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TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 1

Sommario

1. Escatologia in genere.....................................................................................................3
1.1. Futuro relativo e assoluto..........................................................................................3
1.2. Escatologia cristiana.................................................................................................4

2. Escatologia biblica.........................................................................................................5
2.1. Escatologia dell’AT...................................................................................................5
2.1.1. Promessa - adempimento................................................................................5
2.1.2. Retribuzione....................................................................................................6
2.1.3. Sheol - salvezza, dannazione e purificazione..................................................7
2.2. Escatologia del NT....................................................................................................8
2.2.1. Risurrezione dei morti e gloria dei salvati.......................................................9
2.2.2. Fine del mondo e la nuova creazione............................................................10
2.2.3. Giudizio, parusia e dannazione.....................................................................11
2.2.4. Morte fisica...................................................................................................12
2.2.5. Purificazione ultraterrena e condizione dei defunti.......................................13

3. Punti fermi della Tradizione.......................................................................................14

4. Escatologia sistematica................................................................................................16
4.1. Risurrezione della carne..........................................................................................17
4.1.1. Terminologia della risurrezione.....................................................................18
4.1.2. Varie fasi della risurrezione della carne.........................................................18
4.1.3. Risurrezione degli empi................................................................................18
4.1.4. Riassunzione – glorificazione della materia..................................................19
4.2. La vita eterna..........................................................................................................20
4.2.1. Componenti costitutive della vita eterna.......................................................21
4.2.2. Gradi di gloria, aureole.................................................................................21
4.2.3. Dati complementari (dinamicità, importanza per il presente)........................22
4.2.4. Palingenesi....................................................................................................23
4.1. Giudizio di Dio e la parusia di Cristo......................................................................24
4.1.1. Significato del giudizio di Dio......................................................................24
4.1.2. Diversi stati del giudizio...............................................................................25
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4.1.3. Parusia del Risorto datore dello Spirito.........................................................27


4.2. Il rischio del fallimento del singolo.........................................................................29
4.2.1. Il senso dell’annunzio e la sostanza del dogma sull’inferno..........................30
4.2.2. La dannazione in relazione con Dio e con l’uomo........................................31
4.2.3. Caratteristiche della dannazione eterna.........................................................32
4.3. La morte.................................................................................................................. 34
4.3.1. L’evento universale e permanente della morte..............................................34
4.3.2. Il peccato e la morte......................................................................................35
4.3.3. La morte in Cristo.........................................................................................36
4.3.4. Separazione del corpo dall’anima.................................................................36
4.4. Purificazione nella metastoria (purgatorio).............................................................38
4.4.1. La sostanza del dogma..................................................................................38
4.4.1. Descrizioni del purgatorio e le questioni particolari......................................39
4.4.2. Prospettiva orientale e occidentale, e lo scontro ecumenico..........................42
4.5. Lo stato intermedio.................................................................................................44
4.5.1. I temi del problema e la base biblica e ministeriale.......................................44
4.5.2. Le soluzioni e la valutazione critica..............................................................45
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 3

ESCATOLOGIA

1. ESCATOLOGIA IN GENERE
Nell’ambito generale del sapere umano si chiama escatologia l’insieme delle prospettive e
dei contenuti che determinano considerazione del completamento e della totalizzazione
dell’esistenza umana (ultima realtà)1.
Nel secolo XVII il teologo luterano Abraham Calov (†1686) introdusse nell’universo
teologico il termine «escatologia» (nella lingua greca: éschaton/a = realtà ultime, finali +
logos = discorso, riflessione), un termine che più tardi assunse il senso di una trattazione
specifica e un utilizzo generalizzato2.
In generale per escatologia ( tutte E fisica, filosofica, teologica …) si intende quel settore della
ricerca e del sapere umano che verifica e approfondisce le mete ultime della vita in vista di
una gestione responsabile del cammino che conduce alla loro realizzazione. ( dopo per migliore
cammino di adesso). Suo ambito specifico è il futuro e il suo atteggiamento distintivo è la
speranza.

1.1. Futuro relativo e assoluto

Parliamo del futuro relativo quando si tratta di un risultato infrastorico, circoscritto alla
durata della vita terrena, subordinato al limite della morte. Esso costruisce il semplice
adempimento di una progettazione umana appropriata e come tale più che all’escatologia
appartiene alla futurologia, cioè la scienza che in modo ragionevole prevede quello che
domani si può realizzare.
Il futuro assoluto tratta della realtà che svincola la barriera che la morte impone, va oltre ed
è libero da legami. È chiamato anche futuro metastorico, ultramondano, metaterreno,
trascendente ed è «il futuro che viene a noi, l’adventus, non quello che non abbiamo
progettato di edificare, ma il futuro in senso proprio, la Gerusalemme del cielo che scende
verso la fatica umana»3.
La giustificazione del parlare del futuro assoluto (vita dopo la morte) che oggi è abbastanza
pacifico, si pone su due ambiti. Uno che basa sulla razionalità (filosofico) aperta ai credenti
e non credenti e l’altro stabilito sulla rivelazione (via teologica) che può essere accostato
solo dai credenti.
Nel primo caso (dal basso) esistono le esperienze universali di vita che lasciano intravedere
l’esistenza di un futuro ultraterreno come per es. responsabilità umana, coscienza dei limiti
(nessun conosce il limite suo se non ha il riferimento a qualcosa senza limiti ), la forza dell’amore
(amare significa riconoscere l’impossibilità della morte che tu possa cessare di esistere, dire ti amo vuol dire
tu non morirai) e le argomentazioni classiche di stampo metafisico che parlano

1
Cfr. in tutta dispensa come basilare: GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. Saggio di escatologia
cristiana, Leuman, Torino 1993
2
Cfr. ANCONA G., Escatologia cristiana, Queriniana, Brescia 2003, 20132, 5
3
FORTE B., Gesù di Nazaret, storia di Dio. Dio della storia, Paoline, Roma 1981, 33
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dell’immortalità dell’anima. Poi alcuni fenomeni di parapsicologia, le pratiche spiritiche o


racconti della morte clinica.
La giustificazione con la garanzia assoluta e accessibile a tutti del futuro assoluto proviene
(dal alto) dalla rivelazione, dalla Parola di Dio fatta carne. Se Gesù è risorto, la morte non
ha l’ultima parola, Egli vive tuttora nella pienezza della gloria, allora altrettanto vale per
l’uomo. Cristo risorto è la fonte della speranza cristiana, allora l’annuncio del carattere
definitivo della vita umana può essere compreso soltanto sul piano della fede (GS 22).

1.2. Escatologia cristiana

Le escatologie in senso proprio sono quelle che si occupano del futuro assoluto e trovano
suo l’ambito vitale nelle grandi religioni del mondo. Ci sono però tante differenze tra queste
visioni perciò notiamo l’originalità dell’escatologia cristiana4.
In contrasto con le tradizioni orientali (induismo e buddismo) cristianesimo 1) vede il
mondo e la vita terrena non come illusione e appartenenza da fuggire, ma come buon
terreno di germinazione della vita eterna, 2) interpreta lo stato finale non come vuoto
impersonale ma come pienezza di essere personale, 3) respinge la reincarnazione tenendo
presente la conclusione della vita terrena di Gesù che porta le sue conseguenze da qui per
sempre.
Contrariamente alle religioni non cristiane che il futuro assoluto comprendono come un
qualcosa che gli uomini acquistano dopo la morte, lo cristianesimo lo individua con
qualcuno Gesù Risorto (Gesù è vissuto sulla terra per risorgere, futuro assoluto = essere figliale
acquistato da me personalmente durante la vita ).
Religioni non cristiane comprendono il futuro assoluto come la realtà interamente futura
(non ancora) invece cristianesimo proclama il paradosso di un futuro che è già
fondamentalmente presente, perché è ormai compiuto in radice in Gesù risorto ( In Cristo tutto
è già compiuto ma tutto aspetta me d’accoglierlo ) e si realizzerà in modo completo alla fine dei
tempi (già e non ancora). Gesù è il Signore, il risorto, presente e perante nel tempo,
l’escatologia cristiana attesta che il futuro assoluto, per quanto non ancora totalizzato, è già
in atto nella storia presente (Regno di Dio, Regno dei cieli).
La escatologia cristiana come fonte riconosce il messaggio escatologico della Bibbia (Cristo
Risorto) nel interpretazione autentica assicurate dalla lettura credente della Chiesa e il riflesso
del Risorto su ogni uomo (uomo credente = riflesso di Cristo-Dio) in forza del quale la presente
vita di grazia è une vera caparra della vita futura.
Come metodo coglie il futuro assoluto a partire dalla percezione della salvezza messa in atto
da Gesù e diffusa nell’uomo. Ma non si parla della divinizzazione né di proiezione perché la
continuità dell’al di qua con l’al di là che contenente una proiezione del genere si
accompagna a una più grande si continuità (bimbo nel grembo non può immaginare il mondo anche
sempre si tratta dello stesso bimbo che verrà poi al mondo ).
Si tratta però di un autentico sapere che basa sulla cristologia che dispone di contenuti
oggettivi e li applica all’antropologia (se posso sapere qualcosa di Cristo, posso anche sapere
qualcosa di uomo e dei escatologia = presentazione dei allineamenti della gloria di Cristo nell’uomo ).

4
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 21-37
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Bisogna tenere conto sempre che la rivelazione si compie sempre ed esclusivamente in


mysterio: nella penombra del parziale, del germinale verso la pienezza. ( Regola di maior
dissimilitudo - Latereno IV, DS 806).
Escatologia cristiana riflette sul futuro metaterreno non affatto per diventare una sorte di
agenzia di informazioni sull’al di là, ma per abilitare il credente a prendere coscienza
dell’immensa posta in gioco nel presente, e distinguervi quanto è irrinunciabile (il Regno di
Dio) da ciò che si mostra soltanto importante (tutto il resto) ( conosco futuro per migliorare
presente).
Escatologia ha bisogno di servirsi di concetti (stabiliti sul noto) che di immagini (idonee
all’espressione dell’inedito). Essa fa parte dell’antropologia teologica (come abbiamo già
visto - antropologia III) guardando il futuro assoluto di Gesù risorto propone un itinerario di
maturazione umana estremamente rigoroso e concreto fondato sui contenuti oggettivi della
vita di Gesù.
In questo senso escatologia cristiana insegna che la storia trova la pienezza si sé solo oltre di
sé (il senso della vita è oltre la vita ), che il tempo può e deve essere messo istruttivamente a
frutto, che la portata del agire dell’uomo è sempre sconfinato ben oltre quanto si verifica
all’immediato (niente è banale nella vita terrena perché avrà un riscatto dopo la morte ).

2. ESCATOLOGIA BIBLICA
Come abbiamo già detto la fonte dell’escatologia cristiana è la rivelazione biblica. Antico
Testamento tramite le vicende storiche e concetti allegorici preparano la rivelazione piena in
Gesù Cristo, descritto nel Nuovo Testamento. Presentiamo le grandi linee
dell’interpretazione teologica ecclesiale di questa fonte.

2.1. Escatologia dell’AT5

La caratteristica tipica dell’escatologia elaborata dall’AT è la radicale dipendenza dalla


esperienza della elezione- alleanza.
Esigenze del rapporto con Dio non obbligano il pensiero ebraico ad alzare lo sguardo al di là
della storia, tutto si compie nelle promesse terrene, quando si interroga sul futuro solo per
convalidare la convinzione della fedeltà di Jahvé.
Secondo la concezione antropologia dell’AT il singolo esiste e vive in forza della
appartenenza al popolo, da essa trae la propria consistenza personale, con esso condivide le
aspettative del futuro.

5
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 43-79
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1.1.1. Promessa - adempimento

Il dinamismo strutturale: promessa – adempimento, che genera l’orientamento escatologico


della storia d’Israele è evidente nell’AT. L’interpretazione veterotestamentaria del futuro
collettivo e del suo rapporto con il presente si sviluppa (in un movimento a spirale)
all’esperienza di ricorrersi delle promesse e degli adempimenti di Jahvé ( promesse sempre più
ampi, = scatole cinesi al rovescio, partendo dalla più piccola) . In questo dinamismo Israele maturò la
propria coscienza escatologia prima comprendendo che il senso delle promesse sta nella
realizzazione del futuro di Dio terreno ( nella storia data da Dio) e poi arrivando a intuire che la
destinazione finale della storia non si esaurisce nell’ambito della storia (questo dal II sec. a. C.).
Possiamo distinguere cinque tappe del cammino dello sviluppo escatologico.
L’avvio della storia è costituito dal memento della 1) vocazione di Abramo (Gn 12; 15)che
fa del padre dei credenti «un uomo volto verso un futuro che di si preannuncia in qualche
modo illimitato, 2) la stipulazione dell’alleanza sul monte Sinai (Es 6), 3) instaurazione
della monarchia davidica (2Sam 7) dove ai tre contenuti preannunciati (terra, discendenza,
rapporto speciale con Jahvé) si aggiunge la regalità messianica.
4) La predicazione profetica comincia una certa svolta raccogliendo i visoni intorno del
giorno di Jahve (Amos, Isaia, Ezechiele, Gioele, Sofonia, Malachia) (comincia la prospettiva
del futuro definitivo) inteso come giorno del castigo non solo dei nemici ma anche del popolo
eletto (cfr. esperienza dell’esilio) sempre vista come una “distruzione” compiuta in vita di
una perfezione maggiore. 5) Finalmente si sviluppa la dialettica di due eoni (giusti e empi)
nell’apocalittica canonica del libro di Daniele, dove la conclusione della dialettica della
promessa ed adempimento non è più assorbita dalle scadenze infrastoriche ( futuro definito
oltre la storia).

1.1.2. Retribuzione

In collegamento delle tappe di escatologia del popolo eletto si può parlare di alcuni elementi
dell’escatologia individuale che si connota con il concetto di retribuzione.
Il primo momento nella fase arcaica il compimento del singolo coincideva pacificamente
con il compimento del popolo. Retribuzione ha orizzonte elusivamente storico (terreno).
Ognuno riceve ciò che il popolo merita di ricevere, i beni e gli castighi promessi al popolo
sono quelli promessi ai singoli (lunga vita, fecondità, prosperità materiale, morte, malattia,
oppressione (Esodo, Deuteronomio). La deportazione operata dagli Assiri (721 a. C.) e la
distruzione di Gerusalemme (587 a. C.) rappresentano punti culminanti di questo principio
di retribuzione collettiva: il castigo che colpisce il popolo colpisce in esso e con esso il
singolo.
Secondo momento nella fase intermedia impara a vedere la insufficienza delle retribuzione
soltanto infrastorica. Epoca immediatamente preesilica e quella dell’esilio opera una svolta.
Geremia ed Ezechiele diffondo concetto di retribuzione per il quale Dio premia i buoni e
castiga i cattivi con sanzioni sempre temporali ma strettamente legate alla responsabilità
personale. Si impone principio di doppia retribuzione; chi fa bene in questa vita avrà bene e
chi fa male avrà male.
Giobbe e Qoelet fanno toccare con mano che la concezione della retribuzione infraterica
non basta (soffrono i giusti), se la morte finisce tutto allora non ha senso principio di
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 7

retribuzione, ne la speranza dei profeti ne attesa messianica. Comincia allora la tradizione


sensibile al potere di Jahvé anche sulla morte [rapimento in cielo di Enoch (Sir 44,16;
49,14) ed Elia (2Re 2,9)].
Nella rafforzata certezza della fedeltà di Jahvé si sviluppa l’iter logico della proiezione
escatologia d’Israele: la parola di Dio afferma che gusto vivrà, e Dio mantiene sempre cioè
che promette, poiché tale promessa non si avvera nel tempo presente bisogna ammettere che
Dio disponga dell’ambito di retribuzione che va oltre i limiti terreni.
Nascono i testi che cominciano parlare della retribuzione nei termini della risurrezione
corporale Os 6,1-3 e Ez 37,1-14 (visione delle ossa che rivivono). Poi Isaia parla della
vittoria di Dio sulla morte (Is 25,8) glorificazione del servo di Jahvé (Is 53,10-12) e sulla
risurrezione (Is 26,19). Anche i salmi del epoca postesilica così detti mistici 16, 49, 73 pur
non parlando della risurrezione ne colgono un auspicio fecondo.
La luce definitiva si ha verso la metà del II sec. (a. C.), esperienza dell’esilio e duro scontro
con l’ellenismo di Antioco IV Epifane che crea primi martiri d’Israele fanno nascere la
visone di risurrezione perché Jahvé non abbandona coloro che hanno perso la vita pur non
tradirlo (Dn 12,2-3 e 2Mac 7). Nel dialogo con mondo ellenistico la Sapienza parla
dell’immortalità.
E’ sempre da tenere presente che la percezione del futuro assoluto nell’AT riguarda sempre
il futuro atteso e mai si riferisce al presente, lo prepara, lo attende ma sente che la sua
venuta non appartiene al suo tempo (con Cristo tutto è compiuto = le sbarre della terra tolte ).

1.1.3. Sheol - salvezza, dannazione e purificazione

Per gli Israeliti, come anche per altri popoli vicini, la morte comporta la discesa del defunto
in una sede definitiva, stabilita in un luogo sotterraneo chiamato sheol. La concezione di
questo luogo lungo i tempi ha avuto una certa evoluzione del significato. In prima lunga
fase fu visto sheol come un luogo universale (per tutti) della distanza da Dio (fuori della storia
dove reagisce Dio). Poi la sorte comune dei mori comincia a deferenziarsi tra giusti e gli empi
(Sal 16; 49; 73) che come durante la vita la relazione d’amore di Dio con i giusti perdura
anche dopo la morte. Finalmente (II e I sec. a. C.) si parla della differenziazione completa
alla fine dei tempi nella risurrezione, quando i giusti saranno strappati da sheol e i malvagi
vi resteranno.
La salvezza per i giusti sempre collocata nel contesto della famigliarità con Jahvé è descritta
nei Proverbi come una strada del ricupero alla situazione genesiaica, in Ezechiele (47) e
Gioele ha la forma del fiume di vita proveniente dal tempio di Gerusalemme, in Isaia e
Michea come trasformazione paradisiaca della Palestina e Daniele e 2 Maccabei e sapienza
come vita perpetua. In questa famigliarità con Dio sono presenti molti altri beni: gioia,
onore, gloria, potere, esenzione da ogni pena ma la sostanza resta una saola Dio regnerà per
sempre (Sap 3,8) e giusti vivranno presso di lui nell’amore (Sap 3,9).
Gli empi invece avranno la sorte opposta, non avranno la comunione con Dio ma con le loro
iniquità (Sap 4,20) e quindi con la morte. Il loro destino è l’infami eterna (Dn 12,2) e
saranno come cadaveri fuori delle mura di Gerusalemme (Is 66,24).
AT menziona anche la possibilità dei vivi per intercedere a favore dei defunti. Il rito di
Kippur (Lv 4-5) serviva a redimere i peccati dei vivi e permetteva di intercedere per i
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peccatori (2 Mac 15,12-14) ma non si parlava dei defunti. Il secondo libro dei Maccabei (s
Mac 12,39-46) apre la porta a queste nuova concezione. Giuda Maccabeo fa una colletta per
offrire un sacrificio espiatorio nel tempio di Gerusalemme nella speranza che quei morti
siano assolti dl loro peccato e possano partecipare alla ricompensa dei giusti. Per la prima
volta compare l’idea di una pratica cultuale d’intercessione per i defunti. 6

2.2. Escatologia del NT

Se vogliamo, a modo d’introduzione, identificare lo specifico dell’escatologia 7


neotestamentaria notiamo che in riferimento del futuro assoluto, esiste un gruppo dei testi
con attestazione della salvezza escatologia presentata nella speranza ebraica per la fine della
storia si è già resa presente in Gesù di Nazaret. Questo, possiamo chiamare il cuore
dell’originalità della lettura neotestamentaria (il “già” presente).
Un secondo gruppo dei testi rivaluta la concezione ebraica della comparsa del futuro
assoluto alla fine dei tempi, precisando che la consumazione definitiva dell’eschton già
attuato nella risurrezione di Gesù avrà luogo alla chiusura della storia. Così si nota evidente
che la novità del NT non rifiuta AT ma lo completa. ( tempo d’inaugurazione = con Cristo, tempo di
consumazione = fine dei tempi; è già ma ancora da aspettare; è vicino, ma non ancora ).
Lo specifico dell’escatologia neotestamentaria consiste nella sostituzione del sistema
binario ebraico, secondo il quale la storia della salvezza si svolge nei due momenti, quello
della promessa (tempo presente) e dell’adempimento (fine dei tempi) con un sistema
ternario nel quale i momenti fondamentali della storia della salvezza diventano tre: quello
della promessa (tempo dell’antico Israele [AT], quello dell’adempimento radicale e della sua
appropriazione (tempo di Gesù e della Chiesa) e quello dell’adempimento totale (chiusura
della storia).
fine della storia
AT

NT Cristo

Il cardine di questa impostazione è costituito dall’annunzio centrale del NT, la testificazione


della risurrezione di Gesù. Essa da una parte ratifica (conferma) le speranze dell’AT, Gesù
con la sua risurrezione compie le promesse, e dall’altra parte le trascende perché il momento
della sua attuazione completa avviene alla fine dei tempi, ma tale fine si già attua in radice
nella risurrezione di Gesù8 (apre futuro escatologico con risurrezione, il fine dei tempi è già
cominciato). Con Gesù «il tempo è compiuto» (Mc 1,15), «la pienezza dei tempi» è giunta
(Gal 4,4) e la profezia di Isaia «si avverata» )Lc 4,21). In Lui le Scritture hanno trovato
6
Da notare che gruppo di saducei nega esistenza della risurrezione dei spiriti anche nei tempi di Gesù, esso sono
fermati alla prime concezione di sheol.
7
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 83-110
8
NT: distingue la fine dei tempi (cominciato con Cristo, attivato in radice) dalla fine della storia (il compimento)
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compimento (Mt 1,22; 2,15; 4,14; 8,17; …) ed è arrivato per tutti il Regno di Dio (Lc 11,20;
Mt12,28). Il giudizio (universale) si realizza fin d’ora in rapporto all’accettazione o al rifiuto
della sua persona e del suo messaggio (Gv 3,18-19).
La risurrezione di Gesù raggiunge tutti (Gv 12,32). Lui stesso accumuna il futuro al presente
perché ricapitolando in sé intera umanità, ha anticipato e reso possibile quanto accadrà alla
fine dei tempi, inaugurato tale fine nella propria persona ( L’idea della futura gloria di ogni uomo è
Cristo Risorto).
Nell’AT abbiamo la parzialità della rivelazione perché il tempo di Israele era preparazione
del futuro assoluto e non inaugurazione. Invece la pienezza della rivelazione nel NT
proviene dal fatto che con Gesù il futuro assoluto, pur non ancora concluso, già viene alla
luce («già e non ancora»).

1.1.4. Risurrezione dei morti e gloria dei salvati 9

Il futuro assoluto nell’NT viene presentato come una realtà che ha suo inizio con Gesù
Cristo. Tutti contenuti della speranza cristiana sono percepiti e presentati a partire dalla
risurrezione di Cristo vista anche come una prefigurazione della risurrezione di ogni uomo.
L’attestazione della verità della risurrezione dei morti attraversa la totalità della letteratura
neotestamentaria ma due brani sono una conferma esplicita. Sono le descrizioni delle due
sono dispute: una di Gesù con i sadducei ( non credevano a risurrezione) riguardante dei mariti
della donna dopo la morte (Mc 12, 18-27 cfr. Mt 22, 23-33; Lc 20.27-40)
18 Vennero a lui dei sadducei, i quali dicono che non c'è risurrezione, e lo interrogarono dicendo: 19 «Maestro, Mosè
ci ha lasciato scritto che se muore il fratello di uno e lascia la moglie senza figli, il fratello ne prenda la moglie per dare
discendenti al fratello. 20 C'erano sette fratelli: il primo prese moglie e morì senza lasciare discendenza; 21 allora la
prese il secondo, ma morì senza lasciare discendenza; e il terzo egualmente, 22 e nessuno dei sette lasciò
discendenza. Infine, dopo tutti, morì anche la donna. 23 Nella risurrezione, quando risorgeranno, a chi di loro
apparterrà la donna? Poiché in sette l'hanno avuta come moglie». 24 Rispose loro Gesù: «Non siete voi forse in errore
dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio? 25 Quando risusciteranno dai morti, infatti, non
prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. 26 A riguardo poi dei morti che devono risorgere,
non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di
Isacco e di Giacobbe? 27 Non è un Dio dei morti ma dei viventi! Voi siete in grande errore».

E seconda disputa di Paolo con entusiasti di Corinto (1 Cor 15)


12 Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei
morti? 13 Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! 14 Ma se Cristo non è risuscitato, allora è
vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. 15 Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro
Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non
risorgono. 16 Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; 17 ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra
fede e voi siete ancora nei vostri peccati.

La risurrezione di Gesù è il fondamento esclusivo della risurrezione dei morti (1 Tes 4,14).
Egli è «primizia dei morti» (1Cor 15,20.23) per tutti. I tratti distintivi del “Risorto” sono
prodotti nella risurrezione di Gesù. La «anástasis» (gr.=risurrezione) dell’umanità è certamente
la vitto ria sulla morte (Rm 6,8-9) perché tale fu quella di Gesù. Non si tratta di una
semplice rianimazione ma piuttosto risurrezione viene tradotta come sollevamento o
glorificazione (Gv 14,23), ascensione e sessione alla destra del Padre (1Tes 4,17), signoria
sul mondo e sulla storia (Mt 19,28), pienezza effusiva di esistenza nello Spirito (Gv 7,38-39;
20,22).
Leggendo risurrezione in chiave del concetto di corpo «soma» (tutte dimensioni non «sarx»)
utilizzato dalla 1Cor, essa comporta una vivificazione riguardante la totalità dell’uomo,

9
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 111-125
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 10

dimensione materiale compresa (come viene per Gesù – cfr. sepolcro vuoto) senza però
ridursi solo a tale dimensione (non solo risurrezione della materia).
La risurrezione soggiace a una gradualità di progressione. La progressione del futuro
assoluto viene presentata nella vicenda storica di Gesù (progressione della incarnazione e
della glorificazione) dove abbiamo epifanie della gloria attuate nel battesimo, nella
trasfigurazione e quella realizzata nella risurrezione (si può travedere una gradualità della gloria).
La risurrezione dei morti essendo una partecipazione all’esaltazione di Cristo sembra
riservata solo a chi si lascia assomigliare a lui. Si trovano però i testi che parlano anche di
una risurrezione degli empi per la dannazione.
(Gv 5,28-29: « 28 Non vi meravigliate di questo, poiché verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri
udranno la sua voce e ne usciranno: 29 quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per
una risurrezione di condanna».

At 24,15: «ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti»;


Ap 20,13-15: « Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e
ciascuno venne giudicato secondo le sue opere».

L’accettazione piena della risurrezione dei morti s’invera nella risurrezione dei salvati e il
NT, comprendendo che l’oggettività della gloria di Cristo fonda e garantisce quella della
gloria dell’uomo, permette di leggere i contenuti della salvezza dell’uomo nei contenuti
della risurrezione di Gesù che possiamo elencare in cinque punti.
1) Carattere primo e fondante della gloria dei salvati è nell’essere per sempre con Cristo (Mt
20,21-23; 25,10) che si legge in modo emblematico nella parola di Gesù rivolta al buon
ladrone «oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43: cfr. Gv 14,3: 17,24: Ap 3,20-21: 1Tes
5,10: 1Cor 1,9: 2Cor 5,8).
2) Poiché l’esito della risurrezione di Gesù è stata l’ascensione al cielo per sedersi alla
destra del Padre e l’effusione dello Spirito, questo precisa che il cuore del futuro assoluto
consiste nell’essere in comunione col Padre nella pienezza dello Spirito (Gv 14,6: 16,13).
3) Prendendo in atto che con la propria esaltazione Gesù ha fatto dei due, giudei e gentili, un
popolo solo (Ef 2,14) la consumazione escatologia vede come una costituzione del
definitivo popolo messianico con Cristo in Dio (Mc 13,27: Mt 24,31: 25,32).
4) Sulla base del conferimento a Gesù di un nome che è al dì sopra di ogni altro nome (Fil
2,9) si attesta che i risorti in cristo porteranno sulla fronte il nome del Signore e
dell’Onnipotente (Agnello) (Ap 2,17: 3,12: 14,1: 22,4) e dunque ricevono dono supremo della
gloria celeste, cioè raggiungono pienezza di ogni grazia (2Cor 12,4: 4,17).
5) Il Risorto è entrato nel santuario celeste una volte per sempre (Eb 9,11-12) allora altre
tanto è irrevocabile la partecipazione degli eletti alla sua sorte (Mt 19,29: Gv 3,15: 1Cor
9,25: 1Pt 1,4).

1.1.5. Fine del mondo e la nuova creazione 10

La speranza neotestamentaria nella risurrezione dei morti che è la vita eterna, interessa tutte
le dimensioni dell’uomo, compresa anche quella del rapporto al cosmo, perciò è vista come
attesa di un universo escatologico (nuova creazione) fatto su misura del nuovo Adamo =
Cristo.
10
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 126-129
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 11

I testi parlano di «palinghenesia» rigenerazione (Mt 19,28; Tt 3,5); «apocatástasis»


restaurazione (At 3,21); «sunthéleia tou aiōnos» consumazione del secolo (Mt 13,39.40.49;
24,23; 28,20).
L’attestazione di questa realtà è espressa da quattro gruppi di testi. Primo gruppo
costruiscono le cosiddette apocalissi sinottiche (Mc 13,24-25; Mt 24,29; Lc 21,25-26).
24 In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore 25 e gli astri si
metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. 26 Allora vedranno il Figlio dell'uomo
venire sulle nubi con grande potenza e gloria.

Secondo gruppo sono testi che rilevano la precarietà del mondo presente (1Cor 7,31: « perché
passa la scena di questo mondo!»; 1Gv 2,17; Eb 1,10-12; Mt 5,18; Lc 16,17; Mc 13,31: «Il cielo e la
terra passeranno, ma le mie parole non passeranno »). Nel terzo gruppo possiamo ammettere alcune
pericopi sulla comparsa di nuovi cieli e nuova terra (Ap 21,1: « 1 Vidi poi un nuovo cielo e una nuova
terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi »; 2Pt 3,13). Finalmente un brano che stabilisce
una stretta correlazione della sorte del cosmo con la sorte dell’uomo Rm 8,19-23: « 19 La
creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; 20 essa infatti è stata sottomessa alla caducità -
non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza 21 di essere lei pure liberata dalla
schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22 Sappiamo bene, infatti, che tutta la
creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; 23 essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le
primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo ».

In questo senso possiamo ritenere giusto quello che suggeriscono gli esegeti dicendo che
nella risurrezione di Gesù non è racchiuso soltanto il nostro futuro, ma anche quello di tutta
la creazione11.

1.1.6. Giudizio, parusia e dannazione12

Gesù è stato risuscitato dal padre (At 3,15) per la sua obbedienza sino alla morte di croce
(Fil 2,8-9). Altrettanto accade per l’uomo.
La sua salvezza viene da Dio che NT esprime con categoria di giudizio (opera di Dio Padre).
Si attua come partecipazione alla risurrezione di Gesù, realtà espressa in NT con categoria
di parusia (comunicazione della gloria di Cristo).
Chi non entra nelle promesse di tale risurrezione ( non accetta insegnamento di Gesù) non può
partecipare alla salvezza che NT definisce con la categoria della possibilità della
dannazione eterna (risposta dell’uomo).
a) Per NT come anche per AT l’essenza del giudizio si trova nell’esercizio della sovranità di
Dio sul mondo e proprio per questo comete solo a Dio e al Cristo (2 Cor 5,10) coinvolgendo
tutto e tutti (1Pt 4,5). Viene visto come un evento di grazia una «buona notizia» che Dio
giudica per salvare. Il giudizio è la vittoria di Dio e di Cristo sulle forze del male e il riscatto
dei credenti (Mt 13,41-43; At 3,26; 2Ts 1,7; 1Gv 4,17-18)
«41 Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori
di iniquità 42 e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. 43 Allora i giusti splenderanno
come il sole nel regno del Padre loro».
«17 Per questo l'amore ha raggiunto in noi la sua perfezione, perché abbiamo fiducia nel giorno del giudizio; perché
come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo. 18 Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia
il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore».

11
Cfr. MOSETTO F., Nuovo Cielo e Nuova Terra, in “Parole di vita” 31(1986) n. 5, 20-31
12
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 129-150
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 12

Usando il linguaggio del tribunale nel giudizio si procede svelando la verità che smascherà
la menzogna (1 Cor 3,13; 4,5) e discrimina (krinein, krisis) i giusti dagli ingiusti (Mt
13,30.47-49; 25,32-33.41.46). E questo processo comincia già ora (Gv 5,25; 12,31) perciò il
giudizio alla fine dei tempi include e corona una serie di altri giudizi cristologicamente
fondati la cui importanza è proporzionale all’incidenza di ciascuno sulla salvezza di tutti e
di ognuno (giudizio “già e non ancora” – es. esercizi spirituali, confessione generale ecc. )
b) La categoria della parusia (sig. presenza o arrivo) nel NT viene legato con l’avvento del
Regno di Dio e con l’evento di Cristo. L’idea viene espressa con termini «epifania» (2Ts
2,8; 1 Tm 6,14), «apokálupsis» (1Cor 1,7; 2Ts 1,7; 1Pt 7,13) o una traslazione della formula
«giorno di Jahvé» in «giorno del Signore» (1Ts 5,2; 2Ts 2,2; 1Cor 5,5). È una realtà sperate
e amata, invocata dai credenti «maràna tha, Signore nostro» (1Cor 16,22; Ap 22,20), senza
ignorare però il peccato che la può trasformare in «giorno dell’ira» (Rm 2,5).
Anche la parusia è soggetta a una progressione (schema ternario del NT): sia attua fin d’ora,
pur essendo già presente (eucaristia), punta a una compimento futuro (Cristo presente = Regno
presente, completato alla fine della storia ). Parlando di tempi brevi di questa realtà che avvenga,
bisogna tenere presente che la prossimità non è imminenza ma una traduzione, anticipazione
tramite i segni (realizzazione attuale) dell’eschaton finale. I segni della parusia13 elencati
(sette) come caratteristiche del Regno di Dio e la loro realizzazione sono criteri per calcolare
la vicinanza o meno della parusia.
c) Il giudizio inteso nel NT come salvezza richiede un libero assenso della creatura (Ap
3,20) se questo manca si cade nella dannazione, portatrice di un orrore che supera ogni
esperienza terrena di male e di dolore (Gv 3,36). Il peccato che è un rifiuto di Dio, se non
viene rinnegato porta alla sorte del malvagi e diventa condanna (Mt 13,30.47-49; 25.32-
33.41.46). E’ esatto contrario alla gloria e consiste nella distruzione del rapporto di amore
con Dio (1Cor 6,9-10) e col Cristo (Mt 7,23; 25,41; Lc 13, 27), la rottura della comunione
con gli uomini (Ap 22,15) e uno stato della morte permanente (Ap 2,11; 20,6.14; 21,8).
Unico dato comune con la glorificazione (salvezza) resta il punto capitale dell’irreversibilità
(Fil 3,19). NT in genere e insegnamento di Gesù nei Sinottici non ammette la possibilità di
una cambiamento nello stato di pena dei condannati.

1.1.7. Morte fisica14

Per tutto NT e specialmente per san Paolo la morte fisica è la conseguenza e castigo del
peccato (Rm 6,16.21.23; 7,5; 8,6.13; 1cor 15,56; Gv 8,21,24; 1Gv 5,16-17; Gc 1,15) tanto
che non si preoccupa a cogliere nell’universalità della morte la visibilità dell’universalità del
peccato (Rm 5,12; 1 Cor 15,21-22). Per questo rimane combattere sino alla fine (1 Cor
15,26). (1. Morte è la conseguenza del peccato ).
Il motivo centrale della «buona novella» del NT consiste nell’annunzio che l’obbedienza di
Gesù fino alla morte di croce ha cambiato volto della morte dalla «corruzione e simbolo
tangibile del peccato» in «passaggio alla vita, segno doloroso di salvezza» 15. La morte
diventa desiderabile (Fil 1,23) in quanto completamento dell’essere con Cristo (Fil 1,21; cfr.
13
Predicazione del vangelo al mondo intero (Mc 13,10); comparsa di falsi cristi e falsi profeti (Mc 13,22); dilagare
dell’iniquità (Mt 24,12) e diminuzione della fede (Lc 18,8); avverarsi di una grande apostasia (2TS 2,3); disastri
cosmici (Rm 8,18-23); manifestazione dell’anticristo (2Ts 2,3-12; 1Gv 2,18-22); conversione dei giudei (Rm 11,26).
14
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 150-160
15
Cfr. BORDONI M., Gesù di Nazaret Signore e Cristo, vol 3, Herder, Roma 1986, 143
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 13

Ap 14,13). E’ possibile deridere la more (1 Cor 15,55) purché si accolga nella propria
esistenza la morte di Cristo (1Cor 15,21; 2 Cor 4,11-12) annunciata alla cena eucaristica
(1Cor 11,26) dove ogni giorno si puà morire per Cristo (Rm 6,6; Col 3,9). ( 2. Morte è l’inizio di
tutto, grazie a Cristo, per coloro che si aprono a Lui ).
La terza considerazione da tenere fermo è quella si come la sorte eterna del Signore è stata
fissata dal coronamento della vita d’obbedienza attuato dalla morte in croce (Fil 2,8-9) così
anche l’esito finale degli uomini viene stabilito dalla convulsione realizzata dalla morte,
poiché «è stabilito che gli uomini muoiono una volta sola» (Eb 9,27) ( 3. Morte è la fissazione
della fisionomia di ciascuno).

1.1.8. Purificazione ultraterrena e condizione dei defunti 16

NT in diversi passi testifica la necessità del cammino di penitenza ma ci sono anche alcuni
passi postulano la realtà della purificazione ultraterrena, essi si presentano in tre categorie.
Prima di tutto si rileva la salvezza in valori perfetti che non tollerano vuoti o carenze, nella
Gerusalemme celeste non entra nulla i impuro (Ap 21,27), perciè bisogna essere perfetti
come il Padre celeste (Mt 5,48).
In secondo luogo si attesta che Dio non toglie di subire castigo della colpa, quindi si chiede
contributo personale di una espiazione dei propri peccati attraverso una penitenza coerente
(bisogna togliere resti del peccato) (Mt 3,8; Lc 3,8; 11,41; At 3,19-20; Rm 8,13; Ap 2,5).
Infine si afferma l’universalità del peccato nel mondo (Rm 3,4.9-10.20.23; 1Pt 4,17-18) con
l’esigenza di purificazione per tutti (tutti ne hanno bisogno).
Questa triplice rivelazione si mostra conciliabile con l’esperienza della incompletezza della
conversione compiuta nella vita terrena con apertura a qualcosa che colmi le lacune nel al di
là.
Sullo sfondo di questo contesto viene ben capito un passo in cui si evoca la presunta
consuetudine dei cristiani di Corinto di farsi battezza per i morti « perché Dio sia tutto in tutti.
29 Altrimenti, che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché
» (1Cor 15,29), un altro passo in cui si intercede presso Dio per un
si fanno battezzare per loro?
cristiano, che secondo vari indizi era morto (2Tm 1,16-18) « 16 Il Signore conceda misericordia alla
famiglia di Onesìforo, perché egli mi ha più volte confortato e non s'è vergognato delle mie catene; 17 anzi, venuto a
Roma, mi ha cercato con premura, finché mi ha trovato. 18 Gli conceda il Signore di trovare misericordia presso Dio in
quel giorno. E quanti servizi egli ha reso in Efeso, lo sai meglio di me » . E un terzo brano che parla
dell’efficacia dei predicatori della fede (1Cor 3,12-13) «12 E se, sopra questo fondamento, si
costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, 13 l'opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà
conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno».

Primi due testi convergono nell’attestare il coinvolgimento di certe azioni dei vivi a favore
dei defunti e il terzo brano è un richiamo al giudizio escatologico di Cristo con forte
significato purificatorio.
Per quanto riguarda la situazione del singolo defunto immediatamente dopo la morte
possiamo leggerla in alcuni passi più rilevanti: nel vangelo di Luca (Lc 12,16-21; 16,1-9;
16,19-319 parabola del ricco epulone; (Lc 23,43) promessa al buon ladrone; tre passi paolini
(1 Ts 4,13-19; 2Cor 5,1-10; Fil 1,21-23), e due pericopi pietrine (2 Pt 1,13-14; 1 Pt 3,19).

16
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 160-168
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 14

Di questi testi possiamo ricavare due conclusioni prima parla di una immediata unione con
Cristo dopo la morte e seconda ammette la centralità dell’essere in Cristo promesso per la
parusia. Rimane la questione aperta di uno stato intermedio di anime glorificate in attesa del
corpo escatologico.
Come anticipazione conviene notare che il dogma sul purgatorio afferma due fatti: 1) esiste tempo di
purificazione ultraterrena per coloro che non sono purificati totalmente, 2) vivi possono intercedere per i
defunti trovatisi in purgatorio.

Per la parte storica del dogma rimandiamo al testo base: GIORGIO GOZZELINO, Nell’attesa
della beata speranza. Saggio di escatologia cristiana, Leuman, Torino 1993, 169-293.
- Anche se non percorriamo l’iter storico, presentiamo un prospetto per trovare riferimenti
storici dei singoli elementi dell’insegnamento escatologico cattolico.

3. PUNTI FERMI DELLA TRADIZIONE17


1) La realtà della risurrezione della carene alla fine dei tempi.
La propongono il simbolo degli Apostoli (II secolo), il simbolo nicenocostantinopolitano
(381), Il simbolo «Quicumque» (V secolo), il Concilio Lateranense IV (1215), il Concilio di
Lione II (1274), La Costituzione «Benedictus Deus» (1336), e il Concilio Vaticano II
(LG48). I testi precisano che si tratta di un dato concernente in qualche modo anche gli
empi.
2) La centralità della risurrezione della carne e della vita eterna.
L'importanza della risurrezione si rende manifesta nella posizione di primato che le viene
attribuita dai documenti citati. Quella della vita eterna trova riscontro negli stessi testi, e
anche nel Concilio di Firenze (1439) e nel Concilio di Trento (1547). La stretta correlazione
dei due temi attesta implicitamente la differenza essenziale della risurrezione dei giusti dalla
risurrezione degli empi. (La carne risorge per la vita eterna; per gli empi non vita eterna ).
3) L’unità della risurrezione della carne con la parusia, il giudizio universale e la
palingenesi..
Rispetto al giudizio e alla parusia valgono i documenti già citati. L'asserzione della
palingenesi diventa esplicita nei testi del Vaticano II (LG 48; GS 39).
- 4) Il carattere cristologico della vita eterna(non esiste altra risurrezione se quella di Cristo ), la sua
eternità e la disparità dei gradi di gloria.
Il primo dato è sotteso all’asserzione della soprannaturalità della visione immediata di Dio,
sostenuta dal Concilio di Lione II, dal Concilio di Vienne (1312), dalla costituzione
«Benedictus Deus», dal Concilio di Firenze, dal Concilio di Trento, e dal Vaticano II (LG

17
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 169-293
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 15

48). Il secondo è palese in tutti i documenti che parlano del paradiso. Il terzo trova
espressione nel Concilio di Firenze e nel Concilio di Trento.
5) La realtà, eternità (irreversibilità) e disuguaglianza delle pene dell’inferno (gradi di gloria).
Ad eccezione del simbolo «Quicumque», i simboli della fede non menzionano la
dannazione; affermano tuttavia l'universalità del giudizio di Dio. L'asserzione diventa
esplicita nel Concilio Lateranense IV, nel Concilio di Lione I (1254), nel Concilio di Lione
II, nella costituzione «Benedictus Deus», nel Concilio di Firenze, nel Concilio di Trento e
nel Vaticano II (LG 48). (Esiste l’inferno ma non sappiamo se ci sono lì gli uomini, sappiamo che ci sono
angeli dannati = demoni).
6) La molteplicità degli aspetti della morte umana.
I documenti dichiarano che la morte fissa la sorte degli uomini in modo revocabile ( contro
reincarnazione, identità definitiva dell’uomo ) (Concilio di Lione II, Costituzione «Benedictus
Deus», Concilio di Firenze, Concilio Vaticano II), che essa consegue dal peccato e lo
visibilizza (un legame col peccato) (Concilio di Cartagine, del 418; Concilio di Orange, del
529; Concilio di Trento e Vaticano II); che essa è via di salvezza per coloro che sono uniti al
Signore (sorella morte, accesso alla casa del Padre in pienezza, “Dies natalis” ) (Vaticano II).
7) L’esistenza di una purificazione (come? non lo sappiamo) per chi è morto nella carità (non
nell’odio, “ si danna non chi pecca ma chi ama peccare” ) senza totalmente libero dal male; e di
un’intercessione efficace della Chiesa a suo favore. Sanciscono le due verità il Concilio di
Linone II, il Concilio di Firenze, Il Concilio di Trento e il Vaticano II (LG 49,50).
8) L’immediatezza della retribuzione essenziale dopo la morte.
Il Concilio di Lione II insegna che la sorte eterna dei defunti viene stabilita subito dopo la
morte, senza necessita di attendere la fine dei tempi. La costituzione «Benedictus Deus», il
Concilio di Firenze e il Vaticano II (LG 49) precisano che si tratta della sostanza della
retribuzione, ossia della visione beatifica per i giusti e dell’inferno per gli empi.

Appartengono sicuramente all'ambito degli elementi da intendere in senso puramente


metaforico i particolari biblici concernenti le modalità della risurrezione dei morti, del
giudizio universale, della parusia,.del paradiso e dell'inferno.

Sono oggetto di libera discussione l'idea che il paradiso, l’inferno e il purgatorio


costituiscano un luogo e non soltanto uno stato; l'idea che il fuoco dell'inferno e del
purgatorio vada inteso come realtà analoga al fuoco materiale di cui facciamo esperienza;
l'idea del limbo dei bambini morti senza battesimo; e le ipotesi concernenti la natura della
durata dello stato intermedio.
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 16

4. ESCATOLOGIA SISTEMATICA
Dalla ricchezza di dati escatologi reperiti dall’analisi della letteratura biblica e della
Tradizione della Chiesa, come premessa, bisogna notare tre gruppi di elementi che in modo
traversale toccano l’impostazione di una sintesi corretta e aperta dell’escatologia.
Si tratta della dimensione della 1) storicità, della dialettica tra 2) universale e individuale e
dei 3) contenuti specificamente cristiani dell’escatologia.
1) Nella parte protologica abbiamo visto che l’uomo è una creatura chiamata a costruire nel
tempo la propria definitività, ne consegue che anche il futuro assoluto viene determinato
dallo svolgimento della storia. Potremo dire che si incarna nella storia dalla quale germina.
Nel rapporto con la predestinazione è il compimento, dove la predestinazione è all’opera
anche il futuro assoluto è già presente in forma germinale. Il futuro assoluto fa la sua
comparsa con l’inizio della creazione, compiendo un salto qualitativo con la nascita
dell’umanità (nascita della coscienza) che è l’inaugurazione della storia come tale ( eschaton
nativo (preistoria), germina nel tempo che prepara l’incarnazione ( AT) (eschaton in gestazione), si
realizza in radice nella risurrezione di Gesù ( NT = pienezza dei tempi) (eschaton relizzato in radice),
si allarga agli uomini nel «tempo intermedio» (tempo della Chiesa) (eschaton comunicato), si
completa per i singoli con la morte ( eschaton completato) e si totalizza per tutti alla fine dei
tempi (eschaton totalizzato).
2) Stante la verità protologica che l’uomo è persona, e dunque unità di una piena
intersoggettività con un’irriducibile singolarità, va detto che il futuro assoluto coinvolge
tanto l’umanità e il mondo nel loro insieme quanto il singolo soggetto producendo
un’escatologia assieme universale e individuale ( ognuno è origina e irriproducibile, è in relazione
con gli altri – vive nel mondo coretto dagli altri uomini ). I temi come risurrezione, giudizio, parusia e
palingenesi riguardano sia l’umanità sia dei singoli. Anche la morte, la vita eterna e
dannazione sostanzialmente realizzate dai singoli hanno suo riflesso e compimento nella
dimensione universale – fine dell’umanità.
3) Il futuro assoluto dell’uomo e del mondo è l’oggetto della speranza cristiana cioè
dell’escatologia credente (eschaton18). Il contenuto (echata19) leggiamo nelle dimensioni
oggettive e precise che caratterizzano la risurrezione di Gesù, perché deriva interamente da
esso. L’annuncio escatologico non può esaurirsi nella anonima affermazione dell’esistenza
di un futuro assoluto generico e indeterminato (eschaton senza eschata della teologia
protestante) ma deve strutturarsi attorno ai temi che il NT ha prcisato con rigore nella
correlazione che il vincola vicendevolmente (eschaton negli eschata della teologia
cattolica).
Il contenuto (echaton) si descrive in quattro aree caratteristiche: 1. Realtà e identità: il
futuro assoluto esiste realmente come esito e meta di tutto ciò che è autenticamente umano
(tema della risurrezione della carne), dispone di una fisionomia precisa, mutata dalla
18
Letteralmente, il termine greco “eschaton”, forma neutra del superlativo greco “eschatos” (“estremo”), significa
semplicemente “ciò che sta al termine”, qualunque sia il contesto a cui si fa riferimento. Nel corso del tempo e in
particolare in periodi relativamente recenti, il sostantivo “eschaton” ha assunto, però, un significato più preciso e
determinato, venendo a definire la fine di tutto, il destino finale del mondo. Sull’analisi di questo peculiare aspetto del
“piano cosmico”, è sorta addirittura una specifica branca della filosofia e della teologia, che prende il nome di
“escatologia” (da “eschaton” + “logos” – “studio”), la cui definizione più generica risulta, conseguentemente, essere:
“lo studio che riguarda gli eventi finali della storia del mondo e del genere umano”.
19
éschata – il contenuto dell’éschaton
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 17

glorificazione di Gesù (tema della vita eterna), coinvolge tutto il creato (tema della
palingenesi). 2. Forza operativa: il futuro assoluto è messa in atto dalla potenza d’amore di
Dio Padre, che fonda e richiede la libera risposta della creatura (tema del giudizio), si
compie per Cristo, con Cristo, e in Cristo, datore dello Spirito (tema di parusia). 3. Rischi: Il
futuro assoluto esige la partecipazione d’amore della singola creatura con tale verità da
esporsi al rischio di un fallimento irrevocabile (tema della dannazione). 4. Elementi
periferici: Futuro assoluto si completa nei singoli con la conclusione della vita terrena di
ciascuno e nell’umanità con la cessazione della condizione viatrice (tema della morte fisica),
comporta in tele completamento l’integrale rimozione di quanto si frappone all’assoluta
comunione dell’uomo con Dio (tema del purgatorio), si totalizza unicamente al termine
della storia, comportando per ciò stesso una situazione di attesa attiva di defunti prima della
fine dei tempi (tema dello stato intermedio).

4.1. Risurrezione della carne20

Quando il cristiano, professando la propria fede dice: «Credo la risurrezione della carne»
pensa immediatamente all’uscita dei cadaveri dalle tombe, ma il senso di quella
proclamazione è molto più profondo. Infatti, risorgere (gr. eghéiro = sollevare, anástasis =
rinascere) vuol dire sollevarsi, rimettersi in piedi, e si tratta di una risurrezione della carene
che è risurrezione «dei morti». Occorre tenere conto che la morte costituisce il criterio di
distinzione del futuro assoluto dai futuri relativi (terreni) ed evento annunziato con il
linguaggio di risurrezione può essere disegnato anche con un altro linguaggio (per es.
elevazione). Poiché la morte inaugura il futuro assoluto, la risurrezione deve essere definita
in conformità a tale futuro e non soltanto o primariamente sulla riassunzione della materia
corporea.
La risurrezione degli uomini discende e dipende in tutto e per tutto dalla risurrezione di
Gesù e questa si esprime nel NT non solo con il linguaggio di risurrezione del prima o dopo
la morte (risurrezione) ma anche con linguaggio di elevazione dal basso verso l’alto
(esaltazione o ascensione) allora anche quando si tratta di ogni uomo bisogna tenere
presente questa dimensione di glorificazione.
La risurrezione di Gesù stabilisce la propria inconfondibile originalità, ciò che la distingue
dagli altri «segni» di risurrezioni della figlia di Giairo, del figlio della vedova di Naim e di
Lazzaro, dove abbiamo da fare con il rientro nella condizione terrena (rianimazione), invece
risurrezione di Gesù lo fa sedere alla destra del Padre nella definita della gloria.
Credere nella risurrezione della carne vuol dire che il futuro assoluto degli uomini esiste
realmente e che esso possiede i caratteri del futuro assoluto di Gesù, dal quale deriva. Ne
consegue la certezza che la vita umana ha un senso, un orientamento, una giustificazione,
una meta precisa, e il suo esito finale è un mondo di pienezza di vita ( credo nella risurrezione
della carne = credo che la vita è piena di senso ).
La risurrezione della carne rimane sempre una risurrezione «dei corpi» o risurrezione
corporale: interessando l’uomo nella sua totalità delle sue componenti, comprende la
corporeità. Il pericolo non sta nello svalutare la dimensione corporea della risurrezione

20
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 327-346
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 18

quanto piuttosto nella tendenza di ingrandirla o esclusivizzarla ( dopo risurrezione di Cristo c’è
sepolcro vuoto ma non solo questo ).

1.1.9. Terminologia della risurrezione

Troviamo anche diverse proposte terminologiche nel linguaggio di risurrezione. Si parla


della risurrezione della carne (più di corpi = totalità dell’uomo debole, fragile ) che insieme con
risurrezione degli uomini (tutti e totali) pongono l’accento sulla continuità del provvisorio
con definitivo, risurrezione dei morti (vittoria sulla morte) che enfatizza scacco supremo
costituito dalla morte, risurrezione dei corpi che ribalta la reintegrazione della materia che
in qualche modo dista dagli altri termini. Distinguendo allora la risurrezione della carne (dei
morti, degli uomini) dalla risurrezione dei corpi diremmo che essa include la risurrezione
dei corpi ma anche la deborda ( è più vasta), tanto vero che mentre la risurrezione dei corpi ha
luogo unicamente al termine della storia, la risurrezione della carne (morti, uomini) si trova
in fase di realizzazioni sin dagli albori della creazione.
Sempre bisogna tenere presente che la risurrezione di Gesù è la causa e il prototipo della
risurrezione degli uomini (Cristo Risorto è prova decisiva), allora bisogna ribadire il rifiuto della
utilizzazione indotta dal comprendere risurrezione della carne come solo risurrezione dei
corpi come se la risurrezione di Gesù si esaurisse nel fattore del sepolcro vuoto ( dove aspetto
glorioso?).

1.1.10. Varie fasi della risurrezione della carne

Come l’esaltazione (risurrezione) di Gesù è venuta maturando lungo l’arco della sua vita
terrena, con qualche speciale epifania (battesimo, trasfigurazione) per totalizzarsi alla fine
(ascensione) col coinvolgimento della glorificazione del corpo, cosi la risurrezione della
carne procede nella storia di tutti e di ciascuno e si totalizzerà alla fine dei tempi,
comportando la risurrezione dei corpi.
Al livello dell’umanità esistono una risurrezione nativa (comparsa del creato) e una in
gestazione (storia della salvezza AT), una risurrezione attuata in radice (quella personale di
Gesù, fondamento di tutte le altre) ( NT) e comunicata (nostra di tutti giorni che mangiamo
nell’eucaristia), una risurrezione realizzata con la morte e infine una risurrezione totalizzata
(che si estende anche alla materia) nella chiusura della storia.
A livello dei singoli, la risurrezione della carne comincia in germe con l’inizio della vita, è
efficacemente significata dal battesimo, si sviluppa lungo il corso della esistenza terrena col
sostegno dei sacramenti e in proporzione al apertura personale al Risorto, si completa nella
morte e si totalizza alla fine dei tempi.
Due livelli (umanità e singolo) si fondano in unità nell’«ultimo giorno» momento della
risurrezione per eccellenza.

1.1.11. Risurrezione degli empi

Il pensiero biblico e la tradizione ci insegnano che la risurrezione della carne è universale,


raggiunge non solo i giusti ma anche gli empi. La ragione di tale asserzione va cercata nel
legame nativo che congiunge indissolubilmente ogni uomo con Gesù (predestinazione a
Cristo, «esistenziale cristico») e tale legame può essere rinnegato ma non cancellato, allora
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 19

nessun uomo trova nella morte la fine del proprio esserci. In questo senso la vittoria di Gesù
sulla morte si mostra assoluta, indipendente dalla qualità della vita dell’uomo, e diventa non
fine ma l’inizio della definitività.
Come la risurrezione per eccellenza è solo quella di Cristo, così essa è il fatto di coloro che
sono con Lui e come Lui (la sostanza della risurrezione è solo nei giusti non nei empi ). Si può parlare
della risurrezione degli empi (coloro che non sono con Lui) ma in un senso derivato. Ci
sono elementi comuni: non perdono esistenza - eternità, ricuperano la loro materia (corpo).
Questi elementi giustificano uso del termine della risurrezione ma per tutto resto essa
costituisce sempre una risurrezione abortita (non raggiunge mai sua predestinazione piena
nella gloria).
In relazione dell’anima immortale che la fede della Chiesa professa come verità rivelata
bisogna ricordare che sempre è in una stretta correlazione d’unione con Cristo.
L’immortalità dell’anima con ciò che comporta (sopravivenza, ripresa del corpo)
rappresenta l’iscrizione nella struttura dell’uomo della destinazione definitiva in Cristo. La
ripresa del corpo esiste solamente nella glorificazione o nella dannazione che amebee due
sono cristologiche. L’immortalità dell’anima e la risurrezione della carne si integrano
reciprocamente come e perché il protologico si invera nell’escatologico.

1.1.12. Riassunzione – glorificazione della materia

Ci domandiamo con quale materia avrà luogo la risurrezione dei corpi alla fine della storia?
La tradizione della Chiesa insiste sull’identità non solo specifica ma anche numerica del
corpo escatologico con quello terreno (“proprio con quel corpo”). Come Cristo risorto è il Gesù
della storia glorificato così l’uomo risorto non è un'altra creatura messa al posto dell’uomo
viatore ma è questo uomo stesso (con tutta la storia di che parla corpo) entrato nella definitività.
Per garantire l’identità dei due corpi non occorre pensare a un ripescaggio delle cellule
biologiche del corpo terreno, basta l’adeguazione di una materia prima (autentica materia)
alla attuazione dello spirito umano perché tale materia diventi realmente il quel corpo ( lo
garantisce lo spirito = anima ) di quello spirito, e perciò l’identico corpo che si dissolse alla
morte, salva l’abissale deferenza indotta dalla definitività metastorica ( non appartiene alla
condizione terrena).
Per sapere la differenza dal corpo terrestre, come saranno i corpi risuscitati valgano richiami
formulati da san Paolo in 1Cor 15,35-5321 che si appella alla esemplarità della risurrezione
21
«35 Ma qualcuno dirà: «Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?». 36 Stolto! Ciò che tu semini non
prende vita, se prima non muore; 37 e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano
per esempio o di altro genere. 38 E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo. 39 Non
ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella
di pesci. 40 Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpi
terrestri. 41 Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella
infatti differisce da un'altra nello splendore. 42 Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge
incorruttibile; 43 si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; 44 si semina un
corpo animale, risorge un corpo spirituale. Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto
che 45 il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. 46 Non vi
fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. 47 Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il
secondo uomo viene dal cielo. 48 Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche
i celesti. 49 E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo
celeste. 50 Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è
corruttibile può ereditare l'incorruttibilità. 51 Ecco io vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti
saremo trasformati, 52 in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 20

Gesù. Saranno i corpi svincolati dai limiti del tempo ( durata temporale = terrena, durata diversa
esiste = Dio) e dello spazio (es. eucaristia, corpo/pane presenza reale ma non spazializzata ),
renderanno perfettamente visibile il reale valore della persona, ossia risulteranno splendidi,
in proporzione alla santità negli eletti, e orrendi negli dannati. Sicché ognuno avrà il corpo
che si merita.

4.2. La vita eterna22

«Credo la risurrezione della carne ( che è) la vita eterna. Amen». Queste parole fanno parte
della professione di fede della Chiesa, congiungendo la risurrezione con la vita eterna e
affermando che il futuro assoluto (vita eterna) non ha i tratti di un recipiente vuoto, pronto a
raccogliere qualsiasi contenuto (es. Islam: beni terreni sovrabbondanti: mangiare, bere, sesso ecc … ),
ma quelli di una realtà precisa. La speranza cristiana della risurrezione ha come oggetto la
vita che si totalizza nella glorificazione di Gesù.
Per disegnare il contenuto del futuro assoluto realizzato e totalizzato si usano diversi
termini. Basandosi sul linguaggio giovanneo si parla della vita e della vita eterna,
sottolineando sia la comunione con Dio che la vittoria sulla morte e sugli affanni della vita
terrena (in tal senso si usa l’espressione: «l’eterno riposo»). Alti termini esprimono diverse
dimensioni rilevando una sconfinata ricchezza umana servendosi sempre del linguaggio
immaginoso (gloria), politico (Regno), e spaziale (cielo). Beatitudine e salvezza esprimono
lo stesso in chiave psicologia ed esistenziale e il paradiso (parola di origine persiana che
significa giardino) richiama la felicità dell’adam genesiaco.
Secondo NT il paradiso ha avuto inizio con la risurrezione di Gesù che costruito il primo
fondamentale pezzo del cielo e attira a sé le creature della terra (Gv 12,32) per costruire gli
altri pezzi. Prima di quell’evento decisivo, i giusti defunti, pur essendo già salvati, attendono
ancora la loro retribuzione essenziale, che con l’ascensione del Signore poté diventare
immediata (cfr. Costituzione «Benedictus Deus») (Oggettivamente tutto è fatto ma
soggettivamente è da fare per ogni persona in purgatorio ).
Il paradiso è nato dalla storia di Gesù e continua a nascere per ciascuno, grazie a Gesù, dalla
storia di ciascuno (Vita eterna è la gloria di Cristo presente in me ). Esso si rapporta al nostro
mondo come il bimbo al feto nel grembo di mamma ( non dopo ma già nel feto ). Esso trascende
anche questa proporzione perché l’amore di dio conferisce, pur nell’ambito delle scelte di
ciascuno, assai più in quanto l’uomo meriti. Questo silenzio del trascendente viene
rintracciato dal sussurrio discreto dell’apertura al futuro a partire dal presente. Nei momenti
più intensamente gioiosi d’incontro con Dio, con i fratelli, con il mondo, filtra qualcosa
dello splendore della vita eterna (Gloria di cristiano è già presente sulla terra, grazie di Cristo, della sua
vita terrena, interpretata come vita di grazia ).
- Perché Dio non ci inserisce immediatamente nel cielo ma ci lascia nel travaglio della terra?
Innanzitutto il paradiso non è una stanza d’albergo che attende il cliente che ne fa la
prenotazione. Assomiglia piuttosto a un mosaico che via via si compone con l’aggiunta
progressiva di tessere sempre nuove, sino alla completezza: le tessere sono preparate in
morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. 53 È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di
incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità».
22
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 347-365
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 21

questa vita, la completezza ha luogo nella metastoria. Poi non si viene all’esistenza in
situazione di glorificazione (immediatamente in cielo) perché il cielo viene costruito da Dio in
e mediante la libera cooperazione degli uomini. Dio vuole dei figli ( che amano) e non degli
automi, perciò affida agli uomini la corresponsabilità d’amore. Coinvolge l’uomo
nell’acquisizione dei valori definitivi (l’assimilazione a Gesù Cristo nell’amore).

1.1.13. Componenti costitutive della vita eterna

Tenendo presente la reale continuità dell’aldiquà con l’aldilà, o della grazia con la gloria (o
della fede con la visone beatifica) le componenti costitutive della vita eterna sono le stesse
che definiscono l’identità ultima dell’uomo: a) la comunione d’amore con Dio per Cristo
nello Spirito; b) l’unità con i fratelli e con il mondo; c) l’autenticità dell’essere umano.
a) Il cielo è anzitutto sedersi dell’uomo per Cristo, con Cristo e in Cristo alla destra del
Padre. E’ un immediato rapporto cristologico e perciò trinitario che si stabilisce con Dio
Padre giustamente chiamato beatitudine essenziale (centrale) ed è così detta «visione
beatifica». Luogo unico di questo incontro beatificante è Gesù risorto e glorificato ma il
rapporto che il giusto tiene con lui non è più sacramentale («già e non ancora») ma
immediato e diretto. Il cielo è realizzazione totale della predestinazione in Cristo, la piena
comunione con Gesù, il partecipare del «nome» (gloria) che egli ha acquistato con la sua
morte e risurrezione.
b) Poiché la comunione di amore con Dio per Gesù nello Spirito esige e stabilisce l’unità
degli uomini tra di loro e con il mondo, il paradiso comporta pure la beatitudine accidentale
costruita dall’appartenenza al popolo di Dio escatologico, nell’integrazione del creato
rinnovato (palingenesi). Il Regno non può essere che sin-fonia, splendida musica, armonia
di una grande orchestra e coro23.
c) In forza di questi rapporti di comunione (col Padre per Cristo nello Spirito, con la Chiesa
divenuta Regno, con l’umanità e i singoli, con il cosmo) i «glorificati» completano la loro
verità umana, diventano nuove creature, si pongono al di là di ogni pena e sofferenza, si
stabiliscono irrevocabilmente nella gioia, la quale è amore appagato. Il paradiso, possiamo
dire, è la creazione giunta al settimo giorno, quando Dio può riposare perché la sua opera è
compiuta. L’uomo pienamente purificato e colmo di Dio diventa paradiso (non entra
semplicemente ma diviene, entra, nel mosaico del paradiso). Diventa paradiso l’uomo con
totalità di sé, spirito e corporeità, con la totalità degli esiti della vita terrena e secondo livello
d’amore raggiunto nel suo cammino.

1.1.14. Gradi di gloria, aureole

Nella dottrina di fede si parla anche della diversità dei gradi della gloria e della teoria
teologica (non dogma/dottrina) delle «aureole celesti». La glorificazione è tanto più intensa e
profonda quanto è più forte l’assimilazione a Gesù realizzata nella vita terrena. Sembra
chiaro che la gloria di chi visse mediocrità spirituale non può essere grande come quella di
chi si è consumato nella carità eroica. La gloria di Maria santissima supera quella di tutti gli
altri membri del popolo di Dio (Regina dei santi, prima di tutti).

23
Cfr. HANS URS VON BALTHASAR, L’amore è sinfonico, Jaca Book, Milano 1979
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 22

Una tradizione teologica ha parlato di speciale «aureole» da attribuire a speciali categorie


dei santi: vergini, martiri, dottori. Lo ha fatto per sottolineare le diverse partecipazioni alla
carità di Cristo, cioè si può dire diversi “carismi” o “vocazioni” che non si livellano neppure
in cielo (qui c’è in qualche modo motivazione del giardino salesiano nel paradiso – lo stampo che rimane ).
Nel cielo «ciascun beato avrà una bellezza sua, espressione non solo del diverso grado ma
anche della diversa forma d’amore che in terra avrà avuto per Dio» 24.

1.1.15. Dati complementari (dinamicità, importanza per il presente)

La vita eterna non costruisce solo una possibilità ma è già un’indiscutibile realtà. È vero che
non si conosce il numero dei glorificati ma, a differenza di quanto va detto dell’inferno,
sappiamo che il cielo è già realizzato non solo in Gesù, primogenito dei morti (Col1,18) ma
anche in Maria e nei santi. Canonizzazione è riconoscimento da parte della Chiesa, mossa
dallo Spirito, della loro glorificazione e diventano modelli di vita riuscita e presenze
salvifiche operanti nel mondo in unità col Signore Risorto.
La vita eterna è una situazione permanente, definitiva e irrevocabile che nasce dal
provvisorio della vita eterna (percorso storico) è senza ritorni.
Quanto al rapporto del cielo con Dio e con l’uomo bisogna dire che esso proviene dall’opera
congiunta di entrambi ma senza parità dei contributi. Chi fa tutto è Dio (« giudizio», facendo
fare, tutto = grazia preveniente e operante ), che in Gesù (« parusia») rende possibile anche la
risposta umana che esige. L’azione trascendente di Dio non si equipara a quella umana né si
addiziona di essa, ma la genera, la sostiene, e la porta a compimento ( fa fare). Vediamo allora
che il cielo è l’esito e il culmine delle «mirabilia Dei» in relazione alla creature ed è (anche
in grado subordinante) la celebrazione della saggezza dell’uomo che pone la sua fiducia in
Dio (tutto “lavoro” dell’uomo).
La definitività della gloria deve essere interpretata on in senso statico (noia eterna) ma in
senso dinamico in riferimento a Dio e in relazione alla vita terrena. Per quanto riguarda
riferimento a Dio significa che la visione di Dio non consiste in un possesso immobile, una
volta per sempre, ma un processo di scoperta sempre nuova fondato sull’inesauribilità di
Dio. Visione statica proposta da Seconda Scolastica viene accusata di proporre un ideale di
noia eterna25. La teologia più recente concepisce la gloria come un immergersi senza fine
nelle inesauribili ricchezze del mistero di Dio questo corrisponde meglio a quanto sappiamo
di Dio e dell’uomo. Il livello di comunione con Dio viene irrevocabilmente determinato dal
grado di gloria proprio di ciascuno, in rapporto alle scelte della vita terrena ( avrai la capacità di
ricezione di Dio come lo imparerai nella vita terrena ), ma Dio è tanto inesauribile (San Agostino)
che quando viene trovato è ancora tutto da trovare, perciò la stabilizzazione nella gloria è
solo la strada di una sempre nuova rivelazione di Dio.
Per quanto riguarda la vita terrena il carattere dinamico della gloria comporta un profondo
coinvolgimento dei santi del cielo nelle vicende della terra, sino alla fine dei tempi ( paradiso
non è una casa dei pensionati ). Questa visone giustifica la preghiera rivolta a loro intercessione,
nasce dall’unità dei glorificati con il Signore Risorto ( sono sempre con voi fino alla fine dei
tempi). La felicità eterna è amare come ama Dio ( santi hanno cuore di Cristo ). Partecipando alla

24
BIFFI G. (Card.), Linee di escatologia cristiana, Jaca Book, Milano 1984, 76
25
«Abbiamo rinunciato anche alle immagini di quel”cielo” in cui il Medioevo poneva le anime beate che si muovevano
intorno a Dio intonando delle cantiche e agitando fiaccamente delle palme, monotona attività di cui Cartesio temeva la
noia» in: FROSSARD A., Dio. Le domande dell’uomo, Piemme, Casale Monferrato. 1990, 195
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 23

condizione d’amore del Figlio fatto carene, il cuore dei santi riflette, pur nella pace perfetta
della autenticità finalmente realizzata, il coinvolgimento del cuore del Signore in tutti i
drammi del cuore degli uomini. Misteriosamente i santi del cielo amano, godono, sperano,
lottano, soffrono, offrono con i loro fratelli «viatori» tutto ciò che fa parte della vita terrena
(es. Madonna che piange = soffre con gli uomini ). E gli uomini in cammino sanno per fede di
essere accompagnati e sorretti dalla loro partecipe presenza ( Dinamismo glorificato è la
partecipazione alla dimensione del dinamismo trinitario descritto come processioni trinitarie: Padre ama
Figlio, Figlio ama Padre nello Spirito che è l’amore ).
Il paradiso non è un sogno alienante ma una realtà presente in germe (vita di grazia) nella vita
degli uomini aperti all’amore di Dio e del prossimo. È la giustificazione ultima della voglia
di vivere e di costruire, la ragione determinante dell’impegno di amare la terra, di assumere i
pesi e lavorare per renderla migliore. Il paradiso non è un luogo ma una situazione nuova,
inesauribile, inimmaginabile, irrevocabile e nasce dalla fedeltà ai compiti della terra ( grembo
del futuro assoluto). Il cielo rivela che i nostri sforzi di crescita non canno mai perduti, che
vale la pena vivere e di lottare per l’amore che in un mondo in cui l’odio e il male sembrano
avere l’ultima parola, che quando si combatte per il bene si possono perdere molte battaglie
ma non si perde la guerra. Questo è il messaggio del NT che è la buona novella del vangelo
perché annuncia la realtà del paradiso già in germe (guardo futuro per capire presente ).
Il paradiso è accessibile solo per la via di fede, cioè non attraverso l’evidenza di una visione
ma mediante l’adesione alla parola di Dio. Ma l’invisibilità del cielo, come quella del
Risorto (tra noi) è segno di una presenza diversa, non di nulla l’assenza.

1.1.16. Palingenesi26

Palingenesi è la parola greca che significa rigenerazione o nuova genesi. Disegna la


partecipazione dell’universo alla pasqua dell’umanità (l’uomo in tutte dimensioni, anche la
relazione con mondo, entra nella gloria di Cristo ) che è conseguenza della solidarietà costitutiva
dell’uomo con il cosmo.
Il mondo della nuova creazione atteso per la fine dei tempi è questo stesso mondo
trasfigurato e non un altro mondo. Perché l’uomo è solidale don questo mondo, non con un
altro; Cristo è creatore, salvatore e capro di questo mondo, non di un altro. La sua umanità
gloriosa, principio rinnovatore di tutta la materia, è biologicamente imparentata con questo
mondo e non con un altro.
Sulle modalità d’essere del mondo escatologico non sappiamo nulla di più in quando ci
viene concesso di dire sui corpi glorificati. Non v’è dubbio che si tratterà di un mondo
divenuto pienamente degno di uomini che sono veri figli di Dio ( sarà un mondo in armonia
perfetta con uomo e con Dio).
Non è possibile trarre dai testi che parlano di catastrofi cosmiche, riservate alla conclusione
della storia, indicazioni sensate riguardanti il tempio e il modo della fine del pianeta terra o

26
Il termine palingenesi (dal greco πάλιν-, "di nuovo" e γένεσις, génesis "emergenza, creazione, nascita" ovvero "che
nasce di nuovo") si ritrova nella filosofia stoica per indicare la rinascita dell'universo dopo la sua distruzione avvenuta
attraverso il fuoco ("ekpyrosis").
La concezione della palingenesi originava presso gli stoici da quella di apocatastasi indicante la ricostituzione di ogni
cosa creata alla fine della storia. Il concetto già usato nella letteratura ellenistica con significati diversi, venne ripreso
dallo stoicismo per designare la ciclica "restituzione" o "ristabilimento" del cosmo dopo la sua ricorrente distruzione.
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 24

dell’universo. Le enunciazioni bibliche sulla fine del mondo hanno autorità non come
enunciazioni scientifiche sulla fine dell’universo, bensì come testimonianza di fede sul
verso – dove dell’universo, che la scienza naturale non è in grado né di confermare né di
contrastare perciò bisogna rinunciare ogni abbinamento concorde ( fine del mondo di
fantascienza non si collega con la bibbia).

4.3. Giudizio di Dio e la parusia27 di Cristo28

In questo paragrafo vogliamo esaminare due concetti che in definitiva parlano della stessa
realtà con un’angolatura diversa. Si tratta di giudizio di Dio e della parusia che possiamo
descrivere come la forza operativa del futuro assoluto 29. I due termini designano due
dimensioni diverse e inseparabili (l’una teocentrico – trinitaria e l’altra cristocentrico –
pneumatologia) di un’identica realtà. Il giudizio divino è parusia perché Dio realizza il suo
regno in e mediante Gesù datore della Spirito. La parusia è giudizio divino perché il regno
instaurato da Gesù è il Regno di Dio attuato dalla forza di Dio ( se guardo da punto di vista del
Padre = giudizio; se da punto di vista Cristo = parusia ).
Dio Padre che ha risuscitato con la propria potenza il Cristo (Rm 10,9) con la stessa potenza
risuscita da morti gli uomini (il tema di giudizio), aprendolo in una verità, ossi nello Spirito
Santo, alla partecipazione della risurrezione di Gesù (tema della parusia).
Linfa vitale del futuro assoluto è l’amore onnipotente del Padre operante per Cristo nello
Spirito. Forza operativa del futuro assoluto è l’«azione» (gr. ενέργεια) della Santa Trinità ( Il
Padre salva mondo attraverso lo Spirito mediante il Figlio ) posta a livello degli uomini della verità
della incarnazione.

1.1.17. Significato del giudizio di Dio

In ebraico, il verbo «giudicare» viene dalla radice «spt» che significa non solo sottoporre a
giudizio o valutare ma anche governare e secondo l’insegnamento della Bibbia, il giudizio
di Dio consiste anzitutto e formalmente nel governo salvifico di Dio sul mondo, e dunque
nell’esercizio della signoria divina d’amore sull’uomo e sull’universo. Nella concezione
cristiana giudizio di Dio riveste una categoria della «buona novella» perché parla
dell’azione salvifica di Dio. Anche se giudizio di Dio può avere una valenza negativa letta
in senso di rovescio e la mistificazione, prodotta, unicamente dall’uomo, come realtà del
male, autentico giudizio di Dio resta sempre con la dimensione positiva. Per questo non può
essere letto nel clima di timore e dello spavento ma nella dimensione di gioia del giubilo e
della speranza.
L’azione giudicatrice divina è paragonabile all’azione vivificante del sangue nel corpo
umano o della linfa nel tronco di un albero, deve essere attesa, desiderata, invocata e poi

27
La parusia è il termine di origine greca, e deriva dal termine παρουσία, parousía, che significa "presenza". La parusia
è la venuta del Signore Gesù glorificato, con potenza e gloria, alla fine dei tempi.
28
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 367-390
29
(forza di Dio = giudizio; partecipazione alla risurrezione = parusia)
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 25

recepita con grande gaudio e profonda riconoscenza (“… venga il Tuo Regno …“ – preghiera =
richiesta, invocazione dl giudizio di Dio, insegnata da Gesù ).
La reggenza salvifica di Dio è chiamata «giudizio» per il fatto di compiersi nella rigorosa
applicazione del principio di verità e giustizia secondo il quale a ciascuno è assegnato ciò
che a ognuno è dovuto. In altre parole a ciascuno viene consegnato, secondo la
predestinazione in Cristo, anzitutto l’amore divino più intenso possibile (= salvezza) e poi la
discriminazione o separazione delle componenti positive o costruttive di un uomo dalle sue
connotazioni negative o distruttive. L’immagine biblica che descrive bene il giudizio di Dio
è quella del fuoco che decanta l’oro, lo separa dalle scorie e lo purifica dalla ganga.

1.1.18. Diversi stati del giudizio

Nonostante che giudizio di Dio è rivolto unicamente alla salvezza può essere piegato alla
condanna quando viene meno la risposta del soggetto umano al gesto salvifico di Dio. La
ragione di questa tragica possibilità sta nel fatto che la signoria salvifica del Padre mira non
ad accantonare o a rimpiazzare, bensì a suscitare e abilitare per cui risulta assolutamente
indispensabile il consenso creaturale. Quando tale consenso non viene prestato, il giudizio
divino diventa principio di discriminazione (krisis) e la speranza cede il passo al timore e
allo spavento (Dies ireae). Questa situazione viene causata dalla infinita incompatibilità
della santità di Dio con il peccato perciò è prodotta unicamente dalla stoltezza dell’uomo.
Nella teologia più recente a volte si vuole risaltare che nell’eterogiudizio esercitato da Dio è
incorporato una decisiva componente di autogiudizio esercitato dall’uomo. Si rileva però la
deferenza esistente tra giudizio divino di salvezza (giudizio autentico) e giudizio divino di
condanna (giudizio fatto abortire dall’uomo) facendo vedere che l’aspetto divino e umano
prendono le connotazioni inverse. Mentre nel giudizio autentico la dominante è data
dall’eterogiudizio salvifico di Dio, nel giudizio falso, questa dominante proviene
dall’autogiudizio distruttivo dell’uomo (il paradiso fa Dio con assenso dell’uomo invece l’inferno lo fa
uomo da solo).
Parlando sul giudizio nel registro del rapporto causa ed effetto si usa formula del giudizio
pronunciato dall’uomo per disegnare la concreta situazione di ognuno di fronte a Dio (merito
o “dimerito”), invece usando il concetto nel registro della presa di coscienza si intende per
giudizio la rivelazione a se stessi di ciò che ciascuno realmente è (l’esame di coscienza).
Comprendendo il significato del giudizio di Dio come la signoria salvifica del Padre si vede
che esso contrassegna la storia della salvezza. Sono esercizio del giudizio divino i singoli
momenti della vita di ogni uomo, gli eventi grandi e piccoli della storia dei popoli e delle
nazioni, le tappe salenti o meno dell’umanità. Sono tali i fatti salvifici eminenti (kairói) che
l’AT chiamo «giorno di Jahvé» e il NT «giorno del Signore». Questi veterotestamentarii
sono visti come la preparazione alla «pienezza dei tempi» costituita dall’avvento del Cristo.
La vicenda storica di Gesù è il punto centrale del giudizio determinante di Dio sulla storia in
quanto giustificazione e coronamento di quanti lo hanno preceduti e preparati in vista di un
giorno finale destinato a totalizzare le promesse escatologiche di Dio nella chiusura dei
secoli (tutto è compiuto in Cristo e sarà tutto compiuto e completato alla fine dei tempi ).
Grazie questa dimensione la tradizione cristiana conosce e propone non un solo giudizio ma
una molteplicità di giudizi graduata e gerarchizzata. Al livello della vita dei singoli sono
giudizio di Dio ciascuno degli istanti che la compongono con «giudizio particolare» al
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 26

momento della morte e «universale» alla fine dei tempi. A livello della vita del Popolo
Eletto (Israele) e nuovo popolo di Dio (Chiesa) sono state giudizio le vicende del popolo
ebraico e gli eventi del tempo intermedio (per es. fondazione della Congregazione religiosa,
periodo della guida di un santo papa, ecc.) inaugurato con la risurrezione e ascensione di
Cristo fino alla cessazione della storia. Al livello dell’umanità entra nella realtà del giudizio
di Dio intera diacronia della vicenda umana con punti salenti della storia fino alla fine dei
tempi. Tutti i tre livelli (singolo, Popolo di Dio e l’umanità) pur distinguendosi fanno
l’unità. Tutti si fondano su Gesù Cristo e convergono sul «giudizio universale» configurato
come giudizio per eccellenza.
L’asserzione della molteplicità dei giudizi divini e soprattutto la chiarificazione dei suoi
motivi liberano la contestata dottrina del «giudizio particolare» dalla obiezione dell’essere la
proposizione di un inutile doppione del giudizio universale. Se ogni evento umano,
costituisce un giudizio e nessuno è reso superfluo dagli altri, tanto meno può esserlo la
conclusione della vita. In realtà ci sono almeno due evidenti deferenze tra giudizio
particolare (individuale) e definitivo. Prima di tutto si tratta di un giudizio nascosto che non
permette alla realtà di affermarsi apertamente e universalmente (perché giudizio globale
continua fino alla fine dei tempi) e poi perché con la morte la verità dell’uomo sia definiva
però essa sarà una verità nuova quando ogni colpa del mondo sarà cancellata, cioè quando
tutte le realtà del mondo saranno definite e sarà assegnato all’uomo il suo posto definitivo
nel tutto (anche dimensione corporea e ricapitolatrice del cosmo in Cristo ).
La teologia giovannea da la luce a cosi detta «escatologia realizzata» che descrive il
giudizio di ogni momento comprendendo ogni atto meritorio come giudizio di salvezza e
ogni peccato come parallelo nefasto giudizio di condanna mostrando che la correlazione
giudizio di Dio e opzione fondamentale dell’uomo non è altra cosa dalla correlazione
iniziativa divina di salvezza e risposta umana di fede (giudizio = l’opera di Dio in me).
Nell’ambito del giudizio di ogni momento fanno un ruolo particolare, i sacramenti.
Pensando alla loro importanza per lo sviluppo e il consolidamento dell’opzione
fondamentale è facile cogliere l’intimo legame che li lega al giudizio di Dio, in quanto
mediazione eminente dell’azione salvifica di Dio «i sacramenti ci giudicano». In quanto
strumento richiesto dalla condizione viatrice, essi non vanno oltre la conclusione del
giudizio, al livello di escatologia individuale sono aboliti dal giudizio particolare e al livello
di escatologia universale sono soppressi dal giudizio universale.
Per quanto riguarda i criteri di discernimento operati dal giudizio di Dio per separare il bene
dal male nell’insegnamento biblico troviamo due registri. Secondo San Giovanni tutto si
decide sulla presa di posizione di fronte a Gesù, sull’accoglierlo o respingerlo (Gv 12,46-
48)30 o sul binomio fede o incredulità. Secondo san Matteo tutto dipende dalla pratica della
carità fraterna (Mt 25,31-46)31 o sul binomio amore oblativo o egoismo. A prima vista la
30
«46 Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 47 Se qualcuno
ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per
salvare il mondo. 48 Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo
condannerà nell'ultimo giorno».
31
«31 Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. 32 E
saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai
capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra:
Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché
io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete
ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37 Allora i giusti gli
risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 27

doppia indicazione sembra alternativa e invece deve dirsi pienamente complementare. La


prova della fede nel Signore consiste, infatti, nell’obbedire al suo mandato d’amore
vicendevole. La fede e carità fraterna costruiscono l’attuazione dei comandamenti
dell’amore di Dio e del prossimo e ne riproducono l’inseparabilità. E dunque «la possibilità
di essere riconosciuti nel giudizio dal Cristo futuro (Signore della parusia) dipende dal
riconoscere già ora il Cristo presente nei fratelli»32.
Nei testi biblici come pure nella tradizione della Chiesa si fa riferimento al giudizio di Dio
tramite linguaggio specifico molto spesso di tipo forense (giudiziario). Si parla della
riunione di tutte le genti al suono della tromba, di comparsa dei segni speciali, del tribunale
di Dio ecc. Naturalmente si tratta di espressioni simboliche da non tenere alla lettera ma non
da sottovalutare perché essi ci danno possibilità di meditare significati degli eventi.
Com’è accaduto per Cristo nella risurrezione, è certo che col giudizio universale la
menzogna cederà l’ultima parola alla verità, il vero valore della vita di ogni uomo diventa
paese a tutti, cadrà ogni maschera, si rompe il velo delle apparenze che rende menzognera la
figura di questo mondo33, la realtà di Gesù vero Cristo, giustificazione e cardine dell’intero
universo e della storia, s’imporrà a tutti. E anche sicuro che con la morte la verità dell’uomo
sarà definitiva. (La differenza di quello che si vede da quello che è veramente, per es. il peccatore lodato
dagli uomini e il santo non viene né anche notato ).
Tutto che esiste: le tradizioni, le istituzioni e le autorità sia politiche che religiose hanno un
carattere provvisorio, la realizzazione del senso della vita e un compimento della storia
dell’umanità si avranno nell’incontro con le realtà rivelate da Dio, così che le ambiguità
della vita e tutto negativo vengono superati in modo definitivo soltanto da Dio.

1.1.19. Parusia del Risorto datore dello Spirito

Come abbiamo già detto nella parte biblica «parusia» è un termine greco che deriva da
«pareimi» e significa: sono presente, arrivo. Allora possiamo vedere che significa tanto
presenza (il «già») quanto arrivo (il «non ancora») in rapporto a persone, cose e avvenimenti.
Nell’ellenismo era usato per i personaggi ed eventi importanti (momento di festa).
Nel NT designa l’avvento glorioso del Cristo alla fine dei tempi ( un momento coronante). Il
termine viene affiancato ad altri tre termini: il giorno del Signore, epifania e apocalisse.

dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti
abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni
volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. (…) 46 E se ne
andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».
32
RUIZ DE LA PEÑA J. L., L’altra dimensione. Escatologia cristiana, Borla, Roma 1981, 184
33
«Il nostro mondo è caratterizzato da una quasi totale discordanza tra i valori reali e la loro esterna apparenza, sicché
non è di solito possibile assegnare agli uomini e alle cose il giusto prezzo che hanno in faccia a Dio. Questa discordanza
ha raggiunto il grado sommo, – e ne è stata condannata – al momento dell’uccisione del Figlio di Dio, quando colui che
era la nostra sessa “giustizia, santità, redenzione” (1 Cor 1,30), “è stato annoverato tra i malfattori” (Is 53,2).
L’esecuzione di Gesù fuori delle porte di Gerusalemme, cioè “fuori della vigna” che era la sua eredità (cfr. Mc 12,8),
raffigura e avvera la sconfitta di Dio, che oggi appare come estromesso dal mondo che è suo. Dio è sconfitto, e non
tanto dall’uomo che pecca quando dall’uomo che peccando, appare bello, forte, felice, soddisfatto; mentre colui che,
tentando di conformarsi alla volontà del Padre, incontra la derisione, la sofferenza, la morte, è associato al mistero della
sconfitta del suo Creatore. Il momento del giudizio è appunto il fine di questo stato irrazionale e blasfemo» ( BIFFI G.,
Linee di escatologia cristiana, Jaca Book, Milano 1984, 37).
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 28

Il giorno del Signore nasce dalla trasposizione cristologia della formula veterotestamentaria
«giorno di Jahvé» con alcuni varianti: il giorno di Nostro Signore Gesù Cristo, giorno di
Gesù, il giorno ecc.
L’epifania compare nelle lettere pastorali riferendosi alla prima venuta di Gesù
nell’incarnazione e alla venuta finale nella consumazione dei secoli.
L’«apocalisse» è la paraola che sottolinea l’aspetto della manifestazione.
Il soggetto della parusia (o dei termini paralleli) è sempre Gesù Cristo.
Come abbiamo visto con i componenti del futuro assoluto anche la parusia ( giudizio con la
sottolineatura cristologica) si scala sulla terna del passato, presente e futuro: il Signore che è già
venuto, viene e verrà. La Chiesa lo acclama con Marana-tha che può significare
l’affermazione «Signore viene» o l’invocazione «vieni Signore».
Come dice J. Ratzinger, riemerge in questa compresenza «l’intreccio dell’adesso e del poi
che caratterizza il presente del cristianesimo e la proiezione nel futuro. La detronizzazione
degli elementi del mondo è già avvenuta: il sole, la luna e le stelle sono già impallidite (cfr.
Gal 4,334; Col 2,835), e tuttavia tutto ciò dovrà ancora accadere; la tromba della Parola
chiama già ora a raccolta gli uomini, e tuttavia lo dovrà ancora fare in futuro; ogni
Eucaristia (parusia di Cristo) fa aumentare il desiderio che egli riveli il suo splendore
nascosto»36.
Si come intera creazione esiste in forza e in vista di Gesù Cristo allora tutta la storia del
mondo è anche la storia della parusia. Il primo momento creativo del mondo (del cosmo,
della realtà esistente, atomo primordiale, ecc.) è già una comparsa in abbozzo di Gesù, il
Signore ha cominciato in germe a esserci e a venire, e si è realizzato il primo momento della
parusia (inizio della creazione = prima parusia ). Dopo tutto ciò che ha preceduto l’incarnazione è
stato «forma futuri» (Rm 5,14)37 (profezia del futuro), l’incarnazione ha costituito il centro
della storia, il resto rispettivamente il suo antefatto e il suo completamento ( l’incarnazione =
parusia centrale).
Nel linguaggio teologico si parla delle due parusie primarie, notando una certa progressione
di essa, raccolte intorno due momenti chiave della storia di salvezza. La prima che segna il
compimento della redenzione oggettiva, la venuta del Signore nella umiliazione e nel
nascondimento (incarnazione) e seconda la redenzione soggettiva, l’avvento del Signore
nella gloria e potenza della fine dei tempi. La prima ha caratteri dell’infrastoria segnata dal
peccato, la seconda quelli della metastoria sigillata dallo Spirito Santo. Perciò professiamo
nel simbolo di fede che Gesù verrà di nuovo nella gloria e quest’ultima venuta nella quale lo
Spirito renderà piena giustizia alla presa di assolutezza divina di Gesù (Gv 16,8-11 38) viene
intesa ed esaltata come la parusia per eccellenza.
Non si dovrebbe parlare di «ritorno» ma esclusivamente di presenza e venuta, nel senso chi
una totalizzazione di entrambe. Perché Gesù non ha mai cessato sia di essere presente sia di
venire. Il termine «ritorno» può servire solo a dire che con la parusia ( ultima, per eccellenza)
34
3 Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo.
35
8 Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli
elementi del mondo e non secondo Cristo.
36
RATZINGER J., BENEDETTO XVI, Escatologia, Morte e vita eterna, Cittadella Editrice, Assisi 1979, Ed.3 2008, 203
37
14 la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a
quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
38
8 E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio…
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 29

verrà ristabilita (questa volta in modo definitivo) l’equiparazione della condizione di Gesù
con la condizione degli uomini che già si ebbe in termini di provvisorietà terrena, quando
egli visse “da viatore tra i viatori”( prima: uomo e Gesù sullo stesso piano – viatirce; dopo: uomo e
Gesù sullo stesso piano – glorioso; Gesù Risorto lo è già - noi lo saremo ).
I credenti annunciano la morte del Signore proclamano la sua risurrezione nell’attesa della
beata speranza della sua venuta. Interpretano la parusia come avvenimento sommamente
gioioso che sancisce la loro liberazione dal mal; la preparano con il distacco dal mondo: e la
affrettano con la preghiera (il contrario, peccato - ritarda, impedisce).
Questo atteggiamento di attesa influisce sul impegno del cristiano nel mondo terreno perché
«la disponibilità dell’attesa è in se qualcosa che trasforma, e il mondo è un latro a seconda
che la sua attesa è ricolta al nulla (laico, ateo) o è diretta verso Colui che esso riconosce nei
suoi segni»39.

4.4. Il rischio del fallimento del singolo 40

Il mistero più cupo e coinvolgente della fede che propone la rivelazione è la possibilità reale
di un fallimento irreversibile del destino dell’uomo. Questa verità scomoda sia per i credenti
sia per non credenti, non può essere respinta senza compromettere integrità del messaggio
cristiano. Come abbiamo visto nella parte biblica, per NT la possibilità di una
stabilizzazione nel male, ossia dell’inferno, esiste realmente e può avere un carattere
definitivo cioè dell’inferno eterno.
La dannazione (inferno) costituisce il punto di arrivo del peccato, precisamente come la
gloria del cielo corona l’itinerario della grazia. Dannazione e glorificazione sono due
situazioni specularmente opposte e qualificate alla reciproca esclusione, come accade per la
coppia morte e vita. Guardando la seconda si comprende meglio anche la prima.
Poiché il peccato comporta la rottura con Dio, il distacco da Gesù, il rigetto del prossimo,
l’assolutizzazione dell’io, la distorsione dei valori della vita e la utilizzazione radicale
dell’uomo, l’inferno sospende in modo irreparabile i rapporti fondanti dell’uomo, quelli con
Dio nel Cristo e con le creature, causando il disfacimento dell’uomo. Vediamo allora che
l’inferno totalizza il peccato.
L’inferno poi, possiamo descrivere come il rovescio del paradiso. Come la sostanza della
glorificazione consiste nell’unione beatificante dell’uomo con Dio Padre per Cristo nello
Spirito, chiamata «beatitudine essenziale», accompagnata dagli altri beni chiamati
«beatitudine accidentale», così simmetricamente sul registro inverso, la sostanza della
dannazione si adempie nella pena detta «del danno» che consiste nella separazione dal
Padre, da Gesù e dallo Spirito (orizzonte verticale) e causa le pene derivate dette «del senso».
La prima distrugge l’identità originale dell’uomo e la sua predestinazione in Cristo, invece
quelle del senso sono intese come inflitte dall’esterno, considerate nella tradizione come
pena del fuoco (immagine), che è espressione della perenne frustrazione che i valori creati
(falsamente assolutizzati) inducono sul dannato (pena del senso = con le creature che sentiamo e
non con Dio che non sentiamo, dimensione orizzontale non verticale ).

39
RATZINGER J., (BENEDETTO XVI), Escatologia, Morte e vita eterna, Cittadella Editrice, Assisi 1979, Ed.3 2008, 201
40
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 392-418
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 30

1.1.20. Il senso dell’annunzio e la sostanza del dogma sull’inferno

La situazione del fallimento che Bibbia simboleggia con immagini di morte, abominio e
disperazione ha un obiettivo fondamentale tipicamente «performativo» con lo scopo di
suscitare la volontà di lotta, qui e ora, con tutte le forze, contro il peccato.
Il parallelismo a rovescio tra inferno e paradiso ci permette leggere la rivelazione
sull’inferno ma anche fa notare un’asimmetria dei due e la disuguaglianza del loro statuto
ontologico.
Poiché Dio è totalmente ed esclusivamente amore, che vuole la salvezza e crea per il
conseguimento della pienezza di vita, poiché la predestinazione di tutti gli uomini all’unità
del Cristo è destinazione previa alla massima autenticazione della creatura, salvezza e
dannazione non possono collocarsi sullo stesso piano come due possibilità indifferenziate di
un unico cammino. Mentre il cielo è ciò che Dio vuole, l’inferno è la possibilità contro la
quale Egli combatte sino all’estremo limite della sua onnipotenza cioè la libertà dell’uomo
che può rifiutare l’opera d’amore di Dio. La rivelazione della possibilità della dannazione
allora va intesa non come una fredda e neutra informazione su uno dei due sbocchi aperti
dell’avventura della vita ma come un allarme riguardante il pericolo da evitare, o nemico
(peccato, satana) da combattere. Comporta la proclamazione appassionata di una lotta contro
ciò che non deve assolutamente succedere, contro il rischio che bisogna fronteggiare a costo
di qualsiasi sacrificio (tagliarsi la mano, cavare l’occhio ecc. Mt 18,8-9), nella speranza
della salvezza di tutti gli uomini senza illudersi che realizzazione fedele delle promesse
prescinde dall’assenso attivo della libertà umana (si salvano coloro che si lasciano salvare).
La dottrina di dannazione punta a illustrare non tanto la dannazione stessa quanto piuttosto
l’assoluta necessità di opporsi al peccato e di aderire alla persona e al messaggio di Gesù.
Da punto di vista antropologico è un annuncio dell’immensa gravità del peccato come unico
male in assoluto e radice di ogni altro male che può causare un arresto della realizzazione
piena dell’uomo (a che cosa porta il peccato) e dall’altro verso quello cristologico, è la
proclamazione dell’indispensabilità di Gesù per la vita nello Spirito e per la librazione dal
peccato (ecco quanto è essenziale mantenersi fedeli al Signore, nella preghiera e nella
pratica perseverante del Vangelo).
A differenza della gloria dei santi nel cielo, non esiste alcuna autentificazione della Chiesa a
riguardo della dannazione di qualcuno (“canonizzazione” dei dannati), dunque la fede nella
esistenza reale dell’inferno eterno riguarda qualcosa di effettivamente realizzato solo in
relazione dei demoni e in caso degli uomini si ammette solo la possibilità della dannazione e
niente altro. Nessuno può dire se l’inferno si sia realizzato in questo o quel’altro uomo o in
qualunque uomo, si possono formulare i timori giustificati dal modo distruttivo in cui è stata
gestita una vita, ma le scelte reali della singola libertà umana sono conosciute e chiare solo
da parte di Dio (io non posso leggere le intenzioni profonde dell’uomo, sapere della sua conversione lo sa
Dio). Anche nel caso di Giuda, di cui Mt (26,24) dice che sarebbe stato meglio se non fosse
mai nato, si deplora la sua condotta, ma non parla della sorte ultima di quell’uomo, perché la
Scrittura si rivolge alla nostra vigilanza e non alla nostra curiosità. La sola certezza si
impone a riguardo intrinseca continuazione del peccato con la dannazione che obbliga a
ciascuno dire: se non mi lascio liberare dal peccato, divento certamente l’inferno.
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 31

1.1.21. La dannazione in relazione con Dio e con l’uomo

Comprendendo la dannazione come una dimensione ultima del male, definitiva ed eterna,
nasce la domanda come conciliare questa dimensione non voluta da Dio con il suo progetto
di salvezza di tutti gli uomini e poi guardandola come frutto del peccato di uomo viene
difficile immaginare come l’uomo è capace di così tanta cooperazione al male.
Prima di tutto bisogna capire che Dio permette la dannazione per lo stesso motivo per cui
permette il peccato, del quale essa è il frutto. Lo fa per amore della libertà, che consente
all’uomo di non essere il prodotto esclusivo dell’opera divina, quindi una sorta di automa,
ma un vero figlio (essere fecondo, capace di amare) di Dio Padre. Affidando la definizione finale
di una creatura alla sua corresponsabilità, il padre le conferisce quando possiede di più
distintivo, la capacità di fecondità (quello che definisce il Padre) e così lo introduce
realmente «in casa sua» (fa partecipare alla sua vita divina ) a pieno titolo filiale (casa di fecondità =
dell’amore donato).
L’amore si propone e non s’impone. L’autenticità dell’amore di Dio è tale che non esiste
rischio, anche nel caso della negativa risposta dell’uomo, che Egli smettesse di amarlo. Dio
ama l’uomo in tal punto di permettere di dannarsi proprio perché ama in modo figliale
(libero) come proposta e attesa della risposta feconda.
La dannazione è causata dall’uomo, voluto da Dio come un figlio libero (per amare). Il
nocciolo della libertà creaturale sta nel potere di decidere del volto che la definirà per
l’eternità. Rispetto all’inferno, il Padre ha la responsabilità di aver voluto un cielo di figli
anziché di automi, scelta che ha comportato il prezzo altissimo del rischio della dannazione,
ma di rischio si tratta e non di necessità, di rischio che Dio combatte sino al sacrificio del
suo Figlio unigenito.
Per quanto riguarda l’uomo e la sua “capacità” di operare il male si come è realmente libero
allora risulta per ciò stesso realmente capace di concludere in un fallimento eterno. Per
quanto il peccato non è entri nella definizione della libertà (è sempre costruttiva) e anzi ne
sia la progressiva soppressione (rifiuto, distruzione), la libertà non può definirsi come scelta
affidata alla propria responsabilità se esclude in assoluto il rifiuto dei progetti di amore di
Dio. La possibilità dell’indurimento nei confronti di Dio esiste veramente, lo prova, al di là,
di ogni discussione, l’esistenza del peccato, perché nel peccato l’inferno è presente in
radice. Pero bisogna tenere presente che di per se ogni peccato mortale merita l’inferno,
questo si potrebbe dire, ma non significa che lo causi immediatamente, bensì solo
contribuisce autenticamente a produrlo.
Non si diventa l’inferno di sorpresa, come si scivola su una buccia di banana, ma attraverso
un crescente processo d’indurimento (consumazione dell’opzione fondamentale per Dio).
Non si perde chi fa il peccato ma chi ama farlo. ( Non un peccato porta all’infermo ma opzione
fondamentale per il male, costruita dai singoli atti - porta all’inferno ). Tuttavia quando questa
debolezza non viene curata, è segno che la colpa comincia ad essere ammessa e giustificata
(coscienza distorta), ossia che subentra la malizia e l’orrido amore del male ( ribaltamento totale
dell’opzione fondamentale).
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 32

1.1.22. Caratteristiche della dannazione eterna

L’aspetto più difficile da accettare nella rivelazione dell’inferno è indubbiamente quello


della sua eternità e irreversibilità.
La Scrittura lo afferma esplicitamente ponendola sullo stesso piano dell’eternità del cielo.
La teologia riconosce che tutto fa capo al potere della libertà di darsi, aprendosi o
chiudendosi a Dio, l’identità che definirà l’uomo per sempre.
La dannazione è eterna per il fatto che l’autentica libertà viatrice, o libero arbitrio, è il
potere del definito, e cioè ha veramente la capacità non solo di una irrevocabile accoglienza
ma anche di un rievocabile rifiuto di Dio. La libertà esiste in forza dell’amore di Dio che
vuole un paradiso non imposto ma proposto.
Se ci domandiamo perché i dannati non si convertono? Nella risposta occorre ricordare che
la responsabilità sulla definizione di sé, che Dio affida alla creatura è talmente seria da
comportare la trasformazione della creatura in essere di verità o di menzogna. L’uomo
quando opta per la menzogna volontaria detta a se stessi che è il peccato, consente alla
menzogna di diventare elemento portante della sua identità al punto da resistere a qualsiasi
evidenza contraria (chi sceglie menzogna diventa menzogna). «Chiunque commette il peccato» si
fa «schiavo del peccato» (Gv 8,34). I dannati continua a mentire se stesso e a restare ciechi
nonostante ogni evidenza, questa situazione è già constatabile nell’ambito del peccato. Il
Padre non converte i peccati perché essi, definiti come sono dal rifiuto di Dio, non si
lasciano né si lasceranno mai convertire, sotto pena di cessare di essere se stessi.
Qualcuno potrebbe insistere perché Padre nel suo amore potrebbe annichilare i dannati ma
questo significherebbe violare la sua libertà, non accettando la scelta che egli ha voluto fare
di sé. Dio per amore crea la libertà, e poiché la verità della libertà richiede che la scelta
dell’uomo venga in ogni caso rispettata, egli la rispetta totalmente. L’idea
dell’annientamento dell’inferno è una soluzione di comodo, di chi ritiene la vita, un gioco,
frontalmente opposta alla rivelazione della serietà dell’esistenza terrena messa in luce dalla
croce di Cristo.
La dannazione eterna non è causata da una colpa, un peccato momentaneo perché l’uomo
non si esaurisce in un singolo atto ma si definisce nell’arco dell’intera durate della svita
terrena e l’eternità si proporziona nella dimensione della grandezza del male con la opzione
fondamentale consumata (dannazione è il frutto dell’opzione fondamentale ).
L’inferno, come il cielo, va inteso non come luogo ma come stato. E’ vero che il termine
latino «inferus» o «infernus» da cui la parola «inferno» significa propriamente ciò che in
basso, al di sotto (espressione: scendere negli inferi) e suppone una localizzazione. Ma si
tratta di una espressione figurata, proveniente dalla cosmologia antica, e intesa a dire cha la
perdizione è rovina suprema ed estrema distanza da Dio. La fine dei tempi comporterà la
riassunzione della materia nella risurrezione ma ricordiamoci che la definitività trascende i
limiti del tempo e dello spazio (materia glorificata non ha bisogno dello spazio es. eucaristia = corpo di
Cristo è glorificato oltre dimensioni terrene, l’ostia è il segno sacramentale che viene localizzato nello spazio
e tempo).
L’idea della materialità del fuoco dell’inferno ha conosciuto nella storia una notevole
elaborazione e consenso teologico perciò non è facile diminuire suo significato solo alla
dimensione psicologica (ipotesi di Origene41) in senso metaforico. Questa idea oltre di
41
Cfr. G. GOZZELINO, Nell’attesa della beata speranza. Saggio di escatologia cristiana, o. c. , 182-183
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 33

esprimere il concetto suggerito dall’esperienza dell’incenerimento dei rifiuti (Gv 15.6 42) di
un totale fallimento della vita, questa immagine disegna la realtà della pena positiva chiama
pena del senso, causata dalla distorsione del rapporto che il dannato intrattiene da una parte
con Dio (in questo caso si tratterebbe del fuoco del giudizio di Dio, simile all’effetto che la
luce solare produce su un occhio malato – “brucia”), e dall’altra con il prossimo, con il
mondo e con se stesso. Per questo secondo aspetto, di un collegamento della pena di fuoco
con la pena del senso, rimane importante la spiegazione di san Tommaso sul fuoco come
«alligatio» (lat. = essere legati) o «materializzazione dell’essere razionale per una specie di
inversione di rapporta tra lo spirito (l’uomo razionalità) e materia» (chi assolutizza la materia
diventa materia, si materializza, sottomette ad essa lo spirito ).
Ci si chiede se esiste un’ira di Dio nei confronto dei dannati. La testimonianza biblica lo
conferma però è da tenere presente «che la collera di Dio è soltanto la sua allergia fantastica
di fronte a ciò che produce in noi la morte. Non ha niente a che vedere con un sentimento
divino che bisognerebbe divinamente sedare (calmare, placare: sedare il dolore; sedare la rabbia;),
quasi che la croce ed il sangue di Cristo fosse questo mezzo sovraumano a gratuito per
“calmare” Dio. Dio è amore e la sua collera è unicamente la sua incompatibilità assoluta con
ciò che ci distrugge»43. Si tratta dell’amore di Dio misericordioso percepito dal peccatore.
«Il peccatore è, per definizione, colui che non ama Dio: l’amore di Dio non è che
contraddizione per lui, e siccome è forte e ardente, è contraddizione brutale e cocente» 44.
La gioia perfetta di Dio e dei santi sembra inconciliabile con la presenza di eventuali
dannati a meno di pensare che il loro amore per essi si sia tramutato in ripulsa ( respinta
rifiuto). Né Dio, né beati possono amare la menzogna, allora in questo senso i dannati
vengono “cancellati dal loro cuore” ( non li amano più). Ma nei dannati rimane sempre il
valore del legame nativo con il Cristo che giustifica il loro stesso esserci, e poi l’amore di
Dio non conosce pentimenti45. Sembra inevitabile ammettere che la dannazione proietti
un’ombra incancellabile anche sulla gioia perfetta del cielo.
Non è possibile percepire, però, in quale modo le due realtà (della gioia e della tristezza di
Dio e dei salvati riescono a conciliarsi (per capire questo dovremmo riuscirci capire l’amore perfetto
di dio che l’uomo non è capace di comprendere perché il creatore è Dio e non “io” ), ma non è lecito
dedurre da questa situazione l’impossibilità della dannazione, che infatti, si è già realizzata,
suscitando un identico problema, nel caso dei demoni (esiste l’inferno perché esistono i demoni).

42
6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo
bruciano.
43
MARLET G., L’aldilà ritrovato. Una cristologia dei novissimi. Queriniana, Brescia 1977, 87
44
CONGAR Y. M. J., La mia parrocchia vasto mondo, Paoline, Roma 19652, 117
45
«Bisogna prendere sul serio mistero dell’amore di Dio per la sua creatura. Dio ci ha amati e non ci può più
dimenticare. Niente potrebbe strapparci al suo amore senza ferirlo. Ed è ciò che fa intravedere il senso tragico della
dannazione. Il dannato non è colui che Dio guarda come un giudice severo, che si irrita e condanna. Lo sguardo che si
posa sul dannato è lo sguardo d’amore su di una persona vivente che gli appartiene, che dovrebbe essere con lui, preso
nella sua unità, e che si è separato. Chiunque rompe così il legame dell’amore lo mutila, gli toglie qualcosa di
insostituibile. Giacché ciascuno è amato di un amore personale. Il legame che Dio ha intrecciato con noi è un legame
indefettibile. Noi non saremo mai più per lui come degli estranei» LEFEBURE G., L’enfer, mystère d’amour, in: “Vie
Spirituelle”, Paris, 45(1963) n. 490, 47
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 34

4.5. La morte46

Dopo aver visto i temi propri di escatologia in senso pieno (risurrezione, vita eterna,
giudizio e parusia) cioè quelli che hanno la dimensione d’eternità, con questo tema entriamo
nella seconda parte della nostra materia, vedendo le questioni che appartengono al futuro
assoluto solo in maniera reattiva, perché sono destinate a passare e come tali non sono
definitive (morte, purgatorio, stato intermedio).

1.1.23. L’evento universale e permanente della morte

La morte fisica è una inaugurazione della definitività. E’ un passaggio immediato dell’uomo


alla situazione finale in Cristo oppure detto in altre parole: il momento del completamento
della opzione fondamentale che definisce l’uomo per l’eternità in quanto conclusione della
situazione viatrice in cui tale opzione si realizza. Con la morte fisica, l’uomo diventa
«defunto» ossia congedato, lascia il grembo della madre terra per entrare nella definitività, a
punto che la morte in Cristo (autentica realizzazione del senso ultimo della morte) viene
chiamato «dies natalis» giorno della nascita (per il cielo, per la definitività, per gloria).
La morte del singolo inaugura immediatamente, senza attendere la fine dei tempi, la
sostanza della glorificazione (o disgraziatamente della dannazione) questo è il dogma di
fede, ma il fatto che la scomparsa dell’umanità ( fine del mondo, dei tempi) non coincide con la
morte del singolo suscita il problema dello stato intermedio (che vediamo più avanti).
Un’affermazione fondamentale esaltata in modo particolare dalla teologia scolastica
proclama universalità della morte fisica, tutti gli uomini devono morire. Questa
affermazione sottolinea tre fatti preziosi: 1) la condizione terrena è intrinsecamente
provvisoria, destinata a passare, 2) la morte fisica è contrassegnata dal peccato, perché tutti
sono peccatori allora tutti muoiono, 3) la morte è la massima rivelazione della struttura di
dipendenza che definisce l’uomo (non riesce superare la morte allora non è auto dipendente,
autonomo).
Cominciare a vivere vuol dire cominciare a morire (morte è già presente nell’atto di nascita), la
morte fa tutt’uno col processo biologico di dissolvimento della materia che si protrae per
tutta la vita, si visibilizza specialmente nella malattia e si conclude nel decesso. La morte
rivela la provvisorietà e la fragilità dell’uomo, lo mette di fronte a un bivio di «scelta di
accettare la struttura “amore” o struttura “ potere”»47. La prima scelta riconosce l’Amore che
si è donato per l’uomo nella redenzione. La seconda si illude di redimersi con le proprie
forze ma «più l’uomo confida in se stesso, più confida nel nulla, più si rende schiavo del
nulla e si consegna al nulla»48, mentre se accetta ogni giorno dalla mani di Dio «la morte che
durante l’intera esistenza è sempre presente, l’uomo opta per la vita vera, per la vita
eterna»49.
Il carattere conclusivo e determinate della morte ha indotto alcuni teologi del secolo XX
(Glorieux P., Mersch E., Winklofer A., Boros L.,) a elaborare una ipotesi detta opzione
finale nel momento della morte secondo la quale l’istante della morte comporterebbe una
illuminazione spirituale tale da permettere di completare la propria opzione fondamentale
46
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 419-448
47
RATZINGER J., (BENEDETTO XVI), Escatologia, Morte e vita eterna, Cittadella Editrice, Assisi 1979, Ed.3 2008, 105
48
Ibid, 106
49
Ibid, 104
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 35

per il Signore o contro di lui in piena liberta e verità. Questa ipostesi offre buoni vantaggi:
lega in modo diretto le scelte categoriali del quotidiano con l’esito eterno inaugurato dalla
morte, dà la soluzione alla questione dei bambini morti senza battesimo e l’altro ancora, ma
non ha il fondamento biblico né sostegno della tradizione ecclesiale, e svaluta l’esercizio
della libertà, compiuto nel corso della vita, per cui ultimamente si trova in declino.

1.1.24. Il peccato e la morte

L’insegnamento biblico ripeso dalla tradizione della Chiesa concorda nel ravvisare un
rapporto di causalità tra peccato e la morte fisica. Ma è certo anche che l’assenza del
peccato non comporta il restare per sempre in vita in questo mondo. Un Adam innocente
avrebbe concluso la vita terrena per passare alla definitività, come tutti, perché un tale
transito è richiesto non dal peccato ma dalla logica della libertà ( costruzione dell’uomo).
L’uomo “viatore” è in costruzione e nessuna costruzione ha senso se non arriva a
concludersi (vita è un cantiere che produce l’effetto/frutto nel momento della morte )50. E’ altrettanto
sicuro che la morte avrebbe avuto caratteri diversi, ma su questo abbiamo diverse le
interpretazioni che siano le opinioni teologiche.
1) Una posizione ritiene che il passaggio all’eternità effettuato nella innocenza si sarebbe
compiuto non nella separazione del corpo dall’anima, con conseguente produzione del
cadavere (= morte rottura), ma nella trasposizione nella gloria di tutto l’uomo anima e
corpo, senza divisioni (= morte trasformazione). Perciò la morte fisica sarebbe stata
percepita come evento gioioso e desiderabile anziché odioso e temibile ( sarebbe la morte senza
decesso (cadavere) come un evento gioioso).
2) La posizione teologica più recente pensa invece che il peccato non introduca un nuovo
tipo di morte organica altrimenti assente, ma che l’assenza del peccato le avrebbe conferito
la fisionomia diversa di un evento gioioso (= morte trasformazione) anziché lacerante (=
morte rottura) (in ogni caso si tratta del decesso – diversa maniera di interpretazione – gioiosa ).
Le due visioni concordano nel ritenere che «questa morte, o più precisamente il fatto che
sperimentiamo la morte in questo modo, è conseguenza del peccato »51e ciò è quanto si
impone all’assenso di fede. Divergono invece nell’intendere l’impatto del peccato sulla
morte biologica che infatti, a giudizio della prima versione viene alterata intrinsecamente
(un’azione miracolosa), mentre a parer della seconda rimane invariata.
Noi sembra da preferire la seconda soluzione, non perché è pi moderna, ma per la ragione
che non esaspera la deferenza tra la condizione previa al peccato (= stato della giustizia
originale) e la nostra; e non fa del miracolo, ossia della morte trasformazione intesa quale
scavalcamento della naturale degradazione della materia organica, una legge perenne della
vita, concludendo nella pratica svalutazione della realtà creaturale in quanto tale. (La
questione rimane aperta).

50
«Come una nave imposta in cantiere non viene allestita per restarvi bensì per scendere nel mare, la sua destinazione
propria, così l’uomo è posto nel grembo della madre terra non per rimanervi ma per lasciarsi abilitare alla comunione
meta terrena con Dio per la quale è stato creato» (GOZZELINO G. Nell’attesa della beata speranza …, 429)
51
NOCKE F. J. Escatologia, Queriniana, Brescia 1984, 110
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 36

1.1.25. La morte in Cristo

Perché il vero futuro assoluto è quello della glorificazione in Gesù Cristo, l’unica morte
autenticamente umana è quella che il luogo nel passaggio (pasqua) attuato in, per e con Lui.
«La mortalità dell’uomo storico è cristologicamente determinata. Il suo morire è di diritto
un morire in Cristo»52.
Ciò significa che muore umanamente solo chi muore nel nome del Signore, comunque
questo avvenga (anche i pagani). L’uomo che muore nel distacco da Gesù fa violenza alla
propria morte, perché lascia che il peccato la tramuti da transito nella vita eterna in caduta
nella dannazione (morte snaturata).
La morte dell’empio risulta intrinsecamente diversa dalla morte del giusto, può risultare
anche che quella dell’empio si consumi in un clima di cinica tranquillità invece del giusto
può avvenire in un clima di angoscia e sofferenza ( ricordiamoci che questo è l’agonia perché la
morte come tale non si vede) ma solo questa è realmente umana, perché salvifica.
La morte poi non è solo un accadimento passivo che si subisce, ma anche un evento attivo
che si prepara con le scelte nella esistenza concreate di ogni giorno, qui sta motivazione
della «mortificazione» (da lat. «mortem facere») e dell’«esercizio della buona morte» e
anche della prospettiva che spinge al credente a chiede di essere liberati dalla morte
improvvisa per poter prepararsi e associare il proprio morire alla morte salvifica di Gesù.
La morte non costruisce mani un fatto solitario, ma viene sempre avvolta dalla presenza del
Signore (simboleggiata efficacemente dal viatico) ed è accompagnata dalla preghiera di
intercessione della Chiesa, tanto che può morire abbandonato unicamente chi abbandona
Dio (Dio non abbandona se non in quanto è abbandonato ).
La liturgia dei defunti esprime bene il doppio sentimento che accompagna la morte del
dolore e della gioia. Il dolore e la tristezza è prodotto dalla separazione dalle persone amate,
dalla perdita di rapporti famigliari e rassicuranti dell’esistenza terrena, dal timore
dell’inedito (non sperimentato) e dell’irrevocabile e anche dalla possibilità del fallimento.
La gioia, ringraziamento e perfino la letizia sono dovute alla coscienza di fede che la morte
in Cristo significa no affatto la fine, ma l’inizio di tutto.

1.1.26. Separazione del corpo dall’anima

La morte fisica, come lo verifica esperienza, avviene nel momento quando il corpo supera la
soglia di tolleranza della degradazione, avviata sin dal primo istante della vita. La tradizione
cristiana in conformità a tal esperienza, interpreta la morte come separazione del corpo
dall’anima53, dovuta all’incapacità del corpo, determinata dal corrompersi della materia, di
continuare a esistere per l’appunto come corpo, ossi come materia attuata dallo spirito.
Questa dottrina di fede oggi viene criticata ( ingiustamente) sul piano della filosofia dal
materialismo e sul piano teologico dal pensiero protestante e di alcuni teologi cattolici che
52
MOIOLI G. L’escatologia cristiana. Proposta sistematica, Fac. Teol. dell’Italia Sett., Milano 1979, 230
53
E non, propriamente, dell’anima dal corpo, giacché «non si muore perché l’anima abbandona il corpo. Si muore
perché non esistono più le condizioni necessarie per la vita corporea. Il corpo abbandona l’anima e la lascia
liberamente. Non è l’anima che abbandona il corpo come una abitazione vuota, ma p il corpo che viene meno al servizio
dell’anima. Non è la partenza dell’anima che rende impossibile soccorrere il corpo, ma è il fallimento del corpo stesso
che pone fine alla vita. L’anima non può suonare sullo strumento spezzato» (RATZINGER J. Teologia della morte, in ID.,
Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia 1974, 235-236)
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 37

accusando l’incompatibilità del dualismo (anima e corpo) con la concezione biblica,


preferiscono la concezione della «morte totale» (ted. Ganztod) secondo la quale nella morte
perisce (muore, finisce) tutto l’uomo (sia corpo sia spirito).
Prima di tutto la dottrina cattolica di separazione del corpo dall’anima è accusata di
dualismo platonico e giustamente la sua d’incompatibilità con l’antropologia biblica. Però,
questa critica suppone che la visione unitaria dell’uomo professata dalla bibbia escluda una
parallela asserzione della sua complessità, mentre è sicuramente vero il contrario (come
abbiamo visto nella parte protologica: cap. L’uomo unità dei diversi).
La seconda critica ritiene che la dottrina di separazione riduce la realtà della morte a un suo
elemento secondario, fondando idea che la risurrezione dei morti consista nella semplice
ricostruzione dell’unità dell’anima col corpo. Bisogna però notare che questo è un semplice
pericolo che si può e deve evitare.
Il terzo rimprovero consiste nel banalizzare il dramma della morte col limitare la sua presa
al corpo e sottrarle l’essere personale dell’uomo. Questo potrebbe accadere solo se si
professa un dualismo anima e corpo di tipo cartesiano, nella concezione unitaria propria
della dottrina tomasina dell’anima forma del corpo, il corpo suppone l’anima ( due comprincipi
inseparabili), per cui la sua dissoluzione investe integralmente, pur senza poterlo sopprimere,
anche lo spirito, coinvolgendo drammaticamente la totalità dell’uomo ( corpo senza spirito cessa
di essere corpo e diventa cadavere ).
L’accusa più evidente è quella di connivenza col naturalismo, in quanto affiancherebbe
all’unico tipo di morte di fatto esistente (quella indotta dal peccato e riscattata dal Cristo)
una modalità di morte puramente naturale s sostanzialmente neutra che svaluta il riferimento
a Cristo. Ma non si tiene conto del fatto che il dato creaturale sta al dato cristico come la
parte sta al tutto, per cui si dà non l’affiancamento di due tipi di more, bensì l’inclusione di
un aspetto parziale della morte (cioè la separazione del corpo dall’anima) nel suo significato
globale54.
Accentando l’idea della «morte totale», volendo contrastare un presunto dualismo, si finisce
con l’introducendo un altro più reale e disastroso dualismo, quello tra vita terrena e vita
ricreata nella risurrezione che comporta una certa sostituzione di persona.
Se si ammette che muoia tutto l’uomo allora: - cade ogni possibilità di stabilire una
continuità intrinseca, una reale unità, tra la storia e metastoria, con conseguente necessità di
ammettere che il soggetto «ricreato» sia un altro rispetto a quello raggiunto dalla morte
(cioè rimpiazzato da un altro), - si svuota allora di motivazione l’impegno nel temporale, - si
accetta la concezione luterana della irreversibile corruzione intrinseca dell’uomo peccatore
che si oppone alla dottrina della giustificazione.
Riteniamo quindi che l’interpretazione della morte, pur non potendo ridursi a quanto viene
esposto dalla formula della separazione del corpo dall’anima, non sia in grado di
prescindere.

54
La dottrina della separazione «cerca di rendere conto della esperienza immediata: se il corpo non è più animato, se va
verso la sua degradazione, esso non rappresenta più la persona come tale. Questa però non è annientata, ma rimane
vivente. L’anima è intesa qua nel senso biblico della parola, ossia non è una parte dell’uomo accanto al corpo, ma è il
principio vitale dell’uomo intero, o, in termini moderni, è il suo io, il suo sé, il centro della sua persona. In definitiva, la
separazione dell’anima dal corpo significa che i defunti rimangono dei viventi» (SESBOÜÉ B. Dopo la vita. Il credente e
le realtà ultime, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, 1992, 95)
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 38

Con la morte fisica si legano anche i temi del mito di reincarnazione 55, il dilemma d’inumazione e/o
incenerimento56, e la questione delle reliquie 57, che possono essere studiate a piacimento.

4.6. Purificazione nella metastoria (purgatorio) 58

Un aspetto del dato di fede riguardante la purificazione metastorica ( oltre la storia = vita
terranea) che non manca mai di impressionare è la sua estrema sobrietà. Ricordiamo che
rivelazione biblica non da una spiegazione diretta e anche la storia di teologia non elabora i
grandi trattati a riguardo. La sintesi dogmatica nasce nel contesto di voler conciliare la
visione della chiesa orientale e occidentale (Concilio di Lione II [1274] e Concilio di
Firenze [1439]) e poi ultima elaborazione nell’apologetica contro protestantismo (Concilio
di Trento59 [1547]).

1.1.27. La sostanza del dogma

Il dogma si limita a insegnare che il rapporto con Gesù «può avere una dimensione
purificatrice che prolunga in qualche modo la metànoia della vita ante mortem, cui è
solidale tutta la comunità cristiana, in quanto luogo della remissione dei peccati ( comunità di
Chiesa rimette i peccati, non oltre ).
Il discorso risulta privo degli elementi descrittivi e di analisi curiose: non abbiamo elementi
né quanto al luogo né quanto al tempo né quanto alle modalità dell’incontro purificatrice.
Neppure si tratta di situazione inquadrabile tra la situazione escatologica di salvezza e quella
di dannazione (non è un terzo stato, ma una anticamera ). E’ piuttosto un “momento” del processo
salvifico, cioè della comunione escatologica con Cristo»60.
La sostanza della dottrina di fede si riduce infatti a due asserti.
1) Siccome la vita eterna richiede un’assimilazione a Gesù che sia totale, gli uomini morti
nella comunione con lui, ma non del tutto liberi dall’egoismo ( resti del peccato), soggiacciono
a una purificazione che li terge ( pulisce) da ogni contaminazione peccaminosa. Per essere
uniti a Dio in una comunità di vita bisogna che noi siamo solo amore, come lui stesso è solo
amore, perché il futuro assoluto autentico deve essere integro nell’amore. Dio e il peccato
sono irreducibilmente incompatibili e per questo il futuro assoluto manifesta la fondatezza
della distinzione della colpa dalla pena, in quanto «mette a nudo la differenza tra la scelta di
fondo dell’uomo e la penetrazione, tuttora non avvenuta, di questa scelta in tutta la sua
persona»61(la pena è il completamento dell’accettazione del perdono del peccato, una traccia da
“eliminare”).

55
GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 424-426
56
GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 446-447
57
GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 447-448
58
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 448-465
59
«Illuminata dallo Spirito Santo, attingendo dalla Sacra Scrittura e dell’antica tradizione dei Padri, la Chiesa cattolica
ha insegnato nei sacri Concili e in ultimo in questa assemblea plenaria: esiste un “luogo di purificazione” (purgatorium)
e le anime ivi trattenute trovano aiuto nelle intercessioni dei credenti, ma soprattutto nel sacrificio dell’altare a Dio
accetto» (DS 1820)
60
MOIOLI G. L’escatologia cristiana. Proposta sistematica, o.c., 159
61
RATZINGER J., (BENEDETTO XVI), Escatologia, Morte e vita eterna, o.c., 226
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 39

2) Nel processo di purificazione hanno una parte importante, le preghiere e i sacrifici della
chiesa e di chi ancora vive nella condizione terrena, ossia i cosiddetti «suffragi 62», tra i quali
eccelle la celebrazione eucaristica. Questa dichiarazione documenta la straordinaria
profondità della «communio sanctorum» dei santi e delle realtà sante, partecipazione dei
beni salvifici tra i discepoli del Signore. Essa dimostra che «l’uomo non è mai solamente se
stesso, o meglio, egli è se stesso soltanto negli altri, con gli altri e mediante gli altri» 63. La
ricapitolazione nell’amore è il centro della fede sul futuro infinito «e la dottrina del
purgatorio conferma che per questo amore non esiste il confine della morte. Per il cristiano,
le possibilità di aiutare e di donare non si estinguono con l’amore, ma coinvolgono l’intera
communio sanctorum, al di qua coma al di là della soglia della morte»64.
Di per sé l’attestazione di fede sancisce soltanto il coinvolgimento dei vivi nel beneficio dei
defunti, ma la devozione alle anime del purgatorio sostiene il movimento reciproco65.
I teologi della scolastica non lo riconoscevano, ma basandosi sula certezza che la
comunione delle cose sante tra i santi si fonda sul far capo a Gesù risorto, principio
universale di unità, allora giustamente lo affermiamo. L’orientamento del Vaticano II lo
conferma (LG 5066). (se noi vivi, peccatori, lo possiamo - perché i glorificati non potrebbero farlo ).
(Indulgenza = soddisfazione (problema della recezione del perdono) = fare abbastanza per ricevere il
perdono. Una riduzione del tipo di penitenza perché soddisfazione ritenuta sufficiente a causa del tesoro
della Chiesa, un legame più forte con i santi, partecipazione forte alla solidarietà con i santi, ricorre ai meriti
della Chiesa (santi) per aprirsi meglio a Cristo Dio, punto culmine di quest’apertura a Cristo è l’eucaristia, per
questo così eccellente nei suffragi).

1.1.1. Descrizioni del purgatorio e le questioni particolari

Il purgatorio si definisce direttamente come situazione di purificazione (quello che il male ha


lasciato dentro di me), o di abolizione delle colpe veniali e dei resti del peccato; e realizza una
condizione di espiazione, o di bilanciamento dei fermenti di male ( del male lasciato all’esterno
dal male mio) lasciati nel mondo terreno mediante fermenti più grandi di bene attuali dalla
purificazione. Tanto la purificazione quanto l’espiazione sono processi di completamento
della vittoria sul male che non avvengono senza sofferenza e il sentimento di pena e dolore
(vincere male comporta sofferenza). Naturalmente l’atmosfera propria del purgatorio è quella
della gioia, perché esso non è uno stato intermedio tra dannazione e glorificazione ma
appartiene, come anticamera, o ultima condizione previa, alla sfera della beatitudine celeste.
Affinché l’amore sia consumato, bisogna che l’egoismo venga disfatto e l’essere strappati
da se è la dì sofferenza medesima. Gaudio e pena dunque formano un unico insieme nel

62
«Suffragio» è il termine che viene dal latino «sub-frangere», che significa votare per, dare il proprio consenso
a(mediante qualcosa di «infranto» ad es. un coccio) e dunque riferirsi ad altro da se (come si verifica nel vescovo detto
«suffraganeo» perché legato a un metropolita (ausiliare).
63
RATZINGER J., (BENEDETTO XVI), Escatologia, Morte e vita eterna, o.c., 231
64
RATZINGER J., (BENEDETTO XVI), Escatologia, Morte e vita eterna, o.c., 232
65
Suffragi = opera mia per gli altri; indulgenze = altri fanno per me (es. santi). Indulgenze = fare sconti (condannare)
66
«50. La Chiesa di coloro che camminano sulla terra, riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il corpo
mistico di Gesù Cristo, fino dai primi tempi della religione cristiana coltivò con grande pietà la memoria dei defunti e,
«poiché santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti [cfr. parecchie iscrizioni nelle Catacombe romane] perché
siano assolti dai peccati», ha offerto per loro anche suffragi. Che gli apostoli e i martiri di Cristo, i quali con l'effusione
del loro sangue diedero la suprema testimonianza della fede e della carità, siano con noi strettamente uniti in Cristo, la
Chiesa lo ha sempre creduto; li ha venerati con particolare affetto insieme con la beata vergine Maria e i santi angeli e
ha piamente implorato il soccorso della loro intercessione … ».
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 40

quale gioia prevale largamente sulla sofferenza perché i defunti in purificazione sono dei
salvati ( = gaudio) in catarsi ( = pena). (gioia di soffrire).
La purificazione può essere definita come “sofferenza per il compimento”. Essa è
beatificante perché libera e perfezione, ed è insieme dolorosa perché svincola dalle scorie
del peccato che sono diventate parte dell’io.
Sarebbe sbagliato identificare purgatorio (perché amo Dio) con un inferno non eterno (perché
non amo Dio) perché le pene del purgatorio provengono non dal rifiutare Dio ma dal trovare
ostacoli (imperfezioni) all’abbandono pieno in lui. Infatti quando si è in presenza
dell’amore, si può soltanto desiderare di amare.
La sofferenza consiste nel constatare che non si è completamente capaci di farlo ( ultimo
esame di coscienza). Il purgatorio è descrivibile anche come «una totale presenza di sé a sé,
una perfetta conoscenza di sé, una perfetta visione di sé attraverso di sé che è nello stesso
tempo una crocifissione di sé da parte di sé» 67(verità crocifiggente = di amare così poco dell’Amore
infinito). Vediamo allora la ragione di una stretta connessione del purgatorio con il giudizio
particolare.
La potenza che purifica è sempre quella di Dio per cui non dobbiamo farsi sorprendere che
la tradizione biblica ed ecclesiale la paragona con il fuoco. (Dio è il fuoco dell’amore che
distrugge ciò che non ama). Si tratta infatti del simbolo tipico del giudizio di Dio, unicamente
inteso alla salvezza ma ribaltabile in principio di condanna ( fuoco d’inferno e lo stesso del
paradiso, sempre è fuoco d’amore).
L’identico fuoco «che beatifica in cielo, purifica in purgatorio e danna in inferno. Siamo noi
ad essere diversi all’amore immutabile ed infinito: se siamo totalmente contrari all’amore, il
fuoco di Dio ci tortura; se siamo capaci di purificazione, questo fuoco ci purifica; e se siamo
uniti a Dio, questo fuoco ci beatifica»68 (la mancanza del nostro amore, fa sentire fuoco dell’amore
divino, in vari modi).
Il purgatorio, appartenendo alla dimensione della metastoria, non è un luogo, né possiede
una durata misurabile cronologicamente. Si presenta piuttosto come uno stato, o situazione
esistenziale provvisoria svincolato dal tempo e dallo spazio. Dispone però della propria
durata, diversamente non potrebbe esistere, ma tale durata non di ordine temporale. Quando
si parla di anni (mesi, giorni ecc.) di purificazione, si usa un linguaggio metaforico per
disegnare purificazione di diversa profondità e intensità perché «la misura della necessaria
purificazione è proporzionata alla misura d’amore e di conversione posta in atto, o non posta
in atto, nella vita terrena»69 (è una conversione da totalizzare dipende come hai ricevuto il perdono ).
Si potrebbe parlare anche della durata ( la morte accade nel tempo - purgatorio ha suo l’inizio - e
passa nella metastoria allora dura per una misura di tempo, non è eterno ) ma solo in un linguaggio di
analogia per disegnare la quantità e insieme la qualità della purificazione.

67
VARILLON F. Gioia di credere, gioia di vivere, Dehoniane, Bologna 1984, 203 [François Varillon (1905-1978) è stato
un gesuita e scrittore francese. È autore di varie opere di formazione cristiana che hanno avuto grande successo e molte
ristampe: Un compendio della fede cattolica].
68
VARILLON F. Gioia di credere, gioia di vivere, o. c., 202
69
NOCKE F. J. Escatologia, Queriniana, Brescia 1984, 134 (Nocke Franz-Josef (1932 a Bochum) è un cattolico,
teologo tedesco. 1953-1965 ha studiato teologia cattolica, filosofia e letteratura tedesca all'Università di Paderborn,
presso l'Università di Innsbruck, presso le Università di Münster, Monaco e Parigi. 1981-1993 docente di Teologia
sistematica presso l'Gerhard Mercator Università di Duisburg e 1993-1998 presso l'Università di Essen).
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 41

Siccome la conclusione della durata del purgatorio di un singolo soggetto normalmente


sfugge alle nostre capacità di osservazione, se si eccettua il caso dei santi canonizzati,
evidentemente non bisognosi di tale aiuto, i suffragi per i defunti devono dirsi sempre
attuali, ossia non possono essere omessi per la sua supposizione che i beneficiati ormai non
ne abbiano più bisogno.
Non pochi autori odierni tendono a identificare la durata del purgatorio col’istante della
morte, e dunque con quel particolare momento conclusivo in cui avviene l’incontro col
Signore detto «giudizio particolare». Giocano su questa interpretazione le accesi discussioni
e i caratteri dello stato intermedio: chi lo rifiuta è costretto a concentrare l’eventuale
purificazione nella durata di quell’evento, chi lo accetta, può scegliere tra più soluzioni 70.
E’ vero che l’integrazione del purgatorio avviene nell’area del giudizio individuale: essendo
opera di salvezza, e concernendo il singolo, la purificazione metastorica entra realmente, a
livello di escatologia individuale, nella categoria di giudizio.
Pero questo l’«istante» della morte è un Giano bifronte 71, dotato non sola della faccia di
eternità derivata dall’essere inizio della definitività, ma anche della faccia di temporalità
mutuata dell’essere ultimo istante della successione temporale della vita terrena ( istante =
allude temporalità): e dunque la riduzione della purificazione alla consistenza di quel
momento equivale alla ritemporalizzazione (si riduce la temporalità della morte )
dell’avvenimento, accompagnata dall’idea che sia meglio rimandarne l’attuazione all’aldilà
anziché praticarla al presente, perché la sofferenza di un istante, per quanto istante, pare più
comoda di una sofferenza prolungata.
Conviene asserire che lo stato di purgatorio comincia «dopo» la morte, precisando che la
posteriorità va intesa in senso logico e non cronologico, nel senso cioè che «la morte è la
condizione del purgatorio» come «il purgatorio è la condizione della beatitudine».
In quale precisa modalità si compia la purificazione, resta un mistero. L’analogia più
prossima, pare essere quella delle «notti» sperimentate dai grandi mistici (cfr. San Giovanni
della Croce). Il purgatorio «è la continuazione di quell’ascesi che deve essere iniziata
quaggiù, ma quaggiù, generalmente, non riesce a essere terminata» 72. Comunque si tratta di
un’esperienza dolorosa, una catarsi radicale, che richiede il raggiungimento della purezza
necessaria per l’abbraccio pieno col Totalmente Santo.
Il purgatorio è situazione di purificazione ed espiazione, ma non di merito. Nella
purificazione metastorica ciascuno ripulisce e riconsegna l’identità raggiunta nella vita
terrena, estendendo l’opzione fondamentale salvifica alla totalità di sé, senza più crescere,

70
Sullo stato intermedio e purgatorio, da tenere presente l’insegnamento del Magistero: Lettera ai vescovi, scritta da
Congregazione per la Dottrina della Fede nel maggio 1979, su alcune questioni di escatologia, poi Commissione
Teologica Internazionale nel 1992 pubblicò un documento “Alcune questioni attuali riguardanti l’escatologia”
riprendendo le stesse questioni.
71
Giano Bifronte è un’antica divinità italica e romana, il primo dio Romano, la principale divinità del Pantheon.
Tale divinità all’interno della società romana aveva un’enorme importanza, sia nella sfera pubblica sia in quella
religiosa romana. Egli era il custode di ogni forma di mutamento, e il protettore di tutto ciò che concerne una fine e un
inizio. Giano è rappresentato come una divinità bicefala, una caratteristica che lo accomuna con le divinità indiane,
rappresentato quindi con una testa e due volti, due volti simili ed entrambi barbuti, di aspetto sereno, che secondo la
leggenda consentono al dio di vedere il futuro e il passato. Giano era considerato il Dio degli Dei, padre dell’umanità,
della Natura e di tutto l’Universo, per cui divenne la divinità simbolo dell’apertura e dell’inizio, simile alla divinità
solare. Giano bifronte sta significando la doppiezza, una cosa e il suo opposto.
72
RUDONI A. Escatologia, Marietti, Torino 1972, 190
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 42

perché la morte introducendo la definitività, conclude il processo di definizione del


soggetto.
La purificazione risulta più vantaggiosa se compiuta prima della morte, in quanto in tal
caso, oltre a ripulire la coppa dell’apertura a Dio, ne amplifica la portata/capacità. Questo
beneficio è di tale portata, da indurre santa Teresa di Lisieux a dire che il purgatorio sia
«inutile» e va anticipato «per far piacere al buon Dio»73.

1.1.2. Prospettiva orientale e occidentale, e lo scontro ecumenico

Nell’interpretazione teologica del purgatorio ha giocato un ruolo rilevante, la differenza tra


la sensibilità occidentale latina, col suo talento per la precisione logica, e la sensibilità
orientale greca, con il suo carisma per il rispetto dell’imperscrutabilità del mistero.
La mentalità occidentale latina, piuttosto giuridica (soprattutto a partire dalla Prima
Scolastica) si è mostrato incline a pensare al purgatorio in termini preferenziali di giustizia e
di castigo. Poiché il male è male, ha detto, va scontato quanto occorre (primato
dell’espiazione, o soddisfazione del debito contratto con la colpa); Dio è infinita verità e
deve a se stesso che sia fatta piena giustizia, ossia che chi ha sbagliato paghi. Questa
prospettiva ha portato di insistere sull’importanza delle pene imposte al peccatore,
favorendo l’idea (fondamentalmente corretta ma da spiegare con cura) di un Dio che dice: ti
perdono, ma devi pagare (sembra un campo di concentramento, dove bisogna guadagnare la libertà ).
La tradizione di stampo orientale, essendo più portata agli aspetti mistici, ha accostato la
concezione del purgatorio all’idea di una toeletta nuziale intesa a rendere perfetta la bellezza
della sposa. Poiché il male è una ferità che lascia cicatrici deturpando la bellezza della
creatura, ha detto, si rende indispensabile una attenta opera di ricupero e restauro (primato
di purificazione). Dio è infinito amore e non può esimersi da farla. Questa prospettiva ha
portato deferenza e ripugnanza per la concezione penale ed espiatoria, insistendo su azione
divina, favorisce l’idea di un Dio che dice: ti amo, perciò ti purifico.
E’ facile capire che l’ottica orientale risulta più ricca e profonda di quella occidentale, ma le
due prospettive non sono alternative. Quanto alla sostanza, entrambe prendono atto che la
verità dell’amore divino non permette a dio di lasciare nella creatura qualcosa, per piccola
che sia, che ancora produca una distanza da lui. Quanto alle specificazioni, se l’Oriente
mette in primo piano l’autore dell’opera (chi purifica è Dio, non le pene), l’Occidente
ribadisce l’indispensabilità degli strumenti (si come non si può separare la risurrezione dalla
morte, la purificazione compiuta da Dio avviene necessariamente in e mediante una pena).
La purificazione non si può compiere senza dolore.
La giustizia di Dio messa in luce dalla prospettiva occidentale opera non in opposizione
all’amore divino messo in evidenza dalla prospettiva orientale, bensì quale suprema verità di
tale amore, che può essere soddisfatto solo dalla realizzazione totale della creatura amata.
Il dogma del purgatorio ha costituito per secoli un motivo di contrasto tra la Chiesa cattolica
e le Chiese orientali ortodosse e un elemento di divisione con il protestantesimo occidentale.
Tra le Chiese orientali occorre distinguere due correnti. Una che accatta la sostanza di
quanto si propose al Concilio di Firenze (1439) ( possibilità di purificazione post mortem, suffragio
dei credenti), limitandosi a insistere sulla concezione del purgatorio come stato anziché come

73
Cfr. PHILIPPE DE LA TRINITÉ, Il Purgatorio. Che ne pensa S. Teresa di Lisieux, Teresianum, Roma 1972
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 43

luogo, sul carattere puramente metaforico del fuoco della purificazione, e sul rifiuto
dell’enfasi del carattere penale ed espiatorio del purgatorio ( campo di concentramento) e qui la
distanza risulta marginale e componibile (non si deve però disprezzare il dolore e sofferenza che
sono caratteristiche del purgatorio).
Seconda corrente fa leva sull’inclinazione orientale a ritenere irreversibile la sorte dei
defunti solo dopo il giudizio universale per svalutare l’idea di una purificazione previa a tale
giudizio universale, e qui l’intesa diventa proporzionalmente difficile (condannata da
Costituzione «Benedictus Deus» (1336) contro immediatezza della realtà assoluta , Dichiarazione della
Congregazione della fede sulle questioni escatologiche del 17 maggio 1979 - sullo stato intermedio ).
Nello scontro con protestantesimo il dissenso risulta radicale e si fonda sulla diversa
concezione della giustificazione e una differente l’idea sul rapporto Bibbia e fede.
Il pensiero protestante ritiene inaccettabile l’idea del purgatorio perché non vede come possa
essere purificato un uomo che il peccato ha reso intrinsecamente corrotto e che viene
giustificato dai meriti, quelli di Gesù, evidentemente non bisognosi di catarsi. Nella sua
ottica il giudizio di dio, quando si esercita sull’uomo, non ha che due possibilità: o lo
considera nella sua realtà interiore il peccato, ed allora l’uomo è condannato; oppure vede la
giustizia di Cristo che gli è stata imputata, ed allora il giudizio di Dio non cade su di una
cosa imperfetta, ma sull’infinita perfezione della giustizia di Cristo. Allora l’uomo è salvato
e non vi è nulla che possa (tendendo conto della giustizia infinita di Dio) ritardare la sua
salvezza.
Come secondo problema protestantesimo ritiene che la dottrina del purgatorio, manchi di
fondamento biblico adeguato, per l’assenza dei testi che la propongono esplicitamente.
Rispondendo alla prima questione della impraticabilità e inutilità del purgatorio visto dai
protestanti, si potrebbe superare la distanza di vedute solo grazie a una correzione della
antropologia che apra la strada alla compressione dia della possibilità della purificazione sia
del fatto che secondo la legge della cooperazione, essa può esserci donata solo se la
compiamo pure noi, cooperandovi in qualcosa.
Per il punto della presunta assenza d’una base biblica la strada da percorrere passa
attraverso l’acquisizione di una concezione più ricca del testo sacro (sul modello delineato
da Dei Verbum - non solo ad litteram), e suppone un sostanzioso ricupero della centralità
della Tradizione viva (fuori di essa ermeneutica della Scrittura basa sull’arbitrio soggettivo).
Il dogma del purgatorio si fonda su alcuni grandi temi ( abbiamo visto nella parte NT) che si
mostrano ben più significativi di qualsiasi pericope considerata isolatamente. E trova la sua
più importante ratifica nell’ordine del vissuto ecclesiale, cioè nella prassi di preghiera e di
penitenza (suffragi) per i defunti messa in atti sin dai primi secoli. La prassi che la Chiesa ha
confermato con i suoi pronunciamenti (Concilio Firenze, Trento …) leggendo la bibbia nella
luce della Tradizione e successivamente, il pronunciamento dogmatico.

4.7. Lo stato intermedio74

La realtà o meno dello stato intermedio è oggetto di una forte controversia che ne fa uno dei
problemi più dibattuti dell’escatologia cristiana (da non confondere con il cosiddetto «tempo
74
Cfr. GOZZELINO G., Nell’attesa della beata speranza. o.c., 465-478
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 44

intermedio» designante la frazione della storia che va dalla risurrezione di Gesù alla fine dei
tempi).

1.1.3. I temi del problema e la base biblica e ministeriale

La questione nasce dal chiedersi quale relazione esista tra l’essere con Cristo inaugurato
dalla morte del singolo (o futuro assoluto completato) e l’essere con Cristo introdotto dalla
chiusura della storia (o futuro assoluto totalizzato).
La morte del singolo causa la fine della esistenza viatrice per lui ma non per l’umanità, per
questo bisogna ammettere la presenza di una differenza di momenti di attuazione tre
l’escatologia individuale e l’escatologia universale.
Per rifarci a una versione del problema particolarmente chiara ci domandiamo: la
distinzione tra giudizio particolare (richiesto dall’immediatezza della retribuzione
essenziale) e giudizio universale (categoricamente definito dalla Bibbia e dal magistero
della Chiesa), è reale o puramente concettuale? Si tratta di due eventi distinti, o
semplicemente di due aspetti diversi di unico evento?
In sostanza si fanno due domande:
1. Esiste uno stato intermedio, una situazione di attesa non temporale ma dipendente dalla
temporalità della storia della salvezza che coinvolga i defunti, prima della parusia della fine
dei tempi, e sia tale da distinguere in termini reali la condizione (e non solo il momento
d’inaugurazione nel suo versante storico – terreno) di futuro assoluto completato dalla
condizione di futuro assoluto totalizzato?
2. Ammesso che lo stato intermedio esista realmente, come va inteso? I defunti in attesa
della fine dei tempi sono persone totalizzate in anima e corpo, o sono soggetti con la
virtualità (Spirito possiede tutto positivo della materia es. analogo: pensiero = spirito; suono/voce =
materia; parola = corpo ) ma non l’attualità del corpo (= anime separate dal corpo), si da
risultare in tensione verso tale totalizzazione?
La Scrittura e il magistero della Chiesa (suo interprete autentico) insegnano tanto
immediatezza della retribuzione essenziale quando la risurrezione corporale al termine della
storia. Con ciò suscitano il problema.
Ma la scrittura lo lascia nell’implicito, senza offrire formulazioni, né tanto meno soluzioni
dirette. E la tradizione della Chiesa ha proposto e continua a proporre la dottrina dello stato
intermedio nel quale i defunti sono anime separate. Come testimonianza del magistero,
ricordiamo la Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede, del 17 maggio 1979, e
anche il successivo documento della Commissione Teologica Internazionale, del 1992, su
Alcune questioni attuali riguardanti l’escatologia. La lettera della Congregazione riafferma
come «insegnamento che la Chiesa propone a nome di Cristo» la tesi della realtà dello stato
intermedio (n. 5) nel quale i defunti sono anime senza il corpo (n. 3).

1.1.4. Le soluzioni e la valutazione critica

Le soluzioni proposte dalla teologia contemporanea alle due domande riguardanti il


problema presentato si scalano, ancora oggi, su quattro diversi versanti.
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 45

1) Un primo orientamento, costantemente sostenuto dalla tradizione ecclesiale e tuttora


condiviso da un buon numero di teologi cattolici (J. Ratzinger, C. Pozo, W. Kasper, B. Forte,
ecc.) ammette lo stato intermedio, e lo intende come situazione delle anime separate
realizzata per tutti i defunti, ad eccezione di Gesù e di Maria che sono glorificati già anche
nel corpo.
2) Posizione di alcuni teologi cattolici contemporanei (P. Schoonenberg, L. Boros, L. Boff,
ecc.) piuttosto diffusa, accetta la realtà dello stato intermedio ma nega che i defunti siano
anime separate. Sostiene invece che la morte si accompagna a un’immediata risurrezione
corporale, e che questa si totalizzerà alla fine dei tempi quando il corpo si troverà inserito
nella pienezza del proprio contesto interpersonale e cosmico.
3) I teologi protestanti (Lutero, J. J. Von Allmen, ecc. ) accolgono l’esistenza dello stato
intermedio ma lo concepiscono come una situazione nella quale i defunti si trovano in
condizione di esistenza diminuita, come quella dello sheol ebraico (lo stato del sonno; -
ricordare lo schema binario di AT ), o di annichilazione (teoria di «morte totale» - Ganztod – e della
nuova creazione – rimane solo “memoria” ) aperta a una ricomparsa nell’essere garantita dalla
memoria amorosa che Dio conserva del defunto (O. Cullmann).
4) La soluzione sostenuta da teologi sia protestanti (K. Barth, P. Althaus, E. Brunner) che
cattolici (O. Best, H. U. Von Balthasar, G. Biffi) rifiuta la realtà dello stato intermedio
perché a loro giudizio la morte è ingresso nella metastoria, e questa non conosce né un
prima né un dopo, i defunti concludono immediatamente nel giudizio universale della fine
dei tempi; il futuro assoluto completato non è altro che il futuro assoluto totalizzato in
quanto raggiunto dai singoli, e questi risultano subito glorificati (o dannati) in anima e
corpo, senza dover sottostare ad alcun attesa.
Per valutare queste impostazioni ci vuole un punto di riferimento, se si vuole dare credito,
come occorre fare, alla tradizione ecclesiale, la soluzione da accogliere è la prima la quale
permette di verificare i limiti delle altre posizioni e possiede la fondatezza dei propri
argomenti.
Limiti delle proposte alternative:
La soluzione (seconda) della risurrezione corporea immediata non armonizza con la
Scrittura perché riduce d’importanza la risurrezione alla fine dei tempi limitandola alla
integrazione dell’uomo escatologico nella pienezza del suo contesto comunitario e cosmico.
Svaluta anche il dogma dell’assunzione di Maria, riducendone la portata a quella di una
semplice, anacronistica, canonizzazione della Madonna ( se capita a tutti, risurrezione/assunzione
allora che cosa sia di speciale in Maria).
La terza soluzione si ferma nell’ambito di un arcaismo veterotestamentario che ignora lo
schema ternario del NT e con essa la novità di Cristo. Si oppone in modo frontale al dogma
definito dell’immediatezza della retribuzione essenziale ( lo sheol è stato liberato da Cristo, ora
dopo la morte avviene un incontro frontale con Cristo e non una attesa o un cambio dell’identità ).
La quarta soluzione confonde in certo senso l’eternità di Dio con la definitività dell’uomo,
dimenticando che tra le due permane la differenza e che bisogna distingue l’infinito sorgivo
(Dio) dal finito partecipato (uomo). Definitività umana è vincolata al tempo dal grembo del
quale proviene (tra la morte del singolo e fine del mondo esiste il tempo ), e questa posizione rischia
TA1112 - Antropologia teologica (escatologia) - 46

sia di svuotare la storia75 sia di screditare lo schema ternario del NT. Rende irrilevante
insegnamento della Bibbia visto che la ritiene già realizzata nella fine di ogni individuo, la
conclusione della storia alla fine dei tempi e scredita essa pure il dogma dell’Assunzione di
Maria.
Tutte queste tre soluzioni fanno leva su di una presunta incompatibilità dell’antropologia
biblica (presentata come esclusivamente unitaria) con l’antropologia ellenica dello schema
corpo – anima (prospettata come inguaribilmente dualista) che non regge per nulla alla
prova dei fatti76. (ricordare che l’uomo è tutt’uno - vedi es. pensiero, parola ).
Gli argomenti positivi sull’attestazione dello stato intermedio:
La prima soluzione gode di consenso di una tradizione che si estende dall’età patristica sino
ad oggi. Essa trova la conferma anche nella seconda e terza soluzione concorde
nell’ammettere lo stato intermedio.
Questa soluzione giustifica la situazione attuale dei defunti quale condizione di vera attesa
attiva della totalizzazione del Regno, che avviene, secondo la Bibbia, alla fine dei tempi.
Inoltre, è capace di rendere ragione sia dell’importanza dello schema ternario
specificamente neotestamentario sia soprattutto (e siamo al punto chiave) della dipendenza
della metastoria dalla storia, in quanto mette debitamente in luce (oltre ogni forma di cripto
docetismo escatologico) dapprima che la metastoria umana, pur non essendo più storia,
viene realmente dalla storia, e poi che lo stato intermedio, sebbene in sé non temporale, è
pur sempre inquadrato da due eventi (morte del singolo e fine dell’umanità) in possesso di
una precisa connotazione cronologica, e dunque tali da spiegare che la durata del tempo
intermedio possegga un reale riscontro nella durate dello stato intermedio77.
Sull’interpretazione dello stato intermedio come condizione di anime separate la soluzione
tradizionale (prima):
Tutela in modo adeguato il primato conferito dalla Scrittura alla risurrezione finale, che
include la risurrezione corporale, intendendo la totalizzazione attesa per la fionde dei tempi
nel senso più forte, non solo qual completamento del contesto comunitario – cosmico, ma
anche come attualizzazione della corporeità rimasta virtuale nella positività dello spirito ( in
attesa della espressione definitiva).
Rispetta poi anche il senso specifico del dogma dell’assunzione della Madonna, mantenendo
a questo evento mariano il carattere di «privilegio» che permette di presentarsi come
anticipazione della chiusura della storia corrispettiva a quella di Gesù, derivata da essa, e

75
Lo chiarisce Ratzinger, spiegando: «se si svolge rigorosamente il pensiero secondo cui al di là della morte regna il
puro oggi, che la risurrezione, la fine del mondo e il giudizio vi sono da sempre presenti perché là non vi è tempo, allora
ciò significherebbe che là si entra nella storia già ogni volta compiuta, nella completa atemporalità, e che quindi si
troverebbe già tutti coloro che credono di vivere ancora sulla linea del tempo oppure che appartengono ancora al futuro:
questa assurda conseguenza è inevitabile conclusione della suddetta concezione. Ciò significa, però, che, osservata
dall’altro lato, la storia diventerebbe uno spettacolo vuoto, nel quale si crede di faticare, mentre contemporaneamente
nell’”eternità”, nell’oggi di sempre, tutto è già stato deciso da tempo; un cattivo platonismo, quale Platone e i platonici
non hanno mai conosciuto, sarebbe allora la conseguenza di un modo di pensare che contrappone senza mediazione
alcuna il tempo fisico e l’eternità» (RATZINGER J. Al di là della morte, in: “Communio”Milano, 1(1972) n. 2, 13)
76
Cfr. parte protologica: 3.4.3. Anima e corpo - due comprincipi
77
«Fino a quando la storia si svolgerà realmente, essa rimarrà realtà anche nell’aldilà e non può essere dichiarata
dissolta là in un eterno giorno» (RATZINGER J., (BENEDETTO XVI), Escatologia, Morte e vita eterna, o.c., 189);
L’escatologico «non è nozione né puramente temporale né puramente eterna» ma consumazione che «comporta una
“eternità temporalizzata” e un “tempo trasfigurato”» (Bordoni M. Vita eterna, in: “Communio” 1991, n. 115, 28-29).
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dovuta alla capacità di Maria di ricapitolare l’umanità (Maria seconda Eva) nella risposata
all’azione salvatrice di Dio.
Conserva la concezione dell’unità anima e corpo (quella di San Tommaso) che non implica
dualismo ma solo una comunione di essere nella diversità delle sue componenti, in piena
consonanza con l’insegnamento biblico: le l’anima, quale «forma» del corpo costituisce il
principio di tutta la positività del corpo (come dimostra il fatto che il corpo quando si separa
dall’anima diventa cadavere – non più corpo), tale positività rimane in essa anche quando la
materia le venga a mancare, così come la ricchezza di un pensiero ( = anima) resta inalterata
nella mente anche quando non si esprime in una parola, o già è presente prima che la parola
(= corpo) le conferisca espressione.
Nello stato intermedio l’uomo «anima», pur attendendo la propria totalizzazione, è
veramente se stesso, nell’integrità della sua storia. In lui il corpo risulta assente attualmente
ma presente virtualmente: presente, cioè, nella positività dell’anima, segnata e definita dalla
materia e dalla storia concreta condotta nel corpo e col corpo78.
E lo stato detto di «anima separata79» comporta propriamente non diminuzione dell’uomo
ma un’incompletezza di attuazione della sua positività; manca il corpo senza che manchi la
virtualità del corpo, resta quel rimando al corpo che è la presenza nell’anima di tutta la
positività acquisita del corpo, che chiede di riesprimersi in un corpo: e quindi, pur
nell’attesa della totalizzazione, la glorificazione risulta veramente possibile, come insegna il
dogma della immediatezza della retribuzione essenziale ( manca l’espressione del corpo che non
distrugge integrità dell’uomo perché corpo e anima ci sono - non disturba glorificazione ).
Rimane vero, che linguaggio corrente, a causa delle critiche degli ultimi decenni e della
allergia delle culture odierne al pensiero metafisico, attribuisce all’espressione «anima
separata» una connotazione immediatamente peggiorativa che rischia di compromettere in
partenza l’accettazione della interpretazione alla quale essa dà voce. In questo contesto, la
78
«Si suol dire che l’anima è nel corpo, intendendo con questo che l’anima è il principio della vita del corpo, il
contenuto della sua manifestazione, il significato storico del suo persistere e del suo muoversi, ma si potrebbe anche
dire altrettanto bene che il corpo è nell’anima, intendendo con questo che l’anima lo possiede come strumento del suo
operare, rivelazione del suo nascondimento, sito, posizione e materia della sua esistenza storica, della sua figura, della
sua azione. Forma e destino del corpo sono componenti con la vitalità dell’anima. Perciò, quando l’anima, in morte, si
separa dal corpo, non è, il suo, un semplice respingere lontano da sé il corpo, fermo restando che essa è il presupposto
della vita del corpo, nel quale si sono venute compiendo le sue azioni. Come dice la filosofia medievale, l’anima è
forma del corpo, e non di un corpo qualunque, generico, ma di questo corpo particolare; né della sua struttura soltanto,
ma anche della sua storia; e ancora non solo così che essa opera nel corpo, ma pure che vi si è attuata, essa stessa, per
ciò che vi si compì essa lo assunse nella sua propria realtà. Così nella risurrezione dei morti Dio conferirà alla virtù, che
è propria dell’anima, di forma del corpo, le possibilità di rifarsi il suo corpo deve essere corrispondentemente alla sua
realtà e alla sua verità» (GURADINI ROMANO, I novissimi, Vita e Pensiero, Milano 1951, 51-52)
79
«L’anima “separata” è un anima che è stata corpo ed è segnata per sempre dalla storia del suo corpo. Tutti gli atti
storici dell’anima permangono in essa, e permangono in quanto atti spirituali e corporei insieme. L’anima è anche e
soprattutto ciò che è divenuta mediante il corpo, cioè la storia di tutti suoi atti». Così, «la corporeità rimane una
dimensione dell’anima anche quando non esiste più il corpo: il corpo è nell’anima al modo dell’anima. Per questo
l’anima rimane, non in quanto tale ma in quanto componente la natura umana, unita di se stessa e del corpo. IL corpo
rimane presente e latente in essa sino al momento in cui la potenza divina trarrà dalla “corporeità” dell’anima il
principio de corpo spirituale, in quanto corpo di quell’anima. Il corpo glorioso e risorto è risorto appunto in quanto è il
corpo di quell’anima e a in esse ha la continuità con la storia di essa e quindi con il corpo mortale» ( BAGET-BOZZO G.,
La teologia dell’anima, in: “Renovatio” Genova, 9[1976] 498). In tale senso, «l’anima dopo la morte possiede già il suo
corpo escatologico per anticipazione, perché il corpo storico ha segnato l’anima, con le azioni compiute attraverso di
essi, del segno della salvezza o di quello del giudizio. La formazione del corpo escatologico nel tempo del corpo storico
è annunciata dalla dottrina de ruolo salvifico del Corpo e Sangue di Cristo morto e risorto è anticipato all’anima, nello
stesso processo in cui il suo “uomo esteriore va in sfacelo”. La verità dell’anima si compie come spirito nel trapasso
escatologico nella storia della salvezza» (BAGET-BOZZO G., Il corpo e l’anima, in: “Renovatio” Genova, 11[1976] 153).
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formula va usata con discrezione e cautele, sullo sfondo , e con l’accompagnamento, di


formule complementari che rendono giustizia agli apporti critici e propositivi delle altre
soluzioni e dissolvono l’idea di uomo diminuito.

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