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PUBBLICAZIONI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA


DELL’UNIVERSITÀ DI PAVIA

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PUBBLICAZIONI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA


DELL’UNIVERSITÀ DI PAVIA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ

Ruricio di Limoges

Lettere

a cura di
Marino Neri

Edizioni ETS
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L’opera è pubblicata su proposta di una commissione formata


dai professori Fabio Gasti, Giancarlo Mazzoli, Annibale Zambarbieri

Volume pubblicato con un parziale contributo straordinario dell’Università di Pavia

© Copyright 2009
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com
www.edizioniets.com

Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN 978-884672383-3
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Indice

Introduzione 7
1. Ruricio di Limoges 7
2. L’epistolario 11
3. Ruricio nei giudizi della critica 16

Nota critica 21

Lettere 23

Commento 161

Bibliografia 387

Index nominum 409


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Introduzione

1. Ruricio di Limoges

I dati biografici di Ruricio I, vescovo di Limoges, ci sfuggono per la maggior


parte, e quanto sappiamo o ipotizziamo è ricavato ora dall’epistolario, ora da au-
tori coevi o successivi. Ruricio appartiene alla nobile e potente gens Anicia1, i cui
esponenti, soprattutto a partire dal IV secolo, esercitano ruoli di rilievo nell’ambi-
to dell’Impero2. Tra i predecessori di Ruricio sulla cattedra di Limoges è possibile
ravvisare Hermogenianus e Adelfius, nomi che ritroviamo anche in alcuni espo-
nenti del ramo italico degli Anicii nel corso del IV secolo3. Dunque è probabile
che questi due vescovi, presumibilmente appartenenti alla gens Anicia, fossero
imparentati con Ruricio.
Non abbiamo notizie relative al suo luogo di nascita. Verisimilmente lo si può
ritenere originario della zona a sud di Limoges, giacché le località citate nell’epi-
stolario sono tutte identificabili in quell’area: Gurdo (Gourdon), nei pressi di
Cahors, alla cui sollemnitas sanctorum invita gli amici Bassulo (epist. 1, 7, 3) e
Celso (1, 14, 2), è probabilmente un possedimento personale di Ruricio; Decania-
cum (Dégagnac), a circa 8 km da Gurdo, sembra essere un luogo di residenza di
Ruricio, dal quale invia una lettera a Vittamerus (epist. 2, 63); e ancora Gemilia-
cum (Jumilhac-le-Grand), parrocchia contesa col vescovo Cronopio di Périgueux
(epist. 2, 6); Briva (Brive-la-Gaillarde), dove dà appuntamento al figlio Costanzo
per una celebrazione religiosa (epist. 2, 24); Userca (Uzerche), parrocchia della
diocesi di Limoges nella quale trova rifugio un certo Baxo (epist. 2, 20, 3); e infi-

1 Cfr. VEN. FORT., carm. 4, 5, 7-8: Ruricii gemini flores quibus Aniciorum / iuncta parentali culmine
Roma fuit. L’epitaffio composto da Venanzio Fortunato celebra la gloria di Ruricio I e del nipote Ruricio II
(detto anche Proculus, secondo VITA Iun. 6). Sidonio, nell’epitalamio composto per le nozze con Iberia, ci
presenta Ruricio come superbus (carm. 11, 62-63), per il quale Amore prepara festa celeberrima (v. 51).
Ruricio II succede al nonno nella guida pastorale della diocesi di Limoges, rimanendovi almeno fino al
549, quando si fa rappresentare al quinto concilio di Orléans (vd. GP p. 684 Ruricius 3).
2 Sulla gens Anicia, vd. NOVAK 1979, pp. 119-161; ZECCHINI 1981, pp. 123-140; CRACCO RUGGINI
1988, pp. 69-85; MOMMAERTS-KELLEY 1992, pp. 111-121.
3 Cfr. HEINZELMANN 1976, p. 216. Quanto all’albero genealogico di Ruricio e ai legami di quest’ulti-
mo con gli Anicii, vd. SETTIPANI 1990, pp. 195-222; MATHISEN 1999, pp. 20-22.
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8 Lettere

ne le amicizie lungo il corso dei fiumi Dordogne e Vézère (epist. 2, 45,1; 54, 1)
lasciano inferire che quell’area sia particolarmente familiare a Ruricio e che di là
con ogni probabilità tragga le proprie origini.
Prima del 469 si unisce in matrimonio con Iberia, figlia del ricco senatore ar-
verno Ommazio (vd. GREG. TUR., Franc. 10, 31)4, della nobile famiglia degli Avi-
ti5. Sidonio celebra le solenni nozze con un dotto e barocco epitalamio, intriso di
motivi mitologici e reminescenze classiche6. Dall’unione dei due illustri gallo-ro-
mani nascono diversi figli: sicuramente tre maschi, Ommazio, Costanzo ed Epar-
chio. Ommazio, l’unico a ricevere una lettera da parte del padre contenuta nel pri-
mo libro, si può ritenere il più anziano dei figli. Tanto Ommazio che Eparchio di-
vengono a loro volta sacerdoti, probabilmente nella diocesi di Clermont; il primo
diventerà vescovo di Tours (522-526). Al successore di Sidonio sulla cattedra ar-
verna, Apruncolo (485-490 circa), è fatta richiesta di revocare la excommunicatio
comminata nei confronti di Eparchio (epist. 2, 57; 58), probabilmente per la sua
condotta di vita poco edificante7. Costanzo, dedito alla bella vita, ai piaceri mon-
dani e poco incline alla “spiritualità”, preoccupa non poco il padre, che gli scrive
due brevi biglietti di esortazione alla resipiscenza (epist. 2, 24; 25). A questi van-
no aggiunti anche Aureliano e Leonzio, i duo lumina nostra (epist. 2, 40, 2) che
incontriamo come ospiti presso Vittorino di Fréjus verisimilmente nei primissimi
anni del VI secolo, e dunque i più giovani della famiglia. Conosciamo anche i no-
mi di due nipoti di Ruricio, Partenio, probabilmente nato dall’unione di uno dei
figli di Ruricio con una sorella di Ennodio, e la moglie Papianilla (epist. 2, 37),
con ogni eventualità figlia del nobile Agricola, e nipote di Eparchio Avito8. La lo-
ro unione rende Agricola nonno, e Ruricio bisnonno9. Le epist. 1, 3 e 5 ci testimo-
niano che almeno uno dei figli di Ruricio è affidato alle “cure retoriche” del dotto

4 Ommazio è celebrato da Sidonio Apollinare come magnorum maior avorum e patriciae nepos gen-
tis (carm. 11, 51-52); al medesimo è indirizzato anche l’intero carme 17.
5 Antenato della famiglia degli Aviti è ritenuto Filagrio, vissuto probabilmente nel IV secolo, su cui
vd. PLRE I p. 693 Philagrius 4; GP p. 669 Philagrius 1; SETTIPANI 1990, p. 196. Il matrimonio con Iberia
pertanto lega Ruricio anche all’imperatore Eparchio Avito (455-456) e a Sidonio Apollinare, che di que-
st’ultimo aveva sposato la figlia Papianilla. Su questi aspetti, vd. MATHISEN 1981, pp. 95-109.
6 L’epitalamio per le nozze di Ruricio e Iberia costituisce il carme 11 della raccolta sidoniana, cui
funge da praefatio carm. 10. Il terminus ante quem per stabilire la data del matrimonio è ricavato dalla cro-
nologia dello stesso Sidonio. Questi, dopo l’esperienza romana come praefectus Urbis (468), al ritorno in
patria (469), è eletto vescovo di Clermont (470). A questo fatto fa riscontro anche la topica rinuncia alla
poesia “mondana”. MATHISEN 1999, p. 79 propone pertanto di datare i due carmi sponsali prima del 467,
quando Sidonio parte per Roma, e quindi il matrimonio di Ruricio attorno a questa data, non oltre comun-
que il 465 (sulla struttura letteraria del medesimo epitalamio, vd. CONDORELLI 2008, pp. 116-123). Se si
ipotizza un’età media in cui Ruricio si possa essere unito a Iberia attorno ai 20 anni, è verisimile anche da-
tare la sua nascita al 440-445 circa.
7 Maggiori precisazioni si trovano in nn. ad loc.
8 Sui legami di sangue di Partenio e Papianilla con Ruricio e Agricola, vd. infra epist. 2, 32 n. 29.
9 Cfr. RURIC., epist. 2, 30, 3 ad Agricola: [...] vos avos faciens sua fecunditate, nos proavos.
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Introduzione 9

Esperio, perché gli impartisca una solida educazione letteraria à la mode. Non co-
nosciamo nomi di eventuali figlie nate da Ruricio e Iberia.
Dopo aver condotto una vita negli otia, secondo gli usi della nobiltà del tempo,
nella seconda metà degli anni 70 si colloca la conversio ascetica di Ruricio e Ibe-
ria. È possibile pertanto ritenere che attorno al 475-477 Ruricio inizi a meditare
l’idea di vivere da penitente nel secolo, fino al momento in cui, probabilmente nel
477 circa, decide di entrare tra le file dei conversi. La data è ricavabile da una let-
tera di Fausto di Riez, patronus di Ruricio, scritta dal luogo di esilio in cui il pre-
sule si trova a essere confinato dal re dei Visigoti Eurico (466-484) attorno al 477.
Nella suddetta epistola Fausto si felicita col filius Ruricio per la scelta
compiuta10. Al patronus sono indirizzate le prime due epistole del corpus, in cui
l’inquietudine esistenziale e il desiderio di Dio emergono con particolare eviden-
za. Ruricio non ha ancora incontrato di persona Fausto, ma deve essere stato in-
dotto a rivolgersi a lui da quelli che egli chiama bonariamente proditores (epist. 1,
1, 3), probabilmente la sua cerchia di amici, in particolare Sidonio Apollinare11.
Quest’ultimo infatti ha un legame tutto speciale col vescovo di Riez, in quanto
Fausto era stato colui che gli aveva amministrato il battesimo12. La vicenda esi-
stenziale di Ruricio e di Fausto inoltre si intersecherà ulteriormente, dal momento
che quest’ultimo sarà ospitato dall’amico nel periodo dell’esilio, finché, alla mor-
te di Eurico (28 dicembre 484), non potrà tornare nella sua diocesi13.
Almeno nel 485, Ruricio viene eletto vescovo di Limoges14. La sua missione

10 Cfr. FAUST. REI., epist. 9 p. 211, 19-22: Ego autem hanc primam munificentiam, Domino largiente,

percepi, quod piissimus meus Ruricius, post vitae huius iactationes, ad portum religionis proram salutis,
Excelsi manu gubernante, convertit. Iberia, identificata coll’appellativo metaforico di Sarra, è associata al-
la scelta del marito in FAUST. REI., epist. 9 p. 215, 4-5; 10 p. 216, 15-16. Su questi loci, vd. NERI 2007b, pp.
180-183.
11 Similmente, cfr. FAUST. REI., epist. 10 p. 216, 8-11: Quos, ut puto, oculos et ipse ad tremendi iudicis

nutum semper adtollis, ut de te illud propheticum merito dici possit: Sapientis oculi in capite eius. Inde est,
habeo enim illic, filius meus, proditores tuos…
12 Fausto è l’unico ecclesiastico a essere dedicatario di un carme di ringraziamento da parte di Sidonio

(euchariston ad Faustum episcopum, su cui vd. CONDORELLI 2008, pp. 145-148). In particolare, pur non fa-
cendo esplicito riferimento al battesimo, il poeta sembra alludervi, nell’individuare il motivo principale di
riconoscenza nei confronti di Fausto: Omnibus attamen his sat praestat quod evoluisti / ut sanctae matris
sanctum quoque limen adirem (carm. 16, 83-84). A tal proposito, vd. HARRIES 1994, pp. 105-106.
13 Commosso il ricordo e il ringraziamento di Fausto per l’amicizia dimostratagli da Ruricio nel perio-

do del bisogno: Gratias ad vos, dum vobis de patria scribimus, qui nobis patriam in peregrinatione fecistis,
qui indefessa liberalitate patriae desideria temperastis vim quandam divinae iustitiae succedentibus sibi
beneficiis inferentes (epist. 12 p. 218, 16-19).
14 Prima di questa data, la presenza di Eurico impedisce la successione episcopale nelle varie diocesi

in cui i vescovi sono stati uccisi o esiliati: Burdigala, Petrogorii, Ruteni, Lemovices, Gabalitani, Helusani,
Vasates, Convenne, Auscenses, multoque iam maior numerus civitatum summis sacerdotibus ipsorum morte
truncatus nec ullis deinceps episcopis in defunctorum officia suffectis, per quos utique minorum ordinum
ministeria subrogabantur, latum spiritalis ruinae limitem traxit (SIDON., epist. 7, 6, 7). Ci testimonia della
recente ordinazione episcopale di Ruricio FAUST. REI., epist. 12 p. 219, 3-4: Ecce quali pretio Ruricius
meus summum sacerdotium conparavit. La lettera è successiva al ritorno di Fausto in patria.
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10 Lettere

pastorale si svolge in un periodo particolarmente delicato per la storia occidentale,


successivo alla caduta della pars Occidentis (476) e dominato ormai dalla presen-
za di popolazioni barbare che detengono il potere. Della molteplice attività non
solo spirituale, ma anche amministrativa, politica, assistenziale, caritativa propria
dei vescovi di IV-V secolo ci testimonia il suo epistolario, attraverso la concretez-
za dei fatti che ciascuna lettera ci ha tramandato. Tuttavia alla storia è stata conse-
gnata una sola opera, secondo quanto ci informa il già menzionato epitaffio: la co-
struzione di una chiesa dedicata a sant’Agostino15, che conferma così l’ammira-
zione per il dottore di Ippona che qua e là emerge dalle epistole ruriciane16, nono-
stante la sua figura sia piuttosto controversa nella Gallia di V secolo.
Come per la nascita, anche per la morte di Ruricio è possibile solo formulare
ipotesi. Sicuramente è ancora in vita nel 506, quando giustifica la sua assenza al
concilio di Agde, perché cronicamente malato (consuetudinaria infirmitas)17. Tut-
tavia la lettera di scuse inviata attraverso Leone, diacono del vescovo di Tours Ve-
ro (anch’egli assente ad Agde) non giunge nelle mani di Cesario di Arles, che pre-
siede il concilio, provocando un imbarazzante incidente diplomatico18. Sono que-
ste le ultime notizie che riusciamo a ricavare dall’epistolario circa la biografia
dell’autore, il cui unico dato certo relativamente alla sua scomparsa è il terminus
post quem del 506. Ruricio tuttavia deve essere ancora in vita probabilmente l’an-
no successivo, il 507, quando è rimproverato da Sedato per non essersi recato a
Tolosa, dove la necessitas costringe alcuni vescovi a lavorare con insistenza, no-
nostante la recente assise agatense19. Tentare di identificare ulteriori date per la
sua morte moltiplica le ipotesi, senza fornire tuttavia elementi cogenti20. Ruricio è
venerato come santo nella diocesi di Limoges il 24 luglio21.

15 Cfr. VEN. FORT., carm. 4, 5, 11-12: Tempore quisque suo fundans pia templa patroni / iste Augustini,

condidit ille (scil. Ruricius II) Petri.


16 Oltre alle varie reminescenze agostiniane segnalate ad loc., noto soltanto l’esplicita richiesta all’amico

Taurenzio che gli invii una copia del De civitate Dei agostiniano (epist. 2, 17, 4). Similmente, vd. l’amico di
Sidonio Tonanzio Ferreolo, il quale è solito lectitare, tra gli altri autori, anche Agostino (SIDON., epist. 2, 9, 4).
17 Vd. epist. 2, 33; 36 a Cesario di Arles. In più lettere Ruricio dichiara il sua malfermo stato di salute.
18 Cfr. CAES. AREL., epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 5-9: Dum nimium tribularetur animus meus, quare ad

synodum vestram praesentiam non meruimus obtinere, sanctus et domnus meus Verus episcopus mihi digna-
tus est dicere, quod per suum diaconum mihi Agate vestras litteras destinasset, quas ego nescio quo casu
aut qua neglegentia me non retineo suscepisse. Ruricio tuttavia fa valere le proprie ragioni in epist. 2, 33.
19 Cfr. SEDAT., epist. ad Ruric. 4 p. 400, ll. 3-4: Satis credidi et, quamlibet vobis laboriosum esset,

vehementer optavi, ut ad necessitatem istam, usque hic nos exhibuit, veniretis. Quanto all’ipotizzato sinodo
di Tolosa, che avrebbe dovuto organizzare Eudomio (vd. CAES. AREL., epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 24-28),
con la partecipazione dei vescovi di Gallia e Spagna, ritengo con Mathisen che non abbia mai avuto luogo a
motivo dell’invasione franca dell’Aquitania nella primavera del 507 e la battaglia di Vouillé. Infatti l’adu-
nanza di un concilio di tale portata avrebbe sicuramente richiesto un maggior lasso di tempo, che non pochi
mesi (da settembre 506 alla primavera 507), per di più invernali, in cui le comunicazioni e gli spostamenti
erano più difficili. A tal proposito, vd. infra 2, 35 n. 6; 39 n. 1.
20 A tal proposito, vd. MATHISEN 1999, pp. 44-49.
21 Cfr. VAN HECKE in Acta SS. Octobris VIII, pp. 59-69; VIARD s. v. Ruricio I in BS XI, coll. 508-509.
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Introduzione 11

2. L’epistolario

L’opera di Ruricio consiste di un epistolario di 82 lettere (o 83, se si tiene conto


di una doppia copia di una lettera: 2,12=2,53), diviso in due libri, di cui il primo
composto da 18 lettere, il secondo da 65. Il corpus epistolare ci è stato trasmesso
unicamente da un testimonio, il codex Sangallensis 19022, conservato nella Stift-
sbibliothek del monastero di St. Gallen in Svizzera. Il codice è composto di 178
fogli pergamenacei, numerati da 1 a 357, benché nella numerazione sia stato omes-
so distrattamente il numero 11. Scritto in minuscola carolina, esso può essere data-
to tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del IX. Non sembra essere stato scritto nel
monastero svizzero, in quanto, a un esame dei cataloghi dei manoscritti di San
Gallo del IX secolo, esso non compare23. Il copista ha comunque lavorato piuttosto
maldestramente nel confezionare il codice, banalizzando locuzioni e parole, ora
tralasciandone ora aggiungendone senza motivo. Numerose anche le correzioni, le
rasurae e gli interventi di altre mani. Il codice contiene opere di autori provenienti
per lo più dalla Spagna e dal sud della Gallia: escerti dell’agostiniano De nuptiis et
concupiscentia; una Benedictio apium; una Assumptio sancti Iohannis evangeli-
stae; escerti del De ortu et obitu patrum di Isidoro di Siviglia; tre lettere di Fausto
di Riez (a Felice, a Greco, a Lucido); escerti della Vita sanctae Radegundae di
Baudonivia; escerti della praefatio del commentario alla lettera agli Efesini di Ge-
rolamo; due lettere di Gerolamo; le lettere dei corrispondenti di Ruricio, un florile-
gio di epistole sidoniane; le epistole di Ruricio; le epistole di Desiderio di Cahors;
lettere di corrispondenti di Desiderio; il De confessione verae fidei et ostentatione
sacrae communionis et persecutione adversantium veritati dei presbiteri luciferia-
ni Faustino e Marcellino (il cosiddetto Libellus precum); due lettere di Agostino24.
Poche sono le edizioni a stampa di Ruricio. L’editio princeps è quella appron-
tata dal Canisius (1604)25, il cui testo viene ristampato meno di tre secoli dopo
dal Migne (PL 58, coll. 67-124). Due edizioni critiche compaiono a breve distan-
za alla fine del XIX secolo: quella di Krusch (1887)26 e quella di Engelbrecht
(1891)27. L’edizione più recente è dovuta alla cura di Demeulenaere (1985)28.
L’epistolario di Ruricio copre la seconda metà del V secolo e i primi anni del

22 Ottima la descrizione e la ricostruzione fatta da MATHISEN 1998-1999, pp. 163-194. Più recentemen-

te, vd. ALCIATI 2008, pp. 65-84.


23 Attingo la notizia da MATHISEN 1999, p. 63.
24 Cfr. KRUSCH 1887, pp. lxix-lxx; MATHISEN 1999, pp. 65-69.
25 H. CANISIUS, Antiquae lectiones, vol. 5, Ingolstadt, 1604.
26 B. KRUSCH, Fausti aliorumque epistulae ad Ruricium aliosque Ruricii epistulae, MGH AA 8, Berlin,

1887.
27 A. ENGELBRECHT, Fausti Reiensis praeter sermones pseudo-eusebianos opera. Accedunt Ruricii epi-

stulae, CSEL 21, Wien, 1891.


28 R. DEMEULENAERE, Foebadius, Victricius, Leporius, Vincentius Lerinensis, Evagrius, Ruricius, CCL

64, Turnholt, 1985.


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12 Lettere

VI: esso è incastonato tra la caduta dell’impero romano d’Occidente, il definitivo


insediarsi da signori dei Visigoti nella Gallia romana e il successivo arrivo dei
Franchi (507) di Clodoveo e gli inizi del regno merovingio. A questo periodo par-
ticolarmente ricco di eventi le lettere non fanno mai esplicito riferimento, se non
tangenzialmente attraverso generiche e cursorie espressioni29. Se, come si dirà ol-
tre, questo è uno degli aspetti che ha pesato sugli studi ruriciani, indubbiamente
vale la pena domandarsi il perché di questi silenzi. E proprio dai silenzi è forse
possibile evincere qualcosa del “non detto”. Come già intravisto da Hagendahl a
suo tempo, «il faut envisager d’un point de vue psychologique»30. Il fatto di trala-
sciare espliciti riferimenti ai “barbari” sembra essere una sorta si stratagemma
psicologico-culturale che permette all’autore di difendere a oltranza – nel proprio
animo e nei rapporti con gli amici – valori e ideali “romani” (Romgedanke)31, al-
l’interno di un mondo che va ormai drasticamente mutando32. Ai silenzi si ag-
giungono inoltre, secondo un costume della nobiltà gallo-romana, la cerchia ri-
stretta di amicizie, la coltivazione di una letteratura erudita e stilisticamente torni-
ta, lo scambio epistolare all’insegna della caritas che contribuiscono a loro volta
a innalzare un baluardo di natura ideologica di fronte allo sgretolarsi (così è visto)
della “civiltà romana”. E questo fatto assume, più o meno esplicitamente, attra-
verso i mezzi che la cultura coeva fornisce, un ruolo fondamentale nella Weltan-
schauung degli auctores della Gallia di V secolo. Essi sembrano avere coscienza
che a loro, e in modo particolare alla loro penna, è affidata la preservazione della
civiltà33. Un aspetto quest’ultimo che, senza sottovalutare l’omaggio al gusto
estetico del tempo nel quale si inserisce, non può essere trascurato nella valuta-
zione dell’epistolario ruriciano.
Le lettere non seguono un ordine cronologico34. Se la maggior parte del primo
libro è dedicata a lettere di carattere mondano (eccezion fatta per le prime due a
Fausto), precedenti l’ordinazione episcopale (tranne le ultime due), in cui emer-
gono la preoccupazione educativa per i figli (epist. 1, 3; 5 a Esperio), lo scambio

29 Vd. epist. 1, 3, 2 (in tanta rerum confusione); 6, 2 (propter sollicitudines saeculi); 12, 1 (deputan-

dum tempori); 2, 8, 2 (ut fratrem ab hostibus redderet liberum); 38, 1 (diversi commodis laborare signifi-
co); 41, 2 (tumultibus temporis huius vel necessitatibus); 52, 3 (propter vitae istius turbedines ac procel-
las); 65, 1 (necessitate temporis). 2 (te metu hostium hebetem factum).
30 Vd. HAGENDAHL 1952, p. 8. Anche se possibile, non credo tuttavia necessaria, per quanto si dirà an-

che nelle righe successive, l’ipotesi hagendahliana dell’eliminazione di alcune lettere dall’epistolario a mo-
tivo del loro contenuto compromettente.
31 A tal proposito, fondamentale la monografia di PASCHOUD 1967; altra bibliografia si può riscontrare

nel commento alle singole epistole.


32 Più recentemente, vd. SIMONETTI 1980, pp. 93-117, in partic. pp. 105-106; CALLU 2001, pp. 283-

297; GIOANNI 2004, pp. 521-524.


33 Vd. HAGENDAHL 1952, p. 4; LOYEN 1964, p. 437; GUALANDRI 1979, p. 2.
34 Per la datazione delle lettere – ove possibile –, mi sono avvalso fondamentalmente della cronologia

stabilita da MATHISEN 1999.


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Introduzione 13

e la riproduzione di codici (epist. 1, 7; 8, rispettivamente a Bassulo e a Sidonio),


la mutua caritas, concretizzata nel dialogo epistolare (conloquia absentium) attra-
verso un fitto reticolo di allusioni e reminescenze letterarie, in leziosi elogi stem-
perati dei destinatari e in conseguente deminutio del mittente, il secondo libro co-
pre tutto l’arco dell’episcopato di Ruricio35. In esso gli argomenti trattati sono va-
ri. Destinatari prediletti della corrispondenza sono i coniugi Namazio e Ceraunia,
di cui una figlia sposa un figlio di Ruricio. Ma le lettere ci testimoniano icastica-
mente la vita del vescovo in età tardoantica, fatta di problemi legati all’esercizio
del ministero, di raccomandazioni di clientes, di direzione spirituale ed esortazio-
ni alla virtù, di preoccupazione per la prole, nonché di lettere il cui fine sembra
essere la sola amicitia.
Tra le lettere del secondo libro si segnalano almeno la lunga consolatio a Na-
mazio e Ceraunia (epist. 2, 4) scritta dopo la morte della figlia, nuora di Ruricio,
in cui il cuore ferito tracima con una certa abbondanza di lacrime36; l’ampia lette-
ra di esortazioni spirituali alla vedova Ceraunia (epist. 2, 15); un’epistola a Eonio
di Arles, in cui Ruricio si diffonde nella sbrigativa esegesi di 1Cor 13, 4-8 (epist.
2, 16); l’unica epistola metrica del corpus, indirizzata a Sedato di Nîmes (epist. 2,
19); la scarsa attitudine teologico-speculativa dell’autore emerge con particolare
evidenza nelle disorganiche note di cristologia di epist. 2, 34 a Sedato. I destina-
tari sono vari: ecclesiastici (la maggior parte), laici, familiari, uomini di rango e
di cultura, talora alcuni personaggi pressoché ignoti.
Quali rapporti ebbe Ruricio con i Visigoti? Vale la pena notare che Ruricio
sembra intrattenere rapporti quanto meno distesi con i nuovi signori, come emer-
ge da almeno tre lettere, inviate una a un certo Freda (epist. 1, 11), identificato
come dominus sublimis e semper magnificus frater, e due a Vittamerus (epist. 2,
61; 63), appellato filius, dignatio, nobilitas37. In particolare si può rilevare il gra-
do di raffinatezza culturale cui alcuni Goti sono giunti assimilando la Romanitas,
se Freda è in grado di apprezzare appieno il raffinato dettato dell’epistola ruricia-
na. Se le categorie di “Romani” e “barbari” rimangono presenti nell’ideologia
gallo-romana, muta tuttavia il rapporto tra di esse. La progressiva integrazione da
entrambe le parti favorisce un nuovo assetto socio-politico38. Inoltre Ruricio è in

35 Ruricio tuttavia si identifica per la prima volta come episcopus in epist. 1, 17 tit. a Pomerio.
36 Altre tre lettere consolatorie sono state scritte da Ruricio: una sempre a Namazio e Ceraunia, a moti-
vo della morte di un figlio (epist. 2, 3); l’altra, che riprende in parte quest’ultima, ai coniugi Eudomio e
Melantia per la perdita del figlio (epist. 2, 39); infine al presbitero Albino (epist. 2, 46).
37 Va altresì rilevato che un personaggio di nome Ulfila, di chiara origine gotica, viene raccomandato

da Ruricio all’amico Elafio. (epist. 2, 7).


38 Valga sinteticamente quanto affermato da HEATHER 1999, pp. 254-255: «Outside a limited number

of Christian writers, the intrusion of outsiders and destruction of the western Roman empire did not see the
collapse of traditional notions of “Roman” and “barbarian”. Individuals and groups were recategorised, or
recategorised themselves, for a variety of purposes. Many former barbarians became Roman to justify poli-
tical accomodation on the part of Romans, to attract the support of locally dominant Roman landowners, or
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14 Lettere

buoni rapporti anche con uomini al servizio del regno visigoto quali Elaphius
(epist. 2, 7), Praesidius (epist. 2, 12 = 53; 13) e Eudomius (epist. 2, 39). Dunque
l’epistolario di Ruricio lascia trasparire con immediatezza una duplice tensione
presente nella Gallia di V-VI secolo: strenua difesa della cultura e degli ideali
“romani” attraverso “epistolography, literary circles anf family ties”39, nonché in-
tegrazione e dialogo col governo visigoto grazie a legami di amicizia personali,
senza escludere talora collaborazione40.
Quale immagine di Ruricio, infine, ci consegna l’epistolario? Se le lettere co-
prono per lo più l’arco cronologico dell’episcopato limosino, ne emerge – credo
senza ruga – la figura di un pastore zelante e preoccupato delle sorti terrene ed
eterne del gregge affidatogli. Se le considerazioni da lui svolte non brillano per
particolare originalità o non hanno lo smalto dell’intuizione profetica e lungimi-
rante, esse tuttavia si collocano nell’ambito della “buona amministrazione” che,
se mai dispiace, ancor di più essa risulta gradita in congiunture storiche partico-
larmente complesse, come quelle della Gallia di V-VI secolo. Le lettere ci metto-
no a contatto con situazioni quanto mai immediate, quali la querelle per la giuri-
sdizione di una parrocchia col vescovo di Périgueux (epist. 2, 6), la raccomanda-
zione o la difesa di clientes o amici (epist. 2, 7; 12; 48; 51; ecc.), l’interesse per la
liberazione di prigionieri (epist. 2, 8), il coinvolgimento nelle vicende ecclesiali
contemporanee (epist. 2, 29; 31, 33; 36), la direzione spirituale. E benché Ruricio,
come molti hanno affermato41, non possegga alte doti speculative, sembra tuttavia
vivere con dedizione il proprio ministero pastorale, non trascurando alcuno dei
doveri cui il vescovo è chiamato nella società del V secolo42. Da quanto sopra af-
fermato, si intuisce come i generi delle lettere siano i più diversi: private (infor-
mative, gratulatorie, letterarie, di amicizia…), commendatizie, consolatorie, me-
triche (epist. 2, 19), biglietti di accompagnamento… Come già sottolineato, non
abbiamo epistole di carattere propriamente teologico o dogmatico.

to justify grabbing the reins of imperial power. The actual categories, however, remained the same». Quan-
to all’inquadramento di Ruricio e del suo epistolario nel contesto visigotico, vd. MATHISEN 1999, pp. 39-40;
ID. 2001, pp. 101-115.
39 Evidente il rimando allusivo a MATHISEN 1981, pp. 95-109.
40 Per quanto differenti i punti di partenza, utile la lettura di synkrisis di N IXON 1992, pp. 64-74;

WARD-PERKINS 2008, pp. 80-104; sul probabile intervento di Ruricio presso il governo visigoto per caldeg-
giare il ritorno ad Arles di Cesario, vd. MATHISEN 1999, p. 41. Similmente, già Fausto aveva chiesto a Ruri-
cio di caldeggiare apud antepositos (i Goti al potere) il rilascio di un ignoto personaggio caduto in cattività
in Lugdunensi (epist. 11 p. 217, 25 ss.).
41 Vd. paragrafo succ.
42 «L’unica cosa che si delinea in esse (scil. lettere) è la figura umile e dolce del buon vescovo, per cui

la fede è vita, la cultura una delle più imperiose necessità dello spirito, l’amicizia una delle più pure gioie
dell’esistenza» (MORICCA 1932, p. 961). Una sorta di “scatto d’orgoglio” personale sembra ravvisabile in
epist. 2, 33, 2 a Cesario di Arles: a fronte di vescovi che acquisiscono fama solo per il fatto di essere in sedi
prestigiose, Ruricio pare affermare indirettamente la coscienza di compiere il proprio dovere, in quanto
multo melius multoque eminentius est civitatem de sacerdote, quam sacerdotem de civitate notescere.
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Introduzione 15

Più in generale, considerando l’intero epistolario e dunque tutta l’esperienza


umana di Ruricio, non si può non notare, pur nella varietà, una certa pedanteria
contenutistica, per cui tutto diventa lusus, topos, iperbole. E talvolta alcune episto-
le sembrano non andare al di là di questo limite (anche se la préciosité è per lo più
funzionale all’enfatizzazione di un’idea), e come tali vanno recepite: come ottem-
peranza a quegli svaghi letterari della nobiltà gallo-romana che proprio nello
scambio epistolare, nella scrittura dotta e nel “circolo letterario” vede il modo per
mantenere viva la “tradizione romana”43. Del resto a questo erano abituati dalla
formazione scolastica: alla cultura del particolare, dell’analitico, attorno al quale
sviluppare ingegnose e virtuosistiche argomentazioni, secondo le modalità stilisti-
co-retoriche proprie di ciascun genere44. «Les raffinés du Bas-Empire ne peuvent
plus se distinguer que par la recherche du rare et de l’imprévu, des inopinata, mais
leur domaine, sur ce point, est illimité [...] dans les derniers siècles, la préciosité
s’étale et constitue souvent le caractère essentiel de l’inspiration et du style»45.
L’amicitia, intesa come comunanza di sentimenti e di volontà46, secondo quan-
to già detto e quello che emergerà dalla lettura di ogni singola lettera, risulta esse-
re il fulcro di tutto quanto l’epistolario. Sulla coltivazione di essa (oppure al con-
trario sul suo venire meno) si articola tutta quanta la raccolta ruriciana. La lettera,
intesa come munus amicitiae, diventa il veicolo privilegiato per intrattenere rap-
porti e per rinsaldarli – secondo un costume ben affermato non solo in Gallia –,
attraverso una letterarietà spesso intricata, non scevra tuttavia di sincerità di affet-
ti. Se è vero che i sentimenti sono generalmente imbrigliati dal fitto reticolo reto-
rico, una lettura attenta può cogliere proprio nel prezioso barocchismo stilistico il
canale attraverso cui si esprime l’io dell’autore. Un’autenticità che credo vada
cercata non nonostante stile e contenuti, ma proprio in essi; una veracità di senti-
menti che non è immediatezza di scrittura (ma quando mai lo è stato?), bensì rie-
laborazione personale tenacemente ancorata ai modelli letterari47. L’epistolario
ruriciano pertanto, accanto a quelli più o meno contemporanei di Sidonio Apolli-

43 A tal proposito, vd. LOYEN 1943, p. 55; MATHISEN 1981, pp. 95-109; LA PENNA 1995, pp. 3-34.
44 Vd. p. es. epist. 1, 11 a Freda a cui Ruricio invia piante di abete; epist. 1, 14 a Celso, a cui manda un
cavallo; il medesimo dono viene inviato anche a Sedato di Nîmes (epist. 2, 35), il quale risponde a tono al
donatore (epist. ad Ruric. 8, pp. 403-404); epist. 2, 43 a Costanzo, in cui l’invio di un cinghiale macellato
diventa spunto per considerazioni spirituali; similmente epist. 2, 44 ad Ambrogio circa il dono di legumina
marina. Su questi aspetti, vd. GIOANNI 2004, pp. 538-541.
45 LOYEN 1943, p. 10.
46 Vd. p. es. CIC., Lael. 81; RURIC., epist. 1, 1, 1; 10, 1.
47 Mi sembra riduttiva la considerazione fatta a suo tempo da LOYEN 1943, p. 169 secondo il quale,

delle 82 lettere ruriciane, solo una (epist. 2, 4 a Namazio e Ceraunia) «traduit avec simplicité et naturel une
émotion vraie et profonde». Tanto più che la lettera consolatoria ai due coniugi per la perdita della figlia
non è meno imbevuta di retorica e di topoi, secondo il genere della consolatio. È assolutamente condivisi-
bile il rilievo fatto da MOUSSY 2002, p. 99, secondo cui «le raffinement de l’expression n’exclut nullement
la sincerité de ses sentiments chrétiens».
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16 Lettere

nare, Avito di Vienne, Ennodio, rappresenta una preziosa tessera di quel “mosaico
composito” (Gasti) che è la Gallia tra V e VI secolo.

3. Ruricio nei giudizi della critica

La critica letteraria del secolo scorso non ha dedicato molta attenzione all’ana-
lisi dell’epistolario ruriciano. Quando se ne è occupata, lo ha fatto in maniera cur-
soria, frequentemente liquidandolo come scarsamente interessante sia per i conte-
nuti che per lo stile. Sembra utile fornire una breve rassegna di tali giudizi, da cui
è necessario prendere avvio, per una valutazione complessiva dell’opera.
Appare dunque evidente come anche le Epistole di Ruricio riproducano il carattere generale
della lettera del V secolo, quello cioè di una formula convenuta di saluto, senza sincerità, senza
soggetto, fatta unicamente di parole (RIMINI 1912, p. 575);
Queste lettere non offrono alcun interesse dal punto di vista del dogma e della teologia: in
nessuna di esse, come invece avviene per talune lettere di Fausto, sono trattati argomenti teolo-
gici, e neppure le caratteristiche della vita dell’epoca e la conoscenza dei personaggi allora vi-
venti balzano fuori dall’epistolario ruriciano, come da quello di Sidonio, il quale offre ai lettori
una messe inesauribile di notizie storiche (MORICCA 1932, p. 961)48;
Les Epistulae de Ruricius, seigneur de Gourdon, puis évêque de Limoges, n’ont pour l’his-
toire du temps comme pour l’histoire de l’Eglise qu’un intérêt très médiocre, mais elles sont
une illustration remarquable de l’influence néfaste exercée par l’ésprit mondain sur l’oeuvre lit-
téraire (LOYEN 1943, p. 169);
Sidoine reste le modèle des précieux. [...] Parmi ses correspondants, il faut au moins signa-
ler l’évêque de Limoges, Ruricius, dont nous possédons 82 lettres. Ces lettres, écrites avec
soin, sont l’oeuvre d’un brave homme un peu pédant et ne possédent pas la légèreté et la grâce
de celles de Sidoine (DE LABRIOLLE 1947, p. 742 n. 5);
Ce manque d’intérêt est pourtant facile à expliquer. Jugée sur la richesse, la variété, la per-
fection dont le genre épistolaire s’est illustré chez les latins, la correspondance de Ruricius res-
te nécessairement obscure. Elle ne sit ni fasciner par lésprit, la culture, la personnalité de l’au-
teur ni captiver par l’intérêt historique ou humain du contenu. Au contraire, on ne saurait nier
que la lecture ne soit un peu désolant, laissant une morne impression du contraste entre la pom-
pe fastueuse du style et la banalité fastidieuse des conceptions (HAGENDAHL 1952, p. 4);
L’interesse di queste lettere non è grande; Ruricio non aveva doti di speculazione sul piano
teologico (MORESCHINI-NORELLI 1996, p. 623).

48 Va notato come la trattazione del Moricca, per quanto datata, costituisca sempre un valido riferi-

mento per delineare la figura storica e morale di Ruricio, di cui traccia un ritratto profondamente ancorato
alla testimonianza resaci dall’epistolario e alle fonti letterarie coeve. È inoltre lo storico della letteratura a
dedicare più spazio alla vita e all’opera del vescovo di Limoges, prima dello studio di HAGENDAHL 1952:
vd. MORICCA 1932, pp. 957-966.
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Introduzione 17

Tutto ciò premesso, emergono alcune considerazioni. Indubbiamente non si dà il


caso di ribaltare giudizi in maniera eclatante: Ruricio rimane nella mediocritas.
Tuttavia di essa, il cui colore scabro e piuttosto arrugginito del quale si era amman-
tata nel corso dei secoli sembrava costituirne la natura più intima, è possibile risco-
prire una patina aurea che maggiormente la nobilita e le conferisce lustro. Se certa-
mente il paragone con l’ampio e variegato epistolario sidoniano annichilisce (o al-
meno svilisce) la corrispondenza di Ruricio, essa tuttavia – come già detto sopra –,
se considerata in rapporto alle circostanze, alla storia, alla cultura della Gallia di V-
VI secolo, acquisisce la dignità di testimonianza di un’esperienza di vita intrisa di
letteratura classica e cristiana, animata dalla fede, informata dall’amicizia, votata al
ministero, proiettata verso l’eternità. E attraverso il detto e il non detto ci viene
consegnato un façons de vivre durante il periodo di passaggio dalla Gallia visigoti-
ca al regno dei Franchi. Leggendo le lettere di Ruricio abbiamo l’opportunità di es-
sere calati in una realtà provinciale, quale è Limoges49, nell’ambito di un non tra-
scurabile scenario di vita locale che abbraccia fondamentalmente l’Aquitania visi-
gotica50. E tuttavia questo “very local flavor” (Mathisen) non pare risultare fasti-
dioso, stucchevole o semplicemente di maniera. Dietro alla forma espressiva, che è
e rimane al limite del barocco, si legge una realtà fatta di quotidianità che si cimen-
ta con gioie, svaghi, difficoltà secondo le modalità proprie di ogni epoca storica. E
se tra i corrispondenti non ci sono re, imperatori o papi, tuttavia abbiamo personag-
gi tra i più importanti della vita ecclesiastica e culturale gallica, quali Fausto di
Riez, Sidonio Apollinare, Giuliano Pomerio, Esperio, Eonio di Arles, Sedato di Nî-
mes, Cesario di Arles, oltre a una messe di altri destinatari minori.
In questo pertanto sta l’interesse per Ruricio: nell’offrirci una dettagliata
tranche de vie. Certamente un giudizio sull’opera di Ruricio non credo debba
essere formulato semplicemente sulla base di quanto Ruricio non può averci da-
to: non è teologo acuto come Fausto, non è retore raffinato come Sidonio Apol-
linare, non è asceta rigoroso come Cesario, non ha la vita sociale di Ennodio o
di Avito. E nonostante questo, scorrendo l’epistolario, la storia locale, i Realien,
e perfino i sentimenti non emergono meno veritieri o più asfittici. In fondo an-
che Rodolfo il Glabro non brilla agli occhi dei posteri per acribia storica o per
uno stile particolarmente avvincente, eppure, per dirla con G. Duby, rimane «il
49 Al di là della topica professione di modestia, non sembra irrealistico quanto lo stesso Ruricio asseri-

sce a Cesario di Arles: [...] si aliis nomen urbium praestat auctoritas, nobis auctoritatem demere non debet
urbis humilitas (epist. 2, 33, 2).
50 Mi sento di accogliere pienamente il giudizio di MATHISEN 2001, p. 105: «The neglect of Ruricius is

unfortunate, for he presents a picture of life in late Roman Gaul that significantly complements the one pro-
vided by his better-known confrères, all of whom were related to him to a greater or lesser degree. [...] Only
the letters of Ruricius, which cover the period from ca. 470 until ca. 507, span the crucial transitional phase
between imperial and barbarian Gaul. Ruricius experienced the very last days of imperial Gaul, and both the
apogee and the precipitious decline of the kingdom of Toulose. By theend of his life, it was clear that the
subsequent history of sub-Roman Gaul would be detrmined not by Romans or Visigoths, but by Franks».
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18 Lettere

miglior testimone del suo tempo, e di gran lunga»51.


L’“esprit précieux” (Loyen) di Ruricio trova concretizzazione piena nello stile.
Un primo eloquente giudizio sullo stile di Ruricio ci viene fornito dall’amico Si-
donio Apollinare. Questi, nel rispondere a RURIC., epist. 1, 8, così esordisce: Ac-
cepi per Paterninum paginam vestram, quae plus mellis an salis habeat incertum
est. Ceterum eloquii copiam hanc praefert, hos olet flores, ut bene appareat non
vos manifesta modo verum furtiva quoque lectione proficere52. L’abbondanza del-
l’eloquio (eloquii copia) che fluisce ricco e infiorettato retoricamente (flores) ri-
sulta pertanto apprezzato, secondo i canoni stilistici di Sidonio53. E questi sono
evidentemente i medesimi applicati nella personale corrispondenza dell’arverno.
Pertanto nello stile ruriciano si riconosce la tipica tendenza retorizzante delle
scuole galliche di IV-V secolo. In modo particolare, il nostro autore spesso abusa
degli orpelli retorici, giungendo talvolta a una sorta di “contorsionismo” (Gualan-
dri), che rende la frase oscura e di difficile lettura.
Ruricio ricorre alle figure di stile con abbondanza. Prediletti risultano essere il
parallelismo, l’isocolia e l’homoeoteleuton, talvolta al limite della rima. Tuttavia
non va dimenticato come Ruricio ami le costruzioni chiastiche, spesso macrosco-
piche e concatenate, con variatio, nonché la figura della commutatio54. Inoltre
spesso la frase è strutturata sulla contrapposizione di idee, cosicché l’antitesi e
l’antifrasi ricorrono con frequenza nel fluire del discorso55. Non meno presente
appare il gusto per il discorso iperbolico e per il descrittivismo minuzioso caratte-
ristici già della letteratura di età imperiale. Ruricio ama i calembours lessicali e le
parafonie, per lo più accompagnati dal ricorso alla prefissazione preposizionale:
«il s’en sert avant tout, à côté du parallélisme des membres, pour mettre en relief
une pensée antithétique et en renforcer l’effet»56. Non sono assenti coni lessicali
quali p. es. repensator (vd. infra 1, 6 n. 14); sospitatio (vd. infra 1, 15 n. 24); in-
desperatus (vd. infra 2, 58 n. 12). Frequente è anche il ricorso a clausole metri-
che, specie del tipo cretico + trocheo (cursus planus), dicretico (cursus tardus) e
ditrocheo (cursus velox)57.

51 G EORGES D UBY , L’anno Mille: storia religiosa e psicologia collettiva, trad. it. Torino, Einaudi,

1976, p. 13 (ed. orig. L’an Mil, Paris, Julliard, 1967).


52 SIDON., epist. 4, 16, 1. La furtiva lectio dichiarata dall’epistola sidoniana allude alla confessione di

Ruricio in epist. 1, 8, 2. 5 che rivela una sua “malefatta”: l’aver copiato un codice di Sidonio, senza il con-
senso del proprietario.
53 A fronte delle topiche professioni di rusticitas da parte di Ruricio, Sidonio celebra lo stile dell’ami-

co (tra il topos e la sincerità) anche in epist. 8, 10, per il cui testo vd. infra.
54 Cfr. p. es. epist. 1, 2, 1 (impia neglegentia et neglegens impietas); 7, 1 (sancta pietas et pia

sanctitas); 2, 26, 1 (sollicitae pietati et piae sollicitudini). Un buon specimen relativamente alla struttura
della frase dell’epistolario ruriciano in HAGENDAHL 1952, pp. 51-66.
55 Vd. RIMINI 1912, pp. 579-586; HAGENDAHL 1952, pp. 67-71.
56 HAGENDAHL 1952, p. 71 (vd. anche pp. 71-80).
57 Sull’uso delle clausole si è soffermato dettagliatamente HAGENDAHL 1952, pp. 32-50. Nel commen-
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Introduzione 19

Come la maggior parte degli autori cristiani, il lessico di Ruricio dipende in


primo luogo dalla Sacra Scrittura. Essa è la vera ispiratrice di pensieri e locuzioni,
come emerge dalle numerose citazioni, allusioni o reminescenze (soprattutto del
Salterio, dei Vangeli, delle lettere paoline). Tuttavia Ruricio “saccheggia” propria-
mente anche gli auctores ecclesiastici: ne cita ampi stralci, senza dichiararlo aper-
tamente, o ne rielabora pensieri e contenuti58, appoggiandosi così all’altra auctori-
tas, dopo i testi scritturistici, della paideia cristiana, cioè le opere dei patres. L’en-
tità di questi “furti” riguarda soprattutto (ma non solo) alcuni autori, in particolare
Cipriano, Ambrogio, Cassiano, Sulpicio Severo, Fausto; meno presenti riferimenti
all’opera agostiniana, nonostante l’ammirazione per il dottore di Ippona traspaia
da reminescenze lessicali o contenutistiche. Ma non si limita a questo: egli riporta
a piene mani stralci di lettere dei suoi destinatari in contesti di altro genere, oppu-
re riutilizza locuzioni, frasi o intere epistole di sua mano in ambiti simili o com-
pletamente differenti rispetto agli originali59. Due sole sono le citazioni dirette di
autori pagani60, benché non manchino reminescenze o allusioni classiche, soprat-
tutto di Virgilio e di Cicerone. Gli influssi della lingua d’uso o deroghe alle regole
grammaticali e sintattiche sono puntualmente segnalati ad loc.
Insomma: Ruricio si conferma essere un letterato cristiano, dotto e attento so-
prattutto all’ars, secondo la tradizionale formazione scolastica di età tardoantica.
Dal punto di vista dello stile e del preziosismo formale un riferimento sicuro rima-
ne l’opera di Sidonio, di cui Ruricio è ammiratore sincero, nonostante gli esiti non
siano quelli del raffinato amico. Il dettato ruriciano appare spesso pesante e invo-
luto, non meno fiaccato dal topico cerimoniale epistolare che talvolta rischia di
paralizzare o di pregiudicare la dimensione contenutistica di talune lettere. Non da
ultimo va notata l’ottemperanza di Ruricio alla teoria epistolare classica, per cui il
tono della lettera deve corrispondere al destinatario61. L’erudizione dell’autore e la
sua perizia stilistica emergono eloquentemente anche nella varietà di toni e sugge-
stioni, secondo che egli debba inoltrare una missiva a un retore, a un amico, a un
vescovo, a un laico. Un aspetto che contribuisce ulteriormente a inquadrare la pro-
sa d’arte di Ruricio come una testimonianza viva di quella cultura gallo-romana,
profondamente cristiana e al tempo stesso innervata di tradizione classica.

to, in ogni lettera sono rilevate solo le clausole poste in posizioni particolari, ora a enfatizzare il contenuto,
ora una locuzione, ora a esornare un costrutto.
58 Vd. HAGENDAHL 1947, pp. 114-128.
59 Questo atteggiamento, proprio non solo di Ruricio, ma comune agli autori tardoantichi, è particolar-

mente abusato dal nostro autore, tanto da essere definito da Hagendahl “plagiaire”. A tal fine, vd. HAGEN-
DAHL 1952, pp. 12-31.
60 In epist. 2, 4, 1 cita VERG., Aen. 6, 32-33, mentre in epist. 6, 688.
61 Vd. CUGUSI 1983, pp. 38-39. 45-47. A titolo esemplificativo, cfr. IUL. VICT., rhet. p. 105, 35 ss.: Epi-

stola, si superiori scribas, ne iocularis sit; si pari, ne inhumana; si inferiori, ne superba; neque docto incu-
riose, neque indocto diligenter, nec coniunctissimo translatitie, nec minus familiari non amice.
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20 Lettere

In sintesi, i tratti salienti dell’epistolario ruriciano, ma in fondo caratteristici


dell’epoca, ci vengono evidenziati ancora una volta dalla mano di Sidonio. In una
lettera, scritta a Ruricio probabilmente verso il 471, afferma: Esse tibi usui pari-
ter et cordi litteras granditer gaudeo. Nam stilum vestrum quanta comitetur vel
flamma sensuum vel unda sermonum, liberius assererem, nisi, dum me laudari
non parum studes, laudari plurimum te vetares. Et quamquam in epistola tua ser-
vet caritas dulcedinem, natura facundiam, peritia disciplinam,…62 Flamma sen-
suum, unda sermonum, caritas, dulcedo, facundia, peritia, disciplina esprimono
efficacemente quel sinolo di valori morali e perizia letteraria che il cristianesimo
ha operato. E stando così le cose – conclude icasticamente Sidonio –, se il sermo
di Ruricio è pulcher, la sua vita non può che essere pulchrior63.

Devo il presente volume fondamentalmente al prof. Fabio Gasti, al quale vanno i più
sinceri ringraziamenti per la disponibilità, l’interesse e la competenza con cui ha seguito
pedetemptim il lavoro di traduzione e di commento. Ringrazio quindi il prof. Giancarlo
Mazzoli e il prof. Annibale Zambarbieri che hanno gentilmente letto una prima stesura del-
l’opera e hanno ritenuto di proporne la pubblicazione nella storica collana della Facoltà.

62 SIDON., epist. 8, 10, 1.


63 SIDON., epist. 8, 10, 4.
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Nota critica

Nella presente traduzione dell’epistolario ruriciano si sono tenuti presenti alcu-


ni criteri di riferimento. Dove è risultato possibile, si è tentato di mantenere o di
riprodurre in lingua italiana l’intricato eloquio dell’autore, cercando sempre tutta-
via di preservare la chiarezza. Per quanto attiene alla traduzione italiana di sostan-
tivi praticamente sinonimici (p. es. amor, caritas, dilectio, pietas; delictum, cri-
men, facinus, peccatum; indulgentia, venia; ecc.) oppure di verbi o locuzioni piut-
tosto ricorrenti (indico, significo, mitto, Deo propitio, ecc.), si è curata particolar-
mente la scelta lessicale, al fine di sfaccettare i significati e rendere così maggior-
mente evidente ora la varietas ora la regolarità lessicali ruriciane. Si è mantenuta
sempre, dove possibile, la corrispondenza voce latina – traduzione italiana, salvo
casi in cui l’accumulo di sinonimi o altri motivi interni lo sconsigliassero. Nelle
poche situazioni di questo genere, si è scelto di mantenere una corrispondenza les-
sicale in rapporto al contesto, esulando dal criterio generale adottato.
I nomi dei destinatari, dei personaggi citati nelle epistole, i toponimi, gl’idroni-
mi sono stati sempre tradotti, salvo casi di oggettiva incertezza. I brani della Sa-
cra Scrittura o degli auctores hanno avuto una traduzione di prima mano e vengo-
no sempre identificati dai caratteri in corsivo. Il testo latino e italiano è stato sud-
diviso in paragrafi, per rendere più agevole la lettura; i riferimenti ai vari loci del-
l’epistolario vengono effettuati in base a detta numerazione.
Il testo critico riprodotto è quello edito da R. Demeulenaere, da cui mi sono ta-
lora allontanato. Fornisco di seguito i loci in questione:

1, 1, 3 filio Lütjohann : herede S edd.


1, 2, 1 locum suppl. Krusch
1, 3, 2 gaudium suppl. Engelbrecht
1, 12, 1 fraudastis cett. edd. : fraudatis Demeulenaere (err., ut vid.)
1, 12, 2 seu Krusch : esse S (del. Engelbrecht)
2, 1, 3 vestris S Krusch : vobis cett. edd.
2, 4, 2 solatia sublata cett. edd. : -io sublata Demeulenaere (err., ut vid.)
2, 9, 6 individuum S Hagendahl : -uam edd.
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22 Lettere

2, 22, 2 in mensura Krusch : inminente mensura S cett. edd.


2, 30, 2 petiit suppl. Mommsen
2, 31, 1 consulere Canisius : consolare S edd.
ibid. de civis talis ordinatione Mommsen : de civitatis ordinatione S edd.
2, 37, 1 meam Hagendahl : mei S edd.
2, 43, 1 erectus Krusch : effectus S edd.
2, 46, 1 meam S Krusch Engelbrecht : mea Demeulenaere
2, 47, 1 dat quod a Krusch Mommsen : id quod S; id quod a cett. edd.
2, 51, 1 prodente S : prudente edd.
2, 56, 2 non S Krusch Engelbrecht : nos Demeulenaere (err., ut vid.)
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Lettere
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Liber Primus

1.
DOMINO SUO PECULIARI IN CHRISTO DOMINO
PATRONO FAUSTO EPISCOPO
RURICIUS

[1] Olim te, domine mi venerande ac beatissime sacerdos, fama celeberrima


praedicante cognovi; olim desiderio pii amoris infuso illis te, quibus scribere di-
gnaris, oculis cordis intueor, sed nihilominus etiam corporeis videre festino, si
quo modo possim, intercedentibus vobis, peccatorum meorum vincula disrumpe-
re, acceptisque columbae illius pinnis, a venantum laqueis evolare, et vobiscum
positus in dominica lege requiescere, ut sitim, quam opuscula vestra legendo con-
cepi, ipse praesens, unde illa manarunt, uberius hauriens restinguerem, ut caritatis
igniculum, quem in tepidis animae dormientis favillis scintillis ferventibus susci-
tastis, prolatis de condensa scripturarum pabulis, vivax flamma roboraret, quae
eloquio sancti oris accensa, more sibi solito, in pectore peccatoris vim naturae po-
tentis exsereret, calefaciendo frigida, inluminando tenebrosa, et spinas criminum
consumendo. Adhaesit, doctor eximie, anima mea post te.

[2] Me autem adiuvent orationes tuae, ut possim, terrenis actibus spretis, caele-
stibus inhiare, quia corpus, quod corrumpitur, adgravat animam, ut inclinare au-
rem suam ad oracula divina non possit, ut domum patris obliviscens oboedien-
sque vocantis imperio de terra sua et cognatione discedat atque illam, quae ei de-
monstratur, potius concupiscat. Non enim adhuc valet pusillitas nostra metum ob-
noxiae conditionis expellere, et caritati perfectae purgata corda reserare, ut relin-
quentes praesentia, petamus aeterna eiectoque ancillae herede, hereditatem pater-
nam liberi possimus adipisci.
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Libro Primo

1.
RURICIO
AL SUO PARTICOLARE SIGNORE
PATRONO1 IN CRISTO SIGNORE
IL VESCOVO FAUSTO

[1] È da tempo che, per la celeberrima fama che ti annuncia2, ti conosco, o mio
venerando signore e beatissimo3 presule4; è da tempo che, per il desiderio di af-
fettuosa amicizia infuso in quelli cui ti degni5 di scrivere, ti vagheggio con gli oc-
chi del cuore6, ma non di meno ho smania di vederti anche con gli occhi del cor-
po, se in qualche modo potrò, per vostra intercessione, spezzare i lacci dei miei
peccati 7 e, prese le ali della colomba del salmo 8 , volare via dai lacci dei
cacciatori9 e, standomene lì10 con voi11, riposare nella legge del Signore, per
estinguere la sete12, di cui arsi leggendo le vostre opere13, attingendo ora14 io stes-
so con maggiore abbondanza alla fonte da cui15 quelle opere scaturirono; perché,
fatti emergere i pascoli16 dalla frondosa selva delle Scritture17, rinvigorisca il fuo-
cherello dell’amore18, che suscitaste con ardenti scintille dalle tiepide ceneri di
un’anima assopita, una fiamma vivida19, la quale, accesa dalle parole della vostra
santa bocca, nel modo a lei proprio faccia emergere nel petto del peccatore20 la
forza della sua natura potente scaldando quanto è freddo, illuminando quanto è te-
nebroso e distruggendo le spine delle scelleratezze21. A te rimane unita, o esimio
maestro22, l’anima mia23.
[2] Mi aiutino le tue preghiere, affinché, disprezzate le opere terrene, possa
aspirare a quelle celesti, poiché il corpo, che si corrompe, appesantisce l’anima24,
cosicché essa non può prestare ascolto25 alle parole divine, che la invitano ad al-
lontanarsi dalla sua terra e dalla sua famiglia e a bramare piuttosto quella terra
che le viene mostrata, dimentica della casa di suo padre e obbediente all’autorità
di chi la chiama26. Infatti la nostra debolezza non è ancora in grado di cacciare il
timore della nostra condizione di servi e schiudere i nostri cuori purificati all’a-
more perfetto, per cercare le cose eterne, abbandonando quelle presenti, e caccia-
to l’erede nato dalla schiava, poter conseguire da uomini liberi l’eredità paterna27.
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26 Lettere

[3] Quam ob rem spero, domine mi, ut pro me indesinenter oretis et, quoties
dignati fueritis ariditatem terrae meae eloquentiae vestrae imbre perfundere, non
mihi, sicut nunc fecistis adhuc meae infirmitatis ignari, delicatos et dulces cibos,
sed austeriores, et aegritudini meae congruos suggeratis, quia non expediunt stul-
to deliciae, postmodum proditoribus meis censorium praebeatis adsensum, qui
more humani ingenii, affectu nimio praepediti et a veritate iudicii declinantes, in-
currunt pro amore mendacium. Sane nec vereatur sanctitas vestra, ne vulneribus
meis gratior sit foventis dextera quam secantis, quia ea nec a me posse curari, et
tamen graviter conputruisse, Domino donante, iam sentio. Et ideo eligo, ut me iu-
stus misericordiae increpatione corripiat, quam caput meum oleum peccatoris in-
pinguet. Supplici itaque prece deposco, ut de illo thesauro penetralium vestrorum,
unde nova et vetera proferre consuestis, peritissimi utpote medici, qui languen-
tium innumeras et varias aegritudines cotidie, gratia Dei adiuvante, sanatis, lan-
guori quoque meo, quae convenire cognoscitis, medicamenta mittatis.

2.
DOMNO SUO PECULIARI IN CHRISTO DOMINO
PATRONO FAUSTO EPISCOPO
RURICIUS

[1] Ita me hactenus impia neglegentia et neglegens impietas possederunt, ut


quid, domine mi, in me potissimum accusem, nesciam, et quid in me primum ex-
cusem, non inveniam. Si enim argumentationem aliquam ad excusandas excusa-
tiones in peccatis exhibere temptavero, adiciam peccato, sine iudicii recordatione,
peccatum; ut duplici atque maiori delicto ipse me premam, ut, qui tarditatis reus
sum, esse incipiam falsitatis, et ab humana usque iniuria crimen extendam, pater-
nam nunc tantum expectans de segnitiae noxa sententiam, divinae vero pro men-
dacii ultione subiciar, praesertim cum vera confessio indulgentiam, et falsa excu-
satio mereatur offensam. Malo itaque tam simplici confessione quam supplici ve-
niam petere, quam peccata geminare. Habes ergo, pater optime, pastor egregie,
me culpae meae spontaneum confessorem. Habes et in discipuli errore, quod cor-
rigas; et in oviculae languore, quod sanes. Potestatisque et iudicii tui est, utrum
velis ulceris mei putredinem ferri rigore rescindere, an medicamentorum lenitate
curare. Ego tamen, utram elegeritis, curationem amplectar intrepidus, nec pater-
nae ictum dexterae declinabo, dummodo portionem promissae hereditatis adipi-
scar, neque adtendam quae mihi poena sit in flagello, sed quem habeam locum in
testamento. Melius enim mihi est flere super patre, quam ut abdicer contemptus a
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I, 1-2 27

[3] Per questo motivo spero28, o mio signore, che preghiate ininterrottamente
per me e, tutte le volte che vi degnerete di irrorare l’aridità29 della mia terra con la
pioggia30 della vostra eloquenza31, mi forniate non, come avete fatto fin’ora,
ignaro della mia infermità, cibi delicati e dolci, ma vivande più amare e adatte al-
la mia condizione di malato32, poiché non giovano a uno stolto vivande delizio-
se33; in seguito spero che prestiate ascolto con senso critico ai miei traditori34 che,
secondo l’indole dell’uomo, intralciati da eccessivo affetto e allontanandosi dalla
verità del giudizio, per amore incorrono nella menzogna. No, non tema la Santità
Vostra35 che alle mie ferite risulti più gradita la mano di chi cura che quella di chi
amputa, poiché ormai sento, per dono del Signore36, che esse non possono essere
da me curate, e che tuttavia sono gravemente imputridite. E pertanto scelgo che il
giusto mi riprenda con un castigo di misericordia, piuttosto che l’olio del peccato-
re unga il mio capo37. E così, da quello scrigno recondito, da cui siete solito
estrarre cose nuove e cose antiche38, come un medico espertissimo39, voi che sa-
nate ogni giorno, con l’ausilio della grazia di Dio, le innumerevoli e svariate in-
fermità dei malati, con supplice preghiera vi chiedo che, anche per la mia
malattia40, mi mandiate le cure che sapete essere adatte41.

2.
RURICIO
AL SUO PARTICOLARE SIGNORE PATRONO1 IN CRISTO SIGNORE
ILVESCOVO FAUSTO

[1] Fino a questo momento mi hanno posseduto un’empia negligenza e una ne-
gligente empietà2, a tal punto che non so che cosa fra tutte accusare in me, o mio
signore, e non trovo da che cosa iniziare a difendermi3. Se tenterò infatti di esibi-
re qualche argomentazione per difendere la mia causa contro i miei peccati4, ag-
giungerò peccato a peccato, senza ricordarmi del giudizio, in modo da gravarmi
da me stesso di una duplice e maggiore colpa, cosicché io, che sono reo di lentez-
za spirituale5, comincerei a esserlo anche di falsità ed estenderei la mia scellera-
tezza6 dall’oltraggio umano in avanti. In attesa ora solo del tuo giudizio paterno
in merito al misfatto di neghittosità7, mi sottoporrò altresì a quello divino per la
punizione della mia insincerità, soprattutto perché una confessione verace merita
l’indulgenza e una difesa menzognera la punizione8. E così preferisco chiedere
perdono con una confessione tanto semplice quanto supplice9, che raddoppiare i
miei peccati10. Hai dunque in me, o ottimo padre, o pastore egregio, un confesso-
re spontaneo della sua colpa. Tu hai sia la correzione per l’errore del discepolo,
sia il farmaco per la malattia della pecorella11. È a tua completa discrezione se re-
scindere la cancrena della mia ferita con una rigida lama12, o curarla con delicate
medicine13. Io tuttavia accetterò coraggioso la cura, quale delle due sceglierete,
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28 Lettere

patre, quia parentum pietas distringit, ut corrigat, non perseverat, ut puniat, nec
tantum ei maeroris infert adrogantia superbientis, quantum gaudii fert humilitas
confitentis.

[2] Sic ille evangelii indulgentissimus pater filium, praeceptae substantiae de-
coctorem, laeto suscepit amplexu, promptior gaudere de reditu, quam inputare de
lapsu. Denique non ei exprobrantur facinora, non luxuria, non egestas; sola con-
versi reversio omnia damna conpensat, quia maior fuit procul dubio patri facultas
reditus, quam rerum facultas. Ita, quem abscessio reum fecerat, regressio fecit in-
sontem, et misericordia suffecit heredi. Quin etiam paternae clementiae venia sola
non sufficit, quod ulnis fovet, quod gratia permulcet, nisi et munera larga multi-
plicet. Dat anulum, ne rursus a patre, perfidia abducente, discedat. Calceamenta
dat pedibus, quo facilius ardui itineris aspera et dura contemnat. Dat et ipsam pri-
mam, quam perdiderat, stolam, ut, quem a morte receperat, pristina inmortalitate
donaret. Datur etiam ipse iuniori vitulus reverso, qui seniori agnus datus fuerat de
Aegypto profecturo, quia ipse educit ex Aegypto pater.

[3] Tanti parentis imitatus fidem, trade peccatoribus adiutorium, praesta conan-
tibus remissionem, intercessionem largire reo confitentique filio non solum ipse
veniam tribue, sed ipse veniam deprecare, ut, quem in peregrina patria appellas li-
berum, in propria possis videre liberatum. Et qui per se amisit dominicam libera-
litatem, per te mereatur consequi libertatem, nec a vestro separetur solatio, qui se-
questratur a praemio.

3.
DEVINCTISSIMO FILIO
SEMPERQUE MAGNIFICO HESPERIO
RURICIUS

[1] Scribendi mihi ad unanimitatem tuam aditum, quem obstruxerat inperitia,


patefecit affectus et illa dominatrix omnium pietas, per quam flectuntur rigida,
saxea molliuntur, sedantur tumida, leniuntur aspera, tumescunt lenia, mitescunt
saeva, saeviunt mitia, accenduntur placida, acuuntur bruta, dominantur barbara,
immania placantur, etiam in me opus suum peragens, os elingue reseravit, produ-
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I, 2-3 29

né scanserò il colpo della destra paterna, pur di prendere parte all’eredità promes-
sa, e non rivolgerò la mia attenzione a considerare quale pena avrò in punizione,
ma quale posto14 avrò in testamento15. Infatti è meglio per me piangere a causa di
mio padre, piuttosto che essere rinnegato, disprezzato dal padre, poiché la bontà
dei genitori castiga per correggere, ma non persiste nel proposito di punire, e non
produce in loro tanta afflizione16 l’arroganza di un figlio superbo, quanta gioia
accumula l’umiltà di un figlio che confessa il proprio peccato17.
[2] Così quel tanto indulgente padre del Vangelo accolse con un abbraccio di
gioia il figlio scialacquatore delle sostanze ricevute in anticipo18, pronto più a ral-
legrarsi del ritorno che a imputargli lo sbaglio19. Insomma, non gli vengono rinfac-
ciate le malefatte, non la dissolutezza, non la miseria: da solo il rientro del figlio
convertito20 compensa tutti i danni, poiché senza dubbio il padre ritenne ricchezza
maggiore il ritorno del figlio che non la ricchezza economica21. Così, colui che la
partenza aveva fatto reo, il ritorno fece innocente e all’erede fu sufficiente la mise-
ricordia22. Ma per giunta, alla clemenza paterna il perdono da solo non è sufficien-
te, perché lo stringe tra le sue braccia, lo coccola col suo affetto, e inoltre moltipli-
ca anche i già abbondanti doni. Gli dà l’anello23, perché non se ne vada di nuovo
lontano dal padre, sviato dall’infedeltà24. Gli pone le calzature ai piedi, perché più
facilmente sprezzi le aspre difficoltà dell’erto cammino. Gli dà anche la veste più
bella che aveva perduto26, per donare l’immortalità primigenia25 a colui che aveva
scampato dalla morte27. Al figlio minore viene anche dato, al suo rientro, quel vi-
tello28, che era stato dato come agnello al maggiore, quando si apprestava a lascia-
re l’Egitto29, perché è lo stesso padre a condurlo fuori dall’Egitto30.
[3] Imitando la fiducia di cotanto padre, aiuta i peccatori, assolvi coloro che lot-
tano contro il peccato, intercedi per il reo, e al figlio che confessa le proprie colpe
non solo accorda, ma implora tu stesso il perdono31, cosicché colui che tu, in terra
d’esilio, chiami libero, al tuo ritorno in patria possa vederlo liberato32. E chi per
causa sua perse la generosità del Signore, per mezzo tuo meriti33 di conseguire la
libertà, né sia privato del vostro soccorso34 colui che è lontano dal premio35.

3.
RURICIO
ALL’OBBLIGATISSIMO1
E SEMPRE MAGNIFICO2 FIGLIO ESPERIO

[1] L’accesso a scrivere alla Concordia Tua3, che l’imperizia mi aveva ostruito,
me lo ha spalancato l’affetto e quell’amore che tutto domina – per cui si piega ciò
che è rigido, ciò che è di pietra si ammorbidisce, si placa ciò che ribolle, si mitiga
ciò che è aspro, va in fermento ciò che è mite, si acquieta ciò che è furibondo, si
infuria ciò che è quieto, si accende ciò che è tranquillo, si affina ciò che è grezzo,
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 30

30 Lettere

cens me ex tutissimo silentii recessu ad publicum formidandumque iudicium et in


vita iam veteri nova subire conpellit. Scilicet, ut qui hactenus illam sententiam se-
cutus antiquam, qua dicitur saepenumero praestare tacere, quam dicere, inscien-
tiam meam maluerim verecundiae taciturnitate tegere, quam inpudenter incondito
sermone proferre, nunc tam consuetudinis meae inmemor, quam rusticitatis obli-
tus, quasi ex Arione in Orpheum repente mutatus, velim disertissimis auribus tuis
ore garrulo non tam officiosus quam iniuriosus existere, dum et ignota pertempto,
et insueta praesumo. Sed dabitis, ut reor, veniam venienti ex necessitudine neces-
sariae necessitatis, quia, quid dilectio in mortalium mentibus naturali potestate si-
bi vindicet, conscium mutuae passionis pectus agnoscit.

[2] Ergo ne excusationi diutius inmorantes, ita paginam dilatemus, ut non so-
lum tibi non exhibeat sermo incomptior gaudium, verum etiam copia inordinata
fastidium, iam in vocem pietatis erumpimus, et desideriorum verba ructuamus,
commendantes tibi pignus nostrum, depositum tuum, cuius nos susceptione cepi-
sti. Tibi enim spem posteritatis meae, tibi solatium vitae praesentis, et levamen, si
divinitas annuerit, futurae; tibi uni omnia mea vota commisi. Te elicitorem et for-
matorem lapillorum nobilium, te rimatorem auri, te repertorem aquae latentis ele-
gi, qui sciris abstrusas lapidibus gemmas propriae reddere generositati, quae uti-
que in tanta rerum confusione amitterent nobilitatem, si indicem non haberent.
Aurum quoque, arenis vilibus mixtum, nisi artificis sollertia eluatur aquis, ignibus
eliquetur, nec splendorem poterit retinere nec meritum. Saeptas etiam aquarum
manantium venas, et obductum terra fluenti alveum, nisi diligentius eruderaverit
appetitoris industria, laticis unda non fluet.

[3] Ita et tenerorum adhuc acies sensuum ignorantiae nubilo, quasi crassitate
scabrosae rubiginis obsessa, nisi adsidua doctoris lima purgetur, nequit sponte
clarescere. Tuum ergo nunc, tuum est in his omnibus et opinioni tuae et nostro pa-
riter respondere iudicio, ne aut tu praesumpsisse inlicite, aut nos inconsiderate
elegisse videamur.
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I, 3 31

si domina ciò che è barbaro, ciò che è crudele si ammansisce –4; portando a termi-
ne anche in me la sua opera, ha aperto la mia bocca, incapace di parola5, facendo-
mi uscire dal sicurissimo rifugio del silenzio al cospetto del tremendo tribunale
pubblico, e nella mia vita ormai vecchia6 mi costringe a cimentarmi in qualcosa
di nuovo7. Ben inteso che io, avendo finora seguito quell’antico adagio, che dice
che spesso è meglio tacere che parlare8, avrei preferito coprire la mia ignoranza
con il silenzio della discrezione9, piuttosto che renderla pubblica impudentemente
con un eloquio senza arte; ora, tanto immemore della mia abitudine, quanto di-
mentico della mia dozzinalità10, come mutato d’un tratto da Arione in Orfeo11,
non vorrei risultare alle tue orecchie raffinatissime, con il mio vaniloquio, tanto
deferente quanto offensivo12, mentre e tento l’ignoto e oso l’insolito. Ma conce-
derete, come penso, il perdono a chi si trova a essere assolutamente costretto da
un legame d’affetto13, poiché un cuore partecipe di un vicendevole sentimento sa
che cosa l’amicizia ottenga per virtù propria nell’animo umano14.
[2] Dunque, per non allungare questo mio scritto indugiando troppo a lungo
nelle scuse15, cosicché non solo il linguaggio troppo trascurato non ti procuri
gioia, ma anche la profluvie disordinata di parole fastidio, erompiamo ormai in
un grido di amore ed esaliamo16 parole di richiesta, affidandoti il pegno del no-
stro affetto, depositato presso di te17, ricevendo il quale, hai accolto noi18. A te
ho affidato infatti la speranza del mio futuro, a te il conforto di questa vita e il
sollievo, se Dio19 vorrà, della futura, a te solo tutte le mie attese20. Te, cavatore21
e scultore di nobili gemme, te cercatore d’oro, te scopritore di acque nascoste ho
scelto22, te che sai restituire alla loro23 purezza le gemme nascoste dalle pietre, le
quali senz’altro, in una così grande mescolanza di elementi24, perderebbero la lo-
ro nobiltà, se non avessero chi le scovasse. Anche l’oro misto alla vile sabbia
non potrebbe mantenere lo splendore né il valore, se la perizia di un esperto non
lo mondasse nell’acqua, se non lo saggiasse nel fuoco25. Se la laboriosità del ri-
cercatore non sgomberasse con ogni attenzione anche le vene di acque fluenti
ostruite 26 e l’alveo di un fiume chiuso da un accumulo di terra, l’onda
dell’acqua27 non scorrerebbe28.
[3] Così, anche il bagliore degli ancor giovani sentimenti, attaccato dalla nebu-
losità dell’ignoranza come da una ruggine densa e scabra, se non viene epurato
dalla perseverante lima di un maestro29, non può risplendere da sé. È dunque ora
tuo compito, è tuo compito in tutte queste cose corrispondere ugualmente al tuo
prestigio e al nostro giudizio, affinché non sembri o che tu hai avuto delle aspetta-
tive illecite o che noi abbiamo fatto una scelta sconsiderata30.
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32 Lettere

4.
DEVINCTISSIMO FILIO
SEMPERQUE MAGNIFICO HESPERIO
RURICIUS

[1] Recepi apices unianimitatis tuae, tam gratia quam eloquentia, tam amore
pariter quam lepore, tam sale quam melle respersos, in quibus nec dulcedini dees-
set aliquid nec sapori. Qui cum omni dictionis et rationis arte praemineant, solo
tamen a se videntur discrepare iudicio. Dum enim paginulae meae non laudi ap-
tae, sed vituperationi ineptia rusticitatis aptatae, maiora meritis tribuere festinas,
et sequeris vel declamationis cursum vel diligentis affectum, a norma recti iudicii
declinasti. Ad quam rem ego perfectionem tuam non ignorantiae vitio, sed sponta-
neo arbitror descendisse consilio triplici ex causa: ut in tenui materia et acumen
ingenii, et oris facundiam, et affluentiam sermonis ostenderes.

[2] Sicuti in ieiuno atque otioso caespite magis strenuitas cultoris apparet, cum
aut rebellionem glebarum tenacium repetita saepius inpressione vomeris domat
aut ariditatem nimiam stercoris aspersione fecundat, ut fructuum copiam, quam
soli natura negat, industria producat; ita et tu egestatem epistulae meae eloquen-
tiae tuae ubertate ditasti, ut possit esse, si eam suppresseris, te loquente, laudabi-
lis; si vero protuleris, incutiat et mihi de falsa laude, et tibi de iudicii errore vere-
cundiam. Et idcirco, quia inperitiam meam tui pudoris opus esse voluisti, cave ne,
praeconio tuo nobis non respondentibus, tua periclitetur electio. Itaque, si quid
mihi credis, si quid utrique consulis, indignum memoria, oblivione dignissimum
volumen absconde, si vis et me ad arbitrium tuum oratoris famam et te probati iu-
dicis obtinere personam.

5.
DEVINCTISSIMO FILIO
SEMPERQUE MAGNIFICO HESPERIO
RURICIUS

[1] Spoponderas, fili carissime, ut mihi aliquos de ramusculo quem ex amaritu-


dine in domesticum saporem vertendum transferendumque susceperas, flosculos
destinares, quorum odore cognoscerem quam spem spei gerere deberem; utrum-
nam ipsi flores germina, aut rursus ipsa germina fructus sui qualitate promitte-
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 33

I, 4-5 33

4.
RURICIO
ALL’OBBLIGATISSIMO
E SEMPRE MAGNIFICO FIGLIO ESPERIO

[1] Ho ricevuto lo scritto1 della Concordia Tua2 rorido tanto di benevolenza


che di eloquenza, tanto di amore che di finezza, tanto di sale che di miele3, in cui
non mancherebbe alcunché né alla dolcezza né al sapore. E benché si distingua
per ogni perizia del dire e del pensare, esso tuttavia sembra essere contraddittorio
in se stesso solamente nel giudizio. Mentre infatti ti affretti ad accordare elogi
troppo grandi rispetto alla realtà alla mia letterina4, non adatta alla lode, ma resa
atta al biasimo dall’inettitudine della mia dozzinalità5, e segui o lo stile della de-
clamazione o l’affetto di chi ama, ti sei allontanato dalla norma del retto giudizio.
Alla qual cosa ritengo che la tua perfezione morale abbia condisceso non per vi-
zio di ignoranza, ma spontaneamente, per un triplice motivo: per mostrare nell’u-
miltà della materia sia la tua acutezza d’ingegno che l’eleganza della lingua che
l’abbondanza del discorso6.
[2] Come in un campo arido e infruttuoso7 appare di più la perseveranza del
contadino, quando o doma le compatte zolle ribelli scavando con molta frequenza
col vomere o ne feconda l’eccessiva sterilità spargendo il letame, affinché il lavo-
ro produca copiosi i frutti che la natura del terreno nega8, così anche tu hai arric-
chito la povertà della mia lettera9 con la ricchezza della tua eloquenza10, in modo
tale che, se la occulterai, potrà essere degna di lode, grazie alle tue parole; se in-
vece la diffonderai, farà vergognare sia me di una falsa lode che te di un errore di
giudizio. E pertanto, poiché hai voluto che la mia imperizia fosse incombenza del
tuo onore, bada che la tua scelta non ti esponga al pericolo, per il fatto che noi
non siamo corrispondenti al tuo elogio11. E così, se mi dai un po’ di fiducia, se ti
dai pensiero un po’ per entrambi12, nascondi quell’opera indegna di ricordo, ma
degnissima di oblio13, se vuoi che io conservi, a tua discrezionalità, la fama di
oratore e tu il ruolo di giudice stimato14.

5.
RURICIO
ALL’OBBLIGATISSIMO
E SEMPRE MAGNIFICO FIGLIO ESPERIO

[1] Mi avevi promesso, o figlio carissimo, di inviarmi alcuni fiorellini del ramo-
scello, che ti eri incaricato di innestare, facendolo passare da un sapore amaro a
quello proprio di piante coltivate; fiorellini dal profumo dei quali saprei quale spe-
ranza dovrei recare alla mia speranza1, se mai quei2 fiori promettano germogli o vi-
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34 Lettere

rent, idemque iterum fructus utrum possent te excoquente mitescere, et dulci elo-
quentiae cibo audientium corda satiare. Quod quia nescio quam ob causam facere
distulisti, opportunum vos admonendi tempus inveni, quo in harmonia mundi uni-
versa animantia bruta pariter et elinguia, incedentia, volantia atque reptilia, suis
quaeque modis, suis sibilis, suis quaeque vocibus, etsi sono dissono aut ore diver-
so, pari tamen affectu, quasi uno concentu in laudem proprii auctoris erumpunt, et
potentiam, quam promere nequeunt, sentire se produnt.

[2] Hoc namque tempore cuncti orbis species rediviva reparatur, et, quicquid in
eo situ squalidum, frigore turbidum, glacie concretum, nuditate deforme, ariditate
praemortuum hactenus fuit, ad instar resurrectionis emergit, ut discat humana fra-
gilitas de visibilibus invisibilia, et de praesentibus futura cognoscere, et spem
venturae melioris aetatis, deposita desperatione, percipiat. Nunc etiam tellus steri-
li rigore conclausas, quasi virili semine ita verno tempore concepto, occultis ma-
ritata meatibus, venas laxat ad partum. Et hinc quod deliciis suave, quod esui dul-
ce, quod usui utile, quod victui necessarium, quod visui iucundum, quod olfactui
gratum, quod tactui blandum, omne producit.

[3] Siquidem haec est illa temperies, quae mundi nascentis materiam, quasi
adhuc in incunabulis teneram gremio quodam clementissimae altricis complexa
nutrivit, ne substantiam nullo labore duratam aut aestivus fervor exureret, aut hie-
malis algor exstingueret, aut ventorum flabra portarent. Habet itaque susceptus
tuus convenientissimum tempus, quo animi socordia tandem aliquando detestata,
hebetudinem cordis exacuat. Et si inter homines declamare non potest, saltem in-
ter pecudes clamare, aut inter volucres garrire festinet.

6.
DOMINO SANCTO
ET PIISSIMO PATRI NEPOTIANO PRESBYTERO
RURICIUS

[1] Codices quos sanctitas vestra transmisit accepi, eloquentia claros, scientia
perfectos, doctrina probos, fidei puritate perspicuos, qui sacrorum testimoniorum
ubertate locupletes, auctoritate praestantes, luce fulgentes, facile et fidelium men-
tes illuminent, et infidelium errores detegant atque convincant. Quorum ego gustu
admodum tenui pellectus potius quam refectus, ad satietatem propter sollicitudi-
nes saeculi pervenire non potui.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 35

I, 5-6 35

ceversa se quei germogli promettano frutti secondo la propria qualità3, e poi ancora
se i frutti possano maturare scaldati dal tuo calore, e saziare i cuori di chi ascolta col
cibo squisito dell’eloquenza4. E poiché, non so per quale motivo, hai tergiversato,
ho trovato il periodo opportuno5 per esortarvi6, tempo in cui nell’armonia del mon-
do tutti gli esseri viventi irrazionali e allo stesso tempo incapaci di parola7, quelli
terrestri, i volatili e i rettili8, ciascuno a suo modo, con il proprio sibilo, ciascuno
con la propria modalità di esprimersi, benché con suono differente o diversa favella,
tuttavia con identico affetto, erompono come all’unisono in lode del loro Creatore9
e dichiarano di avvertire la potenza che non possono esprimere a parole10.
[2] E infatti in questo periodo l’aspetto di tutta la terra ritorna a vivere e si rinno-
va11 e, qualunque cosa in essa è stata finora desolata per la siccità12, sconvolta per il
freddo, indurita per il ghiaccio, sfigurata per la nudità, ormai morta per la mancanza
d’acqua, sorge a guisa della risurrezione, affinché l’umana fragilità impari a cono-
scere dalle cose visibili quelle invisibili e dalle cose presenti quelle future, e, depo-
sta la disperazione, prenda a sperare nella miglior vita che verrà13. Ora anche la ter-
ra, fecondata da nascosti canali14 – accolta la primavera così come il seme virile15 –
rilascia per il parto le falde acquifere occluse dalla sterilità del gelo16. E quindi pro-
duce tutto ciò che è soave da godere, appetitoso da mangiare, utile da usare, neces-
sario alla vita, piacevole alla vista, gradito all’olfatto, attraente al tatto17.
[3] Inoltre questa è quella stagione che alimentò il corpo del mondo al momen-
to della sua nascita, tenendolo stretto per così dire al suo grembo di tenerissima
nutrice, come un infante ancora nella culla18, perché la sua esistenza, non essendo
stata irrobustita da alcuna fatica, non venisse bruciata dal calore estivo o estinta
dal rigore invernale o portata via dal soffio dei venti19. E così il tuo cliente20 si
trova nel periodo più conveniente in cui, stornata una buona volta infine l’indolen-
za dell’animo, stimolare il torpore del cuore21, e, se non può declamare fra gli uo-
mini, affrettarsi almeno a schiamazzare tra le bestie o a garrire22 tra gli uccelli23.

6.
RURICIO
AL SANTO SIGNORE E AMOREVOLISSIMO PADRE1
IL PRESBITERO NEPOZIANO

[1] Ho ricevuto i libri che la Santità Vostra2 mi ha inviato3, splendidi quanto a


eloquenza4, perfetti quanto a scienza, ortodossi quanto a dottrina, chiari quanto a
purezza di fede: abbondantemente arricchiti da sacri testimoni, eccellenti in auto-
rità, splendenti di luce facilmente essi illuminino le menti dei credenti, smascheri-
no e sconfiggano gli errori dei miscredenti5. E io, allettato piuttosto che ristorato6
dal loro gusto delicatissimo, non ho potuto saziarmi a causa delle preoccupazioni
del nostro tempo7.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 36

36 Lettere

[2] Sicut enim stomachus, cum febrium ardore decoquitur, dulces sibi ante ci-
bos nec oblatos recipit, nec requirit ablatos; ita et animus mundanis anxietatibus
curisque confectus, spiritales dapes nec desiderat absentes, nec carpit appositas,
nec sentit infusas.

[3] Quae cum ita se in me habeant, vos tamen et pii parentis probastis affec-
tum, et solliciti magistri ministerium, et seduli medici implestis officium, ut tali
taedio laboranti medicamenta congrua mitteretis. Quibus etsi propter neglegen-
tiam meam ego non valeo consequi sospitatem, vos tamen percipietis a iusto re-
pensatore mercedem, qui etiam pro ingratis grates benivolas referre consuevit.

[4] Horum ego praefatorum codicum unum, sicut iussistis, retinui, alium re-
misi, quem sancti Hilarii Pictavae urbis antestitis esse noveritis. Quod quia prae-
ceperatis, indicare curavi. Hunc vero retentum, dum permittitis, transferre dispo-
sui, ut quod memoriae commendare non possumus, saltim vel paginis mandare
curemus.

7.
DOMINO SUO PECULIARI IN CHRISTO PATRONO
BASSULO EPISCOPO
RURICIUS

[1] Quam me diligere sancta pietas, et pia sanctitas vestra dignetur, multimodo
probatis affectu, dum legenda transmittitis, et neglecta corrigitis, dilectionem dili-
gendo provocatis, et quod praedicatis verbis, docetis exemplis.
[2] Sed quoniam semen vestrum in terra sterili et dumosa non proficit, utpote
quod sentibus supercrescentibus suffocatur, ne sicut infructuosam illam ficulneam
me iubeat dominus vineae, quem tanto tempore nequiquam expectat, abscidi, vos
severiorem sententiam orando differte, donec doctrinae vestrae pinguedine tam-
quam stercore amaritudo infructuosa dulcescat.
[3] Sed quoniam plus sunt apud me delicta quam verba, nec possum facta ex-
piare sermonibus, obsequium saltim epistulare dependo, et librum, quem praesti-
teratis, me remisisse significo aliumque identidem vestrum, si iam necessarius
non est, spero per portitorem harum remitti iubeatis simulque, si propitio Deo ad
sollemnitatem sanctorum Gurdone venturi sitis, me recurrentibus scire faciatis.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 37

I, 6-7 37

[2] Come infatti lo stomaco, quando è arso dal calore della febbre, non assume
i cibi preferiti in precedenza, se gli vengono offerti, né li ricerca se gli vengono
tolti8, così anche il mio animo, prostrato dai molteplici affanni del mondo, non
desidera i banchetti spirituali9 che non ci sono, né prende parte a quelli che sono
stati imbanditi, né si rende conto di quelli a cui si è nutrito10.
[3] E mentre in me si agitano questi sentimenti, voi tuttavia avete dimostrato
l’affetto di un padre amorevole e avete compiuto l’incarico di un maestro zelante
e l’ufficio di un medico premuroso, sì da inviare le medicine adeguate a chi è ves-
sato da tale malattia11. E anche se, a motivo della mia negligenza12, io non sono in
grado di conseguire la salute13, voi tuttavia riceverete la ricompensa dal giusto
Remuneratore14, che è solito rendere benevoli ringraziamenti15 anche avendone
ricevuto ingratitudine.
[4] Dunque di questi summenzionati libri, uno, come mi avete ordinato, l’ho
trattenuto, l’altro, che sapete essere di sant’Ilario vescovo di Poitiers, ve l’ho ri-
mandato16. Cosa che ho avuto cura di notificarvi, poiché me lo avevate comanda-
to. In realtà quello che ho trattenuto, col vostro permesso, ho deciso di copiarlo17,
affinché, ciò che non possiamo affidare alla memoria, almeno cerchiamo di con-
segnarlo alla pagina scritta18.

7.
RURICIO
AL SUO PARTICOLARE SIGNORE PATRONO1 IN CRISTO
IL VESCOVO BASSULO

[1] Quanto si degni di amarmi la Santa Pietà e la Pia Santità Vostra2, me lo


provate con manifestazioni d’affetto di vario genere, e mentre mi inviate libri da
leggere3 e mi correggete gli errori, provocate in me l’amicizia amando4, e ciò che
predicate a parole, lo insegnate con i fatti5.
[2] Ma poiché il vostro seme non cresce in terra sterile e infestata da spine, dal
momento che è6 soffocato dai rovi che vi crescono sopra7; affinché il padrone del-
la vigna non mi faccia estirpare come quella pianta di fichi che non dava frutti8 –
me, che aspetta invano da tanto tempo –, voi stornate con la preghiera il giudizio
assai severo, finché la mia infruttuosa amarezza non diventi dolce grazie all’ab-
bondanza9 dei vostri insegnamenti, che saranno per me come concime10.
[3] Ma poiché in me sono più le colpe11 che le parole, né posso espiare quanto
ho commesso con bei discorsi, verso almeno l’omaggio epistolare12 e vi rendo no-
to che vi ho rimandato il libro che mi avevate prestato, e spero13 che allo stesso
modo me ne facciate mandare un altro dei vostri attraverso il corriere della pre-
sente14, se non vi è più necessario, e al tempo stesso, se, per grazia di Dio15, avete
in animo di venire a Gurdo16 per la solennità dei Santi17, fatemelo sapere nella
vostra lettera di risposta18.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 38

38 Lettere

8.
DOMINO SUO PECULIARI IN CHRISTO DOMINO
PATRONO SIDONIO EPISCOPO
RURICIUS

[1] Praedicantibus vobis, saepius audisse me recolo, nullatenus ab iniquitatibus


nos posse purgari, nisi fuerimus crimina nostra, conscientia conpungente, confes-
si. Quis enim, non dicam consequi, sed vel quaerere queat indulgentiam, nisi de-
plorationi confessionem erroris adiungat, quia error indulgentiam, non indulgen-
tia requirit errorem?

[2] Quod ego valde verum esse cognoscens, facinus meum nuper admissum,
pietati vestrae indicare non distuli, ne, quod modo prodente me spectat ad ve-
niam, tacente postmodum pertineret ad culpam. Sed iam ipsum dolum proferamus
in medium. Furti me vobis reum statuo, et depositum vestrum me, ignorantibus
vobis, inlicite praesumpsisse pronuntio. Quod ut tamen committerem, occasionem
perpetrandi facinoris vos dedistis, aut temptantes cupidum, aut indoctum erudire
cupientes. Codicem namque, quem de fratre meo Leontio me recipere iusseratis,
transtulisse me fateor. Quod si probatis, agnoscite; si inputatis, ignoscite, quia
confessioni querella sociatur.

[3] Nam primum, ut eum legerem, voluntas inpulit; deinde ille, ut transferretur,
extorsit. Nam cum de dapibus ipsius adhuc pauca libassem, taliter me gustu inle-
cebrosi saporis inlexit, ut primi quodammodo parentis imitator, Domino repente
contempto, ad satietatem studuerim pervenire, magisque consilium suadentis
quam imperium dominantis audierim.

[4] Nam ut omnia pectoris mei arcana manifestem, videbar mihi libri ipsius
verba adhortantis audire: Quid cessas, ingrate, quid dubitas? Nosti erga te com-
munis domini voluntatem, quam diversis occasionibus te elimare contendat, quam
tibi etiam invito spiritales cibos soleat bonus pastor ingerere. Mihi crede, plus ti-
bi, si distuleris, quam transtuleris inputabit, quia studiosis favere, non invidere
consuevit.

[5] His et talibus silentis alloquiis in vinculis eius me coactus pariter et volun-
tarius sponte conieci, ad exemplandum eum festinus accessi, quem nunc utrum,
sicut est, transcriptum an paratum reddere debeam, in vestro pendet arbitrio. Ego
tamen libens multam quam intuleritis, excipiam, quia remedium meum vestrum
credo esse decretum, et sententiam vestram medellam duco esse, non poenam.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 39

I, 8 39

8.
RURICIO
AL SUO PARTICOLARE SIGNORE PATRONO IN CRISTO SIGNORE
IL VESCOVO SIDONIO

[1] Ripenso al fatto di aver udito molto spesso dalla vostra predicazione1 che
in nessun modo noi possiamo purgarci dalle nostre iniquità, se non confesseremo
le nostre scelleratezze pungolati dalla coscienza2. Chi potrebbe infatti, non dico
ottenere, ma anche chiedere l’indulgenza, senza aggiungere al pianto la confes-
sione dell’errore, poiché è l’errore a richiedere l’indulgenza, non l’indulgenza
l’errore?3
[2] E io, riconoscendo che questa è una grande verità, non ho rimandato di no-
tificare alla Pietà Vostra4 la mia malefatta poc’anzi ammessa, affinché, ciò che
con la confessione ora mi orienta al perdono, col mio silenzio non mi avvii in se-
guito alla colpa5. Ma ormai portiamo alla luce del sole la mia frode! Mi giudico
reo nei vostri confronti di furto e dichiaro di essermi illecitamente approfittato di
quanto depositato presso di me, a vostra insaputa6. E tuttavia, per commettere
questa azione illegale, voi mi avete dato occasione di perpetrare la malefatta, o
sottoponendo a prova una persona avida o bramando di educare una persona roz-
za. E infatti confesso di aver copiato il libro7, che mi avevate ordinato di recupe-
rare da mio fratello Leonzio8. E se lo confermate, ammettetelo, mentre se me lo
imputate, perdonatemi9, poiché alla confessione si accompagna il rimprovero.
[3] Infatti, in un primo tempo, la volontà mi spinse a leggerlo, poi è stato pro-
prio lui a costringermi a copiarlo. Infatti, benché avessi gustato ancora pochi cibi
dal suo banchetto, a tal punto mi sedusse con l’assaggio del suo stuzzicante sapo-
re10 che, a imitazione in qualche modo del nostro progenitore, tenuto in poco con-
to d’un tratto il Signore, desiderai di giungere a sazietà e ascoltai più il suo consi-
glio di tentatore che il tuo comando di maestro11.
[4] Infatti, per renderti noti tutti i segreti del mio cuore, mi sembrava di udire
le parole del libro stesso che mi incitava: «Perché smetti, ingrato, perché esiti?
Conosci la volontà del nostro comune signore nei tuoi confronti, quanto cerchi in
diverse occasioni di renderti perfetto12, quanto, da buon pastore13, sia solito for-
nirti cibi spirituali14, anche se non li vuoi. Credimi15, ti verrà imputato più se
avrai differito un’occasione che non se avrai fatto delle copie, poiché è consuetu-
dine che chi prova passione prenda l’iniziativa, non che frapponga indugi»16.
[5] Al tempo stesso costretto da queste e simili parole del silenzioso libro, e
pienamente di mia spontanea volontà17, mi precipitai fra i suoi lacci, e mi misi a
copiarlo di tutta fretta: ora se debba rendervi la copia, com’è, o l’originale, questo
sta al vostro giudizio. Io tuttavia volentieri accetterò l’ammenda che mi infligge-
rete, poiché credo che cura per me sia la vostra decisione, e ritengo che il vostro
giudizio sia farmaco, non pena18.
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40 Lettere

9.
DOMINO PECULIARI IN CHRISTO DOMINO
PATRONO SIDONIO
RURICIUS

[1] Ita me recens praedicatio, et antiqua dilectio vestrae pietatis inlexit, ut au-
deam auribus vestris ineptiis meis facere saepius iniuriam, dum vestram, quantum
sterili ingeniolo conceditur, adtingere cupio disciplinam. Quam etsi adsequi gran-
de est atque difficile, sequi tamen pulchrum est atque sublime, quoniam summa-
rum rerum non adeptio tantum, sed etiam imitatio ipsa laudanda est, quia num-
quam fere aliquis eius rei portione ad integrum caret, ad quam scandere ac perve-
nire contenderit.

[2] Desidero itaque, domine mi, desidero, inquam, tuis cibis refici, tuo fonte
potari, tuis repleri dapibus, tuis epulis saginari, quas si quis, distribuentibus vobis,
non summo ore libaverit, sed totis animae visceribus appetens conviva sorbuerit,
atque intimo pectoris postmodum easdem ruminaturus absconderit, incipiet adsi-
duis ructationibus in laudem Domini omnipotentis erumpere, refertus corde, ore
ieiunus, dum satur esurit, et saturatur esuriens, magis in regeneratione saturandus.
Nec deesse poterit cibus, cuius pastus in verbo est.

[3] Ut ergo harum deliciarum particeps esse merear, vestris patrociniis obtine-
te, mihique supra mensuram virium conitenti auxiliatores accedite simulque ut ab
ovili vobis credito non inveniar alienus, orate errantemque ovem a pascuis saeculi
ad caulas dominicas reportate, quia confido quod intercessionibus vestris fieri
possit agnus, qui vester meruerit esse discipulus.

10.
DOMINO PECTORIS SUI LUPO
RURICIUS

[1] Accepi litteras magnanimitatis tuae, quibus excusare dignaris quod, ut me


rarius eloquentiae tuae rore respergas, baiuli faciat inopia, simulque etiam indicas
te mirari cur, cum mihi eorum frequentia suppetat, verborum quoque copia comp-
ta non desit, vobis scribere saepius detrectem. Quod vos per ironiam, ut est lepo-
ris vestri facundia, iactasse non ambigo, cum et vos abundetis tabellariis, et me
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I, 9-10 41

9.
RURICIO
AL PARTICOLARE SIGNORE PATRONO IN CRISTO SIGNORE
SIDONIO

[1] A tal punto la vostra recente dichiarazione e l’antica amicizia di Vostra


Pietà1 mi hanno sedotto, che oso di recare ingiuria troppo spesso alle vostre orec-
chie con le mie bagatelle2, mentre bramo, per quanto è concesso alla mia sterile
testolina3, di mettere mano alla vostra saggezza4. E anche se raggiungerla è cosa
grande e difficile, tuttavia seguirla è sublimemente bello, poiché non solo il con-
seguimento di eccelse virtù è degno di lode, ma anche la stessa imitazione, perché
in generale nessuno mai manca in rapporto all’intero della parte di quella cosa
verso la quale egli cerchi con ogni sforzo di arrivare5.
[2] E così desidero, o mio signore, desidero, lo ripeto, di essere ristorato dai
tuoi cibi, di essere dissetato dalla tua fonte, di essere saziato dal tuo banchetto, di
essere rimpinzato dal tuo convito. E se qualcuno, dietro vostra elargizione, lo avrà
assaggiato non con la punta della lingua, ma, anelandovi intensamente dal più
profondo dell’anima6, lo avrà gustato da commensale7; e se dopo lo avrà nascosto
nell’intimità del suo cuore per rimasticarlo8, incomincerà a erompere in frequenti
esalazioni9 in lode del Signore onnipotente10, rifocillato nel cuore, ma nella bocca
digiuno11, mentre il sazio ha fame ed è saziato l’affamato12, destinato a saziarsi13
maggiormente nel giorno della nuova creazione14. Né potrà mancare il cibo a co-
lui che si è alimentato della vostra parola15.
[3] Per mezzo del vostro patrocinio16 ottenetemi dunque di meritare17 di essere
partecipe di queste delizie, venite in aiuto a me che mi sforzo sopra le mie possi-
bilità, e al tempo stesso pregate che non sia trovato fuori dal gregge a voi affidato
e riconducete la pecora errante18 dai pascoli del mondo all’ovile del Signore19,
poiché confido che, per vostra intercessione, possa diventare un agnello colui che
meriterà di essere vostro discepolo20.

10.
RURICIO
AL SIGNORE DEL SUO CUORE1
LUPO

[1] Ho ricevuto la lettera della Magnanimità Tua2, con cui ti degni di giustifi-
care il fatto che l’eccessiva scarsità con cui mi bagni con la rugiada della tua elo-
quenza3 sia attribuita alla carenza di un portalettere4, e al tempo stesso mi notifi-
chi anche il tuo stupore perché, benché io abbia a disposizione un buon numero di
postini, e non mi manchi anche abbondante eloquenza5, ricusi di scrivervi più
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42 Lettere

sciatis laborare egestate sermonis, ac sterilitate exilis ingenii, velut aestivis men-
sibus arentis venae cursum sudare, non fluere.

[2] Addidistis etiam, sicut Achilli Patroclum, aut Herculi Theseum, vel Theseo
Pirithoum, ita vos mihi debere sociari. In his fabulis factisque maiorum non prae-
rogativam personarum, sed conparationem debemus dilectionis accipere, ut ami-
corum recolentes nomina, sequamur exempla, et eorum in nos vocabula transfe-
rentes, merita conferamus, atque ex ipsorum gestis magnifica quaeque et honesta
carpentes, vitae nostrae utiliter coaptemus et serviamus nobis in caritate candida,
non adulatione fucata, studeamusque quod in amicitiis illorum poetarum falsitas
finxit, in nobis animorum veritas peragat, ut, dum imitari videmur antiqua, relin-
quamus imitando, et seniorum facta laudantes, laudemur a posteris.

[3] Haec ergo, domine mi, flamma pectoris mei, persuasioni tuae quam con-
scientiae meae amplius credens, gerulo festinante, breviter cursimque dictavi,
quae peritia tua et probitas tua, si amici verecundiae consuluerit, aut celare debe-
bit, aut emendare curabit.

11.
DOMINO SUBLIMI
SEMPERQUE MAGNIFICO FRATRI FREDAE
RURICIUS

[1] Quoniam amoenitati nemoris vestri etiam deserti nostri ineptias voluistis
adiungi, transmisi, sicut iniunxistis, abietum plantas, non specie, sed proceritate
placituras; non fructibus, sed sui peregrinatione mirabiles; non usu aptas, sed
amoenitate iucundas, quippe quae, cum coaluerint, crassitudine umbrarum Ceven-
narum frigus oceani sint aestatibus praebiturae, et hoc inter illas praeclarissimas
diversi generis arbores, tam decore quam utilitate praestantes, opulentas onere,
distinctas flore, odore fragrantes.

[2] Illic enim industria vestra contulit, quod soli natura non protulit. Nam ut
ruborem rosarum, liliorum candorem, lauri perpetuum virorem, et alia huiusce-
modi similia visibus praetermittam, quia saepe per abundantiam pretiosa vile-
scunt, et facit copia cotidiana fastidium, illic etiam graminum, germinum, frutec-
torum peregrinae conlatae sunt suavitates, visui usuique vernantes. Sed quid illic
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I, 10-11 43

spesso6. Che voi abbiate lanciato questa battuta per ironia, data la facilità del vo-
stro umorismo, non ho dubbi, giacché voi avete molti corrieri e sapete che io sono
afflitto da un eloquio povero e da un ingegno sterile ed esile7, come durante i me-
si estivi il corso di un fiume in secca trasuda, ma non scorre8.
[2] Avete aggiunto anche che, come Patroclo ad Achille, o Teseo a Ercole, o a
Teseo Piritoo, così voi dovete essere unito a me9. In questi fatti mitologici degli
antichi dobbiamo prendere non la simpatia per i personaggi, ma il valore compa-
rativo del loro affetto, affinché, richiamando alla mente i nomi degli amici, ne se-
guiamo gli esempi, e trasferendo su di noi i loro nomi10, ne assumiamo i meriti, e
cogliendo dalle loro azioni ogni insegnamento nobile e onesto, utilmente lo adat-
tiamo alla nostra vita e ci mettiamo a servizio l’uno dell’altro con purezza di ami-
cizia11, senza macchia di piaggeria12, e badiamo che, ciò che la falsità dei poeti
inventò in merito ai loro rapporti amicali, l’esprima compiutamente nei nostri
confronti la verità degli animi13, perché, mentre sembriamo imitare gli esempi an-
tichi, ne lasciamo da imitare, e lodando quanto compiuto da chi ci ha preceduto,
otteniamo lode dai posteri14.
[3] Questi pensieri dunque, o mio signore, fiamma del mio cuore15, ho scritto
brevemente e di corsa16, a motivo della fretta del corriere17, confidando che tu mi
conosci meglio di quanto io non conosca me stesso; pensieri che la tua esperienza
e la tua probità, se terranno in considerazione la modestia dell’amico, o dovranno
celare o avranno cura di correggere18.

11.
RURICIO
AL SUBLIME SIGNORE1 E SEMPRE MAGNIFICO2 FRATELLO
FREDA

[1] Dal momento che avete voluto aggiungere all’amenità del vostro bosco anche
le cosucce del nostro deserto, vi ho inviato, come mi avete ordinato, delle piantine
di abete, che vi saranno gradite non per l’aspetto, ma per l’altezza; mirabili non per
i frutti, ma per il viaggio da loro affrontato; in tutto inutili, ma gradevoli per ame-
nità3, poiché, una volta che abbiano messo radici, grazie alla densità delle ombre
delle Cevenne4, porgeranno ai calori estivi la freschezza dell’oceano5, e faranno ciò
fra quegli alberi di diverso genere veramente splendidi, superiori tanto in bellezza
quanto in utilità, carichi di frutti, ornati di fiori, di profumi olezzanti6.
[2] Là in effetti la vostra operosità ha accumulato ciò che la natura della terra
non ha fornito7. Infatti, per tralasciare il rosso delle rose, il bianco dei gigli, il
perpetuo verde del lauro e altre cose di tal fatta simili nell’aspetto – poiché spes-
so, a motivo dell’abbondanza, ciò che è prezioso viene svalutato e la ricchezza di
ogni giorno provoca fastidio –; là sono riuniti anche esotiche bellezze di erbe, di
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44 Lettere

primum laudandum sit aut mirandum, ubi etiam temporis intemperies temperatur?
Siquidem inibi torridae fervor aestatis tam umbrarum quam undarum rigore de-
pellitur, hiemis vero in tantum non sentitur asperitas, ut intra eadem positis tepor
aeris et cantus avium veris reddat effigiem.

[3] Sed quid ego inmemor inperitiae meae, paupero sermone, mi domine, ruris
vestri divitias, delicias describere aut enarrare contendo, ad cuius laudem etiam
ingenia maiora succumberent? Date itaque inpudentiae meae veniam, quam extor-
sistis, qui ut auribus vestris verbosus existerem, dignatio vestra me conpellit, con-
fidens quod epistula longior vobis, domnis meis, si displiceret affatu, placeret af-
fectu, cum intellegeretis eam non pro eloquentiae lepore, sed pro vestro amore
copiosam, simulque, quia sciebam sublimitatem vestram in amicis vestris plus re-
prehendere taciturnitatis verecundiam, quam loquacem familiaritatis audaciam.

12.
DOMNO PECTORIS SUI CELSO
RURICIUS

[1] Trepido in praeconium vestrum os elingue reserare, cui scio iure etiam in-
genia maiora succumbere. Quid enim primum de affectionis aut dignationis ve-
strae laude commemorem, qui omnes mihi ruris, moris, et, quod his omnibus
maius est, caritatis delicias contulistis, aut certe, si quid horum defuit, deputan-
dum tempori, non vobis est inputandum. Nam totum apud vos, quod carum pec-
tus, quod habuit clarum mundus, inveni, nulla me penitus iucunditate fraudastis.
Quin etiam desiderabile mihi hospitioli mei desertum vestra vicinitate fecistis. Et
idcirco me magis finitimum vobis esse congaudeo, quia non ex toto malus est, qui
bonis iungitur.

[2] Sed ne exhibeat vobis seu ineptia sui longior sermo fastidium, salve largis-
simum dico, et vitrarium, sicut iussistis, me destinasse significo, cuius opus nito-
re, non fragilitate oportet imitemur, ut dilectio, quae nobis a parentibus relicta, a
magistro tradita, vitae communione firmata est, secundis elimetur, adversis nulla
penitus turbinum procella frangatur. Nam sicut auri atque argenti pretiosa sinceri-
tas, si aeris aut plumbi, vel cuiuslibet alterius materiae vilioris fuerit admixtione
corrupta, nisi ignium examinatione purgetur, nec splendorem naturalem poterit
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I, 11-12 45

germogli, di arbusti8 che mettono nuove foglie per essere ammirate e utilizzate9.
Ma che cosa bisogna in primo luogo lodare o ammirare là, dove anche le intempe-
rie del tempo sono temperate?10 Se davvero in quel luogo la torrida calura estiva è
scacciata dalla frescura tanto delle ombre che delle onde11, certamente non si av-
verte il rigore invernale12, a tal punto che, a coloro che vi risiedono, il tepore del-
l’aria e il canto degli uccelli rende l’immagine della primavera13.
[3] Ma perché io, dimentico della mia imperizia14, o mio signore, mi sforzo
con povere parole di descrivere per bene la dovizia, la delizia15 della vostra cam-
pagna, innanzi alla cui lode anche menti più eccelse soccomberebbero?16 E così
perdonate la mia impudenza, che voi avete forzato17; sono infatti stato spinto a ri-
sultare ai vostri orecchi prolisso da Vostro Onore18, confidando che una lettera
troppo lunga19, se vi seccasse per le parole, o signore mio, vi farebbe piacere per
l’affetto20, giacché la rilevate abbondante in riferimento non alla grazia dell’elo-
quenza 21 , ma al vostro amore, e al tempo stesso poiché sapevo che Vostra
Altezza22, nei confronti dei suoi amici23, riprende più la discrezione del silenzio,
che non la loquace audacia della familiarità24.

12.
RURICIO
AL SIGNORE DEL SUO CUORE1
CELSO

[1] Mi precipito a sciogliere la mia bocca incapace di parola2 nel vostro elogio,
di fronte al quale so che a ragione anche menti più eccelse soccombono3. Perché
infatti dovrei ricordare per primo le lodi del vostro affetto o del vostro onore, voi
che mi avete concesso ogni delizia della campagna, dell’etichetta4 e – cosa che è
maggiore di tutte queste – dell’amicizia?5 E se è mancato qualcosa, è certamente
da attribuire all’epoca in cui viviamo6, non da imputare a voi7. Infatti, tutto ciò
che il cuore ritiene caro, tutto ciò che il mondo ritiene nobile, presso di voi l’ho
trovato8: voi non mi avete assolutamente privato di alcuna gioia. Anzi, con la vo-
stra vicinanza avete reso desiderabile anche la mia desolata casetta9. E per questa
ragione gioisco di essere maggiormente prossimo a voi10, poiché non è del tutto
malvagio colui che si unisce ai buoni11.
[2] Ma perché un discorso troppo lungo, o piuttosto un discorso sciocco12, non
vi procuri fastidio13, vi mando i più cari saluti14 e vi rendo noto che vi ho inviato
il vetraio15, come mi avete ordinato, la cui opera occorre imitare nello splendore,
non nella fragilità, affinché l’amore16 che ci è stato lasciato dai genitori, ci è stato
trasmesso dal maestro17, che è stato consolidato dalla comunione di vita18 sia rifi-
nito nelle situazioni prospere, ma nei momenti difficili non sia assolutamente
spezzato da turbini e tempeste19. Infatti, come la preziosa purezza dell’oro e del-
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46 Lettere

habere nec sonum. Nam nec visui claritatem, nec tinnitum reddit auditui, magi-
sque raucum resonat, si feriatur, et stridulum <…>.

[3] Hanc ergo sententiam, non meam, sed Domini, frater optime, contuentes
pariter et sequentes, ita vitam nostram medio cursu, gubernatore ipso Domino,
temperemus, ut, quamquam serenitas adrideat, prosperior flatus invitet, mare pla-
cidum blandiatur, scientes tamen illam aequoris subiecti planitiem ad instar mon-
tium repente consurgere, nequaquam in altum navem nostram patiamur inpelli,
ubi eam aut tempestas solvat, aut unda demergat.

13.
DOMNO PECTORIS SUI CELSO
RURICIUS

[1] Recepi apices germanitatis tuae, qui mihi non parum scrupuli rettulerunt.
Vereor enim ne secus de litterulis meis quam a me missae sunt senseritis, et idcir-
co quasi temerariae praesumptionis me notare videamini, dum ut pro vobis orem,
ac saepius commoneam, postulatis. Egone, frater optime, castigare vos audeam,
qui me nequeo castigare? Egone vos, qui me adhuc in saeculi turbinibus tamquam
in maris aestibus cumba instabili fluctuantem, quasi iam de sublimiori specula vel
eminentiori colle respicitis? Egone vos, qui ad portum veniae per paenitentiae in-
dulgentiam, Domino gubernatore, venistis?

[2] Non ego penitus, frater dilecte, sic scripsi, ut mihi aliquid blandiens, vos
inprobo dente morderem, nec ut vos laederem, sed mihi epistulae familiaritate
vincirem. Nam si bene consideretis, votorum sunt illa verba, non actuum, et op-
tantis potius quam monentis, quia non quid ageremus, sed qualiter vellem ut vive-
remus, exposui.

[3] Ceterum si actus vitae meae praeteritae praesentisque discutias, pudebit te,
intimo et secretissimo fratre teste, ferre, quae non puduit Deo teste promittere,
pro quibus facinoribus meis spero vos potius Domino supplicetis, ut quos in hoc
saeculo amicitiarum et propinquitatis voluit esse consortes, in futuro bonorum iu-
beat esse participes.
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I, 12-13 47

l’argento, se è stata corrotta dalla mescolanza col rame o col piombo o con qualsi-
voglia altra materia più vile, se non verrà purificata dal vaglio delle fiamme20, né
potrà avere il suo naturale splendore né il suono21. E infatti non riflette la chiarez-
za né echeggia il tintinnio e risuona più roco, se viene percosso, e stridulo <…>22
[3] Considerando dunque e seguendo al tempo stesso, queste parole, non mie,
ma del Signore23, o ottimo fratello, governiamo la nostra vita24 navigando con
prudenza25, col Signore in persona come nocchiero26, in modo tale che, benché
arrida il sereno, il vento molto prospero inviti, il mare tranquillo lusinghi27, sa-
pendo tuttavia che quella distesa piatta del mare sottostante28 si innalza improvvi-
samente al pari dei monti29, non permettiamo mai che la nostra nave si spinga al
largo, dove la tempesta la infranga o l’onda l’affondi30.

13.
RURICIO
AL SIGNORE DEL SUO CUORE
CELSO

[1] Ho ricevuto lo scritto1 della Fraternità Tua2, che mi ha portato in risposta


non poco scrupolo. Temo infatti che alla mia letterina3 abbiate dato un’interpreta-
zione differente da quella con cui è stata da me mandata, e che di conseguenza
sembriate bollare me come temerario e presuntuoso, mentre mi chiedete di prega-
re per voi e di concedervi ammonimenti più frequenti4. Io, o ottimo fratello, ose-
rei correggere voi, io che non sono in grado di correggere me? Io oserei corregge-
re voi, che, ormai come dall’alto di una vedetta o dalla cima di un colle5, volgete
lo sguardo verso di me che, ancora nei turbini del mondo6, sono sballottato, per
così dire, su una navicella fluttuante7 nelle onde del mare?8 Io oserei correggere
voi che, col Signore come nocchiero9, siete giunto10 al porto del perdono attraver-
so l’indulgenza della penitenza?11
[2]Assolutamente io non vi ho scritto, o diletto fratello, in modo tale da mor-
dervi con iniquo dente12, illudendo un po’ me stesso, né così da offendervi, ma in
maniera tale da legarvi a me con la familiarità di questa lettera13. Infatti, se consi-
derate bene, quelle parole riguardano i desideri, non le opere, proferite da uno che
chiede più che ammonire, poiché ho esposto non che cosa fare, ma in quale modo
vorrei che vivessimo.
[3] D’altronde, se esamini le opere della mia vita passata e presente14, avrai
vergogna di confermare, davanti al tuo intimo e specialissimo fratello, ciò che
non hai avuto vergogna di promettere davanti a Dio15; spero16 piuttosto che sup-
plichiate il Signore per queste mie malefatte, affinché in futuro renda partecipi dei
beni eterni coloro che in questo mondo ha voluto che condividessero amicizia e
parentela17.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 48

48 Lettere

14.
DOMNO PECTORIS SUI CELSO
RURICIUS

[1] Equum, qualem iusseras, destinavi, mansuetudine placidum, membris vali-


dum, firmum robore, forma praestantem, factura conpositum, animis temperatum,
nec praeproperum scilicet velocitate, nec pigrum tarditate, cui frenus et stimulus
sit sedentis arbitrium, cui ad evehendum onus et velle suppetat pariter et posse,
ita ut nec cedat superposito, nec deponat inpositum.

[2] His itaque, sicut oportuit, intimatis, salutatione praelata, pollicitatione di-
spensa, promissa deposcimus, ut ad sollemnitatem sanctorum ad nos, Deo propi-
tio, una cum sorore venire dignemini, honorem patronis, fratribus affectum, gra-
tiam populis praestituri.

15.
DOMINO SUO PECULIARI IN CHRISTO DOMINO
PATRONO AEONIO EPISCOPO
RURICIUS

[1] Agnito transitu sanctae et venerabilis apud me recordationis domini mei de-
cessoris vestri Leontii, animo et mente confusus diu multumque tristatus sum,
quod et inpedientibus peccatis meis tanto antestiti occurrere non merueram, et tali
essem parente privatus. Cuius etsi exterioris hominis non fruebar aspectu, interio-
ris tamen gratia delectabar, et mentis acie iugiter adhaerebam; per quem et in quo
mihi praesens quodammodo et cernebatur obtutu, et audiebatur affatu, et palpaba-
tur adtactu, et tenebatur amplexu, siquidem cari nullo se melius loco quam in cor-
de, caritatis ipsius sede, conspiciunt. Unde et amplius desiderabam oculis videre
carnalibus, quem ita spiritalibus intuebar. Sed dolori meo consolationem ea quae
prius tribuerant solatium, ipsius merita dederunt, quia confido quod, quem pater-
na pietate dilexit, et sedula intercessione custodiat.

[2] Sed haec sanctitati vestrae quasi vobiscum conloquens, atque a vobis mae-
roris ipsius levamen requirens, dictante dilectione, rettuleram. Nunc vero, ut dice-
re institueram, accersione ipsius domini mei et apostolatus vestri ordinatione con-
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I, 14-15 49

14.
RURICIO
AL SIGNORE DEL SUO CUORE
CELSO

[1] Ti ho inviato il cavallo1, come me lo avevi ordinato, nella mitezza soave2,


negli arti vigoroso, robusto nella complessione, nell’aspetto eccellente3, armonico
nella forma, moderato nell’indole4 né troppo rapido, ovviamente al galoppo, né
neghittoso nel passo lento5, al quale freno e pungolo siano arbitrio di chi lo caval-
ca6. Esso possiede in abbondanza parimenti volontà e capacità di portare some7,
cosicché né soccombe al peso di chi lo monta né mette giù il fardello che gli è
stato posto sul dorso8.
[2] E così dopo avervi comunicato queste notizie, come è stato doveroso, dopo
avervi reso i nostri saluti9, una volta soddisfatti i patti, vi domandiamo ciò che
avete promesso, cioè che per la solennità dei Santi10, per grazia di Dio11, vi de-
gnate di venire da noi assieme a vostra sorella12, per concedere onore ai patroni13,
ai fratelli affetto14, amicizia alle persone15.

15.
RURICIO
AL SUO PARTICOLARE SIGNORE PATRONO IN CRISTO SIGNORE1
IL VESCOVO EONIO

[1] Dopo aver saputo della dipartita del mio signore di santa e venerabile memo-
ria presso di me, il vostro predecessore Leonzio2, confuso nell’animo e nella men-
te, mi sono rattristato a lungo e molto, perché non avevo meritato3 – me lo impedi-
vano i miei peccati – di incontrare un così grande vescovo e perché ero stato priva-
to di un tale padre4. E anche se non godevo della vista dell’uomo esteriore, godevo
tuttavia del favore di quello interiore5 e nella contemplazione dello spirito gli ero
continuamente6 vicino; attraverso e nell’uomo interiore egli mi era presente in un
certo qual modo, e lo vedevo con gli occhi e lo ascoltavo parlare e lo toccavo con
le mani e lo circondavo di abbracci7, se è vero che coloro che si vogliono bene in
nessun luogo si contemplano meglio che nel loro cuore, in cui risiede l’amore stes-
so8. Motivo per cui sempre più desideravo9 di vedere con gli occhi di carne colui
che vagheggiavo così con quelli dello spirito10. Ma consolarono il mio dolore i suoi
meriti, che prima mi avevano dato conforto11, poiché confido che egli custodirà an-
che con sollecita intercessione colui che ha amato con paterna amorevolezza12.
[2] Ma ho riferito13 questi pensieri alla Santità Vostra14 sotto dettatura dell’a-
micizia15, quasi dialogando con voi16, e presso di voi ricercando sollievo all’affli-
zione stessa17. Ora veramente, come avevo cominciato a dire, dopo aver appreso
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50 Lettere

perta, ad officium vestrum mittere cogitabam. Sed muneribus vestris humilitatis


meae praevenistis obsequium: quae mihi maiorem scribendi fiduciam contulerunt,
quia praesumo quod, quem liberalitate feceritis dignum, ab animis vestris non ha-
beatis alienum.

[3] Et ideo, sicut datis intellegi, quoniam tanti habere dignamini, sospitationem
beatitudini vestrae per litteras uberem dico, simulque peculiari prece deposco eo
mecum agere tanti habeatis affectu, ut domnum Leontium praemisisse, et commu-
tasse potius quam perdidisse cognoscam.

16.
DOMINO VENERABILI,
ADMIRABILI ET SANCTIS OMNIBUS AEQUIPERANDO
FRATRI SIDONIO VIDENTI
RURICIUS

[1] Olim te, frater carissime, fama celeberrima praedicante, cognovi, et in sede
caritatis illis, quibus ipse melius terrena dispicis, et caelestia divinaque conside-
ras, oculis mentis aspexi, unde ipsius nomen adscripsi, cuius munere donatum es-
se te vidi. Et ideo, dum te in speculo cordis diligenter intueor, et pulchritudinem
interioris hominis tui vehementer admiror, ad desiderandum animi mei viscera
concitasti, quae in tantum affectum tuum meracissima dilectione commota sunt,
ut, quem spiritalibus oculis contemplor, etiam carnalibus cernere concupiscam.

[2] Quam ob rem, salve in Christo Domino plurimum dicens specialius quaeso,
ut una cum domno meo episcopo, quem ad nos venturum pro sua dignatione con-
fido, vobis ad humilitatem nostram visitandam faciatis iniuriam, ut possimus in
unum positi fructum de nostra invicem capere praesentia, dum sciscitantis inten-
tio fit respondentis eruditio, et mutuus quodam modo profectus discentis efficitur
et docentis.

Pax, pax, pax.


02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 51

I, 15-16 51

della convocazione innanzi al tribunale divino18 del mio stesso signore e dell’or-
dinazione episcopale dell’Apostolato Vostro19, pensavo di inviarvi una lettera co-
me indirizzo di omaggio. Ma con il vostro dono20 avete prevenuto l’ossequio del-
la Mia Umiltà21, dono che mi ha conferito maggiore fiducia nello scrivere, poiché
suppongo che non sentiate lontano dai vostri sentimenti colui che22 avete fatto de-
gno della vostra generosità.
[3] E pertanto, come date a capire, poiché vi degnate di tenere ciò in grande
considerazione, attraverso questa lettera23 invio abbondanza di saluti24 alla Beati-
tudine Vostra25, e al tempo stesso con particolare26 preghiera vi chiedo di tenere
in grande considerazione27 di rapportavi a me con un affetto tale che io compren-
da che il mio signore Leonzio mi ha preceduto in Paradiso e che ha mutato sem-
bianze, piuttosto che essere definitivamente scomparso28.

16.
RURICIO
AL SIGNORE VENERABILE, AMMIRABILE
E DA PARAGONARSI A TUTTI I SANTI1
IL FRATELLO2 SIDONIO IL VEGGENTE3

[1] È da tempo che, per la celeberrima fama che ti annuncia, ti conosco4, o fra-
tello carissimo, e che, nel luogo in cui risiede l’amore5, ti vedo con quegli occhi
dello spirito6, per mezzo dei quali tu stesso meglio disprezzi le realtà terrene e
consideri quelle celesti e divine7; donde ti ho attribuito il nome dello stesso, del
cui dono – ho visto – sei stato dotato8. E pertanto, mentre ti vagheggio9 attenta-
mente nello specchio del cuore, e grandemente ammiro la bellezza del tuo uomo
interiore10, hai sollecitato a desiderare te la parte più profonda del mio animo11, la
quale è stata mossa dalla più pura amicizia12 a un così grande affetto verso di te,
che, colui che contemplo con gli occhi dello spirito, ho brama di vederlo anche
con quelli di carne13.
[2] Per la qual cosa, mandandovi molti saluti in Cristo Signore14, vi prego in
maniera del tutto speciale, assieme al vescovo mio signore15 – il quale confido,
conformemente al suo onore16, verrà presso di noi – di farvi da solo ingiuria nel
visitare l’Umiltà Nostra17: così potremo, una volta riuniti insieme18, cogliere reci-
procamente frutto dalla nostra presenza19, mentre la volontà20 di chi chiede diven-
ta insegnamento di chi risponde21, e si realizza in un certo qual modo un vicende-
vole progresso del discente e del docente22.

Pace, pace, pace23.


02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 52

52 Lettere

17.
DOMNO ANIMAE SUAE
ET TOTIS IN CHRISTO DOMINO DILECTIONIS VISCERIBUS EXCOLENDO
POMERIO ABBATI
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Scriptum est, sicut ipsi melius nostis: Mihi vindicta, ego retribuam, dicit
Dominus. Iam vos mihi, si quid inputatis, ignoscite, quia sciatis Dominum vindi-
casse. Tam aviis esse nos itineribus noveritis, in tam abditas solitudines inductos,
ut eas retexere animus horreat, mens refugiat, sermo non queat.

[2] Incurrimus namque semitam obstructam ramis, spatio constrictam, spinis


hirtam, stirpibus clausam, obsitam sentibus, situ asperam, saxorum aggeribus in-
peditam, radicum conexione constratam, caeno voraginosam, ut in tam variis
tamque multiplicibus malis non esset simplex forma periculi; dum caballorum
pedes radicum virtus detinet, et soli putredo non sustinet; montibus vero ita in
sublime porrectam, et vallibus in profundo demersam, ut nos per undosum mare,
excitantibus eum ventorum saevientium flabris, erepto ab oculis nostris nebulis
ac nubibus die, iter agere crederemus, quia, etiamsi mundo radius solis inluxit,
ad nos, prae densitate nemoris splendor ipsius et calor pervenire non valuit, dum
nos ita per iter infelicium filicum proceritas premit, et sic inundatio roris asper-
git, ut contracti frigore, vel coacti apricitatem ignis plurimi diebus cynocaumatis
quaereremus.

[3] Sed cum ad locum, ad quem tendebat intentio, pervenissemus, vallati aquis
atque madefacti, siti occepimus deperire, quia, cum esset, ut diximus, rigor in ae-
re, erat tamen tepor in fonte, odor in flumine, ardor in campo, aestus in castro. Et
ut brevi sermone universa concludam, per talem viam nos iter egisse cognoscite,
per quam nec ad paradisum, non dicam ad exilium, quisquam ire desideret.

[4] Quapropter quia haec omnia Dominus noster et me incurrere et vos iussit
evadere, peccata mea a vestris meritis etiam visibili itinere discernens, ut vos qui
arta et laboriosa spiritaliter pergitis via, istius non incederetis angustias, et nos qui
lata et spatiosa, retrorsum semper respicientes incedimus, huius incurreremus
iniurias, orate Dominum, cui omnia possibilia confitemur, ut, etsi per diversum
iter, ad unam nos tamen urbem faciat convenire, in quam nos misericordia potest
inferre, vos merita.
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I, 17 53

17.
IL VESCOVO1 RURICIO
AL SIGNORE DELLA SUA ANIMA E DA ONORARSI2
CON L’AFFETTO PIÙ PROFONDO IN CRISTO SIGNORE
L’ABATE POMERIO3

[1] È scritto, come voi stesso meglio sapete: A me la vendetta, io darò il com-
penso, dice il Signore4. Già voi, se mi imputate qualcosa, perdonatemi5, poiché
sapete che il Signore ha operato la sua vendetta. Siete a conoscenza che noi, per
percorsi tanto impervi, siamo stati condotti in deserti tanto remoti, che raccontar-
ne l’animo ha paura, la mente fugge6, la parola non è in grado7.
[2] E infatti siamo incappati in una strada ostruita da rami, angusta nello spa-
zio, irta di spine, chiusa da sterpi, coperta di rovi, irregolare nel terreno, impedita
da mucchi di sassi, coperta da una concatenazione di radici, costellata di buche
fangose8, cosicché in una tanto varia molteplicità di mali non c’era un’unica for-
ma di pericolo9. Mentre la forza delle radici tratteneva le zampe dei cavalli10 e la
limacciosità del terreno non le sosteneva, a tal punto la strada si innalzava su su
fino in cima e poi sprofondava giù giù fino a valle11, che credevamo di condurre
un viaggio attraverso un mare in burrasca, agitato dal soffio e dalla furia dei ven-
ti, dopo che la luce era stata strappata ai nostri occhi dalle tenebre e dalle nubi12:
anche se un raggio di sole brillò sul mondo, il suo splendore e il suo calore non
ebbero la forza di giungere fino a noi a motivo della densità del bosco, mentre a
tal punto ci opprimevano durante il viaggio le alte felci infauste13 e ci bagnava la
straripante rugiada14 che, paralizzati e costretti dal freddo15, cercavamo il calore
di un abbondante fuoco durante i giorni di canicola16.
[3] Ma una volta che fummo giunti al luogo, verso cui cercavamo di arrivare,
circonfusi e inzuppati d’acqua17, prendemmo a morire di sete18, perché, nonostan-
te l’aria, come abbiamo detto, fosse fresca, la fonte tuttavia era tiepida, il fiume
maleodorante, il campo caldo, il villaggio infuocato19. E per concludere tutto in
poche parole, sappiate che noi abbiamo affrontato il viaggio attraverso una via ta-
le, per la quale nessuno desidererebbe di andare – non direi in esilio – neppure in
Paradiso20.
[4] Pertanto, poiché nostro Signore ha stabilito che io incappassi in tutte queste
peripezie e che voi le evitaste, distinguendo i nostri peccati dai vostri meriti anche
per mezzo di un percorso visibile – cosicché voi, che siete incamminato sulla via
stretta e faticosa dello spirito21, non siete avanzato in mezzo alle angustie, e noi,
che avanziamo per la via ampia e spaziosa22, sempre voltandoci indietro23, siamo
incappati nei suoi ostacoli24 –, pregate il Signore, per il quale confessiamo che tut-
to è possibile, affinché, anche se per un percorso differente, ci faccia tuttavia
giungere insieme all’unica Città25, nella quale può introdurre noi la sua misericor-
dia, voi i vostri meriti26.
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54 Lettere

18.
DULCISSIMO ET UNANIMO FILIO OMMATIO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Ut per Venerium dulcedini tuae non scriberem, non neglegentiae, nec inpu-
tationis alicuius, sed occupationis fuisse cognosce. Unde has per Amelium dedi,
quibus salve plurimum dico, et, ut propositi tui semper reminiscaris, admoneo.

[2] Nec animum tuum iam Deo dicatum aut a coepto itinere blandior visus
avocet, aut modulatior corrumpat auditus, aut dulcior gustus inficiat, aut mollior
sollicitet tactus, aut suavior odoratus illiciat, et per fenestras corporis mors intro-
mittatur ad animam, sed neque stivam tenens, contra Domini sententiam retro re-
spicias, ut directum lineae sulcus amittat, quin potius ita in eum, cui te, ipso inspi-
rante, vovisti, omnibus sensibus inhies et corde defixus adhaereas, ut, cum te vel
una praefatorum vitiorum inlex forma pulsaverit, fide firma et divina meditatione
munitum pectus adire non possit.

[3] Et quamlibet in turbis positus esse videaris, intrans in cubiculum cordis tui,
clauso ostio tuo, Dominum orare non desinas, ut, qui videt in occulto, dicat tibi,
sicut sancto Moysi vociferanti ad se non voce, sed corde dicebat: Quid clamas ad
me? Et spero ut in talibus orationibus etiam mei meminisse digneris, et citius te
ad nos, etiamsi noster non reducit affectus, desiderium dulcissimae et saluberri-
mae quietis adducat.
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I, 18 55

18.
IL VESCOVO RURICIO AL DOLCISSIMO FIGLIO OMMAZIO,
UN CUOR SOLO CON LUI1

[1] Sappi che è stato dovuto non a negligenza né a qualche lagnanza, ma agli
impegni il fatto che non scrivessi alla Dolcezza Tua2 per mezzo di Venerio3. Per-
ciò attraverso Amelio4 ti ho inviato questa lettera, con la quale ti mando molti sa-
luti5 e ti esorto a rammentarti sempre del tuo proposito di vita ascetica6.
[2] E il tuo animo ormai consacrato a Dio non lo richiami dal percorso intra-
preso un’immagine troppo carezzevole né lo corrompa una voce troppo melodio-
sa né lo guasti un cibo troppo appetitoso né lo solleciti una carezza troppo langui-
da né lo seduca un profumo troppo soave7, e attraverso le finestre del corpo non si
lasci entrare la morte nell’anima8. Ma tu non guardare indietro9, mentre guidi l’a-
ratro10, contro le parole del Signore11, cosicché il solco perda il suo tracciato li-
neare; anzi, piuttosto concentrati con tutti i sensi su di Lui12 al Quale, per sua
ispirazione13, ti sei votato14, e staGli vicino col cuore a Lui inchiodato15, in modo
tale che, nel momento in cui bussi alla tua porta16 anche una sola parvenza dei
predetti vizi per sedurti17, non possa entrare nel tuo intimo, difeso dalla fermezza
della fede e dal pensiero di Dio18.
[3] E per quanto ti sembri di stare19 in mezzo alla confusione, entrando nella
camera del tuo cuore, chiusa la tua porta, non cessare20 di pregare il Signore, af-
finché, colui che vede nel segreto21, ti dica, come diceva al santo Mosé che si ri-
volgeva a Lui gridando non con la voce, ma col cuore: Perché gridi a me22? E
spero che in tali preghiere ti degni di ricordarti anche di me, e benché il nostro af-
fetto non riconduca più rapidamente te a noi, ti conduca il desiderio del quanto
mai piacevole e salutare riposo23.
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Liber Secundus

1.
DOMNIS SUBLIMIBUS ET IN CHRISTO DOMINO
DEVINCTISSIMIS FRATRIBUS NAMATIO ET CERAUNIAE
RURICIUS

[1] Antiqui sapientes amicos duos unam animam habere dixerunt, quod valde
verum esse praedico proboque. Nam postquam a vestra germanitate discessi, divi-
sum esse me sentio, partemque meam vobiscum resedisse cognosco, nec absenti-
bus vobis integer esse mihi videor. Et cum me in me non inveniam, apud vos me
ad vos reversus inquiro, atque ibidem, quantum me vobis reliquisse, tantum vestri
mecum abstulisse conspicio.

[2] Et ita priusquam fiat, annuente Domino, pignorum nostrorum votiva co-
niunctio, animorum inter nos facta iam divisio, quae divisio amplectenda magis
est diligentibus, quam vitanda, per quam fit in cordibus eorum caritatis integrae
sincera transfusio, cuius ego vinculis conligatum a vobis esse me gaudeo, et tali-
bus catenis vinctus exulto obstringique me earum nexibus magis cupio quam re-
solvi, quibus et vos constrictos esse confido.

[3] Redeuntibus itaque vestris, salve largissimum dico, et ex omnibus gratias


agens derelinquo quae ad praeconium vestrum pertinent. Idcirco me siluisse si-
gnifico, quia in propriis laudibus, sicut dicitur, est odiosa iactatio. Vestra enim
laus mea facta est, et ideo, ut dixi, de magnanimitate vestra tacere melius duxi,
quia quidquid de vobis dixero, mihi videor contulisse.
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Libro Secondo

1.
RURICIO
AI SUBLIMI SIGNORI1 E OBBLIGATISSIMI FRATELLI
IN CRISTO SIGNORE NAMAZIO E CERAUNIA

[1] Gli antichi saggi dissero che due amici hanno un’anima sola2, cosa che io3
dichiaro e sottoscrivo essere verissima4. Infatti, dopo essermi separato da Vostra
Fraternità5, sento di essere diviso in due e riconosco che una parte di me è rimasta
con voi6 e mi sembra7 di non essere completo senza di voi. E dal momento che
non mi ritrovo in me stesso, dopo essere tornato indietro da voi, cerco me stesso
presso di voi, e lì constato che tanto di voi ho portato via con me, quanto di me ho
lasciato a voi8.
[2] E così, prima che, col beneplacito del Signore, avvenga la desiderata unio-
ne dei pegni del nostro affetto9, già si è operata tra di noi la divisione degli ani-
mi10. E tale divisione va abbracciata da coloro che si amano più che evitata: per
mezzo di essa infatti avviene nei loro cuori un puro travaso di amore sincero11,
dai cui lacci io gioisco di essere stato da voi legato. E imprigionato da siffatte ca-
tene, esulto e bramo di essere stretto dai loro vincoli più che di esserne sciolto; e
sono certo che anche voi siete stati in essi costretti12.
[3] E così, al ritorno dei vostri servi, invio i più cari saluti13, e, ringraziandovi
di tutto, tralascio quanto attiene alla vostra lode14. Di conseguenza vi rendo noto
che me ne sono stato zitto, poiché, come si dice, non è bello ostentare i propri me-
riti15. Infatti la vostra lode è la mia lode, e pertanto, come ho detto, ho ritenuto
meglio tacere della Magnanimità Vostra16, poiché, qualunque cosa dirò di voi, mi
sembra di averla riferita a me17.
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58 Lettere

2.
DOMINIS SUBLIMIBUS ET IN CHRISTO DOMINO
DEVINCTISSIMIS FRATRIBUS NAMATIO ET CERAUNIAE
RURICIUS

[1] Inter reliquas grates, quae a me vobis iure referendae sunt, praesentia ac vi-
sitatione patroni communis domni Postumini ingentes gratias ago, quod hospitio-
lum nostrum fecistis ipsius orationibus inlustrari, quia dum vobis exhibet fidem,
nobis tribuit benedictionem. Et licet fuerit vigilantissimus inspector, inportunissi-
mus exactor, districtissimus exsecutor, levia tamen haec omnia gratia vestra et
sanctitatis suae ponderatione pensavimus, quia sicut scriptum est: Caritas omnia
sustinet, caritas numquam excidit, praesertim cum hoc, quod visus est exigere,
nobis eum credimus Dei beneficio contulisse.

[2] Itaque eo propitia divinitate remeante, non quia necessariae essent, sed,
quia ipse voluit, dedi, quibus individuae germanitati vestrae salve largissimum
desiderans dico, et iter meum vestrumque conspectum mente praevenio, atque
omnia, sicut iussistis, et dignum ac debitum fuit, inspecta, tradita, firmata signifi-
co. Nec vereor quod debeat animos vestros vel aliquantisper offendere, quod
unum vocabulum de libello dotis videtur esse subtractum, cum hoc quod deest
numero, non solum conpensatum, sed etiam auctum agnoscatis in merito.

3.
DOMNIS SUBLIMIBUS ET IN CHRISTO DOMINO
DEVINCTISSIMIS FRATRIBUS NAMATIO ET CERAUNIAE
RURICIUS

[1] Quam graviter sim de luctu vestro nuntii atrocitate perculsus, facilius vos
pro mutuo potestis amore conicere, quam ego possim litteris intimare, quia ani-
mus, nimio maerore confectus, quod horret recolere, rennuit expedire. Doleo, fra-
tres devinctissimi, tam acerbo casui vestro, et ex toto corde conpatior. Nam etsi
ad praesens a vobis disparatus sum corpore, tamen semper mente coniungor et,
dum a vobis animo non recedo, planctibus vestris interesse me credo, quia, secun-
dum divinam sententiam, quod patitur unum membrum, omnia membra conpa-
tiuntur in corpore. Nos enim non solum fide concorporamur in Christo, sed etiam
filiorum coniunctione conectimur. Unde etiam, si aurarum tanta intemperies per-
misisset, ad solandos vos pro epistulis ipse venissem.
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II, 2-3 59

2.
RURICIO
AI SUBLIMI SIGNORI E OBBLIGATISSIMI FRATELLI
IN CRISTO SIGNORE NAMAZIO E CERAUNIA

[1] Tra gli altri ringraziamenti1 che io devo giustamente esprimervi in contrac-
cambio, rendo immensamente grazie2 per la presenza e la visita del patrono co-
mune Postumino3, perché avete fatto in modo che la nostra casetta4 fosse nobilita-
ta nello spirito5 dalle sue preghiere, poiché, mentre a voi mostra la sua fede, a noi
accorda la sua benedizione6. E benché sia stato un attentissimo ispettore, un gra-
vosissimo esattore, un impegnatissimo esecutore7, tuttavia abbiamo dato poco pe-
so a tutte queste cose, data la vostra amicizia e il peso8 di Sua Santità9, poiché,
come sta scritto, la carità tutto sopporta, la carità non viene mai meno10, in parti-
colare quando ciò che è sembrato esigere, crediamo sia stato lui a concedercelo
col favore di Dio.
[2] E così, volendo Iddio che egli tornasse11, ho fornito garanzie, non poiché
erano necessarie, ma poiché fu egli stesso a esigerle, a motivo delle quali invio
affettuosamente12 i più cari saluti13 all’indivisibile Fraternità Vostra14, e nello spi-
rito prevengo il mio viaggio e la visione di voi15, e vi rendo noto che tutte le pro-
messe le ho esaminate, comunicate, confermate16, come mi avete ordinato ed è
stato giustamente dovuto. E non temo che17 debba offendere i vostri animi, anche
solo per un po’di tempo, il fatto che sembri che sia stata tolta una parola dal con-
tratto di dote18, dal momento che ciò che manca nella quantità, lo riconoscete non
solo compensato, ma anche accresciuto nel merito19.

3.
RURICIO
AI SUBLIMI SIGNORI E OBBLIGATISSIMI FRATELLI
IN CRISTO SIGNORE NAMAZIO E CERAUNIA

[1] Quanto pesantemente sia stato colpito dall’atrocità della notizia del vostro
lutto,1 voi potete immaginarlo più facilmente, in virtù del vicendevole amore2, di
quanto io non possa esporlo per lettera3, poiché l’animo, annientato da eccessiva
afflizione4, rifiuta di esprimere ciò che ha orrore di richiamare alla mente5. Sono
addolorato, o fratelli obbligatissimi, della tanto cruda vostra sventura e di tutto
cuore partecipo alla vostra sofferenza6. Infatti, anche se per il momento sono se-
parato da voi col corpo7, tuttavia sono sempre a voi unito con lo spirito8 e, mentre
non mi allontano da voi con l’animo, credo di prendere parte ai vostri lamenti9,
poiché, secondo le divine parole, ciò che soffre un membro, tutte le membra lo
soffrono assieme10 nel corpo11. Noi infatti siamo non solo uniti in un solo corpo
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 60

60 Lettere

[2] Sed quid facimus, fratres optimi? quod divinae resistere iussioni, sicut vir-
tute non possumus, ita nec voluntate debemus, et omni advigilantia praecavere ne
dum dulcia nobis pignora nimio dolore deflemus, blasphemi, aut quodam modo
iniuriosi videamur in Domino, et gravius animam nostram auctor ipsius meritis in-
venta occasione confodiat, quam carorum amissione percussit. Ideo in omni ama-
ritudine vel dolore ad illum nobis refugiendum est, et ad illum omnes casus nostri
toto corde referendi, qui sanat vulneratos, qui relevat maestos, qui consolatur af-
flictos, et illa sancti Iob sententia omnino dicenda est: Dominus dedit, Dominus
abstulit, sicut Domino placuit, ita et factum est. Sit nomen Domini benedictum.

[3] Haec ergo, domini pectoris mei, scribere vobis idcirco praesumpsi, ut dolo-
rem communem, quem sciebam, quod verbis meis mitigare non poteram, vel divi-
nis eloquiis utcumque moderarer. Et vere non minimum potestis capere de Christi
voluntate solatium, quod, quatenus ipsum inmaturus manebat interitus, talem eum
est dignatus adsumere, qualium regnum dixit esse caelorum, ut et patronum habe-
retis ex filio, et minus doleretis amissum, quem a Domino videbatis adsumptum.

4.
DOMINIS SUBLIMIBUS ET IN CHRISTO DOMINO
DEVINCTISSIMIS FRATRIBUS NAMATIO ET CERAUNIAE
RURICIUS

[1] Saepius, carissimi fratres, per communis luctus acerbissimum casum vobis
scribere aut ad vos venire disposui, sed semper me et ab itineris procinctu infirmi-
tas corporis et ab epistulari officio nimius dolor cordis retraxit. Nam si quando ad
scribendum animum sum conatus intendere, statim sensus horruit, mens refugit et
ita mihi pro sermonibus semper fletus occurrit, ut prius paginam lacrimarum im-
bre perfunderem, quam stilo pingerem, sicut dixit ille, paternam indicans de filii
amissione pietatem:
Bis conatus erat casus effingere in auro,
bis patriae cecidere manus,
vel quod potius a me dicitur, quoniam negabat consolari anima mea.
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II, 3-4 61

con Cristo dalla fede, ma siamo anche congiunti dall’unione matrimoniale dei fi-
gli12. Motivo per cui13, se l’avesse permesso una così intensa perturbazione, sarei
venuto anche di persona, al posto di inviarvi una lettera, per consolarvi14.
[2] Ma che facciamo, o ottimi fratelli? Come non possiamo con la forza oppor-
re resistenza al volere divino, così non dobbiamo con la volontà, ma dobbiamo
badare con ogni attenzione15 che, mentre piangiamo con straordinario dolore i ca-
ri pegni del nostro affetto16, non siamo trovati blasfemi o in qualche modo ingiu-
riosi nei confronti del Signore,17 e l’Autore di questa morte, presentatasi l’occa-
sione, non trafigga più pesantemente la nostra anima di quanto non ci ha colpiti
privandoci dei nostri cari18. Pertanto, in ogni amarezza della vita e nel dolore, in
Lui noi dobbiamo trovare rifugio, a Lui tutte le nostre sventure vanno ricondotte
di tutto cuore, Lui che sana i feriti, che risolleva i tristi19, che consola gli afflitti20,
e assolutamente dobbiamo proferire quelle parole del santo Giobbe: Il Signore ha
dato, il Signore ha tolto, come è piaciuto al Signore, così anche è stato fatto. Sia
benedetto il nome del Signore21.
[3] Questi pensieri dunque, signori del mio cuore, mi sono permesso perciò di
scrivervi, al fine di attenuare almeno in qualche modo con le Sacre Scritture22 il
comune dolore, che sapevo che non avrei potuto placare con le mie parole. E ve-
ramente potete cogliere un conforto non da poco dalla volontà di Cristo23: Egli si
è degnato di chiamare a sé un uomo tale che, nella misura in cui era atteso da una
morte prematura24, è stato ritenuto degno di entrare nel regno dei cieli25, affinché
lo aveste come patrono da figlio26, e vi addoloraste meno della dipartita di colui
che vedevate essere stato chiamato a sé27 dal Signore28.

4.
RURICIO
AI SUBLIMI SIGNORI E OBBLIGATISSIMI FRATELLI
IN CRISTO SIGNORE NAMAZIO E CERAUNIA

[1] Molto spesso, o carissimi fratelli, a motivo dell’assai cruda sventura1 del
comune lutto2 stabilii di scrivervi o di venire da voi, ma sempre mi ritrasse dal-
l’intraprendere il viaggio l’infermità fisica, e dal dovere di scrivervi una lettera3
l’eccessivo dolore del cuore. Infatti, se qualche volta ho tentato di volgere l’ani-
mo a scrivervi, subito il sentimento ne ebbe paura, la mente ne fuggì4, e al posto
delle parole sempre mi sopraggiunse il pianto, al punto che cosparsi di una piog-
gia di lacrime il foglio5 prima di scrivervi con lo stilo, come disse il poeta6, espri-
mendo il sentimento di affetto del padre di fronte alla perdita del figlio:
Due volte aveva tentato di riprodurre nell’oro la sua caduta,
due volte caddero le mani del padre7,
e, come preferisco dire io, poiché la mia anima non voleva trovare consolazione8.
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62 Lettere

[2] Haud iniuria. Perdidi enim filiam, quam et me suscepisse et vos genuisse
gratulabar, perdidi vitae solatium, posteritatis spem, decus familiae, cordis gau-
dium, lumen oculorum. Nec simplici sum orbitate perculsus. Nam cum filia et
fratres amisi, quorum me solabar affectu, quorum me coniunctione iactabam. Di-
srumptum est, fratres carissimi, vinculum germanitatis nostrae, ablatum nobis est
pignus mutuae caritatis. Hei mihi, fratres optimi, dum depositum vestrum cuius
me traditione ceperatis, amitto, una vos perdidi, et ideo in unius necessitudinis
gradu complurium mihi necessitudinum solatia sublata suspiro.

[3] Solam tamen patriam, quae mihi per ipsam adquisita fuerat, non amittam,
qui hanc mihi potissimum terram quam illa corpore suo occupavit, patriam iudi-
cabo. Sed quo inmemor officii, memor gratiae, dolore inpellente, progredior, et
tempore aliquatenus vulnus obductum, rediviva recordatione, tamquam nova sec-
tione rescindo, et qui consolari vos potius per divina promissa cupiebam, consola-
tionem ipse non capio?

[4] Causas tamen vobis recidivi huius doloris exponam. Utcumque enim ani-
mus maerore confectus recipere consolationem apostolica exhortatione iam coe-
perat, qua ait: Nolo vos, fratres, ignorare de dormientibus, ne contristemini, sicut
ceteri, qui spem non habent, sed, ubi infelix noster communis advenit, et eum si-
ne ea, qua prius splendebat, gemma conspexi, per quam mihi et acceptior esse so-
lebat et gratior, et quasi ornamento proprio spoliatus mihi et indecorus apparuit.
Novit ille, fratres carissimi, qui cordium occulta rimatur, quod ita mihi dolor re-
pente geminatus est, et ita mihi per singulos dies de tanta indole illius, et istius
desolatione affectus duplicatus et luctus, ut nec hunc aspicere, nec illius meminis-
se sine lacrimis queam, et propheticum illud saepius dicam: Quis dabit capiti meo
aquam et oculis meis fontem lacrimarum? Sed ille populi sui peccata deflebat,
ego vero propria, quae et me et vos pondere suo et numerositate presserunt; ego
ut illius mortem, et meam vitam, illam defunctam, et me superstitem plangam.

[5] Longe aliud tibi, venerabilis soror, quasi de nostris meritis praesumebas,
cum tantum tibi, nimia caritate decepta, de nostris orationibus, me refellente, pro-
mitteres, ut domum tuam nostra intercessione salvandam, et filiam per me, ut ita
dicam, fore crederes inmortalem. Sed cito apparuerunt merita mea, quae me inre-
mediabili vulnere sauciarent, et te secus, quam oportuerat, de peccatore creden-
tem tanti pignoris orbitate percuterent. Vel nunc certe, in Christo Domino venera-
bilis soror, et te falsa credidisse et me vera dixisse cognosces.
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II, 4 63

[2] Non a torto! Sono stato privato infatti di una figlia9: mi rallegravo del fatto
che io l’avessi accolta e che voi l’aveste generata; sono stato privato del conforto
della vita, della speranza del futuro, dell’onore della famiglia, della gioia del cuore,
della luce degli occhi10. Né sono stato colpito dalla perdita di una sola persona! In-
fatti assieme alla figlia ho perso anche gli amici, dal cui affetto ero confortato, della
cui familiarità mi facevo vanto11. È stato infranto, o fratelli carissimi, il vincolo
della nostra fraternità; ci è stato portato via il pegno del vicendevole amore12.
Ahimè, o ottimi fratelli, assieme alla perdita del vostro deposito13, nel consegnarmi
il quale avete accolto me14, sono stato privato di voi, e pertanto, in un solo legame
familiare, lamento il fatto che mi è stato sottratto il conforto di parecchi familiari15.
[3] Solamente la patria tuttavia, che ho guadagnata per mezzo suo, non per-
derò, io che riterrò per me più d’ogni altra questa terra, che ella ha occupato col
suo corpo, la mia patria16. Ma a che scopo vado avanti, sotto la spinta del dolore,
immemore del mio dovere17, ma memore dell’amicizia18? E perché col risorgere
del ricordo19 riapro20, come con un nuovo taglio21, la ferita, fino a un certo punto
chiusa dal tempo22? Perché io che bramavo di consolare piuttosto voi con le divi-
ne promesse, io per primo non ne traggo consolazione23?
[4] Vi esporrò tuttavia le cause della rinascita24 di questo dolore. In un modo o
nell’altro infatti l’animo, sfinito dall’afflizione25, aveva già preso a ricevere conso-
lazione dall’esortazione dell’apostolo, quando dice: Non voglio, o fratelli, che voi
restiate all’oscuro circa coloro che sono morti, affinché non vi rattristiate, come
gli altri che sono senza speranza26. Ma, quando il nostro comune infelice giunse e
scorsi lui senza la gemma di cui prima splendeva, grazie alla quale soleva essermi
caro oltre il dovuto, mi apparve addirittura come spogliato del suo proprio27 orna-
mento e privo di dignità. Colui che scruta i segreti dei cuori28, fratelli carissimi, sa
che a tal punto mi si è improvvisamente raddoppiato il dolore e che a tal punto di
giorno in giorno si è duplicato l’affetto e il lutto intorno alla tanto grande tempra
spirituale di lei e all’altrettanto grande desolazione di lui29, che non posso volgere
a lui lo sguardo né ricordarlo senza versare lacrime, e dico molto spesso quelle pa-
role del profeta: Chi darà acqua al mio capo e agli occhi miei una fontana di la-
crime30? Ma egli piangeva i peccati del suo popolo31, io invece i miei personali32, i
quali hanno schiacciato me e voi col loro peso e con la loro quantità; io, cosicché
piango la sua morte e la mia vita, lei defunta e me ancora vivo33.
[5] Molto diverso per te, o venerabile sorella34: facevi conto come sui nostri
meriti, poiché tu, ingannata da eccessivo amore, nonostante le mie resistenze,
avevi grande speranza nelle nostre preghiere, così da credere che la nostra inter-
cessione avrebbe dovuto salvare la tua casa, e che per mezzo mio tua figlia, per
così dire, non sarebbe stata soggetta alla morte. Ma presto apparvero i miei meri-
ti, che a me procuravano una ferita inguaribile e colpivano te, che confidavi in un
peccatore, diversamente da come sarebbe stato necessario, privandoti di un così
grande pegno di affetto 35 . E ora certamente, in Cristo Signore venerabile
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64 Lettere

[6] Sed nimium diu, inmemores praeceptorum caelestium, humano dolori prae-
bemus adsensum. Ad divina nobis praecepta redeundum est, ne ita plangamus
corpore mortuam, ut ipsi corde moriamur. Discedentes ergo paululum de praesen-
tibus, rursum futura cogitemus, ut quos infirmant praesentia, futura corroborent.
Nos debemus, fratres carissimi, illam ferre conditionem humanae fragilitatis,
quam et prophetae et apostoli et sancti iustique omnes, vel, quod maius est, om-
nium Dominus noster suscipere dignatus est. Deplorare, sed magis Deo gratias
agere et gaudere nos convenit, quod filiam, qualem voluimus, quamdiu is qui de-
derat permisit, habuimus, et qualem voluimus, non perdidimus, sed ad Christum,
ipso iubente, praemisimus. Habere enim filios generalis est beneficii, bonos vero
habere specialis est praemii, sicut vivere commune est omnium, bene vero vivere
et bene discedere de hac vita paucorum est, non tamen naturae conditione, sed
culpae, nec divina praescriptione, sed propria voluntate.

[7] Et ideo non turbetur cor nostrum, nec filiam pro amissione, sed pro deside-
rio defleamus, ne aut dominicis promissis increduli aut praeceptis obnisi esse vi-
deamur. Fleant liberos suos, qui spem resurrectionis habere non possunt, quam eis
perfidia sua ademit, non divina sententia. Fleant mortui mortuos suos, quos in
perpetuum aestimant interisse, illi nullam maeroris sui habeant requiem, qui non
credunt esse requiem mortuorum. Nobis vero, quibus et spes et portio Christus
est, spes in terra morientum, portio in regione vivorum, quibus mors ista non na-
turae, sed vitae praesentis est finis, quia eam in melius credimus esse reparandam,
iuxta apostoli sententiam: Cum corruptibile hoc induerit incorruptionem, cum
propheta dicendum est: Dominus dedit, Dominus abstulit, sicut Domino visum est,
ita factum. Sit nomen Domini benedictum, quia tenenda est in temptatione paeni-
tentia, ne cogat aut ore aut corde delinquere.

[8] Fletus itaque nostros fides prompta detergat, quia credimus caros nostros
vitam non tam perdere quam mutare, relinquere saeculum aerumnis et luctibus
plenum, et ad regionem beatitudinis festinare, exire de peregrinatione laboriosa et
ad quietis patriam pervenire, unde et propheta dicit: Educ de carcere animam
meam ad confitendum nomini tuo.
[9] Credite mihi, fratres carissimi, quia illa iam de sua quiete secura, de nostra
est salute sollicita. Quae si nobiscum posset miscere conloquia, hoc diceret: Noli-
te, pii parentes, nolite me flere nec ingrati tam benigno Domino planctibus nimiae
dilectionis existere. Esto, habuerit tempore meae arcessitionis hoc pietas, iam de-
bet dolorem vestrum fides cum tempore temperare, quia etsi vobis mortua sum,
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II, 4 65

sorella36, sai che tu hai creduto il falso e che io ho detto il vero37.


[6] Ma troppo a lungo, immemori dei precetti celesti, prestiamo ascolto al do-
lore umano. Dobbiamo fare ritorno ai precetti divini, per non piangere colei che è
morta nel corpo così da morire anche noi nel cuore38. Allontanandoci dunque un
po’ dal presente, subito pensiamo al futuro, affinché coloro che indebolisce il pre-
sente, il futuro li rafforzi39. Noi dobbiamo, o fratelli carissimi, portare quella con-
dizione di umana fragilità che hanno portato i profeti e gli apostoli e i santi e tutti
i giusti40, e che – cosa ancora più grande – il Signore di tutti, nostro Signore41, si
è degnato di prendere su di sé. Sì che ci conviene piangere, ma ci conviene di più
rendere grazie a Dio e rallegrarci, poiché abbiamo avuto una figlia quale l’abbia-
mo voluta, finché Colui che ce l’aveva data lo ha concesso e, quale l’abbiamo vo-
luta, non l’abbiamo persa42, ma l’abbiamo mandata avanti43 incontro a Cristo44,
secondo la sua volontà45. È infatti un beneficio generale avere dei figli, ma averli
buoni è un premio speciale46, come vivere è comune a tutti, mentre vivere bene e
andarsene bene da questa vita è di pochi: non tuttavia per opera della natura, ma
della colpa, né per legge divina, ma per propria volontà47.
[7] E pertanto non sia turbato il cuore48 nostro né piangiamo la figlia per la
perdita, ma per la nostalgia, perché non sembriamo o non credere alle promesse
del Signore o opporsi ai suoi precetti49. Piangano i loro figli coloro che non pos-
sono avere la speranza della risurrezione, di cui li ha privati la loro incredulità,
non il divino volere. Piangano i morti i loro morti50, che ritengono estinti per
sempre; non abbiano riposo dalla loro afflizione quelli che non credono che ci sia
riposo eterno per i morti51. Noi invece, che abbiamo Cristo come speranza e parte
di eredità, speranza nella terra dei morti, parte di eredità nella regione dei viven-
ti52; noi che riteniamo che questa morte non è la fine del nostro essere, ma di que-
sta vita53, perché crediamo che essa debba essere rinnovata in meglio, secondo le
parole dell’apostolo: Quando questo corpo corruttibile sarà rivestito di incorrut-
tibilità54, dobbiamo dire col profeta55: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, co-
me è piaciuto al Signore, così anche è stato fatto. Sia benedetto il nome del Si-
gnore56, poiché dobbiamo osservare la penitenza nella tentazione, per non essere
costretti a peccare con la bocca o col cuore57.
[8] E così asciughi il nostro pianto una fede pronta58, poiché crediamo che i no-
stri cari non perdono tanto la vita, quanto la mutano59; lasciano il mondo pieno di
tribolazioni e lutti e si affrettano nella regione della beatitudine60; escono da una
peregrinazione faticosa61 e giungono nella patria del riposo eterno62, per cui anche
il profeta dice: Fa’ uscire dal carcere la mia anima per confessare il tuo nome63.
[9] Credetemi, fratelli carissimi, che64 ella, ormai tranquilla nel suo riposo
eterno65, si preoccupa della nostra salvezza66. E se potesse conversare con noi, di-
rebbe: «No, cari genitori, non piangetemi né risultate ingrati verso il Signore tan-
to benevolo, lamentandovi oltre misura per il bene che mi volete. Sia pure, il vo-
stro amore avrà comportato ciò nel tempo della mia convocazione dinanzi al tri-
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66 Lettere

Deo vivo. Aut numquid vos magis potestis amare quam Dominus, qui me fecit,
quomodo voluit, redemit, quia voluit et, quando voluit, pro sua pietate suscepit?
Aut quod magis doloris vestri potestis habere solatium, quam quod Dominus no-
ster unicum Filium suum pro nobis est tradere dignatus ad mortem? Et cum filius
Dei secundum carnem mori voluerit, homo tam acerbe debet conditionem huma-
nae sortis excipere? Quam ob rem, piissimi parentes, vestra potius peccata defle-
te, et de satisfactione vestrorum criminum cogitate, ut si me in Christo diligitis,
quia me vere diligere non potestis, nisi in Domino diligatis, in sinum patriarchae
venire mereamini, ubi Dominus pro innocentiae me meae puritate, et pro sua pie-
tate constituit, quia misericordia eius melior est super vita, ut ibidem non falsis,
sed veris, non temporalibus, sed aeternis gaudiis pariter exultare possimus.

[10] Talibus oportet, ut vos, optimi fratres, et his similibus praeceptis ac spon-
sibus dominicis consolemus, quia, sicut apud Dominum futura iam facta sunt, ita
fidelis catholicus promissa caelestia, quae tempore suo implenda confidit, debet
iam quodam modo habere praesentia, spe praecipere, possidere fide, operibus ob-
tinere. Haec enim sunt quae nobis exhibent in maeroribus solatium, in contrariis
fiduciam, in prosperis moderationem, ne aut extollamur secundis aut cedamus ad-
versis, aut tristibus consumamur.

[11] Haec ergo, fratres carissimi, transmittenda vobis ad communem quandam


consolationem, haud sine magno animi dolore dictavi. Nec me paulo latius pro-
trahere sermonem affluentia verborum conpulit, sed aestus animorum, ut deside-
rium, quod recordatio accenderat, commemoratio diutina crebra leniret. Et in hoc
etiam parem gratiam erga communem filiam conprobemus et, sicut nos eius vita
devinxerat, ita eius memoria in eadem dilectione custodiat.

5.
DOMINO SUBLIMI ET IN CHRISTO DOMINO
DEVINCTISSIMO FRATRI NAMATIO
RURICIUS

[1] Qui occasionem scribendi pro necessitudinis iure perquirimus, oblatam


praetermittere non debemus, ut reddat nobis quandam praesentiae portionem ser-
mo mediator, qui emittitur et non amittitur, tribuitur et habetur, videtur discedere
nec recedit, a me dirigitur, a te suscipitur, a me scribitur, a te legitur nec tamen di-
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 67

II, 4-5 67

bunale divino67, ma ormai la fede, assieme al tempo68, deve temperare69 il vostro


dolore, poiché, anche se sono morta a voi, vivo in Dio. O forse che voi potete
amarmi più del Signore che mi ha creata, come ha voluto; mi ha redenta, poiché
ha voluto e, quando ha voluto, mi ha accolto70 secondo il suo amore? O quale
maggiore conforto71 potete avere per il vostro dolore, del fatto che nostro Signore
si è degnato di consegnare a morte per noi il suo unico Figlio? E dal momento che
il Figlio di Dio ha voluto morire secondo la carne, deve l’uomo sostenere tanto
aspramente la condizione dell’umana sorte72? Per questo motivo, carissimi geni-
tori, piangete piuttosto i vostri peccati e pensate alla soddisfazione delle vostre
scelleratezze73, cosicché, se mi amate in Cristo – poiché non potete amarmi vera-
mente, se non mi amate nel Signore –74, meritiate75 di venire nel grembo del pa-
triarca76, dove il Signore mi ha collocato secondo la purezza della mia innocenza
e il suo amore, poiché la sua misericordia vale di più della vita77, affinché là pos-
siamo esultare insieme di gioia non falsa, ma vera, non effimera, ma eterna».
[10] È necessario, o ottimi fratelli, che ci consoliamo con tali e simili precetti e
con le garanzie divine78, poiché, come presso il Signore il futuro è già stato rea-
lizzato, così il fedele cattolico deve già in qualche modo avere presenti, ricevere
anticipatamente attraverso la speranza, possedere per mezzo della fede, ottenere
grazie alle opere le promesse celesti che confida di conseguire a suo tempo79.
Questi infatti sono gli elementi che ci forniscono nelle afflizioni conforto80, nelle
difficoltà fiducia, nella prosperità moderazione, affinché non ci esaltiamo nelle si-
tuazioni favorevoli o veniamo meno di fronte alle avversità o ci logoriamo negli
eventi tristi81.
[11] Questi pensieri dunque, o fratelli carissimi, vi ho scritto82 e vi ho trasmes-
so, non senza grande dolore nell’animo, per una qualche comune consolazione.
Né sono stato costretto a essere un po’prolisso nel mio dire dall’abbondanza di
parole83, ma dal turbamento dell’animo, perché la nostalgia84, che il ricordo ave-
va acceso, la calmasse un’abbondante e durevole commemorazione85. E anche in
questo dimostriamo uguale affetto verso la comune figlia86 e, come ci legò la sua
vita, così la di lei memoria87 ci custodisca nel medesimo sentimento di amicizia88.

5.
RURICIO
AL SUBLIME SIGNORE E IN CRISTO SIGNORE
OBBLIGATISSIMO FRATELLO NAMAZIO

[1] Noi che ricerchiamo, secondo il vincolo di parentela1, l’occasione per scri-
vervi2, non dobbiamo dimenticare quella che ci è stata offerta, cosicché a renderci
in parte presenti l’uno all’altro sia la mediazione3 della lettera4: questa è inviata5
e non è perduta6, è donata ed è ricevuta, sembra andarsene via e non se ne va7, da
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 68

68 Lettere

viditur, cum quasi divisus integer utriusque corde teneatur, quia verbi more divini
traditur et non egreditur, confertur indigenti et non aufertur auctori accipientis lu-
crum sine dispendio largientis, ditans inopem nec adtenuans possessorem.

6.
DOMNO SUO ET PECULIARI IN CHRISTO DOMINO
PATRONO CHRONOPIO EPISCOPO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] In ordinando grege dominico vel regendo, inter speculatores atque praepo-
sitos non praesumptio debet esse, sed ratio, et de custodia sollicitudo, non de per-
vasione contentio, ne mercennariorum subeant notam, dum pastorum non tenent
disciplinam, et inveniantur, sicut apostolus dicit, non Christi gloriam affectare,
sed propriam, dum malunt ab hominibus percipere laudem, quam a Domino ex-
pectare mercedem, praesentis appetitores lucri, et praemii contemptores aeterni.

[2] Unde, sicut idem apostolus docet, si pacifica ad opus sanctum congregatio-
ne concordes, si sine simulatione diligentes, si cum sollicitudine ministrantes, si
unius capitis membra sumus, corporis unanimiter debemus esse rectores, quia
caulae gregis dominici possunt esse numerositate multae, non fidei varietate di-
versae, ut, sicut ipse Dominus praenuntiare dignatus est, non nobis per invidiam
dissidentibus et per dissensionem gregem dominicum dividentibus multiplex per
nos schisma procedat, sed magis per unitatem doctrinae simplicis oves dominicas
congregantibus fiat in nobis unus grex et unus pastor, qui, sicut est rex regum et
dominus dominantium, sacerdos sacerdotum et pontifex pontificum, ita intellega-
tur et pastor esse pastorum.

[3] Quam ob rem studio caritatis, non cupiditatis has ad sanctitatem vestram
per presbyterum meum pro dioecesi Gemiliacensi, unde iam pridem vobis scri-
pseram, destinavi, ne, si tacuissem, neglegentiae deputaretur, non concordiae, ra-
tioni inrationabili viderer cessisse, non paci, ut, si agnoscitis vera esse, quae dico,
aut iusta, quae repeto, nec me iniuriam diutius nec vos inquietudinem sustinere
patiamini.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 69

II, 5-6 69

me è indirizzata, da te è ricevuta, da me è scritta, da te è letta e tuttavia non si di-


vide,8 come se, pur divisa, fosse tenuta insieme dal cuore di entrambi9, poiché, a
somiglianza del Verbo divino, è mandata e non se ne va via, viene assegnata al
povero e non viene tolta10 al suo autore, guadagno di chi la riceve senza spesa di
chi la elargisce, arricchendo chi non l’ha né impoverendo chi la possedeva11.

6.
IL VESCOVO RURICIO
AL SUO SIGNORE E IN CRISTO SIGNORE PARTICOLARE PATRONO
IL VESCOVO CRONOPIO

[1] Nell’organizzare e nel governare il gregge del Signore tra i vescovi1 posti
alla guida di una Chiesa2 non deve esserci volontà di spadroneggiare, ma senso
della giustizia, e cura nel vigilare, non ostinazione3 nell’usurpare4, affinché essi5
non si comportino alla stregua di mercenari6, mentre non vivono rigorosamente
da pastori, e non siano trovati, come dice l’apostolo, ad attendere non alla gloria
di Cristo, ma alla propria, mentre preferiscono essere lodati dagli uomini che
aspettare la ricompensa del Signore, smaniosi del guadagno presente e sprezzanti
del premio eterno7.
[2] Pertanto, come il medesimo apostolo insegna, se pacificamente congregan-
doci, siamo concordi nel nostro santo dovere, se ci amiamo senza finzione8, se
serviamo con cura9, se siamo membra di un solo capo10, in armonia dobbiamo es-
sere guide del corpo11, poiché gli ovili del gregge del Signore possono essere mol-
ti per numero, non separati per diversità della fede12, cosicché, come il Signore in
persona si è degnato di ammonire – se per invidia ci separiamo e per divergenze
dividiamo il gregge del Signore –13 non si sviluppi a causa nostra uno scisma, ge-
neratore a sua volta di divisioni. Ma piuttosto, se raduniamo insieme14, attraverso
l’unità della semplice dottrina15, le pecore del Signore, si farà in noi un solo greg-
ge e un solo pastore16, il quale, come è re dei re e signore dei signori17, sacerdote
dei sacerdoti e pontefice dei pontefici, così sia riconosciuto anche essere pastore
dei pastori18.
[3] Per questo motivo, per amore di carità, non di bramosia ho inviato attraver-
so un mio presbitero questa lettera alla Santità Vostra19 circa la parrocchia di Ge-
miliacum20, in merito alla quale21 già prima vi avevo scritto22, affinché, se avessi
taciuto, non si imputasse a negligenza, invece che a volontà di concordia, e non
sembrassi avere ceduto a una giustizia ingiustificabile23, invece che a desiderio di
pace. E così, se riconoscete essere vero ciò che dico, o giusto ciò che torno a chie-
dervi, non lasciate che io sostenga più a lungo questa ingiustizia né voi questa ri-
vendicazione24.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 70

70 Lettere

7.
DOMINO SUBLIMI
SEMPERQUE MAGNIFICO FRATRI ELAPHIO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Ita propitio Deo operum tuorum fama percrebuit, ut omnes in laboribus
constituti commendari se germanitati vestrae omni precum ambitione deposcant,
quia fatigationem suam apud vos effectum habere non dubitant. Unde etiam porti-
tor harum, nomine Ulfila, quem mihi Pharetrius presbyter suis litteris commenda-
vit, ad vos commendaticias postulavit, quas ei et pro iussione divina et pro visio-
ne mutua libenter indulsi.

[2] Quibus individuae caritati vestrae salve plurimum dico, et praefatum pro
affectione germana, non pro pontificali auctoritate commendare praesumpsi, quia
in peccatore amittit dignitas dignitatem, cui honor indebitus oneri est potius quam
honori. Quod licet vobis placere pro nostra devinctione confidam, tamen, si quid
nobis veri vel vicarii amoris inpenditis, spero condoleatis potius quam gaudeatis,
quia indignum me et penitus non merentem non adtollit res tanta, sed deprimit.

8.
DOMINO SANCTO ET APOSTOLICO
AC MIHI PRAE CETERIS IN CHRISTO DOMINO
CVLTV AFFECTVQVE PECVLIARIVS EXCOLENDO
PATRONO ET PAPAE AEONIO
RVRICIVS EPISCOPVS.

[1] Quotienscumque sanctos aut apostolicos viros, quos misericordiae opera,


operum merita, meritorum vita commendat atque omnium virtutum fama dissemi-
nat, aerumnarum mole depressi coguntur expetere, dum litterarum solatium quae-
runt labori suo, beneficium conferunt desiderio nostro et, cum sit illorum labor
noster dolor, fit tamen per officii conlationem eorum necessitas quodam modo ca-
ritas nostra, quia, dum ipsorum adquiescimus petitioni, nostrae satisfacimus vo-
luntati, et ita fit, ut egestas petentis sit largientis utilitas.

[2] Fratri itaque et conpresbytero nostro, Possessori nomine, quod peius est,
potius quam facultate, quia, quod habuit, pro fratris redemptione profudit, et fac-
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 71

II, 7-8 71

7.
IL VESCOVO RURICIO
AL SUBLIME SIGNORE E SEMPRE MAGNIFICO FRATELLO
ELAFIO

[1] A tal punto, per grazia di Dio1, si è diffusa la fama delle tue opere2, che tutti
coloro che si trovano in difficoltà chiedono con insistenti preghiere3 di essere rac-
comandati alla Fraternità Vostra4, poiché non hanno dubbi che la loro fatica5 pos-
sa avere un risultato presso di voi. A tal fine6 anche il corriere della presente7, di
nome Ulfila8, che mi è stato raccomandato dal presbitero Faretrio9 con una sua
missiva, ha chiesto una lettera di raccomandazione10 nei vostri confronti; cosa
che, a motivo della disposizione di Dio e del reciproco incontro11, gli ho concesso
volentieri.
[2] Con la presente dunque invio molti saluti12 all’indivisibile Carità Vostra13 e
mi sono permesso di raccomandarvi14 il predetto in virtù dell’affetto fraterno, non
dell’autorità episcopale15, poiché il ruolo di autorità perde autorità nel peccatore,
al quale un indebito onore è più di onere che di onore16. E per quanto io confidi
che un tale fatto17 incontri la vostra approvazione in virtù del nostro legame18,
tuttavia, se ci elargite un po’ di vero e reciproco amore19, spero che20 vi affliggia-
te con me piuttosto che rallegrarvi, poiché, dato che sono indegno e profonda-
mente immeritevole21, una cosa tanto grande non mi esalta, ma mi schiaccia22.

8.
IL VESCOVO RURICIO
AL SANTO E APOSTOLICO SIGNORE E DA ONORARSI
IN CRISTO SIGNORE CON DEVOZIONE E AFFETTO
IN UNA MANIERA TUTTA PARTICOLARE RISPETTO AGLI ALTRI
IL PATRONO E VESCOVO1 EONIO2

[1] Ogni volta che, chi è oppresso dal peso delle tribolazioni, è costretto a ri-
correre a uomini santi e3 apostolici4, che le opere di misericordia, i meriti delle
opere, una vita di meriti5 raccomandano, e la fama di tutte le virtù rende noti6,
mentre cerca conforto7 in una lettera alla sua difficoltà, apporta beneficio al no-
stro desiderio8 e, benché la sua difficoltà sia per noi dolore, tuttavia, concedendo-
gli un favore, il suo stato di bisogno9 diventa in un certo qual modo per noi mani-
festazione di amicizia10: infatti, acconsentendo alla sua richiesta, soddisfiamo le
nostre intenzioni11, e così accade che l’indigenza del richiedente sia il guadagno
del donatore12.
[2] E così a lui che chiedeva una lettera di raccomandazione nei confronti del-
l’Apostolato Vostro l’ho concessa volentieri13, al nostro fratello e collega nel pre-
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 72

72 Lettere

tus est possessor paradisi, dum proprietatis saeculi desinit esse possessor, ad apo-
stolatum vestrum commendaticias postulanti libenter indulsi. Cuius necessitatem
si dignatur plenius sanctitas vestra cognoscere, epistulam, quam ad humilitatem
meam frater noster Eumerius episcopus per ipsum direxit, tanti habeat recensere
et illic agnoscet, qualiter ipsi debeat et pro consuetudine consulere et pro caritate
mutua condolere. Qui ut fratrem ab hostibus redderet liberum, se creditorum ma-
luit esse captivum et, ut ille crudelissima morte non privaretur vita, ipse extorris
est factus e patria. <…>

9.
<…>

[1] Sancti apostoli Pauli sententiam contuentes, qua Romanis scribens ait: No-
lo vos ignorare, fratres, quia saepe proposui venire ad vos, sed prohibitus sum
usque adhuc, et nos dicere pudore instigante conpellimur: crebrius voluimus ad
sincerissimam pietatem vestram scripta dirigere, sed prohibiti sumus usque nunc
prohibente nimirum illo, qui bonae voluntati consuevit semper obsistere invidens
scilicet profectui nostro et affectui vestro, affectui nostro et profectui vestro. Pro-
fectui nostro et affectui vestro, quia doctrina vestra eruditio nostra est, et epistula
nostra conlatio desiderii vestri est, et rursus profectui vestro et affectui nostro,
quia eruditio nostra merces vestra est et temporaria conlatio desiderii vestri nostri
est sermonis affectus.

[2] Ita enim paucis diebus, quos mihi vere et paucos et brevissimos vester fecit
affectus, dum contemplatione vestra non solum satiari noster nequit, verum etiam
videndo magis exardescit intuitus, cum vos et desideraremus praesentes et adhuc
coram positos quaereremus, sensus nostros fonte purissimo benigni pectoris inri-
gastis, ut, quamlibet nulla deinceps sancti oris munera pretiosa perciperem, prae-
sentiam tamen vestram intra mentis meae arcana possideam et effigiem vestram
in speculo mei cordis intuear, quam illic tam caritas perfectam depinxit, ut nullius
aetatis possit oblivione deleri, quia iugi recordatione momentis singulis innovatur.

[3] Illic enim vobiscum ex consuetudine pietatis vestrae secretius conloquor,


illic etiam de vitae melioris institutione pertracto, illic vos labiis mentis exosculor
et manibus cordis amplector. Quo fit, ut vera dilectio, quae in visceribus meis vi-
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 73

II, 8-9 73

sbiterato14, Possessore solo di nome – cosa ancora peggiore – piuttosto che di fat-
to, poiché i suoi beni li impiegò per il riscatto del fratello, ed è divenuto possesso-
re del Paradiso, mentre ha cessato di essere possessore di proprietà in questo
mondo15. E se la Santità Vostra16 si degna di approfondire maggiormente il suo
stato di bisogno, tenga in grande considerazione di leggere la lettera che all’U-
miltà Mia17, attraverso lo stesso Possessore, mi ha indirizzato il nostro fratello18 il
vescovo Eumerio19, e lì saprà in quale modo debba a lui provvedere in virtù di di-
mestichezza e affliggersi con lui20 in virtù di vicendevole amicizia21. Ed egli, per
liberare il fratello dai nemici22, ha preferito essere prigioniero dei creditori23 e,
perché quegli non fosse privato della vita da una crudelissima morte, egli stesso è
divenuto esule dalla patria24. <…>25

9.
<…>1

[1] Considerando le parole del santo apostolo Paolo, secondo cui, scrivendo ai
Romani, dice: Non voglio che ignoriate, o fratelli, che spesso mi sono proposto di
venire a voi, ma ne sono stato impedito fino al momento presente2, anche noi sia-
mo costretti a dire, spinti dalla vergogna: «Più frequentemente avremmo voluto
indirizzare lettere alla Sincerissima Pietà Vostra3, ma ne siamo stati impediti fino
ad ora, impedendolo sicuramente colui che abitualmente si è sempre opposto alle
buone intenzioni, invidioso com’è del nostro progresso e del vostro affetto, del
nostro affetto e del vostro progresso»4. Il nostro progresso e il vostro affetto5, poi-
ché i vostri insegnamenti sono per noi istruzione e la nostra lettera è la conver-
genza del vostro desiderio; e d’altra parte il vostro progresso e il nostro affetto,
poiché la nostra istruzione è per voi premio e l’occasionale convergenza del vo-
stro desiderio è l’espressione di affetto delle nostre parole6.
[2] Infatti nei pochi giorni, che il vostro affetto mi ha reso veramente pochi e
brevissimi – mentre il nostro sguardo non solo non poteva essere saziato dalla
contemplazione di voi, ma, anche vedendovi, maggiormente si accendeva, in mo-
do tale che vi desideravamo, ancorché presente, e vi cercavamo, ancora lì al no-
stro cospetto7 –, avete bagnato i nostri sensi con la fonte purissima del vostro be-
nevolo cuore8. E così, per quanto non abbia ricevuto successivamente alcun dono
prezioso della vostra santa bocca, vi ho tuttavia ben presente nel segreto della mia
mente, e nello specchio del mio cuore9 vagheggio il vostro ritratto che l’amicizia
ha lì dipinto in maniera talmente perfetta, che non può essere cancellato dall’o-
blio del tempo, poiché in ogni istante è rinnovato da perenne10 ricordo11.
[3] Lì infatti, com’è abitudine della Pietà Vostra12, dialogo più intimamente
con voi13; lì approfondisco anche la pratica di una vita migliore; lì14 vi bacio con
le labbra della mente15 e vi abbraccio con le mani del cuore16. E per questo moti-
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74 Lettere

va vultus vestri figuratione nutritur et igniculo caritatis accenditur, amoris vestri


mihi vicissitudinem repromittat, et animus meus mihi animi vestri fideiussor adsi-
stat, dum, quantum mihi de vobis praesumere debeam, conscium mutuae dilectio-
nis pectus interrogo.

[4] Unde scribendi mihi aditu orationibus vestris tandem aliquando reserato his
salutationem defero et intercessionem peccatorum requiro illud speciali prece de-
poscens, ut ita misericordiam Dei nostri adsiduis petitionibus flagitetis, ut omni-
bus delictis meis atque peccatis omnibus opitulantibus vobis consuetudinaria cle-
mentia et copiosa bonitate deletis, etsi non ad idem praemium, saltim ad eundem
nos portum quietis iubeat pervenire, ut, quatenus hic propter spatia interiecta ter-
rarum oculis corporis saepius nos videre non possumus, vel ibidem de mutua
praesentia gaudeamus, ut, quando vobis a iusto iudice retribuetur corona merito-
rum, mihi a piissimo redemptore et advocato perfectissimo commissorum venia
non negetur.

[5] Ipse ante iudicium peccatoris agere dignetur causam, ne in iudicio puniat
culpam, quia novit quippe omnipotens nec in bonitate clementiae iudicii perdere
severitatem, nec in iudicii severitate clementiae amittere bonitatem. Et ideo per
ineffabilem misericordiae ac virtutis operationem nobis praestare dignetur, ut,
quos hic veritate coniunxit, illic habitatione non separet.

[6] Promissionem vestram recolens, peculiarius rogo, ut fratrem Pomerium


sanctitas vestra non solum non retineat, verum etiam ad nos venire conpellat
partemque suam nobis individuum per utriusque transmittat. Nec eum a vobis
discedere, si ad me accesserit, iudicetis, quia et vos hic inveniet in me, et cum
eo vos residente corpore, ut confidimus, corde venietis. Sed et inde non parvum
fructum habere poteritis, si rusticitas nostra doctrina ipsius aliquid in Dei timore
profecerit.

10.
DOMINO ANIMAE SVAE ET IN CHRISTO DOMINO
VISCERIBVS EXCOLENDO POMERIO ABBATI
RVRICIVS EPISCOPVS

[1] Sapientes saeculi amicos duos unam animam habere dixerunt, quod ego
etiam ecclesiastico testimonio verum esse confirmo, quo ait: Credentium autem
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II, 9-10 75

vo accade che il vero affetto, che nel mio intimo17 è nutrito dalla viva immagine
del vostro volto18 ed è acceso dal fuocherello dell’amicizia19, mi garantisce la re-
ciprocità del vostro amore e il mio animo mi assiste come garante del vostro20,
mentre interrogo il mio cuore, conscio del vicendevole affetto, quanto io da voi21
debba aspettarmi22.
[4] Pertanto, dopo che mi è stato aperto una buona volta finalmente l’accesso a
scrivervi grazie alle vostre preghiere23, vi porgo il mio saluto e ricerco l’interces-
sione per i miei peccati, chiedendo con speciale preghiera che insistentemente do-
mandiate24 misericordia al nostro Dio con frequenti suppliche cosicché, una volta
cancellate25 col vostro ausilio tutte le mie colpe e tutti i miei peccati26 dalla sua
abituale clemenza e abbondante pietà27, anche se non al medesimo premio, Egli ci
faccia28 almeno giungere al medesimo porto del riposo eterno29. E così, dal mo-
mento che in questo mondo, a causa della distesa di terre frapposta tra di noi30,
troppo spesso non possiamo vederci con gli occhi del corpo31, almeno nell’aldilà
godiamo vicendevolmente l’uno dell’altro32, cosicché, quando a voi dal giusto giu-
dice sarà data in compenso la corona dei meriti, a me dal clementissimo Redentore
e avvocato perfettissimo non sia negato il perdono dei peccati commessi33.
[5] Sia Lui a degnarsi di sostenere la causa del peccatore, prima che questi
venga giudicato34, affinché in giudizio non punisca la colpa, poiché sa, in quanto
Onnipotente, non perdere la severità del giudizio nella pietà della clemenza né
tralasciare la pietà della clemenza nella severità del giudizio35. E pertanto, per l’i-
neffabile intervento della sua misericordia e della sua potenza, si degni il Signore
di concederci36 che nella vita futura la dimora non separi coloro che in questa vita
la verità ha unito37.
[6] Ripensando alla vostra promessa, in maniera tutta particolare chiedo38 che
la Santità Vostra39 non solo non trattenga, ma anche spinga a venire da noi il no-
stro fratello Pomerio40, e ci invii una parte di sé41 attraverso la mediazione del co-
mune amico42. Né vogliate giudicare che egli se ne vada via da voi, se verrà da
me, poiché qui troverà voi in me43 e con lui, come confidiamo, voi verrete se non
nel corpo, almeno nel cuore44. Ma in seguito potrete avere non piccolo frutto, se
la nostra dozzinalità45, grazie ai di lui insegnamenti, farà qualche passo in avanti
nel timore di Dio.

10.
IL VESCOVO RURICIO
AL SIGNORE DELLA SUA ANIMA E DA ONORARSI CON L’AFFETTO
PIÙ PROFONDO IN CRISTO SIGNORE L’ABATE POMERIO

[1] I saggi secondo il mondo dissero che due amici hanno una sola anima1, cosa
che anch’io confermo essere vera con l’asserto ecclesiastico2 che dice: I credenti
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76 Lettere

erat anima et cor unum, unum utique caritate, non numero, et fidei simplicitate,
non singularitate personae. Hoc ergo praedico proboque. Nam ex quo a vestra
unanimitate discessi, divisum esse me sentio partemque meam vobiscum resedis-
se cognosco, nec absentibus vobis integrum esse me credo et, cum me in me non
inveniam, apud vos me ad vos regressus inquiro atque ibidem quantum mei vobis
reliquisse, tantum vestri mecum abstulisse conspicio.

[2] Et omnipotenti Deo gratias super tam admirabili facto eius refero, quod ita
generali tribuere dispensatione dignatus est, ut inter eos, quos locorum intervalla
discriminant, liber ac nullis conclusus absentiae legibus animus commearet
nihilque esset tam inpenetrabile, quod mentis aspectibus non pateret, sed per
cordis intuitum inde se invicem cari gratia intercurrente conspicerent, ubi caritas
ipsa consistit.
[3] Et ideo salutem plenissimae erga me, quantum propria mente conicio, pie-
tati vestrae deferens omni precum ambitione deposco, si nobis parem repensatis
affectum, si simili nos caritate diligitis, si aliquid in visceribus vestris amor noster
operatur, si usque ad medullas cordis vestri dilectio nostra pervenit, si ita vos pro
me, quam me pro vobis dulcedine potestatis edomuit, ut imperio ipsius nec possi-
tis resistere nec velitis, ad desiderantem fratrem desiderans quantocius venire fe-
stina, eo beneficio et promissum soluturus debitum et mutuum mitigaturus affec-
tum, quia coram positi aequalem vobis gratiam de nostra contemplatione et con-
locutione praestabimus tantumque si, ut diligeris, diligis, a me retribuetur caritati
tuae, quantum tu meae ipse detuleris.

[4] Nec sane in veniendo fatigationem poteris formidare, quia, ut ille dixit, vi-
cit iter durum pietas, et iuxta apostolum nostrum, caritas omnia sustinet, quae
nec quaerit, quae sua sunt, nec umquam novit excidere. Opportune etiam deside-
ranti viatori autumnalis temporis congruit cum caritate temperies, si eam tamen
praeteritae aestatis fervor accendat, non advenientis hiemis algor extinguat.

11.
ITEM EPISTULA
DOMNI RURICII

[1] Relectis litteris meis fortasse miraberis, quod venerationi tuae fratri scri-
pserim, cum hoc nec aetati nostrae conveniat nec honori, quia, sicut me maior es
natu, ita minor es gradu. Et ideo, si ad tuam Deo propitio longaevitatem aut ad
nostram respexissemus administrationem, aut patri scribere debueramus aut filio.
Sed quia et sanctus Iohannes apostolus in epistula sua unis eisdemque et patribus
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II, 10-11 77

avevano un’anima sola e un cuore solo3, uno almeno quanto all’amore, non al nu-
mero, e quanto alla semplicità della fede4, non all’unicità della persona5. Questo
dunque dichiaro e sottoscrivo. Infatti, dopo essermi separato da Vostra
Concordia6, sento di essere diviso in due e riconosco che una parte di me è rimasta
con voi e credo di non essere completo senza di voi, e dal momento che non mi ri-
trovo in me stesso, dopo essere ritornato da voi, cerco me stesso presso di voi, e lì
constato che tanto di voi ho portato via con me, quanto di me ho lasciato a voi7.
[2] E rendo grazie a Dio onnipotente per questo suo dono tanto ammirabile:
Egli si è degnato di accordarlo distribuendolo in maniera così diffusa che, fra colo-
ro che sono divisi dalla distanza dei luoghi, l’animo se ne va libero e non limitato
dalle leggi della lontananza e niente è tanto impenetrabile da non essere chiaro agli
occhi della mente, ma attraverso lo sguardo del cuore, coloro che si vogliono bene,
grazie all’amicizia, si contemplano dal luogo in cui dimora l’amore stesso8.
[3] E pertanto, porgendo il saluto alla Pietà Vostra9, abbondantissima verso di
me, a quanto propriamente10 suppongo, con insistenti preghiere chiedo11, se ci ri-
pagate dell’identico sentimento, se ci amate di uguale amore, se nel vostro intimo
la nostra amorevolezza può qualcosa, se il nostro affetto giunge fino nel più
profondo del vostro cuore12, se con la soavità della sua forza ha sottomesso voi a
me quanto me a voi 13 a tal punto che al suo potere non potete né volete
resistere14: affrettati a venire al più presto15 affettuosamente al tuo fratello pieno
di affetto16 a tale scopo17, per assolvere al debito promesso e per placare il vicen-
devole sentimento, poiché di persona18 vi concederemo in egual misura il benefi-
cio di vederci e di dialogare con noi, e se mi ami come tu sei amato, tanto verrà
dato in compenso da me al tuo amore, quanto tu stesso avrai concesso al mio19.
[4] E nel venire non potrai temere affatto la fatica, poiché, come disse il poeta,
ha vinto il duro viaggio la pietà20, e secondo il nostro apostolo21, la carità tutto
sopporta22, la quale non cerca il proprio interesse23 né mai sa venire meno24. Op-
portunamente a chi si mette in viaggio pieno di affetto25 si confà, assieme al no-
stro amore, anche il clima autunnale26, se tuttavia l’ardore della passata estate lo
riscalda, ma il rigore dell’imminente inverno non lo raffredda27.

11.
UN’ALTRA LETTERA ALLA STESSA PERSONA
DEL VESCOVO RURICIO

[1] Dopo aver letto le mie lettere, forse ti meraviglierai del fatto che abbia
scritto alla Venerazione Tua1 come a un fratello, benché ciò non si addica né alla
nostra età né alla nostra dignità, poiché, come sei maggiore di me quanto all’età,
così sei minore rispetto al rango ecclesiastico2. E pertanto, se per grazia di Dio3
avessimo guardato alla tua longevità o al nostro ruolo, avremmo dovuto scrivere
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78 Lettere

et iuvenibus scribit et pueris dicens: Scribo vobis, patres, quia cognovistis eum,
qui ab initio est. Scribo vobis, iuvenes, quia vicistis malignum. Scribo vobis, pue-
ri, quia cognovistis patrem, qua discretione verborum non aetatem exterioris ho-
minis, sed qualitatem interioris adsignat.

[2] In quantum enim in Dei cognitione ac dilectione proficimus, patres sine du-
bio nuncupamur. In quantum vero contra adversarium, qui tamquam leo circuit
quaerens, quem devoret, viriliter dimicamus, iuvenes esse cognoscimur. In quan-
tum vero socordiae desidiaeque committimur et ad incedendam mandatorum viam
fidei infirmitate deficimus atque ad contuenda ac peragenda praecepta divina a
saecularium actuum intentione quasi e somno segniores adsurgimus, rectissime
puerorum levitate censemur.

[3] Unde et apostolus Paulus ita commonet neglegentem: Surge, qui dormis, et
exsurge a mortuis, et continges Christum, sive inluminabit te Christus. Nam et
Dominus in evangelio, cum ei a circumstantibus diceretur: Ecce mater tua et fra-
tres tui quaerunt te volentes videre te, ita respondit: Quae est mater mea aut qui
sunt fratres mei? et ostendens apostolos sequentes se: Nonne hi, qui faciunt vo-
luntatem Patris mei? Mater enim Christi dici possumus, quando Christum corde
gestamus. Nam et sancta Maria, quae et virgo concepit, virgo peperit, virgo per-
mansit, Dominum nostrum non conplexu virili, sed fide maritante concepit.

[4] Fratres vero ipsius efficimur, quando ita vitam nostram omni virtutum ge-
nere disponimus, fulcimus, ornamus, ut heredes Dei esse possimus et coheredes
Christi. Cui enim dubium quod, si heredes Dei patris efficimur, rectissime et fra-
tres Christi dici ipso adoptante poterimus, qui nos plasmavit ut suos, redemit ut
alienos, elegit ut servos, adscivit ut filios? Plasmat enim nos potestate, redimit
passione, eligit in praescientia, adsciscit in gratia. Nos tamen filii per adoptionem,
ille solus filius per naturam, qui, ut nos ad eandem, a qua excideramus, beatitudi-
nem revocaret, cum penitus non desierit esse, quod erat, voluit tamen esse, quod
non erat, ut verbum caro fieret et, dum creator in creaturae humilitate descendit,
ad creatoris sublimitatem creatura conscenderet.

[5] Quo fit, ut humanitati divina communicent et divinitati humana participent


secundum illud apostoli: Qui cum in forma Dei esset, non rapinam arbitratus est
esse se aequalem Deo, sed semetipsum exinanivit formam servi accipiens, in simi-
litudinem hominum factus et habitu repertus ut homo. Humiliavit semetipsum fac-
tus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis. Propter quod Deus illum
exaltavit et donavit illi nomen, quod est super omne nomen, ut in nomine Iesu om-
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II, 11 79

o a un padre o a un figlio. Ma poiché anche san Giovanni apostolo, nella sua lette-
ra, scrive ai padri, ai giovani e ai fanciulli, come se fossero le stesse persone, di-
cendo: Scrivo a voi, padri, poiché avete conosciuto colui che è fin dall’inizio.
Scrivo a voi, giovani, poiché avete vinto il Maligno. Scrivo a voi, fanciulli, poiché
avete conosciuto il padre4, con questa distinzione lessicale designa non l’età del-
l’uomo esteriore, ma la qualità di quello interiore5.
[2] In quanto infatti progrediamo nella conoscenza e nell’amore di Dio, senza
dubbio siamo chiamati padri. In quanto però combattiamo con coraggio contro
l’Avversario, che come leone si aggira, cercando chi divorare6, riconosciamo es-
sere giovani. Ma in quanto siamo esposti all’inerzia dell’indolenza7 e veniamo
meno, a causa della debolezza della nostra fede, al calcare la via dei Comanda-
menti, e dall’esserci concentrati sulle opere del mondo sorgiamo, come dal
sonno8, più pigri a considerare e a compiere i precetti divini, più che giustamente
siamo ritenuti superficiali come i fanciulli9.
[3] Per cui anche l’apostolo Paolo così ammonisce chi trascura la legge del Si-
gnore: Sorgi, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e giungerai a Cristo, ovvero ti il-
luminerà Cristo10. Infatti anche il Signore nel Vangelo, avendogli detto coloro che
lo attorniavano: Ecco tua madre e i tuoi fratelli ti cercano e vogliono vederti11, co-
sì risponde: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli12? e indicando gli apostoli
che lo seguivano: Non sono forse coloro che fanno la volontà del Padre mio13? Si
può dire infatti che siamo “madre di Cristo”, quando portiamo Cristo nel cuore14.
Infatti anche santa Maria, che vergine concepì, vergine generò, vergine rimase15,
concepì nostro Signore non unendosi a un uomo, ma resa feconda dalla fede16.
[4] Ma siamo suoi fratelli quando regoliamo, sostentiamo, orniamo la nostra vita
con ogni genere di virtù così che possiamo essere eredi di Dio e coeredi di Cristo17.
Chi infatti potrebbe dubitare che, se diventiamo eredi di Dio Padre, assolutamente a
buon diritto potremo anche essere detti fratelli di Cristo, essendo stati adottati dallo
Stesso che ci ha plasmati come suoi, ci ha redenti come stranieri, ci ha scelti come
servi, ci ha adottati come figli?18 Ci plasma infatti con la sua potenza, ci redime con
la sua Passione, ci sceglie attraverso la sua prescienza, ci adotta attraverso la sua
grazia 19. Noi tuttavia siamo figli per adozione, mentre Egli solo è figlio per
natura20, il quale, per richiamarci alla medesima beatitudine da cui eravamo deca-
duti, pur non avendo cessato nella sua essenza di essere ciò che era, volle tuttavia
essere ciò che non era21, affinché il Verbo si facesse carne22 e, mentre il Creatore di-
scese nell’umiltà della creatura23, la creatura ascendesse all’altezza del Creatore24.
[5] E per questo motivo accade che la divinità comunichi con l’umanità, e l’u-
manità partecipi della divinità25, secondo la parola dell’apostolo: Egli, nonostante
fosse di natura divina, non ritenne un latrocinio essere uguale a Dio, ma spogliò
se stesso, assumendo la natura di servo, fattosi simile all’uomo e avendo preso l’a-
spetto umano. Umiliò se stesso, fattosi obbediente fino alla morte, e alla morte di
croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha donato un nome che è superiore a
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80 Lettere

ne genu flectatur caelestium, terrestrium et infernorum et omnis lingua confitea-


tur, quoniam Dominus Iesus Christus in gloria est Dei Patris.

[6] Unde et ad Corinthios idem doctor scribens ait: Itaque nos neminem novi-
mus secundum carnem. Etsi cognovimus enim Christum secundum carnem, sed
nunc iam non novimus, quia cessante in eo infirmitate corporea totus creditur in
virtute divina. Et ideo iuxta eum apostolum, quoniam omnes in Christo unum su-
mus, fratres rectissime nuncupamur, quia nos et unus uterus sacri fontis effudit et
eadem ubera matris ecclesiae spiritu vivificante lactarunt. Simulque idcirco frater
scripsi, quia et Deo propitio a saeculi actibus ad aeternam beatitudinem te ani-
mam convertisse cognovi, et imitatorem illius evangelici negotiatoris effectum,
qui venditis omnibus suis conparavit pretiosissimum margaritum, vel illius, qui
reperto in agro thesauro distractis, quae habebat, universis agrum ipsum laudabili
cupiditate mercatus est non alienae possessionis inportunus inhiator, sed propriae
facultatis providus distributor, caritatem utpote sincerrimam retinens corde per-
fecto, non ut parcius venderet, sed ut largius feneraret.
[7] Super quo facto gaudeo et Deo gratias ago, quod secundum divitias bonita-
tis suae atque virtutis per inaestimabilem misericordiam suam propemodum, ut ita
dixerim, contra sententiam suam venire dignatur, quia, cum ipse dixerit difficile
eos, qui pecunias habent, regnum adipisci posse caelorum, ecce te et his dignavit
in saeculo et provehere festinat in regno. Sed tamen idem Dominus continuo rigo-
rem prioris huiuscemodi sententiae, quam apostoli vehementius formidabant, mi-
sericordiae suae moderamine temperavit dicens, quod inpossibile esset in se ho-
minibus per naturam, possibile Deo in eis esse per gratiam. Quod in te, cui operi
ut totus atque inpendiis pronus incumbas, pro affectu mutuae caritatis admoneo,
et ita fabricae turris illius, quam Dominus in evangelio construi praecepit, stre-
nuus aedificator insistas, ut adversarii tui habeant potius de eius perfectione, quod
doleant, quam de intermissione, quod rideant.

12.
DOMINO SVBLIMI
SEMPERQVE MAGNIFICO FRATRI PRAESIDIO
RVRICIVS EPISCOPVS

[1] Plerique, dum me apud individuam mihi sublimitatem vestram non vitae
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II, 11-12 81

ogni altro nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla
terra e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore a gloria di
Dio Padre26. Motivo per cui il medesimo maestro, scrivendo anche ai Corinti, di-
ce: E così noi non conosciamo nessuno secondo la carne. Anche se infatti avessi-
mo conosciuto Cristo secondo la carne, tuttavia ora non lo conosciamo più27, poi-
ché, cessando in Lui l’infermità del corpo, lo si crede tutto nella potenza divina.
[6] E pertanto, secondo lo stesso apostolo, poiché tutti in Cristo siamo una co-
sa sola28, assolutamente a buon diritto siamo chiamati fratelli, poiché l’unico
ventre del sacro fonte ci ha generati e le medesime mammelle della madre Chie-
sa, vivificate dallo Spirito, ci hanno allattato29. E al tempo stesso di conseguenza
ti ho scritto come a un fratello, poiché ho saputo che, per grazia di Dio30, tu hai
convertito l’anima dalle opere del mondo31 all’eterna beatitudine32, e che ti sei
fatto imitatore di quel commerciante del Vangelo, che, venduti tutti i suoi beni,
comperò una perla preziosissima33, e di colui che, trovato in un campo un tesoro,
vendute tutte le sue sostanze, comperò quello stesso campo con lodevole avi-
dità34, bramoso non di desiderare prepotentemente35 un possedimento altrui, ma
di distribuire generosamente del suo, giacché serba il più sincero amore36 in un
cuore perfetto, non per vendere più a buon mercato, ma per donare con maggiore
liberalità.
[7] E per questo fatto gioisco e rendo grazie a Dio, perché, secondo l’abbon-
danza della sua bontà e della sua potenza37, grazie alla sua inestimabile misericor-
dia, per così dire, si è degnato di andare quasi contro le sue parole, poiché, aven-
do Egli stesso detto che con difficoltà coloro che possiedono ricchezze possono
conseguire il regno dei cieli38, ecco che ha degnato te di questi beni nel mondo39
e si affretta a portarti nel regno40. Ma tuttavia il Signore medesimo subito go-
vernò la durezza di siffatte parole appena proferite, che gli apostoli temevano
moltissimo, con il timone41 della sua misericordia, dicendo che ciò che è impossi-
bile in sé agli uomini per natura, è possibile a Dio in loro per grazia42. Per quanto
è in te, in virtù del sentimento di vicendevole amore, ti esorto ad applicarti con
cura tutto dedito a quell’opera e ben disposto ai sacrifici: attendi, da indefesso co-
struttore, all’edificazione di quella torre che il Signore ordinò di costruire nel
Vangelo43, così che i tuoi avversari abbiano a dolersi per la sua realizzazione,
piuttosto che deriderti per la sua interruzione44.

12.
IL VESCOVO RURICIO
AL SUBLIME SIGNORE E SEMPRE MAGNIFICO FRATELLO
PRESIDIO

[1] Gran parte delle persone, mentre confidano che io possa molto presso la in-
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82 Lettere

merito, sed amicitiarum privilegio multum posse confidunt, commendaticias a no-


bis, quibus vobis excusentur, inquirunt, quas eis pro officii nostri necessitate ne-
gare non possumus, non praesumptionis audacia, sed ministerii disciplina, dum et
illis praesentis vitae solatia et vobis providere desideramus aeternae, ut et illi per
patientiam vestram reserventur ad paenitentiam, et vos per misericordiam perve-
niatis ad veniam, sicut dicit scriptura: Quia iudicium sine misericordia erit illi,
qui non fecerit misericordiam, quia, qui dixit: Dimittite et dimittetur uobis, procul
dubio, quem viderit hic facere, quod praecepit, in futuro restituet, quod promisit.
Nobis enim illius veritas praesto est, si illi fides nostra non desit.

[2] Unde manifestissime potestis advertere absolutionem miserorum vestrorum


esse indulgentiam peccatorum, et hoc vestris conferendum precibus, quod vos
praestiteritis alienis iuxta ipsius in evangelio sententiam: Quo iudicio iudicaveri-
tis, iudicabitur de vobis. Ideoque pro Urso et Lupicino, qui ad me quasi vobis pe-
culiarius, sicut superius dixi, caritatis iure devinctum pro criminum suorum inter-
cessione venerunt, precator accedo, ut primum Deo, deinde nobis hoc, quod com-
miserunt, donare digneris, nec nos de eorum damnatione confundas, qui se abso-
lutos esse, quando ad humilitatem meam deducti sunt, crediderunt.

13.
ITEM ALIA

[1] In salo saeculi istius adversis ac diversis tempestatibus fluctuantem te ratem


ad portum salutis tandem aliquando Domino gubernante applicuisse congaudeo, in
cuius fida ac tranquilla statione conpositus aestus ipsius perfidi et iniqui et amari
maris ridebis deinceps, non timebis, de quibus, ut parum formidinis, ita multum
gaudii habere iam poteris, quod eos vel retro derelictos respicis vel in celsiori spe-
cula constitutus despicis, et te evasisse miraris. Superest, ut clavo manum inserens
astra semper intentus aspicias et ita coeptae navigationi velum pandas, ne te aut in
altum vehementior flatus excutiat aut in vicina litoribus saxa conlidat.

[2] Neque etiam iuxta sententiam Domini Salvatoris iam stivam tenens retror-
sum clamoribus Sodomae conlabentis percitus forte respiciens Loth imiteris uxo-
rem aut de Aegypto iam profectus et fluctus Rubri maris dextra laevaque penden-
tes tantum tibi ferentes auxilium, et persequentibus te parantes exitium Domino
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II, 12-13 83

divisibile da me Altezza Vostra1 non per meriti di vita, ma per privilegio di amici-
zia, ci chiedono lettere di raccomandazione2 attraverso le quali essere da voi giu-
stificati; lettere che non possiamo negare loro in virtù del nostro ufficio, non per
eccesso di fiducia in noi stessi, ma per regola di ministero3, mentre desideriamo
provvedere loro il conforto di questa vita e a voi di quella eterna4, affinché quelli,
attraverso la vostra pazienza, siano riservati alla penitenza e voi, attraverso la mi-
sericordia, giungiate al perdono5, come dice la Scrittura: Poiché il giudizio sarà
senza misericordia per chi non avrà usato misericordia6, poiché Colui che ha det-
to: Perdonate e vi sarà perdonato7, senza dubbio restituirà in futuro ciò che ha
promesso a colui che ha visto compiere in questa vita ciò che ha ordinato8. Infatti
viene in nostro soccorso la sua verità, se non viene meno la nostra fede in Lui.
[2] Quindi con la massima chiarezza potete notare che l’assoluzione concessa ai
miseri9 costituisce l’indulgenza dei vostri peccati10, e ciò che voi concederete alle
preghiere altrui, sarà accordato anche alle vostre, secondo le parole del Signore11
nel Vangelo: Come giudicherete, verrete giudicati12. E pertanto, mi accosto a voi
per pregarvi13 per Orso e Lupicino14, i quali vennero da me, quasi fossi obbligato
nei vostri confronti – come ho detto prima – in maniera tutta particolare dal vinco-
lo di amicizia15, perché intercedessi per le loro16 scelleratezze17: degnati di condo-
nare, in primo luogo davanti a Dio, quindi davanti a noi ciò che essi hanno com-
messo18, e non sconvolgerci19 a riguardo della condanna di coloro che, quando so-
no stati condotti al cospetto della Mia Umiltà20, hanno creduto di essere assolti21.

13.
ALTRA LETTERA ALLA STESSA PERSONA

[1] Mi rallegro con te che finalmente, una volta per tutte, col Signore come
nocchiero1, hai fatto approdare al porto di salvezza2 la tua barca3, sballottata da
avverse e diverse tempeste4 nel mare di questo mondo5. E standotene in quella ra-
da sicura e tranquilla6, in seguito irriderai i flutti dello stesso infido e ostile e
amaro mare7, non ne avrai più timore, e come ne hai avuto un po’ paura8, così or-
mai potrai provare molta gioia, perché volgi indietro lo sguardo per guardarli ri-
masti alle tue spalle9 e al sicuro10 dalla sommità di una vedetta11, li guardi dall’al-
to in basso12 e rimani ammirato13 di esserne uscito sano e salvo. Resta da scrutare
sempre attento le stelle14, quando metti mano al timone, e da sciogliere le vele al-
l’intrapresa navigazione per evitare che il vento troppo forte non ti spinga al largo
o ti faccia cozzare contro gli scogli vicini alla spiaggia15.
[2] E tu che, secondo le parole del nostro Signore e Salvatore, ormai tieni tra le
mani l’aratro16, non imitare17 la moglie di Loth18, volgendoti indietro, scosso per
caso dal rumore di Sodoma che crolla; e, una volta uscito dall’Egitto e attraversa-
te le acque del mar Rosso sospese a destra e a sinistra19 – per te apportatrici di co-
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84 Lettere

viam tuam et praeparante et inluminante transgressus et eremi arduum iter adri-


piens ollas carnium recorderis aut caepas, quae in modum corporalium volupta-
tum ipsa sui qualitate corrupta noscuntur et fetida nec usu grata nec odore suavia
nec stabilitate mansura.

[3] Quicquid in hoc saeculo mulcet auditu, mollescit adtactu, lenocinatur


aspectu, blanditur ut capiat, famulatur ut teneat, inlicit ut occidat. Nam quamcum-
que capere volueris voluptatem, permanet quod puniat, praeterit quod delectat,
dulcedo fugitiva pertransit, conscientia damnatura vel damnanda subsistit. Inde
etiam dicit Salomon: Lingua meretricis mel stillat, in novissimis autem diebus
amariorem felle invenies eam, quod tamen nihilominus et ipse, cum praedixisset,
incurrit. Et ideo vide, quod malum sit, frater carissime, quod, dum detestatur, ad-
mittitur, dum refugitur, vix vitatur.

[4] Unde et tu, sicut dicit scriptura, omni custodia serva cor tuum et discute
conscientiam tuam, ne, unde exisse videris aspectu, haereas affectu, sed dicas po-
tius Domino cum propheta: Adhaesit anima mea post te, me autem suscepit dexte-
ra tua, vel illud etiam: Mihi autem adhaerere Deo bonum est, ponere in Deo spem
meam, ut, quanto labore quantaque instantia militasti saeculo, servias Deo, dicen-
te apostolo vel monente: Humanum dico propter infirmitatem carnis vestrae. Si-
cut enim exhibuistis membra vestra servire inmunditiae et iniquitati, ita nunc
exhibete membra vestra servire iustitiae in sanctificationem. Cum enim servi es-
setis peccati, liberi eratis iustitiae. Quem ergo fructum habuistis tunc, in quibus
nunc erubescitis? Nam finis illorum mors est. Nunc vero liberati a peccato, servi
autem facti Deo habetis fructum vestrum in sanctificationem, finem vero vitam
aeternam.

[5] Paenitentia ita, frater carissime, non nomine est suscipienda, sed opere, non
ore tantummodo agenda, sed corde. Verum est, quod, sicut utroque, hoc est inte-
riore homine et exteriore delinquimus, ita et utroque paenitere debemus, ut, sicut
dicit idem apostolus: Corde creditur ad iustitiam, ore autem confessio fit in salu-
tem, ita gemitus cor nostrum conscientia conpungente concipiat, ut eos os no-
strum per confessionem confusionis effundat.

[6] Quinquagesimus vero psalmus, qui paenitudini datur pariter et remissioni,


die noctuque cum rugitu fletuque cantetur, ut vere et salubriter dici possit: Rugie-
bam a gemitu cordis mei, et: Iniquitates meas ego agnosco et delictum meum con-
tra me est semper, vel illud etiam: Quoniam iniquitatem meam ego pronuntio et
cogitabo pro peccato meo. Hic enim ante nos peccata nostra esse debent, ut in ae-
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II, 13 85

sì grande aiuto, ma gran causa di morte per i tuoi inseguitori20 – col Signore che
prepara e illumina la tua via, affrontando il difficile cammino del deserto, non ri-
cordare le pentole piene di carne21 o le cipolle22 che – si sa – a mo’dei piaceri del
corpo, per la loro stessa natura marciscono ed emanano cattivo odore, né si usano
volentieri né si annusano con piacere né si mantengono a lungo23.
[3] In questo mondo, qualunque cosa è carezzevole ad ascoltarsi, è suadente a
toccarsi, è attraente a guardarsi, lusinga ad afferrare, serve a trattenere, induce a
morire24. Infatti, di qualsivoglia piacere tu abbia voluto godere, rimane il castigo,
ma se ne va il diletto; l’effimera delizia passa, ma resta la coscienza che condan-
nerà e sarà condannata25. Di conseguenza anche Salomone dice: La bocca della
meretrice stilla miele, ma negli ultimi giorni la troverai più amara del fiele26, co-
sa in cui tuttavia non di meno anch’egli incappò27, nonostante ci avesse messo in
guardia. E pertanto, fratello carissimo, fa’ attenzione a ciò che è male, perché, nel
momento in cui lo si tiene lontano, lo si lascia avvicinare; mentre si cerca di fug-
girlo, a stento lo si evita28.
[4] Pertanto anche tu, come dice la Scrittura, con ogni cura preserva il tuo cuo-
re29, e fatti un esame di coscienza30, per non rimanere unito nel sentimento a ciò
dalla cui vista31 ti sembravi allontanato, ma di’ piuttosto al Signore con il profeta:
A te rimane unita l’anima mia, mi sostiene la tua detra32, e anche: È bene per me
restare33 unito a Dio, riporre in Dio la mia speranza34, per servire Dio con quella
operosità e applicazione con cui hai militato al servizio del mondo35, secondo le
parole e gli ammonimenti dell’apostolo: Parlo in termini umani per la debolezza
della vostra carne. Come infatti avete messo a disposizione le vostre membra per
servire l’impurità e l’iniquità, così ora mettete a disposizione le vostre membra
per servire la giustizia per la vostra santificazione. Quando infatti eravate servi
del peccato, eravate liberi dalla giustizia. Quale frutto dunque avete raccolto al-
lora da quelle azioni di cui ora arrossite? Il loro fine è la morte. Ma ora liberati
dal peccato, divenuti servi di Dio, raccogliete il vostro frutto in vista della santi-
ficazione, il fine è la vita eterna36.
[5] Così la penitenza, fratello carissimo, va accolta non a parole, ma con i fatti;
va condotta non soltanto con la bocca, ma col cuore37. È vero che, come abbiamo
peccato con entrambi, cioè con l’uomo interiore ed esteriore, così anche con en-
trambi dobbiamo fare penitenza38, in quanto, come dice il medesimo apostolo:
Col cuore si crede per la giustizia, ma con la bocca si confessa per la salvezza39:
il nostro cuore, pungolato dalla coscienza, concepisca lamenti40, cosicché la no-
stra bocca li esterni attraverso la confessione41 del nostro scombussolamento42.
[6] Canta giorno e notte, con gemiti e pianti, il salmo cinquanta43, che è asse-
gnato allo stesso tempo per il pentimento e il perdono, per poter dire veracemente
e vantaggiosamente: Gemevo a motivo del lamento del mio cuore44, e: Io ricono-
sco le mie iniquità e la mia colpa sta sempre davanti a me45, e anche: Poiché io
confesso la mia iniquità e sto in ansia per il mio peccato46. In questa vita infatti i
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86 Lettere

ternum contra nos esse non possint, quia ita legitur in prophetis: Dic tu prior ini-
quitates tuas, ut iustificeris. A quo priores dicturi sumus iniquitates nostras coram
Domino vel prolaturi, nisi diabolo utique, qui delictorum et incentor est et dela-
tor? Ipse enim, ut peccemus, instigat, ipse, cum peccaverimus, accusat, et ideo in
confessione criminum a nobis praeveniatur in saeculo, ut contra nos non habeat,
quod proferat in futuro.

14.
BEATISSIMIS ET IN CHRISTO VENERABILIBVS
FRATRIBVS FOEDAMIO ET VILICO PRESBYTERIS
RVRICIVS EPISCOPVS

[1] Quamlibet litteras fraternitatis vestrae per subdiaconem Contemtum non


perciperem, tamen has ego ac per ipsum ad vos affectu instigante direxi, ut et de-
siderio satisfacerem et scribendi aditum prius, prior utpote, patefacerem, ne in po-
sterum locus relinqueretur excusationi et res voluntatis diffidentiae et verecundiae
esse diceretur. Salutem itaque in Christo Domino plurimam dico beatitudini ve-
strae et spero, ut me, sicut decet ecclesiasticos viros, non labiis, sed corde diliga-
tis, et de me caritate, sincera malo quam pristina, dicere praesumatis, quia, si illa
fuisset vera, permanserat et, si fuisset mutua, mutata non fuerat.

[2] A cuius tamen fuerit parte mutata, et conscientiae nostrae noverint et con-
scientiarum cognitor sine adsertore cognoscit, quem ego testem adhibeo profes-
sioni meae nec de initio simultatis me esse culpabilem nec in corde meo deinde,
quicquid actum est dictumve resedisse, quia scio nobis ab aeterno et vero iudice
dictum, quod, nisi ex corde dimiserimus fratribus, nobis dimitti non debeat.

[3] Habetis itaque sponsionem meam, reddite mihi fidem vestram, quia in epi-
stula mea procul dubio vinculum, quod elegeritis, habebitis, aut caritatis quod sa-
lubriter constringat et custodiat, aut perfidiae quod culpabiliter innectat et perdat.
Nec mihi aliquid de iudicio prioris temporis inputetis, quia definitionis meae est
in amicitiis servare concordiam et in iudiciis tenere censuram. Illud etiam pecu-
liarius gaudeo, quod uos in integram domni et fratris mei familiaritatem redisse
cognovi. Superest ut, quod illius in bono tribuit gratia, vestra in Domino custodiat
insequella.
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II, 13-14 87

nostri peccati devono starci davanti, affinché in eterno non possano stare contro
di noi, poiché così si legge nei profeti: Di’ tu per primo i tuoi errori, così da esse-
re perdonato47. Primi rispetto a chi48 diremo e sveleremo i nostri errori davanti al
Signore, se non sicuramente rispetto al diavolo, il quale delle colpe è l’istigatore e
il delatore? È lui in persona infatti a sobillarci al peccato; è sempre lui che, dopo
che abbiamo peccato, ci accusa: pertanto vinciamolo in questo mondo, attraverso
la confessione delle nostre scelleratezze49, cosicché egli in futuro non abbia al-
cunché da rinfacciarci50.

14.
IL VESCOVO RURICIO
AI BEATISSIMI E IN CRISTO VENERABILI FRATELLI
I PRESBITERI FEDAMIO E VILLICO

[1] Nonostante non abbia ricevuto la lettera della Fraternità Vostra attraverso il
suddiacono Contento1, tuttavia io vi ho indirizzato la presente per le mani della
stessa persona, spinto dall’affetto2, per dare soddisfazione al desiderio e spalan-
carvi prima l’accesso a scrivere3, ma per primo4, per non lasciare spazio in futuro
a scuse, e non dire che il fatto era dovuto a volontaria diffidenza e a timidezza. E
così invio alla Beatitudine Vostra5 molti saluti in Cristo Signore6 e spero che, co-
me si addice agli ecclesiastici, mi amiate non a parole, ma col cuore7, e abbiate il
coraggio di parlare di me secondo amicizia – quella sincera, non del tempo che fu
–, poiché, se fosse stata vera, sarebbe rimasta e, se fosse stata vicendevole, non
sarebbe mutata8.
[2] Da parte di chi tuttavia sia stata mutata9, lo saprà la nostra coscienza e l’ar-
bitro delle nostre coscienze, che io chiamo a testimone di quanto ho dichiarato,
sa, senza bisogno di alcuno che deponga a mio favore10, che io non sono colpevo-
le dell’inizio dell’inimicizia né in seguito nel mio cuore ha albergato qualunque
cosa sia stata fatta o detta, poiché so che a noi è stato detto dall’eterno e giusto
giudice che, se non perdoniamo di cuore i nostri fratelli, neppure noi dobbiamo
essere perdonati11.
[3] E così avete la mia promessa: rendetemi la vostra fiducia. Senza dubbio nel-
la mia lettera troverete il legame che sceglierete: o l’amicizia che vantaggiosamen-
te ci stringa e ci mantenga insieme, oppure la malafede che colpevolmente ci av-
vinghi e ci distrugga12. E non imputatemi13 alcunché circa il passato processo, poi-
ché è mio costume nell’amicizia conservare l’unità degli animi e nei processi man-
tenere la severità del giudizio14. Di questo mi rallegro anche in maniera tutta parti-
colare, del fatto che sono venuto a conoscenza che voi siete ritornati in buoni rap-
porti15 col signore mio confratello16. Resta che, ciò che ha accordato a vostro van-
taggio17 la sua benevolenza, lo custodisca nel Signore la vostra docilità18.
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88 Lettere

15.
DOMINAE VENERABILI ET IN CHRISTO DOMINO
MAGNIFICANDAE FILIAE CERAVNIAE
RVRICIVS EPISCOPVS

[1] Ut pictorem vobis antea non transmitterem, haec res fecit, quia adventu no-
vi iudicis te occupatam esse credidi, atque ita deterritam, ut de his rebus cogitare
non posses. Sed quia Deo propitio vos et litteris et relatione vestrorum ex senten-
tia agere ac valere cognovi, salutatione praelata, pictorem, quamlibet hic esset oc-
cupatus, cum discipulo destinavi, quia malui meae detrahere necessitati, unde ve-
strae satisfacerem petitioni. Sed quia et propositum vestrum et nostrum poscit of-
ficium, his venerationem vestram paucis monere praesumpsi, ut ex opere illius ad
agendam paenitentiam, et nova novi hominis vestimenta sumenda capias exem-
plum, quo facilius in te Adam vetustus intereat, et vivificator exsurgat.

[2] Quem ad modum ille parietes variis colorum fucis multimoda arte depin-
git, ita vos animam vestram, quae est templum Dei, diversis virtutum generibus
excolatis, ut vere de spiritali domo vestra spiritaliter cum propheta dicere possi-
tis: Domine, dilexi decorem domus tuae et locum habitationis gloriae tuae, quia
secundum ipsius Domini nostri sententiam, non in manu factis habitat Deus, nec
in tabernaculis viri beneplacitum ei, sed beneplacitum est ei super timentes se et
in eo qui sperat in misericordiam. Et ipse iterum nos per prophetam docere di-
gnatur: Caelum mihi thronus est, terra autem scabellum pedum meorum. Quam
mihi sedem aedificabitis aut quis erit locus requietionis meae, nonne haec omnia
fecit manus mea? Aut super quem alium respiciam, nisi super humilem, et quie-
tum, et trementem sermones meos? Et ipse in evangelio Dominus clamat: Venite
ad me, omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos, et reliqua quae
sequuntur.

[3] Et ideo, in Christo Domino carissima soror ac filia, pristinae conversationis


ambitione deposita, humilitatem debes cordis induere, misericordiam indigenti-
bus fenerare, castitatem non solum corporis, sed animae procurare, quod adiuvan-
te Domino ut adquirere valeas pariter et custodire, ieiunandum est saepius, et
semper orandum, quia Adam paradisi et custos delegabatur et colonus, scilicet ut
haberet operandi materiam libertas arbitrii et quod orationum obtinuisset indu-
stria, parcitatis abstinentia custodiret. Sed quoniam neglexit sibi servare ieunium,
per concupiscentiam vetitam amisit et vitam et inmortalitatem.
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II, 15 89

15.
IL VESCOVO RURICIO
ALLA VENERABILE SIGNORA E FIGLIA CERAUNIA
DEGNA DI OGNI LODE1 IN CRISTO SIGNORE

[1] Non vi ho mandato prima il pittore per questo motivo, poiché ho pensato
che tu2 fossi stata impegnata dall’arrivo3 del nuovo governatore4 e distratta a tal
punto da non poter darti pensiero per queste cose. Ma poiché, per grazia di Dio5,
ho saputo dalla vostra lettera e dalle parole dei vostri servi che voi continuate a
vivere secondo la vostra decisione6 e che state bene, dopo avervi reso i miei salu-
ti, vi ho inviato il pittore con un suo apprendista, benché fosse impegnato qui7,
poiché ho preferito sottrarre ai miei bisogni pur8 di soddisfare le vostre richieste.
Ma poiché il vostro e nostro proposito di conversione richiedono fedeltà9, mi so-
no permesso di trasmettere alla Venerazione Vostra10 questi pochi consigli, affin-
ché tu impari dall’opera del pittore a fare penitenza e ad assumere gli abiti nuovi
dell’uomo nuovo11, perché più facilmente muoia in te l’antico Adamo12 e cresca
Colui che dà la vita13.
[2] E nella maniera in cui quegli, con poliedrica perizia, dipinge le pareti con
colori dalle varie tinte14, così voi ornate la vostra anima, che è tempio di Dio15,
con variegati generi di virtù16, affinché veramente della vostra abitazione spiritua-
le possiate dire spiritualmente17 col profeta: O Signore, ho avuto a cuore il decoro
della tua casa e il luogo in cui abita la tua gloria18, poiché secondo le parole di
nostro Signore in persona Dio non abita in dimore fatte da mani di uomo né si
compiace delle tende degli uomini, ma gli sono graditi coloro che lo temono e chi
spera nella sua misericordia19. E sempre Lui di nuovo, per mezzo del profeta, si
degna di ammaestrarci: Il cielo è il mio trono, la terra è lo sgabello dei miei piedi.
Quale sede mi costruirete o quale sarà il luogo del mio riposo? Forse che tutte
queste cose non le ha edificate la mia mano? O sopra chi altro si poserà il mio
sguardo, se non sopra l’umile e il mansueto e sopra chi teme le mie parole20? E
ancora il Signore nel Vangelo esclama: Venite a me voi tutti, che siete affaticati e
oppressi, e io vi darò ristoro21, eccetera.
[3] E pertanto, in Cristo Signore carissima sorella e figlia22, dopo esserti spo-
gliata delle pretese23 dell’antica condotta di vita24, devi rivestirti dell’umiltà del
cuore, farti dispensatrice di misericordia ai poveri25, essere attenta alla castità non
solo del corpo, ma anche dell’anima. E per essere in grado, con l’aiuto del Signo-
re26, di conseguire e parimenti custodire siffatta meta, devi osservare digiuni con
molta frequenza e pregare sempre27: Adamo infatti era assegnato come custode e
abitante del Paradiso28, evidentemente perché il libero arbitrio disponesse della
possibilità di agire e la rigorosa astinenza custodisse ciò che la preghiera costante
aveva ottenuto29. Ma poiché trascurò di osservare il digiuno, a causa della concu-
piscenza, a suo tempo proibita, perse la vita e l’immortalità30.
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90 Lettere

[4] Sub Hierobabel muros Hierusalem reversi a captivitate reparabant, cum eis
esset contra alienigenas pro eorundem murorum restauratione certamen, opera-
bantur dextra, et sinistra pugnabant, scilicet scutum fidei laeva contra adversarios
praetendentes, et dextra bonorum operum tamquam lapidum conpositorum moe-
nia construentes. Sed et ipsi viri qui aedificabant cum prophetis suis, super lum-
bos cincti operabantur, quod et Dominus in evangelio observare nos praecepit di-
cens: Sint lumbi vestri praecincti, et lucernae vestrae ardentes. Praecinctus est
lumbis, cuius caro castitati militat, et non libidini, et mens illius tamquam ardens
lucerna praefulget, quam praeceptis suis Christus accendit.

[5] Quia haec omnia secundum apostolum in figura nostri facta sunt, scire nos
convenit, quod quandiu saeculi actibus fuimus occupati, tamquam Babyloniis et
regi eorum captivi a Iudaea producti in hostium regione servivimus, unde per pae-
nitentiam ad patriam, hoc est ad caelestem Hierusalem, matrem omnium fidelium
revertentes, debemus omni virtutum genere reparare conlapsa, sarcire discissa,
delere praeterita, cavere praesentia, parare ventura, ut per benignitatem Domini a
pristina peccatorum captivitate distracti, non Babyloniorum regi, sed regi caelo-
rum Christo in Hierusalem, quaeque congregatione sanctorum aedificatur civitas,
serviamus. Et idcirco faciem nostram debemus magis lacrimis rigare, quam lava-
cris, ut dicere cum propheta possimus: Quia cinerem sicut panem manducabam,
et potum meum cum fletu miscebam.

[6] Debemus corpus nostrum indefessis vigiliis et continuis edomare ieiuniis,


ut verum exercentes inter animam carnemque iudicium, non caro dominetur spiri-
tui, sed spiritui caro victa deserviat. Cuius rei exemplum nobis Dominus, dum per
angelum ad Agar Sarrae ancillam loquitur, dedit quae dominam suam deserere
maluerat quam audire, dicens ei: Revertere et esto subdita dominae tuae, ut his la-
boribus omnibus et bonis operibus dedita possis esse et conversatione perfecta, et
confessione devota, et in regno Patris tui illius de quo Dominus in evangelio dicit:
Nolite vobis vocare patrem super terram, unus enim est pater vester, secundum
nomen tuum in illa beatorum turba vera splendere Ceraunia, et vocabuli tui auctor
existere, de quo splendore operum Dominus dicit: Sic luceat lux vestra coram ho-
minibus, ut videant opera vestra bona, et magnificent non vos, sed Patrem ve-
strum, qui in caelis est. Cuius est et ut detur, et omne quod datur, quia iuxta apo-
stolum: Omne datum bonum a sursum de Patre luminum descendit, a quo et vo-
luntas tribuitur et praestatur effectus.
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II, 15 91

[4] Sotto Zorobabele31, coloro che avevano fatto ritorno dalla schiavitù riedifi-
cavano le mura di Gerusalemme e, poiché erano in lotta contro popolazioni stra-
niere per la ricostruzione delle medesime mura, lavoravano con la destra e con la
sinistra combattevano32, cioè opponendo agli avversari lo scudo della fede33 con
la mano sinistra e costruendo con la destra fortificazioni di opere buone, come di
pietre poste l’una sopra all’altra34. Ma anche gli stessi uomini, che costruivano
assieme ai loro profeti, lavoravano cinti ai fianchi35, cosa che anche il Signore nel
Vangelo ci ha ordinato di osservare, dicendo: Siano cinti i vostri fianchi e le vo-
stre lucerne accese36. È cinto ai fianchi quegli la cui carne milita al servizio della
castità e non della lussuria, e la sua mente brilla come una lucerna accesa che Cri-
sto attizza con i suoi precetti37.
[5] Poiché tutti questi fatti, secondo l’apostolo, sono accaduti in vista di noi38,
ci conviene sapere che, per tutto il tempo che siamo stati impegnati nelle opere
del mondo, al pari dei prigionieri dei Babilonesi e del loro re condotti fuori dalla
Giudea, fummo schiavi in terra ostile; e nel fare ritorno di là, attraverso la peni-
tenza, in patria, cioè nella Gerusalemme celeste, madre di tutti i credenti39, dob-
biamo, con ogni genere di virtù, riparare alle cadute, ricucire gli strappi, cancella-
re il passato, badare al presente, preparare il futuro40, affinché, sottratti dall’antica
prigionia del peccato grazie alla benevolenza del Signore, prestiamo servizio non
al re dei Babilonesi, ma al re dei cieli, Cristo41, in Gerusalemme, la quale è edifi-
cata come città42 dall’assemblea dei santi43. E pertanto dobbiamo bagnare il no-
stro volto di lacrime44 piuttosto che di acqua45, perché possiamo dire col profeta:
Mangiavo la cenere come il pane e mescolavo la mia bevanda con il pianto46.
[6] Dobbiamo domare il nostro corpo con incessanti veglie e prolungati di-
giuni47, cosicché, equamente giudicando tra anima e carne, non sia la carne a
dominare lo spirito, ma la carne, vinta, sia posta al servizio dello spirito48. E di
questo ci ha dato un esempio il Signore, mentre attraverso l’angelo parla alla
serva di Sara, Agar, la quale aveva preferito lasciare la sua padrona piuttosto che
obbedirle, dicendole: Ritorna e sii sottomessa alla tua padrona49. In questo mo-
do tu, tutta votata alle fatiche dell’ascesi50 e alle buone opere, potrai essere per-
fetta nella condotta di vita religiosa e devota nella confessione della fede51 e nel
regno del Padre tuo, di cui il Signore dice nel Vangelo: Non chiamate alcuno pa-
dre sulla terra, uno solo infatti è il Padre vostro52, secondo il tuo nome potrai
splendere, in mezzo alla moltitudine dei beati53, come una vera e propria “Ce-
raunia”54, e risultare come esempio della tua denominazione; e di questo splen-
dore delle opere il Signore dice: Così brilli la vostra luce davanti agli uomini,
perché vedano le vostre opere buone e magnifichino non voi, ma il Padre vostro
che è nei cieli55. Da Lui proviene tutto ciò che è dato, e tutto ciò che è dato è
suo, poiché, secondo l’apostolo, ogni bene che ci è stato dato discende dall’alto,
dal Padre della luce56, dal quale è accordata la libertà di decidere e ne è conces-
sa la realizzazione57.
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92 Lettere

[7] Quia paenitentia non nomine tantum obtinenda, sed actu est exsequenda,
paenitentia non est nomen otiosum, quae ex qualitate operis possidet laboriosa
vocabulum. Non enim potest paenitens dici, qui paenitenda committit, sed ille qui
praeterita peccata vel maculas humilitate cordis, subiectione corporis, bonorum
operum sedulitate, adsiduitate orationum, continuatione gemituum, pectoris con-
tusione, lacrimarum profusione detergit, ut possit dicere cum propheta: Ne memi-
neris iniquitates nostras antiquas, utique non cotidianas, et illud: Laboravi in ge-
mitu meo, lavabo per singulas noctes lectum meum, lacrymis meis stratum meum
rigabo, et iterum: Rugiebam a gemitu cordis mei, et iterum: Quoniam iniquitates
meas ego pronuntio et cogitabo pro peccato meo. Sint ideo hic crimina nostra an-
te nos, ut contra nos in die iudicii esse non possint, et illud etiam hic positi cum
fiducia dicere mereamur: Delictum meum ego cognosco, et iniustitias meas non
operui. Dixi: Pronuntiabo adversus me et iniustitias meas Domino, et tu remisisti
impietatem cordis mei. Certum est quod, in quantum tibi de priori conversatione
displicueris, in tantum Domino placebis, et in quantum tibi placueris, illi sine du-
bio displicebis, qui dicit: Quoniam dissipat ossa hominum sibi placentium.

[8] Et ideo tamquam severissimi censores culpas nostras in nos ipsi districtius
vindicemus, et ipsi nobis per diversos corporis cruciatus tortores quodammodo
existamus et iudices, ut in illo iustae examinationis tempore non habeat in nos re-
gis sententia, quod damnet, quos iam hic castigatioris vitae disciplina correxerit,
quia iustus et misericors iudex bis non iudicat in id ipsum, hoc est, ei se exhibebit
mitem, quem invenerit hic esse prae peccatorum satisfactione crudelem; illi beni-
gnum, quem in hac vita sibi recognoverit fuisse districtum, secundum illud evan-
gelicum: Qui perdiderit animam propter me, inveniet eam, vel illud: Beati qui
nunc lugetis, quia ridebitis. Breve est enim omne quod in hoc mundo agitur, sive
bonum, sive malum, sicut experimentis, ut Dominus aut permisit aut voluit, iam
probasti. Et idcirco ad sustinendas pro Dei amore pressuras constantes esse debe-
mus, quia si ad vesperum demorabitur fletus, et ad matutinum laetitia subseque-
tur. Itaque nunc seramus in lacrimis, quod tunc metamus in gaudiis.

[9] Haec pauca ad confortandam fidem vestram pro exhortationis solatio dicta
sufficiant, quae licet ipse non faciam, tamen ut et vos agatis, exhortor. Scio enim
exhortationi positam esse mercedem, quia legimus: Flere cum flentibus, et ne for-
te tu in iudicio diceres: Quaesivi qui simul mecum contristaretur, et non fuit, et
consolantes me, et non inveni. Perfectiora vero atque maiora in scripturis divinis,
unde ista decerpta sunt, instrumenta perquire, si vis aut coepta perficere, aut ad
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II, 15 93

[7] Poiché la penitenza non va sostenuta soltanto a parole, ma va eseguita con


le opere58, penitenza non è un nome senza significato: essa si definisce infatti in
base alla natura stessa del cimento. Non può infatti essere detto penitente chi
compie azioni di cui pentirsi, ma colui che lava via i peccati e le macchie del pas-
sato59 con l’umiltà del cuore, il governo del corpo, la sollecitudine delle buone
opere, l’assiduità delle preghiera, il prolungamento dei lamenti, il battersi il petto
e il versare lacrime60, per poter dire col profeta: Non ricordare le nostre passate
iniquità61, specialmente quelle non di tutti i giorni, e: Ho sofferto nel mio lamen-
to, bagnerò ogni notte il mio letto, inonderò con le mie lacrime il mio giaciglio62,
e ancora: Mi straziavo a motivo del lamento del mio cuore63, e ancora: Poiché io
confesso le mie iniquità e sto in ansia per il mio peccato64. Stiano pertanto le no-
stre scelleratezze davanti a noi in questo mondo, affinché non possano essere con-
tro di noi nel giorno del giudizio65 e ancora qui su questa terra66 meritiamo67 di
dire con fiducia: La mia colpa io la riconosco e la mia ingiustizia non l’ho nasco-
sta. Ho detto: «Confesserò contro di me al Signore la mia ingiustizia» e tu hai ri-
messo l’empietà del mio cuore68. È certo che, nella misura in cui ti dispiacerai
della precedente condotta di vita, tanto piacerai al Signore, e nella misura in cui
piacerai a te, tanto senza dubbio dispiacerai a Lui69 che dice: Poiché disperde le
ossa degli uomini che vogliono piacere a se stessi70.
[8] E pertanto, al pari di severissimi censori, siamo proprio noi ad accusarci
con assoluto rigore delle nostre colpe; noi in persona, attraverso vari tormenti del
corpo, risultiamo anche in un certo qual modo carnefici e giudici, perché al mo-
mento del giusto Giudizio71 la sentenza del re non abbia a condannare noi che già
qui in terra ha raddrizzato una regola di vita piuttosto austera72: il Giudice giusto
e misericordioso non condanna due volte il medesimo delitto73, cioè si mostrerà
mite a colui che avrà trovato qui in terra essere severo verso di sé per espiare i
peccati74; si mostrerà benevolo a colui che in questa vita avrà riscontrato essere
stato rigoroso con sé stesso75, secondo le parole del Vangelo: Chi perderà la pro-
pria vita per causa mia, la troverà76, e: Beati, voi che ora piangete, perché ride-
rete77. Di breve durata è infatti tutto ciò che accade in questo mondo78, sia in bene
che in male, come ormai ti sei resa conto per esperienza che il Signore certi fatti o
li ha permessi o li ha voluti79. E per questa ragione dobbiamo essere costanti nel
sostenere le tribolazioni per amore di Dio, poiché, se alla sera vi prenderà dimo-
ra il pianto, alla mattina anche seguirà la letizia80. E così ora seminiamo nelle la-
crime per mietere un giorno nella gioia81.
[9] A confortare la vostra fede bastino questi pochi consigli, detti tra il consola-
torio e l’esortativo; e, anche se io sono il primo a non seguirli, vi esorto tuttavia a
osservarli82. So infatti che c’è una ricompensa per l’esortazione83, poiché leggia-
mo: Piangete con chi piange84, perché tu nel Giudizio ultimo non abbia a dire:
Cercai qualcuno che si affliggesse assieme a me, ma non ci fu nessuno, e chi mi
consolasse, ma non lo trovai85. Ricerca con attenzione insegnamenti più grandi e
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94 Lettere

pollicita pervenire. Dabit tibi taliter quaerenti Dominus scientiam pariter et virtu-
tem, ut et lecta intellegas, et intellecta custodias. Nam pater orphanorum et arbiter
viduarum, cum te de se tantum sperare conspexerit, et pupillis tuis tribuet paterna
pietate praesidium, et te remuneratione iudicis perducet ad praemium.

16.
DOMINO SANCTO ET APOSTOLICO
AC MIHI PRAE CETERIS IN CHRISTO DOMINO
CULTU AFFECTUQUE PECULIARIUS EXCOLENDO
PATRONO ET PAPAE AEONIO EPISCOPO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Ante paucum tempus litteras vestrae sanctitatis accepi, quibus etiam de
inofficiositate tanti habuistis affectuosius commonere, dicentes: nihil caritate
praestantius. Quod ego valde verum esse confirmo, et secundum apostolum, illam
caritatem dico esse perfectam et sublimem, quae de corde puro, et conscientia bo-
na, et fide non ficta procedit, quae, iuxta eundem apostolum, patiens est, benigna
est, quae non inflatur, non aemulatur, non quaerit quae sua sunt, non gaudet su-
per iniquitate, congaudet autem veritati, omnia credit, omnia sperat, et inde est,
quod numquam cadit.

[2] “Patiens est”, quia contra temptationes saeculi vel procellas in Deum defixa
perstat immobilis. “Benigna est”, quia proximorum profectibus delectatur. “Non
inflatur”, quia non superbit humili. “Non aemulatur”, quia invidere nescit aequali.
“Non quaerit quae sua sunt”, dum iuxta Domini sententiam sibi etiam minimos
anteponit, et aliorum commoda suis mercatur incommodis. “Non gaudet super
iniquitate”, quia laetari nisi fratrum prosperitate non novit. “Congaudet autem ve-
ritati”, quia amicum sincera, non fucata dilectione veneratur, nec falsa adulatione
subsannat, sed vero honore concelebrat. “Omnia credit”, quia in divinis mandatis
promissisque confidit. Et ideo “omnia sperat”, quia pro minimis magna, pro cadu-
cis perpetua, pro temporalibus aeterna sibi retribuenda non ambigit. “Numquam
cadit”, quia humilitas habere non potest casum, cum habeat semper ascensum, et
cum iugiter excelsa meditetur, habitare tamen in sublimibus non praesumit. Cum
conversatio eius habeatur in caelis, ipsa tamen videtur adhaerere terrenis, excelsa
opera mente deiecta habens, unde glorietur in Domino, nec tamen extollatur in
saeculo.
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II, 15-16 95

perfetti nelle Divine Scritture, da cui questi sono stati tratti, se vuoi portare a
compimento quanto iniziato e giungere ai beni promessi. E se cercherai così come
ti ho detto, il Signore ti darà al tempo stesso scienza e virtù, affinché tu compren-
da quello che hai letto e custodisca quello che hai compreso86. Infatti il padre de-
gli orfani e il difensore delle vedove87, dopo aver visto che tu riponi in Lui una
così grande speranza, concederà ai tuoi figli88 protezione con paterna amorevo-
lezza89 e, ricompensandoti da giudice, condurrà te al premio eterno90.

16.
IL VESCOVO RURICIO
AL SANTO E APOSTOLICO SIGNORE E DA ONORARSI DA PARTE MIA
IN CRISTO SIGNORE CON DEVOZIONE E AFFETTO
IN UNA MANIERA TUTTA PARTICOLARE RISPETTO AGLI ALTRI
IL PATRONO E VESCOVO1 EONIO

[1] Poco tempo fa ho ricevuto la lettera di Vostra Santità, nella quale avete te-
nuto in grande considerazione di ammonirmi con molto affetto anche in merito a
una mia mancanza di rispetto2, dicendo: nulla vale più della carità3. Cosa che io
confermo essere verissima e secondo l’apostolo dico che è perfetta e sublime
quella carità, che procede da un cuore puro e da una coscienza buona e da una fe-
de sincera4; carità che secondo il medesimo apostolo è paziente, è benevola, non
si gonfia, non scende a contesa, non cerca il proprio interesse, non si rallegra
dell’ingiustizia, gioisce invece della verità, tutto crede, tutto spera, e ne deriva
che non viene mai meno5.
[2] “È paziente”, poiché di fronte alle tentazioni del mondo e alle tempeste con-
tinua a rimanere immobile, con lo sguardo fisso verso Dio. “È benevola”, poiché si
rallegra dei successi del prossimo. “Non si gonfia”, poiché non si mostra superba
con l’umile. “Non scende a contesa”, poiché non è capace di invidiare chi è al suo
stesso livello. “Non cerca il proprio interesse”, poiché, secondo le parole del Si-
gnore, pone davanti a sé anche i più piccoli6 e preferisce esporsi al disagio per age-
volare gli altri. “Non si rallegra dell’ingiustizia”, poiché non sa rallegrarsi se non
della prosperità dei fratelli. “Gioisce invece della verità”, poiché rispetta l’amico
con amicizia sincera e senza macchia7, né lo prende in giro8 con falsa piaggeria,
ma lo ricolma di vero onore. “Tutto crede”, poiché confida nei Comandamenti e
nelle promesse di Dio. E pertanto “tutto spera”, poiché non ha dubbi che per picco-
lissimi sacrifici riceverà in compenso grandi premi, per i beni effimeri quelli pe-
renni, per le gioie temporali quelle eterne9. “Non viene mai meno”, poiché l’umiltà
non può avere una caduta, ma è sempre in ascesa, e, benché abbia la mente conti-
nuamente10 rivolta alle realtà eccelse, non ha tuttavia la presunzione di starsene in
Paradiso11. E nonostante la sua patria sia nei cieli12, essa tuttavia sembra rimanere
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96 Lettere

[3] Haec quia iussisti scribere, non pro eruditione nostra, sed pro vestra digna-
tione praesumpsi. Vestrum vero est nos edocere verbis, et ad hanc eandem carita-
tem provocare semper exemplis, quia dilectio, quae ante cognitionem mutuam in-
ter absentes epistulario inchoata sermone semper et fota est, debet augeri corpora-
li visione, non minui, et crescere intuitu, quae coepit affatu.

17.
DOMINO SUBLIMI
SEMPERQUE MAGNIFICO FRATRI TAURENTIO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Exigit solliciti cordis affectus, ut imperiti oris promatur affatus, nec erube-
scit rusticitatis opprobrium, dummodo impleat caritatis imperium, sicut sanctus
apostolus dicit: Perfecta caritas foras mittit timorem, quia longe melius est proxi-
mum diligere sincere quam praedicare perfecte, siquidem multo plures inveniun-
tur in mundo eloquentiae lepore praediti quam dilectionis vigore perfecti, quia si-
cut quod bonum est rarum est, ita arduum quod aeternum. Proclivis namque, iuxta
Domini sententiam, et trita via est quae praecipitat in gehennam, arctior vero et
difficilior quae sublimat ad gloriam. Quae causa, nisi quia illa multi gradiuntur,
hac pauci?

[2] Et ideo inminente iam praesentis aevi termino, et senii die usquequaque vi-
cino, sicut nos etiam docet caesaries detonsa, vel convenit, ne in veteribus annis
iuvenalia facta meditemur, atque in confecto corpore, et corde decrepito adule-
scentiae regnet cupido, de qua iudicii tempore in illo tremendo aeternae dispensa-
tionis examine, quando ille omnium mortalium testis et iudex non solum merita
ponderaturus et facta, verum etiam verba est discussurus et vota, iuxta pollicita-
tionem suam, aliis de aquae frigidae praebitione daturus est praemium, aliis de
otiosi verbi levitate supplicium; reos nos etsi non de perpetrati facinoris volupta-
te, saltem de concupiscentiae voluntate constituat, quia qui viderit mulierem ad
concupiscendum, iam moechatus est eam in corde suo.

[3] Quod et de rebus omnibus aliis similiter observare nos convenit, ut singulis
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II, 16-17 97

attaccata alla terra, eccelsa nelle opere, ma nello spirito umile13, avendo di che glo-
riarsi agli occhi del Signore14, senza tuttavia esaltarsi agli occhi del mondo15.
[3] Poiché me l’avete ordinato, ho osato scrivervi questi pensieri, confidando
non nella nostra eruditione, ma nella vostra benevolenza. D’altra parte è vostro il
compito di istruirci con le parole e di stimolarci sempre a questa medesima carità
con esempi, poiché l’amicizia che, prima di conoscerci l’un l’altro, ha preso avvio
tra di noi benché lontani ed è sempre stata alimentata dal dialogo epistolare16, de-
ve essere aumentata dalla visione in carne e ossa, non diminuita, e deve crescere
con una visita ciò che è iniziato per lettera17.

17.
IL VESCOVO RURICIO
AL SUBLIME SIGNORE E SEMPRE MAGNIFICO FRATELLO
TAURENZIO

[1] L’affetto di un cuore sollecito esige che si esprimano le parole di una bocca
rozza, né arrossisce la vergognosa dozzinalità1, purché adempia il comando del-
l’amore2, come dice il santo apostolo: L’amore perfetto manda via la paura3, poi-
ché è di gran lunga meglio amare sinceramente il prossimo, che predicare perfet-
tamente, dal momento che si trovano nel mondo molte più persone dotate della
grazia dell’eloquenza4 piuttosto che perfette nell’intensità del sentimento di amo-
re5: come ciò che è buono è raro, così è difficile da conseguire ciò che è eterno6.
E infatti, secondo le parole del Signore, è agevole e battuta la via che precipita
giù nella Geenna, mentre più angusta e difficoltosa è quella che porta in alto fino
alla gloria7. E qual è la causa, se non che molti avanzano per la prima strada, ma
per la seconda pochi?
[2] E pertanto, essendo ormai prossima la fine di quest’epoca8 ed essendo vici-
no in ogni momento il giorno della vecchiaia, come ce lo mostrano anche le no-
stre chiome rasate9, è conveniente che negli anni della senescenza non ripensiamo
a quanto fatto in gioventù, e che in un corpo sfinito e in un cuore decrepito non
regni la passione da ragazzini10: al momento infatti del Giudizio finale, in quella
tremenda disamina dell’eterna Provvidenza11, quando il testimone e giudice di
tutti i mortali12 soppeserà non solo i meriti e le azioni, ma scandaglierà anche le
parole e i desideri13, e secondo la sua promessa darà agli uni il premio per avergli
dato acqua fresca da bere14, agli altri la pena per aver proferito inutilmente parole
vane15, Egli16 ci dichiarerà colpevoli di quella passione, anche se non della vo-
luttà di aver perpetrato la malefatta, almeno di aver desiderato volontariamente
secondo la carne17, poiché chi vede una donna e la desidera carnalmente, è già
colpevole in cuor suo di adulterio18.
[3] Questo ci conviene osservarlo similmente in tutti gli altri campi, affinché,
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98 Lettere

appetentiae partibus inbecillis huius corporis amputatis talibus membris, sic debi-
les, et tamen integri, potius introeamus in regnum, quam salvi, et tamen perditi, in
aeternum proiciamur incendium. His omnibus salubriter pertractatis et rite per-
spectis, dum tribuuntur indutiae, declinemus a malo et bonum incessanter opere-
mur, obliviscamur praeterita, contemnamus praesentia, futura cupiamus, oblivi-
scamur in factis, recordemur in conscientiis, ut omne peccatum nobis moriatur in
vita, vivat in paenitentia, nunc seminemus in fletu, quod postmodum metamus in
gaudio, quia tempus huius vitae tempus est operis, dies vero retributionis tempus
est messis, quando sine dubio hoc unicuique apparebit in germine, quod nunc
spargit in semine, sicut ait quidam sanctorum: Respondebit mihi cras iustitia mea,
“cras” utique diem resurrectionis appellans.

[4] Haec vos, frater optime, non pontificali auctoritate, sed fraterna pietate fi-
denter scribere unanimitati vestrae, caritate dictante, praesumpsimus, quibus vo-
bis vel circa vos non dictatoris ingenium, sed germani probaremus affectum. Sa-
lutem itaque dicens, rogo, sicut promittere dignati estis, librum nobis sancti Au-
gustini de civitate Dei per portitorem harum sine dilatione mittatis, cuius dum nos
lectione aedificatis in terris, vobis eiusdem civitatis habitacula praeparetis in cae-
lis, ad quam tamen aliter pervenire non possumus, nisi caritatis gradibus conscen-
damus, quia ipsa est eminentior via, quae nos et in hac positos vita sociat Deo, et
deposita, perducit ad Deum, de qua etiam propheta testatur: Ambulabant de virtu-
te in virtutem, videbitur Deus deorum in Sion. Quam ob rem hic collyrio bonorum
operum oculos cordis acuamus, ut illic Deum videre possimus, quia secundum
evangelium, beati mundo corde, quoniam Deum videbunt. Ac perinde oportet hic
interioris hominis praeparetur intuitus, ut illic non hebetentur obtutus.

18.
DOMINO SANCTO AC BEATISSIMO
ET MIHI PECULIARI CULTU AFFECTUQUE SPECIALITER EXCOLENDO
PAPAE SEDATO EPISCOPO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Culpatis me saepius, et crebrius inputatis, quod individuae mihi in Chri-


sto Domino beatitudini vestrae hucusque non scripserim. Utinam sic esset fa-
cultas faciendi, sicut est scribendi voluntas, ut caritas, quae corde concipitur,
ore promatur.
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II, 17-18 99

amputati a uno a uno i deboli organi del desiderio di questo corpo, mutilati così di
tali membri e tuttavia integri entriamo nel regno piuttosto che, indenni e tuttavia
perduti, veniamo gettati nel fuoco eterno19. Dopo aver trattato a fondo e vantag-
giosamente tutti questi aspetti e averli esaminati nel modo dovuto20, finché ci è
dato il tempo, allontaniamoci dal male e operiamo incessantemente il bene21; di-
mentichiamo il passato, teniamo in poco conto il presente, aneliamo al futuro22;
dimentichiamo il male nelle azioni, ma ricordiamocelo nella coscienza, perché
ogni peccato muoia a noi nella vita, ma viva nella penitenza23; seminiamo ora nel
pianto per mietere in seguito nella gioia24, poiché il tempo di questa vita è il tem-
po del lavoro, mentre il giorno del compenso è il tempo del raccolto25, quando si-
curamente a ciascuno apparirà come frutto ciò che ora sparge come semente26,
come dice uno dei santi personaggi biblici27: Mi risponderà domani la mia giusti-
zia28, identificando con “domani” il giorno della risurrezione29.
[4] Noi ci siamo permessi con fiducia, o ottimo fratello, di scrivere alla Con-
cordia Vostra30, non con autorità episcopale, ma con amicizia fraterna31, sotto det-
tatura dell’amore32, queste considerazioni attraverso le quali dimostrare a voi e
per voi non l’indole di un maestro33, ma l’affetto di un fratello34. E così, rivolgen-
dovi i miei saluti, vi chiedo, come vi siete degnato di promettermi, di mandarmi
senza indugio, attraverso il corriere della presente35, il libro di sant’Agostino La
città di Dio36, e mentre edificate noi con la sua lettura qui sulla terra, preparate
per voi un’abitazione nella medesima città nei cieli. Tuttavia non possiamo giun-
gervi in altro modo che salendo i gradini della carità37, poiché questa è la via
maestra38 che unisce noi, ancora in questa vita39, a Dio e, dopo la sua conclusio-
ne, conduce a Dio, come anche il profeta conferma: Camminavano di virtù in
virtù, apparirà loro il Dio degli dei in Sion40. Per questo motivo aguzziamo qui
sulla terra gli occhi del cuore41 con il collirio delle opere buone, per poter vedere
là nei cieli Dio42, perché, secondo il Vangelo, beati i puri di cuore, poiché vedran-
no Dio43. Ed è parimenti necessario preparare qui la vista dell’uomo interiore44,
perché là lo sguardo non sia indebolito45.

18.
IL VESCOVO RURICIO
AL SANTO E BEATISSIMO SIGNORE DA ONORARSI DA PARTE MIA
IN MANIERA SPECIALE CON PARTICOLARE DEVOZIONE E AFFETTO1
IL VESCOVO2 SEDATO

[1] Troppo spesso mi accusate e troppo frequentemente mi incolpate del fatto


che non ho scritto finora alla da me inseparabile in Cristo Signore Beatitudine Vo-
stra3. Volesse Iddio che la capacità di agire fosse così come è la volontà di scrive-
re, in modo tale da rivelare con la parola l’amicizia concepita nel cuore4.
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100 Lettere

[2] Sed ubi deest affatus, silet affectus, et intra latebras pectoris contenta est
sui conscientia se non esse in dilectione culpabilem, etsi in officiorum redhibitio-
ne se non cernit aequalem, quia confidit, quod sicut ipsa amorem fratris in se sui
coniectione persentit, ita et diligens frater eum similiter possit ex sua dilectione
cognoscere. Quia nulla re melius aliorum cordium secreta, quam arcanorum no-
strorum contemplatione metimur. Tantum enim nos ab alio diligi credimus, quan-
ta eum nos caritate diligimus.

[3] Parui itaque petitioni vestrae, parui iussioni, ut qualibuscumque sermoni-


bus contexta vobis scripta transmitterem; quae vos, si nos simpliciter, ut confido,
diligitis, aut confestim delebitis, ne quod vobis cordi est, aliis incipiat esse de-
spectui, quia non aequali iudicio amor audit, et odium: aut certe vobis tantum re-
legenda servabitis, ut quoties in vobis videndi nos caritatis ignis exarsit, deside-
rium vestrum eorum colloquio temperetis.

[4] Quin etiam ut amoris nostri circa vos sinceritatem plenius nosceretis, auri-
bus vestris iniuriam inferre praesumpsimus, quia certi sumus quod non tam diser-
ta cupiunt audire, quam fortia; non tam voluptuosa, quam vera. Quapropter credi-
mus quod pietati vestrae nec longitudo paginae nostrae afferat satietatem, nec ru-
sticus sermo fastidium; scientes quod quanto nos amplius ruminaveritis, tanto
esuriatis ardentius.

19.
SANCTO RURICIUS CLIENS PATRONO
SEDATO MONITIS PARENS PATERNIS
GRATES CONCINIT ET REFERT SALUTEM
Quem blandis precibus rogat, timendo,
5 ne fors displiceat levis camena,
tanti iudicio minor magistri.
Hoc tu luminibus libens recurre,
hoc sanctis manibus frequens revolve,
hoc tu dum relegis, mei memento.
10 Me semper recolat, canatque lingua
et mens me teneat, sopor retentet,
me semper recinat tuum labellum.
Hos tu visceribus piis reconde,
hos tecto residens viamque carpens,
15 hos inter calices toro recumbens
et parcas epulas cibosque dulces,
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II, 18-19 101

[2] Ma, quando manca la parola, tace l’affetto5 e tra i recessi dell’anima è con-
tenta l’autocoscienza di non avere colpa nel rapporto di amicizia, anche se non si
percepisce sullo stesso livello nel ricambiarne i doveri, poiché confida che, come
essa sente profondamente l’amore del fratello verso di sé paragonandolo al suo,
così anche il fratello, se gli vuole bene, possa alla stessa maniera riconoscerlo dal
suo stesso sentimento di amicizia, perché con nessuno strumento misuriamo me-
glio i segreti dei cuori altrui che contemplando i nostri sentimenti nascosti. Infatti
crediamo che l’altro ci vuole bene tanto quanto noi con amicizia gliene vogliamo6.
[3] E così ho obbedito alla vostra richiesta, ho obbedito al vostro comando7 di
inviarvi lettere composte con qualsivoglia genere di eloquio8, le quali voi, se sem-
plicemente ci volete bene, come confido, o distruggerete immediatamente, affin-
ché ciò che a voi sta a cuore non incominci a dare fastidio ad altri, poiché non in-
tende con eguale giudizio l’amore e l’odio9; o certamente le conserverete per leg-
gerle voi soltanto, perché, tutte le volte in cui il fuoco dell’amicizia10 vi ha bru-
ciato dalla voglia di vederci, temperiate il vostro desiderio dialogando con loro11.
[4] Anzi, perché conosciate più pienamente la sincerità del nostro amore nei
vostri confronti, ci siamo anche permessi di recare ingiuria alle vostre orecchie12,
poiché siamo sicuri che esse bramano di ascoltare non tanto parole faconde quan-
to forti, non tanto parole piacevoli quanto vere13. E per questo crediamo che alla
Pietà Vostra14 non apporti sazietà la lunghezza del nostro scritto15 né la dozzina-
lità dell’eloquio16 fastidio, sapendo che, quanto più vi nutrirete di noi, rimastican-
doci17, tanto più intensamente avrete fame18.

19.*
IL CLIENTE RURICIO AL SANTO PATRONO1
SEDATO, IN OBBEDIENZA AI SUOI PATERNI CONSIGLI2,
FA RISUONARE IL SUO GRAZIE3 E INVIA I SUOI SALUTI4
Lo prega5 con carezzevoli preghiere6, giacché teme
5 che non abbia a dargli noia7 la sua Musa leggera8
ancor più sminuita dal giudizio di un così grande maestro9.
Scorri tu volentieri10 con gli occhi11 questo componimento,
con frequenza12 aprilo13 con le tue sante mani14,
mentre tu lo leggi15, ricordati di me16.
10 Me sempre rammenti e canti17 la tua lingua
e la tua mente mi trattenga, il tuo sonno non mi abbandoni18,
me sempre riecheggino19 le tue labbra20.
Custodisci questi versi nel tuo petto d’amico21,
quando te ne stai a casa e quando sei in viaggio,
15 quando te ne stai assiso a tavola fra calici22
e vivande frugali e cibi gradevoli23,
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102 Lettere

antro pectoris et medulla cordis


inclusos recita canente mente.
Sic nos et mutuos videre vultus
20 et vivis tribuat referre verbis,
quae nunc intima pectoris fatigant,
largitor Deus omnium bonorum,
Christus cum Patre sempiterno regnans
Sancto Spiritui dignantes hymnos.

20.
DOMINO INDIVIDUO
SEMPERQUE MAGNIFICO FILIO RUSTICO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Inquietudinem mihi ab aliis, et vobis a me facit amicitia communis, quia


qui me apud vos, non dico multum, sed omnia posse confidunt, ad ecclesiolam
nostram pro sua securitate confugiunt. Quorum ego non possum non et condolere
gemitibus et precibus oboedire, ut pro ipsorum quidem reatu, sed et pro vestro pa-
riter profectu potestati vestrae adtentius supplicem. Nec mireris quod dixi illorum
reatum ad vestrum pertinere profectum, siquidem illorum indulgentia vestra fit
venia, sicut et inopium indigentia largientium esse noscitur copia. Hoc enim nobis
retribuetur in iudicio, quod praestiterimus in saeculo, dicente ipso Domino: Di-
mittite, et dimittetur vobis, date et dabitur vobis, et iterum: Si dimiseritis homini-
bus, et Pater vester dimittet vobis peccata vestra.

[2] Unde evidenter agnoscimus Deum nostrum sententiam suam in nostra po-
suisse censura, qui precum nostrarum misericors et iustus auditor potestati suae
de nostra lenitate praescripsit, ut in eos quodam modo non haberet ius severitatis,
quos hic avidos non perspexerit ultionis, quia quod ipse est, hoc et nos esse desi-
derat. Misericors est, misericordes quaerit dicens: Estote perfecti, sicut et Pater
vester perfectus est. Cotidie veniam peccantibus et supplicantibus tribuit, ideo et
indulgentiam a peccatoribus poscit.

[3] Unde et oratione dominica ipsius dicimus doctrina: Dimitte nobis debita
nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Quibus verbis durissimis nos
vinculis inligamus, nisi quod pollicemur implemus, quia et per prophetam sic di-
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II, 19-20 103

nel segreto del tuo petto24 e nel più profondo del cuore25
recitali tra te e te con voce sonora26.
Così ci accordi di vedere vicendevolmente i nostri volti
20 e di esprimere in un dialogo dal vivo27
ciò che ora sfinisce l’intimità del nostro cuore28,
Dio, datore di ogni bene,
e Cristo che col Padre regna in eterno,
mentre degnamente celebriamo il Santo Spirito29.

20.
IL VESCOVO RURICIO
ALL’INSEPARABILE SIGNORE E SEMPRE MAGNIFICO FIGLIO
RUSTICO1

[1] La comune amicizia fa sì che altri turbino la mia tranquillità, e io la vostra2,


poiché, chi confida che io presso di voi possa, non dico molto, ma tutto, per sua
sicurezza cerca rifugio3 nella nostra chiesetta4. E io non posso non affliggermi as-
sieme a loro e non ascoltare le loro preghiere, cosicché vengo a supplicare con
particolare attenzione l’Autorità Vostra5 naturalmente per il loro reato, ma pari-
menti anche per il vostro progresso spirituale. E non stupirti6 del fatto che ho det-
to che il loro reato è in relazione col vostro progresso spirituale, nella misura in
cui l’indulgenza nei loro confronti diventa il perdono dei vostri peccati7, come
anche l’indigenza dei poveri8 si sa essere la ricchezza di chi con loro usa genero-
sità. Infatti nel giudizio finale ci verrà dato in compenso ciò che avremo donato in
questo mondo, secondo le parole del Signore: Perdonate e vi sarà perdonato, date
e vi sarà dato9, e ancora: Se avrete perdonato agli uomini, anche il Padre vostro
perdonerà a voi i vostri peccati10.
[2] Motivo per cui evidentemente ci rendiamo conto che il nostro Dio ha stabi-
lito il suo giudizio nei nostri confronti in base alla severità del nostro giudicare11;
Egli che ascolta con misericordia e giustizia le nostre preghiere, ha sollevato con-
tro la sua autorità come obiezione12 la nostra clemenza, cosicché in qualche modo
non abbia a usare la severità del diritto contro coloro che in questa vita non abbia
trovato a un esame attento affamati di vendetta13, poiché come è Lui così anche
desidera che siamo noi14. È misericordioso e ci chiede di essere misericordiosi,
quando dice: Siate perfetti, come anche perfetto è il Padre vostro15. Ogni giorno
concede il perdono ai peccatori che Lo supplicano, e pertanto domanda anche ai
peccatori di essere indulgenti.
[3] Per questo motivo anche nella preghiera del Signore, secondo il suo inse-
gnamento, diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai
nostri debitori16. E da queste parole noi siamo vincolati come da lacci strettissi-
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104 Lettere

cit: Homo homini tenet iram et a Domino quaerit medellam. Quapropter pro
Baxone, qui ad ecclesiam Userca confugit, intercessor accedo, sperans ut primum
pro Dei timore, deinde pro nostra intercessione ipsi parcere digneris, cuius abso-
lutione et in nobis tollere confusionem et vobis potestis conparare

21.
RURICIUS EPISCOPUS
CAPILLUTO FILIO SALUTEM

[1] Ingrata mihi est frequentior aegritudo vestra, quae mihi etiam videtur esse
commonitio divina, qua mavult Dominus noster pro sua pietate largissima pecca-
tores castigare quam perdere, ut, quos annorum suorum aetas longaeva non con-
vertit, vel convincat infirmitas, ut deponant saeculi byrrum, et sumant ecclesiae
vestimentum, quod est cilicium, contritionis indicium, quia cor contritum et hu-
miliatum Deus non spernit. Ille enim vadit ad caelum, qui se conlidit ad solum,
quia qui se exaltat humiliabitur, et qui se humiliat exaltabitur. Unde et dicit pae-
nitens ille perfectus: Adhaesit pavimento anima mea, Domine, vivifica me secun-
dum verbum tuum. Quid est, “secundum verbum tuum”, nisi secundum promissio-
nem tuam?
[2] Quod qui coram te peccata sua deflerit, conpunctus in mundo, tu eum per-
ducis in regno, ubi possit deinceps cantare securus: Audivit Dominus, et misertus
est mihi. Dominus factus est adiutor meus. Convertisti planctum meum in gau-
dium mihi, conscidisti saccum meum, et praecinxisti me laetitia. Unde suadeo
pietati vestrae, ut quod cogitastis, celerius, Deo adiuvante, faciatis, quia mors non
tardat, ipso Domino dicente: Ne tarderis converti ad Deum, nec differas de die in
diem. Subito enim venit ira eius et in tempore vindictae disperdet te. Ideoque,
dum tempus habemus, convertamur ad Dominum, ut non cum hoc mundo damne-
mur, quia sine dubio illi misericors Deus suum praestat auxilium, quem circa
praecepta sua cernit adtentum.
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II, 20-21 105

mi, qualora non portiamo a compimento quello che promettiamo17, poiché anche
attraverso il profeta così dice: L’uomo persevera nell’odio contro un altro uomo,
ma al Signore chiede la guarigione18. E pertanto mi accosto a te19 per intercedere
a favore di Basso20, che ha cercato rifugio nella chiesa di Userca21, nella speranza
che, in primo luogo spinto dal timor di Dio, quindi dalla nostra intercessione, ti
degni di usargli clemenza: la sua assoluzione può eliminare in noi lo scombusso-
lamento e a voi può guadagnare la ricompensa eterna22.

21.
IL VESCOVO RURICIO
PORGE I SUOI SALUTI AL FIGLIO CAPELLUTO

[1] Mi creano dispiacere i troppo frequenti vostri problemi di salute, i quali mi


sembrano anche essere un ammonimento divino, attraverso il quale nostro Signo-
re, pietosissimo com’è, preferisce castigare i peccatori che abbandonarli alla mor-
te1, cosicché, quelli che l’età avanzata non converte, almeno li convinca l’infer-
mità fisica2 a deporre il mantello del secolo3 e ad assumere il vestito della Chiesa,
cioè il cilicio4, segno di contrizione, poiché un cuore contrito e umiliato Dio non
lo disprezza5. Infatti va in cielo chi si butta a terra, poiché chi si esalta, sarà umi-
liato e chi si umilia sarà esaltato6. Onde dice anche il perfetto7 penitente: La mia
anima, o Signore, è prostrata al suolo: dammi vita secondo la tua parola8. Che
cosa significa “secondo la tua parola”, se non secondo la tua promessa9?
[2] Perché, colui che, conpunto, in questo mondo piangerà i suoi peccati da-
vanti a te10, tu lo condurrai nel regno11, dove possa quindi cantare tranquillo: Il
Signore mi ha ascoltato e ha avuto pietà di me. Il Signore si è fatto mio aiuto. Hai
mutato il mio pianto in gioia, hai stracciato il mio abito di penitenza12 e mi hai
rivestito di letizia13. Motivo per cui esorto la Pietà Vostra14 a fare assai veloce-
mente, con l’aiuto di Dio15, ciò che avete pensato16, poiché la morte non tarda, se-
condo quanto il Signore in persona afferma: Non ritardare di convertirti a Dio e
non rimandare di giorni in giorno. All’improvviso infatti giungerà la sua ira e nel
giorno della vendetta ti disperderà17. E pertanto, mentre siamo ancora in tempo,
convertiamoci al Signore, affinché non abbiamo a subire la condanna assieme a
questo mondo: senza dubbio Iddio misericordioso concede il suo aiuto a quegli
che percepisce che si è sforzato di osservare i suoi precetti.
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106 Lettere

22.
RURICIUS EPISCOPUS
EUFRASIO EPISCOPO

[1] Gratias ago sincerissimae in Christo Domino germanitati vestrae, quod per-
lato taedio ad vos nostro, confestim nos litteris vestris visitare tanti habuistis, qui
dum infirmitatis nostrae sollicitudinem geritis, sanitatem vestri pectoris approba-
tis, quia, sicut ipsi melius nostis, finis praecepti est caritas de corde puro et con-
scientia bona et fide non ficta, et qui visitat infirmum in dilectione firmatur. Unde
peculiarius spero, ut quem requiritis affatibus, orationibus adiuvetis.

[2] Redeuntibus itaque gerulis litterarum, reddo mutuum sospitationis officium


et, sicut ad vos rumor pervenit, sufficienter me secundum miserationem divinam,
non secundum merita mea tribulatum esse significo, quia ipse qui cibat lacrimis
in mensura, castigationi, iuxta pietatem suam, pro inbecillitate nostra modum sta-
tuit, ne infirmitas nostra in manus suae correptione defecerit.

[3] Ideoque propitia miseratione sua iam commodiorem esse me nuntio. Con-
solationem vobis vestri maeroris pagina deferente transmittens, ut, qui estis labo-
ribus nostris pro caritate conpatientes, sitis laetitiae in Dei nomine de recepta in-
columitate participes ipsius lectione, dispono. Ora pro me.

23.
DOMINO DEVINCTISSIMO
SEMPERQUE MAGNIFICO VERO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Relectis litteris pietatis vestrae, gratias Deo egi, quod vos prius revaluisse,
quam infirmatos esse earum relatione cognovi. Quod vobis tam frequenter accide-
re, propitio potius Deo quam offenso, confido, quia quem diligit Dominus
corripit; castigat autem omnem filium quem recipit. In divina itaque vos discipli-
na susceptos sedula admonitio et mitis ostendit, quia paterna clementia mavult
per multimoda incommoda negligentem corrigere filium, quam punire peccan-
tem; mavult nutantem ac dubium ad servitium suum habenis piae moderationis
adtrahere, quam errabundum et per saeculi praecipitia lapsantem acriore verbere
coercere.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 107

II, 22-23 107

22.
IL VESCOVO RURICIO
AL VESCOVO EUFRASIO

[1] Rendo grazie alla Sincerissima in Cristo Signore Fraternità Vostra1, per il fat-
to che, una volta saputo della nostra malattia, immediatamente avete tenuto in gran-
de considerazione di farci visita con una vostra lettera2. E così, mentre vi mostrate
preoccupato della nostra infermità, dimostrate la buona salute del vostro cuore3,
poiché, come voi sapete meglio di me, il fine di quanto vi ho ordinato è la carità,
che procede da una cuore puro e da una coscienza buona e da una fede sincera4, e
chi visita un infermo si rinsalda nell’amore5. Per questo spero in una maniera tutta
particolare che aiutiate con le vostre preghiere colui del quale chiedete a parole6.
[2] E così al ritorno dei vostri portalettere, rendo il vicendevole dovere del sa-
luto7 e, siccome ve ne è giunta voce8, vi rendo noto che sono tribolato quanto ba-
sta secondo la pietà divina, non secondo quello che mi merito, poiché Egli9, che
ci ciba di lacrime in abbondanza10, ha stabilito, a motivo della nostra debolezza,
un limite alla pena, secondo la sua benevolenza, perché la nostra infermità non
venga meno mentre la sua mano ci punisce11.
[3] E pertanto, col beneficio della sua pietà, comunico di stare già meglio. Tra-
smettendovi per iscritto12 consolazione alla vostra afflizione13, faccio in modo
che voi, che in virtù di amicizia siete partecipe delle mie difficoltà, alla lettura ab-
biate parte anche alla mia letizia, nel nome di Dio, per la ritrovata condizione di
salute14. Prega per me15!

23.
IL VESCOVO RURICIO
ALL’OBBLIGATISSIMO E
SEMPRE MAGNIFICO SIGNORE VERO

[1] Dopo aver letto la lettera1 della Pietà Vostra2, ho reso grazie a Dio per il
fatto che ho saputo, da quanto vi era scritto, che siete guarito3 prima ancora di sa-
pere che siete stato ammalato4. E confido che questo vi accade così frequente-
mente non per punizione divina, ma piuttosto per grazia, poiché il Signore ripren-
de chi ama; ma castiga chi ha accolto come figlio5. E così questa premurosa e mi-
te ammonizione mostra che voi siete ormai soggetto alla pedagogia divina6, poi-
ché la clemenza del Padre preferisce correggere il figlio negligente attraverso in-
convenienti di ogni genere7, piuttosto che punirne il peccato; preferisce attirare al
suo servizio il figlio che vacilla ed è nel dubbio con le briglie di una regola mise-
ricordiosa, piuttosto che costringerlo con una violenta staffilata, mentre va erran-
do e sta scivolando giù per i precipizi del mondo8.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 108

108 Lettere

[2] Ipse est enim indulgentissimus pater familias, qui animam suam ponit pro
ovibus suis. Ipse est bonus pastor, qui ovem perditam ad caulas dominicas mavult
propriis humeris reportare sollicitus, quam stimulis urgentibus revocare destric-
tus. Ipse est pater pius, qui male prodigo filio et praeceptae substantiae decoctori,
ad se vel sero redeunti non solum crimina anteriora non inputat, verum etiam
praemia amissa multiplicat, dum ulnis fovet, osculis permulcet, muneribus ditat,
doctrina confirmat, non tantum ad eius indignatus abscessum, quantum laetatus
ad reditum.

[3] Ipse enim omnium horum nominum in se effectus affectusque suscepit, ut,
sicut dicit apostolus, multifarie multisque modis nos erudiret verbis, instrueret di-
sciplinis, provocaret beneficiis, informaret exemplis, reconciliaret prece, redime-
ret passione, vivificaret morte, inmortalitate donaret, iustificaret resurrectione,
ascensione portaret et, reconciliatos per sanguinem suum, in eam, a qua excidera-
mus, Patris gratiam reformaret. Ipse enim est apud Patrem propitiatio nostra, sine
cessatione suggerens pietati suae: Pater, non solum pro his rogo, sed pro his qui
credituri sunt in me per verbum illorum. Pater, volo ut, ubi ego sum, et ipsi sint
mecum. Pater, ignosce illis, nesciunt enim quid faciunt. Ipse nobis cotidie per
apostolum suum clamat: Nolite diligere mundum, neque ea quae in mundo sunt.
Qui enim diligit mundum, non est caritas Patris in eo, quia omne quod in mundo
est, concupiscentia carnis et concupiscentia oculorum et superbia vitae humanae,
quae non est de Patre, sed de mundo est. Et mundus transit, et concupiscentia
eius, qui autem fecerit voluntatem Dei, manet in aeternum, sicut et Deus manet in
aeternum.
[4] Ipse in evangelio blanditiis invitat, muneribus provocat, adhortatione solli-
citat, dicens: Venite ad me, omnes qui laboratis et onerati estis, et reliqua, ut quasi
iugo salutaribus subdentes colla praeceptis, salutari suo currui subiungamus, et
ideo auderemus revocantem sequi, audire clamantem, blandientem modo non
spernere, ne sentiamus postmodum iudicantem. Quo iudicio, sicut ipse in evange-
lio praemonere et docere dignatus est, cum in maiestatis suae sede considerit,
quando non solum merita ponderaturus et facta, verum etiam verba est discussurus
et vota, quem hic nunc viderit salutaria sua praecepta negligere, et admonitiones
suas saluberrimas superba mente contemnere, non solum cum stultis a ianua regni
caelestis excludet, verum etiam partem ipsius cum infidelibus deputabit, ut, cum
quibus habet in saeculo societatem, cum hisdem in aeternum habeat portionem.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 109

II, 23 109

[2] È Lui infatti il tanto indulgente padre di famiglia che dà la propria vita per le
sue pecore9. È Lui il buon pastore, che preferisce aver cura di riportare sulle pro-
prie spalle la pecora smarrita agli ovili del padrone, che essere costretto a richia-
marla, incalzandola col pungolo10. È Lui il padre amorevole che, quando il figlio
ritorna da Lui, benché tardi, colpevole di essersi fatto spendaccione e scialacquato-
re delle sostanze ricevute in anticipo, non solo non gli imputa le precedenti scelle-
ratezze, ma moltiplica anche i privilegi perduti, mentre lo stringe tra le sue braccia,
lo coccola coi suoi baci, lo riempie di doni, lo rassicura con la sua sapienza, non
tanto indignato per la sua dipartita, quanto rallegrato per il suo ritorno11.
[3] È Lui infatti ad aver accolto in sé il compimento e il sentimento di tutti
questi personaggi, cosicché, come dice l’apostolo, molte volte e in molti modi ci
ha educati con la sua parola12, ci ha istruiti con i suoi insegnamenti, ci ha stimola-
ti con la sua benevolenza, ci ha plasmati con l’esempio, ci ha riconciliati con la
preghiera, ci ha redenti con la sua Passione, ci ha vivificati con la sua Morte, ci ha
fatto dono dell’immortalità, ci ha giustificati con la sua Resurrezione, con l’A-
scensione ci ha portati in cielo e, riconciliati attraverso il suo sangue, ci ha ri-
creati13 nell’amicizia del Padre dalla quale eravamo stati esclusi14. È Lui infatti la
nostra propiziazione15 presso il Padre, che suggerisce incessantemente al suo ani-
mo pietoso: Padre, non solo per questi prego, ma anche per questi che crederan-
no in me grazie alla loro parola16. Padre, voglio che, dove sono io, siano anche
loro assieme a me17. Padre, perdona loro, perché non sanno che cosa fanno18. È
Lui che ogni giorno, per voce del suo apostolo, grida a noi: Non amate il mondo
né quanto è nel mondo. Chi infatti ama il mondo non ha in sé l’amore del Padre,
poiché ciò che è nel mondo è concupiscenza della carne e concupiscenza degli
occhi e superbia della vita dell’uomo, che non ha origine dal Padre, ma dal mon-
do. E il mondo passa e la sua concupiscenza, ma chi compie la volontà di Dio ri-
mane in eterno19, come anche Dio rimane in eterno.
[4] È Lui nel Vangelo a invitarci con lusinghe, a stimolarci con doni, a solleci-
tarci con esortazioni, dicendo: Venite a me voi tutti che siete affaticati e
oppressi20, eccetera, affinché, ponendo il collo sotto i precetti di salvezza, come
sotto a un giogo, ci lasciamo aggiogare al suo carro di salvezza21, e pertanto osia-
mo seguire Lui quando ci chiama, ascoltare Lui quando grida a noi, non disprez-
zarLo quando ci lusinga in questa vita, per non farne prova in seguito quando sie-
derà in giudizio22. E al momento del giudizio, come Egli stesso si è degnato di av-
vertire e insegnare nel Vangelo, quando siederà sul trono della sua maestà23,
quando soppeserà non solo i meriti e le azioni, ma scandaglierà anche le parole e i
desideri24, chi avrà visto qui sulla terra non rispettare i suoi precetti di salvezza e
non tenere nel debito conto, da superbo 25, i suoi ammonimenti quanto mai
salutari26, non solo lo chiuderà fuori dalla porta del Regno dei cieli assieme agli
stolti27, ma gli assegnerà anche la sua parte tra i miscredenti28, di modo che con-
divida in eterno la dimora con coloro di cui nel mondo ricerca la compagnia29.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 110

110 Lettere

24.
FILIO CONSTANTIO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Quamlibet Baccho, symphoniis, et diversis musicis, nec non etiam et puel-
larum choris te deditum esse cognoverim, tamen quia bonum est ab his, dum per-
valde fervet adulescentia, aliquotiens respirare et magis Domino vacare quam Li-
bero, parentibus quoque operam dare quam cantibus, moneo ut crastino, quod erit
quarta feria, Brivae, temporius tamen, quod te facturum minime credo, mihi ieiu-
nus occurras.

25.
EIUSDEM ALIA

[1] Aliud mihi Deo teste promiseras, quod ipsum deberes colere, non Iacchum,
cuius criminis etiam me vis esse consortem, ut ego ad hunc errorem colendum de-
licias subministrem et oleum incendio superfundam. Quod neutro nostrum nove-
ris expedire. Sed dices fortasse: pollicitus es. Quo ore a me promissa perquiris,
cum tu sacramenta violaveris? Unde dabis veniam meae promissioni, quandiu te
huic servire cognovero passioni, ne confirmare videamur factum, cuius reprehen-
dimus pactum, et simus scandalo, cui esse debemus exemplo.

26.
RURICIUS
APOLLINARI SUO SALUTEM

[1] Quia nostri curam semper gerere pro mutua caritate dignamini, indico solli-
citae pietati et piae sollicitudini vestrae, nos non parvum quidem, sed, Deo propi-
tio, voluptuosum a vobis reversos sumpsisse negotium, quod nobis plurimum pro-
desse possit, si aut intentionem intellectus aut intellectum sequeretur ingenium.
Sine causa enim solis ortum caecus exspectat. Ille quidem videntibus semper exo-
ritur, non cernentibus vero iubar ipsius, quasi nubibus semper operitur.

[2] Sollium enim nostrum domnum patremque communem, quem transcriben-


dum sublimitati vestrae dedisse me dixeram, legendum recepi. Cuius lectio sicut
mihi antiquum restaurat affectum, ita prae obscuritate dictorum non accendit in-
genium, quamlibet ipsum post tam longi temporis spatium caritatis igniculum
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 111

II, 24-26 111

24.
IL VESCOVO RURICIO
AL FIGLIO COSTANZO

[1] So che ti sei votato a Bacco, ai cori e a qualsivoglia genere di iniziative


musicali, nonché anche alla compagnia delle fanciulle. Tuttavia, poiché è cosa
buona talora astenervisi – mentre con maggior forza divampa la giovinezza – e
dedicare più tempo al Signore che non a Libero, e occuparsi anche dei genitori
piuttosto che dei canti, ti esorto a che domani, cioè mercoledì1, ti presenti a me in
Briva2 a digiuno, e puntuale, ma non credo per niente che tu lo farai3.

25.
ALTRA LETTERA AL MEDESIMO

[1] Mi avevi promesso su Dio un’altra cosa: che avresti dovuto venerare solo
Lui1, non Iacco2; e di questa scelleratezza vuoi rendere partecipe anche me3, co-
sicché io conceda favori per alimentare questo errore e versi olio sul fuoco4. Sai
che questo non giova a nessuno di noi due. Ma forse dici: hai promesso. Con qua-
le faccia mi chiedi di onorare quanto promesso, dopo che tu sei venuto meno ai
tuoi impegni5? Per cui concederai venia alla mia promessa, per tutto il tempo che
saprò te schiavo di questo vizio, affinché non sembriamo approvare un’azione di
cui biasimiamo il patto, e non siamo di scandalo a colui al quale invece dobbiamo
essere d’esempio6.

26.
RURICIO
SALUTA IL SUO CARO APOLLINARE

[1] Poiché vi degnate, in virtù di vicendevole amicizia1, di preoccuparvi sem-


pre di noi, notifico alla premurosa Pietà Vostra e alla pia vostra premura2 che, al
ritorno da voi, ci siamo presi un impegno per nulla piccolo, ma per grazia di Dio3
piacevole, che potrebbe giovarci moltissimo, se l’intelligenza tenesse dietro al-
l’intenzione o la mente all’intelligenza4. Senza motivo infatti il cieco attende il
sorgere del sole!5 Per chi ci vede il sole sorge sempre, ma per chi è cieco il suo
splendore rimane sempre coperto come da nuvole.
[2] Infatti ho ricevuto da leggere un’opera del nostro comune signore e padre
Sollio6, che avevo detto di aver affidato all’Altezza Vostra7 da trascrivere8. La sua
lettura, come rinnova in me l’antico affetto, così, per l’oscurità dei concetti, non
mi accende la mente9, per quanto, dopo un così ampio lasso di tempo, con il sus-
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 112

112 Lettere

scintillis suis inter oblivionis favillas utcumque relucentem, nonnumquam et su-


spiriosis flatibus excitemus, et interdum dulcibus nobis fletibus inrigemus, quo
tamen ille imbre perfusus, quanto magis inficitur, tanto magis incenditur, quia per
lacrimarum copiam desideriorum atque affectuum crescit flamma, non deficit.

[3] Hunc ergo, si Dominus piae definitioni nostrae tribuetur fautor, effectum
vobis praesentibus percensere festino et effici discipulus de magistro, quia non
me pudet etiam in hac aetate, nec piget discipuli adripere industriam, dummodo
affectatae artis consequar disciplinam. Prius enim quilibet debet discere quam do-
cere, quia praepropere doctoris usurpat supercilium, nisi discipuli susceperit ante
famulatum.

[4] Quid enim iustius quam ut ipse sis paterni interpres eloquii, qui universa
quae ille conscripsit, non tam de codicis membrana, quam de cordis potes pagina
proferre? Cuius vos esse filios non solum generositate prosapiae, verum etiam et
eloquentiae flore, et omni virtutum genere conprobatis, quae bona vobis non tam
doctrina contulit, quam natura, quia rivus de fonte prorumpens, licet fluendo pro-
ficiat, et plenitudinem currendo conquirat, auctori tamen unde sumit vocabulum,
debet et meritum. Quem si divina clementia usque ad hoc tempus superesse vo-
luisset, sicut iam tum de vestra imitatione laetabatur, ita nunc de perfectione gau-
deret, cum spem ad rem cerneres pervenisse, nec sibi invideret aequalem, quem
optaverat esse meliorem.

27.
ITEM EIUSDEM ALIA

[1] Quamlibet per diaconem Iustum non meruerim litteras benigni pectoris et
facundi oris accipere, quibus et erudiretur ingenium, et desiderium pasceretur,
ego tamen, qui malo affectuosus rusticus, quam urbanus impius iudicari, scriben-
di opportunitatem mihi perire non passus sum, utpote qui mihi nolim, non dicam
occasionem scribendi, sed nec videndi vos unius saltim horae spatium deperire.
Ideoque salve plurimum dico, et rogo ut sine communi detrimento et utriusque
conpendio nos semper, opportunitate porrecta, litteris vestris inlustrare dignemini,
quia quod nobis in affectu inpenditis, non expenditis, quod tribuitis, non amittitis
et quod nobis in charta transmittitis, vobiscum in corde retinetis.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 113

II, 26-27 113

surro dei sospiri10 attizziamo quel fuocherello dell’amore che comunque, scintil-
lando, talora risplende tra le ceneri dell’oblio11, e nel frattempo però lo bagnamo
di pianti a noi dolci12. E tuttavia, inondato da quella pioggia13, quanto più si im-
pregna, tanto più si incendia, poiché attraverso abbondanti lacrime la fiamma del
desiderio e dell’affetto cresce, invece di diminuire14.
[3] Dunque, se il Signore si fa sostenitore della nostra affettuosa determinazio-
ne15, mi affretto a passare in rassegna quest’opera dallo stesso Sollio realizzata al-
la vostra presenza16 e a farmi discepolo da maestro, poiché non ho vergogna né
mi dispiace, anche alla mia età, divenire un discepolo zelante, pur di apprendere
la tecnica delle sue ricercatezze stilistiche17. Chiunque infatti deve imparare pri-
ma di insegnare, poiché con troppa fretta si arroga il cipiglio da insegnante, se
prima non ha fatto la gavetta da discepolo18.
[4] Che cosa infatti è più giusto che proprio tu sia l’interprete dell’eloquio del
padre, tu che tutte le opere che egli ha scritto le puoi citare non tanto da un foglio
pergamenaceo di un codice, quanto dalla pagina del tuo cuore19? E voi dimostrate
di essere suo figlio non solo per la nobiltà della stirpe, ma anche per lo stile infio-
rettato di eloquenza e per ogni genere di virtù20, beni che non tanto la dottrina vi
ha concesso, quanto la natura, poiché un ruscello che scaturisce da una fonte,
benché nel suo fluire cresca in portata e, durante il suo corso, acquisti pienezza,
tuttavia deve anche merito alla sua origine, da cui prende il nome21. E se la Divi-
na Clemenza avesse voluto che egli restasse in vita fino a oggi, come si rallegrava
allora del fatto che voi lo imitavate, così ora sarebbe felice che lo abbiate fatto fi-
no in fondo, vedendo che la sua speranza22 aveva conseguito il suo fine, né di-
spiacendosi che era pari a lui chi egli aveva desiderato fosse migliore di lui23.

27.
UN’ALTRA LETTERA AL MEDESIMO

[1] Benché io non abbia meritato di ricevere1, attraverso il diacono2 Giusto3, al-
cuna lettera del benigno cuore e della faconda bocca vostri, la quale avrebbe affi-
nato la mente e nutrito il desiderio4, io tuttavia, che preferisco essere giudicato
dozzinale, ma pieno di affetto, piuttosto che raffinato, ma senza cuore5, non mi so-
no lasciato scappare l’opportunità per scrivervi, dato che non voglio che vada per-
duta non direi l’occasione6 di scrivervi, ma neppure di vedervi per lo spazio alme-
no di un’ora sola. E pertanto vi invio molti saluti7 e vi chiedo, senza danno per
nessuno dei due e con guadagno per entrambi, di degnarvi sempre di nobilitarci
spiritualmente8 con le vostre lettere, una volta che se n’è presentata l’opportunità9,
poiché ciò che elargite a noi in affetto10, non è sperperato, ciò che ci donate, non
va perduto, e ciò che inviate a noi per lettera11 lo trattenete con voi nel cuore12.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 114

114 Lettere

28.
RURICIUS
OMMATIO SUO SALUTEM

[1] Sic a pietate vestra discessi, quod a vobis penitus non recessi. In eadem
vos parte hominis interioris exhibui, in qua vobis remansi. Scio quia ibidem re-
mansi, unde me nec insidiator antiquus potuit, neque recens conciliator exclude-
re. Unde etiam sententia illius vos sapientissimi Salomonis admoneo: Fili, ne de-
relinquas amicum antiquum, novus enim non erit similis illi. Vinum novum ami-
cus novus; veterascet, et cum suavitate bibes illud. Et ideo nos veterascamus in
amicitiis, et de die in diem affectibus innovemur. Quodsi amicus relinquendus
non est, quanto magis pater, qui erudiit, qui nutrivit, qui adiuvante Domino ad
sacerdotium usque perduxit, cui fortasse etiam iuxta divinam misericordiam lu-
cis istius debetur usura.

[2] Sed haec ego beatitudini tuae scribo, non quasi aliquid inputans aut expro-
brans, sed ut filio carissimo, quem sine ullo naevo cupio in hoc mundo impietatis
incedere, et purum atque inmaculatum in illo die iudicii coram Deo et angelis eius
ac congregatione carnis totius apparere. Saluto itaque unanimitatem tuam, et rogo
ut pro me orare digneris, simulque, cum opportunum vobis fuerit, nos tanti habea-
tis visitare. Vale.

29.
RURICIUS
EUFRASIO SUO SALUTEM

[1] Miror sanctitatem vestram post tantorum et talium virorum iudicia potius
quam rescripta etiam inscitiae meae quaesisse sententiam. Quod vos magis pro
necessitudine quam necessitate fecisse conicio, ne, cuius tanti habetis praecipuum
in animo tenere cultum, videremini in negotio praetermisisse consensum. Unde
gratias ago individuae mihi in Christo germanitati vestrae, quod ita de vobis prae-
sumere et iudicare dignamini, ut nihil habeamus aut in caritatis simplicitate sub-
dolum aut in veritatis puritate fucatum. Reddo itaque debitum unanimitatis offi-
cium, et de causa qua mihi scribere dignati estis, idem me quod et fratres nostros
sentire significo. Sed quid facto opus sit vel quid mihi potissimum fieri debere vi-
deatur, per diaconem vestrum verbo fideliter intimavi, quae longum fuit litteris
indicari. Ora pro me.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 115

II, 28-29 115

28.
RURICIO
SALUTA IL SUO CARO OMMAZIO

[1] In maniera tale mi sono separato dalla Pietà Vostra1, che non me ne sono an-
dato via del tutto da voi2. Io vi ho mantenuto nella medesima parte dell’uomo in-
teriore3, in cui sono rimasto a voi. So che4 sono rimasto5 in quel luogo da cui non
mi potè cacciare fuori né l’Antico Ingannatore6 né il Nuovo Mediatore7. Per cui vi
ammonisco anche con le parole del saggissimo Salomome: Figlio, non abbando-
nare l’antico amico: infatti il nuovo non gli sarà simile. Vino nuovo, amico nuovo:
invecchierà e allora lo berrai con piacere8. E pertanto, invecchiamo nell’amicizia
e di giorno in giorno9 lasciamoci rinnovare dall’affetto. Che se non bisogna ab-
bandonare un amico, quanto più il padre, che ti ha educato, ti ha nutrito, che con
l’aiuto del Signore ti ha condotto fino al sacerdozio10, al quale forse, secondo la
divina misericordia, è dovuto anche il fatto che tu goda della luce del giorno11.
[2] Ma io scrivo queste parole alla Beatitudine Tua12 non come per accusarti di
qualcosa o per rimproverarti, ma come a un figlio carissimo, che bramo che cam-
mini in questo mondo empio senza macchia alcuna, e che compaia puro e imma-
colato nel giorno del giudizio, davanti a Dio e ai suoi angeli e a tutto il genere
umano riunito13. E così saluto la Tua Concordia14 e chiedo che tu ti degni di pre-
gare per me, e nello stesso tempo, quando ne avrete l’opportunità, tenete in gran-
de considerazione di farci visita. Sta’ bene!15

29.
RURICIO
SALUTA IL SUO CARO EUFRASIO

[1] Mi stupisco che la Santità Vostra1, dopo aver chiesto opinioni piuttosto che
risposte a uomini tanto grandi e di siffatta qualità2, abbiate chiesto anche l’avviso
della mia ignoranza3. Cosa che suppongo abbiate fatto costretto più dal vincolo di
amicizia che di necessità4, affinché non sembraste aver tralasciato in una faccenda
ufficiale il consenso di chi tenete in grande considerazione di ospitare nell’animo
con singolare riguardo. Per cui rendo grazie alla da me indivisibile in Cristo Fra-
ternità Vostra5, per il fatto che a tal punto vi degnate di valutare e giudicare con la
vostra testa, che non c’è inganno in un rapporto di amicizia semplice o macchia
alcuna nella pura verità6. E così rendo il doveroso obbligo della concordia7 e, cir-
ca il motivo per il quale vi siete degnato di scrivermi, vi rendo noto che la penso
nello stesso modo dei nostri fratelli8. Ma, che cosa sia necessario fare e che cosa
mi sembri preferibile si debba fare, l’ho esposto fedelmente a parole attraverso il
vostro diacono: sarebbe stato lungo notificartelo per lettera. Prega per me9.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 116

116 Lettere

30.
RURICIUS
HERACLIANO SUO SALUTEM

[1] Qui se reum de officio esse cognoscit, prius supplicare debet quam audeat
salutare, quia, sicut inportune occurritur inputanti, ita opportune remittitur confi-
tenti. Et ideo nos nostram in palam producimus noxam, ut facilius pervenire pos-
simus ad veniam, quia non relinquitur locus inputationi, cum aditus patuerit de-
ploranti, secundum illam sententiam: Dic tu prior iniquitates tuas, ut iustificeris.
Non enim praevalebit accusantis invidia, ubi humilitas praecesserit supplicantis.
Quam ob rem, nos si iam excusando diluimus culpam, veniamus ad causam. Salu-
tem ergo tantam dicimus pietati vestrae, quantam potest affectus intellegere, et
non potest sermo proferre; quantam sentire possumus, et non valemus exponere;
quantam potest interioris mens desiderio calefacta concipere, et non potest lingua
exterioris adserere.

[2] Unde gratias agentes ipsius caritatis auctori, qui eam in cordibus nostris est
dignatus inserere, oremus ut praecipuum suae largitatis munus in nobis custodire
semper et iugiter dignetur augere, quia iuxta apostolum Paulum ipsa est eminen-
tior via quae ducit ad vitam. Quod superest, specialiter quaeso, ut communi patro-
no pro nobis cotidie supplicetis, quia, sicut legitis, multum valet oratio iusti adsi-
dua, et, sicut ipse Dominus noster in evangelio dicit de illo qui tres panes ab ami-
co suo noctis tempore inportune quidem, sed salubriter petiit, quod inprobitati
praestitum fuerit insistentis, quod negabatur amicitiis flagitantis. Reliqua per por-
titorem verbo mandavi, quae longum fuit litteris indicari, unde, sicut principium
epistulae continet, rogo ut pro tarditate veniam dare dignemini. Vale.

31.
RURICIUS EPISCOPUS
CAPILLUTO FILIO SALUTEM

[1] Gratias ago pietati vestrae quod me consulere de civis talis ordinatione di-
gnamini, cum vobis sufficere, Deo propitio, satis abundeque possitis. Et ideo,
quia qui vobis et fratribus vestris placet, nobis displicere non debet, bene facitis,
ut hominem quem communis consensus elegit, ordinetis. Sed admonete illum ut
veritati studeat, non falsitati; paci, non perditioni; disciplinae, non discordiae; uti-
litati publicae, non privatae cupiditati; iustitiae, non rapinae. Tueatur bonos,
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II, 30-31 117

30.
RURICIO SALUTA
IL SUO CARO ERACLIANO

[1] Chi sa di essere colpevole quanto al proprio dovere1, deve elevare suppli-
che prima di osare porgere i saluti, poiché, come ci si oppone a chi inopportuna-
mente imputa una colpa, così si perdona a chi opportunamente la confessa2. E
pertanto noi portiamo sotto gli occhi di tutti il nostro misfatto, per poter giungere
più facilmente al perdono, poiché non si lascia spazio ad alcun capo d’imputazio-
ne, dopo aver aperto l’accesso alle lacrime, secondo le ben note parole: Di’ tu per
primo i tuoi errori, così da essere perdonato3. Non prevarrà infatti l’ostilità del-
l’accusa, quando l’avrà preceduta l’umiltà della supplica. E per questo motivo
noi, se ormai con le nostre scuse abbiamo lavato via la colpa, veniamo al
processo4! Dunque invio tanti saluti alla Pietà Vostra5, quanti l’affetto può inten-
dere, ma la parola non può esprimere; quanti possiamo sentire dentro di noi, ma
non siamo capaci di esternare6; quanti può concepire la mente dell’uomo interio-
re, riscaldata dal desiderio, ma non può dichiarare la lingua dell’uomo esteriore7.
[2] E pertanto, rendendo grazie al creatore dell’amore stesso, che si è degnato
di inculcarlo nei nostri cuori, preghiamo che si degni di custodire sempre in noi
quel singolare dono della sua generosità e di accrescerlo continuamente8, poiché,
secondo l’apostolo Paolo, questa è la via maestra9 che conduce alla vita10. Quanto
al resto, ti chiedo in maniera speciale di elevare suppliche ogni giorno per noi al
comune patrono, poiché, come leggete, può molto la costante preghiera del giu-
sto11, e, come nostro Signore in persona dice nel Vangelo12 di quell’uomo che
inopportunamente, ma vantaggiosamente domandò13 tre pani al suo amico di not-
te: ciò che negava all’amico che chiedeva fu concesso all’impudente che
insisteva14. Ti ho inviato a parole attraverso il corriere le altre cose, che sarebbe
stato lungo notificarti per lettera15, di modo che, come sta scritto all’inizio dell’e-
pistola, vi prego di degnarvi di perdonarmi per il ritardo16. Sta’ bene!

31.
IL VESCOVO RURICIO
SALUTA IL FIGLIO CAPELLUTO

[1] Rendo grazie alla Pietà Vostra1, per il fatto che vi degnate di consultarmi2
circa l’ordinazione di un tale cittadino3, nonostante possiate con una certa abbon-
danza – per grazia di Dio4 – bastare a voi stesso. E pertanto, poiché colui che pia-
ce a voi e ai vostri fratelli non deve dispiacere a noi, fate bene a ordinare la perso-
na5 che il comune consenso6 ha scelto7. Ma esortatelo ad avere a cuore la verità,
non l’errore; la pace, non la perdizione; la disciplina, non la discordia; il bene
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118 Lettere

emendet reos, miseros non faciat, sed defendat, corrigat sontes, custodiat inno-
centes, ut ita agens magis futuro possit placere iudicio quam praesenti.

32.
DOMINO INLUSTRI
SEMPERQUE MAGNIFICO FILIO AGRICOLAE
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Relectis litteris sublimitatis vestrae, gratias Deo egi, quod vos prius reva-
luisse ordinatione ipsius, quam infirmatos esse cognovi, ut nobis anxietatem tolle-
ret et vobis redderet sospitatem. Quam tamen infirmitatem vobis clementer inlatam
propitio potius quam irato ipso Domino nostro, pro solita eius pietate, conicio. Sic
enim legimus quod corripiat Dominus quem diligit; castigat autem omnem filium
quem recipit. Quod etiam in vobis, quantum audio, conprobatur, ut ordinatis affec-
tibus vestris, suum vobis insinuaret affectum, et habitu animoque mutato, iugum
vobis suae lenitatis inponeret, ut salutari currui suo colla subdentes, dum mandato-
rum suorum leve onus evehitis, peccatorum gravem sarcinam deponatis.

[2] Haec est enim mutatio dexterae Excelsi, dum de peccatoribus iustos, de ex-
traneis domesticos, amicos sibi facere dignatur ex servis. Superest ut nunc con-
versionem quam protulistis in veste, probetis in corde, et haec commutatio inter
indumentum vestrum habeatur et animum, ut, sicut ille sub candidis vestibus ha-
buit hucusque nigredinem, ita nunc sub pullis vestibus operum luce candescat.
Peccator enim, qua die conversus ingemuerit, tunc salvus erit, dummodo iuxta
sancti apostoli Pauli sententiam, sicut exhibuimus hactenus corpora nostra servire
saeculo et iniquitati ad iniquitatem, ita nunc exhibeamus membra nostra servire
iustitiae in sanctificationem, nec simus quasi timentes Deum, aliud sermonibus
praetendentes, aliud habentes in moribus; aliud ostentantes in vestibus, aliud acti-
bus conprobantes, ne nos mordeat sermo ille dominicus, sub vestitu ovium lupo-
rum rabiem contegentes, quia oculus ille divinus, sicut scriptum est, omni loco
bonos speculatur et malos. Et sine dubio, quem ad se integro corde transire con-
spexerit, ipse in cor illius iugi habitatione descendet, ut eo habitatore non careat,
cui se praeparavit habitaculum.

[3] Gratias itaque Domino nostro super tam inenarrabili eius bonitate in com-
mune referamus, qui mavult servos suos monere quam perdere, corrigere quam
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II, 31-32 119

pubblico, non l’interesse privato; la giustizia, non la prevaricazione. Protegga gli


onesti, punisca i colpevoli, non renda alcuno povero, ma lo difenda, corregga i
peccatori, custodisca gli innocenti, affinché, così facendo, possa piacere di più se-
condo il giudizio futuro che non secondo quello contemporaneo8.

32.
IL VESCOVO RURICIO
AL NOBILE SIGNORE1 E SEMPRE MAGNIFICO FIGLIO
AGRICOLA

[1] Dopo aver letto le lettere di Vostra Altezza2, ho reso grazie a Dio per il fatto
che ho saputo che siete guarito, secondo il suo ordine provvidenziale3, prima anco-
ra di sapere che siete stato ammalato4, cosicché a noi ha tolto la preoccupazione e a
voi ha restituito la salute5. Malattia che tuttavia suppongo essere stata inoculata in
voi con clemenza dalla grazia piuttosto che dall’ira dello stesso Signore nostro6,
secondo la sua solita amorevolezza. Così infatti leggiamo, che il Signore riprende
chi ama; ma castiga chi ha accolto come figlio7. Cosa che, a quanto sento, è dimo-
strata anche in voi: una volta messo ordine nei vostri affetti, Egli introduce in voi il
suo affetto e, mutato abito e animo8, pone su di voi il suo dolce giogo, affinché, la-
sciandovi aggiogare al suo carro di salvezza9, mentre portate il carico leggero dei
suoi Comandamenti10, deponiate il pesante fardello dei vostri peccati11.
[2] Così infatti è mutata la destra dell’Altissimo12, mentre si degna di farci da
peccatori giusti, da stranieri familiari, suoi amici da servi13. Resta che ora la con-
versione che avete dato a vedere nel vestito, la proviate nel cuore e questo muta-
mento avvenga tra il vostro indumento e l’animo14, affinché, come esso fino a og-
gi, sotto vesti candide, ebbe la tenebra15, così ora, sotto vesti nere, prenda a brilla-
re per la luminosità delle opere16. Il peccatore infatti, a partire dal giorno in cui,
convertitosi17, si metterà a piangere, sarà salvo18, purché, secondo le parole del
santo apostolo Paolo, come offrimmo finora il nostro corpo al servizio del mondo
e dell’iniquità per l’iniquità, così ora offriamo le nostre membra al servizio della
giustizia per la santificazione19. E non usiamo un falso timore di Dio, accampan-
do una cosa a parole, ma facendone un’altra nei costumi; mostrando una scelta
nel vestito, ma rivelandone un’altra nel comportamento20, perché non ci accusi
quella ben nota espressione del Signore, cioè che sotto le spoglie di pecore celia-
mo la ferocia dei lupi21, poiché l’occhio di Dio, come sta scritto, scruta dovunque
i buoni e i cattivi22. E senza dubbio, Egli23 scenderà e abiterà stabilmente24 nel
cuore di chi avrà scorto passare a Lui con tutto il suo cuore, cosicché questi non
manchi dell’abitante per il quale preparò sé stesso come abitazione25.
[3] E così rendiamo grazie comunemente al Signore nostro per la tanto inenar-
rabile bontà sua26: Egli preferisce ammonire i suoi servi piuttosto che abbando-
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120 Lettere

punire, et pro usura brevis vitae perpetuitatis regna donare. Quod superest, saluto
plurimum, et ancillam vestram vobis peculiari insinuatione commendo, quamlibet
hoc salva vestra pietate non egeat, ut quo eam suscipere tanti habuistis affectu,
semper foveatis indultu, quae largitate divina utrosque nos sibi paravit obnoxios,
vos avos faciens sua fecunditate, nos proavos. Domnam filiam meam desiderio et
honore, quo dignum est, sospito. Ob cuius agnitionem, si facultas esset ambulan-
di, erat voluntas promptissima vos visendi, ut quam interioribus oculis pro adfini-
tatis ipsius coniunctione iugi recordatione conspicimus, etiam exterioribus cerne-
remus. Opto bene agas.

33.
DOMINO SANCTO ET APOSTOLICO
OMNIQUE A ME HONORE ET AMORE SPECIALIUS EXCOLENDO
FRATRI CAESARIO EPISCOPO
RURICIUS

[1] Frater et conpresbyter noster Capillutus dupliciter hac vice nobis gratus ap-
paruit, dum et ipse nobis iam diu desideratus occurrit, et quandam vestri praesen-
tiam nobis per vestras litteras repraesentat. Quo redeunte has reddere procuravi,
quibus debitum beatitudini vestrae rependo caritatis officium. Quod vero scribitis,
cur ad synodum, sicut conlocutio habuit nostra, non venerim, fecit hoc infirmitas,
non voluntas. Ipsi etenim recolere potestis quam fessum me Burdigala videritis, et
hoc hieme, quando esse soleo fortior solito, qui aestivis diebus etiam in hospitio
meo et locis frigidis ipsam consuetudinariam infirmitatem sustentare vix valeo,
ne dicam, quod illos aestus regionis illius ferre nequiverim, si venissem.

[2] Unde magis spero ut pro me orare dignemini, et si ad tempus aliud quod in-
timatis, si Deus vitam cesserit, venire vultis, nobis per hominem vestrum matu-
rius indicetis, quia litteras vestras ad me modo tardissime venisse significo, qui-
bus, etsi non pro dignitate, vel pro aetate non debemus tardius quam alii commo-
neri, qui fortasse, ut minus prudens dicam, merebamur ambiri, quia si aliis nomen
urbium praestat auctoritas, nobis auctoritatem demere non debet urbis humilitas;
siquidem multo melius multoque eminentius est civitatem de sacerdote, quam sa-
cerdotem de civitate notescere.
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II, 32-33 121

narli alla morte27, correggerli che punirli, e al posto del godimento di una breve
vita donare l’eternità del suo Regno. Quanto al resto, invio molti saluti28 e racco-
mando la vostra ancella29 a voi con particolare riguardo30,– benché non abbia bi-
sogno di ciò, stante la vostra bontà d’animo – affinché con quanto affetto teneste
in grande considerazione di accoglierla, sempre concediate il vostro favore a colei
che, per la munificenza di Dio, ci ha vincolati entrambi a lei, rendendo voi nonno
con la sua fecondità, noi bisnonno31. Saluto la signora figlia mia32 con desiderio e
onore, quanto conviene33. Per il fatto che desidererei incontrarla, se potessi cam-
minare34, era assai evidente che volevo fare visita anche a voi, per contemplare
anche con gli occhi esterni colei che scorgiamo con costante ricordo35 con gli oc-
chi interni36, a motivo del legame di parentela. Auguri di ogni bene37.

33.
RURICIO
AL SANTO E APOSTOLICO SIGNORE E FRATELLO DA RIVERISI
DA PARTE MIA IN MANIERA TUTTA SPECIALE
CON TUTTO L’ONORE E L’AMORE
IL VESCOVO CESARIO1

[1] Il nostro fratello e collega nel presbiterato2 Capelluto3 questa volta ci è risul-
tato doppiamente gradito, mentre egli giunge da noi già da lungo tempo desiderato
e vi rende in qualche modo presente a noi attraverso la vostra lettera4. Al suo ritor-
no, ho fatto in modo di spedirvi questa in risposta, con la quale verso a mia volta al-
la Beatitudine Vostra5 il dovere dell’amicizia6. Quanto però a ciò che mi scrivete –
perché non sia venuto al concilio, come convenimmo, dialogando tra di noi – pro-
vocò tutto ciò la mia infermità, non la volontà. Voi stesso infatti potete richiamare
alla memoria quanto indebolito mi vedeste a Bordeaux7 anche quest’inverno, quan-
do di solito sono più forte del solito, io che nei giorni estivi a stento riesco a soppor-
tare la mia consueta infermità anche a casa mia e in luoghi freschi, per non dire che
non avrei potuto tollerare le elevate temperature di quella località, se fossi venuto8.
[2] E pertanto spero a maggior ragione che vi degnate di pregare per me e, se
volete che io mi presenti in un’altra occasione, secondo quanto voi mi fate sapere,
se Dio ci concederà vita, spero che me lo notifichiate al più presto attraverso un
vostro uomo, poiché vi rendo noto che la vostra lettera mi è giunta ora con molto
ritardo9. E quindi non dobbiamo essere avvertiti più tardi degli altri, anche se non
per dignità, almeno per età; noi forse, per dirla meno cautamente10, meritavamo
di essere corteggiati, poiché, se ad altri il prestigio della città garantisce il titolo, a
noi l’umiltà della città non deve diminuire il prestigio11, dal momento che è molto
meglio e molto più insigne che la città acquisti fama dal presule12, che non il pre-
sule dalla città13.
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122 Lettere

34.
DOMINO SANCTO ET APOSTOLICO
MIHIQUE IN CHRISTO DOMINO
SPECIALI CULTU AFFECTUQUE CETERIS PRAEFERENDO
PATRONO SEDATO EPISCOPO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Dum scribendi vobis, domnis pectoris mei, animus vos sitiens occasionem
frequenter inquirit, aliquando diuturna meditatione pertractans repperit idoneum
portitorem, per quem et silentia longa disrumperet et sibi spiritales delicias postu-
laret, oris vestri cupiens rore respergi. De qua, credo, siti sanctus psalmista dice-
bat: Anima mea sicut terra sine aqua tibi, illa nimirum aqua ariditatem corporis
sui restinguere sobria ebrietate desiderans, de qua Dominus noster in evangelio
clamare dignatur: Si quis sitit, veniat et bibat. Flumina enim aquae vivae de ven-
tre eius fluunt. Hanc aquam Samaritanae etiam idem Dominus offerebat, hoc est
ecclesiae ex gentibus congregandae, dicens: Aqua quam ego dabo, fiet in eo fons
aquae salientis in vitam aeternam. Hanc aquam si quis fidelis non gustu tantum
summo tenus ore libaverit, sed totis animae visceribus appetens conviva sorbue-
rit, protinus in laudem Domini omnipotentis erumpet et hoc incipiet ructare quod
biberit, sicut beatissimus evangelista atque discipulus, qui super pectus Domini
recumbere meruit, mysteria regni caelestis haurivit, et in illam vocem quam ante
nullus audierat, clamavit: In principio erat verbum, et verbum erat apud Deum, et
Deus erat verbum.

[2] Hoc erat illud verbum, quod sine tempore a Patre genitum, in tempore crea-
tur ex matre, ut creator fieret, ut esse possit humanitatis quaedam portio divinita-
tis totius plenitudo, et plenitudinem humanitatis portio ipsa humanitatis sua pas-
sione redimeret, dum imago invisibilis Dei forma fit servi, ut posset inpassibilis
pati, incomprehensibilis capi, inmortalis mori, qui mortem occumbendo perime-
ret, ut vitam resurgendo repararet.

[3] Sed quid ego oblitus mei, avidus tui, quasi de huiuscemodi rebus tecum
conloquens, et inde in desiderium tui vehementius perardescens, restinguere sitim
meam velut quodam dilectionis rivulo festinans, inscrutabilia et inaccessa per-
temptans, quid loquar, qui loquar, cui loquar non considero? Sed dabit, ut confi-
do, veniam pietas, quam committit affectus, quia caritas omnia sustinet.

[4] Salve itaque plurimum dico individuo mihi pectori vestro et rogo ut pro me
incessanter orare dignemini. Simulque etiam partem corporis mei, per quam vobis
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II, 34 123

34.
IL VESCOVO RURICIO
AL SANTO E APOSTOLICO SIGNORE
E PATRONO DA PREFERIRSI DA PARTE MIA RISPETTO AGLI ALTRI
IN CRISTO SIGNORE CON SPECIALE DEVOZIONE E AFFETTO
IL VESCOVO SEDATO1

[1] Mentre l’animo, assetato di voi2, cerca frequentemente l’occasione per scri-
vere3 a voi, signore del mio cuore4, finalmente, nel riflettere profondamente e a
lungo, trovò il corriere adatto5 attraverso il quale infrangere il lungo silenzio e
chiedere per sé le delizie dello spirito, bramoso di essere asperso dalla rugiada
della vostra bocca6. Di questa sete, credo, diceva il santo salmista: La mia anima
è nei tuoi confronti come terra senz’acqua7, desideroso di estinguere, con sobria
ebbrezza8, l’aridità del suo corpo proprio con quell’acqua di cui nostro Signore si
degna di esclamare nel Vangelo: Se qualcuno ha sete, venga e beva. Infatti dal
suo ventre scorrono fiumi di acqua viva9. È questa l’acqua che lo stesso Signore
offriva anche alla Samaritana, cioè alla chiesa che si sarebbe adunata da tutti i po-
poli10, dicendo: L’acqua che io darò, sarà fonte di acqua zampillante per la vita
eterna11. E se chi crede avrà assaggiato quest’acqua12, non solo sentendone il sa-
pore appena con la punta della lingua, ma, anelandovi intensamente dal più
profondo dell’anima, l’avrà gustata da commensale, subito eromperà in lode del
Signore onnipotente e incomincerà a esalare ciò che ha bevuto13, come il beatissi-
mo evangelista e discepolo, che meritò14 di chinarsi sul petto del Signore15, attin-
se i misteri del regno dei cieli16 ed esclamò quella frase che nessuno prima aveva
udito17: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo18.
[2] E questo era il Verbo, che senza tempo generato dal Padre diviene creatura
nel tempo da una madre19, cosicché il Creatore divenisse, affinché una parte di
umanità potesse essere la pienezza di tutta quanta la divinità20 e proprio la parte
di umanità redimesse con la sua passione la pienezza dell’umanità21, mentre l’im-
magine del Dio invisibile22 assumeva aspetto di servo23, affinché patisse Colui
che non può patire, fosse compreso Colui che non può essere afferrato, morisse
Colui che non può morire24, Egli che, affrontando la morte, la annientò, per rista-
bilire, risorgendo, la vita25.
[3] Ma io, dimentico di me, ma smanioso di te26, come dialogando con te27 di
siffatti argomenti e quindi bruciando ancor più intensamente nel desiderio di te,
affrettandomi a estinguere la mia sete28 come con un ruscello di amore29, tentan-
do l’imperscrutabile e l’irraggiungibile30, perché non considero di che cosa io
parli, chi sia io che parlo, a chi io parli31? Ma ci perdonerà, come confido, la tua
benevolenza, originata dall’affetto, poiché la carità tutto sostiene32.
[4] E così mando molti saluti33 all’indivisibile da me vostro cuore34 e chiedo
che vi degniate di pregare incessantemente per me. E al tempo stesso raccomando
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124 Lettere

has trado, peculiari insinuatione commendo, ut in illis, quam me diligatis, integre


conprobetis. Quos vobis eo arbitror fore cariores, quia meam vobis secum defe-
runt portionem. Quibus quidquid dignati fueritis dilectionis inpendere, nobis vos
conferre cognoscite, quia, si iuxta sanctum apostolum minus membrum maiori in
dolore conpatitur, et maius procul dubio in minoris prosperitate laetatur. Et ita de-
mum fit ut, omnibus usquequaque membris in pace et quiete conpositis, caput, to-
tius corporis rector utpote et dominator, exultet. In quo capite omnia membra iu-
bentur aspicere, dicente propheta: Sapientis oculi in capite eius, quod alius
propheta evidenter exponit dicens: Oculi mei semper ad Dominum, quia ipse evel-
lit de laqueo pedes meos, et iterum: Ad te levavi oculos meos, qui habitas in
caelo.

[5] Erigamus itaque oculos nostri cordis ad Christum et in mundi istius nocte
manus nostras operibus fructuosis extollamus ad Dominum, et ipse caput nostrum
esse dignetur et nos adhaerere capiti nostro utilia corporis sui membra esse me-
reamur, ut de hoc saeculo discedentes, tamquam in exitu Israel de Aegypto, dicere
redemptori nostro possimus: Adhaesit post te anima mea; me autem suscepit dex-
tera tua, cum ea diebus ac noctibus fuerit in corporis huius carcere meditata, unde
non confundatur educta. Ora pro me.

35.
DOMINO SANCTO ET APOSTOLICO
MIHIQUE IN CHRISTO DOMINO
SPECIALI CULTU AFFECTUQUE CETERIS PRAEFERENDO
PATRONO SEDATO EPISCOPO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Per archiatrum Palladium litteras fecundi cordis et facundi oris accepi, quae
nos ad visionem mutuam voto pectoris invitabant. Sed quid facimus, quod deside-
riis animorum nostrorum diversa membrorum resistit infirmitas? dum vos nimie-
tate robusti, nos tenuitate exesi corporis inpedimur, dum vos alieni, et quattuor
pedes ferre nequeunt ponderosos, me etiam proprii et duo sustinere prae defectio-
ne vix possunt. Quo fit ut implere communia vota nequeamus. Ego enim, testis
est Dominus, quod, si valuissem, ad synodum condictam omni aviditate venis-
sem, sed mea disposita itineris voluntate necessitas inbecillitatis inhibuit, quia ae-
res regionis illius praesertim hoc tempore ferre non poteram. Quod et vos ita cre-
dere confido et pravos ad aliud derivare non dubito.
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II, 34-35 125

anche con particolare riguardo35 quella parte della mia persona attraverso la quale
vi mando questa lettera36, affinché in loro dimostriate quanto intensamente mi
amiate. E credo che vi saranno tanto più cari, poiché portano con loro a voi una
porzione di me37. E qualunque gesto di amore vi degnerete di elargire loro, sap-
piate che voi lo rivolgete a noi38, poiché, se, secondo il santo apostolo, un membro
più piccolo compartecipa al dolore del più grande, anche il più grande senza dub-
bio si rallegrerà della prosperità del più piccolo39. E così infine avviene che, una
volta che tutte le membra siano in ogni parte tranquille e serene40, il capo, in
quanto guida e sovrano di tutto quanto il corpo41, esulta. E attraverso quel capo
tutte le membra devono vedere, secondo le parole del profeta: Il saggio vede con
gli occhi del suo capo42, come eprime evidentemente anche un altro profeta, quan-
do dice: I miei occhi sono sempre rivolti al Signore, poiché Egli strappa dalla
trappola i miei piedi43, e ancora: Ho elevato i miei occhi a Te, che abiti nel cielo44.
[5] E così innalziamo gli occhi del nostro cuore a Cristo e nella notte di questo
mondo45 leviamo le nostre mani al Signore con opere fruttuose, ed Egli si degni
di essere il nostro capo e noi meritiamo46 di restare uniti al nostro capo come utili
membra del suo corpo, affinché, allontanandoci da questo mondo, come quando
Israele uscì dall’Egitto47, possiamo dire al nostro Redentore: A te rimane unita
l’anima mia, mi sostiene la tua destra48, dopo che essa ha meditato queste parole
giorno e notte49 nel carcere di questo corpo50, così da51 non restare confusa, una
volta uscita52. Prega per me53.

35.
IL VESCOVO RURICIO
AL SANTO E APOSTOLICO SIGNORE
E PATRONO DA PREFERIRSI DA PARTE MIA RISPETTO AGLI ALTRI
IN CRISTO SIGNORE CON SPECIALE DEVOZIONE E AFFETTO
IL VESCOVO SEDATO1

[1] Attraverso il medico Palladio2, ho ricevuto la lettera del vostro fecondo


cuore e della vostra faconda bocca3, che ci invitava a un vicendevole incontro4,
secondo le attese del cuore. Ma che fare, per il fatto che ai desideri del nostro ani-
mo si oppongono varie infermità delle membra? mentre voi siete ostacolato dal-
l’essere eccessivamente robusto, noi lo siamo dall’essere divorati dalla magrezza;
mentre il vostro peso non riescono a trasportarlo neppure quattro piedi chiesti in
aiuto ad altri, il mio anche soltanto i miei5 due possono sostenerlo a stento, senza
venire meno6. Ne consegue che non possiamo soddisfare le comuni attese7. Io in-
fatti – ne è testimone il Signore – se fossi stato bene, sarei venuto al sopraddetto
concilio molto volentieri, ma sono stato distolto dal proposito di affrontare il
viaggio stabilito, costretto dalla debolezza, poiché non avrei potuto sopportare il
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126 Lettere

[2] His itaque sufficienter, ut potuimus, indicatis, salutatione animi desideran-


ter inpensa, si dignum ducitis, transmisi vobis caballum, qualem vobis sciebam
esse necessarium, mansuetudine placidum, membris validum, firmum robore, for-
ma praestantem, factura compositum, animis temperatum, scilicet nec tarditate pi-
grum nec velocitate praeproperum, cui frenus ac stimulus sit sedentis arbitrium,
cui ad evehendum onus et velle suppetat pariter et posse, ita ut nec cedat superpo-
sito nec deponat inpositum.

[3] Superest ut rescripto, quomodo vobis placeat, indicetis, quamlibet ita de in-
dividuo mihi corde praesumam, quod vobis etiam mala a me commissa, non di-
cam transmissa, conplaceant. Tanta est enim integri vis amoris, ut in amicum nil
displiceat, cum magis malum displicere debeat de amico. Et hinc illud est, quod
iudicia hominum aut amore praepediuntur aut odio, ut recta non proferant. Vos
vero, quos nec odium exasperat nec inflammat invidia, et iocos nostros libenter
accipite, et de sospitate vestra vel actibus affluenter instruite, ut, dum vos diutius
legimus, copiosius inbuamur. Ora pro me.

36.
DOMNO SANCTO ET APOSTOLICO
MIHIQUE IN CHRISTO DOMINO SPECIALITER EXCOLENDO
FRATRI CAESARIO EPISCOPO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Qui occasiones scribendi nobis invicem pro mutua caritate inquirimus,
oblatas praetermittere non debemus, ut conferat nobis quandam praesentiae por-
tionem sermo mediator, qui emittitur nec amittitur, tribuitur et habetur, videtur di-
scedere nec recedit, a me dirigitur, a te suscipitur, a me scribitur, a te legitur nec
tamen dividitur, cum quasi divisus, integer tamen utriusque corde teneatur, quia
verbi more divini traditur et non egreditur, confertur indigenti et non aufertur auc-
tori accipientis lucrum sine dispendio largientis, ditans inopem nec adtenuans
possessorem.
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II, 35-36 127

clima di quella località, soprattutto durante questa stagione8. E confido che voi
crediate che la cosa è andata così e non ho dubbi che i malpensanti la storneranno
ad altro significato9.
[2] E così, notificate quanto basta – come abbiamo potuto – queste informazio-
ni, elargito il saluto di un animo pieno di amore, se lo ritenete di voi degno, vi ho
mandato un cavallo10, quale sapevo che era a voi necessario, nella mitezza soave,
negli arti vigoroso, robusto nella complessione, nell’aspetto eccellente, armonico
nella forma, moderato nell’indole, ovviamente né neghittoso nel passo lento né
troppo rapido al galoppo, al quale freno e pungolo siano arbitrio di chi lo cavalca;
il quale possiede in abbondanza parimenti volontà e capacità di portare some, così
che né soccombe al peso di chi lo monta né mette giù il fardello che gli è stato po-
sto sul dorso11.
[3] Resta a voi di notificarmi con una lettera di risposta, come il cavallo vi
piaccia12, per quanto così io faccia affidamento sul da me indivisibile vostro cuo-
re, che, anche quanto da me sia stato mal realizzato, per non dire mandato, vi fac-
cia piacere13. Tanto grande è infatti la forza di un amore sincero, che nulla dispia-
ce in un amico, benché debba maggiormente dispiacere ricevere qualche malefat-
ta da un amico14. E quindi ne consegue che i giudizi degli uomini sono intralciati
a priori dall’amore o dall’odio, cosicché non riescono mai a dire il vero15. Ma voi,
che l’odio non esacerba né infiamma l’invidia, accettate volentieri i nostri scher-
zi, e fate scorrere un fiume di notizie in merito alla vostra salute e alla vostra atti-
vità16, affinché, mentre più a lungo leggiamo di voi, più riccamente ne siamo irri-
gati17. Prega per me18.

36.
IL VESCOVO RURICIO
AL SANTO E APOSTOLICO SIGNORE DA RIVERIRSI
IN MANIERA SPECIALE DA PARTE MIA IN CRISTO SIGNORE
IL FRATELLO CESARIO VESCOVO1

[1] Noi che cerchiamo, secondo il vicendevole legame di amicizia, le occasioni


per scriverci, non dobbiamo dimenticare quelle che ci sono state offerte, cosicché
a concederci in parte la presenza l’uno dell’altro sia la mediazione della lettera:
questa è inviata e non è perduta, è donata ed è ricevuta, sembra andarsene via e
non se ne va, da me è indirizzata, da te è ricevuta, da me è scritta, da te è letta e
tuttavia non si divide, come se, pur divisa, fosse tuttavia tenuta insieme dal cuore
di entrambi, poiché, a somiglianza del Verbo divino, è mandata e non se ne va via,
viene assegnata al povero e non viene tolta al suo autore, guadagno di chi la rice-
ve senza spesa di chi la elargisce, arricchendo chi non l’ha né impoverendo chi la
possedeva2.
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128 Lettere

[2] Ideoque veniente illo dulcissimo meo nepote Parthenio, has per ipsum dare
non distuli, ut et vobis meam praesentiam litteris exhiberem, et ipsum pariter
commendarem. Cui quicquid dignati fueritis dilectionis inpendere, nobis vos
praesentare noveritis. Simulque etiam peculiarius rogo ut pro me ipsisque pigno-
ribus nostris incessanter oretis, nec inpediant affectui amorum nostrorum spatia
interiecta regionum, quia qui in Domino, qui praesens est ubique, se diligunt, non
credendi sunt disparati corpore, cum pariter in eo mente iungantur. Ora pro me.

37.
RURICIUS EPISCOPUS
DULCISSIMIS NEPOTIBUS
PARTHENIO ET PAPIANILLAE

[1] Postquam pietas vestra discessit, dimidium esse me sentio, quia maximam
meam partem, hoc est, interiorem hominem, residente corpore, vobiscum ambu-
lasse cognosco, ita tamen quod et vos in pectore meo, quod hic remansit, manere
conspicio. Saluto itaque dulcedinem vestram et, ut verborum meorum memores
sitis, admoneo, quia certum est vos iuxta Salomonis sententiam posse in bonis
Deo dirigente proficere, si seniorum consilia et amori habeantur et usui. Opto be-
ne agatis.

38.
RURICIUS EPISCOPUS
FRATRI PETRO EPISCOPO

[1] Quia oboedientia sacrificiis antefertur, idcirco rusticitatem meam malo pro-
dere quam perdere caritatem: Scientia enim inflat, caritas, ut ipsi melius nostis,
aedificat. Quam ob rem, quia iussistis ut vos per singulas occasiones et de meis
actibus facerem certiores et desiderium vestrum, quod mihi non meo merito, sed
generali et insita vobis dilectione dependitis, alloquio temperarem, me quidem
Deo propitio fortiorem, sed heu plenum omne hospitiolum nostrum diversis in-
commodis laborare significo. Peculiarius rogo: adtentius Domino supplicetis, ut,
qui nobis incolumitatem vestris orationibus reddidistis, et his opem ac medellam
divinae misericordiae intercessionis vestrae patrocinio conferatis. Ora pro me.
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II, 36-38 129

[2] E pertanto, venendo presso di voi il mio dolcissimo nipote Partenio3, non
ho differito di spedirla per mezzo suo, per rendermi presente a voi per lettera e
per raccomandarvelo al tempo stesso4. E qualunque gesto di amore vi degnerete
di elargirgli, voi saprete che lo state offrendo a noi5. E al contempo in maniera
tutta particolare vi chiedo anche di pregare incessantemente per me e per gli stessi
pegni del nostro affetto6: non impedisca il sentimento del nostro amore la distesa
di terre frapposta tra di noi7, poiché coloro che si amano nel Signore, che è pre-
sente dovunque, non devono essere ritenuti separati col corpo, giacchè in Lui so-
no ben uniti nello spirito. Prega per me8.

37.
IL VESCOVO RURICIO
AI DOLCISSIMI NIPOTI
PARTENIO E PAPIANILLA

[1] Dopo che la Pietà Vostra1 si è separata da me, sento di essere diviso, poiché
riconosco che la maggior parte di me, cioè l’uomo interiore2, benché il corpo ri-
manga dov’è, se n’è venuta con voi3, salvo notare tuttavia che anche voi rimanete
nel mio cuore, che è rimasto qui. E così saluto la Dolcezza Vostra4 e vi esorto a ri-
cordare le mie parole, poiché certamente voi, secondo l’affermazione di Salomo-
ne, potete avanzare nelle opere buone, sotto la guida di Dio, se avete a cuore e se-
guite i consigli degli anziani5. Auguri di ogni bene6.

38.
IL VESCOVO RURICIO
AL FRATELLO VESCOVO PIETRO

[1] Poiché l’obbedienza vale più dei sacrifici1, per questo motivo preferisco
svelare la mia dozzinalità che perdere la carità2. La sapienza infatti gonfia, la ca-
rità, come voi meglio sapete, edifica3. Per la qual cosa, poiché mi avete ordinato
di informarvi in ogni occasione4 della mia attività, e di mitigare, colloquiando per
lettera, il vostro desiderio5 che versate a me non per miei meriti, ma per un gene-
rale e in voi insito amore6, vi rendo noto che, per grazia di Dio7, sto sì meglio, ma
ahimè la nostra casetta8 sta male, tutta piena com’è di vari inconvenienti9. Vi
chiedo in una maniera tutta particolare10: con speciale attenzione supplicate il Si-
gnore affinché, voi che ci avete reso la buona salute grazie alle vostre preghiere,
grazie a esse procurateci anche, col patrocinio della vostra intercessione, l’assi-
stenza e il farmaco della divina misericordia11. Prega per me12.
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130 Lettere

39.
DOMINIS SUBLIMIBUS ET MAGNIFICIS FILIIS
EUDOMIO ET MELANTHIAE
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Quam gravis mihi orbitatis vestrae sit luctus, testis est pectoris mei con-
scius Deus, quod verbis subtilitati vestrae indicare non possum. Nam ita animum
meum doloris vestri passio sauciavit, ac si unum de propriis affectibus perdidis-
sem, quia me vobis proximum et quodam modo consanguineum bene mecum
agendo fecistis. Atque ideo, quia labores et angustias nostras frequenter in vobis
pro vestra dignatione suscipitis, iustum est et nos vestris, cum acciderint, partici-
pare maeroribus. Si enim, iuxta apostoli sententiam, unius corporis membra sibi
invicem conpatiuntur et condolent, decet nos quoque eorum incommoda <…>
saepe percipimus. Dolemus itaque casui vestro et planctibus vestris interesse nos
credimus.

[2] Sed quid facimus, domni filii? quod voluntati divinae resistere nec possu-
mus nec debemus, et omni sollicitudine praecavere ne, dum dulcia nobis pignora
nimio dolore deflemus, blasphemi quidem et iniuriosi inveniamur in Domino, et
gravius animas nostras auctor ipsius mortis, inventa occasione, confodiat, quam
carorum amissione percussit. Ideoque in omni amaritudine vel dolore ad Deum
nobis est refugiendum, et ad illum omnes casus nostri toto corde referendi, qui sa-
nat vulneratos, qui relevat maestos, qui consolatur adflictos, et illa sancti Iob sen-
tentia omnino dicenda est: Dominus dedit, Dominus abstulit, sicut Domino pla-
cuit, ita factum est. Sit nomen Domini benedictum. Et ille, hoc quando dicebat,
decem filios cum omni facultate perdiderat, nec tamen blasphemare aut damno
aut dolore conpulsus est, sicut dicit scriptura: In omnibus quae acciderunt ei, nihil
peccavit labiis Iob.

[3] Quod ego pietati vestrae scribere pro mutua caritate praesumpsi, ut dolo-
rem animorum vestrorum, quem litteris meis mitigare non poteram, vel divinis
eloquiis utcumque moderarer. Et vere, si mihi quasi vestro creditis cordi, non mi-
nimum potestis capere de Christi Domini voluntate solatium, quod, quatenus in-
maturus manebat interitus, talem eum dignatus est adsumere, qualium regnum do-
cuit esse caelorum, ut et patronum haberetis ex filio, et minus doleretis amissum,
quem a Domino videbatis adsumptum. Opto bene agatis.
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II, 39 131

39.
IL VESCOVO RURICIO
AI SUBLIMI SIGNORI E MAGNIFICI FIGLI1
EUDOMIO E MELANTIA

[1] Di quanto grave sia per me il lutto che vi ha privati di vostro figlio è testi-
mone Dio, che conosce il mio cuore, perché non sono in grado di notificarlo a pa-
role2 alla vostra attenzione3. Così infatti la vostra dolorosa sofferenza ha ferito il
mio animo, come se avessi perso uno dei miei affetti4, poiché voi, facendomi del
bene, mi avete reso vostro parente, direi quasi consanguineo5. E pertanto, poiché
frequentemente, in virtù della vostra benevolenza, prendete su di voi le nostre dif-
ficoltà e le nostre angustie, è giusto che anche noi partecipiamo alla vostra affli-
zione, dal momento che vi è capitata. Se infatti, secondo le parole dell’apostolo,
le membra di un solo corpo partecipano reciprocamente alle sofferenze l’uno del-
l’altro6, è conveniente che anche noi partecipiamo alle disgrazie di coloro <…>7.
E così siamo addolorati per la vostra sventura8 e crediamo di prendere parte ai vo-
stri lamenti9.
[2] Ma che facciamo, o diletti figli? Non possiamo né dobbiamo opporre resi-
stenza alla divina volontà, ma dobbiamo badare con ogni cura che, mentre pian-
giamo con straordinario dolore i cari pegni del nostro affetto, non siamo trovati
blasfemi o ingiuriosi nei confronti del Signore, e l’Autore di questa morte, pre-
sentatasi l’occasione, non trafigga più pesantemente la nostra anima di quanto ci
ha colpiti privandoci dei nostri cari. E pertanto, in ogni amarezza della vita e nel
dolore, in Dio noi dobbiamo trovare rifugio, e a Lui tutte le nostre sventure vanno
ricondotte di tutto cuore, Lui che sana i feriti, che risolleva i tristi, che consola gli
afflitti, e assolutamente dobbiamo proferire quelle parole del santo Giobbe: Il Si-
gnore ha dato, il Signore ha tolto, come è piaciuto al Signore, così anche è stato
fatto. Sia benedetto il nome del Signore10. Ed egli, quando diceva ciò, aveva perso
i suoi dieci figli con ogni suo bene11, e tuttavia non si lasciò spingere dal danno o
dal dolore a bestemmiare, come dice la Scrittura: In tutte le sventure che gli capi-
tarono, non peccò Giobbe con le sue labbra12.
[3] Mi sono permesso di scrivere questo alla Pietà Vostra in virtù di vicendevo-
le amicizia, al fine di attenuare almeno in qualche modo con le Sacre Scritture il
dolore del vostro animo, che non avrei potuto placare con la mia lettera. E vera-
mente – se credete a me come al vostro cuore – potete cogliere un conforto non
da poco dalla volontà di Cristo: Egli si è degnato di chiamare a sé un uomo che,
nella misura in cui era atteso da una morte prematura, è stato ritenuto degno di
entrare nel regno dei cieli, affinché lo aveste come patrono da figlio, e vi addolo-
raste meno della dipartita di colui che vedevate essere stato chiamato a sé dal Si-
gnore13. Auguri di ogni bene14.
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132 Lettere

40.
DOMINO SANCTO ET APOSTOLICO
MIHIQUE IN CHRISTO DOMINO CULTU AFFECTUQUE
SPECIALIUS EXCOLENDO
PATRONO VICTORINO EPISCOPO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Frater et conpresbyter noster Capillutus, licet apices vestros nobis non de-
tulerit in charta relegendos, tamen potius exhibuit in corde conscriptos, unde eos
nec fur auferre nec violentus eripere nec imber eluere nec vetustas possit abolire,
dum mihi fidelis admodum vestri pectoris consors et dicacissimus delator saepius
inculcat et dulcius, qualiter me et quam adsiduae dilectionis dente ruminetis, non
quod in me sit unde caritatis vestrae pascere possitis esuriem, qui solidos et num-
quam perituros cibos et accipere soliti estis et dare, sed, quando fortior esca de-
fuerit, tenuitatem nostram pro lactis poculo sorbeatis, ut desiderium pii cordis et
puri alimento innocentiae temperetis.

[2] Nec mirum est hoc tamen in vestra virtute miraculum, ut diligatis veneran-
tes vos, qui odientes amare consuestis, siquidem et ad augendam circa nos carita-
tem vestram, duo lumina nostra detinetis, Aurelianum dico atque Leontium. Pro
quorum spe et consummatione rogo ut indesinenter divinae misericordiae, sicut
vos confido facere, supplicetis, et cum illis iterum pro nobis semper oretis, quia
fiducialiter credo, quod perfectioni vestrae et illorum incipientiae, pro ipsa adhuc
teneritudine, a nutritore Domino nil negetur.

[3] Salutem itaque uberem dico pietati vestrae, quantum potest promere oris
affatus, non quantum cordis poscit affectus, et rogo ut praefatos dulcissimos sti-
mulos pectoris mei nostro nomine sospitetis, nosque, quotienscunque se opportu-
nitas porrexerit portitoris, benedictionis vestrae imbribus inrigetis. Ora pro me.

41.
RURICIUS EPISCOPUS
APOLLINARI SUO SALUTEM

[1] Affectus sublimitatis vestrae in visceribus nostris violentus exactor est, et


amori vestro me potius quam pudori meo servire conpellit, dum non considerat,
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II, 40-41 133

40.
IL VESCOVO RURICIO
AL SANTO E APOSTOLICO SIGNORE E DA ONORARSI DA PARTE MIA
IN CRISTO SIGNORE CON DEVOZIONE E AFFETTO
IN UNA MANIERA TUTTA SPECIALE IL PATRONO E VESCOVO
VITTORINO1

[1] Il nostro fratello e collega nel presbiterato Capelluto2, anche se non ci ha


portato da leggere il vostro scritto3 su un foglio, tuttavia ce l’ha mostrato meglio
vergato nel cuore4, da cui non può portarlo via un ladro né sottrarlo con la forza
un violento né la pioggia lavarlo via né il tempo cancellarlo5. Intanto il mio fede-
lissimo comproprietario del vostro cuore e puntualissimo informatore6 molto
spesso e molto piacevolmente mi mette al corrente di come e quanto frequente-
mente col dente dell’amicizia7 vi nutriate di me rimasticandomi8: non perché in
me ci sia quanto9 possa soddisfare la fame del vostro amore10 – voi che siete soli-
to assumere e offrire cibi solidi che non periscono mai –11, ma perché, quando vi
manchi un nutrimento maggiormente sostanzioso, suggete noi, bevanda leggera12,
al posto di bere una tazza di latte13, per mitigare il desiderio del vostro sincero
cuore di amico con la semplicità di questo alimento14.
[2] E tuttavia neppure questo miracolo meraviglia nella vostra virtù, cioè che
volete bene a coloro che vi riveriscono – voi che siete solito amare coloro che vi
odiano15 –, dal momento che trattenete presso di voi, per accrescere il vostro
amore nei nostri confronti, le due luci dei nostri occhi16, e cioè Aureliano e Leon-
zio17. Per la loro speranza e pienezza spirituale18 chiedo che supplichiate ininter-
rottamente la divina misericordia – come confido che voi già facciate –, e che in
secondo luogo assieme a loro sempre preghiate per me, poiché con fiducia credo
che alla vostra perfezione e al loro noviziato spirituale19 nulla sarà negato dal pre-
cettore, il Signore20, in virtù proprio della tenerezza da Lui usata fino a oggi.
[3] E così invio abbondanza di saluti21 alla Pietà Vostra22, quanto possono
esprimere le parole della mia bocca, non quanto invece richiede l’affetto del mio
cuore23, e chiedo che in nostro nome salutiate24 i predetti dolcissimi palpiti del
mio cuore25, e bagniate noi, ogni qualvolta si presenterà l’opportunità di un cor-
riere26, con la pioggia della vostra benedizione27. Prega per me28.

41.
IL VESCOVO RURICIO
SALUTA IL SUO CARO APOLLINARE

[1] L’affetto nei confronti di Vostra Altezza 1 è nel mio intimo 2 un duro
esattore3 e mi spinge a mettermi al servizio del vostro amore piuttosto che della
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134 Lettere

quo sermone, qua pagina tantum vestris imperiis obsequamur. Cogitis enim nos
auribus peritiae vestrae verbis rusticis iniuriam frequenter inferre, dum apices no-
stros saepius vultis accipere. Pareo voluntati vestrae, pareo iussioni. Malo enim
de me ipso tibi magis quam mihi credere, quia pietatis, non potestatis est, quod
iubetis.

[2] Et ideo, quae displicuerint, emendabitis procul dubio potius quam prodetis,
siquidem nihil est imperiosius caritate, cui quisque toto corde se dederit, libenter
et vincula illius inpacta patietur, et onera inlata portabit, dum praecipientis impe-
rium non invitus excipit, sed devotus exercet. Praestabit itaque divina misericor-
dia ut tumultibus temporis huius vel necessitatibus aut dilatis in perpetuum aut
parumper oppressis, citius fructus nos faciat de nostra capere praesentia, ut desi-
deria, quae incitantur affatibus, aspectibus mitigentur.

42.
DOMINO DEVINCTISSIMO
ET MIHI OMNI HONORE VENERABILI FRATRI LEONTIO
RURICIUS

[1] Gratias ago, quod et nostri curam gerere, et novitate holerum, quae libenter
habere nos nostis, nos reficere tanti habuistis, quod et consuetudini praestatis pa-
riter et amori. Ideoque redeunte puero vestro, reddo reciprocum sospitationis offi-
cium et, ut de suscepto Deo propitio officio indesinenter cogitetis, admoneo, quia
Deus non initium boni operis, sed finem requirere conprobatur, dicens: Qui perse-
veraverit usque in finem, hic salvus erit. Praestabit, ut credimus, misericordia
ipsius, ut qui paenitendi vobis animum inspirare dignatus est, ipse vobis et in au-
gendo virtutem, et in consummatione plenam tribuat pro sua miseratione remis-
sionem, qui solus potest et sanare corrupta et reparare conlapsa et delere commis-
sa et abolere praeterita, conservare praesentia et donare ventura.

43.
RURICII
AD DOMNUM CONSTANTIUM

[1] De deliciis transmissis gratias ago et, quantum indicastis, tantum me utra-
rumque avium suscepisse significo, simulque etiam per pueros ipsos, qui nobis
haec detulerunt, tergus aprunum me pietati tuae indico transmisisse, ut, dum nos
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II, 41-43 135

mia vergogna, mentre non considera soltanto con qual genere di parole e qual ge-
nere di scritto obbediamo ai vostri ordini4. Ci costringete infatti a recare frequen-
temente ingiuria alle vostre orecchie da intenditore con parole dozzinali5, mentre
volete ricevere più spesso nostri scritti6. Obbedisco alla vostra volontà, obbedisco
al vostro comando7. Preferisco infatti prestare fede, quanto al mio conto, più a te
che non a me, poiché ciò che mi comandate è indice di amicizia, non di autorità8.
[2] E pertanto senza dubbio correggerete piuttosto che diffondere quanto non
sarà di vostro gradimento9, se davvero nessun’ordine è più forte dell’amore: chi si
consegnerà a esso con tutto il cuore, volentieri sopporterà l’imposizione dei suoi
lacci e porterà i fardelli messigli sulle spalle10, mentre non accoglie contro voglia
l’ordine del padrone, ma lo esegue con zelo. E così ci concederà la divina miseri-
cordia – stornati per sempre o soffocati per un po’ i tumulti e le difficoltà di que-
st’epoca11 – di farci cogliere al più presto frutti dalla nostra presenza12, affinché
vedendoci plachiamo il desiderio suscitato dalle parole.13

42.
RURICIO
ALL’OBBLIGATISSIMO SIGNORE E VENERABILE DA PARTE MIA
CON OGNI ONORE IL FRATELLO LEONZIO1

[1] Vi rendo grazie per il fatto che avete tenuto in grande considerazione occu-
parvi di noi e ristorarci con le primizie del vostro orto, che sapete da noi essere
accettate volentieri: e questo in risposta alla consuetudine e all’amore2. E pertan-
to, al ritorno del vostro servo, rendo il reciproco dovere del saluto3, e vi esorto a
pensare ininterrottamente al dovere4 intrapreso per grazia di Dio5, poiché Dio re-
puta cosa meritevole non iniziare un’opera buona, ma portarla alla fine, quando
dice: Chi avrà perseverato fino alla fine, sarà salvo6. La sua misericordia, come
crediamo, concederà che Egli, che si è degnato di insufflare in voi lo spirito di pe-
nitenza, vi accordi, secondo la sua pietà, la remissione di tutti i peccati, perché
cresciate nella virtù7 e giungiate alla perfezione spirituale8. Egli infatti è il solo a
poter rimediare ciò che è corrotto, riparare alle cadute, cancellare ciò che si è
commesso, eliminare il passato, mantenere il presente e concedere il futuro9.

43.
LETTERA DI RURICIO
AL SIGNORE COSTANZO

[1] Rendo grazie per le delizie che mi avete mandato e vi rendo noto di aver ri-
cevuto la quantità che voi mi avete notificato di entrambe le specie di uccelli; al
tempo stesso, notifico anche di aver mandato alla Pietà Tua1, attraverso gli stessi
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136 Lettere

volatilia quae transmisisti deliciamur, tu bipede de quadrupede facto satieris.


Cuius tamen malo carne quam vita capiaris, quia qui semper de saecularibus cogi-
tat, et iugiter terrena meditatur, huic animanti scriptura divina merito conparatur,
quia de omnibus animalibus solus homo sublimis creatus est, et erectus, ut aucto-
rem suum semper caelo intentus aspiciat, non mundialia opera solo incessabiliter
defixus exerceat.

44.
AD DOMNUM AMBROSIUM EPISCOPUM
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Apostolica praecepta nos commonent ut, a quibus divina percipimus, eis
terrena praebeamus. Quod nos vel in hac dumtaxat parte servantes, pro caelesti-
bus epulis, quas nobis et sermone vivo, et patrum tractatibus ministratis, legumina
marina transmisimus, per haec nil nos habere proprium conprobantes, siquidem et
a divinis bonis sumus, quae vos tribuitis, peregrini et nos peregrina transmittimus.
Itaque quia nos a marinis caelestibus exulare et solis terrenis sedibus incubare co-
gnoscimus, a vobis specialius postulamus, ut haec aliena a nobis libenter accipe-
re, et vestra nobis dignemini frequenter inpendere. Illud sit affectionis, hoc mini-
sterii, illud doctrinae praestetur, hoc gratiae.

45.
AD DOMNUM HISPANUM
RURICII EPISCOPI

[1] Ago gratias quod dum nobis Doranoniae spolia transmittitis, pietatem ve-
stram erga me sincerissimam conprobatis, qua nos amplius quam deliciis delecta-
mur, siquidem inde esuriem corporis conpescimus, hinc cordis, inde ventri transi-
torium porrigimus pastum, hinc vero animo mansurum praebemus affectum.
Proinde tam amori quam muneri vestro gratias repensantes, reciprocis pietatem
vestram plurimum sospitamus. Et quia de nostra dignaris esse salute sollicitus,
iuxta vota pietatis vestrae me valere significo simulque deposco, ubi sanctum pa-
scha facturi sitis, me recurrentibus instruatis.
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II, 43-45 137

servi che ci hanno portato questi doni, la metà posteriore di un cinghiale. Così,
mentre noi ci deliziamo2 dei volatili che mi hai mandato3, tu ti sazi di quell’ani-
male reso bipede da quadrupede che era4. E tuttavia preferisco che tu sia accatti-
vato dalla sua carne piuttosto che dalla sua vita, poiché, chi pensa sempre agli af-
fari del mondo e ha la mente continuamente5 rivolta alle cose terrene, a ragione
viene paragonato dalla Scrittura Divina a questo animale6, poiché di tutti gli esse-
ri animati solo l’uomo è stato creato rivolto verso l’alto ed eretto7, in maniera tale
da guardare sempre il suo Creatore, proteso verso il cielo, non da compiere le
opere del mondo8, con gli occhi incessantemente inchiodati a terra9.

44.
IL VESCOVO RURICIO
AL SIGNOR VESCOVO AMBROGIO

[1] I precetti dell’apostolo ci rammentano di porgere beni terreni a coloro da


cui riceviamo beni divini1. E nel rispettare questa esortazione anche in questa oc-
casione, in cambio del banchetto celeste2 che ci imbandisci a viva voce e con le
parole dei Padri3, vi abbiamo mandato dei “frutti di mare”: attraverso questi di-
mostriamo che non abbiamo niente di nostro con cui corrispondervi e, dal mo-
mento che siamo altri rispetto ai beni divini che voi ci avete accordato, anche noi
vi mandiamo doni di altro genere4. E così, poiché noi ci rendiamo conto di essere
lontani5 dai lidi celesti6 e di giacere a fior di terra, vi domandiamo in maniera tut-
ta speciale di degnarvi di accettare volentieri da parte nostra questi doni diversi, e
di elargire a noi frequentemente i vostri. L’uno sia prova di affetto, l’altro di mini-
stero sacerdotale; l’uno di dottrina, l’altro di amicizia7.

45.
LETTERA DEL VESCOVO RURICIO
AL SIGNORE ISPANO

[1] Rendo grazie per il fatto che, mentre ci mandate le prede della Dordogna1,
dimostrate la vostra sincerissima benevolenza verso di me, che ci fa piacere più
ancora che quelle delizie2, dal momento che da un lato freniamo la fame3 del cor-
po, dall’altro quella del cuore; da un lato forniamo un pasto effimero al ventre,
dall’altro porgiamo all’animo uno stabile affetto4. Pertanto, ripagandovi con un
reciproco grazie5 tanto per l’amore quanto per il dono, inviamo molti saluti6 alla
Pietà Vostra7. E poiché ti degni di preoccuparti della nostra salute8, secondo il de-
siderio della Pietà Vostra, vi rendo noto che sto bene e al tempo stesso chiedo che
mi facciate avere vostre notizie, al ritorno dei vostri corrieri nel luogo in cui voi
celebrerete la Santa Pasqua9.
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138 Lettere

46.
RURICII EPISCOPI
AD PRESBYTERUM ALBINUM

[1] Ubi ad me communis luctus nuntii rumore pervenit, quod tamen miratus
sum, quod non hoc prius ex germanitatis vestrae relatione cognovi, ipse ad vos re-
quirendos continuo venissem, nisi me dierum horum reverentia retardasset. Has
transmisi, quibus spero, ut me excusatum habere dignemini, et filiam nostram,
quam audio se vehementer adfligere, ad vicem meam, tam ex ratione quam ex ve-
stra auctoritate consolemini, quod Dominus noster de servo suo, et quando voluit,
et quod voluit, fecit.

[2] Et ideo contra voluntatem Domini venire videbitur, cui displicet divina
praeceptio, utique divina, quia animam nostram ille solus, cum voluerit, ex corpo-
re potest educere, qui fudit in corpore. Et idcirco luctus iste nimius, qui videtur
esse pietatis, magis ex diaboli consilio quam ex pietate descendit, ut, cum dolor
consolationis inpatiens querellis suis Deum impietatis exprobrat, qui praemisit Fi-
lium per humanam conditionem, per incredulitatem animam perdat.

[3] Plangant mortui mortuos suos, quos resurrecturos esse non credunt, qui
animam cum carne aestimant interire, quibus nulla de beatitudine animae, nulla
de corporis restauratione fiducia est. Nos vero, qui spem resurrectionis habemus
in Christo, qui animas nostras, iuxta pollicitationem ipsius Domini, in sanctorum
finibus credimus conlocari, ad ipsum nos corde et orationibus conferamus et con-
solationem de ipsius promissione capiamus, quod credentes in se secum vivere
faciat nec ullus apud eum nisi infidelis mortuus iudicetur. Et ita planctus nostros,
sicut scriptura nos edocet, temperemus, dicens: Luctus sapientis septem diebus,
impii vero omnes dies vitae suae. Sicut scimus illum mortuum corpore, anima ve-
ro pro innocentia sua Deo vivere, ita nos viventes corpore, videmaus ne corde
moriamur.

47.
RURICII EPISCOPI
AD TAURENTIUM

[1] Ago gratias promptissimae in Domino devotioni, et sincerissimae erga me


caritati vestrae, quae divinae bonitatis imitatrix, dat quod a me sibi prospicit sup-
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 139

II, 46-47 139

46.
LETTERA DEL VESCOVO RURICIO
AL PRESBITERO ALBINO

[1] Quando ho appreso del comune lutto dalla voce del messaggero1 – mi sono
tuttavia meravigliato di non aver saputo di questo fatto prima, dal racconto della
Fraternità Vostra2 –, in persona sarei venuto immediatamente a trovarvi, se l’os-
servanza di questi giorni non mi avesse fatto ritardare3. Vi ho mandato questa let-
tera con la quale spero che vi degniate di ritenermi giustificato e che al mio posto,
grazie al vostro buon senso e alla vostra autorevolezza, consoliate la nostra figlia
che sento che si affligge grandemente: nostro Signore del suo servo ha fatto,
quando volle, ciò che volle4.
[2] E pertanto sembrerà andare contro la volontà del Signore colui al quale non
sono graditi i precetti divini: in ogni caso divini, poiché Lui solo, quando vorrà,
può far uscire dal corpo la nostra anima, Lui che nel corpo l’ha infusa. E di conse-
guenza un lutto così grande, che sembra essere indice di amorevolezza, deriva più
da un progetto del Diavolo che da amorevolezza: mentre il dolore che non vuole
essere consolato biasima con i suoi empi rimproveri Dio, che prima mandò il Fi-
glio nella condizione umana5, a causa dell’incredulità il medesimo lutto conduce
a perdizione l’anima6.
[3] Piangano i morti i loro morti7, non li credono destinati alla risurrezione
coloro che ritengono che l’anima muoia con la carne, e non hanno fede alcuna
nella beatitudine dell’anima8, né nella resuscitazione del corpo9. Ma noi che ab-
biamo speranza di resurrezione in Cristo, e, secondo l’assicurazione dataci dal
Signore in persona, crediamo che le nostre anime ricevono un posto nel seno dei
santi10, accostiamoci a Lui col cuore e con le preghiere, e prendiamo consolazio-
ne dalla sua promessa11: coloro che credono in Lui con Lui li farà vivere, e nes-
suno al suo cospetto verrà giudicato, se non chi sarà morto da miscredente12. E
così, come ci insegna la Scrittura, mitighiamo i nostri lamenti, dicendo: Il lutto
del saggio dura sette giorni, ma quello dell’empio tutti i giorni della sua vita13.
Come sappiamo che egli è morto nel corpo, ma l’anima, in virtù della sua inno-
cenza14, vive in Dio, così noi che siamo ancora vivi nel corpo badiamo di non
morire nel cuore15.

47.
LETTERA DEL VESCOVO RURICIO
A TAURENZIO

[1] Rendo grazie alla vostra risolutissima devozione verso il Signore e al vostro
sincerissimo amore verso di me1, il quale, a imitazione della divina bontà, mi dà
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140 Lettere

plicandum, priusquam rogetur, et nostrum praeoccupare benivolentia sua festinat


officium, dum non solum custodire, verum etiam augere in me istum sibi gestit
affectum, quem idcirco beneficiis anticipando laetificat, quia ad modicum contri-
stare formidat. Et ideo mavult offerre tacenti gratiam, quam praestare poscenti,
sciens procul dubio plus in eo esse meriti, quod spontanea benignitate defertur,
quam quod precibus indulgetur, siquidem horum unum non sine necessitate datur
necessitudini, aliud vero saepe etiam precatoris sedulae dimittitur inprobitati.

[2] Unde salve reciprocum dicens, de pietatis vestrae promissione securus,


puellam vestram in rem directis pueris vestris me consignasse significo, cui confi-
do quod, iuxta pollicitationem vestram, non solum veniam, sed etiam gratiam pro
nostra intercessione tribuatis.

48.
RURICIUS EPISCOPUS
DOMINO VENERABILI FRATRI
IOHANNI

[1] Magnus communis susceptus, quod voluntarie facere debuerat, fecit nunc
necessitate conpulsus, ut ad venerationem tuam commendaticias flagitaret et se
gratiae tuae, etsi propter neglegentiam suam de praeterito ingratus, per insinuatio-
nem nostram nunc tamen gratificandus ingereret. Cuius petitioni ideo promptius
adquievi, quia credidi, sicut et confido, vos petitioni meae libenter annuere.

[2] Unde, salutatione depensa, spero, ut ipsum pro intercessione nostra recipe-
re tanti habeatis et, quia hoc, quod debuit, reddidit, usuras illi solidorum ipsorum
non tantum pro precibus nostris, quantum pro divinis praeceptis donare digneris.
Quod pro conversatione vestra, qua vos Deo propitio per dies singulos audio pro-
ficere, sine dubitatione praestetis, quia ipsi nostis, quod ille regnum Dei laetitia et
gratulatione percipiet et in montem Domini glorificatus ascendet, qui pecuniae
suae usuram non in praesenti saeculo a proximo suo exegerit, sed a Domino ex-
spectaverit in futuro. Nec per dolosa beneficia laqueos laborantibus inicit insolu-
bilium debitorum, sed illius est fenerator et creditor, qui dicit: Date, et dabitur vo-
bis, et qua mensura mensi fueritis, ea remetietur vobis.

[3] Infidelis utique et iniquus est etiam sibi, qui hoc quod elegit concupiscen-
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II, 47-48 141

ciò che prevede che io avrò a domandargli con suppliche, prima ancora di chieder-
lo2, e con la sua benevolenza si affretta a prevenire il nostro omaggio, mentre sma-
nia non solo di custodire, ma anche di aumentare in me questo affetto. E di conse-
guenza lo allieta, anticipandogli i benefici, poiché ha paura di contristarlo anche
solo per un po’3. E pertanto preferisce fare un favore a chi tace, piuttosto che con-
cederlo a chi lo chiede, sapendo senza dubbio esserci più merito in ciò che è dona-
to da una spontanea munificenza, piuttosto che in ciò che è accordato dalle pre-
ghiere, se è vero che di questi, l’uno è offerto all’amico non senza necessità, men-
tre l’altro spesso è concesso anche all’insistente sfacciataggine del richiedente4.
[2] Quindi, inviandovi reciprocamente i miei saluti, sicuro della promessa della
Pietà Vostra5, vi rendo noto di aver consegnato la vostra serva nelle mani dei vo-
stri servi che a tal fine mi avete inviato: a lei confido che, secondo la vostra assi-
curazione, accordiate non solo il perdono, ma anche, in virtù della nostra interces-
sione, il vostro favore6.

48.
IL VESCOVO RURICIO
AL VENERABILE SIGNORE
IL FRATELLO GIOVANNI

[1] Il grande e comune cliente nostro1 ha fatto ora, spinto dalla necessità, ciò
che avrebbe dovuto fare volontariamente, cioè chiedere alla Venerazione Tua2 una
lettera di raccomandazione e imporsi all’attenzione della Grazia Tua3: anche se,
per la sua negligenza, è risultato ingrato in passato, ora tuttavia sarà riconono-
scente grazie al nostro intervento4. Pertanto ho acconsentito con ogni risolutezza
alla sua richiesta, poiché ho creduto, come anche confido, che voi avreste appro-
vato volentieri la mia richiesta5.
[2] Quindi, dopo avervi versato il saluto, spero che teniate in grande considera-
zione di accoglierlo, in virtù della nostra intercessione e, poiché ha corrisposto
ciò che ha dovuto 6, spero che vi degnate di condonargli gli interessi di quei
solidi7, non tanto per le nostre preghiere, quanto per i precetti divini. E secondo la
vostra condotta di vita religiosa8, nella quale sento che, per grazia di Dio9, ogni
giorno fate progressi, senza dubbio glielo concederete, poiché voi sapete che rice-
verà il regno di Dio in letizia ed esultanza e salirà colmo di gloria il monte del Si-
gnore colui che l’interesse del suo denaro non l’avrà esigito dal suo prossimo in
questo mondo, ma l’avrà aspettato dal Signore nel futuro10. Né attraverso ingan-
nevoli benefici getta su coloro che sono in difficoltà i lacci di debiti insolubili, ma
concede un prestito e fa credito a Colui che dice: Date e vi sarà dato; e: Con la
misura con cui misurerete, sarete misurati anche voi11.
[3] È soprattutto miscredente e ingiusto anche con se stesso chi non vuole pos-
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142 Lettere

dum, non vult habere perpetuum. Quamvis enim quicumque multa condat, multa
congreget et infinita diversis nundinationibus adquirat, mendicus de hoc mundo
descendet, nisi de rebus suis portionem suam ad aeternam beatitudinem ante prae-
miserit, dicente Domino per prophetam: Ne timueris, cum dives factus fuerit ho-
mo et cum multiplicata fuerit gloria domus eius, quia non, cum morietur, recipiet
omnia, neque simul descendet cum eo gloria domus eius. Et iterum: Dormierunt
somnum suum, et nihil invenerunt omnes divitiarum in manibus suis. Qui si beni-
gni essent animae suae, illi potius bona sua crederent, qui et idoneus fideiussor
est pauperum et largissimus redditor usurarum.

[4] Non ergo cupidus sis, carissime frater, nunc recipere in duplo, quod Domi-
nus redditurum se tibi promittit in centuplum, unde nec a tinea poteris pertimesce-
re exterminium, nec a fure formidare dispendium, quia ipse Dominus noster mu-
nerum suorum et largitor et custos est.

49.
APRUNCULO EPISCOPO
RURICIUS EPISCOPUS

[1] Exegit mutui amoris affectus ad individuam mihi sanctitatem vestram sola
ex causa litteras destinare, etiamsi non se occasio opportuna porrigeret. Unde per
hominem filii mei Leontii has ad apostolatum vestrum dedi, quibus, sospitatione
praelata, quam ex sententia Deo favente valeatis, inquiro, quia ipsi nostis incolu-
mitatem vestram nostram esse laetitiam, sperans ut, redeunte praefato, nos redda-
tis de vestris actibus, propitia divinitate, securos, quos videtis esse de prosperitate
sollicitos.

50.
RURICIUS EPISCOPUS
CERAUNIAE SALUTEM

[1] De sincerissima, qua nos pro benignitate animi tui, non pro nostris meritis
dignaris excolere in Domino, caritate confidens, securus has ad venerationem
tuam direxi, quibus in Domino ac Deo nostro salutem uberem dicens, specialiter
rogo, ut ea, quae per servum vestrum Amandum verbo speravi, si possibile est,
nobis sine dilatione praestare dignemini, quia haec res et nos relevare potest, et
vobis nullum potest afferre dispendium, quod ego pro beneficio maximo conpu-
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II, 48-50 143

sedere per sempre ciò che ha scelto come oggetto dei propri desideri. Per quanto
infatti chiunque raduni molti beni, ammassi molte ricchezze e infinite quantità di
denaro guadagni con svariati traffici, povero se ne andrà da questo mondo, se pri-
ma non avrà mandato avanti, verso l’eterna beatitudine, la sua parte delle sue so-
stanze, secondo le parole del Signore pronunciate per bocca del profeta12: Non te-
mere se un uomo diventa ricco e si moltiplica la gloria della sua casa, poiché alla
sua morte non si porterà via tutto né assieme a lui se ne andrà la gloria della sua
casa13; e ancora: Si addormentarono e nessuno si trovò tra le mani alcuna delle
sue ricchezze14. E costoro, se fossero stati benevoli nei confronti della propria
anima, avrebbero affidato piuttosto i loro beni a Colui che è valido nel garantire i
poveri15 e generosissimo nel restituire gli interessi16.
[4] Non essere dunque avido, carissimo fratello17, di ricevere indietro ora rad-
doppiato18 ciò che il Signore promette che ti restituirà centuplicato19, dove20 non
ti potrà fare paura il tarlo che distrugge21 né ti potrà spaventare il ladro che deru-
ba22, poiché nostro Signore in persona è datore e custode dei suoi doni23.

49.
IL VESCOVO RURICIO
AL VESCOVO APRUNCOLO

[1] Il sentimento di un vicendevole amore mi ha costretto a inviare all’insepa-


rabile da me Santità Vostra1 una lettera, solo per questo motivo, anche se non si
offriva l’occasione opportuna2. Per questo3, attraverso un uomo di mio figlio
Leonzio4, ho inviato all’Apostolato Vostro5 la presente, con la quale, dopo avervi
reso il saluto6, cerco di sapere dalle vostre parole come stiate7 col favore di Dio8:
infatti voi stesso sapete che la vostra buona salute è la nostra letizia, nella speran-
za che, al ritorno del predetto servo, volendolo Iddio9, informiate della vostra atti-
vità noi che, come vedete, siamo preoccupati della vostra prosperità10.

50.
IL VESCOVO RURICIO
SALUTA CERAUNIA

[1] Confidando nella tua sincerissima amicizia, che ti degni di coltivare nel Si-
gnore verso di noi in virtù della benevolenza del tuo animo, non dei nostri meriti1,
ho indirizzato con tranquillità alla Venerazione Tua2 questa lettera, con la quale,
inviandovi abbondanza di saluti3 nel Signore e Dio nostro, chiedo in maniera spe-
ciale che vi degnate di concederci senza indugio4, se è possibile, quanto ho atteso
oralmente attraverso il vostro servo Amando5: questa richiesta può sollevare noi
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144 Lettere

tabo. Iterum, in quo iusseritis vel usus exegerit, vicem reciprocis obsequiis re-
pensare contendam.

51.
RURICIUS EPISCOPUS
CENSORIO EPISCOPO SALUTEM.

[1] Litteras sanctitatis vestrae, etsi per occasionem, accepisse me gratulor. Non
enim interest utrum ex necessitate aut ex voluntate, dummodo inter se invicem
qui se diligunt conloquantur, et, quos corpore locorum intervalla discriminant,
animorum ac sensuum conloquia fida coniungant, quia hoc nobis generale vel
maximum virtus divinae pietatis indulsit, ut, qui nos aspectu carnali non possu-
mus contueri, spiritali cernamus obtutu. Unde redeunte gerulo litterarum has, si-
cut iniunxistis, reddere procuravi, ut et sollicitudini vestrae et mutuae caritati pa-
riter responderem.

[2] Salve itaque apostolatui vestro plurimum dependo, et hoc quod apicibus
meorum testimonio voluistis agnoscere, utrum Sindilla porcos suos, prodente Foe-
damio, perdidisset, noveritis me apud homines meos, ubi fuerunt, diligenter per-
quisisse. Sed sicut ante iam noveram, magis et istos laborem facientes ac Sindil-
lam perpessos esse, et ipsum porcos suos per perversitatem suam, dum de adversa
parte esse se iactitat, amisisse cognovi, ceterum praefatum Foedamium illi in nul-
lo culpabilem. Nam quod pertulit, nulli alii nisi sibi debet ex omnibus inputare.

[3] In qua causa, quantum ego contemplatione vestri, ut homines vestri, aut a
custodia liberarentur aut porcos vestros reciperent, laboraverim, per ipsos iam re-
ferentes, plenius potuistis agnoscere, quod propterea necesse non fuit litteris indi-
cari. Vestrum est hominem vestrum iuste ab huius calumniae obiectione defende-
re, quam eum iniuste scriptis nostris agnoscitis sustinere.

52.
RURICIUS EPISCOPUS
STEPHANO SUO SALUTEM

[1] Ita me paucissimis diebus ad cultum suum pietas vestrae sanctitatis inlexit,
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II, 50-52 145

da una preoccupazione e non arrecherà a voi alcuna spesa, perché io lo riterrò co-
me un grandissimo beneficio. Ve lo ripeto ancora: quanto a ciò che voi comande-
rete o di cui vi sarà necessità, cercherò di ripagarvi, contraccambiando a mia volta
con reciproci gesti di omaggio6.

51.
IL VECOVO RURICIO SALUTA
IL VESCOVO CENSORIO

[1] Mi rallegro di aver ricevuto la lettera della Santità Vostra1, anche se per una
causa ben precisa2. Non importa infatti se per necessità o per volontà, purché co-
loro che si amano dialoghino tra di loro e fidati dialoghi di animi e di sensi uni-
scano coloro che sono divisi col corpo dalla distanza dei luoghi, poiché questo
universale e grandissimo dono ci ha concesso la potenza della divina benevolen-
za: noi che non possiamo contemplarci con gli occhi del corpo ci vediamo con lo
sguardo dello spirito3. Quindi, al ritorno del vostro portalettere4, ho fatto in mon-
do di spedirvi questa a mia volta, come mi avete ordinato, per rispondere ugual-
mente alla vostra preoccupazione e alla vicendevole amicizia.
[2] E così verso molti saluti5 all’Apostolato Vostro6 e, quanto a ciò che avete
voluto conoscere per iscritto7 dalla testimonianza dei miei uomini, – se Sindilla8
avesse perso i suoi porci per dolo di Fedamio –9, sappiate che io ho indagato dili-
gentemente presso di loro, dove sono stati. Ma, come già sapevo prima, in più so-
no venuto a sapere che i lavoratori in persona e Sindilla sono stati i responsabili, e
che proprio lui, per errore suo, si è fatto sfuggire i suoi porci 10, mentre va
dicendo11 di essere stato completamente da un’altra parte12. E comunque il pre-
detto Fedamio non ha alcuna colpa13 nei suoi confronti. Infatti, ciò che Sindilla ha
subito, a nessun altro fra tutti deve imputarlo se non a se stesso.
[3] E a tal fine14, quanto io per riguardo vostro15 mi sia dato da fare perché i vo-
stri uomini fossero liberati dal carcere e recuperassero i vostri porci, avete potuto
conoscerlo con maggiore precisione già attraverso la loro relazione; questo pertan-
to non è stato necessario notificarvelo per lettera. È vostro compito difendere se-
condo giustizia un vostro uomo dall’imputazione16 di questa falsa accusa17: da
quanto vi ho scritto, siete a conoscenza che egli la sopporta ingiustamente18.

52.
IL VESCOVO RURICIO
SALUTA IL SUO CARO STEFANO

[1] A tal punto in pochissimi giorni l’amicizia di Vostra Santità1 mi ha sedotto


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146 Lettere

ut, cum vos Deo propitio corde detineam et oculis mentis intuear, tamen semper
affectu instigante perquiram, quia sicut breve videtur omne quod dulce est, ita
inexplebile est omne, quod carne est. Et omnipotenti Deo gratias super tam admi-
rabili dono eius, quod ita generaliter servis suis tribuere ineffabili dispensatione
dignatus est, ut ii, qui disparantur corpore, animis iungerentur; neque esset aliquid
tam longinquum tamque difficile quod non mentium obtutibus obviarit, sed per
cordis intuitum ibi se invicem diligentes caritatis contemplatione conspicerent,
ubi caritas ipsa consistit.

[2] Quo fit ut devinctio vestra, quae in visceribus meis iugi recordatione, dum
cotidie renovatur, augetur, amoris vestri mihi vicissitudinem repromittat, et ani-
mus meus mihi animorum vestrorum fideiussor adsistat, dum tantum sibi audet de
vestra dilectione praesumere, quantum vobis concupiscit inpendere.
[3] Salutem itaque beatitudini vestrae plurimam dico, et rogo incessanter com-
muni Domino supplicetis, ut secundum divitias bonitatis suae atque virtutis, cui
omnia possibilia confitemur, etsi in hoc saeculo nos propter vitae istius turbedines
ac procellas, et regionum intervalla saepius videre non possumus, vel ad illam ur-
bem quae aedificatur ut civitas, faciat convenire, ad quam nos misericordia Do-
mini poterit perferre, vos merita.

53.
RURICIUS EPISCOPUS
PRAESIDIO FILIO SALUTEM

[1] Plerique, dum me apud individuam mihi sublimitatem vestram non vitae
merito, sed amicitiarum privilegio multum posse confidunt, commendaticias a no-
bis, quibus vobis excusentur, inquirunt. Quas eis pro officii nostri necessitate ne-
gare non possumus, non praesumptionis audacia, sed ministerii disciplina, dum et
illis praesentis vitae solatium, et vobis providere desideramus aeternae, ut et illi
per patientiam vestram reserventur ad paenitentiam, et vos per misericordiam per-
veniatis ad veniam, sicut dicit scriptura: Quia iudicium sine misericordia erit illi,
qui non fecerit misericordiam, quia qui dixit: Dimittite, et dimittetur vobis, procul
dubio quem viderit hic facere quod praecepit, in futuro ei restituet quod promisit.
Vobis enim illius veritas praesto est, si illi fides nostra non desit.

[2] Unde manifestissime potestis advertere absolutionem miserorum vestrorum


esse indulgentiam peccatorum, et hoc vestris conferendum precibus, quod vos
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II, 52-53 147

a esserle devoto che, nonostante per grazia di Dio2 io vi trattenga nel mio cuore e
vi vagheggi con gli occhi della mente3, tuttavia sempre vi ricerco spinto dall’af-
fetto4, poiché, come tutto ciò che è piacevole sembra breve5, così tutto ciò che è
carne è impossibile da soddisfare. E grazie a Dio onnipotente riguardo a questo
suo dono tanto ammirabile: Egli si è degnato di concederlo ai suoi servi così dif-
fusamente, distribuendolo in maniera inesprimibile, che, coloro che sono separati
col corpo, sono uniti con l’animo, e non c’è alcun luogo tanto lontano e tanto im-
pervio da non essere raggiunto dagli occhi della mente, ma attraverso lo sguardo
del cuore, coloro che si amano si contemplano, osservandosi grazie all’amore nel
luogo in cui dimora l’amore stesso6.
[2] E per questo motivo accade che il vostro legame,7 che nel mio intimo8 è ac-
cresciuto da un costante ricordo9, mentre ogni giorno si rinnova, mi garantisce la
reciprocità del vostro amore e il mio animo mi assiste come garante10 del vostro,
mentre esso osa assegnarsi tanto del vostro affetto quanto brama di elargire a voi11.
[3] E così invio molti saluti12 alla Beatitudine Vostra13 e chiedo di supplicare
incessantemente il comune Signore per il quale confessiamo che tutto è possibile,
che, secondo l’abbondanza della sua bontà e della sua potenza14, anche se in que-
sto mondo non possiamo vederci troppo spesso a causa dei tumulti e delle tempe-
ste di questa vita15 e a causa della distanza delle località16, almeno ci faccia giun-
gere insieme a quella Città, che è costruita come città17, alla quale potrà condurre
noi la misericordia del Signore, voi i vostri meriti18.

53.
IL VESCOVO RURICIO
SALUTA IL FIGLIO PRESIDIO1

[1] Gran parte delle persone, mentre confidano che io possa molto presso la in-
divisibile da me Altezza Vostra non per meriti di vita, ma per privilegio di amici-
zia, ci chiedono lettere di raccomandazione attraverso le quali essere da voi giu-
stificati. E noi non possiamo negarle loro in virtù del nostro ufficio, non per ec-
cesso di fiducia in noi stessi, ma per regola di ministero, mentre desideriamo
provvedere loro il conforto di questa vita e a voi di quella eterna, affinché quelli,
attraverso la vostra pazienza, siano riservati alla penitenza e voi, attraverso la mi-
sericordia, giungiate al perdono, come dice la Scrittura: Poiché il giudizio sarà
senza misericordia per chi non avrà usato misericordia, poiché Colui che ha det-
to: Perdonate e vi sarà perdonato, senza dubbio restituirà in futuro ciò che ha
promesso a colui che ha visto compiere in questa vita ciò che ha ordinato. Infatti
viene in vostro soccorso la sua verità, se non viene meno la nostra fede in Lui.
[2] Quindi con la massima chiarezza potete notare che l’assoluzione concessa
ai miseri costituisce l’indulgenza dei vostri peccati, e ciò che voi concedete alle
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148 Lettere

praestatis alienis, iuxta ipsius in evangelio sententiam: Quo iudicio iudicaveritis,


iudicabitur de vobis. Ideoque pro Urso et Lupo, qui ad me, quasi vobis peculia-
rius, sicut superius dixi, caritatis iure devinctum, pro criminum suorum interces-
sione venerunt, precator accedo, ut primum Deo, deinde nobis hoc, quod commi-
serunt, donare digneris, nec nos de eorum damnatione confundas, qui se iam tum
absolutos esse, quando ad humilitatem meam deducti sunt, crediderunt.

54.
RURICIUS EPISCOPUS
RUSTICO FILIO SALUTEM

[1] Extra affectum consuetudinarium et probatum et humanitatem nobis digna-


ris inpendere, dum usibus tuis detrahis, quod nostris largiaris expensis, quia puero
vestro referente cognovi, quod piscationis in Visera pro parte vestra nobis iusse-
ras delicias ministrare. Unde salutatione depensa, gratias ago plurimas, exorans
divinam misericordiam, ut pro honore quem nobis pro ipsius timore dependitis, et
praesentium dierum vobis conferat felicitatem, et beatitudinem tribuat futurorum.

55.
RURICIUS
APRUNCULO EPISCOPO SALUTEM

[1] Sicut litteras sanctitatis vestrae per virum venerabilem Elogium cum gratu-
latione suscepi, ita has, eodem redeunte, libenter emisi. Quibus apostolatui vestro
debitum dependo sospitationis officium, simulque deposco ut pro nobis orare di-
gnemini, et id a communi Domino peculiarius postulare, ut iam tandem aliquando
in unum venire, et nos videre mereamur, ut caritas, quae secundum sententiam
dominicam in pectoribus nostris per absentiam, quod peius est, refrixit, per prae-
sentiam iterum in sopitis cineribus suscitetur, et vivis vocibus quasi nobis flatibus
veteris amoris redivivum reparetur incendium, quod more atque virtute ignis il-
lius, quem Dominus misit in terram, et spinas neglegentiae nostrae atque desidiae
vi naturae potentis exurat, et tenebras dormientis cordis inluminet.
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II, 53-55 149

preghiere altrui, sarà accordato anche alle vostre, secondo le parole del Signore
nel Vangelo: Come giudicherete, verrete giudicati. E pertanto, mi accosto a voi
per pregarvi per Orso e Lupo2, i quali vennero da me, quasi fossi obbligato nei
vostri confronti – come ho detto prima – in maniera tutta particolare dal vincolo
di amicizia, perché intercedessi per le loro scelleratezze: degnati di condonare, in
primo luogo davanti a Dio, quindi davanti a noi ciò che essi hanno commesso, e
non sconvolgerci a riguardo della condanna di coloro che, quando sono stati con-
dotti al cospetto della Mia Umiltà, hanno creduto di essere già assolti.

54.
IL VESCOVO RURICIO
SALUTA IL FIGLIO RUSTICO

[1] Oltre al consueto e provato affetto, ti degni anche di elargire a noi la tua
umanità, mentre sottrai al tuo uso ciò che generosamente spendi per noi1, poiché,
secondo quanto riferitomi dal vostro servo, ho saputo che avevate ordinato di of-
frirci da parte vostra le delizie pescate2 nel Vézère3. Quindi, dopo avervi versato
il saluto, vi rendo moltissime grazie, implorando la divina misericordia che, in
virtù dell’onore che a noi versate4 per timore di Lui5, Lo Stesso vi conceda la feli-
cità al presente e vi accordi la beatitudine6 in futuro.

55.
RURICIO SALUTA
IL VESCOVO APRUNCOLO

[1] Come ho ricevuto con esultanza la lettera della Santità Vostra1 attraverso il
Venerabile E(u)logio2, così volentieri vi ho inviata questa al ritorno del medesi-
mo. E con essa verso il dovere del saluto3 all’Apostolato Vostro4 e al tempo stesso
chiedo che vi degnate di pregare per noi e di domandare in maniera tutta speciale5
al comune Signore questo: che presto, finalmente, una volta per tutte meritiamo
di incontrarci6 e di vederci, affinché l’amicizia che, secondo le parole del Signo-
re, nei nostri cuori a causa della lontananza – che è peggio – si è raffreddata7, sia
suscitata di nuovo nel torpore della cenere dalla reciproca presenza, e l’incendio
dell’antico amore ritorni a vivere e sia rinnovato8 dalla nostra viva voce, come da
un nuovo soffio9. E questo, a somiglianza e in virtù di quel fuoco che il Signore
mandò sulla terra10, bruci le spine della nostra inerte negligenza11 travolgendole
con la sua potente natura e illumini le tenebre del cuore che dorme12.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 150

150 Lettere

56.
ITEM ALIA RURICII
AD IPSUM EPISCOPUM

[1] Adsiduitas supplicantum supplet in nobis gratiae communis officium, ut


hoc quod facere debeamus per mutuae dilectionis affectum, faciamus per externae
necessitatis imperium, dum alienae tribuimus petitioni, quod propriae debere nos
cognoscimus caritati, ut haec litterarum necessitudo esset ex voluntate necessitu-
dinis iucunda, non vero calamitate deplorantis extorta. Tamen, quia spontaneam
scribendi neglegimus gratiam, saltim praetermittere non debemus ingestam.

[2] Ideoque per fratrem et conpresbyterum nostrum Maxentium, quem nobis


frater noster epistulis ipsius commendavit, dedi, quibus sospitatione depensa,
ipsum apostolatui vestro, secundum quod postulavit, insinuo, quia illic notos et
amicos habere se dicit, qui eum beatitudini vestrae possint in praesenti plenius inti-
mare, quorum testimonio possit credi, quod adsertioni ipsius fortasse non creditur.

57.
ITEM AD IPSUM

[1] Filii nostri Ommatius et Eparchius ad me litteras plenas lacrimis et deplora-


tione miserunt, specialiter deprecantes ut apud sanctitatem vestram pro ignorantia
ipsius filii nostri Eparchii intercessor existerem, confidentes quod pro amore mu-
tuo nihil nobis negare deberetis. Idemque presbyterum nostrum Eusebiolum ad
pietatem vestram in hac causa direxi.

[2] Per quem saluto plurimum, et rogo ut praefato, sicut decet, sufficienter ad-
monito, indulgentiam errori illius dare pro nostra supplicatione dignemini, quia,
sicut in defensione peccati stulte atque infideliter perduranti culpa, donec agno-
scat reatum non debet relaxari, ita agnitio peccati debet conferre veniam confiten-
ti. Remedium est enim mali confessio non simulata delicti, nec ultioni publicae
relinquitur locus, ubi reus conscientia torquente punitur.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 151

II, 56-57 151

56.
UN’ALTRA LETTERA DI RURICIO
ALLO STESSO VESCOVO

[1] L’assiduità di chi supplica supplisce in noi il dovere della comune benevo-
lenza, cosicché ciò che dobbiamo fare spinti dal sentimento di vicendevole amo-
re, lo facciamo al comando di un’altrui necessità, mentre accordiamo alla richie-
sta di altri ciò che noi sappiamo di dovere alla nostra amicizia1. E così questo
scambio epistolare sarebbe stato piacevole, originato dalla volontà di coltivare il
nostro vincolo di amicizia, ma non strappato a forza dal pericolo di chi si
lamenta2. Tuttavia, poiché trascuriamo la spontanea benevolenza di scriverci, al-
meno non dobbiamo tralasciarla, dopo esserci imbattuti in essa3.
[2] E pertanto vi ho spedito il messaggio attraverso il nostro fratello e collega
nel presbiterato4 Massenzio5, che ci è stato raccomandato6 dal nostro fratello7 con
una sua lettera. Con la presente dunque, versato il saluto8, introduco questi nella
dimestichezza coll’Apostolato Vostro9, secondo ciò che egli ha domandato, poiché
dice che là ha conoscenti e amici che, nelle attuali circostanze10, possano presen-
tarlo più compiutamente alla Beatitudine Vostra11: sulla base della loro testimo-
nianza si può credere a ciò che forse non si crede sulla base delle sue dichiarazioni.

57.
UN’ALTRA LETTERA
ALLA STESSA PERSONA

[1] I nostri figli Ommazio ed Eparchio1 mi hanno mandato una lettera piena di
lacrime e di pianto, implorando in maniera speciale di farmi intercessore2 presso
la Santità Vostra3 per riparare all’ignoranza4 dello stesso nostro figlio Eparchio,
confidando che, in virtù del vicendevole amore, non ci dovreste negare niente.
Per questo motivo5 ho indirizzato alla Pietà Vostra6 ancora una volta il nostro pre-
sbitero Eusebiolo7.
[2] Per mezzo suo invio molti saluti8 e chiedo che, dopo aver ammonito quanto
basta il predetto figlio, come conviene, vi degnate, in virtù della nostra supplica,
di perdonare il suo errore: come infatti non si deve perdonare la colpa a chi per-
dura da stolto e miscredente9 nella difesa del proprio peccato, finché non ricono-
sca il reato, così il riconoscimento del peccato deve comportare il perdono per co-
lui che lo confessa. Infatti cura contro il male è una confessione del delitto senza
falsità, né si lascia spazio a una pubblica pena, quando il reo è punito dal rimorso
di coscienza10.
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152 Lettere

58.
ITEM ALIA
RURICII AD IPSUM

[1] Ante diem quam litteras vestrae sanctitatis acciperem, conpresbyterum


meum, sicut ipso referente poteritis agnoscere, ad germanitatem vestram in ea-
dem qua mihi scripsistis causa direxeram, ut, quia mihi non solum ipse filius no-
ster Eparchius, sed etiam frater suus flebiliter per litteras supplicarunt, apostolatui
vestro precator accederem, qui et confessione culpae et deprecatione veniae et
consanguinitatis affectu conpulsus, indulsi, quia vos mihi super hac re scripturos
esse non credidi.

[2] Sed quia humilitatem meam dignati estis, pro ea quae inter nos est Deo pro-
pitio caritate consulere, ut nobis, utrum iusta esset vestra districtio, meis potissi-
mum apicibus indicarem, sciat domnus meus quod ego factum vestrum et probo
et conlaudo et vehementer admiror, quia, dum uni indesperato per admonitionem
gladii spiritalis pro reddenda salute intulistis dolorem, multis contulistis languen-
tibus sanitatem. Multi etenim in ecclesia qui curari nequeunt verbo, sanantur
exemplo.

[3] Superest, severitatem misericordia subsequatur, ut recipiatis lenitate patris,


quem corripuistis auctoritate pontificis, et iuxta illum evangelicum, invocantes
quem nos per omnia et sequi et oportet imitari, qui filio paternae substantiae de-
coctori, et facinus confitenti non solum veniam clementer inpertiit, verum etiam
pristinam gratiam libenter indulsit, et nos condoleamus lapso, subveniamus adtri-
to, amplectamur reversum, laetemur inventum. Quod et apostolatum vestrum
propterea fecisse certus sum, ut paululum infirmantem filium excluderetis a ma-
tre, ut eum ipsi post modicum restitueretis incolumem, et eum contristaretis ad
tempus, de quo gaudere concupiscitis in aeternum.

59.
RURICIUS EPISCOPUS
FILIO SEVERO SALUTEM

[1] Neglegentiam nostram atque pigritiam dum vos excusatis, arguitis, et nos
beneficiis et officiis vestris agnoscimus debitores. Sed scio hoc sincero amore,
quo nos diligitis, facere atque perfecto, quia parum est caritati vestrae, quod nobis
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II, 58-59 153

58.
UN’ALTRA LETTERA DI RURICIO
ALLA STESSA PERSONA

[1] Prima di ricevere la lettera di Vostra Santità1, avevo indirizzato alla Frater-
nità Vostra2 il mio collega nel presbiterato3 per il medesimo motivo4 per cui mi
avete scritto, come avrete potuto venirne a conoscenza dalla sua relazione. E così,
poiché non solo nostro figlio Eparchio in persona, ma anche suo fratello in lacri-
me mi hanno supplicato per lettera, mi accosto all’Apostolato Vostro5 per pregar-
vi6: io l’ho già perdonato, spinto dalla confessione della sua colpa, dall’implora-
zione del perdono e dal legame di sangue, poiché non ho creduto che voi mi avre-
ste scritto in merito a questa questione7.
[2] Ma poiché, in virtù di quell’amicizia che per grazia di Dio8 c’e fra noi, vi
siete degnato di consultare la Mia Umiltà9, affinché vi notificassi in particolare
con un mio scritto10 se fosse giusta la vostra sanzione, sappia il mio signore che
io sottoscrivo, abbondantemente lodo e grandemente ammiro quanto da voi fat-
to11: mentre a uno non ancora del tutto perduto12 avete inflitto un dolore per resti-
tuirgli la salute, ammonendolo con la spada dello Spirito13, avete concesso a molti
malati di stare bene. E infatti molti nella Chiesa, che non si possono curare con le
parole, sono sanati dall’esempio14.
[3] Resta – la misericordia faccia seguito alla severità – che voi accogliate
nuovamente con la dolcezza di padre chi avete ripreso con l’autorità di pontefi-
ce: ci soccorra l’immagine di quel padre del Vangelo, che è opportuno da parte
nostra seguire e imitare in tutto, il quale, al figlio scialacquatore delle sostanze
paterne, ma pronto a confessare la propria malefatta, non solo impartì clemente
il perdono, ma gli concedette volentieri anche la primigenia condizione di bene-
volenza15. E allo stesso modo anche noi ci affliggiamo con chi è caduto; soccor-
riamo chi si è pentito; abbracciamo chi è tornato; facciamo festa a chi è stato ri-
trovato. E pertanto sono certo che l’Apostolato Vostro16 ha preso questa misura,
cioè di allontanare un figlio infermo dalla madre, per restituirglielo dopo poco
tempo sano e salvo, e di contristare per un certo periodo lui che bramate sia feli-
ce in eterno17.

59.
IL VESCOVO RURICIO SALUTA
IL FIGLIO SEVERO

[1] Mentre voi giustificate la nostra pigra negligenza1, indicate che noi ci rico-
nosciamo debitori per i vostri benefici e per i vostri favori2. Ma so che voi lo fate
col sincero e perfetto amore con cui ci volete bene, poiché per la vostra amicizia è
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154 Lettere

tribuitis, dum totos vos nobis et cotidie inpendere desideratis. Sed nobis satis su-
perque sufficeret benivolentia prompti animi, etiamsi adsiduitas deesset obsequii.
Unde salutatione depensa, gratias ago uberrimae pietati vestrae, quod erga me bo-
nae memoriae patris vestri non solum retinetis, sed etiam vicistis affectum.

60.
RURICIUS EPISCOPUS
FILIO STORACHIO SALUTEM

[1] Ago atque habeo uberes gratias pietati vestrae, quod nos neglegentiam fa-
mulorum nostrorum rescire fecistis, dum subvectionem congruam, quam nobis
callidus subtraxerat inimicus, benignus subministravit affectus. Quem idcirco no-
bis Dominus hoc ad tempus permisit inferre, ut et nostram patientiam per iniu-
riam, et vestram erga nos caritatem per conpatientiam conprobaret, ac sine di-
spendio facultatis nostrae vobis lucrum operis per beneficium dilectionis adferret.

61.
RURICIUS EPISCOPUS
FILIO VITTAMERO SALUTEM

[1] Familiares nos vobis facit vestra dignatio, dum hoc quod a nobis libenter
offertur, a vobis gratanter accipitur, siquidem illud munus acceptabile probatur et
dulce, quod non magnitudo insinuaverit, sed commendarit affectio. Quae res fa-
cit, ut ad persolvendum vobis spontaneae devotionis obsequium, etiam id habea-
mus in votis, quod non habemus in verbis. Itaque salutatione depensa, <…> quia
centum pira sublimitati vestrae, alia centum filiae meae destinare praesumpsi,
quae si fortasse displicuerint saporis gustu, placebunt, ut confidimus, transmitten-
tis affectu.
02testi 23 14-09-2009 16:04 Pagina 155

II, 59-61 155

poco ciò che ci accordate, mentre desiderate di elargire a noi voi stesso totalmente
e quotidianamente3. Ma a noi sarebbe sufficiente4, anzi di più ancora, la benevo-
lenza di un animo risoluto, anche in mancanza dell’assiduità dell’omaggio. Quin-
di, dopo avervi versato il saluto, rendo abbondantissime grazie alla Pietà Vostra5,
perché nei miei confronti non solo mantenete, ma avete anche superato l’affetto
di vostro padre di buona memoria.

60.
IL VESCOVO RURICIO
SALUTA IL FIGLIO STORACHIO

[1] Rendo e ascrivo abbondanza di grazie alla Pietà Vostra1, perché avete fatto
in modo che noi venissimo a conoscenza2 della negligenza dei nostri servi3, men-
tre il vostro benigno affetto ci ha procurato un valido mezzo di trasporto che l’A-
stuto Nemico4 ci aveva sottratto5. E per questo motivo il Signore ha permesso che
Egli si scagliasse contro di noi fino a oggi, per mettere alla prova, attraverso un
danno, la nostra sopportazione, e attraverso la vostra compartecipazione, la vostra
amicizia nei miei confronti6, e per arrecare a voi, senza nostre spese7, il guadagno
di un’opera buona a motivo del vostro amore.

61.
IL VESCOVO RURICIO
SALUTA IL FIGLIO VITTAMERO

[1] Vostro Onore1 ci rende di voi intimo, mentre ciò che da noi è offerto volen-
tieri, da voi è accettato con gioia, poiché è ritenuto ben accetto e gradito quel do-
no che non la grandezza ha introdotto, ma che ha raccomandato l’affetto2. E da
questa situazione consegue che, anche per sciogliere a voi l’omaggio di una spon-
tanea devozione, abbiamo nei desideri ciò che non abbiamo nelle parole3. E così,
dopo avervi versato il saluto, vi rendo noto4 che ho preso l’iniziativa di inviare
cento pere a Vostra Altezza5, e altre cento alla figlia mia6. E se per caso non vi do-
vessero piacere dopo averle assaggiate, vi piaceranno, come confidiamo, per l’af-
fetto di chi ve le ha mandate7.
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156 Lettere

62.
RURICIUS EPISCOPUS
FRATRI NAMATIO

[1] Saluto plurimum et spero ut, si secundo crastino non potueris, vel tertia fe-
ria ad nos venire digneris, quia desiderio tuae caritatis accensi, et nos dicimus
cum propheta: Anima mea sicut terra sine aqua tibi; defecit spiritus meus; ne
avertas faciem tuam. Ne moreris adventum, ut pectoris nostri, quem parvi tempo-
ris solatio suscitastis, exstinguatis incendium.

63.
RURICIUS EPISCOPUS
FILIO VITTAMERO

[1] Gratias ago dignantissimae erga me sublimitati vestrae, quod nos de actibus
atque incolumitate vestra, quos nostis Deo propitio pro amicitiarum iure sollici-
tos, facitis litterarum sedulitate securos. Unde his reciprocum reddo nobilitati ve-
strae salutationis officium, et me has de Decaniaco ad vos dedisse significo
meamque vobis favore divinitatis, quam vobis placere confido, indicans sospita-
tem praestabit Dominus, ut citius hinc regressus vestris merear obtutibus praesen-
tari, ut cuius benignitate vestra incitastis desiderium, visione sollicitetis affectum.

64.
RURICIUS EPISCOPUS
FRATRI CLARO EPISCOPO

[1] Apostolatui vestro pro ea, quam mihi non pro meis meritis, sed pro benivo-
lentia animorum vestrorum inpenditis, caritate, non dicam vicem non possum re-
pensare beneficiis, sed nec tantas gratias, quantas meremini, sermonibus explica-
re. Inpendo tamen per litteras debitum sospitationis officium, partemque pectoris
mei, in quo affectum vestri aviditate suscepi, paginae conlocutione transmitto si-
mulque deprecor, ut communi Domino supplicetis, ut citius nos faciat fructum de
nostra capere praesentia, quosque suae inspirationis instinctu conexuit, vultuum
etiam mutua visione coniungat, ut desiderium in nobis quod accendit affatus, re-
stinguat obtutus.
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II, 62-64 157

62.
IL VESCOVO RURICIO
AL FRATELLO NAMAZIO1

[1] Invio molti saluti2 e spero che, se non potrai venire da noi dopodomani, al-
meno ti degni di venire martedì, poiché, accesi dal desiderio della tua amicizia,
anche noi diciamo col profeta: La mia anima è nei tuoi confronti come terra
senz’acqua; è venuto meno il mio spirito; non nascondermi il tuo volto3. Non ri-
tardare la tua venuta, affinché estinguiate nel nostro cuore l’incendio che avete
suscitato col conforto di una breve visita4.

63.
IL VESCOVO RURICIO
AL FIGLIO VITTAMERO

[1] Rendo grazie alla verso di me benevolissima1 Altezza Vostra2, perché ci


mettete al corrente, grazie alle vostre frequenti lettere, della vostra attività e della
vostra buona salute3: sapete infatti che per grazia di Dio4 ce ne preoccupiamo, se-
condo il vincolo di amicizia5. Per questo con la presente rendo alla Nobiltà Vostra6
il reciproco dovere del saluto7 e vi rendo noto che io vi ho scritto da Dégagnac8,
notificandovi anche che, col favore di Dio, io sto bene9. E questo fatto confido che
vi faccia piacere. Il Signore mi concederà che, una volta tornato al più presto da
qui, meriti10 di comparire davanti ai vostri occhi: il nostro incontro solleciti in voi
l’affetto verso di me; la vostra benevolenza ne ha già suscitato il desiderio11.

64.
IL VESCOVO RURICIO
AL FRATELLO VESCOVO CLARO

[1] In cambio di quell’amicizia che mi elargite non in virtù dei miei meriti, ma
della benevolenza dell’animo vostro, non direi che non posso ripagare l’Apostola-
to Vostro1 contraccambiando con benefici2, ma neppure posso esprimere a parole
un grazie così grande quanto vi meritate. Elargisco tuttavia per lettera il dovuto
omaggio del saluto3 e, dialogando per iscritto4, mando la parte del mio cuore in
cui ho accolto avidamente il vostro affetto. E al tempo stesso vi prego di supplica-
re il comune Signore affinché ci faccia cogliere al più presto frutto dalla nostra
presenza5, e unisca con la reciproca visione del loro volto coloro che ha concate-
nato per impulso della sua ispirazione: così la vista estinguerà in noi il desiderio
che la parola accende6.
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158 Lettere

[2] De columnis vero gratias ago et, sicut iussistis, quia modo propter inminen-
tem hiemem vehicula illo dirigere non possum, post sanctum Pascha, propitia di-
vinitate, transmittam. De minoribus vero, sicut verbo mandastis, si inveniri pos-
sunt, mihi vel decem necessarias esse significo. Sed si Dominus prospera univer-
sa concesserit, antequam vehicula dirigam, ad vos hominem destinabo.

65.
RURICIUS EPISCOPUS
FRATRI VOLUSIANO EPISCOPO

[1] Ita quod peius est, caritatem antiquam et insitam nobis partim, quoniam
confitendum est neglegentia nostra, partim necessitate temporis, partim corporis
infirmitate faciente, longa delevit oblivio, ut penitus inmemores nostri facti non
solum vos nullis officiis mutuis, sed nec litteris requiramus. Miror nobilitatem
tuam quasi filium ad me litteras destinare, cum sine ullo respectu religionis aut
propinquitatis tibi iniuriae nostrae sic placeant, ut eas vindicare non velis.

[2] Unde, nisi existimationem personae meae aut officii cogitassem, portitorem
litterarum tuarum talem ad te remiseram, quales homines meos non matrona ve-
stra, sed domina procax et effrenata nimium perduxit, cuius mores, si tu tanto
tempore cum famae tuae diminutione aut voluntarie aut necessitate supportas,
alios noveris nec velle ferre nec esse contentos. Nam quod scribis te metu ho-
stium hebetem factum, timere hostem non debet extraneum, qui consuevit susti-
nere domesticum.
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II, 64-65 159

[2] Per di più vi rendo grazie per le colonne7 e, poiché ora, a causa dell’immi-
nente inverno, non posso indirizzare là8 dei mezzi di trasporto come mi avete or-
dinato, ve li manderò per grazia di Dio dopo la santa Pasqua9. Quanto invece alle
colonne più piccole, come mi avete detto a parole, nel caso in cui se ne possono
trovare, vi rendo noto che me ne sono necessarie almeno dieci. Ma se il Signore
concederà che tutto vada bene, prima di indirizzarvi i mezzi di trasporto, vi in-
vierò uno dei miei uomini.

65.
IL VESCOVO RURICIO
AL FRATELLO VESCOVO VOLUSIANO

[1] Il lungo oblio, in parte causato – poiché bisogna confessarlo – dalla nostra
negligenza, in parte dal momento critico, in parte dall’infermità fisica1, a tal pun-
to ha cancellato – che è peggio – l’antica e in noi insita amicizia2, che, divenuti
pressoché dimentichi di noi stessi, non solo non avvertiamo la mancanza del vo-
stro vicendevole omaggio, ma neppure di una vostra lettera3. Mi stupisco che la
Nobiltà Tua4 invii a me una lettera come a un figlio, dal momento che, senza con-
siderazione alcuna per il mio stato ecclesiastico e5 per i rapporti di prossimità, gli
oltraggi da me subiti ti stanno così bene che non vuoi porvi rimedio.
[2] Pertanto, se non avessi avuto in grande stima la mia persona e6 il mio uffi-
cio, avrei rimandato a te il tuo portalettere nelle medesime condizioni in cui non
vostra moglie, ma la vostra padrona straordinariamente insolente e scatenata ha
ridotto i miei uomini. E se tu da tanto tempo, con diminuzione della tua fama,
sopporti i suoi modi o volontariamente o per necessità, sappi che gli altri non vo-
gliono né sono contenti di fare altrettanto7! Infatti, riguardo al fatto che scrivi che
la paura dei nemici ti ha inebetito, non deve temere il nemico di fuori chi è abi-
tuato ad affrontarne uno in casa propria8.
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Commento

1, 1
1Patronus è titolo onorifico sempre riferito a vescovi o al papa, utilizzato con particolare
frequenza nell’epistolografia tardoantica. Come ben sottolinea ENGELBRECHT 1892, p. 82 «Pa-
tronus ist die Bezeichnung der Bischöfe, die von Laien auch mit pater angeredet werden. Nur
ausnahmsweise werden ältere Personen überhaupt mit pater tituliert» (vd. anche O’BRIEN 1930,
pp. 85-86). Questo titolo, che vanta un ampio uso in età classica, mette altresì in luce uno dei
ruoli cui il vescovo è chiamato nella città tardoantica, almeno a partire dalla seconda metà del
IV secolo, e soprattutto nei secoli V-VI: con il progressivo collasso dell’istituzione imperiale
nella pars Occidentis, e soprattutto dopo il 476, l’episcopus assurge a difensore del popolo a li-
vello non soltanto spirituale, ma anche civile (processi, arbitrati, donativi, riscatto dei prigio-
nieri, attività diplomatica, ecc.). Pertanto l’appellativo rivela molto di più del suo uso formula-
re, collocandosi in rapporto di continuità e innovazione col patronato classico. In modo partico-
lare, nella Gallia invasa dai barbari, l’episcopus - patronus vide la convergenza di due tensioni:
per gli aristocratici gallo-romani (i cosiddetti senatores, su cui vd. la classica monografia di
STROHEKER 1948, oltre al ben documentato GILLIARD 1979, pp. 685-697, soprattutto per quanto
riguarda il VI secolo) fu il modo per continuare a mantenere il prestigio politico-sociale di cui
avevano goduto sotto l’impero; al tempo stesso il popolo, nell’incoraggiare l’ascesa all’episco-
pato di persone influenti anche politicamente (vd. Ambrogio a Milano, Sidonio Apollinare a
Clermont, ecc.), vedeva garantiti i propri diritti dai nuovi patroni. «Ma nella conquista delle al-
te cariche ecclesiastiche, un numero maggiore di senatori era sinceramente animato dall’antico
ideale dell’ordo, rimodellato dal cristianesimo e adattato ai nuovi tempi. L’esercizio della fun-
zione episcopale è il modo migliore che a essi si offra per mettere ancora in pratica tale ideale:
esso dà loro la possibilità di dedicarsi alla causa pubblica, ponendo al servizio delle comunità
ecclesiali i doni e le facoltà, alimentati con l’educazione familiare, che un tempo i loro avi di-
spiegavano al servizio della res publica» (L. PIETRI 1986, p. 320; vd. anche HEINZELMANN
1976, pp. 185-232, in partic. pp. 211-232). Così il vescovo – patrono si trova a dover fronteg-
giare le esigenze di quelli che la predicazione cristiana definisce “poveri”, categoria quest’ulti-
ma che, come ben ha mostrato il recente BROWN 2003, in partic. pp. 3-109, comprende non solo
i tenuiores, gli humiliores, ma anche le classi medie e tutti coloro che in qualche modo si affi-
dano a un potente per trovare aiuto, protezione, sicurezza. Cura dei poveri e patronato troveran-
no singolare convergenza nell’episcopalis audientia, il tribunale del vescovo, con facoltà di de-
cidere e giudicare sulle cause civili (vd. infra 2, 12 n. 14). Su questi argomenti, vd. GAUDEMET
1967, pp. 694-696; HEINZELMANN 1976; GASSMANN 1977; SALLER 1982; L. PIETRI 1986, pp.
307-323, in partic. pp. 318-323; RODA 1993, pp. 643-674; LEPELLEY 1998, pp. 17-33; CRACCO
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162 Commento

RUGGINI 1999, pp. 175-186; RAPP 2000, pp. 379-399; una sintesi delle funzioni a cui il vescovo
è chiamato sotto i dominatori barbari in MATHISEN 1993, pp. 89-104; con particolare riferimen-
to alla Gallia, vd. CONSOLINO 1979, pp. 3-22; in partic. sulla figura del “vescovo senatore” vd.
pp. 89-116; BEAUJARD 1996, pp. 127-145; BARCELLONA 1997, pp. 777-802; in generale sulle
élites e le loro trasformazioni in età tardoantica, vd. i recenti BROWN 2000, pp. 321-346; SALZ-
MAN 2000, pp. 347-362 e la raccolta di Atti a cura di LIZZI TESTA 2006. Accanto all’impegno pa-
storale del vescovo, vale la pena notare, solo tangenzialmente in questa sede, come un’altra ri-
sposta ai “luttuosi tempi”, da parte per lo più della classe aristocratica, sia quella della cella
monastica: il fiorire dell’asceterio lerinese è indice infatti del connubio tra desiderio di perfe-
zione e lealismo verso la Romanitas nello scenario delle transmigrationes populorum di V se-
colo (tra la vastissima bibliografia in merito, vd. almeno COURCELLE 1968, pp. 379-409; PRICO-
CO 1978; WES 1992, pp. 252-263; VOGÜÉ 1993, pp. 5-53).
2 Vd. RURIC., epist. 1, 16, 1, in cui l’autore si rivolge all’amico Sidonio Apollinare con la

medesima formula, secondo una consuetudine dello stile epistolare di Ruricio. Nel caso presen-
te l’autore sembra aver presente l’incipit di AUG., c. Pelag. 1, 1, 1: Noveram te quidem fama
celeberrima praedicante et frequentissimis atque veracissimis nuntiis quanta esses Dei gratia
plenus acceperam, beatissime atque venerande papa Bonifaci. Similmente cfr. AUG., epist.
150, 1: […] per hoc ubique fama celeberrima praedicat. Da quanto emerge dal testo, Fausto e
Ruricio non si erano ancora incontrati di persona.
3 L’appellativo beatus/beatissimus per indicare una persona rivestita di una qualche autorità

risale all’uso civile di chiamare così gli imperatori, almeno a partire dall’epoca post-costanti-
niana. I cesari e gli augusti infatti venivano epitetati come beatissimi. Cfr. p. es. PANEG. LAT. 4,
5, 5: Igitur, ut facitis, beatissimi Caesares, per omnes paternarum laudum vias ite secuti; 38, 6:
[…] ut Constantinum conservatorem suum, ut beatissimos Caesares videat…; 7, 14, 7: […]
rursus hic socer, rursus hic gener est, ut beatissimus imperator semper ex tua subole nepotibus
augeatur; SIDON., epist. 2, 13, 4: [Petronium Maximum] profecto invenies hominem beatiorem
prius fuisse quam beatissimus nominaretur. Nel lessico degli scrittori cristiani, beatissimi di-
ventano invece coloro che sono investiti della dignità ecclesiastica, come monaci, sacerdoti, ve-
scovi, e soprattutto il romano pontefice. Cfr. HIER., epist. 36, 1: Beatissimo papae Damaso;
141, 1: Domino sancto ac beatissimo papae Augustino; AUG., c. Pelag. 1, 1, 1: Beatissime at-
que venerande papa; SIDON., epist. 6, 12, 1: Te ista sententia quam maxume, papa beatissime,
petit. Altre informazioni in O’BRIEN 1930, pp. 91-92; BASTIAENSEN 1964, pp. 27-28. 40-41.
4 Sacerdos è termine comune per identificare sia un semplice sacerdote che il vescovo. Del

vescovo il sostantivo sacerdos esprime in maniera particolare il carattere di sommo sacerdote.


«Le térme technique episcopus fera place non seulement à sacerdos, qui était très usuel chez le
chrétiens des premiers siècles, mais aussi à pontifex et à antistes, toutes deux expressions très
romaines et très officielles» (MOHRMANN II, pp. 104-105). L’aggettivo beatissimus contribuisce
a identificare nel sacerdos di cui sopra la figura del vescovo, in questo caso Fausto di Riez. La
locuzione domine mi venerande ac beatissime sacerdos è un evidente debito di CASSIAN., c. Ne-
st. 1, 5, 2: […] o domini mei venerandi et beatissimi sacerdotes (scil: ad episcopos Gallicanos),
locus a cui attinge chiaramente anche nella lettera successiva (vd. epist. 1, 2, 1). Dal canto suo,
Cassiano riporta pressoché alla lettera l’incipit del Libellus emendationis di Leporio.
5 L’utilizzo del verbo dignor + inf. è molto frequente in età tardoantica, specie nell’epistolo-

grafia, ed è stilema proprio del linguaggio cancelleresco, come formula di deferenza e di corte-
sia. Nell’epistola in esame, l’uso di dignari suona pertanto una chiara protesta di umiltà e di de-
vozione da parte dello scrivente nei confronti del patronus episcopus.
6 Questo stilema ricorre con molta frequenza nella letteratura cristiana, soprattutto nell’epi-
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stolografia. Esprime icasticamente il desiderio di vedere l’interlocutore, benché assente. Al


tempo stesso consente a chi scrive di rivolgersi a lui come se realmente lo vedesse, quasi prae-
sens (vd. CUGUSI 1983, pp. 73-74; CORBINELLI 2008, in partic. pp. 31-36). Questo atteggiamen-
to dello scrivente nei confronti del destinatario lo si incontra tuttavia già nell’epistolografia pa-
gana, sia greca che latina. Cfr. p. es. DEMETR., Eloc. 223: jArtevmwn me;n ou\n oJ ta;" jAristotev-
lou" ajnagravya" ejpistolav" fhsin, o{ti dei` ejjn tw`/ aujtw`/ trovpw/ diavlogovn te gravfein kai;
ejpistolav": ei\nai ga;r th;n ejpistolh;n oi\on to; e{teron mevro" tou` dialovgou; CIC., Phil. 2, 7:
Quid est aliud tollere ex vita vitae societatem, tollere amicorum conloquia absentium (scil. epi-
stulae); SEN. epist. 67, 2: Si quando intervenerunt epistulae tuae, tecum esse mihi videor et sic
adficior animo tamquam tibi non rescribam, sed respondeam; IUL. VICT., rhet. p. 106, 16: Lepi-
dum est nonnumquam quasi praesentem alloqui. Similmente cfr. AMBR., epist. 7, 37, 4: Interlu-
damus epistulis, quorum eiusmodi usus est, ut disiuncti locorum intervallis affectu adhaerea-
mus, in quibus inter absentes imago refulget praesentiae et collocutio scripta separatos copu-
lat, in quibus etiam cum amico miscemus animum et mentem ei nostram infundimus (parimenti
vd. epist. 66, 1); HIER., epist. 29, 1: Epistolare officium est [...] quodammodo absentes inter se
praesentes fieri. Per quanto concerne lo stilema in questione, cfr. CYPR., epist. 20, 1: Absens ta-
men corpore nec spiritu nec actu nec monitis meis defui; 58, 4, 1: Ubicumque in illis diebus
unusquisque fratrum fuerit a grege, interim ac necessitate temporis, corpore non spiritu, sepa-
ratus; 76, 1,1: Sed quomodo possum repraesento me vobis et ad vos etiamsi corpore et gressu
venire non datur, dilectione tamen et spiritu venio. Quindi cfr. PAUL. NOL., epist. 13, 2: Et si me
vicissim intueris animo [...] Hanc de te invicem gratiam quaeso merear, ut tu quoque me inte-
rioribus videns oculis tamquam adstantem comminus et coram loquentem; 45, 1: [...] quasi col-
lyrio declarationis infuso oculis mentis meae purius video. Similmente cfr. FAUST. REI., epist.
10 p. 215, 23-24: [...] per cordis intuitum inde se invicem cari gratia intercurrente
conspicerent, in cui il vescovo di Riez elargisce consigli a Ruricio circa la conduzione della vi-
ta ascetica. Già Platone (resp. 533 D) ricorre alla metafora to; th`" yuch`" o[mma; usi traslati
connessi a parti del corpo si trovano già nella Sacra Scrittura: praeputium cordis (Dt 10, 16),
lumbi mentis (1Pt 1, 13), ecc. Queste “metafore corporali” si diffonderanno abbondantemente
presso gli autori cristiani, per i quali vd. CURTIUS 1992, pp. 156-158; in partic., sugli “occhi del
cuore”, si nota come «la funzione visiva dell’organo reale viene trasferita al patrimonio delle
conoscenze spirituali. A sensi esterni si associano sensi interiori» (CURTIUS 1992, p. 157). Una
buona sintesi sugli stilemi epistolari in GARZYA 1983, pp. 113-148; sul genere epistolografico e
le sue caratteristiche, vd. SYKUTRIS, s. v. Epistolographie, in RE suppl. V, coll. 186-220; THRAE-
DE 1970; SCARPAT 1972, pp. 473-512; MÜLLER 1980, pp. 138-157; MARCOS CASQUERO 1983,
pp. 377-406; CUGUSI 1983, pp. 73-104; ID. 1985, pp. 115-139; ZELZER 1997, pp. 321-353;
GIANNARELLI 2003, pp. 33-52; PETRUCCI 2005, pp. 57-79; SCHRÖDER 2007, pp. 136-166; CORBI-
NELLI 2008, pp. 21-85; per lo stilema in esame, vd. THRAEDE 1970, p. 121.
7 La presente lettera, prima dell’epistolario, è al tempo stesso una delle più antiche del me-

desimo. Emerge infatti – come anche nella successiva – il fatto che Ruricio è ancora saecularis
e tuttavia l’anelito al cambiamento di vita si fa più impellente. Si affida così a Fausto come a un
patronus spirituale, nella fiducia che egli abbia a guidarlo a un reale mutamento di rotta esi-
stenziale. Come anche in epist. 1, 2, l’aspirante conversus si dichiara malato e bisognoso di cu-
re da parte del patronus, che funge da medico dell’anima (vd. le varie nn. ad loc.). In questo
senso vale la pena notare come le topiche affermazioni di modestia e di humilitas evolvano, pur
senza scomparire nel loro usus tradizionale, nella dichiarazione cristiana del peccatum persona-
le: l’autore non si limita pertanto a riconoscere la propria inadeguatezza stilistica, ma vi ag-
giunge la confessione della sua indegnità morale a motivo della sarcina peccatorum. «Il percor-
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164 Commento

so religioso si andava connotando come una risposta spontanea e risolutiva alle difficoltà del
presente, un modo per liberarsi di esso, almeno temporaneamente, e assumere i requisiti nuovi
per potersene poi, in qualche modo, riappropriare» (BARCELLONA 2006, p. 149). Sul ruolo di
patronus spirituale di Fausto nei confronti di Ruricio, vd. in sintesi BARCELLONA 2006, pp. 18-
20. 148-151. Verisimilmente Mathisen assegna le prime due epistole agli anni 475-477. La pre-
sente sembra essere stata scritta prima dell’esilio di Fausto (477-485) voluto dal re visigoto Eu-
rico, e quindi anche del suo soggiorno presso Ruricio. Della conversio ascetica di Ruricio trat-
tano anche le lettere 8-10 di Fausto. In particolare, Fausto consiglia a Ruricio l’ingresso in mo-
nastero – probabilmente Lérins –, dove è più facile coltivare l’ideale ascetico rispetto al mon-
do: Primum revera bonum esset, ut Christi famulus Christi pauperis vias ex toto pauper stude-
ret incedere, si perfectam magni alicuius monasterii scholam vel certe insulanam angelicae
congregationis militiam liceret expetere. Nam in medio saeculi institutionem eremiticam pro-
ferre quanta magnanimitas, tanta est difficultas (epist. 8 p. 210, 3-8). Tuttavia Ruricio sceglierà
la conversio nel secolo.
8 Cfr. Ps 54, 7: Quis dabit mihi pennas sicut columbae et volabo et requiescam? Il tema del-

le ali, connesso con quello della lontananza, è un topos dell’epistolografia tardoantica, sia greca
che latina. Cfr. GREG. NAZ., epist. 42, 1: Tiv" dwvsei moi ptevruga" wJsei; peristera`"; h] pw`"
ajnakainisqh`/ mou to; gh`ra", w{ste me dunhqh`nai diabh`nai pro;" th;n uJmetevran kai; tovn te
povqon, o}n e[cw ejf j uJmi`n, ajnapau`sai kai; ta; luphra; th`" yuch`" dihghvsasqai kai; di juJmw`n
euJrevsqai tina; paramuqivan tw`n qlivyewn; HIER., epist. 71, 1: Nec opinanti mihi subito litte-
rae tuae redditae sunt, quae quanto insperatae tanto gaudiorum plenae quiescentem animam
suscitarunt, ut statim amore conplecterer quem oculis ignorabam, et illud mecum tacitus mussi-
tarem: «quis dabit mihi pennas sicut columbae, et volabo et requiescam», ut inveniam quem
quaerit anima mea? A tal proposito, vd. GARZYA 1983, p. 124 n. 29.
9 Cfr. Ps 90, 3: Quoniam ipse liberavit me de laqueo venantium et a verbo aspero.
10 In epoca tardoantica participi quali consistens, constitutus, positus, conpositus hanno af-

fievolito molto il loro significato, assumendo spesso il valore di participio presente di esse: vd.
BLAISE 1955, p. 194; NORBERG 20053, p. 27.
11 Comune nell’epistolografia tardoantica l’alternanza dell’uso di tu / vos nell’ambito di una

stessa lettera. A tal fine, vd. RIMINI 1912, pp. 587-588; BLAISE 1955, pp. 112-113; HAVERLING
1995, pp. 337-353; NORBERG 20053, pp. 26-27; GIOANNI 2006, pp. xlii-xlv.
12 Accanto all’immagine del “cibo spirituale” (per cui vd. infra 1, 6 n. 10), vi è quella della

“sete dello spirito”, anch’essa altrettanto antica e presente nella letteratura precristiana. L’atto
di abbeverarsi col significato di “apprendere la Torah” è presente già nell’insegnamento rabbi-
nico; di acqua, a livello metaforico, parla Gesù, dialogando con la samaritana, in Ioh 4, 13-14:
[…] qui autem biberit ex aqua quam ego dabo ei non sitiet in aeternum; sed aqua quam dabo
ei fiet in eo fons aquae salientis in vitam aeternam; di “latte spirituale” vengono alimentati i
neobattezzati, secondo 1Cor 3, 2; 1Pt 2, 2; talora vengono unite entrambe le immagini, come in
Mt 5, 6: Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam, quoniam ipsi saturabuntur; Ioh 6, 35: […] ego
sum panis vitae: qui veniet ad me non esuriet, et qui credit in me non sitiet umquam. La me-
tafora tornerà più volte negli autori cristiani, con molteplici variazioni e sfaccettature (vd. CUR-
TIUS 1992, pp. 154-156). A fronte della consueta immagine della sete spirituale o intellettuale,
Ennodio propone l’ossimoro del fiume che non disseta, ma alimenta l’arsura (vd. Sir 24, 29),
metafora del fluire poetico che sempre rinnova il desiderio in chi vi si accosta. Cfr. carm. 1, 7,
1-4 (= 26V): Fluminis in medio succendis viscera, Fauste, / cuius alit magnam carminis unda
sitim. / Quis ferat ardorem laticum, flammasque fluentis / cognatas sicco sorbeat ore potans (su
quest’ultimo locus, vd. VANDONE 2004, pp. 21-25. 66).
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I, 1 165

13 Delle tante opere attribuite a Fausto da Gennadio di Marsiglia (vir. ill. 85), a noi sono

giunte soltanto il De Spiritu Sancto, contro l’eresia ariana e macedoniana, e i due libri del De
gratia, in polemica con la dottrina di Pelagio, ma anche degli agostinisti estremi. Entrambe le
opere potrebbero essere già note a Ruricio, essendo state scritte dopo il 470 circa. Possediamo
inoltre il corpus epistolare di dodici lettere (di cui cinque a Ruricio e due scritte da Lucido e da
Paolino) e alcuni sermoni confluiti nella raccolta pseudo-eusebiana. Circa la figura di Fausto e
l’influenza che ebbe nella Gallia del V secolo, tra gli ormai numerosi studi si rimanda al classi-
co studio storico-culturale di WEIGEL 1938, e alla recente monografia di BARCELLONA 2006, con
ampia bibliografia (pp. 169-175).
14 Praesens è usato qui con valore avverbiale di praesenti, secondo una tendenza al metapla-

smo comune nel latino tardo anche ad altri sostantivi (sequens – sequenti). A tal proposito vd.
LÖFSTEDT Coniect., pp. 21-24.
15 L’uso dell’avverbio di luogo unde al posto di un complemento di moto da luogo a quo, ex

quo, è già presente in CIC., de orat. 1, 67: […] De ea multo dicat ornatius quam ille ipse unde
cognovit; Ac. 2, 100: […] quia sciret quam nigram esse unde illa (scil. nix) concreta esset. A tal
proposito, vd. LHS II pp. 208-209.
16 Il proferre pabula di cui parla Ruricio è in metafora assimilabile a un’opera di disbosca-

mento, attraverso la quale, sfrondati gli intricati alberi della “foresta della Sacre Scritture”, è
possibile far emergere chiaramente il contenuto. Fuori di metafora è questa l’opera dell’inter-
prete, che è in grado di leggere oltre la difficoltà della lettera, per comprendere e svelare il sen-
so pieno della Scrittura. Così infatti già EUCHER., form. 3 p. 18, ll. 1-2: Condensa opaca vel
contecta scripturae divinae; in psalmo: et revelavit condensa.
17 Il vocabolo pone alcuni problemi di ordine lessicologico e grammaticale. Infatti

condensa, considerando il costrutto preposizionale, sembra essere un sostantivo femminile. Ciò


risulterebbe un hapax assoluto nella letteratura latina. Oppure il sostantivo potrebbe essere –
come di fatto generalmente è in epoca tardoantica – un neutro plurale sostantivato. Del resto
già nelle iscrizioni pompeiane troviamo confusione circa la reggenza casuale delle preposizio-
ni. In modo particolare l’accusativo si avvia a divenire pressoché l’unico caso preposizionale,
fungendo altresì da catalizzatore per l’evoluzione delle antiche desinenze in un unico caso obli-
quo (régime). Su questo aspetto vd. VÄÄNÄNEN 20034, pp. 198-199. 203-206. Non ci risultano
di maggiore aiuto loci similes, come p. es. Ps 28, 9: Vox Domini praeparantis cervos et revela-
bit condensa et in templo eius omnis dicet gloriam; Is 10, 34: Et subvertentur condensa saltus
ferro et Libanus cum excelsis cadet; AMBR., epist. 14, 67: […] doloribus afflicti in solitudinibus
errabant inter alta et condensa montium, invia rupium, speluncarum horrida, fovearum
vadosa; probabile l’influsso di EUCHER., form. praef. p. 6, 7-8: Oremus itaque Dominum, ut re-
velet condensa scripturarum suarum (vd. anche supra n. 16). Dal punto di vista lessicale, il vo-
cabolo condensum viene spiegato dai glossari come drumov" (GLOSS. II 281, 12), frondosum (IV
44, 15), nemorosum, conspissum (V 447, 6), spississimum, conspissum (V 447, 6); altrettanto
condensa è interpretato come dasei`a, suvndendro" (GLOSS. III 428, 7), secreta (IV 222, 13),
spissa (V 521, 5), frondosa silvae (V 447, 5). Esso è composto da cum, con valore intensivo e
da densum “spesso”, “intricato”. Sulla base di quanto premesso, con ENGELBRECHT 1892, pp.
93-94 non ritengo necessaria la proposta di Petschenig di postulare la caduta di silva (de con-
densa scripturarum <silva>), mentre, pur accettando il textus receptus, «man wird also wahr-
scheinlich de condenso scripturarum zu schreiben haben» (ENGELBRECHT 1892, p. 94).
18 Cfr. RURIC., epist. 2, 9, 3: […] et igniculo caritatis accenditur; 26, 2: […] caritatis ignicu-

lum scintillis suis inter oblivionis favillas utcumque relucentem nonnumquam. La mutua
caritas, anima di ogni lettera, è descritta con la diffusa immagine del fuoco, per cui vd. p. es.
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166 Commento

AMBR., in psalm. 118 serm. 13, 2 (ignis caritatis); AUG., civ. 10, 3; 18, 32 (fervor caritatis); in
psalm. 3, 9 (ardor caritatis); OROS., apol. 31, 5 (calor caritatis); BENED., reg. 66, 4 (fervor ca-
ritatis); et alii.
19 Cfr. CASSIAN., conl. 24, 26, 18: […] tepida eloquii nostri favilla; c. Nest. 5, 1, 2: […] su-

scitans cineres in veteribus favillis novum movit incendium; quanto all’immagine della vivax
flamma, cfr. SEN., Med. 826: Et vivacis fulgura flammae; PRUD., cath. 5, 17: Vivax flamma
viget; HIER., in Nah. 3, 13-17 l. 505: […] vivax te postea flamma consumet.
20 Si noti il gioco parafonico in pectore peccatoris.
21 Tricolon con sonorità, di cui i primi due membri sono paralleli, mentre il secondo e il ter-

zo (con ampliamento) costituiscono un chiasmo. Quanto all’antitheton, cfr. p. es. HIER., epist.
52, 3: Quae est igitur ista Somanitis uxor et virgo tam fervens, ut frigidum calefaceret, tam
sancta, ut calentem ad libidinem non provocaret?; PETR. CHRYS., serm. 164, 4: […] ut possint
(scil. Apostoli) umecta siccare, sicca infundere, decoquere cruda, frigida calefacere, accendere
extincta, conburere noxia; cfr. anche Ex 14, 20: Stetit inter castra Aegyptiorum et castra Israhel
et erat nubes tenebrosa et inluminans noctem ut ad se invicem toto noctis tempore accedere non
valerent; 2Sm 29: Quia tu lucerna mea Domine et Domine inluminabis tenebras meas; ecc. In-
fine, vd. infra epist. 2, 55, 1.
22 Doctor viene spesso usato in epoca tardoantica in relazione con sacerdos o episcopus. Già

in 1Tim 3, 2 si trovano affiancati i termini doctor ed episcopus, di cui il primo qualifica il se-
condo: Oportet ergo episcopum inreprehensibilem esse, unius uxoris virum, sobrium pruden-
tem, ornatum hospitalem, doctorem. Quindi cfr. p. es. OROS., hist. 7, 19, 2: Qui [...] et Mameae
matris eius familiam persecutionem in sacerdotes et clericos, id est doctores, vel praecipue
propter Origenem presbyterum miserat; PRUD., perist. 6, 37: «Tu, qui doctor» ait «seris novel-
lum» (riferito al vescovo Fruttuoso).
23 Ps 62, 9.
24 Sap 9, 15.
25 Cfr. 4Rg 19, 16; Ps 16, 6; 30, 3; 44, 11; 70, 2; Dn 9, 18.
26 Cfr. Gn 12, 1: Dixit autem Dominus ad Abram: «Egredere de terra tua et de domo tua et

de cognatione tua et de domo patris tui in terram quam monstrabo tibi»; HIL. AREL., vita Hono-
rat. 12: […] exeunt de terra et de domo et de cognatione sua. Il riferimento a Gn 12, 1, come
ben ha mostrato PRICOCO 1992a, pp. 119-131, ricorre frequentemente nella prima letteratura
monastica, a indicare la scelta di intraprendere la vita religiosa. Similmente, vd. epist. 9, in cui,
dopo aver fatto cenno all’avvenuta conversio “nel secolo” di Ruricio, identifica la moglie Iberia
coll’appellativo di Sarra (epist. 9 p. 215, 4), quasi a rimanere nell’ambito del medesimo milieu
biblico (vd. anche FAUST. REI., epist. 10 p. 216, 15-16). Questo aspetto ho discusso e argomen-
tato anche in NERI 2007b, pp. 180-183.
27 Vd. Gn 21, 10, in cui si racconta della cacciata dalla tenda di Abramo di Agar e di suo fi-

glio Ismaele, concepito dal seme dello stesso Abramo (vd. Gn 16, 7-11), perché non restasse
senza discendenza, data la tarda età in cui versava la moglie Sara: Eice ancillam hanc et filium
eius: non enim erit heres filius ancillae cum filio meo Isaac. Ma per intervento divino Sara ha
un figlio, Isacco, su cui si riverseranno le benedizioni di Jahwé. Il locus ruriciano sembra aver
presente tuttavia ance il riferimento paolino di Gal 4, 30-31: Sed quid dicit scriptura: «Eice an-
cillam et filium eius non enim heres erit filius ancillae cum filio liberae». Itaque fratres non su-
mus ancillae filii, sed liberae qua libertate nos Christus liberavit. Per quanto riguarda il testo
di Ruricio tradito dal Sangallensis 190, rispetto all’integrazione di Lütjohann (filio) è sembrata
migliore quella suggerita da Engelbrecht (herede), accolta anche da Demeulenaere, la quale
consente anche una figura etimologica (herede hereditatem) di gusto squisitamente ruriciano.
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28 Perla costruzione spero ut + cong., già attestata in epoca classica, vd. LHS II p. 646.
29L’immagine dell’aridità per esprimere la rusticitas sermonis è topos dell’epistolografia
tardoantica. Cfr. HIER., epist. 29, 7: Unde ignosce ariditati; SIDON., epist. 8, 16, 4: Nos opuscu-
la sermone condidimus arido exili, certe maxima ex parte vulgato; ALC. AVIT., epist. 32 p. 62,
ll. 28-29: […] ut humilitas sui conscia, quae a scribendi audacia iure temperat, eo diutius ari-
ditatis supplicia penderet, quo fontem splendidum vestri alloquii plus sitiret. Su questo aspetto
vd. BRUHN 1911, p. 17; HAGENDAHL 1952, pp. 93-97; GARZYA 1983, pp. 126-127; CURTIUS
1992, pp. 97-100. Va notato anche come l’aridum sia già annoverato tra i difetti da evitarsi nel-
la narratio da QUINT., inst. 2, 4, 3: Sed narrandi quidem quae nobis optima ratio videatur, tum
demonstrabimus, cum de iudiciali parte dicemus: interim admonere illud sat est, ut sit ea neque
arida prorsus atque ieiuna (nam quid opus erat tantum studiis laboris inpendere, si res nudas
atque inornatas indicare satis videretur?); similmente cfr. RHET. Her. 4, 11, 16: Qui non pos-
sunt in illa facetissima verborum attenuatione commode versari, veniunt ad aridum et exangue
genus orationis, quod non alienum est exile nominari.
30 L’immagine è topica, già usata da Cicerone in Brut. 325 a indicare l’abbondanza dell’elo-

quio (nec flumine solum orationis). Quindi cfr. SIDON., epist. 8, 10, 1: Nam stilum vestrum
quanta comitetur vel flamma ignis vel unda sermonum; ENNOD., epist. 1, 12, 4 Gioanni: Iam,
rogo, ad adfectum scriptionis erigere et ariditatem meam conloquii fluentis infunde; EPIST. Au-
stras. 16, 4: Sed haec unda irrigua; VEN. FORT., carm. 8, 21, 3: Me arentem vestro madefecit
opima rigatu. Altri esempi in BRUHN 1911, p. 43-44; vd. anche infra 1, 3 n. 27.
31 Cfr. Dt 32, 2: Concrescat ut pluvia doctrina mea, fluat ut ros eloquium meum, quasi imber

super herbam et quasi stillae super gramina.


32 Il sostantivo aegritudo ha, fin dall’epoca di Plauto, il significato di “afflizione dell’ani-

mo”. A tal proposito cfr. PLAUT., Poen. prol. 68-69: Quoniam perisse sibi videt gnatum unicum,
/ conicitur ipse in morbum ex aegritudine; Bacch. 1110-1111: Numquidnam ad filium haec ae-
gritudo adtinet? / Admodum. Idem mihi morbus in pectorest. A partire da Columella il vocabolo
assume una valenza maggiormente tecnica, e viene a indicare una malattia, di uomini o di ani-
mali: vd. COLUM. 7, 5, 20; PLIN., nat. 19, 128. Tuttavia, anche se quest’ultima accezione sarà
quella preminente, aegritudo continuerà a mantenere il suo valore di “affezione dell’animo” fi-
no nella latinità tarda, per cui ancora Agostino potrà notare: De tristitia vero, quam Cicero ma-
gis aegritudinem appellat, dolorem autem Vergilius, ubi ait: «Dolent gaudentque», (sed ideo
malui tristitiam dicere, quia aegritudo vel dolor usitatius in corporibus dicitur), scrupolosior
quaestio est, utrum inveniri possit in bono (civ. 14, 7). Alla luce della storia semantica della pa-
rola, l’uso ruriciano appare ancora più efficace: se nel contesto il significato più perspicuo è
quello fisico-medico, metaforicamente è chiaro il riferimento alla sfera morale. Una rassegna
ragionata delle denominazioni della malattia nella letteratura latina in MIGLIORINI 1993, pp. 93-
132, in partic., pp. 116-117.
33 La locuzione non expediunt stulto deliciae sembra essere una suggestione derivata proba-

bilmente da un detto proverbiale; ma a esso sembra soggiacere anche l’immagine piuttosto vul-
gata della “medicina amara” e tuttavia utile per ottenere la guarigione. Altrettanto tradizionale e
di maniera la metaforica contrapposizione dolce – amaro, in ambito paideutico a vari livelli: vd.
p. es. PLAT., Legg. 2, 659; LUCR. 1, 935-942; HOR., sat. 1, 1, 25-26; QUINT., inst. 3, 1, 4-5;
LACT., inst. 5, 1, 14; AUSON., Symm. epist. 1, 32, 1 (= 407, 2 Souchay); ecc. Alla sete spirituale
di cui Ruricio ha dichiarato di ardere (vd. supra n. 12) si giustappone l’immagine del cibo spiri-
tuale, molto diffusa nella letteratura cristiana, che troverà ampio utilizzo da parte del nostro au-
tore. A tal proposito vd. infra 1, 6 n. 10.
34 Frase piuttosto oscura, che forse può ricevere luce da una lettera inviata dallo stesso Fau-
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168 Commento

sto a Ruricio (FAUST. REI., epist. 10). Fausto scrive trattando del giudizio ultimo di Dio, in cui
si renderà ai buoni servitori il premio eterno. Quindi rivolge a Ruricio alcuni consigli per risul-
tare gradito al giudice eterno: Quos, ut puto, oculos et ipse ad tremendi iudicis nutum semper
attollis, ut de te illud propheticum merito dici possit: «Sapientis oculi in capite eius». Inde est,
habeo enim illic, filius meus, proditores tuos… (p. 216, 8-11). Evidentemente il termine è usato
senza rancore, antifrasticamente. MATHISEN 1999, p. 89 n. 15 ritiene che si possa trattare degli
amici che hanno spinto Ruricio a scrivere a Fausto e a esporgli la sua situazione esistenziale, in
primo luogo probabilmente Sidonio Apollinare, che da Fausto per altro era stato anche battez-
zato (vd. HARRIES 1994, pp. 105-106).
35 Sanctitas è il titolo comunemente attribuito ai vescovi, ed è questo l’uso che ne fanno per

la maggior parte autori cristiani quali Ambrogio, Agostino, Gerolamo, Avito, Sidonio, Ennodio.
Tuttavia non mancano testimonianze di sanctitas in riferimento ad altri, come p. es. AMBR., epi-
st. extra coll. 1, 1: Sollicitam sanctitatem tuam esse adhuc scribere dignata es mihi, eo quod
sollicitum me esse scripserim, alla sorella; HIER., epist. 62, 1: Maiora spiritus vincula esse
quam corporum si olim ambigebas nunc probavimus, dum et mihi sanctitas tua haeret animo et
ego Christi amore coniungor, a Tranquillino; 72, 1: Zenon nauclerus, per quem dicis tuae sanc-
titatis litteras esse transmissas, al presbitero Vitale; PAUL NOL., epist. 15, 2: Quid de illo ve-
strae sanctitatis opere dicam, al presbitero Amando. Per le occorrenze e l’usus di sanctitas, vd.
O’BRIEN 1930, pp. 34-37.
36 Domino donante: allitterazione delle dentali e delle nasali. L’espressione è molto comune

ed è testimoniata trasversalmente negli auctores a partire almeno dal IV secolo (PAUL. NOL.,
epist. 18, 1; AUG., in Ioh. 15, 1; 46, 1; ecc.).
37 Cfr. Ps 140, 5: Corripiet me iustus in misericordia et increpabit me oleum [autem] pecca-

toris non inpinguet caput meum quoniam adhuc et oratio mea in beneplacitis eorum.
38 Cfr. Mt 13, 52: Omnis scriba doctus in regno caelorum similis est homini patri familias

qui profert de thesauro suo nova et vetera.


39 Il linguaggio è quello tecnico della medicina. Esso è molto comune in ambito spirituale,

tanto in Oriente quanto in Occidente. Già nella letteratura latina pagana era diffuso l’uso in am-
bito morale dell’exemplum aeger – medicus, come attesta p. es. SEN., epist. 50, 4; 72, 6. La
qualifica di medico compare paradigmaticamente riferita a Cristo (Christus medicus: vd. TERT.,
adv. Marc. 4, 11, 3; AMBR., vid. 10, 62; PAUL. NOL., carm. 20, 269; PETR. CHRYS., serm. 50, 4;
AUG., in psalm. 130, 7; CASSIAN., conl. 19, 12, 1; et alii), anche secondo quanto Egli ebbe a
operare e a dire secondo la tradizione evangelica: Mt 9, 12: At Iesus audiens ait: «Non est opus
valentibus medico, sed male habentibus» (a tal proposito vd. DUMEIGE 1972, pp. 115-141; ID.,
s. v. Médecin (le Christ), in DSp X, coll. 891-901; VANNIER 2005, pp. 525-534); la paenitentia è
vista pertanto come medicina (CYPR., laps. 35; AMBR., hex. 6, 8, 50; paenit. 2, 9, 90; AUG., epi-
st. 151, 12; civ. 15, 7; et alii). Quindi l’epiteto viene applicato ai maestri spirituali: esercitando
tale funzione terapeutica nei confronti dei loro discepoli affetti da svariati languores animae, li
guidano verso la meta della perfezione spirituale (spiritales medici: vd. CASSIAN., inst. 10, 7, 1;
12, 20, 1; ENNOD., epist. 5, 6 p. 128, 24; CAES. AREL., serm. 57, 2; 59, 7; unus senior: vd. CAES.
AREL., reg. mon. 23; spiritales sorores: vd. CAES. AREL., reg. virg. 34; et alii). Nella regola be-
nedettina sarà l’abate, in quanto immagine di Cristo stesso e responsabile della disciplina del
monastero, a essere qualificato come sapiens medicus nei confronti dei delinquentes fratres
(reg. 27, 2): sarà lui a inmittere senpectas id est seniores sapientes fratres qui […] provocent ad
humilitatis satisfactionem (a tal proposito vd. GIURISATO 1987, pp. 291-335). In particolare, va-
le la pena sottolineare l’importanza per la Gallia (ma non solo per essa) degli scritti di Giovanni
Cassiano, sintetizzatore della sapienza spirituale d’Oriente, attinta dall’incontro con i monaci in
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I, 1 169

Palestina ed Egitto e dalla lettura delle opere di Evagrio, per la cui dottrina spirituale vd. il do-
cumentato studio di BUNGE 1991. Basti citare quanto afferma BASIL., reg. br. 288: jEpei; ou\n
kai; th`~ ejpistrofh`~ oJ trovpo~ oijkei`o~ ojfeivlei ei\nai tou` aJmarthvmato~, kai; karpw`n
de; creiva ajxivwn th`~ metanoiva~, [...] ajnagkai`on toi`~ pepisteumevnoi~ th;n oijkonomivan
tw`n musthrivwn tou` Qeou` ejxomologei`sqai ta; aJmarthvmata. A proposito del linguaggio
medico in ambito spirituale, vd. LUTTERBACH 1996, pp. 239-281; MAZZINI 1998, pp. 159-172;
ID. 2007, pp. 172-214 (ampia rassegna bibliografica ragionata, estesa anche al mondo antico);
sulla qualità e la diffusione in ambito non solo monastico della direzione spirituale cassianea,
vd. LEONARDI 1977, pp. 491-608; TIBILETTI 1977, pp. 355-380; FILORAMO 2003, pp. 133-146;
ALCIATI 2006, pp. 337-352, in partic. pp. 341-344; utile ai fini di cogliere gli snodi storici fon-
damentali che dal rapporto gesuano maestro-discepolo hanno condotto alla moderna concezio-
ne di direzione (o accompagnamento) spirituale FILORAMO 2006, pp. 5-38. Quanto al locus ruri-
ciano in esame, cfr. AUG., serm. 346A, 8: Cum ergo aegrotaret genus humanum, medicus ille
magnus suscipiens aegrotum in magno quodam lecto, hoc est, toto in mundo – sed quomodo pe-
ritissimus medicus attendit tempora aegroti; CASSIAN., conl. 6, 11, 8: Quamobrem ut peritissi-
mus medicus expensis omnibus salutaribus curis nec ullum iam remedii genus quod infirmitati
eorum possit aptari dominus superesse conspiciens quodammodo iniquitatum magnitudine su-
peratur; FAUST. REI., epist. 7 p. 207, 25-26: […] (mihi) qui austeris magis quam dulcibus sana-
ri animam tuam cupio; SALV., gub. 6, 16: Sicut enim optimi ac peritissimi medici dissimilibus
morbis curas dispares praestant atque aliis per dulcia medicamina, aliis per amara succurrunt.
[…] Aliis adhibent dura ferri prosectionem, aliis blandam infundunt olei laenitatem, et tamen
diversissimis licet curis eadem salus quaeritur (vd. in partic. RURIC., epist. 1, 2, 1: Potestati-
sque et iudicii tui est, utrum velis ulceris mei putredinem ferri rigore rescindere an medicamen-
torum lenitate curare, e nn. ad loc.).
40 «Languor indica sia una condizione di debolezza fisica, di mancanza di forze (che può es-

sere anche la conseguenza di una malattia), sia una malattia vera e propria» (MIGLIORINI 1993,
pp. 113-114). Nella tarda latinità, il vocabolo assume il valore specifico di “malattia piuttosto
grave” (ma con questa accezione già compare in CELS. 3, 2, 6). Il cristianesimo contribuirà a
moralizzare il termine, facendolo diventare una sorta di affezione dell’anima. Cfr. TERT., adv.
Marc. 4, 35, 5 […] semel remediatore languorum et vitiorum adnuntiato Christo et de effecti-
bus probato; CYPR., epist. 69, 12: Quaesisti etiam, fili carissime, quid mihi de illis videatur qui
in infirmitate et languore gratiam Dei consecuntur; AMBR., in psalm. 1, 28, 2: Hinc letale se
mentibus virus infundit, hinc subrepit aegritudo corporibus, languore animis. Est enim malus
languor erroris languor, avaritiae languor, inexplebilis cupiditatis languor. In questa lettera
Ruricio sfaccetta sapientemente il proprio morbus, declinandolo secondo diverse prospettive
(aegritudo, infirmitas, languor), e costituendo così una eletta variatio terminologica sul tema.
41 La topica immagine della malattia spirituale torna a conclusione dell’epistola. Da notare

l’attenzione dell’autore alle figure di suono e di stile: figura etimologica (languentium… lan-
guori); omoeoprophoron preposizionale (convenire cognoscitis); sonorità (medicamenta mitta-
tis). Similmente vd. già SEN., epist. 2, 3: Non prodest cibus nec corpori accedit, qui statim
sumptus emittitur; nihil aeque sanitatem impedit quam remediorum crebra mutatio; non venit
vulnus ad cicatricem, in quo medicamenta temptantur; non convalescit planta, quae saepe
transfertur: nihil tam utile est, ut in transitu prosit; 8, 2: Salutares admonitiones, velut medica-
mentorum utilium compositiones, litteris mando, esse illas efficaces in meis ulceribus expertus,
quae etiam si persanata non sunt, serpere desierunt.
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170 Commento

1, 2
1 Per la titolatura, vd. epistola precedente.
2Come si noterà nel corso dell’epistolario, Ruricio ama spesso ricorrere al lusus verborum.
Nel caso presente, si noti la commutatio (RHET. Her. 4, 28, 39: Commutatio est, cum duae sen-
tentiae inter se discrepantes ex traiectione ita efferuntur, ut a priore posterior contraria priori
proficiscatur) con chiasmo semantico e figura etimologica (impia neglegentia et neglegens im-
pietas): una rassegna dei mezzi stilistici utilizzati da Ruricio in RIMINI 1912, pp. 569-590; HA-
GENDAHL 1952, pp. 51-89.
3 Cfr. CASSIAN., c. Nest. 1, 5, 2. Cassiano riferisce del monaco Leporio, sostenitore dell’ere-

sia nestoriana, il quale, in seguito alla conversione e al ravvedimento dall’errore in cui era ca-
duto, fa pubblica ammenda del suo passato (c. Nest. 1, 4, 2-3), scrivendo un Libellus emenda-
tionis a tutti i vescovi della Gallia (vd. GENNAD., vir. ill. 60), il cui incipit è riportato dallo stes-
so Cassiano: Quid in me primum, o domini mei venerandi, et beatissimi sacerdotes, accusem
nescio, et quid in me primum excusem non invenio (cfr. LEPOR. 1).
4 Ps 140, 4. Già in epist. 1, 1, 3 Ruricio ha fatto indirettamente riferimento al v. 5 del mede-

simo salmo (vd. supra 1, 1 n. 37).


5 Vd. Lc 24, 25: Gesù apostrofa i suoi discepoli come stulti et tardi corde ad credendum.
6 Il termine noxa si trova già nell’Antico Testamento con il significato di colpa o azione mo-

ralmente sconveniente: vd. Ex 21, 16; 32, 31; Nm 35, 27; 1Esr 4, 13. Non diversamente ricorre
con una certa frequenza nella letteratura cristiana tanto in prosa quanto in poesia, benché vi si
trovi maggiormente l’aggettivo neutro sostantivato noxia. A tal proposito vd. BLAISE 1966, pp.
550-551. 554-555.
7 Ruricio include sapientemente all’interno dell’iperbato paternam… sententiam il suo capo

d’accusa.
8 La lapidarietà dell’espressione, attraverso il linguaggio giudiziale-penitenziale, esprime il

dato teologico secondo cui il perdono dei peccati, nell’ambito della penitenza, avviene solo at-
traverso una confessione verace e integrale. Similmente cfr. TERT., paenit. 8, 9: Tantum relevat
confessio delictum, quantum dissimulatio exaggerat; confessio enim satisfactionis consilium
est, dissimulatio contumaciae; AMBR., paenit. 2, 6, 40: Sed si vis iustificari, fatere delictum
tuum; solvit enim criminum nexus verecunda confessio peccatorum; AUG., in psalm. 50, 13: Si
faciendo peccatum nihil te dicis fecisse, nihil eris, nihil accipies; paratus est Deus dare indul-
gentiam, claudis contra te; ille paratus est dare, noli opponere obicem defensionis, sed aperi
sinum confessionis.
9 Ruricio ricorre qui al lessico propriamente liturgico, di cui venia, come i precedenti indul-

gentia, confessio, peccatum, fa parte. L’ambito semantico è quello legato alla penitenza e al
perdono dei peccati: vd. BLAISE 1966, p. 423. Dal punto di vista stilistico, si noti la parafonia
simplici… supplici che efficacemente determina il concetto espresso dal sostantivo confessio
(cfr. anche OROS., hist. 7, 38, 2: Quamobrem Alaricum cunctamque Gothorum gentem, pro pace
optima et quibuscumque sedibus suppliciter ac simpliciter orantem […] ad terrendam teren-
damque rempublicam reservavit).
10 Per la locuzione geminare peccata, cfr. PAUL. NOL., epist. 20, 1: […] ut de multiloquio no-

stro et de tua fatigatione geminandum nobis peccatum evaderemus; CAES. AREL., serm. 59, 2:
Non est hoc tollere, sed geminare peccatum.
11 Vd. Mt 18, 12-14; Lc 15, 4-7; Ioh 10, 14-16. I due isocoli paralleli ripropongono in altri

termini quanto già espresso in epist. 1, 1, 3: […] languori quoque meo, quae convenire cogno-
scitis, medicamenta mittatis (vd. nn. ad loc.).
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12 Nella locuzione ulceris mei putredinem ferri rigore rescindere sembra ravvisabile un’eco

lessicale virgiliana: georg. 1, 143: Tum ferri rigor atque argutae lammina serrae; 3, 453-454:
Quam si quis ferro potuit rescindere summum / ulceris os. Similmente vd. COLUM. 6, 11, 1:
Suppuratio melius ferro rescinditur quam medicamento. La riformulazione parafrasata di loci
classici è uno dei modi in cui i cristiani alludono, senza una citazione diretta, alla cultura paga-
na (ma non solo). Cfr. p. es. LUCIF., moriend. 8 ll. 53-54: Stat semper nempe gladii tui acies
stricta parata Christianorum neci, in cui è parafrasato VERG., Aen. 2, 333-334: […] Stat ferri
acies mucrone corusco stricta, / parata neci. Così ancora moriend. 14 p. 315, 13: […] deduce-
ris illam quam tenes viam […] ad laeva malorum et ad impia tartara, allude a VERG., Aen. 6,
542-543: […] at laeva malorum / exercet poenas et ad impia Tartara mittit. A tal proposito vd.
HAGENDAHL 1947, pp. 114-128.
13 Il linguaggio assume qui marcatamente il tono di chi si professa gravemente malato e

chiede al medico cure adatte, secondo la topica del rapporto discente – maestro spirituale per
cui vd. supra 1, 1 n. 39. Sul topos della medicina amara, ma necessaria alla guarigione, di lu-
creziana memoria, vd. in ambito cristiano CAES. AREL., serm. 5, 5: Et vos enim bene nostis,
quod non semper medici dulces potiones porrigunt aegrotantibus, sed frequenter amaras et
aspersa, nonnumquam etiam ferramentis aliqua membra secare et cauteriis exurere solent;
[…] Et nos ergo, qui, licet minus digni, tamen qualescumque medici spiritales esse videmur, ne-
cesse nobis est, non semper blanda et mollia, sed aliquotiens aspera vel dura illis qui in anima
aegrotare videntur ingerire. Quo modo enim per amarissimam potionem digeruntur humores
mali, sic per asperam castigationem mores pessimi minuuntur. Vale la pena notare come proba-
bilmente i due rimedi non siano semplicemente da intendersi metaforicamente, ma dietro di es-
si si celino forse reali possibilità di conversione, cui Ruricio allude, noncurante che il patronus
scelga l’una o l’altra, nella devota e fiduciosa obbedienza all’imperium e all’auctoritas del
maestro che caratterizza la direzione spirituale (vd. ALCIATI 2006, pp. 343-346). «In queste pa-
gine Fausto sembra interpretare esattamente il ruolo, che prima era stato dell’uomo santo e suc-
cessivamente del vescovo, di “nuovo padre” nella nuova vita – quella religiosa –, di garante di
una nuova identità e di nuove certezze, laddove sempre meno stabili e sicure divenivano le isti-
tuzioni tradizionali fondate sul concetto classico di famiglia, di gens, venendo così a costituire
un sostituivo, e spesso unico, punto di riferimento in una fase storica di generale deragliamento
dei valori» (BARCELLONA 2006, p. 19). Per quanto attiene al ferri rigor che rescinde con vigore
la cancrena del peccato, esso può fare riferimento alla durezza dell’ingresso nell’ordo paeniten-
tium (penitenza pubblica): Ruricio si renderebbe pertanto disponibile a percorrere il lungo e im-
pegnativo itinerario di purificazione che avrebbe condotto all’assoluzione sacramentale con
l’imposizione delle mani da parte del vescovo, ma anche all’esclusione da ruoli pubblici ed ec-
clesiastici. La medicamentorum laenitas potrebbe invece identificare l’altro percorso di purifi-
cazione particolarmente diffuso nella Gallia e nella Spagna di V-VI secolo, che è il sistema dei
conversi, una sorta di monachesimo nel secolo praticato da laici che conducevano di fatto vita
ascetica, pur non appartenendo ad alcun asceterio (quanto all’abito dei conversi, vd. infra 2, 15
n. 9). La conversio era spesso preferita alla penitenza pubblica. Del resto Cesario di Arles affer-
ma che qui paenitentiam publice accipit, poterat eam secretius agere (serm. 67, 1), alludendo
probabilmente proprio alla suddetta possibilità. I conversi venivano talora ordinati presbiteri o
vescovi, nonostante l’opposizione papale alla ordinatio per saltus. Così infatti papa Celestino I
(422-432) stigmatizza questo uso, nella lettera inviata ai vescovi della Viennensis e della Nar-
bonensis: Ordinatos vero quondam, fratres carissimi, episcopos, qui nullis ecclesiasticis ordini-
bus ad tantae dignitatis fastigium fuerint instituti, contra Patrum decreta, huius usurpatione
qui se hoc recognoscit fecisse didicimus (epist. 4, 2, 4 PL 50 col. 433); Sed iam non satis est
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172 Commento

laicos ordinare, quos nullus fieri ordo permittit, sed etiam quorum crimina longe lateque per
omnes paene sunt nota provincias, ordinantur (epist. 4, 2, 5 PL 50 col. 433). I concili legifera-
no che chiunque chieda l’ingresso nello stato clericale debba premettere un periodo di vita da
conversus: Sedit praeterea ut deinceps non ordinentur diacones coniugati nisi qui prius conver-
sionis proposito professi fuerint castitatem (CONC. Araus. a. 441 p. 84 ll. 90-92; vd. anche
CONC. Agath. a. 506 p. 201 ll. 178-182); Assumi aliquem ad sacerdotium non posse in coniugii
vinculo constitutum, nisi fuerit praemissa conversio (CONC. Arel. II a. 442-506 p. 114 ll. 3-4;
vd. ibid. p. 122 ll. 169-171). Vd. anche GALTIER 1937, p. 22 n. 4; GRIFFE 1962, pp. 241-267;
LOYEN 1970, pp. xxxiv-xxxvii; RIGHETTI IV, pp. 235-236; BARCELLONA 2002, pp. 345-361. Ru-
ricio fa il suo ingresso tra le file dei conversi verisimilmente verso il 477, secondo la testimo-
nianza dello stesso Fausto. Questi, in una lettera scritta dal luogo d’esilio in cui era stato confi-
nato per ordine del re dei Visigoti Eurico (466-484) almeno nel 477, scrive: Ego autem hanc
primam munificentiam, Domino largiente, percepi, quod piissimus meus Ruricius, post vitae
huius iactationes, ad portum religionis proram salutis, Excelsi manu gubernante, convertit
(epist. 9 p. 211, 19-22).
14 Passo lacunoso. L’ultimo editore di Ruricio, R. Demeulenaere, lascia la lacuna, senza pro-

porre alcuna integrazione; Engelbrecht ritiene che si debba aggiungere patrem, mentre Krusch
preferisce completare con locum. Nella presente traduzione ci siamo attenuti a quest’ultimo
emendamento.
15 L’uso della locuzione preposizionale in + abl. (in concorrenza con in + acc.) per esprime-

re il predicativo del tipo in germine – in semine è già presente in epoca classica e si diffonde in
modo particolare in età tardoantica. A questo proposito vd. LHS II p. 275; LÖFSTEDT 1980, pp.
54-57; VÄÄNÄNEN 20044, pp. 262-263.
16 Maeror, definito da Cicerone (Tusc. 4, 18) aegritudo flebilis, assume presso i cristiani an-

che un significato maggiormente specifico. Esso viene a indicare il dolore scaturito dalla paeni-
tentia, intesa in senso lato. Cfr. HIER., epist. 36, 6: […] longae vitae maerore conpulsus paeni-
tentiam ageret et mereretur absolvi. Vd. anche TERT., paenit. 9, 4; ieiun. 7, 4; pudic. 13, 12. Il
contesto penitenziale in cui Ruricio usa il sostantivo ne giustifica maggiormente la scelta, ben-
ché venga utilizzato arbitrariamente in riferimento al dolore provocato nel padre dal peccato
del figlio. Vale la pena notare anche come nella versione geronimiana della Bibbia maeror ven-
ga scelto per tradurre differenti sostantivi indicanti dolore, quali luvph, ojduvnh, ecc. Esso com-
pare 8 volte nell’epistolario ruriciano: vd. epist. 1, 15, 2; 2, 3, 1; 4, 4. 7. 10; 22, 3; 39, 1 (sem-
pre a indicare affezioni dell’anima, tuttavia non in ambito strettamente penitenziale).
17 Da notare i costrutti paralleli in tutti i loro elementi, con variatio di prefissazione (infert –

confert), sonorità (superbientis-confitentis) e antitesi. Si consideri anche l’insistenza con cui


Ruricio, attraverso l’anafora e la figura etimologica (pater – paterna), sottolinea la funzione di
padre spirituale di Fausto, sfociando infine nell’exemplum neotestamentario del padre miseri-
cordioso.
18 Cfr. Lc 15, 13: […] ibi dissipavit substantiam suam vivendo luxuriose.
19 Si tratta della parabola del figliol prodigo o del padre misericordioso narrata da Lc 15,

11-32.
20 Pregnante la figura etimologica conversi reversio, che sembra alludere, con fine equivo-

cità, alla condizione di conversus a cui Ruricio guarda con attrazione (vd. supra n. 13). Tuttavia
il testo non manca di evocare nel lessico la parabola lucana: In se autem reversus dixit… (Lc
15, 17). Quanto all’interpretazione del locus evangelico, cfr. p. es. AMBR., in Luc. 7, 220: In se
autem reversus dixit: «Quantis panibus mercennarii patris mei abundant!». Bene in se reverti-
tur qui a se recessit; AUG., quaest. evang. 2, 33, 2: In se autem reversus, iam scilicet ab eis
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quae forinsecus frustra inliciunt et seducunt in conscientiae interiora reducem faciens intentio-
nem suam; PETR. CHRYS., serm. 2, 1: In se reversus est; in se ante rediit, ut rediret ad patrem,
qui a se ante recesserat, cum recessit a patre; CAES. AREL., serm. 163, 1: Denique, ut hoc aper-
tius possitis agnoscere, recolite quod de ipso in Evangelio dictum est: “in se autem reversus”.
Ecce unde exierat: de se utique exierat.
21 Da notare il chiasmo con anafora e sonorità facultas reditus – rerum facultas che sintetiz-

za con lapidaria efficacia i sentimenti di magnanimità del padre di fronte al ritorno del figlio.
Simili concetti già in PETR. CHRYS., serm. 3, 4: Non dixit (scil. pater): «Unde venis? Fuisti ubi?
Ubi sunt qua tulisti? Quare tantam gloriam tanta turpitudine commutasti?»; 4, 3: In filio est
substantia patris tota, et ideo nil pater perdidit filium cum recepit.
22 Si noti l’abile variazione sinonimica sul tema del ritorno: reditus (due volte con poliptoto)

– reversio – regressio (in parafonia col precedente abscessio).


23 Inizia qui la rassegna dei doni che il padre fa al figlio, con la rispettiva interpretazione

simbolica. Da notare il fine costrutto stilistico per cui si instaurano a catena dei chiasmi costi-
tuiti dall’anafora del verbo dare e dal sostantivo: dat anulum… calceamenta dat… dat et ipsam
primam… stolam. Il chiasmo è interrotto dal periodo successivo, in cui il costrutto è parallelo al
precedente, ma il verbo (sempre dare), quasi a marcare con evidenza la variatio, è al passivo:
datur etiam ipse iuniori vitulus reverso. Va infine evidenziato il progressivo aumento degli ele-
menti del discorso nelle quattro frasi di cui è costituito il locus in questione, con maggiore evi-
denza argomentativa ed enfasi.
24 L’anello, segno di fedeltà, è posto implicitamente come rimedio contro la perfidia. Cfr.

AMBR., in Luc. 7, 231: Anulus quid est aliud nisi sincerae fidei signaculum et expressio verita-
tis? (vd. anche paenit. 2, 3, 18); PAUL. NOL., carm. 24, 814: Fideique gestans anulum; ARN.
IUN., in Luc. 9: Anulum inquit in manu eius, hoc est fidem, quam perdiderat. Similmente vd.
HIER., epist. 21, 24; AUG., serm. 112A, 7; PETR. CHRYS., serm. 3, 4; 5, 6; CAES. AREL., serm.
163, 2; BEDA, in Luc. 4, 2434-2439.
25 Cfr. AMBR., in Luc. 7, 231: Calciamentum autem evangelii praedicatio est. […] Haec est

praeparatio evangelii ad caelestium cursum dirigens praeparatos, ut non in carne ambulemus,


sed in spiritu; paenit. 2, 3, 18: Calciamenta deferri praecipiat – celebraturus enim Pascha Do-
mini, epulaturus agnum, tectum debet adversus omnes incursus bestiarum spiritalium morsu-
sque serpentis habere vestigium; PETR. CHRYS., serm. 3, 4: Ne vel in pede remaneret filii defor-
mitatis nuditatis; certe ut calciatus anterioris vitae rediret ad cursum; 5, 6: Et calciamenta in
pedibus eius: ut essent calciati pedes in praedicatione evangelii; ut essent beati pedes evange-
lizantes pacem; ARN. IUN., in Luc. 9: Calciamenta vero, vestigia munita demonstrant, quae la-
psus Diaboli non timeant. Vd. anche HIER., epist. 21, 25; AUG., quaest. evang. 2, 33, 3; serm.
112A, 7; BEDA, in Luc. 4, 2439-2442. L’interpretazione ruriciana sembra essere piuttosto origi-
nale, benché sembrino presenti suggestioni ambrosiane.
26 In età imperiale e tardoantica il pronome dimostrativo ipse perde progressivamente il suo

valore specifico, assimilandosi all’uso di ille o di idem. Su questo aspetto vd. BLAISE 1955, pp.
107-108; LHS II pp. 189-191; VÄÄNÄNEN 20034, p. 210.
27 Per affinità lessicali e stilistiche, oltre che contenutistiche, il testo ruriciano sembra aver

presente HIL., myst. 1, 22, 3: Nam Iacob Esau stola induitur, quae pro immortalitatis veste com-
memorari solet etiam in evangelio, ubi stolam primam iunior frater et idem accepti patrimonii
decoctor accepit. Quindi cfr. AUG., serm. 112A, 7: Iubet ergo pater proferri ei stolam primam,
quam peccando Adam perdiderat. Iam accepto in pace, iam exosculato filio iubet proferri sto-
lam, spem immortalitatis in baptismo; (vd. anche serm. 260C, 5; quaest. evang. 2, 33, 3); PETR.
CHRYS., serm. 5, 6: Dedit stolam primam: illam quam Adam perdidit immortalitatis gloriam
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sempiternam; ARN. IUN., in Luc. 9: Stola autem prima, quam indutus est: vitam scilicet, quam
diabolus ademerat, per Christum recepit. Quindi vd. anche HIER., epist. 21, 23; CAES. AREL.,
serm. 163, 2; ISID., alleg. 216; BEDA, in Luc. 4, 2425-2429. Altre interpretazioni del significato
simbolico della prima stola in IREN. 4, 14, 2: […] primam stolam ei donans, multis modis com-
ponens humanum genus ad consonantiam salutis; AMBR., in Luc. 7, 231: Stola amictus est sa-
pientiae, quo nuda corporis apostoli tegunt, eo quod se unusquisque convolvat. […] Ergo stola
spiritale indumentum et vestimentum est nuptiale; (vd. anche paenit. 2, 3, 18); PAUL. NOL., carm.
31, 455-456: Tunc patre placato meriti reddetur honoris / anulus, et cinget me stola laetitiae.
Sull’allegoria patristica della veste, dell’anello e dei calzari, vd. in partic. PIREDDA 1985-1986,
pp. 203-242.
28 Cfr. AMBR., in Luc. 7, 232: Occiditur et vitulus saginatus, ut carnem domini spiritali opi-

mam virtute per gratiam sacramenti mysteriorum consortio restitutus epuletur; paenit. 2, 3, 18:
Vitulum praecipiat occidi, quia Pascha nostrum immolatus est Christus. […] Sicut ergo semel
pro omnibus immolatus est, ita quotienscumque peccata donantur, corporis eius sacramentum
sumimus, ut per sanguinem eius fiat peccatorum remissio; AUG., quaest. evang. 2, 33, 3: Vitulus
enimi ille in corpore et sanguine dominico et offertur patri et pascit totam domum. Similmente
vd. anche HIER., epist. 21, 26; PETR. CHRYS., serm. 5, 6; ARN. IUN., in Luc. 9; CAES. AREL.,
serm. 163, 2; BEDA, in Luc. 4, 2447-2452.
29 Ruricio, nel solco della tradizione esegetica patristica, interpreta allegoricamente la figura

del figlio maggiore, invidioso dei riguardi usati dal padre nei confronti del fratello, vedendovi
rappresentato il popolo d’Israele (nel figlio minore si vede invece adombrata l’ecclesia
gentium): a tal fine vd. PIREDDA 1985-1986, p. 219, in partic. n. 56. E in questo senso va letto il
riferimento all’uscita dall’Egitto e il parallelismo tra il vitulus saginatus della parabola, figura
di Cristo, e l’agnus di Ex 12, 3-4. A tal proposito vd. AMBR., in Luc. 7, 239; AUG., quaest.
evang. 2, 33, 4; serm. 112A, 7; PETR. CHRYS., serm. 5, 7; CAES. AREL., serm. 163, 1. 3; BEDA, in
Luc. 4, 2450-2455.
30 Vd. Ex 12, 3-4. L’esodo dall’Egitto del popolo ebraico è già interpretato da Tertulliano al-

legoricamente, come figura della fuoriuscita dell’uomo dallo stato di peccato. In bapt. 9, 1 l’a-
pologeta africano vede nell’uscita dall’Egitto un typus del Battesimo: Primum quidam, cum po-
pulus de Aegypto expeditus vim regis Aegypti per aquam transgressus evadit, ipsum regem cum
totis copiis aqua extinguit. Quae figura manifestior in baptismi sacramento? Quindi cfr. AUG.,
in psalm. 113, serm. 1, 3: Aegyptus autem, quoniam interpretatur afflictio, vel affligens, vel
comprimens, saepe in imagine ponitur huius saeculi, a quo spiritaliter recedendum est, ne simus
iugum ducentes cum infidelibus; 5: [...] cognoscite etiam vos exiisse ab Aegypto, qui huic saecu-
lo renuntiastis, exiisse de populo barbaro qui confessione pietatis vos a blasphemiis gentium
seiunxistis. Cfr. anche PAUL. NOL., carm. 24, 824-826: Nam nunc in isto tamquam in Aegypto si-
tus / sic demoretur saeculo, / alienus ut sit saeculi negotiis / caelestis urbis incola. Nella lettera-
tura lerinese l’uscita dall’Egitto e la traversata del mar Rosso vengono a coincidere con la vitto-
ria sul peccato e con l’ingresso nella libertà pacificante dell’eremo: vd. EUCHER., laud. her. 8-
10; EUSEB. GALLIC., hom. 35, 6 (sermo de sancto Maximo attribuito a Fausto di Riez).
31 L’accoramento con cui Ruricio implora da Fausto aiuto e perdono viene espresso con effi-

cacia dalle costruzioni parallele con chiasmo imperfetto e ampliamento, a cui si aggiunge l’a-
nafora del pronome dimostrativo ipse e del sostantivo venia.
32 Da notare il gioco paronomastico con figura etimologica liberum – liberatum – liberalita-

tem – libertatem. Dal punto di vista del contenuto, è possibile intravvedere un riferimento all’e-
silio di Fausto, il quale non si trova ancora a essere ospite presso Ruricio. Infatti, se quest’ulti-
mo può sembrare libero a chi si trova lontano dalla patria (in peregrina patria), in realtà egli è
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ancora schiavo del secolo. Dunque, l’augurio formulato per queste due forme di esilio, è che
quanto prima esse possano sciogliersi: per il vescovo di Riez rientrando nella propria diocesi,
per Ruricio ottenendo la liberatio dai lacci dello spirito del mondo (in propria possis videre li-
beratum). E colui che, grazie alla sua intercessione, può procurare la libertà dello spirito all’
“esiliato nel mondo” è ancora una volta l’esule Fausto (per te mereatur consequi libertatem). Il
sapiente costrutto retorico si conclude con un ampliamento che, sottolineando con icastica effi-
cacia il concetto di separazione attraverso la prefissazione verbale (separetur – sequestratur),
perora ancora una volta l’urgente intervento del patronus: questi, benché lontano, è pregato di
non far mancare il suo aiuto a chi, a motivo della propria esistenza, è momentaneamente “lonta-
no dal premio eterno”. Evidente l’effetto di straniamento presente in buona parte del paragrafo.
Ritengo quindi di interpretare peregrina patria non tanto come metafora della condizione terre-
na, quanto piuttosto come pregnante riferimento alla recente situazione di Fausto. Infatti, nella
lettera faustiana che sembra essere stata scritta in risposta alla presente, è possibile ravvisare tra
le altre similarità stilistico-contenutistiche, un rimando allusivo proprio in sede incipitaria, qua-
si a ripresa della chiusa ruriciana: […] inter haec positi bona praesenti insultamus exilio et pa-
triam nos non amisisse, sed commutasse cognoscimus. […] sine sede propria possessores, sine
possessione divites sumus (epist. 9 p. 211, 11-15). E in tal senso cfr. anche FAUST. REI., epist. 12
p. 218, 16-19, scritta a Ruricio nel 485 circa, al ritorno a Riez: Gratias ad vos, dum vobis de
patria scribimus, qui nobis patriam in peregrinatione fecistis, qui indefessa liberalitate patriae
desideria temperastis vim quandam divinae iustitiae succedentibus sibi beneficiis inferentes.
Dunque credo possibile datare l’epistola di Ruricio e quella di Fausto all’anno 477. In merito
infine ai concetti di liberatio e di libertas, vale la pena notare quanto affermato da Fausto in
grat. 2 p. 88, 28 ss.: Liberatio ad donum gratiae et ad propositum consentientis pertinet vitae,
libertas vero arbitrii non est res accedentis munificentiae, sed naturae. Quaerentibus illa vel
tribuitur vel conservatur, etiam non requirentibus ista confertur. Illa renascentibus ministratur,
ista nascentibus. Libertas ad solam Dei pertinet operationem, liberatio et ad subditi hominis
servitutem. […] Illa originis et generis, ista est muneris et virtutis. Così interpretando, mi senti-
rei di escludere ciò che sostiene HAGENDAHL 1952, p. 77 in partic. n. 2, citando FUNCK 1890, p.
73, secondo cui Ruricio userebbe il singolare liber col significato di “figlio”. Dal punto di vista
grammaticale, si noti l’uso dell’aggettivo proprius (corrispondente al greco i[dio~) con valore
possessivo: nel latino tardo esso entra in concorrenza con il classico suus, almeno a partire dal
III secolo. Tuttavia proprius assume il valore di aggettivo possessivo anche di prima e seconda
pers. Cfr. p. es. AMBR., epist. 10, 70, 6: Qua de re quoniam propriis texuisti litteris posse typum
reperiri aliquem; CASSIOD., in psalm. 49, 15 ll. 317-319: Nostra enim tribulatio illa est quae
propriae salutis formidine generatur, non quae carnalium rerum timore concutitur. Vd. BLAISE
1955, p. 116; LHS II p. 179.
33 Il verbo mereor + inf., in età tardoantica, oscilla talora verso una funzione simile a quella

del verbo posse, ma con una sfumatura maggiormente personalistica: si può perché si è merita-
to (cfr. p. es. RURIC., epist. 1, 15, 1: […] tristatus sum, quod et inpedientibus peccatis meis tan-
to antestiti occurrere non merueram). Numerosi esempi in ThLL VIII, coll. 806-807; vd. anche
MOUSSY 2002, p. 97.
34 Si noti come nel latino tardo il sostantivo solacium / solatium acquisti, accanto al signifi-

cato di “sollievo”, “conforto”, quello di “aiuto”, “sostegno”. A tal proposito vd. LÖFSTEDT
1980, pp. 210-211.
35 Cfr. CASSIOD., var. 1, 3, 1: […] omnia siquidem bona suis sunt iuncta cum fructibus, nec

credi potest virtus quae sequestratur a praemio.


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1«Devinctissimus ist bei Ruricius das Attribut vertrauter weltlicher Personen» (ENGELBRE-
CHT 1892, p. 79), riferito sia a ecclesiastici che a laici. Molto usato da Ruricio, esso ricorre ben
11 volte in tutto l’epistolario, per lo più nell’inscriptio (epist. 1, 3; 4; 5; 2, 1; 2; 3; 4; 5; 23; 42;
fa eccezione epist. 2, 3, 1, in cui l’aggettivo compare nel corpo della lettera). Simile all’uso ru-
riciano è quanto si riscontra nelle lettere di Fausto di Riez, in cui delle 6 occorrenze dell’agget-
tivo, quattro sono nelle titolature. A Esperio sono indirizzate anche le successive lettere 4 e 5,
tutte con il medesimo indirizzo di omaggio.
2 Magnificus (talvolta nella forma superlativa magnificentissimus) è epiteto tipicamente rife-

rito a laici di nobile stirpe o a coloro che ricoprono cariche politico-amministrative (vd. O’
BRIEN 1930, pp. 149-150). Cfr. COD. Theod. 1, 6, 3: […] sed vir magnificus praefectus urbi rite
sollemnibus ordinatis vicem nostram sustinens; CIL VI 1761: Magnifici viri Mariniani praefec-
ti praetorio. Nell’epistolario ruriciano ricorre 8 volte nell’inscriptio.
3 Il termine unanimitas “cortesia”, “concordia” è usato come titolo di riguardo e di amicizia

per una persona, ecclesiastica o laica: vd. SYMM., epist. 1, 16, 1; 6, 27, 1; AMBR., epist. 10, 70,
6; extra coll. 14, 83; AUG., epist. 97, 1; HIER., epist. 126, 1; PAUL. NOL., epist. 5, 16; 12, 12; 46,
1.; altri riferimenti in O’BRIEN 1930, pp. 62-64. In modo particolare, come ben ha notato TH-
RAEDE 1970, p. 125, unanimitas è un titolo non propriamente del linguaggio cristiano, ma uti-
lizzato abbondantemente dagli autori pagani, come lo rivela la frequenza con cui compare nel-
l’epistolario di Simmaco. In generale, sull’uso e l’origine dei titoli, valga quanto sinteticamente
detto da HAGENDAHL 1952, p. 98: «Ces usages curtois ont pour origine les titres officiels des
empereurs et des haut dignitaires, et sont caractéristiques du style administratif. Il se sont intro-
duits dans l’art épistolaire et dans le style ecclésiastique durant le IV siècle; très vite à la mode,
et devenus obligatoires, ils ont contribué, au plus haut degré, à donner a ces formes de littératu-
re un aspect mondain et affecté»; sui titoli nell’epistolografia tardoantica, vd. ENGELBRECHT
1893; per l’uso che ne fa Ruricio vd. ENGELBRECHT 1892, pp. 48-83.
4 Procedimento retorico noto come congeries, ovvero accumulo di espressioni diverse o si-

milari per rafforzare il concetto e conferirgli enfasi. Cfr. QUINT., inst. 8, 4, 27: Potest adscribi
amplificationi congeries quoque verborum ac sententiarum idem significantium. [...] Simile est
hoc figurae, quam sunaqroismovn vocant, sed illic plurium rerum est congeries, hic unius mul-
tiplicatio. In particolare, l’accumulo stilistico del locus in esame identifica questa figura retori-
ca nei termini di enumeratio asindetica di sintagmi iperbolici e antitetici. La frase si apre con
un chiasmo (flectuntur rigida, saxea molliuntur), intrecciato col successivo sedantur tumida;
seguono quindi sette cola paralleli; il lungo elenco è chiuso ancora da un chiasmo (dominantur
barbara, immania placantur).Particolarmente evidenti assonanze e allitterazioni fra i vari ele-
menti della frase (flectuntur-molliuntur-leniuntur, tumescunt-mitescunt, accenduntur-acuuntur,
dominantur-placantur), e le figure etimologiche (leniuntur-lenia, tumida-tumescunt); da notare
l’ajntimetabolhv (commutatio: vd. supra 1, 2 n. 2) con chiasmo semantico dei cola mitescunt
saeva, saeviunt mitia.
5 Cfr. RURIC., epist. 1, 12, 1: Trepido in praeconium vestrum os elingue reserare. Significati-

vo è il fatto che l’aggettivo elinguis (< ex + lingua), oltre al significato generico di “muto”,
stricto sensu abbia anche quello di “privo di eloquenza”, “infacondo”. Cfr. CIC., Brut. 100:
Praesertim cum Fannius numquam sit habitus elinguis; HIER., in Os. 2, 5 ll. 179-183: Tu autem,
Pammachi, qui nos facere praecepisti hoc, necesse est ut fautor sis imperii tui, et amafinios ac
rabirios nostri temporis, qui de Graecis bonis, Latina faciunt non bona; et homines eloquentis-
simos, ipsi elingues transferunt, evangelico calces pede; CASSIAN., inst. praef. 3: Me quoque
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elinguem et pauperem sermone. La iunctura os elingue non è tuttavia ruriciana, ma è mutuata


da PRUD., perist. 10, 2: Romane, […] elinguis oris organum fautor move, cui l’autore sembra
alludere. Nel carme infatti Prudenzio invoca il santo martire Romano perché lo aiuti a cantare
le sue lodi. Quest’ultimo, martirizzato ad Antiochia nel 303, dopo essere stato privato proprio
della lingua, viene invocato dal poeta spagnolo come colui che sa far parlare anche i muti: fac
ut tuarum mira laudum concinam, / nam scis et ipse posse mutos eloqui (vv. 4-5). Similmente
cfr. PAUL. NOL., carm. 6, 34-36: Nec tibi difficile, Omnipotens, mea solvere doctis / ora modis,
qui muta loqui, fluire arida, solvi / dura iubes. Dunque l’espressione, nella presente epistola,
assume un valore particolarmente pregnante, evocando per analogia il contesto della supplica
contenuta nei versi prudenziani. Piuttosto frequente l’espressione ora reserare: vd. AMBR., in
Luc. 5, 48; PAUL. NOL., epist. 13, 14; AUG., in Ioh. 92, 2; SALV., gub. 7, 11; PAUL. PETRIC., Mart.
5, 18; carm. praef. 1; et alii. Quanto alla suggestione biblica, cfr. Mc 7, 35: Et statim apertae
sunt aures eius et solutum est vinculum linguae eius et loquebatur recte. Tuttavia non è da
escludere anche un riferimento all’episodio dell’asina di Balaam, la quale, deviando dal sentie-
ro per salvare la vita del padrone dall’angelo sterminatore inviato da Dio per punirne la disob-
bedienza, venne ripetutamente percossa da quest’ultimo, finchè aperuitque Dominus os asinae
et locuta est: «Quid feci tibi cur percutis ecce iam tertio?» (Nm 22, 28). Del resto, nella sapien-
te intertestualità ruricana, non va dimenticato che in epist. 1, 5, 1 il medesimo aggettivo elin-
guis, utilizzato nella presente per definire l’inettitudine letteraria dell’autore, è riferito agli ani-
mali incapaci di articolare la parola (universa animantia bruta pariter et elinguia).
6 La frase non è del tutto chiara: cosa intende Ruricio per “vita vecchia”? Sembra da esclude-

re l’età cronologica, essendo questa lettera verisimilmente precedente l’episcopato (cfr. MATHI-
SEN 1999, pp. 106-107). Si può dunque supporre che la lettera sia stata scritta tra il 477, presun-
to anno della conversio di Ruricio e il 485 circa, anno del suo episcopato. Oltre all’evidente an-
tifrasi tra vetus e novus, può essere presente una suggestione del topos del puer-senex, partico-
larmente diffuso nella letteratura tardoantica sia greca che latina, benchè l’archetipo sia ravvisa-
bile nella cultura classica. Ruricio pertanto, pur giovane di età, dopo la conversione ascetica, ha
conseguito quella che Ambrogio chiama canities animae (epist. 7, 52, 5) e morum senecta (vir-
ginit. 7, 39), che lo porterebbe alla recusatio di maniera di ciò che è letteratura. Sul topos del
puer-senex, vd. C. GNILKA, 1972, pp. 51 ss.; ID., s. v. Greisenalter, in RLAC XII, coll. 995-1094;
GIANNARELLI 1988, pp. 279-284; CURTIUS 1992, pp. 115-118; in partic. cfr. p. 115: «Questo to-
pos ebbe origine dalla situazione spirituale della tarda Antichità. In generale le civiltà, al loro
inizio e al loro apogeo, apprezzano i giovani e nel contempo onorano la vecchiaia. Ma è proprio
delle fasi tardive di una cultura il foggiare una figura umana ideale in cui la polarità fra gioventù
e vecchiaia tende alla compensazione»; vd. anche GIANNARELLI 1993, pp. 73-112.
7 Cfr. CASSIAN., c. Nest. praef. 1: […] cogitaram et propemodum constitueram post illum

proditae inscientiae pudorem ita me in portu silentii collocare, ut excusarem, quantum in me


esset, per taciturnitatis verecundiam loquacitatis audaciam. Sed vicisti propositum ac senten-
tiam meam laudabili studio et imperiosissimo affectu tuo, mi Leo, veneranda ac suspicienda
caritas mea, Romanae ecclesiae ac divini ministerii decus, producens me ex illo praemeditati
silentii recessu in publicum formidandumque iudicium, et nova subire cogis adhuc de praeteri-
tis erubescentem, cumque etiam minoribus impar fuero, par maioribus a te esse conpellor;
PAUL. PETRIC., carm. praef. 1: Iterato asinae ora reserastis, qui mihi loquendi fiduciam praesti-
tisits, cum obtecto ore in eo loco verecundius silentio conticescerem quam inperita verbositate
garrirem; SIDON., epist. 1, 1, 4: Porro autem super huiusmodi opuscolo tutius conticueramus,
contenti versuum felicius quam peritius editorum opinione, de qua mihi iam pridem in portu iu-
dicii publici post lividorum latratuum Scyllas enavigatas sufficientis gloriae ancora sedet. Le
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parole di Ruricio lascerebbero ipotizzare che la presente lettera accompagnasse uno scritto di
sua composizione che Esperio in persona gli avrebbe richiesto. Non ci è dato di conoscere a
quale genere di opera l’autore faccia riferimento; è possibile ritenere che Ruricio avesse man-
dato a Esperio una lettera in particolare (o una silloge di epistole), che quest’ultimo avrebbe
avuto cura di pubblicare e fare circolare fra gli amici, secondo la consuetudine già antica. Nella
lettera che segue si ritorna sull’argomento, apostrofando l’opera in questione come indignum
memoria, oblivione dignissimum volumen (§. 2). Gli stilemi fanno parte della topica prefatoria,
secondo cui l’autore si dichiara costretto a scrivere dalle richieste di un amico, nonostante la
propria inadeguatezza alla materia da trattare. Cfr. p. es. HIER., epist. 1, 1: Saepe a me, Inno-
centi carissime, postulasti, ut de eius miraculo rei, quae in nostram aetatem inciderat, non ta-
cerem. Cumque ego id verecunde et vere, ut nunc experior, negarem meque adsequi posse diffi-
derem, sive quia omnis humanus sermo inferior esset laude caelesti, sive quia otium quasi
quaedam ingenii robigo parvulam licet facultatem pristini siccasset eloquii, tu e contrario ad-
serebas in Dei rebus non possibilitatem inspici debere, sed animum, neque eum posse verba de-
ficere, qui credidisset in Verbo. Quid igitur faciam? Quod inplere non possum, negare non au-
deo; CLAUD. MAM., anim. praef. p. 18, 4-6: Editionem libellorum mihi quos de animae statu
condidi reticenti cautus et loquendi pensus arbiter imperasti. Fas fuit mememt doctissimi atque
amantissimi vel peritiae cedere vel amicitiae credere; similmente vd. HIER., praef. evang. p.
1515, 2-6; AUG., op. monach. 1, 1; SEDUL., epist. 1 p. 1, 1 ss.; PAUL. PETRIC., carm. praef. 2; et
alii. Su questi aspetti vd. JANSON 1964, pp. 116-120.
8 Frase a cui è sotteso probabilmente un proverbio, costruito sull’antitesi loqui / dicere - ta-

cere. Vd. OTTO 1962, pp. 338-339. Cfr. AMBR., off. 1, 2, 5: […] ideoque tacere nosse quam lo-
qui difficilius est. Scio loqui plerosque cum tacere nesciant; HIER., epist. 109, 2: Ut qui loqui
nescit, discat aliquando reticere; SIDON., epist. 7, 9, 5: […] non maior est gloria dixisse quod
noveris quam siluisse quod nescias.
9 Cfr. CASSIAN., c. Nest. praef. 1: Ita me in portu silentii collocare, ut excusarem, quantum

in me esset, per taciturnitatis verecundiam loquacitatis audaciam.


10 Compare per la prima volta nell’epistolario il sostantivo rusticitas che è cifra costante del

modo di porsi di Ruricio nei confronti dei suoi interlocutori, ovvero un dichiarato stato di infe-
riorità stilistica e culturale, in ottemperanza ai topoi epistolari. Altri loci similes in RURIC., epist.
1, 4, 2; 2, 9, 6; 17, 1; 18, 4; 27, 1; 38, 1; 41, 1. A proposito dell’affectata modestia nella letteratu-
ra latina, vd. SITTL 1889, pp. 560-561; DIHLE 1952, pp. 169-190; HAGENDAHL 1952, pp. 93-97;
JANSON 1964, pp. 124-141; GARZYA 1983, pp. 126-127. In modo particolare, così scrive Hagen-
dahl: «Les déclarations de modestie que l’auteur débite dans la préface deviennent obligatoires
dans l’art épistolaire, à mesure qu’ils s’imprègne de l’esprit précieux» (p. 93). Cfr. CYPR., epist.
20, 1: Absens tamen corpore nec spiritu nec actu nec monitis meis defui quo minus secundum
Domini praecepta fratribus nostris in quibus possem mea mediocritate consulerem; 58, 1: […]
et quantulacumque mediocritate exhortationis nostrae praesens illic fraternitatem corroborare;
69, 1: Pro tua religiosa diligentia consuluisti mediocritatem nostram; PAUL. NOL., epist. 43, 4:
Te autem, ut tua opinione deceptum ab inopia mea minus moleste feras […] oro te potius, ut ma-
ledicas sterilitati meae, ne umquam ex illa fructus nascatur […] expedit enim mihi interitus ste-
rilitatis meae […]; 51, 2: Suscipite ergo in his exiguis sermonibus parvitatis meae non exiguae
caritatis insignia. Di rusticitas parla in termini elogiativi HIER., epist. 52, 9: Nec rusticus et tan-
tum simplex frater ideo se sanctum putet, si nihil noverit, nec peritus et eloquens in lingua aesti-
met sanctitatem. Multoque melius est e duobus inperfectis rusticitatem sanctam habere quam
eloquentiam peccatricem. La topica cristiana della modestia è supportata dalle parole di 1Cor 1,
17: Non enim misit me Christus baptizare, sed evangelizare non in sapientia verbi, ut non eva-
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cuetur crux Christi; 2Cor 11, 6: […] et si inperitus sermone, sed non scientia in omnibus autem
manifestatus sum vobis (vd. anche HIER., epist. 29, 7). Almeno a partire dalla metà del IV secolo
circa, l’inperitia sermonis perde la sua forza polemica per diventare maniera, segno di falsa mo-
destia, specie negli autori in cui il preziosismo retorico e stilistico è più accentuato. Altri esempi
in BRUHN 1911, pp. 21-22; CURTIUS 1992, pp. 97-100. Fiero sostenitore di uno stile rusticus e
pedester a fini pastorali è Cesario di Arles nei suoi sermoni, per cui cfr. p. es. CAES. AREL., serm.
1, 20: Unde magis simplici et pedestri sermone, quem totus populus capere possit, debent domi-
nici mei sacerdotes populis praedicare, implentes illud quod ait aposotlus: «Omnia omnibus fac-
tus sum, ut omnes lucrifacerem»; secundum sancti Hieronymi sanctum ac salubre consilium, quo
ait: «Sacerdote», inquit, «praedicante oportet ut magis gemitus suscitetur quam plausus»; 114,
2: Et haec quidam secundum litteram, sicut in libris sanctorum scriptum invenimus, caritati ve-
strae rustico et simplici sermone, quem toti intelligere possint, insinuanda credimus. Sul sermo
humilis di Cesario, vd. AUERBACH 1960, in partic. pp. 85-91; BONA 2000, pp. 31-36.
11 Cfr. VERG., ecl. 8, 55-56: Certent et cycnis ululae, sit Tytirus Orpheus, / Orpheus in silvis,

inter delphinas Arion. La reminescenza virgiliana pone un problema da un punto di vista inter-
pretativo: infatti i due mitici vati sono posti da Ruricio quasi in antagonismo, come se il secon-
do fosse superiore al primo. Essendo Arione ritenuto l’inventore del ditirambo, inno collegato
al culto di Dioniso, mentre Orfeo il poeta lirico, legato al dio Apollo, MATHISEN 1999, p. 108 n.
11 così interpreta: «In general, Dionysus represented the senses and Apollo the intellect, and
this contrast may lie behind Ruricius’ comparison». A mio avviso credo sia possibile proporre
un’altra ipotesi. Come ha ben mostrato lo stesso MATHISEN 1991, pp. 29-43, era consuetudine,
tra i membri delle élites culturali tardoantiche, utilizzare nicknames classicheggianti, quali
Orpheus, Phoebus, ecc. In particolare, va notato che Orpheus era soprannome per il grande re-
tore gallico Lampridio di Bordeaux, morto strozzato a opera dei suoi schiavi (vd. SIDON., epist.
8, 9; 11). Questo sembrebbe concordare con la precedente confessione di inadeguatezza da par-
te di Ruricio, secondo cui egli sarebbe costretto ad assumere toni che non gli appartengono al
fine di rapportarsi con un altro retore di fama quale Esperio. Se così è possibile ritenere, è altre-
sì verisimile ipotizzare che dietro il personaggio di Arione si celi lo stesso Ruricio: in questo
modo verrebbe a sciogliersi l’apparente aporia interpretativa del passo. Infine va rilevata altresì
la dimensione dell’adynaton (presente già nell’ipotesto virgiliano: su questo topos, vd. CURTIUS
1992, pp. 110-115, in partic. p. 111), per cui si viene a sovvertire il naturale ordine della realtà,
e il rusticus Ruricio (si noti anche la singolare corrispondenza etimologica) assurge al rango di
rhetor. Su questo locus, vd. NERI 2007a, pp. 140-144; sulla persona di Lampridio, vd. LOYEN
1943, pp. 91-92; LA PENNA 1995b, pp. 211-224.
12 Similmente cfr. SULP. SEV., Mart. epist. 3: […] si aures eorum vitiosus forsitan sermo per-

culerit; dial. 1, 27, 2: […] vereor ne offendat vestras nimium urbanas aures sermo rusticior;
SALV., gub. praef. 3: […] in scriptiunculis nostris non lenocinia esse volumus, sed remedia,
quae scilicet non tam otiosorum auribus placeant quam aegrotorum mentibus prosint.
13 Questo colon risulta densamente retorico: veniam venienti (paronomasia) e ex necessitu-

dine necessariae necessitatis (figura etimologica). A proposito del sostantivo necessitudo, sem-
bra interessante osservare quanto scrive ISID., diff. 1, 101 Cod.: Necessitas aliquid fieri cogit,
necessitudo autem affectus est vel vinculum propinquitatis, secondo già quanto ebbero a espri-
mere CHAR., gramm. I 99, 22; AUL. GELL. 13, 3, 1. Pertanto «[…] il existe de necesse deux sub-
stantifs dérivés: necessitas et necessitudo, que la langue a différenciés, réservant plutôt le sens
de “nécessité” à necessitas, et celui de “relations d’amitié ou de parenté” à necessitudo; on
trouve même à l’époque impériale necessitudines avec le sens concret des “amis”» (DELL p.
629). Quanto al calembour lessicale necessitas – necessitudo, cfr. p. es. PETR. CHRYS., serm. 63,
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2: […] necessitatem necessitudine gestiunt submonere; SIDON., epist. 6, 4, 1: […] commendo


supplicum baiulorum pro nova necessitudine vetustam necessitatem; ENNOD., epist. 3, 15 p. 82,
14: Rarum est ut necessitati amor fultus necessitudine colla summittat.
14 Topica la richiesta di perdono da parte dell’autore nei confronti di chi legge, a motivo del

sermo rusticior. Cfr. p. es. SOL. praef. 1: E re putavi examen opusculi istius tibi potissimum da-
re, cuius vel industria promptius suffragium vel benignitas veniam spondebat faciliorem; SULP.
SEV., Mart. epist. 3: Quod si acciderit et ab aliquibus eum legi videris bona venia id a lectori-
bus postulabis; per quanto concerne il colon conscium mutuae passionis pectus agnoscit, evi-
dente il debito di HIER., epist. 14, 1: Quanto studio et amore contenderim ut pariter in eremo
moraremur conscium mutuae caritatis pectus agnoscit.
15 L’invito alla brevitas è un elemento tipico dell’epistolografia. Cfr. GARZYA 1983, pp. 125-

126: «La suntomiva / brevitas dell’antica precettistica passa anch’essa da artificio retorico a ri-
sorsa filofronetica, in quanto viene inquadrata nell’obbligo di non recare disturbo, mh; ejno-
clei`n, sentimento così radicato nella trama dei rapporti umani che appare anche nello scambio
epistolare non letterario del tempo». Vd. anche THRAEDE 1970, pp. 155-156; CUGUSI 1983, pp.
34-35. 74-75; CORBINELLI 2008, p. 33. Tra le fonti antiche cfr. almeno DEMETR., Eloc. 228: To;
de; mevgeqo~ sunestavlqw th`~ ejpistolh`~, w{sper kai; hJ levxi~; IUL VICT., rhet. p. 105, 19:
In familiaribus litteris primo brevitas observanda. «[…] in molti luoghi infatti è invocato il mo-
dus epistolare come “giustificazione” dell’interruzione della lettera; altre volte ci si giustifica
per l’eccessiva lunghezza dell’epistola stessa – due concetti strettamente legati l’uno all’altro»
(CUGUSI 1983, p. 74). A titolo di esempio vd. CIC., fam. 7, 1, 6; 3, 5-6; 11, 24, 1; 25, 1; SEN.,
epist. 4, 10; 18, 14; 26, 8; 45, 13; PLIN., epist. 2, 5, 13; 11, 25; 3, 5, 20; 5, 7, 5-6; ecc. L’appello
alla brevitas diventa anche uno stilema per porre fine a una sezione argomentativa: Transeamus
ad cetera – neque enim epistulae brevitas patitur diutius in singulis morari (HIER, epist. 57, 8),
a cui si aggiunga il commento puntuale di BARTELINK 1980, pp. 89-90. Altri esempi geronimia-
ni in epist. 3, 6; 7, 6; 26, 5; 29, 7; ecc.
16 Il verbo ructuo “emettere gas digestivo dalla bocca” oppure “vomitare”, per indicare l’umile

fluire delle parole di supplica o di lode, è hapax in Ruricio, alternato con la forma ructo. Nella Sa-
cra Scrittura si trova il composto eructo, usato sempre in metafora, da cui probabilmente Ruricio
è stato suggestionato. Cfr. p. es. Ps 18, 3: Dies diei eructat verbum et nox nocti indicat scientiam;
44, 2: Eructavit cor meum verbum bonum dico ego opera mea regi; 118, 171: Eructabunt labia
mea hymnum; ecc. L’uso è comunque popolare. Interessante la traduzione di significato che Ago-
stino fa del sostantivo ructator, facendolo sinonimo di praedicator (serm. 34, 2).
17 Da notare la sequenza nostrum-depositum-tuum, quasi in rima e l’assonanza prodotta dal-

la vocale scura /u/.


18 Il pignus di cui si parla è uno dei figli di Ruricio, inviato alla scuola di Esperio per una

formazione culturale e retorica. Il riferimento a questo fatto viene espresso con una metafora
commerciale (pignus, depositum, commendantes, susceptione). Pignus, già dall’età classica, ha
in metafora la sfumatura affettiva di “persona cara”, soprattutto in riferimento ai figli (vd. ThLL
X-1, coll. 2125-2126). Quanto alla forma cfr. PROP. 4, 11, 73-74: Nunc tibi commendo commu-
nia pignora natos: / haec cura et cineri spirat inusta meo; anche se in contesto diverso, cfr. AM-
BR., inst. virg. 1, 1: Commendas mihi pignus tuum, quod aeque est meum, Ambrosiam Domini
sacram. Interessante l’etimologia popolare proposta da Isidoro per il lemma depositum: Depo-
situm est pignus commendatum ad tempus, quasi diu positum (orig. 5, 25, 19). ENGELBRECHT
1891, p. lxx ipotizza acutamente come Ruricio, a giudicare dalle parole di cui sopra, dovesse
avere ancora solo un figlio da Iberia, verisimilmente Ommazio, a cui per primo indirizzerà
l’epist. 1, 18.
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19 L’astratto divinitas per Deus trova grande uso presso i cristiani, a partire già da Minucio

Felice. Così spiegano LACT., inst. 1, 11, 10: […] si autem divinus non sit, ne deus quidam sit,
unde ipsa divinitas nominatur, ut ab homine humanitas; AUG., civ. 7, 1: Hanc divinitatem vel, ut
sic dixerim, deitatem (nam et hoc verbo uti iam nostros non piget, ut de Graeco expressius
transferant quod illi qeovthta appellant).
20 Cfr. Tb 10, 4-5: Flebat igitur mater eius inremediabilibus lacrimis atque dicebat: «Heu

heu me fili mi ut quid te misimus peregrinari lumen oculorum nostrorum, baculum senectutis
nostrae, solacium vitae nostrae, spem posteritatis nostrae; omnia in te uno habentes te non de-
buimus dimittere ire a nobis». In modo particolare è da notare come Ruricio riutilizzi, variando,
lo stilema di Tb 10, 5 (omnia in te uno habentes), posto sulla bocca di Anna nei confronti del fi-
glio Tobia, riferendolo non più al proprio figlio, bensì a Esperio.
21 Elicitor è sostantivo deverbale rispetto a elicio (< ex + lacio), che di per sè significa “fare

scaturire qualcosa” attraverso lo scavo (acqua, pietre, metalli) oppure per mezzo di azioni ma-
gico-rituali (cfr. l’epiteto di Giove Elicius, per cui vd. VARRO, ling. 6, 94-95; OVID., fast. 3,
327-328). Il sostantivo elicitor è hapax di Ruricio.
22 Sapiente e preziosa descrizione della funzione di precettore di Esperio attraverso un lessi-

co fortemente concreto, inerente all’area semantica dei lavori manuali “di scavo” (elicitor, for-
mator, rimator, repertor). Nella lunga e iperbolica captatio benevolentiae iniziata alcune righe
sopra, Ruricio si avvale del lessico ora commerciale ora intimistico ora tecnico. Il sottile fil
rouge che conferisce unitarietà a questo pastiche linguistico è l’allitterante poliptoto del prono-
me personale tu, che costantemente catalizza l’attenzione del lettore. Lo stile sembra essere
propriamente quello del panegirico: dopo la consueta captatio benevolentiae e l’accusa di inca-
pacità, segue l’elogium, caratterizzato dall’accumulo anaforico di elogi del soggetto, collocati
generalmente all’inizio della frase, secondo lo schema: apostrofe (tu / te) + motivo di lode. Sul-
la struttura del panegirico latino, ottimo DEL CHICCA 1985, pp. 79-113. Non sfugga tuttavia la
vicinanza anche coll’innografia cristiana, in cui spesso si ricorre allo schema sopraccitato (apo-
strofe pronominale + elogio): antico esempio cristiano di questo stile innodico è il Te Deum. A
tal proposito vd. FONTAINE 1980, pp. 38-39; ROPA 1993, pp. 385-386. In epoca tardoantica si
veda l’uso che di questo stilema fa anche Ausonio per celebrare “paganamente” il fiume Mosel-
la. Cfr. AUSON., Mos. 382-383: Te clari proceres, te bello exercita pubes, / aemula te Latiae de-
corat facundia linguae; 477-478: Te fontes vivique lacus, te caerula noscent / flumina, te vete-
res pagorum gloria, luci. Cfr. anche ENNOD., dict. 10 p. 457, 18-23: Tu de eius pectore scientiae
sarculo paliuros et lolium submovisti: tu triticeam messem, qua propinquos pascat, elevasti, fe-
lici in eo eventu per familiarum dissonantiam unum quod sequeretur et aliud quod fugeret de-
monstrando! o laudanda supra hominem tui virtus ingenii. Da notare infine la rima (elicitorem,
formatorem, rimatorem, repertorem), arricchita dall’assonanza della vocale chiara /e/ unita-
mente all’allitterazione di /t/ e /r/. Tutti questi vocaboli sono hapax nell’epistolario ruriciano.
Della triplice lode di Esperio (cavatore di gemme, cercatore d’oro, scopritore di acque) Ruricio
fornirà parallelamente analitica decantazione nelle righe che seguono.
23 Sull’uso di proprius con valore di aggettivo possessivo, vd. supra 1, 2 n. 32.
24 Confusio sembra avere qui un valore etimologico (< cum + fundo) di “mescolanza”, “mi-

scuglio”, mantenendo così la lunga metafora che paragona il precettore al cercatore di pietre
preziose. Tuttavia è possibile intravvedere anche un velato riferimento alla confusio temporum,
in cui Ruricio e la sua famiglia si trovavano a vivere, nella Gallia meridionale occupata dai Visi-
goti. L’ambiguità del sostantivo rende pertanto più pregnante l’asserto. Parimenti tutta la frase
può avere una duplice lettura, secondo un’interpretazione metaforica o maggiormente attualiz-
zante: i giovani virgulti delle nobili famiglie gallo-romane, senza una guida sicura, non potreb-
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bero mettere a frutto le loro qualità, secondo l’educazione classica conforme al loro status (qui
sciris abstrusas lapidibus gemmas propriae reddere generositati, quae utique, in tanta rerum
confusione, amitterent nobilitatem, si indicem non haberent). I sostantivi generositas e nobilitas
in modo particolare scandiscono con forza il pensiero dell’autore. In generale, sulle dinamiche
storico-culturali della Gallia di V secolo, vd. COURCELLE 1948; pp. 58-89. 117-149; LOYEN
1964, pp. 437-450; BRUGUIÈRE 1974, in partic. pp. 37-97. 189-245; HÅRLEMAN 1978, pp. 157-
169; MATHISEN 1984, pp. 159-170; KLEIN-WELDENSTEIN 1991, pp. 352-380; FÉVRIER 1993, pp.
405-427; PASCHOUD 1993, pp. 15-20; LUISELLI 1998, pp. 19-30; sul regno visigoto di Tolosa, vd.
LOYEN 1934, pp. 406-415; MATHISEN 1999, pp. 13-17; KULIKOWSKI 2001; pp. 26-38, sui vari
aspetti connessi alla presenza visigotica in Gallia (diritto, liturgia, archeologia,…), fondamenta-
le la rassegna bibliografica curata da FERREIRO 1988. La scelta per “le lettere” come discrimen
rispetto ai barbari è chiaramente consigliata anche da SIDON., epist. 8, 2, 2: […] nam iam remo-
tis gradibus dignitatum, per quas solebat ultimo a quoque summus quisque discerni, solum erit
posthac nobilitatis indicium litteras nosse; a tal proposito vd. GUALANDRI 1979, pp. 14-29; ID.
1989, pp. 526-529; GIOANNI 2004, pp. 522-524; sulle reazioni alle invasioni barbariche da parte
degli intellettuali cristiani, vd. BREZZI 1962, pp. 565-593; SIMONETTI 1980, pp. 93-117; sull’im-
magine del barbarus in età tardoantica, vd. MATHISEN 1993; PÉREZ SÁNCHEZ 1997, pp. 223-241;
HEATHER 1999, pp. 234-258; stimolante l’intervento di CRACCO RUGGINI 1993, pp. 351-367.
Valga, come sintesi pressoché generalizzata del pensiero aristocratico gallico, quanto schietta-
mente consiglia ancora Sidonio all’amico Filagrio: Barbaros vitas, quia mali putentur; ego,
etiamsi boni (epist. 7, 14, 10), quasi una riformulazione attualizzata del virgiliano timeo Danaos
et dona ferentis (Aen. 2, 49). Va tuttavia notato come l’atteggiamento di Ruricio nei confronti
degli invasori, accanto a un verisimile sentimento di smarrimento, non sembra essere stato del
tutto ostile, data la sua corrispondenza epistolare con i Visigoti Freda (epist. 1, 11) e Vittamerus
(epist. 2, 61). A tal proposito vd. MATHISEN 1999, pp. 39-40; in partic. a p. 40 si nota: «Ruricius’
low-key approach to the Goths does not, however, appear to have been the result of any anti-
pathy that he felt toward them or fear of reprisals. Indeed, he seems to have been on quite good
terms with them»; vd. anche MATHISEN 2001, pp. 101-115. Infine, come ha acutamente rilevato
SIMONETTI 1980, pp. 105-106, oltre a un’indubbio adattamento nella vita quotidiana tra gallo-ro-
mani e barbari (vd. HEATHER 1999, pp. 242-255), il fatto che nelle opere di molti autori gallici
dell’epoca (tra cui anche Ruricio), non si faccia riferimento, se non tangenzialmente, agli stra-
volgimenti di carattere socio-politico, rivela «un vero e proprio rifiuto psicologico di accettare
la sgradita realtà. Nell’impossibilità di poter in qualche modo operare per contrastare la cala-
mità inevitabile, questi esponenti dell’aristocrazia gallica esprimono col silenzio il loro dissenso
e la loro protesta: continuano, o meglio cercano di continuare a vivere, agire e soprattutto scri-
vere – sono dei letterati – come se quella spiacevole situazione non si fosse prodotta».
25 La frase è densamente retorizzante: l’iperbato aurum quoque harenis vilibus mixtum

esprime a livello formale la commistione tra materiale nobile e vile, mentre il chiasmo con so-
norità eluetur aquis, ignibus eliquetur, e la giustapposizione di elementi antitetici (acqua – fuo-
co) rende particolarmente brillante l’eloquio. Non sfugga la similarità della metafora, in ambito
retorico, di CIC., de orat. 2, 174: Ut enim si aurum cui, quod esset multifariam defossum com-
monstrare vellem, satis esse deberet, si signa et notas ostenderem locorum, quibus cognitis ipse
sibi foderet et id, quod vellet, parvo labore nullo errore inveniret, sic has ego argumentorum
notavi notas quae quaerenti demonstrant ubi sint; reliqua cura et cogitatione eruuntur.
26 Cfr. Ier 17, 13: Expectatio Israhel, Domine, omnes qui te derelinquunt confundentur, re-

cedentes in terra scribentur quoniam dereliquerunt venam aquarum viventium Dominum.


27 Cfr. ISID., orig. 13, 20, 4: Latex proprie liquor fontis est; et dicta latex quod in venis ter-
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rae lateat; vd. anche diff. 1, 437 Cod. Latex é sostantivo piuttosto raro nella letteratura latina e
di uso soprattutto poetico. Si trova per la prima volta in un frammento di sede incerta di Accio
citato da Prisciano, per testimoniare l’esistenza del sostantivo di genere femminile: non calida
latice lautus (gramm. II 169, 13). Quindi compare nei carmi di Cicerone, in Virgilio, in Lucre-
zio. Rarissimo in prosa: si trova per la prima volta in Livio (1 volta), quindi in Apuleio (6 vol-
te). L’uso dunque che ne fa Ruricio sembra essere un cultismo. Il locus ruriciano sembra dipen-
dere, almeno a livello formale, da RUFIN., Orig. in Num. 12, 1 p. 96, 15-17: Donec enim terra
tegit aquarum venas et obturat oculum fluenti, non potest puri laticis unda profluere. L’inter-
pretazione spirituale di queste parole è stata fornita alcune righe sopra: Sed revera putei, qui
sunt in anima nostra, indigent fodiente; debent enim mundari et omne, quod terrenum est, ab
iis debet auferri, ut venae illae rationabilium sensuum, quas ei inseruit Deus, puta ac sincera
fluenta producant (ll. 12-15). Così vd. anche Orig. in Gen. 12, 5 p. 112, 21-25. Va tuttavia nota-
to come la formazione richiesta da Ruricio a Esperio per il figlio sia sostanzialmente retorica.
Dunque i riferimenti ai corsi d’acqua corrente e all’unda che non fluirebbe abbondante e libera
senza l’appetitoris industria sembrano alludere alla codificata e classica immagine del flumen
per esprimere la ricchezza dell’eloquenza: vd. p. es. iuncturae quali flumen orationis (CIC., de
orat. 2, 62; Brut. 325; nat. deor. 2, 20; QUINT., inst. 9, 4, 61); flumen verborum (CIC., de orat. 2,
188; orat. 53; nat. deor. 2, 1); flumen eloquentiae (QUINT., inst. 10, 1, 61); in partic. cfr. QUINT.,
inst. 9, 4, 7: Ceterum quanto vehementior fluminum cursus est prono alveo ac nullas moras
obiciente quam inter obstantia saxa fractis aquis ac reluctantibus, tanto, quae conexa est et to-
tis viribus fluit, fragosa atque interrupta melior oratio. Per le numerose attestazioni del riuso
della metafora in età tardoantica, vd. BRUHN 1911, pp. 43-45 (flumen e torrens). Similmente vd.
anche supra 1, 1 n. 30. Il sostantivo fluentum è per lo più attestato al plurale (fluenta); le occor-
renze al singolare sono segnalate in ThLL VI-1, col. 949. Dal punto di vista stilistico si noti la
figura etimologica fluenti – fluet; la variazione sinonimica per indicare il fiume, con ricorso an-
che a termini poetici (aqua, fluentum, latex), per cui vd. ENNOD., carm. 1, 7, 1-4 (= 26V) cit.
supra 1, 1 n. 12; la clausola ritmica únda non flúet (cursus planus).
28 Immagini simili, nell’ambito di un elogium di un grammaticus (gratiarum actio gramma-

tico quando Partenius bene recitavit) in ENNOD., dict. 10 p. 456, 22 ss.: Aurum nihil est, nisi
manu conponatur artificis et fulvo pretium metallo lima fabricante iungatur: cessante industria
exigua est claritas quae venerit a natura. Fabrilibus debet studiis quod in partu suo terra lau-
datur: fornacis beneficio de latentium fetibus venarum quod in solidi transit speciem ferri do-
matur et effera hominum corda domitrice adfectione captivat. [...] Multis manifestatur indiciis
operantum diligentia aut infundi quod origo non tribuit aut quot bona tribuit custodiri.
29 Vd. VERG., georg. 1, 495: (agricola) [...] exesa inveniet scabra robigine pila. Il tema della

robigo, quale cifra della decadenza, è caro a Sidonio Apollinare. Cfr. epist. 8, 6, 18: Varronem
logistoricum, sicut poposceras, et Eusebium chronographum misi, quorum si ad te lima perve-
nerit, si quid inter excubiales curas, utpote in castris, saltim sortito vacabis, poteris, postquam
arma deterseris, ori quoque tuo loquendi robiginem summovere (a Namazio), in partic. cfr. epi-
st. 2, 10, 1 (anch’essa a Esperio): Illud appone, quod tantum increbruit multitudo desidiosorum
ut, nisi vel paucissimi quique meram linguae Latiaris proprietatem de trivialium barbarismo-
rum robigine vindicaveritis, eam brevi abolitam defleamus interemptamque. Successivamente,
al §. 6, Sidonio esorta l’amico a non temere che la compagnia delle donne possa ottundere il
suo ingenium poeticum e la sua oris lima (vd. carm. 23, 144). Il locus ruriciano sembra dipen-
dere da quest’ultima lettera sidoniana quanto alle immagini utilizzate (altri temi legati alla de-
cadenza in SIDON., epist. 3, 14, 2; 4, 17, 1-2; 9, 11, 6; ecc.). Similmente, cfr. HIER., epist. 1, 1:
[...] otium quasi quaedam ingenii robigo parvulam licet facultatem pristini siccasset eloquii; vi-
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184 Commento

ta Malchi 1: Ita et ego, qui diu tacui (silere quippe me fecit cui meus sermo supplicium est),
prius exerceri cupio in parvo opere et veluti quandam rubiginem linguae abstergere; anche se
in diverso contesto cfr. FAUST. REI., epist. 9 p. 211, 6-8: Propitia divinitate in secreto religionis
congruo et tranquillissimo silentio costituti, in quo Dominus ad rubiginem longa securitate
contractam salutiferae limam castigationis admovit. Va notato quanto fosse diffusa nella Gallia
tardoantica la preoccupazione della deriva non solo dei costumi e della civiltà, causata dall’ar-
rivo dei barbari (vd. supra n. 23), ma anche della lingua latina e della letteratura: su questi
aspetti, fondamentali LOYEN 1956, pp. 265-284; ID. 1963, pp. 437-450; GUALANDRI 1979, pp.
25-33; BANNIARD 1992, pp. 413-427; MATHISEN 1988, pp. 45-52 (con abbondanti note al testo);
ID. 1993, in partic. pp. 105 ss. Le parole conclusive dell’epistola rivelano il tenore e il valore
delle metafore del §. 2, tutte orientate nel senso dell’educazione culturale e retorica del giovane
figlio di Ruricio. Un’educazione che, come ha notato RICHÉ 1958, p. 885, veniva impartita at-
traverso un precettore, secondo il costume della nobiltà gallo-romana, nonostante la presenza
delle scuole pubbliche e, dopo il V secolo, di quelle ecclesiastiche. A tal proposito, vd. infra 1,
5 n. 4.
30 Cfr. RURIC., epist. 1, 4, 2 a Esperio: Itaque […] indignum memoria, oblivione dignissi-

mum volumen absconde, si vis et me ad arbitrium tuum oratoris famam et te probati iudicis ob-
tinere personam.

1, 4
1 Il sostantivo apex (SERV. Aen. 10, 271: < apio; vd. DELL, s. v. apex) significa originaria-

mente “sommità”, “parte più alta” ascrivibile a qualsivoglia corpo fisico: monti, colline, ecc.
Per traslato esso viene riferito dai cristiani anche alle estremità dell’albero della croce (TERT.,
adv. Marc. 3, 19, 6), al pileus posto sul capo dei sacerdoti (FEST. p. 18; TERT., apol. 15), alla co-
rona regale (HOR., carm. 3, 21, 20). Dal punto di vista grammaticale, apex indica il segno di-
stinguente una vocale lunga da una breve, come si apprende p. es. da QUINT., inst. 1, 7, 2-3:
[…] ut longis syllabis omnibus adponere apicem ineptissimum est, quia plurimae natura ipsa
verbi, quod scribitur, patent, sed interim necessarium, cum eadem littera alium atque alium in-
tellectum, prout correpta vel producta est, facit: ut “malus” arborem significet an hominem
non bonum apice distinguitur, “palus” aliud priore syllaba longa, aliud sequenti significat, et
cum eadem littera nominativo casu brevis, ablativo longa est, utrum sequamur, plerumque hac
nota monendi sumus (vd. anche SCAUR., gramm. VII 33, 5; ISID., orig. 1, 4, 18; 1, 27, 29). Indi-
cando anche l’espressione grafica delle lettere dell’alfabeto (GELL. 13, 31, 1; AUSON., grat. 16,
74 (= 419 Souchay); SIDON., epist. 2, 1, 2), per metonimia il plurale apices viene a identificare
epistole di qualsivoglia genere (ufficiali, private, ecc.), per cui vd. GLOSS. II 264, 51: gravmma
basilevw~; COD. Theod. 9, 19, 3: Serenitas nostra prospexit inde caelestium litterarum coepisse
imitationem, quod his apicibus tuae gravitatis officum consultatione relationesque
conplectitur; SIDON., epist. 4, 5, 1: Gozolas vester […] apicum meorum secundo gerulus effici-
tur; CASSIOD., var. 8, 15, 3: […] rationabile duximus ad coetum vestrum salutationis apices de-
stinare; 10, 15, 1: […] quotiens ad pietatem vestram salutiferos apices contigerit destinari; et
alii.
2 Unico caso in Ruricio dell’uso di unianimitas rispetto al più frequente unanimitas (vd. p.

es. RURIC., epist. 1, 3, 1). Il richiamo a lettere precedentemente ricevute o ad argomenti in esse
contenuti fa parte della topica dell’epistolografia, classica e tardoantica, per cui vd. CUGUSI
1983, p. 68; sul titolo onorifico unanimitas, vd. supra 1, 3 n. 3.
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I, 3-4 185

3 La locuzione è direttamente ripresa da una lettera inviata da Sidonio Apollinare a Ruricio

nel periodo a cavallo tra gli anni 470-477 (Loyen). In essa il poeta arverno apprezza lo stile
accurato e arguto dell’amico: Accepi per Paterninum paginam vestram, quae plus mellis an salis
habeat incertum est. Ceterum eloquii copiam hanc proferri, hos olet flores, ut bene appareat non
vos manifesta modo verum furtiva quoque lectione proficere (SIDON., epist. 4, 16, 1; similmente,
vd. anche epist. 8, 10, 1). Da notare il sapiente chiasmo semantico che si instaura col colon suc-
cessivo: […] tam sale quam melle respersos, in quibud nec dulcedini deesset aliquid nec sapori.
4 Il diminutivo paginula (< pagina), piuttosto raro già in epoca classica (vd. CIC., Att. 4, 8a,

2), in età tardoantica esprime topicamente la modestia di un’opera: vd. EPIST. pontif. 304 Migne
20, 539A; 306 Migne 20, 543A (epistole di papa Innocenzo I: 402-417); CONSTANT., vita Germ.
epist. p. 249, 4.
5 Tutta questa lettera assume le caratteristiche quasi forensi di un’accorata ratiocinatio, nel

tentativo dell’autore di mostrare la propria indegnità culturale e stilistica (rusticitas: vd. supra
1, 3 n. 10), secondo la topica tapeivnwsi~, giungendo addirittura, nella peroratio finale, a pa-
ventare per l’interlocutore l’ignominia, se questi oserà nuovamente esprimere giudizi lusinghie-
ri circa il volumen inviatogli, e soprattutto se si azzarderà a diffonderlo tra gli amici. L’anda-
mento stilistico-contenutistico sembra seguire la struttura di una vera e propria orazione, ottem-
perando ai tre fini dell’eloquenza antica (delectare, probare, flectere: vd. CIC., orat. 21): Ruricio
infatti si appella al suo interlocutore, con una captatio benevolentiae in cui convergono retorica
e sentimento (recepi apices… discrepare iudicio); prospetta quindi la propria tesi con argomenti
validi e con metafore atte a comprovare la veridicità di quanto sostiene (dum enim paginulae…
verecundiam); conclude con una veemente peroratio, in cui lo stile si fa incalzante e maggior-
mente “patetico” (et idcirco… personam). In questa epistola è altresì possibile reperire la classi-
ca divisione in parti dell’orazione, secondo quanto codificato dalla tradizione retorica: exordium
(recepi… sapori), partitio (qui… iudicio), narratio (dum enim… ostenderes), confirmatio - re-
prehensio (sicuti in ieiunio… verecundiam), conclusio (et idcirco… personam). Vd. CIC., inv. 1,
7, ripreso da CASSIOD., inst. 2, 2, 2. Questa lettera è brevemente commentata da HAGENDAHL,
1952 pp. 92-93; MATHISEN 1993, pp. 106-107. Dal punto di vista dello stile, si noti la figura eti-
mologica aptae… ineptia… aptatae in sonorità con i sostantivi vituperationi e rusticitatis.
6 Affluentia, col suo ambito semantico, è vocabolo frequentemente usato dagli autori per

esprimere l’abbondante eloquio di chi parla o scrive: vd. LACT., inst. 4, 18, 12; FIRM., math. 1,
5, 3 (sermonis affluentia); ENNOD., epist. 3, 28 p. 92, 21 (oris affluentia); CASSIOD., var. 10, 7, 2
(affluentem facundiam). In Ruricio vd. epist. 2, 4, 11 (affluentia verborum); altre occorrenze in
BRUHN 1911, p. 42. La iunctura oris facundia si trova già in OV., fast. 1, 21; quindi solo in HI-
ST. Apoll. rec. B, 36; rec. C, 36. Da notare la fine gradatio ascendente ingenium – os – sermo
(cfr. RHET. Her. 4, 25, 34: Gradatio est, in qua non ante ad consequens verbum descenditur,
quam ad superius ascensum est; vd. anche LUCIL. 1133).
7 Linguaggio equivoco e allusivo: […] tristes ac ieiuni Pollionem aemulantur, otiosi et supi-

ni, si quid modo longius circumduxerunt, iurant ita Ciceronem locuturum fuisse (QUINT., inst.
10, 2, 17). Dopo aver celebrato l’affluentia sermonis di Esperio, attraverso l’icastica immagine
idrica, antifrasticamente Ruricio vi contrappone l’icona del terreno arido, metaforico riferimen-
to alla sua imperitia. Quanto alla ieiunitas come vizio del discorso, vd. infra 1, 9 n. 11.
8 Ruricio sembra mutuare queste espressioni agresti da una lettera inviatagli da Sidonio at-

torno all’anno 471 (Loyen): Nam moris est eloquentibus viris ingeniorum facultatem negotio-
rum provare difficultatibus et illic stilum peritum quasi quondam fecondi pectoris vomerem fi-
gere, ubi materiae sterilis argumentum velut arida caespitis macri glaeba ieiunat. Scaturrit
mundus similibus exemplis: medicus in desperatione, gubernator in tempestate cognoscitur (SI-
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186 Commento

DON., epist. 8, 10, 2). Similmente, cfr. RURIC, epist. 1, 11, 2: Illic enim industria vestra contulit,
quod soli natura non protulit (vd. anche n. ad loc.)
9 Vale la pena notare come chi scrive lettere identifichi la propria opera ora con epistula ora

con litterae. Nei due lemmi, pressoché sinonimici (e traducibili senza dubbio col medesimo vo-
cabolo), si può tuttavia intravedere, a un’analisi meticolosa, uno scarto semantico. Se epistula
identifica per lo più la missiva come oggetto, da un punto di vista materiale, litterae sembra ave-
re un’attenzione maggiore a quello che è il contenuto e la forma. Così si esprime L. GAVOILLE
2002, pp. 13-36: «Epistula est employé pour désigner la lettre comme objet» (p. 13); «Litterae
est en effet susceptible d’être analysé comme un nom de la parole et comme le lieu d’accomplis-
sement d’un act de parole» (p. 20). Ovviamente la suddivisione non è così netta, tanto che, come
accade nel presente caso, gli autori spesso usano indifferentemente ora un termine ora l’altro.
10 Ubertas, nel linguaggio della retorica, esprime una qualifica positiva del sermo: il suo ric-

co ornatus stilistico (vd. p. es. CIC., de orat. 1, 50; QUINT., inst. 10, 1, 13) Il fatto che un testo
sia “prezioso” dal punto di vista dello stile è un elemento qualificante del gusto post-classico,
di matrice asiana, specie nella Gallia di IV-VI secolo. Cfr. SYMM., epist. 2, 8, 1: Ausim dicere
uberiorem rebus quam verbis fuisse illius epistulae paginam; 3, 10, 1: […] laus enim est inge-
nii, cum desideratur ubertas; HIER., epist. 125, 6: […] ut ubertatem Gallici nitoremque sermo-
nis gravitas Romana condiret, nec calcaribus in te, se fraenis uteretur; ENNOD., epist. 1, 13, 5
Gioanni: Salve, mi domine, et quod in damno promissi foederis neglexisti restituit ubertate ser-
monis. A proposito di uno “stile compositivo gallico” che va assumendo peculiarità sue distinti-
ve, oltre alla già citata epistola geronimiana, vd. quanto lo scrittore dalmata scrive relativamen-
te al Gallicanus cothurnus di Reticio di Autumn (epist. 37, 3) e di Ilario di Poitiers (epist. 58,
10); quindi vd. BRUHN 1911, pp. 46-49; NORDEN 1986, pp. 639-643; GUALANDRI 1989, p. 527.
11 Cfr. CASSIAN., c. Nest. praef. 5: Tua ergo haec res, tuum negotium, tui pudoris opus est.

Ora et obsecra, ne imperitia mea periclitetur electio tua, et opinioni tantae nobis non respon-
dentibus, etiamsi ego per oboedientiae veniam bene pareo, tu tamen per inconsiderantiam iudi-
cii male imperasse videaris; cfr. anche RURIC., epist. 1, 3, 3: Tuum ergo nunc, tuum est in his
omnibus et opinioni tuae et nostro pariter respondere iudicio, ne aut tu praesumpsisse inlicite
aut nos inconsiderate elegisse videamur (vd. nn. ad loc.).
12 Tipica dell’epistolografia di tutti i tempi e di tutti i generi è la forma allocutoria crede

mihi / si mihi credis, per la quale vd. CUGUSI 1983, p. 80-81.


13 Costrutto retoricamente tornito: al chiasmo, si aggiunge la duplice antitesi tra i due so-

stantivi (memoria - oblivione) e i due aggettivi (indignum - dignissimum), il secondo dei quali
opera una variatio morfologica quanto al grado dell’aggettivo stesso.
14 Ruricio prega Esperio di nascondere lo scritto inviatogli, in quanto immeritevole di essere

letto e conosciuto. Similmente cfr. FAUST. REI., grat. pr. p. 3, 11-15 (a Leonzio di Arles): Quod
vero ad ordinanda ea, quae conlatione publica doctissime protulistis, operam infirmis humeris
curamque mandastis, parum, ut reor, tanto negotio, parum sanctae existimationi vestrae consu-
luistis, me iudicio caritatis, vos periculo electionis onerastis; CLAUD. MAM., anim. praef. p. 20,
11- 16 (a Sidonio Apollinare): En legisti, eruditissime virorum, quod lectitabis: tu modo faxis
uti memineris non absque cura tui prodi oportere, quod publicari iubes. Neque ego de negotii
pondere, sed de actionis levitate dubitaverim. Proinde consilium tuum adserito et defensitato:
quoniam, si in his secus aliquid, ego conscriptionis periclitabor, sed tu editionis; RURIC., epist.
1, 10, 3: Haec ergo […] dictavi, quae peritia tua et probitas tua, si amici verecundiae consu-
luerit, aut celare debebit aut emendare curabit. «One of the functions of the request theme is to
free the writer from a certain amount of the responsability for the work. When the request was
strengthened over the years to become an order, the author could transfer both the honour and
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I, 4-5 187

the responsibility onto the dedicatee» (JANSON 1964, p. 124). Su questo topos vd. JANSON 1964,
pp. 124. 141-143.

1, 5
1 La spes cui fa riferimento Ruricio è identificabile col figlio affidato alle cure di Esperio.

L’immagine è biblica. Cfr. Tb 10, 4: Heu heu me fili mi, ut quid te misimus peregrinari […]
spem posteritatis nostrae. Tuttavia, il fatto di identificare la progenie, di uomini o di animali,
come speranza è già un uso classico. Cfr. p. es. CIC., fam. 14, 4, 6: Mea Terentia, fidissima at-
que optima uxor, et mea carissima filiola et spes reliqua nostra, Cicero, valete; VERG., ecl. 1,
14-15: Hic inter densas corylos modo namque gemellos, / spem gregis, a silice in nuda conixa
reliquit; OVID., epist. 3, 93-94: […] fratribus orba / devovit nati spemque caputque parens;
QUINT., inst. 6 prooem. 12: Tuosne ego, o meae spes inanes, labentis oculos, tuum fugientem
spiritum vidi?. Così cfr. AUG., in psalm. 131, 19: Ipsa spes tamquam in filiis dicta est; quia ho-
minis in hac vita viventis spes filii sunt, fructus filii sunt.
2 «Auch für ille “jener” steht ipse im Spätlatein, namentlich bei Autoren, die ille bereits in

Artikelnfunktion verwenden» (LHS II p. 190).


3 Cfr. Gn 1, 11-12: Et ait (scil. Deus): «Germinet terra herbam virentem et facientem semen

et lignum pomiferum facies fructum iuxta genus suum, cuius semen in semet ipso sit super ter-
ram». Et factum est ita. Et protulit terra herbam virentem et adferentem semen iuxta genus
suum, lignumque faciens fructum et habens unumquodque sementem secundum speciem suam.
4 Lunga e articolata metafora con cui Ruricio chiede informazioni circa l’educazione del fi-

glio, identificato come ramusculus. Il lessico è propriamente quello agricolo-botanico: ramu-


sculus, flosculus, sapor, odor, flores, germina, vertere, transferre, mitescere, excoquere (a tal
proposito vd. BRUNO 1958 e il più recente ANDREI 1981). L’ambiguità è sciolta solo verso la fi-
ne della frase, dove si fa riferimento al dulcis cibus eloquentiae. Ramus, di cui ramusculus è di-
minutivo, alterna il significato proprio di “parte della pianta” a quello traslato di “ramo dell’al-
bero genealogico”, venendo così a indicare un rapporto di parentela, già in epoca classica. Cfr.
PERS. 3, 27-28: An deceat pulmonem rumpere ventis / stemmate quod Tusco ramum millesime
ducis. Nella Sacra Scrittura il diminutivo si trova una sola volta, con significato proprio: vd. Is
18, 5. Quanto all’uso traslato in età cristiana, cfr. HIER., epist. 133, 3: Doctrina tua Origenis ra-
musculus est. Tre secoli dopo Isidoro propriamente scriverà: Stemmata dicuntur ramusculi,
quos advocati faciunt in genere, cum gradus cognationum partiuntur, ut puta ille filius, ille pa-
ter, ille avus, ille agnatus, et ceteri (orig. 9, 6, 28). Il medesimo procedimento analogico vale
per flosculus, diminutivo di flos. Anche in questo caso il lemma alterna dinamicamente un si-
gnificato proprio (fiore) a uno metaforico (abbellimento stilistico). Cfr. CIC., Brut. 233: In
huius oratione sermo Latinus erat […] nullus flos tamen; QUINT., inst. 8, 3, 87: Alia copia locu-
ples, alia floribus laeta. Lo stesso dicasi per flosculus, che vale “fiorellino” tanto quanto “ab-
bellimento”, “frase a effetto”. Cfr. QUINT., inst. 2, 5, 22: Alterum, quod huic diverum est, ne re-
centis huius lasciviae flosculis capti voluptate prava deleniantur; HIER., epist. 36, 14: […] nec
ex flumine Tulliano eloquentiae ducendus est rivulus, nec aures Quintiliani flosculis et scolari
declamatione mulcendae. Numerose le occorrenze in età tardoantica, per uno specimen delle
quali vd. BRUHN 1911, pp. 37-38. Dati questi elementi, è ancora più evidente quali risultati Ru-
ricio si aspettasse dall’opera di Esperio: una vera e propria educazione retorica, tipica dei gio-
vani di buona famiglia della Gallia di V-VI secolo, che fornisse una solida formazione culturale
e così sfamasse il desiderio dei genitori dulci eloquentiae cibo. Su questo locus, vd. ENGELBRE-
CHT 1892, p. 25; per il sistema educativo in Gallia in epoca tardoantica, vd. HAARHOFF 1920;
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 188

188 Commento

RICHÉ 1958, pp. 873-888; RICHÉ 1970, pp. 9-34; MARROU 1972, pp. 127-143; RICHÉ 1972,
pp. 231-253; ROUCHE 1981, pp. 124-219; KASTER 1983, pp. 323-346; RICHÉ 1984, pp. 17-51,
in partic. pp. 24-28; sulle dinamiche Cristianesimo - Bildung pagana, utile il recente studio di
GEMEINHARDT 2007, in partic. pp. 129 ss.; sull’immagine del cibo spirituale o intellettuale, vd.
infra 1, 6 n. 10.
5 Dalla descrizione che ne segue si intuisce chiaramente che la stagione in cui Ruricio sta

scrivendo è la primavera.
6 Consueto passaggio improvviso dal tu al vos, proprio dell’epistolografia tradoantica, per

cui vd. supra 1, 1 n. 11. Tuttavia è possibile ritenere che nel vos sia compreso anche il figlio di
Ruricio affidato alle cure scolastiche di Esperio.
7 Sulla semantica e l’usus dell’aggettivo elinguis, vd. supra 1, 3 n. 5.
8 Cfr. Gn 2, 20: Appellavitque Adam nominibus suis cuncta animantia et universa volatilia

caeli et omnes bestias terrae (vd. anche Gn 1, 20-22); Act 11, 6: In quod intuens considerabam
et vidi quadrupedia terrae et bestias et reptilia et volatilia caeli.
9 Cfr. LEO M., serm. 29, 1: Dei ergo gloria est ex matre virgine Christi nascentis infantia, et

reparatio humani generis merito in laudem sui refertur auctoris. Similmente vd. infra 1, 9, 2; 2,
34, 1; sull’uso possessivo dell’aggettivo proprius, vd. supra 1, 2 n. 32.
10 Ruricio declina abilmente, in una fine variatio lessicale, una ricca sinonimia per esprimere

la varietà del verso che ciascun animale emette, quasi fosse un unico, variegato inno di lode a
Dio Creatore: sibilus, vox, sonus (con figura etimologica: dissonus), os, concentus. La descrizio-
ne viene sapientemente effettuata in una climax ascendente, per cui si passa dalla considerazione
degli animali inizialmente qualificati come elinguia all’identificazione di un modo loro proprio
di espressione, che sfocia nel concentus, che etimologicamente viene proprio a esprimere l’ar-
monico accordo di suoni diversi. La martellante allitterazione della sibilante /s/ fornisce alla fra-
se un efficace fonosimbolismo; non sfugga l’homoeoprophoron proprii… promere… produnt.
Cfr. GLOSS. II 106, 49: Concentus sunwdh`~ suvgkrasi~ suvnyalma. Ma Ruricio dà a intendere
come non solo ci sia unanimità di voci, ma anche di sentimenti: al concentus / sumfwniva si ag-
giunge un consensus / sumpavqeia. Per questo accostamento, vd. CIC., div. 2, 34.
11 La primavera è per il mondo creato una sorta di ciclica resurrezione annuale. L’homoeo-

prophoron del preverbo re- nella iunctura rediviva reparatur, ripreso dal successivo resurrec-
tionis, conferisce particolare espressività all’eloquio, evocando quanto proclamato nel prefazio
della liturgia pasquale: (Christus) […] vitam resurgendo reparavit (CORP. praef. 1527 ll. 4-5).
In modo particolare, è interessante notare la deriva semantica a cui è andato incontro nella let-
teratura latina l’aggettivo redivivus. Utilizzato in epoca classica nel linguaggio dell’architettura
col significato di “riusato”, “riutilizzato” (cfr. CIC., Verr. II 1, 147; CATULL. 17, 3; VITR. 7, 1, 3),
esso viene inteso dai Cristiani, per etimologia popolare, nell’accezione di “colui che ritorna a
nuova vita”, “resuscitato”. Cfr. CYPR., eleem. 6: Mors itaque suspenditur et spiritus redditur et
mirantibus ac stupentibus cunctis ad hanc mundi denuo lucem redivivum corpus animatur; AM-
BR., spir. 3, 19, 150: (ossa) […] in formam redivivi corporis vivificante spiritu revertantur;
PAUL. NOL., carm. 26, 357: Cum steterit toto redivivus corpore Felix; et alii. La locuzione redi-
viva reparatur sembra essere di ascendenza ambrosiana: […] radix enim est familia Iudaeo-
rum, virga Maria, flos Mariae Christus, qui veluti bonae arboris fructus pro nostrae virtutis
processu nunc floret, nunc fructificat in nobis, nunc rediviva corporis resurrectione reparatur
(in Luc. 2, 24); Est etiam corpus ecclesia, in qua per Baptismi gratiam renovamur spiritu et oc-
cidua senectutis in redivivas reparantur aetates (in Luc. 8, 56); vd. anche in Luc. 10, 34, cit. in-
fra n. 18. Similmente vd. anche RURIC., epist. 2, 54, 1 (veteris amoris redivivum reparetur in-
cendium). Sulla polisemia del preverbo re-, vd. MOUSSY 1997, pp. 227-242.
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12 Cfr. CYPR., Demetr. 7: Si terra situ pulveris squaleat. L’enumeratio asindetica di costrutti

paralleli insiste sull’inospitalità della natura prima dell’avvento della primavera. Forti i contra-
sti tra vocali chiare e scure.
13 In questo delicato quadro di rinascita primaverile, Ruricio, con molta semplicità, attribui-

sce al ciclo della natura una funzione pedagogica, sostegno alla humana fragilitas: il visibile il-
lumina così l’invisibile. La simbolicità del creato e la sua funzione odegetica era già stata rav-
visata dalla Sacra Scrittura, come p. es. in Hbr 11, 1-3: Est autem fides sperandorum substan-
tia, rerum argumentum non parentum. In hac enim testimonium consecuti sunt senes. Fide in-
tellegimus aptata esse saecula verbo Dei, ut ex invisibilibus visibilia fierent. Guardando pertan-
to al ciclo naturale di morte (inverno) e rinascita (primavera), l’uomo può trarre alcune consi-
derazioni circa la sua sorte futura (spem venturae melioris aetatis), corroborando la speranza
della vita eterna. L’associazione del fenomeno della resurrezione alla rinascita primaverile è già
topico. Cfr. p. es. AMBR., in Luc. 10, 34 (vd. infra n. 18); PAUL. NOL., carm. 31, 239-240: Vere
resurgenti cunctis nova rebus imago / post hiemis mortem vivificata redit; PETR. CHRYS., serm.
103, 4: […] ut cum ver dominici adventus adriserit, corporum nostrorum matura tunc viriditas
vitalem resurgat in messem. La reparatio cristica e la futura aetas possono evocare per contra-
sto echi lucreziani: Nam quidvis citius dissolvi posse videmus / quam rursus refici; quapropter
longa diei / infinita aetas ante acti temporis omnis / quod fregisset adhuc disturbans dissolven-
sque, / numquam relicuo reparari tempore posset. / At nunc nimirum frangendi reddita finis /
certa manet, quoniam refici rem quamque videmus / et finita simul generatim tempora rebus /
stare, quibus possint aevi contingere florem (1, 556-564). Per quanto riguarda l’ornatus, si noti
l’homoeoprophoron scandito dalla preposizione de- e la figura etimologica con antonimia
spem… desperatione.
14 Meatus è voce tecnica propria del linguaggio dell’agrimensura. Già usato in epoca classi-

ca con valore proprio di “canale per acque” (vd. COLUM. 8, 17, 3), si trova anche in epoca tarda
col medesimo significato. Ancora Isidoro userà il vocabolo come tecnicismo, ma con un inte-
ressante accostamento: […] et sicut in corporibus nostris respirandi habentur commercia, ita
quidam aiunt in profundis oceani esse quosdam meatus ventorum spiritu, veluti mundi nares,
per quas emissi anhelitus vel retracti alterno accessu recessuque nunc evaporante spiritu ef-
flent maria, nunc retrahente reducant (nat. 40, 1; vd. anche 62, 2). Un secondo significato del
lemma è connesso con la fisiologia: indicherebbe pertanto “canali interiori del corpo umano”.
Cfr. HIER., in Matth. 15, 17 ll. 1519-1522: Quamvis enim tenuis umor et liquens esca […] per
occultos meatus corporis, quos Graeci povrou~ vocant, ad inferiora dilabitur; ISID., orig. 11, 1,
105: Meatus inde appellatus (l’ano), quia per eum meant, id est egeruntur, stercora. Un’ulterio-
re valenza di meatus, forse quella più significativa nel nostro contesto, è quella ginecologica:
meatus spermaticus indicherebbe le tube dell’apparato genitale femminile. Cfr. SORAN. p. 10,
5-8: Quid est spermaticus meatus? Per quem mulieres semen excludunt. Et sunt positi iuxta
matricis latera, et per testiculos singulos exeuntes ad vescicae collum iunguntur. A questo si
aggiunga che sinonimo di meatus spermaticus è anche vena (vd. VINDIC., gyn. 35; ma vd. anche
PRIAP. 33, 2; PERS. 6, 72, in cui indica il membro maschile), sostantivo che Ruricio utilizza nel
descrivere il momento del parto (venas laxat ad partum). E tuttavia vena è anche tecnicismo
del linguaggio dell’agrimensura (vd. VITR. 8, 1, 2; FRONTIN., aq. 68, 2). Si nota pertanto come il
locus in questione sia costruito con un linguaggio altamente equivoco ed espressivo (semen,
meatus, venae, partus), in cui al contempo coesistono l’ambito semantico agricolo e quello me-
dico-ginecologico. Similmente la correlazione tra primavera e furor sessuale era già ampiamen-
te vulgato dagli autori pagani: vd. p. es. LUCR. 1, 1-20. 250-264; 2, 992-1022; 5, 783-820;
HOR., carm. 1, 4; 4, 7; 12; VERG., georg. 2, 323-327; COLUM. 10, 196-199. 208; AL 235 (= 227
Sh. B.), 1-6; PERVIG. Ven. 1-8; et alii.
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190 Commento

15 Cfr. VERG., georg. 2, 323-324: Ver adeo frondi nemorum, ver utile silvis, / vere tument

terrae et genitalia semina poscunt.


16 Il periodo è articolato di fatto sull’iperbato (sterili rigore conclausas […] venas) che in-

clude al suo interno le due metafore biologiche (quasi virili semine ita verno tempore concepto,
occultis maritata meatibus). Il pensiero rimane così sospeso nel suo volgere logico, quasi l’au-
tore volesse creare retoricamente lo stato di ansia proprio della donna in procinto di partorire,
ai fini di rendere più espressivo il contenuto della frase. Ma a livello puramente stilistico, l’am-
pio iperbato e l’abbondante materiale lessicale in esso incluso evocano anche l’immagine del-
l’occlusione dovuta al ghiaccio che impedisce alla falda acquifera di fluire. Il part. perf. con-
clausas con dittongo etimologico aperto (< claudo), oltre al contenuto, può lasciare supporre la
lettura di COLUM. 3, 12, 2: Idem enim Graecinus sic ait: «Esse aliquam terram calidam vel fri-
gidam, umidam vel siccam, raram vel densam, levem aut gravem, pinguem aut macram; sed
neque nimium calidum solum posse tolerare vitem, quia inurat, neque praegelidum, quoniam
vel stupentis et congelatas radices nimio frigore moveri non sinat, quae tum demum se pro-
munt, cum modico te[m]pore evocantur; umorem terrae iusto maiorem putrefacere deposita se-
mina: rursus nimiam siccitatem destituere plantas naturali alimento, aut in totum necare aut
scabras et retorridas facere; perdensam humum caelestis aquas non sorbere nec facile perflari,
facillime perrumpi et praebere rimas, quibus sol ad radices stirpium penetret, ea<n>demque
velut conclausa et coartata semina conprimere atque strangulare: raram supra modum velut
per infundibulum transmittere imbres et sole ac vento penitus siccari atque exarescere; gravem
terram vix ulla cultura vinci: levem vix ulla sustineri; pinguissimam et laetissimam luxuria,
macram et tenuem ieiunio laborare; cfr. anche COLUM. 10, 202-203: Et iam ceruleo partus
enixa marito / utraque (Teti e Anfitrite) nunc reserat pontumque natantibus implet; CIC., Cato
51: Quae (scil. terra) cum gremio mollito ac subacto sparsum semen excepit, primum id occae-
catum cohibet, ex quo occatio quae hoc efficit nominata est, dein tepefactum vapore et com-
pressu suo diffundit et elicit herbescentem ex eo viriditatem, quae nixa fibris stirpium sensim
adulescit culmoque erecta geniculato vaginis iam quasi pubescens includitur; ex quibus cum
emersit, fundit frugem spici ordine structam et contra avium minorum morsus munitur vallo
aristarum; HOR., carm. 4, 12, 3-4: Iam nec prata rigent nec fluvii strepunt / hiberna nive
turgidi; VERG., georg. 2, 330-331: Parturit almus ager Zephyrique tepentibus auris / laxant ar-
va sinus; AMBR., off. 1, 14, 55: Quid autem tam stolidum quam putare quod Deum quidquam
praetereat, cum sol qui minister luminis est etiam abdita penetret et in fundamenta domus vel
secreta conclavia vis caloris eius irrumpat? Quis neget verna temperie tepefieri interiora ter-
rarum quas glacies hiberna constrinxerit?.
17 La serie parallela di dativi retti da altrettanti aggettivi (enumeratio asindetica) ha funzione

finale (dativus finalis). Già ben presente nella latinità classica (vd. VARRO, rust. 1, 60; CAES.,
civ. 1, 49, 1; ecc.), dall’epoca imperiale si ha una reazione letteraria in favore dell’uso del dati-
vo finale al posto di un genitivo o di una costruzione perifrastica. Cfr. VERG., Aen. 3, 305: Et
geminas, causam lacrimis, sacraverat aras; TAC., ann. 14, 38, 2: Sed nihil aeque quam fames
adfligebat serendis frugibus incuriosos. Piuttosto stucchevoli le figure di suono, quali assonan-
ze e paronomasie: suave - esui - usui; victui - visui; da notare come Ruricio coinvolga quasi
l’intera gamma sensoriale, in un cromatismo sinestetico di gusto particolarmente prezioso. Si-
milmente cfr. PS. PAUL. NOL., carm. app. 3, 21-22: Lata mari, terris gravia, splendentia caelo, /
aere mobilia; ORIENT., comm. 1, 105-106: Quod manibus tangis, graderis pede, lumine cernis, /
aure audis, sentis naribus, ore probas; 2, 373: Ore sacer, celsus solio, terrore verendus.
18 Circa l’attribuzione dell’inizio della creazione del mondo al periodo primaverile, Ambro-

gio, nell’Hexaemeron, afferma: «E lo stesso potremmo ripetere anche di quel detto “questo me-
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se sarà per voi il principio dei mesi” (Ex 12, 2); benché ciò si riferisca pure al tempo, parlando-
si ivi della Pasqua del Signore che si celebra all’inizio di primavera. Onde si ricava che Iddio
fece il cielo e la terra in questo principio dei mesi, essendo opportuno che il mondo prendesse
principio da un punto opportuno per tutte le cose (Ubi erat opportuna omnibus verna tempe-
ries), come è appunto la temperatura primaverile. E per questo, l’anno ci dà l’immagine del na-
scere del mondo (Unde et annus mundi imaginem nascentis expressit), brillando più sereno del
solito lo splendore di primavera, dopo le nebbie invernali. […] Nel qual fatto e la costante mi-
tezza della divina provvidenza e la celerità del germinare della terra depone anch’essa a favore
dell’ipotesi della primavera. […] Onde mostrare come la creazione del mondo avvenisse in pri-
mavera, la Scrittura dice: “questo mese, per voi principio dei mesi, sarà per voi il primo fra i
mesi dell’anno”, chiamando primo mese la primavera. Chè ben si addiceva che principio del-
l’anno fosse il principio della generazione, e che la generazione stessa fosse favorita da più te-
pide aure; non potendo i teneri germi sopportare il travaglio di un freddo troppo aspro, né resi-
stere alla violenza degli estivi calori (Neque enim possent tenera rerum exordia aut asperioris
laborem tolerare frigoris aut torrentis aestus iniuriam sustinere)» (hex. 1, 4, 13, trad. E. Paste-
ris). Ancora cfr. AMBR., in Luc. 10, 34: […] hieme etenim arbores ventus suo honore dispoliat
et asperitas frigoris teneras frondes in speciem mortis interficit; vere autem resurgunt semina
et tamquam nova aestas naturae viridantis adolescit. Vere Pascha est, quando servatus sum;
aestate est Pentecoste, quando Resurrectionis gloriam celebramus ad instar futuri, in cui la pri-
mavera è messa in rapporto alla risurrezione. Già Virgilio, prestando fede a un’antica tradizio-
ne, collocava in primavera l’inizio dei giorni dell’uomo: Non alios prima crescentis origine
mundi / inluxisse dies aliumve habuisse tenorem / crediderim; ver illud erat, ver magnus agebat
/ orbis (georg. 2, 336-339). Pochi versi dopo si legge inoltre: Nec res hunc tenerae possent per-
ferre laborem / si non tanta quies iret frigusque caloremque / inter et exciperet caeli indulgen-
tia terras (vv. 343-345). Originale l’immagine della primavera che, come clementissima altrix,
nutre il mondo creato ancora in incunabulis (tuttavia già LUCR. 5, 809-815 paragonava il rigo-
glio della terra creatrice all’ubertosità della donna dopo il parto, quod omnis / impetus in mam-
mas convertitur ille alimenti). La primavera viene quindi a essere identificata dagli autori
cristiani come la stagione perennemente presente nel paradiso: PRUD., cath. 3, 103 (ver perpe-
tuum); VICT., aleth. 1, 228 (aeternum ver); SIDON., carm. 2, 409 (ver continuum); ALC. AVIT.,
carm. 1, 222 (ver adsiduum); DRAC., laud. dei 1, 199 (ver perpetuum), riallacciandosi a una tra-
dizione che MORISI 1996, p. 116 identifica già presente in HOM., Od. 7, 117-119 (il giardino di
Alcinoo), assunta in epoca classica per descrivere l’età dell’oro (vd. VERG., georg. 2, 149; OV.,
met. 1, 107), ma anche per esprimere in genere l’amenità dei luoghi (vd. HOR., carm. 2, 6, 17-
18; OV., met. 5, 391; IUV. 7, 208).
19 Cfr. AMBR., hex. 3, 8, 34: Ast ubi se geniculata iam spica sustulerit, vaginae quaedam fu-

turae frugi parantur, in quibus granum formatur interius, ne tenera eius primordia aut frigus
laedat aut solis aestus exurat aut ventorum inclementia vel imbrium vis saeva decutiat. Si noti
il tricolon parallelo con allitterazione della polivibrante /r/ e assonanza delle vocali chiare /a/,
/e/, oltre alla variatio grammaticale del terzo colon (aestivus fervor… hiemalis algor… vento-
rum flabra).
20 Sul valore del lemma susceptus, vd. infra 2, 48 n. 1.
21 Cfr. PHOEBAD., c. Arian. 16, 6: Quae ista est, rogo, cordis hebetudo? Quae oblivio spei?;

HIER., epist. 147, 3: Quamquam ne ista quidam tibi prae nimia cordis hebetudine intellegenda
concesserim.
22 Il verbo garrio indica il suono emesso da volatili o altri animali, generalmente fastidioso

o sgradevole (gracchiare delle rane, latrato di cani, ecc.). Nel linguaggio familiare esprime an-
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192 Commento

che il colloquiare su argomenti leggeri o di poco conto (PLAUT., Aul. 830; Curc. 604; HOR.,
serm. 2, 6, 77) Per traslato arriva dunque a connotare anche colui che si esprime in maniera
rozza o povera di contenuti: Garrire, quasi inepte strepere (NON. p. 116, 36); Loquitur qui recte
et temperate dicit, garrit qui multa verba dicit aut sordide loquitur (ISID., diff. 1, 226 Cod.). In
questo senso viene talora utilizzato anche nelle professioni di affectata modestia. Cfr. PAUL. PE-
TRIC., carm praef. 1: […] cum obtecto ore in eo loco verecundius silentio conticescerem quam
inperita verbositate garrire; VEN. FORT., carm. praef. 5: […] deroso flore carminis poema non
canerem sed garrirem.
23 Decisa presa di posizione di Ruricio nei confronti del figlio, tramite il retore Esperio. Ru-

ricio sembra aver perso la pazienza, si è stancato di attendere inutilmente risultati che non giun-
gono mai: se dunque il figlio non diventerà mai un grande oratore, almeno faccia intendere
qualche notizia della propria attività scolastica, anche la più meschina (come ben sottolinea l’e-
sclamazione che chiude l’epistola). Da notare l’attento utilizzo della prefissazione clamare -
declamare, con sottile equivocità: se il primo significa “emettere un forte suono con la voce”,
“gridare”, detto di uomini o di animali, il secondo, in composizione con il prefisso intensivo
de-, ha la duplice valenza di “gridare molto forte” oppure, più tecnicamente, “recitare declama-
zioni”. L’immagine è chiaramente iperbolica, al limite dell’adynaton: se anche gli animali, nel-
la stagione primaverile, acquisiscono nuovo vigore, a Ruricio sembra inverosimile che solo suo
figlio rimanga inerte e improduttivo. La iunctura pecudes – volucres risulta già tradizionale per
esprimere il mondo animale in generale: vd. p. es. LUCR. 1, 12. 14; VERG., Aen. 4, 525; georg.
3, 243; MANIL. 3, 654; COLUM. 10, 210; SIL. 15, 86; STAT., silv. 5, 4, 3; Theb. 1, 339; 10, 141; et
alii. Interessante l’abbinamento al sostantivo homines in contesto “primaverile” (come nel caso
presente) in VERG., georg. 3, 242-244: Omne adeo genus in terris hominumque ferarumque / et
genus aequoreum, pecudes pictaeque volucres, / in furias ignemque ruunt: amor omnibus idem;
COLUM. 10, 209-211: Hinc maria, hinc montes, hinc totus denique mundus / ver agit, hinc ho-
minum pecudum volucrumque cupido / atque amor ignescit menti saevitque medullis.

1, 6
1 L’aggettivo al grado superlativo piissimus ha una sfera di applicazioni molto vasta: si rife-

risce sia a laici che a ecclesiastici, all’imperatore e al vescovo tanto quanto a un nobile o a un
sacerdote (per questo vd. O’BRIEN 1930, pp. 136-137). L’ambito semantico dell’aggettivo pius
è compreso tra la pietà religiosa (cfr. AUG., civ. 14, 13: Sed pia humilitas facit subditum supe-
riori) e la benevolenza di affetti (cfr. Idt 7, 20: Tu quia pius es miserere nostri). Il sostantivo
pater di per sé sarebbe sempre in rapporto a vescovi o al papa; tuttavia lo si incontra anche in
epistole, come la presente, indirizzate a persone con cui il mittente ha un particolare legame di
affetto. Così l’aggettivo sanctus, normalmente riferito a vescovi (vd. ENGELBRECHT 1892, p.
74), non manca di essere applicato anche a presbiteri, come in questa lettera, o ad altri ecclesia-
stici (vd. FAUST. REI., epist. 7 p. 200, 5 al diacono Greco). Il fatto Nepoziano venga identificato
con l’epiteto di pater, lascia supporre che la stesura di questo breve scritto sia antecedente il
485, anno dell’episcopato di Ruricio.
2 Per il titolo sanctitas vestra, vd. supra 1, 1 n. 35.
3 Tipico della Gallia tardoantica è lo scambio culturale tra intellettuali, spesso riuniti in veri

e propri circoli letterari. «L’élite galloromana, egemone dal punto di vista politico, dotata di no-
tevoli disponibilità finanziarie, estremamente ristretta e fortemente coesa al suo interno (grazie
anche ad un’accorta politica matrimoniale), amava dedicarsi alle litterae in una forma, raffinata
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I, 5-6 193

ed esclusiva, che era ben lungi dall’essere fine a se stessa. Infatti, nel dedicarsi allo studio dei
“classici”, così come nel farsi essi stessi autori, i nobili galloromani invenivano le ragioni della
propria identità, il senso profondo della loro “diversità” – e soprattutto della loro superiorità –
rispetto all’ormai dilagante realtà rappresentata dalle popolazioni barbariche» (SANTELIA 2003,
p. 2). Si legga con quanto entusiasmo Sidonio descrive questi “simposi letterari” (carm. 23,
436-441): O dulcis domus, o pii penates, / quos (res difficilis silique discors) / libertas simul
excolit pudorque! / O convivia, fabulae, libelli, / risus, serietas, dicacitates, / occursus, comita-
tus, unus idem; su questo argomento vd. LOYEN 1943, pp. 77-98; GUALANDRI 1979, pp. 15-20;
MATHISEN 1981, pp. 95-109; LA PENNA 1995, pp. 3-34; WOOD 2002, pp. 416-436; SANTELIA
2003, pp. 1-29, in partic. p. 20; vd. anche supra 1, 3 n. 24. Un mezzo per rinsaldare a distanza i
vincoli di affetto, oltre alla corrispondenza epistolare, era inviare volumi ad amici per ottenere
da loro giudizi e consigli, oppure su richiesta, per trarne eventualmente una copia. Vd. MATHI-
SEN 1993, pp. 111-114, in partic. p. 113: «For those aristocrats who actually published anything,
the most important concern was how their works were received by other aristocrats. […] There
was really, however, no need to worry. Once their works had been published, Gallic authors
could be certain of receiving effusive praise from their fellows». Come ha abbondantemente
messo in luce da ultimo CAVALLO 1997, pp. 205-219, lo scambio di codici tra intellettuali in età
tardoantica è stato uno degli snodi fondamentali che ha permesso la salvaguardia e la trasmis-
sione, attraverso gli scriptoria medievali, di molto materiale letterario altrimenti perduto. Il co-
stume di scambiarsi libri era tuttavia già diffuso in epoca classica, come ben ha mostrato STARR
1987, pp. 213-223. Altre testimonianze in RURIC., epist. 1, 4 (a Esperio); 1, 7 (a Bassulo); 1, 8
(a Sidonio); 2, 17 (a Taurenzio, chiedendo una copia del De civitate Dei agostiniano); 2, 26 (ad
Apollinare, figlio di Sidonio); 2, 44 (ad Ambrogio). Questo fenomeno, oltre allo scambio di
idee, contribuiva anche alla circolazione e alla copiatura di opere degli autori ritenuti maggior-
mente significativi (vd. SIDON., epist. 5, 15, indirizzata proprio a Ruricio), in un’epoca in cui il
mercato librario sembrava languire (a tal proposito vd. SANTELIA 2000, pp. 217-219, in partic.
pp. 235-238). Quanto al circolo di amicizie di Ruricio, vd. MATHISEN 1981, pp. 95-109; SETTI-
PANI 1991, pp. 195-222; MATHISEN 1999, pp. 19-33.
4 «En première ligne, Ruricius loue l’éloquence, la forme litteraire. C’est symptomatique.

C’est une indication de l’importance qu’il attache au style en jugeant la littérature. L’éloquen-
ce, le style parfait, c’est aussi ce qu’il exige de la correspondance» (HAGENDAHL 1952, p. 92).
5 Da notare la densa retoricità della frase incipitaria. L’iniziale iperbato (Codices […]

accepi) mette immediatamente in evidenza il tema dell’epistola. Seguono quindi costruzioni


parallele: l’isocolia costituita dalla sequenza abl. di limit. + agg. in acc., con ampliamento nel-
l’ultimo elemento (fidei puritate perspicuos); quindi un tricolon, in cui l’ampliamento del pri-
mo membro (sacrorum testimoniorum ubertate locupletes) rispetto agli altri due (auctoritate
praestantes, luce fulgentes) va a costituire un grande chiasmo con i cola precedenti (tre ele-
menti abl. + acc. – ampliamento – ampliamento – due elementi abl. + acc.); chiude infine la fra-
se una costruzione parallela bimembre (fidelium mentes inluminent et infidelium errores dete-
gant atque convincant), con ampliamento nel secondo elemento. Sonorità e omeoteleuti rendo-
no particolarmente compatto il ritmo dell’eloquio.
6 Da notare il gioco parafonico pellectus – refectus. Nella prima parte della frase dominano i

suoni di colore scuro, con assonanze delle vocali /u/ e /o/ (quorum ego gustu admodum tenui);
nella seconda parte invece prevalgono vocali chiare quali /a/, /e/, /i/ (ad satietatem propter sol-
licitudines saeculi pervenire non potui).
7 Le sollicitudines saeculi possono essere riferite alla Gallia invasa ormai dai Visigoti, oppu-

re a un fatto particolare legato alla sfera privata, oppure ancora alla condizione esistenziale del-
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l’uomo sulla terra. Così anche MATHISEN 1999, p. 112 n. 1; sulle incertezze dei tempi, vd. supra
1, 3 n. 24.
8 Si noti la parafonia (e paronomasia) costituita dalla coppia minima oblatos – ablatos. I due

participi passati fungono altresì da elementi esterni del chiasmo: oblatos recipit nec requirit
ablatos. Parallele con sonorità sono invece le proposizioni che concludono il paragrafo: nec de-
siderat absentes nec carpit appositas nec sentit infusas. Fitto il reticolo di allitterazioni e asso-
nanze (dulces – cibos – oblatos – ablatos – spiritales – dapes – absentes – appositas – infusas).
9 L’aggettivo spiritalis ricorre 8 volte nel corpus epistolare ruriciano, 2 volte l’avverbio spi-

ritaliter (mentre non ricorre mai spiritualis). Esso compare a partire da Tertulliano col signifi-
cato proprio di “immateriale”: Atque adeo dicimus esse substantias quasdam spiritales (apol.
22, 1). La traduzione geronimiana della Bibbia predilige spiritalis. Spiritalis di contro a spiri-
tualis è preferito anche da Sidonio Apollinare (13 volte).
10 Ritorna, con una lunga e articolata metafora, il linguaggio legato alla sfera sensoriale del

gusto – in particolare connesso con la nutrizione fisica – che già si era palesato in alcune lettere
precedenti di Ruricio (vd. epist. 1, 1, 2; 1, 5, 1) e che ritornerà costantemente nelle successive.
In particolare, molto diffuso appare il tema della fame e sete spirituale negli autori cristiani.
L’immagine del cibo spirituale, presente già in ambito pre- e non cristiano, trova nella Sacra
Scrittura un usus piuttosto diffuso. Cfr. Mt 4, 4: Non in pane solo vivet homo, sed in omni verbo
quod procedit de ore Dei; 5, 6: Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam, quoniam ipsi saturabun-
tur; 1Cor 3, 1-2: Et ego fratres non potui vobis loqui quasi spiritalibus, sed quasi carnalibus
tamquam parvulis in Christo, lac vobis potum dedi, non escam; Hbr 5, 12-13: Etenim cum de-
beretis magistri esse propter tempus rursum indigetis ut vos doceamini quae sint elementa
exordii sermonum Dei et facti estis quibus lacte opus sit, non solido cibo. Et facti estis quibus
lacte opus sit, non solido cibo. Perfectorum autem est solidus cibus eorum qui pro consuetudi-
ne exercitatos habent sensus ad discretionem boni ac mali. Lo stilema è argomentato in HAGEN-
DAHL 1952, pp. 82-83. 86-87; CURTIUS 1992, pp. 154-156. Interessante l’analogia proposta da
AUG., doctr. christ. 4, 11, 26 (e rilevata da Curtius) tra chi studia e chi mangia: Sed quoniam in-
ter se habent nonnullam similitudinem vescentes atque discentes, propter fastidia plurimorum,
etiam ipsa, sine quibus vivi non potest, alimenta condienda sunt. Del resto, al medesimo ambito
semantico appartiene il concetto di ruminatio della Sacra Scrittura che tanto si diffonderà nella
spiritualità medievale e moderna (vd. infra 1, 9 n. 8).
11 Ritorna il linguaggio medico a indicare uno stato di malattia spirituale, per cui vd. supra

1, 1 n. 39. I tre cola pressoché paralleli evidenziano in sintesi i compiti della guida spirituale:
pater, magister, medicus.
12 Di impia neglegentia et neglegens impietas Ruricio si era già accusato in epist. 1, 2, 1.
13 Il termine sospitas ha un doppia accezione sempre legata alla salvezza personale. Un pri-

mo significato è pertanto quello comune di “salute fisica”. Cfr. HIER., epist. 74, 6: Nos enim et
haec ipsa in lecticulo decumbentes longaque aegrotatione confecti vix notario celeriter scri-
benda dictavimus […] Ora nobis a Domino sospitatem; FULG. RUSP., epist. 4, 3: Quomodo ergo
infirma sine iuvamine medici sospitatem suam reparare poterit, quae dum sana esset sospita-
tem suam custodire nequivit?; CASSIOD., var. 9, 6, 2: […] ut primum mentis gaudio recreatus
facilius membrorum recipias sospitatem. Un secondo significato invece sposta la comprensione
del sostantivo dal piano materiale a quello spirituale, intendendo pertanto per sospitas la sal-
vezza eterna. Cfr. CAES. AREL., serm. 190, 3: Habemus ergo in via reditum, in iudice misericor-
diam, in infirmitatibus medicinam, in morte sospitatem; CASSIOD., var. 2, 40, 11: […] loquamur
de illo lapso caelo psalterio, quod vir toto orbe cantabilis ita modulatum pro animae sospitate
composuit. La duplicità di significati del lemma sembra essere presente nella lettera ruriciana,
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I, 6 195

in cui, descrivendo lo stato di infermità fisica, si vuol dare a intendere una condizione di malat-
tia tutta spirituale. Ruricio sembra amare questo vocabolo, che utilizza in diverse circostanze,
con valore ora proprio ora metaforico: vd. RURIC., epist. 2, 32, 1; 35, 3; 42, 1; 49, 1; 55, 1; 56,
2; 63, 1; 64, 1. Nella traduzione si è scelto di rendere sospitas con “salute”, che concentra in sé
l’idea di sanità e quella di salvezza. Sospitas inoltre, accanto al conio ruriciano sospitatio (vd.
infra 1, 15 n. 24), assolve anche al ruolo di cultismo rispetto al più comune salutatio o salus,
per cui può avere anche il semplice valore di “saluto”. Cfr. p. es. EPIST. Austras. 12, 2 (officium
sospitatis); 13, 3 (munia sospitatis).
14 Repensator (< repenso) è conio e hapax assoluto. È attestata soltanto una forma repensa-

trix in MART. CAP. 9, 898. Questo, oltre a mostrare ulteriormente lo sperimentalismo linguistico
degli autori tardoantichi, testimonia anche della produttività del nomen agentis –tor / -trix in
quest’epoca, con esito successivo nelle lingue romanze. A tal proposito, vd. STOTZ II, pp. 270-
272. Evidentemente Ruricio fa riferimento a Dio iustus iudex (2Tim 4, 8), cui iustus repensator
sembra alludere. Similmente cfr. GREG. M., epist. 11, 51 l. 20: […] bonorum vestrorum Deus
omnipotens recompensator exsistat. In questo senso è maggiormente diffuso l’epiteto remune-
rator: vd. p. es. TERT., adv. Marc. 4, 29, 11; AMBR., Noe 14, 48; Abr. 1, 9, 84; psalm. 43, 93, 1;
PAUL. NOL., epist. 23, 31; AUG., civ. 14, 26; c. Fel. 2, 8; FAUST. REI., grat. 1, 10 p. 34, 12; epist.
10 p. 216, 13; EUSEB. GALLIC., hom. 27, 6; ecc.
15 L’uso di grates nel sintagma grates benivolas referre conduce ad alcune riflessioni di ordi-

ne lessicale. Grates ha all’origine per lo più un valore religioso e viene generalmente utilizzato
soltanto in riferimento agli dei. Cfr. LIV. 27, 51, 7: Discursum inde ab aliis circa templa deum ut
grates agerent; 45, 13, 17: […] ut Romam venire velit Iovique optimo maximo in Capitolio sacri-
ficare et grates agere. Altri esempi in MOUSSY 1966, pp. 57-61. Molto usato nella poesia pagana
in composizione col verbo agere al posto di gratias, che mal si conciliava metricamente coll’esa-
metro dattilico, questo sostantivo trova grande impiego nelle opere poetiche tardoantiche: ricorre
5 volte in Ambrogio, 4 in Prudenzio, 9 in Paolino di Nola, 7 in Paolino di Pella, 6 in Draconzio,
11 in Venanzio Fortunato. «Quant au sens religieux de grates, il ne doit être en fin de compte,
pour la plupart des poètes chrétiens, qu’une raison tout-à-fait secondaire du choix qu’ils ont pu
faire du mot» (MOUSSY 1966, p. 103). Cfr. p. es. PRUD., cath. 4, 73-75: Sic nos muneribus tuis re-
fecti, / largitor Deus omnium bonorum, / grates reddimus et sacramus hymnos; PAUL. NOL.,
carm. 6, 296: Grates ergo tibi (scil. Pater) referat mens omnis; VEN. FORT., carm. 8, 14, 3: Reddo
Deo grates de vobis prospera noscens; ecc. E nonostante ancora Isidoro di Siviglia glossi: Grates
Deo aguntur, gratiae vero hominibus, quoniam referri possunt. Idcirco optime Deo convenit,
quod relationem significat ad latriam (diff. 1, 95 Cod.), la formula gratias agere ha preso il so-
pravvento nel lingua comune e anche nel sermo religioso, soprattutto per merito del massiccio
uso che ne fa la Vulgata (40 volte), per lo più come traduzione del greco eujcaristei`n. Da questi
pochi esempi si noterà infine come il sostantivo grates sia in iunctura non più solamente con
agere, ma anche con altri verbi quali referre, reddere, solvere, pendere, debere, ecc. (vd. MOUSSY
1966, pp. 96-100). Le opere in prosa tardoantiche vedranno una minore ricorsività del lemma in
questione: 1 volta in Sulpicio Severo, 2 volte nelle Conlationes di Cassiano, 1 volta nelle epistole
di Sidonio Apollinare, 2 volte in Ennodio, 1 volta in Isidoro di Siviglia. Propriamente l’espressio-
ne grates referre, oltre a un’attestazione virgiliana (Aen. 11, 508-509) e in diversi autori cristiani
(vd. MOUSSY 1966, pp. 96-97), occorre in SIDON., epist. 6, 12, 9. Su questo locus ruriciano, vd.
MOUSSY 2002, p. 95. Quanto allo stile, da notare l’antistrofe pro ingratis grates.
16 Non ci è dato di sapere quale delle numerose opere dogmatiche, storico-polemiche ed ese-

getiche di Ilario di Poitiers Ruricio abbia copiato. Il solenne incipit di frase segnato dalla pre-
senza del partitivo in sede iniziale, dall’iperbato (unum… remisi) e dai suoni scuri /u/ e /o/ sfo-
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196 Commento

cia nella sferzante lapidarietà dell’antitesi (unum) retinui, alium remisi, con attento uso del pre-
fisso re-, circa il quale si rimanda a MOUSSY 1997, pp. 227-242.
17 «The copying of borrowed books was a common practice and, indeed, the primary means

of expanding one’s library. It was customary to ask the permission of the owner of the bor-
rowed book bifore doing so» (MATHISEN 1999, p. 113 n. 6). A tal proposito vd. supra n. 3.
18 Si noti il calembour commendare – mandare, sfruttando la composizione preposizionale,

e il cursus planus mandáre curémus con cui si conclude l’epistola.

1, 7
1 Per il titolo di patronus, vd. supra 1, 1 n. 1.
2 Si noti la commutatio (vd. supra 1, 2 n. 2) con chiasmo semantico sancta pietas – pia
sanctitas. Il titolo pietas, corrispondente al greco eujsevbeia, è titolo molto diffuso nel cerimo-
niale in riferimento a re, imperatori, uomini nobili e vescovi. Vd. O’BRIEN 1930, pp. 19-21. Per
il titolo sanctitas, vd. supra 1, 1 n. 35.
3 Ancora un accenno allo scambio di libri, a proposito del quale si rimanda a quanto detto

supra 1, 6 n. 3.
4 Nella figura etimologica diligere… dilectionem diligendo sembrano riecheggiare le parole

di Ioh 15, 9-12, particolarmente dedicate al tema del discepolato e dell’amore vicendevole: Si-
cut dilexit me Pater et ego dilexi vos, manete in dilectione mea. Si praecepta mea servaveritis
manebitis in dilectione mea, sicut et ego Patris mei praecepta servavi et maneo in eius dilectio-
ne. Haec locutus sum vobis ut gaudium vestrum impleatur. Hoc est praeceptum meum, ut dili-
gatis invicem sicut dilexi vos. Cfr. AUG., in evang. Ioh. 65, 2: Ad hoc ergo nos dilexit, ut et nos
diligamus invicem; hoc nobis conferens diligendo nos, ut mutua dilectione constringamur inter
nos. Al pari del dottore africano, Ruricio mette in relazione di causa-effetto l’atto di diligere e
la dilectio, sintetizzando il concetto nel sintagma dilectionem diligendo provocatis. Almeno a
livello formale, vd. anche AUG., in epist. Ioh. 9, 10 (vd. n. succ.) e in psalm. 118 sermo 8, 3:
Quid autem diligendo diligitur, si ipsa dilectio non diligitur?; trin. 8, 8: Quoniam quippe Deus
dilectio est, Deum certe diligit qui diligit dilectionem; dilectionem autem necesse est diligat qui
diligit fratrem.
5 La coerenza tra parole e opere è un aspetto esistenziale particolarmente presente già nella

prima comunità cristiana, come apprendiamo da Iac 2, 17-18: Sic et fides, si non habeat opera,
mortua est in semet ipsam. Sed dicet quis tu fidem habes et ego opera habeo. Ostende mihi fi-
dem tuam sine operibus, et ego ostendam tibi ex operibus fidem meam; 1Ioh 3, 18: Filioli, non
diligamus verbo nec lingua, sed opere et veritate. Quest’ultimo locus così è glossato da AUG.,
in epist. Ioh. 9, 10: Quid ergo? Qui diligit fratrem, diligit et Deum? Necesse est ut diligat
Deum, necesse est ut diligat ipsam dilectionem. Numquid potest diligere fratrem, et non dilige-
re dilectionem? Necesse est ut diligat dilectionem. Quid ergo, quia diligit dilectionem, ideo di-
ligit Deum? Utique ideo. Diligendo dilectionem: Deum diligit.
6 Singolare è l’uso di utpote qui, quae, quod + indic. La prima attestazione di questa forma è

in VAL. MAX. 5, 3 ext. 2: Neminem Lycurgo aut maiorem aut utiliorem virum Lacedaemon ge-
nuit, utpote cui Apollo Pythius, oraculum petenti, respondisse fertur nescire se utrum illum ho-
minum ad deorum numero adgregaret. La presenza della forma anche in CIC., Att. 2, 24, 4: […]
utpote qui nihil contemnere solemus presente nel Mediceus 49. 18 è stata corretta dal Klotz con
soleremus. Se quippe qui + indic. aveva già in epoca arcaica attestazioni diffuse sul suo uso
(vd. p. es. PLAUT., Bacch. 368; Men. 585) e successivamente eloquenti testimonianze in autori
dallo stile arcaizzante come Sallustio e Livio (per lo status quaestionis dell’uso di quippe qui
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I, 6-7 197

vd. VALLEJO 1948, pp. 201-220), non è lo stesso per utpote qui + indic. che, oltre all’attestazio-
ne in Valerio Massimo, comincia a comparire nel latino tardo (vd. LHS II p. 560).
7 Cfr. Mt 13, 7: Alia autem ceciderunt in spinas et creverunt spinae et suffocaverunt ea; 20:

Qui autem supra petrosa seminatus est hic est verbum audit et continuo cum gaudio accipit il-
lud; 22: Qui autem est seminatus in spinis hic est qui verbum audit et sollicitudo saeculi istius
et fallacia divitiarum suffocat verbum et sine fructu efficitur. Ancora una volta Ruricio topica-
mente denuncia la sua incapacità a vivere secondo il dettato evangelico, “da buon cristiano”.
8 Cfr. Mt 21, 19: Et videns fici arborem unam secus viam (Iesus) venit ad eam et nihil inven-

ti in ea nisi folia tantum et ait illi: «Numquam ex te fructus nascatur in sempiternum». Et are-
facta est continuo ficulnea.
9 L’uso di pinguedo in senso traslato per indicare qualcosa che dà nutrimento e conforto al-

l’anima è propriamente cristiano, mutuato dalla Sacra Scrittura. Cfr. p. es. Ier 31, 14: […] et
inebriabo animam sacerdotum pinguedine; Ps 62, 6: Sicut adipe et pinguedine repleatur anima
mea. Su questo verso del salmo 62, cfr. AUG., in psalm. 62, 14: Aliquid spiritale debemus intel-
legere. Habet quandam pinguedinem anima nostra. Est quaedam saturitas pinguis sapientiae;
CASSIOD., in psalm. 62, 6 ll. 129-131: Pinguedo animae divinarum rerum scientia est, recta fi-
des, inconcussa patientia et cetera, unde saeculi istius macies ieiunia superatur.
10 Lungo periodo in cui l’imagérie biblica si fonde col linguaggio agricolo; in partic. cfr.

RURIC., epist. 1, 4, 2: […] ariditatem nimiam stercoris aspersione fecundat.


11 Delictum diviene termine tecnico per indicare il peccato. Esso, come del resto bona parte

del lessico della morale cristiana, è mutuato dal linguaggio giuridico (vd. infra 2, 9 n. 23).
Sull’usus del lemma, vd. BLAISE 1966, pp. 550-551. «Le vocabulaire concernant le péché est
lui aussi très varié: crimen, delictum, peccatum sont des expressions de la langue courante; ini-
quitas est éminemment biblique, tout en ayant aussi une saveur juridique» (MOHRMANN II, p.
105). Si noti la variatio lessicale: Sed quoniam plus sunt apud me delicta quam verba nec pos-
sum facta expiare sermonibus.
12 La salutatio fa parte dei doveri di chi scrive una lettera, costituendosi fin dall’epoca clas-

sica in un vero e propiro cerimoniale del saluto che troverà canonizzazione e singolare amplia-
mento specie in età tardoantica e medievale (officium salutationis / sospitatis / sospitationis).
Su questo aspetto e sulle formule di saluto si rimanda al classico studio di LANHAM 1975.
13 Circa il costrutto asindetico di spero, già utilizzato in epoca classica, soprattutto nella lin-

gua popolare, vd. LHS II pp. 528-529; VÄÄNÄNEN 20034, pp. 268-269.
14 Dal significato originario di “traghettatore”, circa in età neroniana (vd. SEN., benef. 6, 18,

1) portitor assume il significato lato di “colui che porta qualcosa”. Quindi è a fare data dal se-
colo IV circa che diventa sinonimo di tabellarius, secondo quanto asserisce Gerolamo: […] un-
de et portitores earum (scil. epistulae) tabellarios […] vocavere (epist. 8, 1). Vd. anche ISID.,
orig. 9, 4, 27 (tabellio). Il ruolo del portitor fu molto importante, in quanto doveva riferire a
voce i messaggi (spesso solo accennati in lettera) del mittente o aggiungere ulteriori notizie non
esplicitate nella missiva. A tal proposito, vd. CORBINELLI 2008, pp. 15-21.
15 L’espressione propitio Deo ritorna in epist. 2, 7, 1 (oltre che più diffusamente nella forma

Deo propitio). Essa ricorre significativamente con una certa frequenza anche nelle epistole pao-
liniane (6 volte) e nell’opera di Agostino (14 volte).
16 Gurdo è una località in cui Ruricio aveva possedimenti, ma non facilmente identificabile.

MATHISEN 1999, pp. 20. 113, sulla scia di KRUSCH 1887, p. lxiii; ENGELBRECHT 1891, p. lxv;
HAGENDAHL 1952, p. 5; DEMEULENAERE 1985, p. 305, ipotizza che essa sia la medievale Gordo-
nium (Gourdon, dip. Lot), nota per la sua abbazia cistercense. Sicuramente era situata a sud di
Limoges, essendo queste le località cui maggiormente Ruricio fa riferimento come note. Se si
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198 Commento

considera l’attuale cittadina di Gourdon, il luogo doveva apparire probabilmente ameno, ma al


tempo stesso rustico e isolato dai centri urbani. Sembra esserne testimonianza indirettamente
Sulpicio Severo (dial. 1, 27, 2), che pone sulle labbra di Gallo la seguente frase di topica mode-
stia: Sed dum cogito me hominem Gallum inter Aquitanos verba facturum, vereor ne offendat
vestras nimium urbanas aures sermo rusticior. Audietis me tamen ut Gurdonicum hominem,
nihil cum fuco aut cothurno loquentem. Pertanto essere “un uomo di Gourdon” equivaleva a es-
sere identificato come rusticus, culturalmente inferiore, privo di urbanitas. E tuttavia il brano
sulpiciano è passibile di ulteriori interpretazioni. DOTTIN 1920, p. 260 preferisce ipotizzare che
l’aggettivo sia una voce propriamente gallica, riconducibile alla radice *gorto- (vd. irl. gort
“recinto”). A partire invece dalle considerazioni del benedettino ANTIN 1959, pp. 111-112, ac-
colte dal recente editore del Gallus (FONTAINE 2006, p. 212 n. 1), Gurdonicus viene interpretato
come pastiche lessicale allusivo al tempo stesso della località di Gort(h)ona (Sancerre, dip.
Cher, a nord-est di Bourges), che assurge pertanto a emblema di rusticitas, ma anche evocatore
dell’aggettivo gurdus “stolto” (Cfr. QUINT., inst. 1, 5, 57: […] “gurdos”, quos pro stolidis acci-
pit vulgus, ex Hispania duxisse originem audivi). Al posto dell’etnico Gort(h)onicus, Sulpicio
preferisce utilizzare il più espressivo Gurdonicus. E argutamente il monaco di Ligugé traduce:
«Sancerrois sans cervelle!». Quest’ultima interpretazione applicata al locus sulpiciano in esame
sembra essere maggiormente pregnante, quanto al lessico e al significato (le zone della Gallia
settentrionale erano ritenute meno “acculturate” rispetto a quelle del sud). Inoltre altre cittadine
possono essere identificate col nome di Gurdo: Gourdon-Murat (dip. Corrèze), località a sud-
est di Limoges, lungo il corso del fiume Vézère, dove Ruricio aveva amicizie (vd. epist. 2, 54 a
Rustico), la quale divenne parrocchia in età carolingia; oppure Gourdon, nei pressi di Cabillo-
num (Chalon-sur-Sâon, dip. Sâon-et-Loire), dove Gregorio di Tours (glor. conf. 85) ci testimo-
nia la presenza di un monasterium Gurthonense. Tuttavia, nel contesto storico dell’epistola ru-
riciana, sembra più verisimile ipotizzare la localizzazione di Gurdo nel sud della Gallia, in cor-
rispondenza della moderna Gourdon.
17 Cfr. RURIC., epist. 1, 14, 2: […] ut ad sollemnitatem sanctorum ad nos Deo propitio una

cum sorore vestra venire dignemini, all’amico Celso. Oltre a similarità stilistiche, Ruricio ritor-
na a proporre come data propizia per un incontro la “solennità dei santi”. Posta l’incompleta
conoscenza che abbiamo del rito gallicano, tuttavia, scorrendo quanto resta del Lectionarium
Gallicanum edito dal Mabillon, l’unico riferimento a solennità di santi è quello circa le letture
da compiersi nel giorno dei santi Pietro e Paolo, assegnato a partire almeno dal IV secolo al 29
giugno (Legenda in festo sanctorum Petri et Pauli, PL 72, col. 208). In quel giorno il Leziona-
rio prescrive la lettura di una passio dei due santi – probabilmente ad Matutinum – e quindi la
proclamazione di Rm 8, 15-27 e di Mt 5, 1-16 alla Messa. Il Mabillon, nel commentare questo
locus, così annota: «In basilicis Gallicanis sanctorum Petri et Pauli imagines pingi solebant»,
citando a riprova di ciò il fatto che Emiliano, nel valutare la decisione di abbracciare la vita ere-
mitica, entrato in un oratorium, vi avesse potuto contemplare dipinte sui muri iconicas aposto-
lorum reliquorumque sanctorum (vd. GREG. TUR., vit. patr. 12, 2). Inoltre, il Martyrologium
Gallicanum menziona, dopo la festività dei santi apostoli Pietro e Paolo, la seguente memoria:
Pridie Kalendas Iulii, Lemovicas, depositio sancti Martialis episcopi, Andegavis civitate, depo-
sitio sancti Albani episcopi et confessoris; et alibi aliorum sanctorum Cursici presbiteri, Leo-
nis subdiaconi (PL 72, col. 616). Marziale fu il primo vecovo di Limoges: il giorno della sua
depositio era sicuramente celebrato con solennità. Se si ipotizza, come detto sopra, che Gurdo
fosse di fatto a metà strada tra Limoges e Cahors, diocesi di cui Bassulo fu verisimilmente pa-
store e in cui Gourdon era (ed è) situata, è possibile ritenere che il giorno di festa scelto per
l’incontro tra i due vescovi fosse collocato tra il 29 giugno e il 1 luglio. Entrambi i giorni erano
festivi: l’uno per la Gallia intera, l’altro per la diocesi limosina.
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I, 7-8 199

18 Similmente cfr. FAUST. REI., epist. 1 p. 163, 16-17: Haec, quae strictim pro epistulae bre-

vitate memorata sunt, aut recipere se aut respuere unanimitas tua recurrente sermone respon-
deat.

1, 8
1 Sicuramente il fatto è da collocarsi dopo il 470, anno in cui Sidonio siede sulla cattedra

episcopale di Clermont-Ferrand.
2 Cfr. RURIC., epist. 2, 13, 5: […] ita gemitus cor nostrum conscientia conpungente conci-

piat. In entrambi i casi si noti il fine homoeoprophoron (conscientia conpungente confessi /


concipiat). Cfr. anche epist. 2, 57, 2: Remedium enim mali confessio non simulata delicti nec
ultioni publicae relinquitur locus, ubi reus conscientia torquente punitur; quindi cfr. CASSIAN.,
conl. 20, 8, 3: Nec non per criminum confessionem eorum ablutio condonatur; EUSEB. GALLIC.,
serm. 14, 6: […] quando peccatum, ipsius peccati cognitione curatur, et criminis confessione
aboletur; CONC. Andeg. a. 453 p. 138, ll. 51-53: Paenitentiae sane locus omnibus pateat qui
conversi errorem suum voluerint confiteri, quibus perspecta qualitate peccati secundum epi-
scopi aestimationem venia erit largienda; Tur. I a. 461 p. 146, l. 75: Homicidis penitus non
communicandum, donec per confessionem paenitentiae ipsorum crimina diluantur. Ruricio so-
lennizza questa lettera d’occasione sfruttando il lessico teologico-sacramentale della penitenza,
creando così un effetto di straniamento, che sfocia nell’aprosdoketon della confessio del crimen
di cui si accusa (l’aver copiato un libro prestatogli da Sidonio).
3 Vd. RURIC., epist. 1, 2, 1: […] praesertim cum vera confessio indulgentiam et falsa excu-

satio mereatur offensam. Malo itaque tam simplici confessione quam supplici veniam petere,
quam peccata geminare; similmente cfr. AMBR., paenit. 2, 9, 90: Vulneri enim medicamentum
necessarium est, non vulnus medicamentum quaeritur, non propter medicamentum vulnus desi-
deratur. In breve Ruricio sembra condensare quanto sul sacramento della penitenza si è arrivati
a definire attorno al V secolo: la sua necessità, i suoi contenuti, le “disposizioni” (coscienza
contrita, dolore dei peccati, richiesta di perdono) con cui accostarsi. Vale la pena considerare
quale tipologia di celebrazione e di spiritualità del sacramento Ruricio avesse presente in Gal-
lia. Il V-VI secolo infatti segna la crisi della cosiddetta “penitenza antica o ecclesiastica”, con-
traddistinta fondamentalmente da tre momenti: la confessione del peccato al vescovo e l’entrata
in penitenza attraverso la scomunica (almeno dal V secolo, nel primo giorno di Quaresima: a tal
proposito, vd. RIGHETTI IV, pp. 224-225. 229-230), gli esercizi penitenziali, la riconciliazione
sacramentale, secondo la Romanae Ecclesiae consuetudo raccomandata da Innocenzo I (EPIST.
pontif. 311, Migne 20, 559A), generalmente quinta feria ante Pascha, benché sembra possibile
ritenere che in Gallia avvenisse anche in giorno di domenica, se si presta fede a VEN. FORT.,
vita Hil. 9, 24 (Et dum in basilica psalleretur, similiter in absolutione die dominico, quo prae-
cesserat poena, secuta sunt gaudia). Significativo, soprattutto per comprenderne la crisi, è il
fatto che le penitenze potevano durare anche tutta la vita e che il sacramento non poteva essere
reiterato. Le invasioni barbariche, il mutato sentire spirituale dei cristiani e l’oggettiva durezza
delle pratiche di penitenza decretarono la decadenza del sistema penitenziale antico. Come già
si è detto, diffusi in Gallia e Spagna di V-VI secolo sono i cosiddetti conversi, assimilabili ai
penitenti, ma da essi ben distinti (vd. supra 1, 2 n. 13). Non sembra peregrino interrogarsi sul
progressivo diffondersi della “penitenza tariffata”, segnata da un rapporto personale penitente –
confessore (in questo vengono a sovrapporsi la figura giuridica dell’autorità che può dirimere i
“casi” di peccato e quella del padre spirituale, direttore della coscienza dei singoli), da un rap-
porto costante pena – peccato e soprattutto dalla sua iterabilità (ancora nel 589 il III Concilio di
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200 Commento

Toledo la bollerà come una execrabilis praesumptio). La nuova disciplina penitenziale, che di-
verrà sempre più comune soprattutto nel VI-VII secolo grazie all’opera dei monaci irlandesi e
bretoni, ebbe origine, secondo alcuni storici della liturgia, proprio nella Gallia di V-VI secolo,
essendo Patrizio, apostolo dell’Irlanda, di formazione culturale gallica. In quel periodo, essen-
do in piena decadenza l’antica disciplina penitenziale, le autorità ecclesiastiche galliche dovet-
tero provvedere a una sorta di “riforma”, onde evitare l’affievolimento del sentimento del pec-
cato e della conseguente necessità del perdono. Una tentativo fu la paenitentia in extremis, con-
cessa di fatto sul letto di morte, fomite di discussioni teologiche e disciplinari (si pensi solo a
quanto detto con vigore da FAUST. REI., epist. 5 p. 184, 7-8: Quo tempore confessio esse potest,
satisfactio esse non potest; 17-20: Advertis, quod huiusmodi medicina sicut ore poscenda, ita
opere consummanda est. Insultare Deo videtur, qui illo tempore ad medium noluit venire, quo
potuit, et illo nunc incipit velle, quo non potest; a tal proposito vd. BARCELLONA 1998, pp. 83-
123, in partic. pp. 94-98). Tuttavia la nuova disciplina penitenziale successivamente nota come
“celtica” potrebbe essere sorta a partire dalla prassi di alcuni monasteri gallici di praticare una
sorta di “confessione non sacramentale” tra monaco e homines spiritales, i quali ne dirigevano
la coscienza (vd. supra 1, 1 n. 39) e consigliavano le opportune penitenze (cfr. già tuttavia
TERT., pudic. 21, 17: Et ideo ecclesia quidem delicta donabit, sed ecclesia Spiritus per spirita-
lem hominem, non ecclesia numerus episcoporum. Domini enim, non famuli est ius et arbi-
trium; Dei ipsius, non sacerdotis). In questi casi il perdono sembra essere conseguito maggior-
mente grazie alle preghiere del padre spirituale e alle opere di penitenza. Informazioni su que-
sto tentativo di rinnovamento ci sono fornite da Cassiano, diffusore nella Gallia meridionale
della disciplina ecclesiastica orientale (vd. p. es. BASIL., reg. br. 288, cit. supra 1, 1 n. 39), e
successivamente da Cesario di Arles. Cfr. CASSIAN., conl. 20, 5, 1: Indicium vero satisfactionis
et indulgentiae est affectus eorum quoque de nostris cordibus expulisse; CAES. AREL., reg. mon.
23, 1-2: Qui pro aliqua culpa excommunicatus fuerit, in una cella reclaudatur, et cum uno se-
niore ibi legat, donec iubeatur ad veniam venire; reg. virg. 34, 1: Si qua vero pro quacumque re
excommunicata fuerit, remota a congregatione, in loco qua abbatissa iusserit, cum una de spi-
ritalibus sororibus resideat, quosque humiliter poenitendo, indulgentiam accipiat; BENED., reg.
27, 2: Et ideo uti debet omni modo ut sapiens medicus, inmittere senpectas id est seniores sa-
pientes fratres qui quasi secrete consolentur fratrem fluctuantem et provocent ad humilitatis sa-
tisfactionem. Benché differente fosse la disciplina penitenziale monastica da quella delle chiese
rurali o urbane, la testimonianza mantiene ugualmente la sua validità, perché ci consente di
scorgere almeno i termini della problematica. Sulla storia della penitenza in V-VII secolo, vd.
GALTIER 1937, pp. 5-26. 277-305; RIGHETTI IV, pp. 219-264; VOGEL 1952; ID. 1956, pp. 1-26.
157-186; ID. 1967; BARCELLONA 2002, pp. 345-361; PASSARINI 2005, pp. 715-736; ADNÉS, s. v.
Pénitence, in DSp XII, coll. 943-970; JUGIE, s. v. Pénitence, in DThC XII, coll. 722-862;
ROUILLARD 20052, pp. 27-47.; ottimo lo studio di SAINT-ROCH 1991 come summa ragionata de-
gli interventi conciliari e pontifici sul tema, dalle origini alla morte di Gregorio Magno. Dal
punto di vista retorico infine, si noti la parafonia cacofonica quaerere quaeat, le parole chiave
error e indulgentia in poliptoto, il cursus planus requírit errórem.
4 Per il titolo pietas, vd. supra 1, 7 n. 2.
5 Si notiil parallelismo con cui Ruricio struttura i due periodi: (ne, quod) modo prodente me

spectat ad veniam, - tacente postmodum pertineret ad culpam. Le clausole conclusive sono del
tipo cursus tardus (spéctat ad véniam) e cursus planus (pertinéret ad cúlpam).
6 Sapiente ricorso al linguaggio giuridico per sottolineare la propria “colpevolezza” nei con-

fronti dell’amico, declinando una fine variatio rispetto al linguaggio della coscienza emerso fi-
nora. In modo particolare compaiono due verbi specialistici: statuo e pronuntio. Il primo, pur in
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I, 8 201

una gamma di significati afferenti sempre alla sfera del giudizio, indica in termini legali l’emis-
sione di una sentenza nei confronti di qualcuno. Cfr. CIC., Phil. 11, 3: […] statuit ille quidam
non inimicos, sed hostis. Il secondo verbo si riferisce invece all’atto dell’imputato o del teste di
deporre una confessione. Cfr. QUINT., inst. 5, 11, 44: Plurimum autem refert; nam testis et
quaestio et his similia de ipsa re quae in iudicio est pronuntiant. Le due frasi, costruite paralle-
lamente, mettono in evidenza il capo di accusa stigmatizzato dal verbo in ultima sede, il quale
conferisce al periodo un andamento particolarmente solenne.
7 Ancora un caso di copiatura di un codex, come già in epist. 1, 6, 4. Non sappiamo di quale

opera si tratti, se di Sidonio oppure no. Secondo LOYEN 1943, p. 170, questa lettera è in rappor-
to con SIDON., epist. 4, 16, indirizzata a Ruricio e databile tra il 470 e il 477. In essa si fa riferi-
mento proprio a un furto di un libro: Accepi per Paterninum paginam vestram, quae plus mellis
an salis habeat incertum est. Ceterum eloquii copiam hanc praefert, hos olet flores, ut bene ap-
pareat non vos manifesta modo verum furtiva quoque lectione proficere. Quamquam et hoc fur-
tum quod deprecaris exemplati libelli non venia tam debeat respicere quam gloria. Quid tu
enim facies absque virtute, qui nec ipsa peccata sine laudis committis? (epist. 4, 16, 1). Il pro-
prietario del codice, come del resto si farà notare anche successivamente (vd. infra n.17), non
appare essere adirato, anzi, si compiace della furtiva lectio (o, nel caso presente, furtiva
scriptio) di Ruricio: «Tale espressione allude certo alla singolare forma di furtum che, attestan-
do amore per il sapere, va a gloria di chi l’ha commesso; ma la contrapposizione con manifesta
sembra conferire a furtiva anche altri significati, sottintendendo il gusto di letture nascoste e
preziose, di cui si alimenta lo stile, e il piacere di far trasparire qua e là, per gli amici colti che
sanno accorgersene, ghiotti riferimenti a questi celati modelli» (GUALANDRI 1979, pp. v-vi). Su
ques’ultimo locus vd. anche SANTELIA 2000, pp. 233-234; MASCOLI 2004, p. 176; sulla circola-
zione dei libri nella Gallia di V secolo, vd. SANTELIA 2003, pp. 1-29, in partic. pp. 18-25, e su-
pra 1, 6 n. 3.
8 Leonzio è chiamato fratello da Ruricio. La critica è discorde sulla valutazione del legame

tra i due. KRUSCH 1887, p. lxii ritiene Leonzio fratello di sangue di Ruricio, mentre ENGELBRE-
CHT 1891, p. lxx così ammonisce: «Fratrem habuisse Ruricium Leontium […] Kruschius cen-
set. Sed nulla re comprobari potest eum, quia a Ruricio frater appellatur, germanum eius fuis-
se». Senza prendere posizioni definitive, MATHISEN 1999, p. 116 n. 4 afferma: «Apparently a
biological brother of Ruricius». Le parole di FAUST. REI., epist. 9 p. 215, 11-12: Individuum fi-
lium nostrum Leontium omnemque domum, pusillos cum maioribus, pio sospitamus officio la-
sciano il dubbio se il filius cui fa riferimento sia figlio carnale oppure fratello di Ruricio, essen-
do Fausto vescovo e utilizzando la parola filius in riferimento alla sua paternità spirituale. Si-
milmente si parla di Leonzio in RURIC., epist. 2, 40, 2; 49, 1, dopo che lo stesso Ruricio è dive-
nuto vescovo. A un personaggio di nome Leonzio, appellato venerabilis frater, è indirizzata an-
che epist. 2, 42. Si può ritenere con MATHISEN 1999, p. 24 che Ruricio abbia realmente avuto un
fratello di nome Leonzio (cui si fa riferimento in questa epistola e in epist. 2, 42 tit.), il cui no-
me venne rinnovato in uno dei figli dello stesso Ruricio (epist. 2, 40, 2; 49, 1). Quanto si può
dire con certezza è che i titoli con cui vengono identificati questi omonimi nulla lasciano inferi-
re sulla reale parentela tra di loro (se ce ne sia stata) e con Ruricio. Sul senso lato di frater, vd.
quanto sinteticamente afferma NADJO 2004, pp. 285-286; quanto all’uso ecclesiastico di frater
e filius, vd. BASTIAENSEN 1964, pp. 21-22. 36-38. Va tuttavia notato, sulla scia di HEINZELMANN
1989, pp. 47-56, in partic. p. 53, che l’uso del linguaggio delle relazioni familiari in ambito so-
ciale-politico è già antico ed esprime una rapporto di particolare dimestichezza (per quanto for-
malizzata da canoni) tra i diversi elementi di un gruppo. E questo può valere a maggior ragione
per quanto riguarda l’epistolografia tardoantica.
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202 Commento

9 Il parallelismo dei due periodi ipotetici (Quod si probatis, agnoscite, - si inputatis, igno-

scite), l’isocolia (9 sillabe ciascuno), la paronomasia instaurata dalla coppia minima agnoscite
– ignoscite, e la diffusa sonorità conferiscono lapidaria solennità all’eloquio. A questo si ag-
giunge anche un problema filologico. Infatti nel Sangallensis 190 si legge: Quod si probatis,
ignoscite, si inputatis, agnoscite. Già Engelbrecht aveva ritenuto opportuno l’emendamento at-
tuale – per lo più recepito da tutti gli editori, tranne Krusch –, per ragioni interne, confrontando
il locus con epist. 1, 17, 1, in cui senza ombra di dubbio si legge: Iam vos mihi, si quid inputa-
tis, ignoscite. Il passo pertanto costituirebbe nient’altro che un ampliamento di uno stilema ruri-
ciano. Similmente cfr. AUG., c. Iulian. op. imperf. 1, 106: Evanescente autem invidia reatus
etiam pompa indulgentis evanuit, quia non potest ignoscere, quod iure non potest imputare;
CASSIOD., var. praef. 12: Nunc ignoscite, legentes, et si qua est incauta praesumptio, suadenti-
bus potius imputate. A favore di questo emendamento anche HAGENDAHL 1952, p. 78.
10 Consueto linguaggio relativo al “nutrimento spirituale”, già più volte incontrato nelle let-

tere precedenti, per cui vd. supra 1, 6 n. 10.


11 Il tono del discorso assume qui i tratti di una reale confessione dei propri peccati. Ruricio

con una certa acribia analizza la propria situazione morale, evidenziando gli iniziali buoni pro-
positi successivamente svaniti a motivo della concupiscenza, del desiderio smodato ingenerato
dalla bontà dell’oggetto in esame. Oltre che ad allusioni dirette, anche il riferimento al peccato
attraverso l’atto della manducazione sembra evocare con maggiore vicinanza la scena biblica
archetipica della tentazione del serpente nei confronti di Adamo ed Eva (Gn 3, 1-7).
12 Non sfugga l’equivocità del verbo, applicabile all’ambito sia morale che stilistico (expoli-

re). Esempi in tal senso in ThLL V-2, col. 389. Piuttosto diffuso in Sidonio è il tema della lima
contrapposto alla robigo dello stile, per cui vd. supra 1, 3 n. 29.
13 Cfr. Ioh 10, 11: Ego sum pastor bonus. Bonus pastor animam suam dat pro ovibus.
14 Vd. supra n. 10.
15 Per la forma allocutoria mihi crede, vd. supra 1, 4 n. 12.
16 Costruzione molto enfatica, suggellata dalla prosopopea. Si succedono con regolarità co-

struzioni parallele, che contribuiscono ad aumentare l’enfasi della frase: quid cessas – quis du-
bitas; quam diversis occasionis te elimare contendat – quam tibi etiam invito spiritales cibos
soleat bonus pastor ingerere. A esse fanno da contrappunto, nella seconda parte del discorso, le
antitesi: si distuleris, quam transtuleris; studiosis favere, non invidere consuevit. A esse si ag-
giunge l’allitterazione dei corradicali distuleris – transtuleris, con variatio prefissale, e l’asso-
nanza favere – invidere. Molto efficaci ai fini espressivi le due apostrofi del codex loquens a
Ruricio: ingrate – mihi crede.
17 Si osservino i due ossimori alloquiis silentis e coactus pariter – voluntarius sponte che

ben evidenziano lo stato d’animo di Ruricio, agitato da sentimenti contrastanti, nonché il suo
imbarazzo nel doversi giustificare di fronte all’amico. Tuttavia, l’affettata richiesta di scuse la-
scia trapelare l’intimo compiacimento di Ruricio per aver compiuto il furtum, sapendo che sif-
fatto facinus torna a suo vantaggio, facendosi così bello agli occhi del dotto amico. E la risposta
di Sidonio non sembra essere affatto indignata, anzi appare particolarmente lusingata da quanto
furtivamente è stato compiuto – anche questo in ottemperanza a un topos diffuso: Ego vero
quicquid impositum est fraudis mihi, utpote absenti, libens audio principalique pro munere am-
plector, quod quodammodo damnum indemne toleravi. Neque enim quod tuo accessit usui, de-
cessit hoc nostrae proprietati aut ad incrementa scientiae vestrae per detrimenta venistis alie-
nae. Quin potius ipse iure abhinc uberi praeconio non carebis, qui magis igneo ingenio natu-
ram decenter ignis imitatus es de quo si quid demere velis, remanet totus totusque transfertur
(SIDON., epist. 4, 16, 2).
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I, 8-9 203

18 La frase conclusiva – quasi una peroratio dopo la lunga requisitoria – chiude l’epistola

senza lesinare gli abbondanti artifici retorici. A cominciare dai numerosi omeoteleuti incrociati:
multam – quam – excipiam; remedium meum vestrum – decretum; sententiam vestram medel-
lam – poenam. Si noti quindi il chiasmo con amplificatio orizzontale del pensiero nella forma
della commoratio una in re (cfr. QUINT., inst. 9, 1, 27: Nam et commoratio una in re permultum
movet et inlustris explanatio rerumque quasi gerantur sub adspectum paene subiectio, quae et
in exponenda re plurimum valet et ad inlustrandum id, quod exponitur, et ad amplificandum, ut
iis, qui audient, illud, quod augebimus, quantum efficere oratio poterit, tantum esse videatur;
vd. anche RHET. Her. 4, 44, 58) remedium meum vestrum credo esse decretum et sententiam
vestram medellam duco esse, non poenam, con antitheton finale (medellam, non poenam) e
variatio (remedium meum vestrum credo esse decretum et sententiam vestram medellam duco
esse); gli iperbati (multam, quam intuleritis, excipiam; remedium meum vestrum credo esse de-
cretum); l’assonanza ritmicamente alternata all’interno delle parole di /e/, /u/ (remedium –
meum – vestrum – decretum) e di /e/, /a/ (sententiam – vestram – medellam – poenam); la lunga
allitterazione della nasale labiale /m/; la clausola finale ésse non poénam. Si alterna l’ambito
semantico giuridico (multa, decretum, sententia, poena) e quello medico (remedium, medella).

1, 9
1 Ruricio sembra qui fare riferimento a un recente intervento di Sidonio, nel quale sarebbe

emersa ancora una volta la sua amicizia. Potrebbe essere una lettera – perduta – oppure una
personale manifestazione orale di affetto. Si noti il rilievo dato ai due commata paralleli recens
praedicatio e antiqua dilectio in sede incipitaria, veri e propri termini chiave; l’antitesi aggetti-
vale sembra sottolinearne maggiormente il rapporto di dipendenza, per cui la prima scaturisce
dalla seconda. Sul titolo onorifico pietas, vd. supra 1, 7 n. 2.
2 Cfr. EPIST. Austr. 24, 1: Humilitati meae coronam vestri apostulatus veniam dare digne-

tur, quia tanta fuit meae praesumptionis audacia, ut vobis domnis auderem per paginam infer-
re fastidium.
3 Nonostante l’abbondante uso del diminutivo in età imperiale e soprattutto tardoantica con-

duca a una sua parziale desemantizzazione, specie nelle lingue romanze (vd. LHS II pp. 772-
777), ingeniolum (< ingenium) mantiene nel caso presente il suo valore pregnante, indicando
così la pochezza di capacità intellettuali (deminutio), ai fini di affectata modestia: a tal fine vd.
JANSON 1974, pp. 145-146. Il lemma ricorre in modo particolare 12 volte nelle opere di Gerola-
mo, di cui 10 come cifra di modestia, 2 polemicamente nei confronti di Rufino (adv. Rufin. 1,
30; 3, 14). Cfr. CASSIAN., c. Nest. praef. 2: Ego enim ne in illis quidem opusculis, quibus per in-
genioli nostri oblatiunculam Deo sacrificavimus, moliri aliquid aut usurpare temptassem nisi
episcopali tractus imperio; ENNOD., carm. 1, 7 prosa p. 524, 2-3: Suspendistis hactenus ab in-
genioli mei ariditate imbrem fructuum nutritorem. Quanto all’immagine della sterilitas applica-
ta all’ingenium, cfr. p. es. SEN., benef. 2, 27, 1: Cnaeus Lentulus […] ingenii fuit sterilis; EN-
NOD., epist. 5, 7 p. 130, 2: Parcat sterilitati meae venerabilis anima; dict. 12 p. 463, 1: […] vos
fecundas de sterilitate ingeniorum glebas efficitis. Similmente, cfr. anche RURIC., epist. 1, 10, 2
(sterilitate exilis ingenii).
4 Forte contrasto, scandito dal poliptoto dell’aggettivo possessivo vester, tra le implicite alte

qualità di Sidonio e le ineptiae di Ruricio, molto evidente soprattutto nella netta contrapposi-
zione auribus vestris – ineptiis meis. La grandezza dottrinale di Sidonio sembra essere sottoli-
neata anche fonicamente dalla sequenza audeam – auribus, in cui il dittongo /au/ conferisce
particolare solennità alla dictio. In questa lettera Ruricio accentua topicamente la sua pusillitas
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204 Commento

di fronte alla grandezza d’ingenio del suo patronus Sidonio.


5 Citazione pressoché alla lettera di CASSIAN., c. Nest. 7, 31, 5. Cassiano rivolge l’ultimo ac-

corato appello a coloro che abitano intra Constantinopolitanae urbis ambitum affinché abbiano
a fuggire la dottrina eretica di Nestorio. Richiamando alla loro mente i vescovi e i dottori che
hanno insegnato la verità (Gregorio di Nazianzo, Nettario di Costantinopoli), indica con fervore
Giovanni Crisostomo come modello da seguire per l’ortodossia: Quod etsi adsequi grande est
ac difficile, sequi tamen pulchrum atque sublime. Quoniam in summa rerum non adeptio tan-
tum, sed etiam imitatio ipsa laudanda est, quia numquam fere aliquis eius rei portione ad ple-
num caret, ad quam scandere ac pervenire contenderit.
6 Da notare l’icastica espressione totis animae visceribus, cui fa riscontro la successiva inti-

mo pectoris. Similmente cfr. AUG., conf. 7, 6, 8: Confiteantur etiam hinc tibi de intimis visceri-
bus animae meae miserationes tuae, Deus meus; 11, 29, 39: […] et tumultuosis varietatibus di-
laniantur cogitationes meae, intima viscera animae meae; FAUST. REI., epist. 10 p. 216, 26: […]
ut hic peccatorum sagittae de animae visceribus evellatur; EUSEB. GALLIC., hom. 26, 5: […]
quando videt aliquem foedas peccatorum notas et veteres maculas intimis animae visceribus im-
pressas; vd. anche AUG., serm. 299E, 2; epist. 22, 2. Tuttavia non è da escludere una suggestio-
ne neotestamentaria di una versione della Sacra Scrittura, in cui il comandamento di amare Dio
(Mt 22, 37; Mc 12, 30; Lc 10, 27) suonerebbe: Et diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo
et ex tota anima tua et ex totis visceribus tuis et ex tota virtute tua, come ci attesta peraltro Ilario
di Poitiers (trin. 9, 24). Similmente cfr. RURIC., epist. 2, 19 v. 17: Antro pectoris et medulla cor-
dis; v. 21: Quae nunc intima pectoris fatigant (vd. nn. ad loc.); la iunctura ritorna in epist. 2, 34,
1. Attestata per la prima volta in PS. QUINT., decl. 12, 26: […] luctantur intra viscera animae, et
uterum funeribus gravidum in os agunt, di essa fornisce un’affascinante interpretazione Ambro-
gio: In quo autem cor mundum est, innovatur in eius interioribus spiritus. Viscera enim velut in-
teriora sunt animae; sicut enim viscera interiora sunt corporis, ita sunt et interiora intellegibi-
lia viscera animae, ut sunt viscera misericordiae, ut sunt interiora quae in eo sunt, in quibus
ait: «Benedic, anima mea, Dominum et omnia interiora mea nomen sanctum eius» (apol. Dav. I
14, 65). I sostantivi viscera e anima si trovano tuttavia affiancati già in STAT., silv. 5, 1, 45:
Visceribus totis animaque amplexa fovebat. Su questa e altre metafore corporali, vd. CURTIUS
1992, pp. 156-158.
7 Nella consueta metafora del “cibo spirituale” (vd. supra 1, 6 n. 10) e della “sete spirituale”

(vd. supra 1, 1 n. 12), Ruricio abilmente declina lessicalmente l’idea del nutrimento attraverso
variazioni sinonimiche quali cibus, dapes, epulae (unica variatio è fons); refici, potari, repleri,
saginari, libaverit, sorbuerit. A questi si aggiunge rumino, verbo che, pur avendo un’accezione
propria (ruminare), assume già dall’età classica un significato figurato legato all’atto meditati-
vo (vd. infra n. 8). La congeries (vd. supra 1, 3 n. 4) con parallelismo formale, il poliptoto e
l’anafora dell’aggettivo possessivo tuus esprimono con evidenza il desiderio di Ruricio; l’iper-
bato tuis… dapibus nel terzo membro varia la regolarità, dando luogo a una concatenazione
chiastica (tuis cibis refici, tuo fonte potari, tuis repleri dapibus, tuis epulis saginari); la gemi-
natio in iperbato del verbo reggente desidero con allocutio (Desidero itaque, domine mi, desi-
dero, inquam) conferisce particolare enfasi all’eloquio.
8 Ruricio permette di gettare uno sguardo embrionalmente su quello che sarà la ruminatio,

che nel Medioevo latino avrà grande peso in ordine alla meditazione della Parola di Dio intesa
come “nutrimento dell’anima”, soprattutto nella spiritualità monastica. Il lemma è già presente
in CIC., Att. 2, 12, 2 col significato di “ripresa interiore di quanto si è letto o appreso” (vd.
MOUSSY 2002, p. 95 n. 23). Cristianamente l’idea di ruminari – ruminatio è presa dalla Scrittu-
ra, in modo particolare da Lv 11, 3 e Dt 14, 6, in cui i ruminanti vengono enumerati fra gli ani-
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I, 9 205

mali puri. E gli esegeti cristiani spiegheranno abilmente perché siano da ritenersi puri e chi in
essi vada simbolicamente identificato. Così p. es. IREN. 5, 8, 3: Qui sunt ergo mundi? Qui in Pa-
trem et Filium per fidem iter firmiter faciunt, haec est enim firmitas eorum qui duplicis sunt un-
gulae, et eloquia Dei meditantur die ac nocte uti operibus bonis adornentur, haec est enim ru-
minantium virtus; NOVATIAN., cib. Iud. 3, 7: […] mundi (scil. homines), si ruminent, id est in ore
semper habeant quasi cibum quendam praecepta divina (a tal proposito, vd. CICCARESE 2002,
pp. 17-60, in partic. pp. 17-25). Della ruminatio spirituale in particolare ci fornisce eloquente
spiegazione Agostino (serm. 149, 3): Unde data est licentia Christianis, quae Iudaeis non est
data. Omnia enim animalia quae Iudaeis prohibita sunt manducare, signa sunt rerum, et sicut
dictum est, umbrae futurorum. Sicut illa circumcisio significat circumcisionem cordis, quam illi
in carne gestabant, et in corde repudiabant; sic et epulae illae praecepta mysteriorum sunt, et
signa futurorum. Veluti quod scriptum est eis, ut quae sunt ruminantia et fissa ungula, ipsa man-
ducent; quibus autem vel utrumque vel unum horum defuerit, non manducent; homines quidam
significantur, non pertinentes ad societatem sanctorum. Fissa enim ungula ad mores, ruminatio
vero ad sapientiam pertinet. Quare ad mores fissa ungula? Quia difficile labitur. Lapsus enim
peccati signum est. Ruminatio autem ad sapientiae doctrinam quomodo pertinet? Quia dixit
Scriptura: «Thesaurus desiderabilis requiescit in ore sapientis, vir autem stultus glutit illum».
Qui ergo audit, et neglegentia fit obliviosus, quasi glutit quod audivit; ut iam in ore non sapiat,
auditionem ipsam oblivione sepeliens. Qui autem in lege Domini meditatur die et nocte, tam-
quam ruminat, et in quodam quasi palato cordis verbi sapore delectatur; vd. anche in psalm. 36
serm. 3, 5; RUFIN., Orig in lev. 7, 6 p. 389, 1-6. Pertanto l’immagine è pregnante, evocando il
senso letterale del lemma (la manducazione fisica) e quello traslato (il far riemergere dentro di
sé quanto letto o ascoltato per rimeditarlo). Similmente, cfr. CAES. AREL., serm. 176, 1: Qui ergo
audit, et neglegentia fit obliviosus, quasi glutit quod audivit, ut iam in ore non sapiat, auditio-
nem ipsam oblivione sepeliens. Qui autem in lege Domini meditatur die ac nocte, tanquam ru-
minat, et in quodam quasi palato cordis verbi sapore delectatur. (vd. anche serm. 69, 5).
9 Il lemma ructatio, deverbale rispetto a ructo (vd. supra 1, 3 n. 16) è molto raro. Assente in

epoca classica, al cui posto viene utilizzato il sostantivo ructus, compare per la prima volta in
Agostino: vd. AUG., in psalm. 102, 8; serm. 20A, 8; 150, 8 (ructuatio); 255, 5; ENNOD., epist. 7,
21 p. 189, 18; FULG. RUSP., ad Tras. 2, 5, 4. Ructatio è hapax nell’opera ruriciana. La produttività
dei suffissi –io / -tio è molto elevata in età tardoantica: vd. p. es. infra 1, 15 n. 24 (sospitatio).
10 Cfr. RURIC., epist. 2, 34, 1: Hanc aquam si quis fidelis non gustu tantum summo tenus ore

libaverit, sed totis animae visceribus appetens conviva sorbuerit, protinus in laudem Domini
omnipotentis erumpet et hoc incipiet ructare, quod biberit. Vd. anche epist. 1, 3, 2.
11 Non sfugga il linguaggio vagamente equivoco abilmente utilizzato da Ruricio: il com-

mensale è sì digiuno, poiché non ha ancora degustato compiutamente il banchetto di sapienza


retorico-spirituale dell’amico Sidonio, essendo tutto ancora accumulato in intimo pectoris (re-
fertus corde). Simili immagini antinomiche già in PAUL. NOL., carm. 27, 104-105: Ructavere
sacras ieiuno gutture laudes / ebria corda Deo. Tuttavia la ieiunitas costituisce anche uno dei
difetti da evitarsi nell’arte retorica, come ammonisce QUINT., inst. 2, 4, 3: […] interim admone-
re illud sat est, ut sit ea neque arida prorsus atque ieiuna (nam quid opus erat tantum studiis
laboris intendere si res nudas atque inornatas indicare satis videretur?). Ieiunus pertanto può
ricollegarsi all’ambito dell’affettata rusticitas dell’autore. Similmente cfr. SYMM., epist. 1, 96:
Non enim mihi ex ore ieiuno tributa laudatio est; SIDON., epist. 9, 2, 2: […] nunc scilicet tibi a
partibus meis arida ieiunantis linguae stipula crepitabit; ENNOD., epist. 5, 7 p. 129, 16: […] pe-
riclitari tamen ieiunia oris olim probati iussionis celeritate evoluisti; 9, 1 p. 228, 3: Velim ita
labori meo faveas, ut ieiuno veniam praestes ingenio. La bocca di Ruricio sembra pertanto es-
sere doppiamente digiuna, spiritualmente e stilisticamente.
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206 Commento

12 Consueta immagine biblica dell’adynaton per indicare i magnalia Dei operati a favore

dell’uomo: generalmente la mentalità vetero/neo-testamentaria opera in questo senso, propo-


nendo un concetto e immediatamente dopo la sua negazione, così da evidenziare come nulla ri-
sulti impossibile alla potenza divina. A tal proposito cfr. 1Sm 2, 4-6: Arcus fortium superatus
est et infirmi accincti sunt robore, saturati prius pro pane se locaverunt et famelici saturati
sunt, donec sterilis peperit plurimos et quae multos habebat filios infirmata est. Dominus mor-
tificat et vivificat, deducit ad infernum et reducit; Lc 1, 52-53: […] deposuit potentes de sede et
exaltavit humiles, / esurientes implevit bonis et divites dimisit inanes; 6, 21: Beati qui nunc esu-
ritis, quia saturabimini; 25: Vae vobis qui saturati estis, quia esurietis.
13 Ancora preponderante la figura retorica del chiasmo, particolarmente gradita a Ruricio:

refertus corde, ore ieiunus; dum satur esurit et saturatur esuriens. In questo secondo si noti an-
che da un lato il parallelismo etimologico tra i due cola e la commutatio chiastica (vd. supra 1,
2 n. 2), dall’altro la figura etimologica satur – saturatur in poliptoto col successivo gerundivo
saturandus, nonché il poliptoto verbale esurit – esuriens.
14 Regeneratio identifica l’effetto prodotto dal battesimo (rinascere alla vita di grazia in Cri-

sto) o, per sineddoche, il sacramento stesso con cui si inizia a essere cristiani. Molti i riferi-
menti degli autori cristiani in questo senso. Per tutti valgano TERT., pud. 1, 5: Nostrorum bono-
rum status iam mergitur, christianae pudicitiae ratio concutitur, quae omnia de caelo trahit, et
naturam per lavacrum regenerationis; CYPR., patient. 6: Dominus baptizatur a servo et remis-
sam peccatorum daturus ipse non dedignatur lavacro regenerationis corpus abluere; AMBR.,
sacr. 3, 1, 3: Illa [scil. animantia] quidam in principio creaturae, sed tibi reservatum est ut
aqua te regeneraret ad gratiam sicut alia generavit ad vitam. E del resto, procedendo à
rebours, l’immagine del lavacrum regenerationis è squisitamente paolina: Non ex operibus iu-
stitiae quae fecimus nos, sed secundum suam misericordiam salvos nos fecit, per lavacrum re-
generationis et renovationis Spiritus Sancti (Tit 3, 5). Regeneratio ha tuttavia anche il valore di
“rinascita nell’ultimo giorno”, “resurrezione” (vd. CASSIAN., c. Nest. 5, 7, 4; AUG., civ. 20, 5;
GREG. M., moral. 4, 25), ed è in questa accezione che Ruricio sembra utilizzarlo nel presente
locus. Fa da sfondo l’antinomia lucana per cui vd. supra n. 12, che ha come poli estremi la vita
terrena e il premio eterno: il secondo verrà commisurato in rapporto alla prima. In riferimento
propriamente al concetto di regeneratio “resurrezione”, cfr. Mt 19, 28: Iesus autem dixit illis:
«Amen dico vobis quod vos qui secuti estis me, in regeneratione cum sederit Filius hominis in
sede maiestatis suae sedebitis et vos super sedes duodecim, iudicantes duodecim tribus
Israhel». La prospettiva del discorso ruriciano si fa dunque escatologica, gettando lo sguardo
sul giorno in cui l’esuriens troverà definitiva sazietà. Dato il tenore di questa lettera, essa è
ascrivibile agli anni dell’inquietudine spirituale dell’autore, in cui furono scritte anche le due
epistole a Fausto (epist. 1, 1; 2).
15 Si conclude l’ampia e insistente metafora barocca del “cibo spirituale” (su cui vd. supra

1, 6 n. 10) che ha dominato l’intero §. 2.


16 Patrocinium rimanda immediatamente alla funzione di patronus di Sidonio; sul patronato

episcopale in età tardoantica vd. supra 1, 1 n. 1.


17 Per l’uso di mereor + inf., vd. supra 1, 2 n. 33.
18 Torna l’mmagine biblica del bonus pastor, per cui vd. Lc 15, 4-7; Ioh 10, 11-16, già uti-

lizzata nella lettera precedente (vd. epist. 1, 8, 4). Cfr. HIER., in Is. 11, 40, 9 ll. 63-65: Sicut in
Evangelio legimus, quod ovem erroneam et a grege solito remanentem, suis ad caulas humeris
reportarit; PETR. CHRYS., serm. 30, 3: Inclinavit pastor bonus humeros suos, ut ovem perditam
salutares reportaret ad caulas; RURIC., epist. 2, 23, 2: Ipse est bonus pastor, qui ovem perditam
ad caulas dominicas mavult propriis humeris reportare sollicitus; GREG. M., epist. 9, 220 ll.
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I, 9-10 207

31-33: Et si quando per devia ovem de commissis gregibus error abduxerit, toto illam annisu
ad caulas revocare dominicas contendamus.
19 Si conclude qui una serie di quattro periodi dal tono quasi litanico, nei quali Ruricio chie-

de al suo patronus gli aiuti necessari per diventare un agnus dell’ovile del Signore. Si noti in
particolare, come accade nelle formule liturgiche, il motivo della supplica in prima sede seguito
dal verbo all’imperativo: vd. ROPA 1993, pp. 388-389. Nel dettato ruriciano, a una frase in cui il
desiderio è costituito da una proposizione completiva (ut + cong.) se ne alterna ritmicamente
un’altra in cui la richiesta è espressa da un complemento oggetto. La supplica al vescovo Sido-
nio acquista così un carattere particolarmente sacrale.
20 Cfr. Mt 25, 32-33. 46: Et congregabuntur ante eum omnes gentes et separabit eos ab invi-

cem sicut pastor segregat oves ab hedis. Et statuet oves quidem a dextris suis, hedos autem a
sinistris. […] Et ibunt hii in supplicium aeternum, iusti autem in vitam aeternam.

1, 10
1 Questo titolo di omaggio è assolutamente raro nell’epistolografia cristiana: esso è attestato

solo nel V secolo, nel frontespizio di una lettera, solo in Ruricio. Anche ThLL X-1, coll. 914-
917, significativamente non riporta la forma dom(i)no pectoris sui come nota. Oltre che nella
presente lettera, Ruricio la utilizza ulteriormente nella titolatura delle tre epistole indirizzate al-
l’amico Celso (1, 12; 13; 14) e in sede incipitaria nella lettera a Sedato di Nîmes (2, 34, 1). A
tal proposito vd. ENGELBRECHT 1892, p. 72; O’BRIEN 1930, pp. 31. 162. 164-165.
2 Magnanimitas, come titolo di indirizzo, è sicuramente indice di amicizia, come ben con-

gettura ENGELBRECHT 1892, p. 76, unitamente a un sentimento di ammirazione e rispetto. Resta


tuttavia raro il suo uso nella letteratura tardoantica: vd. anche RURIC., epist. 2, 1, 3.
3 Cfr. RURIC., epist. 1, 1, 3: […] quotiens dignati fueritis ariditatem terrae meae eloquentiae

vestrae imbre perfundere. Similmente cfr. Dt 32, 2: Concrescat ut pluvia doctrina mea, fluat ut
ros eloquium meum, quasi imber super herbam et quasi stillae super gramina. Il colon elo-
quentiae tuae rore respergas, con l’efficace allitterazione della polivibrante /r/ unitamente al-
l’assonanza del suono chiaro /e/, rievoca fonosimbolicamente il regolare scroscio dell’acqua; il
sintagma róre respérgas costituisce un cursus planus. Quest’ultima iunctura sembra essere un
debito di PRUD., perist. 10, 11 (sul quale vd. già supra 1, 3 n. 5), il cui contesto rende ancora
più interessante la ripresa ruriciana. L’inno è dedicato al santo martire siriano Romano, a cui
venne strappata la lingua. Prudenzio lo invoca perché, per sua intercessione, si sciolga il suo
debole eloquio in parole di lode: Sic noster haerens sermo lingua debili / balbutit et modis la-
borat absonis, / sed, si superno rore respergas iecur / et spiritali lacte pectus inriges / vox inpe-
ditos rauca laxabit sonos. Il fatto che Ruricio specifichi la formula rore respergas con il geniti-
vo eloquentiae tuae colloca pertanto il suo usus nell’ambito performativo della parola, come
già nel verso prudenziano.
4 Baiulus (< baiulo) indica in età arcaica e classica “colui che porta qualcosa”, “facchino”:

Protagoram […] adulescentem aiunt victus quaerendi gratia in mercedem missum vecturasque
onerum corpore suo factitavisse, quod genus Graeci ajcqofovrou~ vocant, Latine “baiulos”
appellamus (GELL. 5, 3, 1-2); fortiafovro~ ponderum baiulus (GLOSS. III 309, 56). Accanto a
esso, a partire almeno dal IV secolo, baiulus assume il significato di litterarum gerulus, tabel-
larius: esempi a tal proposito in ThLL II, col. 1687. Allo stesso modo vd. gerulus (< gero) al §.
3, per il quale vd. ThLL VIII, coll. 1952-1953. Il fatto di addossare la causa della mancata corri-
spondenza al portalettere assurge pressoché a topos nell’epistolografia, divenendo un agevole
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208 Commento

escamotage per autogiustificare le proprie inadempienze quanto all’epistolare officium. Cfr. p.


es. S YMM ., epist. 6, 56: […] quae si casu aliquo aut neglegentia portitoris elapsae sunt;
ENNOD., epist. 2, 7, 6 Gioanni: […] quia portitorum neglegentia fecit ut directae a vobis aut re-
tinerentur aut perderentur epistulae; CAES. AREL., epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 9-11: Sed tamen
sancto et domno meo fratri vestro certissime credo et malo hoc portitoris neglegentiae
inputare.
5 La verborum copia qualifica tradizionalmente la facundia del retore: vd. CIC., Brut. 242;

de orat. 3, 125. 159; QUINT., inst. 1, 8, 8; 10, 1, 61; esempi in età tardoantica in BRUHN 1911, p.
42. Stilisticamente la iunctura allitterante copia compta stride antiteticamente col precedente
(baiuli) inopia.
6 Si noti il il passaggio disinvolto dal tu, maggiormente confidenziale, al vos, più formale e

di uso cancelleresco, per cui vd. supra 1, 1 n. 11.


7 Con inaspettato sarcasmo Ruricio replica a tono alle accuse mossegli da Lupo. Tuttavia la

strategia di difesa è individuata nel ricorso alla topica dell’affectata modestia (laborare egesta-
te sermonis ac sterilitate exilis ingenii), che in questo contesto assume il piccante sapore di una
amichevole presa in giro. Si noti come Ruricio declini molto attentamente la propria egestas /
sterilitas, comprendendo sia l’aspetto propriamente dell’elocutio (sermo) sia le qualità più di-
rettamente connesse con le doti intellettive (ingenium) capaci di dare contenuto alla forma. Egli
dunque confessa di essere carente in entrambi, in tutte le sue facultates. La dinamica sermo /
eloquentia – ingenium è già classica. Cfr. CIC., Verr. II 5, 174: Neque de illo tibi quicquam
praefinio, quominus ingenio mecum atque omni dicendi facultate contendas; Brut. 318: […]
sed omni huic sermoni propositum est, non ut ingenium et eloquentiam meam perspicias; VELL.
2, 6, 1: Decem deinde interpositis annis, qui Tiberium Gracchum, idem Gaium fratrem eius oc-
cupavit furor, tam virtutibus eius omnibus quam huic errori similem, ingenio etiam eloquentia-
que longe praestantiorem; QUINT., inst. 10, 1, 80: Quin etiam Phalerea illum Demetrium […]
multum ingenii habuisse et facundiae fateor; FRONTO p. 53, 12: Quae fabula recte interpretanti-
bus illud profecto significat fuisse egregio ingenio eximiaque eloquentia virum. Non sfugga in-
fine la reminescenza lucreziana connessa con la iunctura egestas sermonis (patrii sermonis
egestas: LUCR. 1, 832; 3, 260). Per l’immagine della sterilitas ingenii, vd. supra 1, 9 n. 3.
8 Metafora “idrica”, cara allo stile di Ruricio: vd. epist. 1, 3, 2; 1, 5, 2 e nn. ad loc.; cfr. in

partic. QUINT., inst. 10, 1, 61: Novem vero lyricorum longe Pindarus princeps spiritus magnifi-
centia, sententiis, figuris, beatissima rerum verborumque copia et velut quodam eloquentiae
flumine, in cui la copia verborum è associata all’eloquentiae flumen. Sulla topica dell’ariditas
per indicare l’egestas sermonis, vd. supra 1, 1 n. 29.
9 Da notare il fine costrutto retorico, per cui si va a instaurare un chiasmo tra il primo ele-

mento della proposizione comparativa, in cui le tre coppie mitiche di amici sono disposte paral-
lelamente secondo lo schema dat. + acc., e il secondo in cui la struttura è capovolta: sicut Achil-
li Patroclum aut Herculi Theseum aut Theseo Pirithoum, ita vos mihi debere sociari. Si noti al-
tresì la concatenazione chiastica, in cui si segnala il chiamo lessicale con poliptoto Herculi
Theseum aut Theseo Pirithoum in chiasmo grammaticale col successivo vos mihi. Le tre coppie
mitiche assurgono a exemplum proverbiale dell’amicitia già nella tradizone letteraria preceden-
te. Cfr. p. es. STAT., Theb. 1, 473-477: […] Nec vana voce locutus / fata senex, siquidem hanc
perhibent per vulnera iunctis / esse fidem, quanta partitum extrema protervo / Thesea Pirithoo,
vel inanem mentis Oresten / opposito rabidam Pylade vitasse Megaeram; MART. 7, 24, 3-4:
Te fingente nefas Pyladen odisset Orestes, / Thesea Pirithoi destituisset amor; AUSON., epist.
23, 19-21 (= 417 Souchay): Impie, Pirithoo disiungere Thesea posses / Euryalumque suo so-
cium secernere Niso; / te suadente fugam Pylades liquisset Oresten / nec custodisset Siculus
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I, 10 209

vadimonia Damon. In ambito consolatorio, cfr. AUG., conf. 4, 6, 11: Nam quamvis eam mutare
vellem, nollem tamen amittere magis quam illum et nescio an vellem vel pro illo, sicut de Ore-
ste et Pylade traditur, si non fingitur, qui vellent pro invicem vel simul mori, qua morte peius
eis erat non simul vivere; quindi cfr. p. es. SIDON., carm. 5, 279-280. 287-289: […] Tua viscera
ferro, / Maioriane, petam […] si se Pollucis perfundit sanguine Castor, / Thesea Pirithoi, Pyla-
den si stravit Orestae / vel furibonda manus; 24, 26-30: Hinc te temporis ad mei Laconas / Iu-
stinum rapies suumque fratrem, / quorum notus amor per orbis ora / calcat Pirithoumque The-
seumque / et fidum rabidi sodalem Orestae; ENNOD., epist. 1, 9, 4 Gioanni: Cessent anilium
commenta poetarum, fabulosa repudietur antiquitas. […] Nobis, si placet in novellum usum
maiorum exempla revocare, potius Pyladis et Orestis, Nisi et Euryali, Pollucis et Castoris, si
nihil his clandestinorum actuum decerpit obscenitas, convenit gratiae meminisse vel fidei:
«[…] le recours aux exempla païens est permis dans la mesure où ils ne contradisent pas la foi
et la morale chrétiennes» (GIOANNI 2006, p. 118 n. 13). Similmente vd. anche AMBR., off. 1,
206, 3; PANEG. 2, 17, 1; CLAUD. in Rufin. 1, 106-108.
10 Nei circoli letterari della Gallia di V secolo molto frequente era l’epitetazione reciproca

dei membri con nomi derivati dalla mitologia classica. Cfr. p. es. SIDON., epist. 8, 11, 3: Hic
[scil. Lampridius] me quondam, ut inter amicos ioca, Phoebum vocabat ipse a nobis vatis
Odrysii nomine accepto; carm. 22, epist. 2: Habes igitur hic Dionysum inter triumphi Indici
oblectamenta marcentem; habes et Phoebum, quem tibi iure poetico inquilinum factum constat
ex numine, illum scilicet Phoebum Anthedii mei perfamiliarem, cuius collegio vir praefectus
non modo musicos quosque verum etiam geometras, arithmeticos et astrologos disserendi arte
supervenit. Cfr. anche l’epitetazione biblica in FAUST. REI., epist. 9 p. 215, 4: Quo tempore cum
Sarra tua alter pro altero remunerandus; 10 p. 216, 15: Inde est, quod cum fidelissima Sarra
tua sub uno Christi iugo…, in cui la consorte di Ruricio Iberia viene identificata con la moglie
di Abramo. E del resto il soprannome era anche utilizzato a fini di dileggio, come nel caso di
Gerolamo che appella sfrontatamente il prete gallico Vigilanzio Dormitantius (vd. HIER., c.Vi-
gil. 1; epist. 109, 1). A tal proposito, vd. MATHISEN 1991, pp. 29-43.
11 Cfr. Gal 5, 13: Vos enim in libertatem vocati estis, fratres, tantum ne libertatem in occa-

sionem detis carnis, sed per caritatem servite invicem.


12 Cfr. Rm 12, 9: Dilectio sina simulatione; 2Cor 6, 4. 10: Sed in omnibus exhibeamus no-

smet ipsos sicut Dei ministros [...] in caritate non ficta; RUFIN., Orig. in Rom. 9, 4 p. 735, 9: Et
ideo nihil habere adulatorium nihil fucatum caritas debet; AUG., epist. 110, 2: Quod non cura-
rem, si ea, quae de me ad me locutus es, non ex caritate sincerissima dicta scirem, sed adulatio-
ne inimica amicitiae. Il proposito di Ruricio è pertanto duplice: scegliere quanto di buono c’è
nei racconti del mito e attualizzarlo, applicandolo al suo rapporto di amicizia con Lupo. Dal
punto di vista del lessico, vale la pena notare l’uso dell’aggettivo fucatus, particolarmente
espressivo in iunctura col sostantivo adulatio. Fucatus infatti, nel linguaggio della retorica, vie-
ne a identificare anche l’insincerità e la piaggeria dell’encomio, come risulta p. es. da PANEG. 1,
66, 5 (= PLIN., paneg.): Vis enim tales esse nos, quales iubes, nihilque exhortationibus tuis fuca-
tum, nihil subdolum, <nihil> denique, quod credentem fallere paret non sine periculo fallentis;
3, 21, 3: Quippe ei a fucatis adulantium venenis quod periculum est; CLAUD., carm. 28, 593-594
(= Hon. 6): Fucati sermonis opem mens conscia laudis / abnuit; ENNOD., epist. 1, 10, 2 Gioanni:
[…] totam paginam fucatis colorare blanditiis.
13 Cfr. CASSIAN., c. Nest. 1, 1, 1-2: Tradunt fabulae poetarum desectis quondam hydram ca-

pitibus numerosius renascentem per sua damna crevisse, […] Ita ergo etiam haereses in eccle-
siis illius quam poetarum commenta finxerunt hydrae similitudinem gerunt. […] ut quod de
morte hydrae illius gentilium falsitas finxit, hoc in ecclesiarum bellis veritas peragat; HIER., in
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210 Commento

Am. 2, 5 ll. 274-283: Quando autem audimus Arcturum et Oriona, non debemus sequi fabulas
poetarum, et ridicula ac portentosa mendacia, quibus etiam caelum infamare conantur […] sed
scire hebraea nomina, quae apud eos aliter appellantur, vocabulis fabularum gentilium in lin-
guam nostram esse translata, qui non possumus intellegere quod dicitur, nisi per ea vocabula
quae usu didicimus et errore combibimus.
14 Sull’uso della sapienza pagana Ruricio sembra aver interiorizzato l’insegnamento agosti-

niano presente in doctr. chr. 2, 40, 60: «Riguardo ai cosiddetti filosofi, massimamente ai platoni-
ci, nell’ipotesi che abbiano detto cose vere e consone con la nostra fede, non soltanto non le si
deve temere, ma le si deve loro sottrarre come da possessori abusivi e adibirle all’uso nostro. Ci
si deve comportare come gli Ebrei con gli Egiziani. Questi non solo veneravano gli dei e impo-
nevano a Israele oneri gravosi che il popolo detestava fino a fuggirne, ma diedero loro vasi e
gioielli d’oro e d’argento e anche delle vesti. Il popolo ebraico all’uscita dall’Egitto di nascosto
se li rivendicò come propri, per farne – diciamo così – un uso migliore. Non fecero ciò di loro
proprio arbitrio, ma per comando di Dio, e gli Egiziani a loro insaputa glieli prestarono: ed effet-
tivamente erano cose delle quali non facevano buon uso! Lo stesso si deve dire di tutte le scienze
dei pagani. Esse racchiudono invenzioni simulate e superstiziose come pure gravi pesi che co-
stringono a un lavoro superfluo, cose tutte che ciascuno di noi, uscendo dal mondo pagano al se-
guito di Cristo, deve detestare ed evitare. Contengono però insieme a questo anche arti liberali,
più consone con il servizio della verità, e alcuni utilissimi precetti (sed etiam liberales discipli-
nas usui veritatis aptiores et quaedam morum praecepta utilissima continent); presso di loro si
trovano anche alcune verità sul culto dell’unico Dio» (trad. V. Tarulli). Cfr. HAGENDAHL 1967,
pp. 728-729. Alla riflessione di Agostino sembra soggiacere la dottrina origeniana sulla possibi-
lità di utilizzare la filosofiva JEllhvnwn a fini cristiani. Così infatti si esprime il dotto alessan-
drino nella lettera a Gregorio il Taumaturgo (§§. 1-2): «Ma io vorrei che tu utilizzassi tutta la
forza delle tue disposizioni naturali al fine della sapienza cristiana (eij~ cristianismovn); in pra-
tica, per questo motivo mi sarei augurato che tu prendessi della filosofia greca ciò che può essere
utile o come insegnamento generale o propedeutico alla sapienza cristiana (eij~ cristianismo;n
dunavmena genevsqai ejgkuvklia maqhvmata h] propaideuvmata), e dalla geometria e dall’a-
stronomia ciò che risulterà utile all’interpretazione delle Sacre Scritture; […] E a qualcosa di si-
mile fa forse riferimento ciò che è scritto nell’Esodo dalla persona di Dio: Egli fa dire ai figli
d’Israele di domandare ai loro vicini e ai loro compagni di tenda vasi d’argento e d’oro e vestiti:
perché spogliando gli Egiziani, trovassero materiale per organizzare, con le cose trafugate, il
culto a Dio (pro;~ th;n kataskeuh;n tw`n paralambanomevnwn eij~ th;n pro;~ qeo;n latreivan)».
Testo scritturistico originante queste interpretazioni è il pluricitato locus in cui JHWH ordina al
popolo eletto, prima di uscire dalla terra di schiavitù, di sottrarre agli Egizi ogni bene prezioso:
Daboque gratiam populo huic coram Aegyptiis, et cum egrediemini non exibitis vacui, sed po-
stulabit mulier a vicina sua et ab hospita vasa argentea et aurea ac vestes, ponetisque eas super
filios et filias vestras et spoliabitis Aegyptum (Ex 3, 21-22). Similmente, vd. HIER., epist. 70, 2 in
riferimento a Dt 21, 10-13, e quanto afferma LABHARDT 1946, pp. 56-62. Su questo tema, vd. la
rassegna e l’interpretazione di GASTI 1992a, pp. 312-329; GIOANNI 2004, pp. 525-530; sulle mo-
dalità con cui fare riferimento ad autori pagani, vd. HAGENDAHL 1947, pp. 114-128.
15 Flamma pectoris mei si riallaccia evidentemente all’intestazione domno pectoris sui, co-

stituendo una struttura stilistica ad anello.


16 Il fatto che Ruricio ricorra al frequentativo del verbo dico, dicto in riferimento all’elabora-

zione della propria lettera ci interroga sul valore tecnico di questo usus e su quello che era la mo-
dalità di scrivere in epoca tardoantica. Gli autori classici generalmente affidavano i propri pensie-
ri a un segretario, il quale vergava materialmente il corpo del testo, secondo un graduale lavorio
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I, 10-11 211

intellettuale di notare – formare – dictare, come ha ben mostrato HERESCU 1956, pp. 132-146.
Dunque dicto ha pienamente il significato di “dettare”. Tuttavia, ERNOUT 1951, pp. 155-161 ha
notato come, già dall’epoca classica, si avverta uno slittamento dal significato di “dettare” a quel-
lo di “comporre”, “scrivere”, ingenerato dalla nascente abitudine degli autori a scrivere personal-
mente le proprie opere. Cfr. HOR., epist. 1, 10, 49: Haec tibi dictabam post fanum putre Vacunae,
«où l’idée d’écrire est plus important dans l’esprit du poète que celle de dicter» (Ernout). E ben-
chè negli autori non sia mai venuta meno, almeno formalmente, la distinzione tra dictare e scribe-
re (cfr. p. es. AUG., doctr. christ. 4, 3, 4: […] vel maxime exercitatione sive scribendi sive dictan-
di, postremo etiam dicendi), lo slittamento semantico è inevitabile. Di conseguenza dictator sem-
bra potersi intendere per lo più come “autore” e dictare come “scrivere”. E RIMINI 1912, p. 572
sostiene che «Ruricio e gli amici suoi dovevano in parte scrivere da sé, in parte dettare». Non va
inoltre dimenticato che «la redazione autografa di una lettera era un gesto significativo all’interno
di un rapporto di amicizia» (CORBINELLI 2008, p. 54). E del resto, già Giulio Vittore nota: Obser-
vabant veteres carissimis sua manu scibere vel plurimum subscribere (rhet. p. 106, 10-11). A tal
proposito, vd. CORBINELLI 2008, pp. 30-31. 53-56. Tuttavia, vd. RURIC., epist. 1, 15, 2 e n. ad loc.
17 Per il sostantivo gerulus, vd. supra n. 4.
18 Conclusione di maniera, in cui l’autore ritorna sui suoi passi, confessando la propria ru-

sticitas e pregando il destinatario di non diffondere il contenuto dell’epistola: vd. supra 1, 4 n.


14. Topico risulta anche l’invito nei confronti del destinatario a emendare il testo. Cfr. IUST.
praef. 5: Quod ad te non tam cognoscendi magis quam emendandi causa transmisi; SIDON.,
epist. 1, 1, 3: Sed scilicet tibi parvi tuaeque examinationi has non recensendas (hoc enim pa-
rum est), sed defaecandas, ut aiunt, limandasque commisi; CLEDON. gramm. V 9, 14-16: Me
tuis praeceptis adgressum circumspice, luxuriosos tonde sermones, doctiloqua serie corrigentis
extende curta, caudifica, ut ad tuum arbitrium cuncta videantur tractata relecta digesta (vd.
JANSON 1974, pp. 141-143). «There is a clear tendency in writers using the scrutiny theme to
stress the benevolence of the scrutinizer; i. e. usually the dedicatee, and to speak in contrast of
the presumed malevolence of other critics» (JANSON 1974, p. 142). Tuttavia altrettanto topica è
la richiesta di non emendare o riscrivere, come traspare p. es. in PLIN. 7, 12, 1: Libellum forma-
tum a me, sicut exegeras, […] misi tibi ideo tardius, ne tempus emendandi eum, id est disper-
dendi, haberes; GREG. TUR., Franc. 10, 31: Quos libros licet stilo rusticiori conscripserim, ta-
men coniuro omnes sacerdotes Domini, qui post me humilem ecclesiam Turonicam sunt recturi
[…] ut numquam libros hos aboleri faciatis aut rescribi (vd. JANSON 1964, p. 143-144). Infine,
rientra altresí nei topoi epistolari il fatto di attribuire alla fretta del perlator la mancata revisio-
ne o la sbrigativa redazione della lettera.

1, 11
1
Sublimis vir / sublimis dom(i)nus è titolo proprio di uomini nobili. A tal proposito vd. EN-
NOD., epist. 4, 5 p. 100, 21 a Fausto, in cui il vescovo pavese epiteta l’amico Dalmazio, cui ad
prerogativam sanguinis morum splendor accessit, proprio come sublimis vir. Vd. O’BRIEN
1930, pp. 152-153.
2 Per il titolo (semper) magnificus, vd. supra 1, 3 n. 2.
3 La lettera, fin dalle prime righe, si preannuncia come leziosa. Questa prima parte del lungo

periodo iniziale vuole quasi essere una dimostrazione logica, attraverso passaggi graduali, della
non totale disprezzabilità degli abeti inviati a Freda (nonostante la superiorità degli alberi delle
Cevenne): non elogiabili per bellezza, non desiderabili per i frutti, non immediatamente utili,
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212 Commento

tuttavia segnalabili per amoenitas. Tale sostantivo, posto dall’autore all’inizio e alla fine di que-
sto ampio incipit, racchiude di fatto le considerazioni che inducono Ruricio a paragonare gli al-
beri di Freda ai suoi. Da questi elementi è anche possibile ricavare quale importanza si desse, al-
l’interno dell’aristocrazia gallo-romana del V secolo, alle qualità estrinseche dei soggetti, al le-
pos, il cui gusto si esprime propriamente nella preziosità stilistica. Con STEVENS 1933, p. 14 si
può concordare che la società del sud della Gallia di V secolo era «a nest of singing birds», che
trovava al tempo stesso svago e identità in lusus letterari e incontri di amicizia (vd. GUALANDRI
1979, pp. 15-28; LA PENNA 1995, pp. 3-34; per il tipo di educazione impartito in Gallia, vd. su-
pra 1, 5 n. 4). Ciò che qualcosa vale in termini utilitaristici conta poco – sembra comunicarci
Ruricio –; quanto invece è apprezzabile è principalmente la sua amoenitas, la piacevolezza sog-
gettiva. Successivamente Cassiodoro (var. 9, 6, 4), in una lettera ascritta all’anno 527 circa, così
esprime questo concetto: Magnum est enim gaudium desiderata capisse, sed in huiusmodi rebus
gratior est plerumque amoenitas oculi quam utilitas captionis. E Freda, il cui nome tradisce l’o-
rigine gotica, deve essere indubbiamente stato in grado di apprezzare e decifrare il prezioso reti-
colo di reminescenze e allusioni letterarie presenti in questa lettera d’accompagnamento: un’evi-
dente testimonianza del fatto che «alcuni Goti avevano adottato maniere squisitamente romane»
(WARD-PERKINS 2008, p. 95), oltre che vi era stato un indubbio grado di integrazione tra Goti e
Gallo-Romani (a tal fine vd. anche HEATHER 1999, pp. 234-258, in partic. pp. 242-255; MATHI-
SEN 2001, pp. 110-111). Quanto infine all’oggettiva inferiorità degli abeti di pianura rispetto a
quelli montani, già VARR., rust. 1, 6, 4 notava: Quaedam in montanis prolixiora nascuntur ac fir-
miora propter frigus, ut abietes ac sappini, hic, quod tepidiora, populi ac salices. In particolare,
l’abete è connesso con la slanciatezza del fusto (con paretimologia abies < abeo) da ISID., orig.
17, 7, 32: Abies dicta quod prae ceteris arboribus longe eat et in excelsum promineat.
4 Freda sembra dunque avere proprietà e risiedere nei pressi delle Cevenne, la catena di mon-

ti che dalla Gallia sud-occidentale si slancia verso nord-est, separante la valle del Rodano da
quella della Garonna e della Loira. Strabone (4, 177) ci informa che questi monti si estendono
fino all’altezza di Lugdunum: Th` Û de; Purhvnh/ pro;~ ojrqa;~ h\ktai to; Kevmmenon o[ro~ dia;
mevswn tw`n pedivwn, kai; pauvetai kata; mevsa plhsivon Lougdouvnou, peri; discilivou~
ejktaqe;n stadivou~. Le Cevenne erano già note all’epoca di Ausonio per la loro fitta vegetazio-
ne, soprattutto di conifere. Cfr. AUSON., urb. nob. 101-102: (Tolosam) confinia propter / niguida
Pyrenes et pinea Cebennarum; similmente cfr. anche AVIEN., ora 622: At cimenice regio discen-
dit procul / salso adfluento fusa multo cespite / et a prisca silvis nominis porrho auctor.
5 Nota vagamente ironica di Ruricio: l’adynaton del frigus oceani sarà prodotto non dalle

già biasimate qualità degli abeti in sé, bensì dal loro essere inseriti in un terreno già ricco di al-
beri fronzuti e ombrosi, la cui valentia refrigerante supplirà ipso facto all’altrui pochezza.
6 Lunga frase nominale in cui Ruricio impiega abbondantemente figure di suono e di stile.

Innanzitutto vanno segnalate le non rare allitterazioni della sibilante /s/ (illas praeclarissimas;
praestantes – opulentas – distinctas - fraglantes), della dentale /t/ (utilitate praestantes) e le as-
sonanze di vocali chiare quali /a/ ed /e/, che contribuiscono a creare la sensazione della solarità
e della floridezza dei boschi montani. A ciò si aggiunga l’uso dell’iperbato (inter illas praecla-
rissimas diversi generis arbores) e di concatenazioni di chiasmi ottenute attraverso l’alternanza
di costruzioni ora parallelele ora no (utilitate praestantes, opulentas onere, distinctas flore,
odore fraglantes). In quest’ultimo esempio va segnalata anche la presenza abbondante di
homoeoteleuton e homoeoptoton, nonché una perfetta isocolia tra i vari elementi.
7 Da notare il gioco parafonico che si instaura tra i verbi corradicali contulit – protulit,

secondo una consuetudine ruriciana: vd. HAGENDAHL 1952, pp. 75-76. Si intravvede una varia-
tio realistica rispetto al topos del locus amoenus: se in quest’ultimo gli alberi crescono e frutti-
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I, 11 213

ficano spontaneamente (vd. p. es. LACT., Phoen. 29-30: Hic genus arboreum procero stipite
surgens / non lapsura solo mitia poma gerit), sulle Cevenne è l’uomo a dover dissodare e lavo-
rare il terreno per ricavarne i prodotti. Per contrasto, l’immagine della spontanea abbondanza
del terreno si incontra anche in Lv 26, 3-5: Si in praeceptis meis ambulaveritis et mandata mea
custodieritis et feceritis ea dabo vobis pluvias temporibus suis, et terra gignet germen suum et
pomis arbores replebuntur; adprehendet messium tritura vindemiam et vindemia occupabit se-
mentem (vd. anche Am 9, 13). La breve nota sul lavoro dei campi può essere, oltre che uno
squarcio di realismo, anche influsso della “spiritualité des grands propriétaires terriens” (Fon-
taine) gallo-romani che, risignificando l’elogium della vita rustica della tradizione romana alla
luce delle immagini agricole dell’Antico e del Nuovo Testamento (cfr. p. es. Ioh 15, 1: Ego sum
vitis vera et pater meus est agricola; 1Cor 3, 8: Qui plantat autem et qui rigat unum sunt: unu-
squisque autem propriam mercedem accipiet secundum suum laborem), associa il lavoro ma-
nuale nei campi al metaforico dissodamento del cuore umano a opera di Dio. Valga come para-
digma quanto afferma PAUL. NOL., epist. 39, 2: Propterea dicit per Salomonem ipsa rerum opi-
fex sapientia, quae disponit omnia suaviter, ab Altissimo creatam rusticationem, ut eam non
corporali tantum sed etiam spiritali studio colas. Su questo argomento, vd. il ricco e sempre
valido intervento di FONTAINE 1972, pp. 241-265. Il successivo riferimento alle ruris divitiae,
deliciae di Freda sembra continuare questa possibile doppia lettura del locus in esame.
8 La lingua si fa tecnica, propria dell’agricoltura. Si noti l’insistente plurium rerum congeries

(vd. supra 1, 3 n. 4) con sapiente distributio dei vari elementi dell’accumulazione, che rende il rit-
mo della frase particolarmente incalzante e denso. L’immagine è quella del locus amoenus.
9 Oltre alla presenza del chiasmo iniziale ruborem rosarum, liliorum candorem, va rilevato il

ricorso frequente alla rima e all’omeoteleuto, che forniscono all’enumeratio un andamento si-
nuoso, simile al tracciato poetico: ruborem – candorem – virorem; alia – similia; graminum –
germinum; visui – usuique; peregrinae – conlatae; suavitates – vernantes. L’assonanza tra vocali
chiare e scure contribuisce a ricreare, quasi a livello visivo (sinestesia), la tavolozza di colori che
Ruricio ha delineato con rapide pennellate; l’assonanza di /m/, /r/, /s/, /v/, /t/ scandisce sapiente-
mente il cromatismo di questo quadro, a metà tra l’idillico e il naïf. Assonanze e allitterazioni
sono inoltre attentamente architettate secondo uno schema ora a coppie (ruborem rosarum; gra-
minum, germinum) ora a chiasmo (ruborem rosarum, liliorum candorem, lauri perpetuum viro-
rem, con ampliamento e variatio; suavitates visui usuique vernantes): per uno specimen di fono-
stilistica applicato alla lingua latina, vd. lo studio di FACCHINI TOSI 2000; sulla tradizione del ver
adsiduum propria tra l’altro del paradiso terrestre, vd. supra 1, 5 n. 18; a livello descrittivo cfr.
CULEX 398-402: Et rosa purpureum crescent pudibunda ruborem / et violae omne genus; hic est
et Spartica myrtus / atque hyacinthos et hic cilici crocus editus arvo, / laurus item, Phoebi decus
urgens, hic rhododaphne / liliaque et roris non avia cura marini; MANIL. 5, 257-260: Pallentis
violas et purpureos hyacinthos / liliaque et Tyrias imitata papavera luces / vernantisque rosae
rubicundo sanguine florem / conseret et veris depinget prata figuris; NEMES., ecl. 2, 44-46: At si
tu venias, et candida lilia fient / purpureaeque rosae, dulce rubens hyacinthus; / tunc mihi cum
myrto laurus spirabit odores; ENNOD., carm. 2, 44 (= 164V), 11-12: Lilia nam laurus oleas com-
mixta rosetis / de cultu proprium fecit habere diem; ALC. AVIT., carm. 1, 227-228: Perpetuo viret
omne solum terraeque tepentis / blanda nitet facies; 233-235: Lilia perlucent nullo flaccentia so-
le / nec tactus violat violas roseumque ruborem / servans perpetuo suffundit gratia vultu.
10 Figura etimologica con paronomasia. Infatti, mentre è evidente la comune radice etimolo-

gica di tempero e intemperies, meno chiara è la dipendenza di tempus da tempero: vd. DELL,
p.680; WH II, pp. 661-662. Giochi paronomastici di questo genere sono particolarmente graditi
a Ruricio, come emerge infra 2, 4 n. 69.
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214 Commento

11 Al gioco parafonico si aggiungono l’allitterazione della liquida labiale /m/ e l’assonanza

della vocale scura /u/, che contribuiscono a evocare sia la densità delle ombre che il susseguirsi
costante delle onde.
12 Altro fonosimbolismo: l’allitterazione della dentale /t/ nella sequenza in tantum non senti-

tur asperitas ricorda il battito dei denti come riflesso fisiologico dovuto al freddo.
13 Questo secondo paragrafo è scandito dalla presenza regolare di determinazioni di luogo,

quasi che Ruricio voglia insistere nell’evidenziare con chiarezza la decisa superiorità di quel
luogo dove Freda vive – in cui la natura compiace l’uomo del suo rigoglio – rispetto al deser-
tum in cui egli si trova a risiedere. Si notino pertanto la triplice anafora dell’avverbio di luogo
illic, gli avverbi di luogo ubi, inibi, nonché il costrutto perifrastico intra eadem, che varia e
conclude la serie avverbiale. Da notare infine come si venga a creare un chiasmo semantico con
antitesi interna: torridae fervor aestatis… undarum rigore / hiemis … asperitas… tepor aeris.
Se nel primo membro del chiasmo è la calura estiva a essere combattuta dal fresco, nel secondo
antiteticamente si ha un mutamento di situazione, per cui è il freddo dell’inverno a essere de-
bellato dal tepor. Le immagini contribuiscono a determinare le Cevenne come locus amoenus,
in cui ogni bellezza della natura è presente. Forte la suggestione bucolica e agreste virgiliana
(cfr. p. es. ecl. 4, 19-20. 23: At tibi prima, puer, nullo munuscula cultu / errantis hederas pas-
sim cum baccare tellus / mixtaque ridenti colocasia fundet achanto. […] Ipsa tibi blandos fun-
dent cunabula flores), ma sembrano ravvisabili anche altri influssi, quali p. es. STAT., silv. 2, 2,
25-27: Mira quies pelagi: ponunt hic lassa furorem / aequora et insani spirant clementius au-
stri; / hic praeceps minus audet hiems; LACT., Phoen. 2-10: (Est locus) […] nec tamen aestivos
hiemisque propinquus ad ortus, / sed qua sol verno fundit ab axe diem. / Illic planities tractus
diffundit apertos, / nec tumulus crescit nec cava vallis hiat, / sed nostros montes, quorum iuga
celsa putantur, / per bis sex ulnas eminet ille locus. / Hic Solis nemus est et consitus arbore
multa / lucus, perpetuae frondis honore virens; PANEG. LAT. 6, 9, 2: Merito te (scil. Britannia)
omnibus caeli ac soli bonis Natura donavit, in qua nec rigor est nimius hiemis nec ardor aesta-
tis, in qua segetum tanta fecunditas ut muneribus utrisque sufficiat et Cereris et Liberi; SIDON.,
carm. 2, 409-416: Ver ibi continuum est, interpellata nec ullis / frigoribus pallescit humus, sed
flore perenni / picta peregrinos ignorant arva rigores; halant rura rosis, indiscriptosque per
agros / flagrat odor; violam, cytisum, serpylla, ligustrum, / lilia, narcissos, casiam, colocasia,
caltas, / costum, malobathrum, myrrhas, opobalsama, tura / parturiunt campi. Questo descritti-
vismo alessandrino, di stampo staziano, assume il carattere della “miniature”, della “photo-
graphie minutieuse du détail” (Loyen). Non vanno infine dimenticati loci amoeni presenti nella
letteratura profetica biblica, quali p. es. l’evocazione della terra promessa (Ez 20, 6) e dell’era
messianica (Is 11, 6-9). Esempi di virtuosismo descrittivo in merito al “bosco composito” (Cur-
tius) alle fronde dei cui alberi è possibile trovare ristoro dalla calura estiva si ritrovano già in
OV., met. 10, 90-106; SEN., Oed. 532-547; STAT., Theb. 96-106; CLAUD., rapt. Pros. 2, 107-117.
Sul tema del locus amoenus vd. SCHÖNBECK 1962, in partic. pp. 18-60; MUGELLESI 1975, pp. 4-
12; AMAT 1985, pp. 398-401; CURTIUS 1992, pp. 218-223; ottima sul tema la recente monogra-
fia di HAß 1998; per le suggestioni del cliché del ver perpetuum, vd. supra, 1, 5 n. 18.
14 Cfr. CASSIAN., c. Nest. praef. 1: […] quia alto sanctorum virorum sensui sermo nostrae

inperitiae impar fuit. Il paragone si sposta dall’oggetto ai soggetti: la dichiarata inferiorità dei
boschi limosini rispetto a quelli delle Cevenne sembra fare da sfondo alla topica confessione da
parte di Ruricio della propria inperitia sermonis. Sulla rusticitas e la dichiarazione di humilitas,
vd. supra 1, 3 n. 10.
15 Si è cercato di rendere nella traduzione italiana l’efffetto fonico della dentale sonora /d/

posta all’inizio della sequenza: divitias, delicias describere. Si notino anche l’omeoteleuto, l’o-
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I, 11 215

meoptoto e l’isosillabismo dei primi due elementi, rispetto ai quali il terzo opera una variatio
morfologica e sillabica.
16 Vd. RURIC., epist. 1, 12, 1: Trepido in praeconium vestrum os elingue reserare, cui scio

iure etiam ingenia maiora succumbere. Topica dichiarazione dell’autore di incapacità a tratta-
re dovutamente la materia. Cfr. AUSON., grat. 8, 37 (= 419 Souchay): Verum quoniam gratiis
agendis iamdudum succumbo materiae; SULP. SEV., Mart. 26, 1: […] victi materiae mole suc-
cumbimus; HIER., epist. 60, 1: Grandes materias ingenia parva non sufferunt et in ipso conatu
ultra vires ausa succumbunt; vita Hilar. 1, 4: Porro mihi tanti ac talis viri conversatio vitaque
dicenda est, ut Homerus quoque, si adesset, vel invideret materiae vel succumberet; APON.,
prol. 1: […] me acerrima iussione ultra vires sub gravissimi ponderis cogis mole succumbere;
ENNOD., dict. 10 p. 457, 13: Vere fateor, nisi esses, brevi succumberet quicquid monstrat inge-
nium. Il topos dell’ “inesprimibile” (Curtius) è trasversale ai generi letterari di ogni epoca, da
Omero in poi. Su questo argomento vd. JANSON 1964, pp. 120-123. 149-152; CURTIUS 1992,
pp. 180-182.
17 Il destinatario è topicamente accusato di aver costretto chi scrive a esprimersi, nonostante

la sua dichiarata incompetenza: vd. supra 1, 3 n. 7.


18 Il titolo dignatio non è quasi mai utilizzato nella letteratura latina, prima dell’epoca impe-

riale. Già usato da Livio come sinonimo di dignitas, manterrà questa accezione in riferimento a
laici di alto rango e vescovi (vd. O’BRIEN 1930, pp. 26-27). Fuori dall’uso cancelleresco, di-
gnatio assumerà spesso presso gli autori cristiani anche il valore di “benevolenza”, “favore di-
vino”. A tal proposito, vd. MOUSSY 1966, pp. 455-456.
19 Topos dell’epistolografia sia classica che tardoantica è il giustificare la propria verbositas,

in ottemperanza ai canoni epistolari di brevitas: vd. supra 1, 3 n. 15. Nella presente lettera la
nota di brevitas epistularis assume evidentemente un carattere lezioso e manierato, essendo lo
scritto già di per sé piuttosto breve.
20 Si noti il duplice calembour nell’isocolo displiceret affatu, placeret affectu, parallelo

quanto a costruzione, antitetico quanto a concetti. Ruricio – come già si è sottolineato più volte
– ama in modo particolare giocare con le parole, ora usando abilmente i preverbi (displiceret-
placeret), ora, come nella presente epistola (visui usuique vernantes), mutando sensibilmente il
corpo di una parola così da produrre effetti parafonici e paronomastici (adnominatio: vd. infra
2, 13 n. 12): a tal proposito vd. HAGENDAHL 1952, pp. 71-80. La paronomasia affatus - affectus
ricorre 4 volte nel corpus ruriciano: vd. epist. 2, 17, 1; 18, 2; 40, 3; quindi cfr. CASSIOD., var. 6,
17, 5: Peculiare de vobis aliquod vectigal exigimus, ut sicut vobis cum familiariter miscemus
affatus, ita et nostra opinio specialiter a vobis mereatur affectum; GREG. M., epist. 9, 237 ll. 7-
9: […] (Marcellinus) ut sinceritatis suae affectum non solum verbis sed etiam opere magis ma-
gisque valeat demonstrare, idcirco dilectionem tuam his hortamur affatibus.
21 L’ampio iperbato racchiude al proprio interno gli affettati chiarimenti intorno alla motiva-

zione che ha spinto l’autore a prolungare il proprio scritto oltre il dovuto: non tanto compiaci-
mento retorico, bensì un irrefrenabile sentimento di amicizia. Si noti l’intricata sintassi, in cui
particolarmente frequenti sono le variazioni di soggetto.
22 Sublimitas è titolo usato generalmente per laici di alto rango o per l’imperatore; raramente

è riferito a un vescovo: vd. O’BRIEN 1930, pp. 50-51.


23 Se nel secondo paragrafo dominava la contrapposizione illic / hinc, nel terzo la dialettica

è tra ego (Ruricio) e vos (Freda), evidenziando la chiara superiorità del secondo sul primo.
Questo effetto è ottenuto ancora una volta attraverso l’anafora e il poliptoto dei pronomi perso-
nali ego–vos e dei rispettivi aggettivi possessivi.
24 Variatio ruriciana rispetto a CASSIAN., c. Nest. praef. 1: […] ut excusarem, quantum in me

esset, per taciturnitatis verecundiam loquacitatis audaciam.


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216 Commento

1, 12
1 Vd. supra 1, 10 n. 1. È questa la prima delle tre lettere scritte da Ruricio a Celso, ascrivibi-

li agli anni precedenti l’episcopato tra il 475 e il 485 (Mathisen).


2 Per la iunctura os elingue, vd. supra 1, 3 n. 5.
3 Cfr. RURIC., epist. 1, 11, 3: […] ad cuius laudem etiam ingenia maiora succumberent.
4 Non sembra necessario postulare una corruttela del codice e suggerire emendamenti, come

hanno fatto in passato i precedenti editori (Engelbrecht: oris; Krusch: nemoris): si instaura così
la coppia parafonica ruris – moris, comprensiva dei valori della rusticatio in villa e del buon
costume proprio della nobiltà gallo-romana. La villa, accanto ai valori tradizionali della cultura
latina precedente, diventa, per i ricchi e colti possidenti cristiani, luogo in cui sembra possibile
ricomprendere e riaffermare la propria identità di fronte al mondo, visto come spazio vorticoso
e insicuro (soprattutto a partire dalla presenza del “pericolo barbaro”). Il secessus in villa assu-
me pertanto la cifra di otium letterario e ascetico al tempo stesso. Sulla vita in villa in età tar-
doantica, vd. CAGIANO DE AZEVEDO 1966, pp. 663-694; FONTAINE 1972, pp. 241-265; COLOMBI
1996, pp. 405-431; MATHISEN 2003-2004, pp. 343-358; vd. anche supra 1, 11 n. 7.
5 Cfr. 1Cor 13, 13: Nunc autem manet fides, spes, caritas tria haec. Maior autem his est

caritas.
6 Al di là del topico atteggiamento accusatorio contro i generici “mali del secolo”, è possibi-

le scorgere anche nelle parole di Ruricio un vago riferimento polemico alla situazione socio-po-
litica della Gallia meridionale di V secolo. Su questo argomento vd. supra 1, 3 n. 24.
7 La struttura chiastica con ampliamento del secondo membro accoglie il consueto gioco

di parole ruriciano fondato sulla variazione dei prefissi: deputandum tempori, non vobis est
inputandum.
8 Il dicolon costituito dalle due proposizioni relative è rinsaldato da isocolia quasi perfetta,

dall’anafora del pronome relativo quod, dalle numerose assonanze e allitterazioni (carum pec-
tus – clarum mundus). La posizione incipitaria enfatica del sintagma totum apud vos sfocia nel
centrale inveni, costituendo un iperbato che si dilata fino a includere i motivi di rallegramento
di Ruricio nei confronti di Celso: il tracciato epistolare sembra essere insufficiente a esprimere
compiutamente la gioia del cuore. Il pensiero trova efficace sintesi nella lapidaria conclusione:
nulla me penitus iucunditate fraudastis (da notare la sonorità degli ultimi due elementi, a riba-
dire intensamente il concetto).
9 Da quanto si legge, si può inferire che Ruricio si trovava in un luogo piuttosto appartato,

probabilmente nel villaggio di Gurdo o a Decaniacum, oppure è ipotizzabile anche una solitu-
dine più intima, non legata tanto a luoghi, ma dovuta probabilmente alla lontananza di amici e
della moglie Iberia. Per identificare la sua domus (che si presume non dovesse essere così umi-
le come il termine dà a intendere), ancora una volta in risposta al topos della humilitas, Ruricio
utilizza il diminutivo hospitiolum, che compare altre 2 volte in epist. 2, 2, 1; 38, 1. Il vocabolo
è tuttavia raro nella letteratura latina, anche in epoca tardoantica. Fa la sua prima comparsa at-
torno al III secolo, nell’opera del giurista Ulpiano: Si quis amicis suis modica hospitiola distri-
buit… (dig. 9, 3, 5, 1); quindi ricorre piuttosto frequentemente nelle epistole geronimiane (vd.
p. es. epist., 42, 3; 52, 5; 117, 11; ecc.) e soprattutto negli autori dell’area gallica di V-VI seco-
lo. A tal proposito, oltre ai sopraccitati loci, vd. CAES. AREL., serm. 14, 2; 26, 5; GREG. TUR.,
Franc. 6, 45; 8, 19 (con palatalizzazione della dentale: Illo quoque discendente ab hospiciolo
suo); glor. mart. 10; 47. Hospitiolum ricorre talvolta anche nei canoni dei concili ecclesiastici:
STAT. eccl. ant. p. 166, 1-2: Ut episcopus non longe ab ecclesia hospitiolum habeat; CONC.
Agath. a. 506 p. 196, 74-76: […] quod tamen iubemus vigenti solidorum numerum modum in
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 217

I, 12 217

terrola, vineola vel hospitiolo tenere. Singolare l’accezione di casetta in cui il contadino si riti-
ra quando, a motivo dell’eccessiva distanza del campo in cui lavora, non può fare ritorno alla
propria dimora abituale, presente in GREG. TUR., glor. mart. 103: Accedit autem, ut die quidam
lassus de hoc opere veniens, his dimissis, se hospiciolo (quidam pauper) reconderet. Sull’uso
dei diminutivi di sostantivi indicanti un’abitazione, vd. CALLEBAT 2003, pp. 307-324, in partic.
pp. 313-314.
10 La vicinanza cui fa riferimento Ruricio può essere intesa rispetto a Gurdo / Decaniacum.

Indubbiamente tuttavia Celso doveva risiedere in Aquitania.


11 L’espressione non ex toto malus est, qui bonis iungitur sembra soggiacere a espressioni

proverbiali già antiche, del tipo: Malum quidam nullum esse sine aliquo bono (cfr. PLIN., nat.
27, 9). Similmente cfr. AUG., retract. 2, 17, 8: […] sed sic potius ut homo malus auferatur ex
hominibus bonis.
12 Il codice S riporta a questo punto l’infinito esse, che evidentemente non ha senso nel con-

testo sintattico. Gli editori hanno preso diverse soluzioni: il Canisius ha emendato con ipsa,
Krusch ha corretto seu, Engelbrecht ha semplicemente cancellato la forma. Nella presente tra-
duzione verrà accolto l’emendamento del Krusch, che sembra maggiormente esaltare, a mo’di
inciso, il senso di pusillitas di Ruricio.
13 Sulla brevitas epistolare, vd. supra 1, 3 n. 15. Nel presente caso duplice è il motivo di fa-

stidio: la ineptia sermonis e la longitudo. Il motivo di questa risoluzione drastica (non provoca-
re fastidium) è compreso all’interno di un iperbato: Sed ne exhibeat vobis seu ineptia sui lon-
gior sermo fastidium.
14 L’espressione largissimum salve dico – «I extend my very best regards» (Mathisen) –

sembra essere squisitamente ruriciana. L’aggettivo largus non può che essere inteso come “af-
fettuoso”, “caro”, come sembra evincersi da espressioni similari quali largam… hanc… dicit…
salutem di SIDON., carm. 9, 1-3, (Loyen: «adresse son salut le plus cordial»; Anderson: «hereby
gives heartiest greeting»). In questo senso anche SANTELIA 1998, p. 30 n. 3. Negli autori pagani
vd. LYGD. 1, 21: Sed primum meritam larga donate salute. La locuzione largissimum salve ri-
corre ancora in epist. 2, 1, 3; 2, 2.
15 Emerge finalmente, a metà lettera, dopo lunghi convenevoli, il motivo precipuo di essa: la

conferma dell’invio di un vitrarius. Questa notizia, come si legge nelle righe successive, sarà
motivo di ulteriori considerazioni allegorico-spiritualeggianti. Il vocabolo vitrarius (o vitrea-
rius), piuttosto raro, si trova per la prima volta in SEN., epist. 90, 31 (vitrearius); quindi in HIST.
AUG. Alex. 24, 5; rare le attestazioni epigrafiche: vd. CIL 3, 9542; 8, 9430. Oltre che in Ruricio,
vitrarius è attestato nel IX secolo, nel Liber in partibus Donati, opera grammaticale del bene-
dettino Smaragdo: Nascuntur ab officiis, ut tabellarius aurarius argentarius vitrarius ollarius
et similia (2, 7 l. 112).
16 Viene dichiarato quello che di fatto è il motivo di tante lettere: l’amore verso il destinata-

rio, il rapporto di amicizia. È questo un topos dell’epistolografia, soprattutto tardoantica (vd.


recentemente SCHRÖDER 2007, pp. 150-157). Paolino di Nola parla dell’atto di scrivere lettere
come officium caritatis (epist. 13, 2) e in AMBR., epist. 6, 32, 7 si legge: Quae in libros nostra-
rum epistularum referam, si placet, atque in numerum reponam, ut tuo commendetur nomine et
tuis ad nos et nostris ad vos litteris augeatur mutuus amor per Dominum, ut ita legas, quo iudi-
ces et quod moverit scribas ad me; amor enim verus constantia probatur. «Im antiken Freund-
schaftsbrief sind filiva und gravmmata nach Form und Inhalt eng aufeinander bezogen. Sei-
dem die Bereiche Brief und Freundschaft einander zu durchdringen begannen, wurde der
Briefwechsel ein Mittel zur Pflege der Freundschaft und diese zum beliebten Gegenstand der
Reflexion im Brief» (THRAEDE 1970, pp. 125-126: del medesimo vd. anche pp. 127-129). In
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218 Commento

modo particolare, dilectio sembra essere di fatto sinonimo di caritas, entrambi utilizzati dagli
autori cristiani e nelle traduzioni latine della Bibbia per indicare il concetto greco di ajgavph. A
livello interpersonale, sia dilectio che caritas esprimono pertanto il sentimento di amicizia spi-
rituale fondato sul preveniente amore divino. Alcune riflessioni sull’amicizia cristiana in Paoli-
no di Nola, ma valide anche come prospetto generale in FABRE 1949, pp. 142-154; MRATSCHEK
2002, pp. 390-394. 490-493; vd. anche il fondamentale saggio di PÉTRÉ 1948; OTTEN 1963, pp.
73-83; WHITE 1992; PIZZOLATO 1993, pp. 215-338; KONSTAN 1997, in partic. pp. 149 ss.
17 Probabilmente i due ebbero a frequentare lo stesso precettore. Il riferimento ai parentes

non lascia pensare tanto ai medesimi genitori (come invece ritiene MATHISEN 1999, p. 123),
quanto a persone aventi comunque i medesimi ideali e stili di vita.
18 Questo riferimento esprime la profonda amicizia che lega Ruricio a Celso. Il fatto che

parli di comunione di vita lascia pensare che questa lettera, come le altre due successive, siano
state scritte prima dell’episcopato di Ruricio (Celso infatti non risulta essere sacerdote: tuttavia
vd. epist. succ.). I gradus dell’amicizia sono scanditi con una sapiente climax: i parentes, la
formazione scolastica, la vita.
19 Cfr. RURIC., epist. 1, 13, 1: Egone vos, qui me adhuc in saeculi turbinibus tamquam in

maris aestibus cumba instabili fluctuantem quasi iam de sublimiori specula vel eminentiori col-
le respicitis? L’allusione alla turbinum procella preannunzia le immagini marinaresche del §. 3.
20 Il termine examinatio, pur avendo un’accezione tecnica, ha anche un valore ora giuridi-

co di giudizio ora teologico di giudizio ultimo. Rispettivamente, cfr. p. es. G REG . T UR .,


Franc. 10, 19: Rex episcopos arcessiri ad eius examinationem praecepit, e CASSIAN., c. Nest.
6, 17, 3: […] neque ad illum qui expectatur examinationis ultimae diem veniet nec vivos ac
mortuos iudicabit; conl. 6, 11, 11: […] etiam si in presenti supplicium differatur, in futuri iu-
dicii examinatione reddendum. In quest’ultima accezione vd. RURIC., epist. 2, 15, 8. Quanto
all’exemplum, cfr. p. es. Prv 17, 3: Sicut igne probatur argentum et aurum camino, ita corda
probat Dominus; Za 13, 9: Et ducam tertiam partem per ignem et uram eos sicut uritur ar-
gentum, et probabo eos sicut probatur aurum.
21 Linguaggio è tecnico, al pari di epist. 1, 3, 2, alle cui nn. si rimanda.
22 Lacuna insanabile del codice S 190.
23 Non è possibile risalire a quale episodio evangelico Ruricio faccia riferimento, a causa

della lacuna precedente. Sarebbe tuttavia possibile credere che egli abbia evocato brani quali la
tempesta sedata (Mt 8, 23-27; Mc 4, 35-40, Lc 8, 22-25) oppure quello in cui Gesù cammina
sulle acque e placa i flutti (Mt 14, 22-23; Mc 6, 45-51; Ioh 6, 16-21).
24 Ruricio, sfruttando il sermo marinaresco, equivoca coi significati metaforici del verbo

tempero, ponendo, fuor di metafora, come oggetto vitam nostram. Sull’usus del verbo tempero,
vd. PARIENTE 1957, pp. 173-185; DEGL’INNOCENTI PIERINI 1992, p. 167.
25 Il lessico è propriamente quello marinaresco. In modo particolare, Ruricio fa riferimento

a quel tipo di navigazione particolarmente prudente nota come “cabotaggio”. L’esortazione, at-
traverso immagini nautiche, a non eccedere nella propria condotta, dunque alla mediocritas, si
trovano già in Orazio. Ne è esempio lampante l’ode a Licinio (carm. 2, 10). Cfr. vv. 1-4: Rec-
tius vives, Licini, neque altum / semper urgendo neque, dum procellas / cautus horrescis,
nimium premendo / litus iniquum; vv. 22-24: […] sapienter idem / contrahes vento nimium
secondo / turgida vela; similmente vd. anche carm. 2, 3. Consonanze tematiche e metaforiche
si riscontrano abbondanti in Seneca tragico e filosofo, di cui non è possibile in questa sede for-
nire una rassegna esaustiva. A titolo esemplificativo cfr. epist. 16, 3: [sapiens] sedet ad guber-
naculum et per ancipitia fluctuantium derigit cursum; 19, 9: Hic te exitus manet nisi iam con-
trahes vela, nisi, quod ille sero voluti, terram leges; Oed. 980-985: Fata si liceat mihi / fingere
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I, 12 219

arbitrio meo, / temperem Zephyro levi / vela, ne pressae gravi / spiritu antennae tremant. A tal
proposito vd. DEGL’INNOCENTI PIERINI 1992, pp. 155-169, in partic. pp. 159-162; GASTI 1992b,
pp. 173-188; sul lessico marinaresco, vd. il classico studio di DE SAINT-DENIS 1935; per quanto
concerne il simbolismo dell’acqua e la vulgata metafora del “mare della vita / del mondo”, vd.
nn. ad loc. di RURIC., epist. 1, 13, 1. L’immagine del cabotaggio è già utilizzata, in altro conte-
sto, da Ambrogio (in Luc. 4, 1) per giustificare il suo lento procedere nella narrazione dei fatti
evangelici: al pari di chi ha intrapreso una navigazione, il quale, per evitare di stancare o affati-
care i passeggeri, veleggia non speditamente in mare aperto, ma lungo le coste, soffermandosi
qua e là a contemplare le bellezze che incontra. Similmente cfr. FAUST. REI., grat. 1, 1 p. 7, 29
ss.: Et quid eos inter haec facere oporteat, si requiras: proviso gubernatore navem fluctibus
credant, medium teneant cursum et ambo flatu dextro perducentur ad portum. In ambito asceti-
co, queste considerazioni si orientano nella “spiritualità della via regia” (Nm 21, 22), fonda-
mentalmente improntata alla temperanza e all’equilibrio. Già consigliata da Cassiano (vd. conl.
2, 2, 4; 6, 9, 3; 24, 24, 5), troverà ampia diffusione nel monachesimo medievale (vd. LECLERQ
1965, pp. 135-139.
26 Cfr. RURIC., epist. 1, 13, 1: Domino gubernatore; 2, 13, 1: Domino gubernante. Cfr. anche

FAUST. REI., epist. 9 p. 211, 21: […] Excelsi manu gubernante. Sulla metafora del gubernator,
cfr. già SEN., epist. 16, 3: (sapiens) sedet ad gubernaculum et per ancipitia fluctuantium derigit
cursum. Benche nell’epistola ruriciana il sostantivo gubernator abbia niente più che una fun-
zione formulare, vale la pena notare che, come ben ha mostrato JUNDZILL 1990, pp. 817-828, i
cristiani associano spesso alla funzione di timoniere propria del gubernator quella stessa del
navis magister che governa la nave, sia in metafora che in senso proprio. Inoltre gubernator,
già dalla fine dell’età repubblicana, assume un significato, derivato da quello tecnico, di “go-
vernatore”, “rettore”. Con questa sfumatura cfr. già CIC., rep. 2, 51: […] sic enim appelletur
quicumque erit rector et gubernator civitatis. In questo senso viene spesso riferito alla divinità,
la quale guida il mondo. Cfr. p. es. SEN., Phae. 903-904: Pro sancta Pietas, pro gubernator poli
/ et qui secundum fluctibus regnum moves; FIRM., math. 5 praef. 3: Quicumque es deus […] so-
lus omnium gubernator et rector; PS. APUL., Ascl. 3: Caeli vero et ipsius animae et omnium,
quae mundo insunt, ipse gubernator est qui est effector, deus; TERT., adv. Iud. 2, 1: […] Deus,
universitatis conditor, mundi totius gubernator; et alii. Quindi, nella medesima accezione, vie-
ne riferito a chiunque sia investito di un ruolo di comando o di guida in ambito ecclesiale: vd.
p. es. CYPR., epist. 59, 6; 66, 5; HIER., epist. 7, 5; POMER. 1, 16; ecc.
27 Il tricolon parallelo a livello espressivo ben suggerisce l’immagine della calma del mare

tranquillo. Da notare l’attenta gradazione semantica ascendente dei verbi, per cui si passa dal-
l’ammiccare del cielo sereno alla stimolante provocazione del vento a favore alla lusinga irresi-
stibile del mare placido.
28 Il comma aequoris subiecti planities risulta piuttosto ridondante. Da notare il sostantivo

culto aequor, di uso per lo più poetico (cfr. p. es. CATULL. 101, 1: Multas per gentes et multa
per aequora vectus; VERG., Aen. 10, 444: Haec ait et socii cesserunt aequore iusso). Quanto al
concetto di mare come “distesa piatta”, cfr. VARRO, ling. 5, 26: Origo potionis aqua quod aequa
summa; CIC., ac. frg. 3: Quid tam planum videtur quam mare; e quo etiam aequor illud poetae
vocant; AMBR., hex. 3, 2, 8: Et cum sit altitudo diversa, indiscreta tamen dorsi eius aequalitas.
Unde et aequor adpellatum arbitror, quod superficies eius aequalis sit; ISID., orig. 13, 14, 2:
Aequor autem vocatum quia aequaliter sursum est […] Altitudo enim maris diversa est, indi-
screta tamen dorsi eius aequalitas (vd. anche orig. 13, 12, 1). Possibile eco ovidiana nella iunc-
tura aequor subiectum: cfr. OVID., met. 8, 574 (aequora prospiciens oculis subiecta); 13, 438
(subiectas misit in undas). E tuttavia il mare subiectum è anche realizzazione della volontà di-
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vina che ha decretato di dividere le acque che stavano sub firmamento da quelle super firma-
mentum (Gn 1, 7-10), chiamando maria le congregationes aquarum (vd. AMBR., hex. 3, 2, 7-8;
3, 12-13).
29 Immagini piuttosto consuete. Cfr. AMBR., hex. 3, 2, 9: Ceterum quis ignorat quod rapi-

dum plerumque impetu in ima descendens in superiora se subigat atque in supercilium montis
adtollat; HIER., vita Hilar. 29, 2: Quod cum viderent Epidauritani, frementes scilicet fluctus et
undarum moles et montes gurgitum littoribus inferri; ISID., orig. 13, 14, 3: […] et quamvis
aquae fluctuantes velut montes erigantur. Tuttavia il locus ruriciano sembra dipendere mag-
giormente da AMBR., hex. 3, 2, 10: Nonne ipsi videmus mare frequenter undosum, ita ut in al-
tum fluctus eius tamquam mons aquae praeruptus insurgat, ricco a sua volta di suggestioni vir-
giliane, come p. es. Aen. 1, 103: […] fluctusque ad sidera tollit; 105: […] insequitur cumulo
praeruptus aquae mons.
30 Dicolon parallelo, con isocolia e isosillabismo, che chiude con due clausole ritmiche il

lungo periodo, nonché la lettera stessa: tempéstas sólvat e únda demérgat (cursus planus). Si-
mili immagini marinaresche, oltre ai già menzionati loci evangelici di Mt 8, 26 e Lc 8, 24, si ri-
scontrano in molti autori cristiani, tra cui cfr. p. es. AMBR., hex. 3, 5, 24: Det nobis illa Domi-
nus: successuum flamine prospero ligno currere, tuto portu consistere, nequitiae spiritalis gra-
viora quam ferre possumus temptamenta nescire, fidei ignorare naufragia, habere pacem pro-
fundam et, si quando aliquid sit, quod graves nobis saeculi huius excitet fluctus, evigilantem
pro nobis gubernatorem Dominum Iesum, qui verbo imperet, tempestatem mitiget, tranquillita-
tem maris refundat. Vd. anche HIER., epist. 100, 14; AMBR., epist. 19, 5; 29, 18; CHROMAT., in
Matth. 53, 5; PAUL. NOL., carm. 24, 37-40; SIDON., epist. 9, 16 carm. 1-20; et alii.

1, 13
1Sull’usus del sostantivo apices, vd. supra 1, 4 n. 1.
2Il sostantivo germanitas è titolo di indirizzo usato generalmente per vescovi o sacerdoti,
che esprime con chiarezza il forte vincolo, sacramentale oltre che amicale, che li lega. Tuttavia
non mancano casi in cui viene utilizzato per rivolgersi a laici, a motivo di legami di affetto: vd.
p. es. RURIC., epist. 2, 1; 2; 4 (tutte indirizzate agli amici Namazio e Ceraunia). Il sintagma
recepi apices germanitatis tuae sembra essere ruriciano. Per espressioni simili cfr. RURIC., epi-
st. 1, 4, 1: Recepi apices unanimitatis tuae e n. ad loc.; vd. anche O’BRIEN 1930, pp. 28-29.
3 Risponde alla topica epistolare il fatto di identificare la propria missiva con diminutivi che

sembrino svilirne la portata (vd. p. es. supra 1, 4 n. 4). Tuttavia il diminutivo può anche rivela-
re la brevità dell’epistola (letterina, biglietto). Cfr. CIC., Att. 12, 1, 1: […] hoc litterularum exa-
ravi; 14, 4, 2: […] nostro more tamen ne patiamur intermitti litterulas; HIER., epist. 7, 1: […]
sub uno litterulae apice nomina indivisa concluderem; 85, 1: Quod quereris me parvas et in-
comptas litterulas mittere; 143, 1: Has litterulas de sancta Bethleem, sancto presbitero Inno-
centio tradidi perferendas.
4 Il sentimento di imbarazzo che Ruricio prova nel doversi giustificare di fronte all’amico

emerge dalla contrapposizione tra il pronome personale plurale maiestatico vos e il modesto
ego / me con cui Ruricio timidamente si identifica nel corso dell’epistola. Tuttavia, si noti il
passaggio al vos, dopo l’affettuoso germanitas tua (vd. supra 1, 1 n. 11).
5 Cfr. CYPR., ad Donat. 9: O si et possis in illa sublimi specula costitutus oculos tuos inseri-

re secretis, recludere cubiculorum obductas fores et ad conscientiam luminum penetralia occul-


ta resecare; AUG., in psalm. 101 serm. 2, 4: Omnis speculator longe prospicit. Specula dicitur,
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ubi ponuntur custodes; fiunt istae speculae in saxis, in montibus, in arboribus, ad hoc ut de lo-
co eminentiore longe videatur. Sion ergo speculatio, ecclesia speculatio; HIER., in Is. 14 prol. ll.
13-15: […] et quasi in quadam specula constitutus, mundi huius turbines atque naufragia, non
absque gemitu et dolore contemplor; FAUST. REI., epist. 9 p. 211, 20-22: […] quod piissimus
meus Ruricius post vitae huius iactationes ad portum religionis proram salutis Excelsi manu
gubernante convertit; RURIC., epist. 2, 13, 1: […] in celsiori specula constitutus.
6 Il paragone tra vita e mare, oltre che la metafora del “mare del mondo”, ha una lunga storia

che si dipana tra letteratura biblica, classica e cristiana. Per lo studio e l’analisi di esso si riman-
da all’ampio e documentato studio di RAHNER 1971, in partic. pp. 455-509. Per quanto concerne
il riferimento ai saeculi turbines, cfr. CYPR., ad Donat. 6: Paulisper te crede subduci in montis
ardui verticem celsiorem, speculare inde rerum infra te iacentium facies et oculis in diversa por-
rectis ipse a terrenis contactibus liber fluctuantis mundi turbines intuere: iam saeculi et ipse mi-
sereberis tuique admonitus et plus in Deum gratus maiore laetitia quod evaseris gratularis; 14:
Una igitur placida et fida tranquillitas, una solida et firma securitas, si quis ab his inquietantis
saeculi turbinibus extractus salutaris portus statione fundetur; parimenti vd. CYPR., unit. eccl. 2;
PAUL. NOL., epist. 44, 4; VINCENT. LER., comm. 1, 5; HIER., in Is. 15, 54, 11 ll. 27-29; epist. 112,
2. Altre espressioni riferentesi al “mare del mondo” o al “mare della vita” nell’opera ambrosia-
na, ma rintracciabili anche in altri autori, in NAZZARO 1977, pp. 45-62, in partic. pp. 46-48.
7 Fine variatio e riformulazione rispetto a VERG., georg. 4, 195: Ut cumbae instabiles fluctu

iactante suburram (sulle modalità di citazione dei classici, vd. supra 1, 2 n. 12). La iunctura
cumba instabilis ricorre ancora nei Tituli Historiarum prudenziani al n. 35 (Per mare ambulat
Christus): It mare per medium Dominus fluctusque liquentes / calce terens iubet instabili de-
scendere cumba / discipulum. Probabile l’influsso di CASSIAN., conl. praef. 3-4: In quibus mihi
nunc in portu silentii constituto inmensum pelagus aperitur, ut scilicet de instituto atque doctri-
na tantorum virorum quaedam tradere audeam memoriae litterarum. Tanto enim profundioris
navigationis periculis fragilis ingenii cumba iactanda est, quantum a coenobiis anachoresis et
ab actuali vita, quae in congregationibus exercetur, contemplatio Dei, cui illi inaestimabiles vi-
ri semper intenti sunt, maior actuque sublimior est, benché in contesto differente.
8 Ruricio ricorre qui al linguaggio proprio della navigazione, come anche in epist. 2, 13, 1:

In salo saeculi istius adversis ac diversis tempestatibus fluctuantem te ratem ad portum salutis
tandem aliquando Domino gubernante applicuisse congaudeo […] vel in celsiori specula con-
stitutus despicis. Le immagini marinaresche applicate ad aspetti della vita morale o spirituale
non sono tuttavia nulla di nuovo e ricorrono già come topiche in età classica, come sottolineato
supra n. 6. Specula viene riferita spesso a Sion (HIER., nom. hebr. p. 60, 25-26; PROSP., in
psalm. 101, 22), immagine della Chiesa (AUG., in psalm. 101 serm. 2, 4; PROSP., in psalm. 101,
22; HIER., in Is. 7, 18, 4 l. 47).
9 Vd. RURIC., epist. 1, 12, 3 e nn. ad loc., in partic. n. 26.
10 Krusch integra la lacuna presente in S con iam appulistis. A essa tuttavia, come ben ha se-

gnalato HAGENDAHL 1952, p. 80, va preferito l’emendamento venistis, accolto anche dall’ultimo
editore. Si instaurerebbe così un gioco di parole, con paronomasia ed etimologia popolare (ad
portum veniae… venistis), non insolito nell’usus ruriciano: […] vos per misericordiam per-
veniatis ad veniam (epist. 2, 12, 1; 53, 1); […] ut facilius pervenire possimus ad veniam (epist.
2, 30, 1).
11 Dalle parole di Ruricio sembra che Celso abbia abbracciato la vita religiosa. Effettiva-

mente, l’insistenza con cui l’autore ribadisce la sua separazione dal saeculum burrascoso lascia
inferire uno stato di vita di tipo monastico o da conversus nel secolo. O forse è ragionevole rite-
nere che Celso, attraverso la condizione di conversus (per paenitentiae indulgentiam), sia ap-
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222 Commento

prodato alla vita religiosa (ad portum veniae). Non va infatti dimenticato che l’ingresso in mo-
nastero era una forma prevista dal sistema penitenziale per poter espiare i propri peccati, in al-
ternativa all’ingresso nell’ordo paenitentium: Igitur abrenuntianti publica paenitentia non est
necessaria, quia conversus ingemuit, et cum Deo aeternum pactum inivit (SERM. Migne 58,
875D); sulla penitenza in Gallia, vd. supra 1, 8 n. 3; sul sistema dei conversi, vd. supra 1, 2 n.
13. Ruriciana sembra essere la iunctura portus veniae. Similmente cfr. CAES. AREL., serm. 56,
2: […] portum paenitentiae, devictis peccatorum fluctibus, Christo gubernante festinemus in-
trare; 64, 2: […] et cum in pelago mundi huius innumerabilibus fluctibus fatigemur, ad expe-
tendum portum paenitentiae post longa nos temporum spatia reservamus. L’immagine del porto
come punto di approdo nel “mare della vita” è tradizionale, e si incontra già a partire dalla let-
teratura classica, greca e latina (vd. RAHNER 1971, pp. 939-966). Nella letteratura monastica, il
portus è metafora del monastero stesso: «Il cristiano che diventa monaco ha lasciato definitiva-
mente dietro di sé il mare del mondo e, nonostante tutti i pericoli, è più certo della sua salvezza
che non il secolare» (RAHNER 1971, p. 956). Cfr. p. es. EUCHER., epist. ad Val. 830-834 Pricoco:
Unus hic portus est, in quem nos ab omni fluctuantis saeculi iactatione referamus, quem inter
irruentes mundi turbines fessi petamus. Huc cunctis confugiendum est qui frementis saeculi
tempestate vexantur; CAES. AREL., serm. 234, 1: Hoc ergo solum restat, fratres carissimi, ut,
quia vos in sancto monasterio velut in portu quietis et repausationis, quasi in parte aliqua pa-
radisi Dominus colligere et collocare dignatus est, assiduis studeatis orationibus obtinere, ut
nos, qui saeculi huius fluctibus indesinenter adfligimur, et cum grande periculo per pelagum
mundi huius multis tempestatibus fatigamur, devictis omnibus vitiorum fluctibus orationum ve-
strarum suffragio ad portum beatae vitae Christo duce pervenire possimus, ubi, cum ante ae-
ternum iudicem vobis corona gloriae dabitur, nobis vel peccatorum venia concedatur (vd. an-
che infra 2, 13 n. 2). Dal punto di vista dello stile, si noti l’accoramento con cui Ruricio si ri-
volge all’amico, enfatizzando il pensiero attraverso le tre interrogative retoriche con anafora
del pron. pers. ego (+ ne encl.) giustapposto, con intento comparativo, al pron. pers. vos; l’ellis-
si del verbo (castigare audeam) rende ancora più concitato l’andamento delle frasi.
12 L’originale iunctura dente inprobo rimanda all’immagine del serpente che inocula col

morso il suo veleno. Oltre a un imprescindibile riferimento biblico – il serpente primordiale


(Gn 3, 1-5) –, è forse possibile un’eco di HOR., carm. 4, 3, 16: Et iam dente minus mordeor in-
vido. Significativo anche SIDON., epist. 4, 22, 6: Sed tunc ista proveniunt, clericis si aliquid dic-
tetur auctoribus; qui colubrinis oblatratorum molaribus fixi, si quid simpliciter edamus, insani,
si quid exacte, praesumptiosi vocamur. Ancora in Ruricio, vd. epist. 2, 40, 1 (adsiduae dilectio-
nis dente).
13 Il termine familiaritas chiarisce ulteriormente lo stretto rapporto tra Ruricio e Celso.
14 Marcata assonanza dei suoni chiari /e/, /ae/ unita all’allitterazione di /t/ e /r/. Da notare

l’homoeoprophoron degli antonimi praeteritae praesentisque.


15 La frase sembra insinuare che, se Celso confrontasse la propria esistenza con quella di

Ruricio, non sarebbe più così sicuro di poter esprimere con slancio il proprio propositum, per-
ché vi vedrebbe rappresentati parte dei suoi difetti o comunque pericoli nei quali anch’egli po-
trebbe incappare. Dal punto di vista dello stile, da notare la forte antitesi resa ancor più sugge-
stiva dalle costruzioni parallele: pudebit te intimo et secretissimo fratre teste ferre – non puduit
Deo teste promittere. Proseguono le assonanze (/e/, /i/) e le allitterazioni (/t/, /r/) che conferi-
scono all’eloquio un ritmo piuttosto grave e solenne.
16 Sul costrutto asindetico del verbo spero, vd. supra 1, 7 n. 13.
17 Ancora una volta il fatto che Ruricio identifichi come fratello una persona non implica

tout court un legame di sangue. Tuttavia nel presente caso l’autore ribadisce l’affinità parentale
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 223

I, 13-14 223

col termine propinquitas: sembra pertanto possibile ritenere i due appartenenti quantomeno alla
stessa gens (circa l’uso del linguaggio familiare nell’ambito delle relazioni interpersonali, vd.
supra 1, 8 n. 8). Da un punto di vista stilistico si notino le due clausole: ésse consórtes (cursus
planus) ed ésse partícipes (cursus tardus), piuttosto ricorrenti nell’eucologia liturgica. Cfr. SA-
CR. Gelas. 75: Intende quaesumus, Domine, hostias familiare tuae, quam sacris muneribus fa-
cis esse participes, tribuas ad eam plenitudinem pervenire; 281: Supplices te rogamus, Domine
Deus noster, ut sicut nos filii tui corporis et sanguinis sacrosancti pascis alimonio, ita nos et di-
vinae naturae eius facias esse consortes; 388: Te igitur deprecamur, Domine, sancte Pater, om-
nipotens aeterne Deus, […] ut sit his qui renati fuerint ex aqua et Spiritu Sancto chrisma salu-
tis, eosque aeternae vitae participes et caelestis gloriae facias esse consortes; 1198: Deus, qui
omnipotentiam tuam parcendo maxime et miserando manifestas, multiplica super nos gratiam
tuam, ut ad tua promissa currentes, caelestium bonorum facias esse consortes.

1, 14
1 Quasi tutto il §. 1 è riportato pressoché alla lettera in epist. 2, 35, 2 a Sedato di Nîmes, nel-

la medesima occasione dell’invio di un cavallo. La ripresa quasi letterale del locus consente an-
che di emendare la lacuna presente nel Sangallensis 190 all’altezza dell’aggettivo pigrum con il
sostantivo tarditate.
2 La iunctura mansuetudine placidum sembra riecheggiare equi velocis placidam mansuetu-

dinem di PHAEDR., app. 2, 7.


3 Cfr. VERG., Aen. 7, 483: Cervos erat forma praestanti et cornibus ingens.
4 Il costrutto densamente retorico descrive con iperbolica dovizia di particolari le caratteri-

stiche del cavallo inviato a Celso. In sede incipitaria sta l’oggetto del desiderio (equum); quindi
vengono enumerate le numerose qualità dell’equino con congeries asindetica (vd. supra 1, 3 n.
4) di costruzioni identiche dal punto di vista logico (attributo + ablativum limitationis). Stilisti-
camente la descrizione si articola ora in parallelismi ora in chiasmi concatenati, che a loro volta
concorrono a formare una più ampia struttura chiastica: mansuetudine placidum, membris vali-
dum, firmum robore, forma praestantem, factura conpositum, animis temperatum. Il ritmo re-
golare e al tempo stesso variegato, contribuisce a delineare l’immagine del cavallo particolar-
mente armonica e manierata. A questo concorrono anche le figure di suono: gli omeoteleuti
(placidum – validum; conpositum – temperatum), l’homoeoptoton, le numerose allitterazioni e
assonanze, i giochi parafonici del tipo firmum – forma – factura. Numerose le clausole ritmi-
che: cursus tardus (mansuetúdine plácidum; factúra conpósitum), cursus planus (fórma prae-
stántem), cursus velox (ánimis temperátum).
5 Costruzioni parallele in cui è possibile rilevare la forte allitterazione sillabica all’interno

dell’aggettivo praeproperum, lo homoeoptoton allitterante praeproperum – pigrum, la rima dei


sostantivi velocitate – tarditate. Questi elementi conferiscono particolare unitarietà ed equili-
brio alla descrizione delle caratteristiche del ronzino, pur nell’antitesi dei due concetti predicati
(velocitas / tarditas).
6 La martellante allitterazione della sibilante /s/ – con la quale peraltro iniziano quasi ritmi-

camente gli elementi del segmento stimulus sit sedentis – suscita fonosimbolicamente nel letto-
re l’immagine della sferza con cui si frusta il cavallo per aumentarne la corsa.
7 L’allitterazione della labiale sorda /p/ alternata con la dentale sorda /t/ nel segmento suppe-

tat pariter et posse evoca l’immagine del passo pesante e cadenzato scandito dal cavallo che
porta sopra di sé un fardello.
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 224

224 Commento

8Consueta variatio di prefissi in verbi corradicali: superposito – deponat – inpositum.


9La formula salutatione praelata, oltre a RURIC., epist. 2, 15, 1, si trova solo in ENNOD., epi-
st. 5, 14 p. 137, 20.
10 Il riferimento pare essere il medesimo di epist. 1, 7, 3, per cui vd. supra n. ad loc. Se così

fosse, confermerebbe il fatto che Celso vivesse nei pressi di Gurdo (vd. supra 1, 7 n. 17; 12
n. 10). Nella presente epistola si specifica ulteriormente che i santi di cui si celebra la solennità
sono i patroni epicorici (in questa accezione ritengo vada inteso il successivo patronis, non tan-
to in riferimento al patronato ecclesiastico: così anche MATHISEN 1999, p. 126 n. 8).
11 La formula Deo propitio ha una ricorsività molto maggiore rispetto a propitio Deo, per

cui vd. supra 1, 7 n. 15. Solo in Ruricio si trova ben 12 volte (oltre alla presente, 2 volte in epi-
st. 2, 11, 1. 6; quindi in 2, 15, 1; 26, 1; 31, 1; 38, 1; 42, 1; 48, 2; 52, 1; 58, 2; 63, 1); inoltre 23
volte in Agostino, 19 in Cesario di Arles, 10 in Cassiodoro, 20 nell’epistolario di Gregorio Ma-
gno. Ricorre con frequenza anche nei canoni dei concili.
12 Soror, oltre al significato suo proprio, assume anche il valore di “moglie di uomo divenu-

to sacerdote, vescovo o religioso”, come è facile supporre per Celso. Cfr. SIDON., epist. 5, 16, 3:
[…] licet sis uxor bona, soror optima es (alla moglie Papianilla); VEN. FORT., carm. 1, 15, 93-
94: Cogor amore etiam Placidinae pauca referre, / quae tibi tunc coniux est modo cara soror
(al vescovo di Bordeaux Leonzio II). Più diffusamente vd. CONSOLINO 2003, pp. 75- 93 (e infra
2, 65 n. 8).
13 Sull’accezione di patroni, vd. supra n. 10.
14 «Fratres fortasse appellat cogitans de monasterii communione» (KRUSCH 1887, p. lxiii).

Frater tuttavia è titolo comune già dal primo cristianesimo per indicare gli appartenenti alla co-
munità, e in questo senso credo che vada inteso nel presente locus. Cfr. Col 1, 2: Paulus apo-
stolus Christi Iesu […] his qui sunt Colossis sanctis et fidelibus fratribus in Christo Iesu; TERT.,
apol. 39, 9: Quanto nunc dignius fratres et dicuntur et habentur, qui unum patrem Deum agno-
verunt, qui unum spritum biberunt sanctitatis, qui de uno utero ignorantiae eiusdem ad unam
lucem expaverunt veritatis?; CYPR., unit. eccl. 17: Ut quidam tales esse coeperunt, quia haec
ante praedicta sunt, ita ceteri fratres ab eiusmodi caveant. «Le mot frater paraît être en usage
comme apellation normale dans n’importe quelle correspondance entre chrétiens» (BASTIAEN-
SEN 1964, p. 21).
15 Il periodo si apre e si chiude con tre costruzioni parallele, variate soltanto dal chiasmo fi-

nale: His […] intimatis, salutatione praelata, pollicitatione dispensa / honorem patronis, fratri-
bus affectum, gratiam populis. La climax discendente suggella la chiusa dell’epistola: l’atten-
zione è rivolta prima ai santi, quindi alla cerchia di amici, da ultimo a tutte le persone. Questo
breve biglietto è esempio fulgido di stile prezioso, in cui il ruolo preminente è giocato dalla re-
torica, a fronte di un contenuto piuttosto povero: nel caso presente il dono di un cavallo diventa
motivo per dar prova della più raffinata (e talora stucchevole) elocutio.

1, 15
1 Perla titolatura, vd. epist. 1, 1 tit.; 2 tit. a Fausto di Riez.
2Leonzio fu vescovo di Arles dal 460 al 485 circa: vd. DUCHESNE I, p. 257; GP p. 637.
Leonzio ebbe a presiedere, verisimilmente nel 472-473, il concilio provinciale di Arles i cui
venne condannata l’eresia predestinazionista. Egli chiese a Fausto di Riez di scrivere il De gra-
tia, per diffondere il più possibile le decisioni sinodali (vd. FAUST. REI., grat. pr. pp. 3-4). Il no-
me del vescovo defunto compare dopo una lunga epitetazione, che conferisce un tono partico-
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 225

I, 14-15 225

larmente solenne all’incipit. Questa lettera, per motivazioni interne, è pertanto ascrivibile al pe-
riodo immediatamente successivo al 485.
3 Sul valore modale del verbo mereor + inf., vd. supra 1, 2 n. 33.
4 La differente reggenza di quod nelle due causali sembra predicare un differente modo di

sentire a livello emotivo il fatto accaduto: l’indicativo esprime l’oggettività del motivo per cui
Ruricio non è stato degno di incontrare Leonzio (i numerosi peccati); il congiuntivo evidenzia
invece il suo trasporto emotivo nel piangere colui che riteneva un padre (spiritualmente).
5 La “visione” dell’uomo interiore, in antinomia con quello esteriore, diventa topicamente

modalità di contemplazione e di incontro dell’amico lontano. Cfr. PAUL NOL., epist. 6, 2: Deni-
que nunc etsi sermone, non tamen tamquam et affectu rudes scribimus teque vicissim in spiritu
per interiorem hominem quasi recognoscimus; 20, 1: Quia quanto fortior carne est spiritus,
tanto potior est coniunctio animorum quam corporum et interiorum hominum praesentia me-
lior exterioribus inseparatis. L’opposizione tra un “interno” e un “esterno” dell’uomo affonda
le sue radici in quella classica anima – corpo, per cui il corpo è considerato ora involucro, ora
carcere (vd. infra 2, 34 n. 50), ora sepolcro: tra l’amplissima bibliografia, vd. gli ottimi studi di
COURCELLE 1965a, pp. 103-118; ID. 1965b, pp. 406-443; ID. 1966, pp. 101-122; PERRIN 1981,
pp. 373-391. La contrapposizione homo exterior – homo interior è già in qualche misura paoli-
na. Cfr. Rm 7, 21-22: Condelector enim legi Dei secundum interiorem hominem, video autem
aliam legem in membris meis repugnantem legi mentis meae; 2Cor 4, 16: […] sed licet is qui
foris est noster homo corrumpitur, tamen is qui intus est renovatur de die in diem; vd. anche
Eph 3, 16. In particolare, la Vetus Latina propone direttamente la polarizzazione della coppia
antonimica interior / exterior, come ci attesta fra gli altri AMBROSIAST., in 2Cor. 4, 16: Qua-
propter non defecimus: etsi licet si exterior homo noster corrumpitur, sed interior renovatur de
die in diem. L’immagine, già mediata da Tertulliano (anim. 9, 8: Hic erit homo interior, alius
exterior, dupliciter unus), trova ampio respiro nell’ambito della letteratura cristiana. A titolo
esemplificativo cfr. AMBR., in psalm. 36, 64, 3: Duo sunt enim homines in singulis, unus inte-
rior, alter exterior; AUG., epist. 238, 2: Item cum homo interior et homo exterior non sint unum
– neque enim eiusdem naturae est exterior cuius interior, quia exterior cum nuncupato corpore
dicitur homo, interior autem in sola rationali anima intellegitur –, utrumque tamen simul non
homines duo sed unus dicitur; in evang. Ioh. 18, 10: In interiore homine habitat Christus, in in-
teriore homine renovaris ad imaginem Dei, in imagine sua cognosce auctorem eius; CASSIAN.,
conl. 7, 15, 4: Quae ab illis aeriis virtutibus ita deprehendi non mirum est, cum hoc a prudenti-
bus quoque viris saepissime fieri videamus ut scilicet interioris hominis statum de figura et vul-
tu et qualitate exterioris agnoscant; 24, 3: Et idcirco ei, qui de interioris hominis puritate per-
vigilem sollicitudinem gerit, expetenda sunt loca; et alii. Punto di arrivo è la sintetica definizio-
ne di Isidoro: Duplex est autem homo, interior et exterior: interior homo anima, exterior homo
corpus (orig. 11, 1, 6). A tal proposito vd. NAWRATIL 2000, pp. 44-51. Tuttavia la natura umana
non si sazia – come apparirà nelle righe successive, secondo la topica epistolare – della sola vi-
sione spirituale: a tal proposito, vd. THRAEDE 1970, pp. 150-152.
6 Iugiter è un avverbio usato con particolare frequenza nella latinità tarda: esso ricorre 44

volte nella Vulgata, 57 volte in Gerolamo, oltre a un’alta ricorsività nelle formule eucologiche
liturgiche; Ruricio vi fa ricorso solo 4 volte: oltre alla presente, vd. epist. 2, 16, 2; 30, 2; 43, 1.
Sull’usus di iugis / iugiter, vd. MOUSSY 1995, pp. 237-249; ID. 2002, p. 96.
7 Quattro isocoli paralleli che suggeriscono l’idea di un’immagine rarefatta, onirica, quasi

da visione. Numerose le figure di suono che conferiscono un certo ritmo allo scritto: omeote-
leuti (cernebatur – audiebatur – palpabatur – tenebatur; obtutu – affatu – adtactu), allitterazio-
ni (cernebatur obtutu; palpabatur adtactu), assonanza delle vocali /a/ e /u/. Da notare la con-
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 226

226 Commento

sueta attenzione ruriciana a giocare con i prefissi: obtutu - affatu - adtactu.


8 Questo colon ricco di iperbati contrasta nettamente con la regolarità dei precedenti. La fra-

se è inclusa all’interno dell’aggettivo cari e del verbo conspiciunt, quasi a ribadire in sintesi
quanto già esposto in precedenza: coloro che si vogliono bene, benché lontani, si sentono in re-
ciproca comunione di affetti in corde ipsius caritatis sede. Per questa espressione cfr. RURIC.,
epist. 2, 10, 2: […] sed per cordis intuitum inde se invicem cari gratia intercurrente conspice-
rent, ubi caritas ipsa consistit, mutuata letteralmente da FAUST. REI., epist. 10 p. 215, 23-24. È
questa pertanto una variatio sul tema del conloquium absentium e del videre oculis cordis, per
cui vd. supra 1, 1 n. 6; THRAEDE 1970, pp. 146-165.
9 Cfr. AUG., epist. 52, 4: […] et olim doleo, olim gemo maxime prudentiam tuam cogitans et

olim te videre desidero, ut de hac re tecum loquerer; PAUL NOL., epist. 20, 1: […] unde flagran-
tem desideriorum nostrorum sitim etsi non restinguemus; 6, 3: Quare utinam hoc quoque nobis
munus adnueret gratia Dei per Dominum nostrum Iesum Christum, ut etiam in carne facies
tuam videremus. Non solum desideriis nostris magnum conferretur gaudium, sed etiam menti-
bus lumen adcresceret et ex tua copia locupletaretur inopia nostra. Sullo stilema epistolare
povqo~ / desiderium, vd. supra 1, 12 n. 16; THRAEDE 1970, pp. 165-168.
10 Costruzione chiastica, per cui cfr. RURIC., epist. 1, 16, 1: […] quem spiritalibus oculis

contemplor, etiam carnalibus cernere concupiscam. L’antinomia oculi carnales / spiritales, su


cui è costruito la maggior parte del §. 1, è topica, come già si è rilevato supra n. 5; circa l’ag-
gettivo spiritalis, vd. supra 1, 6 n. 9.
11 Sul significato del sostantivo solacium / solatium, vd. supra 1, 2 n. 34.
12 Stucchevole esempio di cacemphaton (cfr. MART. CAP. 5, 518: Vitandum etiam [eodem

loco] cacemphaton vel interpositione vel commutatione verborum. […] Vitandi etiam freni,
qui fiunt ex asperrimis litteris in unum concurrentibus, ut est Terentii in Hecyra: “per pol
quam paucos reperias meretricibus / fidelis evenire amatores, Syra”; at ab isdem litteris inci-
pientia, ut est “non fuit istud iudicium iudicii simile, iudices”, et in easdem desinentia, ut
“fortissimorum, proximorum fidelissimorumque sociorum”, in eodem vitio habentur): quae
prius tribuerant solatium, ipsius merita dederunt, quia confido quod, quem... Vale la pena
considerare la congettura pietate di HAGENDAHL 1952, pp. 64-65, accolta da Demeulenaere, di
contro alla proposta dei precedenti editori pietas. A p. 64 così argomenta lo studioso scandina-
vo: «A mon avis, les précurseurs de Krusch et Engelbrecht ont eu un meilleur sens du style en
écrivant pietate, correction qui établit une stricte correspondance entre les membres et, en mê-
me temps, une bonne clausule» (pietáte diléxit e intercessióne custódiat); inoltre cfr. RURIC.,
epist. 2, 15, 9: […] et pupillis tuis tribuet paterna pietate praesidium. La iunctura paterna
pietate ricorre inoltre anche 9 volte nei sermoni di Cesario di Arles. Essendo infine l’espres-
sione rivolta al vescovo defunto Leonzio, essa si colloca propriamente in un uso tecnico, pro-
prio dell’atteggiamento dell’episcopus nell’esercizio delle sue funzioni di pater e patronus
(vd. supra 1, 1 n. 1).
13 Il codice S riporta la forma retulerim. Alle varie proposte degli editori (Engelbrecht: retu-

leram, Krusch: rettulerim) sembra preferibile quella di HAGENDAHL 1952, p. 33: rettuleram,
confortata dalla clausola dilectióne rettúleram, accolta anche da Demeulenaere.
14 Per il titolo sanctitas vestra, vd. supra 1, 1 n. 35.
15 Dictante dilectione: homoeoprophoron con allitterazione delle dentali. L’espressione è

agostiniana: […] acceptusque a te benignissime ac sincerissime mutua miscuit dictante dilec-


tione conloquia tecumque convivens (c. Pelag. 1, 1, 1). Interessante l’uso del verbo dicto col
valore proprio di “dettare”, per cui l’autore principale della lettera è propriamente l’amore fra-
terno, l’amicizia (prosopopea), mentre Ruricio sembra essere solamente il segretario, fedele
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I, 15 227

esecutore della volontà del suo padrone. È questo un caso in cui si avverte con evidenza la dif-
ferenza semantica tra dictare e scribere, non sempre così perspicua nella tarda antichità (vd. su-
pra 1, 10 n. 16). Cfr. anche CONSTABLE 1976, pp. 42-44, in partic. p. 43: «The term dictare was
regularly applied to letters in Merovingian and Carolingian times; and although its meaning is
not always clear, the many references to the dictation of letters by the Holy Spirit or by love,
piety, or reason – dictante spiritu sancto, caritate dictante, dictante pietate, ipsa ratio dic[t]at –
show that it meant the process of composition and dictation, of speaking to the scribe through
the author, rather than the actual writing». Vd. anche RURIC., epist. 1, 10, 3; 2, 17, 4.
16 Quasi vobiscum conloquens: vd. supra 1, 1 n. 6.
17 Sull’usus di maeror, vd. supra 1, 2 n. 16.
18 Accersio (o arcessio: vd. CHAR., gramm. I 335, 20) è vocabolo proprio del linguaggio giu-

ridico. Esso significa “convocazione in giudizio”. Nel latino cristiano esso, come anche il sino-
nimo accersitio (o arcessitio), assume il valore di “chiamata innanzi al tribunale divino”, “mor-
te”. Cfr. CYPR., mort. 3: Laetus itaque de morte iam proxima e de vicina accersitione securus;
AVELL. p. 28, 13-14: Sed hic vir sanctus (scil. beatus Aurelius episcopus), licet sit saepenumero
afflictus, tamen propria accersione requievit; RURIC., epist. 2, 4, 9: Esto, habuerit tempore
meae arcessitionis hoc pietas.
19 Il chiasmo rende icasticamente visibile la successione di Eonio a Leonzio sulla cattedra

episcopale di Arles: accersione ipsius domini mei et apostolatus vestri ordinatione. Apostolatus
è chiaramento titolo riservato ai vescovi e al papa (vd. O’BRIEN 1930, pp. 2-3).
20 Emerge una delle qualifiche topiche dello scambio epistolare in epoca tardoantica, sia in

Occidente che in Oriente: munus / dei`gma. La lettera, qualunque sia il suo contenuto, rimane
munus amicitiae / dei`gma filiva~, e Ruricio mantiene abilmente la metafora nel qualificare
l’atto di Eonio di aver vergato e inviato una missiva come segno di liberalitas. Numerosi gli
esempi in THRAEDE 1970, pp. 125-129.
21 Per il titolo humilitas, vd. infra 2, 8 n. 15.
22 Ruricio ripropone la stessa sequenza di labiovelari, col medesimo effetto cacofonico di

cui già si è detto supra n. 12: quae mihi maiorem scribendi fiduciam contulerunt, quia preaesu-
mo, quod, quem… Sembra una ricorrenza quasi formulare per sollecitare l’attenzione del letto-
re a cogliere affinità con la frase che conclude il primo paragrafo. Simile infatti è anche la sup-
plica: Ruricio chiede che il soggetto (reale o ideale) non abbia a dimenticarsi di lui. Differente
è solo la situazione: nel primo caso si rivolge a un defunto (Leonzio), nel secondo al neoeletto
vescovo di Arles (Eonio).
23 Per l’accezione di litterae come “contenuto della lettera”, vd. supra 1,4 n. 9.
24 Sospitatio è conio ruriciano. Compare 7 volte solamente nel corpus epistolare: oltre alla

presente, lo troviamo 4 volte nella formula sospitationis officium (epist. 2, 22, 2; 42, 1; 55, 1;
64, 1) e 2 volte a realizzare, unito a un participio passato, un ablativo assoluto (epist. 2, 49, 1:
sospitatione praelata; 56, 2: sospitatione depensa). A fronte del più comune sostantivo femmi-
nile sospitas, Ruricio innova creando dalla radice del verbo sospito + nomen actionis –tio il vo-
cabolo sospitatio, sul modello della coppia sinonimica salus – salutatio. Ciò tuttavia non stupi-
sce, vista la grande produttività, nella Tarda Antichità e nel Medioevo, dei suffissi –io / -tio (vd.
STOTZ II, pp. 297-300, in partic. pp. 297-298).
25 Il titolo beatitudo è riservato unicamente ai vescovi e al papa. Vd. p. es. HIER., epist. 21, 1 (a

Damaso); 99, 1 (al vescovo Teofilo); AUG., epist. 59, 2 (al vescovo Vittorino); 60, 2 (al vescovo
Aurelio); GREG. M., epist. 1, 4 l. 1 (a Giovanni di Costantinopoli), e O’BRIEN 1930, pp. 3-5.
26 L’aggettivo peculiaris richiama la titolatura che recita: Domino suo peculiari. Ruricio sem-

bra insistere molto, anche da come conclude la lettera, sul fatto di instaurare un rapporto di spe-
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 228

228 Commento

ciale amicizia spirituale con Eonio, come già fu col suo predecessore. Dunque Ruricio conosce
poco Eonio, o forse ne ha soltanto sentito parlare. Questa epistola vuole essere pertanto quasi
una lunga captatio benevolentiae, una sorta di lettera commendatizia: commendatio enim prae-
stari debet incognitis (SYMM., epist. 2, 9). In effetti, se eccepisce indubbiamente in alcuni punti
dai modelli pervenutici (per cui vd. CUGUSI 1983, pp. 40-41. 111-114), si colloca pur singolar-
mente all’interno di questo filone. Senonché il raccomandato è proprio il mittente, mentre le cre-
denziali sembrano essere esposte dal defunto Leonzio (il cui elogio dovrebbe costituire un moti-
vo valido perché l’amicizia continui anche con Eonio). La lettera si conclude con la «richiesta
del “favore” per il raccomandato» (Cugusi), formulato dallo stesso. L’ultima frase sembra essere
quasi un ultimo monito che non cela la nostalgia. A tal proposito, non peregrina sembra essere la
considerazione di MATHISEN 1999, p. 128 n. 14: «Ruricius is concerned to establish his status
vis-à-vis Aeonius, and may have felt that Aeonius, in his insistence upon a reply, was just a bit
too presumptuous». Tuttavia, a giudicare delle altre due lettere inviategli (2, 8; 16), sembra che
Ruricio sia riuscito a intrattenere col vescovo di Arles rapporti cordiali.
27 L’uso del medesimo stilema (tanti habere) con anafora e politpoto verbale per esprimere

richieste similari, pur in contesti differenti, rivela quanto Ruricio si sforzi per poter rientrare
nelle amicizie del successore del defunto patronus Leonzio.
28 Dal punto di vista fonico si noti la sonorità tra gli infiniti praemisisse – commutasse –

perdidisse, oltre al consueto calembour originato dalla preposizione cum in composizione nelle
forme verbali commutasse - cognoscam. Similmente cfr. FAUST. REI., epist. 9 p. 211, 12-13:
[…] patriam nos non amisisse, sed commutasse cognoscimus.

1, 16
1 Se il titolo di venerabilis è molto comune negli indirizzi delle lettere sia per laici che per

ecclesiastici (vd. O’BRIEN 1930, pp. 122-124), più raro risulta essere l’aggettivo admirabilis,
anch’esso attribuibile a laici ed ecclesiastici. Cfr. PAUL. NOL., epist. 4, 2: Vides, frater unanime
admirabilis in Christo Domino et suspiciende (ad Agostino); HIER., epist. 108, 4: […] Pauli-
nam, quae sanctum et admirabilem virum, et propositi et rerum suarum Pammachium reliquit
heredem. Assolutamente raro e attestato solo in Ruricio è l’aggettivo aequiperandus nella tito-
latura di una lettera.
2 Essendo frater titolo comune con cui vescovi e uomini di alto rango si identificano reci-

procamente (vd. BASTIAENSEN 1964, pp. 21-22. 36-38), è possibile supporre che questa lettera
sia stata scritta da Ruricio almeno nel 485, anno della sua consacrazione episcopale. La cosa
concorderebbe anche con la datazione alta della morte di Sidonio, che si apprende da GREG.
TUR., Franc. 2, 23: Interea cum iam terror Francorum resonaret his partibus et omnes eos
amore desiderabili cupirent regnare, sanctus Abrunculus Lingonicae civitatis episcopus apud
Burgondiones coepit haberi suspectus. […] Quo ad eum perlato nuntio, nocte a castro Divio-
nensi per murum dimissus Arvernus advenit, inique iuxta verbum Domini, quod posuit in ore
Sidonii, undecimus datur episcopus (riferimento indiretto alla battaglia di Soissons, 486-487) e
GENNAD., vir. ill. 92: Floruit ea tempestate qua Leo et Zeno Romanis imperabant (dunque in un
periodo compreso tra il 457, anno di elezione di Leone e il 491, anno in cui morì Zenone), con
cui concorda LOYEN 1960, p. xxix (vd. anche ID. 1942, pp. 11. 19).
3 Epiteto assolutamente atipico. Esso può essere letto alla luce di 1Rg 9, 9: Olim in Israel sic

loquebatur unusquisque vadens consumere Deum: «Venite et eamus ad videntem qui enim
propheta dicitur hodie vocabatur olim videns»; 19: Et respondit Samuel Sauli dicens: «Ego
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I, 15-16 229

sum videns, ascende ante me in excelsum […] et omnia quae sunt in corde tuo indicabo tibi».
Dunque questo titolo potrebbe essere inteso in senso come “colui che vede in profondità”, al
pari del profeta. Similmente interpreterà l’epiteto Beda, in riferimento proprio ai profeti: Esaias
quoque et Micha et multi alii prophetae viderunt gloriam Domini qui et propterea videntes sunt
appellati (in Luc. 3, 2161-2163); cfr. già AUG., in evang. Ioh. 45, 4: […] (pharisaei) iactabant
se etiam ipsi inter videntes, hoc est inter sapientes, et negabant Christum, et non intrabant per
ostium. La spiegazione, che sembra andare in questo senso, sarà fornita dallo stesso Ruricio al
suo destinatario nelle righe immediatamente successive. Affascinante la suggestione di ENGEL-
BRECHT 1892, p. 68: «Es ist also nach diesel Stelle videns = vir Dei, weshalb es nicht nöting ist,
videns mit ejpivskopo~ zusammenzustellen […] Freilich kann vir Dei sowohl von einem Prie-
ster al von einem Bischofe gesagt werden».
4 Cfr. RURIC., epist. 1, 1, 1: Olim te, domine mi venerande ac beatissime sacerdos, fama ce-

leberrima praedicante cognovi; olim desiderio pii amoris infuso illis te, quibus scrivere digna-
ris, intueor (a Fausto).
5 Variatio ripetto a in corde caritatis ipsius sede (epist. 1, 15, 1), nonché a FAUST. REI., epist.

10 p. 215, 23-24: […] sed per cordis intuitum inde se invicem cari gratia intercurrente conspice-
rent, ubi caritas ipsa consistit. La perifrasi in sede caritatis va dunque intesa come “nel cuore”.
6 Consueto topos epistolare. Cfr. PAUL. NOL., epist. 45, 1: […] oculis mentis meae purius vi-

deo; FAUST. REI., epist. 10 p. 215, 22: […] quod mentis aspectibus non pateret; RURIC., epist. 2,
52, 1: […] et oculis mentis intuear; GREG. M., epist. 6, 61 ll. 2-4: Mater et custos bonorum om-
nium caritas, quae multorum corda uniendo constringit, absentem non aestimat eum quem
mentis oculis habet praesentem. Per la formula più consueta oculi cordis, vd. supra 1, 1 n. 6.
Similmente, vd. già CIC., Balb. 47: […] ut conspiciatis eum mentibus quem iam oculis non po-
testis; OV., Pont. 1, 8, 33-34: Atque domo rursus pulchrae loca vertor ad urbis / cunctaque
mens oculis pervidet usa suis; STAT., Theb. 10, 561-562: […] ferrum undique et ignes / mente
vident. Nel presente locus, Ruricio abilmente include nell’iperbato illis… oculis un’ampliamen-
to che chiarisce la funzione specifica di questi privilegiati strumenti di contemplazione.
7 Cfr. RURIC., epist. 1, 1, 2: Me autem adiuvent orationes tuae, ut possim terrenis actibus

spretis caelestibus inhiare.


8 Viene parzialmente chiarito l’epiteto videns. Essendo esso riferito nella Sacra Scrittura al

profeta Samuele (vd. supra n. 3), Ruricio applica questo “nickname” a Sidonio, qualificandolo
come dotato di lungimiranza profetica.
9 Il Sangallensis 190 così trasmette il testo: Et ideo, dum te in speculo cordis diligenter et

pulchritudinem interioris hominis tui vehementer admiror. Mommsen suppone sia caduto un
verbo tra l’avverbio diligenter e la congiunzione et, proponendo l’integrazione accolta anche
dal Demeulenaere (rifiutata invece da Engelbrecht e da Krusch; quest’ultimo tuttavia si premu-
ra di segnalare una lacuna nel testo). HAGENDAHL 1952, p. 14 giustifica l’ipotesi di Mommsen,
considerando il parallelismo che si verrebbe a creare tra le due frasi, i giochi fonici (omeoteleu-
ti) e le clausole ritmiche secondo la consuetudine ruriciana. A questo si aggiunga epist. 2, 9, 2:
[…] et effigiem vestram in speculo mei cordis intuear. «Ce n’est pas le seul cas où la monoto-
nie de la phraséologie jusqu’à la tendance aux répétitions puisse se montrer bien utile à la criti-
que du texte» (HAGENDAHL 1952, p. 14).
10 Nell’usus della iunctura in speculo cordis, spesso il cor è messo in relazione con mens o

anima. Cfr. RURIC., epist. 2, 9, 2: […] praesentiam tamen vestram intra mentis meae arcana
possideam et effigiem vestram in speculo mei cordis intuear; PAUL. PETRIC., Mart. 5, 209-211:
Hic sancto persaepe pie sociatus adhaesit, / ut solet in speculo cordis perspectio mentis / co-
gnatae similes morum sociare figuras; CAES. AREL., serm. 58, 2: Remotis enim omnibus proba-
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230 Commento

tionibus certum est, in die illa ipsum ante se hominem constituendum, et ipsam sibi animam in
cordis speculo demonstrandam; interessante l’affermazione agostiniana: […] nam sicut anima
tua spiritus est, ita et verbum quod concepisti, spiritus est; nondum enim accepit sonum ut per
syllabas dividatur, sed manet in conceptione cordis et in speculo mentis (in evang. Ioh. 14, 7).
Per comprendere ulteriormente la portata della locuzione, non sembra inutile confrontarla con
un’altra espressione simile: Sermo enim viri mentis est speculum (PAUL. NOL., epist. 13, 2). La
parola è per il Nolano l’inveramento di quello che si ha nella mente, la concretizzazione fedele
del pensiero. Se applichiamo questi parametri interpretativi al dettato ruriciano, è possibile ap-
prenderne più profondamente il contenuto. Nella lettera precedente Ruricio aveva sentenziato:
[…] cari nullo se melius loco quam in corde caritatis sede conspiciunt; e all’inizio dell’epistola
in questione scrive: in sede caritatis […] oculis mentis aspexi. Dunque il “luogo” in cui ha sede
l’amore fraterno è il cuore. Contemplare qualcuno nello specchio del cuore significa guardare
con occhio di particolare amicizia cristiana l’altro, mentre l’atto stesso di serbare nel proprio
intimo l’immagine dell’amico è già di per sé realizzazione di quella caritas che ha nel cor il
proprio ricettacolo. Pertanto esso è sede e specchio dell’amicizia nella misura in cui quest’ulti-
ma si rivela in atti concreti (materiali o spirituali) verso gli amici. Così anche in EPIST. Austras.
17, 15: Quo fit, ut caritatis splendor, qui intra vestri pectoris arcana immensi luminis claritate
praeradiat, etiam corporis serenitatem ostendat, et ita sit cordis speculum gratia, quae renitet
in vultu. A questo si aggiunga quanto già detto supra 1, 15 n. 5 circa la corrispondenza tra homo
exterior e homo interior.
11 La iunctura è attestata già in AMBR., epist. 5, 25, 3: Hunc ergo non intimo anhelem spiritu

secretisque mentis atque animi visceribus amplectar; PAUL. NOL., epist. 28, 1: […] quibus mu-
tuam visitationem animis ac visceribus invicem nostris tamquam vectigal officii debiti pensita-
mus; 43, 2: […] cruciatu viscerum animique conpatiens sustinerem. Vd. anche supra 1, 9 n. 6
(totis animae visceribus).
12 La callida iunctura meracissima dilectione è squisitamente ruriciana. A essa tuttavia può

soggiacere quanto Sidonio scrive a Probo in epist. 4, 1, 1, negli anni 470-471 (Loyen). Rilevan-
do il fatto che tra i due sussiste un’amicizia di cugini, e non di fratelli – la moglie dell’amico,
Eulalia (vd. SIDON., carm. 24, 91-97), è infatti cugina germana di Sidonio –, tuttavia la loro è as-
similabile a una germana fraternitas, quae plerumque se purius, fortius, meracius amat. Simil-
mente sembra accadere per Ruricio, il quale, usando il superlativo dell’aggettivo meracus “non
diluito”, “puro” (detto del vino o di altre sostanze liquide) conferisce singolare icasticità all’e-
spressione, confessando la sua amicizia più che fraterna nei riguardi del vescovo di Clermont.
13 Costruzione parallela per cui cfr. RURIC., epist. 1, 15, 1: Unde et amplius desiderabam

oculis videre carnalibus, quem ita spiritalibus intuebar; vd. n. ad loc.


14 L’espressione di saluto salve plurimum (dicere) non sembra avere precedenti, se si esclu-

de AUSON., epist. 11, 2, 1: Et dic ero meo ac tuo / ave atque salve plurimum. Ruricio la usa 6
volte: vd. epist. 1, 18, 1; 2, 7, 1; 27, 1; 34, 4; 51, 2. Con essa si alterna la formula salve largissi-
mum, per cui vd. epist., 1, 12, 2; 2, 1, 3; 2, 2.
15 Ruricio sembra qui sdoppiare leziosamente la persona di Sidonio in due differenti figure:

il videns e il domnus episcopus.


16 Sull’uso di dignatio, vd. supra 1, 11 n. 18.
17 Per il titolo humilitas, vd. infra 2, 8 n. 15.
18 Cfr. RURIC., epist. 1, 1, 1: […] et vobiscum positus.
19 Cfr. SULP. SEV., epist. 1, 1: […] Domini opperiar voluntatem speroque quod meis votis et

orationibus tuis de nostra nos fructum faciat capere praesentia; FAUST. REI., epist. 9 p. 211, 15-
16: […] immo eos, qui de nostra fructum capiunt consolatione, ditamus. La frase è ripresa da
Ruricio anche in epist. 2, 41, 2; 64, 1.
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I, 16-17 231

20 Vale la pena notare come, nel linguaggio giuridico, l’intentio sia propriamente la parte

della formula in cui l’actor esprime la sua richiesta (vd. GAIUS, inst. 4, 41). Allusivamente il
sostantivo è specificato dal part. pres. di un verbo come sciscitor, connesso all’ambito semanti-
co del chiedere.
21 Costruzione parallela con forte allitterazione delle dentali e assonanza della vocale /i/:

sciscitantis intentio fit respondentis eruditio. Un motto quasi proverbiale che pone in dinamica
antitesi discepolo e maestro. A tal proposito cfr. epist. 2, 26, 3 ad Apollinaris, figlio di Sidonio:
Prius enim quilibet debet discere quam docere, quia praepopere doctoris usurpat supercilium,
nisi discipuli susceperit ante famulatum.
22 Il colon, molto ricco di iperbati, continua ed esplicita l’immagine precedente. Al limite

della rima i due participi presenti, con gioco parafonico (discentis… docentis).
23 Il saluto finale costituisce un unicum all’interno della letteratura latina cristiana: triplice

anafora del sostantivo pax, con effetto di emphasis. Ci si può interrogare circa l’origine di que-
sta desueta formula di congedo. Pax diventa un saluto di uso comune a partire dalla letteratura
evangelica. Cfr. Mt 10, 12: Intrantes autem in domum, salutate eam [dicentes pax huic domui]
([…] viene omessa da alcuni codici): et siquidem fuerit domus digna, veniat pax vestra super
eam; si autem non fuerit digna, pax vestra ad vos revertatur. Senza dover per forza accettare
una versione piuttosto che un’altra, risulta abbastanza perspicuo dal contesto che l’augurio fatto
dai discepoli nel visitare una casa sia relativo al dono della pace. Così cfr. anche Ioh 20, 19:
[…] venit Iesus et stetit in medio et dixit eis: «Pax vobis»; TERT., adv. Marc. 4, 24, 4: Sic et Do-
mini istud: in quam introissent domum, pacem ei dicere<nt, de> exemplo eodem est. Formule
enfatiche si trovano già nella Sacra Scrittura, come p. es. Ier 6, 14: Et curabant contritionem fi-
liae populi mei, cum ignominia dicentes: «pax, pax», et non erat pax (vd. anche Ier 8, 11).
L’augurio della pace penetrerà ben presto nelle formule liturgiche, quando il sacerdote indirizza
il saluto ai fedeli (pax vobis / eijrhvnh pa`si). Cfr. AUG., serm. 227, 1: Post ipsam (scil. oratio-
nem dominicam) dicitur “pax vobiscum” et osculantur se Christiani in osculo sancto; pacis si-
gnum est; SACR. Gelas. 1259: Pax Domini sit semper vobiscum. Respondetur: Et cum spiritu
tuo. Pax identifica anche l’atto con cui la Chiesa antica riconcilia i peccatori, dopo la lunga pe-
nitenza pubblica. Cfr. CYPR., epist. 25, 2: Atque utinam sic et ceteri post lapsus paenitentes in
statum pristinum reformetur; quos nunc urgentes et pacem temere atque importune extorquen-
tes…; 64, 1: Pacem […] quomodocumque a sacerdote Dei semel datam non putavimus auferen-
dam; VICTORIN. POETOV., in apoc. 2, 1: […] ut quicumque fornicatus esset, octava die pacem
acciperet. Tertulliano parla di ecclesiastica pax largita ai fornicatori (pud. 15). Auspicare la pa-
ce diverrà infine uno stilema per congedarsi dal proprio “interlocutore” nelle epistole. Cfr.
AUG., epist. 122, 2: Dominus vos in pace conservet. Il fatto che Ruricio concluda questa lettera
con la triplice invocazione pax, pax, pax può evocare formulari liturgici penitenziali, specie al-
tomedievali, strutturati secondo il medesimo criterio, per cui vd. ROPA 1993, pp. 401-402. A
una richiesta di perdono, a motivo dell’eccessiva faceta confidenza con cui si è rapportato a Si-
donio, pensa anche MATHISEN 1999, p. 129 n. 13.

1, 17
1È questa la prima volta in cui Ruricio si definisce episcopus: siamo pertanto almeno nel
485. La data si può inferire da una lettera di Fausto di Riez a Ruricio (epist. 12), scritta al suo
ritorno in diocesi nel 485, dopo la morte di Eurico, in cui si congratula con l’amico che ha re-
centemente conseguito il summum sacerdotium. Del resto Eurico, stando alla testimonianza di
SIDON., epist. 7, 6, 7, aveva impedito le ordinazioni episcopali, cosicché le varie diocesi, una
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232 Commento

volta morto, ucciso o esiliato il vescovo, restavano prive dei loro pastori. Tra queste vi era an-
che Lemovices. Quanto alla situazione creatasi i Gallia con la rottura da parte di Eurico del foe-
dus del 418 (o 419: vd. SCHWARCZ 2001, pp. 15-25), e con il successivo trattato del 475 che ri-
conosceva le conquiste di Eurico in Aquitania Prima e nella Narbonese Prima, vd. p. es. SIDON.,
epist. 7, 6; 7; ecc.
2 Excolendus è un titolo molto raro che compare soltanto nelle lettere di Ruricio e di Fausto

di Riez (vd. O’BRIEN 1930, pp. 104-105). Viene utilizzato per rapportarsi con vescovi, abati e
laici di rango elevato. A titolo esemplificativo, cfr. FAUST. REI., epist. 11 p. 217 tit.: DOMINO
BEATISSIMO ET SUMMO HONORE ANTE OMNES SINGULARITER EXCOLENDO
FRATRI RURICIO EPISCOPO FAUSTUS (del medesimo vd. anche epist. 8 p. 208 tit.; 9 p.
211 tit.; 10 p. 215 tit.). Ruricio sfrutta abbondantemente questo epiteto: oltre alla presente,
compare altre 7 volte nel corpus epistolare, sempre nelle titolature (vd. epist. 2, 8; 10; 16; 18;
33; 36; 40).
3 Per il titolo di abbas riferito a Pomerio, vd. index nominum, s. v. Pomerius.
4 Rm 12, 19; cfr. anche Dt 32, 35: Mea est ultio et ego retribuam in tempore, ut labatur pes

eorum; Hbr 10, 30: Scimus enim qui dicit: «Mihi vindictam, ego reddam».
5 Cfr. RURIC., epist. 1, 8, 2: Quod si probatis, agnoscite, si inputatis, ignoscite; CASSIOD.,

var. praef. 12: Nunc ignoscite, legentes, et si qua est incauta praesumptio, suadentibus potius
imputate. Vd. supra 1, 8 n. 8.
6 Eco parafrasata di VERG., Aen. 2, 12: Quamquam animus meminisse horret luctuque refu-

git. Similmente cfr. anche RURIC., epist. 2, 4, 1: Nam si quando ad scribendum animum sum co-
natus intendere, statim sensus horruit, mens refugit. Sulla modalità di citazione degli autori an-
tichi da parte dei cristiani, vd. supra 1, 2 n. 12.
7 Lo sbigottimento di Ruricio emerge dallo stile: l’anafora dell’avverbio tam e i tre cola pa-

ralleli successivi – di cui il primo cursus tardus e il conclusivo cursus planus - (ánimus hór-
reat, mens refugiat, sérmo non quéat) suggeriscono efficacemente lo stato d’animo di chi ricor-
da con dolore situazioni tristi. Il riuso variato di Aen. 2, 12 ben si addice alla situazione presen-
te: se nel poema virgiliano è Enea che, su richiesta di Didone, fa riaffiorare alla memoria i do-
lorosi trascorsi (Aen. 2, 3: Infandum, regina, iubes renovare dolorem), nell’epistola è Ruricio a
compiere volontariamente questa sofferta operazione mnemonica.
8 Frase densamente retorica, costruita su una concatenazione di chiasmi: semitam obstruc-

tam ramis, spatio constrictam, spinis hirtam, stirpibus clausam, obsitam sentibus, situ asperam,
saxorum aggeribus inpeditam, radicum conexione constratam, caeno voraginosam. Ulteriori fi-
gure retoriche impreziosiscono l’eloquio, tra cui parafonie: obstructam – constrictam – con-
stratam, obsitam – situ; assonanza: /i/ (constrictam, spinis hirtam, stirpibus; obsitam sentibus,
situ); allitterazione: /s/ e /t/ (semitam obstructam; obsitam sentibus, situ; spatio constrictam,
spinis); omeoteleuti: obstructam – constrictam – constratam; obsitam – impeditam; ramis –
spinis; stirpibus – sentibus. La prevalenza di occlusive e della sibilante /s/ sottolinea efficace-
mente le difficoltà incontrate da Ruricio. Il consueto ricorso alla congeries asindetica (vd. su-
pra 1, 3 n. 4) evidenzia quasi tangibilmente il groviglio di arbusti e sterpaglie che caratterizza il
locus horridus: «La natura ha perduto ogni amenità per comparire nei suoi aspetti più orridi:
violente tempeste, alte montagne, paesi deserti, foreste fitte e buie, oppure l’accanirsi degli ele-
menti naturali contro la resistenza dell’uomo» (MUGELLESI 1973, p. 35). Questo topos, al pari
del locus amoenus, è trasversale alle letterature e alle epoche, e lo si incontra da Omero fino
agli scrittori contemporanei. Per quanto attiene alla letteratura latina, cfr. p. es. VERG., Aen. 1,
162-165: Hinc atque hinc vastae rupes geminique minantur / in caelum scopuli, quorum sub
vertice late, / aequora tuta silent; tum silvis scaena coruscis / desuper horrentique atrum ne-
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mus imminet umbra; LUCAN. 3, 399-101. 410-412: Lucus erat longo numquam violatus ab aevo
/ obscurum cingens conexis aera ramis / et gelidas alte summotis solibus umbras. […] non ulli
frondem praebentibus aurae / arboribus suus horror inest. Tum plurima nigris / fontibus unda
cadit; SEN., Oed. 37-51: Non aura gelido lenis afflatu fovet / anhela flammis corda, non Zephy-
ri leves / spirant, sed ignes auget pestiferi canis / Titan, leonis terga Nemaei tremens. / Deseruit
amnes umor atque herbas color / aretuque Dirce […] tristisque mundus nubilo pallet die. / Nul-
lum serenis noctibus sidus micat, / sed gravis et ater incubat terris vapor…; APUL., met. 5, 13,
4: Videsne insistentem celsissimae illi rupi montis ardui verticem, de quo fontis atri fuscae de-
fluunt undae proxumaeque conceptaculo vallis inclusae Stygias inrigant paludes et rauca
Cocyti fluenta nutriunt? Indidem mihi de summi fontis penita scaturigine rorem rigentem hau-
ritum ista confestim defer urnula; et alii. Sul locus horridus e sulle sue definizioni, vd. MUGEL-
LESI 1975, pp. 12-17; PETRONE 1988, pp. 3-18; MALASPINA 1994, pp. 7-22 (con ampia bibliogra-
fia ragionata); PETRONE 1998, pp. 177-195.
9 Cfr. supra §. 1: Tam aviis esse nos itineribus noveritis in tam abditas solitudines inductos.

Il concetto della varietà delle insidie, sottolineato, dalla sinonimia variis… multiplicibus malis,
viene ribadito ulteriormente dalla litote non esset simplex forma periculi.
10 In origine “cavallo da tiro” (HOR., epist. 1, 18, 36; PETRON. 117) o “cavallo castrato”

(SEN., epist. 87, 10; MART. 1, 41, 20), il lemma caballus comincia ad affiancarsi a equus, con
valenza vagamente peggiorativa, a partire da Varrone (Men. 388) e quindi dall’età imperiale.
Usato con disinvoltura in età tardoantica accanto al classico equus, si sostituirà a quest’ultimo a
partire dal VI secolo. Interessante la notizia fornitaci da CASSIOD., in psalm. 31, 9 ll. 266-268 in
cui, spiegando il verso salmico Nolite fieri sicut equus et mulus, quibus non est intellectus: in
camo et freno maxillas eorum costringe, qui non adproximant ad te, così glossa: Frenum enim
a fero retinendo dictum est; ferum quippe antiqui caballum dixerunt. Discussa l’origine etimo-
logica (cfr. gr. kabavllh~). Isidoro (orig. 12, 1, 42) lo fa ascendere a cabo, benché la critica
moderna abbia mostrato l’insostenibilità di questa ipotesi: Caballus antea cabo dictus, propter
quod gradiens ungula inpressa terram concavet, quod reliqua animalia non habent. Circa l’u-
sus di cabo, cfr. p. es. GLOSS. V 51, 5: Cabonem equum castratum quem nos caballum dicimus.
Caballus ha esiti in tutte le lingue romanze (ML 1440). Su questo vocabolo, vd. COCCO 1943,
pp. 793-832; VÄÄNÄNEN 20034, p. 143.
11 La molteplicità di mali è ora eloquentemente descritta da Ruricio attraverso rapide pen-

nellate di parallelismi formali e antitesi contenutistiche. Da notare il consueto calembour con i


prefissi detinet – sustinet.
12 L’allitterazione della labiale sonora /b/ e l’assonanza del suono scuro /u/ (nebulis ac nubi-

bus) ben rievoca l’immagine dell’oscuramento del sole a opera delle nuvole.
13 L’aggettivo infelix, oltre all’accezione di “infecondo”, “sterile” (vd. CATO, inc. lib. frg.

27; PAUL. NOL., epist. 29, 3), assume la valenza specifica di “infausto”, “maledetto” nella iunc-
tura col sostantivo arbor o con alcuni nomi di pianta. Questo probabilmente dovuto alla steri-
lità di questi alberi o alla sgradevolezza dei loro frutti. In modo particolare, tradizionalmente
proprio un tipo di felce, assieme ad altre specie di piante, era ritenuta esecrabile, a motivo della
sua produzione di bacche dal colore brunito (vd. ANDRÉ 1956, p. 138). Così ci informa un fram-
mento dello scrittore di aruspicina e disciplina etrusca Tarquizio Prisco (vd. KROLL, s. v. Tar-
quitius, in RE IV A, col. 2392), trasmessoci per tradizione indiretta da Macrobio (Sat. 3, 20, 3):
Tarquitius autem Priscus in Ostentario arborario sic ait arbores quae infernum deorum aver-
tentiumque in tutela sunt, eas infelices nominant: alterum sanguinem filicem, ficum atrum,
quaeque bacam nigram nigrosque fructus ferunt, itemque acrifolium, pirum silvaticum, pru-
scum rubum sentesque quibus portenta prodigiaque mala comburi iubere oportet. Così anche
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234 Commento

PLIN., nat. 16, 108: Infelices autem existimantur damnataeque religione, quae neque seruntur
umquam neque fructum ferunt. All’arbor infelix venivano appesi i condannati a morte. Così
CIC., Rab. perd. 13: Tarquini, superbissimi atque crudelissimi regis, ista sunt cruciatus carmina
quae tu, homo lenis ac popularis, libentissime commemoras: “Caput obnubito, arbori infelici
suspendito”. Il viaggio di Ruricio, descritto con attenta dovizia di particolari e con accurate
scelte lessicali, alla luce di quanto sopra detto, sembra assumere i toni di un percorso nella “sel-
va oscura”, in cui tutto sembra congiurare contro l’incolumità del viandante. Da un punto di vi-
sta retorico, si noti la paronomasia costituita dalla iunctura infelicium filicum e l’assonanza di
/r/ (quasi con homoeoprophoron) proceritas premit.
14 Immagine iperbolica che sottolinea lo stato d’animo di Ruricio particolarmente provato

dai disagi del viaggio. Si noti il cursus planus róris aspérgit. Cfr. RURIC., epist. 1, 10, 1: […]
rore respergas e vd. n. ad loc.
15 Contracti frigore vel coacti: espressione allitterante ai limiti della rima.
16 L’espressione iperbolica (quasi un adynaton) rende ragione della condizione di disagio fi-

sico e mentale del vescovo di Limoges. Cynocaumata è un evidente grecismo (kunokauvmata),


molto raro nella letteratura latina: se si esclude l’occorrenza in questa epistola di Ruricio, esso
compare solo in PETR. CHRYS., serm. 51, 1: Quia solito plus sese terris aestus infuderat, diu ta-
cui, ne compressio, quae ex desiderio nascitur audiendi, ipsa nobis cynocaumatum generaret
incendium. Così interpreta GLOSS. III 599, 19: cino caumaticis: dies caniculares. Il ricorso tut-
tavia a grecismi per concetti esprimibili, senza mutamento di significato, anche con vocaboli
latini rientra nella topica epistolare, classica e tardoantica, al fine di impreziosire l’eloquio:
«Parole inserite nel contesto del discorso non perché abbiano una connotazione precisa o per-
ché non se ne possa fare a meno per mancanza di equivalente latino, ma perché con esse lo scri-
vente vuole o comunicare in modo più brillante il suo pensiero o adornare il discorso in modo
civettuolo o cercare di mascherare o addolcire ciò che vuol dire, e simili» (CUGUSI 1983, p. 88).
Quanto invece alla descrizione dell’avventuroso viaggio, essa si inserisce nel topos della peri-
pezia, comune, secondo un’ampia varietà di immagini e di stilemi, a certa letteratura di argo-
mento odeporico. Lo stravolgimento dell’ordine naturale dovuto a tempeste o a intemperie tro-
va realizzazione attraverso il procedimento retorico dell’adynaton: vd. p. es. l’Itinerarium Bri-
gantionis castelli (carm. 1, 1 = 245V) o l’Itinerarium Padi (carm. 1, 5 = 423V) ennodiani, l’a-
nonima Historia Apollonii regis Tyri, il De coco qui ipsi navem tulit (carm. 6, 8), il De navigio
suo (carm. 10, 9) o l’Ad easdem de itinere suo (carm. 11, 25) di Venanzio Fortunato. A tal pro-
posito vd. NAVARRA 1979, pp. 79-131; E. BRUNO 2006, pp. 539-559.
17 Il verbo vallo indica già in età classica l’atto di fare fortificazioni attorno all’accampa-

mento a scopo difensivo. In questa accezione ricorre ancora metaforicamente in GREG. TUR.,
Franc. 1, 10: […] illisque per sicca gradientibus et, ut Scriptura ait, murum aquarum undique
vallatis in litus illud quod est contra montem Sina inlaesi prursus, demersis Aegyptiis, Moyse
duce transgrediuntur: quindi, in epoca tardoantica, passa anche a un significato maggiormente
attivo di offesa militare, di “cingere d’assedio”, per cui cfr. JORDAN., Rom. 370: Constructo er-
go Belesarius exercitu et tam navali quam equestri agmine ductans, vallavit Neapolim. Ruricio
usa in questo caso il verbo in metafora, a fini espressivi. Il concetto è ribadito dal participio
passato madefacti. Quindi si ingenera l’antitheton: benché essi riversassero acqua, morivano
dalla sete.
18 Le peripezie ruriciane, stravolgendo ogni aspettativa (aprosdoketon), non finiscono al mo-

mento dell’arrivo alla tanto agognata meta: anzi, le difficoltà vengono quasi rincarate dal fatto
che non vi sia possibilità di refrigerio né di riposo, con un sottile effetto parodico. Diversamente
accade per ENNOD., carm. 1, 1, 43-46 (= 245V); VEN. FORT., carm. 6, 9, 37-42; 10, 9, 11-14.
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I, 17 235

19 Ruricio si affida in questo colon praticamente alla prosa poetica: le cinque costruzioni pa-

rallele sono pressoché isosillabiche (5-6 sillabe ciascuna) e tutte vanno a costituire clausole rit-
miche: due cursus tardus (rígor in áere; ódor in flúmine) e tre cursus planus (tépor in fónte; ár-
dor in cámpo; aéstus in cástro). Lo sguardo descrittivo di Ruricio procede secondo una focaliz-
zazione progressiva dei particolari, variando abilmente il lessico sul tema del calore (calor, te-
por, ardor, aestus).
20 Tutti gli editori sono concordi nel ritenere che l’esilio cui si riferisce Ruricio non debba

essere uno stato di esulanza fisico: sarebbe infatti l’unico generico riferimento in tutto l’episto-
lario a un fatto non secondario della sua vita. Così lasciano inferire KRUSCH 1887, p. lxiii; EN-
GELBRECHT 1891, pp. lxvi-lvii. Si può ipotizzare che Ruricio faccia ricorso semplicemente a un
exemplum fictum, per evidenziare maggiormente l’asperità dei luoghi per cui ha dovuto transi-
tare: località tanto impervie che nessuno, neppure forzatamente come l’esule, percorrerebbe
mai. Una difficoltà tanto grande che non si affronterebbe – paradossalmente – neppure per con-
seguire una meta così alta come il Paradiso. Certamente le parole possono sembrare quasi irri-
spettose sulla bocca di un vescovo, tanto che ENGELBRECHT 1892, p. 30 si interroga «an gravis
et religiosus episcopus haec scripsisset?». Debole, a mio avviso, l’ipotesi di MATHISEN 1999, p.
130 n. 7 che interpreta questo locus come «a metaphorical “exile from the world”», in quanto
non sarebbe supportato da testimonianze probanti. Exilium infatti non si applica in sé all’“esilio
dal mondo” (per cui si preferisce l’immagine della fuga saeculi, a meno di non dare una valen-
za positiva al mondo, come p. es. RUT. NAM. 1, 521-522: Impulsus furiis homines terrasque re-
liquit / et turpem latebram credulus exul adit, in riferimento a un amico della Gorgona), quanto
all’ “esilio nel mondo”, e dunque sta a indicare lo stato in cui l’anima si trova quando è lontana
dalla pienezza in Dio, imprigionata, esiliata e costretta nella carne mortale. A tal proposito cfr.
già p. es. 2Cor 5, 6: […] dum enim sumus in corpore, peregrinamur a Deo (con ripresa antifra-
stica in 5, 8: […] magis peregrinari a corpore et praesentes esse ad Deum); Phil 3, 20: Nostra
autem conversatio in caelis est, e quindi p. es. HEGES. 5, 53, 1: Quid est enim vita nisi carcer
animae quae intra hoc ergastulum clauditur et carnali adhaeret consortio? […] Itaque vita
corporis animae mors est, et rursus corporis mors animae libertas videtur. Dum enim sumus in
corpore, servit anima nostra ac miseram quidam servitutem quae de paradiso exulat et a suo
principe peregrinatur; AMBR., in psalm. 38, 39, 1: Potest et sic intellegi, quia dixit: «Advena
ego sum apud te in terra et peregrinus sicut omnes patres mei» et ideo remitte mihi, ut peregri-
nus esse desinam; remitte mihi exilium quo relegatus sum; CAES. AREL., serm. 171, 1: Domus
nostra ante peccatum vita eterna fuit; ex ipsa enim eiecti sumus in exilium mundi huius; GREG.
M., dial. 4, 1, 1: Postquam de paradisi gaudiis, culpa exigente, expulsus est primus humani ge-
neri parens, in huius exilii atque caecitatis quam patimur aerumnam venit. È del resto l’antica
immagine del corpus carcer, già presente p. es. in CIC., rep. 6, 14. 16; MACROB., somn. 1, 9, 10;
ecc. In questo senso, vd. anche RURIC., epist. 2, 34, 5 e nn. ad loc.
21 Cfr. Mt 7, 14: […] quam angusta porta et arta via quae ducit ad vitam et pauci sunt qui

inveniunt eam. Pomerio è personaggio noto per la sua forte spiritualità, oltre che per la sua abi-
lità retorica (sulla quale vd. GIOANNI 2006, pp. lviii-lix; NERI 2007b, pp. 183-185). Delle molte
opere attribuitegli da GENNAD., vir. ill. 109 e ISID., vir. ill. 25, noi possediamo soltanto i tre libri
del De vita contemplativa. Lettore attento dell’opera agostiniana, è considerato uno dei maestri
dell’agostinismo provenzale (basti pensare all’influsso che ebbe sul pensiero di Cesario di Ar-
les). Su questo aspetto del pensiero di Giuliano Pomerio, vd. TIBILETTI 1985, pp. 489-506.
22 Cfr. Mt 7, 13: Intrate per angustam portam, quia lata porta et spatiosa via quae ducit ad

perditionem et multi sunt qui intrant per eam.


23 Il comma retrorsum semper respicientes evoca la figura della moglie di Loth, la quale, di-
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236 Commento

sobbedendo al comando di Dio di andarsene da Sodoma senza volgere indietro lo sguardo, fu


mutata in un mucchio di sale. Cfr. Gn 19, 17: Ibi locutus est ad eum: «Salva animam tuam, noli
respicere post tergum»; 26: Respiciensque uxor eius post se, versa est in statuam salis. Ella di-
venne così paradigmaticamente simbolo di incredulità di fronte alle promesse di Dio già nella
letteratura evangelica: In illa hora qui fuerit in tecto et vasa eius in domo ne descendat tollere
illa et qui in agro similiter non redeat retro. Memores estote uxoris Loth (Lc 17, 31-32); simil-
mente: Ait ad illum Iesus: «Nemo mittens manum suam in aratrum et aspiciens (vel respiciens)
retro aptus est regno Dei» (Lc 9, 62). Tra i tanti autori cristiani che hanno commentato questi
passi scritturistici o che vi hanno tratto motivo di ispirazione, basti citare, a titolo esemplificati-
vo, quanto eloquentemente riferisce AUG., serm. 105, 5: Nihil ergo tam inimicum est spei, quam
retro respicere, id est, in eis rebus, quae praeterlabuntur et transeunt, spem ponere: sed in his
quae nondum datae sunt, sed dandae quandoque numquam transibunt. Quando autem scatet
tentationibus mundus, velut pluvia Sodomae sulfurea, metuendum est exemplum uxoris Loth.
Retro enim respexit; et ubi respexit, ibi remansit. In salem conversa est, ut prudentes condiret
exemplo. Ruricio utilizza la medesima immagine in maniera più esplicita in epist. 2, 13, 2: Ne-
que etiam iuxta sententiam Domini Salvatoris iam stivam tenens retrorsum clamoribus Sodomae
conlabentis percitus forte respiciens Loth imiteris uxorem (vd. anche RURIC., epist. 1, 18, 2).
24 Attentamente Ruricio declina, con variazione sinonimica, l’idea del viaggio, usando tre

differenti verbi: pergo, incedo, incurro. Si viene così a costituire un chiasmo imperfetto con po-
liptoto e homoeoprophoron: pergitis – incederetis – incedimus – incurremus. Si aggiungano an-
che i frequenti iperbati (arta et laboriosa… via; istius… angustias; lata et spatiosa… incedi-
mus; huius… iniurias) e le figure di suono quali assonanza di /a/ (arta et laboriosa; lata et spa-
tiosa), /i/ (spiritaliter pergitis via), /u/ (huius incurremus iniurias), /e/ (semper respicientes); al-
litterazione della sibilante /s/ (istius non incederetis angustias) e della polivibrante /r/ (incurre-
remus iniurias).
25 Il riferimento è chiaramente alla Gerusalemme celeste. Cfr. Apc 21, 1-2: Et vidi caelum

novum et terram novam. Primum enim caelum et prima terra abiit et mare iam non est. Et civi-
tatem sanctam Hierusalem novam vidi descendentem de caelo a Deo, paratam sicut sponsam
ornatam viro suo. Cfr. anche AUG., civ. 15, 1: Superna est enim sanctorum civitas, quamvis hic
pariat cives, in quibus peregrinatur, donec regni eius tempus adveniat, cum congregatura est
omnes in suis corporibus resurgentes, quando eis promissum dabitur regnum, ubi cum suo
principe rege saeculorum sine ullo temporis fine regnabunt.
26 Cfr. RURIC., epist. 2, 52, 3: […] et rogo incessanter communi Domino supplicetis, secun-

dum divitias bonitatis suae atque virtutis, cui omnia possibilia confitemur ut […] vel ad illam
urbem, quae edificatur ut civitas, faciat convenire, ad quam nos misericordia Domini poterit
perferre, vos merita.

1, 18
1Dulcissimus e unanimus sono due titoli di amicizia molto comuni nell’epistolografia tar-
doantica. Di essi non si riscontrano usi particolari o rari. Per le occorrenze, vd. rispettivamente
O’BRIEN 1930, pp. 104. 121-122. A entrambi fanno da riscontro i sostantivi dulcedo (vd. infra
n. 2) e unanimitas (vd. supra 1, 3 n. 3), che Ruricio utilizza per riferirsi ai suoi interlocutori.
2 Dulcedo richiama il superlativo dulcissimus dell’intestazione. Dulcedo è titolo veramente

raro nell’epistolografia. Esso ricorre 2 volte in Ruricio. Questi lo usa in riferimento a parenti,
che già appella come dulcissimi nell’intestazione della lettera (vd. epist. 2, 37, 1 ai nipoti Parte-
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I, 17-18 237

nio e Papianilla). Similmente cfr. LEO M., epist. 64 (PL 54 col. 877): Tuae vero dulcedini hoc
solum approbavimus intimandum; ALC. AVIT., epist. 36 p. 66, ll. 8-10: […] licet minime dubi-
tans apud sanctae dulcedinis aviditatem parvi pendendam mandatorum seriem desiderio litte-
rarum. A tal proposito vd. ENGELBRECHT 1892, p. 78; O’BRIEN 1930, pp. 27-28.
3 Personaggio a noi sconosciuto, probabilmente un portalettere.
4 Altro corriere a noi ignoto.
5 Per la locuzione di saluto salve plurimum (dicere), vd. supra 1, 16 n. 14.
6 Dal testo si evince come Ommazio abbia appena abbracciato la vita clericale: pertanto la

presente lettera può essere assegnata agli anni 485-490 circa. Questo chiarisce ulteriormente il
significato pregnante del lemma propositum, sul quale vd. infra 2, 15 n. 9.
7 Enumeratio sindetica costituita da costruzioni parallele, infranta soltanto dal ritmico muta-

mento di posizione di uno degli elementi della frase (agg. comp. + sost. + verbo al cong.), dan-
do così luogo a una costruzione a incastro. I verbi utilizzati, secondo una consuetudine ruricia-
na, sono tutti prefissati: avocet, corrumpat, inficiat, sollicitet, inliciat. I cinque comparativi
scandiscono con regolarità il ritmo della frase, creando assonanze, omeoteleuti e omeoptoti. Il
frequente uso di clausole rende particolarmente cadenzato l’eloquio. Figure di suono si creano
anche tra le forme verbali: avocet – sollicitet; inficiat – inliciat (coppia minima). Il preciso
elenco dei cinque sensi instaura la severa assonanza del suono scuro /u/, come già p. es. in RU-
RIC., epist. 1, 5, 2: Et hinc, quod deliciis suave, quod esui dulce, quod usui utile, quod victui ne-
cessarium, quod visui iucundum, quod olfactui gratum, quod tactui blandum, omne producit
(vd. n. ad loc.).
8 L’immagine della morte che entra nelle dimore umane attraverso la finestra è biblica: […]

quia ascendit mors per fenestras nostras, ingressa est domos nostras disperdere parvulos de fo-
ris, iuvenes de plateis (Ier 9, 21). Già Cicerone parlava metaforicamente di fenestrae come “sen-
si del corpo”. Cfr CIC., Tusc. 1, 46: […] quae (scil. partes corporis) quasi fenestrae sint animi. E
lo stesso Cicerone, in Tusc. 4, 20, identifica nei sensi umani una possibile via di accesso all’ani-
mo di inliquefactae voluptates: Voluptatis autem partes hoc modo describunt, ut malevolentia sit
voluptas ex malo alterius sine emolumento suo, delectatio voluptas suavitate auditus animum
deleniens; et qualis est haec aurium, tales sunt oculorum et tactionum et odorationum et sapo-
rum, quae sunt omnes unius generis ad perfundendum animum tamquam inliquefactae volupta-
tes. A partire almeno dal IV secolo, gli autori cristiani, ispirandosi al passo profetico di Geremia,
in continuità tuttavia con il tropo inaugurato dagli autori pagani, considerano il vocabolo fene-
stra da un punto di vista allegorico-moraleggiante, attribuendogli di fatto la valenza di canale
privilegiato attraverso cui possono giungere all’animo umano vizi e virtù, morte e vita. Nella
speculazione morale fenestrae corporis / animae diventeranno pertanto i sensi del corpo (cfr. p.
es. HIER., in psalm. I p. 302 ll. 43-45: Fenestras autem habemus quinque: hoc est, visus, auditus,
gustus, odoratus et tactus; EUCHER., form. 9 p. 56, 11: Fenestrae: visus vel ceteri sensus; item in
malam partem), e per eccellenza la vista. In tal senso vd. CYPR., zel. 2; AMBR., fug. saec. 1, 3; in
psalm. 118 serm. 6, 20, 2; AUG., conf. 10, 35, 54; PAUL. NOL., epist. 41, 2; PETR. CHRYS., serm.
139, 2; ecc. Cfr. anche, per vicinanza areale e culturale, FAUST. REI., epist. 9 p. 213, 26 ss.: Quic-
quid enim pulchrescit visu, quicquid blanditur odoratu, quicquid lenocinatur adtactu, quicquid
dulcescit gustu, quicquid corrumpit auditu, haec omnia, si his abutamur, intentionem mentis de
spiritalibus ad terrena devolvent (vd. anche epist. 6 p. 199, 3-8); CAES. AREL., serm. 41, 5: Quia
per oculos, id est, per fenestras corporis in secretum cordis venenum mortis intravit.
9 Cfr. SULP. SEV., epist. 1, 2: Unum tamen moneo […] ne manum aratro inserens retrorsum

conversa respicias, quo utique in te redeunte vitio ordinem suum necesse est sulcus amittat.
Quanto ai riferimenti biblici, vd. supra 1, 17 n. 23.
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238 Commento

10 Stiva, di per sé “manico dell’aratro” (vd. VARRO, ling. 5, 135), viene a indicare per sined-

doche tutto lo strumento agricolo.


11 Per l’allusione a Lc 9, 62, vd. supra 1, 17 n. 23.
12 Dopo la pars destruens, Ruricio consiglia in positivo come far convergere i sensi, di cui

prima ha evidenziato i pericoli, verso un uso propriamente cristiano.


13 Ipso inspirante: Dio viene qui indicato semplicemente col pronome dimostrativo ipse. È

questo un uso molto frequente presso i cristiani, almeno a partire da Tertulliano. Secondo
MOUSSY 2002, p. 97 «a sans doute son origine dans l’utilisation de ipse pour désigner le maître
chez les écrivains païens depuis Plaute». Cfr. p. es. TERT., apol. 41, 4: Qui autem ita discimus
apud ipsum; CYPR., unit. eccl. 2: […] Christi mandata servemus ipso monente et dicente. Altri
esempi in ThLL VII-2 col. 342, 41-85 Alla formula piuttosto rara ipso inspirante, gli autori cri-
stiani ne preferiscono tuttavia altre quali Deo / Christo inspirante, per cui vd. ThLL VII-1, col.
1962, 15-26.
14 Ruricio fa ricorso in questo paragrafo a due verbi tecnici di uso sacrale: dico e voveo. En-

trambi sono ben rappresentati nella letteratura pagana. Dico (“consacrare”, “dedicare” qualcosa
o qualcuno) è usato per lo più in riferimento a una divinità. Vd. p. es. A CC ., trag. 127;
CIC.,Verr. 4, 67; similmente in ambito cristiano, vd. CYPR., zel. 6; DAM., epigr. 58, 1; 71, 1; altre
occorrenze in tal senso in ThLL V, coll. 963-965. Così voveo mantiene in ambito sia pagano che
cristiano l’idea di “offrire”, “promettere” qualcosa o qualcuno alla divinità. Vd. p. es. CIC., nat.
deor. 3, 36; LIV. 1, 27, 7; CYPR., hab. virg. 4; AUG., epist. 149, 16; ecc. Da notare anche la ver-
sione geronimiana di Ps 75, 12: Vovete et reddite Domino Deo vestro, omnes qui in circuitu
eius adferent munera.
15 Per l’icastica locuzione corde defixus, cfr. PAUL. NOL., epist. 20, 1: Damus enim hinc ani-

mae nostrae aliquod etsi solatium, ut dum ad affectionem tuam litteras facimus, toto in facies
tuam corde defixi subito te obliviscamur absentem; RUFIN., Orig. in Iud. 9, 1 p. 517, 7-8: […]
in corde enim iam hoc et in interioribus animi defixum vitium manet; CASSIAN., conl. 2, 13, 8:
[…] intellexit ignitum diaboli telum in corde eius fuisse defixum.
16 Forte la suggestione di Apc 3, 20: Ecce sto ad ostium et pulso: si quis audierit vocem

meam et aperuerit ianuam introibo ad illum et cenabo cum illo et ipse mecum. Se nell’Apoca-
lisse è il Signore che bussa alla porta, chiedendo che Gli si apra, per antitesi nel testo ruriciano
sono i vizi a voler entrare. Il chiasmo successivo suggerisce come evitarne l’accesso: fide firma
et divina meditatione.
17 Cfr. CYPR., zel. 2: Offert oculis formas inlices et faciles voluptates, ut visu destruat casti-

tatem; LACT., inst. 7, 27, 1: […] quae (scil. aeterna praemia) ut capere possimus, quam primum
omittendae sunt huius praesentis vitae inlicibiles voluptates, quae animas hominum perniciosa
suavitate deleniunt; PAUL. NOL., carm. 21, 503-504: […] Facili levis exit / corpore quem nullis
suffocat amoribus illex / per varias species mundi fallentis imago. E ancora il Liber Quare, in
pieno Medioevo, noterà: Oculi adducunt illices formas (q. 177, l. 4).
18 Il binomio ruriciano firma fide et divina meditatione sembra riecheggiare quanto già sug-

geriva Cassiano nel libro delle Institutiones dedicato al combattimento contro lo spiritus forni-
cationis: Ceterum si omnem summam in castigatione tantum corporis conlocemus, anima non
similiter a ceteris vitiis ieiunante nec meditatione divina et spiritalibus studiis occupata, nequa-
quam ad illud sublimissimum verae integritatis fastigium poterimus ascendere (inst. 6, 2, 1).
19 Sul valore del participio passato positus in età tardoantica, vd. supra 1, 1 n. 10.
20 L’uso comune di non + cong. per esprimere un comando negativo diventa frequente nel

latino cristiano e tardoantico. Tuttavia la concorrenza di questa forma con la più regolare ne +
cong. perf. compare già in epoca classica: p. es. TER., Andr. 787: Non te credas Davom ludere.
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I, 18 - II, 1 239

La forma più semplice non + cong. avrà il suo esito definitivo nelle lingue romanze: vd.
MEYER-LÜBKE 1909, pp. 200-201; ML 5951; VÄÄNÄNEN 1982, p. 257.
21 Cfr. Mt 6, 6: Tu autem, cum orabis, intra in cubiculum tuum et clauso ostio tuo, ora Pa-

trem tuum in abscondito, et Pater tuus qui videt in abscondito reddet tibi.
22 Vd. Ex 14, 15: nel brano vetero testamentario, come già notarono i commentatori antichi,

è il popolo a gridare contro Dio, non Mosè. Il silenzio di quest’ultimo viene letto propriamente
come un “grido interiore” del cuore: PHILO, Quis rer. div. her. 14; RUFIN., Orig. in Ex. 5, 4 p.
189, 11-20; HIER., in Gal. 4, 6 ll. 54-59; in psalm. I p. 13 ll. 33-39; CAES. AREL., serm. 47, 2;
CASSIOD., in psalm. 139, 7 ll. 108-113. Dal punto di vista dello stile, si noti la figura etimologi-
ca vociferanti… voce.
23 Consueta la variatio di prefissi reducit… adducat; efficace l’accostamento, al centro della

frase, te ad nos, che opera, almeno a livello epistolare, il ricongiungimento del padre col figlio.

2, 1
1Per il titolo domnus sublimis, vd. supra 1, 11 n. 1.
2Cfr. CIC., Lael. 25: Nam cum amicitiae vis sit in eo, ut unus quasi animus fiat ex pluribus;
80: Est enim is, qui est tamquam alter idem; 81: […] qui et se ipse diligit et alterum anquirit,
cuius animum ita cum suo misceat, ut efficiat paene unum ex duobus. «Lelio insiste sulla neces-
sità di una reciproca verecundia che vale a evitare inopportuni sconfinamenti nella vita dell’a-
mico, a mantenere fra i due partners una distanza che riequilibra l’altrettanto forte insistenza
sul topos dell’alter idem o sul precetto pitagoreo in base al quale i due amici dovrebbero fon-
dersi in una sola entità» (NARDUCCI 19882, p. 42). L’asserto dall’aura proverbiale ricorre già co-
ne tradizionale in DOM. MARS., carm. frg. 1: […] denique ut aiunt / corporibus geminis spiritus
unus erat; OV., trist. 4, 4, 72: Qui duo corporibus, mentibus unus erat; PS. QUINT., decl. 16, 6:
Amicitia, plurimorum corporum unus animus. Altri esempi in OTTO 1962, pp. 25-26. Ruricio,
come emerge nella frase successiva, accoglie cristianamente in toto quanto affermato dagli an-
tiqui sapientes. Sul metodo di citazione di autori pagani, vd. HAGENDAHL 1947, pp. 114-128.
3 Ego si contrappone agli antiqui sapientes pagani. In questa maniera Ruricio assume e “cri-

stianizza” il contenuto del suddetto asserto. Cfr anche epist. 2, 10, 1, in cui si conferma la me-
desima sentenza dei sapientes saeculi attraverso un ecclesiasticum testimonium (nella fattispe-
cie Act 4, 32). A tal proposito vd. HAGENDAHL 1947, p. 119.
4 Questa frase di apertura della lettera accompagna il tenero dettato amicale con la dolcezza

delle figure di suono, quali l’allitterazione della sibilante (sapientes amicos duos) e delle nasali
(unam animam). Notevole il colon valde verum esse ego praedico proboque (vd. anche epist. 2,
10, 1) che può essere diviso in tre commata di due elementi ciascuno inizianti per la medesima
consonante / vocale (rispettivamente /v/, /e/, /p/) e concatenati da uguaglianza fonica parziale,
per cui l’ultima vocale del primo elemento di ciascun comma è anche la prima del secondo. Si
viene così a creare una sottile rete di allitterazioni e di assonanze.
5 Sul titolo germanitas, vd. supra 1, 13 n. 2.
6 Tradizionale l’idea dell’anima divisa tra due amici. Cfr. p. es. HOR., carm. 1, 3, 8: Serves

animae dimidium meae; 2, 17, 5-6: A, te meae si partem nimae rapit / maturior vis; STAT., silv.
3, 2, 7: […] atque animae partem […] nostrae / maiorem; RUT. NAM. 1, 426: Provecta est ani-
mae portio magna meae (vd. anche v. 493). La metafora diviene topica anche nel mondo cri-
stiano: Agostino (conf. 4, 6, 11) fa riferimento a HOR., carm. 1, 3, 8, oltre che a OV., trist. 4, 4,
72, piangendo la morte di un amico; così vd. anche CASSIAN., conl. 1, 1, 1; SIDON., carm. 21, 4;
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240 Commento

VEN. FORT., carm. 6, 10, 48; 7, 20, 12; et alii. Il cliché è stato dettagliatamente studiato da BRÉ-
GUET 1960, pp. 205-214. Efficace l’insistenza sul prefisso dis- a indicare divisione – separazio-
ne (discessi – divisum).
7 Buono l’emendamento di HAGENDAHL 1952, p. 33, il quale preferisce, su basi metriche, il

dativo contratto mi all’accusativo me riportato da S, costituendo così una clausola cretico + tri-
braco: integer ēssĕ mı̄ vı̆dĕ¯ŏr.
8 L’amicitia cristiana tra Ruricio e i due coniugi emerge profondamente dal fitto reticolo re-

torico. Esso diventa funzionale all’espressione di questi sentimenti. A tal fine sembra essere
volta la contrapposizione tra i pronomi ego / me-vos, frequentemente giustapposti come a voler
evidenziare stilisticamente quanto asserito nell’incipit della lettera: apud vos me ad vos; quan-
tum mei vobis; tantum vestri mecum. Poliptoti, omeoptoti e anafore dei pronomi personali sono
accompagnati dall’allitterazione delle nasali cum me in me non inveniam, che con mimetica
icasticità suggerisce l’immagine di un balbuziente: tanto è l’accoramento di Ruricio per lo
smarrimento di se stesso che a fatica riesce a proferire parola. Si noti anche il parallelismo con
sonorità delle correlative quantum mei vobis reliquisse, tantum vestri mecum abstulisse conspi-
cio. Tutto il §. 1 ritorna quasi alla lettera in epist. 2, 10, 1 a Pomerio: «Ruricius ne se fait pas
scrupule de répéter plusieurs fois l’expression qu’il forge originairement pour les beaux parents
de son fils. En écrivant à Pomerius il retrouve sa lettre précédente pour y saisir, mot à mot, la
tournure si réussie» (HAGENDAHL 1952, p. 20).
9 Uno dei figli di Ruricio sposò la figlia di Namazio e Ceraunia. Sull’uso metaforico di pi-

gnus, vd. supra 1, 3 n. 18.


10 L’iperbato animorum inter nos facta iam divisio evidenzia maggiormente il concetto

espresso.
11 La locuzione integra caritas ricorre con frequenza nel linguaggio di Cesario di Arles, il

quale ne alterna l’uso con la forma ampliata vera et integra caritas (vd. serm. 29, 1; 40, 1; 135,
7; 235, 1). In modo particolare, vale la pena considerare quanto viene detto in serm. 29, 1, a
motivo della similarità dei concetti espressi con le parole di Ruricio: Pro qua re nihil nocet cor-
poris separatio, ubi est animorum vera et sincera coniunctio. Caritas enim ipsa vera est, quae
corporaliter separatos consuevit spiritaliter copulare atque coniungere: duo enim, qui se sanc-
to amore diligunt, etiamsi unus sit in oriente, alius in occidente, ita caritate conglutinante iun-
guntur, ut numquam ab invicem separentur. Audi apostolum dicentem laudem verae et integrae
caritatis. Non va del resto dimenticato che la lettera costituisce già di per sé un officium carita-
tis, attraverso il quale due persone distanti si sentono unite e presenti l’una all’altra. Dunque
l’epistola esprime in maniera tangibile quella caritas che sostiene l’unanimitas ed è alimentata
proprio dal desiderium di ricongiungimento dei due amici separati: Caritas Christi, quae urget
nos, et absentes licet per unitatem fidei adligat (PAUL. NOL., epist. 4, 1). Su questi argomenti,
vd. supra 1, 1 n. 6; 12 n. 16.
12 Abile variazione sinonimica sull’idea dell’incatenare: vinculis conligatum, catenis vinc-

tus, obstringi earum nexibus, constrictos. Da notare la presenza di ben quattro forme (un so-
stantivo e tre verbi) composte con la preposizione cum- (coniunctio, conligatum, constrictos,
confido), quasi a ribadire con un certa insistenza l’esigenza profonda di unità, costituendo al
tempo stesso anche una sorta di “concatenazione” stilistica.
13 Per l’espressione salve largissimum dico, vd. supra 1, 12 n. 14.
14 Il sostantivo praeconium assume in epoca cristiana, accanto all’accezione di “annuncio”,

il significato di “predicazione della gloria”, “lode”, sia divina che umana (vd. BLAISE 1966, p.
142 n. 8). Cfr. OPTAT. 1, 5 p. 8, 9: […] quod [scil. baptisma] omni laudis praeconio dignissi-
mum; PRUD., perist. 10, 564: Artabat ampli nominis praeconium / meatus unus; SIDON., epist. 1,
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II, 1-2 241

11, 7: […] quod praeconia competentia non ex asse persolvo; 8, 6, 2: […] praeconio, quantum
comperi, immenso praesentis opusculi volumina extollit.
15 Motto proverbiale che esorta alla modestia e all’umiltà, per cui cfr. CYPR., ad Donat. 4: In

proprias laudes odiosa iactatio est. Tuttavia già CIC., Tusc. 4, 20 definiva: Iactatio est voluptas
gestiens et se efferens insolentius. Per il complemento di fine espresso con in + abl., vd. infra 2,
42 n. 7.
16 Per il titolo magnanimitas, vd. supra 1, 10 n. 2.
17 La frase conclusiva sta a metà tra la modestia, la caritas e la laus: se è vero che l’autore

tace le smisurate lodi degli amici perché, essendo due corpi un’anima, esse potrebbero essere
colte come un autoelogio, tuttavia, così facendo, attira l’attenzione proprio su di sé e giunge a
quell’esaltazione da cui aveva dichiarato di prendere le distanze.

2, 2
1Per la formula grates referre, cfr. RURIC., epist. 1, 6, 3 e n. ad loc.
2La variatio grates referre – gratias agere pone di fatto sullo stesso piano le due locuzioni.
Se, come ha eloquentemente mostrato MOUSSY 1966, pp. 49-110, esisteva anticamente una di-
versità di usus – per cui grates referre aveva una carattere maggiormente religioso-sacrificale,
accanto a un valore meno marcato di gratias agere, differenza ancora ribadita tuttavia da ISID.,
diff. 1, 95 Cod.: Grates Deo aguntur, gratiae vero hominibus quoniam referri non possunt – es-
se sono state spesso utilizzate con disinvoltura dagli autori. «Con el tiempo este valor religioso,
frente al profano de gratias agere, se va perdiendo; en época de Isidoro la distinción no funcio-
na en la práctica y gratias agere adquiere, a su vez, un significado religioso equivalente a bene-
dicere» (Codoñer ad loc.).
3 Personaggio altrimenti sconosciuto, Postumino ci viene descritto con tratti propriamente

sacerdotali ed è appellato successivamente col titolo di sanctitas. Addirittura patronus e sancti-


tas sono titoli attribuiti a vescovi: pertanto non è da escludere che il suddetto sia insignito della
pienezza dell’ordine sacro (vd. PLRE II, p. 902; GP p. 671). Probabilmente è un comune amico
di Ruricio e dei due coniugi aquitani (patronus communis), che si prese a cuore l’unione matri-
moniale dei rispettivi figli, fungendo da mediatore e da garante. Il nome è comunque proprio
del sud della Gallia (si pensi a Postumiano, uno dei protagonisti del Gallus di Sulpicio Severo).
4 Vd. RURIC., epist. 1, 12, 1 (vd. n. ad loc.); 2, 38, 1.
5 Ricercata antitesi lessicale e semantica tra hospitiolum e inlustrari, evidenziata maggior-

mente dall’iperbato: la presenza orante di Postumino nell’abitazione di Ruricio rende la sua ca-
setta, topicamente umile e povera, un luogo eletto di santificazione. Il verbo inlustro, negli au-
tori ecclesiastici, passa dall’accezione di “rendere nobile” a quella di “nobilitare nello spirito”,
significato reso evidente dalla successiva frase causale che spiega che cosa Ruricio intendesse
dire (quia… nobis tribuit benedictionem). Ulteriori esempi in CYPR., epist. 13, 5: […] non dees-
se qui Dei templa et post confessionem sanctificata et inlustrata plus membra turpi et infami
concubitu suo maculent; GREG. TUR., Mart. 1, 3: Quas (scil. Galliae) virtutibus et signis inlu-
strans.
6 Le costruzioni parallele vobis exhibet fidem – nobis tribuit benedictionem chiariscono

icasticamente lo stretto rapporto esistente tra i due momenti, unificati nella persona di Postu-
mino. Il rapporto tra fides e benedictio viene già abbozzato in alcuni loci scritturistici in rap-
porto alla fede di Abramo. Egli, accogliendo il progetto di Dio nella propria vita, divenne mo-
dello di fede, e fu così all’origine delle benedizioni che Dio ha continuamente riversato su
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242 Commento

Israele: a tal proposito, vd. Rm 4, 16; Gal 3, 8-9. 14; in partic., cfr. anche TERT., adv. Marc. 5,
3, 9: Proinde si in lege maledictio est, in fide vero benedictio; AMBR., in psalm. 36, 62, 4: Et
ideo semen faenerantis fidem in benedictione erit, habens utique praemium benedictionis.
Probabile anche che Ruricio abbia letto Gal 3, 14 secondo una versione simile a quella di AM-
BROSIAST., in Gal. 3, 14: Ut in gentibus benedictio Abrahae fieret in Christo Iesu, ut benedic-
tionem spiritus accipiamus per fidem […] benedictio promissionis Abrahae transitum fecit ad
gentes per fidem Christi Iesu, in cui benedictio e fides sono messi direttamente in rapporto di
dipendenza l’una dall’altra (diversamente, la Vulgata geronimiana: ut pollicitationem Spiritus
accipiamus per fidem).
7 I tre commata paralleli evidenziano quasi visivamente la metodicità dell’agire di Postumi-

no. A questo, si aggiungano i tecnicismi propri del linguaggio giuridico a indicare in sequenza i
momenti del suo agire: dall’osservazione (inspector) alla richiesta (exactor) all’attuazione (ex-
secutor).Vd. rispettivamente COD. Theod. 7, 19, 1, 3; 11, 7, 1-21; 8, 8, 1-10; le singole voci so-
no discusse e documentate nel classico lessico di DIRKSEN 1837. Tuttavia è possibile interpreta-
re il presente locus anche sotto un’ulteriore ottica. I tre sostantivi inspector – exactor – exsecu-
tor trovano posto anche nella letteratura cristiana come epiteti relativi a Dio. Vd. p. es. inspec-
tor: CASSIAN., inst. 6, 21, 1; LEO M., serm. 14, 2; exactor: TERT., apol. 36, 3; CAES. AREL.,
serm. 11, 2; exsecutor: TERT., adv. Marc. 4, 24, 7. La lingua sembra dunque mantenersi su un li-
vello vagamente ambiguo, giuridico ed ecclesiastico al tempo stesso.
8 Levia… sanctitatis suae ponderatione pensavimus costituisce un’efficace antinomia, sotto-

lineata maggiormente dalla figura etimologica sulla radice *pend- / *pond-: il peso della santità
di Postumino a fatto “pesare poco” la sua meticolosa inquisitio, sulla cui consistenza nulla ci è
permesso di inferire. Probabilmente, come si evincerà dalle righe successive, le attenzioni di
Postumino erano volte alla corretta celebrazione del matrimonio, secondo la legge civile ed ec-
clesiastica. Raro, soprattutto nell’antichità, il sostantivo ponderatio, a cui è preferito pondus.
Esso è attestato come tecnicismo solo in VITR. 10, 3, 7: […] quemadmodum in statera pondus,
cum examine progreditur ad fines ponderationum. Acquista una relativa diffusione in epoca tar-
doantica con significato propriamente concreto. Cfr. Sir 6, 15; 26, 20; PEREGR. Aeth. 25, 8;
FULG., myth. 1, 14, 19; CASSIOD., var. 3, 48, 4; 11, 5, 3; 12, 16, 3. L’usus di Ruricio rimane as-
solutamente atipico in tutta la letteratura, in quanto è l’unico caso in cui l’accezione di ponde-
ratio viene intesa in senso metaforico (sanctitatis suae ponderatione).
9 Per il titolo sanctitas, vd. supra 1, 1 n. 35.
10 1Cor 13, 7-8.
11 La formula propitia divinitate, in emendamento di propria divinitate (S1) e propria civita-

te (S2), trova conferma in altri loci ruriciani: […] ut redeunte praefato nos reddatis de vestris
actibus propitia divinitate securos (2, 49, 1);[…] post sanctum Pascha propitia divinitate tran-
smittam (2, 64, 2). Cfr. anche FAUST. REI., epist. 9 p. 211, 6: Propitia divinitate in secreto reli-
gionis congruo et tranquillissimo in silentio constituti; CAES. AREL., serm. 187, 1: Propitia divi-
nitate, fratres dilectissimi, iam prope est dies; EPIST. Austras. 3, 2: […] propitia divinitate sit
dictum. Per il sostantivo astratto divinitas, vd. supra 1, 3 n. 19.
12 Il predicativo desiderans funge di fatto da avverbio modale, secondo una tendenza ben te-

stimoniata in età tardontica, per cui vd. VÄÄNÄNEN 20034, p. 267. In modo particolare, sull’uso
e il valore di desiderans, vd. NADJO 2004, pp. 285-297.
13 Salve largissimum… dico: vd. supra 1, 12 n. 14.
14 Ritornano le formule di cortesia già presenti nella precedente epistola: salve largissimum

dico, con l’ampliamento desiderans, e l’appellativo germanitas vestra (vd. supra 1, 13 n. 2) an-
ch’esso ampliato (individua). In modo particolare vale la pena riflettere sull’aggettivo indivi-
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II, 2 243

duus. Esso ricorre 11 volte nell’epistolario ruriciano, in riferimento a laici e a ecclesiastici, ma


anche come qualifica di concetti astratti usati per il concreto o personificati. Già usato dagli au-
tori pagani (vd. SEN., epist. 67, 10; TAC., ann. 6, 10, 2; APUL., met. 11, 19; et alii), esso ha una
certa diffusione anche tra i cristiani, specie nell’epistolografia. Cfr. p. es. AMBR., exc. Sat. 1, 6:
[…] (frater) ante corpore inseparabilis, nunc individuus adfectu; PAUL. NOL., epist. 32, 6: Ergo
individuos pariter conplectere fratres; FAUST. REI., epist. 1 p. 163, 19: Ego tamen individuam
bonitatem tuam… retinens; 9 p. 215, 11: Individuum filium nostrum Leontium. Altri esempi in
O’BRIEN 1930, p. 108; vd. anche infra 2, 18 n. 3.
15 Consueto topos epistolare della visione attraverso “gli occhi del cuore / della mente”. Più

comune è la forma videre (o verba videndi) mente / oculis mentis / animo, già ben attestata in
OV., epist. 10, 135: Nunc quoque non oculis, sed, qua potes, aspice mente; trist. 4, 2, 57: Haec
ego submotus qua possum mente videbo; altri esempi con commento in THRAEDE 1970, pp. 55-
61. In età tardoantica, cfr. SYMM., epist. 8, 29: […] postquam hoc votum bonae mentis inspexi;
PAUL. NOL., epist. 6, 1: […] absentemque vidi tota mente conplexus; 34, 10: […] quia animo
complectuntur, quo cernimus absentes; 45, 10: […] oculi mentis meae purius video. La iunctu-
ra mente praevenio, tutta ruriciana, sembra essere un evidente adattamento al contesto, in vista
dell’imminente iter che consentirà di riunire i futuri consuoceri.
16 Sequenza triadica di verbi tecnico-giuridici, in corrispondenza con i precedenti tre sostan-

tivi inspector, exactor, exsecutor.


17 A partire almeno dal III secolo, la congiunzione quod tende ad assorbire le funzioni sintat-

tiche di altre congiunzioni, quali ut, quoniam, quia, avviandosi a divenire in questo modo una
Universalkonjunction (Leumann-Hofmann-Szantyr), per cui vd. LÖFSTEDT 1936, pp. 14-21;
LHS II pp. 579-584. Un usus altrettanto particolare in età tarda è con i verba timendi, che por-
terà al successivo esito nelle diverse lingue romanze. Cfr. p. es. HIER., in Matth. 10, 29 ll. 1739-
1740: […] vos qui aeterni estis, non debetis timere quod absque Dei vivatis providentia; AUG.,
un. eccl. 7, 19: Ne timeas, quoniam praevalebis, neque verearis quod detestabilis fueris; SALV.,
gub. 5, 7: Sed vereor quod, qui non bene observamus, nec bene lectitamus.
18 Libellus, diminutivo desemantizzato di liber, già in epoca classica, tra le differenti acce-

zioni, indicava anche un documento inerente a vario titolo un’azione giudiziaria: poteva conte-
nere il nome dei giudici (CIC., Verr. I 17), dei testimoni (CIC., Cluent. 197), la sentenza del pro-
cesso (SVET., Nero 15, 1). Nel caso presente, libellus è determinato dal genitivo dotis. Si tratta
probabilmente del donationis instrumentum, ovvero di un donativo concesso dalla famiglia del
marito alla futura moglie, la cui giurisprudenza è regolata dal COD. Theod. 3, 5, 13, 1-5: Si do-
nationis instrumentum ante nubtias actorum sollemnitate firmatum sit, de traditione, utrum
nubtias antecesserint an secuta sit vel penitus praetermissa, minime perquiratur: in illa dona-
tione, quae in omnibus intra ducentorum solidorum est quantitatem, nec actorum confectione
quaerenda. Haec enim commoda nec mariti fraude nec successorum eius inprobitate nec scru-
polositate iuris, etsi inperite vel callide rerum offerendarum in dotem habeat donatio mentio-
nem, denegari uxoribus deceptis patimur vel his, qui in earum iura succedunt, sed a marito vel
ab heredibus eius exacta restitui. Donatio e dos sembrano di fatto equivalersi nel dettato teodo-
siano. Si noti come, nel diritto tardoantico, a partire dal IV secolo, spetti anche al marito – oltre
che alla moglie, come già nel diritto antico – fornire una donatio ante nuptias o donatio propter
nuptias, su cui vd. BRUGUIÈRE 1974, pp. 342-349. Cfr. anche COD. Iust. 3, 28, 29 pr. (a. 479):
[…] quoniam novella constitutio divi Leonis ante nuptias donationem a filio conferri ad simili-
tudinem dotis, quae a filia confertur praecepit.
19 Krusch ipotizza di emendare il testo con marito: si creerebbe così una sottile ironia, per

cui il figlio di Ruricio, futuro marito della figlia di Namazio e Ceraunia, compenserebbe lauta-
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244 Commento

mente quanto sembra essere stato tolto dalla dote matrimoniale. Un’ipotesi affascinante, ma
probabilmente non giustificata dalla tradizione manoscritta, che non sembra avere dubbi in pro-
posito. Del resto, cfr. anche SERM. Corp. Vind. 21 p. 328, 26: […] si non proficit ad numerum,
proficit ad meritum. Condivido tuttavia quanto affermato da MATHISEN 1999, p. 135 n. 14:
«Even if Krusch is mistaken, the word merito (“deserved”), in this context, would have called
marito to mind. Ruricius’ wordplay may be an attempt to soft-pedal the fact that this contribu-
tion fell short of expectations». È giocoforza riconoscere in quest’ultima frase dell’epistola,
qualunque lectio venga privilegiata, un’ironia faceta, non disgiunta da un po’ di ruggine.

2, 3
1Come si apprenderà poco oltre, il lutto di cui si parla è l’improvvisa morte di un figlio di
Namazio e Ceraunia. Il planctus e la consolatio costituiranno il tema anche della lunga lettera
successiva, in cui il motivo di dolore è la dipartita della figlia dei due coniugi aquitani, nuora di
Ruricio. Incipit simile anche in epist. 2, 39, 1: Quam gravis mihi orbitatis vestrae sit luctus.
2 Il periodo ricco di iperbati ben esprime lo smarrimento in cui è piombato Ruricio, dopo

aver appreso la triste notizia.


3 Il cursus velox lítteris intimáre conclude la sezione incipitaria dell’epistola, che ha visto

l’espressione di partecipe dolore di Ruricio. La successiva, introdotta da una proposizione cau-


sale, spiega le ragioni dell’intima afflizione dell’anima e si conclude parallelamente con una si-
mile clausola ritmica (rénnuit expedíre), per la quale vd. infra n. 5.
4 La paronomasia, la parafonia e l’assonanza delle liquide labiali e dentali (animus nimio

maerore) evidenziano lo stato di confusione dell’autore, quasi balbuziente di fronte al dolore.


Del resto già Gerolamo affermava, di fronte alla notizia della morte di Nepoziano: Stupet ani-
mus, manus tremit, caligant oculi, lingua balbutit (epist. 60, 1). Per l’usus di maeror, vd. supra
1, 2 n. 16. La locuzione maerore confectus in riferimento all’animus ritorna in maniera identica
in epist. 2, 4, 4. Essa è tuttavia già biblica. Cfr. Lam 1, 13: […] posuit me desolatam tota die
maerore confectam, in traduzione del participio greco ojdunwmevnh. Parimenti vd. AUG., conf. 3,
11, 10; nat. et grat. 19, 21. Similmente maeror, a indicare un lutto, in ambito consolatorio, si
trova già in Seneca, Ambrogio, Gerolamo, Paolino di Nola.
5 Il gioco fonico prosegue, col medesimo fine espressivo di cui si è detto sopra, anche nelle

due frasi parallele horret recolere, rennuit expedire, in cui l’iterazione quasi regolare del seg-
mento /re/ – addirittura concatenata nel primo colon e proseguita nel primo elemento del secon-
do (horret recolere, rennuit) – scandisce una sorta di ritmico balbettare. Il tutto è suggellato dal-
le clausole ritmiche: hórret recólere (cursus tardus), rénnuit expedíre (cursus velox). HAGEN-
DAHL 1952, p. 33, proprio per motivazioni ritmiche, ha restituito la forma del manoscritto ren-
nuit, al posto dell’emendamento renuit, ricordando alla n. 1 come «cette forme du verbe est fré-
quente dans la basse latinité et se confirme souvent par la clausule». Elemento tipico della con-
solatio è sostenere l’impossibilità di esprimere i propri sentimenti a motivo dell’eccessivo do-
lore (vd. HIER., epist. 60, 1), per cui vd. le varie nn. ad loc. nella più ampia lettera successiva.
6 L’assonanza della vocale /o/ unita all’iterazione del segmento /co-/ e all’assonanza delle

dentali nella locuzione toto corde conpatior rende più intensa la compartecipazione al dolore
dei due coniugi.
7 RURIC., epist. 2, 36, 2 (disparati corpore) conferma la genuinità della lezione di S1 accolta

dagli editori rispetto alla versione di S2 (separatus).


8 Cfr. CASSIAN., c. Nest. 7, 31, 1-2: […] etsi corpore absum, affectu illic sum, et illi dilectis-
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II, 2-3 245

simo mihi ac venerandissimo Dei populo etsi nunc praesentia non admisceor, tamen mente co-
niungor; PAUL. NOL., epist. 18, 1: Nam etsi regionum intervallis corporaliter disparemur, spiri-
tu tamen Domini, in quo vivimus et manemus, ubique effuso coniuncti sumus, ut unius corporis
membra et cor unum et unam animam habentes in uno Deo.
9 L’interdipendenza delle due frasi è rafforzata dalla sonorità recedo – credo. Cfr. anche RU-

RIC., epist. 2, 39, 1: […] et planctibus vestris interesse nos credimus.


10 Cfr. 1Cor 12, 26: Et si quid patitur unum membrum, conpatiuntur omnia membra. Ruricio

non si accontenta di citare il testo paolino, ma vi apporta una lieve modifica stilistica, creando
un chiasmo che renda più icastico il concetto.
11 La chiusa di questo colon costituisce un’anafora rispetto al colon iniziale, con il quale

sembra entrare in dialettico rapporto: Nam etsi ad praesens a vobis disparatus sum corpore –
quod patitur unum membrum, omnia membra conpatiuntur in corpore. Questo obbliga il lettore
almeno a un confronto tra i due cola: se nel primo caso il corpus è cagione di divisione, nell’al-
tro esso è motivo unificatore di un medesimo sentire. Oltre all’antitesi concettuale, si noti anco-
ra una volta la perfetta isocolia (9 elementi) che lega le due frasi.
12 Il verbo composto concorporo ripropone l’immagine del corpus come simbolo di unità,

centrale rispetto al precedente conpatiuntur in corpore e al successivo coniunctione


conectimur. I verbi concorporo e conecto ritornano in iunctura in CASSIAN., c. Nest. 6, 17, 1:
Ita enim sibi conexa et concorporata sunt omnia; 22, 2: […] sed ita omnibus scriptis sacris do-
minicum hominem conectit Deo atque concorporat. La medesima immagine si trova in PAUL.
NOL., epist. 13, 1: […] sed caritas Christi Domini et Dei nostri, quia in ipsa nobis et per ipsum
ut unius corporis membra conectimur, non permisit; 3: Hac igitur te caritate conplexus ita ve-
neror ut membrum Christi, ita diligo ut commune membrum meum. L’unità tra le due famiglie è
nuovamente sottolineata dalle figure retoriche: si notino l’homoeoprophoron preposizionale
concorporamur – coniunctione – conectimur; l’assonanza del suono /o/; l’allitterazione della
gutturale sorda /c/ e del segmento fonetico /ct/, che sapientemente collegano le tre parole chia-
ve; la fine variazione lessicale nell’ambito della medesima area semantica. Da quanto è possibi-
le apprendere, doveva essere già stato celebrato il matrimonio tra il figlio di Ruricio e la figlia
di Namazio e Ceraunia.
13 Sul valore dell’avverbio unde in età tardoantica vd. infra 2, 6 n. 21.
14 Spesso il maltempo rendeva difficili i viaggi, come testimoniano, tra gli altri, anche PAUL.

NOL., epist. 13, 2; EPIST. Austras. 1, 5; GREG. TUR., Franc. 10, 19.
15 Advigilantia, sostantivo deverbale da advigilo, è hapax ruriciano, modellato sul tipo vigi-

lantia < vigilo. Questo si colloca nell’ambito della particolare produttività dei suffissi -entia /
-antia in età tardoantica, come rilevato da STOTZ II, pp. 285-287.
16 Per l’uso della metafora pignus per indicare i figli, vd. supra 1, 3 n. 18.
17 Dal punto di vista fonico le assonanze e le allitterazioni dum dulcia… dolore deflemus –

iniuriosi inveniamur in Domino rendono particolarmente pregnanti le affermazioni di Ruricio. I


due commata potrebbero quasi costituire un unicum capace di esprimere lapidariamente il con-
cetto secondo cui nel dolore è bene non esagerare nelle lamentele, per non recare oltraggio a
Dio stesso, cadendo così nel peccato, secondo una diffusa topica consolatoria (vd. FAVEZ 1937,
p. 151; PIZZOLATO 1985, pp. 459-460). Ruricio invita pertanto Namazio e Ceraunia alla misura
e alla calma, pur tra il dolore atroce, attraverso la consolazione della fede. Quanto all’espressio-
ne del complemento di moto a luogo figurato con in + abl., vd. infra 2, 11 n. 40.
18 Cristiana consolatio rispetto alla senecana: Diutius accusare fata possumus, mutare non

possumus: stant dura et inexorabilia. […] Proinde parcamus lacrimis nihil proficientibus; faci-
lius enim nos inferis dolor iste adiciet quam illos nobis reducet (ad Pol. 4, 1).
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246 Commento

19 L’uso insistito del preverbo re- esprime, nell’ordine, un movimento indietro (refugien-

dum, referendi) e un ritorno a uno stato precedente (relevat). Molto attentamente Ruricio colle-
ga queste tre azioni col medesimo preverbo, quasi che la consolatio finale sia l’esito delle pri-
me due. Sulla polisemia di re-, vd. MOUSSY 1997, pp. 227-242. Più in generale, in questa lettera
il segmento /re/ ha già prodotto giochi di suono: vd. supra n. 5.
20 Cfr. 1Sm 2, 6-7: Dominus mortificat et vivificat, deducit ad infernum et reducit; Dominus

pauperem facit et ditat, humiliat et sublevat; Ier 30, 17: Obducam enim cicatricem tibi et a vul-
neribus tuis sanabo te, dicit Dominus.
21 Cfr. Iob 1, 21: Dominus dedit, Dominus abstulit. (codd.: Sicut Domino placuit, ita factum

est:) sit nomen Domini benedictum.


22 Si avverte il reale anelito di Ruricio a consolare la coppia di amici. La lettera infatti è imbe-

vuta di Scrittura: non soltanto citazioni testuali, ma anche allusioni e riferimenti. Il fatto di avva-
lorare quanto si afferma per mezzo di citazioni scritturistiche è un tratto tipico della consolatio
cristiana, per cui vd. FAVEZ 1937, pp. 90-100. E l’accoramento sembra esplodere nell’ultima frase,
che pone il sigillo della fede sull’accaduto. Sull’uso del verbo praesumo, vd. infra 2, 7 n. 14.
23 L’ampio iperbato isola questo enunciato che sarà oggetto di spiegazione nelle righe suc-

cessive, includendo al suo interno il motivo stesso del solatium (su cui vd. supra 1, 2 n. 34):
l’obbedienza alla voluntas Christi. Efficace la litote iperbolica non minimum, che oltre a contri-
buire all’ornatus e alla venustas, enfatizza ed esalta il concetto espresso: a tal proposito, vd.
HOFFMANN 1987, pp. 192-219. I medesimi concetti consolatori, con similarità anche lessicali,
sono espressi, in un’ottica provvidenzialistica pagana, già in SEN., ad Pol. 1, 4-2, 1: Maximum
ergo solacium est cogitare id sibi accidisse, quod omnes ante se passi sunt omnesque passuri;
et ideo mihi videtur rerum natura, quod gravissimum fecerat, commune fecisse, ut crudelitatem
fati consolaretur aequalitas. Illud quoque te non minimum adiuverit, si cogitaveris nihil profu-
turum dolorem tuum nec illi, quem desideras, nec tibi; noles enim longum esse, quod irritum
est. Cfr. anche PAUL. NOL., epist. 13, 5: […] huic ipsi casui solacium praebet sermo divinus; 9:
[…] sed a fide nostra solacium de fiducia resurrectionis habeamus. Sulle caratteristiche della
lettera consolatoria, vd. CUGUSI 1983, pp. 108-109; sulla consolatio cristiana e i suoi topoi, vd.
il classico studio di FAVEZ 1937, pp. 79-176; quindi KASSEL 1958; GUTTILLA 1984, pp. 108-
215; PIZZOLATO 1985, pp. 441-474; CHIECCHI 1999, pp. 3-30. Più puntualmente si rimanda infi-
ne alle nn. ad loc. di epist. 2, 4.
24 Il tema del funus acerbum, della morte prematura di giovani, vanta un’ampia tradizione

tanto pagana quanto cristiana, che in qualche modo è riconducibile al topos del puer-senex (vd.
supra 1, 3 n. 6): nella misura in cui il bambino morto viene ritenuto anzi tempo “vecchio”
quanto a saggezza e a costumi, egli è già preparato nello spirito ad affrontare la morte, e dun-
que cristianamente pronto per il Paradiso. Per quanto attiene al topos consolatorio in ambito pa-
gano, vd. il classico intervento di BOYANCÉ 1952, pp. 275-289; per il mondo cristiano, vd. la
silloge di testi raccolta e commentata da PIZZOLATO 1996.
25 Cfr. Mt 5, 3: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum; 19, 14: Iesus

vero ait eis: «Sinite parvulos et nolite eos prohibere ad me venire, talium est enim regnum cae-
lorum». La corrispettiva pericope lucana (Lc 18, 15) è commentata spiritualmente da AMBR., in
Luc. 8, 57. I poveri in spirito sono coloro che sanno di non potere vantare alcunché al cospetto
di Dio, ma si riconoscono come oggetto della grazia e della misericordia divine, al pari dei
bambini, che diventano pertanto modello paradigmatico per poter aspirare al regno dei cieli.
Così commenta J. GNILKA 1991, p. 240: «L’espressione “di simili persone è il regno dei cieli”
mira al confronto. L’assicurazione si basa sul fatto che i bambini sono in grado di accogliere il
regno dei cieli in tutto e per tutto come un dono. Essi non hanno meriti da vantare. […] Perciò
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II, 3-4 247

il logion è un’esaltazione della grazia, che gli uomini devono accettare come un dono, e che
tuttavia è in grado di trasformarli proprio in bambini nel senso indicato». Ruricio apre il pro-
prio animo al dolore di Namazio e Ceraunia, esprimendo con efficacia i consolanti dati che la
fede fornisce al cristiano.
26 Cfr. PAUL. NOL., epist. 13, 27: Habes iam in Christo magnum tui pignus et ambitiosum

suffragium, coniugem quae tibi tantum gratiae in caelestibus parat, quantum tu illi a terris
opulentiae suggeris.
27 La lettera si chiude col participio passato adsumptum, in poliptoto verbale col precedente

adsumere, quasi a ribadire in ultima analisi il misterioso disegno della Provvidenza divina, che
chiama a essere partecipi del regno i migliori tra gli uomini. E questo diventa così motivo di
cristiana consolazione. Cfr. anche PAUL. NOL., epist. 36, 2: […] curae nobis erat ex recenti do-
lore fraternae divulsionis, quem etiamsi temporaliter ab hoc saeculo sciamus adsumptum, in il-
lo nobis cito consequendum, tamen ea verius causa obisse lugemus; EPIST. Austras. 1, 1: Illius
enim vitae fuit quod adsumpta credatur a Domino, quae a Deo electa migravit ad caelos.
28 I §§. 2-3 ritorneranno pressoché identici, salvo alcune omissioni, in epist. 2, 39, 2-3,

quando Ruricio si troverà a dover consolare di un lutto simile gli amici Eudomio e Melanthia.
A tal proposito vd. HAGENDAHL 1952, pp. 20-22, il quale, per motivazioni interne al testo, ritie-
ne giustamente questa epistola antecedente la 39.

2, 4
1 Cfr. RURIC., epist. 2, 3, 1: Doleo, fratres devinctissimi, tam acerbo casui vestro et ex toto

corde conpatior.
2 Il lutto cui si fa riferimento è la morte della figlia di Namazio e Ceraunia, la quale si era

unita in matrimonio a uno dei figli di Ruricio (Leonzio o Aureliano, secondo DEMEULENAERE
1985, p. 305; Costanzo, secondo MATHISEN 1999, p. 23).
3 La corrispondenza viene sentita da parte degli autori cristiani come un vero e proprio do-

vere, a cui bisogna rispondere secondo la più volte menzionata topica epistolare. A proposito
dei diversi officia delle epistole, vd. GIOANNI 2006, pp. xxxix-xlii; quanto al genere letterario
della consolatio, vd. supra 2, 3 n. 23.
4 Cfr. RURIC., epist. 1, 17, 1: […] ut eas retexere animus horreat, mens refugiat, sermo non

queat, dove i sentimenti di spavento sono motivati dal ricordo dei disagi affrontati durante un
viaggio. Cfr. HIER., epist. 60, 1: Stupet animus, manus tremit, caligant oculi, lingua balbutit.
Significativo il riuso di VERG., Aen. 2, 12, per cui si rimanda supra 1, 17 n. 6.
5 L’espressione pregnante lacrimarum imbre perfundere ricorre in Gerolamo a esprimere

l’atteggiamento di compunzione di chi si accinge a fare penitenza. Così si intende in HIER., epi-
st. 22, 30: […] mirantibus cunctis oculos aperto tanto lacrimarum imbre perfusos, riutilizzato
da Ruricio. Parimenti cfr. CASSIAN., conl. 20, 7, 1: Dum ergo agimus paenitentiam, et adhuc vi-
tiosorum actuum recordatione mordemur, necessarium est ut ignem conscientiae nostrae obor-
tus ex confessione culparum lacrimarum imber extinguat. Più ampiamente, è interessante nota-
re come la iunctura lacrimis perfundere, ampliata da Gerolamo e quindi da Ruricio, ricorra 2
volte nella letteratura pagana, entrambe in ambito consolatorio per la morte di un figlio: OVID.,
epist. 11, 115: Non mihi te (scil. natum) licuit lacrimis perfundere iustis; PS. QUINT., decl. 8, 22:
Sentit infelix, cuius orbitatis unicus sit, quibus lacrimis perfundantur oscula. Topico del genere
consolatorio è il fatto che la tristezza impedisca di parlare: cfr. HIER., epist. 60, 1: Quotien-
scumque nitor in verba prorompere, et super tumulum eius epitaphii huius flores spargere, to-
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248 Commento

tiens inplentur oculi et renovato dolore totus in funere sum; 127, 1: Nam ut hucusque reticerem,
et biennium praeterirem silentio, non fuit dissimulationis, ut male aestimas, sed tristitiae incre-
dibilis, quae ita meum obpressit animum, ut melius iudicarem tacere inpraesentiarum, quam
nihil dignum illius laudibus dicere.
6 È la prima volta che Ruricio cita direttamente un autore pagano. La modalità mette in luce i

sentimenti con cui, almeno esteriormente, si propone il riferimento alla cultura classica. Il gene-
rico sicut dixit ille, che introduce la citazione, chiaramente leggibile come virgiliana da parte dei
colti “salotti letterari” gallo-romani, e la riformulazione del medesimo concetto con parole bi-
bliche o di un autore ecclesiastico esprimono il sottile gioco lezioso che solo formalmente ormai
in V secolo contrappone i classici alla cultura cristiana. A questo proposito vd. il già citato HA-
GENDAHL 1947, pp. 114-128, nonché supra 1, 10 n. 14 e RURIC., epist. 2, 1, 1. Similmente cfr.
FAUST. REI., serm. 5 p. 242, ll. 25-27 = SERM. Corp. Vind. 21 p. 242, 25-27: […] unde bene dixit
quidam (IUV. 14, 139): crescit amor nummi, quantum ipsa pecunia crescit. Non a caso questa ci-
tazione diretta di Virgilio avviene nell’ambito del genere consolatorio: «les rèminescences et le
citations d’auteurs païens qu’on rencontre fréquemment dans les oeuvres des consolateurs chré-
tiens sont une preuve frappante de l’influence exercée sur eux par la tradition classique» (FAVEZ
1937, p. 50); e Virgilio risulta il poeta prediletto cui fare riferimento nella consolatio.
7 VERG., Aen. 6, 32-33, detto di Dedalo nei confronti del figlio Icaro.
8 Cfr. Ps 76, 3: Rennuit (iuxta Hebr.: noluit) consolari anima mea; VET. LAT. Ps 76, 3: Recu-

sabit consolari anima mea. Simili al testo salmico utilizzato da Ruricio AUG., in psalm. 76, 5:
Negavit consolari anima mea; CASSIOD., in psalm. 76, 3 l. 51: Negavi consolari animam meam.
9 Elemento topico della consolatio è il fatto di associare alla propria famiglia il personaggio

estinto: la nuora di Ruricio diventa pertanto “sua figlia” (vd. infra §. 11). Così cfr. p. es. HIER.,
epist. 60, 1: Nepotianus meus, tuus, noster, immo Christi; 127, 1: Neque vero Marcellam tuam,
immo meam; PAUL. NOL., epist. 13, 3: Nam ut evocationem ad Deum sanctae sororis meae
(Paolina, moglie di Pammachio).
10 Cfr. Tb 10, 4: Flebat igitur mater eius inremediabilibus lacrimis atque dicebat: «Heu, heu

me fili mi ut quid te misimus peregrinari, lumen oculorum nostrorum, baculum senectutis no-
strae, solatium vitae nostrae, spem posteritatis nostrae». Ancora una volta Ruricio ricorre alla
tecnica dell’accumulatio asindetica per rendere quasi tangibile il suo pensiero, unitamente alla
geminatio del verbo (Perdidi enim filiam… perdidi vitae solatium) che contribuisce in modo
particolare all’amplificatio emozionale. Le cinque costruzioni parallele che seguono danno vita
a una serie di chiasmi concatenati, quasi a esprimere l’inestricabile intreccio di sentimenti pro-
vocato dall’evocazione della figura della nuora: vitae solatium, posteritatis spem, decus fami-
liae, cordis gaudium, lumen oculorum. Abilmente l’autore riutilizza espressioni di affetto già
attribuite a uno dei suoi figli in epist. 1, 3, 2: Tibi enim spem posteritatis meae, tibi solatium vi-
tae praesentis et levamen, si divinitas annuerit, futurae, tibi uni omnia mea vota commisi (per
l’uso di solatium vd. supra 1, 2 n. 34).
11 Altre due costruzioni parallele a fini di emphasis, con geminatio in positio princeps, va-

riate soltanto dal chiasmo sintattico in coda: quorum me solabar affectu, quorum me coniunc-
tione iactabam.
12 La morte della figlia di Namazio e Ceraunia infrange il segno evidente dei loro rapporti di

parentela con Ruricio. Tutto ciò viene espresso con grande trasporto emotivo attraverso l’am-
plificazione orizzontale del concetto (commoratio: vd. supra 1, 8 n. 18): Disrumptum est, fra-
tres carissimi, vinculum germanitatis nostrae, ablatum nobis est pignus mutuae caritatis. A
prevalere è la vocale scura /u/. Oltre alla presente occorrenza, la iunctura mutua caritas è uti-
lizzata da Ruricio altre 6 volte (vd. epist. 2, 8, 2; 11, 7; 26, 1; 36, 1; 39, 3; 51, 1). Sull’uso di
caritas negli autori cristiani, vd. il già citato studio di PÉTRÉ 1948.
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II, 4 249

13 Cfr. RURIC., epist. 1, 3, 2: […] commendantes tibi pignus nostrum, depositum tuum, cuius

nos susceptione cepisti.


14 Ruricio, come già in epist. 1, 3, 2, si rifà al linguaggio della “mercatura”: vinculum, pignus,

depositum, traditione, ceperatis. Tuttavia, in ambito consolatorio, cfr. anche AMBR., exc. Sat. 1, 3:
Laetandum enim magis est, quod talem fratrem habuerim, quam dolendum, quod fratrem amise-
rim; illud enim munus, hoc debitum est. Itaque perfunctus sum, quamdiu licuit, commisso mihi fe-
nore; qui deposuit pignus, recepit. Nihil interest, utrum abiures depositum an doleas restitutum.
15 Questa sezione semantica si conclude con questo colon tanto efficace dal punto di vista

fonosimbolico da riprodurre l’idea di luttuosi singhiozzi. La forte antitesi secondo cui la morte
di un parente ha portato con sé la perdita (metaforica) di molti altri è sostenuta dalla martellante
assonanza della vocale /u/ alternata con il suono /i/, suggellata dalla sapiente sequenza dei seg-
menti /so/ - /su/ (solatia sublata suspiro), quasi a riprodurre il doloroso sospirare dell’autore, e
dalla marcata sonorità, sottolineata dal poliptoto del termine chiave necessitudo. A prevalere è,
secondo il modello consolatorio cristiano, il sentimento unitamente alla sumpavqeia (FAVEZ
1937, pp. 130-139). La frase sembra dipendere da AMBR., exc. Sat. 1, 8: Ita in unius necessitu-
dinis gradu conplurium mihi necessitudinum officia pendebas, ut in te non unum, sed plures
amissos requiram, in quo uno ignorata adulatio, expressa pietas.
16 Il concetto è reso particolarmente evidente dalla struttura ad anello della frase, che si apre

e si chiude con il sostantivo patria. Quale sia questa patria, è possibile ipotizzarlo solamente se
si pensa a Namazio come all’ammiraglio della flotta di Eurico, con possedimenti a Saintes e
nell’isola di Oléron. Da scartare l’ipotesi che Namazio e Ceraunia fossero originari di Clermont
(KRUSCH 1887, p. lxii), altrimenti, come ben nota MATHISEN 1999, p. 133, Ruricio avrebbe
chiamato patria quella città a motivo della moglie Iberia, non della nuora. L’autore fa riferi-
mento alla patria probabilmente ricordando AMBR., exc. Sat. 1, 6: Et quidem cum viveres nobi-
scum, numquam te patria eripuit mihi, nec ipse mihi umquam patriam praetulisti, et nunc alte-
ram praestitisti; coepi enim iam hic non esse peregrinus, ubi melior mei portio est.
17 L’officium va inteso, come si comprenderà nelle righe successive, come il dovere di con-

solare attraverso una lettera gli amici per la morte della figlia. Cfr. p. es. PAUL NOL., epist. 13,
1: […] ita nunc debita caritate loquendi tempus agnovi […] in quo meae tibi tristitiae consor-
tium et vocis officium dein defore.
18 Cfr. AMBR., exc. Sat. 1, 9: Sed quo, inmemor officii, memor gratiae, inmodico dolore pro-

gredior?
19 Sul valore dell’aggettivo redivivus vd. supra 1, 5 n. 11. Vale la pena notare l’uso pregnan-

te dell’aggettivo, con conseguente antitesi: risorge a nuova vita il ricordo di colei che è morta
(ma che, paradossalmente, si trova nella “vera vita”). Cfr. AMBR., exc. Sat. 2, 82: Quam cito ad
vocem Domini convertitur spiritus, redivivum corpus erigitur, cibus sumitur, ut vitae testimo-
nium crederetur; PAUL. NOL., carm. 31, 176: Mors superata abiit, stat rediviva salus.
20 Ruricio sfrutta appieno l’ambito semantico della memoria, facendo sfoggio di particolare

abilità retorica: si vedano l’antitesi con figura etimologica inmemor - memor, la iunctura redi-
viva recordatione, l’homoeoprophoron rediviva recordatione… rescindo, ripreso dal successivo
recidivi (§. 4). Sulla polisemia del prefisso re-, vd. MOUSSY 1997, pp. 227-242. Similarità lessi-
cali e contenutistiche nell’epistola consolatoria all’amico Agapio di ENNOD., epist. 9, 28 p. 249,
14-15: Duriter officium gestientis animi ad memoriam tristium mens recordatione stimulanda
revocavit. Nam semper remedium doloris oblivio est, quia quod ratione non possumus tempo-
rum prolixitate sepelimus.
21 Ruricio si avvale qui del sermo medico (vulnus, obduco, sectio, rescindo), secondo un

consueto topos consolatorio. A tal proposito cfr. p. es. HIER., epist. 66, 1: Sanato vulneri et in
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cicatricem superinductae cuti si medicina colorem reddere voluerit, dum pulchritudinem cor-
poris quaerit plagam doloris instaurat. […] et adtrectans vulnus pectoris tui quod tempore et
ratione curatum est, commemoratione exulcerem; ENNOD., epist. 9, 28 p. 249, 19: Sed quid fa-
cio, quia epistolae vestrae lectio iam obductae cicatricis penetralia rescindit et sepultam inma-
turi funeris recordationem amara sorte vivificat?
22 Il tempo è invocato, qui come presso altri autori, come medicina capace di sanare anche i

dolori più atroci (benché il ricordo abbia talvolta la meglio e costringa a rinnovare l’afflizione).
Così cfr. p. es. AMBR., exc. Sat. 2, 8: Nam quod obliteratura est temporis series, melius pruden-
tia mitigabit; AUG., conf. 4, 8, 13: Non vacant tempora nec otiose volvuntur per sensus nostros:
faciunt in animi mira opera. A tal proposito, vd. FAVEZ 1937, pp. 68-69.
23 La figura etimologica (consolari - consolationem), la paronomasia (cupiebam - capio) e le

allitterazioni (/c/, /p/) conferiscono maggiore intensità a questa esplosione di sentimento. Cfr. an-
che SULP. SEV., epist. 2, 16: Ecce nunc consolatum esse te cupio qui me solari ipse non possum.
24 Recidivus (< recidere) è aggettivo tecnico proprio dell’agricoltura. MELA 3, 6 definisce re-

cidiva quelle sementi che, cadendo a terra, producono nuova messe. Così spiegherà anche ISID.,
orig 17, 6, 10-11: Recidiva arborum sunt quae aliis sectis repullulant. Alii recidiva a cadendo
dicunt, quia post casum nascuntur. Alii a recidendo et repullulando dixerunt. Ergo recidivum,
ubi mors aut casus. Dal significato tecnico, per estensione, si è originato già in epoca classica
quello vulgato che fa di recidivus un sinonimo di redivivus, col valore pertanto di “rinascente”.
A titolo esemplificativo cfr. VERG., Aen. 4, 344: Et recidiva manu posuissem Pergama victis;
10, 58: […] recidivaque Pergama quaerunt, cui fa riscontro puntualmente SERV., Aen. 4, 344:
Recidiva post casum restituta; 10, 58: Tractus autem sermo est ab arboribus quae aliis sectis
repullulant. Di fatto recidivus diventerà variazione sinonimica rispetto a redivivus, come nel ca-
so presente. La rediviva recordatio, di cui sopra, provoca in Ruricio un recidivus dolor.
25 Cfr. RURIC., epist. 2, 3, 1: […] quia animus nimio maerore confectus. Sul valore di mae-

ror, vd. supra 1, 2 n. 16.


26 Cfr. 1Th 4, 13: Nolumus autem vos ignorare, fratres, de dormientibus, ut non contristemi-

ni, sicut et ceteri, qui spem non habent. Similmente cfr. AMBR., exc. Sat. 1, 9: Revocat aposto-
lus et tamquam frenos maerori inducit dicens, sicut nuper audistis: «Nolumus vos ignorare,
fratres, de dormientibus, ut non tristes sitis sicut et ceteri, qui spem non habent».
27 Circa l’uso di proprius con valore possessivo, vd. supra 1, 2 n. 32.
28 Cfr. 1Cor 14, 25: Occulta cordis eius manifesta fiunt.
29 La geminatio del sintagma ita mihi introduce due proposizioni dal contenuto simile, la se-

conda delle quali sembra costituire un ampliamento della prima: al dolor geminatus corrispon-
de la coppia affectus et luctus, all’avverbio indeterminato repente l’espressione distributiva per
singulos dies, a geminatus est la variazione sinonimica duplicatur. Lo stile intenso ed enfatico
rende maggiormente evidente il dolore di Ruricio.
30 Ier 9, 1.
31 Vd. Ier 9, 1-14.
32 Vd. supra n. 27.
33 Si notino la martellante allitterazione della nasale labiale /m/ e le assonanze dei suoni

chiari /a/, /e/ che rievocano fonosimbolicamente l’immagine di un composto lamento. L’anafo-
ra del pronome personale ego evidenzia la profonda dimensione personale del dolore di Ruri-
cio, scandita dal poliptoto del medesimo pronome. In modo particolare Ruricio arriva addirittu-
ra a piangere il fatto di essere rimasto in vita al posto della nuora (ego ut illius mortem et meam
vitam, illam defunctam et me superstitem plangam). Cfr. AMBR., exc. Sat. 1, 15: Ego te, frater,
heredem feceram, tu me heredem reliquisti, ego te superstitem optabam, tu me superstitem di-
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II, 4 251

misisti; 16: Propter te vivere delectabat, propter te non pigebat mori; te enim ambo superstitem
praecabamur, tibi nos supervivere non iuvabat.
34 Venerabilis è titolo comune di rispetto per laici e religiosi. Vd. ENGELBRECHT 1892, p. 81;

O’BRIEN 1930, pp. 122-124.


35 Sull’uso metaforico di pignus per indicare i figli, vd. supra 1, 3 n. 34.
36 Similmente vd. epist. 2, 15, 3.
37 Nota carica di malinconico rimpianto per quanto è accaduto, a partire proprio da quella fi-

ducia riposta nelle preghiere di Ruricio. Tra il sentimento si fa spazio la retorica dichiarazione
di modestia spirituale, che assume in questo caso i toni di un triste presagio.
38 «Cette certitude du bonheur des disparus doit empêcher le regret de dégénérer, chez le

croyant, en un sentiment contraire à la foi chrétienne. Le croyant connaîtra le regret dicté par
l’affection, mais non la crainte inspirée par l’incrédulité; il connaîtra la douleur, mais non le dé-
sespoir, qui laisserait supposer qu’il doute de l’immortalité. Au contraire, la tristesse s’accom-
pagnera toujours chez lui de la joie que donne l’espérance d’un revoir éternel» (FAVEZ 1937, p.
149). Così infatti scrive AUG., conf. 4, 6, 11: Quid autem ista loquor? Non enim tempus quae-
rendi nunc est, sed confitendi tibi (a tal proposito vd. MARIN 2006, pp. 559-575, in partic. pp.
565-569). Cfr. RURIC., epist. 2, 46, 3: Sicut scimus illum mortuum corpore, anima vero pro in-
nocentia sua Deo vivere, ita nos viventes corpore <videamus ne> corde moriamur.
39 Il chiasmo, la duplice antinomia (infirmant - corroborant; praesentia - futura) e le clauso-

le scandiscono il contenuto delle due frasi secondo un andamento quasi gnomico. La proiezione
della vita nell’evo futuro a consolazione del dolore presente è motivo topico: vd. FAVEZ 1937,
pp. 163-167; PIZZOLATO 1985, pp. 469-470.
40 Cfr. Apc 18, 20: Exulta super eam caelum et sancti et apostoli et prophetae, quoniam iu-

dicavit Deus iudicium vestrum de illa.


41 L’espressione brachilogica ruriciana omnium Dominus noster, che condensa in sé il con-

cetto della signoria universale e particolare di Dio, si è pensato di renderla in italiano sdoppian-
dola, nell’impossibilità di mantenere unite proprietà linguistica e pregnanza semantica. Più fre-
quente negli autori la locuzione omnium nostrum Dominus: vd. AUG., epist. 26, 4; in psalm. 94,
1; HIER., adv. Pelag. 2, 25; CASSIOD., in psalm. 55, 10 l. 209.
42 La topica consolatoria prosegue con l’esortazione a non eccedere nel dolore, ma a ringra-

ziare Dio per il dono della figlia, che ora vive in Lui. Cfr. HIER., epist. 108, 1: Non maeremus,
quod talem amisimus, sed gratias agimus, quod habuimus, immo habemus – Deo enim vivunt
omnia et, quidquid refertur ad Dominum, in familiae numero conputatur, quamquam amissio il-
lius caelestis domus habitatio sit; 118, 4: Non contristor, quod recepisti, sed ago gratias, quod
dedisti; AMBR., exc. Sat. 1, 3: Laetandum enim magis est, quod talem fratrem habuerim, quam
dolendum, quod fratrem amiserim; illud enim munus, hoc debitum est; PAUL. NOL., epist. 13, 6:
Unde et tibi ipsae, quae acerbant vulnus animi, causae solacium maius adferre possunt, quod
tam sanctam feminam, etsi non habes, habueris tamen. Tuttavia il concetto è già senecano. Cfr.
SEN., ad Pol. 10, 1: Illud quoque, qua iustitia in omnibus rebus es, necesse est te adiuvet cogitan-
tem non iniuriam tibi factam, quod talem fratrem amisisti, sed beneficium datum, quod tam diu
tibi pietate eius uti fruique licuit. Del medesimo vd. anche ad Marc. 12, 2-3; epist. 98, 11; 99, 3.
43 Si noti l’insistenza piuttosto stucchevole sulle assonanze e le allitterazioni, quasi al limite

della fluidità fonosintattica, nel colon: […] quod filiam qualem voluimus, quamdiu is qui dede-
rat, permisit, habuimus et qualem voluimus, non perdidimus, sed ad Christum ipso iubente
praemisimus, cui bisogna aggiungere anche la frammentazione della sintassi dovuta ai numero-
si iperbati, nonché l’anafora commatica qualem voluimus. La concentrazione di figure retoriche
e foniche esprime con efficacia la concitazione consolatoria dell’autore.
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252 Commento

44 Per il cristiano morire non significa semplicemente concludere biologicamente la vita, ma

soprattutto andare incontro a Cristo, dal quale si è stati chiamati: ad Christum ipso iubente
praemisimus (vd. CYPR., mort. 20; AMBR., exc. Sat. 1, 71; PAUL. NOL., epist. 13, 5; 9; ecc.). È
questo uno dei concetti chiave che anima la speranza nelle consolationes cristiane: con la morte
non finisce tutto, ma si entra nella vita eterna. Su questi aspetti contenutistici ed espressivi, vd.
FAVEZ 1937, pp. 152-157, in partic. pp. 155-156.
45 La formula ipso iubente è rara (AUG., in psalm. 67, 11; FULG., incarn. 27), così anche co-

me la corrispettiva Christo iubente (FIRM., err. 24, 2; AUG., in psalm. 124, 7). Per l’uso del pro-
nome dimostrativo ipse per esprimere Cristo / Dio, vd. supra 1, 18 n. 13.
46 Cfr. AUG., in psalm. 127, 15: Non enim iam felicitas est habere filios, sed bonos habere.
47 La sentenziosità di questo colon è scandita dalla serie di frasi parallele regolarmente anti-

nomiche. Sull’uso di proprius con valore possessivo, vd. supra n. 27.


48 Cfr. Ioh 14, 1: Non turbetur cor vestrum, creditis in Deum et in me credite; 27: Non turbe-

tur cor vestrum neque formidet.


49 Le lacrime sono considerate una conseguenza naturale a motivo del desiderium che si

prova nei confronti della persona defunta. Così AMBR., exc. Sat. 1, 10: Lacrimae ergo pietatis
indices, non inlices sunt doloris; 2, 14: Sed desideramus amissos; HIER., epist. 60, 7: […] sed
desiderium absentiae eius ferre non possumus, non illius sed nostram vicem dolentes; PAUL.
NOL., epist. 13, 5: Idcirco et tuae, frater, lacrimae sanctae et piae, quia simili affectione mana-
runt et digna casti cubilis flevere consortem non diffidentia resurrectionis, sed desiderio carita-
tis. Le lacrime sono giustificate topicamente facendo riferimento all’episodio di Gesù che pian-
se, per amicizia, la morte di Lazzaro (cfr. Ioh 11, 35): vd. AMBR., exc. Sat. 1, 10; HIER., epist.
39, 2; 60, 7; PAUL. NOL., epist. 13, 4.
50 Cfr. Lc 9, 60: Dixitque eis Iesus: «Sine ut mortui sepeliant mortuos suos». Vd. Anche RU-

RIC., epist. 2, 46, 3.


51 La geminatio anaforica del verbo flere e il successivo poliptoto dell’aggettivo sostantivato

mortuus ben delineano il triste destino di coloro che non hanno la speranza della risurrezione.
Al dettato ruriciano sembra soggiacere ancora una volta AMBR., exc. Sat. 1, 70: Fleant ergo, qui
spem resurrectionis habere non possunt, quam non sententia Dei eripit, sed fidei inclementia.
Intersit inter Christi servulos idolorumque cultores, ut illi fleant suos, quos in perpetuum existi-
mant interisse, illi nullas habeant lacrimarum ferias, nullam tristitiae requiem consequantur,
qui nullam putant requiem mortuorum, nobis vero, quibus mors non naturae, sed vitae istius fi-
nis est, quoniam in melius ipsa natura reparatur, fletus omnes casus mortis abstergeat. Del me-
desimo cfr. in Luc. 6, 62: Fleant igitur mortuos suos qui putant mortuos; ubi resurrectionis fi-
des est, non mortis species, sed quietis est. A questa pars destruens segue la successiva pars
construens, incentrata sui termini spes e portio. Similmente vd. RURIC., epist. 2, 46, 3.
52 Cfr. Ps 15, 5: Dominus pars hereditatis meae et calicis mei, tu es qui restitues hereditatem

meam mihi; 26, 13: Credo videre bona Domini in terra viventium; 114, 9: Placebo Domino in
regione vivorum; 118, 57: Portio mea Dominus, dixi custodire legem tuam; 141, 6: Clamavi ad
te, Domine, dixi: «Tu es spes mea, portio mea in terra viventium». Cfr. AUG., in psalm. 103,
sermo 4, 4: Sed nondum sumus in terra viventium, adhuc ista terra morientium est; clamamus
autem, et dicimus: «Spes mea es tu, portio mea in terra viventium. In terra morientium spes
mea, in terra viventium portio mea».
53 Il concetto è preso da Rm 6, 21-22: Quem ergo fructum habuistis tunc in quibus nunc eru-

bescetis? Nam finis illorum mors est. Nunc vero liberati a peccato, servi autem facti Deo, habe-
tis fructum vestrum in sanctificationem, finem vero vitam aeternam.
54 Cfr. 1Cor 15, 53-54: Oportet enim corruptibile hoc induere incorruptelam (codd.: incor-
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II, 4 253

ruptionem) et mortale hoc induere inmortalitatem. Cum autem mortale hoc induerit inmortali-
tatem, tunc fiet sermo qui scriptus est: absorta est mors in victoria; VET. LAT. 1Cor 15, 53:
Oportet enim corruptibile hoc induere incorruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem.
55 L’ampio iperbato nobis… dicendum est include al suo interno una piccola summa della fe-

de cristiana nella risurrezione dei morti. Il pronome personale nobis in testa alla frase contrap-
pone in maniera evidente l’approccio credente all’incredulità di coloro che non credunt esse re-
quiem mortuorum.
56 Iob 1, 21. Vd. anche RURIC., epist. 2, 3, 2 in cui, in situazione analoga, si cita il medesimo

locus biblico.
57 La prevalenza delle dentali e della vocale chiara /e/ nel colon tenenda est in temptatione

paenitentia contribuisce a dare evidenza allo stretto legame intercorrente tra temptatio e paeni-
tentia, come tra malattia e medicina. La penitenza viene riconosciuta come l’arma attraverso
cui combattere la tentazione dell’incredulità della risurrezione.
58 Cfr. Apc 21, 4: Et absterget Deus omnem lacrimam ab oculis eorum et mors ultra non erit

neque luctus neque clamor neque dolor erit ultra. Il medesimo riferimento scritturistico anche
in AMBR., exc. Sat. 2, 122; obit. Theod. 30.
59 Cfr. TERT., resurr. 55, 5-6: Quomodo ergo quod perditum est mutatum non est, ita quod

mutatum est perditum non est. […] Habet enim esse quod non omnino perit; mutationem enim
passum est, non perditionem. Similmente, si veda anche il testo del prefazio liturgico per la
messa pro defunctis: Tuis enim fidelibus, Domine, vita mutatur, non tollitur, et dissoluta terre-
stris huius habitationis domo, aeterna in caelis habitatio comparatur (CORP. praef. 505 ll. 3-5).
60 Un ampio riferimento a una vita ultramondana è già presente in SEN., ad Marc. 24, 5-26, 7.
61 «Le croyant est heureux d’avoir échappé aux tristesses, aux épreuves, aux dangers qui ont

assembri son existence terrestre et surtout d’en avoir fini avec le péché par un victoire définiti-
ve, qui lui assure une parfaite sécurité» (FAVEZ 1937, p. 167; vd. anche PIZZOLATO 1985, pp.
461-462). Vd. p. es. CYPR., mort. 2-5; 23; AMBR., exc. Sat. 1, 30; 2, 33; obit. Theod. 30.
62 La quies è il premio per coloro che sono morti nel Signore: vd. AMBR., obit. Theod. 29;

PAUL. NOL., carm. 31, 491. 614. A conferma di ciò, si veda anche l’affermazione scritturistica:
Et audivi vocem de caelo dicentem: «Scribe: beati mortui qui in Domino moriuntur. Amodo iam
dicit Spiritus ut requiescant a laboribus suis; opera enim illorum sequuntur illos» (Apc 14, 13).
63 Ruricio cita nuovamente il salmo 141, come già indirettamente al §. 7 (vd. supra n. 52).

Quanto alla versione salmica, cfr. Ps 141, 8: Educ de custodia animam meam ad confitendum
nomini tuo (iuxta Hebr.: Educ de carcere animam meam ut confiteatur nomini tuo); VET. LAT.
Ps 141, 8: Educ de carcere animam meam ad confitendum nomini tuo, Domine. L’immagine del
corpus – carcer si diffonderà particolarmente presso gli autori cristiani (vd. infra 2, 34 n. 50).
64 Sempre più frequente, in epoca cristiana, l’uso di quia (quod) in una completiva dipen-

dente da un verbum dicendi. Se Petronio nel I secolo poteva porre sulla bocca di un liberto frasi
del tipo: Sed subolfacio, quia nobis epulum daturus est Mammea (45, 10); […] et dixi quia
fustella comedit (46, 4), a fini caricaturali, a partire dal III secolo, soprattutto presso gli autori
cristiani, influenzati probabilmente dalle traduzioni dal greco della Bibbia (in cui al tipo levgw
o{ti si fa corrispondere dico quia / quod), la forma diventa sempre più comune, col successivo
esito nelle lingue romanze. Cfr. Ioh 9, 20: […] Scimus quia hic est filius noster et quia caecus
natus est. La Gallia merovingia avrà tuttavia a privilegiare la forma dico quod. A tal proposito,
vd. SCIVOLETTO 1962, pp. 1-34; ET pp. 298-299; HOFMANN-SZANTYR 2002, pp. 76-77; VÄÄNÄ-
NEN 20034, pp. 272-275. Allo studio della costruzione dico quod in prospettiva diacronica è de-
dicata l’ampia monografia di CUZZOLIN 1994, cui si rimanda.
65 Topos consolatorio: il caro estinto, liberato dai vincoli della carne, non ha più bisogno di
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254 Commento

nulla, ma è al sicuro, nella luce eterna. Cfr. p. es. SEN., ad Marc. 19, 4: Cogita nullis defunctum
malis adfici; AMBR., obit. Theod. 32: Absolutus igitur dubio certaminum fruitur nunc augustae
memoriae Theodosius luce perpetua, tranquillitate diuturna, et pro his, quae in hoc gessit cor-
pore, remunerationis divinae fructibus gratulatur.
66 Cfr. CYPR., mort. 26: Magnus illic nos carorum numerus expectat, parentum, fratrum, fi-

liorum frequens nos et copiosa turba desiderat iam de sua incolumitate secura, adhuc de no-
stra salute sollicita. Cfr. RURIC., epist. 2, 3, 3: […] ut et patronus haberetis ex filio. I defunti,
nella prospettiva cristiana, diventano intercessori presso Dio e pregano per i loro cari ancora in
vita. Non solo: nella frase che segue è addirittura la stessa defunta a fare coraggio agli affranti
genitori attraverso parole di cristiano conforto. Utili a tal proposito le considerazioni di AMAT
1985, pp. 272-277.
67 Cfr. CYPR., mort. 24: Hoc nos ostendamus esse quod credimus, ut nec carorum lugeamus

excessum et cum accersitionis propriae dies venerit incunctanter et libenter ad Dominum ipso
vocante veniamus; similmente vd. anche mort. 20. Per l’uso del sostantivo arcessitio, vd. supra
1, 15 n. 18.
68 Il tempo è ancora identificato come una medicina per sanare il vulnus del dolore. Vd. nel-

la medesima epistola il §. 3 e nn. ad loc.


69 Stilemi del tipo tempore temperare, con figura etimologica e anafora nel comma tempore

meae arcessitionis, sono particolarmente familiari a Ruricio (benché siano frequenti anche in
altri autori questi giochi di parole), il quale se ne serve nelle circostanze più disparate, con va-
riatio lessicale. Cfr. anche epist. 1, 11, 2: Sed quid illic primum laudandum sit aut mirandum,
ubi etiam temporis intemperies temperatur?; 2, 10, 4: Opportune etiam desideranti uiatori au-
tumnalis temporis congruit cum caritate temperies. Quanto al topos consolatorio dell’ “eccesso
di dolore”, vd. supra 2, 3 n. 17.
70 Il ritmo triadico di questi tre cola paralleli (con ampliamento nell’ultimo) è scandito rego-

larmente da connettivi (quomodo, quia, quando), unitamente all’anafora del verbo (voluit) e al
chiasmo dei due cola finali. Le tre proposizioni relative ricapitolano la storia della giovane fan-
ciulla (fecit, redemit, suscepit) alla luce proprio della voluntas e della pietas divine più volte ri-
badite. Similmente cfr. RURIC., epist. 2, 46, 1: […] quod Dominus noster de servo suo et, quan-
do voluit, et, quod voluit, fecit, nonché epist. 2, 3, 3. Sembra ravvisabile tuttavia un’eco di CAS-
SIAN., c. Nest. 7, 2, 4: Deus ergo ut voluit, quando voluit et ex qua voluit advenit.
71 Sul valore e l’uso del sostantivo solatium, vd. supra 1, 2 n. 34.
72 La presenza di frasi interrogative retoriche, atte a toccare i sentimenti, è una costante della

consolatio. Vd. FAVEZ 1937, pp. 134-138. Da notare anche il motivo topico dell’universalità della
morte per tutto il genere umano. Sorte da cui non si è voluto sottrarre neppure Gesù Cristo, vero
Dio e vero uomo: Qui (scil. Deus) etiam Filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit il-
lum (Rm 8, 32). Su questi aspetti, vd. FAVEZ 1937, pp. 152-157; PIZZOLATO 1985, pp. 460-463.
73 Il lessico si fa tecnico, proprio del linguaggio liturgico-penitenziale. Crimen e peccatum

indicano negli autori cristiani, a partire almeno dal II secolo, la mancanza contro la legge divi-
na; satisfactio esprime invece l’atto di emendare la propria colpa attraverso la penitenza: Is ac-
tus, qui magis Graeco vocabulo et exprimitur et frequentatur, exomologesis est qua delictum
nostrum Domino confitemur, non quidem ut ignaro, sed quatenus satisfactio confessione dispo-
nitur, confessione paenitentia nascitur, paenitentia Deus mitigatur (TERT., paenit. 9, 2). Tutti e
tre i termini vengono desunti dal lessico giuridico romano, significando peccatum e crimen un
delitto (vd. supra 1, 7 n. 11), satisfactio il risarcimento mediante un’ammenda o il pagamento
di un debito (vd. infra 2, 15 n. 60).
74 Il triplice politptoto del verbo diligo, in iunctura per ben due volte con epiteti cristologici
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II, 4 255

(in Christo diligitis - in Domino diligatis), afferma con insistenza la natura dell’amore cristiano
che trova realizzazione piena soltanto alla luce della fede. Altrettanto dicasi per l’insistenza con
cui si rimarca, attraverso il poliptoto del sostantivo pietas, la grandezza dell’amore divino di
cui quello umano, anche parentale, non può che essere un riflesso. Pietas sembra fornire pro-
priamente la chiave di lettura di tutto il paragrafo: l’anafora della locuzione pro sua pietate in
riferimento al Signore assurge a pietra di paragone rispetto alla pietas con cui Namazio e Ce-
raunia piangono la figlia, divenendo al tempo stesso implicita esortazione a ricomprendere l’af-
fetto di genitori alla luce del disegno provvidenziale e amorevole di Dio.
75 Per l’usus del verbo mereor + inf., vd. supra 1, 2 n. 33.
76 Il patriarca per eccellenza è Abramo. L’espressione riprende Lc 16, 22: Factum est autem

ut moreretur mendicus (scil. Lazarus) et portaretur ab angelis in sinum Abrahae. Simili riferi-
menti in AMBR., obit. Theod. 53: “Portavit iugum grave a iuventute” sua Lazarus pauper, ideo
singulariter in sinu Abrahae requiescit divinae testimonio lectionis; HIER., epist. 23, 3: Nunc
igitur pro brevi labore aeterna beatitudine fruitur: excipitur angelorum choris, Abrahae sini-
bus confovetur et cum paupere quondam Lazaro divitem purpuratum et non palmatum consu-
lem, sed sacratum, stillam digiti minoris cernit inquirere; PAUL. NOL., carm. 31, 487-488: Di-
sce evangelio loca pauperis et loca ditis: / pauper in Abraham, dives in igne iacet.
77 Cfr. Ps 62, 4: Quoniam melior est misericordia tua super vitas.
78 Cfr. 1Th 4, 18: Itaque consolamini invicem in verbis istis (significativamente i vv. 13-17

dell’epistola paolina hanno trattato il tema della morte e della resurrezione dei corpi: Fratres,
nolumus vos ignorare de dormientibus…).
79 Ruricio riassume brevemente i cardini della vita del cristiano, che ruotano attorno alle tre

virtù paoline: la fede, la speranza, la carità (vivere nelle opere la fede professata in vista del
premio eterno). Come verrà altresì ribadito nelle righe successive, è da una vita vissuta nella fe-
de e nella preghiera che sgorga la consolante certezza dell’immortalità futura, secondo un moti-
vo topico della consolatio (vd. PIZZOLATO 1985, p. 470-471). L’homoeoprophoron praesentia -
praecipere e i chiasmi incrociati spe praecipere, possidere fide, operibus obtinere contribuisco-
no a rendere più efficace e suadente l’eloquio.
80 Sul sostantivo solatium, vd. supra n. 71.
81 Da notare i due tricola paralleli in maeroribus solatium, in contrariis fiduciam, in prospe-

ris moderationem – aut extollamur secundis aut cedamus adversis aut tristibus consumamur,
con variazione chiastica finale. Si osservi inoltre la preziosa attenzione dell’autore alla variatio
sinonimica (prosperis - secundis, contrariis - adversis, maeroribus - tristibus) e al gioco di an-
tinomie all’interno e tra i tricola: (moderationem - extollamur, fiduciam - cedamus, solatium -
consumamur).
82 Sul verbo dicto, vd. supra n. 1, 10 n. 16.
83 Sul topos della brevitas epistolare, vd. supra 1, 3 n. 15; sul linguaggio dell’oralità (sermo)

connesso all’epistolografia, vd. infra 2, 5 n. 4; sull’affluentia sermonis, vd. supra 1, 4 n. 6.


84 Posto al centro dell’articolato periodo, il desiderium, come è emerso dalla lettera, è elemen-

to fondamentale che genera la necessità della consolatio. «La tensione si coglie soprattutto nello
sbilanciamento in avanti della consolatio cristiana. Se la vera e piena vita dell’uomo è nell’escha-
ton, il ritorno al passato del consolatore pagano lascia nel cristiano il posto all’anelito» (PIZZOLA-
TO 1985, p. 472). Così cfr. p. es. CYPR., mort. 20: […] desiderari eos debere, non plangi.
85 Ruricio riepiloga i motivi che lo hanno spinto a vergare la lettera, scusandosi topicamente

(ma in questo caso anche realisticamente) dell’eccessiva lunghezza della medesima. In modo
particolare, commemoratio, recordatio e il successivo memoria sono termini tecnici presso i
cristiani per indicare propriamente la memoria liturgica presso il Signore dei santi e dei defunti,
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256 Commento

o addirittura l’ufficio funebre. Cfr. p. es. CYPR., epist. 12, 2: […] ut commemorationes eorum
inter memorias martyrum celebrare possimus; 39, 3: Sacrificia pro eis semper, ut meministis,
offerimus, quotiens martyrum passiones et dies anniversaria commemoratione celebramus;
AUG., cur. mort. 4, 6: […] non sunt praetermittendae supplicationes pro spiritibus mortuorum,
quas faciendas pro omnibus in christiana et catholica societate defunctis etiam tacitis nomini-
bus eorum sub generali commemoratione suscepit ecclesia; ALC. AVIT., epist. 4 p. 30, ll. 31-32:
[…] nec damnatione dignos putamus nec sacrificio commemorationis excludimus. Vd. BLAISE
1966, pp. 212-215. Benché il riferimento nel presente locus non implichi valenze liturgiche,
tuttavia il linguaggio è fortemente allusivo, talora anche equivoco nella contrapposizione recor-
datio - commemoratio. Analoghi concetti in AMBR., obit. Valent. 1: Etsi incrementum doloris sit
id, quod doleas, scribere, tamen quoniam plerumque in eius, quem amissum dolemus, comme-
moratione requiescimus, eo quod in scribendo, dum in eum mentem dirigimus intentionem que
defigimus, videtur nobis in sermone revivescere; obit. Theod. 52: Qui cum hic delectarentur ab-
solutione multorum, quanto magis illic pepercisse se pluribus recensendo pietatis suae recor-
datione mulcentur; HIER., epist. 66, 1: Ita et ego, serus consolator, qui inportune per biennium
tacui, vereor, ne nunc inportunius loquar et adtrectans vulnus pectoris tui, quod tempore et ra-
tione curatum est, commemoratione exulcerem. Similmente cfr. già SEN., ad Pol. 18, 7: Effice,
ut frequenter fratris tui memoriam tibi velis occurrere, ut illum et sermonibus celebres et adsi-
dua recordatione repraesentes tibi, quod ita demum consequi poteris, si tibi memoriam eius iu-
cundam magis quam flebilem feceris; naturale est enim, ut semper animus ab eo refugiat, ad
quod cum tristitia revertitur.
86 In questo paragrafo prevalgono lemmi composti dal prefisso cum-, quasi a voler ancora

una volta ribadire l’unità profonda tra le due famiglie: ad communem quondam consolationem;
conpulit; commemoratio; communem filiam; comprobemus. Nel comma etiam parem gratiam
erga communem filiam si nota un’evidente allitterazione della consonante /m/. A tal proposito
vd. supra n. 9.
87 Vd. supra n. 85.
88 Una clausola ritmica chiude l’epistola, la più ampia del corpus ruriciano: dilectióne cu-

stódiat (cursus tardus). «Des 82 lettres réparties en deux livres qui nous sont parvenues, une
seule traduit avec simplicité et naturel une émotion vraie et profonde: la lettre de condoléances
que l’auteur adresse aux parents de sa belle-fille morte prématurément» (LOYEN 1943, p. 169).
Il giudizio forse eccessivamente severo di Loyen mette tuttavia in luce il reale e sincero senti-
mento di dolore e di compartecipazione che emerge da questa lettera, la quale ben si inserisce
nel genere della consolatio latina cristiana.

2, 5
1 Riferimenti a una sorta di obbligo proveniente dal legame di amicizia è già presente in

CIC., amic. 35; 63; fam. 14, 4, 2 (amicitiae ius officiumque). In modo particolare, cfr. PLIN., epi-
st. 6, 8, 5: Rogo ergo, exigo etiam pro iure amicitiae cures, ut Atilio meo salva sit non sors mo-
do, verum etiam usura plurium annorum. La iunctura necessitudinis ius si trova, secondo lo
stesso costrutto di Ruricio, già in SVET., Cal. 26, 1, in riferimento alla morte violenta che subi-
rono Tolomeo, Macrone ed Ennia da parte dell’imperatore, pro necessitudinis iure. Rara nell’e-
pistolografia cristiana, ricorre per lo più nella forma necessitudinis iura, per cui vd. AUG., epist.
82, 4 (2 volte); HIER., epist. 105, 4; ENNOD., epist. 9, 27 p. 249, 1. Più diffusa la formula amici-
tiae iure (o iura).
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II, 4-5 257

2 Cfr. RURIC., epist. 2, 27, 1: […] non dicam occasionem scribendi (vd. n. ad loc. per l’acce-

zione del lemma occasio).


3 Mediator, apposizione di sermo, è un sostantivo che si diffonde tardi nella letteratura lati-

na. La prima occorrenza è in APUL., met. 9, 36. Quindi troverà grande fortuna presso gli scritto-
ri ecclesiastici in riferimento a uomini, ma soprattutto a Dio e a Cristo, di cui è già epiteto neo-
testamentario: Unus enim Deus, unus et mediator Dei et hominum homo Christus Iesus (2Tm 2,
5). Polemicamente viene assegnato anche al Diavolo, come p. es. in AUG., conf. 10, 42, 67 in
cui il fallax mediator è contrapposto al successivo verax mediator (conf. 10, 43, 68).
4 La iunctura ruriciana sermo mediator, un hapax assoluto in tutta la letteratura latina, esprime

con sintetica efficacia lo scopo della lettera di amicizia: essere mediatrice dei buoni sentimenti tra
coloro che sono legati da vincoli di affinità spirituale o parentale, così da evocare topicamente in
qualche modo la presenza del destinatario. Sermo pertanto, nel lessico epistolare, viene di fatto a
coincidere con la lettera stessa, mediatrice appunto del dialogo a distanza. Del resto, già lo pseu-
do-Demetrio, citando il bibliografo Artemone (II a. C.), editore delle lettere di Aristotele, definiva
la lettera come to; e{teron mevro~ tou` dialovgou (vd. supra 1, 1 n. 6). L’ambito semantico rimane
ancora una volta quello dell’oralità, secondo la topica del conloquium absentium (vd. ZELZER
1995, pp. 541-551; GIOANNI 2006, pp. 38-39). Già Cicerone, nel trattare dell’oratio, assegnava a
sermo un carattere maggiormente familiare e colloquiale, contro quello più ufficiale di contentio:
Et quoniam magna vis orationis est eaque duplex altera contentionis altera sermonis, contentio
disceptationibus tribuatur iudiciorum, contionum, senatus; sermo in circulis disputationibus, con-
gressionibus familiarium versetur, sequatur etiam convivia (off. 1, 132). Sul valore di sermo, vd.
in partic. MOUSSY 1996, pp. 35-44, L. GAVOILLE 2004, pp. 33-52. La lettera, secondo la felice de-
finizione di BURNET 2003, pp. 39-41, sostituisce tout court il dialogo orale: di esso ricerca la
spontaneità e la sincerità, pur rimanendo all’interno dei canoni stilistico-formali che l’epistologra-
fia impone. A tal proposito valgano le considerazioni espresse da ROESCH 2002, pp. 89-112 e da
É. GAVOILLE 2002, pp. 153-176 in merito all’epistolografia ciceroniana. E, come si leggerà di se-
guito, scopo del presente biglietto altro non è che suscitare nella mente dell’amico Namazio la
presenza di chi scrive: dunque la ricerca dell’occasio scribendi diventa di per sé il pretesto per co-
municare. Il fatto di avere scarsità di argomenti e tuttavia voler ugualmente vergare un’epistola è
già in CIC., Att. 1, 12, 1; 5, 5, 1; ecc. Altri esempi in CUGUSI 1983, p. 75, nn. 149-151.
5 Il verbo emitto porta con sé una valenza polisemica che solo in parte la traduzione italiana

riesce a rendere. Infatti, oltre a voler indicare la produzione di luci, immagini, suoni, ha anche
un’accezione più specifica quale inviare una missiva, un documento, una lettera. Nel locus pre-
sente coincidono i due momenti, essendo il sermo proferito soltanto nella finzione dei canoni
epistolari, ma affidato in realtà all’epistola, della quale diventa di fatto significante. Un’ulterio-
re accezione del verbo è legata al linguaggio teologico ed esprime la missio dello Spirito Santo
o degli apostoli (vd. TERT., apol. 18, 2; bapt. 8, p. 208, 1; AUG., civ. 20, 21; ecc.). L’equivocità
dell’usus di Ruricio emergerà nelle righe successive..
6 Si noti il consueto gioco di prefissi emittitur - amittitur, con conseguente antitesi.
7 La sequenza di cola antifrastici evidenzia la potenza intrinseca dell’eloquio scritto e in-

viato per lettera: la sensazione di perderlo all’atto della spedizione è ingannevole, in quanto es-
so produce pienamente il suo effetto nel momento in cui si allontana dal mittente per raggiun-
gere il destinatario. Quanto al materiale lessicale e alla forma espressiva, cfr. p. es. GRAEC., epi-
st. ad Ruric. 1 p. 397, 11-15: Dum enim dependitur, non expenditur, sed magis, dum prorogatur,
augetur eiusque gratia ita muneratur percipiens, ut non minoretur inpertiens, quae ad similitu-
dinem divinitatis dat, quod <habet>, habetque, quod dederit; FAUST. REI., spir. 1, 13, p. 127, 11
ss.: Vides, quod a patre egreditur nec tamen a patre separatur, emittitur et non amittitur, effun-
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ditur et retinetur, et in eo, quod effundi legitur, magnitudo plenitudinis declaratur. In modo par-
ticolare cfr. anche EUSEB. GALLIC., hom. 1, 4: Et ideo dixit propheta: «Eructavit cor meum ver-
bum bonum». Sicut enim ex usu prolativum hominis verbum, ita ad audientem a loquente tran-
sfertur ut nihilominus in eo de quo progreditur corde teneatur; et, sicut sermo quem loqueris et
a te exit et tecum est, novo et stupendo genere et transit et remanet, transfunditur nec elabitur,
et quo dirigitur pervenit et unde emittitur non recedit: ita et Dominus noster Iesus Christus, qui
in principio erat Verbum, Deus, apud Deum, ad nos prodiit, a Patre non exiit; illic adstitit, hic
processit; 34, 4: Vides quod a Patre quidem substantiae unitate progreditur, non tamen a Patre
separatur: emittitur non amittitur, et effunditur et tenetur - atque effusionis verbo, magnitudo
plenitudinis declaratur. Parimenti vd. AUG., serm. 25, 5; 119, 7; 184, 1; 187, 2-3; così cfr. in
contesto simile anche RURIC., epist. 2, 27, 1: […] quod nobis in affectu inpenditis, non expendi-
tis, quod tribuitis, non amittitis et, quod nobis in charta transmittitis, vobiscum corde retinetis.
8 La struttura parallela quadrimembre asindetica, con ampliamento nell’ultimo colon (a me

dividitur, a te suscipitur, a me scribitur, a te legitur nec tamen dividitur) conferisce un anda-


mento cadenzato all’eloquio, ponendo quasi in un rapporto causa-effetto le azioni di ciascuna
frase. L’anafora dei pronomi personali me / te sottolinea tangibilmente lo stretto rapporto tra
mittente e destinatario.
9 Per l’espressione utriusque corde teneatur, vd. EUSEB. GALLIC., hom. 1, 4 (corde teneatur),

cit. supra n. 7. Il poliptoto verbale dividitur - divisus fa da trait d’union con la seconda parte
della lettera. Illuminante anche RURIC., epist. 2, 27, 1: […] quod nobis in charta transmittitis,
vobiscum corde retinetis.
10 Si noti la massiccia presenza di verbi passivi alla terza persona singolare, che di fatto ven-

gono a costituire l’ossatura della lettera, con conseguenti allitterazioni, assonanze, omeoteleuti.
11 Cfr. FAUST. REI., spir. 1, 13 p. 126, 20-26: Apostoli pleni Spiritu Sancto per omnem mun-

dum salutis thesauros erogaturi: caeleste hoc munus in se circumferunt, in alios impositis ma-
nibus transferunt. Accipientis lucrum sine damno agitur largientis: credentibus totus traditur et
totus a tradentibus possidetur, infusione eius universus orbis impletur, sine attenuatione dilata-
tur, sine divisione dispergitur; epist. 11 p. 217, 7-8: […] praesertim cum prorogata huius largi-
tas in lucrum transeat largientis eiusque bono ita muneretur accipiens, ut non minoretur imper-
tiens. Vd. anche EUSEB. GALLIC., hom. 34, 4. Si possono notare, nel testo ruriciano, la consueta
variazione prefissale confertur - aufertur, l’homoeoprophoron aufertur auctori, le variazioni
lessicali indigens - inops / auctor - possessor. Questo biglietto verrà ripreso in maniera presso-
ché identica nell’epistola 2, 36, 1 indirizzata a Cesario di Arles.

2, 6
1
Il termine speculator, calco del greco ejpivskopo~, dal significato classico di “esploratore”,
“guardiano”, si diffonde, a partire dall’età tardoantica, ma soprattutto nel Medioevo, per indica-
re la figura del vescovo. Cfr. p. es. SACR. Gell. 2578: Sit exemplum et furma iustitiae ad guber-
nandum regendamque aecclesiam fideliter, ut speculator idoneus inter suos collogiis semper ef-
ficiat; ALCUIN., epist. 218, tit.: VENERANDO PATRI ET IN MEMBRIS CHRISTI EXCEL-
LENTISSIMO AQUILAE ARCHYSPECULATORI ALBINUS DEVOTUS IN CARITATE
FRATER INDEFICIENTIS GLORIAE SALUTEM. Degna di nota è la testimonianza di Ago-
stino, il quale identifica il vescovo come speculator (civ. 1, 9) o explorator (serm. 339, 2), al
posto del meno elegante superintentor (in psalm. 126, 3: Superintentor […] quia desuper videt;
serm. 176A frg. 1: Episcopus nomen graecum est, latine vero superintentor vel visitator dici
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II, 5-6 259

potest). Già tuttavia AMBR., epist. extra coll. 1a, 2 (a Teodosio) usa il termine in riferimento al
proprio dovere di sacerdos, all’interno della citazione di Ez 3, 17 (Fili hominis, speculatorem
dedi te domui Israhel). In modo particolare, nel sermone agostiniano sopraccitato, pronunziato
a Ippona nell’anniversario del suo episcopato, Agostino si riferisce alle parole di Ez 33, 2-11,
facenti parte della liturgia di ordinazione del vescovo (ma anche dei presbiteri): e questo non
soltanto in Africa, ma anche in Gallia e in Spagna. Dell’uso liturgico gallicano antico siamo
informati da Cesario di Arles in serm. 1, 11: Tamen, piissimi domini, si lectiones illas quae in
ordinationibus episcoporum recitantur diligenter attendimus, habemus unde nobis ipsis com-
punctionem maximam faciamus. […] Lectio enim prophetica qualis legitur? «Speculatorem»,
inquit, «dedi te domui Israhel». Non dixit, procuratorem vinearum, villarum, non actorem
agrorum: speculatorem sine dubio animarum. E HIER., in Ezech. 10, 33 ll. 1089-1092, così
commenta la pericope profetica: […] speculator autem ecclesiae, vel episcopus, vel presbyter,
qui a populo electus est et, scripturarum lectione, cognoscens et praevidens quae futura sint,
annuntiet populo et corrigat delinquentem. Del resto Caesario in serm. 1, 4 asserisce: Ideo
enim speculatores dicuntur esse pontifices, quia in altiori loco velut in summa arce, id est ec-
clesia, positi et in altario constituti de civitate vel de agro Domini, id est tota ecclesia, debeant
esse solliciti; 19: Episcopus enim intepretatur superinspector. Isidoro, recependo e conferman-
do la tradizione precedente, commenta: Episcopi autem Graece, Latine speculatores interpre-
tantur. Nam speculator est praepositus in Ecclesia; dictus eo quod speculatur, atque praespi-
ciat populorum infra se positorum mores et vitam (orig. 7, 12, 12). Inoltre vale la pena sottoli-
neare che speculator / episcopus è spesso associato, nella liturgia e non, a immagini tratte dal
mondo della pastorizia (vd. Ez 34, 1-31), secondo la più antica tradizione cristiana per cui i
presbuvteroi - ejpivskopoi erano in rapporto col l’idea di poimaivnein, estendendo ai capi
della comunità la topica già veterotestamentaria (e successivamente cristologica) del Messia-
pastore, come appare anche nel testo in esame. Infine va notato che speculator non diventerà
propriamente termine tecnico per indicare l’episcopato – per il quale si preferiranno sostantivi
quali sacerdos, episcopus, pontifex, praesul, ecc. – bensì ne identificherà icasticamente la fun-
zione di sorveglianza. All’origine di questo sta probabilmente quanto asserito dalla Mohrmann:
«En Occident l’emprunt grec episcopus est devenu bientôt – comme il est normal pour tous les
emprunts – “signe pur”, c’est-à-dire mot qui désigne une “chose”, ici une “institution”, mais
sans avoir de points d’attache dans le système de la langue. C’est pourquoi on avait besoin d’un
terme authentiquement latin pour exprimer ce qu’on considérait comme un élément essentiel de
la fonction épiscopale» (p. 251). Per un’analisi dettagliata degli usus e della fortuna dell’imma-
gine, vd. MOHRMANN IV, pp. 231-252; HOEFLICH 1980, pp. 120-129.
2 Praepositus, da termine generico indicante “colui che è a capo di qualcosa”, “sovrinten-

dente”, già dal Nuovo Testamento e quindi in epoca cristiana viene a indicare per antonomasia
colui che è posto a guida di una Chiesa, soprattutto vescovo (praepositus ecclesiae). Cfr. Hbr
13, 7: Mementote praepositorum vestrorum qui vobis locuti sunt verbum Dei; TERT., fug. 11, 3:
Porro si eos qui gregi praesunt fugere, cum lupi irruunt, nec decet, immo nec licet – qui enim
talem pastorem malum pronuntiavit, utique damnavit; omne autem quod damnatur, illicitum
factum est sine dubio – ideo praepositos ecclesiae in persecutione fugere non oportebit. Tutta-
via anche i presbiteri possono essere identificati come praepositi, come emerge da CYPR., epist.
21, 3: Quarum iam causa audita, praeceperunt eas praepositi tantisper sic esse, donec episco-
pus constituatur. Praepositus può anche indicare l’abbas di un monastero (vd. SIDON., epist. 7,
17, 4). Nelle lingue romanze praepositus avrà una certa fortuna in ambito ecclesiastico dando
esiti quali prevosto (it.), prebosde (prov.), prioste (sp.), ecc., per cui vd. ML 6722. Sulla storia
del sostantivo vd. ENßLIN, s. v. Praepositus, in RE suppl. VIII, coll. 539-556. La forma inter
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260 Commento

speculatores atque praepositos, come si comprenderà oltre, costituisce di fatto un ampliamento


tautologico del medesimo concetto, del tipo: Ad hoc enim speculatores, hoc est populorum
praepositi, constituti sunt in ecclesiis, ut non parcant obiurgando peccata (AUG., civ. 1, 9). Da
notare anche l’homoeoprophoron preposizionale praepositos - praesumptio.
3 Cfr. ISID., orig. 5, 26, 19: Pervasio est rei alienae manifesta praesumptio. Ruricio utilizza

il linguaggio tecnico-giuridico, quasi a incalzare il collega a colpi di diritto: praesumptio, ratio,


contentio.
4 Cola antifrastici costruiti parallelamente che fanno da corrispettivo ai due precedenti (non

praesumptio debet esse, sed ratio) con i quali instaurano un chiasmo sintattico: non praesump-
tio debet esse, sed ratio et de custodia sollicitudo, non de pervasione contentio.
5 Il costrutto è anacolutico: il soggetto ad sensum dei verbi che seguono è speculatores.
6 Cfr. Ioh 10, 12-13: Mercennarius et qui non est pastor cuius non sunt oves propriae videt

lupum venientem et dimittit oves et fugit et lupus rapit et dispergit oves. Mercennarius autem
fugit, quia mercennarius est et non pertinet ad eum de ovibus. Ruricio, attingendo al dettato
neotestamentario, sembra accogliere parzialmente e variare, nelle righe che seguono, anche
AUG., in evang. Ioh. 46, 6: Veritas est Christus; veritas a mercenariis occasione annuntietur,
veritas a filiis veritate annuntietur; filii aeternam hereditatem patris patienter exspectant: mer-
cenarii temporalem mercedem conducentis festinanter exoptant; mihi humana gloria, cui mer-
cenarios invidere video, minuatur, et tamen per linguas et mercenariorum et filiorum divina
Christi gloria diffametur, cum sive occasione, sive veritate Christus annuntietur. A tal proposi-
to, vd. BELLENTANI 1997, pp. 667-681, in partic. pp. 669-672.
7 Le parole di Ruricio lasciano intravvedere l’ampio sostrato biblico. Cfr. Ioh 7, 18: Qui a

semet ipso loquitur, gloriam propriam quaerit, qui autem quaerit gloriam eius qui misit illum,
hic verax est et iniustitia in illo non est; 1Th 2, 6: […] nec quaerentes ab hominibus gloriam
neque a vobis neque ab aliis; Tit 1, 7: Oportet enim episcopum sine crimine esse sicut Dei di-
spensatorem, non superbum, non iracundum, non vinolentum, non percussorem, non turpi lucri
cupidum (vd. anche 1Tim 3, 2-5); 1Pt 4, 15: Nemo enim vestrum patiatur quasi homicida aut
fur aut maledicus aut alienorum appetitor; 5, 2-3: […] pascite qui est in vobis gregem Dei, pro-
videntes non coacto, sed spontanee, secundum Deum, neque turpis lucri gratia, sed voluntarie,
neque ut dominantes in cleris, sed formae facti gregis et ex anima. Cfr. anche AUG., in evang.
Ioh. 45, 5: Non solum Christum verum praedicet, sed Christi gloriam quaerat, non suam; nam
multi quaerendo gloriam suam, oves Christi sparserunt potius quam congregaverunt (vd. BEL-
LENTANI 1997, in partic. pp. 672-678). L’incipit è particolarmente vigoroso e sentenzioso: Ruri-
cio, a partire da concetti ben noti alle orecchie del vescovo Cronopio, vuole richiamarlo a esse-
re un pastore capace di guardare agli interessi reali della Chiesa a lui affidata, non soltanto ai
suoi personali desideri. A tal fine è significativo leggere anche quanto Cesario di Arles (serm.
1, 7) similmente sottolinea, dopo il concilio di Agde (506), in merito alle attenzioni da usarsi da
parte dei vescovi nei confronti dei beni loro affidati: «Qualcuno però dice: “Non ci prenderemo
dunque cura delle chiese?”. Dovete darvi pensiero dei beni materiali, ma non troppo; e dobbia-
mo amministrare i beni materiali in modo che l’amministrarli non possa distoglierci, in parte o
del tutto, dal prenderci cura delle anime (De terrena substantia debetis esse solliciti, sed non
nimis; et sic debemus terrenam substantiam ordinare, ut animarum curam ordinatio illa non
possit minuere vel auferre). Forse a questo punto nuovamente mi si risponde: “Queste sono pa-
role senza senso! Se non mi prenderò cura personalmente dei miei campicelli, mi troverò in ri-
strettezze, e non potrò distribuire nulla ai poveri; soprattutto perché non trovo una persona ca-
pace che sia in grado di svolgere questo compito al mio posto”. Per trovare scuse ai peccati
mettiamo avanti questi pretesti, e ciò che non vogliamo fare, noi diciamo di non poterlo fare; e
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II, 6 261

sono certo che questa scusa non riuscirà a scagionarci di fronte al tribunale di Cristo: e in fine
sia pure minore il raccolto del campo, conta solamente che si raccolga di più nell’animo tramite
la lettura e l’insegnamento» (trad. E. Bona). La presentazione di Cronopio nelle parole di Ruri-
cio stride fortemente con l’immagine che del vescovo di Périgueux fornisce Venanzio Fortuna-
to nell’epitaffio: Nudorum tu vestis eras, algentis amictus: / qui ad tua tecta fuit, tectus et ipse
redit. […] Quam lupus ab stabulis tulerat frendente rapina, / te pastore gregis reddita plaudit
ovis (carm. 4, 8, 17-18. 25-26).
8 Cfr. Rm 12, 9: Dilectio sine simulatione, odientes malum, adherentes bono.
9 Cfr. Rm 12, 8: […] qui tribuit in simplicitate, qui praeest in sollicitudine.
10 Le quattro costruzioni parallele con gradatio ascendente (vd. supra 1, 4 n. 6) ribadiscono,

attingendo abbondantemente alla lettera ai Romani, l’importanza dell’ unità e dell’umiltà nello
svolgere i propri servizi pastorali. Si notino le figure di suono: homoeoprophora (congregatio-
ne concordes; si sine simulatione), assonanze delle vocali /o/ e /i/, allitterazione della conso-
nante /s/, anafora della congiunzione condizionale si.
11 Cfr. Rm 12, 4-5: Sicut enim in uno corpore multa membra habemus, omnia autem membra

non eundem actum habent, ita mutli unum corpus sumus in Christo, singuli autem alter alterius
membra. L’apodosi di quattro periodi ipotetici è suggellata dalla clausola finale ésse rectóres.
In particolare si noti come il sostantivo rector sia allusivo anche del suo valore tecnico di “co-
lui che ha responsabilità amministrativa e spirituale su una chiesa”, in qualità di vescovo o di
presbitero (in figura etimologica coll’incipitario in… regendo).
12 La metafora del grex e del pastor innerva tutta la lettera, giocata abilmente su un doppio

livello, cosicché a Ruricio è consentito di esprimere con decisione, ma anche con diplomazia il
rimprovero al confratello nell’episcopato. Il rischio paventato, come si dirà chiaramente poche
righe innanzi, è quello di una divisione interna alla Chiesa di Gallia (schisma) e di un conse-
guente scandalo del gregge. Contro questo rischio già ammoniva Ier 23, 1-2: Vae pastoribus
qui disperdunt et dilacerant gregem pascuae meae, dicit Dominus. Ideo haec dicit Dominus
Deus Israhel ad pastores qui pascunt populum meum: «Vos dispersistis gregem meum, eiecistis
eos et non visitastis eos. Ecce ego visitabo super vos malitiam studiorum vestrorum», ait Domi-
nus. Quanto all’espressione caulae gregis dominici, cfr. AUG., c. Pelag. 1, 1, 2: Cum vero non
desinant fremere ad dominici gregis caulas.
13 I due ablativi assoluti paralleli sono strettamente uniti dalle numerose figure di suono.

L’allitterazione della sibilante nel comma dissidentibus et per dissensionem e delle dentali, e
l’assonanza della vocale chiara /i/ nel comma per invidiam dissidentibus ben suggeriscono
l’immagine di un pericoloso chiacchiericcio disgregatore. Si aggiungano la parafonia con ho-
moeoteleuton dissidentibus – dividentibus, in cui la prima azione è causa scatenante della se-
conda, e l’homoeoprophoron dissidentibus – dissensionem, che efficacemente rafforzano i con-
cetti espressi.
14 Interessante notare il valore pregnante di congrego (cum + grex), proprio del lessico agri-

colo, in un contesto in cui tutto è giocato sulla dialettica gregge - pastore. Sull’usus traslato di
congrego, vd. ThLL IV, coll. 290-291.
15 Sembra di intravvedere tra le righe il dettato di Eph 4, 13: […] donec occurramus omnes

in unitatem fidei et agnitionis Filii Dei. Doctrina simplex è di fatto variazione sinonimica ri-
spetto a fides, come è possibile arguire anche in OPTAT. 4, 5, 8: Noster sermo quid tale facere
potuit, qui simplici doctrina filios pacis retinemus, non alienos seducimus nec quemquam ex-
terminamus?; ENNOD., epist. 2, 6, 5 Gioanni: […] cum professionem meam simplici sufficiat
studere doctrinae. La doctrina è simplex in quanto bastevole a se stessa e in sé efficace, senza
bisogno di ulteriori orpelli (vd. GIOANNI 2006, p. 164 n. 20); similmente cfr. ISID., sent. 3, 13, 6:
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262 Commento

Omnis saecularis doctrina spumantibus verbis resonans, ac se per eloquentiae tumorem adtol-
lens, per doctrinam simplicem et humilem christianam evacuata est. E del resto la simplicitas è
principalmente una qualità propria della natura di Dio: vd. AUG., trin. 15, 22, 42; BOETH., cons.
5, 6, 12; ISID., sent. 1, 1, 6b. Sulla simplicitas cordis dei discepoli di Gesù insiste già il Nuovo
Testamento, talora contrapponendola alla sapientia del mondo: vd. p. es. Mt 10, 16; Act 2, 46;
2Cor 11, 3; Phil 2, 15. Da notare l’antinomia tra l’espressione ermetica multiplex schisma e la
unitas doctrinae simplicis.
16 Cfr. Ioh 10, 16: Et alias oves habeo quae non sunt ex hoc ovili et illas oportet me adduce-

re et vocem meam audient et fiet unum ovile, unus pastor.


17 Cfr. Apc 17, 14: […] quoniam Dominus dominorum est et rex regum; 19, 16: Et habet in

vestimento et in femore suo scriptum rex regum et Dominus dominantium. Vd. anche 1Tim 6, 15.
18 Cfr. 1Pt 5, 4: […] et cum apparuerit princeps pastorum percipietis inmarcescibilem glo-

riae coronam; RUFIN., Orig. in Num. 11, 4 p. 85, 26: Et sicut “rex regum” est Christus et “Do-
minus dominorum” et “pastorum pastor” et “pontificum pontifex”, ita consequenter et primi-
tiarum primitiae dicetur (vd. anche Orig. in Cant. 3 p. 206, 11; Orig. in Lev. 6, 2 p. 362, 2; 12,
2 p. 458, 8); HIER., in Ier. 4, 45, 3: Abiectis ergo pastoribus synagogae, scribis videlicet et pha-
risaeis, et salvatis reliquiis ex Israhel apostolisque evangelii in locum priorum principum con-
stitutis inducitur pastor pastorum et princeps principum et rex regum et dominus dominantium,
Christus videlicet salvator noster.
19 Per il titolo sanctitas, vd. supra 1, 1 n. 35.
20 Gemiliacum è una cittadina distante circa 50 km da Périgueux, oggi Jumilhac-le-Grand

(dip. Dordogne). Da quanto si evince dalla presente lettera, doveva essere contesa tra la diocesi
di Limoges e quella di Périgueux. E pertanto il sostantivo dioecesis con cui viene identificato
Gemiliacum indica un luogo di raccolta dei fedeli, sotto la guida di un sacerdote o di un diaco-
no fuori della città: vd. a tal proposito SIDON., epist. 9, 16, 1; STAT. eccl. ant. p. 180, 215; GREG.
TUR., Franc. 4, 13; 5, 5; ecc. Il senso attuale di diocesi come circoscrizione governata da un ve-
scovo, già presente nella cancelleria imperiale dal IV secolo e in quella pontificia dal III secolo,
comparirà in Gallia molto dopo il VI secolo, come attestano, tra gli altri, documenti quali la VI-
TA Audoeni 11, p. 560; Ansberti 16, p. 629; Leodegarii 2, p. 235 (MGH SRM V). Sulla storia e
lo sviluppo della parrocchia rurale, vd. CH. PIETRI 1986, pp. 475-521; SAXER 1999, pp. 17-42
(con bibliografia); REYNAUD 1999, pp. 83-100; quanto alla terminologia territoriale ecclesiasti-
ca di IV-V secolo, vd. anche MAZZINI 1974-1975, pp. 235-266. Quanto al territorio di questa
parrocchia, sappiamo che esso, cum aedificiis, pratis, silvis et pascuis, vel omni iure suo, venne
donato all’abbazia limosina di san Marziale almeno nel 591 (o 573-78, se si accoglie una data-
zione più alta del Testamentum Aredii, per cui vd. l’ipotesi di B. Krusch in MGH SRM I, p.
457), secondo quanto affermato nel suddetto testamento dell’abate Aredius (vd. GREG. TUR.,
Franc. 10, 29; VEN. FORT., carm. 5, 19; per il Testamentum Sancti Aredii Abbatis Attanensis,
vd. PL 71, coll. 1143-1150, in partic. col. 1145). La questione ebbe pertanto buon esito a favore
della diocesi di Limoges, non sappiamo se durante l’episcopato di Ruricio (dunque dopo questa
lettera) oppure dei suoi successori.
21 L’avverbio pronominale unde aveva già in epoca arcaica e classica valenze diverse, come

ci testimoniano p. es. CATO, agr. 5, 3: Duas aut tres familias habeat, unde utenda roget; CIC.,
fam. 7, 11, 1: Ego omnibus, unde petitur, hoc consilii dederim): vd. LHS II pp. 208-209. In epo-
ca tardoantica, e soprattutto in età romano-barbarica, tenderà a divenire sempre più frequente il
suo uso a introdurre costrutti logico-sintattici di vario tipo, tra cui anche il complemento di ar-
gomento: a tal proposito vd. BLAISE 1955, p. 121; LHS II pp. 209-210; VÄÄNÄNEN 20034, p.
219; RAPISARDA 2004, pp. 101-115.
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II, 6-7 263

22 Di queste altre lettere non ci è giunta traccia. Tuttavia ci lascia intendere come la questio-

ne fosse complessa dal punto di vista diplomatico.


23 La figura etimologica evidenzia con particolare enfasi l’opinione decisa del vescovo di

Limoges circa l’“affaire Gemiliacum”, di fronte al quale si dichiara risoluto a non cedere. Si
noti come Ruricio faccia ricorso alla terminologia legale, essendo il discorso condotto su diritti
di competenza territoriale ecclesiastica: ratio, iniuria, inquietudo (vd. supra n. 3).
24 L’ultimo ampio periodo pone il sigillo a quanto esposto nel corpo della lettera. L’anda-

mento delle frasi è concitato, espressione di vigore e al tempo stesso di fermezza. Da notare la
serie di cola paralleli, ultima accorata peroratio: ne […] neglegentiae deputaretur, non concor-
diae, rationi inrationabili viderer cessisse, non paci; si agnoscitis vera esse, quae dico, aut iu-
sta, quae repeto; ut […] nec me iniuriam diutius nec vos inquietudinem sustinere patiamini, e
l’insistente anafora degli avverbi di negazione, con variatio (non / nec).

2, 7
1Per la formula propitio Deo, vd. supra 1, 7 n. 15.
2Cfr. Rt 1, 19: […] velox apud cunctos fama percrebuit.
3 Cfr. RURIC., epist. 2, 10, 3: […] pietati vestrae deferens omni precum ambitione deposco.

Rara la formula precum ambitione, per cui cfr. AUG., de serm. dom. 2, 3, 14: Non enim ambitio-
ne precum nos exaudit Deus; SALV., gub. 4, 18: […] vitam parvuli sui tot lamentationum suffra-
giis peteret et piissimum Deum tanta precum ambitione pulsaret. Cfr. anche PAUL. PETRIC.,
Mart. 2, 457 (precantis ambitio); 4, 107 (precantum ambitio). Da notare i giochi fonici nel
comma constituti commendari se germanitati vestrae. Quanto all’uso del participio passato
constitutus, vd. supra 1, 1 n. 10.
4 Sull’uso e il valore dell’appellativo germanitas, vd. supra 1, 13 n. 2.
5 La fatigatio cui Ruricio fa riferimento è da identificarsi con le preghiere innalzate inces-

santemente dal personaggio che viene ora affidato alla tutela di Elafio.
6 Sui valori dell’avverbio unde in epoca tardoantica, vd. supra 2, 6 n. 21.
7 Un altro caso simile in cui il raccomandato è anche il latore della lettera avviene per Sane-

mario, affinché sia ordinato presbitero in PAUL. NOL., epist. 12, 12: Nunc Sanemarium portito-
rem huius epistolae commendamus specialiter unanimitati tuae, ut, sicut rogavimus sanctum
episcopum et patrem nostrum, ita ordinetur a vobis. Successivamente, vd. ENNOD., epist. 7, 15
p. 184, 23; DESID. CADURC., epist. 1, 6 p. 316, 4-6. Per la storia dell’usus del lemma portitor,
vd. supra 1, 7 n. 14.
8 Nome molto diffuso presso i Goti, scritto anche Vulfila o Wulphila, dal germanico wolf

“lupo”. Il più illustre Ulfila è sicuramente il vescovo del IV secolo, che contribuì a diffondere
l’eresia ariana presso i Goti, traducendo per primo la Sacra Scrittura nella lingua locale, inven-
tando il cosiddetto alfabeto gotico. Del presbitero Ulfila di cui parla Ruricio nulla sappiamo,
tranne questa commendatio al funzionario Elafio per uscire da una non ben specificata situazio-
ne di difficoltà. La motivazione sarà stata proferita verbalmente dall’interessato, che spesso era
anche, come nel caso presente, latore della lettera. Cfr. CIC., fam. 13, 6a: P. Cornelius, qui tibi
litteras has dedit, est mihi a P. Cuspio commendatus; quindi vd. CUGUSI 1983, p. 114.
9 Di Faretrio non si hanno altre notizie.
10 «La lettre de recommandation est, par excellence, le moyen d’entretenir et de faire jouer

l’amicitia. Elle joue en effet un rôle capital dans le fonctionnement de la société, en particulier
dans l’exercise de la justice où elle sert de lettre de référence» (REBILLARD 1998, p. 136). Per la
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264 Commento

struttura delle litterae commendationis (presentazione del raccomandato – raccomandazione


con la formula commendo – elogio del raccomandato, legato generalmente da vincoli di amici-
zia – richiesta del favore – commiato con riconoscimento del proprio debito di gratitudine), vd.
CUGUSI 1983, pp. 111-114; sulle modalità proprie della commendatio in età repubblicana (circo-
scritto all’epistolario ciceroniano), vd. PIERRETTORI 2000, pp. 139-178; in epoca imperiale, vd.
SALLER 1982, in partic. pp. 152-153. L’aggettivo femminile plurale sostantivato commendati-
ciae (litterae) si trova per la prima volta in MACR., sat. 2, 4, 15 (Accipe – inquit – commendati-
cias, quia illic neminem nosti) e quindi, oltre che in Ruricio, anche in ENNOD., epist. 3, 3, p. 73,
21; 3, 4, p. 75, 9; 8, 23 p. 215, 12. Nella presente lettera manca tuttavia l’esplicitazione del fa-
vore richiesto, che, come già detto supra n.7, sarà stato dichiarato oralmente dallo stesso Ulfila.
Da notare la captatio benevolentiae con cui Ruricio predispone l’animo del destinatario ad ac-
cogliere il favore che andrà a chiedergli. Altre commendatizie in RURIC., epist. 2, 8; 12; 48.
11 Due commata paralleli: pro iussione divina – pro visione mutua. Ottimo l’emendamento

pro visione mutua al posto di pro iussione mutua tradito dal codice S, come già congetturato da
Krusch e discusso attentamente da H AGENDAHL 1952, p. 79. Si evita così uno spiacevole
omeoptoto con anafora, recuperando invece un calembour parafonico, secondo lo stile ruricia-
no. A conferma tuttavia cfr. RURIC., epist. 2, 35, 1: […] litteras […] quae nos ad visionem mu-
tuam voto pectoris invitabant; 64, 1: […] vultum etiam mutua visione coniungat.
12 Per la ricorrente espressione di cortesia salve plurimum dico, vd. supra 1, 16 n. 14.
13 Unico caso, non solo in Ruricio, ma nell’epistolografia tardoantica in cui l’epiteto indivi-

dua caritas viene riferito come titolo onorifico a una persona. Qualcosa di simile si può trovare
in HIER., epist. 4, 2: […] individua mihi germanitatis caritate conexus est, benché la iunctura
funga nell’epistola geronimiana da complemento indiretto che amplia e rafforza il concetto
espresso da germanitas. Quanto all’uso di individuus, vd. supra 2, 2 n. 14. In modo particolare
cfr. epist. 2, 2, 2: […] individuae germanitati vestrae salve largissimum desiderans dico.
14 Il Leitmotiv di questa lettera, ovvero la commendatio del presbitero Ulfila, diventa quasi

palpabile, grazie alla sottile struttura retorica della lettera: si noti il triplice poliptoto verbale di
commendo in figura etimologica col sostantivo centrale commendaticiae. Evidente anche il
chiasmo imperfetto commendari – commendavit – commendaticias – commendare, con i due
verbi all’infinito ai lati esterni della struttura. Da notare l’uso del verbo praesumo, come topica
espressione di modestia e di humilitas, per cui vd. LAHNAM 1975, pp. 63-66.
15 L’antitesi dei due concetti è sottolineata dal chiasmo lessicale pro affectione germana,

non pro pontificali auctoritate, inserita all’interno della più grande struttura chiastica praefatum
pro affectione germana, non pro pontificali auctoritate commendare praesumpsi, in cui ai lati
esterni sta lo homoeoprophoron con variazione verbale, al centro l’anafora della preposizione
pro, con assonanza (pro pontificali).
16 Consueta dichiarazione retorica di modestia, all’insegna del preziosismo più stucchevole:

ai due politoti dignitas – dignitatem; honor – honori, si aggiungano l’allitterazione della dentale
/t/ (in peccatore amittit dignitas dignitatem), l’assonanza delle vocali /i/ (amittit dignitas digni-
tatem) e /o/ (honor… oneri… honori), nonche il chiasmo imperfetto honor indebitus oneri est
potius quam honori. Molto efficace il concetto della dignitas episcopale che diventa onus nel-
l’uomo peccatore invece di honor. Il gioco di parole honor / onus era proverbiale già nel mondo
classico. Cfr. OV., epist. 7, 31: Non honor est sed onus species laesura ferentes; LIV. 22, 30, 4:
Itaque plebei scitum, quo oneratus <sum> magis quam honoratus; RUT. LUP. 1, 3: […] traditam
sibi publicorum custodiam sacrorum non honori, sed oneri esse existimavit. Già Varrone ricono-
sceva nei due lemmi una parentela etimologica: Honos ab onere: itaque honestum dicitur quod
oneratum, et dictum: onus est honos qui sustinet rem publicam (ling. 5, 73). Vd. anche OV., met.
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II, 7-8 265

2, 634; trist. 5, 14, 16. In età tardoantica vale la pena segnalare SIDON., epist. 7, 9, 7: […] mul-
tum me honori, plus oneris excipere; 9, 2, 1: […] litterae plurimum nobis honoris, plus oneris
imponunt; ALC. AVIT., epist. 18 p. 49, 22-23: […] dum me aliquid interrogando non minus hono-
rare quam onerare dignamini; VEN. FORT., vita Marcell. 9, 37: […] magis oneris, quam honoris.
Da ultimo, cfr. ISID., diff. 1, 194 Cod.: Inter honustus et oneratus hoc interest, quod oneratus est
qualiscumque pressus pondere, honustus vero, cui ipsum onus honori est, ut si quis spolia ho-
stium ferat, che a sua volta riprende SERV., Aen. 1, 289. Altri esempi in OTTO 1962, p. 167.
Quanto all’onus del ministero episcopale, vd. BELLENTANI 1997, in partic. pp. 678-681.
17 Ruricio si riferisce alla sua recente ordinazione episcopale (vd. infra n. 22).
18 Il lemma deverbale devinctio (< devincio), molto raro nella letteratura latina, si trova a

partire da TERT., spect. 2: Vides homicidium ferro veneno magicis devinctionibus perfici, con si-
gnificato singolare di “sortilegio”, “legame magico”. Quindi si incontra soltanto negli epistolari
di Ruricio e di Ennodio col valore traslato di “legame di amicizia”. Cfr. RURIC., epist. 2, 52, 2:
Quo fit, ut devinctio vestra […] augetur; ENNOD., epist. 3, 10 p. 78, 5: […] tunc diligentia mu-
tuae devinctionis usu polita fulgeret; 6, 34 p. 169, 4: Nunc tamen animus meus usque ad hoc
devinctione productus est. Similmente vd. 3, 15 p. 82, 19; 4, 17 p. 111, 12; 5, 8 p. 131, 9; 7, 4
p. 174, 24; 8, 12 p. 208, 20.
19 La frase ipotetica è retorica e vuole sottolineare ulteriormente il vincolo di amicizia che

lega i due. Per la iunctura vicarius amor, non molto diffusa, vd. HIER., epist. 148, 15; CLAUD.
MAM., anim. 1, 27 p. 97, 16.
20 Per il costrutto asindetico di spero, vd. supra 1, 7 n. 13.
21 L’allitterazione delle liquide dentali e labiali lega fonicamente i due commata pressoché

tautologici indignum me et penitus non merentem, enfatizzati ulteriormente dall’anafora ravvi-


cinata dell’avverbio di negazione (non merentem non adtollit). Indignus richiama etimologica-
mente (ma anche concettualmente) l’originale perifrasi precedente amittit dignitas dignitatem.
22 A giudicare da quanto dice Ruricio in quest’ultima frase, sembra che egli sia divenuto da

poco vescovo. L’epistola va verisimilmente ascritta pertanto agli anni 485-486 (vd. MATHISEN
1999, pp. 144-145).

2, 8
1Papa è termine comune, a partire dal III secolo, per indicare il vescovo. I presuli tra di loro
usano spesso questo appellativo nell’intestazione delle lettere. Accanto a episcopus, papa evi-
denzia in maniera particolare la paternità del vescovo stesso (vd. MOHRMANN 1965, p. 123).
Nella letteratura latina si trova per la prima volta in IUV. 6, 633: […] timidus praegustet pocula
papas, in cui il sostantivo sembra avere il valore di “precettore”, “pedagogo” (vd. GLOSS. VII,
45), benché Bastiaensen non identifichi tout court il sostantivo papas - nutritor con papa cri-
stiano (vd. il commento a PASS. Cypr. rec. I 3, 3 Bastiaensen, in cui il proconsole Galerio Mas-
simo chiama il santo martire papatem sacrilegae mentis, cioè “maestro della conventicola sa-
crilega” dei cristiani). Papa comincerà progressivamente a divenire titolo del romano pontefice
a partire dal VI secolo, divenendone esclusivo dall’VIII, benché poche sporadiche eccezioni si
registrino ancora nel secolo successivo. A tal fine, vd. BATIFFOL 1925, pp. 99-116; LECLERCQ, s.
v. Papa, in DACL XIII, coll. 1097-1111; BASTIAENSEN 1964, pp. 23. 38-39.
2 Eonio divenne vescovo di Arles attorno al 485-490 (succedendo a Leonzio: vd. RURIC.,

epist. 1, 15, 1), termine post quem la lettera ruriciana è stata scritta. Vd. DUCHESNE I, p. 257.
3 Come ben ha mostrato LÖFSTEDT 1911, pp. 197-201, già dall’epoca arcaica abbiamo alcu-
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266 Commento

ne testimonianze circa l’uso della congiunzione disgiuntiva aut come copulativa. Cfr. TER.,
Haut. 1027: Quod peto aut quod volo, parentis meos ut conmonstres mihi. Lo stesso vale per
vel (p. 200). La tendenza trova piena realizzazione nel latino tardo. Le prime attestazioni sono
in COMM., instr. 1, 16, 8; LUCIF., moriend. 9 l. 25; VET. LAT. Iob 40, 22. Evidente il valore copu-
lativo in PEREGR. Aeth. 9, 2: Ipse autem sanctus episcopus ex monacho est […] et ideo aut tam
eruditus in scripturis est, aut tam emendatus in omni vita sua, ut et superius dixi; passo così
commentato dal Löfstedt (p. 197): «Es ist ohne weiteres klar, dass aut – aut hier einfach die
Bedeutung von et – et hat». Vd. anche WESTON 1933, pp. 47-49; LHS II p. 500.
4 L’incipit riprende enfaticamente il titolo con cui Ruricio ha epitetato Eonio nell’inscriptio:

dominus sanctus et apostolicus. L’aggettivo apostolicus è sempre usato in riferimento a vescovi


o al papa, spesso unito a sanctus.
5 Stucchevole la densità retorica di questo comma, costruito sulla gradatio (concatenatio)

con poliptoto: misericordiae opera, operum merita, meritorum vita. La captatio benevolentiae
iniziale, come nella precedente lettera, prelude alla raccomandazione di un amico.
6 Cfr. RURIC., epist. 2, 7, 1: Ita propitio Deo operum tuorum fama percrebuit, ut omnes in la-

boribus constituti commendari se germanitati vestrae omni precum ambitione deposcant.


7 Sul valore del sostantivo solatium, vd. supra 1, 2 n. 34.
8 Ancora una volta Ruricio non manca di sottolineare come l’occasione di scrivere una lettera

per qualsivoglia necessità possa diventare opportunità di esternazione dei sentimenti di caritas.
9 Attenta variatio sinonimica sul tema della fatica: aerumnae, labor, dolor, necessitas, egestas.
10 I termini chiave, di cui il primo è causa del secondo, sono uniti da forte sonorità, ai limiti

della rima: illorum labor noster dolor; eorum necessitas quodam modo caritas nostra. Si noti-
no anche il poliptoto quaerunt labori suo… illorum labor e la figura etimologica beneficium
conferunt… per officii conlationem.
11 Cfr. RURIC., epist. 2, 15, 1: […] quia malui meae detrahere necessitati, unde vestrae sati-

sfacere petitioni.
12 I numerosi isocoli conferiscono agli asserti della frase il tono quasi di una dimostrazione:

dum litterarum solatium quaerunt labori suo, beneficium conferunt desiderio nostro; cum sit il-
lorum labor noster dolor, fit tamen per officii conlationem eorum necessitas quodam modo ca-
ritas nostra; dum ipsorum adquiescimus petitioni, nostrae satisfacimus uoluntati. La frase con-
clusiva varia rispetto ai precedenti cola, instaurando un chiasmo commatico con marcata sono-
rita: et ita fit, ut egestas petentis sit largientis utilitas. Per quest’ultimo concetto, cfr. epist. 2, 5,
1: […] confertur indigenti et non aufertur auctori accipientis lucrum sine dispendio largientis,
ditans inopem nec adtenuans possessorem.
13 Ancora una lettera commendatizia, per le cui caratteristiche vd. supra 2, 7 n. 10. In parti-

colare, cfr. epist. 2, 7, 1: […] ad vos commendaticias postulavit, quas ei et pro iussione divina et
pro visione mutua libenter indulsi. Si può notare l’insistenza con cui Ruricio appella Eonio col
titolo ufficiale di apostolatus, in variatio sinonimica rispetto a sanctus et apostolicus vir (tit. e
§. 1), rivelatrice dell’accoramento e della preoccupazione del vescovo di Limoges per le sorti
del sacerdote Possessore. Apostolatus è titolo comune per papi e vescovi (vd. supra 1, 15 n. 19).
14 La formula frater et conpresbyter indirizzata da un vescovo a un prete è molto frequente

ed esprime la profonda unità di grazia tra i due ecclesiastici, per cui vd. BASTIAENSEN 1964, p.
37. In modo particolare conpresbyter si trova più volte attestato in Cipriano, Ambrogio, Agosti-
no, Fulgenzio di Ruspe, Paolino di Nola, Lucifero di Cagliari. Tra vescovi è invece frequente
l’uso dell’appellativo collega o consacerdos, per cui vd. O’ BRIEN 1930, pp. 80-81; BASTIAEN-
SEN 1964, pp. 28-29. Molto comune il termine frater, applicato a laici o a ecclesiastici, siano
essi vescovi o a semplici sacerdoti. Lo testimonia il fatto che Ruricio identifica come frater al
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II, 8 267

tempo stesso il presbitero Possessore e poco dopo il collega nell’episcopato Eumerio. Sull’usus
di frater, vd. i summenzionati O’ BRIEN 1930, p. 84; BASTIAENSEN 1964, pp. 36-37.
15 Equivocamente Ruricio gioca sul nome dell’amico, distinguendo tra Possessor (nome pro-

prio) e possessor (nome comune). La frase è fonicamente impreziosita dalle ricorrenti allitterazio-
ni di /p/ e /s/ e dall’assonanza del suono /o/. La cultura tardoantica ama molto giocare sui nomi,
riflettendo sui loro significati a fini elogiativi o denigratori. Cfr. p. es. FIRM., err. 17, 3: Minerva
similiter bellicum nomen est, quasi aut minuat aut minetur; HIER., c. Vigil. 1: Exortus est subito
Vigilantius, seu verius Dormitantius; AUG., serm. 273, 1: Beata Agnes sancta, cuius passionis ho-
diernus est dies. Virgo quae quod vocabatur, erat. Agnes latine agnam significat; graece, castam.
Cfr. anche RURIC., epist. 2, 15, 6: […] in illa beatorum turba vera splendere Ceraunia et vocabuli
tui auctor existere. Quanto al locus in esame, vd. p. es. FAUST. REI., epist. 9 p. 211, 14-15: […] si-
ne sede propria possessores, sine possessione divites sumus; per la iunctura possessor paradisi,
vd. PETR. CHRYS., serm. 62, 4; LEO M., serm. 73, 4; CAES. AREL., serm. 31, 3; 158a, 1.
16 Per il titolo sanctitas, vd. supra 1, 1 n. 35.
17 Consueta confessione di tapeivnwsi~. Oltre al sostantivo humilitas, si noti la contrapposi-

zione tra l’uso deferente della seconda persona plurale per rivolgersi a Eonio (sanctitas vestra)
stridente rispetto alla formula ad humiltatem meam. Lo stilema è tuttavia diffuso: cfr. PAUL
NOL., epist. 51, 1: […] vir laudabilis et praeclarus in Christo, frater noster et conpresbyter
meus, Honoratus ad humilitatem meam vestrae dilectionis exemplo refovendam Domino inspi-
rante direxit; ENNOD., epist. 6, 27 p. 165, 8: […] date felicem dexteram humilitati meae et pro-
spera me cum vestra dividite; EPIST. Merov. 1: Deferentibus diaconibus, quos ad humilitatem
meam misistis, litteras vestrae sanctitatis accepi; et alii. A tal proposito vd. BRUHN 1911, p. 19;
O’ BRIEN 1930, pp. 73-74.
18 Vd. supra n. 14.
19 Eumerio è probabilmente il vescovo di Angers, che governò la diocesi tra l’episcopato di

Talassio (conclusosi all’incirca attorno al 461) e quello di Eustochio (la cui prima attestazione
risale al 511). Vd. DUCHESNE II, p. 357; GP p. 601.
20 Uso pregnante del verbo condoleo nel senso di sumpavscw/metriopaqevw, già presente in

Hbr 5, 2: […] qui (scil. pontifex) condolere (metriopaqei`n) possit his qui ignorant et errant
quoniam et ipse circumdatus est infirmitate. Similmente cfr. CYPR., epist. 17, 1: Conpatior ego,
condoleo fratribus nostris; CAES. AREL., serm. 67, 2: Vere dico, fratres, quia si est aliquis qui
taliter paenitentiam petenti non condolet. In Ruricio condoleo si trova usato non in senso asso-
luto, ma in dipendenza da un dat. anche in epist. 2, 58, 3: […] et nos condoleamus lapso.
21 I due isocoli, di cui il secondo ampliato, vengono a costituire quasi un unicum, grazie agli

homoeoprophora e alle assonanze (/e/, /o/, /u/) che li attraversano: et pro consuetudine consule-
re et pro caritate mutua condolere. A interrompere la sequenza degli homoeoprophora si staglia
l’espressione pro caritate mutua, sapientemente collocata in posizione evidente. Essa, oltre che
nella presente lettera, ricorre con anastrofe (pro mutua caritate) altre 3 volte nel corpus ruricia-
no: epist. 2, 26, 1; 36, 1; 39, 3. Significativo l’usus in 2, 36, 1 (anch’essa una commendatizia),
dove la mutua caritas è individuata di fatto, secondo la consueta topica, come il motivo che
spinge a scrivere lettere anche quando mancano gli argomenti, per cui l’epistola viene a essere
tout court segno tangibile del rapporto di amicizia tra due persone (Qui occasiones scribendi
nobis invicem pro mutua caritate inquirimus), per cui vd. supra 2, 5 n. 4.
22 Ruricio fa riferimento con chiarezza alla presenza in terra gallica di hostes. Probabilmen-

te in essi non vanno individuati i Visigoti, i quali già governavano in questo periodo sia Limo-
ges che Arles. SIDON., epist. 6, 4, 1 fa riferimento a un rapimento di una donna a opera dei
Vargi: hoc enim nomine indigenas latrunculos nuncupant. MATHISEN 1999, p. 146 n. 6 ipotizza,
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268 Commento

oltre ai Vargi, scorribande di Bretoni o di Franchi; di sequestri a opera del capo dei Sassoni
Odoacre nei pressi di Angers parla GREG. TUR., Franc. 2, 18. Quale di queste ipotesi si verifichi
più attendibile, tuttavia questo passo ruriciano ci testimonia la situazione difficile che si trova-
vano a vivere gli Aquitani alla fine del V secolo. A tal proposito è significativo leggere dello
sgomento del vescovo di Tours Volusiano (ultimo decennio del V secolo) di fronte alle scorrerie
barbariche: Nam quod scribis te metu hostium hebetem factum (RURIC., epist. 2, 65, 2). Sulle
invasioni in Gallia, vd. DUCHESNE 1925, pp. 486-550; LECLERCQ, s. v. Invasion germanique, in
DACL VII, coll. 1272-1396; DE LABRIOLLE 1961, pp. 441-502, in partic. pp. 441-458. 488-494;
LOYEN 1964, pp. 437-450; MATHISEN 1991, pp. 159-170; LUISELLI 1992, pp. 601-663; MATHI-
SEN 1999, pp. 5-18; vd. inoltre quanto argomentato supra 1, 3 n. 24.
23 A quanto ci è dato di arguire, Possessore ebbe a fare donativi in denaro per ottenere la li-

bertà del fratello, caduto nelle mani dgli hostes, probabilmente a motivo di debiti o a seguito di
una scorribanda in cui venne catturato come schiavo. Nel riscatto dei prigionieri un ruolo fonda-
mentale era svolto dal vescovo, per cui vd. KLINGSHIRN 1985, pp.183-203, in partic. pp. 184-192.
24 I due cola, costruiti sull’antitesi, pongono enfaticamente in luce la caritas con cui Posses-

sore non ha esitato a esporre a rischio la propria vita per la salvezza del fratello.
25 Tutti gli editori di Ruricio, compreso l’ultimo in ordine cronologico, segnalano a questo

punto una insanabile lacuna del testo, che si estende fino all’intestazione della lettera successi-
va; diversamente MATHISEN 1999, p. 146 n. 8 ipotizza una svista del copista, il quale non scris-
se semplicemente l’intestazione della lettera, condizionato dal fatto che essa sarebbe stata indi-
rizzata al medesimo destinarlo di epist. 2, 8 (Eonio), obliando di apporre una nota del tipo:
ITEM ALIA AD IPSUM.

2, 9
1Vd. supra 2, 8 n. 25.
2Cfr. Rm 1, 13: Nolo autem vos ignorare fratres quia saepe proposui venire ad vos et prohi-
bitus sum usque adhuc.
3 Per il titolo pietas, vd. supra 1, 7 n. 2.
4 Cfr. SULP. SEV., epist. 1, 1: Testor autem salutem tuam: persaepe ad vos venire volui, sed

usque adhuc impeditus sum, obsistente eo qui consuevit obsistere. Ruricio riprende l’idea del-
l’invidia del diavolo e degli “angeli apostatici” nei confronti delle anime che si muovono nel
progresso spirituale. Il concetto è già presente nella Sacra Scrittura (cfr. Sap 2, 24: Invidia au-
tem diaboli mors introivit in orbem terrarum) e viene quindi vulgato abbondantemente dai Pa-
dri della Chiesa (da ultimo vd. ISID., sent. 2, 15, 2). Su questo argomento, interessante la mono-
grafia di SANS 1963, benché limitata alla patristica primitiva.
5 Evidente la densa enfasi retorica tutta ruriciana: le anadiplosi con separatio (si noti la rit-

mica variatio dell’aggettivo possessivo noster - vester) vengono a costituire una struttura chia-
stica concatenata.
6 La repetitio a distanza delle locuzioni profectui nostro et affectui vestro - profectui vestro

et affectui nostro (con la consueta variatio aggettivale) nei cola che seguono demarca una suc-
cessione parallela che inquadra ulteriormente il contenuto delle due frasi nei termini dell’epifo-
ra (anch’essa parallela), venendo così a realizzare pienamente l’ardita figura della conplexio
(cfr. RHET. Her. 4, 14, 20: Conplexio est, quae utramque conplectitur exornationem, ut et con-
versione et repetitione utamur, quam ante exposuimus, et ut repetatur idem verbum saepius et
crebro ad idem postremum revertatur; vd. anche CIC., orat. 135; QUINT., inst. 9, 3, 31): Profec-
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II, 8-9 269

tui nostro et affectui vestro, quia doctrina vestra eruditio nostra est et epistula nostra conlatio
desiderii vestri est, et rursus profectui vestro et affectui nostro, quia eruditio nostra merces ve-
stra est et temporaria conlatio desiderii vestri nostri est sermonis affectus. A questo si aggiun-
gano le evidenti figure di suono e i poliptoti. La complessità dell’ornatus e della dispositio ra-
senta i limiti dello straniamento per il lettore, che si sente come investito dal flusso delle paro-
le, perdendo di vista il contenuto del testo.
7 Sull’uso e il valore del participio positus, vd. supra 1, 1 n. 10.
8 L’immagine è topica: vd. supra 1, 1 nn. 29-30.
9 Cfr. RURIC., epist. 1, 16, 1: Et ideo, dum te in speculo cordis diligenter intueor; per l’e-

spressione in speculo cordis, vd. n. ad loc.


10 Sull’uso e il valore di iugis / iugiter, vd. supra 1, 15 n. 6; per la formula iugi

recordatione, vd. RURIC., epist. 2, 32, 3; 52, 2 (e n. succ.); similmente cfr. EPIST. Austras. 12, 6
(crebra recordatione); 13, 3 (recordatione saepissima); in contesto completamente differente,
cfr. CASSIAN., conl. 1, 22, 2: Et ita per singulas horas atque momenta terram cordis nostri
evangelico aratro, hoc est iugi dominicae crucis recordatione sulcantes… Successivamente vd.
anche BEDA, in Apoc. 37 l. 331 (iugi recordatione).
11 Cfr. VICTORIN. epist. ad Ruric. 2 pp. 397-398, ll. 4-15: Cum beatitudinem vestram videre et

brevissimo tempore et una tantum vice meruerim, ita tamen ad primum vestrae agnitionis con-
templationisque congressum sensus meos fonte purissimo benigni pectoris inrigastis, ut, quamli-
bet alloquiorum vestrorum munera pretiosa non capiam, praesentiam tamen vestram intra men-
tis profunda possideam, ut, etsi causas desiderii refovendi extrinsecus non accipiam, intra me
eas tamen, dum gratiae vestrae reminiscor, inveniam. Neque enim fas est, ut bonum illud ex ac-
cedentibus tantum requirat adiutoriis incrementum, quod medullis constat infusum. Quo fit, ut
caritas, quae in visceribus meis iugi recordatione vestri innovata dulcescit, caritatis mihi ve-
strae vicissitudinem repromittat. Tuttavia cfr. anche FAUST. REI., epist. 3 p. 175, 13-18: Quamo-
brem aut hoc potius aestimandum est, quod, si quando sibi aliquid imaginatur, magis cum suis
intra semetipsam motibus occupetur et, si quid aliud est, quod aspicere videtur, magis ei in re-
cordationis speculo describatur. Nam quando absentem carum suum cogitat, numquid iam velut
ipso conspecto desideriis satisfecit? Aut cum verbi gratia Petri aut Pauli speciem intra mentis
arcana depingit, numquid statim intimas Paradisi sedes, ubi eos esse novimus, penetravit? Per il
sintagma arcana mentis, cfr. già STAT., silv. 2, 1, 57: […] Quis curas mentisque arcana remittet?.
12 Vd. supra n. 3.
13 Il cuore è ancora una volta identificato, nel rapporto amicale, come luogo privilegiato di

dialogo, anche tra lontani: sarà la lettera a esprimere il contenuto di questi conloquia absentium
(tal fine vd. supra 1, 1 n. 6). Similmente cfr. FAUST. REI., epist. 10 p. 215, 19-24: Gratias Domi-
no, qui id generali dispensatione largitus est, ut inter eos, quos locorum intervalla discrimi-
nant, liber ac nullis conclusus absentiae legibus animus commearet nihilque esset tam inpene-
trabile, quod mentis aspectibus non pateret, sed per cordis intuitum inde se invicem cari gratia
intercurrente conspicerent, ubi caritas ipsa consistit.
14 La triplice anafora dell’avverbio di luogo illic introduce una gradatio ascendente (vd. su-

pra 1, 4 n. 6): dal dialogo amichevole all’approfondimento pensoso all’effusione di affetto.


15 L’originale iunctura labiis mentis è ruriciana e non si trova successivamente in altri auto-

ri. Tuttavia, nell’ambito del medesimo milieu metaforico, cfr. AMBR., epist. extra coll. 1, 16:
Osculum non labiorum quaeritur, sed cordis et mentis.
16 Rara l’espressione manibus cordis. La si ritrova nella forma manus cordis (sing.) in AUG.,

conf. 10, 8, 12; serm. 375C, 5; GREG. M., moral. 4, 32.


17 L’icastica immagine è molto amata da Ruricio: vd. supra 1, 9 n. 6.
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270 Commento

18 Efficace allitterazione della fricativa /v/ con homoeoprophoron: in visceribus mei viva

vultus vestri figuratione.


19 Cfr. RURIC., epist. 1, 1, 1: […] ut caritatis igniculum […] vivax flamma roboraret; 2, 26,

2: […] quamlibet ipsum post tam longi temporis spatium caritatis igniculum […] excitemus.
20 Fideiussor è termine giuridico per indicare colui che si fa garante dell’affidabilità delle

promesse di un uomo nei confronti di un terzo. Così infatti spiega la dinamica GAIUS, inst. 3,
115: Pro eo quoque qui promittit solet alii obligari; quorum alios sponsores, alios fidepromisso-
res, alios fideiussores appellamus. Piuttosto comune è l’uso metaforico del termine: vd. AUG.,
in psalm. 88 serm. 1, 28; LEO M., serm. 17, 2; SALV., eccl. 4, 38; ALC. AVIT., epist. 18 p. 50, 10.
21 A indicare lo stretto rapporto tra il vescovo di Limoges e il suo interlocutore contribuisce

il frequente accostamento, all’interno di questa frase, tra il pronome personale di prima persona
singolare e quello di seconda persona plurale, e il poliptoto del sostantivo animus, quasi i due
personaggi fossero uno solo. Si noti anche la costruzione ad anello, racchiusa dalla parola chia-
ve, Leitmotiv dell’intera lettera, dilectio: Quo fit ut vera dilectio… conscium mutuae dilectionis
pectus interrogo.
22 Cfr. VICTORIN. epist. ad Ruric. 2 p. 444, ll. 7-14: Quo fit, ut caritas, quae in visceribus

meis iugi recordatione vestri innovata dulcescit, caritatis mihi vestrae vicissitudinem repromit-
tat. Ac sic affectus erga vos meus vestri mihi animi fideiussor accedit et quodam modo con-
scientia interioris mei mutuo mihi vestrae testis dilectionis adsistit, quantumque mihi de vobis
praesumere debeam, mentem meam, quae toto erga vos amoris ardore flagrat, interrogo. Si no-
ti la variatio rispetto alla chiusa geronimiana conscium mutuae caritatis pectus agnoscit (HIER.,
epist. 14, 1), con clausola finale, già sfruttata da Ruricio in epist. 1, 3, 1.
23 Cfr. RURIC., epist. 1, 3, 1: Scribendi mihi ad unanimitatem tuam aditum, quem obstruxerat

inperitia, patefecit affectus; 2, 14, 1: […] ut et desiderio satisfacerem et scribendi aditum prius,
prior utpote, patefacerem; EPIST. ad Desid. Cadurc. 2, 6, 3 p. 330: Quociens aditum scribendi
graciae vestrae repperimus.
24 Ruricio ricorre al lessico proprio della preghiera cristiana: deposco, flagito, petitio, prex,

oratio si trovano con frequenza in molta dell’eucologia e dell’innologia liturgiche (vd. MOHR-
MANN II, p. 104; BLAISE 1966, pp. 194-197).
25 Cfr. TERT., pudic. 19, 17: […] proponens semel a Christo delicta deleta. Considerando

l’ordine tertullianeo delle parole HAGENDAHL 1952, pp. 79-80 ha giustamente suggerito di
emendare il testo tradito sostituendo la seconda delle due forme omologhe delictis di S (ut om-
nibus delictis meis… delictis) con deletis. Il verbo deleo peraltro rientra già nel linguaggio bi-
blico della penitenza (Ps 50, 11: Averte faciem tuam a peccatis meis et omnes iniquitates meas
dele; Is 43, 25: Ego sum ego sum ipse qui deleo iniquitates tuas propter me et peccatorum tuo-
rum non recordabor), e quindi in quello liturgico (cfr. p. es. SACR. Gel. 79: Praeveniat hunc fa-
mulum tuum, quaesumus, Domine, misericordia tua, et omnes iniquitates eius caeleri indulgen-
tia deleantur). Interessante la lettura di CASSIAN., conl. 20, 8, 9, in cui la iunctura clementia –
bonitas (di Dio) è soggetto del verbo deleo, in ambito penitenziale: [...] non erunt idonea ad
expiationem scelerum nostrorum, nisi ea bonitas Domini clementiaque deleverit.
26 La struttura chiastica con omeoptoto dell’aggettivo indefinito conferisce maggiore effica-

cia all’espressione tautologica omnibus delictis meis atque peccatis omnibus. Il verbo reggente
l’ablativo assoluto è collocato a conclusione del colon, con iperbato (deletis). Va notato come il
lessico di Ruricio sia ancora una volta quello proprio della penitenza, per cui vd. BLAISE 1966,
pp. 549-551. Circa la dinamica peccatum – delictum, affascinanti risultano le considerazioni di
AUG., quaest. hept. 3, 20: Fortasse ergo peccatum est perpetratio mali, delictum autem desertio
boni, ut, quemadmodum in laudabili vita aliud est declinare a malo, aliud facere bonum, quod
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II, 9 271

admonemur dicente scriptura: “declina a malo et fac bonum”, ita in damnabili aliud sit decli-
nare a bono, aliud facere malum et illud delictum, hoc peccatum sit. Di delictum sono sinonimi
altri vocaboli dell’area semantica giuridica, che assimilano il peccato a un atto criminale, quali
crimen, scelus, facinus.
27 Da notare la rarefazione del ritmo della frase creata dall’incastro dei due ablativi assoluti,

i quali alimentano un clima di attesa e di sospensione, quasi che l’autore aspettasse la sentenza
per i propri delicta. A ciò contribuiscono le numerose figure di suono quali omeoteleuti, l’allit-
terazione della sibilante, e parafonie quasi al limite della rima (flagitetis… delictis… peccatis…
deletis).
28 Concordantia ad sensum: dal contesto si evince come il soggetto sia Dio.
29 Cfr. RURIC., epist. 1, 17, 4: […] ut etsi per diversum iter, ad unam nos tamen urbem faciat

convenire, in quam nos misericordia potest inferre, vos merita. L’immagine marinaresca del por-
tus quietis è piuttosto consueta, e indica ora la morte (vd. p. es. AMBR., bon. mort. 8, 31; exc. Sat.
2, 22; EUSEB. GALL., hom. 57, 1) ora l’ingresso in monastero (vd. p. es. CASSIAN., conl. 10, 8, 5;
CAES. AREL., serm. 234, 1; 235, 2). Similmente vd. immagini quali portus salutis (RURIC., epist.
2, 13, 1), securitatis, tranquillitatis, portus veniae (RURIC., epist. 1, 13, 1). Il portus quietis di cui
parla Ruricio in questo locus è evidentemente il Paradiso. Sull’uso di questa metafora, vd. supra
1, 13 n. 11.
30 Diffusa topica epistolare (e tuttavia anche realistica). Cfr. RURIC., epist. 2, 10, 2: Et omni-

potenti Deo gratias super tam admirabili facto eius refero, quod ita generali tribuere dispensa-
tione dignatus est, ut inter eos, quos locorum intervalla discriminant, liber ac nullis conclusus
absentiae legibus animus commearet (ripresa pressochè letterale di FAUST. R EI ., epist. 10
p. 215, 19-24); ENNOD., epist. 7, 7 p. 177, 5-6: […] quorum animae Christo in caritatem so-
ciante conveniunt nulla possunt separari interiectione terrarum; EPIST. ad Desid. Cadurc. 2, 1,
16-19 p. 326: […] dum regionum longinquitas non discrepat aspectum, nisi tantummodo frau-
dat terrarum interiectionis spacium, et ipsum tamen dilectio cernit intuitum, cum figurat ani-
mos recordatum. In modo particolare, per similarità di forma e contenuto, cfr. EPIST. Austras.
13, 1: Ita in arcano pectoris vestrae dulcedinis affectus includitur, ut nequaquam absens esse a
me aliquatenus iudiceris, qui semper intuitu interiore conspiceris. Nec valet interiacentium ter-
rarum longinquitas diversa videre, quos, dudum est, quod antiqua caritas individuis dilectionis
nexibus dinoscitur sociasse. Di Ruricio vd. anche epist. 2, 36, 2; 51, 1; 52, 1.
31 La contrapposizione più o meno diretta videre oculis corporis / cordis è topica nell’epi-

stolografia ed è in modo particolare usata frequentemente da Ruricio (vd. supra 1, 1 n. 6).


32 Similmente cfr. RURIC., epist. 1, 16, 2: […] ut possimus in unum positi fructum de nostra

invicem capere praesentia.


33 Similmente cfr. CAES. AREL., serm. 234, 1: Hoc ergo solum restat, fratres carissimi, ut,

quia vos in sancto monasterio velut in portu quietis et repausationis quasi in parte aliqua para-
disi dominus colligere et collocare dignatus est, assiduis studeatis orationibus obtinere, ut nos,
qui saeculi huius fluctibus indesinenter adfligimur, et cum grande periculo per pelagum mundi
huius multis tempestatibus fatigamur, devictis omnibus vitiorum fluctibus orationum vestrarum
suffragio ad portum beatae vitae Christo duce pervenire possimus, ubi, cum ante aeternum iu-
dicem vobis corona gloriae dabitur, nobis vel peccatorum venia concedatur; 5: Ego tamen ite-
rum atque iterum cum omni humilitate supplico, ut me sanctis et inlustribus meritis simul ac
precibus vestris ita assidue Domino commendetis, ut, quia me in hoc saeculo multum laetificat
sancta conversatio vestra, vos in futuro non contristent merita mea; et cum vos a iusto iudice
Deo receperitis gloriam, ego, sicut iam superius supplicavi, suffragantibus vobis vel peccato-
rum indulgentiam obtinere promerear. Nel testo ruriciano si notino i due cola paralleli, con am-
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272 Commento

pliamento e varatio del secondo: quando vobis a iusto iudice retribuetur corona meritorum,
mihi a piissimo redemptore et advocato perfectissimo commissorum venia non negetur, in cui
trovano posto i due chiasmi a incastro retribuetur corona meritorum - commissorum venia non
negetur / a piissimo redemptore et advocato perfectissimo. La frase è conclusa ritmicamente
dalla clausola allitterante vénia non negétur (cursus velox). Quest’ultima locuzione anche in
AMBR., parad. 15, 72; paenit. 1, 12, 57; AUG., civ. 21, 27.
34 Cfr. Ps 9, 4-5: In convertendo inimicum meum retrosum, infirmabuntur et peribunt a facie

tua, quondam fecisti iudicium meum et causam meam, sedisti super thronum qui iudicas iusti-
tiam; 34, 23: Exsurge et intende iudicio meo, Deus meus et Dominus meus, in causam meam;
42, 1: Iudica me Deus et discerne causam meam de gente non sancta.
35 Ruricio ricorre mimeticamente al linguaggio forense (da cui quello penitenziale è fonda-

mentalmente mutuato). Valido l’emendamento proposto da HAGENDAHL 1952, p. 71, secondo


cui la lezione del codice clementiae… veritatem sarebbe risultato di aplografia di severitatem.
Così si manterebbe infatti la regolarità dei due cola, rafforzata ulteriormente dall’isocolia, dagli
omeoteleuti, dal chiasmo semantico, dal poliptoto e dalla paromoivwsi~: nec in bonitate cle-
mentiae iudicii perdere severitatem nec in iudicii severitate clementiae amittere bonitatem. Si
noti anche il gioco di politpoti / omeoptoti sull’uso equivoco del lemma iudicium: al pari del
sostantivo italiano “giudizio” indica contemporaneamente il processo (ante iudicium
peccatoris; in iudicio) e l’atto del giudicare (iudicii… severitatem; in iudicii severitate). La cle-
mentia e la bonitas di Dio tuttavia sono già state proletticamente decantate al §. 4, che il pre-
sente sembra allusivamente richiamare: peccatis omnibus opitulantibus vobis consuetudinaria
clementia et copiosa bonitate deletis. Clementia e bonitas sono spesso predicate in iunctura da-
gli autori cristiani come caratteristiche divine.
36 Ancora HAGENDAHL 1952, pp. 102-103, emenda vobis (S) con nobis, essendo Ruricio a

elevare per se stesso la supplica a Dio.


37 Ruricio rivolge la sua preghiera di perdono al Signore, ricorrendo allo stile tipico dell’eu-

cologia liturgica: di fatto quesa frase sembra avere l’andamento di un oremus. In essa infatti
troviamo il complemento di mezzo espresso con per + acc. (cfr. SACR. Gel. 69: Deus, qui per
ineffabilem observantiam sacramenti famulorum tuorum praeparas voluntates), la perifrasi so-
lenne e piena di riverenza praestare dignetur, il costrutto prolettico parallelo (cfr. SACR. Gel.
1283: […] ut quod non habet fiducia meritorum, tua consecret largitas invicta donorum). In
modo particolare, il verbo praesto è proprio della preghiera di supplica (spesso unito a quaesu-
mus) e ricorre con estrema frequenza nella liturgia. A tal proposito vd MOHRMANN II, pp. 106-
107; BLAISE 1966, pp. 172-181, in partic. pp. 173-174 e pp. 180-181; BEIKIRCHER 1992, pp. 88-
95. Per quanto concerne la formula praestare dignetur, va notato come essa venga utilizzata
molto spesso da Cesario di Arles, a conclusione di molti dei suoi sermoni, secondo la formula
dossologica (più o meno variata): Quod ipse (scil. Iesus) praestare dignetur, qui cum Patre et
Spiritu Sancto vivit et regnat in saecula saeculorum.
38 La locuzione peculiarius rogo si trova 3 volte nell’epistolario ruriciano, solo nel libro II:

oltre a questa epistola, vd. epist. 2, 38, 1; 36, 2. A quanto è dato di reperire, essa è una iunctura
dello stesso Ruricio (non si riscontra neppure l’espressione peculiariter rogo). Similmente vd.
epist. 2, 55, 1 (peculiarius postulare).
39 Per il titolo sanctitas, vd. supra 1, 1 n. 35.
40 Giuliano Pomerio, a cui Ruricio ha già indirizzato la lettera 1, 17 e a cui sono rivolte le

due successive (epist. 2, 10-11).


41 Cfr. RURIC., epist. 2, 1, 1: Nam postquam a vestra germanitate discessi, divisum esse me

sentio partemque meam vobiscum resedisse cognosco (così anche epist. 2, 10, 2); 37, 1: Post-
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II, 9-10 273

quam pietas vestra discessit, dimidium esse me sentio, quia maximam meam partem […] ambu-
lasse cognosco. Vd. HAGENDAHL 1952, p. 101-102.
42 Credo sia possibile accettare, come ben suggerisce HAGENDAHL 1952, p. 102, la lezione di

S individuum, aggettivo sostantivato attestato col significato di “amico”. Cfr. AMBR., epist. 90,
3: […] nam litterae tuae, ut aperte cum individuo pectoris mei loquar, verecundari me faciunt;
SALV., epist. 1, 2: […] tradere individuis meis cupio. Leggendo pertanto individuum per utriu-
sque, complemento di mezzo con anastrofe, verrebbe meno anche la necessità dell’ulteriore in-
tegrazione redintegrationem (Mommsen).
43 Cfr. RURIC., epist. 1, 1, 1: Et cum me in me non inveniam, apud vos me ad vos reversus in-

quiro atque ibidem, quantum mei vobis reliquisse, tantum vestri mecum abstulisse conspicio.
44 Cfr. RURIC., epist. 2, 37, 1: […] quia maximam meam partem, hoc est interiorem hominem

residente corpore vobiscum ambulasse cognosco, ita tamen, quod et vos in pectore meo, quod
hic remansit, manere conspicio. Da notare le figure di suono corpore – confidimus – corde.
45 Sul concetto di rusticitas, vd. supra 1, 3 n. 10.

2, 10
1Vd. CIC., Lael. 80. 81, e supra 2, 1 n. 2.
2 Vd.supra 2, 1 n. 3.
3 Cfr. Act 4, 32: Multitudinis autem credentium erat cor et anima una. Ruricio contrappone

ai sapientes saeculi l’autorevolezza della Sacra Scrittura. Il più antico autore cristiano di lingua
latina a utilizzare questo brano neotestamentario come dictum probans in merito all’amicizia
cristiana è PAUL. NOL., epist. 18, 1: Nam etsi regionum intervallis corporaliter disparemur, spi-
ritu tamen Domini, in quo vivimus et manemus, ubique effuso coniuncti sumus, ut unius corpo-
ris membra et cor unum et unam animam habentes in uno Deo.
4 Sulla simplicitas della doctrina cristiana, vd. supra 2, 6 n. 15.
5 Ruricio glossa brevemente l’affermazione lucana attraverso due cola antifrastici, paralleli

sintatticamente, variando e costituendo un chiasmo nel secondo: unum utique caritate, non nu-
mero, et fidei simplicitate, non singularitate personae. Si notino anche i frequenti omeoptoti,
che rendono più serrato il ritmo della frase.
6 Per il titolo unanimitas, vd. supra 1, 3 n. 3.
7 Questo primo paragrafo è riprodotto, salvo alcune variazioni, da epist. 2, 1, 1, indirizzata a

Namazio e Ceraunia, alle cui note di commento si rimanda.


8 Vd. RURIC., epist. 1, 15, 1: […] in corde caritatis ipsius sede (vd. n. ad loc.). Il paragrafo,

pieno di stilemi epistolari, ripropone ancora una volta l’idea del conloquium absentium attra-
verso la caritas, la quale trova la sua sede privilegiata nel cuore. Per questo, vd. epist. 2, 9, 2-3
e n. 13, in cui si rimanda a FAUST. REI., epist. 10 p. 215, 19-24, da cui il presente paragrafo di-
pende. Alla medesima lettera di Fausto è debitrice RURIC., epist. 2, 52, 1 (e in misura minore
epist. 2, 51, 1). Circa la iunctura locorum intervalla in ambito epistolare, cfr. p. es. AMBR., epi-
st. 37, 4: Tamen dum adhuc habes de libris iudicium, interludamus epistulis, quarum eiusmodi
usus est, ut disiuncti locorum intervallis affectu adhaereamus, in quibus inter absentes imago
refulget praesentiae et collocutio scripta separatos copulat, in quibus etiam cum amico misce-
mus animum et mentem ei nostram infundimus; EPIST. Austr. 31, 1: […] conpellit nos ex gratia
repraesentari per paginam, quos dividunt itinera et distantium locorum segregant intervalla;
GREG. M., epist. 6, 63 l. 18: Hanc nos, licet locorum intervallis distincti atque corpore longe a
vobis positi, auxiliante Dei potentia erga vos studiosissime conservemus. Tuttavia cfr. già CIC.,
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274 Commento

fam. 1, 7, 1: […] alterum facio libenter, ut, quoniam intervallo locorum et temporum diiuncti
sumus, per litteras tecum quam saepissime colloquar. Similmente vd. infra 2, 51, 1 (locorum
intervalla); 52, 3 (regionum intervalla).
9 Per il titolo pietas vestra, vd. supra 1, 7 n. 2.
10 L’ampio e articolato iperbato conferisce particolare (e amichevole) cortigianeria al saluto.

Dal punto di vista grammaticale, si noti l’uso di proprius con valore possessivo (per cui vd. su-
pra 1, 2 n. 32) in concordanza con l’ablativo mente, secondo la struttura tipica degli avverbi ro-
manzi. «Questo gruppo si fissa progressivamente, man mano che il senso di mente scompare»
(VÄÄNÄNEN 20034, p. 170). Indizi di questa progressiva deriva morfologica si hanno già in epo-
ca classica. Cfr. p. es. VERG., Aen. 4, 105: […] sensit enim simulata mente locutam.
11 Cfr. RURIC., epist. 2, 7, 1: […] ut omnes in laboribus costituti commendari se germanitati

vestrae omni precum ambitione deposcant.


12 Ruricio declina attentamente, con abile variazione sinonimica, il rapporto di amicizia con

Pomerio: affectus, caritas, amor, dilectio (nel §. 2 vd. gratia). I quattro sostantivi sono rafforza-
ti da espressioni a due a due sinonimiche, in climax ascendente: si nobis parem repensatis af-
fectum, si simili nos caritate diligitis, si aliquid in visceribus vestris amor noster operatur, si
usque ad medullas cordis vestri dilectio nostra pervenit. In modo particolare, molto rara risulta
l’espressione medulla / -ae cordis, attestata ancora in RURIC., epist. 2, 19 v. 17 e in pochi altri
autori: AUG., in psalm. 101, serm. 1, 10; serm. 156, 15; GREG. M., moral. 25, 8; epist. 7, 28 l.
33; ecc. La semplice giustapposizione dei due termini si incontra invece in NEMES., cyn. 204:
Quicquid id est, imas agitat sub corde medullas; CARM. de aegr. Perd. 206: Usserat exesas ar-
denti corde medullas.
13 Si noti come ogni frase, secondo un ritmo binario, alluda con progressiva intensità al de-

siderium amicale di ricongiungimento attraverso un sapiente uso di pronomi personali e agget-


tivi possessivi: i primi due cola affiancano il nos di Ruricio al vos ellittico di Pomerio; nei due
successivi sono gli aggettivi possessivi noster / vester a svolgere la medesima funzione; quindi
vengono direttamente messe a confronto le due persone attraverso la locuzione chiastica vos
pro me, quam me pro vobis. Efficace l’ossimorica iunctura dulcedine potestatis, espressione
della potenza dell’amore amicale.
14 La densità retorica rivela l’affetto di Ruricio, oltre che l’elezione culturale del destinata-

rio, definito da ENNOD., epist. 2, 6, 2 Gioanni utriusque bibliothecae fibula, probabilmente per
la sua cultura capace di spaziare dalle lettere sacre a quelle profane (su cui vd. NERI 2007b, pp.
183-185): si noti la congeries sintattica (vd. supra 1, 3 n. 4) dei cinque cola ipotetici, unita a
gradatio ascendente (vd. supra 1, 4 n. 6) con consueta amplificatio finale. L’ultimo colon spe-
cialmente è costruito sul chiasmo poliptotico (vos pro me, quam me pro vobis), sull’ossimoro
(dulcedine potestatis edomuit), sull’assonanza e l’allitterazione (nec possitis resistere nec veli-
tis), chiudendo degnamente la serie di costruzioni parallele.
15 L’avverbio quantocius (< quanto ocius) non si trova prima del IV secolo (Lucifero di Ca-

gliari, Agostino). Per l’espressione ruriciana quantocius venire festina, è possibile la suggestio-
ne di Gn 45, 19: […] dicito: «Tollite patrem vestrum et properate quantocius venientes».
16 Il poliptoto piuttosto stucchevole ad desiderantem fratrem desiderans mette ancora una

volta in luce la parità di sentimenti tra i due. Al momento della richiesta cade l’uso del “voi”
per fare posto improvvisamente al “tu”, secondo una prassi ben documentata nell’epistolografia
dell’epoca (vd. supra 1, 1 n. 11). Sul valore avverbiale del predicativo desiderans, vd. supra 2,
2 n. 12.
17 L’isocolia è ulteriormente rafforzata dalla prevalenza del suono scuro /u/, che dà un tono

particolarmente serioso all’eloquio.


18 Sul valore del part. pass. positus in età tardoantica, vd. supra 1, 1 n. 10.
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II, 10-11 275

19 L’intero §. 3 sembra un vero e proprio esercizio di retorica sul tema dell’amicizia recipro-

ca, in cui l’autore altro non fa che ritornare con toni diversi sul medesimo tema, sfaccettandolo
e colorendo di artifici retorici sempre più barocchi l’eloquio.
20 Vd. VERG., Aen. 6, 688: sono le parole che Anchise commosso rivolge al figlio Enea, nel-

l’andargli incontro nella verde vallata dell’oltretomba. Citando questo verso virgiliano Ruricio
sottrae ogni scusante a Pomerio: nessuna distanza può essere insormontabile, se Enea è sceso
addirittura agl’Inferi per incontrare il padre defunto. L’epistola a Pomerio si apre e si chiude
con due citazioni classiche, di cui la prima per allusione, la seconda letterale. «Questo sembra
incastonare il contenuto dell’epistola in una sorta di “cornice classicheggiante” che – come ca-
pita non di rado – può dire qualcosa anche dell’estrazione culturale del destinatario » (NERI
2007b, p. 185).
21 Vd. supra n. 2.
22 Cfr. 1Cor 13, 7.
23 Cfr. 1Cor 13, 5.
24 Cfr. 1Cor 13, 8: Caritas numquam excidit.
25 Ritorna, a suggello della lettera, il participio desiderans in poliptoto con i precedenti, per

cui vd. supra n. 16. Quest’ultimo paragrafo ha tutto l’aspetto di un’accorata peroratio finale, in
cui Ruricio vuole convincere, a colpi di retorica, l’amico Pomerio a fargli visita.
26 Tempus e caritas, ritenuti entrambi essenziali per intraprendere un buon viaggio, vengono

uniti in maniera particolare dall’allitterazione della dentale e della velare sorde, oltre che dalla
paronomasia in iperbato che enuclea i due elementi: (autumnalis) temporis congruit cum cari-
tate temperies (similmente vd. supra 2, 4 n. 69). Da notare anche l’anafora del segmento /te/
che concatena la sequenza caritate temperies.
27 Ruricio si rivela un amante della mite stagione autunnale, mentre mal sopporta la calura

estiva, come dichiara in epist. 2, 33 1; 35, 1. Ancora una volta si evidenzia come le condizioni
atmosferiche fossero un requisito fondamentale per intraprendere un viaggio: vd. supra 2, 3 n.
14. L’isocolia dei due periodi conclusivi è arricchita dalle due clausole férvor accéndat (cursus
planus) e álgor exstínguat (cursus tardus), oltre che dalla perfetta antinomia di ogni suo ele-
mento. Similarità di stilemi in epist. 1, 5, 3: […] ne substantiam nullo labore duratam aut ae-
stivus fervor exureret aut hiemalis algor extingueret aut ventorum flabra portarent.

2, 11
1 Veneratio, al pari di venerabilitas, è titolo onorifico per lo più riferito a vescovi, e talora al

papa, per cui vd. O’BRIEN 1930, pp. 38-39. Non mancano tuttavia testimonianze in riferimento
a un prete (FAUST. REI., epist. 1 p. 161, 13, al presbitero Lucido), a un diacono (EPIST. Austras.
32, 2, all’apocrisario Onorato) o a un laico che ha intrapreso la vita ascetica (RURIC., epist. 2,
15, 1; 50, 1, entrambe a Ceraunia; 48, 1 a Giovanni). Quanto all’incipit relectis litteris, cfr. RU-
RIC., epist. 2, 23, 1: Relectis litteris pietatis vestrae; 32, 1: Relectis litteris sublimitatis vestrae.
2 Vd. epist. 1, 17 tit.; 2, 10 tit., in cui Pomerio è definito abbas. In epist. 2, 10, 3 Ruricio

identifica il rapporto di amicizia con Pomerio nei termini di una fratellanza (ad desiderantem
fratrem desiderans quantocius venire festina). Quanto al contesto, probabile la reminescenza
biblica di Gn 48, 14: Qui extendens manum dextram posuit super caput Ephraim iunioris fra-
tris, sinistram autem super caput Manasse, quia maior natu erat, commutans manus (cfr. anche
Sir 32, 4: Loquere maior natu: decet enim te).
3 Per la formula Deo propitio, vd. supra 1, 14 n. 11.
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276 Commento

4 Cfr. 1Ioh 2, 13-14: Scribo vobis, patres, quoniam cognovistis eum qui ab initio est; scribo

vobis, adulescentes, quoniam vicistis malignum. Scripsi vobis, infantes, quoniam cognovistis
Patrem; VET. LAT. 1Ioh 2, 13-14: Scribo vobis patres quoniam cognovistis quod erat ab initio;
scribo vobis iuvenes quoniam vicistis malignum; scribo vobis pueri quoniam cognovistis pa-
trem (alcuni codici riportano tuttavia la congiunzione quia).
5 Per la dinamica homo interior / exterior, vd. supra 1, 15 n. 5.
6 Cfr. 1Pt 5, 8: Sobrii estote et vigilate, quia adversarius vester diabolus tamquam leo ru-

giens circuit quaerens quem devoret.


7 Socordia e desidia si trovano in iunctura già in RHET. Her. 2, 23, 35: Philosophia vitanda

est: adfert enim socordiam atque desidiam; SALL., Catil. 4, 1: Igitur ubi animus ex multis mise-
riis atque periculis requievit et mihi relicuam aetatem a re publica procul habendam decrevi,
non fuit consilium socordia atque desidia bonum otium conterere. Non va infine dimenticato
che Sallustio è uno degli auctores studiati alla scuola del grammaticus.
8 Cfr. Rm 13, 11: Et hoc scientes tempus quia hora est iam nos de somno surgere.
9 Ruricio si dilunga nel commentare le parole della lettera giovannea, interpretando come

già p. es. AMBR., in psalm. 36, 52-55; AUG., in epist. Ioh. 2, 5-8. Al contenuto, come sempre, fa
da supporto lo stile. Ai tre sostantivi patres, iuvenes, pueri corrispondono le tre proposizioni
parallele, in gradatio discendente (vd. supra 1, 4 n. 6) con progressiva amplificatio. In esse si
riscontrano frequenti gli omeoteleuti e gli omeoptoti, che sembrano scandire il ritmo interno
delle frasi.
10 Eph 5, 14.
11 Cfr. Mt 12, 47: Dixit autem ei quidam: «Ecce mater tua et fratres tui foris stant, quaerentes

te»; Mc 3, 32: Et sedebat circa eum turba et dicunt ei: « Ecce mater tua et fratres tui foris quae-
runt te»; Lc 8, 20: Et nuntiatum est illi: «Mater tua et fratres tui stant foris, volentes te videre».
12 Cfr. Mt 12, 48-49: At ipse respondens dicenti sibi ait: «Quae est mater mea et qui sunt

fratres mei?». Et extendens manum in discipulos suos dixit: «Ecce mater mea et fratres mei»;
Mc 3, 33-34: Et respondens eis ait: «Quae est mater mea et fratres mei?». Et circumspiciens
eos qui in circuitu eius sedebant ait: «Ecce mater mea et fratres mei».
13 Cfr. Mt 12, 50: Quicumque enim fecerit voluntatem Patris mei qui in caelis est, ipse meus

et frater et soror et mater est (vd. anche Mt 7, 21); Mc 3, 35: Qui enim fecerit voluntatem Dei,
hic frater meus et soror mea et mater est; Lc 8, 21: Qui respondens dixit ad eos: «Mater mea et
fratres mei hii sunt qui verbum Dei audiunt et faciunt». Vd. anche AUG., serm. 72A, 3.
14 Cfr. AMBR., in Luc. 10, 25: Fac voluntatem Patris, ut Christi mater sis. […] Ergo quae pa-

rit iustitiam Christum parit, quae parit sapientiam Christum parit, quae parturit verbum Chri-
stum parturit; AUG., serm., 191, 3: Qui corde credit ad iustitiam concipit Christum: qui ore confi-
tetur ad salutem, parit Christum. Vd. anche HIL., in Matth. 12, 24; AUG., serm. 72A, 7-8; 189, 3.
15 La sequenza triadica mette in luce l’assoluta verginità di Maria prima, durante e dopo il

concepimento. Similmente, cfr. AUG., serm. 51, 11: Illa enim virgo concepit, virgo peperit, virgo
permansit. Del medesimo vd. anche serm. 170, 3; 196, 1; 231, 2; 247, 2; symb. 3; PETR. CHRYS.,
serm. 62, 8; 117, 3; 145, 7; LEO M., serm. 22, 2; 24, 1; 25, 3. E con speciale forza ribadisce
AUG., enchir. 10, 34: Quodsi vel per nascentem corrumperetur eius integritas, non iam ille de
virgine nasceretur, eumque falso – quod absit – natum de virgine Maria tota confiteretur eccle-
sia, quae imitans eius matrem cotidie parit membra eius, et virgo est. Così anche CASSIAN., c.
Nest. 7, 25, 2: Videte miraculum matris dominicae: virgo concepit, virgo peperit, virgo cum par-
turiit, virgo gravida, virgo post partum, sicut in Ezechiele dicitur: “et porta erat clausa et non
est aperta, quia Dominus transivit per eam” (citazione di un frammento del sermo in Natali
Domini pseudo-ambrosiano). Presso gli autori cristiani occidentali, il primo ad affermare com-
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II, 11 277

piutamente la nascita verginale di Gesù da Maria, e dunque la verginità incontaminata della ma-
dre, è Ireneo di Lione, il quale afferma: Quoniam Verbum caro factum est et Filius Dei Filius
hominis, purus pure puram aperiens vulvam eam quae regenerat homines in Deum, quam ipse
puram fecit (4, 33, 11). In modo speciale questo dato di fede viene sancito dogmaticamente
dall’epistula papae Leonis (tomus ad Flavianum), assunta dal concilio di Calcedonia: Concep-
tus quippe est de Spiritu Sancto intra uterum Virginis matris, quae illum ita salva virginitate
edidit quemadmodum salva virginitate concepit (CONC. Chalced. a. 451, p. 77, col. 2, 29-33).
Nell’ambito dell’epistolario ruriciano, questa è l’unica lettera dal contenuto vagamente teologi-
co. Sulla perpetua verginità di Maria, vd. DE FIORES 1985, pp. 1418-1476, con ampia bibliogra-
fia, a cui si rimanda.
16 L’espressione pregnante e icastica fide maritante è da attribuirsi a FAUST. REI., epist. 7 p.

205, 21: Accipe filium Dei in extrema parte saeculorum ex innupta matre natura ignorante et fide
maritante progenitum (vd. anche EUSEB. GALLIC., hom. 76, 3). Similmente vd. già PRUD., apoth.
568-569: Intactam thalami virtus divina puellam / sincero adflatu per viscera casta maritat.
17 Cfr. Rm 8, 17: Si autem filii, et heredes, heredes quidem Dei, coheredes autem Christi.
18 Cfr. LEO M., serm. 27, 2: Redit in innocentiam iniquitas, et in novitatem vetustas; in adop-

tionem veniunt alieni, et in hereditatem ingrediuntur extranei. L’uomo, sotto il dominio del pec-
cato e della morte, era come straniero rispetto al regno dei cieli: Cristo, con la sua morte e risur-
rezione, ha riguadagnato la vita eterna all’umanità decaduta. Cfr. Col 1, 21-22: Et vos, cum es-
setis aliquando alienati et inimici sensu in operibus malis, nunc autem reconciliavit in corpore
carnis eius per mortem exhibere vos sanctos et immaculatos et inreprehensibiles coram ipso.
19 La sequenza dei verbi riprende ordinatamente la frase precedente. I cola, a due a due pa-

ralleli, spiegano in sintesi come Dio abbia operato l’umana redenzione, guadagnando a Sé ogni
uomo in qualità di figlio (e dunque fratello di Cristo). Sull’uso strumentale di in + abl., vd. in-
fra 2, 13 n. 49.
20 Cfr. Gal 4, 4-5: At ubi venit plenitudo temporis, misit Deus Filium suum, factum ex muliere,

factum sub lege, ut eos qui sub lege erant redimeret, ut adoptionem filiorum reciperemus; la di-
stinzione è ripresa anche da MAR. VICTORIN., adv. Arium 1, 10: Quod non sic filius, quemadmo-
dum nos: nos enim adoptione filii, ille natura; [...] Natura igitur Iesus filius, nos adoptione filii;
AMBR., fid. 1, 19, 126: Filius enim aut per adoptionem aut per naturam est. Per adoptionem nos
filii dicimur, ille per veritatem naturae est (vd. anche 5, 7, 90); CASSIAN., c. Nest. 5, 4, 3: Omnes
enim credentes Deum filii Dei sunt per adoptionem, Unigenitus autem tantum Filius per naturam.
21 Cfr. CASSIAN., c. Nest. 1, 5, 7: Ergo confitemur Dominum ac Deum nostrum Iesum Chri-

stum unicum filium Dei, qui sibi ante saecula natus ex Patre est, nobis a tempore de Spiritu
Sancto et Maria semper virgine factum hominem, Deum natum: et confitentes utramque sub-
stantiam carnis et Verbi unum eundemque Deum atque hominem inseparabilem semper pia fi-
dei credulitate suscipimus, et ex tempore susceptae carnis sic omnia dicimus quae erant Dei
transisse in hominem, ut omnia quae erant hominis in Deum venirent, et hac intellegentia Ver-
bum caro factum sit, non ut conversione aut mutabilitate aliqua coeperit esse quod non erat,
sed ut potentia divinae dispensationis Verbum Patris numquam a Patre discedens homo proprie
fieri dignaretur, incarnatusque sit unigenitus secreto illo mysterio quo ipse novit (nostrum nam-
que est credere, illius nosse): ac sic ipse Deus Verbum totum suscipiens quod est hominis homo
sit, et adsumptus homo totum accipiendo quod Dei est aliud quam Deus esse non possit, non ta-
men, quia incarnatus dicitur et inmixtus, diminutio eius sit accipienda substantiae. Similmente
vd. AUG., enchir. 10, 35-12, 38; LEPOR. 5; LEO M., serm. 21, 2.
22 Vd. Ioh 1, 14. In queste parole, oltre alla reminescenza neotestamentaria, sembra ravvisa-

bile un’eco del dogma efesino: CONC. Eph. a. 431, p. 69, 39: Confitemur itaque Dominum no-
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278 Commento

strum Iesum Christum Filium Dei unigenitum, Deum perfectum et hominem perfectum ex ani-
ma rationali et corpore, ante saecula quidem ex Patre natum secundum divinitatem, in novissi-
mis autem diebus eundem propter nos et nostram salutem ex Maria virgine secundum humani-
tatem, consubstantialem Patri secundum deitatem eundem et consubstantialem nobis secundum
humanitatem.
23 In creaturae humanitate descendit: si va sempre più perdendo la differenza tra l’idea di

stato e quella di moto. (vd. infra n. 40).


24 Vd. supra n. 21. Cfr. anche LEO M., serm. 25, 5: Agnoscat igitur catholica fides in humili-

tate Domini gloriam suam, et de salutis suae sacramentis gaudeat ecclesia, quae corpus est
Christi […] Solus itaque inter filios hominum Dominus Iesus innocens natus, quia solus sine
carnalis concupiscentiae pollutione conceptus, factus est homo nostri generis, ut nos divinae
naturae possimus esse consortes. Similmente vd. anche serm. 24, 3; 26, 2; 27, 1-2; 28, 1; AUG.,
serm. 346A, 8; PETR. CHRYS., serm. 117, 3. Così anche il tomus ad Flavianum in CONC. Chal-
ced. a. 451, p. 77, col. 2, 14-24: Idem vero sempiterni genitoris unigenitus sempiternus natus
est de Spiritu Sancto et Maria virgine, quae nativitas temporalis illi nativitati divinae et sempi-
ternae nihil minuit, nihil contulit, sed totam se reparando homini, qui erat deceptus, inpendit,
ut et mortem vinceret et diabolum, qui mortis habebat imperium, sua virtute destrueret. Va no-
tato come il concilio di Calcedonia segni profondamente l’impostazione della speculazione teo-
logica a esso successiva, la quale prediligerà, con particolare insistenza polemica, questioni cri-
stologiche. Non è da escludere che le pagine ruriciane debbano ascrivere la loro fonte a un per-
duto florilegio dogmatico, una sorta di prontuario controversistico. Su questi aspetti della teolo-
gia di V-VI secolo, vd. PERRONE 1993, pp. 515-539, in partic. pp. 522-530.
25 Cfr. CASSIAN., c. Nest. 1, 5, 7: […] sic in alterutrum unum fit verbum et caro, ut, manente

in sua perfectione naturaliter utraque substantia, sine sui praeiudicio et humanitati divina
communicent et divinitati humana participent.
26 Cfr. Phil 2, 6-11: Qui cum in forma Dei esset, non rapinam arbitratus est esse se aequa-

lem Deo, sed semetipsum exinanivit, formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus
et habitu inventus (VET. LAT. Phil 2, 7: repertus) ut homo, humiliavit semetipsum, factus oboe-
diens usque ad mortem, mortem autem crucis. Propter quod et Deus illum exaltavit et donavit
illi nomen super omne nomen, ut in nomine Iesu omne genu flectat (VET. LAT. Phil 2, 10: flecta-
tur) caelestium et terrestrium et infernorum, et omnis lingua confiteatur quia Dominus Iesus
Christus in gloria est Dei Patris.
27 2Cor 5, 16.
28 Cfr. Gal 3, 28: […] omnes enim vos unum estis in Christo Iesu.
29 Immagini piuttosto consuete: tra i vari ad utilizzarle, vd. AMBR., obit. Valent. 75; AUG.,

serm. 72A, 8; 216, 2; enchir. 10, 34; in psalm. 10, 1; QUODV., symb. 1, 13; PETR. CHRYS., serm.
73, 3; 117, 4; GREG. M., in evang. 19, 1. Significativo per la forma sembra essere CAES. AREL.,
serm. 200, 5: Et quia omnes conpetentes uterus matris ecclesiae Christo inspirante concepit,
nihil iniustum aut inhonestum exerceant. Particolarmente felice l’espressione di CYPR., unit. ec-
cl. 6, che ben sintetizza il mistero di rigenerazione che la Chiesa opera attraverso il sacramento
del Battesimo: Habere iam non potest Deum patrem qui ecclesiam non habet matrem. La quali-
fica di madre riferita alla Chiesa non è propriamente biblica, benché nel Nuovo Testamento
compaiano attributi che ne lasciano intendere implicitamente la funzione materna. Cfr. p. es.
2Ioh 1: Senior electae dominae (scil. Ecclesiae cuidam) et natis eius. Più volte Giovanni nelle
sue epistole identifica i membri della Chiesa come filii / filioli (vd. 1Ioh 2, 1. 12. 28; 3, 7. 18; 4,
4; 5, 21; 2Ioh 13; 3Ioh 4); Paolo addirittura scrive ai Galati: Filioli mei quos iterum parturio
donec formetur Christus in vobis (Gal 4, 19). «Facendo risuonare la parola evangelica, [la
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Chiesa] offre a tutti la possibilità di diventare figli di Dio, ed esercita quindi una funzione ma-
terna nell’ordine della fede» (DE FIORES 1985, p. 1436).
30 Per la formula Deo propitio, vd. supra n. 3.
31 Riferimento alla conversio di Pomerio, probabilmente dagli studi profani di retorica (a

saeculi actibus) alla vita religiosa. In modo particolare conversio, nella letteratura cristiana, in-
dica frequentemente l’approdo alla vita ascetico-monastica, per cui vd. LORIÉ 1955, pp. 94-97.
32 Ritorna il termine beatitudo - makarismov~ (cfr. §. 4: […] ut nos ad eandem, a qua exci-

deramus, beatitudinem revocaret). Scarsamente utilizzato dagli autori pagani, ricorre 3 volte
nelle lettere paoline (Rm 4, 6. 9; Gal 4, 15) a indicare lo stato nuovo dell’uomo in Cristo; quin-
di si trova con grande frequenza presso gli scrittori cristiani.
33 Cfr. Mt 13, 45-46: Iterum simile est regnum caelorum homini negotiatori quaerenti bonas

margaritas. Inventa autem una pretiosa margarita, abiit et vendidit omnia quae habuit et emit
eam.
34 Cfr. Mt 13, 44: Simile est regnum caelorum thesauro abscondito in agro, quem qui invenit

homo abscondit et prae gaudio illius vadit et vendit universa quae habebat et emit agrum illum.
35 Il sostantivo inhiator (< inhio) è conio e hapax ruriciano. I sostantivi deverbali con no-

men agentis –tor avranno grande produttività in età tardoantica e soprattutto nelle lingue ro-
manze. A tal proposito, vd. STOTZ II, pp. 270-272. Nella traduzione si è cercato di riprodurre il
parallelismo dei due cola antifrastici attraverso una perifrasi, mancando in lingua italiana un
corrispettivo della medesima categoria grammaticale di inhiator.
36 Hapax in tutta la letteratura latina il superlativo sincerrimam, dall’ipotetico grado positi-

vo *sincer. Accanto al più comune sincerus, è attestata invece la forma sinceris, -e. Benché
stigmatizzata dai grammatici (CHAR. gramm. 1, 81), la si incontra in AUG., in psalm. 93, 3;
CASSIOD., var. 5, 44, 3. Sincerrimam potrebbe dunque essersi originata da un’errata divisione
del tema aggettivale di sincerus / -is.
37 Cfr. Rm 2, 4: An divitias bonitatis eius et patientiae et longanimitatis contemnis, ignorans

quoniam benignitas Dei ad paenitentiam te adducit; Eph 1, 7: (Iesus Christus) in quo habemus
redemptionem per sanguinem eius remissionem peccatorum secundum divitias gratiae eius; 3,
16: […] ut det vobis secundum divitias gloriae suae virtute corroborari per Spiritum eius in in-
teriore homine. La locuzione secundum divitias bonitatis suae atque virtutis ritorna in RURIC.,
epist. 2, 52, 3. Similmente cfr. PAUL. NOL., epist. 17, 4: Scio quidem secundum divitias bonitatis
Dei et in domino meo Felice viscera pietatis adfluere; 42, 3: […] Deus, qui amantem nostri fa-
cere dignatur, non iuxta meritum malum faciens, sed secundum divitias bonitatis suae.
38 Cfr. Mt 19, 23-24: Iesus autem dixit discipulis suis: «Amen dico vobis quia dives difficile

intrabit in regnum caelorum. Et iterum dico vobis facilis est camelum per foramen acus transi-
re, quam divitem intrare in regnum caelorum»; vd. anche Mc 10, 23-25; Lc 18, 24-25.
39 Il riferimento è probabilmente alla brillante carriera di retore di Pomerio e alle sue doti

intellettuali, che ci testimonia anche ENNOD., epist. 2, 6, 2 Gioanni, su cui vd. GIOANNI 2006,
pp. lviii-lix e supra 2, 10 n. 14.
40 I due cola paralleli costituiscono altrettante clausole ritmiche (dignávit in saéculo – festí-

nat in régno). Si noti la confusione, a partire dall’età imperiale, tra complemento di moto a luo-
go e di stato in luogo (peraltro già presente nel latino popolare, come p. es. in PLAUT., Amph.
180: […] numero mihi in mentem fuit) e tra acc. e abl., per cui cfr. p. es. EPIST. Austras. 2, 3:
[…] si quis in conspectu vestro venerit; 7, 5: […] in exilio transmissisti. A tal proposito, vd.
BLAISE 1955, p. 78; LHS II pp. 276-278; VÄÄNÄNEN 20034, pp. 197-198. 204-206. Molto fre-
quente inoltre è lo scambio tra i suoni scuri /o/ e /u/, come risulta anche da EPIST. Austras. 3, 4:
Regnum adpropinquante caelorum; 6: Annorum numerum me esse scribitis iubeleum; et alii. Su
quest’ultimo aspetto, vd. STOTZ III, pp. 48-55. 60-68.
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280 Commento

41 Ruricio descrive l’azione misericordiosa di Gesù ricorrendo al linguaggio marinaresco,

seguendo un topos già diffuso in epoca classica: vd. anche RURIC., epist. 1, 12, 3; 13, 1; 2, 13, 1
e nn. ad loc.. Di particolare interesse, per la comune appartenenza gallica e per i rapporti di
amicizia, è la testimonianza di espressioni similari in FAUST. REI., grat. 1, 1 p. 7, 24-27: Sed
quia velut temerarii remiges sine magistro inexplorato mari vela conmittunt ac temperare mo-
deramina nesciunt et gubernacula tractare non norunt; epist. 6 p. 198, 9-11: […] et animam
contra diversarum fluctus temptationum constantiae moderamine gubernare.
42 Cfr. Lc 18, 27: Ait (scil. Iesus) illis: «Quae inpossibilia sunt apud homines, possibilia sunt

apud Deum». Similmente vd. Mt 19, 26; Mc 10, 27.


43 Vd. Lc 14, 28-30.
44 Ruricio abbandona lo stile espositivo proprio del linguaggio teologico per riassumere,

nella parte parenetica conclusiva, la consueta preziosità, in modo particolare scandendo la frase
con iperbati, parallelismi e omeoteleuti nei due cola finali (habeant – doleant – rideant; perfec-
tione – intermissione).

2, 12
1Cfr. FAUST. REI., epist. 1 p. 163, 19: […] individuam mihi bonitatem tuam. Il costrutto indi-
viduus + dativus iudicantis è quello per lo più usato nell’epistolario ruriciano: vd. epist. 2, 18,
1; 29, 1; 34, 4; 35, 3; 49, 1; 53, 1. Per il titolo sublimitas, vd. supra 1, 11 n. 22.
2 Sulle caratteristiche della commendatio, vd. supra 2, 7 n. 10.
3 Forte è la consapevolezza dei pastori di avere una grande responsabilità sulla comunità lo-

ro affidata. Cfr. p. es. CYPR., epist. 43, 4: […] cum paci et tranquillitati episcopus providere in
omnibus debeat; 68, 4: Quae est enim maior aut melior cura praepositorum quam diligenti sol-
lecitudine et medella salubri fovendis et conservandis ovibus providere; CAES. AREL., serm. 1,
19: Si in veritate pastores sumus, gregi dominico spiritalia pascua providere debemus. È questo
un altro tratto del buon pastore d’anime, di cui altri aspetti sono emersi nelle precedenti lettere
ruriciane (vd. epist. 6 a Cronopio). In modo particolare il vescovo, in età tardoantica e soprat-
tutto romanobarbarica, è chiamato a provvedere anche al vuoto di potere lasciato dalle strutture
dell’Impero romano. Interesse quest’ultimo che non sembra alieno anche dalle parole di Ruri-
cio: dum et illis praesentis vitae solatia et vobis providere desideramus aeternae. Sulla figura e
le funzioni del vescovo in epoca tardoantica, vd. supra 1, 1 n. 1; circa l’intervento di un vesco-
vo presso autorità pubbliche, emblematiche rimangono le testimonianze di Agostino, per cui si
rimanda allo studio di REBILLARD 1998, pp. 126-152, in partic. pp. 136-150; ottimo l’articolo di
PULIATTI 2004, pp. 139-168. Ruricio scrive a uomini pubblici del suo tempo per intercedere a
favore di amici anche in epist. 2, 7 (a Elafio) e 2, 20 (a Rustico).
4 Simile antinomia, benché in contesto differente, in RURIC., epist. 1, 3, 2: […] tibi solatium

vitae praesentis et levamen, si divinitas annuerit, futurae […] commisi. Identico il locus biblico
di riferimento (Tb 10, 4), per cui vd. supra 1, 3 n. 20.
5 Il lessico è proprio del linguaggio giuridico-penitenziale. Dominano l’homoeoteleuton e la

parafonia che scandiscono bonariamente il ritmo della frase: patientiam - paenitentiam, miseri-
cordiam - veniam. Il peccato commesso da Orso e Lupicino doveva essere grave, se ai due, co-
me soluzione per evitare sanzioni civili, viene proposto l’ingresso nell’ordo paenitentium (re-
serventur ad paenitentiam). Se per i crimina leviora era sufficiente esercitare le opere di bene
quotidianamente, differente è l’atteggiamento riservato agli scelera gravia et mortifera (Ago-
stino), ai delicta graviora (Innocenzo I), ai peccata capitalia (Cesario di Arles). Per questi si
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II, 11-12 281

rendeva necessario l’intervento ufficiale della Chiesa, attraverso la penitenza pubblica, fatta di
scomunica, opere penitenziali, preghiere e mortificazioni che spesso duravano tutta la vita. E
anche dopo la riconciliazione sacramentale auctoritate antistitis (AUG., epist. 54, 3), il cristiano
che era stato penitente pubblico rimaneva «un cristiano minorato. Non poteva salire agli ordini
sacri, rivestire cariche pubbiche, arruolarsi nella milizia, praticare il commercio, mangiare la
carne, e soprattutto contrarre od usare del matrimonio» (RIGHETTI IV, p. 229). Tra i peccati gra-
vi si annoverano l’idolatria, l’omicidio, l’adulterio, il furto, la fornicazione, la falsa testimo-
nianza, l’odio protratto, l’ubriachezza e altri peccati affini, benché non vi siano ancora “catalo-
ghi” che definiscano con assolutezza il peccato “mortale” e quello “veniale” (e tuttavia si av-
verte una differente gradazione di gravità dei peccati: vd. p. es. TERT., pudic. 18; AMBR., paenit.
2, 10, 95; AUG., spir. et litt. 28, 48). Sui vari stadi della penitenza canonica tra IV e VI secolo,
vd. RIGHETTI IV, pp. 214-243.; in generale vd. supra 1, 2 n. 13; 8 n. 3.
6 Cfr. Iac 2, 13: Iudicium enim sine misericordia illi qui non fecit misericordiam.
7 Cfr. Lc 6, 37: Nolite iudicare et non iudicabimini, nolite condemnare et non condemnabi-

mini, dimittite et dimittemini (VET. LAT. Lc 6, 37: et dimittetur vobis).


8 Due frasi particolarmente lapidarie chiudono il §. 1. Il suggello è posto dall’isocolia dei due

cola isosillabici quod praecepit - quod promisit; il precedente costrutto prolettico isola il sogget-
to logico delle proposizioni (Presidio, indeterminatamente identificato col pronome relativo),
ponendolo in particolare rilievo. Le due frasi sono poste in un rapporto di causa - effetto, sottoli-
neato dalla contrapposizione tra l’avverbio hic e la locuzione di tempo in futuro.
9 Miser identifica nel linguaggio dei cristiani colui che si trova lontano da Dio. Così Tertul-

liano addita come miserae et miserandae le genti pagane (nat. 1, 7, 29), Prudenzio qualifica co-
me miserrimus il pagano (perist. 10, 1008). Vd. anche. CYPR., epist. 58, 10; AUG., civ. 19, 26.
Miser è pertanto anche il peccatore, che infrangendo i Comandamenti, si è reso distante da Dio:
PRUD., ham. 153: In tantum miseris peccati nectare captis; AUG., conf. 4, 6, 11: Miser eram, et
miser est omnis animus vinctus amicitia rerum mortalium. Non siamo a conoscenza di quale
reato avessero commesso Orso e Lupicino.
10 Cfr. PROSP., sent. 361: Amplectenda quippe est homini, qui non omni potest carere pecca-

to, tam benigna conditio, ut dimittendo delicta aliena, diluat sua; CAES. AREL., serm. 25, 1:
Qualis vero est misericordia divina? illa sine dubio, quae tribuit indulgentiam peccatorum.
[…] Noli ergo despicere miseriam pauperum, si vis securus sperare indulgentiam peccatorum.
Similmente vd. CAES. AREL., serm. 30, 3 ss.; 39, 1 ss.; 60, 3 ss.; 220, 5. Dal punto di vista stili-
stico, gli omeoteleuti e i giochi di suono rendono maggiormente evidente lo stretto rapporto tra
perdono concesso e consequenziale indulgenza ricevuta. Similmente vd. infra 2, 20 n. 7.
11 Per l’uso di ipse per indicare Gesù / Dio, vd. supra 1, 18 n. 13.
12 Cfr. Mt 7, 1-2: Nolite iudicare, ut non iudicabimini: in quo enim iudicio iudicaveritis, iu-

dicabimini.
13 La iunctura precator accedo sembra essere mutuata da Simmaco. Compare infatti per la

prima volta in due loci dell’epistolario simmachiano, introdotta dalle congiunzioni et ideo (epi-
st. 7, 126; in Ruricio: ideoque) ed itaque (epist. 9, 122), in entrambi i casi, come in Ruricio,
non in posizione incipitaria. Quindi la incontriamo in ENNOD., epist. 4, 8 p. 104, 1; 10 p. 106, 5;
8, 18 p. 212, 23. In modo particolare, precator indica non solo colui che interviene a favore di
qualcuno, ma anche colui che intercede presso Dio, come si legge in AMBR., paenit. 1, 10, 45;
LEO M., epist. 168, 2; VEN. FORT., carm. 1, 5, 21; ecc.
14 Orso e Lupicino sono personaggi altrimenti sconosciuti. In epist. 2, 53, di fatto identica

alla presente, Ruricio parla di Orso e di Lupo. I due, laici o sacerdoti, erano sottoposti probabil-
mente alla giurisdizione civile di Presidio e a quella ecclesiastica di Ruricio. L’intervento di un
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282 Commento

vescovo in una causa civile rivela uno dei ruoli a cui è propriamente chiamato un presule alme-
no dal IV secolo. In modo particolare, va notato come Costantino, fin dal 318 (vd. COD. Theod.
1, 27, 1), avesse istituito una sorta di tribunale ecclesiastico (episcopalis audientia), in cui i ve-
scovi potevano dirimere questioni civili o religiose; questo nell’ambito della loro iurisdictio.
Cfr. HIER., in Tit. 1, 8: Iustus quoque et sanctus episcopus esse debet, ut iustitiam in populis
quibus praeest exerceat reddens unicuique quod meretur. Benché poco si sappia ancora sullo
svolgimento dei processi nell’ambito dell’episcopalis audientia, fin dalle sue origini ebbe il ca-
rattere di tribunale a cui potevano ricorrere non solo i cristiani, ma tutti i cives (vd. VISMARA
1995a, pp. 230. 233), anche senza accordo tra le due parti in lite, purchè una di esse facesse ri-
chiesta di cambiamento di foro, da quello secolare a quello ecclesiastico (provocatio); una volta
istruito il processo presso il tribunale ecclesiastico, non era consentito di mutare arbitrato (vd.
COD. Theod. 1, 27, 1-2). Certamente la sentenza andava considerata definitiva e inappellabile:
pro sanctis habeatur, quidquid ab his fuerit iudicatum. Ultimo imperatore a legiferare in tema
di episcopalis audientia fu Valentiniano III (NOVELL. Valent. 35), il quale tra l’altro stabilì la
necessità di un compromissum tra le due parti nel momento in cui si decidesse l’intervento del
tribunale episcopale, ribadendo così la legge del 398 di Arcadio e Onorio, rimasta pressoché
inefficace, soprattutto in Gallia e in Italia (vd. VISMARA 1995b, pp. 173-175). Il foro ecclesiasti-
co non aveva una giurisprudenza particolare, ma seguiva la legislazione romana; e tuttavia «la
pratica quotidiana della giustizia, nei circoli cristiani, si colorava impercettibilmente di un idea-
le del giudice giusto associato all’Antico e al Nuovo Testamento» (BROWN 2003, p. 102), es-
sendo il giudice – episcopus un vir sanctus. Infine il foro episcopale favoriva anche il rapido
svolgimento dei processi, sgravando di tale incombenza i tribunali governativi, spesso so-
vraffollati e più soggetti a corruzione con sportulae di donativi (vd. p. es. LAMOREAUX 1995,
pp. 151-152; VISMARA 1995b, p. 43 n. 79; CARRIÉ 1998, pp. 17-30; ROUECHÉ 1998, pp. 31-36).
Sull’episcopalis audientia, tra l’ampia bibliografia storica e giuridica, vd. la fondamentale mo-
nografia di VISMARA 1937 (rivisto e completamente aggiornato nel 1995: vd. VISMARA 1995b);
quindi JERG 1970, pp. 56-66 (con ampia bibliografia); HEINZELMANN 1976, pp. 179-183; CUENA
BOY 1985; HARTMAN 1995, pp. 805-837; LAMOREAUX 1995, pp. 143-167; VISMARA 1995a, pp.
225-251; CONDORELLI 1997, pp. 13-44; interessante la lettura delle fonti giuridiche di SELB
1967, pp. 162-217; per la situazione della Gallia, vd. GASSMANN 1977, pp. 176-185; JAMES
1983, pp. 25-46; VISMARA 1995b, pp. 161-170.
15 Ruricio ritorna sul vincolo di amicizia che sta alla base del suo rapporto con Presidio. Per

la formula caritatis iure, vd. supra 2, 5 n. 1.


16 In epoca tardoantica spesso l’aggettivo riflessivo si incontra al posto di eius / eorum (e vi-

ceversa): vd. LHS II p. 175.


17 Crimen è termine tecnico, nel linguaggio sacramentale, per indicare il peccato, mutuato

ovviamente dall’ambito giuridico: vd. supra 2, 4 n. 73; BLAISE 1966, pp. 553-554. Non è ben
chiaro se Ruricio interceda per i due amici presso Presidio a titolo personale o come patronus.
Certamente, da quanto ci è dato di intendere, i due dovevano aver commesso qualcosa di vera-
mente grave; sul sistema del patronato episcopale in IV-V secolo, vd. supra 1, 1 n. 1.
18 Il codice S, dopo donare digneris, riporta la sequenza et infieri, la quale è omessa da epi-

st. 53. Non intravvedendosi validi emendamenti da parte degli studiosi (se non infectum fieri
del Mommsen), considerando anche l’epistola di cui sopra, riteniamo preferibile sopprimere la
forma anche nel testo in esame (vd. ThLL VII-1, col. 1432, 39-42).
19 In epoca tardoantica si va diffondendo la finale negativa introdotta da ut non (benché sia

attestata già in PLAUT., Stich. 588; TER., Andr. 394): in questo caso nec (= et non) costituisce di
fatto la marca negativa della finale retta da confundas. Vd. LHS II pp. 643-644.
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II, 12-13 283

20 Ruricio dunque valutò la colpa e la colpevolezza dei due nell’episcopalis audientia (vd.

supra n. 14), quindi inviò i due imputati da Presidio. Sul titolo humilitas, vd. supra 2, 8 n. 17.
21 Il testo di questa epistola, salvo lievi varianti, ritorna integralmente in epist. 2, 53.

2, 13
1Per la formula Domino gubernante, vd. supra 1, 12 n. 26. L’importanza del gubernator
per uscire illesi dal mare delle passioni è ben presente anche nella mens ambrosiana. Cfr. p. es.
in psalm. 47, 13: Naves autem de corporibus dixit, quae vago diversarum passionum fluctu
moventur et cito merguntur, nisi habeant gubernatorem. In modo particolare Cristo è il guber-
nator che guida a salvezza la nave della Chiesa in mezzo ai flutti (AMBR., epist. 5, 19, 5: […]
in huiusmodi navibus navigat Christus, et in puppe tamquam bonus gubernator tranquillo
quiescit mari).
2 L’immagine della vita umana, sballottata dalle passioni e dagli accadimenti, vanta un’am-

pia tradizione, classica e cristiana (vd. RAHNER 1971, pp. 455-966; sul tema dell’“arrivo in por-
to”, vd. in partic. pp. 939-966). Già Sap 5, 10 paragona l’esistenza umana a una navis quae per-
transit fluctuantem aquam. Anche il motivo del portus salutis, simbolo della verità cristiana e
della Chiesa, è piuttosto diffuso. In modo particolare Ambrogio così esplica la metafora mari-
naresca: Itaque non immerito inter tot mundi freta ecclesia Domini tamquam supra apostolicam
aedificata petram immobilis manet et inconcusso adversum impetus saevientis sali perseverat
fundamine. Alluitur undis, non quatitur, et licet frequenter elementa mundi huius magno illisa
resultent fragore, habet tamen quo laborantes excipiat, tutissimum portum salutis (epist. 7, 36,
1). Cfr. RURIC., epist. 1, 13, 1: Egone vos, qui ad portum veniae per paenitentiae indulgentiam
Domino gubernatore venistis?. Tuttavia, dal tenore della frase e dall’insistenza delle immagini,
in questo passo sembra di intravvedere qualcosa di più: probabilmente la conversio di Presidio
deve aver coinciso con la scelta monastica nel secolo (conversus) – cosa peraltro non rara in V-
VI secolo (vd. anche MATHISEN 1999, p. 155). Dunque il portus salutis sarebbe la nuova condi-
zione in cui Presidio aveva deciso di vivere (probabilmente da poco tempo). Portus salutis in-
dica anche l’asceterio, alla cui vita veniva assimilata quella del conversus. Cfr. AMBR., hex. 3,
5, 23: Mare est ergo secretum temperantiae, exercitium continentiae, gravitatis secessus, por-
tus securitatis, tranquillitas saeculi, huius mundi sobrietas; EUCHER., epist. ad Val. 828-830
Pricoco: Circumfer oculos et de pelago negotiorum quorum velut in quondam professionis no-
strae portum prospice proramque converte. Immagini simili in HIER., epist. 14, 6; PAUL NOL.,
epist. 4, 3-4; VINCENT. LER., comm. 1, 1; EUCHER., laud. her. 31. 33; EUSEB. GALLIC., hom. 38,
4; 40, 4; 51, 5; CAES. AREL., serm. 34, 4; 233, 8; 234, 1; 235, 2. Il fatto che egli abbia abbrac-
ciato una vita fatta di penitenza emerge specialmente ai §§. 5-6, alle cui note di commento si ri-
manda. Sui conversi, vd. GALTIER 1937, pp. 19-26 e RURIC., epist. 2, 15; 32 (nn. ad loc.).
3 Alla scena tempestosa descritta da Ruricio ben si attaglia l’etimologia varroniana di ratis:

Ratis dicta navis longa propter remos, quod hi, cum per aquam sublati sunt dextra et sinistra,
duas rates efficere videntur (ling. 7, 2). Ratis è voce per lo più poetica. La si incontra con fre-
quenza in Properzio, Ovidio, Seneca tragico, Lucano, i poeti epici flavi. In particolare, in PROP.
1, 20, 17 compare la iunctura applicuisse ratem, cui Ruricio ricorre in iperbato. Il verbo appli-
co è tecnico del linguaggio marinaresco e indica l’atto di ormeggiare la nave al porto.
4 L’uguaglianza fonica parziale del sintagma adversis ac diversis ingenera una forte parafo-

nia, a cui si aggiunge l’allitterazione della sibilante col successivo tempestatibus e i precedenti
in salo istius saeculi, quasi a riprodurre il soffio insistente del vento che agita le acque del ma-
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284 Commento

re. Il sintagma che segue (fluctuantem te ratem) continua e completa il fonosimbolismo: l’alter-
nanza di dentali e nasali unite a vocali chiare evoca l’effetto di sballottamento provocato dal
mare burrascoso e il rumore delle onde che si infrangono contro la barca. Da notare la parono-
masia perveniatis ad veniam (= 2, 53, 1; vd. anche epist. 2, 30, 1). Similmente cfr. ALC. AVIT.,
c. Eutych. 1 p. 15, 21-22: […] de quo praecipuae ac triumphalis venia in plenitudine veniat.
5 Cfr. FAUST. REI., epist. 9 p. 211, 20-22: […] quod piissimus meus Ruricius post vitae huius

iactationes ad portum religionis proram salutis Excelsi manu gubernante convertit. Per l’inci-
pit in salo saeculi, cfr. CYPR., ad Donat. 3: Ego […] cumque in salo iactantis saeculi nutabun-
dus ac dubius vestigiis oberrantibus fluctuarem vitae meae nescius; AMBR., in psalm. 118 serm.
5, 34, 2: In salo saeculi huius fluctuas, influit sentina vitiorum. Tuttavia vd. già SEN., epist. 20,
1; APUL., met. 4, 2, 1 e NAZZARO 1977, p. 47. Simili immagini nautiche in RURIC., epist. 1, 12,
3; 13, 1, alle cui note di commento pure si rimanda.
6 Cfr. AMBR., in psalm. 47, 13: Bene autem navigant, qui in navibus Christi crucem sicut arbo-

rem praeferunt atque inde explorant flabra ventorum, ut corpora sua dirigant ad Sancti Spiritus
gratiam, in ligno Domini tuti atque securi, nec permittunt naves suas vago fluctu errare per ma-
ria, sed ad portum salutis et ad consummationem gratiae cursus sui directione contendunt, ut fida
statione potiantur; EUCHER., epist. ad Val. 834-835. 836 Pricoco: Hic statio fidissima et quies cer-
ta […] hic blanda tranquillitas; EUSEB. GALLIC., hom. 51, 5: Beati [autem] patris merita, iam in
tuto posita securi, magnificemus: qui, gubernaculum fidei viriliter tenens, ancoram spei tranquil-
la iam in statione composuit; ENNOD., epist. 1, 1, 1 Gioanni: Dum salum quaeris verbis in statione
conpositis. Tuttavia il termine in questa accezione tecnica ricorre già VERG., Aen. 2, 23: […] et
statio male fida carinis; RUT. NAM. 1, 559: Puppibus ergo meis fida in statione locatis.
7 La gradatio ascendente (vd. supra 1, 4 n. 6) si conclude con la paronomasia pseudoetimo-

logica amari maris, restituita dalla congettura di HAGENDAHL 1952, p. 88. Il testo lacunoso ruri-
ciano è ricostruibile anche sulla base di SEN., nat. 3, 5, 1: Colaturque in transitu mare, quod per
multiplices terrarum anfractus verberatum amaritudinem ponit et pravitatem; STAT., silv. 2, 2,
17: […] et e terris occurrit dulcis amaro / nympha mari: il mare, amaro in sé a motivo dell’ac-
qua salina, diventa anche metaforicamente aspro, in quanto burrascoso. Cfr. AMBR., hex. 2, 3,
14: Mare ipsum ideo ferunt ipsi salsam atque amaram aquam habere; utile a tal proposito anche
l’interpretazione allegorica agostiniana di Ps 65, 6 (qui convertit mare in aridam): Mare erat
mundus; amarus salsitate, turbulentus tempestate, saeviens fluctibus persecutionum, mare erat;
certe in aridam conversum est mare; modo sitit aquam dulcem mundus, qui salsa plenus erat (in
psalm. 65, 11); cfr. infine il rilievo etimologico-semantico di ISID., orig. 13, 14, 1: Proprie au-
tem mare appellatum eo quod aquae eius amarae sint (vd. anche nat. 42). La stessa equivocità è
nell’aggettivo iniquus che, oltre a qualificare una persona ostile e ingiusta, indica l’irregolarità
di una superficie (DELL pp. 16-17), come quella del mare in tempesta. La iunctura mare ini-
quum è di matrice ovidiana (rem. 561: […] mare semper iniquum / cogitet). Il mare è infine de-
finito perfidus. Similmente cfr. già LUCR. 2, 557: Infidi maris insidias virisque dolumque / ut vi-
tare velint; VERG., georg. 1, 11: Et quando infidum remis impellere marmor / conveniat; PROP. 3,
7, 36: […] haud ulla carina / consenuit, fallit portus et ipse fidem; propriamente di perfidia ma-
ris parla CLAUD. DON., Aen. 5, 845 p. 525, 11-14: Datur hora quieti: dissoluti est enim dormire
ante tempus et, quia esse id ipsum tempus adserebatur, posset dici non esse dormiendum propter
perfidiam maris et navigationis incertum. Sulla simbologia del ”mare amaro” e del ”mare catti-
vo”, connesso al tema del ”mare del mondo”, vd. RAHNER 1971, pp. 459-509.
8 Costrutto ellittico del verbo, il quale si evince dal contesto. I due cola correlativi ut parum

formidinis, ita multum gaudii vengono a costituire due costrutti antifrastici a successione paral-
lela, con lieve gradatio ascendente (vd. supra 1, 4 n. 6).
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II, 13 285

9 Ruricio ipercaratterizza l’eloquio attraverso un uso sovrabbondante della prefissazione: re-

tro derelictos respicis. Il prefisso re- esprime pertanto con pregnanza un “movimento all’indie-
tro”. Sulla polisemia del preverbio re-, vd. MOUSSY 1997, pp. 227-242.
10 In questa lunga frase iniziale domina il prefisso cum- in composizione: congaudeo – con-

positus – constitutus, nel primo caso con valore unitivo, quindi risultativo. Sul valore di conpo-
situs – constitutus in età tardoantica, vd. supra 1, 1 n. 10; BLAISE 1955, p. 194; NORBERG 20053,
p. 27.
11 Cfr. RURIC., epist. 1, 13, 1: Egone vos, qui me adhuc in saeculi turbinibus tamquam in ma-

ris aestibus cumba instabili fluctuantem quasi iam de sublimiori specula vel eminentiori colle
respicitis?, e n. ad loc.
12 È ancora la prefissazione a dare maggiore espressività alla frase: il verbo despicere man-

tiene nel presente caso equivocamente unite le due accezioni di ”guardare dall’alto in basso”
(come accade quando si è in celsiori specula) e di “disprezzare”. Si noti anche l’adnominatio
(RHET. Her. 4, 21, 29: Adnominatio est, cum ad idem verbum et nomen acceditur commutatione
vocum aut litterarum, ut ad res dissimiles similia verba adcommodentur; vd. anche QUINT., in-
st. 9, 3, 66) con mutamento organico respicis – despicis, ripresa dal successivo aspicias.
13 In questi ultimi tre periodi posti a chiusura di questo articolato incipit di lettera prevale la

sfera sensoriale visiva: si vedano i corradicali respicio – despicio e il verbo miror.


14 Cfr. PETR. CHRYS., serm. 8, 1: […] et subducti terris speculemur caelum, ut ducatu signo-

rum caelestium inter liquidos calles latentis viae inoffensum tramitem tenere possimus.
15 Ruricio continua la metafora marinaresca, esortando, come già in epist. 1, 12, 3 (vd. in par-

tic. n. 25), a una sorta di “cabotaggio esistenziale”. Un po’ stucchevole l’insistenza sul linguag-
gio nautico che gonfia la metafora oltre il dovuto. Quanto all’ultimo colon (in vicina litoribus
saxa conlidat), vi soggiace come ipotesto CASSIAN., c. Nest. 7, 1, 1: Quod evenire his solet qui,
cum pelagus iam evaserint, aut praetentas portubus syrtes aut vicina litoribus saxa formidant.
16 Cfr. Lc 9, 62: Ait ad illum Iesus: «Nemo mittens manum suam in aratrum et aspiciens re-

tro aptus est regno Dei».


17 Per il comando negativo espresso con ne + cong. pres., vd. LHS II pp. 336-338.
18 Cfr. RURIC., epist. 1, 17, 4: […] retrorsum semper respicientes, e n. ad loc. Della moglie di

Loth, mutata in sale dopo essersi voltata a guardare la rovina di Sodoma, si narra in Gn 19, 26.
19 Cfr. Ex 14, 29: Filii autem Israhel perrexerunt per medium sicci maris et aquae eis erant

quasi pro muro a dextris et a sinistris.


20 Si notino i due costrutti paralleli antistrofici tantum tibi ferentes auxilium et persequenti-

bus te parantes exitium, con abbondanza di figure di suono e poliptoto pronominale.


21 Cfr. Ex 16, 3: […] dixeruntque ad eos filii Israhel: «Utinam mortui essemus per manum

Domini in terra Aegypti, quando sedebamus super ollas carnium».


22 Cfr. Nm 11, 5: […] in mentem nobis veniunt cucumeres et pepones porrique et cepae et

alia. La lacrimosa caepa (COLUM. 10, 123) diventa segno dell’insoddisfazione ingrata del po-
polo eletto (e quindi anche del cristiano), non riconoscendo i benefici di Dio né mettendosi a di-
sposizione a progredire sulla via della virtù. L’episodio della moglie di Loth è affiancato a quel-
lo della mormorazione del popolo nel deserto in RUFIN., Orig. in Gen. 5, 5 p. 63, 11-17: Huius
uxorem illum populum ponimus, qui de Aegypto profectus et de mari rubro ac persecutione
Pharaonis tamquam de Sodomiticis ignibus liberatus rursum carnes et ollas Aegypti et caepas
cucumeresque desiderans retro respexit et cecidit in deserto, factus etiam ipse concupiscentiae
memoria in eremo. Ibi ergo lex primum illum populum tamquam Loth retro respicientem perdi-
dit ac reliquit uxorem. Le cipolle diventano pertanto segno del peccato e della voluttà del mon-
do in HIL., in psalm. 51, 6; SALV., gub. 1, 10; GREG. M., mor. 20, 15; ISID., expos. in num. 17, 7.
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23 Il tricolon con amplificatio sillabica e variatio conclude il lungo periodo, fitto di remine-

scenze bibliche e densamente retorico, in cui domina l’iperbato, quasi a rendere tangibili le dif-
ficoltà contro le quali il vescovo di Limoges mette in guardia Presidio. Quanto alle sintetiche
informazioni sulle caratteristiche della cipolla, cfr. PLIN., nat. 19, 101: Omnibus (scil. alia et
cepae) etiam odor lacrimosus; 103: Ascaloniarum propria natura. […] Festinandum autem in
iis est, quoniam maturae celeriter putrescunt. Si deponantur, caulem emittunt et semen ipsae-
que evanescunt; 115: Alii contenti sunt primo super prunas suspendisse abundeque ita profici
arbitrantur, ne germinent, quod facere alium cepamque extra terram quoque certum est et cau-
liculo acto evanescere.
24 La lunga enumeratio asindetica ha come fonte FAUST. REI., epist. 9 p. 213, 26-27 - p. 214,

1-3: Quicquid enim pulchrescit visu, quicquid blanditur odoratu, quicquid lenocinatur adtactu,
quicquid dulcescit gustu, quicquid corrumpit auditu, haec omnia, si his abutamur, intentionem
mentis de spiritalibus ad terrena devolvent. Tuttavia Ruricio varia, strutturando la frase secon-
do una duplice serie di cola paralleli, selezionando abilmente le parole per conferire all’eloquio
maggiore espressività fonica: mulcet - mollescit; auditu – adtactu - aspectu; capiat – teneat -
occidat. Similmente cfr. RURIC., epist. 1, 5, 2: Hoc namque tempore cuncti orbis species redivi-
va reparatur et, quicquid in eo situ squalidum, frigore turbidum, glacie concretum, nuditate
deforme, ariditate praemortuum hactenus fuit, […] Et hinc, quod deliciis suave, quod esui dul-
ce, quod usui utile, quod victui necessarium, quod visui iucundum, quod olfactui gratum, quod
tactui blandum, omne producit; 18, 2: Nec animum tuum iam Deo dicatum aut a coepto itinere
blandior visus avocet aut modulatior corrumpat auditus aut dulcior gustus inficiat aut mollior
sollicitet tactus aut suavior odoratus inliciat.
25 Frase piuttosto ermetica. I due dicola paralleli, con amplificatio conclusiva, definiscono

con lapidarietà la sorte di chi si affida ai piaceri mondani. Secondo il suo stile, Ruricio sfrutta
ampiamente le possibilità offerte dalla composizione verbale, creando varietà all’interno della
regolarità dei costrutti. Similmente cfr. EUSEB. GALLIC., hom. 14, 3: Fecit quisque peccatum, ut
aliquam corporalem caperet voluptatem: remanet quod damnat, praeterit quod delectat; con-
summata iniquitas permanet, voluptas fugitiva pertransit; CAES. AREL., serm. 41, 3: Vere enim
nimium plangenda et miseranda condicio est, ubi cito praeterit quod delectat, et permanet sine
fine quod cruciat.
26 Ruricio fonde e modifica liberamente due versetti della Scrittura: Favus enim stillans la-

bia meretricis et nitidius oleo guttur eius, novissima autem illius amara quasi absinthium et
acuta quasi gladius biceps (Prv 5, 3-4).
27 Salomone, secondo quanto ci informa il terzo libro dei Re al capitolo 11, intrattenne rap-

porti amorosi con molte donne provenienti dalle terre vicine, addirittura arrivando ad adorare
divinità pagane. Dio lo punì, mettendo a repentaglio l’integrità del suo regno.
28 Frase dal ritmo spezzato, densamente retorizzata: da notare l’homonymum quod (pronome /

congiunzione); le costruzioni parallele dum detestatur, admittittur – dum refugitur, vix vitatur,
con homoeoteleuton e alliterazione delle dentali; l’homoeoprophoron vix vitatur; il consueto uso
abbondante della prefissazione verbale.
29 Prv 4, 23.
30 Il verbo discutere, dal significato di “scuotere”, passa, verso la fine del II secolo, a quello

di “esaminare”, “ricercare attentamente”. Cfr. VET. LAT. Iob 36, 23: Quis est qui discutat opera
eius (VULG.: poterit scrutari); TERT., pud. 11, 1: […] parabolarum quidem discussa iam quae-
stio est.
31 La difficoltà a fuggire il peccato, anche dopo averlo individuato è sottolineato dall’o-

meoptoto parafonico aspectu - affectu.


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II, 13 287

32Cfr. Ps 62, 9: Adhaesit anima mea post te, me suscepit dextera tua.
33Notevole lo sforzo di Ruricio di ricorrere al medesimo radicale verbale (haereo – adhae-
reo) per esprimere la medesima azione secondo un’ottica ora negativa ora positiva.
34 Cfr. Ps 72, 28: Mihi autem adhaerere Deo bonum est, ponere in Domino Deo spem meam.
35 Cfr. 2Tim 2, 3-4: Labora sicut bonus miles Christi Iesu. Nemo militans inplicat se negotiis

saecularibus ut ei placeat cui se probavit (vd. anche l’articolata metafora militare di Eph 6, 10-
18). A tal proposito, vd. LORIÉ 1955, pp. 102-105. Si noti il sostantivo instantia, che nella lette-
ratura agiografica e monastica, indica il costante sforzo di chi si applica all’a[skhsi~ nella pre-
ghiera e nella mortificazione. «”Instantia” stresses the constant energy in the practice of virtue
and mortification. In common speech “instantia” signifies immediate proximity, presence; figu-
ratively it denotes unremitting diligence, perseverance, insistence in argument and in pleading»
(LORIÉ 1955, p. 77). Similmente anche il verbo servio fa parte del lessico dell’ascesi, indicando
l’atteggiamento del famulus che presta a Dio il proprio servizio (studium servitutis in Dei
opere): vd. LORIÉ 1955, pp. 78-79. 87-88.
36 Cfr. Rm 6, 19-22: Humanum dico propter infirmitatem carnis vestrae: sicut enim exhibui-

stis membra vestra servire inmunditiae et iniquitati ad iniquitatem, ita nunc exhibete membra
vestra servire iustitiae in sanctificationem. Cum enim servi essetis peccati liberi fuistis iusti-
tiae. Quem ergo fructum habuistis tunc in quibus nunc erubescitis? Nam finis illorum mors est.
Nunc vero liberati a peccato, servi autem facti Deo, habetis fructum vestrum in sanctificatio-
nem, finem vero vitam aeternam.
37 Cfr. RURIC., epist. 2, 15, 7: Quia paenitentia non nomine tantum obtinenda, sed actu est

exsequenda, paenitentia non est nomen otiosum, quae ex qualitate operis possidet laboriosa
vocabulum; POMER. 2, 4, 2: Hi sunt qui sermone tantum, non opere, saeculo renuntiasse con-
tenti saeculariter vivunt; GENNAD., dogm. 54: Paenitentia vera est, paenitenda non admittere,
et admissa deflere; CAES. AREL., serm. 62, 1: Ad emundanda enim crimina vox paenitentis sola
non sufficit: quia in satisfactione ingentium peccatorum non verba tantum, sed opera quaerun-
tur. A tal proposito, vd. anche infra 2, 15 n. 60.
38 Cfr. Rm 7, 21-22: Condelector enim legi Dei secundum interiorem hominem, video autem

aliam legem in membris meis repugnantem legi mentis meae; vd. anche supra 1, 15 n. 5.
39 Cfr. Rm 10, 10.
40 Cfr. RURIC., epist. 1, 8, 1: […] conscientia conpungente confessi (vd. n. ad loc.), col me-

desimo homoeoprophoron preposizionale.


41 Cfr. AMBR., paenit. 2, 5, 37: Advertimus quomodo agenda sit paenitentia, quibus sermoni-

bus, quibus fletibus, ut peccati dies dies confusionis appellet; confusio est enim quando Chri-
stus negatur.
42 I due cola pressoché paralleli sono uniti anche dalle figure di suono e di stile: l’homoeo-

prophoron conscientia conpungente concipiat / confessione confusioni (quest’ultimo con paro-


nomasia); l’isosillabia della locuzione cor nostrum / os nostrum; la parafonia della coppia mini-
ma eos / os.
43 Delle tre citazioni salmiche, solo una appartiene al salmo 50, la preghiera penitenziale per

eccellenza. La recita dei salmi come medicina spirituale rientra tra le opere di penitenza e si
diffonderà soprattutto a partire dalla metà del VI secolo con l’avvento dei libri penitenziali e
della “penitenza tariffata” (vd. RIGHETTI IV, pp. 253-258). Similmente, vd. le successive testi-
monianze di CAES. AREL., serm. 6, 3: Quanto celerius et melius quicumque rusticus vel quae-
cumque mulier rusticana, quanto utilius poterat et symbolum discere, et orationem dominicam,
et aliquas antiphonas, et psalmos quinquagesimum vel nonagesimum et parare et tenere et fre-
quentius dicere, unde animam suam et Deo coniungere, et a diabolo liberare?; 134, 1: Oportu-
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288 Commento

ne ergo propter adsiduam conpunctionem paenitentiae psalmum quinquagesimum vobis omni


die cantamus; vd. anche BONIF., paenit. (PL 89 col. 887); DHUODA 6, 4, 20-27.
44 Ps 37, 9.
45 Cfr. Ps 50, 5: Quoniam iniquitatem meam ego cognosco et peccatum meum contra me est

semper; VET. LAT. Ps 50, 5: Quoniam iniquitatem meam (iuxta Hebr.: iniquitates meas) ego
agnosco, et delictum meum contra me est semper.
46 Cfr. Ps 37, 19: Quoniam iniquitatem meam adnuntiabo (VET. LAT. Ps 37, 19: ego pronun-

tio) et cogitabo pro peccato meo.


47 Cfr. Is 43, 26: […] narra si quid habes ut iustificeris; VET. LAT. Is 43, 26: Dic tu primus

(codd.: prior) iniquitates tuas ut iustificeris. Similmente cfr. EUSEB. GALLIC., hom. 26, 6: Ergo,
carissimi, unusquisque respiciens se, arguat intra se gesta improba, et ante se constituat pecca-
ta sua, pronuntians cum propheta: et delictum meum contra me est semper. Ante nos sit, ut con-
tra nos esse non possit.
48 Il secondo termine di paragone costruito con ab + abl. (del tipo doctior ab illo), relativa-

mente diffuso in età tardoantica e medievale, sembra affondare in costrutti preposizionali pre-
senti sia in prosa che in poesia già nel latino classico per esprimere una determinata posizione in
una serie, soprattutto con aggettivi numerali ordinali, come nel caso presente (cfr. PLAUT.,
Pseud. 960: Hoc est sextum a porta proxumum angiportum; HOR., sat. 2, 3, 293: […] cur Aiax,
heros ab Achille secundus). o separazione col comparativo di avv. / agg. (VARRO, rust. 1, 2, 16:
Quocirca ea succincti pastorali quod est inferior, ut tibia sinistra a dextrae foraminibus; VAL.
MAX. 9, 12, 6: […] uno gradu a publico supplicio manuque carnificis citerior). DEROUX 1973,
pp. 709-719 contesta il valore comparativo del costrutto ab + abl. in OV., Pont. 4, 5, 26 e PLIN.,
nat. 18, 126; 35, 198 – tradizionalmente addotti come prova della presenza del costrutto in que-
stione nel latino classico – chiarendone il valore separativo. Ricorrente nel linguaggio biblico
delle traduzioni pregeronimiane, esso è influenzato probabilmente dalla forma preposizionale
ebraica del comparativo. I grammatici, nel rilevarne l’uso scorretto (SERG., gramm. IV 492, 11-
12: Sed illud quamvis et rationem et auctoritatem habeat, in usus tamen non est, ut dicamus for-
tior ab illo; POMP., gramm. V 157, 25-26: Doctior illo debeo dicere, non aut doctior ab illo aut
doctior quam ille) o raro (SERV., gramm. IV 407, 25-29), vi fanno talora ricorso, come DON.,
Ter. Phorm. prol. 5, 2: […] revera autem hoc deterior a Menandro Terentius iudicabitur; CLE-
DON., gramm. V 38, 28-29: A positivo: comparativus aliquotiens minus a positivo significat; vd.
anche SERG., gramm. IV 481, 22; IULIAN. TOL., ars 1, 1, 42-43. A tal proposito vd. LÖFSTEDT
Synt. I, pp. 256-258; DEROUX 1973, pp. 709-719; CARRACEDO FRAGA 2003, pp. 50-61.
49 Nel latino tardo si diffonde la forma in + abl. con valore strumentale, come fa notare LÖF-

STEDT Synt. II, pp. 452-457; LHS II, p. 126; molto diffusa nella Vulgata: Reges eos in virga fer-
rea (Ps 2, 9); Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo qui procedit de ore Dei (Mt 4, 4);
ecc. L’origine di questo costrutto sarebbe semitica – mediata dalla Sacra Scrittura – «perché in
ebraico una medesima particella indicava sia il rapporto locale che lo strumentale: i Greci lo
trascrissero con ejn o ejpiv, che i Latini a loro volta trascrissero con in, contro la logica del loro
sistema linguistico» (TRAINA-BERNARDI PERINI 19955, p. 23 n. 5).
50 La lunga epistola si conclude col cursus velox próferat in futúro che, con la sua ampiezza

ritmica, proietta la frase in una dimensione quasi atemporale.

2, 14
1 Il suddiacono Contento ci è noto solo da questa epistola ruriciana. Accanto all’importanza
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II, 13-14 289

del latore della lettera ai fini di esplicitarne dettagliatamente i contenuti,va rilevato che, mentre
gli aristocratici ricorrevano per lo più a membri della loro familia o a servi per il recapito delle
missive, gli ecclesiastici tendevano maggiormente a incaricare i chierici (vd. p. es. RURIC., epist.
2, 29, 1). A tal proposito, vd. CALTABIANO 1996, pp. 125-131; MRATSCHEK 2002, pp. 274-307.
2 L’ablativo assoluto affectu instigante sembra essere debito di CASSIAN., conl. 16, 2, 2: Nam

pullos vel catulos suos naturali affectu instigante sic protegunt ac defendunt. La Conlatio XVI è
significativamente dedicata al tema dell’amicizia: l’uso sembra pertanto essere allusivo, dato il
tenore della lettera. Ruricio omette l’aggettivo naturalis che qualificava affectus nell’opera di
Cassiano, quasi a voler evidenziare che la scelta di scrivere una lettera è dettata da un consape-
vole legame di amicizia, non semplicemente da un istinto naturale. In questo, chiarisce Cassia-
no, infatti sta la vera amicizia: Haec est vera et indisrupta dilectio, quae gemina amicorum per-
fectione ac virtute concrescit, cuius semel initium foedus nec desideriorum varietas nec conten-
tiosa disrumpet contrarietas voluntatum (conl. 16, 3, 2). L’espressione ritorna ancora in RURIC.,
epist. 2, 52, 1.
3 Cfr. RURIC., epist. 1, 3, 1: Scribendi mihi ad unanimitatem tuam aditum […] patefecit af-

fectus.
4 Le due proposizioni finali sono contrassegnate da abbondanza di retorica: si noti l’ugua-

glianza fonica parziale dei verbi satisfacerem - patefacerem; il poliptoto enfatico prius – prior;
la sequenza allitterante con assonanza della vocale chiara /e/ utpote patefacerem.
5 Per il titolo beatitudo, vd. supra 1, 15 n. 25.
6 Cfr. RURIC., epist. 1, 16, 2: Quam ob rem salve in Christo Domino plurimum dicens. La lo-

cuzione salutem plurimam (dicere) è attestata per la prima volta in un frammento luciliano tra-
dito da Nonio Marcello per attestare l’uso della forma inpertit: sospitat, inpertit salutem pluri-
mam et plenissimam (p. 757, 14). Essa sembra essere già comune nel I secolo a. C., essendo
usata con disinvoltura nell’epistolario ciceroniano. Pare non avere avuto grande fortuna in età
tardoantica: a essa si preferisce la forma del verbo saluto accompagnato dall’avverbio pluri-
mum. Testimonianze, oltre che in Ruricio (vd. anche epist. 2, 52, 3), in EPIST. Austras. 23, v. 4
(salutem dico plurimam), epistola metrica del vescovo Auspicio di Toul al comes di Treviri Ar-
bogaste. Vale la pena notare come sia Arbogaste che Auspicio fossero corrispondenti di Sidonio
Apollinare (vd. epist. 4, 17 ad Arbogaste; 7, 11 (10) ad Auspicio). Pertanto la presenza della
formula nell’epistolario ruriciano può acquisire significato nella misura in cui il suddetto com-
ponimento del vescovo di Toul sia stato noto a Ruricio. La lettera metrica di Auspicio ad Arbo-
gaste, tralasciando le varie ipotesi di datazione (su cui vd. MALASPINA 2001, p. 270 n. 514), si
può verisimilmente collocare al primo lustro degli anni ’70 del V secolo.
7 L’opposizione sembra avere un’eco biblica. Cfr. p. es. Mt 15, 7-8: Hypocritae! Bene

prophetavit de vobis Esaias dicens: “populus hic labiis me honorat, cor autem eorum longe
est” (vd. Is 29, 13; Mc 7, 6); 1Ioh 3, 18: Filioli, non diligamus verbo nec lingua, sed opere et
veritate.
8 Ruricio usa parole molto forti nei confronti dei due sacerdoti, rinfacciando loro un muta-

mento nei vincoli di amicizia reciproca, o meglio, lo svelamento di un sentimento di affetto che
non era reale. Molto efficace la contrapposizione tra la caritas sincera e pristina: quasi a dire
che, nell’impossibilità di recuperare un rapporto come quello passato, apparso poi essere ipo-
crita, almeno i due si sforzino di essere sinceri nel presente. Le affermazioni proseguono in tal
senso, suggellate dal bel chiasmo finale con paronomasia e poliptoto: si fuisset mutua, mutata
non fuerat, che prosegue nella frase successiva (A cuius tamen fuerit parte mutata). Il fatto che
l’amicizia vera dovesse essere eterna era già proverbialmente noto agli antichi. Cfr. p. es. CIC.,
Lael. 9: […] verae amicitiae sempiternae sunt; LIV. 40, 46, 12: Vulgatum illud in proverbium
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venit, amicitias immortales, mortales inimicitias esse debere. Ma cfr. anche HIER., epist. 3, 6:
[…] amicitia quae desinere potest, vera numquam fuit. Vd. pure OTTO 1962, p. 19.
9 Il chiasmo con poliptoto verbale mutata non fuerat - a cuius tamen fuerit parte mutata è

inquadrato dall’anafora del participio passato mutata (redditio). Questa inclusio sottolinea con
forza la responsabilità dei due sacerdoti nell’aver posto in essere la situazione di inimicizia.
10 Cognitor, adsertor, testis, professio sono termini tecnici che provengono dalla sfera giuri-

dica. In particolare il primo indica il rappresentante che compare in giudizio loco domini
(GAIUS, inst. 4, 83. 97), simile al procurator (vd. ISID., diff. 1, 430 Cod.) oppure il giudice
istruttore (COD. Theod. 9, 27, 5); il secondo colui che può testimoniare in tribunale la condizio-
ne di libertà o di schiavitù di qualcuno (FEST. p. 340). Cognitor, generalmente specificato da un
genitivo, diventa molto presto epiteto della divinità cristiana e penetra nel linguaggio omiletico
e teologico. Cfr. p. es. VET. LAT. Dn 13, 42: Deus aeterne qui occultorum cognitor es (cfr. Sir 7,
5: Non te iustifices ante Deum quoniam agnitor cordis ipse est); HIL., trin. 6, 33: […] cum om-
nium cognitor est (scil. Deus); PETR. CHRYS., serm. 142, 8: Quia pectorum cognitor non verba,
sed corda pervidit; non quid dixerint, sed quid senserint iudicavit; FAUST. REI., grat. 2, 10 p.
87, 29: Novit, quid in occulto homini dederit cognitor occultorum; ecc. Tuttavia il lemma man-
tiene il significato di “giudice”, come si nota p. es. in AUG., epist. 144, 3 (ecclesiastici cognito-
res); VICT. VIT. 2, 53. Adsertor diviene ben presto sinonimo di “difensore”, “propugnatore”.
Sull’usus classico di questi due termini, vd. rispettivamente L EIST in RE IV, 222-224 e
LEONHARD in RE I, 422-423. Da un punto di vista retorico, si noti la presenza in composizione
della preposizione cum e la figura etimologica cognoscitor – cognoscit.
11 Cfr. Mt 6, 12: Et dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimisimus debitoribus nostris;

14: Si enim dimiseritis hominibus peccata eorum, dimittet vobis Pater vester caelestis delicta
vestra; Lc 6, 37: Nolite iudicare et non iudicabimini, nolite condemnare et non condemnabimi-
ni, dimittite et dimittemini. Similmente vd. Mc 11, 26; 2Tim 4, 8; Hbr 12, 23.
12 Le due frasi parallele antistrofiche ben declinano mimeticamente la metafora del vincu-

lum, che con la sua morsa può mantenere utilmente insieme due realtà oppure annientarle con
una presa soffocante. A livello fonosimbolico, nel primo colon è evidente l’allitterazione / asso-
nanza nel nesso caritatis… constringat et custodiat, che viene così enfaticamente isolato; nel
secondo l’homoeoprophoron del preverbo per- con valore negativo (perfidia - perdat) e la ripe-
tizione delle dentali nella clausola innéctat et pérdat (cursus planus) evidenzia icasticamente le
conseguenze della slealtà nei rapporti di amicizia.
13 Per l’ordine negativo espresso con ne + cong. pres., vd. supra 2, 13 n. 17.
14 Similmente già CIC., Lael. 9: Nam si utilitas conglutinaret amicitias, eadem commutata

dissolveret; 25: […] habendum est nullam in amicitiis pestem esse maiorem, quam adulationem
blanditionem assentationem […] Cum autem omnium rerum simulatio vitiosa est, tollit enim
iudicium veri idque adulterat, tum amicitiae repugnat maxime; delet enim veritatem, sine qua
nomen amicitiae valere non potest. In positivo cfr. CASSIAN., conl. 16, 3, 4: Quamobrem haec
est amicitiae ut diximus fida insolubilisque coniunctio, quae sola virtutum parilitate foedera-
tur: Dominus enim inhabitare facit unius moris in domo. L’episodio che questa epistola ci testi-
monia rende evidente quanto fosse difficile mantenere l’equanimità del giudizio in cause che
vedevano coinvolti amici, con il rischio di compromettere il rapporto amicale. In questo senso
cfr. già POSSID., vita Aug. 19, 2, il quale ricorda come il vescovo di Ippona preferisse giudicare
tra sconosciuti che non tra amici, eo quod de incognitis, pro quo arbitra aequitate iudicaretur
amicum posset adquirere, de amicis vero unum esset, contra quem sententia proferretur, perdi-
turus. Quanto all’imparzialità e alla rettitudine del giudice ecclesiastico, valga quanto afferma-
to perentoriamente da Gerolamo: Iustus quoque et sanctus episcopus esse debet, ut iustitiam in
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II, 14 291

populis quibus exerceat, reddens unicuique quod meretur: nec accipit personam in iudicio. In-
ter laici autem et episcopi iustitiam hoc interest, quod laicus potest apparere iustus in paucis,
episcopus vero in tot exercere iustitiam potest, quot et subditos habet (in Tit. 1, 8-9): «La giu-
stizia del magistrato e quella del vescovo non stanno sullo stesso piano [...] Il giudizio del ma-
gistrato si esaurisce nel tribunale, quello del vescovo si espande nella società» (V ISMARA
1995b, p. 97).
15 «Il concorso di giurisdizione secolare e giurisdizione ecclesiastica [...] stanno nello spirito

religioso, che è proprio del giudice ecclesiastico, e nel fine del suo giudizio, che si propone la
riconciliazione tra le parti per il sostegno della società cristiana» (VISMARA 1995b, p. 99; vd.
anche LAMOREAUX 1995, p. 154).
16 Da quanto emerge, si apprende che Villico e Fedamio furono protagonisti di un’azione

giudiziaria presso un tribunale episcopale, nella quale fu coinvolto anche Ruricio, probabilmen-
te quale patronus dei due (vd. supra 2, 12 n. 14). Come già si è notato, la seconda parte dell’e-
pistola è dominata dal linguaggio giuridico, che come un sottile ed equivoco fil rouge, conduce
all’esplicitazione del motivo reale dei dissapori tra il presule limosino e i due sacerdoti: proba-
bilmente si sarebbero attesi un intervento di Ruricio più accomodante, in virtù dei vincoli ami-
cali. Di Ruricio emergono invece la profonda onestà morale e il senso del dovere, che lo rendo-
no libero da favoritismi: definitionis meae est in amicitiis servare concordiam et in iudiciis te-
nere censuram (un motto quasi proverbiale). Mi sembra possibile concordare con la tesi di
MATHISEN 1999, pp. 157-158, secondo cui Fedamio sarebbe il medesimo personaggio di cui si
parla in epist. 51, accusato di aver disperso una mandria di maiali in una proprietà terriera am-
ministrata da un tale Sindilla, nella diocesi di Auxerre, sotto l’episcopato del vescovo Censorio.
È noto infatti che i sacerdoti delle parrocchie rurali, in aggiunta al patrimonio (spesso non mol-
to elevato) legato alle medesime, potevano svolgere alcune attività agricole o di altro genere,
purchè ciò non andasse a detrimento del loro ministero pastorale. In questi termini cfr. STAT. ec-
cl. ant. p. 171, 82-83: Clericus victum et vestimentum sibi artificiolo vel agricultura absque of-
ficii sui dumtaxat detrimento praeparet; p. 173, 115-116: Omnes clerici qui ad operandum vali-
di sunt, et artificiosa et litteras discant; p. 179, 192-193: Clericus, quamlibet verbo Dei erudi-
tus, artificio victum quaerat. Tuttavia il terzo canone del Concilio di Calcedonia (a. 451 p. 88,
20 ss.) mette in guardia dagli abusi: Pervenit ad sanctam synodum, quod quidam qui in clero
videntur allecti, propter lucra turpia conductores alienarum possessionum fiant et saecularia
negotia sub cura sua suscipiant, Dei quidem ministerium parvipendentes, saecularium vero di-
scurrentes domos, propter avaritiam patrimoniorum sollicitudines assumentes. Decrevit itaque
sanctum hoc magnumque concilium, nullum deinceps, non episcopum non clericum vel mona-
chum, aut possessiones conducere aut negotiis saecularibus sese miscere, praeter pupillorum,
si forte curam inexcusabilem leges inponant, aut civitatis episcopus ecclesiasticarum rerum
sollicitudinem habere praecipiat, aut orphanorum et viduarum earumque, quae sine ulla provi-
sione sunt, personarum, quae maxime ecclesiastico indigent adiutorio, propter timorem Domini
causa deposcat. Si quis autem transgredi de cetero statuta temptaverit, huiusmodi ecclesiasticis
increpationibus subiacebit.
17 Sull’uso del costrutto in + abl. con valore finale, vd. infra 2, 42 n. 7.
18 Il sostantivo insequella (< insequor) è hapax ruriciano, costruito sul modello di obsequel-

la (< obsequor), di cui risulta essere sinonimo (vd. MOUSSY 2002, p. 96). La perfetta isocolia
dei due periodi paralleli con iperbato chiude sentenziosamente questa lettera in cui il vescovo
di Limoges ha ben difeso, con le armi della dottrina e della retorica, la propria posizione.
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2, 15
1 Venerabilis è titolo comune per ecclesiastici e laici (vd. O’BRIEN 1930, pp. 124). Più raro è

l’appellativo magnificandus, recensito sia da ENGELBRECHT 1892, p. 77 che da O’BRIEN 1930,


p. 109 soltanto in due loci: oltre al presente, nell’intestazione della lettera scritta da Greco, ve-
scovo di Marsiglia, a Ruricio, la prima nella raccolta di lettere inviate al vescovo di Limoges.
2 Consueto passaggio dal vos al tu, per cui vd. supra 1, 1 n. 11.
3 Adventus è termine tecnico per indicare il sopraggiungere nelle province di un pubblico uf-

ficiale (magistrato, proconsole, imperatore): vd. CIC., Manil. 13; Verr. 5, 121; LIV. 39, 21, 10;
VAL. MAX. 9, 1, 5; PLIN., epist. 3, 7, 6; 10, 10, 2; ULP., dig. 1, 16, 4, 3, et alii. Ma l’adventus di-
venterà anche l’omaggio festoso dei fedeli al sopraggiungere di un vescovo o di un santo, die-
tro suggestione non solo del cerimoniale imperiale, ma anche del tributo di onore che lo stesso
Gesù ebbe a ricevere dalla folla al suo ingresso in Gerusalemme (vd. Mt 21, 1-11). Un esempio
eloquente ne è l’accoglienza degli Arlesiani nei confronti del loro pastore Cesario, in ritorno
dall’esilio, tra l’inverno del 505 e la primavera del 506, al cui tripudio si aggiunge anche un in-
tervento divino: «Come dunque fu annunciato che l’uomo di Cristo ritornava e stava rapida-
mente raggiungendo la città, gli esce incontro tutta quanta la comunità, e uomini e donne con
ceri e croci salmodiando in attesa dell’ingresso in città del santo (sancti viri opperiens introi-
tum). E, poichè Cristo fa esultare i suoi con prodigi e sbaraglia i perfidi con la luce manifesta
dei miracoli, all’arrivo del suo servo (in adventu servi sui) il Signore inondò la terra, arida per
una lunghissima siccità, di un’abbondantissima pioggia, affinchè seguisse abbondanza di frutti
al ritorno dell’amministratore a lui gradito» (VITA Caes. Arel. 1, 26; trad. E. Bona). Adventus
infine, nel linguaggio teologico cristiano, indicherà anche la duplice venuta di Cristo, nella car-
ne e nella gloria (vd. p. es. IREN. 4, 33, 1). Sul cerimoniale dell’adventus in età tardoantica, vd.
MCCORMACK 1972, pp. 721-752; FRASCHETTI 1999, pp. 243-269; sulle reciproche influenze
ideologiche tra adventus Augusti e adventus Christi, vd. l’ampio e documentato studio di DU-
FRAIGNE 1994; quindi RODDY 2000, pp. 147-179; VITIELLO 2000, pp. 551-580.
4 Iudex, in età tardoantica, si desemantizza progressivamente, venendo a indicare svariati

uffici di funzionari collegati all’amministrazione pubblica o, in età romano-barbarica, diverse


dignità delle corti barbare. Così HIER., epist. 52, 11 parla di iudex provinciae e similmente
PAUL. NOL., epist. 49, 15 di iudex provincialis, intendendo il governatore della provincia; COD.
Iust. 1, 3, 32 (a. 472) parlerà di iudices come provinciarum rectores. Non è possibile inferire
chi sia il nuovo governatore giunto in Aquitania cui Ruricio fa riferimento (vd. ENGELBRECHT
1892, p. 85; MATHISEN 1999, p. 159 n. 3).
5 Per la formula Deo propitio, vd. supra 1, 14 n. 11.
6 La frase non è immediatamente chiara. Successivamente sarà possibile comprendere come

Ceraunia abbia probabilmente abbracciato uno stato di vita monastico, o più probabilmente ab-
bia scelto di essere vidua continentiam professa (SALV., epist. 9, 11), dopo la morte del marito,
come appare confermato da ragioni interne, oltre al fatto che la lettera è indirizzata solamente
alla donna. Di vedove o fanciulle che hanno assunto lo stato di conversae (o quello monastico:
vd. CAES. AREL., reg. virg. 5) parlano i CONC. Aurel. (a. 549) p. 155, l. 190 ([…] tam puellae
quam viduae, conmutatis vestibus convertuntur…); Paris. (a. 556-573) p. 207, l. 89 ([…] Simi-
liter de earum erit coniunctionibus abstinendum - et hi, qui eas rapere aut conpetere voluerint,
a communione removendi –, quae vestium commutatione, tam viduae quam puellae, religionem,
poenitentiam aut virginitatem publica fuerint declaratione professae). Del resto, similmente si
pensi a personaggi ricordati da Gerolamo come Paola, vedova del nobile Toxotius (epist. 108,
3-5), Marcella vedova del console Cerealis (epist. 127, 2), ecc. Sul coetus viduarum, vd. LE-
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II, 15 293

CLERCQ, s. v. Veuvage, Veuve, in DACL XV, coll. 3007-3026; CONSOLINO 1986, pp. 273-306;
BRUNO SIOLA 1990, pp. 367-426; quanto allo status sociale delle viduae, vd. NAZZARO 1989,
pp. 197-219; BROWN 2003, pp. 88-89, in partic. n. 52; quanto infine ai modelli proposti dalla
gerarchia ecclesiastica per la santità femminile (in modo speciale la castità nell’ambito della
verginità consacrata o anche del matrimonio e la vedovanza), vd. GIANNARELLI 1980; CONSOLI-
NO 1994, pp. 19-42; ID. 1998, pp. 159-195. In modo particolare, si può notare come il sostanti-
vo sententia, nella letteratura monastica, venga talora associato a propositum, indicando la scel-
ta di vita religosa. Cfr. p. es. EUCHER., epist. ad Valer. 391: […] ita in sententiam nostram pro-
positumque migravit (detto della conversio di Paolino di Nola); CASSIAN., conl. praef. 7: De
quibus tamen si quis voluerit veram proferre sententiam et utrum impleri queant desiderat ex-
periri, festinet prius eorum propositum simili studio et conversatione suscipere.
7 Circa la natura di questo impegno è possibile supporre con Mathisen che fosse in corso

l’edificazione di una delle opere lasciate da Ruricio alla sua diocesi, ovvero la chiesa dedicata a
sant’Agostino, come ci testimonia l’epitaffio composto da Venanzio Fortunato: Tempore qui-
sque suo fundans pia templa patroni / iste Augustini, condidit ille (scil. Ruricius II) Petri
(carm. 4, 5, 13-14). Vale la pena notare, con DEMEULENAERE 1985, p. 306 la stranezza della de-
dicazione di una chiesa al santo vescovo di Ippona nella Gallia di V secolo. Tuttavia non va
neppure dimenticato che Ruricio era una ammiratore di Agostino: oltre alle numerose sugge-
stioni delle opere agostiniane sparse nel corpus epistolare, abbiamo la testimonianza di epist. 2,
17 in cui chiede all’amico Taurenzio di inviargli una copia del De civitate Dei agostiniano. Su
questi aspetti, vd. MATHISEN 1994, pp. 29-41; ID. 1999, pp. 36-39; sull’episcopato di Ruricio I e
II a Limoges, vd. DUCHESNE II, pp. 50-51.
8 Sull’usus dell’avverbio pronominale unde, vd. supra 2, 6 n. 21.
9 Ruricio si sente coinvolto personalmente nei precetti che elargisce a Ceraunia, in quanto

entrambi si trovano a vivere, anche se in maniera differente, uno stato di conversio: il primo
dalla vita del secolo a quella ascetica e religiosa, la seconda dalla condizione di coniuge allo
stato di consacrazione. A entrambi – continua Ruricio – è richiesta l’osservanza e la fedeltà ai
propositi. Vale la pena segnalare l’uso pregnante del lemma propositum che, almeno dalla metà
del IV secolo, viene a indicare la scelta di tipo religioso - monastico, come ben testimoniano,
tra gli altri SULP. SEV., Mart. 10, 2 in cui san Martino viene additato come esempio della digni-
tas episcopi, senza venire meno al propositum monachi; HIER., epist. 127, 5 attribuendo il pri-
mato a Roma del propositum monachorum alla nobile Marcella (al fine di oscurare la memoria
di Melania seniore, amica del rivale Rufino), la quale, dopo essere rimasta vedova, abbracciò la
vita monastica.; CASSIAN., inst. 5, 4, 1, citando una frase del padre del monachesimo Antonio,
fa riferimento al coenobiale propositum. Vd. LORIÉ 1955, pp. 80-81. 86. 98.
10 Per l’uso del titolo veneratio, vd. supra 2, 11 n. 1; quanto all’uso del verbo praesumo, vd.

supra 2, 7 n. 14.
11 La paromoiosis agendam – sumenda include quelli che sono i due propositi di Ceraunia:

penitenza e un nuovo stato di vita, come si è detto supra n. 6. I due momenti dell’unica senten-
tia sono legati tra loro sottilmente da giochi fonostilistici: la consonanza / assonanza ad agen-
dam paenitentiam… vestimenta sumenda, in cui l’alternanza delle vocali chiare /e/- /a/, delle
dentali e delle nasali conferisce al dettato un ritmo quasi musicale, al limite della rima; il polip-
toto con iperbato nova novi hominis vestimenta, e l’assonanza del suono /i/ (novi hominis) che
isolano il concetto portante, quasi il fine dell’agere paenitentiam. Il tutto incorniciato da due
chiasmi sintattici a incastro con poliptoto: ad agendam paenitentiam et nova novi hominis vesti-
menta sumenda. Per quanto riguarda i nova novi hominis vestimenta, va segnalato come si deb-
ba intendere la locuzione non solo in metafora, ma anche in senso proprio: i conversi, al pari dei
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monaci, assumevano infatti abiti dimessi e scuri che rendevano evidente all’occhio del mondo il
loro nuovo stato di vita. Cfr. RURIC., epist. 2, 32, 2: […] sicut ille sub candidis vestibus habuit
hucusque nigredinem, ita nunc sub pullis vestibus operum luce candescat (ad Agricola). Sull’u-
so e la foggia dell’abito dei religiosi, vd. infra 2, 32 nn. 8. 15.
12 Cfr. 1Cor 15, 22: Et sicut in Adam omnes moriuntur, ita et in Christo omnes vivificabun-

tur; 45: Factus est primus homo Adam in animam viventem; novissimus Adam in spiritum vivi-
ficantem; Col 3, 9-10: Nolite mentiri invicem, expoliantes vos veterem hominem et induentes
novum eum qui renovatur in agnitionem secundum imaginem eius qui creavit eum; Eph 4, 22-
24: (Vos autem non ita didicistis Christum) deponere vos secundum pristinam conversationem
veterem hominem qui corrumpitur secundum desideria erroris. Renovamini autem renovatione
mentis vestrae et induite novum hominem qui secundum Deum creatus est in iustitia et sanctita-
te. Similmente, vd. Rm 13, 14; 1Cor 15, 45; Eph 2, 15.
13 L’aggettivo vivificator, traduzione del greco zwopoiov~ (CONC. Const. I a. 381, p. 24, 27:

kai; eij~ to; pneu`ma to; a{gion, to; kuvrion kai; zwopoiovn / et in spiritum sanctum, dominum et
vivificatorem), è usato per la prima volta da Tertulliano in riferimento allo Spirito Santo (adv.
Marc. 2, 9, 6). È tuttavia riferito anche a Cristo, come emerge da AUG., serm. 95, 6: Et ipse Do-
minus qui hanc parabolam proposuit, sponsus ipse convivii convocator et convivarum vivifica-
tor; CONC. Ephes. a. 431, p. 61, 22: [...] kaqo; zwhv tev ejsti kai; zwopoio;~ wJ~ qeov~ (scil. oJ
tou` qeou` lovgo~) / secundum quod est et vita et vivificator ut Deus (scil. Verbum); CASSIOD.,
in psalm. 50, 3 ll. 96-99: Quae denique maior misericordia, quam propter nos creari creato-
rem, servire dominatorem, vendi redemptorem, humiliari exaltatorem, occidi vivificatorem?.
14 Medesimo andamento sintattico, oltre alla presenza della locuzione multimoda arte, in

PETR. CHRYS., serm. 71, 5: Fratres, quamdiu diabolus vario nequitiarum genere, multimoda ar-
te fallendi rerum faciem turbat.
15 L’immagine dell’uomo come templum Dei è paolina: vd. 1Cor 3, 16; 2Cor 6, 16.
16 Stesse suggestioni metaforiche in EUSEB. GALLIC., hom. 51, 10: Sicut autem aliquis ma-

gnus paterfamilias, splendidissime cupiens pingere domum suam, perquiret formas quasque et
imagines, quas ante studiosi pictoris proponat aspectum, ut pictor ille, figuris diligenter in-
spectis, in artis suae meritum sollicitus rapiat opus alienum, ac iam docta manu transferat in
parietum nitentem faciem personarum viventium dignitatem: ita ille verus pater huius familiae,
Deus noster, ad pingendam domum suam id est ad exornandas animas vestras, in ecclesia sua
curam maximam gerens, videtur mihi loco huic quaedam vivendi tamquam pingendi exempla-
ria, viri illius gesta ac merita, protulisse: et demonstrasse, paulisper vestris cordibus impri-
mendam, nimis cito ad se revocandam, imaginem suam.
17 Si noti la figura etimologica spiritali… spiritaliter.
18 Ps 25, 8. Il profeta è chiaramente il re Davide a cui la Scrittura ascrive buona parte del

Salterio. Il sostantivo propheta viene applicato dagli autori cristiani per lo più genericamente a
tutte le figure di uomini santi dell’Antico Testamento.
19 Ruricio compie un’azione piuttosto ardita, fondendo due loci della Sacra Scrittura. Così si

legge infatti in Act 7, 48: Sed non Excelsus in manufactis habitat; 17, 24: Non in manufactis
templis inhabitat (Dominus), e quindi in Ps 146, 10-11: Non in fortitudine equi voluntatem ha-
bebit nec in tibiis viri beneplacitum erit ei; / beneplacitum est Domino super timentes eum et in
eis qui sperant super misericordia eius; VET. LAT. Ps 146, 10-11: Non in viribus equi voluntatem
habebit: nec in tabernaculis viri beneplacitum est ei. / Beneplacitum est super timentibus eum
et in eos qui sperant in misericordia eius. Infine questo collage di Scrittura viene semplicemen-
te ascritto al Signore stesso, nonostante le due pericopi provengano dall’Antico Testamento e
dagli Atti degli Apostoli. Un singolare caso di approccio performativo alla Bibbia.
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II, 15 295

20 Is 66, 1-2: Haec dicit Dominus: «Caelum sedis mea et terra scabillum pedum meorum.

Quae ista domus quam aedificabitis mihi et quis iste locus quietis meae? Omnia haec manus
mea fecit et facta sunt universa ista - dicit Dominus - ad quem autem respiciam nisi ad pauper-
culum et contritum spiritu et trementem sermones meos?»; VET. LAT. Is 66, 1-2: Dicit Dominus:
«Caelum mihi thronus est, terra autem scabillum pedum meorum. Quam domum aedificabitis
mihi, aut quis locus (codd.: erit locus) requietionis meae? Haec enim fecit manus mea (codd.:
nonne manus mea fecit haec omnia?) et sunt omnia haec mea. Aut super quem requiescam
(codd.: respiciam / aspiciam), nisi super humilem et quietum et trementem verba mea (codd.:
sermones meos)?».
21 Mt 11, 28.
22 Filia indica il punto di vista di Ruricio, vescovo, soror la nuova condizione assunta da

Ceraunia alla morte del marito. «Soror used as a title of affection is generally found in conjunc-
tion with filia» (O’BRIEN 1930, p. 87). Vd. p. es. HIER., epist. 22, 38; 117, 2. Soror, oltre a fare
da corrispettivo a frater, indica talora una donna che ha fatto una scelta di vita particolare (mo-
glie di un sacerdote / vescovo, monaca): vd. supra 1, 14 n. 12. Ruricio tuttavia chiama affettuo-
samente soror Ceraunia 2 volte già in epist. 2, 4, 5 (venerabilis soror… in Christo Domino ve-
nerabilis soror).
23 Similmente cfr. CHROMAT., in Matth. 17, 2, 6: Vel certe beatos pauperes dicit, qui nulla

superbia diaboli inflantur, nulla ambitione saeculi extolluntur, sed humilitatem spiritus cum fi-
dei devotione custodiunt; MAX. TAUR. 81, 1: […] consistentes in ea aliud non habuisse praesi-
dium, nisi ut abiectis copiosis aepulis ieiunia continuata susciperent, et divitiarum ambitione
deposita humilitate se paupertatis induerent, scilicet ut exinde remedium perciperent, unde his
perditio inminebat, hoc est ut iram divinitatis, quam luxuriando provocaverant, abstinendo le-
nirent; et offensam, quam in eos superbia contraxerat, humilitas mitigaret.
24 Conversatio (< conversor) presso i cristiani, indica il modo di vivere, la condotta di vita

nei suoi risvolti morali. Già notava acutamente LORIÉ 1955, p. 84: «When “vita” and “conversa-
tio” are mutually compared, the former express the biological phenomenon or a corse of histori-
cal events, while “conversatio” views life in its moral bearing: human conduct». Viene spesso
utilizzato per significare anche lo stato di vita del monaco e dell’asceta, traducendo il greco
a[skhsi~, a partire soprattutto dalla versione latina della Vita Antonii atanasiana. Cfr. p. es.
HIER., vita Hilar. 1, 4: Porro mihi tanti ac talis viri conversatio vitaque dicenda est; 8, 11: Ille
(scil.: Hilarius) fundator et eruditor huius conversationis et studii in hac provincia primum fuit;
SULP. SEV., Mart. 26, 2: […] interiorem vitam illius et conversationem cotidianam […] nulla
explicabit oratio; CASSIAN., conl. 6, 1, 2: […] ad sanctum Theodorum singularem in conversa-
tione actuali perreximus virum; ecc. In particolare va notato come Ruricio in questa lettera uti-
lizzi 3 volte il sostantivo, sfaccettandone le accezioni: in due casi esso è specificato da aggetti
riferentesi alla vita secolare (pristina, prior), mentre una volta è usato in senso assoluto, con va-
lore pregnante (conversatione perfecta). Su questi aspetti vd. LORIÉ 1955, pp. 82-85. 94-97.
25 Cfr. Prv 19, 17: Feneratur Domino qui miseretur pauperis et vicissitudinem suam reddet

ei; Sir 29, 1: Qui facit misericordiam fenerat proximum et qui praevalet manu mandata servat.
26 Adiuvante Domino è formula molto comune presso gli autori cristiani. Ruricio la utilizza

tuttavia soltanto un’altra volta in epist. 2, 28, 1.


27 I consigli elargiti da Ruricio rientrano nella topica parenetico-precettistica della vita cri-

stiana, in modo speciale per coloro che hanno operato la scelta monastica o di conversi nel se-
colo (vd. PRICOCO 1992b, p. 23). Cfr. p. es. CASSIAN., conl. 4, 12, 4: Dumque haec pugna coti-
dianis diebus utiliter exagitatur in nobis, ad illud quartum quod nolumus salubriter venire con-
pellimur, ut puritatem cordis non otio nec securitate, sed iugi sudore et contritione spiritus ad-
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296 Commento

quiramus castitatemque carnis districtis ieiuniis, fame, siti ac vigilantia retentemus, directio-
nem etiam cordis lectione, vigiliis, oratione continua et solitudinis squalore capiamus; EUSEB.
GALLIC., hom. 36, 7: Ideoque, carissimi: haec omnia, quae illic finiri non poterunt, hic redimi
possunt per emendationem prioris vitae, per eleemosynas, per lacrimas, per humilitatem cor-
dis, per corporis castitatem, per exercitia iustitiae ac misericordiae; CAES. AREL., serm. 155, 4:
Haec ergo, fratres, si et clerici et laici et monachi et sanctaemoniales et in coniugiis positi fide-
liter et diligenter adtendimus, et cum castitate corporis etiam integritatem cordis auxiliante
Domino custodimus. Similmente vd. PRUD., perist. 10, 356-360; AUG., c. mend. 19, 38; CAS-
SIAN., inst. 6, 8, 1 (oportebit custodire nostri corporis atque animae castitatem); MAX. TAUR.
61, 1; CAES. AREL., serm. 228, 6. L’esortazione alla preghiera e al digiuno come cardini della
vita cristiana affonda nelle parole di Gesù: Hoc autem genus non eicitur nisi per orationem et
ieiunium (Mt 17, 20), e ritorna come costante nell’ascetica cristiana; castitas, diversamente da
continentia, «indica un più ampio e globale ideale ascetico, di purezza di vita e di sentimenti, e
non semplicemente la pratica della continenza coniugale» (PRICOCO 1992b, p. 139). Con evi-
denza Cassiano (inst. 6, 4, 1) chiarisce: «Una cosa, infatti, è essere continente – cioè per dirlo
in greco, ejgkrath` É –, e un’altra cosa è essere casto e giungere allo stato di integrità o di in-
corruttibilità, che in greco è detto aJgnovn, virtù, questa, che è accordata soltanto a quelli che ri-
mangono vergini sia nella loro carne che nella loro mente, come sappiamo che lo furono i due
Giovanni del Nuovo Testamento, e, nell’Antico, Elia, Geremia e Daniele. Nel loro numero po-
tranno a buon diritto essere inclusi anche quelli che, dopo aver fatto l’esperienza della corruzio-
ne, hanno raggiunto lo stesso grado di purezza con una lunga fatica e molto impegno, acqui-
stando l’integrità della mente e del corpo, e che ormai avvertono gli stimoli della carne non più
con l’assalto dell’ignobile concupiscenza, ma con i semplici moti della natura» (trad. L. d’Aya-
la Valva; vd. anche conl. 12, 10-11). Similmente cfr. SALV., gub. 7, 23: Parum est quod dicimus:
quae nobis, rogo, ante Deum aut vitae esse aut veniae spes potest, quando castitatem in barba-
ris cernimus et non sic casti sumus?, in cui il significato di castitas travalica la sola astinenza
sessuale per coinvolgere i costumi di vita. Nel caso di Ceraunia, l’accezione è confermata dalla
sua condizione di vedovanza.
28 Cfr. Gn 2, 15: Tulit ergo Dominus Deus hominem et posuit eum in paradiso voluptatis ut

operaretur et custodiret illum. Circa l’icastica iunctura paradisi colonus, vd. TERT., patient. 5;
HIER., epist. 3, 4; 52, 5. Va notato che il passo geronimiano di epist. 3, 4 è ancora in riferimento
a una scelta di tipo monastico: questa volta è l’amico Bonoso a essere descritto quasi quidam
novus paradisi colonus al suo insediarsi in un’isola dell’Adriatico (insulam pelago circumso-
nante navifragam), in obbedienza al propositum di vita monastica.
29 Sebbene con diversità di contenuti, cfr. QUODV., prom. 4, 5, 7: Haereticos omnes ostendit

et maxime arrianos quos nunc videmus multos seducere aut potentia temporali aut industria
mali ingenii aut certe abstinentia parcitatis vel quorumlibet signorum deceptione.
30 La frase finale, che stigmatizza la sorte di Adamo come esemplare di colui che trascura le

pratiche della vita ascetico-religiosa, è suggellata dalle figure di suono particolarmente insi-
stenti: gli omeoteleuti, l’assonanza delle vocali chiare, l’allitterazione delle dentali e delle na-
sali, il calembour parafonico vetitam - vitam. L’insistenza sul libero arbitrio richiama alla men-
te alcune affermazioni antipelagiane. Cfr. FAUST. REI., grat. 1, 8 p. 26: Ego arbitror, quod li-
bertas arbitrii sibi sola sufficere sine praesidio gratiae non potuerit, etiam antequam privile-
gium illius (scil.: Adae) transgressio prima violaret. In particolare, dalla polemica antipelagia-
na di Agostino in poi, la Chiesa tutta sarà toccata dalla querelle teologica relativa alla predesti-
nazione e al libero arbitrio. Soprattutto in Gallia il dibattito si farà più vivo, sviluppandosi una
sorta di terza via, già nota come “semipelagianesimo”, oggi forse preferibilmente identificabile
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come “semiagostinismo”, critico sulle posizioni dell’agostinismo radicale sulla grazia, la pre-
destinazione, la libertà dell’uomo (vd. opere agostiniane quali De correptione et gratia, De li-
bero arbitrio, De natura et gratia, Contra Iulianum, Contra duas epistulas Pelagianorum).
Personaggio in vista nell’ambito del dibattito teologico nella Gallia di V secolo fu Fausto di
Riez. In questa sede vale la pena segnalare l’epistola scritta al presbitero Lucido (epist. 1), nel-
la quale, tra le altre cose, afferma la convinzione che la prima gratia, e di conseguenza il libero
arbitrio dell’uomo, non sono stati del tutto annientati dal peccato originale, ma permangono,
benché indeboliti. Tuttavia Fausto è avversario tanto delle dottrine predestinazioniste quanto di
quelle pelagiane, come emerge soprattutto dal De gratia Dei. In modo particolare quest’ultima
opera fu commissionata al vescovo di Riez da parte di Leonzio di Arles, per dare maggior dif-
fusione alle decisioni dell’assise arlesiana (472-473 circa), celebratasi proprio in merito alle
questioni di cui si è detto. A tal proposito, vd. AMANN, s. v. Semi-pélagiens, in DThC XIV, coll.
1796-1850; DE PLINVAL 1961, pp. 503-532; ANDRESEN 1982, pp. 464-476; ottima e condivisibi-
le la rilettura critica del problema semipelaginano, a partire dall’opera di Gennadio di Marsi-
glia, di PRICOCO 1992b, pp. 156-176; sulla dottrina di Fausto di Riez, vd. TIBILETTI 1979, pp.
259-285; ID. 1980, pp. 371-390; LANA 2004, pp. 5-27; BARCELLONA 2006, pp. 35-101; un buon
specimen sulla teologia dei “maestri provenzali” in TIBILETTI 1990, in partic. pp. 8-59. Quanto
al fatto che Ruricio attribuisca l’eziologia del peccato di origine a una caduta di gola di Ada-
mo; vd. già p. es. TERT., ieiun. 3, 1-4; AMBR., Hel. 4, 7.
31 Zorobabele regnò su Giuda sotto il re persiano Dario (522-486 a. C.). Tuttavia, stando a

quanto ci informa 2Esr 2, 1, le mura di Gerusalemme furono ricostruite sotto Artaserse (464-
422 a. C.). Singolare la forma Hierobabel (al posto della più comune Zorobabel), attestata solo
in LUCIF., reg. apost. 1 ll. 71-73: Quid post hanc increpationem Domini facit Hierobabel, qui
dicitur etiam Gedeon?
32 Cfr. 2Esr 4, 17: Aedificantium in muro et portantium onera et inponentium una manu sua

faciebat opus et altera tenebat gladium.


33 Cfr. Eph 6, 16: In omnibus sumentes scutum fidei in quo possitis omnia tela nequissimi

ignea extinguere.
34 Questa interpretazione di Ruricio dell’episodio veterotestamentario non è scevra di artifici

retorici: si noti la ricorrenza dei preverbi re- e con- < cum- (reversi… reparabat… restauratione
– conpositorum… construentes); i chiasmi sintattici operabantur dextra et sinistra pugnabant –
bonorum operum tamquam lapidum conpositorum, con forte sonorità; la variatio lessicale sini-
stra – laeva; le numerose figure di suono.
35 Cfr. 2Esr 4, 18: Aedificantium enim unusquisque gladio erat accinctus renes. Così com-

menterà Beda: Notandum enim quia non solum pars iuvenum media faciebat opus et pars me-
dia parata erat ad bellum, sed et idem ipsi qui faciebant opus iuvenes gladio erant omnes ac-
cincti. […] Aedificantes namque gladio accinguntur renes cum hi qui bonis insistere operibus
qui commissos sibi regulari curant ratione disponere, hoc est enim vivos lapides in aedificio
sanctae civitatis ordine competenti locare, fluxa in se luxoriae acumine verbi Dei restringere
satagunt (in Esr. et Neem. 3, 776-787).
36 Cfr. Lc 12, 35: Sint lumbi vestri praecincti et lucernae ardentes; 1Pt 1, 13: Propter quod

succincti lumbos mentis vestrae, sobrii perfecte sperate in eam quae offertur vobis gratiam in
revelatione Iesu Christi. A tal proposito cfr. p. es. AUG., serm. 108, 2: Ad continentiam pertinet,
sint lumbi vestri accincti. Ad iustitiam pertinet, et lucernae ardentes; CASSIAN., inst. 1, 11, 1:
Accinctio enim lumborum et ambitus pellis emortuae significat eum mortificationem circumfer-
re membrorum, in quibus libidinis atque luxuriae seminaria continentur.
37 Non sfugga la consonanza / assonanza del colon cuius caro castitati militat unitamente al-
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l’insistenza del preverbio prae-: praecincti… praecinctus (con poliptoto verbale)… praeful-
get… praeceptis. Quanto alla militia Christi, vd. supra 2, 13 n. 35.
38 Cfr. 1Cor 10, 6: Haec autem in figura facta sunt nostri.
39 Sembra possibile riconoscere nelle parole ruriciane una matrice agostiniana. Cfr. p. es. in

psalm. 26, enarr. 2, 18: «Esiste una certa città, detta Babilonia; questa città è la società di tutti
gli uomini perduti da Oriente fino ad Occidente; essa appunto detiene il regno terreno. Confor-
me a questa città si manifesta una certa repubblica, che ora vedete invecchiare e guastarsi; essa
fu la nostra prima madre, in essa siamo nati. Abbiamo conosciuto un altro padre, Dio: e abban-
donammo il diavolo. […] Abbiamo conosciuto un’altra madre, la Gerusalemme celeste, che è la
santa Chiesa, una parte della quale è pellegrina sulla terra; abbiamo lasciato Babilonia»; 64, 1:
«Orbene, se ricordiamo quanto dice l’Apostolo, e cioè: “tutte queste cose accaddero loro come
in figura”, in realtà esse sono state scritte per noi, cui è toccato vivere alla fine dei tempi, dob-
biamo anche noi conoscere prima quale sia la nostra prigionia e poi quale la nostra liberazione.
Dobbiamo conoscere Babilonia, nella quale ci troviamo prigionieri, e Gerusalemme, al cui ri-
torno aneliamo» (trad. R. Minuti). Vd. anche civ. 17, 3-4. L’immagine della santa Gerusalemme
come madre è paolina: Illa autem quae sursum est Hierusalem libera est quae est mater nostra
(Gal 4, 26). Su questo passo vd. MAR. VICTORIN., in Gal. 4, 26; AUG., in Gal. 40, 9-11. La iunc-
tura Hierusalem caelestis è invece mutuata da Hbr 12, 22: Sed accessistis ad Sion montem et
civitatem Dei viventis Hierusalem caelestem et multorum milium angelorum frequentiae.
40 La perfetta isocolia (adiectio asindetica) conferisce al testo un andamento precettistico-

parenetico. In esse è tuttavia possibile isolare due filoni semantici: l’uno amartiologico (repa-
rare conlapsa, sarcire descissa) in cui si focalizza l’attenzione sulla cancellazione e la ripara-
zione del peccato; l’altro cronologico (delere praeterita, cavere praesentia, parare ventura) in
cui la vita spirituale di Ceraunia è considerata diacronicamente sotto triplice prospettiva. La se-
quenza è incastonata dai verbi reparare – parare, con sensibile variatio. Essendo evidente l’ac-
cumulazione con funzione specificativa e dominando un unico pensiero (la conversione) smi-
nuzzato in varie idee parziali (diaivresi~), l’argomentazione si colloca al livello della descrip-
tio (RHET. Her. 4, 39, 51: Descriptio nominatur, quae rerum consequentium continet perspi-
cuam et dilucidam cum gravitate expositionem). Da un punto di vista complessivo, è possibile
ravvisarvi anche una sottile gradatio ascendente (vd. supra 1, 4 n. 6): dal passato fatto di pec-
cato al presente da custodire al futuro beato da preparare quotidianamente. Simili espressioni
anche in RURIC., epist. 2, 17, 3: […] delere praeterita, cavere praesentia, parare ventura; 42, 1:
[…] abolere praeterita, conservare praesentia et donare ventura.
41 Il bel chiasmo con omeoptoto anaforico e ampliamento del secondo membro (Babylonio-

rum regi, sed regi caelorum Christo) ben rappresenta la contrapposizione tra la vita di peccato
e la militia Christi: l’iperbato del verbo reggente (serviamus) enfatizza maggiormente il concet-
to. Similmente vd. AUG., in psalm. 64, 2; CASSIAN., inst. praef. 2.
42 Ottima la congettura di Engelbrecht quaeque, che ristabilisce la forte suggestione salmi-

ca: Hierusalem quae aedificatur ut civitas cuius participatio eius in idipsum (Ps 121, 3). Cfr.
AUG., in psalm. 86, 3: In istis civitatibus alia est fabrica aedificiorum, alii sunt cives inhabitan-
tes in fabrica: illa civitas civibus suis aedificatur, ipsi sunt lapides qui sunt cives; lapides enim
vivi sunt; CAES. AREL., serm. 36, 6: Cum enim illam caelestem Hierusalem, id est, congregatio-
nem omnium sanctorum, quae cum Christo est regnatura, ad laudandum Dominum provocaret.
Una interpretazione più dettagliata di Ps 121, 3 in AUG., in psalm. 121, 4.
43 Cfr. Ps 149, 1: Cantate Domino canticum novum, laus eius in ecclesia (iuxta Hebr.: in

congregatione) sanctorum.
44 La iunctura lacrimis rigare è già classica e vanta un usus da Virgilio in poi: vd. VERG.,

Aen. 9, 251; SEN., Ag. 922; LUCAN. 4, 180; EPICED. Drusi 199; SIL. 6, 294; STAT., Theb. 3, 129;
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APUL., met. 10, 6. Non classica è l’unione col complemento diretto faciem, a cui gli auctores
preferiscono vultum / ora. Cfr. p. es. VERG., Aen. 9, 251: Amborum et voltum lacrimis atque ora
rigabat; SEN., Ag. 922: Quaenam ista lacrimis lugubrem vultum rigat / pavetque maesta?; et
alii. La iunctura faciem lacrimis rigare compare in HIER., epist. 130, 4 in riferimento alla vita
di penitenza della vergine Demetriade: Aiunt sanctae et nobiles feminae […] numquam eam
linteamine, numquam plumarum usam mollitie, sed ciliciolum in nuda humo habuisse pro stra-
tu, iugibus faciem rigasse lacrimis Salvatoris mente genibus advolutam. Cfr. anche Ps 6, 7: […]
in lacrimis meis stratum meum rigabo; Lc 7, 38: Et stans retro secus pedes eius lacrimis coepit
(mulier peccatrix) rigare pedes eius. Il riferimento a Gerolamo può essere considerato come
pregnante: il dotto esegeta scriveva dei propositi e della vita di una vergine, il vescovo di Li-
moges elargisce consigli a una donna che ha operato la scelta della vita religiosa. Successiva-
mente, vd. GREG. M., in evang. 2, 27.
45 Non sfugga l’arguto calembour lessicale lacrimis - lavacris.
46 Cfr. Ps 101, 10: Quia cinerem tamquam panem manducavi et poculum meum cum fletu

miscebam; VET. LAT. Ps 101, 10: Quia cinerem sicut panem manducabam, et potum meum cum
felle miscebam.
47 Cfr. 2Cor 11, 27: In labore et aerumna in vigiliis multis in fame et siti in ieiuniis multis in

frigore et nuditate. L’unione di ieiunia e vigiliae come esercizi ascetici è molto ricorrente nella
letteratura cristiana.
48 I consigli spirituali di Ruricio fanno parte dei “classici” dell’ascetica: vd. AUG., epist.

130, 15; serm. 221, 2; CASSIAN., conl. 5, 4, 1-6; 7, 2, 1; 12, 16, 1-3; SULP. SEV., Mart. 26, 2;
CAES. AREL., serm. 60, 4; 134, 7; et alii. Va rilevato come in questa epistola Ruricio insista in
maniera particolare su concetto di servitus (vd. supra 2, 13 n. 35), giocando equivocamente ora
sul servizio al mondo ora sul servizio a Dio. Pregnante l’uso del verbo deservio che per lo più
negli autori cristiani esprime il servizio di chi si è votato a Dio (come sacerdote o come mona-
co). Cfr. p. es. CYPR., epist. 1, 1: […] quando singuli divino sacerdotio onorati et in clerico mi-
nisterio costituti non nisi altari et sacrificiis deservire; CONC. Carth. a. 345-348 p. 5, l. 69: Nul-
lus igitur et nulla sanctimoniae et virginitati deserviens; PAUL. NOL., epist. 2, 2: Praeventi igi-
tur a Domino et adprehensi ab eo, quem necdum adprehendimus, deservimus altario Dei;
CAES. AREL., serm. 27, 1: Vitis autem significat servos Dei, abbates, monachos vel clericos spi-
ritales, […] qui contempto mundo Deo die noctuque deserviunt. Il verbo è usato in questi ter-
mini già nella traduzione geronimiana della Scrittura: vd. p. es. 1Par 9, 33; Sap 16, 24; Act 24,
14; 27, 23; ecc. Particolarmente interessante Act 7, 7 in cui sono posti a confronto servio e de-
servio a esprimere un diverso genere di servizio: et gentem cui servierint iudicabo ego – dixit
Deus – et post haec exibunt et deservient mihi in loco isto.
49 Cfr. Gn 16, 7-9: Dixit ad eam Agar ancilla Sarai: «Unde venis et quo vadis?». Quae re-

spondit: «A facie Sarai dominae meae ego fugio». Dixitque ei angelus Domini: «Revertere ad
dominam tuam et humiliare sub manibus ipsius». Vd. anche Gal 4, 21-31. Similmente cfr. SI-
DON., epist. 8, 13, 4: Quibus agnitis adventantem Abrahae nunc filium veriorem maternis ulnis
spiritalis Sarra suscipiat. Namque ad Agar ancillam pertinere tunc desiit, cum legalis obser-
vantiae servitutem gratiae libertate mutavit, detto di un giudeo convertitosi al cristianesimo. Il
riferimento all’episodio genesiaco è già stato tuttavia utilizzato da Ruricio in epist. 1, 1, 2.
50 Nella letteratura ascetico-monastica, il sostantivo labor esprime ora lo sforzo ascetico

nelle pratiche di mortificazione, ora la fatica richiesta da queste ultime. Cfr. p. es. VITA Ant. 34,
1: Unde non oportet satagere, studere et laborare ut praescentiam habeamus, sed ut Deo bene
placeamus. Et orationes habeamus ad Dominum ut non praescentiam nobis det, neque studii
laboris nostri promercedem hanc petamus; HIER., epist. 130, 4: Incredibilis animae fortitudo
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[...] appetisse eam ieiuniorum laborem, asperitatem vestium, victus continentiam. A tal proposi-
to, vd. LORIÉ 1955, pp. 78. 91.
51 Conversatióne perfécta – confessióne devóta: due esempi di clausole ritmiche del tipo cur-

sus planus con isocolia, homoeoprophoron prefissale e omeoptoto: conversatione-confessione.


52 Cfr. Mt 23, 9: Et patrem nolite vocare vobis super terram, unus enim est Pater qui in cae-

lis est.
53 Cfr. Apc 7, 9: Post haec vidi turbam magnam quam dinumerare nemo poterat ex omnibus

gentibus et tribubus et populis et linguis stantes ante thronum et in conspectu agni.


54 Il nome Ceraunia, derivato dal greco keraunov~, corrisponde a un tipo di pietra – e a que-

sto sembra fare riferimento Ruricio – che, stando a quanto ci riferisce Plinio (nat. 37, 51), im-
prigionerebbe il bagliore delle stelle: «Tra le pietre bianche c’è anche quella che si chiama ce-
raunia: imprigiona il bagliore delle stelle, è in sé cristallina, ma di splendore ceruleo, nasce in
Carmania. Zenotemide riconosce che è bianca, ma dice che al suo interno ha una stella scintil-
lante; che si formano anche ceraunie opache le quali, lasciate a macerare nel nitro e nell’aceto
per alcuni giorni, concepiscono in sé quella stella che però, dopo altrettanti mesi, si estingue.
Sotaco ha distinto anche altre due varietà di ceraunie, una nera e una rossa, simili ad asce; quel-
le nere e rotonde sarebbero dotate di poteri soprannaturali, e con esse si espugnerebbero città e
flotte; il loro nome sarebbe baetuli; di quelle lunghe, invece, ceraunie. Si distingue anche un’al-
tra varietà affatto rossa, ricercata appassionatamente dai Magi, perché non si troverebbe se non
in luoghi colpiti dal fulmine» (trad. G. Rosati). La medesima interpretazione, in sintesi, in ISID.,
orig. 16, 13, 5: Dicta autem ceraunia quoniam alibi non inveniatur quam in loco fulmine icto
proximo; graece enim fulmen kerauno;~ dicitur. La ceraunia è portata come esempio di pietra
dalla brillantezza fiammeggiante da TERT., cult. fem. 1, 1 l. 25; anim. 9, 6.
55 Cfr. Mt 5, 16: Sic luceat lux vestra coram hominibus ut videant vestra bona opera et glo-

rificent (codd.: magnificent) Patrem vestrum qui in caelis est.


56 Cfr. Iac 1, 17: Omne datum optimum et omne donum perfectum desursum est, descendens

a Patre luminum. L’insistenza sul concetto del dono gratuito di ogni bene da parte di Dio è en-
fatizzato dal poliptoto verbale detur – datur - datum.
57 L’elegante chiasmo ritmico volúntas tribúitur et praestátur efféctus (cursus tardus + cur-

sus planus) lapidariamente riassume quanto già affermato in merito al libero arbitrio al §. 3, cui
si rimanda (vd. in partic. supra n. 30).
58 Cfr. RURIC., epist. 2, 13, 5: Paenitentia ita, frater carissime, non nomine est suscipienda,

sed opere, non ore tantummodo agenda, sed corde (vd. n. ad loc.).
59 Macula, al pari di peccatum, delictum, crimen rientra nel lessico penitenziale del peccato,

così come il verbo detergo nella sfera della purificazione: vd. BLAISE 1966, pp. 428-432. Ruri-
cio sembra insistere sulla dipendenza etimologica di paenitentia da paena, su cui cfr. successi-
vamente ISID., orig. 6, 19, 71-72: Paenitentia appellata, quasi punitentia, eo quod ipse homo in
se paenitendo puniat quod male admisit. Nam nihil aliud agunt, quos veraciter paenitet, nisi ut
id, quod male fecerunt, impunitum esse non sinant. […] Perfecta est autem paenitentia, praete-
rita deflere et futura non admittere (vd. anche eccl. off. 2, 17). Un rapporto tra i due vocaboli, a
livello tuttavia di semplice lusus verborum, viene posto da PHAEDR. 1, 13, 1-2: Qui se laudari
gaudet verbis subdolis, / fere dat poenas turpi paenitentia.
60 L’accumulatio sfrutta i consueti artifici retorici cui Ruricio ricorre nell’utilizzare questa

figura di stile, cioè chiasmi incrociati tra loro allitteranti, rinsaldati dalla presenza di homoeote-
leuton: humilitate cordis, subiectione corporis, bonorum operum sedulitate, adsiduitate oratio-
num, continuatione gemituum, pectoris contusione, lacrimarum profusione detergit. La struttu-
ra dal fitto reticolo retorico appare così ben salda, quasi una rappresentazione plastica della
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paenitentia di cui Ruricio sta delineando i tratti. Non sembra chiaro se Ruricio faccia riferimen-
to a opere penitenziali tout-court oppure a una disciplina penitenziale specifica, alla quale è
connessa – come sembra supporre – la remissione dei peccati. Tuttavia il valore delle opere di
penitenza come remedium dei peccati commessi e quale via per la conversione erano già noti al
monachesimo marsigliese di Cassiano, influenzato profondamente dalla sua esperienza mona-
stica egiziana e palestinese (vd. conl. 20, 5. 8). Da un punto di vista contenutistico e formale
questo locus ruriciano sembra dipendere proprio dalla conlatio XX de paenitentiae fine et sati-
sfactionis indicio. Cfr. p. es. conl. 20, 7, 1-2: Ceterum hoc quod de peccatorum recordatione
dixistis utile satis ac necessarium est, sed adhuc agentibus paenitentiam, ut cum iugi pectoris
sui contusione proclament: «Quoniam iniquitatem meam ego agnosco: et peccatum meum con-
tra me est semper», illud etiam: «Et cogitabo pro peccato meo». […] Cum vero cuiquam in hac
humilitate cordis et spiritus contritione defixo atque in labore et gemitu perduranti horum re-
cordatio fuerit consopita et conscientiae spina de medullis animae gratia Dei miserantis evul-
sa, certum est eum ad satisfactionis finem atque indulgentiae merita pervenisse et ab admisso-
rum criminum labe purgatum. E da Cassiano, questa concezione della penitenza penetrerà an-
che in GENNAD., dogm. 53: Sed et secreta satisfactione solvi mortalia crimina non negamus,
sed mutato prius saeculari abito, et confesso religionis studio, per vitae correctionem, et iugi
immo perpetuo luctu miserante Deo veniam consequatur; 54: Paenitentia vera est, paenitenda
non admittere, et admissa deflere. Satisfactio paenitentiae est, causas peccatorum excidere, nec
earum suggestionibus aditum indulgere. Fine della penitenza è dunque non soltanto eliminare il
peccato, ma anche l’affezione a esso. Su questi aspetti vd. RIGHETTI IV, pp. 247-253. 258-260.
61 Cfr. Ps 78, 8: Ne memineris iniquitatum nostrarum antiquarum; CASSIOD., in psalm. 78, 8

l. 170: Ne memineris iniquitates nostras antiquas.


62 Cfr. Ps 6, 7: Laboravi in gemitu meo, lavabo per singulas noctes lectum meum, in lacri-

mis meis stratum meum rigabo.


63 Ps 37, 9.
64 Cfr. Ps 37, 19: Quoniam iniquitatem meam adnuntiabo et cogitabo pro peccato meo; VET.

LAT. Ps 37, 19: Quoniam iniquitatem meam ego pronuntio et cogitabo pro peccato meo. Vd. ß
65 Cfr. RURIC., epist. 2, 13, 6: Hic enim ante nos peccata nostra esse debent, ut in aeternum

contra nos esse non possint (vd. n. ad loc.).


66 Sul valore dei participi del tipo positus, constitutus, ecc. vd. supra 1, 1 n. 10.
67 Sul valore di mereor + inf., vd. supra 1, 2 n. 33.
68 Cfr. Ps 31, 5: Delictum meum cognitum tibi feci et iniustitiam meam non abscondi. Dixi:

«Confitebor adversus me iniustitiam meam Domino» et tu remisisti impietatem peccati mei.


69 Probabile la suggestione di Rm 15, 1. 3: Debemus autem […] non nobis placere. […] Ete-

nim Christus non sibi placuit. Come ha ben notato MARKUS 1996, p. 71, per Agostino il peccato
in genere si riduce a una chiusura dell’uomo alla comunione con Dio e con i fratelli (placere si-
bi), come emerge chiaramente p. es. da conf. 10, 39, 1; gen. ad litt. 4, 32; in evang. Ioh. 58, 3;
in psalm. 106, 14; ecc. Una testimonianza che non va trascurata, soprattutto in riferimento alla
personalità di Ruricio.
70 Cfr. Ps 52, 6: […] quoniam Deus dissipavit ossa eorum qui hominibus placent; VET. LAT.

Ps 52, 6: Quoniam Deus dissipavit consilia (codd.: ossa) hominum sibi placentium.
71 Ruricio ha utilizzato il sostantivo examinatio in epist. 1, 12, 2 (ignium examinatione),

sfruttando così la duplice accezione che il lemma mantiene in età tardoantica: verifica – giudi-
zio / Giudizio ultimo (più diffusamente vd. n. ad loc.).
72 In negativo, il medesimo concetto è espresso da CASSIAN., conl. 6, 11, 11: […] ut quisquis

eadem deinceps adfectare temptasset, nosset sibi secundum eandem formam qua illi damnati
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sunt, etiam si in praesenti supplicium differatur, in futuri iudicii examinatione reddendum.


73 Le medesime riflessioni in HIER., epist. 36, 5: […] non vindicabit quippe bis Dominus in

id ipsum et, qui semel recepit mala sua in vita sua, non eosdem cruciatus patietur in morte,
quos est passus in vita; RUFIN., Orig. in Lev. 14, 4 p. 485, 7: Hic enim mors pro vindicta datur
et apud «iustum iudicem Dominum» «non vindicatur bis in id ipsum», sicut propheta dixit; ubi
autem non est soluta vindicta, peccatum manet illis aeternis ignibus exstinguendum, a cui sog-
giace il testo di Na 1, 9: […] oujk ejkdikhvsei di;~ ejpi; to; aujto; ejn qlivyei (non consurget du-
plex tribulatio). Vd. anche HIER., epist. 68, 1; RUFIN., Orig. in Lev. 11, 2 p. 451, 19; CAES.
AREL., serm. 62, 1. A livello stilistico, si noti la figura etimologica iustus… iudex… iudicat.
74 Il termine satisfactio, anch’esso proveniente dalla sfera giuridica, come buona parte del

lessico penitenziale cristiano, indica sia l’atto di riparare al peccato, sia l’azione con cui si
espia, ovvero la penitenza stessa. Cfr. p. es. TERT., paenit. 8, 9: […] confessio enim satisfactio-
nis consilium est, dissimulatio contumaciae; CYPR., laps. 29: […] dum satisfactio et remissio
facta per sacerdotes apud Deum grata est; AMBR., in psalm. 38, 14, 3: Sic est cui obiciuntur
peccata superiora quae competenter doluit atque deflevit, ut satisfactione congrua vulneri pec-
catorum suorum obduceret cicatricem; et alii. Sulla natura di questa satisfactio derivante dalla
potenza delle opere di penitenza, essa sembra essere simile a quanto scrive GENNAD., dogm. 53;
54, per cui vd. supra n. 60.
75 L’accorata esortazione alla penitenza, in questa lunga frase, è sapientemente incorniciata

dai corradicali districtius - districtus, quasi a voler sottolineare sinteticamente qual è la strada
da seguire per espiare qui sulla terra le proprie colpe: una rigorosa disciplina di vita.
76 Cfr. Mt 10, 39: […] qui perdiderit animam suam propter me inveniet eam; vd. anche Mc

8, 35; Lc 9, 24.
77 Cfr. Lc 6, 21: Beati qui nunc fletis (codd.: lugent / plorant), quia ridebitis; vd. anche Mt 5, 6.
78 Cfr. 1Cor 7, 29. 31: Hoc itaque dico fratres: tempus breve est […] praeterit enim figura

huius mundi; PROSP., in psalm. 145, 4: Totum ergo quod in hoc mundo agitur, temporale est et
transitorium. Ma le riflessioni sulla brevità della vita coinvolgono già gli autori classici: vd. p.
es. PLAUT., Most. 726; SALL., Catil. 1, 3; CIC., Phil. 14, 12; HOR., sat. 2, 6, 97; SEN., brev. 1, 1;
IUV. 9, 126; et alii.
79 Ruricio sembra rileggere alla luce della fede cristiana le vicende dolorose che hanno

segnato la vita di Ceraunia: la morte della figlia (che aveva sposato uno dei figli dello stesso
Ruricio: vd. epist. 2, 4) e la recente scomparsa del marito Namazio. Si vedano anche le parole
messe sulle labbra alla figlia di Ceraunia in epist. 2, 4, 9: Aut numquid vos magis potestis ama-
re quam Dominus, qui me fecit, quomodo voluit, redemit, quia voluit, et, quando voluit, pro sua
pietate suscepit?.
80 Ps 29, 6.
81 Ps 125, 5: Qui seminant in lacrimis in exultatione metent. Similmente vd. RURIC., epist. 2,

17, 3.
82 Ruricio sembra uscire dal formalismo della topica della modestia affectata per consegnare

candidamente, a conforto di Ceraunia, la propria testimonianza di vita: un’esistenza forse non


fatta di ascesi rigorosa, ma di bontà di sentimenti; la consapevolezza dei propri limiti unita al-
l’attenzione pastorale di esortare alla misura alta della vita cristiana.
83 L’intento consolatorio emerge anche dall’anafora con poliptoto del sostantivo exhortatio

in figura etimologica col verbo exhortor.


84 Cfr. Rm 12, 15: Gaudere cum gaudentibus, flere cum flentibus.
85 Cfr. Ps 68, 21: […] et expectavi qui contristaretur, et non fuit, et qui consolaretur, et non

inveni; VET. LAT. Ps 68, 21: Et sustinui qui simul mecum contristaretur, et non fuit, et consolan-
tes me non inveni.
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 303

II, 15-16 303

86 La conclusione di questa lunga epistola si fa maggiormente retorica. In modo particolare

Ruricio ricorre a brevi strutture logico-sintattiche parallele di tipo binario: perfectiora vero at-
que maiora; aut coepta perficere aut ad pollicita pervenire; scientiam pariter et virtutem; et
lecta intellegas et intellecta custodias. La sequenza è conclusa dalla essenziale concatenatio.
Da notare anche l’insistenza posta sul preverbio per-, con valore intensivo: perfectiora – per-
quire - perficere (con figura etimologica rispetto a perfectiora) - pervenire e il successivo per-
ducere; l’allitterazione diffusa della dentale sorda e il gioco di suoni vocalici chiari che inner-
vano la frase: Dabit tibi taliter quaerenti Dominus scientiam pariter et virtutem, ut et lecta in-
tellegas et intellecta custodias.
87 Cfr. Ps 67, 6: (eius) patris orphanorum et iudicis viduarum, Deus in loco sancto eius.
88 Il termine pupillus (diminutivo ipocoristico da pupulus < dim. puppa) sta a indicare, già

dall’epoca classica, un fanciullo sottoposto a tutela a motivo dell’abbandono o della perdita del
padre (o dei genitori), come ben definisce il giurista Pomponio: Pupillus est qui, cum impuber
est, desiit in patris protestate esse aut morte aut emancipatione (dig. 50, 16, 239). Nella Sacra
Scrittura, come risulta anche dal titolo di pater orfanorum et iudex viduarum, orfani e vedove,
in quanto anello debole della società, erano particolarmente affidati alla protezione divina e alla
carità dei singoli, come risulta da Ex 22, 22: Viduae et pupillo non nocebitis; Dt 10, 18: (Domi-
nus Deus vester) facit iudicium pupillo et viduae, amat peregrinum et dat ei victum atque vesti-
tum; 24, 19: Quando messueris segetem in agro tuo et oblitus manipulum reliqueris non rever-
teris ut tollas eum, sed advenam et pupillum et viduam auferre patieris ut benedicat tibi Domi-
nus Deus tuus in omni opere manuum tuarum; ecc. Così nel Nuovo Testamento verrà definita
religio munda et immaculata il fatto di visitare pupillos et viduas in tribulatione eorum (Iac 1,
27). La cura delle vedove e degli orfani è deputata dal vescovo ai preti o ai diaconi, come ricor-
da tra gli altri STAT. eccl. ant. p. 167, 16: Ut episcopus gubernationem viduarum et pupillorum
ac peregrinorum non per seipsum, sed per archipresbyterum vel archidiaconum agat. Su pupil-
lus e la sua definizione, vd. anche ISID., orig. 11, 2, 12 e GASTI 1995, pp. 264-270 che, nel di-
scutere una questione testuale, precisa e documenta l’uso del lemma.
89 Cfr. RURIC., epist. 1, 15, 1: […] quia confido, quod, quem paterna pietate dilexit, et sedula

intercessione custodiat. Vd. anche epist. 2, 4, 1.


90 L’ultima frase scandisce ritmicamente le espressioni chiave: speráre conspéxerit; perdú-

cet ad praémium (vd. RURIC., epist. 1, 2, 3: sequestrátur a praémio).

2, 16
1 La lunga e articolata intestazione, che riprende pressoché alla lettera quella della preceden-

te lettera inviata a Eonio (epist. 2, 8 tit.), affianca al titolo papa quello sinonimico di episcopus,
secondo una consuetudine abbastanza diffusa nell’epistolografia.
2 Il sostantivo inofficiositas è raro ed esprime una mancanza verso l’officiositas, una sorta di

“rispetto / cortesia dovuti”, come emerge da SALV., gub. 8, 12: […] secundi loci officiositas ho-
nori illius proficit, cui principalia deferuntur (vd. anche eccl. 3, 72); SIDON., carm. 23, 479: Seu
nos eximii simul tenebat / nectens officiositas (Loyen: “obligéance”; Anderson: “courtesy”)
Marini; CASSIOD., var. 8, 17, 1: Illi paruit, illi multa officiositate servivit (vd. anche var. 11, 2,
2); CONC., Paris. a. 573 p. 216, l. 25: […] ideo salutis obsequium digno in Christo officiositatis
et reverentiae cultu praebentes poscemus. Per comprendere meglio il significato di inofficiosi-
tas, può essere utile leggere quanto Isidoro afferma sull’aggettivo corrispondente in relazione
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304 Commento

al sostantivo testamentum: Inofficiosum testamentum est, quod frustra liberis exheredatis sine
officio naturalis pietatis in extraneas personas redactum est (orig. 5, 24, 9). Inofficiositas si
trova soltanto in autori della Gallia di V-VI secolo: VAL. CEM., hom. 14, 4 p. 736D; SALV., epist.
3; 4, 11; APOLLIN. Alc. Avit. epist. 71.
3 Cfr. 1Cor 13, 13: Nunc autem manet fides, spes, caritas tria haec: maior autem caritas;

CASSIOD., in psalm. 47, 14 ll. 212-213: […] id est in caritate, qua virtute nihil potest esse prae-
stantius. Nell’epistola presente si è scelto di tradurre il polisemico sostantivo caritas con “ca-
rità” per corrispondenza col testo paolino che Ruricio cita e commenta, benché il suo significa-
to non si esaurica semplicemente nella definizione della virtù, ma sconfini nell’ambito dei rap-
porti di amicizia.
4 Cfr. 1Tim 1, 5: Finis autem praecepti est caritas de corde puro et conscientia bona et fide

non ficta.
5 Cfr. 1Cor 13, 4-8: Caritas patiens est, benigna est caritas, non aemulatur, non agit perpe-

ram, non inflatur; non est ambitiosa, non quaerit quae sua sunt, non inritatur, non cogitat ma-
lum; non gaudet super iniquitatem, congaudet autem veritati; omnia suffert, omnia credit, om-
nia sperat, omnia sustinet; caritas numquam excidit (codd.: cadit).
6 La sententia Domini si può ricondurre a Mt 10, 42: Et quicumque potum dederit uni ex mi-

nimis istis calicem aquae frigidae tantum in nomine discipuli, amen dico vobis non perdet mer-
cedem suam; 25, 40: Et respondens rex dicet illis: «Amen dico vobis: “quamdiu fecistis uni de
his fratribus meis minimis mihi fecistis”». La totale abnegazione della caritas è ribadita dalla
successiva antitesi commoda... incommodis.
7 Cfr. RURIC., epist. 1, 10, 2: […] serviamus nobis in caritate candida, non adulatione fucata.

Del resto, cfr. già Rm 12, 9: Dilectio sine simulatione; 2Cor 6, 6: […] in caritate non ficta.
8 Subsanno (accanto ai sostantivi subsannatio e subsannator) è verbo entrato solo in epoca

tarda nella lingua latina. Esso è composto dalla preposizione sub + sanna. Quest’ultimo termi-
ne ha derivazione greca: il sostantivo savnna~ (< saivnw) è attestato in CRATIN. 489, che Fozio
glossa: savnnan: to;n mwrovn. Così anche EUST., in Od. 777, 61; in partic. 1669, 46, da cui si ap-
prende che con questo epiteto sarebbe stato preso in giro un certo Teodotide. Dunque savnna~
identificherebbe il buffone, lo scemotto. La traduzione fonetica latina indicherà propriamente
l’atto della presa in giro, secondo quanto ci informa Cornuto commentando PERS. 1, 61-62
(Vos, o patricius sanguis, quos vivere fas est / occipiti caeso, posticae occurrite sannae): id est
irrisioni. […] Sanna autem dicitur os distortum cum vultu quod facimus cum alios deridemus.
Inde sanniones dicti quod non rectum vultum habeant. Similmente, vd. CIC., de orat. 2, 251
(sannio); PERS. 5, 91; IUV. 6, 306. Il verbo composto subsanno ricorre per la prima volta in
TERT., adv. Iud. 11, 5: Quoniam impleverunt impietates suas, et ecce ipsi quasi subsannantes, et
ego faciam cum indignatione mea (Ez 8, 17); quindi in CYPR., testim. 3, 50: Apud Solomonem
in Parhoemiis: «In aures inprudentis noli quicquam dicere, ne quando audierit, subsannet sen-
satos sermones tuos» (Prv 23, 9). In entrambi il verbo subsanno traduce il greco mukthrivzw,
cosa che invece non avviene successivamente nella Vulgata geronimiana (le due citazioni bibli-
che provengono evidentemente da una Vetus Latina Afra). Tuttavia il verbo viene utilizzato ab-
bondantemente in altri loci da Gerolamo: vd. p. es. Iob 22, 19; Ps 2, 4; 34, 16; Is 37, 22; ecc.,
accanto ai sostantivi subsannatio e subsannator. E a partire dalla Bibbia, verbo e sostantivi ac-
quisiscono uso comune negli autori fino al Medioevo.
9 I tricola paralleli e antifrastici sfaccettano, con sensibile gradatio ascendente (vd. supra 1,

4 n. 6), la speranza della caritas. Ravvisabile l’eco di Sap 3, 4-6: Et si coram hominibus tor-
menta passi sunt, spes illorum inmortalitate plena est. Et in paucis vexati, in multis bene dispo-
nentur. […] et in tempore erit respectus illorum.
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II, 16-17 305

10Sull’avvebio iugiter, vd. supra 1, 15 n. 6.


11Cfr. EPIST. Austras. 10, 6: Didicisti itaque, quam sit arduum excelsa conscendere, et do-
cuisti, quam magnum sit in sublimibus humilitatem servare.
12 Cfr. Phil 3, 20: Nostra autem conversatio in caelis est. Il termine conversatio è chiara-

mente utilizzato alludendo al testo paolino, secondo l’accezione del primo cristianesimo, per
cui equivaleva al greco polivteuma – politeiva, nella volontà di sottolineare come il discepolo
di Gesù Cristo fosse «a citizen of the kingdom of Heaven and consequently his “civic” duties
relate to the other world» (LORIÉ 1955, p. 84). Su questo tema vd. anche GLNT X, in partic.
coll. 1300-1328.
13 L’uso in chiasmo dell’ablativo mente usato in senso proprio rivela la fluidità della lingua

in un’epoca in cui si stava affermando la desematizzazione con metaplasmo del lemma per di-
venire suffisso avverbiale (vd. LHS II p. 170; VÄÄNÄNEN 20034, p. 170). In Ruricio è testimo-
niato questa fase di passaggio dall’alternarsi dei due usi. Vd. epist. 2, 10, 2 (propria mente: vd.
n. ad loc.); 19, v. 18 (canente mente); 23 (superba mente).
14 Cfr. 1Cor 1, 31: [...] ut quemadmodum scriptum est: “qui gloriatur in Domino glorietur”

(vd. anche 2Cor 10, 17; Gal 6, 14). Quanto all’uso di unde, vd. supra 2, 6 n. 21.
15 Il tono del discorso, finora espositivo, subisce un’impennata retorica nella sua conclu-

sione. L’humilitas personificata viene descritta a partire dalla sua etimologia (humus) con to-
ni stucchevolmente antifrastici. Si noti il lessico abilmente giocato “tra cielo e terra”: ca-
sum… ascensum… excelsa… in sublimibus… in caelis… terrenis… excelsa… deiecta… extol-
latur. Il frequente poliptoto verbale di habeo con figura etimologica rispetto al frequentativo
habito fa da ossatura alle due frasi, nelle quali emerge anche la profonda sensibilità linguisti-
ca di Ruricio, capace di giocare con dimestichezza sulle diverse valenze semantiche di uno
stesso verbo.
16 Sermo, ulteriormente specificato dall’aggettivo epistularius, indica propriamente la lette-

ra. Si è già notato altrove (vd. supra 2, 5 n. 4: sermo mediator) il frequente uso del linguaggio
dell’oralità per esprimere un tipo di comunicazione scritta. La iunctura epistularius / -is sermo,
assente in epoca classica, è rara anche in età tardoantica: vd. p. es. AMBR., epist. 5, 22, 11; CAS-
SIOD., var. 1, 1, 6; 3, 3, 4; GREG. M., epist. 1, 20 l. 9; 11, 41 l. 1 (epistularum nostrarum sermo).
Più frequente negli autori la forma epistulare conloquium / adloquium.
17 Nell’ultimo paragrafo si concentra abbondante la topica epistolare: la consueta dichiara-

zione di modestia (non pro eruditione nostra, sed pro dignatione vestra), il sermo epistularis
inteso come dialogo inter absentes generatore di dilectio, l’atteso ricongiungimento dei due
amici attraverso un incontro de visu con l’auspicato accrescimento del rapporto di amicizia.
Centrale nel periodo finale, ma anche in tutto il paragrafo, è il sostantivo dilectio che assume
anche particolare rilievo a livello visivo: è infatti proprio la dilectio a tenere saldi tra di loro
Ruricio ed Eonio. Inoltre essa viene a essere in un rapporto biunivoco con la scrittura epistola-
re: da quest’ultima infatti è stata originata e ne diventa al tempo stesso lo scopo. Da notare
l’omeoptoto allitterante intuitu – affatu che sigilla la speranza di incontrare al più presto il
corrispondente.

2, 17
1
Consueta topica epistolare improntata all’affectata modestia e all’amicitia (per il sostanti-
vo rusticitas, vd. supra 1, 3 n. 10); altrettanto comune la paronomasia affectus - affatus, per cui
vd. supra 1, 11 n. 20. Ruricio dichiara di voler immolare l’eloquenza alla mutua caritas. Tau-
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306 Commento

renzio, dal canto suo, mostra di apprezzare questo suo atteggiamento: Recognosco plenum cari-
tatis affectum et sinceritatem piae castigationis amplector. Eloquentiam in verbis, in exemplis
perfectionem, in consilio gratiam, in officio diligentiam, in veritate constantiam, in admonitio-
ne veritatem, scientiam probatis in dogmate (TAURENT. epist. ad Ruric. 3 pp. 398-399, ll. 6-10).
2 L’imperium caritatis è la regola ultima dello scrivere lettere, al pari del più comune offi-

cium caritatis (vd. RURIC., epist. 2, 33, 1). La iunctura si incontra anche in SIDON., epist. 7, 17,
3: […] si vicissim caritatis imperiis fratres amicos commilitones obsequi decet; ENNOD., epist.
3, 17 p. 84, 21: […] numquam se metitur quem stimulat caritatis imperium; 9, 4 p. 231, 10: Ad
querelam descendi caritatis imperio.
3 1Ioh 4, 18.
4 Cfr. RURIC., epist. 1, 11, 3: […] cum intellegeretis eam non pro eloquentiae lepore, sed pro

vestro amore copiosam.


5 Lo stile di questa lunga frase incipitaria è piuttosto argomentativo, senza fronzoli retorici,

quasi a sostenere stilisticamente la topica critica dell’eloquenza. Prevalgono semplici costrutti


paralleli: solliciti cordis affectus - inperiti oris… affatus; erubescit rusticitatis opprobrium - im-
pleat caritatis imperium; diligere sincere - praedicare perfecte; eloquentiae lepore praediti -
dilectionis vigore perfecti; unica variatio il chiasmo finale: sicut quod bonum est rarum est, ita
arduum quod aeternum.
6 Motto sapienziale, ispirato probabilmente a qualche proverbio e che comunque sembra pa-

rafrasare in termini popolari il successivo riferimento alle parole evangeliche. Cfr. CIC., Lael.
79: […] et quidam omnia praeclara rara; fin. 25, 81: […] in ipsa virtute optimum quidque ra-
rissimum est; RUFIN., hist. mon. praef. (PL 21, col. 390): […] cum optima quaeque rara sint.
Altre testimonianze in OTTO 1962, p. 294.
7 Cfr. Mt 7, 13-14: Intrate per angustam portam quia lata porta et spatiosa via quae ducit

ad perditionem, et multi sunt qui intrant per eam; quam angusta porta et arta via quae ducit ad
vitam, et pauci sunt qui inveniunt eam.
8 Il generico riferimento alla fine del mondo si inserisce in un filone apocalittico piuttosto

diffuso, tanto in Oriente quanto in Occidente, fin dal cristianesimo primitivo (Ippolito, Ireneo
di Lione, Origene, Vittorino di Petovio, Commodiano, Lattanzio, ecc.). Secondo un topos già
classico (vd. Tucidide, Platone, Polibio, Sallustio) risignificato dagli autori cristiani, si applica
una prospettiva biologica al mondo creato, secondo cui tutto ciò che nasce è destinato a una
lenta, ma inesorabile senescentia: Minucio Felice afferma che moritur omne quod nascitur (24,
3); più specificamente, per la letteratura cristiana antica, è Cipriano (in partic. Demetr. 3), e pri-
ma di lui, Tertulliano, a riflettere su questo aspetto di Dekadenzidee: «A questo proposito, tu,
anche se non conosci Dio e sei all’oscuro della verità, dovresti sapere anzitutto che il mondo
ormai è invecchiato (senuisse iam mundum), che non si regge più con quelle forze su cui prima
poggiava e che non ha più il vigore e la gagliardia che aveva un tempo. […] Non può non inde-
bolirsi ogni essere che, avvicinandosi ormai la sua morte, declina verso il definitivo tramonto.
[…] È volontà di Dio, ed è sua legge per il mondo, che tutte le cose dopo esser sorte tramonti-
no, e giunte a maturità invecchino, e s’indeboliscano le forti, e le grandi s’impiccioliscano; e,
quando sian divenute deboli e piccole, si estinguano (ut omnia orta occidant, et aucta sene-
scant et infirmentur fortia et magna minuantur: et cum infirmata et deminuta fuerint finian-
tur)» (trad. E. Gallicet). Vd. anche AUG., serm. 81, 8; GREG. M., in evang. 1, 1. Tramontata l’at-
tesa millenaristica, riaffiora l’idea della prossimità della fine del mondo con l’acuirsi delle in-
cursioni dei barbari entro i confini dell’Impero (vd. p. es. AMBR., in Luc. 10, 10; HIER., epist.
60, 16; SIDON., epist. 8, 6, 3), complice per altro la misinterpretazione del cosiddetto “discorso
escatologico” di Gesù (vd. Lc 21, 5-38), in cui l’intricata descrizione della caduta di Gerusa-
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II, 17 307

lemme e della fine dei tempi si presta a essere applicata a epoche di particolare turbolenza so-
cio-politica (vd. il sopraccitato locus ambrosiano). In modo particolare alcuni scrittori vedono
nei barbari e nelle continue guerre la conseguente punizione dei peccati degli uomini (prospet-
tiva amartiocentrica), che condurranno la storia alla fine: di questa opinione sono Sulpicio Se-
vero, Orienzio, Salviano di Marsiglia, ecc. Indubbiamente, come ha posto in luce MOMIGLIANO
1973, p. 6, il fatto di assistere al progressivo sfacelo dell’Impero sotto i colpi delle orde barba-
riche non poteva non evocare alla mente del cristiano l’immagine drammatica della fine del
mondo, con cui l’Impero Romano stesso si identificava: si pensi al sacco di Roma a opera dei
Goti di Alarico nel 410, o a maggior ragione alla caduta della pars Occidentis nel 476. A tal
proposito, oltre al già citato articolo di A. Momigliano, vd. COURCELLE 1948, pp. 19-55, in par-
tic., per gli autori gallici, pp. 79-114; MAZZARINO 1959, pp. 40-76; PRICOCO 1978, pp. 192-204;
SIMONETTI 1980, pp. 93-117, in partic. pp. 101-103; INGLEBERT 1996, in partic. pp. 590-690;
LUISELLI 1998, pp. 10-30, in partic. pp. 23-28; WARD-PERKINS 2008, pp. 19-41; per quanto at-
tiene alla reazione degli uomini di Chiesa davani allo sfacelo dell’Impero, utile ancora la lettura
di HANSON 1972, pp. 272-287. A tal proposito, vd. supra 1, 3 n. 24. In Ruricio non si può tutta-
via dire nulla di più se non notare come l’idea della fine del mondo sia immediatamente affian-
cata alla senescenza fisica dell’autore, instaurando indirettamente un rapporto tra di essi. Per
l’apocalittica di I-V secolo, vd. SIMONETTI 1998, pp. 7-20; utile per una buona visione d’insie-
me delle tematiche millenaristiche, con riferimento in special modo ai primordi cristiani, la rac-
colta di Atti curata da UGLIONE 2002.
9 Le chiome sono state tagliate, probabilmente perché incanutite. Tanto nel mondo greco che

in quello latino, una delle connotazioni proprie della vecchiaia è realisticamente individuata
nell’incanutimento di barba e capelli (vd. p. es. SER., med. 43-45). E se la senectus è associata
anche alla saggezza che si è acquisita (o si sarebbe dovuta acquisire: vd. n. succ.), essa rimane
pur sempre difficile da sopportare e da accettare (cfr. TER., Phorm. 575: Senectus ipsa est mor-
bus; vd. OTTO 1962, p. 316). Tralasciando la ricorrente topica relativa alla canities e alla calvi-
ties, nonché al rispettivo disagio loro connesso (per cui si rimanda alle monografie curate da U.
Mattioli alla n. succ.), vale la pena sottolineare come la medicina antica avesse cercato di porre
rimedio agli inestetismi delle chiome incanutite attraverso tinture di vario genere, come il ci-
presso pestato nell’aceto, le foglie di lentisco, i lombrichi mescolati con olio, ecc. (vd. SER.,
med. 43-59; MARCELL., med. 7, 1-16; ulteriori riferimenti in MAZZINI 1995, in partic. pp. 355.
361). Stando così le cose, il provvedimento di Ruricio di tagliarsi i capelli può essere stato mo-
tivato da canizie senile o da calvizie. Infine, il radersi il capo diventa anche simbolo di una vita
dimessa, come si addice alla vecchiaia. Così p. es. HIER., in Ier. 2, 44, 1: Et Iob audita filiorum
et filiarum morte capillos legimus totondisse et apud veteres haec erat omnium consuetudo lu-
gentium tondere caesariem; at nunc e contrario comam demittere luctus indicium est; in Ezech.
2, 7 ll. 928-930: Calvitium quoque capitis luctum significat, quando perdit decorem caesaries
et pulchritudinem comarum amittimus. Anche Taurenzio, da quanto emerge dalla lettera di ri-
sposta, è di età avanzata: Ego autem aetatem meam non de canentium putamine capillorum nec,
sicut beatitudo vestra de saeculari auctore mutuata est, de colore barbae albentis agnosco,
cum, etiamsi esset error in conputo, senescentis annos de torpore membrorum per morbi incre-
menta sentirem (TAURENT. epist. ad Ruric. 3 p. 399, ll. 18-23). Quanto al sostantivo caesaries,
applicato a una capigliatura fluente o anche a una barba rigogliosa, va notato che «le mot ap-
partient au langage poétique; évité par les prosateurs classiques, sauf dans passages exception-
nels, où se dénonce une imitation de la poésie, il revient dans l’usage de la prose chez les écri-
vains de basse époque» (PINAULT 1998, p. 15). È ancora avvertita come voce poetica da Plinio
che la utilizza a fini enfatici in paneg. 4, 7: […] nec sine quodam munere deum festinatis senec-
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308 Commento

tutis insignibus ad augendam maiestatem ornata caesaries. Prima di questo locus, nella prosa il
sostantivo occorre solo in LIV. 28, 35, 6 e successivamente in APUL., met. 5, 22; solo a partire
dal IV secolo esso comincerà ad avere una ricorrenza maggiore.
10 La lapidaria considerazione di Ruricio in merito alla divisione di ruoli e di comportamenti

propri di ciascuna età della vita si inserisce in un filone che vanta un’ampia tradizione classica
sia greca che latina. Si pensi in modo particolare al filone filosofico pitagorico, molto severo
nei confronti di chi travalica i limiti comportamentali della propria età (vd. ALFONSI 1977, pp.
118-119); Platone quindi affermerà (resp. 563a): «Queste ed altrettanti inezie succedono, ripre-
si io; e in tale ambiente il maestro teme gli scolari, e gli scolari fanno poco conto dei maestri e
degli accompagnatori; e in tutto i giovani si mettono alla pari cogli anziani e con essi gareggia-
no a parole e in atti; e i vecchi, cedendo ai giovani, si mostrano pieni di arrendevolezza e di
gentilezza, ed imitano i giovani per non sembrare sgraditi nè autoritari» (trad. C. O. Zuretti). È
altresì luogo comune il fatto che ogni età abbia delle attività e delle funzioni sue proprie. Cfr. p.
es. PLAUT., Merc. 305: Tun capite cano amas, senex nequissime?; 984: Itidem ut tempus anni,
aetatem aliam aliud factum condecet; CIC., Cato 33: Cursus est certus aetatis, et una via natu-
rae eaque simplex suaque cuique parti aetatis tempestivitas est data […] naturale quiddam ha-
beat quod suo tempore percipi debeat; HOR., ars 156-157: Aetatis cuiusque notandi sunt tibi
mores, / mobilisque decor naturis dandus et annis; similmente, vd. anche PLIN., epist. 3, 1, 2;
MAXIM., eleg. 1, 103-110. Quanto al decus e alla gravitas della senectus, cfr. CIC., Cato 27: Nec
nunc quidem vires desidero adulescentis (si enim erat locus alter de vitiis senectutis), non plus
quam adulescens tauri aut elephanti desiderabam. Quod est eo decet uti, et quidquid agas age-
re pro viribus. E per contro, la palliata abbonda di presenze di vecchi che non si comportano
come tali, ma che usano atteggiamenti poco consoni alla loro età: vd. MINARINI 1995, pp. 1-30,
in partic. pp. 7-17. Cristianamente il concetto penetra in Ecl 3, 1: Omnia tempus habent et suis
spatiis: transeunt universa sub caelo; 9, 10: Quodcumque potest manus tua facere, instanter
operare, quia nec opus nec ratio nec scientia apud inferos quo tu properas; Tit 2, 2: Senes ut
sobrii sint, pudici, prudentes; quindi cfr. SEDUL., op. pasch. 5, 8: Quid ergo, quaecumque flagi-
tia iuvenalis aetas admiserit in senectutem debent relaxanda servari? Absit ut in nobis vitia
permaneant et senescant. Sull’impatto sociale di una cattiva testimonianza resa dagli anziani si
sofferma Publilio Siro, affermando: Ubi peccat aetas maior, male discit minor (sent. U 5);
quindi vd. anche SEN., epist. 6, 5; PLIN., epist. 8, 14, 6; et alii. E del resto non mancano affer-
mazioni che negano il senno e la saggezza alla senectus. Ai modelli greci fa da riscontro nel
mondo latino già PLAUT., Trin. 367: Non aetate verum ingenio apiscitur sapientia. Similmente
vd. PUBLIL., sent. S 7; CIC., Cato 62. In questo senso, cfr. anche il proverbio italiano ancora og-
gi in uso: “A testa bianca spesso cervello manca”. Una storia della vecchiaia a livello culturale
e letterario, per quanto riguarda il mondo greco e romano, è stata magistralmente condotta da
MATTIOLI 1995a; ID. 1995b; post mortem del curatore, è possibile accedere al recente MATTIOLI
2007, dedicato al mondo ebraico e cristiano; utile in tal senso anche l’intervento di EYBEN
1989, pp. 230-251. Per quanto attiene alla paremiografia, vd. TOSI 1995, pp. 365-378, in partic.
pp. 366-367; quanto alla topica del “giovane e vecchio”, vd. CURTIUS 1992, pp. 115-118. Dal
punto di vista stilistico, bisogna rilevare l’assonanza della vocale chiara /a/ nel comma iuvena-
lia facta e le due originali locuzioni confecto corpore et corde decrepito, legate ulteriormente
dalle evidenti figure di suono.
11 Il termine dispensatio proviene al mondo cristiano dal linguaggio amministrativo romano,

indicando l’equa gestione di beni materiali, e per traslato talora la carica stessa di amministra-
tore. I cristiani utilizzano il termine, oltre che in senso classico (p. es. TERT., anim. 43, 3: di-
spensatio ciborum), anche per indicare l’elargizione dei Sacramenti. In modo particolare esso
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viene a identificare anche l’ordo Dei, il governo provvidenziale del mondo in chiave soteriolo-
gica, ciò che in greco è identificato col sostantivo oijkonomiva (vd. p. es. TERT., adv. Val. 28, 2;
HIER., epist. 36, 15). “Economia della salvezza” viene a essere ancora oggi termine tecnico del
linguaggio teologico.
12 Cfr. Ier 29, 23: Ego sum iudex et testis dicit Dominus.
13 I cola paralleli non solum merita ponderaturus et facta, verum etiam verba est discussu-

rus et vota ritornerà in RURIC., epist. 2, 23, 4.


14 Cfr. Mt 10, 42: Et quicumque potum dederit uni ex minimis istis calicem aquae frigidae

tantum in nomine discipuli, amen dico vobis non perdet mercedem suam. Vd. anche Mc 9, 40.
15 Cfr. Mt 12, 36-37: Dico autem vobis quoniam omne verbum otiosum quod locuti fuerint

homines reddent rationem de eo in die iudicii: ex verbis enim tuis iustificaberis et ex verbis tuis
condemnaberis.
16 Il soggetto della frase (Dio) si intuisce ad sensum, a causa dell’ampia iperbato (de qua…

reos nos… constituat) generato dalla lunga frase incidentale.


17 Non è solo l’abilità retorica del nostro autore a legare paronomasticamente la coppia mi-

nima voluptas - voluntas. Tutta la tradizione cristiana, dalla letteratura biblica in poi, come
emergerà dalla successiva citazione scritturistica, pone in relazione la realizzazione materiale
del peccato col suo desiderio formale. La frase è tenacemente commessa dalle figure di suone
quale l’allitterazione della dentale sorda, la coppia minima con omeoptoto voluptate -
voluntate, l’homoeoprophoron concupiscentiae - constituat.
18 Cfr. Mt 5, 28: Ego autem dico vobis quoniam omnis qui viderit mulierem ad concupiscen-

dum eam, iam moechatus est eam in corde suo.


19 Lapidariamente efficaci i due cola antifrastici, dominati dai paradossi centrali talibus

membris sic debiles et tamen integri - salvi et tamen perditi. La clausola finale proiciámur
incéndium (cursus tardus) è impreziosita dall’iperbato assonante in aeternum… incendium. Al-
la base sta chiaramente Mt 5, 29-30: Quod si oculus tuus dexter scandalizat te, erue eum et
proice abs te: expedit enim tibi ut pereat unum membrorum tuorum quam totum corpus tuum
mittatur in gehennam. Et si dextera manus tua scandalizat te, abscide eam et proice abs te: ex-
pedit tibi ut pereat unum membrorum tuorum quam totum corpus tuum eat in gehennam (vd.
anche Mc 9, 42-48). Parafrasando il testo matteano, Ruricio prosegue nella precettistica attra-
verso una sorta di lettura corsiva del testo evangelico, essendo questa pericope immediatamente
successiva a quella sopraccitata dal vescovo di Limoges (Mt 5, 28).
20 La formula di passaggio allitterante (/t/) introduce nella parte dell’epistola maggiormente

parenetica. Si noti il cursus velox salúbriter pertractátis in parallelo col successivo cursus pla-
nus ríte perspéctis. Le due formule sono legate tra di loro dalla prefissazione verbale (pertrac-
tatis - perspectis).
21 Cfr. Gal 6, 10: Ergo dum tempus habemus, operemur bonum ad omnes.
22 Vd. supra 2, 15 n. 40. Il parallelismo sintattico di questi tre cola dimembri è interrotto

bruscamente dalla variatio stilistica nell’ultimo elemento, costituente un chiasmo col preceden-
te (contemnamus praesentia, futura cupiamus). Lo sguardo del lettore è portato così a concen-
trarsi maggiormente su quello che è il fine ultimo della vita cristiana: la beatitudine eterna.
23 Cfr. Eph 2, 5: Et cum essemus mortui peccatis convivificavit nos Christo; 1Pt 2, 24: […]

ut peccatis mortui iustitiae viveremus. La duplice sequenza parallela afferma e ribadisce in altri
termini i medesimi concetti: il peccato, eliminato dalla vita, può avere una sorta di “spazio esi-
stenziale” solo nella contrizione della coscienza e nelle riparatorie opere di penitenza. Simili
concetti espressi in EUSEB. GALL., hom. 26, 6: Ita illud conversatio obliviscatur, ut compunctio
recordetur; ita illud reatus confessionis ostendat, ut virtus satisfactionis abscondat; ita vivat in
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310 Commento

conscientia, ut moriatur in vita; 64, 13: Elaboremus, adiuvante Deo: ut in vita nostra morian-
tur delicta nostra, ut terminum finemque peccatis, non interitus faciat, sed profectus.
24 Cfr. Ps 125, 5: Qui seminant in lacrimis in exultatione metent; Gal 6, 8: Quae enim semi-

naverit homo haec et metet, quoniam qui seminat in carne sua de carne et metet corruptionem;
qui autem seminat in spiritu de spiritu metet vitam aeternam.
25 A queste considerazioni soggiace la parabola della zizzania secondo l’interpretazione

che ne fornisce Gesù stesso in Mt 13, 37-39. Similmente cfr. HIER., in Gal. 6, 10 ll. 2-5: Tem-
pus sementis, ut diximus, tempus est praesens, et vita quam currimus. In hac licet nobis quod
volumus seminare; cum ista vita transierit, operandi tempus aufertur (vd. già 6, 9 ll.1-9);
AUG., serm. 11, 3: Ideo hoc dixi, ut seminationis nostrae mercedem, non isto tempore quo se-
minavimus speremus. Hic enim bonorum operum messem cum labore serimus, sed in futuro
fructus illius cum gaudio colligemus; 233, 1: In praesenti laboremus: in futura speremus. Mo-
do tempus est operis: tunc mercedis. Qui piger est in exhibendo opere, impudens est in exigen-
da mercede; FULG. RUSP., rem. pecc. 2, 15, 1: Proinde bonum nobis est ut nunc operemur bo-
num dum tempus est operis; et ut simus in messe ditissimi, nec segnes debemus remanere, nec
steriles.
26 Circa l’uso della locuzione preposizionale in + abl. con valore predicativo, vd. supra 1, 2

n. 15.
27 L’espressione quidam sanctorum identifica un personaggio della storia sacra o ecclesiastica.
28 Gn 30, 33: è Giacobbe che parla a Laban suo suocero.
29 La singolare interpretazione di Ruricio del passo biblico può avere una fonte probabile in

HIER., in Is. 16, 58, 8 ll. 22-25 in cui, commentando Is 58, 8-9 nella versione dei LXX, viene ad
affermare che multi translationis falsitate decepti, ad resurrectionem corporis comprobandam,
hoc utuntur testimonio (scil. et sanitates tuae cito orientur), quo scilicet vestimentum animae
corpus accipi velint, quod in die resurrectionis oriatur. Quindi prosegue nel commento, citando
Gn 30, 33, sempre in rapporto al testo profetico: Et antecedet, inquit, in conspectu tuo iustitia
tua. Secundum illud quod loquitur Iacob: Exaudiet me cras iustitia mea. Gli avverbi di tempo
cito e cras pertanto verrebbero a coincidere nel riferirsi tipologicamente alla risurrezione di
Cristo. Similmente, cfr. HIER., in Matth. 6, 34 ll. 879-881: Cras in scripturis futurum tempus in-
tellegitur dicente Iacob: «Et exaudiet cras iustitia mea».
30 Per il titolo unanimitas, vd. supra 1, 3 n. 3; sull’uso del verbo praesumo, vd. supra 2, 7

n. 14.
31 Cfr. RURIC., epist. 2, 7, 2: Quibus individuae caritati vestrae salve plurimum dico et prae-

fatum pro affectione germana, non pro pontificali auctoritate commendare praesumpsi.
32 Cfr. RURIC., epist. 1, 15, 2: dictante dilectione. Si notino le insistenti figure di suono al li-

mite della rima: Haec nos, frater optime, non pontificali auctoritate, sed fraterna pietate fiden-
ter scribere unanimitati vestrae caritate dictante praesumpsimus. La formula caritate dictante si
trova anche in AUG., in epist. Ioh. 7, 8; BEDA, templ. 1, 942.
33 Da notare la sapiente equivocità semantica della figura etimologica dictante – dictatoris.
34 Le locuzioni casuali dictatoris ingenium - germani affectum sono parallele (e pressoché

tautologiche) rispetto alle aggettivali pontificali auctoritate - fraterna pietate.


35 Per l’usus del lemma portitor, vd. supra 1, 7 n. 14.
36 Ruricio conferma il suo evidente interesse per il santo vescovo di Ippona, come emerge

anche dalla lettura delle lettere precedenti. Dal canto suo Taurenzio sottolinea: Sanctum Augu-
stinum, sicut iusseratis, inveni, quem cum filio communi Rustico presbytero esse credebam.
Operae pretium est, ut admiremini studium meum, quod, quae opuscula contineret, hucusque
qui nescivi, sane capitulatim iam librum traditurus inspexi. Chartaceus liber est et ad ferendum
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II, 17-18 311

iniuriam parum fortis, quia citius charta, sicut nostis, vetustate consumitur (TAURENT. epist. ad
Ruric. 3 p. 399, ll. 37-42).
37 Il tema dell’ascensio per gradus è propria della letteratura monastica: è possibile giunge-

re alla perfezione della carità soltanto attraverso una progressiva mortificazione del corpo e
della volontà oltre che la preghiera. Si vedano come esempio il cap. 10 della Regula Magistri o
il 7 della Regula di Benedetto, i quali attingono alla precedente tradizione, in modo particolare
a Cassiano. E a quest’ultimo sembra essersi ispirato anche Ruricio. Cfr. CASSIAN., conl. 1, 7, 1:
[…] ut scilicet per illas (scil. virtutes) ab universis passionibus noxiis inlaesum parare cor no-
strum et conservare possimus et ad perfectionem caritatis istis gradibus innitendo conscendere.
Attraverso questa ascensio, l’esercitante passerà da un rapporto con Dio, fatto di timore e pro-
prio dei servi, alla carità liberante dei figli di Dio (vd. CASSIAN., conl. 11, 7, 1; inst. 4, 39, 2;
BENED., reg. 7).
38 Possibile la reminescenza paolina di 1Cor 12, 31: […] et adhuc excellentiorem viam vobis

demonstro.
39 L’integrazione vita proposta da Lütjohann, oltre che costituire una coppia minima secondo

un diffuso usus ruriciano, può essere sostenuta anche da epist. 2, 30, 2: […] quia iuxta aposto-
lum Paulum ipsa est eminentior via, quae ducit ad vitam. Così anche HAGENDAHL 1952, p. 74.
40 Cfr. Ps 83, 8: […] ibunt (VET. LAT. Ps 83, 8: ambulabunt) de virtute in virtutem, videbitur

Deus deorum in Sion.


41 La iunctura oculi cordis è molto ricorrente nell’epistolografia a indicare la modalità attra-

verso cui contemplare la presenza dell’amico anche se lontano, per cui vd. supra 1, 1 n. 6. Tut-
tavia nel presente locus l’espressione ricorre con uno scarto semantico rispetto al consueto to-
pos epistolare, piuttosto “spiritualizzata”: gli occhi del cuore diventano strumento da appronta-
re nell’esistenza terrena, attraverso l’esercizio delle opere di carità, al fine di poter vedere Dio
nella vita futura.
42 L’immagine è abbastanza consueta. Cfr. CYPR., eleem. 14: Et quae matrona locuples et di-

ves es ungue oculos tuos non stibio diaboli sed collyrio Christi, ut pervenire ad videndum
Deum possis, dum Deum et operibus et moribus promereris; PAUL. NOL., epist. 45, 1: […] tene-
bras insipientiae meae discuti sentio et quasi collyrio declarationis infuso oculis mentis meae
purius video ignorantiae nocte depulsa et caligine dubitationis astersa; GREG. M., past. 1, 11:
Collyrio quippe oculos ut videamus inungimus, cum ad cognoscendam veri luminis claritatem
intellectus nostri aciem medicamine bonae operationis adiuvamus. Agostino (in evang. Ioh. 18,
11) espone in negativo, ciò che Ruricio propone in positivo (collyrio bonorum operum): Quae
sunt collyria? noli mentiri, noli periurare, noli adulterare, noli furari, noli fraudare.
43 Cfr. Mt 5, 8: Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt.
44 Sull’homo interior, vd. supra 1, 15 n. 5.
45 Notevoli i giochi di suono che isolano, quasi a memento finale, i due cola praeparétur intúi-

tus - hebeténtur obtútus. L’alternanza di suoni chiari e suoni scuri, le forti allitterazioni e le clau-
sole ne fanno quasi un motto gnomico.

2, 18
1 Excolendus è un titolo di omaggio utilizzato in epistole indirizzate sia a ecclesiastici che a
laici di alto rango. «It is a rare title, being found only in the letters of Ruricius and Faustus»
(O’BRIEN 1930, p. 104). Cfr. FAUST. REI., epist. 8 p. 208 tit.; 9 p. 211 tit.; 10 p. 216 tit.; 11 p.
217 tit..
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312 Commento

2 Circa l’appellativo papa, vd. supra 2, 8 n. 1. Esso è affiancato al sostantivo episcopus, di

cui è di fatto sinonimo, come già in epist. 2, 16 tit. a Eonio.


3 L’aggettivo individuus compare spesso accompagnato a sostantivi astratti utilizzati o in

senso proprio o per indicare elementi concreti (vd. supra 2, 2 n. 14). A tal proposito cfr. AMBR.,
virg. 2, 2, 14: Hic (scil. pudor) individuus debet esse virginitati; FAUST. REI., epist. 1 p. 163, 19:
Ego tamen individuam mihi bonitatem tuam […] desidero. Ruricio usa questo aggettivo in
unione a sostantivi: vd. individuae germanitati vestrae (2, 2, 2); apud individuam mihi sublimi-
tatem vestram (2, 12, 1), ecc., spesso con dativus iudicantis, come nella presente epistola. La
iunctura individua beatitudo è ruriciana. Sedato così lamenta il silenzio dell’amico: Saluto ita-
que plurimum et rogo per illam caritatem, quae mihi affectum dignationemque tuam nuntiat, ne
te pigeat, quotiens opportunum, servum tuum litterarum munere visitare, quia testor Deum,
quod post praesentiam tuam nihil mihi dulcius est, quam si conloquium desiderantissimae pie-
tatis vel litterarum dignatione meruero (SEDAT., epist. ad Ruric. 5 p. 401, ll. 6-12). Sul titolo
beatitudo, vd. supra 1, 15 n. 25.
4 L’incipit risulta particolarmente tornito dal punto di vista retorico. L’epistola si apre con un

bel chiasmo grammaticale con forte sonorità: culpatis me saepius et crebrius inputatis. Segue
quindi l’articolato titulus che sembra fare da fondale scenico, ipercaratterizzato, al capo d’im-
putazione: il fatto che Ruricio non abbia da tempo corrisposto con l’amico. La prima parte della
frase successiva, costituita dall’espressione desiderativa introdotta da utinam + cong., è struttu-
rata in maniera simmetrica, con variatio di posizione degli elementi, così da costituire un chia-
smo: sic esset facultas dicendi, sicut est scribendi voluntas. Da notare invece la perfetta simme-
tria dei cola corde concipitur, ore promatur. Non mancano ancora le figure di suono, particolar-
mente abbondanti ed evidenti. Questi due grandi cola fanno perno su caritas, che risulta essere
così il punto di fuga del discorso, oltre che la motivazione intrinseca della lettera. Quanto alla
caritas che ha il proprio ricettacolo nel cuore dell’uomo, vd. supra 1, 15 n. 8; 2, 10 n. 8.
5 Costrutto parallelo con paronomasia (affatus - affectus), a cui si aggiunge l’allitterazione

della fricativa /f/ e della sibilante /s/, che contribuiscono a creare fonosimbolicamente il rumore
di un bisbiglio, come di una parola che stenta a farsi voce sonora. L’ermetica affermazione vie-
ne amplificata dalla successiva proposizione, in cui i concetti chiave sono evidenziati dalle fi-
gure di suono: (non esse) in dilectione culpabilem… in officiorum redhibitione… aequalem.
6 Questo paragrafo costituisce una vera e propria trattazione di quello che Ruricio intende

per amicizia: un sentimento al tempo stesso forte e delicato, che fa affidamento su mutui senti-
menti di affetto, i quali sopperiscono anche alla mancanza di manifestazioni sensibili da parte
di uno degli amici. All’origine di tutto ciò sta quella caritas, che già era stata esaltata nell’inci-
pit di questa lettera come l’elemento che determina il rapporto amicale. Analoghe considerazio-
ni erano tuttavia già state espresse dal presule limosino in epist. 2, 10, 2, in cui compariva pe-
raltro la locuzione caritate diligere che chiude questo secondo paragrafo (si simili nos caritate
diligitis). Analoghe espressioni già in AUG., epist. 243, 4; civ. 6, 12; trin. 8, 8. Il paragrafo ruota
attorno a poche parole chiave, che sono costantemente ripetute, con anafora e poliptoto: dilec-
tio - diligere (figura etimologica), se - suus (figura etimologica). Il paragrafo si chiude con
un’ultima frase sentenziosa, suggellata dalla clausola finale caritáte dilígimus (cursus tardus).
In riferimento ai doveri che l’amicizia epistolare impone, vd. supra 1, 12 n. 16; 2, 5 n. 1.
7 Analoga climax in CASSIAN., c. Nest. praef. 3: Pareo obsecrationi tuae, pareo iussioni. Il

fatto che l’autore si dichiari costretto a scrivere dal destinatario, nonostante la propria inade-
guatezza intellettuale è topica: vd. supra 1, 3 n. 7.
8 Probabile riferimento non tanto a questa lettera, quanto a quella successiva, a cui presumi-

bilmente la presente fungeva da prefazione, secondo il modello retorico prosimetrico i cui inizi
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II, 18 313

vanno ricondotti all’opera poetica staziana. Ulteriore indice del fatto è che Ruricio, nell’ottem-
perare all’officium caritatis, ha affermato di mandare a Sedato suoi scritti qualibuscumque ser-
monibus contexta, e così «risponde con un’originalissima e duplice lettera, anzi con un’epistola
poetica preceduta da una sorta di prefazione che ne giustifichi la composizione e, insieme, l’i-
spirazione» (GASTI 2005-2006, p. 168). A tal proposito, vd. MATHISEN 1999, p. 171 n. 6; GASTI
2005-2006, pp. 166-168; in generale, vd. CONSOLINO 2006, pp. 93-122.
9 Topica l’esortazione dell’autore a celare o a distruggere il proprio scritto, in quanto inde-

gno di memoria: similmente vd. supra 1, 4 n. 14; 10 n. 18. Le parole di Ruricio alludono inoltre
alla consuetudine già antica di dare lettura di epistole ritenute significative fra la cerchia degli
amici (vd. supra 1, 3 n. 7; 4 n. 14).
10 L’espressione caritatis ignis si incontra altre 3 volte nell’epistolario nella forma del dimi-

nutivo igniculus caritatis: vd. epist. 1, 1, 1; 2, 9, 3; 26, 2.


11 Torna l’idea che la lettera scritta a un amico è una sorta si suppletivo dell’incontro perso-

nale, a tal punto da poter anche “interloquire” con essa, mitigando così il desiderium. A tal pro-
posito, vd. supra 1, 1 n. 6; 2, 5 n. 4. Tuttavia, altrettanto topicamente, l’epistola può diventare
anche un tranello pericoloso, perché, pur leggendola più volte, non si giunge mai a sazietà (vd.
infra n. 17).
12 La preoccupazione per l’iniuria arrecata alle orecchie raffinate del destinatario da parte

dell’epistola si trova anche in epist. 1, 3, 1; 9, 1; 2, 41, 1 alle cui nn. ad loc. si rimanda. Sull’u-
so del verbo praesumo, vd. supra 2, 7 n. 14.
13 Questa professio di predilezione del vero sul facondo ricollega, ormai solo topicamente,

l’affermazione alle origini della letteratura cristiana e alla polemica sulla retorica quale media-
trice di falsità degli auctores pagani. Quanto all’uso della sapienza pagana da parte dei cristia-
ni, vd. supra 1, 10 n. 14.
14 Per il titolo onorifico pietas, vd. supra 1, 7 n. 2.
15 Per converso si può ravvisare un’implicito riferimento all’ideale della brevitas epistolare,

per cui vd. supra 1, 3 n. 15.


16 Per la topica confessione di rusticitas (rusticus sermo), vd. supra 1, 3 n. 10.
17 Ruricio ricorre qui a una ben codificata metafora alimentare, per esprimere il desiderio

che cresce nel lettore, man mano che più frequente si fa la pratica con le sue lettere. Rumino è
già utilizzato dagli autori precedenti per indicare il ripensare o il ritornare con la mente a quan-
to si è letto o è accaduto, per cui vd. supra 1, 9 n. 8. Ruricio amplia l’espressione e vi aggiunge
la seconda parte (tanto esuriatis ardentius), giocando sul significato equivoco del verbo rumino
(propr.: ruminare, masticare / met.: rimeditare). L’immagine metaforica della fame che si accre-
sce nell’atto stesso del mangiare è già in SYMM., epist. 4, 16: Eas (scil. litteras tuas) quanto
saepius sumo, tanto inpensius uberiusque desidero. L’adynaton della fame che aumenta con
l’atto stesso del mangiare nel contesto ruriciano, come ha notato GASTI 2005-2006, p. 166 n.
24, può essere ricollegato a quello dell’acqua che non disseta di ENNOD., carm. 1, 7, 1-4, su cui
vd. supra 1, 1 n. 12 (similmente vd. anche RURIC., epist. 2, 26, 2); sulla metafora del cibo spiri-
tuale, vd. supra 1, 6 n. 10. Tuttavia non va dimenticato il sostrato biblico di Sir 24, 29: Qui
edunt me adhuc esurient, et qui bibunt me adhuc sitient.
18 Questa lettera esprime il consueto tema dell’amicizia e dell’indegnità del mittente giocan-

do sulla costante contrapposizione tra il “voi” (Sedato) e il “noi” (Ruricio): infatti troviamo ben
5 volte l’aggettivo possessivo vester e 6 volte il pronome personale vos, entrambi in poliptoto;
di contro incontriamo 8 volte il riferimento a colui che scrive attraverso l’alternanza del prono-
me di prima persona singolare / plurale, sempre in poliptoto, mentre solo 2 volte con l’aggettivo
possessivo noster. Ruricio riesce così, con fine espediente retorico, a comunicare al lettore il
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314 Commento

rapporto di genuina amicizia che lo lega al vescovo di Nemausus (Nîmes) per mezzo del conti-
nuo rimando nella frase alla dinamica nos – vos, come a esprimere il loro “inestricabile” affetto.

2, 19

* È l’unica epistola metrica di Ruricio. Essa formava probabilmente un unicum con la pre-
cedente, secondo una ben attestata produzione tardoantica (basti pensare ad Ausonio, Sidonio
Apollinare, Ennodio, ecc.). È costituita da ventiquattro endecasillabi falecei, metro particolar-
mente frequentato dall’amico Sidonio, dalla cui imitatio è possibile essere stata dettata la scel-
ta. Le considerazioni che seguono devono molto al recente commento di GASTI 2005-2006, pp.
155-170, a cui si rimanda per completezza. Sulla struttura generale del componimento valga
quanto afferma il medesimo nell’intervento sopraccitato: «Il testo […] pare articolato secondo
un procedere a terzine, raddoppiate nelle ultime due sequenze sintattiche, caratterizzate sempre
da una sensibile trama di artifici fonici interni, di assonanze o consonanze “al mezzo”, di allit-
terazioni, omeoarcti, omeoteleuti» (p. 160).

1 Insede incipitaria, in costruzione chiastica, vengono topicamente posti i nomi del mittente
e del destinatario con i titoli che li qualificano reciprocamente: cliens (Ruricio) e patronus (Se-
dato). Così cfr. AUSON., praef. 2, 1-2: Pectoris ut nostri sedem colis, alme Syagri, / communem-
que habitus alter ego Ausonium; SIDON., carm. 9, 1-3: Largam Sollius hanc Apollinaris / Felici
domino pioque fratri / dicit Sidonius suus salutem. Vd. SANTELIA 1998, p. 230 n. 3. L’iperbato
con enjambement sancto… patrono / Sedato enfatizza la grandezza del destinatario, alla prote-
zione e alle preghiere del quale Ruricio si affida totalmente. Il nome dell’autore è in seconda
posizione, incorniciato da quello del dedicatario, quasi in atto di omaggio e di devozione al pa-
tronus, epitetato come sanctus, per cui vd. supra 1, 6 n. 1; sul patronato episcopale in età tar-
doantica, vd. supra 1, 1 n. 1.
2 I consigli paterni riguardano chiaramente la richiesta di Sedato a Ruricio di scrivere lettere

(vd. epist. 2, 18, 1). Il verso sembra avere una vaga ascendenza ovidiana: cfr. met. 2, 126: Si
potes his saltem monitis parere parentis, parole dette dal Sole al figlio Fetonte. Successivamen-
te si veda il secondo prologo dei Gesta Ottonis di Rhosvita, in riferimento a Ottone II: […] mo-
nitis promptus parere paternis (p. 275, 16). Non sfugga l’equivocità della paretimologia parens
paternis, allitterante e nella medesima sede metrica rispetto al precedente cliens patrono.
3 Cfr. RURIC., epist. 1, 6, 3: grates benivolas referre e n. ad loc. (ugualmente vd. epist. 2, 2,

1); vd. anche MOUSSY 2002, pp. 94-95. Quanto alla iunctura ruriciana grates concinere, a fron-
te della più consueta grates canere (su cui vd. MOUSSY 1966, p. 99; ID. 2002, p. 95), cfr. GASTI
2005-2006, p. 161: «Rispetto a questo verbo, concinere va inteso nell’accezione di esprimere
un sentimento con tutto se stesso (cum-), dal profondo del cuore». In modo particolare, il verbo
concinere ricorre con frequenza nell’innografia, soprattutto liturgica. Cfr. AMBR., hymn. 4, 13:
Te cordis ima concinant; PRUD., cath. 9, 25: Ecce quem vates vetustis concinebant saeculis; pe-
rist. 14, 52: Christumque sacro carmine concinens; PAUL. NOL., carm. 17, 109-110: Navitae
laeti solitum celeuma / concinent versis modulis in hymnos; ARAT., act. 2, 981: Sed utrumque
necesse est / concinat haud dubium. Anche l’abbondante ricorrenza in prosa è per lo più allusi-
va del fare innodico.
4 Salutem referre è usato già da CIC., Att. 11, 1, 2 come stilema epistolare, benché più diffu-

so sia salutem ferre. Ruricio in questa epistola insiste con decisione sulla reciprocità del rap-
porto di amicizia, attraverso il preverbo re- in composizione (su cui vd. MOUSSY 1997, pp. 227-
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II, 18-19 315

242): è in quest’ottica che probabilmente va letta la scelta della formula di saluto. Efficace la
chiusa chiastica grates concinit et refert salutem. Si conclude così l’intestazione dell’epistola
metrica. D’accordo con GASTI 2005-2006, p. 161, ritengo opportuno estendere la rubricazione a
tutta la prima terzina, interamente ispirata ai clichées dello stile epistolare. Similmente vd.
SIDON., carm. 9, 1-3; EPIST. Austras. 23 vv. 1-4. Come negli esempi appena citati, anche Ruri-
cio scandisce con cura i versi secondo un eguale numero di monemi: quattro per ogni stico, con
ampliamento del connettivo et al v. 3.
5 La terzina che segue si collega sintatticamente e contenutisticamente alla precedente, ri-

proponendo in altri termini il rapporto tra Ruricio e Sedato come quello tra discipulus e magi-
ster. Nei versi domina il topos della deminutio.
6 La iunctura blanda prex appare dotata di una sua tradizione, come risulta da PLAUT., Cist.

301; HOR., carm. 4, 1, 1; ars 391; epist. 2, 1, 134; OV., ars 1, 709; epist. 3, 25; met. 2, 812; 3,
375; 10, 638; 14, 17; rem. 331; TIB. 3, 3, 1; 6, 45; SEN., Herc. 1014; STAT., Ach. 1, 910; Theb.
11, 102; CLAUD., carm. min. 27, 45. Essa, in unione al verbo reggente e al gerundio (rogat
timendo), ben esprime l’atteggiamento di chi chiede nella consapevolezza di essere sfavorito
dalla propria condizione.
7 Posto fra gli avverbi di dubbio da Carisio (gramm. I 188, 27), fors è attestato con valore

avverbiale a partire da Virgilio (Aen. 5, 232; 6, 537; 12, 183). Altre occorrenze in ThLL VI, col.
1136. Il suo valore è ulteriormente precisato da Prisciano che sancisce: Fors, cum sit nominati-
vus, accipitur pro adverbio (gramm. III 78, 17). Quanto alla iunctura ne fors, vd. PAUL .
PETRIC., Mart. 3, 171 (in incipit di verso); più significativo SIDON., epist. 3, 12, 5 v. 3: il carme
è in falecei e la iunctura nella medesima sede metrica.
8 Notevole la chiusa di verso levis camena. Com’è noto, Camenae indicavano, nella tradizio-

ne romana più antica, divinità acquatiche. Il sostantivo Camena è assunto da Livio Andronico
nell’Odusia come equivalente latino del greco Mou`sa: Virum mihi, Camena, insece versutum
(carm. frg. 1). Il lemma ricorre con frequenza nella poesia di età imperiale. Tra gli altri, va se-
gnalato Orazio (oltre all’unica occorrenza in VERG., ecl. 3, 59), autore letto e studiato nelle
scholae tardoantiche. Cfr. anche PAUL. NOL., carm. 22, 16: Aspernare leves maturo corde Came-
nas (in riferimento alla poesia di contenuto epico). Altrove cfr. HOR., carm. 2, 16, 38: Spiritum
Graiae tenuem Camenae; 4, 6, 25: Dauniae defende decus Camenae, / levis Agyieu. AUSON.,
Mos. 469: Si quis honos tenui volet aspirare Camenae. Senza dubbio, a quanto ci è dato di in-
tendere, Ruricio non dà a levis camena il valore di poesia dotta o alessandrineggiante, quanto
quello di un verseggiare di poco conto.
9 Come nel v. 1, l’iperbato tanti… magistri enfatizza ulteriormente il dislivello culturale tra

l’autore e il dedicatario.
10 Per l’uso del predicativo in qualità di avverbio modale, vd. supra 2, 2 n. 12.
11 L’uso del sostantivo lumen al posto del più prosaico oculus conferisce al dettato poetico

una certa stilizzazione. In età tardoantica il verbo recurro, usato intransitivamente, ha l’acce-
zione, tra le altre, di “muovere gli occhi sulla pagina scritta” o “ritornare con la mente”. Cfr.
AMBR., in psalm. 35, 4, 2: Audi, Arriane, ex quo utero; paululum supra recurre; epist. 5, 22, 3:
[…] ad superiorem recurrendum est paginam; PAUL. NOL., epist. 21, 2: Sed recurramus ad epi-
stolae caput. Transitivamente, esso assume il valore di “leggere con frequenza (o di nuovo) e
rapidità”, come emerge p. es. in CAES. AREL., serm. 238, 2: Fratres, si frequentius psalmos
nostros recurrimus; IULIAN. TOL., compr. sext. aet. 1, 19 p. 166, 19: Recurrite ergo fideles histo-
rias vestras. Similmente, anche in ambito grammaticale, cfr. EXPLAN. in Don., gramm. IV 534,
16: Hoc vero libro artium opportunum duximus ad locum, quo modo exposita sunt, ordine
recurrere.
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316 Commento

12Vd. supra n. 10.


13Revolvo è verbo tecnico: nell’ambito della lettura indica l’atto di arrotolare il volumen at-
torno all’umbilicus (QUINT., inst. 11, 2, 41: […] devoret initio taedium illud et scripta et lecta
saepius revolvendi).
14 Le mani sono sanctae perché sanctus è il patronus Sedato (v. 1). La santità, prima ancora

che da meriti personali, deriva al sacerdote dalla celebrazione dei Divini Misteri, che rendono
le sue mani sanctae, simili a quelle di Cristo: Qui (scil. Christus) pridie quam pateretur, in
sanctis manibus suis accepit panem (AMBR., sacr. 4, 5, 21). Quanto all’unzione e alla consacra-
zione delle mani nel rito di ordinazione sacerdotale, secondo RIGHETTI IV, p. 418, esso sarebbe
sorto in Gallia non prima del VII-VIII secolo, essendo ignoto ancora agli Statuta Ecclesiae An-
tiqua della fine del secolo V.
15 Relego implica una frequentazione del testo assidua e attenta. Piuttosto diffuso nell’epi-

stolografia, è usato con frequenza da Sidonio Apollinare (vd. epist. 1, 9, 7; 2, 2, 7. 20; 5, 15, 1;
7, 18, 1; 9, 14, 4), oltre che dallo stesso Ruricio (vd. epist. 2, 11, 1; 18, 3; 23, 1; 32,1; 40, 1).
16 La terzina è articolata secondo un ritmo ben scandito. Da notare la costruzione pressoché

identica dei vv. 7-8, in cui gli elementi della frase ricorrono nella medesima sede metrica, talora
anche con isosillabismo (recurre - revolve; libens - frequens). I due complementi di mezzo cen-
trali (luminibus - sanctis manibus) sono legati dalla consonanza e dalla sonorità, oltre che dalla
rima in arsi. Varia il v. 9, in cui il verbo relegis, parallelo ai precedenti, è in cesura, sostituito a fi-
ne verso dall’accorato imperativo mei memento, efficacemente assonante. «Il gruppo è coeso an-
che per la forte anafora iniziale del pronome dimostrativo, accompagnato – nel primo e nel terzo
verso – dal pronome personale deittico» (GASTI 2005-2006, p. 162). Quest’ultimo elemento lega
pertanto il v. 7 al v. 9, altrimenti discordanti quanto a costrutto sintattico. Da notare infine la sa-
piente declinazione dell’atto di leggere attraverso la sequenza triadica recurre - revolve - relegis:
la prefissazione re- enfatizza l’auspicata iterazione della lettura e la reciprocità dell’amicizia.
17 La iunctura verbale recolat canatque, in rima interna, esorta l’amico a prendere dimesti-

chezza con l’esercizio poetico inviatogli. La terzina 10-12 si caratterizza per la rima in arsi al
terzo piede dei tre versi. A prevalere sono ancora i verbi con prefissazione re- (recolat – reten-
tet - recinat).
18 La pregnante figura etimologica teneat - retentet, oltre all’evidente gioco fonico che lega

ulteriormente la coppia verbale, sottolinea con particolare efficacia il concetto: mai, né durante
la veglia né durante il riposo, il pensiero dell’amico abbia a venire meno. E se la mens può più
facilmente trattenerne la memoria (teneat), il frequentativo retentet esprime di contro tutto il ci-
mento di chi vuol vincere il sopor, preludio all’oblio dell’amico.
19 Prevale in sede incipitaria di verso l’anafora del pronome personale me, – a polarizzare

l’attenzione sull’auspicato rapporto tra mittente e destinatario – con ritardo e allitterazione del-
la liquida labiale /m/ al v. 11. I vv. 10 e 12 sono particolarmente legati dalla costruzione paral-
lela: me semper recolat (v. 10) – me semper recinat (v. 12). Da notare il verbo recino, di uso
elevato e culto: vd. p. es. HOR., carm. 1, 12, 3; 3, 28, 11 (in riferimento alla performance poeti-
ca, in ambito mitologico); CULEX 11. 58 (soggetti sono lyra e calamus); STAT., Theb. 6, 921 (le
Parche); AUSON., parent. 27, 2 (a Veneria Ausonio invia brevicula mela). In età tardoantica, si-
gnificativo l’uso di PRUD., cath. 3, 34 (è il canto dell’anima cristiana che ringrazia l’artifex di-
vino) e PAUL. NOL., carm. 27, 500 (in riferimento all’antistes, recinens psalmis… et hymnis).
20 Il diminutivo affettivo labellum, ben attestato nella poesia neoterica, elegiaca e satirica,

interrompe ex abrupto il registro alto della terzina per uno squarcio di tenerezza e di familiarità
amicali. Il diminutivo è evidentemente desemantizzato, secondo una consuetudine tardoantica
(vd. LHS II pp. 772-777; NORBERG 20053, pp. 131-132), ma già presente in età classica (vd. p.
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II, 19-20 317

es. sostantivi quali auricula, ampulla, ecc.).


21 Per l’immagine, vd. già CIC., Tusc. 5, 9, 7: […] omne bonum in visceribus medullisque

condideris; quindi AMBR., in psalm. 37, 22, 2: Ergo vendamus omnia, ut verbum emamus,
ipsum in nostris visceribus recondamus; PRIMAS., in apoc. 3, 10: Et dixit mihi: «Sume et come-
de eum», id est in secretis reconde visceribus. Similmente vd. supra 1, 9 n. 6.
22 Il ritmo “a terzine” raddoppia: fino alla fine avremo pertanto due sestine. Da notare in

questo prima terzina l’anafora del pronome deittico e gli effetti fonici dei primi emistichi. Di
nuovo domina a vario titolo il prefisso re- (reconde – residens - recumbens).
23 «La disposizione chiastica del verso sottolinea la consequenzialità dei concetti, conferen-

do all’aggettivo dulcis un significato relativo (e non assoluto) intimamente connesso a quello


espresso da parcus: se il pasto è frugale, le portate non sono in astratto squisite o ricercate, ma
in particolare sono buone per chi se ne nutre, squisite – per così dire – per realizzare lo scopo
della frugalità» (GASTI 2005-2006, p. 164). Ossimorico e originale l’accostamento dell’aggetti-
vo parcus a epulae, mentre più consueta la iunctura cibus dulcis (vd. VERG., georg. 2, 212;
CALP., ecl. 5, 49). Vd.a anche RURIC., epist. 1, 1, 3; 5, 1; 6, 2.
24 La locuzione antrum pectoris ricorre, oltre che in Ruricio, in IUVENC. 1, 587; PRUD., psy-

ch. 6. 774; AUG., civ. 14, 24; PAUL. PETRIC., Mart. 5, 805; 6, 12. 102; si trova quindi ancora nel
X secolo in Rhoswita.
25 Per la locuzione medulla cordis, vd. supra 2, 10 n. 12. L’espressione antro pectoris nella

medesima sede metrica con medulla si trova nel sopraccitato locus paoliniano: Tristis ubique
dolor, crebra et suspiria, fletus / adsidui et toto penitus de pectoris antro / extorti gemitus, con-
vellens ilia flatus / et iugis vomitus, cutis arida, flamma medullis / insita succendens stoma-
chum, gravis unda vaporis (Mart. 5, 804-808).
26 La costruzione del tipo canente mente è discussa supra 2, 10 n. 10.
27 Accorata preghiera conclusiva nella quale Ruricio invoca, secondo gli schemi epistolari,

la possibilità di un prossimo incontro di persona. La sonorità densa delle espressioni mutuos vi-
dere vultus (v. 19) e vivis… verbis (v. 20) rende più efficace l’eloquio; gli iperbati contribuisco-
no a evocare il senso della separazione fisica dei due amici. Analogamente cfr. RURIC., epist. 2,
65, 1: […] vultuum etiam mutua visione coniungat.
28 Intima pectoris: variazione sinonimica rispetto ai vv. 17-18 (vd. supra 1, 9 n. 6). Cfr. an-

che AUG., c. Fel. 1, 16: […] pietas vero Spiritus Sancti intima pectoris vestri adaperiat; CAS-
SIAN., inst. 2, 10, 1: […] per ineffabile quendam gemitum ex intimis pectoris sui conclavibus
evaporare conatur; BOETH., cons. 3 carm. 12, 5: Cum flagrantior intima / fervor pectoris
ureret; BEDA, in Luc. 1, 707-708: […] ipso vix intimi pectoris affectu valeat comprehendi. Ulte-
riori riferimenti in GASTI 2005-2006, p. 165.
29 Il componimento poetico si conclude con una dossologia trinitaria, secondo una consuetu-

dine dell’innografia sacra. Dio è definito bonorum omnium largitor: vd. PRUD., cath. 4, 74;
AUG., lib. arb. 2, 18; epist. 140, 2. 37; LEPOR. 7; GREG. M., moral. 5, 111; BEDA, in Esr. et
Neem. 3, 2107.

2, 20
1
È questa una lettera commendatizia inviata a un laico. Sulle peculiarità, quali la titolatura e
i topoi delle commendatizie, si rimanda alle precedenti: epist. 1, 11; 2, 7; 12; in partic. cfr. 2,
12, 1: Plerique dum me apud individuam mihi sublimitatem vestram […] multum posse confi-
dunt; quanto all’intervento del vescovo in età tardoantica in cause civili, vd. supra 2, 12 n. 14.
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 318

318 Commento

2 L’incipit è particolarmente schietto e vigoroso, poco incline alla retorica e allo stile ruri-

ciano. Domina il complemento oggetto inquietudinem, in prima sede, che ben pone in risalto lo
stato d’animo del vescovo di Limoges.
3 Confugere ad ecclesiam è linguaggio tecnico per indicare l’atto di chi cerca rifugio nelle

chiese a motivo di questioni legate alla giustizia civile. L’espressione ricorre per la prima volta
in SULP. SEV., Mart. 2, 3: Nam cum esset annorum decem, invitis parentibus ad ecclesiam confu-
git seque catechumenum fieri postulavit. Tuttavia, come ha ben mostrato Jacques Fontaine (n. ad
loc.), se il fatto della biografia martiniana è databile, seguendo la cronologia alta della nascita
del santo, attorno al 326, la fuga nella chiesa non può essere tout court intesa come un’attesta-
zione del diritto d’asilo, bensì una rilettura a posteriori dell’autore, sulla base di categorie a lui
contemporanee. Essa è di fatto «une préfiguration de sa fuite du siècle à l’âge adulte», ma evoca
anche «le geste des personnages de l’Ancien Testament qui se “réfugiaient” dans le Temple ou
auprès de Dieu» (pp. 445-446), senza escludere il topos del “bambino asceta”, molto diffuso alla
fine del IV secolo. Un primo esempio di asilo in chiese cristiane ci viene tramandato dai canoni
del concilio di Sardica (343-344), convocato dagli imperatori Costante e Costanzo, per volontà
di papa Giulio, al fine di riportare unità a seguito della crisi ariana. Al canone 7 esso, notando
che molti oi\ktou deomevnou~ katafugei;n ejpi; th`n jEkklesivan (ad misericordiam Ecclesiae
confugiant), a questi non vanno rifiutate bohvqeia e sugcwvrhsi~. Tuttavia la vaga definizione
del concilio non sarà sufficiente all’autorità civile per non violare più volte le soglie dei luoghi
sacri per fare giustizia nei confronti dei “rifugiati” (vd. a tal fine DUCLOUX 1993, pp. 207-219;
ID. 1994, pp. 85-143). L’atto con cui in Occidente propriamente si sancisce e si ratifica, dopo più
di mezzo secolo di violazioni e taciti assensi, la consuetudine di asilo nelle chiese cristiane, fa-
cendola assurgere al rango di diritto, è una costituzione del 21 novembre 419, la quale afferma:
Convenit, nostris praescita temporibus, ut iustitiam inflectat humanitas. Nam eum plerique vim
fortunae saevientis aufugerint adque ecclesiasticae defensionis munimen elegerint, patiuntur in-
clusi non minorem quam vitavere custodiam: nullis enim temporibus in luce vestibuli eis aperi-
tur egressus (CONST. Sirmond. 13). Per ovviare a quest’ultimo inconveniente, la medesima costi-
tuzione definisce un’area di 50 passi ultra basilicae fores, nella quale i rifugiati possono affac-
ciarsi senza pericolo. Chi violerà l’”area sacra” verrà ritenuto reo di sacrilegii crimen. L’indeter-
minatezza di questo «périmètre de sécurité» (Ducloux) verrà precisato ulteriormente dalla costi-
tuzione orientale del 23 marzo 431 (COD. Theod. 9, 45, 4) con cui il diritto di asilo è esteso a tut-
to il terreno di pertinenza della chiesa che insiste tra le porte del tempio stesso e le mura portica-
te che la circondano (atrium), cosicché inter templi quem parietum descripsimus cinctum et post
loca publica ianuas primas ecclesiae quidquid fuerit interiacens sive in cellulis sive in domibus
hortulis balneis areis atque porticibus, confugas interioris templi vice tueatur (vd. anche COD.
Iust. 1, 12, 3). Questa legge diventerà operativa anche nella pars Occidentis nel 438, anno della
promulgazione del Codice Teodosiano in Occidente. Indubbiamente gli oratori e le chiese rurali
– come nel caso della presente epistola – avranno provveduto a delimitare l’area di asilo in ma-
niera differente, talvolta estendendola, dietro consenso dell’autorità civile, a terreni non diretta-
mente prospicienti gli edifici di culto, non essendo questi muniti delle pertinenze di cui parla il
Codice. Un’ultimo significativo intervento del legislatore sull’argomento è la legge del 28 marzo
432 (COD. Theod. 9, 45, 5) con cui il diritto di asilo è limitato ai soli uomini liberi; se uno schia-
vo vorrà trovare rifugio in una chiesa, is non plus uno die ibidem dimittatur. Sulla storia del di-
ritto d’asilo, vd. il ben documentato studio sopraccitato di DUCLOUX 1994.
4 Il diminutivo ecclesiola marca la topica modestia del mittente, ma sembra affondare anche

nella realtà, definendo con immediatezza l’entità del luogo in questione. Il sostantivo è assai ra-
ro e il ThLL V-2, col. 43 segnala soltanto quattro occorrenze, di cui una in Ruricio, le altre nel-
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II, 20 319

l’epistolario di Alcimo Avito (epist. 44 p. 74, 2; 80 p. 94, 2; 88 p. 97, 27). Ruricio successiva-
mente precisa che l’ecclesiola identifica l’ecclesia Userca (Uzèrche), propriamente il luogo fi-
sico in cui Baxo (il soggetto raccomandato da Ruricio, di cui si dirà al §. 3) si è rifugiato, veri-
similmente una chiesa rurale. Rustico, come è possibile arguire da una sua piscatio in Visera (il
fiume Vézère) cui fa cenno epist. 2, 54, 1, doveva avere possedimenti nella Corrèze, in partico-
lare nei pressi di Uzèrche, nella giurisdizione ecclesiastica del vescovo di Limoges. Così anche
MATHISEN 1999, p. 8 n. 24 e p. 174 n. 8. Ruricio ci testimonia pertanto la presenza sicura di un
edificio di culto cristiano a Userca già in V-VI secolo.
5 Potestas è titolo onorifico attribuito a chi è investito di una carica pubblica civile: AUG.,

epist. 134, 2 (al cognitor Marcellino); COD. Theod. 7, 18, 8, 2 (al prefetto del pretorio); GREG.
M., epist. 11, 50 l. 8 (al re dei Franchi Teodeberto); et alii.
6 Per il comando negativo espresso con ne + cong. pres., vd. supra 2, 13 n.17. Da notare an-

che il consueto passaggio dal vos al tu (vd. supra 1, 1 n. 11).


7 Cfr. P ETR . C HRYS ., serm. 67, 8: Homo, intellege quia remittendo aliis tibi veniam tu

dedisti; 139, 5: Remitte peccanti, remitte paenitenti, ut cum tu peccaveris, repensetur tibi venia,
non donetur. […] Vicit poenam, iudicem praevenit, evasit iudicium, qui remittendo ante sibi ve-
niam quam delinqueret, iam providit; LEO M., serm. 43, 4: […] et alienis ignoscendo delictis,
abolitionem quorum obtineat peccatorum. Vd. anche RURIC., epist. 2, 12, 2 e n. ad loc.
8 La parafonia indulgentia - indigentia lega ulteriormente i due periodi già paralleli quanto

al contenuto. Dal punto di vita logico le due frasi sono al loro interno antistrofiche.
9 Per i riferimenti di Lc 6, 37, vd. supra 2, 12 n. 7.
10 Il §. 1 riprende, in altri termini, epist. 2, 12, 1, cui si rimanda. Variatio solo quanto a una

delle due citazioni scritturistiche: nella presente lettera Ruricio sostituisce Mt 6, 14 (si enim
dimiseritis hominibus peccata eorum, dimittet et vobis Pater vester caelestis delicta vestra) a
Iac 2, 13.
11 Cfr. Mt 7, 2: In quo enim iudicio iudicaveritis, iudicabimini et in qua mensura mensi fue-

ritis, metietur vobis. Vd. anche supra 2, 14 n. 11.


12 Il tono della frase è condotto sulla velata equivocità col linguaggio forense: sententia indi-

ca infatti non solo le parole dette, ma anche la sentenza del tribunale, così come censura identi-
fica il giudizio severo, il rimprovero o il processo. Interessante l’uso di auditor che, benché
venga usato qui come nomen agentis (qui audit), identifica anche il giudice istruttore di una
causa: vd. p. es. COD. Theod. 11, 31, 7; LEX Visig. Recc. 7, 5, 1. In italiano è rimasto nel lin-
guaggio giuridico ed ecclesiastico (Uditore giudiziario, Uditore della Sacra Rota Romana). Così
il verbo praescribere è tecnico dell’ambito giuridico e indica l’atto di chi oppone un’obiezione
durante la celebrazione di un processo o di un atto civile: vd. ULP., dig. 5, 1, 52, 3; COD. Theod.
13, 6, 3. Sia il primo che il secondo ricorrono anche nel linguaggio del foro ecclesiastico.
13 Cfr. LEO M., serm. 43, 4 (verisimilmente ascritto alla Quaresima 444 o 445): Dicente nam-

que Domino: «Si dimiseritis hominibus peccata eorum, dimittet vobis et pater vester qui in cae-
lis est», non longe est ab unoquoque quod poscit, cum de benignitate supplicis sententia pen-
deat iudicantis, qui humanarum precum misericors et iustus auditor, aequitati suae de nostra le-
nitate praescripsit, ut non haberet in eos ius severitatis, quos non invenisset cupidos ultionis.
14 Cfr. LEO M., serm. 43, 4: Nihil est enim dignius quam ut homo sit sui auctoris imitator, et

secundum modum propriae facultatis, divini sit operis exsecutor.


15 Cfr. Mt 5, 48: Estote ergo vos perfecti sicut et Pater vester caelestis perfectus est.
16 Cfr. Mt 6, 12: Et dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimisimus (VET. LAT. Mt 6, 12:

dimittimus) debitoribus nostris.


17 Cfr. LEO M., serm. 43, 4: Dicentes enim: «Dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimit-
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320 Commento

timus debitoribus nostris», durissimis nos vinculis inligamus, nisi quod profitemur implemus.
Ruricio sposa qui l’interpretazione leoniana delle petizioni del Pater come di un pactum, un
contratto da onorarsi in tutte le sue condizioni per ottenere da Dio altrettanto: Unde si orationis
huius sacratissimum pactum non tota sui conditione servatum est, nunc saltem conscientiam
suam unusquisque cognoscat, et alienis ignoscendo delictis, abolitionem suorum obtineat pec-
catorum (serm. 43, 4). Siffatta interpretazione è tuttavia già agostiniana. Cfr. p. es. AUG., in
epist. Ioh. 7, 1: Quandoquidem pactum fecimus cum Deo nostro in oratione ut si volumus dimit-
tat nobis peccata nostra, dimittamus et nos peccata quae in nos fuerint commissa; serm. 352, 1:
Dimitte nobis sicut et nos dimittimus. Constituit medicinam, firmavit pactum.
18 Cfr. Sir 28, 3: Homo homini servat iram et a Deo quaerit medellam.
19 Vd. supra 2, 12 n. 13 (precator accedo). Lo stilema intercessor accedo ricorre in un con-

testo simile anche in SIDON., epist. 3, 5, 1: […] satis sufficeret fides vestra commodis suis, etsi
nullus intercessor accederet; quindi in FACUND., defens. 5, 4; GREG. M., hom. 37, 9; epist. 9,
204 l. 8; 205 l. 11.
20 Il personaggio di Baxo non ci è altrimenti noto. Anche dal testo non è dato di evincere di

quale reato egli venga accusato.


21 Userca corrisponde alla moderna Uzèrche (dip. Corrèze), situata a sud di Limoges. Arroc-

cata sullo sperone roccioso che domina la valle della Vézère, era già abitata in epoca gallica, a
motivo della sua posizione altamente strategica (alcuni archeologi vi identificano l’antica Uxel-
lodonum o Ursecodonum). Sviluppatasi maggiormente in età merovingica, nell’VIII secolo
venne fortificata da una cinta muraria munita di diciotto torri da Pipino il Breve contro il duca
di Aquitania. A questo proposito, vd. BOURNAZEL-REBOUL-DESBORDES 1981, pp. 97-104.
22 Struttura ad anello: ritorna il motivo del turbamento, variato nei termini della confusio ri-

spetto alla precedente inquietudo. Oltre alla figura etimologica intercessor - intercessione, si
noti la sonorità che lega significativamente, quasi in sequenza temporale, intercessione… abso-
lutione… confusionem; vd. ancora epist. 2, 12, 2.

2, 21
1 Ruricio insiste sulla misericordia divina, con un linguaggio allusivamente biblico. Cfr. Ez

18, 32: […] quia nolo mortem morientis – dicit Dominus Deus: revertimini et vivite; 33, 11: Dic
ad eos: «Vivo ego - dicit Dominus Deus - nolo mortem impii, sed ut revertatur impius a via sua
et vivat. Convertimini a viis vestris pessimis et quare moriemini domus Israhel»; 2Sm 14, 14:
Omnes morimur et quasi aquae delabimur in terram quae non revertuntur nec vult perire Deus
animam, sed retractat cogitans ne penitus pereat qui abiectus est; Mt 9, 13: Euntes autem disci-
te quid est “misericordiam volo et non sacrificium”: non enim veni vocare iustos, sed peccato-
res; Hbr 12, 6: Quem enim diligit Dominus castigat; flagellat autem omnem filium quem
recepit; AUG., serm. 250, 3: Et illis qui adhuc mali sunt, dicitur: «Nolo mortem peccatoris, sed
ut convertatur et vivat». Simili temi in RURIC., epist. 2, 23; 32.
2 Stucchevole la sonorità del comma convertit vel convincat: Ruricio interpreta la malattia di

Capelluto come un richiamo divino alla conversio, su cui si diffonderà in tutta la lettera. Come
emerge già dal §. 1, secondo quanto si è detto anche in epistole precedenti (vd. in partic. supra
2, 11 n. 31; 13 n. 2; 15 n. 6), conversio implica di per sé l’assunzione dello stato religioso o co-
munque di una vita ascetica.
3 Birrus (o byrrus o byrrhus) indica un mantello corto di lana con cappuccio, indossato da

ogni classe sociale. Evidentemente un prestito (DELL p. 71), è identificato dal Lessico Suda
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II, 20-21 321

come un abito diffuso nell’impero romano: buvrron: iJmavtion JRomaikovn; Isidoro (orig. 19,
24, 18) ne postula l’origine greca: Birrus a Graeco vocabulum trahit, illi enim birrum bibrum
dicunt. Sembra da escludersi la parentela con purrov~ “rosso”, da cui il medievale (s)birro, a
motivo del presunto mantello rosso che avrebbero indossato le guardie (vd. ThLL II, col. 2005;
ML 1117). La pretesa derivazione da quest’ultimo aggettivo greco giustificherebbe anche la va-
riante grafica byrrus. Questo indumento comunque veniva indossato anche da ecclesiastici, co-
me si legge p.es. in PASS. Cypr. rec. II 4, 1 Bastiaensen: […] et ibi se lacernobyrrum expoliavit.
Vale la pena infine notare come questo tipo di mantella avesse una produzione rinomata proprio
in Gallia, nei pressi della città di Saintes, non molto lontano da Lemovices, se si presta fede allo
scoliasta di IUV. 8, 145: Santonico… cucullo: de byrro Gallico scilicet. Nam apud Santonas op-
pidum Galliae conficiuntur. Il byrrus saeculi è un efficace uso traslato ruriciano, a indicare tut-
to quanto concerne lo spirito del mondo. Il byrrus, a partire almeno dal IV secolo, divenne in
Gallia un abito di fattura raffinata, se è individuato da Cassiano come particolarmente sfarzoso
in confronto al dimesso mafortes (mantellina) previsto per i suoi monaci (inst. 1, 2, 6); que-
st’ultimo era anche distintivo della consacrazione verginale (HIER., epist. 22, 13). Tuttavia non
va dimenticato che al conversus veniva richiesto anche di spogliarsi della vestis saecularis, con
tutto quanto a essa era connesso, e di assumere un abito dimesso, segno di penitenza (cilicium,
contritionis indicium).
4 Cfr. Ps 68, 12: Et posui vestimentum meum cilicium et factus sum illis in parabolam; EU-

CHER., form. 6 p. 39, 1: Cilicium paenitentiae testimonium; CASSIOD., in psalm. 68, 12 ll. 277-
278: Per cilicium tristitia significatur et lacrymae. Efficace la rima cilicium contritionis indi-
cium. Il cilicium simboleggia una vita fatta di penitenza e mortificazione nel cammino ascetico.
Esso identificava all’origine un abito di pelle di capra o di cammello, ruvido e pertanto fasti-
dioso a portarsi sulla pelle nuda (di questo fornisce un’interessante l’interpretazione AUG., civ.
15, 20: In cilicio quippe recordatio est peccatorum propter haedos ad sinistram futuros; quod
confitentes in cilicio prosternimur tamquam dicentes quod in psalmo scriptum est: «Et pecca-
tum meum ante me est semper»; quindi cfr. CAES. AREL., serm. 67, 1: Et illud, fratres carissimi,
non otiose considerandum est, quod ille, qui paenitentiam accipit, cilicio cooperitur; et quia ci-
licium de pilis caprarum texitur, et caprae peccatorum similitudinem habere videntur, ille, qui
paenitentiam accipit, non se agnum sed haedum publice profitetur; vd. anche CASSIOD., in
psalm. 34, 13 ll. 244-246; ISID., eccl. off. 2, 17, 4). Nella Bibbia era segno di lutto e di peniten-
za (vd. Gn 37, 34; 1Rg 21, 27; 2Rg 2, 30; Ier 4, 8; ecc.); lo portavano anche i profeti, araldi di
penitenza: vd. Is 20, 2 (Isaia); Mt 3, 4 (Giovanni Battista); identificava anche il semplice panno
di pelle grossolano senza foggia alcuna (Cfr. Idt 4, 9: […] et altare Domini operuerunt cilicio).
Annoverato già da Tertulliano (pudic. 13, 7) e da Cipriano (laps. 35) tra gli strumenti di morti-
ficazione, accanto alle preghiere e ai digiuni, nel Medioevo se ne ridurrà progressivamente il si-
gnificato e la foggia, fino a identificare il cingolo di panno ruvido o di maglie di filo di ferro
con punte sporgenti da cingersi attorno alla vita per mortificare i sensi. L’imposizione del cili-
cio segnava l’ingresso nella penitenza: Paenitentes, tempore quo paenitentiam petunt, imposi-
tionem manuum et cilicium super caput a sacerdote sicut ubique constitutum est, consequantur;
et si aut comas non deposuerint, aut vestimenta non mutaverint, abiiciantur et nisi digne paeni-
tuerint, non recipiantur (CONC. Agath. a. 506 p. 201, ll. 170-174). Sull’uso del cilicium nella
penitenza, vd. LECLERCQ, s. v. Cilice, in DACL III, coll. 1623-1625; GOUGAUD, s. v. Cilice, in
DSp II, coll. 899-902.
5 Cfr. Ps 50, 19: […] cor contritum et humiliatum Deus non spernet (codd.: spernit).
6 Da notare la forte antifrasi (ille enim vadit ad caelum, qui se conlidit ad solum) che antici-

pa e parafrasa la successiva citazione di Mt 23, 12 (qui autem se exaltaverit humiliabitur et qui


se humiliaverit exaltabitur).
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322 Commento

7 Il penitente biblico per eccellenza è Davide, che avvertì il rimorso per aver concupito Bet-

sabea, moglie di Uria l’ittita, e aver provocato la morte del marito stesso (vd. 2Sm 11, 2-27). A
richiamarlo dal delitto commesso e a bandire l’imminente punizione divina fu la voce del pro-
feta Nathan (2Sm 12, 1. 24).
8 Cfr. Ps 118, 25: Adhaesit pavimento anima mea, vivifica me secundum verbum tuum.
9 Cfr. AUG., in psalm. 118 serm. 13, 1: Exponit enim quodammodo quid dixerit: «In tua iu-

stitia vivifica me», cum subiungit: «Et veniat super me misericordia tua, Domine, salutare tuum
secundum eloquium tuum», hoc est secundum promissionem tuam; CASSIOD., in psalm. 118, 41
ll. 745-747: «Secundum eloquium tuum», dixit, id est secundum promissionem tuam, quam per
prophetas cognosceris fuisse pollicitus.
10 Cfr. RURIC., epist. 2, 13, 6: Hic enim ante nos peccata nostra esse debent, ut in aeternum

contra nos esse non possint, quia ita legitur in prophetis: «Dic tu prior iniquitates tuas, ut iu-
stificeris» (vd. n. ad loc.); 15, 7: Sint ideo hic crimina nostra ante nos, ut contra nos in die iudi-
cii esse non possint.
11 Sul complemento di moto a luogo espresso con in + abl., vd. supra 2, 11 n. 40.
12 Da notare come saccus, al pari di cilicium, traduca il greco savkko~. In particolare saccus

indica un abito dimesso di pelli, di fattura rozza e dunque fastidioso da indossare. A partire da
Tertulliano, e quindi nel latino dei cristiani, diviene indice di penitenza. Cfr. p. es. TERT., ieiun. 7,
3: Siquidem duritia hostis adnuntiata vestem scidit, saccum induit; paenit. 9, 4: [...] mandat sacco
et cineri incubare; HIER., epist. 44, 1: [...] sedere aptum est otiosis, in sacco iacere paenitentibus.
13 Cfr. Ps 29, 11-12: Audivit Dominus et misertus est mei (VET. LAT. Ps 29, 11: mihi), Domi-

nus factus est adiutor meus: convertisti planctum meum in gaudium mihi, conscidisti saccum
meum et circumdedisti (VET. LAT. Ps 29, 12: praecinxisti) me laetitia.
14 Per il titolo onorifico pietas vestra, vd. supra 1, 7 n. 2.
15 Deo adiuvante: formula deprecatoria molto comune presso i cristiani. Tuttavia Ruricio

non la utilizza che una sola volta.


16 Da quanto emerge in RURIC., epist. 2, 31, 1, Capelluto avrebbe operato la conversio della

sua esistenza, divenendo infine sacerdote nella diocesi di Arles. Di quest’ultimo particolare ci
informa CAES. AREL., epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 29-34: Sanctum vero et dulcissimum fratrem
meum Capillutum presbyterum, amatorem et praedicatorem vestrum, vestrae sanctimoniae,
quanta valeo, insinuatione commendo et pro ipso vobis ingentes et uberes gratias ago, quia,
quantum ipse adseruit, tantum se circa illum inpendit pia et sincera benivolentia vestra, ut hoc
nullus hominum possit exponere.
17 Cfr. Sir 5, 8-9: Non tardes converti ad Deum et ne differas de die in diem. Subito enim ve-

nit ira illius et in tempore vindictae disperdet te.

2, 22
1 La iunctura sincerissima germanitas sembra essere ruriciana; circa l’uso di germanitas,

vd. supra 1, 13 n. 2.
2 Questa lettera ruriciana sembra essere scritta in risposta a una precedente di Eufrasio in cui

quest’ultimo esprimeva sentimenti di amicale partecipazione alle difficoltà di salute dell’amico,


come testimonia l’incipit: Taediosam pietatem vestram esse tenui rumore cognovi, sed harum
baiulum destinavi, ut anxietatem meam de acerbitate nuntii celeriter relevetis, quia scit divina
pietas, quod et tristitiam et infirmitatem vestram non conpatientis, sed perferentis dolore parti-
cipo (EUFRAS. epist. ad Ruric. 6 p. 401, ll. 4-8). Si noti il complesso intreccio lessicale perlato
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II, 21-23 323

tedio ad vos nostro confestim nos litteris vestris, in cui il legame tra Ruricio ed Eufrasio sembra
essere tanto profondo da essere pressochè inestricabile.
3 Se la dinamica infirmitas - sanitas è molto diffusa nella letteratura cristiana (vd. autori

quali Cromazio di Aquileia, Agostino, Cesario di Arles, Fulgenzio di Ruspe) e per lo più con in-
tenti sipirtual-moraleggianti, va sottolineata la genuina tenerezza con la quale Ruricio apprezza
l’atto di amicizia di Eufrasio, riconoscendogli il “buon cuore” di preoccuparsi del suo stato di
salute. Lo stile enfatizza il pensiero, attraverso la disposizione chiastica del lessico: infirmitatis
nostrae sollicitudinem… sanitatem vestri pectoris.
4 Cfr. 1Tim 1, 5: Finis autem praecepti est caritas de corde puro et conscientia bona et fide

non ficta.
5 Cfr. Sir 7, 39: Non te pigeat visitare infirmum: ex his enim in dilectione firmaberis.
6 La frase che segna in qualche modo la fine dell’articolato incipit si segnala per la diffusa so-

norità, talora al limite della rima, e per il chiasmo requiritis affatibus, orationibus adiuvetis.
7 Topica della doverosità del saluto all’interno della lettera (vd. supra 2, 4 n. 3). La formula

sospitationis officium ritorna, oltre al presente locus, altre 3 volte nel corpus ruriciano, sempre
specificata da un aggettivo qualificativo: epist. 2, 42, 1 (reciprocum); 55, 1 (debitum); 64, 1
(debitum). Sul conio ruriciano sospitatio, vd. supra 1, 15 n. 24; quanto all’uso del sostantivo
gerulus litterarum, vd. supra 1, 10 n. 4. Dal punto di vista stilistico infine, si noti il calembour
redeuntibus – reddo.
8 Cfr. EUFRAS. epist. ad Ruric. 6 p. 401, l. 4: Taediosam pietatem vestram esse tenui rumore

cognovi.
9 Sull’uso di ipse in riferimento a Dio, vd. quanto già affermato supra 1, 18 n. 13.
10 Sembra preferibile, di fronte alla corruttela del testo, l’ipotesi di B. Krusch che allude con

maggiore evidenza a Ps 79, 6: […] potum dabis nobis in lacrimis in mensura.


11 Il discorso viene articolato equivocamente tra il piano fisiologico e quello spirituale: l’in-

firmitas e l’inbecillitas sono sia fisiche (come nel caso di Ruricio) che spirituali.
12 Per espressioni del tipo deferente / -ibus + sost. con funzione strumentale in ambito epi-

stolografico, cfr. EPIST. Merov. 1: Deferentibus diaconibus, quos ad humilitatem meam misistis,
litteras vestrae sanctitatis accepi; GREG. M., epist. 3, 59: Scripta fraternitatis tuae, Benenato
ecclesiae tuae clerico deferente, suscepi; 7, 24: Desideratam suavissimae vestrae sanctitatis
epistulam communi filio Sabiniano diacono deferente suscepi; EPIST. ad Desid. Cadurc. 2, 9:
Culminis vestri paginam, deferente venerabile viro Bettone abbate […] comperite suscepisse;
et alii.
13 Sul sostantivo maeror, vd. supra 1, 2 n. 16.
14 Cfr. 1Cor 12, 26: Et si quid patitur unum membrum, conpatiuntur omnia membra; sive

gloriatur unum membrum, congaudent omnia membra; 1Pt 3, 8: In fine autem unianimes, con-
patientes, fraternitatis amatores, misericordes, humiles.
15 Il lapidario saluto ora / orate pro me / nobis si trova già in AUG., epist. 174; 231, 6; quindi

ricorre in SIDON., epist. 7, 12, 4; TAURENT. epist. ad Ruric. 3 p. 400, l. 46; CAES. AREL. epist. ad
Ruric. 7 p. 403, l. 38. Ruricio vi ricorre ben 7 volte: oltre al locus in questione, vd. epist. 2, 29,
1; 35, 3; 36, 2; 38, 1; 40, 3.

2, 23
1 Relectis letteris: vd. epist. 2, 11, 1; 32, 1 (e 19, v. 9: Hoc tu dum relegis mei memento).
2 Per il titolo pietas, vd. supra 1, 7 n. 2.
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324 Commento

3 Insistente l’homoeoprophoron del prefisso re-: relectis - revaluisse - relatione, «marquant

un mouvement en arrière» e «un retour à un état antérieur» (DELL p. 814). Sull’uso e il valore
del prefisso re-, vd. il già menzionato MOUSSY 1997, pp. 227-242.
4 Problemi di salute come occasione di scambio epistolare anche in epist. 2, 21 a Capelluto,

e 2, 32 ad Agricola. In particolare in quest’ultima si segnala la ripresa dell’incipit.


5 Cfr. Prv 3, 12: Quem enim diligit Dominus corripit; Hbr 12, 6: Quem enim diligit Dominus

castigat; flagellat autem omnem filium quem recepit. I medesimi riferimenti biblici ritornano in
epist. 2, 32, 1, come giustificazione divina della malattia di Agricola. Tuttavia, vd. anche epist.
2, 21, 1: l’infirmitas è ritenuta segno della benevolenza divina che invita Capelluto alla conver-
sio.
6 Ruricio sembra interpretare e parafrasare liberamente Hbr 12, 7-8: In disciplina persevera-

te. Tamquam filiis vobis offert Deus: quis enim filius quem non corripit pater? Quod si extra di-
sciplinam estis cuius participes facti sunt omnes, ergo adulteri et non filii estis. Si noti il com-
plemento di moto a luogo espresso con in + abl., secondo la consuetudine tardoantica, per cui
vd. supra 2, 11 n. 40.
7 Per multimoda incommoda: figura etimologica con allitterazione della consonante /m/. Il

sostantivo incommodum è vagamente equivoco. Oltre a indicare genericamente la difficoltà, il


sacrificio, la disgrazia esso significa anche indisposizione fisica, infermità, come emerge da
CELS. 4, 5, 9: Post quae vix fieri potest, ut idem incommodum maneat; PLIN., nat. 24, 162: […]
contra omnia corporum incommoda; AUG., epist. 143, 6: […] quis omnia enarret carnalis infir-
mitatis incommoda?; PAUL. NOL., epist. 5, 9: Nam et eo ipso nos refectos sensimus, quod reva-
luisse te scripseras, ut, in diversis licet terris positi, operantis in nobis spiritus unitatem tacita in
corporibus separatis conexione paribus aut incommodis aut remediis congruentes experiremur.
8 Il cursus velox vérbere cohercére con l’assonanza del suono chiaro /e/ chiude questa lunga

frase, in cui ha prevalso uno stile poco retorico e molto argomentativo: i semplici costrutti pa-
ralleli e gli espliciti contenuti, ribadendo con chiarezza l’attenzione misericordiosa di Dio per
chi si trova nella sofferenza, rendono evidente la vicinanza spirituale del vescovo di Limoges
all’amico Vero reduce dalla malattia.
9 Cfr. Ioh 10, 11: Ego sum pastor bonus: bonus pastor animam suam dat pro ovibus; 15:

[…] et animam meam pono pro ovibus. Incomincia ora una serie anaforica introdotta dal deitti-
co ipse (est) che si estenderà fino al §. 4, secondo lo schema della repetitio.
10 Cfr. Lc 15, 4-5: Quis ex vobis homo qui habet centum oves et si perdiderit unam ex illis

nonne dimittit nonaginta novem in deserto et vadit ad illam quae perierat donec inveniat illa?
Et cum invenerit eam imponit in umeros suos gaudens.
11 È la nota parabola del figliol prodigo (o del padre misericordioso) narrata da Lc 15, 11-32.

Già Ruricio si è cimentato in una breve interpretazione del brano evangelico in epist. 1, 2, 2,
cui si rimanda. In particolare si noti la similarità della ripresa: Sic ille evangelii indulgentissi-
mus pater filium praeceptae substantiae decoctorem laeto suscepit amplexu promptior gaudere
de reditu quam inputare de lapsu (vd. anche epist. 2, 58, 3). I quattro cola paralleli ulnis fovet,
osculis permulcet, muneribus ditat, doctrina confirmat (cfr. epist. 1, 1, 2: […] quod ulnis fovet,
quod gratia permulcet, nisi et munera larga multiplicet), a due a due consonanti, sfaccettano il
sentimento di affetto dell’indulgentissimus pater familias. Si noti infine l’ampliamento con va-
riatio della locuzione munera larga multiplicet di epist. 1, 2, 2 con le due espressioni praemia
amissa multiplicat – muneribus ditat.
12 Cfr. Hbr 1, 1-2: Multifariam et multis modis (codd.: multifarie multisque modis) olim

Deus loquens patribus in prophetis, novissime diebus istis locutus est nobis in Filio.
13 Cfr. Phil 3, 21: (Dominum Iesum Christum) qui reformabit corpus humilitatis nostrae
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II, 23 325

configuratum corpori claritatis suae. Reformo assume presto nella speculazione teologica cri-
stiana il significato etimologico di “ri-creare”: Cristo, attraverso la sua Morte e Resurrezione,
opera una sorta di nuova creazione che riporta l’uomo peccatore alla santità della sua prima ori-
gine. Cfr. p. es. TERT., adv. Marc. 2, 29, 3: Ita per antithesis facilius ostendi potest ordo creato-
ris a Christo reformatus quam repercussus, et redditus potius quam exclusus; FIRM., err. 25, 2:
Oportebat hoc totum et reformari et corrigi, et reformatio originis debuit reformare primordia;
AMBR., in psalm. 1, 33, 2: Ille cibo fraudis decepit unum, ut in uno omnes circumveniret; Iesus
autem cibo salutis omnes redemit, ut in omnibus et illum, qui deceptus fuerat, reformaret; LEO
M., serm. 25, 2: […] qui (scil. Dei Filius) et naturam quam condidit reformaret, et mortem
quam non fecit aboleret. E Agostino, a proposito del Dio di Gesù Cristo, dirà: Ipse ad eam venit
reformator, qui erat eius ante formator (in psalm. 32, enarr. 2, serm. 2, 16). I medesimi concetti
penetreranno proprio in questo periodo anche nella Liturgia cattolica. Cfr. SACR. Leon. 1239:
Deus, qui humanae substantiae dignitatem mirabiliter condidisti et mirabilius reformasti… Al-
tri esempi in BLAISE 1966, pp. 375-376.
14 Il lungo periodo, aperto dalla coppia minima effectus - affectus, si caratterizza per l’accu-

mulatio disorganica di elementi afferenti all’historia salutis. Al regolare incedere di cola paral-
leli si affianca in chiusa di frase una serie chiastica concatenata (vivificaret morte, inmortalitate
donaret, iustificaret resurrectione, ascensione portaret) con ampliamento sintattico conclusivo
(et reconciliatos per sanguinem suum in eam, a qua excideramus, Patris gratiam reformaret).
Da notare l’ossimoro tipicamente cristiano vivificaret morte e l’antitesi lessicale con figura eti-
mologica morte-inmortalitate.
15 Cfr. 1Ioh 2, 2: Et ipse est propitiatio pro peccatis nostris.
16 Cfr. Ioh 17, 20: Non pro his autem rogo tantum, sed et pro eis qui credituri sunt per ver-

bum eorum in me.


17 Cfr. Ioh 17, 24: Pater, quos dedisti mihi volo ut ubi ego sum et illi sint mecum.
18 Cfr. Lc 23, 34: Pater, ignosce illis: non enim sciunt (codd.: nesciunt) quid faciunt.
19 Cfr. 1Ioh 2, 15-17: Nolite diligere mundum neque ea quae in mundo sunt. Si quis diligit

mundum non est caritas Patris in eo, quoniam omne quod est in mundo concupiscentia carnis
et concupiscentia oculorum est et superbia vitae, quae non est ex Patre sed ex mundo est. Et
mundus transit et concupiscentia eius; qui autem facit voluntatem Dei manet in aeternum.
20 Vd. Mt 11, 28. Il versetto evangelico prosegue: et ego reficiam vos.
21 Cfr. Sir 51, 34: Et collum vestrum subicite sub iugo et suscipiat anima vestra disciplinam;

Ier 27, 12: […] subicite colla vestra sub iugo regis Babylonis. Il colon è densamente retorizza-
to. Prevalgono il suono scuro /u/ e la sibilante, quasi a sottolineare l’impegno (talora il sacrifi-
cio) del cristiano di fronte ai Comandamenti divini. Si noti il politpoto salutaribus - salutari,
che conferisce speciale evidenza alla meta verso cui tende la subiugatio, accanto ai corradicali
iugum - subiungo < *iu(n)g- e alla ripetuta prefissazione verbale sub- (subdentes - subiunga-
mus), a sottolineare con forza il concetto della sequela cristiana. Similmente cfr. epist. 2, 32, 1:
[…] habitu animoque mutato iugum vobis suae lenitatis inponeret, ut salutari currui suo colla
subdentes… Ruricio sembra invitare, anche se con toni non espliciti, l’amico Vero alla conver-
sio. L’ipotesi assumerebbe veridicità se questi fosse identificato con Vero che nel 498 circa di-
venne vescovo di Tours, succedendo a Volusiano (vd. epist. 2, 64), e facendo sentire la propria
voce al concilio di Agde (506) attraverso il diacono Leone.
22 Il colon, nella sua regolarità di elementi, presenta sonorità diffusa, al limite della rima.

Abile ed efficace la variatio stilistica al terzo comma audire clamantem, blandientem modo non
spernere, con chiasmo: essa, rompendo l’armonia precedente, ridesta il lettore, spronandolo im-
plicitamente alla vigilanza nel rapportarsi al Signore che passa nella vita umana, perché il giu-
dizio post mortem non abbia a essere di condanna.
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326 Commento

23Cfr. Mt 19, 28: […] cum sederit Filius hominis in sede maiestatis suae.
24Similmente vd. RURIC., epist. 2, 17, 2.
25 Per i costrutti avverbiali del tipo agg. + mente, vd. supra 2, 10 n. 10 e 2, 16 n. 13.
26 Le parole di salvezza di Gesù, che Ruricio sintetizza con due locuzioni, sono isolate dal

contesto dalle figure di suono: l’assonanza della vocale /a/ (salutaria sua praecepta) e l’allitte-
razione della sibilante (admonitiones suas saluberrimas).
27 Cfr. Mt 25, 10-11: […] et clausa est ianua. Novissime veniunt et reliquae virgines dicen-

tes: «Domine, domine aperi nobis»; Lc 13, 28: Et dicet vobis: «Nescio vos unde sitis. Discedite
a me operarii iniquitatis. Ibi erit fletus et stridor dentium.» Cum videritis Abraham et Isaac et
Iacob et omnes prophetas in regno Dei vos autem expelli foras.
28 Cfr. Lc 12, 46: Veniet dominus servi illius in die qua non sperat et hora qua nescit et divi-

det eum partemque eius cum infidelibus ponet.


29 La perfetta isocolia degli elementi della frase e la lapidarietà dell’eloquio fanno di queste

ultime parole quasi un motto proverbiale intriso di sapienza biblica, che ben conclude il §. 4
(nonché l’epistola), tutto orientato a esortare alla fedeltà e alla vigilanza in vista della parousia.

2, 24
1 Oltre alla domenica, giorni di convocazioni liturgiche, fin dai primi secoli, sembrano esse-

re stati anche il mercoledì e il venerdì di ogni settimana. Tertulliano ne fa affondare le radici


addirittura agli Apostoli: Itaque de cetero indifferenter ieiunandum ex arbitrio, non ex imperio
novae disciplinae, pro temporibus et causis uniuscuiusque; sic et apostolos observasse, nullum
aliud imponentes iugum certorum et in commune omnibus obeundorum ieiuniorum, proinde
nec stationum, quae et ipsae suos quidem dies habeant quartae feriae et sextae, passive tamen
currant, neque sub lege praecepti neque ultra supremam diei, quando et orationes fere hora
nona concludat de Petri exemplo, quod Actis refertur (ieiun. 2, 3). RIGHETTI II, p. 33 ritiene es-
sere questa una disciplina di diffusione cattolica. Il mercoledì si faceva memoria del tradimento
di Giuda e della condanna di Gesù da parte del Sinedrio; il venerdì ricordava ovviamente la
morte in croce del Signore. Il carattere delle adunanze liturgiche doveva essere pertanto peni-
tenziale, di cui il digiuno, protratto per lo più fino a nona, è un elemento. In questi giorni si ce-
lebrava anche l’Eucaristia, con l’esclusione di Alessandria d’Egitto e probabilmente di Roma,
almeno fino al V-VI secolo (vd. RIGHETTI II, p. 36). L’invito scocciato di Ruricio al figlio lascia
presupporre che Costanzo non avesse una pratica regolare dei divini Misteri.
2 Il vicus di Briva Curretia (Brive-la-Gaillarde, dip. Corrèze) si trova a sud di Limoges, lun-

go le rive della Vézère, al crocevia tra Toul, Périgueux e Uzèrche. Come ci informa Gregorio di
Tours (Franc. 7, 10), a Briva è antico il culto del martire spagnolo Martino, ritenuto discepolo
dell’omonimo asceta di Tours: in suo onore, verso la fine del V secolo, venne eretta una chie-
setta, dove fu anche tumulato, probabilmente il luogo in cui Ruricio convoca il figlio. Va notato
che la memoria del santo era iscritta nel calendario liturgico di Limoges, come ricorda il Marty-
rologium Hieronymianum, al 9 agosto: In urbe Lemovix, sancti Martini Brivensis. La basilica,
sotto la giurisdizione del vescovo di Limoges, fu vittima di un tremendo incendio nel VI secolo
e fu quindi riccamente ricostruita dal vescovo Ferreolo di Limoges (ulteriori notizie in MATHI-
SEN 1999, p. 180 n. 4).
3 Il biglietto indirizzato a Costanzo rivela l’amarezza di un padre (per di più ecclesiastico)

che vede fallire le proprie proposte educative. Il figlio di Ruricio dunque amava una vita fatta
di divertimenti a oltranza, di frequentazioni non sempre raccomandabili, di ubriachezze, come
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II, 23-25 327

rivela la duplice metonimia mitologica Bacchus / Liberus. Al centro della breve lettera si sta-
glia il verbo moneo, quasi a sottolineare l’autorità al tempo stesso paterna ed episcopale. Tutta-
via la perentorietà dell’ordine sembra essere vinta dallo sconforto (quod te facturum minime
credo). A tal proposito già il Veneticum ebbe modo di sanzionare, almeno per i consacrati: Pre-
sbyteri, diaconi atque subdiaconi, vel deinceps quibus ducendi uxores licentia non est, etiam
alienarum nuptiarum evitent convivia, nec iis coetibus misceantur ubi amatoria cantantur et
turpia aut obsceni motus corporum choris et saltibus efferuntur, ne auditus et obtutus sacris
mysteriis deputatus turpium spectaculorum atque verborum contagio polluatur (a. 461-491 p.
154, ll. 68-74), ripreso successivamente dal concilio di Agde (a. 506 pp. 209-210, ll. 314-320).

2, 25
1 Cfr. Ex 20, 4-5: Non facies tibi sculptile, neque omnem similitudinem quae est in caelo de-

super et quae in terra deorsum, nec eorum quae sunt in aquis sub terra; non adorabis ea neque
coles; similmente vd. Ex 23, 24; Dt 5, 8-9; 4Rg 17, 35.
2 Iacco è voce poetica classica, per indicare Bacco, o per metonimia, i piaceri del vino. Il

suo uso, raro in età tardoantica, è sicuro indice di preziosismo. Ricorre, almeno a partire da Ca-
tullo, in Virgilio, Properzio, Silio Italico, Stazio, Claudiano. Il “Servio Danielino” così spiega,
commentando ecl. 6, 15: IACCHO autem vino, a Libero patre, qui etiam Iacchus vocatur: nam
Bacchus a bacchatione, id est insania, dictus, unde et comites eius bacchae: alii a Bacche
nympha, quae cum Brome sorore sua eum nutrierat in monte Nysa, a Nysa nutrice. Così inter-
pretando, ben si adatta al contesto questo emendamento di Hagendahl, invece del vulgato Ia-
num (Giano) proposto da Krusch a correzione del testo tradito ianuum. «Il ne s’agit pas d’une
erreur religieuse, mais d’une erreur morale; ce n’est pas Ianus à double tête, mais Bacchus-Iac-
chus, qui est l’objet du culte» (HAGENDAHL 1952, p. 105).
3 Per quanto attiene al cursus planus ésse consórtem, particolarmente ricorrente nella litur-

gia, vd. supra 1, 13 n. 17. Esso suona piuttosto stridente rispetto al contesto: se solitamente con
questa formula si prega Dio perchè renda partecipi i fedeli dei beni eterni, nel presente locus
essa esprime invece la deprecazione del crimen, di cui Costanzo vorrebbe rendere implicita-
mente complice il padre (vd. n. succ.).
4 Probabilmente Costanzo chiede al padre del denaro per poter continuare la sua vita scialac-

quata. Ma Ruricio, come dirà poche righe dopo, si rifiuta di sostenere ulteriormente le spese
della vita viziosa del figlio. L’espressione oleum incendio superfundam è proverbiale. Cfr. HOR.,
sat. 2, 3, 321: Adde poemata nunc, hoc est, oleum adde camino; PORPH., Hor. sat. 2, 3, 321: Et
usus est vulgari proverbio oleum in incendium; HIER., epist. 22, 8: Quid oleum flammae adici-
mus? (vd. anche epist. 77, 7; 125, 11). Significativo il locus ciceroniano tradito da Nonio Mar-
cello, in cui il proverbio è applicato, come in Ruricio, alla voluptas dell’età giovanile: M. Tul-
lius in Hortensio: Ad iuvenilem libidinem copia voluptatum gliscit ita, ut ignis oleo (p. 22, 21).
Vd. anche OTTO 1962, p. 253.
5 Il tono si fa particolarmente severo: Ruricio con decisione si oppone alle pretenziose ri-

chieste del figlio. L’espressione quo ore seguita da un verbo (faciam, dicam…) per indicare la
spudoratezza di atteggiamenti è già classica: vd. TER., Haut. 900; Phorm. 917; CIC., Verr. II 4,
26; Phil. 7, 21, et alii.
6 All’indignazione si aggiunge anche la consapevolezza di essere pastore: Ruricio ben sa che

l’approvazione (o presunta tale) di determinate passiones che fanno violenza al modello propo-
sto dal Cristianesimo ingenererebbero scandalo nei fedeli, oltre che disordini. Il linguaggio si
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328 Commento

mantiene sempre, con la dovuta varietà sinonimica, nell’ambito semantico giuridico: Deo teste
- promiseras - criminis - pollicitus es - promissa perquires - sacramenta violaveris - dabis ve-
niam meae promissioni - pactum (costituente una coppia minima col precedente factum). «Voilà
donc un tableau de la vie telle qu’elle se renouvelle à tous les âges. […] Effaçons quelques li-
gnes de teinte chrétienne, et nous nous croyons transportés de la Gaule chrétienne du Ve siècle
dans le milieu attigue du IVe, si familier aux comédies de Plaute et de Térence» (HAGENDAHL
1952, p. 105).

2, 26
1Per l’espressione pro mutua caritate, vd. supra 2, 8 n. 21.
2Consueta la commutatio chiastica (vd. supra 1, 2 n. 2) sollicitae pietati - piae sollecitudini
(cfr. epist. 1, 7, 1: pia sanctitas - sancta pietas). Se tuttavia pietas è frequentemente usato come
titulus honoris (vd. supra 1, 7 n. 2), sollicitudo ha un usus alquanto limitato, e spesso dubbio
quanto alla funzione di titulus. Cfr. CYPR., epist. 11, 1: […] admoneo tamen etiam ipse religio-
sam sollicitudinem vestram (ai presbiteri e ai diaconi); ENNOD., epist. 8, 14 p. 209, 23: Tacerem
molestias meas, nisi intellexissem, quod sollicitudo vestra me sublevat (a Fausto).
3 Per la locuzione Deo propitio, vd. supra 1, 14 n. 11.
4 Il periodo ipotetico è ricco di figure di suono e di stile: l’allitterazione di /p/ e /s/ oltre che

alla parafonia del comma plurimum prodesse posset; la sonorità delle dentali unitamente al po-
liptoto e al chiasmo con variatio della sequenza aut intentionem intellectus aut intellectum se-
queretur ingenium.
5 L’espressione sine causa enim solis ortum caecus expectat, successivamente spiegata,

sembra essere un motto proverbiale del tipo: Et quibus exactas placet servare tenebras / splen-
dentem die medio non cernere solem (PRUD., c. Symm. 1, 576-577, detto dei pagani). Similmen-
te già LACT., inst. 5, 20, 2: Quid enim vident, qui solem non vident? (in riferimento direttamente
ai pagani in inst. 2, 19, 5), e, a ritroso, QUINT., inst. 1, 2, 19: Deinde cum proferendo sunt stu-
dia, caligat in sole et omnia nova offendit.
6 Gaio Sollio Sidonio Apollinare. L’appellativo di domnus e pater communis, oltre che il

confidenziale tono con cui Ruricio identifica il grande arverno (Sollius), rivela l’affetto che le-
gava i due. Non è facile individuare di quale opera Ruricio sia venuto in possesso: una parte dei
carmi sidoniani (editi nella raccolta di 24 componimenti a noi giunti, probabilmente nel 469) o
delle lettere, la cui edizione venne a più riprese curata dallo stesso autore, auspici Costanzo e
Firmino (vd. SIDON., epist. 1, 1; 8, 16; 9, 1; 16), oppure le missae ab eo compositae cui fa cen-
no Gregorio di Tours (Franc. 2, 22), oppure sermoni liturgici? Ogni ipotesi in questo caso sa-
rebbe al momento insufficientemente suffragata. Per quanto riguarda la complessa datazione
delle edizioni dell’epistolario di Sidonio, si rimanda a quanto dice LOYEN 1970, pp. xxii-xxiv.
xlvi-xlix; per le edizioni dei carmi successive alla prima, vd. LOYEN 1960, pp. xxx-xxxv.
7 Per il titolo sublimitas, vd. supra 1, 11 n. 22.
8 Ruricio può finalmente leggere il volumen di cui sembra avere chiesto una copia ad

Apollinare.
9 Stupisce la franchezza con la quale Ruricio non esita ad ammettere la tortuosità dello stile

di Sidonio. Al ridestarsi dell’antico e mai sopito sentimento nei confronti dell’amico fa da con-
traltare l’obscuritas che impedisce un coinvolgimento integrale della persona. È in fondo
quell’esprit précieux (Loyen) che, se da un lato ammira, dall’altro sgomenta.
10 Efficace il fonosimbolismo suspiriosis flatibus, che riproduce il sibilio dell’emissione for-

zata del fiato, come quando appunto si sospira. Flatibus costituisce calembour e coppia minima
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II, 25-26 329

col successivo fletibus (vd. infra n. 12). L’aggettivo suspiriosus è presente nella letteratura tec-
nica latina (COL. 6, 38, 1; PLIN., nat. 20, 9. 24; 21, 132) a indicare lo stato di chi è affetto da di-
sturbi dell’apparato respiratorio; in età tardoantica compare solo in loci sidoniani, cui evidente-
mente Ruricio vuole alludere: vd. SIDON., epist. 1, 2, 6; 5, 14, 3; 5, 17, 7; 7, 6, 4 (suspiriosis
ululatibus); 7, 9, 6.
11 Cfr. RURIC., epist. 1, 1, 1: […] caritatis igniculum, quem in tepidis animae dormientis fa-

villis scintillis ferventibus suscitastis; 2, 9, 3: […] igniculo caritatis accenditur. In partic., cfr.
CASSIAN., c. Nest. 5, 1, 2: [...] novis sacrilegiorum flatibus favillas veteres excitare.
12 Possibile reminiscenza dei versi ovidiani: Illae me lacrimae facient sine fine beatum: /

dulcior hic risu tunc mihi fletus erit (Ib. 207-208). Tuttavia già incontriamo l’antistrofe in AM-
BR., exc. Sat. 1, 74: Ipsae dulces lacrimae sunt, ipsi fletus iucundi; AUG., conf. 4, 4, 9: Solus fle-
tus erat dulcis mihi; 5, 10: […] cur fletus dulcis sit miseris? Una profonda sonorità lega il com-
ma dulcibus nobis fletibus. L’espressione piuttosto vulgata fletu / -ibus (in)rigare ricorre tra gli
altri anche in SIDON., epist. 9, 9, 8: Quibus lacrimis sane maduerimus mutuo vicissim fletu riga-
ti. Vd. anche supra 2, 15 n. 44.
13 L’espressione imbre perfundere è cara a Ruricio, che la utilizza anche in epist. 1, 1, 3; 2,

4, 1.
14 L’ampio periodare della frase sfocia nel macrocolon conclusivo in cui costrutti paralleli,

sonorità e iperbati avvicinano lo stile a quello sidoniano (considerazione quest’ultima che si at-
taglia tuttavia all’intero paragrafo). Si noti l’adynaton piuttosto consueto dell’acqua che non
spegne il fuoco (o la sete), ma lo attizza, per cui vd. supra 1, 1 n. 12; 2, 18 n. 18.
15 Credo sia preferibile l’emendamento engelbrechtiano, accolto anche da Demeulenaere,

nostrae al testo tradito vestrae: infatti Ruricio sembra fare riferimento al proposito da lui fatto
all’inizio della lettera, e che espliciterà ancora nelle righe successive, di leggere con attenzione
e affetto l’opera di Sidonio.
16 La nota vobis praesentibus indica che il figlio Apollinare era ancora giovane, quando Si-

donio compose l’opera in questione.


17 Ruricio non esita a mettersi alla scuola del riconosciuto maestro e amico, la cui superio-

rità stilistica (affectata ars) confessa senza riserve. Significativa la frase effici discipulus de
magistro, se si pensa che i vescovi erano chiamati anche magistri (vd. HIER., hom Orig. in Eze-
ch. 3, 7 p. 354, 18 B; EPIST. pontif. 374 (a. 430) Conc.S I 2 p. 7, 7; DIONYS. EXIG., Conc.S I 5 p.
327, 19; ENNOD., dict. 3, 6 p. 435, 4). La nota appare pertanto quanto mai realistica, come l’ap-
punto sull’età, che dunque colloca questa lettera tra gli ultimissimi anni del V secolo e i primi
del VI. Non va trascurato infine il sostrato proverbiale dell’asserto, che si inserisce così nel fi-
lone dello Sprichwörter che mette in relazione vecchiaia e apprendimento, per cui la senectus
non solo non è impedimento, ma anzi è possibilità da mettere a frutto per accrescere le proprie
conoscenze. Così, p. es. cfr. CIC., Cato 26: Ut et Solonem versibus gloriantem videmus, qui se
cotidie aliquid addiscentem dicit senem fieri, cui soggiace il soloniano ghravskw d j aijei; polla;
didaskovmeno~; AUG., epist. 166, 1: Ad discendum quod opus est nulla mihi aetas sera videri
potest. L’idea penetrerà dall’antichità (numerosi anche gli esempi nella grecità classica, per cui
vd. bibliografia sottoindicata) nel mondo tardoantico e medievale, come ci testimoniano tra gli
altri i Disticha Catonis (4, 27: Discere ne cessa, cura sapientia crescat: / rara datur longo pru-
dentia temporis usu), e quindi giunge fino ai giorni nostri in espressioni del tipo: “Non è mai
troppo tardi per imparare”. A tal proposito vd. OTTO 1962, p. 317; TOSI 1995, pp. 365-378, in
partic. pp. 376-378.
18 Cfr. AMBR., off. 1, 2, 5: Quid autem prae ceteris debemus discere quam tacere, ut possi-

mus loqui, ne prius me vox condemnet mea quam absolvat aliena?; CASSIAN., inst. 2, 3, 5: […]
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330 Commento

quod plerumque seniorum institutionis expertes monasteriis praesse audemus et abbates nos
ante quam discipulos professi quod libitum fuerit statuimus.
19 Le due metafore con sineddoche, in antitesi, codicis membrana - cordis pagina rendono

con singolare icasticità il concetto: Apollinare può penetrare lo spirito delle opere di Sidonio
non attraverso il codice membranaceo – che pur essendo realizzato di pelle, è morto a tal fine,
ma attraverso la viva “pagina” del suo cuore, attraverso la carne della sua umanità. A chiarire
meglio le espressioni metaforiche, sembra essere utile il riscontro con altri autori, quali p. es.
RUFIN., Orig. in Rom. 9, 41 p. 775, 64-65: Isti ergo libri animae nostrae vel haec cordis nostrae
paginae aperientur in conspectu throni flammei; FAUST. REI., epist. 10 p. 216, 7: […] in secreta
pectoris sui pagina spe imaginante depingit; PAUL. PETRIC., Mart. 4, 6: Quod tam perspicui si-
gnasset pagina cordis; PS. HIL. AREL., in epist. canon. 2Ioh. 26-29: Id, ut de viva voce in vivam
membranam cum discriberet exortationes; et os ad os loquamur, id est ut de viva voce in vivam
membranam cordis scriberet. Del resto la metafora della scriptio in corde è già biblica. Cfr.
p. es. Ier 31, 33: […] dabo legem meam in visceribus eorum et in corde eorum scribam eam;
Rm 2, 15: Qui ostendunt opus legis scriptum in cordibus suis testimonium reddente illis con-
scientia ipsorum; 2Cor 3, 3: […] scripta (scil. epistula) non atramento, sed Spiritu Dei vivi,
non in tabulis lapideis, sed in tabulis cordis carnalibus.
20 Secondo Ruricio, Apollinare ha ereditato dal padre ogni qualità: non solo la nobiltà di na-

tali, ma anche le doti oratorie e morali. Se tipica della Weltanschauung della nobiltà senatoria e
fondiaria è il porre le qualità morali e culturali in rapporto con gli illustri natali, tuttavia va no-
tato come Apollinare, a detta dello stesso Sidonio, non brillasse per accesi interessi culturali
(SIDON., epist. 9, 1 5: Etsi Apollinaris tuus cui studium in ceteris rebus est in hac certe negle-
gentissimus, quippe qui perexiguum lectione teneatur vel coactus vel voluntarius), preferendo a
essi la caccia (SIDON., epist. 8, 6, 12). Dunque l’elogio ruriciano assume un tono di flatterie, più
un omaggio all’amico Sidonio che una considerazione realistica. Flos è termine tecnico della
retorica per indicare l’ornato dello stile (vd. CIC., Brut. 233; QUINT., inst. 8, 3, 87; vd. anche su-
pra 1, 5 n. 4).
21 Se l’immagine acquatica del flumen, rivus, rivulus, ecc. è ampiamente diffusa, sia nell’e-

pistolario ruriciano che nella letteratura tardoantica, a indicare per lo più l’abbondante fluire
delle parole (vd. supra 1, 3 n. 27), va notato come sia molto utilizzata proprio nell’epistolario
sidoniano (vd. GUALANDRI 1979, p. 108, in partic. n. 8), a cui questa lettera ad Apollinare allu-
de, quasi obbligata. Dell’eloquio sidoniano Ruricio imita ancora una volta l’ampiezza del pe-
riodare e le diffuse figure di suono. Quanto alla nota etimologica circa il sostantivo rivus, cfr.
FEST. p. 273: Rivus vulgo appellatur tenuis fluor aquae, non spe consiliove factus, vero naturali
suo impetu. Sed hi rivi dicuntur qui manufacti sunt, sive super terram fossam, sive subter; cuius
vocabulo ex Graeco (rei`n) pendet; ISID., orig. 13, 21, 4: Rivi dicti quod deriventur ad inrigan-
dum, id est ad inducendum aquas in agris; nam inrigare inducere est. Tuttavia Ruricio non
vuole in questo caso insistere tanto su una questione grammaticale. Le sue parole sembrano
affondare maggiormente nella concretezza della metafora idro-geologica: se un fiume può van-
tare acque fresche e cristalline, il merito è principalmente della fonte pura da cui esso scaturi-
sce. Così leggendo, la perifrasi assume pertanto un carattere di barocco elogio del padre Sido-
nio nel figlio Apollinare, nonostante quanto sottolineato supra n. 20.
22 Spes può essere inteso in senso proprio oppure metaforico di “figlio”, secondo quanto già

sottolineato supra 1, 5 n. 1.
23 Ancora una volta emerge un ricordo commosso del vescovo Sidonio, in cui la nostalgia e

l’emozione si fanno palpabili, lasciando trapelare con maggiore immediatezza un po’dell’uma-


nità di Ruricio. Oltre alla coppia parafonica spem - rem, è possibile notare la sonorità interna,
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II, 26-27 331

soprattutto l’assonanza della vocale chiara /e/ nella frase narrativa conclusiva. Il concetto
espresso è retorico. Cfr. p. es. SIDON., epist. 7, 9, 24: Filios ambo bene et prudenter instituunt,
quibus comparatus pater inde felicior incipit esse, quia vincitur; VEN. FORT., carm. 4, 5, 15-16:
Hic probus, ille pius, hic serius, ille serenus, / certantes pariter quis cui maior erit (detto di Ru-
ricio e del nipote Ruricio II, suo successore sulla cattedra limosina).

2, 27
1Per l’uso e il valore del verbo mereor + inf., vd. supra 1, 2 n. 33.
2Comunemente si alternano la forma maggiormente latinizzata diaconus con quella più eti-
mologica diacon (gr. diavkwn).
3 Nulla si sa del diacono Giusto. Mathisen ipotizza l’identificazione coll’omonimo medico,

amico di Sidonio (vd. epist. 2, 12, 3), chiamato a curare la malattia di Severiana, sorella di
Apollinare. Quanto al fatto che un diacono funga da portalettere, vd. supra 2, 14 n. 1.
4 Da notare la finezza del chiasmo semantico (litteras) benigni pectoris et facundi oris - eru-

diretur ingenium et desiderium pasceretur, con chiasmo anche nel secondo membro: l’eloquen-
za nutre la mente, il sentimento sazia il desiderio. La iunctura facundum os è già classica e si
trova negli auctores almeno a partire dalla poesia di epoca imperiale: vd. OV., Pont. 3, 5, 16; 4,
4, 37; fast. 5, 698; EPICED. Drusi 261; MART. 6, 64, 11; ANTH. 439 SB (= 441 R), 6; in età tar-
doantica vd. ARNOB., nat. 4, 22; FAUSTIN., trin. 1 l. 29; PRUD., c. Symm. 2, 63; perist. 4, 18;
PAUL. NOL., epist. 16, 9; carm. 22, 3; SULP. SEV., dial. 1, 27, 4; VITAE patr. Emeret. 5, 5.
5 Affectuosus rusticus - urbanus impius: ancora un chiasmo semantico con antitesi, in cui

sinteticamente si concentrano il polo positivo e negativo di chi si accinge a scrivere una lettera.
6 Il lemma occasio, in rapporto a opportunitas, ha in questa epistola il valore classico di

“occasione”, “circostanza”, e non quello di “causa”, diffuso già nella bassa epoca della latinità
e poi in età medievale. Così infatti anche in RURIC., epist. 2, 5, 1, a cui questo biglietto si ispira:
Qui occasionem scribendi pro necessitudinis iure perquirimus. Tuttavia, in RURIC., epist. 2, 51,
1 è evidente quest’ultima accezione: Litteras sanctitatis vestrae etsi per occasionem accepisse
me gratulor. Non enim interest, utrum ex necessitate aut ex voluntate, dummodo inter se invi-
cem, qui se diligunt, conloquantur (su quest’ultimo passo vd. HAGENDAHL 1952, p. 10). Stilisti-
camente si noti la ripresa enfatica del verbo pereo nel composto depereo.
7 Per l’espressione salve plurimum dico, vd. supra 1, 16 n. 14.
8 Cfr. RURIC., epist. 2, 2, 1: […] ingentes gratias ago, quod hospitiolum nostrum fecistis

ipsius (scil. Postumini) orationibus inlustrari. Circa il valore del verbo inlustro, vd. n. ad loc.
9 L’insistenza anaforica in poliptoto (opportunitatem… opportunitate) con variatio sinoni-

mica (occasionem) enfatizza con chiarezza quale sia lo scopo reale della lettera: la mutua cari-
tas, il rapporto scambievole di amicizia.
10 Per l’uso del predicativo espresso con in + abl., vd. supra 1, 2 n. 15.
11 Per la forma in + abl. con valore strumentale, vd. supra 2, 13 n. 46.
12 Consueti calembour verbali e logici: prefissazione (amittitis – transmittitis; inpenditis - ex-

penditis; cfr. anche GRAEC., epist. ad Ruric. 1 p. 397, ll. 11-12: Dum enim dependitur, non expen-
ditur); antitesi (tribuitis - amittitis; transmittitis - retinetis) con sonorità interna; figura etimolo-
gica (affectuosus – affectu). Chiara la dipendenza da epist. 2, 5, 1: […] sermo mediator, qui emit-
titur et non amittitur, tribuitur et habetur, videtur discedere nec recedit, a me dirigitur, a te susci-
pitur, a me scribitur, a te legitur nec tamen dividitur, cum quasi divisus integer utriusque corde
teneatur, quia verbi more divini traditur et non egreditur, confertur indigenti et non aufertur
auctori accipientis lucrum sine dispendio largientis, ditans inopem nec adtenuans possessorem.
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332 Commento

2, 28
1Per il titolo pietas vestra, vd. supra 1, 7 n. 2.
2La rima col consueto gioco di prefissi verbali (discessi - recessi) divide la frase in due cola
paralleli e sottolinea lo stretto legame esistente tra Ruricio e il figlio. Cfr. epist. 2, 5, 1: […] vi-
detur discedere nec recedit.
3 A proposito dell’homo interior, vd. supra 1, 15 n. 5.
4 Sull’uso di quia con valore dichiarativo, vd. supra 2, 4 n. 64.
5 La reduplicatio (remansi… remansi), oltre a contribuire all’amplificatio sul piano del sen-

timento, si collega all’iniziale non recessi, quasi epesegeticamente: il prefisso re-, nella sua va-
rietà di valenze, favorisce questa possibilità (sul prefisso re- vd. il già menzionato intervento di
MOUSSY 1997, pp. 227-242).
6 Insidiator per antonomasia è il Diavolo. Cfr. AUSON., ephem. 3, 74 (= PAUL. NOL., carm. 5,

78): […] procul exige saevum / insidiatorem blandis erroribus anguem; HIER., in Gal. 1, 6 ll.
10-12: Sed cum sit utraque translatio, illa Dei est, haec diaboli: qui transfertur a Deo, non in-
venitur ab inimicis suis: nec ei potest insidiator obrepere (vd. anche HIER., in psalm. 128, 1);
GREG. M., epist. 2, 24 l. 4: […] dum callidus insidiator animum irretire nititur; 9, 157 l. 31:
[…] integrum se ab huiusmodi venenata infectione custodiat et callido insidiatori in se locum
non praebeat. La iunctura antiquus insidiator si trova quindi in AVELL. 216 p. 675, 21, titolata
come suggestio Dioscori diaconi ad Hormisdam (a. 519); CASSIOD., in psalm. 18, 44 l. 273;
BEDA, in prim. Sam. 1, 6 l. 1834.
7 Cfr. AUSON., rhop. 1: Spes, Deus, aeternae stationis conciliator; MAR. VICTOR., in Phil. 3,

13: Ipse (scil. Christus) enim est ianua, ipse propitiator, conciliator ipse. Il riferimento è sem-
pre a Dio o a Cristo. L’espressione, così intesa, risulta piuttosto irriverente. Tuttavia Ruricio
non è nuovo all’utilizzo di immagini particolarmente audaci, come emerge anche da epist. 1,
17, 3: […] per talem viam nos iter egisse cognoscite, per quem nec ad paradisum, non dicam
ad exilium quisquam ire desideret.
8 Cfr. Sir 9, 14-15: Ne derelinquas amicum antiquum, novus enim non erit similis illi. Vinum

novum amicus novus: veterescat (codd.: veterascet) et cum suavitate bibes illud. L’allocuzione
paternalistica fili è tipica della letteratura sapienziale e precettistica: vd. Sir 2, 1; 3, 19; 4, 23; 6,
18; ecc.
9 L’espressione de die in diem è tarda rispetto alla classica diem ex (de) die. Ricorrente negli

auctores a partire da Tertulliano (paen. 10, 1; adv. Marc. 5, 16), essa sembra riprendere stilemi
biblici: vd. Ps 60, 9; 95, 2; Sir 5, 8; Is 58, 2; 2Cor 4, 16; 2Pt 2, 8. La locuzione compare anche
in RURIC., epist. 2, 21, 2 nell’ambito della citazione di Sir 5, 8.
10 Si apprende ulteriormente da questa lettera, come già da epist. 1, 18, che Ommazio è di-

venuto presbyter (vd. nn. ad loc.).


11 La enumeratio asindetica con progressiva amplificatio orizzontale concentra i “meriti” del

padre verso il figlio. Significativa la perifrasi usura lucis per esprimere la vita umana, rara, ma
già presente in A MBR ., apol. Dav. 11, 56; S ALV., gub. 6, 18; E USEB . G ALLIC ., hom. 33, 2;
ENNOD., epist. 8, 42 p. 227, 3; dict. 19 p. 479, 28; 21 p. 488, 18; 28 p. 506, 20.
12 Per il titolo beatitudo, vd. supra 1, 15 n. 25.
13 Cfr. CASSIAN., conl. 7, 25, 2: Ceterum corporaliter traditos Satanae vel infirmitatibus ma-

gnis etiam viros sanctos novimus pro levissimis quibusque delictis, cum in illis ne tenuissimum
quidem naevum aut maculam in illo iudicii die patitur inveniri divina clementia. Ruricio am-
plia, a fini enfatici, il finale, con una sequenza trimembre. L’espressione coram Deo et angelis
eius è piuttosto diffusa: AUG., serm. 260, 1; 260D, 2; CASSIAN., inst. 4, 36, 2; CAES. AREL.,
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II, 28-30 333

serm. 13, 5; 42, 5; 43, 4; 54, 6; 189, 4; 230, 4. La formula ha origine in 1Tim 5, 21: Testor co-
ram Deo et Christo Iesu et electis angelis, debitamente variata dagli autori (ma talora ripropo-
sta ad litteram: vd. p. es. HIER., epist. 22, 23). Originale la variatio del terzo elemento (co-
ram… congregatione carnis totius).
14 Per il titolo unanimitas, vd. supra 1, 3 n. 3.
15 Accanto alla richiesta di preghiera – sempre più frequente in questa seconda parte del li-

bro II – Ruricio invita il figlio a una visita. Il tono maggiormente confidenziale di questo para-
grafo alterna con disinvoltura il vos e il tu: beatitudini tuae; unanimitatem tuam; pro me orare
digneris; cum opportunum vobis fuerit; tanti habeatis; vale (vd. supra 1, 1 n. 11).

2, 29
1Per il titolo sanctitas, vd. supra 1, 1 n. 35.
2Questa lettera, come del resto anche le due successive a Eracliano e a Capelluto, sono rela-
tive a consulte episcopali in merito a questioni ecclesiastiche.
3 Topica dichiarazione di inscitia.
4 Bella la figura etimologica con equivoco pro necessitudine quam necessitate, purtroppo

parzialmente efficace in traduzione italiana. Similmente vd. anche RURIC., epist. 1, 3, 1; 2, 29,
1; 47, 1; 56, 1.
5 Per l’usus del titolo germanitas, vd. supra 1, 13 n. 2.
6 La iunctura dei due aggettivi subdolus e fucatus si trova significativamente in PANEG. 1,

66, 5 (= PLIN., paneg.), per cui vd. supra 1, 10 n. 12.


7 La iunctura debitum unanimitatis officium è ruriciana. Circa gli officia epistolari, vd. su-

pra 2, 4 n. 3.
8 I fratres in questione sono altri vescovi delle diocesi viciniori rispetto a Limoges.
9 Per il saluto finale ora pro me, vd. supra 2, 22 n. 15, sempre a Eufrasio. Quanto al fatto

che sia un diacono il latore della lettera, vd. supra 2, 14 n. 1.

2, 30
1L’officium a cui Ruricio è venuto meno è ancora una volta quello epistolare: nella fattispe-
cie l’aver tardato a rispondere a una lettera di richiesta di Eracliano (vd. §. 2); quanto propria-
mente agli officia epistolari, vd. supra 2, 4 n. 3.
2 I due cola paralleli sono scanditi dall’antitesi degli avverbi inportune… opportune, già

paolina: Praedica verbum, insta oportune inportune: argue, obsecra, increpa in omni patientia
et doctrina (2Tim 4, 2).
3 Per il riferimento a Is 43, 26, vd. supra 2, 13 n. 47.
4 Questo primo paragrafo è densamente retorizzato. Si apre e si chiude con il poliptoto ver-

bale supplicare… supplicantis, che sottolinea il tema predominante: la richiesta di perdono.


Questa è formulata attraverso una continua variazione sinonimica: oltre a supplico, si vedano
confitenti - deploranti - excusando in antitesi con inputanti - inputationi (figura etimologica) -
accusanti. Piuttosto stucchevoli i giochi fonici prodottisi dagli omeoptoti (inputanti… confiten-
ti… deploranti; accusantis… supplicantis; occurritur… remittitur… relinquitur; nostram…
noxam…veniam) e dall’iperbato nos nostram… noxam. Inoltre si noti, nel comma […] culpam,
veniamus ad causam, la sonorità culpam - causam e il verbo veniamus, in paronomasia col pre-
cedente pervenire… ad veniam, secondo un consolidato usus ruriciano. Cfr. epist. 1, 3, 1: Sed
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334 Commento

dabitis, ut reor, veniam venienti ex necessitudine necessariae necessitatis; 13, 1: Egone vos,
qui ad portum veniae per paenitentiae indulgentiam Domino gubernatore venistis?; 2, 12, 1:
[…] vos per misericordiam perveniatis ad veniam (= 2, 53, 1). Gli evidenti parallelismi sintatti-
ci sono accompagnati da una ricca prefissazione verbale: remittitur - relinquitur; inportune -
inputanti (con parafonia) – inputationi – invidia; confitenti; excusando; praevalebit – praeces-
serit; ecc. Il lessico è segnatamente quello giuridico-penitenziale.
5 Ruricio segue fedelmente l’ordine che si è dato: prima la richiesta di perdono, quindi la sa-

lutatio, che risulta particolarmente enfatica e articolata. Per il titolo pietas, vd. supra 1, 7 n. 2.
6 Cfr. HIER., epist. 130, 6: Quicquid potest cogitare animus, quicquid sermo non potest ex-

plicare, illo in tempore factum audivimus.


7 Cfr. AUSON., ephem. 5, 5: […] nec mens conplecti poterit nec lingua profari; QUODV., grat.

1, 16, 4: Non enim sufficit humana lingua narrare vel laudare, quem mens pavida et infirma
non valet conprehendere; ENNOD., epist. 3, 8 p. 77, 1: Libero pectore lingua vacat officiis: mens
confusa gratiam salutationis abiurat. Sul topos dell’ineffabilitas e dell’inadeguatezza dei pro-
pri mezzi espressivi, vd. quanto affermato supra 1, 11 n. 16; a proposito di homo interior / exte-
rior vd. supra 1, 15 n. 5; sull’uso di “metafore corporali”, piuttosto diffuse in età tardoantica,
vd. CURTIUS 1992, pp. 156-158 (vd. anche supra 1, 1 n. 6; 9 n. 6).
8 Cfr. RURIC., epist. 2, 47, 1: […] priusquam rogetur, et nostrum praeoccupare benivolentia

sua festinat officium, dum non solum custodire, verum etiam augere in me istum sibi gestit af-
fectum. Sul valore e l’uso dell’avverbio iugiter, vd. supra 1, 15 n. 6.
9 Ipsa est eminentior via: medesima locuzione in epist. 2, 17, 4 (vd. n. ad loc.).
10 Tra le righe è possibile cogliere un riferimento paolino rispetto a 1Cor 12, 31: Aemulami-

ni autem charismata maiora, et adhuc excellentiorem viam vobis demonstro. Quindi segue il
celebre inno della caritas; e di caritas ha parlato anche Ruricio poco sopra. Tuttavia chiara an-
che la suggestione di Mt 7, 14: Quam angusta porta et arta via quae ducit ad vitam, et pauci
sunt qui inveniunt eam.
11 Cfr. Iac 5, 16: […] multum enim valet deprecatio (codd.: oratio) iusti adsidua.
12 Si tratta della parabola dell’amico importuno narrata in Lc 11, 5-8. In partic., cfr. Lc 11, 8:

Dico vobis: et si non dabit illi surgens eo quod amicus eius sit, propter inprobitatem tamen eius
surget et dabit illi quotquot habet necessarios (similmente, vd. anche epist. 2, 47, 1).
13 La lacuna del codice sembra dover essere sanata con un verbum petendi con reggenza a /

ab + abl. Mommsen verisimilmente ha ipotizzato petiit.


14 Cfr. Lc 11, 8: Dico vobis: et si non dabit illi surgens eo quod amicus eius sit, propter in-

probitatem tamen eius surget et dabit illi quotquot habet necessarios.


15 Come nella lettera precedente, i responsi a questioni di vita ecclesiale sono affidati al por-

titor (su quest’ultimo lemma, vd. supra 1, 7 n. 14).


16 L’epistola ha una struttura ad anello: si apre con una verbosa richiesta di perdono che ri-

torna con maggiore concisione nell’ultima frase. L’accusa di tarditas nel corrispondere all’offi-
cium epistolare, oltre ad avere un buon margine di veridicità, date le difficoltà dei collegamenti
e degli spostamenti, assurge anche a topos letterario, assieme alla conseguente richiesta di per-
dono, per cui cfr. p. es. HIER., epist. 99, 2: Unde, obsecro te, ignoscas tarditati meae; PAUL.
NOL., epist. 18, 1: Itaque da veniam fratri nostro in nobis vel nobis in illo, quia sive illius tardi-
tas arguatur sive praesumptio nostra culpetur, utrumque delictum caritas Domini excusabit
tibi; ENNOD., epist. 4, 27 p. 117, 17: Super tarditate enim domni Fausti et opinionum varietate
discrucior; EPIST. Austr. 10, 1: […] nec metum trahunt ex privilegio culminis nec repulsam me-
tuunt de praeiudicio tarditatis; 17, 1: Vereor quidem, ne pro huius tarditate libelli reus vestri
exsistam imperii; spesso il ritardo è attribuito ai portalettere, come si è detto supra 1, 10 n. 4.
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II, 30-31 335

2, 31
1Per il titolo pietas vestra, vd. supra 1, 7 n. 2.
2Sembra impossibile, a livello di significato, mantenere la lezione tradita da S consolare.
Ritengo verisimile una confusione col verbo consulere, come anche ipotizza ThLL IV, col. 481.
3 Come sopra, anche il genitivo civitatis mal si attaglia al contesto. Lütjohann propone di

emendare con antistitis, Krusch preferisce ampliare con electione et vestra; Mommsen, di cui
accogliamo il contributo, ritiene verisimile la lectio civis talis, facilmente deformabile nella le-
zione tradita.
4 Per la formula Deo propitio, vd. supra 1, 14 n. 11.
5 È quanto mai verisimile ritenere che il civis in questione sia Cesario di Arles. Egli venne

scelto dal vescovo Eonio, di cui era peraltro parente (vd. RURIC., epist. 1, 15; 2, 8; 16), tra i mo-
naci lerinesi per entrare tra il clero arlesiano. Venne indicato dallo stesso Eonio al clero e al po-
polo della città come suo successore: Aeonius sanctus clerum vel cives adloquitur, et ipsos do-
minos rerum per internuntios rogat, ut, cum ipse Deo volente migrasset ad Christum, nullum si-
bi alterum quam sanctum Caesarium eligerent fieri successorem (VITA Caes. Arel. 1, 13). Cosa
che avvenne, secondo la datazione più recente, nel 502 (o 503, secondo la cronologia tradizio-
nale). Come risulta da CAES. AREL., epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 29-34 Capelluto seguì il consi-
glio di Ruricio (epist. 2, 21) ad assumere lo stato religioso, divenendo prete nella diocesi di Ar-
les. Infine la cronologia delle lettere ruriciane, benché di non facile definizione, sembra colli-
mare coi limiti temporali di cui sopra (secondo Mathisen le lettere 29-31 del secondo libro sono
ascrivibili attorno al 502). Sulla vita e la cronologia di Cesario vd. DELAGE 1971, pp. 37-64;
KLINGSHIRN 1992, pp. 80-88, in partic. pp. 84-85; ID. 1995, in partic. pp. 72-87. Da chiarire re-
sterebbe tuttavia il coinvolgimento del vescovo di Limoges nell’elezione del vescovo di Arles.
Un indizio forse è ravvisabile nell’amicizia profonda che legava Ruricio a Eonio, che, come si
è detto, preconizzò la scelta di Cesario: se così fosse, si sarebbe chiesta l’opinone di Ruricio, in
quanto episcopus che conosceva il candidato all’episcopato e dunque era in grado di esprimere
un giudizio di merito sulla sua persona. Circa le motivazioni che spinsero Eonio a violare la
consuetudine delle consultazioni tra clero, aristocrazia e popolo (clerus, ordo vel plebs), vd.
KLINGSHIRN 1995, pp. 84-85.
6 Communis consensus è tecnicismo, formula della legislazione canonistica e giuridica, co-

me risulta da CONC. Carth. a. 345-348 p. 226 l. 1502: A iudicibus autem, quos communis con-
sensus elegerit, non liceat provocare; (vd. anche CONC. Carth. a. 411, 1, 220; 2, 32. 44. 55. 59);
FELIX III (IV), epist. ad Caes. p. 52: Quapropter communi consensu sub observatione venerabi-
lium canonum ordinandum elegite sacerdotem; GREG. M., epist. 5, 31 ll. 19-21: Pensiones vero
fideliter cum omni collectae diligentia apud unum quemcumque vestrum, quem communi con-
sensu elegeritis, reiaceant; 47 ll. 10-11: […] ut in defuncti abbatis locum alium, quem dignum
communis consensus congregationis elegerit, debeat ordinare; vd. anche CONC. Rei. a. 439 p.
70 l. 144; Epaon. a. 517 p. 35 l. 245; Tur. a. 567 p. 180 l. 120; ecc.
7 Come accadeva spesso in età tardoantica, il vescovo era per lo più acclamato dal clero e

dalla popolazione locale (communis consensus / consensus omnium): si vedano gli esempi di
Cipriano, Ambrogio, Agostino, Sidonio Apollinare. Ciò tuttavia era spesso fonte di disordini e
di abusi, sia da parte del popolo che da parte del clero e dei vescovi ancora in cattedra. Come
nel caso presente, già il predecessore di Cesario Ilario di Arles ebbe a ordinare il vescovo di
Die senza consultare clero e popolo, nonostante papa Celestino I avesse sottolineato nel 428 la
prassi vigente: Nullus invitis detur episcopus; cleri, plebis et ordinis consensus et desiderium
requiratur (epist. 4, 7 PL 50 col. 434). Successivamente Leone Magno, nel 449, esprime la sua
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soddisfazione perché il successore di Ilario di Arles, Ravennio, è stato consacrato secundum de-
sideria cleri, honoratorum et plebis e secundum consonantia omnium ordinum vota (epist. 40
PL 54 col. 815); e ancora gli Statuta Ecclesiae antiqua non lasciano dubbi in merito: Cum in
his omnibus examinatus inventus fuerit plene instructus, tunc consensu clericorum et laicorum
et conventu totius provinciae episcoporum, maximeque metropolitani vel auctoritate vel prae-
sentia ordinetur episcopus, suscepto in nomine Christi episcopatu, non suae delectationi nec
suis motibus, sed his patrum definitionibus adquiescat (a. 475 p. 165, ll. 36-41). Tuttavia infra-
zioni alla regola del consensus omnium sono numerose: limitandoci alla Gallia, sappiamo che
Nicezio viene indicato come vescovo di Lione dal predecessore Sacerdote (GREG. TUR., Franc.
4, 36); Ursicino viene scelto come vescovo di Cahors dal moribondo Maurilio (GREG. TUR.,
Franc. 5, 42); Donnolo, vescovo di Le Mans, […] Theodulfum abbatem in loco suo praeelegit
(GREG. TUR., Franc. 6, 9: tuttavia sarà l’intervento diretto del re Clotario II a far ricadere la
scelta sul domus regiae maior Badegisilus); ecc. Significativa appare la nota testimonianza resa
da SIDON., epist. 7, 5, 1 (al vescovo Agrecio) circa la situazione creatasi a Bourges: Bituricas
decreto civium petitus adveni: causa fuit evocationis titubans ecclesiae status, quae nuper sum-
mo viduata pontifice utriusque professionis ordinibus ambienti sacerdotii quoddam classicum
cecinit. Fremit populus per studia divisus; pauci alteros, multi sese non offerunt, sed inferunt.
«Ecclesiastical office, like secular office, came to be seen as an hereditary right» commenta
MATHISEN 1993, p. 91 (utile a tal fine HEINZELMANN 1976, pp. 211-232). Non solo: la scelta del
vescovo di Bourges nella persona di Simplicio sembra esigere giustificazioni da parte di Sido-
nio, dal momento che l’eletto è spectabilis, a fronte di altri due candidati a lui superiori in no-
biltà, in quanto illustres (vd. SIDON., epist. 7, 9, 18), ma inibiti dal fatto di essere passati a se-
conde nozze. A fronte di situazioni simili, il secondo Concilio di Arles (a. 442-506 p. 125 ll.
207-210) sancì: Placuit in ordinatione episcopi hunc ordinem custodiri, ut primo loco venalita-
te vel ambitione submota tres ab episcopis nominentur, de quibus clerici vel cives erga unum
eligendi habeant potestatem; e successivamente il Concilio di Clermont (a. 535 p.106 ll. 24-
29): Episcopatum ergo desiderans electione clericorum vel civium, consensu etiam metropole-
tani eiusdem provinciae pontifex ordinetur; non patrocinia potentum adhibeat, non calleditate
subdola ad conscribendum decretum alios ortetur praemiis, alios timore conpellat. L’elezione
episcopale in Gallia precipiterà di fatto nelle mani dei sovrani in età franca e merovingia. Su
questi aspetti vd. LECLERCQ, s. v. Élections épiscopales, in DACL IV, coll. 2618-2652, in partic.
coll. 2636-2652; GANDSHOF 1955, pp. 467-498; GRIFFE 1978, pp. 285-300, e il recente studio di
NORTON 2007; in particolare sulla “politisation” (Pietri) dell’elezione episcopale in età tardoan-
tica e sul ruolo della comunità cristiana, vd. GAUDEMET 1974, pp. 308-326; ID. 1979; PIETRI-
DUVAL-PIETRI 1997, pp. 1059-1081.
8 Si sfaccettano con varietà di elementi le funzioni e le qualità del vescovo, come già in

1Tim 3, 2-4: Oportet ergo episcopum inreprehensibilem esse, unius uxoris virum, sobrium, pru-
dentem, ornatum, hospitalem, doctorem, non vinolentum, non percussorem, sed modestum, non
litigiosum, non cupidum, suae domui bene praepositum, filios habentem subditos cum omni ca-
stitate; Tit 1, 7-8: Oportet enim episcopum sine crimine esse sicut Dei dispensatorem, non su-
perbum, non iracundum, non vinolentum, non percussorem, non turpilucri cupidum; sed hospi-
talem, benignum, sobrium, iustum, sanctum, continentem; amplectentem eum qui secundum
doctrinam est fidelem sermonem ut potens sit et exhortari in doctrina sana et eos qui contradi-
cunt arguire. Tuttavia, a differenza del testo neotestamentario, l’attenzione di Ruricio è volta
maggiormente a “virtù civili”, che ben si addicono al ruolo di pubblico ufficiale che spesso il
vescovo deve assumere nella Gallia di IV-VI secolo: «Religiosità e laicità non si elidono, anzi
costituiscono una manifestazione di sincretismo. A ciò si aggiunge il fascino della cultura che il
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vescovo possiede per ragione della sua provenienza per lo più da classi plutocratiche o social-
mente elevate e il legame esistente tra religione e vita sociale» (PULIATTI 2004, p. 146). Sembra
infatti di intravvedere, tra le righe della precettistica ruriciana, funzioni amministrative (veritati
studeat non falsitati, paci non perditioni), disciplinari (disciplinae non discordiae / tueatur bo-
nos… custodiat innocentes), giuridiche (utilitati publicae non privatae cupiditati, iustitiae non
rapinae / emendet reos… corrigat sontes), economico-caritative e assistenziali (miseros non fa-
ciat, sed defendat): «Nel rapporto con il popolo sarebbe dunque stato “utile” al sacerdote ri-
creare quei meccanismi di dipendenza che da sempre legavano singole comunità ai ricchi ever-
geti locali cui il vescovo tese ad affiancarsi» (LIZZI 1989, p. 31). Del resto, per il vescovo mila-
nese Ambrogio – come già per Cicerone – non vi era pressoché differenza tra utile e honestum:
Et igitur non solum familiare contubernium honestatis et utilitatis, sed eadem quoque utilitas,
quae honestas (off. 2, 7, 28). Questo aspetto è stato recentemente messo a fuoco dallo studio di
BROWN 2003, il quale sottolinea come il vescovo ambisca a presentarsi al popolo come espres-
sione di un “evergetismo cristianizzato” (p. 117), capace di munificenza, di giustizia, di libera-
lità, di diplomazia, assumendone i tratti distintivi. Ed è su queste caratteristiche che spesso insi-
stono anche gli epitaffi degli stessi vescovi (vd. HEINZELMANN 1976, pp. 233-246; BROWN
2003, pp. 108-109). Del resto, come ben ha precisato CONSOLINO 1979, p. 120, «gli epitaffi dei
vescovi non ci dicono come il popolo di Gallia vedesse i suoi capi spirituali, ma piuttosto come
questi volevano che li si vedesse». Va infine rilevato come le qualità elencate da Ruricio sem-
brano essere propriamente le medesime che si incontrano in molti degli epitaffi senatori ed epi-
scopali della Gallia di V-VI secolo (vd. a tal proposito HEINZELMANN 1976, pp. 41-98). La pro-
spettiva infine è quella escatologica (ma anche non trascurabile quella dello iudicium consegna-
to all’epitaffio). Dal punto di vista stilistico, il primo periodo, procedendo per antinomie, con-
trappone a un elemento positivo il suo contrario, mentre nel secondo la forma diventa tout
court esortativa. Già Ruricio ha argomentato in merito ai doveri del vescovo in epist. 2, 6 a
Cronopio (vd. in partic. n. 7); sull’immagine del vescovo in IV-VI secolo, vd. CONSOLINO 1979,
pp. 3-37; CRACCO RUGGINI 1998, pp. 3-15; sulle funzioni civili del vescovo in IV-VI secolo, vd.
HEINZELMANN 1976, pp. 33-183 (con particolare attenzione alla Gallia); LIZZI 1989, pp. 15-57;
VISMARA 1995b; BARONE-ADESI 1998, pp. 49-58; SOTINEL 1998, pp.105-126; CRACCO RUGGINI
1999, pp. 175-186; PULIATTI 2004, pp. 139-168; vd. anche supra 1, 1 n. 1; 2, 12 n. 14.

2, 32
1Vir illustris (o illustrus) è titolo comune per uomini nobili (Agricola era figlio dell’impera-
tore Eparchio Avito): testimonianze in ENGELBRECHT 1892, p. 56; O’BRIEN 1930, p. 147; lo
stesso dicasi per magnificus, per cui vd. supra 1, 3 n. 2.
2 Per il titolo sublimitas, vd. supra 1, 11 n. 22.
3 Ordinatio è in figura etimologica, oltre che in equivoco, col successivo ordinatis (affecti-

bus vestris).
4 L’incipit è ripreso con lieve variatio da epist. 2, 23, 1.
5 Il chiasmo sintattico imperfetto con marcata sonorità dei suoi elementi (nobis anxietatem

tolleret et vobis redderet sospitatem) rende quasi palpabile l’interdipendenza tra la restituita sa-
lute di Agricola e la ritrovata tranquillità di Ruricio. Il soggetto della consecutiva è ravvisabile
ad sensum in Dio.
6 Per il complemento di agente espresso con ablativo semplice, molto diffuso nel latino tar-

do (ma già attestato in età classica), vd. LHS II p. 122.


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7 La medesima citazione congiunta di Prv 3, 12 e Hbr 12, 6 in epist. 2, 23, 1 (vd. n. ad loc.).

Similmente vd. epist. 2, 21 a Capelluto. In entrambe le lettere lo stato di malattia del destinata-
rio è valutato da Ruricio come una benedizione, in ordine alla conversio, come nell’epistola in
esame.
8 Si apprende che Agricola ha assunto lo stato di conversus. Ruricio ritorna diffusamente in

questo paragrafo e nel successivo su questo tema, rilevandone i motivi ed esortando alla virtù.
Agricola, probabilmente guidato da Ruricio, ebbe a leggere il proprio stato di infermità come
conseguenza del proprio peccato. Pertanto, come emerge chiaramente dalla terminologia usata
(habitu animoque mutato - conversionem quam protulistis in veste, probetis in corde - haec
commutatio inter indumentum vestrum habeatur et animum - peccator enim, qua die conversus
ingemuerit, tunc salvus erit), fece penitenza abbracciando la vita monastica “nel mondo” da
conversus, secondo una consuetudine piuttosto diffusa in V-VI secolo, specie in Gallia e Spa-
gna (per cui vd. supra 1, 2 n. 13). La vita religiosa diventava esempio dell’exhomologesis del
peccatore, che iniziava così una nuova esistenza, rivelata anche dall’abito dimesso. Dunque i
conversi mutavano la vestis saecularis, come i monaci. E in questo senso pregnante va pertanto
inteso il termine habitus: mutamento di status di vita rivelato dal cambiamento del vestiario:
«L’antitesi fra l’abito religioso e quello secolare era radicata nella cultura monastica. Mentre
per secoli nessun abito religioso contrassegnò il clero secolare, al quale furono i concili tardo-
medievali a dare le prime prescrizioni e solo quello di Trento impose l’uso di vesti appropriate,
l’abito monastico si affermò fin dalle origini con un duplice significato: il rifiuto del secolo e la
consacrazione a Dio da un lato, dall’altro l’appartenenza a una nuova, diversa realtà sociale»
(PRICOCO 2005, p. 304). Quanto all’abito monastico, va notato come Cassiano rifiutasse l’uso
del cilicium (per il quale vd. supra 2, 21 n. 4) «perché attira l’attenzione e gli sguardi di tutti, e
per questo non solo non procura alcun giovamento allo spirito, ma può anzi generare la vanità e
l’orgoglio, e poi perché esso è scomodo e inadatto al necessario esercizio del lavoro per il quale
il monaco deve essere sempre pronto e disponibile» (inst. 1, 2, 3; trad. L. d’Ayala Valva); così
anche AUG., epist. 211, 10: Non sit notabilis habitus vester, nec affectatis vestibus placere sed
moribus; veniva invece utilizzato da Ilarione (HIER., vita Hilar. 32, 1) e dalla comunità di Mar-
tino di Tours (SULP. SEV., Mart. 10, 8: Plerique camelorum saetis vestiebantur). Sulla foggia e
l’evoluzione dell’abito monastico, vd. VOGÜÉ 2000, pp. 63-72.
9 Cfr. epist. 2, 23, 4: […] ut quasi iugo salutaribus subdentes colla praeceptis, salutari suo

currui subiungamus e n. ad loc.


10 Cfr. Mt 11, 30: Iugum enim meum suave est et onus meum leve est.
11 L’idea del peccato che schiaccia l’anima espressa con l’immagine della sarcina peccato-

rum è piuttosto consueta: vd. AMBR., obit. Valent. 10 (antequam gravi oneretur peccatorum
sarcina); epist. 5, 18, 5; HIER., in Is. 2, 5, 18 ll. 36-37 (et Aegyptios qui gravi peccatorum sarci-
na premebantur); in Zach. 3, 14 l. 590 (qui gravi peccatorum sarcina deprimuntur); in Matth.
19, 24 l. 904 (cum deposuerint gravem sarcinam peccatorum); PAUL. NOL., epist. 24, 1; 50, 3;
MAX. TAUR. 11, 1; PETR. CHRYS., serm. 18, 7; AUG., epist. 2, 5; in evang. Ioh. 11, 1; in psalm.
80, 9; ARNOB. IUN., in Matth. 19; in Luc. 10; GREG. M., in I reg. 2, 107. Dal punto di vista dello
stile, tutto il paragrafo è articolato su un costante uso della composizione preposizionale: relec-
tis - revaluisse - redderet - recepit; infirmatos - infirmitatem (figura etimologica) - inlatam - in-
sinuaret - inponeret; cognovi - conicio - corripiat -conprobatur; subdentes; evehitis; deponatis.
12 Ps 76, 11.
13 Cfr. Ioh 15, 15: Iam non dico vos servos, quia servus nescit quid facit dominus eius; vos

autem dixi amicos, quia omnia quaecumque audivi a Patre meo nota feci vobis; Rm 5, 19: Sicut
enim per inoboedientiam unius hominis peccatores constituti sunt multi, ita et per unius oboe-
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ditionem iusti constituentur multi; Eph 2, 19: Ergo iam non estis hospites et advenae, sed estis
cives sanctorum et domestici Dei. I tre cola dalla patina biblica procedono secondo un consueto
ritmo ruriciano: dall’iniziale parallelismo sintattico al chiasmo (dum de peccatoribus iustos, de
extraneis domesticos, amicos sibi facere dignatur ex seruis).
14 Il richiamo è ancora una volta alla coerenza delle azioni. Cfr. SALV., eccl. 4, 2: Illud du-

rius ac molestius, quod quidam, ut arbitror, filiorum quorum sub religionis titulo a religione
dissentiunt et habitu magis saeculum reliquere quam sensu; POMER. 2, 4, 1: Illos dico, qui velut
conversi, ex pristinis moribus nihil obiciunt, non mente mutati, sed veste; nec actu, sed habitu;
2: Hi sunt qui sermone tantum, non opere, saeculo renuntiasse contenti saeculariter vivunt. Vd.
anche OTTO 1962, p. 100; MARKUS 1996, pp. 200-206.
15 Cfr. CASSIAN., inst. 1, 2, 1: Vestis quoque sit monachi, quae corpus contegat tantum ac re-

pellat verecundiam nuditatis et frigoris retundat iniuriam, non quae seminaria vanitatis aut
elationis enutriat; HIER., epist. 125, 7: Sordes vestium candidae mentis indicio sint, vilis tunica
contemptum saeculi probet. La vestis del conversus doveva dunque essere simile a quella del
monaco, come già sottolineato supra n. 8. Al saecularis habitus si contrappone topicamente la
veste del religioso, come due poli diametralmente opposti (vd. p. es. GREG. M., epist. 3, 61 l.
24; 8, 8 ll. 4-5). A tal proposito, continua Cassiano, gli abiti dei religiosi devono servire soltan-
to a «coprire il corpo e non a lusingarlo con l’eleganza del loro aspetto: così modesti, da non di-
stinguersi per alcuna novità di colore o di foggia da quelli di tutti gli altri uomini che hanno ab-
bracciato la stessa professione di vita; così esenti da qualunque studiata ricercatezza, da non es-
sere nemmeno coperti di macchie o scoloriti per affettata trascuratezza; e infine così diversi
dall’abbigliamento di questo mondo, da poter servire in ogni circostanza da abiti comuni dei
servi di Dio» (inst. 1, 2, 1; trad. L. d’Ayala Valva).
16 La nigredo cui Ruricio fa riferimento è evidentemente la nigredo peccatorum, secondo la

topica dinamica luce – bene / tenebre – male, già presente come Leitmotiv nel Vangelo di Gio-
vanni, a partire dal prologo: In ipso vita erat et vita erat lux hominum, et lux in tenebris lucet et
tenebrae eam non conprehenderunt (Ioh 1, 4-5). «“ Tenebre” per Giovanni è prima di tutto il
mondo lontano da Dio, lo spazio esistenziale degli uomini non ancora (o, visto dal principio dei
tempi, non più) illuminato dalla luce divina […] e sono poi gli stessi uomini che si subordinano
a queste tenebre e ne sono ottenebrati e accecati» (SCHNACKENBURG 1973, p. 310). Le tenebre
sono il regno di Satana e della lontananza da Dio, come più volte si ribadisce nel Nuovo Testa-
mento (Lc 1, 79: Inluminare his qui in tenebris et in umbra mortis sedent ad dirigendos pedes
nostros in viam pacis; Ioh 8, 12: Ego sum lux mundi: qui sequitur me non ambulabit in tene-
bris, sed habebit lucem vitae; 1Ioh 2, 11: Qui autem odit fratrem suum in tenebris est et in tene-
bris ambulat et nescit quo eat, quoniam tenebrae obcaecaverunt oculos eius; ecc.). Spesso ni-
gredo appare negli auctores in iunctura con peccati, erroris, peccatorum: APON. 1, 39; CHROM.,
serm. 2, 6 (alternato con nigritudo); AUG., c. Iulian. 4, 3, 33; ARNOB. IUN. in psalm. 101 l. 29;
CASSIOD., in psalm. 146, 9 l. 191; GREG. M., moral. 5, 41; ecc. Meno diffuso in iunctura il so-
stantivo nigritudo: vd. AUG., in psalm. 91, 11; CAES. AREL., serm. 194, 1.
17 Il participio passato conversus sembra avere qui il valore pregnante di “convertitosi alla

vita ascetica”, secondo quanto detto supra n. 8.


18 Sembra ravvisabile tra le righe l’andamento di certe pagine bibliche particolarmente sen-

tenziose, quali p. es. Mt 24, 13: Qui autem permanserit usque in finem hic salvus erit; Mc 16,
16: Qui crediderit et baptizatus fuerit salvus erit, qui vero non crediderit condemnabitur; Rm
10, 13: Omnis enim quicumque invocaverit nomen Domini salvus erit.
19 Cfr. Rm 6, 19: Humanum dico propter infirmitatem carnis vestrae: sicut enim exhibuistis

membra vestra servire inmunditiae et iniquitati ad iniquitatem, ita nunc exhibete membra ve-
stra servire iustitiae in sanctificationem.
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20 Nel ribadire l’importanza della coerenza di vita attraverso cola a due a due paralleli e an-

tifrastici, sembra ravvisabile l’influsso di Salviano e Giuliano Pomerio, secondo quanto rilevato
supra n. 14. Vale la pena aggiungere come il rapporto fede – opere sia già argomento di Iac 2,
14 ss.: Quid prodest si fidem quis dicat se habere, opera autem non habeat? Il tema della coe-
renza di vita col Credo che si professa è oggetto di una trattazione puntuale anche da parte di
Fausto di Riez nell’epistola 5 a Paolino, rispondendo ai quesiti del suo interlocutore circa la
salvezza eterna dell’anima.
21 Cfr. Mt 7, 15: Adtendite a falsis prophetis qui veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrin-

secus autem sunt lupi rapaces.


22 Cfr. 1Pt 3, 12: Quia oculi Domini super iustos et aures eius in preces eorum, vultus autem

Domini super facientes mala.


23 Per l’uso di ipse per indicare Gesù / Dio, vd. supra 1, 18 n. 13.
24 Per gli usi dell’aggettivo iugis, vd. supra 1, 15 n. 6.
25 Il periodo che conclude l’ampia sezione dedicata al tema della conversio si segnala per

densità retorica, secondo la prospettiva della conclusio (vd. RHET. Her. 4, 29, 41: Conclusio est,
quae brevi argumentatione ex iis, quae ante dicta sunt aut facta, conficit, quid necessario con-
sequatur; CIC., inv. 1, 29: Simplex autem conclusio ex necessaria consecutione conficitur;): da
notare l’ampio chiasmo sintattico, costituito da costrutti prolettici / epanalettici (quem… il-
lius… eo… cui); quindi il poliptoto corde – cor e la figura etimologica con variatio sinonimica
habitatione – habitatore – habitaculum (< habito < habeo). Habitaculum è sostantivo attestato
a partire da Gellio (5, 14, 21). Presso i cristiani indica per traslato anche l’inabitazione di Dio
nell’animo umano, secondo quanto già asserisce Paolo in 1Cor 3, 16: Nescitis quia templum
Dei estis et Spiritus Dei habitat in vobis?; Eph 2, 21-22: (ipso summo angulari lapide Christo
Iesu,) in quo omnis aedificatio constructa crescit in templum sanctum in Domino, in quo et vos
coaedificamini in habitaculum Dei in Spiritu. Similmente cfr. FAUST. REI., spir. 2, 12 p. 156,
22: Quis illos dubitet eius Dei esse templum, cuius esse probantur habitaculum?; EUSEB. GAL-
LIC., hom. 1, 8: […] qui vitia exstinguit in carne, qui Christi virtutibus habitaculum procurat in
corde, Christum portat in corpore.
26 L’ampio iperbato gratias… referamus include efficacemente al suo interno il motivo stes-

so del ringraziamento.
27 Similmente vd. RURIC., epist. 2, 21, 1.
28 La formula saluto plurimum è forma più comune rispetto a salve plurimum dico (1, 16, 2)

e salutem plurimam dico (2, 14, 1; 52, 3), come si nota dalla diffusione: AUG., epist. 20, 3;
HIER., epist. 4, 2; 17, 4; 138, 1; 143, 2; 151, 3; SEDAT., epist. ad Ruric. 5 p. 401, l. 6; EPIST. Au-
str. 7, 9; 16, 4; ENNOD., epist. 6, 8 p. 154, 8; CAES. AREL., epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 21-23.
Ruricio ricorre a questa formula altre 2 volte in epist. 2, 57, 1; 62, 1.
29 Ancilla, secondo KRUSCH 1889, p. lxvii ed ENGELBRECHT 1892, p. 36 indicherebbe la nuo-

ra di Agricola, Papianilla, la quale sarebbe andata in sposa al nipote di Ruricio Partenio, nato
dall’unione dello stesso Agricola e di una figlia del vescovo di Limoges: vd. PLRE II, p. 830
(Papianilla 3); pp. 833-834 (Parthenius 3). Di diverso avviso, di fronte a questa tesi tradiziona-
le, ma forse più convincente l’opinione di MATHISEN 1981, pp. 102-103 (ribadita alcuni anni
dopo in ID. 1999, pp. 25-26. 191 n. 16). Lo storico americano sottolinea come Papianilla sia un
nome molto raro nella Gallia di V secolo e come esso sia adottato fondamentalmente da perso-
ne legate da vincoli parentali: Papianilla, moglie di Tonanzio Ferreolo, prefetto delle Gallie nel
451 (vd. SIDON., carm. 24, 37), era nipote dell’imperatore Eparchio Avito; la moglie di Sidonio
Apollinare era la figlia dello stesso Eparchio. Mathisen ritiene così che Papianilla, moglie di
Partenio, fosse la figlia di Agricola, il quale a sua volta di Papianilla (moglie di Sidonio) era il
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fratello. Quanto a Partenio, si spiegherebbero meglio la sua vita, i suoi profondi legami ad Ar-
les e nel nord dell’Italia (fu alunno di Aratore, di cui ci è conservata un’epistola metrica indiriz-
zata al medesimo nel 544) se si ritenesse essere il nipote di Ennodio: vd. p. es. epist. 5, 9 p.
133, 4; 10 p. 134, 5; 12 p. 135, 26; ma anche epist. 6, 1; 23; 7, 31. Pertanto MATHISEN 1999, p.
26 ritiene che egli corrisponda a un unico personaggio nato dall’unione di una sorella di Enno-
dio con uno dei figli di Ruricio, dunque nipote di quest’ultimo e genero di Agricola. «This
identification, furthermore, welds yet another link into the chain of interrelationship connecting
the premier epistolographers of Late Roman Gaul, in this instance tying together Ruricius, En-
nodius, and the Aviti» (MATHISEN 1981, p. 103). Della medesima opinione SETTIPANI 1991, p.
203; BUREAU 1998, pp. 387-397; SCHRÖDER 2007 p. 165. A Partenio e Papianilla è indirizzata
epist. 2, 37.
30 Cfr. RURIC., epist. 2, 34, 4: Simulque etiam partem corporis mei, per quam vobis has tra-

do, peculiari insinuatione commendo, ut in illis, quam me diligatis integre, conprobetis. Simil-
mente FIRM., math. 6, 3, 4: Omnes hos tamen apud potentes et maximos viros incorrupta fidei
insinuatione conmendat; CAES. AREL., epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 29-31: Sanctum vero et dul-
cissimum fratrem meum Capillutum presbyterum, amatorem et praedicatorem vestrum, vestrae
sanctimoniae, quanta valeo, insinuatione commendo; DESID. CADURC., epist. 1, 9 p. 319, 24-28:
Proinde gratissima efusa salutatione peroro, ut, quem tunc et affatibus bonis et benigna carita-
te consolastis, semper in memoriam vestri ut vobis intimum teneatis latorem, praeterea presen-
tis officii vobis, qua valeo insinuatione, commendo. Ruriciana, a quanto è dato di reperire, la
iunctura peculiari insinuatione.
31 Si apprende che dal matrimonio di Partenio e Papianilla è nato un figlio. Non sfugga la

densità di effetti fonici particolarmente evidenti, che rivela l’emozione nelle parole di Ruricio:
tanti habuistis affectu, semper foveatis indultu (con clausole a chiusa dei due cola); obnoxios,
vos avos… nos proavos.
32 Il saluto sembra essere rivolto alla moglie di Agricola. Il sostantivo filius / -a indica co-

munemente un rapporto di figliolanza spirituale, come ancora oggi nel linguaggio degli eccle-
siastici. Cfr. FAUST. REI., epist. 10 p. 216, 10: Inde est, habeo enim illic, filus meus (Ruricio); p.
217, 7: […] domnam filiam meam […] saluto (Iberia).
33 Il verbo sospito in chiusura di lettera richiama equivocamente il periodo iniziale: ut… vo-

bis redderet sospitatem. L’equivocità nasce dall’usus del verbo stesso. Sospito “salvare” è ver-
bo raro e arcaico (cfr. ENN., scaen. 295: Regnumque nostrum ut sospitent superstitentque; PA-
CUV., trag. 234: Populoque ut faustum sempiterne sospitent), che non vanta molte occorrenze
anche in età classica e imperiale. Cfr. CATULL. 34, 24: Sospites ope gentem; LIV. 1, 16, 3: […]
uti volens propitius suam semper sospitet progeniem. Maggiore diffusione avrà invece, a partire
dall’età augustea, il sostantivo sospes, mentre Apuleio conierà il lemma sospitator (vd. p. es.
APUL., apol. 64; mund. 24 p. 173; met. 9, 3, 3), accolto da Arnobio in riferimento a Gesù Cristo
Salvatore del mondo: Et quid, inquit, est visum Deo regi ac principi, ut ante horas, quemadmo-
dum dicitur, pauculas sospitator ad vos Christus caeli ex arcibus mitteretur? (nat. 2, 74). Il ver-
bo sospito, pur rimanendo poco diffuso, assumerà presso i cristiani il senso spirituale di “salva-
re l’anima”, come p. es. in CYPR., unit. eccl. 3: […] postquam lux gentibus venit et sospitandis
hominibus salutare lumen effulsit. L’uso del verbo sospito col significato di “formulare auguri”,
“salutare” (cfr. PAUL. p. 389, 8: “Sospitare” est bona spe adficere aut bonam spem non fallere)
si registra soltanto, oltre che in loci ruriciani, nell’epistolario di Fausto di Riez: Filium meum
Eminentium, dulce decus nostrum, paterno sospitamus affectu (5 p. 195, 13); Conservi mei,
praecipue admirator vester frater meus, presbyter Memorius, mecum reverentissime sospitant
(11 p. 218, 7-8); similmente vd. epist. 9 p. 215, 12; 12 p. 219, 14. Pertanto il ricorso a sospito in
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questa accezione sembra essere legato a questi due autori gallici, di cui sono noti i rapporti di
amicizia e di imitatio. Similmente si veda il conio ruriciano sospitatio (= sospitas), nel signifi-
cato di “saluto”, per cui vd. supra 1, 15 n. 24 (sospitationis officium). Vale infine la pena ricor-
dare come nell’antichità si registri un’unica occorrenza del verbo sospito con uso simile a quel-
lo dei due vescovi gallici in LUCIL. 739: Sospitat, inpertit salute plurima et plenissima.
34 Dal cenno alle difficoltà piuttosto gravi di salute – probabilmente gotta o problemi circo-

latori – che impediscono a Ruricio di camminare, è possibile datare questa lettera tra il 500 e il
506/7.
35 Per la formula iugi recordatione, vd. supra 2, 9 nn. 10-11.
36 Lo stilema oculis interioribus, antifrasticamente opposto a exterioribus, è riconducibile

alla topica epistolare del conloquium absentium: vd. AMBR., epist. 2, 9, 3 (Sed vidisti eum, qui
credidisti ei, vidisti eum, qui recepisti eum hospitio tuae mentis, vidisti eum spiritu, vidisti eum
oculis interioribus); PAUL. NOL., epist. 13, 2; 20, 1; HIER., epist. 68, 1; AUG., epist. 147, 17. A
tal proposito, vd. supra 1, 1 n. 6; 15 n. 15; THRAEDE 1970, pp. 146-165. Dal punto di vista fo-
nostilistico, il periodo finale è dominato dall’allitterazione della sibilante sorda, maggiormente
evidente in commata quali si facultas esset; voluntas promptissima vos visendi. Quindi si noti-
no sonorità quali interioribus oculis; adfinitatis ipsius; agnitionem… coniunctione… recorda-
tione. Quanto al lessico, prevale la sfera visiva, sapientemente declinata: visendi – oculis – con-
spicimus – cerneremus. Non sfugga l’abile scelta lessicale del verbo viso rispetto al più comune
video, al fine di creare parafonia col precedente vos, nonché la similarità di prefissazione co-
niunctione – conspicimus.
37 La lapidaria formula di congedo ritorna al plurale in epist. 2, 37, 1 (a Partenio e Papianil-

la) e 39, 3 (a Eudomio e Melantia).

2, 33
1Questa lettera è stata scritta dopo il 10 settembre 506, data in cui si è celebrato il concilio
di Agde, presieduto dal vescovo di Arles Cesario. Ruricio non partecipò all’assise, a motivo del
suo stato di salute, ma, come ci informa lo stesso Cesario (epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 5-9), af-
fidò una missiva a Leone, diacono inviato in rappresentanza dal vescovo Vero di Tours (vd. RU-
RIC., epist. 2, 23): Dum nimium tribularetur animus meus, quare ad synodum vestram praesen-
tiam non meruimus obtinere, sanctus et domnus meus Verus episcopus mihi dignatus est dicere,
quod per suum diaconum mihi Agate vestras litteras destinasset, quas ego nescio quo casu aut
qua neglegentia me non retineo suscepisse. Sull’assenza di Vero al concilio di Agde, vd.
MATHISEN 1984, pp. 159-170, in partic. p. 169; ID. 1999, pp. 42-43 ipotizza fosse già in esilio,
sospettato dai Visigoti di tramare ai loro danni con i Franchi (GREG. TUR., Franc. 10, 31: la me-
desima sorte era già toccata la suo predecessore Volusiano, esiliato a Tolosa); tuttavia KLING-
SHIRN 1994, p. 83 n. 19 ritiene l’esilio di Vero successivo al concilio.
2 Frater et conpresbyter noster: vd. epist. 2, 8, 2 e n. ad loc.
3 Sulla figura di Capelluto, vd. RURIC., epist. 2, 21; 31; 40; CAES. AREL., epist. ad Ruric. 7 p.

402, ll. 29-30.


4 Cfr. epist. 2, 5, 1 (= 36, 1): […] ut reddat nobis quandam praesentiae portionem sermo

mediator; 36, 2: […] ut et meam vobis praesentiam litteris exhiberem. Similmente cfr. HIER., in
Gal. 6, 11 ll. 5-8: Hanc opinionem, quia non poterat Paulus apud omnes praesens ipse subver-
tere […] seipsum per litteras repraesentat; epist. 5, 1: Nunc igitur, quomodo valeo, pro me tibi
litteras repraesento. Da notare la figura etimologica praesentiam... repraesentat, che rende più
icastico il concetto.
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 343

II, 32-33 343

5Per il titolo beatitudo, vd. supra 1, 15 n. 25.


6La formula caritatis officium relativamente al dovere di amicizia di rispondere alla corri-
spondenza è topica dell’epistolografia: vd. PAUL. NOL., epist. 13, 2; 21, 6; AUG., epist. 43, 1;
243, 1; ENNOD., epist. 1, 9, 3 Gioanni; GREG. M., epist. 2, 20 l. 2. Officium caritatis sembra es-
sere riformulazione cristiana del già simmachiano cultus / officium amicitiae. Circa gli officia
epistolari, vd. supra 2, 4 n. 3.
7 Come ci tramanda la sua VITA (1, 21), Cesario fu relegato in esilio a Bordeaux da Alarico

II, accusato dal funzionario Liciniano di complotto con i Burgundi ai danni del governo visigo-
to. Ruricio deve avere incontrato Cesario dunque nell’autunno-inverno, prima del ritorno di
quest’ultimo, verisimilmente ascrivibile tra l’inverno del 505 e la primavera del 506. MATHISEN
1999, p. 41 ipotizza, non senza un buon margine di probabilità, un diretto coinvolgimento di
Ruricio nel processo di distension auspicato dal sovrano goto (probabilmente anche nel ritorno
di Cesario dall’esilio), nel tentativo di rafforzare il consenso gallo-romano contro i sempre più
pericolosi Franchi, che minacciavano i confini. Trattative che culminarono nella promulgazione
della cosiddetta Lex Romana Visigothorum o Breviarium Alaricianum (2 febbraio 506). Fu in-
fatti Alarico stesso a chiedere una commissione di vescovi gallo-romani e nobili ad Atura (Ai-
re-sur-l’Adour), a 150 km circa a sud di Burdigala, perché compendiasse il codice teodosiano e
la giurisprudenza a esso successiva. Di questo rinnovato clima è indubbiamente indice il ritorno
di Cesario nella sua diocesi, accolto trionfalmente con la cerimonia dell’adventus (vd. VITA
Caes. Arel. 1, 26 e supra 2, 15 n. 3 della presente edizione) e la celebrazione del concilio di Ag-
de. Circa l’esilio di Cesario, vd. KLINGSHIRN 1995, pp. 93-97; sul concilio di Agde, vd. ID. pp.
97-104; sul Breviarium Alaricianum, vd. LAMBERTINI 1991; POLARA 2004.
8 Già altrove Ruricio rileva la sua insofferenza alla calura estiva (epist. 2, 10, 3) e il suo

malfermo stato di salute (consuetudinaria infirmitas): vd. epist. 2, 4, 1; 35, 1; 65, 1. Vale la pe-
na notare la determinazione di Ruricio nel replicare ai rimproveri del vescovo di Arles, sancita
dal lapidario e allitterante fecit hoc infirmitas, non voluntas. Dal punto di vista stilistico, l’elo-
quio appare piuttosto lineare, senza impennate retoriche, se si escludono le due figure etimolo-
giche soleo - solito e aestivis - aestus.
9 Il periodo ipotetico si regge su tre verbi fondamentali, tra di loro fortemente allitteranti: in-

timatis – vultis – indicetis. Essi sembrano scandire in sequenza cronologica i momenti in cui si
articola la convocazione al concilio: l’individuazione del giorno dell’assise, l’ordine di parteci-
parvi, la comunicazione. Non sfugga la sonorità diffusa nella successiva causale: quia litteras
vestras ad me modo tardissime venisse significo. In particolare va notato come intimo sia pro-
prio del linguaggio solenne e indichi una comunicazione ufficiale per lettera, come emerge p.
es. da SYNOD. Hil. coll. antiar. p. 94, 14: […] ut prudentiae vestrae prioribus litteris intimavi-
mus; COD. Theod. 1, 15, 2: Relationes iudicum […] tua sublimitas nobis celeriter intimare de-
bebit; 11, 30, 66: […] consultationes eorum quantocius nostris auribus intimare cogantur;
GREG. M., epist. 13, 17 ll. 2-3: Gregorius Iohanni subdiacono Ravennati lator praesentium
Iohannes frater et coepiscopus noster aliqua nobis de causis ecclesiae suae dato capitulari no-
scitur intimasse. Cesario di Arles, nell’epistola scritta a Ruricio cui fa seguito la presente, ac-
cenna effettivamente a un prossimo concilio che Eudomio aveva in animo di celebrare a Tolosa
(vd. CAES. AREL., epist. ad Ruric. p. 402, ll. 24-28; quanto a Eudomio, vd. RURIC., epist. 2, 39),
nel quale sarebbero dovuti confluire i vescovi ispanici e gallici. Verisimilmente tuttavia il con-
cilio non si celebrò per le motivazioni addotte infra 2, 39 n. 1.
10 Sul valore avverbiale del predicativo prudens, vd. supra 2, 2 n. 12.
11 La frase, dal tono sentenzioso e risentito, è costruita con grande finezza retorica. Il chia-

smo lessicale variato (nomen urbium… auctoritas – auctoritatem… urbis humilitas) con anadi-
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344 Commento

plosi poliptotica e improvviso mutamento della situazione (il medesimo vocabolo auctoritas è
riferito prima alle città e poi allo stesso Ruricio) provoca nel lettore il fenomeno dello strania-
mento. L’ornatus contribuisce pertanto allo straniamento e, secondo la consolidata tradizione
retorica, all’audacia di elocutio e pronuntiatio corrisponde topicamente la praecedens correctio
(ut minus prudens dicam).
12 Sull’identificazione del vescovo col sostantivo sacerdos, vd. supra 1, 1 n. 4.
13 Il colon conclusivo si apre col costrutto parallelo sinonimico con anafora dell’avverbio

indefinito a fini espressivi: multo melius multoque eminentius; quindi il chiasmo perfetto con
anadiplosi e poliptoto (civitatem de sacerdote, quam sacedotem de civitate notescere) suggella
con perentorietà l’epistola, che sembra assumere i tratti e i toni di una vera e propria orazione:
exordium (Frater et conpresbyter noster… rependo caritatis officium), propositio (Quod vos
scribitis… hoc infirmitas, non voluntas), argumentatio (Ipsi etenim recolere potestis… si venis-
sem) con refutatio (Unde magis spero… venisse significo), peroratio (quibus, etsi non pro di-
gnitate… de civitate notescere). L’indignazione di Ruricio per le ingiuste accuse rivolte a lui,
vecchio e malato, emerge con tutta la sua veemenza; infine compare la confessio humilitatis
della propria condizione di vescovo di una diocesi di non primaria importanza: a metà tra la
modestia e il realismo. Le parole di Ruricio infatti possono essere lette verisimilmente alla luce
dei fatti storici relativi alla Gallia di V-VI secolo. Alcuni vescovi, nel vedere elevate le proprie
città alla dignità di “capitale di provincia”, chiedevano una ratifica anche sul piano ecclesiasti-
co dell’auctoritas, così da conferire maggiore prestigio e influenza alla diocesi e al rispettivo
presule. Così HARRIES 1978, pp. 26-43, il quale, riferendosi alla presente epistola ruriciana,
scrive: «However episcopal and secular status were closely linked, despite pronouncements of
church leaders to the contrary, and elevation of any given town to the status of a provincial ca-
pital in the secular sphere tended to produce corresponding pretensions on the part of the rele-
vant bishop, which were not always welcomed or accepted by his colleagues» (p. 28). E stando
così le cose, particolarmente graffiante appare l’ultima stilettata moralizzante: multo melius
multoque eminentius est civitatem de sacerdote, quam sacerdote de civitate notescere.

2, 34
1Cfr. RURIC., epist. 2, 18 tit.: DOMINO SANCTO ET BEATISSIMO ET MIHI PECULIA-
RI CULTU AFFECTUQUE SPECIALITER EXCOLENDO PAPAE SEDATO EPISCOPO RU-
RICIUS EPISCOPUS; 19 vv. 1-2: SANCTO RURICIUS CLIENS PATRONUS / SEDATO. La
titolatura di questa epistola sembra condensare le due precedenti. In special modo viene messa
in luce l’alta qualità del patronato di Sedato.
2 Topica immagine della sete spirituale: vd. epist. 1, 1, 1; 9, 1; 2, 9, 2 (vd. nn. ad loc.). Nella

presente epistola lo stilema è enfatizzato dal poliptoto vobis… vos.


3 Topica della occasio scribendi, su cui vd. supra 1, 12 n. 16; 2, 5 nn. 1-2; 27 n. 6.
4 Per l’espressione dom(i)nus pectoris mei, vd. epist. 1, 10 tit. (e n. ad loc.); 12 tit.; 13 tit.;

14 tit.; 2, 3, 3, e similmente 1, 10, 3 (flamma pectoris mei).


5 Sul sostantivo portitor, vd. supra 1, 7 n. 14; quanto al topos del ritardo per la mancanza di

corrieri, vd. supra 1, 10 n. 4.


6 Cfr. Dt 32, 2: Concrescat in pluvia doctrina mea, fluat ut ros eloquium meum, quasi imber

super herbam et quasi stillae super gramina; RURIC., epist. 1, 10, 1: Accepi litteras magnanimi-
tatis tuae, quibus excusare dignaris, quod, ut me rarius eloquentiae tuae rore respergas (vd. n.
ad loc.).
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II, 33-34 345

7Ps 142, 6.
8L’ossimorica iunctura sobria ebrietate si trova già in AMBR., Ioseph 11, 60: A principio
inebriatur ebrietate, sed sobria; fug. saec. 8, 47: [...] paritura laetitiam et sobriam illam iucun-
ditatis ebrietatem; hymn. 2, 24: Laeti bibamus sobriam / ebrietatem spiritus, ricordato anche al-
lusivamente da AUG., conf. 5, 13, 23: Et veni Mediolanum ad Ambrosium episcopum, in optimis
notum orbi terrae, pium cultorem tuum, cuius tunc eloquia strenue ministrabant adipem fru-
menti tui et laetitiam olei et sobriam vini ebrietatem populo tuo. Non trascurabile tuttavia an-
che l’influenza di PAUL. NOL., carm. 27, 103-106: Talis ubi lectas inplevit crapula mentes, /
ructavere sacras ieiuno gutture laudes / ebria corda Deo; quis me miseratus ab isto / flumine
potabit, quod sobriat ebrietate?. Similmente, vd. anche AUG., in psalm. 33 serm. 2, 12; serm.
34, 2; agon. 9, 10; CASSIOD., in psalm. 35, 9 l. 169; 103, 15 l. 348.
9 Cfr. Ioh 7, 37-38: In novissimo autem die magno festivitatis stabat Iesus et clamabat di-

cens: «Si quis sitit veniat ad me et bibat; qui credit in me, sicut dixit Scriptura, flumina de ven-
tre eius fluent aquae vivae» (vd. anche Is 55, 1).
10 Cfr. MAX. TAUR. 22a, 2: Quae ergo sit ista meretrix, quae ista Samaritana mulier, cuius

adulterii sordes fons Christi deterserit, sollicitius requiramus! Ego hanc mulierem ecclesiam es-
se puto de gentibus congregatam, quae transactis annis quinque milibus, cum in sexto millesimo
anno idolorum fornicationibus subiaceret, omnem ignominiam suam adveniente Christi fonte
purgavit, et maculas quas adulterinis sacrilegiis contraxerat fide salvatoris abstersit, ac relin-
quens sicut inanem ydriam priorem patrium cultum universo orbi Domini adnuntiavit adventum.
11 L’episodio di Gesù e la Samaritana al pozzo di Giacobbe è narrato da Ioh 4, 4-29. Ruricio

cita Ioh 4, 14: Sed aqua quam dabo ei fiet in eo fons aquae salientis in vitam aeternam.
12 La ripresa anaforica hanc aquam carica di enfasi l’eloquio, come già in epist. 2, 23, 2-4.
13 Per le immagini utilizzate, vd. RURIC., epist. 1, 9, 2; per quanto riguarda il verbo ructo,

vd. supra 1, 3 n. 16.


14 Per l’usus di mereor + inf., vd. supra 1, 2 n. 33.
15 Il riferimento è all’apostolo Giovanni, che durante l’ultima cena, posò il capo sul petto di

Gesù: Conversus Petrus vidit illum discipulum quem diligebat Iesus sequentem, qui et recubuit
in cena super pectus eius (Ioh 21, 20).
16 Le parole ruriciane sembrano dipendere dal dettato agostiniano, quale emerge da in

evang. Ioh. 20, 1: Verba Domini nostri Iesu Christi, maxime quae Iohannes commemorat evan-
gelista, qui non sine causa super pectus Domini discumbebat, nisi ut secreta altioris sapientiae
eius ebiberet, et quod amando biberat, evangelizando ructaret; in psalm. 144, 9: Denique ille
avidissimus epulator Iohannes apostolus, cui non sufficiebat ipsa mensa Domini, nisi discum-
beret super pectus Domini, et de arcano eius biberet divina secreta, quid eructavit?; serm. 20A,
8: Qui Iohannes? ille, fratres, quem Dominus prae ceteris diligebat, qui super pectus Domini
recumbebat, qui de pectore eius bibit quod in evangelio ructavit; 34, 2: Ioannem apostolum au-
dite. Ille est apostolus, qui super pectus Domini discumbebat et in eo convivio caelestia secreta
bibebat. Ex illo potu et ex illa felici ebrietate ructavit: In principio erat Verbum. Similmente vd.
HIER., in Ezech. 4, 16 l. 908; in Zach. 3, 14 ll. 783-788; in Matth. praef. l. 40; AUG., serm. 135,
7; EUSEB. GALLIC., hom. extr. 7, 2.
17 Cfr. Is 64, 4: A saeculo non audierunt neque auribus perceperunt; 1Cor 2, 9: Sed sicut

scriptum est: «Quod oculus non vidit nec auris audivit nec in cor hominis ascendit quae prae-
paravit Deus his qui diligunt illum».
18 Ioh 1, 1.
19 Cfr. CONC. Nic. a. 325 p. 5 col. 2, 5-7: Et in unum Dominum Iesum Christum filium Dei,

natum de patre, hoc est de substantia patris; Const. I a. 381 p. 24 col. 2, 6-8: Et in unum Domi-
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346 Commento

num Iesum Christum, filium Dei unigenitum, ex patre natum ante omnia saecula; Chalced. a.
451 p. 86 col. 2, 15 ss.: […] Filium Dominum nostrum Iesum Christum […] ante saecula qui-
dem de patre genitum secundum deitatem, in novissimis autem diebus eundem propter nos et
propter salutem nostram ex Maria virgine Dei genetrice secundum humanitatem; AUG., c.
Maximin. 2, 18, 1: Sive enim ex persona sua hoc propheta (Ps 109, 3) dicat ad Dominum Ie-
sum, sive ex persona patris ad filium, cum ego ambas generationes Christi, et ex Deo patre sine
tempore, et ex homine matre in plenitudine temporis accipiam, venerer, praedicem, non est hoc
testimonium adversum me. […] Ecce ego dico Deum filium de Deo patre sine tempore genitum;
CASSIOD., in psalm. 8, 10 ll. 244-245: Unus est enim Dominus Christus, genitus ex patre sine
tempore, natus ex matre sub tempore; GREG. M., in evang. 1, 7: Nam qui per matrem in tempore
nascitur, sine tempore est a patre generatus.
20 Cfr. Col 2, 9: Quia in ipso inhabitat omnis plenitudo divinitatis corporaliter.
21 La frase piuttosto ermetica sintetizza il mistero della kevnwsi~ salvifica di Gesù Cristo,

che «possedendo forma divina, non stimò una rapina l’uguaglianza con Dio, ma si svuotò (se-
metipsum exinanivit / eJauto;n ejkevnwsen) assumendo forma di servo, divenendo somigliante
agli uomini» (Phil 2, 6-7; trad. C. Carena): Cristo, nella sua pienezza di umanità e divinità (vd.
supra n. 19), ha redento tutta quantà la nostra umanità attraverso la sua morte e risurrezione
(cfr. 1Tim 2, 5-6: Unus enim Deus, unus et mediator Dei et hominum homo Christus Iesus, qui
dedit redemptionem semetipsum pro omnibus testimonium temporibus suis). La frase è tutta co-
struita sull’antitesi e sull’alternanza omeoptoto / poliptoto.
22 Cfr. Col 1, 15: (Christus) est imago Dei invisibilis, primogenitus omnis creaturae.
23 Cfr. Phil 2, 6-7: (Christus), cum in forma Dei esset, non rapinam arbitratus est esse se

aequalem Deo, sed semetipsum exinanivit, formam servi accipiens in similitudinem hominum
factus et habitu inventus ut homo.
24 Il procedere per antinomie è proprio del pensiero teologico antico, tanto in Occidente

quanto in Oriente. Il lungo e articolato periodo risulta tuttavia alquanto generico dal punto di
vista teologico (fa riferimento in maniera disorganica ad alcune note di cristologia), e per di più
fuoriluogo nell’ambito dell’epistola. Gli aggettivi impassibilis, incomprehensibilis, immortalis
in riferimento a Dio sono già tradizionali. L’insistenza sulla figura di Cristo rivela la temperie
tipicamente postcalcedonese, benché nel caso presente scevra da ogni intento polemico. Ruri-
cio dimostra di non essere un teologo raffinato. È verisimile ipotizzare, vista la compattezza
dell’eloquio, addirittura una fonte a noi ignota, quale un florilegio dogmatico, genere partico-
larmente in voga dopo la metà del V secolo (vd. PERRONE 1993, in partic. pp. 526-530); non è
da sottovalutare tuttavia la lettura di CASSIAN., c. Nest. 5, 7, 1-7. Ruricio ha già affrontato, se-
condo la medesima modalità, tematiche cristologiche in epist. 2, 11, 3-5.
25 Cfr. 1Tim 1, 10: Manifestata est autem nunc per inluminationem salvatoris nostri Iesu

Christi qui destruxit quidem mortem, inluminavit autem vitam et incorruptionem per evange-
lium. Si veda anche il prefazio della liturgia pasquale: Qui (scil. Christus) mortem nostram mo-
riendo destruxit et vitam resurgendo reparavit (CORP. praef. 1527 ll. 3-5).
26 Nella brachilogica espressione oblitus mei, avidus tui sembra essere condensato quanto

nelle righe successive viene espresso più analiticamente: la presa di coscienza della propria ru-
sticitas e la mutua caritas che lo spinge tuttavia a “colloquiare epistolarmente” con l’amico (si
veda l’insistenza sul pronome personale tu in poliptoto e anafora). Chiarificatori alcuni loci ru-
riciani precedenti, quali epist. 1, 3, 1: […] nunc tam consuetudinis meae inmemor quam rustici-
tatis oblitus quasi ex Arione in Orpheum repente mutatus velim disertissimis auribus tuis ore
garrulo non tam officiosus quam iniuriosus existere, dum et ignota pertempto et insueta prae-
sumo; 11, 3: Sed quid ego inmemor inperitiae meae paupero sermone, mi domine, ruris vestri
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II, 34 347

divitias, delicias describere aut enarrare contendo, ad cuius laudem etiam ingenia maiora suc-
cumberent?.
27 Topica del conloquium absentium e linguaggio dell’oralità: vd. supra 1, 1 n. 6; 2, 5 n. 4
28 Cfr. PAUL NOL., epist. 20, 1: […] unde flagrantem desideriorum nostrorum sitim etsi non

restinguemus. Sullo stilema epistolare del povqo~/desiderium vd. THRAEDE 1970, pp. 165-168.
29 La iunctura ruriciana rivulus dilectionis occorre soltanto in questo locus.
30 Ruricio riprende l’immagine dell’acqua che sazia la sete ed estingue gli incendi, per cui vd.

supra 1, 1 n. 12. Dal punto di vista lessicale, vd. il sopraccitato epist. 1, 3, 1 (supra n. 26).
31 L’iteratio trimembre del verbo loquor costituisce un saggio del prezioso linguaggio

espansivo di Ruricio. Ravvisabile anche una sensibile gradatio ascendente (vd. supra 1, 4 n. 6):
dal contenuto (quid loquar) al mittente (qui loquar) al destinatario (cui loquar), termine ultimo
di riferimento a cui i due precedenti devono conformarsi, secondo le regole della perivstasi~
(circumstantia). Cfr. QUINT., inst. 5, 10, 104: Hoc genus argumentorum sane dicamus ex cir-
cumstantia, quia perivstasin dicere aliter non possumus, vel ex iis, quae cuiusque causae pro-
pria sunt; 11, 3, 150: Primum quis, apud quos, quibus praesentibus sit acturus: nam ut dicere
alia aliis et apud alios magis concessum est, sic etiam facere. Lo schema ex abrupto consente
topicamente di porre fine a un argomento per passare a un altro o di concludere improvvisa-
mente la lettera (conclusio ex abrupto). Per quanto attiene al topos dell’”inesprimibile”, vd. su-
pra 1, 11 n. 16.
32 1Cor 13, 7.
33 Per la formula di saluto salve plurimum, vd. supra 1, 16 n. 14.
34 Sull’aggettivo individuus – applicato al sostantivo pectus (metonimia) – vd. supra 2, 2

n. 14.
35 Cfr. RURIC., epist. 2, 32, 3: Quod superest, saluto plurimum et ancillam vestram vobis pe-

culiari insinuatione commendo.


36 Possibile l’ipotesi di MATHISEN 1999, p. 197 n. 12, secondo cui Ruricio farebbe qui riferi-

mento al nipote Partenio e alla moglie Papianilla (similmente già ENGELBRECHT 1892, p. 37). Se
così è, l’espressione pars corporis mei assume particolare pregnanza, esprimendo un reale rap-
porto di parentela. Cfr. epist. 2, 36, 2: Ideoque veniente illo dulcissimo meo nepote Parthenio
has per ipsum dare non distuli, ut et meam vobis praesentiam litteris exhiberem et ipsum pari-
ter commendarem.
37 Il gioco di parole si fa particolamente denso: parte di Ruricio è affidata topicamente alla

lettera, ma anche Partenio e Papianilla in carne e ossa sono stati definiti poco prima pars cor-
poris mei.
38 Cfr. epist. 2, 36, 2: Cui quicquid dignati fueritis dilectionis inpendere, nobis vos praesen-

tare noveritis. Possibile la suggestione di Mt 25, 40: […] Amen dico vobis: “quamdiu fecistis
uni de his fratribus meis minimis, mihi fecistis”.
39 Ruricio parafrasa e amplifica il dettato paolino di 1Cor 12, 25-26: […] id ipsum pro invi-

cem sollicita sint membra; et si quid patitur unum membrum, conpatiuntur omnia membra, sive
gloriatur unum membrum, congaudent omnia membra.
40 Cfr. OROS., hist. 3, 8, 5: At vero, si indubitatissime constat sub Augusto primum Caesare

post Parthicam pacem universum terrarum orbem positis armis abolitisque discordiis generali
pace et nova quiete conpositum Romanis paruisse legibus. Sul valore di conpositus in età tar-
doantica, vd. supra 1, 1 n. 10.
41 In contesto simile, in riferimento però all’animus, in AUG., in psalm. 41, 7: Est ergo ali-

quid quod animus ipse corporis dominator, rector, habitator videt; in iunctura (dominator et
rector) riferiti a Cristo in QUODV., grat. 2, 9, 11. Ma cfr. anche RURIC., epist. 2, 6, 2: Unde […]
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348 Commento

si unius capitis membra sumus, corporis unanimiter debemus esse rectores.


42 Ecl 2, 14. Cfr. anche FAUST. REI., epist. 10 p. 216, 8-10: Quos, ut puto, oculos et ipse ad

tremendi iudicis nutum semper adtollis, ut de te illud propheticum merito dici possit: «Sapientis
oculi in capite eius».
43 Cfr. Ps 24, 15: Oculi mei semper ad Dominum, quoniam ipse evellet (VET. LAT. Ps 24, 15:

evellit) de laqueo pedes meos.


44 Ps 122, 1.
45 L’immagine del mondo immerso nelle tenebre del peccato è piuttosto tradizionale, a parti-

re già dalla letteratura evangelica: si pensi p. es. al prologo giovanneo o ai discorsi in cui Gesù
contrappone alla luminosità del suo discepolato l’oscurità del mondo, regno del Maligno (Ioh
8, 12; 12, 35. 46; ecc.); quindi vd. AMBR., Tob. 20, 76 (in hac saeculi nocte); in psalm. 118
serm. 14, 5, 1 (in hac mundi nocte); 19, 7, 2 (in istius saeculi nocte); virg. 10, 55 (in hac saeculi
nocte); CASSIAN., conl. 3, 1, 1 (in nocte mundi istius); CASSIOD., in psalm. 5, 5 l. 94 (de nocte
mundi istius); ecc.
46 Sull’uso di mereor, vd. supra n. 14.
47 Ps 113, 1. Sull’uso di questa metafora biblica, vd. supra 1, 2 n. 30.
48 Cfr. Ps 62, 9: Adhaesit anima mea post te, me suscepit dextera tua.
49 Cfr. Ps 1, 2: Sed in lege Domini voluntas eius et in lege eius meditabitur die ac nocte.
50 La metafora del corpo come carcere (sw`ma – sh`ma), di origine pitagorica, e quindi plato-

nica e neoplatonica, è trasversale a tutta la letteratura cristiana tardoantica e medievale. Come


ha ben mostrato TOLOMIO 1999, pp. 3-19, questo concetto (corpus carcer) trova particolare svi-
luppo nel cristianesimo tardoantico, di pari passo col concetto di mondo come carcere ed esilio
(su cui vd. supra 1, 17 n. 20). Fondamentali per approfondire questo tema gli interventi di
COURCELLE 1965a, pp. 103-118; ID. 1965b, pp. 406-443; PERRIN 1981, pp. 383-391, in partic.
pp. 385-389; un’ampia rassegna di testi tardoantichi e medievali tradotti e commentati, in TO-
LOMIO 1979; infine vd. anche supra 1, 2 n. 32; 15 n. 5; 17 n. 20.
51 Sull’uso di unde, vd. supra 2, 6 n. 21.
52 Cfr. Ps 30, 2: In te Domine speravi, non confundar in aeternum, in iustitia tua libera me.
53 Per il saluto finale ora pro me, vd. supra 2, 22 n. 15.

2, 35
1Per la titolatura, vd. epistola precedente.
2Del medico Palladio non si hanno ulteriori notizie.
3 La iunctura fecundum cor si trova soltanto in CASSIAN., conl. 21, 8, 1: Quibus auditis bea-

tus Theonas, inextinguibili desiderio evangelicae perfectionis accensus, semen verbi fecundo
corde conceptum… Evidentemente Ruricio l’ha scelta per creare il calembour fonico col succes-
sivo facundi oris, con variatio lessicale rispetto a epist. 2, 27, 1: Quamlibet per diaconem Iustum
non meruerim litteras benigni pectoris et facundi oris accipere. Similmente cfr. PAUL. NOL., epi-
st. 16, 9: […] ore facundo et corde devoto. Sulla iunctura facundum os, vd. supra 2, 27 n. 4
4 Per l’espressione ad visionem mutuam, vd. epist. 2, 7, 1; 64, 1 e nn. ad loc. Cfr. SEDAT.,

epist. ad Ruric. 4 p. 400, l. 6: […] desiderium commune mutuo satiaretur aspectu.


5 Per l’uso dell’aggettivo proprius con valore possessivo, vd. supra 1, 2 n. 32.
6 Il lungo periodo, tutto giocato sull’antitesi e sull’iperbole, si segnala per l’espressività del-

l’eloquio. Agli estremi della proposizione causale stanno i termini chiave, contrapposti l’uno
all’altro: desideriis… infirmitas, entrambi in iunctura trimembre (desideriis animorum nostro-
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 349

II, 34-35 349

rum – diversa membrorum… infirmitas), riformulazione rispetto a SEDAT., epist. ad Ruric. 4 p.


400, ll. 15-16: Sed quia haec, quae supra dicta sunt, desideriis obsistunt. L’iperbato diversa
membrorum resistit infirmitas, oltre a costituire un’insistente assonanza del suono chiaro /i/ e
una clausola del tipo cursus tardus (resístit infírmitas), isola enfaticamente il sostantivo infir-
mitas. Le due frasi successive mettono in luce le qualità dei due protagonisti attraverso una sa-
piente struttura retorica: il comma ellittico vos nimietate robusti si chiarisce alla luce del colon
successivo, al quale è legato da sonorità (nimietate… tenuitate); nel secondo colon l’espressiva
deminutio vos… me marca con particolare efficacia la diversa, ma ugualmente problematica
condizione dei due presuli. A problemi di salute accenna anche SEDAT., epist. ad Ruric. 4 p.
400, ll. 10-12: Et scit Dominus, quod, si vires suppeterent aut parere desideriis aetatis infirmi-
tas pateretur. In modo particolare, va notato quanto Sedato lamenti l’assenza di Ruricio a Tolo-
sa (vd. SEDAT., epist. ad Ruric. 4 p. 400, ll. 3-15), dove alcuni vescovi già presenti ad Agde con-
tinuarono probabilmente a lavorare per risolvere alcune questioni di politica ecclesiastica anco-
ra insolute. MATHISEN 1999, p. 43 ritiene addirittura che uno in particolare fosse il problema da
trattare: la liberazione del vescovo di Tours Vero dall’esilio (ma vd. supra 2, 33 n. 1). «If […]
Ruricius had been involved in negotiations at Bordeaux for the release of Caesarius from exile,
his presence at Toulouse on this occasion would have been all the more desirable» (MATHISEN
1999, p. 43; vd. anche supra 2, 33 n. 7).
7 Cfr. SEDAT., epist. ad Ruric. 4 p. 400, l. 5 (desiderium commune).
8 Ruricio torna a scusarsi per non aver partecipato al concilio di Agde, come già in epist. 2,

33, 1 a Cesario. Da notare la marcata sonorità che sembra legare tra di loro alcuni termini, co-
stituendo una sorta di chiave di lettura della scelta di Ruricio di non recarsi ad Agde: ad syno-
dum condictam omni aviditate venissem, sed me a dispositi itineris voluntate necessitas inbe-
cillitatis inhibuit.
9 Come già nella precedente lettera a Cesario, emerge con speciale evidenza il desiderio di

Ruricio di non essere ritenuto poco attento alle questioni della Chiesa gallica, né un ingiustifi-
cato assenteista. Il riferimento non è sicuramente a Cesario, il quale, al contrario, mostra som-
ma fiducia nelle parole del vescovo di Limoges: Sed quia novi, quam sancto et frequenti ac pio
desiderio interesse volueritis, omnibus fratribus vestris votum vestrum et sanctam voluntatem
exposui, pro qua re nihil pietati vestrae vel potuimus vel debuimus inputare (CAES. AREL., epist.
ad Ruric. 7 p. 402, ll. 16-19).
10 Sul lemma caballus, vd. supra 1, 17 n. 10.
11 La minuziosa ed enfatica descrizione del cavallo è tratta direttamente da epist. 1, 14, 1,

che accompagna l’invio del medesimo dono all’amico Celso. Tuttavia, come appare dalla lette-
ra di risposta di Sedato, il cavallo in questione era munito più di paludamenti retorici che di ef-
fettiva prestanza fisica: Equum, quem per fratrem nostrum presbyterum transmisistis, accepi
magnificis verborum vestrorum phaleris oneratum, in vita vilem, in epistula pretiosum, moven-
tem se, cum foditur calcaribus aut urgetur verberibus, et nihil penitus promoventem, forma de-
terrimum, colore vilissimum, molliorem plumis, statuis pigriorem, solida corpora pavescentem,
umbras solum, ut credo, de consuetudine non timentem, fugitivum cum dimittitur, inmobilem
cum sedetur, in planis stantem, in asperis corruentem, qui teneri nesciat, ambulare non possit
(SEDAT., epist. ad Ruric. 8 p. 403, ll. 4-12).
12 Vd. SEDAT., epist. ad Ruric. 8 pp. 403-404, ll. 4-25.
13 Mala a me commissa, non dicam transmissa complaceant: evidente l’assonanza del suono

/a/ e l’allitterazione della liquida labiale /m/, con la consueta prefissazione variata e parafonia
commissa – transmissa. Ruricio, qui e nelle righe successive, conscio della qualità del ronzino
inviato all’amico, vuole quasi prevenire la non entusiastica risposta.
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350 Commento

14 Il chiasmo poliptotico in amicum nil dipliceat - malum displicere… de amico prosegue la

captatio benevolentiae nei confronti di Sedato. Continua anche la variatio dei prefissi su verbi
corradicali: conplaceant – displiceat.
15 Similmente cfr. AMBR., in Luc. 1, 18: […] iudicia enim Domini vera, iudicia autem homi-

num saepe falluntur, ut et iniustis iustitiae gratiam frequenter adscribant et iustum aut odio
persequantur aut mendacio decolorent; HIER., in Am. 3, 6 ll. 444-447: Quicumque igitur aut
consanguinitate, aut amicitia, et e contrario, vel hostili odio, vel inimicitiis in iudicando duci-
tur, pervertit iudicium Christi, qui est iustitia, et fructum illius vertit in amaritudinem (vd. an-
che ISID., sent. 3, 54, 7)
16 Come rileva CUGUSI 1983, pp. 76-77, topica è la richiesta di informazioni circa lo stato di

salute del destinatario.


17 Ruricio esce finalmente allo scoperto, chiedendo che Sedato accetti di buon grado i suoi

ioci. Se già Giulio Vittore distingueva le lettere in negotiales e familiares (rhet. p. 105, 11-12),
in queste ultime il retore invitava al ludus e allo iocus, purché si considerasse che un’epistola
scherzosa poteva giungere in un momento triste per il destinatario: Ita in litteris cum familiari-
bus ludes, ut tamen cogites posse evenire, ut eas litteras legant tempore tristiore (rhet. p. 106,
4-6). A tal proposito, vd. CORBINELLI 2008, pp. 26-28. Nel riprendere il tema degli iudicia ho-
minum, la correlazione negativa (Vos vero, quos nec odium exasperat nec inflammat invidia) la-
scia trapelare la fiducia di Ruricio che la valutazione del vescovo di Nîmes sarà condizionata
dall’amor. Da notare la semantica “fluviale” nell’avverbio affluenter continuata dal verbo in-
buamur, secondo un consolidato stilema ruriciano. Vale la pena notare come l’avverbio affluen-
ter sia attestato per la prima volta in APUL., met. 2, 31; 4, 7, e quindi sia messo in rapporto al
dono della sapienza in Iac 1, 5: Si quis autem vestrum indiget sapientiam postulet a Deo qui dat
omnibus affluenter (aJplw`~) et non inproperat et dabitur ei. Il locus ruriciano sembra alludere
timidamente al testo biblico, almeno quanto alla circostanza: Ruricio chiede di conoscere af-
fluenter notizie relative all’amico Sedato, attraverso lettere. E quanto esse produrranno nel ve-
scovo di Limoges viene significato dal verbo inbuere, dal valore di “bagnare”, ma anche di
“apprendere”, “conoscere”. Ma non può sfuggire da ultimo l’ambito semantico relativo all’af-
fluentia sermonis (vd. supra 1, 4 n. 6), particolarmente familiare all’élite episcopale gallica:
quasi a dire tra le righe che le epistole di Sedato non dovranno essere “torrenziali” soltanto nel-
la quantità di informazioni, ma anche nella qualità dell’ornatus.
18 Per il saluto finale ora pro me, vd. supra 2, 22 n. 15.

2, 36
1
Per la titolatura, vd. epist. 2, 33 tit., anch’essa a Cesario.
2
Salvo alcune minime variazioni, l’intero §. 1 è tratto da epist. 2, 5, 1 a Namazio, alle cui
note di commento si rimanda.
3 L’assonanza della vocale /o/ conferisce particolare dolcezza all’eloquio.
4 Sulle peculiarità delle commendatizie, vd. supra 2, 7 n. 10.
5 Cfr. epist. 2, 34, 4: Quibus quicquid dignati fueritis dilectionis inpendere, nobis vos conferre

cognoscite (vd. n. ad loc.). Non è dato di sapere perché Partenio si fosse recato ad Arles: MATHI-
SEN 1999, p. 203 ipotizza che il nipote di Ruricio sia emigrato nel sud della Gallia immediata-
mente dopo la battaglia di Vouillé (507), in cui i Visigoti furono sbaragliati dall’esercito franco di
Clodoveo. Se così fosse, questa lettera sarebbe una delle ultime dell’epistolario ruriciano.
6 Per l’uso metaforico di pignus per indicare i figli o persone care, vd. supra 1, 3 n. 18.
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II, 35-38 351

7 L’argomento e le modalità sono topiche. In partic., cfr. epist. 2, 9, 4: […] quatenus hic

propter spatia interiecta terrarum oculis corporis saepius nos videre non possumus e n. ad loc.
8 Consueta formula di saluto in molte delle epistole appartenenti al libro II (vd. supra 2, 22

n. 15).

2, 37
1 Per il titolo pietas, vd. supra 1, 7 n. 2. Nel caso presente, l’uso della seconda pers. pl. del

pronome personale non è maiestatico, ma richiesta dal numero reale degli interlocutori (Parte-
nio e Papianilla).
2 Per l’espressione homo interior (spesso in relazione direttamente, o indirettamente come

nel caso presente, con l’homo exterior), vd. supra 1, 15 n. 5.


3 Cfr. RURIC., epist. 2, 1, 1: Nam postquam a vestra germanitate discessi, divisum esse me

sentio partemque meam vobis cum resedisse cognosco nec absentibus vobis integer esse mi vi-
deor; 10, 1: Nam ex quo a vestra unanimitate discessi, divisum esse me sentio partemque meam
vobiscum resedisse cognosco. Consueta l’insistenza sul prefisso di separazione dis- (discessi –
divisum).
4 Il titolo raro dulcedo si trova anche in epist. 1, 18, 1 (vd. n. ad loc.), cui segue un’esorta-

zione simile a quella della presente epistola: Ut per Venerium dulcedini tuae non scriberem […]
Unde has per Amelium dedi, quibus salve plurimum dico et, ut propositi tui semper reminisca-
ris, admoneo. Dulcedo richiama, con figura etimologica (vd. similmente epist. 1, 18 tit. e §. 1),
dulcissimis nepotibus dell’intestazione.
5 Cfr. Prv 12, 15: Via stulti recta in oculis eius; qui autem sapiens est audit consilia.
6 Similmente vd. RURIC., epist. 2, 32, 3; 39, 3.

2, 38
1Cfr. 1Sm 15, 22: Et ait Samuhel: «Numquid vult Dominus holocausta aut victimas et non
potius ut oboediatur voci Domini? melior est enim oboedientia quam victimae et auscultare
magis quam offerre adipem arietum»; Os 6, 6: Quia misericordiam volui et non sacrificium, et
scientiam Dei plus quam holocausta.
2 Si noti la parafonia prodere – perdere. Sul concetto e l’usus di rusticitas, – peculiarità

dell’affectata modestia –, vd. supra 1, 3 n. 10.


3 1Cor 8, 1.
4 Per il valore del sostantivo occasio, vd. supra 2, 27 n. 6.
5 Il linguaggio è ancora una volta quello dell’oralità, secondo la topica del cum absentibus

sermo (AMBR., epist. 66, 1), per cui vd. supra 2, 5 n. 4 (sermo mediator). Alloquium è inteso
come sinonimo di epistula almeno a partire dal IV secolo: vd. SYMM., epist. 1, 5, 2; AMBR., epi-
st. 14, 2; 62, 2 (alloquii mei officium); HIER., epist. 8 (epistularum alloquia); 127, 8; PAUL.
NOL., epist. 1, 1; AUG., epist. 153, 1; LEO M., epist. 119, 1; SIDON., epist. 1, 11, 2; 4, 7, 3; ALC.
AVIT., epist. 29 p. 59, 14; 32 p. 63, 1, ENNOD., epist. 1, 12, 2 (Gioanni) (epistularis alloquii
luce); 17, 2; 3, 9 p. 77, 18; CASSIOD., var. 8, 4, 1; Epist. pontif. 885 Migne 66, 20B (sub paginali
alloquio); ecc. Sul topos del solamen desiderii, cfr. SYMM., epist. 1, 42, 1: Pariter enim mihi bi-
nas litteras praebuisti, ut desiderium meum officio largire conpleres; 5, 71: Sermonis vestri ad-
siduitate delector et abunde ex eo munere usurpo laetitiam; HIER., epist. 8: Magnum et hoc de-
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352 Commento

siderii habebo solamen, si amici litteras vel indignatis accipiam; PAUL. NOL., epist. 27, 1: […]
qui (scil. Deus) adsiduis et numerosis de tua unanimitate solaciis satiat desiderium nostrum;
ecc. Su questo tema vd. THRAEDE 1971, pp. 168-170.
6 Continua la tapeivnwsi~ del mittente, posta in radicale antitesi con la dilectio del destina-

tario che topicamente è “accusata” di falsare l’oggettiva valutazione della rusticitas dell’amico.
Efficace il fonosimbolismo mihi non meo merito, che, attraverso l’allitterazione delle nasali e
l’alternanza assonante di /e/ - /o/, sembra rendere tangibile l’imbarazzo di Ruricio, a motivo
della sua dichiarata pochezza; a esso si contrappone il colon generali et insita vobis dilectione
dependitis, segnato dall’alternanza dei suoni /e/ - /i/. L’affetto dell’amico ferito dalla lontanan-
za è formalmente espresso dall’ampio iperbato mihi… dependitis.
7 Per la formula Deo propitio, vd. supra 1, 14 n. 11.
8 Circa l’uso del diminutivo hospitiolum (affectata modestia), vd. supra 1, 12 n. 9.
9 Non è ben dato di capire quali siano i diversa incommoda cui Ruricio fa riferimento: ulte-

riori problemi di salute; difficoltà con i figli Costanzo (vd. epist. 2, 24; 25) o Eparchio (vd. epi-
st. 2, 57; 58); oppure un vago riferimento alla sitauazione politica, resa particolarmente instabi-
le dalle pressioni dei Franchi ai confini del regno visigoto (così MATHISEN 1999, p. 206 n. 9)?
10 Per la locuzione peculiarius rogo, vd. supra 2, 9 n. 38. Dal punto di vista stilistico, si no-

tino i due comparativi avverbiali (Peculiarius rogo: adtentius Domino supplicetis) con funzione
enfatica. I due avverbi al comparativo si trovano affiancati anche in CASSIAN., conl. 4, 21, 3:
[…] vel excedentes diligentiae modum peculiarius ea adtentiusque custodiunt.
11 Il linguaggio medico passa dal piano fisiologico a quello spirituale. Medella in iunctura

con ops solo in HIL., trin. 2, 22: Ut autem quaedam medicamentorum genera sunt ita conpara-
ta, […] ita et fides catholica non adversus singulas pestes sed contra omnes morbos opem me-
dellae communis inpertit. L’ausilio della misericordia divina sembra configurarsi, per rimanere
nel medesimo ambito semantico, come remedium, ops medica contro i mali spirituali (vd. OV.,
am. 2, 9, 8; Pont. 1, 3, 6; 3, 4, 8; PAUL. NOL., carm. 26, 83; 29, 31; SALV., gub. 6, 16; ENNOD.,
epist. 7, 30 p. 197, 3; ecc.). Sull’uso del linguaggio medico in ambito spirituale, vd. supra 1, 1
n. 39.
12 Per la formula di saluto conclusiva, vd. supra 2, 22 n. 15.

2, 39
1 Per l’aggettivo sublimis, vd. il titolo sublimitas supra 1, 11 n. 22; per il titolo magnificus,

vd. supra 1, 3 n. 2. Quanto a Eudomio, significativa la testimonianza di Cesario di Arles che lo


pone tra i fautori del sinodo di Tolosa (mai celebrato), previsto per l’anno 507: […] simulque
indico pietati vestrae, ut, quia filius meus Eudomius, si potuerit, hoc elaborare desiderat, et su-
perveniente anno Tolosa synodum Christo propitio habeamus, ubi etiam, si potuerit, Hispanos
vult episcopos convenire (CAES. AREL. epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 24-27). A tal proposito, vd.
MATHISEN 1999, p. 42, il quale, in riferimento al suddetto concilio, ritiene che emerga «a Visi-
gothic desire to unify the Gallic and the Spanish parts of their kingdom, a strategy in which the
Nicene church clearly was intended to play a significant role». In accordo con lo storico ameri-
cano, ritengo improbabile che tra l’ano 506 (concilio di Agde) e la primavera 507 (invasione
franca e battaglia di Vouillé) si sia potuto adunare un concilio così imponente, tale da far con-
venire l’episcopato gallico e ispanico a Tolosa. Del resto, l’iterata incidentale ipotetica si potue-
rit sembra dare evidenza alla preoccupazione anche dello stesso Cesario, conscio delle oggetti-
ve difficoltà per la realizzazione di tanto progetto. Piuttosto, Tolosa sembra essere il luogo in
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 353

II, 38-40 353

cui alcuni vescovi, compresi Cesario e Sedato, poterono continuare a lavorare per far fronte ad
alcune necessitates, sui cui vd. supra 2, 35 n. 6.
2 Questa lettera intende consolare gli amici Eudomio e Melantia, colpiti dal grave lutto della

morte di un figlio. I topoi in essa presenti, rispondenti alla letteratura di genere, sono riscontra-
bili confrontando la presente con le altre epistole consolatorie inviate a Namazio e Ceraunia
(epist. 2, 3; 4), al cui commento si rimanda. Topico l’incipit che dichiara l’impossibilità di scri-
vere, gravati dall’afflizione. In partic., per similarità stilistiche, cfr. epist. 2, 3, 1: Quam gravi-
ter sim de luctu vestro nuntii atrocitate perculsus, facilius vos pro mutuo potestis amore conice-
re, quam ego possim litteris intimare, quia animus nimio maerore confectus, quod horret reco-
lere, rennuit expedire.
3 Il termine subtilitas è recensito da O’BRIEN 1930, p. 22 tra i titoli di indirizzo per laici no-

bili; così intende anche MATHISEN 1999, p. 206 n. 1. A mio avviso, credo siano fondati i dubbi
di ENGELBRECHT 1893, p. 45, il quale dubita dell’origine cancelleresca dello stilema, postulan-
done invece un uso proprio. E in questi termini credo vada inteso anche nel contesto in cui uti-
lizza il sostantivo ALC. AVIT., epist. 46 p. 75, 2 al re dei Franchi Clodoveo: Vestrae subtilitatis
acrimoniam quorumcumque schismatum sectatores […] christiani nominis visi sunt obumbra-
tione velare.
4 Sull’uso di proprius con valore possessivo, vd. supra 1, 2 n. 32.
5 Topos della consolatio è il fatto di associare il defunto alla propria famiglia: così vd. supra

2, 4 n. 9. In questa lettera addirittura Ruricio si sente parte della famiglia di Eudomio e Melan-
tia a prescindere dal lutto: è stata la benevolentia mostrata dai due coniugi a legare a sé con vin-
colo inscindibile il vescovo di Limoges. Dunque, come emerge dalla frase successiva, la conso-
latio è dovuta loro non solo in virtù di mutua caritas, ma anche secondo iustitia.
6 Cfr. 1Cor 12, 26: Et si quid patitur unum membrum, conpatiuntur omnia membra.
7 Un’insanabile lacuna del codice impedisce di leggere il testo. Tuttavia il senso sembra es-

sere perspicuo. Mommsen propone di integrare: decet nos quoque eorum incommoda < persen-
tire quos a nobis individuos > saepe percipimus.
8 Cfr. RURIC., epist. 2, 4, 1: […] per communis luctus acerbissimum casum…
9 Cfr. RURIC., epist. 2, 3, 1: Nam etsi ad praesens a vobis disparatus sum corpore, tamen

semper mente coniungor et, dum a vobis animo non recedo, planctibus vestris interesse me cre-
do, quia secundum divinam sententiam, quod patitur unum membrum, omnia membra conpa-
tiuntur in corpore.
10 Iob 1, 21 (vd. tuttavia supra 2, 3 n. 21).
11 Cfr. Iob 1, 2: Natique sunt ei (scil. Iob) septem filii et tres filiae.
12 Cfr. Iob 1, 22: In omnibus his non peccavit Iob neque stultum quid contra Deum locutus

est; 2, 10: [...] In omnibus his non peccavit Iob labiis suis; VET. LAT. Iob 1, 22: In omnibus his,
quae contingerunt ei, non peccavit Iob coram Domino, et non dedit insipientiam Deo; 2, 10: In
omnibus his quae acciderunt illi, nihil peccavit Iob labiis suis ante Dominum.
13 I §§. 2-3 sono assunti da epist. 2, 3, 3-4 (alle cui note di commento si rimanda) a Namazio

e Ceraunia per la morte di un figlio. Lievi le variazioni, se si esclude la nota epesegetica relati-
va alla vicenda di Giobbe (Et ille, hoc quando dicebat, decem filios cum omni facultate perdi-
derat nec tamen blasphemare aut damno aut dolore conpulsus est, sicut dicit scriptura: In om-
nibus, quae acciderunt ei, nihil peccavit labiis Iob), assente nell’ipotesto.
14 Similmente vd. epist. 2, 32, 3; 37, 1.
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 354

354 Commento

2, 40
1 L’articolata titolatura trova riscontro in altre intestazioni quali p. es. epist. 1, 8 tit.; 2, 16

tit.; 18 tit.; 34 tit.; 35 tit.; 36 tit.


2 Sulla formula frater et conpresbyter, vd. supra 2, 8 n. 14; sulla figura di Capelluto, vd.

RURIC., epist. 2, 21; 31; 33; CAES. AREL., epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 29-31.
3 Sull’usus del sostantivo apices, vd. supra 1, 4 n. 1.
4 Il cursus planus córde conscríptos conferisce particolare enfasi all’espressione e al concet-

to della scrittura nel cuore, piuttosto comune negli autori cristiani almeno dal IV secolo in poi,
a partire però già dalla letteratura biblica. A tal proposito, vd. supra 2, 26 n. 19.
5 Cfr. Mt 6, 20: Thesaurizate autem vobis thesauros in caelo ubi neque erugo neque tinea

demolitur et ubi fures non effodiunt nec furantur.


6 Il riferimento è implicitamente a Capelluto.
7 Cfr. RURIC., epist. 1, 13, 2 (inprobo dente).
8 Sull’uso e il concetto di ruminatio, vd. supra 1, 9 n. 8; 2, 18 n. 17. Similmente, all’amico

Sedato Ruricio propone sé stesso come cibo sfizioso: Scientes quod, quanto nos amplius rumi-
naveritis, tanto esuriatis ardentius (epist. 2, 18, 4). Originale l’espressione metaforica adsiduae
dilectionis dente.
9 Sull’uso di unde, vd. supra 2, 6 n. 21.
10 Il lemma esuries (< esurio < edo) è attestato a partire da TERT., anim. 24, 6; adv. Prax. 16,

4. 7, in senso proprio di “fame” (o di “digiuno” nella letteratura ascetico-monastica: vd. CAS-


SIAN., conl. 2, 23, 2; VITAE patr. 5, 4, 58; ecc.). A esso si associa un altro significato traslato nel
senso di “fame spirituale”, “desiderio”, come accade anche per il sinonimo fames. Cfr. p. es.
HIL., in psalm. 61, 4: Est enim sitis bonorum aeternorum et spiritalis esuries in sanctis; PAUL.
NOL., epist. 45, 1: […] avidae licet mentis esuriem refrenavi; significativa la iunctura sidonia-
na: Restat, ut vestra beatitudo conpunctorii salubritate sermonis avidam nostrae ignorantiae
pascat esuriem (epist. 6, 6, 2), da cui sembra dipendere la presente. Vd. anche RURIC., epist. 2,
45, 1: […] siquidem inde esuriem corporis conpescimus, hinc cordis. Esuries è in figura etimo-
logica col successivo esca.
11 Il ritmo del colon, spezzato dai numerosi iperbati, dà alla frase un ritmo solenne, quasi ec-

cessivo. Si notino la parafonia solidos… soliti estis e l’homoeoptoton solidos et numquam peri-
turos cibos. Di contro alla tenuitas di Ruricio, emerge la statura morale, spirituale e culturale di
Vittorino.
12 Ruricio usa il sostantivo tenuitas con attenta equivocità. Oltre alla frugalità materiale in-

fatti (CIC., off. 2, 74), esso viene utilizzato come espressione di tapeivnwsi~ dell’autore, come
già da AUG., epist. 18A, 3: […] pro nostrae tenuitatis facultate curavimus; gen. c. Manich. 2,
12, 17: […] sive hoc modo quo tenuitas nostra conatur, sive aliquo alio meliore; in psalm. 31
enarr. 2, 1: Psalmus gratiae Dei et iustificationis nostrae […] a nostra tenuitate susceptus est
cum vestra caritate tractandus; CASSIAN., conl. 9, 36, 2: […] de quo quidem licet pro tenuitatis
nostrae mensura multa prolata videantur. E tuttavia tenuitas è utilizzato anche nel linguaggio
della retorica per indicare la semplicità dello stile, come p. es. in CIC., Brut. 64; opt. 9; QUINT.,
inst. 10, 2, 23. Dunque la metafora si complica, passando dall’immagine consolidata del “cibo
spirituale” a quella dell’affectata modestia al topos della rusticitas sermonis (tenuitas sarebbe
da intendersi pertanto con valore peggiorativo contrapposto alla fortior esca). Similmente, cfr.
l’uso identico dell’aggettivo ieiunus in epist. 1, 9, 2: […] incipiet adsiduis ructationibus in lau-
dem Domini omnipotentis erumpere refertus corde, ore ieiuno (vd. nn. ad loc.).
13 Dal punto di vista dell’impostazione concettuale, l’ampia metafora alimentare sembra at-
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II, 40 355

tingere a Hbr 5, 12-14: Etenim, cum deberetis magistri esse, propter tempus rursum indigetis ut
vos doceamini quae sint elementa exordii sermonum Dei et facti estis quibus lacte opus sit, non
solido cibo. Omnis enim qui lactis est particeps expers est sermonis iustitiae: parvulus enim
est. Perfectorum autem est solidus cibus eorum qui pro consuetudine exercitatos habent sensus
ad discretionem boni ac mali. Vd. anche 1Cor 3, 1-2; 1Pt 2, 2.
14 L’idea della “fame spirituale” (topos per il quale vd. supra 1, 6 n. 10) è resa attraverso

un’abile sfaccettatura a livello lessicale e verbale: pascere – esuries – cibus – esca – sorbere –
alimentum, secondo quella gemmazione sinonimica atta a declinare un concetto, che è tra i trat-
ti distintivi dello stile di Ruricio.
15 Si noti la retoricità dell’eloquio: l’iperbato con figura etimologica (mirum… miraculum),

la diffusa sonorità (in vestra virtute; diligatis… consuestis; venerantes vos), il paradosso già
evangelico odientes amare (vd. Mt 5, 44: Ego autem dico vobis: “diligite inimicos vestros be-
nefacite his qui oderunt vos et orate pro persequentibus et calumniantibus vos”).
16 Cfr. RURIC., epist. 2, 4, 2: Perdidi enim filiam […] perdidi vitae solatium, posteritatis

spem, decus familiae, cordis gaudium, lumen oculorum. L’uso di lumina per indicare gli occhi
(in questo caso in senso metaforico) è comune sia in poesia, a partire da Virgilio (georg. 3, 433;
Aen. 7, 449), che in prosa (prima attestazione in SEN., ben. 2, 29, 1). Già gli antichi riflettevano
sul legame tra la luminosità e l’atto del vedere. Cfr. p. es. AUG., nat. bon. 41 p. 857, 17: […]
qui utique oculi sine aliquo lumine lumen videre non poterant, unde recte etiam lumina nomi-
nantur; ISID., orig. 11, 1, 36: Oculi vocati, sive quia eos ciliorum tegmina occulant, ne qua inci-
dentis iniuriae offensione laedantur, sive quia occultum lumen habeant, id est secretum vel in-
tus positum. […] Oculi autem idem et lumina. Et dicta lumina, quod ex eis lumen manat, vel
quod ex initio sui clausam teneant lucem, aut extrinsecus acceptam visui proponendo
refundant. Il rapporto occhio – luminosità si trova già espresso in locuzioni bibliche dal tono
proverbiale quali p. es.: Lucerna corporis tui est oculus (Mt 6, 22; Lc 11, 34), ripreso più volte
dagli autori cristiani. Come allocuzione familiare lumen / lumina si trova già in TIB. 3, 19, 12:
[…] tu nocte vel atra / lumen; MART. 1, 68, 6: Naevia lux […] Naevia lumen, have; PEREGR.
Aeth. 23, 10: […] domnae meae, lumen meum; ENNOD., epist. 6, 7 p. 153, 18: Vere, domne, sic
vos, lumina mea, Deus servet incolumes; ecc.
17 Generalmente si ritiene siano due figli di Ruricio. Il fatto che siano presso Vittorino di

Fréjus lascia inferire a MATHISEN 1999, p. 212 n. 6 che questa lettera si collochi al tempo delle
scorribande franche in Aquitania, tra la fine del V e l’inizio del VI secolo. A esse, come già do-
po l’invasione visigota, fece seguito un movimento migratorio, per lo più di aristocratici nel
tentativo di non soccombere, come singoli e come coetus, alla violenza di coloro che si avvia-
vano a divenire i nuovi signori. Su questo argomento vd. MATHISEN 1984, pp. 159-170; ID.
1993, pp. 58-66.
18 Cfr. 2Cor 13, 9: […] oramus vestram consummationem; Eph 4, 12: Ad consummationem

sanctorum, in opus ministerii, in aedificationem corporis Christi. Consummatio, traducendo il


greco katavrtisi~ / katartismov~, «indica la fermezza interiore, sia della comunità (oijko-
domhv) nella sua connessione organica, sia del carattere dei suoi membri, della loro maturità cri-
stiana (2Cor 13, 9)» (GLNT I col. 1267), dunque la perfezione a cui è chiamato il cristiano, in
modo particolare il religioso.
19 Nel linguaggio ascetico incipiens è colui che si avvia alla vita monastica, il novizio. Spesso

è contrapposto al perfectus, colui che già ha raggiunto la pienezza spirituale attraverso l’ascesi.
Cfr. p. es. CASSIAN., conl. 9, 15, 1: […] tamen prima ad incipientes videtur peculiarius pertinere,
qui adhuc vitiorum suorum aculeis ac memoria remordentur; inst. 4, 30, 1: […] unum adhuc po-
nemus humilitatis exemplum, quod non ab incipiente, sed a perfecto atque abbate conpletum non
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356 Commento

solum iuniores instruere, sed etiam seniores ad perfectam humilitatis virtutem lectione sua poterit
incitare; tuttavia la nozione di incipiens si estende anche a livello di discepolato per chiunque si
avvia a una ricerca più approfondita e convinta di adesione al modello evangelico (come nel caso
presente). Vd. AMBR., in psalm. 1, 9, 6; in Luc. 7, 20; HIER., in Is. 17, 61, 10 ll. 29-30; AUG., in
psalm. 14, 4; et alii. Motivi per cui è sicuramente da accettare l’emedamento di Engelbrecht, ac-
colto da Demeulenaere, perfectioni rispetto a profectioni tradito da S. Quanto all’astratto incipien-
tia (< incipio), esso è estremamente raro e non si trova attestato prima di questa occorrenza (forse
neologismo ruriciano: vd. anche MOUSSY 2002, p. 96): «suffisso espressivo e semanticamente de-
limitato a designare uno stato o un atto dello spirito, -entia (e –antia, molto più raro) ha conosciu-
to una grande estensione in tardo latino, soprattutto presso gli autori cristiani» (VÄÄNÄNEN 20034,
p. 159). Oltre alla presente, vd. l’epistola, scritta prima del 587 da Cesaria la piccola, abbadessa
del monastero femminile di Arles, a Richilde e Radegonda, le quali hanno intrapreso la vita rego-
lare. Cfr. EPIST. Merov. 11 p. 451, 13: Laetatur Deus in incipientia conversationis vestrae; 32:
Deum depraecor, ut vos regere, protegere et conservare dignatur et, qui vobis incipientiam, dona-
re dignetur et perfectionem; 35: […] Sicut nostra humilitas exultat et gaudet in Domino de vestra
incipientia, ita Dominus et angeli eius laetentur de vestra conversatione et perfectione. Il linguag-
gio lascia inferire che Aureliano e Leonzio abbiano iniziato un cammino alla sequela di Vittorino
per divenire sacerdoti. Il fatto di assumere lo stato clericale, dopo un periodo di conversio (vd. su-
pra 1, 2 n. 13), da parte della nobiltà gallo-romana come mezzo per scampare al pericolo barbari-
co è già suggerito significativamente da Sidonio Apollinare in una lettera a Ecdicio (epist. 2, 1, 4):
Si nullae a republica vires, nulla presidia, si nullae, quantum rumor est, Anthemii principis opes,
statuit te auctore nobilitas seu patriam dimittere seu capillos. Su questi aspetti, vd. MOMIGLIANO
1973, pp. 5-21, in partic. p. 12; MATHISEN 1993, pp. 89-104, in partic. pp. 89-93.
20 Dio è considerato il nutritor della vita spirituale di Aureliano e Leonzio. Nutritor è pro-

priamente colui che attende alla crescita di chi gli viene affidato dal punto di vista non soltanto
materiale, ma anche culturale, esistenziale e spirituale. Così infatti va inteso in AUG., conf. 8, 6,
15: Et erat monasterium Mediolani plenum bonis fratribus extra urbis moenia sub Ambrosio
nutritore; serm. 23, 3: Idem ergo nutritor et fotor alio loco dicit, quod paulo ante commemora-
vi: “cum timore et tremore multo fui apud vos”; CASSIAN., c. Nest. 7, 31, 4: Illius mementote
semper doctoris vestri ac nutritoris, in cuius quasi gremio quodammodo amplexuque crevistis;
GREG. M., epist. 7, 23 ll. 70-72: Taliter ergo nunc eis suggerant quae postmodum ostendant,
quam bona fuerint quae a nutritorum suorum ore suxerunt; EPIST. Merov. 15 p. 459, 5: Hlotha-
rius autem senior, habens quinque filios, ex cuius stirpe tu procedis, fortis fuit in eloquio, ad-
quisitor patriae, nutritor fidelium; ecc. Nutritor si trova in iunctura con Deus (RURIC.: Domi-
nus) in HIER., in Is. 4, 10, 1 ll. 39-42: (Vidua quoque, quae virum perdiderit Deum, et pupillus
qui patrem amiserit creatorem, de quo scriptum est: Deum, qui te genuit, dereliquisti, et oblitus
es Dei nutritoris tui, facile supplantantur), il quale cita Dt 32, 18: Deum qui te genuit dereliqui-
sti, et oblitus es Domini creatoris tui.
21 La locuzione salutem uberem dicere sembra non incontrarsi prima dell’epistolario ruricia-

no, e da allora in alcuni epistolari successivi quali ENNOD., epist. 6, 11 p. 155, 22: Domine mi,
salutem uberrimam dicens precor; (similmente vd. epist. 7, 12 p. 181, 1; vd. anche la variatio si-
nonimica salutatio uberrima in epist. 6, 6 p. 153, 7; 7 p. 153, 23); DESID. CADURC., epist. 1, 2 p.
312, 12: Interea salute uberi fusa precor intense; 8 p. 318, 12: (praesentem paginam), per quam
salute uberi fusa precor Dominum. La medesima espressione si ritrova in RURIC., epist. 2, 50, 1.
22 Per il titolo onorifico pietas vestra, vd. supra 1, 7 n. 2.
23 Identici calembour parafonici (affatus – affectus) in RURIC., epist. 1, 11, 3; 2, 17, 1; 18, 2;

40, 3.
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II, 40-41 357

24 Sull’uso del verbo sospito, vd. supra 2, 32 n. 33. Da notare il forte contrasto tra gli agget-

tivi possessivi nella locuzione stimulos pectoris mei nostro nomine sospitetis.
25 La densità delle figure di suono che innervano tutto il colon (homoeoteleuta con omeop-

toti, allitterazione della sibilante, assonanza delle vocali /o/, /i/, /e/) esprimono con singolare ef-
ficacia la preoccupazione di Ruricio per i suoi figli lontani.
26 Per il lemma portitor, vd. supra 1, 7 n. 14 (ma nel caso presente vd. anche supra 1, 10 n. 4).
27 Cfr. Ez 34, 26: Et ponam eos in circuitu collis mei benedictionem et deducam imbrem in

tempore suo pluviae benedictionis erunt. Così infatti commentano HIER., in Ezech. 11, 34 ll.
299-302: […] et ponet eos, qui securi dormient, in circuitu montis vel collis sui, et erunt bene-
dictio; tunc dabit imbrem in tempore suo, et pluviae benedictionis erunt - quas in Deuteronomii
benedictionibus pollicetur; AUG., serm. 47, 24: Quid enim ait? imbres benedictionis erunt […]
Suspectum te fecerat nominatus imber: imbres erunt benedictionis, non tentationis. I sostantivi
imber e ros sono usati più volte da Ruricio per esprimere metaforicamente il ristoro apportato
da un amico: vd. epist. 1, 1, 3; 10, 1; 34, 1.
28 Per il saluto finale ora pro me, vd. supra 2, 22 n. 15.

2, 41
1Per il titolo sublimitas, vd. supra 1, 11 n. 22.
2L’espressione (in) visceribus (meis / vestris / nostris…) è piuttosto ricorrente nell’epistola-
rio ruriciano a esprimere ora la profondità del sentimento di amicizia ora il “luogo” in cui risie-
de l’amore: vd. epist. 1, 9, 2; 17 tit.; 2, 9, 3; 10 tit. et 3; 19 v. 13; 34, 1; 52, 2.
3 Sul significato e l’usus del lemma exactor, vd. supra 2, 2 n. 7. Si noti la prosopopea del

sentimento di amicizia (Affectus sublimitatis vestrae... exactor) che continua per tutta la frase.
4 La topica declaratio modestiae, che continuerà anche nelle righe successive, affianca come

elementi complementari i termini sermo e pagina, il primo proprio del linguaggio orale (e tutta-
via ben presente nel lessico epistolare: vd. supra 2, 5 n. 4), il secondo esplicitamente legato all’e-
spressione scritta. Quanto al topos dell’autore costretto a scrivere dall’amico, vd. supra 1, 3 n. 7.
5 Similmente cfr. RURIC., epist. 1, 9, 1: Ita me recens praedicatio et antiqua dilectio vestrae

pietatis inlexit, ut audeam auribus vestris ineptiis meis facere saepius iniuriam; 2, 18, 3: Quin
etiam, ut amoris nostri circa vos sinceritatem plenius nosceretis, auribus vestris iniuriam infer-
re praesumpsimus (circa questo topos, vd. supra 1, 3 n. 14; sulla rusticitas dell’autore, vd. su-
pra 1, 3 n. 10). Nelle parole di elogio della peritia di Apollinare non si può non intravvedere in
controluce la figura paterna, secondo quanto già il vescovo di Limoges ebbe a scrivere in epist.
2, 26, 4.
6 Sull’usus del sostantivo apices, vd. supra 1, 4 n. 1.
7 Cfr. CASSIAN., c. Nest. praef. 3: Pareo obsecrationi tuae, pareo iussioni; in analogo contesto

epistolare, cfr. RURIC., epist. 2, 18, 3: Parui itaque petitioni vestrae, parui iussioni (vd. n. ad loc.).
8 Le numerose figure di suono (assonanza delle vocali chiare /a/, /e/, /i/ unita all’allitterazio-

ne delle liquide e della sibilante) conferiscono alla frase particolare dolcezza fonica, in armonia
col contenuto: Malo enim de me… magis quam mihi… pietatis… potestatis… iubetis. Il polipto-
to me… mihi sottolinea la frattura della coscienza di sé da parte dell’autore; l’allitterazione delle
dentali, l’omeoteleuto e il gioco di parole (pietatis, non potestatis est quod iubetis) sembrano en-
fatizzare ulteriormente lo smarrimento stupito, suggerendo quasi l’idea di un balbettio stranito.
9 Similmente cfr. RURIC., epist. 1, 4, 2: Itaque si quid mihi credis, si quid utrique consulis,

indignum memoria, oblivione dignissimum volumen absconde, si vis et me ad arbitrium tuum


oratoris famam et te probati iudicis obtinere personam; 10, 3: Haec ergo […] dictavi, quae pe-
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358 Commento

ritia tua et probitas tua, si amici verecundiae consuluerit, aut celare debebit aut emendare cu-
rabit (vd. nn. ad loc.).
10 Cfr. Gal 6, 5: Unusquisque enim onus suum portabit. Da notare la sonorità tra vincula il-

lius inpacta e onera inlata.


11 Il riferimento sembra essere fuori da ogni topica, e quanto mai realistico: senza ipotizzare

con KRUSCH 1887, p. lxv, che Ruricio alluda direttamente alla battaglia di Vouillé (507), credo
che si debba comunque vedere, nelle parole del nostro autore, la preoccupazione per una situa-
zione di prolungato disagio socio-politico, probabilmente ascrivibile alle sempre più minaccio-
se pressioni dei Franchi nei confronti del regno visigoto.
12 Cfr. SULP. SEV., epist. 1, 1: […] Domini opperiar voluntatem speroque quod meis votis et

orationibus tuis de nostra nos fructum faciat capere praesentia; FAUST. REI., epist. 9 p. 211, 15-
16: […] immo eos, qui de nostra fructum capiunt consolatione, ditamus. Vd. anche RURIC., epi-
st. 1, 16, 2; 2, 64, 1.
13 L’iperbato desideria… mitigentur esprime icasticamente la lontananza tra i due, il chia-

smo con forte sonorità incitantur affatibus, aspectibus mitigentur sottolinea lapidariamente co-
me l’unica possibilità per sanare appieno il desiderium sia solo l’aspectus (vd. anche supra 2,
40 n. 23).

2, 42
1Sull’identità di Leonzio, vd. quanto detto supra 1, 8 n. 8.
2L’incipit solenne di questo biglietto stride col contenuto piuttosto prosaico della frase (rin-
graziamento per l’invio di verdure): si noti l’uso equivoco di quod (congiunzione causale e pro-
nome), l’anafora del pronome personale di seconda pers. pl. che ritorna con homoeoprophoron
nel verbo nostis e in poliptoto col precedente nostri. Prevalgono i suoni chiari che danno lumi-
nosità all’eloquio, rendendo quasi visibile la gioia per il gentile pensiero avuto da Leonzio.
3 Cfr. epist. 2, 1, 2: Redeuntibus itaque vestris, salve largissimum dico; 22, 2: Redeuntibus

itaque gerulis litterarum reddo mutuum sospitationis officium; 33, 1: Quo redeunte has reddere
procuravi, quibus debitum beatitudini vestrae rependo caritatis officium; 51, 1: Unde redeunte
gerulo litterarum has, sicut iniunxistis, reddere procuravi, ut et sollicitudini vestrae et mutuae
caritati pariter responderem. Costante il gioco parafonico redeo - reddo. Circa l’officium salu-
tationis, vd. supra 2, 4 n. 3; sul conio sospitatio, vd. supra 1, 15 n. 24.
4 Ruricio, con l’anafora del sostantivo officium, gioca sul suo significato: dovere propria-

mente detto, ma anche impegno morale del cristiano di piacere a Cristo attraverso le opere di
penitenza, di preghiera e di mortificazione. E in questo senso pregnante anticipa quanto verrà
esplicitato successivamente, cioè l’ingresso di Leonzio nell’ordo paenitentium o tra le file dei
conversi. Similmente vd. epist. 1, 8, 1 e n. 3.
5 L’iperbato suscepto… officio, includendo la locuzione Deo propitio (per la quale vd. supra

1, 14 n. 11), dà a vedere come proprio in Dio si debba individuare l’origine dell’officium di pe-
nitente che Leonzio si trova ora a vivere.
6 Cfr. Mt 10, 22: Qui autem perseveraverit (codd.: usque) in finem, hic salvus erit.
7 Già in epoca classica il costrutto in + acc. aveva valore finale; in età tardoantica si diffon-

derà anche la forma in + abl.: a tal proposito, vd. LHS II p. 276; ThLL VII-1, coll. 790-791.
8 Sul significato biblico di consummatio, vd. supra 2, 40 n. 18.
9 La ricca congeries sindetica (vd. supra 1, 3 n. 4) di elementi paralleli (verbo inf. + agg. so-

st. n. pl.) volti a sfaccettare l’onnipotenza divina attraverso l’elenco di alcune sue caratteristi-
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II, 41-43 359

che risulta suddivisibile in due parti, sulla base del corpo dei sostantivi: sanare corrupta et re-
parare conlapsa et delere commissa (medesima composizione preposizionale con cum-, con
marcata sonorità); abolere praeterita, conservare praesentia et donare ventura (homoeopropho-
ron con variatio finale). Similmente, cfr. epist. 2, 15, 5: […] revertentes debemus omni virtu-
tum genere reparare conlapsa, sarcire discissa, delere praeterita, cavere praesentia, parare
ventura; 17, 3: […] obliviscamur praeterita, contemnamus praesentia, futura cupiamus.

2, 43
1 Per il titolo onorifico pietas, vd. supra 1, 7 n. 2. Sull’identità di questo Constantius, se sia

il figlio di Ruricio dedito alla “bella vita” cui sono indirizzate le epistole 24 e 25 del II libro,
vd. index nominum.
2 Il verbo denominale delicio (< deliciae) è per lo più usato al passivo (delicior), come nel

locus presente, spesso col valore di “banchettare” (GLOSS. IV 328, 49: Deliciatur epulatur). Ri-
corre con particolare frequenza nelle versioni pregeronimiane della Scrittura: vd. p. es. VET.
LAT. Am 6, 4; Ps 36, 4; Sir 31, 24; 1Tim 5, 11; Iac 5, 5; ecc. Accanto al verbo satio si trova in
ALC. AVIT., epist. 86 p. 96, 3: […] deliciatus maxime, tardissime satiatus. Quanto al costrutto,
vale la pena notare come solo in Ruricio si trovi a reggere l’accusativo (volatilia… deliciamur).
3 Questa prima frase è un esempio di preziosismo e di retorica: domina il poliptoto verbale

(transmissis… transmisisse… transmisisti; indicastis… indico). Accanto a esso si notino la fi-


gura etimologica deliciis – deliciamur e la variatio sinonimica aves - volatilia; delicio - satio.
Lo stile particolarmente altisonante contrasta col contenuto quanto mai prosaico.
4 Il cinghiale è stato reso bipede dopo la macellazione, la quale ha diviso in due il corpo del

suino: infatti Ruricio invia all’amico tergus soltanto.


5 Sull’avverbio iugiter, vd. supra 1, 15 n. 6.
6 Cfr. 2Pt 2, 22: Contigit enim eis illud veri proverbii canis reversus ad suum vomitum et sus

lota in volutabro luti. Il cinghiale è citato nella Sacra Scrittura una sola volta, come icona di de-
vastazione: Exterminavit eam (scil. vinea) aper de silva et singularis ferus depastus est eam (Ps
79, 14). Ancora più del maiale, il cinghiale è ritenuto dagli autori cristiani simbolo del peccato,
addirittura arrivando a farne un emblema demoniaco. Cfr. p. es. EUCHER., form. 4 p. 25, 17: Aper
diabolus; CASSIOD., in psalm. 79, 14 ll. 225-227: Spiritaliter autem aper propter ferocitatem et
fortitudinem nimiam diabolus intellegi potest. A tal proposito, vd. CICCARESE 2007, pp. 221-235.
7 Ritengo verisimile l’ipotesi di Krusch, accolta anche da HAGENDAHL 1952, pp. 106-107,

secondo cui erectus va sostituito a effectus. Questo, oltre a evitare una banalizzazione ridondan-
te del testo, darebbe maggiore evidenza al nesso tra Ruricio e le fonti classiche e patristiche
(vd. n. 9).
8 Anche questa seconda frase si segnala per l’attenta variazione sinonimica del lessico: cogi-

tat – meditatur; animanti – animalibus; terrena – saecularibus – mundialia. Quanto a quest’ul-


timo aggettivo, esso si trova in prosa a partire da Tertulliano (ieiun. 13, 5: Spiritus sanctus, cum
in quibus vellet terris et per quos vellet praedicaret, ex providentia imminentium sive ecclesia-
sticarum temptationum sive mundialium plagarum); in poesia a partire da Prudenzio (cath. 1,
89-91: Sunt nempe falsa et frivola / quae mundiali gloria / ceu dormientes egimus) e con una
certa frequenza negli autori successivi. Quanto al significato è evidente in esso una marca ne-
gativa del concetto di mundus, benché non manchino esempi di un’applicazione maggiormente
neutra e meno ideologizzata: TERT., nat. 2, 4, 10; 5, 17; anim. 54, 4; IUL. VAL. 1, 1; GREG. TUR.,
Franc. 10, 31.
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9 Ruricio, nel concludere gnomicamente un biglietto di occasione, interpreta quanto il testo

genesiaco della crezione non dice. Certamente l’idea che l’uomo sublimis ed erectus porti in sé
la vocazione originaria al divino è già platonica: «Allora le persone che non conoscono intelli-
genza e virtù, che badano sempre alla buona tavola e simili cose, vengono trasportate, sembra,
in giù, e poi nuovamente indietro sino alla posizione mediana; e così errano per tutta la vita; e
mai, superando questo limite, hanno innalzato lo sguardo a ciò che è veramente alto né mai vi
sono state trasportate, né mai si sono realmente riempite di ciò che è, né hanno gustato un soli-
do e puro piacere. Ma, come le bestie, tengono sempre lo sguardo in giù, curve verso il suolo e
le loro mense, e pascolano rimpinzandosi e montandosi…» (resp. 586a; trad. F. Sartori). Simil-
mente vd. anche XEN., mem. 1, 4, 11. Nel mondo romano si deve principalmente a Cicerone la
diffusione di questa dottrina. Cfr., anche a livello lessicale, nat. deor. 2, 140: Ad hanc providen-
tiam naturae tam diligentem tamque sollertem adiungi multa possunt, e quibus intellegatur
quantae res hominibus a dis quamque eximiae tributae sint. Qui primum eos humo excitatos
celsos et erectos constituit, ut deorum cognitionem caelum intuentes capere possent. Sunt enim
ex terra homines non ut incolae atque habitatores, sed quasi spectatores superarum rerum at-
que caelestium, quorum spectaculum ad nullum genus animantium pertinet. Vd. anche leg. 1,
26; quindi SEN., ot. 5, 26; epist. 92, 30; 94, 56. In poesia, cfr. almeno OV., met. 1, 85-86: Os ho-
mini sublime dedit caelumque videre / iussit et erectos ad siderea tollere vultus; MANIL. 4, 905-
907: […] stetit unus in arce / erectus capitis victorque ad siderea mittit / sidereos oculos; SIL.
15, 84-85: Nonne vides, hominum ut celsos ad sidera vultus / sustulerit deus ac sublimia finxe-
rit ora. Questa concezione giunge al cristianesimo già della prima ora (vd. IREN. 1, 24, 1; IU-
STIN., Apol. 1, 55; MIN. FEL. 17, 2; CYPR., Demetr. 16; LACT., inst. 2, 1, 15; 3, 12, 26; 7, 5, 6),
armonizzandosi pienamente con la Sacra Scrittura e la dottrina, divenendo così patrimonio cul-
turale condiviso. A titolo esemplificativo cfr. PRUD., apoth. 212-213: Non recipit natura homi-
nis (modo quadrupes ille / non sit et erecto spectet caelestia vultu); AUG., civ. 22, 24: Non enim
ut animalia rationis expertia prona esse videmus in terram, ita creatus est homo; sed erecta in
caelum corporis forma admonet eum quae sursum sunt sapere; ALC. AVIT., carm. 1, 59. 69-70:
Hunc (scil. homo) libet erectum vultu praeponere pronis, […] Quoque magis natura hominis
sublimior exstet, / accipiat rectos in caelum tollere vultus; BOETH., cons. 5 carm. 5, 10-11. 13-
14: Unica gens hominum celsum levat altius cacumen, / atque levis recto stat corpore despicit-
que terras. […] qui recto caelum vultu petis exserisque frontem, / in sublime feras animum quo-
que. Infine Isidoro fornirà questa sintetica e densa definizione dell’uomo: Graeci autem homi-
nem a[nqrwpon appellaverunt, eo quod sursum spectet sublevatus ab humo ad contemplatio-
nem artificis sui. [segue cit. OV., met. 1, 84 ss.] Qui ideo erectus caelum aspicit, ut Deum quae-
rat, non ut terram intendat veluti pecora, quae natura prona et ventri oboedientia finxit (orig.
11, 1, 5), cui soggiace LACT., inst. 2, 1, 15-16. La posizione prona e il seguire i “bassi istinti”
identificano compiutamente l’appartenenza alla condizione di ferinità, già secondo SALL., Cat.
1, 1 (citato da Isidoro); AMBR., hex. 6, 3, 10; AUG., gen. ad litt. 6, 12; trin. 12, 1, 1; et alii.
Un’ampia rassegna dei fontes classici e cristiani, con bibliografia ragionata, in PEASE 1958, pp.
914-916; quindi vd. TESTARD 1958, p. 76, nn. 3-4; PERRIN 1981, pp. 68-77. In particolare è rav-
visabile un possibile legame più stretto tra il passo ruriciano e CYPR., Demetr. 16: Rectum te
Deus fecit et cum cetera animalia prona et ad terram situ vergente depressa sint, tibi sublimis
status et ad caelum atque ad Dominum suum vultus erectus est (RURIC., epist. 2, 43, 1: solus
homo sublimis creatus est et erectus, ut auctorem suum semper caelo intentus aspiciat). Così
già HAGENDAHL 1952, p. 107. Va notato infine come sia possibile forse individuare a fortiori,
come corrispettivo oggettivo di quanto esposto da Ruricio a conclusione di questo biglietto, la
nota posta a chiusa della prima frase: tu bipede de quadrupede facto satieris. Non solo il cin-
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II, 43-44 361

ghiale macellato è divenuto fisicamente “bipede”, ma soprattutto, come suggerisce successiva-


mente in altri termini, è l’uomo che deve comportarsi da bipede, erectus e non da quadrupede,
solo incessabiliter defixus (similmente vi accenna SHANZER 2001, p. 223 n. 41).

2, 44
1 L’opposizione terreno – celeste su cui tutta la lettera è costruita sembra derivare da 1Cor

15, 47-49: Primus homo de terra terrenus, secundus homo de caelo caelestis; qualis terrenus,
tales et terreni, qualis caelestis, tales et caelestes. Igitur, sicut portavimus imaginem terreni,
portemus et imaginem caelestis. Su questo aspetto, e per un commento a questo breve biglietto,
vd. ABBATEPAOLO 2004, pp. 7-13, in partic. pp. 8-9.
2 Sul tema del banchetto spirituale cfr. RURIC., epist. 1, 9, 2: Desidero itaque, domine mi, de-

sidero, inquam, tuis cibis refici, tuo fonte potari, tuis repleri dapibus, tuis epulis saginari, e nn.
ad loc.
3 Ambrogio può aver inviato a Ruricio, accanto a una lettera oggi perduta, anche codici dei

Padri da copiare, secondo la consolidata consuetudine tra intellettuali tardoantichi, se si dà va-


lore materiale a patrum tractatibus. Tuttavia è possibile pensare anche a una lettera particolar-
mente densa di sapienza biblica e teologica, in cui le parole dei Padri rientrano tra le fonti di
ispirazione. Per la iunctura sermone vivo, su scorta di Hbr 4, 12 (Vivus est enim Dei sermo et
efficax et penetrabilior omni gladio ancipiti), cfr. HIER., in Gal. 4, 20 ll. 5. 12: Magnam siqui-
dem vim habet vox viva […] vivo eos ad veritatem retrahere sermone. L’espressione è piuttosto
rara (più diffusa viva voce) e si incontrerà successivamente soltanto in autori bassomedievali
quali p. es. lo Pseudo Agostino Belgico (serm. 14 PL 40 p. 1259, 46), Pier Damiani (epist. 113
p. 294, 21), Pietro il Venerabile (epist. 28 p. 53, 2; 51 p. 152, 22).
4 Il locus pone alcuni problemi quanto all’esegesi della desueta iunctura legumina marina.

Mathisen traduce “fruits of the sea”, specificando in nota: «Apparently some kind of vegeta-
ble» (p. 215 n. 2); MOUSSY 2002, p. 90 afferma che «ces legumina marina sont sans doute ce
que nous appelons fruit de mer, autrement dit des huîtres». Così anche SHANZER 2001, pp. 221-
223 ritiene che si possa trattare di “sea vegetables”, “frutti di mare”, secondo una consuetudine
già antica di usare per translationem a similitudine (VARRO, ling. 5, 77) i nomi di prodotti o di
animali di terra per quelli marini. Così infatti ci informa ISID., orig. 12, 6, 4: Pecoribus autem
et bestiis et volatilibus antea homines nomina inposuerunt quam piscibus, quia prius visa et co-
gnita sunt. Piscium vero postea paulatim cognitis generibus nomina instituta sunt aut ex simili-
tudine terrestrium animalium, aut ex specie propria sive moribus seu colore, vel figura, aut
sexu. Ma in questo senso già Ambrogio parlava di mustelas quoque et canes maritimos, vitulos
marinos, […] leones (hex. 5, 6, 2). E molte delle lingue moderne hanno assunto questo princi-
pio, per cui vd. it. “leone marino”, “cavalluccio marino”, “vitello marino” (foca), “cicala di ma-
re”; fr. “cheval marin”, “veau marin”; lo stesso accade con i nomi di vegetali o frutti della terra,
p. es. it. “anemone di mare”, “tartufo di mare”; ingl. “sea cucumber”, “sea tomato”, ecc. Vale
tuttavia la pena interrogarsi sull’idea di legumen presso gli antichi. A tal fine, valga la testimo-
nianza di Columella (2, 7, 10): oltre ai legumi propriamente detti, vengono annoverati anche
ortaggi di vario tipo e cereali (vd. anche ISID., orig. 17, 4, 1). In che accezione Ruricio utilizza
la iunctura in questione? È credibile che il vescovo di Limoges, come contraccambio per l’e-
ventuale prestito di libri da parte del collega Ambrogio o in risposta a una lettera di quest’ulti-
mo, gli abbia offerto dei prodotti ittici? SANTELIA 2003-2005, p. 23 e ABBATEPAOLO 2004, pp.
11-13 ritengono che i suddetti legumina marina siano da interpretarsi in senso figurato, «forse
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un componimento d’argomento non religioso o piuttosto qualcosa che lo stesso Ruricio ha


composto» (Santelia), oppure «cose inesistenti, sciocchezze» (Abbatepaolo). Ritengo tuttavia
possibile interpretare il locus in esame in senso proprio, anche sulla scorta di ALC. AVIT., epist.
86 p. 96, 7-8: […] impleor oleribus et inflor napis, abundo leguminibus, sed quae tellus, non
pontus emisit. Inter haec qualia fuerint bonae memoriae quondam ostrea, non recordor, in cui
la iunctura indica chiaramente le ostriche. Inoltre l’epistola ruriciana si trova incastonata tra
due altre di argomento “mangereccio”, in cui i due livelli, quello materiale e quello spirituale,
vengono abilmente intrecciati (in questo senso cfr. p. es. SIDON., epist. 4, 9, 3: Inter haec sacro-
rum voluminum lectio frequens, per quam inter edendum saepius sumit animae cibum, detto
dell’inlustris vir Vectius). Infine va notato come i doni, contrassegnati dall’aggettivo marina,
esprimano addirittura la loro completa estraneità alle possibilità (fisiche e intellettuali) di Ruri-
cio: se Ambrogio gli ha fornito cibi celestiali, il suo interlocutore non è in grado neppure di of-
frirgli il corrispettivo terreno, ma è costretto a inviare qualcosa di estraneo a sé (per haec nil
nos habere proprium conprobantes) e completamente agli antipodi rispetto al “cielo” di Am-
brogio, a metà tra l’affectata modestia e il lusus lezioso. Da ultimo, non credo pertanto necessa-
rio postulare un usus metaforico del sostantivo legumen, mai attestato prima dell’epistolario di
Rabano Mauro (780-856): in una lettera attribuita all’anno 821-822, il monaco di Fulda, dedi-
cando il suo commentario sul vangelo di Matteo all’arcivescovo di Magonza Astolfo, con topi-
ca modestia gli consiglia di lasciare questa sua opera come cibo per coloro che perfectorum non
possunt carpere cibum, quorum non venter pinguibus repletus hortorum fastidit olera, sed le-
guminum… (HRABAN., epist. 5 p. 390, 23-24). Legumen è detto allora «d’une lecture moins in-
digeste» (NGML p. 88, 1).
5 Cfr. HEGES. 5, 53, 1: […] anima nostra […] quae de paradiso exulat et a suo principe pe-

regrinatur; AMBR., epist. extra coll. 1, 24: Deprimebaris utique in peregrinis exulans terris;
SERM. Ps. Hier. epist. 35, 7 p. 259D: […] permanentes in rebus terrenis a coelestibus exulamus;
AUG., c. Iul. 3, 3, 9: […] in aeternum exulare a regno Dei; et alii. Cfr. anche RURIC., epist. 1, 1,
2: Me autem adiuvent orationes tuae, ut possim terrenis actibus spretis caelestibus inhiare.
6 Credo che sia possibile difendere il testo tradito senza ricorrere all’emendamento proposto

da Krusch e accettato anche da ABBATEPAOLO 2004, p. 8 (con discussione a p. 10). La studiosa,


nel sostituire mannis a marinis, commenta che «non abbiamo altri casi simili in cui il vocabolo
marinus abbia valore di sostantivo» (p. 10 n. 13). Tuttavia, scrutando ThLL VIII, col. 398, 25-
45, si nota già p. es. PLIN., nat. 31, 62: Medendi modus idem et marinis; SVET., Aug. 82, 2: At
quotiens nervorum causa marinis Albulisque calidis utendum esset; PORPH., Hor. sat. 2, 8, 15:
Quia in Chium vinum marina [non] additur; GREG. M., epist. 5, 38 ll. 25-26: In Sicilia autem
insula Stephanus quidam marinarum cartularius tanta praeiudicia tantasque oppressiones ope-
rari dicitur; et alii. Inoltre, se piuttosto diffusa è la iunctura manna caelestis, va altresì eviden-
ziato come il sostantivo manna sia sempre al singolare (in tal senso cfr. GRAMM. suppl. 96, 7-8:
[...] sic declinantur hoc manna [...] quia pluralem numerum non habent), se si esclude un’unica
occorrenza al nominativo plurale in ALC. AVIT., carm. 5, 456: Dum sacrum populo victum can-
dentia manna / ferrent.
7 Il breve scritto ruriciano brilla per la densità retorica e il sottile labor limae. Oltre ai conti-

nui rimandi antitetici secondo la dinamica divinus / caelestis – terrenus, anche i concetti sono
contrapposti antifrasticamente. Da notare l’area semantica dell’exilium che caratterizza, con
abile sfaccettatura e variatio, l’esperienza umana di Ruricio: […] siquidem et a divinis bonis
sumus, quae vos tribuitis, peregrini et nos peregrina transmittimus […] a marinis caelestibus
exulare […] ut haec aliena a nobis libenter accipere. I quattro cola paralleli conclusivi chiudo-
no con inaspettata regolarità stilistica questo biglietto particolarmente manierato. MOUSSY
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II, 44-45 363

2002, p. 90 n. 14, anche per ragioni di senso, ipotizza che la corrispondenza regolare illud…
hoc possa essere stata originata da un chiasmo illud… hoc, hoc… illud, che, oltre a essere una
figura retorica molto usata da Ruricio, salverebbe maggiormente il senso della frase. Una pro-
posta che, pur non riportandola nel corpo del testo, vale la pena tenere in considerazione.

2, 45
1 Doranoniae spolia, con la sua aillure militaresca, rimanda ovviamente a un dono di pesci

dell’amico Ispano (scarterei l’ipotesi di PLRE II, p. 566, secondo cui «Ruricius’ language sug-
gests military activity, but the location of Doranonia is unknown»). Duranius indica la Dordo-
gne, fiume della Gallia Celtica, e poi dell’Aquitania, affluente della Garumna nella valle di
Burdigala. Alla Dordogne fa riferimento AUSON., Mos. 464: Concedet gelido Durani de monte
volutus / amnis; Sidonio ne descrive l’impetuoso corso fluviale congiunto a quello della Garon-
na – entrambi influenzati dalla marea (carm. 22, 100-103), epitetandola come Durani muscose.
Vd. anche GREG. TUR., Franc. 7, 29. 32 (Dornonia).
2 Similmente vd. PAUL. NOL., carm. 1 pr. 3 (maritimis deliciis); ALC. AVIT., epist. 63 p. 90, 7

(marinis copiis); CASSIOD., var. 1, 2, 3 (marinae deliciae); 3, 48, 5 (Echini… croceae deliciae
divitis maris); ecc.
3 Circa il sostantivo esuries, vd. supra 2, 40 n. 10.
4 Ancora un parallelismo tra fame fisica e spirituale, come nelle due precedenti epistole. La

sonorità interna rafforza l’amplificatio orizzontale dei concetti espressi dai quattro cola, a due a
due antitetici, posti a chiusa della prima frase (siquidem inde esuriem corporis conpescimus,
hinc cordis, inde ventri transitorium porrigimus pastum, hinc vero animo mansurum praebe-
mus affectum).
5 La forma gratias repenso (< penso < pensum < pendo) e piuttosto rara così come l’espres-

sione sinonimica col verbo rependo. Se infatti la locuzione grates rependo è già presente in SIL.
9, 25, e molto spesso usata dai cristiani, come nota MOUSSY 1966, pp. 97-98, gratiam rependo è
usata almeno a partire da OV., met. 2, 693 con discreta frequenza, mentre gratias rependo, se-
condo MOUSSY 1966, pp. 92. 104 è formazione apuleiana (apol. 85, 7), con scarsa ricorrenza
(vd. FIRM., math. 5, 1, 2; 6, 16, 4; EPIST. Austr. 23 v. 6; BEDA, in 1Pt. 2, 9 l. 191; hom. 1, 6 l.
266). Se gratias repenso ricorre solo in Ruricio, tuttavia cfr. AUG., c. acad. 2, 2, 1: Egone tibi
gratiam non repensabo?; OROS., apol. 18, 6: […] de accepto gratiam repensemus gloriam solo
illi creatori redemptorique nostro Domino Iesu Christo.
6 Per l’usus del verbo sospito, vd. supra 2, 32 n. 33.
7 Per il titolo onorifico pietas vestra, vd. supra 1, 7 n. 2. Si notino i giochi fonici: allittera-

zione delle nasali con parafonia (tam amori quam muneri) e allitterazione della sibilante (gra-
tias repensantes reciprocis… sospitamus) con insistenza sul prefisso re- (repensantes - recipro-
cis), sulla cui valenza vd. il già menzionato MOUSSY 1997, pp. 227-242.
8 La fitta sonorità del comma esse salute sollicitus enfatizza efficacemente il sentimento di

sollicitudo che occupa il cuore di Ispano.


9 Pascha facere è espressione tecnica, già dal Nuovo Testamento, per indicare la celebrazio-

ne della festa di Pasqua, in ambito prima ebraico e quindi cristiano. Cfr. Mt 26, 18: At Iesus
dixit: «Ite in civitatem ad quendam et dicite ei: “magister dicit tempus meum prope est: apud te
facio Pascha cum discipulis meis”». Sul concetto di Pascha nel corso dei secoli, vd. BLAISE
1966, pp. 322-323. 332-333. Circa l’importanza di “fare Pasqua” nella Chiesa antica, basti cita-
re il canone 18 del concilio di Agde (a. 506 p. 202, ll. 187-188): Saeculares vero qui Natale Do-
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mini, Pascha, Pentecosten non communicaverint, catholici non credantur, nec inter catholicos
habeantur. In particolare, per soddisfare il precetto festivo durante queste celebrazioni, era ne-
cessario al fedele recarsi nella propria parrocchia d’origine: Si quis etiam extra parrocias, in
quibus legitimus est ordinariusque conventus, oratorium in agro habere voluerit, reliquis festi-
vitatibus ut ibi missas teneant propter fatigationem familiae iusta ordinatione permittimus; Pa-
scha vero, Natale Domini, Epiphaniam, Ascensionem Domini, Pentecosten et Natale Sancti
Ioannis Baptistae, vel si qui maximi dies in festivitatibus habentur, nonnisi in civitatibus aut in
parrociis teneant (CONC. Agath. a. 506 pp. 202-203, ll. 196-203). MATHISEN 1999, p. 216 n. 5
ipotizza che Ispano abitasse in una parrocchia della diocesi di Limoges: se così fosse, egli
avrebbe potuto risiedere nei pressi di Briva (Brive–la–Gaillarde), dove la Dordogne attraversa
per un breve tratto il territorio della diocesi di Ruricio.

2, 46
1 Cfr. RURIC., epist. 2, 3, 1: Quam graviter sim de luctu vestro nuntii atrocitate perculsus.

Circa gli stilemi delle lettere consolatorie, vd. nn. a epist. 2, 3; 4.


2 Circa l’uso dell’appellativo germanitas, vd. supra 1, 13 n. 2.
3 Con MATHISEN 1999, p. 217 n. 1 è possibile ritenere che la reverentia di cui si parla nell’e-

pistola faccia riferimento alle feste pasquali, probabilmente alle solenni e impegnative celebra-
zioni del Triduo sacro (su cui vd. RIGHETTI II, pp. 195-272).
4 Il riferimento è, in forma di massima sentenziosa, allo stesso Ruricio: Aut numquid vos

magis potestis amare quam Dominus, qui me fecit, quomodo voluit, redemit, quia voluit, et,
quando voluit, pro sua pietate suscepit? (epist. 2, 4, 9).
5 Da notare l’insistenza dell’antonimia con poliptoto pietatis… pietate… impietatis, con cui

Ruricio esorta Albino a ricondurre la comune amica alla serenità dell’anima attraverso l’obbe-
dienza della fede.
6 Similmente cfr. RURIC., epist. 2, 3, 2: Sed quid facimus, fratres optimi, quod divinae resi-

stere iussioni, sicut virtute non possumus, ita nec voluntate debemus et omni advigilantia prae-
cavere, ne, dum dulcia nobis pignora nimio dolore deflemus, blasphemi aut quodam modo iniu-
riosi inveniamur in Domino et gravius animam nostram auctor ipsius mortis inventa occasione
confodiat, quam carorum amissione percussit?; 4, 6: Ad divina nobis praecepta redeundum est,
ne ita plangamus corpore mortuam, ut ipsi corde moriamur; 4, 7: Et ideo non turbetur cor no-
strum nec filiam pro amissione, sed pro desiderio defleamus, ne aut promissis dominicis incre-
duli aut praeceptis obnisi esse videamur.
7 Cfr. Lc 9, 60: Sine ut mortui sepeliant mortuos suos (vd anche RURIC., epist. 2, 4, 7).
8 Sull’uso e il concetto di beatitudo, vd. supra 2, 11 n. 32. Su questo aspetto di correlazione

tra animae beatitudo e resurrezione finale, cfr. AUG., in psalm. 62, 6: Multipliciter tibi, inquit,
et caro mea. Quia et carni nostrae promittitur resurrectio. Quomodo animae nostrae promitti-
tur beatitudo, sic et carni nostrae promittitur resurrectio; GREG. M., moral. 35, 14: Vel certe
sanctae ecclesiae in fine suo duplum recipere est in singulis nobis et de beatitudine animae, et
de carnis incorruptione gaudere.
9 Per il riferimento ad AMBR., exc. Sat. 1, 70; in Luc. 6, 62, vd. supra 2, 4 n. 51. All’icastica

(e rara) espressione corporis restauratio in riferimento alla resurrezione dei corpi sembra sog-
giacere il serrato dialogo di Gesù con i Giudei, dopo la cacciata dei mercanti dal tempio: Solvi-
te templum hoc et in tribus diebus excitabo illud. […] Ille autem dicebat de templo corporis
sui (Ioh 2, 19. 21). In questo senso infatti la riferisce QUODV., prom. 2, 37, 84: De quibus Iu-
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II, 45-47 365

daei Domino restaurationem sui corporis promittenti ac dicenti: «Solvite templum hoc et tri-
duo suscitabo illud», non intellegentes illius dicti sacramentum dixerunt: «xl et vi annis con-
structum est; quomodo hic dicit: “triduo suscitabo illud”?». Quindi cfr. GREG. M., moral. 4,
11: In iudicio ergo adhuc aurora est, sed in regno dies, quia etsi iam cum restauratione corpo-
rum videre lumen in iudicio incohat, eius tamen visum plenius in regno consummat. La ripresa
anaforica dell’aggettivo indefinito nulla con iperbato e inclusione degli articoli di fede negati
conferisce enfasi e forza all’eloquio (nulla de beatitudine animae, nulla de corporis restaura-
tione fiducia).
10 Cfr. Lc 16, 22: Factum est autem ut moreretur mendicus et portaretur ab angelis in sinum

Abrahae (parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro).


11 Cfr. RURIC., epist. 2, 4, 9: Aut quod magis doloris vestri potestis habere solatium, quam

quod Dominus noster unicum filium suum pro nobis est tradere dignatus ad mortem?; 39, 3: Et
vere, si mihi quasi vestro creditis cordi, non minimum potestis capere de Christi Domini volun-
tate solatium.
12 Cfr. Mt 25, 21: Ait illi dominus eius: “euge bone serve et fidelis, quia super pauca fuisti

fidelis super multa te constituam: intra in gaudium domini tui”; Apc 14, 13: Et audivi vocem de
caelo dicentem: «Scribe: “beati mortui qui in Domino moriuntur; amodo iam dicit Spiritus ut
requiescant a laboribus suis, opera enim illorum sequuntur illos”». Di contro, cfr. LEO M.,
serm. 17, 2: Infidelis autem et iniquus est etiam sibi, qui quod aestimat diligendum non vult ha-
bere perpetuum (e RURIC., epist. 2, 48, 3). Dal punto di vista stilistico, si noti l’insistenza sulla
composizione con la preposizione cum- (conlocari – conferamus – consolationem – secum) e il
calembour allitterante in se – secum.
13 Cfr. Sir 22, 13: Luctus mortui septem dies, fatui autem et impii omnes dies vitae illorum

(codd.: Luctus sapientis septem diebus, insipientis autem omnibus diebus vitae suae).
14 La precisazione pro innocentia lascia inferire che il defunto sia morto in giovane età.
15 Si noti il bel chiasmo con antifrasi: Sicut scimus illum mortuum corpore, anima vero pro

innocentia sua Deo vivere, ita nos viventes corpore videamus ne corde moriamur. Quanto al-
l’integrazione hagendahliana videamus ne, vale la pena leggere quanto lo studioso ebbe a scri-
vere: «L’auteur met en garde, dans le passage parallèle, II, 4 [nostra edizione 2, 4, 6] contre un
deuil immodéré: ad divina nobis praecepta redeundum est, ne ita plangamus corpore mortuam,
ut ipsi corde moriamur. La même pensée revient ici, accentué par l’antithèse savante, si l’on
supplée comme l’exige l’urgente nécessité» (HAGENDAHL 1952, pp. 107-108).

2, 47
1 Ruricio inizia questa epistola ponendo i due poli del paragone, che si intersecheranno fino

a divenire pressoché inscindibili: la devozione al Signore, e la consequenziale caritas verso l’a-


mico, la quale altro non è che divinae bonitatis imitatrix. Le due strutture parallele con iperbato
isolano efficacemente i concetti e li rendono particolarmente evidenti al lettore. Si noti anche la
variatio in Domino (per il moto a luogo figurato espresso con in + abl., vd. supra 2, 11 n. 40) –
erga me.
2 Cfr. Mt 6, 8: […] scit enim Pater vester quibus opus sit vobis, antequam petatis eum.
3 Abilmente Ruricio declina l’idea di “previdenza” di Taurenzio attraverso un sapiente uso

dei mezzi linguistici e della prefissazione: prospicit – priusquam rogetur – praeoccupare – an-
ticipando. Quanto al concetto, va tenuto presente il sostrato biblico di Mt 6, 8 (vd. n. prec.).
4 L’intricatezza barocca dell’eloquio risulta piuttosto stucchevole anche per il contenuto as-
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366 Commento

solutamente manierato e ripetitivo. Stilisticamente si rileva la variatio sinonimica relativa al-


l’ambito semantico del dono (offerre – praestare – defertur – indulgetur – datur – dimittitur); i
cola a due a due paralleli e antifrastici, con l’omeoptoto tacenti… poscenti; la figura etimologi-
ca con equivoco di gusto tutto ruriciano (per cui vd. già epist. 1, 3, 1; 2, 29, 1; e 2, 56, 1) neces-
sitate… necessitudini (vd. anche supra 1, 3 n. 13). Esso tuttavia risulterà funzionale, come una
sorta di captatio benevolentiae, a perorare il perdono per una puella, macchiatasi di non si sa
quale delitto. A questi concetti sembra soggiacere, anche a livello terminologico, la parabola
dell’amico importuno narrata da Lc 11, 5-8; in partic. cfr. 11, 8: Dico vobis: et si non dabit illi
surgens eo quod amicus eius sit, propter inprobitatem tamen eius surget et dabit illi quotquot
habet necessarios. Similmente, vd. RURIC., epist. 2, 30, 2.
5 Per il titolo onorifico pietas vestra, vd. supra 1, 7 n. 2.
6 Era frequente il caso in cui i servi fuggissero dalla casa del loro padrone o dopo aver com-

messo delitti o dietro pretesti di vario genere e, una volta scoperti, trovassero rifugio presso le
chiese (su questo aspetto vd. in partic. supra 2, 20 n. 3). Così infatti ci informa anche ENNOD.,
epist. 1, 7, 4 Gioanni: Ante aliquid temporis pueri duo, qui sibi a praefato adserebant inferri
violentiam, ad opem se ecclesiae sub interpellatione publica contulerunt. Fin dal IV secolo Co-
stantino, in una legge del 321, aveva decretato che uno schiavo potesse trovare assistenza e aiu-
to all’interno di una chiesa, fino addirittura alla cosiddetta manumissio in ecclesia, ovvero l’af-
francamento dal servizio cui era legato (vd. COD. Theod. 4, 7, 1). Il concilio di Orléans (511)
sancirà: Servus qui ad ecclesia pro qualibet culpa confugerit, si a domino pro admissa culpa
sacramenta susciperit, statim ad servitium domini redire cogatur; sed posteaquam datis a do-
mino sacramentis fuerit consignatus, si aliquid poenae pro eadem culpa, qua excusatur, proba-
tus fuerit pertulisse, pro contemptu ecclesiae vel praevaricatione fidei a communione et convi-
vio catholicorum, sicut superius conpraehensum est, habeatur extraneus (p. 5, ll. 38 ss.). Inve-
ro non abbiamo riferimenti frequenti alla manumissio in ecclesia nella letteratura di età tar-
doantica: vd. p. es. AUG., serm. 21, 6-7; 356, 7; ENNOD., opusc. 8; GREG. M., epist. 2, 9 l. 12
(manumissiones apud te in eadem ecclesia sollemniter celebrari concedimus). Non sappiamo di
quale colpa fosse accusata la serva di Taurenzio; tuttavia notiamo ancora una volta l’intervento
dell’episcopus come mediatore civile e spirituale.

2, 48
1 La lettera si colloca nel filone delle lettere commendatizie, sui cui topoi si rimanda alle

precedenti: epist. 1, 11; 2, 7; 12; quanto all’intervento del vescovo in età tardoantica in cause
civili, vd. supra 2, 12 n. 3. L’anonimo cliente di Ruricio viene definito col termine tecnico, in
età tardoantica, di susceptus (< suscipio), ovvero “colui che è stato accolto sotto il patronato di
qualcuno”, “un protetto”. Così cfr. p. es. CAES. AREL., serm. 26, 1: […] si omnes homines mise-
ricordiam in futuro volumus invenire, faciamus illam (scil.: misericordiam) patronam in hoc
saeculo, ut nos illa dignetur susceptos habere et defendere in futuro; GREG. M., epist. 5, 46 l.
55: Carissimum autem filium meum susceptum vestrum domnum Narsetem gloriae vestrae
commendo. Susceptus è tuttavia anche chi si affida a un avvocato, come emerge in AUG., epist.
149, 2: Interpellationes autem sive, ut vestri codices habent, postulationes fiunt, cum populus
benedicitur; tunc enim antistites velut advocati susceptos suos per manus inpositionem miseri-
cordissimae offerunt potestati; oppure a un medico, come si legge in AMBROSIAST., in 2Cor. 1,
8: Quis medicorum non arguta susceptum suum neglegentius se tractantem ne cura medicinae
eius sine effectu remaneat?; CASSIAN., inst. 10, 7, 1: Thessalonicensibus enim scribens et primo
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II, 47-48 367

ut peritissimus quidam perfectusque medicus infirmitatem susceptorum blanda lenique verbi


curatione fomentans. Suscepti sono anche coloro che alla morte vengono accolti (suscipiuntur)
fra i monaci e vengono quindi sepolti con l’abito religioso (vd. DU CANGE Gloss. pp. 680-681).
Infine, in età feudale, susceptus viene a indicare il vassallo propriamente detto. Similmente, vd.
RURIC., epist. 1, 5, 3, in cui uno dei figli affidati alle “cure retoriche” di Esperio è identificato
con l’epiteto di susceptus.
2 Per il titolo veneratio, come anche per l’aggettivo venerabilis, vd. supra 2, 11 n. 1; quanto

all’appellativo frater, vd. supra 1, 14 n. 14; 16 n. 2. Il fatto che Ruricio, in sede incipitaria, uti-
lizzi la seconda pers. sing. è indice di confidenza e di amicizia.
3 Il titolo onorifico gratia tua / vestra è molto raro nell’epistolografia tardoantica (vd. O’-

BRIEN 1930, p. 29): si trova in riferimento a vescovi, al papa o a un uomo politico. Cfr. AUG.,
epist. 198, 7 (= HESYCH., Aug. epist. 198): Plenius autem dignare nos verbo gratiae tuae rescri-
bendo instruere et laetificare; VICTORIN., epist. ad Ruric. 2 p. 398, ll. 10-11: […] intra me eas
tamen, dum gratiae vestrae reminiscor, inveniam; ENNOD., epist. 5, 17 p. 139, 15-16: Haec, mi
domine, ad ea, quae es dignatus scribere, gratia vestra duce respondeo (ad Avieno); 8, 38 p.
225, 5: […] est enim qui gratiam vestram et natalibus mereatur et moribus (a papa Simmaco).
L’assenza del titolo episcopus non rende perspicua l’identificazione di Giovanni come vescovo;
tuttavia i titoli sopraddetti lascerebbero inferire ciò (così anche MATHISEN 1999, p. 219). Sulla
questione, vd. index nominum, s. v. Iohannes.
4 Non sfugga l’intricato reticolo di figure etimologiche (gratiae tuae… ingratus… gratifi-

candus) e la diffusa sonorità in cui prevalgono le vocali /a/, /e/ e le consonanti dentali.
5 La struttura ad anello di questo periodo, segnato dall’anafora con omeoptoto del sostantivo

petitio, sembra voler sottolineare l’unità di intenti tra Ruricio e il susceptus, come a esprimere
che la richiesta dell’uno è stata assunta dall’altro.
6 Al tema del donativo in denaro fa da singolare correlativo oggettivo la salutatio di Ruricio,

anch’essa depensa.
7 Il solidus (-um) è un conio aureo di età imperiale del valore di circa 6 unciae (1 uncia = g

27, 288 circa), secondo quanto ci informa ISID., orig. 16, 25, 14: Solidum nuncupatum, quia
nihil illi deesse videtur; solidum enim veteres integrum dicebant et totum. […] Solidum apud
Latinos alio nomine sextula dicitur, quod his sex uncia conpleatur. Hunc, ut diximus, vulgus au-
reum solidum vocant; cuius tertiam partem ideo dixerunt tremissem, eo quod solidum faciat ter
missus. Un episodio simile al presente ci è narrato da SIDON., epist. 4, 24. Egli scrive a Turno,
figlio di Turpione, a cui il sacerdote Massimo aveva prestato denaro a interesse. Giunto il mo-
mento della restituzione, Turpione si trova malato e impossibilitato a rendere il denaro. Pertan-
to Massimo, mosso dall’amicizia e dall’amore dei figli dell’amico, si decide per un atto di ca-
rità: […] annuum solutioni spatium prorogabo et superpositam medietatem, quae per usurae
nomen accrevit, indulgeam, sola simpli restitutione contentus (epist. 4, 24, 6).
8 Sull’usus e il valore del lemma conversatio, vd. supra 2, 15 n. 24. Giovanni, se già non è

vescovo, deve essere comunque incamminato sulla via della vita religiosa o ascetica.
9 Per la formula Deo propitio, vd. supra 1, 14 n. 11.
10 Forti le suggestioni salmiche. Cfr. Ps 14, 1. 5: Domine, quis habitabit in tabernacolo tuo,

aut quis requiescet in monte sancto tuo? […] qui pecuniam suam non dedit ad usuram et mune-
ra super innocentes non accepit: qui facit haec non movebitur in aeternum; 23, 3-4: Quis ascen-
det in montem Domini et quis stabit in loco sancto eius? Innocens manibus et mundo corde, qui
non accepit in vano animam suam nec iuravit in dolo proximo suo. Cfr. anche LEO M., serm. 17,
3: Quid enim de huiusmodi hominibus Deus sentiat, sacratissimus David propheta manifestat,
qui cum diceret: «Domine, quis habitabit in tabernaculo tuo, aut quis requiescet in monte sancto
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368 Commento

tuo?». Responso divinae vocis instruitur, et eum ad aeternam requiem pertinere cognoscit, qui
inter alias piae conversationis regulas pecuniam suam non dedit ad usuram, et a tabernaculo
Dei ostenditur alienus et a sancto monte eius extraneus, qui dolosum quaestum de pecuniae
suae captat usuris, et dum per aliena cupit damna ditari, aeterna dignus est egestate puniri.
11 Cfr. LEO M., serm. 17, 2: Qui ergo pecunias amat, et multiplicare opes suas inmodicis optat

augmentis, hoc potius sanctum fenus exerceat, et hac usurarum arte ditescat, ut non hominum la-
borantium captet necessitates, ne per dolosa beneficia laqueos incidat insolubilium debitorum,
sed illius sit creditor, illius fenerator, qui dicit: «Date, et dabitur vobis», et «Qua mensura mensi
fueritis, eadem remetietur vobis». Similmente, vd. CYPR., domin. orat. 33; AMBR., Tob. 16, 55;
Nab. 14, 59-60; PAUL. NOL., epist. 25, 3; 34, 1; et alii. I concetti espressi riposano su affermazio-
ni scritturistiche quali p. es. Prv 19, 17; Sir 29, 1 (vd. supra 2, 15 n. 25). La citazione neotesta-
mentaria è tratta da Lc 6, 38: Date et dabitur vobis. […] Eadem quippe mensura qua mensi fueri-
tis remetietur vobis; VET. LAT. Lc 6, 38: Date et dabitur vobis. […] Qualem enim mensuram men-
si fueritis, remetietur vobis.
12 Cfr. LEO M., serm. 17, 2: Infidelis autem et iniquus est etiam sibi, qui quod aestimat dili-

gendum non vult habere perpetuum. Quantalibet adiciat, quantalibet condat et congerat, inops
de hoc mundo et egenus abscedet, dicente propheta David: «Quoniam cum interierit non acci-
piet omnia, neque descendet cum eo gloria domus eius». Rispetto al dettato leonino, Ruricio
non solo varia i riferimenti biblici, ma amplia e impreziosisce anche l’eloquio. Si noti a tal pro-
posito la congeries orizzontale (vd. supra 1, 3 n. 4) con costrutti paralleli e anafora del prono-
me indefinito, con variatio e amplificatio nel terzo membro: multa condat, multa congreget et
infinita diversis nundinationibus adquirat (cfr. LEO M., serm. 17, 1: Qui ergo pecunias amat, et
multiplicare opes suas inmodicis optat augmentis); ruriciano il colon esplicativo nisi de rebus
suis portionem suam ad aeternam beatitudinem ante praemiserit, benché possa soggiacervi il
leoniano bene dispensantes temporalia adquireretis aeterna (serm. 17, 4).
13 Cfr. Ps 48, 17-18: Ne timueris cum dives factus fuerit homo et cum multiplicata fuerit glo-

ria domus eius, / quoniam, cum interierit, non sumet omnia, neque descendet cum eo gloria
eius; VET. LAT. Ps 48, 17-18: Ne timueris cum dives factus fuerit homo et cum multiplicata fue-
rit gloria domus eius, / quoniam non, cum morietur, accipiet omnia, neque simul cum eo de-
scendet gloria domus eius.
14 Cfr. Ps 75, 6: […] dormierunt somnum suum et nihil invenerunt omnes viri divitiarum

(codd.: in) manibus suis.


15 Il fideiussor è una personalità giuridica già contemplata nell’ambito del diritto romano

classico, su cui vd. supra 2, 9 n. 20. Interessante l’uso della iunctura idoneus fideiussor, la qua-
le è attestata in ULP., dig. 2, 8, 7 pr., e quindi si trova a vario titolo, oltre che in Leone e Ruricio,
anche in PS. CYPR., singul. cler. 11: [...] (quis) pro altera persona contra Satanan repugnator,
circa Deum vero idoneus fideiussor esse praesumat?; AMBR., Tob. 17, 57: Reddite ergo pigno-
ra, quae tenetis, quoniam fideiussorem idoneum repperistis; AUG., in psalm. 36 serm. 3, 6:
Proinde et si non tenes pauperem redditorem, sed idoneum tenes fideiussorem; CASSIOD., var. 4,
5, 2: Atque ideo devotio tua praesenti auctoritate cognoscat omnes navicularios Campaniae,
Lucaniae sive Tusciae fideiussoribus idoneis se debere committere.
16 Vd. LEO M., serm. 17, 2. Si noti la figura etimologica che si instaura tra il sostantivo red-

ditor e il successivo participio futuro redditurum. Il linguaggio utilizzato è quello tecnico-fisca-


le. Il termine redditor, in riferimento a un ruolo pecuniario proprio o metaforico, si trova già in
Sir 5, 4: Ne dixeris peccavi et quid accidit mihi triste: Altissimus enim est patiens redditor;
CARM. adv. Marc. 1, 198 (mercedis redditor iustus); AUG., epist. 138, 2 (debitorum ipsius fisci
redditores); in psalm. 39, 2 (fidelis redditor); CAES. AREL., serm. 28, 1; ecc. Esso assume anche
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II, 48-49 369

un’accezione metaforica di “colui che restituisce, ristabilisce una condizione perduta”, come si
vede p. es. in PETR. CHRYS., serm. 146, 8: Praedixerat Esaias et virgo parere Deum caeli, re-
gem terrae, orbis dominum, reparatorem mundi, mortificatorem mortis, redditorem vitae, per-
petuitatis auctorem.
17 Come già nella titolatura, Ruricio epiteta Giovanni come frater. Questo titolo, benché non

sia riservato esclusivamente al dialogo tra ecclesiastici (vd. supra 2, 8 n. 12), unitamente al ri-
ferimento alla conversatio del medesimo (vd. supra n. 8), può dire qualcosa proprio circa il suo
stato di consacrazione.
18 Sul predicativo espresso con in + abl., vd. supra 1, 2 n. 15.
19 Cfr. Mt 19, 29: Et omnis qui reliquit domum vel fratres aut sorores aut patrem aut matrem

aut uxorem aut filios aut agros propter nomen meum centuplum accipiet et vitam aeternam pos-
sidebit. Cfr. anche LEO M., serm. 17, 2: Constans esto, christiane largitor. Da quod accipias,
sere quod metas, sparge quod colligas. Noli metuere dispendium, noli de dubio sospirare pro-
ventu. Substantia tua cum bene erogatur, augetur.
20 Sull’uso di unde, vd. supra 2, 6 n. 21.
21 Il sostantivo exterminium non si incontra nella letteratura latina prima di Tertulliano (adv.

Iud. 8, 1; adv. Val. 16, 2) e di VET. LAT. Ex 12, 13. Quindi la Vulgata utilizzerà il lemma con di-
sinvoltura, in traduzione di diversi vocaboli greci (o[leqro~, diafqorav, ajfanismov~,…), di-
venendo piuttosto comune negli autori successivi per esprimere “distruzione”, “rovina” in ge-
nere.
22 Cfr. Mt 6, 19-20: Nolite thesaurizare vobis thesauros in terra ubi erugo et tinea demolitur

ubi fures effodiunt et furantur. Thesaurizate autem vobis thesauros in caelo ubi neque erugo ne-
que tinea demolitur et ubi fures non effodiunt nec furantur; Lc 12, 33: Vendite quae possidetis
et date elemosynam. Facite vobis sacculos qui non veterescunt, thesaurum non deficientem in
caelis quo fur non adpropiat neque tinea corrumpit. Da notare l’insistenza sulla vocale chiara
/e/ (poteris pertimescere exterminium) e alla parafonia fure formidare.
23 Similmente cfr. RURIC., epist. 2, 19 v. 22: Largitor Deus omnium bonorum (vd. n. ad loc.).

Largitor in iunctura con custos solo in FULG., praedest. 2, 28: Atque ita fiet ut Deo bonorum
omnium largitori atque custodi seipsum homo competenter humilians, et gratias incessanter
agat et orare non desinat.

2, 49
1Circa il costrutto individuus + dativus iudicantis, vd. supra 2, 12 n. 1; quanto all’uso di in-
dividuus, vd. supra 2, 2 n. 14; per il titolo sanctitas, vd. supra 1, 1 n. 35.
2 Come in molte delle epistole di Ruricio è solo il desiderio di comunicare la reciprocità del-

l’affetto un motivo valido per scrivere lettere (sola ex causa litteras destinare), per cui vd. su-
pra 1, 12 n. 16; 2, 5 n. 4; circa il valore del sostantivo occasio, vd. supra 2, 27 n. 6
3 Circa i valori dell’avverbio unde in epoca tardoantica, vd. supra 2, 6 n. 21.
4 A proposito di Leonzio, vd. supra 1, 8 n. 8.
5 Sul titolo apostolatus, vd. supra 1, 15 n. 19.
6 Cfr. RURIC., epist. 1, 14, 2: His itaque, sicut oportuit, intimatis, salutatione praelata,…; 2,

15, 1: […] salutatione praelata, pictorem, quamlibet hic esset occupatus, cum discipulo desti-
navi. Sul conio ruriciano sospitatio, vd. supra 1, 15 n. 24.
7 Cfr. RURIC., epist. 2, 15, 1: Sed quia Deo propitio vos et litteris et relatione vestrorum ex

sententia agere ac valere cognovi, salutatione praelata...


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370 Commento

8 L’espressione Deo favente si incontra solo una volta nell’epistolario ruriciano, mentre si

diffonde negli autori a partire circa dalla seconda metà del IV secolo: vd. p. es. AMBR., epist.
75, 5; CONC. Carth. a. 411, 1, 127; CASSIOD., var. 1, 12, 1; 3, 31, 1; GREG. M., epist. 3, 29 l. 51;
5, 60 l. 10; et alii.
9 Sulla formula propitia divinitate, vd. supra 2, 2 n. 11; per il sostantivo astratto divinitas,

vd. supra 1, 3 n. 19.


10 Cfr. RURIC., epist. 2, 38, 1: Quam ob rem, quia iussistis, ut vos per singulas occasiones et

de meis actibus facerem certiores et desiderium vestrum, quod mihi non meo merito, sed generali
et insita vobis dilectione dependitis, alloquio temperarem, me quidem Deo propitio fortiorem, sed
heu plenum omne hospitiolum nostrum diversis incommodis laborare significo; 63, 1: Gratias
ago dignantissimae erga me sublimitati vestrae, quod nos de actibus atque incolumitate vestra,
quos nostis Deo propitio pro amicitiarum iure sollicitos, facitis litterarum sedulitate securos. To-
pica la richiesta dello stato di salute, secondo quanto affermato da CUGUSI 1983, pp. 76-77.

2, 50
1 L’ampio e articolato iperbato De sincerissima… caritate confidens sembra esprimere an-

che a livello formale la dilatazione smisurata dell’amicizia di Ceraunia nei confronti di Ruricio;
la clausola ritmica caritáte confídens (cursus planus) e la posizione incipitaria contribuiscono a
valorizzarne enfaticamente il contenuto.
2 Per il titolo onorifico veneratio, vd. supra 2, 11 n. 1.
3 A proposito della locuzione salutem uberem dicere, vd. supra 2, 40 n. 21.
4 Consueto passaggio dal tu al vos, secondo quanto espresso già supra 1, 1 n. 11.
5 Non è possibile inferire che cosa Ruricio stia attendendo. Il servo Amando ci è noto soltan-

to da questa epistola.
6 Ruricio insiste con speciale accoramento sul fatto che in nulla Ceraunia andrà soggetta a

perdita nel momento in cui gli invierà quanto richiesto: il guadagno sarà reciproco (vicem reci-
procis obsequiis repensare contendam). Similmente, cfr. RURIC., epist. 2, 5, 1: […] confertur
indigenti et non aufertur auctori accipientis lucrum sine dispendio largientis, ditans inopem
nec adtenuans possessorem.

2, 51
1Sul titolo sanctitas, vd. supra 1, 1 n. 35.
2Sul significato di “causa”, “motivazione” del lemma occasio, vd. supra 2, 27 n. 6.
3 Topica del conloquium absentium (vd. supra 1, 1 n. 6; 2, 9 nn. 11 e 13). Insistente a fini

enfatici la presenza del prefisso preposizionale cum-: conloquantur – conloquia – coniungant –


contueri; da notare anche il costrutto parallelo con homoeoteleuton ex necessitate aut ex volun-
tate e la figura etimologica conloquantur… conloquia. Similmente cfr. RURIC., epist. 2, 10, 2;
52, 1. Su questi loci, vd. supra 2, 10 n. 8.
4 Sull’usus e il valore di gerulus, vd. supra 1, 10 n. 4.
5 Per la formula di saluto salve plurimum, vd. supra 1, 16 n. 14.
6 Per il titolo apostolatus, vd. supra 1, 15 n. 19.
7 Sull’usus del sostantivo apices, vd. supra 1, 4 n. 1.
8 Sindilla doveva essere l’amministratore di un’ampia proprietà terriera, probabilmente sita
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II, 49-51 371

a cavallo tra la diocesi di Limoges e quella di Auxerre, di cui era vescovo Censorio.
9 Come già si è notato altrove (supra 2, 14 n. 16), con Mathisen ritengo il presente Fedamio

essere l’omonimo presbyter a cui è indirizzata epist. 2, 14.


10 Fonostilisticamente si può notare come Ruricio intenda sottolineare i due momenti del-

l’accusa nei confronti di Fedamio (porcos suos prodente Foedamio perdidisset… perquisisse) e
del ribaltamento della stessa (ipsum porcos suos per perversitatem suam).
11 Il verbo intensivo iactito (< iacto < iacio) è attestato per la prima volta in LIV. 7, 2, 11:

[…] iuventus […] ridicula intexta versibus iactitare coepit, probabilmente conio liviano (così
OAKLEY 1998, p. 67). Quindi si trova nella prosa della tarda latinità a partire da Tertulliano; in
poesia solo in ALC. AVIT., carm. 6, 439: […] nomine virgineo quae se […] iactitat; CORIPP., Iust.
3, 317: Quod tua ventosis inflata superbia verbis / iactitat.
12 La preposizione de è sicuramente quella che ha avuto maggior diffusione nel latino volgare,

rispetto ad ab ed ex. In età tardoantica soprattutto essa è quella più produttiva in composizione per
giustapposizione (con i successivi esiti romanzi) e si avvia a mediare molteplici funzioni logiche,
talora sconosciute alla lingua classica, su cui vd. LÖFSTEDT 1911, pp. 103-107; SÄVBORG 1941,
pp. 47-107; LHS II pp.262-264; VÄÄNÄNEN 20034, p. 171. Nella fattispecie va rilevato il valore
locativo del costrutto de + abl. (de adversa parte), rara nel latino classico, in cui il senso fonda-
mentale dell’espressione è ancora per lo più di provenienza, benché vi siano segni già della ten-
denza successiva. Cfr. p. es. VERG., Aen. 9, 630: Audiit et caeli genitor de parte serena / intonuit
laevom; CIC., Arat. 257: […] ab Andromeda hic dextra de parte tenetur (altri esempi in SÄVBORG
1941, pp. 8-9). Il valore locativo del costrutto de + abl. diventa sempre più frequente negli autori
tardoantichi. Cfr. p. es. PEREGR. Aeth. 12, 8: Item de dextra parte ecclesiae; 43, 7: Et apertis val-
vis maioribus, quae sunt de quintana parte; CHIRON 343: Cum autem fuerit de interioribus parti-
bus putridum; EXPOS. mundi 112, 1: Habes ergo de laeva parte Siriae et Aegypti et Alexandriae
totius Thebaidis partes; GREG. TUR., glor. confess. 35: […] dextra de parte sepulchrum parvulum
contemplabis super terram situm. Vd. infine SÄVBORG 1941, pp. 20-30, in partic. pp. 20-23.
13 L’aggettivo culpabilis, e (< culpo) si trova per la prima volta in APUL., Plat. 2, 15; quindi

ricorre piuttosto diffusamente in tutta la letteratura latina tardoantica.


14 Per il complemento di fine espresso con in + abl., vd. supra 2, 42 n. 7.
15 Il sostantivo contemplatio, a partire da APUL., met. 3, 16 (sed istud quidam tui contempla-

tione abieci statim); 8, 30 (sed ceteri non meae salutis, sed simulacri iacentis contemplatione
in vita me retinendum censuere) subisce una trasformazione semantica e si diffonde nel latino
tardo soprattutto nella forma ablativale contemplatione + gen. col valore di causa / gratia +
gen. Cfr. p. es. AMBR., Abr. 1, 3, 19 (transfundendae hereditatis contemplatione); SULP. SEV.,
chron. 2, 25, 3 (contemplatione cladis a Tryphone illatae); OROS., hist. 6, 21, 20 (contemplatio-
ne pacis); PS. HIER., epist. 7, 1 (contemplatione mediocritatis meae); et alii (vd. ThLL IV, coll.
648-649). L’espressione ricorre con frequenza in opere giuridiche: vd. ULP., dig. 3, 5, 3, 20; 3,
5, 5, 5; 5, 3, 13, 12; PAPIN., dig. 36, 3, 95, 3; LEX Visig. 4, 1, 1; 5, 7, 16; 9, 3, 4; ecc. Non man-
cano tuttavia esempi nella tarda latinità in cui il sostantivo contemplatio occorre risemantizzato
in altri costrutti o casi (cfr. TERT., apol. 39: […] sed qua penes deum maior contemplatio est
mediocrium; SYMM., epist. 9, 140: Convenit enim tuis moribus et amicitiae nostrae contempla-
tionem gerere) o secondo il significato proprio di “osservazione”, “sguardo attento” (cfr. APUL.,
met. 6, 26: Nec me tamen mediocris carpebat scrupulus contemplatione comminatae mihi mor-
tis; AUG., civ. 7, 31: […] in aeternam requiem et contemplationis eius ineffabilem dulcedinem
veniremus; VICTORIN., epist. ad Ruric. 2 p. 397, ll. 5-6: […] ad primum vestrae agnitionis con-
templationisque congressum; altri es. in ThLL IV, col. 647). Su questi argomenti, vd. CALLEBAT
1968, pp. 150-151; HIJMANS 1985, p. 268.
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372 Commento

16 Il sostantivo deverbale obiectio (< obicio) ricorre a partire da TERT., uxor. 2, 5 l. 24: […]

obiectione nominis (scil. Christiani) mercedem silentii faciant. Al significato di “accusa”, “rim-
provero” (vd. anche p. es. HIER., adv. Ruf. 3, 42; LEO M., serm. 59, 2; EPIST. pontif. 650; CAS-
SIOD., var. 4, 27, 2) si affianca quello di “atto di opporre”, come in ARNOB., nat. 6, 3: […] ut
merito illos conveniat tectorum munitionibus claudere, saxorum aut obiectione tutori; HIER.,
epist. 100, 14: Sicut enim gubernatores magnarum navium […] spumantes fluctus sucipiunt,
eosque prorae obiectione sustentant; quindi di “obiezione”, come p. es. in SERV., Aen. 11, 399:
Quotiens argumentum non possumus solvere, aut contraria obiectione aut risu aut maledico, ut
hoc loco, adversario respondemus. Si vedano inoltre anche titoli di opere quali Responsiones
ad capitula obiectionum Vincentianarum di Prospero di Aquitania o Contra Arianos obiectio et
responsio di Fulgenzio di Ruspe. Addirittura per metonimia obiectio può identificare anche la
stessa azione giudiziaria, come in AUG., coll. c. Don. 1, 9, 1: Nono loco, quoniam cognitor su-
perius dixerat de tempore praescribere ut causa non ageretur non episcopalis, sed forensis po-
tius esse obiectionis, invenit occasionem pars Donati qua diceret nihil ergo se cum agi publico
iure debere, sed tantum divinis scripturis.
17 Calumnia esprime la falsa accusa già a partire dal diritto romano classico, come si vede in

LEX repetund. 19; LEX Rubr. 1,9. A tal proposito cfr. le definizioni date da NON. p. 402, 6: Calum-
nia est malitiosa et mendax infamatio; HIL., in psalm. 118 phe 10: Calumnia autem ea est vel cum
bono operi facinoris mali nomen adscribitur vel cum specie blandiente internae malitiae virus oc-
culitur. Vd. anche AUG., in psalm. 118 serm. 27, 7; quaest. hept. 3, 68; BEDA, orth. 215-217.
18 Il linguaggio, soprattutto nella chiusa della lettera, si rivela marcatamente giuridico, con

toni non mimetici, bensì realistici: Fedamio si trova a essere accusato ingiustamente, e Ruricio
si prodiga perché la verità venga fatta emergere, scagionando l’imputato. «Ma tra gli incarichi
civili affidati al vescovo sicuramente emergono per importanza ed estensione le mansioni lega-
te all’amministrazione della giustizia e le funzioni più propriamente giurisdizionali […] A pre-
scindere dal complesso delle norme che riguardano la episcopalis audientia, esistono provvedi-
menti che attribuiscono alla figura del vescovo compiti in ambito giurisdizionale o, per lo me-
no, gli attribuiscono, in materie diverse da quella di fede, funzioni di giudice o di membro del
collegio giudicante» (PULIATTI 2004, p. 159). Circa il coinvolgimento del vescovo in cause civi-
li, vd. supra 2, 12 nn. 3 e 14; PULIATTI 2004, in partic. pp. 158-163.

2, 52
1Per il titolo sanctitas, vd. supra 1, 1 n. 35.
2Per la formula Deo propitio, vd. supra 1, 14 n. 11.
3 Consueta topica epistolare. Cfr. RURIC., epist. 1, 16, 1: Olim te, frater carissime, […] ocu-

lis mentis aspexi: vd. n. ad loc.; per l’espressione oculis cordis, vd. supra 1, 1 n. 6.
4 Cfr. RURIC., epist. 2, 14, 1: Quamlibet litteras fraternitatis vestrae per subdiaconem Con-

temtum non perciperem, tamen has ego ac per ipsum ad vos affectu instigante direxi. Sulla pre-
sunta origine cassianea dell’espressione, vd. n. ad loc.
5 Sulla brevità del mondo e della vita, vd. supra 2, 15 n. 78.
6 Similmente cfr. RURIC., epist. 2, 9, 2; 10, 2; 51, 1 (vd. nn. ad loc.); cfr. anche VICTORIN.,

epist. ad Ruric. 2 p. 397, ll. 4-5: Cum beatitudinem vestram videre et brevissimo tempore et una
tantum vice meruerim. Molto denso il dettato retorico, variato rispetto all’ipotesto (2, 10, 2): si
notino la struttura ellittica omnipotenti Deo gratias che apre solennemente il periodo; l’ampiez-
za maestosa della frase causale quod ita generaliter servis suis tribuere ineffabili dispensatione
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II, 51-52 373

dignatus est; la sonorità con homoeoprophoron preposizionale obtutibus obviarit e contempla-


tione conspicerent… consistit; quest’ultimo, in sonorità col poliptoto caritatis – caritas (variato
rispetto all’ipotesto: gratia… caritas), sottolinea enfaticamente l’unitas di coloro che vivono
l’amicizia cristiana.
7 Circa l’uso del lemma raro devinctio, vd. supra 2, 7 n. 18.
8 Per la locuzione in visceribus meis, vd. supra 2, 41 n. 2.
9 Per la formula iugi recordatione e la sua dipendenza dall’epistola a Ruricio di Vittorino di

Fréjus, vd. supra 2, 9 nn. 10-11.


10 Circa la figura del fideiussor e il suo usus metaforico, vd. supra 2, 9 n. 20; 48 n. 15.
11 Similmente vd. RURIC., epist. 2, 9, 3; VICTORIN., epist. ad Ruric. 2 p. 398, ll. 13-15.
12 Per la formula di saluto salutem plurimam dico, vd. supra 2, 14 n. 6.
13 Per il titolo onorifico beatitudo, vd. supra 1, 15 n. 25.
14 Cfr. RURIC., epist. 2, 11, 7: Super quo facto gaudeo et Deo gratias ago, quod secundum

divitias bonitatis suae atque virtutis... (vd. n. ad loc.).


15 Il sostantivo turbedo, così come l’equivalente fonetico turbido, è piuttosto raro. È talora

usato con valore metaforico a indicare gli sconquassamenti del secolo, come in AMBR., epist.
extra coll. 14, 38: Habet igitur murum suum adversus mundi huius turbidines et ideo saepto di-
vinae munita protectionis nullis saeculi flabris inquietatur; PETR. CHRYS., serm. 117, 5: Fuerit
necessitas quod de terra concreti caelestia aspirare nequivimus, […] quod inlecebris dominan-
tibus adquisiti coacti sumus inlecebrarum turbidinem sustinere, quod saeculi huius habitaculo
recepti captivi fuimus malis saeculi; CAES. AREL., serm. 196, 4: Et quia nobis necesse est, dum
adhuc in isto corpusculo sumus, procellas et turbidines saeculi istius sustinere, quotiens aut per
tempestates durissimas avertere, aut per voluptates mollissimas decipere voluerit inimicus,
semper nos Deo adiuvante contra se inveniat praeparatos; FACUND., defens. 5, 5: […] potius in
auctoritate magnae synodi, quam inter haereticorum fluctus ac turbidines, sicut ancoram habe-
mus animae tutam et firmam; AVELL. 238, 8: […] tu me post continuas turbedines iam paene
desperatione cessantem ad novam tranquillitatem directis ultro piis litteris excitasti. Similmen-
te il lemma compare anche in un’orazione del SACR. Leon. 1113: Exaudi nos, Domine Deus no-
ster, et aeclesiam tuam inter mundi turbidines fluctuantem clementi gubernatione moderare.
Tuttavia esso ricorre anche in senso proprio, come in Sap 5, 24: […] tamquam turbedo venti di-
videt illos; CASSIOD., compl. in 2Pt. 2, 10: […] memorans eos fontes esse siccos, et nebulas ca-
liginosas, et turbidines exagitatas. Interessante l’uso che ne fa Venanzio Fortunato nel descri-
vere le virtù di Radegonda, la quale vini vero puritatem aut medi decoctionem cervisaeque tur-
bedinem non contigit (vita Radeg. 15).
16 Consueta topica epistolare, che tuttavia lascia presagire anche una possibile allusione alla

situazione politica della Gallia meridionale a cavallo tra V e VI secolo, resa sempre più instabile
dalle scorribande franche nel regno visigoto. Similmente vd. anche epist. 2, 41, 2 (tumultibus tem-
poris huius vel necessitatibus). Per la iunctura regionum intervalla in ambito epistolare, cfr. PAUL.
NOL., epist. 18, 1: Nam etsi regionum intervallis corporaliter disparemur, spiritu tamen Domini,
in quo vivimus et manemus, ubique effuso coniuncti sumus; 21, 5: […] desideria vestra nobis ad-
ferat et vicissim nostra soletur et tantis inter nos regionum intervallis prope sollemniter com-
means propter verba labiorum vestrorum custodiat vias duras; FAUST. REI., epist. 6 p. 195, 20-22:
Magnum pietatis et fidei testimonium est, quod per tantarum vasta intervalla regionum et per tot
rerum interiecta discrimina ad nos usque latitudinem vestrae caritatis extenditis; ENNOD., epist.
3, 14 pp. 81, 22 ss.: Quicquid enim caritate iunctum est, quicquid sanguinis catena sociatur, hoc
distractum vix respirat per intervalla regionum. Vd. anche supra 2, 10 n. 6 (locorum intervalla).
17 Ps 121, 3: Hierusalem quae aedificatur ut civitas cuius participatio eius in id ipsum.
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374 Commento

18 Cfr. RURIC., epist. 1, 17, 4: […] orate Dominum, cui omnia possibilia confitemur, ut, etsi

per diversum iter, ad unam nos tamen urbem faciat convenire, in quam nos misericordia potest
inferre, vos merita.

2, 53
1La presente epistola a Presidio è identica quanto a contenuto, forma e destinatario a epist.
2, 12 a cui si rimanda per le note di commento. Varia soltanto nell’intestazione, meno articolata
(epist. 2, 12 tit.: DOMINO SUBLIMI SEMPERQUE MAGNIFICO FRATRI PRAESIDIO RU-
RICIUS EPISCOPUS) e nel §. 2, in cui uno dei due protagonisti viene chiamato Lupus (epist.
2, 12, 2: Lupicinus). Krusch la espunge dalla raccolta.
2 Cfr. epist. 2, 12, 2: Ideoque pro Urso et Lupicino […] precator accedo.

2, 54
1Un uso simile del verbo detraho in RURIC., epist. 2, 15, 1.
2Il sostantivo deverbale piscatio (< piscor) si trova per la prima volta in ULP., dig. 7, 1, 9, 5;
8, 4, 13 pr. Quindi è utilizzato con disinvoltura dagli autori cristiani per esprimere sia l’atto del
pescare che immagini spirituali e allegoriche. Cfr. p. es. HIER., epist. 125, 8: Apostoli de pisca-
tione lacus Genesar, ad piscationem hominum transierunt; ARATOR, act. 1, 72: […] piscatio
Christi / discipulum dignata rapit.
3 Il vir magnificus Rustico abita lungo il fiume Vézère, nei pressi di Userca (Uzèrche, dip.

Corrèze). A lui è inviata anche epist. 2, 20.


4 In questo breve biglietto Ruricio gioca sulla medesima radice verbale, sfruttando abilmen-

te, secondo un usus stilistico ampiamente testimoniato nell’epistolario, la prefissazione in com-


posizione: inpendere… expensis… depensa… dependitis, gli ultimi due con poliptoto verbale.
5 Il pronome ipse indica Dio. Per questo usus del pronome dimostrativo vd. supra 1, 18 n. 13.
6 Sull’uso di beatitudo, vd. 1, 15 n. 25.

2, 55
1Per il titolo sanctitas, vd. supra 1, 1 n. 35.
2MATHISEN 1999, p. 226 n. 2 nota come il nome proprio Elogius sia sconosciuto. Egli pro-
pone un emendamento in Eulogius, facendo riferimento a un vescovo di Bourges della metà del
V secolo dal medesimo nome, oltre che al padre di Simplicio, anch’egli pastore della medesima
diocesi attorno al 470. Per l’uso dell’aggettivo venerabilis, vd. supra 2, 11 n. 1.
3 Consueto scambio di omaggi tra corrispondenti. Sugli officia epistolari, vd. supra 2, 4 n. 3;

sul conio sospitatio, vd. supra 1, 15 n. 24. Si notino l’insistenza sulla prefissazione de- (debi-
tum – dependo – deposco) e la sonorità del comma debitum dependo sospitationis officium.
4 Sul titolo apostolatus, vd. supra 1, 15 n. 19.
5 Sull’uso dell’avverbio peculiarius + verbum petendi, vd. supra 2, 9 n. 38.
6 Come si è già notato supra 1, 2 n. 33, il verbo mereor + inf. ha spesso la sfumatura modale

di “potere”.
7 Cfr. Mt 24, 12: Et quoniam abundabit iniquitas, refrigescet caritas multorum.
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II, 52-56 375

8 Sull’uso dell’aggettivo redivivus, vd. supra 1, 5 n. 11 (cuncti orbis species rediviva re-

paratur).
9 Il colon è retoricamente ricco, soprattutto dal punto di vista fonico: allitterazione della fri-

cativa /v/ e della sibilante /s/, quasi a rendere con icastica evidenza il progressivo crescere della
fiamma dietro i soffi incalzanti del vento (vivis vocibus quasi novis flatibus veteris amoris), l’o-
meoptoto vocibus – flatibus; l’insistenza sul prefisso re- (redivivum reparetur), per cui vd.
MOUSSY 1997, pp. 227-242. Inoltre il presente colon si contrappone antifrasticamente a livello
lessicale al precedente: se nel primo domina l’ambito semantico della morte (refrixit – in sopi-
tis cineribus), in questo è la vita rinnovata a essere sottolineata con enfasi (vivis vocibus – novis
flatibus – redivivum reparetur). All’interno poi di quest’ultimo, da notare l’antifrasi novis flati-
bus – veteris amoris. È possibile infine notare un sottile fil rouge fonico che unisce i due cola:
gli omeoptoti con omeoteleuto secundum sententiam dominicam… per absentiam… per prae-
sentiam. Quanto al materiale lessicale, sembra possibile ipotizzare come ipotesto CASSIAN., c.
Nest. 5, 1, 2: Huius ergo mortiferae ac perniciosae pravitatis haec quae nunc orta est recens
haeresis quasi redivivos quodammodo suscitans cineres in veteribus favillis novum movit in-
cendium: […] Nunc quod paulo ante ordiri coepimus exequamur, ut omnes sciant te in Pelagia-
nis cineribus ignes quaerere et novis sacrilegiorum flatibus favillas veteres excitare. Tuttavia,
vd. anche RURIC., epist. 1, 1, 1: […] ut caritatis igniculum, quem in tepidis animae dormientis
favillis scintillis ferventibus suscitastis, prolatis de condensa scripturarum pabulis vivax flam-
ma roboraret; 2, 26, 2: […] caritatis igniculum scintillis suis inter oblivionis favillas utcumque
relucentem nonnumquam et suspiriosis flatibus excitemus; 62, 1: Ne moreris adventum, ut pec-
toris nostri, quem parvi temporis solatio suscitasti, extinguatis incendium.
10 Cfr. Lc 12, 49: Ignem veni mittere in terram et quid volo si accendatur; Hbr 6, 8: Proferens

autem spinas ac tribulos reproba est et maledicto proxima cuius consummatio in conbustionem.
11 Neglegentia ricorre in iunctura con desidia anche in AMBR., in psalm. 118 serm. 2, 22, 1;

serm. 18, 13, 1; VEG., mil. 1, 20; HIER., in Ezech. 10, 33 l. 1094; RUFIN., Orig. princ. 1, 5, 5;
CASSIAN., conl. 1, 18, 3; 4, 15, 1; FAUST. REI., grat. 1, 14 p. 47, 23; CAES. AREL., serm. 114, 3;
237, 3; BEDA, in 1Pt. 1, 17 l. 228. Tuttavia i due sostantivi si trovano già affiancati, talora spe-
cificati da attributi o complementi indiretti, in COLUM. 12, 3, 1; TAC., dial. 28, 2; PLIN., epist. 6,
2, 5. Nell’epistolario ruriciano, vd. epist. 2, 11, 2: (socordiae desidiaeque committimur).
12 Cfr. Lc 1, 79: […] visitavit nos Oriens ex alto, inluminare his qui in tenebris et in umbra

mortis sedent; 2Cor 4, 6: Quoniam Deus qui dixit de tenebris lucem splendescere, qui inluxit in
cordibus nostris ad inluminationem scientiae claritatis Dei in facie Christi Iesu; Eph 1, 17- 18:
(Deus) det vobis spiritum sapientiae et revelationis in agnitione eius, inluminatos oculos cordis
vestri. Cfr. anche RURIC., epist. 1, 1, 1: [...] quae eloquio sancti oris accensa, more sibi solito,
in pectore peccatoris vim naturae potentis exsereret calefaciendo frigida, inluminando tenebro-
sa et spinas criminum consumendo.

2, 56
1
Per l’uso di proprius con valore possessivo, vd. supra 1, 2 n. 32.
2
L’ampio periodo iniziale, che funge da preambolo a questo breve biglietto di raccomanda-
zione, sfaccetta a livello lessicale, con fine declinazione sinonimica, l’idea di amicizia epistola-
re: gratiae communis officium – per mutuae dilectionis affectum – propriae debere… caritati –
ex voluntate necessitudinis. I concetti si articolano secondo un processo antifrastico, con ricorso
soprattutto al politptoto (facere – faciamus; debeamus – debere; necessitudo - necessitudinis) e
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376 Commento

alla figura etimologica (necessitas – necessitudo – necessitudinis). Si noti l’incipit parafonico e


paronomastico supplicantum supplet.
3 Questa frase funge come da trait-d’union tra la prima parte del biglietto, maggiormente in-

timistica, e la seconda, più segnata dalla contingenza di esprimere la necessitas. Il lessico sem-
bra riprendere l’incipit, costituendo così una sorta di struttura circolare: Adsiduitas supplican-
tum supplet in nobis gratiae communis officium, ut hoc, quod facere debeamus per mutuae di-
lectionis affectum […] Tamen, quia spontaneam scribendi neglegimus gratiam, saltim praeter-
mittere non debemus ingestam.
4 Per l’epitetazione frater et conpresbyter, vd. supra 2, 8 n. 14.
5 Massenzio, secondo l’ipotesi di MATHISEN 1999, p. 227, potrebbe essere identificato col vir

laudabilis sanctitatis Maxentius di cui ci parla GREG. TUR., Franc. 2, 37, residente a Poitiers (e
il frater che lo raccomandò potrebbe essere l’allora vescovo di Poitiers). Gregorio fa riferimen-
to anche a una cellula sancti Maxentii, luogo che perpetua la memoria del santo. Tuttavia resta
la perplessità di sapere perché mai un uomo di riconosciuta e consolidata santità avesse avuto
problemi legali nella diocesi di Clermont, sulla cui cattedra Apruncolo successe a Sidonio.
6 Sui topoi delle epistole commendatizie, si rimanda alle precedenti (epist. 1, 11; 2, 7; 12).
7 Vd. supra n. 5.
8 Sul conio ruriciano sospitatio, vd. supra 1, 15 n. 24.
9 Per il titolo apostolatus, vd. supra 1, 15 n. 19.
10 Non si sa quali problemi legali dovesse affrontare Massenzio a Clermont. Quanto al ruolo

dei vescovi tardoantichi nell’ambito di cause giuridiche, vd. supra 2, 12 nn. 4 e 13; 31 n. 8.
11 Per il titolo beatitudo, vd. supra 1, 15 n. 25.

2, 57
1Entrambi sono figli naturali di Ruricio.
2Cfr. RURIC., epist. 2, 12, 2 (= 2, 53, 2): Ideoque pro Urso et Lupicino […] precator accedo;
2, 20, 3: Quapropter pro Baxone, qui ad ecclesiam Userca confugit, intercessor accedo; 2, 58,
1: […] apostolatui vestro precator accederem.
3 Per il titolo sanctitas, vd. supra 1, 1 n. 35.
4 Quanto all’attenuante dell’ignorantia, cfr. CONC. Venet. a. 461-491 p. 155, ll. 83-89: Ante

omnia a clericis vitetur ebrietas, quae omnium vitiorum fomes ac nutrix est; nec quis potest li-
berum corporis sui ac mentis habere iudicium, cum captus vino a sensu probetur alienus et
proclivis ad vitium mente labefacta ducatur, ac plerumque possit peccatum aut crimen, dum ne-
scit, incurrere. Sed ignorantia talis non potest non subiacere poenae, quam ex voluntaria amen-
tia manasse constiterit. Da questo indizio canonistico, oltre che dal fondamentale GREG. TUR.,
glor. mart. 86 (vd. infra 2, 58 n. 17), è possibile inferire notizie più precise circa il capo di ac-
cusa di Eparchio (vd. infra n. 10).
5 Per il complemento di fine espresso con in + abl., vd. supra 2, 42 n. 7.
6 Per il titolo onorifico pietas, vd. supra 1, 7 n. 2.
7 Eusebiolus è prete della diocesi di Limoges, altrimenti sconosciuto.
8 Per la formula saluto plurimum, vd. supra 2, 32 n. 28.
9 Nella medesima accezione, la iunctura avverbiale stulte atque infideliter si trova in AUG.,

c. Petil. 3, 46, 56: […] corrigant quod stulte infideliterque dixerunt, non esse resurrectionem
mortuorum.
10 Cfr. AMBR., in psalm. 35, 7, 2: Sed ille occisus Deo loquebatur in voce sanguinis sui, hic
03commento 161 14-09-2009 16:06 Pagina 377

II, 56-58 377

vivus a facie Domini repellebatur et, cum adhuc a Domino poena cessaret, torquebat eum suo-
rum conscientia peccatorum; HIER., in Ezech. 5, 16 ll. 716-719: Portat autem tormentum suum,
qui propria torquetur conscientia, et in isto saeculo sustinet propria voluntate cruciatum, ne ae-
terna tormenta sustineat; AUG., in psalm. 36 serm. 2, 10: Quisquis autem malus est, malus se-
cum est; torqueatur necesse est sibi seipso tormento. Ipse est enim poena sua, quem torquet
conscientia sua; CASSIOD., in psalm. 57, 11 ll. 184-186: Omne enim malum suam portat, dum
committitur, ultionem, quia torquente conscientia ipse in se probatur implere vindictam; et alii.
Similmente vd. supra 1, 8 n. 2 (conscientia conpungente). Nel riferimento alla ultio publica,
contrapposta alla conscientia torquens, è forse possibile intravvedere un’allusione alla paeni-
tentia publica, il cui tramonto, a causa di una molteplicità di fattori, sembra ormai definitiva-
mente segnato attorno alla fine del V secolo (vd. supra 1, 8 n. 3). E già Cassiano, memore della
sua esperienza orientale, ricordava: Indicium vero satisfactionis et indulgentiae est affectus eo-
rum quoque de nostris cordibus expulisse. Noverit enim unusquisque necdum se peccatis pristi-
nis absolutum, quamdiu ei satisfactioni et gemitibus incubanti vel illorum quae egit vel simi-
lium criminum ante oculos imago praeluserit eorumque non dicam oblectatio, sed vel recorda-
tio infestaverit mentis arcana. Itaque tunc se is qui pro satisfactione pervigilat criminibus ab-
solutum ac de praeteritis admissis veniam percepisse cognoscat, cum nequaquam cor suum eo-
rundem vitiorum inlecebris senserit vel imaginatione perstringi. Quamobrem verissimus qui-
dam examinator paenitentiae et index indulgentiae in conscientia residet nostra, qui absolutio-
nem reatus nostri ante cognitionis et iudicii diem adhuc nobis in hac carne commorantibus de-
tegit et finem satisfactionis ac remissionis gratiam pandit (conl. 20, 5, 1-3). Tuttavia, se il figlio
di Ruricio va identificato con il presbitero Eparchio, uomo dedito alle ubriachezze, non è da
escludere che la ultio publica di cui sopra possa identificarsi nell’umiliante corporale suppli-
cium comminato ai preti avvinazzati, secondo quanto stabilito da CONC. Venet. a. 441-491 p.
155, ll. 89-92; Agath. a. 506 p. 210, ll. 330-333. Sull’identità di Eparchio, vd. infra 2, 58 n. 17.
Il lessico è segnatamente quello giuridico-penale. Visto il tono della supplica e il peso dell’au-
torità che Apruncolo esercita sul figlio di Ruricio, è verisimile ritenere che anche Eparchio, co-
me Ommazio (vd. epist. 1, 18; 2, 28), fosse divenuto prete nel clero di Clermont. Dal punto di
vista stilistico si può notare l’ampio chiasmo lessicale con anafora e figura etimologica in de-
fensione peccati… donec agnoscat reatum… agnitio peccati; la paronomasia con figura etimo-
logica conferri – confitenti – confessio; la variazione sinonimica error – peccatum – culpa –
reatum – malum – delictum; la litote confessio non simulata delicti (a tal proposito, vd. HOFF-
MANN 1987, pp. 192-219.

2, 58
1Per il titolo sanctitas, vd. supra 1, 1 n. 35.
2Per il titolo germanitas, vd. supra 1, 13 n. 2.
3 Sull’epiteto conpresbyter, vd. supra 2, 8 n. 12.
4 Circa il motivo della sanzione nei confronti di Eparchio, vd. supra 2, 57 n. 10; infra n. 17.

Quanto al complemento di fine espresso con in + abl., vd. supra 2, 42 n. 7.


5 Per il titolo apostolatus, vd. supra 1, 15 n. 19.
6 Circa la locuzione precator accedo, vd. supra 2, 12 n. 13; 57 n. 2.
7 Il sentimento paterno e il ravvedimento del figlio hanno spinto Ruricio a scrivere questa

lettera, in cui, fin dalle prime righe, sembra emergere un certo imbarazzo. Efficace l’isocolo
con chiasmo grammaticale finale confessione culpae et deprecatione veniae et consanguinitatis
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378 Commento

affectu. Si noti anche la fine climax ascendente: dall’elemento più esterno (la confessione della
colpa), alla dimensione personalistica (la richiesta di perdono) al legame padre – figlio (con-
sanguinitas).
8 Per la formula Deo propitio, vd. supra 1, 14 n. 11.
9 Per il titolo humilitas, vd. supra 2, 8 n. 17.
10 Sull’usus del sostantivo apices, vd. supra 1, 4 n. 1.
11 Ancora con una climax ascendente Ruricio esprime il proprio consenso alla districtio com-

minata dal vescovo Apruncolo. Quanto all’entità di quest’ultima, successivamente si evince co-
me si debba essere trattato della excommunicatio. Essa, secondo quanto i canoni dei concili ci
informano, veniva inflitta per i peccati più gravi. Cfr. CONC. Arel. II p. 120, ll. 113-118: Si quis
clericorum religionis negotia vel spirituales causas ecclesiae ad saecularia patrocinia, relicta
synodo, transferre praesumpserit, excommunicatione omnium ac detestatione dignus habeatur;
Tur. a. 461 p. 145, ll. 66-68: Si quis vero clericus, relicto officii sui ordine, laicam voluerit agere
vitam, vel se militiae tradiderit, excommunicationis poena feriatur. Quanto al termine excommu-
nicatio, esso rimane tuttavia ancora equivoco, indicando diverse sanzioni e vari gradi di priva-
zione della communio, da quella comunitaria (CONC. Agath. a. 506 p. 206, l. 268: […] de eccle-
siae coetu iustissima excommunicatione pellantur) a quella sacramentale (CONC. Agath. a. 506 p.
203, ll. 213-214: […] indemnem ecclesiam reddant et communione priventur). In questo senso si
colloca la cosiddetta communio peregrina, ovvero il trattamento riservato agli stranieri, che pre-
vedeva la partecipazione alle sole opere di carità della Chiesa, restando esclusi invece dai Sacra-
menti, applicata anche come restrizione per il clero trovato infedele. Cfr. CONC. Agath. a. 506 p.
193, ll. 27-32: Contumaces vero clerici, prout dignitatis ordo permiserit, ab episcopis corrigan-
tur; et si qui prioris gradus, ut elati superbia, communionem fortasse contempserint aut eccle-
siam frequentare vel officium suum implere neglexerint, peregrina eis communio tribuatur; ita ut
cum eos paenitentia correxerit, rescripti in matricula gradum suum dignitatemque recipiant; p.
194, ll. 46-47: Si quis clericus furtum ecclesiae fecerit, peregrina ei communio tribuatur. La ex-
communicatio era altresì il primo atto di chi si apprestava ad entrare nell’ordo paenitentium. Do-
po la confessio segreta al vescovo e l’episcopale iudicium, il peccatore veniva allontanato dal
consorzio della comunità cristiana e dalla pratica dei Sacramenti (cfr. p. es. CAES. AREL., serm.
67, 2: Et hoc adtendite, fratres, quod qui paenitentiam petit, excommunicari se supplicat. Deni-
que, ubi acceperit paenitentiam, coopertus cilicio foris eicitur; ma in questo va inteso quanto già
afferma Paolo in 1Cor 5, 5, per cui vd. n. succ.: a tal proposito vd. RIGHETTI IV, pp. 202. 222-
223). Il significato dell’attuale “scomunica” sembrerebbe invece essere espresso dal grecismo
anathema (1Cor 16, 22: Si quis non amat Dominum Iesum Christum, anathema sit maranatha;
Gal 1, 8: Sed licet nos aut angelus de caelo evangelizet vobis praeterquam quod evangelizavi-
mus vobis, anathema sit). Se inizialmente i due sostantivi poterono anche essere sinonimi, con
una prevalenza nella Chiesa antica del lemma anathema (vd. KOFFMANE 1879, p. 28), successi-
vamente la excommunicatio sembra separare a vario titolo e temporaneamente dalla communica-
tio ecclesiastica, mentre l’anathema, presupponendo la prima, irrogherebbe invece l’esclusione
dal Regno dei cieli a coloro che erano così incalliti nel peccato da escludere ogni resipiscenza
(vd. p. es. EPIST. pontif. 290 Migne 20 p. 631D e quindi l’epistola di Gelasio de anathematis vin-
culo PL 59, in partic. coll. 103. 106). In questa direzione sembra andare pertanto il canone del
Concilio di Cartagine (a. 390): Ut excommunicatus presbyter, si sacrificare praesumpserit,
anathematizetur (p. 15, l. 107). Mantenendo dunque la suddetta distinzione, Eparchio sembre-
rebbe essere stato excommunicatus, non tanto anathematizatus. Su questi aspetti vd. FUNCK
1886, pp. 425-426; GAUDEMET 1949, pp. 64-77; MOHRMANN I, p. 43; ID. 1965, pp. 78-79. 113-
114; DOSKOCIL, s. v. Exkommunikation, in RLAC VII, coll. 1-22.
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II, 58 379

12 L’aggettivo indesperatus sembrerebbe essere hapax e conio ruriciano. È composto da in +

desperatus (< despero), dunque “non del tutto spacciato, perduto spiritualmente”. Tuttavia, la
presente è ricostruzione del testo tradito di S corrotto (indisperato). Mommsen, e quindi De-
meulenaere (p. 515) ipotizzano una possibile soluzione in desperato (casu). Certamente affa-
scinante l’idea – del resto già biblica – che la punizione venga inflitta a fini terapeutici, quindi
a chi non è ancora del tutto spacciato, ma, benché grave, ha ancora un barlume di speranza di
ravvedimento. Così infatti già Paolo, in 1Cor 5, 5, ammonisce di tradere huiusmodi Satanae in
interitum carnis, ut spiritus salvus sit in die Domini Iesu colui che si è macchiato di incesto
(vd. anche 1Tim 1, 20). Il fatto che la sanzione sia medicinale è un pensiero che attraversa tutta
la storia della Chiesa e giunge fino all’attuale Codex Iuris Canonici. Su questi aspetti vd. VAL-
TON, s. v. Exkommunikation, in DThC V, coll. 1734-1744; ROUILLARD 20052, pp. 22-25.
13 Cfr. Eph 6, 17: Et galeam salutis adsumite et gladium Spiritus, quod est verbum Dei.
14 Tipico linguaggio spirituale improntato all’immagine del medicus spiritalis (vd. supra 1,

1 n. 39). Il tenore di quest’ultima frase sembra spiegarsi con la successiva: la vicenda di Epar-
chio risulta di esempio per tanti altri che vivono la medesima situazione di smarrimento spiri-
tuale, per cui multi etenim in ecclesia, qui curari nequeunt verbo, sanantur exemplo. I due cola
sono legati strettamente dalla sonorità, in particolare dall’allitterazione delle dentali e della si-
bilante. Da notare la consueta variatio dei prefissi in composizione: intulistis – contulistis.
15 Il riferimento è ancora una volta alla parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-32). Similmen-

te, soprattutto quanto al materiale lessicale, vd. epist. 1, 1, 2; 2, 23, 2. La perfetta isocolia della
sequenza condoleamus lapso, subveniamus adtrito, amplectamur reversum, laetemur inventum
condensa nel primo elemento l’atteggiamento da usarsi nei confronti di Eparchio, secondo un
sentimento di cristiana compartecipazione (cfr. Rm 12, 15: Gaudere cum gaudentibus, flere cum
flentibus); quindi descrive in breve la storia del peccatore, dall’allontanamento al ritorno.
16 Per il titolo apostolatus, vd. supra n. 5.
17 Si chiarisce il fatto che Eparchio ha ricevuto la excommunicatio, che lo ha allontanato mo-

mentaneamente dal seno della Madre (la Chiesa). E questo, come già si è sottolineato, per favo-
rire il ravvedimento del peccatore (vd. supra nn. 11-14). Sulle motivazioni che hanno indotto
Apruncolo a scomunicare il figlio di Ruricio, può esserci di aiuto quanto Gregorio di Tours nar-
ra in glor. mart. 86. Egli racconta che in vico Ricomagensi (Riom, a nord di Clermont) un prete
di nome Eparchio, di origine senatoria, amava spesso eccedere nell’uso di bevande alcoliche,
arrivando anche a celebrare ubriaco l’ufficiatura della notte di Natale: Hic enim dum dominici
natalis vigilias celebrare ecclesiam expetisset, per singula horarum momenta egrediebatur de
templo Dei ac in domo sua pocula lasciva, spumantibus pateris, hauriebat, ita ut adfirmarent
multi eum post galli cantum in ipsa nocte vidisse bibentem. Infatti il Concilio di Agde, ripren-
dendo il terzo canone del Veneticum (aa. 461-491), aveva ribadito: Ante omnia clericis vetetur
ebrietas, quae omnium vitiorum fomes ac nutrix est. Itaque eum quem ebrium fuisse constiterit,
ut ordo patitur, aut triginta dierum spatio a communione statuimus submovendum, aut corporali
subdendum supplicio (p. 210, ll. 329-333). L’intervento ufficiale di Ruricio, secondo quanto in-
ferito da MATHISEN 1999, p. 229 si può collocare nell’alveo del canone 3 del Concilio di Agde:
Episcopi vero, si sacerdotali moderatione postposita, innocentes aut minimis causis culpabiles
excommunicare praesumpserint et ad gratiam festinantes recipere fortasse noluerint, a vicinis
episcopis cuiuslibet provinciae litteris moneantur; et si parere noluerint, communio illis usque
ad tempus synodi a reliquis episcopis non negetur: ne fortasse in excommunicatoris peccatum
excommunicati longo tempore morte praeveniantur (pp. 193-194, ll. 33-40). In merito invece al-
l’attenuante dell’ignorantia di cui si dice in epist. 2, 57, 1 (apud sanctitatem vestram pro igno-
rantia ipsius filii nostri Eparchii intercessor existerem), vd. n. ad loc.
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380 Commento

2, 59
1 Cfr. RURIC., epist. 2, 55, 1: […] et spinas neglegentiae nostrae atque desidiae vi naturae

potentis exurat (similmente vd. epist. 2, 11, 2: socordiae desidiaeque). La neglegentia non è
abbinata con frequenza alla pigritia: vd. HIER., in Matth. 25, 24 l. 861; AUG., fid. et op. 27, 49.
Interessante AUG., civ. 22, 22, in cui si legge un breve catalogo di vizi, di cui tre ricorrono in
iuncturae ruriciane: Desidia segnitia, pigritia neglegentia vitia sunt utique quibus labor fugitur,
cum labor ipse, etiam qui est utilis, poena sit.
2 Si noti la sonorità excusatis – arguitis e beneficiis – officiis (omeoptoto), oltre alla marcata

presenza del suono chiaro /i/.


3 Il sentimento di profonda amicizia che lega Ruricio a Severo è rappresentato dall’iperbato

sincero amore, quo nos diligitis, facere atque perfecto, che fornisce icastica rappresentazione
dell’ampiezza di esso. Si noti anche la variazione sul tema amore… diligitis… caritati.
4 Piuttosto stucchevole, ai limiti della cacofonia, la sonorità satis superque sufficeret.
5 Per il titolo onorifico pietas, vd. supra 1, 7 n. 2.

2, 60
1Per il titolo onorifico pietas, vd. supra 1, 7 n. 2.
2L’uso del verbo rescire (< re- + scio) nel presente contesto conferma l’usus già notato da
GELL. 2, 19, 4-5: Aliter enim dictum esse “rescivi” aut “rescire” apud eos, qui diligenter locuti
sunt, nondum invenimus, quam super is rebus, quae aut consulto consilio latuerint aut contra
spem opinionemve usu venerint, quamquam ipsum “scire” de omnibus communiter rebus dica-
tur vel adversis vel prosperis vel insperatis vel expectatis. Quanto al prefisso re- e alla sua pro-
duttività in composizione, vd. MOUSSY 1997, pp. 227-242.
3 Non ci è dato di ipotizzare in che cosa i servitori di Ruricio si siano mostrati negligenti. Il

riferimento successivo a una subvectio, lascia forse inferire che essi avrebbero dovuto portare
un bene di qualsivoglia genere a Storachio, non conducendo tuttavia a buon fine l’incarico a
motivo di un non ulteriormente specificato intralcio.
4 Cfr. Gn 3, 1: Sed et serpens erat callidior cunctis animantibus terrae quae fecerat Domi-

nus Deus… La calliditas è una delle caratteristiche del Demonio che viene maggiormente evi-
denziata. Oltre che con inimicus (CASSIAN., conl. 2, 13, 3; 16, 28, 1; inst. 4, 9, 1; PETR. CHRYS.,
serm. 128, 1; QUODV., symb. 3, 1 l. 41; FULG. RUSP., rem. pecc. 1, 9 l. 251; ecc.), callidus si tro-
va in iunctura con altri sostantivi affini per significato: hostis (HIER., epist. 22, 29; CASSIAN.,
conl. 2, 10, 2; 18, 3, 2; c. Nest. 7, 13, 2; PETR. CHRYS., serm. 17, 1; 24, 1; PAUL. PETRIC., Mart.
3, 204; CAES. AREL., serm. 131, 1; 207, 1; ecc.); seductor (CASSIAN., inst. 23, 6, 4; GREG. M.,
past. 4, l. 18); adversarius (HIER., in psalm. II p. 356 l. 52; epist. 118, 3; QUODV., c. Iud. pag.
Ar. 4, 3; GREG. M., moral. 3, 8; 6, 31; past. 3, 9; ecc.); insidiator (AMBR., in psalm. 118 serm.
11, 21, 5; GREG. M., epist. 2, 24 l. 4; 9, 157 l. 31; BEDA, in Luc. 4, 156. 1352).
5 Da notare la marcata prefissazione col preverbio sub-: subvectionem… subtraxerat… sub-

ministravit.
6 Gli artifici retorici che connettono strettamente i due cola, già uniti per contenuto, rendono

molto evidente la dilectio tra i due amici. Si notino gli omeoptoti e gli homoeoprophora; l’allit-
terazione delle nasali e della dentale sorda; l’insistenza sul preverbio cum- (conpatientiam con-
probaret) e l’uguaglianza fonica parziale paronomastica patientia – conpatientia.
7 Cfr. RURIC., epist. 2, 5, 1: […] accipientis lucrum sine dispendio largientis, ditans inopem
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II, 59-62 381

nec adtenuans possessorem; 50, 1: […] quia haec res et nos relevare potest et vobis nullum po-
test adferre dispendium, quod ego pro beneficio maximo conputabo.

2, 61
1Per il titolo onorifico dignatio, vd. supra 1, 11 n. 18. Questa lettera rivela ancora una volta
l’amicizia di Ruricio con alcune personalità del mondo gotico, come già in epist. 1, 11 (a Fre-
da). Sulla possibilità di identificare Vittamerus coll’ostrogoto Vidimero, vd. index nominum.
2 La consueta captatio benevolentiae nei confronti dell’amico introduce, con un linguaggio

particolarmente formale e cortigiano, l’entità del munus che Ruricio sembra in qualche modo
“raccomandare all’amicizia” di Vittamerus.
3 I due cola antitetici esprimono il concetto topico dell’inferirorità del mittente di fronte alla

grandezza (morale, spirituale, culturale, politica) del destinatario. Quanto alla forma, cfr. p. es.
AMBR., epist. extra coll. 6, 2: Sed tamen si beneficia vestra verbis explicare non possumus, vo-
tis concilii compensare desideramus; PAUL. NOL., epist. 17, 1: Et invitando te et expectando de-
fessi sumus, neque nobis aut vota iam aut verba supersunt, quae totiens precibus ac litteris fru-
stra effusis adiciamus. Sul topos dell’ “inesprimibile”, vd. supra 1, 11 n. 16.
4 Gli editori rilevano una lacuna nel codice. Lütjohann ritiene che bisogni integrare col ver-

bo significo, mentre Mommsen propone il seguente emendamento: …habemus. In verba itaque


salutatione depensa. Per conferire un senso compiuto alla frase, solo in traduzione ricorreremo
a un verbum dicendi, accogliendo in parte la proposta di Lütjohann.
5 Per il titolo sublimitas, vd. supra 1, 11 n. 22.
6 Con MATHISEN 1999, p. 232 n. 3, credo sia verisimile ritenere che l’epiteto filia sia utilizza-

to in senso figurato, secondo una consuetudine clericale. Pertanto si può convenire che Ruricio
si stia riferendo probabilmente alla moglie di Vittamerus. Così anche ENGELBRECHT 1892, p. 43.
7 Ancora un’affermazione di affectata modestia, che tuttavia sembra essere anche uno scher-

mirsi anticipato rispetto alla possibile reazione dell’amico. Il sapor non particolarmente invi-
tante sarà supplito tuttavia dall’affectus di Ruricio, che in qualche modo accompagna il dono di
frutta, a ribadire quanto già topicamente postulato nelle prime righe: non è la magnitudo a ren-
dere un dono gradevole, bensì l’affectio.

2, 62
1 Namazio, marito di Ceraunia, come è emerso dall’analisi di epist. 2, 15, è morto prima del-

la moglie. Pertanto questa epistola è chiaramente antecedente la lettera suddetta. Altra lettera
scritta solo a Namazio è epist. 2, 5.
2 Per la formula saluto plurimum, vd. supra 2, 32 n. 28.
3 Ruricio fa riferimento a stralci di Ps 142, 6-7: Expandi manus meas ad te, anima mea sicut

terra sine aqua tibi / velociter exaudi me Domine, defecit spiritus meus; non avertas faciem
tuam a me et similis ero descendentibus in lacum.
4 Similmente vd. supra 2, 55 n. 9. Da notare la sonorità solatio suscitastis e il consueto pas-

saggio dal tu al vos (vd. supra 1, 1 n. 11).


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382 Commento

2, 63
1 Dignantissimus, superlativo attivo del participio presente del verbo deponente dignor, ha una

ricorrenza piuttosto rara, applicato come epiteto formale (HIL., ad Cost. 2, 3: dignantissime impe-
rator) o in riferimento alla benevolenza divina (vd. EUCHER., instr. 1 p. 84, 2; SALV., gub. 1, 3).
Quanto alla presenza di simili forme participiali attive con valore passivante quali p. es. amantis-
simus, desiderantissimus, ecc., vd. BASTIAENSEN 1964, pp. 25-26; NADJO 2004, pp. 285-297.
2 Per il titolo sublimitas, vd. supra 1, 11 n. 22.
3 Cfr. RURIC., epist. 2, 49, 1: […] ut redeunte praefato nos reddatis de vestris actibus propi-

tia divinitate securos, quos videtis esse de prosperitate sollicitos (vd. n. ad loc.).
4 Per la formula Deo propitio, vd. supra 1, 14 n. 11.
5 Vd. RURIC., epist. 2, 5, 1 (pro necessitudinis iure) e n. ad loc. Tuttavia cfr. SIDON., epist. 7,

6, 1: Sunt nobis munere Dei novo nostrorum temporum exemplo amicitiarum vetera iura, diu-
que est quod invicem diligimus ex aequo. Da notare la sonorità sollicitos… sedulitate securos.
6 Nobilitas è titolo onorifico per lo più usato per i laici, benché non manchino alcuni esempi

di uso nei confronti di vescovi. Vd. AUG., epist. 133, 1 (al tribuno Marcellino); 134, 2 (al laico
Apringio); RURIC., epist. 2, 65, 1 (al vescovo Volusiano di Tours). Altri riferimenti in O’BRIEN
1930, pp. 48-49.
7 Sugli officia salutationis epistolari, vd. supra 2, 4 n. 3.
8 Questa località ci è nota per la prima volta da questa epistola. ENGELBRECHT 1892, p. 43 ri-

tiene si possa trattare di Cognac, villaggio nei pressi di Limoges, da non confondere con il più
celebre Conniacum, nei pressi di Saintes, nel sud-ovest della regione francese. A tal fine lo stu-
dioso tedesco giunge a ipotizzare una dittografia, originata da un supposto de Caniaco. Ritengo
in queto caso maggiormente credibile quanto proposto da AUSSEL 1988, pp. 221-228, secondo
cui Decaniacum sarebbe la prima menzione nella storia del borgo di Dégagnac (dip. Lot), a cir-
ca 8 Km da Gourdon (Gurdo), dove sappiamo Ruricio aveva possedimenti. Dunque, così rite-
nendo, è probabile credere che Ruricio si fosse recato in viaggio nella sua proprietà di Decania-
cum, nei pressi di Gurdo (vd. MATHISEN 1999, p. 233).
9 Ancora informazioni circa il reciproco stato di salute, per cui vd. CUGUSI 1983, pp. 76-77.
10 Circa l’uso di mereor + inf., vd. supra 1, 2 n. 33.
11 Secondo il diffuso topos più volte evidenziato, la lettera conferisce solo un temporaneo

solatium al desiderium, che successivamente acquista maggiore intensità. Esso potrà trovare
appagamento solo nella reciproca visio.

2, 64
1Per il titolo apostolatus, vd. supra 1, 15 n. 19.
2Cfr. RURIC., epist. 2, 50, 1: Iterum, in quo iusseritis vel usus exegerit, vicem reciprocis ob-
sequiis repensare contendam.
3 Sugli officia salutationis epistolari, vd. supra 2, 4 n. 3; sul conio sospitatio, vd. supra 1,

15 n. 24.
4 Consueta immagine del dialogo epistolare. In questo locus particolarmente evidente, ai li-

miti dell’ossimoro, è l’affiancamento tra linguaggio dell’oralità (conlocutio) e dell’espressione


scritta (pagina). Su questo aspetto vd. supra 2, 5 n. 4; 16 n. 16; 38 n. 5.
5 Cfr. SULP. SEV., epist. 1, 1: […] Domini opperiar voluntatem speroque quod meis votis et

orationibus tuis de nostra nos fructum faciat capere praesentia; FAUST. REI., epist. 9 p. 211, 16:
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II, 63-65 383

[…] immo eos, qui de nostra fructum capiunt consolatione, ditamus. Vd. anche RURIC., epist. 1,
16, 2; 2, 41, 2.
6 Si notino le figure di suono e di stile particolarmente abbondanti, allo scopo di rendere

maggiormente evidente il legame di affetto tra i due vescovi: l’homoeoprophoron inspirationis


instinctu; l’insitenza sul prefisso cum- (conexuit – coniungat); la sonorità del comma vultuum
mutua visione; la consueta dinamica affatus – obtutus, espressa a più riprese e in vari modi nel-
l’epistolario.
7 Ruricio chiede colonne a Claro probabilmente per l’edificazione della chiesa di S. Agosti-

no a Limoges. Su questo aspetto valga quanto già detto supra 2, 15 n. 7.


8 Essendo Claro vescovo di Elusa (Eauze, dip. Gers), è verisimile che il marmo per le colon-

ne a lui richiesto provenga dalle zone limitrofe. Eauze, stanziata nella zona dei Midi-Pyrénées,
era diocesi metropolitana della Novempopulana, provincia in cui Ruricio aveva conoscenze, se
si ritiene che Namazio, marito di Ceraunia, sia da identificare con l’amico di Sidonio, ammira-
glio della flotta di Eurico di stanza lungo le coste atlantiche (SIDON., epist. 8, 6). I marmi della
Novempopulana erano molto rinomati per edifici, sarcofagi e manifatture di pregio, come lo ri-
velano le scoperte archeologiche fatte in località quali p. es. Saint-Béat. Tuttavia non è da
escludere neppure che le colonne fossero materiale di riuso da precedenti edifici, considerato
quanto lo stesso Ruricio asserisce circa le colonne più piccole: de minoribus, si inveniri pos-
sunt, mihi vel decem necessarias esse significo. Su questo argomento vd. SAPÈNE 1946, pp.
283-325; JAMES 1993, pp. 23-28; sulla città e diocesi di Elusa, vd. GAILLARD, s. v. Éauze, in
DHGE XIV, coll. 1266-1268.
9 La primavera era il tempo più propizio per affrontare i viaggi. Sulla formula propitia divi-

nitate, vd. supra 2, 2 n. 11; per il sostantivo astratto divinitas, vd. supra 1, 3 n. 19.

2, 65
1 L’isocolo parallelo con chiasmo in sonorità (partim, […] neglegentia nostra, partim neces-

sitate temporis, partim corporis infirmitate faciente) sta a metà tra il topico e il realistico. Se la
neglegentia ricorre con una certa frequenza tra i difetti di Ruricio (epist. 1, 2, 1; 6, 3; 2, 6, 3;
55, 1; 59, 1), le motivazioni di salute sappiamo essere più volte sinceramente addotte come
causa di disagio per lo svolgimento dei propri doveri, soprattutto in occasioni dolorose (epist.
2, 4, 1) o ufficiali (epist. 2, 33, 1; 35, 1). Così anche l’allusione preoccupata ai mala tempora,
già talvolta palesata altrove (epist. 2, 14, 2; 52, 3), sembra essere qui piuttosto evidente: il rife-
rimento è probabilmente alle sempre più insistenti pressioni franche ai confini dell’ormai tra-
ballante regno visigoto, causa di instabilità e di insicurezza (similmente vd. infra §. 2).
2 Si noti l’assonanza della vocale chiara /a/ e l’allitterazione delle liquide /m/, /n/ e della

dentale sorda /t/ nella sequenza caritatem antiquam et insitam nobis, che sottolineano la conna-
turalità coi soggetti di questo rapporto di amicizia. L’ampio iperbato del complemento diretto
col verbo da cui dipende (caritatem antiquam et insitam nobis… longa delevit oblivio: non
sfugga l’iperbato nell’ambito della principale, con conseguente ritardo del soggetto – parola
chiave), con l’inclusione delle motivazioni originanti l’oblivio stessa, rende particolarmente
icastica l’idea della separazione. Le due incidentali (Ita, quod peius est, caritatem antiquam et
insitam nobis partim, quoniam confitendum est, neglegentia nostra,…) spezzano il ritmo della
frase, lasciando trasparire qualcosa del proprio turbamento emozionale.
3 Cfr. RURIC., epist. 2, 55, 1: ut caritas, […] quod peius est, refrixit. La lontananza tra i due

sembra essere divenuta dimenticanza, invece che provocazione al mutuo colloquio epistolare,
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384 Commento

secondo la consuetudine. Il tono risentito di questo incipit in medias res (Mathisen) si mantiene
lungo tutta la lettera.
4 Sul titolo onorifico nobilitas, vd. supra 2, 63 n. 6.
5 Sull’uso della congiunzione aut con valore copulativo (e dunque simile a vel), vd. supra 2,

8 n. 3.
6 Vd. n. prec.
7 Indubbiamente l’arrogante moglie di Volusiano deve avere maltrattato non poco il portitor

litterarum (sul cui valore vd. supra 1, 7 n. 14) di Ruricio per avere scatenato una simile reazio-
ne. I toni sono infatti insolitamente duri e risentiti, a tratti sarcastici (non matrona vestra, sed
domina procax nimium et effrenata). La descrizione della moglie di Volusiano evoca l’immagi-
ne topica della uxor dotata, che pretende di comandare il marito in virtù delle sue ricchezze:
vd. p. es. EUR. fr. 502 N.; MEN. frgg. 582; 276, 7 ss. K.-Th.; PLAUT., Aul. 475 ss; MART. 8, 12;
12, 75; IUV. 6, 460; AUSON. techn. 6, 1-2; PS. CATO, dist. 3, 12; ecc. Quanto alla forma espressi-
va, interessante il confronto con EPIGR. Bob. 22, 3-4: At si tu validam gaza ditisque superbam, /
non illa uxor erit, sed violens domina. Si notino quindi la ritmica allitterazione della dentale
sorda /t/ nel comma tu tanto tempore; l’assonanza della vocale chiara /e/, pressoché dominante
nel colon nec velle ferre nec esse contentos, sembra riprodurre lo sfogo urlato e un po’ disarti-
colato di chi, arrabbiandosi, perde l’autocontrollo. A tal fine vi contribuiscono anche la presen-
za di mono- e disillabi, con amplificazione sillabica in chiusa (contentos), i quali suggeriscono
l’idea di quel balbettio concitato e iracondo che impedisce quasi l’articolazione piena dei suoni.
Il periodo si chiude col cursus planus ésse conténtos.
8 La conclusione è ancora piena di sarcasmo. Predominano ancora le liquide e le dentali con

l’alternanza però di vocali chiare e scure. L’accenno ai nemici (probabilmente i Franchi piutto-
sto che i Visigoti) è in questo caso solo funzionale al pensiero di Ruricio, volto a identificare
iperbolicamente la moglie di Vittamerus come hostis domesticus in antitesi con l’hostis extra-
neus. A questo contribuisce anche il poliptoto hostium – hostem. Da segnalare il cursus tardus
sustinére domésticum, con cui si chiude l’epistola. Va notato come Volusiano fosse accusato dal
governo visigoto di ordire trame con i Franchi. Tuttavia la lettera di Ruricio ci presenta Volu-
siano come un uomo dalla temperie piuttosto timida e pavida (rispetto all’impetuosità della mo-
glie), che difficilmente consente di ipotizzare l’audacia di cospirare attivamente contro i Visi-
goti (vd. anche MATHISEN 1999, p. 236 n. 7). Più probabilmente egli era legato da amicizie o
circostanze agli ambienti franchi: dalla testimonianza di SIDON., epist. 4, 18, 2, sappiamo che
Volusiano aveva proprietà a Baiocasses (praedia Baiocassina: Bayeux), in territorio franco;
inoltre, le sedi suffraganee di Tours erano per lo più al nord, sempre in zona di influenza franca.
Dunque proprio per questo è forse possibile ritenere che sia risultato inviso ad Alarico II, che lo
mandò pertanto in esilio, dove morì (a tal proposito, vd. index nominum, s. v. Volusianus). A
buon diritto, quest’ultima lettera dell’epistolario di Ruricio può essere definita «an epitaph for
his time» (Mathisen). Sulle questioni relative al celibato ecclesiastico e alle episcopae, – una
costante nell’insegnamento magisteriale in Occidente fin dal Concilio di Elvira (300 circa) –,
con ampia bibliografia, vd. la fondamentale monografia di GRYSON 1970, oltre a BRENNAN
1985, pp. 311-323; SARDELLA 1998, pp. 197-238; CONSOLINO 2003, pp. 75-93. In particolare, in
questa sede, vale la pena ricordare quanto sancito dal Concilio di Agde (506), al canone 16: Sa-
ne si coniugati iuvenes consenserint ordinari, etiam uxorum voluntas ita requirenda est, ut se-
questrato mansionis cubiculo, religione praemissa, posteaquam pariter conversi fuerint, ordi-
nentur (p. 201 ll. 178-182), oltre a rimandare, per un’informazione più dettagliata sulle deter-
minazioni canonistiche, a GRYSON 1970, in partic. pp. 190-193; CONSOLINO 2003, in partic. p.
79 n. 23. «Imposta con fatica, come mostrano i reiterati richiami dell’autorità ecclesiastica alla
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II, 65 385

necessità di praticarla, la rinuncia sessuale richiesta ai clerici d’occidente non vietava però – al-
meno in una prima fase – l’ordinazione di laici che avessero contratto un solo matrimonio: a
costoro veniva consentito di accedere al diaconato, al sacerdozio e perfino all’episcopato vi-
vente ancora la moglie, purchè si astenessero dai rapporti coniugali, e stabilissero con la sposa
un rapporto di fratellanza in Cristo» (CONSOLINO 2003, p. 76).
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408 Lettere

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05index 409 14-09-2009 16:08 Pagina 409

Index nominum

L’indice comprende tutti i destinatari delle lettere di Ruricio. Altri nomi citati
nelle medesime non sono compresi, ma trovano discussione nelle note relative ai
vari loci. Dei personaggi si riferiscono in sintesi i dati salienti della biografia
(quando è possibile), oltre ai riferimenti alle epistole ruriciane, ed eventualmente
alle classiche prosopografie di Martin Heinzelmann, Gallische Prosopographie
(GP) e di Joseph R. Martindale, The Prosopography of the Later Roman Empire,
voll. I-III (PLRE).

Aeonius (1, 15; 2, 8; 16; GP p. 545): Eonio succedette a Leonzio come vescovo di Arles, do-
po la morte di quest’ultimo avvenuta attorno al 485-490 (DUCHESNE I, p. 257). Oltre che da Ru-
ricio, sappiamo che ricevette lettere dai papi Gelasio e Simmaco. A lui succedette Cesario
(502), di cui era parente. Non si è in grado di apprendere altre notizie relative alla sua vita.
Agricola (2, 32; PLRE II, p. 37 Agricola 2; GP p. 547 Agricola 2): vir inlustris, fratello di
Papianilla, moglie di Sidonio Apollinare, e dunque figlio dell’imperatore Eparchio Avito e fra-
tello di Ecdicio (propriamente sui legami di parentela con Ruricio, vd. supra 2, 32 n. 29). A lui
sono indirizzate due lettere di Sidonio (epist. 1, 2; 2, 12). L’epistola di Ruricio fa riferimento
alla sua recente assunzione dello stato di vita religioso.
Albinus (2, 46; GP p. 549 Albinus 2): prete della diocesi di Limoges, vissuto verisimilmente
tra la fine del V e l’inizio del VI secolo.
Ambrosius (2, 44; GP p. 552): vescovo la cui sede può essere solo ipotizzata. Nell’area del
sud della Gallia, tra V e VI secolo, ci sono noti con questo nome un vescovo di Troyes che par-
tecipò al concilio di Orléans (549) e un vescovo di Albi, che al medesimo sinodo si fece rappre-
sentare dall’arcidiacono Viventius; quindi conosciamo un vescovo di Saintes all’inizio del V se-
colo (DUCHESNE II, p. 72), il pastore della diocesi di Sens a metà del V secolo (DUCHESNE II, p.
415) e il vescovo Ambrogio, corrispondente di Sidonio (epist. 9, 6).
Apollinaris (2, 26; 27; 41; PLRE II, p. 114 Apollinaris 3; GP p. 556 Apollinaris 4): figlio di
Sidonio Apollinare e Papianilla, nonché fratello di Severiana, Roscia e Alcima. Sposò Placidi-
na, da cui ebbe un figlio Arcadio (GREG. TUR., Franc. 3, 2. 12). Il padre Sidonio ebbe a espri-
mere il suo rammarico a motivo della disaffezione allo studio del figlio, il quale privilegiava le
battute di caccia (epist. 8, 6, 12; 9, 1, 5). Seguì nella sua fuga a Roma il comes e dux Vittorio, in
fuga da Clermont perché nimium […] in amore mulierum luxuriosus e quindi malvisto dagli
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410 Index nominum

Arverni, abusando del fatto che Eurico super septem civitates praeposuit anno quarto decimo
regni sui (GREG. TUR., Franc. 2, 20). Apollinare si accodò alla caduta di Vittorio (verisimilmen-
te lapidato nel 479), fu arrestato a Milano, e quindi se ne tornò a Clermont. Ottenne incarichi di
rilievo – probabilmente per lo più militari – sotto il regno di Alarico II (RURIC., epist. 2, 41, 1 lo
appella sublimitas; ALC. AVIT., epist. 24 vir inlustris). Partecipò con ogni eventualità alla batta-
glia di Vouillé (507) contro i Franchi di Clodoveo (vd. GREG. TUR., Franc. 2, 37). Nel 515, so-
prattutto grazie alle trame della moglie, divenne vescovo della sua città, morendo tuttavia quat-
tro mesi dopo la sua elezione (vd. GREG. TUR., Franc. 3, 2; glor. mart. 65).
Apollinaris Sidonius (1, 8; 9; PLRE II, pp. 115-118 Apollinaris 6; GP p. 556 Apollinaris 3):
Gaio Sollio (Modesto?) Apollinare Sidonio fu sicuramente uno degli intellettuali più in vista del-
la Gallia del V secolo. Nato a Lione attorno al 432, ebbe modo di formarsi culturalmente, secon-
do la ratio studiorum retorica tipica del tempo. Si sposò con Papianilla, figlia dell’imperatore
Eparchio Avito (455-456). Nel 468, durante un’ambasciata a Roma presso l’imperatore Antemio,
venne nominato praefectus Urbis, assolvendo a questo incarico fino al suo ritorno in Gallia
(469), quando venne scelto come vescovo di Clermont (470). Da pastore di anime, fece fronte
con coraggio e dedizione all’invasione dei Visigoti guidati da Eurico (473-475 circa), affrontan-
do quindi l’esilio e la prigionia (475-476 circa), e prodigandosi al suo ritorno per il bene del po-
polo. Morì probabilmente attorno al 486 circa. Di lui ci resta un’ampia raccolta di lettere (cento-
quarantanove epistole suddivise in nove libri), dal notevole interesse storico-culturale, in quanto
costituiscono una preziosa fonte di informazione sulle condizioni della Gallia romana sotto il po-
tere dei barbari; di lui possediamo anche ventiquattro componimenti poetici di argomento profa-
no e tre panegirici rispettivamente degli imperatori Eparchio Avito, Maggioriano e Antemio.
Aprunculus (2, 49; 55; 56; 57; 58; GP p. 557): già vescovo di Langres, fu mandato in esilio
dalla sua diocesi dal governo Burgundo e, giunto a Clermont, successe sulla cattedra arverna a
Sidonio Apollinare (Vd. GREG. TUR., Franc. 2, 23). Morì probabilmente attorno al 490 (DUCHE-
SNE II, p. 35).

Bassulus (1, 7; GP p. 570) di Bassulo non si hanno praticamente notizie. Una testimonianza
ci proviene dalla lettera di Ruricio, con la quale invita il vescovo Bassulo presso il suo podere
di Gurdo, probabilmente una località nei pressi di Cahors (l’odierna Gourdon, per cui vd. n. ad
loc.). È possibile supporre quindi che quest’ultimo non dovesse provenire da molto lontano.
Addirittura KRUSCH 1887, pp. lxiii e, in seguito, MATHISEN 1999, p. 113 suppongono che Bassu-
lo sia stato vescovo di Cahors, nella cui giurisdizione ecclesiastica era appunto Gurdo.
Caesarius (2, 33; 36; GP p. 573 Caesarius 2): nato attorno al 469/470 nei pressi di Chalon-
sur-Saône, Cesario, dopo essersi formato nell’asceterio di Lerino ai tempi dell’abate Porcario,
divenne vescovo di Arles (502-542). Per la propria sede episcopale ottenne da papa Simmaco la
primazia sulle chiese di Gallia e di Spagna. Per un breve periodo subì l’esilio a Bordeaux da cui
tornò tra il 505 e il 506. Convocò vari concili provinciali, tra cui quello di Agde (506) e quello
di Orange (529). Della sua indefessa attività pastorale possediamo tra l’altro un’ampia raccolta
di sermoni, oltre alla Regula monachorum e alla Regula virginum, scritte rispettivamente per
sostenere il monastero maschile da lui stesso fondato e quello femminile guidato dalla sorella
Cesaria.
Capillutus (2, 21; 31): amico di Ruricio, incoraggiato da quest’ultimo ad assumere lo stato
religioso. Consiglio accettato da Capelluto, che troviamo infatti come presbitero (vd. RURIC.,
epist. 2, 33, 1; 40, 1: Frater et conpresbyter noster Capillutus), verisimilmente nella diocesi di
Arles (vd. CAES. AREL., epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 29-34).
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Index nominum 411

Celsus (1, 12; 13; 14; PLRE II, p. 279 Celsus 2; GP p. 577 Celsus 3): di lui si hanno scarse
notizie. Dalla corrispondenza che Ruricio gli indirizza, è possibile arguire la profonda amicizia
tra i due, la comune origine aquitana e il possesso di una proprietà da parte di Celso, probabil-
mente nelle vicinanze di Gurdo. MATHISEN 1999, p. 123 suppone un rapporto di parentela con
Ruricio.
Censorius (2, 51; GP p. 577): probabilmente vescovo di Auxerre, dal 470 fino a circa il pri-
mo decennio del VI secolo (vd. DUCHESNE II, p. 445). A lui Costanzo di Lione spedisce una co-
pia della Vita Germani episcopi Autissiodorensis, ed è destinatario di un’epistola di Sidonio
Apollinare (epist. 6, 10).
Ceraunia (2, 1; 2; 3; 4; 15; 50; PLRE II, p. 280; GP p. 578): moglie di Namatius, una sua fi-
glia ebbe a sposare uno dei figli di Ruricio. Questi scrisse a Namazio e Ceraunia due epistole
consolatorie, rispettivamente per la perdita di un figlio (2, 3) e per la perdita della figlia (2, 4).
Ceraunia, dopo la morte del marito, abbracciò verisimilmente la vita religiosa.
Chronopius (2, 6; GP p. 583): le notizie su Cronopio, vescovo di Périgueux, ci provengono
soprattutto dall’epitaffio che ne scrisse Venanzio Fortunato (carm. 4, 8). Ci viene descritto co-
me buon vescovo, preoccupato delle necessità dei fedeli, intriso di carità pastorale. Già il papà
e il nonno erano stati vescovi: Ordo sacerdotum cui fluxit utroque parente / venit ad heredem
pontificalis apex (vv. 7-8). Prese parte al concilio di Agde (506) e a due concili tenutisi a
Orléans (511 e 533). Morì ottuagenario (v. 29: Ipse bis octono vixisti in corpore lustro). Ruricio
ci presenta tuttavia un’immagine di vescovo profondamente differente da quella propostaci da
Venanzio, mettendo in luce in modo particolare la sua bramosia di potere e il suo attaccamento
all’interesse particolare (vd. anche DUCHESNE II, p. 88).
Clarus (2, 64; GP p. 585): vescovo di Eauze, il suo nome risulta tra i partecipanti al concilio
di Agde (506).
Constantius (2, 24; 25; 43; PLRE II, p. 321 Constantius 14; GP p. 587 Constantius 3): uno dei
figli di Ruricio e Iberia. Il padre esprime a più riprese preoccupazione per la vita dissennata del
figlio, tutto dedito ai piaceri del mondo, piuttosto che alla vita religiosa e morigerata. Pertanto
anche l’epistola 43, tanto breve quanto densa di riferimenti moralistici, si inserisce ottimamente
in un simile contesto e può a buon diritto ritenersi indirizzata al medesimo figlio Costanzo.
Elaphius (2, 7; PLRE II, p. 387 Elaphius 3; GP p. 594): nobile della Gallia, visse a Segodu-
num Ruthenorum (Rodez). Con lui ebbe a corrispondere Sidonio Apollinare, in una lettera (epi-
st. 4, 15) in cui prometteva di andare a consacrare un battistero recentemente costruito nel ca-
stellum montano dell’amico. Epistola che Loyen data nel periodo 476/477, dopo l’occupazione
visigotica, quando presumibilmente Rodez aveva la sede vacante; Anderson suppone una data-
zione al 469. Quel che è certo è che essa è posteriore all’elezione episcopale di Sidonio al so-
glio di Clermont (470). Dalla lettera di Ruricio si comprende infine come Elafio (definito subli-
mis e magnificus) abbia avuto una brillante carriera sotto il governo dei Visigoti.
Eudomius (2, 39; PLRE II, p. 409; GP p. 599): ufficiale del governo visigotico, a lui e alla
moglie Melanthia è indirizzata da Ruricio una lettera consolatoria per la morte di un figlio.
CAES. AREL. epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 24-27 ci informa che egli ebbe in animo di organizzare
superveniente anno (rispetto all’anno del concilio di Agde, dunque nel 507) un sinodo a Tolosa,
a cui avrebbe voluto la partecipazione anche dei vescovi spagnoli; ma detto concilio non si ce-
lebrò mai.
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412 Index nominum

Eufrasius (2, 22; 29; GP p. 600 Eufrasius 2): vescovo di Clermont, (490-515: vd. GREG.
TUR., Franc. 2, 36), succeduto ad Apruncolo.
Faustus (1, 1; 2; GP p. 607 Faustus 2): nato all’inizio del V secolo, di origine britannica.
Attorno al 420 entrò come monaco nel cenobio di Lérins. Nel 433-434 fu il successore di Mas-
simo, chiamato a presiedere la diocesi di Riez, nell’abbaziato lerinese, e nel 440 circa venne a
sua volta consacrato vescovo della medesima diocesi, dove rimarrà fino alla morte (490 circa).
Fausto si oppose all’espansione nella Gallia meridionale del re visigoto Eurico, cosicché que-
st’ultimo lo esiliò dalla sua diocesi (477). Ruricio gli diede ospitalità e, proprio sulla spinta e
l’esempio dell’amico, decise di abbracciare la vita ascetica. Fausto rientrò a Riez soltanto dopo
la morte di Eurico (485). Delle molte opere che gli attribuisce Gennadio di Marsiglia (vir. ill.
86), noi abbiamo un corpus epistolare di dodici lettere e due trattati: De spiritu sancto, contro i
macedoniani e De gratia sulle dinamiche grazia-libertà umana scaturite dopo il peccato d’origi-
ne. La sua linea di pensiero, pur improntata alla matrice agostiniana, critica l’agostinismo radi-
cale e il predestinazionismo, nel tentativo di cercare una via mediana di riflessione su grazia e
libero arbitrio.
Foedamius (2, 14): sacerdote, di lui abbiamo notizie solo dall’epistolario ruriciano. L’epist.
2, 14, indirizzata anche al presbitero Villico (vd. infra s.v. Vilicus), fa riferimento a un generico
misfatto commesso da Fedamio. Con MATHISEN 1999, pp. 157-158, per ragioni interne, credo
sia possibile identificarlo con l’omonimo personaggio di epist. 2, 51 a Censorio (vd. supra s.v.
Censorius), in cui lo stesso Fedamio deve difendersi dall’accusa di aver disperso una mandria
di maiali.
Freda (1, 11; PLRE II, p. 483; GP p. 611): ci è noto esclusivamente dalle lettere di Ruricio.
Il codice S lo identifica come Fredar, corretto dagli editori. Il nome ne rivela l’origine gotica. È
possibile pensare che appartenesse all’aristocrazia visigota, considerando che Ruricio si rivolge
a lui col titolo di sublimis frater e semper magnificus nell’intestazione, e lo apostrofa coll’epi-
teto di sublimitas vestra, proprio di laici di alto rango.
Heraclianus (2, 30; GP p. 622): probabilmente da identificare col vescovo di Tolosa che
prese parte al concilio di Agde (506). Vd. anche DUCHESNE I, p. 307.
Hesperius (1, 3; 4; 5; PLRE II, p. 552 Hesperius 2; GP p. 623 Hesperius 3): poeta e retore di
fama nella Gallia del V secolo, rientra nel circolo di amicizie selezionate di Ruricio e di Sido-
nio Apollinare ( gemma amicorum litterarumque), con i quali è in contatto epistolare. Sidonio
lo chiama vir magnificus in una sua lettera (SIDON., epist. 4, 22, 1), e anche Ruricio lo identifica
con questo appellativo. Ciò lascia presupporre la sua condizione di nobiltà. Gestì una raffinata
scuola di retorica, frequentata da uno dei figli di Ruricio.
Hispanus (2, 45; PLRE II, p. 566; GP p. 626): talora identificato con un ufficiale del gover-
no visigotico, dal tenore del breve biglietto a lui indirizzato, con MATHISEN 1999, p. 216 n. 5 ri-
tengo più verisimile ritenere che Ispano sia un parrocchiano di Ruricio, suo amico.
Iohannes (2, 48; GP p. 630): non è facile formulare ipotesi sulla sua identità. Se è possibile
ritenere che sia un vescovo, questo non è tuttavia del tutto perspicuo. In particolare il nome di
Giovanni è legato alla diocesi di Chalon-sur-Saône da SIDON., epist. 4, 25, 4, il quale ne ricorda
l’onestà e la rettitudine di costumi. Giovanni, dopo essere stato a lungo lector, divenne archi-
diaconus, quindi sacerdote (secundi ordinis sacerdotem), e infine vescovo di Chalon-sur-Saône
(474-475 circa: vd. DUCHESNE II, p. 192). Tuttavia, con questo nome, tra il V e il VI secolo in
Gallia, è possibile ricordare anche un grammaticus amico di Sidonio (vd. epist. 8, 2; PLRE II,
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p. 601 Iohannes 30; GP p. 629 Iohannes 2); un amico del medesimo Sidonio, implicato in una
litis (epist. 2, 5); un vescovo di Sisteron (500 circa: vd. DUCHESNE I, p. 288); un vescovo di Nî-
mes (508-526 circa: vd. DUCHESNE I, p. 312); un vescovo di Fréjus (524 circa: vd. DUCHESNE I,
p. 286). Sicuramente il fatto che Ruricio gli chieda raccomandazioni implica che sia pubblica-
mente riconosciuto il ruolo socio-politico di Iohannes. Secondo quanto si legge in epist. 2, 48,
2, egli deve avere comunque abbracciato la vita ascetica.
Leontius (2, 42; PLRE II, p. 670 Leontius 16; GP p. 636 Leontius 4): probabilmente fratel-
lo di Ruricio. Sulla questione prosopografica particolarmente complessa, tuttavia vd. supra
1, 8 n. 8.
Lupus (1, 10; PLRE II, p. 694 Lupus 1; GP p. 641 Lupus 2): da identificarsi verisimilmente
con Lupo di Périgueux, retore e poeta, amico di Ruricio e di Sidonio (vd. SIDON., epist. 8, 11,
1). Nativo pertanto di Périgueux, a sud-ovest di Limoges, prese in sposa una donna di Agen.
Era famoso come fine letterato e retore. Credo vada scartata l’ipotesi secondo cui Lupo andreb-
be identificato coll’omonimo vescovo di Troyes (GP p. 641 Lupus 1). Questi, nato verisimil-
mente nell’ultimo ventennio del IV secolo a Toul, sposò Pimeniola, sorella del futuro presule di
Arles Ilario, ma, dopo alcuni anni di matrimonio, i due si separarono: Lupo entrò a Lérins,
mentre la moglie abbracciò la vita religiosa. Eletto vescovo di Troyes probabilmente nel 426-
427, dopo una lunga vita spesa a servizio della sua diocesi, morì nonagenario nel 478-479. A lui
sono indirizzate alcune lettere di Sidonio Apollinare (vd. epist. 4, 17; 6, 1; 8, 15). Tuttavia: per
il fatto che Ruricio insista molto sulla valentia retorica dell’amico, senza alcun riferimento
all’attività pastorale (Lupo di Troyes era vescovo almeno dalla fine del primo ventennio del V
secolo); per l’intitulatio dell’epistola, inconsueta per un vescovo, sembra più verisimile ritenere
che il destinatario di questa lettera sia l’aquitano Lupo di Périgueux. Così anche ENGELBRECHT
1892, p. 27; MATHISEN 1999, p. 120.
Melanthia (2, 39; PLRE II, p. 752; GP p. 652): moglie di Eudomius.
Namatius (2, 1; 2; 3; 4; 5; 62; PLRE II, pp. 771-772 Namatius 1-2; GP p. 655 Namatius 2-
3): sposo di Ceraunia. Namazio e Ceraunia era una coppia di coniugi di nobili origini, molto
amici di Ruricio. Ebbero almeno due figli: una femmina sposò uno dei figli di Ruricio, e un
maschio, entrambi morti improvvisamente in giovane età (vd. epist. 2; 3; 4). Benché non vi sia-
no prove cogenti, sarebbe possibile identificare Namazio coll’omonimo amico di Sidonio, ricco
proprietario terriero con possedimenti nella Novempopulana, precisamente nella civitas Olario-
nensium (Oléron), cultore di lettere e ammiraglio della flotta del re visigoto Eurico di stanzia
lungo le coste dell’Atlantico per respingere le frequenti incursioni dei pirati sassoni (vd.
SIDON., epist. 8, 6). Col nome di Namazio si ricorda anche un vescovo di Clermont negli anni
435-450 circa (GREG. TUR., Franc. 2, 16. 21; DUCHESNE II, p. 34; GP p. 654 Namatius 1).
Nepotianus (1, 6; GP p. 657 Nepotianus 3): del presbitero Nepoziano non si hanno notizie
biografiche. Con questo nome è possibile ricordare anche il comes et magister utriusque mili-
tiae (PLRE II, p. 778 Nepotianus 2; GP p. 656 Nepotianus 2) del re visigoto Teoderico II (453-
466), e precedentemente un vescovo di Clermont negli anni 385-390 circa (GREG. TUR., Franc.
1, 45-46; DUCHESNE II, p. 33; GP p. 657).
Ommatius (1, 18; 2, 28; PLRE II, p. 805 Ommatius 2; GP p. 659 Ommatius 2): uno dei figli
di Ruricio e di Iberia. Il nome perpetua la memoria del nonno materno, il senatore Ommazio
(PLRE p. 804 Ommatius 1; GP p. 650 Ommatius 1), ricco proprietario terriero di Clermont,
magnorum maior avorum / patriciaeque nepos gentis (SIDON., carm. 11, 52-53; vd. anche l’in-
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tero carm. 17). Educato al sacerdozio dal padre, divenne prete almeno attorno all’anno 490 a
Clermont, al tempo dell’episcopato di Apruncolo, morto proprio nel 490 circa (vd. RURIC., epi-
st. 2, 57; 58; GREG. TUR., Franc. 3, 2). Quindi fu vescovo di Tours circa negli anni 522/523-
526. Consacrato vescovo per volontà di re Clodomero (GREG. TUR., Franc. 3, 17), di lui ci for-
nisce elogiative informazioni Gregorio di Tours: Ommatius de senatoribus civibusque Arvernis,
valde dives in praediis. Qui, condito testamento, per ecclesias urbium, in quibus possedebat,
facultates suas distribuit. Ipse exaltavit ecclesiam infra muros urbis Turonicae sanctorum Ger-
vasi atque Protasi reliquiis consecratam, quae muro coniuncta est. Hic coepit edificare basili-
cam sanctae Mariae infra muros urbis, quam imperfectam reliquit. Sedit autem annos IIII,
menses V; obiitque et sepultus est in basilica sancti Martini (Franc. 10, 31). Sul periodo di reg-
genza della diocesi di Tours, Gregorio dà notizie contrastanti: nel locus sopraccitato parla di
quattro anni, mentre in Franc. 3, 17 ricorda che Ommatius tribus annis praefuit.
Papianilla (2, 37; PLRE II, p. 830 Papianilla 3; GP p. 662 Papianilla 3): secondo quanto
argomentato da Mathisen (vd. supra 2, 32 n. 29) figlia di Agricola e nipote dell’imperatore
Eparchio Avito, padre di Agricola e di Papianilla moglie di Sidonio Apollinare. Andò in sposa
al nipote di Ruricio Partenio (vd. RURIC., epist. 2, 32, 3; 37). Da quanto ci testimonia GREG.
TUR., Franc. 3, 36, venne uccisa dal marito, a motivo di sospettato adulterio coll’amico Ausa-
nius, anch’egli assassinato.
Parthenius (2, 37; PLRE II, pp. 832-834 Parthenius 2-3; GP p. 663 Parthenius 1-2): secon-
do Mathisen (vd. supra 2, 32 n. 29), nipote di Ennodio, nato dal matrimonio tra una sorella del
vescovo di Pavia e uno dei figli di Ruricio. Egli sarebbe pertanto nipote di quest’ultimo e gene-
ro di Agricola, di cui sposò la figlia Papianilla. Nato nell’ultimo ventennio del V secolo, Parte-
nio fu uomo di grande cultura ed eloquenza, come ci testimonia Aratore, che ebbe modo di co-
noscerlo ancora iuvenis a Ravenna, presso la corte ostrogota. Ricoprì incarichi di prestigio, pri-
ma al servizio degli Ostrogoti, quindi dei Franchi (cfr. ARAT., ad Parth. 3-4: A proavis atavi-
sque potens, tu stemmata vincis / moribus et meritis cedit origo tuis), almeno dopo la cessione
della Provenza a quest’ultimi nel 536. PLRE II, p. 834 ritiene che Partenio fu probabilmente
uno dei primi (se non il primo) a ricoprire sotto il governo franco l’incarico di rector Provin-
ciae, cui successivamente è legato anche il titolo di patricius (vd. VITA Caes. Arel. 1, 19). Nel
544 il subdiaconus Aratore, nell’indirizzargli un’epistola metrica, lo identifica come dominus
illustris, patricius e magister officiorum, e ne descrive l’officium nel territorio tra Rodano e Re-
no (ad Parth. 13) cui allude anche chiamandolo Germania (ad Parth. 15). Probabilmente il ri-
ferimento è al regno di Teodeberto. Partenio divenne molto impopolare, imponendo tasse e spa-
droneggiando nei territori a lui affidati. Dopo aver assassinato la moglie Papianilla col presunto
amante Ausanius, alla morte di Teodeberto (548), anche Partenio subì la triste sorte di essere
trucidato dal popolo inferocito contro di lui, estratto a forza dalla chiesa di Trier, nella quale si
era rifugiato: Denique, reserata arca, amotis lintiaminibus, inventum extrahunt […] Tunc cae-
dentes eum pugnis sputisque perurguentes, vinctis postergum manibus, ad colomnam lapidibus
obruerunt (GREG. TUR., Franc. 3, 36).
Petrus (2, 38; GP p. 668): probabilmente vescovo della città di Santo (Saintes), partecipò al
concilio di Orléans (511). Vd. anche DUCHESNE II, p. 73. MATHISEN 1999, p. 205 propone, a li-
vello di ipotesi, di identificarlo anche col Petrus de Palatio, presente al concilio di Agde (506).
Se il Palatium è la sede di Alarico II, allora – continua lo storico americano – Petrus potrebbe
essere un vescovo emissario del re visigoto ariano oppure un “niceno” in qualche modo legato
alla corte di Tolosa.
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Pomerius (1, 17; 2, 10; 11; PLRE II, p. 896; GP p. 671): Giuliano Pomerio nacque in Africa,
in Mauritania. Probabilmente a seguito delle invasioni vandaliche, si trasferì ad Arles, attorno
alla metà del V secolo. Qui divenne famoso per la sua dottrina e per la sua abilità retorica. In
qualità di grammaticus, fu insegnante del giovane Cesario (VITA Caes. Arel. 1, 9). Fu in rappor-
to epistolare con grandi personaggi della Gallia del suo tempo, quali lo stesso Cesario di Arles,
Ennodio, Ruricio. Quest’ultimo lo definisce singolarmente “abate”, mentre Gennadio di Marsi-
glia (vir. ill. 109) lo identifica come un prete della chiesa gallica. Probabilmente abbas è utiliz-
zato genericamente per esprimere rispetto. Isidoro di Siviglia gli attribuisce molte opere: Iulia-
nus quidam, cognomento Pomerius, hic octo libros de animae natura in dialogi more conscri-
psit. […] Edidit etiam unum libellum de virginibus instituendis, alios quoque tres de futurae vi-
tae contemplatione, vel actuali conversatione, necnon etiam de vitiis atque virtutibus (vir. ill.
25). Di lui ci è giunto soltanto il trattato De vita contemplativa, in tre libri. Alquanto improba-
bile mi sembra l’ipotesi di ENGELBRECHT 1892, pp. 29-30 secondo cui sarebbero esistiti tre di-
stinti personaggi col nome di Pomerio: «Existimo enim hoc tempore tres fuisse Pomerios: ab-
batem, ad quem scribit Ruricius, Julianum Pomerium, qui quattuor libros edidit de vita contem-
plativa vixitque in provincia Narbonensi secunda vel in Viennensi, Pomerium Afrum rhetorem
et grammaticum, qui Arelate vivebat sub finem saeculi quinti».
Praesidius (2, 12 = 2, 53; 13; PLRE II, p. 903 Praesidius 1; GP p. 672): qualificato come
sublimitas e vir magnificus, Presidio fu sicuramente un laico, che a giudicare dal tenore della
lettera 12 di Ruricio, dovette svolgere incarichi amministrativi di rilievo per conto del governo
visigotico (vd. anche ENGELBRECHT 1892, p. 34). Ruricio lo incoraggia ad assumere lo stato di
vita religioso.
Rusticus: (2, 20; 54; PLRE II, p. 964 Rusticus 6; GP p. 685 Rusticus 6): probabilmente un
funzionario del governo visigotico. D’accordo con MATHISEN 1999, p. 173, sembra peregrina
l’ipotesi che vorrebbe Rustico il futuro vescovo di Lione, morto nel 501 (PLRE II, p. 964 Rusti-
cus 5; GP p. 685 Rusticus 8). Forse è ragionevole identificarlo col vir inlustris residente non
molto lontano da Clermont, cui Sidonio Apollinare indirizza una lettera (epist. 2, 11). Probabil-
mente è lo stesso Rustico, abitante a Bordeaux, citato da SIDON., epist. 8, 11, 3 v. 36. Sicura-
mente aveva proprietà nella Corrèze, in modo particolare a Userca, dove amava talora ritirarsi
per pescare nella Vézère (vd. RURIC., epist. 2, 54, 1).
Sedatus (2, 18; 19; 34, 35; GP p. 691 Sedatus 2): vescovo di Nîmes, partecipò al concilio di
Agde (506). A lui sono attribuiti alcuni sermoni. Il corpus rurciano ha anche tramandato tre let-
tere di Sedato al vescovo di Limoges.
Severus (2, 59; GP p. 693 Severus 4): non si hanno notizie certe. Dal breve biglietto di ami-
cizia inviatogli da Ruricio emerge che il padre era legato da profondo affetto al vescovo di Li-
moges. MATHISEN 1991, p. 385 propone di identificarlo col presbitero Severo, nobili stirpe pro-
genitus, che fece edificare una chiesa in rure domus Sexciacensis (Saint-Justin), infra terminum
Beorretanae urbis (Saint-Lézer). A tal proposito vd. GREG. TUR., glor. conf. 48-49.
Stephanus (2, 52): amico di Ruricio. Secondo quanto argomentato da MATHISEN 1999,
p. 223, sembra da escludere l’identificazione coll’omonimo vescovo di Lione (501-517 circa:
vd. DUCHESNE II, p. 164).
Storachius (2, 60; PLRE II, p. 1033; GP p. 697): ci è noto un personaggio con questo nome
che fu praefectus Urbis (443) e poi d’Italia (454). Benché non siano probabilmente da identifi-
carsi, i due personaggi possono essere stati comunque legati da vincoli parentali, data la rarità
del nome.
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416 Index nominum

Taurentius (2, 17; 47; PLRE II, p. 1055; GP p. 700): amico di Ruricio, probabilmente della
medesima età circa, residente nei pressi di Limoges. A lui Ruricio chiede una copia del De civi-
tate Dei agostiniano (RURIC., epist. 2, 17, 4), che Taurenzio ritrova presso il communis filius
Rustico, presbitero (vd. TAURENT., epist. ad Ruric. 3 p. 399, l. 37).
Verus (2, 23; PLRE II, p. 1157 Verus 2; GP p. 712): spesso identificato semplicemente come
un aristocratico amico di Ruricio, attentamente MATHISEN 1999, p. 177 propone di vedere in
Vero il successore di Volusiano sulla cattedra di Tours, al quale era legato da vincoli parentali
(vd. GREG. TUR., Franc. 2, 26; 10, 31; DUCHESNE II, p. 305). Stando così le cose, la lettera di
Ruricio deve essere antecedente il 498 circa, anno dell’episcopato di Vero. Sia Vero che Ruricio
furono rappresentati al concilio di Agde (506) dal diacono Leone (nonostante la replica di
CAES. AREL., epist. ad Ruric. 7 p. 402, ll. 6-9: […] sanctus dominus meus Verus episcopus mihi
dignatus est dicere, quod per suum diaconum mihi Agate vestras litteras destinasset, quas ego
nescio quo casu aut qua neglegentia me non retineo suscepisse). Vero morì attorno al 508.
Victorinus (2, 40; GP p. 713): vescovo di Fréjus (vd. DUCHESNE I, p. 286). Anch’egli non
partecipò al concilio di Agde (506), ma si fece rappresentare dal presbitero Giovanni. Presso
Vittorino Ruricio inviò due dei suoi figli, Aureliano e Leonzio (duo lumina nostra: epist. 2, 40,
2). Quest’ultimo entrò nelle file del clero foroiuliense.
Vilicus (2, 14): presbyter, di lui non si hanno notizie, tranne il presunto coinvolgimento in
qualche malefatta, come emerge dall’epistola indirizzata a lui e a Fedamio (ma vd. anche supra
s.v. Foedamius ed epist. 2, 51, 2).
Vittamerus (2, 61; 63; PLRE II, p. 1178; GP p. 716): il fatto che Ruricio gli si rivolga coi ti-
toli di sublimitas e nobilitas, implica che Vittamerus fosse un aristocratico. Il nome ne rivela
l’origine gotica. Probabilmente va identificato con l’ostrogoto Vidimero che nel 474 circa inva-
se l’Italia a fianco del padre (cfr. IORD., Get. 284: Et mox Vidimer Italiae terras transivit, extre-
mum fati munus reddens rebus excessit humanis, successorem relinquens Vidimer filium suum-
que synonymum). Dal momento che Ruricio ebbe a inviargli della frutta, si può inferire che Vit-
tamerus non si trovasse molto lontano da Limoges.
Volusianus (2, 65; PLRE II, p. 1183 Volusianus 4; GP p. 717 Volusianus 2): di famiglia se-
natoria, fu vescovo di Tours dal 491 al 498 circa, succedendo al parente Perpetuo (461-491 cir-
ca). Sospettato di tramare con i Franchi, fu allontanato dalla sua diocesi dal governo visigoto e
morì in esilio (verisimilmente a Tolosa). Probabilmente da identificare col corrispondente di SI-
DON., epist. 7, 17. Gli succedette Vero, anch’egli suo familiare.
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Finito di stampare nel mese di settembre 2009


in Pisa dalle
EDIZIONI ETS
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