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Federico Bellini

IL CAMMINO
DEL VIANDANTE
Parte II
Antropogenesi

(“Lemminkäinen's Mother”, Akseli Gallen-Kallela, 1897)


Antonio Machado

“Caminante no hay camino”

Caminante, son tus huellas


el camino y nada más;
Caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.
Al andar se hace el camino,
y al volver la vista atrás
se ve la senda que nunca
se ha de volver a pisar.
Caminante no hay camino
sino estelas en la mar.
solo scie nel mare.

***

“Viaggiatore, non c’è cammino”

Viaggiatore, sono le tue orme


il cammino e niente più;
Viaggiatore, non c’è cammino,
si fa il cammino camminando.
Camminando si fa il cammino,
e volgendo lo sguardo indietro
si vede il sentiero che mai
dovrai tornare a calpestare.
Viaggiatore non c’è cammino
solo scie nel mare.
Indice

PARTE II - Antropogenesi 1

Lezione 4 1
4.1 - La Stella primigenia 1
[Nube Interstellare Locale] 5
4.2 - La Civiltà Umana Hathorsiana 7
[L’evoluzione spirituale dei Pre-Adamitici] 9
[Le Canalizzazioni degli Hathors] 11
[Il “Portatore di Luce”] 11
4.3 - Genesi, evoluzione e caduta degli Hathorsiani 13
[Sulla distruzione nel 4000 a.C. del pianeta che orbitava intorno al Sole tra Marte…] 14
[Sugli abitanti del pianeta distrutto che orbitava tra Marte e Giove. La causa che ha scatenato
l’enorme afflusso d’acqua nel Diluvio di Noè. La Terra, spiritualmente, è la papilla vitale
principale nel cuore del grande Uomo Cosmico.] 17
4.4 - Il Sistema Solare 19
4.5 - Il Sole e i suoi Pianeti all’origine 28
4.6 - La Civiltà Venusiana 34

Lezione 5 46
5.1 - Metamorfosi alchemica del Sistema Solare 46
[La Svastica e il grande Asterismo dell’Orsa Maggiore] 55
5.2 - L’influenza di Orione 59
5.3 - L’influenza di Andromeda 65
5.4 - L’influenza di Saturno 73
5.5 - Le Costellazioni dello Zodiaco 79

Lezione 6 87
6.1 - Il Laboratorio Marziano 87
[Micromegas, un “romanzo fantascientifico” di Voltaire] 94
6.2 - Il Laboratorio Lemuriano 95
[Lemuria, tra racconti di Fantascienza e cruda realtà geopolitica] 102
[Altre considerazioni su Lemuria negli studi Teosofici] 103
6.3 - Il Laboratorio Atlantideo 106
[Il continente scomparso di MU] 118
6.4 - Il Laboratorio Terrestre 120
Lezione 7 129
7.1 - La Terra e le sue epoche 129
7.2 - Dai Primati agli Uomini 138
[Solo una questione di Sangue?] 142
7.3 - Le Mutazioni Genetiche 146
[Il misterioso Ominide di Denisova] 151
7.4 - Breve storia del Genere Umano 153
[Il Dio Pan-Alieno di Godfrey Higgins] 157
1

PARTE II - Antropogenesi

Lezione 4

4.1 - La Stella primigenia

Cosa c’era in principio in questo ramo del Braccio di Orione? Quale scenario cosmico portò poi
alla formazione del nostro Sistema Solare ed infine della Terra? Scientificamente sono state fatte
delle ipotesi ma sino ad oggi nessuna ha saputo dare delle risposte convincenti, perché alcuni mo-
delli proposti, sovente, finiscono per scontrarsi tra di loro. Possiamo però farlo a livello esoterico e
di ricerca alternativa, anche in base al materiale raccolto in tutti questi anni, raffrontandolo anche
con le varie ipotesi scientifiche, integrandole.
Nel XVIII secolo, Kant e Laplace formularono una “ipotesi nebulare” che ancora oggi mantiene
degli elementi di validità. Essa affermava, con ovviamente successive e più recenti aggiunte, che il
Sistema Solare ha avuto origine dal collasso gravitazionale di una nube gassosa, la Nebulosa So-
lare, che si calcola avesse un diametro di circa 100 UA e una massa circa 2-3 volte quella dell’attuale
Sole. Una forza interferente (probabilmente una vicina supernova), si pensa abbia compresso la
Nebulosa spingendo poi la Materia verso il suo interno, innescandone il collasso. Durante questo
processo, la nebulosa avrebbe iniziato a ruotare più rapidamente e a riscaldarsi, e col procedere
dell’azione della gravità, della pressione, dei campi magnetici e della rotazione, si sarebbe infine
appiattita in un disco proto-planetario con una protostella (il futuro Sole) al suo centro e in via di con-
trazione.
La Teoria ipotizza, inoltre, che da questa nube di gas e polveri si formarono poi numerosi pianeti,
essendo il primordiale Sistema Solare interno molto caldo da impedire la condensazione di molecole
volatili come l’acqua e il metano, vi si formarono pertanto dei planetesimi relativamente piccoli (sino
allo 0,6% della massa del disco) e formati principalmente da un composto ad alto punto di fusione:
silicati e metalli. Questi Corpi Rocciosi si sono poi evoluti successivamente nei pianeti di tipo terre-
stre quali la Terra, Venere, etc., mentre più esternamente, oltre la frost-line, si svilupparono i Giganti
Gassosi come Giove e Saturno, mentre Urano e Nettuno catturarono meno gas e si condensarono
attorno a dei nuclei di ghiaccio. Si pensa, inoltre, che grazie alla loro massa sufficientemente grande,
i Giganti Gassosi siano riu-
sciti a trattenere l’atmosfera
originaria sottratta dalla Ne-
bulosa Madre, mentre i pia-
neti di tipo terrestre l’abbia-
no perduta o sublimata in
fasi successive di continua
trasformazione, essendo la
nostra atmosfera terrestre,
il frutto di vulcanismo, im-
patti con altri Corpi Celesti,
o attraverso la stessa evo-
luzione della Vita.
Cento milioni di anni do-
po la sua formazione, pe-
rò, la pressione e la densità
dell’idrogeno nel centro della Nebulosa Madre, divennero grandi a sufficienza per avviare la fusione
nucleare nella protostella, e fu così che il neonato Sole, spazzò via tutti i gas e le polveri residue del
Disco, allontanandoli nello Spazio Interstellare e fermando il processo di crescita degli stessi pianeti.
Nel frattempo, il Proto-Sole attraversò un ulteriore fase denominata T-Tauri (dal nome della stella
variabile studiata come prototipo di questo processo) durante la quale generò un enorme quantità
di energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche (luce e calore), ma anche di particelle velocis-
sime o vento solare che spazzò via tutto il gas presente nella zona interna del Sistema Solare,
lasciandovi solo i materiali più pesanti e refrattari.
2

Da questo momento, si presume che il Sistema Solare assunse la sua attuale configurazione chi-
mica e astronomica, con i pianeti giganti gassosi (Giove, Saturno, Urano e Nettuno), nella parte più
esterna, formatisi per accrezione dei planetesimi ghiacciati e ricchi di elementi volatili, mentre i pia-
neti terrestri rocciosi (Mercurio, Venere, Terra e Marte), ricchi di minerali refrattari, metalli e silicati,
rimasero nella parte più interna. Ad una osservazione attenta, appare chiaro che tutti i pianeti orbi-
tano oggi nello stesso verso orario, che quasi tutti ruotano in senso diretto, tranne Venere ed Urano,
che le orbite sono circolari e poco inclinate rispetto all’eclittica, che i pianeti interni sono terrestri
mentre gli esterni gassosi, e che tutti sembrano aver ricevuto indistintamente impatti notevoli a giu-
dicare dalla cicatrici crateriche presentate in superficie, così come non ci siano corpi, ad oggi datati
prima di 4,5 miliardi di anni.
Tutti questi elementi fanno presumere che nel Braccio di Orione, miliardi di anni prima della na-
scita del nostro Sole, vi fosse una nebulosa molecolare molto grande e che ad un certo punto, per
qualche motivo, iniziò a spiraleggiare, seppure nonostante tutti questi dati la sua formazione rimane
ancora un mistero. Infatti, secondo altri studi più recenti (del 2017), il nostro Sistema Solare potrebbe
essersi formato nelle bolle alimentate dal vento di una Stella Gigante, il che andrebbe a spiegare
l’abbondanza di due elementi, presenti all’interno del nostro Sistema, ma scarsi nel resto della Ga-
lassia. Il nuovo scenario, invece delle esplosioni di una supernova, propone la presenza di una Stella
di tipo Wolf-Rayet, con massa superiore a quella solare di circa 40 o 50 volte, oggetti che bruciano
in fretta producendo tonnellate di elementi che vengono poi allontanati dai potenti venti, venti che a
loro volta vanno a formare delle bolle con un denso guscio, dove al suo interno possono venire a
prodursi delle ulteriori interazioni, dato che gas e polveri verrebbero intrappolati, liberi poi di conden-
sarsi in nuove Stelle e Pianeti1.
Il modello di formazione del Sistema Solare è comunque ancora lontano dal trovare una sua u-
nivocità accettata, perché sono presenti delle anomalie di non poco conto, a cominciare dalla velo-
cità di rotazione del Sole, inferiore a quanto previsto dal modello teorico, e i pianeti, pur rappresen-
tando meno dell’1% della massa del Sistema Solare, contribuiscono ad oltre il 90% del momento
angolare totale. Persino i pianeti sono “al posto sbagliato”, perché Urano e Nettuno si trovano in una
regione in cui la loro formazione è poco probabile, data la ridotta densità della nebulosa a tale di-
stanza dal centro, teorizzando che ci possano essere state interazioni tra la Nebulosa e i planetesimi
che avrebbero portato alla migrazione degli stessi pianeti2.

«Vieni, farò per te la gioia al crepusco-


lo e la musica alla sera! O Hathor, tu sei
esaltata nella chioma di Ra perché il cielo
ti ha dato la profonda notte e le stelle. [...]
Adoriamo la Dorata quando brilla in cie-
lo!» (Inno a Hathor)

Arrivati a questo punto scientifico del


nostro viaggio, ritorniamo di prepotenza
nel Mito, cercando di trovarvi al suo inter-
no una spiegazione ai tanti misteri sino a
qui accumulati. Hathor (che significa in e-
giziano antico, “Casa di Horus”), era una
divinità appartenente alla religione del-
l’antico Egitto, in qualità di Dèa della Gio-
ia, dell’Amore, della Maternità e la Bellez-

1 Secondo lo studio, una percentuale tra l’1 e il 16 percento delle Stelle Solari potrebbe essersi formata con

questo trigger. / Uno degli isotopi in abbondanza è l'alluminio-26, prodotto dalle supernove insieme al ferro-
60. Il secondo isotopo, però, è mancante e la ragione è ancora sconosciuta, il che lascia aperti i dubbi sul
modello della supernova; questo ha poi portato alle Wolf-Rayet, che rilasciano alluminio-26 ma non ferro-60.
2 Con la continua scoperta dei pianeti extrasolari, e che hanno riservato numerose sorprese, il modello

della Nebulosa ha dovuto essere rivisto per spiegare le caratteristiche di questi sistemi planetari. Non c'è
consenso su come spiegare la formazione dei pianeti giganti su orbite molto vicine alla loro Stella ("hot Jupi-
ters"), anche se tra le ipotesi possibili vi sono la migrazione planetaria e il restringimento dell'orbita dovuto
all’attrito con i residui del disco proto-planetario.
3

za. Per tutta la storia egizia fu una delle divinità più importanti e venerate, il suo culto si presume
essere di origini preistoriche, e quindi predinastiche, estendendosi dalla corte faraonica (in quanto
ritenuta madre simbolica degli stessi Faraoni), sino ai ceti più umili. Signora dell’Occidente, dei Morti,
si credeva che accogliesse le Anime nell’Aldilà (il Duat), e al tempo stesso veniva anche adorata
come divinità della Musica, la Danza, delle terre straniere e della Fertilità, in quanto si pensava che
assisteva le partorienti.
Raffigurata sovente come una Vacca con il Disco Solare, provvisto di ureo fra le corna, in epoca
tarda venne rappresentata anche con due piume e con il pettorale menat, tipico attributo delle sue
sacerdotesse. Nel corso dei millenni, inoltre, assimilò a sé una grande quantità di divinità, le furono
date in custodia sotto la sua protezione le miniere e persino le sorgenti del Nilo (la Via Lattea),
divenne contemporaneamente Madre, sposa e figlia di Ra (il Sole) e anche Madre di Horus - come
Iside (Sirio), considerata sua sorella -, fu associata a Bastet, e nel periodo classico, gli antichi greci,
la associarono ad Afrodite.
L’iconografia di questa Dèa rimase ambigua fino alla IV dinastia (2630-2150 a.C.) e fu dall’età
storica che finì per assumere l’aspetto o gli attributi di una giovenca, seppure già in manufatti predi-
nastici (ante 3150 a.C.) venisse già raffigurata con questa forma primordiale, dove in alcuni reperti
archeologici venne rappresentata con una testa bovina circondata da stelle: «Grande Mucca Celeste
che creò il Mondo e il Sole.» La sua immagine storica più conosciuta diverrà poi la figura muliebre
col capo sormontato dalle corna in qualità di Sacra Vacca, e come patrona del Sacro Albero fu
associata al sicomoro, alla palma e al fico, specie durante l’atto di nutrire il defunto: “Signora della
palma da dattero” e “Signora dei sicomori del sud”. Qui, il motivo della simbiosi tra Donna ed Albero,
tanto cara alla mitologia africana (come successivamente anche Greca e Gnostica), si presenta co-
me colei che porta ristoro ai morti nell’oltretomba, dove l’Albero della Vita nell’aldilà, apportava pia-
cevole ombra nella grande calura del deserto e recava ai defunti i suoi frutti più succosi; non per
nulla i Tebani veneravano Hathor proprio come “Signora dei Morti.”
Un intrigante Inno ad Hathor compare in nove colonne di testo, dopo un Inno a Ra, su una stele
di Antef II (2112-2063 a.C.), quarto faraone della XI dinastia, rinvenuta nella sua tomba a Tebe e
conservata al Metropolitan Museum of Art di New York. Fra le molte sfaccettature del Culto della
Dèa, l'Inno di Antef II si appella al suo aspetto più propriamente Celeste.

«O anziani adunati del cielo occidentale,


o divinità adunate del cielo occidentale,
o signori supremi delle sponde del cielo occidentale
che gioite al giungere di Hathor, che ama vedere esaltata la Propria bellezza:
Io Le feci sapere, Le dissi accanto a Lei che gioivo alla Sua vista!
Le Mie mani Le fanno cenno: Vieni a Me! Vieni a Me!
Il Mio corpo parla, le Mie labbra ripetono: Puri suoni di sistro per Hathor,
suoni di sistro un milione di volte, perché Tu ami il sistro;
un milione di suoni di sistro per il Tuo spirito in ogni luogo.
Io sono Colui che fa sollevare dai devoti il sistro per Hathor
ogni giorno e in ogni ora che Lei desidera.
Possa il Tuo cuore essere contento con il sistro,
possa Tu procedere in soddisfazione perfetta,
possa Tu gioire in vita e gioia
insieme a Horus [incarnazione del faraone] Che Tu ami,
Che mangia insieme a Te dalle Tue offerte,
Che Si nutre insieme a Te dalle Tue provvigioni.
Possa Tu contare anche Me, per esse, ogni giorno!
L'Horus Uakankh [primo nome di Antef II] riverito innanzi a Osiride,
il figlio di Ra, Antef il Grande, nato da Neferu [la regina Neferu I].»

Gli egizi, specie sulla riva occidentale del Nilo, dove era considerata protettrice della vasta necro-
poli di Tebe, credevano che la Dèa alleviasse le sofferenze dei morenti e li accogliesse materna-
mente nel Duat, offrendo loro cibo, bevande e ristoro. Con il titolo di Signora dell’Occidente, pren-
deva le sembianze della giovenca che esce dal deserto, luogo dove venivano scavate le tombe, di-
retta verso le paludi dove crescevano le piante di papiro, sulle sponde rive del Nilo (la Via Lattea).
4

Un aspetto, matrigno e benigno che la rese estremamente popolare, anche se possedeva un lato
distruttivo evidenziato da un mito sulla fine del dominio di Ra sulla Terra, dopo che il Dio, adirato
con gli uomini che avevano cospirato contro di lui, inviò Hathor tra di loro, sotto forma di Sekhmet,
per distruggerli. Al termine della battaglia, la sua sete di sangue non fu domata e ciò la spinse ad
intraprendere la distruzione dell’intero genere umano; per porre fine alla strage, Ra tinse della birra
con ocra rossa ed ematite perché sembrasse sangue, scambiandola per birra ella si ubriacò e non
portò a termine il massacro, ritornando poi da Ra ammansita nelle sue abituali sembianze di Hathor3.
Con un apparente paradosso, i faraoni erano chiamati Figli di Hathor (quindi Figli del Cielo), ben-
ché fossero considerati reincarnazioni di Horus, il figlio della dèa Iside4. Una scena però coglie l’at-
tenzione, quella dell’allattamento del Faraone Amenofi II (1427-1401 a.C.) dove viene raffigurato,
fieramente eretto fra le zampe anteriori di Hathor in forma di Vacca Celeste, come un bambino in
ginocchio fra le zampe posteriori mentre succhia il latte della Dèa. Al contempo, con il termine di
Nebethetepet, ella incarnava la sua manifestazione ad Eliopoli, strettamente associata al grande dio
creatore Atum come controparte femminile, sovente identificata con una parte del Corpo del Dio
stesso: la mano con la quale, masturbandosi, Atum avrebbe creato il Cosmo intero.

3 Di volta in volta, a seconda dei differenti miti, delle epoche e perfino delle località, i suoi consorti potevano
essere Ra oppure Horus, mentre i suoi genitori differivano tra Neith e Khnum, oppure ancora Ra, mentre i suoi
fratelli erano incarnati sempre da Ra con Apopi, Thot, Sobek e Selkis. Fra i suoi figli vi erano gli dèi Horus, Ihi,
Imset dalla testa umana, Qebehsenuf dalla testa di falco, Hapi dalla testa di babbuino e Duamutef dalla testa
di sciacallo (questi ultimi quattro erano raggruppati a loro volta con il nome di Figli di Horus e tutelavano cia-
scuno uno dei quattro vasi canopi). Insieme alla dea Nut, Hathor fu associata alla Via Lattea nel III millennio
a.C. quando, durante gli equinozi d'autunno e primavera, sembrava allineata sulla Terra e che la toccasse nei
punti il cui il sole sorgeva e tramontava. La Via Lattea era vista come un corso d'acqua che attraversava il
cielo, su cui navigavano le divinità solari - e per questo era definita dagli egizi Nilo del Cielo. Durante il Medio
Regno ricevette l'epiteto di Nub, che significa Dorata, e il suo culto si diffuse anche in Palestina e in Fenicia;
nota come Signora di Biblo. Venne poi identificata, in queste regioni, con Astarte e con altre divinità cananee
come la dea Qadesh. Sotto forma di Hesat, dea-giovenca che si credeva partorisse il faraone nelle sembianze
di un Vitello d'Oro, era venerata ad Afroditopolis (odierna Atfih) nel ventiduesimo nomo dell'Alto Egitto.
4 È probabile che alle origini della mitologia egizia, la madre del dio-falco fosse effettivamente Hathor, origi-

nariamente Dèa del Cielo, habitat dei falchi e degli altri volatili. Iside, sarebbe stata considerata la madre di
Horus solamente quando si sentì la necessità di fondere il mito di Osiride con il mito di Horus e Seth.
5

È del tutto evidente che la qualità di «alimentazione» da parte della Dèa per il Faraone, o per il
defunto, reintegrando la loro sostanza e confermandone l’immortalità, definisce la sua funzione an-
che di divinità creatrice e distruttrice, tipica non solo delle Stelle (o delle supernove specie per l’atto
creativo esplosivo e tipicamente similare agli schizzi masturbatori), ma anche delle loro manifesta-
zioni più estese e complesse come le nebulose, vere e proprie nursery stellari. Gli Egizi, come molti
altri popoli antichi, avevano ritrovato nelle Stelle la spiegazione cosmogonica a tutte le loro divinità
in un sincretismo pressoché perfetto, ed in quest’ottica non si può non notare in Hathor la Vacca
Celeste, la Nebulosa Madre alla quale i suoi innumerevoli figli, fratelli, sorelle o sposi, assumono
non solo velleità divine, associabili a ben definite Stelle del Cielo (Ra o Atum il nostro Sole, Iside la
stella Sirio, Horus il giovane la stella Algol nella Costellazione di Perseo, etc.) ma anche a tutti quegli
astri che essa stessa ha partorito o contribuito a partorire, nutrendoli, così come farà poi con i Fa-
raoni, i defunti, o distruggendoli sotto forma della leonessa assetata di sangue, tipico di quelle Stelle
inquiete o instabili che esplodendo si disintegrano per poi continuare l’eterno Ciclo Cosmico.
La «Grande Mucca Celeste che creò il Mondo e il Sole» è la nebulosa primordiale o comunque
quel contenitore interno del Braccio di Orione, dove è stata possibile la nascita e la formazione del
nostro Sistema Solare e di tutti i suoi pianeti, Terra compresa. Tutta questa speculazione cosmogo-
nica non avrebbe senso se non fosse che è la stessa mitologia egizia a dimostrarcene la sua con-
cretezza. Arcaici miti egizi raccontano che il secondo dei figli di Nut e Geb fu Horus il Vecchio (Heru-
Wer), chiamato così per distinguerlo dal successivo figlio di Iside e Osiride (Heru-sa-Aset), anche
se il culto del secondo si fuse con il primo specie nelle epoche successive. Dio guerriero dalla testa
di falco, rappresentava la luce, divinità protettrice dei Faraoni, ma anche dei Fabbri (e da qui le sue
peculiarità demiurgiche) e dei Guerrieri.
Egli era conosciuto anche come Heru-Behdety, "Horus della città di Behdet", ed era raffigurato
come un disco solare alato (un Sole, per l’appunto). Sua moglie era nientemeno che Hathor (il cui
nome, guarda caso, è appunto Casa di Horus), la signora della bellezza e dell'amore, ed il loro
matrimonio, detto Festa della Gioiosa Riunione, veniva festeggiato ogni anno intorno al solstizio
d'inverno, ed entrambi, insieme, generarono Ihy. Quest’ultimo, "Horus che unisce le Due Terre" (o
anche il Duat) era il nome greco della divinità egizia Hor-sma-tawy, chiamato anche Harsomtus, ed
apparteneva ad una triade come figlio di Hathor e di Horus di Behedet ed era la forma sincretica di
Harsiesi e di Horo dal quale si differenziava per essere contemporaneamente dio-padre e dio-figlio
(Tosi).
Insomma, questo divin fanciullo non solo suonava il suo sistro in segno di giubilo (in qualità di Dio
della Musica), al sovrano defunto accompagnato nientemeno che dal padre cosmico Ptah, ma sim-
boleggiava anche il Bambino Divino, infatti nella mitologia più tarda, il suo concepimento diverrà
identico per Horus il Giovane, che con la madre Iside sotto le sembianze di avvoltoio, sovrasterà il
corpo esamine di Osiride per riceverne il seme, lo stesso seme che Atum esplose nel Cosmo per
generare la vita dopo che Hathor gli dette la sua mano. Ihy o Harsomtus, in realtà, incarna non solo
la nascita di un Dio, ma è anche la personificazione del Dio Sole Infante (la Proto-Stella), posto
sopra il Fiore di Loto Primordiale (il Disco Solare), sul quale si è formato il nostro intero Sistema
Solare. Hathor, pertanto, incarna la Nebulosa Madre nella quale un altro Sole (Horus il Vecchio),
forse una preesistente supernova o una Stella gigante di tipo Wolf-Rayet, ha permesso la nascita
non solo del nostro Sole (Harsomtus, poi Atum, Ra), ma anche la nascita di altri Soli, fratelli, sorelle
e figli della stessa Hathor, in quanto madre nebulare della Via Lattea.

Nube Interstellare Locale

Il Sistema Solare, secondo alcuni studi scientifici, sta attualmente passando attraverso una nube
interstellare che secondo alcuni ricercatori non dovrebbe nemmeno esistere. Nel numero di Nature
del 24 dicembre 2009, un team di scienziati rivelò la soluzione di un mistero da parte della sonda
Voyager della NASA, dove era stato scoperto un forte campo magnetico esterno al nostro Sistema,
un magnetismo molto potente e che tiene insieme l’intera nube interstellare. Questa nube viene
chiamata dagli astronomi “Local Fluff”, in quanto abbreviazione di “Local Interstellar Cloud”, è larga
circa 30 anni luce e contiene un misto di atomi di idrogeno ed elio alla temperatura di circa 6000°C.
6

Si presume che all’incirca 10 milioni di anni fa, una supernova sia esplosa nelle vicinanze creando
una gigantesca bolla di gas a milioni di gradi di temperatura, in quanto la nube è ancora oggi circon-
data da questo caldo involucro. Questa nube, però, è ancora oggi tenuta a bada al di là dei confini
del Sistema Solare dal campo magnetico del Sole, che viene gonfiato dal vento solare in una bolla
magnetica di oltre 10 miliardi di chilometri di larghezza, nota come eliosfera. Questa immensa bolla
agisce come uno scudo protettivo nei confronti del Sistema Solare interno, sia dai raggi cosmici che
dalle nubi interstellari, e se il vento solare soffia nella bolla dall’interno verso l’esterno, la Local Fluff
cerca di comprimerla dall’esterno verso l’interno.
Si pensa, inoltre, che al di là di questa nube, essendo così magnetizzata, anche le altre nelle vici-
nanze possano esserlo, ed eventualmente il Sistema Solare potrebbe andare a finire in qualcuna di
esse, dove i campi magnetici potrebbero comprimere l’eliosfera più di quanto stia facendo la nube
locale. Tale compressione maggiore consentirebbe ai raggi cosmici di raggiungere l’interno del no-
stro Sistema Solare, portando serie conseguenze sia sul clima della Terra che sulla vivibilità nello
Spazio circostante, tutti eventi che comunque potrebbero verificarsi tra centinaia di migliaia di anni,
il tempo necessario al Sole di poter raggiungere queste altre zone.
7

4.2 - La Civiltà Umana Hathorsiana

Il Mito antico è straordinario, perché in esso non solo è possibile ravvisare tutta la nostra attuale
storia, ma persino l’intera Genesi del Cosmo. Gli Egizi credevano che all’inizio dei tempi esistessero
Otto Entità contrapposte (maschio e femmina), riconoscibili in: Nun - Nunet, Heh - Hehet, Keku -
Keket e Amon - Amonet, rispettivamente incarnanti il liquido - solido, infinito - delimitato, oscuro -
luminoso e nascosto - conosciuto. La Creazione, pertanto, si sarebbe manifestata con l’apparire nel
Grande Oceano Cosmico, Nun, di un qualcosa che fosse solido, delimitato, luminoso, dove man
mano che gli elementi primordiali si aggregavano, andarono poi ad evidenziare anche i primi astri e
da lì le prime Galassie conosciute, compresa la nostra, la Via Lattea.
Anche nel futuro Sistema Solare vi furono presenti questi elementi primordiali, compresa quel-
l’energia cosmica ravvisabile in Hathor, la Vacca Celeste dal manto ricoperto di Stelle, perché in
quanto Madre, o nebulosa-nursery stellare, le inglobava al suo interno. Quando l’aggregazione fu
sufficientemente elevata da innescare le successive reazioni termonucleari, non solo grazie ad una
forza esterna dovuta all’esplosione di una supernova o dal passaggio di una Stella Gigante (l’Horus
il Vecchio), si accese anche il nostro Sole (l’Harsomtus o il Sole Infante) e che, crescendo, divenne
un nuovo Horus Celeste (il Giovane), dato che la stella Déa, lo avrebbe preso tra le sue corna di
Vacca Sacra e lo avrebbe portato nel Cielo al cospetto degli altri Dèi e di tutto l’Universo5.
I sacerdoti non si fermarono e andarono oltre, perché nella loro ricerca di sintetizzare tali concetti,
ipotizzarono che oltre al Sole (principio maschile), potesse esistere anche una Stella (principio fem-
minile), creando così una dicotomia che ancora oggi fa parte del nostro vocabolario, tra l’astro inteso
come Sole (maschile) e lo stesso astro inteso anche come Stella (femminile)6. Questi straordinari
sacerdoti/astronomi avevano capito che il Sole ed altri pochi astri percorrevano una traiettoria parti-
colare, l’Eclittica, mentre altri astri apparivano fissi, non cambiando la loro posizione reciproca, pur
muovendosi apparentemente nel cielo.
Gli Egizi, quindi, associarono gli astri del Sistema Solare a dei Falchi, che per loro natura volano
alti nel cielo, il Sole Maschile fu associato a Horakhty, “Horus del Doppio Orizzonte”, mentre il Sole
Femminile (la Stella) venne associata ad Horus il Vecchio, ovvero la sua prima apparizione di proto-
stella nascente all’interno della Nebulosa Madre Hathorsiana. Come ai Falchi, anche ai due Soli fu-
rono associati due occhi: al Sole Horakhty fu associata la dea leonessa Sekhmet e la dea gatta
Bastet, rispettivamente l’occhio punitivo e l’altro benevolo, mentre al Sole Femminile (l’Horus il Vec-
chio), fu associata la Dèa Hathor (occhio destro) e il dio Sah (occhio sinistro). Questi principi maschili
e femminili diedero poi vita a dei pianeti, tra i quali il primo fu Mercurio, il pianeta del mattino e della
sera associato a due divinità, rispettivamente Horus il Giovane e il dio Coccodrillo Sobek, seguirono
poi la Terra (Geb), Marte (Horus il Rosso), Giove (Horus che conosce il Mistero, Atum/Min), Saturno
(Horus e il Toro e Ptah)7, Shu (Urano), Tefnut (Nettuno), etc. E in tutto questo, il fulcro fu la posizione
dell’Umanità e della stessa Civiltà Egizia, considerata figlia di Ra e di Hathor, e personificata nel loro
figlio Ihy (nuovamente l’Harsomtus o il Sole Infante).
Gli Egizi, inoltre, non si accontentarono, perché al pari dei Sumeri sapevano che nel Sistema So-
lare si verificò anche una grande catastrofe a causa dell’arrivo di un corpo estraneo, personificato
nel serpente alato Apophis (o Apopi), e tale suo ingresso causò un urto gravitazionale che modificò
letteralmente l’assetto planetario. Ma cosa accadde realmente?

5 Il fatto che l'energia cosmica nebulare incarnata da Hathor, sia stata rappresentata sotto forma di Vacca
Celeste è quasi sicuramente legato al fatto che la cosmogonia fu ideata durante l'Era del Toro. Avendo asso-
ciato il Sole ad un Toro creatore e fecondatore, risultò consequenziale associare Hathor a una Vacca Celeste.
6 Horus, il Falco, figlio che Iside riceve dal seme di Osiride, è nato grazie alla forza della Dèa. Si tratta di

un grande mistero che Iside, nel suo lamento per il marito morto, ci presenta con le seguenti parole: “Pur
essendo nata donna, mi sono fatta uomo.” Si tratta del mistero di un femminino universale che assume in
parte i tratti del grande ermafrodita alchemico, il rebis, l’essere perfetto degli inizi, il doppio che contiene in sé
i due caratteri opposti, femminile e maschile. Il rebis è un essere neutro, il simbolo del superamento ideale e
armonico dei contrari, infatti la prima divinità in assoluto che appare nei testi religiosi è androgina: “Uno padre
dei padri e madre delle madri”. Da questo Uno asessuato nacquero Shu e Tefnut, divinità portatrici degli attri-
buti rispettivamente maschile e femminile.
7 Seppure scoperti astronomicamente negli ultimi secoli Shu (Urano), Tefnut (Nettuno) sembra, per logica,

che nella cosmogonia egizia fossero già noti…


8

Eugenio Siragusa è stato un personag-


gio alquanto atipico all’interno dell’altret-
tanto variegato panorama ufologico ita-
liano, e non soltanto. Nato a Catania il 25
marzo del 1919, egli sosteneva che sin da
bambino fosse seguito da non meglio i-
dentificati “aiuti invisibili particolari”; i qua-
li lo accompagneranno silenziosi sino al
25 marzo del 1952, quando dopo essersi
sentito spinto ad andare verso l’Etna8,
venne investito da un raggio di luce uscito
da un globo luminoso. Da quel momento
la sua vita cambiò in modo così radicale
che una nuova personalità fece largo den-
tro di lui, iniziando una missione da vero e
proprio contattista cosmico.
Dopo ben 11 anni di preparazione inte-
riore sostenne di avere incontrato fisica-
mente questi Esseri provenienti dalle pro-
fondità siderali, Entità che lui definì di Lu-
ce e con le quali, da quel giorno, fu sem-
pre in continuo contatto, divulgando in
tutto il Mondo i loro messaggi e le preoc-
cupazioni che via via dimostrarono nei no-
stri confronti, specie legati all’inquinamen-
to, i disastri ambientali, il proliferare delle
armi atomiche e dagli esperimenti condot-
ti. Morirà il 27 agosto del 2006 non prima
di averci lasciato una serie sterminata di
messaggi, tra i quali spicca l’interessante
storia del pianeta Mallona.

Siragusa, facendo sua una storia raccontata decenni prima dall’occultista Leopold Engel9, a sua
volta ripresa dagli scritti del mistico Jakob Lorber, suo maestro, raccontava che il Sistema Solare ai
suoi esordi era molto diverso da quello attuale, la Terra, ad esempio, si trovava nell’orbita del pianeta
Venere, mentre quest’ultimo era in quella del pianeta Mercurio. Tutti i pianeti occupavano orbite
diverse da quelle conosciute attualmente, inoltre, sosteneva che al suo interno sia esistito anche un
ulteriore pianeta, oggi non più presente, denominato Mallona o Lucifero, del quale sono rimasti un
numero enorme di asteroidi10.

8 Tipica è la storia di molti “Contattati” da parte di specifiche Civiltà Extraterrestri, i quali furono invitati a
salire su delle montagne vulcaniche dove poi subirono visioni e rivelazioni: nell’antichità è da menzionare Mosè
sul Sinai, Eugenio Siragusa sull’Etna, o Claude Vorilhon, fondatore del Movimento Raeliano, che il 13 dicem-
bre 1973 salì sul cratere del Puy de Lassolas, una delle formazioni vulcaniche che dominano Clermont-Fer-
rand, in Francia.
9 Leopold Engel (San Pietroburgo, 19 aprile 1858 - Berlino, 8 novembre 1931) è stato uno scrittore e occultista

russo. Suo padre, Karl Dietrich Engel (1824-1913), era un famoso violinista nella Russia del periodo. Dopo
essersi trasferito a Dresda in Germania, Leopold scrisse molto sulla leggenda di Faust e divenne presto un
seguace del mistico Jakob Lorber. Nel 1891 una "voce interiore" gli ordinò di proseguire l’opera del maestro
scrivendo Il Grande Vangelo di Giovanni. Nel decennio 1890-1900 fece parte di una serie di iniziative irregolari
massoniche, non riconosciute da nessuna delle logge ufficiali tedesche, per riportare in vita gli Illuminati. Nel
1903 venne tuttavia espulso e allontanato da questi ambienti.
10 Alcune teorie scientifiche (e non), sostengono che gli Anelli di Saturno o i numerosissimi asteroidi che

orbitano tra Marte e Giove, appartengano ad un pianeta estinto, disintegratosi a seguito di un enorme catacli-
sma.
9

L’evoluzione spirituale dei Pre-Adamitici

1. Disse Marco, pieno di stupore: «Signore e Maestro dall’eternità, io, e si spera che anche tutti
gli altri abbiamo capito la Tua benigna chiarificazione, ma per noi non si può nemmeno parlare di
una completa comprensione penetrante in profondità, dato che a noi manca ciò cui Tu stesso hai
accennato; tuttavia siamo giunti ad avere in noi una chiara visione delle cose, anzitutto perché ora
sappiamo che cosa sono effettivamente i resti fossilizzati da noi trovati nelle profondità della Terra,
e pure come sono andati a finire in tali profondità in seguito ai molti sconvolgimenti della stessa ed
ai susseguenti spostamenti del mare. In secondo luogo, ho appreso, almeno io, che cosa, il grande
profeta Mosè intendeva velatamente con i sei giorni della Creazione. Questo ci basta per il momento,
così possiamo attendere tranquillamente fino a quando, grazie al nostro stesso perfezionamento
spirituale, apprenderemo di più, però io scorgo pure che questi sono solo insegnamenti per pochi, e
tali anche rimarranno.
2. Ora è rimasta una sola domanda, per lo meno a me, e Tu, o Signore e Maestro, mi concederai
di grazia di lasciarTi ancora una volta importunare?»
3. Dissi Io: «Tu sai che ti ascolto volentieri, perciò puoi senz’altro parlare!»
4. Disse il romano Marco: «Signore e Maestro! I pre-adamitici, dei quali si è ora parlato, per
quanto fossero dotati di un’intelligenza istintiva e di poca libera volontà, avevano però anche anime
che, come tali, non erano mortali, quantunque forse potevano essere mutabili; che cosa ne è di loro?
Dove e che cosa sono esse ora in questo sesto periodo della Terra, e che cosa riserva poi loro il
futuro? Certo, si potrebbe qualificare una simile domanda come presuntuosa e temeraria; dato però
che io sono un romano sempre bramoso di sapere, e non un ebreo sonnolento, Tu vorrai passar per
buona questa mia domanda e darmi una breve risposta!»
5. Dissi Io: «Oh, certo, perché non lo dovrei fare? Abbiamo tempo più che a sufficienza, cosicché
tu puoi ora ascoltarMi. Vedi, se perfino le anime delle pietre, delle piante e degli animali continuano
a vivere e, quando sono libere dalla materia, passano unite perfino nelle anime umane e nel corpo
di un uomo possono diventare veri uomini, così pure le anime dei pre-adamitici avranno una soprav-
vivenza al pari delle anime degli uomini di tutti gli altri mondi nell’infinito spazio della Creazione, le
quali continueranno a vivere eternamente.
6. Però, quali anime che continuano a vivere nel regno degli spiriti, esse sono condotte su uno
dei grandi corpi mondiali, e precisamente sul corrispondente piano spirituale del corpo mondiale, e
là guidate ad una più profonda conoscenza di Dio, della Sua Potenza e della Sua Sapienza, cosicché
continuano a vivere completamente beate, e possono anche diventare sempre più beate. Tuttavia,
dove si trova un tale grande corpo mondiale all’interno di questo globo involucro, sarebbe comple-
tamente inutile che Io te lo dicessi, dato che tu, con i tuoi sensi, non potresti scorgerlo, come pure
non potresti trarne il convincimento che le cose stiano proprio così come Io te le descrivo. Di ciò non
è nemmeno il caso di parlarne durante il tempo della tua vita corporale, per lo meno finché tu non
sia pienamente rinato nel tuo spirito. Perciò, fino allora, ti devi accontentare che Io ti dica: “Nella
Casa del Padre Mio ci sono molte dimore! Un giorno nel Mio Regno, per tutti voi, ogni cosa diventerà
chiara”. Mi hai compreso?»
7. Disse Marco: «Oh, sì, Signore e Maestro! Ora però dovrei farti ancora una domanda, poiché
da cosa nasce cosa!
8. Al tempo dei pre-adamitici, questa Terra era già quella camera della vita nel cuore del grande
Uomo Cosmico?»
9. Dissi Io: «Se non ancora nella realtà operante, certo lo era nella sua destinazione per tale
scopo. In quel tempo primordiale, infatti, come operante era un altro corpo mondiale [Mallona], i cui
uomini caddero preda di un immenso orgoglio e di una completa dimenticanza di Dio, e coloro che
ancora credevano in Dio non si curavano di Lui e del Suo Amore, ma Lo sfidavano e, nella loro
cecità, cercavano - per così dire - di farLo precipitare dal Trono della Sua eterna Potenza. I maligni
sapienti di quel mondo dicevano che Dio aveva la Sua dimora nel centro del loro corpo terrestre, e
che si doveva perciò farsi strada e andarLo a cercare fin lì con delle mine e farLo prigioniero. Essi,
infatti, scavarono in quel mondo anche buche terribilmente profonde, in seguito al che molti perirono.
10. Quando Io inviavo loro dei messaggeri e li ammonivo, essi venivano, per ricompensa, tutti
strangolati, e gli uomini non miglioravano per nulla. Ed allora Io permisi che quella Terra fosse squar-
ciata dal di dentro in molti pezzi! E questo avvenne all’inizio del sesto periodo di questa [vostra]
10

Terra, e questa [vostra] Terra divenne la camera della vita [nel cuore del grande Uomo Cosmico].
Dove però si trovava quella Terra che girava pure intorno a questo Sole, lo stabiliremo ora; ma prima
diciamo a Lazzaro di portarci un po’ di vino fresco, e poi continueremo il nostro discorso!»
(Jakob Lorber, “Grande Vangelo di Giovanni”, vol. 8 - cap. 74)

Abbiamo già studiato nella Lezione 2, nel


Capitolo 2.1 dedicato agli Spiriti Solari, come
alcune forme di vita possano essersi svilup-
pate all’interno del Plasma presente in gran
quantità nello Spazio, quando negli anni 60
del XX secolo, il premio Nobel per la Fisica
(1970), Hannes Alfven, teorizzò la cosiddetta
Cosmologia del Plasma. Il Plasma, quindi,
potrebbe essere un “brodo” in cui nascono e
crescono creature senzienti, Entità formate
della stessa sostanza delle Stelle, in grado di
potersi muovere nei meandri del Cosmo e di
entrare in contatto con altri esseri viventi11.
Ebbene, queste sono le basi nel quale na-
sce, cresce e si sviluppa l’essere Hathorsia-
no, in quanto forma vivente di plasma che va
a formarsi in alcune risacche di nebulose ga-
lattiche, trovandovi tutti gli elementi di base
costituiti dalla Materia, capace di generarlo in
forme di energia senziente. Nel corso dell’e-
voluzione universale, queste forme energeti-
che, al pari delle Stelle, hanno sviluppato una
loro capacità vitale del tutto unica ed atipica,
totalmente diversa da quella che si evolve
non solo all’interno dei Soli (in quanto Spiriti
Solari), ma anche su tutti quei pianeti in gra-
do di ospitare la vita, trovando nel Cosmo,
nello Spazio, la “Casa” o l’ambiente più ido-
neo dove nascere e proliferare.
Gli Hathorsiani sono la pre-forma o il modello grezzo dello Spirito, - che formandosi all’interno
delle Nebulose si trasmuta in un Essere Pre-Solare -, pronti eventualmente ad incarnarsi in maniera
fisica, facendo esperienza della Materia e diventando così Anima, ma in quanto forma primigenia, e
seppur operante in ambiente galattico, sono in grado di essere dei grandi conoscitori dei segreti del
Cosmo, pur restando fermi in una fase evolutiva dove la non-esperienza attraverso i vari passaggi
universali, permetta loro di realizzarsi. Infatti, sono numerosi quei casi di Civiltà Hathorsiane deca-
dute e diventate col passare del tempo parassita, uno stadio finale della loro discesa che viene de-
finito Luciferino. In quanto tale, diviene un cancro che si autorigenera, una metastasi talmente diffusa
in grado di proliferare in ogni angolo dell’ambiente galattico di azione, o comunque dove il Plasma
possa permettere di muoversi, comportandosi alla stregua dei tumori che si formano nei nostri corpi
umani e animali, consumandoli.
Sia gli Hathorsiani che i Luciferini, in quanto incompleti da un punto di vista dell’evoluzione del
Cosmo, vanno a formarsi in quelle risacche di nebulose dove la Materia in avanzo, non essendo più
in grado di formare nuovi Sistemi Solari, o al contrario viene spinta lontana dall’eccessiva esplosione
iniziale di un novello Sole che l’ha generata, viene condensata in strutture materico/energetiche che

11Si ricorda come anche il grande astronomo Carl Sagan discusse sulla forma di presunti Alieni Sferici in
grado di vivere nell’atmosfera dei pianeti giganti gassosi, ad esempio Giove, come si è a conoscenza di avvi-
stamenti di alcuni astronauti di singolari forme energetiche nello Spazio, e che tali storie abbiano contribuito
anche ad alcuni studi della NASA, i quali suggeriscono che forme di vita basate sul Plasma possano essere
scaturite dal “vacuum” (Vuoto Cosmico).
11

lentamente, attraverso un lungo e tortuoso percorso evolutivo, finiscono per unirsi in una massa ini-
zialmente informe, definita Entità-Madre. Questa Entità-Madre andrà poi a formare tutta una serie di
reticoli o filamenti all’interno del proprio Sistema, esteso diversi anni luce, dove il continuo scambio
di informazioni a livello elettrico, permetterà un continuo flusso evolutivo con le risacche minori (i Fi-
gli).
La quantità di Energia e di Materia richiesta per il sostentamento di tali strutture porta però ad un
sempre più veloce esaurimento della fonte primordiale, costringendo questi esseri, se Hathorsiani,
ad incarnarsi in forma fisica all’interno di eventuali pianeti, creando così nuovi esseri e Civiltà, se
Luciferini, invece, a vagare nel Cosmo con l’unico scopo di trovare altre forme di vita da parassitare,
sfruttando il Plasma come veicolo per potersi muovere e nel mentre nutrirsene; non è escluso che i
Luciferini arrivino a parassitare anche Civiltà Hathorsiane incarnatesi in nuove forme di vita planeta-
rie.
Data la loro peculiarità, sia gli Hathorsiani che i Luciferini fanno parte della grande famiglia dei
Mutaforma, ovvero, sono in grado di cambiare forma ed acquisirne di nuove, specie in base agli
esseri con cui entrano in contatto, per questo motivo, e grazie alla presenza massiccia del plasma
cosmico che permette loro uno scambio di informazioni di base per la propria sussistenza, sono
capaci di muoversi in ogni angolo della Galassia in cui si formano, così come possono entrare in
contatto con qualsiasi essere vivente ivi presente. Attualmente si stima che soltanto nella Via Lattea,
la loro popolazione raggiunga un numero imprecisato di individui, calcolato in miliardi di miliardi.

Le Canalizzazioni degli Hathors

In alcuni Contattisti o Canalizzatori, gli Hathors, a parte alcune incongruenze di metodo, sosten-
gono di essere un gruppo di Entità Interdimensionali e Intergalattiche, che furono legate all’Antico
Egitto attraverso i Templi della Dèa Hathor, oltre ad ulteriori culture preistoriche. Verso la fine degli
anni ’80 iniziarono a prendere contatto con alcuni esseri umani durante le loro normali sedute di
meditazione, istruendoli sulla natura vibratoria del Cosmo, l’uso della geometria sacra come mezzo
per stimolare il rendimento cerebrale, nonché l’utilizzo del suono per attivare esperienze psico-spi-
rituali.
Sostengono di venire da un regno di amore e di suoni interni ad una realtà di sogno rispetto alla
nostra Terra, si considerano nostri fratelli e sorelle maggiori, identificandosi sovente come gli Eoni
presenti nel nostro passato, con una natura energetica inter-dimensionale, sostenendo inoltre di
essere arrivati sin qui da un altro Universo, mediante dei portali, e che dalla dimensione di Sirio, in-
fine, approdarono nel Sistema Solare e nei Regni Eterei di Venere. Sostengono di aver concepito e
incentivato i culti della dèa Hathor nell’Antico Egitto, di aver preso contatti con i Lama tibetani, specie
nel periodo di formazione del Buddhismo, come di aver interagito nei riguardi di alcuni aspetti della
nostra evoluzione spirituale e religiosa dalla preistoria sino ad oggi, anche se a fasi alterne.

Il “Portatore di Luce”

Aspetto più complesso è quello della figura del "Portatore di Luce" o Lucifero. Dal latino Lucifer,
composto di lux (luce) e ferre (portare), sul modello del corrispondente greco phosphoros, phos
(luce) pherein (portare), in ambito sia pagano che astrologico esso indica la cosiddetta Stella del
Mattino (da Fosforo12, divinità greca), cioè il pianeta Venere che, mostrandosi all'aurora, è anche
identificato con questo nome.
Lucifero (in ebraico helel) è il nome classicamente assegnato a Satana dalla tradizione giudaico-
cristiana in forza dell'interpretazione prima rabbinica e poi patristica di un passo di Isaia. Nella tradi-
zione popolare con questo termine generalmente s'intende un ipotetico essere incorporeo e lumi-
noso di natura eminentemente maligna e come tale potenzialmente pericolosissimo. Secondo i prin-
cipali filoni teologici del giudaismo e del cristianesimo, questa Entità sarebbe perfettamente assimi-
labile alla figura di Satana, sebbene altri studiosi contestino vivacemente questa identificazione, pre-

12 Figlio di Eos (l'Aurora) e di Astreo, fu anche padre di Ceice (Ceyx), re di Tessaglia e di Dedalione.
12

diligendo la teoria che siano due Entità diverse e ben distinte. Ma della visione patristica riguardo
Satana/Lucifero risentì tutta la letteratura e la filosofia cristiana almeno fino al XVIII secolo (e oltre),
dove Dante Alighieri e John Milton diedero una rappresentazione di Lucifero che ben palesava la
sua totale identificazione con l'origine prima del Male: il Principe dei Demoni, delle Tenebre, dell'In-
ferno e di questo Mondo, il Nemico di Dio e degli Uomini.
L'idea di Lucifero come principio positivo, nonché il suo accostamento alla figura di Prometeo,
saranno dei motivi ripresi da una lunghissima tradizione gnostica e filosofica che nella storia ha tro-
vato echi nell'Illuminismo, nella Massoneria, nel Rosacrocianesimo, nel Romanticismo di Byron,
Shelley, Baudelaire, persino di Blake, e in tempi più recenti nella teosofia di Madame Blavatsky e
nella contemporanea derivazione New Age inaugurata da Alice Bailey, dove in ultimo si può aggiun-
gere a tale lista anche il cosiddetto Transumanesimo, nonché i movimenti neopagani e persino il
Comunismo Sovietico in Russia!
Tutta questa enorme cultura, la cui matrice luciferina è rimasta sempre più o meno celata, pre-
senta il Culto di Lucifero come Entità Spirituale, oppure più semplicemente come simbolo ideale tra
l'identità di Dio e Sophia (la Sapienza) e dunque la benignità essenziale di qualsiasi Entità che sia
Portatore di Luce, cioè Portatore di Conoscenza. Accanto alla tradizione teologica e letteraria ri-
guardo Lucifero, si sviluppò già nei primi tempi di fioritura e di espansione delle dottrine cristiane,
una corrente gnostica che tentò la re-interpretazione della figura luciferina in chiave salvifica e libe-
ratrice per l'uomo dalla tirannia del Dio Creatore.
Secondo tale dottrina, che ha radici tanto nel Marcionismo quanto nel Manicheismo, il Serpen-
te/Lucifero descritto nella Genesi sarebbe colui che ha indotto l'Uomo alla Conoscenza, e dunque
l'elevazione dell'Uomo a divinità, pur contro la volontà del Dio Supremo che avrebbe voluto invece
mantenere l'Uomo quale suo suddito e schiavo, cioè quale essere inferiore. In tale dottrina il nome
Satana scompare quasi del tutto in favore del nome Lucifero, che viene interpretato alla lettera come
"Portatore di Luce" e viene perciò eletto quale salvatore dell'Umanità intera.

(Lucifer, di William Blake)


13

4.3 - Genesi, evoluzione e caduta degli Hathorsiani

«Anche Satana si traveste da Angelo di Luce. Non è dunque cosa eccezionale se anche i suoi
servitori si travestono da servitori di giustizia; la loro fine sarà secondo le loro opere.»
(2 Corinzi 11,14-15)

Ed è qui che entra in scena la storia di Eugenio Siragusa, il quale sosteneva che su questo pia-
neta, Mallona, ci fossero stati depositi o enormi giacimenti nucleari che infine esplosero. Gli scampati
del pianeta, i sopravvissuti a questa immane catastrofe, volarono poi con le loro navi spaziali verso
gli altri pianeti del Sistema Solare, tra cui Venere, la Terra, Marte e Saturno. Il pianeta Terra, all’e-
poca dei fatti (circa 100 milioni di anni fa), era popolato dai Dinosauri e da una forma ibrida primitiva
di Uomo, per cui non era del tutto inospitale e i nuovi dovettero adattarsi all’inaspettata e provvisoria
sistemazione.
Le cose ben presto peggiorarono, e mentre i nuovi arrivati cercavano di ambientarsi sulla Terra
o sugli altri pianeti dove si erano accampanti, Mallona ormai agonizzante esplose ed un immenso
bagliore a forma di croce colpì l’atterrito sguardo degli scampati; il cielo divenne terso e pauroso e
tutto non fu più lo stesso. Anche Zacharia Sitchin, come altri studiosi, aveva infatti redatto simili
teorie, egli aveva chiamato in causa il pianeta Nibiru, il quale sosteneva di aver “riscoperto” dopo
una letterale traduzione di alcune Tavolette Sumere che descrivono, tra l’altro in modo impressio-
nante, l’analoga Apocalisse del pianeta Mallona raccontata sia da Siragusa come da Engel e Lorber.
Dopo la distruzione del pianeta, si racconta che il Sole vibrò fortemente lasciando sfuggire dalla
propria superficie un’enorme massa di materia incandescente e che, raffreddandosi, avrebbe dato
origine al pianeta Mercurio, quasi a voler sostituire così un figlio perduto. La Terra, Marte e Venere
andarono incontro ad un periodo di immani sconvolgimenti, subirono urti enormi, giganteschi maci-
gni del pianeta disintegrato si diressero in tutte le direzioni nello Spazio, alcuni di essi poi si asse-
starono andando a formare i satelliti e i famosi Anelli di Saturno.
La superficie marziana ancora oggi riporta visibili e drammatiche cicatrici di impatti avvenuti in
quel lontanissimo e oscuro passato, e tale sconvolgimento per l’intero Sistema Solare, fu così disa-
stroso che la Terra, oltre a questi urti, subì anche lo spostamento del proprio asse polare con tutti
gli effetti conseguenti devastanti che ne seguirono, quali: eruzioni vulcaniche, terremoti, tsunami,
etc.
I superstiti di Mallona, rifugiatisi sulla Terra, si ritrovarono a dover fronteggiare una disperata lotta
per la sopravvivenza, ma tale situazione li portò alla perdizione di sé e a cadere nell’abisso, un abis-
so fatto di desolazione, enormi sacrifici e morte. Passò molto tempo prima che i ricordi di quella ter-
ribile sventura sfumassero lentamente e, dopo una temporale e apparente sistemazione nella nuova
dimora, i malloniani, rimasti e scampati al disastro cosmico (si stimano ne morirono almeno 7 mi-
liardi), portarono alla nascita di una nuova Civiltà Ibrida, dopo che iniziarono ad accoppiarsi con i
terrestri ivi presenti.
Siragusa, però, ci racconta anche dei dettagli della storia di non poco conto ed estremamente
interessanti. Gli abitanti di Mallona, sebbene avessero una forma fisica tra l’umano e l’angelico, e in
quanto prossimi alla quarta dimensione evolutiva erano già androgini, erano governati da un Arcan-
gelo il quale incarnava la divinità planetaria o un’Entità Divina, alla stregua di una cellula all’interno
di un Corpo vivente, esattamente come quell’Entità-Madre della Nebulosa nella quale si originano
sia gli Hathorsiani che i Luciferini. Ma a quanto pare la forma incarnante Lucifero era penetrata
all’interno della società di Mallona, ed egli era stato colui che aveva spinto il suo sguardo, fiero e
indomabile, oltre la sua superbia.
Spinta dall’influsso luciferino, un’enorme folla di malloniani si lasciò sedurre infiammandosi di
grande entusiasmo, e il desiderio di creare li spinse a manipolare gli elementi cosmici nel tentativo
di indurli verso nuovi confini, prima di allora mai raggiunti. Siragusa racconta che “Altri Uomini del
Cielo”, spaventati da quella scelleratezza, ebbero l’ordine di impedire questo folle disegno, giacché
una simile opera avrebbe portato disordine nella Creazione e rotto la catena della Gerarchia Divina
e Planetaria vigente. Fu così che si scatenò una guerra epocale che impegnò le armate malloniane
capeggiate da Lucifero, contro quelle dei suoi superiori e che terminò con la più completa disfatta.
La manipolazione della Materia e dell’Antimateria, da parte degli abitanti di Mallona, scatenò l’au-
toannientamento delle energie elementali, liberando così esplosioni a catena di fusione e fissione,
fino alla completa lacerazione planetaria. Amareggiato, deluso e pieno di rabbia, Lucifero si convinse
14

e si diede la missione di determinare la proliferazione del nuovo Genere Umano sulla Terra, spin-
gendo i propri Uomini-Angeli Caduti, scampati alla distruzione e che avevano cercato riparo presso
gli altri pianeti vicini, a disubbidire all’ordine genetico in vigore, facendoli poi accoppiare con le donne
terrestri, dando vita, così, ad una nuova stirpe (Genesi, capitolo 6), fase che passò alla storia con il
ben noto e mitologico “Peccato Originale”.
Questi Malloniani-Luciferini si inserirono e si metamorfosarono nelle razze terrestri già esistenti,
perdendo la loro caratteristica androgina e l’immortalità, persero anche la memoria e l’intelligenza
collettiva (tipica ad esempio degli Hathorsiani), e si abbrutirono a tal punto da condurre esperimenti
dove unirono il loro seme con quello degli animali, generando alcune specie ibride che poi portarono
all’attuale specie umana.

Sulla distruzione nel 4000 a.C. del pianeta che orbitava intorno al Sole tra Marte e Giove

6. Abbiamo visto, all’inizio del sesto periodo, come un mondo fu distrutto dal di dentro, e che dai
tempi di Adamo questa Terra divenne la cameretta vitale nel grande Uomo Cosmico. Ora però vi
mostrerò la situazione di quel mondo distrutto, e precisamente com’era prima e che aspetto ha
adesso. Poi vi mostrerò anche in quale rapporto stava allora questa Terra rispetto al Grande Uomo,
vale a dire ve lo mostrerò solamente al modo della corrispondenza spirituale, non già nella realtà
materiale, dato che una cosa simile non vi può essere mostrata con pure parole e senza mostrarvi
un’immagine sensibile. Ora Io, con la Mia Volontà, vi rappresenterò in piccole proporzioni il Sole con
tutti i suoi pianeti e voi, guardando una tale immagine, comprenderete presto e facilmente le Mie
parole; e dunque fate tutti ben attenzione!».
7. Non appena ebbi pronunciato queste parole, sorse nel libero spazio eterico una sfera del dia-
metro di una spanna; essa raffigurava il Sole. In proporzioni il più possibile buone, per quanto ap-
prossimative in grandezza e in distanza (lo spazio della sala era naturalmente troppo piccolo per
rappresentarle nella piena esattezza delle proporzioni reali), furono anche rappresentati tutti i pianeti
con le loro lune, con incluso anche il pianeta distrutto all’inizio del sesto periodo, con le sue quattro
lune, così com’era prima della sua distruzione. Spiegai a tutti la posizione dei singoli pianeti e ne
diedi anche i nomi, tanto in lingua giudaica che in quella greca, ed essi scorsero il pianeta in que-
stione librarsi tra Marte e Giove, nonché le sue lune girargli intorno. In quanto a grandezza era
uguale a Giove, solo aveva più terraferma di questo e anche una più alta atmosfera intorno a sé, e
pure una più forte inclinazione polare e perciò anche una più inclinata rotazione intorno al Sole.
8. Quando tutti ebbero ben compreso ciò, Io continuai dicendo: «Vedete, questo era l’ordine circa
quattromila anni fa, poi avvenne la distruzione di questo pianeta a voi già accennata. Come e perché
essa ebbe luogo, ve l’ho già detto. Ora però guardate come stanno le cose dopo tale distruzione!».
15

9. Allora tutti rivolsero lo sguardo al pianeta che si divise in molti pezzi abbastanza grandi. Solo
le quattro lune restarono intere. Dato però che tali lune avevano perduto il loro corpo centrale, su-
bentrò il disordine e si allontanarono sempre più l’una dall’altra, anche perché esse avevano subito
un urto molto considerevole a causa dello scoppio del pianeta principale.
10. I pezzi del pianeta invece si sparsero nel vasto spazio tra l’orbita di Marte e quella di Giove;
una gran quantità di frammenti più piccoli si allontanarono anche di là dalle suddette orbite, e alcuni
caddero su Giove, alcuni su Marte, alcuni perfino sulla Terra, su Venere, su Mercurio e anche sul
Sole.
11. Anzi, allo scoppio del pianeta, perfino gli uomini, i quali erano di corporatura gigantesca, fu-
rono lanciati nel libero spazio del cielo in gran numero, e così pure altre creature. Alcuni cadaveri
disseccati si librano ancora nell’ampio spazio etereo, alcuni - ovviamente morti e pure essi disseccati
- stanno seduti o sdraiati nelle loro case che sussistono ancora nei frammenti più grandi del pianeta.
Alcuni di quei cadaveri caddero perfino sulla Terra, dove però dopo alcuni secoli furono dissolti, e
anche su altri pianeti.
12. Allo scoppio, i grandi mari di questo pianeta si suddivisero in gocce di varia grandezza, e così
pure avvenne con i loro abitanti d’ogni specie e qualità. Alcune di tali gocce hanno un diametro di
parecchie ore [di cammino], racchiudono in sé anche del terreno solido e sono ancora abitate da
parecchi animali. Sulle quattro lune, invece, vivono ancora le creature che già c’erano, ora però in
uno stato già più ridotto; sui frammenti più piccoli non c’è vita organica, se si eccettua quella della
decomposizione per l’azione del tempo, dell’aria e della lenta dissoluzione.»
(Jakob Lorber, “Grande Vangelo di Giovanni”, vol. 8 - cap. 75)

Nell’Universo ogni forma ha la sua precisa funzione, lo abbiamo visto studiando il Mito o la stessa
Scienza, e tali mansioni sono così sovrapponibili da aver notato più volte similitudini del tutto sor-
prendenti. La Scienza ovviamente è riuscita a raggiungere tali vette di conoscenza, seppure ancora
in buona parte parziali, mediante l’osservazione diretta dei fenomeni cosmici, il Mito, al contrario, è
riuscito a raggiungere le stesse conclusioni ma in chiave metaforica, non solo osservando quel poco
di Cielo a disposizione nelle ore notturne nell’arco di un anno, ma soprattutto studiando la natura
circostante e le dinamiche umane. Tutto ha un suo preciso ordine, e questo ordine è primordiale
quanto cristallizzato all’Origine del Tempo.
Abbiamo visto come le forme spirituali si muovano attraverso la Luce e che, mediante le Stelle,
catalizzatori e trasformatori del loro potere, incarnandosi in forma materiale sui pianeti, divengono
Anime Fisiche, in procinto di fare esperienza nella stessa forma. Ma nell’immensa economia univer-
sale niente è insignificante o va sprecato, seppur apparentemente la limitata visione umana sia pro-
pensa a crederlo, dove ogni minima fase di passaggio evolutiva va a posizionarsi in uno specifico e
delimitato ruolo.
Ed è in uno di questi ruoli specifici che fanno la loro comparsa gli Hathorsiani. Con questo termine
si può definire qualsiasi Civiltà che va a formarsi all’interno delle risacche delle Nebulose residue,
perciò, ovunque nell’Universo e in qualsiasi Galassia, la loro presenza è teoricamente possibile, in
quanto gli elementi materiali ed eterici sono già presenti per la loro formazione. Sono la forma grezza
di qualsiasi successiva fase evolutiva del concetto di Uomo Cosmico, probabilmente è anche la pri-
ma forma ibrida che apparve nell’Universo primigenio ancora oscuro e privo di Stelle, e fu solamente
dopo, con l’accensione dei primi Soli che tale meccanismo poté finalmente mettersi in moto e deli-
nearsi come oggi lo conosciamo.
Le Nebulose, pertanto, sono delle vere e proprie nursery, gigantesche ed immense, quanto stra-
ordinarie culle di vita sotto ogni molteplice aspetto. Civiltà Hathorsiane sono comparse anche nella
nostra Galassia, la Via Lattea, e ovviamente nel Braccio di Orione, fucina incessante di nuovi Sistemi
Planetari, compreso il nostro. Pertanto, è presumibile ipotizzare che miliardi di anni prima della na-
scita del nostro Sole, esistesse una Nebulosa Madre (la Hathor degli Egizi) che oltre a generare
varie Stelle, molte delle quali nostre vicine, nei suoi residui sviluppò anche una autoctona Civiltà
Hathorsiana. Questa Civiltà, ad un certo punto del suo percorso, decise di incarnarsi in forma mate-
riale su di un pianeta e tentare di diventare una Civiltà Umana a tutti gli effetti, e per farlo scelse un
Sistema Solare in formazione, il nostro, dove principiò questa sperimentazione su di un pianeta spe-
cifico: Tiamat.
16

Il Sistema Solare delle origini era molto diverso dall’attuale, si presume che la dislocazione dei
pianeti all’epoca fosse la seguente: Sole, Vulcano, Terra, Venere con Mercurio satellite, Tiamat con
Marte satellite, Giove, Saturno, Urano con Plutone satellite e Nettuno. Ma non è tutto. Il Sole non è
sempre stato solo, almeno nelle sue prime fasi, e potrebbe aver avuto una Stella compagna con la
quale danzava in un’orbita stretta, separate appena da circa un anno e mezzo luce (centomila volte
la distanza Terra-Sole). Battezzata Nemesi, come la Dèa greca della giustizia riparatrice, ma nome
che evoca anche una serie di avvenimenti e catastrofi ineluttabili, secondo tale teoria, essa sarebbe
stata una Nana Rossa, cioè una Stella più piccola e meno luminosa del Sole, ma abbastanza mas-
siccia da scatenare perturbazioni gravitazionali (Nibiru?).
Quando la Civiltà Hathorsiana decadde, come avremo modo di approfondire in seguito in meri-
to alla nascita del nostro Genere Umano, la loro Società arrivò sull’orlo dell’estinzione dopo la ribel-
lione di una fazione inter-
na, capeggiata da quell’es-
sere superbo che sarà uni-
versalmente noto con il no-
me di Lucifero. La succes-
siva distruzione del piane-
ta e la deflagrazione po-
tente, sconvolsero letteral-
mente tutto il Sistema So-
lare. Tiamat si frantumò in
miliardi di pezzi che anda-
rono a colpire in ogni dove,
impattando contro la quasi
totalità dei pianeti presenti,
e la mancanza di quell’or-
bita generò uno sconvolgi-
mento nell’assetto plane-
tario, riassumibile in que-
sto modo:

• Vulcano13 venne fiondato contro la Terra, l’urto dei due pianeti (seppure Vulcano fosse
più minuto), portò ad una sua fusione interna con il nostro e i frammenti scagliati attorno
all’orbita planetaria, andarono ad ultimare la formazione della Luna.
• Mercurio, al tempo satellite di Venere, si staccò dal pianeta e vagò per poi andarsi a po-
sizionare in prossimità dell’ex orbita di Vulcano, divenendo così il primo pianeta in ordine
di vicinanza al Sole. Della Luna un tempo fiorente rimase solo un ambiente craterico e pri-
vo di vita.
• Venere migrò nella sua orbita attuale, sprovvisto della sua ex-luna Mercurio. La nuova po-
sizione fu propizia per lo sviluppo della successiva Civiltà Umana Venusiana.
• La Terra migrò nella sua orbita attuale, dove in precedenza si trovava Venere.
• Tiamat si frantumò in miliardi di pezzi che andarono ad impattarsi in tutti i pianeti del Si-
stema Solare. Durante le prime fasi dell’esplosione, l’onda d’urto che si generò antece-
dentemente l’evento, scagliò la sua Luna lontano, lasciandola vagare attorno al Sole, ri-
cevendo poi i frammenti del pianeta che disintegrarono ogni forma di atmosfera e di vita
ivi presenti, finendo poi per posizionarsi nella sua orbita attuale e diventando il pianeta a
noi tutti noto come Marte.

13 Vulcano è un ipotetico pianeta del Sistema Solare la cui orbita sarebbe interna a quella di Mercurio,
ipotizzato dal matematico Urbain Le Verrier, nel 1859, per spiegare alcune anomalie del moto di Mercurio
stesso (rispetto alle previsioni della legge di gravitazione universale di Newton). Anche l'antroposofo Rudolf
Steiner menziona spesso Vulcano, considerandolo un organismo spirituale al pari degli altri pianeti, ma che
essendo privo di un corpo materiale vivrebbe tuttora negli spazi del Sistema Solare che circondano la Terra.
17

• Dove un tempo si trovava Tiamat, venne a formarsi una cintura di asteroidi e meteore, an-
cora oggi presente e che delimita una sorta di confine tra i pianeti interni rocciosi da quelli
esterni gassosi.
• I giganteschi Giove e Saturno, forti dei loro moti, rimasero pressoché sulle loro orbite, così
come Urano con la sua luna Plutone e Nettuno.

Durante le lunghe fasi successive post-distruzione, gli Hathorsiani superstiti migrarono altrove,
ma persero quasi tutti il loro Corpo Fisico, ritornando ad essere forme eteriche. Lì avvenne la muta-
zione che portò a trasformarli in esseri Luciferini, nella forma parassita di ogni Civiltà Hathorsiana
che decide di non fare più esperienza materiale, se non mediante un Corpo Ospite.

Sugli abitanti del pianeta distrutto che orbitava tra Marte e Giove. La causa che ha scate-
nato l’enorme afflusso d’acqua nel Diluvio di Noè. La Terra, spiritualmente, è la papilla vitale
principale nel cuore del grande Uomo Cosmico.

1. Dopo che ai presenti fu mostrato e chiarito tutto ciò nel modo sopra descritto, il romano Marco
disse: «O Signore e Maestro, tutto quello che è avvenuto su quel pianeta deve essere stato per i
suoi abitanti qualcosa di indescrivibilmente spaventoso! Essi devono essere tutti morti dalla dispe-
razione! E che cosa è avvenuto delle loro anime?».
2. Dissi Io: «Che una tale catastrofe sia stata per quegli uomini qualcosa di spaventoso, è più che
sicuro, però essi stessi ne avevano colpa. Essi erano stati già prima, per lunghi periodi, istruiti, av-
visati e ammoniti; a loro era stato indicato quello che dovevano attendersi, ma essi, nella loro grande
saggezza mondana, consideravano tutto ciò delle fantasticherie e delle vane sciocchezze da parte
di quei veggenti che, nella loro semplicità e povertà terrena, preannunciavano tali cose ad un popolo
credulone per conseguire importanza e ottenere qualche aiuto materiale. I grandi e le persone in
vista, non solo non credettero alle loro parole, ma li perseguitarono in tutti i modi, anche col fuoco e
con la spada; anzi, essi alla fine presero posizione tanto seriamente contro tutto ciò che, per quanto
poco odorasse di trascendentale, se qualcuno osava scrivere o esprimere qualcosa riguardante lo
Spirito, veniva ucciso senza pietà! Così divenne poi impossibile affrontare il grande orgoglio e la
durezza spietata di quegli uomini!
3. Quegli uomini avevano molta inventiva nelle cose terrene, e già da diverse migliaia di anni,
così come sono calcolati sulla Terra, avevano inventato una specie di grani esplosivi. Questi grani
distruggevano ogni cosa quando erano accesi. Se voi ammucchiaste circa diecimila libbre di quei
nefasti grani esplosivi in una caverna, a circa mille lunghezze d’uomo di profondità sotto il monte
Libano, e poi li accendeste, essi allora si incendierebbero tutti nello stesso istante e frantumerebbero
l’intera grande ed alta montagna in molti pezzi. Una cosa simile fecero anche gli hanociti prima di
Noè con parecchi monti, aprendo così i bacini d’acqua interni della Terra, e allora tutti perirono nei
flutti saliti a grande altezza.
4. Vedete, con queste pessime scoperte suggerite dai demoni, gli uomini di quel pianeta s’immer-
sero sempre più nel disordine che andava sempre aumentando, finché esso raggiunse il culmine. Si
dichiararono vicendevolmente guerra; un paese minava il sottosuolo dell’altro con quei dannati grani
esplosivi, accendendoli poi artificialmente e facendo così saltare in aria l’intero paese. Con queste
manovre di distruzione di interi paesi, essi continuarono il loro triste gioco, facendo delle buche
sempre più grandi e più profonde nella loro Terra che era duemila volte più grande di questa vostra,
e un bel giorno giunsero troppo in profondità, fino alle sue camere interne che sono, per natura,
profondamente e ampiamente riempite, in tutte le direzioni, dalla sostanza del fuoco primordiale, il
quale divampò con un violento scoppio. E vedete, tale interna violenza di fuoco scardinò completa-
mente tutto il grande pianeta che esplose facendolo volare in pezzi in tutte le direzioni, e quegli
uomini malvagi raggiunsero la loro fine, insieme al loro pianeta!
5. Io sapevo bene che sarebbe successo così, e avevo già previsto che questa [vostra] Terra
sarebbe stata quella che è adesso. Questa [vostra] Terra corrispondeva però già originariamente
all’ultima parte, nel senso di quella più umile, nel corpo dell’uomo cosmico, e precisamente alla
papilla dermica più in basso nel mignolo del piede sinistro. Tale parte non è l’ultima per il luogo in
cui si trova, ma, come ho detto, per il suo significato spirituale di umiltà. E ora questa [vostra] Terra
18

è la portatrice dei Miei veri e propri figli, i quali hanno da indirizzarsi e da educarsi loro stessi, di loro
libera volontà, secondo la Mia Volontà a loro rivelata.
6. Ma perfino dal punto di vista fisico sussiste un legame e una corrispondenza tra la papilla vitale
nel cuore e la papilla dermica inferiore nel mignolo del piede sinistro. E così si può dire che prima
questa [vostra] Terra, nel grande Uomo Cosmico, corrispondeva, anche con speciale riferimento
spirituale all’umiltà, a ciò che Io ho indicato come la papilla dermica del mignolo del piede, e perciò
ora essa, nel cuore del grande Uomo cosmico, è anche la papilla vitale principale – vale a dire
spiritualmente – e tale resterà attraverso coloro che su di essa sono divenuti i figli del Mio Amore e
della Mia Sapienza. Essa però può anche restarlo ancora fisicamente per un tempo di una lunghezza
per voi inimmaginabile, nonostante che sul suo suolo si arriverà a cambiamenti troppo grandi. Anche
i futuri discendenti [degli uomini di questa Terra], infatti, inventeranno di nuovo i nefasti grani esplo-
sivi, e ancora una quantità di altri strumenti di distruzione, e provocheranno molte, molte devasta-
zioni sulla Terra. Ma che essi non possano arrivare a profondità troppo grandi della Terra, a questo
sarà già provveduto da parte Mia.
7. E così pure non lascerò mai orfani i Miei su questa Terra, ma resterò presso di loro in Spirito
fino alla fine dei suoi tempi; perciò, su questa Terra, una simile distruzione non potrà mai avvenire;
però devastazioni e desolazioni locali avranno sicuramente luogo, e gli uomini saranno colti da
grande angoscia, spavento e afflizione, e molti saranno oppressi dalla paura e dall’ansiosa attesa
degli eventi che potrebbero accadere. Saranno però essi stessi la causa di tutto ciò che accadrà lo-
ro.
8. Ed ecco che adesso Io ho svelato dinanzi a voi cosa accadde in quell’epoca a quel corpo
mondiale ora distrutto, e vi ho pure svelato come ciò sia in relazione con questa [vostra] Terra e
anche che rapporto avrà in futuro; ed ora chiedete a voi stessi se avete ben compreso ciò».
(Jakob Lorber, “Grande Vangelo di Giovanni”, vol. 8 - cap. 76)
19

4.4 - Il Sistema Solare

Nel momento in cui YHWH strinse un’alleanza con Abramo, gli disse: “Guarda in alto e conta le
Stelle.” Un’affermazione poetica quanto provocatoria, perché l’Umanità, sia prima di Abramo che
dopo di lui, ha sempre guardato in alto, chiedendosi se vi sono altri Esseri come lei da qualche parte
in quello Spazio così infinito, magari su altri pianeti adatti ad ospitare la vita. La logica, così come le
probabilità matematiche, ci suggeriscono una risposta affermativa a questo antico quesito, ma fu
solo nel 1991 che per la prima volta, alcuni astronomi, scoprirono effettivamente altri pianeti girare
attorno ad altri soli; da allora è stato un crescendo inarrestabile di scoperte continue di esopianeti
sempre più incredibili ed inimmaginabili.
Molto tempo prima dei Faraoni d’Egitto, però, una precedente ed antica Civiltà, la prima ricono-
sciuta della storia e che attualmente si conosca, era già depositaria di una avanzatissima Cosmo-
gonia. Seimila anni fa, nell’antica Sumer, ciò che gli astronomi hanno scoperto solo negli ultimi de-
cenni era già ampiamente noto, perché allora non solo conoscevano la natura e composizione del
nostro Sistema Solare (compresi i pianeti più lontani e non visibili ad occhio nudo), ma anche il
concetto che vi sono altri Sistemi Planetari nell’Universo, così come le loro Stelle (o Soli), possono
collassare, esplodere, e che gli stessi pianeti che vi orbitano intorno, possono essere gettati fuori
dalle orbite, così come la vita può passare da un Sistema Stellare ad un altro.
Esiste un lungo testo, scritto su sette tavolette che ci è giunto nella sua versione babilonese,
questo testo noto come “Enuma Elish” (le prime parole del poema), è una vera e propria “Epopea
della Creazione” che veniva letto pubblicamente durante la festività del Nuovo Anno, che cominciava
con il primo giorno del mese Nissan, in coincidenza con il primo giorno di Primavera. In sostanza,
questo poema, racconta il processo di formazione del nostro Sistema Solare, e descrive come il
Sole (Apsu) e il suo messaggero Mercurio (Mummu), vennero dapprima raggiunti da un antico pia-
neta chiamato Tiamat, quindi poi da altri due pianeti, Venere (Lahamu) e Marte (Lahmu), che si
collocarono tra il Sole e Tiamat, a loro poi si aggiunsero anche altre due coppie di pianeti al di là di
Tiamat, Giove (Kishar) e Saturno (Anshar), ed Urano (Anu) e Nettuno (Nudimmud)14.
I Sumeri non si fermarono a
nominare solo questi pianeti, tut-
t’altro, si prodigarono anche a
spiegare le dinamiche che por-
tarono alla formazione del no-
stro Sistema Solare. Infatti, so-
stenevano che alcuni di questi
nuovi Dèi Celesti, che si spinge-
vano e attraevano l’uno verso
l’altro, formarono i satelliti (le Lu-
ne), e lo stesso pianeta Tiamat
che stava nel mezzo di questa
instabile famiglia di Corpi Cele-
sti, ne formò ben undici, ed uno
di essi, Kingu, si ingrossò a tal
punto da assumere l’aspetto di
un “Dio Celeste”, un vero e pro-
prio pianeta autonomo.
Pensate, gli astronomi del-
l’era moderna ignorarono total-
mente la possibilità che un pia-
neta avesse più lune finché Gali-
leo Galilei, scoprì le quattro lune
principali di Giove nel 1609, con
l’aiuto del Telescopio, eppure i
Sumeri erano a conoscenza di

14 Urano e Nettuno furono scoperti solo recentemente, rispettivamente, nel 1781 il primo e nel 1846 il se-

condo.
20

questo fenomeno millenni fa, descrivendone molti di più. La fantasia immaginifica dei Sumeri, si
spinse talmente oltre da descrivere persino la comparsa, ad un certo punto, di un invasore prove-
niente dallo Spazio esterno, un altro pianeta che non apparteneva alla famiglia di Apsu, ma forse a
qualche altra Stella e che era stato gettato lontano dalla sua orbita originaria. Così, millenni prima
che la moderna scienza apprendesse delle Pulsar o delle Supernova, dei loro collassi e dell’even-
tualità che grazie a queste immense onde d’urto, i loro pianeti e satelliti potessero essere scagliati
dalle loro orbite, l’Enuma Elish ci descrive come uno di questi pianeti fu lanciato lontano, arrivando
ai margini del nostro Sistema Solare, cominciando ad essere poi attirato al suo interno.
Nel mentre si avvicinava ai pianeti più esterni -, provocando modificazioni che potrebbero in parte
spiegare molti di quei misteri che ancora oggi affliggono gli astronomi moderni (come l’inclinazione
di Urano sul suo lato, o l’orbita retrograda della Luna maggiore di Nettuno, Tritone, etc.), e si spin-
geva verso l’interno del nostro Sistema Solare -, finì col collidere con Tiamat in quella storia che
venne ricordata come la “Battaglia Celeste”, ovvero una serie di scontri in cui i satelliti dell’invasore
colpirono ripetutamente il pianeta fino a dividerlo in due parti. Una metà fu divisa in piccoli e grandi
pezzi che andarono a formare la Fascia degli Asteroidi (ancora oggi presente tra Marte e Giove), e
diverse Comete, mentre l’altra metà, ferita ma intatta, fu gettata in una diversa orbita e divenne poi
un nuovo pianeta, Ki, (la Terra), portandosi dietro anche un altro satellite di Tiamat che ne divenne
il proprio.
Questo pianeta invasore rimase poi prigioniero di una sua propria orbita attorno al Sole, diven-
tando così il suo dodicesimo membro, tanto che i Sumeri lo chiamarono Nibiru (Pianeta dell’Attra-
versamento), mentre i Babilonesi lo rinominarono Marduk in onore della loro principale divinità. Inol-
tre, raccontavano che durante la “Battaglia Celeste”, Nibiru portò con sé anche il “Seme della Vita”
che inseminò successivamente la Terra, e nel momento in cui fu scagliata nella sua nuova orbita,
poté cominciare a contare gli anni.

«Nulla esisteva eccetto il primordiale Apsu, l’iniziatore; Mummu e Tiamat.»

Il Sistema Solare è il nostro Sistema Planetario, costituito da una varietà di Corpi Celesti mante-
nuti in orbita dalla forza di gravità del Sole. Esso è attualmente costituito dal Sole ed otto pianeti
(quattro rocciosi ed interni e quattro giganti gassosi esterni), e dai rispettivi satelliti naturali, da cinque
pianeti nani e da una infinità di corpi minori. Quest’ultima categoria comprende miliardi di asteroidi
(la Fascia Principale e quella di Kuiper) e le Comete (prevalentemente situate nell’ipotetica Nube di
Oort), nonché meteoroidi e polvere interplanetaria. In ordine di distanza troviamo, quindi: il Sole,
Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Da metà del 2006 si aggiunsero
21

anche cinque corpi classificati come pianeti nani: Cerere, situato nella Fascia degli Asteroidi, ed altri
quattro situati al di là dell’orbita di Nettuno, ossia Plutone (in precedenza classificato come nono
pianeta), Haumea, Makemake ed Eris15.
Le dimensioni del Sistema Solare sono ancora oggi difficilmente definibili, anche se lo si consi-
dera in modo approssimativo simile ad una sfera irregolare con un diametro di circa 80UA. All’interno
del Sistema, lo spazio tra un Corpo Celeste ed un altro non è vuoto, ma è permeato dal cosiddetto
mezzo interplanetario, formato da pulviscolo, gas e particelle elementari. Il Sole non è solo, pertanto,
l’unica Stella di questo Sistema, ma l’unica fonte di energia termica, sia perché rappresenta con
ottima approssimazione il centro gravitazionale, sia perché la massa solare corrisponde anche al
99,9% della Materia ivi presente16.
Si ipotizza che il Sole e i pianeti si siano formati da una Nebulosa di gas interstellare in contra-
zione all’incirca 4,6 miliardi di anni fa. L’ipotesi di una tale origine trova riscontri nell’analisi di alcune
regolarità di comportamento dei pianeti che ruotano attorno al Sole, muovendosi tutti nello stesso
verso, a parte Venere ed Urano, percorrendo orbite sostanzialmente complanari. Secondo le attuali
teorie, la Nebulosa primordiale aveva una temperatura molto bassa ed era costituita da idrogeno,
elio e una grande varietà di elementi chimici più pesanti e polveri, e all’incirca 5 miliardi di anni fa, in
una parte di essa venne a crearsi un aggregato più denso e che, spinto dalla forza gravitazionale,
avrebbe cominciato poi a contrarsi.
Nel breve periodo di pochi milioni di anni, in questa zona, la densità e la temperatura sarebbero
aumentate così tanto da arrivare a formare il Proto-Sole, nel mentre la contrazione avrebbe causato
un aumento della velocità di rotazione del Sistema, la nube si sarebbe appiattita, assumendo un
aspetto simile ad un disco rotante. Il collasso gravitazionale della massa del Proto-Sole avrebbe poi
causato un incremento della temperatura nella zona centrale e nelle fasi finali del processo, un forte
vento solare avrebbe trascinato nelle regioni più esterne tutti gli elementi più leggeri, specie l’idro-
geno e l’elio. Nel mentre il nucleo del Proto-Sole continuava a scaldarsi sino a raggiungere tempe-
rature necessarie per mettere in atto delle reazioni termonucleari, nel disco circostante presero ad
accrescere alcuni corpi (i Proto-Pianeti) attraverso delle collisioni, attirando anche frammenti più
piccoli presenti nello Spazio circostante. Sarebbero diventati in seguito i futuri Pianeti mentre il Proto-
Sole, infine, si sarebbe poi trasformato nell’attuale Stella stabile che ancora oggi conosciamo.
La maggior parte degli oggetti in orbita intorno al Sole si trovano su un piano simile a quello del-
l’orbita terrestre, chiamato Eclittica, mentre le Comete e gli oggetti della Cintura di Kuiper, hanno un
angolo significativamente maggiore rispetto al nostro. A parte questo, tutti i pianeti e gli altri oggetti
presenti orbitano nello stesso senso della rotazione del Sole (in senso antiorario dal punto di vista
di un osservatore situato al di sopra del polo nord solare a partire da ovest), ad eccezione di Venere
ed Urano. L’inclinazione degli assi di rotazione rispetto al piano orbitale, in tutti i pianeti, non si di-
scosta molto dalla perpendicolare, ad eccezione di Urano che ruota coricato sul piano dell’orbita. Le
orbite dei pianeti sono quasi circolari, ad eccezione di quelle dei corpi più piccoli che possono pre-
sentare una maggiore eccentricità e risultare molto ellittiche. La distanza da un Corpo Celeste dal
Sole varia, inoltre, durante la sua rivoluzione: il punto più vicino si chiama perielio, mentre il più
lontano, l’afelio17. Il tempo impiegato da un pianeta per compiere un giro attorno al proprio asse è
detto giorno, mentre il periodo che impegna per compiere una rivoluzione completa intorno al Sole,
è definito anno.
La maggioranza dei pianeti del Sistema Solare possiede anche un proprio Sistema Secondario,
infatti i corpi planetari in rotazione intorno ad un pianeta sono chiamati satelliti naturali o Lune, e

15 Il principale corpo celeste del Sistema Solare è il Sole, una stella della sequenza principale di classe
spettrale G2 V (nana gialla), contenente il 99,86% di tutta la massa conosciuta. Giove e Saturno, i due pianeti
più massicci che orbitano attorno al Sole, costituiscono più del 90% della massa restante. Sei dei pianeti e
quattro dei pianeti nani hanno in orbita attorno ad essi dei satelliti naturali; inoltre tutti i pianeti esterni sono
circondati da anelli planetari, composti da polvere e altre particelle.
16 Il Sistema Solare si trova nel Braccio di Orione della Via Lattea, poco lontano dal disco galattico, dal cui

centro dista quasi 28.000 anni luce. Esso compie una rivoluzione all'interno della stessa Galassia, percorrendo
un'orbita ellittica; dalla Terra, il moto sembra essere diretto verso una direzione apparente. La velocità di rivo-
luzione media è pari a circa 250 km/s, e per compiere una rivoluzione completa il Sistema Solare impiega cir-
ca 230 milioni di anni.
17 Il moto che i pianeti svolgono intorno al Sole segue tre leggi empiriche fondamentali note sin dal XVII

secolo, e denominate Leggi di Keplero.


22

molte di esse compiono la propria rivoluzione su di un’orbita sincrona, presentando sovente sempre
la stessa faccia al pianeta stesso; in questo Sistema Secondario possiamo includere anche gli Anelli
planetari, presenti in tutti e quattro i Giganti Gassosi esterni.
I Pianeti, inoltre, posso essere suddivisi l’uno dall’altro per composizione, dimensioni, tempera-
tura ed altre caratteristiche chimico-fisiche, e classificati così in due gruppi: i Pianeti di tipo Terrestre
(Mercurio, Venere, Terra e Marte), cioè simili alla Terra, e i Pianeti di tipo Gioviano (Giove, Saturno,
Urano, Nettuno), ovvero simili a Giove. Le differenze tra i due tipi sono innumerevoli, a cominciare
dai Pianeti Terrestri che hanno tutti una massa piccola, nessuno o pochi satelliti e bassa velocità di
rotazione, mentre i Pianeti Gioviani hanno una grande massa, molti satelliti ed elevata velocità di
rotazione, per questo motivo, quest’ultimi hanno anche una forma più schiacciata ai poli rispetto a
quelli terrestri; i Terrestri, inoltre, hanno una densità che è in media cinque volte quella dell’acqua,
mentre la densità dei Gassosi è solo 1,2 volte quella dell’acqua18.
Scendendo più nello specifico ed esaminando la loro composizione, si è notato che i Pianeti di
tipo Terrestre sono essenzialmente costituiti da materiali rocciosi e metallici, mentre quelli Gioviani,
sono costituiti per lo più da elio, idrogeno e piccole quantità di ghiaccio. L’atmosfera dei Pianeti
Terrestri manca del tutto o è comunque rarefatta, al contrario di quelli Gioviani in cui è molto densa,
costituita da idrogeno, elio, ammoniaca e metano. Anche la temperatura presente dipende da nu-
merosi fattori, quali la distanza dal Sole, la presenza di un’atmosfera e la sua composizione chimica,
l’inclinazione dell’asse di rotazione, etc., risultando comunque più elevata nei Pianeti di tipo Terrestre
rispetto a quelli Gassosi.

Il Sole è la Stella Madre del nostro Sistema Solare, e il suo principale componente, la sua massa
così grande gli permette di sostenere la fusione nucleare, rilasciando enormi quantità di energia e
che per la maggior parte viene irradiata nello Spazio come radiazione elettromagnetica, sovente in
luce visibile. Viene classificato come una Nana Gialla, anche se come nome è ingannevole, in quan-
to rispetto ad altre Stelle della Via Lattea, il Sole è piuttosto grande e luminoso, e irradia luce bian-

18Ipotizzando di poter immergere i pianeti del Sistema Solare in un enorme bacino d'acqua, uno solo gal-
leggerebbe. Non si tratta ovviamente di uno dei quattro pianeti interni (Mercurio, Venere, Terra e Marte) che
sono rocciosi e quindi con un peso specifico elevato, ma di uno dei quattro pianeti esterni gassosi, Saturno,
che ha una densità media pari a 0.7 volte quella dell'acqua (gli altri tre giganti gassosi, Giove, Urano e Nettuno,
invece, hanno una densità media maggiore di quella dell'acqua).
23

ca19. Le Stelle vengono classificate in base al diagramma Hertzsprung-Russell, un grafico che mette
in relazione la temperatura effettiva e la loro luminosità, dove generalmente più una Stella è calda e
più è luminosa, perciò le Stelle che seguono questo modello sono appartenenti alla sequenza prin-
cipale, e il nostro Sole si trova proprio al centro di questa sequenza. Tuttavia, le Stelle più luminose
e calde del Sole sono rare mentre abbondano Stelle meno luminose e più fredde, inoltre la luminosità
del Sole è in costante crescita e si è stimato che all’inizio della sua storia aveva soltanto il 75% della
luminosità che presenta attualmente.
Il Sole è una Stella di popolazione I ed è nato nelle fasi successive dell’evoluzione dell’Universo,
e contiene più elementi pesanti rispetto alle vecchie Stelle di popolazione II. Gli elementi più pesanti
dell’idrogeno e dell’elio si formarono nei nuclei di Stelle antiche ormai esplose, così la prima gene-
razione di Stelle dovette terminare il suo ciclo vitale prima che l’Universo potesse essersi arricchito
di questi ulteriori elementi; le Stelle più antiche conosciute, infatti contengono pochi metalli, mentre
quelli di più recente formazione ne sono ricche20. Insieme alla luce, il Sole irradia un continuo flusso
di particelle cariche (plasma) noto anche come vento solare, un flusso che si propaga verso l’esterno
a circa 1,5 milioni di chilometri all’ora, creando una tenue atmosfera (l’Eliosfera) che permea tutto il
Sistema Solare per almeno 100 UA (Eliopausa), formando così il mezzo interplanetario.

Per Sistema Solare Interno si intende quella regione di spazio che comprende i pianeti rocciosi e
gli asteroidi, composti principalmente da silicati e metalli, si trova perciò molto vicina al Sole, tanto
che il raggio di questa zona è più breve della distanza che separa Giove da Saturno. I quattro pianeti
terrestri interni sono densi, una composizione rocciosa, presentano pochi o nessun satellite e non
hanno anelli planetari. Le sostanze principali di cui sono costituiti, aventi un alto punto di fusione,
come ad esempio i silicati, costituiscono le croste e i mantelli, e i metalli come ferro e nichel, ne co-
stituiscono il nucleo interno. Tre dei quattro pianeti terrestri (Venere, Terra e Marte), possiedono
un’atmosfera, crateri da impatto e placche tettoniche (compreso anche Mercurio), e dimostrano la
presenza di rift valley e vulcani.

Mercurio (0,4 UA) è il pianeta più vicino al Sole ed è anche il più piccolo (0,055 masse terrestri),
non possiede satelliti naturali e le sue sole formazioni geologiche che si conoscono, oltre ai numerosi
crateri da impatto che lo rendono simili alla nostra Luna, sono delle creste sporgenti, prodottesi du-
rante la fase di contrazione avvenuta nella sua storia primordiale. Non ha una propria atmosfera, a
parte esili tracce di gas frutto dell’interazione del vento solare con la superficie, e il suo nucleo rela-
tivamente grande e il suo mantello sottile non sono ancora stati spiegati in via definitiva: sembra che
gli strati esterni siano stati strappati via da un remotissimo impatto gigantesco. Seppure molto splen-
dente è alquanto difficile da osservare a causa del suo moto molto rapido, oltre ad essere immerso
nei chiarori a causa della sua estrema vicinanza al Sole.

19 Il “bianco” indica un particolare miscuglio di colori, la luce del Sole, infatti, è composta da diversi colori
proprio come avviene osservando un arcobaleno. I colori dell’arcobaleno, infatti, sono generati dalla scompo-
sizione della luce del Sole all’interno delle gocce di pioggia: se la radiazione solare fosse monocromatica, il
fenomeno risulterebbe molto meno appariscente.
20 Questa alta metallicità si pensa sia stata cruciale nello sviluppo del nostro Sistema Planetario da parte

del Sole, poiché i pianeti si formano, per l’appunto, dall'accumulo di metalli.


24

Venere (0,7 UA) è per dimensioni molto simile al nostro pianeta, la Terra (0,815 masse terrestri)
ed ha un mantello composto da silicati attorno ad un nucleo ferroso, possiede inoltre anche un’at-
mosfera che lo permea completamente e l’attività sulla sua superficie, rende evidente la presenza
di una qualche attività geologica. Tuttavia, è completamente differente dalla Terra, la sua atmosfera
è novanta volte più densa, è un pianeta caldissimo (il più caldo dell’intero Sistema Solare) con una
temperatura superficiale superiore ai 450°, probabilmente a causa della quantità di gas che ne pro-
voca un totalizzante effetto serra, regolarmente alimentato, con molta probabilità, da eruzioni vulca-
niche. Attualmente non presenta alcun satellite.

La Terra (1 UA) è il più grande e denso dei pianeti interni, l’unico in cui sono conosciute attuali
attività geologiche, oltre ad essere, al momento, il solo nel Sistema Solare a permettere l’esistenza
della Vita. La sua idrosfera liquida è singolare tra tutti i pianeti interni, oltre ad essere anche l’unico
pianeta dove è stato osservato il movimento delle placche tettoniche. L’atmosfera terrestre è anche
la più differente rispetto a quella degli altri pianeti, poiché è stata alterata nel corso delle ere dalla
presenza della stessa Vita, ed è composta per il 21% di ossigeno. Possiede anche un satellite na-
turale, la Luna.

Marte (1,6 UA) è più piccolo della Terra e di Venere (0,107 masse terrestri), possiede una tenue
atmosfera composta principalmente di anidride carbonica ed ha una superficie costellata di Vulcani
(celebre è il grande Olympus Mons), e da rift valley, come la Valles Marineris; mostra recenti attività
geologiche e secondo alcuni studi anche acqua ghiacciata se non in rarissimi casi persino liquida. Il
suo colore tipicamente rosso deriva dalla presenza della ruggine sul suolo, ricco di ferro. Possiede
anche due piccoli satelliti naturali (Deimos e Phobos), che si pensa siano asteroidi catturati nel corso
delle ere dal suo campo gravitazionale.

La Fascia degli Asteroidi occupa la regione tra le orbite di Marte e Giove (2,3 e 3,3 UA dal Sole),
si pensa, secondo le teorie scientifiche vigenti, che siano residui della formazione del Sistema Solare
la cui fusione è fallita a causa dell’interferenza gravitazionale di Giove; si ritiene che l'attuale fascia
degli asteroidi contenga solo una piccola parte della sua massa primordiale, solo lo 0,1%. Simula-
zioni al computer indicano che la fascia originale poteva essere costituita da una massa equivalente
a quella della Terra, ma che a causa soprattutto delle perturbazioni gravitazionali, la maggior parte
del materiale è stato poi espulso nel giro di un milione di anni circa dopo la sua formazione. Sono
composti principalmente di rocce e metalli e attualmente contiene decine di migliaia, forse milioni, di
oggetti sopra il chilometro di diametro.
Nonostante ciò, la Fascia è scarsamente popolata, tanto che le sonde spaziali passano continua-
mente attraverso di essa senza incorrere in incidenti di alcun tipo. Alcuni di essi hanno un raggio
che può variare da centinaia di chilometri a pochi centimetri, e tutti, salvo il più grande, Cerere, sono
classificati come corpi minori del Sistema Solare, mentre altri come Vesta o Igea, potrebbero persino
essere classificati come Pianeti Nani. Alcuni di questi asteroidi possiedono anche dei satelliti ma in
quanto a similitudine per grandezza tra di loro sono difficilmente da distinguere, mentre la sezione
principale contiene anche una Cintura di Comete che possono essere state la fonte originaria di
acqua sulla Terra. Vi fanno parte anche gli Asteroidi Troiani, della famiglia Hilda e anche i near-
Earth, questi ultimi attraversano sovente le orbite dei pianeti interni.

Il Sistema Solare esterno è la regione dei Giganti Gassosi e dei loro satelliti, alcuni dei quali di
dimensioni planetarie. In questa regione orbita anche una breve Fascia di Comete, compresi i Cen-
tauri. Gli oggetti solidi di questa regione sono composti da una quota più elevata di elementi volativi,
come l’acqua, l’ammoniaca e il metano, rispetto agli oggetti rocciosi del Sistema Solare Interno. I
quattro Giganti Gassosi interni (sovente chiamati anche gioviani) costituiscono il 99% della massa
nota in orbita attorno al Sole, dove Giove e Saturno sono composti prevalentemente da idrogeno ed
elio, mentre Urano e Nettuno presentano una percentuale maggiore di ghiaccio, spesso denominati
anche “Giganti di Ghiaccio”; tutti e quattro possiedono degli Anelli anche se i più noti ed osservabili
da Terra sono quelli di Saturno.
25

Giove (5,2 UA) con 318 masse terrestri, ne possiede 2,5 volte in più di tutti gli altri pianeti messi
insieme. Esso è composto in buona parte da idrogeno ed elio, ed il suo forte calore interno crea una
serie di caratteristiche semipermanenti nella sua atmosfera, come ad esempio la famosa Grande
Macchia Rossa. Possiede ben 63 satelliti naturali conosciuti, di cui i più noti sono i quattro più grandi:
Ganimede, Callisto, Io ed Europa, i quali mostrano analogie con i pianeti terrestri, come fenomeni di
vulcanismo, calore interno, presenza di acqua ghiacciata e forse allo stato liquido (come nell’interno
di Europa).

Saturno (9,5 UA) presenta forti analogie con Giove, specie per la sua composizione atmosferica,
seppure sia molto meno massiccio essendo solo 95 masse terrestri. Si distingue per il suo imponente
Sistema di Anelli che lo circonda, inoltre è contornato anche da 62 satelliti, due dei quali, Titano ed
Encelado, mostrano segni di attività geologica, anche se in gran parte sono criovulcani. Titano, inol-
tre, è più grande di Mercurio ed è l’unico satellite del Sistema Solare ad avere un’atmosfera densa
formata da azoto e metano21.

Urano (19,6 UA) con 14 masse terrestri è il pianeta esterno meno massiccio, l’unico tra i pianeti
in orbita attorno al Sole con un’inclinazione assiale superiore a 90° rispetto all’Eclittica, forse a causa
di un impatto con un altro corpo durante la sua formazione. Con all’interno un nucleo molto freddo
rispetto agli altri Giganti Gassosi, irradia pochissimo calore nello spazio circostante, ha inoltre 27
satelliti noti, tra cui i più conosciuti sono Titania, Oberon, Umbriel, Ariel e Miranda.

Nettuno (30 UA), seppure sia leggermente più piccolo di Urano, è invece più massiccio (equiva-
lente a 17 masse terrestri) e perciò più denso. Esso irradia più calore interno rispetto ad Urano, ma
in misura minore rispetto a Giove e Saturno. Nettuno presenta anche 13 satelliti noti, tra cui Tritone,
geologicamente attivo con geyser di azoto liquido, oltre ad essere l’unico satellite con un’orbita e
una direzione retrograda.

21 Un criovulcano è, letteralmente, un vulcano ghiacciato. Più in generale, si definisce criovulcanismo (crio-


vulcanesimo) l'insieme dei fenomeni collegati all'attività vulcanica attualmente individuata su diversi corpi
ghiacciati del Sistema Solare, quali, tipicamente, Encelado, Titano e Tritone; è possibile che tale attività esista
su numerosi altri satelliti naturali del sistema esterno o oggetti della Fascia di Kuiper. I fenomeni di natura
criovulcanica prevedono l'eruzione di acqua, ammoniaca o composti del metano, invece della lava che carat-
terizza il vulcanismo dei pianeti terrestri. Queste sostanze, talvolta sono allo stato liquido, ed altre allo stato
gassoso. Dopo l'eruzione, il criomagma condensa per via dell'esposizione alle gelide temperature ambientali,
così come vi sono speculazioni riguardo alla possibilità che il criovulcanismo di Titano possa ospitare vita.
26

Le Comete sono corpi minori del Sistema Solare, di solito di pochi chilometri di diametro, e sono
composti in gran parte di ghiaccio volatile. Possiedono orbite molto eccentriche, in genere durante
il perielio si trovano vicino alle orbite dei pianeti interni, mentre durante l’afelio sono al di là di quella
di Plutone. La cosa però più straordinaria delle Comete è che quando entrano nel Sistema Solare
Interno, la superficie ghiacciata comincia a sublimare ed a ionizzarsi per via della vicinanza al Sole,
creando così una coda di gas e polveri, spesso visibile ad occhio nudo dalla Terra. Le Comete di
breve periodo hanno orbite che possono essere compiute anche in meno di duecento anni, mentre
quelle di lungo periodo possono durare anche migliaia di anni. Generalmente le Comete di breve
periodo si pensa siano originarie nella Fascia di Kuiper, mentre quelle a lungo periodo, si presume
siano originarie della Nube di Oort. Sovente, le vecchie Comete che hanno visto espulsa la maggior
parte della loro parte volatile per via del calore solare, vengono spesso classificate come Asteroidi.

I Centauri, che si estendono in una Fascia che va da 9 a 30 UA, sono dei corpi orbitanti nella
regione compresa tra Giove e Nettuno. Il più grande e noto è Cariclo, con un diametro di circa 250
km, il primo scoperto, Chirone, è stato classificato come Cometa, dato che si comporta in modo
analogo quando si avvicina al Sole. La zona al di là di Nettuno, detta anche “regione trans-nettunia-
na”, e per buona parte inesplorata, sembra che sia formata prevalentemente da piccoli oggetti (con
una massa molto inferiore a quella della nostra Luna), composti principalmente di roccia e ghiaccio.

La Fascia di Kuiper è un
ulteriore grande anello di de-
triti simile a quello della Fa-
scia degli Asteroidi, ma com-
posti principalmente di ghiac-
cio. Si estende in una regione
compresa tra i 30 e le 50 UA
dal Sole. Composto da picco-
li corpi, anche se alcuni pos-
sono essere definiti come Pi-
aneti Nani (ad esempio Qua-
oar, Varuna e Orcus), si sti-
ma che vi facciano parte oltre
100.000 oggetti con un dia-
metro superiore ai 50 km, an-
che se la massa totale di tutti
non arriva addirittura ad un
centesimo di quella terrestre.

Plutone (39UA) è un Pia-


neta Nano ed è il più grande
oggetto conosciuto della Fa-
scia di Kuiper. Quando venne
scoperto nel 1930, fu ritenuto il nono pianeta del Sistema Solare ma nel 2006 venne declassato nella
sua attuale posizione. Possiede un’orbita relativamente eccentrica, inclinata rispetto al piano del-
l’Eclittica, e il suo perielio si trova a 29,7 UA dal Sole, all’interno dell’orbita di Nettuno, mentre l’afelio
è situato a 49,5 UA dal Sole. Possiede una Luna, Caronte, e il loro baricentro non si trova in nessuno
dei due corpi, ma cadendo nello Spazio lo rende di fatto un sistema binario. Attorno a loro orbitano
altre quattro lune molto piccole: Stige, Notte, Cerbero e Idra.

Oltre l’orbita di Plutone sono stati individuati anche i seguenti oggetti: Haumea (43,34 UA) e Ma-
kemake (45,79 UA); il Disco Diffuso e che si sovrappone alla Fascia di Kuiper, una regione dove
nascono le Comete di breve periodo; Eris (68 UA) un pianeta nano più grande di Plutone di oltre il
5% con un diametro stimato di circa 2400 km, anch’esso con un satellite di nome Disnomia; oltre vi
è il punto in cui termina il Sistema Solare ed inizia lo Spazio Interstellare. Il vento solare viaggia a
circa 400 km/s fino a quando non attraversa il cosiddetto termination shock, che si trova tra 80 e 100
UA dal Sole in direzione sopravvento, e fino a circa 200 UA dal Sole sottovento, dividendo così l’E-
27

liosfera in due regioni ben distinte. Qui il vento rallenta drasticamente, aumenta di densità e tempe-
ratura e diventa turbolento, andando a formare una grande struttura ovale conosciuta come Elio-
guaina (heliosheath), che sembra comportarsi quasi come una Cometa; estendendosi verso l’ester-
no per altre 40 UA sul lato sopravvento, mentre si propaga molto meno nell’altra direzione.
Ad oggi, sia le sonde Voyager 1 che il Voyager 2 hanno superato il termination shock e sono
entrate nell’Elioguaina, ad una distanza di 127 e 104 UA dal Sole. Da questo punto in poi il vento
solare continua a fluire fino a raggiungere il limite esterno dell’Eliosfera, l’Eliopausa, oltre la quale
inizia il mezzo interstellare, anch’esso pervaso di plasma. Al di là di quest’ultima, a circa 230 UA, nel
plasma interstellare si forma un’onda d’urto stazionaria (bow shock) dovuta al moto del Sole attra-
verso la Via Lattea. L’Eliopausa è pertanto il “Confine del Sistema Solare” dopo che nel 2012 la
Voyager 1 vi trovò a passarvi, scoprendo come il campo magnetico del Sole abbia come limite que-
sto Spazio, dove gli enormi strati di energia magnetica della nostra stella, col passare degli anni, si
sono così accumulati ed intrecciati, andando a creare delle vere e proprie bolle magnetiche che ci
proteggono persino dai nocivi raggi cosmici.

A ben 525,86 UA si trova un grande oggetto simile a Plutone denominato Sedna, che con un’or-
bita estremamente ellittica, raggiunge un perielio a circa 76 UA e un afelio a 928 UA dal Sole. La
sua orbita intorno al Sole richiede ben 12.050 anni per il suo completamento. Si presume sia un pia-
neta nano, anche se la sua forma deve essere ancora determinata, così come vale anche per l’og-
getto 2000 CR105 che ha un perielio di 45 UA e un afelio di 415 UA, ed un periodo orbitale di 3420
anni intorno alla nostra Stella.

L’ipotetica Nube di Oort è una grande massa composta da miliardi di oggetti di ghiaccio che si
crede essere la fonte delle Comete di lungo periodo, e che circondano il Sistema Solare a circa
50.000 UA (circa 1 anno luce) e arrivando persino a 100.000 UA (1,87 anni luce). Gli oggetti qui con-
tenuti sono molto lenti e si crede possano essere turbati da eventi rari, come collisioni o dalla forza
gravitazionale di una Stella di passaggio, dalla marea galattica o dalle forze esercitate dalla stessa
Via Lattea.

A conclusione di questo lungo, articolato e complesso viaggio nel Sistema Solare, possiamo af-
fermare che gran parte di esso ci risulta essere ancora sconosciuto. Lo scudo gravitazionale del
Sole, si stima che domini le forze gravitazionali delle altre Stelle che lo circondano sino a circa due
anni luce (125.000 UA). Restano ancora da mappare le regioni della Fascia di Kuiper e della Nube
di Oort, ancora quasi del tutto sconosciute, ci sono studi in corso nella regione compresa tra Mercurio
e il Sole, così come possono essere scoperti numerosi oggetti nelle zone ancora inesplorate dell’in-
tero Sistema Solare.
28

4.5 - Il Sole e i suoi Pianeti all’origine

«L'Universo è un Uomo, e un Uomo è il suo Universo.»


(Federico Bellini)

Nella grande ed equili-


brata economia universa-
le, dobbiamo entrare nel-
l’ottica che tutta l’Energia
ivi presente, ha una pro-
pria funzione specifica, e
che si manifesta in ragion
d’essere di precisissime
funzioni esperienziali.
Come abbiamo ampia-
mente visto attraverso la
filosofia platonica o la
successiva dottrina gno-
stica, le Stelle sono quei
veicoli necessari per per-
mettere all’Energia di fare esperienza fisica o materiale all’interno dell’Universo. Le Stelle, pertanto
sono lo Spirito, veicolo di un’Energia che incarnandosi nel pianeta si fa Anima, e lì dove sono pre-
senti dei satelliti, si vanno a formare anche Anime Individuali, ovvero vere e proprie incarnazioni
frammentate.
I Satelliti, astronomicamente parlando sono subordinati al proprio Pianeta di riferimento, ed ogni
Pianeta è subordinato a sua volta dal proprio Sole. Tutto ciò che si manifesta nell’Universo è da
spiegare come un enorme impianto simbolico, il cui fine è quello di farci intuire ciò che rimane occulto
alla nostra comprensione. Un Satellite, una Luna, è come un Ego (l’Anima Individuale) che sovente
si crede di essere un pianeta (l’Anima Mundi), e che pur sapendo di essere nell’orbita di “qualcuno”,
fa di sé il centro del proprio mondo, tanto da non riuscire a girare sul proprio asse ma, in quanto
fermo e all’apparenza scisso, mostra perennemente le sue due facce in due sole direzioni: una
rivolta verso la Terra (l’Anima Mundi) e l’altra verso la sua Stella (lo Spirito).
La dottrina induista quando menziona la reincarnazione, va ad attingere ad un Mito relativo all’av-
viarsi dei morti verso la Dimora Celeste. Secondo tali miti, le Anime vengono dalla Terra per salire
al Cielo passando per la Luna e qui vi soggiornano, alcune per ripartire dopo un certo tempo verso
il Cielo, altre per tornare invece sulla Terra insieme alla pioggia. Con l’arrivo delle Anime la Luna si
riempie, mentre alla loro partenza decresce.

«Tutti quelli che abbandonano la Terra vanno nella Luna. Le loro Anime riempiono il crescente;
la Luna calante le fa rinascere. La Luna è la porta del Cielo. Quando siete capaci di risponderle,
essa vi lascia passare. Chi non conosce la risposta è trasformato in acqua e rimandato come pioggia
sulla Terra. Qui egli rinasce sotto forma di verme, di tarma, di pesce, d’uccello, di leone, di cinghiale,
di sciacallo, di tigre, d’uomo, o di un’altra qualsiasi creatura secondo quel che fatto e secondo la
conoscenza che ha avuto… Infatti, quando si arriva nella Luna, essa vi chiede: “Chi sei tu?” Allora
rispondere: “Io sono te.” Chiunque dà questa risposta, La luna lo lascia passare.22»
(Kauṣītaki Upaniṣad)

Risulta chiaro che la Luna lasci libero transito sulla via del Cielo a coloro che hanno compiuto
buone azioni ed offerto i sacrifici dovuti, così come conceda il passaggio solo a colui che sa imme-
diatamente risponderle. Eppure, secondo il Mito originale, non tutti i morti arrivano sulla Luna, vi
arrivano solo quelli che sono destinati o prossimi alla felicità eterna, o coloro che si reincarneranno
in un Corpo Umano, comunque essa rimane un luogo di felicità temporanea, dato che gli uomini che

22 Si parla del soggiorno delle Anime sulla Luna anche nel Brhadaranyaka Upanisad e nella Chāndogya

Upaniṣad.
29

devono rinascere in forma animale si reincarnano direttamente dopo la morte, oppure dopo un sog-
giorno, in un luogo diverso e di espiazione.
Comunque sia, secondo la dottrina brahamanica, tutte le Anime Individuali, dopo la loro esistenza
nel Mondo Sensibile, rientrano per così dire nell’Anima Universale. La cessazione dell’esistenza cor-
porea rappresenta, per l’Anima Individuale, un ritorno definitivo all’Anima Universale, dove il principio
dell’esistenza corporea, viene concepito come una manifestazione nuova dello stesso Spirito nel
Mondo Sensibile. I brahmani ammettono dunque che abbia luogo un continuo flusso dello spirituale
nel sensibile, così come un continuo ritorno del sensibile all’Anima Universale. In queste economia
energetica universale, le Anime degli Animali, delle Piante, etc., tornano all’universale esattamente
come quella dell’Uomo che è arrivato alla Conoscenza Suprema, non mediante la Conoscenza ma-
teriale, né l’Ascetismo, la Meditazione o l’Estasi, ma solo attraverso l’esperienza diretta dell’esi-
stenza, così come avviene nella Natura.

Sole Assoluto Spirito

Pianeta Anima Mundi Corpo

Luna Anima Individuale Ego

Come abbiamo già ampiamente studiato, il nostro Sistema Solare, dalla sua origine sino ad oggi,
ha subito drastiche e notevoli trasformazioni, soprattutto nelle sue fasi iniziali, in un periodo che va
dai 5/4,5 a 2 miliardi di anni fa. Dal momento in cui la massa informe di polveri e gas costituente la
Nube Primordiale, vuoi per movimenti causati dall’esplosione di una vicina supernova, vuoi per il
passaggio di una Stella Gigante, cominciò ad aggregarsi e a portare alla sua nascita e successiva
formazione, si mise in atto un processo radicale di continuo cambiamento senza precedenti e che
vide la comparsa anche delle sue prime forme di vita.
Nel primigenio Sistema Solare, risalente a quasi 4 miliardi di anni fa, abbiano già letto della com-
parsa della prima Civiltà senziente, quella degli Hathorsiani e che apparve ed operò in un Sistema
Solare così formato: Sole, Vulcano, Terra, Venere (con Mercurio), Tiamat (con Marte), Giove, Sa-
turno, Urano (con Plutone) e Nettuno. Un miliardo di anni dopo, circa 3 miliardi di anni fa, le cose,
però, si presentavano già diverse, perché a seguito di quell’immane catastrofe che portò alla distru-
zione della sopracitata Civiltà, l’assetto e il nuovo equilibrio che venne così a formarsi, andò a deli-
neare un Sistema Solare più prossimo a quello attualmente da noi conosciuto, e così formato: Sole,
Mercurio, Venere, Terra (con la Luna23), Marte, Fascia degli Asteroidi (ex Tiamat), Giove, Saturno,
Urano, Nettuno e Plutone.

23 Sono state proposte diverse ipotesi per spiegare la formazione della Luna che, in base alla datazione

isotopica dei campioni lunari portati a Terra dagli astronauti, risale a 4,527 ± 0,010 miliardi di anni fa, cioè circa
50 milioni di anni dopo la formazione del Sistema Solare. Si presume che all’inizio esistesse un ipotetico corpo
celeste, Theia, che si sarebbe formato in un Punto di Lagrange relativo alla Terra, ossia in una posizione gra-
vitazionalmente stabile lungo la stessa orbita del nostro pianeta. Qui, Theia, si sarebbe accresciuto progres-
sivamente inglobando i planetesimi e i detriti che occupavano in gran numero le regioni interne del Sistema
Solare poco dopo la sua formazione, e quando crebbe fino a raggiungere la dimensione di Marte, la sua massa
divenne troppo elevata per restare stabilmente nel Punto di Lagrange, soprattutto considerando l'influenza di
Giove nel turbare le orbite degli altri pianeti. In accordo con questa teoria, 34 milioni di anni dopo la formazione
della Terra (circa 4533 milioni di anni fa) questo corpo ci colpì con un angolo obliquo, distruggendosi e proiet-
tando nello spazio, sia i suoi frammenti, sia una porzione significativa del mantello terrestre. L'urto avvenne
con un angolo di 45° e a una velocità di circa 4 km/s (circa 14400 km/h), ad una velocità inferiore di quella che
Theia si suppone avesse nello stato di corpo orbitante (40000 km/h), e siccome i due pianeti erano ancora allo
stato fuso e quindi plastici, ancora prima dello scontro fisico le forze mareali avevano iniziato a distorcerne gli
stati superficiali prima ed a smembrarne la protocrosta e il protomantello, infatti sembra inoltre che quasi la
totalità della massa lunare sia di derivazione dalla crosta e dal mantello della prototerra. Secondo alcuni calcoli
il due per cento della massa di Theia formò un anello di detriti, mentre circa metà della sua massa si unì per
formare la Luna, processo che potrebbe essersi completato nell'arco di un secolo. È anche possibile che una
30

Il fatto che scientificamente venga provata questa analogia tra i composti chimici della Luna e
della Terra, e che attualmente la Teoria più consona sia quella di una collisione tra pianeti consimili,
la Terra e Theia, che abbia così portato alla sua nascita nei primissimi anni dopo la formazione del
Sistema Solare, non va comunque in contrasto con la nostra attuale teoria, che vide milioni di anni
dopo, un ulteriore impatto (tra Vulcano e la Terra), e che secondo la nostra opinione portò a compi-
mento la fase finale della formazione della Luna. La Luna è un corpo talmente grande e complesso,
simile per forma a Mercurio (quest’ultimo, inizialmente, sempre secondo la nostra visione era il sa-
tellite di Venere), da aver avuto una formazione molto più complessa rispetto ad altri corpi celesti,
anche perché scientificamente presenta degli enigmi ancora irrisolti di non poco conto.
Lo stesso dicasi per Mercurio, talmente simile, come abbiamo visto alla Luna, ma che presenta
una composizione interna alquanto anomala, dato che il suo mantello e il suo nucleo sono più grandi
del normale, come se la crosta esterna gli fosse stata asportata con violenza. Anche Marte presenta
degli aspetti più tipici per una super-luna che di un vero e proprio pianeta, perché è molto piccolo,
quasi la metà della Terra, e in quanto tale più soggetto alla dispersione degli elementi volativi (l’at-
mosfera) che lo hanno reso desertico; funzione invece virtuosa se fosse rimasto in compagnia di un
pianeta molto più grande.
Tutto questo sta a dimostrare quanto ancora poco sappiamo a livello scientifico del nostro stesso
Sistema Solare, la nostra casa. Arrivare a comprendere cosa sia potuto accadere in 5 miliardi di
anni, dalla sua origine ad oggi, sarà forse un’impresa assai ardua e che probabilmente non troverà
mai risposte definitive, perché la distanza e gli accadimenti accorsi nel frattempo, sono così tanti,
innumerevoli e in parte oscuri, che difficilmente potranno permetterci di riportare chiarezza. L’unica
cosa che possiamo fare è confrontare e trovare punti di congiunzione, tra la Scienza, il Mito, la
Ricerca Introspettiva, l’Esoterismo, etc., perché in tutte queste discipline si trova un fondo di verità
e che potrà essere messo a frutto di una verità più vicina alla sua essenza più primordiale, portandovi
infine equilibrio.

parte del nucleo di Theia, più pesante, sia affondato nella stessa Terra fondendosi con il nucleo originario del
nostro pianeta. Si ritiene che un simile impatto avrebbe completamente sterilizzato la superficie terrestre, pro-
vocando l'evaporazione degli eventuali mari primordiali e la distruzione di ogni tipo di molecola complessa. Se
mai sulla Terra ci fossero stati all'epoca processi di formazione di molecole organiche, l'impatto di Theia do-
vrebbe averli bruscamente interrotti.
31

«Una volta che tutti i nostri tentativi di ottenere materia vivente da materia inanimata risultino vani,
a me pare rientri in una procedura scientifica pienamente corretta il domandarsi se la vita abbia in
realtà mai avuto un'origine, se non sia vecchia quanto la materia stessa, e se le spore non possano
essere state trasportate da un pianeta all'altro ed abbiano attecchito laddove abbiano trovato terreno
fertile.» (Hermann von Helmholtz)

Un quesito ha sempre affascinato, però, sia la moderna scienza come la più antica speculazione
filosofica o religiosa, ovvero, come sia apparsa la Vita sul nostro pianeta? Per cercare di rispondere
a questa domanda, a cui peraltro più studiosi vi hanno tentato, tra i quali ricordiamo il filosofo greco
Anassagora, così come nel più vicino ottocento anche Lord Kelvin, il fisico Hermann von Helmholtz,
o nel novecento anche il chimico e premio Nobel svedese Svante Arrhenius, o più recentemente gli
astronomi Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe, dovremmo entrare più nello specifico nel con-
cetto di Panspermia (dal Greco pas/pan che significa “tutto” e sperma, in quanto “seme”), ovvero di
quell’ipotesi che suggerisce che i Semi della Vita siano sparsi in tutto l’Universo, e che la Vita sulla
Terra sia iniziata con il loro arrivo e successivo sviluppo, diventando implicito che possa essere
accaduto anche su molti altri pianeti, sia del nostro Sistema Solare o di tutti gli altri sparsi nel Cosmo.
Questa teoria comunque prese sempre più forza quando nel 1968 nella polvere interstellare ven-
nero identificate molecole policicliche aromatiche, nel 1972 si ebbe l’evidenza della presenza di por-
firina e nel 1974 si dimostrò che nello spazio sono presenti polimeri organici complessi, come la poli-
formaldeide; tutte molecole strettamente collegate alla cellulosa, abbondanti in biologia, così come
successivamente venne persino scoperta della glicina (l'amminoacido più semplice), a quanto pare
formatasi spontaneamente, in alcune nebulose interstellari.
Nel 1979 Hoyle e Wickramasinghe si spinsero persino oltre, perché nel descrivere una peculiarità
dello spettro di luce proveniente dalle nubi interstellari, conclusero che essa poteva essere spiegata
ipotizzando che quelle particelle di polvere fossero cave, per dimostrarlo provarono di tutto quando
poi arrivarono, in una di queste simulazioni, ad utilizzare batteri essiccati che rinfrangevano la luce
come sfere cave e irregolari, ottenendo una corrispondenza pressoché perfetta e, in quanto scien-
ziati scevri da preconcetti, conclusero che quei grani di polvere cosmica potessero essere batteri
essiccati e congelati; una conclusione che rimane ancora oggi fortemente criticata, seppure gli scien-
ziati che vi hanno lavorato hanno raggiunto altrettante scoperte scientifiche importanti e riconosciute.

«La materia morta non può animarsi senza l'intervento di materia viva preesistente. Questo mi
pare un insegnamento della scienza tanto sicuro quanto la legge di gravitazione.»
(Lord Kelvin)

Nel frattempo, attorno al 1960, Francis Crick insieme a Leslie Orgel, iniziarono a speculare sul-
l’origine del codice genetico e andarono ben oltre, perché empiricamente avevano capito che poteva
esserci la possibilità che la produzione di un sistema molecolare vivente, in quanto evento molto
raro nell’Universo, una volta posto in essere, potesse essere stato poi diffuso da una forma di vita
intelligente attraverso una qualche tecnologica che consenta i viaggi spaziali, inserendo così il con-
cetto di Panspermia Guidata, seppure Crick abbia poi in parte ritrattato negli anni successivi, anche
circa la possibilità di un’origine terrestre della Vita.
Esistono anche alcune evidenze che suggeriscono che i batteri possono sopravvivere per lunghi
periodi di tempo anche nello spazio più profondo (convalidando quindi il meccanismo della Pansper-
mia), tanto che alcuni recenti studi condotti in India hanno permesso di trovare batteri nell’atmosfera
ad altezze maggiori di 40 km, dove il loro mescolamento con gli strati più bassi dell’atmosfera è im-
probabile. Addirittura, alcuni batteri Streptococco mitus che erano stati portati accidentalmente sulla
Luna dalla sonda spaziale Surveyor 3 nel 1967, potevano essere facilmente riportati in vita dopo es-
sere stati di nuovo ricondotti sulla Terra, anche dopo 31 mesi di permanenza in quel mondo così o-
stile.
Una logica conseguenza della Panspermia è che la Vita, in tutto l’Universo, dovrebbe avere una
biochimica sorprendentemente simile, perché deriverebbe dagli stessi organismi o composti primor-
diali, del resto osservando l’Universo, non si può fare a meno di notare la grandissima varietà di
Galassie, Nebulose, Stelle, Sistemi Planetari, o nel nostro gli stessi pianeti, che seppure tutti quanti
diversissimi, presentano comunque di base simili elementi chimici o medesime leggi che hanno per-
messo loro di formarsi, nonostante tutte le variabili possibili che li hanno poi resi unici.
32

Alcune questioni sono state però sollevate nel corso degli anni, come ad esempio la comparsa
molto rapida della Vita sulla Terra mostrata dai fossili, dato che la prima evidenza è stata riscontrata
in alcuni stromatoliti, aggregati di batteri datati 3,8 miliardi di anni, soltanto 500 milioni di anni dopo
la formazione delle rocce più antiche conosciute, troppo presto, secondo alcuni, dato che la Terra si
sarebbe raffreddata entro un arco di tempo troppo breve per poter ospitare acqua liquida. Questo
non toglie però che batteri ed organismi complessi siano stati trovati in ambienti estremi del pianeta,
come nei fondali marini, dove alcuni batteri estremofili vivono a temperature superiore ai 100° vicino
alle fumarole abissali, in ambienti molto caustici.
Ma batteri semi-dormienti sono stati trovati anche in carote di ghiaccio prelevate ad un chilometro
sotto la superficie dell’Antartide, che hanno dimostrato come sia possibile sopravvivere su dei corpi
ghiacciati come le Comete, anche per lunghissimi periodi. A quanto pare, però, lo Spazio sembra
danneggiare gli ambienti dove si potrebbe sviluppare la Vita, dato che questi risulterebbero esposti
a radiazioni, raggi cosmici e venti stellari. Ambienti potenziali, però, potrebbero essere l’interno di
Meteore o Comete che risultano abbastanza schermati da certi rischi, nonostante alcuni esperimenti
compiuti tramite sonde spaziali abbiano dimostrato che alcune forme di Vita terrestre, riescano a
sopravvivere ad almeno dieci giorni di esposizione diretta nello Spazio Cosmico.
I batteri, secondo alcuni, non sopravvivrebbero alle immani forze risultanti da un impatto terrestre,
tuttavia, la maggior parte del calore generato da una meteora che penetra nell’atmosfera terrestre,
sembra venga ridotto dall’ablazione, e l’interno di un Meteorite appena atterrato, raramente si pre-
senta surriscaldato, anzi, spesso è freddo. A questo proposito, celebre fu il rinvenimento di un cam-
pione costituito da un centinaio di vermi nematodi sullo Space Shuttle Columbia che sopravvisse
all’incidente atterrando da 63 km di altezza e all’interno di un contenitore di 4 kg, così come anche
un campione di muschio non risultò danneggiato.
Nonostante tutti questi esempi, alcuni considerano comunque la Panspermia come una risposta
a coloro che sostengono che sia impossibile che la Vita si origini in modo spontaneo, dato che non
risolve il problema ma semplicemente lo sposta più indietro nello Spazio e nel Tempo. Insomma,
quale che sia la reale natura delle cose, dei pianeti e dello spazio circostante, ancora nessuno è in
grado di dimostrarcelo, sappiamo però che ci sono delle forze che dal Cosmo convergono sulla
Terra sino ad arrivare interagire con l’Umanità, e se da un lato la Scienza della Materia può darci
spiegazioni in un solo senso, perché riconosce soltanto gli aspetti esteriori delle cose sotto forma di
particelle in movimento, o che interagiscono tra di loro, dall’altro lato esiste anche una Scienza dello
Spirito, che su questi temi ha indagato a fondo, specie circa la presenza di Entità Spirituali nei Corpi
Celesti e dei vari Regni della Natura.
Secondo la visione di Rudolf Steiner, ad e-
sempio, ogni pianeta viene descritto come una
sorta di dimora di Entità Spirituali, egli pensava
che ciò che vediamo ad occhio nudo o attraver-
so i telescopi o i più moderni mezzi di indagine
scientifica, sia soltanto l’aspetto fisico-esteriore
di un pianeta o di un astro, ma ad uno sguardo
occulto, queste forme visibili apparirebbero cir-
condate e compenetrate da una sorta di “atmo-
sfera spirituale”; dove operano varie Entità di
diverse Gerarchie Spirituali. In Astrologia, ad
esempio, le caratteristiche dei pianeti studiati,
dipenderebbero dalle caratteristiche delle varie
Gerarchie Spirituali che operano nelle varie
Sfere Planetarie, che sono diverse da pianeta
a pianeta.
Ad ogni Sfera Planetaria, intesa perciò co-
me porzione di Spazio delimitata dall’orbita del
pianeta stesso (secondo una prospettiva geo-
centrica), corrisponde, pertanto, l’azione e l’in-
flusso di una diversa Gerarchia Spirituale secondo i vari schemi elaborati nel corso dei secoli dalle
varie tradizioni, tutte più o meno concordi nel suddividere tali Entità in Nove Gerarchie (l’Uomo ne
rappresenta la Decima). Secondo questo schema antroposofico, dalla Sfera della Luna operano gli
33

Angeli della tradizione cristiana (gli Angeloi greci o i Keruvim ebraici, i Figli della Vita); dalla Sfera di
Venere i Principati (Archai, Elohim, Spiriti del Tempo); dalla Sfera del Sole le Potestà (Exusiai, Ma-
lakim, Spiriti della Forma); dalla Sfera di Marte le Virtù (Dynameis, Serafim, Spiriti del Movimento);
dalla Sfera di Giove le Dominazioni (Kyriotetes, Chashmalim, Spiriti della Saggezza); dalla Sfera di
Saturno i Troni (Thronoi, Aralim, Spiriti della Volontà); dalla Sfera Zodiacale24 i Cherubini (Ofanim,
Spiriti dell’Armonia), ed infine dallo Spazio Extrasolare i Serafini (Hayoth ha-Kodesh, Spiriti dell’Amo-
re).
Così come la Terra è abitata da Entità Spirituali, ovvero noi esseri umani e tutte le sue creature
animali, vegetali, etc., anche gli altri pianeti e i Corpi Celesti brulicano di Vita e attività dovute ad
altre Entità, con la differenza che rispetto a noi, queste essenze non hanno un Corpo fisico-materiale,
ma componenti più raffinate come i nostri “Corpi Sottili”, o ulteriori componenti più evolute che noi
non abbiamo ancora sviluppato e che probabilmente nemmeno conosciamo. Ma la visione di Steiner
andava ben oltre, perché al di là di queste Gerarchie per così dire “regolari”, ce ne sono anche altre
e che corrispondono ad ulteriori tipi di Entità, più propriamente demoniache in quanto luciferiche ed
ahrimaniche, che hanno seguito un tipo di evoluzione diverso, oltre ad operare anch’esse attraverso
le stesse Sfere Planetarie.
Il punto della Sfera Planetaria in cui si forma il pianeta fisico è quello dove vengono ad incontrarsi
queste forze, sia le Entità Regolari che quelle Irregolari, e la formazione del pianeta materico è la
diretta conseguenza di questa incessante interazione delle due forze che agiscono in senso opposto
e Duale tra loro. Ciò che riceviamo dal Cosmo sotto forma di influssi studiati dall’Astrologia, secondo
la Scienza dello Spirito, sarebbero dunque generate dall’attività delle Gerarchie Spirituali Superiori,
con le quali ci troviamo continuamente ad interagire, nonostante non ne siamo consapevoli, dove gli
uomini captano queste forze assorbendole e manifestandole in un modo o nell’altro a seconda del
nostro grado di sviluppo e di evoluzione raggiunto.

«Le razze vissero originariamente in luoghi diversi sulla Terra. In un luogo si formò una razza, in
un altro luogo se ne formò un'altra. Qual è la causa di ciò? Potremmo benissimo spiegarlo rilevando
che su una determinata regione della Terra ha un'influenza particolarmente forte un certo pianeta,
e su un'altra regione un altro pianeta. Se andiamo per esempio in Asia, troviamo che là, sul suolo a-
siatico, agisce in modo speciale tutto ciò che scorre giù sulla Terra da Venere. Se andiamo sul suolo
americano, troviamo che vi agisce in modo particolare ciò che vien giù da Saturno; e in Africa ciò
che viene da Marte. Cosicché troviamo che su ogni parte della Terra agisce in modo particolare un
pianeta diverso.» (Rudolf Steiner)

24 Nei riguardi dello Zodiaco, Steiner affermava che dai diversi punti dell'Eclittica provengono forze di natura

diversa, confermando con le sue indagini le differenziazioni tra la natura dei diversi segni zodiacali.
34

4.6 - La Civiltà Venusiana

«La Via delle Stelle è la via del corteo funebre di un enorme Stella che, una volta, brillava nel
Cielo più splendida del Sole.» (Fiote della Costa Loango dell’Africa)

Per conoscere il nostro passato sarà


bene adesso proiettarci nel nostro attuale
presente, a milioni di km di distanza dalla
Terra, in direzione del pianeta Venere25,
secondo pianeta del Sistema Solare, in
ordine di distanza dal Sole, e con un’or-
bita quasi circolare che lo porta a com-
piere una rivoluzione in 224,7 giorni ter-
restri. Con una magnitudine massima di
-4,6 è l’oggetto naturale più luminoso del
cielo notturno dopo la Luna, e per questo
motivo è conosciuto da tutti i popoli della
Terra sin dall’antichità. Visibile soltanto
poco prima dell’alba o poco dopo il tra-
monto, per tale motivo veniva chiamato
dai popoli antichi come “Stella del Matti-
no” o “Stella della Sera”, fino a quando Pi-
tagora comprese che si trattava del medesimo oggetto26.
Classificato come pianeta terrestre, viene spesso definito come il “pianeta gemello” della Terra,
cui è molto simile per dimensioni e massa, seppur tuttavia, per diversi aspetti è molto differente dal
nostro27, in quanto possiede un’atmosfera costituita per il 96,5% da anidride carbonica, con un re-
stante 3,5% composto soprattutto da azoto, quindi più densa di quella terrestre, con una pressione
al livello del suolo pari a ben 92 atmosfere. La densità e la composizione così particolare dell’atmo-
sfera, creano un imponente effetto serra che tiene il pianeta completamente avvolto da uno spesso
strato di nubi altamente riflettenti, composte principalmente di acido solforico e che impediscono la
visione nello spettro visibile della sua superficie dallo spazio, inoltre tali condizioni lo rendono anche
il pianeta più caldo del Sistema Solare.
L’orbita del pianeta è interna rispetto a quella della Terra, quindi lo si vede muoversi alternativa-
mente a est e a ovest del Sole, e a parte la nostra Stella, la Luna e con difficoltà Giove, è l’unico
corpo celeste che è visibile ad occhio nudo anche di giorno, sia pure a condizione che la sua elon-
gazione28 dal Sole non sia troppi piccola, e che il cielo sia abbastanza terso. Similmente a ciò che
accade alla Luna, la porzione di superficie visibile dalla Terra, seppur luminosissima, non risulta mai
completamente illuminata, e la sua variazione di intensità è data dal corso dell’orbita che genera
delle fasi; al variare delle fasi, varia anche il diametro apparente e la luminosità percepita da un
osservatore sulla Terra. La fase piena, durante la quale la faccia del pianeta rivolta verso la Terra è
totalmente illuminata si verifica quando Venere si trova in congiunzione superiore col Sole, e non è
osservabile dal nostro pianeta.
Venere, inoltre, disegna nel cielo anche un immenso pentagramma[*]. Il percorso effettuato dal
pianeta, osservato dalla Terra, ha una forma molto particolare dovuta alla risonanza orbitale di circa
13:8. Sotto questa risonanza il percorso descrive una figura simile ad un vero e proprio pentagram-

25 Prende il nome dalla dèa romana dell'amore e della bellezza, e il suo simbolo astronomico è la rappre-
sentazione stilizzata della mano di Venere che sorregge uno specchio.
26 Ha l'aspetto di una Stella lucentissima di colore giallo-biancastro, di gran lunga più brillante di qualsiasi

altra Stella nel firmamento


27 Il pianeta non è dotato di satelliti o anelli e ha un campo magnetico debole rispetto a quello terrestre.
28 In astronomia, l'elongazione di un pianeta è data dall'angolo formato tra il Sole e il pianeta, visto dalla

Terra; l'elongazione di una cometa è la distanza angolare fra la cometa ed il Sole, rispetto alla Terra.
35

ma in funzione di direzione e distanza, pentagramma che si ripete ogni 8 anni, ovvero ogni 13 orbite
complete di Venere29.
Conosciuto sin dalla preistoria, Venere fu osservato da tutte le culture antiche, dai babilonesi che
la chiamarono Ištar, in onore della Dèa dell’Amore, dell’Erotismo e della Guerra, gli Egizi, i Greci, i
Romani e i Maya, distinguevano invece le apparizioni mattutine e serali in due corpi distinti, le sopra
citate Stella del Mattino e della Sera, ma anche con i nomi di Lucifero, quando appariva prima del-
l’alba, e di Vespero, quando appariva ad ovest, al calar del Sole. A causa del suo splendore, in molte
culture, tra cui quella Maya, essa rappresentava due divinità gemelle, in cui venivano identificati
Quetzalcoatl come la Stella del Mattino e Xolotl come la Stella della Sera, oltre ad essere l'astro più
studiato nei suoi movimenti in Cielo; per gli Inca rappresentava Chasca, Dèa dell'Aurora dai lunghi
capelli ricci, considerata il Paggio del Sole, poiché non si discostava mai troppo da esso.

In epoca più recente, fu Galileo Galilei (1564-1642) il primo a studiarlo, osservandolo con il suo
cannocchiale. Riuscì ad osservare le fasi e notò la similitudine con quelle lunari, dimostrando la
correttezza della teoria eliocentrica predetta qualche decennio prima dall’astronomo polacco Niccolò
Copernico, il quale sosteneva che Venere era posto tra la Terra ed il Sole, e ruotava attorno a que-
st’ultimo30. Coeva è anche la singolare storia dell’astronomo napoletano Francesco Fontana (1585-
1656), il quale acquistò popolarità come costruttore di cannocchiali kepleriani (a oculare convesso)
che, sebbene capovolgessero l’immagine, risultavano più potenti di quelli galileiani (a oculare con-
cavo). Con questi strumenti tracciò, nel 1636, il primo disegno di Marte e ne colse la rotazione, nel
1644 disegnò una carta della Luna, si attribuì inoltre la scoperta del cannocchiale e del microscopio
e pubblicò nel 1646 le “Novae Coelestium Terrestriumque Rerum Observationes”, un libello dove
presentò immagini delle fasce osservate sul disco di Giove, delle strane apparenze di Saturno, non-
ché delle stelle della Via Lattea. Ma fu nel 1645 che accade un evento singolare, quando affermò di
aver osservato un satellite31 di grandi proporzioni, ruotare attorno a Venere (Paul Stroobant dimostrò
nel 1887 che osservazioni del tutto simili non erano relative a un presunto satellite di Venere). Sfor-
tunata fu però la sua sorte, perché morì di peste a Napoli, insieme a tutta la sua numerosa famiglia,
nel 1656.

29 Il rapporto 8/13 è approssimativamente 0,6154 mentre il periodo di rivoluzione di Venere è 0,6152 anni,
da qui la risonanza. Questa leggera differenza fa sì che dopo 8 anni il pentagramma successivo sia ruotato
rispetto al precedente di 2,55°.
30 Tuttavia, per non venir accusato di eresia dall'inquisizione nel contraddire la teoria tolemaica, Galileo co-

prì la sua scoperta in una frase criptica in latino: "Mater Amorum aemulatur Cinthyae figuras", che vuol dire
"La madre degli amori (Venere) imita le forme di Cinzia (la Luna)."
31 Altre osservazioni anomale sono avvenute nel corso dei secoli. Menzionate sovente come transiti di Ve-

nere sul Sole in epoche antiche, si ricorda quella dello scienziato persiano Avicenna che riporta di aver osser-
vato il pianeta nel 1032 come una macchia che passava sopra il Sole, concludendo che il pianeta fosse più
vicino alla nostra stella di quanto lo sia la Terra. Anche l'astronomo arabo Ibn Bajja menzionò transiti di Mer-
curio e Venere sul Sole nel XII secolo; tuttavia studi storici di Bernard R. Goldstein e altri nel XX secolo esclu-
dono che questi transiti possano essere stati effettivamente osservati ad occhio nudo, concludendo che i due
astronomi molto probabilmente osservarono delle enormi macchie solari…
36

I transiti storici di Venere furono però importati, uno di essi, nel 1761 permise all’astronomo russo
Michail Lomonosov di ipotizzare la presenza di un'atmosfera, cosa che divenne via via più evidente
nel corso delle successive osservazioni, quando lo strato di nubi e l’alta luminosità del pianeta, co-
stituirono un serio ostacolo nell’individuazione del periodo di rotazione del pianeta. Cassini ipotizzò
un periodo di 24 ore mentre Francesco Bianchini un periodo di 24 giorni. Tuttavia, fu William Her-
schel che si accorse che il pianeta era ricoperto da uno spesso strato di nubi e che il periodo di
rotazione non poteva essere determinato con sicurezza. Così rimase un enigma sino a quando Gio-
vanni Schiaparelli fu il primo a sollevare nuove obiezioni a questa ipotesi, sostenendo che, come
Mercurio, anche Venere, fosse in rotazione sincrona, come “bloccato” dal Sole; egli concluse così i
suoi studi l’11 agosto 1878 scrivendo: "Addio bella Afrodite, ormai la tua rotazione non sarà più un
segreto."
Nel 1932 W. Adams e T. Dunham, arrivarono ad ipotizzare che l’anidride carbonica fosse predo-
minante nella sua atmosfera, nel 1961, durante una congiunzione, il periodo di rotazione di Venere
fu misurato con il radiotelescopio Goldstone, in California, seppure il suo moto retrogrado venne
confermato tre anni più tardi, nonostante nel 1962 il Mariner 2 aveva raggiunto con successo il pia-
neta, inviando i primi dati sulla temperatura superficiale e la composizione atmosferica.
Al giorno d’oggi è noto che Ve-
nere possieda una superficie ro-
vente su cui insiste un’atmosfera
alquanto corrosiva con un’altissi-
ma pressione, ma in passato que-
sti dati erano sconosciuti e ciò la-
sciò campo aperto a molte ipotesi.
Carl Sagan teorizzò che fosse co-
perta da un oceano, non di acqua
ma di idrocarburi, mentre altri so-
stenevano che fosse ricoperto di
paludi o c’era già chi sosteneva
che fosse un mondo desertico. Gli
scienziati sovietici delle missioni
Venera erano così convinti di tro-
varsi un oceano che, sulla sonda
Venera 4, lanciata nel 1967, in-
stallarono un morsetto fatto di zuc-
chero bianco raffinato: a contatto
con l’acqua (o un altro fluido dotato della giusta composizione e temperatura), si sarebbe sciolto
facendo scattare l’antenna, stratagemma che avrebbe permesso alla sonda di salvarsi e di non af-
fondare. Ma la sonda Venera 4 non solo non trovò alcun oceano, ma non raggiunse neppure la
superficie, dato che smise di trasmettere quando la pressione atmosferica superò le 15 atmosfere,
soltanto una modesta frazione delle 93 presenti sulla superficie del pianeta.
Dopo questa esperienza, i sovietici studiarono una sonda più resistente, ed il gruppo condotto da
Anatolij Perminov, ipotizzò che dovesse resistere ad una pressione di 60 atmosfere, quindi di 100 e
infine di 150 atmosfere. Per tre anni testò delle sonde in condizioni estreme, e per simulare l’atmo-
sfera di Venere, fece costruire la più grande pentola di Papin, una vera e propria pentola a pressione
gigantesca al mondo, in cui le sonde venivano immesse finché non si schiacciavano o fondevano.
Fu così che nacque Venera 7, costruita per sopportare una pressione di 180 atmosfere e che
venne lanciata il 17 agosto del 1970. Il 15 dicembre dello stesso anno trasmise finalmente il tanto
atteso segnale, dato che la prima sonda umana era atterrata sul pianeta e aveva comunicato con la
Terra. Nel 1975 inviarono poi anche le sonde gemelle Venera 9 e 10, equipaggiante con un disco
frenante per la discesa nell’atmosfera e di ammortizzatori per l’atterraggio. Le sonde trasmisero im-
magini in bianco e nero della superficie, mentre le successive Venera 13 e 14 inviarono le prime
fotografie a colori di quel mondo.
Anche la NASA si unì alla conquista di Venere dal 1962, con il programma Mariner, quando tre
sonde riuscirono a trasmettere i primi dati alla Terra. Nel 1978, poi, nell’ambito del progetto Pioneer
Venus, per lo studio dell’atmosfera, furono lanciate diverse sonde separate. Negli anni Ottanta, i so-
vietici continuarono indefessi con le sonde Venera 15 e 16 lanciate nel 1983 e dotate di Radar ad
37

apertura sintetica, mapparono l’emisfero nord del pianeta, rimanendo in orbita attorno ad esso. Nel
1985 lanciarono anche le sonde Vega 1 e 2, che rilasciarono moduli sulla superficie prima di andare
verso l’incontro con la Cometa di Halley, l’altro oggetto di studio di quelle missioni. Vega 2 atterrò
nella regione Aphrodite raccogliendo persino un campione di roccia contenente anortosite-troctolite,
materiale raro sulla Terra, ma presente negli altopiani lunari. Ma fu nel 1989 che la NASA, utilizzando
lo Space Shuttle, lanciò verso Venere la Sonda Magellano dotata di un radar che permise una map-
patura quasi completa del pianeta, con una risoluzione migliore rispetto a tutte le precedenti missioni,
lavorando per ben 4 anni prima della caduta e della conseguente distruzione nell’atmosfera venu-
siana, seppure si sospetta che qualche frammento possa essere arrivato sulla superficie.
Anche Venus Express, nel 2006, ha eseguito una mappatura completa della superficie e sebbene
fosse inizialmente prevista una durata della missione di due anni, fu estesa fino al dicembre del
2014. In ben otto anni la sonda ha fornito prove dell’esistenza passata di oceani, di fulmini nell’at-
mosfera, ed ha individuato un gigantesco doppio vortice polare al polo sud, oltre alla presenza del
gruppo ossidrilico nell'atmosfera e di un sottile strato di ozono. Recentemente, Venere è stato spes-
so usato anche come fionda gravitazionale per missioni dirette verso altri pianeti o oggetti del Siste-
ma Solare.

L’orbita di Venere è quasi circolare con un’eccentricità orbitale inferiore all’1% e una distanza
media dal Sole di 108 milioni di chilometri. Con una velocità orbitale di 35 km/s, esso impiega 224,7
giorni nel compiere una rivoluzione attorno alla nostra Stella, mentre il periodo sinodico, ossia l’in-
tervallo di tempo per ritornare nella stessa posizione nel cielo terrestre, rispetto al Sole, è di 584
giorni. La rotazione del pianeta, rimasta ignota fino alla seconda metà del XX secolo, avviene se-
condo il moto retrogrado (in senso orario), cioè al contrario di come avviene per il Sole e per la
maggior parte degli altri pianeti del Sistema Solare. La rotazione è talmente lenta che il giorno side-
reo venusiano dura circa 243 giorni terrestri ed è superiore persino al periodo di rivoluzione attorno
al Sole, essendo la velocità di rotazione all’equatore di appena 6,5 km/h.
All’inizio del 2012, analizzando i dati della sonda Venus Express, si è addirittura scoperto che la
rotazione del pianeta sta ulteriormente rallentando, con un periodo di rotazione misurato in 243,0185
giorni, 6 minuti e mezzo superiore alla precedente misurazione di 16 anni prima, effettuata dalla
sonda Magellano. Ignote per la Scienza sono le cause di una situazione così anomala, ed alcune
ipotesi sostengono che la causa sia da ricercarsi nell’impatto con un asteroide di dimensioni rag-
guardevoli avvenuto milioni, se non miliardi di anni fa. A causa di questa rotazione retrograda, il
moto apparente del Sole dalla superficie venusiana è opposto a quello osservato sulla Terra, per-
tanto, chi si trovasse su Venere vedrebbe l’alba ad ovest ed il tramonto ad est. Ma nonostante il
pianeta impieghi 225 giorni terrestri per compiere una rivoluzione attorno al
Sole, tra un’alba e l’altra (giorno so- lare), trascorrono soltanto 117
giorni terrestri, perché mentre il pianeta ruota su sé stesso, in
senso retrogrado, si sposta an- che lungo la propria orbita,
compiendo il moto di rivoluzione in senso opposto rispetto a
quello di rotazione.

(Il Pentagramma di Venere) [*]

Venere è il pianeta che più si avvicina alla Terra ed in oc-


casione delle congiunzioni inferio- ri, la distanza media tra i due
pianeti è di circa 41 milioni di chilo- metri, arrivando a 38,2 milioni di
chilometri durante il perielio della Terra. Fa parte dei quattro pianeti terrestri
o metallici interni del Sistema Solare, questo significa che è un corpo roccioso e con una forma
sferica, in quanto a causa del suo lentissimo moto di rotazione, non presenta il rigonfiamento equa-
toriale tipico degli altri pianeti. In quanto pianeta roccioso, è quindi soggetto a tutte le dinamiche
tipiche di tali pianeti, come ad esempio la Terra, si stima che abbia attraversato di recente una fase
geologicamente attiva, con molte eruzioni vulcaniche, e presenta una superficie relativamente gio-
vane, rinnovatasi completamente negli ultimi 500 milioni di anni da imponenti flussi di lava. Il pianeta
mostra pochissimi crateri da impatto, il che depone a favore del rinnovo della sua superficie, anche
38

se una mancata evidenza di attività tettonica viene collegata alla notevole viscosità del materiale
che costituisce la crosta, e che sembra ostacolarne la subduzione; ciò sarebbe determinato dalla
mancanza di acqua che funzionerebbe da lubrificante.
Conseguentemente la perdita di calore interno sembra essere limitata, così come il raffreddamen-
to del nucleo per convezione, ma l’assenza di moti convettivi determina la mancanza di un campo
magnetico planetario simile a quello terrestre, seppure si pensi che subisca perdite di calore a se-
guito di importanti eventi periodici di affioramento e che, attraverso immense eruzioni continentali,
rinnovino ciclicamente la superficie. Circa l’80% della superficie è formato di pianure vulcaniche e
che per il 70% mostrano dorsali da corrugamento e per il 10% sono perfettamente lisce; il resto è
costituito da altopiani definiti continenti, uno nell’emisfero nord e l’altro a sud dell’equatore. General-
mente è un pianeta pianeggiante in quanto solo il 10% della superficie si estende oltre i 10 km di
altezza, contro i 20 km che separano invece i fondi oceanici terrestri dalle più alte montagne.
Inoltre, vanta di essere il pianeta dell’intero Sistema Solare ad oggi conosciuto con la maggior
quantità di Vulcani, ne sono stati individuati in superficie circa 1500 di dimensioni medio-grandi, ma
si stima che ne esistano fino ad un milione di minori. Alcune strutture sono tipiche del pianeta, specie
quelle chiamate: farra (a forma di focaccina), larghe da 20 a 50 km e alte da 100 a 1000 metri; frat-
ture radiali a forma di stella chiamate novae; strutture con fratture sia radiali che concentriche chia-
mate aracnoidi per la loro somiglianza con le tele di ragno; le coronae, anelli circolari di fratture a
volte circondati da una depressione. Tutte strutture di origine vulcanica32.

Vi starete chiedendo, ades-


so, dopo questa lunga disamina
planetaria, perché inserisca co-
sì tanti dati scientifici. Ebbene,
per farvi comprendere l’enorme
complessità di un pianeta che
ha segnato, in modo indelebile
ed inequivocabile, tutta la sto-
ria, non solo dell’intero Sistema
Solare ma anche del nostro Ge-
nere Umano. Significa rispetta-
re e rendere omaggio ad un pia-
neta oggi ormai desolato, mor-
to, un tempo casa e tempio di u-
na delle più grandiose Civiltà U-
mane Extraterrestri mai appar-
se nella Galassia. Detto questo,
adesso procediamo il cammino
studiandone la sua atmosfera, completamente diversa dalla nostra, sia in composizione e densità,
come abbiamo visto costituita al 96,5% di anidride carbonica e con un restante 3,5% di azoto. La
massa dell’atmosfera venusiana è circa 93 volte quella dell’atmosfera terrestre, mentre la pressione
sulla superficie è circa 92 volte quella della Terra, equivalente alla pressione presente a circa mille
metri di profondità in un nostro oceano!
La densa atmosfera è quindi composta essenzialmente di CO2, e che insieme alle nubi di anidride
solforosa, genera il più forte effetto serra di tutto il Sistema Solare, portando la temperatura della
superficie del pianeta ad oltre 460°, rendendo la sua superficie più calda di quella Mercurio, essendo
più vicino al Sole, oltre a quella di qualunque altro pianeta dell’intero Sistema Solare, sebbene sia
due volte più distante dal Sole e riceva solo il 25% dell’irraggiamento. Non vi è acqua ed umidità su
tutta la sua superficie, e tali condizioni sono state definite come letteralmente “infernali”.
Gli studi condotti nel corso degli anni hanno evidenziato come, all’inizio del Sistema Solare, l’at-
mosfera di Venere fosse probabilmente simile a quella terrestre, e che vi fosse presenza di acqua

32 La superficie di Venere appare geologicamente molto giovane, i fenomeni vulcanici sono molto estesi e
lo zolfo nell'atmosfera dimostrerebbe, secondo alcuni esperti, l'esistenza di fenomeni vulcanici attivi ancora
oggi. Tuttavia, rimane un enigma l'assenza di tracce del passaggio di lava che accompagna una caldera, tra
quelle ad oggi visibili.
39

in superficie con probabili forme di vita. Sebbene non sia possibile ad oggi la vita sulla sua superficie,
alcuni scienziati hanno però ipotizzato che potrebbe esistere negli strati di nubi a 50-60 km di altezza,
dove i valori di temperatura e pressione atmosferica sono simili a quelli terrestri.
Venere è un mondo climaticamente estremo ed invariante. L’inerzia termica e lo spostamento del
calore da parte dei venti nella parte più bassa dell’atmosfera, fanno sì che la temperatura superficiale
non cambi tra il giorno e la notte, nonostante la rotazione estremamente lunga del pianeta; pertanto
la superficie è isotermica, mantiene una temperatura costante tra il giorno e la notte, tra l’equatore
e i poli. Pensate che l’unica variazione di temperatura apprezzabile è riscontrabile con l’altitudine, in
quanto il punto più “freddo” ad oggi registrato si trova sui Maxwell Montes, con una temperatura di
380° C, dove la pressione è pari a 45 bar.
Sempre sulle montagne si conosce l’unica nota curiosa del pianeta, perché nel 1990 quando la
sonda Magellano stava effettuando le sue riprese radar, rilevò una sostanza molto riflettente che si
trovava sulla cima dei picchi montuosi più alti, simile per aspetto alla nostra neve terrestre. La natura
di questa sostanza è ancora oggi sconosciuta, ma alcune speculazioni propongono che si possa
trattare di Tellurio elementare, o persino di solfuro di bismuto, o ancora di solfuro di piombo (galena).
Il Tellurio è un metallo raro sulla Terra, ma potrebbe essere abbondante su Venere, e secondo questi
scienziati assumerebbe sui picchi montuosi venusiani, dove la temperatura è più bassa rispetto alle
altre zone della superficie, la forma di una vera e propria specie di neve metallica.
I venti sulla superficie sono lenti, con una velocità di pochi chilometri orari e che comunque riesco-
no ad esercitare una notevole forza a causa della densità dell’atmosfera, spostando polvere e pietre
sulla superficie. Al contrario, nello strato più alto delle nubi, i venti soffiano fino a 300 km/h sferzando
l’intero pianeta con un periodo di 4-5 giorni, venti che si muovono ad una velocità sino a 60 volte la
rotazione del pianeta, mentre sulla Terra i venti più forti soffiano solo al 10% o 20% della velocità di
rotazione. Al di sopra dello strato denso di CO2 si trovano spesse nubi costituite prevalentemente
di anidride solforosa e da goccioline di acido solforico, nuvole che non solo riflettono nello spazio
circa il 60% della luce solare, ma impediscono anche l’osservazione diretta della superficie del pia-
neta. Sebbene Venere sia più vicino al Sole della Terra, la sua superficie non è altrettanto riscaldata
o illuminata, e la sua luminosità giornaliera corrisponde grosso modo a quella osservabile sulla Terra
in una giornata molto nuvolosa.
Le nubi sono soggette a frequenti scariche elettriche (fulmini), osservate per la prima volta dalle
sonde sovietiche, si accorsero che si succedevano con cadenze che sembravano decine o centinaia
di volte più frequenti dei lampi terrestri, fenomeno che essi definirono “Il Drago Elettrico di Venere”,
seppure ad oggi, il tasso di fulmini stimato sia almeno quello della metà delle scariche che si verifi-
cano sulla Terra. Le nubi, inoltre, ricoprono completamente Venere, con un aspetto più simile ad u-
na spessa coltre di nebbia, per questo motivo un ipotetico osservatore che si trovasse sulla sua su-
perficie non sarebbe in grado di vedere direttamente il Sole, ma di intravederne solo l’alone di lumi-
nosità; in assenza di tale effetto serra, si presume che sulla superficie di Venere vi sarebbero delle
condizioni simili a quelle terrestri, in grado anche di ospitare la vita.

Venere, essendo uno degli og-


getti più luminosi del cielo, ha de-
stato sin dall’antichità interesse da
parte dell’Uomo, portando un signi-
ficativo impatto della sua presenza
in tutta la nostra cultura. Descritto
dai Babilonesi in svariati documenti
cuneiforme, come il testo della “Ta-
voletta di Venere” di Ammi-Sadu-
ga, essi chiamarono il pianeta Ish-
tar, identificandola con la Dèa della
mitologia babilonese (connaturata
alla Dèa Inanna dei Sumeri), perso-
nificazione non solo dell’Amore ma
anche della Battaglia. Gli Egizi la
scissero con due pianeti diversi,
come “Stella del Mattino” con il no-
40

me di Tioumoutiri, e di “Stella della Sera” con il nome di Ouaiti, e così fecero anche i Greci, con Pho-
sphoros e Hesperos33, infine anche i Latini con Lucifero34 e Vespero.
Gli Ebrei chiamavano Venere, Noga (“luminoso”), Helel (“chiaro”), Ayeleth-ha-Shakhar ("Cervo
del Mattino") e Kochav-ha-'Erev ("Stella della Sera"). Nell’astrologia indiana dei Veda, era nota come
Shukra (“chiara, pura”) nella lingua sanscrita, mentre in Cina, Vietnam, Corea e Giappone, era “La
Stella o l’Astro d’Oro”, collegato al Metallo nella Teoria dei Cinque Elementi cinesi. In Africa, il popolo
Masai, la chiama ancora oggi Kileken, ed è associata ad una tradizione orale che racconta di un
“bambino orfano”. Tra i popoli aborigeni dell’Australia, come gli Yolngu nel nord del continente, viene
chiamata Barnumbirr, e secondo la loro tradizione, permette di comunicare con i propri cari defunti.
Venere, inoltre, era estremamente importante per la Civiltà Maya, che sviluppò persino un calen-
dario religioso basato in parte sui suoi movimenti, nei quali venivano valutati i tempi propizi delle
attività quotidiane, le festività o le guerre. Così, come nell’America del Nord, presso i nativi Lakota,
era associata con l’ultima fase della vita e con la saggezza.

Venere (in latino Venus, Venĕris) era una delle maggiori dee romane, principalmente associata
all’Amore, alla Bellezza ed alla Fertilità, equivalente della Dèa greca Afrodite. Misteriosa è la sua
nascita e la comparsa nel pantheon divino, c’è chi sostiene che essa scaturì dal seme di Urano, Dio
del Cielo, quando i suoi genitali caddero in mare durante la castrazione subita dal figlio Saturno, atto
che compì per vendicare Gea, sua madre, nonché sposa dello stesso Urano. Un’altra ipotesi, invece,
narra che essa sia nata da una conchiglia uscita dal mare, proprio come raffigurata nel celebre di-
pinto del Botticelli; secondo un ulteriore mito sarebbe figlia di Giove e della ninfa degli oceani, Dione.
Ella era la consorte di Vulcano, un matrimonio che fu alquanto burrascoso, a causa dei ripetuti tra-
dimenti35 della Dèa, mentre a Roma veniva considerata l’antenata del popolo romano per via del
leggendario fondatore, Enea, che si diceva essere suo figlio generato con Anchise, a cui seguirà A-
scanio, ovviamente figlio di Enea, capostipite della futura civiltà romana36.
Tra le piante a lei sacre ci sono: il mirto, la rosa, il melo e il papavero. Tra i suoi animali sacri,
invece, troviamo: la lepre, il delfino, il cigno (simbolo di bellezza ed eleganza), il passero e la co-
lomba, (simbolo dell’amore). A causa della sua immensa bellezza, Giove temeva che sarebbe stata
causa di disputa tra gli altri Dèi e la diede in sposa a Vulcano, Dio del Fuoco, Fabbro degli Dèi, un
po’ bruttino nell’aspetto quanto rude, ma caratterizzato da un forte carattere, fermo e deciso, nonché
dedito al lavoro. Il matrimonio non fu però soddisfacente, specie per la Dèa, che intrecciò così nu-
merose relazioni amorose, sia con altri Dèi che con Umani. Note sono le sue relazioni con Mercurio
e soprattutto Marte, con quest’ultimo venne scoperta dal marito, Vulcano, e imprigionati all’interno
di una rete metallica da lui stesso forgiata, ed esposti poi al pubblico ludibrio degli Dèi.

33 Hesperia fu anche uno dei nomi dati dai Greci all'Italia meridionale e il simbolo associato divenne il più
antico dei simboli patri italiani, conosciuto come Stella d'Italia e raffigurato nel simbolo ufficiale della Repub-
blica Italiana. Ebbene, da ventisei secoli, questa Stella Bianca a Cinque Punte, segue i nostri destini e di tutti
i suoi abitanti. Si trova come ho scritto nell'emblema della Repubblica, in quello precedente del Regno d'Italia,
e va a ritroso nel tempo sino al VI secolo a.C. intrecciandosi persino con il mito di Enea. Stesicoro, il poeta,
raccontava nel poema "Iliupersis" che Enea, in fuga dalla città di Troia, devastata dai Greci, tornò in Italia nella
terra dei suoi antenati, attraversando il Mediterraneo in un viaggio guidato nel cielo dalla luce di Venere; la
stessa stella che secoli più tardi, diverrà il simbolo della Gens Julia, della casa di Giulio Cesare (il Caesaris
Astrum altro non è che Venere). Anche Leonardo da Vinci la menziona, nei versi: "Non si volta chi a stella è
fisso." Innegabile il suo valore simbolico, etico e ideale tramandato sino al Risorgimento, perché dopo l'Italia
turrita e stellata di Cesare Ripa, spetterà a Giuseppe Mazzini rinnovarne il mito facendone la Stella Nazionale,
guida durante il processo di unificazione del paese, essa sormonterà poi il palco d'onore del re Vittorio Ema-
nuele II, facendo nascere l'appellativo di "Stellone", la stessa Stella che diverrà grande e si collocherà al centro
dell'emblema della Repubblica, nel 1948. Arrivati a questo punto, viene da chiedersi quale Stella sia colei che
sormonta la capannuccia del Presepe durante le festività natalizie.
34 Nella successiva epoca cristiana, Lucifero ("portatore di luce"), diverrà l'Angelo Caduto allontanato dal

Cielo, forse a memoria di una immane catastrofe planetaria.


35 Si narra che dalla sua unione con Marte nacquero Eros, detto anche Cupido, Deimo e Fobo, mentre dalla

sua unione con Mercurio, nacque il figlio Ermafrodito.


36 A Roma venivano celebrati i Veneralia in onore di Venere Verticordia, "che apre i cuori", e del suo com-

pagno, Fortuna Virile (o Fortuna Vergine, una dèa, come risulta da studi recenti). Sempre a Roma fu eretto un
tempio, il “Tempio di Venere e Roma”, dedicato alla dèa e alla città.
41

Si racconta, inoltre, che Vulcano, amareggiato, si rinchiuse nelle cavità della Terra per condurre
una vita solitaria lontano dal mondo e dagli Dèi…

Ancora una volta è il mito a darci tutte le risposte


che cerchiamo, ma attraverso la reinterpretazione dei
maggiori studiosi e scrittori del Novecento. Uno è
J.R.R. Tolkien, il quale narra nel Silmarillion, che non
solo gli Elfi nacquero sulle rive del lago Cuiviénen, sot-
to un cielo stellato (unendoli quindi alle Stelle del Cie-
lo), ma successivamente, durante il viaggio di Eärendil
con un Silmaril nelle volte dello stesso cielo, per la pri-
ma volta vennero associati a Venere.

«Ti saluto, o Eärendil, la più luminosa delle stelle!»


(Il Signore degli Anelli, J.R.R. Tolkien)

Eärendil, detto Eärendil il Beato, il Lucente o il Ma-


rinaio (secondo altre anche “il Navigatore”), è un per-
sonaggio di Arda, l’Universo immaginario creato da
Tolkien su modello mitologico terrestre, e che compa-
re ne Il Silmarillion, così come sarà ripetutamente ci-
tato nel romanzo Il Signore degli Anelli. In quest’ultimo
libro, la sua storia viene narrata quasi per intero in un
canto composto da Bilbo Beggins a Gran Burrone, il
regno del figlio di Eärendil, il Mezzelfo Elrond. Il suo
nome, nella lingua elfica Quenya, significherebbe “a-
mante del mare”, mentre Gil-Estel, "Stella dell'alta
Speranza".
Tuttavia, fu lo stesso Tolkien ha rivelare che il nome
deriva dall’antico anglo-sassone, dove éarendel (ter-
mine presente in versioni leggermente diverse anche
in altre lingue nordiche antiche: Aurvandil in norvege-
se antico, Auriwandalo in longobardo, Orentil o Erentil
in tedesco), veniva usato per indicare un astro lumi-
noso, tipicamente la Stella del Vespro o del Mattino,
per l’appunto Venere. Nel Signore degli Anelli, infatti, viene spesso utilizzato per indicare sia la Stella
che il personaggio (ad esempio l'esclamazione di Frodo al valico di Cirith Ungol, «Aiya Eärendil
Elenion Ancalima!», che in Quenya significa: «Ti saluto o Eärendil, la più luminosa delle stelle!»).
Sembra che la scelta di questo nome sia stata ispirata a Tolkien da due versi del poema religioso
anglosassone Crist, che recita:

«éala éarendel engla beorhtast


ofer middangeard monnum sended.»

«Ti saluto o Earendel, il più luminoso degli angeli,


inviato sugli uomini della Terra di Mezzo.»

Infine, la "leggenda" di Eärendil nella forma raccontata da Tolkien avrebbe anche numerosi punti
di contatto con leggende medievali dell'Irlanda celtica: sia quella di Immram che quella cristianizzata
di san Brandano il navigatore. L’altro è il collega e carissimo amico di Tolkien, C.S. Lewis, autore di
una singolarissima Trilogia dello Spazio. Denominata anche Cosmic Trilogy (Trilogia Cosmica) è u-
na saga di tre romanzi dove il filologo di nome Elwin Ransom è il protagonista dei primi due libri,
mentre nel terzo diventa una figura meno decisiva ma sempre importante. Il primo libro “Out of the
Silent Planet” (Lontano dal pianeta silenzioso) è il primo libro, scritto nel 1938, ambientato principal-
mente su Marte (Malacandra), dove il protagonista, Ransom viaggia alla volta del pianeta rosso e
scopre che la Terra è stata esiliata dal resto del Sistema Solare. Si scopre che indietro nel tempo,
42

in un lontano passato della Terra, cadde sotto il controllo di un essere angelico noto come Bent
Oyarsa, e che per prevenire la sua contaminazione del restante Sistema Solare (definito “Il Campo
di Arbol”) da parte sua, venne isolata, divenendo così Thulcandra, il pianeta silenzioso.
In “Perelandra”, del 1943, ci troviamo invece su Venere, dove il dottor Ransom viaggia all’interno
di questo pianeta incontaminato nel quale sono appena emersi i primi esseri senzienti umanoidi,
mentre in “That Hideous Strength” (Quell’orribile forza), pubblicato nel 1945, ci troviamo sulla Terra,
dove un team scientifico chiamato N.I.C.E. (L'Istituto Nazionale di Esperimenti Coordinati) è segre-
tamente in contatto con entità demoniache che pianificano di devastare l’intero pianeta. Esiste anche
un quarto libro, un manoscritto incompleto pubblicato postumo nel 1977 intitolato “The Dark Tower”37
(La Torre Nera), dove Elwin Ransom in un ruolo meno centrale viene coinvolto in un esperimento
che consente ai suoi partecipanti di visualizzare su di uno schermo speciale, la loro posizione in un
Universo Parallelo.
Analizzando più nello specifico le trame dei libri, nel primo, “Lontano dal pianeta silenzioso”, viene
raccontata l’avventura del protagonista, Elwin Ransom, professore di filologia in vacanza, rapito da
due scienziati per un loro losco disegno e trasportato sul pianeta Malacandra (Marte). Sfuggito ai
rapitori il giorno dell’imbarco, solo e in un mondo dalle tinte acquerello, dove le foreste sono dei veri
e propri labirinti di fragili steli colorati alti una dozzina di metri, Ransom incontra Hyoi del popolo dei
hrossa, agricoltori e poeti dal nero corpo lucente, e gli altri abitanti del pianeta, gli altissimi e sapien-
tissimi sorn e i pfifltriggi simili a ranocchi, maestri di tutte le arti della pietra e del metallo. Attraverso
il loro aiuto disinteressato scopre i segreti del pianeta Malacandra, come viene a conoscenza del
segreto della Terra, il «pianeta silenzioso» che da millenni ha cessato di conversare con gli altri mon-
di.
Il protagonista incontra, pertanto, una comunità aliena nella quale sono impensabili il razzismo,
l’intolleranza così come tutte quelle caratteristiche che rendono il genere umano irrazionale. Le tre
razze malacandriane (o marziane) che coabitano nello stesso pianeta, formano una società pacifica
nella quale ogni membro riveste un ruolo predeterminato e felicemente accettato. Arte, Conoscenza,
Tecnologia sono i tre grandi filoni della Civiltà di Malacandra, riassunti e vivificati nella conoscenza
mistica dell’Ente Supremo del pianeta o “Grande Spirito” (Oyarse), che ne è l’unità e la guida di un
mondo felice, nella quale ogni differenza e diversità contribuiscono a rendere pienamente libera una
realtà nuova.

«“La Vita, naturalmente […] essa ha spietatamente abbattuto ogni ostacolo e liquidato ogni falli-
mento e oggi, nella sua forma più nobile, L’Uomo Civile, si appresta a compiere il salto interplaneta-
rio. […] Ed è in nome della Vita stessa che io sono pronto a piantare senza alcun timore la bandiera
dell’Uomo sul suolo di Malacandra; sono pronto, passo dopo passo, ad andare avanti, prendendo il
posto, dove occorre, delle forme di vita inferiori che incontreremo, rivendicando un pianeta dopo
l’altro, un sistema dopo l’altro, fino a quando i nostri discendenti dimoreranno nell’Universo ovunque
esso sia abitabile.”»

Come contraltare di questo luogo quasi paradisiaco vi è la figura di Wenston, lo scienziato idea-
tore e costruttore dell’astronave con la quale i tre uomini sono giunti sul pianeta rosso, e dove nelle
sue sopracitate parole, si riscontra l’intero pensiero occidentale moderno, dal darwinismo sociale,
base ideologica del nazionalsocialismo, al concetto di progresso come destino, di un finalismo evo-
lutivo che pone come scopo ultimo l’evoluzione dell’Uomo Bianco Occidentale, braccio destro del
divino nel migliorare, secondo le sue logiche fanatiche, il creato, non disdegnando una certa intolle-
ranza culturale e il disprezzo per le minoranze etniche e retrograde tecnologicamente.
Il secondo libro di questa ambiziosa quanto singolare saga fanta-teologica di Lewis, è un romanzo
complesso, straordinario ed affascinante, dove in un mondo da sogno, Venere, si dipana la storia di
due novelli Adamo ed Eva, rinnovandola e riproponendola in chiave cosmica. La storia inizia con lo
stesso Lewis, protagonista all’interno di questo romanzo che viene chiamato a far visita al suo amico
Ransom, nella sua abitazione vicino Worchester, dove gli spiega di aver ricevuto l’incarico di dirigersi
su Perelandra (Venere), per una missione da compiere. Dopo essere stato aiutato a collocarsi dentro
una cassa, grazie con l’aiuto dell’Oyarsa di Malacandra (Marte), viene trasportato sul Perelandra do-

37 Ancora oggi è oggetto di discussione la paternità a Lewis.


43

ve soggiornerà un anno e, una volta ritornato, Ransom racconterà quanto accaduto a Lewis stesso
e ad un dottore chiamato ad assisterlo, descrivendo la seguente storia.
Perelandra (Venere) è un pianeta fatto di isole galleggianti, dove non appena arrivato vi incontra
un piccolo drago e una donna nuda che egli chiamerà “la signora verde.” Parlando con lei con la
lingua Solare antica, imparata su Malacandra, Ransom capisce che la donna, e quello che ella
chiama il Re (che apparirà alla fine del libro), non sono altro che la Eva e l’Adamo del pianeta, prima
della loro caduta nel peccato originale; di non poco conto è il contatto che la donna ha anche con
Maleldil38 (il Cristo o Figlio di Dio) che le parla direttamente. Ransom scopre che oltre alle isole
galleggianti, esiste anche una terra ferma e che la donna e il Re possono andarvi solo di giorno,
mentre la notte Maleldil vuole che dimorino su un’isola.
Nel mentre vede poi arrivare il dottor Weston atterrare con la sua astronave, ormai in preda al
male, sbarcato con l’intento di diffonderlo sul pianeta, Ransom capisce lo scopo della sua missione.
Weston spinge la donna a disobbedire ai comandi di Dio e Ransom constata come del vecchio
Weston non sia rimasto più nulla, essendo ormai completamento manipolato e in preda del maligno,
arrivando a definirlo “il Non-Uomo”. Weston convince la donna a dormire sulla terra ferma, andando
così contro il comando di Maleldil, dicendo che egli sarebbe stato contento di vederla prendere le
sue decisioni da sola, matura come una donna di Thulcandra. Lei, dapprima interessata, poi scettica,
fa però trapelare come sia a conoscenza dell’incarnazione di Maleldil, il Figlio di Dio, avvenuta sulla
Terra, e Weston usa questo argomento per affermare lucifericamente che dalla prima disobbedienza
venne fuori, dunque, un bene più grande39.
Ransom e il “corpo” di Weston iniziano così un inseguimento estenuante fin dentro le caverne
della terra ferma, dove infine il primo ha la meglio ed uccide il corpo del “Non-Uomo”, pur restando
ferito con un taglio permanente al tal-
lone, procuratogli da un morso di que-
st’ultimo durante lo scontro. Infine, ne-
gli ultimi capitoli, Ransom incontra l’O-
yarsa di Perelandra e quello di Mala-
candra che si manifestano a lui insie-
me al Re, chiamato Tor, ed alla signora
verde, chiamata Tinidril. Tor spiega ora
che essi hanno imparato cosa sia il ma-
le, ma in modo diverso dalle aspetta-
tive del maligno. Dopodiché il protago-
nista fa ritorno sulla Terra, nella cassa
trasportata dall’Oyarsa.
L’ultimo libro, “Quell’orribile forza”, è
il più problematico. Ransom non è più
il protagonista principale, e il nemico,
questa volta, non è il Male evocato dal-
le Scritture ma l’intera modernità, e-
semplificata nel N.I.C.E. (National In-
stitute of Coordinated Experiments), o-
pera in realtà di Entità Extraterrestri40
malvagie, che altro non sono gli Angeli
Caduti.

38 Gli Eldil (Angeli o Arcangeli che siano) sono entità divine in grado di passare da un pianeta all’altro, nel

nome del Dio Unico, per rispettare i suoi disegni e le sue volontà, contrapponendosi ai luciferini nemici del
pianeta silenzioso, la nostra Terra, dove qui gli altri Eldil sono ostili all’uomo e nemmeno comunicano con
l’esterno. Maleldil è l’incarnazione fisica terrestre del Figlio di Dio (il Cristo).
39 Weston, prima di cadere, era giunto ad una confusa visione dell’esistenza fondata sulla spiritualità - sorta

di mostruoso panteismo assai postmoderno, fusione indiscriminata di Bene e Male a qualunque prezzo, per-
ché Dio e Satana sono visti, nella sua visione, come immagini della stessa Forza; Dio è la meta, il dinamismo
è Satana.
40 Queste Entità, in realtà, sono del tutto simili ai Grandi Antichi del Ciclo di Cthulhu di Lovecraft, che lega

con un sottile filo anche la visione di Robert W. Chambers, di Dion Fortune, anch’essa scrittrice ed esoterista,
affiliata alla Golden Dawn di Aleister Crowley.
44

Scopo di questa organizzazione (quindi del Diavolo e della Modernità), è quello di deumanizzare
l’individuo secondo una visione ultra-materialistica e amorale dell’esistenza. Lo scontro, perciò, si
dipana tra due schieramenti, tra chi vuole rendere il mondo “Perfetto”, e chi invece accoglie la realtà
con tutte le imperfezioni e cerca faticosamente di amarla. Fulcro di questa ideologia è un esperimen-
to che nel capitolo nono, intitolato “La Testa del Saraceno”, presenta un uomo, un criminale condan-
nato a morte, che è di fatto ridotto ad essere soltanto una grande testa, collegato e tenuto in vita
solo da apparecchi elettronici, un vero e proprio burattino di carne e bit attraverso cui parla “La
Forza.” E questa Forza non è quella di Guerre Stellare o l’Amore che muove gli astri decantato negli
ultimi versi della Divina Commedia di Dante, ma è un Orribile Forza, a cui allude anche il titolo del
libro, e che come dice Weston, il “cattivo luciferino” di turno della trilogia, è “una grande impenetrabile
Forza, che si precipita dentro di noi dalle oscure basi dell’essere”, una Forza che guida e ispira gente
come Weston, verso un grandioso progetto.

«"Ecco quello di cui sto parlando: spirito, intelligenza, libertà, spontaneità. Ecco la meta verso cui
si sta muovendo l'intero processo cosmico. L'affermazione finale di questa libertà, di questa spiri-
tualità, è il lavoro al quale dedico la mia vita e la vita dell'umanità. La meta, Ransom, la meta: ci
pensi! Puro spirito, il vortice finale dell'attività auto-pensante e auto-producente".»

A Ransom, il “buono” del romanzo, lo “spiritualista” Weston illustra i suoi propositi.

«"Ma proprio non capisce, Ransom, che Bene e Male sono solo dicotomie illusorie, partorite da
un primitivo antropomorfismo religioso, che tutto è Uno, puro Spirito? Esiste una sola Forza."»

L’obiettivo finale di questa rivoluzione è la creazione di Uomini Incorporei (“le Teste Elettriche che
non muoiono mai”), perché lo scopo è l’abolizione dell’uomo, separare conoscenza ed etica, che
porti alla costruzione di una Macchina, di un Uomo Nuovo o Tecnocratico ed Obiettivo, che riduce il
mondo a misura perfetta e non preveda l’ingombro del Corpo Fisico ma il dominio assoluto e incon-
trastato della Mente. Abbandonare perciò il vecchio ordine, nel quale la Materia e lo Spirito erano
confusi, ed aprirsi al Nuovo Ordine, dove la natura, vista come qualcosa di morto, venga soppiantata
da una Macchina che deve funzionare perfettamente e che possa essere smontata se non funziona
correttamente.

«"In noi la vita organica ha prodotto la Mente. Ha fatto un buon lavoro, ma adesso non ne abbiamo
più bisogno. Non vogliamo più un mondo incrostato di vita organica. Dobbiamo liberarci di tutto ciò.
Impareremo a mantenere in vita il cervello con sempre meno corpo: impareremo a nutrire il corpo
direttamente con sostanze chimiche, senza doverlo più rimpinzare di animali morti e di erbacce.
Impareremo a riprodurci senza la copula... Il mondo cui io tendo è il mondo della perfetta purezza.
Mente pura e minerali puri. Quali sono le cose che offendono maggiormente la dignità dell'uomo?
Sono la nascita, la procreazione e la morte. E se stessimo per scoprire che l'uomo può vivere senza
queste cose?"»

Si scopre quindi, che i reali intenti della N.I.C.E. sono lucidi, quanto mai spietati: «”Al momento,
è la questione più importante: da quale parte si sta, dalla parte dell’oscurantismo o da quella dell’or-
dine. Sembra proprio che noi come specie avremo finalmente il potere di costruirci un futuro sbalor-
ditivo, di controllare il nostro destino. Se veramente le si darà mano libera, la scienza potrà impa-
dronirsi della razza umana e rimetterla in funzione rendendo l’uomo un animale veramente efficiente.
Altrimenti. be’, sarà la nostra fine”. “Prosegua. Questo mi interessa moltissimo”. “L’uomo deve farsi
carico dell’uomo, il che significa, tenga bene a mente, che certi uomini devono farsi carico di tutti gli
altri - il che è un ulteriore motivo per trarne tutto il vantaggio possibile, appena si può. Lei e io vo-
gliamo essere quelli che si fanno carico, non quelli di cui ci si fa carico, questo è chiaro”. “A cosa si
riferisce in particolare?”. “Cose semplici e ovvie, tanto per cominciare. la sterilizzazione dei disabili,
l’eliminazione delle razze arretrate (non vogliamo pesi morti), la riproduzione selettiva. Poi l’educa-
zione vera, compresa l’educazione prenatale. La vera educazione infallibilmente trasforma chi la
subisce in ciò che essa si prefigge, senza che il soggetto in questione o i suoi genitori possano farci
nulla. Naturalmente si tratterà all’inizio di un influsso soprattutto psicologico, ma alla fine arriveremo
al condizionamento biochimico e alla diretta manipolazione del cervello.”»
45

Vengono persino spiegati anche dei meccanismi ad oggi utilizzati nella nostra società.

«È curioso che la parola ‘esperimento’ sia mal accetta, ma non la parola ‘sperimentale’. Non si
devono fare esperimenti sui bambini; ma se ai cari ragazzini si offre istruzione gratuita in una scuola
sperimentale collegata alla N.I.C.E., tutto andrà benissimo!”»

La Caduta, pertanto, inizia sempre con queste modalità.

«È l’inizio di un potere assoluto.»

Lewis, come era suo solito fare, e così come fece il suo collega e amico Tolkien, inserì nei suoi
romanzi tutta una serie di conoscenze mistiche ed esoteriche di primordine, spiegandoci in chiave
fantastica la vera realtà del nostro pianeta, e la storia di tutto il Sistema Solare, passata, presente e
futura, e che vede al centro, specie nel libro secondo della sua Trilogia, il pianeta Venere.

«”Questo Istituto servirà a sconfiggere la morte o a sconfiggere la vita organica, se preferisce. È


la stessa cosa. Servirà a trarre fuori dal bozzolo della vita organica che ha protetto l’infanzia della
mente l’Uomo Nuovo, l’uomo che non morirà. L’uomo artificiale, indipendente dalla Natura. Le of-
friamo di diventare uno di noi. È l’inizio di un potere assoluto; vivrà per sempre”. “È l’inizio dell’Uomo
Immortale e dell’Uomo Ubiquo” disse Strik “L’Uomo sul trono dell’Universo: è questo il vero signifi-
cato di tutte le profezie.”»

(Dettagli della superficie di Venere ripresi il 3 marzo del 1982 dalla sonda Sovietica Venera 13)
46

Lezione 5

5.1 - Metamorfosi alchemica del Sistema Solare

Nella Bibbia è scritto come Dio abbia creato il Mondo e tutto ciò che contiene mediante l’utilizzo
della parola, della propria volontà ed azione. Nel momento in cui si fece Verbo, tutto fu ed iniziò a
prendere forma:

«I detti del Signore sono puri, argento raffinato nel crogiuolo, purificato nel fuoco sette volte.»
(Salmo 12,7)

D’Argento raffinato, "koesoef saruf", è il trono dal quale scende a saziare con il soffio "onde dai
cieli lo Spirito di Dio si effonde sulla Terra”, ed era ritenuto essere di Orione (“il Trono del Potente”),
il cui luogo di origine o di dimora, s’intravede persino nel suo stesso nome ebraico. Inoltre, anche le
Pleiadi assunsero un ruolo egemone nella grande economica mitologica, perché visibili ad occhio
nudo, affascinavano con il numero Sette, come Sette sono le Stelle visibili ad occhio nudo del loro
piccolo ammasso. E il Sette (7) è sempre stata la sigla del Creatore del Cielo, perché Sette sono
anche le Stelle dei carri dell’Orsa Maggiore e Minore.

«Crea l'Orsa e l'Orione, le Pleiadi e i penetrali del cielo australe.»


(Giobbe 9,9)

Ma Sette sono anche le Stelle che compongono la Costellazione di Boote e dove si trova la stella
Arturo, la più luminosa dopo Sirio.

«Puoi tu annodare i legami delle Pleiadi o sciogliere i vincoli di Orione? Fai tu spuntare a suo tem-
po la stella del mattino, puoi guidare l'Orsa insieme con i suoi figli?»
(Giobbe 38,31s)

Così come si puoi ritenere che le Costellazioni principali, in quanto essere le più visibili ad occhio
nudo, siano composte di almeno Sette Stelle, considerato il numero magico della manifestazione di-
vina.

«Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione, cambia il buio in chiarore del mattino e stende sul giorno
l'oscurità della notte...»
(Amos 5,8)

Il numero Sette, pertanto, diventa importante nella Bibbia, in quanto sembra indicare il sigillo della
divinità, della sua perfezione e completezza, accompagnando e sottolineando molte vicende in cui
si manifesta Dio e la sua volontà. Per i credenti, sia ebraici che cristiani, la cifra perfetta e sacra per
eccellenza in cui veniva rappresentato lo Spirito, era proprio il numero Sette (“Che fa Egli presente
così come tutte le cose che provengono da Lui”). Quando Mosè ritornò dal monte Sinai, prima di
erigere il suo santuario, comandò quanto segue:

«Queste sono le cose che il Signore ha comandato di fare: Per sei giorni si lavorerà, ma il settimo
sarà per voi un giorno santo, un giorno di riposo assoluto, sacro al Signore. Chiunque in quel giorno
farà qualche lavoro sarà messo a morte. Non accenderete il fuoco in giorno di sabato, in nessuna
delle vostre dimore.» (Esodo 35,1-3)

Nell’antica visione misterica, al Sette era attribuita la “Luce dentro che agisce” e “che si completa”,
pur restando “in esilio”. Questa convinzione portò gli ebrei a non accendere il fuoco nelle loro case
il sabato, perché erano convinti che ci sarebbe stata la compagnia speciale dello Spirito di Dio ad
illuminarli (le donne ebree accendono i lumi al tramonto del venerdì prima che arrivi il sabato, come
ritualistica vuole). Ma era anche connesso con una sorta di “giuramento” (e la ritualistica questo esi-
47

geva), tanto che Gesù spiazzò i suoi discepoli quando disse, come se volesse tirare giù dal trono
quel Dio che invece si portavano appresso da secoli e secoli:

«Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi
giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra,
perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re. Non giurare
neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece
il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.» (Matteo 5,33-37)

Per gli antichi, è chiaro che Dio


o il Creatore, viveva oltre i Cieli,
immaginati come Sfere, ognuna
relativa ad uno dei più grandi Cor-
pi Celesti allora conosciuti e che
erano proprio Sette (almeno quelli
visibili): Luna, Mercurio, Venere,
Sole, Marte, Giove e Saturno. Da
questa visione nacquero i Sette
giorni della Settimana, i Sette gior-
ni della Creazione, le Sette Luci
della Lampade della Menorah41 e-
braica (e che ne rappresenta la fe-
de), oltre alle Sette Sfere (oltre il
Settimo Cielo).
Il numero Sette, quindi, permea
l’intero creato, a tal punto che se-
condo il pensiero tomistico-aristo-
telico, ripreso anche da Dante nel-
la Divina Commedia, si diceva che
c’era una Sfera detta “Primo Mobi-
le” che guidava il moto delle stes-
se Sfere, in quel Cielo che i greci
chiamavano Empireo.
Infatti, secondo la teologia cat-
tolica medievale, il Cielo Empireo (dal greco antico empýrios, cioè «infuocato», «ardente») è il più
alto dei Cieli possibili, luogo della presenza fisica di Dio, dove risiedono gli Angeli e le Anime accolte
in Paradiso. Esso si inquadra nell’ambito del sistema geocentrico che fino alla pubblicazione delle
teorie rivoluzionarie di Niccolò Copernico (1543), era unanimemente accettato da tutti gli studiosi
dell’epoca. Secondo il modello di Aristotele, la Terra era al Centro dell’Universo, circondata da Otto
Sfere concentrice (i Cieli), in ciascuna delle prime Sette, aveva sede una pianeta (nell’ordine, con-
tando dall’interno verso l’esterno), come sopra descritto, mentre nell’Ottava Sfera si collocavano le
Stelle. Tolomeo, ispirandosi alla dottrina di Aristotele, introdusse anche un Nono Cielo42, il Primum
Mobile, che non conteneva alcun astro visibile, ma originava ed alimentava il movimento di tutti gli
altri Otto Cieli.
Al di sopra dei Nove Cieli, i filosofi islamici e cristiani aggiunsero un ulteriore spazio esterno, detto
appunto Empireo, dove supponevano che risiedessero Dio e le sue schiere angeliche, insieme alle
Anime dei Beati. Esso, tuttavia, non fu immaginato come un’ulteriore Sfera, poiché il Centro era Dio
stesso, inoltre, non era limitato in dimensione e né costituito di Materia come gli altri Cieli, quanto
piuttosto inteso come un luogo Spirituale e fuori dal Tempo e dallo Spazio; mentre i Nove Cieli erano
in perpetuo movimento, come una sorta di orologio cosmico che scandiva lo scorrere inesorabile

41 Nella tradizione ebraica il candelabro a 7 luci, detto Menorah, è il simbolo della fede eternamente accesa,
fatto costruire da Mosè su ordine di Geova. Le Sette Luci ardevano per rappresentare simbolicamente la fede
eternamente accesa.
42 I teologi medioevali ripresero questa visione, rafforzata dal fatto che il numero nove era considerato "per-

fetto" in quanto espressione della Trinità di Dio (9 = 3×3).


48

delle epoche, l’Empireo era eternamente immobile. La più celebre descrizione di questa Sfera è
quella data da Dante nella Divina Commedia, il quale, dopo l’attraversamento dei Nove Cieli, che
occupa i primi 29 canti (su 33) del Paradiso, il poeta immagina di salire in questo ultimo, che Beatrice
così gli descrive:

«Noi siamo usciti fore


del maggior corpo al ciel ch'è pura luce:
luce intellettüal, piena d'amore;
amor di vero ben, pien di letizia;
letizia che trascende ogne dolzore.
Qui vederai l'una e l'altra milizia
di paradiso, e l'una in quelli aspetti
che tu vedrai a l'ultima giustizia.»
(Paradiso XXX, 38-45)

Si tratta di una sorta di anfiteatro dotato di sedili a forma di Rosa, dove siedono le Anime del Pa-
radiso che sono candide; esse sono fatte di pura luce, simbolo di beatitudine divina, tanto che è qua-
si difficile riconoscerne i tratti. Le Anime sono disposte in due gruppi: quelle che credono nel Cristo
Venturo, e quelle che credono nel Cristo Venuto.

«In forma dunque di candida rosa / mi si mostrava la milizia santa / che nel suo sangue Cristo fe-
ce sposa.» (Paradiso - Canto trentunesimo, vv. 1-3)

Nel XXXI Canto del Paradiso, l’ultima guida di Dante, nientemeno che Bernardo di Chiaravalle,
spiega che al Centro della Rosa risiede la Vergine Maria, il cui fascio di luce è più forte di quello di
tutte le altre Anime. Vicino a lei siedono i beati di fama più grande, tra i quali vengono menzionati
Francesco d’Assisi, sant’Agostino d’Ippona, san Benedetto da Norcia, mentre nella parte superiore
della Candida Rosa, i beati sono divisi in due parti uguali: una composta dalle Anime che si sono
salvate per propria volontà, mentre dall’altra vi siedono le anime dei bambini o di quelli che non sono
riusciti a raggiungere l’età della ragione43.

43 San Bernardo, infine, innalza una preghiera alla Vergine per concedere la grazia al poeta, a cui si unisco-

no le invocazioni dei beati, ottenendo infine il miracolo e la liberazione da ogni peccato.


49

Nell’esoterismo, il numero Sette, è considerato il numero della perfezione, espressione privile-


giata della mediazione tra l’Uomo e la Divinità, della manifestazione dei poteri occulti, ed in quanto
tali sono descritti con la simbologia della Luna Sepolta. Sette sono anche le lettere dell’alchemico
V-I-T-R-I-O-L, ovvero di «Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem»: “visita
l’interno della Terra e rettificando scoprirai la pietra nascosta.” Nell’Alchimia Ermetica si fa riferimento
a vari materiali di lucentezza vitrea, particolarmente forti ed acidi, come il vetriolo, l’acido solforico44,
il solfato metallico, mentre sul piano metaforico indica il procedimento alchemico della Grande Opera
e che consiste nel dissolvimento degli aspetti più duri ed egoistici della persona, così come avviene
negli elementi fisici più grossolani, per poi ricomporli in forma nobile e giungere alla realizzazione
della Pietra Filosofale.
Il termine nasce come acronimo formato dalla prime lettere di un celebre motto dei Rosacroce,
comparso per la prima volta nell’opera Azoth del 1613 dell’alchimista Basilio Valentino, una frase
che sovente continuava anche con le parole «Veram Medicinam», ad indicare che la pietra è anche
il «vero rimedio» per ogni malattia; in tal caso l'acronimo diventava V-I-T-R-I-O-L-U-M. Fondamen-
talmente l’espressione indicava l’esigenza di scendere nelle viscere della Terra, ovvero in quegli
anfratti più oscuri dell’Anima per conseguire l’iniziazione, operando quella trasmutazione della Ma-
teria nello Spirito, permettendo di conseguire infine l’immortalità e riportare alla luce la vera Sapienza
(Sophia), attraversando le diverse fasi dell’Opera Alchemica: Nigredo, Albedo e Rubedo. A tal fine,
occorreva un acido come il vetriolo in grado di sciogliere la Pietra più dura, o l’elemento più elevato
ed incorruttibile, per provocare la trasformazione più radicale e conferire, quindi, un potere totale ed
illimitato45. La singolarità di questo processo è che si otteneva il colore verde46, risultante dalla distil-
lazione dell’acqua di vetriolo e dello zolfo, come testimoniato da un trattato arabo del XIII secolo.

«Si distilli il vetriolo verde in una cucurbita o in un alambicco, usando il fuoco come strumento;
prendendo quanto ottenuto dal distillato lo si troverà chiaro con una sfumatura verdastra.»

L’acqua celeste si sposa con il fuoco infernale, convertito e messo al servizio della Grande Opera
in tutta la sua purezza, dove il numero Sette rappresenta il Tutto, in quanto Creazione. Ogni cosa
esiste, sia essa di origine umana, animale, vegetale, minerale, etc., e contiene nella sua unità due
opposti, senza che non vi sia il suo opposto, dato che la Legge della Dualità è quella che domina
l’Universo, condizionando la nostra stessa esistenza. Così nascono i Sette Sacramenti, i Sette Spiriti
di Luce e i Sette Pianeti ad essi collegati e che come controparte hanno i loro Sette Principi Negativi.
Sette erano anche le divinità supreme dell’assemblea che componeva il pantheon sumero degli
Anunnaki47. Il Sette esprime la globalità, l’universalità, l’equilibrio perfetto e rappresenta un ciclo
compiuto e dinamico, simbolo magico e religioso della perfezione, perché sovente legato al com-
piersi dello stesso ciclo lunare (l’elemento egoico della Terra), mentre ogni pianeta ha un’orbita cre-
scente e una decrescente, perciò una vera e propria doppia polarità.

44 Lo stesso acido che compone l’atmosfera di Venere.


45 La Massoneria si è poi riappropriata dell'acronimo VITRIOL, facendone non solo un semplice invito al
compimento di un percorso, ma anche un codice esoterico da decifrare per il conseguimento alle loro inizia-
zioni. La parola VITRIOL si trova impressa infatti sulla parete della camera oscura massonica, cioè del gabi-
netto di riflessione dove deve sostare il nuovo adepto prima di essere infine affiliato.
46 Sul colore verde è singolare anche una legge enunciata da Gustavo Rol. Nato a Torino nel 1903 da fa-

miglia agiata, cresce in un ambiente ricco e colto, si laurea in legge nel 1933 sebbene prediliga l‘arte e la
musica. Secondo i suoi racconti e le testimonianze, la sua svolta spirituale avviene attraverso l’incontro con
un “personaggio misterioso” a Marsiglia. Durante la sua vita studiò e affinò proprie qualità spirituali mettendole
al servizio del prossimo; muore a Torino il 22 settembre 1994. Egli sosteneva di aver scoperto “una tremenda
legge che lega il colore verde, la quinta musicale ed il calore. Ho perduto la gioia di vivere. La potenza mi fa
paura. Non scriverò più nulla.” A parte le sue abilità “magiche” per le quali è ancora oggi noto al grande pub-
blico, egli comprese che l’Uomo può divenire la “porta” che mette in comunicazione il mondo della Materia e
dello Spirito. Attraverso i suoi studi, i talenti e la pratica, aveva appreso come farsi porta ed espressione di
questo Spirito nel mondo materiale, e per fare ciò utilizzava i tre canali percettivi più comunemente usati:
visivo, uditivo e cinestesico per “accordare” il proprio corpo con la psiche in una precisa vibrazione.
47 Anunnaki (o Anunnaku), ossia “Figli di An”, indicava l’insieme degli Dèi sumeri costituitisi in una vera e

propria assemblea divina, presieduta da An, Dio del Cielo. Tale assemblea si componeva di Sette Divinità
Supreme, di cui facevano parte i quattro principali Dèi Creatori: An, Enlil, Enki e Ninhursag, a cui si aggiunge-
vano anche Inanna, Utu, Nanna, ed ulteriori 50 divinità minori detti Igigi.
50

Se sommiamo cabalisticamente il numero 7 (1+2+3+4+5+6+7=28) esso ci dà inizialmente la som-


ma 28, cioè 2 e 8, simbolo del binario (il 2 sono l’Uomo e la Donna, il Bene e il Male, il Positivo e il
Negativo, etc.), mentre l’8 rappresenta l’infinito, la lemnisca, la continua lotta degli opposti per il
raggiungimento dell’equilibrio, quindi simboli del continuo evolversi della vita per mezzo dei contrari.
Ma il numero sommato (2+8) dà come risultato 10, a sua volta formato da 1 e 0, che rappresen-
tano il bastone e la coppa dei Tarocchi, il Tutto e il Nulla, il pieno e il vuoto, il primo principio attivo e
fecondatore, lo Spirito di Dio che si libra sulle acque, mentre il secondo, il principio passivo delle
acque primordiali fecondate nel buio delle tenebre, nel caos primordiale, l’Oroborus; perché tutto na-
sce nel buio, che non è altro che luce nera, conosciuta dagli ermetici come la luce astrale, la stessa
dove è immerso il bambino nell’utero materno prima di venire al mondo durante i nove mesi di ge-
stazione, anche se, al settimo mese (analogamente ai Sette giorni della Creazione), è già formato
completamente.
Platone definiva il Sette come l’Anima Mundi, i Greci lo chiamarono “Venerabile” e lo associarono
all’adorazione di Selene (la Luna) e di Apollo (il Sole), in quanto Sette erano anche le corde della
sua Lira (i Pianeti sino ad allora conosciuti). Nella cultura ellenica, inoltre, l’armonia tra il pensiero e
l’azione veniva indicata mediante i Sette Sapienti: Cleubulo con in mano la bilancia, Pittaco con un
ramo d’ulivo, Solone con un teschio, Pariandro in posa calma e rassegnata, Talete colui che non sa
ma che infinitamente sa, Chilone con in mano uno specchio, Biante che solleva una gabbia conte-
nente un uccello.

«All’isola della Trinacria arriverai: là numerose pascolano le vacche e le pingue grecci del Sole,
Sette armenti di vacche e Sette belle greggi di pecore…» (Omero, Odissea, XII, 127-133)

Sette erano anche le Meraviglie del Mondo Antico: il Colosso di Rodi, i Giardini pensili di Babilo-
nia, il Mausoleo di Alicarnasso, il Tempio di Diana in Efeso, il Faro di Alessandria, il Giove Olimpico
di Fidia e le Piramidi d’Egitto. Il Sette è il numero della Piramide, formato dal Triangolo (3) su un
Quadrato (4), in quanto presso gli Egizi simboleggiava la vita, il perfezionamento della natura umana
che congiunge in sé il ternario divino con il quaternario terrestre, essendo formato dall’unione della
Triade con la Tetrade, indicante la pienezza della perfezione, partecipando così alla duplice natura
fisica e spirituale, umana e divina: centro invisibile, Spirito ed Anima, di ogni cosa.
Nella Cabala ebraica, l’uomo viene rappresentato in una triplice essenza, seppure la sua evolu-
zione è settemplice: vegetativa, nutritiva, sensitiva, intellettiva, sociale, naturale e divina. Il Settimo
giorno dalla nascita avveniva la circoncisione dei maschi, Sette volte venivano assolti i peccati (le
Sette Virtù da opporre ai Sette Vizi Capitali) e sempre il Sette era il simbolo della perfezione che
contiene il loro simbolo etnico: la Stella di David. Così come nella tradizione islamica, il Sette viene
ripetuto più volte nel Corano, in quanto si sostiene che il Mondo sia sorretto da Sette Colonne pog-
gianti nientemeno che sulle spalle di un Gigante! Sette sono i giri che il musulmano deve fare per
conquistarsi il Paradiso intorno alla Kaaba, dove è sigillata la pietra che l’Arcangelo Gabriele inviò
ad Abramo ed Ismaele, quando sulla base dei disegni dati da Dio, vi costruirono il Tempio.
Ed anche i Romani non potevano essere da meno, perché quando disegnarono il recinto della
Città che sarebbe diventata la Capitale48 del Mondo antico occidentale, non vi ammisero che Sette
Colline conosciute come i Sette Colli (Capitolino, Esquilino, Palatino, Quirinale, Viminale, Celio e
Aventino), lasciando le altre fuori dalle mura. Governata da Sette Re (Romolo, Numa Pompilio, Tullo
Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo), leggenda vuole che la
città divenne Eterna per Sette oggetti ivi condotti perché di buon auspicio: l’Ago di Cibele (una pietra
nera adorata in Asia minore); la Quadriga donata dalla città di Veio; le Ceneri di Oreste, figlio di
Agamennone; lo Scettro di Priamo, re di Troia; il Velo di Ilione; la Statua di Atena Pallade; i Dodici
Scudi Ancili. Roma, inoltre, è la Citta delle Sette Chiese e con le Quattro Basiliche maggiori: S. Pietro
in Vaticano, S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore, S. Paolo fuori le mura, e le tre Basiliche
minori di S. Sebastiano sull’Appia, S. Croce in Gerusalemme e S. Lorenzo fuori le mura.
I Pitagorici lo considerarono simbolo di Santità, secondo la loro scuola il Sette era “amitor” (Senza
Madre) in quanto non prodotto fattoriale ma generato solo dall’Unità. Considerato “Veicolo di Vita”
in quanto formato dal Quattro (Azione, Materia, Anima, Femminile) più il Tre (Spirito, Sapienza, Ma-

48 Costantinopoli, la seconda capitale dell’Impero, quello d’Oriente, venne anch’essa costruita su Sette Col-
line.
51

schile). Pitagora, studioso per eccellenza e promulgatore della Scienza dei Numeri, applicata anche
alla Numerologia, era solito scegliere i suoi discepoli tra quelli che avevano il Sette nel loro profilo
numerologico, in quanto persone riservate ed introspettive, con un forte intuito ed una predisposizio-
ne al misticismo.
Nel più tardo Medioevo, le Arti e le Scienze Muratorie venivano divise in due gruppi: un Trivio,
detto letterario, composto di “tre discipline propedeutiche” quali Grammatica, Logica e Retorica, ed
un Quadrivio, detto scientifico e composto da “quattro scienze fondamentali”, quali Aritmetica, Geo-
metria, Musica, Astronomia. Queste Sette Discipline venivano poi sintetizzate in Sette Parole: Lin-
gua (Grammatica), Ratio (Logica), Tropus (Retorica), Numerus (Aritmetica), Angulus (Geometria),
Tonus (Musica) e Astra (Astronomia).

Il Sette pertanto è ovunque perché Sette sono anche


i: Plessi o Chakra principali che costituiscono la Monade
umana; Sette sono le ossa del tarso nel piede dell’uomo
(calcagno, astragalo, scafoide, cuboide, tre cuneiformi);
Sette sono le vertebre cervicali, Sette sono gli attributi di
Allah (vita, conoscenza, potenza, volontà, udito, vista e
parola); Sette sono gli Dèi della felicità del Buddhismo e
dello Shintoismo, come Sette è il numero buddhista del-
la completezza; Sette erano gli Dèi principali del Pan-
theon della Mesopotamia, gli Anunnaki; Sette furono an-
che le disastrose piaghe (o colpi) d’Egitto; Sette sono i
doni dello Spirito Santo nella fede Cristiana (sapienza,
intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di
Dio); Sette sono i Sacramenti del Cristianesimo Catto-
lico Romano (battesimo, cresima o confermazione, eu-
caristia, penitenza, unzione dei malati, ordine sacro, ma-
trimonio); Sette sono le Chiese dell’Asia dedicatarie del-
l’Apocalisse (Ap1:4), destinatarie di Sette Lettere, con-
tenute nei cap.2 e 3 (Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira,
Sardi, Filadelfia, Laodicea); Sette sono i Sigilli la cui rot-
tura annuncerà la Fine del Mondo, seguita dal suono di
Sette Trombe suonate da Sette Angeli, quindi dai Sette
Portenti e infine dal versamento delle Sette Coppe del-
l’Ira di Dio (Giovanni, Apocalisse); Sette furono i veli
della Danza di Salomè; le opere di Misericordia; Sette
sono i Rishi, i saggi profeti della tradizione dell’Induismo;
l’Uomo stesso è definito dai buddisti come Saptaparna,
la “Pianta a Sette Foglie”, attribuendogli Sette Principi; il Buddha individuò Sette Mondi o gradi Maya,
costituito ciascuno da Sette Cerchi di evoluzione di una catena planetaria formanti 49 (7x7) stazioni
di esistenza attiva; nel Libro Tibetano dei Morti questi 49 (7×7) giorni sono rappresentati dal segno
dello Swastika (7×7), sulle corone delle Sette Teste del Serpente dell’Eternità dei Misteri, mentre
nella mitologia indiana, al mistero dei Sette Fuochi, si accompagnano in genere le 49 (7×7) suddivi-
sioni o 49 (7×7) aspetti del Fuoco; Sette sono i colori dell’Arcobaleno, ovvero il numero di bande di
frequenza in cui viene suddiviso lo spettro visibile (Giallo, Arancione, Rosso, Verde, Blu, Indaco e
Violetto); Sette sono le note musicali e le chiavi musicali (Violino, Soprano, Mezzosoprano, Con-
tralto, Tenore, Baritono e Basso); Sette sono i giorni della settimana, i mesi di 31 giorni (gennaio,
marzo, maggio, luglio, agosto, ottobre e dicembre); Sette sono i simboli usati per esprimere i numeri
romani (I, V, X, L, C, D, M); Sette è anche sinonimo di Governo dei Cicli e dei Ritmi della Vita Umana;
Sette sono gli anni della carica a Presidente della Repubblica Italiana; le uova di gallina si schiudono
dopo 21 giorni (7x3), quelle di anatra si aprono dopo 28 giorni (7x4), quelle di struzzo dopo 56 giorni
(7x8), le cagne partoriscono dopo 63 giorni dalla fecondazione (7x9), le mucche dopo 280 giorni
(7x40); dopo il concepimento, l’embrione rimane tale per Sette settimane per poi trasformarsi in feto,
il movimento di questo processo è seguito da un periodo di 126 giorni (7x18), il periodo di variabilità
di 210 giorni (7x30), quello della gestazione si chiude in 280 giorni (7x40), o volendo usare una
diversa misura temporale, il parto avviene dopo Sette Lune Nuove; in fase di sviluppo e crescita, il
52

bambino intorno al settimo mese pone i primi denti da latte, e attorno ai Sette anni ottiene i denti de-
finitivi, ogni Sette anni completa un ciclo fisico e psico-fisico, a 14 (7x2) lascia lo stadio della pubertà,
e a 21 (7x3) completa il suo sviluppo; nell’ambito dei processi patologici umani, molte malattie si
risolvono nell’arco di Sette giorni.

Ovviamente anche un libro enigmatico, quanto mai iniziatico ed esoterico, come la Bibbia, non
poteva non contenere riferimenti al numero Sette, così importanti da non destare qualche sospetto.
Perché in una sommaria descrizione, emergono i seguenti riferimenti:

• Noè condusse nell'Arca Sette coppie di ciascun animale, dopo Sette giorni arrivò il Diluvio (Ge-
nesi 7,2-10), a fine evento, quando inviò fuori la colomba passarono periodi di Sette giorni pri-
ma del suo ritorno (Genesi 8,10);
• Il Settimo giorno dalla nascita avveniva la circoncisione dei maschi secondo il patto di Dio con
Abramo (Genesi 17);
• Abramo concluse un patto con Abimelech con Sette agnelle (Genesi 21,28-31);
• Da Labano, Giacobbe lavorò Sette anni per Lia e altri Sette per Rachele (Genesi 29,18-20;
29,27), così come la settimana nuziale durò Sette giorni (Genesi 29,28); Labano infine inseguì
Giacobbe per Sette giorni (Genesi 31,23);
• Giacobbe si prostrò Sette volte prima di incontrare Esaù (Genesi 33,3);
• Le vacche grasse e le vacche magre, come le spighe piene e le spighe vuote dei sogni del fa-
raone, sono Sette (Genesi 41,17-24);
• In Numeri, Balaam, che vuole maledire Israele, iniziò propiziandosi gli eventi col numero Sette
e fece costruire Sette altari per sacrificarvi Sette giovenchi e Sette arieti (Numeri 23,1);
• Chi tocca un cadavere d'uomo è immondo per Sette giorni. (Numeri 19,11);
• Nel libro dell'Esodo, Madian ebbe Sette figlie e Mosè ne prese una in moglie (Esodo 2,16-21);
• La Pasqua dura Sette giorni (Esodo 11,15);
• Il Settimo anno è l'anno sabbatico, al pari del sabato (Esodo 23,10-12);
• Mosè attese sei giorni sul monte Sinai e il Settimo, il Signore lo chiamò dalla nube (Esodo 24,
16);
• La Lampada del Tempio, la "Menorah", come abbiamo già visto è composta di Sette bracci (E-
sodo 25,37).
• L'investitura dei sacerdoti dura Sette giorni (Esodo 29,37);
• Nel Libro del Levitico dal secondo giorno di Pasqua: "Conterete Sette settimane complete"
(Levitico 23, 15-18) e Sette settimane dopo la Pasqua verrà celebrata la Pentecoste, ed in tale
festa saranno sacrificati Sette agnelli;
• La Festa delle Capanne è nel settimo mese e dura Sette giorni (Levitico 23,33-6);
• Nei riti va fatta Sette volte l'aspersione dell'altare (Levitico 8,11);
• Alla nascita di un maschio la madre è impura per Sette giorni (Levitico 12,2-3);
• Dopo l'esame da parte di un sacerdote il sospetto affetto da Lebbra restava isolato per Sette
giorni, se nel mentre la piaga non si sarebbe allargata, veniva isolato per altri Sette giorni prima
di essere poi dichiarato guarito (Levitico 13,5-6);
• La donna mestruata restava “impura” per Sette giorni dalla fine del flusso del sangue (Levitico
15,19);
• Il calendario liturgico era strutturato in un ciclo di Sette solennità o feste (Levitico 23), nel set-
timo anno si celebrava un riposo completo per la terra e il Giubileo era modellato sulla solennità
di Pentecoste: "tu conterai sette settimane di anni..." (Levitico 25);
• Dopo “Sette settimane di anni” veniva celebrato il Giubileo, il settimo mese, il giorno stesso
del "Kippur", al decimo giorno del settimo mese al suono della tromba "Shofar", veniva, inoltre,
proclamata la liberazione di tutti gli abitanti del paese (Levitico 25,8-10);
• La cerimonia d'ordinazione dei sacerdoti dura Sette giorni (Esodo 29,35 e Levitico 8,33; 9,1)
ed il sacerdote deve compiere Sette aspersioni di sangue per l'espiazione dei peccati (Levitico
4,6);
• Per prendere Gerico, Sette sacerdoti portarono Sette trombe di corno d'ariete, lo Shofar, da-
vanti all'Arca e il settimo giorno girarono intorno alla città per Sette volte suonando le trombe,
e ad un gran grido del popolo entrarono senza ostacoli nella città nemica (Giosuè 6,4-5);
53

• Re Davide consegnò su loro richiesta Sette nipoti di Saul ai Gaboniti e furono impiccati (2Sa-
muele 21,5);
• Nel libro de Proverbi si legge:
"Sei cose odia il Signore, anzi Sette gli sono in abominio: occhi alteri, lingua bugiarda, mani
che versano sangue innocente, cuore che trama iniqui progetti, piedi che corrono verso il male,
falso testimone che diffonde menzogne e chi provoca litigi tra fratelli." (Proverbi 6,16-19)
"Non si disapprova un ladro se ruba per soddisfare l'appetito quando ha fame; eppure se è
preso, dovrà restituire Sette volte..." (Proverbi 6,30)
"Chi odia si maschera con le labbra, ma nel suo intimo cova il tradimento; anche se usa espres-
sioni melliflue, non ti fidare, perché egli ha Sette abomini nel cuore." (Proverbi 26,25)

In questa prolissa disamina sul significato esoterico del numero Sette non poteva certo mancare
anche l’industria cinematografica, e tanti sono i film che nel proprio titolo menzionano il numero Set-
te, da: Sette Anime, Sette minuti dopo la mezzanotte, Sette orchidee macchiate di rosso, Settembre,
Seven, Seven swords, Sette anni in Tibet, Sette opere di misericordia, Settimo Cielo, I Magnifici Set-
te, I Sette Samurai, Seven Sisters, etc. Ma uno in particolare menzionerò all’interno di questo studio,
“Sette Spose per Sette Fratelli” (Seven Brides for Seven Brothers), un film del 1954 diretto da Stan-
ley Donen.
La trama di per sé alquanto semplice, racchiude però dei significati nascosti e reconditi di ben
altra levatura. La vicenda si svolge sulle montagne di un villaggio dell’Oregon, attorno al 1850, dove
vivono i Sette fratelli Pontipee: Adamo, Beniamino, Caleb, Daniele, Efraim, Filidoro e Gedeone (tutti
nomi che sono già un programma); sono giovani e scapoli, preoccupati a spaccar legna e menar le
mani che non di mettere la testa a posto e trovar moglie. Adamo, il fratello maggiore e figura “pa-
terna”, si rende conto che una presenza femminile è indispensabile, specie per tenere in ordine e
pulita la baita, poter mangiare dei pasti decenti e adeguati, perciò decide quando scende al villaggio
a valle, per acquistare provviste, di trovare la sua futura moglie. La ricerca lo porta a conoscere
Milly49 (altro nome che è tutto un ulteriore programma), cameriera dell’osteria-locanda del luogo e
tra i due scocca il colpo di fulmine, coronato da immediate nozze.
Durante il viaggio per fare ritorno alla dimora dei Pontipee, Adamo però non rivela alla moglie del-
l’esistenza dei fratelli e non appena mette piede in casa, si rende conto della situazione, ovvero che
Adamo sembrerebbe averla sposata solo per fare da sguattera a lui e a i fratelli; solo la decisione di
Adamo di dormire su di un albero per lasciarla tranquilla, la persuade dei suoi veri sentimenti e pro-
positi di rispetto per lei. I primi giorni comunque non sono facili, i fratelli Pontipee non sono stati e-
ducati alle buone maniere a tavola ed alla pulizia, ma la buona cucina della ragazza, le sue drastiche
e decise maniere iniziano a dare dei risvolti positivi sul comportamento di tutti, insegna persino ai
fratelli del marito a ballare e a corteggiare una donna.
Arriva il giorno della festa del paese, Milly, Adamo e i sei fratelli scendono a valle, dove è in pro-
gramma tra l’altro una gara di velocità con tutti i giovanotti della zona, e che consiste nella costru-
zione di un magazzino in legno. La competizione è preceduta da un ballo, durante il quale i Pontipee
dimostrano la propria abilità alle ragazze appena conosciute e cominciano a corteggiarle. La costru-
zione del magazzino, il cui premio è una vitellina, finisce però in una gigantesca rissa, dove i Ponti-
pee, invisi agli altri giovani del villaggio per le conquiste fatte in così breve tempo, specie tra le
ragazze, finiscono tutti a fare a pugni con la conseguenza che il magazzino, appena costruito, finisce
distrutto e sul terreno rimangono molti di essi pesti e malconci.
Tornati alla baita, Milly si prende subito cura dei cognati feriti, ma i fratelli non hanno altro pensiero
che per le ragazze incontrate al villaggio, dato che ognuno di loro, nel cuore, ne ha già scelto la
propria futura sposa. Neanche uno tra loro osa però farsi avanti, poiché tutti sanno che i genitori
delle fanciulle non approverebbero mai al matrimonio con dei rozzi taglialegna di montagna. Adamo,
tra il comprensivo e lo scanzonato, ricorda ai fratelli la storia del Ratto delle Sabine e li istiga a
regolarsi allo stesso modo, dicendo loro che una volta che le ragazze saranno state rapite e portate
lì alla baita, i genitori non potranno più opporsi alle loro unioni; ovviamente raccomanda di rapire
anche il pastore per regolarizzare subito le coppie.

49 Deriva dal cognome latino Camillus. Presso i romani, il camillus e la camilla erano fanciulli di condizione

libera che assistevano il sacerdote durante i riti sacri. Il termine ha probabilmente origine etrusca e fenicia.
54

I fratelli si mettono subito all’opera e in breve portano a compimento il vero e proprio “sequestro”,
ma non riescono a prendere anche il pastore. Le ragazze si trovano così a svernare nella casa dei
Pontipee, poiché il passo tra le montagne che porta al villaggio è stato ostruito durante la fuga da
una valanga e che solo il disgelo primaverile potrà liberare. Milly, furente se la prende con Adamo,
il quale aveva istigato i fratelli nell’illecito atto, le ragazze a loro volta sono furenti con i sei fratelli, i
quali vengono poi sfrattati di casa da Milly ed obbligati a dormire nella stalla per rispetto delle ra-
gazze; frattanto Adamo, rabbioso per le terribili parole della moglie, decide di andarsene in una baita
in alta montagna ad attendere la primavera.
I mesi passano, le ragazze iniziano a conoscere sempre meglio e ad apprezzare i sei uomini e
finalmente arriva anche la primavera. I genitori delle rapite, non appena le condizioni lo permettono,
radunano concittadini, cavalli ed armi per andare a riprendersi le figlie. I Pontipee, ricondotti alla
ragione da Adamo prendono la decisione di riconsegnare le ragazze in modo pacifico, onde evitare
che il tutto possa degenerare. Ma le ragazze non intendono più ritornare indietro e si impuntano per
restare con i loro compagni, tanto che i Pontipee devono acciuffarle per ogni dove, in modo da po-
terle caricare sul carro e riportarle a casa, nel mentre, durante la generale colluttazione, arrivano
anche i parenti che credono che le loro figlie siano vittime di violenza e bloccano i sei ragazzi, tenen-
doli sotto il tiro dei fucili.
Proprio nel momento critico si sente il pianto della figlioletta di Milly e Adamo, il pastore che ha
accompagnato i concittadini, spera che non sia di una delle ragazze e le incoraggia a confessare,
ma le sei fanciulle rispondono insieme che il figlio è di tutte loro. Non potendo perciò sapere di chi
sia figlia, le nozze riparatrici si rendono quindi obbligatorie per le sei ragazze e i sei fratelli.

Una classica storia del cinema americano degli anni ’50 del XX secolo, eppure racchiude in sé
tutta una serie di conoscenze di non poco conto. A cominciare dalla numerologia del titolo “Sette
Spose per Sette Fratelli”, così come i vari personaggi scelti, che ricalcano nomi di ben chiara con-
notazione ebraica, o di origine semitica, compreso quello di Milly, deus ex machina della situazione,
in qualità di sposa sacra, iniziale Vestale (come le future ragazze), ovvero quella figura che nella
Roma antica, era la sacerdotessa addetta al Culto di Vesta, custode del Fuoco Sacro e legata allo
stato di verginità come stato sacrale. Ella si cura del fuoco domestico, e come una novella Iside,
porta conoscenza e novità nell’ambiente chiuso e grezzo dei fratelli Pontipee, rendendoli uomini
anche interiormente, e non solo come rudemente sanno esserlo nel quotidiano.
55

Inoltre, come non vedere anche la correlazione tra le Sette Stelle della Costellazione dell’Orsa
Maggiore (il Grande Carro), con le Stelle delle Pleiadi, con i Sette Sposi per le Sette Sorelle? Dubhe,
Merak, Phecda, Megrez, Alioth, Mizar e Alkaid (o Benetnash) sono le Stelle che compongono l’Orsa
Maggiore, come Asterope, Merope (o Dryope o Aero), Elettra, Maia, Taigete, Celaeno ed Alcyone
sono le Stelle che compongono la Pleiadi. Ma i Sette astri del Grande Carro, nell’antica Valle del-
l’Indo, incarnavano anche i Rishi, gli ispiratori dei Veda, le guide della prima epoca successiva al
Diluvio Universale. Si scopre, così, che: Kratu incarna o proveniva dalla stella Dubhe, Pulaha dalla
stella Merak, Pulastya dalla stella Phecda, Atri dalla stella Megrez, Angiras dalla stella Alioth, Vashi-
sta dalla stella Mizar e Bhrigu dalla stella Alkaid.
La loro conoscenza vivente, inoltre, trovava un suo riflesso proprio nelle Pleiadi, l’ammasso stel-
lare della Costellazione del Toro, da quella porta cosmica (o Portale) da cui si dice, il nostro Sistema
Solare entrò nell’Universo. Nell’antica iniziazione indiana, le Pleiadi, per l’appunto, erano le spose
delle Sette Stelle dell’Orsa Maggiore, chiamati i Sette Sposi delle Sette Sorelle, proprio come nel
celebre film sopradescritto; così i santi Rishi sono sposati alla Conoscenza che proviene direttamen-
te dalle stesse Stelle.
Questi due sistemi stellari sono anche due tappe di un ben preciso percorso iniziatico, concepito
guardando alle Costellazioni come una mappa del mondo animico-spirituale, in cui la via è tracciata
verso dei gradi di Coscienza Superiore. Secondo il Mito, infatti, si procedeva: dalle Sette Stelle
dell’Orsa Maggiore (chiamati i Sette Fratelli), alle Sette Stelle del Toro, le Pleiadi (chiamate le Sette
Sorelle), e superate queste Sette Coppie si arrivava a Sirio, la Stella dell’Ottava Superiore; Sirio, per
gli Egizi, era Iside, la sposa di Osiride (la Costellazione di Orione). Iside, che per la tradizione cri-
stiana diverrà poi la divina Sophia della Gnosi, era “portata, condotta o infusa” sulla Terra dagli stessi
Rishi, i quali incarnando gli insegnamenti del Manu50, avevano intessuto nel proprio Corpo Eterico
la saggezza delle Origini.

La Svastica e il grande Asterismo dell’Orsa Maggiore

Dalle osservazioni delle mappe celesti cinesi, si descrive la rotazione antioraria stagionale della
Costellazione dell’Orsa Maggiore attorno alla Stella Polare. Questa rotazione antioraria, nella tradi-
zione antica cinese, era descritta simbolicamente dalla Ruota o dalla Croce Uncinata, simbologia
che ad esempio è osservabile anche sulle grandi statue d’oro dei Buddha, al centro del petto, cioè
nell’area del dantian medio, dimostrando un ben evidente rapporto analogico tra la Stella Polare e
un simbolo passato alla storia e meglio conosciuto come Svastica.
La Svastica è un antico simbolo religioso e propizio per le culture originarie dell’India, quali il Gia-
inismo, il Buddhismo e l’Induismo. Il termine italiano deriva direttamente dal sostantivo maschile san-
scrito svastika e che, tra gli altri significati, indica appunto il disegno di una croce greca con i bracci
piegati ad angoli retti. Simbolo dai significati augurali o di fortuna, fu utilizzato da molte culture sin
dal Neolitico, mentre in epoca più recente fu adottato, nei primi decenni del XX secolo, dal Partito
Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (Partito Nazista) come simbolo dello stesso, finendo poi
per essere inserito nella bandiera ufficiale della Germania Nazista, risultando, - anche dopo la fine
della Seconda Guerra Mondiale, a seguito del suo utilizzo improprio -, oggetto di aspre controversie,
in quanto sovente considerato un segno di riconoscimento all’apologia della stessa politica nazista51.

50 Manu (dal sanscrito man=pensare), in mitologia e nell'esoterismo, è un essere divino, un maestro di

antica sapienza, identificato da René Guénon come il «Re del Mondo», dotato di intelligenza cosmica e con-
trapposto all'oscuro «Re di questo Mondo». Guénon vede in Manu una figura ricorrente in diverse religioni e
resoconti spirituali, appartenente perciò alla tradizione integrale dell'umanità, a una sorta di dottrina universale:
egli lo ritrova ad esempio nel Manu degli hindu, nel Menes degli Egizi, nel Menew dei Celti, nel Minosse dei
Cretesi, nel Melchisedek ebraico.
51 Il 20 febbraio del 2008 a coronamento di un solenne incontro a Gerusalemme, il Gran Rabbinato d'Israele

e l'Hindu Dharma Acharya Sabha, hanno siglato una dichiarazione comune al cui punto 7 si dà atto che la
svastika è un antico e importante simbolo religioso dell'Induismo, che nulla ha a che fare con il nazismo e che
l'utilizzo passato di tale simbolo da parte di questo regime è stato assolutamente improprio.
56

In sanscrito (svastí, sostantivo neutro; benessere, successo, prosperità, con il suffisso -ka, dimi-
nutivo, per cui traducibile letteralmente come "è il bene" o "ben-essere”), è un termine che possiede
numerosi significati, indicando tra gli altri: “un bardo che dà il benvenuto”, “un incrocio di quattro
strade”, “l’incrociare le mani o le braccia sul petto”, “un bendaggio a forma di croce”, il “gallo”, “un
oggetto prezioso a forma di corona triangolare”, ma anche un “oggetto propizio”, tanto che il dise-
gno/simbolo della croce greca con i bracci piegati ad angoli retti, per la maggior parte degli orienta-
listi, rappresentava il disco solare.

I primi reperti che includono l’utilizzo di questo simbolo risalgono al Neolitico, anche se ne esi-
stono di più rari risalenti anche al tardo Paleolitico. Si ritrova in numerosi frammenti di ceramica nel
Khuzestan (Iran) e anche nella scrittura utilizzata dalla Cultura di Vinča nell'Europa neolitica; atri
ritrovamenti risalgono all'Età del Bronzo nella zona di Sintashta in Russia, e all'Età del Ferro nel Ca-
ucaso settentrionale e in Azerbaigian. Fatto sta che dall’anno 1000 a.C in avanti, tale simbolo iniziò
a diffondersi ovunque, tanto che ancora oggi è possibile trovarlo: nei mosaici delle ville di romane di
Ercolano come nel sarcofago di Stilicone, collocato sotto il pulpito della Basilica di Sant’Ambrogio a
Milano, sul tetto interno del Duomo di Reggio Calabria come negli scudi di alcuni guerrieri sanniti in
dipinti risalenti al IV secolo a.C., come elemento decorativo vascolare sugli antichi vasi greci, come
nei vasi nuragici in Sardegna, sino sull’altare della Chiesa Cattedrale di Santo Stefano Protomartire
di Concordia Sagittaria (VE), etc.
In ambito buddhista il simbolo della Svastika indica il Sole e in Tibet è anche simbolo dell’Infinito,
nella corrente cinese assume anche il significato di “10.000” o di “miriadi” o comunque di “infinito o
di tutte le cose” e che si manifesta nella Coscienza di un Buddha; per tale ragione è spesso posto
nelle statue rappresentati un Buddha, sul petto all’altezza del cuore. Nel Buddhismo Zen rappresenta
il “Sigillo della Mente-Cuore del Buddha” (busshin-in), trasmesso da un patriarca all’altro nei vari li-
gnaggi di questa scuola, mentre in ambito giainista, il simbolo della Svastika è uno dei ventiquattro
segni propizi e simbolo del Settimo Arhat e della presente avasarpiṇī. In ambito induista, il simbolo
destrorso è associato al Sole e con la ruota del Mondo che gira intorno ad un centro immobile (la
Stella Polare), e quindi emblema di Visnu (e di conseguenza anche di Kṛṣṇa).
Secondo l’esoterista francese René Guénon, esso rappresenterebbe il “Principio Originante” del-
la realtà nella sua azione vivificante-ordinante, sia inteso come il Verbo greco o l’Om indù, e in quan-
to tale simbolo del “Polo” o del “Centro”, analogo all’Axis Mundi (Asse del Mondo), del principio ina-
movibile presente in tutte le cose e che si esprime in esse originandole, e al quale alla fine tutte le
cose ritornano.
La Svastica fu persino in uso presso popolazioni diverse, ad esempio in molte tribù di nativi ame-
ricani come i Navajo (seppure la eliminarono dalla loro tradizione durante la Seconda Guerra Mon-
diale, rifiutando ogni accostamento all’ideologia nazista), dimostrando comunque un’affinità di base
culturale talmente antica, sicuramente portata nelle Americhe dall’Asia, durante le prime ondate mi-
gratorie preistoriche.
57

Ma fu grazie alla Teosofia52 che verso la fine del XIX secolo iniziò la sua odierna notorietà, perché
da essa venne ripresa e adottata da parte del nascente Partito Nazista Tedesco e successivamente
dal Terzo Reich. Prima dell’avvento del Nazismo, la Svastica era già utilizzata in Germania dai mo-
vimenti che si rifacevano ad una certa ideologia etno-nazionalista Völkisch. Il primo utilizzo del sim-
bolo ariano fu quello di Adolf Lanz che durante un viaggio in India acquistò, nei pressi di Calcutta,
un anello che recava inciso il simbolo. Lanz, poi, se ne servì per comporre la bandiera del suo Ordo
Novi Templi53, un’organizzazione parareligiosa che, mescolando esoterismo orientale ed antisemiti-
smo, propugnava la tesi dell’ariosofia e lo sterminio ebraico.
Poi fu la volta di Guido von List che adottò la Svastica come simbolo neopagano, idea seguita
anche dalla Società Thule. Dietro suggerimento del dr. Friedrich Krohn della Thule-Gesellschaft, Hi-
tler, a sua volta, adottò la Svastica all’interno di un cerchio come simbolo del suo partito nel 1920.
La presentazione del simbolo da parte nazisti come simbolo proprio distintivo, scandalizzò vari mem-
bri del Collège de Sociologie parigino, tra i quali Georges Bataille e Pierre Prévost.

«... tanto più che noi tutti provavamo disgusto per tutto ciò che poteva venire dall'hitlerismo. A
scandalizzarci in questo movimento era, tra l'altro, l'accaparramento della croce uncinata che evoca
l'idea di sacralizzazione. Questo simbolo solare Bataille lo avrebbe adottato volentieri, per il signifi-
cato eracliteo che gli riconosceva. Ma il movimento hitleriano nella sua totalità era giudicato da lui e
da noi tutti come un mostruoso tentativo schiavista, mirante a una ricomposizione "monocefala" della
società.»

In ultima analisi, e non meno importante, c’è da considerare anche l’importanza della lettera G,
appartenente all’alfabeto moderno, in cui c’è ben poco di sacro o di esotericamente tradizionale, in
quanto non può essere considerato un vero e proprio simbolo, seppure nei rituali massonici risulti
essere la lettera iniziale della parola God (Dio), oltre ad essere ritenuta, secondo alcuni studiosi,
sostituiva ed omologa dello iod ebraico, simbolo dell’Unità e del Principio. Seppure diversi massoni
non concordino con certi parallelismi, è innegabili che un tempo, i massoni inglesi identificavano le
tre lettere che compongono la parola G-O-D con le iniziali delle tre parole ebraiche Gamel, Oz,
Dabar, ossia Bellezza, Forza e Saggezza54.
In un antichissimo catechismo del grado massonico di Compagno, alla domanda “What does that
G denote?”, la risposta esatta era “Geometry or the Fifth Science”, ovvero la Scienza che occupa il
quinto posto nella enumerazione tradizionale delle Sette Arti Liberali. La lettera G, pertanto, si riferiva
a Dio (designato in questo grado), come Grande Geometra dell’Universo, e la Geometria Sacra è
noto a tutti quanto fosse importante per la Massoneria.
Ma una particolarità di non poco conto è data dalla lettera G dell’antico alfabeto greco, ovvero del
suo equivalente (gamma), rappresentato con questo segno: Γ. Inoltre, risulta interessante dal punto
di vista del simbolismo massonico, specie a causa della sua forma che altro non è quella di una
Squadra, la stessa che con il Compasso diverrà uno dei simboli distintivi della Massoneria. Strumenti
che servono a tracciare il quadrato, simbolo della Terra, e la croce simbolo dei Quattro Elementi. Ed
è proprio nell’antica lettera greca (e non alla G latina) a cui dobbiamo fare riferimento per compren-
dere il significato della Svastica.
Lo stesso catechismo ci pone di fronte ad un’altra ed enigmatica questione, perché in un ulteriore
passo del rito si dice: “By letters four and science five This G aright doth stand, in a due art and pro-
portion”. Si fa riferimento a quattro lettere, oppure ci si riferisce ancora all’iniziale della parola Geo-
metria (Geometry), che deve essere quadruplicata per trovarsi correttamente in rapporto con la po-
sizione centrale della lettera stessa? Difatti, componendo quattro lettere Γ ad angolo retto gli uni ri-
spetto agli altri, in altre parole accostando e ribaltando quattro squadre equilibrate, si ottiene una
croce (una Swastika, appunto) che simboleggia la reale sede del Sole centrale, celato nell’Universo.

52 L'imperatrice Aleksandra Fëdorovna Romanova, imprigionata nella casa Ipat'ev ad Ekaterinburg, prima
dell'uccisione tracciò una Svastica sull'intelaiatura di una finestra. Il fatto può trovare spiegazione dall'interesse
dell'imperatrice per la Teosofia.
53 La bandiera gialla dell'ordine mostrava una svastica rossa attorniata da quattro gigli araldici dello stesso

colore, trattandosi, probabilmente, del primo uso documentato della Svastica come emblema dell’era moder-
na.
54 René Guenon, Simboli della Scienza Sacra e La Grande Triade.
58

(Lo Svastika giainista)

Nella Massoneria alla croce così costruita ed equilibrata si applicano le attribuzioni di polarità per
poter raggiungere la perfetta Conoscenza di Sé, il perfetto equilibrio dinamico tra vita interiore ed
esteriore. Inoltre, la parte uncinata della Svastica, rappresentando l’asterismo celeste della Costel-
lazione dell’Orsa Maggiore, così come si presenta nelle quattro posizioni differenti, durante la sua
rivoluzione intorno alla Stella Polare nel corso di un anno (nel susseguirsi delle quattro stagioni), di-
mostra come al Centro si trovi la perfezione assoluta (o la dimora di Dio?)
59

5.2 - L’influenza di Orione

Uno dei libri più noti del ricercatore italiano, Mauro Biglino55, porta un titolo emblematico, Il Dio A-
lieno della Bibbia. Seppure non abbia mai tentato di capire la provenienza di questo “Alieno”, e no-
nostante le varie sollecitudini da parte di altri studiosi o tra i suoi lettori, è giunto infine ad una inte-
ressante ipotesi e che, in parte, potrebbe spiegare la provenienza di questa presunta stirpe di domi-
natori Extraterrestri.

«C'è un'indicazione del termine Nephilim, un termine plurale, che indica però una razza diversa
rispetto a quella degli Elohim. Il termine Nephilà al singolare, in aramaico, indica la Costellazione di
Orione. Questo mi fa venire in mente quello che c'è scritto nei testi vedici, dove si parla di una pos-
sibile provenienza di questi qui da una zona vicino alla Stella Betelgeuse, che corrisponde alla spalla
destra della Costellazione di Orione, una zona che veniva chiamata Mrigashira - ovvero, testa d’an-
tilope - perché il cacciatore Orione se la portava sulla spalla destra. Quindi ci sarebbe una corrispon-
denza tra dei possibili Orioniani, diciamo così, o comunque provenienti da quella parte del cielo, in-
dicati dal termine Nephilim, e almeno una parte di quegli altri che in Oriente dicevano provenire dalla
stessa porzione di cielo. È solo un'ipotesi, ovviamente. Tra l'altro Betelgeuse - ed è una cosa molto
curiosa - deriva dall'arabo Ibn al-Jawzā. Ma Beth El significa Casa di El, cioè Casa dell'Elohim. Chis-
sà...»

Gli ebrei conoscevano le Pleiadi come Stelle del Mattino, mentre le Sette Stelle di Orione erano
denominate le Stelle della Sera. Entrambi i termini sono più volte menzionati in numerosi passaggi
della Bibbia, sia nell’Antico come nel Nuovo Testamento, e sovente sempre coniugate al plurale
(quindi intese come una moltitudine di Stelle).

«Quando le stelle del mattino cantavano tutte insieme e tutti i figli di DIO mandavano grida di gio-
ia?» (Giobbe 38:7)

Per gli antichi ebrei, le Pleiadi erano quelle Stelle in grado di indurre le piante del raccolto a gene-
rare e a secernere la linfa in primavera, necessaria per riportarle in vita e crescere; Orione, per con-
tro, era la Costellazione alla quale era attribuito il potere di arrestare il processo di secrezione della
linfa delle piante, e trattenerla al loro interno durante l’autunno e l’inverno. Pertanto, vedevano grazie
all’influenza di queste Stelle la potenza del Signore, poiché era Lui che aveva creato sia le Pleiadi
che Orione, affinché avessero quel preciso incarico sul nostro pianeta.

«Puoi tu unire e legare assieme le Pleiadi, o sciogliere la cintura di Orione?» (Giobbe 38:31)

La Bibbia si riferiva ai corpi celesti come portatori di segni da parte dell’Onnipotente, ma ne proi-
biva in ogni caso l’adorazione, o anche l’averne un’eccessiva considerazione; addirittura nell’Antico
Testamento viene persino menzionata la pena di morte nei confronti di chi adora le Stelle. Non è da
escludere che il disinteresse occidentale, specie giudaico-cristiano per le faccende celesti che per
secoli, sino al Rinascimento, attanaglierà l’Occidente, sia dovuto a questo ordine dall’alto, che co-
stringeva l’Umanità ad occuparsi delle sue faccende meramente terrestri e quotidiane, rispetto a
quelle che avvenivano nelle più alte sfere, regioni di esclusivo appannaggio del divino.

«Se, contemplando il sole che risplendeva e la luna che procedeva lucente nella sua corsa, il mio
cuore, in segreto, si è lasciato sedurre e la mia bocca ha posato un bacio sulla mano (misfatto anche
questo punito dai giudici, perché avrei difatti rinnegato il Dio che sta lassù).» (Giobbe 31:26-28)

55 Mauro Biglino (1950) è un saggista e studioso italiano di storia delle religioni, ha collaborato come tradut-
tore di ebraico biblico ad un progetto editoriale delle Edizioni San Paolo curato da Piergiorgio Beretta, ese-
guendo la traduzione interlineare di diciassette libri del testo masoretico della Bibbia, ovvero i 12 Profeti minori
e le 5 Meghilot, traduzioni raccolte nei due volumi I profeti minori e I cinque Meghillôt. Mauro Biglino è noto
per lo più come autore di libri sulla Bibbia in cui da un lato contesta l'attendibilità della stessa, mentre dall'altro
desume da essa ipotesi inseribili nel filone del neoevemerismo, della paleoastronautica e del creazionismo
non religioso; è inoltre coautore di fumetti basati sui suoi libri. Ha interpretato sé stesso in Creators: The Past,
film non ancora uscito che vede la partecipazione di Gérard Depardieu e Bruce Payne.
60

Tuttavia, la Bibbia presenta un


sorprendente numero di riferimen-
ti ai vari Segni del Cielo, sia l’An-
tico che il Nuovo Testamento pre-
sumono, in ogni caso, che ciò che
avviene lassù sia di estrema im-
portanza e che certi fenomeni po-
trebbero essere dei messaggi ri-
guardanti eventi che qui accado-
no; si pensi alla Stella cometa ap-
parsa ai Magi durante la nascita di
Gesù. Gli studiosi ritengono che il
Libro di Giobbe sia il testo biblico
più antico (o tra i più antichi), dun-
que è di estremo interesse sco-
prire che in questo testo si parlava
con rispetto delle Stelle e delle
Costellazioni, affermando che era
stato Dio a collocarle lì dove si tro-
vano, facendo così riferimento alle
stesse Costellazioni che conosciamo oggi. E se prendiamo in considerazione altre antiche opere
letterarie, oltre alla Bibbia, ci appare evidente di poter affermare che la configurazione di queste
Costellazioni, e di ciò che rappresentano, risalga a tempi molto più anteriori di qualsiasi antico testo
esistente e di qualsiasi civiltà del nostro passato.

«Egli (Dio) ha fatto le Pleiadi e Orione, muta l'ombra di morte in aurora e rende il giorno oscuro
come la notte...» (Amos 5:8)

Nel libro di Giobbe, il protagonista attribuisce a Dio la creazione delle Costellazioni.

«È il creatore dell’Orsa [Ursa Major] d’Orione, delle Pleiadi, e delle misteriose regioni del cielo a-
ustrale.» (Giobbe 9:9)

Anche nel capitolo 38, sempre di Giobbe, Dio dice più o meno la stessa cosa. È Lui, non l’uomo,
unico Sovrano del Creato, in particolare delle Costellazioni.

«Puoi tu stringere i legami delle Pleiadi, o potresti sciogliere le catene d’Orione? Puoi tu, al suo
tempo, far apparire le costellazioni…» (Giobbe 38:31-21)

Altri autori biblici, in decine di altri passi, affermano persino che è stato Dio ad aver così disposto
le Stelle nel Cielo.

«Levate gli occhi in alto e guardate: Chi ha creato queste cose? Egli le fa uscire e conta il loro
esercito, le chiama tutte per nome; per la grandezza del suo potere e per la potenza della sua forza,
non ne manca una.» (Isaia 40:26)

Così come colpiscono diversi passi scritti, sempre su questo tema, da Davide, figlio di Iesse. Egli
è una figura di spicco della Bibbia, valoroso guerriero, amato e riverito sovrano, a sua volta profon-
damente devoto verso Dio, estremamente intelligente, poetico, scrittore di buona parte del Libro dei
Salmi ed alcuni dei più bei passi della Scrittura; fra questi, il Salmo 19, in cui magnifica l’opera di Dio
nelle Stelle, e dove egli dice che esse portano un messaggio.

«I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annuncia l’opera delle sue mani. Un giorno ri-
volge parole all’altro, una notte comunica conoscenza all’altra. Non hanno favella, né parole; la loro
voce non s’ode, ma il loro suono si diffonde per tutta la Terra, i loro accenti giungono fino all’estremità
del mondo…» (Salmi 19:1-4)
61

Davide sosteneva che le Stelle comunicano e che è lecito ricercare dei segni negli astri, come ad
esempio avviene in Deuteronomio.

«… alzando gli occhi al cielo e vedendo il Sole, la Luna, le Stelle, tutto l’esercito celeste, tu non
ti senta attratto a prostrarti davanti a quelle cose e a offrire loro un culto, perché quelle sono le cose
che il SIGNORE, il tuo Dio, ha lasciato per tutti i popoli che sono sotto tutti i Cieli.» (Deuteronomio
4:19)

Svariate volte, nella Bibbia, il popolo ebreo ignora questo avvertimento, perché invece di guardare
alle Stelle per riconoscerne i segni, spesso sono finiti oltre la linea proibita del Cielo, ritenendo che
esse influenzassero le vicende umane, iniziando così a adorare le cose create invece del loro Crea-
tore. Nel secondo Libro dei Re, nel capitolo 23, il re Giosia, guida persino un risveglio nella Spiritua-
lità degli Ebrei e un ritorno a adorare soltanto Dio, dopo che essi si erano persi nei meandri dell’astro-
logia, alla stregua di veri e propri Magi persiani, e che avevano portato sin dentro il Tempio.

«Il re [Giosia] ordinò al sommo sacerdote Chilchia, ai sacerdoti del secondo ordine e ai custodi
della porta d’ingresso, di togliere dal tempio del SIGNORE tutti gli arredi che erano stati fatti… per
tutto l’esercito celeste, e li bruciò fuori di Gerusalemme…» (2 Re 23:4)

Nonostante questi divieti, profetiche sono le parole di Gesù, quando nel Vangelo di Luca, dice:

«Vi saranno segni nel Sole, nella Luna e nelle Stelle…» (Luca 21:25)

Il gigantesco cacciatore Orione (Orion, Orionis), figlio di Poseidone, accompagnato dai due cani,
il Cane Maggiore e Minore che sempre lo seguono, viene sovente raffigurato con la spada appesa
alla cintura, mentre brandisce una clava con la mano destra, mentre con la sinistra regge una pelle
di leone che utilizza come scudo. Orione è una Costellazione che padroneggia nel cielo invernale
sino all’inizio della Primavera, ed è in assoluto la più grande e la vistosa del Cielo, anche grazie ad
un gran numero di Stelle brillanti; per la sua posizione, nei pressi dell’equatore celeste, è visibile in
entrambi gli emisferi.
La Stella più brillante della Costellazione è Rigel (dall'arabo rijl, cioè "piede", oppure Rig56- El57),
la Settima Stella in ordine di luminosità, anche se erroneamente viene chiamata Beta. Alfa infatti è
la celebre Stella Betelgeuse e che corrisponde alla spalla destra del cacciatore, ed il suo nome,
sempre di origine araba (ibt al jauzah), significa "ascella del gigante" o, come sostiene Mauro Biglino,
Beth El, in ebraico, significa Casa di El, cioè Casa dell'Elohim. La spalla sinistra, invece, è Bellatrix,
da latino “la guerriera”, mentre la testa è Meissa occasionalmente chiamata Saiph, con un nome di
derivazione araba, che significa “spada del gigante”, è invece è la Stella Kappa Orionis, anche defi-
nita dagli antichi “la gamba destra del gigante”. Saiph è anche il nome di un’ulteriore Stella, Sigma
Orionis, che indica la spada di Orione; la celebre cintura, infine, è formata da tre note Stelle allineate:
Alnitak, Alnilam e Mintaka.
Orione è il figlio di Poseidone, Dio del Mare (o dell’Oceano Universale), e di Euriale, figlia del re
Minosse. Orione acquisì dal padre la capacità di muoversi sulle acque, ed era così alto che riusciva
a camminare sul fondo del mare tenendo la testa fuori dall'acqua (o dall’emisfero terrestre setten-
trionale o boreale); si dice fosse anche un bravo cacciatore ed era molto amato dalle donne, tanto
che secondo il Mito fu la causa della sua morte, avendo suscitato l’ira di un Dio, geloso del suo suc-
cesso con il gentil sesso.

56 Ríg o Rígr è una divinità norrena descritta nell'Edda poetica come "vecchio e saggio, potente e forte"

(norreno Rígsþula - Canto di Ríg, analogamente come ai Rig-Veda indù). L'introduzione in prosa racconta che
Ríg è un altro nome per Heimdall, il quale è chiamato padre dell'umanità nel Völuspá. Rig vagando per Miðga-
rðr divenne il progenitore ancestrale delle tre classi della società umana: il più giovane dei quali, Jarl il Principe,
originò a sua volta Kon il Giovane (in norreno "Kon ungr"), considerato come il primo re ("konungr") immortale.
Il terzo Ríg fu il vero il primo vero monarca e definitivo fondatore dello stato, come appare nella Rígsthula ed
in altri due lavori ad esso connessi; in tutte e tre le fonti il dio è legato con due primitivi re danesi, chiamati
Danr e Danþír.
57 Nel pantheon vedico si citano 33 milioni di Dèi.
62

Secondo un’altra leggenda, Orione si innamorò di un gruppo di Ninfe, le Pleiadi, rappresentate


nel cielo dall’omonimo ammasso stellare della confinante Costellazione del Toro, in quanto a causa
della rotazione terrestre, Orione sembra letteralmente rincorrerle. Secondo la mitologia, le Sette fi-
glie di Atlante e di Pleione, generate sul monte Cillene in Arcadia, mentre si trovavano in Beozia con
la madre, incontrarono il cacciatore che, innamorandosi di tutte loro, le inseguì per quasi cinque an-
ni, finché le Sette Sorelle non si mutarono dapprima in colombe, poi in Stelle, così come nel cielo
sembrano da lui inseguite insieme dai suoi due cani. Un giorno il gigante si recò sull’isola di Chio,
dove chiese al re Enopione la mano della figlia Merope, e lui acconsentì a patto che prima, Orione,
uccidesse tutte le belve (le razze o civiltà rivali) che infestavano il regno; nonostante Orione riuscì
nell’impresa, il re non onorò la sua promessa.
Orione, infuriatosi, dopo essersi ubriacato violentò la giovane Merope, e il re sconvolto lo fece
accecare e lo bandì da Chio, seppure il gigante riuscì a fuggire e raggiungere Lemno, dove chiese
al giovane Cedalione, aiutante nella fucina di Efesto, di mettersi sulle sue spalle e di guidarlo ad o-
riente, dopo che un oracolo gli aveva predetto che avrebbe riacquistato la vista andando incontro al
Sole nascente (nel nostro Sistema Solare); e così avvenne. Giunti a destinazione, i miracolosi raggi
del Sole all’alba gli restituirono la vista, ma il Sole e l’Aurora, alla vista del cacciatore s’invaghirono
di lui ed il loro dio Apollo, furioso, tramò un inganno. Invitò la sorella Artemide (Diana, Dèa della Cac-
cia), anche lei innamorata di Orione, ad
una gara di tiro con l’arco e le indicò co-
me bersaglio, nel mare, un grosso pe-
sce scuro così lontano da non poterne
riconoscere l’identità. La Dèa colpì mor-
talmente il bersaglio ma, avvicinandosi,
ella scoprì che il pesce era in realtà il
proprio amato cacciatore (che nuota nel-
l’Oceano Universale ma diviso a metà
dall’equatore celeste), che stava nuo-
tando nei paraggi; distrutta dal dolore,
Artemide stessa lo immortalò tra le Co-
stellazioni58.

Un’altra variante del mito, vede Zeus


ed Ermes (il Padre degli Dèi e il suo/lo-
ro Messaggero) nelle sembianze di due
viandanti che, presentandosi alla casa
di un vecchio contadino, esaudirono il
suo desiderio di avere un figlio, in cam-
bio di ospitalità e di potersi sfamare con
l’unico bue che gli era rimasto. Dopo l’o-
locausto dell’animale, i due Dèi dissero
al vecchio di portare davanti a loro la
pelle dell’animale di cui si erano appena
nutriti, vi sparsero il loro sperma (sem-
bra anche che vi urinarono sopra) ed in-
fine gli ordinarono di seppellirlo. Dalla
terra, poi, nacque un bambino che Ireo,
il vecchio, chiamò Urione (dal verbo gre-

58 Secondo un'altra versione della storia, invece, Artemide, rimasta offesa perché il possente cacciatore a-

veva osato ritenersi migliore della Dèa nella caccia, fece tremare la terra dalla quale uscì uno Scorpione. La
bestia si intrufolò nella capanna del cacciatore durante la notte e ne attese il ritorno fino all'alba. Il mostro con-
tinuò a rimaner nascosto fino a quando il nostro eroe ed il suo fido compagno, Sirio, non presero sonno, stanchi
per un'intensa battuta di caccia; infine, lo Scorpione sferrò il suo attacco letale con il suo pungiglione avvele-
nato, prima su Orione e poi su Sirio che si era svegliato ed aveva tentato di difendere il padrone. Come non
ravvisare l’emergere della Costellazione dello Scorpione (che sorge ad est mentre Orione tramonta ad ovest),
con lo stesso artropode, il Seth della mitologia egizia, che rincorre ed uccide il fratello/rivale Osiride/Orione,
protetto e riportato poi in vita dalla consorte Iside/Sirio.
63

co ourein, che significa oltre ad “urinare”, anche “spargere il liquido seminale”). Insomma, gli Dèi
utilizzarono il loro sperma e i propri escrementi (o scarti genetici) per creare una nuova creatura,
proprio come similmente, anche J.R.R. Tolkien fa trasparire nel suo romanzo, “Il Signore degli A-
nelli”, quando appaiono per la prima volta gli Uruk-hai59.

«... Siamo noi gli Uruk-hai lottatori! Siamo stati noi ad uccidere il grande guerriero, noi a prendere
i prigionieri. Noi siamo i servitori di Saruman il Saggio, la Bianca Mano: la mano che ci dà carne u-
mana da mangiare. Siamo venuti da Isengard e vi abbiamo guidati fin qui, e saremo noi a scegliere
la via del ritorno che più ci piace. Io sono Uglùk. Ho parlato.»
(Il Signore degli Anelli, Le due torri - J.R.R. Tolkien)

Nei romanzi di Tolkien, gli Uruk-hai sono una razza di Arda, l’Universo immaginario creato dallo
scrittore inglese, e sono una particolare razza di Orchi della Terra di Mezzo. Appaiono durante la
Terza Era servendo Sauron, seppure sia attribuita la loro creazione allo stesso stregone bianco,
Saruman, avendone creato una ulteriore variante, rendendoli più alti, resistenti, di carnagione bruna,
con gli occhi obliqui, aventi grandi mani e gambe massicce. Difatti, Aragorn, non riuscì a determi-
narne la razza quando li vide per la prima volta alle pendici di Amon Hen, Barbalbero ipotizzò che
Saruman, per crearli, avesse incrociato Orchi ed Umani, con una probabile mistura di terra, fango
(o scarti genetici di altre razze); secondo altri erano mezzi-orchi o uomini-goblin.

«Gli Hobbit rimasero con gli Isengardiani: una banda scura e tetra, un'ottantina di grossi orchi
dalla carnagione nera e con occhi obliqui, muniti di grandi archi e di corte spade con lama larga.»
(Il Signore degli Anelli, Le due torri - J.R.R. Tolkien)

Gli Uruk-hai sono, insomma, guerrieri d'élite, creati ai soli fini bellici, dato che posseggono resi-
stenza e forza maggiori rispetto ai comuni orchi. Acquistano un ruolo importante quando Saruman,
li crea con lo scopo di creare un suo personale e potentissimo esercito, in grado di distruggere il
popolo di Rohan, e poi di deporre Sauron dal suo ruolo di Oscuro Signore. Infatti, le analogie con
l’antica Mesopotamia sono molteplici, tra le quali ricordiamo la rielaborazione della figura mitologica
sumera, Uru-anna, o "Luce del Cielo", dove la somiglianza fonetica ne sarebbe la conferma. Intorno
a questo termine si sono sempre mossi degli interessi mitologici di non poco conto che lega il sume-
rico (Ku) o KUR uruarauwannas, ellumo o Elam in accadico, Arawannis che in lingua Hittita significa
libero o nobile, o persino tra gli Swahili, dove la parola libertà è proprio uhuru60. Ma Ahura significa

59 Singolare la scelta del nome di Tolkien, del tutto simile alla famosa città mesopotamica di Uruk (la sumerica
Unug, la biblica Erech, la greca Orchoë e l'odierna Warka), antica città dei Sumeri e successivamente dei
Babilonesi, situata nella Mesopotamia meridionale. Nel IV millennio a.C. il piccolo insediamento divenne una
vera e propria città, la prima per cui sia possibile utilizzare questo termine, in quanto possedeva una stratifi-
cazione sociale e la specializzazione in diversi lavori. Uruk si trova oggi 20 chilometri ad est del fiume Eufrate,
in una regione paludosa a circa 230 chilometri a sud-est di Bagdad. Secondo una moderna ipotesi, tuttora
puramente speculativa, il nome "Iraq" deriverebbe da Uruk, e nel suo momento di massimo splendore, arrivò
a contare una popolazione di circa 80.000 abitanti che vivevano in 6 chilometri quadrati racchiusi da una
doppia cinta di mura lunga 10 chilometri, rappresentando, al suo tempo, la più grande e popolosa città al
mondo, oltre che una delle più antiche nella storia dell'uomo. Il sito di Uruk fu occupato per almeno 5.000 anni,
dal tardo periodo di Ubaid (4000 a.C.) fino all'inizio del III secolo a.C, già dalla fine del IV millennio a.C. era
uno dei più grandi insediamenti urbani della Mesopotamia, se non del mondo. L'origine della città sembra
derivare da due primi insediamenti, successivamente conosciuti come Kullab (anche Kulaba o Kullaba) ed
Eanna. Queste due zone della città erano caratterizzate da ampie piattaforme costruite con mattoni di fango
aventi in cima i templi dedicati al culto: Kullab era l'area dedicata al dio maggiore del pantheon, Anu, nell'Eanna
vi erano invece i templi associati al culto della dèa dell'amore Inanna (Ishtar). Uruk, fin dai primi tempi, ebbe
un ruolo molto importante nella storia politica e religiosa del paese. Agli inizi del III millennio a.C. la città, sotto
la terza dinastia di Uruk, estese la sua egemonia su Babilonia e divenne un grande centro di culto del dio Anu,
e in generale uno dei maggiori centri religiosi del regno. Fu, inoltre, la città dello storico re Gilgameš, eroe della
famosa epopea («Colui che scrutò i confini del mondo alla disperata ricerca della vita eterna.», le cui mura, si
dice, fossero state costruite proprio da questo re, oppure dal suo predecessore Enmerkar (il fondatore della
città secondo la Lista dei Re), che fece anche costruire il famoso tempio di Eanna, dedicato al culto di Inanna
(Isthar).
60 Uhura, è persino il cognome di un famoso personaggio femminile di Star Trek.
64

anche Sole (e Libertà), così come Ahura Mazda è una delle divinità principali del pantheon zoroa-
striano, similmente a Varuna della Valle dell’Indo (Uru-w-an o Uru-anna), l’Orione o la “Luce del
Cielo” della Sumeria che uccise il Toro Gutana e dove il Mito di Mitra (che uccide il Toro), incarna il
Dio Sole, antenato dei popoli curdi e dravidici. Ma Orione oltre ad essere la Luce del Cielo era anche
l’Angelo della Morte, la peste e la malattia, che proviene dagli Inferi, o dal Kur, l’Inferno. Fu così che
in Egitto, Orione divenne l’Osiride, signore dei morti, e sua moglie Bellil-illi o Ianna, Arinna per gli
Hittiti e i Mitanni, la Iside, ed Horus loro figlio (o reincarnazione del Sole), Dumuzi o Tammuz.
Così come il Trita Âptya (“il figlio delle acque”, del resto Orione era figlio di Poseidone), uomo-
eroe, protetto del dio indiano Indra, sarebbe anche il Tistrya, Principe del Cielo che diverrà poi il
Mîkhā'ēl in greco antico (“Chi è come Dio”) letto Mikhaḗl, Michahel in latino, Mīkhā'īlo in arabo, o il
Michele cristiano, così come Ahura Mazda diverrà il Shamash babilonese. Ma da Trita Âptya si arriva
anche a Tistrya che il credo zoroastriano venerava come la Stella, la quale appariva il decimo di a-
gosto di ogni anno, ispirandone il culto. Tistrya, era anche visto come un Angelo dei Cieli Immobili
che governava le greggi dei mortali, si dice che risiedeva su Sirius (Sirio), e che quella Stella fu poi
a lui intitolata; in seguito i mortali iniziarono a adorarla dimenticando la leggenda dei loro antenati.

Ed è così che nei meandri mito-


logici della nostra storia, Trita Ap-
tya (Indra) e Tistrya (Asura-Varu-
na), si confonde con la Cintura di
Orione dove brillano le Tre Stelle
del Re, conosciute da tempo im-
memorabile dai marinai e i conta-
dini, fino ad arrivare al Principe del
Cielo, il Michele giudaico-cristiano,
il san Michele che scaglia la sua
spada sfolgorante contro i Demoni,
che è lo stesso Tistrya persiano “a
capo delle Stelle contro i Pianeti.”
Fatto sta che in tutte le leggen-
de che si riferiscono a certi miti o
Costellazioni, come quella del To-
ro o di Orione, si arrivi a menziona-
re parti anatomiche amputate, co-
me braccia, gambe, testicoli, etc.
L’Orsa Maggiore, ad esempio, è
la coscia di un Toro, e il Toro Zodiacale rimase orribilmente sfigurato tanto che ve ne sussiste poco
più della metà, ed ancora più curioso è il fatto che in epoca tardo egizia, l’Orsa, seppure raramente,
diventi una coscia di Ariete, mentre nello Zodiaco circolare di Dendera, ritroviamo un Ariete seduto
su quella celeste zampa che rappresenta sempre l’Orsa, ma con lo sguardo rivolto all’indietro, pro-
prio come si addice all’Ariete Zodiacale tradizionale. Insomma, appena sotto la superficie, vi scor-
giamo un insistente associazione di idee, dove ad uno strano assortimento di personaggi è attribuita
la responsabilità della nostra stessa Via Lattea, la nostra Galassia61. Dèi, uomini, eroi, animali, etc.,
abbondano in quel sentiero già usato al tempo della “Creazione”, ma quello che ci sconcerta ancora
oggi è dove andarono a finire tutti coloro che abbiamo citato, e gli altri non ancora presi in conside-
razione, quando il Mito divenne solo una fiaba? Dipende, forse, da dove erano partiti, e seppure
spesso non sia così facile determinarlo, è ravvisabile comunque nella loro “caduta”, o disfatta, una
ben precisa direzione.

«I Giganti chiamarono in aiuto Hackelberg (Odino in veste di Cacciatore Feroce). Questi suscitò
una tempesta e portò un mulino nella Via Lattea, che da allora si chiama Via del Mulino.»
(Tradizioni popolari della Westfalia)

61 Galassia, Brunelstraat, Brunel, Bruns, Bruin (il Bruno) è il familiare nome dell’Orso nel Roman de Renart,

("Romanzo di Renart"), raccolta di racconti medievali, in lingua francese, del XII e XIII secolo, nei quali vediamo
agire degli animali al posto degli esseri umani, interpretando il topos letterario del "mondo alla rovescia".
65

5.3 - L’influenza di Andromeda

La Costellazione di Andromeda rappresenta nell’emisfero nord del Cielo, l’omonima principessa.


Vicina alla Costellazione di Pegaso, ha una forma approssimata di una lettera «A» allungata, debole
e deformata, ed è famosa essenzialmente per contenere al suo interno la Galassia di Andromeda.
Si individua con facilità trovandosi a nordest del brillante asterismo del Quadrato di Pegaso, di cui
la Stella al vertice nordorientale fa parte di Andromeda, in quanto la Costellazione si estende poi a
nord e ad est del suddetto Quadrato, seguendo un allineamento di Stelle di varia magnitudine, arri-
vando sin quasi a lambire la scia luminosa della Via Lattea. Le sue dimensioni sono alquanto note-
voli, seppure nella parte occidentale si trovino solo Stelle deboli, la sua individuazione, però, è faci-
litata dalla presenza della caratteristica figura di Cassiopea, posta più a nord, così come più in ge-
nerale si può affermare che lo spazio privo di Stelle luminose, situato tra Cassiopea e Pegaso, fa
parte integrante di Andromeda62.
La Stella più luminosa è α Andromedae (chiamata Alpheratz o Sirrah), che assieme alle stelle α,
β e λ Pegasi forma un asterismo chiamato Quadrato di Pegaso. Oltre ad essere la Stella più lumi-
nosa della Costellazione, essendo posta immediatamente a nord-ovest di Pegaso, è anche con-
nessa a quest’ultimo, conosciuta anche come Delta Pegasi (δ Peg / δ Pegasi), sebbene questo no-
me sia raramente usato. Situata a soli 97 anni luce di distanza dalla Terra, anche se ad occhio nudo
appare come una stella singola, è in realtà un sistema binario composto da due Stelle in stretta
orbita tra loro. La composizione chimica della più brillante delle due Stelle è del tutto atipica, in
quanto è un astro al mercurio-manganese, la cui atmosfera contiene livelli elevati di mercurio, man-
ganese ed altri elementi tra cui il gallio e lo xeno.
Alpheratz è conosciuta anche come Sirrah o Sirah. Entrambi i nomi derivano dall'originale nome
arabo şirrat al-faras, che significa "ombelico del destriero", con chiaro riferimento alla coeva Costel-
lazione di Pegaso. Un altro termine utilizzato dagli astronomi medievali arabi era anche Ras al-mar'a
al-musalsala: "il padrone della donna in catene", con chiaro riferimento ad Andromeda, tenuta pri-
gioniera. Nello Zodiaco Lunare indù, inoltre, questa Stella, insieme con le altre del Grande Quadrato
di Pegaso (α, β, e γ Pegasi63), rappresenta le Nakshatra Purva Bhadrapada e Uttara Bhadrapada.
Pūrva Bhādrapadā è il venticinquesimo nakshatra nell'astrologia indù, corrispondente a α e β
Pegasi. È posto sotto il dominio di Bhaspati, la divinità rappresentata dal pianeta Giove. I praticanti
vedono in Pūrva Bhādrapadā un segno crudele, con attività legate all'inganno, la furbizia o alla mal-
vagità. Come il suo gemello, Uttara Bhādrapadā, Pūrva Bhādrapadā è spesso rappresentato da im-
magini dualistiche, come un uomo a due teste o due gambe, con sovente delle spade incrociate; la
sua divinità protettrice è il serpente Ajaikapada.
Uttara Bhādrapadā o Uttāti è il ventiseiesimo nakshatra nell'astrologia indù, corrispondente a γ
Pegasi e α Andromedae. È governato da Shani, la divinità identificata con il pianeta Saturno. Sotto
tali credenze, Uttara Bhādrapadā è una Costellazione fissa, il che significa che ha basi solide e sotto
questa simbologia è propizio per costruire case, fondare comunità o impegnarsi in altre attività legate
alla permanenza, la stabilità e la struttura. Non di rado associato al suo sopradescritto gemello, so-
vrastante la propria figura celeste si trova l'Ahir Budhnya, una creatura serpentina o draconiana.
β Andromedae, invece, è chiamata Mirach, ed è la seconda Stella per luminosità dopo Alpheratz.
Il suo nome, così come i suoi derivati Merach, Mirac, Mirak e Mirar, provengono dall'arabo al-ma-
raqq, che significa "la schiena", e nella corrispettiva astronomia araba veniva descritta anche come
il "lato destro di Andromeda" o Al Janb al Musalsalah, "il lato delle donne incatenate"; dista 200 anni
luce da noi.

62 Il periodo più adatto alla sua osservazione ricade fra settembre e gennaio; l'emisfero boreale è il punto

di osservazione ideale, dove si presenta in parte circumpolare a partire dalle latitudini medie salendo verso
nord. In quest'emisfero è una tipica Costellazione autunnale, ma è visibile nel cielo serale da fine agosto fino
a quasi tutto marzo senza grosse difficoltà. Dall'emisfero australe si mostra sempre molto bassa sull'orizzonte
e a partire dalle latitudini temperate medie diventa progressivamente invisibile.
63 In cinese, 壁 宿 (BI su), cioè muro, ci si riferisce ad un asterismo composto da α Andromedae e γ Pegasi.

Di conseguenza, α Andromedae stesso è conosciuto come 壁 宿 二 (BI Sù Er, la seconda stella del muro).
È nota anche come una delle "Tre Guide" che segnano il primo meridiano dei cieli; le altre due sono Beta Cas-
siopeiae e Gamma Pegasi.
66

γ Andromedae (o Gamma
Andromedae), o Almach, si
trova all'estremo sud dell’o-
monima Costellazione, è un
sistema stellare costituito da
quattro stelle e che mostra di-
versi contrasti di colore. Tra-
dizionalmente chiamata an-
che Almach (scritto anche Al-
maach, Almaack, Almak, Ala-
mak); in cinese è nota anche
come 天大將軍一 (la Prima
Stella del Grande Generale
del Paradiso). Osservata con
un piccolo telescopio, γ An-
dromedae può essere facil-
mente risolta in due compo-
nenti, offrendo uno spettacolo
eccezionale per chi è alle pri-
me armi con le osservazioni
astronomiche; dista 355 anni
luce.
δ Andromedae (Delta Andromedae) o Sadiradra, è una stella arancione di magnitudine 3,27, di-
stante 101 anni luce. Fra le altre Stelle si segnala anche υ Andromedae, che ha un sistema plane-
tario con tre pianeti confermati, con masse di 0,71, 2,11 e 4,64 volte quella di Giove.
Nonostante le sue vaste dimensioni, non offre un gran numero di oggetti, anche non stellari, po-
iché la massima parte di essi sono estremamente remoti o deboli64, come alcune galassie osserva-
bili, purtuttavia presenta alcuni oggetti particolarmente brillanti e famosi, tra cui la celebre Galassia
di Andromeda. Nota talvolta anche con il vecchio nome di Grande Nebulosa di Andromeda (o con
le sigle di catalogo M 31 e NGC 224), è una galassia a spirale gigante facente parte del Gruppo Lo-
cale, assieme alla Via Lattea; dista circa 2,538 milioni di anni luce dalla Terra. Si tratta della galassia
a spirale di grandi dimensioni più vicina alla nostra, risultando visibile persino anche ad occhio nudo,
oltre ad essere l'oggetto più lontano visibile da occhi umani senza l'ausilio di strumenti di osservazio-
ne.
La Galassia di Andromeda è la più grande del Gruppo Locale, un gruppo di galassie formato dalla
Via Lattea, Andromeda e dalla Galassia del Triangolo, più circa cinquanta altre galassie minori, molte
delle quali satelliti delle principali. Sebbene sia la più estesa, sembra che non sia la più massiccia,
poiché alcuni studi suggeriscono che la Via Lattea contenga più Materia Oscura e potrebbe così
essere quella con la massa più grande dello stesso gruppo. Secondo alcuni studi, la Galassia di An-
dromeda conterrebbe circa un bilione di stelle (mille miliardi), un numero di gran lunga superiore ri-
spetto a quello della nostra galassia; sulla massa e sul numero di stelle ci sono tuttavia opinioni di-
scordanti: alcuni studi indicano un valore di massa per la Via Lattea pari all'80% di quello di Andro-
meda, mentre secondo altri studi le due galassie avrebbero delle dimensioni simili fra loro.

Andromeda è una figura singolare della mitologia greca, figlia di Cefeo e di Cassiopea, entrambi
sovrani d’Etiopia65. A parte sua madre, Cassiopea, di cui non ci sono origini certe, seppure si menzio-

64 Tra gli ammassi aperti interni alla nostra Galassia, è interessante il grande oggetto NGC 752, situato ver-

so il confine col Triangolo, ben visibile con un binocolo e appena percepibile ad occhio nudo; si tratta di un
ammasso molto esteso e con un elevato numero di componenti. Fra le galassie invece spicca NGC 891, una
galassia spirale vista perfettamente di taglio e attraversata da una banda oscura che la fa rassomigliare alla
nostra Via Lattea, con cui probabilmente condivide anche la forma.
65 Godfrey Higgins (1772-1833) Affermava nel suo libro “Anacalypsis” che gli ebrei di Giacobbe o di Israele

erano etiopi: "Sembra che non ci sia nulla di improbabile in questi etiopi che sono la tribù degli ebrei - la tribù
di Giacobbe o Israele. Penso che questi etiopi siano venuti sotto Jacob e si stabilirono a Goscen e diede i
nomi di Maturea e Avaris alla città in cui abitavano." Inoltre, asseriva: "Osiride e il suo Toro erano neri; tutti gli
Dei e le Dee della Grecia erano neri: almeno questo era il caso di Giove, Bacco, Ercole, Apollo, Ammon. Le
67

ni essere figlia di Coronus e Zeuxo (qualcuno sostiene sia una Ninfa), l’elemento della famiglia più
interessante è dato dal padre Cefeo, figlio a sua volta di Belo e Anchinoe. Belo, in greco antico
(Βῆλος) Bêlos, è la forma grecizzata del nome semitico Ba'al (Bel, Baal), e del successivo Zeus Belo
(Erodoto), frequentemente associato al nome di un antico e mitico re orientale, di Assiria e padre di
Didone (in Servio), fondatore della dinastia degli Eraclidi in Lidia (in Erodoto), fondatore della dinastia
dei Persiani (Ovidio nelle Metamorfosi IV, 212-213), finendo poi per assurgere a nome di comodo
per tutte quelle genealogie “barbare”.
Per comprendere meglio le dinamiche di questa complessa famiglia, è bene capire sino in fondo
chi fosse Belo o Baal (o Ba‘al, dall'accadico “bēlu”: signore, padrone, proprietario), ovvero, una delle
principali divinità della mitologia fenicia, considerata la figura centrale del mondo religioso dell'antica
Ugarit. Per i Cananei dell'Antico Testamento il nome fu ereditato ad indicare successivamente il si-
nonimo di Dio, e, solamente intorno al XIV secolo a.C., passò a indicare il maggiore degli Dèi e il Si-
gnore dell'Universo, e quindi successivamente venne identificato come Falso Dio.

Secondo il mito fenicio, la sua casa o residenza


fu il monte Casio (Cassius, oggi el-Akra), antico
Sapanu (definito anche come l'Ombelico della Ter-
ra66), ed era visto come il tradizionale dio semitico
della tempesta, avente il controllo anche della fer-
tilità e della fecondità. Nella mitologia greca veniva
associato a Crono, poi divenne il Saturno dei Ro-
mani, ed infine il Demonio67 per i cristiani, ma resta
noto come Baal dove in Libano, ancora oggi esi-
stono le rovine imponenti ed ancora archeologica-
mente inspiegabili di un tempio a lui dedicato, Baal-
bek. Fatto sta che per gli antichi popoli semiti, era
un vero e proprio padre degli anni e dell’Uomo,
considerato il progenitore degli Dèi come il Kronos
greco.
Nell’antichissima civiltà di Ugarit era il Dio della
Vegetazione e delle Tempeste (come gli egizi Osi-
ride e Seth), conosciuto con il nome di Aleyan-Baal
o Signore dei Solchi, sposo di Anat, sovente para-
gonato al dio Marduk o al dio El, e che fu ucciso da
Mot (proprio come l’Osiride egizio venne ucciso dal
“fratello” Seth). I testi in lingua ugaritica (soprattutto
quelli preservati nel Ciclo di Baal) pongono la di-
mora di Ba‘al/Hadad sul Monte Zaphon, facendo
così pensare che i riferimenti a Ba‘al Zephon con-
tenuti nei testi sacri ebraici del Tanakh indichino
che il Ba‘al Pe‘or, ovvero il Signore del Monte
Pe‘or, che gli Israeliti non potevano venerare (Nu-
meri 1-25), fosse proprio lui; nel pantheon dei Ca-
nanei, Hadad era figlio di El, che era stato un tempo
il dio principale del loro culto, ed il cui nome veniva
utilizzato per indicare Yahweh.

Dee Venere, Iside, Hecati, Diana, Giunone, Metis, Cerere, Cybile, sono nere. La multi-mammia è nera nel
Campidoglio a Roma, e a Montfaucon...”
66 Il monte è considerato anche il luogo d'incontro delle acque del firmamento superiore con quelle del fir-

mamento inferiore. Questa struttura viene ripresa nel Giardino dell'Eden ebraico, delimitato e bagnato dai fiumi
Pihon e Gihon. Altri luoghi sono stati dichiarati sede del Dio Baal, tra i più conosciuti possiamo citare: Sheizar
e Sapan, località nella quale Baal si fermò dopo la vittoriosa battaglia con Mot.
67 Con il nome biblico Ba' al Zebub, è entrato nella cultura cristiano-occidentale ed islamica come entità

diabolica suprema: Beelzebub, uno dei "Sette prìncipi dell'Inferno", ed è spesso identificato dalla tradizione
cristiana con Satana.
68

Nel periodo pre-islamico la divinità urbana di Hubal, a la Mecca (nel santuario urbano della
Kaʿba68) a lui principalmente dedicato, era probabilmente nient'altro che la resa in lingua araba hi-
giazena del semitico settentrionale Ha-Ba'al, col medesimo significato de "il dio" per eccellenza; il
suo simbolo era la Luna. Secondo la tradizione, riportata in età islamica da Ibn al-Kalbī nel suo Kitāb
al-aṣnām (Libro degli Idoli), l'idolo sarebbe stato portato alla Mecca, forse dalla Mesopotamia. L'a-
spetto dell'idolo era quello di un vecchio con un arco e una faretra, al cui interno le frecce, senza
punte né impennaggi, sarebbero servite al sādin (custode del santuario). L'idolo sarebbe stato di
cornalina rossa e si narra che un braccio, il destro, si fosse rotto per essere poi sostituito da un
nuovo arto in oro69. A lui venivano sacrificati animali nel mese lunare di rajab, la cui sacralità (con
ben altre liturgie e significati) si è in parte conservata nel successivo Islam.
Ma c’è dell’altro, ovviamente, perché il dio Baal muore (ucciso da un altro dio o dal fratello cattivo)
e persino resuscita, da solo o aiutato dalla propria consorte, dinamica che più tardi porterà ad un
dogma della nascente fede Cristiana, dimostrandosi come un valido antecedente alla morte e alla
resurrezione di Gesù (o meglio, del Cristo)70.
Secondo Pseudo-Apollodoro (II secolo d.C., circa) - e come vedremo nei capitoli successivi de-
dicati alla storia umana -, Egitto e Danao erano fratelli gemelli e la loro madre era Anchinoe, figlia
del dio-fiume Nilo. Egli sostiene che fu Euripide ad affermare che Belo ebbe altri due figli di nome
Fineo e Cefeo: Belo regnò in Egitto, mentre Agenore regnò su Sidone e Tiro, in Fenicia; Egitto regnò
sull'Arabia e poi assoggettò il territorio dei Melanpodi, e lo chiamò Egitto dal proprio nome, mentre
Danao regnò sulla Libia; Fineo e Cefeo ebbero invece dal padre l'Etiopia. Quando Belo morì, i due
figli Danao ed Egitto vennero a contrasto, Danao con le sue cinquanta figlie abbandonò poi l'Egitto
per approdare nel Peloponneso dove fondò il Regno di Argo.

E Anchinoe, la moglie di Belo (Baal), chi era? Nella mitologia greca si racconta che era il nome
di una delle naiadi figlie del dio fluviale Nilo. Ella si innamorò di Belo, fratello gemello di Agenore,
che a sua volta era il figlio di Libia e il dio dei mari Poseidone: dalla loro unione nacquero i gemelli
Egitto, il conquistatore delle terre che prenderà il suo stesso nome, e Danao, colui che ebbe le cin-
quanta figlie conosciute come le Danaidi; mentre si dice che l’altro gemello ebbe altri cinquanta figli.
Anchinoe fu anche madre di Cefeo e Fineo, colui che contrastò le nozze di Perseo con Andromeda,
la figlia di Cefeo.
Ma Anchinoe è anche la Anat (in fenicio Anath, Anat in ugaritico, in greco antico Αναθ, Anath,
reso in lingua egizia come Antit, Anit, Anti o Anant), una divinità semitica, la cananea Dèa della Ter-
ra, dell’Amore e della Fertilità, divinità della Guerra e Dèa Madre. Definita come la “Vergine” (come
più tardi sarà la Madonna cristiana), venne paragonata a molte altre divinità, tra le quali si ricordano:
Demetra, Iside, Asherah, consorte e a volte sorella di Baal, persino consorte di YHWH.
L’origine del suo nome è incerta, una delle ipotesi più accreditate è che il termine derivi dal semita
Anu (stesso nome del Dio del Cielo mesopotamico), con l’attributo femminile ‘nt’, forse in quanto
tentativo di tradurre in chiave semita il nome della Dèa sumera Inanna, che deriva da (N)in = signora,
An = Cielo, na = particella possessiva, con il significato di “Signora del Cielo”. Un ulteriore possibile
significato dell’etimo Anat è: “fornitrice” di Ba’al… fornitrice di cosa? Molti testi provenienti da Ugarit
in Siria, raccontano le gesta, specie in ambito bellico, del dio Baal con al fianco la sua consorte, A-
nat.

«Sì (ella dice), non vi è alcuna casa per Baal, come per gli Dei, / un atrio come per i figli Asherat.»
(Ras Shamra)

Un ulteriore Mito narra che Anat e Baal vinsero un combattimento ed invitarono gli sconfitti al
banchetto, ella si presentò, poi, ricoperta di ocra rossa e di porpora e letteralmente sbranò i superstiti
della battaglia (come similmente si racconta fece la Sekhmet egizia, istigata inizialmente da Ra).

68 Il Cubo.
69 Proprio come nei miti riguardanti l’Irlanda e il popolo dei Túatha Dé Danan (che analizzeremo più avanti),
dove il re danann Núada, aveva perduto il braccio destro nel corso di uno scontro e, in base alle leggi, la
mutilazione lo rendeva inadatto per regnare. Venne così sostituito da Bress, il quale era fomoriano per parte
di padre.
70 L’aspetto di Dio Morente accomuna diversi miti antichi, tra cui: Osiride, Krishna, Dioniso, Mitra, Cristo.
69

In altre leggende si narra che si trasformò in bufala e partorì mucche e tori, come la dèa Hathor,
oppure come similmente farà l’Iside egizia, resuscitando il Corpo esanime del marito Osiride, ucciso
dal fratello Seth, anche Anat farà lo stesso con l’amato sposo Baal, vendicandone la morte e ucci-
dendo il suo assassino, Mot.
Singolarità di questo culto fu il suo ritorno in Egitto, dove inizialmente non venne riconosciuta con
Iside, ma come una sua successiva emanazione, tale era la distanza dalla sua fonte originaria in cui
entrambi i culti si erano formati. Infatti, fu reintrodotta nuovamente dagli invasori Hyksos, e adottata
dal pantheon egizio divenne molto popolare (e come non poteva esserlo?) durante la XIX dinastia
egizia, e dove Anat divenne anche la protettrice militare di alcuni faraoni, come Ramesse II. Su una
stele tebana è raffigurata persino assisa in trono, che tiene nella mano sinistra uno scudo ed una
lancia, mentre nella destra un’ascia, come più tardi lo sarà la dèa Atena in Grecia71.
Anāhitā, “la pura” in persiano antico, è un attributo utilizzato per alcune divinità persiane: Anahiti,
in greco "Anaitis", persiano medio "Anāhīd" e moderno "Nāhīd", è il nome della dèa del pianeta
Venere, venerata dai Medi e dai Persiani occidentali prima che adottassero la fede zoroastriana. Il
suo culto, perciò, era parallelo a quello babilonese di Ištar e successivamente si sovrappose larga-
mente a quello della dèa indo-iranica dei fiumi e delle acque limpide, Arədvī Sūrā (o Ardwīsūr in
persiano medio), detta anch'essa "Anāhitā" o in persiano medio "Anāhīd", e che corrisponde, inoltre,
alla divinità Vedica Sarasvati72 ("colei che possiede le acque").
Il suo culto si radicò così profondamente
che nonostante l’avvicendarsi dei vari po-
poli, ella rimase anche quando subentrò il
nuovo culto zoroastriano, la religione dei
persiani orientali, ricca di affinità con le filo-
sofie indiane. Il re Artaserse II di Persia, fu
il primo achemenide ad introdurre ufficial-
mente il suo culto nello Zoroastrismo, invo-
candone il nome nelle iscrizioni, accanto a
quello di Ahura Mazdā e di Mitra e in sosti-
tuzione di Apam Napat, il "figlio delle ac-
que", forse corrispondente a Varuna e tra-
dizionalmente abbinato a Mitra. Del resto,
non aveva fatto altro che reintrodurre il cul-
to della bisnonna del fondatore della stessa
Civiltà dei Persiani (così come fecero gli e-
giziani come sopradescritto), dato che co-
me vedremo a breve, fu attribuita a Perse
(da qui il nome di Persiani), figlio di Perseo
ed Andromeda, Andromeda a sua volta fi-
glia di Cefeo e Cassiopeia, e con Cefeo fi-
glio a sua volta di Belo (Baal) e Anchinoe
(Anat - Anāhitā)!

(Andromeda, di Gustave Doré)

Dopo questa lunga disgressione familia-


re, e ritornando alla protagonista di questo
studio, Andromeda, dopo una vita alquanto
avvolta nella nebbia, sappiamo che sale
sugli altari delle cronache mitologiche del
tempo, quando entrò in una spirale di di-
sgrazie che iniziarono il giorno in cui sua

71 Su alcuni papiri dell'isola di Elefantina, vicino ad Assuan, databili intorno al 410 a.C., viene citata la dèa
Iahu-Anat, adorata nel tempio di Yahweh in Gerusalemme.
72 Il termine sconosciuto "arədvī" dovrebbe significare per motivi etimologici "umida", "piovosa", mentre "sū-

rā" è un aggettivo che significa "forte", "potente".


70

madre, Cassiopea, sostenne di essere la più bella delle Nereidi, un gruppetto di ninfe marine parti-
colarmente seducenti. Queste, offese dalle sue parole, decisero di punire la sua vanità e chiesero a
Poseidone, il Dio del Mare, di darle una lezione, e dato che gli Dèi, quando si trattava di punire qual-
cuno, non ci andavano tanto per il sottile, decise di inviare un mostro terribile (alcuni dicono anche
un’inondazione o maremoto), a razziare le coste del territorio del re Cefeo. Il sovrano, sbigottito dagli
accadimenti e con i sudditi stremati che reclamavano una sua reazione, assediato dal popolo decise
di rivolgersi all’Oracolo di Ammone per trovare una via di uscita e gli fu comunicato che per quietare
il mostro, doveva sacrificare sua figlia ancora vergine, Andromeda.
L’innocente e giovane Andromeda, senza tanto pensarci, fu incatenata per volere di suo padre
ad una costa rocciosa73 per espiare le colpe della madre un po’ vanitosa, che dalla riva guardava in
preda al rimorso. Mentre la fanciulla se ne stava incatenata alla rupe, battuta dalle onde, pallida di
terrore e in lacrime per la sua sorte, capitò, così, da quelle parti l’eroe Perseo74, fresco della recente
impresa dove aveva decapitato Medusa, la Gorgone, e la sua attenzione fu immediatamente colta
dalla vista di quella inaspettata situazione.
Ovidio, nelle Metamorfosi, racconta che inizialmente Perseo scambiò la ragazza per una statua
di marmo, ma il vento che le scompigliava i capelli e le lacrime che le scorrevano in volto, gli rivela-
rono la sua natura umana. Perseo chiese come si chiamava e perché fosse li incatenata, Andro-
meda, completamente diversa dalla madre, in un primo momento e per timidezza neanche rispose,
seppure l’attendesse una morte orribile tra le fauci di quell’essere mostruoso, e per modestia, a-
vrebbe preferito nascondere il viso tra le mani se non le avesse incatenate. Perseo però continuò
ad interrogarla e alla fine, per timore che il suo silenzio potesse essere interpretato come una sua
ammissione di colpevolezza, gli raccontò la sua storia, che interruppe improvvisamente dopo aver
lanciato un urlo di terrore alla vista del mostro marino, il quale, avanzando tra le onde del mare, muo-
veva verso di lei.
Prima di salvarla, però, Perseo si concesse un attimo di pausa per andare dai genitori della ra-
gazza e di chiederla nientemeno che in sposa, e dopo averla ottenuta, si lanciò contro il mostro, lo
uccise con la sua spada, alcune versioni dicono che lo pietrificò con la testa mozzata di Medusa,
liberò l’estasiata fanciulla e, come promesso, se la sposò. Più tardi dalla loro unione nacquero anche
dei figli, compreso Perse, il progenitore del popolo dei Persiani, e Gorgofone, madre di Tindaro e
Icario, entrambi re di Sparta.
La trama del Mito cela però oscure ed inquietanti implicazioni, a cominciare dallo stesso nome
della fanciulla, “Andromeda” che significa “dominatrice di uomini” o “signoreggia sugli uomini”. Come
cita il poeta Manilio (I sec a.C.) “[…] il vincitore di Medusa fu vinto alla vista di Andromeda”, e in
quest’ottica forse la principessa di Etiopia non era una figura del tutto passiva e debole, come ini-
zialmente voleva far credere, quanto piuttosto affine a tutte quelle divinità femminili che l’hanno pre-
ceduta (e a lei imparentate), quale espressione del desiderio, specie sessuale. Del resto, le radici
mesopotamiche del Mito lo confermerebbero, perché in tempi remoti la Costellazione era dedicata
all’egizia Dèa dell’Amore e della Guerra, Hathor, che i Babilonesi chiamavano Ishtar, rappresentata
come divinità marina sensuale e avida di sesso, adorata in templi lungo le coste dell’attuale Pale-
stina, proprio i luoghi del mancato sacrificio di Andromeda…
Il Cielo notturno, per quanto possa sembrarci muto ogni notte con le sue silenziose Stelle, in re-
altà ci comunica verità imperiture che affondano la loro origine sino all’alba dei tempi. Dalla nostra
privilegiata posizione di spettatori, possiamo ammirare la Costellazione dei Pesci, datrici di forza
salvifica, Costellazione eclittica nella quale confluiscono le energie del suo cono stellare, abitato dal
dominante Re legislatore Cefeo, da Andromeda fusa con la sua testa al Cavallo Alato del marito
Perseo, Pegaso, e più a sud dal corpo del mostro marino Cetus (o Balena), il “nemico dei piccoli pe-
sci”.

73 Secondo alcune leggende, questo episodio si verificò sulle coste del Mediterraneo, a Joppa (Giaffa), la

moderna Tel Aviv dell’attuale stato israeliano.


74 Perseo (in greco antico: Περσεύς, Perséus) è un eroe della mitologia greca, figlio del re degli Dèi, Zeus,

e di Danae, figlia del re di Argo, Acrisio. Attraverso la madre discende dalla danaide Ipermnestra e dall'egittide
Linceo, a loro volta figli dei fratelli Danao ed Egitto. Perseo viene ricordato soprattutto per l'uccisione della
Gorgone Medusa, per aver salvato Andromeda, poi diventata sua sposa, da un mostro marino e per essere
stato re di Tirinto, dopo aver rinunciato al trono di Argo a favore di Megapente, e di Micene, città che fondò lui
stesso. Dalla moglie Andromeda ebbe molti figli, tra cui Elettrione (suo erede e nonno di Eracle) e Gorgofone
(madre di Icario e nonna di Penelope, sposa di Odisseo).
71

«Anche lassù ella è distesa, le braccia allargate; e anche in cielo è in ceppi; e ininterrottamente
anche là levate sono le sue mani. Poi si avanza, con la pancia sulla sua testa, un gigantesco cavallo;
e un astro in comune a lei luccica in alto sul capo e a lui sull’ombelico.»
(Arato da Soli, poeta greco, III a.C.)

Veicoli energetici, le Stelle, non sono solo degli astri o dei simboli mitologici, ma anche una mi-
niera inesauribile di informazioni. Nel sapere antico astrologico, alchemico ed esoterico, Stelle come
Merak e Dubhe, nell’Orsa Maggiore, erano viste come un grande serbatoio energetico, centri di tra-
smissione del volere spirituale divino, che passando per la Polare, il fulcro o perno del Mulino del
Cielo, si manifestava come simbolo del trionfo della Materia con Cassiopea, per arrivare sino a Sirrah
o α Andromedae in virtù di canale dove la Materia stessa si assoggetta al servizio dello Spirito at-
traverso le forze del grande Quadrato di Pegaso, vero e proprio Eden creativo energetico, fino ad
individuare le tre Stelle della Testa dell’Ariete, Alpha, Beta, Gamma Arietis, la patria delle idee o l’ini-
zio creativo.
Il simbolismo assunto dal Cavallo Alato di Pegaso, nella coscienza collettiva, racchiude una verità
di metamorfosi legata al mistero della sua posizione capovolta all’interno del Firmamento. Nella tarda
astronomia greca il Cavallo divino, portatore dei fulmini a Zeus, fu disegnato capovolto nel Cielo, e
se invertito, il suo zoccolo tocca la situla dell’Acquario, vaso dal quale fuoriesce quel Fluvius Aquarii,
l’Acqua della Vita, nella quale nuota il Pesce Australe, il Pesce simbolo dell’Avatar. La sua origine è
talmente antica, ancor precedente alla mitologia greca, perché in molti inni vedici, non di rado, ven-
gono cantate le glorie di divinità gemelle, gli Aswin, i dioscuri indiani (antenati di quelli greci, Castore
e Polluce), divinità con la Testa di Cavallo, figli di Dyaus, il Cielo, e fratelli di Ausha, l’Aurora.
Nell’antica astronomia indiana (3000 a.C.) si riconosceva gli Aswin nelle stelle Alpha e Beta Arie-
tis e si racconta che essi possedevano un Cavallo chiamato, per l’appunto, Pegas, che con il suo
zoccolo “aveva riempito cento vasi di dolce liquore”, riferendosi alla magica bevanda lunare degli
Dèi, il Soma. Non a caso il più importante rito della civiltà vedica era l’Aswameda o Sacrificio del Ca-
vallo (aswa = cavallo, meda = sacrificio) officiato dal Grande Signore del Culto Supremo, Brihaspati,
simbolo del pianeta Giove (il più tardo Zeus), sempre raffigurato a Cavallo, così come la parola meda
(sacrificio) è persino la parte finale del nome della vicina Costellazione di Andromeda, la giovane
offerta in sacrificio, per l’appunto, al mostro marino (Cetus).

Nella mitologia mesopotamica, il Quadrato di Pegaso era detto “Stella l-ikù, Esagil, immagine del
Cielo e della Terra”. A quel tempo, la collocazione sul meridiano dei solstizi, proponeva un piano
geometrico dove la proiezione dell’asse polare con il piano dell’orbita terrestre, aveva una perfetta
collocazione geometrica del Quadrato stesso sull’asse del solstizio di dicembre in Pisces, e il solsti-
zio di giugno in Virgo, in rapporto con l’altra coincidenza fra equinozi a marzo in Gemini, e settembre
in Sagittarius, con ovviamente la Via Lattea, che aveva permesso che venisse identificato con il
Centro carismatico del Cielo, in cui si fondeva l’Armonia Universale.
Per questo motivo, il Quadrato o Cubo, venne chiamato Paradiso, il mitico giardino primordiale
dove era avvenuta la Creazione, un Paradiso, inoltre, che era persino custodito da due immagini
72

della Grande Madre, la Vergine e Andromeda. Inoltre, questo Paradiso posto al Centro dell’arco
della Via Lattea, proponeva un modello escatologico dal quale proveniva la magica unità di misura
sumera, quell’l-ikù con la quale Sidnapistin75 (il Noè dei Sumeri) costruì l’Arca del Diluvio in forma di
Cubo, così anche la misura della pianta del tempio del dio Marduk in Babilonia, dal momento che
l’imbarcazione doveva non solo essere un Cubo perfetto, e quindi un quadrato nello spazio piano,
ma raffigurare l’immagine del Paradiso e suo riflesso sulla stessa Terra.
E Andromeda in tutto questo quadro così complesso che ruolo assume? Andromeda è la Donna
simbolo della Materia liberata, nel Cielo infatti è collocata, insieme alla madre Cassiopea, dalla parte
opposta dell’eclittica rispetto al segno della Vergine. La Vergine è la dimora nella quale trionfa l’e-
spressione della Grande Madre, in quanto regina del solstizio d’estate (nel 5.000 a.C.), ma la Grande
Madre ha anche molte epifanie, tre su tutte: come ninfa era Persefone (Seme o Grano verde), come
donna era Demetra (Grano maturo), come vegliarda era Ecate (Grano raccolto), ovvero Andromeda,
Vergine e Cassiopea, alter-ego di Persefone, Demetra ed Ecate.
Andromeda, negli atlanti celesti, è raffigurata come una Donna in Catene, come una Medea, Cir-
ce, Esperide, Hera, o persino Eva, tutte dee femminili custodi del Paradaisos da cui vennero brutal-
mente spodestate dalle nuove divinità solari e maschili. Collegata a Virgo vi è la Stella Spica ("Spiga
di Grano della Vergine"), una associazione con il grano che deriva probabilmente dal fatto che essa
è visibile appena dopo il tramonto, ad ovest, durante la stagione della mietitura. L’associazione di
questa figura femminile si perde comunque nella notte dei tempi, avendo riscontro, oltre che in am-
biente latino, anche in quello greco (dove era spesso identificata con Persefone), in Egitto (a volte
con Iside), nella tradizione sumerica (con Ištar) e indiana (con Devakī, nientemeno la madre del dio
Krishna). Era, pertanto la Donna che porta il Cristo Bambino, ovvero colei che contribuisce alla na-
scita del Cristo nella Materia, in tutte le sue forme, mentre Cassiopea, la Madre di Andromeda, è la
Donna sul Trono, simbolo del trionfo materiale, della Natura che domina e controlla ogni cosa.

Infine, a conclusione di questa lunga disamina stellare, non si può non menzionare, in direzione
nord-ovest delle caratteristiche Stelle “e-
quidistanti” di Andromeda, la massiccia
Galassia omonima (M31) alla quale la
nostra Galassia è allineata per formare,
insieme ad altre, un anello orbitale defi-
nito dagli studiosi “la più grande struttura
organizzata in quello che chiamiamo il
gruppo locale di galassie.” Si stima che
nel nostro gruppo locale di galassie vi
siano attualmente 54 galassie nane, di
queste 27 gravitano attorno alla massic-
cia Galassia di Andromeda, e di queste,
almeno 13 formano un anello orbitale di
cui facciamo parte, analogo a quello del-
le orbite planetarie attorno al Sole. Una
sorta di Tavola Rotonda Galattica, e che
ruota attorno ad una forza ancora sco-
nosciuta…

75 Atraḫasis (in accadico "il molto saggio", a volte anche come Atramḫasīs, Atra-ḫasis, Atar-ḫasis o Atra-
hasis), presente nella letteratura in lingua accadica anche come Utanapištim (in accadico "Colui che ha trovato
la vita"; a volte anche come Ut-napištim o Utnapištim) e, nella letteratura sumerica, indicato con il nome di
Ziusudra (in sumerico, "Vita dai giorni prolungati", anche come Ziusura), conosciuto nella successiva lettera-
tura in lingua greca come Xisouthros (nella Storia di Babilonia (Βαβυλωνιακὰ) di Berosso), è il re di Šuruppak
(oggi Tell Fara, nella parte centro-meridionale dell'Iraq) e l'eroe dei poemi mesopotamici inerenti al Diluvio U-
niversale, evento mitico a cui lui sopravvisse, e a cui gli dèi consegnarono l'immortalità. Sovente è associato
al Noè biblico.
73

5.4 - L’influenza di Saturno

Si dice che nell’Arte e nella Filosofia, il Cubo (e quindi il Quadrato), rappresentino la Terra o il
Creato e la sua perfezione, contrapposto alla Sfera (e al Cerchio), che vogliono illustrare, invece, la
Perfezione Celeste. Il Cubo rappresenta una forma rigida, le sue facce sono tutte uguali tra loro,
come ogni quadrato è composto da lati identici e sovrapponibili. Anche Platone, il nostro celebre
filosofo greco, già molte volte menzionato in questo studio, riflette sulle figure geometriche perfette,
tanto che parlerà dei Solidi, definiti Platonici, tra i quali rientra anche il Cubo. Nel Timeo, argomenta
una dottrina cosmologica di sua ispirazione, secondo la quale i Cinque Solidi costituiscono l’Universo
intero.
Più anticamente, osservando le antiche statue egizie, non si può fare a meno di notare come Re
e Divinità, siano sovente seduti su dei Cubi, forme stabili, concrete e resistenti, o come nella cultura
ebraica coeva, intimamente legata anche a quella egizia, o alla dottrina filosofica conosciuta come
la Cabala (da Cubo?) si menzioni il Cubo di Metatron, figura che fa parte dei più complessi disegni
dell’Albero e del Fiore della Vita. Così come non è un caso che sia spesso in molte rappresentazioni
massoniche, simbolo del lavoro e della dimensione umana, nonché alchemica, o sia presente anche
nell’Arte, specie nel cinema, in film come “The Cube” e “Hypercube”, thriller visionari e contorti che
sviluppano la poca trama proprio intorno a questa forma geometrica, o come in alcune serie TV, tra
le quali menziono “Legion” della Marvel, che nella seconda stagione, l’arredamento di quasi ogni
puntata è caratterizzato da un onnipresente ed ossessiva forma geometrica, l’Esagono.
Innegabilmente, però, due Cubi al mondo sono celebri e famosissimi, il primo è la Kaaba alla
Mecca, conosciuta da miliardi di fedeli mussulmani (e non solo), mentre il secondo è l’altrettanto
famoso Cubo di Rubik. Composto, nella classica versione, da 9 quadrati di 6 diversi colori, venne
ideato da Ernő Rubik, un giovane matematico, scultore e architetto ungherese, con la passione della
didattica creativa, brevettandolo nel 1975. Il primo Cubo di Rubik venne messo in commercio nel
1977 nella solo Ungheria con il nome di bűvös kocka (“Cubo Magico”). Ma quando nel 1979, alla
Fiera del Giocattolo di Norimberga, fu fatto notare a Tom Kremer, fondatore della Seven Towns
(sempre il Sette!), una società di “idee” americana, li piacque a tal punto che nel 1980 un’azienda di
New York, la Ideal Toy, lo distribuì con il nome di Rubik’s Tube; da allora il suo successo planetario
è inarrestabile.
Si calcola che siano oltre 43 trilioni, per l’esattezza 43.252.003.274.489.856.000 (43 per 1018),
le combinazioni possibili per risolvere il terribile rompicapo sistemando faccia dopo faccia, a forza di
permutarne i vertici, le 54 tessere quadrate che lo compongono. A questo punto è singolare una
straordinaria coincidenza, e che ha a che fare con la Cosmologia, sia induista che moderna. Alcune
teorie contemporanee più accreditate, descrivono un Universo che sembra come “pulsare”, ovvero,
teorizzano che si espande per miliardi di anni per poi contrarsi, fino a collassare in un piccolo punto,
per poi in seguito tornare nuovamente ad espandersi, come in un eterno ciclo: la Teoria dell’Universo
Oscillante.
Anche la filosofia indiana aveva proposto, già nell’antichità, una simile idea, mediante una realtà
cosmica che si contrae ed espande ritmicamente nell’arco di miliardi di anni, attraverso degli enormi
cicli conosciuti come i “Respiri di Brahma”. Secondo questa cultura, il divino, si trasmuta nel Mondo
allo scopo di perpetuare il Gioco Cosmico (Lila), in cicli senza fine dove l’Uno si scinde virtualmente
in molte forme, e dove le molte forme si dissolvono tornando all’Uno. Ora, il tempo cosmico è misu-
rato per mezzo degli “anni divini”, nei quali ogni anno corrisponde a trecentosessanta di quelli umani,
scoprendo che sono necessari ben 12 mila anni divini per formare un solo “Giorno di Brahma”, de-
nominato Kalpa76.
Come ci descrive Ambra Guerrucci nel suo mirabile libro “La Via della Saggezza Indiana”: <<do-
dicimila anni divini, perciò, equivalgono a 4.320.000 anni umani, formando un Mahā Yuga, dal san-
scrito "grande generazione” diviso in altri quattro cicli chiamati Yuga minori, ognuno dei quali pos-
siede caratteristiche distintive ed un nome originato dal lessico del gioco indiano dei Dadi (il Cubo!).
Il Kṛta Yuga, generazione associata al punteggio quadruplo (quindi vincente), rappresenta l’Età del-
l’Oro, in cui sulla Terra regnarono l'armonia e la ricchezza spirituale, e per questo viene spesso pa-

76 Brahma, e l'Universo per come lo conosciamo, esistono complessivamente per 100 anni composti da

questi Kalpa, ovvero da 311.040 miliardi di anni umani.


74

ragonata ad un tavolo (un Quadrato) con quattro gambe, essendo un’epoca di grande stabilità e tra
tutte quella più duratura: ben quattromila anni divini, ovvero 1.440.000 anni umani.
Il Tretā Yuga, o generazione del punteggio triplo, è il periodo in cui il conseguimento della virtù
non è più spontaneo come nell’età precedente e si predilige la pratica religiosa della conoscenza.
Possiamo dire che è in questo contesto che ha inizio il declino, infatti è un’epoca associabile ad un
tavolo a tre gambe, avente una discreta stabilità e durata: tremila anni divini, ovvero ben 1.080.000
anni umani, mentre la vita media è 300 anni umani.
Nel Dvāpara Yuga, letteralmente generazione del punteggio doppio, incominciano a sorgere le
passioni e l’aspetto egoico insito nel carattere umano, la pratica religiosa è guidata dalle norme e-
tiche, l’armonia con l’esistente, la durata della vita è di 200 anni umani. Per comprendere questo Yu-
ga possiamo richiamare l’immagine di un tavolo a due gambe, quindi caratterizzato da una scarsa
stabilità e durata: duemila anni divini, ovvero 720.000 anni umani.
Il Kali Yuga77, dal significato di generazione dal punteggio singolo (per questo perdente), rappre-
senta il tempo delle violazioni spontanee delle leggi universali e delle norme etiche, dove ci si arric-
chisce rubando o addirittura per mezzo di delitti; qui ignoranza, violenza, confusione e corruzione la
fanno da padrone, perché l’uomo ha dimenticato la propria essenza divina e si lascia guidare dall’E-
go, dai suoi automatismi e dai più bassi istinti. È possibile paragonare questa Era ad un tavolo con
una sola gamba, poiché non c’è equilibrio, la pratica religiosa è anch’essa molto materialista, si tratta
della donazione, e gli uomini vivono al massimo per 100 anni ed è in assoluto il ciclo più corto: com-
plessivamente termina entro mille anni divini, ovvero 360.000 anni umani.
Ogni Era ha inoltre un periodo di nascita ed uno di crepuscolo da sommare alla durata di ogni
Yuga, corrispondente più o meno al 10% del suo totale: 288.000 anni umani (800 anni divini) per il
Kṛta Yuga; 216.000 anni umani (600 anni divini) per TretāYuga; 144.000 anni umani (400 anni divini)
per il Dvāpara Yuga; 72.000 anni umani (200 anni divini) per il Kali Yuga. Sulla base di quanto detto
possiamo affermare che, tra periodo pieno, fase di nascita e crepuscolo, l'attuale Kali Yuga durerà
per 432.000 anni umani e, considerando la data tradizionale di avvio del Kali Yuga, coincidente con
la morte di Kṛiṣṇa e fatta risalire al nostro 18 febbraio 3103/3102 a.C., si calcola che esso terminerà
il 17 febbraio 428.897/428.896 d.C., segnando non solo l’inizio di una nuova Età dell’Oro, ma anche
del prossimo Mahā Yuga.

77 Si narra essere la nostra attuale Era.


75

Mille MahāYuga, quindi 12.000 di anni divini, corrispondono alla durata di un eone, chiamato tra-
dizionalmente Kalpa ed equivalente a 4.320.000.000 anni umani: questo è il periodo di manifesta-
zione del Cosmo, chiamato anche “Giorno di Brahma”, alla fine del quale l’Universo viene parzial-
mente distrutto, segnando l’inizio di una “Notte di Brahmā” che dura esattamente quanto il giorno.
Durante il "giorno" regnano quattordici incarnazioni di Manu (divinità e progenitore degli uomini),
mentre la “notte” rappresenta il periodo di latenza nel quale tutto l’esistente è riassorbito nella notte
cosmica, pronto a riemergere con una nuova emanazione di Brahmā.
Trenta giorni e notti, quindi in tutto sessanta Kalpa, costituiscono un mese di Brahma.
Dodici mesi di Brahma (360 giorni e notti) costituiscono un suo anno e 100 anni rappresentano
la sua intera vita, durata della manifestazione dell’intero Universo, dalla sua nascita alla sua dissolu-
zione. Questo periodo di esistenza cosmica è detto Mahā Kalpa (Il Grande Kalpa) e la sua durata
equivale a qualcosa come 311.040.000.000.000 di anni umani e 864 miliardi di anni divini, un battito
di palpebre del Dio supremo Nārāyaṇa.
Secondo questa visione stiamo attualmente vivendo il cinquantunesimo anno e ci troviamo quindi
a metà della grande fase esistenziale dell’Universo, al termine del quale avviene una distruzione
totale della forma, in cui ogni cosa torna ad essere parte del divino e così rimane per altri cento anni
di Brahma, dopodiché il ciclo ricomincerà da capo.>>

«Esiste un altro non manifestato, eterno, che, anche quando tutti gli esseri periscono, non peri-
sce. È detto l’Imperituro, il Non Manifestato. È Lui che si proclama essere il fine supremo. Quando
lo si è ottenuto, non si rinasce più. È la mia sede suprema.» (Bhagavad Gita)

Insomma, alla fine di tutto questo complicato computo, è interessante notare come le combinazio-
ni del Cubo di Rubik siano calcolate in 43 trilioni, ovvero 43.252.003.274.489.856.000 (43,25 miliardi
di miliardi), non poi dissimili dai 4.320.000.000 di anni umani di un Kalpa, un “Giorno di Brahma”78:
4-3-2… 1, ovvero l’Uno.

L’altro celebre Cubo, si trova in Arabia Saudita, proprio al centro della Mecca, nella Sacra Mo-
schea, costituendo il luogo più sacro dell’Islam, si tratta della Kaʿba (o al-Kaʿba) anche nell'adatta-
mento in italiano, Caaba o Kaaba - che deriva dal sostantivo kaʿb -, significa, per l’appunto, "Dado"
o "Cubo". In età preislamica, il termine era attribuito a varie costruzioni simili, a dimostrazione della
preesistenza di un culto, come nel XIV secolo, ad un edificio cubico di fattura araba sito a Naqš-e
Rostam, vicino Persepoli, gli fu dato il nome di "Kaʿba-ye Zardošt" (La Kaʿba di Zoroastro): costru-
zione in tutto paragonabile alla struttura, parimenti araba, situata a Pasargadae, chiamata Zendān-
e Solaymān. Fatto accertato è che nel VII secolo, alla Mecca, un edificio più modesto dell’attuale,
era dedicato al culto della divinità maschile di Hubal, ma venne poi successivamente inglobato dal-
l’Islam.
Singolare la storia di questo Hubal, perché come abbiamo già visto nel capitolo precedente, era
identificato con il dio Baal, dal significato semitico di “Dio”, che nel successivo periodo islamico, ve-
drà lo stesso Allah, usare il termine di Rabb al-Bayt, "Il Dio (Signore) del Santuario", la medesima
formula usata precedentemente per Hubal79. La tradizione islamica, comunque, ci ricorda come il
primitivo edificio fosse stato distrutto dal Diluvio Universale, non prima che se ne fosse messo in
salvo un pezzo, la celebre Pietra Nera, nascosta nelle viscere di una montagna presso la Mecca, ed
estratta durante la sua opera di riedificazione nientemeno che da Ibrāhīm (l'Abramo biblico), aiutato
dal figlio Ismāʿīl (Ismaele), che collocarono la Pietra Nera all'altezza di circa un metro e mezzo dal
suolo, nell'angolo di sud-est dell'edificio, dove rimase anche dopo la sua ricostruzione, necessaria
per riparare i profondi danni subiti in un successivo incendio.
L’edificio centrale misura 11,30x12,86 metri, per un’altezza di 13,10 metri. Detta anche "Scatola
Nera", tale termine è dovuto alla kiswa che normalmente la ricopre, un preziosissimo velario serico
dal colore nero, riccamente intessuto di lamine d'oro e d'argento che ripropongono scritte corani-

78 Nell'Induismo un Kalpa dura 4,32 miliardi di anni, cioè un "Giorno di Brahma" e misura la durata del Mon-
do, (gli scienziati stimano l'età media della Terra a 4,54 miliardi di anni).
79 A lui venivano sacrificati animali nel mese lunare di rajab, la cui sacralità (con ben altre liturgie e significa-

ti) si è in parte conservata nell'Islam.


76

che80. Sul lato nord-est vi è la porta di accesso, mentre a breve distanza dal lato nord-occidentale
corre un basso muretto (hatīm) che delimita un'area interdetta al calpestio e che si crede sia stato il
luogo di sepoltura di Ismaele e della madre Hāgar, mentre tutta l'area circostante l'edificio (matāf)
sarebbe stato il luogo d'inumazione di un altissimo numero di profeti che avrebbero preceduto Mao-
metto.
Nell'angolo est della Kaʿba è incastonata a circa un metro e mezzo d'altezza la Pietra Nera, un
blocco minerale nero grande quasi come un pallone, di probabile origine meteoritica. All'interno, inol-
tre, normalmente accessibile solo agli inservienti e alle personalità più illustri che ne hanno la custo-
dia (attualmente la famiglia reale saudita), la Kaʿba ospita un pozzo, ormai essiccato, che in antico
era chiamato al-Akhsaf o al-Akhshaf. Anticamente, prima dell'arrivo dell'Islam, era destinato a racco-
gliere il sangue delle vittime sacrificali e a conservare il tesoro della Divinità… ma quali erano queste
Divinità?

Insieme al Culto Solare e Lu-


nare, quello di Saturno risulta es-
sere tra i più antichi conosciuti al
Mondo, così ben radicato nelle
tradizioni che ancora oggi, sem-
bra non essersi del tutto estinto,
ma addirittura continuerebbe a
perpetuarsi con forme e modalità
diverse, più o meno esplicite ed
evidenti. Saturno ha assunto si-
curamente svariate forme e nomi
durante il corso di tutta la storia
umana, è stato Kronos per gli an-
tichi Greci, Seth per gli Egizi, El
per i popoli di origine semitica, Il Signore degli Anelli per i Celti (e per lo stesso Tolkien), e la sua
simbologia circolare, del tutto simile agli anelli che circondano l’omonimo pianeta, si riscontra anche
in una millenaria ritualistica, che va dalle fedi nuziali che sanciscono le unione, le aureole dei santi,
o i cerchi presenti dietro le antiche croci celtiche, così come la sua impronta terminologica si è incisa
anche nel considerare il sabato (Saturday, il Giorno di Saturno), il sesto giorno della settimana,
quello più quotato per riposare e festeggiare, proprio come fece il biblico YHWH.
In epoca romana, Saturno era considerato un Titano, sovrano del Tempo, della Terra e della Ma-
teria, proprio come il Demiurgo di idea platonica, e in suo nome, Cronos, da cui deriva il sostantivo
Corona, quindi il copricapo reale (tipico di tutti i regnanti e gli dèi antichi, vedasi Brahma, Baal, Osi-
ride, etc.), ci si rivolgeva anche per avere una: “divina sentenza della prima ora”. I Romani, inoltre,
celebravano Cronos durante la Festa dei Saturnalia che si tenevano al solstizio invernale: “Saturno
era celebrato insieme alla nascita del nuovo Sole, durante il solstizio invernale, ovvero nel periodo
di Natale: in questa festa chiamata Saturnalia si propiziavano periodi prosperi in cui non fosse ne-
cessario lavorare la terra. Perciò durante la ricorrenza uno schiavo veniva vestito da re per un giorno
e gli venivano dati frutti e cibo.”
I Padri Romani, però, conoscevano bene e sapevano limitare e controllare questa forza, perché
durante le feste tutto era invertito, ed ogni cosa incarnava l’opposto della normalità, un sovvertimento
dell’ordine che nella nostra attuale epoca, dove la calunnia, la corruzione, la violenza, la pedofilia,
lo stupro sono diventati la norma, senza freni e contrappesi, dimostra quanto l’influenza saturnina
sia ancora ben presente e radicata, forse in modo molto maggiore che in passato.

Nell’insieme di tutte queste mitologie si riscontra, però, una particolarità di non poco conto, ovvero
che a lui veniva associata una ben precisa forma geometrica, quella di un Cubo dal colore nero. Il
Cubo è un solido platonico che il filosofo greco aveva associato a quelle forme che il Demiurgo a-
veva utilizzato per plasmare l’Universo primordiale, così come successivamente nelle varie tradizioni
misteriche, in ogni epoca, ha raffigurato il simbolo stesso della Materia, opposto alla Sfera, che inve-

80 Tale rivestimento viene rinnovato ogni anno, mentre la vecchia kiswa viene tagliata in pezzi che vengono

poi distribuiti ai pellegrini, che la conservano come preziosa reliquia.


77

ce rappresenta lo Spirito. Del resto, tale simbolo, spesso associato all’Esagono, è possibile rinvenirlo
un po’ ovunque nel Mondo, sia nell’iconografia ebraica come in quella mussulmana (come abbiamo
visto alla Kaaba della Mecca) e che, in un sincretismo senza precedenti, avrebbe portato alla nascita
della Kabbalah, che sarebbe nientemeno che il culto esoterico al “Dio Cubo”.
Adesso, se si sottrae la tridimensionalità alla rappresentazione di un Cubo si ottiene un Esagono,
mentre applicando la terza dimensione ad un Esagono, si forma un vero e proprio Cubo, ovvero 6
lati monodimensionali per così dire “proiettati” nella terza dimensione. In base alle conoscenze e alle
dissertazioni cabalistiche, si riscontra ad esempio una speculazione circa questa stessa proiezione,
come nel 6° giorno della settimana, il 6° pianeta del Sistema Solare (Saturno), la Stella di David a 6
punte con all’interno un Esagono, così come il famigerato “Numero della Bestia” menzionato nel-
l’Apocalisse di Giovanni (13,16-18), il 666 che corrisponde, guarda caso, al nome della Bestia che
divora e devasta.
Eppure, ad una più attenta osservazione, noteremo come la Natura sembra essersi, per così dire,
innamorata di questa forma geometrica. Dai composti chimici, alle celle delle Api, alle rocce basalti-
che che vengono a formarsi durante il raffreddamento della lava, persino in un insieme di bolle di
sapone, i fiocchi di neve, la corazza delle testuggini, alcuni crateri meteoritici osservati su alcune lu-
ne del Sistema Solare, etc. Senza alcun dubbio, però, la forma esagonale più sconcertante venne
rinvenuta per la prima volta negli anni’80, quando la connessione tra il pianeta Saturno e la figura
dell’Esagono fu sancita da una scoperta astronomica senza precedenti, nel momento in cui due son-
de del programma Voyager, fotografarono una struttura perfettamente esagonale presente nei pres-
si del polo nord del pianeta, rilevata in seguito anche dalla sonda Cassini.
Pensate che i lati di questa gigantesca struttura sono lunghi circa 13.800 km, più del diametro
della Terra, ruota con un periodo di 10h 39m 24s, ovvero con lo stesso periodo dell'emissione radio
interna del pianeta, e non si sposta longitudinalmente come le altre nuvole presenti nell'atmosfera…
È mai possibile che 5 mila anni fa, l'umanità, o una parte di essa, fosse a conoscenza di questa ca-
ratteristica morfologica nell'atmosfera del pianeta Saturno, al punto da raffigurarlo e farne un simbolo
esoterico81 e religioso?

81La Shatkona è un simbolo induista che rappresenta l'unione tra l'elemento maschile e femminile. Più nello
specifico rappresenta Purusha (il Supremo Essere o Uomo Cosmico) e Prakriti (Madre Natura). Spesso è
rappresentata come Shiva/Shakti, e la Shatkona è un esagramma associato anche al figlio di Siva-Sakthi, il
dio Surya, il Sole. Stilisticamente, è identico al simbolo ebraico della Stella di Davide e al Giapponese Kagome
crest.
78

Del resto, basta farsi un viaggio intorno al Mondo per notare quanti Cubi sono disseminati qua e
là, a cominciare da una delle attuali istituzioni mondiali, crocevia delle finanze di mezzo Mondo, co-
me la sede delle Nazioni Unite (ONU) a New York, dove nella “Meditation Room” è allestita una
scultura dalle fattezze cubiche, come in altre zone della città sono sparse altre sculture a forma di
Cubo, come davanti alla sede dell’Apple Store. E il Cinema non poteva essere da meno, perché
quando nel 1968 il genio di Stanley Kubrick decise di portare sul grande schermo un celebre ro-
manzo di fantascienza di Arthur C. Clarke, creò un cult movie come “2001: Odissea nello Spazio”,
dove viene raccontata la manipolazione di un gruppo di scimmie da parte di un Monolite di colore
nero (che si scoprirà essere un’avanzatissima Civiltà Extraterrestre) e che proprio tra la nostra Luna
e Saturno (nel film sarà sostituito con Giove), troverà il suo pianeta finale di destinazione per il pro-
tagonista.
E come dimenticare anche le famose missioni spaziali che portarono il primo Uomo sulla Luna,
l’anno successivo, nel 1969? La famiglia dei razzi che compirono l’impresa furono i Saturn (sempre
Saturno), sviluppati per lanciare carichi pesanti nell’orbita terrestre ed oltre, e che furono poi adottati
come lanciatori per il programma Apollo. Il progetto originale del Saturn fu creato a partire da un'idea
sviluppata nientemeno che da Wernher von Braun, l’ex scienziato nazista che inventò i famigerati
V2 con i quali i nazisti bombardavano Londra, assunto poi alla NASA dopo essersi consegnato agli
americani alla fine del secondo conflitto mondiale, diventando poi il capostipite del programma spa-
ziale americano!

Dietro questo filosofico sincretismo si cela una realtà molto più ampia, articolata e così comples-
sa, che al genere umano è pressoché sfuggita nella sua totale comprensione, almeno sino ad oggi,
dove seppur all'apice si trovi una sorta di padre putativo incarnato da questo Demiurgo, Signore del-
la Materia, a più livelli discendenti, sono poi apparsi tutta una serie di suoi innumerevoli emissari,
che per così dire hanno costituito dei loro gruppi di potere, seppur a lui direttamente o indirettamente
devoti.
Tale varietà di aspetti, per così dire malefici, si è però concretizzata come non mai nella cultura
di massa del XX e del XXI secolo, infatti non è un caso che un Oscuro Signore molto famoso sia
Lord Voldemort, antagonista nella saga di Harry Potter, creata dalla scrittrice J.K. Rowling. Nella
trilogia “I Diari della Famiglia Dracula” di Jeanne Kalogridis, viene chiamato sempre Oscuro Signore,
un'entità incorporea fatta di pura oscurità, in grado di assumere numerose sembianze, venerata dai
vampiri come una divinità; non viene tuttavia specificato nei romanzi chi o cosa sia questo essere,
ma si avanza l'ipotesi che possa essere il Diavolo in persona. Un altro esempio è quello del “Re
dalle Lunghe Corna”, antagonista della serie “Le Cronache di Prydain”, dello scrittore statunitense
Lloyd Alexander, nonché del classico Disney, “Taron e la Pentola Magica”, trasposizione animata
della saga letteraria con il nome di “Re Cornelius”. Altro essere appartenente alla stessa saga che
corrisponde al medesimo stereotipo è Arawn, il Dio dei Morti, del quale il Re dalle Lunghe Corna,
rappresenta un discepolo.
Anche il Conte Dracula di Bram Stoker, in quanto sovrano dei vampiri, può essere considerato
un Oscuro Signore, come nell'Universo immaginario di Guerre Stellari, tale termine è generalmente
associato nel descrivere gli spietati Sith, l'influente gerarchia che governa il Lato Oscuro della Forza.
Darth Sidious, che diverrà l'imperatore galattico Palpatine, e il suo allievo Darth Fener, sono entrambi
Signori Oscuri, pur rimanendo il primo suo maestro e mentore, ed il secondo, il suo apprendista o
braccio armato, proprio come Satana e Lucifero. Un altro Oscuro Signore cinematografico è il de-
moniaco Signore delle Tenebre, antagonista del film fantasy “Legend” diretto da Ridley Scott ed
interpretato da Tim Curry. Anche nella saga horror “Hellraiser” il protagonista è un personaggio che
corrisponde per molti versi allo stereotipo dell'Oscuro Signore, infatti Pinhead, è il demoniaco capo
del gruppo di esseri diabolici noti come Cenobiti. Insomma, tutti quanti oscuri, malefici e assetati di
sangue come il loro illustre antenato Kronos, il procreatore e divoratore dei suoi stessi figli…
79

5.5 - Le Costellazioni dello Zodiaco

I Numeri racchiudono un Codice Segreto per interpretare l’Universo, la loro valenza simbolica è
data dal valore e dalle diverse interazioni con tutti gli altri elementi strutturanti il Cosmo. Ogni compo-
nente dell’Universo è caratterizzata da una sequenza numerica che stabilisce il rapporto con tutto
ciò che la circonda, così come le interazioni composte dai Numeri vanno ben al di là del mero calcolo
quantitativo, dato che da un punto di vista Spirituale, l’Uno rappresenta l’Unico, ovvero l’Unicità divi-
na del Tutto.
Così è stato per i cinesi che da millenni hanno riconosciuto ai Numeri una funzione ordinatrice,
energizzante ed armonizzante del Mondo o della stessa Materia vivente e non, dove ai Numeri pari
è da sempre stata riconosciuta una polarità femminile, passiva e rappresentante gli stati dell’essere,
rispetto ai Numeri dispari che, in quanto polarità maschile, sono attivi e rappresentano il cambia-
mento. Ma per comprendere meglio la loro peculiarità, importante ai fini di questo capitolo, prendere-
mo in considerazione solo un gruppo di numeri, che parte dall’1 e arriva sino al 14.

Il numero 1 è il principio divino, ogni cosa nasce dall’Uno, per questo motivo è il numero del Tutto,
dell’Eterno che non ha forma ma le possiede tutte, che non ha nome ma è tutti i nomi. Essendo in-
divisibile, indica principalmente l’Unità, la forza originante primordiale, e per questo motivo è sempre
stato considerato da ogni popolo della Terra come il numero sacro per eccellenza.
Il numero 2 deriva dalla divisione dell’Unità ed è il primo simbolo della separazione, in quanto tale
è perciò l’Essenza Una ed Unica (doppia). Da esso deriva la Dualità e la visione dualistica del Mondo
e dell’Universo, della separazione, del principio materiale e spirituale, del maschile e femminile, del
giorno e della notte, del Bene e del Male, etc; in quanto tale, anticamente era sovente associato alla
Natura e alla Grande Madre.
Il numero 3 è il simbolo ternario, perciò incarna la combinazione di tre elementi, dell’Uno e del
Due. Esso è sempre stato considerato uno dei simboli maggiori in ambito esoterico, in quanto primo
numero dispari, dato che l’Uno non è considerato nemmeno un numero, mentre il tre è profondamen-
te attivo, energico, conciliante per il suo valore unificante; mitologicamente ha sempre incarnato l’e-
spressione della Trinità (una riunione di Dèi in gruppi di tre).
Il numero 4 è il più perfetto, essendo la radice degli altri numeri e di ogni cosa, rappresenta la pri-
ma potenza matematica, la generazione da cui derivano tutte le successive combinazioni, pertanto
80

è sempre stato visto come emblema del moto, l’infinito, descrivendo sia il corporeo che l’incorporeo.
Rappresenta anche la Monade (1+3) ed è il numero della Materia, dal momento che 4 sono gli
Elementi: Fuoco, Acqua, Terra e Aria, così come rappresenta l’ordine e l’orientamento, con i punti
cardinali e la croce cosmica (nord-sud, est-ovest).
Il numero 5 simboleggia la vita universale, l’individuo umano, la volontà, l’intelligenza, la genialità
creativa. È il numero dell’evoluzione, del progresso, dell’ascesi, essendo il Numero dell’Uomo, come
mediano tra la Terra e il Cielo. Ad esso sono associati i Cinque Sensi come l’articolazione quinaria
dell’essere umano nella raffigurazione leonardesca dell’Uomo Vitruviano, in quanto Stella a Cinque
Punte. Ma è anche un numero dispari che genera attività, se positivo porta verso l’elevazione, ma
se negativo conduce verso l’involuzione, valore Duale rappresentato dalla figura geometrica del Pen-
tagramma, che se identificato con l’Uomo (la Stella a Cinque punte), sa essere positivo, ma se ca-
povolto, assume un valore negativo e attribuito alle forze maligne.
Il numero 6 è mistico quanto mai ambivalente, simboleggia l’equilibrio e l’ordine perfetto, predi-
sponendo all’unione con il divino ma al tempo stesso può generare confusione. La sua ambivalenza
viene graficamente espressa dalla Stella a Sei Punte, formata dall’unione di due triangoli, con la
punta rivolta verso il basso che indica la Materia, mentre quella rivolta verso l’alto, la Spiritualità. Il
numero 6 nell’antichità era consacrato a Venere, considerato simbolo della bellezza e della perfezio-
ne.
Il numero 7 è l’emblema della globalità, dell’equilibrio perfetto, rappresentando un ciclo compiuto
e dinamico. Da sempre considerato un simbolo magico e religioso, era legato al compiersi del Ciclo
Lunare, alla Monade in quanto increato, alla Santità dai Pitagorici, denominato Venerabile o da Pla-
tone Anima Mundi. Per gli Egizi era il simbolo della Vita, legato anche a quello della Piramide (forma-
ta dal triangolo, il 3, e dal quadrato, il 4) in quanto perfezionamento della natura umana, coniugando
il ternario divino con il quaternario materiale, espressione della mediazione perfetta tra l’Uomo e la
Divinità.
Il numero 8 è l’Infinito. L’Infinito è indissolubilmente legato al Karma, alla fecondità, la prosperità,
riflesso dello Spirito nella Creazione, dell’incommensurabile di goethiana memoria. Rappresenta an-
che la Giustizia con la sua bilancia, ma anche l’incognito verso la ricerca della propria trascendenza.
Essendo un numero pari, l’Otto è un’energia femminile e passiva, simboleggia quindi anche la morte
ma in termini di transizioni e di passaggio: la trascendenza. Perfetta metafora dell’equilibrio cosmico,
in oriente troviamo templi costruiti su pianta a base ottagonale, ovvero sulla figura che fa girare la
ruota del Centro dello stesso Universo. Dopo i 6 giorni dalla creazione e il giorno 7 dedicato al riposo,
l’8 simboleggia la Resurrezione del Cristo e dell’Uomo, annunciandone la sua Eternità.
Il numero 9 rappresenta la generazione e la reincarnazione. Numero dispari, dinamico e attivo,
non per questo indica il periodo della gestazione, dato che nell’Uomo sono necessari nove mesi per
la nascita di un figlio. Dopo l’8 indica, inoltre, il superamento stesso della Creazione e conduce verso
la permanenza, conservando anche uno stato fisso e immutabile, accomunandolo persino all’Uno,
diventando una sua manifestazione. Il suo simbolo grafico, perciò, è il Cerchio, così come per l’Uno,
in quanto si riproduce continuamente come sosteneva lo stesso Pitagora, in ogni moltiplicazione,
simboleggiando la Materia che si scompone e ricompone incessantemente. Composto da 3 volte il
numero 3 (la perfezione al quadrato), con l’aggiunta di un quarto 3 genera il 12, simbolo della Per-
fezione Assoluta e del cammino evolutivo dell’Uomo.
Il numero 10 simboleggia la perfezione ma anche l’annullamento di tutte le cose (1+0=1), illu-
strando l’eterno ricominciare, ed essendo anche il totale dei primi quattro numeri, contiene anche la
globalità stessa dei principi universali. Corrisponde alla Tetraktys pitagorica, che insieme al 7 lo
considerava il numero più importante, in quanto somma delle prime quattro cifre (1+2+3+4=10),
esprimendo, così la totalità. Il 10 è identificato con il Cielo e con la sua analogia con il Punto entro il
Cerchio (nella tradizione esoterica il valore numerico di un Centro o Punto è 1, mentre quello di una
Circonferenza è 9), suggerisce l’ipotesi che la decade rappresenti la perfezione relativa allo Spazio-
Tempo circolare, e all’immanenza.
Il numero 11, insieme al 22 e al 33 è un numero Maestro (e palindromo) e rappresenta la Potenza,
la Giustizia e l’acquisizione dei meriti e dei valori in senso positivo; in senso negativo, invece, rap-
presenta la paura e la decadenza morale. Considerato come il numero della maturità spirituale e
della conoscenza oltre il limite dello scibile umano, è associato all’apertura mentale, l’idealismo, la
visione di insieme (11=1+1=2), fondendo la geniale ispirazione del numero 1 con le capacità intuitive
del numero 2, diventando un simbolo visionario e profetico. Caratterizzato dall’uguale presenza sia
81

di proprietà maschili che femminili, è sovente associato ai segreti, i legami, i vincoli, gli amori clan-
destini, gli affari loschi, etc.
Il numero 12 indica la ricomposizione della totalità originaria, la discesa in Terra di un modello
cosmico fatto di pienezza ed armonia, così come indica anche la conclusione di un Ciclo compiuto.
È il simbolo della prova iniziatica, del passaggio da un piano ordinario ad uno superiore e Sacro,
assumendo un valore esoterico così marcato in quanto è sempre stato associato alle prove fisiche
e mistiche che ogni iniziato deve compiere. In molte culture i riti iniziatici si compiono all’età di 12
anni, dopo che si entra nell’età adulta, ma 12 furono le Fatiche di Eracle (o Ercole), 12 erano i prin-
cipali Dèi del Monte Olimpo nella mitologia greca, 12 erano i Titani e le Titanidi, 12 erano gli Apostoli
del Cristo, i Cavalieri della Tavola Rotonda di Re Artù, i Paladini di Carlo Magno, come 12 sono i
Segni dello Zodiaco, etc. Il numero 12 viene considerato perciò il più sacro, insieme al 7 e al 3
(12=1+2=3) e poiché è dato dalla moltiplicazione di 3x4.
Il numero 13 indica la rottura dell’Armonia, incarnando così il disordine. È quel numero che con
l’aggiunta di una unità al 12, interrompe la ciclicità obbligando l’iniziato ad una trasformazione radi-
cale. È un numero negativo, aritmico che infrange la legge dell’equilibrio e della continuità; per con-
tro, dalla riduzione del numero 13 (13=1+3=4) si ottiene il 4, che indica stabilità, solidità e certezza.
Numero ineluttabile e del cambiamento, il suo significato è un monito a non aggrapparsi a ciò che
non sostiene l’evoluzione, rappresentando karmicamente la morte e la trasformazione. Si dice che
chi vive sotto la sua influenza avrà la concreta possibilità di riparare e di completare ciò che nelle
vite passato è rimasto incompiuto.
Il numero 14 rappresenta la libertà, l’esplorazione e il cambiamento. L’energia del 4 educa a vi-
vere nel mondo materiale e sensuale, senza smarrire il senso del trascendente e della ricerca spiri-
tuale dell’essere, simboleggiato dall’1; coloro che sono influenzati da questo numero, si dice hanno
la grande occasione di apprendere l’uso del libero arbitrio con saggezza ed equilibrio. Il numero 14,
se in negativo, rappresenta la debolezza,
l’esilio, la prigionia, o tutte quelle situazioni
che rendono schiave le persone, esprimen-
do persino l’impotenza anche sotto l’aspetto
sessuale. Descrive, inoltre, tutte quelle si-
tuazioni attive e passive, legate alle attività
faticose e impegnative, come all’imprigio-
narsi delle cose, alle reazioni violente, le of-
fese, il distacco e la lontananza.

Nell’antico Egitto c’è un Mito che raffigu-


ra la perfetta incarnazione del numero 14.
Narrano le leggende che Nut, la Dèa del
Cielo, avrebbe avuto una relazione clande-
stina con suo fratello Geb, la Terra. Il dio-
sole Ra, venuto a conoscenza del segreto,
si sarebbe infuriato e avrebbe proibito a Nut
di partorire durante una qualsiasi data del-
l'anno. Thot, altro fratello di Nut, allora:

«Giocando a dadi [il Cubo] con la Luna,


guadagnò da lei la settantesima parte di
ciascuno dei suoi periodi di illuminazione,
e da tutta la vincita egli compose i cinque
giorni e li intercalò come un'aggiunta ai tre-
centosessanta giorni [già creati da Ra].»
(Plutarco, Su Iside e Osiride)

Questi cinque giorni aggiunti all’ultimo


mese dell’anno, che era all’epoca diviso in
12 mesi da 30 giorni ciascuno (12x30=360),
rappresentavano la nascita di ulteriori forze,
82

tra le quali Osiride, Haroeris (Horus il Vecchio), Seth, Iside e Neftis; infatti nel primo di questi cinque
giorni (detti "epagomeni") nacque Osiride: «… e, nel momento della sua nascita, una voce discese:
"Avanza verso la luce il Signore di tutte le cose".» (Plutarco, Su Iside e Osiride)

Horus il Vecchio nacque nel secondo giorno, Seth nel terzo e in un modo cruento ("con un colpo
squarciò il fianco materno e balzò fuori"), dimostrando subito la sua indole maligna, Iside nel quarto,
fra le paludi del Delta ("nelle regioni che sono sempre umide"), e Nefti nel quinto e ultimo. Plutarco
insinua che il vero padre di Osiride e Horus il Vecchio sarebbe stato Ra, Thot il padre di Iside e i soli
Seth e Nefti figli di Geb. Menziona però una seconda versione della paternità di Horus il Vecchio:
all'interno del ventre materno, prima di venire alla luce, Iside e Osiride avrebbero concepito Horus il
Vecchio. Tra Osiride, che divenne il primo sovrano d’Egitto e Seth, dalla testa d’asino, malvagio e
crudele, vi fu sin dall’inizio un odio implacabile, soprattutto da parte di Seth che per combattere il fra-
tello, radunò 72 complici e fabbricò un cofano tempestato di pietre preziose delle misure esatte di
Osiride, e lo convinse con l’inganno ad entrarvi; una volta che Osiride vi entrò, lo sigillò all’interno
con del piombo fuso.
Iside, sorella e moglie di Osiride, tentò invano di liberarlo ma Seth ne smembrò il Corpo in 14
pezzi (come 14 sono i giorni che impiega la Luna a passare da piena a nuova, o viceversa, perdendo
o acquistando 14 frazioni della sua Luce), che vennero dispersi nel Nilo (la Via Lattea). Cominciò
allora una lunga ricerca durante la quale la Dèa, aiutata da Thot e da Anubis, il Dio dalla testa di Ca-
ne, e da un pesciolino del Nilo, l’ossirinco, recuperò 13 dei 14 pezzi del Corpo del coniuge, fatta ec-
cezione del pene, si racconta divorato da 3 pesci, restando così nelle acque del Nilo (del Cielo),
rendendole feconde; il membro di Osiride fu poi rimpiazzato da un fallo ligneo.
Iside concepì, poi, dal suo sposo così ricomposto, un figlio, Horus il Giovane, che venne cresciuto
in segreto e a cui fu insegnato che avrebbe dovuto vendicarsi dello zio Seth. Quando fu cresciuto
abbastanza, si scontrò ripetutamente con lui, e durante uno di questi duelli Seth cavò un occhio ad
Horus e lo smembrò in 6 pezzi (a quanto pare si dilettava ad essere un Jack lo Squartatore ante-
litteram), spargendoli per l’Egitto, proprio come fece tempo addietro con suo padre. Queste 6 parti
divennero le sei parti dell’Udjat (l’Occhio) e le sei frazioni dell’Hequat (le Parti dell’Occhio); Horus,
infine, si vendicò di Seth evirandolo (si vede che doveva trattarsi di un vizio familiare) ed in seguito
fu proclamato Re dell’Egitto, mentre lo zio divenne il Dio del Male per eccellenza.
Osiride assurge a simbolo vivente, diventa il Faraone per antonomasia, che si comporta e gover-
na il Mondo conformandosi sulla Terra all’ordine cosmico voluto da Maat. Incarnazione del Bene,
della polarità positiva, è una “forma” come lo sarà l’Adamo (o l’Adam Qadmon della Kabbalah) che
vive nel primigenio Giardino dell’Eden, regno dell’armonia. Per contro, Seth, è un Dio Minore, che
rappresenta il Disordine, il Male, una figura e un simbolo simile alla figura biblica dello stesso Adamo,
ma decaduto, o all’Angelo Caduto cristiano, il Lucifero che sceglie di opporsi all’ordine divino o co-
smico. Seth non vuole che sulla Terra si stabilisca l’ordine e l’armonia, o si conformi alla Legge U-
niversale, identificata con la Dèa Maat e le sue 42 prescrizioni, perciò uccide il fratello per simboleg-
giarne la discesa dell’Uomo, la sua caduta, la Cacciata dall’Eden, la perdizione dello Spirito, il pec-
cato originale in quanto scelta di volersi incarnare e di conoscere la Materia stessa. Ed è così che
Osiride, una volta morto, scende negli Inferi ed assume le vesti del Giudice delle Anime Morte, as-
sistito dal Dio Thot e da 42 giudici, rappresentanti le 42 provincie egizie 82.
Durante il rituale del defunto, era Thot in persona che sistemava una bilancia con due piatti, in u-
no dei quali vi era la raffigurazione di Maat, mentre sull’altro il cuore stesso del defunto (il defunto
implorava 14 dèi-giudici, 7 dei quali recano l'Ankh, il Simbolo della Vita). Implacabile, poi, con uno
stilo scriveva il risultato del giudizio, mentre accanto a lui sedeva un Mostro, “il divoratore” (il Coc-
codrillo), pronto a mangiarsi il defunto se sarebbe risultato colpevole. Al contrario, se si fosse rivelato
buono, sarebbe passato nel Regno di Osiride, nel luogo luminoso, la diretta continuazione della vita

82 Al numero 42 sono associate le seguenti analogie: si ipotizza che la massa della Via Lattea sia 1042 kg;
è il numero di generazioni intercorrenti tra Abramo e Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo; nell'Apocalisse
biblica, l'impero "che assomiglia all'Impero Romano" regna sulla Terra per 42 mesi; è il numero dell'imperfe-
zione (6) moltiplicato per il numero di Dio (7); è il numero dei comandamenti (o regole) della divinità egiziana
Maat; nell'antico testo cinese Tao Te Ching di Lao Tzu il capitolo 42 contiene una spiegazione dell'Universo;
nell'antico Egitto era il numero dei giudici dell'oltretomba che ponevano domande ai defunti per conoscere le
loro mancanze; nella tradizione popolare giapponese il 42 è considerato un numero funesto. Le sue due cifre
lette separatamente, shi ni, ricordano la frase "verso la morte".
83

terrena; i cattivi, i non degni, gli esclusi, giacevano affamati e assetati nel buio regno sotterraneo, il-
luminato solo nell’ora in cui il Sole, durante il suo viaggio notturno, attraversa lo Spazio che sta sotto
la Terra.
Il Trono di Osiride era posizionato su di una sorta di predella rettangolare o cubica, con il rialzo
attraversato da linee ondulate che rappresentano, appunto, le onde dell’Oceano delle Acque Pri-
mordiali, quel Nun dal quale emerse insieme ai suoi fratelli, e da dove, da un monticello primigenio,
sorse un Fiore di Loto. Da questo Fiore nacquero poi i quattro figli di Horo: “Duamutef, dalla testa di
Sciacallo; Hapi, dalla testa di Scimmia; Hamset, dalla testa Umana, e Qebeshenuf, dalla testa di
Falco, ovvero i protettori degli organi asportati al defunto e contenuti nei vasi canopici."
Cerimoniere indiscusso è Thot, divinità della Sapienza, della Scrittura, della Magia, della Misura
del Tempo, della Matematica e della Geometria. Egli aveva infatti il compito di vigilare sul puntuale
rispetto delle regole indicate dalla Dèa Maat, e il suo ruolo non era solo quello di registrare i peccati
e sanzionare le colpe compiute nel Mondo degli Inferi, ma di vigilare anche durante la vita e il com-
portamento dei singoli, una sorta di vigile che controlla i vari “Cammini Iniziatici”. Inoltre, fu anche “il
Vigile del Cielo”, a cui gli Dèi affidarono il compito di garantire il rispetto del Codice Cosmico, come
era colui che aveva vinto la maledizione di Ra, permettendo a Nut di dare alla luce i suoi cinque figli,
come fu colui che aiutò Iside, una volta ritrovati i 13 pezzi (più il fallo di legno ricostruito) del Corpo
di Osiride - dilaniato e disperso dal malvagio Seth -, a riportarlo in vita, come fu sempre lui ad allon-
tanare il veleno magico di Seth dal figlio di Osiride e di Iside, Horus, etc. [A quanto pare una Divinità
molto più potente di tutte le altre…]

Una volta che tutte le Stelle vengo-


no riportate sullo stesso piano, dise-
gnarne una Costellazione sembra qua-
si un gioco da ragazzi, perché unire i
puntini è come dilettarsi in un tipico gio-
co degno della Settimana Enigmistica.
Ed è stato proprio quello che hanno
fatto gli antichi unendo certe Stelle, tra
loro lontanissime fisicamente ma così
apparentemente vicine, ma tale unio-
ne, la scelta di quelle figure, non fu det-
tata dal caso, ma da una complessa
sapienza antica, molta della quale an-
data purtroppo perduta.
Ad oggi, l’elenco delle Costellazioni
è ben noto ed ufficiale, tanto che la vol-
ta celeste è stata divisa in 88 Costella-
zioni stabilite dall’Unione Astronomica
Internazionale (UAI), e delimitate da ar-
chi di meridiani e paralleli; ogni punto
della sfera celeste, pertanto, appartie-
ne ad una sola Costellazione.
Durante il corso della nostra storia le
Costellazioni sono cambiate, e molto,
seppure hanno poi mantenuto la loro
struttura di fondo. Le prime di cui si ha
memoria risalgono ai tempi della Meso-
potamia, dalla popolazione degli Acca-
di, sicuramente da loro ricavate dalle
osservazioni preesistenti originatesi nella Valle dell’Indo. Le prime raffigurazioni, che ne documen-
tano la loro decifrazione, sono alcune tavolette contenenti immagini di Costellazioni risalenti più o
meno al 2300 a.C., seppure una prima rappresentazione sistematica risale al 300 a.C. dove vennero
iscritte tali raffigurazioni mesopotamiche basate sulla mitologia del luogo.
84

A più riprese, tutti popoli della Terra tentarono di raffigurare le Stelle su papiri, tavolette, documen-
ti, etc., dalla Cina, al Giappone, sino all’Egitto o nelle grotte americane, ma furono i Greci a dargli u-
na loro dignità, specie quando nel II secolo d.C., Tolomeo introdusse le 48 Costellazoni Boreali, le
uniche visibili dall’allora Mondo conosciuto. Ad oggi si contano:

• 13 Costellazioni Zodiacali, mentre 12 sono le Costellazioni Zodiacali in Astrologia;


• 38 Costellazioni elencate nell’Almagesto di Tolomeo (in origine erano 36, dato che la Costel-
lazione della Nave di Argo fu scissa nella Carena, Poppa e Vela;
• 38 Costellazioni inserite in epoca moderna (dal 1600 circa) e che riempirono gli spazi lasciati
vuoti dai greci, coprendo il Cielo Australe, generalmente popolato di configurazioni deboli.
• Di tutte queste Costellazioni, 18 sono boreali, 34 equatoriali e 36 australi.

I nomi delle Costellazioni dell’emisfero boreale sono antichissimi e derivano dalla mitologia greca,
seppure con quasi certezza provengono da mitologie preesistenti tramandate nel corso dei secoli e
dei millenni. I Greci, reinterpretarono tutte quelle figurazioni celesti, legandole alla loro mitologia,
spesso alle vicende e i continui amoreggiamenti di Zeus. Gli antichi greci vedevano il Cielo come un
alternarsi tra Costellazioni e Vuoti, quindi le loro configurazioni sono state nel tempo allargate o in-
tegrate, con lo scopo di coprire l’intera volta celeste. Al contrario, le Costellazioni dell’emisfero au-
strale, sono molto più recenti dal momento che sono state studiate soltanto con l’avvento dei grandi
viaggi per nave del periodo rinascimentale, e molte di esse portano nomi di uccelli e strumenti scien-
tifici.
Costellazioni tipiche ed importantissime del Cielo, però, sono quelle dello Zodiaco, ovvero una
fascia della volta celeste che si estende per 9° da entrambi i lati dell’eclittica (il percorso apparente
del Sole nel suo moto annuo), comprendente anche il percorso apparente della Luna e dei pianeti83.
Le Stelle dello Zodiaco sono state raggruppate in Costellazioni alle quali, da tempo immemorabile,
sono stati assegnati nomi di esseri viventi, reali o fantastici. Ciò spiega l’etimologia del nome stesso,
derivante dal greco ζῳδιακός, "zōdiakòs", parola a sua volta composta da ζῷον, zòon, "animale,
essere vivente" e ὁδός, hodòs, "strada, percorso", perché a causa del moto di rivoluzione della Terra,
infatti, il Sole sembra percorrere lo Zodiaco come in un cammino.
Le Costellazioni che fanno da sfondo al movimento apparente solare lungo l’eclittica, sono defi-
nite con i seguenti nomi: Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagit-
tario, Capricorno, Ofiuco, Acquario e Pesci. Si, vi è anche l’Ofiuco, perché astronomicamente par-
lando (e non astrologicamente), le Costellazioni dello Zodiaco sono 13, dato che a dicembre, il Sole,
attraversa la Costellazione dell’Ofiuco (dal 30 novembre al 17 dicembre).

«Vedi come da indi si dirama


l'oblico cerchio che i pianeti porta,
per sodisfare al mondo che li chiama.»
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, X, 13-15)

Pensate che molti simboli, sovente animali, attribuiti alle Costellazioni Zodiacali e ancora oggi in
uso, sono di origine mesopotamica. Simboli più antichi come il Toro, lo Scorpione, il Leone e l’Ac-
quario, indicavano i quadranti del Cielo corrispondenti agli equinozi e ai solstizi, com’erano localizzati
nell’Era del Toro, risalente al IV-III millennio a.C. Con la precessione degli equinozi, la funzione
passò poi alle Costellazioni successive, rispettivamente ad Ariete, Bilancia, Cancro e Capricorno:
Toro e Ariete corrispondono all’equinozio di primavera, quando le greggi ricominciano a figliare; la
Bilancia rispecchia l’equilibrio tra notte e giorno nell’equinozio autunnale; il declino del potere solare
è ricordato dallo Scorpione, simbolo dell’oscurità; il Leone, raffigurante il fuoco, è l’emblema del cal-

83 La grande quantità di gas, polveri e particelle che riempie lo spazio interplanetario non si distribuisce in
maniera uniforme ma si addensa soprattutto lungo il piano dell'eclittica. Questo pulviscolo riflette, esattamente
come il pulviscolo terrestre, la luce del Sole e la diffonde, con il risultato che al crepuscolo, con un'aria molto
pulita, è possibile scorgere un debole cono luminoso di luce lungo l'eclittica. Si tratta della luce zodiacale, una
debole luminosità del cielo notturno centrata approssimativamente sull'eclittica, e dovuta alla diffusione della
luce solare su una nube di polveri interplanetarie che si estende a forma di lente intorno al Sole (nube zodia-
cale).
85

do estivo; il Cancro (o gambero), procede indietreggiando e rappresenta la ritirata del Sole dal suo
punto più settentrionale nel solstizio d’estate; l’Aquario, che porta l’acqua, corrisponde alla stagione
delle piogge, mentre i Pesci simboleggiano il ritorno della vita e l’inizio dell’agricoltura.
Il mondo successivo e attuale giudaico-cristiano, ereditò una tradizione antica anche nell’utilizzo
della simbologia zodiacale, seppure dimostrò di essere ideologicamente contrario, in quanto ritenuto
appannaggio di un paganesimo barbaro e in certi casi eretico, ma la nostra cultura si appropriò co-
munque di quelle immagini, conservandone e replicandone le rappresentazioni soprattutto in funzio-
ne del calendario, associandolo nuovamente alla sequenza delle stagioni e dei lavori agricoli, così
come l’influenza dei segni e del passaggio degli astri sulla vita umana.
A conclusione di questo straordinario viaggio sulle influenze astrali nei confronti della nostra storia
e della singola vita umana, appare evidente che ogni rappresentazione celeste non è stata frutto del
caso, ma di una precisa e abile costruzione mentale, filosofica, esoterica e soprattutto astronomica
senza precedenti. Sia che si osservi Orione (Osiride), Sirio (Iside), Andromeda (Sara la Nera, figlia
del Cristo e della Maddalena), Pegaso (il Cubo originario della Creazione o il Paradiso, o Eden Ce-
leste), come tutti i segni dello Zodiaco, raffiguranti animali e umani, così come rappresentano molte
divinità antiche (Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagittario, Ca-
pricorno, Ofiuco, Acquario e Pesci), - che in un sincretismo senza precedenti divennero poi gli stessi
Arconti della Gnosi -, risulta chiaro come il Cosmo sia sempre stato il fulcro di ogni attività e cono-
scenza umana, seppure gli Dèi, ad un certo punto, specie in ambito prima giudaico, e poi cristiano,
arrivarono ad intimare all’umanità di non osservarlo e a non occuparsi mai più delle faccende del
Cielo, regione a loro esclusivamente riservata e per i propri loschi affari…

Proseguì nuovamente Maria, e disse a Gesù: - Di che genere sono le tenebre esteriori, o meglio
quanti luoghi di punizione ci sono in esse?
Gesù rispose e disse a Maria: - Le tenebre esteriori sono un grande Drago con la coda in bocca,
sono fuori del mondo e circondano tutto il mondo. Dentro di esse, i luoghi di condanna sono molti:
dodici sono le terribili camere di tormenti, in ogni camera c’è un Arconte, e l’aspetto di ogni Arconte
è diverso l’uno dall’altro.
Il primo Arconte, quello che si trova nella prima camera, ha l’aspetto di Coccodrillo con la coda in
bocca: dalle fauci del Drago viene fuori tutto il ghiaccio, tutta la polvere, tutto il freddo, tutte le infer-
mità; nel suo luogo è chiamato con il suo autentico nome, cioè «Enchthonin».
L’Arconte che si trova nella seconda camera ha l’aspetto di un Gatto, questo è il suo autentico a-
spetto; nel suo luogo è chiamato «Charachar».
L’Arconte che si trova nella terza camera ha l’aspetto di Cane, questo è il suo autentico aspetto;
nel suo luogo è chiamato «Archaroch».
L’Arconte che si trova nella quarta camera ha l’aspetto di Serpente, questo è il suo autentico a-
spetto; nel suo luogo è chiamato «Archrochar».
L’Arconte che si trova nella quinta camera ha l’aspetto di Toro nero, questo è il suo autentico a-
spetto; nel suo luogo è chiamato «Marchur».
L’Arconte che si trova nella sesta camera ha l’aspetto di Cinghiale, questo è il suo autentico a-
spetto; nel suo luogo è chiamato «Lamchamor».
L’Arconte della settima camera ha l’aspetto di un Orso, questo è il suo autentico aspetto; nel suo
luogo è chiamato con il suo autentico nome, «Luchar».
L’Arconte dell’ottava camera ha l’aspetto d’Avvoltoio, questo è il suo autentico aspetto; ed il suo
nome, nel suo luogo, è «Laraoch».
L’Arconte della nona camera ha l’aspetto di Basilisco, questo è il suo autentico aspetto; il suo no-
me, nel suo luogo, è «Archeoch».
Nella decima camera vi è una quantità di Arconti, ognuno ha sette teste di Drago, nel suo aspetto
autentico; quello che è al di sopra di tutti, nel suo luogo è chiamato col suo nome, «Zaramoch».
Nell’undicesima camera si trova una quantità di Arconti, ognuno ha sette teste con l’aspetto di
Gatto, nel suo aspetto autentico: il grande, quello che è al di sopra di essi, nel suo luogo è chiamato
«Rochar».
Nella dodicesima camera si trova una grande quantità di Arconti, ognuno ha sette teste con l’a-
spetto di Cane, nel suo aspetto autentico; il grande, quello che è al di sopra di essi, nel suo luogo è
chiamato «Chremaor».
86

Ora, questi Arconti di queste dodici camere si trovano all’interno del Drago delle tenebre esteriori:
ognuno ha un nome a seconda delle ore, ognuno cambia d’aspetto a seconda delle ore; inoltre, o-
gnuna di queste dodici camere ha una porta che conduce verso l’alto. Sicché, il Drago delle tenebre
esteriori consta di dodici camere oscure, ed ogni camera ha una porta che conduce verso l’alto.
Un Angelo dall’alto vigila ogni porta delle camere: li ha posti Jeu, il Primo Uomo, il sorvegliante
della luce, l’inviato del primo comandamento, come custodi del Drago affinché sia lui, sia tutti gli Ar-
conti, che sono nelle sue camere, non si ribellino.

(Tratto da “Pistis Sophia Svelato”, Cap. 126 di Samael Aun Weor)

A questo punto, viene però da


chiedersi come una certa numero-
logia, così presente e pressante,
abbia da sempre stuzzicato la fan-
tasia umana, dove numeri come il
12, il 13 e il 14 (e molti altri, ovvia-
mente), si ritrovino sempre inces-
santemente, simboleggiando per-
fezioni ed imperfezioni, creazioni
e distruzioni. A cominciare dai 14
pezzi di Osiride, il Corpo dell’Uo-
mo Primordiale smembrato e di-
sperso nel Nilo (la Via Lattea) dal
fratello maligno Seth (il suo rifles-
so o controparte), all’interno di tut-
te quelle 13 Costellazioni che di-
verranno poi lo Zodiaco, perché la
14esima parte mancante, in realtà
sarebbe la posizione del Sole, il
Pene che feconda tutte le altre
Costellazioni, dato che come spie-
ga lo stesso termine greco, (ζῳδ-
ιακός, zōdiakòs) "l’animale, essere vivente” che viaggia nel Cosmo in quella “strada, percorso"
(ζῷον, zòon) tracciata, è il cammino iniziatico di un vero e proprio codice genetico solare che, dopo
essere stato diffuso nelle altre Costellazioni, portò alla creazione di tutte quelle Civiltà Extraterrestri
che, infine, sarebbero diventati i nostri stessi Dèi, gli Arconti.
Un eterno ciclo di creazione e distruzione, una danza cosmica forse senza precedenti, che con-
dusse l’Uomo Primordiale alla creazione dei suoi stessi Dèi-Figli e Carnefici, per poi ritornare alla
completezza originaria, ma trasmutata in una perfezione assoluta e totale: il Super-Uomo84 ed at-
tuale, summa estrema ed eterna di codici genetici originari (Umani), ibridati con il frutto delle proprie
sperimentazioni (Alieni), proprio come attuavano tutte le antiche Divinità (pensate solo agli amori di
Zeus) quando si univano con i mortali, generando figli, umano-divini, eroi o forme antropomorfe, di
generazione in generazione (infiniti ibridi), anche all’interno della stessa linea dinastica. Per questo
motivo non esiste una 14esima Costellazione Zodiacale, perché in apparenza, la parte mancante,
non più ritrovata dopo lo smembramento del Gigante Primordiale (e poi ricostruita artificialmente)85
siamo noi, è il nostro Sistema Solare, che sul piano dell’eclittica osserva tutte le altre 13 parti (i Segni
dello Zodiaco), le Case dei nostri figli (poi ribellatisi, gli Angeli Caduti) e che si trasformarono, infine,
nei nostri stessi carcerieri.

84 Il concetto di Oltreuomo o Superuomo (dal tedesco Übermensch), introdotto dal filosofo Friedrich Nie-
tzsche, portato poi alle estreme ed esasperanti conseguenze dal Nazismo Esoterico e dal Comunismo, attra-
verso la filosofia Cosmista, nonché in una certa cultura militare e spionistica americana post-bellica.
85 Questa parte, corrispondente al Pene Ligneo ricostruito da Iside ad Osiride, sarebbe la nostra attuale U-

manità Terrestre.
87

Lezione 6

6.1 - Il Laboratorio Marziano

Marte è sovente associato al colore rosso, al colore del sangue, così come a livello astrologico
simboleggia la passione, l’ira, le opposizioni in genere. Il suo Dualismo è così potente da condurre,
per necessità, alla battaglia perenne, tanto si pensa che nessun uomo resti totalmente indenne dal
suo influsso. Ad esso è associato il Ferro, gli istinti e le passioni animali, il martedì (Marte-dì o Giorno
di Marte) secondo giorno della settimana, e alcune zone del Corpo come la Fronte, il Naso, il Cranio,
ma soprattutto il Sistema Muscolare e la Sessualità. Esso incarna qualità di Forza che regolano la
nascita e la morte, la generazione e la distruzione, l’egoismo, e per questo motivo è stato spesso i-
dentificato con una moltitudine di divinità, con accostamenti non di rado sorprendenti.
Egli è l’Adamo-Jehovah, il Brahmâ, perché essi incarnano i poteri generatori primitivi ed originari,
destinati alla procreazione umana. Il nome Adam significa letteralmente “rosso”86 o “Uomo della Ter-
ra Rossa” (o “Essere Rosso”), dato che si fa risalire l’origine etimologica del nome Adamah (“Tratto
dalla Terra”), seppure la parola dam (“sangue”), dimostra una differenza apparente non di poco con-
to, visto che in realtà tutti questi termini hanno una radice unica. Altro aspetto singolare è che Ada-
mah, originariamente, non era la terra intensa in senso generale (erets), né l’elemento terra (iaba-
shah, parola che sta ad indicare l'aridità del terreno), ma caratteristiche, forse, proprie dell’argilla
rossa, per le sue peculiarità di essere plastiche e adatte a ricavarne delle forme.
La “Terra Rossa”, ermeticamente diventa la “Materia Prima”, così come in latino, la parola humus
(“terra), è altrettanto vicina ai termini di homo e humanus, e quanto alla parola dam (“sangue”), an-
ch’essa deriva dalla stessa radice di Adam87 (l’aleph iniziale, esistente nella radice, scompare nel
derivato, non costituendo un fatto eccezionale), in quanto il Sangue è propriamente un liquido rosso
che ha al suo interno un composto chimico fondamentale, il Ferro, lo stesso Ferro che si trova anche
sul nostro pianeta, nel Sole, ma persino sul pianeta Marte, il quale arrugginendo gli ha conferito
quella colorazione rossastra di superficie, a noi oggi nota.
Adamo, perciò, è rosso, come lo è Marte88, il Dio della Guerra, come il suo omologo indiano Kârtti-
keya (“lo zampillante”), nato dal sudore o dal proprio seme gettato nel fuoco e nel Gange. Analoga-
mente a Adamo, non-nato dal ventre di una donna, anche del suo omologo indù si narra nel Mâha-
bhârata lo stesso tipo di “concepimento”, oltre ad essere chiamato “Lohita”, il Rosso, come Adamo,
annoverato, quindi, tra i “primi uomini”. Eppure, anche Jehovah (YHWH), più tardi divenne il “Signore
degli Eserciti” e quindi un vero e proprio Dio della Guerra, conducendo cruente e sanguinose batta-
glie, proprio come Caino, che uccise suo fratello (“il cui sangue gridò al suolo”), e aprì di prepotenza
la bocca della Terra per farne ricevere il suo sangue in sacrificio.
Per gli antichi egizi era Ḥr Dšr o “Horus il Rosso”, il figlio di Osiride/Orione e Iside/Sirio, sovente
identificato con la nascita del nuovo Ciclo sulla Ruota Zodiacale dell’eclittica, ove giacciono le Pleiadi
(Taurus), le Madri di Marte per gli Indù. (Gli ebrei lo chiamavano Ma’adim o “colui che arrossisce”,
da cui deriva il nome di uno dei maggiori canyon di Marte: Ma’adim Vallis; gli arabi lo denominavano
al-Mirrikh; i Turchi Merih e i persiani Merikh, mentre in estremo Oriente ci si riferiva al pianeta come
la “Stella Infuocata”).
Nel nostro occidente, oltre all’Ares (Greco), il Marte (Romano), si menziona anche il Laran (Etru-
sco), sposato con Turan, “la signora” (Venere), la dèa raffigurata con molti specchi, ma oltre ai Ro-
mani, non è raro che altri popoli antichi rivendicarono la divinità come loro antenato, ad esempio i:
Marsi, i Marrucini, i Mamertini, etc.

86 Il nome Adam e il "rosso", stabilisce anche un collegamento della tradizione ebraica con quella Atlantidea,
esotericamente conosciuta come Razza Rossa.
87 Fra i derivati della radice adam, troviamo la parola edom, che significa "rosso di capelli" e differisce da

Adam soltanto per le vocali. Nella Bibbia, Edom, è un soprannome di Esaù, da cui deriva il nome di Edomiti,
dato ai suoi discendenti.
88 Marte è anche detto, in sanscrito Mangala, e ne rappresenta il pianeta, così come diverrà il San Michele

della successiva cristianità; non a caso su molti templi romani dedicati a Marte, sono state edificate chiese in
onore di questo Arcangelo.
88

Ad Ares, così come poi a Marte, furono attribuite molte avventure amorose, anche se la più famo-
sa resta la relazione clandestina con Afrodite (Venere), sposata con Efesto (Vulcano), unione dalla
quale furono generati i figli: Armonia, Eros (Cupido), Deimos e Fobos. Ebbe numerosi figli anche
con donne mortali, ma molti di loro furono poi uomini violenti, inospitali, che attaccavano ed uccide-
vano, lasciandosi andare a veri e propri atti di crudeltà (come il biblico Caino). Resta il fatto che fos-
se iconograficamente raffigurato come un giovane muscoloso, bellissimo, sessualmente dotato, pre-
stante, cinto di corazza ed elmo, armato di scudo, lancia e spada. Di statura sovrumana, si racconta
che emetteva grida terribili, capaci di terrorizzare e far fuggire i nemici, e seppure prediligeva il com-
battimento a piedi, era spesso ritratto su di un carro trainato da quattro corsieri ed accompagnato
dai due demoni suoi figli, che gli servivano anche da scudieri, Deimos (la Paura) e Fobos o Phobos
(il Terrore), ma anche dalla sorella Eris (la Discordia), capace di suscitare nuove guerre, alimentando
gelosie, spargendo voci maligne, e da Enio, Dèa della Guerra89.
Ulteriori informazioni ci arrivano dagli antichi romani, i quali seppure avevano derivato le loro di-
vinità principali dal pantheon greco, riuscirono a crearne un sincretismo grazie alle conoscenze che
acquisirono di pari passo con il loro immenso impero. Marte, dal latino Mars, ha un etimo sconosciu-
to, anche se ha nomi affini quali: Marmar, Marmor, Mamers, Mayors, etc. Secondo la mitologia roma-
na più antica, questa divinità italica, figlia di Giove e di Tellus, era in realtà un dio guerriero ma non
della guerra, e presiedeva al tuono, la pioggia, la forza della natura e la fertilità (e quindi anche la
sessualità). Solo con la più tardiva associazione con Ares, divenne prevalentemente il Dio della
Guerra, ma a parte questo, rispetto al suo alter ego greco, assunse un ruolo più importante dato che
fu considerato nientemeno che il padre del popolo romano90 e di tutti gli italici; si racconta, infatti,
che Marte, unitosi sessualmente con la vestale Rea Silvia, avrebbe generato Romolo e Remo, i fon-
datori di Roma.

(Venere e Marte sorpresi da Vulcano, Padovanino)

89 Gli animali consacrati a Marte sono il Cane, il Lupo, il Picchio Verde e l’Avvoltoio.
90 Ricordiamoci che i latini erano di origini indoeuropee.
89

Data l’origine indoeuropea dei Latini, si può ipotizzare che la radice *MAR- che descrive l’idea di
luccicare, brillare, dal sanscrito (maric’i)91, raggio di luce, o dal greco marmairo, splendo, sarebbe
anche la stessa radice del termine “marmo”, la pietra “che splende”, perciò il significato di Marte,
sarebbe: “Colui che lancia bagliori”.

E di bagliori rossastri ne lancia il pianeta omonimo, Marte, che per l’astronomia è il quarto pianeta
in ordine di distanza dal Sole, con un diametro equatoriale pari a circa metà di quello terrestre e dalla
forma quasi sferica. Per la sua luminosità, che non di rado rivaleggia con quella di Giove, e la sua
caratteristica colorazione rosso-arancione, dovuta alle grandi quantità di ossido di ferro che ne rico-
prono la superficie (come alle fini polveri sospese nell’atmosfera), ne colorano anche il cielo e la sua
luce riflessa visibile dalla Terra, tanto da essere chiamato sin dall’antichità come il “Pianeta Rosso”.
Osservato sin dai tempi storici da Aristotele, che ne notò il passaggio dietro la Luna, ottenendo
una prova empirica della concezione di un Universo geocentrico, a Galileo Galilei, che nel 1609 lo
osservò per la prima volta con il suo cannocchiale, nel 1877 fu la volta dell’altro italiano Giovanni
Schiapparelli, che effettuò delle accurate osservazioni che lo portarono a disegnare una prima map-
pa dettagliata del pianeta e che prevedeva vallate, montagne, mari, laghi e persino dei “canali”. Poi
arrivarono le prime immagini ravvicinate del pianeta, quando nel 1965 la sonda americana Mariner
4, ne mise in evidenza i suoi tratti più caratteristici, sino alle più straordinarie e recenti missioni spa-
ziali.
Seppure piccolo e rosso è comunque il pianeta più simile al nostro, presenta infatti formazioni
vulcaniche (tra cui l’enorme vulcano che Schiapparelli nominò Monte Olimpo, che con i suoi 26 km
di altezza e 600 di larghezza, è ritenuto ad oggi, essere uno dei più vasti dell’intero Sistema Solare),
valli, larghi canyon dovuti ad antiche erosioni, calotte polari, deserti sabbiosi (dove frequenti sono
anche le tempeste di sabbia scatenate in superficie dai suoi venti impetuosi), così come l’inclinazione
dell’asse di rotazione e la durata del giorno, sono equiparabili a quelli terrestri. Insomma, la sua si-
milarità con il nostro pianeta, ha dato luogo a progetti avveniristici che prevedono massicci interventi
tecnologici, allo scopo di permettere una sua futura colonizzazione (tramite il processo della “terra-
formazione”).
Marte presenta un’atmosfera formata quasi esclusivamente da anidride carbonica (il 95%), azoto,
argo ed altri gas che, unita all’estrema rarefazione, determina una forte escursione termica, con tem-
perature medie superficiali piuttosto basse (tra i -140°C degli inverni ai 20°C dell’estate, specie
all’equatore), con una scarsa capacità di trattenere il calore al suolo, oltre ad avere una gravità molto
debole, circa il 38% di quella terrestre. Inoltre, ha anche due satelliti, Phobos e Deimos, di piccole
dimensioni e di forma irregolare, scoperti nel 1877 da Asaph Hall, ma attorno alla loro conoscenza
vi è un mistero ancora oggi insoluto, e che risale a ben 150 anni prima, dato che Jonathan Swift nel
1726, nel suo celebre libro i “Viaggi di Gulliver”, li aveva perfettamente descritti…

«Hanno (gli astronomi lillipuziani) pure scoperto due stelle minori, o satelliti, che girano intorno a
Marte, dei quali il più vicino dista dal centro del pianeta principale esattamente tre volte il suo dia-
metro, e il più lontano cinque. Il primo compie il suo giro in 10 ore, il secondo in 21 e mezzo92, cosi
che i quadrati dei loro tempi periodici sono quasi nella stessa proporzione con i cubi delle loro di-
stanze dal centro di Marte, cosa che mostra chiaramente come siano governati da quella stessa
legge di gravitazione che agisce sugli altri corpi celesti.» (Jonathan Swift, Parte III, Cap. III, Viaggio
a Laputa).

Ma non è tutto, perché persino Voltaire, nel 1750 descrisse l’esistenza delle due lune di Marte
nel suo romanzo “Micromegas”, dove raccontava la storia di un Gigante proveniente da Sirio, in vi-
sita nel nostro Sistema Solare… Per certo sappiamo che sia Voltaire e Jonathan Swift furono membri
della Massoneria, e che quest’ultimo fosse in contatto anche con i Rosacroce, la segretissima so-
cietà iniziatica che si era originata parallelamente a quella dei Cavalieri Templari, se non addirittura
secoli prima, come citano alcune fonti. Tutte considerazioni che avvalorano la tesi che frammenti di
conoscenze di antichissime Civiltà, siano state conservate dai vari popoli della Terra, poi venute in

91 Termine da accreditare.
92 Oggi sappiamo che Phobos compie un giro intorno a Marte in circa 8 ore, e Deimos in 30!
90

possesso di circoli iniziatici (Rosacroce, Templari, Massoneria, etc.), diffondendosi segretamente ed


arrivando sino a noi oggi.
E Risulta chiaro che gli accadimenti celesti rispecchino i racconti mitologici. Seppure la scienza
astronomica o l’astrofisica, sia in grado di sondare i misteri più lontani del Cosmo, ancora riserva
grosse lacune circa l’origine del nostro Sistema Solare. Ma sono singolari, comunque, le storie che
provengono dal Mito, come quella di Efesto (Vulcano) infante, zoppo e deforme, che venne gettato
giù dall’Olimpo dalla madre Era (la Hathor egizia), così come probabilmente il piccolo pianeta Vul-
cano che ruotava in un orbita coeva a quella di Mercurio, fu scagliato dentro le viscere della Terra
ai primordi del Sistema Solare, così come Efesto (Vulcano), decise di rintanarsi nelle caverne del
nostro pianeta dopo la vergogna dei ripetuti tradimenti di sua moglie Afrodite (Venere) con Ares
(Marte), e l’ulteriore esilio (forzato o meno) dall’Olimpo in età adulta.
I cambiamenti apocalittici che all’epoca si verificarono, scatenando la distruzione di pianeti non
più esistenti o alla devastazione di altri, nonché all’attuale conformazione del Sistema Solare, portò
anche alla generazione di ulteriori nuovi “elementi celesti”. Nel mentre Efesto (Vulcano), si rintanò
all’interno della Terra93, generando ulteriori figli, dall’unione di Ares (Marte) e Afrodite (Venere), o
comunque dalla loro interazione, nacquero numerosi figli, proprio come in Genesi si afferma che
Adamo prima della sua morte, sopraggiunta a 930 anni - e dopo essere anch’egli caduto sulla Terra
-, generò con Eva "figli e figlie"94.

(Il Primo Lutto, di William-Adolphe Bouguereau)

93 Un ulteriore Mito narra che Efesto cercò di possedere Atena, ma la dèa scomparve e il seme di Efesto
penetrò nella Terra (Gea), che partorì Erittonio, il più tardo gnostico-mitraico, Abraxás.
94 Adamo con Eva, ebbe numerosi figli (oltre a Caino e Abele) tra cui Set, e che la tradizione narra che

furono in un numero compreso tra 14 e i 140! Gli stessi Caino e Abele sposarono le sorelle gemelle Calmana
e Deborah. Dopo la morte di Abele, Caino sposò sua sorella Awan e generò un figlio, Enoch. Set sposò la
sorella Azura, di quattro anni più giovane, che diede alla luce Enos, e così via di seguito. Inoltre, restando 130
anni lontano da Eva, Adamo insieme a Lilith concepì numerosi Demoni, sprecando il suo seme.
91

Questo dimostra come l’interazione planetaria e la caduta di oggetti stellari sulle superfici, abbia
poi potuto generare ulteriori corpi celesti, come ad esempio i satelliti o le lune, come della Terra (la
Luna) o di Marte (gli attuali Deimos e Phobos) ma sicuramente un tempo in numero maggiore, ma
poi dispersi, disintegrati e/o ricaduti al suolo, proprio come i tanti figli generati dalle divinità sopra
menzionate. In accadico, Adamu95, significa “fare”, “creare”, con il senso di “che è stato creato” o
“creatura”, sincretismo terminologico che ci conduce anche al “creato dal suolo”, “creatura della ter-
ra”, o “creato dalla terra rossa”.

«E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sui
pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che
strisciano sulla terra. E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e
femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e sog-
giogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia
sulla terra.» (Genesi 1,26-28)

In una seconda versione, Adamo viene plasmato con la polvere della terra:

«Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita
e l'uomo divenne un essere vivente.» (Genesi 2,7)

E dalla sua costola96 venne generata la Prima Donna, Eva:

«Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle
costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all'uomo,
una donna e la condusse all'uomo.» (Genesi 2,21-22)

A questo punto sarà bene spendere anche qualche parola sul significato etimologico della com-
pagna di Adamo, Eva, e delle sue implicazioni di non poco conto. Essendo la Prima Donna, secondo
la Bibbia, creata da Adamo e quindi carne della sua carne, il nome Eva corrisponde al sumero “ama”
che significa Madre. Il nome ebraico di Eva, inoltre, presenta delle ulteriori caratteristiche interes-
santi, perché è costituito da tre lettere, Hawwah (a-vu-va), molto simile al tetragramma sacro, le 4
lettere di Yahweh (YHWH); ne manca una di esse, “Yah”, che rappresenta la stilla divina, la goccia
di divinità nell’Uomo.
Se consideriamo che tutte le tradizioni mistiche ci istruiscono sul fatto che Dio è nell’Uomo, e che
il percorso della propria riscoperta o risveglio, è attraverso un viaggio iniziatico all’interno di Sé, nella
propria discesa e la conseguente risalita, dove “Yah” rappresenta la Testa, simbolicamente la Testa
dell’Uomo e che l’Uomo ha reciso nel momento del peccato originale, il suo ponte di collegamento
con il divino, - seppure Dio è sempre presente in “germe” nell’Uomo -, è rappresentato dai Piedi, un
seme che deve ricrescere ed andare a formare una nuova Testa.
Tolto lo Yah da Yahweh resta così Hawwah, Eva, che rappresenta la “Vedova” (come vedova
rimase Iside del marito Osiride), ovvero ciò che resta della natura deprivata e che le dà un senso, il
Seme Divino, per questo motivo Eva è Madre, è la Materia fecondata con il Seme Divino. Parte di
Adamo, è egli stessa Adamo e compito del Primo Uomo è riscoprire la Eva che è in lui, così come
l’opera di Eva è di ricevere e nutrire l’Adamo in questa opera di riscoperta. Ma la Vedova è anche
colei che, senza il consorte, nutre e cresce il figlio (l’Horus o il Cristo), in quanto Vedova del Divino,
e si unisce a Adamo attraverso un matrimonio dove potrà mettere al mondo quel bambino come
ritrovata unità (il 2 che ritorna 1 nella prospettiva Numerologica).
Eva fu morsa dal Serpente al calcagno o tallone, rappresentando “l’origine della ferita”, ossia il
primo punto di partenza per un cammino di redenzione. Giacobbe teneva per il calcagno il fratello
Esaù, Achille aveva lì il suo punto debole, Edipo, etimologicamente significa “piede gonfio”, come

95 Adamu si ritrova anche nella lista dei re Assiri riportata su un documento dell'inizio del I millennio a.C.
96 Secondo una credenza popolare abbastanza diffusa, gli uomini avrebbero una costola in meno rispetto
alle donne, eredità dell'asportazione subita da Adamo. In realtà sia uomini che donne hanno lo stesso numero
di costole. In passato, questa credenza, fu una vera e propria tesi scientifica accettata e consolidata, derivante
dal racconto biblico ed imposta di fatto come dogma dalle autorità religiose.
92

Cristo laverà i piedi (e non le “mani” degli Apostoli prima dell’Ultima Cena). Il piede ferito diventa,
così, la manifestazione del “primo errore” dell’Uomo, il Peccato Originale, ovvero dell’essere scesi
verso i Piedi, la materialità, invece che salire alla Testa, dopo che egli scelse l’Albero del Bene e del
Male, la Conoscenza (mentre ciò che di Divino è in lui, è la Coscienza); la Conoscenza, quindi la
razionalità, divide, mentre la Coscienza, comprende ed unisce.
Nel Bereshit Rabbah, la raccolta dei Midrashim del primo libro della Bibbia, la Genesi, viene ri-
portato che in principio Adamo, era ornato con una sorta di coda che poi perse, così come prima del
Peccato Originale, sia Adamo che Eva, presentavano sulla superficie del Corpo una sostanza cele-
ste madreperlacea, metaforicamente simile alla Materia dell’Unghia, come un ulteriore dato interes-
sante riguarda l’età di entrambi al momento della loro creazione, quantificato in 20 anni. Inizialmente,
Adamo ed Eva, costituivano un unico essere (l’Androgino), infatti secondo alcune opinioni erano
schiena contro schiena, mentre per altri Eva si trovava su di un lato di Adamo (come Shiva e Parvati),
poi Dio, come Zeus, li separò creando così il Primo Uomo e la Prima Donna.
Inoltre, viene descritta la conformazione fisica di Adamo che si pensava avesse una statura ele-
vata, talmente elevata che arrivava sino al Cielo, da dove egli poteva scorgere da una parte all’altra
del Mondo, grazie anche alla “Luce Celeste” creata da Dio. Secondo l’esegesi ebraica, Adamo poté
vedere in visione divina tutti gli Zaddiqim della storia, i giusti, così come tutte le anime delle genera-
zioni successive, i Saggi ed i Re del popolo ebraico. (Midrash Tankhuma Bereshit)

Nella mistica ebraica vi è la figura dell’Adam


Qadmon, associata ai diversi passaggi prima
della Creazione, al suo svolgersi e al significato
dell’origine di tutto, racchiusi poi negli elementi
simbolici ed esoterici contenuti. L’Adam Qad-
mon o Kadmon è l’Adamo o Uomo Primordiale
ed originale, come viene anche identificato ne-
gli scritti religiosi della Cabala, dove nella più
antica fonte rabbinica tradizionale, il Bamidbar
Rabbah, viene usato il termine Adam ha-Ḳad-
moni che ha assonanza con il nome che ha ori-
gini più antiche e risalenti persino agli antichi e-
gizi (Qad-Amon).
L’Adamo biblico, perciò è l’Ha-Rishon (“il Pri-
mo”), ma anche colui che racchiude le Anime di
tutti gli Uomini, mentre nella Cabala è l’Ha-Kad-
moni (“l’Originale o Uomo delle Origini”) il primo
dei Cinque Mondi Spirituali completi nella crea-
zione, quello che sta sopra ed è distinto dall’A-
dam Ha-Rishon biblico che invece sta sotto e
che comprendeva in sé tutte le future anime u-
mane prima del Peccato Originale.
Adam Qadmon è “l’Uomo Superno” non in-
teso sul piano fisico ma come modello astrale,
celeste, metafisico e da cui avrà poi origine l’U-
manità della dimensione terrena. Il suo regno
spirituale è rappresentato dal Sephirah Keter, la “Corona”, ovvero la specifica volontà divina del
piano successivo della Creazione97. Sempre secondo l’esegesi ebraica, l’Uomo, in quanto ultima
creatura concepita, è la più perfetta e completa di tutto il Cosmo, e come tale racchiude ontologica-
mente ogni elemento spirituale e materiale, diventando così il più fedele alla totalità e alla comple-
tezza della Sapienza Divina. Corrisponde energeticamente, inoltre, all’Albero della Vita, rappresen-
tando così la manifestazione divina sul piano dimensionale umano, dove le 10 Sephirot, di cui consta
lo stesso Albero, corrispondono alle parti del suo Corpo.
Adamo, inoltre è presente anche in altre culture del mondo, come in quella persiana, dove viene
indicato come Spirito del Bene Assoluto che, fattosi Uomo, alla fine dei tempi sconfiggerà l’Adam

97 Corrisponde cabalisticamente anche all’arcangelo Metatron.


93

Belial, l’incarnazione del Male Assoluto (o suo doppio malvagio). Nel Dizionario Filosofico, alla voce
“Adamo”, Voltaire cita il fatto che negli scritti vedici sia riportata la storia di un uomo chiamato Adimo
e di sua moglie Procriti, infatti presso gli antichi brahmani, enormemente anteriori al popolo ebraico,
il Primo Uomo, Adimo, “il figlio della terra”, conviveva con la moglie Procriti, “la vita”.
Anche nei Mandei, la sola religione gnostica sopravvissuta al Mondo, si dice che l’Essere Su-
premo, creatore dell’Universo e delle divinità minori98, emanò “Cinque Esseri di Luce” che automa-
ticamente originarono “Cinque opposti Esseri delle Tenebre”. Come negli altri sistemi gnostici pree-
sistenti, questi semidei crearono a loro volta e governarono l’Universo Materiale, compresa la Terra,
raccontano, inoltre, che persino il Genere Umano fu creato da un semidio e che, a seconda delle
varie versioni del Mito, prende il nome di Hiwel Ziwa o Ptahil (quest’ultimo simile a Ptah, il “Creatore”
o Demiurgo egizio). I primi uomini fisici creati furono poi Adamo ed Eva, Adam Paghia e Hawa Pa-
ghia, con degli opposti “occulti” in Adam Kasya e Hawa Kasya.
L’Islam, inoltre, riserva a Adamo una posizione di enorme importanza, essendo considerato il pri-
mo profeta dell’Islam e, quindi, il primo musulmano, ovvero anche il Primo Uomo sottomesso alla
volontà divina. Nel Corano, con queste parole viene annunciata agli Angeli la sua creazione: «Il
giorno che {Allah} decise di crearlo {l’essere umano}, comunicò questa Sua decisione agli Angeli.
Essi dissero: “Vuoi forse creare chi porterà la corruzione e spargerà il sangue sulla Terra?” {Allah}
disse: “In verità, Io so ciò che voi non sapete.”» (Sura al-Baqara/ La Giovenca, 2:30).

Per dimostrare agli Angeli che nell’Uomo, c’era molto più di quanto allora non conoscevano, Allah
insegnò a Adamo i nomi di tutte le cose, mostrando poi loro le sue grandi capacità intellettive.

«Insegnò a Adamo tutti i nomi {tutte le realtà}. Quindi chiese agli Angeli: “Ditemi ora i loro nomi”.
Dissero: “Non v’è sapere in noi all’infuori di ciò che Tu Stesso ci hai insegnato {non possiamo impa-
rare ciò che tu stesso non ci hai insegnato}”. Egli disse a Adamo: “O Adamo, informali dei nomi di
queste {cose}”; quando {Adamo} li mise al corrente dei nomi di quelle {cose}, Allah disse agli Angeli:
“Non vi avevo forse detto che Io conosco l’Arcano dei Cieli e della Terra {conosco ciò che sicura-
mente non conoscete}, ciò che voi manifestate e ciò che tenevate nascosto?”» (Sura al-Baqara, La
Giovenca 2:31-33).

Adamo, si racconta nei testi islamici, fu plasmato con la Terra (fango di argilla) fatta raccogliere
da Dio dagli Angeli nel luogo dell’attuale Mecca, precisamente dove si trova la Kaʿba (il Cubo). Egli
mandò per primo l’Arcangelo Gabriele ma la Terra parlò e giurò in nome di Allah che non le si sa-
rebbe presa della Materia, così si rivolse all’Angelo Michele (Mikail), ma non ne prese perché nuo-
vamente venne intimato. Infine, fu la volta dell’Angelo della Morte che, fedele al comando di Allah,
non rispettò il giuramento della Terra, prese 40 cubiti di essa e li condusse al suo Signore per pla-
smare l’Uomo. Una volta plasmato, Adamo restò inerte per lungo tempo, come una statua di terra-
cotta, con il Corpo che risuonava al tocco di Iblis (il Diavolo), finché Allah gli mandò il suo soffio vi-
tale, animandolo. Nel Corano, tale processo di Creazione dell’Uomo e la sua natura Duale, materiale
e spirituale, è così descritta.

«È colui che ha perfezionato ogni cosa creata e dall’argilla ha dato inizio alla creazione dell’uomo,
quindi ha tratto la sua discendenza da una goccia d’acqua insignificante, quindi gli ha dato forma e
ha insufflato in lui del Suo spirito.» (Sura as-Sajdah, 32:7-9)

Nella Filosofia dei Drusi99, un gruppo etno-religioso costituito dai seguaci di una religione monote-
ista di derivazione musulmana sciita, il viaggio adamico sarebbe iniziato 7000 anni fa, in quanto pos-
sibilità concessa all’Umanità di conoscere il proprio Creatore. Similmente ad altri Cicli precedenti, lo

98 Essi credono in una gerarchia di dèi e semidei, maschi e femmine, con una netta divisione tra gli Spiriti
della Luce e quelli delle Tenebre.
99 L'etimologia della parola deriva dall'egiziano al-Darazī. Egli fu uno dei primi esponenti di una nuova dot-

trina riformista originatasi in Egitto agli inizi dell'XI secolo, all'interno della corrente ismailita, allorché alcuni
teologi dichiararono che l'allora regnante imam fatimide al-Hakim era una figura divina; i drusi stessi lo consi-
derano, ancora oggi, un eretico.
94

stesso accade nelle passate Ere della Terra, dove dopo ogni cataclisma che colpì il pianeta, si gene-
rò successivamente una nuova umanità.

«Ci sono state e ci saranno ancora una volta, molte distruzioni del genere umano derivanti da
molte cause; i più grandi sono stati causati dagli agenti del fuoco e dell’acqua e altri quelli minori da
innumerevoli altre cause.»

Dai testi ismailiti, inoltre, sappiamo che l’Adam a cui si riferisce Dio nel Corano è il Primo Uomo
ad essere stato creato sulla Terra, anche se prima di lui vivevano già altri essere spirituali. In ulteriori
interpretazioni, si dice addirittura che furono creati altri 50.000 Adami prima dell’attuale, e questa
eventualità potrebbe far pensare a dei tentativi mal riusciti da parte di questi esseri spirituali viven-
ti, che alle prese con una non meglio specificata ingegneria genetica molecolare, arrivarono poi alla
forma finale.

«Davvero pensate che questo sia il solo Mondo che Dio ha creato? E voi l’unica razza umana?
Certamente no, perché Lui ha creato migliaia e migliaia di mondi con migliaia e migliaia di Adami e
voi vi basate solo sull’ultimo di questi e all’ultimo di queste umanità adamitiche.»
(Muhammad al-Bāqir)

Micromegas, un “romanzo fantascientifico” di Voltaire

Micromegas o Micromega è un racconto filosofico scritto da Voltaire nel 1752, che racconta del
viaggio di un filosofo di Sirio che venendo nel nostro Sistema Solare, incontra un altro filosofo, ma
di Saturno. Nei suoi innumerevoli viaggi, il siriano Micromega ha visto o conosciuto esseri di ogni
genere e sorte, infinitamente grandi ed intelligenti ma anche piccolissimi (almeno ai suoi occhi di Gi-
gante), per cui si avvicina al saturniano con sincera curiosità.

«In uno dei pianeti che girano intorno alla stella che si chiama Sirio, c'era un giovane molto intel-
ligente, che ho avuto l'onore di conoscere durante il recente viaggio che ha fatto nel nostro piccolo
formicaio. Si chiamava Micromega, nome perfettamente adatto a tutte le persone grandi. Era alto
otto leghe, voglio dire ventiquattromila passi geometrici di cinque piedi ciascuno.»

Dopo essersi conosciuti decidono di intraprendere un viaggio insieme, e così facendo giungono
rapidamente sulla Terra. Il nostro pianeta, inizialmente sembra loro disabitato, in quanto tutte le for-
me di vita presenti risultano microscopiche ai loro occhi, ma poi si imbattono in una spedizione di
scienziati e filosofi di ritorno dal circolo polare artico, in viaggio su di una grande nave. Solo utiliz-
zando un diamante come microscopio riescono finalmente a distinguere i piccoli terrestri, e si stupi-
scono dell’esistenza di creature così minuscole, restando addirittura sbigottiti nel constatare che es-
seri, ai loro occhi tanto insignificanti, sono in realtà in grado di comunicare e di effettuare studi ma-
tematici. Il libretto si conclude, poi, con la consegna ai terrestri da parte del siriano Micromega, di un
libro contenente il senso della vita. «Promise loro che avrebbe composto un bel libro di filosofia,
scritto in piccolo per loro uso, e che in quel libro avrebbe svelato l'essenza delle cose. Infatti, prima
di partire diede loro il volume: lo portarono a Parigi, all'Accademia delle Scienze; ma quando il se-
gretario l'ebbe aperto, vide che il libro era tutto bianco: Ah! disse mi pareva bene!»

Seppure il libro fosse uscito nel 1752, mentre l’autore si trovava in Prussia, sembra che il racconto
fosse stato elaborato nel 1739 nel “Voyage du baron de Gangan”, inviato sempre in quell'anno al Re
Federico II, a dimostrazione ci sarebbe una dichiarazione dello stesso autore del 1752, quando scris-
se di «une ancienne plaisanterie» (un vecchio scherzo). Del resto, in Micromega di Voltaire, viene
riproposta la storia di Maupertius e dei suoi compagni che il 5 luglio del 1737 naufragarono nel golfo
di Botnia, ritornando da una spedizione in Lapponia con cui si voleva dimostrare come il pianeta fos-
se schiacciato ai poli.
95

6.2 - Il Laboratorio Lemuriano

Nella storia delle religioni curata da Puech (1977) per Esoterismo100 si intende una dottrina tra-
smessa soltanto a certi adepti scelti, in base a delle loro ben specifiche qualità ed attitudini; nelle
antiche scuole, infatti, tale insegnamento veniva impartito solo a discepoli con particolari abilità. La
“Verità” (intesa ovviamente in senso lato), era riconosciuta solo dai grandi iniziati e tenuta segreta,
dal momento che al popolo veniva rivelato soltanto ciò che si riteneva utile rispetto ai tempi e al gra-
do di evoluzione raggiunto dalla massa. Perciò, chi intraprende la strada dell’Esoterismo, possiede
una sensibilità che viene nel tempo sviluppata mediante un insieme di dottrine, teorie, leggi ed espe-
rienze che indagano gli aspetti Spirituali dell’Uomo, le cui basi si ritrovano in tutte le religioni e filoso-
fie della Terra, seppure nate e sviluppatesi in contesti molto diversi.
Necessario diventa lo sviluppo dell’intuizione per conoscere il super-razionale e per saper colle-
gare l’individuale all’universale, permettendo, così, l’uscita dal proprio limitato microcosmo. La verità,
per l’Esoterista, non si può raggiungere con la ricerca, ma viene rivelata soltanto a pochi eletti, perso-
ne che acquistano una religiosità cosmica e, quindi, la capacità di concepirne l’astrattismo che per-
mea l’intero Creato. E nel mentre le religioni possono essere diverse, rivendicando aspetti e assunti
unici e dogmatici, l’Esoterismo cerca di trovare l’origine e l’unicità universale della vita e del suo si-
gnificato più profondo.
L’Uomo, per l’Esoterista, non è altro che uno strumento e la forma idonea per incarnare lo Spirito
in continua evoluzione, cercando spiegazione a quell’eterno processo dove lo stesso Spirito diviene
propriamente Materia (la prima fase detta involuzione o discesa), e la Materia, poi, diviene nuova-

100 Esoterismo deriva da Esoterico e che equivale a celato, occulto o misterioso. Dal greco Eso (intuire),

nelle antiche scuole di Pitagora, Platone e Aristotele, gli Esoteristi erano i discepoli che avevano raggiunto il
profondo insegnamento del proprio Maestro.
96

mente lo Spirito (nella seconda fase detta evoluzione o di risalita). Proprio per questo suo particolare
metodo di indagine, nella vita attuale, l’Esoterismo è diventato sinonimo di Occultismo, seppure va
tenuto presente che il termine Occulto è stato coniato soltanto nel XIX secolo, così come attualmente
viene applicato alla Magia, gli studi cabalistici, etc.
Nell’Esoterismo, inoltre, viene utilizzato un linguaggio simbolico che cela al volgo la reale cono-
scenza, mentre per l’iniziato permette di rendere esplicita la chiara intuizione di ciò che appare oscu-
ro al semplice ragionamento. La contemplazione dell’evoluzione cosmica o localmente planetaria
del nostro Sistema Solare vede, così, lo svolgersi di una vera e propria gerarchia di potenze impe-
gnate nel dramma cosmico. La tradizione esoterica cristiana che risale a Dionigi Aeropagita, divideva
queste potenze in nove categorie, raggruppate a loro volta in triadi, formando un tutt’uno organico.
Infatti, secondo tale dottrina si sosteneva che sopra gli uomini vi fossero gli Angeli101, in senso eso-
terico chiamati anche i Figli della Vita, associati all’Elemento Aria. Superiormente si trovavano gli Ar-
cangeli102, associati questa volta all’Elemento Fuoco, considerati anche nella tradizione i fattori più
attivi della vita in generale dell’Umanità.
Seguivano, poi, le gerarchie più elevate, gli Archei, o Spiriti della Personalità o dell’Iniziativa, po-
iché si dice che davano il primo impulso ai sottostanti Arcangeli, presiedendo ai grandi movimenti,
specie rivoluzionari, e umani, ispirando sovente anche i più importanti personaggi che ne hanno
cambiato il corso della Storia. La seconda triade103 comprendeva i Dominatori e gli Ordinatori di tutto
il Sistema Planetario, veri e propri intermediari tra le varie triadi, stando vicini alle divinità. Édouard
Schuré, nei suoi studi condotti nel 1927, li chiamava gli Infallibili e comprendevano anche: Virtù,
Dominazioni e Principati, seppure non possono, come gli Arcangeli, scendere nella vita dell’Uomo
cui però hanno dato il Soffio Vitale. La terza ed ultima triade comprendeva i Troni, i Serafini104 ed i
Cherubini, dove i primi rappresentavano la Potenza, mentre gli altri sono vicini al divino, riflettendone
la sua Luce, irradiandola.
L’Umanità, comunque, da sempre è stata pervasa e percorsa da momenti di esaltazione ed altri
di abbattimento, che a loro volta hanno spinto l’Uomo all’idealismo religioso o, al contrario, al materi-
alismo più concreto, non di rado anche cieco. Tale perenne contrasto, sovente sfociato anche in lot-
ta, ha caratterizzato, però, la costante ricerca di un equilibrio e che vede alla base una Teoria Co-
smogonica105, ed esoterica, dove la metamorfosi (o la variazione), si manifesta in tutto l’Universo,
dalle Stelle ai Pianeti, comprendendo anche le sue forme di vita, Uomo compreso, sottintendendo
che esista un’Anima Universale che agita sia gli Astri che le Anime in un incessante esperienza evo-
lutiva.
Sempre secondo Schuré106 la Terra ha subito tre Metamorfosi (o Variazioni) prima di diventare il
pianeta che conosciamo noi oggi. Nella prima di esse, chiamata di Saturno, la Terra apparve mesco-

101 I persiani li chiamavano anche Feroner, i Sumeri Genii, non di rado indentificati anche con l’Io Superiore
dell’Uomo.
102 Per alcuni sono assimilabili agli Asura della filosofia induista.
103 Gli Indù identificavano questa Triade con i Deva, simili anche agli Elohim di Mosè, ai quali si attribuisce

la Creazione della Terra e la rappresentazione dello Spirito di Dio. Chiamati anche Troni nella tradizione cri-
stiana, e che diedero in olocausto il loro Corpo per la rinascita degli Archei; per Corpo si intende in tal caso il
calore vitale e l’effluvio di amore.
104 In caldeo, serafico, significa amore, mentre i Cherubini traggono il loro nome dalla sapienza e la forza

infinita (meccanica).
105 Secondo la corrente dei Rosacroce si hanno i seguenti Sette Mondi: 1) di Dio; 2) degli Spiriti Vergini; 3)

dello Spirito Divino; 4) dello Spirito Vitale; 5) del Pensiero; 6) del Desiderio; 7) del Mondo Fisico. Una suddivi-
sione ritenuta necessaria perché la sostanza di ogni mondo è sottoposta a leggi diverse; ogni mondo viene
poi frazionato in ulteriori Sette Regioni e che rappresentano altrettante distinzioni della Materia.
106
Philippe Frédéric "Édouard" Schuré (1841 - 1929) è stato uno scrittore, critico letterario, poeta, storico e
filosofo francese. Nato in una famiglia protestante alsaziana, figlio di un medico, resta orfano di madre a 4 anni
e di padre a 14, dopo il baccalaureato si iscrive alla facoltà di diritto per compiacere il nonno materno, ma fre-
quenta contemporaneamente quella di lettere, dove si inserisce in un ambiente di artisti e letterati. Nel 1860
perde entrambi i nonni materni, ereditando a sufficienza per dedicarsi ai suoi veri interessi, una volta terminati
gli studi di diritto. Scrisse numerosi libri ma la sua opera più importante è Les grands initiés (I grandi iniziati),
pubblicata nel 1889 e tradotta in molte lingue, ispirata dalla luminosa figura di Marguerite Albana Mignaty, una
intellettuale originaria di Corfù, esperta di misticismo indiano, che ospitava un salotto letterario a Firenze. Tra
gli incontri che influenzeranno la sua vita, oltre a quello con Marguerite Albana (la sua amata, conosciuta du-
97

lata ad una primitiva nebulosa chiamata il Primitivo Saturno, per distinguerlo dal pianeta che oggi
conosciamo e che sopravvisse alle fasi evolutive successive della nebulosa primigenia; la Terra,
perciò, faceva parte del Sole Primitivo che si estendeva fino all’attuale pianeta Giove. Nella seconda
di queste Metamorfosi, invece, la Terra costituiva con la Luna un unico Corpo Celeste, liberato dal
Sole Primitivo, che Schuré chiama Terra Primitiva o Terra-Luna, mentre durante l’ultimo di questi
processi, il nostro pianeta partorì la Luna assumendo poi la sua attuale conformazione.
Una singolarità della visione di Schuré è che sin dal
principio, l’Essere Umano esisteva nel Sole Primitivo co-
me un vero e proprio embrione eterico. Egli, poi, iniziò a
vivere come un Corpo Astrale, dapprima sotto forma di
nuvole di fuoco, appartenenti alla Luna Primitiva, infine
sulla Terra, acquisendo Coscienza dell’Io, sviluppando
poi organi fisici ed intellettuali. Fu durante queste Meta-
morfosi, inoltre, che gli Dèi delle Gerarchie Superiori svi-
lupparono anche quelle Inferiori (Archei, Arcangeli ed
Angeli), e che col loro aiuto conformarono poi l’attuale
Terra e l’Umanità che conosciamo107.
Questi periodi planetari, variazioni o metamorfosi, eb-
bero una durata quantificabile in milioni di anni, e nel
corso dei secoli, solo lo studio di alcuni iniziati e dei loro
discepoli, ha permesso di scoprire dell’esistenza anche
di precedenti periodi, trasmettendo poi tali conoscenze
mediate l’utilizzo di forme mitologiche più consone al
proprio ambiente culturale108.
La Nebulosa Saturnina, durante la Prima Metamor-
fosi, rappresenta così il primordiale Sistema Solare, una
massa informe, sferica, priva di Luce il cui diametro era
simile alla distanza che ora separa Saturno dal Sole.
Mentre il Nucleo della Nebulosa era ancora freddo, e
senza Luce, la sua superficie iniziò ad agitarsi da onde
di calore volte all’attenzione delle Divinità che qui erano
discese dallo Spazio circostante, con lo scopo di rego-
larne ogni evoluzione. La Genesi stessa, rivela che: “La
Terra era informe e vuota e le tenebre erano sulla faccia
dell’abisso e lo Spirito di Dio si muoveva sulle acque.”
Nella primordiale Nebulosa, e in ogni forma di vita contenuta, l’aspirazione produceva il freddo
nel mentre ogni espirazione dava luogo al caldo. Sempre secondo Schuré gli Arcangeli furono gli
Uomini del Sole Primitivo, fatti di Luce ed Estasi e che nell’Universo videro le Costellazioni109: “Mes-
saggere di altri Arcangeli, fratelli lontani”. In questo stadio, essi si libravano in “volo ebro negli spazi
del Cosmo, sotto lo sguardo dei Cherubini”, un volo accompagnato da “una prodigiosa emissione di
Luce e da un’armonia grandiosa.”

rante un soggiorno di due anni in Italia), c'è quello con il compositore Richard Wagner e l'essenziale amicizia
con il filosofo Rudolf Steiner, che conosce nel 1906, rimanendo affascinato dal suo pensiero.
107 Le Entità, secondo Schuré, si trasformano da un’epoca all’altra, dove nella prima si riscontra la presenza

di un Corpo Fisico, nella seconda si aggiunse un Corpo Vitale, nella terza un Corpo del Desiderio, nella quarta
un Corpo Mentale, e nella quinta tale sviluppo portò alla formazione dell’Ego.
108 Gli Indù definivano queste immagini astrali del passato come una sorta di Akasha o Luce Astrale di Co-

noscenza, più tardi anche i nostri profeti o santi, attinsero le loro informazioni su un presunto Libro di Dio, al
quale si ispirò anche Giovanna d’Arco, quando davanti ai giudici di Poitiers rispose: “Ve ne sono più nel Libro
di Dio che nei vostri”.
109 Le Costellazioni nacquero dai Maghi Caldei cui si deve anche la denominazione dei Dodici Segni dello

Zodiaco. Ogni Costellazione venne identificata con una categoria di Cherubini che la tradizione occulta rap-
presentava come Animali allora ritenuti Sacri. I Cherubini venivano infatti scolpiti dai Caldei, dagli Egizi e dagli
Ebrei attraverso i quattro simboli del Toro, del Leone, dell’Aquila e dell’Angelo, gli stessi che troviamo riuniti
nella Sfinge egizia. Gli stessi quattro simboli, inoltre, ricordano anche i Quattro Evangelisti che, nell’ordine so-
vraesposto degli Animali, corrispondono rispettivamente a: Luca, Marco, Giovanni e Matteo.
98

Gli Angeli, e successivamente gli uomini, secondo Schuré, sarebbero nati dall’Estasi degli Arcan-
geli nella Luce, mentre gli Animali sarebbero stati concepiti dall’Incubo delle Tenebre. Per effetto
delle azioni delle Potenze della seconda triade (Virtù, Dominazione e Principati), il Sole Primordiale
ebbe una prima condensazione e dal Nucleo della Nebulosa vennero a formarsi Giove e Marte, due
sfere ruotanti attorno alla nostra Stella, la prima con Luce Interna, la seconda manifestazione, inve-
ce, opaca; contemporaneamente, la fotosfera del Sole si restrinse, brillando di una Luce ancora più
viva.
In questa fase, la tradizione esoterica colloca il Combattimento del Cielo che lasciò traccia in tutte
le storie mitologiche, dalla Teogonia di Esiodo dove si narra dello scontro tra i Titani e gli Dèi, a quel-
la giudeo-cristiana con l’altrettanto celebre Caduta di Lucifero. Tale combattimento precedette la
Creazione della Terra, facendoci intuire che esso non accadde a caso, ma che fu parte invece di un
progetto divino, documentando così, l’eterna lotta Duale tra il Bene e il Male. Lucifero, secondo una
branca di Esoteristi (specie in ambito Teosofico), rappresenta il Genio della Conoscenza e dell’Indi-
vidualità, a capo di tutta una classe di Angeli e Spiriti, fiero ed indomabile, non sottomesso a nessuno
che a sé stesso.
Egli capì che, per rendere il genere umano indipendente, pronto alla rivolta (non di rado veicolata)
fosse necessario separarne il sesso. Gli Angeli erano, dal punto astrale e spirituale, del tutto andro-
gini, privi di desiderio e turbamenti e per sedurli plasmò nella Luce Astrale la forma abbagliante di
quella che sarà la Donna Futura, la Donna dell’Era Ideale110 che prometteva un Mondo di Gioie, e
per portare a compimento tale opera, riunì attorno a sé alcuni Angeli Ribelli. Nel frattempo, tra Giove
e Marte, venne a formarsi un astro intermedio dove Lucifero e i suoi accoliti, crearono un mondo che
però avrebbe portato al disordine tutta la Creazione e spezzato la catena delle Gerarchie Divine e
Planetarie.
Ne nacque una lotta aspra e violenta che vide, infine, Lucifero sconfitto e il suo pianeta comple-
tamente distrutto (andrà poi a formare la fascia degli attuali asteroidi tra Marte e Giove). L’Angelo
Ribelle fu poi cacciato su un Mondo Inferiore rappresentato da un altro pianeta strappato al Nucleo
Solare dai Principati e dalle Dominazioni. Questo pianeta era la Terra Primitiva che formava, allora,
con la Luna un unico astro, formando poi un Mondo Sottomesso alla dura legge della Materia con-
densata. La Terra Primitiva, ossia la Terra-Luna descritta anche da Schuré, appariva come un astro
a nucleo liquido avvolto da gas infiammato e da cui nacque in seguito la crosta terrestre, simile a
materiale spugnoso e dove vivevano esseri giganteschi, aventi una struttura intermedia tra i vegetali
ed i molluschi, simili ad alberi ma con i tentacoli.

«In questa atmosfera gassosa, che avviluppava la Terra-Luna come un immenso turbine, già
nuotavano e galleggiavano, simili a piccole nuvole di fuoco, i germi primitivi dell’Uomo Futuro.»

Embrioni già “umani” ma non aventi un Corpo Fisico vero e proprio, ma un Corpo Eterico, o aventi
una vitalità interna simile ad un Corpo Astrale, o un’area raggiante con la quale percepivano l’am-
biente circostante, dotati di sensazione ma privi della Conoscenza dell’Io. E se mentre gli Arcangeli
furono i Dominatori della Terra Primitiva, toccò poi agli Angeli, seppure ribelli o caduti, ad ispirare
negli embrioni umani111 i loro pensieri, diventando in seguito, nel periodo cosmico successivo, le for-
me cristallizzate di dinamiche e meccanismi che ancora oggi regolamentano e governano il Mondo.
Nell’ultima Metamorfosi (o Variazione) si verificò, infine, quella rivoluzione cosmogonica che portò
alla separazione della Luna dalla Terra. Anche in questo frangente agirono le stesse potenze spiri-
tuali che in precedenza avevano separato dal Sole la Terra Primitiva, e in questo ultimo passaggio,
lo scopo della Metamorfosi finale fu la discesa dell’Uomo dal Piano Astrale a quello perfettamente
Fisico. Con la scissione, la Terra venne a rappresentare il Polo Animico o di Madre (l’Anima Mundi),
mentre la Luna quello egoico (l’Ego), ma al contempo anche una separazione sessuale che portò
all’amore sessuale, alla morte e la reincarnazione con l’eterno Ciclo della Vita. La Terra delle origini
iniziò ad evolversi da una iniziale condizione di sfera semiliquida e vaporosa, attraversata da correnti
calde e fredde, ad una più fisica, dove venne poi a formarsi un essere, lontano parente dell’Uomo.

110 Secondo una tradizione, si ritiene che Lucifero si unì all’Eva Primitiva, detta Lilith, dalla cui unione nac-
que Caino, l’Uomo disceso dalla Materia e già condannato ad essere un assassino.
111 Schuré sosteneva che la forma dell’Angelo è l’archetipo dell’Uomo Futuro, con una individualità libera e

creatrice.
99

«Simile ad un pesce quanto ad un lungo serpente, d’un azzurro verdastro; dal corpo gelatinoso
e trasparente lasciava scorgere gli organi interni e brillava di tutti i colori dell’arcobaleno. Dalla sua
parte superiore usciva, a guisa di testa, una specie di ventaglio o pennacchio fosforescente. In
quest’organo appariva il protoplasma di ciò che divenne il cervello umano. Serviva a quell’essere
primitivo come un organo di percezione ed insieme di riproduzione, perché non avendo orecchi ed
occhi, percepiva a distanza, per mezzo di quell’organo di una sensibilità estrema, tutto quello che,
avvicinandolo, poteva nuocergli o essergli utile. Ma quella specie di lanterna, quale grande fiore
luminoso come una medusa di mare, adempiva anche alla funzione di organo maschile e feconda-
tore, poiché quella grande medusa, agile e vivace, celava inoltre nel suo corpo un organo femminile,
una Matrice. In certe epoche dell’anno, quei nuotatori ermafroditi erano attirati dai raggi del Sole
nelle parti superiori e meno dense del loro oceano, e la fecondazione avveniva sotto il suo influsso.
Cioè, l’essere bisessuato si fecondava da sé stesso inconsciamente ed involontariamente, come
avviene in molte piante in cui il germe caduto dagli stami, feconda lo stigma. Allora il nuovo essere,
che si formava nel suo seno, prendeva a poco a poco il posto del primo. Tutta la vita del vecchio
passava al nuovo e, quando questo aveva raggiunto il pieno sviluppo, gettava il suo carapace, come
il serpente getta la sua armatura di scaglie quando fa la pelle nuova. C’era dunque un rinnovamento
periodico dell’animale, ma non c’era morte, né rinascita. Quell’essere non aveva ancora il suo Io. Gli
mancava ciò che gli Indù chiamano il manas, il germe della mentalità, la scintilla divina dell’Uomo,
centro cristallizzatore dell’Anima immortale. Aveva, come tutti gli animali attuali, un Corpo Fisico, un
Corpo Eterico (o Vitale) e un Corpo Astrale (o Raggiante) e, per mezzo di quest’ultimo, sensazioni
che somigliavano ad un miscuglio di sensazioni tattili auditive e visive. Il suo modo di percezione era
in forma rudimentale, qualche cosa di simile a ciò che oggi è il senso divinatorio, nei tipi specialmente
dotati di tale facoltà.» (Édouard Schuré)

Lemuria112 è un ipotetico conti-


nente scomparso, collocato secon-
do alcuni studiosi, - presumibilmen-
te -, nell’Oceano Indiano, seppure
la teoria della sua esistenza, formu-
lata nel contesto della biogeografia
del XIX secolo, è divenuta obsoleta
in seguito alla scoperta e alla com-
prensione della tettonica a zolla, su
cui concorda la maggior parte de-
gli scienziati moderni. Sebbene sia
“scomparsa” dal regno della Scien-
za, essa è sopravvissuta in quello
Esoterico, avendo un’ampia eco ed
essendo, ancora oggi, oggetto di
ulteriori studi ed analisi.
Questo continente, scomparso o
meno, veniva comunque descritto grande abbastanza da coprire un’area così vasta da comprendere
le acque dell’Oceano Indiano, l’Australia attuale, parte dell’Asia e dell’Africa meridionale. All’epoca
della sua ultima speculazione pseudo-scientifica, alcuni ricercatori sostenevano che sebbene i le-
muri viventi ad oggi si trovino solo in Madagascar e nelle isole vicine, la scoperta di famiglie di lemuri
estinte dal Pakistan alla Malesia, ispirò il nome Lemuria, coniato nel 1864 dal geologo Philip Sclater
nell’articolo The Mammals of Madagascar uscito sul The Quarterly Journal of Science. Confuso dalla
presenza dei lemuri sia in Madagascar che in India e dalla loro assenza in Africa e nel Medioriente,
egli propose che il Madagascar e l'India fossero stati un tempo parte di un continente più grande,
chiamato, appunto, Lemuria proprio dal nome di questi animali.

112 Con il termine Lemuri (Lemures) gli antichi romani designavano le anime dei morti, dette anche larvae.
Sembra che il nome derivi dalla forma originaria Remuria, una festa istituita da Romolo per placare l’ira dell’uc-
ciso Remo e che in seguito, servirà anche per placare le anime vaganti dei morti. Il termine è usato anche per
indicare animali di tipo lemuride, tuttora viventi in Madagascar.
100

Secondo la versione di alcuni esoteristi, invece, milioni di anni dopo l’origine della Terra, un nuovo
continente apparve nell’emisfero australe. Aveva il suolo costituito di granito e lava e su di esso la
vegetazione proliferava con felci gigantesche, pieno di numerose paludi che si estendevano per
miglia e miglia, costellato qua e là di coni vulcanici che eruttavano continuamente. La luce era fioca
poiché quel lembo di Terra era costantemente avvolto da un’atmosfera pesante e carica di nubi,
anche se vivevano forme più progredite tra cui l’essere destinato a diventare poi l’Uomo, inizialmente
una forma semi antropomorfa e quadrupede, con un sistema cerebro-spinale alquanto sviluppato.
Sempre secondo Schuré, questo primigenio organismo aveva: “la ghiandola pineale che si era
rivestita di un cranio ed era diventata un cervello, seppure ne uscisse un orifizio rimasto nella parte
superiore della scatola cranica, simile ad una pinna mobile. Due occhi comparivano in quel cranio,
due occhi che vedevano appena di una vista ottenebrata le cose; ma la piuma pineale aveva con-
servato il dono della sensibilità astrale, in modo che quell’essere imperfetto, ibrido e ributtante, aveva
due percezioni, una ancora molto forte ma che sarebbe scemata nel piano astrale, l’altra invece an-
cora molto debole, ma sarebbe aumentata, specie nel piano fisico. Le branchie divennero poi pol-
moni, le natatoie delle zampe, e quanto alla testa, essa rammentava quella di un Delfino, con le
bozze frontali simili a quelle del Leone.”
Lemuria, inoltre, entrò di prepotenza nel lessico esoterico o dell’occulto, tramite le opere di Helena
Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica, che dichiarò intorno al 1880 l'esistenza di questo con-
tinente, abitato da una razza di ermafroditi spiritualmente puri, rivelatogli dai Mahatma che le avreb-
bero permesso di visionare un testo pre-atlantideo, il Libro di Dzyan. Secondo l'interpretazione teo-
sofica, gli ermafroditi di Lemuria corrispondevano a una delle Sette Razze Radicali attraverso cui si
muove ciclicamente l'evoluzione dell'umanità. La successiva Antroposofia, il cui maggiore espo-
nente, nonché fondatore, fu Rudolf Steiner113, affermava che i Lemuriani avevano un corpo molle e
particolarmente plasmabile, ovvero che potevano modificare il proprio corpo a seconda delle diverse
necessità.
Avevano, inoltre, l’Io ancora poco sviluppato e mobile, possedevano doti chiaroveggenti e delle
funzioni ancora unite, in quanto la respirazione e il nutrimento erano congiunti in un unico organo
che introduceva una sostanza liquida, lattiginosa. Gli organi dei sensi erano poco sviluppati e per-
cepivano per lo più immagini, così come la percezione del caldo e del freddo era trasmessa dalla
ghiandola pineale, oggi atrofizzata. Caratteristiche umane del tutto particolari e che derivano dal fat-
to che le prime incarnazioni risalivano a quest’epoca oscura ed arcaica, dove gli esseri erano poco
affini al Mondo Fisico, tanto da vivere più esperienze nel Mondo Spirituale; fu così che gli Spiriti della
Personalità agirono sui Lemuriani, incarnandosi poi in Uomini e facendo loro da guida.

«Alto fra quattro e cinque metri, con la pelle bruna, la faccia piatta ed un muso sporgente; occhietti
minuscoli piazzati così lontani l’uno dall’altro che egli poteva vedere lateralmente, e non solo davanti
a sé. Non aveva fronte, ma era fornito di un terzo occhio alla nuca, che in noi è rappresentato tuttora
dalla ghiandola pineale, nel cervello. I lunghi arti non si potevano raddrizzare completamente, ed e-
gli aveva mani e piedi enormi; anzi, i piedi avevano talloni che sporgevano tanto da permettergli di
camminare sia in avanti che all’indietro.»

Questo è ciò che sosteneva Lyon Sprague de Camp114 grazie alla dettagliata descrizione di un
lemuriano, trattata da William Scott-Elliot115; egli fornì molti più dettagli della Blavatsky sulle vite di
queste presunte razze, sia di origine lemuriana che atlantidea. Scott-Elliot, inoltre, aveva localizzato
Lemuria nell’Oceano Pacifico, sostenendo che si trattava di una gigantesca massa continentale che

113 Steiner ci informa che l’epoca lemurica si concluse a causa di grandi catastrofi vulcaniche ma che un

gruppo di umani si salvò dalla totale distruzione.


114 Lyon Sprague de Camp (1907-2000) è stato uno scrittore statunitense. Nella sua carriera, durata oltre

cinquant'anni, ha scritto libri di vario genere, soprattutto romanzi di fantascienza e fantasy, ma anche opere
non di genere e saggistica, come biografie di importanti autori fantasy. La biblioteca personale di de Camp,
forte di circa 1200 volumi, fu venduta all'asta da Half Price Books nel 2005, la collezione comprendeva libri
scritti da lui stesso e da scrittori amici suoi, come Isaac Asimov e Carl Sagan.
115 William Scott-Elliot, a volte erroneamente detto Scott-Elliott (1849-1919), fu un teosofo che elaborò il

concetto di Razza Radice di Helena Blavatsky in diverse pubblicazioni, in particolare in The Story of Atlantis
(1896) e The Lost Lemuria (1904), in seguito riunito nel 1925 in un unico volume chiamato La storia di Atlantide
e la Lemuria perduta.
101

alla fine affondò, lasciando solo delle piccole isole. Dopo la scomparsa di Lemuria, nuove razze e-
mersero sulla successiva Atlantide, tra i quali i Rmoahal dalla “pelle nera”, i Tlavatli "color rame",
che erano adoratori degli antenati, e quindi i Toltechi, che avevano una tecnologia avanzata che in-
cludeva dei non meglio precisati oggetti volanti.
I Toltechi furono seguiti dai Turaniani e poi i Semiti, e questi ultimi produssero, inoltre, ulteriori
sotto-razze, tra cui gli Accadici e i Mongoli. Un gruppo di Accadiani, addirittura migrò in Gran Breta-
gna 100.000 anni fa, dove costruirono il famoso tempio archeo-astronomico di Stonehenge. Scott-
Elliot sosteneva, inoltre, che Atlantide era divisa in due isole collegate, una chiamata Daitya e l'altra
Ruta; alla fine non rimase che un residuo di Ruta, chiamato Poseidonis, ancora prima che scompa-
risse nelle acque dell’Oceano. Le idee di Scott-Elliot furono citate anche da Rudolf Steiner nei saggi
successivamente pubblicati come Atlantis e Lemuria (1904).
In tutti questi processi, alcune correnti eso-
teriche, sostengono che furono gli Angeli116
ad entrare nel Corpo degli Uomini, portando
la scintilla divina, cioè quel principio immortale
dell’Io (Ego). Intervennero in tale processo
anche gli Archei117, in quanto non avendo un
Corpo Fisico, e non essendo in grado di assi-
milare la Materia, rivestendo solo un Corpo
Etereo, trasfusero a questi esseri primitivi il
sentimento religioso e mistico. L’Uomo, così,
venne quindi a disimpegnarsi dalle forze ani-
mali e si avvicinò lentamente alla sua forma
attuale, con una accentuazione continua della
separazione dei sessi, che agì su tutti gli es-
seri viventi. La Lemuria, pertanto, sperimentò
ogni sorta di accoppiamento, in quanto la ses-
sualità era dominante: “Dall’accoppiamento
delle specie inferiori dell’umanità nacquero le
scimmie, l’uomo non è affatto una scimmia
perfezionata. Al contrario, anzi, la scimmia è
la degenerazione ed una degradazione del-
l’uomo primitivo, un frutto del suo primo pec-
cato.” (Schuré)
Ciò che all’epoca accadeva non piacque a-
gli Dèi che videro l’Uomo succube, a loro di-
re, di cattive passioni, come i desideri senza
freno quali, l’invidia, l’odio, il furore (vedasi la Caduta Biblica di Caino). Nacquero così le prime
guerre, specie tra Animali e tra Umani, momento mitologico che i Greci spiegarono con il Mito di
Pandora e del suo Vaso contenente tutti i flagelli che una volta liberati, andarono a diffondersi e ad
opprimere l’intero Mondo. Il Mondo Lemuriano venne così distrutto dall’Ira degli Dèi che lo colpirono
con un cataclisma, il quale portò ad un totale cambiamento della faccia della Terra. Preceduti da
forti scosse sismiche, i vulcani esplosero con torrenti di lava e nubi piroclastiche di ceneri incande-
scenti che invasero tutta la Lemuria.
L’agitarsi della Terra, sempre secondo Schuré si verificò in coincidenza di una “corrispondenza
astrale della vita animica del globo coi suoi abitanti.” Tutti gli esseri considerati dagli Dèi come “de-
generati”, scomparvero poi inghiottiti dalle acque dell’Oceano, si salvò soltanto la parte migliore della
razza lemuride, rifugiatasi all’estremità occidentale del continente per mezzo di una guida divina. I
superstiti raggiunsero, infine, l’Atlantide, una terra nuova e vergine, ricca di vegetazione e da poco
emersa dalle acque…

116 Questi Angeli abitavano la Luna, erano di ordine inferiore ed aspiravano alla guida degli Uomini rivesten-
do un Corpo Fisico.
117 Gli Archei, si dice, abitavano sul pianeta Venere, sovente associati ai Lemuriani per condizioni fisiche

e abitative.
102

Lemuria, tra racconti di Fantascienza e cruda realtà geopolitica

Nel 1894, Frederick Spencer Oliver pubblicò, con lo pseudonimo di Phylos il Tibetano, il romanzo
A Dweller on Two Planets, nel quale dichiarò che i sopravvissuti di un continente sommerso, chia-
mato Lemuria, vivevano all'interno del Monte Shasta nel nord della California. I Lemuriani avrebbero
vissuto (o forse vivrebbero ancora oggi) in un complesso sistema di tunnel scavati nella montagna
e, in alcuni casi, sarebbero stati avvistati fuori dalla montagna, mentre camminavano coi loro abiti
bianchi. Queste idee furono riprese anche da Guy Warren Ballard, che negli anni Trenta formò la I
AM Foundation.
Ma il nome di Lemuria comparve in un buon numero di opere di narrativa fantastica tra la fine
dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, incluse alcune del filone del Mondo Perduto. Ad esem-
pio, è citata, assieme ad Atlantide e Mu, nelle storie fantasy di Kull di Valusia di Robert E. Howard e
nelle storie di Howard P. Lovecraft scritte negli anni Venti/Trenta. Ne riprese la storia anche Richard
S. Shaver in una serie di storie di fantascienza, presentate come vere, pubblicate dal 1945 al 1949
sulla rivista pulp Amazing Stories e in seguito sulla rivista Other Worlds, che fece il suo debutto nel
1949 con il racconto The Fall of Lemuria. In queste storie Shaver sosteneva l'idea di una Terra Ca-
va118, presentando la storia di una razza superiore preistorica che sarebbe sopravvissuta nelle pro-
fondità della Terra.
Ulteriore e affascinante variante del Mito è quella targata dall'Universo Marvel, dove Lemuria vie-
ne identificata come la città sommersa dei Devianti, creature umanoidi dal codice genetico instabile
e in continuo cambiamento, tanto che ognuno di loro non appartiene alla stessa specie dell'altro. Pa-
renti stretti dell'Homo Sapiens Sapiens e degli Eterni, con i quali sono in perenne competizione, essi
furono creati insieme alle altre razze umane dai Celestiali, divinità cosmiche dall’enorme potere, i
quali dopo secoli di assenza dal pianeta Terra, tornarono a seguito di una rivolta dei Devianti; dopo
aver decimato queste creature fecero sprofondare la loro città-capitale nell'Oceano Pacifico.
Lemuria è presente nel videogioco Golden Sun: L'era Perduta, il secondo titolo di una serie per
Game Boy Advance. In questo capitolo viene raffigurata come un'isola al centro dei mari, circondata
da nebbie perenni, dove la sua popolazione risulta immortale perché su di essa il tempo si è fermato,
grazie all'acqua che sgorga da una fonte posta al centro dell'unica, antica, città presente; qui, i Lemu-
riani, vengono raffigurati come esseri magici e belli dalla pelle bianca ed i capelli azzurri.

Una singolarità, nell’attuale situazione geopolitica mondiale, è data da un piccolo territorio britan-
nico d’oltremare, situato nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, proprio a metà strada tra l’Africa e l’Indo-
nesia, il Territorio Britannico dell’Oceano Indiano (British Indian Ocean Territory, abbreviato in BIOT),
che ha per motto la seguente frase: “In tutela nostra Limuria” ("Lemuria è sotto la nostra protezione").
Il territorio comprende sei atolli dell’arcipelago Chagos e che conta più di 1000 isolette di varie
dimensioni, dove l’isola più grande, Diego Garcia, presenta anche un’importante base militare anglo-
americana; gli abitanti, infatti, sono per lo più militari di stanza nella base.
Questo territorio appartiene al Regno Unito dal 1965 ed è stato concesso in uso agli USA l’anno
seguente per la costruzione della base militare, punto di partenza, tra l’altro, per gli attacchi aerei
durante la Prima Guerra del Golfo (1991), la Guerra in Afghanistan e della Guerra in Iraq (2003).
Ma quando gli americani sbarcarono sull’isola nel 1961 per farne una delle basi più grandi al
mondo119, l’allora governo laburista inglese di Harold Wilson, cospirò in gran segreto con due ammi-
nistrazioni americane per “ripulire” e “bonificare” le isole di tutti i suoi abitanti indigeni e di ciò che vi
era presente…

118 I discendenti di questa razza, noti come i Dero, vivrebbero nelle caverne usando macchine fantastiche
abbandonate da razze antiche con le quali, a volte, si avventurerebbero sulla nostra superficie; Shaver fu in-
fine bandito dalla rivista Amazing Stories e non ammise mai che si trattasse di fiction.
119 Al momento vi si trovano più di duemila soldati, l’ancoraggio di trenta navi da guerra, un deposito nucle-

are, una stazione satellitare, vie commerciali, locali, un campo da golf; gli americani la chiamano anche «Camp
Justice».
103

«Non dobbiamo cedere di un passo. Lo scopo dell’operazione era di conquistare degli scogli che
continueranno a essere nostri. Non rimarranno indigeni, a eccezione dei gabbiani». Segue una nota
scritta a mano da D. H. Greenhill, poi barone Greenhill: “Insieme ai gabbiani c’è qualche Tarzan e
qualche Venerdì...”» (Sir Paul Gore-Booth, sottosegretario del Ministero degli Esteri, 1966)

All’inizio gli isolani vennero ingannati e indotti ad andarsene, chi si trovava alle Mauritius per cure
mediche urgenti non poté ritornare, e nel mentre gli americani cominciarono a sbarcarvi per costruire
la base, sir Bruce Greatbatch, governatore delle Seychelles incaricato della «bonifica», ordinò che
tutti i cani di Diego Garcia venissero uccisi. Quasi mille animali furono radunati ed eliminati con i gas
di scarico dei veicoli militari americani: «Portarono i cani in una fornace dove lavoravano i nostri»,
racconta Lizette Tallatte, oggi sessantenne, «e mentre i cani ci venivano strappati via sotto gli occhi,
i bambini strillavano e piangevano».
Fu una vera e propria deportazione di massa, la gente lo prese come un avvertimento. Chi era
rimasto fu caricato sulle navi e poté portare con sé solo una valigia, si lasciarono dietro le loro case,
i mobili, le loro vite. Arrivati alle Seychelles, vennero condotti a passo di marcia in una prigione sulla
collina dove rimasero fino al trasferimento alle Mauritius; lì vennero poi scaricati sulla banchina.
Durante i primi mesi di esilio, la lotta per la sopravvivenza fu segnata da frequenti suicidi e morti dei
bambini. Lizette perse due figli: «Il dottore disse che non poteva curare la tristezza». Rita Bancoult,
oggi settantanovenne, ha perso due figlie e un figlio, e racconta che quando il marito seppe che non
sarebbero più potuti tornare a casa, ebbe un infarto e morì. La comunità di Diego Garcia fu devastata
dalla disoccupazione, dalla droga e dalla prostituzione, fenomeni un tempo sconosciuti.
Il comportamento del Governo Blair, inoltre, fu il peggiore di tutti. Nel 2000 gli isolani avevano
riportato una storica vittoria presso l’Alta Corte, che giudicò illegale la loro espulsione. Ma a poche
ore dalla sentenza, il Ministero degli Esteri dichiarò che gli isolani non avrebbero potuto tornare a
Diego Garcia per via di un «trattato» con Washington, un accordo tenuto segreto dal parlamento e
dal Congresso degli Stati Uniti. Nel 2003, nel corso di un’altra causa, sempre presso l’Alta Corte, gli
isolani si videro negare anche il risarcimento, addirittura la corte permise all’avvocato del governo di
aggredirli e umiliarli durante le loro deposizioni mentre il giudice Ousley parlava al plurale, come se
la Corte e il Ministero degli Esteri formassero un’unica fazione. Infine, venne emanato un decreto
che bandiva per sempre il ritorno degli isolani alla loro terra…

Altre considerazioni su Lemuria negli studi Teosofici

Secondo le conoscenze teosofiche, l’Uomo non si sviluppò su Lemuria seguendo un’evoluzione


fisica (come sostiene anche la Teoria Evoluzionista di Darwin), ma bensì attraverso un addensa-
mento di Materia intorno a degli Esseri Spirituali che, durante un lungo processo, venne a formare il
Corpo. In principio, perciò, coloro che sarebbero diventati Uomini, in realtà furono Entità Incorporee
che, con il progredire del tempo, andarono via via acquisendo un carattere sempre più materiale.
Questi Corpi, seppure sia improprio definirli tali, almeno da un punto di vista della Scienza attuale,
apparivano “come giganteschi […], perché consistevano soltanto di materia astrale.”
Successivamente, la Prima Razza Madre venne dotata di un rivestimento più denso, mentre i
Corpi della Seconda Razza Madre, definiti “Eterei” e anch’essi invisibili, o almeno non percepibili
con il senso fisico della vista, portarono poi ai Corpi della Terza Razza, divenuti finalmente concreti,
in quanto composti di Materia Fisica (gas, liquidi, solidi), sebbene ancora più “Sottili” dei nostri Corpi
Umani attuali. Le loro ossa erano tenere e fragili come quelle dei neonati, non potevano reggersi in
piedi, acquistando successivamente una struttura scheletrica più consistente.
I Lemuriani di questo periodo possedevano anche due occhi rudimentali anteriori ed uno poste-
riore, detto “Terzo Occhio” o “Occhio Astrale”, corrispondente all’attuale ghiandola pineale, e che
serviva come centro della vista fisico-astrale dell’individuo. Il Corpo Gelatinoso, poi, si solidificò in
misura ancora maggiore divenendo capace di mantenere la posizione eretta, nonché, grazie all’im-
piego del Terzo Occhio e di una sporgenza posta sui talloni, poté imparare a camminare avanti ed
indietro. Con la quinta sotto-razza, l’Uomo Lemuriano si stabilizzò nella sua forma fisica definitiva,
era alto in media dai 3,5 ai 4,5 metri, aveva la pelle bruno-giallastra, la mascella inferiore allungata,
104

il viso appiattito, gli occhi piccoli e penetranti, distanti l’uno dall’altro, consentendogli la vista sia in
avanti che di lato, mentre il Terzo Occhio donò loro la facoltà di vedere anche all’indietro.
Al posto della fronte, avevano un rotolo carnoso, la testa, inoltre, era ricoperta di corti capelli e si
presentava inclinata all’indietro. Gli arti erano sproporzionati rispetto ai nostri, con mani e piedi e-
normi, ed erano soliti vestirsi di pelli di animali rozzamente lavorati, e di solito brandivano nella mano
sinistra un bastone, mentre nella destra conducevano con una sorta di guinzaglio, un animale che
assomigliava ad un piccolo Dinosauro (!) In quel periodo, inoltre, per i Lemuriani, - i quali fino ad al-
lora erano stati ermafroditi e si perpetuavano deponendo delle uova, dalle quali nascevano i loro
piccoli imperfettamente formati -, iniziò a profilarsi una accentuata separazione sessuale, venendo
così a crearsi un ulteriore distinzione tra femmine e maschi. Con l’avvento dell’ultima sotto-razza, la
Settima, si evolsero nella forma più elevata, dove gli individui svilupparono una specie di fronte, la
sporgenza dei talloni venne a ridursi, il capo assunse una conformazione allungata o a uovo, di-
minuì la statura e la grandezza delle membra, etc.
Inizialmente muti, si esprimevano con suoni inarticolati, poi svilupparono una lingua primitiva mo-
nosillabica, inoltre dopo la solidificazione del loro Corpo, avvenne anche la distinzione più accen-
tuata dei sessi sopra enunciata, ed iniziarono a vivere sulla sommità di alture e colline in rudimentali
abitazioni, creando poi le prime comunità e la forma più arcaica di organizzazione sociale. Le dimore,
dapprima costruite in legno, vennero perfezionate e edificate con grossi macigni in pietra, infine la
Sesta e Settima sotto-razza, divenne abile a costruire città megalitiche, vestigia di quel periodo sa-
rebbero le rovine presenti non solo in Madagascar, nel sud-est asiatico sino ad arrivare alla lonta-
nissima Isola di Pasqua, etc.
Iniziarono a fabbricare e ad utilizzare anche armi rudimentale, specie per difendersi dagli attacchi
dei Dinosauri o per dare ad essi la caccia. Cominciarono a forgiare lunghi pali appuntiti, mazze e
oggetti simili a lame ma fatti di ossa. Seppure l’agricoltura fosse sconosciuta, le generazioni delle
prime sotto-razze, quelle prive di ossa e striscianti, si nutrivano di quanto trovavano al suolo, mentre
quelle erette e con lo scheletro indurito, presero a nutrirsi di carne, erbe, frutti, bacche, etc. Tale con-
dizione portò anche all’insorgenza delle prime forme mistiche o pseudo-religiose, iniziando a seguire
alcuni precetti morali e adorando un’entità suprema incarnata dal Sole.

Max Heindel (1865-1919), fondatore della “Associazione Rosa Croce120 di Oceanside” (Ocean-
side è la cittadina californiana dove l’associazione venne fondata ed ha tuttora la sua sede centrale)
nella sua opera principale, “La Cosmogonia dei Rosacroce”, afferma: “La crosta terrestre stava co-
minciando a diventare molto dura e solida in alcune aree, mentre in altre era ancora incandescente
e fra le isole di terraferma vi era un mare in ebollizione. Eruzioni vulcaniche e cataclismi caratteriz-
zarono tale epoca […] Sopra le zone più solide e relativamente fredde l’uomo viveva circondato da
foreste di felci gigantesche abitate da animali di enormi dimensioni. Tanto le forme degli uomini,
quanto quelle degli animali erano ancora molto plastiche. Lo scheletro si era formato, ma l’uomo
aveva ancora ampie possibilità di modellare il proprio corpo. […] I Lemuriani non avevano occhi veri
e propri; essi possedevano due punti sensibili alla luce del Sole, quando questa brillava con deboli
riflessi attraverso l’atmosfera ardente dell’antica Lemuria, ma fu solo alla fine dell’epoca di Atlantide
che gli umani ricevettero la vista come l’abbiamo noi: fino a quell’epoca l’occhio era in via di forma-
zione. […] Il suo linguaggio [del lemuriano] consisteva in suoni simili a quelli della natura: il respiro
del vento nelle immense foreste, che crescevano lussureggianti in quel clima tropicale, il mormorio
dei ruscelli, l’urlo della tempesta, il fragore delle cascate, il rombo del vulcano: tutte queste erano
per lui le voci degli dèi, dai quali sapeva di discendere; […] non sapeva nulla del proprio corpo, anzi
neppure era consapevole di avere un corpo, come noi non sappiamo di avere uno stomaco, fin tanto

120 La “Fraternità dei Rosa Croce” è una scuola mistica che sarebbe stata fondata nel XV secolo in Germa-

nia da Christian Rosenkreutz, leggendaria figura di studioso e mistico (seppure il nome mostri una chiara
valenza simbolica), il quale durante i suoi viaggi in Europa e in Oriente aveva recuperato le antiche tradizioni
sapienziali ermetiche. In effetti però le prime testimonianze certe sull’esistenza di società con questo nome
risalgono ai primi decenni del XVII secolo, allorché furono pubblicate la “Fama” e la “Confessio Fraternitatis
Rosae Crucis” (rispettivamente nel 1614 e nel 1615), seguite dopo poco da un’altra opera singolare, “Le Nozze
chimiche di Cristiano Rosacroce”, del pastore protestante tedesco Johann Valentinus Andreae (1586-1654).
Verso la fine dell’800 e nel 900 il nome della Rosa Croce fu ripreso da associazioni e gruppi esoterici, come
quella di M. Heindel qui citata, l’AMORC (Antico Mistico Ordine della Rosa Croce) che ha sede sempre negli
USA, e il “Lectorium Rosacrucianum” fondato in Olanda.
105

che è sano… Non conosceva la morte, perché quando dopo un lungo periodo il suo corpo fisico
veniva meno, egli entrava in un altro, del tutto inconsapevole del cambiamento. La sua conoscenza
non era concentrata nel mondo terreno, così che lasciare da parte un corpo e prenderne un altro
non era per lui un inconveniente più grave di quanto non sia per un albero il cadere di una foglia o
di un ramoscello secco, sostituiti da nuovi germogli […] L’educazione dei maschi differiva assai da
quella delle femmine […]; l’educazione dei primi era destinata soprattutto a sviluppare la volontà
[…]; quella delle femmine era intesa a promuovere principalmente le facoltà dell’immaginazione […].
Fu così che [l’educazione femminile] suscitò il primo bagliore della memoria (della quale i Lemuriani
erano in precedenza del tutto sprovvisti).”
106

6.3 - Il Laboratorio Atlantideo

Atlantide (in greco Ἀτλαντὶς νῆσος, "Isola di Atlante”121), è un luogo leggendario il cui mito venne
menzionato per la prima volta da Platone, nei suoi dialoghi, precisamente nel Timeo e nel Crizia,
attorno al IV secolo a.C. Secondo il suo racconto, sarebbe stata una potenza navale situata “Oltre
le Colonne d’Ercole” e che avrebbe conquistato molte parti dell’Europa occidentale e dell’Africa mi-
gliaia di anni prima del tempo di Solone (approssimativamente nel 9600 a.C.). Dopo aver fallito l’in-
vasione di Atene, Atlantide sarebbe sprofondata “in un solo giorno e notte di disgrazia” per opera
dello stesso Poseidone, dopo l’ordine di distruzione impartito da Zeus.
Essendo una storia funzionale ai suoi Dialoghi, l’Atlantide viene generalmente considerato un Mi-
to concepito dal filosofo greco per illustrare le proprie visione o idee politiche, benché la sua funzione
sembri chiara alla maggior parte degli studiosi, essi, però, disputano ancora oggi su quanto e come
il racconto di Platone possa essere stato ispirato da eventuali tradizioni più antiche, data la partico-
lareggiata descrizione. Alcuni argomentano che Platone si basò sulla memoria di eventi passati co-
me l’eruzione vulcanica catastrofica della vicina isola di Thera (l’attuale Santorini), o la Guerra di
Troia, mentre altri insistono che egli trasse ispirazione da eventi contemporanei come la distruzione
di Elice nel 373 a.C. o la fallita invasione ateniese della Sicilia del 415-413 a.C.
La potenza di questa storia, fu talmente forte che numerosissime speculazioni sulla sua esisten-
za, da allora, si sono protratte sino ad oggi. La possibilità che possa essere esistita venne discussa
si nell’antichità classica, seppure venne spesso rigettata e occasionalmente parodiata da autori po-
steriori, quasi ignorata nel Medioevo, se non in ristretti circoli, mentre venne riscoperta dagli umanisti
nell’era moderna. La sua descrizione ispirò opere utopiche di numerosi scrittori rinascimentali come
La Nuova Atlantide di Bacone, arrivando poi di recente ad invadere la letteratura contemporanea,
specie tra i fantasy, la fantascienza, i fumetti, i film, i videogiochi, diventando il simbolo di ogni ipoteti-
ca Civiltà Perduta esistita in un remoto passato.

«Davanti a quella foce che viene chiama-


ta, come dite, Colonne d’Eracle, c’era un’i-
sola. Tale isola, poi, era più grande della Li-
bia e dell'Asia messe insieme, e a coloro
che procedevano da essa si offriva un pas-
saggio alle altre isole, e dalle isole a tutto il
continente che stava dalla parte opposta, in-
torno a quello che è veramente mare. [...] In
tempi successivi, però essendosi verificati
terribili terremoti e diluvi, nel corso di un
giorno e di una notte, tutto il complesso dei
vostri guerrieri di colpo sprofondò sottoterra,
e l’Isola di Atlantide, allo stesso modo som-
mersa dal mare, scomparve.»
(Platone, Timeo)

Quattro personaggi appaiono in entram-


bi i Dialoghi di Platone, due filosofi, Socrate
e Timeo di Locri, e due politici, Ermocrate e
Crizia, sebbene solo quest’ultimo parli e-
spressamente di Atlantide. Nelle sue opere,
Platone, fece ampio uso dei dialoghi socratici per discutere di posizioni contrarie nel contesto di
diverse supposizioni, e nel Timeo, all’introduzione del Mito, fece seguire un resoconto della Crea-
zione, della struttura dell’Universo e delle antiche Civiltà. Socrate, ad esempio, riflette su una tipolo-
gia di società perfetta, già descritta da Platone nella Repubblica (c. 380 a.C.), chiedendo se lui e i
suoi ospiti possano ricordare una storia simile, ed è qui che subentra Crizia che menziona Atlantide,
l’avversaria dell’antica Atene (la “società perfetta”), invisa dalla sua avversaria, in perfetta antitesi.

121 Il nome dell'isola deriva da quello di Atlante, leggendario governatore dell'Oceano Atlantico, figlio di Po-

seidone, che sarebbe stato anche, secondo Platone, il primo re dell'isola.


107

Crizia, descrive un aspetto molto particolare circa la governance terrestre, perché racconta che
le antiche divinità si divisero la Terra in modo che ognuno di loro potesse averne un lotto, e a Posei-
done fu lasciata, secondo i suoi desideri, l’Isola di Atlantide, una terra grande quasi un continente,
più grande dell’antica Libia (Nord Africa) e dell’Asia Minore (Anatolia) messe assieme. Sempre se-
condo Platone, erano gli egiziani a custodire le maggiori informazioni su questa terra, i quali la de-
scrivevano come un’isola composta per lo più di montagne nella parte settentrionale e lungo la costa:

«Mentre tutt'intorno alla città vi era una pianura, che abbracciava la città ed era essa stessa
circondata da monti che discendevano fino al mare, piana e uniforme, tutta allungata, lunga tremila
stadi [circa 555 km] sui due lati e al centro duemila stadi [circa 370 km] dal mare fin giù. [...] a una
distanza di circa cinquanta stadi [9 km], c'era un monte, di modeste dimensioni da ogni lato [...]
L'isola, nella quale si trovava la dimora dei re, aveva un diametro di cinque stadi [circa 0,92 km]»

Delle misure non indifferenti per un semplice racconto utopico, non trovate?

Prosegue, inoltre nel Timeo, a raccontare di come Solone, giunto in Egitto, fosse venuto a cono-
scenza da alcuni sacerdoti egizi, di un’antica battaglia avvenuta tra gli Atlantidei e gli antenati degli
Ateniesi, che avrebbero visto vincenti quest’ultimi122. Secondo questi sacerdoti, l’Atlantide era una
monarchia molto potente, con mire espansionistiche e coloniali, situata geograficamente oltre le Co-
lonne d’Ercole, politicamente attiva nel controllare l’Africa sino all’Egitto e l’Europa sino all’Italia. Nel
Dialogo successivo, il Crizia, purtroppo rimasto incompiuto, Platone descrisse più nel dettaglio la
situazione geopolitica dell’isola, collocando il tutto ad una data preistorica, migliaia di anni prima.
Crizia racconta che Poseidone s’innamorò di Clito, una fanciulla dell’isola e «recinse la collina
dove ella viveva, alternando tre zone di mare e di terra in cerchi concentrici di diversa ampiezza,
due erano fatti di terra e tre d'acqua», rendendola così inaccessibile agli uomini che all'epoca non
conoscevano la navigazione, rese inoltre rigogliosa la parte centrale, occupata da una vasta pianura,
facendovi sgorgare due fonti, una di acqua calda e l'altra di acqua fredda. La coppia ebbe dieci figli,
il primo dei quali Atlante e che divenne in seguito il governatore di questo vasto impero, con lui la
Civiltà si trasformò in una monarchia ricca e potente; l’isola, poi, venne divisa in dieci zone, ognuna
governata da un figlio del Dio del Mare e dai relativi discendenti.
Per un periodo fu un vero e proprio Paradiso, un Giardino dell’Eden, dove la terra generava beni
e prodotti in abbondanza, sorgevano porti, palazzi reali, templi, dimore e maestose opere. Al centro
della Città si ergeva il santuario di Poseidone e Clito, lungo uno stadio (177 metri), largo tre plettri
ed alto in proporzione, rivestito di argento e al di fuori del misterioso Oricalco, - mentre di oro e avorio
all’interno -, con al centro una statua interamente d’oro raffigurante Poseidone sul suo cocchio di
destrieri alati, che arrivava a toccare la volta dello stesso Tempio.
Ognuno dei dieci re governava la propria regione di competenza e tutti erano legati gli uni agli al-
tri dalle disposizioni lasciategli da Poseidone, incise su di una Lastra di Oricalco posta al centro dell’i-
sola, attorno a cui si riunivano per prendere le decisioni più importanti. Crizia descrive anche un par-
ticolare rituale che veniva eseguito prima di deliberare, che prevedeva una caccia al toro (una sorta
di Corrida ante litteram) armati di soli bastoni e una libagione con il sangue dell’animale ucciso, se-
guita poi da un giuramento ed una preghiera. La virtù, la sobrietà dei governanti durò per genera-
zioni, finché un bel giorno, il carattere umano più opportunista ed egoista prese il sopravvento sulla
loro natura divina. Caduti preda della bramosia e della cupidigia, gli abitanti di Atlantide si guadagna-
rono l’ira di Zeus, il quale chiamò a raccolta gli Dèi per deliberare sulla loro sorte, decretandone, infi-
ne, la distruzione totale.

Al di fuori dei Dialoghi di Platone, non esiste, però, alcun riferimento antico di prima mano sull’At-
lantide, il che significa che tutti gli altri in qualche modo si rifecero alla sua versione, ad eccezione
della simile storia di Aztlán, presso gli Aztechi e le popolazioni di etnia nahua, una tra le più importanti
culture mesoamericane.

122 Proprio nel periodo della guerra con gli Ateniesi un immenso cataclisma fece sprofondare l'isola nell'O-

ceano, presumibilmente l’Atlantico, distruggendola definitivamente.


108

«[...] Aztlan, Aztatlan, il luogo degli Aironi, per questo motivo si chiama Aztlan; [...]»
(Fernando Alvarado Tezozómoc, Crónica Mexicayotl, pp. 21-22)

Aztēcah, in lingua nahuatl, significa proprio "Gente di Aztlán", seppure l’etimologia della parola
sia ancora oggi incerta. Secondo quanto riportato nella Crónica Mexicayotl, il nome Aztlán derivereb-
be dalla parola nahuatl āztatl (composto da ātl, "acqua" unito a iztatl, "sale"), che significa airone (o
uccello d'acqua dalle piume bianche), alla quale è stato aggiunto il gruppo suffissale -tlā-n, che de-
riva da nomi di luoghi, col significato di "il posto nelle vicinanze di", perciò, Aztlán vorrebbe quindi
dire "Posto degli Aironi". È stato anche suggerito che il nome potesse significare "il Luogo (del)
Bianco", a causa della somiglianza a livello fonetico tra questo e la parola āztapiltic, ovvero "qual-
cosa di estremamente bianco". Secondo un’ulteriore teoria, Aztlán deriverebbe dal nome del dio Atl,
associato all'acqua, e che significherebbe "vicino all'acqua".
A parte l’incerta origine del nome, una leggenda nahua narra di un luogo di nome Chicomoztoc,
cioè "Posto delle Sette Caverne", popolato da altrettante tribù: Xochimilca, Tlahuica, Acolhua, Tla-
xcalan, Tepanechi, Chalco, Aztechi; popoli che insieme ai nahuatlaca ("gente nahuatl") lasciarono
le caverne e si stabilirono ad Aztlán. Ciascun popolo, poi, andò a creare una propria città-stato nel-
l’attuale territorio del Messico: le più importanti furono Xochimilco, Tlahuica (oggi nello stato di More-
los), Acolhua, Tlaxcala, Huexotzinca (l'odierna Puebla), Azcapotzalco e Matlazinca.
Gli Aztechi furono gli ultimi di questi popoli ad emigrare (intorno all'830) e, secondo il mito, impie-
garono 302 anni per raggiungere la loro meta. Una volta giunti nella Valle di Anahuac (odierna Valle
del Messico), ogni territorio era già stato occupato e furono costretti a deviare il loro percorso verso
le sponde del Lago Texcoco dove, finalmente, gli apparve il simbolo risolutore della profezia che nel
1325 permise a Tenoch la fondazione di Tenochtitlan.

Ritornando dal nostro versante atlantico, e


nonostante alcuni antichi studiosi avessero ri-
tenuto un fatto storico il racconto di Platone, il
suo allievo Aristotele, per contro, non diede pe-
so alla cosa, liquidandola come un’invenzione
del maestro: "L'uomo che l'ha sognata, l'ha an-
che fatta scomparire." Altri, invece, credettero
alla sua veridicità, tra cui il filosofo Crantore da
Soli, allievo di Senocrate (a sua volta allievo di
Platone) e primo commentatore di Platone, in
quanto gli fu riferito di Cronache sull’Atlantide
scritte su di una stele dell’antico Tempio di Sais
in Egitto.

«Con tutto il rispetto per l'intero racconto di


Atlantide, alcuni affermano che è storia vera:
questa è l'opinione di Crantore, il primo com-
mentatore di Platone, il quale sostiene che il
filosofo venne deriso dai suoi contemporanei
per non essere lui l'inventore della Repubblica,
essendosi sempre limitato a trascrivere ciò che
gli Egiziani avevano scritto sull'argomento. [...]
Crantore aggiunge che questo è confermato
dai profeti degli Egiziani, i quali affermano che
i particolari, così come li ha narrati Platone, so-
no incisi su alcune colonne che si conservano
ancora.» (Proclo, Commento al Timeo di Pla-
tone, Libro I, 76, 1-15)

Nel corso dei secoli, comunque, si ricorsero simili storie, a cominciare da quella del mito di Forco,
conosciuto anche come Forci o Forcide (in greco antico: Φόρκος, Phórcos o Φόρκυς, Phórkys), una
divinità primordiale della mitologia greca e che rappresentava i pericoli nascosti nelle profondità ma-
109

rine. Citato sovente come figlio di Ponto e di Gaia, secondi altri, invece, insieme a Crono e Rea, uno
dei primi figli di Oceano e Teti, in ulteriori scritti appare anche come fratello di Nereo, Taumante,
Euribia e Ceto e, secondo la Teogonia di Esiodo, proprio con la sorella Ceto, generò molti figli, per
lo più mostri marini, conosciuti come Forcidi: tra di essi particolare importanza ricoprono le Gorgoni
(Euriale, Steno e la famosa Medusa), le Graie e Ladone.
Non è certo il luogo dove Forco dimorava, secondo taluni miti la sua tana era ad Arinno, sulla
costa dell'Acaia, secondo altri sull'isola di Cefalonia, altri ancora lo collocano ad Itaca, ma una figura
mitologica affine è menzionata anche nell’Eneide, si tratta di un latino padre di Sette Giovani che
combatterono contro i Troiani di Enea, il quale ne ucciderà due, mentre secondo una leggenda ro-
mana, Forco era invece un potente re di Sardegna e di Corsica, non di rado denominata anche Tirre-
nide, in quanto regno satellite di Atlantide, il quale tuttavia sarebbe stato soverchiato in combatti-
mento navale da Atlante (Re di Atlantide), morendo poi annegato; in seguito, i suoi amici lo avrebbe-
ro deificato ed annoverato fra le divinità marine.

«Rex fuit Forcus Corsicae et Sardiniae qui cum ab Atlante rege navali certamine cum magna
exercitus parte fuisset victus et obrutus finxerunt soci eius eum in deum marinum esse conversum.»
(Servio, commento al V libro dell'Eneide)

Diodoro Siculo (I secolo a.C.), collocava la capitale di Atlantide a Kerne, avamposto cartaginese
sulla costa atlantica dell’Africa fondato da Annone il Navigatore: probabilmente nel Rio de Oro, ex
Sahara spagnolo, mentre lo storico romano del IV secolo d.C., Ammiano Marcellino, dissertando
sulle perdute opere di Timagene, storico attivo nel I secolo a.C., scrisse che i Druidi della Gallia rac-
contavano che parte degli abitanti di quella terra erano lì migrati da delle isole lontane, e sempre se-
condo Diodoro Siculo, i Celti che venivano dall'Oceano adoravano gli dèi gemelli Dioscuri che appar-
vero loro provenienti dall'Oceano stesso.
Le storie più fantasiose (anche se non troppo), le ritroviamo però da dopo il periodo rinascimen-
tale ad oggi, ispirando opere utopiche di numerosi scrittori. La coeva scoperta dell'America, inoltre,
pose subito il problema di una qualche sua conoscenza previa, e dunque anche il problema della
discendenza e dell'origine dell’umanità americana, del tutto inaspettata nella cultura europea dell'e-
poca. Così, la prima Atlantide moderna fu, per ovvie ragioni, il Nuovo Mondo. La Nuova Atlantide di
Francesco Bacone del 1627 descriveva una società utopica, chiamata Bensalem, collocata al largo
della costa occidentale americana; un personaggio del libro sostiene che la popolazione proveniva
da Atlantide, fornendo una storia simile a quella di Platone e collocandola sul suolo americano.
Lo scienziato Olaus Rudbeck (1630-1702) scrisse l’opera Atlantica (Atland eller Manheim), un
lungo trattato dove sosteneva come la propria patria, la Svezia, fosse la perduta Atlantide, la culla
della civiltà, e come lo svedese fosse la lingua di Adamo da cui si sarebbero evoluti persino il latino
e l'ebraico! The Chronology of the Ancient Kingdoms Amended (1728, postumo) scritto nientemeno
che dal celebre scienziato ed alchimista, Isaac Newton, studiava una varietà di collegamenti mitolo-
gici con l’Atlantide.
Così come verso la fine del Settecento l'astronomo e letterato francese, Jean Sylvain Bailly, tornò
a parlare di Atlantide nelle sue opere più importanti, tra cui l′Histoire de l'astronomie ancienne (1775)
e le Lettres sur l'Atlantide de Platon (1779), dove egli unì il racconto del Continente Perduto al Mito
di Iperborea, una leggendaria civiltà nordica di cui Erodoto e altri storici antichi avevano lasciato del-
le testimonianze. Bailly sosteneva, infatti, la tesi secondo cui un'Atlantide nordica fosse la civiltà ori-
ginaria del genere umano, che essa avesse inventato le arti e la scienza e "Civilizzato" i popoli cinesi,
indiani, egizi, etc.
Egli posizionò questo popolo primordiale nel lontano nord dell'Eurasia, nell'isola di Spitzbergen,
nei pressi della Siberia, argomentando che quelle dovevano essere state le prime regioni abitabili
quando la Terra, originariamente incandescente ed inospitale alla vita, secondo le ipotesi paleocli-
matiche teorizzate da Buffon e Mairan, aveva incominciato a raffreddarsi. Il costante raffreddamento
della Terra le aveva però, successivamente, rese inabitabili e aveva seppellito l'ancestrale territorio
di questa civiltà sotto delle lastre di ghiaccio, in modo da perdere completamente le tracce degli A-
tlantidei, e obbligando i loro discendenti a spostarsi più a sud per colonizzare le altre zone del globo;
teoria senza alcun dubbio affascinante, specie per l’epoca in cui fu redatta.
110

Verso la metà e nel tardo Ottocento numerosi rinomati studiosi mesoamericani, a partire da Char-
les-Etienne Brasseur de Bourbourg, e tra i quali anche Edward Herbert Thompson e Augustus Le
Plongeon, proposero l'idea che Atlantide, come abbiamo già letto, fosse in qualche maniera correlata
alla civiltà Maya e alla cultura Azteca.
La pubblicazione nel 1882 di Atlantis: the Antediluvian World di Ignatius L. Donnelly stimolò un
notevole interesse popolare sul tema. Donnelly prese seriamente il resoconto di Platone su Atlantide
e tentò di stabilire che tutte le antiche civiltà conosciute discendessero da questa progredita cultura
del Neolitico; si deve a lui il concetto di una Civiltà Perduta e preesistente dalla quale discendono
tutti i popoli della Terra. Infatti, secondo Donnelly, Atlantide era il biblico Paradiso Terrestre dove si
erano sviluppate le prime forme di civiltà, i suoi abitanti si erano sparpagliati colonizzando poi l’Ame-
rica, l’Europa e l’Asia, dove i suoi re e le sue regine erano divenuti gli Dèi delle antiche religioni, e
circa tredicimila anni fa, l’intero continente venne sommerso da un cataclisma di origine vulcanica.
Nel corso della fine dell’Ottocento varie idee ed ipotesi sulla natura leggendaria di questo continente
si combinarono con storie di altre ipotetiche “Terre Perdute” nate nel frattempo, tra cui Mu e Lemuria.
La teosofa Helena Blavatsky, riprendendo parzialmente e sviluppando le tesi di Bailly, scrisse nel
suo libro La Dottrina Segreta (1888) le informazioni contenute in un antico manoscritto perduto inti-
tolato Le Stanze di Dzyan, tra cui le storie degli Atlantidei nordici che sarebbero stati eroi culturali
(nonostante Platone li avesse descritti dediti principalmente alle arti militari), e che rappresentavano
la quarta "Razza Radicale" (Root Race) dopo quella polare, iperborea e lemurica, a cui sarebbe poi
succeduta la quinta e attuale "Razza Ariana"123.
Le rivelazioni della Blavatsky e di altri teosofi come Annie Besant, Charles Webster Leadbeater,
e infine di Rudolf Steiner (che come sappiamo fonderà l’Antroposofia), derivanti da indagini occulte
all’interno dell'Akasha condotte tramite presunte capacità chiaroveggenti, contribuirono a diffondere
una concezione dell’Atlantide come di un luogo primordiale e dal quale sarebbe discesa tutta la
sapienza delle successive civiltà umane. Tra i punti in comune delle loro tesi vi era la suddivisione
della Razza Atlantidea in Sette sotto-razze, a cui corrispondono Sette diverse epoche di sviluppo e
di progressiva evoluzione del genere umano; insomma, il Sette è ancora una volta un numero pre-
sente ed estremamente importante a causa dei suoi risvolti esoterici.

• I Rmoahals, il cui nome deriva dal loro grido di guerra, furono la prima sotto-razza atlantidea: do-
minati da impulsi e sentimenti collettivi, avevano una grande capacità mnemonica con cui com-
pensavano la mancanza di pensiero logico. Animati da una profonda venerazione per la natura,
erano capaci di utilizzarne le forze vitali per trasformarle in energia motrice. La condivisione delle
memorie collettive li portò allo sviluppo del linguaggio: la parola, originariamente dotata di potere
magico e sacrale, fece così la sua comparsa.
• I Tlavatli, succeduti ai Rmoahals, svilupparono ulteriormente la forza evocativa della memoria ma
anche deviandola verso l'ambizione: si cominciarono a venerare gli antenati e le gesta delle per-
sone ritenute valorose.
• I Tolteki, terza sotto-razza atlantidea, iniziarono ad unirsi in gruppi accomunati non più da simpa-
tie naturali, ma dal ricordo dei propri eroi e condottieri, le cui qualità venivano trasmesse per via
ereditaria ai discendenti. Nacquero fiorenti comunità, insieme a un nuovo culto della personalità,
incoraggiata dai maestri delle scuole iniziatiche, che godevano allora di una profonda venerazio-
ne, essendo considerati diretti portavoce degli Dèi. Si presume che lo splendore della civiltà tol-
teka è quella narrata nei dialoghi di Platone.
• I Turani primitivi svilupparono a tal punto l'ambizione da tramutarla in egoismo: la capacità atlanti-
dea di dominare le forze della natura venne abusata con conseguenze nefaste. L'uso sfrenato
del potere a fini personali degenerò in pratiche di Magia Nera che, opponendosi l'un l'altra, con-
dussero alla distruzione di Atlantide in un solo giorno e una sola notte come riferito da Platone.
• I Protosemiti riuscirono in parte ad arginare i devastanti effetti delle forze scatenate dalla sotto-
razza precedente, grazie al primo sviluppo del pensiero logico in grado di tenere a freno i desideri
egoistici. Nacque la facoltà di giudizio, e l'impulso all'azione venne distolto dalla natura esterna,
cominciando ad essere vagliato interiormente e producendo il germe dell'umanità attuale.

123L’attuale Razza Ariana sarebbe composta da persone che avrebbero già vissuto, in vite precedenti, sul
continente remoto di Atlantide.
111

• Gli Accadi svilupparono ulteriormente la forza del pensiero, perdendo così il dominio sui poteri
vitali delle piante, acquisendo soltanto il controllo su quelli minerali. L'ordine e l'armonia degli stati
non si ressero più su ricordi comuni, ma sull'elaborazione di leggi in grado di sottomettere il di-
spotismo individuale. Si iniziò a dare importanza all'intelligenza e alla capacità di innovazione del-
le persone, anziché alla vividezza delle loro imprese passate.
• I Mongoli, settima e ultima sotto-razza di Atlantide, raggiunse uno sviluppo del pensiero in grado
di connettersi con la potenza degli elementi vitali, su cui si era comunque perso quasi ogni con-
trollo. La caratteristica di abbandonarsi alle forze occulte della vita è quella che si sarebbe in parte
mantenuta nelle attuali popolazioni asiatiche.

Inoltre, le prime tre razze furo-


no definite rosse, le altre quattro in-
vece bianche, e da un piccolissimo
gruppo della quinta sotto-razza, la
Protosemita, il cosidetto supremo i-
niziato dell'Oracolo del Sole, cono-
sciuto nella letteratura teosofica
come Manu, avrebbe scelto alcuni
individui particolarmente progrediti
nel pensiero logico per separarli
dagli altri e condurli all'interno del-
l'Asia, dove dettero vita alla nuova
razza-radicale dell'umanità, quella
attuale.
Dopo la scuola teosofica e an-
troposofica, un altro chiaroveggen-
te che menzionò l’Atlantide fu il
sensitivo americano Edgar Cayce
in una serie di sedute, di cui la pri-
ma si svolse nel 1923, asserendo
che essa era collocata nei Caraibi,
che doveva trattarsi di una civiltà altamente evoluta, oramai sommersa, ma all’epoca dotata di forze
navali ed aeree mosse da una misteriosa e non meglio precisata forma di Cristallo di Energia. Pre-
disse che alcune parti di quel continente sarebbero riemerse nel 1968/1969, ma l’unico evento degno
di nota, invece, fu il rinvenimento della Bimini Road, una formazione rocciosa sommersa con pietre
rettangolari appena al largo di North Bimini Island, ritenuta come una possibile prova e ancora oggi
oggetto di interesse e di studio da parte di molti ricercatori.
Il Mito, come c’era da aspettarselo, attrasse anche i teorici e gli studiosi nazisti, sin da quando la
“La Teoria del Ghiaccio Cosmico” di Hanns Hörbiger124 (1913) aveva conquistato un vasto appoggio
popolare in Germania, promossa inoltre dal regime nazista per le sue implicazioni razziali. Egli rite-
neva che la Terra fosse soggetta a periodi cataclismatici provocati dalla caduta di una serie di corpi
celesti e da comete, così come la sommersione di Lemuria e di Atlantide, sarebbe stata provocata
dalla cattura dell’attuale satellite della Terra, la Luna. Malgrado questo fiorire impressionanti di teo-
rie, congetture, ipotesi, elucubrazioni, vi furono tra i tanti teorici anche dei docenti, come William
Fairfield Warren che, allora professore di teologia sistematica presso la Boston University, scrisse

124 Hanns Hörbiger (1860-1931) è stato un ingegnere, scrittore e astronomo austriaco. La notorietà gli de-

riva dalla sua Teoria del Ghiaccio Cosmico (Welteislehre o WEL, esposta nel libro Glazial-Kosmogonie del
1913) che ebbe vasta notorietà in Germania, prima e durante il Nazismo. La teoria di Hörbiger sosteneva che
la Terra ha avuto, nel suo passato arcaico almeno 7 o 8 diversi satelliti, catturati dallo spazio come comete e
progressivamente precipitati sulla Terra stessa, provocando immani cataclismi. I periodi di avvicinamento dei
satelliti avrebbero provocato (per diminuzione della gravità) la nascita di stirpi di Giganti, di cui parlano le varie
mitologie del Mondo. La cattura dell'attuale satellite della Terra, la Luna, avrebbe inoltre provocato la sommer-
sione di Atlantide e Lemuria, come la caduta della Luna provocherà probabilmente, in futuro, la fine della vita
sulla Terra; seppure questa ipotesi sia da scartare dato che la Luna si sta allontanando dal nostro pianeta. La
Teoria del Ghiaccio Cosmico trovò all'epoca una vasta eco popolare e diede origine ad un vero culto pseudo-
scientifico (WEL) da parte di milioni di persone.
112

un libro nel 1885, Paradise Found: The Cradle of the Human Race at the North Pole, dove sosteneva
l'ipotesi secondo la quale il nucleo originario del genere umano provenisse anticamente dal Polo
Nord, dove poi vi collocò l’Atlantide, il Giardino dell'Eden, il Monte Meru, Avalon e Iperborea. Analo-
gamente anche Helena Blavatsky incorporò l'ipotesi di una "Atlantide Iperborea" all'interno di una
pseudo-storia (o storia fantastica) che coinvolgeva vari continenti e varie razze umane e semiumane.
Atlantide era rappresentata dalla Blavatsky come un continente polare che si estendeva dall'attuale
Groenlandia fino alla Kamčatka e il cui destino si legò indissolubilmente a quello di una razza parti-
colarmente controversa: gli Ariani, che secondo la sua visione doveva trattarsi di una razza supe-
riore, seconda in ordine cronologico tra le razze umane, costituita da Giganti androgini dalle fattezze
mostruose.
Nell'ipotesi pseudostorica della Blavatsky, quando gli Ariani migrarono a sud verso l'India, scaturì
da loro una "sotto-razza", quella dei Semiti, così tale mito di una "Atlantide Iperborea" fece ingresso
all'interno delle ideologie ariane e antisemite della fine del XIX secolo, ispirando il successivo Nazi-
smo Esoterico. Furono proprio i primi circoli esoterici, come la Società Thule (che prendeva proprio
il nome della mitica capitale di Iperborea), a derivare molte teorie antisemite e ariane dal lavoro mito-
logico della Blavatsky, e indirettamente da Bailly (il quale, in realtà, nei suoi lavori, mostrava chiare
posizioni antirazziste. I membri della Società Thule, in particolare, prestarono un aiuto fondamentale
a Adolf Hitler (che probabilmente aveva letto alcuni libri dei teosofi ariani viennesi quando viveva in
Austria) nel fondare il NSDAP, il Partito Nazista.
Alfred Rosenberg, compagno vicino a Hitler durante gli anni in cui questi soggiornò a Monaco di
Baviera, aveva posto il mito di un'Atlantide Iperborea nel cuore di un suo voluminoso tomo dottrinale:
Il Mito del XX secolo (Der Mythus des 20. Jahrhunderts), pubblicato nel 1930. Rosenberg sosteneva
come vera la passata esistenza di Atlantide nel lontano nord e riproponendo quasi integralmente la
tesi baillyiana, tutte ipotesi che portarono nel 1938 l'alto ufficiale Heinrich Himmler (allora capo su-
premo delle forze dell'ordine del Terzo Reich) ad organizzare una ricerca in Tibet allo scopo di tro-
vare le spoglie degli Atlantidei Bianchi. Se ne occupò infine anche Julius Evola125, dove riprendendo
chiaramente le tesi di Bailly, identificò in Atlantide uno dei molti riferimenti presenti nelle opere anti-
che alla sede dell’Iperborea, luogo d'origine di esseri "più che umani" regnanti durante l'Età dell'Oro,
a sua volta ritenuta essere il polo nord, ancora non colpito da un clima rigido, ma anzi regione definita
"Solare"126.
Forse la visione più romantica la si deve a Rudolf Steiner, che in merito all’Atlantide scrisse come
essa sia appartenuta al quarto grande periodo di evoluzione del pianeta, precedente quello attuale.
Secondo la sua visione, Atlantide era un continente perennemente immerso dentro nebbie e vapori,
specie a causa della costante presenza di anime in procinto di incarnarsi, situabile, presumibilmente
dove oggi si trova l’Oceano Atlantico127.
Sempre secondo Steiner, gli atlantidei possedevano facoltà di chiaroveggenza oggi scomparse,
in virtù del fatto che all’epoca il loro Corpo Fisico era piuttosto separato dalle altre componenti spiri-
tuali. Questa loro costituzione e conformazione, favoriva la possibilità che Entità progredite si incar-
nassero nei loro Corpi per poterli guidare come Maestri Spirituali all’interno di scuole iniziatiche; tali
percezioni così affinate, venivano sviluppate con la musica e il canto, su particolari armonie oggi non
considerate “musicali”. Nei primi tempi, la consistenza “molle” dei loro Corpi consentiva loro di allun-
gare esteticamente gli arti o le dita a loro piacimento, mentre la vista era meno sviluppata, come
meno sviluppato era anche il pensiero logico, seppure questi limiti fossero compensati da un’incre-
dibile memoria con cui gli atlantidei tenevano a mente ogni esperienza.

125 Julius Evola è stato un filosofo, pittore, poeta, scrittore ed esoterista italiano, fu personalità poliedrica
nel panorama culturale italiano del Novecento, in ragione dei suoi molteplici interessi: arte, filosofia, storia, po-
litica, esoterismo, religione, costume, studi sulla razza. Le sue posizioni si inquadrano nell'ambito di una cultura
di tipo aristocratico-tradizionale e di tendenze ideologiche in parte presenti nel fascismo e nel nazionalsociali-
smo, pur esprimendosi spesso in chiave critica nei confronti dei due regimi. Evola ha avuto una sua influenza,
anche se difficilmente quantificabile, nel variegato mondo della cultura e della mistica fascista.
126 Sebbene la maggior parte delle ipotesi su cui si fonda la tesi di un'Atlantide Nordica siano ritenute pse-

udoscientifiche, o palesemente inconsistenti, sia dalla scienza che dalla storiografia contemporanee, alcuni
isolati scienziati e ricercatori, come il russo Valery Dyemin, ritengono che Iperborea «sia esistita davvero» nel
Circolo Polare Artico.
127 Le Isole Canarie e le Isole Azzorre rappresenterebbero l'ultimo avamposto sopravvissuto dopo che es-

sa sprofondò nel mare.


113

(The Course of Empire - Destruction, Thomas Cole, 1836)

«Il veggente che esaminasse la connessione fra il corpo eterico e quello fisico dell'uomo dell'At-
lantide, arriverebbe a una ben strana scoperta. Mentre nell'uomo attuale la testa eterica combacia
con una certa approssimazione con la parte fisica della testa, sporgendone appena un poco, la testa
eterica di un uomo dell'Atlantide si protendeva molto al di sopra di quella fisica; con più precisione,
sporgeva di molto la parte frontale della testa eterica. Esiste un punto nel cervello fisico, fra le so-
pracciglia e circa un centimetro all'interno, cui corrisponde oggi un punto nella testa eterica. Negli
Atlantidei quei due punti erano ancora molto distanti l'uno dall'altro, e l'evoluzione consistette ap-
punto nel riavvicinarli sempre di più. Nel quinto periodo atlantico il punto della testa eterica si avvicinò
al cervello fisico, e per il fatto che i due punti combaciavano si svilupparono alcune caratteristiche
dell'umanità attuale: il calcolare, il contare, la facoltà di giudizio e in genere la capacità di formare
concetti, l'intelligenza. Prima gli Atlantidei avevano solo una memoria sviluppatissima, ma non anco-
ra la facoltà di connettere i pensieri, e qui abbiamo proprio l'inizio della Coscienza dell'Io.»
(Rudolf Steiner)

Steiner, sosteneva che la Sfinge di Giza, il cui corpo animale è così discordante dalla testa, ricor-
dava l’aspetto degli uomini di Atlantide, un retaggio di come doveva apparire un individuo di questa
misteriosa Civiltà, con la parte eterica della testa più evoluta, sovrastante l’aspetto fisico ancora ani-
malesco, visibile ancora oggi nelle sculture di tutte le Sfingi egizie. Tale forma antropomorfa avrebbe,
quindi rappresentato, lo sviluppo incompiuto dell’essere umano, il cui Corpo attendeva di essere mo-
dellato dalla testa, già in essere e compiuta. Gli Atlantidei, inoltre, sosteneva che vivevano a stretto
contatto con la Natura, in abitazioni formate da oggetti naturali trasformati, così come si erano orga-
nizzati a vivere in piccoli gruppi con un forte senso gerarchico delle autorità, tenuti insieme da affinità
di sangue. Sarebbe poi stata distrutta, sempre secondo la sua visione, a seguito di catastrofi idriche
e glaciali, seppure gruppi di sopravvissuti, tramite successive ondate migratorie, sarebbero partite
dall’attuale Irlanda per poi spingersi verso sud.
Ovviamente anche il mondo dell’arte, della letteratura e del cinema non poteva restare esente dal
fascino di questo intramontabile Mito, tra i più importanti da menzionare si ricorda il classico di Jules
Verne, Ventimila leghe sotto i mari (1870) che nella sua tortuosa e intrigante storia, è compresa an-
114

che una visita alle rovine sommerse di Atlantide128. Scesi dal sottomarino Nautilus, il Capitano Nemo
conduce il protagonista, il professore Aronnax, verso la città leggendaria in una delle tante passeg-
giate in scafandro (nel Capitolo IX della seconda parte del romanzo).
Altro celebre romanzo è L'Atlantide (1919) di Pierre Benoît, dove immagina i discendenti del con-
tinente perduto nel deserto del Sahara, romanzo che ispirerà la maggior parte delle opere e dei film
successivi sul tema, così come nel romanzo Aelita (1922), di Aleksej Nikolaevič Tolstoj, che pose i
superstiti degli atlantidei addirittura sul pianeta Marte. Interessante anche il romanzo breve di Arthur
Conan Doyle L'abisso di Maracot (The Maracot Deep, 1929), tradotto anche come L'abisso di At-
lantide, dove narra le avventure di tre scienziati che scoprono, con l'ausilio di un batiscafo ottocen-
tesco, una civiltà ancora fiorente sul fondo dell'Oceano Atlantico. Nei racconti fantasy di Robert E.
Howard su Conan il Barbaro (1932), il popolo barbarico dei Cimmeri, di cui fa parte il protagonista
titolare, sarebbero i discendenti del popolo di Atlantide che si sono devoluti dopo il cataclisma che
ha inabissato il continente e a seguito di lunghe guerre contro diversi gruppi ostili.
Non poteva mancare anche la presenza di J.R.R. Tolkien, il quale nel descrivere la caduta dell'i-
sola di Númenor nel Il Silmarillion (1977) si ispirò al mito di Atlantide. Nella cornice dell'opera, l'e-
vento viene ricordato come "La Caduta" - che nella lingua elfica inventata da Tolkien diventa "Ata-
lantë", e dal momento che l'opera di Tolkien intende descrivere una "mitologia immaginaria" del no-
stro Mondo, l'implicazione evidente è che Númenor sia di fatto Atlantide. Ma un aspetto interessante
ci viene anche dall’altro grande scrittore, amico di Tolkien, Clive Staples Lewis, che nel libro Il nipote
del mago (1955), e che secondo la cronologia della trama è il primo del ciclo de Le Cronache di
Narnia, lo zio Andrew riferisce al nipote Digory Kirke che gli anelli, permettono di viaggiare fra Mondi
Diversi129, in quanto dispongono di questo potere perché sono stati trattati con una polvere magica
che egli scoprì provenire da Atlantide.
Nel romanzo fantascientifico, “Il Codice di Atlantide” di Stel Pavlou del 2001, egli racconta che
Atlantide sia situata al Polo Sud, in qualità di “città sopita” di un’antica civiltà avanzatissima, pronta
a risvegliarsi come una bomba ad orologeria nel momento in cui il Sole avrebbe messo in pericolo
la Terra, evento previsto dagli atlantidi con dei sofisticati calcoli astronomici. Atlantide, inoltre, as-
sume un ruolo centrale anche nelle avventure di Martin Mystère, il detective dell'impossibile ideato
dall'italiano Alfredo Castelli nel 1982 per Sergio Bonelli Editore. Secondo le ricerche del prof. My-
stère, Atlantide e Mu erano due imperi o civiltà rivali, tecnologicamente molto avanzate e in cui parte
della popolazione era dotata di poteri telepatici o magici, che si autodistrussero a causa di un'arma
particolare, poi impazzita, dopo secoli di convivenza caratterizzati da periodi alterni di conflitto aperto
e guerra fredda, ricacciando l'umanità nella barbarie130.
Anche nel celebre, e al personalmente caro, anime giapponese, “Nadia - Il Mistero della Pietra
Azzurra” (1990-1991) del regista Hideaki Anno, prodotto dalla Gainax, liberamente ispirato dal ro-
manzo di Verne, la Civiltà di Atlantide viene proposta come una colonia fondata da degli Extraterre-
stri giunti sulla Terra, di cui alcuni dei protagonisti della storia sono degli ultimi discendenti, creatori
della Razza Umana attuale, dopo aver modificato e ibridato delle scimmie, creandola con il solo sco-
po di asservirla ai proprio servigi, alla stregua di veri e propri schiavi.
Ma probabilmente, una delle storie più interessanti la riscontriamo nel mondo immaginario dell’U-
niverso DC, dove la città compare per la prima volta in Adventure Comics vol. 1 n. 260 (maggio
1959), creato da Robert Bernstein e Ramona Fradon. La storia iniziale della città fu successivamente
disposta in The Atlantis Chronicles, una serie limitata pubblicata dalla DC Comics nel 1990, scritta
da Peter David ed illustrata da Esteban Maroto. In questo caso, il continente di Atlantide, si racconta
che fu colonizzato 65 milioni di anni fa da una Razza Extraterrestre Umanoide, conosciuta come i
Cacciatori/Raccoglitori, che procedeva nel loro progetto di studio ed estinzione dei Dinosauri. Circa
un milione di anni fa, tale società prosperava al fianco dell’Homo Erectus, i precursori dell’Uomo Mo-
derno, anche se successivamente l’intervento dei Marziani Bianchi, portò ad una mutazione della
struttura genetica dell’Homo Sapienza, creando così il Metagene.

128La città sarebbe situata a 300 metri di profondità sul fondo dell'Oceano Atlantico, al centro di un bosco sot-
tomarino dietro a un promontorio sommerso.
129 Per la prima volta si menziona la possibilità di viaggi tra Mondi Diversi, teoria che diverrà tema portante

del successivo capitolo di questo libro.


130 La capitale di Atlantide era Poseidonia, la "Città dei Cinque Anelli", mentre la capitale di Mu era Corinna,

"Perla d'Oriente".
115

La storia, inoltre, si complica a tal punto con


l’inserimento di altri personaggi, situazioni e
contesti, ma a grandi linee è interessante lo
svolgersi della vicenda, specie quando si narra
che migliaia di anni fa, il livello di magia sulla
Terra cominciò a cadere a causa del risveglio
di un'entità dormiente conosciuta come Dark-
world , la strega atlantidea Citrina fece così un
patto con i Signori del Caos che governavano
Gemworld, cosa che gli permise di creare una
casa per gli Homo Magi e tutte le creature di-
pendenti dalla Magia, come le Fate, gli Elfi, i
Centauri, e così via, che desideravano emigra-
re dalla Terra. Gemworld fu così colonizzata
dagli Homo Magi emigrati dalla Terra e crearo-
no le Dodici Case Dominanti di Atlantide.
Darkworld era una dimensione formata dal
Corpo di un'Entità Cosmica sconosciuta che
successivamente cadde in un sonno profondo,
i sogni di questa Entità furono i responsabili
della creazione dei primi Signori di Caos ed Or-
dine, Chaon (Caos), Gemimn (Ordine), e Ty-
nan, (l'Equilibratore). Questi esseri e molti altri
cominciarono ad essere venerati come Dèi da-
gli abitanti di Atlantide. Darkworld fu collegata
ad Atlantide da una massiccia "catena" creata
da Deedra, Dèa della Natura, e alcuni maghi
atlantidei come Arion e Garn Daanuth, più tardi
impararono ad incanalarne le energie mistiche,
permettendogli di avere dei poteri quasi divini…

Questo inedito sincretismo tra archeologia, para-archeologia, esoterismo, fantasy, etc., ha con-
dotto nel corso degli anni a rilevare alcune analogie tra le Civiltà dell’antico Egitto e quelle dell’Ame-
rica Centrale, come le costruzioni piramidali, l’imbalsamazione, l’anno diviso in 365 giorni, leggende
comuni, affinità linguistiche, etc., facendo così pensare ad un ponte naturale tra le due popolazioni,
o una comune ed antichissima origine. Singolare che persino Joseph Smith, fondatore della religione
mormonica, nel 1820, quando ancora era un contadino quindicenne di Manchester, nella Contea di
Ontario a New York, ebbe un primo incontro con l’Angelo Moroni e che gli promise rivelazioni straor-
dinarie.
E le rivelazioni arrivarono, quando anni dopo questo Essere gli mostrò il nascondiglio dove si tro-
vavano alcune preziose tavole placcate d’oro, scritte in una lingua sconosciuta e che Smith, illumi-
nato da un’improvvisa ispirazione divina, si mise diligentemente a tradurre. Nel 1830 uscì Il Libro di
Mormon, vera e propria Bibbia della Setta dei Mormoni131 e che descrive, ad un certo punto, una
catastrofe con caratteristiche del tutto atlantidee, avvenuta subito dopo la Crocifissione del Cristo.

«Nel trentaquattresimo anno, nel primo mese, nel quarto giorno, sorse un grande uragano, tal
che non se ne era mai visto uno simile sulla Terra; e vi fu pure una grande e orribile tempesta, e un
orribile tuono che scosse la Terra intera come se stesse per fendersi […]. E molte città grandi e
importanti si inabissarono, altre furono in preda alle fiamme, parecchie furono scosse finché gli edifici
crollarono, e gli abitanti furono uccisi e i luoghi ridotti in desolazione […] Così la superficie di tutta la
Terra fu deformata, e scese una fitta oscurità su tutto il paese, e per l’oscurità non poterono accen-
dere alcuna luce, né candele né fiaccole…» (Il Libro di Mormon, Joseph Smith)

131Non dimentichiamoci che la famiglia di Joseph Smith era notoriamente massonica, così come lui e il fratello
né presero i gradi attorno al 1840, per poi trasferire conoscenze e rituali all’interno della propria Chiesa.
116

Arrivati a questo punto, e a conclusione di tutte le informazioni sin qui riportate sull’Atlantide, se
compariamo le diverse teorie sulla sua origine e successiva distruzione, è possibile tracciarne una
curiosa ed immaginaria cronologia.

• Il continente di Atlantide, si racconta che fu colonizzato 65 milioni di anni fa (probabilmente anche


in una data antecedente), da una Razza Extraterrestre Umanoide, conosciuta come i Cacciatori/
Raccoglitori, che procedeva nel loro progetto di studio ed estinzione dei Dinosauri. (Universo DC
/ Nadia - Il Mistero della Pietra Azzurra / Prometheus di Ridley Scott)
• Tra 4.500.000 e 900.000 anni fa, l’Homo Sapiens viene creato ad Atlantide (Teosofia). “A 7 gradi
di latitudine Nord e a 5 gradi di Longitudine Ovest, nella località ove ora si trova la costa Ashanti,
compaiono gli Atlantidei, primi rappresentanti della Quinta Razza Madre.” (W. Scott Eliott, The
Story of Atlantis & Lost Lemuria, 1896)
• 900.000 anni fa, avvenne la fondazione di Tiahuanaco. La terza delle varie lune che - secondo la
“Dottrina” del visionario pseudo-scienziato tedesco Hans Horbiger - avrebbero ruotato in tempi
remoti intorno alla Terra per poi precipitare disastrosamente sulla sua superficie, si avvicinò alla
Terra, facendo salire il livello delle acque. Gli uomini e i Giganti si rifugiarono sulle cime più alte
e fondarono la civiltà marittima mondiale di Atlantide. Presso il lago Titicaca, nell’attuale Bolivia,
i Giganti edificarono il complesso di Tiahuanaco; la loro forza colossale permise loro di realizzare
un’opera impossibile per i comuni esseri umani. (Hans Horbiger, Glazial Kosmologie, 1913)
• “Dai lineamenti dei volti dei Giganti giunge ai nostri occhi e al nostro cuore un’espressione di
sovrana bontà e di sovrana saggezza; un’armonia di tutto l’essere spira dal colosso, le cui mani
ed il cui corpo, nobilmente stilizzati, posano in un equilibrio che ha un valore morale.” (Anthony
Bellamy, Moons, Myths and Man, 1931)
• I Toltechi, la Seconda sotto-razza Atlantidea, con i loro due metri e mezzo di altezza non furono
da meno dei Giganti e ad Atlantide edificarono un immenso complesso, “La Città dalle Porte d’O-
ro”, che sorge “presso la costa orientale, a circa quindici gradi a nord dell’Equatore, sulle pendici
di una collina alta circa centocinquanta metri sulla pianura; sulla sommità della collina vi erano il
palazzo e i giardini dell’imperatore, in mezzo ai quali sgorgava un getto d’acqua che forniva il
palazzo e le fontane e quindi scendeva in quattro direzioni, e poi perveniva, per mezzo di cascate,
a un canale circolare che circondava il giardino”. (Arthur E. Powell, The Solar System, 1923)
• Secondo l’esploratore Percy Fawcett, i Toltechi, che possedevano un potere per invertire la forza
attrattiva della gravità in una forza repulsiva, permisero il sollevamento di grosse pietre a grandi
altezze, fondarono così la città di Tiahuanaco (700.000 anni fa) e una città chiamata Zeta, perduta
nella giungla amazzonica del Mato Grosso.
• Il Tolteco divenne la lingua ufficiale del vastissimo impero atlantideo (circa sessanta milioni di abi-
tanti, sui due miliardi che popolano la Terra), e la tecnologia raggiunse un alto sviluppo: “Per spo-
starsi, usavano delle aeronavi con una capacità da due a otto posti costruite dapprima in legno,
e poi con una lega metallica leggera, che brillava al buio come se fosse stata dipinta con una ver-
nice luminosa. Durante le battaglie le astronavi spargevano gas tossici. Nei primi tempi erano
mosse dal Vril, la Forza personale; quindi esso fu sostituito con un’energia generata con un pro-
cedimento sconosciuto che agiva con l’intermediario di una macchina. Per far salire l’astronave -
che poteva raggiungere le cento miglia all’ora - si proiettava la forza in basso, attraverso le aper-
ture dei tubi sul retro dell’apparecchio.” (Arthur E. Powell)
• 600.000 anni fa avvenne la prima distruzione di Atlantide (Teosofia e altri). Dopo centomila anni
dalla fondazione, la “Città dalle Porte d’Oro” degenerò, i seguaci della Magia Nera, tra cui l’Impe-
ratore, divennero sempre più numerosi; “la brutalità e la ferocia aumentano, e la natura animale
si avvicina alla sua espressione più degradata”. (W. Scott Eliott)
• Un primo, grande cataclisma, forse scatenato dallo sconsiderato uso dei poteri occulti, colpì At-
lantide, la “Città dalle Porte d’Oro” venne distrutta, l’Imperatore Nero e la sua dinastia perirono,
l’avvertimento venne preso a cuore, e per un lungo periodo la stregoneria sembrò scomparire.
• 150.000 anni fa si verificò la seconda distruzione di Atlantide (Dottrina del Ghiaccio Cosmico), la
terza Luna impattò sulla Terra causando la sua distruzione, “e gli uomini primitivi la identificano
con il Diavolo”.
• Le acque “si abbassano bruscamente per il calo della forza di gravità” e le grandi città atlantidee
rimasero isolate sulle vette di inaccessibili montagne. I Giganti che allora governavano da milioni
117

di anni persero il controllo della situazione, e poi anche la loro popolazione: gli uomini ritornarono
allo stato primitivo. (A. Bellamy)
• Tra 150.000 e 75.000 anni fa avvenne un’ulteriore caduta (Teosofia). Sull’Isola di Ruta, ad At-
lantide, venne ricostruita la “Città dalle Porte d’Oro”, vi prosperò così una civiltà potente ma troppo
sontuosa. Gli imperatori si abbandonarono nuovamente alle pratiche di Magia Nera, e solo una
piccola minoranza di Maghi Bianchi tenne a freno i malvagi occultisti. Orribili esperimenti di bio-
genetica portarono alla creazione di un esercito di mostri, ibridi a metà tra l’uomo e gli animali.
(Tolkien, Il Silmarillion)
• 75.025 a.C. avvenne la terza distruzione di Atlantide (Teosofia). Il “Re del Mondo”, Vaivaswata,
mosse guerra contro gli atlantidei corrotti con un grande esercito, a bordo di astronavi chiamate
Vimana; i mostri furono sconfitti e le potentissime armi del “Re Del Mondo” distrussero quasi
totalmente il continente. Daitiya venne completamente sommersa, mentre di Ruta si salvò solo
una piccola parte, Poseidonia, ovvero l’Atlantide descritta da Platone. Non è escluso che queste
antichissime guerre celesti siano in qualche modo legate a quanto accadde intorno al 2000 a.C.
a Mohenjo-daro.
• 10.000 a.C. si verificò la distruzione finale. Esseri Extraterrestri giunti dal pianeta Suerta, atterrati
in tempi remoti in qualche angolo sperduto del Brasile, e considerati divinità dalla tribù degli Ugha-
Mongulala, decisero attorno al 10.048 a.C. di abbandonare la Terra: “Stava per incominciare
un’epoca terribile, dopo che le splendenti navi dorate dei primi signori si furono spente nel cielo,
come stelle…” E qualcosa di terribile accade davvero, perché: “Che cosa avvenne sulla Terra?
Chi la fece tremare tutta? Chi fece danzare le stelle? Chi fece scaturire l’acqua dalle rocce? Il
freddo era atroce, e un vento gelido spazzava la Terra. Scoppiò una calura terribile, e al suo alito
gli uomini bruciavano. E uomini e animali fuggivano, in preda al panico. Tentavano di arrampicarsi
sugli alberi, e gli alberi li scaraventavano lontano. Quello che era in basso si capovolse e si ritrovò
in alto. Quello che era in alto precipitò sprofondando negli abissi…” (Karl Brugger, Akakor, 1976).
• L’immensa quantità di ghiaccio accumulatasi sull’Artide durante l’ultima glaciazione scivolò nel-
l’Oceano scatenando un maremoto gigantesco, ricordato nelle diverse tradizioni mitologiche della
Terra come il Diluvio Universale. (Ipotesi archeo-scientifica)
• Poseidonia, l’Atlantide descritta da Platone, ultimo relitto del gigantesco impero teosofico ormai
completamente allo sbando, in un giorno e una notte dell’anno 9564 a.C. e dopo una severa de-
cisione degli Dèi, venne distrutta e inabissata nell’Oceano con tutti i suoi abitanti; la catastrofe si
ripercosse a livello mondiale. (Platone, Teosofia)
• Un gigantesco meteorite proveniente dalla Zona degli Asteroidi impattò nell’Atlantico, generando
una mostruosa onda di marea che distrusse la Civiltà di Atlantide. È il 5 giugno del 8498 a.C.
(Otto Muck, I Segreti di Atlantide, 1976)
• Dopo essere rimasta priva di satelliti per 138.000 anni, la Terra attirò la sua quarta Luna, quella
attuale. Il fenomeno cosmico scatenò una gigantesca marea che, in una sola notte, distrusse ogni
cosa, ed i possenti Giganti scomparvero per sempre; emersero, infine, in varie zone del Mondo
le antiche Civiltà storicamente riconosciute. (Hans Horbiger, Glazial Kosmologie, 1913)
• 10.000 a.C.: avvenne il ritorno degli atlantidei (The Cosmic Doctrine). Alcuni Grandi Iniziati, - tra
cui il Mago Merlino, sopravvissuto alla distruzione della città di Lyonesse, un insediamento real-
mente sprofondato al largo della Cornovaglia, e da molti ritenuto essere una delle colonie di At-
lantide -, fondarono il Centro Magico di Avalon, ove ripristinarono gli antichi culti esoterici del Con-
tinente Perduto, scegliendosi come discepoli Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda. Gli atlantidei
si mescolarono con i Celti, e si diffusero per tutta l’Europa, ove elevarono megaliti a simboleggiare
il Culto Solare. (Dion Fortune, Avalon of the Heart, 1936)
118

Il continente scomparso di MU

Mu è un ipotetico continente scomparso presumibilmente nell’Oceano Pacifico, descritto per la


prima volta dall’angloamericano James Churchward (1851-1936), sulla base di una traduzione del
XIX secolo poi rivelatasi completamente errata, da parte dell’abate fiammingo Charles Étienne Bras-
seur de Bourbourg, di un manoscritto Maya. Secondo le attuali conoscenze scientifiche l'esistenza
di un tale continente di così vaste proporzioni non sarebbe compatibile con la geologia del Pacifico.

«Il continente Mu, situato nell'Oceano Pacifico, era un vasto territorio ondulato che aveva come
confine settentrionale le isole Hawaii e come confine meridionale una linea immaginaria tracciata tra
l'isola di Pasqua e le Fiji. Da est a ovest misurava 8000 Km e in senso verticale 5000 Km. Mu era
ricca di vegetazione tropicale, fiumi, laghi e grandi animali. Era una sorta di grande giardino dell'E-
den. Il continente era abitato da sessantaquattro milioni di abitanti, divisi in dieci tribù o stirpi e go-
vernati da un re unico (che aveva poteri sia spirituali che temporali), detto Ra-Mu. Il regno di questo
monarca venne chiamato ‘Impero del Sole’. La religione seguita su Mu era unica per tutti i suoi
abitanti: essi adoravano una divinità che veniva indicata con il nome fittizio ‘Ra il Sole’, poiché gli
abitanti non ne pronunciavano mai il vero nome. Gli abitanti di Mu credevano nell'immortalità dell'a-
nima e del suo futuro ritorno a Dio. Nel continente Mu non c'erano mai state violenze e si viveva nel
benessere e nella prosperità. Mu, popolata da diverse razze, era dominata dalla razza bianca; le
altre genti non avevano posizioni politiche rilevanti. La navigazione era una delle attività preponde-
ranti dei ‘muani’, tuttavia essi erano anche ottimi architetti e scultori. Il materiale principale utilizzato
in queste arti era la pietra. Mu era divisa in tre grandi zone ed aveva sette città principali. Da Mu par-
tirono navi che raggiunsero tutto il mondo e portarono scienza, religione e commercio. Mu fondò
diverse colonie tra cui l'impero coloniale di Mayax in America, l'impero Uighur nell'Asia centrale e
nell'est Europeo e il regno dei Naga nell'Asia meridionale.»

Nel 1864 l'abate Charles Étienne Brasseur, detto de Bourbourg, ritenne di essere riuscito a deci-
frare il Codice Troano (facente parte del codice Tro-Cortesiano o di Madrid), un antico e misterioso
manoscritto Maya, applicando il metodo inventato nel Cinquecento da Diego de Landa, anch’egli un
monaco ma spagnolo e che divenne vescovo dello Yucatan. Egli, in un primo momento, dal 1562
fece bruciare i testi dei nativi americani ritenendoli “superstizioni e menzogne diaboliche”, ma ad un
certo punto cambiò idea e si interessò a tal punto di quelle culture che cercò di apprenderne la scrit-
tura e la loro cultura. De Landa partì comunque dal presupposto errato che la lingua Maya fosse sta-
ta concepita come un alfabeto fonetico (come la lingua spagnola e latina), mentre in realtà era basata
su logogrammi.
Ricavò così una tavola comparativa tra lettere dell’alfabeto latino e caratteri Maya del tutto inaffi-
dabile, e tre secoli dopo, quando Charles-Etienne Brasseur (1814-1874) rinvenne nella biblioteca
dell'Accademia Storica di Madrid una copia ridotta del monumentale trattato scritto da Landa, - libro
che nel frattempo era finito in disuso, come del resto buona parte dell’interesse sulla scrittura Maya
-, si applicò di buon animo e subito alla traduzione di uno dei pochissimi codici Maya superstiti, il
Codice Troano, utilizzando però l'Alfabeto Maya inventato dal De Landa, ottenendo così un testo
alquanto incoerente e che sembrava parlare di una terra sprofondata a seguito di un cataclisma132.
Prima di allora non si era mai sentito parlare di Mu, in nessuna cultura preesistente, sia preistorica
o protostorica, e questo presunto malinteso si creò quando Brasseur trovò un paio di simboli scono-
sciuti, ottenendo così quella parola che ritenne essere il nome di questa misteriosissima terra posta
chissà quando nell’Oceano Pacifico, con una storia analoga a quella di Lemuria o dell’Atlantide. L’in-
terpretazione dell’abate, però, fu così convincente che venne ripresa, ampliata e resa popolare dal
conosciuto colonnello dell’esercito britannico in pensione James Churchward (1851-1936).
Nel corso dei suoi innumerevoli viaggi in Oriente compiuti verso la fine dell’Ottocento, volente o
no, finì con l’imbattersi nella storia di una remota civiltà scomparsa nella notte dei tempi, Mu, l’Impero
del Sole, fonte di tutte le antichità civiltà planetarie, storie raccolte sembra in una serie di antichissime
tavolette di terracotta, le Tavolette dei Naacal, custodite in un tempio indiano del cui riši egli era di-
venuto amico.

132 Si scoprì in seguito che il codice trattava in realtà di tutt'altro argomento, di Astrologia.
119

Questi Naacal sarebbero stati una confraternita di Saggi provenienti da Mu, i quali avrebbero
scritto queste tavolette prima della sua rovina, per poi spostarle in Birmania e da li in India, seppure
non siano mai state viste da nessuno dopo di lui, supponendo che magari, per avvalorare le sue te-
si, si sia inventato questa storia di sana pianta.
Dopo aver trascritto queste Tavolette, Churchward iniziò una serie di viaggi in tutto il Mondo allo
scopo di avvalorare ulteriormente la sua tesi, che rese poi note con il libro Mu, il Continente Perduto
(Mu: The Lost Continent, 1926). I suoi libri conobbero una così vasta eco e notorietà che contribuiro-
no all’apparire di tutta una serie di pubblicazioni fantastiche e fanta-archeologiche che asserivano di
mostrare come antichi documenti, quando indiani, amerindi, cinesi, etc., potessero avere riferimento
a questo continente scomparso.
Secondo le sue descrizioni, comunque, questo continente, situato nell’Oceano Pacifico, era un
vasto territorio ondulato che aveva come confine settentrionale le isole Hawaii e come confine me-
ridionale una linea immaginaria tracciata tra l’isola di Pasqua e le Figi. Da est ad ovest misurava ol-
tre 8000 km e in latitudine 5000 km, un territorio inoltre ricco di vegetazione tropicale, fiumi, laghi e
grandi e sconosciuti animali, insomma, per l’ennesima volta la descrizione di un magnifico Giardino
dell’Eden. Al momento della sua scomparsa, avvenuta circa 12.000 anni fa, sempre secondo l’esplo-
ratore inglese, era abitato da 64 milioni di persone di varie razze, sulle quali predominava ancora u-
na presunta Razza Bianca, così come in molte grandi città e colonie sparse sugli altri continenti.
Nonostante queste supposizioni, nel corso degli ultimi decenni, in varie zone del Pacifico sono
state comunque fatte delle scoperte alquanto misteriose e che ancora oggi non trovano spiegazione
alcuna. Una di queste sono le strutture sottomarine vicino a Yonaguni in Giappone, delle rovine al
largo dell’Isola di Okinawa più volte definite essere le possibili rovine di Mu, così come la misteriosa
Isola di Pasqua che alcune teorie l’hanno collocata tra le cime più alte di questo continente sommer-
so e scomparso, seppure l’Isola sia vulcanica e di recente formazione133.
Ma un tale mito non poteva certo mancare anche nell’immaginario fantastico, infatti fu così che
fece la sua comparsa anche nel celebre Ciclo di Cthulhu, di quel grandioso romanziere che fu Ho-
ward Phillips Lovecraft. Secondo l’autore di Providence, il continente perduto doveva essere situato
tra la Nuova Zelanda e il Cile, sempre nel Pacifico, e su di esso regnava la stirpe di Cthulhu, abitato
da umani primitivi (infatti, sembra che sia qui che l'Uomo abbia fatto la sua prima apparizione), un
luogo dove si parlava il Naacal, gli abitanti adoravano innumerevoli Dèi, ma tra questi primeggiavano
i tre figli di Cthulhu: Ghatanothoa, Zoth-Ommog e Ythogtha, oltre a Shub-Niggurath e Cthulhu stesso;
infine Cthulhu e Ghatanothoa sprofondarono negli abissi insieme ai loro continenti.
Ma Lovecraft ci rivela anche particolari degni di un grande esoterista, dedito allo studio di pratiche
e conoscenze occulte, perché ci svela persino che su Mu troneggiava il monte di basalto Yaddith-
Gho, sulla cui cima si trovava una fortezza di pietra costruita dai funghi di Yuggoth. Dentro la fortezza
si trovava un'immensa botola che sigillava l'entrata all'interno della montagna, dove probabilmente
Ghatanothoa abitava. Così come le Tavole di Zanthu (simili a quelle del Codice Maya o alle Tavolette
di Naacal), si narra che furono scritte dall'alto sacerdote di Ythogtha, Zanthu appunto, offrendo la
miglior spiegazione alla scomparsa delle isole. Secondo tali scritti l'alto sacerdote scatenò l'ira dei
Grandi Antichi tentando di evocare Ythogtha per sfidare il potere di Ghatanothoa, e per vendetta,
quei Grandi Esseri Semidivi distrussero Mu e la affondarono sotto i mari.

133 La cosiddetta "Via Trionfale" che Pierre Loti ha affermato correre dall'isola alle terre sommerse intorno,

è in realtà costituita da un letto di lava. / Pierre Loti, pseudonimo di Louis Marie Julien Viaud (1850-1923), è
stato uno scrittore francese, membro dell'Académie française. Ufficiale di marina, i suoi viaggi gli hanno ispi-
rato numerosi romanzi, tra cui Pêcheur d'Islande (Pescatore d'Islanda). Ogni suo romanzo rappresenta un
paese diverso, dove egli s'immerge nella cultura e la studia profondamente. La visione che ha degli altri non
è intellettuale ma sensitiva (si lascia trasportare dalle sensazioni provate), infatti da lì emerge il suo grande
fascino per l'impero ottomano, dove la tolleranza si confonde con la sensualità, sensualità incarnata dalla
figura della donna che diviene il passaggio obbligato per conoscere le altre civiltà. Egli fu sempre alla ricerca
di una certa purezza nel contatto con le donne straniere (mito d'una purezza primitiva che secondo la sua vi-
sione, doveva rigenerare il mondo occidentale).
120

6.4 - Il Laboratorio Terrestre

«L'Umanità ha sempre scelto di


vivere nella più completa ignoran-
za, perciò nell'ignoranza vivrà fin-
ché non comprenderà la stessa illu-
sione che ha contribuito a creare.»
(Federico Bellini)

Guadalcanal (nome in lingua o-


riginale Isatabu) è un'isola situata
nell'Oceano Pacifico, appartenente
all'arcipelago delle Isole Salomo-
ne. L'isola, la più estesa dell'arcipe-
lago con i suoi 5336 km², è quasi
interamente ricoperta dalla giungla
(93%) e su di essa è situata la ca-
pitale dello stato delle Isole Salo-
mone, Honiara. Ad essa è legata
una leggenda, quella dei “Giganti di
Guadalcanal” che vivrebbero all'in-
terno delle catene montuose fra le
immense foreste pluviali, nonché
disporrebbero di vasti reticoli di caverne che coprono l'intera lunghezza della stessa isola. Molte
persone del luogo, sostengono che attraverso questi reticoli sotterranei, i Giganti possano percorrere
tutta l’isola senza vedere la luce del giorno, mentre altri ancora, pensano che la loro presenza nu-
merica si possa contare nell'ordine delle migliaia; gli abitanti di Guadalcanal sono convinti che al di
sotto delle montagne esista persino un'enorme Città dei Giganti.
Di questi Giganti, secondo le varie testimonianze, ne esistono di tre tipi diversi, o specie: i più
grandi, avvistati abbastanza frequentemente, sono alti più di tre metri ed hanno una lunga peluria
castana o rossastra, inoltre presentano doppie sopracciglia molto sporgenti, protuberanti occhi rossi,
naso piatto e una bocca dalla grande apertura. La versione intermedia, invece, presenta minori di-
mensioni e peluria meno fitta, mentre le versioni più piccole, meno pelose delle altre, per quanto più
grandi dei comuni esseri umani, sono come dei selvaggi che vivono nella giungla.
Nel 1998, presso Gold Ridge dove si stava allestendo una miniera, potenti bulldozer iniziarono a
costruire strade e a spianare il terreno. La miniera confina con la zona dei Giganti e sembrerebbe
che questi ultimi abbiano un forte senso del territorio, tanto che quando una di queste imponenti
macchine si ruppe, durante i lavori, ritrovandosi con uno dei giunti della pala fuori uso, essendo po-
meriggio inoltrato gli addetti decisero di lasciare lì la pala e di riportare il bulldozer in officina per ri-
pararlo durante la notte, e per poter riprendere l'attività la mattina successiva; il giorno dopo, però,
la pala era sparita e tutti restarono interdetti. Come poteva essere sparito un oggetto così pesante,
di oltre dieci tonnellate di peso? Iniziarono a perlustrare la foresta e capitò loro di notare delle im-
pronte gigantesche, lunghe circa un metro, vicino al punto in cui avevano lasciato la pala che ritro-
varono ad un centinaio di metri di distanza e su di una piccola collina. In base a ulteriori esami delle
impronte, dedussero che i Giganti non l'avevano trasportata sin lì, ma bensì lanciata…
Dell'antica città di Nan Madol, invece, ad oggi non restano che delle rovine situate lungo la costa
orientale dell'isola di Pohnpei, una delle quattro suddivisioni amministrative degli Stati Federati di
Micronesia. L'area archeologica è composta da circa 100 piccoli isolotti artificiali collegati fra loro da
una rete di canali artificiali e con una estensione di circa 18 km². La più grande struttura ancora in
piedi è il Nan Douwas, le cui mura perimetrali si innalzano per 8 m e gli edifici interni contengono
cripte funerarie. Secondo analisi effettuate con il radiocarbonio, la costruzione di Nan Madol risali-
rebbe al 1200 d.C., ma dagli scavi archeologici effettuati si presume che la zona, forse, fosse abitata
fin dal 200 a.C. Nan Madol resta comunque uno straordinario sito archeologico che, insieme a diversi
altri sparsi nell'area dell'Oceano Pacifico, costituisce uno dei grandi misteri della storia.
Forse, a ritardare l'esigenza di uno studio serio e approfondito sulle rovine di Nan Madol, ha
contribuito il fatto che uno dei primi ad occuparsene è stato, tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni
121

del Novecento, un personaggio che non godeva di alcun credito presso la “scienza ufficiale": il già
citato colonnello britannico James Churchward, convinto sostenitore del Continente Perduto di Mu
e controverso studioso delle cosiddette Tavolette Naacal, trovate - a suo dire - in alcune località
dell'India e, poi, della Mesoamerica, scritte in un linguaggio sconosciuto e che lui stesso avrebbe
decifrato, ricavandone informazioni sconcertanti sulla storia più antica dell'umanità. Per Churchward,
il Continente di Mu, situato nella parte centro-meridionale del Pacifico, come sappiamo sarebbe stato
la sede di un Impero del Sole, che avrebbe dato origine a tutte le antiche civiltà del pianeta, prima
di essere distrutto da una serie di cataclismi naturali.

«Qui si trova ciò che considero il reperto più importante tra quelli rinvenuti in tutta l'area dei Mari
del Sud. Si tratta delle rovine di un grande tempio, una struttura che misura 90 metri di lunghezza e
18 di larghezza, con mura che nel 1874 erano alte nove metri e che a livello del suolo presentavano
uno spessore di un metro e mezzo. Sulle pareti sono tuttora visibili i resti di alcune incisioni che
rappresentano molti simboli sacri di Mu. L'edificio presentava canali e fossati, sotterranei, passaggi
e piattaforme, il tutto costruito in pietra basaltica. Sotto il pavimento di forma quadrangolare vi erano
due passaggi di circa nove metri quadrati, posti l'uno di fronte all'altro, che conducevano a un canale.
Al centro della vasta superficie quadrangolare si trovava la stanza piramidale, senza dubbio il "san-
cta sanctorum". Secondo le leggende indigene, molte generazioni fa, il tempio venne occupato dai
superstiti di una nave pirata che aveva fatto naufragio. Resti umani si trovano tuttora in uno dei sot-
terranei che i fuorilegge avevano usato come magazzino. Nessun nativo si avvicina volentieri alle
rovine, che hanno fama di essere infestate da spiriti malvagi e fantasmi chiamati "mauli". A Ponape
vi sono anche altri reperti, alcuni adiacenti alla costa, altri sulla sommità delle colline, alcuni addirit-
tura in radure al centro dell'isola; tutti però sono accomunati dal fatto di essere stati eretti in zone da
cui era possibile vedere l'oceano. In una radura c'è un cumulo di pietre, che occupa una superficie
di cinque o sei acri e che pare essere collocato su una base sopraelevata; intorno ad esso si notano
i resti di ciò che un tempo poteva essere un fossato o un canale. Ai quattro angoli delle rovine, che
corrispondono ai punti cardinali, i mucchi di pietre sono più alti, dal che si desume che l'edificio aveva
presumibilmente forma quadrata. Personalmente ritengo che i resti di Ponape appartengano a una
delle città principali della Madrepatria, forse una delle Sette Città Sacre. È impossibile stimarne la
popolazione, di certo era una città di grandi dimensioni, forse abitata da centomila persone.»
(Mu, il Continente Perduto, James Churchward)

Churchward considerava Nan Madol come uno dei numerosi tasselli del mosaico che faceva, a
suo dire, emergere i resti dello scomparso Continente di Mu. Tra gli altri, egli cita (oltre ai resti dell'I-
sola di Pasqua): le due enormi colonne sormontate da un arco dell'atollo corallino di Tonga-Tabu; le
piramidi delle isole di Guam, di Tinian e dell'isola Swallow; le ciclopiche mura delle isole di Lele e di
Kusai (sempre nelle Caroline); le mura delle Isole Samoa; le colonne di pietra, a forma di tronco di
piramide delle Marianne; la grande rovina sulla collina di Kuku, a 30 miglia da Hilo, nell'arcipelago
delle Hawaii; i reperti delle isole Marchesi nella Polinesia orientale, ed altro ancora.

«La zona delle rovine è sorprendentemente grande, si tratta di costruzioni simili a colonne di
basalto esagonali e ottagonali (si dice che in tutto siano 400.000), disseminate su una lunghezza di
oltre 24 km.; alcune superano in grandezza e in peso i blocchi della Piramide di Cheope. In passato
il luogo portava il nome di Soun Nal-Leng, ossia "scogliera del cielo" e le leggende della Micronesia
affermano che i massi giunsero sul posto in volo; vi sono mura alte fino a 10 metri. Costituiscono un
enigma le pietre da catapulta perfettamente levigate e grandi quanto un uovo di struzzo rinvenute
fra le rovine, dacché in tempi storici la catapulta non fu una macchina di guerra nota ai micronesiani.
Aperture praticate nel suolo immettono in camere sotterranee. La maggior parte delle costruzioni
(mura, strade, canali) giace sommersa nel mare che le circonda; quindi è possibile che Nan Madol
rappresenti le vestigia di una cultura del Mari del Sud, scomparsa per una catastrofica inondazione
e della quale ignoriamo sia l'epoca che l'origine. Dalle prove col metodo C14 le costruzioni risalireb-
bero al 1180 d.C., ma è una data che sembra troppo recente per questa straordinaria, deserta città
di pietra dove i micronesiani odierni non osano inoltrarsi per timore degli spiriti. Nelle loro leggende
spesso figurano dei protagonisti giganti (kauna) e nani preistorici che vivevano sottoterra, nonché
un drago esperto di magia che aveva collocato alloro nei blocchi facendoli volare. Strana è la notizia
diffusa dai giapponesi prima del 1939, i quali assicuravano di aver trovato tesori sommersi nelle
122

acque dell'arcipelago Platin. (...) Nan Madol significa "luogo dello spazio", un termine ambiguo che
potrebbe significare molte cose. Le rovine furono esplorate nel XIX secolo dal missionario J. Hale. I
nativi si tramandano inoltre, nelle loro leggende, l'episodio di un'occupazione dell'isola di "uomini
con la pelle così dura che li si sarebbe potuti ferire soltanto colpendoli agli occhi". Può darsi però
che questo sia il ricordo di uno sbarco e di successivi scontri con i portoghesi, che nel 1595 incro-
ciavano in queste acque, e che la "pelle dura" di cui parlano fossero semplicemente le armature che
li proteggevano.» (Dizionario UFO, Ulrich Dopatka)

Non è possibile dire, allo stato presente delle nostre ricerche e conoscenze, se vi sia qualcosa di
vero nelle teorie del colonnello Churchward, ovvero se Nan Madol sia una delle vestigia del mitico
Continente Scomparso di Mu, ma moltissimi altri siti archeologici anomali si trovano sparsi in tutti i
continenti, aspettando ancora di trovare una soluzione agli enigmi che ci mostrano attraverso le loro
mute vestigia.
Oltre ai misteri dell’archeologia, nel corso di questi ultimi anni ci sono pervenute anche storie ano-
male di isole che appaiono e scompaiono. Una di queste è Sandy Island (talvolta chiamata in fran-
cese Île de Sable) una vera e propria isola fantasma del Mar dei Coralli tra l'Australia e la Nuova
Caledonia, in acque territoriali francesi. L'isola appare su alcune mappe, tra cui quelle disegnate da
James Cook nel 1774, così come su Google Maps, mentre su Google Earth sono visibili solo dei pi-
xel neri. Nel 1979 il servizio idrografico francese, in seguito ad una campagna di rilevazioni aeree,
rimosse l'isola dalle sue mappe, mentre fino a quella data molte di esse indicavano, accanto alla
denominazione dell'isola, l'abbreviazione ED (esistenza dubbia), riportandone la possibile presenza
per un principio di estrema cautela.
Nel 2000, alcuni radioamatori della DX-pedition affermarono che l'isola non esiste, mentre una
ricerca del 2004, analizzando un'eruzione del 2001-2002 di un vulcano presso le isole Tonga, dimo-
strò che la pietra pomice galleggiante, eruttata dal vulcano stesso, era passata a 20 km di distanza
dal punto in cui l'esistenza di Sandy Island era indicata, proponendo l'ipotesi che quanto visto dai
navigatori, e riportato sulle mappe, fosse in realtà un aggregato di pietra pomice di passaggio. Nel
2012 una spedizione di scienziati australiani del Commonwealth Scientific and Industrial Research
Organisation ha certificato che non ci sono isole in quella zona e che il mare è profondo oltre 1.400
metri.
123

Ma la vicenda di Sandy Island, si ricollega stranamente a quella raccontata nella serie televisiva
Lost creata da J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber134. Luogo di ambientazione principale
della serie è una misteriosa isola del sud del Pacifico sulla quale precipita il Boeing 777 del volo O-
ceanic Airlines 815. Essa presenta proprietà scientifiche straordinarie, tra le quali la possibilità di
curare alcune malattie, viaggiare nello spazio-tempo, oltre alle sue strane proprietà elettromagneti-
che dovute alla presenza di una sacca energetica sotterranea, e che ne rendono molto difficoltoso
il raggiungimento via mare o per via aerea.
Infatti, l'Isola di Lost è circondata da uno scudo di energia elettromagnetica che causa una dislo-
cazione temporale e la morte di chi tenti di attraversarla. Il Progetto DHARMA riuscì poi a localizzare
l'isola apprendendo le informazioni della sua ubicazione dall'esercito americano. Il Progetto, infine,
si stabilì sull'isola e costruì il 'Lampione', una stazione situata fuori dall'isola, nei sotterranei di una
Chiesa di Los Angeles, che aveva lo scopo di individuare e prevedere la posizione dell'isola durante
i suoi spostamenti; tale isola, tra l'altro, poteva essere fisicamente spostata nello spazio, come molti
dei suoi personaggi.
Altre isole, però, condividono questa strana particolarità di apparire e scomparire, proprio come
raccontato in Lost. Anticamente era conosciuta Antilia, o Antillia, isola leggendaria localizzata nell'O-
ceano Atlantico occidentale, nota anche come l'Isola delle Sette Città o Isola di San Brendano. L'o-
rigine del nome non è chiara, perché "Antilia" sembra significare anti-isola, ossia isola opposta, forse
opposta al Portogallo, oppure isola posta simmetricamente al di là delle Colonne d'Ercole. La parola
in qualche modo può richiamare Atlantide e non è escluso che i due miti si siano parzialmente so-
vrapposti, o che Antilia sia una versione ridotta di Atlantide.
Nella Vita di Sertorio (capitolo 8 di Vite Parallele) Plutarco scrive che il comandante romano Quin-
to Sertorio, dopo una campagna in Mauretania (odierno Marocco), incontrò dei marinai che afferma-
vano di essere tornati dalle Isole dei Beati, distanti dall'Africa 10.000 stadi (2.000 km) con un clima
tropicale ed una vegetazione lussureggiante. Nel corso dei secoli, Antilia è stata oggetto di numerose
ricerche, sia immaginarie che reali, tanto che nel 1447 vi sarebbe arrivato un vascello portoghese,
trovandovi una popolazione che parlava la stessa lingua; meno fortunate furono le spedizioni reali,
dei due Fernão, Telles e Dulmo, che nel 1475 e nel 1486 cercarono invano l'isola favolosa.
Nel Cinquecento, esploratori come Álvar Núñez Cabeza de Vaca e Francisco Vásquez de Coro-
nado, continuarono a cercare le Sette Città di Cibola, ma nel sud-ovest del Nord America. Altra isola
dalle stesse caratteristiche era anche Hy Brazil o Brazil o Brasil, un'isola leggendaria che si pensava
si trovasse nell'Oceano Atlantico. Plinio il Vecchio la chiamò insulae purpuraricae e per secoli si
ritenne la sua esistenza certa tanto che i geografi la disegnarono sulle loro carte fino al 1853. Ge-
neralmente si ritenne che Hy Brazil si trovasse nel mezzo dell'oceano, a centinaia di miglia ad ovest
dell'Irlanda. Secondo la leggenda scomparve inghiottita dal mare, non si sa come e né quando, e
sempre secondo la leggenda, quest'isola, dalla forma stranamente “tonda”, era formata da un'unica
città, la quale era piena di templi ed abitata da una civiltà antica ma molto progredita.

Arrivati a questo punto sarà bene vertere la ricerca verso una realtà altra, ma co-presente alla
nostra, e che potrebbe vedere l’esistenza di più Pianeti Terra Paralleli al nostro. Come? Con la
Teoria dell’esistenza degli Universi Paralleli. Dietro tale Teoria si trova uno dei postulati più interes-
santi di tutta la Fisica Moderna, un’ipotesi al momento ancora teorica e non corroborata da evidenze
scientifiche certe, ma comunque già ampiamente supportata dalle tante teorie quantistiche e relati-
vistiche, come dalla più moderna Teoria delle Stringhe, tutte teorie in buona parte già trattate nei
primi capitoli di questo corso.
In sostanza, la Teoria dei Multiversi ipotizza che possono esistere infiniti “universi specchio” nella
nostra dimensione in cui sarebbero presenti, e si manifesterebbero altre “realtà”, oltre a quella che
già sperimentiamo; questi mondi, inoltre, avrebbero un diverso svolgimento e/o ambientazione ri-
spetto alla nostra stessa realtà. In campo filosofico, uno dei primi indagatori di questa possibilità fu
Auguste Blanqui, che nel 1872 indagò gli aspetti teorici e filosofici di un Universo ad infinite dimen-
sioni nell'opera L'Eternité par les astres; opera anomala nella produzione di Blanqui, essa anticipa
elementi che si ritrovano anche in Jorge Luis Borges.

134 Prodotta da ABC, Bad Robot e Grass Skirt Productions, la serie è stata trasmessa negli Stati Uniti dal

2004 al 2010.
124

Nella narrativa fantascientifica, il concetto di Universi Paralleli venne introdotto per la prima volta
dallo scrittore statunitense Murray Leinster nel 1934, per essere ripreso in seguito da molte opere
successive divenendo così un tema classico della letteratura di genere. Al di là di una concezione
scientifica o fantascientifica, l’intera questione sembra però affondare le sue radici in ben più antiche
conoscenze e che ci conducono sino nel bacino dell’Oceano Indiano, ai primordi della cultura vedica.
Una sua possibile formulazione, a metà strada tra la visione scientifica e quella religiosa, si può
riscontrare nientemeno che nel corpus di tradizioni induiste presenti in testi come il Bhagavata Pu-
rana. Nel Brahma Vaivarta Purana, uno degli otto Purana maggiori, in cui tra le varie realtà si parla
anche della Creazione dell’Universo, troviamo un riferimento esplicito sull’esistenza di Mondi o Uni-
versi Paralleli.

«... e chi cercherà attraverso le e-


stese infinità di spazio per contare i
lati degli universi uno accanto all’al-
tro, ognuno contenente il suo Brah-
ma, il suo Vishnu, il suo Shiva? Chi
può contare gli Indra in tutti loro -
quelli Indra fianco a fianco, che re-
gnano in una sola volta in tutti gli in-
numerevoli mondi; quegli altri che
sono passati prima di loro, o anche
gli Indra, che si susseguono in ogni
linea, ascendendo alla divina regali-
tà, uno per uno, e, uno per uno, pas-
sando via?»

Perciò, una Dimensione o un U-


niverso Parallelo, definita anche Re-
altà Parallela, Universo Alternativo,
Dimensione o Realtà Alternativa, è
un ipotetico luogo separato e distinto
dal nostro ma coesistente con esso,
nella maggior parte dei casi imma-
ginato e identificato con un altro con-
tinuum spazio-temporale, nel mentre
l’insieme di tutti gli eventuali Universi
Paralleli è detto Multiverso.
Durante gli anni Novanta e i primi
anni Duemila, in ambito cosmologico
furono elaborate diverse tipologie di
possibili Universi Paralleli o coesistenti. Si pensò alla presenza di veri e propri universi in serie o
contigui, in quanto collocati a fianco del nostro in un bulk135, che può arrivare ad avere una Quinta
Dimensione (o Quarta Spaziale) e che farebbe da contenitore alle loro rispettive estensioni, aventi
tutte proprietà metriche tridimensionali (o quadrimensionali, comprendendo anche la dimensione-
tempo).
Essi, pertanto, sarebbero posizionati uno accanto all’altro come fogli racchiusi in un libro, un libro
composto da pagine bidimensionali ma che nel loro insieme sono inserite in un contenitore, il libro
stesso, con tre dimensioni. Questo significa che all’interno di un ampio vuoto iperspaziale, tanti Uni-
versi non dissimili dal nostro, possono essere così contigui da sfioraci ma senza poterli percepire
direttamente, in quanto le forze naturali, lo stesso elettromagnetismo, sono captabili da apparati sen-
soriali e/o tecnologici confinati nelle dimensioni del loro luogo cosmico originario.
I piani su cui materialmente risiederebbero tali Universi vengono definiti “membrane” o “brane”, e
secondo alcune visioni potrebbero trattarsi di un unico, infinito, piano spaziale ma ripiegato più volte,

135 In Cosmologia e Fisica Teorica, il Bulk è una massa, in particolare nella Teoria delle Stringhe, l'iperspa-

zio in cui si troverebbero i vari mondi-brana.


125

simile ad un nastro a tratti curvato su sé stesso, in strati geometricamente paralleli. Questo modello
spiegherebbe, almeno in parte, anche la ragione di quella che comunemente viene denominata Ma-
teria/Massa Oscura, astronomicamente rilevata indirettamente, per effetto gravitazionale, e che em-
piricamente risulta estendersi intorno alle Galassie e ai raggruppamenti che esse formano nel Co-
smo visibile.
Anche l’ambito Metafisico, Spiritualista e Spiritico si è occupato di eventuali Dimensioni Parallele,
a cominciare dal medico statunitense Walter Semkiw, nel saggio "Return of the revolutionaries: the
case for reincarnation", un libro che si basa su coincidenze considerate non casuali e reperti (visivi)
giudicati non artificiosi, con un impianto generale che riprende alcuni temi già conosciuti o acquisiti
dalla tradizione medianica, occultista o da influenze mistiche orientali, dove si riscontra anche un ri-
verbero della cognizione indù del Karma.
In sintesi, sostiene la presenza di un piano con proprietà fisiche che ripetono, con diverse qualità,
sovente superiori, quelle terrestri, oltre ad essere adatto alla prosecuzione di una vita dopo quella
terrena, e a seconda dei casi quasi speculare ad essa. Tale regione dovrebbe essere strutturata in
graduali livelli, che vanno dai meno ai più evoluti, nei quali è contemplato anche il noto “Piano Astra-
le”. Insomma, veri e propri Livelli Spaziali Paralleli, riservati a soggetti deceduti e adeguati alle rispet-
tive virtù ed imperfezioni morali espresse nell’esperienza terrena.
Un Corpo di leggera sostanza eterea, contenuto in quello umano, e composto di Materia pesante,
ma ad esso esteticamente somigliante, si trasferirebbe subito o poco dopo la morte, in questo “altro
luogo”, in questa probabile altra Dimensione Parallela a quella terrestre. Liberati dal fardello carnale,
i Corpi, così meno grevi, continuerebbero a vivere con modalità di riproduzione simili al nostro mondo
materiale, potendo addirittura praticare le stesse attività, sia intellettuali, professionali, ludiche, ses-
suali, in condizioni in apparenza simili sebbene molto più funzionali.
Inoltre, i dimoranti, di tanto in tanto, cercherebbero di comunicare con noi, che ci troviamo ancora
di qua, mediante l’utilizzo di apparecchiature tecnologicamente affini alle nostre, appositamente co-
struite e migliorate da innovazioni a noi sconosciute. Per questo sarebbero udibili e visibili, a volte
fra le immagini dei consueti schermi televisivi o fra le onde captate dai comuni radioricevitori, etc. In
questo modo riuscirebbero a mettersi in contatto con amici, colleghi o parenti ancora vivi, mediante
la "ITC: Instrumental Trans Communication”, il sistema di presunti contatti e il loro studio sistematico.
Anche in questo nuovo stato di Corpi Eterei non è preclusa la possibilità di poterli abbandonare,
mediante una sorta di seconda morte o ulteriore trapasso, per il compimento di evoluzioni spirituali
verso altri Livelli Dimensionali. Inoltre, non è escluso che queste Essenze possano tornare nella no-
stra vita materiale mediante la reincarnazione, manifestando proprietà fisiche, somatiche, mentali e
comportamentali della loro precedente esistenza, sovente mantenuta anche nell’altra dimensione.
Non di rado anime reincarnate sarebbero recenti mentre altre proverrebbero da epoche storiche più
lontane, con la possibilità di condividere e incontrare nuovamente persone già incontrate in un loro
comune passato, che però rinascendo inconsciamente dimenticano o di cui ricordano solo qualche
vago ed indistinto riverbero136.
Un’ulteriore teoria quotata da una buona parte di stimati fisici contemporanei, risulta essere l’in-
terpretazione a Realtà Parallele, appartenente alla disciplina della Meccanica Quantistica o Ondu-
latoria, denominata da Bryce DeWitt137, "A Molti Mondi" (a volte riportata, in acronimo anglosassone,
come MWI: Many Worlds Interpretation), seppure sia stata elaborata e proposta da Hugh Everett
III138 a partire dagli ultimi anni Cinquanta.

136 Questa Teoria è seguita, specie negli USA, con un certo interesse attivo, anche da e fra esponenti dediti
a normali attività scientifiche, tanto che nel corso di questi ultimi anni vari centri di studio e ricerca -, a tratti
con qualche partecipazione accademica e collaborazioni qualificate di medici, neurologi, psicologi, etc. -, si
sono sempre fatti più numerosi.
137 Bryce Seligman DeWitt (1923-2004) è stato un fisico statunitense, tra i protagonisti della Fisica Teorica

Moderna. DeWitt si è occupato soprattutto di Meccanica Quantistica e Cosmologia, elaborando l'attuale for-
mulazione della gravità quantistica e fornendo importanti contributi alle teorie di scala, al comportamento delle
radiazioni nello spaziotempo curvo e all'analisi numerica della relatività. Viene spesso indicato come uno dei
principali sostenitori della teoria dei "Molti Mondi" di Hugh Everett, per quanto tale argomento sia sempre stato
ai margini dei suoi interessi scientifici.
138 Hugh Everett III (1930-1982) è stato un fisico statunitense. Attivo principalmente all'Università di Prin-

ceton, è divenuto celebre tra i fisici per aver formulato nel 1957 l'interpretazione A Molti Mondi della Meccanica
Quantistica. Il titolo originario della sua Teoria era "Relative State formulation of Quantum Mechanics”. Solo in
126

Attualmente uno dei maggiori sostenitori della Teoria è il fisico David Deutsch139, dell'Università
di Oxford, il quale nel suo noto saggio La Trama della Realtà definisce genericamente la Fisica
Quantistica (con evidente riferimento ad Everett), come "La Fisica del Multiverso". Attraverso la con-
tinua diramazione dell'intera Realtà/Universo che contiene i Molti Mondi, coerentemente con gli stati
risultanti e secondo le probabilità con cui essi possono manifestarsi, anche l'osservatore, necessario
per la rilevazione dello stadio conclusivo del sistema, si ritroverebbe suddiviso in più repliche di Sé:
una per ogni misurazione alternativa che l'evolversi quantistico consente. Però in tal contesto, pre-
scindendo dall'opera di preparazione degli eventuali esperimenti, egli resta spettatore dell'effetto ri-
levato, essendo gli sviluppi, teoricamente considerati, del tutto oggettivi e determinati dalle stesse
Leggi della Natura, e non dall'atto osservativo stesso.

Singolare che una certa letteratura, specie di genere fantasy e fantascientifico, sia stata anticipa-
trice di molte delle teorie che la scienza ha successivamente elaborato e studiato. Clive Staples Le-
wis, nel suo Ciclo delle Cronache di Narnia, terminato e pubblicato poco prima della tesi proposta
da Everett, l'autore (all'incirca nel 1950) nel romanzo Il Leone, la Strega e l'Armadio pose queste
battute in bocca a due suoi protagonisti: «... chiese Peter: “Ci sarebbero davvero altri mondi accanto
al nostro?” “Niente di più probabile.” rispose il Professore...e borbottando: “Ma cosa diavolo inse-
gnano, dico io, nelle scuole?”»
Attorno a queste ipotesi nel corso del Novecento, sino ai giorni nostri, sono state create numerose
opere tra libri, film, fumetti e serie televisive, con lo stesso comune denominatore sulla possibilità di
viaggiare o interagire con Mondi esistenti nelle varie dimensioni teorizzate, sia in ambito filosofico
che scientifico. Ma simili concetti, non solo sulla pluralità dei Mondi Abitati o che al di fuori della Terra
ne possano esistere di numerosi, - come altri pianeti o universi e che ospitino vita ed esseri intelligen-
ti -, alimentarono il dibattito filosofico e tutta una serie di speculazione sin dai tempi di Talete, nel
lontano 600 a.C.
In età greca, il dibattito fu ovviamente in gran parte filosofico e non conforme alle attuali nozioni
cosmologiche, ma assunse la forma di un corollario di nozioni di infinito con la pretesa moltitudine
di Mondi in quanto culle di vita, con concetti simili ai nostri Universi Paralleli, come a Sistemi Solari
differenti. Diogene Laerzio riferisce come Anassagora ritenesse la Luna abitata, e nella sua visione
cosmologica, sosteneva che i semi, unendosi e separandosi, formavano Sistemi Planetari simili al
nostro, dimostrando così l’esistenza di altri Corpi Celesti analoghi al Sole, la Luna e la Terra. Nella
sua opera, “De rerum natura” (70 a.C. circa), Lucrezio speculava apertamente della possibilità di vi-
ta su questi Mondi.

«Pertanto, dobbiamo capire che esistono altri Mondi in altre parti dell'Universo, con tipi differenti
di Uomini e di Animali.»

Dopo Talete e il suo allievo Anassimandro, che aprirono le porte ad un Universo Infinito, da parte
degli Atomisti venne presa una forte posizione sulla pluralità, in particolar modo da Leucippo, De-
mocrito ed Epicuro. Per quanto fossero pensatori di spicco, Platone e Aristotele ebbero un’influenza
maggiore, specie nel sostenere l’unicità della Terra e della non esistenza di Altri Sistemi e Mondi.
Tale presa di posizione, specie di Aristotele, in seguito venne ripresa e ulteriormente ampliata con
la concezione dominante nel Cristianesimo, che si richiamava all’autorità della visione del pensatore
greco. Il Medioevo vide rigettare l’Atomismo, considerato eretico dalla Chiesa, decretò la sconfitta
di ogni immagine astronomica alternativa a quella avallata dalla stessa Chiesa, dato che nella Bibbia,
come abbiamo già letto, era lo stesso Dio ad aver intimato agli uomini di non occuparsi delle cose
del Cielo, luogo inerente alle attività del divino e non dell’umanità.

seguito, nella rielaborazione effettuata da Bryce DeWitt, fu ribattezzata con la denominazione con cui si è af-
fermata.
139 David Elieser Deutsch (Haifa, 18 maggio 1953) è un fisico britannico. Premiato con il Premio Dirac nel

1998, è professore presso il dipartimento di fisica atomica e laser presso il centro per la computazione quan-
tistica, nel laboratorio Clarendon dell'Università di Oxford. È un pioniere dei computer quantistici, avendo for-
mulato una descrizione della Macchina di Turing Quantistica, e un promotore di varie versioni dell'interpreta-
zione A Molti Mondi della Meccanica Quantistica, basate sugli studi e sulle idee formulate da Hugh Everett III
negli anni Cinquanta.
127

Per fortuna, quest’onda oscurantista religiosa non soppresse completamente il dibattito e che
continuò nel tempo, sebbene fosse portato avanti da pochi pensatori, almeno sino all’invenzione del
telescopio, comunque in quel periodo rimase valida l’idea che le stelle e i pianeti, fossero dei semplici
punti luminosi fissati nel firmamento, e non veri e propri Corpi Fisici. Dante (1265-1321), nel suo
Paradiso, descrisse mirabilmente l’ascesa del narratore attraverso le Sfere Celesti della Luna, i pia-
neti da Mercurio a Saturno, e da lì si spinse persino alla sfera delle Stelle fisse e al Cielo degli Angeli,
sostenendo, inoltre, che la luce di tali Mondi fosse una combinazione di luce impartita dalla volontà
divina e dallo splendore dei beati che li abitano, pur essendo eterei e possedendo una luce, ma non
una forma fisica o geografica.
Il cardinale e teologo Nicola Cusano, nella sua opera De docta ignorantia del 1440, ammetteva
la possibilità che Dio potesse aver creato Altri Mondi con altri esseri razionali in uno Spazio senza
Limiti. Ma il sistema geocentrico tolemaico-aristotelico venne infine sfidato da filosofi come Gugliel-
mo di Occam o dai successivi seguaci di Niccolò Copernico, specie dopo che il telescopio dimostrò
che una moltitudine di forme esisteva nel Cielo, seppure avversari teologici potenti, continuarono ad
insistere sulle loro posizioni. Celebre è la storia del filosofo e frate domenicano, Giordano Bruno140,
condannato come eretico e messo al rogo nel 1600, semplicemente perché immaginava un Universo
Infinito, popolato da infinite Stelle come il Sole, ciascuna circondata da pianeti, e dove su alcuni so-
steneva che potevano crescere e prosperare esseri intelligenti come l’Uomo.

140 Filippo Bruno, noto con il nome di Giordano Bruno (1548-1600), è stato un filosofo, scrittore e monaco
cristiano italiano appartenente all'ordine domenicano, vissuto nel XVI secolo. Il suo pensiero, inquadrabile nel
naturalismo rinascimentale, fondeva le più diverse tradizioni filosofiche - materialismo antico, averroismo, co-
pernicanesimo, lullismo, scotismo, neoplatonismo, ermetismo, mnemotecnica, influssi ebraici e cabalistici -
ma ruotava intorno a un'unica idea: l'Infinito, inteso come l'Universo Infinito, effetto di un Dio Infinito, fatto di
Infiniti Mondi, da Amare Infinitamente.
128

«Io dico Dio tutto Infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno e infinito;
e dico Dio totalmente infinito, perché lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e
totalmente: al contrario dell'infinità de l'universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti
(se pur, referendosi all'infinito, possono esse chiamate parti) che noi possiamo comprendere in quel-
lo.» (De infinito, universo e mondi, Giordano Bruno)

Tale concetto, ovvero che i pianeti fossero veri e propri Corpi Fisici, non venne preso seriamente
in considerazione sino a quando Galileo Galilei, scoprì tra il 1609 e il 1610, attraverso una serie di
osservazioni visive con il suo telescopio, che la Luna aveva rilievi sulla sua superficie e che persino
gli altri pianeti avrebbero potuto quantomeno essere risolti in Dischi. Già nel 1543 Copernico aveva
postulato che i pianeti orbitavano attorno al Sole, come la Terra, e la combinazione di questi due
concetti condusse al pensiero che i pianeti avrebbero potuto essere “Mondi” simili al nostro.
Fu una vera e propria rivoluzione, quella copernicana, specialmente decenni più tardi grazie alla
diffusione del telescopio di Galileo e dei suoi ulteriori studi. Per contro ci fu un numero di teologi
sempre crescente che si occuparono della questione, tanto che dal Settecento, specie in ambito an-
glosassone, evangelico ed anglicano, vi fu un vero e proprio boom di studi e pubblicazioni, tra i quali
quelli di Vincenzo da Sant’Eraclio che nel 1760 esaminò, nel suo Esame Teologico-Fisico, la possi-
bilità dell’esistenza di mondi abitati da ragionevoli creature.
Durante l’Illuminismo, questi tesi divennero una possibilità, e libri come Le Conversazioni sulla
pluralità dei mondi (Entretiens sur la pluralité des mondes) di Bernard le Bovier de Fontenelle del
1686 fu una delle opere divulgative più importanti di questo periodo, che speculava sulla pluralità e
descriveva la nuova cosmologia copernicana. In un viaggio straordinario all’interno del Sistema So-
lare, l’autore spiegava con efficacia le sue nuove concezioni scientifiche, narrando persino della
presenza di Civiltà su Mercurio, Venere e Saturno. Tali idee affascinarono anche grandi filosofi come
Locke, astronomi come William Herschel e anche politici, tra i quali John Adams e Benjamin Franklin.
L'astronomo francese Camille Flammarion fu uno dei principali sostenitori della pluralità durante
la seconda metà del XIX secolo. Il suo primo libro, La pluralità dei mondi abitati (1862), fu un grande
successo popolare, con ben 33 edizioni nei vent'anni successivi alla sua prima pubblicazione. Si
deve inoltre a Flammarion il primato di proporre l'idea che gli esseri Extraterrestri fossero davvero
Alieni, e non semplicemente variazioni delle creature terrestri. Tali opere e supposizioni spalanca-
rono la strada alle moderne teorie, che tra l’Ottocento e gli inizi del Novecento furono superate dal-
l’avanzare della conoscenza scientifica, mentre anche l’Arte e la Letteratura ne furono influenzate
con modalità senza precedenti. Il "Portale verso un altro Mondo" divenne, così, nel corso del tempo
una delle più comuni icone della fantascienza, benché sia un espediente essenzialmente utilizzato
nel fantastico.
Il concetto di base di un portale è quello che conduce un soggetto in movimento in un altro punto
nello spazio, all’interno dello stesso Universo o in uno Parallelo. Identificato sovente con svariati no-
mi, tra cui anche varco spazio-temporale, generalmente ha un suo principio di funzionamento spie-
gato in modo vago o del tutto assente, spesso considerato come scontato e affidato ad una sorta di
sospensione di incredulità da parte del fruitore. Non di rado sono presenti dispositivi tecnologici, spe-
cie in molte opere di genere fantascientifico, o come oggetto magico, in varie opere fantasy, dove
spesso ha assunto forma di specchi, quadri, armadi, cancelli, o descritti come vortici di energia o
buchi spaziali.
Fu così che Lewis Carroll, nel 1871, scrisse il romanzo Attraverso lo specchio e quel che Alice vi
trovò, così come C.S. Lewis, decenni più tardi, nelle sue Cronache di Narnia, faceva transitare i gio-
vani protagonisti al mondo favoloso da lui descritto, passando attraverso un vecchio armadio, indos-
sando anelli o venendo risucchiati da un dipinto. Ovviamente dobbiamo al cinema la mole visionaria
di tali Realtà Alternative, a cominciare dal film 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick,
dove l'astronauta David Bowman viaggia attraverso un portale interstellare in una dimensione che
la sua intelligenza umana (e quella dello spettatore) non è in grado di comprendere, o il film Stargate
del 1994, e le sue successive serie televisive, dove in essi, l’omonimo dispositivo è frutto di una a-
vanzatissima ed antica tecnologia aliena e che permette di raggiungere altri pianeti abitati della Via
Lattea.
129

Lezione 7

7.1 - La Terra e le sue epoche

La Geocronologia è lo studio dei metodi utilizzati per stabilire l’età di una formazione geologica,
e la conseguente successione degli eventi trasformativi in essa avvenuti nel corso delle Ere, a sua
volta, l’Era Geologica è una delle suddivisioni della scala dei tempi geologici, e in quelle più recenti,
è normalmente compresa tra due estinzioni di massa. Le Ere Geologiche ad oggi classificate, dalla
più antica alla più recente, sono: Eoarcheano, Paleoarcheano, Mesoarcheano, Neoarcheano, Paleo-
proterozoico, Mesoproterozoico, Neoproterozoico, Paleozoico, Mesozoico, Cenozoico. Ancor più
precisamente, un’Era rappresenta il tempo trascorso durante la formazione delle rocce che costitui-
scono l’Eratema corrispondente, e un’Era appartiene ad un determinato Eone ed è divisa, al suo in-
terno, in numerosi periodi:

• Precambriano da 4600 a 570 milioni di anni fa: Adeano141, Archeano, Proterozoico;


• Paleozoico da 570 a 251 milioni di anni fa: Cambriano, Ordoviciano, Siluriano, Devoniano, Car-
bonifero, Permiano;
• Mesozoico da 251 a 65,5 milioni di anni fa: Triassico, Giurassico, Cretaceo;
• Cenozoico da 65,5 milioni di anni fa ad oggi: Paleogene, Neogene, Pleistocene, Olocene.

La scala dei tempi geologici rappresenta, perciò, un modo pratico per suddividere il tempo tra-
scorso dalla formazione della Terra, condiviso dalla comunità scientifica internazionale, attualmente
ancora in continua evoluzione, grazie agli incessanti studi condotti142. Lo United States Geological
Survey (USGS, Servizio Geologico degli Stati Uniti) ha prodotto, inoltre, una versione a colori di que-

141 Solo l'Eone Adeano non è suddiviso in Ere.


142 Esiste, ad oggi, un organismo internazionale delegato alla formalizzazione geologica (quindi alla nomen-
clatura) di questa scala, la Commissione Internazionale di Stratigrafia, che presiede alla ratifica dei GSSP.
130

sta scala, dove ad ogni età corrisponde, per convenzione, un colore diverso; seppure non tutti i paesi
adottano questa suddivisione. Concettualmente, ogni sezione raggruppa una fase specifica della
storia terrestre, determinata dalla presenza di organismi spesso estinti al termine dell’Era Geologica
di appartenenza.
L’Età del nostro Pianeta, come sappiamo, è stimata attorno a 4570 milioni di anni143, il tempo
geologico e “profondo” della Terra, in passato è stato organizzato in varie unità a seconda degli
eventi che si sono succeduti in ogni periodo. Differenti livelli di scala temporale sono spesso delimi-
tati da improvvisi e grandi eventi, sia geologici o paleontologici, come le estinzioni di massa. Le unità
Geocronologiche, seppure empiricamente, sono così suddivise:

• Eone: miliardi di anni;


• Era: centinaia di milioni di anni;
• Periodo: decine di milioni di anni;
• Epoca: milioni di anni;
• Età: migliaia di anni.

L’unità di tempo più ampia definita è il Supereone, costituito da Eoni, questi sono divisi in Ere, a
loro volta suddivisi in Periodi, Epoche ed Età. Al contempo, i paleontologi definiscono un sistema di
piani faunali, dalla lunghezza variabile, basati sui cambiamenti osservati sui fossili, in molti casi, que-
sti piani sono stati utili nel ricostruire la nomenclatura geologica. A parte questo, in generale, i geologi
suddividono le unità in Inferiore, Medio e Superiore (come ad esempio il Giurassico Superiore o il
Cambriano Medio), applicati alle rocce, e Primo, Medio e Tardo, applicati al tempo.
I principi che hanno delineato la scala geologica dei tempi furono gettati da Nicholas Steno (co-
nosciuto in Italia anche come Stenone), nel tardo XVII secolo, quando arguì, attraverso osservazione
fatte in Toscana, che gli strati rocciosi (o strata) si depositano in successione, e che ognuno di essi
rappresenta una vera e propria “Fetta di Tempo”; egli formulò anche il principio della sovrapposi-
zione, attestando che ogni stato in oggetto è più antico di quelli che sono a lui sovrapposti, e più gio-
vane di quelli posti sotto di lui. Nel secolo successivo, il XVIII, i geologi compresero, inoltre: una
sequenza di strati era spesso erosa, distorta, inclinata o anche invertita dopo la sua deposizione; gli
strati depositatisi nello stesso periodo di tempo, ma in aree differenti, hanno aspetti e caratteristiche
completamente diversi; gli strati di una data area rappresentano solo una parte della lunga storia
geologica della Terra.

Scendendo maggiormente nel dettaglio, la storia del nostro pianeta è stata suddivisa in Cinque
Ere principali: l’Era Precambriana (o Criptozoica), l'Era Primaria (o Paleozoica), l'Era Secondaria (o
Mesozoica), l'Era Terziaria (o Cenozoica) e l'Era Quaternaria (o Neozoica).

Era Precambriana (Precambriano) - detta ancheriptozoica, ha avuto una durata di circa 4 miliardi
di anni, superiore, pertanto, a quella di tutte le altre ere geologiche, ed essa comprende tre grandi
periodi: il Priscoano, il più antico, l'Archeano e il Proterozoico. Dopo la formazione della crosta ter-
restre, nel corso di questa Era, si verificarono cicli orogenetici le cui tracce sono visibili ancora oggi
solo in alcuni settori terrestri, come lo scudo canadese, baltico e siberiano, non avendo subito sensi-
bili deformazioni nei periodi successivi, mentre in altre zone, i corrugamenti a questa Era, sono stati
cancellati e/o mascherati dall’erosione e da successive orogenesi, etc.
Climaticamente, questo periodo fu caratterizzato da notevoli oscillazioni della temperatura, sono
stati ritrovati sia depositi relativi a climi caldi ma anche glaciali in varie zone, come i Grandi Laghi
dell’America settentrionale, del Canada, in Cina, la Groelandia, l’Australia, l’Africa meridionale, etc.,
inoltre in questo periodo, circa 3,5 miliari di anni fa, apparve la Vita sul nostro pianeta, come testimo-
niato da reperti fossili, soprattutto di organismi invertebrati marini, ritrovati in Australia nel giacimento
fossilifero di Ediacara.

L’Era Primaria o Paleozoica, comprende invece sei periodi: Cambriano, Ordoviciano, Siluriano,
Devoniano, Carbonifero e Permiano. Durante il Cambriano, le aree continentale erano suddivise in
due grandi blocchi chiamati Gondwana (comprendente Sudamerica, Africa, Australia, Antartide e In-

143 Nella nomenclatura inglese, 4570 mya o, in "Ma", 4570 Ma.


131

dia) e Laurasia (comprendente Asia, Europa e Nordamerica), parti che si riunirono successivamente
nel supercontinente chiamato Pangea, ma che si divise ulteriormente in seguito. Sempre in questo
periodo si verificarono cicli di orogenesi, come quella caledoniana, avvenuti nel periodo Siluriano,
che coinvolse varie regioni del nord Europa, dell’Asia, dell’Africa e dell’Australia orientale, e l’oroge-
nesi ercinica, avvenuta durante il Carbonifero e il Permiano, che portò alla formazione di catene
montuose dell’inghilterra meridionale, dell’Europa centrale (Vosgi, Ardenne, Massiccio Centrale
francese e la Foresta Nera) degli Urali, i monti Altai (Asia centrale), la catena dell'Atlante, i monti di
Città del Capo (Africa) e i monti Appalachi (America del Nord), etc.
In questo periodo, grazie alla comparsa dello strato di ozono nell’atmosfera (a protezione della
superficie dalle radizioni solari dannose alla vita), a partire dal Siluriano la vita vegetale conobbe un
grande sviluppo, prima nei mari e successivamente sulla terraferma, raggiungendo l’apice durante
il periodo Carbonifero, con lussureggianti foreste, piante d’alto fusto, di cui ne rimane traccia negli
attuali depositi di carbone. Comparvero anche i primi organismi animali, durante il Paleozoico ci fu
una presenza massicca dei trilobiti, crostacei con il corpo diviso longitudinalmente in tre lobi, che
dominarono il Cambriano, e dai graptoliti, piccoli organismi che vivevano in colonie diffuse negli oce-
ani, abbondanti durante l’Ordoviciano. Invertebrati e Pesci, invece, fecero la loro comparsa nel De-
voniano, i primi rettili nel Carbonifero, e si diversificarono ulteriormente nel Permiano, nonostante il
periodo si concluse con una Grande Estinzione, specie di trilobiti, molluschi e invertebrati.

L’Era Secondaria, o di Mezzo, com-


prende tre periodi: Triassico, Giurassico
e Cretaceo. Durante il Triassico, Pan-
gea, il grande e unico continente iniziò a
frammentarsi e venne a formarsi il nuo-
vo Oceano Atlantico; tale divisione con-
tinentale culminerà poi nel Cretaceo.
Durante questo periodo l’attività oroge-
netica in Europa fu meno intensa, ma in
America avvenne il sollevamento della
catena montuosa delle Ande e di parte
delle Montagne Rocciose.
La varietà di organismi accrebbe a di-
smisura, in particolare nel Mesozoico,
con la diffusione dei grandi rettili, i Dino-
sauri, che conquistarono praticamente
tutti gli ambienti: terrestre (con Bronto-
sauri, Diplodochi, Tirannosauri), marino
(con Ittiosauri e Plesiosauri), e aereo
(con Pterodactylus e Archeopterix).
Comparvero, inoltre, anche le prime specie di uccelli e di mammiferi, e quanto ai vegetali, nel
Triassico, le piante furono rappresentate soprattutto da felci arboree, sostituite poi dalle gimnosper-
me, mentre nel Giurassico apparvero le angiosperme (le piante con fiori), che ebbero grande diffu-
sione nel Cretaceo.

L’Era Terziaria o Cenozoica, comprende cinque periodi: Paleocene, Eocene, Oligocene, Miocene
e Pliocene. Durante questo periodo, imponente fu l’attività orogenetica, si vennero a formare le im-
mense catene montuose attuali, come quella alpino-himalayana, e la distribuzione delle terre emer-
se iniziò a corrispondere a quella attuale. Fecero la comparsa e si svilupparono gruppi vegetali e
animali che ad oggi popolano la Terra, scomparvero i Dinosauri, si affermarono i Mammiferi, e si
distinsero i primati, inizialmente adatti alla vita arboricola ma che poi assunsero le sembianze simili
alle attuali scimmie. Il clima cambiò gradualmente da tropicale a temperato, con punte temperato-
fredde verso la fine di questa Era.

L’Era Quaternaria è anche l’ultima, geologicamente parlando, ed è quella attuale o Neozoica, ov-
vero “della vita nuova”, perché costituita da piante e animali ad oggi ancora esistenti; la nostra Era
viene inoltre divisa in due periodi: Pleistocene e Olocene. In questo periodo continuarono i movimenti
132

delle fasi finali dell’orogenesi alpino-himalayana, si alternarono periodi freddi ad altri caldi, si avvi-
cendarono grandi glaciazioni inframezzate da periodi interglaciali. Sull'area alpina sono state indivi-
duate cinque grandi glaciazioni, (Donau, Günz, Mindel, Riss e Würm, dalla più antica alla più re-
cente), intervallate da quattro periodi interglaciali, con un'espansione e contrazione delle calotte gla-
ciali che provocarono notevoli variazioni del livello dei mari. L'alternarsi delle glaciazioni e dei periodi
interglaciali provocò, inoltre, una grande varietà sulla distribuzione degli esseri viventi sull’intero pia-
neta, e tra gli eventi biologici che maggiormente hanno caratterizzato questo periodo, si deve se-
gnalare soprattutto la repentina evoluzione e diffusione del nostro Genere Umano.

All’interno della classificazione delle Ere Geologiche, una parte importante è data da quella che
viene denominata Transizione Biotica, comunemente nota come Estinzione di Massa (dalla descri-
zione dell’evento più eclatante e disastroso), un periodo geologicamente breve ma durante il quale
avviene un massiccio sovvertimento dell’intero ecosistema terrestre, con la scomparsa di un gran-
dissimo numero di specie viventi, e la conseguente sopravvivenza di altre che poi diverranno domi-
nanti. Tale tasso di estinzione è stato calcolato come numero di famiglie biologiche di invertebrati
marini e vertebrati estinti in ogni milione di anni, e normalmente tale tasso è rimasto sull’ordine di 2-
5 famiglie, seppure si siano osservati almeno cinque grandi picchi di estinzione, definiti appunto
come Estinzione di Massa. Fino ad oggi si considerano, dunque, in Cinque le Grandi Estinzioni di
Massa, chiamate anche Big Five, intervallate l’una dall’altra rispettivamente da circa 69, 124, 71 e
115 milioni di anni.

Ordoviciano-Siluriano (circa 450 milioni di anni fa) - In un periodo di tempo di pochi milioni di anni,
a seguito di ipotetiche imponenti glaciazioni, il livello marino si abbassò così drasticamente causando
l’estinzione di molte specie acquatiche (si stima che l’estinzione abbia riguardato circa l’85% delle
specie allora viventi, tra invertebrati e pesci primitivi), in particolare di quelle residenti nei fondali bas-
si e le acque calde. Depositi glaciali di questo periodo sono stati trovati addirittura in prossimità del-
l’equatore, nel deserto del Sahara, suggerendo così un imponente raffreddamento del clima mon-
diale. Gli impulsi glaciali furono almeno due, separati l’uno dall’altro da circa 500 mila e 1 milione di
anni, durante i quali il livello marino risalì rapidamente144.

Devoniano superiore (circa 375 milioni di anni fa) - Al passaggio Frasniano-Famenniano (Devo-
niano Superiore) si verificò un'ulteriore Estinzione di Massa, chiamata Evento Kellwasser che inte-
ressò una percentuale stimata in circa l'82% delle specie viventi. Anche se alcuni ricercatori sugge-
riscono come causa dell'estinzione alcuni impatti di asteroidi, sebbene non dovrebbe essersi trattato
di un evento improvviso, in quanto le estinzioni si svilupparono durante un periodo di circa 3 milioni
di anni.

Permiano-Triassico (circa 250 milioni di anni fa) - Con ogni probabilità si tratta dell’Estinzione di
Massa più catastrofica di tutta la storia della Terra, quando al limite del Permiano-Triassico, circa il
96% delle specie animali marine si estinse, e complessivamente scomparve il 50% delle famiglie
animali esistenti. Secondo alcuni ricercatori questo evento si verificò in un periodo alquanto rapido,
e a suffragio di questa ipotesi, nel sottosuolo australiano è stato scoperto recentemente un antico
cratere da impatto, largo circa 120 chilometri, risalente all’epoca della grande estinzione, senza
escludere che tale evento avrebbe potuto innescare un picco di attività vulcanica; infatti a Noril'sk in
Siberia è stata individuata un'enorme colata di basalto, spessa 4 km e ampia 2,5 milioni di km². Ma
recentemente un ulteriore cratere da impatto è stato riscontrato nella Terra di Wilkes in Antartide,
del diametro di ben 450 km risalente proprio a 250 milioni di anni fa, così come un ulteriore scoperta,
questa volta al largo delle isole Falkland, di una anomalia gravitazionale terrestre (dalla forma insolita
di rosa), ha fatto ipotizzare l’esistenza di un terzo cratere da impatto meteorico, stimato 250-300 km
di diametro, anch’esso risalente attorno a 250 milioni di anni fa…

144 Secondo una recente ipotesi, avanzata dal Prof. Adrian L. Melott dell'Università del Kansas, questa
estinzione di massa sarebbe stata causata da lampi di raggi gamma dovuti all'esplosione di una supernova
relativamente vicina (qualche migliaio di anni luce) particolarmente massiccia, che avrebbe causato gravissimi
squilibri nella catena alimentare e nel clima.
133

Triassico-Giurassico (circa 200 milioni di anni fa) - Al termine del Triassico la temperatura salì di
circa 5 gradi Celsius e si estinse circa il 76% delle specie viventi, tra cui la quasi totalità dei terapsidi
e molti anfibi, e l’84% dei bivalvi. Tra le cause proposte, oltre ad impatti di corpi celesti, le variazioni
climatiche, le variazioni del livello del mare e la diffusa anossi dei fondali marini a causa della divi-
sione di Pangea, con rilascio di immense quantità di metano dal fondo degli oceani, sappiamo che
nel corso dei 150.000 anni successivi, il riscaldamento globale del pianeta provocò un aumento
dell’erosione delle rocce dell’intera superficie terrestre del 400%, provocando reazioni chimiche che
consumarono il biossido di carbonio in eccesso, ponendo poi fine al riscaldamento globale.

Cretaceo-Paleocene (circa 65
milioni di anni fa) - Al limite tra Se-
condario e Terziario si verificò un ul-
teriore grande estinzione di circa il
75% di tutte le specie viventi, com-
presi i Dinosauri. Ancora oggi consi-
derato un enigma geologico, si sono
tuttavia date diverse spiegazioni e
spesso assurde, finché nel 1980, il
Premio Nobel per la Fisica, Luis Al-
varez, suo figlio Walter e Frank Asa-
ro, misurarono in alcuni livelli geolo-
gici risalenti al limite K-T (abbrevia-
zione per Cretaceo-Terziario), cam-
pionati vicino a Gubbio (in Umbria),
la presenza di una concentrazione
insolita di Iridio, un elemento chimi-
co piuttosto raro sulla Terra, ma co-
mune nelle meteoriti. Si avanzò, co-
sì, l'ipotesi che questa grande estin-
zione fosse stata provocata dall'urto
con un meteorite. Parallelamente, fu
scoperto una gigantesca struttura circolare sotterranea situata nella penisola dello Yucatan, vicino
alla cittadina di Chicxulub Puerto presso Mérida. Lo studio su questo cratere portò alla conclusione
che il meteorite che avrebbe colpito la Terra alla velocità stimata di 30 km/s, aveva un diametro di
almeno 10 km, oltre ad aver rilasciato un'energia pari a 10.000 volte quella generabile da tutto l'ar-
senale nucleare ai tempi della Guerra Fredda. Venne inoltre scoperta una seconda struttura, an-
ch’essa candidata come causa di questa grande estinzione, il Cratere Shiva, localizzato sul fondo
dell’Oceano Indiano ad ovest di Mumbai, dal diametro di circa 500 km, prodotto da un meteorite di
circa 40 km di diametro. Nonostante la vastità di tale evento, analisi geochimiche hanno rivelato che
la produttività biologica marina si riprese in breve tempo, e che la fissazione della CO2, dovuta alla
produttività algale primaria, ritornò ad alti livelli probabilmente in meno di un secolo di distanza dall’e-
vento.

Oltre alle Grandi Estinzioni vi sono stati, inoltre, periodi in cui si sono verificate estinzioni di minore
entità, e tra esse si annoverano quelle avvenute 2, 11, 35-39, 90-95 e 170 milioni di anni fa. Una
prima ipotesi suggerisce un ciclo di piccole estinzioni ogni 26-30 milioni di anni, altri di soli 10 milioni
di anni, tale periodo è stato spesso correlato alla possibilità che esista una non ancora osservata
stella binaria, compagna del Sole, chiamata Nemesis. Essa, periodicamente, influirebbe o avrebbe
influito sulla Nube di Oort, causando la deviazione di diverse centinaia o migliaia di asteroidi e co-
mete verso il Sistema Solare Interno, e di conseguenza verso la Terra, una volta ogni 26 milioni di
anni. Teoria non del tutto errata, in quanto alcuni astronomi hanno proposto di recente l’ipotesi che
inizialmente, il nostro sistema planetario fosse in realtà binario, e che per qualche motivo, questa
seconda Stella Nana, si sia poi allontanata.
Un ulteriore spiegazione è l’Ipotesi Shiva, la quale suggerisce che l’oscillazione del Sistema So-
lare attraverso il piano galattico, provochi come risultato un anomalo ed intenso flusso cometario
verso i pianeti interni, mentre un’altra ipotesi è quella che prevede un periodico ed intensissimo vul-
134

canismo (in inglese viene chiamato verneshot) su scala planetaria, durante il quale rocce gigante-
sche verrebbero lanciate su di una traiettoria sub-orbitale, e le conseguenze degli impatti da ricaduta,
sarebbero molto simili agli effetti degli impatti di asteroidi.

Tra le varie ipotesi, c’è quella che sostiene che durante un intenso periodo vulcanico, la percen-
tuale di anidride carbonica presente in atmosfera, possa aumentare velocemente sfavorendo l’as-
sorbimento di ossigeno da parte dei mari. Essa sostiene che se si dovesse ridurre l’assorbimento
dell’ossigeno nell’Oceano, condurrebbe ad un innalzamento del chemioclino (zona di equilibrio tra
acque sature d’acido e ricche d’ossigeno) sulla superficie del mare, dopo che la percentuale di ani-
dride carbonica presente in atmosfera, potrebbe raggiungere un valore limite stimato intorno a 1000
ppm. Tale evento renderebbe il mare anossico, oltre a liberare immense bolle di gas venefico su
tutta la Terra, il gas avrebbe effetti così deleteri anche sullo Scudo dell’Ozono, favorendo la conse-
guente distruzione del fitoplancton, il quale è alla base della catena alimentare. Ognuna di queste
ipotesi, comunque, non esclude che possa essersi verificata simultaneamente o come conseguenza
concomitante, - ad esempio l’impatto di un asteroide -, e che avrebbe potuto attivare un intenso vul-
canismo come tutta una serie di eventi ad esso correlato e sopradescritti.

A conclusione di questa lunga disamina sulle varie epoche geologiche terrestri, in questa fase fi-
nale del presente capitolo, mi concentrerò sulle ultime due Età, il Pleistocene e l’Olocene. Durante
la prima fase, nel Pleistocene si verificò un fenomeno denominato della Megafauna, ovvero di un
periodo in cui animali di grandi dimensioni si diffusero su tutto il pianeta, per poi estinguersi. Sono
state fatte numerose ipotesi per spiegare questo radicale cambiamento, tra cui: la caccia sempre
più efficace e di sempre più vaste proporzioni da parte dell’Uomo (causa tra l’altro ritenuta di mag-
giore efficacia); i cambiamenti climatici; epidemie; uno o più cataclismi tra cui l’impatto di un aste-
roide ma di più contenute dimensioni; la simultaneità degli eventi sopra descritti.
Durante il Pleistocene i continenti assunsero la loro conformazione attuale, il clima iniziò ad es-
sere caratterizzato da eventi atmosferici come "El Niño" e da ripetuti cicli glaciali. Si ritiene che alcu-
ne glaciazioni abbiano spinto il ghiaccio al 40° parallelo, comprendo il 30% della superficie terrestre,
accumulandosi in grandi laghi senza sbocchi con un rallentato ciclo dell’evaporazione dell’acqua,
con un permafrost esteso ai margini delle calotte glaciali, specie nel Nord America e l’Eurasia dove
la temperatura media annuale si aggirava tra i -6 e gli 0 gradi centigradi, e con un Antartico completa-
mente circondato dai ghiacci.
Il bioma dominante era la “Steppa dei Mammut”, esteso dalla Spagna al Canada attraverso tutta
l’Eurasia, dall’Artico alla Cina meridionale, un’immensa steppa fredda e secca, la cui flora dominante
era composta di immense distese d’erba ed arbusti, con foreste quasi del tutto assenti a parte sui
monti dell’Europa meridionale. Sia la fauna marina che terrestre erano già quelle attuali, con l’ecce-
zione della Megafauna, animali di massa corporea superiore ai 45 kg, molto più ricca nel Pleistoce-
ne, che si estinse al termine del periodo, in concomitanza della fine dell’Era Glaciale, venendo sop-
piantata da animali a sangue freddo, uccelli migratori e mammiferi di più piccole dimensioni e veloci,
migranti da sud a nord.
L’Uomo stesso si è evoluto nella sua forma attuale durante il Pleistocene, all’inizio di questo pe-
riodo le specie di Paranthropus erano ancora presenti, come pure altri antenati dell'Uomo, ma duran-
te il Paleolitico inferiore essi sparirono in favore dell'Homo Erectus, la sola specie ominide ad aver
lasciato persistenti evidenze fossili, che migrò attraverso buona parte del vecchio mondo aumentan-
do le "diversità regionali" nella specie umana. Il medio e tardo Paleolitico vide l’insorgere di tipi di u-
omini che di pari passo svilupparono strumenti sempre più elaborati e sofisticati. Si presume che
l’Homo Sapiens, apparso in Africa, di lì migrò dopo la Glaciazione di Riss (Paleolitico Medio), durante
l’Interglaciazione Riss-Würm, espandendosi su tutte le terre del mondo libere dai ghiacci: dapprima
l’Asia Centrale (50.000 anni fa), poi l’Europa, le isole britanniche e la regione artica della Russia
(40.000 anni fa), la Siberia e il Circolo Polare Artico (27.000 anni fa), sino a raggiungere il Nord Ame-
rica tramite l’allora congelato Stretto di Bering, tra i 20.000 e gli 11.000 anni fa, colonizzando il Nuovo
Mondo.
L’Africa, ad oggi, ospita la stragrande maggioranza della Megafauna Terrestre, i cui elementi so-
no in molti casi i diretti discendenti della Megafauna Pleistocenica: i leoni, poi i leopardi, le iene, etc.,
dove la specie panthera leo ebbe la sua origine all’incirca un milione di anni fa; la specie proboscidea
135

che all’epoca vide l’insorgere del Mammut Africano, da cui si svilupparono tutte le successive specie
che migrarono in Eurasia e nel Nordamerica; e così via anche per tutte le altre.
Nell’America del Nord, al termine del Pleistocene e durante l’Estinzione della Megafauna attorno
a 12.700 anni fa, 90 generi di mammiferi di taglia superiore ai 44 kg scomparvero, tra cui: bradipi gi-
ganti, orsi dal muso corto, varie specie di tapiri, pecari e camelidae, due diverse specie di bisonte
(oggi sopravvive solo il bisonte americano), il booterio e l'euceraterio, il cervalce, mammut e masto-
donti, l'armadillo splendido, castori giganti, numerosi felidae tra cui leoni, simil-ghepardi, smilodon-
ti/omoteri, e giaguari, l'antilope saiga, la renna (allora diffusissima ed oggi identificata come la preda
d'elezione del leone) e una specie di antilocapra americana e i cavalli indigeni; figurano inoltre tra
gli estinti anche tartarughe giganti, uccelli giganti, il salmone dai denti a sciabola di quasi tre metri di
lunghezza, etc. L’America del Sud pleistocenica non differiva molto da quella nordamericana, anche
grazie ad un continuo scambio che fu messo in moto da dopo la formazione del’istmo di Panama at-
torno a 3 milioni di fa, permettendo un processo di migrazione dal Nord al Sud, e viceversa, inces-
sante.

L’Eurasia annoverava una Megafuna diversificata e che fondeva elementi indigeni: specie migra-
te dall’Africa ed altre migrate da/per il Nordamerica, assumendo il compito di immenso ponte di con-
giunzione tra i vari continenti. Abbondavano pertanto: mammut, elefanti dalle zanne dritte, il bisonte
delle steppe (progenitore del moderno bisonte europeo), il rinoceronte lanoso, il cervalce, il leone
delle caverne, il giaguaro europeo (di 190 kg di peso), l’orso delle caverne e l’orso polare gigante, il
lupo (probabile antenato del cane domestico), etc., Inoltre, erano presenti anche specie non del bloc-
co americano ma di provenienza africana: come la iena e il leopardo delle caverne, il ghepardo gi-
gante, o l’ippopotamo europeo; diffuse erano anche le renne e i leoni, che per la loro carne, furono
preda d’elezione dell’Uomo Primitivo.
In Australia vi erano presenti: marsupiali, monotremi, coccodrilli, testuggini, varani ed uccelli non-
volatori giganti, mentre nelle isole, la Megafauna autoctona subì una probabile estinzione in tempi
molto più recenti, dovuta con buona probabilità dall’intervento diretto e massiccio dell’Uomo appena
insediatosi, tra essi ricordiamo sommariamente: i mammut lanosi nell'Isola di Wrangel, nell'Isola di
Saint Paul (Alaska) e nelle Channel Islands della California, gli uccelli giganti della Nuova Zelanda,
la Megafauna del Madagascar (i lemuri giganti, specie di ippopotamo, testuggini giganti, il coccodrillo
Voay robustus e varie specie di uccelli); le testuggini giganti delle Isole Mascarene; lo stegodonte
nano dell'isola di Flores (Indonesia); le testuggini meiolaniidae e dei coccodrilli mekosuchinae della
Nuova Caledonia; il "Gufo Gigante di Cuba" e dei bradipi giganti terricoli (es. megalocnus) dei Ca-
raibi; le anatre giganti delle isole Hawaii; gli elefanti nani e i vari ippopotami pigmei delle Isole del
Mar Mediterraneo (Creta, Cipro, ecc.); la Megafauna delle Isole Canarie composta da lucertole gi-
ganti, ratti e testuggini giganti; delle Ritine di Steller, i giganteschi sireni delle Isole del Commodoro,
etc.
136

I grandi mutamenti climatici accorsi durante l’Era Glaciale, periodo dove la temperatura in alcune
regioni oscillò rapidamente anche di 16° C, ebbero, inoltre, un importante effetto devastante sulla
fauna e la flora. Ad ogni avanzamento del ghiaccio, vaste aree continentali si spopolarono comple-
tamente, con piante ed animali che arretravano verso sud, di fronte all’avanzare dei ghiacci, af-
frontando, di conseguenza, anche degli stress tremendi dovuti ai drastici cambiamenti climatici, ai
ridotti spazi vitali e alla scarsità di approvvigionamento alimentare. L’estinzione della Megafauna non
è pero riconducibile alle sole cause climatiche, anche perché, nonostante lo stress subito, non ci so-
no riscontri evidenti di estinzioni massive e contestuali all’ultimo massimo glaciale, a riprova che la
Megafauna pleistocenica era in grado di adattarsi ai mutamenti e al freddo. In Africa furono le prime
a subire una riduzione drastica attorno 1,7 milioni di anni fa, contestualmente alla comparsa dei primi
ominidi umani, scomparvero poi le tartarughe giganti, e 1,4 milioni di anni fa, fu la volta dei probo-
scidati, così come un simile destino lo conobbero anche altri animali di grossa taglia, tra cui varie
specie di ippopotamo, il misteriosissimo ancylotherium, la iena gigante pachycrocuta e tutti e tre i
machairodonti, etc.
Fino a 900.000 anni fa proseguì la riduzione della biodiversità, si estinsero gli Australopithecus
sostituiti dagli Ominidi, ed altri due livelli di estinzione di Megafauna africana si verificarono attorno
ai 500.000 anni fa e verso i 12.000. Similmente, in Eurasia il primo ciclo di estinzione si verificò attor-
no a 1,4 milioni di anni fa, con un modello simile a quello africano, iniziato con l’estinzione delle tarta-
rughe giganti. Primo megamammifero a scomparire fu l’Elefante dalle zanne dritte, tra i 100.000 e i
50.000 anni fa, si innescò poi un secondo ciclo attorno ai 60.000 anni fa, data di arrivo in Asia sempre
dell’Homo Sapiens, che portò poi ad un ulteriore scomparsa tra i 50.000 e i 16.000 anni fa, dell’orso
delle caverne, il rinoceronte stephanorhinus, dell'antilope spirocerus e delle varie specie di ippopo-
tamo. Un terzo ciclo si innescò circa 12.000 anni fa e coinvolse: rinoceronti lanosi, mammut, buoi
muschiati ed il cervo gigante megaloceros che sopravvisse però nella Siberia occidentale sino a
7.700 anni fa. Un gruppo circoscritto di mammut sopravvisse nell'Isola di Wrangel sino a 4.500 anni
fa.
Ma la scomparsa delle prede portò anche al dissolvimento dei predatori: l'omoterio si estinse
28.000 anni fa, seguito un millennio dopo (in Europa) dal leopardo, mentre il "Leone delle Caverne"
sopravvisse sino a 11.900 anni fa insieme alle iene. Circa 50.000 anni fa, appena l’Uomo fece la
sua comparsa anche in Australia si verificò anche lì una prima estinzione di massa, mentre in Nord
America, furono decisamente molto più severe: i cavalli nativi145 e i cammelli svanirono completa-
mente, come i leoni.

È chiaro che la comparsa e la presenza dell’Uomo, fu determinante nel decretare l’ordine evolu-
tivo di buona parte delle specie terrestri in questa ultima nostra epoca geologica, ma nonostante la
sua voracità o sete di conquista, controllo e manipolazione del territorio, non si deve a lui tutta la
responsabilità di tali sconvolgimenti e/o estinzioni di massa di intere specie animali. Una delle ipotesi
più accreditate è l’impatto cosmico del Dryas o della Cometa di Clovis, ovvero di una presunta gran-
de esplosione avvenuta nell’atmosfera terrestre, o ad un impatto di uno o più oggetti provenienti dal-
lo spazio esterno, ai quali si attribuisce l’innesco di un periodo freddo e diffuso sulla Terra, risalente
al 9000 a.C. circa.
Gli oggetti provenienti dallo spazio, secondo tale teoria, furono un raro sciame di condriti carbona-
cee o comete, che impattando su vaste aree del continente nordamericano, innescarono numerosis-
simi incendi in tutta l’America del Nord, causando nel corso della Glaciazione di Wurm, l’ultimo pe-
riodo glaciale, l’estinzione degli animali più grandi e la fine della Cultura Clovis. Questo sciame sa-
rebbe esploso sopra il ghiacciaio continentale del Laurentide, situato a nord dei Grandi Laghi, con
una potenza simile o più grande dell’evento di Tunguska in Siberia, avvenuto nel 1918.
Con il conseguente incendio delle foreste da costa a costa e che devastò l’intera superficie del
continente nordamericano, la vita animale ed umana sopravvissuta all’impatto, subì la conseguente
carestia e la fame. La conferma di questo impatto meteorico sarebbe stata fornita da uno strato car-
bonizzato del suolo, individuato in una cinquantina di siti dell’età cloviana sparsi per l’intero territorio
nordamericano.

145 Furono reintrodotti nuovamente dopo la scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo e l’inizio

della colonizzazione europea.


137

Lo strato contiene dei materiali insoliti,


quali: nanodiamanti, microsferule metalli-
che, sferule di carbone, magnetiche, iridio,
carbone, fuliggine, e fullereni arricchiti con
elio-3, interpretati come la dimostrazione
dell’impatto cosmico e il successivo vilup-
po nero (black mat) di materia organica, e
che segna l'inizio del Dryas recente.
Nonostante questa teoria trovi risposta
a molti dei quesiti dell’epoca, tuttavia so-
no state riscontrate delle anomalie, poiché
gli effetti dell’impatto, che avrebbe dovuto
essere di breve durata, aveva fatto pre-
supporre che quasi tutte le estinzioni da
esso causate, sarebbero dovute avvenire
simultaneamente. Tuttavia, esistono delle
notevoli differenze, in quanto le varie e-
stinzioni non si verificarono contempora-
neamente, ma persino con secoli o mil-
lenni di distanza l’una dall’altra. I Mammut
del Nord America si estinsero in epoca più
tarda, lo stesso avvenne anche per la Me-
gafauna delle isole che si discosta note-
volmente da quella continentale di migliaia
di anni, mentre alcune specie, come il bi-
sonte dei boschi o il grizzly, invece, non
subirono particolari ripercussioni, seppure
la devastazione dell’intero ambiente cau-
sata dall’impatto di uno sciame di meteoriti avrebbe dovuto colpire tutti gli animali indistintamente.

«Un'ulteriore analisi è in fase di avanzamento presso altri siti della cultura di Clovis, i quali neces-
sitano ancora di uno studio indipendente e di una verifica delle prove fornite. Fino ad allora, io resto
scettico sull'ipotesi che l'impatto possa essere stato la causa dell'inizio del Dryas recente e dell'e-
stinzione della Megafauna. Tuttavia, lo ripeto, qualcosa di importante a livello planetario accadde
nel 10.900 BP e noi non siamo ancora riusciti a capirlo.» (C. Vance Haynes)

Probabilmente si verificò un evento di proporzioni planetarie, quasi sicuramente diluito in un’arco


di tempo di secoli, se non millenni, acuito dalla presenza e le attività umane e da particolari condizioni
geologiche e cosmiche, un mix che comunque ha portato all’attuale conformazione biologica del
pianeta, che vede ancora predominare la specie umana su tutte le altre del regno animale, decre-
tandone ancora, e al giorno d’oggi, sopravvivenza o estinzioni, dirette e/o indirette.
138

7.2 - Dai Primati agli Uomini

La genetica delle popolazioni è una branca degli studi concernenti la costituzione del DNA delle
popolazioni mendeliane146, in termini qualitativi e quantitativi, essa, pertanto, valuta le modalità con
cui le caratteristiche genetiche sono state trasmesse alla progenie (evoluzione temporale), ed il va-
riare delle stesse in relazione al territorio. Avvalendosi di metodi matematici, inerenti alla Teoria delle
Probabilità e alla Statistica, ed una componente maggiormente empirica, - che rileva e quantifica la
diversità genetica con meri scopi conoscitivi della storia naturale delle popolazioni -, unisce anche
le peculiarità dei vari gradi di biodiversità, e dei conseguenti principi di conservazione.
L’evoluzione può essere vista, pertanto, attraverso tutti i cambiamenti delle frequenze geniche in
una popolazione avente modeste dimensioni. Le maggiori forze dei processi evolutivi sono, perciò:
la selezione naturale, la mutazione, la migrazione e la deriva genetica. La migrazione, inoltre, si è
dimostrata essere la principale forza che muove contro il verificarsi della deriva genetica, dettata
dalla sua stessa stagnazione; di pari passi, le mutazioni e la conseguente selezione naturale, sono
invece i principali motori dei processi evolutivi.
Per evoluzione umana, Antropogenesi o Ominazione, si intende quel processo di origine ed evo-
luzione dell’Homo Sapiens, come specie distinta rispetto al mondo animale, e la sua conseguente
diffusione ed espansione sul pianeta. Si tratta di una materia interdisciplinare che include la fisiolo-
gia, la primatologia, l’archeologia, la geologia, la linguistica e la genetica (a cui andrebbe aggiunta
anche la mitologia, ad oggi ancora esclusa da questo iter di studi accademici). In senso tassonomico
riguarda, oltre al genere Homo, anche le specie dei sette generi della sotto-tribù degli Hominina, di
cui l’Uomo è attualmente l’unico rappresentate vivente o sopravvissuto.
L’evoluzione della vita sul nostro pianeta, come abbiamo ampiamente visto, iniziò il suo lungo
cammino circa 4.5 miliardi di anni fa. 95-85 milioni di anni fa, durante il Cretaceo, alcuni mammiferi
appartenenti alla classe dei Laurasiatheria formarono il superordine degli Euarchontoglires, e da
esso si sarebbe poi originato l'ordine dei Primati, di cui fanno parte, attualmente con l'Uomo tutte le
Scimmie. Nel Miocene, attorno ai 15 milioni di anni fa, da appartenenti di questo ordine (si specula
in particolare a Proconsul, un arboricolo e frugivoro candidato ad entrare nella biforcazione evolu-
tiva) si diramarono le scimmie antropomorfe (Hylobatidae, Kenyapithecus, Orango, Gorilla, Scim-
panzé e Bonobo), riunite con l'Uomo, ad eccezione dei gibboni, nella famiglia degli Ominidi.147
In questo lungo periodo nell’ordine di poco più di una decina di milioni di anni, gli ominidi primitivi
presero a colonizzare ambienti tropicali quali foreste, ma iniziarono a frequentare via via sempre più
assiduamente anche le savane, specie in cerca di cibo. Una delle ipotesi sostiene che la pressione
selettiva favorì quegli individui capaci di ergersi sugli arti posteriori, potendo, in questo modo, avvi-
stare in anticipo i predatori, e teoria evoluzionistica vuole che iniziò così lo sviluppo fisiologico e poi
culturale di questi primati. Secondo recenti studi, l’andatura bipede sarebbe persino più antica di
quanto si pensasse, infatti è stato scoperto da alcuni fossili di Morotopithecus bishopi (un primate
arboricolo vissuto circa 21 milioni di anni fa in Uganda), che essi presentavano nella struttura dello
scheletro e delle vertebre, forti analogie con le caratteristiche che nell'essere umano hanno poi con-
sentito di assumere la posizione eretta.
Il processo evolutivo riconosciuto e attestato, sovente in ambito accademico, sostiene che la sot-
to-tribù degli Hominina si sia evoluta nel Rift africano da un progenitore comune circa 6-5 milioni di
anni fa, e che 2,4-2,3 milioni di anni fa dal genere Australopithecus si sia differenziato il genere Ho-
mo. Da una di queste diramazioni evolutive, emerse l’Homo Erectus, colui che fu in grado di diffon-

146 Una popolazione mendeliana è definita come un gruppo di individui interfertili (o interfecondi) che con-
dividono un insieme di geni in comune. Questo insieme di geni, e quindi il totale di tutti gli alleli, rappresenta
la struttura genetica di una popolazione ed è definito pool genico.
147 La Teoria della Scimmia Acquatica è un'ipotesi evoluzionistica posta per la prima volta nel 1942 dal

patologo tedesco Max Westenhöfer, e poi indipendentemente 1960 dallo zoologo britannico sir Alister Hardy.
Secondo tale ipotesi il progenitore dell'uomo sarebbe stato un primate che, per l'arsura del clima africano a-
vrebbe spostato la sua residenza negli habitat fluviali, per poi ritornare alla savana come Homo Sapiens Mo-
derno. Questa ipotesi è una delle molte che tenta di spiegare l'evoluzione dell'uomo attraverso un unico mec-
canismo causale, ma non vi è alcun supporto da parte dei reperti fossili finora ritrovati. Il maggior sostenitore
di tale Teoria è stata la scrittrice Elaine Morgan, e continua ad essere sostenuta da teorici e amatori. Alcuni a-
utori ipotizzano che sia stato il progenitore dei primati ad essere acquatico, e che gli altri primati si siano svilup-
pati per progressiva desominazione.
139

dersi in tutto il mondo (fenomeno chiamato Out of Africa I), tra 1,8 e 1,3, milioni di anni fa, creando
successivamente anche delle specie locali come l’Uomo di Neandertal in Europa. L'Uomo Moderno,
poi, sviluppò le sue attuali capacità in Africa circa 200.000 anni fa e successivamente, 50.000 an-
ni fa, iniziò a migrare anch'esso nei vari continenti (Out-of-Africa II), sostituendo progressivamente
l’Homo Erectus in Asia e l’Homo Neanderthalensis in Europa148.

Le specie che si attribuivano al genere Au-


stralopiteco (dal suo significato di “Scimmia del
Sud”) e che quasi sicuramente vissero in Tan-
zania e in Etiopia per almeno 3 milioni di anni,
finché non si estinsero circa 1 milioni di anni fa,
sono suddivise in tre diversi generi (alcuni testi
non riconoscono ancora il genere Paranthro-
pus). Gli Hominina ad esse appartenenti in ge-
nerale non si riteneva fossero capaci di costru-
ire utensili, ma solo di utilizzare ciottoli per scopi
semplici come spezzare o percuotere, facevano
vita di gruppo, davano la caccia ad animali di
piccola stazza e raccoglievano uova e semi.
Successivamente a queste prime ipotesi, ar-
tefatti in pietra lavorata furono ritrovati insieme
a dei fossili datati 2,6 e 2,5 milioni di anni fa, u-
tensili più antichi di quelli utilizzati dall’Homo
Habilis, ritenuto un possibile antenato diretto
dell’Uomo Moderno. Emblematica è la zona del
fiume Auasc nella depressione desertica dell'A-
far etiopico, dove furono rivenuti numerosi resti
di animali con evidenti segni lasciati da utensili,
ipotizzando così che gli australopitechi avesse-
ro già quelle prerogative del genere Homo, co-
me la macellazione sistematica delle prede, che
non si ritenevano esistenti prima di 1,8 milioni di
anni fa; ulteriori ritrovamenti a Bouri, in Etiopia, hanno rilevato circa 3.000 utensili in pietra datati a
circa 2,5 milioni di anni fa, in piena epoca "australopitecina".

• Pierolapithecus Catalaunicus (13 ma)


• Oreopithecus Bambolii (8,5 ma)
• Sahelanthropus Tchadensis (fra 7 e 6 ma)
• Ardipithecus Kadabba (fra 6 e 5,5 ma)
• Ardipithecus Ramidus (4,5 ma)
• Praeanthropus Tugenensis o Orrorin Tugenensis (6 ma)
• Praeanthropus Anamensis o Australopithecus Anamensis (4 ma)
• Praeanthropus Bahrelghazali o Australopithecus Bahrelghazali (fra 3,5 e 3 ma)
• Praeanthropus Africanus o Australopithecus Africanus (fra 3 e 2 ma)
• Paranthropus Aethiopicus o Australopithecus Aethiopicus (2,5 ma)
• Paranthropus Robustus o Australopithecus Robustus (fra 2 e 1,5 ma)
• Paranthropus Boisei o Australopithecus Boisei (fra 1,7 e 1,4 ma)
• Australopithecus Afarensis (fra 4 e 3 ma)
• "Lucy" (3,2 ma)
• Australopithecus Platyops o Kenyanthropus Platyops (3,5 ma)
• Australopithecus Garhi (2,5 ma)
• Australopithecus Sediba (2 ma)

148 Un'ipotesi alternativa suggestiva è quella che sostiene che l’Homo Erectus, lasciata l'Africa 2.000.000

di anni fa, si sia evoluto in Homo Sapiens in diverse parti del mondo (Ipotesi multiregionale).
140

• Homo Habilis (fra 2,5 ed 1 ma)


• Homo Rudolfensis (2 ma)
• Homo Ergaster (fra 2 ed 1 ma)
• Homo Georgicus (1,8 ma)
• Homo Erectus (fra 1,8 ma e 50.000 anni fa)
• Homo Antecessor (800.000 anni fa)
• Homo Heidelbergensis (fra 600.000 e 200.000 anni fa)
• Homo Rhodesiensis (fra 300.000 e 125.000 anni fa)
• Homo Floresiensis (fra ? e 50.000 anni fa)
• Homo Neanderthalensis (fra 250.000 e 30.000 anni fa)
• Homo Sapiens (da 200.000 anni fa ad oggi)

La prima specie del genere Homo conosciuta è l’Homo Habilis (ca 2 ma), per molti versi ancora
simile all’australopiteco, l’Homo Habilis è stato poi ritenuto Uomo per le sue abilità manuali, già al-
l’epoca più sviluppate, in quanto utilizzava strumenti rudimentali per la caccia. Un salto evolutivo
arrivò poi con l’Homo Erectus (ca 1,8 - 1,3 ma), così chiamato perché si riteneva erroneamente che
fosse stata la prima specie ad assumere la posizione eretta, specie, inoltre, con una maggiore capa-
cità intellettiva e con un maggiore sviluppo tecnologico; si pensa, infatti, che in questo periodo, l’Uo-
mo iniziò a padroneggiare il fuoco.

Vige anche un’ipotesi alternativa, quella dell’origine Euroasiatica (o Out of Eurasia), un’ipotesi
paleoantropologica diversa dalle teorie dominanti come Out of Africa I e Out of Africa II. Con tale
teoria, si possono intendere due diverse ipotesi, quella dell’origine asiatica dei primi Antropoidi, o la
stessa origine asiatica dell’Uomo. Secondo la prima ipotesi, avrebbero avuto origine in Asia i primi
(all'incirca tra i 45 ed i 37 milioni di anni fa), evolutisi successivamente in Griphopithecus (dai 16.5
ai 15 milioni di anni fa) e fino alle scimmie Orangutan e a Homo Erectus. Altri studiosi, invece, hanno
ipotizzato che l’Homo Ergaster, sia migrato poi dall’Africa verso l’Asia, dove si sia evoluto infine nel-
l’Homo Erectus, e che questi, tornando in Africa una seconda volta, sia diventato infine un Homo
Sapiens.
A questo punto subentra un aspetto importante dell’evoluzione, non solo animale, ma soprattutto
umana, ovvero le migrazioni, la diffusione delle specie sulla superficie terrestre e lo studio di esse
su basi principalmente antropologiche, genetiche, linguistiche e socio-culturali. La maggior parte de-
gli studiosi tende a convalidare le Teorie Out of Africa I e II, rispettivamente relative all’esodo dal
continente africano in una prima antica ondata dell’Homo Erectus verso l’Asia, ed in una seconda
molto più recente, dell’Homo Sapiens.
Ad oggi, l’ipotesi Out of Africa I è quella dominante tra le varie teorie proposte e che tendono a
descrivere le prime presunte migrazioni umane avvenute, ad opera dell’Homo Erectus, da 1,8 a 1,3
milioni di anni fa. 2,6 milioni di anni fa, l’Uomo uscì dalla sua nicchia ecologica principale, all’epoca
essenzialmente tropicale, e il fatto che una specie di scimmia catarrina (in prevalenza erbivora), en-
trò in competizione con alcuni carnivori, permise anche l’inizio di un primo scambio culturale, me-
diante un insieme di conoscenze acquisite e condivise da queste prime comunità, e trasmesse in
modi sempre più sistematici alla propria progenie.
La dieta carnivora assunta, inoltre, oltre ad un cambio esistenziale, pose le basi anche per una
diffusione della specie su territori sempre più vasti, e quindi per una serie di migrazioni successive
e a tappe verso gli altri continenti. Infatti, la prima evidenza sicura di una migrazione di ampia portata
fuori dall’Africa, da parte dell’Homo Erectus, risale attorno a 1,7 milioni di anni fa. Si ipotizza, perciò,
che i primi membri del genere Homo Ergaster, Homo Erectus e Homo Heidelbergensis, circa 2 mi-
lioni di anni fa, migrarono dall'Africa durante il Pleistocene inferiore, e si diffusero per la maggior par-
te dell’Europa, arrivando fino al sud-est asiatico.

Esiste un ulteriore Teoria, un’ipotesi che spiega come la flora e la fauna migrarono tra l’Eurasia
e l’Africa, attraverso un ponte di terra levantina. Lunghi periodi di piogge abbondanti, periodi pluviali
della durata di molte migliaia di anni, in Africa, portarono ad un “Sahara umido” e totalmente diverso
da quello attuale, periodo durante il quale grandi laghi e fiumi poterono esistere con conseguenti
cambiamenti faunistici dell’intera zona. Indipendentemente dall’aridità del Sahara, la migrazione lun-
141

go il corridoio fluviale, s’interruppe, presumibilmente, durante una fase desertica avvenuta circa 1,8-
08, milioni di anni fa. Il Nilo, sembra, cessò completamente di scorrere, limitandosi a farlo solo in al-
cuni periodi.

Un primo periodo umido, restringendo le latitudini del deserto, consentì quindi la colonizzazione
dei territori orientali del Sahara e del Nord Africa, mentre un successivo periodo più secco, indusse
la colonizzazione del resto dell’Africa sub-sahariana. Se la colonizzazione dell’Asia ha quasi sicura-
mente seguito le direttrici del Sinai e dello Yemen, risultando essere, anche storicamente, un nodo
gordiano di molte vicende umane, specie antiche, per quanto concerne la colonizzazione dell’Euro-
pa, i dati non sono ancora al riguardo soddisfacenti.
Tra 1,8-1,6 milioni di anni fa non ci furono periodi durante i quali il livello del mare si abbassò tal-
mente tanto da formare un passaggio nello Stretto di Gibilterra o nel Canale di Sicilia, come risulta
azzardato, seppure non sia da escludere, un qualche sviluppo primitivo o una capacità di naviga-
zione ancora ad oggi sconosciuta; resta, pertanto, valido il passaggio dalla Turchia e/o dal Caucaso.
La data di dispersione oltre l’Africa, coincide comunque con la comparsa dell’Homo Ergaster e di
strumenti litici Olduwaiani, e siti chiave per comprendere questa migrazione fuori dall’Africa, sono
stati rivenuti a Riwat, in Pakistan (1,9 Ma), Ubeidiya nel Levante (1,5 Ma) e Dmanisi nel Caucaso
(1,7 Ma). La Cina venne popolata più di un milione di anni fa, il Sud-Est asiatico (Giava) circa 1,7
milioni di anni fa, mentre l’Europa occidentale più tardi, attorno a 1,2 milioni di anni fa. È stato persino
ipotizzato che l’Homo Erectus possa aver costruito zattere e navigato oceani, seppure sia una teoria
che solleva ad oggi molti dubbi e polemiche.
Le diverse ondate migratorie, ebbero comunque esiti differenti, dall’occupazione effimera di un
nuovo territorio sino ad una colonizzazione stabile e completa. Tale varietà ha condizionato forte-
mente il quadro archeologico e la sua ricostruzione, risultando una complessa lettura e in larga parte
ancora oggi da decifrare, a cominciare da quante specie di Homo riuscirono a migrare, quando e fin
dove si spinsero. Alcuni hanno, così ipotizzato, che il soggetto di tali migrazioni fu l’Homo Ergaster
e che l’Homo Erectus si sviluppò, poi, in modo autoctono in Asia, poi migrato in Africa, seppure altri
sostengano che invece viveva in Africa orientale, migrò poi in Asia e Nord Africa e solo successiva-
mente avrebbe colonizzato il resto del continente.

Per quanto concerne l’Uomo Contemporaneo, invece, l’origine africana dell’Homo Sapiens è an-
cora oggi il modello paleoantropologico dominante tra le tante Teorie che tendono a descrivere l’ori-
gine e le successive migrazioni. L’ipotesi dell’origine unica, propone che gli uomini moderni si siano
sviluppati ed evoluti in Africa, migrando poi all’esterno del continente sostituendo tutti gli altri ominidi
presenti nel Mondo. Su di essa sussistono una infinità di evidenze paleoantropologiche, date da di-
verse migliaia di ritrovamenti fossili, archeologici, linguistici, climatologici, genetici, etc., tanto che
anche i dati molecolari condotti mediante marcatori non ricombinati, come il DNA mitocondriale, ver-
tono a suffragio di tale possibilità.
142

Un’interessante analisi filo-geografica ha inoltre mostrato che il popolamento da parte dell’Uomo


Moderno dei continenti, è stato sovente preceduto da ondate successive a partire da quello africano.
Calcolando una velocità di migrazione in 1 km all’anno via terra e 3-4 km annui lungo le coste, si è
potuto stabilire quanto segue:

• 75-70.000 anni fa (o in un’epoca da precisare), dall’Africa del nordest partì un’espansione che
seguì lungo la costa meridionale dell’Asia fino all’India ed al sud-est asiatico;
• Dal sud-est asiatico partirono due rami: uno verso Nord, in Cina (67.000 mila anni fa), Vietnam,
sempre lungo la costa, mentre un altro ramo si diresse a sud, sino alla Nuova Guinea e l’Austra-
lia (60-55.000 anni fa);
• Navigando lungo la costa est dell’Asia, risalirono verso Nord tra 50-30.000 anni fa, allora si ebbe
il primo passaggio della Beringia (sconosciuta è la modalità, se via terra o navigazione, in quanto
la Beringia rimase emersa solo tra il 25-10.000 anni fa): iniziò così il popolamento delle Ameri-
che;
• Iniziò anche il popolamento dell’Asia centrale, mentre 45-40.000 anni fa, avvenne il popolamen-
to del Medio Oriente, a partire dall’Asia del sud e dall’Africa nord-orientale;
• 45-40.000 anni fa, iniziò il popolamento dell’Europa dal sud-est (Medioriente) e dell’est (Asia);
• 25-10.000 anni fa ci fu, infine, un ulteriore popolamento dell’Africa a nord dell’equatore.

Il Nord del Medio Oriente venne poi occupato da una popolazione in partenza dalla Turchia e
successivamente dalla regione Kurgan, ambedue parlanti lingue indoeuropee, diretti verso l’Europa.
L’ultima grande espansione, ancora oggi in corso, è quella delle lingue altaiche, iniziata 2300 anni
fa, che sta sostituendo le lingue indoeuropee parlate in precedenza in Asia centrale e in Turchia.

Solo una questione di Sangue?

Il fattore Rh, o fattore Rhesus, si riferisce alla presenza di un antigene (in questo caso di una pro-
teina), sulla superficie dei globuli rossi o eritrociti; dei tre determinanti antigenici, C, D ed E che pos-
sono essere presenti, il D ha importanza clinica. Si stima che si trovi sulla superficie dei globuli rossi
ed è presente nell'85% circa della popolazione umana, in quanto è un carattere ereditario e si tra-
smette come autosomico dominante: se una persona possiede questo fattore si dice che il suo grup-
po è Rh positivo (Rh+), se invece i suoi globuli rossi non lo presentano, il suo gruppo sanguigno è
definito Rh negativo (Rh-). Il fattore Rh negativo è recessivo e si esprime come tale solo in individui
omozigoti per quel carattere, quindi solo in individui figli di genitori che possiedano almeno un allele
Rh-, ma che non sono necessariamente Rh-, perciò, nel caso di genitori eterozigoti l'ereditarietà è
di tipo mendeliano, e questi ultimi avranno, a ogni concepimento, il 25% di probabilità di avere un fi-
glio omozigote Rh negativo.
Il sistema Rh è importante per la compatibilità delle trasfusioni sanguigne, anche se (a differenza
degli antigeni del sistema AB0) gli anticorpi anti-Rh sono prodotti dopo una prima trasfusione con
sangue Rh+, in quanto l'antigene non è presente nell'ambiente. Un individuo omozigote per il fattore
Rh negativo può ricevere trasfusioni di sangue solo da un altro omozigote Rh negativo, ma può es-
sere donatore anche per omozigoti ed eterozigoti Rh positivi.
Già nel 1939, Philip Levine e Stetson Rufus pubblicarono l'ipotesi di una relazione clinica tra il
non riconoscimento di quello che verrà poi scoperto essere il fattore Rh (e la conseguente emolisi
della trasfusione) e la malattia emolitica del neonato nella sua forma più grave. La scoperta e l'ipotesi
non ebbe importanti ripercussioni fino al 1940, anno in cui Karl Landsteiner e Alexander S. Wiener
scoprirono il fattore Rh sui globuli rossi di una specie di primati: i Macacus Rhesus. Gli scienziati re-
gistrarono un siero che aveva reagito con circa l'85% dei diversi globuli rossi umani, scoprendo la
presenza della proteina del fattore Rh.
Tale scoperta avvenne inoculando del sangue di scimmia in un coniglio (produttore di anticorpi
per eccellenza), e si notò che il plasma del coniglio trattato in questo modo conteneva nuovi anticorpi
(chiamati anti-Rh) che determinavano la lisi degli eritrociti del sangue di scimmia. In base a questo
criterio fu possibile classificare gli individui in due gruppi: Rh+ (che reagivano con l'anticorpo anti-
143

Rh) e Rh- (i cui eritrociti non si legavano all'anti-Rh); l'espressione Rh- (o Rh negativo) sta a indicare
l'assenza del determinante Rh sulla membrana dei globuli rossi.
Il fattore Rh, inoltre, è la causa di una patologia che in passato era molto comune nei neonati.
Durante l'ultimo mese di gravidanza vi è infatti un passaggio di anticorpi, utili per il nascituro, dal
sangue della madre a quello del feto, ma gli anticorpi prodotti contro il fattore Rh possono essere
dannosi. Il fattore Rh è un antigene geneticamente determinato, infatti se una donna Rh negativa
(Rh-) alla prima gravidanza partorisce un bambino Rh positivo (Rh+) è probabile che i globuli rossi
del feto con l'antigene Rh entrino nel circolo sanguigno materno: il corpo della madre reagisce, quin-
di, producendo anticorpi contro l'antigene estraneo che rimarranno presenti nel suo sangue.
In caso di una seconda gravidanza, gli anticorpi prodotti possono essere trasferiti nel sangue del
feto, e nel caso esso sia Rh+ tali anticorpi attaccheranno i globuli rossi fetali distruggendoli; tale re-
azione può essere mortale prima o dopo la nascita o portare gravi problemi al sistema nervoso del
nascituro. Oggi, i pericoli che corre un eventuale secondo figlio sono arginati attraverso exanguino-
trasfusione e iniettando alla madre Rh-, entro 72 ore dal primo parto, anticorpi specifici come il Rho-
gam che riconosce e blocca l'antigene Rh che dal feto passa alla madre, il quale andrebbe a scate-
nare una potente reazione immunitaria che porterebbe il feto al decesso.
Un processo, inoltre, che deve essere ripetuto ad ogni gravidanza successiva alla prima esposi-
zione della madre all'antigene Rh. Insomma, una situazione che la madre riconosce come diversa,
e non compatibile con sé stessa, in quanto si presentano come due vere e proprie specie in antitesi
che la natura non vuole riconoscere e mescolare, - e che si rifiuta di fondere insieme -, ritrovandosi
di fronte ad una situazione nella quale la madre elimina il nascituro, perché il suo corpo non lo accet-
ta, dato che lei non possiede quel specifico fattore Rh…149

Una bizzarria, non trovate? Il primo significato che possiamo dare a tale termine è quello di un
tipo stravagante, originale, ma nelle scienze agrarie si riferisci ad ibridi di innesto che producono,
sovente, frutti misti, detti appunto bizzarrie. In botanica, la Bizzarria, meglio nota anche come Citrus
Aurantium, è una quasi rarità, una Chimera, che si presenta morfologicamente come tre specie di
diversi agrumi, avendo comunque i caratteri genetici dell'arancio amaro. Il primo "pomo aureo" venne
scoperto nel 1644, come scrisse il direttore dell'orto botanico di Pisa, Pietro Nati, nel 1674 in una
lettera inviata al Marchese Don Lorenzo Panciatichi, proprietario della Villa di Torre degli Agli in To-
scana: "Pomo aureo, nato per la prima volta nello amenissimo giardino della tua magnifica villa su-
burbana", e più o meno eravamo ai tempi della famosa casata dei Medici.
Ora, nella mitologia, una Chimera è un mostro mitologico con parti corporee di animali diversi,
sovente di origine divina, così come in ambito biologico, si identifica un individuo le cui cellule deri-
vano da due diverse uova fecondate, unite accidentalmente o sperimentalmente. Negli animali, così
come nell’Uomo, può accadere che l’organismo risultante dalla fusione di due zigoti (uova feconda-
te), possa avere organi che hanno diversi set cromosomici (chimerismo tetra gametico), così che in
biologia, le chimere possono venir prodotte artificialmente, mescolando cellule di differenti organi-
smi.
Fu così che nel 1984 venne prodotta una caprecora, combinando embrioni di una capra e una
pecora; nel 2003 in Cina riuscirono a fondere con successo cellule epiteliali umane con ovuli di co-
niglio, creando il primo embrione chimerico umano; nel 2006 in Inghilterra alcuni ricercatori riuscirono
a fondere il DNA umano con ovuli di mucca, etc. Tutto questo nella nostra “moderna” società, come
non è comunque da escludere che in tempi molto antichi, possa essere accaduto qualcosa di ana-
logo, sebbene la storia insegnata nelle scuole eviti di parlarci di manipolazioni, magari perpetrate da
Esseri di una non meglio specificata origine Extraterrestre…
La mitologia è sempre stata popolata di creature “antropomorfe”, esperimenti di umani o umanoidi
di un antico passato tecnologico perduto, che tra l’altro hanno preso la briga di lasciarci vestigia di
grandiose ed inspiegabili opere architettoniche, nemmeno realizzabili con la nostra moderna tecno-
logia. Come abbiamo visto, pertanto, i gruppi sanguigni degli umani sono ben 4: A - B - AB - O. Il
fattore Rh o c’è (RH+) o non c’è (RH-), inutile girarci intorno, tanto che si potrebbe definirlo un sangue
più puro, meno contaminato o mescolato, alquanto altruista, ma volto alla propria salvaguardia ed
indipendenza. Perché?

149 Immunologia cellulare e molecolare, di Abbas, Lichtman e Pillai. ELSEVIER, 2012.


144

La Scienza non ci dice molto in merito, anche dei vari gruppi sanguigni o delle particolarità insite
specie in ambito animale, e non propriamente umano, preferendo glissare sul tema, anche perché
se l’85% della popolazione umana ha il fattore del Macaco Rhesus, e deriva dai Primati, l’altro 15%
da chi deriva geneticamente? Presente principalmente in popolazioni di origine Caucasica, l’Rh ne-
gativo si è poi sparso in Europa, con alte percentuali tra i Baschi della Spagna e la Francia, in In-
ghilterra o tra i Sardi in Italia. Non è un caso, inoltre, che tali popolazioni abbiano avuto da secoli
problemi socio-politici con le nazioni di appartenenza: i Baschi con la Spagna, i Sardi con l’Italia, di-
mostrando questa diversità non solo a livello biologico, ma anche sociale e antropologico.
Inoltre, si è scoperto che il Sangue Rh negativo del Gruppo 0, risulta essere il sangue più “puro”
sulla Terra, poiché risulta negativo al test Rhesus, ovvero al nesso genetico tra l’Uomo e la Scim-
mia!150 L’Rh negativo può essere donato a tutti i tipi di sangue umano (a parte rare eccezioni), ma
può riceverlo solo da donatori Rh negativo, risultando essere, così, un sangue raro e pregiato. Alcuni
ricercatori si sono persino spinti oltre, analizzando il comportamento ed alcune caratteristiche dei
portatori del Rh negativo, notando che le persone che lo possiedono, mostrano di avere i seguenti
requisiti.

«Senso di non appartenenza; tendenza a ricercare la verità; senso di dover compiere una “mis-
sione” nella vita; empatia e compassione; quoziente intellettivo superiore alla media, percettività
extrasensoriale; amore per lo Spazio e la Scienza; sguardo profondo nell’insieme della propria vita;
tendenza a fare sogni molto vividi; temperatura corporea inferiore alla media; pressione sanguigna
più alta della media (oppure più bassa della media); colore degli occhi blu, verde o nocciola; capelli
rossi o con riflessi rossastri; elevata sensibilità al calore e alla luce solare; fobie inspiegabili; ten-
denza ad essere guaritori; avere empatia per le malattie; tendenza a provocare malfunzionamenti
nei dispositivi elettrici; essere vittime di Rapimenti da parte di Entità Extraterrestri o ad assistere a
fenomeni inspiegabili; avere barriere immunitarie più forti; condizioni di autoimmunità e markers del-
l'antigene HLA B27; pelle chiara, squilibri di melanina e carenze di vitamina D; capacità di proces-
sare la CO2 in modo più efficiente della media; presentare squilibri di ferro e rame, sensibilità alle
allergie ambientali; etc.»

Insomma, se confrontiamo le nozioni scolastiche con gli studi ed i molti dibattiti pubblicati sulle
riviste scientifiche, ci si accorge come gli elementi più interessanti di questo tema, siano stati 'acci-
dentalmente' omessi dai programmi didattici di base. Non esiste plausibile spiegazione scientifica
circa la provenienza del gruppo RH negativo, la scienza ortodossa si è limitata a ipotizzare che si
tratti di una non meglio identificabile, casuale mutazione genetica. Circa l'85% degli esseri umani
possiede il gene scimmiesco RH, mentre nel restante 15% non è riscontrabile il fattore RH (RH-), e
questa anomalia potrebbe essere spiegata dalla presenza di un “Gene Alieno”.
Se è vero che il gruppo sanguigno rientra tra le caratteristiche genetiche meno mutevoli, da dove
proverrebbe il tipo RH negativo? Si tratta di un interrogativo che per decenni ha lasciato perplessi
gli scienziati, tanto che alcune prove suggeriscono che il fattore RH negativo sia apparso sul pianeta
circa 35.000 anni fa, all'interno di alcune aree geografiche molto circoscritte, al punto da sembrare
collegato con alcuni particolari gruppi sociali e tribù. Come abbiamo letto, le aree in cui la sua pre-
senza è maggiormente riscontrata sono la Spagna settentrionale, la Francia meridionale e l'etnia
basca; un'altra etnia con alta concentrazione del fattore RH- è quella ebraica dell'Est: in generale,
circa il 40% della popolazione europea possiede il fattore RH- mentre solo il 3% degli africani e circa
l'1% degli asiatici e dei nativi americani è RH-.
Sulla scorta di tali informazioni statistiche, non è difficile intuire dove il fattore RH- potrebbe essere
stato introdotto, originariamente, nel codice genetico umano. A questo punto, viene spontaneo chie-
dersi a cosa può addebitarsi una lotta genica tra due tipi di sangue ugualmente umano? Abbiamo a
che fare con un gruppo sanguigno diverso e non di natura terrestre? Esiste un unico altro caso in
natura in cui ha luogo una simile reazione tra organismi che si accoppiano: quando asini e cavalli
vengono incrociati per la produzione di muli, in quanto si tratta di un incrocio 'innaturale' che allo
stato brado non esiste, e l'ibridazione che dà vita ai muli ha luogo esclusivamente a causa dell'inter-
vento umano.

150 Mentre nel sangue Rh Positivo si determina che tra Uomo e Scimmia vi è una correlazione, questa non

la si può affermare per l’Rh Negativo.


145

Dunque, è possibile che esistano due tipologie di esseri umani, simili, ma geneticamente diversi?
È stato dimostrato che il sangue è l'organo con minori probabilità di mutazione, tanto che la scienza
non ha mai registrato alterazioni genetiche nel sangue, elemento che supporta la tesi secondo cui il
fattore RH- sia stato introdotto da una fonte esterna, ad esempio esseri simili agli umani, ma non
terrestri. È possibile che una Specie Extraterrestre abbia manipolato la vita preesistente sul pianeta
per creare l'Uomo Moderno? Molti testi antichi, come abbiamo visto, sembrano supportare questa
teoria, in particolare le storie contenute nei testi pre-cristiani che narrano di una stirpe, giunta dal
Cielo, che avrebbe creato l'Uomo a propria immagine e somiglianza.
L'uomo primitivo li identificò come divinità dalla straordinaria longevità, capaci di compiere prodigi,
come ad esempio volare su strani veicoli e provocare assordanti boati sparando fuoco da tali mezzi.
Gli esseri umani assistettero, poi, all'edificazione di mastodontici monumenti e splendide città da
parte di queste creature apparentemente divine, ma narrano anche di quando un giorno, queste cre-
ature, iniziarono ad accoppiarsi addirittura con gli stessi umani.
Di conseguenza, noi terrestri, potremmo essere stati il frutto di una ibridazione ottenuta in un la-
boratorio, ottimizzata mediante tecnologia avanzata dal punto di vista delle facoltà riproduttive. Que-
sto fa sospettare, inoltre, che potrebbero essere stati creati tre prototipi, ognuno più avanzato del
precedente: l'Uomo di Neanderthal, frutto dei primi risultati di questi esperimenti, il Cro-Magnon, il
prodotto successivo, e la proto-umanità, ovvero l'Uomo Moderno, il risultato ultimo degli incroci tra
gli Dèi e la proto-umanità.

(Homo Floresiensis)
146

7.3 - Le Mutazioni Genetiche

Nella tradizione Gnostica, la presenza di figure metafisiche femminili ha sempre assunto un rilievo
fondamentale. Basti pensare agli aspetti della Sophia, l’Eone caduto e rimasto prigioniero del Mondo
Materiale, fatto di tenebre e intriso di Male, il nostro Mondo, creato e poi dominato da quelle terribili
forze conosciute anche con il nome di Arconti. La stessa Sophia, che nel corso delle epoche, ha in-
carnato diversi ruoli, come: Barbelo, Lilith, Eva, Elena, Bronte, Salomè, Maria Maddalena, etc. Un’al-
tra di esse è stata Norea151, figura atipica e per certi versi misteriosa, e che pare abbia avuto grande
rilievo negli scritti gnostici dei primi secoli dopo Cristo. Nell’Ipostasi degli Arconti (Nag Hammadi, Co-
dice II), si dice chiaramente che Ella era una figlia di Eva.

«Ancora una volta Eva rimase incinta e partorì Norea e disse: Egli ha generato in me una vergine
come assistenza per molte generazioni di esseri umani. Lei è la vergine per la quale i poteri non si
contamineranno.»

I “Governati” o gli Arconti, creatori e reggitori di questo Mondo, dopo aver violetanto Eva, tenta-
rono di fare lo stesso con Norea. Nell’ottica dello Gnosticismo Sethiano152, l’interpretazione di questa
figura come una delle tante manifestazioni della Sophia, incarna un livello di analisi ancor più pro-
fondo, riscontrando in lei una Sophia Inferiore, prigioniera del Mondo e delle Tenebre, e una Supe-
riore, ultimo Eone del Pleroma.

«I Governanti si recano da lei per portarla fuori strada ed il più grande tra loro disse: “Tua madre
Eva è venuta da noi. Ma Norea si rivolse a loro e disse loro: Voi siete i dominatori delle tenebre. Voi
siete maledetti. Mia madre non lo sapeva. Io non provengo da voi, ma è dall’Alto che io sono venuta.”
L’Arrogante si trasformò nel suo potere ed il suo volto divenne come nero. Egli aveva agito con au-
dacia verso di lei e disse: è necessario che tu renda un servizio a noi, come tua madre Eva. Ma
Norea gridò a gran voce fino al Santo, il Dio della Totalità: “Salvami dai Governanti di ingiustizia e
salvami dalle loro grinfie!” Un Grande Angelo scese dal cielo e le disse: “Perché piangi fino a Dio,
perchè ti comporti così coraggiosamente verso lo Spirito Santo?” Norea disse: “Chi sei?” I Gover-
nanti di ingiustizia si erano ritirati da lei. L’Angelo disse: “Io sono Eleleth, l’Angelo Grande che sta
alla presenza dello Spirito Santo. Sono stato mandato a parlare con voi ed a risparmiarvi dalle mani
degli Arconti. E ti guiderò per la tua strada.”»

Nella Cosmologia Gnostica, diventa così la sigizia (o compagna) di Adamo, poi moglie di Noè,
ma anche la figlia di Eva (senza che il padre ne sia mai specificato), in ogni caso, incarna la Sophia
dopo la sua caduta dalla grazia. I Borboriti indentificarono Norea con Pyrrha, la moglie di Deucalione
(una figura greca non dissimile dal Noè ebraico), in quanto “nura” significa “fuoco” in siriaco e che,
come raccontato nei miti, Ella bruciò l’Arca di Noè addirittura tre volte, rivelando poi i mezzi necessari
per recuperare le scintille rubate attraverso le emissioni sessuali.
Quando gli Arconti decisero di distruggere il Mondo con un Diluvio, furono preceduti dal loro lea-
der, il Demiurgo, il quale pensò di avvertire Noè di costruire un’Arca per potersi salvare. Norea, tentò
di salirvi a bordo, ma egli la fermò, e lei irata soffiò contro l’Arca incendiandola. A quel punto, i Go-
vernanti cercarono di violentarla, ma gridò al Dio delle Entità aiuto, e le apparve l’Angelo Eleleth che
spaventò gli Arconti, prima ancora di rivelare le sue origini.
Nelle più tarde visioni gnostiche, varie speculazioni vennero fatte sul suo conto, specie sul nome:
Norea, che forse deriva da Orea o Horaia, che significa “bella”, o che sia stato tratto da una tradizione
del termine Naamah, un nome ebraico che significa "piacevole", associato anche al demone omo-
nimo con la quale veniva chiamata anche "Il/la giovane Lilith"; non è un caso che sia Norea che Lilith
sovente invocavano Dio per evitare un incontro sessuale indesiderato. Così come in molti ritengono

151 Sappiamo per certo che deve essere esistito un “Libro di Norea” menzionato dal vescovo e teologo E-
pifanio di Salamina nella sua opera, “Panarion adversus omnes haereses”, ma che sembra sia andato perduto.
Questo libro perduto è anche menzionato nel testo “Sull’origine del Mondo” (Nag Hammadi, Codice II), dove
abbiamo finalmente potuto ottenere qualche informazione di prima mano su questo misterioso personaggio.
152 Non ci stupirà sapere che Norea era particolarmente venerata dagli Gnostici Sethiani, essendo Seth il

terzo figlio di Eva e quindi fratello di Norea.


147

che una delle sue ultime manifestazioni storiche sia stata Maria di Magdala o la Maddalena, sigizia
e/o sposa del Cristo, del resto, se riflettiamo un attimo sul termine Amigdala, non possiamo fare a
meno di notare una certa somiglianza con Magdala.
L'Amigdala, o corpo amigdaloideo, inoltre, è una parte del cervello che gestisce le emozioni e in
particolar modo la paura. A livello anatomico scientifico viene definita anche come un gruppo di strut-
ture interconnesse, di sostanza grigia facente parte del sistema limbico, posto sopra il tronco cere-
brale, nella regione rostromediale del lobo temporale, al di sotto del giro uncinato (uncus) e anterior-
mente alla formazione dell'ippocampo. Ha una struttura ovoidale (in greco antico amygdala significa
mandorla) situata nel punto più basso della parete superiore del corno inferiore di ogni ventricolo la-
terale, etc.
Maria Maddalena, detta anche Maria di Magdala (Mandorla Mistica), secondo il 'Nuovo Testa-
mento' è stata un'importante seguace di Gesù, forse, o molto probabilmente sua compagna. Vene-
rata come santa dalla Chiesa Cattolica, che celebra la sua festa il 22 luglio, la sua figura viene de-
scritta sia nel 'Nuovo Testamento' sia nei 'Vangeli Apocrifi'. Le narrazioni evangeliche ne delineano
la figura attraverso alcuni versetti, che la dipingono come una delle più importanti e devote discepole
di Gesù. (Fu tra le poche a poter assistere alla crocifissione e - secondo alcuni vangeli - divenne la
prima testimone oculare e la prima annunciatrice dell'avvenuta resurrezione.)
Ora, non tutti sanno che l'Amigdala è suddivisa al suo interno in 12 aree, così come gli Apostoli
del Cristo erano 12... e sembra quasi che tale particolare coincidenza - sia in funzione di questo
corpo del Cervello, come la stessa Maddalena - abbia la funzione di gestire i processi propri della
nostra personalità, compresa la percezione spazio-temporale (passato, presente e futuro). Come se
la corretta integrazione e trascendenza di queste parti, corrispondenti anche a tutte quelle persona-
lità inferiori (incarnanti anche i 12 Segni Zodiacali), ci conducano verso una nuova Consapevolezza
di Sé stessi.

Dopo queste speculazioni gnostico-filosofiche ri-


torniamo in ambito delle speculazioni propriamente
scientifiche. Recentemente, alcuni studiosi153 hanno
scoperto che la nostra saliva conserva ancora il “fan-
tasma” di un misterioso parente dell’Uomo, una spe-
cie sconosciuta che l’Homo Sapiens si pensa incon-
trò circa 150.000 anni fa, lasciando poi la sua “firma”
nel nostro DNA. Dopo le tracce di vari incroci trovati
in Asia e in Europa tra i nostri antenati Sapiens con
le prime specie di Ominidi, come i Neanderthal e i
Denisovan, questa ricerca indica che ci sono anche
dei precedenti ancor più misteriosi in Africa. Quando
l’analisi della proteina, fatta sul genoma in un cam-
pione di oltre 2.500 uomini di oggi, ha svelato questa
sorpresa, non si pensava di trovare nei genomi di 130
persone dell’Africa sub-sahariana, una versione del
gene molto diversa da quella degli uomini moderni
che popolano il resto del mondo: questa variante, ap-
partenente ai Neanderthal e i Denisovan, è sembra-
ta, quindi, più simile a quella dell’Uomo moderno ri-
spetto all’altra variante anomala scovata in Africa.

(La Maddalena Penitente, di Georges De La Tour)

«La spiegazione più plausibile è che ci sia stata


l'introduzione di materiale genetico da una specie 'fantasma' di un antico ominide, che potrebbe es-
sere una già nota o ancora da scoprire. La chiamiamo fantasma perché non abbiamo dei resti fos-
sili.» (Omer Gokcumen)

153 La ricerca è apparsa sulla rivista Molecular Biology and Evolution, scritta da alcuni ricercatori dell'Univer-

sità di Buffalo, guidati da Omer Gokcumen.


148

Si, avete letto bene: “non ci sono resti fossili.” I ricercatori hanno inoltre calcolato che l’incrocio
tra gli antenati dell’Uomo con questa misteriosa specie fantasma, sia avvenuto all’incirca 150.000
anni fa, dopo che il percorso evolutivo delle due specie aveva preso strade diverse circa 2-1,5 milioni
di anni fa. Del resto, di queste specie “fantasma” sembra che la nostra umanità antica ne sia costel-
lata. Recenti scoperte in Cina, pubblicate su Nature Genetics da un team di ricercatori catalani, spa-
gnoli, indiani, britannici, cinesi ed olandesi, hanno rivelato che il nostro albero evolutivo sia un tantino
diverso da quello ad oggi riconosciuto in ambito accademico.
Gli scienziati dell’Instituto de Biología Evolutiva (Ibe), un centro dell’Universidad Pompeu Fabra
(Upf) di Barcellona e del Consejo superior de investigaciones científicas (Csic) spagnolo, che hanno
guidato il team internazionale, hanno dichiarato di aver scoperto «Un nuovo tipo di ominide attual-
mente estinto che viveva nel sud-est asiatico. Questa specie, non descritta finora, è un antenato de-
gli esseri umani come i Neanderthal e i Denisovani e si è incrociato con gli esseri umani moderni
decine di migliaia di anni fa». Insomma, lo stesso copione che a distanza di decine di migliaia di anni
si ripete.
L’analisi genetica di un gruppo di individui delle Isole Andamane, un territorio indiano sperduto
nell’Oceano Indiano, abitato attualmente da popoli autoctoni, dagli aborigeni australiani e dai papua-
ni, ha rivelato che il loro DNA contiene frammenti che non corrispondono a quelli presenti nei moder-
ni umani e che lasciarono l’Africa più di 80.000 anni fa.

«“Confrontando queste sequenze con quelle dei neanderthal e dei denisovani, gli scienziati han-
no visto che sono chiaramente differenti.” I ricercatori catalani hanno concluso che: “Questo DNA
appartiene a un ominide estinto che condivide un antenato comune con gli altri, ma che ha una storia
differente. Questa è una nuova prova che il genoma umano contiene piccole quantità di informazioni
provenienti da antenati estinti.”»

In sostanza, si è scoperto che delle sequenze di DNA non sono presenti nel genoma degli europei
o degli asiatici orientali, tanto da far supporre che gli antenati degli andamanesi, degli aborigeni e
dei papuani, si siano incontrati e accoppiati con un misterioso ominide nell’Asia del sud o nella re-
gione del Pacifico, lasciando impressa un’eredità genetica che si riscontra ancora oggi in quelle at-
tuali popolazioni autoctone. Allo stato attuale delle cose, sappiamo che ci sono diversi team di scien-
ziati che stanno analizzando delle ossa che potrebbero corrispondere a questo sconosciuto ominide,
che è forse l’Homo Erectus. Circa 80.000 anni fa, in Africa, l’Homo Sapiens arcaico si è evoluto nel
Moderno Uomo e una piccola parte di questi nostri progenitori, abbandonò il continente compiendo
una lunghissima migrazione che ha dato poi origine a tutte le attuali popolazioni umane. Come se
non bastasse, a rendere ancora più complicata la storia, c’è anche la possibilità che più specie di
ominidi sconosciute abbiano contribuito a lasciare in eredità questi frammenti di DNA misteriosi.

«Non ne sarei sorpreso - aggiunge Cooper - l’Asia è un po’ un incubo in termini di numero di di-
versi gruppi che ci vivevano all’incirca nella stessa epoca. L’Asia ha rivelato avere molte più forme
di ominidi che l’Europa. Ci sono una marea di studi che escono ora sui genomi australiani e asiatici
e tutti concludono la stessa cosa: ci fu un unico movimento Out of Africa degli esseri umani moderni.
Gli europei si diressero a ovest, e tutti gli altri si diressero ad est. E poi in Asia è diventato terribil-
mente complicato dal punto di vista degli spostamenti, perché ci sono stati diversi ominidi che flut-
tuarono in giro in quello spazio: Denisovani, gli Uomini di Neanderthal e ora questo terzo gruppo.»

Alla fine dei fatti, ogni essere umano è biologicamente irripetibile e questa diversità si accompa-
gna ad una certa variabilità genetica. Quando si sente parlare di mutazioni genetiche il pensiero cor-
re subito a qualche strana diavoleria di laboratorio, contaminazione o malattia ereditaria, quando in
realtà, nella maggior parte di questi casi, si tratta di comuni alterazioni del DNA che in alcuni contesti
sono risultati essere persino vantaggiosi, o almeno non dannosi, nonché diffusi tra la popolazione,
tanto da esserne noi tutti ancora oggi dei portatori. Tra queste mutazioni, le più curiose e che vi ri-
porto, sono quella degli occhi azzurri, l’intolleranza al lattosio, i capelli rossi, la sindrome del rossore
asiatico, l’assenza dei denti del giudizio, etc.
149

Occhi Azzurri - Questa mutazione


interessa l'8% della popolazione mon-
diale, seppure sia sorprendentemente
recente dal punto di vista evolutivo: in-
fatti risalirebbe ad un periodo compreso
tra i 6.000 e i 10.000 anni fa. Il primo eu-
ropeo con lo "sguardo di ghiaccio" di cui
abbiamo testimonianze visse in Spagna
7.000 anni fa, e prima di allora, presumi-
bilmente, ogni essere umano aveva oc-
chi marroni o comunque scuri. Quelli az-
zurri, forse evolutisi per favorire la sele-
zione sessuale, si pensa siano apparsi
a seguito di una rara mutazione del ge-
ne HERC2, e che a sua volta regola l'e-
spressione di un altro gene, chiamato
OCA2; questo è responsabile della gra-
dazione di pigmento marrone nell'iride, e regola l'intensità di castano degli occhi, mentre in altri casi
l’HERC2 ne impedisce l'attivazione, sostituendo al marrone, l'azzurro.

Tolleranza al Lattosio - Come gran parte dei mammiferi, gli esseri umani perdono l'abilità di di-
gerire il latte una volta raggiunta l'età adulta, si pensa che le ragioni di tale cambiamento siano però
da ricercare nella nascita delle prime comunità stanziali nel continente, attorno a 10 mila anni fa.
Quando iniziammo ad addomesticare il bestiame, una mutazione del gene MCM6 rese alcuni capaci
di produrre l'enzima lattasi e di digerire il latte anche da adulti. La persistenza di lattasi in età adulta
non è distribuita in modo omogeneo, ma dipende probabilmente dalle abitudini delle popolazioni da
cui discendiamo, infatti nelle comunità storicamente più legate all'allevamento di bestiame, è più lar-
gamente distribuita.

Capelli Rossi - Il rutilismo, ossia la condizione di chi sfoggia una "chioma di fuoco", ha origini più
complesse, che dipendono da decine di varianti di geni diversi (uno dei più comuni è il MC1R). Si
stima coinvolga il 4-5% della popolazione, così come era presente già nei Neanderthal e si riscontra
soprattutto nel Nord Europa, in particolare nei Paesi scandinavi e in Gran Bretagna. Su come si sia
evoluto, ancora oggi si discute, c’è chi pensa sia legato alla scarsa esposizione alla luce solare - da-
to che chi ha la chioma fulva è infatti più a rischio melanoma - e chi ritiene si sia diffuso per assenza
di selezione negativa (ossia la rimozione selettiva nel corso dell'evoluzione di alleli rari che sono
dannosi); in Scozia e Galles, la diffusione dei capelli rossi sarebbe addirittura stata favorita da un
certo isolamento geografico.

Sindrome da Rossore Asiatico - Il 36% degli asiatici nordorientali è portatore di una mutazione
genetica che provoca una reazione insolita al consumo di alcol, tanto che la pelle diventa rossa,
mentre il collo e il viso vengono investiti da vampate di calore; ovviamente non, come si potrebbe
pensare, per effetto della sbronza, ma per una reazione immunitaria che coinvolge il fegato. La sin-
drome dipende da una singola mutazione puntiforme (cioè un cambiamento di un singolo nucleotide)
a carico del gene ALDH2, che fa sì che l'alcol non venga totalmente digerito: alcuni prodotti tossici
del suo metabolismo si accumulano allora nell'organismo, scatenando questa curiosa risposta im-
munitaria.

Assenza dei Denti del Giudizio - Questa mutazione è una vera benedizione per chi ne è porta-
tore, che si risparmia senz'altro alcune noie, infatti manca almeno un dente del giudizio al 40% delle
popolazioni asiatiche, al 10-25% degli americani di origine europea, all'11% degli afroamericani e al
45% della popolazione Inuit. Per i nostri antenati, possedere terzi molari superiori e inferiori da en-
trambi i lati era necessario per lacerare le carni di cui si nutrivano, ma la scoperta del fuoco e l'av-
vento di pasti più teneri finì per ridurre lo spazio necessario ai denti più interni dell'arco dentale: si
pensa che il primo antenato noto a possedere questa mutazione visse in Cina attorno a 350.000 an-
ni fa.
150

Ma anche tra gli antenati umani noti resta ancora qualche mistero da risolvere, e nemmeno di
non poco conto. La storia di un nostro antenato rimane ancora avvolta nell’oscurità, quella dell’Uomo
di Neanderthal che visse in Eurasia, e nel vicino Oriente, tra i 200 e i 40 mila anni fa. Negli ultimi 40-
30 mila anni fa, specie nei territori in cui risiedeva, incontrò l’Homo Sapiens, il nostro diretto proge-
nitore, il quale, uscendo per la prima volta dall’Africa, iniziò a conquistare tutto il mondo, migrando a
più riprese in ogni angolo del pianeta. Da questo momento, si presume che abbia avuto inizio l’enig-
matica decadenza dei Neanderthal, e la sua conseguente scomparsa, favorita, si pensa, da una più
scarsa intelligenza rispetto ai Sapiens, o da un clima ambientale che era mutato non risultando più
favorevole alle sue condizioni.
Ed è qui che entra in scena il nostro paese, perché in un riparo roccioso di Mezzena, sui Monti
Lessini, non lontano da Verona, viveva uno di loro, alto un metro e 65 centimetri, dagli occhi azzurri
e la pelle chiara. Lui (o forse una lei) e i suoi compagni, vissero nella zona durante quei diecimila
anni in cui la sua specie, i Neanderthal, incontrò i Sapiens, ovviamente con periodi intervallati in
quanto erano nomadi. Gli studiosi trovarono i suoi resti qualche anno fa, sepolti due metri sottoterra,
ed analizzando la sua mandibola, scoprirono che doveva aver sofferto di parodontosi, patologia le-
gata ad un uso intenso ed usurante dei denti, e che cronicizzandosi, aveva dato origine ad una forma
tumorale ossea benigna, che però non ne fu la causa della morte, avvenuta intorno ai trent’anni.
La cosa che più li sconcertò fu la scoperta che questo uomo dai capelli rossi, era il frutto di un
meticciamento, ovvero, di un’unione tra i Neanderthal e i Sapiens! La prova fu poi pubblicata sulla
rivista scientifica americana Plos One, frutto di un'ampia indagine, su fronti diversi, che aveva mobi-
litato un nutrito gruppo di scienziati, coadiuvati da un team che aveva compiuto indagini su due re-
perti di ominidi: sia su quelli di Mezzena in Italia, che su un altro ritrovato nella Cava de El Sidron,
nelle Asturie, nella Penisola Iberica.
Scrutando nel loro DNA, prelevato dalle ossa, si stabilirono i colori dei capelli e della pelle, for-
nendo interessanti prove sulla variabilità genetica dei Neanderthal, dimostrando dei possibili incroci
nati da coppie formate da femmine di questa
specie e maschi Sapiens. Un meticciamento na-
to in contesti non sempre facili, fatto anche di so-
prusi, scontri, rapimenti, violenze, stupri, etc., e
dove le difficoltà di reperire risorse ambientali di-
sponibili per la propria sopravvivenza, avevano
magari contribuito all’incontro di queste due po-
polazioni con tecnologie e culture differenti. Del
resto, i genetisti, hanno trovato nell’Uomo con-
temporaneo una piccola ma alquanto significa-
tiva quota di materiale genetico (dall’1 al 4%), e
che risalirebbe all’illustre e sfortunato ominide.

Pensavate fosse finita qui? Invece no, tutt’al-


tro. Wolfgang Haak, genetista della University of
Adelaide, in Australia, sequenziando il Dna di un
gruppetto di progenitori ha scoperto, anni orso-
no, che le nostre origini sono molto più recenti di
quanto pensassero gli archeologi della scuola
classica. Egli sostiene come gli europei siano fi-
gli di un popolo relativamente giovane, oltre che
sofisticato ed aggressivo, dove il Vecchio Conti-
nente, da sempre terra di lente migrazioni e inva-
sioni repentine, fin dal suo passato più ancestra-
le, abbia visto il verificarsi di una prima ondata
decisiva che si verificò tra 40-35 mila anni fa,
quando dall’Africa si materializzarono tante pic-
cole tribù di cacciatori-raccoglitori.
Circa 7 mila anni fa, alcuni uomini provenienti
dal Medio Oriente, scalzarono dalla scena i vecchi padroni e introdussero i primi regni centralizzati,
approfittando della loro conoscenza della natura e di inedite competenze tecnologiche e militari.
151

Questo, fin’ora, era lo scenario delineato dalla storia ufficiale, ma Haak ha introdotto con i suoi
studi un ulteriore tassello, perché nel suo articolo pubblicato su Nature Communications, spiega che
dai suoi scheletri - veri e propri archivi biologici, rinvenuti nella Germania orientale e appartenenti a
un’epoca chiave distesa dal Neolitico antico all’Età del Ferro - è arrivato alla conclusione che nel
periodo tra 6 mila e 4 mila anni fa si verificò un cambiamento genetico improvviso: bastarono alcuni
secoli (un soffio in base ai tempi dilatati del Genoma) dove una serie di geni che erano «standard»
negli organismi degli europei, iniziarono ad estinguersi ed a lasciare spazio ad altri.
Concentrando i suoi studi sul DNA mitocondriale, vale a dire le informazioni che fanno funzionare
le “batterie delle cellule” e che si trasmettono, inalterate per linea materna, aveva annunciato che si
trattava del cosiddetto aplogruppo H, e che queste mutazioni, rimaste relativamente rare per millen-
ni, di colpo, divennero predominanti, senza più mollare la presa nel Genoma, tanto che nel XXI seco-
lo sono ancora presenti in quasi il 45% degli abitanti del nostro continente. Questo significa che mi-
lioni e milioni di individui discendono da un ristrettissimo clan genetico che avrebbe preso il soprav-
vento intorno ai 4500 anni fa.
Si è poi scoperto che la prevalenza dell’aplogruppo H è infatti contemporanea con la fine della
Civiltà degli Agricoltori, nota come “Cultura della Ceramica Lineare”, e con l’affermazione di quella
che è stata poi definita “Cultura del Vaso Campaniforme”. In poche centinaia di anni, i signori dei va-
si si erano espansi dagli altipiani della penisola iberica, dilagando fino alle foreste della Germania,
una popolazione che, probabilmente, cancellò la prima Civiltà Paneuropea, sia nella cultura materia-
le che immateriale, dagli utensili al linguaggio.

«“Tutto quello che sappiamo è che i discendenti dei contadini Lbk sono scomparsi dall’Europa
centrale circa 4.500 anni fa, aprendo la strada alla diffusione di popolazioni provenienti da altrove,
con le proprie firme genetiche H. Deve essere successo qualcosa di davvero importante”, conclude
lo scienziato. “E dobbiamo scoprire di cosa si tratta.”» (Alan Cooper)

Il misterioso Ominide di Denisova

L'Homo di Denisova o Donna X è il nome dato ad un ominide i cui scarsi resti sono stati ritrovati
nei Monti Altai in Siberia. La scoperta di questa nuova specie all’interno della famiglia degli ominidi,
venne annunciata nel marzo 2010, quando al termine della completa analisi del DNA mitocondriale
(mtDNA) fu ipotizzato che poteva trattarsi di qualcosa di completamente nuovo. Questo esemplare
di ominide è vissuto in un periodo compreso tra 70.000 e 40.000 anni fa in aree popolate principal-
mente da Sapiens e in parte da Neanderthal, seppure la sua origine e la sua migrazione appaiono
ancora oggi distinte da quelle delle altre due specie, in quanto il mtDNA del Denisova risulterebbe
addirittura differente.
Un team di scienziati dell’Istituto Max Planck della facoltà di Antropologia di Lipsia, guidati da
Svante Pääbo, sequenziò il DNA mitocondriale (che si eredita solo per linea materna), estratto dal
frammento osseo di un dito mignolo di un giovane individuo di età stimata tra i 5 e i 7 anni, e di sesso
incerto, nonostante gli fu attribuito il soprannome di Donna X. Queste analisi rivelarono che questa
nuova specie di ominidi sia stata il risultato di una migrazione precoce dall’Africa, distinta dalla suc-
cessiva migrazione dall’Africa, associata a Uomini di Neanderthal e Moderni Umani, ma anche di-
stinta dal precedente esodo africano degli Homo Erectus, dimostrando così l’esistenza di un ramo
molto più lontano all’interno di un quadro più complesso di tutto il Genere Umano, specie del tardo
Pleistocene.
La cosa che stupì maggiormente i ricercatori fu quando dopo ulteriori rinvenimenti ossei nella
grotta dei Monti Altai in Siberia, e le loro conseguenti analisi, scoprirono che tutte e tre le forme
umane (Denisova, Neanderthal e Sapiens) avevano vissuto forse insieme, o quasi sicuramente in
diversi periodi temporali in quello stesso luogo. Sappiamo, comunque, che approssimativamente il
4% del DNA dell’Homo Sapiens non africano è lo stesso trovato nell’Homo Neanderthalensis, sug-
gerendo quindi una comune origine, così come i test che mettono in comparazione il genoma del-
l’Homo di Denisova con quello di sei differenti Homo Sapiens (un sudafricano, un nigeriano, un fran-
cese, un papua della Nuova Guinea, un abitante dell’isola di Bougainville e uno della stirpe di Han),
152

hanno dimostrato che dal 4 al 6% del genoma dei melanesiani (rappresentato dagli uomini dell’isola
di Bougainville), derivano dalla popolazione di Denisova.
Verosimilmente, questi geni furono introdotti durante la prima migrazione umana degli antenati
dei melanesiani nel sud-est asiatico, attraverso un’ibridazione tra Homo di Denisova e Homo Sa-
piens, che ha interessato, presumibilmente le popolazioni antiche della zona e quelle, loro dirette di-
scendenti, australiane. L’apporto genetico denisoviano alle altre popolazioni asiatiche, come in quel-
le europee e amerinde, appare invece molto limitato, derivante in buona parte per via dell’ibridazione
avvenuta in precedenza con i Neanderthal (a loro volta ibridati con gli stessi Denisova).
In conclusione, dalle ultime analisi del mtDNA e del DNA nucleare, risulta che l’Uomo di Denisova
si sarebbe separato, inspiegabilmente, dal comune antenato di Neanderthal e dall’Uomo Moderno
circa 1.000.000 di anni fa e che in seguito si sarebbe incrociato con l’Homo Sapiens, progenitore dei
moderni abitanti della Papua Nuova Guinea, con i quali condivide il 4-6% del genoma, e si pensa,
quindi, che i Denisova ed i Neanderthal abbiano condiviso un ramo comune ancestrale che portò ai
moderni esseri umani apparsi in Africa, e poi da lì diffusisi in tutto il Mondo.
153

7.4 - Breve storia del Genere Umano

La storia demografica e genetica delle popolazioni del mondo, soprattutto per quelle europee, è
alquanto complessa da disvelare, i dati primari per il suo studio provengono dalle sequenze del DNA
mitocondriale, del cromosoma Y e del DNA autosomico (compresi i polimorfismi a singolo nucleto-
ide) provenienti dalle popolazioni moderne e, se disponibili, anche dalle popolazioni antiche. In pri-
cipio fu uno studio di Luigi Luca Cavalli-Sforza della Stanford University School of Medicine, - usando
120 polimorfismi ematici -, che fornì la prova di una parentela nelle varie popolazioni continentali154.
Secondo questo studio, tutte le popolazioni non-africane sono più vicine tra loro rispetto agli afri-
cani, in accordo all’ipotesi secondo la quale, tutti i non-africani discendono da una singola popola-
zione africana. Gli europei, ad esempio, sono imparentati più alle popolazioni del Vicino Oriente, del
Medio Oriente e del sub-continente indiano; sono connessi in piccola parte con gli africani, per quan-
to di tutte le popolazioni non-africane, siano i più legati ad essi da vincoli di parentela.
Dato che la distanza genetica tra Africa ed Europa (16.6) è più breve rispetto da quella tra Africa
ed Asia Orientale (20.6), e addirittura molto più corta rispetto alla distanza genetica tra Africa e Au-
stralia, Cavalli-Sforza propose che la più semplice spiegazione per questi dati era il sostanziale
scambio genetico che si è verificato tra i continenti vicini. Propose, inoltre, che sia le popolazioni a-
siatiche che quelle africane, avevano contribuito alla composizione della stessa popolazione euro-
pea, e che cominciò 40.000 anni or sono155.

154 La distanza genetica è una misura utilizzata per quantificare le differenze genetiche tra due popolazioni,

basata sul principio che due popolazioni, condividenti frequenze simili riguardo ad un tratto distintivo, sono più
vicine rispetto a popolazioni che hanno frequenze divergenti di una caratteristica. Nella sua forma più semplice
essa è la differenza nelle frequenze di una particolare caratteristica tra due popolazioni, per esempio: la fre-
quenza di individui RH negativi è del 50.4% tra i baschi, del 41.2% in Francia e del 41.1% in Inghilterra, perciò
si evince che la differenza genetica tra i baschi e i francesi è del 9.2%, mentre quella tra i francesi e gli inglesi
è del 0.1%, proprio per la caratteristica riguardante il fattore RH negativo.
155 I contributi completi dell'Asia e dell'Africa sono stati valutati rispettivamente intorno ai due terzi e un ter-

zo. L'Europa possiede in genere una variazione genetica di circa un terzo di quella degli altri continenti.
154

Ad oggi sono stati scoperti e sono ancora oggetto di studio tre maggiori Aplogruppi del DNA del
Cromosoma Y, che forniscono una spiegazione alla composizione delle popolazioni odierne dell’Eu-
ropa:

• L’Aplogruppo R1b è comune sulla costa atlantica dell’Europa occidentale, dalla penisola iberica
(compresa Spagna e Portogallo), sino all’Irlanda, il Galles, l’Inghilterra, la Scozia e la penisola
dello Jutland.
• L’Aplogruppo I è comune in Germania, nei Paesi Bassi, in Austria, Scandinavia, Ex Jugoslavia
e Sardegna.
• L’Aplogruppo R1a è comune nell’Europa orientale, in Asia centrale e nel sub-continente indiano.

Il più comune di tutti gli Aplogruppi, tra gli europei occidentali, è l’R1b, gli esatti valori ricavati stu-
diando le varie popolazioni, sono i seguenti: Baschi: 88.1%; Irlandesi: 81.5%; Gallesi: 89.0%; Scoz-
zesi: 77.1%; Spagnoli non baschi: 68.0% (Catalani: 79.2%; Andalusi: 65.5%); Portoghesi (meridio-
nali): 56.0%; Portoghesi (settentrionali): 62.0%; Britannici: 68.8%; Inglesi (centrali): 61.9%; Belgi:
63.0%; Francesi: 52.2%; Danesi: 41.7%, Norvegesi: 25.9%; Svedesi: 20.0%; Tedeschi: 47.9%; Ita-
liani (della Calabria): 32.4%; Italiani (della Sardegna): 22.1%; Italiani (centro settentrionali): 62.0%;
Sloveni: 21%; Croati (continentali): 15.7%; Cechi e Slovacchi: 35.6%; Polacchi: 16.4%; Bulgari:
17.0%; Serbi: 10.6%; Greci: 22.8%; Ciprioti: 9.0%; Albanesi: 17.6%; Romeni: 18.0%; Ungheresi:
13.3%.

Tra le popolazioni europee la diversità più alta è riscontrata nell’Europa orientale (malgrado le
frequenze siano più basse), inoltre, l’analisi delle diversità indica che tutte le varianti europee del
R1b, condividevano un’esistenza nell’Asia centrale (Kazakhistan), prima della migrazione verso la
Russia, poi scissa in due migrazioni principali e che si mosse, in primo luogo, lungo i fiumi e le coste.
Ciascun Aplogruppo, a sua volta, possiede anche alcuni subcladi. R1a e R1b sono dei subcladi
dell’Aplogruppo R (Y-DNA), mentre due sottogruppi principali di Aplogruppi I (Y-DNA) sono l'I-
M253/I-M307/I-P30/I-P40 il quale, secondo la Società Internazionale di Genealogia Genetica: "ha la
più alta frequenza in Scandinavia, Islanda e nell'Europa nordoccidentale." L'altro è l'I-S31 che, se-
condo sempre la stessa Società: "include l'I-P37.2, che è la forma più comune nei Balcani e in Sarde-
gna, e l'I-S23/I-S30/I-S32/I-S33, che ha le sue frequenze più alte nella costa nordoccidentale dell'Eu-
ropa continentale."
Inoltre, sono stati eseguiti numerosi studi a proposito dell’Aplogruppo del DNA mitocondriale
(mtDNA) in Europa, secondo la Biblioteca dell’Università di Oulu in Finlandia: “I classici marcatori
polimorfici (ad esempio i gruppi sanguigni, elettromorfi proteici ed antigeni HLA) hanno suggerito
che l'Europa sia un continente geneticamente omogeneo con poche eccezioni quali i sami, i sardi,
gli islandesi e i baschi (Cavalli-Sforza et al. 1993, Piazza 1993). L'analisi delle sequenze di DNA mi-
tocondriale ha inoltre evidenziato un alto grado di omogeneità fra le popolazioni europee, e le di-
stanze genetiche che sono state trovate risultano molto più piccole rispetto a comparazioni fra popo-
lazioni su altri continenti, specie in Africa” (Comas et al. 1997).
Nel 2006, un’analisi autosomica che confrontò campioni provenienti da varie popolazioni euro-
pee, concluse che “esiste una consistente e riproducibile distinzione tra gruppi di popolazioni euro-
pee settentrionali e meridionali”. La maggior parte dei singoli partecipanti con antenati dell’Europa
meridionale (italiani, greci, armeni, portoghesi e spagnoli) hanno >85% di appartenenza alla popola-
zione “meridionale”, mentre il maggior numero di europei settentrionali, occidentali, orientali e cen-
trali, un >90% nel gruppo di popolazione “settentrionale”.156
Uno studio simile compiuto nel 2007 sembra comunque contrastare questa scoperta, sulla base
di campioni esclusivamente europei, fu scoperto che la più importante differenziazione genetica in
Europa, avviene lungo una linea che parte dall’Europa settentrionale e arriva sino ai Balcani, insieme
ad un ulteriore asse di differenziazione che attraversa l’Europa da oriente ad occidente. Questa sco-
perta è in accordo con i risultati ottenuti in base ai primi DNA mitocondriali e agli Y cromosomici in

156 Le origini degli Ashkenaziti, come quelle dei Sefarditi, hanno mostrato >85% di appartenenza alla popo-
lazione ‘meridionale', in coerenza ad una più tarda origine mediterranea di questo gruppo etnico. Va comunque
fatto notare che molti dei partecipanti a questo studio erano in effetti cittadini americani, e che si sono identifica-
ti da soli con le diverse etnicità europee, e non veri europei autoctoni.
155

supporto alla teoria che la moderna popolazione iberica (sia gli spagnoli che i portoghesi), detiene il
più antico lignaggio genetico europeo, tanto quanti i Baschi e i Sami, separati dalle altre popolazioni
europee.
Ciò ha confermato che gli inglesi e gli irlandesi si raggruppano con altri europei settentrionali e o-
rientali come i tedeschi e i polacchi, sebbene una parte dei baschi e degli italiani, sono da raggruppa-
re insieme ad essi, ma a parte questo, è evidente che esiste una bassa e apparente diversità in Eu-
ropa, marginalmente sparpagliata, rispetto ai campioni delle singole popolazioni nel resto del Mondo.
In realtà, secondo un ulteriore studio su scala europea, i principali componenti nel genoma europeo
sembrano derivare da antenati le cui caratteristiche erano simili a quelle dei moderni Baschi e degli
abitanti del vicino Oriente, con valori medi più grandi del 35% per entrambe queste popolazioni pa-
rentali. Il grado più basso di mescolanza basca o del vicino Oriente, si trova in Finlandia, dove tra i
valori più alti, rispettivamente, si riscontrano: 70% di baschi, in Spagna, e più del 60% nel vicino O-
riente, compresi i Balcani.
Vari studi successivi, riuscirono, inoltre, a compilare una mappa genetica dell’Europa, rivelando
la piccola diversità genetica anche tra le varie nazionalità presenti, seppur, tuttavia, tali differenze
sono abbastanza riconoscibili per stabilire la provenienza di un individuo. I ricercatori fecero anche
un ulteriore ed interessante scoperta, ovvero che la mappa genetica assomiglia strettamente al mo-
dello delle maggiori migrazioni partite principalmente dal meridione. Gli europei meridionali, rivela-
rono una maggiore diversità genetica, rispecchiando le onde migratorie dei primi esseri umani, all’in-
circa intorno a 35.000 anni fa, a seguito dell’espansione durante l’era glaciale di 20.000 anni fa, e i
movimenti delle popolazioni dettati dai metodi di allevamento e dall’agricoltura proveniente dal Medio
Oriente, intorno ai 10.000 anni fa. Uno studio svolto nel maggio 2009, condotto su 19 popolazioni e-
uropee, mise in evidenza la diversità tra queste e in particolare rivelò l’esistenza di ben quattro “Re-
gioni Genetiche” in seno all’Europa: la Finlandia, che mostra la maggiore distanza con il resto degli
europei; la regione baltica che include Estonia, Lituania e Lettonia; l’Europa centrale ed occidentale;
l’Italia, con quella meridionale.

La preistoria dei popoli europei può es-


sere in parte ricostruita attraverso l’esa-
me dei siti archeologici, unendo gli studi
linguistici, mitologici e soprattutto geneti-
ci. Integrando le diverse discipline men-
zionate, sappiamo che nel Paleolitico Me-
dio, l’Europa era popolata da tribù di Ho-
mo Neanderthalensis, mentre nel Paleoli-
tico Superiore, nuove popolazioni di spe-
cie Homo Sapiens, dette Cromagnon, so-
stituirono progressivamente i neandertha-
liani; questi cacciatori-raccoglitori erano
verosimilmente portatori dell'Aplogruppo
Y-DNA di tipo I.
L’Aplogruppo I si ritiene si sia originato
in Europa prima dell’ultima glaciazione,
ed è probabile che sia stato confinato nei
balcani durante il lungo periodo freddo,
per poi diffondersi verso nord con il ritiro
dei ghiacci e il conseguente cambiamento
climatico. A tale Aplogruppo appartengo-
no due subcladi, ognuno dei quali marca
un’indipendente espansione della popola-
zione lungo diversi percorsi migratori, du-
rante e immediatamente dopo la glacia-
zione, tra queste, l’I1a registra le più alte
frequenze in Scandinavia, Islanda ed Eu-
ropa nord-orientale (tanto che una sua
mutazione, ricorrente nelle isole britanni-
156

che, è stata interpretata come un possibile marcatore dopo numerose invasioni scandinave succe-
dutesi nel tempo). Oltre ai Balcani, gli altri rifugi degli uomini del Paleolitico, durante l’ultima grande
glaciazione, furono: la Spagna settentrionale e la Francia sud-occidentale (noto come “Rifugio Fran-
co-Cantabrico”); l’Ucraina e più in generale la costa settentrionale del Mar Nero, rifugio di popolazioni
portatrici dell’Aplogruppo R1a; l’Italia; l’Anatolia, possibile rifugio di popolazioni portatrici dell’Aplo-
gruppo R1b. Per quanto concerne il DNA mitocondriale, l’Aplogruppo mitocondriale N subì un’evo-
luzione nei millenni in vari sottogruppi del tipo U, tra cui alla fine del Paleolitico e nel Mesolitico, dove
prevaleva l’Aplogruppo mt-DNA U8, la cui subclade di tipo K rappresenta uno dei principali Aplogrup-
pi mitocondriali presenti ancora oggi in Europa.
Nel Neolotico si diffusero in Europa, inoltre, popolazioni di agricoltori provenienti dal vicino Orien-
te, portatori degli Aplogruppi del Cromosoma Y di tipo G, E e R1b. Questi antichi agricoltori erano
intolleranti al lattosio, consumavano il latte sotto forma di latticini, mentre la successiva comparsa
del gene della tolleranza al lattosio, avenne attorno ai 7500 anni fa tra le popolazioni della cultura
della ceramica lineare, e della cultura Starčevo in Europa centrale e nei Balcani, da dove successiva-
mente si diffuse. Per quel che riguarda l’Europa, l’Aplogruppo G, originatosi in Medio Oriente, nel
Caucaso o forse addirittura nell’odierno Pakistan, in una data risalente a 30.000 anni fa, secondo al-
cuni studi sembra che si sia diffuso nel nostro Vecchio Continente nel Neolotico, oppure, data la sua
forte discontinuità, aver raggiunto la nostra area già nel Paleolitico. L’Aplogruppo G, nella variante
G2, è associato a sepolture appartenenti alla cultura della ceramica cardiale, e lineare del VI millen-
nio a.C.; per cui dovrebbe essere stato introdotto in Europa centrale da agricoltori neolitici che pro-
veniva dalla prima cultura agricola sorta nei Balcani, i cui antenati arrivarono dall’Anatolia via terra,
prima dell’apertura del Bosforo.
L’Aplogruppo E1b1b è di remota origina africana (Egitto) e secondo vari ricercatori, sarebbe pre-
sente in Europa sud-orientale a partire dal Mesolitico. Attualmente i suoi portatori si trovano concen-
trati nelle regioni meridionali dei Balcani (Albania, Kosovo e Grecia), ma durante il neolitico medio,
tra il VI e il V millennio a.C., in gran parte dell’Europa meridionale, dominava questa tipologia portata
via mare dagli uomini della cultura della ceramica cardiale. Con l’introduzione in Europa, durante il
Neolitico, di popoli agricoltori ampiamenti diversificati geneticamente e provenienti dall’Anatolia, fe-
cero la loro comparsa i portatori degli Aplogruppi mitocondriali H, J, V, T, X, etc. Questa ipotesi, suf-
fragata dall’archeologo britannico Colin Renfrew, sostiene che l’espansione delle lingue indoeuropee
è da associare alla propagazione di queste popolazioni dal sud-est verso il nord e l’ovest dell’Europa.
Nell’estremo nord-est del continente europeo, i portatori dell’Aplogruppo N, si insediarono, invece,
nella regione baltica della Siberia attorno al 4200 a.C., portando con sé la cultura della ceramica a
pettine e delle lingue uraliche.
Le popolazioni neolitiche, inoltre, furono in parte sostituite durante l’Età del Rame e del Bronzo
dai nomadi provenienti dalle steppe pontico-caspiche, portatori dell’Aplogruppo R1a, popoli che ave-
vano addomesticato il cavallo, che erigevano grandi tumuli funerari, detti Kurgan, e da molti identifi-
cati con i Proto-Indoeuropei. L’analisi dei geni della pigmentazione, ricavati dai resti scheletrici di
uomini vissuti in Europa nel periodo compreso tra il Paleolitico e l’Età del Bronzo, ha dimostrato che
l’aspetto fisico degli europei, subì notevoli mutamenti nel corso della Preistoria.
Si presume che la prima popolazione di Homo Sapiens, raggiunse l’Europa all’incirca 40 mila an-
ni fa, al volgere del Paleolitico Medio, e secondo le analisi effettuate sui resti di alcuni individui vissuti
nel Mesolitico, sia nell’Europa settentrionale che meridionale, questi antichi cacciatori-raccoglitori,
avevano i capelli neri e la pelle olivastra, possedendo seppure una mutazione che provocava l’insor-
genza di occhi azzurri o verdi. Circa 8000 anni fa, iniziarono poi a migrare in Europa, probabilmente
dall’Anatolia, popolazioni dedite principalmente all’agricoltura, necessità dovuta probabilmente all’in-
sufficienza di cibi di origine animale, popolazioni che possedevano la mutazione che provocò l’insor-
gere della pelle chiara, presente negli attuali abitanti dell’Europa.
A partire dal Calcolitico, comparvero dapprima nei Balcani, e poi anche nell’Europa centrale, delle
popolazioni seminomadi indoeuropee provenienti dalle steppe a nord del Mar Nero, che si imposero
e sostituirono in parte le precedenti popolazioni di agricoltori neolitici. I dati riguardanti il loro aspetto
fisico è discordante, in quanto gli individui eneolitici della Cultura di Jamna (Ucraina e Russia Meri-
dionale) presentavano una maggioranza di capelli ed occhi scuri, mentre le successive popolazioni
della Cultura di Andronovo (Kazakistan), possedevano capelli e occhi chiari; quest’ultime, forse do-
vute ad un massiccio processo di selezione.
157

Come abbiamo ampiamenta descritto, sappiamo che le prime espansioni di popolazioni umane
arcaiche e moderne, attraverso tutti i continenti, iniziarono circa 2 milioni di anni fa con la prima mi-
grazione dall’Africa dell’Homo Erectus, seguita poi da altre specie umane arcaiche tra cui l’Homo
Heidelbergensis, che visse circa 500.000 anni fa, probabilmente l’antenato sia degli umani anatomi-
camente moderni (i Sapiens) che dei Neanderthal. All’interno del calderone africano, l’Homo Sapiens
si disperse intorno al tempo della sua speciazione, circa 300.000 anni fa, e il paradigma della “re-
cente origine africana”, suggerisce che gli umani anatomicamente moderni, al di fuori del continente
africano, discendono da un popolazione di Homo Sapiens che migrò dall’Africa orientale circa 70.000
anni fa, diffondendosi lungo la costa meridionale dell’Asia, e in Oceania, attorno ai 50.000 anni fa, e
in Europa una decina di migliaia di anni dopo, comprese le Americhe.
Sappiamo, inoltre, che le popolazioni umane moderne si incrociarono, durante i loro spostamenti
con le varietà locali di umani arcaici precedentemente stanziatisi, facendoci però intuire come le po-
polazioni umane contemporanee, discendano in piccola parte (meno del 10%) da varietà regionali
prestanziate. Dopo l’ultimo massimo glaciale, le popolazioni euroasiatiche settentrionali, migrarono
verso le americhe all’incirca 20.000 anni fa, mentre l’Eurasia è stata poi ripopolata dopo i 12.000 an-
ni fa, all’inizio dell’Olocene157.

Il Dio Pan-Alieno di Godfrey Higgins

Godfrey Higgins (1772-1833) è stato un magistrato inglese e proprietario terriero, stimato soste-
nitore della riforma sociale, storico ed antiquario. In certi ambienti esoterici è però conosciuto per i
suoi scritti riguardanti i miti antichi, in particolare spicca un suo libro tra tutti, Anacalypsis, pubblicato
postumo e in cui afferma dell’esistenza di una comunanza tra i vari miti della Terra, a cui fa risalire
un’origine condivisa su di una presunta religione o filosofia perduta di derivazione atlantidea.
Dal poco che sappiamo della sua vita, risulta che fosse figlio di Godfrey Higgins di Skellow Gran-
ge, vicino a Doncaster, venne educato a Hemsworth prima di essere poi ammesso all’Emmanuel
College di Cambridge nel 1790, per poi trasferirsi alla Trinity Hall nel 1791. In seguito, studiò legge

157 Il Canada artico e la Groenlandia sono stati raggiunti dall'espansione paleo-eschimese circa 4000 anni

fa, la Polinesia fu popolata, invece, da dopo i 2000 anni fa dall'espansione austronesiana.


158

all’Inner Temple ma non ottenne la licenza di esercitare la legge e si astenne dall’esercizio della
professione. Quando poi Napoleone minacciò l’invasione del Regno Unito, si unì al Corpo dei Volon-
tari e divenne Capitano della Terza Milizia di York Ovest. Nel 1800 sposò Jane Thorpe che diede al-
la luce suo figlio, anche lui nominato Godfrey e anche due figlie, Jane e Charlotte.
Dopo la sua promozione al grado di maggiore nel 1808 si dimise dal Corpo Volontario e fu poi
nominato magistrato e giudice di pace nello Yorkshire. Il lavoro di Higgins come magistrato fu quello
di avviare campagne riformiste, tra le quali si ricorda: "coraggiosamente esposto lo scandaloso trat-
tamento dei pazzi lunatici e la campagna per la riforma parlamentare, criticando la tassazione ec-
cessiva, le leggi sui cereali e lo sfruttamento dei bambini nelle fabbriche." Fu anche a favore nel
rimuovere la Chiesa d’Irlanda e nel 1814 ebbe un ulteriore ruolo importante nello scoprire degli abusi
sui pazienti del manicomio di York, dopo che gli erano giunte delle voci di gravi mancanze e soprusi.
Si unì anche al quacchero William Tuke, incrementando così le sue riforme, e dopo una visita a
sorpresa nell’istituto, costrinse il personale che si rifiutava ad aprirgli le porte, e a mostrargli i pazienti
di sesso femminile li tenute: "un certo numero di cellule segrete in uno stato di sporcizia, orribile oltre
ogni descrizione... gli oggetti più miserabili che abbia mai visto."
Dopo questo increscioso episodio, fece licenziare la maggior parte del personale e riuscì ad otte-
nere l’apertura di un’inchiesta governativa sulla gestione della struttura, per il quale diede anche una
sua testimonianza; infine, fu nominato Governatore del Maniconio apportando sensibili benefici nella
condizione dei pazienti. Nel frattempo, sviluppò una serie di studi sul significato della vita e della re-
ligione: “Ho raggiunto una risoluzione per dedicare sei ore al giorno a questa ricerca per dieci anni.
Invece di sei ore al giorno per dieci anni, credo di essermi, in media, applicato per quasi dieci ore al
giorno per quasi venti anni. Nei primi dieci anni della mia ricerca posso dire, non ho trovato nulla che
cercassi; nell'ultima parte dei venti, la quantità di materia si è così affollata su di me, che a malapena
so come disporne.”
Appassionato antiquario, fu Fellow della Society of Antiquaries, secondo Ross Nichols, Higgins
era persino un "Prescelto" dell'Ordine dei Druidi, fondato da John Toland nel 1717, venne anche
menzionato come probabile membro dell’An Uileach Druidh Braithreaches (The Druid Order), un an-
tico ordine druidico che aveva preceduto quello che poi sarà l'Ermetico Ordine della Golden Dawn,
nonostante queste affermazioni non sono ancora oggi comprovate. La moglie di Higgins morì il 18
maggio 1822, mentre la sua sopraggiunse il 9 agosto 1833, a causa di una malattia di cui soffriva
da tempo, mentre stava partecipando ad una riunione dell'Associazione Britannica per l'Avanzamen-
to della Scienza a Cambridge. Nei principali scritti di Higgins, per la prima volta nella storia dell’Eu-
ropa moderna, si ebbe un sincretismo che tentò di associare le narrazioni bibliche che emergevano
anche dalle altre tradizioni religiose del mondo conosciuto di allora, tanto che la sua opera maggiore,
Anacalypsis, avrebbe in seguito avuto un’influenza importantissima sullo sviluppo della Teosofia di
Helena P. Blavatsky.
Secondo lo studioso Ronald Hutton, l'Anacalypsis di Higgins dimostra che: “i resti megalitici sparsi
per il mondo erano stati i lavori di una grande nazione sconosciuta alla storia, che aveva scoperto
la religione e la scrittura. Ciò aveva donato il suo sistema spirituale e filosofico agli antichi indiani,
caldei, ebrei, egiziani e druidi, sulla base di una venerazione del Sole con una triplice personifica-
zione della divinità e mediante il mito di un dio salvatore che muore e risorge. Higgins identificò que-
sta nazione con la terra annegata di Atlantide, fino a quel momento considerata un mito in sé. Il suo
studio affrontò anche la questione del perché nessuna prova oggettiva della civiltà ancestrale rima-
se, ma efficacemente trasformò gli Atlantidei in un foglio bianco su cui si poteva delineare una reli-
gione ideale, composta dagli aspetti preferiti dello scrittore di quelli noti alla storia. Nello schema di
Higgins, l'antica conoscenza era stata irrimediabilmente corrotta dalle chiese cristiane e doveva es-
sere ora ricostruita. Queste idee, poi, rimasero dormienti per circa quaranta anni, e furono poi riprese
ed ottennero una grande popolarità grazie ad una delle figure più internazionali di fine secolo, Helena
Petrovna Blavatsky."
Ci fu anche chi si spinse a definire Higgins un “occultista e mistico”, anche se altri suoi studiosi
ritenevano che egli non era interessato né all’occultismo e neppure all’esoterismo. Resta certo co-
munque il suo interesse per le credenze religiose e sulla sociologia pratica, tanto che nell’opera Ho-
rae Sabbaticae, pubblicata nel 1826, condusse uno studio sul Sabbath e sulle sue influenze celtiche.
Ne i Druidi Celtici, pubblicato nel 1827 e nel 1829 in tre parti, si intravede il tentativo di dimostrare
come i Druidi fossero stati dei preti di alcune colonie orientali, emigrati dall’India, responsabili anche
della costruzione dei monumenti di Stonehenge, Carnac e altre opere ciclopiche in Asia e in Europa.
159

Nella seconda edizione del libro del 1829 affermò che stava preparando un ulteriore testo, dove
dichiarava che: "tutte le antiche mitologie del Mondo, che, per quanto variate e corrotte negli ultimi
tempi, erano originariamente una, quella fondata su principi sublimi, belli e veri."

Anacalypsis fu scritto nel 1833 e pubblicato poi


postumo nel 1836 in due volumi di oltre un migliaio
pagine, e con meticolosi riferimenti a centinaia di li-
bri allora conosciuti. Fu un libro che stranamente
non ebbe mai una vasta diffusione, la sua prima edi-
zione fu limitata solo a 200 copie, ristampato poi
parzialmente nel 1878; una sua completa riedizione
si ebbe solo nel 1927, con altre misere 350 copie. Il
titolo completo dell’opera “Anacalypsis; Un tentativo
di attingere al velo dell'Iside Saitico” o “un'inchiesta
sull'origine delle lingue, delle nazioni e delle religio-
ni”, è una sintesi della storia delle religioni, rimasta
incompleta del suo ultimo capitolo dedicato al cristi-
anesimo, a causa della sua sopraggiunta morte. In
esso afferma che i Druidi e gli Ebrei avevano avuto
una origine comune in India, che il nome del biblico
Abramo era in realtà una variazione della parola
Brahma, creata spostando l'ultima lettera all'inizio
(A-brahma), così come esisteva, persino, un movi-
mento globale “pandeista” segreto ed occulto. Il ter-
mine anacalypsis deriva dal greco ανακάλυψης, che
può essere tradotto sia come «scoperta» o «trova»,
essendo tra l’altro il contrario di "apocalisse"; la suc-
cessiva idea di «anacalypsis» come «rivelazione»,
venne poi discussa in profondità dalla scrittrice e te-
osofa russa Helena P. Blavatsky, nel suo libro Iside
Rivelata.
Higgins sosteneva: "Una cosa è chiara: il mito degli indù, il mito degli ebrei e il mito dei greci sono
tutti in fondo lo stesso, e quelle che sono chiamate le loro prime storie non sono storie del genere
umano, ma sono congegni sotto l'apparenza di storie per perpetuarne le dottrine." Arrivò anche ad
affermare che tutti gli Dèi greci e le Dee della Grecia avevano la pelle nera: "Osiride e il suo Toro e-
rano neri; tutti gli Dei e le Dee della Grecia erano neri: almeno questo era il caso di Giove, Bacco,
Ercole, Apollo, Ammon. Le Dee Venere, Iside, Hecati, Diana, Giunone, Metis, Cerere, Cybile, sono
nere. La multi-mammia è nera nel Campidoglio a Roma, e a Montfaucon...” Affermò, inoltre, che gli
ebrei di Giacobbe o di Israele erano etiopi: "Sembra che non ci sia nulla di improbabile in questi e-
tiopi che sono la tribù degli ebrei - la tribù di Giacobbe o Israele. Penso che questi etiopi siano venuti
sotto Jacob e si stabilirono a Goscen e diede i nomi di Maturea e Avaris alla città in cui abitavano."
Affermò anche come gli ebrei dell'Asia minore erano una tribù e una colonia di buddisti neri proveni-
enti dall'India: "Salomone era una personificazione o incarnazione della saggezza, e gli ebrei del-
l'Asia Minore erano una tribù o una colonia proveniente dall'India, di buddisti neri, all'incirca nello
stesso periodo con gli Ioudi in Siria, sotto il Brahmin.”
Insomma, sosteneva che tutte queste icone divine o semi-divine, fossero di pelle nera perché
l'uomo di quell’epoca era lui stesso di pelle nera. In questa opera, frutto di un lavoro di oltre vent’anni
di ricerca, Higgins arrivò anche a scoprire dell’esistenza di “una religione antica e universale da cui
scaturirono tutte le credenze e le dottrine più tarde". La sua teoria sosteneva l’esistenza di un ordine
religioso segreto, che aveva definito "Pandeismo" (riferendosi ad una Famiglia di Dèi), che dall'anti-
chità si era perpetuato sino ai giorni nostri: “Tutto ciò sembra confermare la connessione molto stret-
ta che deve esserci stata in qualche tempo precedente, tra il Siam, l'Afghanistan, la Siria occidentale
e l'Irlanda. In effetti non posso dubitare che ci sia stato davvero un grande impero, Universale, un
Pandæan o una religione, con una sola lingua, che si è estesa in tutto il mondo, unendo o governan-
do allo stesso tempo..."
160

Higgins affermò: “… non posso fare a meno di credere che sotto il il mythos, si celi una dottrina
o la storia di una setta nascosta. Kunti, la moglie di Pandu (du o Dio, Pan), moglie del potere genera-
tivo, madre dei Pandava o deva, figlia di Sura o Surya il Sole-Pandea, unica figlia di Cristna o il Sole-
Pandione, che ha avuto da Medea un figlio chiamato Medus, il re dei Medi, che aveva un cugino, il
famoso Perseo. […] Abbiamo visto anche Cristna che lasciò molti figli e il suo immenso impero, che
si estendeva dalle fonti dell'Indo a Capo Comorin, (in effetti troviamo un Regio Pandionis vicino a
questo punto), a sua figlia Pandea; ma, dal trovare l'icona di Buddha così costantemente ombreggia-
ta con i Nove Cobra, ecc., sono indotto a pensare che questo Pandeismo fosse una dottrina, che e-
ra stata ricevuta sia da buddisti che dai brahmini.”
Higgins usò la parola "Pans" o "Pande" per raccogliere variazioni di divinità o eroi simili a Dio -
come Pandu, Pandæa, Pandavas e Pandion - in un unico sistema di culto chiamato "Pandeism" co-
me una sorta di nome di famiglia per un gruppo di individui divini che segretamente controllano e/o
guidano il mondo, una setta segreta di adoratori di questi "Padri", che è stata lasciata sulla scia del
crollo di un antico impero che si estendeva dalla Grecia (la casa di Medea e Perseo) in India (dove
i buddisti e i bramini coesistono ancora oggi).
Purtroppo, Higgins, morì prima che fosse in grado di completare il capitolo finale sul cristianesimo,
anche se lasciò vari indizi, tuttavia, che potrebbero esserci ulteriori strati di significato nel suo lavoro,
in quanto affermò nella prefazione al nuovo volume: “penso sia giusto avvertire il mio lettore, che ci
sono più passaggi che saranno perfettamente compresi solo dai miei amici massonici, ma che i miei
impegni mi impediscono di spiegare al mondo in generale.” Fatto sta che il suo lavoro, seppure poco
diffuso, arrivò comunque ad influenzare tutti gli studiosi di storia, religione e soprattutto mitologia ed
esoterismo dei decenni successivi, tanto che Madame Blavatsky, con il suo libro, The Secret Doc-
trine, del 1888, venne addirittura accusata di plagio nei confronti dello stesso Higgins…

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