallo,

S(x,y) = [a(x, y), b(x, y)] = [φ(x, y), ψ(x, y)] .

Si calcola
Z
I(x, y) = f (x, y, z) dz .
S(x,y)

Si trova una funzione di due variabili definita sul dominio di integrazione D0 . Si


potrebbe provare che questa funzione è continua e quindi integrabile, e che

Z Z Z "Z #
f (x, y, z) dx dy dz = I(x, y) dx dy = f (x, y, z) dz dx dy .
D D0 D0 S(x,y)

Anche in questo caso, potrà convenire calcolare l’integrale doppio col metodo di
riduzione, riducendo (in un secondo modo) il calcolo dell’integrale triplo al calcolo
di un integrale iterato.

Osservazione 12 • Anche in questo caso si potrà partire da un integrale ite-


rato, per esempio un integrale semplice di un integrale doppio e ricondurlo al
calcolo di un integrale doppio di un integrale semplice. Quando si opera in
questo modo, si dice ancora che si scambia l’ordine di integrazione;
Naturalmente, uno scambio di ordine di integrazione si può anche fare sui due
integrali doppi.
R
• Ricordiamo che D 1 dx dy dz definisce il volume di D. Dunque, il calcolo di
un volume può ricondursi al calcolo di tre integrali semplici.

1.4 Cambiamenti di coordinate comuni


Si è detto che i cambiamenti di coordinate negli integrali multipli si usano più fre-
quentemente per ricondurre il dominio di integrazione da un dominio piı̀ complesso
ad uno più semplice (in generale un rettangolo o un parallelepipedo). Per questo
i cambiamenti di coordinate sono suggeriti dalla geometria ed alcuni di essi sono
particolarmente comuni: le coordinate polari (o ellittiche nel piano) e le coordinate
cilindriche o sferiche nello spazio. Queste trasformazioni di coordinate si sono già
incointrate e il problema consiste nel memorizzarne il determinante jacobiano che è
riportato nella tabella seguente.
18 CAPITOLO 1. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI

Nel piano
coordinate jacobiano
polari ρ
ellittiche abρ

Nello spazio
coordinate jacobiano
cilindriche ρ
sferiche ρ2 sin φ

Si noti che nella formula di cambiamento di coordinate per gli integrali multipli
compare il valore assoluto dello jacobiano, mentre la tavola precedente riporta
lo jacobiano per sottolineare che i sistemi di coordinate che abbiamo introdotto,
con le coordinate che si susseguono nell’ordine usualmente scelto, hanno
jacobiano positivo. Dunque la matrice jacobiana di tali trasformazioni non altera
l’orientazione di R3 .
Capitolo 2

Integrali di curva e di superficie

Studiamo ora gli integrali definiti, invece che su intervalli o su parti di piano, su
curve e su superfici Cominciamo dal caso delle curve.

E’ utile ricordare alcune considerazioni sulle curve piane, che abbiamo già visto.

19
20 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

In questa parte introdurremo certe notazioni e anche certi termini che


non sono affatto standardizzati. Riassumiamo alcuni termini nella tabella
seguente

Termine che uso io Altri termini

integrale curvilineo;
integrale di curva di
integrale curvilineo di prima
prima specie
specie.

integrale di linea;
integrale di curva di
integrale di linea di seconda
seconda specie
specie.

integrale di superficie
integrale superficiale.
di prima specie

integrale di superficie;
integrale di superficie
integrale di flusso.
di seconda specie

Il fatto da ricordare è questo: gli integrali di prima specie integrano funzioni


(a valori reali) definite su curve o su superfici; gli integrali di seconda specie
integrano campi vettoriali definiti su curve o su superfici.

2.1 Richiami relativi alle curve


Ricordiamo che:

• abbiamo notato che R2 può venire orientato scegliendo un ordine tra gli
elementi di una sua base.
Quando gli elementi della base sono rappresentati sui due assi cartesiani della
geometria analitica, usa rappresentare il primo vettore sull’asse orizzontale ed
il secondo sull’asse verticale. Ciò fatto, diremo che una coppia di vettori v
e w, presi in quest’ordine, è orientata positivamente quando la semi-
retta che congiunge v all’origine deve ruotare in verso antiorario per
portarsi su quella che congiunge w all’origine, percorrendo l’angolo
2.1. RICHIAMI RELATIVI ALLE CURVE 21

Figura 2.1:

2 y

0
x

−1

−2

−3
−3 −2 −1 0 1 2 3

minore possibile. Si veda la figura 2.1. Si noti che la rotazione che porta il
versore i, primo elemento della base canonica, su j secondo l’angolo minore è
la rotazione di π/2 in verso antiorario. Per questo diremo che l’orientazione
positiva in R2 è quella subordinata dalla base canonica.

• La rotazione positiva può anche identificarsi mediante la regola di Ampère :


una persona stando in piedi sul piano xy nel verso positiva dell’asse delle quote
vede la semiretta mouversi in verso antiorario, passando dalla sua destra alla
sua sinistra.

• Ricordiamo anche che abbiamo usato l’ordinamento su R per definire un ordine


sulla curva γ.

• Sia ora γ una curva semplice. Ricordiamo che il suo sostegno è sostegno,
oltre che di γ, soltanto di una seconda curva γ̃, (che ovviamente può essere
parametrizzata in più modi) che si ottiene “andando all’indietro”. Quando
si conosce un insieme γ e si sa che questo è sostegno di curva semplice, per
esempio un quadrato, allora informalmente si può confondere la curva col suo
sostegno.

Useramo anche il Teorema di Jordan che richiamiamo:


22 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

Teorema 13 (teorema di Jordan ) Sia γ una curva piana chiusa e semplice. Il


complementare del sostegno di γ è unione di due regioni. Una di esse è illimitata
(e si dice esterna alla curva) mentre l’altra è limitata e si dice la regione interna
alla curva.
Ovviamente, non esiste alcun “teorema di Jordan” per curve dello spazio!
Usa chiamare curva di Jordan una curva piana semplice e chiusa e regione di
Jordan la regione interna ad una curva di Jordan. Se γ indica una curva di Jordan,
la sua regione interna si indicherà col simbolo Ωγ .
La regione interna ad una curva piana semplice e chiusa può essere assai com-
plicata; ma nella maggior parte dei casi che si incontrano nelle applicazioni sarà
facile identificarla. Per esempio, se γ è parametrizzata da x(t) = cos t, y(t) = sin t,
t ∈ [0, 2π], la regione interna è il disco centrato in O e di raggio 1.
Sia ora γ una curva di Jordan. Ricordiamo che il suo sostegno è sostegno, oltre
che di γ, soltanto di una seconda curva γ̃, che si ottiene “andando all’indietro”.
Diciamo che γ è orientata in modo concorde a R2 se vale la regola di Ampère:
una persona in piedi in un punto della regione interna alla curva, stando
in piedi come l’asse delle quote positivo, vede un punto mobile sulla curva
passare dalla sua destra alla sua sinistra; e un insetto che segue il punto
mobile su una curva semplice e chiusa vede la regione interna alla sua
sinistra, si veda la figura 2.2.
Una curva piana orientata in modo concorde ad R2 si dice orientata positivamente .
Se γ è un insieme che si sa essere sostegno di una curva di Jordan, con “curva γ”
intenderemo quella curva che ha γ come sostegno e che è orientata in modo concorde
ad R2 .
Supponiamo ora che la curva piana semplice e chiusa γ sia anche regolare.
Parametrizziamola con la lunghezza e consideriamo i versori tangente t(s) e quello
normale n(s),
t(s)
n(s) = .
|t(s)|
Il versore normale n(s) può puntare sia verso la regione interna che verso la regione
esterna alla curva. Per il seguito avremo bisogno del versore normale che punta
verso la regione esterna alla curva. Lo indicheremo col simbolo

ne (s)

e lo chiameremo la normale esterna .


Osservazione 14 Se come versore normale n(s) si sceglie quello tale che la coppia
ordinata (t(s), n(s)) costituisca un sistema di riferimento positivo, allora n(s) punta
verso la sinistra di t(s). Quando la curva è orientata positivamente, tale versore
n(s) punta verso la regione interna alla curva. Non è quindi ne (s).
2.1. RICHIAMI RELATIVI ALLE CURVE 23

Figura 2.2:

z
2

1.5

0.5
y
0 x

−0.5

−1

−1.5 2
1
−2 0
3 2 −1
1 0 −1 −2 −2
−3

2.1.1 Domini di integrazione definiti mediante curve di Jordan


Sia
γ : t → r(t) = x(t)i + y(t)j

una curva di Jordan regolare, ossia con r′ (t) 6= 0 per ogni t. Si potrebbe provare
che il sostegno è localmente un grafico e si potrebbe provare che il sostegno
è grafico di un numero finito di funzioni. Dunque, l’unione della regione Ωγ ,
interna alla curva γ e del suo sostegno è un dominio di integrazione. Diremo che la
regione Ωγ stessa è un dominio di integrazione e quindi è possibile:

• integrare una funzione su una regione di Jordan, se la funzione è continua sulla


chiusura della regione;

• assegnare un’area ad una regione di Jordan;

• approssimare l’area di una regione di Jordan mediante la somma delle aree di


un numero finito di rettangoli con lati paralleli agli assi coordinati.

Con lo stesso abuso di linguaggio diremo ancora che una regione di Jordan si
può approssimare mediante rettangoli.
24 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

2.2 Gli integrali di curva


Le applicazioni suggeriscono di associare, ad una curva r(t) ∈ Rn , due tipi diversi
di integrali.

2.2.1 Integrali di curva di prima specie


Torniamo a considerare un generico arco γ e sia f (r) una funzione a valori reali
definita sul suo sostegno. Per semplicità supponiamo che la funzione sia continua.
Vogliamo definire l’integrale di f sulla curva. Per dare una definizione significa-
tiva, è necessario avere un esempio tratto dalla fisica come guida. Illustriamolo nel
caso delle curve piane.

Esempio 15 supponiamo che t → r(t), t ∈ [a, b] parametrizzi un arco realizzato


con un materiale non omogeneo, di densità ρ(r). La definizione della densità è la
seguente: si fissa un punto r0 = r(t0 ) e un “breve” segmento [t0 − h, t0 + h] a cavallo
di t0 . Sia m(h) la massa dell’arco corrispondente r(t), t ∈ [t0 − h, t0 + h]. Avendo
fissato r0 , e quindi t0 , m(h) dipende solo da h.
Sia l(h) la lunghezza dell’arco. Per definizione, la densità nel punto r0 è

m(h)
ρ(r0 ) = lim .
h→0 l(h)

Si noti che il denominatore del membro destro è l(h) e non h o 2h.


Se ora è nota la funzione ρ(r) e si vuol approssimare la massa dell’arco, dovremo
dividerlo in segmenti di lunghezza δ, molto piccola, e sommare la massa dei singoli
pezzetti. Il modo migliore di fare ciò, anche se non necessariamente il più semplice
dal punto di vista del calcolo, consiste nel ricondursi alla parametrizzazione canonica,
rappresentando l’arco come s → r(s), s ∈ [0, L]; dividere [0, L] con N punti si ,
si = iL/N e quindi costruire

N
X −1 N
X −1
ρ(r(si ))[si+1 − si ] = ρ(r(si ))L/N .
i=0 i=0

Studiare quindi il comportamente di queste somme per N → +∞, ossia quando


la finezza della suddivisione dell’arco tende a zero. Questa è niente altro che la
costruzione dell’integrale della funzione s → ρ(r(s)) sull’intervallo [0, L].

Sia ora f (r) una generica funzione a valori reali, per semplicità continua e sia
r(s), s ∈ [0, L] la rappresentazione canonica di un arco. L’esempio precedente
suggerisce di definire Z
f ds (2.1)
γ
2.2. GLI INTEGRALI DI CURVA 25

come segue:
Z Z L
f ds =def f (r(s)) ds . (2.2)
γ 0

Questa è una definizione suggerita dal significato fisico che vogliamo attribuire
all’integrale. Per il calcolo pratico conviene però evitare di rappresentare in forma
canonica l’arco. Conviene di più lavorare con la parametrizzazione r(t), t ∈ [a, b],
inizialmente assegnata. Notiamo che si passa dalla parametrizzazione r = r(t)
alla parametrizzazione canonica per mezzo del cambiamento di variabile t = t(s).
Dunque l’integrale a destra di (2.2) è, in realtà,
Z L
f (r(t(s))) ds .
0

Ossia, in (2.2), solo per semplicità di notazioni, abbiamo sostituito il simbolo


f (r(s)) alla notazione più completa f (r(t(s))).
La funzione s = s(t) è derivabile, con derivata

s′ (t) = |r′ (t)| =


6 0.

La sostituzione di variabile s = s(t) nell’integrale a destra di (2.2) mostra che vale:


Z Z b
f ds = f (r(t)) |r′ (t)| dt .
γ a

Se la curva è in R3 ,
r(t) = x(t)i + y(t)j + z(t)k ,
quest’integrale è
Z b p
f (x(t), y(t), z(t)) [x′ (t)]2 + [y ′ (t)]2 + [z ′ (t)]2 dt .
a

L’integrale appena definito si chiama integrale di curva di prima specie . La


definizione stessa mostra che esso non dipende dalla parametrizzazione scelta per
rappresentare la curva. Più ancora, se si cambia la variabile t mediante la tra-
sformazione t = t(τ ) = b + a − τ , τ ∈ [a, b], il valore dell’integrale non cambia,
ossia:

Teorema 16 l’integrale di curva di prima specie non cambia cambiando il verso di


percorrenza dell’arco.

Osservazione 17 E’ ovvio che se si suddivide una curva γ in due parti γ1 e γ2


(prive di punti interni comuni) l’integrale su γ è somma dll’integrale su γ1 e di
quello su γ2 .
26 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

2.2.2 Integrali di curva di seconda specie


La definizione che ora andiamo a dare generalizza quella che si usa in fisica per il
calcolo di un lavoro.
Esempio 18 Supponiamo che in ogni punto r ∈ R3 agisca una forza F(r) =
F(x, y, z) = f (x, y, z)i + g(x, y, z)j + h(x, y, z)k. Un punto materiale di massa m si
muova sotto l’azione di questa forza, descrivendo un’arco

r(t) = x(t)i + y(t)j + z(t)k , t ∈ [a, b] .

Il parametro t rappresenta ora il tempo.


Si vuol valutare il lavoro compiuto dalla forza.
Dividendo ancora il percorso del punto in tanti “piccoli pezzetti” , interessa ora
valutare il prodotto scalare della forza agente su ciascun “pezzetto” per lo sposta-
mento del punto. Lo spostamento è un vettore, a differenza della lunghezza percorsa
che è un numero.
Quando t varia da ti a ti+1 lo spostamento è circa il prodotto della velocità
all’istante ti per il tempo trascorso:

r′ (ti )(ti+1 − ti )

e quindi il lavoro compiuto è circa

[F(r(ti )) · r′ (ti ) ](ti+1 − ti ) =


= f (x(ti ), y(ti ), z(ti ))x′ (ti ) + g(x(ti ), y(ti ), z(ti ))y ′ (ti )+


+h(x(ti ), y(ti ), z(ti ))z ′ (ti ) (ti+1 − ti )




La somma di tutti questi “lavori elementari” è


N
X −1
[F(r(ti )) · r′ (ti )](ti+1 − ti )
i=0

e, per calcolare il lavoro della forza bisogna studiare il comportamento di queste


somme, quando la finezza della suddivisione dell’intervallo [a, b] tende a zero. Si sa
che in questo modo si arriva a calcolare l’integrale su [a, b] della funzione

F(r(t)) · r′ (t) =
= f (x(t), y(t), z(t))x′ (t) + g(x(t), y(t), z(t))y ′ (t) + h(x(t), y(t), z(t))z ′ (t) .
 

Seguendo il suggerimento dell’esempio precedente definiamo l’integrale di curva


di seconda specie come segue: si assegna un campo vettoriale V(r) e un arco γ,
parametrizzato da r(t), t ∈ [a, b]. Si definisce
Z Z b
V(r) · dr =def V(r(t)) · [r′ (t)] dt . (2.3)
γ a
2.2. GLI INTEGRALI DI CURVA 27

Nel caso particolare n = 3 e V(x, y, z) = f (x, y, z)i + g(x, y, z)j + h(x, y, z)k si
trova:
Z
V(r) · dr
γ
Z b
f (x(t), y(t), z(t))x′ (t) + g(x(t), y(t), z(t))y ′ (t) + h(x(t), y(t), z(t))z ′ (t) dt .

=
a

E’ immediato verificare, usando la formula di cambiamento di variabili:

Teorema 19 Il valore dell’integrale di curva di seconda specie non muta cambiando


parametrizzazione; cambia di segno cambiando verso di percorrenza.

Osservazione 20 E’ ovvio inoltre che se si divide un arco γ in due archi γ1 e γ2


privi di punti interni comuni,

γ1 : t → r(t) , t ∈ [a, b] ; γ2 : t → r(t) , t ∈ [b, c]

e γ è la curva ottenuta prima percorrendo γ1 e poi γ2 allora vale


Z Z Z
V · dr = V · dr + V · dr .
γ γ1 γ2

Diciamo infine che una curva chiusa si chiama anche un circuito e che l’integrale
di un campo vettoriale V(r) lungo una curva chiusa si chiama anche la circuitazione
del campo vettoriale lungo γ.

2.2.3 Integrali di curva di seconda specie e forme differenziali


L’integrale di curva di seconda specie si calcola quando è dato un campo vettoriale
V(f ). Dunque, possiamo vedere il campo vettoriale come operante sulla curva γ
(nell’esempio fisico 18 esso “spinge” il punto materiale lungo la curva) e alla curva
associa un numero. Chiamiamolo 1–forma differenziale (il numero 1 ricorda che
si agisce su una curva, un oggetto che, intuitivamente, ha dimensione 1, come un
segmento o un filo)1 . Inoltre, invece di indicarlo col simbolo V(x, y, u) = f (x, y, z)i+
g(x, y, z)j + h(x, y, z)k indichiamolo col simbolo

f (x, y, z) dx + g(x, y, z) dy + h(x, y, z) dz .

Non vogliamo dare nessun significato particolare ai simboli dx, dy e dz. Essi
sono suggeriti dalla formula (2.3). Ricordiamo però che nel caso dell’integrale su
un intervallo, si conserva la notazione “ dx” perché questa aiuta a ricordare certe
formule. Vedremo che qualcosa di analogo accade anche in questo caso.
1
noi non tratteremo forme differenziali per esempio su superfici. Quindi potremo chiamare
“forme differenziali” le 1-forme differenziali.
28 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

L’integrale di curva di seconda specie si chiama anche l’integrale di curva della


1–forma differenziale e si indica anche col simbolo
Z
f dx + g dy + h dz
γ

(sottintendendo la dipendenza di f , g e h da x, y e z).


Una regola mnemonica per ottenere la formula (2.3), per esempio nel caso n = 3,
consiste nel considerare “ d” come segno di derivata; sostituire x con x(t) (e quindi
dx con x′ (t)), y con y(t) (e quindi dy con y ′ (t)) e z con z(t) (e quindi dz con z ′ (t))
e nell’integrare da a fino a b.
Concludiamo notando che spesso una forma differenziale si indica con una lettera
greca minuscola tratta dalla fine dell’alfabeto, come ω,
ω = f dx + g dy + h dz .
Con tale notazione l’integrale della forma differenziale si indica
Z
ω.
γ

Supponiamo ora che un arco γ ripassi due volte su un arco γ1 , percorrendolo


in versi opposti. Allora, nel calcolo dell’integrale di una forma differenziale, γ1
non dà contributo. Per esempio, si consideri la figura 2.3. Nella figura, i due
lati affiancati vanno pensati sovrapposti e sono il sostegno dell’arco γ1 . Sono stati
disegnati soltanto affiancati per chiarezza.
Sia γ la curva ottenuta percorrendo il circuito, col verso indicato dalle frecce (e
quindi percorrendo γ1 due volte, in versi opposti).
Indichiamo con γs la curva il cui sostegno è il quadrato di sinistra e con γd quella
il cui sostegno è il quadrato di destra. Nella somma
Z Z
ω+ ω
γs γd

il contributo di γ1 si elide e si trova


Z Z Z
ω+ ω= ω (2.4)
γs γd γ

ove γ è la curva il cui sostegno è il rettangolo che si ottiene sopprimendo il lato


comune ai due quadrati.
Naturalmente nelle considerazioni precedenti il fatto che le curve siano ottenute
per mezzo di segmenti rettilinei non ha alcuna importanza.
Infine, diciamo che la forma differenziale
ω = f dx + g dy + h dz
è di classe C 1 quando sono di classe C 1 i suoi coefficienti , ossia le funzioni f (x, y, z),
g(x, y, z), e h(x, y, z).
2.3. LE FORMULE DI GREEN E DI STOKES NEL PIANO 29

Figura 2.3:

0.8

0.6

0.4

0.2

−0.2

−0.4

−0.6

−0.8

−1
−1 −0.8 −0.6 −0.4 −0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

2.3 Le formule di Green e di Stokes nel piano


Le formule di Green e di Stokes hanno un ruolo centrale nelle applicazioni della
matematica. Vediamo prima di tutto un caso particolare, relativo al calcolo di aree.

2.3.1 Le forme differenziali e le aree piane


Sia γ: t → r(t), t ∈ [a, b] un arco piano regolare, semplice e chiuso e sia Ωγ la sua
regione interna. Si sa che l’area della regione Ωγ è data da
Z
1 dx dy .
Ωγ

Vogliamo mostrare un’altra formula per il calcolo di quest’area, che fa intervenire


una forma differenziale.
Per semplicità di esposizione, assumiamo che l’origine degli assi appar-
tenga alla regione interna Ωγ (caso a cui ci si può sempre ricondurre mediante
una traslazione).
Si consideri la figura 2.4. Il punto r(t) varia sull’arco. Dividiamo l’intervallo
[a, b] in “piccoli” intervalli, dividendolo con i punti ti (equidistanti per semplicità).
30 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

Figura 2.4:
6

−2

−4

−6
−6 −4 −2 0 2 4 6

Approssimiamo l’arco r(t), t ∈ [ti , ti+1 ] col segmento di tangente

r = r(ti ) + r′ (ti )(t − ti ) , t ∈ [ti , ti+1 ]

come in figura 2.4. Consideriamo i triangoli di vertici l’origine, il punto r(ti ) e il


secondo estremo del segmento di tangente. Si potrebbe provare che quando la
finezza della partizione di [a, b] tende a zero, la somma delle aree di questi triangoli
tende all’area di Ωγ , pur di intendere l’area di tali triangoli con segno, in modo da
cancellare le parti di area esterne alla Ωγ , e eventuali parti di area coperte più volte.
L’area (con segno) di ciascuno di questi triangoli è la metà della componente
lungo l’asse z del prodotto vettoriale dei vettori r(ti ) e r′ (ti )(ti+1 − ti ). Per appros-
simare l’area di Ωγ dobbiamo quindi sommare la componenti lungo l’asse verticale
di
1 1
r(ti ) ∧ r′ (ti )(ti+1 − ti ) = [x(ti )i + y(ti )j] ∧ x′ (ti )i + y ′ (ti )j (ti+1 − ti ) .
 
2 2
Si trova cosı̀
N −1
1X
[x(ti )y ′ (ti ) − y(ti )x′ (ti )](ti+1 − ti ) .
2
i=0
Al tendere a zero della finezza della partizione queste somme approssimano
1 b 1
Z Z
[x(t)y ′ (t) − y(t)x′ (t)] dt = [−y dx + x dy] . (2.5)
2 a 2 γ
2.3. LE FORMULE DI GREEN E DI STOKES NEL PIANO 31

L’argomento precedente non è rigoroso, ma può pienamente giustificarsi.


Chiediamoci ora se l’integrale precedente restituisce l’area di Ωγ , oppure l’area
col segno negativo. Si vede subito dalla figura 2.4 che la somma delle aree dei
triangoli viene positiva quando l’orientazione della curva è concorde con
quella di R2 ; ossia quando la curva è orientata positivamente. Si può quindi
enunciare il risultato seguente:
Teorema 21 Sia Ω la regione interna ad un arco semplice e chiuso, orientato
positivamente. Vale:
1
Z Z
1 dx dy = [−y dx + x dy] .
Ω 2 ∂Ω
Si ricordi che ∂Ω indica quella curva semplice che ha per sostegno la frontiera di
Ω e che è positivamente orientata.
Mostriamo ora due generalizzazioni delle formule precedenti.

2.3.2 Formula di Stokes nel piano


Consideriamo l’integrale di una forma differenziale di classe C 1 , ω = f dx + g dy:
Z
[f dx + g dy] .
∂Ω

Studiamo il caso particolare in cui Ω è la parte di piano compresa tra il trapezoide


della funzione ψ(x) e quello della funzione φ(x), per x ∈ [a, b]. Per fissare le idee
supponiamo che sia ψ(x) > φ(x). La frontiera di Ω è quindi una curva regolare a
tratti, composta dai due grafici e dai segmenti verticali congiungenti i loro estremi.
Calcoliamo Z
fy (x, y) dx dy .

Il calcolo dell’integrale doppio di fy (x, y) su Ω si riconduce al calcolo dell’integrale
iterato e vale:
Z Z b "Z ψ(x) #
fy (x, y) dx dy = fy (x, y) dy dx
Ω a φ(x)
Z b Z
= [f (x, ψ(x)) − f (x, φ(x))] dx = − [f dx + 0 dy] . (2.6)
a ∂Ω

In modo analogo si vede che


Z Z
gx (x, y) dx dy = + [0 dx + g dy] . (2.7)
Ω ∂Ω

Sottraendo la (2.7) dalla (2.6) si trova la formula di Stokes


Z Z
[gx (x, y) − fy (x, y)] dx dy = f dx + g dy . (2.8)
Ω ∂Ω
32 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

Figura 2.5:

0.9

0.8

0.7

0.6

0.5

0.4

0.3

0.2

0.1

0
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1

Osservazione 22 Si noti che [gx (x, y) − fy (x, y)] è la componente lungo il versore
k del rotore del campo vettoriale V(x, y) = f (x, y)i + g(x, y)j. La formula (2.8) si
scrive quindi come
Z Z
(rot V) · k dx dy = V · dr . (2.9)
Ω ∂Ω

Col linguaggio dei campi vettoriali la formula si interpreta come segue: il flus-
so del rotore del campo vettoriale V(x, y) attraverso la superficie pia-
na Ω è uguale alla circuitazione del campo vettoriale stesso lungo ∂Ω.
Naturalmente si sottintende che ∂Ω sia positivamente orientata.
La formula di Stokes è stata provata per una regione molto particolare. In realtà
vale:

Teorema 23 La formula di Stokes (2.9) vale per ogni regione Ωγ , con γ curva
regolare a tratti.

La formula di Green nel piano


La formula di Green nel piano è una diversa formulazione della formula di Stokes.
Il valore dell’integrale a sinistra in (2.8) non dipende dalla parametrizzazione di γ
2.3. LE FORMULE DI GREEN E DI STOKES NEL PIANO 33

e quindi possiamo pensare di aver parametrizzato ∂Ω, percorsa in senso positivo,


mediante il parametro d’arco. In questo caso,

t(s) = x′ (s)i + y ′ (s)j

è il versore tangente mentre il versore normale, orientato verso la regione esterna, è

ne (s) = y ′ (s)i − x′ (s)j .

Torniamo ora alle uguaglianze (2.6) e (2.7). Invece di sottrarle l’una dall’altra,
sommiamole. Si trova
Z Z
[gx (x, y) + fy (x, y)] dx dy = [g(x, y) dy − f (x, y) dx] (2.10)
Ω ∂Ω

(se f (x, y) e g(x, y) sono identicamente uguali ad 1, si ritrova la formula dell’area).


Indichiamo con W(x, y) il campo vettoriale

W(x, y) = g(x, y)i + f (x, y)j .

Con questa notazione, la (2.10) può scriversi nella forma


Z Z
div W(x, y) dx dy = W · ne ds . (2.11)
Ω ∂Ω

Quest’uguaglianza si chiama formula di Green nel piano. Essa si interpretra


come segue: il flusso uscente da γ del campo vettoriale W è uguale al-
l’integrale sulla superficie Ωγ della sua divergenza. Quest’interpretazione in
particolare spiega l’uso del termine “divergenza” .
L’uguaglianza precedente va anche sotto il nome di Teorema della divergenza .

2.3.3 Le ipotesi e le estensioni


E’ bene discutere un po’ meglio le ipotesi sotto le quali sono state ricavate le formule
precedenti, e mostrare un’estensione: si riesce a dare un senso alle formule prece-
denti quando la frontiera della regione Ω è una curva regolare a tratti e quando le
componenti del campo vettoriale sono di classe C 1 in una regione più grande, che
contiene sia Ω che la sua frontiera.
Tenendo conto di quest’osservazione, mostriamo ora un’estensione importante
sia della formula di Green che della formula di Stokes. Si tratta di un’estensione di
queste formule a regioni delimitate da più curve, come nel caso rappresentato dalla
figura 2.6, a sinistra.
Sia V(x, y) un campo vettoriale le cui componenti sono di classe C 1 in una regio-
ne che contiene sia le curve γ1 che γ2 , sia la regione da esse delimitata. Chiamiamo
Ω la regione delimitata dalle curve γ1 e γ2 .
34 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

Figura 2.6:
6 6

4 4

2 2

0 0

−2 −2

−4 −4

−6 −6
−6 −4 −2 0 2 4 6 −6 −4 −2 0 2 4 6

Introduciamo due segmenti, S1 ed S2 , come nella figura a destra, e due piccoli


tagli uno su γ1 e l’altro su γ2 , in corrispondenza a tali segmenti. Si ottiene in questo
modo una curva γ̃ che verifica sia le condizioni della formula di Green che quelle
della formula di Stokes. Vale quindi
Z Z
[gx (x, y) − fy (x, y)] dx dy = f dx + g dy ,
Ω γ̃
Z γ̃ Z
[gx (x, y) + fy (x, y)] dx dy = V · ne ds .
Ωγ̃ γ̃

Quando S1 ed S2 tendono l’uno all’altro gli integrali lungo i due segmenti si elidono,
gli integrali sui due tagli tendono a zero e l’integrale sulla regione interna a γ̃ tende
all’integrale su Ω. Si trova quindi

Z Z Z
(rot V) · k dx dy = V · df − V · df ,
Ω γ2 γ1
Z Z Z
div V dx dy = V · ne ds − V · ne ds .
Ω γ2 γ1

Si noti che il segno negativo viene perchè la curva interna Rva considerata orientata
negativamente, mentre abbiamo convenuto che nel simbolo γ la curva debba essere
orientata positivamente.
Nel caso particolare in cui si abbia

gx = fy
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 35

la formula precedente mostra che


Z Z
f dx + g dy = f dx + g dy ;
γ1 γ2

Se invece la divergenza è nulla si trova che il flusso del campo vettoriale entrante
attraverso γ1 è uguale a quello uscente attraverso γ2 .

2.4 Integrali di superficie


Passiamo ora a studiare gli integrali di funzioni definite su una superficie. Prima
di tutto dobbiamo definire l’area di una calotta. Definiremo poi l’integrale su una
calotta. Come nel caso delle curve, vedremo che è opportuno definire due tipi diversi
di integrali.

2.4.1 Area di una calotta


Limitiamoci a dare un’idea che giustifica la definizione. Consideriamo una calotta,
grafico di una funzione di classe C 1 , z = f (x, y) con (x, y) ∈ Ωγ ∪γ (γ curva semplice
e chiusa, regolare a tratti).
Si approssimi la regione Ωγ mediante tanti piccoli rettangoli con i lati paralleli
agli assi coordinati, si veda il paragrafo 2.1.1. Fissiamo l’attensione su uno di questi
rettangoli e sulla sua immagine sulla superficie
Per semplicità di notazioni, supponiamo che un quadrato abbia il vertice a
sinistra in basse nel punto (0, 0) e che al punto (0, 0) corrisponda il punto (0, 0, 0).
Consideriamo il lato (t, 0) del quadrato, 0 ≤ t ≤ τ . Ad esso corrisponde una
curva t 7→ (t, 0, f (t, 0)) sulla superficie, la cui tangente è parallela al vettore i +
fx (0, 0)k. Consideriamo il segmento di tangente ti + fx (0, 0)tk, 0 ≤ t ≤ τ .
In modo analogo, a partire dall’altro lato di vertice (0, 0), arriviamo a considera-
re il segmento di tangente tj + fy (0, 0)tk, 0 ≤ t ≤ τ . Si noti che questi due segmenti
(uscenti da (0, 0, 0)) appartengono al piano tangente e in generale non stanno sulla
superficie; ma, se τ è “piccolo” il parallelogramma che essi individuano differisce
“per poco” dall’immagine del quadrato sulla superficie. Dunque l’area di tale pa-
rallelogramma approssima l’area della parte di superficie che viene descritta quando
(x, y) varia nel quadrato.
L’area del parallelogramma è
q
τ 2 · (|i + fx (0, 0)k) ∧ (j + fy (0, 0)k) | = τ 2 1 + fx2 (0, 0) + fy2 (0, 0) = τ 2 |N(0, 0)|

ove N(0, 0) indica la normale alla superficie nel punto (0, 0, f (0, 0)).
Si ripeta questo argomento per ciascuno dei quadrati e si sommino i risultati.
Quello che si trova è una somma di Riemann per l’ integrale della funzione |N(x, y)|.
Ciò giustifica la definizione seguente:
36 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

Definitione 1 Sia
z = f (x, y) (x, y) ∈ Ω
una superficie grafico di una funzione di classe C 1 . Sia γ una curva semplice e chiusa
con sostegno in Ω e sia

Σ : z = f (x, y) (x, y) ∈ Ωγ ∪ γ

la calotta corrispondente.
Si chiama area della calotta Σ il numero
Z
|N(x, y)| dx dy .
Ωγ

Esplicitando l’espressione della normale si ha:


Z Z q
|N(x, y)| dx dy = 1 + fx2 (x, y) + fy2 (x, y) dx dy .
Ωγ Ωγ

Si faccia la trasformazione di coordinate

x = x(u, v) , y = y(u, v) (u, v) ∈ Ωγ̃ ∪ γ̃ .

Supponiamo che la trasformazione sia di classe C 1 con determinante jacobiano non


nullo. La medesima superficie si può rappresentare mediante la funzione

z = f (x(u, v), y(u, v)) , (u, v) ∈ Ωγ̃ ∪ γ̃ .

Quando si opera in questo modo si dice che si cambia la parametrizzazione


della superficie.
Usando la regola per il cambiamento di coordinate degli integrali doppi si po-
trebbe provare:

Teorema 24 L’area non cambia cambiando la parametrizzazione della superficie, e


nemmeno cambiando il verso della normale.

2.4.2 Il caso dei solidi di rotazione ed i teoremi di Guldino


Interpretando in modo opportuno gli integrali semplici che si ottengono per riduzione
degli integrali multipli che si incontrano nel calcolo dei volumi e delle aree, quando i
solidi sono di rotazione, si trovano i risultati seguenti, che ci limitiamo ad enunciare:

Teorema 25 Sia z = f (x) il grafico di una funzione continua sull’intervallo [a, b].
Il volume del solido che si ottiene ruotando il grafico intorno all’asse delle ascisse è
dato da Z b
V =π f 2 (x) dx .
a
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 37

Chiamiamo ora superficie meridiana di un solido di rotazione la superficie che


si ottiene tagliando il solido con un semipiano limitato dall’asse di rotazione
e arco meridiano la lunghezza dell’arco su tale piano che, ruotando, descrive la
superficie.
Vale:
Teorema 26 (teorema di Guldino ) Il volume di un solido di rotazione è uguale
al prodotto dell’area della superficie meridiana per la lunghezza della circonferenza
descritta, nel corso della rotazione, dal baricentro della sezione stessa.
L’area di una superficie di rotazione è uguale alla lunghezza dell’arco meridiano
per la lunghezza della circonferenza descritta dal baricentro dell’arco stesso.

2.4.3 Integrali di superfici di prima specie


La definizione dell’ integrale di superficie di prima specie è suggerita dal calcolo della
massa di una lamina quando la sua densità superficiale ρ varia da punto a punto.
Consideriamo ancora una calotta di una superficie cartesiana di equazione

z = z(x, y) , (x, y) = Ωγ ∪ γ

(come al solito, γ è una curva di Jordan). Per definizione la densità in un punto


(x0 , y0 , z0 ) della superficie si definisce in questo modo: si considera un quadrato della
regione Ωγ , la cui immagine sulla superficie contiene (x0 , y0 , z0 ). Sia C la calotta
immagine di tale quadrato e sia m(C) la sua massa e A(C) la sua area. La densità
media è
m(C)
.
A(C)
La densità ρ(x0 , y0 , z0 ) nel punto (x0 , y0 , z0 ) è il limite di tale rapporto quando il
quadrato “si stringe” sul punto (x0 , y0 , z0 ). Non meraviglia quindi che per ritrovare
la massa totale della calotta si debba calcolare
Z
ρ(x, y, z(x, y)) |N(x, y, z(x, y))| dx dy .
Ωγ

In generale, un integrale della forma


Z
f (x, y, z(x, y)) |N(x, y, z(x, y))| dx dy =
Ωγ
Z q
= f (x, y, z(x, y)) 1 + fx2 (x, y) + fy2 (x, y) dx dy . (2.12)
Ωγ

(con f (x, y, z) funzione continua definita sulla calotta) si chiama integrale di super-
ficie di prima specie.
E’ chiaro che il valore dell’integrale non cambia cambiando l’orientazione della
normale alla superficie, dato che nell’espressione dell’integrale figura non diretta-
mente N, ma il suo modulo. Oltre a ciò si potrebbe provare:
38 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

Teorema 27 L’integrale di superficie di prima specie non muta cambiando para-


metrizzazione.
Invece di usare la notazione (2.12) si usano notazioni del tipo2
Z Z
f (x, y, z) dΣ oppure f (x, y, z) dA
Σ Σ

(A iniziale di “area” ).
Naturalmente, considerazioni analoghe si ripetono per superfici “cartesiane” ri-
spetto ad altri piani coordinati ed anche per superfici che cartesiane non sono. Per
esempio, consideriamo il cilindro di equazione

x2 + z 2 = 1 .

E’ un cilindro circolare retto le cui generatrici sono parallele al piano (x, y) e quindi
questa superficie non è cartesiana rispetto a nessun piano coordinato. Si può però
considerare come unione di due superfici cartesiano, il “mezzo cilindro di sopra” ed
il “mezzo cilindro di sotto”. Se una calotta è ottenuta come unione di due calotte
cartesiane Σ1 e Σ2 , tratte dai due semicilindri, l’ integrale su tale calotta sarà per
definizione la somma dei due integrali su Σ1 e Σ2 .

2.4.4 Integrale di superficie di seconda specie


L’integrale di superficie di seconda specie è suggerito dal calcolo del flusso. Sia
V(x, y, z) = f (x, y, z)i + g(x, y, z)j + h(x, y, z)k un campo vettoriale che però ora
non interpretiamo come campo di forze. Piuttosto pensiamo che un fluido riempia
tutto lo spazio e che la particella che passa per il punto (x, y, z) ci passi con velocità
V(x, y, z).
Fissiamo una calotta Σ della superficie, che ancora pensiamo come superficie
cartesiana e quindi di equazione

z = z(x, y) , (x, y) ∈ Ωγ ∪ γ . (2.13)

Vogliamo calcolare la quantità di fluido che, nell’unità di tempo, traversa la


superficie. Approssimiamo ancora la superficie con tanti piccoli parallelogrammi
che giacciono sui piani tangenti, come abbiamo fatto per il calcolo dell’area. Sia
P uno di essi e sia (x0 , y0 , z0 ) un suo punto. La quantità di fluido che nell’unità
di tempo lo attarversa è il volume del parallelepipedo che ha P per base e la cui
altezza è, circa, 1 (V(x0 , y0 , z0 )) (“circa”, perché il campo vettoriale non è costante
su P). Si veda la figura 2.7.
2
R attenzione che queste notazioni sono tutt’altro che standardizzate. In particolare la notazione
Σ
f (x, y, z) dΣ può confondersi con quella che useremo per l’integrale di superficie di seconda
specie se non si fa attenzione all’uso Rdel grassetto. Talvolta una superficie si indica con una lettera
minuscola, per esempio σ e si scrive σ f dσ. In questo caso può esserci ambiguità con le notazioni
usate per l’integrale di curva.
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 39

Figura 2.7:

0.5

−0.5

−1
1

0.5 1
0.5
0
0
−0.5
−0.5
−1 −1

Il volume va calcolato ora con segno perché non è indifferente che il fluido entri
o esca, ed è dato da
V(x0 , y0 , z0 ) · N(x0 , y0 , z(x0 , y0 ))
(si ricordi che |N(x0 , y0 , z(x0 , y0 ))| è circa l’area di P e quindi N(x0 , y0 , z0 ) è l’area
“con segno” ). Sommando i contributi di tutti i parallelogrammi si trova una delle
somme di Riemann che approssimano l’integrale di V(x, y, z(x, y)) · N(x, y, z(x, y)).
Ciò suggerisce di definire l’integrale di superficie di seconda specie mediante la
formula seguente:
Z
V(x, y, z(x, y)) · N(x, y, z(x, y)) dx dy . (2.14)

Una notazione più semplice che si usa per indicare questo integrale è3
Z
V · dN . (2.15)
Σ

In questa notazione si sottintende la dipendenza da x e da y.


Ricordiamo che
N(x, y, z(x, y)) = −zx (x, y)i − zy (x, y)j + k (2.16)
3
Anche in questo
R caso, le notazioni sono tutt’altro che standardizzate. Un’altra notazione usata
comunemente è Σ V · dΣ. Si faccia attenzione all’uso del grassetto per indicare i vettori!
40 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

e quindi la forma esplicita di (2.15) è:


Z
V · dΣ =
ΣZ

= [−f (x, y, z(x, y))zx (x, y) − g(x, y, z(x, y))zy (x, y) + h(x, y, z(x, y))] dx dy .
Ωγ
(2.17)

Supponiamo ora di fare un cambiamento di coordinate

x = x(u, v) , y = y(u, v) (u, v) ∈ Ωγ̃ ∪ γ̃

(e quindi z(x, y) = z(x(u, v), y(u, v))). Supponiamo che la trasformazione sia conti-
nua su Ωγ̃ ∪ γ̃, di classe C 1 su Ωγ̃ , invertibile e con determinante jacobiano positivo.
Si ricordi che il determinante jacobiano ha segno positivo quando la trasformazione
lascia invariata l’orientazione di R2 . Si prova:
Teorema 28 Il valore dell’integrale di superficie di seconda specie non muta sotto
l’azione di tale cambiamento di coordinate. Cambia segno cambiando il verso sulla
normale alla superficie.
Anche in questo caso, la definizione si può adattare al caso di superfici cartesiane
rispetto ad altri piani coordinati, o che sono unione di un numero finito di superfici
cartesiane.

2.4.5 Formula di Gauss e formula della divergenza


Consideriamo questo caso particolare: Supponiamo che z0 (x, y) e z1 (x, y) siano fun-
zioni continue definite su Ωγ ∪ γ (con γ curva di Jordan regolare) e per semplicità
sia z0 (x, y) < z1 (x, y). Consideriamo il cilindro4

C = {(x, y, z) , (x, y) ∈ Ωγ ∪ γ , z0 (x, y) ≤ z ≤ z1 (x, y)} . (2.18)

Indichiamo con Σ0 e Σ1 le calotte definite dalle due funzioni z0 (x, y) e z1 (x, y), che
“chiudono” il cilindro da sopra e da sotto.
Sia f (x, y, z) una funzione di classe C1 ed applichiamo la formula di integrazione
per parti all’integrale

"Z #
Z Z z1 (x,y)
fz (x, y, z) dx dy dz = fz (x, y, z) dz dx dy =
C Ωγ z0 (x,y)
Z Z
= f (x, y, z1 (x, y)) dx dy − f (x, y, z0 (x, y)) dx dy . (2.19)
Ωγ Ωγ

4
analogo aell’unione di due trapezoidi di funzioni di una variabile.
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 41

Questa formula è molto semplice ma avrebbe un aspetto più complesso se avessimo


avuto per esempio fx al posto di fz perché allora avremmo dovuto integrare rispetto
ad x e non avremmo più avuto due superfici cartesiane (anzi, la γ potrebbe avere
tante “pieghe” conducendo alla necessità di decomporre il dominio di integrazione
in tante parti). Per questo vogliamo riscrivere (2.19) in modo che compaiano le
proprietà geometriche del dominio di integrazione. Notiamo che la (2.16) con z = z1
è la normale alla calotta Σ1 che chiude il cilindro da sopra, e punta verso l’alto,
ossia verso l’esterno del cilindro.
La (2.16) con z = z0 è ancora normale alla calotta che chiude il cilindro da sotto,
ma ora punta verso l’interno del cilindro.
Si ha quindi
Z Z
− f (x, y, z0 (x, y)) dx dy = f (x, y, z)k · d(−N) ,
Ωγ Σ0
Z Z
f (x, y, z1 (x, y)) dx dy = f (x, y, z)k · dN .
Ωγ Σ1

Si noti ora che la normale alla superficie “laterale” del cilindro è orizzontale, e
quindi perpendicolare a k. Dunque, un modo veloce di scrivere (2.19) è il seguente:
Z Z
fz (x, y, z) dx dy dz = f (x, y, z)k · dNe
C Σ

dove Σ è la intera superficie del cilindro e Ne è la normale esterna alla superficie;


ossia orientata in modo da puntare verso l’esterno della regione racchiusa dalla
superficie.
Questa formula si chiama formula di Gauss e vale anche se la superficie non è
un cilindro verticale ma è la frontiera di una regione delimitata da un numero finito
di calotte cartesiane5 .
Formule analoghe valgono anche per fx (e in questo caso k va sostituito con i)
e per fy (con k sostituito da j).
Applicando le tre versioni corrispondenti della formula di Gauss si trova quindi
Z Z
V(x, y, z) · dNe = [fx (x, y, z) + fy (x, y, z) + fz (x, y, z)] dx dy dz =
Σ Ω Z
= ∇ · V(x, y, z) dz dy dz :

l’ integrale su una regione Ω ⊆ R3 della divergenza di un campo vettoriale è uguale al


flusso uscente dalla superficie della regione, enunciato che si chiama Teorema di Gauss
o anche Teorema della divergenza.
5
in realtà è necessaria una proprietà di “orientabilità” che non descriviamo, ma che è soddisfatta
quando la regione è convessa, o unione o differenza di due regioni convesse.
42 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

Consideriamo ora una caso particolare: supponiamo che il campo vettoriale


V(x, y, z) sia il gradiente di una funzione φ(x, y, z), a valori reali. In questo caso,

div∇φ(x, y, z) = ∇ · ∇φ(x, y, z)
= φxx (x, y, z) + φyy (x, y, z) + φzz (x, y, z) = ∆φ(x, y, z)

e quindi si trova:
Z Z
∆φ(x, y, z) dx dy dz = ∇φ · dNe .
Ω ∂Ω

Questo caso particolare del Teorema della divergenza va sotto il nome di Formula
di Gauss ed è importantissima per esempio in elettrostatica.

2.4.6 La formula di Stokes nello spazio


La formula di Stokes collega integrali di curva di seconda specie nello spazio e
integrali di superficie di seconda specie.
L’integrale di curva di seconda specie dipende dal verso di percorrenza scelto
sulla curva mentre l’integrale di superficie di seconda specie dipende dall’orientazione
della sua normale. Come vedremo, non c’è nessuna relazione tra i due e quindi per
poter usare la formula di Stokes bisognerà prima di tutto scegliere tali orientazioni
in modo compatibile.
Ricordiamo che una curva regolare è una curva parametrizzata da t 7→ r(t) =
x(t)i + y(t)j + z(t)k, t ∈ [a, b], con r(t) di classe C 1 e con derivata non nulla.
In questo caso, la velocità del moto lungo la curva è r′ (t) e il versore tangente alla
curva è
r′ (t)
t(t) = ′ .
|r (t)|
Se la curva è parametrizzata mediante la sua lunghezza, il versore tangente è t(s) =
r′ (s). La normale è
t′ (t)
n(t) = ′
|t (t)|
ovviamente definita quando t′ (t) 6= 0. assumeremo questa condizione sempre
soddisfatta dalle curve che considereremo.
Consideriamo una superficie cartesiana Σ

z = z(x, y) , (x, y) ∈ Ω

ed una sua calotta Σ1 . La calotta è costruita in questo modo: si considera una curva
di Jordan γ
γ : x = x(t) , y = y(t) t ∈ [a, b] .
Supponiamo che
Ωγ ∪ γ ⊆ Ω.
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 43

Figura 2.8:

1.5

0.5

0
1

0.5 1
0.5
0
0
−0.5
−0.5
−1 −1

La calotta Σ1 che si considera è la restrizione di z(x, y) ad Ωγ ∪ γ.


La restrizione di z(x, y) alla curva piana γ è una curva γ1 nello spazio:

γ1 : x = x(t) , y = y(t) , z = z(x(t), y(t)) t ∈ [a, b] .

Chiamiamo questa curva γ1 il bordo della calotta Σ1 .


La scelta del verso di percorrenza su γ determina un verso di percorrenza su
γ1 che può essere cambiato cambiando il verso di percorrenza su γ, si guardi la
figura 2.8.
Volendo correlare un’integrale sulla superficie Σ1 con l’integrale sul suo bordo,
dobbiamo correlare le due orientazioni. Per fissare le idee, consideriamo assegnata
l’orientazione della superficie, ossia il verso positivo della sua normale e scegliamo di
conseguenza quella sulla curva, ma niente vieta di fare il contrario e talvolta questo
è effettivamente utile.
Definitione 2 Diciamo che l’orientazione della calotta Σ1 e quella del suo bordo
γ1 sono concordi o compatibili quando vale la regola di Ampère : una persona in
piedi sulla superficie nel verso positivo della normale, vede un punto mobile sulla
curva passare dalla sua destra alla sua sinistra.
In modo equivalente, si può dire che le orientazioni sono concordi quando vale la
regola della mano destra: arcuando le dita della mano destra in modo da seguire
44 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

Figura 2.9:

1.8 1.8

1.6 1.6

1.4 1.4

1.2 1.2

1 1

0.8 0.8

0.6 0.6

0.4 0.4

0.2 0.2

0 0
1 1

0.5 1 0.5 1
0.5 0.5
0 0
0 0
−0.5 −0.5
−0.5 −0.5
−1 −1 −1 −1

il moto di un punto sulla curva, le due orientazioni sono concordi quando il pollice
punta nella direzione positiva della normale alla calotta.
Vale:

Teorema 29 (di Stokes ) Valgano le ipotesi dette sopra, in particolare sia iniet-
tiva e di classe C 2 la parametrizzazione della superficie.
Sia γ1 il bordo di Σ1 e Σ1 e γ1 abbiano orientazioni concordi. Sia V(x, y, z) un
campo vettoriale di classe C 1 , definito su una regione di R3 contenente la calotta
Σ1 . Vale Z Z Z
∇ ∧ V · dN = rot V · dN = V · dγ . (2.20)
Σ1 Σ1 γ1

Il significato fisico del teorema di Stokes è il seguente: La circuitazione del


campo vettoriale lungo il bordo di Σ1 è uguale al flusso attraverso Σ1 del
rotore del campo vettoriale stesso.
La dimostrazione del Teorema di Stokes consiste in questo: si scrive l’integrale
del flusso di V, che fa intervenire certe derivate parziali delle sue componenti. Si in-
tegrano per parti e dopo calcoli alquanto noiosi si vede che vale l’uguaglianza (2.20).
Invece di accennare alla dimostrazione, vediamo che il teorema di Stokes si può
estendere a superfici più generali, anche non regolari, ma vediamo anche che non si
può estendere a superfici qualsiasi.

2.4.7 Estensioni
Una prima estensione della formula di Stokes si incontra nel caso in cui la calotta è
delimitata da due curve, come nella figura 2.9 a sinistra.
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 45

Procedendo come nel caso piano (paragrafo 2.3.3), ossia operando due tagli vicini
come nella figura a destra, ci si riconduce al caso che abbiamo già trattato e quindi
per una superficie siffatta la formula di Stokes assume l’aspetto
Z Z Z Z
dω = ω= ω− ω.
Σ ∂Σ γ1 γ2

Il segno negativo di fronte al secondo integrale dipende dal fatto che la curva γ2 va
orientata in modo discorde rispetto a quello della superficie, si veda la figura.
In questo caso diremo che il bordo di Σ è costituito dalle due curve γ1 , orientata
in modo concorde, e γ2 , orientata in modo discorde, rispetto a Σ.
Si estendono facilmente queste considerazioni al caso in cui il bordo è costituito
da più curve.
Un altro esempio è quello della superficie in figura 2.10. In questo caso la super-
ficie non si può rappresentare come grafico di una funzione regolare e il suo bordo
non è una curva regolare (in particolare con parametrizzazione ovunque derivabile).
Però gli integrali si possono definire, sommando gli integrali sui due rettangoli e sui
segmenti che li delimitano. Esaminando i versi di percorrenza, si vede facilmente
che il segmento comune ai due rettangoli è percorso due volte in verso opposto, e
quindi il suo contributo si elide.
Infine sottolineiamo che abbiamo esplicitamente supposto che sia possibi-
le orientare la calotta ed il suo bordo in modo concorde. Ciò è certamente
possibile se la calotta è grafico di una sola funzione. Problemi possono nascere se la
calotta si ottiene riunendo più grafici. In tal caso il bordo potrebbe essere composto
da varie curve prive di punti comuni (e questo non è un gran problema, come mostra
l’esempio in figura 2.9 a destra. Il problema però è che quando si costruisce una
superficie incollando vari “pezzi” di grafici, potrebbe non essere più possibile trovare
una orientazione della superficie, che permette di usare la formula di Stokes e questo
è tanto più importante perchè molto spesso in pratica è necessario usare il teorema
di Stokes nel caso in cui la superficie è ottenuta in tal modo.
Per renderci conto delle difficoltà, cerchiamo di applicare il Teorema di Stokes
alle superfici nelle due figure 2.11. Queste sono superfici regolari, il cui bordo è una
curva regolare a tratti, e quindi l’applicazione della formula di Stokes non presenta
problemi.
Modifichiamo ora le superfici come in figura 2.12. E’ ancora ovvio che la formula
di Stokes vale. Ma, modifichiamo ulteriormente le superfici, portando i segmenti
affiancati a coincidere.
In questo modo, i due segmenti non “si vedono più”, ossia non fanno più parte del
bordo della superficie che, nel caso a sinistra, viene ad essere costituito da due cir-
conferenze disgiunte; nel caso della figura di destra è costituito da due circonferenze
deformate e percorse una dopo l’altra.
Proviamo ad integrare il campo vettoriale sul bordo, cosı̀ ottenuto. Nel caso
di sinistra, l’integrale del campo vettoriale è ancora uguale al flusso del suo rotore
46 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE

Figura 2.10:

0.5

0.4

0.3

0.2

0.1

0
1

0.8

0.6
0
0.4 0.2
0.4
0.2 0.6
0.8
0 1

Figura 2.11:
0.3

0.4 0.2

0.3 0.1

0.2 0

0.1 −0.1

0
−0.2
−0.1
−0.3
−0.2
−0.4
−0.3 2

−0.4
1 1

0.8 1 0
0.6 0.5
1.5
0.4 0 −1 1
0.5
0.2 0
−0.5 −0.5
−2 −1
0 −1 −1.5
2.4. INTEGRALI DI SUPERFICIE 47

Figura 2.12:

4
0.4

3
0.2
2
0
1
1.5
−0.2
0 1
1 −0.4 0.5
−1.5
0.5 1
−1 0
0.5 −0.5
0 −0.5
0 0
−0.5 0.5 −1
−0.5 1
−1 −1 1.5 −1.5

attraverso la superficie, perché il contributo dei due segmenti tende ad eli-


dersi. Ossia, nel caso della superficie a sinistra, la formula di Stokes vale ancora,
nella forma generalizzata.
Invece, gli integrali del campo vettoriale sui due segmenti si sommano nel
caso della superficie a destra e quindi l’integrale del campo sul bordo (che non
contiene più tali due segmenti) non è uguale al flusso del rotore: manca il
contributo sui due segmenti verticali! Dunque, per la superficie a destra, che si
chiama nastro di Möbius , la formula di Stokes non vale.
Si suggerisce di costruire un modello del nastro di Möbius usando una striscia
di carta, e di vedere che il suo bordo consiste di un’unica curva. La circuitazione
del campo vettoriale lungo tale curva non ha alcuna relazione col flusso del rotore
attraverso il nastro.
48 CAPITOLO 2. INTEGRALI DI CURVA E DI SUPERFICIE
Capitolo 3

Campi conservativi e potenziale

Supponiamo che il campo vettoriale F(r) definito su una regione Ω sia il gradiente
di una funzione scalare V (r). Calcoliamo il suo integrale sull’arco γ. Sia

F(r) = Vx (x, y, z)i + Vy (x, y, z)j + Vz (x, y, z)k .

Si trova
Z
Vx dx + Vy dy + Vz dz =
γ
Z b
[Vx (x(t), y(t), z(t))ẋ(t) + Vy (x(t), y(t), z(t))ẏ(t) + Vz (x(t), y(t), z(t))ż(t)] dt
a
Z b
d
= V (x(t), y(t), z(t)) = V (x(b), y(b), z(b)) − V (x(a), y(a), z(a)) .
a dt

Dunque, in questo caso particolare, l’integrale non dipende dalla curva γ, ma


solo dai suoi estremi. In particolare è nullo se gli estremi coincidono, ossia se la
curva è chiusa: La circuitazione del gradiente di una funzione di classe C 1
è nulla su ogni curva chiusa.
Si sa dalla fisica1 che la funzione V si chiama il potenziale del campo vettoriale
e che un campo vettoriale dotato di potenziale si chiama conservativo .2
I campi conservativi hanno grande importanza per le applicazioni.
Vogliamo dare condizioni atte a riconoscere se un assegnato campo vettoriale è
conservativo su una regione Ω e, se lo è, a calcolarne il potenziale.
Per evitare complicazioni puramente tecniche assumeremo che i campi vet-
toriali e le funzioni siano definiti e con la regolarità che verrà richiesta in
1
Attenzione che in fisica l’energia potenziale è l’opposto della funzione V , che noi chiamiamo
potenziale, ossia è −V . Però l’energia potenziale viene indicata generalmente con V (invece che con
−V ); e quindi in fisica si trova scritto F = −∇V dove però V non indica il “nostro” potenziale, ma
indica l’energia potenziale.
2
la presenza di un potenziale subordina una forza in ogni punto, che è −∇V , si veda la nota
precedente.

49
50 CAPITOLO 3. CAMPI CONSERVATIVI E POTENZIALE

una regione Ω̃ e che la regione Ω in cui si lavora abbia chiusura contenuta


in Ω̃. In questo modo le derivate delle funzioni sono automaticamente
continue sia su Ω che sulla sua chiusura.
Proviamo prima di tutto:
Teorema 30 Un campo vettoriale F(r) di classe C 1 ammette potenziale V (r) se e
solo se la sua circuitazione lungo ogni curva semplice e chiusa di sostegno in Ω è
nulla.
Dim. La condizione necessaria si è già provata. Mostriamo che vale anche la
condizione sufficiente.
Per fissare le idee, supponiamo r ∈ R3 e quindi
F(r) = u(x, y, z)i + v(x, y, z)j + w(x, y, z)k .
Fissiamo un punto r0 qualsiasi in Ω e costruiamo una funzione V (r) in questo
modo: sia γr una curva regolare a tratti (semplice o meno) che congiuge r0 con r.
L’integrale Z
F(r) · dr
γr
dipende solo dagli estremi della curva e non dal cammino percorso per congiun-
gerli, dato che l’integrale sulle curve chiuse è nullo. Essendo r0 fissato, il valore
dell’integrale dipende solo dal secondo estremo r della curva. Dunque la funzione
Z
V (r) = F(r) · dr
γr

è univoca. Mostriamo che essa è derivabile e che le sue derivate parziali sono le
componenti di F. Consideriamo per questo la derivata rispetto ad x,
V (r + h) − V (r)
Vx (r) = lim , h = (h, 0, 0) .
h
Calcoliamo V (r + h) percorrendo prima la curva γr , che congiunge r0 con r, e poi
il segmento
r + th , t ∈ [0, 1] .
Indichiamo con S questo segmento, cosı̀ che
Z Z  Z
V (r + h) − V (r) = F(r) · dr + F(r) · dr − F(r) · dr
γr S γr
Z Z h Z h
= F(r) · dr = u(r + th) dt = u(x + s, y, z) ds .
S 0 0
Grazie al Teorema fondamentale del calcolo integrale,
1 h
Z
Vx (r) = lim u(x + s, y, z) ds = u(x, y, z) ,
h→0 h 0

come si voleva. In modo analogo si trattano le altre derivate.


51

Osservazione 31 Ricordiamo che la circuitazione di un campo di forze lungo una


curva chiusa si interpreta come il lavoro che il campo compie su un punto che per-
corre la curva. Il teorema precedente mostra quindi che un campo è conservativo
se e solo se esso compie lavoro nullo su ogni punto che percorre una curva
chiusa.

Il teorema 30 insegna a costruire il potenziale di un campo conservativo: basta


calcolarne gli integrali lungo curve di forma “semplice”, per esempio poligonali che
congiungono un punto r0 fissato col generico punto r della regione.
Inoltre:

Teorema 32 Due diversi potenziali del medesimo campo vettoriale, definiti su una
medesima regione Ω, hanno differenza costante.

Dim. Perchè la loro differenza U (x, y, z) = V1 (x, y, z) − V2 (x, y, z) ha derivate


parziali tutte nulle. Dunque è costante su ogni poligonale e quindi sulla regione
Ω.
L’uso del Teorema 30 per verificare se un campo vettoriale è conservativo, ri-
chiede infinite verifiche e quindi non può usarsi per risolvere problemi concreti. Per
dare un criterio utilizzabile in pratica, supponiamo che il campo vettoriale sia di
classe C 1 . In questo caso il potenziale, se esiste, è di classe C 2 e quindi il Teorema
di Schwarz relativo all’eguaglianza delle derivate miste mostra:

Teorema 33 Se campo vettoriale

F(r) = u(x, y, z)i + v(x, y, z)j + w(x, y, z)k

di classe C 1 è conservativo, valgono le uguaglianze

u y = vx , uz = wx , vz = wy (3.1)

in ogni punto di Ω; ossia, il suo rotore è nullo su Ω.

Osservazione 34 Il teorema precedente è stato enunciato per campi vettoriali su


R3 , ma naturalmente vale in ogni dimensione. Se n = 2 le condizioni (3.1) divengono

u y = vx , u x = vy . (3.2)

Un campo vettoriale il cui rotore è nullo si dice irrotazionale . Il Teorema 33 si


riformula quindi come segue:

Teorema 35 Ogni campo conservativo è irrotazionale.

L’esempio seguente mostra che il viceversa non vale:


52 CAPITOLO 3. CAMPI CONSERVATIVI E POTENZIALE

Figura 3.1:

25

20

15

10

0
0 5 10 15 20 25

Esempio 36 Si consideri il campo vettoriale su R2 dato da


−y x
F(x, y) = i+ 2 j. (3.3)
x2 +y 2 x + y2
Il campo vettoriale (3.3) è rappresentato nella figura 3.1.
Si verifica immediatamente che questo campo vettoriale verifica, ove è definito, le
uguaglianze (3.2); però non è conservativo perchè, calcolando la circuitazione lungo
la circonferenza parametrizzata da

γ : x = cos t , y = sin t , t ∈ [0, 2π]

si trova Z
sin2 t + cos2 t dt = 2π 6= 0 .

γ

Osservazione 37 Il campo vettoriale (3.3) è il campo di forze prodotto da un filo


percorso da corrente elettrica, in un piano ad esso perpendicolare. Si sa che tale
campo di forza può fornire energia ad una particella che è vincolata a percorrere
una traiettoria circolare centrata sul filo.

E’ però possibile provare il teorema seguente:


53

Teorema 38 Sia F(r) un campo vettoriale di classe C 1 su una regione Ω, per il


quale valgono le uguaglianze (3.1).
Se la regione Ω è convessa allora il campo è conservativo.
Dim. Limitiamoci a provare il teorema in R2 .
Dobbiamo provare che l’integrale su ciascuna curva chiusa e semplice di sostegno
in Ω è nullo. Sia quindi γ una tale curva e sia Ωγ la sua regione interna.
Dato che la regione Ω è convessa, Ωγ è tutta contenuta in Ω e quindi si può usare
il Teorema di Stokes sul piano.
Usando il Teorema di Stokes sul piano si vede che
Z Z
F(r) · dr = rotF (r) dx dy = 0 .
γ Ωγ

Osservazione 39 • L’unica proprietà di Ω effettivamente usata nella dimostra-


zione precedente non è la convessità ma soltanto il fatto che la regione interna
ad ogni poligonale è essa stessa contenuta in Ω. Nel caso in cui Ω ⊆ R2 ,
intuitivamente si richiede che ossia che Ω “non abbia fori”. Il piano privato
dell’origine non ha questa proprietà e ciò spiega l’esempio 36.

• E’ interessante vedere cosa può dirsi se rot V (x, y) = 0 su una regione Ω =


Ω1 − Ω2 , con Ω2 regione convessa contenuta nella regione convessa Ω1 ; ossia
se la regione Ω2 rappresenta “foro” praticato nella regione Ω1 . Si sa che il
teorema di Stokes può ancora usarsi e quindi che la circuitazione del campo
sul bordo di Ω = Ω1 − Ω2 è nulla. Si sa inoltre che tale circuitazione è
Z Z
V · dr − V · dr
∂Ω1 ∂Ω2

e quindi vale Z Z
V · dr = V · dr .
∂Ω1 ∂Ω2
Interpretando la circuitazione come lavoro che il campo di forza compie su un
punto materiale che percorre la curva, segue che il campo compie il medesimo
lavoro sia che il punto materiale si muova su ∂Ω1 che su ∂Ω2 .

• La dimostrazione del teorema 38 in R3 è molto più complicata. In sostanza, si


usa il fatto che ogni poligonale chiusa in una regione convessa è bordo di una
superficie sulla quale si può usare il Teorema di Stokes.

L’ipotesi di convessità nel Teorema 38 è troppo restrittiva per le applicazio-


ni e d’altra parte le minime condizioni da imporre ad Ω in modo che un cam-
po irrotazionale ammetta potenziale sono note, ma assai complesse da verificare
in pratrica. Limitiamoci a dire che il Teorema 38 vale anche se la regione Ω è
stellata rispetto ad un suo punto r0 ossia se esiste r0 ∈ Ω con questa proprietà: il
segmento che congiunge un qualsiasi r ∈ Ω con P0 è tutto contenuto in Ω. In tal
54 CAPITOLO 3. CAMPI CONSERVATIVI E POTENZIALE

caso il potenziale V (r) si ottiene come integrale di F sul segmento che congiunge r0
con r.
Per concludere notiamo che la costruzione del potenziale presentata nel teore-
ma 30 non è l’unica e non è la più semplice. In generale è più semplice risolvere,
con successivi calcoli di primitive, le equazioni

Vx (x, y, z) = u(x, y, z) , Vy (x, y, z) = v(x, y, z) , Vz (x, y, z) = w(x, y, z) .

Esempio 40 Sia
r
F(x, y, z) = .
r3
In questo caso,
x
u(x, y, z) = ,
(x2 + y 2 + z 2 )3/2
y
v(x, y, z) = 2 ,
(x + y + z 2 )3/2
2
z
w(x, y, z) = 2 .
(x + y + z 2 )3/2
2

Si noti che la funzione non è definita nell’origine. Quindi il suo dominio non è né
convesso né stellato rispetto ad un punto. Però si intuisce che su ogni curva di
Jordan regolare che non passa per l’origine si possa appoggiare una calotta regolare
che non incontra l’origine, alla quale applicare il Teorema di Stokes. Inoltre, si vede
facilmente che il campo vettoriale verifica le uguaglianze (3.1). Si può quindi sperare
di costruirne un potenziale (probabilmente non definito nell’origine).
Per questo si noti che integrando rispetto ad x l’uguaglianza
x
Vx (x, y, z) = u(x, y, z) =
(x2 + + z 2 )3/2
y2

si trova
1
V (x, y, z) = − p + Φ(y, z) .
x2 + y 2 + z 2
Derivando rispetto ad y ed uguagliando a v(x, y, z) si trova

Φy (y, z) = 0

e quindi Φ(y, z) non dipende dalla variabile y:

Φ(y, z) = Φ(z) .

Derivando ora V (x, y, z) rispetto a z ed uguagliando a w(x, y, z) si trova

Φ′ (z) = 0
55

Figura 3.2:

12

10

0
0 2 4 6 8 10 12

e quindi Φ(z) viene ad essere costante. il campo vettoriale proposto ammette quindi
come potenziali le funzioni
1
V (x, y, z) = − p +c
x2 + y2 + z2

ove c è una qualsiasi costante.


Si osservi che il campo vettoriale dell’esempio precedente è quello gravitazionale
(cambiato di segno) e che il potenziale trovato è il potenziale newtoniano (cambiato
di segno). La figura 3.2 mostra la restrizione del campo vettoriale al piano x = 0.

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