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Antonella Reffieuna
Come funziona
l’apprendimento
Conoscerne i processi per favorirne
lo sviluppo in classe
Indice
7 Introduzione
13 CAP. 1 Apprendimento e cervello
81 CAP. 2 Il processo di apprendimento
169 CAP. 3 L’apprendimento in età prescolare
237 CAP. 4 Prepararsi alla scuola: la school readiness
289 CAP. 5 L’apprendimento scolastico
353 Conclusioni
357 Bibliografia
Introduzione
che esplorano il mondo alieno che lo circonda con una precisione maggiore
dei robot inviati su Marte. Le orecchie assumono il ronzio incomprensi-
bile del rumore nel quale è immerso e impeccabilmente lo trasformano
in linguaggio pieno di significati. I grandi occhi, che talvolta sembrano
scrutare nella tua anima, riescono davvero a decifrare i tuoi sentimenti
più profondi. La testolina coperta di peluria contiene un cervello che ogni
giorno costruisce milioni di nuove connessioni nervose. Ciò, perlomeno, è
quanto ci è stato rivelato da tre decenni di ricerche scientifiche sui bambini.
«Ciò che vediamo nella culla è la mente più meravigliosa che sia mai
esistita, la più potente macchina capace di apprendere»: è questo il concetto-
chiave che sintetizza le numerose ricerche di carattere multidisciplinare volte a
migliorare la comprensione della mente umana. In un documento dell’Institute
for Learning and Brain Sciences di Washington (http://ilabs.washington.edu)
si afferma, in modo più generale: «Humans are exquisite learning machines»,
cioè «gli esseri umani sono raffinate macchine per apprendere». L’appren-
dimento (e in particolare l’apprendimento attraverso l’esperienza) è quindi
la caratteristica specie-specifica che ci contraddistingue come esseri umani.
Ciascun genitore, nonno, educatore di nido dell’infanzia, ciascuna inse-
gnante di scuola dell’infanzia sa bene quanto desiderio e quanto entusiasmo
di apprendere esistano nei bambini piccoli. Del resto è sufficiente pensare alla
differenza tra un bambino appena nato e un bambino di 6 anni per rendersi
conto di quanti apprendimenti egli ha dovuto realizzare: la massa di conoscen-
ze di cui dispone un bambino all’ingresso nella scuola primaria è tale per cui
nessun insegnante dovrebbe essere autorizzato ad affermare, qualche mese più
tardi, che egli «non apprende». Eppure è vero che numerosi bambini a scuola
incontrano difficoltà e spesso non riescono a imparare.
Indubbiamente l’apprendimento scolastico è radicalmente diverso da
quello che si realizza nella vita quotidiana. Ci si dovrebbe chiedere, però, se le
difficoltà siano dovute a un’impossibilità personale o non derivino piuttosto
da ciò che deve essere appreso e dal «modo» con cui ciò che deve essere
appreso viene proposto. Gli insegnanti dovrebbero quindi, più correttamen-
te, affermare che il bambino «incontra difficoltà nell’apprendere ciò che la
scuola gli propone». In ogni caso, tale precisazione non deve trasformarsi
in una semplice presa d’atto della situazione. Le difficoltà di apprendimento
scolastico sono infatti spesso accompagnate dallo sviluppo di più generalizzati
atteggiamenti negativi verso l’apprendimento. Occorrerebbe fare in modo che
l’entusiasmo mostrato nei primi anni di anni di vita, allorché i bambini sono
ansiosi di apprendere, a scuola non si trasformi in noia o, talvolta, addirittura
in rifiuto e quindi nella decisione di non impegnarsi più.
Introduzione 9
Garantire che a scuola gli allievi possano apprendere nel modo migliore
significa uscire dall’autoreferenzialità di cui spesso la scuola è stata vittima e
passare a una prospettiva che vede invece gli anni di frequenza scolastica come
un periodo-chiave della vita di ogni individuo. Ciò richiede cambiamenti
radicali nelle metodologie di insegnamento, nell’organizzazione delle classi,
nel modo di pensare la relazione insegnante-allievo. Richiede soprattutto di
pensare all’allievo in modo diverso, come individuo che funziona unitariamente
e nel quale occorre quindi prendere in considerazione tutte le dimensioni che
lo costituiscono: sociale, cognitiva, emotiva ma anche biologica.
Ciò richiede che gli insegnanti riflettano accuratamente sulle teorie che
guidano la loro azione. Argyris (1976; Argyris e Schön, 1974; 1978) evidenziava
infatti come anche nei professionisti le teorie dichiarate non sempre coincidano
con quelle effettivamente utilizzate a livello operativo. Nella scuola si constata
spesso, ad esempio, come gli insegnanti facciano inconsapevolmente ricorso a
metodologie che sfruttano i principi del condizionamento operante anziché del
costruttivismo e come ciò si risolva, negli allievi, nell’acquisizione di abitudini
errate che risulta però molto difficile eliminare o quantomeno modificare: ne
sono un esempio gli esercizi di prescrittura utilizzati nella scuola dell’infanzia
e nel primo anno della scuola primaria, che spesso inducono ad apprendere
abitudini di scrittura errate.
In passato gli insegnanti disponevano di un «sapere intuitivo» partico-
larmente efficace, che si esprimeva in metodologie che oggi spesso vengono
recuperate a livello scientifico. Sfuggiva però loro il significato profondo della
propria azione e soprattutto sfuggiva spesso la possibilità di generalizzare le
soluzioni didattiche a cui erano giunti. Significativo in proposito è quanto mette
in evidenza un lavoro americano sulla ricerca scientifica in campo educativo
(National Research Council, 2002): si sottolinea infatti come la mancanza
di accumulazione di evidenze scientifiche sia stato il maggiore ostacolo alla
definizione di una scienza dell’educazione.
La mancanza di tale accumulo comporta che gli insegnanti si trovino
ad affrontare le proprie classi e a progettare il percorso di apprendimento dei
propri alunni senza riferimento a un quadro scientifico consolidato e, soprat-
tutto, condiviso.
Ovviamente ciò non significa che sia sufficiente consentire agli insegnanti
la padronanza delle teorie: essi necessitano anche di esempi concreti che mo-
strino loro come si può agire nella quotidianità. Se la teoria viene presentata
in modo isolato, con scarsa connessione con la dimensione operativa, nel mo-
mento del lavoro sul campo è come se le conoscenze e le concezioni educative
sviluppate durante il periodo della formazione iniziale o continua venissero
«lavate via» (Zeichner e Tabachnik, 1981; Reffieuna e Bonino, 2001).
Introduzione 11
Diventare persone
che conta è il bilancio finale: esso deve essere tale da evidenziare comunque
un aumento in termini di complessità, differenziazione, flessibilità, velocità,
automatismo. Il cambiamento che determina lo sviluppo è quindi sempre
di tipo incrementale.
Il processo di guadagni e perdite riguarda tutti gli aspetti dello sviluppo:
quindi non solo le capacità motorie, ma anche quelle cognitive.
Come vedremo più avanti, ciò influenza da vicino anche l’apprendimento
scolastico.
I cambiamenti che contrassegnano lo sviluppo e che hanno natura in-
crementale possono essere raggruppati in tre categorie (si veda tabella 1.1).
TabELLA 1.1
Categorie dei cambiamenti (Ford e Lerner, 1992)
Crescita Maturazione Apprendimento
Aumento permanente della Progressiva differenziazione Processo attraverso il quale
massa totale del corpo o di una ed elaborazione delle strutture le conoscenze e le capacità
sua parte. biologiche e delle capacità vengono acquisite, elaborate o
funzionali che conducono gli modificate attraverso lo studio,
individui verso gli stati stazio- l’addestramento e l’esperienza.
nari caratteristici degli individui
adulti.
Queste tre categorie di cambiamenti sono presenti in tutti gli esseri vi-
venti di natura animale, ma negli esseri umani si presentano con caratteristiche
parzialmente diverse.
Finora la scuola ha pressoché espunto dalle sue riflessioni i mutamenti
legati alla crescita e alla maturazione, ritenendo che dovessero interessare altre
categorie professionali (principalmente i medici) e che, comunque, avessero
scarsi riflessi sulla capacità di imparare degli allievi. Ciò non è stato casuale; è
stata piuttosto la diretta conseguenza dell’aver ignorato l’esistenza dell’influenza
che il corpo (inteso secondo la prospettiva dell’embodiment, in base alla quale
tutti i processi cognitivi, anche quelli più astratti, dipendono e fanno uso di
strutture di carattere biologico, per cui il comportamento intelligente è il frutto
della reciproca interazione tra mente, corpo e mondo esterno) e soprattutto
un organo di importanza primaria quale il cervello esercitano sui processi
cognitivi (si veda box 1.1).
Crescita e maturazione assumono infatti un significato particolarmente
pregnante se riferiti al cervello.
Apprendimento e cervello 17
Box 1.1
Il processo di guadagni e perdite nell’apprendimento scolastico
Le sinapsi
Alla nascita il cervello presenta dimensioni pari ai 2/3 di quella dell’età
adulta (National Research Council, 2000a). La crescita del cervello riguarda
tre dimensioni: il peso, il volume e il numero di connessioni esistenti tra i
neuroni (cioè le sinapsi).
L’elemento che influenza più direttamente l’apprendimento è riferito
però alle connessioni esistenti tra i neuroni, che corrispondono all’esistenza
5
L’apprendimento scolastico
Da 0 a 6 anni
del cervello: le diverse fasi di competenza nella lingua scritta da una parte ri-
chiedono un cervello che sia giunto a un certo livello di sviluppo, ma dall’altro
facilitano tale sviluppo. Anche in campo scolastico, quindi, fattori biologici e
fattori esperienziali agiscono insieme.
Box 5.1
L’ordine di sviluppo delle capacità
La progressione che caratterizza ogni apprendimento richiama il fatto che per ogni capa-
cità è possibile individuare un ordine di sviluppo. Alcune delle fasi possono parzialmente
sovrapporsi, ma in linea generale la sequenzialità e la gradualità rimangono valide. È
necessario però sempre rammentare che non si tratta di un ordine estrinseco, definito a
priori, ma corrisponde al modo con cui le diverse capacità emergono nel bambino nel
corso del tempo.
Può essere considerato paradigmatico l’ordine di sviluppo della capacità di scrittura, in
cui è possibile definire le seguenti fasi.
Ovviamente nella realtà l’ordine non è così rigido e alcune di queste fasi possono anche
parzialmente sovrapporsi. Nell’insieme, però, la sequenzialità rimane valida e, se rispettata,
può evitare l’emergere di difficoltà di apprendimento, legate al fatto che gli alunni talvolta
si trovano ad affrontare compiti più complessi a età inferiori e compiti più semplici in
età successive.
Box 5.2
Le ricerche di Jeanne Chall (1921-1999)
Le ricerche di Jeanne Chall furono incentrate sulle modalità di prevenzione delle diffi-
coltà di lettura. Erano gli anni in cui a scuola risultavano prevalenti i metodi globali di
insegnamento, contrapposti ai metodi che privilegiavano il riferimento alla decodifica
e quindi a processi di tipo analitico. Chall si propose di definire quale fosse il metodo
migliore per insegnare a leggere a un bambino. Significativamente il suo primo libro si
intitolava Why Johnny can’t read and what you can do about it (1955). Nel 1967 pubblicò
Learning to read: The great debate, che sintetizzava i risultati del suo lavoro di ricerca sugli
studi realizzati tra il 1910 e il 1965 sul processo di lettura. Chall concluse che le ricerche
scientifiche deponevano a favore dei metodi di tipo fonetico. Che i metodi globali fossero
stati presentati come efficaci dipendeva solo dal fatto che ci si riferiva esclusivamente ai
risultati ottenuti nel primo anno di scuola. In realtà i bambini mancavano delle capacità
per affrontare la lettura delle singole parole e quindi non potevano affrontare il passaggio
alla lettura autonoma. I metodi fonetici si fondano invece sulla logica e quindi, secondo
Chall, sono preferibili. Chall ritiene comunque che per far apprendere a leggere e scri-
vere non si deve far riferimento a un solo metodo di insegnamento, in quanto nessun
singolo metodo può, da solo, garantire il successo nell’apprendimento. Il metodo globale
non deve pertanto essere totalmente abbandonato: può invece essere utilizzato per
apprendere a leggere parole irregolari e per consentire ai bambini un avvio anticipato
alla lettura nei primi anni di vita.
In ogni caso, oggi non esistono più dubbi sul fatto che per apprendere a leggere e scrivere
il bambino debba disporre della consapevolezza fonologica ed è stato confermato che i
metodi di tipo fonetico non permettono solo l’apprendimento dei processi di decodifica
e codifica, ma migliorano anche la comprensione del significato di ciò che il bambino
legge (Moore, 2004).
Molti dei testi successivi di Chall sono incentrati sull’importanza della dimensione
fonetica. Quello più innovativo è comunque The stages of reading development (1983),
in cui la studiosa illustra le fasi necessarie per imparare a leggere in modo adeguato, ma
riveste particolare interesse anche la lettura del suo ultimo testo, pubblicato postumo
nel 2000 (The academic achievement challenge), dove, secondo quello che fu il suo stile
di lavoro, Chall invita a riflettere sul fatto che i metodi di insegnamento di tipo direttivo
sono più efficaci di quelli incentrati sull’allievo.
L’importanza degli studi di Jeanne Chall, del tutto sconosciuti in Italia, è confermata
dal numero di citazioni ottenute in pubblicazioni scientifiche (si veda in proposito
Google scholar).