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Bartolini
Note sulla Shoah in Italia e nel pistoiese
In In viaggio. Dentro il cono d'ombra, a cura di Sara Valentina Di Palma e Stefano
Bartolini, Livorno, Belforte, 2018, pp. 91-104
Nell’introdurre questa seconda sezione di lavori, partirò da una breve illustrazione dei fatti
salienti che hanno sostanziato la Shoah nell’area pistoiese, che poi è il territorio previlegiato
di interesse per l’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea, promotore di
questo convegno. E’ infatti giunto il momento di avvicinare il punto di vista, andando a vedere
cosa concretamente successe dentro al “cono d’ombra”, per riprendere il titolo che abbiamo
voluto dare alla giornata. Come vedremo, la fattualità storica restituisce in maniera
inequivocabile le ragioni alla base di questa scelta.
Al censimento del 1938, che doveva servire a localizzare gli ebrei ed identificare le persone
oggetto della legislazione antiebraica, in Toscana risultarono essere presenti 5.931 individui1.
A Pistoia furono rilevati 22 nuclei familiari residenti nella provincia, per un totale di 75
persone che facevano capo, allora come oggi, alla Comunità di Firenze, ed altre 40 famiglie
provvisoriamente presenti con in tutto 110 individui, per un totale di 185. Gli ebrei erano
principalmente concentrati nei centri urbani, a Pistoia (21 nuclei familiari, 72 persone) e
Montecatini Terme (24 nuclei, 69 persone), mentre il resto (17 nuclei, 44 persone) era
sparpagliato nei diversi comuni tra i paesi di Buggiano, Pescia, Abetone, Cutigliano, Marliana,
Monsummano, Pieve a Nievole, San Marcello, quindi prevalentemente nelle aree montane
dell’Appennino e in Valdinievole2. Pur consistendo in una piccola quota della popolazione
ebraica toscana, la loro presenza era diffusa su una parte significativa del territorio
provinciale e, per quanto attiene le famiglie stabilmente residenti, radicata ed integrata nel
tessuto sociale.
Sulle leggi del 1938 ha già svolto la sua relazione Michele Sarfatti precedentemente. Adesso
andremo pertanto a vedere come il fascismo preparò il terreno che rese possibile il pieno
dispiegarsi della Shoah. Fin dal 1938 il giornale del fascismo pistoiese, Il Ferruccio, intraprese
un’opera culturale e propagandistica di diffusione dell’antisemitismo, tramite editoriali che
andavano a giustificare la politica razzista del Regime ed adottando un linguaggio violento ed
aggressivo contro gli ebrei 3 . In particolare Carlo Villani pubblicò più volte articoli che
facevano una summa degli stereotipi antiebraici, accusando il giudaismo di lavorare alla
corruzione della razza italiana. Anche gli appartenenti ai Gruppi universitari fascisti, i GUF, si
cimentarono con solerzia nella campagna, giungendo a pubblicare fin dal maggio 1939 un
notiziario periodico dal titolo esplicito, Razza. Da un punto di vista generale, quest’attivismo
sul tema si inseriva in un filone di lungo periodo del fascismo – che aveva già avuto modo di
fare le sue prove generali tanto teoriche che pratiche attraverso la persecuzione delle
1 E. Collotti (a cura di), Razza e fascismo. La persecuzione contro gli ebrei in toscana (1938-
cit. p. 294.
minoranze slovene e croate4 e nelle colonie – teso ad esaltare la potenza e la superiorità della
stirpe italiana, con un razzismo visto come logica e necessaria conseguenza della presa di
coscienza della nazione del suo ruolo nel mondo. E’ degno di nota rilevare come nei primi
mesi tanto il Villani che i GUF attribuissero quindi il “semplice” antisemitismo – parte dunque
di un più generale razzismo italiano – all’arrivo negli anni precedenti di un gran numero di
ebrei stranieri, persone in fuga dai regimi fascisti europei e dagli stati che applicavano
politiche antiebraiche5. Scriveva infatti Villani: «l’Italia pare diventata la terra d’approdo di
tutti i profughi ebrei. Ne sono calati e ne calano a torme. Occhio a chi valica la frontiera! E una
misura d’elementare precauzione»6. Ma anche il settimanale diocesano locale, L’Alfiere, non si
sottrasse alla diffusione continuativa di sentimenti antiebraici. Già nel 1937 scriveva: «Si può
parlare d’internazionale ebraica. L’ebreo è un essere insociabile e inassimilabile, parassita,
rivoluzionario, contrario a ogni autorità. Dove tende l’internazionale ebraica? Alla
ebraicizzazione del mondo. I punti principali della loro azione sono: distruggere la fede
cristiana; corrompere la moralità delle razze occidentali; culto dell’osceno e dello strano;
scomparsa di ogni nazionalismo»7.
Massoni, bolscevichi, avidi, depravati, gli stereotipi antisemiti sono tutti presenti nella stampa
locale tra gli anni Trenta e Quaranta, ed Il Ferruccio propose anche, a seguito della proiezione
nel capoluogo di Tempi moderni, di vietare tutti i film di Charlie Chaplin, in quanto espressione
del più puro spirito ebraico 8 . Se su un piano politico questi interventi della stampa
precisavano le peculiarità del razzismo fascista rispetto a quello nazista, la sua natura
“spiritualistica” e culturale – rivelando le contraddizioni tra le tradizioni di pensiero fasciste e
l’impostazione biologica del Manifesto della razza – e per quanto riguardava i cattolici anche i
distinguo della Chiesa rispetto al regime hitleriano, a un livello più divulgativo ci si prodigava
per alimentare l’ostilità contro la popolazione ebraica. Gli ebrei erano nemici verso i quali non
si doveva dimostrare debolezza o accondiscendenza, tant’è che il giornale fascista in più
occasioni attacco i comportamenti definiti “pietisti”9. Un’avversione che iniziò a risuonare
ancor più sinistramente dopo l’8 settembre del 1943, quando Il Ferruccio minacciò: «Cosa ci
resta da fare, pensando alle ribalderie commesse dagli ebrei e non dimenticando che la guerra
contro l’Asse è condotta dalla cricca ebraico-massonico internazionale? Continueremo a
tollerare la presenza di simili individui arricchiti con il nostro sudore? E’ un problema da
risolvere e che sarà risolto a tempo e luogo»10.
In realtà come sappiamo il fascismo aveva avviato fin dall’inizio della guerra un’ulteriore giro
di vite nei confronti degli ebrei, che si andava ad innestare sopra alle pesanti misure
legislative. Già con una circolare del capo della polizia in data 25 settembre 1939 si invitava le
autorità locali a una specifica sorveglianza sugli ebrei, sospetti di poter dar vita a attività
perniciose in quanto tali11. I più esposti nell’immediato al rischio di finire nelle maglie delle
autorità erano gli ebrei stranieri arrivati in Italia negli anni precedenti, alla ricerca di un
4 Sul razzismo fascista in chiave comparata tra antislavismo e antisemitismo rimando al mio S.
Bartolini, Fascismo antislavo. Il tentativo di “bonifica etnica” al confine nord orientale, Pistoia,
ISRPt Editore, 2006.
5 C. Bencini, “Il Bargello” di Firenze e “Il Ferruccio” di Pistoia…, cit. pp. 302-303.
6 C. Villani, Sulle orme di Sion, in «Il Ferruccio», 15 gennaio 1938.
7 Il retroscena ebraico della rivoluzione mondiale, in «L’Alfiere», 10 gennaio 1937.
8 C. Bencini, “Il Bargello” di Firenze e “Il Ferruccio” di Pistoia…, cit. p. 304.
9 Ivi, pp. 306-307.
10 Internazionale giudaica e decadenza della Francia, in «Il Ferruccio», 17 ottobre 1943.
11 C. S. Capogreco. I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943),
12 K. Voigt, Il rifugio precario, Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, Scandicci, La Nuova Italia,
1993.
13 E. Collotti (a cura di), Razza e fascismo…, cit. p. 17.
14 Si tratta del decreto legge n. 1381 del 7 settembre 1938, Provvedimenti nei confronti di ebrei
stranieri, e del decreto legge n. 1728 del 17 novembre 1938, Provvedimenti per la difesa della
razza italiana, che stabilivano per tutti coloro arrivati dopo il 1° gennaio 1919 l’obbligo di
lasciare l’Italia entro sei mesi a il ritiro della cittadinanza per chi l’aveva ottenuta
posteriormente alla stessa data. Nonostante l’ultimatum, gli ebrei stranieri non solo non
lasciarono il Paese ma continuò ad arrivarne di nuovi. L’espulsione in massa non fu attuata ma
i suoi termini vennero più volte prorogati. C. S. Capogreco. I campi del duce…, cit. p. 92
15 Per una ricostruzione di questi passaggi si veda Ivi, pp. 92-95.
16 C. S. Capogreco. I campi del duce…, cit. pp. 113-119. V. Galimi, L’internamento in Toscana, in
19 V. Galimi, L’internamento in Toscana…, cit. p. 511.
20 Ivi, p. 538.
21 E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI. Persecuzione,
26 Ivi, pp. 193-199.
27 Ivi, p. 181.
28 Ivi, pp. 231-240. Sul numero totale delle vittime Pardo Fornaciari riporta un numero
(1943-44), Pisa, Edizioni ETS, 2016, p. 18. M. Grasso, La mutazione della città: Pistoia si svuota,
gli sfollati 1943-44, in «Quaderni di Farestoria», A. XV, N. 3, settembre-dicembre 2013, p. 37.
30 Per una attenta disanima di questi aspetti si veda E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana…,
31 Traggo la gran parte di queste informazioni direttamente dalla mia memoria familiare, ed in
particolare dai racconti di mia nonna Dina Fontana, moglie di Israele Bemporad, e dalla
documentazione originale custodita dalla mia famiglia, fra cui quella relativa all’espulsione di
Israele dall’Università di Firenze in quanto studente di “razza ebraica”, insieme agli attestati di
partecipazione alla guerra di liberazione nazionale. Di Roberto Bemporad sappiamo che
emigrò negli Stati uniti nel 1939, il suo nome appare nel Wall of Honor di Ellis Island a New
York, dove sono iscritti i nomi degli immigrati arrivati in America passando da lì.
Infine l’intervento di Stefanori tratterà di un aspetto che ci sta particolarmente a cuore, la
Resistenza. Un tema che al suo interno ne contiene due. Da una parte c’è la questione della
partecipazione degli ebrei alla lotta partigiana, che di norma scompare dentro
all’impostazione del Giorno della memoria, come già emerso oggi. In occasione del 27 gennaio
infatti l’enfasi viene tutta posta sulla vittima, che trova una sua dignità in quanto tale. Il
partigiano è un altro archetipo narrativo, è il combattente, il guerriero per la libertà. Una
figura che mal si sposa con la narrazione, politica e morale, del Giorno della memoria. Si va
alla ricerca dei “Giusti”, più che dei resistenti, dei militanti, che non appaiono più come
modello da seguire. La partecipazione degli ebrei alla Resistenza diventa solo uno dei vari
modi per salvarsi, non si affrontano le loro motivazioni, che possono essere variegate: il
rapporto fra la religione e l’identità di italiani; l’esistenza di ragioni laiche e universalistiche;
la politica. Sull’altro lato, c’è la questione di come la Resistenza si approcciò alla Shoah. C’era
consapevolezza? Esistevano strategie specifiche? Spesso sembra che per la Resistenza gli
ebrei fossero come “trasparenti”, mancando di una loro specificità, la loro tragedia riportata
all’interno del più ampio contenitore dei crimini fascisti. Cosa sapeva la Resistenza di quel che
stava avvenendo?
Storia e memoria, intrecciate fra loro, sono pertanto i fili conduttori – come indicato anche
nella seconda parte del titolo della nostra giornata – capaci di tenere insieme le due sessioni
di questo convengo e le tre relazioni di questa seconda parte. Non poteva che essere così in fin
dei conti, se consideriamo il grande rilievo sia storico che pubblico dei temi trattati.