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Alessandro I d'Epiro, detto il Molosso (362 a.C. circa – 331 a.C. circa), è stato re d'Epiro e zio
materno di Alessandro Magno.
Biografia [modifica]
Durante le sue nozze avvenute nel 336 a.C. con la sorella di Alessandro Magno, Cleopatra, fu
ucciso Filippo II di Macedonia ed il trono fu assegnato al nipote Alessandro Magno che prese il
nome di Alessandro III. Venuto in Italia nel 335 a.C. per soccorrere la città magno-greca di Taranto,
entrò in conflitto con i Lucani, i Bruzi, i Iapigi ed i Sanniti, nel tentativo di creare uno stato unitario
nel Meridione d'Italia. Pur riuscendo a conquistare con i Tarantini le città di Brentesion, Siponto,
Heraclea, Cosentia e Paestum, tuttavia il suo progetto non si realizzò, venendo egli ucciso in
battaglia a Pandosia (Lucania)[1] o a Pandosia Bruzia, presso Cosenza nel 330 a.C.
« Trovandosi il re non molto discosto dalla città di Pandosia, vicino ai confini dei Bruzi e dei Lucani,
si pose su tre monticelli alquanto, l'uno dall'altro divisi e lontani, per scorrere quindi in qual parte
volesse delle terre dei nemici; aveva intorno a se per sua guardia un duecento lucani sbanditi, come
persone fedelissime, ma di quella sorte di uomini, che hanno, come avviene, la fede insieme con la
fortuna mutabile. Avendo le continue piogge, allagato tutto il piano, diviso l'esercito posto in tre
parti, in guisa che l'una all'altra non poteva porgere aiuto, due di quelle bande poste sopra i colli, le
quali erano senza la persona del re, furono oppresse e rotte dalla subita venuta ad assalto dei nemici, i
quali poi tutti si volsero all'assedio del re, e mandarono alcuni messaggi ai lucani loro sbanditi, i
quali avendo pattuito di essere restituiti alla patria, promisero di dar loro nelle mani il re vivo o
morto. Ma egli con una compagnia di uomini scelti fece un'ardita impresa che urtando si mise a
passare, combattendo, fra mezzo dei nemici; ed ammazzò il capitano dei lucani, che d'appresso lo
aveva assaltato; ed avendo raccolto i suoi dalla fuga, tra essi ristretto, giunse al fiume, il quale
mostrava qual fosse il cammino con le fresche riune del ponte, che la furia delle acque aveva menato
via. Il qual fiume, passandolo la gente senza sapere il certo guado, un soldato stanco ed affamato,
quasi rimbrottandolo e rimproverandogli il suo abominevole nome, disse: Dirittamente sei chiamato
Acheronte. La qual parola, posciaché pervenne alle orecchie del re, incontamente lo fece ricordare
del suo destino, e stare alquando sospeso e dubbio, se si doveva mettere a passare. Allora, Sotimo, un
ministro dei paggi del re, lo domandò che stesse a badare e l'ammonì che i lucani cercavano
d'ingannarlo; i quali poiché il re vide da lungi venire alla sua volta, in uno stuolo trasse fuori la spada
ed urtando il cavallo, si mise arditamente per mezzo del fiume per passare; è già uscito dalle
profondità delle acque, era giunto nel guado sicuro, quando uno sbadito lucano lo passò dell'un canto
all'altro con un dardo. Onde essendo caduto, fu poi trasportato il corpo esamine dalle onde, con la
medesima asta insino alle poste dei nemici, ove ei fu crudelmente lacerato, perché tagliato pel
mezzo, ne andarono una parte a Cosenza, e l'altra serbarono per straziarla; la quale mentre era
percossa da sassi e dardi per scherno, una donna mescolandosi con la turba, che fuori di ogni modo
della umana rabbia incrudeliva, pregò che alquanto si fermassero, e piangendo disse: Che aveva il
marito ed i figliuoli nelle mani dei nemici e che sperava con quel corpo del re, così straziato come gli
era, poterli ricomprare. Questa fu la fine dello strazio; e quel tanto che vi avanzò dei membri fu
seppellito in Cosenza, per cura di una sola donna, e le ossa furono rimandate a Metaponto ai nemici;
e quindi poi riportate nell'Epiro a Cleopatra sua donna, e ad Olimpiade sua sorella; delle quali l'una
fu madre e l'altra sorella di Alessandro Magno »
(Giacomo Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata.)
Note [modifica]
1. ^ Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis Historia, III, 72, fa rifermento alla Pandosia di Lucania, come
luogo in cui perse la vita Alessandro I d'Epiro detto il Molosso: «et Pandosiam Lucanorum urbem
fuisse Theopompus, in qua Alexander Epirotes occubuerit».
2. ^ Giacomo Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma, Ermanno Loescher,
1889, vol 1 pp. 235-236.
Bibliografia [modifica]
• Giacomo Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, vol 1 e vol 2, Roma,
Ermanno Loescher, 1889.
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Categorie: Biografie | Re dell'Epiro | [altre]
Categoria nascosta: BioBot
Acheronte
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Acheronte (in greco Ἂχέρων, -οντος, in latino Ăchĕrōn, -ontis) è il nome di alcuni fiumi della
mitologia greca, spesso associati al mondo degli Inferi. Secondo il mito sarebbe un ramo del fiume
Stige che scorre nel mondo sotterraneo dell'oltretomba, attraverso il quale Caronte traghettava
nell'Ade le anime dei morti; suoi affluenti sarebbero i fiumi Piriflegetonte e Cocito. Il suo nome
significa "privo di grazia".
Indice
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• 1 Geografia
• 2 Fonti
• 3 Mitologia
• 4 Altri progetti
• 5 Bibliografia
Geografia [modifica]
Il principale Acheronte si trova in Epiro, regione nord-occidentale della Grecia, nei pressi della
cittadina di Parga, sulla costa che fronteggia l'isola di Corfù. È un affluente del lago Acherusia e
nelle sue vicinanze sorgono le rovine del Necromanteio, l'unico oracolo della morte conosciuto in
Grecia. Secondo la tradizione un altro ramo dell'Acheronte emerge vicino a Capo Acherusio (ora
Eregli, in Turchia): Apollonio racconta che fu visto dagli Argonauti durante la loro avventura. I
coloni greci che si stabilirono in Magna Grecia invece identificarono l'Acherusia con il lago
d'Averno.
Fonti [modifica]
Platone nel dialogo Fedone afferma che l'Acheronte è il secondo fiume più grande del mondo,
superato solamente dall'Oceano: sostiene che l'Acheronte scorra in senso inverso e dall'Oceano vada
verso la terra. Il termine Acheronte è stato talvolta usato come sineddoche per intendere l'Ade nella
sua interezza. Virgilio parla dell'Acheronte insieme agli altri fiumi infernali all'interno della sua
descrizione dell'Oltretomba, collocata nel libro VI dell'Eneide. Nell'Inferno (canto III) di Dante il
fiume Acheronte rappresenta il confine dell'Inferno per chi arriva dall'Anti-Inferno.
Mitologia [modifica]
Figlio d'Helios e Gea, che Zeus trasmutò in fiume d'acque amare, come punizione per aver dissetato
i Titani che s'eran ribellati al voler divino cercando di scalar l'Olimpo. Il dio del fiume fu poi a sua
volta padre di Ascalafo avuto, a seconda delle leggende, da Orfne o da Gorgira. Destinato per
l'eternità a separar il mondo dei vivi dagli inferi. Nella Commedia dantesca vien varcato da quelle
anime che avevan avuto degna sepoltura: rappresenta pertanto transizione da vita a morte, ma pure
viaggio senza ritorno verso l'Oltretomba
Altri progetti [modifica]
• Wikimedia Commons contiene file multimediali su Acheronte
Bibliografia [modifica]
• Anna Ferrari, Dizionario di Mitologia Classica, TEA, 1994, ISBN 8878195391
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Categorie: Luoghi della mitologia greca | Divinità dei fiumi della mitologia greca | Divinità
infernali della mitologia greca | Luoghi della Divina Commedia | Fiumi mitologici | Fiumi
immaginari
Pandosia (Lucania)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Disambiguazione – Se stai cercando altre città con lo stesso nome, vedi Pandosia.
Lucania antica.
Pandosia (Πανδοσία in greco, Pandosiam in latino) fu un'antica città della Magna Grecia
lucana[1], situata nei pressi dell'attuale Anglona, frazione di Tursi.
Indice
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• 1 Storia
• 2 Note
• 3 Bibliografia
• 5 Collegamenti esterni
Storia [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Siritide.
L'antichissima città di Pandosia, fondata dagli Enotri, che la tennero a loro Reggia[4][5], è passata alla
storia per eventi bellici combattuti nei pressi delle sue mura. L'Antonini[6] basandosi su passi della
Genealogia di Feracite e su passi della Storia antica di Roma di Dionigi di Alicarnasso, ipotizza che
Pandosia fu fondata da Enotrio, uno dei 23 figli di Licaone, molti secoli prima di Roma, e che lo
stesso signoreggiò su tutta l'orientale parte della Lucania. Da alcune monete si può supporre che
Pandosia fosse confederata con Crotone, quando questa stringeva lega con Sibari e Metaponto[7].
Alcune monete di genere incuso, riportano su di un verso il simbolo di Pandosia (una giovinetta, la
ninfa che dava il nome alla città) e sull'opposto quello di Crotone (un giovinetto che indicava il
fiume Crati), fanno supporre ad un'alleanza tra le due città[8].
Nell'inverno del 331 - 330 a.C. il re epirota Alessandro il Molosso, venne sconfitto ed ucciso dai
Lucani, sulle rive del fiume Acheronte (probabilmente l'attuale fiume Agri, chiamato Acheros[9]
anche Aciris o Akiris)[10][11][12].
« Trovandosi il re non molto discosto dalla città di Pandosia, vicino ai confini dei Bruzi e dei Lucani,
si pose su tre monticelli alquanto, l'uno dall'altro divisi e lontani, per scorrere quindi in qual parte
volesse delle terre dei nemici; aveva intorno a se per sua guardia un duecento lucani sbanditi, come
persone fedelissime, ma di quella sorte di uomini, che hanno, come avviene, la fede insieme con la
fortuna mutabile. Avendo le continue piogge, allagato tutto il piano, diviso l'esercito posto in tre
parti, in guisa che l'una all'altra non poteva porgere aiuto, due di quelle bande poste sopra i colli, le
quali erano senza la persona del re, furono oppresse e rotte dalla subita venuta ad assalto dei nemici, i
quali poi tutti si volsero all'assedio del re, e mandarono alcuni messaggi ai lucani loro sbanditi, i
quali avendo pattuito di essere restituiti alla patria, promisero di dar loro nelle mani il re vivo o
morto. Ma egli con una compagnia di uomini scelti fece un'ardita impresa che urtando si mise a
passare, combattendo, fra mezzo dei nemici; ed ammazzò il capitano dei lucani, che d'appresso lo
aveva assaltato; ed avendo raccolto i suoi dalla fuga, tra essi ristretto, giunse al fiume, il quale
mostrava qual fosse il cammino con le fresche riune del ponte, che la furia delle acque aveva menato
via. Il qual fiume, passandolo la gente senza sapere il certo guado, un soldato stanco ed affamato,
quasi rimbrottandolo e rimproverandogli il suo abominevole nome, disse: Dirittamente sei chiamato
Acheronte. La qual parola, posciaché pervenne alle orecchie del re, incontamente lo fece ricordare
del suo destino, e stare alquando sospeso e dubbio, se si doveva mettere a passare. Allora, Sotimo, un
ministro dei paggi del re, lo domandò che stesse a badare e l'ammonì che i lucani cercavano
d'ingannarlo; i quali poiché il re vide da lungi venire alla sua volta, in uno stuolo trasse fuori la spada
ed urtando il cavallo, si mise arditamente per mezzo del fiume per passare; è già uscito dalle
profondità delle acque, era giunto nel guado sicuro, quando uno sbadito lucano lo passò dell'un canto
all'altro con un dardo. Onde essendo caduto, fu poi trasportato il corpo esamine dalle onde, con la
medesima asta insino alle poste dei nemici, ove ei fu crudelmente lacerato, perché tagliato pel
mezzo, ne andarono una parte a Cosenza, e l'altra serbarono per straziarla; la quale mentre era
percossa da sassi e dardi per scherno, una donna mescolandosi con la turba, che fuori di ogni modo
della umana rabbia incrudeliva, pregò che alquanto si fermassero, e piangendo disse: Che aveva il
marito ed i figliuoli nelle mani dei nemici e che sperava con quel corpo del re, così straziato come gli
era, poterli ricomprare. Questa fu la fine dello strazio; e quel tanto che vi avanzò dei membri fu
seppellito in Cosenza, per cura di una sola donna, e le ossa furono rimandate a Metaponto ai nemici;
e quindi poi riportate nell'Epiro a Cleopatra sua donna, e ad Olimpiade sua sorella; delle quali l'una
fu madre e l'altra sorella di Alessandro Magno »
(G. Racioppi, op. cit., pp. 235-236)
Nel 280 a.C., in località Conca d'Oro, sotto le mura della città di Pandosia[1], si svolse la battaglia di
Heraclea tra le legioni del console romano Publio Valerio Levino e l'esercito di Pirro, venuto
dall'Epiro in appoggio ai Tarentini, la battaglia fu vinta da Pirro, ma ad un prezzo altissimo, 4.000
vittime epirote e 7.000 romane[14]. Sempre su questo territorio si sono svolte, nel 214 a.C. le
operazioni militari di Annibale durante la seconda guerra punica.
La città sarebbe stata distrutta durante le guerre sociali da Silla[15] o da Lucio Papirio attorno all'81
a.C.[16], nello stesso periodo in cui fu distrutta Grumentum. Sulle rovine di Pandosia, nei primi secoli
della cristianità, tra VII-VIII secolo, nacque la città di Anglona
Note [modifica]
1. ^ a b A.S. Mazzocchi, op. cit., pag. 104
2. ^ C.D. Fonseca, op. cit., pp. 239 e 277
3. ^ R.J. Buck, op. cit., pp. 70-86
4. ^ come afferma Strabone <<Pandosiam fuisse aliquando regia Oenotrorium>> e riportato in
Geografica, ed. Amsteleadam, 1707, lib. VI
5. ^ Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti Anno IX - Volume XXV, Tip. Flautina, Napoli,
1840, pag. 39. URL consultato il 25-04-2009.
6. ^ G. Antonini, op. cit., pp. 46-49
7. ^ R. Bruno, op. cit., pp. 12-13
8. ^ E. Mirri, op. cit., pag. 17
9. ^ D. Romanelli, op. cit., pag. 264-266.
10. ^ Salvatore Di Gregorio, Anglona e Tursi. URL consultato il 15-01-2009.
11. ^ Questo evento è alquanto controverso. Aristotele afferma che la Pandosia in questione fosse a 6
ore di cavallo dal mare. L'attuale Anglona dista circa 12km dal mar jonio, sapendo che l'andatura a
cavallo è di circa 2 km/h, possiamo dire che questa affermazione è verificata. Tito Livio (Tito Livio,
ab Urbe condita, VIII, 24) afferma anche che ci sia un fiume denominato Acheronte, che potrebbe
essere l'attuale fiume Agri. Fa riferimento a 3 monticelli, sui quali si sarebbero accampate le truppe
del molosso successivamente divise dalla incessante pioggia e lo straripare del fiume, consentondo ai
lucani di poter attaccare una per volta i tre accampamenti. I monticelli sono individuabili in
Cucuzzuta, Sitigliana, e Tufinella da (E. Mirri, op. cit., pag. 44). Da Strabone (Strabone,
Geographia, 6.1.5) si apprende anche una certa vicinanza a Cosenza. Quest'ultima affermazione è
poco plausibile, poiché Cosenza dista poco più di 100km da Anglona, che con i mezzi dell'epoca
erano interi giorni di viaggio, questo fa presumere ad un'altra città con lo stesso nome, forse
Pandosia Bruzia, individuata con una certa approssimazione nell'attuale comune di Castrolibero.
12. ^ Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis Historia, III, 98, fa rifermento alla Pandosia di Lucania, come
luogo in cui perse la vita Alessandro I d'Epiro detto il Molosso: <<et Pandosiam Lucanorum urbem
fuisse Theopompus, in qua Alexander Epirotes occubuerit>>.
13. ^ G. Racioppi, op. cit., pp. 235-236
14. ^ Plutarco, Vita di Pirro, 17.
15. ^ R. Bruno, op. cit., pp. 14-15
16. ^ Nicola Crispino, Pandosia, cenni storici. URL consultato il 15-01-2009.
Bibliografia [modifica]
Fonti primarie [modifica]
• Portale Archeologia
• Portale Basilicata
Categorie: Siti archeologici della Basilicata | Provincia di Matera | Città della Magna Grecia e della
Sicilia greca | Tursi
Pandosia Bruzia
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Disambiguazione – Se stai cercando altre città con lo stesso nome, vedi Pandosia.
Pandosia Bruzia è un'antica città del Bruzio, citata dagli storici antichi e di incerta identificazione.
Indice
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• 1 Fonti antiche
• 2 Fonti numismatiche
• 3 L'identificazione della città
• 4 Note
• Tito Livio[1], narrando le vicende di Alessandro il Molosso, descrive il suo insediarsi su tre
elevazioni vicine al fiume Acheronte, nei pressi della città di Pandosia, che si trovava a sua
volta presso i confini tra le terre dei Lucani e dei Bruzi. In un passo successivo[2] cita la
spontanea sottomissione di Cosentia e Pandosia ai Romani nel 204-203 a.C..
• Strabone[3] la colloca nei pressi di Cosentia (Cosenza) e la descrive come una città
fortificata, riportando la notizia che un tempo fosse stata capitale degli Enotri. Presso la città
venne ucciso nel 331-330 a.C. Alessandro il Molosso. La città occupava tre colline e vi
scorreva nei pressi un fiume con lo stesso nome dell'Acheronte.
• Stefano di Bisanzio[4], nel V secolo, cita Pandosia come città dei Bruzi, fortificata e con tre
"vertices", e ricorda che vi perse la vita Alessandro il Molosso.
Agli inizi del V secolo a.C. furono coniati stateri con lo stesso tipo della città di Crotone, alla quale
Pandosia era forse sottoposta. Simili monete furono emesse anche da Crotone con Sibari e con
Temesa.
Un secondo statere emesso nel 435-425 a.C. dalla sola Pandosia, riporta sul verso il dio del fiume
Crati. Agli inizi del IV secolo a.C. si riferiscono uno statere, una dracma e un triobolo emessi dalla
sola Pandosia.
L'identificazione della città [modifica]
Dai resoconti delle fonti antiche sappiamo che la città si trovava presso un fiume che aveva
all'epoca il nome di Acheronte, che era al confine tra Bruzi e Lucani e vicina a Cosenza
• Acri è stata identificata con Pandosia da diversi studiosi recenti del XIX secolo e del XX
secolo.Prima dall'anno mille, nel (542) dallo storico Procopio e descritta come città fortezza
cinta da difese naturale e da validissime mura (Fortezza da Guerra e Presidio),il più antico
quartiere della città è Pàdia dove è ubicata la chiesa matrice paleocristiana di Santa Maria
Maggiore anticamente titolata Sancta Maria de Padiae,dove nelle immediate vicinanze è
ubicato l'antico castello chiamato (Castelvetere).[8],Levi Tiziana., "Produzione e
Circolazione delle ceramiche nella sibaritide Preistorica., Grandi Contesti e problemi della
Preistoria italiana,Edizione All'Insegna del Giglio Firenze 1999-2000 cod. ISBN 88-7814-
139-9.; Cassetta I,Castagna M.A.,Ferrante F, Levi S.T., Luppino S.,R.Peroni., Schiappelli
A., A.Vanzetti., "Atti del XXXIX convegno di Studii della Magna Grecia anno
2000( Broglio di Trebisacce cs, Città Vetere di Saracena Cs, Colle Dogna di Acri cs).
• In scavi condotti negli anni 1999, 2000 e 2002 e 2008, sono stati rinvenuti i resti di due
grossi insediamenti Bruzi, con oggetti di uso quotidiano, con fornaci per la fabbricazione
della ceramica e resti di ville romane del II secolo a.C..
• Ben tre frazioni portano il nome che senbra derivi da quello dell'antica Pandosia :Pantadia;
Pantalea; e Pantano d'Olmo quest'ultima nel 1200 veniva indicata negli archivi dei principi
Sanseverino come (Pandosia d'Olmo)(pubblicato sul periodico Confronto Anno XXXIV N°
9 ottobre 2008 pag 4).
• Il popoloso quartiere di Pàdia insieme alla sua chiesa viene documentato dalle Platee della
Diocesi di Cosenza-Bisignano a partire dal 1264-69 ad opera del Vescovo Ruffino da
Bisignano documentate nel regestro Diocesano n°5058-5081,"Ecclesia Sanctae Mariae de
Pandiae"nel documento del (De Leo) viene confusa come chiesa censuale, mentre nel
registro diocesano del 1271, apparteneva come giurisdizione al vescovo di Bisignano, per
diritti feudali,dallo stesso Carlo I d'Angiò,la decima su alcuni castelli ed università compresa
la stessa Bisignano. Nella successiva Platea del 1324 del D.Vendola,viene censita nelle
chiese(Rationes Decimarum) e chiamata"Sanctae Mariae dictae terrae (scl.Acrii)"Maior
Ecclesiae,quam tenet D.Scipio de Bernaudo, D Hyeronimus Pertinimus, e Jacobus Grecus",
citata fra le 14 chiese censite. E poi documentata nella Platea cinquecentesca e così descritta
"Ecclesiae Sanctae Mariae de Pàdiae quam tenet D.Franciscu Casalibus de civitate
Bisignani" (c.62v). Dal De Leo "Un Feudo vescovile nel Mezzogiorno Svevo pag.48 Platea
1324; De Vendola "Rationes decimarum Italia", nei secoli XIII e
XV,Apulia,Lucania,Calabria,studii e testi n°197,Città del Vaticano 1939 n°5081.
Note [modifica]
1. ^ Tito Livio, ab Urbe condita, VIII, 24
2. ^ ab Urbe condita, XXIX, 38
3. ^ Strabone, Geographia, 6.1.5
4. ^ Stefano di Bisanzio, "De Urbis et Populis". (..Pandosia castellum Brettiorum munitum tres
vertices habens circa quod Alexander oetulus perit ab hujsmodi oroculo decepts:Pandosia tre colles
habens,multum aliquando populum perdes...).
5. ^ Castrolibero e Marano Principato nel XIX secolo costituivano un unico comune, con il nome di
"Castelfranco". Gli attuali comuni di Castrolibero, Marano Marchesato e Marano Principato hanno
costituito nel 1998 l'"Unione Pandosia".
6. ^ Pergamena n.57 dell'Archivio Sanseverino di Bisignano nell'Archivio di Stato di Napoli.
7. ^ Eugenio Arnon, La Calabria Illustrata (ristampa Edizioni Orizzonti meridionali, 1995), IV, p.59.
8. ^ François Lenormant, Paisage et Historie - La Grande Grecè, 1881-1884, pp.442-446; Davide
Andreotti Loria, Storia dei Cosentini, monografia sul nome di Acri, L'avanguardia, X, nn.3-8, 1895;
Ubaldo Valbusa, s.v. Acri, in Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 1929 Vol I p.424; Albert
Forbiger: Handbuch der alten Geographie, Leipzig 1842, volume III pp.750,776; Francesco Grillo,
Italia antica e medioevale. Ricerche storiche di geografia storica, in Calabria Nobilissima, V, 1951,
nn.6-12; 6, 1952, n.21; 7, 1953; Cesare Cantù: Storia Universale Doc. 8, p.218; Leopoldo Pagano
"La selva Calabra" ms 27395, bibl. Civ. Cosenza p.11; Giulio Cesare Recupito, "De Vesuviano
Incendio Nuntivs", Ivlio Caesare Recupito Neapolitano e Societate Iesusuviana, Neapoli, Ex Regia
Egidii Longhi, 1632 (Elenc.FV.C.I.II.25 Invent.6958.Università degli Studi Salerno); L. Bertarelli
Guida d'Italia Touring Club italiano,Carta d'Italia,foglio 47 B6,Milano 1938
Bruzi
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I Bruzi (o Bretti o Bruttii) erano un antico popolo di stirpe italica che abitò quella zona
settentrionale dell'odierna Calabria che, in epoche successive, fu la parte meridionale della Regio III
augustea Lucania et Bruttii.
Indice
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• 1 Storia
o 1.1 Origini
o 1.2 Consentia
o 1.3 Magna Bruttiorum
• 2 Territorio: il Bruzio
• 3 Note
• 4 Bibliografia
• 5 Voci correlate
• 6 Collegamenti esterni
Storia [modifica]
Origini [modifica]
Nel corso dell'età del Ferro, gruppi di genti di stirpe indoeuropea penetrarono, in diverse ondate, in
Italia, distribuendosi lungo l'arco delle dorsali appenniniche centro-meridionali. Collettivamente
sono conosciuti con il nome di Italici. Tra di essi distinguiamo le popolazioni dei Sanniti, degli
Apuli, dei Campani e dei Lucani, tutti caratterizzati da una lingua comune, l'Osco.
La tradizione letteraria concorda nell'identificare i Bruzi inizialmente come pastori e servi dei
Lucani, molti dei quali a carattere nomade, con alte concentrazioni prevalentemente nella parte
settentrionale di quella che sarà la Regio III augustea. Infatti tali li definisce Strabone[1], e altrettanto
Diodoro Siculo e Pompeo Trogo: quest'ultimo autore, inoltre, conferma la loro discendenza dai
Lucani e la vittoriosa rivolta contro quest'ultimi intorno al 356 a.C., negli anni della lotta che
vedevano Dione di Siracusa opporsi a Dionisio II.[2] Sono proprio i Lucani dunque a dare il nome a
questo popolo, infatti i Lucani chiamavano "Bretti" i ribelli.[1] Nel frattempo, da popolo ormai
libero, le tribù dei Bruzi si coalizzarono in una lega, ed eressero a loro capitale un luogo che
chiamarono Consentia, che sugellava proprio il "consenso" (da cui deriva il nome) delle varie tribù.
Consentia ancora oggi è conosciuta con il nome di Cosenza.
Proprio per queste origini, il popolo bruzio viene descritto come un popolo di guerrieri, rude e
bellicoso. La storia ce li tramanda come un popolo che ha fatto della sua potenza bellica e della
voglia di indipendenza e libertà la sua grandezza, ma anche la sua rovina.
Consentia [modifica]
Una volta consolidatisi in una grande lega, venne il momento di cercare un posto strategico su cui
erigere la propria capitale. Essa venne indicata sul colle Pancrazio, che dominava una grande
vallata, ed era separata da essa da due fiumi che si univano proprio alla base del colle, e che lo
rendeva un posto fortificato naturalmente. Il colle era però occupato da 600 mercenari africani al
soldo di Dionisio, alleato dei Lucani. La battaglia conosciuta come "della rocca bretica" vide i
Bretti, guidati da una donna, conquistare il colle dopo una sanguinosa battaglia e designò la
definitiva resa dei Lucani. Venne sancita la pace, passata alla storia come la pace di "donna
Brettia", in onore della condottiera dei Bruzi. Sul colle, dunque, venne eretta Consentia, che prende
il nome dal "consenso" dato da tutte le tribù bruzie e gli stessi Lucani che aderirono alla Magna
Bruttiorum. In essa coniarono le proprie monete [3] ed iniziò un fiorente periodo per questo popolo.
Magna Bruttiorum [modifica]
Da quel momento, finita la fase nomade di questo popolo, in meno di un secolo, i Bretti si
costituirono in numerosi piccoli villaggi distanti pochi chilometri l'uno dall'altro, intervallati da
roccaforti chiamate oppida,nucleo urbano fortificato=oppidum, nelle quali si riunivano le classi
sociali più elevate (guerrieri, magistrati e, si pensa, sacerdoti) per prendere decisioni per la gestione
e la difesa dei villaggi limitrofi. Venne coniata una moneta, e il tessuto sociale iniziò a prendere
forma con il consolidamento delle classi sociali. La più importante era quella dei guerrieri.
Iniziarono le mire espansionistiche, ed i Bruzi riuscirono ad ottenere importanti successi sia a sud
che a nord del loro territorio fino ad impattare ad oriente con le grandi polis della Magna Grecia che
verranno anche esse piegate dalla furia bretica. Nasce cosi la "Magna Bruttiorum", il culmine
dell'espansione, della cultura e dell'economia dei Bretti. Essa si può identificare nell'attuale intera
provincia di Cosenza e parte della Basilicata meridionale, compresa fra il fiume Laos, penetrando
nell'attuale Puglia fino a Turi, a nord, ed a sud, fino a toccare l'Aspromonte calabro.
Oltre ad un sistema di monetazione proprio, i Bretti avevano anche adottato formalmente una
scrittura basata sull'alfabeto dorico di tipo acheo[4]. Le classi sociali, infine, ricoprivano ora la
massima importanza.
Oltre Consentia (l'attuale Cosenza), le principali città erano (in latino, che ricalcava i nomi
originali[senza fonte]) : Pandosia (città di cui ancora oggi si cercano le tracce e che forse doveva sorgere
fra gli attuali comuni di Castrolibero, Marano Principato e Marano Marchesato o presso l'attuale
Acri) sul Crati, Aufugum (l'attuale Montalto Uffugo), Bergae, Besidiae l'attuale Bisignano ed
Otriculum[5]. La così detta confederazione dei Bruzi.
Tra la metà del IV e la metà del III secolo a.C., i Bruzi attaccarono e conquistarono diverse città
magno-greche, (tra cui Terina, Hipponion (l'attuale Vibo Valentia), Sibarys sul Traeis ed altre).
Riuscirono ad essere contenuti dalle città greche solo dopo l'alleanza con Dionisio per un breve
periodo. I Greci d'Italia quindi tentarono di resistere per l'ultima volta, invocando l'aiuto di
Alessandro il Molosso, re d'Epiro, ma anch'esso venne sconfitto dai Bruzi e morì a Pandosia (331
a.C.).
I Bruzi erano ormai riconosciuti come una piccola potenza in rapida ascesa. La loro prerogativa era
quella di continuare a svilupparsi come civiltà autonoma e conquistatrice; ciò li spinse all'ostilità
verso Roma, quando essi bussarono ai loro confini, ed in seguito,dunque, verso la loro disfatta.
Iniziò così una serie di sconfitte, fra cui quella del 275 a.C., quando la confederazione Bruzia si
alleò con Pirro re d'Epiro e, tacitamente, con molte delle città della Magna Grecia che non
controllava nella guerra contro Roma, in cui cadde per la prima volta Consentia che venne annessa
alla Repubblica,il che portò alla caduta definitiva sotto i Romani nel 270 a.C. Non si sottomisero
mai del tutto e, riorganizatisi, approfittarono dell'invasione di Annibale nel 218 a.C. con il quale si
allearono durante le guerre puniche. Riconquistarono Consentia e, forti del nuovo alleato, mossero
guerra contro Roma per riottenere l'indipendenza. Quando Annibale venne sconfitto e costretto a
tornare in patria, ordinò ai Bruzi di seguirlo, ma essi vollero rimanere nelle loro terre, così da
attirarsi le sue vendette. Una volta ricacciato Annibale, che lasciò terra bruciata, iniziò una nuova
massacrante lotta contro Roma che ben presto sedò ogni focolaio bruzio. Venne di nuovo
sottomessa da Servilio, e questa volta i Brettii vennero puniti. Roma tolse la carica di città-stato a
Consentia, sciolse la confederazione bruzia e confiscò quasi tutto il loro territorio trasformandolo in
colonia romana (II e I secolo a.C. Nel 73 a.C. Consentia e i Bretti tentarono un'ultima volta di
riconquistare la libertà e l'autonomia unendosi alla rivolta che Spartaco mosse contro Roma,
scatenando una guerra civile, trovando proprio nei Bruzi feroci alleati. Nel 71 a.C., dopo due anni di
rivolte, Spartaco venne accerchiato e sconfitto dal console Licinio Crasso nei pressi del fiume Sele,
tantissimi erano i Bruzi tra i 5.000 morti in battaglia e i 6.000 crocefissi. Roma nuovamente punisce
i Bretti, come riferisce Appiano: essi subiscono l'umiliazione di non poter servire negli eserciti
romani come soldati, ma solo come attendenti al servizio dei magistrati della Repubblica. Nel 29
a.C. Consentia diventa colonia sotto Augusto, il quale le concesse la cittadinanza romana dopo
essersi assicurato delle totale resa dei Bretti.
Prima della conquista romana essa era abitata dal popolo italico dei Bruzi e, dall'VIII al III secolo
a.C., le sue coste furono colonizzate dai Greci divenendo parte della Magna Grecia; le colonie
principali erano Rhegium, Sybaris , Kroton. Il centro nevralgico di questo popolo era Consentia la
quale venne eletta dalle tribù dei Bruzi, dopo essersi coalizzate in una lega, "capitale" della regione.
Fu occupata dai Romani assieme al resto della Magna Grecia nel 265 a.C., ma durante la seconda
guerra punica si ribellò a Roma per allearsi con Annibale, per poi ritornare sotto il saldo controllo
della repubblica romana dopo la sconfitta del condottiero cartaginese.
Note [modifica]
1. ^ a b Geografia, VI 1, 4.
2. ^ Strabone li definiva già liberi prima della rivolta, per indulgenza dei loro padroni. Si veda il citato
passo VI 1, 4.
3. ^ N. Putortì - Rosarno. Scoperta di monete mamertine-brezie in NSA 1924 pag. 103
4. ^ http://www.calabriaonline.com/col/lacalabria/regione/storia4.php
5. ^ F. Lenormant La Magna Grecia Vol. III
6. ^ Il coronimo Bruttium, da cui deriva quello italiano, sebbene largamente in uso nella letteratura
scientifica, è sconosciuto al latino classico, nel quale viene utilizzato sotto la forma plurale
dell'etnico: Bruttii, "[territorio] dei Bruzi" (si veda la bibliografia). A volte viene sostituito
erroneamente dal coronimo Brutium.
Bibliografia [modifica]
[1] - Gli spazi geografici della Storia Romana: La Regio III: Lucania et Bruttii
v·d·m
Cosenza
Lucani
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I Lucani furono una popolazione appartenente al ceppo italico e di lingua osca, che giunse, nel V
secolo a.C., nella terra che da essi prese il nome di Lucania, territorio genericamente compreso tra i
fiumi Sele, Bradano, Laos e Crati, fino ad allora chiamato dai Greci Enotria.
All'inizio del IV secolo a.C. si espansero verso sud-ovest, nell'attuale Calabria, dove vennero in
conflitto con i Greci della Magna Grecia, in particolare con Siracusa che riuscì a dividere i Lucani e
a sbarrare loro il passo. L'espansionismo del popolo italico si volse allora verso est, dove si scontrò
con Taranto. In seguito presero parte alle Guerre sannitiche e alle Guerre pirriche contro la ponteza
in ascesa di Roma, che riuscì a sottometterli nel 275 a.C. Tra III e I secolo a.C. i Lucani presero
parte a diverse insurrezioni italiche contro il dominio romano, senza riuscire a riacquisire
l'indipendenza; a partire dalla decsiva battaglia di Porta Collina (82 a.C.) ebbe inizio la loro
definitiva romanizzazione.
Indice
[nascondi]
• 1 Etnonimo
• 2 Storia
• 3 Società
• 4 Religione
• 5 Economia
• 6 Lingua
• 7 Cultura
o 7.1 Arte
• 8 Note
• 9 Bibliografia
• 10 Voci correlate
Etnonimo [modifica]
Le origini del nome restano oscure. Poco convincenti sono infatti sia la tesi che esso derivi dal
termine latino lucus ("bosco sacro") sia quella che lo farebbe derivare dal termine greco λυκος
("lupo")[senza fonte]. Quest'ultima fa riferimento all'uso delle popolazioni sabelliche di adottare un
animale totemico come guida nelle loro migrazioni, secondo l'uso della Primavera sacra; tuttavia,
proprio l'esempio dei loro vicini settentrionali, gli Irpini - il cui nome deriva dal termine osco
hirpus ("lupo") -, rende poco probabile questa ipotesi[senza fonte]. I Lucani infatti, pur avendo adottato
presto l'alfabeto greco, mantennero sempre l'osco come lingua.
Storia [modifica]
Le tribù lucane [modifica]
Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia[1], compila una lista di popoli dell'antica Lucania:
Atinati, Bantini, Eburini, Grumentini, Numestrani, Potentini, Sontini, Sirini, Tergilani, Ursentini,
Volcentani.
Poco sappiamo dei rapporti dei Lucani con le popolazioni preesistenti dell'interno (chiamate dai
Greci Enotri). Al contrario sappiamo che le relazioni con le colonie greche furono decisamente
conflittuali. Conquistata alla fine del V secolo a.C. Poseidonia, che i Lucani chiamarono "Paistom"
(la Paestum dei Romani), ben presto caddero sotto il loro potere tutte le città della costa tirrenica
fino a Laos, con la sola eccezione di Velia.
Nel 389 a.C., i Lucani, alleati di Dionisio il Vecchio tiranno di Siracusa che cercava di imporre il
suo predominio sulle città della Magna Grecia, mossero contro le polis nemiche di Siracusa. Questo
scatenò la reazione di Thurii, potente città sorta sulle ceneri di Sibari, che, senza attendere l'aiuto di
altre città della Lega sorta proprio per difendersi dai Lucani, cercò di riconquistare la sua antica
colonia, Laos, subendo una disastrosa sconfitta ed evitando lo sterminio dei prigionieri solo grazie
all'intervento del siracusano Leptine[2]. I Lucani estesero in tal modo il loro predominio su tutta
l'attuale Calabria interna a nord dell'istmo.
Questa situazione non era tuttavia destinata a perdurare. Per prima cosa mutò l'atteggiamento di
Siracusa che, da alleata dei Lucani, divenne loro ostile; inoltre scoppiò una violenta rivolta servile
che provocò una lunga guerra civile che avrebbe indebolito notevolmente la potenza lucana.
Secondo Strabone la rivolta provocata da Dione di Siracusa, fu causata dall'avere i Lucani armato i
loro servi dediti alla pastorizia per sostenere le numerose guerre[3]. La rivolta di quelli che i Lucani
chiamarono Bretti ("ribelli" in osco, corrispondenti ai Bruzi) provocò l'etnogenesi di un nuovo
popolo, che si consolidò intorno a Cosentia e sui monti della Sila, privando i Lucani del territorio a
sud della linea Laos-Thurii.
Interrotta ogni possibilità di espansione verso sud dalla nascita dei Bretti (i Bruzi dei Romani), i
Lucani diressero le loro attenzioni verso lo Ionio, entrando in collisione con la principale potenza
dell'area: Taranto. I Tarantini per reggere l'urto dei Lucani sul loro territorio e mantenere la
posizione di predominio nello Ionio settentrionale dovettero ricorrere all'aiuto della madrepatria,
Sparta. Il primo a soccorrere Taranto fu Archidamo III, re di Sparta che, nel 338 a.C., avrebbe
trovato la morte sotto le mura di Manduria, combattendo i Messapi.
Nel 323 a.C. in aiuto dei Tarantini giunse Alessandro I d'Epiro, detto "il Molosso", zio di
Alessandro Magno. Alessandro, dopo aver privato i Lucani delle città ioniche e restituito Heraclea a
Taranto, conquistò l'Apulia; quindi, attraversando la Lucania, giunse sotto le mura di Poseidonia
(Paestum). Qui i Lucani ed i loro alleati sanniti affrontarono in campo aperto la falange macedone
uscendone completamente sconfitti. Alessandro, in questa occasione, probabilmente liberò, anche se
temporaneamente, Poseidonia; prese inoltre numerosi ostaggi fra le famiglie aristocratiche lucane
deportandone molte in Epiro.
Con la battaglia di Poseidonia all'alleanza fra Lucani e Sanniti, da poco usciti dalla Prima guerra
sannitica contro Roma, si contrappose un'alleanza tattica tra Alessandro ed i Romani[4]. Era ormai
evidente il tentativo di Alessandro di realizzare in Occidente un dominio su tutte le città
magnogreche e siceliote. In tale contesto, o proprio per questo, i Lucani trovavano nuovi alleati a
sud nei Bruzi. Per evitare il congiungimento delle forze lucane con quelle bruzie, Alessandro si
posizionò a Pandosia, ai confini tra i territori dei due popoli. Nel 338 a.C. il suo esercito, diviso in
tre parti isolate fra loro a causa di un'alluvione, fu completamente distrutto da Bruzi e Lucani ed
egli stesso trovò la morte, trafitto dal giavellotto di un ostaggio lucano[5].
Alcuni anni dopo, nel 323 a.C., i Lucani insieme ad altri popoli dell'Occidente, come narra Arriano,
mandano legati a Babilonia in segno di amicizia alla corte di Alessandro Magno[6].
Durante la Seconda guerra sannitica i Lucani oscillarono fra l'alleanza con i Romani e quella con i
Sanniti. In realtà la società lucana del tempo era divisa tra una fazione aristocratica filoromana ed
una democratica vicina a Taranto e ai Sanniti[7].
Nel 302 a.C. Romani e Lucani sono di nuovo alleati contro l'ennesimo condottiero greco, Cleonimo,
re di Sparta chiamato da Taranto. L'alleanza proseguì anche durante la Terza guerra sannitica, anzi
questa fu causata proprio, come narra Tito Livio, dalla richiesta d'aiuto dei Lucani a Roma contro i
Sanniti che, devastando i loro territori, cercavano di costringerli ad un'alleanza contro Roma[8].
Durante la Seconda guerra punica, dopo la battaglia di Canne i Lucani, come buona parte dei popoli
e delle città del Sud Italia si schierarono con Annibale, più per evitare i saccheggi degli invasori che
per inimicizia verso Roma. Era un atteggiamento più che comprensibile considerata la strategia del
logoramento adottata dai Romani che permise ad Annibale di restare diversi anni nell'Italia
meridionale.
Puniti blandamente per il loro "tradimento", i Lucani tornarono ad essere socii dei Romani per
lunghi anni fino a quando, nel 90 a.C., stanchi di partecipare alle numerose guerre romane senza
ottenere vantaggi, chiesero la cittadinanza romana come gli altri popoli della penisola.
Per approfondire, vedi le voci Guerra sociale e Guerra civile tra Mario e Silla.
La Guerra sociale che seguì al rifiuto del Senato romano di concedere agli Italici la cittadinanza
vide i Lucani in guerra contro Roma, guidati da Marco Lamponio. Questi sconfisse presso
Grumentum Licinio Crasso e più tardi la stessa città fu presa e saccheggiata. Lucani e Sanniti
furono gli ultimi ad arrendersi e, quando i Romani nell'88 a.C. concessero la cittadinanza agli
Italici, i due popoli furono gli unici ad esserne esclusi.
Pur avendo ottenuto successivamente la cittadinanza romana, i Lucani tornano a prendere le armi
durante la guerra civile fra Mario e Silla, schierandosi con il primo, più favorevole agli Italici. Al
ritorno di Silla in Italia tentarono, guidati ancora da Marco Lamponio, l'ultima carta con gli alleati
Sanniti, guidati da Ponzio Telesino, soccorrendo il figlio di Mario assediato a Preneste, che preferì
restare all'interno delle mura della città. Mentre una legione lucana guidata da Albinovano passò a
Metello, gli altri Lucani affrontarono con i Sanniti Silla nella battaglia di Porta Collina, dove furono
sconfitti.
La guerra sociale e la guerra civile furono devastanti per la Lucania, che subì le rappresaglie dei
Romani e in particoalre di Silla; intere città, come Pandosia, furono rase al suolo. Ancora anni dopo
quegli eventi, Strabone narra che «in seguito a queste disfatte i loro insediamenti sono
assolutamente insignificanti, senza alcuna organizzazione politica e i loro usi, in fatto di lingua
armamenti e vestiario, completamente tramontati».
La battaglia di Porta Collina fu l'ultimo atto dei Lucani come popolo autonomo; dopo di allora, le
loro vicende si confondono con quelle dell'Italia romana. Il loro territorio venne organizzato con
quello dei Bruzi nella Regio III Lucania et Bruttii.
Società [modifica]
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Nella sua Geografia, Strabone afferma[senza fonte] che avevano istituzioni democratiche, tranne che in
tempo di guerra, quando i magistrati in carica sceglievano un dittatore. Strabone descrive una terra
ormai in decadenza, con poche città, ormai prive di qualunque peso e prosperità, ricoperta di foreste
abitate da cinghiali, orsi e lupi. L'attività principale era la pastorizia.
Religione [modifica]
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Dal punto di vista religioso, oltre al culto di Mamerte (il Marte dei Romani), era particolarmente
diffuso il culto di Mefite, dea delle acque.
Economia [modifica]
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Gli usi dei Lucani erano in tutto simili a quelli delle altre popolazioni sabelliche: abitavano città
poste su alture e vivevano prevalentemente di pastorizia, anche se, nel secolo successivo al loro
insediamento, alla pastorizia si associò l'agricoltura e si diffuse l'uso di abitare in fattorie sparse sul
territorio.
Lingua [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Lingua osca.
I Lucani parlavano l'osco, una lingua indoeuropea del gruppo osco-umbro diffusa tra numerosi
popoli italici ad essi affini, come i loro vicini Sanniti, che avevano assorbito gli Osci nel V secolo
a.C.
Appresero l'uso della scrittura dai Greci; le loro iscrizioni, pur essendo in lingua osca, utilizzavano
perciò l'alfabeto greco.
Cultura [modifica]
Arte [modifica]
Dagli scavi di Paestum, e particolarmente dalle tombe lucane, è possibile avere testimonianza dagli
arredi funebri e dai dipinti. Il tema principale è quello del ritorno del guerriero; diffuso appare l'uso
del cinturone di bronzo, elemento distintivo dei maschi in età adulta, della corazza a tre dischi e
dell'elmo corinzio, spesso adornato con penne d'uccello (costumi tipici delle popolazioni sannite)
[senza fonte]
.
Note [modifica]
1. ^ Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 98.
2. ^ Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, XIV, 10.
3. ^ Strabone, Geografia, IV, 5.
4. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, VIII, 17.
5. ^ Livio, VIII, 24.
6. ^ Arriano, Anabasis Alexandri, [senza fonte].
7. ^ Livio, X.
8. ^ Livio, X, 11.
9. ^ L. Pareti, A. Russi, op. cit., pag. 314.
10. ^ Tito Livio, Periochae degli Ab Urbe condita libri, libro XII, 2. URL consultato il 17-04-2009.
11. ^ Fasti triumphales celebrano per il 282/281 a.C.: Gaio Fabricio Luscino, console, trionfò su
Sanniti, Lucani e Bruzi, alle none di Marzo (5 marzo).
12. ^ A. Piganiol, op. cit., pag. 181.
Bibliografia [modifica]
Fonti primarie [modifica]
• Luigi Pareti, Angelo Russi, Storia della regione lucano-bruzzia nell'antichità , Ed. di Storia
e Letteratura, 1997. ISBN 9788887114232
• André Piganiol, Le conquiste dei Romani , Milano, Il Saggiatore, 1989 . ISBN 88-04-32321-
3
MANDURIA
L'ETÀ MESSAPICA
C'e' spazio per un altro cinquecento di pace, ma nella prima metà del
III secolo A. C. Taranto i Messapi debbono allearsi contro le legioni
romane che, già impossessatesi di tutto il territorio italico, minacciano
l'estremo lembo salentino.
Archidamo III (greco Αρχίδαμος; ...) figlio di Agesilao II, fu re di Sparta dal 360 a.C. al 338 a.C..
Archidamo comandò le forze spartane sia prima che durante il suo regno. Archidamo guidò le forze
mandate ad aiutare l'esercito spartano sconfitto dai Tebani alla battaglia di Leuttra nel 371 a.C. e
successivamente fu comandante durante i combattimenti avvenuti nel Peloponneso. Archidamo
sconfisse gli Arcadi nel 367 a.C. ma a sua volta fu da loro sconfitto nel 364 a.C. a Cromnus. Nel
362 a.C. mostrò grande coraggio nella difesa di Sparta contro il comandante tebano Epaminonda.
Durante il suo regno Archidamo sostenne i Focesi contro Tebe nella guerra sacra del 355-346 a.C.
Nel 346 a.C. andò a Creta per aiutare la città di Lyttos nella lotta contro Cnosso durante la
cosiddetta guerra straniera. Nel 343 a.C. la colonia spartana di Taranto chiesto aiuto a Sparta nella
guerra contro le popolazioni italiche, soprattutto contro i Lucani. Nel 342 a.C. Archidamo arrivò in
Italia con una flotta e un esercito e combatté contro tali popolazioni, ma nel 338 a.C. fu ucciso sotto
le mura della città messapica di Manduria.
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