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Decadenza dell’analfabetismo.

Presentazione e rilettura di un saggio di José Bergamìn


di
Antonello Colimberti

L’autore
“Un gruppo dell’alta borghesia messicana si riunisce in un salone, ma non può più uscirne,
bloccato da una forza misteriosa. E nessuno può entrare. Quando l’incantesimo si rompe,
si ritrovano in una chiesa”. Questa è la sommaria descrizione, tratta da “il Morandini”, di
uno dei più straordinari film della storia del cinema: El angel exterminador (L’angelo
sterminatore) di Luis Buñuel, girato in Messico nel 1961. Molti conoscono questa pellicola,
la cui rinnovata visione potrà dare utili suggerimenti a chi desideri strapparsi a questa
ruota di dannati che è l’Italia presente (punta avanzata dell’Occidente moderno?), ma
pochi forse sanno che la sceneggiatura, scritta dallo stesso regista insieme al fedele Luis
Alcoriza, è la rielaborazione dell’opera teatrale Los naufragos de la calle Providencia di
José Bergamín. Ma chi è José Bergamín?
La figura di José Bergamín (Madrid 1895 - Fuenterrabia 1983), come ben ha scritto
Giorgio Agamben anni fa, è di quelle che più difficilmente si prestano a una collocazione
critica, sia per la poliedricità di scrittura (poesie, saggi, opere teatrali, pamphlet polemici e
via dicendo) che per l’eredità letteraria (la grande tradizione barocca del secolo d’oro
accanto alla tradizione segreta del romanticismo tedesco). 1 Da sempre attento alle
vicende politiche e sociali del proprio Paese fin dalla fondazione nel 1933 del periodico
Cruz y Raya (cui contribuirono i più bei nomi dell’intellettualità europea dell’epoca, fra cui
una giovane Maria Zambrano), Bergamín, dopo la chiusura della rivista nel giugno 1936
(poco prima del golpe militare fascista) e l’inizio della Guerra civile spagnola, accentuò la
sua militanza nel fronte democratico e repubblicano dirigendo l’Alianza de Intelectuales
Antifascistas e partecipando al governo in esilio a Parigi, fino a dirigere nel 1937 a
Valencia il secondo Congresso Internazionale di scrittori in difesa della cultura. Tali
iniziative e prese di posizione gli costarono numerosi anni di esilio in vari Paesi (Messico,
Venezuela, Uruguay, Francia), salvo un intervallo, fra il 1958 e il 1963, durante il quale,
rientrato in Spagna, fu incarcerato. Il rientro definitivo nel suo Paese avvenne nel 1970,
ma non per questo cessò la sua militanza politica che si realizzò dapprima nella stesura di

1
Cfr. Giorgio Agamben, José Bergamín, Introduzione a José Bergamín, Decadenza dell’analfabetismo, Rusconi,
Milano 1972, pp.7-29. Il volume, oltre al saggio omonimo, di cui ci occupiamo in questa sede, contiene il saggio
L’importanza del Demonio e una scelta di aforismi, sotto il titolo, La libellula o cavallino del diavolo.
manifesti nettamente di parte repubblicana, poi, negli ultimi anni, nella partecipazione allo
schieramento indipendentista basco, adesione vissuta fino al trasferimento in una località
basca al confine con la Francia, Fuenterrabia, dove morì.
L’indipendenza di pensiero, unita al coraggio nell’esporsi apertamente fino alla militanza
politica, che ricorda un altro importante personaggio del Novecento di cui ci siamo già
occupati sulle pagine di questa rivista2, hanno finora ostacolato una adeguata valutazione
di un autore che potrebbe essere posto come esempio per l’intellettualità europea, se non
per quella tout court. Vari dizionari ed enciclopedie, anche fra le più stimate e rispettabili,
continuano ad utilizzare definizioni inadeguate o addirittura fuorvianti. Ad esempio,
l’Enciclopedia Treccani parla di “cattolicesimo vicino a quello di Maritain, vissuto in chiave
letteraria piuttosto che filosofica”. Siamo fin all’inadeguato (ed è anche quanto scrive
Wikipedia), che diventa poi del tutto fuorviante quando si finisce ad adoperare per
Bergamín la più diffusa e trita definizione di “cattolico progressista”.
Cosa intendiamo dire?
Si legga il seguente passo di Giorgio Agamben: “Jean-Claude Milner ha identificato con
chiarezza, definendolo <<progressismo>> il principio in nome del quale si è compiuto
questo processo: transigere. La rivoluzione doveva transigere col capitale e col potere
come la Chiesa aveva dovuto venire a patti col mondo moderno. Così è andato prendendo
forma a poco a poco il motto che ha guidato la strategia del progressismo nella sua marcia
verso il potere: bisogna cedere su tutto, riconciliare ogni cosa col suo opposto,
l’intelligenza con la televisione e la pubblicità, la classe operaia col capitale, la libertà di
parola con lo stato spettacolare, l’ambiente con lo sviluppo industriale, la scienza con
l’opinione, la democrazia con la macchina elettorale, la cattiva coscienza e l’abiura con la
memoria e la fedeltà.”3
Se questo è vero, nessuno è stato meno “progressista” di José Benjamin, cui spetterebbe
piuttosto il termine di “imperdonabile”, nell’accezione che ha nel raffinato saggio scritto più

2
Ci riferiamo al rabbino e filosofo ebreo Abraham Joshua Heschel, di cui ci siamo occupati in questa rista. Cfr.
Antonello Colimberti, Il Sabato e il suo significato per l’uomo moderno. Rilettura di un saggio di Abraham Joshua
Heschel, in “Arel” n1/2012, pp. 218-223.
3
Giorgio Agamben, In questo esilio. Diario italiano 1992-94, in Idem, Mezzi senza fine. Note sulla politica, Bollati
Boringhieri, Torino 1996, pag.146. Il passo riportato è estrapolato da un contesto di considerazioni valide, anzi forse
ancor di più, se applicate agli anni successivi a quelli considerati dall’autore: “Qui ci interessa solo l’evoluzione che si è
compiuta a partire dalla fine degli anni settanta. Poiché è allora che la corruzione completa delle intelligenze ha assunto
la forma ipocrita e benpensante che oggi si chiama progressismo […] Si vede oggi a cosa abbia condotto questa
strategia. In ogni ambito, la sinistra ha attivamente collaborato a che fossero predisposti gli strumenti e gli accordi che
la destra al potere non avrà che da applicare e sviluppare per ottenere senza fatica i suoi scopi. Esattamente allo stesso
modo la classe operaia fu disarmata spiritualmente e fisicamente dalla socialdemocrazia tedesca prima di essere
consegnata al nazismo. E mentre i cittadini di buona volontà sono chiamati a vigilare in attesa di fantomatici attacchi
frontali, la destra è già passata per la breccia che la sinistra stessa aveva aperto nelle sue linee”.
di quarant’anni fa da Cristina Campo. 4 Quella Cristina Campo che nel 1966 organizza una
raccolta di firme per una lettera –manifesto, resa pubblica il 5 febbraio, in cui si chiede che
nei conventi venga mantenuta la lingua latina. Fra le trentasette firme di artisti e
intellettuali di ogni Paese non manca quella di José Bergamín (il cattolico “progressista”!) 5
Il “rinnovamento nella tradizione”, ovvero il “cristianesimo giovanneo” 6 del nostro scrittore
spagnolo appare evidente se solo ci si confronta con mente aperta con uno dei suoi saggi
più brillanti ed ispirati: La decadencia del analfabetismo, pubblicato originariamente sulla
rivista Cruz y Raya n.3 del 15 giugno 1933.

I bambini, i popoli, le arti


Apriamo il saggio7: “Tutti i bambini, finché sono bambini, sono analfabeti. Il bambino non
può imparare le lettere dell’alfabeto, non può imparare e leggere e a scrivere finché non
ha quello che giustamente si chiama uso della ragione: uso che sarà certamente abuso
quando il bambino si farà uomo alfabeta, uomo di lettere, se tale si farà. L’uso e l’abuso
della ragione sono in definitiva l’utilizzazione razionale, la ragione pratica. Difatti il bambino
ha la ragione prima di usarla, prima di sapere per cosa gli servirà o per cosa la utilizzerà
praticamente- non si può usare quello che non si ha- ma ha una ragione intatta,
spiritualmente immacolata, una ragione pura: cioè una ragione analfabeta. E questa è la
sua beatitudine. Non è che non possa conoscere il mondo, ma lo conosce puramente: in
modo spirituale esclusivo, non letterale o letterato o letteraturizzato. La ragione del
bambino è una ragione puramente spirituale: poetica.” 8

4
Cristina Campo, Gli imperdonabili, in Idem, Il flauto e il tappeto, Rusconi, Milano 1971, pp. 91-111, ristampato in
Idem, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987, pp. 73-88.
5
La lettera-manifesto, con le relative firme, è contenuta nel numero unico, Capodanno 1968, della rivista “Una Voce”.
6
Assumiamo le due espressioni virgolettate dal bel libro di Silvano Panunzio (1919-2010), altro scrittore cattolico
“imperdonabile” (ma di solito definito “tradizionalista”, formulazione ancora una volta inadeguata, perché ambigua),
secondo il quale “un forte spirito di rinnovamento nella tradizione- che altro poi non era se non la <<ventata
orientale>>, o meglio <<originaria>>, cadmica, di cui parlano i Libri sapienziali e profetici- circolava dal 1944 in poi
nel corpo vivo della Cristianità. (Silvano Panunzio, Tra oriente e occidente. Intermediari ecumenici, Introduzione a
Idem, Cristianesimo giovanneo. (Luci di ierosofia), Cantagalli, Siena 1989, pag. 23).
7
Tutte le citazioni sono prese dalla prima edizione italiana: José Bergamín, Decadenza dell’analfabetismo, Rusconi,
Milano 1972 (traduzione dallo spagnolo di Lucio D’Arcangelo).
8
Negli stessi anni in cui scriveva Bergamín, un gesuita francese, Marcel Jousse, dopo aver già scosso gli ambienti
intellettuali parigini pubblicando il suo dottorato alla Sorbona (Le Style oral rytmique et mnémotecnique chez les verbo
moteurs, Beauchesne, Paris 1925, Nouvelle Édition, Fondation Marcel Jousse, Paris 1981), insegnava
contemporaneamente in vari istituti di alta cultura parigini (Sorbona compresa), proponendo la più rigorosa e profonda
emersione novecentesca di “saperi assoggettati” (espressione di Michel Foucault, sulle implicazioni pedagogiche del cui
pensiero cfr. Alessandro Mariani, Foucault: per una genealogia dell’educazione. Modello teorico e dispositivi di
governo, Liguori, Napoli 2000), esemplarmente identificati nel contadino, nel “primitivo”, e, appunto, nel bambino. Le
lezioni del gesuita, tenute e stenografate dalla sua fedele allieva Gabrielle Baron, sono un patrimonio culturale che
attende ancora di emergere e, soprattutto, studiato. Valgano per ora i due volumi da noi curati: Marcel Jousse, La
sapienza analfabeta del bambino. Introduzione alla mimo pedagogia, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2011, e
Marcel Jousse, Il contadino come maestro. Lezioni alla Sorbona, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2012.
Dai bambini ai popoli9: “Come i fanciulli, i popoli pensano e credono contemporaneamente,
giocando: poiché la loro razionalità è pura o poetica, cioè divina. Perciò, mentre Dio gioca
con i popoli analfabeti come i fanciulli, il Demonio si gioca sempre i popoli letterati, così
come gli uomini che lo sono, gli uomini di lettere. Quello che un popolo ha di fanciullesco e
quello che un uomo ha di popolare, che è quello che conserva di fanciullesco, è
precisamente l’analfabetismo. L’analfabetismo è la comune denominazione poetica di ogni
stato veramente spirituale”.
Dai bambini e i popoli alle arti: “Questa correlazione spirituale tra la fede e la ragione
poetica o ragion pura si verifica non soltanto nell’anima analfabeta dei fanciulli o dei
popoli, ma anche nei risultati spirituali di questa profonda animazione: nel teatro, che la
proietta fuori, superficialmente, rispecchiandola, illuminata; nel canto, quando la voce
popolare attacca oscuramente, alla cieca; chiudendo le sue fonti evasiva, come si fa con
gli uccelli, perché cantino bene. Anche nella danza, quando attacca analfabeticamente
come il canto: nella danza profonda dei negri; poiché l’uomo ha dovuto vedersi nero per
approfondire danzando la precisione della sua verità. La danza negra è la luce argentata
di questa tenebrosa ignoranza dello spirito analfabeta, superiore a tutte le altre forme
retoriche di danza, letterali o letterarie. Danza precisa e vera: o precisamente e veramente
poetica.”10

La decadenza
Tali auree condizioni (il bambino, i popoli, le arti) vengono sempre più messe a dura prova
in quello che il “progressista”(!) Bergamín chiama apertamente “processo di decadenza”
(annunciato già nel titolo del saggio), quando si afferma e impone una cultura letterale, le
cui origini non vengono certo eluse, ma anzi chiaramente affermate: “È la cultura che ha
alterato l’ordine del mondo: che ha alterato tutte le cose, sopprimendo le gerarchie.
Quando si perde razionalmente il senso delle gerarchie, occorre ordinare tutto per ordine
alfabetico. L’ordine alfabetico è un falso ordine. L’ordine alfabetico è il maggior disordine
spirituale: quello dei dizionari e dei vocabolari letterali, più o meno enciclopedici cui la
cultura letterale cerca di ridurre l’universo. Il monopolio letterale della cultura ha alterato le
cose disorganizzando le parole, che sono anche cose e che, essendo cose (cose di idee o
idee di cose, cose di ragione o cose di gioco), sono una realtà razionale pura o poetica,
una realtà veramente spirituale o analfabeta […] L’ordine alfabetico internazionale della
cultura, che nacque con gli enciclopedisti - e che è una specie di mortale anticipazione
9
Popoli “spontanei”, avrebbe detto Marcel Jousse, con una terminologia che fa tremare gli odierni etnologi “letterati”!
10
Nel saggio Bergamín non parla del cinema, ma lo nomina come “invenzione mirabilmente analfabeta”.
dell’Inferno -, è giunto a trasformare, per logica e naturale conseguenza, la
rappresentazione totale del mondo, l’universo, in un Dizionario Generale Enciclopedico,
ordinato, com’è naturale, alfabeticamente. Si tratta di un’alfabetizzazione generale e
progressiva che ha operato nella vita umana come una paralisi generale e progressiva del
pensiero.”11
Il processo di decadenza investe anche le arti, come ad esempio, la poesia e il teatro 12.
Per quanto riguarda la poesia: “C’è stata una letteraturizzazione della stilistica della
poesia. Per un sottile alambicco la poesia si pastorizza letteralmente, sterilizzandosi:
sterilizzando immaginativamente il pensiero. La poesia distillata o sterilizzata non è poesia
pura: è poesia letterata o letteraturizzata. La poesia si fa letteraria, alfabetica, cercando
nella vocalizzazione esclusivamente letterale delle sue consonanze una musica per le
lettere. C’è tutta una letteratura poetica, così chiamata, che possiede lettera e musica, ma
che non possiede poesia. […] Mettere in poesia le parole significa semplicemente giocarci,
come dicevamo che fa il bambino analfabeta o il popolo, fanciullo analfabeta. La poesia
pura è semplicemente la più impura: la poesia analfabeta. La poesia è analfabetismo
integrale, perché integra spiritualmente tutto. La poesia è il campo analfabetico di
gravitazione universale di tutte le costruzioni spirituali umane”.
Per quanto riguarda il teatro: “Il teatro è cosa da vedere e da guardare perché in esso
vediamo il fondo, esoterico, del nostro pensiero fanciullo, che è il nostro pensiero di
popolo: il nostro analfabetismo radicale. Il teatro rappresenta le figurazioni poetiche con la
parola e non con la lettera. La maschera immobilizza l’atteggiamento comico o tragico per
esprimere meglio la parola, senza alterazioni mimetiche che sviino dalla sua ragione o dal
suo senso, rinforzando la voce per intensificare il processo tragico o comico del
rispecchiamento. Il teatro senza parola è un mimetismo virtuoso che, come ogni
virtuosismo, svigorisce l’autenticità dell’espressione, rendendola impopolare. Il teatro, che
è. essenzialmente, presenza e potenza, popolare, ossia, per definizione, analfabeta, non
può parlare che per voci e gridi; non può parlare per segni; per segni si parla soltanto in
lettere. Ecco perché chi esclude a ragione la letteratura da teatro lo fa ancora più letterario
o letterato, più esclusivamente alfabetico e letterale, quando disdegna la parola
riducendola alle apparenze e ai suoi apparati spettacolari. Così si fa un teatro

11
Si pensi all’odierna fortuna del “modello enciclopedico” nel pensiero e nell’opera del semiologo e scrittore di
successo Umberto Eco, ideatore anche dell’enciclopedia elettronica Encyclomedia. Ma sull’inadeguatezza di Eco e i
letterati odierni a comprendere i “nuovi paradigmi” ci permettiamo di rinviare al nostro Crisi della scrittura e ritorno
dei sensi. Nuovi paradigmi fra antropologia, musica e teatro, in “Arel” n1/2009, pp. 221-227.
12
Bergamín non ne parla, ma si potrebbe citare anche la musica. Cfr. Jacques Viret, La musica occidentale e la
tradizione. Metamorfosi dell’armonia (a cura di Antonello Colimberti), Simmetria, Roma 2012.
mimeticamente camaleontico che del teatro non conserva altro che la vana apparenza
nominale: la vuota impressione etimologica, letterale, del nome”.

Il cristianesimo
Dopo aver definito la Docta ignorantia, celebre opera del filosofo tedesco Niccolò Cusano
(1401-1464), “perfetta dottrina matematica dell’analfabetismo cristiano”, il cattolico
“imperdonabile” Bergamín arriva al “fondatore”: “Quando Gesù era fanciullo e come
fanciullo analfabeta o analfabeta come un fanciullo (ché analfabeta fu sempre: come
fanciullo, come uomo e come Dio), quando era fanciullo Gesù si smarrì e fu trovato nel
tempio. Lì insegnava ai dottori della legge, dottori della legge scritta, della lettera legale 13
(gli stessi che poi lo avrebbero crocifisso per questo: poiché era analfabeta); lì insegnò la
dottrina spirituale dell’ignoranza, che essi non ascoltarono e non intesero. Perciò, quando
poi lo condannarono a morte come analfabeta, lo crocifissero letteralmente, cioè a piè
della lettera o delle lettere, collocando sulla sua testa un cartello su cui il letterato Pilato
fece scrivere appositamente: Io sono il Re dei Giudei; fece scrivere ciò per mostrare a tutti
che avevano preso alla lettera le parole di Cristo e che lo avevano crocifisso prendendolo
così, letteralmente. Sotto questo INRI letterale, Cristo rese lo spirito a Dio; <<dando un
gran grido>> dice l’apostolo: divinamente e umanamente analfabeta. Lo spirito muore
sempre crocifisso a piè della lettera. Ma muore per resuscitare”.
Se questo è vero, anche la nascita di Gesù è occasione di adeguata riflessione: “Nello
stesso tempo in cui nasceva miracolosamente Gesù, da una fanciulla vergine e
analfabeta, che come analfabeta fu scelta alla divina schiavitù della parola - si faccia in
me, disse, secondo la parola: secondo la parola divina e non a piè della lettera – in questo
stesso tempo in cui la nascita di Gesù si circondava simbolicamente di cure analfabete:
una mangiatoia per culla e un asino e un bue per riscaldarlo con il loro fiato, per farlo
crescere calorosamente, sin dalla culla, nell’analfabetismo; in questo stesso tempo Erode,
il Re letterale, ansioso di mantenere l’ordine alfabetico del mondo, che è quello che gli
corrispondeva, ordinava – con lo stesso logico criterio con cui Pilato avrebbe ordinato
dopo la giustificazione letterale della morte di Cristo – la strage degli innocenti: cioè di tutti
coloro che erano indiscutibilmente analfabeti; per recidere in boccio, e alla radice, il regno
spirituale dell’analfabetismo che gli si preannunciava. Ma la stella non lo volle; e il regno
analfabetico, che non è, naturalmente, di questo mondo, come ha detto il suo Re, ma, in
13
Questo legame fra lettera e legge, che Bergamín evidenzia come dimensione antitetica all’orizzonte cristico e poi
autenticamente cristiano, si riproporrà con forza al momento di fare i conti con l’esperienza dell’alter Christus (secondo
Cristo), Francesco d’Assisi, come ha mostrato definitivamente Giorgio Agamben. Cfr. Giorgio Agamben, Altissima
povertà. Regole monastiche e forma di vita, Neri Pozza, Vicenza 2011.
modo soprannaturale, dell’altro, si verificò precisamente e in modo incomprensibile o
spirituale, analfabeta, per mezzo della parola: perché in un modo incomprensibile una
Vergine madre contemplava splendere, come una stella, nelle tenebre analfabete della
sua ignoranza, la precisione della verità nel suo grembo”.
L’analfabetismo del “fondatore” si trasmette naturalmente ai suoi discepoli e da essi ai
seguaci di ogni tempo e luogo: “La ragione poetica del pensiero dell’uomo è la sua fede 14.
La poesia è sempre degli uomini di fede: mai degli uomini di lettere. Gli apostoli, come
uomini di fede per essere analfabeti, diedero alla vita di Cristo la sua perfetta espressione
poetica15. Paragonate i loro testi, poeticamente puri, con una qualunque delle innumerevoli
vite di Gesù Cristo, letterali o letterarie, che si sono scritte dopo: con quella di Rénan, di
Strauss o di Papini…o con qualunque altra (eccettuate le visioni extraletterarie e
analfabete dei mistici: come quella di Caterina Emmerich 16),. Queste vite letterali di Cristo
sono pagine e pagine di vaga e amena letteratura che non dicono una sola parola di
verità; né una parola di verità né di menzogna, perché non sono parole quello che dicono,
ma lettere; la parola si può dire soltanto come la dissero gli apostoli e i santi:
poeticamente. Non tutti gli analfabeti, per esserlo, devono essere santi, ma tutti i santi, per
essere santi, devono essere analfabeti. <<Poiché non ho conosciuto le lettere entrerò nei
domini del Signore>>, dice il Salmista.”

Conclusione: diritto all’analfabetismo


Il testo che abbiamo voluto presentare, invitandone alla lettura, ha in verità vari
passaggi dedicati ad aspetti specifici della cultura spagnola, quali, ad esempio, i
nacimientos o Belenes, presepi che si fanno per i bambini a Natale, o il cante hondo, lo
stile vocale del flamenco andaluso17.
Ma se il lettore ci ha seguito fin qui, e soprattutto non esiterà a ricercare la lettura
integrale del testo, avrà buon gioco nel far scorrere davanti ai propri occhi (ed orecchie)

14
Per una nozione di fede quantomeno comparabile con quella di José Bergamín rinviamo a Giorgio Agamben, Il tempo
che resta. Un commento alla Lettera ai Romani, Bollati Boringhieri, Torino 2000, in particolare cfr. la Sesta giornata,
pagg. 106-127.
15
In particolare il Vangelo di Giovanni è definito da Bergamín “Vangelo dell’analfabetismo spirituale più puro”.
16
All’esempio Bergamíniano di Caterina Emmerich potremmo oggi aggiungere quello della straordinaria mistica
italiana Maria Valtorta (1897-1961), autrice di L' Evangelo come mi è stato rivelato, migliaia di pagine, oggi raccolte in
dieci volumi, scritte in appena quattro anni, mentre era immobilizzata nel suo letto da un’infermità cronica. I volumi,
insieme a vari altri scritti, posso essere consultati sul sito: http://www.scrittivaltorta.altervista.org/index.htm
17
Degno di rilievo l’accostamento di Bergamín: “cante hondo o pleno o plano o llnano come quello della Chiesa
analfabeta di Cristo”. Per una nuova inquadramento del cosiddetto “canto gregoriano” in una dimensione
etnoantropologica e tradizionale nel contempo si sono dovuti attendere gli ultimi decenni, ed in particolare le
interpretazioni di Marcel Pérès e Damien Poisblaud. Per una visione competente e aggiornata del tema si rinvia al
recente esauriente studio di Jacques Viret, Le chant grégorien (con CD), Eyrolles, paris 2012.
una gran quantità di cose ed eventi, del passato e del presente, individuali e collettive,
materiali ed immateriali, ma tutte intrise di quella “sapienza analfabeta” che non è, anche il
lettore più ingenuo lo avrà capito, il non saper né leggere né scrivere, ma una forma di
conoscenza simbolica, non retaggio del passato, ma valore disponibile permanente 18, e
rivendicabile come un diritto, come esorta ancora Bergamín a conclusione del suo saggio:
“L’analfabeta ha i suoi diritti spirituali da difendere contro la denominazione alfabetica di
qualunque cultura determinata o indeterminata, più o meno letterale o letterata. Se ora si
parla di diritti del fanciullo, come si possono disconoscere i diritti dell’analfabeta, che sono,
originariamente, quelli del fanciullo, i più puri interessi spirituali dell’infanzia? I diritti
dell’analfabeta sono gli stessi del fanciullo, prolungati spiritualmente nell’uomo: e sono i
diritti più sacri, perché rappresentano l’unica libertà sociale indiscutibile: quella dello
spirito; quella del linguaggio creativo umano; quella del pensiero immaginativo dell’uomo.
L’analfabetismo spirituale e creatore dei popoli è ciò che i popoli hanno di fanciullesco, di
perennemente infantile; quindi i popoli hanno diritto all’analfabetismo come i fanciulli,
perché, nelle stesse viscere spirituali del loro essere più profondo, sono l’espressione di
questa grande e profondissima cultura analfabeta dell’universo […] Perché il vero
analfabetismo è la spiritualità generatrice del linguaggio, che è lo spirito creatore di un
popolo: la sua poesia e il suo pensiero.” 19

18
Confondere l’autentico “tradizionale” con il “reazionario” o “tradizionalista” è uno dei crimini culturali più grandi
che si possa fare, come segnalò già René Guénon quasi settant’anni fa. Cfr. René Guénon, Tradizione e tradizionalismo,
capitolo 31 di Idem, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, Adelphi, Milano 1982, pp. 205-210.
19
Ci sembra che tra i pochi ad aver ospitato adeguatamente il pensiero di Bergamín sulle lingue e i popoli ci sia ancora
una volta Giorgio Agamben quando declina il “diritto all’analfabetismo” e alla libertà sociale (ma Agamben non
userebbe il termine “diritto”) in questi termini: “Se le lingue sono i gerghi che coprono la pura esperienza del
linguaggio, così come i popoli sono le maschere, più o meno riuscite, del factum pluralitatis, allora il nostro compito
non può essere certo la costruzione di questi gerghi in grammatiche né la ricodificazione dei popoli in identità statuali;
al contrario, solo spezzando in un punto qualsiasi la catena esistenza del linguaggio-grammatica (lingua)-popolo-Stato,
il pensiero e la prassi saranno all’altezza dei tempi. Le forme di quest’interruzione, in cui il factum del linguaggio e il
factum della comunità emergono per un istante alla luce, sono molteplici e variano secondo i tempi e le circostanze:
riattivazione di un gergo, trobar clus, pura lingua, pratica minoritaria di una lingua grammaticale…In ogni caso, è
chiaro che la posta in gioco non è semplicemente linguistica o letteraria, ma, innanzitutto, politica e filosofica. (Giorgio
Agamben, Le lingue e i popoli, in Idem Mezzi senza fine. Note sulla politica, Bollati Boringhieri, 1991, p. 39.

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